Timeless di gwapple (/viewuser.php?uid=75833)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10. ***
Capitolo 12: *** 11. ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***
Capitolo 16: *** 15. ***
Capitolo 17: *** 16. ***
Capitolo 18: *** 17. ***
Capitolo 19: *** 18. ***
Capitolo 20: *** 19. ***
Capitolo 21: *** 20. ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Timeless Prologo
C'è
stato un tempo
in cui la Luce
vigilava sulla Terra
e le Ombre
scacciate, ripudiate, si nascondevano
nella
loro stessa oscurità.
Ma poi venne
l'eclissi
il sole si
oscurò del tutto e la luna si colorò di sangue
e sulla Terra
calarono le Tenebre.
~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~
Ooook siamo
consapevoli che questo prologo non significa una MAZZA, ma beh, tutto
inizia da qui. E' in versi, e anche questo ha un senso... non è
solo perchè ci piace vantarci e mostrare il nostro lato poetico,
no, no... ai fini della trama lo comprenderete più avanti
>> Tutta la storia inizia nel prossimo capitolo, sperando di
portare un tocco di suspance/soprannaturale/fantasy nelle vostre vite
da lettori, noi in quanto autrici ci impegneremo al massimo,
perché siamo totalmente innamorate di questo esperimento :3
Altresì, dal momento che ogni personaggio ha le sue fattezze
(abbiamo scelto un attore per ognuno), chi volesse preservare la
propria fantasia basta che ignori le immagini, ed ecco fatto :)
Il pasto è servito! v.v
Commenti e critiche costruttive sono più che ben accetti, e
accoglieremo qualsiasi consiglio come se fosse oro prezioso, anche
perché se la storia -che già abbiamo in mente nei minimi
dettagli **- riuscirà bene, si trasformerà in un romanzo,
e chissà, magari un giorno la potreste trovare in una libreria
°w° -quantomeno, è quello che ci auguriamo noi :3 Adesso
passo la parola alla mia compare Miss Watson v.v:
Noi che adoriamo già questa storia - e non solo per i bei
faccini che la popolano- e l'abbiamo veggeziata e coccolata fino a
portarla a questo grande Ballo delle Debuttanti strillando come mamme
apprensive abbiamo deciso che si, perchè no, è ora che
balli e si faccia vedere in questa grande festa!:D E se poi
diventerà famosa... tanto meglio! Le sue mamme saranno fiere di
lei!
Ovviamente attendiamo con ansia le vostre recensioni, le vostre
critiche e anche i vostri pomodori (possibilmente non quelli marci
>>)
Ordunque, arrivederci (si spera) al prossimo capitolo, tanti baci tenebrosi a voi, e attenti alle eclissi! :D
P.s: oddio è più lungo l'angolo autrici del prologo °^°
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Capitolo 2 *** 1. ***
Timeless 1
Capitolo
1
«Quindi
gestisci l'officina di tuo padre.»
La ragazza morse la cannuccia, rosa ovviamente, ammiccando vistosamente
in sua direzione.
«Esatto.» convenne lui. Poi sfoderò IL
sorriso, quello per cui le ragazze impazzivano e si gettavano ai suoi
piedi: il rossore sulle guance della fanciulla di fronte
a lui gli fece capire di aver fatto ancora colpo.
Non che ne dubitasse, del resto: conquistare una ragazza per lui era
più facile che bere un bicchiere d'acqua.
«Quindi lavori molto... con le auto.» non era una
domanda. Jay allargò il sorriso, cercando una posizione
più comoda nella sedia: scacco matto, era sua.
«So usare molto bene le mani, se è questo che vuoi
sapere. Anzi, oserei dichiararmi un esperto.»
La luce maliziosa che si diffuse negli occhi della giovane era un
chiaro segno di quanto pendesse dalle sue labbra, di quanto ormai il
suo cuore si fosse fatto avvincere dall'irresistibile fascino di Jay A.
Denver
«A te piacciono le auto?» rincarò la
dose, sporgendosi appena. Movimenti lenti e misurati -dettati
dall'abitudine- di cui era ormai pratico. La biondina mozzafiato
scrollò le spalle, vivace: stava giocando, e lui avrebbe
fatto il suo stesso gioco.
«No, preferisco le moto a dire il vero.» rispose
assottigliando gli occhi da cerbiatta, mordendosi il labbro. Jay si
ritrovò a fissare quei lembi carnosi desiderando di
addentarli, ma il suo istinto lo richiamava alla realtà: non ancora, si
impose una vocina nella sua testa.
«Le moto? Io ne ho una.» avrebbe voluto anche
aggiungere un doppio senso della serie "ed è anche molto ben
equipaggiata" ma preferì tacere. La biondina fece scattare
un sopracciglio verso l'attaccatura dei capelli, poi si sporse ancora
di più, ad un soffio dalle sue labbra.
Jay deglutì aria perdendosi nei suoi occhi color
dell'oceano, e poi più sotto: da quando aveva iniziato a
fare così caldo? Incapace di distogliere lo sguardo da
quelle labbra così umide e vicine, si costrinse a frenare
l'impulso di sporgersi e annullare la distanza che ancora li separava.
«Ah davvero?» le dita della ragazza si insinuarono
tra le sue, accarezzando sensualmente il dorso della sua mano
«Mi piacerebbe...» si fece più vicina,
le punte dei capelli lunghi pizzicarono il collo di Jay
«...farci...» gli passò una mano tra i
capelli corti, e Jay accennò appena un sorriso, lasciandosi
totalmente andare «... un giro.»
La ragazza finalmente abbassò le palpebre -mentre fuori si
diffondeva una musica che era sicuro di non aver percepito prima, forse
troppo concentrato sulla bocca di lei- e Jay le afferrò il
mento con tre dita, avvicinandola deciso a sé, quando
all'improvviso si sentì strattonato da qualcosa, come un
nodo partito dal petto.
It don't take money *
and it don't take fame
don't need no credit card
to ride this
train
I muri blu del locale, con tutte le luci intermittenti, le piastrelle
colorate del pavimento e i bicchieri di drink abbandonati sul tavolo
come tanti scogli in mezzo al mare, si dilatarono fino a diventare una
sequenza di sfumature indistinte.
Tougher than
diamonds and stronger
than steel
you won't feel
nothing' till you feel
Jay spalancò gli occhi con un sussulto, ridestandosi di
soprassalto.
You feel the power,
just the power of love
That's the power,
that's the power of love
you feel the power of
love
you feel the power of
love
feel the power of love
«Buongiorno amici! Qui è radio
Hourglass che vi da' la sveglia col sorriso!»
Jay soffocò un gemito nel cuscino, svegliato nel bel mezzo
di un sogno particolarmente avvincente: per carità,
apprezzava radio Hourglass -e adorava le canzoni che trasmettevano, dal
gusto tipicamente anni '80- che costituiva la sua sveglia ogni mattina
ma...
Beh, era un maschio particolarmente voglioso di sc...oprire le
personalità di gentili pulzelle. E la fanciulla che aveva
popolato i suoi sogni era particolarmente -o almeno, l'apparenza era
quella- piena di segreti da scoprire, se capite cosa intendo.
«E quella che avete appena ascoltato è ''Power of
Love'' di Huey Lewis & the News!» annunciò
la voce dell'altra speaker di Radio Hourglass. «Un buongiorno
caloroso a tutti! Oggi è la giornata ideale per una bella
scampagnata, giusto Beatrix?»
«Esatto Jules! Ma mandiamo un bacio anche agli sfigati che
come noi sono stati costretti ad alzarsi a orari indecenti per andare a
lavoro!»
«Grazie tante.» borbottò Jay,
trascinandosi fuori dal letto con la stessa volontà di un
bradipo in letargo.
Il problema non era tanto che sarebbe dovuto andare a lavoro
-l'officina apriva solo per metà mattinata e Bill White,
co-proprietario e dittatore assoluto, l'avrebbe gestita fino all'ora di
pranzo, quando sarebbe andato a mangiare a casa Denver dato che per
qualche inspiegabile ragione adorava la cucina di sua madre- ma che si
sarebbe dovuto trascinare a recuperare suo fratello Archie e quella
spocchiosa della fidanzata, Gwen.
Ora -a scanso di equivoci- Jay adorava suo fratello: e come no? Era un
po' saccente ma, ehi, aveva i geni Denver e tanto bastava. E lo aveva
praticamente tirato su lui dopo la morte di suo padre.
Il problema era lei, Gwen.
Che poi, esteticamente era molto carina: il problema era il suo
carattere, degno di... ahem, di certi bisogni naturali che ognuno di
noi ha dopo aver mangiato. E a buon intenditore poche parole.
«Allora, che argomento abbiamo oggi?»
Beatrix cominciò a parlare di qualcosa di non ben definibile
mentre Jay tuffava la testa sotto il getto d'acqua fredda del
lavandino. Per una qualche ragione sentiva che quella sarebbe stata una
giornata estremamente lunga coi borbottii di Gwen alle orecchie e le
frasi dolci -melense più che altro- che i due si sarebbero
scambiati.
Come ogni volta.
Archie studiava medicina in un'università di Londra: aveva vinto una
borsa di studio qualche anno prima, la secchionaggine non era proprio
un tratto che aveva preso da lui, e tornava ogni volta che poteva anche
se solo per pochissimo.
E dio, capiva la distanza e -ma non l'avrebbe detto ai piccioncini per
ovvie ragioni- l'astinenza ma non tutto quello... quello zucchero.
Era semplicemente... irritante. E lui non ci teneva certo a morire di
diabete, era ancora giovane! Solo perché aveva raggiunto i
venticinque anni giusto una manciata di mesi prima non era mica da
buttare!
Rialzò uno sguardo esausto allo specchio sopra il lavandino,
che gli restituì l'occhiataccia di due iridi verdi sopra una
spruzzata di efelidi -che si accentuavano ad ogni cambio di stagione-.
«Buongiorno, bellezza.» fece, cupo, ignorando
volutamente le due ombre scure sotto gli occhi -in un paio di minuti
sarebbero state sostituite dal suo solito colore- e allungò
le dita alla ricerca della tovaglia.
Se la passò su volto, sul collo, stiracchiando le
articolazioni e le giunture, cercando di ricordare i dettagli della
ragazza del sogno, mentre si dirigeva alla doccia.
Quando anche i vestiti vennero ammucchiati in disordine in un angolino
del bagno a piastrelle verde acqua -il colore preferito di suo padre,
almeno a detta di sua madre Susan- Jay entrò nel box e il
getto di acqua calda che gli scivolò sulla schiena lo fece
rabbrividire di piacere.
Sapone, shampoo, solita routine.
Fischiettando si massaggiò i capelli, mentre la schiuma gli
scendeva nelle pupille. Archie l'avrebbe sicuramente rimproverato per
questo, notando i suoi occhi arrossati, e da brava mamma chioccia -o
uccello del malaugurio, a seconda dei punti di vista- gli avrebbe
profetizzato un'incurabile congiuntivite.
Sì, che magari l'avrebbe condotto alla tomba entro un paio
di giorni. Ghignando sdegnoso Jay si abbandonò al calore
della doccia, cercando ancora una volta di rimembrare le fattezze della
ragazza.
Ricordava a stento che avesse i capelli biondi...
Com'è che si chiamava?
Candy? Ginny? Ruby? Gliel'aveva detto o no il nome?
Ma poi che importanza aveva? Era un fottutissimo sogno!
Qualche minuto dopo il trillo del cellulare lo svegliò dal
suo stato di abbandono: Jay uscì dal box doccia, con l'acqua
che ruscellava lungo la schiena e dai corti capelli castano chiaro,
offuscandogli la vista. Quando si fermò sul tappeto una
nuvola di vapore si levò dalla doccia, ma la
ignorò. Indossò l'accappatoio rigorosamente
bianco -al diavolo le cose colorate, era un uomo lui!- e
aprì la finestra, sempre canticchiando.
Canticchiando, per altro, la stessa canzone anche mentre si faceva la
barba e dopo, lavandosi i denti.
«Power of Love» fece, stizzito.
«Sì, potere dell'amore un corno! Al diavolo Huey
and The News.»
In quello stesso istante, mentre le voci di Beatrix e Jules lo
raggiungevano attraverso la porta a vetri che separava il bagno dalla
camera da letto del suo mini-appartamento, Jay realizzò di
aver dimenticato la radio accesa. Un classico.
«Al diavolo anche Radio Hourglass.» concluse
lanciando una ciabatta, che andò a cozzare con l'apparecchio.
La piccola radiolina cadde a terra lanciando uno sbuffo, ma Jay non se
ne preoccupò: era più resistente di lui, ne era
certo. Una volta era precipitata dal balcone -e lui abitava al terzo
piano, mica poco!- e se n'era uscita indenne.
Come facesse a non procurarsi neanche un graffio -e ce ne voleva, era
pur sempre una sua proprietà- rimase un mistero.
Con un asciugamano tra i capelli fradici Jay aprì la
finestra permettendo al vapore di uscire, e si diede un'ultima occhiata
allo specchio appannato: decisamente meglio, aveva perso un po' del
pallore della notte.
Si vestì in fretta con una semplice maglietta verde muschio
ed un paio di jeans, e acciuffò la giacca di pelle prima di
uscire, insieme al cellulare sul comodino.
«Buongiorno caro ragazzo!»
Uscendo dalla porta Jay si trovò davanti alla faccia
sorridente della vecchia signora Mao, sua vicina di casa che da tempo
tentava di accasarlo con sua nipote di diciassette anni: la ragazzina
era carina ma a lui piacevano decisamente più le bionde.
Sopratutto quelle con gli occhi chiari.
«Buongiorno signora Mao» la salutò
chiudendosi la porta dell'appartamento alle spalle. Tirò
fuori le chiavi dalla tasca destra dei jeans e, dopo aver fatto
scorrere il dito sull'anello alla ricerca di quella giusta, la
acciuffò e la infilò nella toppa ben conscio
dello sguardo vispo della donna sulla nuca.
«Vai da qualche parte?»
Sentendosi lievemente a disagio il giovane sforzò un sorriso.
Era un po' come parlare con la signora in giallo...
«Ahem, sì... mio fratello mi aspetta
all'aereoporto» rispose gentilmente tentando disperatamente
di ricacciare in un angolo della sua mente la musichetta del telefilm.
«E sono molto in ritardo signora Flet... ahem, Mao. Buona
giornata!»
E scappò via prima che potesse ribattere o invitarlo a
prendere il the per fargli vedere le foto della nipotina.
Scese le scale con la stessa velocità di un leone che
insegue una preda particolarmente sfortunata o di uno che ha visto la
sfiga in faccia... pardon, la morte: attraversò un corridoio
prima di trovarsi davanti alla portineria.
Ora, non è che vogliamo dire che il nostro protagonista
fosse particolarmente sfigato -o forse un po' lo era- ma aveva la
(s)fortuna di abitare in un palazzo di gente strana, ecco tutto: la
signora Mao, tanto per cominciare, e il vecchio Rodrigo -che con quel
nome sembrava uno di quei classici sudamericani di un filmetto di serie
B, o una soap opera di terz'ordine- tanto per finire, il portiere del
palazzo che aveva una pancia così grossa da fare invidia a
un cocomero, una canottiera -che si sospettava avesse cucita addosso
dalla nascita- che si intravedeva sotto la camicia, un sombrero e un
fucile che amava mostrare a mo' di cimelio di guerra.
«Oh ciao!» lo salutò vedendolo.
Lui gli rivolse un sorriso cordiale, uscendo.
«'Giorno signor Guirao, passi una buona giornata!»
augurò uscendo con la segreta speranza che non lo
richiamasse per mostrargli la sua collezione di armi d'epoca.
Che poi okay avere i propri hobby ma... Dio, aveva i brividi da quando
il signor Guirao gli aveva mostrato la sua collezione di foto di organi
umani. Raccapricciante.
E non è che s'impressionasse spesso, eh.
Pregando segretamente che la giornata si volgesse al meglio si diresse
verso il garage in cui, ogni sera, sistemava la sua adoratissima
piccolina, l'unico amore della sua vita. E no, non era un cavallo e
nemmeno una bambola gonfiabile pervertiti!, ma una moto.
Una MV Agusta F41000
Senna rosso fiammante, ad essere precisi.
Estrasse dalla tasca gli occhiali da sole -ray ban del '67 dalla
montatura bianca che erano appartenuti a suo padre- , per il tempo
della strada, perché il sole picchiava indisturbato quel
giorno, con nessuna nuvola all'orizzonte, e lui odiava camminare con
gli occhi ridotti a due fessure come un gatto.
Fortunatamente l'officina si trovava a pochi isolati dal suo
appartamento, così quattro angoli, qualche svolta e una
manciata di passi più tardi, Jay scoprì la
saracinesca già in parte sollevata.
Non del tutto sorpreso bussò sulla superficie a strisce e
ricevette solo un cupo borbottio dall'altra parte. Tuttavia, fu una
conferma: infilò la punta del suo stivale marrone nella
fessura -quei pochi centimetri che separavano la saracinesca
dall'asfalto- e la sollevò.
«Eih, Bill.» salutò nessuno in
particolare, entrando nelle penombra mentre ancora la saracinesca si
stava sollevando, tanto che dovette abbassare la testa per entrare.
Non che raggiungesse il metro e novanta -come quegli spilungoni
dell'NBA!- ma Jay poteva vantare una certa altezza che mescolata al suo
fisico asciutto e all'intramontabile fascino dei suoi occhi facevano di
lui un fotomodello perfetto.
No, va bene, queste erano state parole di Bella, la sua ex del liceo,
un'ochetta senza cervello a cui preferiva non pensare.
Non appena la luce del sole invase l'angusto spazio, agli occhi del
ragazzo si presentò una macchina rossa col cofano spalancato
-a mostrare un motore ancora fumante- ed un pulviscolo irritante che
galleggiava nell'aria.
Di Bill non vi era traccia, ma Jay riconobbe i suoi piedi in quelle due
ombre che sbucavano da dietro la ruota sinistra.
Afferrò il cappello appeso al chiodino, lo smosse per
spostare la polvere ed avanzò bussando sulla carrozzeria.
Con un sobbalzo -ed un conseguente frastuono di oggetti metallici a
contatto con l'asfalto- l'uomo sbucò dalla macchina,
spingendo indietro il carrellino nel quale era sdraiato, e gli rivolse
un'occhiataccia minacciosa.
Occhiataccia che, però, non sortì l'effetto
sperato, perché il volto di Bill era una maschera di olio e
carbone.
«Non farlo mai più, razza di idiota!» lo
accolse l'amico, con voce ruvida, agitando la chiave inglese. Jay
sorrise di rimando, risollevandosi in piedi. «Ciao anche a te
Bill, è un piacere rivederti. Come stai? Tutto bene, grazie
per l'interessamento, e tu?»
«Spiritoso.» biascicò Bill passandosi un
braccio sulla fronte imperlata di sudore, con la conseguenza di
sporcarsi ancora di più.
Personalmente, Jay non aveva idea di quanti anni si fosse
lasciato alle spalle, ma era certo che avesse superato la cinquantina,
a giudicare sia dai capelli brizzolati -più tendenti al
grigio che al nero, ormai- e alle rughe che solcavano perennemente la
sua fronte, anche se non troppo evidenti; in ogni caso, era
stato assistente e amico di suo padre, quando ancora era vivo, e Jay lo
conosceva da quando era uno scricciolo di appena tre anni.
«E comunque, che cosa vuoi? Così lustro
e pulito non avrai avuto la brillante idea di lavorare, vero?»
«Sai che ore sono?» Jay non aspettò che
rispondesse, né si curò di mostrargli l'orologio,
che teneva al polso tanto per far contento suo fratello. A lui, per
controllare l'orario, bastava il cellulare.
«Speravo di trovarti già vestito e
sbarbato, Bill. Hai dimenticato che giorno è oggi?»
«Il giorno in cui finalmente ti avrò
licenziato?» scherzò Bill, che rifiutò
la mano di Jay per rimettersi in piedi. «Cretino, quale parte
della frase "non sporcarti" non cogli?»
Jay ritirò la mano, tramontando gli occhi al cielo -Bill e i
suoi modi sgarbati, non sarebbe cambiato mai!-, e si voltò a
tamburellare le dita sul tavolo di legno grezzo mentre Bill si
rimetteva in piedi e si toglieva i guanti luridi.
Il tavolo era ingombro di attrezzi, cartine stradali, cartacce, macchie
di inchiostro e di olio, scheggiature da urto, un giornale spiegazzato
-sintomo che l'amico l'aveva letto prima di lavorare- e penne gettate
alla rinfusa come tanti piccoli serpenti.
«Allora, immagino vorrai la tua moto. E' per questo che sei
venuto qui, no? Oltre che per farmi da cane da guardia, si
intende.»
«Non posso portare la mia piccola con me,
oggi.» rispose invece Jay, in parte dispiaciuto. Beh, e suo
fratello dove l'avrebbe messo, sul cofano?
«Non mi dirai che era una visita di cortesia,
allora?»
«Ho bisogno di una macchina, Bill. Hai qualche
idea?»
Bill si tolse il cappellino e lo gettò lontano, cercando di
centrare il chiodo infisso alla parete -inutile dire senza successo- e
si strofinò le mani l'una contro l'altra. «Che
genere di macchina vuoi?»
«Ricordati che devo andare a prendere Archie.» e
Gwen, ma questo Jay non lo disse.
«Ho afferrato il concetto.» fece Bill, cambiando
tono, e si diresse a passo sicuro in una direzione precisa.
Ed era così, Bill, un uomo di poche parole che preferiva i
fatti e agiva di conseguenza. Jay si identificava in lui, per certi
versi, per questo si era subito affezionato.
Comunque quando si avvicinò per esaminare la macchina scelta
dall'amico rimase quasi senza fiato: ottima scelta quella di Bill,
senza dubbio.
Un'Alfa Romeo Mito nera, una di quelle a cui Bill era più
affezionato -perché l'aveva guidata un paio di volte da
giovane- e che Jay mai avrebbe creduto di poter utilizzare.
Quando si sedette al posto del guidatore saggiò cautamente
lo sterzo, quasi avesse timore di romperlo, e alzò uno
sguardo incerto in direzione di Bill, che annuì fiero, dando
una pacca al fianco dell'auto e lanciandogli le chiavi che Jay
afferrò al volo.
«Trattamela bene, hai capito?»
Jay annuì senza pensarci due volte. Poi un sorriso
riconoscente pizzicò le sue labbra.
«Grazie, Bill.»
«Smettiamola con queste smancerie, e muoviti. Non vorrai che
tuo fratello faccia la muffa, no?»
Di tutta risposta il ragazzo inserì le chiavi e quando mise
in moto il rombo del motore sotto il sedile e sotto i piedi gli
iniettò una scarica di adrenalina.
Si parte,
pensò sollevando gli angoli della bocca.
* https://www.youtube.com/watch?v=WK0z87WrhGo
minuto 3:03
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Ma
salve!
Piaciuto questo primo capitolo di apertura? Si? No? A me e alla mia
collega, Lady Holmes, si e pure un sacco (quanta modestia o.o n.d.
L.H.)!v.v
Questa storia ci sta totalmente sconvolendo - e molti di voi, tra cui
La sposa di Ade che salutiamo e ringraziamo per la sua gentile
recensione sanno quanto sia difficile scrivere in coppia- e
ciò è male. Perchè probabilmente non
smetteremo di scriverne/parlarne/tentare di farci un film e pubblicarla
E perchè no? Un giorno potremmo anche decidere di mandarla a
una casa editrice!
Ma tanto non la accetterebbero mai.
Ah, già, sono Lady Holmes nel caso non si fosse capito...
E non essere così pessimista! [n.d Miss Watson]
Comunque questo capitolo inizialmente doveva essere più
lungo, ma poi abbiamo deciso di dividerlo in due. Quindi nel prossimo
avremo ancora la presentazione del protagonista e della sua vita, ma
tranquilli, l'azione non verrà a mancare. Ogni dettaglio che
noterete qui è fondamentale per lo svolgersi della storia ;)
Che cosa ne pensate di Jay? E di Bill? In ogni caso, come sapete
abbiamo scelto degli attori prestavolto, ergo, qui di seguito troverete
Jay e Bill :D (in ordine di comparsa... ogni volta che
comparirà un personaggio importante avrete la sua foto, non
temete! ;) Se preferite non intaccare la vostra immaginazione potete
anche non guardare, a noi non cambia! :D) Ma, come dire, uomini/donne
avvisati mezzi salvati! v.v
Ci auguriamo che continuerete a seguirci e farci sapere cosa pensate
della storia, noi siamo disponibili e aperte a tutte le domande, le
richieste e i dubbi, quindi non temete :)
Compare, vuoi aggiungere qualcosa?
No, penso che li abbiamo torturati abbastanza XD
Quindi saluti dal magn... ahem fenomen.. ahem no, vabbeh dal duo
Hourglass/gwapple!
E se ci tenete ecco a voi la nostra personale pagina autrici: https://www.facebook.com/#!/pages/Hourglass/118871514848691
***
1.
La piccolina
di Jay:
2. La macchina scelta da
Bill:
3. Il nostro Jay A. Denver:
4. William (Bill) White:
Detto questo, alla prossima! ;)
|
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Capitolo 3 *** 2. ***
Timeless 2
Capitolo 2
Jay
A. Denver stava controllando il tabellone degli arrivi: l'aereo
proveniente da Londra di suo fratello era atterrato da poco, quanto ci
voleva per prendere la valigia? Era stato forse attaccato dalle sfingi
della sfortuna infinita?
Sbuffò, incrociando le braccia al petto: se c'era una cosa
che odiava era aspettare.
Non aveva mai amato troppo aspettare -e sua madre era convinta che
fosse per questo che i suoi pancake facessero così schifo-
ed era abbastanza certo che farlo fosse da sfigati: lui amava prendere
subito le cose, non era un tipo molto paziente, sbraitava anche sul
più piccolo ritardo. Certo, il più preciso tra
lui ed Archie era il secondogenito di famiglia ma, ehi, lui era
sicuramente meno distratto!
«Jay!»
Al sentire quella voce il giovane sorrise e si voltò.
Intercettò una mano agitarsi al suo indirizzo, e un ragazzo
con una camicia bianca e dei jeans neri affrettare il passo per
raggiungerlo, trascinando dietro di sé due pesanti valigie.
Archie Denver era suo fratello minore -ma questo penso che i nostri
lettori lo avranno capito benissimo- ed era stato praticamente figlio
suo dopo la morte di loro padre: era un ragazzo alto, ma lui lo
superava di tutta la testa, dai capelli ricci e castano scuro e gli
occhi dello stesso castano della loro madre.
Ciò che colpiva di lui era il sorriso eternamente allegro,
dolce e forse un po' ingenuo e lo sguardo da supercervellone per
cui Jay lo aveva sempre bonariamente preso un po' in giro.
«Archibald!» lo apostrofò di rimando,
scompigliandogli la zazzera scura.
«E non chiamarmi così!» si
lamentò suo fratello.
In risposta Jay rise e afferrò la valigia che Archie aveva
mollato per terra -figuriamoci, l'unico peso che quella femminuccia
riuscisse a reggere erano i libri e nemmeno quelli!- sollevandola senza
alcuno sforzo.
«Beh, non sono io quello col nome di un nonnino,
Archibald.» ghignò, rimarcando l'accento
sull'ultima parola.
Archie fece una smorfia ironica, e solo in quell'istante Jay
capì quanto gli fosse realmente mancato.
Ma, ovviamente, non l'avrebbe mai ammesso.
*
Il maggiore dei Denver caricò il bagaglio in macchina e poi
si accomodò sul sedile del guidatore -dopo aver aperto la
portiera a suo fratello, da bravo gentilman, ed essere stato mandato
allegramente a quel paese- sistemando lo specchietto retrovisore -e
aggiustandosi la piega di un sopracciglio, nel frattempo-.
Una volta in macchina Jay sintonizzò la stazione su Radio
Hourglass -era una specie di rituale per lui- prima di mettere in moto,
sorridendo verso suo fratello.
«Sei sempre fissato con queste due?» volle
informarsi Archie, levando un sopracciglio.
E' da specificare: Archie non odiava Julie e Beatrix, solo trovava
alquanto strana la passione di Jay -quello stesso Jay che cambiava una
ragazza a settimana con la stessa facilità con cui una
persona normale
cambia i calzini- per due ragazze totalmente sconosciute di cui aveva
sentito solo le voci.
In risposta suo fratello tramontò gli occhi.
«E tu sei sempre così rompiballe? Queste due, come le
chiami tu, sono due...»
«Lo so Jay, lo so: due sventole da paura che sanno cosa
vogliono i veri uomini.» Archie alzò gli occhi al
cielo, annoiato, mentre Jay annuiva con forza.
«Appunto! E poi hanno carattere e fanno ridere! Penso che
invece tu dovresti proprio rivedere le tue priorità in campo
femminile, eh.»
E Archie, diplomaticamente, preferì non rispondere.
Prima di fermarsi a prendere Gwen, e anche questo era un rituale che
apparteneva solo a loro, Jay e Archie avevano l'abitudine di fare una
sosta al Caffè
d'Europe, uno dei più rinomati della
città: e così fecero anche quel giorno, dato che
avevano un'ora abbondante e -come al solito- Jay non vedeva l'ora di
tormentare il fratello minore.
E meno male che la curiosità è donna. Signori
miei, miei cari e affezionati lettori -non so in quanti leggeranno
queste pagine e francamente non voglio pormi il problema- la
verità è che la curiosità è
assolutamente e fermamente ermafrodita: e con questo non voglio
offendere nessuno, figuriamoci, ma ci tengo a sottolineare che nessuno
debba insistere con questi maschilismi del cavolo.
Chiarito questo punto, andiamo avanti.
Dunque, Jay scostò la sedia di suo fratello -che
pregò tutti i santi che conosceva per non lanciargli una
tazzina- sotto le risate divertite delle cameriere e le occhiate
perplesse dei camerieri.
«Siediti, tesoro!»
«Jay...» sbuffò Archie, a
metà tra il divertito e il puramente esausto.
«Oh, non dire nulla, già lo so: sono il tuo uomo e
non mi cambieresti con nessuno!»
A quel punto no, Archie non avrebbe voluto lanciargli solo una tazzina:
avrebbe voluto esercitare la sua mira con l'intero servizio da the.
Jay scoppiò sinceramente a ridere vedendo due cameriere
confabulare tra loro e indicarli ridacchiando.
«Ok, fratellino, scusa. Ora ordiniamo e soddisfiamo i nostri
pancini!» il tono assunto dal ragazzo fu quello di un padre -
o di una madre vagamente apprensiva, dipende dai punti di vista- verso
il figlio più piccolo.
Archie si chiese quando sarebbe cresciuto.
Probabilmente mai, si rispose.
«Ehi, bellezze!» fece, ammiccando verso le due
cameriere di poco prima le quali si scambiarono uno sguardo malizioso e
giocoso insieme e si avvicinarono a loro con un sorrisetto sulle labbra.
I loro cartellini recitavano: Bonnie e Naomi. Due nomi un po'
particolari, pensò Jay, ma non per questo meno belli.
«Possiamo aiutarvi?» cinguettò Bonnie,
con aria solare. Naomi tirò fuori il suo block notes,
servizievole, senza tuttavia proferire parola; pareva vagamente
corrucciata.
«Sì beh... Una fetta di torta alle mele con panna
e fragole, un muffin al cioccolato, dei biscotti al cioccolato e... Ah
si, tre ciambelle e una cioccolata calda per me, dolcezze.»
Jay fece loro l'occhiolino, facendole ridacchiare
«Abbiamo un amico che mangia tanto quanto te, sai?»
fece Bonnie, divertita. Poi passò a guardare Archie che
aveva tutta l'aria di stare considerando seriamente l'idea di un
qualche crimine nella sua vita precedente -giusto per spiegare il suo
essere in una gabbia di matti- e gli sorrise con aria materna.
«E per te?»
«Un the e una fetta di torta al pistacchio.»
bofonchiò il più giovane, imbarazzato.
Le due ragazze si allontanarono pimpanti.
«Simpatiche, vero?» fece allegro Jay.
Aveva tutta l'aria di un bambino che vede per la prima volta un parco
giochi, e Archie non ebbe davvero cuore di obiettare
-perché, a dirla tutta, quelle ragazze gli avevano fatto
l'impressione di conoscerli da sempre-.
Si limitò a sollevare un sopracciglio, vagamente scettico.
«Si può sapere dove hai intenzione di mettere
tutto quel cibo?»
«Perché?»
«Come fa il tuo stomaco a contenere tutta quella
roba?»
«Segreti del mestiere, fratellino.» Jay gli fece
l'occhiolino e Archie non poté fare a meno di ridere con lui.
Il maggiore ancora una volta si ritrovò a riflettere su
quanto, finalmente, si sentisse a casa. Solitamente non era un tipo che
amava la folla e le persone in generale -attribuiva la colpa del suo
atteggiamento misantropo alla lettura di Sherlock Holmes di Conan
Doyle, uno dei tanti esempi che confermavano il fatto che tutti i
migliori avevano sempre un certo odio per la razza umana- e si sentiva
sempre come messo fuori posto in un mondo tanto ampio e vario.
Non che ritenesse di essere migliore degli altri o roba simile,
semplicemente non credeva che ci fosse qualcuno che potesse
comprenderlo appieno, e soffriva per questo -anche se non l'avrebbe mai
ammesso, ovvio, come non avrebbe mai ammesso tante altre cose che ad
elencarle ci si potrebbe scrivere un'enciclopedia-.
Ma con Archie era diverso. Con lui era libero di essere se stesso, come
con Bill. Loro conoscevano ogni suo più piccolo segreto -non
che amasse parlare di sé, anzi, evitava di farlo il
più possibile- ma, almeno a detta dei due, i suoi occhi
erano come un libro aperto.
Dannati loro.
«Comunque» cantilenò Jay giocando
distrattamente con il menù che le cameriere avevano
dimenticato sul tavolo. «Contento di essere di nuovo
qui?»
«Suppongo di sì» considerò
Archie senza scomporsi, calmo e posato come sempre «E' bello
respirare di nuovo questo smog, sai?»
Jay rise, dandogli uno scappellotto sulla nuca -e si dovette perfino
allungare sul tavolo per raggiungerlo!- e Archie lo imitò
scuotendo i lunghi capelli. «Eih, volevi la
sincerità, no?»
«Razza di idiota, non cambierai mai. E dimmi, secchione,
all'università come va?»
«Come sempre.» questa volta il minore scelse di non
pronunciarsi. «Ma smettiamola di fingere, entrambi sappiamo
benissimo che non te ne frega un fico secco delle materie che devo dare
agli esami, vero?»
«Tu sì che mi capisci.»
«Ottimo, quindi immagino che sia inutile raccontarti delle
mie notti insonni sormontato dai libri e spossato dallo studio,
giusto?»
Jay corrugò le sopracciglia, massaggiandosi il mento.
«Vuoi dirmi che tu hai rinunciato a delle selvagge notti di
passione con la tua mogliettina
per corteggiare degli stupidi fogli di carta ingialliti?»
L'espressione di sufficienza che gli rimandò indietro suo
fratello fu una conferma. Jay fece un gesto eloquente e volgare
-attirandosi immediatamente gli sguardi oltraggiati degli altri
commensali e quello di rimprovero di Archie-. «Lasciatelo
dire, fratellino: tu sei un idiota.»
«Noto che il tuo umorismo non è cambiato di una
virgola, eh?»
«Nemmeno la tua tontaggine.»
«Gentile come sempre.»
«Moccioso.»
«Torta.» si aggregò la cameriera Naomi,
con lo stesso tono.
Il che mise fine alla discussione.
Naomi poggiò le loro ordinazioni sul tavolo e poi si diresse
verso un altro tavolo, chiamata da un anziano: in quel momento la porta
si aprì e tre personaggi fecero la loro comparsa.
Jay addentò la sua torta seguendo con curiosità
le due ragazze che erano entrate chiacchierando e ridendo amabilmente
tra loro, mentre il terzo si guardava in giro con aria decisamente
affamata.
«Non lo sai che fissare la gente è
maleducazione?» fece Archie, attirandosi di nuovo la sua
attenzione.
Jay sorrise, bevendo un pò di cioccolata.
«Non lo sai che sei un dannato saccente? Dovresti divertirti
di più.»
«Io mi diverto anche studiando.» ribatté
Archie.
«Non mi riferivo proprio a quel divertimento,
fratellino.» fece presente, con un'espressione più
che indicativa.
Archie borbottò qualcosa di piuttosto simile a
''maniaco'' e tornò a dedicare le proprie attenzioni al suo
dolce: Jay nascose un ghignetto dietro un altro morso alla torta e
tornò a guardare i tre arrivati che in quel momento si
stavano sedendo: le due ragazze gli ricordavano qualcosa... Ma cosa?
Poi notò la maglietta della prima -Radio Hourglass the best-
e la spilla sulla giacca dell'altra e capì.
«Oh porc...» imprecò seriamente
impressionato. Archie lo guardò stupefatto mentre si alzava
e si avvicinava al tavolo in cui le due erano sedute insieme a un terzo
e lo prendevano in giro per la sua voracità nel divorare
metà di una torta al cioccolato.
Ma certo, erano le speakers di Radio Hourglass!
Come aveva fatto a non riconoscerle subito?
Eppure aveva visto decine di volte le loro foto e ogni mattina
ascoltava le loro voci! E le due cameriere che si fermavano a ridere e
parlare con loro... ma, ehi, si conoscevano per caso?
In quell'istante Jay pensò che quelle due gli stessero
più che simpatiche.
«Salve!» salutò, in visibilio.
Jules e Beatrix si voltarono verso di lui, sorridendo: al vederlo,
però, la prima sbarrò gli occhi e la seconda
arrossì vistosamente.
Povere, avevano appena provato quello che lui definiva "effetto Jay".
Beatrix, identificabile nella ragazza dallo sguardo castano e la risata
più vivace, si schiarì la gola e gli sorrise.
«Oh... salve!»
«Io mi chiamo Jay, sono un vostro grandissimo ammiratore!
Seguo sempre la vostra radio, ogni mattina è praticamente la
mia sveglia e beh ragazze, lasciatevelo dire ma siete
fantastiche...»
A quelle parole entrambe arrossirono e ridacchiarono: a vederle
così erano due ragazze come altre, ma Jay sapeva che in
realtà erano le donne dei suoi sogni. Ne era matematicamente
sicuro.
Quale donna amava la musica anni '80 e aveva una tale ironia? Quale
donna parlava con disinvoltura di ogni argomento, anche il
più imbarazzante?
E, infine, quale donna sapeva fare battutine a doppio senso senza
imbarazzarsi?
Ecco questa era la lista di motivi che spingevano Jay a desiderare di
sposarle. Entrambe.
Ma già il fatto di conoscerle era decisamente un passo
avanti.
«Grazie.» rise Beatrix.
«Se vogliamo dirla tutta tu invece sei un grandissimo
figo.» aggiunse Jules, scatenando l'ennesima risata a cui si
unì anche lei.
«Comunque cowboy, cosa ti spinge al nostro tavolo?»
chiese Beatrix, ammiccante. Jay sorrise allo stesso modo, mettendo sul
tavolo un foglietto e una matita -strappati praticamente dalle mani
della cameriera Bonnie-: le due si guardarono in faccia e risero.
«Il nostro numero?» scherzò ancora
Beatrix, per poi impugnare una matita e avvicinare il foglio.
Era piacevole parlare con loro, sembravano essere totalmente a proprio
agio.
Jay ottenne il suo tanto agognato autografo -ma anche il loro numero e
diede a quelle due il suo- e riuscì a scattare una foto con
entrambe le sue speakers preferite e una con ognuna: salutò
le due promettendo che avrebbe chiamato alla stazione radiofonica, e
che sarebbe andato a trovarle, e loro promisero che gli avrebbero
procurato la maglietta della Radio, autografata.
Quando suo fratello lo vide tornare tutto contento non ebbe cuore di
incrinare il suo entusiasmo con qualche battutina acida.
Insomma, Jay era un bambino. E tale sarebbe rimasto per
l'eternità, amen.
«Emh» si limitò a commentare, e Jay,
tutto gongolante com'era, si incupì di colpo, nascondendo il
foglietto adorato nella tasca anteriore della giacca di pelle, e a
lavoro ultimato puntandogli un indice sotto il naso. «Sta'
zitto.»
«Ma non ho detto nulla.» fu la replica sorpresa.
«Bravo ragazzo.»
Archie si ritrovò a scuotere la testa con un mezzo sorriso,
esasperato e insieme divertito dai modi del fratello. Poi, senza
aggiungere altro, infilzò la sua torta al pistacchio.
«Sono felice di essere di nuovo qui, comunque...
davvero.» concluse, sincero, e Jay alzò
improvvisamente lo sguardo su di lui, colpito.
«Anche io sono felice che sei tornato.»
borbottò imbarazzato, per poi schiarirsi la gola e tornare a
rivolgere gli occhi al dolce. «Ma adesso non farti strane
idee, non sei mica così importante!»
Archie rise apertamente: sì, gli erano mancati da impazzire
quei siparietti comici.
Mentre l'asfalto scorreva sotto le ruote quasi senza suono e il motore
ruggiva ad ogni svolta, con le ombre dagli alberi ai lati della
carreggiata che si inseguivano sul parabrezza, Jay passò in
quarta.
«Va' piano.» lo redarguì Archie, rigido
contro il sedile. Il fratello sbuffò, premendo il piede a
tavoletta sull'acceleratore e sorridendo in direzione del
più piccolo.
«Come sei insofferente.»
«Se poi ci andiamo a schiantare contro un albero
darò la colpa a te.»
«E se invece ritardiamo dalla tua fidanzatina
darò la colpa a te.»
Archie si girò verso il finestrino con un sospiro e Jay
decise di ignorarlo: accese distrattamente la radio e
affacciò una mano dal finestrino, per saggiare la
consistenza dell'aria coi polpastrelli. Era un'abitudine che lo
rilassava, lo faceva sentire libero.
«Te l'hanno mai detto che se passa un camion nell'altra
corsia ti potrebbe tranciare la mano? Hai lo stesso dannato vizio di
papà!»
«E a te hanno mai detto che sei terribilmente
pedante?»
«Mi adori anche per questo.»
Jay ritirò la mano, tanto per farlo contento. «Mi
hai beccato, dannato ragazzino.»
«Eih, non sono più un ragazzino!» gli
fece noto Archie, fingendosi offeso e corrugando la fronte come se
avesse detto una bestemmia. «Il mese prossimo compio ventidue
anni, ricordi?»
«Non sto mica a pensare sempre a te, tesoro.» lo
stuzzicò Jay, per poi spalancare gli occhi, alzando il
volume della radio. «Hold
the line!*» spiegò, in risposta allo
sguardo confuso del fratello.
Jay iniziò a tamburellare le dita sul volante seguendo il
ritmo, scandendolo con movimenti del capo.
«Hold the liiiiine,» gli puntò un dito
contro, pretendendo che cantasse «Love isn't aaalways ooon
time, oh oh oh!»
«Oh oh oh.» gli fece eco Archie, poco convinto,
trattenendo a stento una risata.
«Più ispirato, fratellino, o vuoi che il dio Toto
ti abbrustolisca con un fulmine?»
«Il dio Toto?» Archie sollevò un
sopracciglio, mentre suo fratello, durante un assolo di chitarra
particolarmente articolato proveniente dalla radiolina, costringeva lo
sterzo a diventare il suo personale tamburo «Non sapevo che
ti fossi convertito ad una nuova religione.»
«Ci sono tante cose di me che non sai, baby.»
«Oh per favore.» commentò Archie,
ironico, tornando a guardare il finestrino. «Eih, gira a
destra, siamo arrivati!»
«Davvero?» domandò Jay preso alla sprovvista, abbandonando l'idea di continuare il suo spettacolo e riportando le mani sul volante per sterzare. Un attimo dopo però il suo entusiasmo scemò. «Così presto?»
La casa di Gwen era una villetta in stile vittoriano, molto graziosa e
di un arancio pastello, con un giardino ordinato e punteggiato di
aiuole colorate ricche di api ed uno spiazzo spoglio che si apriva di
fronte alla saracinesca del garage. La cassetta delle lettere era di un
candido bianco, e su di essa due colombe tubavano indisturbate.
Jay rallentò all'ombra dei faggi fin quando Archie non gli
indicò la casa e a quel punto frenò, rimanendo
col motore acceso.
Il più giovane, con una mano già sulla sicura
della portiera, si girò all'indirizzo del fratello, come
ricordandosi qualcosa solo in quel momento.
«Jay.»
«Sì?»
«Comportati bene, intesi?»
L'altro fece una smorfia strafottente.
«Mi stai forse facendo la ramanzina? Ti avverto che sono
ancora io il maggiore.»
«Sai cosa intendo:
Gwen. Ogni volta che vi incontrate succede qualcosa. Se
non ti dispiace, questa volta vorrei evitare.»
«Sei noioso.»
«Come ti pare, basta che fai il gentile con lei, va bene? Non
è troppo difficile.» gli diede una fiduciosa pacca
sulla spalla e poi finalmente uscì.
Quando si fu allontanato all'interno del giardino perfettamente
tagliato e verdissimo -all'inglese, come negli stadi-, Jay gli fece il
verso.
«Non è troppo difficile.» lo
scimmiottò, con una voce infantile che in effetti non
corrispondeva a quella del fratello; ma, come si dice, chi se ne frega.
Poi alzò ulteriormente il volume della radio e
continuò a canticchiare tra sé la canzone,
facendosi trascinare dai bassi della chitarra e dai movimenti delle
dita e del mento.
Al diavolo Gwen Paxton, doveva sempre stare tra i piedi?
Non è che fosse veramente geloso di suo fratello - geloso
lui? Ma figuriamoci!- solo, ecco... gli sarebbe piaciuto avere
più tempo da passare con Archie.
Magari anche solo per portarlo in un fast food e parlare di sport. Jay
sarebbe stato pronto ad ascoltare anche gli interminabili racconti
sugli esami del suo fratellino, ma almeno sarebbero stati insieme.
Sospirò piano: l'unica cosa positiva di quella giornata era
stato l'incontro con le due speakers di Radio Hourglass. Magari le
avrebbe chiamate dopo pranzo...
Tanto Archie si sarebbe fatto rapire da Gwen e lui sarebbe rimasto solo
con sua madre - che probabilmente si sarebbe cimentata nella
lavorazione dei bignè al pistacchio, una ricetta che aveva
trovato tempo prima su internet- e con Bill che avrebbe letto il
giornale, grugnendo di tanto in tanto per far capire di essere vivo.
Nessun problema, quindi...
Fu riportato coi piedi per terra dall'aprirsi della portiera: Gwen
entrò nell'auto ridacchiando per qualcosa che Archie le
sussurrava all'orecchio.
Indossava una giacchetta bianca sopra una camicetta rosa e arancione, a
fantasie geometriche, e portava i lunghi e ondulati capelli neri
sciolti, a ricadere sulle spalle, e aveva la pelle leggermente
abbronzata.
«Ciao, eh.» fece seccato.
Lei alzò un paio di occhi neri su di lui, sempre sorridendo.
E dio, Jay sentiva di odiare profondamente quel sorriso.
Non che lui odiasse chi sorrideva -accarezzava il pensiero di sposare
qualcuno che sorridesse spesso- ma il fatto era che Gwen sorrideva per
qualsiasi cosa. E sottolineo qualsiasi.
Era una di quelle persone che riuscivano a starti antipatiche a pelle.
«Ciao Jay!» cinguettò lei.
Evitando di uscirsene con qualche battuta su quanto sembrasse un
canarino - Archie non glielo avrebbe perdonato, lo sapeva- Jay si
limitò a un sorriso storto e a mettere in moto.
«E' un piacere stare con voi, ragazzi!» rise Gwen,
stringendo la mano di Archie.
Il piacere è
sinceramente tutto tuo, pensò Jay, ma
evitò guardando la strada. Non voleva mica sbattere contro
un palo della luce o una cabina telefonica!
«Oggi mi sembri più allegro, Jay!» fece
presente Gwen.
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio, ma suo fratello
pensò bene d'intervenire.
«Sì, ha incontrato le sue beniamine... le spekears
di Radio Hourglass!» raccontò. E in quel momento
Jay si ripromise di ammazzarlo dolorosamente.
Gwen lanciò uno strilletto eccitato.
«Davvero? Uh, io adoro Radio Hourglass! Ma sapevi che sono
fidanzate?» fece, eccitata come una bimbetta davanti ai
regali di Natale. «O meglio la cugina della sorella dello zio
del nipote del nonno del macellaio del carpentiere del portinaio del
palazzo da dove trasmettono radio Hourglass ha detto alla zia della
vicina della maestra della sorella...»
«Taglia corto.» le suggerì Jay, tentando
di mantenere un tono neutro.
«Oh, hai ragione! Comunque mi hanno detto che hanno visto due
ragazzi con loro, spesso... non so se siano i loro fidanzati o meno, ma
dicono siano estremamente carini.» Gwen lanciò uno
sguardo verso Archie -avete presente negli anime quando la protagonista
di turno guarda il figo con i cuoricini e uno sfondo rosa con cuori
rossi e rose dietro? Ecco, proprio quello!- «Mai quanto te,
amore mio!»
Urgh.
Un attacco diabetico.
«Davvero? E dire che Jay sognava di sposarle
entrambe!» lo prese in giro suo fratello.
«Non saranno due ragazzi qualsiasi a fermarmi,
fratellino.» ribatté Jay con aria compunta,
mettendo così fine alla discussione.
Il resto del viaggio -passato tra coccole e bacini e "amore-mio-quanto-ti-amo/ti-prego-zuccherino-io-ti-amo-di-più!"
e attacchi di diabete del nostro Jay- trascorse troppo lentamente per i
gusti del nostro protagonista: quindi, per amore del vostro livello di
glucosio, ve lo salteremo. Fidatevi, un giorno ci ringrazierete.
O almeno, il vostro diabete e i vostri denti lo faranno.
Comunque Jay parcheggiò a pochi metri da casa di sua madre:
Susan viveva in una deliziosa villetta vicino al centro cittadino, quel
giorno particolarmente affollato di famigliole e coppiette ansiose di
trascorrere una bella giornata, ma anche di gruppetti di ragazzine
ridacchianti, che rendevano praticamente impossibile parcheggiare
più vicino.
Jay prese il pacchetto con la torta che aveva acquistato al bar dove
lui ed Archie avevano fatto colazione mentre quest'ultimo aiutava la
sua bella a scendere e le sorrideva innamorato.
Pff. Patetico.
Jay alzò gli occhi al cielo e s'incamminò davanti
a loro, pregando Spongebob, Buddah e qualunque altra
divinità di far finire presto quella giornata: dopo pochi
minuti stava suonando al campanello di sua madre.
Susan Denver era una donna dalla fisionomia dolce e sottile: aveva
perso il marito giovanissima e da allora non si era più
sposata. Che Jay ne sapesse non stava frequentando qualcuno, e non ne
sentiva nemmeno l'esigenza. Era felice: dopotutto, aveva lui e Archie,
e in Bill aveva riscoperto un valido amico.
«Tesoro!» lo salutò la donna,
abbracciandolo di slancio.
«Ehi, mamma.» ricambiò dolcemente Jay, passando la torta a Bill che con un cenno sparì in cucina per metterla in frigo: tanto si sapeva che era una torta/semifreddo alla fragola, la preferita di Susan.
«Archie, amore!» Susan passò a
stritolare anche il piccolo di famiglia, per poi allontanarsi ed
osservarlo come una classica mamma apprensiva e soddisfatta.
«Come ti sei fatto grande!»
«Andiamo, mamma, sono passati solo sei mesi!» rise
Archie mentre Gwen gli prendeva la mano con uno sguardo dolce.
«Genevieve, oggi sei uno splendore.» concluse
Susan, accarezzando una ciocca della ragazza che sorrise riconoscente.
«La ringrazio, signora Denver. Lei invece è sempre
più bella ogni volta che la vedo.»
Jay fece una smorfia, quasi a scimmiottarla, ma Bill -silenziosamente
ritornato al loro fianco- parve accorgersi del suo gesto e
così il maggiore dei Denver scelse di distendere
nuovamente il volto, a scanso di equivoci.
«Oh, non è adorabile?» celiò
la donna, rivolgendosi direttamente a Jay che annuì con
decisione -o esagerazione, come avrebbe corretto Archie- «Oh,
sì, certo, senz'altro. Più che adorabile. Adorabilissima. Un
vero tesoro.»
«Jay, potresti andare ad apparecchiare la tavola?»
gli chiese Susan e Archie si associò, ispirato.
«Sì, Jay, vai ad apparecchiare.»
«Ma certo, con molto piacere.» sillabò
con un largo sorriso falso. Un attimo dopo scoccò ad Archie
uno sguardo alla con te
faccio i conti più tardi, e si
incamminò verso casa, seguito a ruota da Bill.
* https://www.youtube.com/watch?v=eHhWc8EbxOU
minuto 0:55
To be continued
~
Next >> Capitolo 3
«Ma posso sapere quale diamine è il
tuo problema?» esordì Archie, inferocito.
«Perché non la sopporti? Gwen ti
adora!»
Peccato che la cosa non fosse esattamente ricambiata..
«Non ce l'ho con lei» ribatté vago
Jay. Archie alzò un sopracciglio osservandolo con la stessa
espressione compassionevole che si riserva a un bambino particolarmente
testardo.
«Mi stai prendendo in giro? Jay! Non sono stupido, lo
vedo!»
«Non è lei a darmi fastidio.»
ribatté ostinato.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Buonasera!
Ehi gente! Come va? Qui è la vostra Miss Watson che vi parla,
mentre la mia compare è andata a provare a catturare il suo
acerrimo nemico... no, okay scherzo -non abbiamo un cane in comune per
fortuna!- e saluto tutti coloro che sono giunti fino a questo punto!
Questo capitolo mi soddisfa -e ci soddisfa- molto xD Sì, Jay nutre una
particolare passione per Radio Hourglass, l'amiamo anche noi!, e sì in
questo capitolo molte delle comparse sono state inspirate da persone
vere v.v
Archie fa la sua apparizione, dunque! xD Povero, con quel nome anche io avrei usato un diminutivo v.v
E della sua ragazza? Che ne dite?
Ora a me Gwen non sta antipatica: anzi! E' una ragazza molto dolce,
affetta semplicemente da una ridarella ossessiva compulsiva -mi
ricorda la ragazza di mio fratello, una che anche con un ''ciao'' ride.
Così, senza motivo- che Jay non sopporta semplicemente
perchè rappresenta tutto ciò che di nuovo è nella
vita di Archie: fratelli gelosi, chi non ne ha mai avuto uno?
E ah sì: con Archie e Gwen tenete sotto portata un po' d'insulina che non si sa mai :D
Detto questo, passo la parola a Lady Holmes che a quanto pare è
appena tornata dalla sua missione per catturare il professor James
Moriarty... Com'è andata?xD
Tutto bene, ovviamente. E' stato... elementare, Watson.
Ha fatto la battuta!
Taci, adesso è il mio turno, tzk!
Egocentrica.
Gnè gnè!
Comunque, la mia
compare ha già detto tutto ciò che c'era da dire, io
posso solo aggiungere che questo è il diretto seguito dello
scorso capitolo, che per motivi di spazio abbiamo diviso in due parti
(ma che mai rimetteremmo assieme perché ci piace assai come
l'abbiamo diviso, sì sì) ed è ancora una
presentazione del personaggio u.ù.
Jay A. Denver
è ormai così reale nelle nostre teste che potremo
direttamente iniziare lunghe conversazioni con lui ** Chissà se
è fiero delle sue mamme, dalla nostra noi siamo più che
orgogliose di lui <3.
E del suo fratellino
Archie, non dimentichiamolo. Tanto amore anche a lui e Gwen. <3 Più
sotto abbiamo allegato le immagini dei due piccioncini, se vi va di
dare una sbirciata. Per quelle di Jay, Bill, della moto e della
macchina vi rimandiamo allo scorso cap! :P
Ringraziamo tutti i
lettori incondizionatamente, e in special modo coloro che hanno
inserito la storia tra le preferite o le ricordate o le seguite e
ancora chi ha recensito (spargiamo cuoricini per voi!): ergo dedichiamo
il capitolo a Sakura Georgina Nakamura, La sposa di Ade, Halo J Phoenix, Misanthropy, valentinamiky, sattolo e ShadeFlash (per altro avete tutti dei nickname troppo fighi! °ç°).
Ci auguriamo di non
avervi deluso, e altresì che la storia vi stia piacendo, che vi
stia appassionando anche solo un po' ;)
Io credo di aver finito... Watson, hai altro da aggiungere?
Uhm veramente.. Ah sì. Che spero tanto che continuate a seguirci :D
E... Basta xD
Molto loquace v.v Comuuunque, arrivederci al prossimo capitolo, saluti da quelle pazze di Beatrix e Jules di Radio Hourglass alias Lady Holmes e Miss Watson! =3
E ricordate: La musica è la voce dell'anima!
***
1.
Archibal (Archie) S. Denver:
2. Genevieve (Gwen) Paxton:
Detto questo, alla prossima! ;)
|
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Capitolo 4 *** 3. ***
Timeless 3
Capitolo 3
All'interno
l'ambiente era fresco e odorava di viole: le pareti rivestite di legno
e i morbidi divani donavano alla dimora un aspetto confortevole ed
accogliente.
Tutto ciò, mescolato alle cornici sul tavolo del soggiorno,
riportarono a galla i suoi ricordi d'infanzia: quella, del resto, era
stata la sua abitazione per ben ventitré lunghi anni. Dopo
che Archie si era trasferito all'università,
però, la casa era diventata particolarmente vuota.
A Jay era dispiaciuto dover salutare la madre, ma non se l'era sentita
di respirare quell'aria di nostalgia e ricordi, e così aveva
scelto di affittarsi un appartamentino vicino all'officina, in modo da
non dover prendere in prestito ogni volta la macchina di sua madre.
Varcò l'uscio della cucina e mentre raccoglieva i piatti in
una colonna sul suo braccio, l'occhio gli cadde sulla cornice adagiata
sopra il forno a microonde.
La foto al suo interno ritraeva suo padre, Josh Denver, coi capelli
lunghi e biondi, una leggerissima barba ed uno splendido sorriso, con
in braccio lui e Archie da piccoli, con il volto della moglie Susan
poggiato sulla sua spalla.
Jay ricordava perfettamente dove era stata scattata, e in che
occasione: era una domenica di marzo, in un boschetto, per una
scampagnata in famiglia. Susan era bellissima, così giovane
e solare, coi capelli scuri dai riflessi ramati a causa del sole, e il
maglione color lavanda con lo scollo a V che mostrava il rosario.
Sempre presente, la croce di legno scuro, come ciondolo a cingere il
collo della madre: era una fervente religiosa, specialmente da quando
era morto suo padre. Lui e Archie non avevano ereditato la stessa fede.
Comunque, nella foto Archie non poteva avere più di cinque
anni: i capelli soffici e castano chiarissimo, gli occhi grandi e scuri
e in mano una foglia larga e di un verde impressionante. Jay al suo
fianco ne aveva nove, di anni: un sorriso felice, una spruzzata di
efelidi e una cascata di capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi,
comodo nella sua camicetta a quadretti blu e bianchi.
Si fermò ad osservare quella foto più del
necessario, incapace di distogliere lo sguardo: non si definiva un
ragazzo triste, però... c'era qualcosa, in quelle foto,
forse un pizzico di innocenza, o un sorriso sfuggente, che gli
rammentavano con particolare pressione che quei tempi felici non
sarebbero più tornati.
Soprattutto la consapevolezza che Josh Denver, l'atletico e premuroso
Josh Denver, sarebbe morto esattamente un anno dopo, in un tragico
incidente sull'ascensore.
Al tempo di quella foto, Josh non poteva certo prevedere che avrebbe
potuto godere ancora così poco della sua famiglia. Se Jay
l'avesse saputo, avrebbe evitato di litigarci per via della partita di
baseball a cui suo padre sarebbe dovuto andare, per vederlo giocare. Se
l'avesse saputo, avrebbe evitato di accusarlo per il ritardo. Se solo
avesse saputo perché non era sugli spalti...
Archie lo ricordava a stento: era troppo piccolo per aver avuto il
tempo di affezionarsi seriamente alla figura paterna. Ma Jay... Jay lo
ricordava benissimo: a volte rivedeva le vecchie registrazioni in
videocassetta solo per risentire la sua voce, per scorgere il suono
della sua risata quando spingeva lui e Archie sull'altalena, quando lo
afferrava da sotto le ascelle e lo faceva girare in aria, mentre Susan
riprendeva la scena con la telecamera, ridendo senza pensieri.
Eppure perderlo era stato un colpo. Jay lo rintracciava ogni giorno,
suo padre... quando si rifletteva allo specchio, e ogni volta che
qualcuno dei vecchi amici del suo genitore gli stringeva la mano per
presentarsi, commentando con un: «Hai gli stessi occhi di tuo
padre.»
«Ti sei incantato?»
Jay sussultò e si rizzò sulla schiena
all'improvviso, rischiando di farsi sfuggire i piatti di mano.
«Eh? No... no, sto arrivando.»
«Prendi anche il sale e il rosmarino.» Bill,
tuttavia, era meno duro del solito. Jay non voleva la sua compassione,
quindi si schiarì la gola e si maledisse per essersi fatto
scoprire a fissare quella vecchia foto.
«D'accordo.» concesse, grato di aver qualcosa da
fare e di potergli voltare le spalle. Sentì i suoi passi
strascicati condurlo fuori dalla porta e finalmente solo Jay si
lasciò andare ad un lungo sospiro.
Doveva smettere di rimuginare il passato: Susan, Bill, Gwen ed Archie
lo stavano aspettando.
Sarebbe stata una bella giornata, una di quelle indimenticabili.
Una di quelle memorabili,
e Jay avrebbe fatto in modo che lo diventasse.
Così, prendendo una grande boccata d'aria si
incamminò verso le scale: adesso doveva solo affrontare la
compagnia di Gwen.
Andiamo, che poteva mai essere? Lui aveva affrontato il liceo: cos'era
una ragazza affetta da ridarella convulsiva, in confronto?
*
Il pranzo, nonostante tutto, fu molto piacevole.
Gwen, per esempio, ebbe il buon senso di non rivolgergli la parola: ma
più che di buon senso si trattava di essere impegnata a
farle gli occhi dolci ad Archie che, divideva equamente la sua
attenzione tra la sua fidanzata e il piatto che aveva davanti.
«Ancora un po' di welsh
rarebit, Bill?» chiese Susan, porgendo un
piatto al meccanico in questione. Bill annuì e si
versò una generosa porzione di quello che era in
realtà pane tostato e tagliato in triangolini ricoperto di
salsa di formaggio, tuorli e birra.
«Per te, tesoro?» fece gentile la donna, spingendo
il piatto verso di lui.
Jay scosse il capo.
«No mamma, grazie. Penso prenderò un po' di
questo.» mormorò, afferrando il piatto di
pasticcini gallesi.
Sua madre si sbizzarriva sempre in cucina: non era bravissima e
tuttavia -ma questo Jay non glielo avrebbe mai detto- non l'avrebbe
cambiata con nessuno chef al mondo.
«Signora, lei cucina magnificamente!» la
elogiò Gwen.
Susan sorrise intenerita.
«Grazie, tesoro» fece, versandole della crema al
formaggio fredda nel piatto. «Sono contenta di avervi
qui!»
E il suo sguardo si posò sulla poltrona su cui John, suo
marito, era solito sedersi per raccontare le fiabe ai loro figli.
Ma manca qualcosa,
pensò Jay, socchiudendo gli occhi, manca qualcuno, manca la risata
di papà e non si può sempre giocare alla famiglia
felice. Lo sai anche tu, mamma. Lo sai.
Si sentiva soffocare. Si alzò.
Gli occhi di tutti i commensali si posarono su di lui, stupiti: Jay si
schiarì la voce e sorrise.
«Vado a prendere il primo» annunciò
sparendo in cucina.
Giunto lì sospirò, poggiando le spalle alla porta.
Dannazione, quella tristezza non era certo da lui!
Si passò una mano sulla fronte, sospirando. Poi, ammonendosi
di recuperare un po' del vecchio Jay, si staccò dal legno
-che aveva costituito la sua ancora di salvezza- e si diresse verso il
banco da lavoro della cucina.
C'era una teglia di lasagne al ragù di pesce: Jay si
sentì un po' meglio mentre iniziava a tagliare la pasta per
distribuirla nei piatti.
Dopotutto le lasagne erano il suo piatto preferito.
Tornato in sala da pranzo Jay posò i piatti con le lasagne
sul tavolo, spartendoli di fronte al volto affamato di ognuno dei cari.
«Grazie tesoro.» disse dolcemente sua madre,
baciandogli con affetto una guancia. Jay le sorrise di rimando,
sedendosi di nuovo per poi attaccare il suo piatto di lasagne, nemmeno
fosse stato il battaglione di Cesare Borgia all'assalto di una fortezza
nemica.
Sentì Susan alzarsi per prendere la teglia -tra lui e Bill
non si sapeva chi mangiasse di più- e poi metterla a tavola
e risedersi, iniziando a mangiare.
«Allora Archie, come va all'università? Non dici
nulla alla tua vecchia mamma?» iniziò, agitando un
boccone di lasagne come se fosse stata una bandiera.
«Non sei vecchia, mamma...» la blandì
Jay.
Susan lo guardò con un sorriso.
«Non essere così galante, tesoro! Potrei
arrossire.» ridacchiò
«No, a Cambridge è tutto okay.» disse
allegro Archie. «Il professor Bennett si è
trasferito, però.»
«Oh... Aspetta, chi era il professor Bennett?»
«Il professore di storia antica.» spiegò
Archie.
Allo sguardo perplesso dei commensali Archie alzò lo sguardo
al cielo.
«Alexandros Bennett Ares, quello alto coi capelli neri e gli
occhi grigi. Dicono si sia trasferito a insegnare nel nostro vecchio
liceo...» aggiunse, rivolto a Jay
Il fratello sogghignò.
Pover'uomo.
Il loro liceo era uno di quelli che venivano definiti ''impossibili''.
Anche se ne erano usciti personaggi famosi.
Come Ben Light, lo scienziato che aveva recentemente scoperto il motore
alimentato a cristalli di uranio e raggi solari, una nuova
modalità di energia. Gli insegnanti erano stati severi e
impeccabili nei loro abiti -specialmente la professoressa di matematica
Nicholson, l'incubo della scuola-, eppure gli anni trascorsi tra quelle
quattro mura non così terribili.
«Bei tempi, quelli del liceo!» commemorò
il maggiore dei Denver, sognante.
«Quando venivi messo in punizione una volta ogni due
giorni...»
«E quando saltavo le lezioni... sì.»
«E quando ti facevi le mie ragazze, eh?»
«Io non mi facevo le tue ragazze!»
obiettò Jay, non esattamente sicuro. Archie si
limitò a battere le palpebre.
«Mi sono fatto le tue ragazze?» domandò
ancora Jay, sospettoso e sorpreso.
Gwen era sconvolta.
«Jenny, Lisa, Emily» elencò Archie sulla
punta delle dita «E ci hai anche provato con la mia
professoressa di ginnastica.»
«Eih, la signorina Yonson era una bella pupa!» si
giustificò Jay, come se non fosse colpa sua, e Archie
sospirò esasperato.
«E comunque sei tu che ti scegli sempre ragazze poco
raccomandabili.»
Gwen impallidì, Archie si irrigidì e Jay si
schiarì la gola, a disagio, occhieggiando la prima.
«Ma no, baby, chiaramente non sto parlando di te!»
Susan decise di intervenire prima che Archie potesse ribattere a tono e
Jay venne riportato coi piedi per terra dalla sua voce.
«Ah si, lo conosco, il professor Ares. Mi pare che abbia una
figlia.»
«Sì, Melanie. E' la figlia della prima moglie, che
è morta in un incidente.» spiegò
Archie, sollevato di poter cambiare argomento e sviare il discorso da
lidi pericolosi. «La conosco perché si sta facendo
strada come violinista, è venuta qualche volta a suonare al
collage. Conosce anche Ben Light, da quel che so... sono molto
amici.»
«Povera piccola. Crescere senza mamma! Che il Signore la
benedica.» sussurrò Susan.
Ci fu un breve momento di silenzio, poi la donna riprese a parlare.
«In ogni caso, tra poco è Pasqua! Bisogna
prepararsi per il pranzo.»
Jay alzò gli occhi al cielo.
Ma...
Pasqua sarebbe caduta la domenica del 5 Aprile, e ancora erano al
giovedì 26 Marzo!
«Mamma, mancano ancora dieci giorni!» fece stupito.
Sua madre scrollò le spalle.
«Oh no-no, bisogna pensarci prima! Questa volta verranno
anche zia Judith e zio Tom, bisogna stupire i nuovi
arrivati!»
Quando parlava così sua madre gli faceva paura: Jay
voltò uno sguardo supplichevole a Bill che, però,
preferì prendere un'altra porzione di lasagne.
Infame traditore.
Susan stava giusto specchiandosi nella forchetta, quando se ne
uscì con un allegro: «La Pasqua è un
dono di dio, come la vita, Jay. Forse anche tu dovresti far qualcosa
per ringraziarlo!»
Jay bevve un sorso di birra, con un ghigno sarcastico.
«Col cavolo che faccio il digiuno!»
E a conferma delle sue parole si infilò tra le labbra un
ennesimo boccone, sotto le risate di tutti i presenti.
I pranzi a casa Denver non si consumavano mai in meno di un ora. Di
solito la loro durata oscillava dalle due alle tre ore, a seconda del
numero delle portate e dalla loquacità dei commensali.
Quel giorno poi, dato il ritorno di Archie dopo la bellezza di sei
lunghi -ed interminabili a giudicare dallo sguardo languido che Susan
gli rivolgeva- mesi, la tradizione non era venuta a mancare:
tra una chiacchiera e l'altra il sole aveva continuato il suo corso,
con la sua luce che giocava con le loro teste, bagnando la tovaglia ad
intervalli regolari, e donando un calore piacevole tutt'intorno.
Era pomeriggio inoltrato quando la famiglia Denver e compagni decise di
prendere un po' di aria -e quel poco di sole che era rimasto- fuori.
«E' sempre rilassante stare qui.» chiosò
Bill cercando una posizione più comoda sulla sedia a sdraio
di legno posta in giardino. Jay, che come Archie, Gwen e Susan era
seduto su delle poltroncine di legno con un morbido cuscino piatto e verde come rivestimento, non poté che essere d'accordo.
Si passò distrattamente una mano tra i corti capelli,
aspirando quell'aria pura e incontaminata a pieni polmoni.
«E poi il tramonto è molto romantico.»
si accodò Gwen, ma invece di indicare l'orizzonte dove le
pennellate rossastre del sole tingevano i monti e le valli oltre la
città, fece vagare gli occhi neri sul volto di Archie, che
le sorrise con quell'espressione così innamorata che a Jay
provocò il voltastomaco, e le diede un colpetto sul naso con
un dito. «Mi ricorderò di invitarti più
spesso allora.» le mormorò mentre lei cercava di
nascondere il sorriso timido abbassando la testa. Lui le
carezzò una guancia e si sporse per unire le loro labbra.
«Oh per carità, sono venuto qui per respirare aria
pulita ed evitare possibilmente un cancro giovanile, e non per
ammalarmi di diabete.» fece presente Jay, alzando di
proposito la voce.
Bill scosse la testa, ormai avvezzo a quelle scene, mentre Archie e
Gwen si separavano, l'uno paziente, l'altra imbarazzata.
«Tranquillo, sei troppo poco dolce e zuccheroso per
ammalarti.» lo rassicurò Archie.
«Tu basti per tutti e due.» replicò Jay,
perfido.
Prima che potesse scoppiare un diverbio Susan si mise in piedi,
battendo le mani «E' proprio giunta l'ora del the.»
«Mamma!» si sconvolse Jay, teatralmente
«E' Archie quello che si è trasferito a Londra,
non tu! Noi siamo americani e gli americani non hanno l'ora del
the.»
«Giusto, tu sei più da cowboy e hamburger, dico
bene?» Archie lo conosceva meglio delle sue tasche, questo
Jay lo sapeva. «Dannazione, sì!»
«Io vado lo stesso.»
Susan sparì nuovamente dentro casa e Jay rilassò
la schiena contro il morbido schienale imbottito, lasciando correre lo
sguardo all'orizzonte, dove un gruppo di rondini si era alzata in volo
-ovunque tranne che sui due piccioncini!-.
Era rilassato e perfettamente a suo agio quando quella calma perfetta
fu interrotta da un rumore sordo: qualcosa vibrò nella tasca
dei jeans e Jay si affrettò ad estrarre il cellulare, con la
fronte aggrottata.
Chi diavolo lo poteva cercare a quell'ora?
Lesse il messaggio sul suo Nokia 3310 e
sbuffò, rilassato.
«Di chi è?» volle informarsi Archie e
Jay sorrise apertamente. «Del presidente, fratellino! Vuole
eleggermi come suo successore!»
Gwen, tanto per cambiare, rise, e Jay si infastidì per
questo: all'improvviso odiò perfino la sua stessa battuta.
«E' la Vodafone.» lo corresse Bill, rivolgendosi
direttamente ad Archie «La fidanzata ideale per Jay, che gli
ricorda a quanto ammonta il suo credito.»
«Che cosa romantica.» si intenerì
Archie, ironico.
«Non preferiva le speakers di radio Hourglass?»
domandò Gwen e Archie rise con lei «Forse
è più facile conquistare la Vodafone!»
«Che ingrati.» borbottò Jay come un
bambino mentre Archie alzava un sopracciglio, mantenendo il mezzo
sorriso.
«Sul serio?»
«Cosa?»
«Usi ancora quel rottame?» il sopracciglio del
fratello non sembrava aver intenzione di scendere. «Ma quanti
anni ha, trenta, quaranta?»
«Questo gioiellino è indistruttibile, baby! Quasi
più della mia sveglia, il che è tutto
dire.» Jay gli agitò il cellulare sotto il naso.
«E poi ha snake!»
«Oh santa pazienza.»
«Sei un uomo di poca fede, Archie! E poi sono un
tradizionalista, lo sai.»
«Ma dovresti stare a passo coi tempi, sai... sì,
insomma, ormai si usano i touch.
I tasti sono superati.»
Jay scosse la testa: lui non si sarebbe piegato alla tecnologia.
«Sono uno spirito libero, io, e questa è ancora
una democrazia. E poi non ho intenzione di comprarmi un
i-phon!»
«I-phone.» rettificò l'altro.
«E io che ho detto?»
«E' i-phone, con la e
finale.» spiegò Archie, con fare accademico.
«E' un telefono, non un asciugacapelli».
«Al diavolo la e!»
Jay ripose il cellulare dentro la tasca, con un sorrisetto storto.
«E comunque lo dico come mi pare.»
In quel momento tornò Susan, sistemando sul piccolo tavolino
di legno chiaro cinque tazzine di the con una fetta di limone in ognuno
ed una bustina, e una cesta di biscotti al cioccolato con delle stelle
di zucchero.
«Ah-aaah! Archie, ti ricordi?» esaltato, Jay
afferrò uno dei biscotti al cioccolato, mostrandolo al
fratello come se fosse un reperto prezioso.
Archie si incupì e Gwen lo scrutò curiosa.
«Purtroppo sì.» commentò il
minore dei Denver. «Per inciso: sei irritante.»
Jay ghignò malvagiamente, tutto contento, addentando il
biscotto e Gwen guardò prima l'uno e poi l'altro, accigliata.
«Lei non può capire, poverina.» la
difese Bill, mentre anche Susan prendeva posto al loro fianco,
masticando un biscotto, con la tazza di the fumante già in
mano. «Che cosa?»
«La paura irrazionale di Archibald per questi
biscotti.» illustrò Jay, con gli occhi che
brillavano.
Archie strinse le labbra, come un bimbo mortificato.
«Archibald?» rise Gwen coprendosi la bocca con una
mano per nascondere il biscotto che stava masticando.
«Archie,
tesoro.» pretese il bruno, per poi rivolgere al fratello
un'occhiataccia. «E comunque la mia era una paura
razionalissima. E' stata tutta colpa tua e delle tue storie
dell'orrore.»
«Dell'orrore, addirittura!»
«Sì, dell'orrore. Avevo tre anni, ero un bambino.
E tu mi hai terrorizzato. Sai, ho pensato spesso, da grande, di
chiamare il telefono azzurro e denunciarti.»
«Che bambino pauroso!»
«Ricordami perché non l'ho fatto.»
Archie assunse un tono minaccioso ma Jay rise al vedere la sua
espressione.
«Quale storia dell'orrore?» Gwen era sempre
più curiosa, e Jay era consapevole di avere la vittoria in
pugno. Ancora una volta.
«Niente, amore. Ti piace il the?»
«No, adesso la voglio conoscere anche io.» si
aggiunse Susan, con lo sguardo complice al di là della
cortina di fumo.
«Andiamo, è una sciocchezza!»
cercò di rabbonirle Archie, ma Jay ne approfittò
per ritagliarsi la sua buona dose di attenzione.
«Una volta dissi ad Archie che le stelline erano state poste
sui biscotti dall'omino dello zucchero, che scendeva sulla terra,
rapiva i bambini, li portava in cielo e li trasformava in granellini
bianchi e dolciastri.»
«Quanto zucchero.» fu il commento di Bill.
«Che storia tragica.» fu quello di Susan, senza
lasciar intendere se fosse seria o ironica.
«E' carina, invece!» fu quello di un'entusiasta
Gwen. «Cosa c'è di spaventoso? Io trovo che sia
magnifica, e anche tanto dolce.»
«Zucchero a parte, la tua fidanzata ha ragione.»
Jay si abbandonò contro la poltrona, come un vecchio
imprenditore dopo una lunga giornata di lavoro ad osservare le
oscillazioni delle quotazioni di borsa, con un patrimonio alle spalle.
«Sei stato tu che hai frainteso ciò che volevo
trasmetterti. La mia era un'adorabile perla di saggezza,
fratellino!»
«E così trasformare dei bambini in zucchero lo
trovi adorabile? Per anni ho avuto il terrore delle finestre: le
chiudevo sempre prima di andare a dormire per paura che l'omino dello
zucchero potesse rapirmi e ridurmi a diventare il condimento di uno
stupidissimo biscotto!»
Jay scoppiò a ridere e Susan, Bill e Gwen, incapaci di
resistere, lo imitarono. E quella risata fu così contagiosa
che perfino Archie si accodò a loro, sicuro che non avrebbe
mai potuto arrabbiarsi davvero con lui. Anche se a volte era infantile
e capriccioso e assolutamente imbarazzante e inopportuno, era pur
sempre il suo fratellone, quello che lo aveva difeso contro i bulli
beccandosi spesso un occhio nero, che lo aveva accolto nel suo letto
durante i forti e rumorosi temporali che lo terrorizzavano, che gli
aveva fatto il solletico fino a mozzargli il fiato.
Quando si furono calmati un po' -mentre Gwen si asciugava le lacrime
dagli occhi per le risate, Bill riprendeva fiato e Susan si sventolava
una mano per farsi aria- Jay portò la tazza alle labbra,
saggiando sulla punta della lingua il piacevole calore del the.
«E' delizioso.» si complimentò Gwen, e
Jay si trattenne a stento dal risponderle: "aggiorna il tuo repertorio,
darling!".
«Grazie.» Susan osservò Gwen a lungo,
come riflettendo improvvisamente su qualcosa. Poi sui suoi occhi
passò una luce estasiata che non prometteva niente di buono.
«Ma sai cosa sto pensando, cara? Che il mio vestito da sposa
ti starebbe d'incanto!»
Jay si affogò con il the e si ritrovò a tossire
per sopravvivere mentre Bill, felice di potersi finalmente rendere
utile e partecipe, lo aiutava con delle pacche sulle spalle, e Archie
stesso se n'era uscito con un «Cosa?» quasi
isterico.
«Sposarsi?» formulò Jay con gli occhi
lucidi e la voce rauca, quando ebbe ottenuto un po' di ossigeno e il
the, che aveva involontariamente intrapreso la via della trachea,
tornò indietro.
Poi lanciò ad Archie uno sguardo terrorizzato. Il minore
accavallò le gambe, nervoso. «Ma no mamma, cosa
dici, ancora è presto...»
«Già, non avevamo ancora mai parlato di
matrimonio.» si accodò Gwen, tesa, sempre
mantenendo il sorriso, però.
«Ma quel momento arriverà!»
continuò Susan elettrizzata alla sola idea di vedere il suo
figlio minore in smoking e di commuoversi per il suo successo.
«Prima devo finire gli studi.» cercò di
rimediare Archie, mentre Jay continuava a tossicchiare. «E
comunque abbiamo ancora ventun'anni... c'è tempo per il
matrimonio.»
«Stai scherzando?» si intromise Jay, attirando gli
sguardi su di sé «No, seriamente, matrimonio? Non
avrai intenzione di rovinarti la vita così presto,
Archie!»
Archie non replicò, ma il suo sguardo era cupo e il sorriso
di Gwen era sfiorito dalle sue labbra.
«Non essere così diretto» lo
redarguì Bill mentre Susan si concedeva un altro sorso di
the. «Un giorno anche tu incontrerai una ragazza e ti
innamorerai, e a quel punto...»
«Sposarmi? Mai! Non sottostarò alla legge e ai
voleri di una donna! E oltretutto, Archie ha ancora una vita davanti!
Insomma... pargoli e giornali la mattina? No! Sarebbe come abbandonare
la giovinezza, la libertà! Insomma, no! Magari tra dieci
anni... venti...»
«Beh, comunque sarebbero affari miei.» volle
ricordargli Archie, sentendosi escluso.
«No, fratellino, sei serio? Cioè...
davvero?» Jay non poteva credere ai suoi timpani.
«Non te lo permetterò! Vivi e poi ci pensi, al
matrimonio.»
«Dovrei essere io a decidere, non tu.»
«Smettila con queste idiozie. Sei troppo giovane, e se poi te
ne penti?»
Gwen si schiarì la gola, annunciando in tal modo la sua
presenza, e si mise in piedi lisciandosi l'abito. «Vado un
attimo in bagno.»
«Amore, ma...» Archie allungò una mano
ma lei deviò il polso, allontanandosi veloce, e Susan si
alzò a ruota per indicarle la porta.
Bill, per togliersi dai pasticci, borbottò che si era
dimenticato qualcosa in casa.
Jay lo seguì con lo sguardo fin quando non sparì
oltre il portico, promettendosi di dirgliene quattro, la prossima
volta. Doppiamente traditore!
Nel prato erano rimasti solo lui ed Archie, quindi. E suo fratello
aveva una strana espressione esasperata: e davvero, Jay non riusciva a
comprendere cosa avesse sbagliato quella volta.
Non si poteva esprimere liberamente una propria opinione?
«Ma posso sapere quale diamine è il tuo
problema?» esordì Archie, inferocito.
«Perché non la sopporti? Gwen ti adora!»
Peccato che la cosa non fosse esattamente ricambiata.
«Non ce l'ho con lei» ribatté vago Jay.
Archie alzò un sopracciglio osservandolo con la stessa
espressione compassionevole che si riserva a un bambino particolarmente
testardo.
«Mi stai prendendo in giro? Jay! Non sono stupido, lo
vedo!»
«Non è lei a darmi fastidio.»
ribatté ostinato.
Gi faceva male l'essersi reso conto che Archie fosse cresciuto, ecco
tutto. Ma naturalmente non glielo avrebbe mai detto: non era tipo da
sentimentalismi lui!
Seguì un attimo di silenzio.
Poi Archie sospirò.
«Ho capito, okay.» disse. Ma era arrabbiato, Jay lo
sapeva bene. «Facciamo che non ne parliamo
più.»
Ma non era del tutto sicuro che la questione fosse stata accantonata
così facilmente.
*
Molto più tardi, dopo aver salutato Susan e Bill e dopo che
Jay le ebbe promesso di comportarsi bene, il nostro eroe aveva deciso
-un po' perché si sentiva in colpa, un po' perché
nonostante tutto era davvero un pozzo senza fondo- di offrire loro un
gelato: così li aveva condotti a spasso per la
città, parlando e scherzando con loro, infine si erano
diretti verso la gelateria in cui Jay si riforniva sempre.
«Oh no!» gemette Gwen, frugando nelle tasche.
«Ho dimenticato il telefono in macchina!»
«Te lo prendo io.» si offrì
spontaneamente Jay, visto che l'Alfa Romeo era poco distante da
lì.
Venne investito dalle occhiate stupite degli altri due: alzò
le sopracciglia.
«Che c'è?» chiese, sulla difensiva.
Per tutta risposta Gwen gli gettò le braccia al collo,
baciandolo sonoramente sulla guancia.
«Grazie, Jay!» cinguettò entusiasta,
facendogli venire un principio di lordosi vista la foga con cui si era
gettata su di lui. La spostò con burbera delicatezza,
leggermente impacciato.
«Sì, sì, va bene, iniziate a entrare
che io torno subito» fece, allontanandosi.
Archie sorrise, intenerito, sospingendo Gwen dolcemente verso la
gelateria.
Anche la ragazza sembrava contenta.
«Che dolce! E' un orsacchiottone, in fondo!»
ciarlò allegra.
All'immagine di Jay travestito da orso Archie non ce la fece:
scoppiò a ridere con le lacrime.
Jay aprì lo sportello della macchina e gettò uno
sguardo all'interno: oh, ecco il cellulare!
Quella ragazza era davvero sbadata.
Ridacchiante e sbadata: Archie si era proprio scelto un pessimo
partito...
Sorridendo in parte amaro al pensiero della quasi-lite avuta prima col
fratello si fece scivolare il telefonino di Gwen in tasca, chiuse la
portiera, azionò la sicurezza con le chiavi -e la macchina
lampeggiò con uno squittio, in risposta- e fischiettando si
diresse verso la gelateria, pregustandosi già un triplo cono
al cioccolato con panna, granella di nocciole, salsa di cioccolato e la
ciliegina sopra quando qualcosa lo riportò bruscamente alla
realtà.
Andò a sbattere abbastanza violentemente contro qualcuno che
stava -con molta probabilità- correndo e che era spuntato da
un vicolo accanto.
Con un gemito strozzato perse la terra sotto i piedi, compiangendo
così il suo povero sedere che aveva subìto una
bella botta contro il selciato.
«Ti ho fatto male?» chiese qualcuno sopra la sua testa, con voce affannata.
To be continued
~
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«Sì, hai ragione.» si drizzò sulla
schiena, rigido, rilassando le mani che, inavvertitamente, aveva
stretto a pugno nella furia della lite.
«Ecco bravo, muoviti.» Jay modulò la voce in un tono che non ammetteva repliche.
«Tanto non ho bisogno di te.» strascicò Archie, per poi dargli le spalle e allontanarsi veloce.
Jay lo seguì con lo sguardo, con tutti i nervi a fior di pelle.
«Su, dai, corri! Che non vorrai farla aspettare, poverina! Dai,
va' da Gwen!»
Archie si voltò un'ultima volta, lanciandogli uno sguardo cupo e pieno di risentimento. «E tu, Jay, va' al diavolo.»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed a tutti, lettori! *-*
Dite la verità: non ve lo aspettavate, vero? Buhahahaha >:D
Si, siamo tanto ma tanto crudeli a lasciarvi così, ne siamo consapevoli ma... la trama prima di tutto! LOL
Chi sarà la
strana persona ad essersi scontrata con Jay? Sarà importante o
no? Noi naturalmente, stronze come siamo, vi lasceremo sulle spine! :3
Quindi penso che sia meglio passare a
questo capitolo e costruirci una graaande fortezza in cui nasconderci.
Che ne dici socia? XD
Sono d'accordo! *inizia ad ammassare pietre come se stesse innalzando un muretto*
Mentre la mia collega inizia la costruzione, miei cari, vi tocca sorbirmi!XD Anzitutto, che ne pensate di Josh Denver?
E del povero Jay che fissa la sua
foto e insegue i ricordi che riguardano il suo papà? Non
è assolutamente adorabile?
Della serie, coro di: ma veramente no ._.
Lo ammetto: mi ha fatto una... Lady Holmes! Ma non può essere un pò più dolce per una volta?O-o
Ma non sono io, magari ai lettori il nostro beniamino non piace, che ne
so io v.v a proposito, una domandina spassionata... COME FATE A NON
AMARLO?! D: Ok basta mi ritiro >> *si nasconde*
Ma nessuno ha detto di non amarlo!
Bisogna abbracciare tutti, eh!
Ma parliamo di cose serie...
Oh, d'accordo: a chi ha fatto tenerezza Jay? Alzate la mano, su! O in alternativa lasciateci una bella recensione :D
A proposito di questo, ringraziamo tutti coloro che stanno leggendo
questa follia, e specialmente chi ha inserito la storia tra le
preferite, seguite, catturate, rapite, legate e chi più ne ha
più ne metta *-* un ringraziamento particolare, poi, va ai
meravigliosi recensitori dello scorso capitolo: una bella fetta di
torta alle mele preparata personalmente dai fratellini Denver, dunque,
va a Halo J Phoenix (la J sta per Jay vero?? :D *manie di egocentrismo* *Miss Watson da' un colpetto sulla nuca di Lady Holmes*), valentinamiky, La sposa di Ade, mizuki95 e ShadeFlash *___*
Ma Jay fa schifo a cucinare O.o
Shh, dettagli, questo i lettori non lo sanno! *tappa la bocca alla collega*
Comunque ragazzi, siete fantastici :D E se avete domande, dubbi e perplessità non esitate a chiedere!
Abbiamo aperto anche la nostra personalissima pagina di facebook!XD Per spoilers e quant'altro potete trovarci qui: https://www.facebook.com/pages/Timeless/182176118576389
Tra qualche giorno aggiorneremo anche gli album fotografici con le
immagini dei personaggi, ed anche altre immagini create da noi
-disegni, simboli, collage e quant'altro- e in una cartella apposita
anche tutto ciò che viene dai fan -quindi se avete qualche fan
art in mente non vergognatevi! ;) -.
Un'ultima cosa, per quanto riguarda la trama: in questo capitolo
iniziamo a notare una certa tensione tra i due fratellini.
Porterà a niente di buono? Lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Per altro... nel prossimo si chiude la, diciamo, presentazione dei
personaggi e della situazione, per dar via alla trama vera e propria.
Quindi... cosa aspettate? Seguiteci! :D
*Miss Watson offre fazzoletti a tutti* Fidatevi, ne avrete bisogno! Giusto Lady Holmes?
Oh, a chi lo dici! *inizia ad asciugare lacrime* ma... beh, insomma, al prossimo capitolo cari! :D
Io e la mia collega vi auguriamo una
buona lettura e speriamo che il capitolo vi abbia appassionato! Ma...
di chi sarà la voce finale lo scoprirete solo nel prossimo
capitolo!
Ricordate: La musica è la voce dell'anima!
A presto :D
***
1. Welsh Rarebit
mangiato in casa Denver:
2. L'indistruttibile
Nokia 3310 del nostro protagonista:
3. Suzanne (Susan) Denver:
4. Josh Denver (con la giacca di pelle nera che ha "ereditato" Jay):
|
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Capitolo 5 *** 4. ***
Timeless 4
Capitolo
4
«Sì, beh,
insomma. Amico, seriamente, dovresti badare a dove metti i piedi: non
puoi travolgere così i passanti!» rispose,
accettando di buon grado la mano che gli veniva offerta. Si
spolverò i vestiti e, finalmente, alzò lo sguardo
sul suo assalitore.
Era un ragazzo.
E
davvero, se fosse stato una donna Jay era sicuro che gli sarebbe
saltato addosso.
Poteva avere la sua età ed era molto bello: capelli neri non troppo corti, grandi occhi azzurri che alla luce del tramonto sembravano assumere sfumature grigie e labbra sottili.
Lo scrutava con la curiosità ingenua di un bambino che la notte di Natale vede un enorme pacchetto sotto l'albero, ma il resto del volto restò impassibile.
Jay
arrossì, scoprendosi a fissarlo come una scolaretta e
tossicchiò, dandosi un contegno.
«Hai perso questi» gli comunicò lo sconosciuto con voce piatta, porgendogli qualcosa.
Eih un
momento, i suoi occhiali!
Come aveva
fatto a non accorgersi che erano caduti?
Erano gli
occhiali da sole di suo padre, il suo portafortuna per eccellenza!
Jay li accolse
nel palmo aperto, ancora mezzo stordito. «Ah...
sì, giusto, grazie.»
L'altro si limitò a battere le palpebre corrugando le sopracciglia, poi il suo occhio cadde oltre la sua spalla e il volto perse colore.
Sembrava quasi
aver visto qualcosa di sgradevole.
«Devo andare adesso. Fa' attenzione» infine, senza aggiungere altro, lo superò di corsa, lasciandolo interdetto con una mano ancora a mezz'aria.
«Sì, ciao anche a te» rispose Jay all'aria, per poi fare una smorfia con un'esclamazione beffarda.
Che strano
tipo.
Jay scosse il
capo: certo che se ne vedevano di pazzi in giro!
Si
allontanò fischiettando, diretto verso la gelateria ed il
suo ambito cono.
Una mezz'ora
più tardi, dopo che Jay ebbe pagato i gelati, il nostro trio
-i due Denver più Gwen- cominciò a camminare per
le strade del centro cittadino coi coni in mano e gli sguardi rivolti
ora alle vetrine ora alle persone che li circondavano. Gwen commentava
tutto quello che vedeva, compresa una tipa che rassomigliava a una
balena e che era uscita da un negozio stracarica di pacchetti o un
innocente cane che indossava un maglione aristocratico ed era portato
nella borsetta della sua padrona -che a dire il vero sembrava in tutto
e per tutto la brutta copia di Paris Hilton-. Da parte sua Jay si
limitò a dare pareri o a fare battute di quanto in quanto,
scatenando la risata argentina di Gwen e il sorriso di suo fratello.
Forse poteva
seriamente rivalutarla...
Comunque Jay
quasi ingoiò di colpo il suo cono, strozzandosi per di
più, quando un'automobile diede un allegro colpo di clacson
accostandosi a loro.
«Ma
che caz...» intercettò lo sguardo ammonitore di
Archie quindi alzò gli occhi al cielo.
«Ehilà,
Denver! Quanto tempo, eh?» celiò una squillante
voce femminile, costringendolo a girarsi.
Decappottabile
rosa, occhiali da sole rosa e un corto vestitino rosa. Bella era bella
si, ma sembrava essere uscita dritta dritta dal video Barbie Girl di
Aqua.
Jay se la
immaginò con un braccino staccato mentre Ken Russel -il
ragazzo in macchina con lei al posto di guida- la guardava con aria
curiosa: e davvero, era strano pensare che al liceo Ken fosse stato il
suo migliore amico.
L'ho sempre detto che non avesse
cervello, pensò distrattamente il nostro
protagonista mentre Archie bisbigliava all'orecchio di Gwen qualcosa,
forse una spiegazione su chi fossero quelle due brutte copie di Barbie
e Ken -oh dio, lo aveva pensato davvero? Beh, era una ovvia
associazione di idee in fondo-: dal canto suo Jay sfoderò il
sorriso più falso del suo repertorio.
Bella era una
tipica ragazza californiana: capelli biondi lunghi e setosi, occhi
verdi contornati da folte ciglia definite da un tocco di mascara e
labbra carnose al punto giusto con una carnagione perfettamente
abbronzata di chi si è steso per ore a rilassarsi sotto il
sole -o in alternativa, si è fatto parecchie lampade-.
Ma era una
bambina viziata e capricciosa, con la fissa per trucchi e moda che non
faceva passare giorno senza comprare un gioiello tanto vistoso quanto
costoso: non aveva fratelli o sorelle e a pochi anni dalla sua nascita
sua madre era morta. Suo padre, quindi, aveva quell'unica figlia che
trattava come fosse la luce
dei suoi occhi -una volta Jay l'aveva seriamente sentito
appellarsi a lei con quelle parole- e accontentava ogni sua
più svariata richiesta, anche la meno contentabile.
Jay si
chiedeva spesso, ripensandoci, come diamine avesse fatto a passare tre
anni della sua preziosissima adolescenza dietro una ragazza
così narcisista da sperare di trascinarlo al ballo di fine
anno con la promessa di diventare re e regina della festa: per dio, non
capiva che non gliene poteva fregar di meno?
Era stato
quasi un sollievo, alla fine, scoprirla mentre baciava quel Phil O'
Connor, uno del corso di scacchi, dietro gli spogliatoi. Un modo per
liberarsene e uscirne indenne, ecco tutto.
Da quel
lontano giorno -fatto di pianti isterici da parte di Bella che lo aveva
spergiurato di perdonarla -con lui che si era rifiutato
categoricamente. E del resto, sai che perdita, che poi non era stato
lui a metterle le corna!- erano passati ben sette anni: e davvero,
faceva strano vederli insieme. Anche perché lui e Ken erano
molto legati ai tempi, dal momento che frequentavano insieme la squadra
di baseball del loro liceo.
Jay ricordava
ancora quei giorni, quando correva appresso ad una pallina minuscola
che sfrecciava come un razzo e non sembrava volerne sapere di farsi
prendere. Fortuna che il giovane Archie fosse sempre lì
presente in prima fila a fare il tifo per lui!
In ogni caso,
Ken Russel era uno di quei ragazzi che Susan aveva sempre definito tutto fumo e niente arrosto
-o, usando le parole di Bill, tutto muscoli e niente cervello-: bello
quanto bastava per compensare la sua stupidità agli occhi
delle ragazze che ci provavano con lui quando erano state respinte da
Jay. O mollate, che un po' era lo stesso.
«Barb...
ehm, Bella! Quanto tempo, ma che piacevole sorpresa! Come stai? Dimmi,
hai preso questa macchina direttamente delle industrie della Barbie o
tuo padre è andato fino in India a cercarla della giusta
gradazione?» chiese con falso tono cortese.
Bella ebbe un
risolino.
«No,
il mio papy non c'entra nulla!» fece orgogliosa «Il
mio amoruccio però mi ha regalato questo gioiellino! Non
è un tesoro da coccolare e strapazzare?»
«Assolutamente.»
annuì Jay, alzando un sopracciglio con fare ironico: Ken
guardava con aria interessata il portachiavi a forma di gatto, evitando
il suo sguardo.
E le ipotesi
erano due: o era davvero interessato a quel portachiavi o era in
evidente imbarazzo. E Jay propendeva per la seconda.
E in fondo lo
compativa. Bisognava che si fosse bevuto il cervello -sempre se Ken ne
avesse mai avuto uno- per scegliere di stare con Bella!
«Ehi
Denver!» lo chiamò Bella.
«Perché non vieni a casa mia qualche volta?
Abbiamo aggiunto un'enorme piscina! Potremmo benissimo rievocare i bei
vecchi tempi!»
Prima che Jay
potesse rispondere -era seriamente indeciso tra ma anche no
e nemmeno per
idea- Gwen sciolse la presa dalla mano di Archie e si
avvicinò alla macchina con aria decisa.
«Ascoltami
bene, bambolina rifatta. Gli unici bei tempi che tu potrai rievocare
saranno quelli passati in ospedale se non la smetti di fare l'oca con
il mio futuro cognato! Hai capito o vuoi la dimostrazione
pratica?»
Quelle parole
vennero seguite da un minuto di silenzio durante il quale Jay e Archie
guardarono Gwen con due perfette, identiche, espressioni da pesce lesso
chiedendosi se la ragazza non fosse stata sostituita da una copia
aliena. Da parte loro Ken e Bella la guardarono stupefatti: la seconda,
anzi, un po' irritata.
«Io
non sono rifatt...»
«Oh,
per favore, sta' zitta!» ribatté serafica Gwen.
«Barbie»
soggiunse con disprezzo, prima di andarsene.
Archie e Jay
la seguirono immediatamente, richiamati da un suo gesto irritato.
Quando Bella e
la sua decappottabile furono spariti oltre l'angolo Jay concesse al
fratello un'espressione sorpresa con tanto d'occhi e Archie
reagì aprendosi in un sorriso. «Te l'ho detto che
ti adora.» gli sussurrò e Jay, soffermandosi a
studiare la schiena della ragazza si suo fratello, rifletté:
in fondo, non era poi tanto male...
*
«Questo
va bene secondo te?» Archie indicò un grosso uovo
di Pasqua al cioccolato bianco, mentre Jay arricciava le labbra.
«Troppo dolciastro. Andiamo sul sicuro...»
picchiettò il dito sulla vetrina della pasticceria.
«Pralinato alla nocciola!» illustrò in
risposta all'occhiata accigliata di Archie.
Avevano
lasciato dietro Gwen, in macchina, per comprare l'uovo per Bill. Archie
e Jay sapevano che Susan era intollerante al cioccolato, ma al buon
vecchio amico non potevano risparmiare un bel regalo come quello,
specialmente sapendo che avrebbe portato il suo delizioso arrosto di
agnello, come ogni anno in quel periodo.
Il pranzo di
Pasqua nella loro famiglia sembrava quello del giorno del
Ringraziamento, ma se si trattava di mangiare Jay non sapeva dir di no.
E mentre i
loro riflessi si agitavano sulla superficie liscia della vetrina,
Archie si massaggiava il mento.
«Non
viene troppo pesante?»
«Non
mi pare che Bill sia a dieta.» soggiunse Jay, con un
sorrisino strafottente. «E a dir la verità nemmeno
io.»
«O
andiamo, è di Bill!»
A volte avere
a che fare con lui era peggio che parlare con un bambino!
«Ma
lo sai com'è fatto, no? Lo dividerà e lo
spargerà come lingotti d'oro in giro, praticando la
carità e la bontà.»
Archie nascose
una risata con un colpo di tosse, dirigendosi verso la seconda vetrina,
che esponeva una serie di dolciumi dai nomi improbabili e gli
ingredienti ancora più strani.
«Un
paio di questi per mamma? Forse non contengono cioccolato.»
«Einstein,
non siamo mica ad Halloween.» commentò Jay
«C'è ancora tempo per dolcetto o scherzetto!»
«Idiota.»
«Lattante.»
«Troglodita.»
«Spastico.»
Archie
tramontò gli occhi al cielo e Jay rise dandogli una pacca
sulla spalla «Eih, ci voleva! Insomma dopo tutto quello
zucchero tra te e Gwen...»
«E
quello di queste porcherie in vetrina...»
«Anche.
Sì, insomma, capirai che in un qualche modo devo
sopravvivere.»
Archie
sbuffò.
«Non
cambierai mai, eh?»
«Non
ci penso neanche!» concluse Jay, come se fosse un affronto.
«Sono già perfetto così.»
aggiunse, imitando la voce di Bella, con un risultato piuttosto comico.
«Ti piacciono i miei nuovi occhiali? Me li ha regalati il
papy che è stato in Madagascar!»
Archie
ghignò, mentre si avvicinava alla porta d'ingresso a vetri
del negozio. «Non la ricordavo così odiosa! Mi
chiedo come tu abbia fatto a sopportarla.»
«Ah
beh, quello me lo chiedo anche io.»
Varcarono la
soglia annunciati dalla campanella all'ingresso, e immediatamente una
gentile inserviente si accostò a loro con un gran sorriso
disponibile, chiedendo se avessero bisogno del suo aiuto.
Jay sorrise
come un imbecille -o almeno così direbbe Archie-
all'indirizzo della moretta, pronto sicuramente ad usare la sua tecnica
di conquista, così il minore decise di intervenire.
«Stiamo dando solo un'occhiata, grazie.»
«E
che occhiata» sogghignò Jay assestandogli una
gomitata, una volta che la ragazza si fu allontanata. Archie
replicò con un'espressione esasperata.
Iniziarono a
girare per gli scaffali pieni di colori e dolciumi, investiti di tanto
in tanto dal profumo del cioccolato e delle confezioni imporporate. Ad
un tratto, di fronte ad un recipiente di ovetti, Jay
acciuffò un piccolo carrello verde e iniziò a
riempirlo.
«Oh,
andiamo!»
Il maggiore
dei Denver alzò un sopracciglio, in sua direzione
«Cosa?»
«Hai
appena finito di mangiare, Jay! Come fai ad avere sempre fame?
E poi siamo qui per l'uovo di Bill, ricordi?»
«Sì
ma è quasi Pasqua, fratellino!»
«Non
avrai intenzione di vestirti da coniglio?» indagò
Archie, che ormai non si stupiva più di niente. Jay fece una
smorfia «No, a meno che non voglia finire arrosto.»
Archie si
arrese all'idea che le conversazioni con suo fratello non sempre
approdassero ad un senso logico.
«Forse
così sono abbastanza...» si inserì ad
un tratto, notando che Jay continuava a schiaffare dentro il carrello
ogni schifezza che avesse stuzzicato la sua -maniacale-
curiosità.
«Dobbiamo
fare provviste, baby! Sono certo che in questi giorni di attesa
pre-pasqua noi due, spaparanzati sul mio divanetto di fronte ad una
bella partita di baseball alla tv, ci rimpinzeremo di schifezze,
proprio come ai vecchi tempi!»
Il suo
entusiasmo era disarmante, non c'era che dire.
Archie si
schiarì la gola, standogli dietro. «Che tu
mangerai, vuoi dire.»
Jay lo
ignorò, così coinvolto dal disegno di uno strano
biscotto a forma di barchetta su una confezione dai colori sgargianti.
Dopo uno scrupoloso esame degli ingredienti ed un'alzata di spalle
ficcò anche quello nel carrello e si immesse nel reparto
successivo.
Archie diede
un'occhiata all'orologio: le sei e un quarto. «Eih,
Jay?»
«Mmm?»
«Lascia
stare le girandole di zucchero, per favore.» aggiunse poi
mentre il fratello riponeva la busta al suo posto, schifato.
«Troppo zucchero, hai ragione: ne ho abbastanza. Oh, guarda,
gli sciroppi all'ananas!»
«Jay!
Gwen ci sta aspettando, potremo comprare quell'uovo per cui siamo
venuti e andarcene?»
«Perché
tanta fretta?» commentò Jay prendendo due
confezioni di lecca lecca. «Coca cola.»
gioì poi, umettandosi le labbra «La tua preferita,
ricordi?»
«Perché
dobbiamo ancora riaccompagnare Gwen a casa e scaricare i bagagli,
Jay!» ribadì Archie, che iniziava ad irritarsi da
tutta quell'indifferenza.
«Oh,
per i bagagli non è un problema, posso portarteli io visto
che sei un mollaccione!»
Il fratello
sospirò, cercando di calmarsi.
«E
poi una volta che avremo lasciato Gwen abbiamo tutto il tempo che
vogliamo, quindi di cosa...»
Jay si
bloccò come se avesse realizzato qualcosa solo in quel
momento, e lanciò un'occhiata fulminea ad Archie.
«No aspetta... perché tu vieni con me,
giusto?»
Archie strinse
le labbra. «Mi dispiace, ma ho promesso a Gwen...»
«Hai
promesso a Gwen?» quasi urlò Jay, improvvisamente
dimentico di trovarsi in un locale pubblico.
«Jay,
per favore...» lo ammonì Archie preoccupato. Jay
abbassò il tono della voce, senza mollarlo con gli occhi per
un attimo. «E così vai da Gwen?»
«E'
la mia ragazza.»
«E
io sono tuo fratello!»
«Lo
so, ma le ho promesso che sarei andato da lei. Dai, che male
c'è, possiamo sempre incontrarci per...»
«Che
male c'è? Cavolo, Archie, non ci vediamo mai! Scendi una
volta ogni sei mesi, ti vedo a stento due volte l'anno, e quando
finalmente arrivi vai da Gwen?»
Qualche
cliente troppo curioso rivolse loro occhiate confuse mentre li
superavano e Archie si guardò intorno a disagio,
schiarendosi la gola.
«Senti,
mi dispiace, non pensavo che ti avrebbe dato fastidio.»
«Non
pensavi, appunto!»
«Per
favore... possiamo parlarne fuori?»
Jay si
guardò intorno mordendosi con rabbia l'interno della
guancia, poi distrattamente abbandonò il cestino verde su un
ripiano e uscì a grandi falcate, inseguito a breve distanza
dal più giovane.
«Credevo
che fosse una tradizione!» sibilò Jay una volta
che entrambi ebbero nuovamente calpestato il marciapiede.
«Non
è la fine del mondo, sarà solo per qualche
giorno.»
Jay distolse
lo sguardo, seguendo con gli occhi le macchine che si susseguivano per
la strada, e i passanti persi nei loro pensieri.
Doveva
calmarsi... doveva porre fine a quella reazione da donna mestruata.
Ma davvero...
la delusione era così cocente che per un momento credeva di
non essere in grado di aggiungere altro, ma le parole di Archie gli
provocarono l'effetto contrario.
«Andiamo,
Jay, sono sempre stato nel tuo appartamento, questa è la
prima volta che, diciamo, porto avanti altri progetti. D'estate
verrò a stare da te, promesso.»
«D'estate?»
Jay tornò a guardarlo, scettico. «Certo, e poi
magari te ne esci con una scusa, come corsi avanzati o club estivi per
l'università, non è vero?»
«Non
erano scuse, dovevo prepararmi, avevo gli esami a settembre ed era
necessario che...»
«Ci
rivedremo il prossimo anno, allora?»
«No,
non farò passare così tanto tempo» si
impuntò Archie «Ti vengo a trovare a Luglio,
dai.»
«Come
l'anno scorso, e quello prima ancora.»
«Rinuncerò
ai corsi, okay?»
«Sai
che non lo farai.»
«Stiamo
parlando del mio futuro, può essere che non te ne importi
niente?» se ne uscì Archie ad un tratto,
disperato.
«E'
importante che io frequenti quei corsi, non lo faccio certo per
divertirmi!»
«Cosa
vuoi dire, che io passo le giornate a grattarmi?»
ribatté Jay velenosamente «E' solo che,
dannazione, non ce la faccio a vederti una volta all'anno! Insomma,
tu... tu sei mio fratello! Quando ti chiamo al cellulare hai sempre
fretta, e cerchi di riattaccare con la scusa dello studio; quando
arrivi qui c'è sempre quella Gwen di mezzo. Per una volta,
non possiamo mollare tutto e tornare ad essere fratelli, come un
tempo?»
«Quel
tempo è finito!» gli urlò Archie,
allargando le braccia. «Perché non riesci ad
accettarlo? Siamo cresciuti, Jay. Io sono cresciuto, e forse dovresti
iniziare a farlo anche tu!»
«Mi
stai dando del bambino?» lo aggredì Jay, incredulo
e offeso.
«No,
non volevo dire questo!»
«Oh,
eccome se volevi dirlo.»
Senza che
nemmeno se ne fossero accorti avevano iniziato a camminare spediti per
il marciapiede, incuranti del fatto che stessero urlando e della gente
che li studiava stralunata.
«Carità,
per favore...» tremolò una voce al fianco di
Archie: Jay notò un barbone di colore, coperto di luride
coperte e dal volto scarno, che reggeva in una mano incerta un
bicchiere di latta.
Archie e Jay
lo bypassarono quasi senza uno sguardo, troppo intenti a urlarsi contro.
«Perché
devi sempre fraintendere quello che ti dico? No grazie!»
aggiunse Archie irritato dall'insistenza del vecchio che si
ritirò imbarazzato.
«Forse
ti preferivo com'eri prima.»
«Un
bambino capriccioso?»
«Un
fratello.» rispose invece Jay, lanciandogli uno sguardo
penetrante. Archie allargò le narici, cercando di calmarsi.
Ma era inutile.
«L'università
ti ha cambiato, Archie. Io mi faccio in quattro, che credi? Che
lavorare all'officina di papà sia facile? Tu non hai idea di
cosa sia il lavoro manuale! Passi il tempo tra libri ingialliti e
biblioteche ammuffite!»
«Ti
da fastidio il fatto che io sia andato all'unversità e tu
no? E' stata una mia scelta!»
«Non
me ne frega niente se tu sei andato all'università! Ma in
questa famiglia sono sempre io che mi sono preso cura di tutto, che mi
sono preso cura di te e la mamma, dopo la morte di papà! Io
sto portando avanti l'officina, io mi pago l'affitto. E non mi sembra
che chiedere la compagnia del proprio fratello per qualche giorno sia
troppo esigente!»
«Starò
da Gwen solo qualche giorno, potremo sempre incontrarci in centro! E
comunque non venirmi a parlare di responsabilità: anche io
lavorerò, dopo la laurea. Ma ho bisogno di prepararmi, ne va
della mia vita, Jay.»
«E
la mia, allora? Praticamente venduta!»
«Oh,
non ricominciare...»
«Ricomincio
invece!» Jay agitò una mano di scatto come se
stesse scacciando una mosca molesta. «Sei diventato uno di
quegli snob della scuola, vero? Vuoi iniziare a vantarti della tua
intelligenza o cosa?»
«Io
non sono così!» urlò Archie in
risposta, offeso. «E si può sapere
perché stiamo litigando in questo modo? Per cosa?»
«Lascia
perdere...»
«Per
Gwen? Ma si può sapere che cavolo ti prende? Cosa ti ha
fatto, per farsi odiare tanto?»
«Non
è lei, dannazione!»
«Allora
cosa, ti da fastidio che io stia con qualcuna? Fammi capire, tu puoi
farti tutte le ragazze che vuoi e io non posso averne nemmeno una? Non
ti è mai andato bene, anche quando eravamo
piccoli!»
«Che
diavolo stai dicendo? Non sono arrabbiato con lei, ma insomma... esiste
anche la tua famiglia, sai?»
«Anche
lei fa parte della mia famiglia!»
Jay
sbiancò. «Cosa?» poi, riprendendo
vigore. «Oh certo, quindi la sposerai...»
«Non
adesso! Forse un giorno... chissà. Senti, un giorno mi
sposerò, okay? Che a te piaccia o no succederà,
quindi tanto vale che lo accetti adesso.»
«A
me va benissimo che ti sposi, è la tua vita e ci fai quello
che vuoi, ma non devi trascurare la tua vecchia famiglia! La mamma ti
vede una volta all'anno, come pensi che stia? Chi pensi che la consola
quando sta male? Io. Chi pensi che abbia sempre cancellato le sue
lacrime dopo la morte di papà? Io. Chi era sempre presente
per dare una mano in casa? Io. Tu non ci sei mai stato!»
«Stai
cercando di dire che non me ne frega niente della mamma? Non capisci
niente, allora! Per me tu e lei siete importanti quanto Gwen! E i miei
impegni non... non dureranno per sempre, va bene?»
«Se
avessi voluto passare del tempo con lei l'avresti trovato.»
Archie strinse
i pugni, rischiando di travolgere una vecchietta.
«Non farmi la paternale, adesso!»
«Sto
solo cercando di farti rinsavire, fratellino.»
«Sai
cosa?» Archie fece una risatina senza allegria, con una mano
in fronte «Mi sono stancato. Della tua gelosia, dei tuoi
rimproveri, delle tue prese in giro. Mi sono stancato di sorbirmi i
tuoi insulti, Jay. Sei proprio un bambino.»
Jay
deglutì aria, pronto a scattare. La parola gli
entrò nel petto come un proiettile. Si inumidì le
labbra. «Ah, bene, è questo che pensi,
allora?»
«Ti
auguro di trovarti una ragazza, e forse solo allora ti deciderai a
crescere!»
«Ottimo.»
Jay si fermò improvvisamente, costringendo il fratello a
fare lo stesso, con uno sguardo interrogativo. «Bene, quindi
pensi che sia un idiota, non è vero?»
«Jay,
aspetta, io non...»
«Dici
di essere cresciuto, di non essere più un ragazzino.
Perfetto. Allora sai che c'è? Che adesso tu vai a prendere
Gwen in macchina e te ne torni a casa sua a piedi. Se sei abbastanza
grande per vivere da solo a Londra, lo sarai anche per andare avanti
senza il mio aiuto!»
Jay lo
fissò con astio, ma il dolore nel volto di Archie lo fece
sentire un mostro. L'aveva ferito.
Eppure non gli
importava...
Era
furioso, voleva prendere a pugni qualcuno, o in alternativa un muro,
fino a scrostarlo o sbucciarsi le mani. Il peso di quelle parole parve
permeare nell'aria, e quando Archie parlò ogni emozione era
sparita dalla sua voce.
Era fredda e
distante... terribilmente atona.
«Sì,
hai ragione.» si drizzò sulla schiena, rigido,
rilassando le mani che, inavvertitamente, aveva stretto a pugno nella
furia della lite.
«Ecco
bravo, muoviti.» Jay modulò la voce in un tono che
non ammetteva repliche.
«Tanto
non ho bisogno di te.» strascicò Archie, per poi
dargli le spalle e allontanarsi veloce.
Jay lo
seguì con lo sguardo, con tutti i nervi a fior di pelle.
«Su, dai, corri! Che non vorrai farla aspettare, poverina!
Dai, va' da Gwen!»
Archie si
voltò un'ultima volta, lanciandogli uno sguardo cupo e pieno
di risentimento. «E tu, Jay, va' al diavolo.»
Jay si
irrigidì, mentre scorgeva suo fratello tornare a rivolgergli
la schiena. Quelle parole continuavano a vorticargli in mente, mentre
si voltava come una furia, e si allontanava con le tempie che
pulsavano e la bocca secca.
«Sì,
ci vado volentieri!» latrò all'aria, sebbene
conscio che suo fratello non l'avrebbe sentito.
Che bastardo!
pensò intensamente -o forse lo borbottò, doveva
ancora riuscire a capirlo- con gli occhi fissi sul marciapiede e il
cuore in tumulto. Non
ha rispetto! E quella Gwen...
Proprio mentre
la sua mente si preparava a snocciolare con assoluta perizia tutti gli
insulti più crudeli che era riuscito a reperire dal suo
repertorio, il rumore improvviso di un clacson e poi quello di un tonfo
lo strapparono violentemente dai suoi pensieri.
Jay
alzò la testa mentre intorno si diffondevano delle urla
sconvolte. Il cuore aumentò i battiti mentre si voltava
indietro -dall'origine del rumore- con un gran brutto presentimento.
E
ciò che vide lo paralizzò dal terrore: una folla
si era riunita attorno ad un fagotto scuro steso sull'asfalto... una
folla di persone scandalizzate e traumatizzate che si coprivano la
bocca.
Jay
iniziò a correre senza nemmeno rendersene conto, col cuore
in gola e lo stomaco attorcigliato, come se qualcuno glielo stesse
tirando dall'interno.
Sempre
più turbato, scorse con lo sguardo quel caleidoscopio di
volti, cercando di riconoscere quello di suo fratello.
Poi lo vide:
quando si fu avvicinato abbastanza da riconoscerlo, trovò il
volto di Archie.
Ma lo
riconobbe in quello sfigurato di ciò che aveva scambiato per
un fagotto, circondato da un ventaglio di sangue che si allargava
sull'asfalto.
Il cuore gli
balzò nel petto, e un attimo dopo Jay si buttava in mezzo
alla folla, spingendo via chiunque gli capitasse a tiro.
«ARCHIE!»
Un uomo gli
tirò un braccio, per fermare la sua avanzata disperata,
intimandogli di stare indietro. «Lasciagli lo spazio per
respirare...»
«E'
MIO FRATELLO!» sbraitò Jay spingendolo via con
tutte le sue forze. Quando riottenne la libertà si
accucciò a terra, e allungò una mano verso il
corpo insanguinato, accorgendosi che gli tremavano le dita.
Gli
afferrò la testa, sollevandola delicatamente, e le mani gli
si macchiarono immediatamente di rosso. «Archie!»
Il fratello,
con le labbra socchiuse dalle quali non filava un alito di ossigeno,
batté lentamente le palpebre come se non lo riconoscesse.
Provò a parlare ma gli uscì solo un rantolo rauco
e spezzato.
«Shhh»
gli intimò Jay portandogli la frangetta lontano dalla fronte
«Sono qui, Archie, sono qui, non...» la voce gli
vacillò, mentre cercava di trattenere i singhiozzi
«non ti lascio...»
E per un
attimo rivide il suo piccolo fratellino di appena sei anni, sul pelo
dell'acqua.
«Ho
paura, Jay... non so nuotare, aiutami!»
«Tranquillo,
ci sono qua io» gli aveva sussurrato Jay, rassicurante, con
una mano sotto la sua schiena. Glielo avrebbe insegnato lui, a stare a
galla.
«Non
lasciarmi, ti prego!» aveva piagnucolato Archie, terrorizzato.
«Non
ti lascerò, promesso... non ti lascerò,
Archie.»
Le palpebre di
Archie tremarono, come se non riuscissero a stare aperte, e Jay,
allarmato, iniziò a dargli piccoli buffetti sulla guancia.
«No,
Archie... no, no, no, stai con me... guardami, sono qui... non mollare,
non...» alzò lo sguardo su tutti quegli occhi
sconvolti. «Chiamate un'ambulanza, presto!»
«Sarà
qui a minuti.» avvertì l'uomo che prima l'aveva
trattenuto, rimettendo il cellulare in tasca. «Nel frattempo
forse non converrebbe muoverlo. Potrebbero aggravarsi le lesioni
intern-»
«Chi
è stato?» ruggì Jay, cercando la
macchina. «Chi è quel bastardo che...»
«E'
scappato.» insistette l'uomo, mentre altra gente si ammassava
là attorno, con voci spezzate e sussurri spaventati.
«Comunque
io sono un medico, lei non dovrebbe...»
«Sono
suo fratello!» urlò Jay, poi riprese a dare
colpetti al volto di suo fratello, prestandogli la sua più
completa attenzione. «Resisti, Archie, okay? Adesso arriva
l'ambulanza e poi... Archie?»
Suo fratello
non rispondeva più agli stimoli, dalle sue labbra non si
levava un suono o un sospiro, e la testa era ricaduta pesante contro il
suo braccio.
«Archie!»
in preda al panico, gli diede dei leggeri buffetti sulle guance
«No, no... resta con me... apri gli occhi, Archie... ti supplico!
Andiamo... andiamo!»
Lo scosse per
le spalle, ma il risultato fu che la testa del fratello
ciondolò senza forza, abbandonata completamente su di lui.
«Archie...?»
«Forse
posso fargli un massaggio cardiaco!» suggerì il
medico, nervoso, cerando di farsi spazio, mentre qualcun altro
afferrava Jay dalla piega del gomito.
Il maggiore
dei Denver si dimenò dalla sua presa, col petto che doleva e
gli occhi lucidi, poi si lasciò andare... smise di lottare.
Distrutto, si
lasciò scivolare tra le braccia di qualcuno -forse una
donna, forse un uomo, che importanza aveva?-, non riuscendo a
deglutire... dimentico di come si facesse a respirare.
Portò
gli occhi sul fratello... su quell'esanime corpo pallido e
insanguinato, che il medico tentava invano di risvegliare, picchiando
violentemente un pugno in corrispondenza del cuore.
In
un ultimo, disperato massaggio cardiaco. Un ultimo, disperato,
tentativo di risvegliarlo.
Ma Archie non
riaprì gli occhi.
Non
ricominciò a respirare.
Non gli disse
che era un idiota, o un bambino.
Non
disse più nulla.
Jay sentiva un
vuoto all'altezza del petto, un vuoto incolmabile che gli risucchiava
ogni altro pensiero, e ogni forza. Gli occhi bruciavano. Ma poi tutto
smise di avere un senso.
Una campana
risuonò lontano. O forse vicino. O forse solo nella sua
testa.
Archie era
morto.
Un altro
rintocco.
Morto. Suo
fratello...
Un altro
rintocco.
Archieee!
Tutto si fece
confuso...
You don't need money, don't take fame
Don't need no credit card to ride this train
It's strong and it's sudden and it's cruel sometimes
But it might just save your life
That's the power of love
That's the power of love
Jay
spalancò gli occhi, destato di soprassalto, ritrovandosi a
fissare il soffitto della sua stanza.
To be continued
~
Next >> Capitolo 5
Come aveva fatto a ritrovarsi in camera sua, sul suo letto?
Eppure poteva sentire ancora la sensazione orribile del
sangue di suo fratello tra le dita, la sua pelle che si raffreddava, il
respiro che se ne andava in un rantolio. Jay represse un conato di
vomito e si costrinse a inspirare profondamente.
Archie era morto...
Archie...
Deglutì per calmarsi, chiudendo gli occhi e cercando di
rallentare il battito del suo cuore impazzito.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed a tutti,
lettori! T_____T
[-->Jay alla morte di Archie]
(nuu, Jay, cucciolo, non pensare ad Archie, non... aaaaah ti
consolo io!! T__T)
Salve gente! ;D Avete
preso i fazzoletti come vi avevamo suggerito?Lo so, lo so questa parte
vi ha fatto prendere un colpo ma possiamo spiegare! XD Anzi no,
facciamo le stronze e non vi diciamo nulla :P Archie è vivo?
E' morto? E' stato solo un sogno?
Le
possibilità sono tante e tutte da scoprire! >>
--------[Vi invitiamo a leggere
l'ultima parte della storia, cioè da quando Jay torna
indietro e scopre l'incidente, con questa colonna sonora di sottofondo:
https://www.youtube.com/watch?v=1wk21MayxB0 noi l'abbiamo scritta con questa
e... e... aaah T___T]------
E che ne pensate del
bonazz.. ehm, figacci.. no, ecco del bel figliolo dell'inizio capitolo?
Non so voi ma io mi sono presa una cotta per lui!
*Miss Watson si fa aria
con una mano*
E la reazione del nostro Jay? Prima che passiate alle armi, volevamo
assicurare che è assolutamente normale e spiegabile
logicamente, ma a parte questo, non possiamo aggiungere altro. E
dell'incontro-scontro con Bella? Come avrete notato, o anche se non
l'avete fatto, Bella è una parodia della classica mary sue.
Ovviamente siamo più che consapevoli del fatto che sia un
personaggio a volte "esagerato", ma ci tenevamo ad annunciare che
prende spunto da una persona che conosciamo realmente e che SUL SERIO
fa discorsi del genere e si veste in quel modo, quindi parodia a parte,
purtroppo esistono persone così. Dio mi mandi un
lanciafiamme per eliminarla al più presto dalla faccia della
terra!
Per quanto riguarda Archie, tante lacrime anche per lui!!
ç__ç *inizia a piangere* aaaaah! Mio dio, devo
riprendermi ma... *non ce la fa e ricomincia a piangere* do' la parola
alla mia collega, vah, io non riesco a parlare... T___T
*Miss Watson passa un
fazzolettino ricamato a Lady Holmes*
Susu Lady si calmi!
Quindi, lasciando la mia
collega a piangere in un angolino, mi auguro - anche a nome suo- che il
capitolo vi sia piaicuto :D E mi raccomando, mandateci i vostri pareri
v.v Una recensione al giorno toglie Miss Watson e Lady Holmes di torno
:P
Ma passiamo ai
ringraziamenti..
Grazie a tutti coloro
che hanno recensito, letto e messo mi piace alla nostra pagina
facebook! Ragazzi, siete i migliori!
E un grazie speciale va a quelle meravigliose persone che recensiscono,
e quindi: Halo J Phoenix (non ucciderci dopo questo cap!
ç__ç), Sakura Georgina Nakamura, mizuki95, La
sposa di Ade (ti saluta la radiolina!!), ShadeFlash (utilissimo il tuo
consiglio, come sempre! xD) e sattolo (questa volta l'ho scritto
giusto, visto? >>)
Ricordate: La musica
è la voce dell'anima!
A presto :D
***
1. Isabella (Bella) Sea [versione
moderna]:
2. Isabella (Bella) Sea [ai tempi
del liceo, versione Reginetta del Ballo]:
3. Ken Russel [versione moderna]:
4. Ken Russel [ai tempi del liceo, versione giocatore di Basket]:
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM
1. Jay che chiama Archie, prima
di iniziare a correre verso di lui:
|
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Capitolo 6 *** 5. ***
Timeless 5
Capitolo 5
Ansimò, una
mano sulla fronte madida di sudore, gli occhi che vagavano smarriti
attraverso la penombra.
I ricordi lo travolsero come un'onda violenta, lasciandolo stordito e
spaventato oltre l'inverosimile.
Solo... solo un sogno?
Come aveva fatto a ritrovarsi in camera sua, sul suo letto?
Eppure poteva sentire ancora la sensazione orribile del
sangue di
suo fratello tra le dita, la sua pelle che si raffreddava, il respiro
che se ne andava in un rantolio. Jay represse un conato di vomito e si
costrinse a inspirare profondamente.
Archie era morto...
Archie...
Deglutì per calmarsi, chiudendo gli occhi e cercando di
rallentare il battito del suo cuore impazzito.
Era tutto apposto, adesso, tutto apposto. Era stato tutto un terribile
incubo, niente di reale.
Adesso, pensandoci con assoluta razionalità: non era possibile
che suo fratello fosse davvero morto: prima di ogni altra cosa Jay era
abbastanza sicuro di non essersene andato con le proprie gambe dalla
strada e secondo... chi avrebbe dovuto portarcelo?
E poi come avrebbe potuto abbandonare suo fratello? No, era assurdo...
Chi avrebbe chiamato sua madre, Bill, Gwen...?
No, c'era qualcosa che non quadrava.
Jay si mise a sedere sul letto, le mani tra i capelli. Gettò
uno
sguardo alla stanza, scoprendola disordinata come al solito, la
radiolina che trasmetteva Radio Hourglass come ogni mattina e i vestiti
del giorno prima gettati alla rinfusa per la stanza.
Cosa diamine era successo, allora?
Si alzò di scatto e quasi barcollando si diresse verso la
scrivania su cui, il giorno prima, aveva gettato portafogli, chiavi e
cellulare: afferrò quest'ultimo, soppesandolo pensieroso.
Non credeva ai sogni premonitori o a quelle cazzate sui Profeti di Dio
o roba simile, ma per la prima volta iniziò a pensare che
quella
potesse essere considerata una valida spiegazione. Jay
pensò, il
terrore che si dilagava per ogni fibra del suo corpo, che probabilmente
quello fosse un segnale. Se Archie non era morto allora..
Poteva stargli per succedere qualcosa!
Magari il suo aereo stava per precipitare oppure... oppure... che fosse
già precipitato?
Se c'era una cosa che odiava sopra ogni altra, era il non sapere che
fare: se lo avesse chiamato probabilmente avrebbe trovato semplicemente
il telefono spento, dato che sugli aerei era d'obbligo il mantenerlo
staccato. Ma allora come doveva muoversi?
Quando prese la sua decisione la sveglia segnava le sette e
trentacinque minuti e il programma mattutino di Radio Hourglass era
iniziato da un pezzo.
Scese precipitosamente le scale, evitando per un soffio la signora Mao,
e si diresse verso l'uscita salutando distrattamente Guirao: doveva
raggiungere l'officina di Bill e in fretta, anche.
La saracinesca era abbassata per metà come nel sogno: Jay la
sollevò di tutta fretta ed entrò nella soffocante
officina.
«Bill!» lo chiamò, non vedendolo da
nessuna parte. O
meglio, praticamente lo urlò perché ne
seguì un
rumore -come quando due oggetti di notevole dimensione entrano in
collisione tra loro- e poi Bill emerse da sotto la macchina che stava
aggiustando, ricoperto interamente da uno spesso strato di olio e
fuliggine.
«Ma che ti urli così? Cretino!» lo
rimbeccò
l'uomo, burbero come al solito, massaggiandosi un bernoccolo che gli
era spuntato sulla fronte. Jay si trattenne dall'abbracciarlo solo
perché sapeva benissimo che l'uomo lo avrebbe preso a colpi
di
chiave inglese sulla testa.
«Scusa» sospirò il ragazzo, in risposta.
Passò qualche minuto di silenzio, durante il quale il
proprietario dell'officina si ripulì con una garza, per
asportare l'olio e il sudore, e Jay si tormentava l'interno della
guancia, soprappensiero.
Cosa era esattamente venuto a fare all'officina?
Il cuore gli tamburellava nel petto senza sosta, e il turbamento non
voleva saperne di lasciarlo andare. Continuava ad arrovellarsi sulle
immagini che il sogno -l'incubo-
aveva inciso a fondo nella sua memoria.
«Che sei venuto a fare, comunque?»
Jay, riportato violentemente al presente, rialzò gli occhi
sull'amico.
«Io...» deglutì.
Ecco la domanda da un milione di dollari: che era venuto a fare
lì? Non certamente per farsi consolare da un brutto sogno,
non
era mica un dannato moccioso che aveva bisogno delle coccole!
«Io... sì beh, ero venuto... cioè, sono
venuto
per... per...» Jay si guardò intorno. Perfetto,
che dire?
«Per la mia moto! Sì sai, ieri sera ero
così stanco
che non mi ricordo dove l'ho parcheggiata» annuì,
fiero
della sua risoluzione.
Bill lo guardò come se fosse stato un alieno con tanto di
tutù e scarpine.
«Ma sei idiota? L'hai parcheggiata qui, come al solito! Ma
che ti sei fumato?»
«Oh giusto, giusto.» si affrettò a
concordare Jay, con una risatina.
Si maledisse mentalmente in tutte le lingue che conosceva, mentre si
passava la mano sul collo: si sentiva a disagio e gli mancava l'aria,
proprio come se qualcuno gli avesse stretto un cappio attorno al collo.
Avrebbe voluto dire tante cose e allo stesso tempo rimanere in
silenzio, per riordinare la mente e cercare di assegnare un fottuto
senso a quella fottutissima situazione.
Ma nel dubbio, tacque: Bill lo scrutò con un sopracciglio
alzato
e Jay evitò di guardarlo in faccia, in preda ad un sordo
imbarazzo.
Era stato solo un sogno, quindi.
Solo un dannatissimo
sogno.
E Bill gli aveva appena dato la conferma: Jay si ripromise
mentalmente di regalargli l'abbonamento a quella rivista di
motori che l'uomo ammirava da anni e sospirò, abbozzando un
sorriso.
Restava però il dilemma di quel sogno, l'immagine del volto
sfigurato di Archie e del suo sangue tra le dita: era solo un incubo o
un avvertimento?
Come doveva spiegarselo?
«Hey, non è che potresti prestarmi una macchina?
Devo
andare a prendere Archie e Gwen.» si decise alla fine, ancora
pensieroso, lasciando vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Non
udendo nessun suono provenire da Bill, però,
aggrottò le
sopracciglia e si voltò nella sua direzione.
Il meccanico lo stava squadrando come se temesse di vederlo svenire da
un momento all'altro.
«Sicuro di star bene? Non pronunci mai il nome di Gwen in
modo...» e fece un gesto con la mano «Insomma, come
se la
sopportassi.»
Per tutta risposta Jay si limitò a grugnire: era vero, di
solito
non avrebbe mai pronunciato il nome di Gwen in maniera tanto
normale -cioè senza condirlo di soprannomi
variabili dal
semplice ''canarino'' al più complesso ''oca affetta da
ridarella''- ma, anche se era ormai certo che la morte di Archie non
fosse mai avvenuta, si sentiva stranamente in colpa.
In fondo, nel suo sogno, avevano litigato e subito dopo Archie era
morto.
Non se la sentiva nemmeno di riempire d'improperi Gwen, a essere
sinceri. Giudicava se stesso l'unico da biasimare: era colpa delle sue
parole se Archie era...
Sospirò, per riprendere il controllo del suo cuore. No, non
era colpa sua.
O meglio, non c'era nessuna morte di cui prendersi carico e
responsabilità. E adesso era meglio se viveva la sua
giornata,
dimenticando gli scherzi della sua mente e quel maledetto sogno senza
senso.
Capendo l'antifona Bill afferrò un vecchio straccio
abbandonato
sul tavolo di legno grezzo e si pulì le mani, camminando
verso...
«Vuoi darmi la tua Alfa Romeo?» domandò
Jay, senza pensarci.
Bill lo guardò con tanto d'occhi.
«Come diamine fai a...»
«La tieni sempre li.» si affrettò a
rimediare Jay,
dandosi mentalmente dell'idiota. Si costrinse a sorridere, camminando
accanto al vecchio meccanico che sembrava comunque poco convinto.
Turbato afferrò le chiavi che Bill gli porse ed
aprì lo sportello.
Esattamente come nel suo sogno.
*
Quando si accorse che aveva ricominciato a tamburellare nervosamente le
dita sul bancone del servizio clienti era ormai troppo tardi: la
segretaria si limitò a scoccargli uno sguardo vacuo e Jay ritrasse le
mani, applicandole sui fianchi, e si passò la lingua sulle
labbra.
L'attesa era snervante e quell'odiosissima musichetta dell'aereoporto
gli stava rodendo il fegato: si sarebbe volentieri tolto uno scarpone
per lanciarlo contro uno dei tanti altoparlanti, per tacere quei suoni
stridenti.
Ma soprattutto, doveva smetterla di essere così fottutamente
ansioso. Archie stava bene. Si era perfino informato sui voli, e a
parte il consueto ritardo, non era stato annunciato nessun incidente.
Quindi, a meno che suo fratello non fosse stato colto da un improvviso
infarto sul proprio comodo sedile, non c'era motivo di preoccuparsi, no?
«Jay!»
Sussultò, riconoscendo la voce, e si voltò
fulmineo. «Archie...» biascicò.
Suo fratello stava correndo verso di lui, agitando una mano al suo
indirizzo e trascinando dietro di sé due pesanti valige.
Indossava la camicia bianca e i jeans neri del sogno, ma non c'era
traccia di sangue, in essi. Jay percepì il sollievo
avvolgerlo
in una morsa quasi soffocante e con un groppo in gola colmò
la
poca distanza che lo separava ancora dal fratello.
«Fratellino!» commosso lo strinse in un abbraccio
protettivo, aggrappandosi quasi con disperazione e facendo pressione
con le dita sulla sua schiena, come per assicurarsi che fosse reale.
Archie, preso alla sprovvista da quella reazione, ridacchiò
nervosamente e rispose all'abbraccio in ritardo, con delle leggere
pacche sulle spalle del più grande.
«Eih, che entusiasmo.» soffiò, divertito
e
incredulo, quando si furono separati -e anche un po' imbarazzato,
forse- «Sembra che hai visto un fantasma!»
Jay batté le palpebre, ancora troppo coinvolto per cogliere
la battuta.
«Già, un fantasma...» rispose senza
allegria.
Archie strinse le labbra in una smorfia giocosa e gli diede una sonora
pacca sulla spalla. «Sei... non so, diverso!»
«Tu sei sempre lo stesso idiota di sempre, invece!»
lo
rimbeccò Jay aprendosi in un sorriso felice, allungando una
mano
per prendere una delle valige del fratello, grato di poter godere
ancora di quei momenti.
Fanculo il sogno,
pensò
con rabbia mentre attraversavano la sala d'aspetto illuminata a giorno,
con la voce di donna che riecheggiava tra le pareti bianche comunicando
in tutte le lingue del mondo "Benvenuti in Texas".
*
Jay era molto più tranquillo quando lui e Archie caricarono
i bagagli del secondo sull'Alfa Romeo.
Sorrise alle battute del fratello e gli fece perfino qualche domanda,
distrattamente, mentre metteva in moto e sgommava per le strade della
sua città, diretto al
Caffé d'Europe, tappa necessaria secondo la
mappa della loro tradizione.
E veramente era tornato ad essere il ragazzo spensierato di sempre
-facendo dannare il povero fratellino con battutine a doppio senso e
sorrisi maliziosi- mentre cercavano un posto nel noto bar e si
accomodavano in quello più periferico, con spifferi d'aria
tiepida provenienti dall'esterno, scorrendo i menù alla
ricerca
del dolce più invitante tra quelli proposti.
Ma fu quando Jay scorse il volto delle cameriere, che qualcosa si
spezzò in quella calma perfetta, che gli fece venire la
pelle
d'oca e un senso di smarrimento e di paura mai provato prima.
«Possiamo aiutarvi?» cinguettò la
cameriera chiamata
Bonnie, con aria solare. Al suo fianco la biondina col cartellino che
recitava "Naomi" tirò fuori il suo block notes, disponibile
ma
lievemente annoiata.
Il maggiore dei Denver agghiacciò, incapace di distogliere
lo sguardo da quelle cameriere, sconvolto.
«Oooh, Jay!» lo richiamò Archie
stimolandogli un braccio «stanno parlando con te.»
Jay deglutì più di una volta, sentendo la gola
arida e
secca, ma quando aprì bocca per parlare gli uscì
solo un
suono indistinto.
Provò a schiarirsela, ma il freddo improvviso che sentiva
gli impedì di articolare una parola di senso compiuto.
«Ho capito, inizio io...» risolse Archie, con un
sorrisetto, per poi rivolgersi alle cameriere, pacato e timido.
«Un the e una fetta di torta al...»
«Pistacchio.» concluse per lui Jay, con lo sguardo
perso nel vuoto e lo stomaco chiuso.
Archie richiuse la bocca, gettandogli un'occhiata sorpresa.
«Emh... sì.» confermò,
attonito.
Jay non replicò; si limitò a passarsi una mano
sulla
fronte, e poi sui capelli, adesso seriamente allarmato. Tutto stava
accadendo esattamente come nel sogno, e ciò significava
che...
Oh no, no, no, non
può essere possibile, non... non può.
Rialzò un paio di occhi lucidi all'indirizzo del fratello:
non avrebbe sopportato di perderlo. Non di nuovo.
Più tardi le cameriere si allontanarono con le ordinazioni,
lasciandoli soli al tavolo: Jay giocherellava con i tovaglioli con aria
pensierosa e Archie lo studiava perplesso.
«Jay? Tutto okay?» si decise a chiedergli infine.
«Meravigliosamente.» replicò seccamente
l'altro,
appallottolando un tovagliolino di carta con le dita. Sentì
lo
sguardo di Archie perforagli la nuca e deglutì, sperando che
il
magone all'altezza dello stomaco sparisse presto.
«Non ne sarei così convinto. Sei
pallido.»
osservò Archie. «E silenzioso. E tu non sei mai
silenzioso, non è un aggettivo che ti si addice. E' successo
qualcosa?»
«Perché se sto zitto è sintomo di guai,
per te?» volle informarsi Jay.
Archie ridacchiò brevemente.
«Tu che stai zitto è come vedere mamma sposarsi
con
Bill.» replicò, incrociando le braccia al petto.
Alzò le sopracciglia. «Insomma, che
succede?»
insistette.
Ecco, cosa stava succedendo? Quella era davvero una bella domanda.
Era come se tutte le sue convinzioni, quelle che aveva faticosamente
raggranellato in tutto l'arco della mattinata, si stessero sgretolando
tra le sue dita. Ecco che diamine stava succedendo.
Naturalmente non disse nulla, limitandosi ad alzare le spalle, mentre
Naomi li serviva per poi dirigersi verso il tavolo dei signori anziani
del suo sogno.
Affondò svogliatamente la forchetta nella torta di mele,
mentre
Archie lo fissava sempre più preoccupato nascondendo le sue
occhiate, ben sapendo che avrebbero solo peggiorato la situazione,
dietro un sorso di the e un morso alla sua torta. Il silenzio era teso,
pesante: Jay si sentiva come in attesa di qualcosa di inevitabile.
Una conferma.
E quando Jules Starks e Beatrix Lowell entrarono nel locale
accompagnate dal loro amico, Jay ebbe la sua fottutissima conferma.
Impallidì fissandole, mentre si sedevano, con lo stesso
sguardo
che avrebbe riservato a uno zombie in cerca di cervelli da azzannare.
«Eih, guarda, ma quelle non sono...»
iniziò Archie, ispirato.
Il fratello posò con un po' troppa forza la forchetta nel
piatto.
«Jay?» lo richiamò Archie,
preoccupatissimo.
«Non mi sento bene.» spiegò seccamente,
mettendo sul tavolo delle banconote.
Tanto per quel giorno la colazione sarebbe saltata, se lo sentiva.
«Ma... aspetta Jay! La colazione? E la torta
per
mamma? Ma sopratutto, non eri tu che volevi chiedere loro l'autografo
da una vita?» fece Archie, stranito.
«Cioè, adesso
hai l'occasione di...»
Il maggiore scosse il capo, dirigendosi frettolosamente verso l'uscita.
Aveva la consapevolezza che dietro quel sogno si nascondesse qualcosa:
ma cosa, esattamente, non avrebbe saputo, né voluto dirlo.
«La compro da un'altra parte» ribatté
spiccio, tanto per dargli conto.
Poi uscì, senza un'altra parola: aveva come l'impressione
che
per quel giorno le cose non sarebbero andate come aveva previsto in
quei sei lunghissimi mesi di lontananza da suo fratello.
To be continued
~
Next >> Capitolo 6
«Archie?»
«Mmm?» il fratellino tornò a guardarlo,
svogliato.
«Ti è mai capitato...» si
sentì idiota subito
dopo averlo detto, ma a quel punto non poteva tirarsi indietro. Peggio
di così non poteva andare, quanto valeva continuare:
perciò prese una boccata d'aria. «Sì,
insomma, hai
mai fatto un sogno che sembrasse... reale?»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed a tutti,
lettori! ^^
Lo scorso capitolo ha
suscitato qualche dissapore, eh?XD Diciamo che abbiamo ricevuto QUALCHE
minaccia di morte °° *si guarda furtivamente intorno*
Archie è
vivo, ma chi ha capito cosa è successo alzi la mano o lo
scriva in recensione che fa lo stesso xD
Il nostro Jay ha aperto
gli occhi in un mondo non proprio fatto di unicorni e nuvolette rosa!
Come si comporterà secondo voi? Io vi consiglierei di tenere
una scatola di fazzoletti sempre accanto a voi se volete continuare a
leggere senza allagare casa XD
Vabbè senza esagerare, mica è tutto
così negativo! >> Allora, lettori,
che dire di questo capitolo? Ci auguriamo che il sollievo di Jay nel
riabbracciare il fratello sia lo stesso provato da voi nello scoprire
che è ancora vivo.
Di sicuro io e la mia collega ci immedesimiamo perfettamente nel
maggiore dei denver :)
Si ma povero Jay, ci
odierà! D:
Ringraziamo chi legge e
basta, chi ci segue su facebook e chi ci apprezza e ci riempe di
complimenti *w* [ci sciogliamo ogni voltaaa
ç/////ç]
Ma ringraziamo anche chi recensisce, quindi offriamo un pegno di pace a
Halo J Phoenix,
valentinamiky,
La sposa di Ade
(a te offriamo anche una radiolina in omaggio <3), mizuki95, R o w e (abbiamo
provato a seguire i tuoi consigli, anche se i trattini sono parte
integrante del nostro stile e quindi li lasceremo ;) ), ShadeFlash e I am a Supernatural fan
(ci fai arrossire!)
Ragazzi, siamo felici
che questa storia vi piaccia!^^
Risponderemo prestissimo ai commenti, probabilmente stasera stessa! La
mia collega ha finito di scrivere insieme a me lo spazio autrici e poi
è dovuta andare, e siccome le risposte le scriviamo insieme,
dovrete pazientare solo un pochino! :)
Volevo aggiungere anche -e più che altro è un
consiglio-: guardate le immagini e le gif che postiamo. Non sono mai
inutili (specialmente le seconde) e serve per rendere i nostri
personaggi più reali, quasi in... 3D, ecco :D
Per vedere gli altri collage realizzati da me (Lady Holmes) e dalla mia
collega (Miss Watson) vi invogliamo a mettere "mi piace" alla nostra
pagina su Timeless, dove potrete seguire in diretta i nostri scleri,
gli aggiornamenti, degli spoiler e delle curiosità esclusivi
:)
Qui il link: https://www.facebook.com/pages/Timeless/182176118576389
Per tutto il resto... alla prossima! :D
P.S: FORZA ITALIA!
***
1. Archie e Jay al Caffé d'Europe
[Collage fatto personalmente da Lady Holmes]:
2. Bill [una foto a
capitolo leva il medico di torno^^]:
3. Jay (quanto è
tenero *__*):
4. Archie (che tenta di propinare al fratello musica diversa?):
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM
1. Jay spaventato che chiama
Archie al cellulare, subito dopo essersi "svegliato":
2. L'abbraccio tra Jay e Archie
in aereoporto T____T:
2. L'espressione da cucciolo di cane di
Archie:
|
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Capitolo 7 *** 6. ***
Timeless 6
Capitolo
6
Il motore della
macchina ruggiva ogni volta che Jay premeva l'acceleratore, e
già solo il fatto di poterlo sentire fece corrugare la
fronte di Archie.
«Mi spieghi che sta succedendo?»
«Cosa?» chiese Jay disattento, senza staccare gli
occhi dalla strada.
«Tu.» Archie si grattò un sopracciglio,
scoccandogli un'occhiata da sotto la frangetta.
«Sì, insomma, che ti prende?»
«Nulla» rispose forse troppo in fretta Jay.
«Perché?»
«Beh, tanto per iniziare: da quando non ascolti radio
Hourglass e non sbavi come una ragazzina per le voci delle speakers? O
non ti tiri i capelli quando le vedi, urlando che desideri come un
ossesso il loro autografo, perché te le sogni praticamente
ogni notte?»
Jay fece una risatina, ma si disperse subito dopo, superata dal rumore
delle ruote che sfrecciavano sull'asfalto. «Vuoi che accendo
la radio?» volle rabbonirlo poi, e senza aspettare risposta
premette il bottone. Non si sorprese nemmeno quando nell'abitacolo si
diffusero le note di Hold
the Line.
«Oh, i Toto» commentò Archie allegro
«Ricordo che una volta, da ragazzino, avevi inserito un loro
CD nello stereo di mamma e alzato il volume al massimo, facendo
svegliare di soprassalto Max.»
Max era stato il loro cane molti anni prima: un Golden Retriever beige dal pelo morbido e setoso, che suo padre aveva regalato a lui e Archie per Natale quando Jay aveva otto anni e il fratellino appena quattro. Era morto quando Archie frequentava il
penultimo anno di liceo, e da quel momento Susan non aveva
più voluto animali.
«Già, Max... bei tempi, quelli.»
«Da quando sei tanto nostalgico?»
«E tu da quando sei così pedante?»
«Ecco, adesso ti riconosco!» sorrise Archie,
più rilassato. Ma il silenzio che ne seguì fu
forse ancora più ingombrante del precedente.
Gli occhi di Archie gli bruciavano la nuca ma Jay non ci fece
nemmeno tanto caso: lo sguardo puntato sull'asfalto, le mani che pigre
spostavano il volante. Tutto il suo dinamismo si svolgeva nella mente.
«So che non ami parlare di te...» iniziò
Archie, e Jay sospirò, comprendendo che l'unico modo per
farlo tacere era assecondarlo.
«Ma sai, comincio a preoccuparmi... insomma tu che non canti,
che non balli e che non ti godi la musica? Sembra quasi che tu abbia
subìto un trauma o una cosa del genere.»
«Sto bene, Archie, sul serio.»
«Sì ma...»
«Non c'è niente di cui preoccuparsi, davvero,
è tutto okay.» Jay provò un sorriso ma
Archie, com'era da aspettarselo, non gli credette.
«Mi auguro per te che sia così.»
Jay tacque per un po', occhieggiando il fratello, e chiedendosi se
fosse opportuno metterlo al corrente o no di quello che sarebbe
successo. Del resto, se come stava in effetti avvenendo tutto si
ripeteva, poteva ancora salvarlo.
«Archie?»
«Mmm?» il fratellino tornò a guardarlo,
svogliato.
«Ti è mai capitato...» si
sentì idiota subito dopo averlo detto, ma a quel punto non
poteva tirarsi indietro. Peggio di così non poteva andare,
quanto valeva continuare: perciò prese una boccata d'aria.
«Sì, insomma, hai mai fatto un sogno che
sembrasse... reale?»
Si sorprese di come il suo cuore rombasse contro le costole, mentre
aspettava ansiosamente una risposta. Si rese conto in quel frangente di
quanto realmente fosse smarrito e spaventato.
«Reale?» ripeté Archie, sollevando le
sopracciglia.
«Sì, reale.» confermò Jay,
con urgenza «Nitido, vivido, vero.»
«Beh, può capitare a volte di fare sogni
così.» proseguì diplomaticamente il
minore dei Denver, dando di nuovo sfogo alla sua vena secchiona alla
presentatore di Super Quark. «Ci sono volte in cui sogni e
sai di star sognando, e altre in cui, al contrario, ti svegli e non
riesci a credere che quello che hai visto possa essere stato solo un
sogno.»
«Esatto!» si aggregò Jay, ispirato,
battendo una mano sul volante.
«E' assolutamente normale.» Archie tacque per un
momento, e quando riprese la sua voce aveva assunto una sfumatura
divertita. «Ma perché mi chiedi...»
«E tu credi nei sogni premonitori?»
«Hai fatto un sogno del genere?» Archie adesso
sorrideva apertamente, e Jay tramontò gli occhi al cielo.
Pessima, davvero pessima idea essersi esposto a tal punto.
«Io non...» cercò di rimediare, ma ormai
era troppo tardi. L'abitacolo si riempì della risata
cristallina di Archie. «Ho un fratello profeta!»
«Cretino.» borbottò Jay cupo, mentre
Archie si asciugava gli occhi.
«Questa mi è nuova... che sogno era?»
«Lasciamo stare.»
«Per questo oggi sei così strano?»
Jay non rispose e Archie strinse le labbra, in quel modo
così tipico di lui, che inavvertitamente gli faceva gonfiare
le guance, e che lo faceva assomigliare irrimediabilmente ad un
cucciolo di cane.
«Eih, Jay, gir-» Archie tacque, quando Jay
svoltò a destra come se fosse la cosa più normale
del mondo.
Boccheggiò perplesso, poi gli rivolse un'occhiata sarcastica.
«Che c'è?»
«Non hai mai fatto questa strada prima, come facevi a...
insomma, sai
dov'è casa di Gwen?»
Jay impallidì, battendo le palpebre, poi lasciò
vagare gli occhi intorno e scrollò le spalle stampandosi in
faccia l'espressione più ingenua e spaesata del suo
repertorio. «No, perché?»
«Hai... girato senza che te l'avessi suggerito»
rispose Archie, ancora confuso, per poi agitare una mano come per
dimenticare l'accaduto. «Ah, lasciamo perdere... piuttosto,
il sogno?»
Jay posteggiò, curandosi di non calcolare il fratello, e
quando la macchina si arrestò gli regalò un pugno
giocoso sull'avambraccio.
«Smettila di fare domande e vai dalla tua ragazza!»
«Guarda che non finisce qui.» replicò
Archie con un broncio ironico. Jay si concesse una risatina, poi
lasciò correre una mano sui suoi capelli ricci,
scompigliandoli ancora di più.
Archie provò a ritrarsi dal suo tocco, con mugolii di
protesta, e finalmente gli afferrò il polso, scostandoselo,
e si passò veloce le mani sulla chioma per provare a
disciplinarla.
«Ti odio!»
«So che mi ami, baby.»
«Stronzo.» concluse Archie, per poi sorridere,
aprire lo sportello e uscire fuori. E mentre Jay lo seguiva con lo
sguardo, si lasciò ricadere contro il sedile della macchina,
una mano sullo sterzo e l'altra appoggiata al bordo del finestrino:
quello era suo fratello, e nessuno, nessuno, glielo avrebbe portato via. Fanculo anche al destino!
Anche se non poteva ignorare il fatto che le coincidenze continuavano a
ripetersi...
*
«Tesoro!» trillò Susan, allegra,
cingendolo con le braccia.
Jay ricambiò quell'abbraccio con affetto,
lasciando un bacio tra i capelli della donna: passò la torta
a Bill che, come nel sogno, con un cenno portò il pacco in
cucina.
«Ucci ucci sento odor di... lasagne?»
Susan si bloccò dall'abbracciare Archie e Bill lo
guardò corrucciato: la prima alzò appena un
sopracciglio, scrutandolo istupidita.
«Sei diventato un veggente, Jay?»
scherzò poi la donna, stringendo Archie e Gwen con lo stesso
ardore che avrebbe messo se fossero tornati dal Vietnam. Ma si sa, le
madri...
«Oh avanti, sono il mio piatto preferito!» si
schernì Jay, con una risata stridula.
Era come un'ennesima conferma.
Un'ennesima quanto crudele pugnalata al cuore.
«Era ovvio che tu le cucinassi, mamma! Non sai vivere senza
viziarmi.» finse di vantarsi, scatenando le risate di Gwen e
Susan.
Ma poté sentire distintamente gli occhi di Archie e Bill
perforarlo. Il primo preoccupato, il secondo sempre più
disorientato.
Il pranzo fu insolitamente tranquillo. Jay si limitò a
mangiare in silenzio, senza fare battutine imbarazzanti di sorta o
tentare in qualche modo di disturbare Gwen, cosa che fece sinceramente
insospettire Archie, Bill e Susan.
Gwen era davvero troppo ingenua per accorgersene, povera.
«Tesoro, stai bene?»
La voce di sua madre lo riscosse dalle sue fantasticherie mentre Jay
continuava a punzecchiare svogliatamente le proprie patate al forno.
Il ragazzo alzò lo sguardo sulla donna che lo squadrava
apprensiva e sforzò un sorriso.
«Certo mamma!» fece, posando la forchetta nel
piatto. «Penso di non avere tanta fame, però.
Scusatemi.»
Si alzò, dirigendosi verso l'esterno della casa: mentre si
chiudeva la porta alle spalle, tuttavia, si concesse di lanciare una
breve occhiata verso suo fratello che sussurrava qualcosa a Gwen.
Lo avrebbe salvato. Questa volta non sarebbe stato disposto a lasciarlo
andare.
Eppure, il destino sembrava deciso a non dargli conto.
Col fatto che tutto ciò che era avvenuto sembrata
ripercorrere per filo e per segno gli avvenimenti del sogno, Jay non si
aspettava che qualcosa potesse svolgersi diversamente: più
tardi, infatti, posteggiò vicino alla gelateria, e
ricordò a Gwen di riprendere il cellulare dimenticato in
macchina, supportato dalle occhiate interrogative e allibite dei due,
per rispondere con una semplice alzata di spalle. Forse avrebbe dovuto
essere più discreto ma non se la sentiva di rimuginarci su.
C'era qualcosa che mancava in tutto quello.
Un ultimo tassello...
Chiese a Gwen e Archie di andare avanti e si lasciò ricadere
contro il fianco della macchina, aspettando che il ragazzo contro cui
era andato a sbattere apparisse.
Il ragazzo però, non venne. Jay pazientò per una
buona mezz'ora prima di rendersi conto che era ridicolo, stare
lì appoggiato a una macchina che non era la sua ad attendere
una persona che non conosceva e che aveva visto solo in uno
stupidissimo sogno.
Certo, l'aver ricordato a Gwen il cellulare -così da non
essere costretto a tornare indietro per recuperarlo- gli aveva regalato
dei minuti di vantaggio, ma passati quelli, avrebbe dovuto scorgere il
ragazzo. E invece di lui non c'era traccia. Era troppo assurdo per
essere vero, nulla era cambiato dal sogno, ma allora...
Rassegnato si ficcò le mani in tasca e
s'incamminò verso la gelateria, soppesando se forse non si
fosse solo immaginato quell'incontro ravvicinato.
Ma non aveva tutta questa voglia di gelato a dire il vero.
«Questo va bene secondo te?»
«Mmmh» Jay gettò un'occhiata al grosso
uovo al cioccolato bianco esposto nella vetrina della pasticceria che
suo fratello stava indicando, e si limitò a scuotere il
capo. Non lo stava nemmeno ascoltando.
A parte quel dettaglio del ragazzo scomparso, il resto degli
avvenimenti si erano replicati esattamente come nel sogno, tanto che
Jay si era ritrovato ad anticipare a mente gran parte delle battute:
l'incontro con Bella fu sicuramente l'evento che meno di tutti avrebbe
voluto dover rivivere -insieme all'incidente di suo fratello, ma quello
lo avrebbe evitato a tutti i costi, poco ma sicuro-. Quanto mancava?
Qualche minuto, probabilmente. Avrebbe trovato quel bastardo e impedito
a suo fratello di attraversare la strada. Semplice, no?
Archie gli gettò un'occhiata esterrefatta e insieme,
sinceramente preoccupata.
«Jay?»
Oh no. Quel tono era segnale di una cosa sola: pericolo di un Archie in
modalità mamma chioccia.
Gli rivolse il suo sorriso più smagliante.
«Nocciolato» o forse era pralinato al nocciola?
Oh, al diavolo!
«Bill adora il nocciolato: e chi non ama il nocciolato? Sono
sicuro che ce ne darà un bel po', che uomo simpatico che
è, vero Archie? Pensavo di chiamarlo zio Bill, sempre che
poi non decida di staccarmi la testa dal collo ed usarla come pallone
da basket o in alternativa come altarino per le rondini.»
fece, parlando a macchinetta giusto per stordire il fratellino.
Varcarono la porta annunciati dall'allegro tintinnare della campanella
all'ingresso e, prevedibilmente, la commessa si avvicinò a
loro.
«No, non ci serve aiuto» l'anticipò Jay,
sorpassandola. La donna lo guardò stupita per un momento,
poi azzardò un sorriso timido e annuì volgendo
loro i tacchi. Archie seguì il fratello con le sopracciglia
aggrottate.
«Ma come facevi...»
«Ogni commessa te lo chiede, fratellino. ''Ha bisogno di
aiuto? Posso aiutarla? Oh per favore, si lasci aiutare!''»
cinguettò, imitando la voce di Bella. Archie non trattenne
un risolino e di riflesso anche Jay sorrise.
«Bene, compriamo quell'uovo e andiamocene. O come facciamo
poi a portare i bagagli da Gwen?» fece, amaro.
No, non gli interessava che Archie passasse le vacanze con Gwen. Non
era importante di fronte alla prospettiva di vederlo morire: certo,
restava la delusione alla bocca dello stomaco, l'amaro che non voleva
proprio saperne di scendere giù, la flebile speranza che per
una fottutissima volta Archie decidesse di tornare a essere quel
bambino che s'infilava sotto le coperte del suo letto alla ricerca di
protezione e lo stringeva forte quando un fulmine illuminava brevemente
il cielo.
Ma sarebbe stato così. Non poteva cambiarlo e nemmeno
sperare che decidesse di cambiare.
Il sorriso morì sulle labbra di Archie.
«Jay...»
«Tranquillo, ci sono abituato» si
schermì seccamente, afferrando l'uovo al nocciolato,
facendo per trascinarsi alla cassa. Sentì Archie afferrargli
il braccio e si costrinse a sorridergli.
In fondo era quello no? Jay che sorrideva, Jay che ripeteva che era
tutto apposto anche quando non era apposto un cazzo.
Tutti si aspettavano che sorridesse e basta, che si arrabbiasse per
qualsiasi cosa, che agisse d'impulso. Beh, non quella fottuta volta,
okay?
«Va tutto bene» si obbligò a
rassicurarlo. Gli scompigliò i capelli e si diresse alla
cassa per pagare l'uovo, sentendo lo sguardo di suo fratello seguirlo,
teso.
Quando furono usciti Jay camminò in silenzio accanto a un
preoccupato Archie, l'uovo sottobraccio e gli occhi bassi. No, non
aveva nessuna intenzione di parlarne perché no, non
avrebbero risolto nulla: Archie se ne sarebbe fatto una ragione e
basta. Magari un giorno gli avrebbe raccontato del perché
fosse stato così strano tutta quella giornata ma al momento
sentiva che fosse meglio tenere la questione per sé.
«Carità per favore...»
Il silenzio venne interrotto dal tintinnare del barattolo di latta del
barbone: senza pensarci due volte Jay infilò in esso una
banconota da venti dollari, imitato da Archie e passò
avanti, presto raggiunto dal fratello, accompagnato dai ringraziamenti
euforici dell'uomo vestito di stracci.
Archie gli afferrò il braccio.
«Jay...»
«Sto bene» disse bruscamente. Archie
affilò lo sguardo, due lame che lo oltrepassarono da parte a
parte.
«Stai bene un cazzo, Jay.»
Il nostro eroe si voltò a guardare suo fratello con aria
decisamente sconvolta. Era la prima volta che sentiva Archie imprecare
in quella maniera e chissà perché la cosa lo fece
sorridere.
Archie sorrise a sua volta, un sorriso dolce e spontaneo che fece
scattare in Jay qualcosa di simile alla tenerezza: attirò a
se il fratello in uno di quegli abbracci spacca costole che erano
così poco frequenti tra loro e affondò il naso
tra i suoi ricci scuri.
«Ti voglio bene. Non importa che scelte farai o se bevi il
the alle cinque. Ti voglio bene e sono orgoglioso di te, ricordatelo
sempre.» gli sussurrò.
Archie ridacchiò contro il suo collo, dandogli uno
scappellotto.
«Perché sei così sentimentale, oggi?
Hai le tue cose?» lo prese in giro.
Divertito Jay gli stampò per vendetta un bavoso bacio sulla
fronte e Archie fece un saltello all'indietro strofinandosi il punto
offeso con forza.
«Jay!» lo rimproverò. L'altro fece
spallucce, ghignando.
«Se fai il cazzone mentre io mi dichiaro non è
mica colpa mia.» ribatté Jay, scompigliandogli i
capelli.«Andiamo, stasera ti offro la cena. Niente impegni,
eh... non pretendo che tu venga a letto con me, dopo.»
Archie lo guardò scandalizzato, dandogli una gomitata sugli
stinchi che ebbe il potere di far piegare Jay dalle risate.
«Smettila di ridere o...» Archie gli
gettò un'occhiata divertita. «Jay! Smettila, sto
facendo sul serio!»
«Tu fai sempre sul serio, fratellino. Ma dimmi dimmi, chi
è l'uomo tra te e Gwen? Perché beh, proprio tu
non mi sembr...»
«Jay!Ti consiglio di correre, ora!»
«Uh che paura» lo beffeggiò Jay. Ma
stette al gioco e si mise a correre, inseguito dalla risata del
fratello minore. Era una scena, quella, che lo riportava a quando era
lui ad occuparsi di Archie, a farlo giocare, ad aiutarlo coi compiti..
E pensare che gli aveva dato dritte per conquistare Gwen!
Corse con quanto fiato aveva, il cuore che batteva impazzito dentro la
cassa toracica: poteva farcela, poteva salvare Archie e riportare il
loro rapporto a quello di un tempo. Per lui avrebbe accettato anche di
fare il testimone alle sue nozze con Gwen, avrebbe...
Attraversò la strada.
C'è un momento, nella vita di ogni uomo, in cui il tempo
rallenta piano, come un fiume il cui corso è stato
bruscamente interrotto.
C'è un momento nella vita di ogni uomo, in cui il suo cuore
si dilania inesorabilmente.
Jay avvertì il suono prolungato di un clacson, lo strisciare
delle gomme, con l'orrore che si irradiava nel suo petto come una
ragnatela gelata.
Eppure era sicuro... sicuro di essere in anticipo! Non era ancora
giunto il momento, non...
Si voltò.
Una macchina -un pic-up di un azzurro cupo e scolorito- procedeva
spedita verso Archie che, intento com'era a correre, non se n'era reso
conto e alzava una mano verso di lui, il sorriso felice in volto come
quello di un bambino.
Come quando lo andava a prendere all'uscita della scuola, ai primi anni
delle elementari, e lui gli correva incontro per farsi notare, per poi
saltargli in braccio e raccontargli la sua giornata da cima a fondo.
«Archie!» urlò. «ARCHIE,
LEVATI DA LI'!» si sentiva esattamente come se la
disperazione e il terrore avessero sostituito il sangue che avrebbe
dovuto normalmente circolare nel suo corpo. Scattò quando
vide Archie fermo, l'espressione piena di paura e sciocco sbalordimento
mentre fissava quella macchina che gli veniva incontro a tutta
velocità.
Si scagliò su di lui con tutto il suo peso e lo
schiacciò a terra, gli occhi chiusi e il respiro a mille. Il
pick-up sterzò, poi ne seguì uno schianto.
E finalmente Jay si concesse di aprire gli occhi, tra la polvere e il
fumo, buttando giù l'aria che aveva trattenuto per tutto
quel tempo.
«Hai visto, Archie? Ce l'abbiamo fatta,
l'abbiamo...» iniziò con una risatina carica di
sollievo, ma ciò che vide gli congelò il sorriso
sulle labbra e fece sì che il suo cuore quasi si spezzasse.
Archie era steso sotto di lui, l'espressione perfettamente congelata in
quell'ultimo instante di terrore. E il sangue scorreva tra i suoi
riccioli, sulle mani di Jay: perché Archie aveva sbattuto la
testa contro il marciapiede, morendo quasi senza rendersene conto.
Lo guardò per un attimo, con il corpo di suo fratello tra le
braccia, sporco del sangue che continuava a scendere dalla ferita
aperta e circondato dai sussurri della gente che gli chiedevano di
lasciarlo andare.
Era sordo, reso quasi cieco dal dolore e dal senso di colpa.
Non ce l'aveva fatta...
Archie era morto... di nuovo.
Definitivamente.
Il suo fratellino...
Vide il medico, o almeno quello che ricordò essere tale,
prendere il telefono, ma non gl'importò.
Si rese conto di stare piangendo quando vide la camicia di Archie che
iniziava a bagnarsi di piccole goccioline d'acqua. Si passò
una mano sulla guancia umida, sporcandosela anche di sangue.
Cullava Archie, canticchiando Hey Jude* dei
Beatles, perché era la ninna nanna che gli piaceva da
bambino. Scioccamente era convinto che bastasse questo a farlo
svegliare, anche se razionalmente sapeva che Archie non si sarebbe
più svegliato...
«M-mi dispiace.» singhiozzò
«Mi dispiace. Mi dispiace A-archie, mi dispiace fratellino...
io non... non volevo! Lo sapevo e n-non ho potuto... non ho potuto fare
nulla!»
Lo strinse come qualche minuto prima, il naso tra i suoi riccioli
sporchi di sangue.
«Mi dispiace...» ripeté come un mantra,
baciandogli la fronte, frammezzando quelle due parole con Hey Jude,
singhiozzando le strofe contro la pelle di suo fratello.
«Hey Jude d-don’t make it bad... take a sad s-song
and make it better, r-remember...» tirò su col
naso, con voce spezzata «to let her into your
h-heart...»
Archie non ascoltava più la sua voce cantare come un tempo.
Ed era colpa sua. Era morto... Archie era morto e lui non aveva fatto
niente per impedirlo perché aggrappato al sorriso di suo
fratello, così felice per un fottuto momento da non
ricordarsi, egoisticamente, di altro.
«...then you... you can start to m-make it better. Hey Jude
don’t be a-afraid, you-... were made t-to go out and get
h-her...»
La campana suonava, tutto si confondeva in quelle ultime note...
Fu come se improvvisamente Jay venisse risucchiato via, il corpo di
Archie diventasse un puntino sempre più lontano,
strappatogli via, con la forza.
You don't need money,
don't take fame
Don't need no credit
card to ride this train
It's strong and it's
sudden and it's cruel sometimes
But it might just save
your life
That's the power of love
That's the power of love
E Jay si alzò a sedere di botto, col fiato corto, gli occhi
pieni di lacrime e la fronte sudata.
*https://www.youtube.com/watch?v=CfTrthOpKCA
[T___T]
To be continued
~
Next >> Capitolo 7
«Dov'è Archie?»
«Archie?»
«Perché mi hai riportato indietro?!» Jay
non si accorse nemmeno della lacrima che gli era sfuggita dalla
palpebra destra, e prima che l'uomo potesse fargli domande indiscrete
se la asciugò con la manica della giacca.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti,
lettori! ç____ç
Io proprio non ce la
faccio.
Mi dispiace, non posso.
Non per pigrizia, nè per chissà che altro ma..
Non posso proprio.
L'ultima scena mi ha
fatto piangere mentre la scrivevamo. E' come vedere il proprio figlio
morire e accorgersi che non si può fare nulla per salvarlo...
Lo so, non sono nessuno per fare questi paragoni ma..ma..ma..
*Miss Watson scoppia a piangere* Oddio, è così
triste!
Maddai, su *Lady Holmes passa un fazzoletto* Beh
sì, povero Jay e povero, soprattutto, Archie... che destino
crudele essere i personaggi di una nostra storia! T_T
Avere a che fare con la nostra crudeltà, anche se... noi li
amiamo. Più amiamo un personaggio più questi deve
soffrire: è il nostro modo di dimostrargli l'affetto, vero
collega? >>
*Miss Watson si soffia il naso* Poveri cari, ma certo che li amiamo!
Beh... a modo nostro °°
Comunque ci auguriamo che anche questo capitolo vi sia
piaciuto, e che il finale vi abbia, se non resi dei killer con istinti
omicidi verso di noi, per lo meno perplessi. Tranquilli che le cose
ormai si stanno per, come dire, concludere... non vi terremo in sospeso
in eterno v.v
Ahem... Io non ci punterei LOL
Concludere la PRESENTAZIONE, intendo v.v la storia vera e
propria deve ancora iniziare LoL
Abbandonando gli occhi rossi e i pianti insterici da mamma *Miss Watson
getta via il fazzolettino* Ringraziamo voi fedeli ( e ingenui) lettori
per seguirci con così tanta costanza ^^
Quoto! Ringraziamo particolarmente coloro che hanno recensito lo scorso
capitolo: Halo J Phoenix,
La sposa di Ade,
I am a Supernatural fan
e mizuki95
*___*
Spargiamo ammmore e
torte per voi **
E ricordate -anche per rimediare allo scorso capitolo dove abbiamo
dimenticato questa parte fondamentale-: la
musica è la voce dell'anima!! v.v
Spero se lo ricordi
anche Jay prima di strozzarci...
Aaaah non credi che stia già soffrendo abbastanza il
poveretto? Lascialo riprendersi, almeno! T__T
Io preparerei la difesa.. Ma alla prossima carissimi! :D
Già alla prossima! Sperando che mi carica sta
cacchio di gif!! :D *Lady Holmes disperata che sta odiando tinypic*
MEZZ'ORA PIU' TARDI:
Sìììì siamo riuscite a mettere la gif!!
*///////* °dopo almeno venti tentativi dal suo computer, notando
che la gif proprio non voleva saperne di inserirsi in tinypic, Lady
Holmes l'ha mandava a Miss Watson, che ha risolto il problema°
Scusate, sono troppo contenta, che faticaccia sta gif! Colpa sua se
abbiamo ritardato con l'aggiornamento v.v datele la colpa, è la
terza della Rubrica "Gif a Random" xD In ogni caso, alla prossima! *-*
***
1. Max [il Golden Retriever di
Jay e Archie]:
2. Jay disperato [ma quanto
cacchio lo facciamo soffrire?! ç___ç]:
3. Susan:
4. Archie:
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM
1. Archie annoiato in macchina:
2. Jay che usa il volante come
tamburo durante Hold The Line [Spiegata la reazione di Archie nella
prima gif xD]:
3. Jay affranto al vedere il
fratellino morire di nuovo [ç__ç]:
|
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Capitolo 8 *** 7. ***
Timeless 7
Buonasera
fan, qui è Lady Holmes che vi parla! Mentre la mia collega
scrive una scena del capitolo 8, io vi avverto di tre cosette. Prima:
questo capitolo è molto lungo, non so se la cosa vi possa
dispiacere o compiacere. Seconda: sembra inutile dirlo, del resto se
siete arrivati fino a qui conoscerete benissimo il nostro protagonista.
Ma in ogni caso mi sembra giusto avvertirvi: specialmente questo
capitolo è ricco di parolacce. Turpiloquio
e Jay vanno molto d'accordo, e questo lo sapevate v.v
La terza è una domanda: bene, sappiate che a primo impatto
io e la mia collega abbiamo scelto la sezione fantasy per questa
storia, ma poi ci siamo accorte che, porco Caspian, esiste anche la
"soprannaturale/Angeli e demoni" e beh, sembra più indicata.
Ora, ci sembrava necessario chiedere il vostro parere a riguardo:
insomma la spostiamo o no? A noi non cambia niente, ma non vorremmo
lasciarvi brutte sorprese, come dire, che non trovate più la
storia nella sezione fantasy, ecco >> Noi vi abbiamo
avvertito, a voi la risposta :D E adesso basta rompervi le
palle, ecco il capitolo! Buona lettura! :)
Capitolo 7
Rimase
qualche secondo fermo in quella posizione, poi corse giù dal
letto e si diresse in bagno, vomitando anche l'anima con la testa che
gli girava, le mani tremanti e gli occhi lucidi.
Era scombussolato ed esausto, e il cuore non voleva saperne di
rallentare i battiti. Si aggrappò letteralmente al bordo del
lavandino, prendendo grandi boccate di ossigeno, e si
sciacquò la bocca per diversi minuti.
Quando finalmente alzò gli occhi sullo specchio, il ragazzo
che gli ricambiò l'occhiata era pallido, coi capelli
stravolti e una sorda paura in fondo alle pupille. Si passò
le dita ancora bagnate sulle palpebre, per rianimarsi, e alla fine non
seppe più distinguere le lacrime dalle gocce d'acqua.
Okay, è tutto
finito, tutto finito. Continuava a ripetersi.
Si sentiva uno straccio, e non voleva, non voleva assolutamente
pensare a tutto quel sangue intorno al corpo di suo fratello.
Si liberò dei vestiti in fretta e furia, e si
infilò sotto il getto caldo della doccia, lasciando ricadere
la schiena contro un lato del box, mentre l'acqua bollente gli scorreva
sulle scapole e tra i capelli.
Chiuse gli occhi e ispirò, battendo un pugno sul muro dietro
di sé, e poi un altro, e un altro ancora,
ringhiando tutto il dolore e la disperazione.
O stava diventando completamente pazzo o suo fratello era morto. Di nuovo.
E nessuna delle due ipotesi era accettabile.
Cosa ricordava del giorno prima? Forse era svenuto, anzi sicuramente era
svenuto... e probabilmente Bill l'aveva riportato a casa.
Ed Archie era morto.
Nonostante avesse già previsto la sua morte, non era stato
in grado di salvarlo. Aveva fallito.
Aveva ucciso Archie, non era stato in grado di prendersi cura di lui.
Con un fortissimo senso di nausea si asciugò e si
rivestì con gli stessi abiti del giorno prima -chi cazzo se
ne fregava della moda!- e corse fuori lasciando praticamente la porta
aperta e la radio accesa, che continuava a trasmettere i discorsi delle
due speakers di radio Hourglass.
Nell'emergere così di fretta nel corridoio si
ritrovò a travolgere letteralmente la signora Mao. Jay si
allungò in tempo per evitarle una caduta, poi la sommerse di
scuse e scappò via, col cuore in tumulto.
L'anziana vicina non replicò, e nemmeno Guirao quando
raggiunse il portone d'ingresso. Forse avevano scorto la sua
espressione sconcertata e gli occhi lucidi, e avevano preferito tenere
le proprie considerazioni per sé.
Jay attraversò le strade senza curarsi dei clacson e delle
macchine che frenavano di colpo, e si ritrovò addirittura a
fermarne una con entrambe le mani, graffiandosi anche. Si
premurò di insultare il guidatore -stava troppo male per
essere gentile- e quasi ebbe un sussulto quando raggiunse la
saracinesca.
La alzò con un movimento secco del piede e si
infilò dentro, ruggendo.
«BILL!»
Qualcosa si mosse in un punto imprecisato sotto la macchina rossa posta
a pochi metri dall'ingresso e da un carrellino venne fuori la figura
macchiata di Bill, circondata da un ventaglio di chiavi inglesi
insozzate di olio.
«Ma ti hanno insegnato l'educazione? Che si urla
così?!» lo redarguì l'uomo,
sistemandosi il cappellino e rimettendosi in piedi mentre Jay, col
fiato corto, lo raggiungeva e gli afferrava i lembi della giacca
imbottita.
«Dov'è Archie?»
«Archie?»
«Perché mi hai riportato indietro?!» Jay
non si accorse nemmeno della lacrima che gli era sfuggita dalla
palpebra destra, e prima che l'uomo potesse fargli domande indiscrete
se la asciugò con la manica della giacca.
«Ragazzo, che ti succede?» Bill aveva abbandonato
il tono burbero, sostituito da uno apprensivo.
«Stai...»
«Dove diamine è Archie?!»
urlò, fuori di sé, e quando l'uomo non rispose,
limitandosi a battere le palpebre e a richiamarlo, Jay batté
i palmi sul tavolo, con una bestemmia. In quel frangente si accorse del
giornale ripiegato. Lo afferrò immediatamente, scorrendo le
notizie e il necrologio: non trovò il nome del fratello da
nessuna parte. Perplesso alzò gli occhi e lesse la data.
«Perché diavolo leggi il giornale di
ieri?»
«Di ieri?» Bill alzò un sopracciglio,
adesso seriamente preoccupato, avanzando qualche passo titubante verso
di lui. «Quello l'ho comprato stamattina.»
Jay rilassò i muscoli, guardandolo come se non riuscisse
realmente a vederlo. Deglutì, sentendo il nervosismo
crescere dentro di lui come una pianta rampicante irta di spine.
«No, Bill...» sussurrò, scuotendo la
testa e stringendo la mascella. «No, cazzo! Questo
è del 26 Marzo!»
«Appunto.»
«Fanculo!»
«Jay...?»
«IERI era il 26 Marzo!» continuò Jay,
con un tono piuttosto isterico.
«Sei esaurito, per caso?»
«CAZZO!» Jay buttò all'aria il giornale,
portandosi le mani tra i capelli e girando su se stesso, quasi non
volesse credere alle sue orecchie. Poi iniziò a ridere.
Bill era sconvolto. «Ragazzo, sul serio, forse hai bisogno di
dormire...»
«Bill, sto diventando pazzo!» spiegò Jay
con gli occhi lucidi ed una risata priva di allegria. Lasciò
ricadere le mani lungo i fianchi, umettandosi le labbra e continuando a
scuotere la testa. «Se tutto questo è un
fottutissimo scherzo giuro che vi prendo tutti a calci in
culo!»
«Di che diavolo stai parlando?»
«Ieri era giovedì!» Jay
allargò le braccia, nevrotico «L'altro ieri era
giovedì, e oggi
è giovedì pure! Ogni giorno è sempre
lo stesso
fottuto giorno!»
Bill abbandonò il cappello sul tavolo e si passò
un polso sulla fronte imperlata di sudore, studiando il giovane. Poi
sospirò. «Dio santo, Jay, mi stai facendo perdere
vent'anni di vita. Io credo che tu sia un po' confuso.»
«No, non sono confuso! Io sto diventando pazzo, Bill,
PAZZO!»
L'uomo lo guardò scettico.
«Sei indisposto per caso?» indagò,
pulendosi le mani su uno straccio. «Ragazzo, dovresti dormire
di più... non hai una bella cera!»
Esausto Jay si tirò i capelli corti via dalla fronte.
Indisposto? Si sentiva una donna incinta, altroché!
Va bene, possibilmente la prima volta aveva sognato tutto
quell'ambaradan. E poteva anche passare: un sogno strano capita a
tutti, no?
Ma sognare due volte la stessa cosa no. E c'era qualcosa di
assolutamente strano in tutto quello, nei giorni che si ripetevano,
nelle azioni che si svolgevano uguali sotto i suoi occhi: possibilmente
aveva urgente bisogno di caffeina.
O di una bella vacanza.
O magari tutte e due le cose insieme.
«Jay..»
Riscosso dalla voce di Bill Jay scrollò più e
più volte la testa e si diresse deciso verso la sua piccolina, sotto lo
sguardo preoccupato dell'uomo.
«Vado a prendere Archie.» dichiarò, infilandosi il casco.
«Ma... e Gwen?»
Giusto, Gwen. Beh...
«E chi se ne fotte!» ribatté con forza.
Mise in moto e partì sgommando.
L'aereoporto della città non era molto distante dal centro e
se poi quella distanza era colmata in moto il tempo che si impiegava
era davvero poco. Eppure a Jay sembrò di occupare secoli.
Parcheggiò precipitosamente, si tolse il casco, e corse
verso l'entrata dell'aereoporto, guardandosi in giro: si
affrettò verso il tabellone degli arrivi e lo
consultò velocemente, rilassandosi appena quando
scoprì che l'aereo di suo fratello non era ancora arrivato.
Bene, aveva tempo per riflettere.
Dunque, il 26 Marzo sembrava divertirsi a ritornare in salse diverse. O
era lui che cambiava gli eventi? Possibile, anche perché a
quel che pareva era l'unico che ricordava qualcosa.
Solo un evento sembrava inevitabile: la morte di suo fratello. Jay
deglutì, scacciando furiosamente l'immagine del corpo
immobile di Archie riverso sulla strada e circondato dal sangue.
No, non era decisamente il tempo per pensarci. Poteva impedirlo, doveva
assolutamente fare in modo che non succedesse nulla del genere.
Forse il fatto di aver preso la moto al posto dell'Alfa Romeo avrebbe
cambiato qualcosa... ma cosa di preciso Jay non avrebbe saputo e potuto
stabilirlo: aveva la mente piena di pensieri vorticosi che lo
confondevano e lo stordivano.
Delle hostess gli passarono accanto, ridacchiando e indicandolo tra
loro. Non le degnò di un'occhiata, dirigendosi verso il bar.
Aveva bisogno di cibo. E di una buona dose di caffeina.
Un hot dog, una tripla porzione di patatine fritte con maionese e due
tazze di caffè più tardi Jay A. Denver si
ritrovò sotto quel cartellone, di nuovo, mentre una voce
metallica annunciava che il volo AS987T proveniente da Londra era
appena atterrato.
Immaginò suo fratello scendere dall'aereo salutando
cortesemente le hostess, salendo sulla navetta che lo avrebbe portato
di fronte all'entrata dell'aereoporto per poi scendere anche da quella,
dirigersi verso il nastro delle valigie e attendere insieme a tanti
altri che queste venissero caricate: se lo prefigurò in
mente nell'atto di prendere la propria valigia e...
«JAY!»
Il suddetto si voltò di scatto e sorrise nel vedere Archie,
con gli stessi identici vestiti che gli aveva visto addosso per due
giorni, correre e salutarlo. Gli corse incontro e lo
abbracciò di slancio.
«Jay, non soffocarmi!» Archie lo prese a pugni
sulla schiena e il maggiore allentò la presa, accorgendosi
del colorito bluastro che la pelle del fratello aveva assunto. Ops.
«Scusa» ridacchiò un po' in imbarazzo.
«Archibald.» aggiunse maligno, scompigliandogli la
zazzera scura.
Il fratello lo guardò male.
«Idiota.»
«Secchione.»
«Demente.»
«Vecchietto.»
Archie replicò a quest'ultimo insulto con una smorfia e Jay
rise, scompigliandogli ancora i capelli, per poi prendere le valigie.
«Ho portato la moto.» fece allegramente.
«Quindi fratello, oggi niente pranzo da mamma, ti porto nel
migliore ristorante italiano della città. Chiama anche Gwen,
se ti va, anche se suppongo che sarebbe meglio che tu non lo
facessi...»
Archie lo guardò sconvolto.
«Non erano questi i piani per la giornata»
osservò.
In effetti quelli non erano mai stati i piani per la giornata, ma Jay
si limitò a sorridere.
«Ti fidi di me?»
«No.»
«Ragazzo cattivo!»
«Jay» cantilenò Archie, ed era sempre
sinonimo di guai «Che significa che non andiamo da mamma e
che non prendiamo Gwen?»
«Che non andiamo da mamma e non prendiamo Gwen»
rispose candidamente Jay, acciuffando una delle valige di Archie e
incamminandosi a passo spedito verso l'uscita, col fratellino che lo
tallonava a breve distanza. «E perché no? E' una
tradizione di famiglia il pranzo da mamma. E poi sono appena tornato, e
Gwen...»
«Una domanda per volta, fratellino» Jay si fece da
parte, reggendo la porta per farlo passare, ma Archie non sembrava
volerne sapere di uscire senza una spiegazione; così rimase
al suo fianco, con le braccia conserte.
«Si può sapere che sta succedendo?»
Jay portò finalmente gli occhi su di lui, con una smorfia
ironica. «Niente, cambio di programma, tutto qui. Mamma e
Gwen le potrai vedere domani, oggi sei mio.» gli fece
l'occhiolino e, notando che il fratello non sembrava intenzionato a
superarlo, affiorò all'aria aperta, senza curarsi di tenere la porta.
Archie fu costretto ad un balzo, frenandola con le mani, per impedire
alla porta a vetri di spaccargli il naso.
Borbottando qualcosa di imprecisato e massaggiandosi le nocche, con una
veloce corsetta lo raggiunse di nuovo, mentre la valigia gli
ballonzolava contro il fianco.
«Jay, che diavolo... mi vuoi spiegare?! Gwen è la
mia ragazza, e mamma l'ho sentita ieri al telefono. Sembrava tutto a
posto, non capisco perché...»
Jay cercò di mettere tra sé e il minore
più distanza possibile, ma mentre si dirigevano al
posteggio, sotto il sole battente, realizzò che non poteva
fuggire per sempre. L'incolumità di Archie era l'unica cosa
che avrebbe preservato quel giorno, anche a discapito di Susan e Gwen:
meglio avere con sé un fratello scostante e depresso che uno
morto.
E Archie si era quasi calmato, senonché, quando scorse il
mezzo di trasporto che li avrebbe riportati in città,
assunse un'espressione tra il sorpreso e l'offeso.
«Che c'è?» domandò Jay
sospettoso, senza voler realmente conoscere la risposta. Archie
dapprima gli lanciò uno sguardo significativo, poi
sospirò e allargò le braccia «Ma dico,
ti sei bevuto il cervello?»
Jay lo ignorò e saltò sul sellino, spolverando il
manubrio e ponendosi la valigia tra le scarpe.
«No, sono più un tipo da birra.»
Archie tramontò gli occhi al cielo, poi avanzò
fino a raggiungere la moto -o meglio, fino a poter guardare il fratello
in faccia, sebbene il maggiore cercasse di evitare in ogni maniera
possibile il suo sguardo-.
«E' per questo che non possiamo prendere Gwen e andare da
mamma? Per il tuo assurdo gusto di metterti al centro dell'attenzione e
guidare questa cavolo di moto?»
«Eih, non insultare la mia piccolina, è
sensibile!»
«Oh, per favore!» Archie iniziava seriamente a
perdere la pazienza «Andiamo, non posso credere che Bill non
avesse una macchina da prestarti!»
«Senti,» Jay lo incatenò con gli occhi
-doveva inventare una scusa, o suo fratello avrebbe pernottato in
aereoporto- «mamma mi ha telefonato questa mattina e si
è scusata mille volte, ma credeva che saresti tornato
domani. Di conseguenza ha spostato anche il pranzo. E Bill non era
all'officina, oggi. Non... non l'ho visto, già. La
saracinesca era...» si schiarì la gola,
chiedendosi se risultasse abbastanza credibile «era,
sì, era chiusa. E avevo posteggiato la moto fuori quindi ho
potuto usare solo questa. Se Gwen vuole venire con noi dovrà
prendere un taxi.»
«E se prendessimo noi
un taxi?» propose Archie, speranzoso.
«E lasciare qui la mia piccola? Non se ne parla!»
convinto di aver avuto la meglio Jay diede un colpetto sul sellino
«Monta, su, e non rompere le palle.»
«Che dolce.»
«Proprio come una torta al pistacchio
eh?» il sorriso di Jay però si smorzò
subito dopo, quando ricordò che all'incontro nel Caffè d'Europe
era seguita, qualche ora dopo, la morte di suo fratello.
Aspettò che l'altro lo seguisse, con la valigia dietro la
schiena, poi gli passò il casco e infilò il
proprio -solo perché Archie aveva iniziato a snocciolargli i
pericoli a cui un motociclista disattento e senza casco andava
incontro, con conseguenze disastrose tra cui un cranio perforato e
qualche vertebra del corpo che cambiava residenza- e infine mise in
moto, lasciando dietro di sé solo un nugolo di polvere.
Quel giorno non avrebbe commesso lo stesso errore: non si diresse al Caffè d'Europe,
ma ad un altro bar aperto da poco ma molto frequentato -la pasticceria
Carlisle, un locale che Bill gli aveva consigliato tempo addietro- dove
si premurò di ordinare dolci differenti a quelli che aveva
mangiato i due giorni precedenti, gioendo mentalmente quando il
cameriere annunciò ad Archie che la torta al pistacchio era
finita.
«Ah.»
Archie sbirciò il menù, un po' deluso.
«Però posso consigliarle un'ottima bavarese al
cioccolato.» si affrettò ad aggiungere il
cameriere. «Anche se la signora che si occupa della cucina
oggi non c'è posso assicurarle che la ragazza che la
sostituisce è bravissima.»
«Oh» il ragazzo gettò un'ultimo sguardo
al menù, poi annuì chiudendolo. «Vada
per la bavarese al cioccolato, allora.»
Il cameriere annuì, scrisse l'ordinazione e si
allontanò verso la cucina: Jay fece appena in tempo a vedere
una ragazza sottile china sul tavolo da lavoro, prima che le porte si
richiudessero e la sua attenzione fosse richiamata da Archie.
«Allora, mi hai portato qui perché la ragazza che
sta alla cassa è carina...» e accennò
con la testa alla biondina che stava messaggiando svogliatamente alla
cassa masticando una gomma americana. «O per qualche altro
motivo che la mia povera mente non comprende?»
«Solo perché volevo dichiararti il mio amore
lontano da occhi indiscreti» Jay si passò la
lingua sulle labbra in un gesto malizioso «E
perché i bagni sono liberi» e ammiccò
Archie gli mollò un pugno sulla spalla, scuotendo
arrendevolmente la testa.
«Fai così con tutte quelle che si
dichiarano?» indagò Jay, massaggiandosi il punto
offeso col broncio.
«Solo con quelle che mi fanno proposte indecenti»
ribatté Archie, storcendo il naso in una smorfia a
metà tra il rassegnato e il divertito. Jay
ridacchiò mentre il cameriere portava le sue ordinazioni,
pensando che quell'espressione sul volto di suo fratello fosse una
delle cose più tenere che avesse visto da sei mesi a quella
parte.
E mentre lo osservava mangiare la bavarese, sporcandosi per
chissà quale strano motivo il naso di cioccolato, si promise
che in qualche modo lo avrebbe protetto. Non importava in quale, ma lo
avrebbe fatto.
E con questa determinazione prese a mangiare, continuando a stuzzicare
il fratellino e a prenderlo in giro per le macchie sul naso.
*
«Jay, la vuoi finire?»
«Non è mica colpa mia se è
così grosso!»
Archie gli lanciò uno sguardo esasperato.
«Mi stai facendo male» lo informò
piatto. Suo fratello gli rivolse una smorfia concentrata.
«Ma che diamine... perché non entra?»
Il minore dei Denver alzò gli occhi al cielo.
«Forse perché è un'altalena per
neonati, genio?»
Jay capitolò con un sospiro, lasciando ricadere le braccia
lungo i fianchi, mentre Archie si districava non senza
difficoltà da quel minuscolo sellino.
«Sì ma il tuo sedere resta troppo grosso! Hai mai
pensato di fare una dieta, baby?»
«Fottiti.»
«Dai, ti aiuto o con quel tuo sederone resterai incollato
lì» ghignò infine il nostro
protagonista, afferrando il fratello da sotto le ascelle e
caricandoselo sulle spalle.
«Jay, mi hai aiutato, okay, ma ora che stai
facendo?»
Il tono terrorizzato di Archie lo fece ridere.
Dopo colazione erano andati in quel parco, lo stesso in cui giocavano a
pallone da piccoli, tanto amato dai loro genitori - Susan aveva spesso
ripetuto come Josh Denver, lo spaccone, il casanova, l'avesse baciata
proprio lì- per fare un giro: prima Jay aveva insistito per
infilarlo in quella stupida altalena e in quel momento stava correndo
con lui in spalla, ridendo e facendo casino come solo un enorme bambino
di venticinque anni sa fare.
«Mettimi giù!» urlò Archie,
tempestandogli la schiena di pugni.
Qualche vecchietta li guardava male, altre sospiravano nel ricordo
della giovinezza ormai perduta: alcune mamme portavano via i loro
pargoli borbottando e tappando loro gli occhi, ma per il resto tutti
gli altri se ne stavano beatamente fregando.
Jay comunque lo rimise per terra, sempre ridendo.
«E dai, Archie, sciogliti un po'!»
sghignazzò, dandogli uno spintone: alla fine, contagiato
dall'ilarità del fratello e divertito dagli sguardi omicidi
che una vecchietta gli stava lanciando, Archie iniziò a
ridere.
«Ma bene, bene, ci divertiamo al parco e ci dimentichiamo
della fidanzata!»
Mani sui fianchi, sguardo serio, bocca piegata in un broncio. Gwen li
stava guardando come nemmeno loro madre aveva fatto in tutti quegli
anni passati a combinarne di tutti i colori -identificabile come
l'infanzia- tanto che persino Jay smise di ridere.
Archie le lanciò uno sguardo preoccupato.
«Tesoro...» tentò, ma lei non lo fece
continuare perché incominciò a saltellare come
una bambina.
«Oh amore, andare in taxi è stato così
eccitante! Non l'avevo mai preso! Il tassista era un messicano credo,
era così barboso e arrabbiato... e non conosceva
l'indirizzo, così ha chiesto a un suo collega di
spiegarglielo! Imprecava sempre, ma almeno l'aria condizionata
funzionava! Allora mi sono detta: mangerò qualcosa al
cioccolato, perché sai come fa bene il cioccolato all'anima?
Mia nonna lo diceva sempre e... JAY!»
E Jay, talmente concentrato nel capire se Gwen respirasse tra una
parola e l'altra, si ritrovò stritolato da un abbraccio
della suddetta sotto lo sguardo divertito di Archie.
«Oh ma come sono felice di vederti!!»
strillò tutta contenta la ragazza, mordendosi il labbro.
Impacciato e imbarazzato, non essendo abituato a tanto entusiasmo, Jay
rivolse uno sguardo supplichevole verso il fratellino che
sghignazzò e alzò le spalle.
Traditore.
«Perché non vieni mai a trovarmi con
Archie?» s'imbronciò improvvisamente Gwen,
staccandosi da lui. «Io mi diverto quando vieni! Sei
così simpatico e... oh ciao anche a te, tesoro!»
Come ricordandosi della sua presenza solo in quel momento Gwen
interruppe il suo soliloquio per gettare le braccia al collo di Archie
e incollarsi alle sue labbra.
Non che a Jay fosse dispiaciuto che quell'insensato fiume di suoni
senza capo né coda si fosse arrestato così
bruscamente: conosceva abbastanza Gwen per poter tranquillamente
accordare che la ragazza tendesse spesso a saltare da un argomento
all'altro come se niente fosse, o rivolgersi improvvisamente ad
un'altra persona, seppellendo nei recessi più reconditi nel
proprio cervello e della propria attenzione quella con cui stava
parlando in precedenza.
Tuttavia, si ritrovò a distogliere lo sguardo disgustato
quando i due piccioncini non sembrarono intenzionati a staccarsi
subito. Ma quanto poteva durare la loro riserva d'aria?!
Aspettò pazientemente che terminassero quei suoni
appiccicosi, ma quando ciò non avvenne, irritato, si decise
ad intervenire. «Allora, possiamo andare?»
Archie e Gwen finalmente si separarono, il primo rosso di vergogna, la
seconda leggermente divertita.
«Dove?» chiese il primo, distratto. Jay
alzò un sopracciglio «Non so, tu che vuoi fare a
orario di pranzo? Giocare a bowling?»
«Allora scegliamo un ristorante, magari italiano come avevi
proposto» risolse Archie, ignorando la frecciatina. Poi
guardando Gwen: «Che ne pensi se..»
«Oh no, niente ristoranti!» si inserì
Jay con urgenza, e quando ebbe ottenuto tutti gli occhi addosso
continuò, schiarendosi la gola. «Meglio qualcosa
di più... non so...»
«Ma eri stato tu a suggerire il ristorante italiano,
stamattina.» insistette Archie.
«Beh, ho cambiato idea.»
Archie batté le palpebre e Jay rise nervosamente.
«Voglio dire... sono così cupi e deprimenti, i
ristoranti...»
E nei ristoranti avrebbero propinato gli stessi cibi che avevano
mangiato il giorno prima, e quello prima ancora... e entrambe
le volte Archie era morto. No, doveva cambiare gli eventi, se voleva
anche solo sperare di salvarlo.
Archie e Gwen si scambiarono un'occhiata interrogativa, mentre Jay si
guardava freneticamente intorno, alla ricerca di un disperato aiuto e
di una risposta plausibile. Poi il suo sguardo venne catturato da
un'insegna al neon che lampeggiava su un camioncino, e
sospirò di sollievo.
Salvezza!
«Che ne dite di un hot dog?» propose poi, con un
sorriso che andava da orecchio a orecchio. Già Archie si
stava preparando a replicare con una secca ramanzina, su quanto fosse
poco carino mangiare dei panini proprio il giorno in cui lui tornava, e
peggio ancora costringere Gwen -la povera
e delicata
Gwen, citando le sue probabili parole- a macchiarsi le mani con la
maionese, quando la suddetta se ne uscì con un risolino
allegro e complice.
«Oh, ma io AMO gli hot dog!»
Jay e Archie spalancarono gli occhi, l'uno trionfante, l'altro avvilito.
«Stai scherzando?» volle informarsi il minore.
Gwen di tutta risposta gli strinse la mano, inclinando appena
la testa. «Cos'è, sei convinto che io sia una
femminuccia da quattro soldi? Non ho bisogno di caviale e champagne! E
mi piacciono gli hot dog, anzi ne vado matta!»
Jay non riusciva a credere alle proprie orecchie.
Sentiva di adorare Gwen. Forse aveva sbagliato a trattarla
così male in passato...
«Hai visto?» rivolse un sorrisetto di sfida ad
Archie, che rispose facendo il muso. «Perfino la tua ragazza
è d'accordo con me, e siamo due contro uno! Per amor della
giustizia abbiamo vinto noi, tu che dici? Accetterai di abbassarti al
livello dei comuni plebei?»
Il bruno tramontò gli occhi al cielo, poi superò
entrambi con un sospiro da genitore stanco. «E vada per gli
hot-dog...»
Jay esultò mentalmente, mentre Gwen emetteva un gridolino
eccitato. Un attimo dopo gli si era aggrappata al braccio, euforica
come una bambina di fronte ad un gelato.
«Sai che papà mi portava sempre a mangiare hot dog
la domenica, quand'ero piccola? Ci facevamo lunghe camminate nel parco,
al tramonto, col vento tra gli alberi e, dio, era
così rilassante! E quei panini erano squisiti,
così caldi e morbidi! Si chiamava Frank il tipo che li
faceva, credo, oppure Jim, o Jack, o Francis, o...» Jay aveva
smesso di ascoltarla già dal "sai", concentrandosi a seguire
i movimenti del fratello con un gran sorriso. Era orgoglioso di se
stesso: ci stava riuscendo. Questa volta stava sul serio cambiando gli
eventi.
Questa volta... questa volta avrebbe salvato Archie.
Ordinarono tre maxi hot dog e tre porzioni di patatine e si sedettero
in uno di quei tavoli di legno coperti da una tettoia e circondati da
alberi, proprio vicino al laghetto. Archie si chinò a
cogliere un narciso e lo porse a Gwen che sorrise, intenerita, e gli
schioccò un bacio sul naso.
Alle loro spalle, mossi da un leggero vento, petali di pesco e ciliegio
cadevano lentamente, volteggiando per aria prima di posarsi sul
terreno. Quel posto aveva l'impressionante capacità di
rilassare Jay.
Susan tampinò sia lui che il fratello con decine di
telefonate che Jay fingeva di non sentire -anzi spense direttamente il
cellulare- e che invece facevano aggrottare le sopracciglia di Archie.
Ma prima che il fratellino potesse rispondere Jay gli prendeva il
cellulare, con la scusa di guardare l'orario. Alla fine gli
spiegò con un sorriso, che il giorno dopo avrebbero fatto
una sorpresa alla mamma, e Archie finalmente si
tranquillizzò.
I petali continuavano a galleggiare nell'aria, cadendo con calma.
«E' bellissimo qui.» sussurrò Gwen,
incantata.
Jay annuì, sistemandosi di fronte a lei.
«Era il posto preferito di mio padre... e un po' è
anche il mio» ammise, immalinconito, portandosi una patatina
grondante di maionese alla bocca. Probabilmente avrebbe aggiunto
qualcosa di profondo, giusto per impressionare Gwen, ma qualcosa gli
colpì la guancia e toccandosi la faccia scoprì
che...
«Archie! E che schifo!»
Archie rise, piegato in due, la bottiglia di maionese accanto.
Gwen sbatté qualche minuto le palpebre, non capendo cosa
fosse successo. Per innalzarla al celebre mondo della... maionese
Archie le schioccò un rumoroso bacio sulla guancia.
La ragazza fece un saltello, portandosi una mano allo zigomo.
Jay pensò che fosse bello stare lì, con loro due,
a ridere e comportarsi come un bambino. Addentò il suo hot
dog, masticandolo con un sorriso mentre scostava lo sguardo per non
vedere le smancerie di Gwen e Archie -la prima stava leccando la faccia
di suo fratello sghignazzando su quanto fosse buono mentre il secondo
rideva e si dimenava- e osservò i petali di pesco e ciliegio
volteggiare dolcemente.
Improvvisamente il futuro, per una strana ragione, non sembrava
così oscuro.
Deglutì il boccone e stava per prendere un sorso di coca
cola quando una sagoma attirò la sua attenzione. Quasi si
strozzò con la bibita e prese a tossire convulsamente mentre
Archie gli dava delle pacche sulla spalla: vide il ragazzo voltarsi,
squadrarlo, il suo viso assumere un'espressione confusa.
Era il tipo coi capelli scuri e la giacca di jeans con cui si era
scontrato il primo giorno, e che aveva aspettato con ansia il secondo,
senza vederne traccia. Era l'unica eccezione alla sequenza di
coincidenze che continuavano a ripetersi a oltranza.
Era l'unica luce in quell'oscurità priva di senso.
L'unica speranza che gli era rimasta per comprendere cosa cazzo stesse
succedendo.
«Ehi!» lo chiamò Jay con la voce ancora
gracchiante per il quasi soffocamento, saltando in piedi, seguito dallo
sguardo allibito di Archie e Gwen.
Il ragazzo spalancò gli occhi, all'improvviso quasi
spaventato; e quando Jay, col cuore a mille, si avvicinò a
grandi passi verso di lui quello indietreggiò in maniera
sconnessa.
«Tu, aspetta!» urlò Jay iniziando a
correre, subito imitato dall'altro, che si tuffò in mezzo
alla folla e agli alberi.
«Dannazione!» Il biondo accelerò la
corsa: non poteva lasciarselo scappare. Quel ragazzo, come lui,
sembrava cambiare comportamento ogni giorno. Sembrava sapere.
«Jay, un momento, ma cosa...» si stava intanto
domandando Archie, alzandosi a sua volta insieme alla propria ragazza.
Quando si rese conto che il maggiore non gli stava dando conto si
ritrovò a braccarlo a breve distanza, cercando di
richiamarlo indietro.
To be continued ~
Next >> Capitolo 8
Era così concentrato a non togliergli gli occhi
di dosso che non si accorse di essere uscito fuori dal parco e di star
attraversando di filato la strada, e nemmeno di essere seguito dal
fratello e Gwen. Si rese conto di tutte queste cose assieme quando un
clacson e una luce improvvisa lo investirono, la voce terrorizzata del
fratello urlava il suo nome, e qualcosa lo urtava violentemente su un
fianco.
Venne sbalzato a qualche metro, e sbatté con violenza
sull'asfalto, rotolando un paio di volte prima di fermarsi. L'impatto
gli strappò un gemito.
«Jay!»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti,
lettori! :D
*Miss Watson arriva trafelata*
Scusate, è stato lungo e faticoso e fa caldo!ç_ç
E il mio mouse del Caspian non funziona come dovrebbe! T_T ah
sì, e l'anticipazione è molto bastarda, come noi.
C'è stata una vera e propria svolta, eh?? Non ve l'aspettavate!
v.v
*si asciuga la fronte con un fazzolettino*
Per quanti ci staranno odiando penso che il vostro mouse si sia suicidato, Lady Holmes
E' possibile, miss Watson, è possibile, anzi probabilissimo
>> Ma anche lei ci colpa, eh, lei mi fa compagnia e non mi ha
ancora consegnata alla giustizia v.v
Dovrebbero consegnare me per prima, Lady Holmes xD E poi sa che noia?
*Miss Watson passa del the freddo alla collega*
Ordunque, che aggiungere?
*Lady Holmes lo beve in un sorso, poi sospira di sollievo come Jay dopo una bottiglia di birra*
Che aggiungere? Che un po' ci piace vedervi soffrire, e quindi abbiamo stroncato il capitolo proprio sul più bello *-*
La mia collega si è espressa
benissimo xD Ma si beh, ormai pensare Jay che non impreca è
reato: considerando sotto chi è nato, poveraccio xD
Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto - noi ci mettiamo tanto ammmore nel scriverlo- e ci piacerebbe sentire la vostra opinione a proposito del miserioso ragazzo!
Chi è? Che importanza ha nella storia?
Ma sopratutto: riuscirà Jay a
prenderlo - e non pensate male monellacci!- prima che al nostro Archie
succeda qualcosa di brutto?
Ammesso che c'entri qualcosa, eh XD
Ma noi vi facciamo illudere, con queste domande u.ù tipo con la
signora Mao e il signor Guirao.. magari non servono a nulla -o magari il signor Guirao estrarrà il fucile e farà fuori Jay >.>-, ma intanto voi vi fate filmini mentali e noi sghignazziamo contente xD
E poi... beh volevamo ringraziare tutti coloro che leggono, chi ha
inserito la storia tra seguite, preferite e compagnia bella, e
soprattutto coloro che hanno recensito, solo che ci scocciamo ad andare
a prendere i nomi, quindi accontentatevi. Tanto sapete che parliamo di
VOI! *____* E' l'orario, sono le undici, praticamente, e noi siamo
stanche! T_T
Regaliamo a tutti torte e ammore!
Siete fantastici!^^
Ringraziamo chi ci segue su facebook e sopporta i nostri scleri quotidiani e i nostri collage!XD
Alla prossima, gente! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! :3
***
1. Gwen che mangia l'hot dog:
2. Bill e Susan:
3. Un Jay coi capelli più lunghetti *-* -come si ridurrà probabilmente, insomma-:
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM [oggi
dedicate solo a Jay ^^]
1. Jay, nell'officina di Bill,
quando realizza che lo stesso giorno si sta ripetendo:
2. Sempre il nostro eroe, che
crede di essere diventato pazzo:
3. Sempre lui, nell'atto di...
imprecare [??]:
|
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Capitolo 9 *** 8. ***
Timeless 8
Capitolo 8
L'unico
suono che accompagnava Jay era il suo respiro e il battito dei passi
sul sentiero sterrato, mentre il ragazzo davanti a lui correva spedito,
gettandosi ogni tanto un'occhiata alle spalle per controllare di essere
ancora seguito.
Il fatto stesso che gli stesse sfuggendo in quel modo fece insospettire
Jay.
«EEEEHI!» si sgolò saltando lo
skateboard che un
bambino si era lasciato sfuggire a pochi centimetri dai suoi piedi.
Scartò improvvisamente per evitare una vecchietta col
bastone,
ma travolse un tipo con un carretto di gelati, che imprecò e
lo
minacciò di morte agitando una manciata di dollari appena
incassati.
Si allontanò dai coni gelato che rotolavano sul terreno,
promettendosi che più tardi avrebbe rimediato al danno,
curandosi tuttavia di non staccare gli occhi dalla giacca di jeans del
ragazzo moro. Cavolo quanto era veloce!
Sembrava quasi non toccare terra coi piedi, quasi come se... volasse.
Era così concentrato a non togliergli gli occhi di dosso che
non
si accorse di essere uscito fuori dal parco e di star attraversando di
filato la strada, e nemmeno di essere seguito dal fratello e Gwen. Si
rese conto di tutte queste cose assieme quando un clacson e una luce
improvvisa lo investirono, la voce terrorizzata del fratello urlava il
suo nome, e qualcosa lo urtava violentemente su un fianco.
Venne sbalzato a qualche metro, e sbatté con violenza
sull'asfalto, rotolando un paio di volte prima di fermarsi. L'impatto
gli strappò un gemito.
«Jay!»
Sentì dei passi accorrere in fretta, poi qualcuno scuotergli
le
spalle e qualcun altro allontanargli i capelli dalla fronte.
Rantolò qualcosa, portandosi una mano alla testa. Una fitta
lo
colpì non appena mosse il gomito ma la ignorò.
Si sentiva caldo...
Batté le palpebre per mettere a fuoco, e riconobbe i
contorni
del volto di Archie. Apriva la bocca ma Jay non riusciva a sentire cosa
stesse dicendo.
Allontanò le dita dalla fronte e le riscoprì
ricoperte di sangue. Maledizione!
Poi, ad un tratto, del tutto senza preavviso, i suoni gli invasero i
timpani con il fragore di un'ondata. Scosse la testa per riprendersi,
mettendosi a sedere sorretto dalle braccia di Gwen e quelle di Archie.
«Jay, ehi Jay!» Archie gli passò una
mano sulla fronte «Ehi mi senti? Ci sei?»
Il maggiore dei Denver impiegò pochi attimi per riordinare
la mente e riacciuffare i ricordi.
«Sì, ci sono!» rispose evasivo,
scostando il fratello per mettersi in piedi.
Doveva trovare il ragazzo...
«Sei sicuro? Riesci ad alzarti? Vuoi che ti aiuto?»
«No, Archie, sto bene, sto...»
«Oh, Dio, Jay, eravamo così
preoccupati!» Gwen non
sembrava intenzionata a lasciargli andare il braccio.
«Credevamo
che fossi morto! E fortuna che hai aperto gli occhi, stavo
già
per staccare la testa a quella gallina vamp che ha attentato alla tua
vita!»
«Gallina...»
«Denver!»
Archie e Gwen si scostarono appena, a mostrare il volto della persona
che l'aveva investito. Jay non poteva credere ai propri occhi.
«Bella?!»
E mai una parola aveva assunto un significato più
spregiativo dei peggiori insulti del suo repertorio.
A quanto pareva anche quell'incontro era stato scritto nel destino e se
proprio non poteva evitarlo... no, un momento. Il ragazzo era
un'eccezione alla regola: il giorno prima non era comparso -come invece
avrebbe dovuto-, quindi... sì, poteva impedire la morte di
suo
fratello.
Spinto dall'adrenalina e da quella nuova speranza che si era affacciata
timidamente nella sua testa, Jay si liberò dalla stretta del
fratello e di Gwen, dallo sguardo da cerbiatta terrorizzata di Bella e
quello sconvolto di Ken, e sgattaiolò via dalla folla di
macchine e persone che si era riunita là intorno. Ma quando
riportò gli occhi nel punto in cui aveva visto l'ultima
volta il
ragazzo, come c'era da aspettarselo, non lo trovò.
Imprecò a denti stretti, assestandosi un pugno sulla coscia.
Il
movimento tuttavia gli fece risalire un brivido di dolore lungo il
gomito.
Bene, perfetto! Non solo aveva perso anche l'ultima chiave per capire
qualcosa di quella fottutissima situazione, ci aveva rimediato anche un
gomito dolorante ed un profondo taglio sulla fronte!
E come se ciò non bastasse, Archie continuava a spronarlo ad
andare in ospedale per farsi mettere i punti. Peggio di così
non
poteva andare...
«Denver! Ma che ti salta in mente?» la vocetta
acuta di
Bella che strillava, probabilmente preoccupata dal ritrovarsi probabili
graffi sulla macchina rosa, gli giunse distante e quasi ovattata.
«Maledizione!» reiterò tra i denti,
arrabbiato,
lasciando che Archie gli afferrasse il braccio -quello sano- e lo
trascinasse via.
«Su, andiamo... Gwen, amore, hai chiamato
l'ambulanza?»
La ragazza annuì preoccupata mettendo di nuovo il cellulare
nella borsetta: osservò con timore il viso stravolto di Jay
ma
aiutò Archie a condurlo verso il marciapiede dato che, pur
non
scalciando o dimenandosi, il maggiore dei Denver non sembrava propenso
a collaborare.
«Sì...» sussurrò alla fine.
«Saranno qui a momenti.»
*
Susan Denver non amava particolarmente gli ospedali.
Odiava principalmente quella puzza di disinfettante che abbracciava
ogni stanza, le pareti troppo bianche, l'incapacità dei
medici
nel dare le brutte notizie.
Odiava lo sguardo di pietà che le infermiere rivolgevano ai
parenti dei defunti. E c'era passata con Josh, quando era morto e il
corpo di suo marito non era diventato altro che un guscio senz'anima,
freddo.
Ricordava perfettamente il momento in cui si era avvicinata al corpo di
Josh, su quella barella, e aveva alzato il fazzoletto che gli copriva
il volto. Poteva sembrare quasi che stesse dormendo, ma Susan sapeva
bene che non era così.
Non avrebbe più aperto gli occhi.
Non avrebbe più sorriso.
Non avrebbe più...
La donna scosse la testa, scacciando quelle immagini dalla sua testa e
lanciò un'occhiata nervosa verso Bill al volante, teso.
Doveva
pensare a Jay, ora.
«Quanto manca?» chiese, stringendo la borsa.
Bill sospirò.
«E' la quarta volta che mi fai la stessa domanda,
Suzie»
Suzie. Lo
stesso soprannome con cui la chiamava quando erano ragazzi.
Le scappò un sorriso al pensiero: sì, era davvero
fortunata ad avere Bill al fianco. Era davvero un ottimo amico ed era
stato grazie a lui se Jay non aveva intrapreso cattive strade dopo la
morte di Josh, ne era sicura.
«Non ti ringrazierò mai abbastanza,
Bill» gli disse, poggiando la mano sulla sua.
Bill arrossì furiosamente e borbottò qualcosa al
proposito di ''prendersi la testa di Jay come ricompensa''. Susan
scoppiò a ridere, ma divenne immediatamente seria quando
giunsero in vista della scritta ''Ospedale''.
Avrebbe dato di matto con Jay, un giorno. Ne era più che
sicura
«Jay»
Il maggiore dei Denver finse di non sentire, per l'ennesima volta, il
richiamo del fratellino, e di tutta risposta immerse di nuovo le dita
nella ciotola delle caramelle, portandosele in bocca per masticare
svogliatamente.
«Mmm, c' foi?» domandò con la bocca
piena, acciuffandone un altro pugno.
Erano almeno da quindici minuti in sala d'attesa, aspettando che il
dottore terminasse di visitare un paziente. A Jay, personalmente, non
andava di alzarsi da quella comoda sedia in plastica blu: innanzitutto
la frescura che aleggiava nell'ambiente lo rilassava, per non parlare
delle caramelle alla frutta ricoperte di zucchero, una vera delizia per
il palato!
«Quelle sono destinate ai bambini» si
sentì in
dovere di chiarire Archie, mentre Gwen si mordeva il labbro osservando
il graffio sulla fronte di Jay.
«'Edi 'ambfini in 'iro'?» sbottò dopo
poco
quest'ultimo, sempre masticando. Poi gli porse una caramella arancione,
deglutendo «E' all'arancia, vuoi?»
«Non siamo qui per mangiare» Archie
cercò una
posizione più comoda sulla sedia, nervoso, e notando quel
gesto
Gwen gli strinse dolcemente la mano.
«Ri'assati, 'ate'ino» lo rimproverò
bonario Jay, con
le guance piene di caramelle. Archie lo guardava tra il disgustato e
l'intenerito.
Ad un certo punto, proprio mentre le dita golose di Jay andavano alla
ricerca di nuove caramelle, il suo occhio cadde su un'infermiera
piuttosto carina che si stava avvicinando sorridendo in sua direzione.
Ritirò le dita, aprendosi di conseguenza in un sorriso che
doveva essere tremendamente fascinoso ma che invece attirò
l'occhiataccia del fratello.
«Buonasera» salutò l'infermiera
fermandosi con le mani incrociate dietro la schiena, proprio di fronte
a lui.
«Buonissima sera, adesso»
replicò cordiale Jay lasciando vagare lo sguardo sul suo
corpo.
Mmm la tipa aveva tutte le curve al posto giusto, proprio... il gomito
di suo fratello infilato nel fianco lo fece tornare bruscamente alla
realtà.
«E' lei che ha avuto l'incidente, suppongo.»
«Sì, è lui» rispose
sbrigativamente Archie,
aiutando il fratello ad alzarsi reggendogli il braccio. Senza che lui
gliel'avesse chiesto, notò con fastidio Jay, che tuttavia si
abbandonò a lui, docile.
Non appena riconquistò la posizione eretta, un capogiro
minacciò di fargli rivoltare lo stomaco: deglutì
battendo
le palpebre e si impose di raggiungere l'equilibrio. Poi sorrise in
direzione dell'infermiera e di Archie, per tranquillizzarlo.
«Ce la faccio da solo» e a dimostrazione delle sue
parole,
mosse qualche passo verso l'infermiera che lo guidò in una
stanza piuttosto illuminata. «La prego, seguitemi»
la donna
si rivolse anche ad Archie e Gwen che non se lo fecero ripetere due
volte e si mossero a ruota dietro Jay, rimanendo tuttavia fuori dalla
stanza.
All'interno delle quattro mura un medico sui quaranta, con un lungo
camice bianco ed uno stetoscopio attorno al collo, stava sistemando
delle garze e dei farmaci su un tavolino bianco.
«Innanzitutto
buonasera» l'uomo, dal volto gentile e gli occhi scuri e
attenti,
strinse energicamente le mani di Archie e Gwen, poi si volse in
direzione di Jay, gli sollevò il mento con un gesto deciso e
gli
controllò gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie, alla
ricerca di tracce di sangue. Poi gli auscultò il battito del
cuore nel collo, e infine gli esaminò con fare clinico la
ferita
sulla fronte.
«Niente di grave, non sembra aver subìto un edema
celebrale, ma in ogni caso avremmo bisogno di fare una tac per
accertarcene» spiegò in fretta il medico
all'indirizzo di
Archie, mentre alzava il braccio di Jay -pallido e balbettante dopo
aver sentito la parola tac- per studiargli il gomito «Qui
abbiamo
una leggera contusione, ma non troppo estesa. Probabilmente non ci
sarà nemmeno bisogno del gesso.»
Si allontanò dal paziente per sistemare alcuni strumenti e
intanto diede delle istruzioni all'infermiera, che Jay
scoprì
chiamarsi Darcy. La donna, una bella bruna molto formosa, gli si
accostò con un accenno di ilarità nelle labbra
ripassate
col rossetto, e gli ripulì la ferita con un batuffolo di
cotone
impregnato di acqua ossigenata. Nell'altra mano -molto curata,
notò il giovane: aveva lo smalto rosso, ed era
irrimediabilmente
sexy- reggeva una garza bianca.
«E così lavori da tanto qui?» volle fare
conversazione Jay, con un sorriso accattivante che la donna non colse
-o finse di non cogliere-. «Qualche anno, in effetti. Sta
buono,
ho quasi finito» aggiunse quando lo vide trasalire di colpo,
con
espressione sofferente.
Jay, che si era irrigidito quando una fitta particolarmente intensa gli
serrò il cranio, si rilassò sotto il tocco fresco
e
gentile della donna.
«Voi uomini siete tutti uguali, vi sembra di morire per un
nonnulla» rise poi lei, mentre allontanava il batuffolo per
passargli la garza sulla ferita e premere con le dita
affinché i
cerotti reggessero.
«Ehi, io sono un tipo forte» si sdegnò
Jay
pompandosi tutto. La donna scosse ancora la testa, divertita da
quell'atteggiamento da pavone narcisista. «Sapevi che la
soglia
del dolore delle donne è dieci volte superiore a quella di
voi
uomini?»
«Non siamo tutti uguali» concluse Jay convinto,
facendole
l'occhiolino. Al ragazzo non sfuggì la reazione di Archie,
dietro il vetro che separava la stanza dal corridoio: il bruno aveva
infatti tramontato gli occhi al soffitto, esasperato.
Accanto ad Archie Gwen si portò una mano alla bocca per
contenere una risatina che, evidentemente, stava premendo per uscire.
Jay rivolse una linguaccia a entrambi prima di riportare la sua
attenzione alla donna che lo stava medicando.
Stava per aprire bocca per aggiungere qualcosa -magari chiederle il
numero di telefono- quando il medico lo anticipò, battendo
le
mani per attirare la loro attenzione.
«Bene, signorina Popps, può gentilmente aiutare il
nostro paziente a prepararsi per la tac?»
Il sorriso sulle labbra di Jay si congelò immediatamente.
Tac
voleva dire rimanere lì fino a quando -e non sapeva se
effettivamente sarebbe accaduto di nuovo- l'ora X non fosse arrivata e
il tempo si sarebbe riavvolto. E doveva capire di più su
tutta
quella storia!
E chi gli assicurava che un pazzo armato d'ascia non sarebbe entrato
per fare a pezzi Archie? O che decidesse di uscir fuori a prendersi una
boccata d'aria, rischiando nuovamente un incidente? E se il pic up
azzurro appartenesse a qualcuno dell'ospedale?
Va bene, va bene, un po' gli ospedali lo tediavano -per non dire che
gli rompevano le... scatole- e aveva sempre avuto paura dei medici con
i loro immacolati camici bianchi. Ma per quella volta avrebbe pensato
ad Archie.
Senza pensarci due volte scattò in piedi, sottraendosi alla
presa dell'infermiera.
«Per oggi no, dottore» replicò con un
sorrisetto
cortese, mentre quello si voltava senza capire «Dolcezza,
penso
che ci rincontreremo».
Fece l'occhiolino all'infermiera prima di voltarsi verso l'uscita e
iniziare a correre con quanto fiato aveva in gola: sgomitò
Archie, dribblò senza troppi problemi Gwen e
rischiò di
travolgere Susan e Bill, appena arrivati.
«Scusa mamma!» urlò.
«Jay! Ma dove diamine stai andando?»
sentì Susan
strillare. Le rivolse un sorriso e un cenno da ''ci vediamo dopo'' e
continuò a correre.
Non avrebbe mai seriamente pensato di scappare da un ospedale e da una
bella ragazza ma ehi, c'era una prima volta per tutto.
«Jay! JAY!»
Il maggiore dei Denver svoltò l'angolo evitando di
scivolare,
poi si ritrovò a percorrere le scale come se fosse inseguito
da
un branco di rinoceronti. Superata la prima rampa fu raggiunto dal
rumore di passi che battevano veloci poco dietro di lui.
«Ehi, aspetta un secondo!»
Era Archie, in cima alle scale, col fiato corto e i capelli stravolti
-più del solito, per lo meno-.
Jay sorrise mentalmente: era ovvio che ad inseguirlo avrebbero mandato
il fratellino, il più veloce del gruppo... ma già
sentiva
i passi dietro di sé -quelli di mamma, Bill e Gwen e
chissà, magari anche il dottore- così
ignorò il
minore e riprese a scendere le scale, richiamato dalle urla confuse di
Archie.
Cinque rampe di scale, dodici corridoi e tre porte dopo, Jay emerse
all'aria aperta, e subito si immise nel parcheggio, guardandosi in giro
alla ricerca del posteggiatore. Lo individuò e in fretta lo
raggiunse. «Scusi!»
L'uomo, un tipo dal ventre largo, una calvizie incipiente e la fronte
imperlata di sudore, lo scrutò diffidente, soffermandosi
particolarmente sulla garza retta dal cerotto sulla sua fronte.
«Scusi, dove ha posteggiato il tipo che è arrivato
da
poco, sulla cinquantina, accompagnato da una donna bruna con indosso un
maglioncino color lav-...»
«Ho capito» lo interruppe l'omino levando una mano
pelosa;
sembrava aver sudato solo ad ascoltarlo «Ma lei chi
è?»
«Sono suo figlio» mentì Jay: in effetti
non aveva
specificato se stesse parlando di Bill o di Susan: nel secondo caso era
la pura verità «Sa, mio fratello minore ha avuto
un
disturbo... lui è un po' schizofrenico, poverino, ed anche
paranoico. E' sempre convinto che qualcuno voglia farmi del male e
quindi, capisce, si preoccupa in maniera assurda per questo. O,
eccolo!» aggiunse, indicando Archie che era appena apparso
dalla
porta a vetri, reggendosi allo stipite per riprendere fiato. Non appena
il minore lo notò, iniziò a sbracciarsi gridando
il suo
nome e notando che non si smuoveva, corse in sua direzione.
«Ha visto?» proseguì Jay con un sorriso
complice, e
l'ometto, troppo confuso per tutte quelle informazioni messe assieme,
annuì consegnandogli una chiave «Prego, da quella
parte!
E, oh» come ricordandosi qualcosa solo in quel momento gli
afferrò il braccio, facendolo voltare. «Mi
dispiace per
suo fratello, è una vera sfortuna».
Jay annuì mostrando l'espressione più compita del
suo
repertorio, poi si congedò e fece lampeggiare la sicura
della
macchina solo per scoprire quale fosse e dove fosse posteggiata. Rimase
impietrito per un attimo quando si rese conto del brutto scacco che gli
aveva giocato il destino: Bill, nonostante la preoccupazione e la
fretta, aveva scelto proprio l'Alfa Romeo.
Si voltò un attimo per accertarsi che Archie lo stesse
ancora
seguendo, poi aprì lo sportello e si infilò
dentro,
aspettando che l'altro lo raggiungesse.
«Che diavolo fai?» lo accolse il fratellino quando
arrivò, battendo una mano sul finestrino chiuso. Jay, con il
suo
sguardo più innocente, lo abbassò.
«Come hai detto,
scusa?»
«Ma ti sei fumato il cervello?» sbraitò
Archie: Jay
non l'aveva mai visto tanto arrabbiato, eppure la visione lo fece
ridere.
«A te che sembra?»
«Sei peggio di un bambino!» si stupì
Archie,
allargando le braccia «Anzi, no, sei un coglione! Hai fatto
spaventare mamma a morte!»
«Beh, mi dispiace, ma...»
«Ma
un corno, razza di
cretino! Tu adesso torni dentro e ti fai controllare! Se non ti
è ancora venuto un edema celebrale te lo procuro io, Dio
santo...»
Jay corrugò le sopracciglia: no, decisamente un Archie in
modalità isterica ancora gli mancava. Pareva che si fossero
scambiati i ruoli.
«Senti, col cazzo che indosso quei pigiamini striminziti che
coprono a stento solo il lato A! Non ci sto mica con le chiappe al
vento, io!»
Archie non ebbe il coraggio di dire niente, troppo sconvolto per aprire
bocca. Quando lo fece si munì di vocaboli piuttosto coloriti.
«Tu stai male sul serio...» fu il suo insulto
più gentile e controllato.
Jay finse di non ascoltarlo, poi inserì la chiave nella
toppa e
mise in moto. Tutto stava andando secondo i piani. Bastava solo...
ecco, Archie era appena entrato nella macchina.
«Che ti è saltato in mente? Non provarci
neanche!»
Jay sospirò allontanando le mani dal volante: il fratellino
aveva ancora il fiatone, e quindi attese che si calmasse.
«Jay, per favore...»
Alla sua voce così lamentosa Jay non resistette: si
voltò
a guardarlo intensamente, e con molta probabilità Archie
lesse
nella sua espressione un dolore immenso, perché distese il
volto, allarmato.
«Jay... oh! Che ti prende? Che succede, cosa...»
«Non posso perderti di nuovo!» esplose alla fine. E
al
diavolo il suo piano... non riusciva a mentirgli, non quando i suoi
occhi scuri erano così disarmanti!
«Cosa? Ma di che parli, io...»
«Ricordi quando ti ho parlato di quel sogno strano che ho
fatto, stamattina?»
«Eh?» adesso Archie sembrava seriamente allibito
«No.» fece, dopo averci pensato su «Di
quali
sogni...»
«Vero, dannazione, quello è successo
ieri!»
Archie chinò appena il capo, come un cane che cerca di
comprendere qualcosa guardandola da un'altra inclinazione.
«Inizio davvero a preoccuparmi per la tua botta in
testa.»
«Ehi, guarda che sto benissimo, chiaro? Non sono io che rischio di
morire, oggi!»
Jay si maledisse un attimo dopo e per sfogarsi batté un
colpo
sul volante. Tuttavia Archie parve venirgli incontro, perché
chiuse lo sportello, quasi per impedire al mondo esterno di
disturbarli. Poi, con assoluta calma, gli poggiò una mano
sul
braccio, attento a non sfiorare il gomito contuso.
«Mi dici che succede? Per favore, Jay, non ce la faccio a
vederti così...»
L'interpellato si morse il labbro inferiore, seriamente combattuto: se
anche ce l'avesse fatta a salvare Archie, c'era il rischio che la
giornata si ripetesse, vanificando ogni suo sforzo. Ma non avrebbe
comunque perso nulla nel raccontare ciò che stava succedendo
-anche se aveva idea che mandare una lettera di protesta ai piani alti
non sarebbe stato male, giusto per far capire quanto odiasse la svolta
che
aveva preso la sua vita- e, anche se avrebbe voluto proteggere Archie,
era giusto confidarglielo.
«Mi prenderai per pazzo...» iniziò
incerto. Archie
alzò le sopracciglia sfoggiando la sua migliore espressione
da
''più di quanto sei?'' meritandosi uno scappellotto sulla
nuca.
«Ahio! Va bene, va bene. Non ti prenderò per
pazzo, ma tu dimmi che cavolo succede!»
Vorrei tanto saperlo
anch'io, pensò Jay. Prese comunque un profondo
respiro e fissò con aria interessata il cruscotto.
«Ecco... diciamo pure... anzi, te lo dico sinceramente, senza
giri di parole: ho già vissuto questa giornata. Per tre
volte,
contando questa.»
Trenta secondi di silenzio. Male, molto
male.
«E ogni volta tu... morivi. La prima volta l'ho considerata
un sogno ma...»
Archie gli mise una mano sulla spalla.
«Jay, capisco lo stress e tutto il resto, però da
qui a
inventarti questa storia solo per non fare una tac è un
po'...»
«Cazzo, Archie!» ed ecco, aveva perso tutta la sua
famosa pazienza.
Archie ammutolì, osservando il volto serio di Jay. C'era
qualcosa, in fondo agli occhi verdissimi di suo fratello, che lo teneva
inchiodato sul sedile.
Era pazzo?
La botta in testa gli doveva aver fatto male, però...
La voce di suo fratello lo riscosse dai suoi pensieri. Jay, infatti,
infilò la chiave e il motore ruggì come se non
stesse
aspettando altro.
«Non me ne fotte se non mi credi, okay? Ma sto tentando di
salvarti il culo, quindi mi ringrazierai a fine giornata!»
«Jay, ma che cazz...»
«Per una dannata volta nella tua vita, Archie. Stai
zitto!»
Il motore ruggì nel momento in cui Jay accese l'auto,
coprendo
le urla di Archie: la macchina sgommò a tutta
velocità
verso l'uscita dell'ospedale, quando...
Gwen spuntò da chissà dove, aprendo le braccia
per
fermare la corsa. E, anzi, Jay fece appena in tempo a frenare prima
d'investirla: la ragazza marciò verso l'auto,
aprì lo
sportello posteriore e si sedette con assoluta calma.
«Dio, tesoro!» Archie la mirò
confortato. «Finalmente qualcuno che...»
«Oh Jay, è stato così stimolante! Gli
ospedali sono
tanto tristi e deprimenti, e odio quell'odore di disinfettante! Me lo
offri un gelato, eh? Ho una fame!» trillò
un'allegra Gwen,
sporgendosi verso i sedili anteriori. Archie boccheggiò
incredulo e Jay accennò un sorriso vittorioso.
«Ma certo» fece accomodante. «Anche un
cheeseburger, se ti va.»
E mentre Gwen rideva entusiasta pensò che avere un'alleata
in più non sarebbe stato male. Affatto.
To be continued
~
Next >> Capitolo 9
«Ma prima di andare gente...»
ghignò allegramente, mettendo le braccia sulle spalle di
entrambi. «A quando il mio primo nipotino?»
A quella domanda Gwen arrossì furiosamente e Archie
alzò gli occhi al cielo.
«Jay!»
Sordo al richiamo di Archie il maggiore continuò a parlare
tranquillo.
«Ovviamente sarà figo come me, io
sarò lo zio preferito e lo riempirò di dolciumi e
giocattoli e quando sarà grande gli insegnerò la
suprema arte del rimorchio!»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti,
lettori! :)
Carissimi! Come state? Come procedono le vacanze? ^_^
Visto che alla fine al povero Jay non
è successo granchè? Solo qualche cosina lieve u.u Non
siamo poi così sadiche!
E nell'ospedale abbiamo visto un altro lato di Jay -che conoscevate ma
che non avete mai visto in azione... o sì?- il nostro bambinone
che adora le caramelle e ci prova con le infermiere sexy! Sempre lui! E
il fratellino, l'unico che riesce a far rinsavire quella testa calda v.v
Che ne pensate della scena tra Bill e Susan? Noi troviamo che siano molto dolci, voi no? °^°
A proposito, abbiamo dato un nome
alla coppia in questione, chiamandola Bussan. Sì, lo so, Susan
non è Sussan... Ma io personalmente lo trovo
adorabile!°^°
Comunque anche Gwen sta cambiando
agli occhi di tutti, trasformandosi da rompiballe a ragazza seria... Ma
non mi esprimo!XD
Che poi gli spoiler fanno male se non assunti con moderazione u.u
Gwen non è un'oca, l'avrete notato. E' solo una ragazza solare,
e vi possiamo fare questo spoiler: nel prossimo capitolo lei e Jay si
abbracceranno! :D
Ma te li immagini Gwen e Jay... Insieme?°^°
Oddio!
Vi piace il rapporto di sfida/gelosia/affetto instaurato dai due? Beh
sono un po' come fratello e sorella che si stuzzicano... io li adoro :)
*Miss Watson corre a vomitare*
Ma no collega, cosa vai a pensare?! D: Jay ha già rubato
abbastanza ragazze a quel povero cristo di Archie, non trovi?? xD
Sì ma non è quello che
mi indigna xD No, è come vedere... cioè sarebbe come se
io me ne andassi con mio cugino! Li vedo troppo come fratello e
sorella, migliori amici al massimo!
Comunque sì, sono adorabili ^^
Sono la perfetta incarnazione di un rapporto fraterno qualsiasi, che
non smette comunque di stupire u.u
Ma appunto, nessuno ha detto di vederli assieme... calm down xD
Non dicevo questo però!XD
Dicevo che me l'ero solo immaginato u.u
Comunque è tardi e dobbiamo aggiornare, quindi...alla prossima carissimi fan! :D e ricordate: la musica è la voce dell'anima *-*
***
1. Jay divertito:
2. Il fratellino =) :
3. Archie al parco:
4. Jay in macchina:
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM [dedicate ai
due fratelli **]
1. Jay, nella sala d'attesa
dell'ospedale, con le guance piene di caramelle **:
2. Archie che sorride:
3. Jay che scappa dall'ospedale:
|
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Capitolo 10 *** 9. ***
Timeless 9
Buonsalve, readers! :D
Innanzitutto ci scusiamo per il ritardo -ma tranquilli, non vi abbiamo
dimenticato così come non abbiamo dimenticato questa storia!
;)- ma in compenso vi regaliamo un capitolo lungo, e piuttosto ricco di
sorprese. Un vero e proprio capitolo svolta! *-* Da questo momento in
poi -e successivamente- Timeless cambia registro! ;D Diciamo che
finalmente si conclude la "presentazione", durante la quale avrete
capito poco e niente, e si entra nel vivo della storia! :) Per
adesso... buona lettura! :D
Capitolo
9
Mezz'ora
dopo Jay stava osservando Gwen bere un frullato alla fragola mentre
Archie giocherellava con la cannuccia della coca cola.
Aveva
raccontato ogni cosa
-qualsiasi dettaglio gli venisse in mente- di quella storia: al sentire
il racconto della sua morte Archie trasalì e Gwen
alzò la
testa con gli occhi lucidi, stringendo la mano di Jay. Per il resto,
comunque, non proferirono verbo limitandosi ad ascoltare.
«E
questo è tutto» mormorò Jay.
Abbassò
lo sguardo
sulla crostata alla nutella e ne staccò un pezzo con la
forchettina, portandosela alle labbra. Masticò
svogliatamente,
sentendo il composto al cioccolato dolce-amaro impiastricciargli la
lingua, scendergli dolcemente lungo la gola e mescolarsi alla dolcezza
della pasta frolla.
Si
leccò le labbra, in attesa.
«Tu
pensi che possa
accadere anche questa volta?» osò chiedere Gwen,
interrompendo il silenzio che si era creato, la mano sulla spalla di
Archie.
Jay scosse il
capo.
«Non
ne sono sicuro» ammise.
Leccò
lo zucchero a
velo dalla forchettina, riflettendo. Aveva imparato che gli avvenimenti
potevano cambiare semplicemente volendolo: e la morte di Archie,
volendo, poteva essere evitata. Ma...
E se altri
fossero morti al posto del fratello?
Il suo sguardo
corse a
Gwen, poi si rivide seduto su quel tavolino, davanti a una crostata al
cioccolato. E decise che avrebbe reagito.
«Quindi,
tu pensi che
basterebbe non attraversare la strada, giusto?» pretese di
sapere
Archie, non ancora del tutto convinto. Jay conosceva il fratello da
quando ancora si frullava nel ventre della mamma, e quegli occhi scuri
non erano mai stati facili da impressionare. Il fratellino era troppo
legato alla logica e alla razionalità per poter accettare
appieno un simile racconto, letteralmente irrazionale, illogico e,
tanto per cambiare, proprio assurdo.
Però...
allo stesso tempo Jay era sicuro -o per lo meno, voleva
esserlo- che il fratello lo conoscesse abbastanza per comprendere
quando stesse mentendo e quando, al contrario, stesse dicendo la
verità, come in quel caso.
«Considerando
che per
due volte hai rischiato di essere investito e una volta è
proprio successo, io direi di evitare le strade come la
peste.»
«Sono
d'accordo» convenne Gwen, con una serietà che
impressionò il maggiore dei Denver.
«Jay,
sei sicuro
che...» iniziò di nuovo Archie e Jay
sbuffò,
distogliendo lo sguardo. Eccolo che ricominciava. «Se non
vuoi
credermi sei liberissimo di farlo. Non mi interessa, okay? Basta che mi
stai vicino e eviti di farti ammazzare!»
«Non
ci tengo a
perdere le penne, sia chiaro» ribatté Archie,
ostinato
«Sono solo molto perplesso, insomma... potrebbe avere una
spiegazione perfettamente razionale tutto questo.»
«Per
esempio?»
«Può
capitare di fare sogni, sai, come dire... particolari.»
«Oh
no, risparmiami la lezione, Sherlock.»
Jay stava per
aggiungere
qualche frase ad effetto, su quanto tutta quella situazione avesse
totalmente voltato le spalle alla logica quando, lasciando vagare
distrattamente lo sguardo in giro, qualcosa attirò la sua
attenzione inchiodandolo sul posto per attimi che parvero interminabili.
«Oh
mio...» si
lasciò sfuggire, colto di sorpresa. Archie
corrugò la
fronte, seguendo la traiettoria del suo sguardo.
«Cosa?»
Ma Jay non lo
ascoltò. Si alzò in piedi come una furia e si
avvicinò all'oggetto dei suoi pensieri. Lì,
abbandonato
sul ciglio della strada, col sole che si rifletteva pallido sulla
carrozzeria, stava posteggiato il picup azzurro. Il giovane fu
attraversato da una scarica di sensazioni diverse che variarono
dall'orrore ad una gioia cocente, che per un attimo lo
destabilizzarono. Quando riprese il controllo di sé
alzò
una mano per fermare il fratello -che si risedette, confuso- e
abbozzò un sorriso privo di allegria.
«Aspettatemi
qui,
tutti e due. E mi raccomando, che non vi salti in mente di attraversare
la strada per venirmi a chiamare, d'accordo?»
«Signor
sì signore» rispose atono Archie, mentre Gwen gli
dava manforte annuendo spaventata.
Con quella
conferma che
ancora gli vorticava nella mente Jay si avvicinò furtivo al
picup, lasciando scorrere un dito sulla carrozzeria ricoperta di
polvere: il gesto lasciò dietro di sé una scia di
pulito,
che fece venire la pelle d'oca a Jay. Era proprio quello il picup che
aveva attentato alla vita di suo fratello, o meglio... che gliel'aveva
strappata via, per ben due volte. Fece saettare lo sguardo intorno per
ricercare il possibile proprietario e magari, colto dalla rabbia,
prenderlo anche a calci in culo, ma quando si rese conto che la strada
era deserta, fatta eccezione per Archie e Gwen nelle panchine del
parco, stabilì di cambiare tattica.
Una volta che
aveva
individuato la falce retta dalla Morte, non poteva lasciarsela
scappare. Frugò nelle tasche alla ricerca di un oggetto
contundente -o qualsiasi altra cosa che avesse una punta acuminata- ma
non trovò altro che il proprio cellulare. Sbirciò
in
giro, imprecando tra i denti, e finalmente la fortuna gli sorrise.
Lì,
a pochi metri,
poco oltre l'angolo vi era un'impalcatura in legno scheggiato
aggrappata ad una casa in stato di ristrutturazione. Jay si
avvicinò di soppiatto, poi tastò la superficie
imprecisa
e lanciò un urlo strozzato quando una scheggia
particolarmente
appuntita gli punse il dito, facendo emergere una minuscola gocciolina
di sangue che subito Jay fece sparire nella propria lingua.
Staccò con decisione la scheggia -attento a non ferirsi- e a
lavoro ultimato sollevò gli angoli della bocca, soddisfatto.
«Salve, bambolina.»
Si
voltò verso la
sua preda e come un felino in agguato si accucciò vicino
alla
ruota anteriore. Con un unico gesto rapido e veloce, affondò
la
punta di legno nella ruota, che oppose una certa resistenza. Non ancora
soddisfatto, per precauzione bucò anche la seconda ruota.
Infine
gettò la scheggia lontano dalla propria portata, quando si
rese
conto che la strada stava iniziando ad affollarsi di gente,
probabilmente richiamata dalla frescura del tramonto.
Sorrise mentre
si avviava con nonchalance verso Gwen e Archie.
Magari
le cose sarebbero potute andare meglio...
Ciò
che sapeva era
che si stava impegnando affinché Archie non ci lasciasse le
penne. E che il fratellino sarebbe stato tanto collaborativo da evitare
di farsi ammazzare e quindi attraversare la strada.
«Sono
ancora intero» lo informò Archie, stringendo a
sé una Gwen tremante.
Jay
alzò un
sopracciglio, preferendo non commentare. Mise una mano tra i capelli
della ragazza e le sorrise, scompigliandoli.
«Ti
porto a vedere i cigni, ti va?»
Lei
sorrise, gli
occhi ancora lucidi e un tremolio sulle labbra. Annuì e si
alzò con Archie che le strinse la mano -Jay non seppe capire
se
lo avesse fatto per infonderle o infondersi coraggio- e tutti e tre si
diressero verso il laghetto.
C'era una
sorta di inquietudine, nell'aria.
Strisciava
subdola sotto
pelle, accarezzando con i suoi artigli il cuore di tutti e tre i
ragazzi: Archie osservò con un sorriso Gwen lanciare le
molliche
ai cigni e si chiese se tutto quello avrebbe avuto una fine.
Jay
si limitò
a borbottare qualcosa di prettamente indefinito, grattandosi la testa.
Il minore gli lanciò un'occhiata incuriosita ma l'altro
scosse
il capo e prese a punzecchiare Gwen facendola ridere.
«Che
ne dite di spostarci verso la piazzetta?»
La domanda di
Archie colse
impreparati sia Jay che Gwen, che si scambiarono uno sguardo dubbioso.
La piazzetta era niente più che uno spiazzale tra gli
alberi,
provvisto di panchine -dove i genitori si sedevano per parlare e tenere
contemporaneamente d'occhio i proprio figli- camioncini di gelato e
zucchero filato, aiuole fiorite con una pavimentazione fatta di
ciottoli colorati che rappresentava
un angelo con
un giglio in mano che porgeva l'altra mano verso l'osservatore.
Un luogo
delizioso, tutto sommato.
E sopratutto
lontano dalla strada.
Non trovandoci
nulla di
male Gwen alzò le spalle e si sollevò, prendendo
a
braccetto Archie mentre Jay si affiancava loro, in silenzio.
«Starò
bene.»
Jay
sussultò.
Alzò
lo sguardo e vide Archie guardarlo, sorridendo appena, rassicurante.
«Hai
fatto quello che potevi. Starò bene, te lo
prometto.»
«Anche
perché
se ti fai ammazzare ti uccido ovunque tu vada a cacciarti»
replicò il fratello maggiore, facendo una leggera smorfia:
sentiva di avere già gli occhi lucidi -e lui non piangeva,
non
era una fottutissima ragazzina!- e per nasconderlo diede una spinta ad
Archie che ricambiò.
«Sei
sempre così dolce» borbottò il minore,
fingendosi offeso.
«Mi
ami anche per
questo, tesoruccio. Senza offesa per Gwen»
ridacchiò Jay,
pizzicando la guancia arrossata della ragazza del trio.
Gwen
accennò un sorrisetto. Era strano non vederla ridere, per
una volta.
Archie
aggrottò appena le sopracciglia.
«Ci
stai provando con la mia ragazza, razza di idiota?»
proferì fintamente minaccioso.
Jay
battè le ciglia con falsa innocenza.
«Veramente...»
«Non
sono sicuro di voler sentire come finisce quella frase, Jay»
lo informò Archie.
Gwen
scoppiò a
ridere, incapace di trattenersi di fronte a quella scena di amore
fraterno. Jay accennò un ghigno e le passò un
braccio
intorno alle spalle.
«Quando
ammetterà il suo amore per me?»
«Ah,
non lo so... è così testardo alle
volte!»
Era strano
scherzare con
Gwen in quella maniera -così spontanea da lasciarlo
sbigottito-
ma aveva capito che darle battaglia non sarebbe servito a nulla. Lei
era una parte importante della vita di Archie e tutto ciò
che
poteva fare per renderlo felice era accettarla.
«Guardate
che vi sento!»
Archie storse
il naso, con aria così snob che Gwen si mise a ridere di
nuovo e corse ad abbracciarlo.
«Vuoi
dello zucchero
filato alla fragola, Gwen? So che è il tuo
preferito»
propose allegro Jay. Come Susan, Gwen sembrava adorare la fragola
più di se stessa: forse era vero quello studio che
dichiarava
che gli uomini cercavano nelle proprie compagne una donna che
assomigliasse alla mamma.
Erano giunti
nella
piazzetta, inondata dal sole di Marzo: vi erano bambini che giocavano
con la palla, altri che inseguivano camioncini dai colori sgargianti.
Alcune bambine muovevano gli hula hoop mentre altre saltavano la corda
a ritmo di canzoni infantili.
I genitori
parlavano sulle
panchine, tenendo d'occhio i figli: a volte, richiamati dalle vocine
chiare, alzavano lo sguardo e salutavano con un sorriso. Con una
stretta al cuore Jay si rivide bambino in quello stesso parco intento a
giocare a palla mentre suo padre chiacchierava con Bill, entrambi con
una birra ghiacciata in mano, con Susan intenta a spettegolare con una
vecchia amica e Archie nel passeggino.
Si costrinse a
scacciare l'immagine e sorrise verso Gwen e Archie.
«Andate
voi due colombe in amore verso lo zucchero filato?»
Una mamma
passò
proprio in quel momento con un passeggino, spingendolo lentamente:
cogliendo al volo l'occasione Jay si rivolse verso i due piccioncini.
Dopotutto era
sempre Jay A.
Denver che prendeva in giro Gwen e Archie e il loro mondo di zucchero
filato, arcobaleni e nuvolette rosa.
«Ma
prima di andare
gente...» ghignò allegramente, mettendo le braccia
sulle
spalle di entrambi. «A quando il mio primo
nipotino?»
A quella
domanda Gwen arrossì furiosamente e Archie alzò
gli occhi al cielo.
«Jay!»
Sordo al
richiamo di Archie il maggiore continuò a parlare tranquillo.
«Ovviamente
sarà figo come me, io sarò lo zio preferito e lo
riempirò di dolciumi e giocattoli e quando sarà
grande
gli insegnerò la suprema arte del rimorchio!»
Esasperato
Archie prese Gwen per mano, facendo per incedere prima che il maggiore
avesse tempo per aggiungere qualcosa.
Jay
lasciò
scivolare le mani dalle spalle dei due alle loro schiene, spingendoli
dolcemente in avanti. «E mi raccomando, al diavolo la dieta!
Quella si inizia sempre il lunedì e oggi non è
lunedì!»
«Certo!»
Archie scosse la testa divertito, senza voltarsi, poi strinse Gwen al
suo fianco e si incamminò verso il carretto; Jay si
ritrovò a guardarli allontanarsi, con un sorriso dolce sulle
labbra: quei due erano uno spasso, e soprattutto, stavano bene assieme.
Archie era felice, e Gwen lo amava...
Non
l'avrebbe fatto
soffrire, e a Jay tanto bastava. Si era sbagliato sulla giovane Paxton,
e sinceramente, l'idea di un nipotino non lo spaventava poi tanto: non
significava perdere suo fratello. Anzi, forse li avrebbe legati ancora
di più.
Si volse con
ancora quel
sorriso sulle labbra, scuotendo piano la testa proprio come prima aveva
fatto il suo fratellino: con le mani in tasca avanzò nella
piazza, guardandosi intorno per seguire i giochi dei bambini
spensierati che correvano come se non avessero nessuna preoccupazione,
nessun nervosismo a tormentarli.
Ormai che
aveva
sperimentato cosa volesse dire perdere Archie, perderlo sul serio,
aveva realizzato di essersi comportato da idiota quel primo giorno. Si
lasciò attirare dalla sfera infuocata del sole che si
affacciava
dietro una coppia di palazzi, e per la prima volta non ebbe paura.
Il
tramonto ormai era praticamente trascorso... e Archie stava bene.
Proprio mentre
era perso in
queste considerazioni un pallone da calcio di stoffa gli si frappose
tra i piedi, ed un attimo dopo una bimbetta minuscola con le codine
bionde e una coppia di grandi occhi azzurri alzò lo sguardo
su
di lui, ammirata e spaventata insieme: dal suo punto di vista doveva
apparirgli un colosso. Jay rise dolcemente sollevando la palla con la
punta del piede, alla stregua di un giocatore di calcio, poi la
afferrò al volo e la porse alla piccola che la
agguantò
con una risatina, e fuggì via. «Glazie
signole!»
La bambina
tornò a
giocare col suo pallone e Jay, quasi ingenuamente,
fantasticò
sull'aspetto che avrebbero avuto i suoi nipoti... i capelli di Archie?
Gli occhi di Gwen?
Stava giusto
immaginando un
pargolo con i riccioli scuri ed un enorme sorriso privo di dentini,
quando un clacson terribile gli fece alzare gli occhi come se fosse
stato morso da uno spillo. Ciò che vide lo
paralizzò
semplicemente dal terrore. Il picup azzurro stava suonando
all'indirizzo della bimba con le treccine, che per recuperare il
pallone andato a finire in mezzo alla strada, si era ritrovata al
centro della carreggiata.
«SPOSTATI!»
Jay non si chiese nemmeno come fosse possibile che quel picup fosse
ancora in circolo, dopo che gli aveva bucato ben due ruote. Per un
attimo interminabile, mentre correva col cuore in gola verso la strada,
gli venne il dubbio di aver sbagliato macchina. Afferrò la
bimba
da sotto le ascelle e si spostò sul marciapiede appena in
tempo.
La bimba lanciò un urletto spaventato e poi gli strinse le
braccia al collo, tremante. Jay le accarezzò la testa per
tranquillizzarla e cercò di calmare i battiti del suo cuore.
«Va tutto bene, piccola, sei salva.»
Che,
proteggendo
Archie, avesse rischiato di far morire un'altra persona? Tuttavia i
suoi peggiori incubi parvero avverarsi quando il picup, per evitare la
palla di stoffa, sterzò improvvisamente. Il guidatore -che
Jay
non riuscì a intravedere, nella fretta- perse il controllo
del
mezzo quando sorpassò il minuscolo gradino che separava la
piazza dalla strada. Con la morte nel cuore e un terrore cieco e sordo
negli occhi, Jay si rese conto che il mezzo era sbandato proprio a
causa di quelle ruote bucate che adesso strisciavano sul pavimento
della piazza.
Tra
urla terrorizzate
i ragazzini correvano lontani per sfuggire dalla traiettoria del mezzo
inarrestabile, abbandonando i loro giochi dove capitava, mentre i
genitori ancor più spaventati li rincorrevano per metterli
in
salvo, prendendoli in braccio come Jay aveva fatto con la bambina.
Ma
poi, come se tutto
fosse già stato deciso, come se il destino, inevitabile,
avesse
guidato il picup, quello si ritrovò a scivolare senza sosta
proprio verso il carretto dello zucchero filato.
Oh no!
con un tuffo al cuore Jay rimise la bimba a terra e corse come un
forsennato. «ARCHIEEE, GWEN!»
E poi la vide:
l'ennesima conferma.
Archie e Gwen
che si
voltavano, bianchi come cenci, con le bocche aperte e gli occhi
spalancati. Poi Archie afferrava Gwen, per farle scudo col suo corpo e
allontanarla... ma non ci riuscì in tempo.
Il picup si
scontrò
col carretto dello zucchero filato: il proprietario si
lanciò di
lato per evitare l'urto, il picup finalmente si arrestò
-dopo
aver spinto il carretto di vari metri- e l'airbag si diradò
di
colpo oscurando la vista del guidatore. Archie e Gwen, fortunatamente,
avevano subito solo un leggero impatto, che non aveva causato loro
nemmeno un graffio.
Poi tutto
accadde in pochi
attimi. Jay rallentò la corsa, ricambiando lo sguardo di suo
fratello. Un sorriso spontaneo gli sorse nelle labbra, vedendolo salvo
-sì, in culo al destino!Ce l'aveva fatta, finalmente! Ci era
riuscito!-.
Voleva urlare,
ridere e piangere dalla contentezza nello stesso momento. Sarebbe
potuto morire dalla gioia.
Gwen era
ancora aggrappata alla maglietta di Archie, con i capelli stravolti e
lo sguardo in preda al panico.
Archie sorrise
in direzione del fratello, i suoi occhi brillarono, ma poi...
Il
retro del picup
esplose... Archie e Gwen furono sospinti via dall'onda d'urto, e
sparirono dalla vista: dietro vi era una scala...
Jay
agghiacciò, poi
ricominciò a correre e urlare i nomi di suo fratello e di
Gwen,
mentre intorno la gente terrorizzata gridava, piangeva e accorreva
verso il carretto, o verso la base delle scale.
Jay
per un momento
quasi non sentì niente, a parte il proprio respiro. In un
attimo
si affacciò sulle scale... due corpi erano riversi in fondo.
No... non anche Gwen...
Con gli angoli
degli occhi
che bruciavano, lo stomaco sottosopra e il respiro bloccato Jay si fece
strada a spintoni e spallate, scese le scale quasi in un balzo felino,
e si avvicinò ai corpi. Uno dei due fagotti si muoveva.
Gli
fu vicino in un attimo e Gwen, tossendo, gli si aggrappò al
braccio.
«Gwen!»
urlò Jay per sovrastare i rumori, afferrandole il viso con
una
mano e scacciandole i capelli dagli occhi, ansioso «Stai
bene?
Ehi, mi senti?»
Gwen
tossì,
poi annuì con le labbra strette, e lo guardò,
stringendogli appena l'avambraccio. In quello sguardo Jay
capì
tutto ma aveva paura... paura di voltarsi... paura di scoprire che
Archie non aveva avuto la stessa fortuna.
Poi lo strillo
acuto di Gwen lo riportò bruscamente alla realtà.
«Oh
mio dio, OH MIO
DIO!» stava urlando Gwen con una mano alla bocca e gli occhi
pieni di lacrime. Gli infilò le unghie nella carne e Jay
voltò lo sguardo: dal secondo fagotto si allargava una pozza
scura.
«ARCHIE!»
In un attimo
gli fu vicino,
rivoltandolo: Archie, con la bocca dischiusa, da cui scivolava un
rivolo di sangue, gli occhi spalancati nel vuoto e l'espressione
sofferente, aveva un largo graffio sulla fronte... di molto
più
grave e profondo di quello di Jay.
Non
appena gli passò una mano sotto la testa, sul collo, il
maggiore si rese conto che non vi era nessun battito.
Non
riuscì nemmeno a stupirsene.
Gwen nascose
il volto sulla sua spalla, stropicciandogli la maglietta con la mano e
singhiozzando rumorosamente.
«Avevi
ragione,
Jay!» strepitava, piangendo «Tu l'avevi previsto e
noi non
ti abbiamo voluto credere! Mi dispiace, mi...»
Jay la strinse
con le
braccia, cullandola, mentre fissava il volto di suo fratello, gli occhi
castani ormai opachi e spenti, che fissavano un cielo che non avrebbero
più rivisto. Si ritrovò a piangere con Gwen,
seppellendo
il naso nei suoi capelli.
«Non
è colpa tua, non è... colpa di nessuno.»
«Adesso
lui è
morto però!» seguitava a piagnucolare Gwen, col
volto
deformato dal dolore e dal pianto «Lui è morto e
non lo
vedrò più, Jay! Non lo vedremo mai
più!»
Jay la strinse
ancora di
più e alzò gli occhi lucidi, lasciandoli vagare
intorno:
la gente si era ammassata lì attorno, sconvolta, coprendosi
il
volto o la bocca, alcuni piangendo sommessamente.
La polvere
dell'esplosione continuava a galleggiare pigramente nell'aria, quasi
totalmente portata via dal vento...
E poi, tra
tutte quelle
facce, qualcosa attirò l'attenzione di Jay, tanto che una
forza
invisibile lo costrinse a tornare indietro con gli occhi:
lì,
proprio dietro l'angolo, c'era il tipo con la giacca di jeans.
Fissava la
scena come se
avesse corso per tutto quel tempo e fosse arrivato proprio in quel
momento. Jay trasalì, e il ragazzo, quasi l'avesse sentito,
alzò lo sguardo da suo fratello a lui e nei suoi occhi...
nei
suoi occhi a Jay parve di leggere una profonda impotenza.
«EIH!»
Quello
spalancò le palpebre, poi indietreggiò cauto,
come se
volesse scomparire veloce come era apparso, tornando sui suoi passi. Ma
Jay non glielo avrebbe permesso.
Un odio
intenso lo
stordì: si districò dalla presa di Gwen, che si
accasciò sul corpo esanime di Archie, stringendogli la
maglia e
piangendo mentre gli accarezzava la guancia priva di colore.
Jay
iniziò a correre verso il tipo che sparì dietro
l'angolo del palazzo.
«BASTARDO,
TORNA QUI!»
Non poteva
lasciarselo
sfuggire... non di nuovo! Quel tipo nascondeva qualcosa... ed era
rimasto, come spettatore, a osservare la morte di suo fratello. E
chissà se non l'avesse già fatto le altre due
volte?
Non ne poteva
più di
vedere il fratellino morire. Il suo cuore era ormai dilaniato dal
dolore, tanto che era sicuro non avrebbe avuto la forza di rivivere
ancora una volta la stessa tragedia.
Se la giornata
si fosse
ripetuta, sarebbe stato perfino disposto a gettarsi davanti al picup e
morire al posto del fratellino, pur di risparmiarsi tutto questo dolore.
Quando
raggiunse lo spigolo del palazzo vide il tipo in giacca di jeans
guardarlo fisso, a molti metri di distanza.
Ma non con
sfida... pareva controllare se fosse ancora seguito.
«Torna
qui, figlio di
puttana!» ruggì Jay, accelerando la corsa: il tipo
riprese
a correre, ma sembrava esausto... come se non avesse fatto altro per
tutta la giornata.
Poi,
proprio quando
stava girando l'angolo, abbatté un ragazzino in skateboard
che
stava girando in quell'istante. Il ragazzino si scusò, poi
si
diede una spinta col piede e ripartì sulla sua tavoletta,
come
se niente fosse. Il tipo in giacca di jeans invece cadde all'indietro
di schiena, con un gemito strozzato.
Jay fu invaso
da una gioia
quasi perversa, consapevole che l'avrebbe raggiunto. Il tipo gli
lanciò uno sguardo confuso coi suoi occhi azzurri che adesso
avevano assunto una sfumatura più scura, poi
provò a
rimettersi in piedi.
Eh no,
pensò Jay riducendo gli occhi a due fessure e cercando di
velocizzare ancora di più la corsa, non ci provare nemmeno!
«Adesso
basta!» lo avvisò, imperioso.
E quando il
tipo, rimessosi
in piedi traballante, provò a correre di nuovo, il maggiore
dei
Denver con un urlo rabbioso gli si gettò addosso,
agguantandogli
la giacca prima che potesse sfuggirgli.
Il
tipo, sentendosi
strattonato, fu riportato indietro dalla spinta, e provò a
districarsi. «ADESSO MI STAI A SENTIRE!»
Jay
gli strinse il
colletto della maglietta nera e lo sbatté contro il muro,
abbattendo una mano accanto al suo viso per impedirgli di muoversi.
«Dimmi
chi cazzo sei!»
«Lasciami
andare» gli intimò il tipo fissando su di lui uno
sguardo
ostile. Per prestar fede alle sue parole gli afferrò con
decisione il braccio che gli stringeva il colletto.
«No,
ti lascio andare
un corno, brutto bastardo!» Jay gli assestò un
pugno e
quello emise un lamento rauco con le labbra che velocemente si
riempivano di sangue.
Presto avrebbe
avuto un
livido violaceo nella guancia, ma a Jay non importava.
«Allora?!» lo strattonò, facendosi
ancora più
vicino. L'altro riportò un paio di occhi azzurri su di lui e
Jay
quasi rimase stupito da quell'ingenuità.
«Perché
lo
fai?» in un attimo sentì tutta la rabbia lasciar
il posto
alla tristezza. Strinse le labbra per non cedere all'impulso di
piangere di nuovo, ma a quanto pare gli occhi non risposero
perché si riempirono di nuovo di lacrime.
«Perché
ti diverti a far morire mio fratello, eh?»
Il tipo parve
colpito da
quella frase, perché corrugò le sopracciglia
«Non
ho ucciso io tuo fratello» rispose, inflessibile.
«Allora
spiegami!» Jay lo strattonò di nuovo, senza
curarsi di
avergli fatto di nuovo sbattere la testa contro il muro.
«Perché non crederò a nessuna scusa: io
e te siamo
gli unici che ricordiamo! Siamo gli unici che rivivono questo dannato
giorno sapendo quello che sta succedendo, e io adesso voglio sapere
perché!»
«Non
lo so» replicò quello, ostinato «Ti
stavo seguendo per capire.»
Questa volta
fu il turno di Jay di stupirsi «Cosa? Seguirmi? Tu mi stavi
seguendo?»
«Sì.»
«Allora
perché sei scappato tutte e due le volte che ti ho
visto?»
«Perché
tu non
avresti dovuto capire» si passò due dita
affusolate e
pallide sulle labbra, poi osservò il sangue che le aveva
macchiate come se l'avesse visto per la prima volta. Quasi intimorito
rialzò lo sguardo e in un attimo Jay sentì un
dolore
immenso invadergli la guancia. Con un urlo e una mezza imprecazione
lasciò la presa, portandosi una mano al proprio labbro,
anch'esso spaccato.
«'Cazzo
fai?»
lo accusò Jay, sputando il sangue che gli riempiva la bocca.
Il
tipo non rispose, si limitò a fissarlo con
un'intensità
che per un attimo lo sbilanciò.
«Quello
che hai fatto tu» chiosò, come se ciò
spiegasse tutto.
Jay
battè le palpebre, dubbioso.
Ma non aveva
tempo per
pensare a quanto quel tipo fosse strano: la rabbia ammontava di lui
come una pentola a pressione sul punto di esplodere, e ogni attimo che
passava non migliorava di certo la situazione.
«Non
provare a
cambiare discorso, stronzo! Adesso spiegami che diamine sta
succedendo» gli puntò un dito sotto il naso
«Voglio
sapere che razza di scherzo è questo... perché i
giorni
si ripetono? Perché io ricordo tutto? Sto impazzendo per
caso?
Questa cosa avrà mai fine?»
«Spero
di no» rispose sincero quello, per un motivo che Jay non
capì.
«Come
spero di no?»
Jay lo afferrò di nuovo per il colletto, in preda alla
collera
più travolgente «Non ti lascio andare, sorta di
coglione,
se non fermi tutto questo. ORA. E' chiaro?»
Sperò
di
risultare abbastanza minaccioso, ma l'occhiata che il tipo gli
restituì era carica di qualcosa di inspiegabile.
«E'
quello che sto cercando di fare, infatti.»
«Come?»
«Non
sono stato io
ad iniziare tutto questo.»
Il tipo lo
fissò negli occhi, senza battere ciglio, poi soggiunse
«Te l'ho detto: sto cercando di impedirlo.»
«Ma
se non sei stato
tu...» Jay attenuò la stretta attorno al suo
colletto,
senza tuttavia lasciarlo andare «allora chi...?»
La
campana diffuse il
suo primo rintocco interrompendolo e la pelle del tipo in giacca di
jeans parve assumere i colori del tramonto, così come i suoi
occhi che si specchiarono nella palla solare e si incupirono
ulteriormente.
«Non
c'è più tempo.»
«Cosa?»
«La
campana» spiegò il tipo, in fretta «Ho
perso un altro giorno.»
«Ma
di che parli?»
Jay iniziava
seriamente a confondersi.
«Adesso
questo giorno si ripeterà di nuovo.»
«Eh?»
Jay
scosse piano la testa, quando comprese «Oh no, no... di nuovo
la
morte di Archie no, per favore...»
Il
tipo sembrò
riflettere su qualcosa, poi lo immobilizzò coi suoi occhi
«Però non posso lasciarti andare, sai troppe cose.
Non
dovrebbe essere permesso, non posso ignorare il tutto.»
«Che?»
«Verrai
con
me» decretò infine, con un tono che non ammetteva
repliche
ma che produsse una ruga di perplessità sulla fronte di Jay.
«Dove?»
«Lo
vedrai.»
«A
fare cosa?»
«Lo
vedrai»
«Ma
perché?!»
«Lo
vedrai.»
«Porca
miseria,
quante cose dovrò vedere domani?»
scoppiò Jay, con
voce quasi isterica, lasciandogli finalmente andare il colletto.
«Ritroviamoci
in questa piazza, di fronte alla scala, alle nove in punto. Se non
vieni lo saprò, quindi ti consiglio di non
mancare.»
«Ma
cosa, che diavolo...» un attimo dopo il rimbombo della
campana lo stordì.
«Ci
resta solo
un giorno, poi tutto finirà. Ci vediamo domani»
come se il
tipo l'avesse evocata, una sorta di nebbia mista a torpore avvolse Jay.
«Aspetta!»
provò a richiamarlo, senza capire, mentre il mondo esterno
si
dissolveva. Infine tutto divenne nero.
You
don't need money, don't take fame
Don't
need no credit card to ride this train
It's
strong and it's sudden and it's cruel sometimes
But
it might just save your life
That's
the power of love
That's
the power of love
Jay
sussultò,
riaprendo gli occhi, e scattando come se non avesse mai smesso di
muoversi. Fulminò la stanza con gli occhi, poi
allargò le
braccia e sospirò, ricadendo indietro esausto.
«Oh
no,
ancora...» brontolò portandosi le mani al volto.
«Inizio ad odiare 'sta cazzo di canzone.»
To be continued
~
Next >> Capitolo 10
«Wow, che gioiellino! Immagino anni 70, vero? E'
tua?»
Non ricevette risposta: l'altro si limitò a dirigersi
tranquillamente verso l'auto e poggiare una mano sullo sportello che si
aprì nemmeno avesse avuto le chiavi in mano.
Ora, Jay A. Denver non era un cervellone come Archie, ma era comunque
un tipo perfettamente razionale. Dove per razionale intendiamo uno che
non crede nella magia e in sciocchezze simili. Ma nel vedere quel
ragazzo aprire lo sportello come se nulla fosse, sedersi e guardare con
interesse il manubrio dell'auto non poté far altro che
sbarrare
occhi e bocca.
«Merda!»
«Ti spiegherò più tardi.»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti,
lettori! ç_ç
E sì, anche noi spiegheremo più tardi... nel
prossimo
capitolo! :D Mettiamola così, questo, come avrete capito -e
come
abbiamo anticipato all'inizio- è un capitolo-svolta,
decisamente importante. Si sta entrando nel merito della storia! ;) Chi
è il tipo in giacca di jeans? Cosa nasconde? Cosa sta
cercando di fermare, chi, e perché? Questo e molto altro nei
prossimi capitoli! Voi e Jay avrete tutte le spiegazioni che cercate
nel capitolo 10! :) Adesso passo la parola alla mia collega!
Povero Jay,
già inizia a
odiare la canzone! XD Un giorno prenderà la radiolina e la
sbatterà per terra, saltandoci sopra... Sperando che la
Sposa di
Ade non gli mandi contro qualche simpatico animaletto!
Comunque per me Jay ha sbagliato u.u
Insomma, doveva sbattere al muro il nostro nuovo amico e violentarlo!XD
Ma no, sorella, non dire queste cose!! *le tappa la bocca*
ma quiiindi, dicevamo? :D
*mugugna qualcosa di indefinibile*
Comuuunque, che fine farà Archie? Dove andrà Jay,
cosa dovrà fare?
Beh la storia
s'infittisce, questo è certo. E ricordate nulla è
come sembra! u.ù
...fa così
figo dirlo °^°
Comunque che ne pensate
di quest'altra morte bastarda di Archie? Ve lo avevamo detto che Jay e
Gwen si sarebbero abbracciati! XD
Ma quanto siamo stronze! xD
Oh avanti, quello era un
abbraccio XD Dipende solo da come lo guardi... LOL
Beh sì, ma... okaaaay stiamo rompendo le balle ai lettori,
quindi... alla prossima, cari! :D
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima! *^*
***
1. Jay versione anime
°^° -tipo che non c'entra niente ma ci piaceva...
abbiamo trovato questa immagine e ci siamo dette "è lui!!"
quindi eccola qui-:
2. Gwen:
3. Archie:
4. Jay con la ferita sulla fronte:
5. Il tipo con la giacca di jeans:
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM [dedicate ai
due fratelli **]
1. Jay preoccupato per il
fratellino:
2. Archie -sembra vagamente
idiota qui xD-:
3. Jay che da' un pugno al tipo:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 10. ***
Timeless 10
Faccio
velocemente pubblicità ad una ff su Timeless (*///////* che
emozione che qualcuno scrive sulla nostra storia!! <3) scritta da
una nostra fan (La Sposa di Ade), che rivive le vicende del primo
capitolo viste dal POV della radiolina! ;D Per farvi quattro risate...
per altro è approvata dal duo gwapple, non perdetela!! :) http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1246964
Capitolo
10
Jay si passò
una mano sulla faccia. Era discretamente stanco di tutta quella storia,
a essere sinceri: si sentiva esattamente come se qualcuno gli puntasse
ogni giorno una spada alla testa, tentando di staccargliela. Poi il
campanello suonava, il fattorino delle pizze compariva sulla soglia e
il boia decideva di rimandare il suo supplizio all'indomani. Insomma il
dolore era estenuante e non lo lasciava in pace.
Che figlio di puttana,
pensò, steso sul suo letto. Per la quarta volta in
altrettanti giorni.
Power of Love
continuava a suonare alla radiosveglia: il ragazzo si passò
la lingua sulle labbra secche, stringendo gli occhi.
«Ed
inizio ad odiare anche questo fottuto giovedì»
borbottò tra sé, mettendosi a sedere sul letto
realizzando al contempo di stare iniziando a parlare da solo. Chi era
che diceva che parlare con se stessi era sintomo di pazzia? Grand'uomo
sicuramente...
Si
alzò con lentezza, i muscoli che urlavano pietà:
dopo l'iniziale rabbia era subentrata la stanchezza di chi ha camminato
molto senza mai fermarsi un secondo, di chi ha combattuto ma sa che la
Morte è lì, dietro l'angolo...
Sferrò
un pugno al muro.
Che
cazzo andava a pensare? No! La morte, quella dannata puttana che si
stava portando via suo fratello -o almeno, ci stava provando- non
l'avrebbe avuta vinta.
Si
mise sotto la doccia, lasciando che l'acqua calda gli scorresse addosso
e sfregò ogni centimetro di pelle con rabbia sorda.
Quando
uscì dal bagno erano le otto e mezza di quel
giovedì 26 Marzo.
Afferrò
il cellulare, soppesandolo per qualche minuto: l'aereo di Archie
atterrava alle nove meno cinque e a meno di possedere i superpoteri di
Flash, come considerò lo stesso Jay, non ce l'avrebbe mai
fatta.
Inspirò
profondamente prima di comporre il numero: schiacciò il
tasto verde e si portò il cellulare all'orecchio.
Alle nove
avrebbe incontrato quel grandissimo cazzone che sembrava essere
coinvolto in quella storia e che gli aveva promesso di accordargli
spiegazioni.
Primo
squillo...
Quello stesso
coglione che gli aveva tirato un pugno, per intenderci.
Secondo
squillo...
E che lo
guardava come se fosse lui l'alieno!
Terzo
squillo...
«Pronto?»
«Ciao
mamma» la salutò, seduto sul letto. La radiolina
continuava a trasmettere imperterrita Radio Hourglass e le voci di
Jules e Beatrix, combinate a quella di sua madre, ebbero l'effetto di
tranquillizzarlo.
Almeno in
parte.
«Tesoro!»
Susan era sorpresa nel sentirlo. Jay la immaginò cucinare
anche per lui, l'odore della salsa che si diffondeva per casa.
Ebbe una fitta
di nostalgia al pensiero.
«Scusa
l'ora, mamma. Ma un amico mi ha chiamato per chiedermi un favore e non
ho potuto dire di no...» non era la bugia migliore del suo
repertorio, ma era la scusa più credibile che il cervello
gli avesse suggerito: anche perché andare da sua madre e
dirle con estrema noncuranza che da quel cosiddetto amico dipendeva la
vita di Archie... beh, non era consigliabile.
«Jay,
è successo qualcosa?» chiese sua madre.
Il ragazzo
scosse il capo, sorridendo anche se lei non poteva vederlo.
«No,
è tutto okay. Mi ha solo chiesto un favore,
arriverò in tempo per pranzo, ma non posso andare a prendere
Archie» si leccò il labbro inferiore.
«Puoi... pensarci tu?»
«Capisco...
va bene, va bene. Ma se non torni per pranzo ti arrostisco al posto del
cinghiale!»
«Hai
cucinato un cinghiale?» Jay tentò di dare alla
propria voce una sfumatura di stupore e Susan ridacchiò.
«Certo
che no, sciocchino! E' per stasera!»
Jay
alzò le sopracciglia.
«E
lo mangerai tutto da sola?»
«Beh,
non vorrei di certo finire come quella pubblicità a mangiare
mappamondi e cabine telefoniche!» Susan rise, seguita
immediatamente dal figlio. E sì, lo spot dei Tuc spopolava in TV.
«Mamma,
tu sei tutta matta...» sbuffò Jay, divertito.
Occhieggiò l'orologio: doveva muoversi. «Va bene,
io vado eh? A stasera. E... mamma?»
«Sì,
tesoro?»
Jay si morse
il labbro inferiore.
«Ti
voglio bene.»
«Oh...»
probabilmente Susan non se lo aspettava ma si ricompose immediatamente.
«Anche io tesoro. Te ne voglio moltissimo.»
Jay sorrise,
gli occhi lucidi fissi sul panorama fuori dalla finestra.
Poi chiuse la
conversazione, e il silenzio si impadronì della stanza.
Si
preparò in fretta, ma per scaramanzia scelse abiti diversi
da quelli che aveva indossato nei precedenti quattro giorni.
Infilò
una maglietta bianca a maniche corte e un paio di calzini grigi: mentre
si tirava su la zip dei jeans lo sguardo gli cadde su una sciarpa nera
abbandonata sul tavolo.
L'aveva cucita
a mano Susan per il suo quindicesimo compleanno.
Se la avvolse
attorno al collo, afferrò la giacca di jeans appesa
all'attaccapanni all'ingresso e una volta presi cellulare, portafoglio
e occhiali da sole uscì.
Cambiare abiti
probabilmente non avrebbe fatto la differenza, ma voleva comunque -e
forse anche con una certa dose di infantilità- aggrapparsi
alla speranza che così facendo tutto sarebbe andato bene.
Beh,
pensò Jay, frugando nelle tasche alla ricerca della chiave, quantomeno bisognerà
essere ottimisti.
«Buongiorno,
caro ragazzo!»
La signora Mao
gli sorrise, come ogni altro giorno: e come ogni altro giorno Jay
ricambiò il sorriso con cordialità mentre girava
la chiave nella toppa.
«Buongiorno,
signora Mao» la salutò di rimando.
Si sentiva
quasi come un attore che prova la stessa scena mille e mille volte.
«Vai
da qualche parte?»
Il solito
senso di disagio si intensificò. Rispondere: Sì,
da un pazzo psicopatico con la giacca di jeans che può
aiutarmi a capire qualcosa di questa assurda vicenda del cazzo, sarebbe
stato troppo da schizzati, vero?
Non era
proprio sicuro della sua sanità mentale, al momento...
«Certo.
Cioè... da mio fratello, in aeroporto»
puntualizzò poi, ricordandosi di quello che aveva detto il
primo giorno.
«E
non vorrei arrivare in ritardo quindi... arrivederla!»
E agitando una
mano si allontanò veloce dalla vicina di casa. Almeno si
sarebbe di nuovo risparmiato le foto della nipote, che sicuramente la
donna l'avrebbe costretto a sfogliare. Come al solito...
Rivolse un
cenno al signor Guirao -inseguito dal suo "Oh ciao!"- mentre correva
verso l'uscita e continuò a correre per un pezzo, fino a
quando non vide in lontananza l'officina di Bill: allora si
apprestò a camminare più lento, le mani affondate
nelle tasche e il naso per aria, a guardare le nuvole.
Durante il
tragitto ripensò alle parole del tizio strambo: cosa avrebbe
dovuto vedere? Dove lo avrebbe portato?
Ma sopratutto:
perché proprio lui? Jay se lo era chiesto più e
più volte. Perché solo lui sembrava ricordarsi
cosa era successo, tizio strambo a parte, tra tutte le persone che
abitavano la Terra?
Sbuffò
ritrovandosi a giocherellare con le chiavi di casa.
Rivolse uno
sguardo nostalgico verso l'officina, ma si costrinse ad affrettare il
passo. Mancava un quarto d'ora alle nove e le parole del ragazzo -Se non vieni lo
saprò, quindi ti consiglio di non mancare- gli
si erano impresse in mente: sembrava un tipo davvero poco paziente...
E
sospirò meditando su quanto la sfiga pareva averci preso
gusto a tormentarlo, in quei giorni.
Arrivò
alla piazzetta alle nove meno cinque minuti e si sedette sulle scale,
guardandosi intorno. Non c'era quasi nessuno, a quell'ora, e Jay si
chiese preoccupato come avrebbe fatto a...
«Ciao.»
Con uno
strillo ben poco virile Jay si mise in piedi, voltandosi di botto verso
la causa del suo spavento: il ragazzo della sera prima era
lì, col solito volto indifferente ma con gli occhi accesi da
una scintilla di curiosità infantile.
«Non.
Farlo. Mai. Più» scandì Jay, una mano
sul cuore e il respiro affannoso.
L'altro
alzò le sopracciglia e scrollò le spalle.
«Va bene» fece incolore.
Jay gli
scoccò un'occhiataccia.
«Mettici
un po' di sentimento e potrei anche pensare di crederti»
ribatté sarcastico.
Totalmente
insensibile alle sue parole il ragazzo si incamminò spedito
senza voltarsi indietro e Jay -dopo aver alzato gli occhi al cielo- si
decise a seguirlo, precipitandosi per raggiungerlo.
«Ehi,
ehi, fermati Cullen!» lo richiamò, afferrandogli
il braccio. «Dove mi stai portando?»
L'altro
osservò la mano che lo teneva con un cipiglio decisamente
perplesso.
«Non
mi chiamo Cullen» rispose.
Jay
corrugò le sopracciglia, ma decise di lasciar perdere.
«Okay
uhm... Tu.
Dove stiamo andando? Dovresti spiegarmi un paio di cose,
ricordi?»
«Verso
la macchina.»
«Giusto,
come no. La macchina, ovvio... che idiota! Dì un po', Ennis
Del Mar, ce l'hai la patente?»
L'altro
sembrò deciso a ignorare le sue battute e si diresse a passo
di marcia verso l'uscita della piazzetta seguito da Jay: svoltarono a
destra, trovandosi di fronte a un parcheggio davanti cui era stata
posteggiata una Golf Cabrio nera con tanto di cappotte.
Jay
fischiò.
«Wow,
che gioiellino! Immagino anni 70, vero? E' tua?»
Non ricevette
risposta: l'altro si limitò a dirigersi tranquillamente
verso l'auto e poggiare una mano sullo sportello che si aprì
nemmeno avesse avuto le chiavi in mano.
Ora, Jay A.
Denver non era un cervellone come Archie, ma era comunque un tipo
perfettamente razionale. Dove per razionale intendiamo uno che non
crede nella magia e in sciocchezze simili. Ma nel vedere quel ragazzo
aprire lo sportello come se nulla fosse, sedersi e guardare con
interesse il manubrio dell'auto non poté far altro che
sbarrare occhi e bocca.
«Merda!»
«Ti
spiegherò più tardi.»
Jay
batté le palpebre un paio di volte, per un attimo sicuro di
esserselo solo immaginato. Ma le parole del tipo sembravano dargli una
conferma. Chi diavolo era? Come aveva fatto ad aprire lo sportello con
un solo tocco?
Certo, dopo
aver vissuto lo stesso giorno per quattro volte c'erano ben poche
visioni che potevano sorprenderlo ma questa... questa decisamente
usciva dai suoi schemi.
«Chi
cazzo sei? Superman sotto mentite spoglie?»
«No»
si limitò a rassicurarlo l'altro, facendogli cenno di
seguirlo. Jay ringhiò un'imprecazione.
«Okay.
Tutto normale, vero?» borbottò isterico, aprendo
la portiera del passeggero: si sedette e si voltò verso il
ragazzo che studiava i comandi dell'auto come se non sapesse dove
mettere mano.
«Ce
l'hai un nome o devo inventarmi un nomignolo diverso ogni volta che ti
chiamo?» lo interrogò, caustico.
«Tecnicamente
si, tutti ne hanno uno» e la sua attenzione si
spostò sul freno a mano. «Ma è in
enochiano, dubito capiresti.»
«In
eno-cosa?»
«Enochiano»
sillabò il moro, cercando di capire come azionare la
macchina «E' la lingua degli angeli: risulterebbe
impronunciabile per te.»
«Mettimi
alla prova... Aspetta, hai detto lingua degli angeli?»
Un
angelo!
Come aveva
fatto a non pensarci prima?
«Certo,
ovvio, un angelo. Normalissimo, se ne incontrano molti per
strada...» bofonchiò Jay
«E'
costernazione quella?» s'informò l'altro; Jay gli
scoccò un'occhiataccia.
«E
tu saresti un angelo? Amico, seriamente, fatti visitare!»
sbuffò infine il ragazzo, mettendo mano alla portiera della
macchina per aprirla e scendere.
«Voi
esseri umani siete sempre troppo scettici.»
La fottuta
portiera non si apriva: Jay sbuffò, tentando di recuperare
la calma.
«E
tu sei un pazzo che si crede un angelo, siamo pari»
ringhiò.
«Io
non mi credo un angelo, lo sono!»
replicò l'altro. Il volto del moro era impassibile, ma in
fondo agli occhi Jay poté scorgere una scintilla di rabbia.
Oh. Stava
facendo incazzare lo psicopatico: ma bene!
Jay si
voltò appena, con una smorfia di stizza.
«L'aspetto più assurdo di tutta questa faccenda
è che sei serio!»
«Tu
non vuoi credermi.»
«Ma
certo, perché dovrei credere ad una cazzata del genere? Tu
sei un angelo. Come no. E io sono Chuck Norris.»
Quello parve
rifletterci. «Non sapevo ti chiamassi Chuck.»
Jay
aprì la bocca per ribattere, poi si limitò a
lasciarsi ricadere contro il sedile: d'accordo, aveva davvero a che
fare con un pazzo. Si ritrovò a ridere di cuore, sciogliendo
la tensione. «Oh, sì, certo, ho capito! Ora mi
dirai anche che ti chiami Castiel.»
L'altro scosse
la testa, serio. «No, in realtà non mi
chiam-...»
«Cos'è,
un fottuto episodio di Supernatural?!»
L'altro
strinse le labbra senza capire e Jay sospirò esasperato,
assestando un pugno sullo sportello. «Sei uno
psicopatico, lasciami andare. Perché cazzo non si apre?
Porca...»
«Tu
non vai da nessuna parte.» il tipo assottigliò gli
occhi e Jay avvertì un brivido risalirgli lungo la schiena.
Quel tono non ammetteva repliche. Deglutì, ritirando piano
la mano, per evitare gesti avventati. Qualcosa nel suo viso l'aveva
letteralmente congelato sul posto: la luce che aveva invaso l'iride del
tipo, facendo assumere all'azzurro sfumature violette, si
ritirò all'interno della pupilla, sparendo nel nulla. Per un
attimo Jay credette di averlo solo immaginato. Eppure il tipo
puntò su di lui uno sguardo inflessibile e determinato.
«Che tu mi creda o no, non c'è più
tempo. C'è stata una rivolta in Paradiso, Dio è
sparito e io sono fuggito per cercarlo.»
Jay si
ritrovò ad annuire, totalmente in balia del suo sguardo: che
gli avesse fatto qualche strano incantesimo? E... ehi, da quanto
credeva agli incantesimi?
Provò
a riscuotersi, senza realmente prestar credito alle sue parole.
«Paradiso? Dio? Oh, andiamo, amico, ma una scusa
più credibile no? Questa roba non esiste! Chi è
il tuo spacciatore?»
Ma l'altro lo
ignorò, perché continuò imperterrito,
senza interrompere lo scambio visivo «Gli altri angeli,
guidati da coloro che voi umani conoscete come Michael e Gabriel,
stanno tentando di portare l'Apocalisse sulla terra. Per farlo devono
liberare i quattro Cavalieri, e per liberarli si devono spezzare sette
sigilli. Sette proprio come...»
«...
I giorni della settimana» completò per lui Jay,
con lo sguardo perso nel vuoto. Deglutì, poi si
leccò le labbra. Fu in quel momento che abbandonò
ogni resistenza e cedette totalmente: che fosse una cazzata o meno,
tutto sembrava coincidere.
Era
già abbastanza assurdo che i giorni non volessero scorrere,
cosa poteva sorprenderlo ormai? Una parte di lui si rifiutava anche
solo di prendere in considerazione quella fantomatica teoria, l'altra
si disse che non aveva niente da perdere, a questo punto. Quanto valeva
stare a sentire lo psicopatico.
«E ogni giorno che si ripete... è un sigillo che
si spezza?»
«Esattamente»
confermò il suddetto angelo,
con un gomito sullo sterzo «Ogni sigillo viene spezzato con
una morte.»
Jay
impallidì di colpo, trattenendo il fiato, poi
cercò gli occhi
dell'angelo. «Archie!»
L'altro
annuì, in silenzio «All'inizio non
l'avevo capito, ma adesso è tutto molto chiaro.»
fece una pausa, attendendo, probabilmente, che Jay registrasse le sue
parole «Ogni volta che tuo fratello muore il giorno
finisce.»
«Brutti
figli di puttana» Jay contrasse la mascella, sentendo un odio
profondo e cieco farsi strada attraverso le vene «Non
permetterò loro di prendersi la vita di mio fratello e di
completare la loro fottuta Apocalisse!»
«Nemmeno
io.»
Jay
rialzò piano il mento, poi girò appena il collo
per incontrare gli occhi di quello. Probabilmente aveva un aspetto
patetico, ma non gliene poteva importare di meno.
«Tu
potresti fermarli?» domandò titubante, speranzoso.
Temeva però la risposta: non avrebbe sopportato di perdere
Archie. Non definitivamente.
«E'
quello che sto cercando di fare, impedire loro di spezzare l'ultimo
sigillo» confermò quello, per poi concludere
«Che verrà distrutto questa sera.»
«Ehi
un momento!» Jay gli afferrò il braccio con un
movimento istintivo. Poi ricordò quanto al tipo desse
fastidio il contatto fisico e così ritirò le dita
«Tu avevi detto che i sigilli sono sette.»
«Sì.»
«Ma
sono passati ancora solo quattro giorni.»
«No,
per essere precisi: per
te sono
passati solo quattro giorni, incluso questo.»
Jay
corrugò la fronte, disorientato. «Non ti
seguo.»
«Io
non so cosa sia successo di preciso, va bene?» il tipo
accompagnò le parole con un gesto della mano, e per la prima
volta da quando l'aveva incontrato, sembrava quasi... preoccupato.
«Tu non avresti dovuto ricordare niente, così come
tutti. E invece...» sospirò, guardando altrove
«Deve essere accaduto qualcosa quando ci siamo
toccati.»
Senza sapere
bene il perché Jay arrossì appena: che tipo
inopportuno e imbarazzante! «Toccati? Detto così
sembra un'altra cosa, palla di piume!»
L'attenzione
del tipo parve richiamata dal suo nomignolo comico, perché
riportò su di lui un paio di occhi increduli. «Tu
sai con chi stai parlando?»
«Con
un povero disperato» replicò Jay acido. Poi
però distese il volto, con una risatina gutturale che non
raggiunse le labbra «E credimi, ti capisco benissimo,
perché lo sono anche io.»
Quello non
ribatté subito. «In ogni caso, deve essere
successo qualcosa quando ci siamo incontrati. Forse ti ho,
inavvertitamente, trasmesso qualcosa, non saprei spiegarmelo. Da quel
momento tu sei rimasto vigile e attento. Da quel momento vedevi, mentre
tutto il mondo restava cieco.»
Il biondo
avrebbe volentieri applaudito.
«Che
poeta, sono commosso.»
«Ma
era già passato un giorno, prima di allora. E non
c'è più tempo.»
Jay si
grattò un sopracciglio. «Ma se era passato solo un
giorno, significa che sono cinque, non sette. Gli altri due sigilli,
allora? Il calcolo non torna.»
A questo
punto, il moro cercò una posizione più comoda sul
sedile foderato. «Il calcolo non torna, certo, e non
può se non conosci i fatti. Devi sapere che circa trent'anni
fa, qualcuno tentò di liberare i cavalieri dell'Apocalisse. Questo qualcuno
-l'identità purtroppo non ci fu mai nota- uccise il nostro
profeta, che all'epoca era solo un ragazzo, ma morì anche lui nel
tentativo. Due dei sette sigilli sono dunque già stati spezzati, più i quattro di adesso, sono sei.
Ormai occorre solo l'ultimo per liberare i Cavalieri... e verrà spezzato stasera.»
Troppe nozioni
tutte assieme: Jay si sentì la testa scoppiare. Esistevano
anche i profeti? Che funzione avevano? Chi aveva tentato di aprire i
sigilli e soprattutto, perché? Si trattava di un angelo, o
magari di un demone? Oppure un umano?
L'angelo si
concesse un breve sospiro. «Dunque abbiamo molto da fare, e
in fretta anche.»
Jay finalmente
si riportò al presente: l'ansia premeva, così
come il nervosismo e la confusione. «Aspetta un momento: hai
detto che stai cercando Dio?»
Come gli
suonava strano pronunciare il Suo
nome.
«Sì,
così come ho fatto negli altri giorni... all'inizio, in
realtà, ho provato a parlare coi miei fratelli. Ma
è stato tutto inutile. Il giorno in cui ci siamo incontrati,
stavo scappando da loro. Volevano eliminarmi perché mi ero
ribellato. Ho passato il giorno seguente a cercare di capire dove
sarebbe avvenuta la successiva distruzione del nuovo sigillo, ma ho
fallito. Ieri, invece, ti ho seguito per capire cosa
avessi di strano: per un momento ho... creduto che tu potessi
aiutarmi.»
Jay
batté le palpebre aspettando che continuasse. Notando che
non lo faceva lo esortò col mento. «Io? Aiutarti?
E come?»
«Credevo
fossi Dio, per un momento» rispose quello, abbassando gli
occhi. A Jay non sfuggì l'imbarazzo che si celava dietro
quelle palpebre.
«Non
ho mica un Death Note
con me, e il mio cognome letto al contrario non dice "Io sono Gay",
quindi dubito di voler essere Dio» lo consolò,
mordace.
L'angelo,
ancora una volta, non sembrò cogliere la battuta, e riprese
a parlare come se niente fosse.
«Poi
ho pensato che magari tu fossi un serafino, uno appartenente alla
più alta gerarchia angelica, per intenderci. Ma mi
sbagliavo, sei solo un umano.»
Quelle parole
ebbero l'impatto di una pugnalata.
«Già,
spiacente, sono solo uno stupido ed inutile pezzo di carne. Adesso cosa
farai, andrai a piangere da paparino?» si risentì
Jay, ferito.
«Mio
padre è anche tuo padre» controbatté il
moro, intrecciando pacatamente le mani sulla pancia
«Lascia
stare le cazzate teologiche, grazie» soffiò Jay.
Colse lo sguardo di fuoco del ragazzo e alzò gli occhi al
cielo. «'Kay, scusa, come non detto.»
Il moro
annuì, un po' più rilassato e Jay ne
approfittò per continuare.
«Quindi...
dovresti spiegarmi meglio tutta questa storia. Ho capito che questi due
minchioni vogliono essere i novelli Voldemort e Sauron» e qui
Jay ignorò l'occhiataccia che il tizio gli
lanciò, probabilmente offeso dai paragoni poco carini.
Ammesso che sapesse a cosa si riferisse.
«Ma
ancora non capisco bene una questione: a cosa servono questi sigilli?
Hai parlato di Cavalieri dell'Apocalisse ma non sono un esperto a
riguardo, dunque...»
«E'
meglio se adesso andiamo, non c'è più tempo. Ti
spiegherò strada facendo.»
«Andare
dove?»
«Al
cimitero.»
Jay quasi si
soffocò con la sua stessa saliva.
«Intendi
letteralmente o figurativamente?»
L'angelo gli
rivolse un'occhiata invadente che lo fece ridere per un attimo. Poi
impallidì, quando si rese conto della serietà di
quella frase.
«Mi
stai prendendo in giro?»
«Dovrei?»
Jay
sospirò, massaggiandosi le tempie.
«Beh,
credo di no.»
«Appunto»
annuì il moro. Poi si voltò verso Jay con la
solita aria seria.
«Posso
farti una domanda?»
Jay
scrollò le spalle, annuendo. L'altro piegò la
testa in un modo che gli ricordò un pettirosso.
«Sai come si guida questo affare?»
To be continued
~
Next >> Capitolo 11
«Comunque ce l'hai un nome? Insomma, non
è che posso girarmi e dire ''hey coso, hai una
penna?''»
«Te l'ho già detto: risulterebbe impronunciabile
per te, essendo in lingua angelica. Ma se proprio insisti...»
Ciò che accadde dopo fu difficile da identificare: Jay seppe
solo che qualcosa gli fischiò nelle orecchie, come un rumore
sordo di un tuono che rombava in lontananza, un suono invadente che lo
fece rabbrividire lungo tutta la spina dorsale, costringendolo a
corrugare il volto e tapparsi le orecchie.
«Okay, okay, afferrato, avevi ragione!»
L'angelo richiuse la bocca soddisfatto, abbandonandosi contro il sedile.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti,
lettori!
*Miss Watson entra in punta di piedi* Ahem... Buonasera?
Sì, non tirateci pomodori: siamo in sommo ritardo con gli
aggiornamenti,
ma comprendeteci, tra scuola e tutto abbiamo giusto il tempo di
respirare!XD
In ogni caso che ne pensate di questo capitolo? v.v Le cose si fanno
più interessanti anche per Jay!XD Avreste scommesso
sull'identità del moro?
Oppure pensavate fosse qualcos'altro?
Credo che I
am a Supernatural fan
abbia azzeccato la sua identità,
però..
Personalmente io mi sono affezionata al piccoletto *^* E'.. buh,
è così dolciosamente dolcioso!
Emh... sorella? O.o
Sì?XD
*Lady Holmes da' una scrollata alla collega per riportarla al presente*
Basta con tutti questi vezzeggiativi e queste parolette dolci, mi sta
venendo il diabete!!
Angeli!Angeli!Angeli
ovunque!
.... VA BEEENE *spinge via la collega e prende la parola*
A parte che i fan vorranno trucidarci per l'assurdo ritardo,
assolutamente IMPERDONABILE, lo sappiamo! T_T ma c'è
qualcosa
che voi non sapete... impegni a parte, avete rischiato grossissimo.
Causa un bel litigio pesante tra me e la mia controparte, ma...
insomma, poi abbiamo risolto -per fortuna-.
Abbiamo avuto pochissimo tempo per scrivere e i capitoli di adesso sono
belli impegnativi e ricchi di informazioni. Come questo: a proposito,
è stato tutto chiaro o c'è qualche punto su cui
siete
dubbiosi? Avete dovuto rileggere la parte più volte per
capire
di che Caspian stavamo blateran---parlando? °^°
E' importante che tutto risulti chiaro e, se così non fosse,
vi
preghiamo di comunicarcelo con una recensione! :D -che son sempre
gradite, eh, lettori pigri!!-
Inoltre, volevo portare alla vostra attenzione i numerosi
appellativi che Jay affibia al povero "angelo", per non parlare delle
numerose citazioni filmiche: io e la mia collega abbiamo dato sfogo
alla nostra cultura cinematografica, vero Miss Watson?? xD
*Silenzio*
.... sorella??
Cinque minuti dopo:
Oooh si, è
stato divertende!
*Lady Holmes, che stava piacevolmente dormendo, si sveglia di colpo*
Ah? Cosa? Chi sono?
*Si guarda intorno e si schiarisce la gola, in imbarazzo, mentre si
ricompone e aggiusta degli immaginari fogli su un immaginario bancone
da TG* Oh salve. Emh... allora al prossimo capitolo! ^^
*Miss Watson sorseggia
piacevolmente il the*
Non dormire sul posto di
lavoro v.v
E detto questo, cari fan, alla prossima! :D
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima! *^*
***
1. La Golf Cabrio nera con
capotte anni '70:
2. Susan preoccupata, dopo aver
parlato col figlio:
2. Jay con gli abiti che indossa
la mattina, per incontrare il tipo:
R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM
1. Jay che si volta verso il tipo, al suo arrivo:
1. Il tipo che si volta verso
Jay, di rimando:
|
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Capitolo 12 *** 11. ***
Timeless 11
Capitolo
11
Chissà
come, il tipo era riuscito a procurarsi la chiave della Golf Nera, ma
aveva preferito lasciare che Jay guidasse: dal canto suo,
benché
incredulo di stare portando un angelo a spasso per la città,
il
ragazzo aveva accettato senza pensarci due volte, convinto che
schiantarsi contro un albero non sarebbe stato di certo il modo
migliore per iniziare la giornata.
Almeno in quel caso sarebbero finiti sul serio al cimitero, anche se
forse non nel senso che lo psicopatico intendeva.
«Quindi sei un angelo» ripeté Jay,
mentre Beatrix di Radio Hourglass intratteneva un tizio al telefono.
«Già» fu la pacata risposta
«E... uhm, non per offenderti ma... rubare è
concesso tra voi pennuti?»
«Preferisco prendere
in prestito. Questa macchina tornerà al
legittimo proprietario al tramonto.»
Iniziava ad irritarlo.
Jay sospirò e virò a destra, le mani ben salde
sul
volante e le labbra strette in una linea sottile. Almeno non lo avesse
fissato! Invece no, quel... quel... quello lì non aveva
fatto
altro per tutto il tragitto!
«Avevi promesso di darmi alcune spiegazioni» gli
ricordò nervoso. «Sui tuoi amici piumini e le loro
voglie
di conquista.»
«Pensavo che a scuola s'insegnasse qualcosa di
religione»
il tono dell'altro non aveva la minima inclinazione sorpresa.
«Beh» disse Jay, concentrato sulla guida mentre
alla radio
Beatrix parlava di manga -i fumetti giapponesi- e spiegava la
differenza tra yaoi e yuri
«Non fanno di certo corsi accelerati su come sopravvivere
all'Apocalisse, se proprio t'interessa.»
L'angelo non parve cogliere, ma si schiarì comunque la gola.
«I quattro cavalieri dell'Apocalisse sono creature di Dio che
rappresentano la storia de-...»
Jay fece una smorfia.
«Sembri Wikipedia» commentò. Colse lo
sguardo
stranito che il moro gli lanciò e alzò gli occhi
al cielo.
Di tutti gli angeli gli era capitato il più sveglio, vero?
«Va bene, va bene, sto attento. Quattro cavalieri creati da
Dio per fare che cosa?»
«Compaiono quando si rompono i sette sigilli e squillano le
sette
trombe» spiegò l'angelo con agghiacciante
tranquillità. «Ognuno di essi rappresenta una
parte della
storia dell'umanità: il cavallo rosso è la
Guerra, il
cavallo bianco è Pestilenza, l'Ira di Dio che si abbatte
sulla
Terra per pulirla dai peccati. Il cavallo nero è Carestia e
ingiustizia sociale. E poi, l'ultimo, il più potente e
temuto,
è il cavallo verdastro, del colore dei cadaveri. Il cavallo della Morte.»
«Fa tanto Power Rangers» considerò Jay,
divertito.
Frenò quando un semaforo scattò il rosso, ma
l'angelo continuò a parlare tranquillamente.
«I miei fratelli hanno deciso di scatenare l'Apocalisse. Sono
arrabbiati con gli umani che hanno sottratto loro l'amore di Nostro
Padre» e si guardò le mani, con aria pensierosa.
«Vogliono abbattere questo mondo e costruirne uno
migliore.»
«'Azzo, altro che Sauron e Voldemort, qui è
questione di
manie di protagonismo e basta...» ironizzò il
maggiore dei
Denver. In realtà sentiva una certa paura serpeggiargli nel
corpo, insieme al sangue, e raggiungergli il cuore che ora pesava,
freddo, nel petto.
Occhieggiò con aria assorta il ragazzo seduto in macchina
con lui.
«E tu?» chiese improvvisamente.
L'altro alzò la testa, senza capire.
«Io?»
«Tu perché vuoi salvarci?»
La luce rossa del semaforo lasciò posto a quella verde e Jay
mise piede sull'acceleratore.
«Perché... è il mondo che mio padre
ama.»
«Non credo sia una risposta» ribadì
distrattamente
Jay, guardandosi intorno. Il cimitero era appena più in
là: ma dove cavolo doveva parcheggiare?
«Come?»
«Beh, è ovvio. Insomma, tu stai facendo questo
perché tuo padre ama il nostro mondo e cazzate varie: ma
cosa
vuoi tu? Vi fanno tutti con lo stampino o avete il cervello di valutare
da soli cosa è meglio?»
Il silenzio regnò nell'abitacolo per qualche minuto.
Jay parcheggiò l'auto di fronte a una vecchia libreria, poi
si voltò verso il moro con aria assorta.
«Comunque ce l'hai un nome? Insomma, non è che
posso girarmi e dire ''hey coso,
hai una penna?''»
«Te l'ho già detto: risulterebbe impronunciabile
per te,
essendo in lingua angelica. Ma se proprio insisti...»
Ciò che accadde dopo fu difficile da identificare: Jay seppe
solo che qualcosa gli fischiò nelle orecchie, come un rumore
sordo di un tuono che rombava in lontananza, un suono invadente che lo
fece rabbrividire lungo tutta la spina dorsale, costringendolo a
corrugare il volto e tapparsi le orecchie.
«Okay, okay, afferrato, avevi ragione!»
L'angelo richiuse la bocca soddisfatto, abbandonandosi contro il sedile.
«Uno a zero per te» borbottò
Jay schioccando
un dico accanto al proprio timpano per accertarsi di non essere
diventato sordo «Certo che la vostra lingua eno-e-qualcosa
è proprio terribile. Fammi capire, se dovessi urlare il tuo
nome
riusciresti a far esplodere un bicchiere di vetro?»
«La cosa ti divertirebbe?» indagò il
moro, con un
sopracciglio alzato. Ma la sua serietà era così
impressionante che Jay decise di lasciar perdere.
«Piuttosto, vediamo a chi hai fregato la macchina»
senza
aggiungere altro allungò una mano verso il portaoggetti del
vano
anteriore, e frugò tra le varie cartacce, le penne e le
cianfrusaglie, fin quando non incontrò una superficie
fibrosa.
Non senza difficoltà tirò fuori un portafoglio
dal
ciarpame, e lo rigirò ammirato.
Era di pelle nera, proprio come la sua giacca. «Mmm, il tipo,
o
la tipa, ha davvero buon gusto, non c'è che dire».
Aprì il portafogli e sfilò la carta
d'identità: la
foto mostrava un uomo massiccio con la testa pelata, due occhi porcini,
un paio di braccia muscolose e perfino un tatuaggio a forma di ancora
sulla spalla. Indossava una canottiera biancastra stinta e sudata.
«Il nostro Braccio di Ferro di sicuro non ha partecipato ad
un
concorso di bellezza» ridacchiò mentre scorreva le
informazioni «Felix Orion Payne» lesse, per poi
corrugare
la fronte e alzare gli occhi sull'angelo. «Felix... sai che
non
è male? Ho deciso che d'ora in poi ti chiamerò
Felix!»
«Ma veramente...» tentò l'altro, subito
stroncato
dall'esuberanza di Jay «Oh, amico, meglio di "coso", no? O
hai
intenzione di sorbirti ancora le mie citazioni filmiche? E poi hai una
faccia da Felix, a differenza di questo qui.»
Osservandolo meglio, Jay fu sicuro che l'angelo si stesse domandando
cosa significasse "avere una faccia da Felix", tuttavia ebbe il buon
senso di non obiettare e Jay sorrise tutto contento, come un bambino a
cui è stato regalato un nuovo giocattolo.
«Comunque» riprese l'ormai denominato Felix,
guardando
fuori dal finestrino e mettendo immediatamente mano sullo sportello.
«Suppongo sia ora di scendere.»
«Woooho, ehi, un momento!» Jay lo
agguantò per un
polso prima che potesse osare fare un altro movimento, e quando ebbe
riottenuto la sua attenzione, per precauzione
annullò il
contatto fisico. «Non stai dimenticando qualcosa?»
L'altro corrugò le sopracciglia. «No.»
«Invece sì, zuccone! Prima di tutto:
perché siamo
in un cimitero? Hai intenzione di uccidermi e seppellirmi senza
lasciare tracce perché, come hai detto tu, so troppe cose e
questo non va bene? Oppure hai semplicemente trovato un posto
abbastanza isolato per stuprarmi? No, perché sai, potrebbe
sembrare che prima tu mi avessi abbordato, ma di solito si fa con le
ragazze, e la cosa è imbarazzante in questo contesto, se ci
pensi...»
Felix lo lasciò parlare senza realmente ascoltarlo,
attendendo
che finisse, e Jay pensò che fosse meglio andare al sodo.
«Anche perché in quel caso, baby, sarebbe stato
più
consono portarmi a cena fuori. Insomma, un ristorante romantico con un
bel sottofondo di jazz, non un cimitero che pullula di tombe, brutti
corvi rompicoglioni e alberi che sembrano scheletri pronti ad
azzannarti» lasciò vagare lo sguardo intorno, e
tutto
ciò che avrebbe potuto descrivere quel luogo era l'aggettivo
grigio
«Sì, beh, quello che sto cercando di dire, Pulcino
Pio, è che questo dannato posto mette i brividi.»
Felix seguì il suo sguardo, senza fiatare: in effetti quel
cimitero sembrava il perfetto sottofondo di un film horror, uno di
quelli in stile anni 50 però, ancora in bianco e nero. E del
resto tutto ciò che si stendeva al di là
dell'insegna
sgangherata con su scritto "Eddison
Cemetery",
appesa ad un cancello arrugginito e scardinato, assumeva tutte le
sfumature del grigio. Dalle vecchie tombe incrostate e ricoperte di
muschio e rampicanti, agli alti cipressi scuri, e a quegli altri alberi
spogli con le radici che spaccavano il terreno. E nonostante fossero in
pieno giorno, la luce del sole non sembrava riuscire a raggiungere quel
luogo desolato: Jay si sentì come se avesse di nuovo cinque
anni, e all'improvviso desiderò di fare dietro front e
rinchiudersi nella prima casa che trovasse disponibile.
«Scherzi a parte, Fel: cosa ci siamo venuti a fare
qui?»
Felix come risposta si limitò ad aprire lo sportello ed
emergere
all'aria aperta. Jay lo seguì immediatamente, stringendosi
nella
giacca quando, non appena varcò l'ingresso del cimitero, una
folata di vento gelido lo fece rabbrividire fin nelle ossa.
«Dobbiamo fare una partita a golf con i fratelli Salvatore o
cosa?»
«Seguimi» ordinò Felix e Jay
eseguì,
più per non stare solo in mezzo a quella desolazione
infinita
che per mero spirito servizievole. Un qualcosa si mosse vicino alla sua
spalla, tra i cespugli, e Jay quasi urlò quando un'upupa gli
frullò le ali ad un palmo dal naso.
«Fottuto uccellaccio del malaugurio!»
imprecò a voce
bassa, mentre si affrettava a raggiungere nuovamente Felix. Si portava
alle spalle venticinque anni, ma aveva sempre odiato dal profondo
dell'anima il freddo e il buio. O meglio, precisamente da quando suo
padre era morto. «Allora? Hai intenzione di parlarmi o farai
la
mummia per tutto il tragitto?»
A Jay non sfuggì il fatto che l'angelo lo stesse conducendo
sempre più in profondità, nel fitto di quello
spianale
disseminato di inquietanti lapidi e sporadici alberi secchi.
«E
non voglio nemmeno immaginare come debba essere qui durante la notte.
Con la luna piena magari, e qualche ululato in sottofondo. A proposito!
Esistono i licantropi, Felix?»
«No» rispose l'altro scavalcando una radice. Jay lo
tallonò veloce, per imitare i suoi movimenti, ma inciampo' e
rovinò a terra tra le foglie secche e il fango. L'angelo
nemmeno
si ravvide di aiutarlo ad alzarsi e continuò con la sua
avanzata, mentre quello si rimetteva in piedi spolverandosi via lo
sporco, per poi ricominciare con le domande a raffica, come se niente
fosse.
«E i vampiri? E gli zombie?»
«Sono solo leggende che voi esseri umani avete creato,
confondendo creature oscure frutto della vostra fantasia con i
demoni.»
«I demoni?» Jay si fermò un attimo,
raggelato, per
poi correre ad affiancarlo, con un leggero panico nella voce
«Esistono davvero?»
«Sì.»
«Con le corna, la coda a punta e gli occhi di
fuoco?»
«Non proprio...»
«Ma quindi ci sono sul serio?»
«Certo, come noi» fu la replica, mentre il moro si
voltava
a guardarlo, quasi irritato. «I profeti ne hanno parlato nei
tempi antichi.»
«Profeti? Ci sono anche i profeti?» Jay
spalancò la bocca, meravigliato «Cavoli!»
Felix scostò un ramo per proseguire, poi lo
lasciò andare
e Jay se lo beccò dritto in fronte. «Aiha! Ma
potresti
fare più attenzione, Bello Swan?!»
Sbuffò massaggiandosi la zona offesa, ricordando come solo
il
giorno prima in quello stesso punto dove ora stava toccando pelle sana,
ci fosse una profonda ferita sanguinante.
Ma era troppo eccitato al momento per prestarci attenzione.
«Esistono altre divinità?»
«Quali altre divinità?»
«Non lo so, tipo quelle nordiche!» Jay fu sicuro
che i propri occhi stessero brillando «Esiste
Odino?»
«No.»
«E Thor?»
«No.»
«Ah! E quindi niente martello...»
«Al massimo esiste la spada di Michael.»
«E la Vedova Nera? Gran bella gnocca quella.»
«Non confondere i fumetti con la vita reale, Jay.»
«Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerla. Oppure Iron Man,
lui
sì che è un gran figo. O Capitan America: sapevi
che
colleziono le sue figurine da quando ero piccolo? Cioè, in
effetti lo facevo solo quando
ero piccolo. Archie mi prendeva in giro per questo, ma lui non capisce
niente di queste cose, ha sempre preferito le biblioteche ai cinema,
non è mica tanto norma-»
«Potresti stare zitto per un momento?» quasi
urlò
Felix, mostrando per la prima volta un tocco di emozione in
più.
Poi sospirò, rallentando il passo. «Siamo
arrivati.»
Ciò che Jay vide fu una tomba di famiglia costruita in modo
da
ricordare uno di quegli antichi templi greci per cui Archie andava
matto: davanti a questa vi erano due statue perfettamente uguali
rappresentanti due ragazze con le ali, vestite alla foggia romana, le
mani giunte e un'espressione triste in volto.
Le due statue erano già state raggiunte dal muschio: Jay le
guardò con le sopracciglia aggrottate mentre Felix sembrava
essere assorto in chissà quali pensieri.
«Sono dei tuoi simili, queste belle fanciulle?»
«Angeli? Sì. Ma non sono due fanciulle. Non
entrambi, per lo meno.»
Jay corrugò le sopracciglia, perplesso «Che vuoi
dire? Sono uomini?»
«Non proprio» Felix si inumidì le labbra
«Gli
angeli non sono come gli umani: possono scegliere quale genere li
rappresenti meglio. Alcuni di noi hanno aspetto di donne, altri di
uomini, come me. Ma possiamo cambiare se è
necessario.»
Quello che accadde dopo, fu forse l'evento più inatteso e
sconvolgente a cui Jay avesse assistito durante tutta quella lunga
giornata: quando si era voltato di nuovo verso Felix, al posto del bel
ragazzo che conosceva, incontrò le forme di una ragazza tale
e
quale all'angelo, solo in fattezze femminili.
I capelli lunghi e morbidi che ricadevano sulle spalle e su un seno
abbondante, piuttosto evidente sotto la maglietta nera e la giacca di
jeans, ed un corpo più esile e aggraziato: il volto era
quello
dell'angelo, solo con le ciglia più lunghe e gli zigomi
più pronunciati. Gli occhi, grandi e violetti -avevano di
nuovo
assunto quella strana sfumatura- erano identici a quelli di Felix.
«Mi preferisci così?» domandò
Felix...
Felicia?.... sì insomma, l'angelo, sfarfallando ingenuamente
le
ciglia. Jay si ritrovò ad arrossire e distogliere lo
sguardo,
nervoso.
Cazzo, è
proprio uno schianto!
Il maggiore dei Denver si massaggiò la mascella per cercare
di
calmare i suoi ormoni impazziti, e rimettere ordine nella sua mente:
quello era Felix, dannazione! D'accordo, al momento aveva l'aspetto di
una ragazza tremendamente sexy, ma era comunque un uomo!
«Non devi fare un favore a me!» biascicò
quando ebbe
riacquistato un po' di lucidità -naturalmente
evitò di
guardarla, per non risvegliare anche qualcos'altro-. «Tu in
quale
corpo ti trovi meglio?»
«Nella mia versione maschile» rispose genuinamente
la
ragazza, quasi dispiaciuta «Ma a quanto ho capito a te
piacerebbe
di più se...»
«A me non cambia niente!» lo... la?...
rassicurò Jay
spalancando le braccia, finalmente voltandosi a guardarla. Si accorse
troppo tardi di come suonasse ambigua quella frase.
«Cioè, non nel senso...» l'angelo lo
fissò
coi suoi occhi invadenti e Jay deglutì senza riuscire a
fiatare.
«Io... oh, lasciamo stare. Torna Felix, okay? Sarai anche
bravo a
fare questo tipo di... illusioni? Ma tu sei un ragazzo, no? Non devi
cambiare ciò che sei per fare un favore agli
altri.»
Quando terminò di parlare, di fronte a lui c'era di nuovo il
buon vecchio Felix.
«Hai visto? Non è stato difficile»
ridacchiò
senza ben sapere perché, e vide l'altro sollevare appena gli
angoli della bocca. Ammutolì. Era un sorriso, quello? Il
primo
sorriso che avesse mai fatto, rivolto a lui?
Jay non seppe se se ne accorse in quell'istante, o se fosse solo un
residuo della visione di prima, ma le ciglia dell'angelo, anche in
versione maschile, gli parvero particolarmente lunghe. Ma forse erano
sempre state così...
«Seguimi.»
«Dove siamo arrivati? Ma cosa sei, un profanatore di tombe
nel
tempo libero?» s'indignò, già dimentico
del piccolo
scatto d'ira dell'angelo e della successiva trasformazione in donna.
Questi gli lanciò un'occhiata indifferente.
«Dobbiamo andare all'Inferno.»
To be continued
~
Next >> Capitolo 12
«Stai attento alla nebbia.»
«Un momento, ma di cosa sta-...» non ebbe nemmeno
il tempo
di finire la frase dal momento che una spessa nebbia si frappose nel
suo campo visivo, coprendo del tutto l'angelo.
Oh. Ora aveva capito di cosa stesse parlando, quel moccioso piumato...
«FEL! »
Nessuno rispose.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Dite "ciao" alla zucca ballerina brasiliana fatta da Miss
Watson *-*
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D
Ma happy halloween a tutti! *Miss Watson saltella offrendo a tutti dita
mozzate sanguinanti* Un morsetto?:D
Allora sì, l'aggiornamento oggi è stato perfettamente voluto
-voglio dire, con quanta figaggine finisce sto capitolo? Ve ne rendete
conto?- e finalmente si scoprono un paio di cose in più: ma
cosa assolutamente più importante... L'ANGELO HA UN NOME!
*si odono cori di alleluja*
Sì, nella scena del cimitero anche io pensavo che si
sarebbero baciati. O che lui le sarebbe saltato addosso... Ma Jay
è di buon cuore, non sfiorerebbe mai una fanciulla senza il
consenso di questa [o questo, dato il caso specifico :P n.d.LH] u.ù
Tranne se la suddetta fanciulla stia per ucciderlo. Ma dettagli, mh?:D
Personalmente ritengo questo capitolo uno dei più...
solenni, diciamo, che abbiamo scritto fino a ora. Non è da
escludere che ce ne saranno altri, più seri, più
drammatici... Ma ehy per ora questo è il picco.
Accontentatevi
LOL
Comunque come stavo seriamente dicendo credo che questo sia un punto di
svolta. Da adesso non si può tornare indietro. Ci
addentreremo in un mondo che ci appartiene solo in parte, di cui le
regole ci sono state sommariamente descritte.
Jay è pronto? Riuscirà nella sua impresa?
*Miss Watson s'illumina la faccia con una torcia* E vi aspettate che ve
lo dica?
*Lady Holmes si schiarisce la gola e, dopo aver finito di mettere le gif e vedere la puntata di SPN su rai 4, prende parola*
Ma salveeee, anime, come state?? :D In realtà dovevamo
aggiornare secoli fa ma la scuola [le interrogazioni, i compiti, l'idea
degli esami di maturità a giugno ç_ç] ci toglie
tutte le energie. Per non parlare degli orari diversi tra me e la mia
collega, raramente riusciamo a beccarci! Con la stesura stiamo andando
un po' a rilento, ma l'importante è che Timeless vada avanti! :D
Ultimamente stiamo scrivendo una parte particolarmente (perdonate il
gioco di parole u.ù) difficile, quindi abbiate pazienza, lo
riguardiamo mille volte! °^°
Comunque sì, come ha ben detto Miss Watson, questo è uno
dei capitoli che preferiamo... e d'ora in poi non si torna più
indietro! Ci addentreremo nell'INFERNO!! °çç°
*muore al solo pensiero*
Per quanto riguarda la questione di Felix/Felicia, è il nostro
modo di vedere la leggenda sull'asessualità degli angeli. Per
noi un sesso ce l'hanno eccome, solo possono decidere quale dei due, come
dire, adottare, a seconda di come si trovino meglio u.ù Felix e
Felicia, si sappia, SONO LA STESSA PERSONA. Hanno la stessa anima,
differiscono solo, appunto, in particolari fisici derivanti appunto dal
sesso u.ù
Anyway, si è fatto tardi e la mia collega è scomparsa, e
io devo andare a una festa quindi scappo... alla prossima!! :D
*fa una risata malvagia e scompare in una nuvola di fumo*
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima! *^*
†††
1. Jay spaventato, dopo la
rivelazione di Fel:
2. Felicia:
3. L'Eddison Cemetery
dove vanno Fel e Jay:
4. Felix (versione maschio):
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Jay affascinato dall'aspetto di Felicia:
2. Felicia che si volta verso Jay:
3. Jay/Felicia:
HAPPY HALLOWEEN, ANIME! :D
|
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Capitolo 13 *** 12. ***
Timeless 12
Capitolo
12
Il
silenzio che seguì quell'affermazione fu inquietante. Per
qualche minuto, infatti, non si sentì altro che il leggero
fruscio del vento tra le fronde degli alberi: Jay deglutì
pesantemente, fissando l'angelo, spaventato.
«Che cavolo vuol di-....» non poté
finire la frase
perché già Felix si era diretto verso la statua a
destra.
«Basta con le domande, dobbiamo fare in fretta» lo
interruppe, senza nemmeno voltarsi.
«Inferno? Cioè... intendi proprio l'Inferno?
Quell'inferno?!»
Jay realizzò di essere vagamente isterico, mentre un sudore
freddo gli imperlava la fronte e il cuore non ne voleva sapere di
rallentare i battiti.
«L'unico vero Inferno, sì»
controbatté Felix, senza realmente capire la domanda.
«Oh merda!» urlò Jay, incapace di
trattenersi.
Boccheggiò per un po', provando a calmarsi. Ma l'unica cosa
che
riuscì a dire dopo un minuto buono fu un semplice:
«Cazzo!»
«Non preoccuparti, ti proteggerò io.»
«L'inferno è come l'ha descritto Dante?»
chiese,
sentendosi come un alunno che non avesse capito una lezione di
letteratura. Si schiarì la gola, consapevole di quella
fredda
paura che gli serpeggiava nelle viscere. «Coi gironi, le
urla, i
dannati, il fuoco eterno, il dolore e le pene?»
«Non esattamente» fu la semplice risposta
«Ma ripeto,
basta con le domande, dobbiamo muoverci: non preoccuparti e continua a
seguirmi, saremo al sicuro. Una volta dall'altra parte, capirai tutto:
le parole sono superflue. Potrai vedere tutto ciò che vuoi
una
volta che saremo lì.»
«Vuoi scherzare, spero!» Jay allargò le
braccia, e
quando Felix si voltò a guardarlo, confuso, l'umano le
lasciò ricadere lungo i fianchi «Non stai
scherzando.»
E non era una domanda.
Felix gli fece cenno di avvicinarsi e Jay dovette riflettere
velocemente prima di apprestarsi a seguirlo: tutta quella fottuta
situazione non aveva un senso. Forse era solo uno stupidissimo sogno,
forse no, ma in ogni caso non aveva altra scelta.
«Magari per te è perfettamente normale»
cercò
di rimediare, gesticolando «Apocalisse, angeli, demoni,
inferno,
divinità e superpoteri, ma io non sono Harry Potter e faccio
fatica ad accettare tutto questo. Se magari ti degnassi di metterti nei
miei panni, tanto per capire, sarebbe confortante. Per inciso, sto
parlando con te.»
Ma non ricevette risposta, nemmeno questa volta.
Offeso dalla poca attenzione riservatogli, Jay gonfiò le
guance a mo' di criceto.
O come un bambino a cui sono state tolte le caramelle.
«Hey! Potresti... non so, ascoltarmi, mentre
parlo?» brontolò.
Felix stava tastando il marmo sotto l'ala: diede uno strattone, come se
stesse tirando una leva, e poi saltò giù con
agilità. Ci fu un attimo di silenzio e poi la statua, con un
rumore orrendo simile ai versi di un maiale che viene brutalmente
scannato, incredibilmente iniziò a spostarsi rivelando sotto
la
sua base un passaggio.
«Questo era totalmente inaspettato»
commentò Jay, dopo qualche minuto di stupore.
Parve che gli occhi di Felix fossero accesi, per un attimo, da un
guizzo di divertimento ma, quando si girò a guardarlo, il
ragazzo stava camminando tranquillamente verso l'apertura sotto la
statua.
Con un seccato: «Ma mi vuoi aspettare?» Jay lo
raggiunse, quasi correndo.
Sotto la statua cominciava una lunga e strettissima scala -fottuti
creatori di fottutissime scale!- di marmo, resa scivolosa dal muschio:
le pareti di pietra nera erano umide e, quando Jay si
aggrappò
ad esse per non cadere, avvertì un brivido lungo la schiena
che
aveva poco a che fare con il freddo o altre stronzate del genere.
«Dobbiamo scendere.»
La voce pacata di Felix lo riscosse: il maggiore dei Denver gli
scoccò un'occhiata impaurita.
«Dobbiamo proprio?»
Allungò uno sguardo alla scala che si diradava sotto di loro
-alcuni gradini scomparivano nel buio-, rabbrividendo.
«Se vuoi restare qui...» replicò piatto
Felix
«Non è questo!» si risentì
Jay, stizzito. «Soffro di claustrofobia, stupido
pennuto.»
Ed era vero: da quando suo padre era morto in un incidente di
ascensore, Jay era stato sommerso spesso da attacchi di panico durante
i quali gli mancava addirittura il fiato, specialmente nei luoghi scuri
e bui. A testimoniarlo, tantissime notti insonni durante l'anno che era
seguito alla tragedia di Josh.
E questo sembra proprio
il posto che fa al caso mio, pensò con una
smorfia.
Le sopracciglia dell'angelo si levarono appena: era chiaro come il sole
che ci credesse poco, e Jay ebbe la folle voglia di picchiarlo a
sangue, alla faccia della fine del mondo. Tuttavia, Dio doveva davvero
saper educare bene i suoi soldati, perché Felix si
limitò
a non fare commenti ma scrollò semplicemente le spalle.
«Comunque sia, dobbiamo scendere» lo
ragguagliò.
«Grazie, non c'ero proprio arrivato, Capitan Ovvio»
reiterò sarcasticamente Jay. L'angelo lo guardò
stordito,
poi lo precedette lungo quella discesa.
«Reggiti alle pareti o potresti scivolare e romperti
qualcosa» comunicò, cominciando a scendere i
gradini con
attenzione. Jay gli fece il verso ma poi, seppur preferendo incontrare
un orso affamato che seguirlo, gli andò dietro.
Sì, le sfingi della sfortuna infinita lo avevano proprio in
simpatia...
A cominciare dall'incontro con quell'angelo: okay, va bene, in fondo i
novelli Sauron e Voldemort avrebbero anche potuto fargli la pelle
però...
«Quindi, fammi capire... scendiamo questa scala e ci
ritroviamo direttamente a Narnia?»
Felix corrugò la fronte. «Ma veramente
non...»
«Cos'è, un armadio era troppo fuori
moda?»
Come c'era da aspettarsi, l'angelo non colse la battuta.
Jay sbuffò, alzando gli occhi al cielo, chiedendo ai piani
alti
di dargli un po' di pazienza: poi ricordò che i suddetti
piani
alti tentavano di distruggere l'umanità, e scosse il capo.
Rassegnato al suo infausto destino, continuò a scendere le
scale
per un tempo che parve semplicemente essere troppo lungo per essere
descritto: man mano che avanzavano, in effetti, Jay sentiva sempre
più freddo e si chiedeva distrattamente quando quella rampa
di
scale sarebbe terminata, e se per caso si sarebbe trovato a testa in
giù come in quel quadro intricato di... com'è che
si
chiamava?
Ad Archie piaceva proprio quel pittore.
Nel ripensare al fratello un nodo doloroso gli strinse lo stomaco,
risvegliandolo dai propri pensieri: Felix armeggiò con
qualcosa
e poi la luce delle lampade inondò quello che si
mostrò
come uno stretto, freddo cunicolo di pietra.
In quell'istante Jay si rese conto che i gradini erano, grazie al cielo
-o forse no-, finiti.
Strizzò le palpebre, riabituandosi alla luce. Vide l'angelo
scrutarlo, quasi si aspettasse di vederlo cadere o fuggire da un
momento all'altro: per tutta risposta alzò un sopracciglio,
vagamente offeso.
Okay, lo riconosceva: non era di certo Riccardo Cuor di Leone e
perché no, gli sarebbero serviti mesi per carburare al
meglio
tutta quella storia. Ma di mezzo c'era la vita di suo fratello, la sua
stessa esistenza, quella di Gwen, sua madre e Bill...
Non si sarebbe tirato indietro.
Felix parve capire che non sarebbe scappato a gambe levate
perché gli concesse una smorfia, o un sorriso -dipendeva dai
punti di vista- e si voltò, prendendo a camminare di nuovo.
«Stai attento alla nebbia.»
«Un momento, ma di cosa sta-...» Jay non ebbe
nemmeno il
tempo di finire la frase dal momento che una spessa nebbia si frappose
nel suo campo visivo, coprendo del tutto l'angelo.
Oh. Ora aveva capito di cosa stesse parlando, quel moccioso piumato...
«FEL!»
Nessuno rispose.
Ringhiando di rabbia e frustrazione cominciò ad avanzare
nella
nebbia, sempre dritto, le mani tese in avanti per non rompersi il naso
in qualche colonna di pietra.
Avvertiva come un vago senso di inquietudine e solitudine insieme, che
gli schiacciavano opprimenti il petto: era come se qualcuno lo avesse
posto sotto un masso e costretto a tentare di rialzarsi.
Dannata claustrofobia,
imprecò mentalmente, stringendo i denti mentre un brivido
gli risaliva lungo la schiena.
«Dannata nebbia!» biascicò invece.
E poi... poi sentì una mano fredda afferrargli la spalla e
spingerlo leggermente in avanti: il senso di vuoto interiore
sparì e Jay si accorse di stare respirando affannosamente.
Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi chiarissimi di Felix.
Quindi si passò la lingua sulle labbra secche.
«Grazie Edward, ma sto bene» sbottò
seccato. Felix
non infierì, semplicemente mollò la presa: cosa
per cui,
il ragazzo se lo sentiva, gli sarebbe stato eternamente grato.
Jay respirò profondamente, assicurandosi di essere ben
stabile
sulle proprie gambe. Sentì lo sguardo di Felix puntato sulla
schiena e si schiarì la voce, a disagio.
«Dove dobbiamo andare ora?»
«Non ci vorrà molto» disse Felix e Jay
si chiese
distrattamente se quello non fosse un magro tentativo di consolazione.
«Riesci a camminare?»
«Ti stai calando perfettamente nella parte del vampiro
romantico,
sai?» commentò Jay, alzando le sopracciglia. Felix
gli
lanciò un'occhiata ma poi, forse decidendo che non era il
caso
di perdere tempo per chiedergli spiegazioni, andò avanti
seguito
dal ragazzo: continuarono a camminare per altri venti, forse trenta
minuti -il tempo sembrava essersi fermato- giungendo alla fine davanti
a quello che aveva tutto l'aspetto di un arco di marmo scuro.
O almeno, per quel poco che Jay riusciva a vedere, pareva scuro: il
pavimento di pietra era nascosto ai loro occhi dalla nebbia e ovunque
si girasse il maggiore dei Denver non scorgeva altro. Gli sembrava di
galleggiare su una nuvola e per un unico folle attimo si chiese se gli
angeli vivessero su di esse, in Paradiso.
Ma scacciò immediatamente l'idea, quando avvertì
l'angelo
affiancarlo: le domande idiote alle quali era imbarazzante rispondere
erano una prerogativa del moro, non sua.
Per nascondere il disagio si schiarì la gola, ringraziando
la nebbia che gli celava il volto.
«E ora che si fa?» domandò, non
esattamente certo di voler conoscere la risposta.
«Di solito gli archi si varcano» fu la semplice
risposta,
piatta e priva di emozioni come sempre. Jay tenne a freno la lingua e
represse l'impulso di prenderlo a pugni.
Era fottutamente spaventato da quello che avrebbe trovato dall'altra
parte: possibile che quel dannato volatile piumato non riuscisse a
capirlo? Lui magari era abituato a svolazzare tra le anime dei morti,
ma Jay di certo non se l'era mai nemmeno sognato. Ed essere il
protagonista di un film horror non era certo in cima alla lista dei
suoi desideri.
Jay deglutì aria, e quando realizzò che Felix si
aspettava che lo precedesse, si massaggiò la nuca.
All'improvviso le gambe sembravano essersi tramutate in gelatina. Era
congelato sul posto.
«Eih, Fel, emh...»
L'angelo reclinò appena la testa, attendendo che continuasse.
«Cosa... cosa c'è là dietro?»
riuscì a
chiedere, dopo aver preso una lunga boccata d'ossigeno, alzando
finalmente lo sguardo sul moro per incontrare i suoi occhi.
«Lo vedrai non appena avrai varcato la soglia. Se vuoi passo
per primo.»
Jay dovette concludere che stare lì immobile come uno
stoccafisso non l'avrebbe di certo levato dai pasticci, così
si
passò sbrigativamente la mano sui capelli, ravvivandoli
appena;
infine seguì Felix, docile.
«E' solo che... cioè, mi sembra tutto
così
assurdo... e, sì beh, si parla pur sempre dell'Inferno,
voglio
dire... Dio, è così incredibile che...»
«Perché hai nominato mio padre?» eruppe
Felix,
voltandosi come un cane a cui hanno pestato la coda. Jay
rischiò
di rovinargli addosso, ma riuscì a bloccarsi in tempo.
«Eh?» domandò, stralunato. Poi comprese
«D'accordo, scusami, smetto di nominare il Suo nome invano,
contento?»
Felix tornò a voltargli le spalle e riprendere la camminata,
e
Jay suppose che fosse il suo modo per esprimere l'assenso. Lo
tallonò, con ancora quello strano senso di terrore che
formicolava sulla pelle, mentre nella sua mente prendevano forma
visioni terrificanti di demoni cornuti, lingue di fuoco ondeggianti e
anime insanguinate e sofferenti. Poteva già sentire le loro
urla.
Rabbrividì al solo pensiero, chiedendosi se fosse la stessa
sensazione che il piccolo Archie aveva provato quando, da bambini, lo
costringeva ad ascoltare la storia dell'omino dello zucchero.
«Sicuro di stare bene?» volle informarsi Felix,
sfiorandogli appena la spalla con le dita. Jay gli scoccò
un'occhiataccia.
Ed è serio,
pensò incredulo. Non
riesce davvero ad immedesimarsi, eh?
Indeciso se rispondergli male o ostentare false rassicurazioni,
ricordò la natura soprannaturale del suo nuovo amico, e
ragionò che fosse totalmente inutile inventare scuse che
l'angelo avrebbe smascherato con un'analisi superficiale, mediante i
suoi occhi dotati di sovrumani
raggi X.
«Oh sì, mai stato meglio. Davvero una favola,
Sherlock. Ho solo visto mio
fratello morire tre volte, i giorni riavvolgersi come se niente fosse,
e le altre persone ripetere le stesse azioni senza ricordare nulla di
ciò che avevano fatto nelle ventiquattr'ore precedenti.
Vengo
rapito da un pazzo che dichiara di essere un pennuto con tanto di
aureola, scopro che i quattro cavalieri dell'Apocalisse saranno
liberati dagli altri piumini per distruggere il mio
mondo e, dulcis in fundo, sto solo per mettere piede nel più
orribile luogo di perdizione della terra, in mezzo a mostri assetati di
sangue, demoni e anime dannate, in compagnia di un angelo autistico con
la fissa per le giacche di jeans e uno spiccato senso dell'umorismo
totalmente incomprensibile. Una gita, insomma: sto solo per entrare
all'Inferno, cosa vuoi che sia.» rispose d'un fiato, il tutto
condito con una risata priva di allegria.
Tuttavia non ebbe il tempo di aggiungere altro perché Felix
lo
spinse oltre l'arco, immergendolo nella nebbia più totale, e
una
volta che essa si fu diradata... non successe assolutamente nulla.
Non c'erano lingue di fuoco a lambirgli il viso, né urla
strazianti rimbombavano nell'aria: gli unici suoni che sentiva erano il
fischiare di un treno e il sussurrare concitato di qualcuno.
Aprì gli occhi -non si era reso conto di averli chiusi- e si
guardò intorno, stupefatto.
Quella che si dipanò di fronte al suo sguardo aveva tutto
l'aspetto di una stazione immensa, dalle pareti di pietra lavorata,
illuminata a giorno da alcune luci al neon, che Jay era sicuro non
fossero opera di esseri umani perché risultavano quasi
accecanti
e fu costretto a distogliere lo sguardo dopo appena qualche secondo.
«Luce angelica» gli sussurrò Felix in
risposta al
suo sguardo, accostandosi a lui «Quelle luci sono alimentate
dalla grazia angelica che è, come potrai immaginare,
inesauribile. Nei tempi antichi usavamo le torce -il fuoco non si
spegneva mai, per le stesse ragioni-, ma abbiamo scelto di apportare
qualche... cambiamento.» fece una piccola smorfia, portando
di
nuovo gli occhi di fronte a sé e raddrizzando la schiena
«Per stare a passo coi tempi, diciamo.»
«Una stazione, sul serio?» replicò Jay,
impressionato.
Si era immaginato di tutto, da vulcani in eruzione, a cascate di fuoco
e stanze di tortura. Tutto, ma di sicuro non quello.
Un dubbio si affacciò nella sua mente, apparendo sempre
più fondato ogni qual volta ci ripensava.
«Questo non è l'Inferno» concluse dopo
un'attenta
riflessione, in parte offeso per il fatto che Felix gli avesse mentito,
e in parte confuso dalla piega che stava prendendo quella situazione.
Un sacco di teorie sbocciarono nella sua testa, supposizioni a e
sensazioni a cui non voleva dare un nome, insieme ad uno strano senso
di paura, smarrimento e soprattutto, tradimento.
Che Felix in realtà non volesse aiutarlo ma consegnarlo agli
altri angeli? O che magari non fosse nemmeno un angelo?
Oppure...
«No, infatti, non è l'Inferno» concesse
Felix, in
tutta tranquillità. «Questo è il Limbo.
Certo, il
fiume Acheronte e la barca a remi erano decisamente una scelta
più economica, ma siamo nel ventunesimo secolo
e...»
«... volevate stare a passo coi tempi» gli venne in
aiuto
Jay, con evidente sollievo. Rivolse un piccolo sorriso a Felix, quasi
per scusarsi di aver diffidato di lui, anche solo per un istante.
Mai bagnarsi prima che
piove, ricordò sentendosi decisamente
più leggero.
«Sì, esatto» confermò
l'angelo, ricambiando
appena quel gesto amichevole. Poi però tornò la
solita
maschera granitica e Jay si regalò il tempo di lasciar
vagare lo
sguardo intorno.
In fondo c'erano posteggiati due treni da cui proveniva
-alternativamente- uno sbuffo di fumo. Erano in due rotaie differenti,
che si riavvolgevano su se stesse immergendosi in un cunicolo a parte,
la prima a destra e la seconda a sinistra.
Perfino i treni erano diversi: il primo, quello di sinistra, era
moderno, di un grigio metallizzato che brillava alla luce delle
lampade, di forma allungata e tonda, un po' come i moderni treni
terrestri che Jay aveva preso tante volte nella sua vita.
Il secondo, invece, quello che avrebbe imboccato il cunicolo di destra,
aveva l'aspetto di un'antica locomotiva a vapore di fine Ottocento.
Nero e scarlatto, più alto del primo e decisamente
più
largo, era provvisto di un lungo comignolo che emergeva dal tettuccio
della cabina di guida.
In entrambi i mezzi, annotò il ragazzo, non vi era traccia
di
insegne o simboli a parte un numero laccato in rosso sulla vernice nera
della locomotiva di destra, ma non riuscì a riconoscerlo per
via
della distanza.
Per accedere alla zona delle rotaie dei due treni -separate da uno
sbarramento metallico- bisognava passare per una...
«Biglietteria?!» Jay boccheggiò per un
po', incapace di credere ai propri occhi. Quello era il colmo.
Di sicuro avrebbe divertito un mondo Archie.
Il pensiero di suo fratello, però, gli riaprì una
voragine nel petto.
«Andiamo a prendere il biglietto» lo distrasse
Felix,
riportandolo alla realtà. Gli ci volle un attimo in
più
per cogliere il messaggio.
«Biglietto? Gli oboli si sono forse arrugginiti?»
«Troppe monete in giro» si accodò Felix,
polemico
«un dispendio di energie piuttosto inutile, quello di cercare
di
cogliere la nazionalità dell'anima dal diverso tipo di
moneta
che portava con sé. E poi,» si diede una scrollata
alla
giacca di jeans «voi umani avete abbandonato l'abitudine di
lasciare una moneta sotto la lingua dei vostri defunti. Credevo lo
sapessi.»
«Ma certo che lo so, idiota di un pennuto, era una
battuta!» si schermì Jay, aspro.
Una vecchietta confusa gli zampettò davanti, senza sapere
dove
andare, e Jay si accorse solo in quell'istante che la parete da cui lui
e il pennuto erano venuti fuori era costellata di tanti altri archi
tutti uguali, con la sola differenza che sopra ognuno di loro vi era un
cartello con scritto il nome di uno Stato. Si voltò notando
che
sopra l'arco da cui erano usciti lui e Felix c'era inciso "Texas -
America".
«Non sai quanta confusione con questi.» Felix
glieli
indicò con un ampio gesto della mano «Voi umani
non
riuscite proprio a stabilizzare un nome definitivo, né i
confini
di un luogo. Abbiamo dovuto modificare spesso questi nomi, e non
è stato di certo facile.»
«Tutte le persone del Texas affluiscono qui, in questo arco,
nel
cunicolo che abbiamo attraversato prima?» chiese invece Jay,
ignorando il suo commento.
«Praticamente sì.»
«Ogni città del Texas ha un portale,
quindi?»
«Sì. E tutti si riuniscono al percorso principale,
che è quello che abbiamo intrapreso noi.»
«E ogni cimitero è un portale?»
«Non tutti... i portali non sono collocati sempre nei
cimiteri.
Quando questo accade, vengono scelti cimiteri piccoli, poco frequentati
e lontani da occhi indiscreti, tipo l'Eddison, per
intenderci.»
«Ma...»
«Jay,» lo interruppe Felix, sbrigativo
«Adesso non
c'è tempo per discutere. Abbiamo molte cose da
fare.»
«D'accordo, d'accordo, sono logorroico, lo so. Ma
è una
reazione logica al tuo mutismo, quindi è colpa
tua»
chiarì poi, tanto per stuzzicarlo, o provocargli anche solo
qualche reazione.
Tuttavia, ancora una volta, Felix non replicò. Si
limitò
ad incamminarsi verso la biglietteria, al seguito di uomini, donne,
vecchi e bambini spaesati, emersi dai vari archi.
«Quelle sono le anime dei morti»
illustrò Felix, con
un fare accademico che gli ricordò nostalgicamente Archie.
«Purtroppo è da un paio di giorni che abbiamo
qualche
problema: col fatto che il 25 Marzo continua a ripetersi le anime dei
morti sono, ecco... impazzite. Continuano a risvegliarsi nelle loro
tombe, anche se non ricordano di essere già state qui. O
meglio,
è come se tutto ciò che succede oggi viene
annullato e si
ripete anche domani.»
«Come dire che qui vengono sempre le stesse anime da cinque
giorni?»
«In pratica sì, tranne quando i miei fratelli
commettono
qualche errore cambiando il destino di qualcuno e risparmiando quello
di un altro.»
Jay non ebbe bisogno di chiedere che cosa intendesse: a quanto pareva
gli angeli non erano così perfetti come potevano apparire, e
anche loro commettevano errori, uccidendo qualche povero innocente nel
tentativo di aprire i sigilli. Il pensiero corse immediatamente a suo
fratello: chissà se perfino la sua morte non fosse solo
frutto
di qualche inspiegabile errore di un pennuto, che aveva per sempre
definito le sorti della sua vita?
«E pensare che tutto è stato causato da quei
dementi dei
tuoi fratellini che si divertono a rivedere il replay di questo fottuto
25 Marzo» commentò, cupo. Felix non ebbe altro da
aggiungere.
Volgendo lo sguardo intorno a sé, comunque, Jay
notò che
i contorni della stazione sembravano vagamente indefiniti a causa della
nebbia che aleggiava -sebbene fosse in minore quantità
rispetto
al cunicolo da cui erano arrivati- tutto intorno: guardando verso
sinistra vide che la biglietteria, che recava un cartello con su
scritto "Acheronte, il
biglietto del vostro al di là!", era composta
da una casetta costituita da un unico blocco di cemento con un
tettuccio di legno.
E davvero, esclusa la citazione sul carrello, sarebbe parsa una
biglietteria come un'altra, se non fosse per il fatto che a presiederla
ci stesse un tizio per metà toro, intento a masticare
svogliatamente una gomma americana e che... beh, c'era anche da
considerare quel piccolo particolare di quelle decine e decine di anime
che giungevano da ogni parte -c'era da chiedersi se non spuntassero
anche dal pavimento- e che si affollavano davanti a lui e Felix,
ostruendogli la visuale.
Jay trasalì quando scorse il minotauro. Per un momento
credette che indossasse una maschera, eppure...
«Jay?»
Al richiamo di Felix il ragazzo batté le palpebre e si volse
al suo indirizzo, con il fiato trattenuto tra i denti.
«Che cazzo è?»
«Chi,
semmai.»
«Quel mostro sarebbe una persona?!»
mormorò sconcertato.
In quello stesso momento l'uomo irsuto dalla testa taurina
formò con il chewing-gum una bolla color rosa, che
scoppiò quasi subito.
«Quella persona»
e
Felix parve sottolineare il concetto «si chiama Minosse. E
sono
sicuro che tu l'abbia già sentito nominare.»
To be continued
~
Next >> Capitolo 13
«Farai un'eccezione, allora» Felix non
sembrava intenzionato a cedere «Lasciaci passare.»
Minosse scoppiò ancora una volta la gomma, ma non volle
sentire
ragioni. «Le regole sono dettate da nostro Signore per essere
rispettate, e su questo non si discute. Nome e cognome» fece
una
pausa, poi ridusse gli occhi a due fessure, come se si fosse appena
accorto di qualcosa. «Un momento, ma io ti ho già
visto,
angelo. Tu non sei quello ricercato?»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*]
Ma salve cari :3
Come va? Passato un buon Halloween?
Io mi sono rimpinzata di biscotti
mentre li cucinavo con mia madre - e non si è nemmeno convinta a
cucinare il pasticcio di carne a forma di mano mozzata, cattiva :(- ma
decisamente a nessuno frega, vero?
*si guarda in giro mentre una palla di polvere le saltella accanto*
Ow, che cattivi!
Comunque che ne pensate di questo nuovo capitolo? Io mi sto innamorando sempre di più del povero Felix *_*
Insomma, sembra il papà con il bambino...
E Jay? Che ne pensate?
Riuscirà il nostro intrepido (???) eroe (?????) senza macchia e
senza paura (oh, ma come sono burlona!) a sopravvivere all'Inferno e a
tutto ciò che questo comporta?
Si aprono le scommesse!
Riusciranno a penetrare nell'Inferno (come suona male) senza essere sgamati?
Perchè Felix è un angelo ma Jay.. insomma, Jay è Jay u.ù
Salve anche da parte mia, alias Lady Holmes! :) La mia collega si
è dissolta nel nulla lasciandomi su facebook da sola (cattiva
lei ç_ç) quindi buh, finisco questo spazio autrici e poi
scappo a mangiare! :D [che orari assurdi! D: n.d.tutti]
Sì, adesso il viaggio si fa sempre più dark, in contrasto
al nostro Jay, una mina vagante pieno di vita -in un mondo dove sono
tutti morti, praticamente. Oh come suona inquietante :S- Come ha colto
un nostro fan nello scorso capitolo, c'è il contrasto tra il cupo e
freddo cimitero e la vivacità -e la loquacità esasperata-
di Jay. Il nostro eroe (??) tende a straparlare quando è
nervoso, si sarà notato, ed è iperattivo, sebbene non
abbia dimenticato la morte di suo fratello. E' come un pensiero che lo
rode in sottofondo lì, sotto la pelle, pronto ad approfittarsi
di un momento di debolezza per venir fuori.
Come vedrete anche nei prossimi capitoli, Archie non sarà
direttamente presente per un po', ma in fondo lui è, come
direbbero i filosofi antichi, il motore immobile che muove l'universo di Timeless. Sarà implicitamente SEMPRE presente -nella mente di Jay... e non solo- x°D
OOOH E' RESUSCITATA! Miss Watson è di nuovo tra noi! *-* Vuoi
aggiungere qualcosa, sorella? u.ù *intanto va a cercare su
google immagini fighe su angeli*
Si. Se avete un fratello maggiore trucidatelo per me °O° Non posso uccidere il mio...
Se debbo aggiungere qualcosa per
quanto riguarda la storia direi che è meglio fermarsi qui
ù.ù Non vorrei spoilerare!
Io invece volevo aggiungere un'ultima cosa!! x°D a parte: al prossimo capitolo, intendo... ebbene
E allora che mi chiedi a fare?LOL
Prima o poi aggiorneremo la nostra pagina facebook su Timeless, sarebbe
figo inserire una sezione per raccogliere tutte le canzoni che sembrano
"parlare" di questa storia... e ce ne sono tante e ne abbiamo raccolte
abbastanza x°D canzoni che sembrano riferirsi ad un preciso momento
del libro, o che sembrano esprimere il personaggio -come se fossero
scritte da lui, quelle parole- e sì, ripeto, ce ne sono eccome e
ve le faremo sentire u.ù
Ma, se anche voi ne trovate, potreste scriverci il titolo! :D noi
adoriamo la musica ed essa è una parte integrante di questo
libro ergo.. a voi la parola, readers! u.ù
Oh, e ringraziamo tutte quelle anime che ci seguono, siete la nostra luce angelica in mezzo all'oscurità °^°
E detto ciò, alla prossima! :D
*da' gomitate alla collega* sorella, dì qualcosa! *finge un sorriso falsissimo*
Yeaaaah
*Miss Watson tira fuori un cartello con su scritto Commentate o vi uccidiamo* Alla prossima! :D
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^* [Probabilmente vi starete domandando il significato di questa frase
che inseriamo ogni santa volta... lo scoprirete tra poco u.ù]
†††
1. La sorpresa sul volto
di Jay:
2. Felix versione manga [<3]:
3. Di nuovo il cimitero:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Reazione di Jay di fronte alla stazione:
2. Camminata di Felix [*__*]:
|
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Capitolo 14 *** 13. ***
Timeless 13 b
Salve,
nostri cari lettori! :3 prima di lasciarvi al capitolo ci volevamo
scusare per l'assurdo ritardo e vi promettiamo che non
accadrà più che dovrete attendere così
tanto. Anche se sembra strano, siamo state più impegnate
nelle vacanze che nei giorni normali. In ogni caso, non siamo rimaste
"inattive". Qui infatti potete trovare la One Shot su Timeless che
abbiamo scritto in occasione della vigilia di Natale :) Incontrerete i
piccoli Jay e Archie e un qualcuno
particolare dietro le quinte: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1480394&i=1
[cliccando il link si aprirà una nuova finestra,
così potrete leggerla tranquillamente dopo :)] e adesso...
buona lettura, anime! :D
Capitolo
13
«Minosse?» Jay
spalancò la bocca, poi la richiuse. Era sconvolto.
«Oh mio Dio.»
Felix lo fulminò con un'occhiata ammonitrice.
«Sì, scusa, hai ragione, non si nomina il Suo nome
invano» poi, dopo un attimo di silenzio, durante il quale il
suo
cervello cercò di registrare tutte quelle informazioni e il
cuore continuò a pompare frenetico contro le costole,
riprese:
«E' lo stesso Minosse che Dante ha descritto nella sua
opera?»
Vorrei che Archie fosse
qui. Lui saprebbe cosa dire... Jay iniziò a
pentirsi di non aver mai studiato seriamente la Divina Commedia al
liceo.
«Il Nostro amato profeta gioca un po' troppo di
fantasia»
fu però la risposta di Felix «Ma sì,
fondamentalmente si tratta della stessa figura.»
«Ha anche la coda?»
Felix finse di non sentirlo e azzardò qualche passo quando
la
fila scorse. Jay considerò l'idea che l'angelo si fosse
rassegnato alle sue continue domande, e certune non le ritenesse
nemmeno degne di risposta.
Minosse o no, dovrebbe
farsi una ceretta,
osservò disgustato, accorgendosi di come i peli del mostro
crescevano addirittura sul palmo, mentre Felix al suo fianco strappava
un tagliando col numero dalla macchinetta eliminacode rossa, posta
sulla parete vicina alla biglietteria.
«Sembra di essere in fila per i salumi, al
supermercato» borbottò Jay, divertito.
Non che fosse del tutto sicuro che Felix avesse bene in mente il
significato della parola ''salumi'' -a questo proposito si chiese se
avesse mai avuto modo di gustare un panino con la mortadella, o se gli
angeli vivessero di luce come le piante, e mangiassero nuvole nei
giorni festivi- né che capisse esattamente cosa fosse un
''supermercato'' ma decise per il bene comune di lasciare perdere, e di
concentrarsi su quegli strambi avvenimenti che gli stavano capitando
tra capo e collo.
Non si sarebbe nemmeno stupito di vedere un hobbit saltellare
allegramente chiedendogli informazioni sulla scorciatoia per Hogwarts...
No, d'accordo. Stava scadendo nel non-sense.
«Concentrati sulla fila» lo avvisò
Felix, piatto.
Jay sbuffò.
«Amico, non è che ci voglia una grande
concentrazione...» ribatté.
A quel punto Felix assunse la stessa aria scocciata di una maestra che
spiega per l'ennesima volta, a un alunno un po' troppo distratto,
perché due più due fa quattro.
«Se continui a guardarti in giro, nessuno riuscirà
a
credere alla possibilità che tu sia un'anima scortata da un
angelo.»
«Vuoi farmi passare per una... okay, sto zitto»
sospirò Jay, cogliendo gli occhi dell'angelo stringersi.
Felix
sembrò soddisfatto e spostò lo sguardo sulle
persone
davanti a loro, che si stavano riducendo sempre di più.
In ogni caso, nel turno prima di loro un vecchietto indossava un
completo elegante con tanto di panciotto e guardava fisso di fronte a
sé. Jay si ricordò di un giochetto che lui e
Archie
facevano da bambini, cercando di indovinare che lavoro praticassero le
persone solo guardandone l'aspetto fisico e le movenze.
E da quello che poteva intuire quel signore doveva essere
necessariamente un... notaio? O forse un direttore di banca?
Dietro di loro c'erano due bambini che si stringevano la mano, due
gemelli dagli identici occhi azzurri e dai medesimi capelli biondi
scompigliati.
Jay provò una fitta all'altezza del petto e si
ritrovò a
sollevare gli angoli della bocca quando i due bambini alzarono su di
lui il viso paffuto e gli sorrisero giocosi.
Forse non sapevano di essere morti... forse non sospettavano cosa
sarebbe successo da lì a poco.
Si sentì agghiacciare.
Era, la folla di anime, piena di persone di ogni età e
provenienza, alcuni decisamente avanti con gli anni e altri troppo
giovani per aver visto metà delle cose che un essere umano
aveva
il diritto di vedere prima di morire.
Si chiese dove fosse Dio mentre un bambino moriva. Dove la sua
onniscienza arrivasse davvero, per permettere che bambini innocenti
morissero così.
Poi percepì la mano fredda di Felix sul braccio.
«Sto sentendo la tua anima urlare» gli
comunicò con
quella che doveva essere... dolcezza? «Non affliggerti
così. Quei due bambini hanno trovato la pace dai
maltrattamenti
del mondo.»
«Avevano tutto il diritto di farsi una vita!»
obiettò Jay, avvertendo gli occhi bruciare per le lacrime
trattenute. «Avevano tutto il diritto di farsi una fottuta
vita!»
Felix non rispose, lasciò semplicemente che la sua mano
scivolasse sul suo braccio, quasi in una carezza di conforto, prima di
lasciarla ricadere lungo il fianco.
Quel gesto, pensò il maggiore dei Denver, non avrebbe
cambiato
le cose. Non avrebbe riportato in vita quei bambini, non avrebbe
permesso loro di crescere ed invecchiare, di godere di ogni singolo
istante assieme.
Assieme...
Non
permetterò che succeda lo stesso ad Archie,
pensò intensamente, stringendo i pugni. Se
non riuscirò a salvarlo, se sarà impossibile
evitare la
sua morte, non permetterò che muoia da solo...
andrò con lui.
Del resto, non riusciva ad immaginare la sua vita senza Archie... lui
era il suo fratellino, il suo migliore amico, la sua famiglia. Era quel
neonato che allungava le braccine paffute dalla culla, chiamando il suo
nome, la prima parola che avesse pronunciato.
Era quel bambino che si disperava e si protendeva sulle punte quando
lui gli fregava la scatola dei cereali, agitandoli in alto fuori dalla
sua portata.
Era quel ragazzo in preda all'ansia che, divorandosi il labbro, e con
gli occhi luccicanti pieni di aspettativa, gli chiedeva con voce
tremante di aprire la lettera di Cambridge, e di comunicargli il
risultato.
Era quel giovane uomo che l'aveva riabbracciato in aeroporto, sempre
sorridente e felice di vederlo.
Quando colse l'espressione mutata di Felix, tuttavia, Jay
deglutì a vuoto, sentendosi fin troppo vulnerabile. Non
doveva
lasciarsi andare... e cosa aveva appena detto l'angelo? Riusciva a
sentire la sua anima urlare?
Il che voleva dire...
Riusciva a sentire
la sua anima?
Si schiarì la gola, poi raddrizzò la schiena e si
impose di darsi un contegno.
Seguì qualche momento di silenzio durante il quale Jay se ne
stette buono e fermo, tentando di calmare i battiti del proprio cuore.
O almeno provò
a stare
fermo, perché poi non resistette più, e allo
scoccare del
sesto minuto -sì, li aveva contati, in preda alla noia-
stava
già punzecchiando Felix per ricevere la sua attenzione.
«Pssst... Fel! »
L'angelo lo guardò freddo.
Aspetto che, comunque, non scoraggiò Jay, il quale si
gonfiò il petto come se stesse preparandosi per
un'immersione.
«Ho una domanda...»
Passando sopra allo sguardo da ''non-mi-dire'' dell'angelo, Jay si
aprì in un sorriso genuino.
«Si rimorchia anche quaggiù?»
E Jay A. Denver fu certo che quello che aveva attraversato lo sguardo
di Felix fosse un lampo di pura rassegnazione.
Non ebbe il tempo di chiederglielo, dal momento che uno svogliato
«Avanti» -piuttosto cavernoso a dire il vero- lo
costrinse
a rendersi conto che anche il vecchietto di fronte a loro aveva
ritirato il suo biglietto e che sì, adesso sarebbe stato il
loro
turno di esser messi sotto torchio da Minosse, l'imparziale giudice
dell'oltretomba.
A meno che le sue reminiscenze scolastiche non lo stessero tradendo.
Prima di ricevere il biglietto, il vecchio aveva fatto aderire il palmo
ad una superficie simile ad uno scanner, posta sul bancone: la sagoma
si era illuminata, poi Minosse aveva letto qualcosa al computer, e
infine dalla stampante si era affacciato un biglietto, che il vecchio
agguantò lesto. Infine l'anima si allontanò con
qualche
difficoltà e quando anche il suo passo claudicante fu ormai
lontano, Felix gli si accostò.
«Adesso lascia fare a me.»
«Che diavolo è quell'oggetto?»
domandò invece
Jay, additando lo strano scanner «Fa la lastra o
cosa?»
«Rileva l'anima e tutte le informazioni in essa contenuta,
inviandole direttamente al computer» spostò lo
sguardo
sull'oggetto nominato «Il computer rielabora i dati e da essi
deduce in quale Regno e in quale Girone l'anima debba essere
collocata» poi su quella che sembrava una stampante
«Infine
si ottiene il biglietto.»
Jay storse il naso, non ancora del tutto convinto.
Lui non era un'anima: fino a prova contraria era ancora vivo, e Felix
un angelo; e non c'era quella leggenda che diceva che gli angeli non
possedessero anime?
Insomma, l'interrogativo che frullava nella sua testa come uno stormo
di corvi impazziti in cerca di una via di fuga, era come avrebbero
fatto a passare senza destare sospetti. Ma il "lascia fare a me" di
Felix e il suo sguardo determinato lo convinsero a fidarsi.
Fece qualche passo, ancora titubante, e Felix camminò al suo
fianco: si sentiva tutti gli occhi della folla dietro di lui addosso, e
non era certo una bella sensazione.
Decine di anime mi
stanno fissando. Anime di MORTI.
Roba che se la
raccontassi ad Archie non ci crederebbe... a proposito! Ci
sarà anche Archie tra loro?
Certo, al momento in cui Jay e Felix erano spariti all'interno del
passaggio segreto sotto la tomba, Archie era ancora vivo. Ma se era
vero che lì sotto, nel Limbo, sempre le stesse anime da
cinque
giorni a quella parte continuavano a tornare, forse anche suo fratello
poteva trovarsi lì, no?
Sì, Jay aveva la vaga impressione di stare diventando
isterico.
Si guardò freneticamente intorno, come a voler cogliere tra
i
tanti sguardi quello del suo fratellino, ma Felix gli sfiorò
appena il polso e il maggiore dei Denver sentì attraversarlo
una
sensazione di calore piacevole.
All'improvviso, una calma che non gli apparteneva gli
rilassò i
muscoli, e Jay si chiese se l'angelo non gli avesse fatto una delle sue
magie piumose.
Gli rivolse un cenno riconoscente, che l'angelo ricambiò
annullando il contatto; poi proseguirono in silenzio.
La nebbia continuava a vorticare.
Dovrei sentire freddo...
eppure non percepisco niente, rifletté Jay
sistemandosi meglio la sciarpa. Forse
è merito di questa...
Quando fu abbastanza vicino da poter occhieggiare Minosse, si rese
conto che era un uomo massiccio e tarchiato, con la curva dei muscoli
evidente anche sotto le maniche della maglietta: la testa di toro era
provvista di due lunghe corna arcuate e appuntite in cima. Ne
seguì il profilo con lo sguardo, rapito, sudando freddo al
pensiero di come una di quelle avrebbe potuto sfondargli il petto,
trapassandogli il cuore.
Allorché ridiscese la mascella forte e il collo spesso, un
dettaglio lo bloccò sul posto, facendogli sollevare le
sopracciglia: sulla maglietta nera di Minosse vi era una scritta in
bianco: "I love my Mama",
dove Mama faceva bella mostra di sé in una calligrafia rossa
e in corsivo.
«Beh, che hai da guardare?» sbottò il
minotauro, sulla difensiva «E' un regalo!»
Jay rialzò lo sguardo sulla testa di toro e si
ritrovò
incatenato da una coppia di occhi privi di sclera e da un'ampia iride
infuocata, con tanto di pupilla verticale e quasi luminosa, come il
cuore di una fiamma. Avvertì un brivido risalirgli lungo la
spina dorsale e pervadere ogni fibra del suo corpo.
Trasalì, indietreggiando istintivamente, ma la presenza di
Felix
-e la sua mano tra le scapole- lo costrinsero a bloccarsi.
Per la prima volta da quando aveva incontrato l'angelo,
realizzò
veramente quanto fosse terribile ed inquietante ciò che
l'avrebbe aspettato. Si sentì piccolo e indifeso di fronte
alla
maestosa figura di Minosse, improvvisamente avvinto da un terrore
reverenziale: non era uno scherzo. Quel viaggio non era una gita, o un
picnic.
Provava la stessa sensazione di turbamento di quando, da bambino, sua
madre lo costringeva ad entrare in Chiesa, e lui si perdeva a
contemplare i quadri in ombra nei corridoi, che rappresentavano figure
divine e superiori, diavoli o demoni, angeli e aureole. Quelle figure
che sembravano avvolte da un alone di mistero tetro. Un mistero antico,
incomprensibile, troppo oltre la sua comprensione.
Come quando seguiva con gli occhi l'ondeggiare incessante delle candele
negli altari, immaginando come sarebbe stato mettere piede in quegli
stessi luoghi centinaia di anni prima.
«La mano, qui!» lo richiamò Minosse,
svegliandolo
dal suo torpore. Probabilmente non era la prima volta che ripeteva la
stesa frase, perché dal tono sbrigativo sembrava aver
parecchia
fretta. «Non ho mica tutta l'eternità -anzi
sì-, ma
comunque non ho intenzione di perdere tutto il secolo appresso a te,
quindi...»
«Lui è con me» interloquì
Felix, per porre fine a quell'attacco verbale.
Minosse spostò il mento in sua direzione, come se l'avesse
notato solo in quel momento. «E tu chi saresti?»
domandò, diffidente «Non percepisco nessuna aurea
in
te...»
«Sono un angelo di Dio» Felix poggiò una
mano
rassicurante sulla spalla di Jay «Devo scortare il
prigioniero
all'Inferno.»
Prigioniero?
Jay si chiese a che gioco stesse giocando.
Minosse fece una risatina rauca, che mostrò per un attimo la
gomma ancorata tra i molari. Poi poggiò un gomito sul
bancone,
in atto di sfida «Senti, bello, io ho degli ordini ben
precisi
che devo seguire. Se non ho nome e cognome del prigioniero non posso
permettervi l'accesso.»
«Farai un'eccezione, allora» Felix non sembrava
intenzionato a cedere «Lasciaci passare.»
Minosse scoppiò ancora una volta la gomma, ma non volle
sentire
ragioni. «Le regole sono dettate da nostro Signore per essere
rispettate, e su questo non si discute. Nome e cognome» fece
una
pausa, poi ridusse gli occhi a due fessure, come se si fosse appena
accorto di qualcosa. «Un momento, ma io ti ho già
visto,
angelo. Tu non sei quello ricercato?»
Jay si voltò fulmineo verso Felix, col fiato sospeso, per
assistere alla sua reazione. Felix era visibilmente impallidito, ma se
anche avesse provato paura non lo diede a vedere.
«Ti sbagli» lo contraddisse, per poi fare un altro
passo e
sovrastare il toro. Minosse dovette arcuare il collo peloso per
guardarlo in faccia.
«Invece no, questi vecchi occhi non mentono, tu
sei...» poi
la sua lingua parve attorcigliarsi, e dalla sua gola non venne fuori
che un suono rauco. Un attimo dopo il suo volto perse
espressività, e gli occhi avevano assunto una strana
sfumatura
violetta.
«D'accordo, vi darò il biglietto.»
Jay corrugò le sopracciglia di fronte a quel repentino
cambiamento, e con un sospetto lasciò correre lo sguardo da
Felix a Minosse: entrambi avevano gli occhi viola.
Gli ha fatto quel
dannato incantesimo! capì, meravigliato. Lo costringe a fare tutto quello
che vuole. E bravo Fel!
Riflettendoci, si augurò che l'angelo non decidesse di
testarlo anche su di lui.
Anzi, e se l'avesse già fatto?
«In ogni caso, temo di aver bisogno del nome del
prigioniero» insistette Minosse, tamburellando le dita sul
bancone.
«Il nome» ripeté Felix, incerto. Poi si
soffermò su Jay. «Il nome...»
«Denv-» iniziò Jay ma Felix lo
sovrastò. «Harry Potter»
Jay lo fulminò con un'occhiata. Minosse annuì,
poi
scrisse qualcosa nella tastiera, e infine stampò e porse il
biglietto.
«Molto bene» Felix lo collocò tra le
dita di Jay,
poi lo superò, e la sbarra metallica che bloccava l'accesso
si
levò per lasciarli passare.
«Seguimi.»
«Harry Potter?» lo interrogò Jay, una
dozzina di passi più tardi «Sul serio?»
«Avevamo bisogno di un alibi, e ricordavo che mi avessi
chiamato
così una volta» si schermì Felix, con
quello che
doveva essere senza dubbio... imbarazzo? «Se Minosse avesse
scritto "Jay Denver" nel motore di ricerca angelico, avrebbe ottenuto
le tue informazioni, compreso il fatto che sei ancora vivo.»
Jay alzò un sopracciglio, ma convenne che in effetti aveva
dato prova di tutto il suo repertorio cinematografico. Forse Harry Potter non
era il migliore ma nemmeno il più malvagio: poteva andargli
anche peggio, alla fine. Tipo
Ennis del Mar o Voldemort.
«Va bene, cosetto piumoso, è tutto okay. Niente
più soprannomi per un po', mh?»
Felix sembrò confuso, ma non fece domande e si
limitò a
guardarlo -indecifrabile come al solito- prima di scrollare le spalle.
Il pavimento di pietra era nascosto ai loro occhi dalla nebbia e da
ogni parte, anche se Jay non sarebbe riuscito a stabilire con esattezza
da dove fossero entrate, giungevano delle persone che si dividevano
ordinatamente in due file, controllati a vista da un angelo -almeno Jay
suppose fosse tale- grosso come un buttafuori e con la stessa faccia
truce di uno di quei mafiosi che si vedono in certi film.
«Non alzare lo sguardo.»
Sussultò, reprimendo un urlo ben poco virile, sentendo la
voce di Felix a pochi centimetri dal proprio orecchio.
«Com...?»
«Non alzare lo sguardo» scandì per bene
Felix, una
mano premuta sulla nuca del maggiore dei Denver. «Fidati di
me.»
«Potrei rifiutarmi?» replicò
ironicamente Jay.
Comunque obbedì, prendendo a fissare le proprie scarpe,
mettendosi in fila con l'angelo accanto: Felix aveva un aspetto teso, a
giudicare dalla postura rigida che tutto il suo corpo aveva assunto, ma
si muoveva deciso come se fosse rassegnato all'idea di doverlo fare.
Ma che cosa dovesse fare di preciso, Jay non riusciva a indovinarlo.
«Un angelo?»
La voce dell'angelo somigliante in tutto e per tutto a un buttafuori
risuonò sorpresa mentre Felix costringeva Jay a fermarsi.
Felix piegò appena il capo, in un cenno formale di saluto.
«Fratello, spero di non recarti danno con la mia
venuta...»
«Oh no, fa piacere vedere un altro angelo in questo
posto»
replicò l'altro con un sorriso che si rivelò
essere un
ghigno capace di fare indietreggiare e tremare le anime.
Felix restò impassibile, quasi come se fosse stato abituato
sin
dalla nascita ad avere a che fare con ''fratelli'' - ma fratelli poi,
perché? Se nemmeno si conoscevano!- decisamente
più
grossi e minacciosi di lui.
«Ma ora dimmi, fratello, cosa ti porta qui?»
aggiunse
l'angelo-buttafuori, dopo qualche minuto di silenzio, forse notando che
quel sorriso intimidatorio non aveva avuto alcun effetto sull'altro.
«E chi è quello che ti porti dietro? Ti hanno
affidato un
nuovo giocattolo da portare ai demoni?»
E quest'ultima domanda venne seguita da una risata gelida, capace di
far rabbrividire Jay che strinse gli occhi e si riempì i
polmoni
d'aria, tentando di dominare la paura.
«Una cosa del genere, si. Nostro Padre ha deciso di gettarlo
in
pasto alla Stella del Mattino: troppo blasfema è la sua
anima,
troppo il pericolo che il suo cuore semina tra gli uomini suoi simili.
Non è degno nemmeno dell'Inferno e non c'è
speranza per
la sua anima imbevuta di peccato.»
Felix lo disse con freddezza e Jay in cuor suo si chiese se certe cose
succedessero realmente da quelle parti: perché davvero, era
orribile il poter pensare che Lucifero mangiasse le anime. Andiamo!
«Davvero? Impressionante...» l'angelo,
però,
sembrava esserci cascato. Prese, con un sorriso maligno, il biglietto
dalle mani di Felix e ne spezzò un lato, per poi
restituirglielo. «Buon viaggio, fratello.»
Felix afferrò con decisione la spalla di Jay, spintonandolo
avanti.
Prima di passare si voltò verso l'angelo e
accennò un saluto.
«Addio.»
Jay si massaggiò con una smorfia la spalla. Cavolo, altro
che ammasso di piume, Felix aveva la forza di dieci buttafuori!
E aveva come l'impressione che si fosse anche trattenuto...
L'angelo lo raggiunse, accennandogli di continuare a camminare: e
guardandosi intorno Jay vide che ora il corridoio si divideva in una
biforcazione: sopra l'entrata di un corridoio c'era appeso un enorme
cartello con su scritto ''Inferno'' in rosso con lucine colorate mentre
sopra l'altra qualcuno aveva appeso un cartello, in grigio, con su
scritto ''Purgatorio''.
Jay alzò le sopracciglia ma preferì non
commentare,
mentre seguiva docilmente Felix lungo l'imboccatura del corridoio che
portava all'Inferno: uscirono in quella che sembrava in tutto e per
tutto una stazione ferroviaria con tanto di negozietti costruiti con
mattoni e distributori di merendine e bibite.
Ma, dietro un piccolo albero, Jay vide una grata -che divideva una
stazione ferroviaria dall'altra- che suppose essere la stazione del
Purgatorio: allungò una mano per toccarla, come ipnotizzato,
ma
Felix gli bloccò il polso.
«No» mollò la presa su di lui, per poi
accennare
alla grata. «E' stata progettata per disintegrare chiunque la
tocchi.»
«Molto invitante, Fel» brontolò Jay,
allontanandosi
come scottato. Poi sollevò un sopracciglio.
«Chiunque la
tocchi, hai detto... perfino voi Angeli?»
«Sì, esattamente.»
«Credevo aveste una sorta di giubbotto anti-proiettile per
queste
cose» Jay sorrise divertito, dandogli un'amichevole pacca
sulla
spalla le cui intenzioni furono fraintese dall'angelo, almeno a
giudicare dall'espressione oltraggiata che gli rivolse.
«Siamo eterni ma non immortali, Jay. Ci sono limiti che
nemmeno noi possiamo superare.»
«Quelli imposti da papà Castoro?»
Felix contrasse il volto. «E' anche il tuo Dio, dovresti
portargli rispetto.»
«Sì, sì, come vuoi» l'umano
si spostò
a distanza di sicurezza dalla grata «E dimmi, anche Dio si
disintegra se la sfiora?»
Felix tramontò gli occhi ma non rispose, limitandosi ad
allontanarsi, e Jay scrollò le spalle zampettandogli dietro.
«Comunque è una figata!» sorrise come un
bambino
allegro, tutto gongolante, e Felix lo guardò come se
l'avesse
visto per la prima volta.
«Beh, che vuoi?» Jay distolse lo sguardo,
affondando le mani nelle tasche.
To be continued
~
Next >> Capitolo 14
Svogliato continuò ad avanzare, quando
avvertì
nuovamente un freddo gelido penetrargli le ossa e alzò lo
sguardo -ma quando l'aveva fissato sul pavimento?- sentendo le anime
che lo circondavano cercare quasi di indietreggiare, inorridite.
Accanto all'entrata del treno c'era un uomo... o quello che sembrava un
uomo, per lo meno, anche se a ben vedere era... non sapeva come
definirlo.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*]
*Miss Watson distribuisce caramelle e cioccolatini travestita da Befana* Ma Buon Anno, cari, Buon Anno!
Come avete passato queste vacanze? Spero bene!
Dal canto mio non mi posso
lamentare... *sospiro sognante* Ma non stiamo qui a pettinare le
bambole e allevare ippopotami di cioccolato, giusto?
*passa una palla di polvere*
*Miss Watson tossecchia*
Si insomma, avete capito no?
*Lady Holmes alza un sopracciglio* eeemh... no?
*Miss Watson si imbroncia*
Ma uffa! Sono euforica, comprendetemi ^^ Non come la mia collega <-<
Io ho raggiunto la pace dei sensi, che vuoi tu!! u.ù
*Miss Watson alza una manina come a scacciare una mosca* Comunque si, il capitolo u.u Che ne pensate?
E finalmente il nostro eroe incontra il feroce Minosse!
Felix deve usare i suoi poteri per
mettere a tacere Minosse... Non lo trovate assolutamente
affascinante?*-* Deve essere bellissimo con quegli inquetanti occhi
viola che scrutano il suo interlocutore fino a studiarne l'anima...
*sospiro sognante*
Lo so, lo so, che tutti state aspettando la sua entrata all'Inferno...
ma prima c'è un terreno da preparare, e vi assicuriamo che non
ne rimarrete delusi!
E Felix è un gran figo, punto u.u
Come Jay.
Ma questo lo si era intuito uhuh
In questa storia sono tutti dei gran fighi, in effetti. Sarà l'aria Denver?? *sbava pensando alle lentiggini*
Sese, le lentiggini. Oi, però Gwen e Susie sono davvero fortunate... *sbava e basta*
Esatto!! Anche se Susan ha potuto approfittarne ben poco!! ç_ç
Però vedi che fortuna!! Circondata da tre bei maschioni! Josh, Jay e Archie.. aaah vorrei essere lei °ç°
*ripensa a molte altre cose*
In effetti... no D:
Già, in effetti no xD
Comuuuuunque, il prossimo capitolo arriverà molto presto!!
Ci auguriamo di non farvi aspettare più così tanto... sorella?
*Silenzio*
*Lady Holmes si guarda ansiosamente attorno* Eeemh.... *si sistema
nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio* la mia collega
credo sia sparita dunque... uh... notte (?) °^°
Dannata connessione!*impreca*
Comunque, ragazzuoli, con l'augurio di sentirci a breve spero che
questo capitolo vi sia piaciuto e che ci lascerete le vostre
impressioni! *Miss Watson nasconde una mannaia dietro la schiena*
E Felix e Jay vi salutano con noi!:D
Ringraziamo chi ha aggiunto la storia tra le preferite, seguite
e ricordate, e chi semplicemente legge ci sono molti lettori
silenziosi così, beh... vi invitiamo a parlare!
Agli autori fa molto piacere leggere recensioni, e poi chissà, potremo inserirvi come comparse
*Lady Holmes riceve una gomitata da Miss Watson che le impone di non fare spoiler*
Inoltre date pure un'occhiata alla
nostra pagina facebook! Prima o poi potremmo fare un'annuncio
importante No, non ci sposiamo: e no, nessuna delle due è
incinta ù-ù
Detto questo, ARRIVEDERCI :D
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. Jay al ricordo di suo fratello
Archie:
2. Le dimensioni del Minotauro:
3. La maglietta di Minosse
-più o meno XD- [al maschile ovviamente u.ù]:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Jay alla vista del Minotauro:
2. Il ricordo di Archie:
3. Felix:
|
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Capitolo 15 *** 14. ***
Timeless 14
Capitolo
14
Jay si
guardò intorno, notando come le anime si stessero
rapidamente disperdendo per la stazione: sentiva ancora qualche
spiffero gelido colpirlo ma, davvero, stava meglio di prima. Merito
anche della sciarpa di sua madre, gli aveva tenuto caldo il collo.
Felix invece non sembrava avere né caldo né
freddo mentre guardava il grande orologio -era posto proprio in alto
rispetto alle loro teste- che segnava lo scorrere del Tempo. Jay si
chiese vagamente se le anime ne avessero davvero bisogno; che
differenza può esserci tra un minuto e l'altro, tra un
giorno all'altro per chi il tempo non lo misura più?
Probabilmente era una di quelle stranezze angeliche di cui Felix e il
suo magico mondo fatato sembravano pieni.
Come la maglietta di Minosse, per esempio: i love my mama. Ma
seriamente? Avrebbe dovuto spedirgli una bella maglietta degli AC/DC,
arrivato a casa: magari Felix avrebbe acconsentito a operare il
trasporto...
Certo, restava il problema della misura, ma ehi, ci avrebbe lavorato su
quello.
Mentre Jay era immerso sino al collo in questi contorti pensieri, Felix
squadrava con sospetto il luogo che li circondava.
«Non sembra che i miei fratelli siano nei paraggi»
dichiarò. «Penso che abbiamo un qualche vantaggio
su di loro» si leccò le labbra, voltandosi verso
Jay e per un momento, mentre si guardavano in silenzio, ogni tipo di
pensiero attraversò la mente di quest'ultimo.
L'angelo stava per fargli un qualche incantesimo di teletrasporto? O
forse voleva violentarlo? O pugnalarlo?
Felix si mise le mani in tasca.
E' lì che
nasconde il pugnale!
Poi Jay considerò che, in effetti, Felix non aveva bisogno
di armi per farlo fuori: non con tutto il potere angelico che custodiva
dentro la pelle.
Improvvisamente un rumore sordo -come un budino che tremola durante il
terremoto- interruppe la quiete. Felix trasalì, guardandosi
intorno con aria circospetta e davvero, se non fosse stata una
situazione così critica, Jay avrebbe riso di cuore fino alle
lacrime.
«Cos'è stato?» chiese Felix. Sembrava
essere impallidito -ammesso che potesse impallidire, bianco com'era...
Ma un po' di mare mai?- tuttavia manteneva una certa compostezza, una
certa eleganza...
«Il mio stomaco» rispose con
tranquillità Jay.
Felix gli lanciò uno sguardo confuso e Jay
sbuffò, divertito, ridendo all'occhiata scettica che
l'angelo regalò alla sua pancia. Si era ripromesso di non
ridere, ma non aveva resistito. Non con quegli occhioni blu e innocenti
puntati addosso.
Fel lo guardò, quasi... Jay avrebbe giurato che fosse
rimasto quasi affascinato dalla sua risata, ma fu un attimo e il volto
dell'angelo tornò tranquillo e composto come sempre,
sembrava essere stato scolpito nel marmo: sospirando il ragazzo si
massaggiò il ventre, imbronciato come un bambino.
«Non c'è un... qualcosa da mettere sotto i denti,
qui? Muoio di fame!» si lagnò.
«I miei fratelli e io non abbiamo bisogno di
mangiare» si giustificò Felix
«Però una volta ho sentito dire che due miei
fratelli avevano deciso di creare un... Restaurante qui
vicino»
Restaurante?
«Credo fosse un ristorante, Fel» ghignò
Jay, mettendogli un braccio intorno alle spalle, ed ottenendo
un'occhiata perplessa. «Portami in questo luogo sacro,
compagno. Verso l'Inferno e gli hamburger al bacon!»
In realtà, come il nostro impavido difensore di hamburger al
bacon ebbe modo di constatare, il ristorante in questione aveva l'aria
tipica di certi locali italiani della tv -con tanto di tovaglie a
quadretti bianchi e rossi- ma al contempo, benché fosse
amorevolmente pulito e ben tenuto, aveva l'aria di essere stato
abbandonato da tempo.
«Uhm... sicuro che funzioni, cuscinetto?» chiese
Jay, guardandosi intorno. «Voglio dire, non c'è
nessuno qui in giro.»
Si sedettero a un tavolo con Felix che -probabilmente aspettandosi che
un suo caro fratello spuntasse da dietro il bancone di legno scuro,
perfettamente lucidato, per offrire al resto della dolce famiglia un
banchetto a base di carne umana e angelica innaffiata di sangue-
fissava la porta d'ingresso, ansioso, ignorandolo.
E si, Jay A. Denver odiava essere ignorato.
Batté un pugno sul tavolo, seccato.
«Ma insomma!» grugnì.
«Dov'è il mio panino?»
E il panino magicamente comparve -ed era uno di quei panini enormi e
traboccanti di bacon, cipolla croccante, formaggio e senape,
esattamente come piacevano a lui- ben disposto su un piatto con tanto
di patatine fritte annegate nel ketchup e nella maionese e un bicchiere
di Coca Cola ghiacciata con una fettina di limone e una cannuccia
multicolor.
«Che servizio» fu l'ultima parola intellegibile che
il povero Felix sentì prima che Jay si gettasse sul cibo,
divorandolo a grandi morsi e rischiando quasi di soffocarsi per la
passione con cui masticava ogni boccone.
L'occhiata sconcertata che gli rivolse costrinse Jay ad alzare appena
gli occhi, distogliendo lo sguardo dal suo succulento bottino.
«C' foi?» gli chiese, con la bocca ancora piena,
mentre Felix lo scrutava incredulo da tanta foga. Deglutì.
«Potrebbe essere l'ultima volta che mangio in vita mia.
L'ultimo... hamburger» all'improvviso tornò con
gli occhi sul cibo, quasi compiangendo di non essere rimasto sulla
Terra «A noi due, piccolo mio. Non temere, nel mio stomaco
sarai al sicuro.»
E giù un altro morso.
Felix pensò saggiamente che fosse meglio non fare domande e
Jay gli fu grato per questo: finì di gustarsi il panino
emettendo versi gutturali di piacere, e infine si leccò le
dita con un ampio sorriso. Oh, amava gli hamburger. E il sapore del
cibo, e... e all'improvviso fu colto da una paura quasi irrazionale: e
se davvero non fosse mai più riuscito ad uscire da quel
posto, a tornare in superficie?
«Jay» lo richiamò Felix, forse avendo
notato la sua espressione grazie al suo radar angelico.
«Io non...» Jay si bloccò, afferrando il
tovagliolo di carta che Felix gli porgeva, gentile. «... mi
dispiace»
La creatura soprannaturale alzò semplicemente le spalle.
«E' normale, non preoccuparti. Del resto sei umano. Mio Padre
diceva sempre che la paura è il più grande dono e
la più grande maledizione per ogni essere umano. Non devi
vergognartene.»
«La tua filosofia mi sorprende» ironizzò
Jay, anche se -e non lo avrebbe mai ammesso- quelle parole lo avevano
davvero colpito nel profondo.
L'angelo abbozzò un sorriso -davvero? Era proprio un
sorriso, quello?-, poi si sporse a guardarlo negli occhi, serio.
«Gli uomini scelgono spesso il peccato, Jay. E da esso sono
marchiati sin dalla loro venuta al mondo. Ma c'è qualcosa,
in te, che mi ricorda la luce in cui sono nato.»
Restarono in silenzio, l'umano sorpreso e l'angelo serio, le
sopracciglia aggrottate e lo sguardo puntato negli occhi verdi
dell'altro.
«Beh» Jay sbatté le palpebre. Avvertiva
un calore strano all'altezza del petto «... uhm, grazie. A
quando il matrimonio, quindi?»
Per un attimo Felix parve sorridere. Questa volta realmente.
Forse non è
così rigido e impassibile come credevo...
Finita quella delizia, straboccante di grassi idrogenati ed
estremamente dannosa per il suo fegato, Jay afferrò il
piatto, porgendolo ad un confuso Felix, che sicuramente non avrebbe
saputo che farsene.
«Cos...?»
«Dai, assaggia! Sono buonissime, il cibo preferito di gran
parte degli umani.»
Felix lanciò un'occhiata scettica, prima al piatto
sormontato da una montagna di patatine, poi all'umano che gli sedeva di
fronte: sembrava convinto quasi che Jay fosse intenzionato a offrirgli
del veleno, se non avesse voluto concedergli la possibilità
di fidarsi di lui.
E davvero l'umano avrebbe potuto ridere della faccia -Gwen l'avrebbe
definita ''coccolosa''- dell'angelo mentre prendeva in mano una
patatina con della maionese sopra.
Era come avere a che fare con un bambino con
l'inflessibilità di una statua greca, tutto qui.
Felix diede un piccolo morso alla patatina e la masticò a
lungo prima di deglutire, con la maionese che gli sporcava le dita.
Aveva uno sguardo talmente luminoso mentre la gustava, che Jay non si
trattenne e ghignò.
«Buono vero, Fel?» rise, ponendo il piatto al
centro e afferrando una manciata di patatine. Se le ficcò in
bocca senza pensarci due volte, masticando rumorosamente.
Felix si limitò ad annuire e prese a mangiare con eleganza,
leccandosi le labbra quando un po' di salsa vi colava sopra.
Onestamente, a Jay faceva l'impressione di vedere Mr Darcy rimpinzarsi
in un fast food...
«Posso farti una domanda?»
La voce di Felix lo distolse dai propri pensieri e annuì,
deglutendo le patatine con della sana Coca Cola che offrì
poi all'angelo, il quale rifiutò con un cenno.
«Perché ti ostini a chiamarmi Fel? Credevo che
avessi deciso che il mio nome sarebbe stato Felix.»
E davvero, in circostanze normali Jay avrebbe commentato con qualche
battuta sarcastica. Ma quelle non erano circostanze normali.
Nonostante tutto, comunque, il maggiore dei Denver si affogò
con la coca-cola e iniziò a tossire per sopravvivere, tra
una risata e un'altra.
«Perché ridi?» lo interrogò
l'angelo, disorientato.
«Sei davvero divertente!» Jay si schiarì
la gola, con gli occhi lucidi, e si batté il petto per
riprendere il controllo della sua trachea. «Dico sul serio:
deve essere uno spasso per i tuoi amici arruffati, lassù tra
le nuvole.»
«Gli angeli non conoscono il concetto di amicizia come voi
esseri umani» lo corresse Felix «L'unico
amore che ammettiamo è verso Dio.»
«Quello non è amore, è
devozione.»
«Cosa?»
«Niente, niente,» Jay si umettò le
labbra, riportando gli occhi sulla Coca Cola e inclinandola appena per
saggiarne il contenuto. «In ogni caso, Fel è un
diminutivo di Felix. Sono praticamente lo stesso nome, solo che Fel
è più veloce e immediato. Insomma, immagina che
mi trovi in pericolo e un demone stia per strapparmi le budella. Il
tempo che pronuncio il tuo nome completo mi vedresti già
morto e stecchito in una pozza di sangue. Se invece usassi il
diminutivo avrei una possibilità in più di
salvarmi!» gli fece l'occhiolino, poi riprese possesso della
cannuccia e si regalò qualche sorso.
Felix corrugò la fronte, forse riflettendo su quel gesto
nuovo ed inconsueto -e per lui sicuramente incomprensibile- forse
ripensando alle sue parole -e al significato di "diminutivo"- eppure
alla fine non sembrò del tutto persuaso.
«Li usate spesso, voi umani, questi dim-... dim-...»
«Diminutivi» gli venne in aiuto Jay.
«Quelli.»
«Sì, di frequente. Anche Jay è un
diminutivo, per esempio.»
Felix adesso si era fatto improvvisamente attento; l'umano, tuttavia,
lo ignorò bellamente, continuando a gustarsi le patatine.
«Qual è il tuo vero nome, allora?»
Jay ammiccò, con un sogghigno perfido: si era aspettato la
domanda, era inevitabile. Ma non avrebbe risposto.
Non lo faceva mai, quando glielo chiedevano.
Non che si vergognasse del suo nome, anzi... solo che in presenza della
creatura divina si sentiva sempre nudo, dal momento che Felix conosceva
tutto di lui -insomma, poteva perfino sentirgli l'anima!-, e se poteva
conservare ancora anche solo un segreto, l'avrebbe fatto.
E poi, perfino nella realtà, pochissime persone ne erano a
conoscenza: giusto sua madre, il suo defunto padre, Bill e suo fratello
Archie.
«Eh, amico, adesso vuoi sapere troppo.»
«Perché?»
«Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti» Jay gli
rivolse un sorrisetto storto, minacciandolo con una patatina. Infine ne
strappò un morso, mantenendo il mezzo ghigno e sollevando
appena le sopracciglia.
L'angelo doveva aver preso sul serio le sue parole, perché
fece correre gli occhi via dal suo viso, concentrandosi sulle sfumature
di colore della confezione di patatine.
Probabilmente Felix avrebbe aggiunto anche altro -Jay notò
che stava per schiudere le labbra- ma un improvviso e penetrante suono
li sorprese.
Era come se qualcuno stesse facendo suonare una sirena per richiamare
un ordine: Jay sobbalzò sulla sedia e si guardò
intorno, freneticamente, quasi aspettandosi che i Cavalieri
dell'Apocalisse accorressero verso di loro con spade sguainate.
Ma non successe nulla del genere e Jay si voltò verso Felix
che si stava alzando con calma. L'umano aggrottò le
sopracciglia, seriamente perplesso.
«Fel? Che succede?»
L'angelo si fermò e alzò lo sguardo, incrociando
gli occhi dell'altro. Ed era uno sguardo impassibile quello che Jay si
vide rivolgere, lo sguardo di chi è ormai abituato a certe
cose.
«Andiamo» rispose semplicemente. «E'
ora.»
Uscirono dal locale e si trovarono immersi in una folla di anime che
percorreva, questa volta senza emettere un suono, la distanza che la
divideva dal treno.
Jay socchiuse le palpebre, stranito da quel silenzio tanto grave,
girandosi poi verso Felix il quale scosse la testa e si
portò un dito alle labbra: capendo l'antifona Jay
alzò gli occhi al cielo e si limitò ad annuire,
imbronciato, seguendo l'angelo in perfetto silenzio.
E poi, ma non seppe dire bene quando, qualcosa cambiò.
Le anime si agitarono come delle spighe mature sotto il vento di
settembre e un lieve sussurro iniziò a serpeggiare tra di
loro. Jay si guardò intorno, meravigliato, ma nessuna anima
sembrava aver notato la sua presenza: ogni sguardo era rivolto verso il
treno -quello che aveva tutto l'aspetto di una locomotiva antica- che
svettava minaccioso di fronte a loro, una leggera nuvoletta di fumo che
si levava dal comignolo danzando nell'aria.
«Da questa parte, signore e signori.»
Una voce annoiata e acuta lo colse di sorpresa e lo costrinse a portare
lo sguardo alla sua destra, dove un uomo -probabilmente un altro
angelo- si stava limando le unghie mentre le anime gli sfilavano
davanti. Forse sentendosi osservato, forse avvertendolo con i suoi
sensi da pennuto, l'altro angelo alzò la testa e lo
guardò dritto negli occhi: con una punta di terrore Jay vide
questi ultimi illuminarsi mentre il proprietario buttava via
la limetta.
Sul serio?
Jay batté le palpebre chiedendosi se non ci fosse stato un
errore e fosse capitato in una stazione di drogati.
E quello doveva essere un angelo?
Sembrava la versione maschile di Gwen, ma molto meno adorabile!
... Aveva seriamente pensato che Gwen fosse adorabile?
Jay storse il naso, pensando che l'influenza di Archie stava facendogli
davvero ma davvero male, e aprì la bocca per dire una
qualsiasi cosa ma l'angelo esaltato non gliene diede il tempo.
«Non ci credo!» strillò con quella
vocetta acuta, precipitandosi verso di loro. Jay poté
sentire distintamente Felix fare un passo, quasi come se volesse
coprirlo dallo sguardo del suo ''collega''. «Jeremy
all'ingresso mi aveva accennato qualcosa ma...» scosse la
testa con aria eccitata mentre batteva le mani. «Non mi aveva
detto quanto foste carini insieme, davvero!»
Cari-...
CHE COSA?!
«Ahem...» fu l'unica cosa che riuscì a
dire Jay prima che Stiles, così recitava la targhetta
appuntata sulla camicia dell'angelo, gli piantasse in faccia due enormi
occhioni da Bambi e gli stringesse la mano con forza.
«Tanti auguri!» esclamò convinto, per
poi salutare con la mano e allontanarsi per conseguire il suo compito.
L'unica cosa che Jay riuscì a fare, per i successivi cinque
minuti, fu scuotere la testa con espressione inorridita mentre Felix
camminava con tranquillità accanto a lui, il volto
impassibile.
Avrebbe dovuto seriamente rivolgersi a un esorcista, una volta tornato
a casa.
«Quindi...» iniziò, qualche minuto dopo,
frugando nella tasca della giacca di pelle alla ricerca del biglietto
che aveva nascosto prima, quasi senza accorgersene
«Dov'è che stiamo andando?»
«All'Inferno» rispose Felix come se fosse la cosa
più ovvia del mondo «Te l'avevo già
detto, credevo fosse chiaro.»
«Ma ti sembro così stupido?»
scattò Jay, scoccandogli un'occhiata torva
«Idiota, intendevo nel treno... abbiamo uno scompartimento o
cosa?» finalmente riuscì a trovare il pezzo di
carta, così lo estrasse e se lo rigirò tra le
dita tremanti. Non che avesse paura... ma iniziava a provare un certo
freddo, e rimpianse di non essersi portato dietro dei guanti.
Scorse con gli occhi le poche informazioni stampate sul foglietto, e il
suo volto si contrasse sempre di più durante la lettura.
«Ma che cazzo c'è scritto? Non si capisce
niente!»
A parte l' "Angel Pass", che suppose dovesse essere il permesso
speciale di Felix per portare il suo prigioniero dritto
nella bocca del leone alias Lucifero, il suo nome e cognome -ovvero
Harry Potter-, e il girone, "Golosi", in seguito alla scritta
"scompartimento" vi era una sequenza numerica incomprensibile
O almeno, quella che sarebbe dovuta essere una sequenza numerica. A
dire il vero, erano solo rune prive di senso.
«E' Enochiano» comprese Felix, affacciandosi oltre
la sua spalla «Non preoccuparti, so dove dobbiamo
andare.»
Jay studiò ancora un po' il biglietto, poi annuì
ancora non del tutto convinto, e se lo cacciò nuovamente in
tasca. «Sarà. Inizio ad odiare questo fottuto
Enochiano...»
«Non dovresti, è la lingua che permette di
capirci.»
Jay rischiò di affogarsi con la saliva.
«Che cosa?!» quasi urlò, con voce
gracchiante.
«Te lo spiego in un altro momento. Adesso seguimi.»
L'umano aprì la bocca per ribattere, ma alla fine
capitolò: tanto Felix non gli avrebbe risposto. Non in quel
momento.
Svogliato continuò ad avanzare, quando avvertì
nuovamente un freddo gelido penetrargli le ossa e alzò lo
sguardo -ma quando l'aveva fissato sul pavimento?- sentendo le anime
che lo circondavano cercare quasi di indietreggiare, inorridite.
«Caronte...» sussurrò Felix a mezza voce, e Jay non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi e aggredirlo di domande.
Accanto all'entrata del treno c'era un uomo... o quello che sembrava un
uomo, per lo meno, anche se a ben vedere era... non sapeva come
definirlo.
Innanzitutto, trovandosi all'ombra del treno, non era bagnato dalla
luce angelica. In secondo luogo il suo aspetto, grazie o no al favore
dell'oscurità, era piuttosto inquietante.
Alto, leggermente ingobbito in avanti, senza capelli, dalla pelle
scolorita e gli occhi ardenti come fiammelle, circondati da un
ventaglio di rughe. Aveva l'aspetto di un vecchio, la persona
più decrepita che Jay avesse mai visto, con quella pelle
così incartapecorita, rugosa e arricciata, ma allo stesso
tempo anche quella più raccapricciante.
Se Minosse gli aveva provocato un brivido, la visione di
quest'ultimo esortava le sue gambe a fare dietro front cercando un
nascondiglio sicuro. E Jay A. Denver non era mai stato un fifone.
Il vecchio aveva il capo chiazzato dall'età, le labbra
screpolate e fessurate, la bocca una voragine nera priva di denti, il
respiro un rantolo senza suono.
Indossava un lungo abito nero, drappeggiato, dalle maniche
ampie che facevano risaltare le braccia ossute: l'abito stesso sembrava
cadere largo sul corpo nient'affatto prestante.
In ogni caso, non disse una parola: semplicemente controllava che ogni
anima presente salisse su quel treno.
Quando Jay e Felix gli sfilarono davanti, e il maggiore dei Denver incontrò per un attimo gli occhi di Caronte, che parevano quasi luminosi -una luce fredda, però-, sentì un'ondata gelida percorrere il suo corpo, come se il tempo si fosse fermato, e quegli occhi fossero due pugnali di ghiaccio infilzati nel suo petto.
Forse il freddo che emetteva la
sua figura doveva intimorire le anime, o forse...
«Stai bene?»
Ma perché diamine se ne uscivano tutti con quelle frasi ad
effetto nel bel mezzo del silenzio? E che cavolo!
Jay annuì a disagio mentre Felix si toglieva la giacca e
gliela poggiava sulle spalle, esortandolo a salire sul treno.
Il ragazzo sentì il calore invadere di nuovo le sue vene -e
non si chiese nemmeno se fosse per via della giacca o perché
avevano superato il vecchio, lasciandosi lui e il suo silenzio dietro
le spalle, o ancora perché era al chiuso nella locomotiva- e
sospirò sollevato e sorpreso insieme, voltandosi verso il
suo accompagnatore: Felix pareva perfettamente a suo agio in
quell'ambiente, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Non hai freddo?» gli chiese.
Fel scosse il capo.
«Gli angeli non sentono il freddo.»
«Davvero?» Jay non riusciva più a
stupirsi di nulla. Credeva che le anime non potessero avvertire il
cambiamento di temperatura per il fatto che non avessero un corpo. Ma
gli angeli...
«E il caldo?»
«Nemmeno.»
«C'è qualcosa che percepite?» concluse,
esasperato, allargando le braccia. Non avrebbe atteso risposta,
eppure...
«Percepiamo quando voi umani avete bisogno di
qualcosa.»
Jay rimase in silenzio qualche secondo, prima di emettere una specie di
grugnito.
«Era una domanda retorica, comunque. Non avresti dovuto
rispondere.»
Felix assunse un'espressione costernata. «Oh. Non lo sapevo,
mi dispiace.»
«Smettila: tutta questa situazione sta sembrando un film
romantico di quart'ordine.»
Felix non replicò, procedendo indisturbato, ma Jay avrebbe
quasi potuto giurare di averlo visto sorridere.
To be continued
~
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«Fel? Eih, Felix! Che ti prende?»
Allungò una mano verso di lui e Felix deglutì,
battendo le palpebre.
«Mi... dispiace» corrugò la fronte, gli
occhi blu più profondi del solito. «Io... questo
non...»
Jay alzò un sopracciglio: mi dispiace?
Felix... l'aveva detto sul serio?
Si ritrovò a sorridere, intenerito. «Quelli, amico
mio, si chiamano sentimenti. O emozioni.»
Felix sembrava ancora immensamente turbato «...
amico?»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Ci scusiamo per l'immenso ritardo ma
tra un impegno e l'altro - soprattutto è colpa mia, i miei
professori sono dannatamente severi e non mi lasciano il tempo di
respirare- scrivere è diventato una sorta di miraggio xD
Okay okay, torniamo al capitolo che è meglio xD
Allora ragazzi miei, che ve ne pare? Vi piace quest'atmosfera cupa che si sta delineando?
Che ve ne pare della stazione?
Io ho particolarmente adorato la
parte in cui Felix e Jay mangiano insieme perchè non solo Fel
dimostra un lato umano e, ammettiamolo, quei due sono così
dannatamente shippab... ahem, non dovevo dirlo, vero?
Comunque si, penso che mangiare
insieme sia un atto terribilmente intimo, che avvicina le persone. Il
cibo avvicina le persone e, caspita non sono così irrealistica
da dire che succede sempre!, a volte riesce persino a dissipare i
contrasti.
Come la cioccolata. Quante volte vi
siete seduti sul divano con una barretta di cioccolato in mano e,
assaporandola, avete tamponato i vostri problemi?
Ecco, quello è esattamente quello che intendo.
Che dire di più? XD Gli angeli
hanno saltellato verso la modernità -io amo quel pub dove vanno
Fel e Jay, ne aprirò uno simile!- ma siamo perfettamente sicuri
che i nostri eroi non corrano rischi? XD
Che ne pensate dell'angioletto Stiles?LOL
*Lady Holmes arriva trafelata* Bello Stiles!! E' un fanboy *^*
Anyway, aggiungere che abbiamo dovuto dividere questo capitolo dal
prossimo, perchè era venuto di 23 pagine. Quindi ci scusiamo
anche perché questo capitolo è breve e lo sarà
anche il prossimo, ma proprio per questo, aggiorneremo più in
fretta! La verità è che, come la mia collega ha detto
prima, la scuola ci sta impegnando parecchio e, credetemi, abbiamo
avuto davvero pochissimo tempo per scrivere.
Comunque, la storia ormai è quasi al suo momento cruciale,
insomma... ormai stiamo per addentrarci all'Inferno, e avrete tante
sorprese! :P siete pronti per affrontare un inquietante e fantastico
viaggio in compagnia di Jay e Felix? Allora, allacciate le cinture, che
si parte!! :D
Stiles è adorabile, Caronte è spaventoso, direi che è un mix perfetto u.ù
E non so che altro dire, se non che adoro la scena del Ristorante, e
che, a titolo informativo, la battuta sul nome completo di Jay "se te
lo dicessi, poi dovrei ucciderti", è una delle prime che abbiamo
inventato, in assoluto, su timeless XD anzi, se la mia memoria non mi
inganna, è una di quelle a cui avevamo pensato il giorno stesso
in cui ci è venuta l'ispirazione per il libro. Eravamo al
cinema, a mangiare pizza, dopo aver visto In Time *-* ricordi, sorella??
Aaah sì, come dimenticarlo? XD
*ricorda vagamente due ragazze con l'espressione pazzoide che stillano Scriveremo qualcosa di unico al mondo!*
*tossicchia*
Ahahahaha e quella è stata una delle prime frasi ** ricordo
ancora quando dovevamo scegliere i nomi dei personaggi... per Jay c'era
una lista lunghissima, per Archie ricordo c'erano una serie di nomi
come (Michie, Matthew detto Matt LOL), invece Felix l'avevamo beccato a
colpo °^°
Sii, e poi Felix io me lo sono sempre
immaginato bellissimo °_° Un qualcosa di indefinito dai
grandissimi occhi blu e lo sguardo ingenuo
*sospira come una vecchietta di ottant'anni*
Infatti!! Stavo per dire che non riusciamo a trovare un attore
che lo identifichi, quindi non fate caso se cambiamo ogni volta
x°°D cerchiamo una foto che ce lo ricordi, non un attore. Un
attore può assomigliare al nostro Felix -così come
è nella nostra mente- in una foto, e nell'altra no. Quindi noi
scegliamo quelle che ce lo ricordano u.ù sarà che
è un angelo, sarà che siamo noi sfortunate che non
troviamo attori abbastanza... "angelici"... ma il nostro personaggio
rimane frutto della nostra mente **
E' più gracile rispetto a Jay, ha degli occhi molto espressivi
che variano tutte le tonalità del blu e del violetto -nel caso
utilizzi gli incantesimi angelici xD- e anche questo ha una
spiegazione, non è semplicemente perché siamo delle
bimbeminkia che vogliono mettere i personaggi con gli occhi rosa LOL
*immagina Felix con gli occhi rosa*+
*scoppia a ridere*
Oddio, ma che è? La versione angelica di Sailor Moon? XD
La verità è che gli occhi di Felix sono blu. La
grazia angelica è una luce bianca. Quando Felix utilizza i suoi
"poteri piumosi", attinge a quella grazia angelica che ha dentro di
sè, di conseguenza, schiarendo il blu, e sovrapponendolo al
bianco, viene fuori una sorta di azzurro/violetto xD
Rosa era per dire, gli occhi di Fel al massimo sono viola e NON rosa ahahhaah
tu volevi aggiungere qualcosa, compagna? u.u
In realtà no, sorella u.u
Allora, diciamo arrivederci ai lettori che ci seguono, se non che li
adoriamo, e che senza di loro Timeless non sarebbe ciò che
è oggi :D
E che manderemo ai più fedeli una copia di Felix dagli occhi rosa, no? *ride ancora*
Come avevamo anticipato, voi recensitori comparirete come personaggi
-perché, al di là di tutto, abbiamo bisogno di tantissimi
personaggi per la storia, quindi perchè non attingere ai nostri
amati lettori? u.ù- e speriamo che ognuno di voi apprezzi la sua
"particina" :P Altresì, lettori silenziosi, dite la vostra!!
Ogni parere sarà sempre gradito! :D E non accusateci di
fanservice, facciamo solo ciò che è giusto u.ù
Oh, e dimenticavo... per "La sposa di Ade": le parti pre-inferno, e
inferno, sono piuttosto cupe ed inquietanti, anzi fanno venire proprio
i brividi, quindi supponiamo che le adorerai!! *-*
Sì, non uccideteci per come vi rappresenteremo LOL
Vi salutiamo, dunque, alla prossima :D
Hasta la vista!! :D
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. Jay al ristorante:
2. Felix (detto anche Fel...
ammazza che figo °ç°):
3. L'angelo Stiles *-*:
4. L'inquietante Caronte
(è solo un'immagine approssimativa: infatti nel nostro
immaginario la sua figura provoca una sensazione di gelo e lui stesso
è un tipo più morto che vivo, non animato da una
furia cieca):
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Collage di Jay che mangia l'hamburger (LOL, tanto per farvi venire
fame :P):
2. Il ricordo di Gwen
(perché Jay non lo ammetterà mai ma gli manca...
e manca anche a noi! ç__ç):
|
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Capitolo 16 *** 15. ***
Timeless 15
Capitolo
15
All'interno il treno
ricordava una di quelle antiche quanto lussuose locomotive che usavano
i ricchi per spostarsi negli anni in cui il carbone era la ricchezza
principale: totalmente rivestito di nero, con piccole lampade a olio a
rischiarare il passaggio. Ogni porta degli scompartimenti era sul
marrone scuro ma, nonostante tutto, Jay non poté impedirsi
di provare una certa inquietudine mentre seguiva docilmente Felix. Si
tolse la giacca di jeans e la porse all'angelo.
«Grazie» borbottò e l'angelo
alzò le spalle, voltandosi per afferrare la giacca:
l'osservò a lungo e poi piegò il capo, come se
qualcosa nell'insieme stesse sfuggendo alla sua comprensione.
«Stai bene?»
«Sì, solo...» e Jay indicò
con la mano, in un gesto ampio quanto vago, l'ambiente che lo
circondava. «Lucifero si tratta bene!»
«Da quel che so Lucifer era un tipo un po' eccentrico e... decisamente particolare» rispose Felix, alzando le
spalle. «Micheal raccontava sempre che amasse moltissimo
mettersi in mostra, anche agli occhi di nostro Padre.»
Jay
aggrottò le sopracciglia, perplesso, ma chissà
perché la sua mente lo rimandò a quell'angelo che
aveva saltellato intorno a loro due qualche minuto prima, e un brivido si fece strada lungo
la sua schiena. Terrore verso Lucifero o verso il suddetto angelo? Jay
non avrebbe saputo stabilirlo.
«Non riesco a immaginarlo» borbottò
sarcastico.
Tuttavia Felix parve non cogliere: avevano infatti, o almeno
così pareva, raggiunto il loro scompartimento e quando l'angelo
fece scorrere la porta -su cui era stata appesa una targhetta con il
suo presunto nome Harry Potter-
Jay si trovò davanti a
uno scomparto davvero elegante, con poltrone rivestite di pelle nera,
il pavimento fatto di una soffice moquette rossa e persino un tavolino
di vetro scuro e un piccolo minibar, tanto da strappargli un
fischio di
apprezzamento (come ogni maschio del Texas si lascia scappare davanti a
una bella donna o una bella macchina, secondo la sua filosofia).
«Wow!»
«Te l'ho detto, parrebbe che a Lucifer piacessero le cose in
grande» mormorò Felix, sedendosi composto su
una delle poltrone accanto al finestrino, seguito immediatamente
dall'umano.
«Aspetta... ma quindi tu non hai mai conosciuto
Lucifer?»
Lucifer... Satana. Bastava il nome a farlo rabbrividire.
Non riusciva a realizzare che fosse realmente il diavolo. Insomma, il diavolo!
«Sì, ma ho vaghi ricordi di lui. Ero un angelo
appena nato quando Lucifer venne cacciato, non mi ammisero nella
battaglia» confidò Fel.
Jay si chiese se all'angelo che lo accompagnava non fosse mai venuto in
mente di indagare di più su quello che a conti fatti era un
altro fratello, ma si promise di scoprirne di più in seguito.
«Ma se l'Inferno è in mano agli angeli... Lucifer
dove sta?»
«E' relegato all'interno di una gabbia nel punto
più remoto dell'Inferno, incatenato con un metallo divino
che blocca ogni suo potere angelico, e protetto dal Custode
dell'Inferno.»
Forse loro due non si sarebbero avvicinati al diavolo, dopotutto. Jay non
riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
«Il Custode... che sarebbe? Un angelo?»
«No» rispose Felix, quasi oltraggiato
«Nessun angelo si assumerebbe quell'incarico, il Diavolo
è capace di corrompere anche l'anima più
pura.»
Jay iniziava ad avere paura... un terrore freddo che serpeggiava sulla
pelle, facendogli desiderare di possedere un maglione, uno di quelli
larghi e sgualciti che indossava Archie nelle gelide giornate invernali.
«E allora... chi?» domandò, con voce
flebile, dubitando di volerlo davvero sapere.
«Il Cerbero.»
Jay divenne cinereo. «C-Cerbero?»
pigolò. Felix annuì, e Jay represse l'impulso di
svenire. «Oh, perfetto, grandioso! Incontreremo Fuffi che fa
la guardia a una botola! Dimmi, avete anche voi una pietra
filosofale?»
«No» obiettò Felix, perplesso «E si
chiama Cerbero, non Fuffi. In ogni caso non lo incontreremo.»
Jay sbuffò: Felix non aveva letto Harry Potter.
Dovette concedersi qualche minuto, però, per riprendere a
respirare regolarmente. Beh, non l'avrebbero incontrato, no? Quindi
quanto valeva che si calmasse.
«Comunque... tu sei mai stato all'Inferno?»
«Sono un angelo» rispose Felix, continuando a
guardare fuori dal finestrino -che c'era da vedere?- e Jay
sospirò esasperato: ma proprio in quel momento il treno si
mise in marcia con uno schianto sordo -Caronte doveva aver preso la
patente nell'ovetto Kinder- e per i successivi cinque minuti il nostro
eroe venne impegnato nell'altrettanto eroica impresa di non vomitare.
«Stai bene?» gli chiese ancora Felix e seriamente,
per un momento a Jay venne voglia di piangere: era carino a
preoccuparsi, ma si sentiva così tanto una ragazzina...
«Non preoccuparti» borbottò,
massaggiandosi le tempie. «Quindi non sai cosa troveremo
all'Inferno?»
«Suppongo demoni sanguinari che non vedono l'ora di trucidare
e torturare anime di peccatori» chiosò Felix, con lo stesso
tono con cui generalmente si annunciano le previsioni meteorologiche.
In quel momento Jay sentì di nuovo la voglia di piangere. Ma
come diamine faceva a essere così calmo mentre lui se la
stava letteralmente facendo sotto?!
«Non posso crederci... no, sul serio! »
Felix riportò la sua attenzione su di lui, come se fosse
stato un interessante animale dello zoo, che cerca di attirare
l'attenzione dei passanti con giochi e versi, ma Jay lo
ignorò, per quanto potesse ignorare uno sguardo pungente e
penetrante come quello dell'angelo -eccola di nuovo la ragazzina dentro
di lui che lottava per emergere...- e continuò a parlare,
terrorizzato e arrabbiato allo stesso tempo.
«Ma dove cazzo siamo, in un fottuto fantasy? E chi sta
scrivendo, delle ragazzine con forti frustrazioni sociali? E poi chi
incontreremo? Demoni, cerberi..?»
Felix alzò elegantemente un sopracciglio. Forse si stava
chiedendo che tipo di droga usasse -ammesso che sapesse cosa fosse la
droga- ma anche Jay onestamente iniziava a chiederselo, quindi non ci
fece caso.
«Stiamo scendendo all'Inferno, è abbastanza ovvio.
Come la presenza di Lucifer nella gabbia, più o
meno.»
«...'Fanculo, io mi licenzio! »
Jay continuò a guardare fuori dal finestrino col respiro
corto e il cuore che non ne voleva sapere di rallentare.
E Felix, come se avesse compreso cosa stava provando -finalmente!- o come se gli avesse letto l'anima
-più probabile- si sporse appena verso di lui.
Ancora una volta sembrava studiarlo, quasi fosse sorpreso di
ciò che animava il suo cuore.
«Sei spaventato» realizzò, con quelle
sopracciglia aggrottate come un cane confuso.
«Beh, tu che dici, Einstein?» esplose Jay,
allargando le braccia. «Cazzo, tutto questo è un
incubo! Sta succedendo così in fretta e io...
io...»
Le parole gli si smorzarono in gola. Si passò la mano sulla
bocca e il mento, sentendo gli occhi bruciare all'improvviso. Scosse la
testa, sfuggendo allo sguardo dell'angelo.
«Niente, lascia perdere....»
«Dev'essere terribile per un essere umano»
continuò Felix, imperterrito, fingendo di non averlo sentito
«Jay, forse io non sono chi speravi che fossi. Forse non
riesco a capirti. Ma le tue emozioni sono così intense che
mi destabilizzano. Le urla della tua anima lacerano anche la mia. Un
umano non ha mai vissuto tutto ciò che tu ti stai
apprestando a vedere: suppongo che la tua paura sia più che
giustificata. Farei di tutto per tenerti lontano da tutto questo ma non
posso, e tu lo sai. Mi...» Felix si bloccò, come
se avesse ingoiato un rospo. All'improvviso spalancò gli
occhi inorridito, e a Jay fece l'impressione di un pesce tirato fuori
da una lenza che boccheggia alla ricerca d'acqua.
Si portò una mano in corrispondenza del petto, come se gli
avessero appena annunciato che aveva perso le ali. E lo sguardo che gli
rivolse era così smarrito che Jay si chiese che cosa fosse
successo.
«Fel? Eih, Felix! Che ti prende?»
Allungò una mano verso di lui e Felix deglutì,
battendo le palpebre.
«Mi... dispiace» corrugò la fronte, gli
occhi blu più profondi del solito. «Io... questo
non...»
Jay alzò un sopracciglio: mi dispiace?
Felix... l'aveva detto sul serio?
Si ritrovò a sorridere, intenerito. «Quelli, amico
mio, si chiamano sentimenti. O emozioni.»
Felix sembrava ancora immensamente turbato «...
amico?»
Jay tramontò gli occhi al cielo, poi tornò a
guardare fuori dal finestrino, lasciando Felix da solo coi suoi dubbi.
Possibilmente gli angeli non erano stati programmati per provare
qualcosa....
Jay abbandonò la testa sul vetro, mentre fuori dal
finestrino scuri cunicoli, intervallati da torce, si susseguivano senza
fine.
Il suo respiro si condensava appannando la superficie trasparente, e
Jay, quasi rapito, lasciò scorrere un dito sulla patina di
vapore acqueo.
Proprio come Archie, così tanti anni prima...
«Guarda! Jay,
guarda!»
Jay non alzò
nemmeno gli occhi dal fumetto che stava leggendo.
«Cosa?»
«Guarda!»
Archie gli abbassò con rabbia il volume e Jay si
ritrovò a fissare il suo broncio a distanza ravvicinata.
Tramontò gli occhi al cielo e abbandonò il
libretto sul sedile. «Okay, hai vinto. Beh?»
Archie sorrise mostrando
una chiostra di piccoli denti bianchissimi, tra i quali mancava un
incisivo superiore, e poi gli indicò il vetro appannato, sul
quale erano stati tracciati due omini con i corpi formati da cinque
strisce, una per il busto e quattro per gli arti, e un cerchio come
testa.
«Wow, sei un
artista» lo stuzzicò il maggiore facendogli il
solletico e Archie sfuggì dalla sua presa ancora ridendo.
«Siamo io e
te!» allungò il piccolo indice e segnò
due occhi ad ognuno degli omini, e due grandi bocche sorridenti. Poi si
volse a guardarlo per rintracciarne la reazione.
«Sono proprio
belli, Archie» il sorriso di Jay però si
smorzò. «Sembriamo così
felici...»
Suo padre era morto un
anno prima, e da quel momento l'umore di Jay non aveva mai superato il
grigio nebbioso.
Archie parve
accorgersene perché si tuffò praticamente sul suo
sedile, iniziando a dondolare le gambette.
«Ci
divertiremo, dal nonno.»
Jay annuì,
guardando fuori dal finestrino... eppure una lacrima sfuggì
dalle sue palpebre. «Sì... ci divertiremo,
Archie.»
«Io dico sul
serio!» parve offendersi il fratellino, che
incrociò le braccia al petto e lo fulminò con
un'occhiataccia.
«Staremo bene,
Jay, te lo prometto. Fidati di me.»
E Jay si
pentì di essersi mostrato così debole: il suo
piccolo fratellino, di appena sette anni, era molto più
forte di lui, tanto da volerlo consolare. Sarebbe dovuto essere il
contrario. Jay gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui e
che l'avrebbe protetto.
«Certo che
staremo bene!» e ricominciò a fargli il solletico,
vedendolo contorcersi dalle risate e pregarlo di smetterla. E Jay rise
con lui. Rise, per la prima volta in così tanti mesi.
Batté le palpebre e il panorama tornò quello dei
cunicoli.
Strinse i pugni sui jeans.
«Sai cosa?» disse poi, per spezzare il ghiaccio e
Felix, che stava anche lui guardando fuori dal finestrino, si
voltò di nuovo.
«Cosa?»
«Non mi importa cosa ci sarà dall'altra
parte» cercò una posizione più comoda
sul sedile, infine girò gli occhi sull'angelo.
«Demoni, cerberi, dannati, quello che vuoi... non me ne
può fregar di meno. Devo andare avanti lo stesso. Devo farlo, per
Archie. Capisci?»
Felix annuì, anche se Jay ne dubitava.
«E se tu non fossi robot-Felix lo capiresti.»
L'angelo non replicò e Jay gli fu grato per questo. Poi, il
treno ebbe un sussulto e Jay impallidì di colpo, rendendosi
conto che stava per fermarsi e no, nonostante tutto, lui non era ancora
psicologicamente pronto per l'Inferno.
«Jay,» Felix si guardò intorno, come se
si fosse ricordato di qualcosa solo in quel momento «Siamo
arrivati.»
To be continued
~
Next >> Capitolo 16
[...] Jay non avrebbe mai voluto essere così
sprezzante o assumere un tono così supponente ma quando
Felix si voltò verso di lui, con un'espressione di furia
cieca sul viso, ebbe la certezza matematica di essersi spinto troppo
oltre.
L'angelo lo afferrò per il colletto, sbattendolo senza
troppi riguardi contro il muro.
«Ascoltami bene,
umano» e calcò l'appellativo con
freddezza tale da farlo rabbrividire. «Osa mettermi in dubbio
anche solo un'altra volta e giuro su mio padre che finirai davvero i
tuoi giorni all'Inferno.»
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in
corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Suppongo, a questo punto, che sia inutile scusarsi per il ritardo. Ma
davvero, non potete capire quanto impegnate siamo in questo periodo,
pensate solo al fatto che i nostri esami di maturità sono
prossimi, i test di medicina sono stati anticipati a luglio, andiamo in
scuole diverse e sfortunatamente -è matematico -.-""- quando
una delle due è libera l'altra ha da fare. Tra diciottesimi,
feste, impegni vari e stanchezza e crisi di ispirazione che ci
portavano a criticare ogni cosa che scrivevamo, purtroppo abbiamo
ritardato con la stesura stessa xD Questo capitolo è
vergognosamente corto, e proprio per questo vi PROMETTIAMO che il
prossimo arriverà la prossima settimana, quindi non temete!
:) Il lato positivo è che questi capitoli sono -finally,
penseranno molti di voi- ricchi di azione -almeno, dal prossimo in poi
xD- perché ci addentriamo sempre di più nel
viaggio soprannaturale del nostro eroe. Come avete visto, Archie non
smetterà di ricorrere nei ricordi di Jay. Qualcuno ci ha
chiesto quando tornerà in carne ed ossa. Eeeeh mi sa che
dovrete aspettare un po'!! :P
Ma lascio la parola alla mia collega, che se no sembra che parlo solo
io u.ù
Allora carissimi, prima
di iniziare con il nostro delirio mensile/secolare vogliamo fare
tantissimi auguri alla nostra fan numero uno, una ragazza che abbiamo
conosciuto grazie a questa storia... LA SPOSA DI ADE!
Tanti auguri! XD
Oh sì, è grazie a te che stiamo aggiornando, se
no chissà che tempo si faceva!! :P
Io tecnicamente dovrei
essere di là a studiare matematica, ma come la mia collega
tenevo a fare questo piccolo regalo alla Sposa di Ade... Ritieniti
onorata, non lascio quasi mai i libri nell'ultimo periodo XD
quindi, gente, come va?
Vi siamo mancate?
Lasciando stare le
disastrose elezioni che mi hanno fatto vergognare di essere siciliana -Quoto,
sorella, quoto ç__ç-, credo che l'ultimo periodo sia
stato il più caotico di tutta la mia vita. Ma questo non
interessava a nessuno, scommetto XD
Allora, considerazioni
sul capitolo?
Vi piace il rapporto tra
Jay e Fel?
Siete sicure che non
siamo così bastarde da far succedere qualcosa di brutto tra
i due?
Il tacchino di Susan si
sarà definitivamente bruciato?
Che ne pensate del
ricordo di Jay?
Lo spread è solo un'invenzione del gatto con gli stivali o
in realtà è Lucifero che sta trollando tutti?
*Miss Watson viene presa e rinchiusa in manicomio, ma riesce a scappare
vendendo l'anima a quel figone di Felix*
Alla mia esimia collega la parola!
Oh, ma grazie, grazie *si riappropria del microfono*
AHAHAAH LUCIFER OUR KING! <3
Presto vedremo anche lui, non temete *-* o magari sì...
TEMETELO! °ç°
E per quanto riguarda le dinamiche Jay/Fel, sappiate che sta per
iniziare un arco abbastanza "angst", perché noi siamo
cattive, bastarde e stronze e voi ci amate per questo vero?? <3
Anyway, alla prossima!! :D
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. Baby!Jay <3:
2. Present!Jay (sbav
°ç°):
3. Baby!Archie:
4. Present!Archie:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Jay divertito dalla sorpresa di Fel, mentre gli spiega cosa sono le
emozioni (<3):
2. Il ricordo di Archie:
|
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Capitolo 17 *** 16. ***
Timeless 16
Nel capitolo precedente...
Jay e Felix, dopo essersi lasciati alle spalle la terribile e gelida
figura di Caronte, si addentrano nel treno dall'aspetto di un'antica
locomotiva a vapore, alla ricerca del loro scompartimento. Qui, Felix
racconta all'umano che non è mai entrato all'Inferno, e che non
ha mai conosciuto Lucifero poiché nel periodo della Prima
Apocalisse era un angelo appena nato. Inoltre, si ritrova per la prima
volta a provare delle emozioni e dei sentimenti autentici. Jay, con la
fronte sul vetro, viene colto da un ricordo che vede protagonisti lui e
suo fratello da bambini. Rinvigorito dall'affetto per il fratello,
comunica di essere pronto per affrontare l'Inferno. Proprio in tempo, perché il treno si ferma e Felix gli annuncia che sono arrivati.
Now...
Capitolo
16
Il maggiore dei
Denver prese un bel respiro profondo -si sentiva molto una
donna incinta sull'orlo di una crisi isterica- prima di lanciare
un'occhiataccia verso Felix che lo stava guardando immobile e curioso.
«Non ci sarei mai arrivato, guarda» fece sarcastico
mentre l'angelo piegava il capo, probabilmente non capendo
ciò che voleva trasmettergli: e davvero, per Jay era davvero
impossibile prendersela.
Perciò sospirò e si fece violenza per alzarsi,
quasi come se ogni movimento -anche il più stupido, quello
che a prima vista comportava il minimo spreco di energia- gli costasse
uno sforzo orribile; lanciò uno sguardo verso il suo
accompagnatore che si era alzato e aveva aperto la porta dello
scompartimento e che ora lo guardava, attento, come un predatore che
controlla la sua preda.
«Cosa si fa adesso?» mormorò Jay.
Felix rimase impassibile mentre lo conduceva fuori dal treno.
«Per prima cosa» lo sentì dire.
«Dobbiamo raggiungere le porte dell'Inferno.»
Perché era davvero quello che ci voleva, giusto?
†
Quando Jay e Felix scesero dal treno si trovarono in una stazione
simile in tutto e per tutto a quella che si erano lasciati dietro: ma
l'atmosfera non era semplicemente pregna di malinconia o tristezza, no.
Jay avvertì il gelo appiccicarsi sulla sua pelle e scorrere
al di sotto del tessuto cutaneo, come un serpente capace di insinuarsi
nelle fessure.
«Uhm... non ci sono dei cartelloni con le indicazioni per la
porta dell'Inferno, vero?»
«So dov'è» ribatté
semplicemente Felix e Jay alzò gli occhi al soffitto con un
sorrisetto sarcastico sul volto.
«Ma davvero, sai dov'è. Wow, questo sì
che aggiusta le cose» e davvero, Jay non avrebbe mai voluto
essere così sprezzante o assumere un tono così
supponente ma quando Felix si voltò verso di lui, con
un'espressione di furia cieca sul viso, ebbe la certezza matematica di
essersi spinto troppo oltre.
L'angelo lo afferrò per il colletto, sbattendolo senza
troppi riguardi contro il muro.
«Ascoltami bene, umano»
e calcò l'appellativo con freddezza tale da farlo
rabbrividire. «Osa mettermi in dubbio anche solo un'altra
volta e giuro su mio padre che finirai davvero i tuoi giorni
all'Inferno.»
Per quanto spaventato Jay rimaneva sempre Jay. Perciò
sorrise, inclinando il capo.
«E' una proposta indecente?» ammiccò,
cercando di stemperare la tensione: non funzionò,
evidentemente, perché Felix rimase sempre impassibile, ma
quantomeno la presa sulla sua maglietta si sciolse e Jay
tornò a respirare regolarmente.
L'angelo si voltò, infilandosi le mani in tasca.
«Abbiamo già perso troppo tempo»
commentò Felix, freddo, cominciando ad avviarsi e Jay,
sebbene al momento non fosse esattamente nelle migliori condizioni, si
alzò un po' traballante prendendo a seguirlo.
Ma che era preso a Felix? D'accordo, magari lui non avrebbe dovuto
spingersi così tanto in là - Susan diceva sempre
che le persone mettono dei confini tra loro stessi e il mondo e che
è bene per il quieto vivere non spingersi oltre quei limiti-
però Felix gli sembrava... freddo. Quasi animato da una
scintilla di odio.
Forse era sua impressione o quello era un atteggiamento difensivo? Ma
da cosa avrebbe dovuto difendersi Felix?
Jay storse il naso, raggiungendolo. Magari erano solo brutti ricordi
legati all'Inferno? A qualche racconto che qualche fratello angelo
più grande gli aveva propinato per divertimento,
così come lui faceva con Archie?
In fondo non conosceva abbastanza la testa di quegli esseri piumati.
Magari ragionavano un po' come gli esseri umani -non erano tutti figli
dello stesso Dio, in fondo?- e anche loro si divertivano con poco: Jay
sbuffò, scrollando le spalle, ripromettendosi che avrebbe
cercato l'occasione adatta per scusarsi con Felix perché
davvero, non gli andava che l'angelo tornasse in quello stato di apatia
che aveva caratterizzato i primi momenti -quanto tempo era passato?-
del loro incasinatissimo rapporto.
E non lo diceva solo perché ogni tanto una ragazzina
urlacchiante prendeva posto dentro di lui, ma perché Felix
era colui che lo aveva -e lo stava- aiutando in quella pazza avventura
e aveva iniziato a considerarlo un po' come un amico.
Se mi sentisse Archie...
pensò con una punta di divertimento.
Mentre il nostro eroe era tutto immerso in queste profonde
macchinazioni mentali, Felix lo condusse attraverso la folla di anime:
e ad un certo punto la paura zittì quegli interrogativi
inutili e la consapevolezza di essere ormai vicino all'inferno rendeva
sempre più pesante il mettere un passo dietro l'altro.
Ma doveva
farlo.
Per Archie, perché suo fratello non meritava una fine tanto
orribile.
Per Susan, perché sua madre -la sua dolcissima mamma- non
avrebbe retto un altro colpo dopo la morte di suo padre e per Bill,
perché dopo la morte di Josh aveva fatto loro da padre e in
un qualche modo Jay voleva sapere di aver fatto qualcosa per lui: e
voleva farlo anche per Gwen che amava suo fratello e che aveva scoperto
essere molto migliore di una prima impressione.
Benché la stazione assomigliasse in tutto e per tutto a
quella che lui e Felix si erano lasciati alle spalle, Jay
poté distintamente avvertire un senso di lieve terrore
impadronirsi della sua anima.
Non che ci fossero scheletri appoggiati alle pareti o cadaveri in
putrefazione pronti ad accoglierli. Niente di tutto questo.
Ma era proprio quello il punto. Non c'era niente.
Solo silenzio a circondarli, un silenzio cupo e denso come lo sciroppo
d'acero sui pancake. Jay pensò che, come nei peggiori film
horror, quello non era mai un buon segno: alzò lo sguardo,
quasi a voler cercare il cielo, ma ciò che vide fu una
spessa parete di pietra.
Fece una smorfia, sentendo i muscoli tendersi sotto l'epidermide,
avvertendo una morsa nel petto. Che fosse tornata la claustrofobia?
«Voi uomini alzate sempre gli occhi al cielo quando siete in
difficoltà o avete paura» parlò Felix,
e risentire la sua voce dopo un mutismo tanto lungo sorprese Jay e lo
fece sobbalzare in un primo momento. Ma essa era priva di alcuna
emozione «Guardate il cielo cercando inconsciamente Dio e noi
angeli, per proteggervi. Però, anche quando proviamo a
parlarvi, voi non ci ascoltate. Voi non ascoltate mai.»
E c'era forse un tono di rabbia in quell'esclamazione? Era per questo
che Felix era arrabbiato con lui?
«Io ti ascolto» obiettò, corrugando le
sopracciglia. Poi si fermò un attimo, ripensandoci
«Cioè, tendo a straparlare, è vero, ma
ti ascolto. Sul serio. Sei tu quello che mi ignora più che
volentieri, certe volte!»
Felix iniziò a camminare verso una donna, che stava
radunando le anime piuttosto rumorosamente.
«Beh, più che certe
volte, in effetti, mi ignori molte
volte. Quasi sempre. Anche adesso!» Jay imprecò. Niente.
Bestemmiò. Felix non reagì. Non gli disse di non
nominare Dio invano. Lo... ignorò e basta.
«Parlare col muro sarebbe più
divertente!» gli urlò dietro Jay, allargando le
braccia. Ma ancora una volta Felix finse di non sentire e il maggiore
dei Denver capitolò, tramontando gli occhi al cielo. Pardon,
al soffitto di pietra.
Erano circondati da uno spesso cunicolo che si diramava per chilometri
e chilometri, forse verso un esterno che al momento Jay non poteva
vedere: ma il nostro eroe si affrettò a raggiungere l'angelo
che si era fermato accanto a un punto in cui la grata si interrompeva e
c'era una porta -una di quelle porte da saloon del Texas,
però in metallo- accanto alla quale stava in piedi la donna
che Jay aveva individuato prima e che alzò lo sguardo
vedendoli arrivare. Le altre anime uscite dal treno, nel frattempo, si
stavano accalcando accanto a loro.
Quando Jay le giunse accanto la ragazza alzò lo sguardo su
di lui e un sorriso divertito le si dipinse sul volto. E Jay
poté vedere due affilati canini sporgere appena dalle
labbra: la ragazza lasciò la boccetta di smalto rosso fuoco
-quasi quanto i suoi occhi- sul bancone dietro cui era seduta e con un
balzo fu proprio davanti a loro.
Era vestita come se fosse pronta ad andare a mare - pantaloncini,
maglietta corta- ma i guanti di pelle marrone, senza dita, e gli
stivaletti alla Lara Croft la dicevano lunga su quanto non fosse
decisamente una ragazza normale che si preparava per una gita a mare
con le amiche.
La demone li scrutò a lungo con quel suo inquietante
sorrisetto divertito. Sembrava che stesse guardando con interesse uno
spettacolo decisamente buffo, come una scimmietta allo zoo che si
gratta il sedere dopo aver mangiato.
«Questo è interessante» disse la
ragazza, interrompendo il silenzio teso che si era creato: Jay
notò con la coda dell'occhio che Felix si era posto proprio
accanto a lui, quasi come se fosse stato indeciso se proteggerlo dallo
sguardo della demone o studiare le azioni della giovane donna prima di
buttarsi su di lui, e fosse rimasto sospeso tra i due gesti.
Lo notò anche la demone perché scoppiò
a ridere, di una risata piuttosto allegra. Jay si chiese vagamente che
ci trovasse di comico in tutta quella situazione.
«Oh, che carino... un angelo pronto a difendere il suo
fragile umano!» si portò una mano alla bocca, a
nascondere quel sorriso spaventoso come quello di una teschio.
«State insieme, quindi?»
Jay s'irrigidì e Felix contrasse la mascella, come se stesse
valutando di saltarle al collo indipendentemente dal fatto che
così sarebbero stati scoperti in un batter d'occhio: ma alla
fine parve semplicemente calmarsi -o costringersi a farlo-
perché emise un breve sospiro.
Forse gli avevano già parlato dell'esuberanza di quella
guardiana?
«Sono un angelo» le disse semplicemente e Jay vide
la demone riprendere immediatamente a ridere; sembrava che Felix le
avesse appena raccontato una divertentissima barzelletta.
«Certo, lo avevo sentito, caro» riconobbe quindi la
donna, smettendola di ridere, ma sempre mantenendo quel sorriso
ironico, scostandosi una ciocca di capelli dalla faccia. «Ma
diversi tuoi fratelli hanno avuto degli amanti umani... Maschi o
femmine, non importa. Non ci sarebbe nulla di male, giusto?»
Ma per quale motivo tutti lì sembravano essere assolutamente
convinti che stessero insieme? Come si faceva per far notare loro che
era etero?
«Dimmi cosa vuoi, demone» il tono di Felix era
ghiaccio allo stato puro, quello che scotta quando lo tocchi. Jay
rabbrividì, ma la demone rise di nuovo e scosse il capo,
dirigendosi verso la sua postazione.
Trafficò con qualcosa e poi premette un pulsante, o
abbassò una leva, Jay non ebbe modo di capirlo e le porte si
aprirono rivelando un passaggio luminoso: oltre il varco della porta,
non si vedeva altro che una nebbia perlacea.
Infine la demone si voltò verso di loro con il suo perenne,
minaccioso, sorriso compiaciuto, mentre le anime si affrettavano a
varcare la soglia luminosa.
«Non voglio niente, angelo. Erano anni che non ridevo
così di gusto... oh, penso che i miei colleghi non vorranno
perdersi lo spettacolo di voi due che vi ostinate a negare
l'ovvio» annuì con aria convinta e
sollevò la mano guantata in cenno di saluto. «Ciao
ciao bei fustacchioni! Buon divertimento e ricordatevi... qui
all'Inferno il posto è abbastanza caliente per certe
effusioni!»
Jay si voltò per urlarle contro qualcosa di poco carino, ma
Felix lo afferrò per la maglietta, trascinandolo verso la
porta aperta.
L'ultima cosa che Jay sentì fu la risata della demone
rimbombargli nella testa, prima di essere avvolto dalla luce bianca.
Jay inciampò in qualcosa, e riaprendo gli occhi si accorse
di essere sdraiato su un tappeto di foglie secchie e terra scura,
mentre le anime si disperdevano intorno a lui. L'umano batté
le palpebre confuso, poi la voce di Felix lo destò dalla
sorpresa. «Alzati.»
E Jay eseguì, guardandosi intorno: si ritrovavano in una
foresta cupa, di alberi morti o bruciati, il tutto immerso in una
nebbia fuligginosa: lo sfondo del peggior film horror.
Rabbrividì, voltandosi: la porta di metallo era sparita. Al
suo posto, proprio lì, erta in mezzo al nulla, svettava una
porta di legno bianco rovinato e sverniciato in alcuni punti. Due orme
di mani insanguinate facevano bella mostra di sé sulla sua
superficie, più una serie di graffi che gli fecero
accapponare la pelle: sembrava quasi che qualcuno avesse tentato di
aprirla facendosi largo con le unghie.
Sconcertato, la aggirò, accorgendosi di come fosse
lì, ancorata al nulla più assoluto, solo un'asse
di legno vecchio sospesa nell'aria.
«Ma che accidenti...?»
Un uccellò gracchiò e Jay rischiò di
farsi venire un infarto. Sussultò, notando un corvo sulla
sommità della porta, che zampettò un po' per
farsi più vicino. Jay lo fissò, insultandolo
mentalmente con i peggiori epiteti del suo repertorio.
Qualcuno fischiò e il corvo lasciò in pace Jay,
volando via. In un frullio di ali atterrò sul dito pallido e
affusolato di qualcuno. Il giovane si girò per riscontrarne
il proprietario e agghiacciò: una figura incappucciata, in
nero, che stringeva nell'altra mano un lungo bastone nodoso e contorto,
sormontato da quello che aveva tutto l'aspetto di un teschio di ariete.
La figura alzò la testa al suo indirizzo, e Jay
deglutì a vuoto: il volto era immerso nell'ombra del
cappuccio, ma gli occhi emettevano una luce azzurra come spettrali e
morti.
«Il mio nome è Danielle e sarò la
vostra guida. Da questa parte» disse la figura, con voce
cavernosa. In quel frangente Jay si rese conto che fosse una donna.
Si accorse anche di un'altro dettaglio: le restanti
anime erano accompagnate da figure incappucciate, ognuna col suo
bastone con un teschio diverso -fu sicuro di averne visto uno umano-,
che li scortavano, camminando ai lati del gruppo. I dannati, proprio
come lui, sembravano in preda al panico e si guardavano intorno
freneticamente, il terrore in fondo alle pupille. Jay strinse i pugni.
Ma non gli fu di nessun conforto: il freddo era opprimente.
«Che diavolo sono?!» quasi aggredì
Felix, accostandosi al suo orecchio, mentre la donna incappucciata lo
pungolava con il teschio in cima al bastone, per esortarlo a camminare.
«Sono Mietitori» rispose Felix e Jay
avvertì il freddo stringere le dita attorno al suo cuore,
facendogli perdere un battito.
«C-cosa? Intendi... tipo quelli di The Sims 2?»
«Cosa?»
«Sono... sono....»
«Falciatori di anime, si occupano di scortare i dannati alle
porte dell'Inferno. In generale, morendo, gli esseri umani che andranno
in paradiso vengono accompagnati da un angelo. Tutti gli altri, da un
Mietitore.»
«Vuoi dire che quando moriamo, o meglio, un momento prima di
morire, vediamo questi... falciatori?!»
«Loro sono i servi del cavaliere Morte, i suoi "figli",
potremo definirli.»
Felix continuò a camminare con lo sguardo fisso davanti a
sé. Jay si chiese perché non gli rivolgesse
nemmeno un'occhiata, da quando avevano litigato. «Solo Morte,
però, possiede la Falce.»
Jay annuì, col cuore che rotolava nelle costole.
Cercò di prendere una boccata d'aria, ma realizzò
di non avere fiato. Si umettò le labbra e sospirò
di nuovo, ma non riusciva davvero ad ottenere ossigeno.
Cavolo, ci mancava solo un attacco di panico!
I Mietitori, che scortavano le anime, tenevano in una mano il bastone,
e nell'altra una lanterna che emetteva una strana e raccapricciante
luce verde, che non faceva che espandere nel luogo già di
suo terrificante, un aspetto se possibile anche peggiore. Si irraggiava
nella nebbia, senza tuttavia penetrarla più di tanto. La
foresta nera era immersa nel silenzio: ovunque si levava il fumo, come
se ci fosse stato un incendio. Aveva tutto l'aspetto di un cimitero
malandato, o peggio, di una foresta, le fiamme ormai estinte dalla
pioggia, o ancora, ad un luogo che pullulava di rovine, con comignoli
di fumo che ondeggiavano qua e là quasi ad aumentare la
sensazione di degrado e distruzione, di perdita di speranze e di... morte.
Jay, quasi inconsciamente, si avvicinò a Felix fino a
sfiorargli il braccio col gomito, guardandosi intorno come un gatto che
cammina in mezzo ad un branco di cani ringhianti.
«Hai detto che i Mietitori ci scortano all'Inferno... quindi
dove ci troviamo adesso?»
«Nella Selva Oscura» tuonò una voce
possente e tenebrosa. Jay divenne cinereo, voltandosi: la Mietitrice
dietro di lui alzò il capo tanto che alcune ciocche biondo
scuro sfuggirono dal cappuccio e ricaddero sul petto fasciato dal nero
della tunica larga -assomigliava a quella di Caronte, ma decisamente
più consumata e sfilacciata-.
Jay cercò gli occhi di Felix. «Davvero?»
esalò, con le sopracciglia inarcate «Intendi... la
stessa Selva Oscura di Dante? Fonte dei peccati? Ciò
significa che incontreremo le tre...» deglutì, con
gli occhi che saettavano febbrili intorno
«...fiere?»
L'ultima parola uscì come un sussurro appena udibile e Felix
si concesse finalmente di voltarsi a guardarlo.
«No, niente di tutto questo. Però potremo
incappare nei Cerberi.»
«Oh, capito... aspetta, COSA?! Hai detto Cerberi?»
Felix annuì semplicemente e Jay boccheggiò un
po', fermandosi nel bel mezzo della camminata, troppo turbato per poter
continuare.
«Mi avevi assicurato che non li avremmo incontrati!»
«Ho detto che era possibile non incontrarli, così
come era possibile incontrarli.»
Jay stava per ribattere, ma il corno dell'ariete nel teschio gli
stuzzicò la schiena, così si costrinse a correre
per raggiungere Felix. Rimasero in silenzio per un po', mentre
attraversavano il bosco immerso nella nebbia perlacea: i mietitori
avanzavano lenti ma decisi, con la lunga tunica nera che strisciava a
terra, tra le foglie secche, e il respiro che si levava come vapore
dalle loro labbra screpolate e più morte che vive.
C'era un'atmosfera di morte che tolse a Jay perfino la voglia di fare
battute: il suo senso dell'humor si era congelato come le mani.
Ad un certo punto la nebbia si diradò un poco, permettendo
loro di vedere ciò che si celava al di là della
quarta fila di alberi: una distesa di acqua scura, calma e piatta come
l'olio, con solo delle leggerissime increspature sulla superficie.
Gli alberi morti si specchiavano su di esso, in contrasto con la nebbia
bianca, e Jay si chiese quali immonde e orribili creature celassero
quei flutti bui.
«Cos'è, è in questo lago che voi angeli
fate il bagno?» provò a scherzare, ma la risatina
che gli uscì fu piuttosto isterica.
«Noi angeli non abbiamo bisogno di "fare il bagno" come voi
umani, siamo sempre puliti. Lo sporco non ci macchia, così
come non lo fanno i peccati.
In nessun caso.»
«Che modesto» sghignazzò Jay scuotendo
divertito la testa.
Felix ignorò l'ultimo commento. «Comunque
è un fiume, non un lago. Quello che vedi è
infatti lo Stige: le sue acque sono purificatrici. Chiunque vi si
immerga, verrà lavato da tutti i suoi peccati. Ma poche sono
le anime a cui è concesso di farlo. Solo quelle che sono
pronte a varcare i cancelli dorati dell'Eden.»
«Capisco» Jay si morse l'interno della guancia,
riflettendo: per andare in Paradiso con Felix, sarebbero quindi dovuti
tornare indietro alla selva Oscura e tuffarsi -e magari fare un paio di
vasche- in quella distesa che sembrava petrolio liquido?
I dubbi gli frullavano in testa.
Ancora una volta, come tante in passato, si voltò a guardare
Felix: ma l'amico non ricambiò, e Jay sentì una
fitta di gelo nelle ossa, che non aveva niente a che fare con la
temperatura esterna, e che gli fece ingoiare tutte le domande che aveva.
Da quando aveva iniziato il viaggio era stato solo in parte consapevole
di quello che l'avrebbe aspettato: eppure, non aveva scelta. La vita di
Archie era più importante di ogni possibile paura. Ma da
solo, non ce l'avrebbe mai fatta... e lui non era solo. Aveva
Felix. Da subito, la presenza rassicurante di quell'angelo
con la fissa per le giacche di jeans gli aveva infuso coraggio: gli
aveva fatto vedere quella speranza che non era più soltanto
un miraggio. Perché Fel, nonostante l'aspetto apparentemente
gracile, era molto più forte di lui. Molto più
potente di qualsiasi cosa Jay avesse mai visto, e in parte, quasi lo
terrorizzava quell'enorme potere: con un'occhiata poteva cambiare la
realtà. Con un'occhiata poteva costringere chiunque a fare
ciò che voleva. Era una creatura soprannaturale, divina. Jay
sapeva che al suo fianco non avrebbe dovuto aver paura di niente,
perché nessuno sarebbe stato tanto stupido da rischiare di
affrontarlo.
E lo stesso angelo l'aveva assicurato che l'avrebbe protetto. Ma non
questa volta...
Jay sentì la paura tornare a farsi sentire,
quella paura che aveva negato a se stesso per tutto quel tempo,
nascondendola dietro battute e scherzi. Quella paura che aveva
esorcizzato rifugiandosi nella presenza di Felix.
Eppure, odiava dipendere da qualcuno. Forse Felix non voleva
proteggerlo veramente: del resto, a lui non importava niente che Jay
vivesse. Non aveva veramente bisogno di lui. Avrebbe potuto trovare Dio
anche da solo.
E nemmeno Jay voleva aver bisogno di lui.
Provò a chiamarlo
piano, ma notando che ancora una volta -a conferma dei suoi sospetti-
l'angelo lo ignorò, Jay strinse le labbra. Poi prese una
boccata d'ossigeno, serrò i pugni tanto forte da infilarsi
le unghie nei palmi e, semplicemente, si distaccò
dall'altro. Creò una certa distanza tra sé e
l'angelo, e si affrettò a seguire le altre anime.
Non mi importa se non
vuole aiutarmi... sarò in grado di proteggermi da solo. E'
quello che ho sempre fatto, con Archie.
Alzò la testa, riducendo gli occhi lucidi a due fessure.
E pregò. Semplicemente pregò.
Perché
all'improvviso si chiese che cosa stesse succedendo sulla Terra.
Non sapeva perché lo facesse, non era mai stato troppo
religioso. Ma ne sentiva l'esigenza... se esistevano gli angeli, i
demoni e Dio, chissà se gli umani non avessero potuto
ascoltare le preghiere provenienti dai regni ultraterreni.
Fratellino,
abbi fiducia in me. Ce la farò. Riuscirò a
salvarti.
Ho ancora troppi insulti
da rivolgerti, troppe battute e storie da raccontarti, non posso
permettermi di perderti.
Bill, abbi
fiducia in me. Mi hai consolato tante volte da piccolo, mi hai detto
che ero più forte di quello che credevo. Voglio provarti che
avevi ragione. Conserva la mia piccola per me, nel frattempo.
Gwen, abbi
fiducia in me. So che l'hai sempre avuta, sono stato troppo cieco per
vederla. Non cambiare mai. Ti ho giudicato male, e voglio che tu sappia
che mi dispiace.
Mamma, abbi
fiducia in me. Tornerò indietro e mangerò il tuo
tacchino. Ti dimostrerò che posso prendermi cura della
famiglia, proprio come papà.
Papà,
abbi fiducia in me. Se mai ci rivedremo, voglio che tu sappia che sei
stato sempre un esempio per me. Farò in modo che potrai
essere fiero di tuo figlio.
To be continued
~
Next >> Capitolo 17
«Jay, Jay, JAY!»
Il maggiore dei Denver trasalì e inciampò in
qualcosa: un attimo dopo era a terra con un gemito strozzato, mentre
batteva le palpebre per mettere a fuoco. Non l'avesse mai fatto.
Un teschio umano lo fissava mezzo insepolto nella terra, con le orbite
nere che brulicavano di vermi biancastri. Gli esseri si contorcevano e
uno cadde sulle dita di Jay che le ritrasse come scottato.
Un ringhio basso dietro di lui gli fece dimenticare per un momento
perfino chi fosse [...]
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in
corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Vorrei, per iniziare, scusarmi
per il ritardo nell'aggiornare che è solo imputabile a me, Miss
Watson: non vorrei che pensiate che sia un ritardo del tipo ''oh come
mi annoia aggiornare'', ma ho degli impegni abbastanza gravosi e dato
che ho avuto diversi problemi di salute vengo controllata mensilmente
da un medico e ieri -purtroppo- avevo questa visita.
Aggiungete i compiti, le
interrogazioni e il trinity e otterrete la mia vita incasinata XD Ho
pensato, lo ammetto, di abbandonare il progetto perchè conscia
di non poter donare il 100% ma Lady Holmens probabilmente mi avrebbe
picchiata a sangue e poi sono affezionata a Timeless e a tutto
ciò che questo comporta.
Quindi questo capitolo, secondo me, è uno dei migliori che abbiamo mai sfornato.
Si vede la parte... Diciamo
''peggiore'' di Felix, quella del soldato freddo e calcolatore, si
vedono due delle comparse di cui vi avevamo già parlato -una
è billina1000, la demone che apre la porta di metallo, e l'altra, la Mietitrice, è mizuki95- si vede la confusione di Jay che nonostante tutto il suo coraggio prova paura per quello che inevitabilmente lo aspetta.
Credo che questo sia considerabile
come uno dei punti cruciali di Timeless: l'inizio del viaggio. Un
viaggio che, come in tutti i romanzi, può essere di formazione
come di chiusura in se stessi: tuttavia, ritengo, ogni viaggio ha il
suo perchè.
Ogni viaggio lascia una traccia, sottile forse e invisibile a occhio nudo, ma è un qualcosa che ti segna, sempre.
E questo è il viaggio di Jay.
Il suo viaggio attraverso i mondi ultraterreni, un viaggio che forse
tocca i recessi della sua anima
Penso di aver finito. Alla prossima e lascio la parola alla mia collega
Io... ho letto solo ora quello che la mia collega ha scritto e
sì... NON TI AZZARDARE AD ABBANDONARMI E ABBANDONARE JAY PERCHE'
TI PRENDEREI A PUGNI!! T___T
Ora mi sento come se non facessi nulla... ma che ci posso fare se da me
sono in periodo "spiegazioni" e delle uniche materie che interrogano mi
hanno già sentita? °^°
Proveremo ad aggiornare stabilmente ogni 10/12 giorni circa, in caso
contrario sappiate che è a causa degli impegni... e
avvicinandosi gli esami penso che andrà a peggiorare!
ç^ç
A questo punto mi auguro davvero che riusciremo a scrivere il
più possibile ora, così avremo dei capitoli da parte per
dopo.
Anyway, sì... il viaggio di Jay non è solo fisico, ma anche psicologico.
Stiamo per avventurarci nella parte più horror della storia,
nonché quella in cui il nostro eroe sarà più
spaventato. Felix, come ci ha fatto notare un lettore, si sta
umanizzando sempre di più... tuttavia, questo non rappresenta
necessariamente un bene.
Sperando che anche questo capitolo vi sia piaciuto come gli altri, e
che continuerete con noi questo viaggio, ci vediamo al prossimo
aggiornamento!! :)
P.s: per quanto riguarda le risposte alle recensioni. Non è
nostra intenzione fare le "stronze" che se ne fregano e non rispondono.
Ma non riusciamo praticamente a beccarci online e rispondere assieme.
Se va tutto bene, stasera dopo cena dovremmo rispondervi, sappiate che
non vi abbiamo dimenticato :')
Continuate a supportarci, siamo particolarmente stressate in questo periodo! <3
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. La porta bianca che li ha
trasportati nella Selva:
2. La Selva Oscura:
3. Lo Stige:
4. I Mietitori e le anime dannate:
5. Jay entrato nella selva:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Jay nella selva:
2. La terribile Selva Oscura:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 17. ***
Timeless 17
AVVISO IMPORTANTE:
quello che vi apprestate a leggere sarà
l'ultimo capitolo fino a luglio. Io e la mia collega siamo davvero
troppo impegnate per via degli esami e con la stesura siamo ferme a
metà del capitolo 18. Dopo i dannati esami riprenderemo a
scrivere e pubblicare regolarmente, quindi abbiate pazienza, non
abbandonateci e non perdete le speranze ^-^ Fortunatamente questo
capitolo è particolarmente lungo. Per chi volesse nel
frattempo passarsi il tempo -o se non le avesse ancora lette- dia un
occhiata a queste due storielle su Timeless:
1) Angeli della neve... e
non solo {il Natale del '98 con i piccoli Jay e Archie}:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1480394&i=1
2) I sentimenti segreti
di una radiolina texana {fornitaci dalla carissima La Sposa di Ade}: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1246964
//////
Nel capitolo precedente...
Usciti
dal treno che li ha portati a destinazione, Jay e Fel si ritrovano in
una stazione molto simile alla prima in cui erano incappati. L'angelo
è inspiegabilmente nervoso, e non si cura di risparmiare a
Jay urti e minacce, tra le quali quella di lasciarlo all'Inferno per
sempre. Camminando, il passaggio dei due viene sbarrato da
una grata presidiata da una demone-guardiana dagli occhi rossi, che
erroneamente li scambia per una coppia. Abbassando una leva, la ragazza
apre un passaggio luminoso, che i due, insieme al resto delle anime dei
dannati destinati all'Inferno, si affrettano a varcare, ritrovandosi
catapultati in un bosco tetro e inquietante, che Felix svela essere
niente di meno che la Selva Oscura. Dietro un tendaggio di alberi e
cepusgli scorgono un lungo corso d'acqua scura, lo Stige, fonte di
purificazione per tutte le anime destinate al paradiso, per epurarsi
dei propri peccati. Smarrito e in panico per l'atmosfera nebbiosa e
lugubre del luogo, Jay rivolge una preghiera alle persone amate che lo
aspettano sulla terra, e a suo padre morto, perché gli
infonda il coraggio necessario per salvare Archie dal suo triste
destino.
Now...
Capitolo
17
Jay si chiese che ore
fossero. Sembravano passati secoli da quando si erano inoltrati nella
Selva Oscura e il paesaggio non si degnava di cambiare: i Mietitori non
davano segni di volersi fermare -o di aver scorto le porte- e Jay,
memore degli interminabili monologhi di Archie sul grande, inimitabile ed
eccellentissimo poeta Dante e su quanto fosse meraviglioso, epico e
intramontabile il suo capolavoro, si chiese che forma
avessero le porte e se per caso reggessero una targa con su scritto:
''Perdete ogni speranza...''.
Inoltre Jay aveva come l'impressione che la Mietitrice che aveva visto
all'ingresso lo stesse osservando -e sentiva i suoi occhi sulla nuca,
quasi come se tentasse di penetrare la carne e studiargli l'anima- ma,
pur avendo il folle desiderio di girarsi per chiederle cosa volesse,
non aveva il coraggio di farlo e continuava a camminare, cauto, quasi
aspettandosi di essere fulminato o chissà che altro.
Inoltre, ultimo ma non per questo meno importante, Felix camminava a
poca distanza da lui, ma Jay sentiva che quella vicinanza era di stampo
totalmente fisico: l'angelo appariva infatti arrabbiato, ma per cosa
poi?, e distratto. Freddo come quando si erano incontrati, ma non...
c'era qualcosa di fottutamente diverso in quella freddezza, adesso.
Una volta, leggendogli la favola di Amore e Psiche, Susan gli aveva
detto che gli uomini hanno bisogno di credere sempre in qualcosa: che
sia il poter acquistare un nuovo modello di macchina, il riuscire a
conquistare l'amore di una persona...
O, più semplicemente, arrivare a fine giornata. Si ha
bisogno di una certezza a cui aggrapparsi per non crollare, per alzarsi
ogni giorno e combattere contro una vita che, troppo spesso, si rivela
come un fiume in piena.
E Jay ci stava provando, con tutto se stesso.
Stava provando ad aggrapparsi alla convinzione che sarebbe tornato a
casa, che avrebbe potuto riabbracciare Archie e mangiare quel famoso
tacchino che la povera Susan stava cucinando ormai da giorni: ma
più ci provava, più sentiva come la sensazione
fisica di scivolare. Ciò che viene comunemente chiamato
''arrampicarsi sugli specchi'' in sostanza; Archie poteva essere morto,
gli angeli avrebbero potuto davvero aver raggiunto casa sua...
Cosa ne sapeva lui? Anche lui avrebbe potuto morire da un momento
all'altro. Bastava incontrare un demone un po' meno divertito o
semplicemente che un Mietitore decidesse di giocare con lui... e la
presenza di Felix non era più sinonimo di sicurezza.
Finalmente, dopo quelli che potevano essere minuti come ore, il
paesaggio iniziò a mutare: gli alberi diventavano un po'
contorti e bruciacchiati, l'erba era di uno strano giallo seppia e qui
e lì Jay notò delle croci nel terreno, rotte o
annerite.
Gli sembrava quasi di star vedendo da vicino l'opera di un piromane.
«Bello vero?»
La voce della Mietitrice, a un centimetro dal suo orecchio, lo fece
sussultare. Jay si voltò a guardarla per un breve attimo,
cogliendo un sorriso malignamente divertito sul suo volto -e gli
sembrò qualcosa di stridente, come delle unghie che grattano
una lavagna- prima di rivolgersi nuovamente in avanti, attento a non
inciampare su una qualche radice.
«Spettacoli del genere dovrebbero far piacere a un essere
umano.»
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose Jay. Si
sorprese di avere ancora voce per parlare, dopo tutto quel silenzio:
forse se ne sorprese anche la Mietitrice perché
ridacchiò appena prima di continuare, con quella voce
tiepida e tranquilla che qualche ragazzina umana, e viva, avrebbe
probabilmente usato per discutere del tempo.
«Questo paesaggio intorno... sai cos'è? E' il
peccato che in mille e più anni è scaturito da
Lucifero e da tutte le anime dannate che dopo di lui o con lui hanno
calpestato quest'erba. Il peccato brucia, umano. Il peccato corrode
tutto ciò che ti circonda.»
Jay tacque, sforzandosi di chiudere la voce della Mietitrice fuori
dalla sua testa, ma la verità era che non era possibile non
ascoltare quelle parole che sembravano essere state create apposta per
penetrare l'anima.
«Voi umani scegliete sempre la via più semplice e
siete tutti peccatori, nel vostro piccolo. Credimi, ho visto dannati
che sotto la faccia di brave ragazze o di onesti uomini nascondevano
un'anima nera come il fango da cui l'umanità è
nata» il ragazzo era quasi sicuro di poter sentire il sorriso
sul volto di Danielle, di poter immaginare il modo in cui gli occhi
brillassero di un'eccitazione inspiegabile.
«Non è compito tuo giudicarci»
ribatté semplicemente. Felix aveva notato ciò che
stava succedendo? Con la coda dell'occhio Jay colse il corpo
dell'angelo irrigidirsi in una posizione di difesa, benché
il suo volto rimanesse impassibile.
La Mietitrice rise ancora.
«Questo è vero, umano, questo è
vero...» seguì qualche momento di silenzio, in cui
Jay poté quasi sentire il fremito di orrore che attraversava
le anime intorno intensificarsi, allargarsi, come un'onda che si
prepara a colpire le coste dove andrà a morire.
«Eppure in te c'è qualcosa di profondamente
diverso, umano. Sai cos'è?»
«Un migliore senso dell'umorismo?» tentò
Jay. Sentiva che quella conversazione, di minuto in minuto, cominciava
a innervosirlo e non vedeva l'ora di troncarla: vuoi per il pensiero di
dover -forse- affrontare Lucifero in persona -non il primo deficiente
che passava di lì- vuoi per le parole della Mietitrice, Jay
sapeva bene che tra poco se la sarebbe fatta sotto dalla paura.
Ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso. Aveva pur sempre una
reputazione da difendere, lui.
«Oh, no... è la tua anima. E' quella
ciò che colpisce ogni essere qui dentro: è quella
che ha colpito anche il tuo angelo.»
Jay scoccò una veloce occhiata a Felix, vedendolo stringere
le dita a pugno, le nocche quasi bianche nello sforzo, poi
tornò al presente accorgendosi in tempo di una radice
annerita che sbucava dal terreno. In tempo per non cadere a terra,
ovvio, ma non per inciamparci. Il suo movimento improvviso fece girare
qualche anima curiosa, e tra i tanti occhi, Jay si ritrovò
attraversato da un paio che sembrava brillare all'interno di due orbite
vuote: gli si mozzò il fiato, poi il Mietitore riprese il
cammino come se niente fosse.
Il maggiore dei Denver si schiarì la voce per riassumere il
controllo, mentre avvertiva vagamente la risata silenziosa di Danielle.
«Cos'ha la mia anima di tanto speciale?» le
sussurrò con urgenza, quasi come se temesse che Felix
potesse ascoltare.
«Sembra essere una di quelle anime appena plasmate... di
quelle che non hanno ancora incontrato l'ingiustizia del
mondo» la voce di Danielle era simile a quella di un'amante
in una camera da letto. «C'è qualcosa in te che
stona con l'Inferno. La tua mente conosce i concetti di famiglia e di
onore e sebbene io possa vedere che hai qualche macchia di rabbia, non
riesco a scorgere invidia nel senso stretto del termine.»
Jay abbassò lo sguardo, colpito.
Non credeva di essere così... pulito? Era quello
il termine da utilizzare?, e forse le parole di Danielle erano solo
frutto della noia di una Mietitrice che non aveva di meglio da fare che
prendere in giro il primo umano che passasse: tuttavia, dandole
un'occhiata, si rese conto che probabilmente sarebbe stata l'ultima
persona -ma era davvero una persona?- che avrebbe potuto prendere in
giro qualcuno.
Eppure anche Felix gli aveva detto qualcosa del genere, quella che
sembrava essere una vita fa, quando erano seduti nel tavolino di quel
ristorante alla stazione.
Mi ricordi la luce in
cui sono nato.
Ed era vero? Aveva davvero un'anima così pura?
Jay si leccò le labbra.
«Senti, non credo che...»
«Sssh!»
Il ragazzo alzò lo sguardo, pronto a voltarsi e a chiederle
infastidito perché mai dovesse star zitto, quando si accorse
di essere al limite della Selva Oscura. Davanti a loro, adesso, c'era
uno strettissimo sentiero in cui non sarebbero entrate più
di tre persone una accanto all'altra.
I lati del sentiero erano totalmente immersi nell'oscurità:
era come se un enorme riflettore fosse puntato sul cammino da seguire.
Ed era Dio? Il Diavolo?
Jay non avrebbe saputo stabilirlo con certezza.
E, in effetti, non avrebbe voluto stabilirlo
con certezza.
Oltre quel sentiero, probabilmente c'erano le Porte dell'Inferno e Jay
venne investito dalla consapevolezza che sì, da quel punto
in poi non si sarebbe più tornati indietro: un senso di
nausea e di vertigine insieme che si mescolavano alla ferrea
volontà di non morire, di sperare di sopravvivere quel tanto
che sarebbe bastato per riabbracciare Archie.
Oltre quel sentiero, c'era forse la Morte.
Oltre quel sentiero, c'era un futuro sempre più incerto che
lo stava aspettando a braccia aperte.
Ma era un Denver, giusto? E i Denver non si lasciano mai scoraggiare,
nemmeno quando c'è l'Apocalisse dietro la porta: continuano
piuttosto a camminare a testa alta tra le fiamme e le urla. O almeno,
questo era ciò che suo padre gli ripeteva sempre,
esortandolo a essere coraggioso e a non farsi mai e poi mai
sottomettere da niente e da nessuno: Jay non era affatto sicuro che
Josh intendesse anche una vera Apocalisse ma poco importava, aveva
bisogno di tutto il coraggio necessario.
E poi...
Poi successe qualcosa.
Jay notò un fremito nella folla che li circondava, come se
avessero visto qualcosa di terribilmente impudico ma non riuscissero a
staccarne lo sguardo e spostò gli occhi dal sentiero alle
persone -sempre se di persone si potesse parlare- che lo circondavano.
Qualcuno urlò.
L'anima di un uomo smilzo e con gli occhi cerchiati si
staccò dalla folla, iniziando a correre indietro verso gli
alberi, lontano dalla strada luminosa che si diramava proprio davanti a
loro: Jay sentì i Mietitori tentare di calmare la folla ma
non scorse traccia di paura nei loro occhi. Danielle, accanto a lui,
appariva rilassata esattamente come se nessuna anima avesse mai
lasciato il sentiero prestabilito.
Si sentì un ringhio. Jay ebbe modo di ascoltare anche il
rumore di catene che strisciano per terra prima che dei cani, degli
enormi cani neri che sembravano non vedere una buona bistecca da un bel
po', accerchiassero l'anima terrorizzata, latrando.
«Pietà!» l'uomo indietreggiò
in maniera sconnessa mentre i cani avanzavano con passo terribilmente
lento, in agguato, la bava tra le zanne aguzze, il pelo irto, un
ruggito gutturale che faceva tremar loro la gola.
Jay si voltò verso la Mietitrice, allarmato.
«Fa' qualcosa!»
Danielle lo guardò incuriosita. Non capiva o faceva finta?
«E perché? E' scappato. Sarà punito
come merita.»
«Ma...»
«Fa' silenzio, umano. E' questa la punizione, non sta a noi
sindacare» replicò la Mietitrice e Jay
notò che sembrava davvero infastidita: quindi,
benché sentisse che fosse ingiusto e che nessuno meritasse
una fine del genere, chiuse la bocca.
E gli occhi, quando vide il primo cane saltare con un ringhio sulla
povera vittima.
«Pietà, pie-AAAAAH»
E avrebbe voluto tapparsi anche le orecchie mentre avvertiva
le urla dell'uomo e il guaire sordo dei cani mescolarsi al rumore di
carne lacerata: nascondersi tra le braccia di Susan, come quando era un
bambino.
Ma sua madre non era lì. Era da solo, con la compagnia di un
angelo che si era incazzato senza un motivo particolare.
Quando tutto finì e il silenzio scese di nuovo, Jay si
arrischiò ad aprire gli occhi.
Dei cani non c'era più traccia e dell'anima rimanevano solo
pochi brandelli di cenere mista a sangue: un venticello si
alzò, portandosi via anche quei miserabili resti.
«Che vi sia d'esempio, umani!» Danielle
alzò le braccia, un sorriso folle sul volto magro.
«Questa sarà la punizione di chi
tenterà di fuggire al suo destino! La dannazione o
l'annullarsi della vostra anima, non importa, non si torna
più indietro...»
Già. Non si
torna più indietro.
Deglutendo a fatica Jay lasciò saettare lo sguardo intorno,
eppure quando trovò Felix si bloccò. Si
voltò di nuovo, si morse l'interno della guancia e
desiderò solo che tutto finisse al più presto.
«Sono quelli i Cerberi?» domandò alla
Mietitrice, mantenendo il tono più stabile che riuscisse a
pescare dal proprio repertorio.
«No, ragazzo. Tu neanche immagini cosa sia un
Cerbero.» Danielle scosse la testa con una risatina
supponente e Jay sentì che il peggio doveva ancora arrivare
«In confronto ai Cerberi, questi sono dei cuccioli
indifesi.»
«Oh, proprio degli adorabili animaletti da compagnia,
eh?» provò a scherzare, e il sorriso della
Mietitrice si allargò, si fece più tagliente.
Jay sentì che iniziava a mancargli lo sguardo confuso che
assumeva Felix quando non capiva una battuta: Danielle pareva
comprenderle, ma il sorriso che assumeva era una delle cose
più inquietanti che Jay avesse mai visto. Aveva il sentore
che non potesse fidarsi di lei... era come se si divertisse a vederlo
soffrire.
Jay accantonò in un angolo della sua mente quei pensieri
combattuti e seguì le altre anime e i mietitori all'interno
del percorso luminoso.
Non appena superò l'ultima fila di alberi la luce, flebile
ma immensa in quell'oscurità fitta, gli bagnò le
dita, che si guardò meravigliato. Alzò il naso in
aria, per cercare di rintracciare l'origine di quella brillantezza:
sembrava di trovarsi sotto dei riflettori, eppure in alto non vi era
che nebbia e quelle che potevano essere scambiate per nuvole scure. Vi
era uno squarcio in esse, come una fessura di luce che illuminava il
terreno sottostante.
Jay riabbassò gli occhi e prese un grande respiro, prima di
continuare la marcia, attento -in maniera quasi maniacale- a mantenersi
nel lato illuminato e non scivolare nemmeno con la punta delle scarpe
nella zona in ombra.
La nebbia volteggiava nell'aria, tetra e umida, inondandoli a sprazzi,
in modo che in alcuni momenti la strada fosse perfettamente visibile e
in altri completamente celata. E quelli erano i peggiori,
perché le anime delle prime file titubavano ad immergervisi,
eppure i Mietitori non sembravano provare pietà,
perché li minacciavano coi loro bastoni.
E dopo l'esperienza del dannato fatto a pezzi dai cani infernali,
nessuno aveva davvero voglia di ribellarsi agli ordini.
Radici morte affioravano dal terreno scuro, che Jay si prese il tempo
di analizzare: aveva l'aspetto di terra bruciata. Nera, crepata nei
punti in cui pareva dura come la pietra, un involucro di cenere
fumante. Gli alberi erano sempre meno radi, ma quella selva era piena
di sussurri: le ombre li seguivano tra i rami morti e le foglie marce,
e c'era qualcosa, qualcosa che li osservava; Jay ebbe per un momento,
dando una fugace occhiata intorno, la certezza di aver scorto un paio
di occhi rossi dietro un cespuglio al buio fuori dal percorso. Il tempo
di battere le palpebre che quelli erano spariti
nell'oscurità, dietro una nuova ondata di nebbia. Quando si
era diradata, non vi era più traccia di essi.
Era come se qualche mostro fosse nascosto tra i rami anneriti, e non
aspettasse altro che azzannarlo.
«Jay» sussurrò qualcuno e il giovane
alzò la testa di scatto: nessuna anima gli stava prestando
attenzione.
Aveva forse sognato?
«Jay» di nuovo il sussurro, seguito da una sorta di
eco. Jay si girò a guardare Felix, ma lo vide perfettamente
calmo, camminare con lo sguardo puntato dritto di fronte a
sé. Non sembrava essersi accorto di niente.
«Jay, Jay, JAY!»
Il maggiore dei Denver trasalì e inciampò in
qualcosa: un attimo dopo era a terra con un gemito strozzato, mentre
batteva le palpebre per mettere a fuoco. Non l'avesse mai fatto.
Un teschio umano lo fissava mezzo insepolto nella terra, con le orbite
nere che brulicavano di vermi biancastri. Gli esseri si contorcevano e
uno cadde sulle dita di Jay che le ritrasse come scottato.
Un ringhio basso dietro di lui gli fece dimenticare per un momento
perfino chi fosse: si mise in piedi in un attimo, affrettandosi a
raggiungere il gruppo, cercando di sospirare via la paura, ma la
verità era che tutta la sua pelle al momento stava tremando,
e aveva un'insopportabile voglia di urlare con quanto fiato gli restava.
«Prova a distrarti di nuovo, bellezza, e diventerai cibo per
cani» gli ricordò sadicamente Danielle, accennando
col mento al grosso cane infernale, che adesso si era leccato le
gengive nerastre e si era deciso a seguire qualche altra preda.
Jay avrebbe voluto ribattere con qualche battuta ad effetto, o anche
con qualsiasi altra cosa, ma la sua gola era bloccata.
«Jay.»
Spalancò gli occhi, col cuore che aumentava i battiti. La
foresta gli stava parlando... ne era sicuro. Aveva un'anima, quella
dannata Selva Oscura, che forse stava cercando di distruggerlo. O forse
aveva realizzato, in qualche maniera ancestrale, che possedeva un corpo
e che giocava ancora nella squadra dei vivi.
«Jay?»
Strinse i pugni. Doveva solo ignorarla. Era solo frutto della sua
immaginazione, non c'era niente di reale, niente.
«Jay!»
Forse stava impazzendo.
Ho bisogno di una
lattina di birra. Dieci lattine di birra.
Qualcosa gli toccò la spalla e Jay tornò
bruscamente al presente, come morso da uno spillo. Si voltò
senza fiato e quasi inciampò di nuovo quando
ritrovò il volto di Felix a distanza ravvicinata.
«Fel...?» sibilò, passando in un attimo
da allarmato ad arrabbiato «Dannazione, eri tu?! Mi hai fatto
prendere un colpo!»
Felix non disse che gli dispiaceva. Jay era convinto che non l'avrebbe
detto mai più.
«Ti comporti in maniera strana.»
«Oh, io?!
Davvero?» Jay non riuscì a contenere la risatina
priva di allegria «Senti chi parla! Ti incazzi senza motivo,
mi ignori bellamente per tutto il tempo e poi mi chiami da almeno un
minuto? E sarei io quello strano...?»
«Ti ho chiamato solo tre volte» protestò
Felix, corrugando le sopracciglia.
«Cos'è, non sai nemmeno contare adesso? Saranno
state almeno cinque! Anzi di più, guarda!»
«Non ero io.»
«E poi sono in una fottuta Selva Oscura, come diavolo vuoi
che mi compor-... aspetta, cosa?»
Felix adesso sembrava vagamente turbato. Guardò qualcosa
oltre la sua spalla, poi occhieggiò Danielle e uno dei cani
ringhianti che la affiancavano. Infine, quando tornò con gli
occhi su di lui, essi erano particolarmente blu e profondi e Jay si
sentì inchiodato sul posto.
«Non ascoltare le voci, Jay, non ascoltarle. Siamo in un
luogo maledetto, segui la luce... segui me.»
E Jay, davvero, non riuscì a far altro che annuire: si
sentiva tanto come un bambino impaurito appeso alle sottane della mamma.
«Quelli non sono Cerberi, sono solo cani infernali. I Cerberi
hanno tre teste, non una» chiarì poi l'angelo,
quasi leggendo i suoi dubbi «e non credevo che li avremmo
incontrati. L'ultima volta che sono stato qui non c'erano.»
«Ah» e ancora una volta, il giovane
avvertì le parole incastrarsi tra i denti.
Tre teste... porca
miseria!
«Comunque, non è per questo che ti ho chiamato.
Dobbiamo parlare, è importante.»
«Ah sì? Credevo che non volessi più
farlo, che avessi deciso di continuare lo sciopero della
parola» borbottò Jay incapace di guardarlo oltre.
Sentì gli occhi di Felix su di sé, ma non si
voltò per incontrarli, o per provare a leggervi qualche
emozione. Aveva sbagliato in passato a farlo e poi... non voleva una
nuova delusione, scoprendoli freddi e insensibili.
«Devi ascoltarmi.»
«Lo sto facendo!» replicò Jay sulla
difensiva, per poi sospirare, notando che aveva parlato a voce troppo
alta e che alcune anime terrorizzate lo stavano squadrando come se
fosse un pazzo uscito da un manicomio.
«Mi dispiace» soffiò, guardando
l'angelo. E in un certo senso, non si stava nemmeno riferendo
all'ascoltare. Gli dispiaceva, forse, di aver dubitato di Felix, anche
se per poco. Ma non voleva illudersi che fosse tornato tutto come prima
solo perché Felix aveva ripreso a parlargli. Il pennuto era
più freddo e laconico del solito, e non era un buon segno.
«Stiamo per addentrarci all'Inferno, Jay. Sono quasi certo
che i miei fratelli ancora non sappiano cosa io abbia in mente di fare,
né dove possa trovarmi. Probabilmente ritengono che mi stia
ancora nascondendo sulla Terra, da qualche parte, tentando di bloccare
l'apertura dell'ultimo sigillo.»
Jay annuì, partecipe, cercando di cogliere il filo del
discorso.
«Ma all'Inferno potrebbero essere appostati, di guardia,
alcuni angeli che mi conoscono. E' assolutamente fondamentale che
nessuno di loro scopra chi sono realmente, o potrebbero avvertire gli
Arcangeli e per noi sarebbe la fine.»
«Nel senso che ce li troveremmo alle calcagna?» si
preoccupò Jay, sudando freddo alla prospettiva.
«Sarebbero capaci di smuovere l'intero Inferno pur di
trovarci. Se ciò accadesse noi verremmo uccisi. O nel caso
più grave, io potrei venire bandito dall'Eden, e tu ucciso
lo stesso. Comunque il mondo verrebbe distrutto e tuo fratello
morirebbe.»
Jay deglutì. Era forse una frecciatina?
«Vai al punto, Fel.»
«Il punto» riprese Felix, e Jay si stupì
che avesse usato la sua stessa parola «è che
è di vitale importanza che tu ti comporti come un dannato.
Sei solo un'anima che io sto portando da Lucifero, tutto qui. Se
dovessero scoprirci e chiederci qualcosa, questa sarà la
nostra copertura. E sicuramente eviterò di mostrare la mia
vera forma angelica.»
Jay adesso si era fatto più attento. «Un
momento... vera
forma? E questa allora che diamine è?!»
«Noi angeli siamo nati nella luce di Dio, quindi la nostra
vera forma è molto più luminosa di questa che
vedi adesso, che sarebbe solo la sua versione materiale.»
Jay corrugò la fronte, riflettendo: forse era per questo,
dunque, che gli occhi di Felix assumevano delle soprannaturali
sfumature viola quando utilizzava il suo mojo angelico? Era come se una
luce si accendesse dietro l'iride, donandole quel colore particolare...
era come se Felix si accendesse dall'interno, alla stregua di
un'abat-jour.
«E scommetto che magari è perfino più
luminosa del sole, e per questo noi umani non possiamo vederla,
giusto?»
«Agli angeli non è permesso mostrare la propria
vera forma sulla Terra, di fronte agli umani; non potete vederla
perché a noi è vietato farvela vedere, tutto qui.
E' uno dei primi comandamenti.»
«Non credo di ricordarlo...»
Non era religioso, ma almeno i dieci comandamenti li conosceva! La
maestra Smith, alle elementari, con quell'odiosissimo accento francese
e il neo sopra le spesse labbra ripassate col rossetto, l'aveva
interrogato un paio di volte a riguardo, quindi era piuttosto difficile
-se non impossibile- dimenticarlo.
«Quelli conosciuti come dieci comandamenti valgono solo per
gli umani. Gli angeli ne hanno altri.»
«Davvero?» Jay spalancò la bocca,
promettendosi di raccontarlo ad Archie quando sarebbe tornato
«Esistono anche i dieci comandamenti angelici?»
«I primi due corrispondo a quelli di voi umani.»
«E gli altri quali sono? Ricordati di santificare le
Apocalissi?» iniziò a snocciolare Jay
sulla punta delle dita «Onora
tuo padre e... e basta, c'è solo tuo
padre. Non
uccidere... gli altri angeli; ma i demoni e gli umani
sì, se ti annoi. Non commettere atti impuri,
come mangiare hamburger o capire le battute. Non rubare, tranne
il tempo e la pazienza di Jay Denver. Non dire falsa testimonianza,
tanto non ne saresti capace perché gli angeli non sanno
mentire. Non desiderare
le ali d'altri?» rise sciogliendo un po' la
tensione che l'aveva accalappiato prima «Ehi, a proposito...
non mi hai mai parlato di ali. Le avete?»
«Sì, ma dubito che tu avrai mai il permesso di
vederle. In ogni caso, sia gli angeli che i demoni riescono a percepire
l'aura di un angelo anche se non si trova nella sua forma originaria.
Per inciso, non domandarmi come sia, perché non riceverai
risposta. Certi segreti dovranno rimanere tali e tu sei solo un
umano.»
«Sì, questo me l'hai ripetuto tantissime volte,
grazie tante. I tuoi complimenti sono sempre molto
apprezzati» Jay fece una smorfia, che però si
trasformò in un sorriso storto quando realizzò
che tra lui e Fel sembrava essere tornato tutto normale.
«Dobbiamo essere più discreti possibile»
insistette Felix, cercando i suoi occhi «Hai
capito?»
«Sì, sì, non sono mica scemo!»
«Su questo ho i miei dubbi.»
«Oh! Cos'era quello, Fel, senso dell'umorismo? Dovresti fare
pratica, amico.»
«Io non sono tuo amico.»
E quello fu come un fulmine a ciel sereno. Il sorriso di Jay si
smorzò, specialmente rendendosi conto che no, adesso Fel non
stava scherzando, e più che indifferenza c'era proprio
rabbia nella sua voce. E... disprezzo?
Jay sentì qualcosa infrangersi dentro di lui.
«Continui ad interrompermi, e non capisci che ciò
che devo dirti è importante» Fel aveva decisamente
perso la pazienza, ma non stava sbraitando... era controllato, come
sempre «Jay, noi dobbiamo entrare all'Inferno e ingannare i
guardiani fingendo che io ti stia portando da Lucifero. Una volta
dentro, troviamo ciò che stiamo cercando e
andiamocene.»
Jay cercò di deglutire l'amaro delle ferite che le parole di
Felix avevano aperto, e abbozzò un sorrisetto. Tuttavia fu
invano, perché i muscoli della bocca non sembravano voler
collaborare.
«E cos'è che stiamo cercando, Dio?»
«Sì, ma per trovare Dio, dobbiamo trovare prima
qualcos'altro.»
«Che sarebbe...?»
«Un oggetto.»
Jay alzò un sopracciglio, attendendo che continuasse. Ma
Felix non era famoso per la sua lungimiranza.
L'umano si schiarì la gola per attirare la sua attenzione.
«Che sarebbe...?» chiese ancora.
Felix lo guardò un attimo, come per analizzarlo, poi si
voltò di nuovo e Jay vide la sua mascella contrarsi. Quasi
come se... come se non volesse rispondergli. Come se stesse analizzando
i pro e i contro.
Lo vide tramontare gli occhi al cielo e poi accostarglisi, e parlare a
voce bassa per non farsi sentire dai Mietitori e le altre anime.
«E' una chiave.»
«Una chiave?!» quasi urlò Jay sorpreso,
e Felix lo bruciò con uno sguardo di fuoco. Jay
arrossì, in imbarazzo. «Umh volevo
dire...» trasformò la voce in un sussurro
«Una chiave?»
«Sì.»
«E ci aiuterà a trovare Dio? Come?»
«Non lo so.»
Jay si umettò le labbra, con la bocca dischiusa e la fronte
accigliata, poi scrollò le spalle. «Va bene,
almeno sai dove si trova?»
«All'Inferno.»
«Ah-ah, grazie, genio, fino a qui ci ero arrivato anche io.
Però... l'Inferno sarà vastissimo, no?»
«Lo sguardo si perde all'orizzonte senza rintracciarne
confini.»
«Sì... era quello che intendevo» si
grattò un sopracciglio «Quindi, da che
parte?»
«Non lo so.»
Jay raddrizzò la schiena, sicuro di averci sentito male.
«Scusa?»
«Non lo so, per questo dovremo cercarla.»
Jay annuì distrattamente, la fronte ancora corrugata.
«Capisco... e che forma ha?»
«La chiave?»
«No, Dio» ribatté Jay con sufficienza
«Certo, la chiave, idiota!»
Felix strinse gli occhi a due fessure e Jay
deglutì a disagio «Cioè, non idiota, insomma....
scherzavo.»
«Non so che forma abbia la chiave.»
Passò qualche attimo, mentre entrambi camminavano in
silenzio, seguendo l'ordinata fila di anime circondate da mietitori.
Dei cani neri non vi era più traccia.... e gli alberi erano
praticamente terminati.
La nebbia continuava a vorticare tra quelle che sembravano vecchie
pietre tombali crepate e ricoperte di ragnatele, che emergevano di
tanto in tanto dal terreno nero, come ricoperto da una sabbia
finissima. Più avanti, la nebbia era così fitta
che non si vedeva nulla se non macchie lattiginose.
Ovunque permeava nell'aria un tanfo di putrefazione, decomposizione e
morte e Jay avrebbe volentieri rimesso l'hamburger di qualche ora -o
giorno, o quello che fosse- prima, che al momento si stava rivoltando
nel suo stomaco.
Tuttavia adesso un altro dilemma lo assillava...
«Quindi, fammi capire bene, noi stiamo cercando una chiave
che non sai dove si trova, come sia fatta e a che cosa serva?»
«Sì.»
Jay scosse la testa, con una risatina sarcastica.
«Fantastico.»
Poi, tutt'a un tratto, una folata di vento particolarmente intensa
spazzò via la nebbia.
E ciò che si dipanò davanti ai loro occhi
bloccò Jay sul posto, col fiato trattenuto tra i denti.
Un percorso lastricato in pietra si apriva di fronte a loro, e
scendeva, affiancato su entrambi i lati da una fila di statue scure
appese a delle lapidi color marmo invecchiato, fino ad un'enorme
costruzione: due grandi ante ricoperte da quelle che sembravano spade
incrociate erano serrate al termine del percorso, e da esse filtrava
un'intensa luce giallognola, come se si stesse consumando un incendio
dall'altra parte.
Le porte -che Jay immaginò dovessero essere quelle
dell'Inferno... Dio, solo pensare a quella parola, così come
a "Satana", gli dava i brividi- erano spalleggiate da due pareti
rocciose, che sembravano ricoperte di... ossa? Jay represse un conato,
riconoscendo alcuni scheletri umani e altri, decisamente troppo grandi
per essere qualsiasi cosa Jay avesse mai visto in vita sua. C'era una
gabbia toracica, infatti, che era larga almeno dieci volte una Balena.
Sopra la porta, una mostruosa bocca spalancata di quello che aveva
tutta l'aria di uno dei demoni rappresentati nelle chiese: gli occhi
erano gialli, probabilmente di qualche pietra preziosa -o forse d'oro-
brillavano di luce propria, come se al loro interno ci fosse un lume
acceso.
E Jay aveva l'impressione che quegli occhi stessero guardando proprio lui; che lo
stessero seguendo, per intimidirlo.
La bocca era ricoperta da una chiostra di denti appuntiti
come quelli di un vampiro, dai quali colava un liquido rosso che Jay si
augurò non fosse sangue. Ma la verità era che non
poteva essere nient'altro; del resto si trovava all'Inferno, non in un
filmucolo di quart'ordine.
Dagli zigomi della faccia demoniaca sopra la porta -che era grande
quanto metà della porta stessa, più o meno-
emergevano quattro lunghe protuberanze di pietra appuntita, che
dovevano essere necessariamente delle corna o qualcosa del genere,
Jay non aveva tutta questa voglia di scoprirlo.
Dietro le porte, vi era appena un piccolo spazio aperto nella parete
rocciosa; attraverso quello spiraglio, si spandeva una luce arancione
intensa e tremolante e Jay non ebbe dubbi: se l'Inferno era come
l'aveva descritto Dante, il fuoco doveva essere l'elemento dominante.
«Jay!» lo richiamò Felix, strappandolo
dalla sua contemplazione, e non fu nemmeno la prima volta,
perché l'angelo appariva piuttosto contrariato. Ma il
giovane umano non riuscì nemmeno a girarsi per rispondere
all'occhiata, o a muoversi: gli tremavano le ginocchia, le gambe erano
intorpidite, e aveva perfino dimenticato come si facesse a respirare.
Voleva darsi un pizzicotto e risvegliarsi nel suo letto, sotto le note
di "The Power of Love". Ma questo avrebbe significato il ritorno ad un
altro un incubo, un incubo ben peggiore dell'Inferno: un incubo dove
suo fratello era morto, per
sempre.
Jay ricominciò a respirare, stringendo i pugni per darsi
forza. Se aveva affrontato la morte di Archie, poteva affrontare anche questo.
To be continued
~
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Nell'immaginario collettivo, solitamente, la porta
dell'Inferno è l'entrata di una grotta a cui si accede dopo
aver attraversato un bosco molto fitto. Oppure -per le menti
più semplici- essa è una semplice porta con sopra
una targa.
Generalmente si può dire che l'immagine della porta
dell'Inferno, come tutte le altre cose, cambi a seconda della mente che
si figura di avercela davanti.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in
corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady
Holmes}
Hola chicos! (e chicas,
non vogliamo fare discriminazioni di sorta) Non ve lo aspettavate,
vero? Lo so, lo so, avevamo detto che non sapevamo quando avremmo
aggiornato ma ora il computer di Lady Holmes è stato
aggiustato e il mondo ci sorride.
O forse no.
Comunque mi duole dirvi
che non aggiorneremo prima di luglio. Perchè gli esami sono
vicini, ci sono i test universitari e la vostra Miss Watson sta andando
in crisi nervose giusto perchè, da brava secchiona, crede
che gli esami possano essere pessimi. E lunedì m'interroga
di latino, la stronza.
Ma non è
questo il punto, giusto? Il punto è che ci avvicinamo alle
porte dell'Inferno!
Eccitati? Noi si,
moltissimo! Non vediamo l'ora di mettere in scena tutto ciò
di cui abbiamo sempre discusso e poi buh, ci emoziona sapere di avere
tanto seguito.
Grazie della pazienza
che ci dimostrate ogni giorno, grazie di seguire Timeless.. Noi vi
adoriamo, sappiatelo!!! <3
Ma ora passo il
microfono a Lady Holmes che probabilmente potrà
intrattenervi meglio di quanto io stessa possa fare. Ora scappo a
studiare che è meglio LOL
mizzica, ho solo due
ore... cavolocavolocavolo
ci sentiamo dopo, eh?
ciau ^^
Salveee amatissimi lettori!! *-*
Credo che la mia collega abbia detto tutto quello che c'era da dire.
Posso aggiungere che anche io non vedo l'ora di entrare all'Inferno,
dove incontreremo tanti personaggi interessanti e il nostro gruppetto
si allargherà un po'!! :P
Sperando che le spiegazioni di Felix siano sempre chiarissime, vi
anticipo che comunque non dureranno in eterno, nei prossimi capitoli
vedremo più azione! :D
Piuttosto, facciamo un punto di ciò che abbiamo scoperto
oggi -e che saranno punti interessanti in futuro.
1) I cani infernali e i
Cerberi NON sono la stessa cosa
Credetemi, quando incontrerete un Cerbero lo capirete :P Se i cani
infernali di per sé sono terrificanti, immaginate i Cerberi.
Povero il nostro Jay <3
2) Lo strumento per
trovare Dio è una chiave
Non sappiamo nè com'è, nè a che serve
e nè dove si trova di preciso. E' da qualche parte
dell'Inferno, potrebbe essere ovunque. Aprirà una porta? Chi
lo sa. Leggete e saprete :P
3) La forma attuale di
Felix è solo la versione materiale di quella autentica
Jay la vedrà mai? Toccherà mai le ali del suo
nuovo amico? Eeeeh chi lo sa u.ù
4) La selva Oscura
è un luogo maledetto e Felix è una creatura pura
Inutile dire che un luogo maledetto e peccaminoso non è
esattamente dove dovrebbe trovarsi una creatura purissima come un
angelo. Parte del comportamento strano di Felix potrebbe essere
influenzato anche da questo. Potrebbe.
5) Le voci che sente Jay
non sono allucinazioni
Il nostro eroe è lontano dall'essere pazzo -per ora- xD Le
voci che sente -prima che Felix lo chiami- sono quelle dei morti. O di mostri. O dello spirito del mondo (?) Beh vi lasciamo nel dubbio! :P La
Selva Oscura pullula di cadaveri, e ci troviamo nel regno dei morti,
quindi that's all. La frase di Felix "segui la luce" non fa riferimento
solo al sentiero illuminato. E' anche una metafora. La luce rappresenta
Dio, la salvezza. L'oscurità il peccato e la morte. Quando
Fel aggiunge "segui... me", è parecchio suggestivo anche qui
perché Felix è un angelo (=purezza) quindi sta
cercando di, umh, "conservare" Jay lontano da quel terribile luogo, per
non macchiare la sua anima.
6) L'anima di Jay
è particolarmente... pulita
Non è meno peccatore degli altri. E' prorio il suo credere
di non meritarsi la salvezza che lo rende più puro di molti
altri.
Tenete a mente questi punti, saranno fondamentali più avanti
:P
Detto questo non so che altro aggiungere, vi saluto quindi!! :D LOVE
YOU, GUYS <3
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. Il sentiero illuminato:
2. Uno dei cani infernali:
3. La porta dell'Inferno:
4. Jay:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Jay nella selva Oscura:
|
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Capitolo 19 *** 18. ***
Timeless 18
E'
passato un bel po' di tempo dall'ultimo capitolo, ne siamo
consapevoli... ma tra esami di maturità e stress vari,
è un miracolo anzi che siamo riuscite a scrivere due
capitoli ^^ Comunque, anche se si stanno avvicinando i test
dell'Università, vi promettiamo che non mancheremo ai nostri
aggiornamenti regolari. Anche perché ormai siamo arrivati
alla parte più intrigante! :P E oggi, incontrerete due
personaggi... particolari.
Buona lettura ;)
∞ DEDICHIAMO QUESTO CAPITOLO A CORY
MONTEITH,
CHE PROBABILMENTE AVRA' INGRANDITO LE SCHIERE ANGELICHE A CASA DI FEL
ç-ç
Ci mancherai, Cory
Nel capitolo precedente...
La
Selva Oscura è un luogo cupo, inquietante e maledetto. Jay e
Felix sono costretti ad attraversarla, insieme al gruppo di dannati
guidati dai Mietitori, per raggiungere le porte dell'Inferno. La
foresta è abitata da cani infernali, che divorano i dannati
che tentano di fuggire dal cammino prestabilito, riducendoli a
brandelli di cenere insanguinata. Danielle confida a Jay che la sua
anima ha qualcosa di particolarmente luminoso e puro che ha convinto
Felix a fidarsi di lui: Jay sente tuttavia che c'è
qualcos'altro sotto. La Selva è anche dominata da voci, che
Jay stesso riesce a sentire, come se lo chiamassero. Ma esse sono le
voci dei morti, e Felix vieta al ragazzo di ascoltarle. Più
avanti scoprono che le anime all'Inferno hanno una forma materiale,
sebbene non abbiano un cuore che batte, e per questo possono provare
dolore e sofferenza. Felix spiega altresì a Jay il motivo
per cui hanno intrapreso questo viaggio: recuperare una chiave in grado
di trovare Dio. Questa chiave, secondo le scarne notizie in possesso
dell'angelo, è nascosta da qualche parte all'Inferno, ma
nessuno l'ha mai vista e sa che forma abbia. L'obiettivo di Jay e Felix
è trovarla senza farsi riconoscere, e fuggire immediatamente
dopo. Riusciranno nella loro impresa?
Now...
Capitolo
18
Quando si furono
avvicinati, e finalmente la sabbia lasciò il posto al
percorso lastricato, il rumore dei loro passi echeggiò nel
silenzio, donando al luogo un'aria ancora più inquietante.
I Mietitori erano gli unici che sembravano non produrre alcun rumore:
scivolavano leggeri sulla pietra, i piedi -o chi per loro-
completamente coperti dallo strascico della lacera casacca, i volti
nascosti dai cappucci, come dei cadaveri usciti dalle tombe.
E Felix, ovvio. Ma Felix era un angelo, e Jay non si stupiva
più di vederlo camminare leggiadro come se galleggiasse
nell'aria.
Dietro il leggero velo di nebbia, le statue nere sembravano scrutarli,
sebbene i dettagli non fossero ancora nitidi abbastanza per analizzarli
meglio.
«Belli, vero?»
Jay sobbalzò, non aspettandosi quella voce sibilante
all'altezza dell'orecchio.
Danielle,
pensò deglutendo.
Poteva quasi vederla sorridere, dietro il suo collo, mentre si
discostava da lui per riprendere il cammino e lo puntellava di tanto in
tanto con il teschio in cima al bastone, forse per esortarlo a
camminare o forse -anzi, sicuramente- perché si divertiva un
mondo a spaventarlo.
«Avete un ottimo scultore qui ai piani bassi, eh?»
tentò di scherzare Jay, regolarizzando il respiro.
«Credi che siano delle statue?»
Danielle rise, una risata che da silenziosa si fece sempre
più rumorosa, costringendola perfino a tirare indietro la
testa.
Eppure, il cappuccio non sfuggì.
La Mietitrice non disse nient'altro: continuò a camminare
dietro di loro, più dietro del solito, sempre ridendo.
Che cazzo c'è
di divertente? Si irritò Jay, stringendo i
pugni, creando tra sé e Danielle più distanza
possibile.
Solo in quell'istante si ricordò di Felix, quando l'angelo
gli afferrò il polso.
«Non agitarti, non devono scoprirci.»
«Perché, se mi agito ci scoprono?» lo
aggredì. Si impose di calmarsi, ma quella Mietitrice gli
aveva messo addosso una strana ansia.
«Quelle non sono statue,
Jay» disse invece Felix, lo sguardo più cupo del
solito puntato sulle figure scure «Sono i primi peccatori
dell'Inferno, legati a delle tombe e posti all'ingresso delle porte per
intimidire i dannati.»
«Come i teschi disseminati un po' ovunque?»
«No, quelli sono i resti dei dannati che hanno tentato di
fuggire nel corso dei millenni, e che sono stati sbranati per questo
motivo dai cani infernali.»
Quasi come se avesse evocato le ossa, parlandone, Jay
rischiò di incespicare in un femore.
«Quindi quelle anime sulle tombe hanno tipo... diecimila anni
o giù di lì?»
«Il tempo qui non conta, ma tecnicamente,
sì.»
Jay però non capiva.
«Ma scusa... se quelle sono anime, com'è possibile
che di loro sono rimaste solo le... ossa?»
E Jay fu sicuro di aver visto le labbra di Felix fremere in quello che
era un... sorriso?
O forse era solo compatimento. Eppure...
Felix gli gettò un'occhiata vagamente... divertita?
Sto sognando?
«Come credi che siano fatto le anime, Jay?»
«Umh, tipo fantasmi?» si arrischiò,
levando un sopracciglio quasi in gesto di scuse.
Aveva sempre immaginato le anime con l'aspetto simile a quello di
Casper, che vagavano sulla terra galleggiando nell'aria per spaventare
i vivi.
Felix adesso stava... ridendo.
Jay fissò incredulo, con occhi spalancati e bocca
dischiusa, il modo in cui l'angelo stava mostrando i denti, scuotendo
la testa come se quella fosse la battuta più divertente del
secolo.
E non era nemmeno una battuta!
Sì, sto
sicuramente sognando.
«Oh, no, le anime sono incorporee, come i... fantasmi... solo
sulla Terra, perché non vi appartengono. Non più.
Appartengono all'aldilà, dopo la morte, e solo in esso
possono mantenere la loro vera forma, che è
materiale.»
«Ma allora che differenza c'è tra un'anima ed un
corpo vivo?» pretese di sapere Jay, sempre più
sconcertato «Che differenza c'è tra me»
e si indicò «e loro?» e
indirizzò l'indice verso le anime dei dannati.
«Il tuo cuore batte, il loro no.»
Il maggiore dei Denver si concesse qualche attimo per assimilare la
notizia, battendo le palpebre mentre Felix lo superava.
Poi lo raggiunse in pochi balzi, con la fronte corrugata ed una
risatina che premeva per uscire.
«Perciò sono come degli zombie biancastri,
eh?»
E non resistette. Al diavolo l'inferno. Al diavolo le statue/cadaveri.
Al diavolo le altre anime che lo scrutavano torve, probabilmente
chiedendosi come si potesse ridere in una situazione del genere. Al
diavolo il diavolo stesso, Jay rise apertamente, soprattutto quando
Felix lo corresse, con tutta l'ingenuità che lo
caratterizzava.
«Non proprio, perché non si
decompongono.»
A quel punto Jay aveva le lacrime e Felix impallidì, quasi
come se si stesse preoccupando per lui. Jay si aggrappò al
suo braccio per riprendere fiato e gli diede un giocoso pugno sulla
spalla.
«Non preoccuparti per me, sono lacrime di gioia,
queste.»
«Non ero preoccupato» si difese Felix, tornando una
statua di marmo.
Jay avrebbe volentieri riso ancora, ma poi un movimento improvviso
costrinse le anime a fermarsi e lui con loro. Non si era reso conto di
quanto si fossero avvicinati fin quando non si ritrovò a
dover alzare gli occhi per seguire il profilo delle immense porte scure.
Il mietitore alla testa del gruppo si era fermato ad un passo dalla
prima fila di tombe con appese le anime dei dannati, ormai immobili
come statue nere.
Ve ne erano cinque per lato, e poi... le porte.
Jay deglutì e lasciò il braccio di Felix.
Anche se erano una delle immagini più inquietanti su cui
avesse mai posato lo sguardo in tutta la sua vita, Jay si rese ben
presto conto di non riuscire a smettere di fissarle; quelle grandi
porte massicce, la testa del demone, quel filo di sangue...
Era l'immagine stessa del terrore e della morte. Era
l'inquietante rappresentazione del peccato.
Era tutto ciò che il mondo aborriva. E, nello stesso tempo,
ciò di cui era fatto.
Jay si riscosse dai suoi pensieri quando, con un fruscio del mantello
nero che indossava, Danielle gli passò accanto; la
osservò perplesso mentre oltrepassava le anime e i
Mietitori, il passo sicuro e un sorriso appena accennato sulle labbra
sottili e pallide.
«Che vuole fare?» chiese rivolto a Felix il quale
si portò un dito sulle labbra, invitandolo a tacere.
La Mietitrice si era portata proprio al centro della piccola
folla, alzando le braccia lunghe e magre: Jay pensò che
sarebbe stata anche affascinante se non fosse stato per quello sguardo
spento, privo di vita.
Uno sguardo che era del tutto diverso da quello di Felix. E in
effetti... gli occhi erano l'unica parte espressiva del suo amico
piumato.
«Anime peccatrici!» la voce di Danielle lo riscosse
dai suoi pensieri, facendogli nascere un brivido che lo scosse dal
profondo. Era esattamente così che, da bambino, si era
immaginato la voce di Dio nel momento in cui avrebbe richiamato a
sé le anime il giorno del Giudizio, quando il prete leggeva
la Bibbia nelle ore del catechismo.
«Voi che avete ignorato la voce della vostra coscienza! Voi
che nella vostra esistenza siete vissuti nel peccato e che nel peccato
siete morti, ascoltate le mie parole!»
Il silenzio regnava sovrano sulla folla; inconsciamente Jay trattenne
il respiro, come se pensasse che avrebbe potuto essere un rumore
molesto capace di spezzare l'atmosfera che si era creata.
Il ghigno sulla faccia di Danielle crebbe, diventando ancora
più minaccioso.
«Questo è la fine del vostro cammino terreno e
l'inizio di quello eterno! Qui voi pagherete i vostri errori, i vostri
peccati, qui le vostre anime bruceranno in quei vizi che in vita avete
così fedelmente seguito, dimenticandovi dell'esistenza di un
mondo ultraterreno, voi poveri sciocchi legati al vostro mondo e
incapaci, nel vostro egoismo, di guardare oltre!»
Le porte alle sue spalle si aprirono, facendo urlare la folla di anime:
anche Jay avrebbe voluto urlare, scappare senza guardarsi indietro. Non
poteva, non ci sarebbe stato modo per farlo: la vita di suo fratello
dipendeva anche da quello, così come anche la vita di sua
madre, quella di Bill, quella di Gwen... le persone che aveva
conosciuto, i luoghi che più aveva amato: tutto era nelle
sue mani e nella sua capacità di andare avanti, con
coraggio, anche di fronte a Lucifero stesso.
Danielle ghignò al terrore sui volti che la circondavano e
fece un passo per spostarsi di lato. Subito gli altri Mietitori presero
a spingere le anime che accompagnavano verso le porte, verso quella
luce accecante che altro non era se non il risultato del riverbero
delle fiamme sui muri.
«Andiamo» quello di Felix fu un sussurro, ma nella
testa di Jay risuonò come un urlo: il ragazzo, tuttavia,
annuì e seguì l'angelo verso la luce.
Fu un attimo. Il suo sguardo incrociò quello della
Mietitrice e Jay venne attraversato da un brivido freddo
nell'improvvisa, spontanea, consapevolezza che Danielle sapesse; mentre
le passava accanto, e non seppe mai se se lo fosse semplicemente
sognato o se fosse vero, ma la sentì sussurrare qualcosa che
lo gelò sul posto.
«Buona fortuna umano... e speriamo che il peso della carne
non ti ostacoli troppo.»
Si girò a guardarla per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma
Felix lo aveva afferrato per la manica e trascinato dentro.
Il ghigno maligno sulla faccia di Danielle risplendette nella sua mente
come avrebbe fatto il sorriso stesso del diavolo.
E non l'aveva nemmeno ancora visto, il diavolo!
Jay batté le palpebre per la forte luce, un attimo dopo
l'oscurità fu così intensa che gli bruciarono gli
occhi.
Per un attimo gli parve di cadere, e così si
aggrappò al braccio di Felix, tanto per assicurarsi che
fosse ancora lì accanto a lui.
Il cuore accelerò i battiti. Fece guizzare lo sguardo da un
punto all'altro ma non vedeva che buio. Un'immensa, infinita, totale
macchia nera senza contorni.
L'attimo successivo credette di essere morto.
Quello dopo ancora gli assicurò di non essere solo,
poiché le anime da qualche parte accanto a lui lanciarono
urla strozzate o gemiti spaventati.
Qualcuno invocò pietà.
Qualcun altro, con la voce chiara di un bambino in lacrime,
chiamò la mamma.
Cosa ci faceva un bambino là sotto? I bambini non erano
creature innocenti? E com'è che Jay non l'aveva notato prima?
Il giovane Denver era privato della vista, ma gli altri sensi
funzionavano benissimo. Vi era ovunque un tanfo insopportabile, umido e
denso come di carne in putrefazione, e uno strano freddo che si
attaccava alla pelle.
Allungò una mano alla sua destra e incontrò una
superficie ruvida e viscida. Era gelida. Staccò la mano con
un brivido e quando si strofinò le dita le trovò
bagnate di qualcosa.
Deglutì.
Forse quella era veramente la fine.
Il bambino scoppiò a piangere.
Alcune anime di adulti lo imitarono.
Poi qualcuno, probabilmente uno dei mietitori, sussurrò
qualcosa: era appena un sibilo, come un sospiro tra i denti marci,
senza alcun senso compiuto.
Jay sentì un brivido risalirgli lungo la schiena, ma poi
successe qualcosa. All'improvviso si accese una luce.
Un cono di luce che bagnò un pavimento in mattoni squadrati
di pietra, solo per una manciata di passi davanti al Mietitore della
prima fila.
Jay batté le palpebre ormai abituate al buio, e quando mise
a fuoco l'ambiente circostante si rese conto che la luce proveniva da
due torce poste su degli anelli di osso alle due pareti ai lati.
Il piccolo dettaglio insignificante era che le torce erano dei teschi
umani, con delle fiammelle nelle orbite vuote.
Il resto della torcia aveva la forma di un femore.
Jay liberò la presa sul braccio di Felix, e riprese a
camminare dietro le anime che seguivano il Mietitore. Ogni volta che la
creatura superava il cono di luce, le due torce si spegnevano lasciando
posto alle due successive. Jay e Felix erano all'ultima fila,
così si assicurarono di non rimanere troppo indietro, o
avrebbero dovuto affrontare di nuovo il buio.
Il budello di pietra sembrava non finire mai, e Jay iniziò
ad avvertire un senso di oppressione all'altezza del petto. Accorgersi
che il liquido sulle pareti era sangue non era per niente confortante,
e sebbene si fosse ripulito le dita sui jeans, rimanevano delle tracce
rossastre.
In più, quel maledetto senso di claustrofobia lo avvolse
come un panno bagnato attorno alla bocca.
Aveva la nausea, si sentiva debole e aveva il respiro e il battito
accelerato.
«Jay... Jay... resta con me!» lo esortò
Felix, scuotendogli la spalla.
Jay riaprì gli occhi.
Non ricordava nemmeno di averli chiusi.
Fu colto da un'ondata di panico, che si affrettò a esorcizzare: non
poteva mollare adesso, non quando erano così vicini.
Guardò Felix in cerca di conforto, e annuì
silenziosamente quando l'angelo rispose al suo sguardo.
Continuarono a camminare per quelli che parvero secoli, col rumore dei
loro passi che riecheggiava nel cunicolo, fin quando le pareti si
allargarono ad abbracciare in cerchio una stanza molto più
vasta.
Era spoglia se non fosse per una scrivania con due uomini seduti dietro
ed un altro in piedi, e vari scaffali di uno strano materiale dal
colore di carne marcia sul quale Jay decise di non indagare, ricoperti
di varie boccette contenenti organi, bulbi oculari e sangue.
Qualcuno ebbe un conato. Un'altra anima si piegò per
vomitare, ma non gli uscì niente dalla bocca. Il bambino
pianse più forte e Jay si limitò a distogliere lo
sguardo.
Non avrebbe mai creduto possibile l'idea di ringraziare il
signor Guirao per avergli mostrato spesso la sua collezione di organi.
Per lo meno riusciva a non farsi impressionare più di tanto,
anche se questo sembrava un brutto scherzo del destino.
«Allora, muoversi, muoversi!» intimò uno
dei due uomini seduti dietro la scrivania, agitando una mano come per
ordinare un gregge di pecore particolarmente irritante.
Indossava una corona di alloro in testa e una tunica rossa, e aveva un
grosso naso adunco. Jay aveva come l'impressione di conoscerlo.
L'altra figura invece era molto più pacata. Aveva
un'espressione tranquilla e serena, che stonava col luogo circostante,
portava le mani incrociate sul grembo ricoperto da un peplo bianco
bordato di porpora, e osservava le anime con un aspetto tutt'altro che
minaccioso, la pelle olivastra e i riccioli scuri. Anzi, sorrise
addirittura al bambino in lacrime, e il piccolo smise immediatamente di
piangere, asciugandosi gli occhi.
Jay corrugò le sopracciglia e diede una breve gomitata a
Felix.
«E' un angelo, vero?»
L'aveva capito subito. Nessuno era in grado di giocare con
così tanta facilità con le emozioni degli uomini.
«Sì» si limitò a dire Felix.
L'uomo col naso adunco stava appuntando qualcosa su un enorme librone
dalle pagine ingiallite, con una penna d'oca di quelle che si
utilizzavano nel medioevo. Accanto a lui c'era un calamaio ormai
praticamente vuoto.
«Allora, nome prego» disse annoiato mentre la prima
anima, di una donna coi capelli scuri, stretta nel suo trench beige,
porse il proprio biglietto con mani tremanti.
L'angelo recuperò il biglietto e lesse il nome all'altro,
che lo trascrisse sul libro. Poi impresse un sigillo a forma di
pentacolo con la ceralacca rossa, e, come per magia, sul polso
dell'anima della donna comparve un simbolo, che Jay non
riuscì a identificare a quella distanza.
Rune antiche: sicuramente enochiano.
Dopodiché il Mietitore rimasto indicò col suo
lungo bastone col teschio un arco a sesto acuto, oltre il quale non si
vedeva la continuazione del cunicolo. Vi era come un velo nero.
La donna lo attraversò e sparì.
La fila scorse sotto lo sguardo vigile del Mietitore, e quando
arrivò il suo turno Jay batté una mano sul
tavolo, puntando l'indice dell'altra sull'uomo col naso adunco.
«Tu sei Dante Alighieri!»
L'aveva capito praticamente alla seconda occhiata. La corona d'alloro e
lo sguardo nervoso del tipo erano stati una conferma. Era incredibile.
L'aveva studiato a scuola per anni, ma chi avrebbe mai pensato di
poterlo incontrare in carne e ossa, e per di più in quel
luogo?
Dante era l'unico che, come lui, aveva attraversato i tre regni
dell'Oltretomba da vivo. Avevano qualcosa in comune.
Felix sembrava stupito quanto Dante. Ma per motivi diversi. Jay
sentì la nuca pizzicare, avvertendo lo sguardo del suo
angelo addosso. Probabilmente l'amico si stava chiedendo che cosa
avesse in mente. Del resto dovevano passare inosservati.
Dante invece batté le palpebre, alzando lo sguardo
dall'enorme tomo polveroso, la penna d'oca che ebbe uno scatto tra le
sue dita.
«Prego?»
«Tu sei Dante Alighieri, ti ho riconosciuto» Jay
gongolò tornando in posizione eretta. Fece un gesto col
mento, indicando Dante, e si rivolse a Felix.
«Ho visto triliardi di sue immagini sui miei libri di
letteratura. Me l'hanno pure chiesto agli esami di maturità
per il diploma, i bastardi!»
L'angelo accanto a Dante si schiarì la gola.
«Sì... sono io» Dante lasciò
la penna sul librone «Esami di maturità?»
«Dovremmo continuare col nostro lavoro» intervenne
l'angelo coi ricci, impassibile, ma con una certa nota di impazienza.
«Oh sì, giusto, giusto» convenne il
Poeta.
Poi, sottovoce, sporgendosi verso Jay «Intendi dire a scuola?
Mi hai... studiato?»
«Beh, ci costringono a farlo» replicò
Jay sullo stesso tono «Però devo dirlo, sei
bravo.»
Dante appoggiò la schiena sulla sedia, tutto compiaciuto.
«Hai visto, 'Gil? Te l'avevo detto io che avrei fatto
storia!»
L'angelo tramontò gli occhi al cielo.
Felix osservava la scena perplesso, Jay curioso.
«Oh diamine, se lo sapesse Archie...»
«Jay» lo ammonì piano Felix ma Jay lo
ignorò.
«Posso avere un autografo?»
Dante batté le palpebre.
«Cosa?»
«Sono un tuo grande fan!»
«Tu cosa?»
«Un fan!» rimarcò Jay, scandendo bene le
parole.
«Un faro?»
«No! F-A-N!» Jay allargò le braccia
«Lo siamo tutti: Archie è un fan migliore di me.
Ha letto tutti i tuoi libri... e non solo a scuola, intendo. La Divina
Commedia la saprà praticamente a memoria, a volte cita dei
versi tanto per fare sfoggio di cultura. Proprio come un fan!»
«Di nuovo questa parola» il Poeta
assottigliò gli occhi.
«Credo stia per "fanatico"» intervenne l'angelo al
fianco di Dante.
«Oh» Dante più che deluso pareva
sorpreso. Scrollò le spalle, con un sorriso. «Beh,
sai che diceva mio padre? Non importa se si parla bene o male di te.
L'importante è che se ne parli!»
«Tuo padre è Dio» cantilenò
l'angelo, paziente.
«Certo che sei pesante, Virgilio!»
sbottò il Poeta.
Jay perse il controllo della propria mascella.
Virgilio.
Il poeta latino che aveva guidato Dante attraverso l'Inferno e il
Purgatorio?
Archie avrebbe venduto un rene per poter vivere un'esperienza del
genere.
Quando sarebbe tornato indietro, Jay gli avrebbe portato un bel
souvenir. Non poteva sprecare un'occasione del genere.
Si frugò eccitato nelle tasche, fin quando non
trovò il proprio portafoglio. Recuperò uno dei
tanti scontrini che aveva ammucchiato tra una piega e l'altra e lo
poggiò sul tavolo.
«Ti prego, devi solo scrivere il tuo nome qui
sopra!»
«Perché?»
«Dante, no» gli proibì Virgilio, senza
alzare la voce.
«Ma è solo uno stupidissimo nome!»
reagì il Poeta.
«E poi questo ragazzo è un mio fanatico,
giusto?»
«Ammiratore,
diciamo» lo corresse Jay con un sorriso affabile.
«Allora?»
E Felix intervenì per la prima volta in quella conversazione.
«Per favore, Maestro, è solo l'ultimo volere di un
uomo che sta andando a morire.»
Jay si voltò lento verso Felix, così sorpreso e
riconoscente che gli si bloccarono le parole in gola.
Virgilio parve pensarci un po'. Poi sospirò. «E va
bene...»
Jay e Dante esultarono.
Dante scrisse il suo nome, con precisione, poi restituì lo
scontrino a Jay, che lo rimise nella giacca con un sorriso che andava
da orecchio a orecchio. Come un bambino che ha appena mangiato un
gelato.
«Ti chiederei di fare una foto, ma il mio
cellulare...» e lo estrasse per mostrarlo «...
è piuttosto vecchio e non le può
scattare.»
E per la prima volta nella sua vita invidiò il cellulare
senza tasti di Archie, quello che aveva il nome di un asciugacapelli.
«Che diavolo
è quello?» quasi urlò Dante alla vista
del cellulare. Jay alzò le sopracciglia e agitò
appena l'apparecchio, con fare interrogativo.
«Dante!» avvisò Virgilio.
«Oh scusa: che angelo
è quello?»
«Niente» rispose Felix, con un'occhiata eloquente.
Jay rinfoderò il telefonino.
«In ogni caso, buona permanenza in questo luogo di
perdizione!» continuò Dante. Poi, rivolto a
Virgilio «Senti, ma è giusto che un mio ammiratore
vada all'Inferno?»
«Dante, sono ordini dall'alto.»
«D'accordo, ma non si potrebbe fare un'eccezione?»
«No, mi è stato ordinato di portare quest'anima
all'Inferno, in pasto a Lucifero» Felix pose fine alla
discussione e Jay si irrigidì.
In che squadra stai
giocando, Fel?
«Oh» adesso Dante sembrava veramente turbato
«Accidenti, ragazzo, che fine terribile. Non la augurerei
nemmeno al mio peggior nemico.»
«Tu non hai nemici» gli ricordò
Virgilio, come un professore stanco col suo alunno meno attento.
«Beh, sì, ma... oh va al diavolo!» si
schiarì la gola «Oh, scusa, non volevo dire... non
letteralmente... oh»
«Fa niente» commentò Jay, vagamente
divertito.
«Non dovrebbe essere permesso di nutrire quel
mostro.»
«Purtroppo, è necessario» Virgilio poi
si rivolse agli ospiti «Il nome, prego.»
Jay estrasse il biglietto che gli aveva stampato Minosse.
Virgilio lesse il nome. «Harry Potter.»
«Harry Potter» ripeté Dante con una
smorfia «Ho già sentito questo nome...»
Jay trattenne il fiato, spaventato. E se li avessero scoperti?
Dante intinse la penna nel calamaio e sorrise «Forse anche tu
hai dei... "fanatici" sulla Terra, eh?»
Jay afferrò l'occasione al volo «Proprio
così!»
Dante ridacchiò. «Mi auguro che non sappiano mai a
cosa è stato destinato il loro idolo. Ah! Se i miei
sapessero a cosa sono stato destinato io! A rimanere qui a fare da
guardia all'Inferno, puah!»
Ricalcò la penna sulla gambetta dell'H, ma l'inchiostro
veniva a tratti. Agitò la piuma d'oca e riprovò.
Niente.
«Per tutti gli angeli del Paradiso!»
La intinse ma non vi era più inchiostro.
«Altro inchiostro!» ordinò autoritario,
battendo il calamaio sul tavolo. La terza figura -quella in piedi,
allampanata e gracile, rimasta in ombra per tutto il tempo-,
annuì veloce e andò a scartabellare tra i ripiani
degli scaffali, spostando le boccette di organi.
«Sono il più importante Profeta del Signore e mi
relegano qui, ti sembra un trattamento equo?» Dante
buttò nervosamente la piuma sul libro. «Ormai
tutto il dannato Ade si è modernizzato, sicuramente avrai
visto le carrozze metalliche che ci sono sopra, in stazione.»
«Si chiamano treni» illustrò Virgilio,
con un fare accademico che a Jay ricordò il suo fratellino.
«Quello che è» fece Dante, distratto
«Beh, adesso ci sono dei macchinari molto più
efficienti per registrare i nomi ma NO! Il Grande Poeta deve scrivere
su un maledettissimo libro! Perché devo essere l'unico a
fare fatica? Quei cosi coi tasti sarebbero molto più utili e
veloci!»
Jay provò a immaginarsi Dante Alighieri con un laptop.
Era indeciso se ridere o rimuovere l'immagine dalla retina.
«E' il... Signore che decide?»
«Lui decide ogni
cosa» decantò Dante con fare
teatrale, irritato.
«Beh allora prova a... chiederglielo, no?»
tentò ancora Jay.
Dante gli rivolse un'occhiata significativa.
«Pensi che sia nella testa di Dio? Beh, non lo
sono!»
«Tecnicamente, lo sei» puntualizzò
Virgilio.
«Sta' zitto.»
Jay si ritrovò a sorridere. Gli ricordavano tanto i suoi
battibecchi con Archie. Voleva tornare a casa per iniziarne altri.
Voleva così bene a suo fratello...
«Dante, sono un angelo. Non puoi darmi ordini.»
«Beh, nemmeno tu!» lo rimbeccò Dante.
«E nemmeno saresti diventato un angelo se non fosse stato per
me!»
«Ecco che ci risiamo» sospirò Virgilio
alzando gli occhi al soffitto mentre Dante iniziava a snocciolare le
sue lamentele.
«Tu, d-dannato, mi hai abbandonato!»
«Questo non è vero, io-...»
«Stavo parlando con te e all'improvviso -PUFF- sei sparito
nel nulla!»
«Non ti ho mai abbandonato... stavo obbedendo agli ordini di
Nostro Signore.»
«Chiudi la bocca, bugiardo! Mi hai lasciato con LEI, codardo
che non sei altro!»
Jay pensò che Lei
corrispondesse a Beatrice, la donna angelo amata da Dante,
che aveva guidato il poeta al Paradiso, sostituendosi a Virgilio.
Ah, dovrebbe sentirmi
Archie, adesso! Non potrebbe più dire che non ho mai
studiato!
«Smettila di giudicarmi» continuò
Virgilio.
«A lei non è mai importato niente di me! Io le
dichiaravo amore eterno e lei mi ignorava. E tutto per un "bene
superiore". Sai cosa penso io del "bene superiore"? Eh?»
«Dante...»
«Ho capito, ho capito: non
qui. Ma in ogni caso, ti sei fatto sostituire da
quell'odiosissima saccente, che mi trattava come una pezza ai piedi. E
io ero il Profeta!»
«Già.»
«E guarda dove sono adesso! Dietro una stupida scrivania a
scrivere carte! E' il mio destino continuare a scrivere per sempre?
Perché non posso andare nell'Eden con i beati e gli altri
angeli? O al Paradiso come tutti i comuni mortali?»
Jay corrugò la fronte: e così Eden e Paradiso
erano due posti diversi? Avrebbe dovuto chiedere a Felix,
più tardi.
«Proprio perché sei un Profeta. E' il destino dei
Profeti continuare a servire Dio. Dovresti essere fiero della fiducia
che ripone in te.»
«Certo, certo, lo so... ma dov'è Dio,
adesso?»
E' quello che stiamo
cercando di scoprire, avrebbe voluto rispondere Jay. Ma
invece tacque.
In ogni caso, il discorso sembrava aver sollevato una patina di
malinconia che oscurò perfino Virgilio.
Dante cambiò discorso, adesso con voce più bassa
e meno accesa.
«Comunque, il punto è che sei sparito senza
avvertirmi. Non... non ti ho nemmeno potuto dire "addio"...»
«Ma stavo seguendo il volere di Di-»
«Mi sei mancato, dannazione!»
Jay, che stava facendo saltare lo sguardo da uno all'altro, si
bloccò, incredulo.
Virgilio sembrava sorpreso quanto lui dalla dichiarazione.
«... oh. Mi dispiace, allora. Ma per lo meno, ho fatto del
mio meglio nel mio compito: proteggerti.»
Jay spostò lo sguardo su Felix. «Questo mi ricorda
qualcuno...»
Felix rispose al suo sguardo, non più freddo e impassibile
come sempre, ma quasi... grato? E in parte anche dispiaciuto.
Jay sorrise e Felix rispose con una piccola smorfia che sembrava un
sorriso. Tuttavia, un attimo dopo era sparito.
«Grazie, amico» confessò Dante.
Virgilio non sembrava credere alle proprie orecchie.
«Davvero?»
«No... sì! Tu -voglio dire- te lo meriti. Da sempre.»
«... troppo gentile.»
«Mi hai aiutato tutte le volte che ero in pericolo... e anche
quando non lo ero, quindi... grazie, sul serio.»
«Questo è un bene.»
«Non ti ci abituare! A proposito...» riprese Dante,
all'indirizzo di Jay «So che sarà il tuo ultimo
viaggio e non uscirai mai più di qui...»
Quanto ti sbagli.
Jay si dovette far violenza per non far reagire i suoi muscoli facciali
in nessun modo. Doveva imitare l'immobilità statuaria di
Felix.
«Però... beh, non è colpa tua se sei
stato destinato a un fato tanto crudele. Quindi, se mai lui»
e puntò la penna d'oca su Felix «ti dovesse
lasciare da qualche parte o dovesse scomparire come questo
qui» accennò a Virgilio «Promettimi che
tornerai qui da me, intesi? Così, tutti e due insieme,
potremmo cercare la nostra vendetta!»
«Dante!»
«Che c'è adesso, 'Gil?»
«Sei un profeta del Signore, uno dei Beati. Dovresti essere
puro e incontaminato. Questo linguaggio non ti si addice. Non puoi
parlare di vendetta!»
«Dettagli...» biascicò Dante come un
bambino rimproverato dal genitore.
Virgilio si acquietò e Dante divenne nervoso.
«Non lo dirai a nostro Padre, vero?»
«No, non preoccuparti, non lo farò» lo
rassicurò Virgilio. Dante annuì riconoscente e
poi tornò al suo compito.
«Allora, il mio inchiostro?!» si
infiammò.
«Sì, sì, mi scusi,
è che non volevo interromperla!» si
scusò il giovane paggio -probabilmente anche lui un angelo o
uno dei beati- allungando la boccetta di inchiostro nuova.
Dante gliela strappò con fare rabbioso dalle mani e intinse
la penna. Scrisse Harry
Potter sul libro, e Jay si premurò di
nascondere il polso dietro la schiena, prima che si accorgessero che
non aveva il marchio.
«Qual è il tuo nome, angelo?»
Felix aprì la bocca, ma poi la richiuse e
deglutì. Jay avvertì il pericolo, e si tese come
un gatto col pelo irto.
Non aveva mai visto Felix tanto umano come in quel momento.
«Fa parte della procedura» spiegò
Virgilio, mentre Dante attendeva con la penna in mano.
«Felix» rispose per lui Jay.
Felix impallidì e si voltò a guardarlo come se
volesse strappargli il cuore dal petto e divorarlo seduta stante.
Jay si limitò a fargli l'occhiolino.
«Felix» ripeté Dante facendo schioccare
la lingua, ad assaporarne il suono. «Mmm, mi piace»
scrollò le spalle e scrisse il nome sul libro.
«Però che brutto lavoro ti è toccato,
eh Felix?»
Felix annuì, incapace di rispondere perché troppo
smarrito, mentre Virgilio lo fissava intensamente, come se gli stesse
sondando l'anima.
«Beh» Dante alzò gli occhi su Jay mentre
premeva la ceralacca sul libro e girava pagina. «E anche per
oggi abbiamo finito. O meglio... per ora. Mi spiace per te, ragazzo.
Goditi i tuoi ultimi momenti e... addio.»
Jay annuì e gli regalò un sorriso che
uscì come una smorfia.
«E' stato un piacere conoscerti, Dante!»
salutò, mentre il Mietitore li superava silenzioso,
dirigendosi verso l'arco.
«A-anche per me» rispose Dante, indeciso
«Credo.»
Jay gli diede finalmente le spalle, e aspettò che Felix lo
raggiungesse.
«Tranquillo» gli sussurrò
accostandoglisi mentre il Mietitore si fermava di fronte all'arco.
«Felix non è il tuo vero nome, no?»
Jay non capiva perché il suo amico non fosse arrivato prima
alla conclusione.
«Il nome di un angelo non ha importanza, si accorgeranno
presto dell'imbroglio, Jay. Non avremmo dovuto dire nessun nome. Ma
ormai...» sospirò «E' troppo tardi.
Dovremmo fare più in fretta del previsto. Per lo meno non
hanno ancora scoperto il tuo
segreto.»
Il Mietitore sollevò un lembo del velo nero. Non appena lo
fece, una zaffata di calore soffiò in faccia a Jay, che
sentì le guance imporporarsi e gli occhi diventare lucidi.
Lì dietro vi era l'Inferno.
Felix prese un lungo respiro. «Andiamo.»
Gli poggiò una mano sulla spalla e varcarono la soglia,
ritrovandosi risucchiati nell'oscurità.
To be continued
~
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La prima cosa che pensò fu che quel vento
caldo, fin troppo
caldo, avrebbe potuto scioglierlo, liquefacendo la pelle, la carne, i
muscoli. E che le lingue fiammeggianti che vedeva erigersi danzando con
il vento sferzante lo avrebbero raggiunto nel loro cammino di morte.
Ma poi, riuscendo faticosamente a distogliere la sua mente da quel
vortice di pensieri neri e fuligginosi come l'Inferno stesso,
riuscì a vedere oltre il fumo delle fiamme, oltre il vento
che gli sferzava il volto come uno schiaffo: e vide, percepì,
la vera essenza
dell'Inferno.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in
corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady
Holmes}
Credo che questo sia un capitolo decisamente importante.
Non solo perché siamo ad un passo dall'entrare nell'Inferno
vero e proprio, non solo perché ci avviciniamo sempre
più al faccia a faccia con Lucifer.
No.
Questo capitolo è di grande importanza anche
perché è stato dedicato a Cory, l'attore di 31
anni morto sabato scorso. La sua morte ci è stata di grande
aiuto per capire moltissime cose e per riuscire a vedere quanto la vita
sia breve.
Cory non era che un ragazzo come altri, è vero, non era un
santo e forse non aspirava nemmeno ad esserlo. Eppure aveva un sogno e
con la sua morte ha mostrato quanto sia importante afferrare i sogni,
non aspettare.
Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicargli il
capitolo. Per ringraziarlo di tutto ciò che ci ha insegnato,
anche se ormai non potremo più farlo dal vivo.
Tornando al capitolo, credo che Jay stia per affrontare tutte le sue
peggiori paure o.o Insomma, siamo all'Inferno e ci conoscete
abbastanza, direi, da non scommettere sulla sua sopravvivenza!
...
Okay, magari non siamo così crudeli. Forse. Non
scommetteteci niente, in ogni caso!:P
E ora, passo la parola alla mia collega!
*Asciuga le lacrime* I-io... non so cosa dire T__T
Cory è stato un duro colpo per entrambe. Abbiamo visto Glee (io,
a dire il vero, lo STAVO vedendo, sono a metà della seconda
stagione) ma adoravamo Finn e Cory e... era così giovane.
Ma non voglio rattristarvi ancora di più.
Io e la mia collega abbiamo avuto parecchi problemi in questo periodo,
tanto che eravamo arrivate alla conclusione che non avremmo potuto
scrivere per un bel po'.
Ma questa cosa ci ha fatto riflettere.
Un giorno ci sei, e l'altro, chissà?
Quindi bisogna inseguire i sogni. Anche per chi, come lui, ci ha
provato fino in fondo, ma non ce l'ha fatta. Non ha avuto il... tempo.
Il tempo è prezioso, il nostro sogno è scrivere, e così è quello che facciamo. Quello che faremo.
E non importa se ci saranno ostacoli e difficoltà, supereremo anche quelli.
Abbiamo deciso di onorare Cory inserendolo come personaggio, lo vedrete più avanti. Se lo merita.
E per quanto riguarda la storia... già iniziamo a sentire l'aria dell'Inferno.
Nel prossimo capitolo ci addentreremo proprio tra le fiamme eterne -e già avete avuto un assaggio nell'anticipazione-.
Detto questo, spero che questo capitolo vi abbia fatto sorridere un
po', con l'incontro con questi due personaggi così eccentrici e
adorabili.
Personalmente, ho sempre amato la Divina Commedia, Dante e Virgilio. E
ci sembrava D'OBBLIGO inserirli, considerando che si fa spesso
riferimento alla sua opera in Timeless.
Jay ha proprio bisogno di ridere... non so quando accadrà di nuovo. Se accadrà di nuovo.
Ma nooo, cosa ditee, noi NON siamo crudeli!! u.ù
Anyway, alcune delle battute di Dante e Virgilio le avevo trascritte
mesi fa su twitter, in inglese -perché crea battute in inglese?
Vi chiederete. VORREI SAPERLO ANCHE IO, vi rispondo-, ma tralasciando i
miei problemi mentali, beh, sappiate che alcune battute suonavano MOLTO
meglio in lingua originale! x°D
Tipo quel "che diavolo è questo? Oh, scusa, che angelo è
questo?" è la traduzione [?] di "What the hell is that? Oh,
sorry: what the heaven is that?!"
Detto ciò -che non interessava a nessuno LOL- quest'oggi abbiamo
scoperto che Eden e Paradiso NON sono la stessa cosa {si sente tanto
come Dora l'esploratrice}. Nell'Eden risiedono gli angeli e alcune
anime beate, in Paradiso, i comuni mortali. Ma avrete più
notizie in seguito u.ù
COMUNQUE, è tardi, io e la mia collega vi salutiamo, e vi auguriamo delle belle vacanze!
Aggiorneremo presto, non temete!
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^* E Cory... insegna agli angeli a cantare :')
†††
1. Dante Alighieri:
2. Virgilio:
3. Dante e Virgilio nel loro
viaggio:
4. Jay sorridente quando chiede
l'autografo:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Un Jay a random tanto per farvi sbavare (?):
2. Il nostro impavido Denver
all'interno del cunicolo:
3. L'occhiolino a Fel:
4. Quando Virgilio gli concede
l'autografo:
|
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Capitolo 20 *** 19. ***
Timeless 19
Augurissimi RITA, questo capitolo è tutto per te!! *____*
Nel capitolo precedente...
Il
nostro Denver in compagnia del criptico Felix ha finalmente varcato le
terrificanti porte dell'Inferno, precedute da una serie di corpi
carbonizzati e pietrificati che Jay aveva inizialmente scambiato per
statue, ma che si rivelano essere i corpi dei Primi Dannati posti
lì come monito.
Dopo aver percorso un buio e inquietante cunicolo in pietra,
accompagnati solo dal suono dei loro respiri, il frusciare dei mantelli
dei Mietitori e lo scoppiettare delle torce, Jay e Felix hanno fatto la
conoscenza del Guardiano del Velo che trasporta direttamente nella
dimensione dell'Inferno. Egli è Dante Alighieri, uno dei
primi profeti di Dio, il cui compito è quello di appuntare i
nomi di tutte le anime che valicano il velo. Al suo fianco vi
è il fido Virgilio, il suo angelo custode, ad assicurarsi
che svolga correttamente il suo lavoro.
Dopo aver rischiato di essere scoperti, Jay alias Harry Potter e
Felix hanno oltrepassato il velo, ritrovandosi catapultati dall'altra
parte...
Now...
Capitolo
19
Ci fu un accecante
lampo di luce rossa e Jay venne violentemente sbalzato al di fuori del
velo, rotolando su un terreno rosso come il sangue.
Il ragazzo pensò che niente avrebbe potuto arrestare la sua
caduta, ma poi una mano lo afferrò per la giacca e Felix lo
tirò indietro e lo rimise in piedi, pronto come sempre.
«Grazie» borbottò Jay quando l'angelo
mollò la presa: aveva chiuso gli occhi senza nemmeno
rendersene conto ma, quando li riaprì, si pentì
amaramente per non averli tenuti chiusi.
Lui e Felix si trovavano, infatti, sull'orlo di un altissimo
precipizio, una sporgenza alta più o meno quanto il Burj
Dubai fatta interamente di una roccia rossa all'apparenza molto fragile.
Forse avrebbe dovuto prenderne un campione e portarlo ad Archie per
delle ricerche... pensare a suo fratello gli diede un po' di coraggio.
Quello necessario, almeno, per guardare
e non indietreggiare ancora, terrorizzato, di fronte a
quella che era la realizzazione di ogni suo incubo di bambino.
La prima cosa che pensò fu che quel vento caldo, fin troppo caldo,
avrebbe potuto scioglierlo, liquefacendo la pelle, la carne, i muscoli.
E che le lingue fiammeggianti che vedeva erigersi danzando con il vento
sferzante lo avrebbero raggiunto nel loro cammino di morte.
Ma poi, riuscendo faticosamente a distogliere la sua mente da quel
vortice di pensieri neri e fuligginosi come l'Inferno stesso,
riuscì a vedere oltre il fumo delle fiamme, oltre il vento
che gli sferzava il volto come uno schiaffo: e vide, percepì,
la vera essenza
dell'Inferno.
Certuni hanno dell'Inferno un'idea decisamente sbagliata: un luogo
perfettamente ordinato, dove ogni peccatore ha il suo posto, la sua
punizione.
Forse influenzati dalla lettura della Divina Commedia immaginiamo che
l'Inferno debba essere come il Grande Poeta lo ha descritto: un luogo
che sprofonda verso il basso, attratto da quell'oscurità da
cui è stato generato, fuggendo una luce che lo ha abortito.
Eppure, quello che si presentava davanti agli occhi sconvolti di Jay,
gli occhi di un bambino impaurito, era tutt'altro che un luogo ordinato
nella sua spietata crudeltà verso le anime che vi abitavano.
E improvvisamente divenne chiaro, nella sua mente, il perché
Dante avesse scelto di rappresentare tutto quello.
Il perché non avesse parlato del sangue che si mischiava
alla terra, il perché avesse ordinato l'Inferno, quando esso
era tutt'altro.
C'era -da un lato- l'urgenza di raccontare quel viaggio che lo aveva
scosso dal profondo. E c'era -dall'altro- la necessità di
poter descrivere agli uomini ciò che non avrebbero potuto
capire: Jay deglutì, scosso, incapace di muovere un altro
passo.
«Jay?» la voce atona di Felix fu ciò che
lo strappò definitivamente a quei pensieri tormentati e,
voltandosi verso il suo amico piumato vide, tra le pieghe di quel volto
apparentemente impassibile, impercettibili scaglie di nervosismo.
Aveva paura anche lui?
La possibilità lo rese ancora più nervoso ma
annuì, tentando un sorriso che ovviamente non venne
ricambiato.
E poi qualcos'altro attirò la sua attenzione.
Lontano, quello che sembrava essere un tempio, bruciava di una fiamma
perenne.
Alzando lo sguardo deglutì.
Il cielo aveva la stessa tonalità del sangue.
Poi, il fumo denso sembrava raccogliersi sul soffitto, assumere
consistenza e una forma ben definita: quella di un demonio ghignante, i
cui occhi assottigliati e rossi seguivano con maligna soddisfazione lo
spettacolo che aveva scena proprio sotto di lui tra il fuoco, il vento
e il fumo, e per un breve istante Jay pensò che fosse
davvero un demone vivo, intrappolato lassù come un guardiano
sin troppo zelante.
Inoltre, il ragazzo notò qualcosa svolazzare intorno alla
faccia ghignante e, aguzzando appena la vista, individuò
degli stranissimi esseri dal corpo di uccello e la testa di... donna?
Aveva già visto un'immagine simile in uno dei suoi libri di
scuola...
Arpie, gli
suggerì il suo cervello, una vocina spaventosamente simile a
quella di Archie quando si lanciava nelle sue spiegazioni di irritante
''so tutto io''.
Dio, quanto gli mancava.
Deglutì, ricacciando indietro quel groppo insistente che si
era formato nella sua gola, un accumulo di terrore e nostalgia,
abbassando lo sguardo.
In effetti -come abbiamo già detto- l'Inferno non aveva la
forma di un luogo preciso ed ordinato. Non c'erano gironi
perché, in effetti, gli bastava una sola occhiata per
rendersi conto -da quella posizione privilegiata- dei dettagli di quel
luogo, come un critico d'arte che scruta con attenzione una delle opere
che hanno fatto la storia del mondo.
Gli alberi, notò Jay, erano effettivamente scarsi: erano
secchi, neri, i rami privi di foglie, dalle venature che parevano
lampeggiare, come se un incendio le stesse divorando da dentro.
Esattamente come dei carboni ardenti. Se avesse acuito l'udito avrebbe
potuto avvertire lo scoppiettio che avveniva all'interno dei tronchi.
Era come vedere una riproduzione in piccolo della Foresta
Nera o ciò che rimaneva di un incendio: anche la terra era
scura e secca, arida come se fosse stata incendiata più e
più volte, e in alcuni tratti era sprofondata in quella che
aveva tutto l'aspetto di essere lava.
L'aria era impregnata del calore delle fiamme che ardevano, ma anche
delle urla dei dannati e dalle loro imprecazioni, dai versi delle Arpie
-simili in tutto e per tutto ai versi striduli degli avvoltoi- e dal
cupo ringhiare di...
Cani?
Jay scorse le familiari figure di alcuni cani, delle dimensioni di un
cavallo, incatenati agli alberi o impegnati nell'inseguire le anime dei
dannati perché si affrettassero verso le loro punizioni e
non tentennassero come bambini prima di confessare un peccato alla
mamma: ma no, non erano cani normali...
Se con una testa si
chiamano Cani Infernali, con tre sono...
«Cerberi» completò Felix, come se gli
avesse letto nel pensiero, gli occhi puntati sulle creature grandi
quanto cavalli. C'era qualcosa nella sua fissità che
confermò l'ipotesi di Jay, che l'angelo non solo avesse
paura, ma fosse terrorizzato tanto quanto lui.
«Ah» la voce di Jay suonò moderatamente
tremante mentre i suoi occhi scorrevano ancora sul luogo di desolante
terrore che era l'Inferno, cogliendo -più in là-
le rovine di quello che a prima vista gli era parso un tempio -o che
forse lo era stato, secoli prima-. «E quello?»
«La riproduzione di quello che è stato il
più grande smacco che l'Impero di Roma fece a Dio»
rispose Felix, ora una nota di rabbia nella voce. Tuttavia i suoi occhi
non tradivano nessuna emozione, e rimasero perfettamente tranquilli.
«La distruzione del tempio di Gerusalemme, i pagani che
tentarono di dimostrare la loro superiorità sul Dio che non
riconoscevano.»
Vide le anime -di quella consistenza che aveva visto prima, che
sembrava renderle uguali ai corpi che si erano lasciati alle spalle-
contorcersi tra le fiamme, le loro urla di dolore che riempivano quel
luogo, le loro bestemmie rivolte a un Dio in cui non avevano mai
creduto, legate a un egoismo che niente e nessuno al mondo avrebbe mai
potuto cancellare: e tra loro, come vigilantes, c'erano altre
persone.
Avevano volti umani, ma il loro corpo era coperto da una spessa
armatura nera come il fumo che usciva dalle fiamme, nera forse come il
peccato stesso: e tuttavia, finemente elaborata. I guanti di metallo,
le spalle, il busto e le gambe: ogni pezzo dell'armatura era decorata e
lasciava ampie porzioni di pelle scoperte.
Ma non era pelle, quella.
Somigliava più a lava incandescente che ribolle nelle
viscere stesse della Terra. Jay se ne sentì terrorizzato,
benché sapesse che a quel punto le armature non fossero il
vero problema: lo preoccupavano più che altro le persone che
le indossavano!
«Felix?»
L'angelo scrutava con attenzione il paesaggio sotto di loro, quasi
fosse perso in chissà quali considerazioni: probabilmente si
stava chiedendo da dove iniziare a cercare qualsiasi cosa dovessero
cercare. E tuttavia Jay colse l'occhiata che per qualche secondo
l'angelo gli rivolse, facendogli capire di avere la sua completa
attenzione.
L'umano si schiarì la voce, leccandosi il labbro inferiore.
Indicò con discrezione le persone che si dividevano in
gruppetti lungo il perimetro dell'Inferno: certune erano accanto alle
fiamme che ardevano le anime, mentre altre...
Deglutì, rendendosi conto che le fiamme non fossero l'unica
tortura che l'Inferno riservava alle anime. Alcune di esse erano
infatti legate a delle ruote infuocate che giravano all'infinito e
preda delle armi e delle frustate di alcune di quelle persone che,
appostate accanto a loro, le pugnalavano, tiravano fuori i loro organi
dopo aver squarciato i loro corpi e ridevano, ridevano sadicamente,
dando un morso a cuore, polmoni, fegato come chiunque altro avrebbe
mangiato una gustosa mela.
«Jay... Jay! Guardami!»
La voce di Felix lo strappò da quella visione
raccapricciante e si rese conto di stare per vomitare;
deglutì per scacciare la sensazione acida nella sua bocca e
si forzò a distogliere lo sguardo.
Per alcuni secondi, mentre lui era impegnato a calmarsi, Fel non disse
una parola e Jay gli fu grato per quella che -pensava- fosse una
piccola premura nei suoi confronti: nonostante tutto, nonostante quel
muro di ghiaccio, era profondamente convinto che quell'angelo che aveva
intravisto, quello che gli aveva dato la sua giacca e che aveva riso,
ci fosse ancora e che fosse anzi ben presente.
Ma perché Felix si ostinava a dominarsi, a tenerlo a
distanza?
«Quelle non sono persone, Jay» la voce di Felix
interruppe i suoi pensieri. Il ragazzo vide l'angelo stringere gli
occhi. «...non pensare nemmeno per un momento che lo siano.
Sono i così detti ''angeli caduti'', coloro che servirono
Lucifer e i suoi generali nella guerra che portò alla loro
caduta. E se anche sono mai stati umani... non ricordano più
che cosa voglia dire.»
«Stai dicendo che...»
«Sì, sto dicendo che quelli sono demoni.»
Jay restò in silenzio qualche secondo, passandosi una mano
sul volto.
Demoni. Se li era sempre immaginati diversi ma -rifletté-
cosa in quel casino che lo aveva investito con la potenza di un treno
rispecchiava ciò che conosceva?
Si sentiva confuso e spaventato, era vero, sapeva di non
essere il ragazzo più coraggioso al mondo eppure...
Eppure voleva salvare i suoi cari. Voleva salvare ciò che
chiamava casa, le persone che erano il suo tutto.
Non era pronto ad andare fino in fondo ma voleva farlo.
E se voleva essere minimamente preparato, sapeva di dover sapere.
Per cui sospirò.
«Perché hanno quelle armature?»
«Serve a impedire loro di trasformarsi... Se prendessero la
loro vera forma, con i loro veri poteri, potrebbero liberare Lucifero.
O quello che è peggio, potrebbero eleggere qualcuno peggiore
di lui e allora sarebbe il Caos» rivelò Felix,
composto come sempre.
Le labbra di Jay si ridussero a una linea sottile.
«E non potrebbero liberarsi in alcun modo?»
«Solo se riuscissero a corrompere un angelo. Solo la magia
angelica può liberarli... o Dio stesso.»
«Sono demoni, potrebbero tranquillamente farlo.»
«Vero» rispose Felix, impassibile. «Ma
nessun angelo è così stupido. E in genere non
mandiamo i novellini a combattere.»
Jay incrociò le braccia.
«Sono un novellino anche io» gli
ricordò. Non si sentiva né arrabbiato
né offeso, solo molto stanco.
E aveva bisogno di sapere, capire. Perché Felix non gli
aveva solo cancellato la memoria con un abracadabra angelico, quando ne
aveva avuto l'occasione?
«No, non lo sei. Te l'ho detto, c'è qualcosa in te
che ricorda la luce del Paradiso» Felix gli aveva voltato le
spalle e procedeva verso la discesa di quella montagna. «Sei
molto più coraggioso di altri. Sono sicuro che in qualche
modo mio Padre abbia voluto che tu fossi lì, su quel
marciapiede, unico tra tanti a ricordare»
«E se semplicemente non fosse così?» Jay
allargò le braccia, esasperato e... solo. Lo era?
Probabilmente sì.
Felix si fermò. Poi voltò appena la testa da
sopra la spalla.
«Impossibile» la sua voce risuonò gelida.
«Lui decide tutto. Lui ha un Destino per tutti noi»
«Tu hai solo bisogno di crederci!»
«Hai due scelte Jay» replicò Felix, dopo
qualche attimo di silenzio. «Crederci e avere un'ancora in
mezzo alla tempesta. Non crederci e impazzire: qualunque sia la tua
scelta, falla in fretta. Come piace dire a voi umani, stiamo andando
dritti alla bocca del leone.»
Detto questo, continuò il suo cammino.
Jay lo raggiunse quasi correndo. Lo affiancò, regolando i
propri passi con i suoi.
Tuttavia, come poteva essere prevedibile, il ragazzo non aveva esaurito
le domande: si sentiva piuttosto confuso dall'insieme e probabilmente
anche stordito dal fumo delle fiamme.
Sapeva che in fondo fosse del tutto normale -forse anche Dante lo era
stato la prima volta in cui aveva messo piede in quel luogo- ma non
poteva fare a meno di sentirsi spaventato. Era terrorizzato sia dal
luogo che lo circondava che dalla confusione opprimente che sentiva
nella sua testa: un gomitolo di nozioni e visioni raccapriccianti che
lo stordiva un po' come il fumo delle fiamme.
Si sentiva come un bambino che si sveglia al buio, dopo un incubo, con
l'impressione di essere ancora immerso nella dimensione che la sua
mente aveva creato.
Ma quella non era una semplice dimensione onirica. Era la dura
realtà.
«E quella demone, allora? Quella che abbiamo incontrato scesi
dal treno?»
La ricordava ancora dettagliatamente: i capelli lisci e di un biondo
quasi bianco, gli occhi fiammeggianti, il sorriso astuto.
Felix alzò un sopracciglio, invitandolo a continuare.
«Voglio dire... perché non indossava l'armatura?
Perché non ha tentato di squartarci? Perché non
è all'Inferno?»
Felix alzò semplicemente le spalle mentre i suoi occhi
frugavano ogni centimetro dell'altopiano su cui si trovava: cosa stava
cercando?
Forse tra quella terra rossa era nascosta una leva?
Jay non seppe perché, ma immaginò un ascensore
che li avrebbe comodamente trasportati al livello dell'Inferno vero e
proprio.
«Perché si è pentita»
spiegò Felix, con una voce che sembrava remota nel tempo.
Una folata di vento afoso e scintille gli solleticò i
capelli e la giacca di jeans, quasi come scia delle sue parole.
Jay sussultò, guardando l'angelo che si avvicinava alla
parete rocciosa, esplorandola con le dita.
«I demoni possono pentirsi?»
«Tutti
possono pentirsi, Jay. Persino Lucifer, se non fosse così
assuefatto dal peccato.»
Jay lasciò correre lo sguardo lungo la rossa valle
dell'Inferno, dove alcune anime erano state legate a degli alberi neri
e venati di fuoco pulsante: c'erano degli avvoltoi che strappavano ai
dannati le membra, facendoli urlare dal dolore, sotto le risate
crudelmente divertite dei demoni.
Esseri come quelli potevano pentirsi?
Difficile,
pensò Jay, ma
a quanto pareva non impossibile.
«Catherine» iniziò Felix, le dita
eleganti che continuavano a scorrere sulla roccia «ha giurato
di servire la causa di Dio e di adoperarsi per la riuscita del suo
disegno.»
Fece una pausa.
«Per questo gli angeli le hanno tatuato il simbolo di Dio e
del suo profeta Salomone.»
«Il simbolo di Salomone?»
«E' una stella a sei punte, formata da due triangoli
incrociati che indicano i quattro elementi.»
«Oh» Jay strabuzzò un po' gli occhi.
Aveva come l'impressione di averlo già visto da qualche
parte...
Forse in uno dei libri di religione delle elementari?
«E com'è che non l'ho notato? Era trasparente, per
caso? O fatto della vostra maledetta magia piumosa razzista che solo
voi potete ammirare? Oppure...» ghignò, malizioso
«era tatuato lì dove non batte il sole?»
«Portava i guanti» lo informò Felix,
come se ciò spiegasse tutto. Poi inclinò appena
il volto, corrugando la fronte. «Che significa dove non batte
il sole? All'Inferno non batte mai il sole perché non
c'è un so-»
«Lascia perdere» lo interruppe Jay esasperato dalla
mancanza di perspicacia dell'altro. A dispetto delle sue aspettative,
Felix obbedì.
Jay si regalò qualche attimo per riorganizzare la mente.
Catherine...
così ecco svelato il nome della nostra Lara Croft!
Probabilmente ridacchiò, perché l'angelo gli
rivolse un'occhiata incredula. Un attimo dopo, però, la sua
attenzione fu richiamata da qualcos'altro.
Finalmente Felix, infatti, sembrò trovare ciò che
cercava: premette una parte della roccia e quella -con un fragore
assordante- arretrò.
Contemporaneamente, alzando polvere rossa ovunque, si alzò
un arco della stessa roccia di cui la montagna era composta; Jay
arretrò, spaventato, gli occhi incollati su quello
spettacolo, come un archeologo che scopre gli antichi sistemi di
un'antichissima piramide egiziana.
Volendo, sotto quell'arco spuntato da chissà dove, sarebbero
potuti passare comodamente cavalieri di due metri seduti sui loro
cavalli: gli occhi di Jay, spalancati, ne osservarono le decorazioni
della pietra, delle incisioni che sembravano fatte con il sangue.
Un brivido di terrore gli attraversò la spina dorsale,
potente come una scarica elettrica.
Fel gli fece cenno di seguirlo, silenzioso come sempre e Jay
obbedì, lieto di non dover prendere decisioni di sorta.
Tra le rocce spuntava uno stretto passaggio; ai lati dell'imboccatura
c'erano due legni splendidamente intarsiati, decorati con due teschi
dagli occhi fiammeggianti. Qualcuno, forse un demone, si era divertito
a disegnare sulle pareti rocciose qualcosa.
Jay assottigliò gli occhi, allungando una mano verso la
roccia, e accarezzò con le dita le linee tracciate in rosso.
Quando le ritirò, erano viscide di...
«Sangue?»
«Sì» ammise Felix, con una smorfia.
Jay deglutì. Sembrava ancora fresco.
In fretta si asciugò le dita sulla maglietta, e
alzò lentamente lo sguardo sui disegni. Rappresentavano
angeli -almeno a giudicare dalle ali-, ma anche altre creature munite
di corna, che forse erano demoni? Jay non lo sapeva.
Jay non sapeva più nulla ormai.
Sembravano disposti in sequenza, come a raccontare una storia.
E come se fosse stato proiettato indietro nel tempo, Jay aveva appena
abbassato la macchina fotografica che teneva appesa al collo con un
nastro di corda nero, scorgendo il volto di suo fratello che lo
occhieggiava perplesso.
«La vuoi
mettere giù?»
Stavano camminando in un
museo, e Archie era impegnato a passeggiare con le mani dietro la
schiena, come un accademico.
Molto più
avanti, Susan stava ammirando un quadro di Van Gogh.
«Gli
affreschi...» stava spiegando Archie, indicandogli il quadro
che bagnava la parete per un lungo tratto
«...raccontano una storia. Non sono come i quadri normali, e
alcuni...» si allontanò dall'affresco -che
rappresentava un porto con delle barche ormeggiate e più
dietro i profili di una città che doveva essere Firenze-
«...o meglio, i primi, si ritrovavano nella
preistoria...» gli afferrò il polso e lo condusse
davanti alla vetrina che indicava l'ingresso alla sezione antica
«... e rappresentavano scene di caccia, o di pesca, o di
raccolta dei frutti. Scene di vita, insomma.»
All'interno, la sezione
era illuminata da alcune lampade al neon che, insieme alle pareti di
pietra, regalavano al tutto un insolito color seppia.
Jay si
ritrovò a guardarsi intorno meravigliato: i vasi -o cocci di
vasi- all'interno delle loro teche di vetro, vecchi pettini d'osso,
utensili di tutti i tipi.
E poi, quando si
voltò, scorse ciò di cui stava parlando Archie:
un affresco lungo quanto tutta una parete.
Si avvicinò.
Mostrava degli omini
appena abbozzati, armati di lance, che rincorrevano dei Mammut.
Ma non era finita qui...
Jay continuò
a camminare, lasciando scorrere i polpastrelli della mano sinistra
sulla superficie ruvida, e sulle figure in tempera scura.
Più avanti,
gli omini erano riusciti a uccidere uno dei Mammut. Ancora
più oltre, stavano portando la preda al villaggio.
All'estremità del dipinto, erano seduti attorno ad un fuoco,
mangiando carne.
Jay si scoprì con le dita che accarezzavano anche quella
pietra mano a mano che lui avanzava, seguito da un Felix confuso.
La differenza era che qui le figure erano più delineate.
All'inizio vi erano due fiamme, o almeno Jay pensò fossero
tali, e più avanti da esse emergevano due creature alate.
Angeli.
E poi i due uomini alati parvero prendere vita... Jay si chiese se non
se lo stesse solo immaginando, ma gli parve di vedere le due figure,
piccole e non troppo dettagliate, correre verso destra. Le
seguì istintivamente, correndo appresso alla pietra, e le
due figure, mano a mano che si avvicinavano all'altra
estremità, crescevano di dimensioni.
Quasi come se stessero diventando adulte.
Poi una delle due si bloccò di colpo, come se non volesse
più correre, e l'altra si voltò a guardarla,
attendendo.
In quell'istante, qualcosa accadde.
La figura che era rimasta indietro fu artigliata da molte paia di mani
arcuate spuntate dal terreno.
Quella più avanti cercò di andarle incontro, per
aiutarla, ma una grande mano proveniente dall'alto -da quella che aveva
tutto l'aspetto di una nuvola- gli afferrò il braccio e l'angelo fu
costretto a fermarsi.
L'angelo che era rimasto indietro veniva tirato verso il limite della
pietra.
Giù, giù, giù, sempre più
giù.
L'altro angelo finalmente riuscì a sfuggire dalla presa e
corse incontro al primo, ma era ormai troppo tardi.
L'angelo rimasto indietro si ritrovò letteralmente spinto
verso un dirupo, in bilico... e la zolla di terreno in cui si trovava
sembrava abbassarsi, inabissarsi ancora e ancora.
Jay non si accorse nemmeno di aver iniziato a camminare curvo, per
seguire i movimenti.
L'altro angelo corse ad aiutare il secondo, ma egli
indietreggiò e cadde.
Il primo gli allungò una mano.
Il secondo l'afferrò.
Forse non era la fine...
Ma poi il secondo mollò la presa...
E cadde, nel baratro.
Jay sentì distintamente un urlo, e sobbalzò. In
quell'istante, le immagini tornarono immobili come prima -solo disegni
fatti col sangue su una parete- e lui si rese conto di essere
letteralmente in ginocchio.
Si rimise in piedi, scosso, continuando a tastare la parete.
«Che diavolo...? Si stavano muovendo!»
guardò Felix, in cerca di aiuto «Ti giuro che si
stavano muovendo!»
Non me lo sono
immaginato...
Felix rispose in maniera altrettanto enigmatica.
«A quanto pare agli umani da' questa impressione.»
Jay batté le palpebre, poi tornò a scrutare il
dipinto.
Nulla era cambiato.
Nulla si era mosso.
«Che cos'è?» chiese immediatamente, col
fiato corto.
Il cuore gli batteva nel petto. Il pensiero dell'urlo atroce lo fece
rabbrividire.
Felix non parlò subito.
Aveva un'espressione strana, quasi dispiaciuta.
Avanzò fino a fermarsi al suo fianco, poi, come lui,
alzò un palmo e lo adagiò delicatamente sulla
figura che era caduta, di cui ormai si vedeva solo la testa, essendo il
resto del corpo sommerso dalle mani.
«Lucifer...» soffiò.
Jay si irrigidì. Se quello era Lucifer, allora...
«L'altro è Michael» realizzò,
prima ancora che Felix parlasse. Lasciò guizzare lo sguardo
da un angelo all'altro.
«Sì» disse di nuovo Felix, tetro.
Jay annuì, poi si inumidì le labbra mentre la sua
mente riordinava i pezzi del puzzle.
«E' la caduta del diavolo, vero?» pretese di
sapere, senza guardarlo.
«Già» Felix incrociò le
braccia al petto, sempre guardando il dipinto «Il trauma
più grande del paradiso. Il peccato mai dimenticato. Una
terribile perdita... per
tutti noi.»
«E Michael gli ha... teso la mano»
continuò Jay, tracciando con le dita lo spazio intorno
all'altro angelo.
«Così narra la leggenda» Felix si
voltò finalmente a guardarlo «Ma nessuno sa cosa
realmente successe quel giorno. Solo Michael, Lucifer e Dio erano
presenti, durante la cacciata dal Paradiso.»
Jay annuì, ancora perso nei suoi pensieri.
Quelle mani munite di
artigli...
«Uno tirato verso il basso...» indicò
Lucifer «L'altro verso l'alto...» spostò
il dito su Michael. «E' un po' come Inferno e
Paradiso?»
«E' più come peccato e purezza» lo
corresse Felix, e poi lo osservò come se volesse
comunicargli qualcos'altro.
Jay lo fissò a sua volta, attendendo nuove spiegazioni, ma
alla fine Felix sospirò come se ci avesse rinunciato, in un
modo così umano che Jay per un attimo si chiese se per caso
non stesse male.
«Comunque...» lo superò, ignorandolo
«dobbiamo andare avanti, non abbiamo molto tempo.»
«Suppongo che mettere il film della caduta di Lucifero sia un
modo carino di dare il benvenuto in Horrorland, dico
bene?» scherzò Jay, cercando di sotterrare
l'inquietudine.
«E' un monito.»
«Sì, già. Quello. Lo sapevo.
Era la mia seconda ipotesi» farfugliò.
Felix gli rispose col silenzio e Jay si affrettò a seguirlo
prima che si allontanasse troppo.
«Non c'è che dire, Lucifer ha gusto»
commentò ironico mentre iniziavano lentamente la loro
discesa, aggrappandosi alla parete per non cadere e sforzandosi di non
guardare giù perché -se si conosceva bene-
avrebbe corso il rischio di inciampare. Ancora.
E in un momento del genere era meglio evitare, grazie mille.
«L'angelo più bello del Paradiso»
riprese Felix, senza voltarsi nemmeno un momento ad assicurarsi che
stesse tenendo il passo. Ed era impressione sua o c'era qualcosa di
simile alla malinconia in quella voce?
«E ora la vanità è il suo primo
peccato.»
«Il suo aspetto è mutato, che tu sappia?»
«No» rispose Felix, cupo. «E' ancora
dotato della bellezza sfolgorante di un angelo, perché il
male si presenta sotto forme allettanti. No. Ma era un traditore e come
tale è stato sottoposto alla peggiore umiliazione che un
angelo possa mai soffrire.»
Jay non era sicuro di volerla conoscere, ma la lingua si mosse prima
che il cervello potesse impedirglielo.
«Cioè?»
«Michael gli ha... strappato le ali.»
†
Nel frattempo, a molti metri ed una dimensione di distanza, un uomo col
naso adunco ed una corona di alloro in testa, stava picchiettando
nervosamente la punta della piuma d'oca contro il legno della scrivania.
In circostanze normali, l'angelo al suo fianco l'avrebbe pregato di
smetterla, aggiungendo che quel suono fastidioso stava molestando i
suoi timpani, togliendogli la concentrazione.
Ma quelle non erano circostanze normali. E l'angelo sembrava pensieroso
quanto lui.
«'Gil?» domandò l'uomo col naso adunco,
titubante.
L'altro finalmente distolse lo sguardo dal velo scuro, rivolgendogli la
sua più completa attenzione.
«Sì, Dante?»
«Quel ragazzo... Harry Potter» Dante si
umettò le labbra, cercando una posizione più
comoda sulla sedia, e le parole giuste.
«Hai notato anche tu quello che ho notato io?»
Virgilio sollevò un sopracciglio, in silenzio.
Poi parlò.
«Che è umano?»
Dante annuì, partecipe.
L'angelo accennò un sorriso. «Dante, Dante,
Dante... secondo te dopo averti fatto da guida per tanto tempo, non
riconosco il battito del cuore?»
Dante però non sembrava trovare la questione divertente.
Era nervoso e preoccupato, e continuava a tormentarsi l'interno della
guancia e le mani.
«Che cosa ci fa un essere umano quaggiù? E che
cosa sta complottando quell'angelo? Felix non è un
nome da angelo!»
«So che vorresti delle risposte, davvero. Ma la
realtà è che... non ne ho idea.»
Dante lasciò finalmente andare la penna d'oca che
rotolò sulla scrivania scandendo quel silenzio teso, e
infine irrigidì la schiena, puntando gli occhi su quelli
dell'altro.
«Che cosa facciamo?!»
Potevano quasi sentire il respiro caldo dell'Inferno dietro il velo.
«Dobbiamo avvertire gli altri angeli?»
To be continued
~
Next >> Capitolo 20
«Devi perciò mantenere un profilo
basso. O almeno giurarmi che ci proverai. Non fidarti dei demoni, per
nessuna ragione al mondo... e su tutto ricordati che non sei pronto per
affrontarli da solo. Nè loro né gli angeli che ci
danno la caccia. Non ne hai le capacità fisiche.»
Jay non si offese, semplicemente perché era quella la
realtà dei fatti, e annuì. Poi si
schiarì la voce.
«E di te
posso fidarmi, invece?» indagò. Era serio, non
c'erano giochetti o battutine stupide di mezzo: voleva davvero fidarsi
di Felix, nonostante a volte gli sembrasse che l'angelo stesse facendo
di tutto pur di evitare che ciò accadesse.
Fel si esibì in una smorfia che Jay, semplicemente, non
seppe come definire.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si
stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in
corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady
Holmes}
Salve a tutti
Sì lo
sappiamo siamo persone orribili e probabilmente non meriteremmo il
vostro affetto e tutto quello che ci date ogni giorno, ma lasciatemi
dire che è un periodo un po' pesante (tra
università e altre cose che non sto qui a spiegare) e che
abbiamo avuto diverse incomprensioni.
Ho quasi rischiato di
mollare tutto, come alcuni di voi già sanno, ma Lady Holmes
è riuscita a convincermi a tornare indietro, sapete
com'è fatta sa essere ben persuasiva, ed eccoci qui ad
aggiornare XD
Che ve ne pare del
capitolo?
Pochi passi all'azione,
dunque! Non siete emozionati?
Non vi tremano le
gambe?**
C'è da dire
che questi capitoli sprizzano Jalix da tutti i pori...
*va a prendere un
secchio per contenere la bava*
Anyway, io spero che da
qui in poi le cose di facciano più interessanti per tutti
voi ** Noi siamo qui e vi aspettiamo pazientemente come sempre u.u
Salve a tutti anche da me!! :D
Sì, io e Miss Watson abbiamo avuto un brutto litigio che ha
rischiato di rovinare sia la nostra amicizia che Timeless, ma per
fortuna, come Jay imparerà, i miracoli esistono e quindi
siamo riuscite con un po' di buona volontà a sistemare le
cose :3
Questi capitoli sono stati per lo più introduttivi, e forse
da questo vi aspettavate qualcosa in più, ma abbiamo
preferito concentrarci un po' sui retroscena angelici :P c'è
una bella storia da raccontare sulle motivazioni che hanno spinto gli
angeli ad agire in un certo modo, e la Caduta di Lucifer è
solo la punta dell'iceberg.
Un'altra cosa che mi piacerebbe farvi notare, è che la
storia è un POV di Jay, che si fida di Felix, ma non sempre
Felix sa tutto, e non tutto quello che è convinto di sapere
poi magari è vero, e tutto ciò che è
considerato una leggenda MAGARI potrebbe davvero essere SOLO una
leggenda ;)
Anyway, prima di lasciarvi vi anticipo che nel prossimo capitolo
finalmente faremo la conoscenza di un personaggio molto importante che
si unirà alla nostra Squadra :D
Detto questo, alla prossima! ^^ Spero che non abbiate smesso di leggere
per il ritardo :(
Il prossimo cap arriverà tra due settimane! <3
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. L'Inferno popolato da Arpie:
2. The HELL:
3. La faccia del Demone in cielo
(con la serie di anime dannate + Jay e Fel sotto):
4. Demone con Cerberi:
5. Jay terrorizzato:
-Ci scusiamo per l'assenza di Gif ma oggi tinypic si rifiuta di funzionare per quelle O__O
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona
l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni
di scrittori.
(Chiunque
voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)
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Capitolo 21 *** 20. ***
Timeless 20
AVVISO
IMPORTANTE
So che il ritardo non
è giustificato -almeno per così poco tempo- e
questa volta non è una questione di impegni -oppure
sì xD-
Sono Lady Holmes.
Qual è l'annuncio? Io e la mia collega abbiamo avuto dei
problemi... no, non abbiamo litigato.
Ma lei lascerà momentaneamente il progetto.
Il ritardo è stato per questo motivo... ho aspettato per un
po' che si liberasse per scrivere, ma alla fine abbiamo capito che era
meglio lasciar perdere.
O per lo meno, per adesso.
Perciò ho dovuto prendere io le redini della storia...
questo capitolo è ancora scritto in due, o per lo meno
all'inizio, poi da metà e dal prossimo li sto scrivendo da
sola... ho cercato anche di portarmi avanti.
Lo so, LO SO, è un duro colpo.
Spiace anche a me.
Ma spero comunque che continuerete ad apprezzare la storia, adesso
aggiornerò un po' più velocemente. E tutto si fa
più creepy cwc
Comunque, questo è l'annuncio di Miss Watson, di qualche
giorno fa:
Cari lettori
è con
rammarico che debbo abbandonare Timeless. Non fraintendetemi, non
è un addio definitivo, solo riconosco di non essere capace
di far coincidere le cose
e lascio la direzione a
Lady Holmes che, ne sono sicura, saprà concludere degnamente
questa storia
Con affetto
Miss Watson
Nel capitolo precedente...
Jay
e Felix hanno varcato le soglie dell'Inferno, un caos di sabbia, fumo e
sangue, con il volto di un demone terrificante nel cielo, abitato da
Arpie, Cerberi e demoni, che si divertono a torturare e sviscerare le
anime dei dannati nelle loro ruote uncinate.
All'ingresso del tempio vi è rappresentata col sangue la
scena della caduta di Lucifer, le cui ali furono strappate dal fratello
Michael. Perdere le ali è quanto di peggio può
accadere ad un angelo, perché equivale alla dannazione e al
disonore eterno.
Ancora una volta Felix rivela a Jay di aver colto qualcosa di
particolare in lui, come una luce diversa simile a quella del Paradiso,
eppure non riesce a spiegarsene l'origine. Ma se è vero
quello che si dice, Dio ha un piano per ognuno di noi...
Jay scopre anche che i demoni sono controllati dagli angeli attraverso
una maledizione, un'armatura che impedisce loro di raggiungere la
propria vera forma, assai più bestiale di quella attuale. I
demoni, un tempo angeli, possono ancora pentirsi, ma pochi di loro lo
fanno.
Infine, al di là del velo Dante e Virgilio hanno
riconosciuto Jay come un essere umano ancora vivo, e Felix come un
impostore, ma non sanno esattamente come reagire alla notizia.
Avvertiranno gli altri angeli?
Now...
Capitolo
20
Jay restò in
silenzio per qualche attimo mentre lui e Felix continuavano a scendere
verso l'Inferno e quelle parole e ciò che rappresentavano
gli rimbombavano nella testa.
Michael gli ha strappato
le ali.
Se almeno un po' aveva capito di tutto quel casino che aveva deciso di
piombargli tra capo e collo, le ali per gli angeli erano ciò
che per gli umani erano gambe e braccia.
Si immaginò mentre strappava un braccio ad Archie e
l'immagine, oltre a fargli torcere lo stomaco, gli provocò
un brivido di raccapriccio.
«Con che... come diavolo
ha fatto? Era pur sempre suo fratello!»
«Michael è la spada di Dio.»
«Lucifer era suo fratello! Non so come funzionino le cose tra
voi esseri piumati ma strappare qualcosa di così importante
a un fratello senza nemmeno sedersi e prendere un the insieme e
parlarne è... non ho nemmeno parole!»
Ma Felix aveva uno sguardo lontano, quasi come se pensasse a qualcosa.
O a qualcuno. Per un momento Jay si chiese il perché di
quello sguardo...
Da quello che aveva capito, il suo amico piumoso non era ancora nato,
ai tempi.
Si chiese chi gli avesse raccontato quella storia.
«Ci sono volte in cui anche noi angeli dubitiamo»
sussurrò Fel, strappandolo da quelle riflessioni. Jay lo
guardò stranito, quasi non riconoscendolo.
Lo diceva proprio lui che poco prima aveva proclamato un'incrollabile
fede in Dio?
«Eppure obbediamo. Perché è
ciò che ci rimane per sopravvivere» e quasi
rispondendo alla domanda nascosta dietro lo sguardo di Jay aggiunse:
«Me lo ha detto una persona molto saggia, una
volta.»
Prima che Jay potesse aggiungere altro, però, Felix parve
riscuotersi dalle sue riflessioni e si portò un dito alle
labbra: l'umano lo guardò smarrito qualche attimo e l'angelo
scosse il capo.
Jay avrebbe voluto chiedergli chi fosse quella persona tanto saggia, e
per un momento s'immaginò un baby Felix con due enormi
occhioni blu fissare con aria attenta un uomo -o una donna,
perché no- senza volto parlare all'ombra di un albero o
magari accanto al fuoco scoppiettante di un camino, ma l'angelo non gli
diede nemmeno il tempo di aprire bocca: parve infatti che Felix fosse
stato bruscamente strappato dai suoi pensieri e riportato con i piedi
ben saldi sul terreno perché, un attimo dopo, l'angelo aveva
ripreso l'aria fredda e composta del soldato.
«Ora ascoltami» lo avvertì severamente.
Jay si chiese se lo avessero cresciuto così o se facesse
parte del suo carattere e si stupì di quella voglia che
aveva di conoscere quante più parti possibili dell'angelo
che lo accompagnava in quella stramba avventura.
Peccato che Felix non sembrasse dello stesso parere.
Aveva iniziato a rinchiudersi dietro un alto muro di ghiaccio e,
nonostante i brevi momenti in cui gli permetteva di spiarlo da dietro
le crepe, manteneva l'atteggiamento freddo e impersonale di una
macchina da guerra addestrata per uccidere senza troppi rimorsi,
raggiungere il proprio obiettivo senza pensare alle conseguenze.
Ma se Felix fosse stato davvero solo il soldato che tante volte lo
aveva ripreso?
L'angelo che lo riprendeva per ogni minimo errore, quasi disgustato dal
suo essere solo un piccolo, povero umano?
Jay non sapeva che pensare. Non era di certo la prima volta, era
davvero solo un essere umano e aveva avuto mille momenti di incertezza,
ma mai nella vita aveva avuto tanta paura.
Vuoi perché Felix fosse la sua ancora in mezzo alla
tempesta, vuoi perché in fondo si fosse davvero affezionato
a quella piccola palla di piume che proprio non capiva i suoi
riferimenti cinematografici e letterari.
«Stiamo per addentrarci nell'Inferno e sono abbastanza sicuro
che il nostro vantaggio sui miei fratelli non ci renderà
immuni dall'essere trovati. I demoni sono creature scaltre e
pericolose, l'incarnazione della falsità, della corruzione,
della malvagità: non devi mai fidarti di loro»
disse Felix, strappandolo dai suoi pensieri.
«Devi perciò mantenere un profilo basso. O almeno
giurarmi che ci proverai. Non fidarti dei demoni, per nessuna ragione
al mondo... e su tutto ricordati che non sei pronto per affrontarli da
solo. Nè loro né gli angeli che ci danno la
caccia. Non ne hai le capacità fisiche.»
Jay non si offese, semplicemente perché era quella la
realtà dei fatti, e annuì. Poi si
schiarì la voce.
«E di te posso fidarmi, invece?» indagò.
Era serio, non c'erano giochetti o battutine stupide di mezzo: voleva
davvero fidarsi di Felix, nonostante a volte gli sembrasse che l'angelo
stesse facendo di tutto pur di evitare che ciò accadesse.
Fel si esibì in una smorfia che Jay, semplicemente, non
seppe come definire.
«Andiamo» furono le sue uniche parole, poi gli fece
cenno di seguirlo mentre svoltava l'angolo della montagna che li
separava dall'orrore vero e proprio.
E all'umano non restò altro da fare se non seguirlo.
Doveva ammetterlo: da vicino l'Inferno era anche peggio di
ciò che avesse visto dall'alto.
Il caldo era semplicemente insostenibile e Jay dovette ammettere che,
se quella sciarpa non fosse stata una sorta di sostegno morale -un modo
per convincersi che sua madre fosse lì con lui, con il suo
sorriso incoraggiante e l'aria benevola, quelle carezze fuggevoli che
gli faceva ogni tanto tra i capelli e sul volto e il suo profumo che
sapeva di casa-, se la sarebbe tolta più che volentieri.
«Ma tu non hai caldo?» si irritò quasi,
accusandolo.
L'angelo sospirò come se non si stupisse nemmeno
più di quel tono. «Quante volte devo ripetertelo?
Noi angeli non...»
«...siete attrezzati per sentire nulla,
sì, sì» completò per lui
Jay, distogliendo lo sguardo. Si passò la lingua sulle
labbra. Doveva calmarsi, o Felix se ne sarebbe accorto.
L'angelo, dal suo canto, non sembrava neanche prestargli attenzione.
Titubante ad allontanarsi dal riparo in cui si trovava e forse,
inconsciamente, cercare di ritardare il più possibile
l'entrata all'Inferno, fece qualche passo senza staccare la mano dalla
parete, e Jay si concesse qualche attimo per guardarsi intorno, ancora
una volta.
Vi erano delle strane sporgenze di pietra rossa un po' ovunque, come
degli scogli che emergevano da quel pavimento bollente, e molti di essi
erano schizzati di sangue. I demoni, nelle loro lucenti armature nere,
torturavano anime che erano legate a queste rocce o abbandonate per
terra, o ancora appese a testa in giù da degli alberi morti.
Più avanti, addirittura, Jay notò quelle che
avevano tutto l'aspetto di ruote della fortuna... solo che ad ogni
tassello non c'erano cartelli che annunciavano soldi o regali natalizi.
Le ruote giravano lentamente, con le anime bloccate ad esse tramite
delle corde su polsi e caviglie.
E i demoni con i propri artigli affilati squarciavano la loro pelle,
bevevano il loro sangue, strappavano loro gli organi di dosso, spesso
ancora pulsanti, mentre l'anima urlava e urlava e urlava...
«Jay» lo richiamò Felix piano,
toccandogli una spalla con due dita. Jay sussultò e lo
guardò, come un bimbo smarrito. Deglutì, cercando
di ricacciare in fondo alla gola la paura sorda, e alla richiesta
silenziosa dell'angelo di continuare la marcia annuì.
Felix fece una smorfia che forse doveva somigliare ad un sorriso e
finalmente abbandonò la parete rocciosa.
«Ricorda adesso: profilo basso e niente gesti inconsulti,
siamo intesi?»
Jay non si rese nemmeno conto che l'angelo gli stava rivolgendo la
parola. Appena abbandonato il percorso di pietra e messo piede nel vero
suolo dell'Inferno, una nuvoletta di vapore si sollevò dal
punto in cui l'aveva appoggiato. Attratto e insieme preoccupato dalla
situazione, levò il piede e si ritrovò ad
ammirare la propria impronta pulsante e incandescente.
«Ma che--?»
«Jay!» lo rimproverò Felix con un
sussurro agitato.
«Scusa...» borbottò lui inghiottendo
l'imprecazione che gli risalì alle labbra non appena fece
qualche altro passo. Il calore era praticamente insopportabile. Gli
sembrava come se da un momento all'altro gli si potessero squagliare i
piedi.
E forse le scarpe avevano già iniziato a sciogliersi.
«Adesso ascoltami bene...» Felix parlava sottovoce
e in maniera concisa, guardandolo a testa bassa e con la coda
nell'occhio mentre procedeva veloce.
«Non guardarti intorno. Ripeto: non guardarti intorno.
Seguimi dietro quella sporgenza rocciosa e non fare altro.»
Jay desiderò con tutto se stesso ascoltarlo davvero, ma tra
il pavimento bollente -in alcuni tratti la pietra si spaccava e si
poteva intravvedere la lava sottostante, tra il fumo- e tra le urla dei
dannati e le risate dei demoni, era un po' difficile restare
concentrato.
La sporgenza di cui parlava Felix non era lontana: e si trovava in una
zona in cui, per fortuna, non vi erano presenti demoni o anime
torturate.
«Affrettati» lo rimbeccò Felix quando Jay
si perse a fissare una ruota della tortura: a soffrire vi era un uomo
con la barba rossa -Jay non seppe dire se per natura o per il sangue-
che si lamentava, il petto scoperto e ricoperto di sudore, fango e
soprattutto ferite aperte e sanguinanti.
«Ti prego...» implorava il poveretto, gli occhi
lucidi di lacrime -per il caldo o il dolore?- le labbra e le gote
tremolanti, il petto che si alzava e abbassava velocemente.
«Ti prego... farò tutto quello che vuoi...
tutto... ma lasciami andare...»
Il demone, un bestione alto quasi due metri con una corazza ricoperta
di borchie che era il doppio di lui, ed un elmo spinato che gli copriva
il volto, eruttò una risata soddisfatta. «Cosa
dici? Non ti ho sentito... ripeti più forte.»
Con un gesto fluido colpì il poveretto al ventre,
squarciandoglielo con gli artigli. L'uomo urlò come Jay non
aveva mai sentito urlare nessuno, col gomito del demone che spariva
dentro il suo stomaco sanguinante.
Il demone ritirò la mano imbrattata di sangue, e il
poveretto accasciò la testa sul petto. «Ti
prego... ti p-prego...»
«D'accordo» convenne il demone, facendo spallucce e
un passo indietro. «Ti lascerò stare.»
Il dannato aprì di nuovo gli occhi, e Jay trattenne il fiato
insieme a lui.
«Davvero?»
Il poveretto era così sollevato che sarebbe scoppiato a
piangere, se poi il demone non avesse fatto un altro passo indietro e
detto semplicemente:
«Sì... perché ti lascerò a
lui.»
Schioccò le dita, e il grosso Cerbero dietro di lui, con le
tre teste dalle orecchie tirate all'indietro e i canini scoperti,
spiccò un salto.
L'ultima cosa che Jay vide fu un ammasso di pelo che si avventava
sull'anima tra le urla disperate di questa e il chiarissimo rumore
della carne dilaniata e delle ossa fatte a pezzi.
Felix lo tirò quasi di peso dietro la sporgenza e solo
allora Jay si ricordò di respirare... aveva l'affanno, il
cuore batteva a mille e gli occhi saettavano da un punto all'altro.
Non poteva credere a quello che aveva appena visto.
«Jay...» quante volte Felix aveva ripetuto il suo
nome?
«Ti avevo detto di non guardare.»
«Mi dispiace» disse in fretta Jay, la voce che
uscì spezzata e come un soffio, il respiro accelerato.
«Io non...»
Gli bruciavano gli occhi
«Mi dispiace, io... io...»
«Jay? Jay!»
Il giovane Denver prese un grande respiro, chiuse gli occhi per
calmarsi, e quando li riaprì si portò una mano
alla bocca, per frenare il conato di vomito.
«Sto... sto bene» si schiarì la gola
«Sto bene, davvero. Allora, il piano?»
Tentò anche di fare un sorriso, che probabilmente ebbe
l'effetto di una smorfia disgustata perché Felix
sollevò un sopracciglio. Ma fortunatamente non disse una
parola.
«Il piano...» si guardò intorno per
assicurarsi di non essere visto, poi infilò la mano sotto la
giacca di jeans e ne estrasse un coltello.
Era un pugnale maestoso, con l'impugnatura di quello che sembrava
argento e la lama di uno strano materiale brillante. Non come un
cristallo, ma come un qualcosa che producesse luce propria.
«Contiene grazia angelica» spiegò in
risposta al suo sguardo.
Jay non ebbe nemmeno il tempo di fare domande perché Felix,
senza troppe cerimonie, gli afferrò un palmo e vi fece una
breve incisione col coltello.
«Ahi! Ma sei impazzito...?»
Felix lasciò la presa e Jay ritrasse con rabbia la mano
sanguinante, cercando di tamponare la ferita con l'altra.
«Che ti è saltato in men--»
«Silenzio.»
Felix raccolse tra le dita il sangue di Jay rimasto sul coltello e con
esso disegnò un simbolo a forma di triangolo sulla parete.
«E' un sigillo Enochiano» illustrò,
guardandosi di nuovo intorno per assicurarsi che nessuno li avesse
notati. Per fortuna, in quella zona della radura non c'era anima viva.
O morta.
«Ho utilizzato il tuo perché funzionano solo col
sangue umano» continuò mentre ripuliva la lama
contro i pantaloni e la rimetteva a posto dentro la tasca interna della
giacca di jeans «infatti un tempo i vostri sacerdoti facevano
sacrifici umani per comunicare con Dio e gli angeli. Non capivano che
bastava solo un po' di sangue... è anche vero che alcuni
angeli, quelli più oscuri, pretendevano che i sacrifici
morissero... ma erano per lo più gli angeli della Morte
stessi e molti di loro sono di fatto diventati Mietitori, dopo. I
peggiori addirittura sono caduti dal Paradiso e si sono trasformati in
demoni, probabilmente sono tra queste fila, anche per questo spero di
non incrociare il cammino di nessuno perché non vorrei che
per qualche fortuito caso qualcuno potesse ricordare il mio volto e
quindi...»
«Felix!» lo interruppe Jay, un po' brusco
«sono sicuro che il tuo racconto sia interessantissimo ma
vedi, dei mostri assetati di sangue stanno ammazzando gente a pochi
metri da noi e i tuoi fratelli bastardi ci stanno alle costole
quindi... non potremo fare in fretta? Qualsiasi... qualsiasi cosa
dobbiamo fare.»
«Oh, sì» convenne Felix, colto per un
attimo alla sprovvista «Hai... voglio dire, suppongo tu abbia
ragione.»
Si schiarì la gola e abbassò un attimo lo
sguardo. «Va bene. Facciamolo.»
Si tirò su la manica del braccio sinistro e poi
toccò il sigillo col palmo ben aperto. Esso si
illuminò subito della stessa luce viola che poi
passò velocemente nelle vene di Felix fino a fermarsi sotto
le sue palpebre.
L'angelo parve illuminarsi tutto per un attimo, poi fu come se qualcuno
gli avesse dato un pugno perché si irrigidì tutto
e tirò indietro la testa. Quando riaprì gli
occhi, le iridi avevano assunto quella sfumature violetta di quando
utilizzava la sua magia angelica.
Jay non si accorse subito della seconda luce che si era accesa a
distanza, concentrato com'era a fissare meravigliato Felix.
Felix, quasi spinto da una forza sovrannaturale, ruotò il
capo in maniera che Jay avrebbe definito "robotica" e puntò
lo sguardo in lontananza, dove l'orizzonte si perdeva dietro dislivelli
di terreno infuocati.
In cima ad una piccola collinetta, poi, vi era il tempio che avevano
visto all'inizio.
O meglio, quello che ne restava.
Felix staccò la mano dal sigillo e la leggera luce che
l'aveva catturato fino ad un momento prima si estinse, veloce come era
arrivata. Il distacco fu in qualche modo traumatico, come se gli avesse
prosciugato gran parte delle forze perché
traballò e sarebbe svenuto se Jay non l'avesse prontamente
afferrato per le spalle.
«Woohoo, Felix, che ti prende?»
Lo scosse delicatamente, cercando di non farlo scivolare a terra.
Felix grugnì qualcosa, dondolò la testa come se
fosse troppo pesante per sorreggerla, poi sollevò le
palpebre e le sbatté un paio di volte per metterlo a fuoco.
«Che...» farfugliò semplicemente, quando
la comprensione conquistò il suo sguardo. Si riscosse e si
discostò in fretta da lui per rimettersi in equilibrio.
«Dimenticavo quanto potessero indebolire questi
sigilli» si scusò con un mezzo sorriso a cui Jay
rispose annuendo.
«Comunque era un incantesimo di localizzazione. Adesso
sappiamo dove trovare la chiave.»
«Al tempio?»
«Alle rovine» lo corresse Felix. Stava per girarsi,
ma corrugò le sopracciglia. «Un momento, tu come
fai a saperlo?»
«L'ho visto» rispose ovvio Jay, e sentì
un improvviso gelo. «Aspetta, non avrei dovuto?»
«No» confermò Felix quasi timoroso.
Osservò un attimo il vuoto, poi riportò gli occhi
su di lui. «Deve essere per via del sangue»
giustificò.
Jay fece una smorfia non del tutto convinta e Felix si
rianimò. «Dobbiamo muoverci. Ah, e
Jay...» lo bloccò con un braccio proprio quando
avevano ripreso la marcia. Lo guardò intensamente
«Non distrarti. Per nessuna ragione. Non guardare, se ti fa
sentire meglio. Va bene?»
Jay si sentì punto sul vivo. Come se fosse facile! Si
trovavano nel fottuto Inferno, mica in un parco giochi!
«Non puoi perdere il controllo proprio adesso. C'è
ancora... tanto lavoro da fare» Felix mantenne il contatto
visivo «Non possiamo permetterci rallentamenti. Devi rimanere
concentrato, focalizzato sull'obiettivo.»
«Sì... sì, va bene» lo
rassicurò in fretta l'umano, intriso di fastidio. Ma non gli
diede il tempo di coglierlo perché lo superò
incamminandosi a capo chino.
«Provaci tu a ignorare tutto, idiota...»
biascicò offeso.
«Cosa hai detto?»
«Niente» sbottò Jay. Felix non
indagò oltre, si limitò a camminargli al fianco e
non appena, superata la roccia, i suoni prepotentemente tornarono a
squarciare i timpani di Jay così come i demoni i corpi delle
povere vittime, gli poggiò una mano sulla spalla.
«Ricordati quello che ti ho detto.»
Jay si costrinse a distogliere lo sguardo da quella tragedia, quelle
urla, quel terrificante demone di fumo nel cielo, quei Cerberi che
latravano e divoravano, quelle Arpie che lanciavano strida fastidiose e
quel calore infinito che si levava dalla lava incandescente....
distolse lo sguardo da tutto quello schifo, sicuro che, purtroppo, non
l'avrebbe mai più dimenticato.
Gli era rimasto impresso nella retina, indelebile, come un marchio a
fuoco.
Focalizzarsi
sull'obiettivo, si ripeteva a mente mentre cercava di
deglutire e respirare, di continuare ad andare avanti mentre il Male
infuriava attorno a lui. Ignorò i corpi straziati che
venivano scagliati lontano, le risate dei demoni, tutto.
Focalizzarsi
sull'obiettivo, pensò ancora, Archie.
Cercò di imprimersi a mente l'immagine del fratello. Del suo
viso allegro, sorridente, con le fossette sulle guance e i riccioli
scuri.
Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio... mentre il suo cuore e la
sua anima urlavano di dolore e paura per quel luogo di perdizione... ma
doveva andare avanti.
Dammi la forza,
fratellino... pregò infine, mentre una lacrima
rotolava giù calda e veloce.
«Eih, voi due laggiù, dove pensate di
andare?!»
To be continued
~
Next >> Capitolo 21
Il demone sbuffò tra i denti, raggiungendoli.
«Ecco, allora andatevene!» e separò Jay
dalla donna, allontanandolo con una mano sul petto.
Ma poi qualcosa cambiò.
Cambiò nello sguardo del demone, e in quello di Felix.
Il primo di apprensione, il secondo di paura.
Jay sfuggì al tocco del demone, col fiato corto e il cuore a
mille, mentre quello voltava il palmo e lo osservava come se non lo
riconoscesse.
Il tempo parve fermarsi, cristallizzarsi in quell'attimo.
Jay aveva commesso l'errore più madornale della sua vita.
E non poteva più rimediare.
~ Angolo
Autrici { ovvero quelle
folli di Lady Holmes
e Miss Watson }
[ma tra poco solo Autrice mi sa ç_ç]~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si
stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*] {in
corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady
Holmes}
Non so davvero cosa aggiungere... abbiate pazienza, Miss
Watson non è andata via per sempre :') tornerà
appena sarà più libera....
Ma parliamo del capitolo :D
Felix e Jay non credevano davvero che tutto sarebbe andato rosa e
fiori, vero?? E questo ancora è SOLO l'inizio ;)
Non vi dirò niente perchè, usando l'espressione
di River Song, "spoileeers :D", ma posso annunciarvi che qualcosa di
creepy è all'orizzonte, forse più vicino di
quanto sembri.
Poi, qui ci sono degli spunti interessanti. Come dico sempre non tutto
è come sembra.
Innanzitutto, sì, più avanti scopriremo qualcosa
in più su questa "persona saggia" di cui parla Fel, e avremo
anche dei flashback sul suo passato cwc Anche gli angeli sono stati
bambini, del resto <3
E Jay che nota cosa che non dovrebbe... EHEH :D *meglio se sto zitta
perché se no spoiler LOL*
Oh e presto il nostro team darà il benvenuto ad un nuovo
personaggio ;)
A questo punto davvero non ho parole. E strano, perché di
solito sono loquace xD
E' inutile scusarmi di nuovo per il ritardo, perchè
è assurdo, e lo so.
Mi dispiace.
Ma perdonatemi :')
Il vostro supporto è sempre prezioso e arricchisce questa
storia sempre di più <3
Sì, parlo anche a voi lettori silenziosi, fate un fischio
ogni tanto ;)
Spero di poter essere all'altezza delle vostre aspettative e di saper
reggere la storia da sola per un po'.... ma sarete voi i miei giudici :D
p.s: e siccome qualcuno ha chiesto... no, Jay non è una
femminuccia lamentosa che va in panico e piange ad ogni occasione.
Tutt'altro. Lo vedrete più avanti, e con altri flashback...
è un ragazzo sensibile -ma non lo ammetterebbe nemmeno sotto
tortura xD- ma diciamo che il passato l'ha temprato abbastanza -sia il
passato passato, che il passato inteso come morte di Archie- Diciamo,
ecco, che l'Inferno è abbastanza terrificante, se arriva a
farlo disperare come sta facendo xD ma per gli amanti del suo spirito
vivace, tranquilli che anche lui farà emergere il suo lato
più badass,
più prima che poi -diciamo anche dal prossimo capitolo
bwahah- ;)
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. La caduta di Lucifer:
2. I demoni:
3. Un Jay inquieto:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Don't mess with the guy, Fel!! (also: rifatevi gli occhi
u.ù):
|
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Capitolo 22 *** 21 ***
Timeless 21
Nel capitolo precedente...
L'Inferno
non è sicuramente migliore di come Dante l'aveva descritto,
di questo Jay se ne rende conto subito: vi sono arpie, demoni, ruote
delle torture, armi di tutti i tipi, e sangue sparso un po' ovunque.
Il caldo è insopportabile, e il terreno è
incandescente. Le urla dei dannati lacerano il silenzio. L'immagine di
un demone di fumo li fissa dal cielo.
Come se ciò non fosse abbastanza, lui e Felix devono anche
mantenere un profilo basso per non farsi scoprire dagli altri angeli.
Felix utilizza il sangue di Jay per disegnare un sigillo, col quale
rintraccia l'ubicazione della chiave: le rovine del tempio.
Si incamminano allora a quell'indirizzo, ma vengono fermati da
qualcuno...
«Eih, voi
due laggiù, dove pensate di
andare?!»
Now...
Capitolo
21
Jay
sussultò, riaprendo gli occhi, e quasi inciampò
sui suoi stessi piedi.
Di fronte a lui si ergeva un demone che lo superava di almeno una
spanna in altezza, coi capelli lunghi e neri, gli occhi fiammeggianti,
ed un sorriso munito di denti aguzzi. Indossava un'armatura nera
cosparsa di borchie, reggeva in mano uno di quegli spadoni medievali
che Jay aveva visto tante volte nei film, dentellato da un lato, e
aveva tutta l'aria di non volerli lì.
A donargli un'espressione minacciosa non erano solo i denti e i
muscoli... qualcosa nel suo viso deturpato, nella sua figura schizzata
di sangue, nella sua pelle raggrinzita e nelle ombre violacee sotto gli
occhi, incuteva un timore reverenziale.
Forse era lo sguardo.
Non perché gli occhi fossero rossi, non perché
all'interno vi guizzasse una luce come di una fiamma, no. Ma c'era
un'oscurità, una freddezza, una profondità come
di un abisso.
«Allora? Parlo con voi due!» continuò il
demone facendosi più vicino. Il suo alito era fetido.
Solo in quel frangente Jay si accorse che aveva ripreso a respirare. Ma
i suoi muscoli erano ancora congelati.
«Sto portando un prigioniero da Lucifer»
intervenì Felix come da copione, avanzando di qualche passo
in modo da mettersi in mezzo ai due, e deviare l'attenzione del demone
verso di sé.
La reazione del mostro fu immediata: spalancò gli occhi e
sbiancò, per quanto fosse possibile considerando il colorito
già smorto della sua pelle.
Poi si affannò in un buffo inchino, con tanto di capo
abbassato.
«Mi scusi signore, non l'avevo riconosciuta!»
Jay sollevò un sopracciglio, spostando lo sguardo su Felix,
che tuttavia lo ignorò.
Forse ha capito solo ora
che si stava rivolgendo ad un angelo? Si chiese il
maggiore dei Denver mentre il demone si rimetteva in piedi.
«Dalla stella del mattino?» si aprì in
un sorriso entusiasta, in modo che i denti aguzzi facessero bella
mostra di sé. Si voltò verso Jay, che trattenne
nuovamente il respiro.
Il demone gli faceva lo stesso effetto di Medusa a Perseo: trasformarlo
in pietra.
«Deve essere un pezzo grosso, allora»
considerò il demone analizzandolo come se fosse un taglio di
carne particolarmente appetitoso.
«Siete sicuro, signore, che non volete che gli dia una
ripassatina, prima? Ho appena finito il mio turno...» con un
pollice coperto dalla manopola di ferro nero indicò la
propria ruota delle torture, in legno, con quattro ganci per polsi e
caviglie, quasi interamente ricoperta di sangue fresco.
Accanto ad essa vi era un tavolo cosparso di armi, lame, chiodi e ganci
di tutti i tipi.
Jay, se possibile, divenne ancora più cinereo.
«Oh no» obiettò nuovamente Felix,
così improvvisamente che a Jay sembrò uno scoppio
e sobbalzò.
Il demone corrugò la fronte.
«Mmm.»
Jay emise una risatina nervosa, sollevando le mani all'altezza delle
spalle.
«Sarà per un'altra volta, amico» si
scusò, ironico, ma la voce gli uscì
più spezzata del previsto.
Il demone strinse la mascella.
«Peccato. Davvero un peccato» scosse la testa
«Quegli occhi verdi sarebbero stati perfetti per la mia
collezione.»
Ogni tentativo di replica morì nella gola di Jay.
Felix gli afferrò il braccio e lo trascinò in
avanti, lontano dal demone.
«Ci penserò, per la prossima anima.»
«D'accordo, come preferisce» fece il demone,
servile, con un altro inchino di congedo. «Per qualsiasi cosa
chieda di me, signore. Il mio nome è Furcas*. Mi trova
sempre qui, in ogni caso. Buon viaggio, e a te, umano...»
Jay si costrinse a guardarlo, mentre quello sorrideva e lo salutava con
la mano.
«Buona morte. Oh no, scusa, dimenticavo: sei già
morto.»
Jay sforzò una risatina, annuendo, poi tornò sui
suoi passi al fianco di Felix.
«Ma che simpatico. Qui il senso dell'umorismo lo vincono alla
lotteria?»
«Avremmo dovuto stare più attenti» si
rimproverò invece Felix. «Ci è mancato
pochissimo, se ci avesse scoperto...» sospirò.
«E io che credevo che il nostro problema principale fossero
gli altri angeli» replicò Jay, sarcastico.
«Oh, non sottovalutarli» Felix schioccò
le dita e attorno ai polsi di Jay si costituì un paio di
manette.
«Ma che...»
«Precauzione, Jay. In questo modo sembriamo più
carnefice e vittima.»
Alzò il capo guardandosi intorno, oltre la spalla di Jay.
Quando si assicurò che nessuno li stesse osservando, si
accostò all'umano.
«Ho controllato: più avanti c'è una
schiera di demoni, quindi dovremo mantenere la massima concentrazione
per passare inosservati. Fortunatamente sono occupati nelle loro
mansioni, quindi è più probabile che non ci
notino.»
«Con mansioni intendi torture,
vero?»
«Non è il momento di fare dello spirito,
Jay.»
«Non stavo facendo dello spirito, Spock!» Jay
sbuffò quando Felix inclinò la testa senza capire
il riferimento. «D'accordo, ti ascolto. Massima
concentrazione. Focalizzarsi sull'obiettivo. Ci sono. C'è
altro?»
«Sì» rispose Felix, che evidentemente
non vedeva l'ora di dirlo. «Riguarda gli angeli. Prima avevo
dato un'occhiata ma dalla postazione in cui siamo adesso ho avuto una
percezione più chiara delle loro posizioni. Vi sono tre
angeli guardiani. Due si trovano agli angoli, poco lontani dalla porta.
Non si muovono da lì, a meno che qualcosa non attiri la loro
attenzione. Il terzo, invece, gira tra i demoni per controllare che le
mansioni vengano svolte come Dio... o chi per lui» si
corresse poco dopo, con una nota di frustrazione «ha
ordinato. E ho ragione di credere che potremmo incontrarne un altro
più avanti, e altri due ai limiti dell'Inferno. Dubito,
tuttavia, che arriveremo così lontano.»
«Perché ci uccidono prima?»
«Perché la nostra meta sono le rovine, non i
confini dell'Inferno» rettificò Felix, asciutto.
«O perché ci uccidono prima» insistette
Jay.
«Quello che è» Felix si
allontanò da lui, assumendo nuovamente la sua posa da
creatura soprannaturale altezzosa.
Jay suppose che lo facesse per non attirare sguardi indiscreti.
Intanto, guardando davanti a sé notò un fiume
aprirsi la sua strada attraverso il terreno bruciato. La superficie del
fiume era rossa, ribolliva e fumava in più punti,
così ad un primo sguardo superficiale Jay lo
identificò come lava.
Quando tuttavia fu a distanza sufficiente per analizzarlo, si rese
conto che il colore era fin troppo rosso, e sembrava anche viscoso.
«Oh porca...» fece istintivamente un passo
indietro, con un rimescolio delle viscere. «Ma dannazione,
non potevano avere la fissa del cioccolato, questi? No, il sangue.
Sempre il sangue.»
«Che ti aspettavi? Sei all'Inferno» lo riprese
Felix, con sufficienza, ma con un tono che sembrava in parte divertito.
Che il pennuto stia
imparando a scherzare?
Jay stette al gioco.
«Farò presenti le mie lamentele al diavolo,
affinché prenda provvedimenti sull'arredamento
scadente.»
Felix sbuffò una risata, stringendo le labbra, poi
però l'allegria evaporò veloce com'era arrivata.
«Come la attraversiamo questa arteria vivente?»
domandò Jay, mentre scrutava timoroso i demoni dall'altra
parte della riva, alcuni di loro intenti a frustrare un paio di anime
appena arrivate.
«Ci dovrebbe essere una barca.»
«Non ci credo...!»
«Perché?» chiese Felix, poi
individuò una barca, abbandonata sull'altra sponda, e
allungò una mano verso di essa.
I suoi occhi si illuminarono di viola e un attimo dopo la barca venne
trainata verso di lui come da una corda invisibile.
«Wow, telecinesi. Figo.»
La barca avanzò placida, producendo onde concentriche sulla
superficie del sangue. Traballando li raggiunse, con un piccolo tonfo
contro la riva.
«Per fortuna ho avuto l'accortezza di creare le manette,
altrimenti ci avrebbero fermato già dieci demoni»
si vantò Felix. Poi, senza aspettare che Jay allungasse un
piede per salire sulla barca, lo spinse in avanti.
Jay perse l'equilibrio e sbatté il naso contro il bordo
dell'imbarcazione.
«Vaffanculo!» imprecò a denti stretti
mentre si portava una mano alla zona offesa, che aveva iniziato a
sanguinare.
«Ma ti si è ammattito il cervello?»
«Dobbiamo mantenere un profilo basso, e tu sei il mio
prigioniero. Meno sembriamo strani meglio è.»
«Oh certo, e quindi spaccare il naso al prigioniero rientra
nel piano?»
«Sì.»
Felix non si curò nemmeno di afferrare i remi. Con un
movimento agile della mano essi presero vita e li condussero attraverso
il fiume ribollente.
«E adesso, goditi il viaggio.»
Jay si limitò a rivolgergli lo sguardo più torvo
del suo repertorio.
«Era una battuta?»
Felix scrollò le spalle. «Ha importanza?»
Jay tramontò gli occhi al cielo, poi ancora imbronciato e
dolorante si sporse appena per vedere il sangue sbattere contro la
pareti della barca di legno. Si arrampicava per un po', per poi
rifluire come schiuma attorno al loro passaggio.
Ogni tanto una bolla si espandeva sulla superficie, per poi esplodere
quando il remo la sfiorava, imbrattandolo di sangue.
Jay represse un conato di vomito e decise che osservare i demoni
torturare le anime era meno disgustoso.
Ma forse si sbagliava.
Perché in quella fila di anime innocenti riconobbe quelle
che avevano accompagnato prima lui e Felix, quando attendevano di
passare attraverso il velo.
Sentì piangere il bambino, ma non riuscì a
vederlo da nessuna parte.
A quanto pareva il piccolo era bravo a nascondersi.
Stava giusto analizzando anche gli altri volti, quando la punta della
barca toccò l'altra sponda, con un leggero tramestio di
acque e un sobbalzo che rischiò di farlo cadere nel fiume.
Fortunatamente si aggrappò in tempo e si ritrovò
semplicemente ad urtare un fianco, con un piede in aria.
«Atterraggio turbolento, eh?»
«Più avanti c'è un percorso lastricato.
Dobbiamo seguirlo, ci porterà al tempio. Superati questi
demoni non dovremmo incontrarne altri almeno per un po'.»
«Davve-» stava dicendo Jay ma poi Felix
mutò atteggiamento di colpo, si alzò e lo
tirò in piedi con una forza eccezionale.
Dopo lo gettò bruscamente sulla riva, e senza nemmeno
aspettare le sue repliche, saltò agilmente a terra e
afferrò nuovamente le manette, trascinandolo su.
«Potresti smetterla di sbattermi da una parte all'altra come
se fossi una tovaglia coperta di briciole?» lo
aggredì Jay tra i denti, dando uno strattone alle manette
per sfuggire alla presa dell'angelo. «Mi fai male,
idiota!»
«Niente in confronto al male che ti farebbero questi demoni
se ti prendessero» lo rassicurò, spingendolo in
avanti senza tante cerimonie.
«Vai avanti e non ti fermare» sibilò poi
e Jay annuì, cercando ancora una volta di focalizzarsi
sull'obiettivo -cioè il percorso lastricato- e non sui
demoni che infuriavano attorno.
Tuttavia fu impossibile non alzare lo sguardo, nel riconoscere quei
volti familiari.
Vide un uomo pingue, di cui riconobbe il neo sotto il naso, e poi quel
vecchietto tutto azzimato, col vestito ormai stracciato e sporco di
fango e sangue, a terra mentre due demoni sopra di lui lo prendevano a
colpi di frusta.
Ad ogni sferzata e conseguente urlo di dolore Jay percepiva rizzarsi i
peli della nuca e un brivido attraversargli il corpo.
Ad un tratto sentì distintamente il suono di un osso rotto e
della carne lacerata, e una ventata di sangue gli bagnò la
guancia.
«Non fermarti» gli intimò Felix da
qualche parte dietro di lui, e come risposta al suo silenzio gli mise
una mano sulla spalla.
O meglio, gliela strinse con forza, guidandolo in avanti.
«Non guardare, ti ho detto.»
Sembrava furioso.
Jay deglutì.
Sì, doveva calmarsi.
No, okay, calmarsi non era contemplato.
Impossibile, si trovava all'Inferno.
Va bene, Jay, pensa ad
una strategia. Chiuse gli occhi e provò ad
andare alla cieca, ma così rischiava di investire un demone
come era successo prima, e farsi strappare gli occhi dalle orbite per
una qualche malata ossessione non era certo in cima alla lista dei suoi
desideri.
Ora, estrarsi i timpani per non sentire, non era fattibile.
O meglio, se non poteva evitarsi di sentire, almeno
poteva tentare di non ascoltare.
Allora decise per la mossa più semplice: abbassare
gli occhi e guardare il terreno, spegnendo il cervello per un attimo.
E si rivelò anche la mossa più efficace... se non
fosse che ad un tratto nel suo campo visivo apparve una donna.
E più precisamente, la donna in trench in fila con lui per
parlare con Dante e Virgilio.
Jay dovette arrestarsi improvvisamente per non calpestarla, rischiando
di provocare un effetto domino, infatti Felix non riuscì ad
imitarlo in tempo e gli finì addosso.
«Jay...» stava iniziando ma il ragazzo non lo
ascoltò.
La donna non aveva la forza di rimettersi in piedi.
Era tremante, imperlata di sudore, macchiata di fango e sangue, coi
vestiti sporchi e stracciati e i capelli stravolti e pieni di polvere.
Il trench beige aveva ormai assunto una sfumatura bordeaux.
Il demone che l'aveva fatta cadere rise di gusto, ad un paio di metri
da lei, mulinando la frusta.
Jay stava per aggirarla e continuare il cammino, con un peso sul cuore,
quando la donna lo guardò.
E accadde tutto in pochi secondi.
Lo riconobbe e gli afferrò la caviglia.
«Ti prego... aiutami...»
Jay aprì la bocca, senza sapere cosa dire.
«Dovremmo andarcene, e in fre-» lo
avvertì Felix, ma Jay non poteva lasciarla lì.
La donna provò ad alzarsi ma aveva una profonda ferita al
fianco e quindi ricadde giù con un gemito strozzato, mentre
sul pavimento si allargava una pozza di sangue.
Jay non realizzò nemmeno che si era accucciato per
soccorrerla.
Il suo corpo smise di rispondere; agì d'istinto.
Le afferrò le braccia, nonostante l'impedimento delle
manette, e la aiutò ad alzarsi.
«Ecco» concluse, apprensivo, mentre quella
sorrideva tra le lacrime.
«Grazie, grazie davvero, sei...»
E poi il demone arrivò.
«Sta' indietro!» abbaiò, imponente,
avanzando a grandi falcate con la frusta che lasciava un segno sulla
sabbia dietro di lui.
Jay lasciò andare la donna, e Felix provò di
nuovo a mettersi in mezzo.
«Noi non volevamo intervenire, infatti ce ne stavamo
andan-»
Il demone sbuffò tra i denti, raggiungendoli.
«Ecco, allora andatevene!» e separò Jay
dalla donna, allontanandolo con una mano sul petto.
Ma poi qualcosa cambiò.
Cambiò nello sguardo del demone, e in quello di Felix.
Il primo di apprensione, il secondo di paura.
Jay sfuggì al tocco del demone, col fiato corto e il cuore a
mille, mentre quello voltava il palmo e lo osservava come se non lo
riconoscesse.
Il tempo parve fermarsi, cristallizzarsi in quell'attimo.
Jay aveva commesso l'errore più madornale della sua vita, e
non poteva più rimediare.
«Andiamo» esortò Felix con una voce
stranamente acuta.
Jay non se lo fece ripetere due volte, e si mise a correre.
Ciò non gli impedì di sentire le urla del demone,
e l'appressarsi di passi frettolosi al loro inseguimento.
«E' VIVO!» si stava sgolando il demone intanto
«Ho sentito il cuore. QUEL DANNATO E' ANCORA VIVO!»
«Prendetelo!» ordinò qualcun altro, e
Jay sentì l'ansia divorargli la gabbia toracica.
Si voltò un attimo per assicurarsi che i demoni fossero ad
una certa distanza, ed ebbe un tuffo al cuore quando vide i suoi
inseguitori sguinzagliare i cerberi.
I cani a tre teste velocizzarono la corsa con un latrato eccitato,
sollevando una nuvola di polvere ad ogni passo, sollecitati dalle
fruste e dai ringhi dei demoni dietro di loro.
«Non ce la faremo mai!» urlò Jay in modo
che Felix sentisse.
Dio, siamo morti, siamo
morti, SIAMO MORTI!
Felix si voltò forse per averne conferma, e ciò
che vide dovette convincerlo dell'evidenza, perché
deglutì a vuoto.
«Corri più veloce che puoi, e non
voltarti!» lo avvertì poco dopo, i capelli che gli
finivano in bocca. «La vedi quella strada là
davanti?»
Jay la vedeva, eccome se la vedeva.
Non aveva altro in mente che quella al momento: raggiungerla avrebbe
rappresentato la salvezza.
Meglio qualche graffio da urto che i canini dei cerberi tra i tessuti
della pelle.
Il percorso continuava, ergendosi verso una specie di montagna -che
aveva l'aspetto di un vulcano considerando la lava che eruttava-, ma
restringendosi sempre di più. Ad entrambi i lati vi era il
precipizio... e in fondo, il magma.
Jay ruotò di nuovo il collo per registrare l'approssimarsi
dei cerberi, ma quel movimento gli fu fatale perché non vide
la roccia sporgente di fronte a sé e perse l'equilibrio.
Dopo un salto di qualche metro, in cui registrò con lo
sguardo la propria ombra scorrere sul pavimento incartapecorito,
rotolò un paio di volte, gemendo.
«JAY!» lo chiamò Felix, spaventato.
Quando finalmente la scivolata si arrestò, Jay si
ritrovò a tossire senza sosta.
Alzò gli occhi e vide il cerbero. Le tre teste ringhianti,
con una ragnatela di saliva ad unire le tre bocche, e gli occhi gialli,
come se avessero un fuoco all'interno delle orbite e nessuna pupilla.
Era troppo tardi.
Perfino per alzarsi.
Era Archie il secchione della famiglia, ma non aveva bisogno di lui per
calcolare che il tempo di mettersi in piedi e fuggire dal mostro, non
era matematicamente
abbastanza.
In preda al panico iniziò ad indietreggiare restando a
terra, tentando disperatamente di toccare con la mano qualcosa di
appuntito da usare contro il Cerbero.
Ma non trovò che le spaccature del terreno e il calore che
ne fuoriusciva.
«JAY!» Felix stava correndo indietro verso di lui.
Ma non sarebbe arrivato in tempo.
Il cerbero si abbassò leggermente, e senza nemmeno smettere
di correre spiccò il salto.
«FEEEL» urlò Jay coprendosi il volto con
le braccia.
Si aspettò di essere dilaniato da un paio di canini affilati
e inciso da una serie di artigli, e invece sentì solo un
guaito.
Nessun peso sul suo corpo.
Riaprì gli occhi confuso, abbassando piano il braccio e
ciò che vide fu semplicemente qualcuno combattere contro il
Cerbero.
«Fel...?» tentò, poi la punta di una
spada emerse dal petto del cerbero, che sussultò con un
rivolo di sangue che scivolava tra i denti, e stramazzò a
terra sollevando del vapore.
Il fumo investì Jay in pieno, e il ragazzo si
ritrovò col ventre a terra, tossendo.
Si trascinò senza fiato dietro una roccia, con gli occhi
lucidi per il calore. Poi rialzò lo sguardo.
Dal fumo si delinearono i contorni di una figura che impugnava una
spada.
«Felix...?» chiamò ancora, con la voce
rauca per la tosse.
La figura avanzò, in modo da rendersi visibile.
«Prova ancora, straniero.»
Non era Felix.
To be continued
~
Next >> Capitolo 22
Jay non seppe cosa successe.
Semplicemente all'improvviso si sentì strattonato verso
l'alto, l'ossigeno gli sfuggì dai polmoni, e i demoni, i
cerberi e il terreno si rimpicciolirono sotto di lui.
Prima ancora che si rendesse conto che stava volando, si
ritrovò avvolto dalla foschia, e vide proiettata la sua
ombra su una nuvola.
Tuttavia, vi erano dietro anche due immense ali.
[...]
«FAMMI SCENDERE!» implorò Jay agitando i
piedi nel vuoto.
Okay, stava probabilmente
per morire.
*Furcas:
è davvero il nome di un demone che, nella demonologia cristiana,
è descritto come "barbuto e con i capelli lunghi" ;)
~ Angolo
Autrice { ovvero quella
folle di Lady Holmes } ~
Vegonunmed
a tutti, lettori! :D [--> per chi si
stesse chiedendo che
diavolo
significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo
Enochiano di "Ciao" *-*]
Come avrete notato, o forse no (lol), questo capitolo l'ho scritto da
sola (senza la mia collega ç_ç) e così
anche i prossimi. Spero che apprezzerete lo stesso :D
Mi spiace per il ritardo, ma ho preferito portarmi avanti coi capitoli.
Il prossimo lo avrete tra circa una settimana, non preoccupatevi :D
E nooo come avete visto questo non è un pesce d'aprile!!
Finalmente ho pubblicato, eh sì... comunque non so cosa dire...
le cose si complicano sempre di più, finalmente c'è
più azione, le cose iniziano a smuoversi, conosceremo presto un
nuovo membro del nostro team, e in più nei prossimi due capitoli
scopriremo qualcosa in più su Felix...
A parte questo, vi dico di preparare i fazzoletti BWAHAH :P
Alla prossima, carissimi! <3
E ricordate: la
musica è la voce dell'anima!
*^*
†††
1. Hell:
2. La stradina per le rovine:
3. Jay:
† R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM †
1. Il demone di fumo:
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