Timeless

di gwapple
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10. ***
Capitolo 12: *** 11. ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***
Capitolo 16: *** 15. ***
Capitolo 17: *** 16. ***
Capitolo 18: *** 17. ***
Capitolo 19: *** 18. ***
Capitolo 20: *** 19. ***
Capitolo 21: *** 20. ***
Capitolo 22: *** 21 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Timeless Prologo
Prologo
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C'è stato un tempo
in cui la Luce vigilava sulla Terra
e le Ombre scacciate, ripudiate, si nascondevano
 nella loro stessa oscurità.
Ma poi venne l'eclissi
il sole si oscurò del tutto e la luna si colorò di sangue
e sulla Terra calarono le Tenebre.





~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~


O
oook siamo consapevoli che questo prologo non significa una MAZZA, ma beh, tutto inizia da qui. E' in versi, e anche questo ha un senso... non è solo perchè ci piace vantarci e mostrare il nostro lato poetico, no, no... ai fini della trama lo comprenderete più avanti >> Tutta la storia inizia nel prossimo capitolo, sperando di portare un tocco di suspance/soprannaturale/fantasy nelle vostre vite da lettori, noi in quanto autrici ci impegneremo al massimo, perché siamo totalmente innamorate di questo esperimento :3
Altresì, dal momento che ogni personaggio ha le sue fattezze (abbiamo scelto un attore per ognuno), chi volesse preservare la propria fantasia basta che ignori le immagini, ed ecco fatto :)
Il pasto è servito! v.v
Commenti e critiche costruttive sono più che ben accetti, e accoglieremo qualsiasi consiglio come se fosse oro prezioso, anche perché se la storia -che già abbiamo in mente nei minimi dettagli **- riuscirà bene, si trasformerà in un romanzo, e chissà, magari un giorno la potreste trovare in una libreria °w° -quantomeno, è quello che ci auguriamo noi :3 Adesso passo la parola alla mia compare Miss Watson v.v:
Noi che adoriamo già questa storia - e non solo per i bei faccini che la popolano- e l'abbiamo veggeziata e coccolata fino a portarla a questo grande Ballo delle Debuttanti strillando come mamme apprensive abbiamo deciso che si, perchè no, è ora che balli e si faccia vedere in questa grande festa!:D E se poi diventerà famosa... tanto meglio! Le sue mamme saranno fiere di lei!
Ovviamente attendiamo con ansia le vostre recensioni, le vostre critiche e anche i vostri pomodori (possibilmente non quelli marci >>)
Ordunque, arrivederci (si spera) al prossimo capitolo, tanti baci tenebrosi a voi, e attenti alle eclissi! :D
P.s: oddio è più lungo l'angolo autrici del prologo °^°

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Capitolo 2
*** 1. ***


Timeless 1
Capitolo 1




«Quindi gestisci l'officina di tuo padre.»
La ragazza morse la cannuccia, rosa ovviamente, ammiccando vistosamente in sua direzione.
«Esatto.» convenne lui. Poi sfoderò IL sorriso, quello per cui le ragazze impazzivano e si gettavano ai suoi piedi: il rossore sulle guance della fanciulla di fronte a lui gli fece capire di aver fatto ancora colpo.
Non che ne dubitasse, del resto: conquistare una ragazza per lui era più facile che bere un bicchiere d'acqua.
«Quindi lavori molto... con le auto.» non era una domanda. Jay allargò il sorriso, cercando una posizione più comoda nella sedia: scacco matto, era sua.
«So usare molto bene le mani, se è questo che vuoi sapere. Anzi, oserei dichiararmi un esperto.»
La luce maliziosa che si diffuse negli occhi della giovane era un chiaro segno di quanto pendesse dalle sue labbra, di quanto ormai il suo cuore si fosse fatto avvincere dall'irresistibile fascino di Jay A. Denver
«A te piacciono le auto?» rincarò la dose, sporgendosi appena. Movimenti lenti e misurati -dettati dall'abitudine- di cui era ormai pratico. La biondina mozzafiato scrollò le spalle, vivace: stava giocando, e lui avrebbe fatto il suo stesso gioco.
«No, preferisco le moto a dire il vero.» rispose assottigliando gli occhi da cerbiatta, mordendosi il labbro. Jay si ritrovò a fissare quei lembi carnosi desiderando di addentarli, ma il suo istinto lo richiamava alla realtà: non ancora, si impose una vocina nella sua testa.
«Le moto? Io ne ho una.» avrebbe voluto anche aggiungere un doppio senso della serie "ed è anche molto ben equipaggiata" ma preferì tacere. La biondina fece scattare un sopracciglio verso l'attaccatura dei capelli, poi si sporse ancora di più, ad un soffio dalle sue labbra.
Jay deglutì aria perdendosi nei suoi occhi color dell'oceano, e poi più sotto: da quando aveva iniziato a fare così caldo? Incapace di distogliere lo sguardo da quelle labbra così umide e vicine, si costrinse a frenare l'impulso di sporgersi e annullare la distanza che ancora li separava.
«Ah davvero?» le dita della ragazza si insinuarono tra le sue, accarezzando sensualmente il dorso della sua mano «Mi piacerebbe...» si fece più vicina, le punte dei capelli lunghi pizzicarono il collo di Jay «...farci...» gli passò una mano tra i capelli corti, e Jay accennò appena un sorriso, lasciandosi totalmente andare «... un giro.»
La ragazza finalmente abbassò le palpebre -mentre fuori si diffondeva una musica che era sicuro di non aver percepito prima, forse troppo concentrato sulla bocca di lei- e Jay le afferrò il mento con tre dita, avvicinandola deciso a sé, quando all'improvviso si sentì strattonato da qualcosa, come un nodo partito dal petto.

It don't take money *
and it don't take fame
don't need no credit card
 to ride this train

I muri blu del locale, con tutte le luci intermittenti, le piastrelle colorate del pavimento e i bicchieri di drink abbandonati sul tavolo come tanti scogli in mezzo al mare, si dilatarono fino a diventare una sequenza di sfumature indistinte.

Tougher than
diamonds and stronger than steel
you won't feel
nothing' till you feel

Jay spalancò gli occhi con un sussulto, ridestandosi di soprassalto.

You feel the power,
just the power of love

That's the power,
that's the power of love

you feel the power of love
you feel the power of love
feel the power of love

«Buongiorno amici! Qui è radio Hourglass che vi da' la sveglia col sorriso!»
Jay soffocò un gemito nel cuscino, svegliato nel bel mezzo di un sogno particolarmente avvincente: per carità, apprezzava radio Hourglass -e adorava le canzoni che trasmettevano, dal gusto tipicamente anni '80- che costituiva la sua sveglia ogni mattina ma...
Beh, era un maschio particolarmente voglioso di sc...oprire le personalità di gentili pulzelle. E la fanciulla che aveva popolato i suoi sogni era particolarmente -o almeno, l'apparenza era quella- piena di segreti da scoprire, se capite cosa intendo.
«E quella che avete appena ascoltato è ''Power of Love'' di Huey Lewis & the News!» annunciò la voce dell'altra speaker di Radio Hourglass. «Un buongiorno caloroso a tutti! Oggi è la giornata ideale per una bella scampagnata, giusto Beatrix?»
«Esatto Jules! Ma mandiamo un bacio anche agli sfigati che come noi sono stati costretti ad alzarsi a orari indecenti per andare a lavoro!»
«Grazie tante.» borbottò Jay, trascinandosi fuori dal letto con la stessa volontà di un bradipo in letargo.
Il problema non era tanto che sarebbe dovuto andare a lavoro -l'officina apriva solo per metà mattinata e Bill White, co-proprietario e dittatore assoluto, l'avrebbe gestita fino all'ora di pranzo, quando sarebbe andato a mangiare a casa Denver dato che per qualche inspiegabile ragione adorava la cucina di sua madre- ma che si sarebbe dovuto trascinare a recuperare suo fratello Archie e quella spocchiosa della fidanzata, Gwen.
Ora -a scanso di equivoci- Jay adorava suo fratello: e come no? Era un po' saccente ma, ehi, aveva i geni Denver e tanto bastava. E lo aveva praticamente tirato su lui dopo la morte di suo padre.
Il problema era lei, Gwen.
Che poi, esteticamente era molto carina: il problema era il suo carattere, degno di... ahem, di certi bisogni naturali che ognuno di noi ha dopo aver mangiato. E a buon intenditore poche parole.
«Allora, che argomento abbiamo oggi?»
Beatrix cominciò a parlare di qualcosa di non ben definibile mentre Jay tuffava la testa sotto il getto d'acqua fredda del lavandino. Per una qualche ragione sentiva che quella sarebbe stata una giornata estremamente lunga coi borbottii di Gwen alle orecchie e le frasi dolci -melense più che altro- che i due si sarebbero scambiati.
Come ogni volta.
Archie studiava medicina in un'università di Londra: aveva vinto una borsa di studio qualche anno prima, la secchionaggine non era proprio un tratto che aveva preso da lui, e tornava ogni volta che poteva anche se solo per pochissimo.
E dio, capiva la distanza e -ma non l'avrebbe detto ai piccioncini per ovvie ragioni- l'astinenza ma non tutto quello... quello zucchero.
Era semplicemente... irritante. E lui non ci teneva certo a morire di diabete, era ancora giovane! Solo perché aveva raggiunto i venticinque anni giusto una manciata di mesi prima non era mica da buttare!
Rialzò uno sguardo esausto allo specchio sopra il lavandino, che gli restituì l'occhiataccia di due iridi verdi sopra una spruzzata di efelidi -che si accentuavano ad ogni cambio di stagione-.
«Buongiorno, bellezza.» fece, cupo, ignorando volutamente le due ombre scure sotto gli occhi -in un paio di minuti sarebbero state sostituite dal suo solito colore- e allungò le dita alla ricerca della tovaglia.
Se la passò su volto, sul collo, stiracchiando le articolazioni e le giunture, cercando di ricordare i dettagli della ragazza del sogno, mentre si dirigeva alla doccia.
Quando anche i vestiti vennero ammucchiati in disordine in un angolino del bagno a piastrelle verde acqua -il colore preferito di suo padre, almeno a detta di sua madre Susan- Jay entrò nel box e il getto di acqua calda che gli scivolò sulla schiena lo fece rabbrividire di piacere.
Sapone, shampoo, solita routine.
Fischiettando si massaggiò i capelli, mentre la schiuma gli scendeva nelle pupille. Archie l'avrebbe sicuramente rimproverato per questo, notando i suoi occhi arrossati, e da brava mamma chioccia -o uccello del malaugurio, a seconda dei punti di vista- gli avrebbe profetizzato un'incurabile congiuntivite.
Sì, che magari l'avrebbe condotto alla tomba entro un paio di giorni. Ghignando sdegnoso Jay si abbandonò al calore della doccia, cercando ancora una volta di rimembrare le fattezze della ragazza.
Ricordava a stento che avesse i capelli biondi...
Com'è che si chiamava?
Candy? Ginny? Ruby? Gliel'aveva detto o no il nome?
Ma poi che importanza aveva? Era un fottutissimo sogno!
Qualche minuto dopo il trillo del cellulare lo svegliò dal suo stato di abbandono: Jay uscì dal box doccia, con l'acqua che ruscellava lungo la schiena e dai corti capelli castano chiaro, offuscandogli la vista. Quando si fermò sul tappeto una nuvola di vapore si levò dalla doccia, ma la ignorò. Indossò l'accappatoio rigorosamente bianco -al diavolo le cose colorate, era un uomo lui!- e aprì la finestra, sempre canticchiando.
Canticchiando, per altro, la stessa canzone anche mentre si faceva la barba e dopo, lavandosi i denti.
«Power of Love» fece, stizzito. «Sì, potere dell'amore un corno! Al diavolo Huey and The News.»
In quello stesso istante, mentre le voci di Beatrix e Jules lo raggiungevano attraverso la porta a vetri che separava il bagno dalla camera da letto del suo mini-appartamento, Jay realizzò di aver dimenticato la radio accesa. Un classico.
«Al diavolo anche Radio Hourglass.» concluse lanciando una ciabatta, che andò a cozzare con l'apparecchio.
La piccola radiolina cadde a terra lanciando uno sbuffo, ma Jay non se ne preoccupò: era più resistente di lui, ne era certo. Una volta era precipitata dal balcone -e lui abitava al terzo piano, mica poco!- e se n'era uscita indenne.
Come facesse a non procurarsi neanche un graffio -e ce ne voleva, era pur sempre una sua proprietà- rimase un mistero.
Con un asciugamano tra i capelli fradici Jay aprì la finestra permettendo al vapore di uscire, e si diede un'ultima occhiata allo specchio appannato: decisamente meglio, aveva perso un po' del pallore della notte.
Si vestì in fretta con una semplice maglietta verde muschio ed un paio di jeans, e acciuffò la giacca di pelle prima di uscire, insieme al cellulare sul comodino.
«Buongiorno caro ragazzo!»
Uscendo dalla porta Jay si trovò davanti alla faccia sorridente della vecchia signora Mao, sua vicina di casa che da tempo tentava di accasarlo con sua nipote di diciassette anni: la ragazzina era carina ma a lui piacevano decisamente più le bionde. Sopratutto quelle con gli occhi chiari.
«Buongiorno signora Mao» la salutò chiudendosi la porta dell'appartamento alle spalle. Tirò fuori le chiavi dalla tasca destra dei jeans e, dopo aver fatto scorrere il dito sull'anello alla ricerca di quella giusta, la acciuffò e la infilò nella toppa ben conscio dello sguardo vispo della donna sulla nuca.
«Vai da qualche parte?»
Sentendosi lievemente a disagio il giovane sforzò un sorriso.
Era un po' come parlare con la signora in giallo...
«Ahem, sì... mio fratello mi aspetta all'aereoporto» rispose gentilmente tentando disperatamente di ricacciare in un angolo della sua mente la musichetta del telefilm. «E sono molto in ritardo signora Flet... ahem, Mao. Buona giornata!»
E scappò via prima che potesse ribattere o invitarlo a prendere il the per fargli vedere le foto della nipotina.
Scese le scale con la stessa velocità di un leone che insegue una preda particolarmente sfortunata o di uno che ha visto la sfiga in faccia... pardon, la morte: attraversò un corridoio prima di trovarsi davanti alla portineria.
Ora, non è che vogliamo dire che il nostro protagonista fosse particolarmente sfigato -o forse un po' lo era- ma aveva la (s)fortuna di abitare in un palazzo di gente strana, ecco tutto: la signora Mao, tanto per cominciare, e il vecchio Rodrigo -che con quel nome sembrava uno di quei classici sudamericani di un filmetto di serie B, o una soap opera di terz'ordine- tanto per finire, il portiere del palazzo che aveva una pancia così grossa da fare invidia a un cocomero, una canottiera -che si sospettava avesse cucita addosso dalla nascita- che si intravedeva sotto la camicia, un sombrero e un fucile che amava mostrare a mo' di cimelio di guerra.
«Oh ciao!» lo salutò vedendolo.
Lui gli rivolse un sorriso cordiale, uscendo.
«'Giorno signor Guirao, passi una buona giornata!» augurò uscendo con la segreta speranza che non lo richiamasse per mostrargli la sua collezione di armi d'epoca.
Che poi okay avere i propri hobby ma... Dio, aveva i brividi da quando il signor Guirao gli aveva mostrato la sua collezione di foto di organi umani. Raccapricciante.
E non è che s'impressionasse spesso, eh.
Pregando segretamente che la giornata si volgesse al meglio si diresse verso il garage in cui, ogni sera, sistemava la sua adoratissima piccolina, l'unico amore della sua vita. E no, non era un cavallo e nemmeno una bambola gonfiabile pervertiti!, ma una moto.
Una MV Agusta F41000 Senna rosso fiammante, ad essere precisi.
Estrasse dalla tasca gli occhiali da sole -ray ban del '67 dalla montatura bianca che erano appartenuti a suo padre- , per il tempo della strada, perché il sole picchiava indisturbato quel giorno, con nessuna nuvola all'orizzonte, e lui odiava camminare con gli occhi ridotti a due fessure come un gatto.
Fortunatamente l'officina si trovava a pochi isolati dal suo appartamento, così quattro angoli, qualche svolta e una manciata di passi più tardi, Jay scoprì la saracinesca già in parte sollevata.
Non del tutto sorpreso bussò sulla superficie a strisce e ricevette solo un cupo borbottio dall'altra parte. Tuttavia, fu una conferma: infilò la punta del suo stivale marrone nella fessura -quei pochi centimetri che separavano la saracinesca dall'asfalto- e la sollevò.
«Eih, Bill.» salutò nessuno in particolare, entrando nelle penombra mentre ancora la saracinesca si stava sollevando, tanto che dovette abbassare la testa per entrare.
Non che raggiungesse il metro e novanta -come quegli spilungoni dell'NBA!- ma Jay poteva vantare una certa altezza che mescolata al suo fisico asciutto e all'intramontabile fascino dei suoi occhi facevano di lui un fotomodello perfetto.
No, va bene, queste erano state parole di Bella, la sua ex del liceo, un'ochetta senza cervello a cui preferiva non pensare.
Non appena la luce del sole invase l'angusto spazio, agli occhi del ragazzo si presentò una macchina rossa col cofano spalancato -a mostrare un motore ancora fumante- ed un pulviscolo irritante che galleggiava nell'aria.
Di Bill non vi era traccia, ma Jay riconobbe i suoi piedi in quelle due ombre che sbucavano da dietro la ruota sinistra.
Afferrò il cappello appeso al chiodino, lo smosse per spostare la polvere ed avanzò bussando sulla carrozzeria.
Con un sobbalzo -ed un conseguente frastuono di oggetti metallici a contatto con l'asfalto- l'uomo sbucò dalla macchina, spingendo indietro il carrellino nel quale era sdraiato, e gli rivolse un'occhiataccia minacciosa.
Occhiataccia che, però, non sortì l'effetto sperato, perché il volto di Bill era una maschera di olio e carbone.
«Non farlo mai più, razza di idiota!» lo accolse l'amico, con voce ruvida, agitando la chiave inglese. Jay sorrise di rimando, risollevandosi in piedi. «Ciao anche a te Bill, è un piacere rivederti. Come stai? Tutto bene, grazie per l'interessamento, e tu?»
«Spiritoso.» biascicò Bill passandosi un braccio sulla fronte imperlata di sudore, con la conseguenza di sporcarsi ancora di più.
 Personalmente, Jay non aveva idea di quanti anni si fosse lasciato alle spalle, ma era certo che avesse superato la cinquantina, a giudicare sia dai capelli brizzolati -più tendenti al grigio che al nero, ormai- e alle rughe che solcavano perennemente la sua fronte, anche se non troppo evidenti;  in ogni caso, era stato assistente e amico di suo padre, quando ancora era vivo, e Jay lo conosceva da quando era uno scricciolo di appena tre anni.
 «E comunque, che cosa vuoi? Così lustro e pulito non avrai avuto la brillante idea di lavorare, vero?»
«Sai che ore sono?» Jay non aspettò che rispondesse, né si curò di mostrargli l'orologio, che teneva al polso tanto per far contento suo fratello. A lui, per controllare l'orario, bastava il cellulare.
 «Speravo di trovarti già vestito e sbarbato, Bill. Hai dimenticato che giorno è oggi?»
«Il giorno in cui finalmente ti avrò licenziato?» scherzò Bill, che rifiutò la mano di Jay per rimettersi in piedi. «Cretino, quale parte della frase "non sporcarti" non cogli?»
Jay ritirò la mano, tramontando gli occhi al cielo -Bill e i suoi modi sgarbati, non sarebbe cambiato mai!-, e si voltò a tamburellare le dita sul tavolo di legno grezzo mentre Bill si rimetteva in piedi e si toglieva i guanti luridi.
Il tavolo era ingombro di attrezzi, cartine stradali, cartacce, macchie di inchiostro e di olio, scheggiature da urto, un giornale spiegazzato -sintomo che l'amico l'aveva letto prima di lavorare- e penne gettate alla rinfusa come tanti piccoli serpenti.
«Allora, immagino vorrai la tua moto. E' per questo che sei venuto qui, no? Oltre che per farmi da cane da guardia, si intende.»
 «Non posso portare la mia piccola con me, oggi.» rispose invece Jay, in parte dispiaciuto. Beh, e suo fratello dove l'avrebbe messo, sul cofano?
«Non mi dirai che era una visita di cortesia, allora?»
«Ho bisogno di una macchina, Bill. Hai qualche idea?»
Bill si tolse il cappellino e lo gettò lontano, cercando di centrare il chiodo infisso alla parete -inutile dire senza successo- e si strofinò le mani l'una contro l'altra. «Che genere di macchina vuoi?»
«Ricordati che devo andare a prendere Archie.» e Gwen, ma questo Jay non lo disse.
«Ho afferrato il concetto.» fece Bill, cambiando tono, e si diresse a passo sicuro in una direzione precisa.
Ed era così, Bill, un uomo di poche parole che preferiva i fatti e agiva di conseguenza. Jay si identificava in lui, per certi versi, per questo si era subito affezionato.
Comunque quando si avvicinò per esaminare la macchina scelta dall'amico rimase quasi senza fiato: ottima scelta quella di Bill, senza dubbio.
Un'Alfa Romeo Mito nera, una di quelle a cui Bill era più affezionato -perché l'aveva guidata un paio di volte da giovane- e che Jay mai avrebbe creduto di poter utilizzare.
Quando si sedette al posto del guidatore saggiò cautamente lo sterzo, quasi avesse timore di romperlo, e alzò uno sguardo incerto in direzione di Bill, che annuì fiero, dando una pacca al fianco dell'auto e lanciandogli le chiavi che Jay afferrò al volo.
«Trattamela bene, hai capito?»
Jay annuì senza pensarci due volte. Poi un sorriso riconoscente pizzicò le sue labbra.
«Grazie, Bill.»
«Smettiamola con queste smancerie, e muoviti. Non vorrai che tuo fratello faccia la muffa, no?»
Di tutta risposta il ragazzo inserì le chiavi e quando mise in moto il rombo del motore sotto il sedile e sotto i piedi gli iniettò una scarica di adrenalina.
Si parte, pensò sollevando gli angoli della bocca.



* https://www.youtube.com/watch?v=WK0z87WrhGo minuto 3:03


~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

M
a salve!
Piaciuto questo primo capitolo di apertura? Si? No? A me e alla mia collega, Lady Holmes, si e pure un sacco (quanta modestia o.o n.d. L.H.)!v.v
Questa storia ci sta totalmente sconvolendo - e molti di voi, tra cui La sposa di Ade che salutiamo e ringraziamo per la sua gentile recensione sanno quanto sia difficile scrivere in coppia- e ciò è male. Perchè probabilmente non smetteremo di scriverne/parlarne/tentare di farci un film e pubblicarla
E perchè no? Un giorno potremmo anche decidere di mandarla a una casa editrice!
Ma tanto non la accetterebbero mai.
Ah, già, sono Lady Holmes nel caso non si fosse capito...
E non essere così pessimista! [n.d Miss Watson]
Comunque questo capitolo inizialmente doveva essere più lungo, ma poi abbiamo deciso di dividerlo in due. Quindi nel prossimo avremo ancora la presentazione del protagonista e della sua vita, ma tranquilli, l'azione non verrà a mancare. Ogni dettaglio che noterete qui è fondamentale per lo svolgersi della storia ;)
Che cosa ne pensate di Jay? E di Bill? In ogni caso, come sapete abbiamo scelto degli attori prestavolto, ergo, qui di seguito troverete Jay e Bill :D (in ordine di comparsa... ogni volta che comparirà un personaggio importante avrete la sua foto, non temete! ;) Se preferite non intaccare la vostra immaginazione potete anche non guardare, a noi non cambia! :D) Ma, come dire, uomini/donne avvisati mezzi salvati! v.v
Ci auguriamo che continuerete a seguirci e farci sapere cosa pensate della storia, noi siamo disponibili e aperte a tutte le domande, le richieste e i dubbi, quindi non temete :)
Compare, vuoi aggiungere qualcosa?
No, penso che li abbiamo torturati abbastanza XD
Quindi saluti dal magn... ahem fenomen.. ahem no, vabbeh dal duo Hourglass/gwapple!
E se ci tenete ecco a voi la nostra personale pagina autrici: https://www.facebook.com/#!/pages/Hourglass/118871514848691

***

1. La piccolina di Jay:

 
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2. La macchina scelta da Bill: 

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3. Il nostro Jay A. Denver: 

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4. William (Bill) White:

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Detto questo, alla prossima! ;)





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Capitolo 3
*** 2. ***


Timeless 2
Capitolo 2




Jay A. Denver stava controllando il tabellone degli arrivi: l'aereo proveniente da Londra di suo fratello era atterrato da poco, quanto ci voleva per prendere la valigia? Era stato forse attaccato dalle sfingi della sfortuna infinita?
Sbuffò, incrociando le braccia al petto: se c'era una cosa che odiava era aspettare.
Non aveva mai amato troppo aspettare -e sua madre era convinta che fosse per questo che i suoi pancake facessero così schifo- ed era abbastanza certo che farlo fosse da sfigati: lui amava prendere subito le cose, non era un tipo molto paziente, sbraitava anche sul più piccolo ritardo. Certo, il più preciso tra lui ed Archie era il secondogenito di famiglia ma, ehi, lui era sicuramente meno distratto!
«Jay!»
Al sentire quella voce il giovane sorrise e si voltò.
Intercettò una mano agitarsi al suo indirizzo, e un ragazzo con una camicia bianca e dei jeans neri affrettare il passo per raggiungerlo, trascinando dietro di sé due pesanti valigie.
Archie Denver era suo fratello minore -ma questo penso che i nostri lettori lo avranno capito benissimo- ed era stato praticamente figlio suo dopo la morte di loro padre: era un ragazzo alto, ma lui lo superava di tutta la testa, dai capelli ricci e castano scuro e gli occhi dello stesso castano della loro madre.
Ciò che colpiva di lui era il sorriso eternamente allegro, dolce e forse un po' ingenuo e lo sguardo da supercervellone per cui Jay lo aveva sempre bonariamente preso un po' in giro.
«Archibald!» lo apostrofò di rimando, scompigliandogli la zazzera scura.
«E non chiamarmi così!» si lamentò suo fratello.
In risposta Jay rise e afferrò la valigia che Archie aveva mollato per terra -figuriamoci, l'unico peso che quella femminuccia riuscisse a reggere erano i libri e nemmeno quelli!- sollevandola senza alcuno sforzo.
«Beh, non sono io quello col nome di un nonnino, Archibald.» ghignò, rimarcando l'accento sull'ultima parola.
Archie fece una smorfia ironica, e solo in quell'istante Jay capì quanto gli fosse realmente mancato.
 Ma, ovviamente, non l'avrebbe mai ammesso.


*


Il maggiore dei Denver caricò il bagaglio in macchina e poi si accomodò sul sedile del guidatore -dopo aver aperto la portiera a suo fratello, da bravo gentilman, ed essere stato mandato allegramente a quel paese- sistemando lo specchietto retrovisore -e aggiustandosi la piega di un sopracciglio, nel frattempo-.
Una volta in macchina Jay sintonizzò la stazione su Radio Hourglass -era una specie di rituale per lui- prima di mettere in moto, sorridendo verso suo fratello.
«Sei sempre fissato con queste due?» volle informarsi Archie, levando un sopracciglio.
E' da specificare: Archie non odiava Julie e Beatrix, solo trovava alquanto strana la passione di Jay -quello stesso Jay che cambiava una ragazza a settimana con la stessa facilità con cui una persona normale cambia i calzini- per due ragazze totalmente sconosciute di cui aveva sentito solo le voci.
In risposta suo fratello tramontò gli occhi.
«E tu sei sempre così rompiballe? Queste due, come le chiami tu, sono due...»
«Lo so Jay, lo so: due sventole da paura che sanno cosa vogliono i veri uomini.» Archie alzò gli occhi al cielo, annoiato, mentre Jay annuiva con forza.
«Appunto! E poi hanno carattere e fanno ridere! Penso che invece tu dovresti proprio rivedere le tue priorità in campo femminile, eh.»
E Archie, diplomaticamente, preferì non rispondere.
Prima di fermarsi a prendere Gwen, e anche questo era un rituale che apparteneva solo a loro, Jay e Archie avevano l'abitudine di fare una sosta al Caffè d'Europe, uno dei più rinomati della città: e così fecero anche quel giorno, dato che avevano un'ora abbondante e -come al solito- Jay non vedeva l'ora di tormentare il fratello minore.
E meno male che la curiosità è donna. Signori miei, miei cari e affezionati lettori -non so in quanti leggeranno queste pagine e francamente non voglio pormi il problema- la verità è che la curiosità è assolutamente e fermamente ermafrodita: e con questo non voglio offendere nessuno, figuriamoci, ma ci tengo a sottolineare che nessuno debba insistere con questi maschilismi del cavolo.
Chiarito questo punto, andiamo avanti.
Dunque, Jay scostò la sedia di suo fratello -che pregò tutti i santi che conosceva per non lanciargli una tazzina- sotto le risate divertite delle cameriere e le occhiate perplesse dei camerieri.
«Siediti, tesoro!»
«Jay...» sbuffò Archie, a metà tra il divertito e il puramente esausto.
«Oh, non dire nulla, già lo so: sono il tuo uomo e non mi cambieresti con nessuno!»
A quel punto no, Archie non avrebbe voluto lanciargli solo una tazzina: avrebbe voluto esercitare la sua mira con l'intero servizio da the.
Jay scoppiò sinceramente a ridere vedendo due cameriere confabulare tra loro e indicarli ridacchiando.
«Ok, fratellino, scusa. Ora ordiniamo e soddisfiamo i nostri pancini!» il tono assunto dal ragazzo fu quello di un padre - o di una madre vagamente apprensiva, dipende dai punti di vista- verso il figlio più piccolo.
Archie si chiese quando sarebbe cresciuto.
Probabilmente mai, si rispose.
«Ehi, bellezze!» fece, ammiccando verso le due cameriere di poco prima le quali si scambiarono uno sguardo malizioso e giocoso insieme e si avvicinarono a loro con un sorrisetto sulle labbra.
I loro cartellini recitavano: Bonnie e Naomi. Due nomi un po' particolari, pensò Jay, ma non per questo meno belli.
«Possiamo aiutarvi?» cinguettò Bonnie, con aria solare. Naomi tirò fuori il suo block notes, servizievole, senza tuttavia proferire parola; pareva vagamente corrucciata.
«Sì beh... Una fetta di torta alle mele con panna e fragole, un muffin al cioccolato, dei biscotti al cioccolato e... Ah si, tre ciambelle e una cioccolata calda per me, dolcezze.» Jay fece loro l'occhiolino, facendole ridacchiare
«Abbiamo un amico che mangia tanto quanto te, sai?» fece Bonnie, divertita. Poi passò a guardare Archie che aveva tutta l'aria di stare considerando seriamente l'idea di un qualche crimine nella sua vita precedente -giusto per spiegare il suo essere in una gabbia di matti- e gli sorrise con aria materna.
«E per te?»
«Un the e una fetta di torta al pistacchio.» bofonchiò il più giovane, imbarazzato.
Le due ragazze si allontanarono pimpanti.
«Simpatiche, vero?» fece allegro Jay.
Aveva tutta l'aria di un bambino che vede per la prima volta un parco giochi, e Archie non ebbe davvero cuore di obiettare -perché, a dirla tutta, quelle ragazze gli avevano fatto l'impressione di conoscerli da sempre-.
Si limitò a sollevare un sopracciglio, vagamente scettico.
«Si può sapere dove hai intenzione di mettere tutto quel cibo?»
«Perché?»
«Come fa il tuo stomaco a contenere tutta quella roba?»
«Segreti del mestiere, fratellino.» Jay gli fece l'occhiolino e Archie non poté fare a meno di ridere con lui.
Il maggiore ancora una volta si ritrovò a riflettere su quanto, finalmente, si sentisse a casa. Solitamente non era un tipo che amava la folla e le persone in generale -attribuiva la colpa del suo atteggiamento misantropo alla lettura di Sherlock Holmes di Conan Doyle, uno dei tanti esempi che confermavano il fatto che tutti i migliori avevano sempre un certo odio per la razza umana- e si sentiva sempre come messo fuori posto in un mondo tanto ampio e vario.
Non che ritenesse di essere migliore degli altri o roba simile, semplicemente non credeva che ci fosse qualcuno che potesse comprenderlo appieno, e soffriva per questo -anche se non l'avrebbe mai ammesso, ovvio, come non avrebbe mai ammesso tante altre cose che ad elencarle ci si potrebbe scrivere un'enciclopedia-.
Ma con Archie era diverso. Con lui era libero di essere se stesso, come con Bill. Loro conoscevano ogni suo più piccolo segreto -non che amasse parlare di sé, anzi, evitava di farlo il più possibile- ma, almeno a detta dei due, i suoi occhi erano come un libro aperto.
Dannati loro.
«Comunque» cantilenò Jay giocando distrattamente con il menù che le cameriere avevano dimenticato sul tavolo. «Contento di essere di nuovo qui?»
«Suppongo di sì» considerò Archie senza scomporsi, calmo e posato come sempre «E' bello respirare di nuovo questo smog, sai?»
Jay rise, dandogli uno scappellotto sulla nuca -e si dovette perfino allungare sul tavolo per raggiungerlo!- e Archie lo imitò scuotendo i lunghi capelli. «Eih, volevi la sincerità, no?»
«Razza di idiota, non cambierai mai. E dimmi, secchione, all'università come va?»
«Come sempre.» questa volta il minore scelse di non pronunciarsi. «Ma smettiamola di fingere, entrambi sappiamo benissimo che non te ne frega un fico secco delle materie che devo dare agli esami, vero?»
«Tu sì che mi capisci.»
«Ottimo, quindi immagino che sia inutile raccontarti delle mie notti insonni sormontato dai libri e spossato dallo studio, giusto?»
Jay corrugò le sopracciglia, massaggiandosi il mento. «Vuoi dirmi che tu hai rinunciato a delle selvagge notti di passione con la tua mogliettina per corteggiare degli stupidi fogli di carta ingialliti?»
L'espressione di sufficienza che gli rimandò indietro suo fratello fu una conferma. Jay fece un gesto eloquente e volgare -attirandosi immediatamente gli sguardi oltraggiati degli altri commensali e quello di rimprovero di Archie-. «Lasciatelo dire, fratellino: tu sei un idiota.»
«Noto che il tuo umorismo non è cambiato di una virgola, eh?»
«Nemmeno la tua tontaggine.»
«Gentile come sempre.»
«Moccioso.»
«Torta.» si aggregò la cameriera Naomi, con lo stesso tono.
Il che mise fine alla discussione.
Naomi poggiò le loro ordinazioni sul tavolo e poi si diresse verso un altro tavolo, chiamata da un anziano: in quel momento la porta si aprì e tre personaggi fecero la loro comparsa.
Jay addentò la sua torta seguendo con curiosità le due ragazze che erano entrate chiacchierando e ridendo amabilmente tra loro, mentre il terzo si guardava in giro con aria decisamente affamata.
«Non lo sai che fissare la gente è maleducazione?» fece Archie, attirandosi di nuovo la sua attenzione.
Jay sorrise, bevendo un pò di cioccolata.
«Non lo sai che sei un dannato saccente? Dovresti divertirti di più.»
«Io mi diverto anche studiando.» ribatté Archie.
«Non mi riferivo proprio a quel divertimento, fratellino.» fece presente, con un'espressione più che indicativa.
Archie borbottò qualcosa di piuttosto simile a ''maniaco'' e tornò a dedicare le proprie attenzioni al suo dolce: Jay nascose un ghignetto dietro un altro morso alla torta e tornò a guardare i tre arrivati che in quel momento si stavano sedendo: le due ragazze gli ricordavano qualcosa... Ma cosa?
Poi notò la maglietta della prima -Radio Hourglass the best- e la spilla sulla giacca dell'altra e capì.
«Oh porc...» imprecò seriamente impressionato. Archie lo guardò stupefatto mentre si alzava e si avvicinava al tavolo in cui le due erano sedute insieme a un terzo e lo prendevano in giro per la sua voracità nel divorare metà di una torta al cioccolato.
Ma certo, erano le speakers di Radio Hourglass!
Come aveva fatto a non riconoscerle subito?
Eppure aveva visto decine di volte le loro foto e ogni mattina ascoltava le loro voci! E le due cameriere che si fermavano a ridere e parlare con loro... ma, ehi, si conoscevano per caso?
In quell'istante Jay pensò che quelle due gli stessero più che simpatiche.
«Salve!» salutò, in visibilio.
Jules e Beatrix si voltarono verso di lui, sorridendo: al vederlo, però, la prima sbarrò gli occhi e la seconda arrossì vistosamente.
Povere, avevano appena provato quello che lui definiva "effetto Jay".
Beatrix, identificabile nella ragazza dallo sguardo castano e la risata più vivace, si schiarì la gola e gli sorrise.
«Oh... salve!»
«Io mi chiamo Jay, sono un vostro grandissimo ammiratore! Seguo sempre la vostra radio, ogni mattina è praticamente la mia sveglia e beh ragazze, lasciatevelo dire ma siete fantastiche...»
A quelle parole entrambe arrossirono e ridacchiarono: a vederle così erano due ragazze come altre, ma Jay sapeva che in realtà erano le donne dei suoi sogni. Ne era matematicamente sicuro.
Quale donna amava la musica anni '80 e aveva una tale ironia? Quale donna parlava con disinvoltura di ogni argomento, anche il più imbarazzante?
E, infine, quale donna sapeva fare battutine a doppio senso senza imbarazzarsi?
Ecco questa era la lista di motivi che spingevano Jay a desiderare di sposarle. Entrambe.
Ma già il fatto di conoscerle era decisamente un passo avanti.
«Grazie.» rise Beatrix.
«Se vogliamo dirla tutta tu invece sei un grandissimo figo.» aggiunse Jules, scatenando l'ennesima risata a cui si unì anche lei.
«Comunque cowboy, cosa ti spinge al nostro tavolo?» chiese Beatrix, ammiccante. Jay sorrise allo stesso modo, mettendo sul tavolo un foglietto e una matita -strappati praticamente dalle mani della cameriera Bonnie-: le due si guardarono in faccia e risero.
«Il nostro numero?» scherzò ancora Beatrix, per poi impugnare una matita e avvicinare il foglio.
Era piacevole parlare con loro, sembravano essere totalmente a proprio agio.
Jay ottenne il suo tanto agognato autografo -ma anche il loro numero e diede a quelle due il suo- e riuscì a scattare una foto con entrambe le sue speakers preferite e una con ognuna: salutò le due promettendo che avrebbe chiamato alla stazione radiofonica, e che sarebbe andato a trovarle, e loro promisero che gli avrebbero procurato la maglietta della Radio, autografata.
Quando suo fratello lo vide tornare tutto contento non ebbe cuore di incrinare il suo entusiasmo con qualche battutina acida.
Insomma, Jay era un bambino. E tale sarebbe rimasto per l'eternità, amen.
«Emh» si limitò a commentare, e Jay, tutto gongolante com'era, si incupì di colpo, nascondendo il foglietto adorato nella tasca anteriore della giacca di pelle, e a lavoro ultimato puntandogli un indice sotto il naso. «Sta' zitto.»
«Ma non ho detto nulla.» fu la replica sorpresa.
«Bravo ragazzo.»
Archie si ritrovò a scuotere la testa con un mezzo sorriso, esasperato e insieme divertito dai modi del fratello. Poi, senza aggiungere altro, infilzò la sua torta al pistacchio.
«Sono felice di essere di nuovo qui, comunque... davvero.» concluse, sincero, e Jay alzò improvvisamente lo sguardo su di lui, colpito.
«Anche io sono felice che sei tornato.» borbottò imbarazzato, per poi schiarirsi la gola e tornare a rivolgere gli occhi al dolce. «Ma adesso non farti strane idee, non sei mica così importante!»
Archie rise apertamente: sì, gli erano mancati da impazzire quei siparietti comici.



Mentre l'asfalto scorreva sotto le ruote quasi senza suono e il motore ruggiva ad ogni svolta, con le ombre dagli alberi ai lati della carreggiata che si inseguivano sul parabrezza, Jay passò in quarta.
«Va' piano.» lo redarguì Archie, rigido contro il sedile. Il fratello sbuffò, premendo il piede a tavoletta sull'acceleratore e sorridendo in direzione del più piccolo.
«Come sei insofferente.»
«Se poi ci andiamo a schiantare contro un albero darò la colpa a te.»
«E se invece ritardiamo dalla tua fidanzatina darò la colpa a te.»
Archie si girò verso il finestrino con un sospiro e Jay decise di ignorarlo: accese distrattamente la radio e affacciò una mano dal finestrino, per saggiare la consistenza dell'aria coi polpastrelli. Era un'abitudine che lo rilassava, lo faceva sentire libero.
«Te l'hanno mai detto che se passa un camion nell'altra corsia ti potrebbe tranciare la mano? Hai lo stesso dannato vizio di papà!»
«E a te hanno mai detto che sei terribilmente pedante?»
«Mi adori anche per questo.»
Jay ritirò la mano, tanto per farlo contento. «Mi hai beccato, dannato ragazzino.»
«Eih, non sono più un ragazzino!» gli fece noto Archie, fingendosi offeso e corrugando la fronte come se avesse detto una bestemmia. «Il mese prossimo compio ventidue anni, ricordi?»
«Non sto mica a pensare sempre a te, tesoro.» lo stuzzicò Jay, per poi spalancare gli occhi, alzando il volume della radio. «Hold the line!*» spiegò, in risposta allo sguardo confuso del fratello.
Jay iniziò a tamburellare le dita sul volante seguendo il ritmo, scandendolo con movimenti del capo.
«Hold the liiiiine,» gli puntò un dito contro, pretendendo che cantasse «Love isn't aaalways ooon time, oh oh oh!»
«Oh oh oh.» gli fece eco Archie, poco convinto, trattenendo a stento una risata.
«Più ispirato, fratellino, o vuoi che il dio Toto ti abbrustolisca con un fulmine?»
«Il dio Toto?» Archie sollevò un sopracciglio, mentre suo fratello, durante un assolo di chitarra particolarmente articolato proveniente dalla radiolina, costringeva lo sterzo a diventare il suo personale tamburo «Non sapevo che ti fossi convertito ad una nuova religione.»
«Ci sono tante cose di me che non sai, baby.»
«Oh per favore.» commentò Archie, ironico, tornando a guardare il finestrino. «Eih, gira a destra, siamo arrivati!»
«Davvero?» domandò Jay preso alla sprovvista, abbandonando l'idea di continuare il suo spettacolo e riportando le mani sul volante per sterzare. Un attimo dopo però il suo entusiasmo scemò. «Così presto?»
La casa di Gwen era una villetta in stile vittoriano, molto graziosa e di un arancio pastello, con un giardino ordinato e punteggiato di aiuole colorate ricche di api ed uno spiazzo spoglio che si apriva di fronte alla saracinesca del garage. La cassetta delle lettere era di un candido bianco, e su di essa due colombe tubavano indisturbate.
Jay rallentò all'ombra dei faggi fin quando Archie non gli indicò la casa e a quel punto frenò, rimanendo col motore acceso.
Il più giovane, con una mano già sulla sicura della portiera, si girò all'indirizzo del fratello, come ricordandosi qualcosa solo in quel momento.
«Jay.»
«Sì?»
«Comportati bene, intesi?»
L'altro fece una smorfia strafottente.
«Mi stai forse facendo la ramanzina? Ti avverto che sono ancora io il maggiore.»
«Sai cosa intendo: Gwen. Ogni volta che vi incontrate succede qualcosa. Se non ti dispiace, questa volta vorrei evitare.»
«Sei noioso.»
«Come ti pare, basta che fai il gentile con lei, va bene? Non è troppo difficile.» gli diede una fiduciosa pacca sulla spalla e poi finalmente uscì.
Quando si fu allontanato all'interno del giardino perfettamente tagliato e verdissimo -all'inglese, come negli stadi-, Jay gli fece il verso.
«Non è troppo difficile.» lo scimmiottò, con una voce infantile che in effetti non corrispondeva a quella del fratello; ma, come si dice, chi se ne frega.
Poi alzò ulteriormente il volume della radio e continuò a canticchiare tra sé la canzone, facendosi trascinare dai bassi della chitarra e dai movimenti delle dita e del mento.
Al diavolo Gwen Paxton, doveva sempre stare tra i piedi?
Non è che fosse veramente geloso di suo fratello - geloso lui? Ma figuriamoci!- solo, ecco... gli sarebbe piaciuto avere più tempo da passare con Archie.
Magari anche solo per portarlo in un fast food e parlare di sport. Jay sarebbe stato pronto ad ascoltare anche gli interminabili racconti sugli esami del suo fratellino, ma almeno sarebbero stati insieme.
Sospirò piano: l'unica cosa positiva di quella giornata era stato l'incontro con le due speakers di Radio Hourglass. Magari le avrebbe chiamate dopo pranzo...
Tanto Archie si sarebbe fatto rapire da Gwen e lui sarebbe rimasto solo con sua madre - che probabilmente si sarebbe cimentata nella lavorazione dei bignè al pistacchio, una ricetta che aveva trovato tempo prima su internet- e con Bill che avrebbe letto il giornale, grugnendo di tanto in tanto per far capire di essere vivo.
Nessun problema, quindi...
Fu riportato coi piedi per terra dall'aprirsi della portiera: Gwen entrò nell'auto ridacchiando per qualcosa che Archie le sussurrava all'orecchio.
Indossava una giacchetta bianca sopra una camicetta rosa e arancione, a fantasie geometriche, e portava i lunghi e ondulati capelli neri sciolti, a ricadere sulle spalle, e aveva la pelle leggermente abbronzata.
«Ciao, eh.» fece seccato.
Lei alzò un paio di occhi neri su di lui, sempre sorridendo.
E dio, Jay sentiva di odiare profondamente quel sorriso.
Non che lui odiasse chi sorrideva -accarezzava il pensiero di sposare qualcuno che sorridesse spesso- ma il fatto era che Gwen sorrideva per qualsiasi cosa. E sottolineo qualsiasi.
Era una di quelle persone che riuscivano a starti antipatiche a pelle.
«Ciao Jay!» cinguettò lei.
Evitando di uscirsene con qualche battuta su quanto sembrasse un canarino - Archie non glielo avrebbe perdonato, lo sapeva- Jay si limitò a un sorriso storto e a mettere in moto.
«E' un piacere stare con voi, ragazzi!» rise Gwen, stringendo la mano di Archie.
Il piacere è sinceramente tutto tuo, pensò Jay, ma evitò guardando la strada. Non voleva mica sbattere contro un palo della luce o una cabina telefonica!
«Oggi mi sembri più allegro, Jay!» fece presente Gwen.
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio, ma suo fratello pensò bene d'intervenire.
«Sì, ha incontrato le sue beniamine... le spekears di Radio Hourglass!» raccontò. E in quel momento Jay si ripromise di ammazzarlo dolorosamente.
Gwen lanciò uno strilletto eccitato.
«Davvero? Uh, io adoro Radio Hourglass! Ma sapevi che sono fidanzate?» fece, eccitata come una bimbetta davanti ai regali di Natale. «O meglio la cugina della sorella dello zio del nipote del nonno del macellaio del carpentiere del portinaio del palazzo da dove trasmettono radio Hourglass ha detto alla zia della vicina della maestra della sorella...»
«Taglia corto.» le suggerì Jay, tentando di mantenere un tono neutro.
«Oh, hai ragione! Comunque mi hanno detto che hanno visto due ragazzi con loro, spesso... non so se siano i loro fidanzati o meno, ma dicono siano estremamente carini.» Gwen lanciò uno sguardo verso Archie -avete presente negli anime quando la protagonista di turno guarda il figo con i cuoricini e uno sfondo rosa con cuori rossi e rose dietro? Ecco, proprio quello!- «Mai quanto te, amore mio!»
Urgh.
Un attacco diabetico.
«Davvero? E dire che Jay sognava di sposarle entrambe!» lo prese in giro suo fratello.
«Non saranno due ragazzi qualsiasi a fermarmi, fratellino.» ribatté Jay con aria compunta, mettendo così fine alla discussione.
Il resto del viaggio -passato tra coccole e bacini e "amore-mio-quanto-ti-amo/ti-prego-zuccherino-io-ti-amo-di-più!" e attacchi di diabete del nostro Jay- trascorse troppo lentamente per i gusti del nostro protagonista: quindi, per amore del vostro livello di glucosio, ve lo salteremo. Fidatevi, un giorno ci ringrazierete.
O almeno, il vostro diabete e i vostri denti lo faranno.
Comunque Jay parcheggiò a pochi metri da casa di sua madre: Susan viveva in una deliziosa villetta vicino al centro cittadino, quel giorno particolarmente affollato di famigliole e coppiette ansiose di trascorrere una bella giornata, ma anche di gruppetti di ragazzine ridacchianti, che rendevano praticamente impossibile parcheggiare più vicino.
Jay prese il pacchetto con la torta che aveva acquistato al bar dove lui ed Archie avevano fatto colazione mentre quest'ultimo aiutava la sua bella a scendere e le sorrideva innamorato.
Pff. Patetico.
Jay alzò gli occhi al cielo e s'incamminò davanti a loro, pregando Spongebob, Buddah e qualunque altra divinità di far finire presto quella giornata: dopo pochi minuti stava suonando al campanello di sua madre.
Susan Denver era una donna dalla fisionomia dolce e sottile: aveva perso il marito giovanissima e da allora non si era più sposata. Che Jay ne sapesse non stava frequentando qualcuno, e non ne sentiva nemmeno l'esigenza. Era felice: dopotutto, aveva lui e Archie, e in Bill aveva riscoperto un valido amico.
«Tesoro!» lo salutò la donna, abbracciandolo di slancio.
«Ehi, mamma.» ricambiò dolcemente Jay, passando la torta a Bill che con un cenno sparì in cucina per metterla in frigo: tanto si sapeva che era una torta/semifreddo alla fragola, la preferita di Susan.
«Archie, amore!» Susan passò a stritolare anche il piccolo di famiglia, per poi allontanarsi ed osservarlo come una classica mamma apprensiva e soddisfatta. «Come ti sei fatto grande!»
«Andiamo, mamma, sono passati solo sei mesi!» rise Archie mentre Gwen gli prendeva la mano con uno sguardo dolce.
«Genevieve, oggi sei uno splendore.» concluse Susan, accarezzando una ciocca della ragazza che sorrise riconoscente. «La ringrazio, signora Denver. Lei invece è sempre più bella ogni volta che la vedo.»
Jay fece una smorfia, quasi a scimmiottarla, ma Bill -silenziosamente ritornato al loro fianco- parve accorgersi del suo gesto e così il maggiore dei Denver scelse di distendere nuovamente il volto, a scanso di equivoci.
«Oh, non è adorabile?» celiò la donna, rivolgendosi direttamente a Jay che annuì con decisione -o esagerazione, come avrebbe corretto Archie- «Oh, sì, certo, senz'altro. Più che adorabile. Adorabilissima. Un vero tesoro.»
«Jay, potresti andare ad apparecchiare la tavola?» gli chiese Susan e Archie si associò, ispirato. «Sì, Jay, vai ad apparecchiare.»
«Ma certo, con molto piacere.» sillabò con un largo sorriso falso. Un attimo dopo scoccò ad Archie uno sguardo alla con te faccio i conti più tardi, e si incamminò verso casa, seguito a ruota da Bill.



* https://www.youtube.com/watch?v=eHhWc8EbxOU minuto 0:55



To be continued
~



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Capitolo 3

«Ma posso sapere quale diamine è il tuo problema?» esordì Archie, inferocito. «Perché non la sopporti? Gwen ti adora!»
Peccato che la cosa non fosse esattamente ricambiata..
«Non ce l'ho con lei» ribatté vago Jay. Archie alzò un sopracciglio osservandolo con la stessa espressione compassionevole che si riserva a un bambino particolarmente testardo.
«Mi stai prendendo in giro? Jay! Non sono stupido, lo vedo!»
«Non è lei a darmi fastidio.» ribatté ostinato.



~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

B
uonasera!
Ehi gente! Come va? Qui è la vostra Miss Watson che vi parla, mentre la mia compare è andata a provare a catturare il suo acerrimo nemico... no, okay scherzo -non abbiamo un cane in comune per fortuna!- e saluto tutti coloro che sono giunti fino a questo punto!
Questo capitolo mi soddisfa -e ci soddisfa- molto xD Sì, Jay nutre una particolare passione per Radio Hourglass, l'amiamo anche noi!, e sì in questo capitolo molte delle comparse sono state inspirate da persone vere v.v
Archie fa la sua apparizione, dunque! xD Povero, con quel nome anche io avrei usato un diminutivo v.v
E della sua ragazza? Che ne dite?
Ora a me Gwen non sta antipatica: anzi! E' una ragazza molto dolce, affetta semplicemente da una ridarella ossessiva compulsiva -mi ricorda la ragazza di mio fratello, una che anche con un ''ciao'' ride. Così, senza motivo- che Jay non sopporta semplicemente perchè rappresenta tutto ciò che di nuovo è nella vita di Archie: fratelli gelosi, chi non ne ha mai avuto uno?
E ah sì: con Archie e Gwen tenete sotto portata un po' d'insulina che non si sa mai :D
Detto questo, passo la parola a Lady Holmes che a quanto pare è appena tornata dalla sua missione per catturare il professor James Moriarty... Com'è andata?xD
Tutto bene, ovviamente. E' stato... elementare, Watson.
Ha fatto la battuta!
Taci, adesso è il mio turno, tzk!
Egocentrica.

Gnè gnè!
Comunque, la mia compare ha già detto tutto ciò che c'era da dire, io posso solo aggiungere che questo è il diretto seguito dello scorso capitolo, che per motivi di spazio abbiamo diviso in due parti (ma che mai rimetteremmo assieme perché ci piace assai come l'abbiamo diviso, sì sì) ed è ancora una presentazione del personaggio u.ù.
Jay A. Denver è ormai così reale nelle nostre teste che potremo direttamente iniziare lunghe conversazioni con lui ** Chissà se è fiero delle sue mamme, dalla nostra noi siamo più che orgogliose di lui <3.
E del suo fratellino Archie, non dimentichiamolo. Tanto amore anche a lui e Gwen. <3 Più sotto abbiamo allegato le immagini dei due piccioncini, se vi va di dare una sbirciata. Per quelle di Jay, Bill, della moto e della macchina vi rimandiamo allo scorso cap! :P
Ringraziamo tutti i lettori incondizionatamente, e in special modo coloro che hanno inserito la storia tra le preferite o le ricordate o le seguite e ancora chi ha recensito (spargiamo cuoricini per voi!): ergo dedichiamo il capitolo a Sakura Georgina Nakamura, La sposa di Ade, Halo J Phoenix, Misanthropy, valentinamiky, sattolo e ShadeFlash (per altro avete tutti dei nickname troppo fighi! °ç°).
Ci auguriamo di non avervi deluso, e altresì che la storia vi stia piacendo, che vi stia appassionando anche solo un po' ;)
Io credo di aver finito... Watson, hai altro da aggiungere?
Uhm veramente.. Ah sì. Che spero tanto che continuate a seguirci :D
E... Basta xD
Molto loquace v.v Comuuunque, arrivederci al prossimo capitolo, saluti da quelle pazze di Beatrix e Jules di Radio Hourglass alias Lady Holmes e Miss Watson! =3
E ricordate: La musica è la voce dell'anima!




***

1. Archibal (Archie) S. Denver:

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2. Genevieve (Gwen) Paxton:

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Detto questo, alla prossima! ;)

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Capitolo 4
*** 3. ***


Timeless 3
Capitolo 3




All'interno l'ambiente era fresco e odorava di viole: le pareti rivestite di legno e i morbidi divani donavano alla dimora un aspetto confortevole ed accogliente.
Tutto ciò, mescolato alle cornici sul tavolo del soggiorno, riportarono a galla i suoi ricordi d'infanzia: quella, del resto, era stata la sua abitazione per ben ventitré lunghi anni. Dopo che Archie si era trasferito all'università, però, la casa era diventata particolarmente vuota.
A Jay era dispiaciuto dover salutare la madre, ma non se l'era sentita di respirare quell'aria di nostalgia e ricordi, e così aveva scelto di affittarsi un appartamentino vicino all'officina, in modo da non dover prendere in prestito ogni volta la macchina di sua madre.
Varcò l'uscio della cucina e mentre raccoglieva i piatti in una colonna sul suo braccio, l'occhio gli cadde sulla cornice adagiata sopra il forno a microonde.
La foto al suo interno ritraeva suo padre, Josh Denver, coi capelli lunghi e biondi, una leggerissima barba ed uno splendido sorriso, con in braccio lui e Archie da piccoli, con il volto della moglie Susan poggiato sulla sua spalla.
Jay ricordava perfettamente dove era stata scattata, e in che occasione: era una domenica di marzo, in un boschetto, per una scampagnata in famiglia. Susan era bellissima, così giovane e solare, coi capelli scuri dai riflessi ramati a causa del sole, e il maglione color lavanda con lo scollo a V che mostrava il rosario.
Sempre presente, la croce di legno scuro, come ciondolo a cingere il collo della madre: era una fervente religiosa, specialmente da quando era morto suo padre. Lui e Archie non avevano ereditato la stessa fede.
Comunque, nella foto Archie non poteva avere più di cinque anni: i capelli soffici e castano chiarissimo, gli occhi grandi e scuri e in mano una foglia larga e di un verde impressionante. Jay al suo fianco ne aveva nove, di anni: un sorriso felice, una spruzzata di efelidi e una cascata di capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi, comodo nella sua camicetta a quadretti blu e bianchi.
Si fermò ad osservare quella foto più del necessario, incapace di distogliere lo sguardo: non si definiva un ragazzo triste, però... c'era qualcosa, in quelle foto, forse un pizzico di innocenza, o un sorriso sfuggente, che gli rammentavano con particolare pressione che quei tempi felici non sarebbero più tornati.
Soprattutto la consapevolezza che Josh Denver, l'atletico e premuroso Josh Denver, sarebbe morto esattamente un anno dopo, in un tragico incidente sull'ascensore.
Al tempo di quella foto, Josh non poteva certo prevedere che avrebbe potuto godere ancora così poco della sua famiglia. Se Jay l'avesse saputo, avrebbe evitato di litigarci per via della partita di baseball a cui suo padre sarebbe dovuto andare, per vederlo giocare. Se l'avesse saputo, avrebbe evitato di accusarlo per il ritardo. Se solo avesse saputo perché non era sugli spalti...
Archie lo ricordava a stento: era troppo piccolo per aver avuto il tempo di affezionarsi seriamente alla figura paterna. Ma Jay... Jay lo ricordava benissimo: a volte rivedeva le vecchie registrazioni in videocassetta solo per risentire la sua voce, per scorgere il suono della sua risata quando spingeva lui e Archie sull'altalena, quando lo afferrava da sotto le ascelle e lo faceva girare in aria, mentre Susan riprendeva la scena con la telecamera, ridendo senza pensieri.
Eppure perderlo era stato un colpo. Jay lo rintracciava ogni giorno, suo padre... quando si rifletteva allo specchio, e ogni volta che qualcuno dei vecchi amici del suo genitore gli stringeva la mano per presentarsi, commentando con un: «Hai gli stessi occhi di tuo padre.»
«Ti sei incantato?»
Jay sussultò e si rizzò sulla schiena all'improvviso, rischiando di farsi sfuggire i piatti di mano. «Eh? No... no, sto arrivando.»
«Prendi anche il sale e il rosmarino.» Bill, tuttavia, era meno duro del solito. Jay non voleva la sua compassione, quindi si schiarì la gola e si maledisse per essersi fatto scoprire a fissare quella vecchia foto.
«D'accordo.» concesse, grato di aver qualcosa da fare e di potergli voltare le spalle. Sentì i suoi passi strascicati condurlo fuori dalla porta e finalmente solo Jay si lasciò andare ad un lungo sospiro.
Doveva smettere di rimuginare il passato: Susan, Bill, Gwen ed Archie lo stavano aspettando.
Sarebbe stata una bella giornata, una di quelle indimenticabili.
Una di quelle memorabili, e Jay avrebbe fatto in modo che lo diventasse.
Così, prendendo una grande boccata d'aria si incamminò verso le scale: adesso doveva solo affrontare la compagnia di Gwen.
Andiamo, che poteva mai essere? Lui aveva affrontato il liceo: cos'era una ragazza affetta da ridarella convulsiva, in confronto?

*

Il pranzo, nonostante tutto, fu molto piacevole.
Gwen, per esempio, ebbe il buon senso di non rivolgergli la parola: ma più che di buon senso si trattava di essere impegnata a farle gli occhi dolci ad Archie che, divideva equamente la sua attenzione tra la sua fidanzata e il piatto che aveva davanti.
«Ancora un po' di welsh rarebit, Bill?» chiese Susan, porgendo un piatto al meccanico in questione. Bill annuì e si versò una generosa porzione di quello che era in realtà pane tostato e tagliato in triangolini ricoperto di salsa di formaggio, tuorli e birra.
«Per te, tesoro?» fece gentile la donna, spingendo il piatto verso di lui.
Jay scosse il capo.
«No mamma, grazie. Penso prenderò un po' di questo.» mormorò, afferrando il piatto di pasticcini gallesi.
Sua madre si sbizzarriva sempre in cucina: non era bravissima e tuttavia -ma questo Jay non glielo avrebbe mai detto- non l'avrebbe cambiata con nessuno chef al mondo.
«Signora, lei cucina magnificamente!» la elogiò Gwen.
Susan sorrise intenerita.
«Grazie, tesoro» fece, versandole della crema al formaggio fredda nel piatto. «Sono contenta di avervi qui!»
E il suo sguardo si posò sulla poltrona su cui John, suo marito, era solito sedersi per raccontare le fiabe ai loro figli.
Ma manca qualcosa, pensò Jay, socchiudendo gli occhi, manca qualcuno, manca la risata di papà e non si può sempre giocare alla famiglia felice. Lo sai anche tu, mamma. Lo sai.
Si sentiva soffocare. Si alzò.
Gli occhi di tutti i commensali si posarono su di lui, stupiti: Jay si schiarì la voce e sorrise.
«Vado a prendere il primo» annunciò sparendo in cucina.
Giunto lì sospirò, poggiando le spalle alla porta.
Dannazione, quella tristezza non era certo da lui!
Si passò una mano sulla fronte, sospirando. Poi, ammonendosi di recuperare un po' del vecchio Jay, si staccò dal legno -che aveva costituito la sua ancora di salvezza- e si diresse verso il banco da lavoro della cucina.
C'era una teglia di lasagne al ragù di pesce: Jay si sentì un po' meglio mentre iniziava a tagliare la pasta per distribuirla nei piatti.
Dopotutto le lasagne erano il suo piatto preferito.
Tornato in sala da pranzo Jay posò i piatti con le lasagne sul tavolo, spartendoli di fronte al volto affamato di ognuno dei cari.
«Grazie tesoro.» disse dolcemente sua madre, baciandogli con affetto una guancia. Jay le sorrise di rimando, sedendosi di nuovo per poi attaccare il suo piatto di lasagne, nemmeno fosse stato il battaglione di Cesare Borgia all'assalto di una fortezza nemica.
Sentì Susan alzarsi per prendere la teglia -tra lui e Bill non si sapeva chi mangiasse di più- e poi metterla a tavola e risedersi, iniziando a mangiare.
«Allora Archie, come va all'università? Non dici nulla alla tua vecchia mamma?» iniziò, agitando un boccone di lasagne come se fosse stata una bandiera.
«Non sei vecchia, mamma...» la blandì Jay.
Susan lo guardò con un sorriso.
«Non essere così galante, tesoro! Potrei arrossire.» ridacchiò
«No, a Cambridge è tutto okay.» disse allegro Archie. «Il professor Bennett si è trasferito, però.»
«Oh... Aspetta, chi era il professor Bennett?»
«Il professore di storia antica.» spiegò Archie.
Allo sguardo perplesso dei commensali Archie alzò lo sguardo al cielo.
«Alexandros Bennett Ares, quello alto coi capelli neri e gli occhi grigi. Dicono si sia trasferito a insegnare nel nostro vecchio liceo...» aggiunse, rivolto a Jay
Il fratello sogghignò.
Pover'uomo.
Il loro liceo era uno di quelli che venivano definiti ''impossibili''. Anche se ne erano usciti personaggi famosi.
Come Ben Light, lo scienziato che aveva recentemente scoperto il motore alimentato a cristalli di uranio e raggi solari, una nuova modalità di energia. Gli insegnanti erano stati severi e impeccabili nei loro abiti -specialmente la professoressa di matematica Nicholson, l'incubo della scuola-, eppure gli anni trascorsi tra quelle quattro mura non così terribili.
«Bei tempi, quelli del liceo!» commemorò il maggiore dei Denver, sognante.
«Quando venivi messo in punizione una volta ogni due giorni...»
«E quando saltavo le lezioni... sì.»
«E quando ti facevi le mie ragazze, eh?»
«Io non mi facevo le tue ragazze!» obiettò Jay, non esattamente sicuro. Archie si limitò a battere le palpebre.
«Mi sono fatto le tue ragazze?» domandò ancora Jay, sospettoso e sorpreso.
Gwen era sconvolta.
«Jenny, Lisa, Emily» elencò Archie sulla punta delle dita «E ci hai anche provato con la mia professoressa di ginnastica.»
«Eih, la signorina Yonson era una bella pupa!» si giustificò Jay, come se non fosse colpa sua, e Archie sospirò esasperato.
«E comunque sei tu che ti scegli sempre ragazze poco raccomandabili.»
Gwen impallidì, Archie si irrigidì e Jay si schiarì la gola, a disagio, occhieggiando la prima.
«Ma no, baby, chiaramente non sto parlando di te!»
Susan decise di intervenire prima che Archie potesse ribattere a tono e Jay venne riportato coi piedi per terra dalla sua voce.
«Ah si, lo conosco, il professor Ares. Mi pare che abbia una figlia.»
«Sì, Melanie. E' la figlia della prima moglie, che è morta in un incidente.» spiegò Archie, sollevato di poter cambiare argomento e sviare il discorso da lidi pericolosi. «La conosco perché si sta facendo strada come violinista, è venuta qualche volta a suonare al collage. Conosce anche Ben Light, da quel che so... sono molto amici.»
«Povera piccola. Crescere senza mamma! Che il Signore la benedica.» sussurrò Susan.
Ci fu un breve momento di silenzio, poi la donna riprese a parlare.
«In ogni caso, tra poco è Pasqua! Bisogna prepararsi per il pranzo.»
Jay alzò gli occhi al cielo.
Ma...
Pasqua sarebbe caduta la domenica del 5 Aprile, e ancora erano al giovedì 26 Marzo!
«Mamma, mancano ancora dieci giorni!» fece stupito.
Sua madre scrollò le spalle.
«Oh no-no, bisogna pensarci prima! Questa volta verranno anche zia Judith e zio Tom, bisogna stupire i nuovi arrivati!»
Quando parlava così sua madre gli faceva paura: Jay voltò uno sguardo supplichevole a Bill che, però, preferì prendere un'altra porzione di lasagne.
Infame traditore.
Susan stava giusto specchiandosi nella forchetta, quando se ne uscì con un allegro: «La Pasqua è un dono di dio, come la vita, Jay. Forse anche tu dovresti far qualcosa per ringraziarlo!»
Jay bevve un sorso di birra, con un ghigno sarcastico.
«Col cavolo che faccio il digiuno!»
E a conferma delle sue parole si infilò tra le labbra un ennesimo boccone, sotto le risate di tutti i presenti.




I pranzi a casa Denver non si consumavano mai in meno di un ora. Di solito la loro durata oscillava dalle due alle tre ore, a seconda del numero delle portate e dalla loquacità dei commensali.
Quel giorno poi, dato il ritorno di Archie dopo la bellezza di sei lunghi -ed interminabili a giudicare dallo sguardo languido che Susan gli rivolgeva-  mesi, la tradizione non era venuta a mancare: tra una chiacchiera e l'altra il sole aveva continuato il suo corso, con la sua luce che giocava con le loro teste, bagnando la tovaglia ad intervalli regolari, e donando un calore piacevole tutt'intorno.
Era pomeriggio inoltrato quando la famiglia Denver e compagni decise di prendere un po' di aria -e quel poco di sole che era rimasto- fuori.
«E' sempre rilassante stare qui.» chiosò Bill cercando una posizione più comoda sulla sedia a sdraio di legno posta in giardino. Jay, che come Archie, Gwen e Susan era seduto su delle poltroncine di legno con un morbido cuscino piatto e verde come rivestimento, non poté che essere d'accordo.
Si passò distrattamente una mano tra i corti capelli, aspirando quell'aria pura e incontaminata a pieni polmoni.
«E poi il tramonto è molto romantico.» si accodò Gwen, ma invece di indicare l'orizzonte dove le pennellate rossastre del sole tingevano i monti e le valli oltre la città, fece vagare gli occhi neri sul volto di Archie, che le sorrise con quell'espressione così innamorata che a Jay provocò il voltastomaco, e le diede un colpetto sul naso con un dito. «Mi ricorderò di invitarti più spesso allora.» le mormorò mentre lei cercava di nascondere il sorriso timido abbassando la testa. Lui le carezzò una guancia e si sporse per unire le loro labbra.
«Oh per carità, sono venuto qui per respirare aria pulita ed evitare possibilmente un cancro giovanile, e non per ammalarmi di diabete.» fece presente Jay, alzando di proposito la voce.
Bill scosse la testa, ormai avvezzo a quelle scene, mentre Archie e Gwen si separavano, l'uno paziente, l'altra imbarazzata.
«Tranquillo, sei troppo poco dolce e zuccheroso per ammalarti.» lo rassicurò Archie.
«Tu basti per tutti e due.» replicò Jay, perfido.
Prima che potesse scoppiare un diverbio Susan si mise in piedi, battendo le mani «E' proprio giunta l'ora del the.»
«Mamma!» si sconvolse Jay, teatralmente «E' Archie quello che si è trasferito a Londra, non tu! Noi siamo americani e gli americani non hanno l'ora del the.»
«Giusto, tu sei più da cowboy e hamburger, dico bene?» Archie lo conosceva meglio delle sue tasche, questo Jay lo sapeva. «Dannazione, sì!»
«Io vado lo stesso.»
Susan sparì nuovamente dentro casa e Jay rilassò la schiena contro il morbido schienale imbottito, lasciando correre lo sguardo all'orizzonte, dove un gruppo di rondini si era alzata in volo -ovunque tranne che sui due piccioncini!-.
Era rilassato e perfettamente a suo agio quando quella calma perfetta fu interrotta da un rumore sordo: qualcosa vibrò nella tasca dei jeans e Jay si affrettò ad estrarre il cellulare, con la fronte aggrottata.
Chi diavolo lo poteva cercare a quell'ora?
Lesse il messaggio sul suo Nokia 3310 e sbuffò, rilassato.
«Di chi è?» volle informarsi Archie e Jay sorrise apertamente. «Del presidente, fratellino! Vuole eleggermi come suo successore!»
Gwen, tanto per cambiare, rise, e Jay si infastidì per questo: all'improvviso odiò perfino la sua stessa battuta.
«E' la Vodafone.» lo corresse Bill, rivolgendosi direttamente ad Archie «La fidanzata ideale per Jay, che gli ricorda a quanto ammonta il suo credito.»
«Che cosa romantica.» si intenerì Archie, ironico.
«Non preferiva le speakers di radio Hourglass?» domandò Gwen e Archie rise con lei «Forse è più facile conquistare la Vodafone!»
«Che ingrati.» borbottò Jay come un bambino mentre Archie alzava un sopracciglio, mantenendo il mezzo sorriso.
«Sul serio?»
«Cosa?»
«Usi ancora quel rottame?» il sopracciglio del fratello non sembrava aver intenzione di scendere. «Ma quanti anni ha, trenta, quaranta?»
«Questo gioiellino è indistruttibile, baby! Quasi più della mia sveglia, il che è tutto dire.» Jay gli agitò il cellulare sotto il naso. «E poi ha snake!»
«Oh santa pazienza.»
«Sei un uomo di poca fede, Archie! E poi sono un tradizionalista, lo sai.»
«Ma dovresti stare a passo coi tempi, sai... sì, insomma, ormai si usano i touch. I tasti sono superati.»
Jay scosse la testa: lui non si sarebbe piegato alla tecnologia. «Sono uno spirito libero, io, e questa è ancora una democrazia. E poi non ho intenzione di comprarmi un i-phon!»
«I-phone.» rettificò l'altro.
«E io che ho detto?»
«E' i-phone, con la e finale.» spiegò Archie, con fare accademico. «E' un telefono, non un asciugacapelli».
«Al diavolo la e!» Jay ripose il cellulare dentro la tasca, con un sorrisetto storto. «E comunque lo dico come mi pare.»
In quel momento tornò Susan, sistemando sul piccolo tavolino di legno chiaro cinque tazzine di the con una fetta di limone in ognuno ed una bustina, e una cesta di biscotti al cioccolato con delle stelle di zucchero.
«Ah-aaah! Archie, ti ricordi?» esaltato, Jay afferrò uno dei biscotti al cioccolato, mostrandolo al fratello come se fosse un reperto prezioso.
Archie si incupì e Gwen lo scrutò curiosa.
«Purtroppo sì.» commentò il minore dei Denver. «Per inciso: sei irritante.»
Jay ghignò malvagiamente, tutto contento, addentando il biscotto e Gwen guardò prima l'uno e poi l'altro, accigliata.
«Lei non può capire, poverina.» la difese Bill, mentre anche Susan prendeva posto al loro fianco, masticando un biscotto, con la tazza di the fumante già in mano. «Che cosa?»
«La paura irrazionale di Archibald per questi biscotti.» illustrò Jay, con gli occhi che brillavano.
Archie strinse le labbra, come un bimbo mortificato.
«Archibald?» rise Gwen coprendosi la bocca con una mano per nascondere il biscotto che stava masticando.
«Archie, tesoro.» pretese il bruno, per poi rivolgere al fratello un'occhiataccia. «E comunque la mia era una paura razionalissima. E' stata tutta colpa tua e delle tue storie dell'orrore.»
«Dell'orrore, addirittura!»
«Sì, dell'orrore. Avevo tre anni, ero un bambino. E tu mi hai terrorizzato. Sai, ho pensato spesso, da grande, di chiamare il telefono azzurro e denunciarti.»
«Che bambino pauroso!»
«Ricordami perché non l'ho fatto.» Archie assunse un tono minaccioso ma Jay rise al vedere la sua espressione.
«Quale storia dell'orrore?» Gwen era sempre più curiosa, e Jay era consapevole di avere la vittoria in pugno. Ancora una volta.
«Niente, amore. Ti piace il the?»
«No, adesso la voglio conoscere anche io.» si aggiunse Susan, con lo sguardo complice al di là della cortina di fumo.
«Andiamo, è una sciocchezza!» cercò di rabbonirle Archie, ma Jay ne approfittò per ritagliarsi la sua buona dose di attenzione.
«Una volta dissi ad Archie che le stelline erano state poste sui biscotti dall'omino dello zucchero, che scendeva sulla terra, rapiva i bambini, li portava in cielo e li trasformava in granellini bianchi e dolciastri.»
«Quanto zucchero.» fu il commento di Bill.
«Che storia tragica.» fu quello di Susan, senza lasciar intendere se fosse seria o ironica.
«E' carina, invece!» fu quello di un'entusiasta Gwen. «Cosa c'è di spaventoso? Io trovo che sia magnifica, e anche tanto dolce.»
«Zucchero a parte, la tua fidanzata ha ragione.» Jay si abbandonò contro la poltrona, come un vecchio imprenditore dopo una lunga giornata di lavoro ad osservare le oscillazioni delle quotazioni di borsa, con un patrimonio alle spalle. «Sei stato tu che hai frainteso ciò che volevo trasmetterti. La mia era un'adorabile perla di saggezza, fratellino!»
«E così trasformare dei bambini in zucchero lo trovi adorabile? Per anni ho avuto il terrore delle finestre: le chiudevo sempre prima di andare a dormire per paura che l'omino dello zucchero potesse rapirmi e ridurmi a diventare il condimento di uno stupidissimo biscotto!»
Jay scoppiò a ridere e Susan, Bill e Gwen, incapaci di resistere, lo imitarono. E quella risata fu così contagiosa che perfino Archie si accodò a loro, sicuro che non avrebbe mai potuto arrabbiarsi davvero con lui. Anche se a volte era infantile e capriccioso e assolutamente imbarazzante e inopportuno, era pur sempre il suo fratellone, quello che lo aveva difeso contro i bulli beccandosi spesso un occhio nero, che lo aveva accolto nel suo letto durante i forti e rumorosi temporali che lo terrorizzavano, che gli aveva fatto il solletico fino a mozzargli il fiato.
Quando si furono calmati un po' -mentre Gwen si asciugava le lacrime dagli occhi per le risate, Bill riprendeva fiato e Susan si sventolava una mano per farsi aria- Jay portò la tazza alle labbra, saggiando sulla punta della lingua il piacevole calore del the.
«E' delizioso.» si complimentò Gwen, e Jay si trattenne a stento dal risponderle: "aggiorna il tuo repertorio, darling!".
«Grazie.» Susan osservò Gwen a lungo, come riflettendo improvvisamente su qualcosa. Poi sui suoi occhi passò una luce estasiata che non prometteva niente di buono. «Ma sai cosa sto pensando, cara? Che il mio vestito da sposa ti starebbe d'incanto!»
Jay si affogò con il the e si ritrovò a tossire per sopravvivere mentre Bill, felice di potersi finalmente rendere utile e partecipe, lo aiutava con delle pacche sulle spalle, e Archie stesso se n'era uscito con un «Cosa?» quasi isterico.
«Sposarsi?» formulò Jay con gli occhi lucidi e la voce rauca, quando ebbe ottenuto un po' di ossigeno e il the, che aveva involontariamente intrapreso la via della trachea, tornò indietro.
Poi lanciò ad Archie uno sguardo terrorizzato. Il minore accavallò le gambe, nervoso. «Ma no mamma, cosa dici, ancora è presto...»
«Già, non avevamo ancora mai parlato di matrimonio.» si accodò Gwen, tesa, sempre mantenendo il sorriso, però.
«Ma quel momento arriverà!» continuò Susan elettrizzata alla sola idea di vedere il suo figlio minore in smoking e di commuoversi per il suo successo.
«Prima devo finire gli studi.» cercò di rimediare Archie, mentre Jay continuava a tossicchiare. «E comunque abbiamo ancora ventun'anni... c'è tempo per il matrimonio.»
«Stai scherzando?» si intromise Jay, attirando gli sguardi su di sé «No, seriamente, matrimonio? Non avrai intenzione di rovinarti la vita così presto, Archie!»
Archie non replicò, ma il suo sguardo era cupo e il sorriso di Gwen era sfiorito dalle sue labbra.
«Non essere così diretto» lo redarguì Bill mentre Susan si concedeva un altro sorso di the. «Un giorno anche tu incontrerai una ragazza e ti innamorerai, e a quel punto...»
«Sposarmi? Mai! Non sottostarò alla legge e ai voleri di una donna! E oltretutto, Archie ha ancora una vita davanti! Insomma... pargoli e giornali la mattina? No! Sarebbe come abbandonare la giovinezza, la libertà! Insomma, no! Magari tra dieci anni... venti...»
«Beh, comunque sarebbero affari miei.» volle ricordargli Archie, sentendosi escluso.
«No, fratellino, sei serio? Cioè... davvero?» Jay non poteva credere ai suoi timpani. «Non te lo permetterò! Vivi e poi ci pensi, al matrimonio.»
«Dovrei essere io a decidere, non tu.»
«Smettila con queste idiozie. Sei troppo giovane, e se poi te ne penti?»
Gwen si schiarì la gola, annunciando in tal modo la sua presenza, e si mise in piedi lisciandosi l'abito. «Vado un attimo in bagno.»
«Amore, ma...» Archie allungò una mano ma lei deviò il polso, allontanandosi veloce, e Susan si alzò a ruota per indicarle la porta.
Bill, per togliersi dai pasticci, borbottò che si era dimenticato qualcosa in casa.
Jay lo seguì con lo sguardo fin quando non sparì oltre il portico, promettendosi di dirgliene quattro, la prossima volta. Doppiamente traditore!
Nel prato erano rimasti solo lui ed Archie, quindi. E suo fratello aveva una strana espressione esasperata: e davvero, Jay non riusciva a comprendere cosa avesse sbagliato quella volta.
Non si poteva esprimere liberamente una propria opinione?
«Ma posso sapere quale diamine è il tuo problema?» esordì Archie, inferocito. «Perché non la sopporti? Gwen ti adora!»
Peccato che la cosa non fosse esattamente ricambiata.
«Non ce l'ho con lei» ribatté vago Jay. Archie alzò un sopracciglio osservandolo con la stessa espressione compassionevole che si riserva a un bambino particolarmente testardo.
«Mi stai prendendo in giro? Jay! Non sono stupido, lo vedo!»
«Non è lei a darmi fastidio.» ribatté ostinato.
Gi faceva male l'essersi reso conto che Archie fosse cresciuto, ecco tutto. Ma naturalmente non glielo avrebbe mai detto: non era tipo da sentimentalismi lui!
Seguì un attimo di silenzio.
Poi Archie sospirò.
«Ho capito, okay.» disse. Ma era arrabbiato, Jay lo sapeva bene. «Facciamo che non ne parliamo più.»
Ma non era del tutto sicuro che la questione fosse stata accantonata così facilmente.

*

Molto più tardi, dopo aver salutato Susan e Bill e dopo che Jay le ebbe promesso di comportarsi bene, il nostro eroe aveva deciso -un po' perché si sentiva in colpa, un po' perché nonostante tutto era davvero un pozzo senza fondo- di offrire loro un gelato: così li aveva condotti a spasso per la città, parlando e scherzando con loro, infine si erano diretti verso la gelateria in cui Jay si riforniva sempre.
«Oh no!» gemette Gwen, frugando nelle tasche. «Ho dimenticato il telefono in macchina!»
«Te lo prendo io.» si offrì spontaneamente Jay, visto che l'Alfa Romeo era poco distante da lì.
Venne investito dalle occhiate stupite degli altri due: alzò le sopracciglia.
«Che c'è?» chiese, sulla difensiva.
Per tutta risposta Gwen gli gettò le braccia al collo, baciandolo sonoramente sulla guancia.
«Grazie, Jay!» cinguettò entusiasta, facendogli venire un principio di lordosi vista la foga con cui si era gettata su di lui. La spostò con burbera delicatezza, leggermente impacciato.
«Sì, sì, va bene, iniziate a entrare che io torno subito» fece, allontanandosi.
Archie sorrise, intenerito, sospingendo Gwen dolcemente verso la gelateria.
Anche la ragazza sembrava contenta.
«Che dolce! E' un orsacchiottone, in fondo!» ciarlò allegra.
All'immagine di Jay travestito da orso Archie non ce la fece: scoppiò a ridere con le lacrime.




Jay aprì lo sportello della macchina e gettò uno sguardo all'interno: oh, ecco il cellulare!
 Quella ragazza era davvero sbadata.
Ridacchiante e sbadata: Archie si era proprio scelto un pessimo partito...
Sorridendo in parte amaro al pensiero della quasi-lite avuta prima col fratello si fece scivolare il telefonino di Gwen in tasca, chiuse la portiera, azionò la sicurezza con le chiavi -e la macchina lampeggiò con uno squittio, in risposta- e fischiettando si diresse verso la gelateria, pregustandosi già un triplo cono al cioccolato con panna, granella di nocciole, salsa di cioccolato e la ciliegina sopra quando qualcosa lo riportò bruscamente alla realtà.
Andò a sbattere abbastanza violentemente contro qualcuno che stava -con molta probabilità- correndo e che era spuntato da un vicolo accanto.
Con un gemito strozzato perse la terra sotto i piedi, compiangendo così il suo povero sedere che aveva subìto una bella botta contro il selciato.
«Ti ho fatto male?» chiese qualcuno sopra la sua testa, con voce affannata.




To be continued ~



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Capitolo 4

«Sì, hai ragione.» si drizzò sulla schiena, rigido, rilassando le mani che, inavvertitamente, aveva stretto a pugno nella furia della lite.
«Ecco bravo, muoviti.» Jay modulò la voce in un tono che non ammetteva repliche.
«Tanto non ho bisogno di te.» strascicò Archie, per poi dargli le spalle e allontanarsi veloce.
Jay lo seguì con lo sguardo, con tutti i nervi a fior di pelle. «Su, dai, corri! Che non vorrai farla aspettare, poverina! Dai, va' da Gwen!»
Archie si voltò un'ultima volta, lanciandogli uno sguardo cupo e pieno di risentimento. «E tu, Jay, va' al diavolo




~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! *-*
Dite la verità: non ve lo aspettavate, vero? Buhahahaha >:D
Si, siamo tanto ma tanto crudeli a lasciarvi così, ne siamo consapevoli ma... la trama prima di tutto! LOL
Chi sarà la strana persona ad essersi scontrata con Jay? Sarà importante o no? Noi naturalmente, stronze come siamo, vi lasceremo sulle spine! :3
Quindi penso che sia meglio passare a questo capitolo e costruirci una graaande fortezza in cui nasconderci. Che ne dici socia? XD
Sono d'accordo! *inizia ad ammassare pietre come se stesse innalzando un muretto*
Mentre la mia collega inizia la costruzione, miei cari, vi tocca sorbirmi!XD Anzitutto, che ne pensate di Josh Denver?
E del povero Jay che fissa la sua foto e insegue i ricordi che riguardano il suo papà? Non è assolutamente adorabile?
Della serie, coro di: ma veramente no ._.
Lo ammetto: mi ha fatto una... Lady Holmes! Ma non può essere un pò più dolce per una volta?O-o
Ma non sono io, magari ai lettori il nostro beniamino non piace, che ne so io v.v a proposito, una domandina spassionata... COME FATE A NON AMARLO?! D: Ok basta mi ritiro >> *si nasconde*
Ma nessuno ha detto di non amarlo!
Bisogna abbracciare tutti, eh!
Ma parliamo di cose serie...
Oh, d'accordo: a chi ha fatto tenerezza Jay? Alzate la mano, su! O in alternativa lasciateci una bella recensione :D
A proposito di questo, ringraziamo tutti coloro che stanno leggendo questa follia, e specialmente chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, catturate, rapite, legate e chi più ne ha più ne metta *-* un ringraziamento particolare, poi, va ai meravigliosi recensitori dello scorso capitolo: una bella fetta di torta alle mele preparata personalmente dai fratellini Denver, dunque, va a Halo J Phoenix (la J sta per Jay vero?? :D *manie di egocentrismo* *Miss Watson da' un colpetto sulla nuca di Lady Holmes*), valentinamiky, La sposa di Ade, mizuki95 e ShadeFlash *___*
Ma Jay fa schifo a cucinare O.o
Shh, dettagli, questo i lettori non lo sanno! *tappa la bocca alla collega*
Comunque ragazzi, siete  fantastici :D E se avete domande, dubbi e perplessità non esitate a chiedere!
Abbiamo aperto anche la nostra personalissima pagina di facebook!XD Per spoilers e quant'altro potete trovarci qui: https://www.facebook.com/pages/Timeless/182176118576389
Tra qualche giorno aggiorneremo anche gli album fotografici con le immagini dei personaggi, ed anche altre immagini create da noi -disegni, simboli, collage e quant'altro- e in una cartella apposita anche tutto ciò che viene dai fan -quindi se avete qualche fan art in mente non vergognatevi! ;) -.
Un'ultima cosa, per quanto riguarda la trama: in questo capitolo iniziamo a notare una certa tensione tra i due fratellini. Porterà a niente di buono? Lo scoprirete nel prossimo capitolo. Per altro... nel prossimo si chiude la, diciamo, presentazione dei personaggi e della situazione, per dar via alla trama vera e propria. Quindi... cosa aspettate? Seguiteci! :D
*Miss Watson offre fazzoletti a tutti* Fidatevi, ne avrete bisogno! Giusto Lady Holmes?
Oh, a chi lo dici! *inizia ad asciugare lacrime* ma... beh, insomma, al prossimo capitolo cari! :D
Io e la mia collega vi auguriamo una buona lettura e speriamo che il capitolo vi abbia appassionato! Ma... di chi sarà la voce finale lo scoprirete solo nel prossimo capitolo!
Ricordate: La musica è la voce dell'anima!
A presto :D





***

1. Welsh Rarebit mangiato in casa Denver:

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2. L'indistruttibile Nokia 3310 del nostro protagonista:


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3. Suzanne (Susan) Denver
:

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4. Josh Denver (con la giacca di pelle nera che ha "ereditato" Jay):

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Capitolo 5
*** 4. ***


Timeless 4
Capitolo 4




«Sì, beh, insomma. Amico, seriamente, dovresti badare a dove metti i piedi: non puoi travolgere così i passanti!» rispose, accettando di buon grado la mano che gli veniva offerta. Si spolverò i vestiti e, finalmente, alzò lo sguardo sul suo assalitore.
Era un ragazzo.
 E davvero, se fosse stato una donna Jay era sicuro che gli sarebbe saltato addosso.
Poteva avere la sua età ed era molto bello: capelli neri non troppo corti, grandi occhi azzurri che alla luce del tramonto sembravano assumere sfumature grigie e labbra sottili.
Lo scrutava con la curiosità ingenua di un bambino che la notte di Natale vede un enorme pacchetto sotto l'albero, ma il resto del volto restò impassibile.
Jay arrossì, scoprendosi a fissarlo come una scolaretta e tossicchiò, dandosi un contegno.
«Hai perso questi» gli comunicò lo sconosciuto con voce piatta, porgendogli qualcosa.
Eih un momento, i suoi occhiali!
Come aveva fatto a non accorgersi che erano caduti?
Erano gli occhiali da sole di suo padre, il suo portafortuna per eccellenza!
Jay li accolse nel palmo aperto, ancora mezzo stordito. «Ah... sì, giusto, grazie.»
L'altro si limitò a battere le palpebre corrugando le sopracciglia, poi il suo occhio cadde oltre la sua spalla e il volto perse colore.
Sembrava quasi aver visto qualcosa di sgradevole.
«Devo andare adesso. Fa' attenzione» infine, senza aggiungere altro, lo superò di corsa, lasciandolo interdetto con una mano ancora a mezz'aria.
«Sì, ciao anche a te» rispose Jay all'aria, per poi fare una smorfia con un'esclamazione beffarda.
Che strano tipo.
Jay scosse il capo: certo che se ne vedevano di pazzi in giro!
Si allontanò fischiettando, diretto verso la gelateria ed il suo ambito cono.



Una mezz'ora più tardi, dopo che Jay ebbe pagato i gelati, il nostro trio -i due Denver più Gwen- cominciò a camminare per le strade del centro cittadino coi coni in mano e gli sguardi rivolti ora alle vetrine ora alle persone che li circondavano. Gwen commentava tutto quello che vedeva, compresa una tipa che rassomigliava a una balena e che era uscita da un negozio stracarica di pacchetti o un innocente cane che indossava un maglione aristocratico ed era portato nella borsetta della sua padrona -che a dire il vero sembrava in tutto e per tutto la brutta copia di Paris Hilton-. Da parte sua Jay si limitò a dare pareri o a fare battute di quanto in quanto, scatenando la risata argentina di Gwen e il sorriso di suo fratello.
Forse poteva seriamente rivalutarla...
Comunque Jay quasi ingoiò di colpo il suo cono, strozzandosi per di più, quando un'automobile diede un allegro colpo di clacson accostandosi a loro.
«Ma che caz...» intercettò lo sguardo ammonitore di Archie quindi alzò gli occhi al cielo.
«Ehilà, Denver! Quanto tempo, eh?» celiò una squillante voce femminile, costringendolo a girarsi.
Decappottabile rosa, occhiali da sole rosa e un corto vestitino rosa. Bella era bella si, ma sembrava essere uscita dritta dritta dal video Barbie Girl di Aqua.
Jay se la immaginò con un braccino staccato mentre Ken Russel -il ragazzo in macchina con lei al posto di guida- la guardava con aria curiosa: e davvero, era strano pensare che al liceo Ken fosse stato il suo migliore amico.
L'ho sempre detto che non avesse cervello, pensò distrattamente il nostro protagonista mentre Archie bisbigliava all'orecchio di Gwen qualcosa, forse una spiegazione su chi fossero quelle due brutte copie di Barbie e Ken -oh dio, lo aveva pensato davvero? Beh, era una ovvia associazione di idee in fondo-: dal canto suo Jay sfoderò il sorriso più falso del suo repertorio.
Bella era una tipica ragazza californiana: capelli biondi lunghi e setosi, occhi verdi contornati da folte ciglia definite da un tocco di mascara e labbra carnose al punto giusto con una carnagione perfettamente abbronzata di chi si è steso per ore a rilassarsi sotto il sole -o in alternativa, si è fatto parecchie lampade-.
Ma era una bambina viziata e capricciosa, con la fissa per trucchi e moda che non faceva passare giorno senza comprare un gioiello tanto vistoso quanto costoso: non aveva fratelli o sorelle e a pochi anni dalla sua nascita sua madre era morta. Suo padre, quindi, aveva quell'unica figlia che trattava come fosse la luce dei suoi occhi -una volta Jay l'aveva seriamente sentito appellarsi a lei con quelle parole- e accontentava ogni sua più svariata richiesta, anche la meno contentabile.
Jay si chiedeva spesso, ripensandoci, come diamine avesse fatto a passare tre anni della sua preziosissima adolescenza dietro una ragazza così narcisista da sperare di trascinarlo al ballo di fine anno con la promessa di diventare re e regina della festa: per dio, non capiva che non gliene poteva fregar di meno?
Era stato quasi un sollievo, alla fine, scoprirla mentre baciava quel Phil O' Connor, uno del corso di scacchi, dietro gli spogliatoi. Un modo per liberarsene e uscirne indenne, ecco tutto.
Da quel lontano giorno -fatto di pianti isterici da parte di Bella che lo aveva spergiurato di perdonarla -con lui che si era rifiutato categoricamente. E del resto, sai che perdita, che poi non era stato lui a metterle le corna!- erano passati ben sette anni: e davvero, faceva strano vederli insieme. Anche perché lui e Ken erano molto legati ai tempi, dal momento che frequentavano insieme la squadra di baseball del loro liceo.
Jay ricordava ancora quei giorni, quando correva appresso ad una pallina minuscola che sfrecciava come un razzo e non sembrava volerne sapere di farsi prendere. Fortuna che il giovane Archie fosse sempre lì presente in prima fila a fare il tifo per lui!
In ogni caso, Ken Russel era uno di quei ragazzi che Susan aveva sempre definito tutto fumo e niente arrosto -o, usando le parole di Bill, tutto muscoli e niente cervello-: bello quanto bastava per compensare la sua stupidità agli occhi delle ragazze che ci provavano con lui quando erano state respinte da Jay. O mollate, che un po' era lo stesso.
«Barb... ehm, Bella! Quanto tempo, ma che piacevole sorpresa! Come stai? Dimmi, hai preso questa macchina direttamente delle industrie della Barbie o tuo padre è andato fino in India a cercarla della giusta gradazione?» chiese con falso tono cortese.
Bella ebbe un risolino.
«No, il mio papy non c'entra nulla!» fece orgogliosa «Il mio amoruccio però mi ha regalato questo gioiellino! Non è un tesoro da coccolare e strapazzare?»
«Assolutamente.» annuì Jay, alzando un sopracciglio con fare ironico: Ken guardava con aria interessata il portachiavi a forma di gatto, evitando il suo sguardo.
E le ipotesi erano due: o era davvero interessato a quel portachiavi o era in evidente imbarazzo. E Jay propendeva per la seconda.
E in fondo lo compativa. Bisognava che si fosse bevuto il cervello -sempre se Ken ne avesse mai avuto uno- per scegliere di stare con Bella!
«Ehi Denver!» lo chiamò Bella. «Perché non vieni a casa mia qualche volta? Abbiamo aggiunto un'enorme piscina! Potremmo benissimo rievocare i bei vecchi tempi!»
Prima che Jay potesse rispondere -era seriamente indeciso tra ma anche nonemmeno per idea- Gwen sciolse la presa dalla mano di Archie e si avvicinò alla macchina con aria decisa.
«Ascoltami bene, bambolina rifatta. Gli unici bei tempi che tu potrai rievocare saranno quelli passati in ospedale se non la smetti di fare l'oca con il mio futuro cognato! Hai capito o vuoi la dimostrazione pratica?»
Quelle parole vennero seguite da un minuto di silenzio durante il quale Jay e Archie guardarono Gwen con due perfette, identiche, espressioni da pesce lesso chiedendosi se la ragazza non fosse stata sostituita da una copia aliena. Da parte loro Ken e Bella la guardarono stupefatti: la seconda, anzi, un po' irritata.
«Io non sono rifatt...»
«Oh, per favore, sta' zitta!» ribatté serafica Gwen. «Barbie» soggiunse con disprezzo, prima di andarsene.
Archie e Jay la seguirono immediatamente, richiamati da un suo gesto irritato.
Quando Bella e la sua decappottabile furono spariti oltre l'angolo Jay concesse al fratello un'espressione sorpresa con tanto d'occhi e Archie reagì aprendosi in un sorriso. «Te l'ho detto che ti adora.» gli sussurrò e Jay, soffermandosi a studiare la schiena della ragazza si suo fratello, rifletté: in fondo, non era poi tanto male...

*

«Questo va bene secondo te?» Archie indicò un grosso uovo di Pasqua al cioccolato bianco, mentre Jay arricciava le labbra. «Troppo dolciastro. Andiamo sul sicuro...» picchiettò il dito sulla vetrina della pasticceria. «Pralinato alla nocciola!» illustrò in risposta all'occhiata accigliata di Archie.
Avevano lasciato dietro Gwen, in macchina, per comprare l'uovo per Bill. Archie e Jay sapevano che Susan era intollerante al cioccolato, ma al buon vecchio amico non potevano risparmiare un bel regalo come quello, specialmente sapendo che avrebbe portato il suo delizioso arrosto di agnello, come ogni anno in quel periodo.
Il pranzo di Pasqua nella loro famiglia sembrava quello del giorno del Ringraziamento, ma se si trattava di mangiare Jay non sapeva dir di no.
E mentre i loro riflessi si agitavano sulla superficie liscia della vetrina, Archie si massaggiava il mento.
«Non viene troppo pesante?»
«Non mi pare che Bill sia a dieta.» soggiunse Jay, con un sorrisino strafottente. «E a dir la verità nemmeno io.»
«O andiamo, è di Bill
A volte avere a che fare con lui era peggio che parlare con un bambino!
«Ma lo sai com'è fatto, no? Lo dividerà e lo spargerà come lingotti d'oro in giro, praticando la carità e la bontà.»
Archie nascose una risata con un colpo di tosse, dirigendosi verso la seconda vetrina, che esponeva una serie di dolciumi dai nomi improbabili e gli ingredienti ancora più strani.
«Un paio di questi per mamma? Forse non contengono cioccolato.»
«Einstein, non siamo mica ad Halloween.» commentò Jay «C'è ancora tempo per dolcetto o scherzetto
«Idiota.»
«Lattante.»
«Troglodita.»
«Spastico.»
Archie tramontò gli occhi al cielo e Jay rise dandogli una pacca sulla spalla «Eih, ci voleva! Insomma dopo tutto quello zucchero tra te e Gwen...»
«E quello di queste porcherie in vetrina...»
«Anche. Sì, insomma, capirai che in un qualche modo devo sopravvivere.»
Archie sbuffò.
«Non cambierai mai, eh?»
«Non ci penso neanche!» concluse Jay, come se fosse un affronto. «Sono già perfetto così.» aggiunse, imitando la voce di Bella, con un risultato piuttosto comico. «Ti piacciono i miei nuovi occhiali? Me li ha regalati il papy che è stato in Madagascar!»
Archie ghignò, mentre si avvicinava alla porta d'ingresso a vetri del negozio. «Non la ricordavo così odiosa! Mi chiedo come tu abbia fatto a sopportarla.»
«Ah beh, quello me lo chiedo anche io.»
Varcarono la soglia annunciati dalla campanella all'ingresso, e immediatamente una gentile inserviente si accostò a loro con un gran sorriso disponibile, chiedendo se avessero bisogno del suo aiuto.
Jay sorrise come un imbecille -o almeno così direbbe Archie- all'indirizzo della moretta, pronto sicuramente ad usare la sua tecnica di conquista, così il minore decise di intervenire. «Stiamo dando solo un'occhiata, grazie.»
«E che occhiata» sogghignò Jay assestandogli una gomitata, una volta che la ragazza si fu allontanata. Archie replicò con un'espressione esasperata.
Iniziarono a girare per gli scaffali pieni di colori e dolciumi, investiti di tanto in tanto dal profumo del cioccolato e delle confezioni imporporate. Ad un tratto, di fronte ad un recipiente di ovetti, Jay acciuffò un piccolo carrello verde e iniziò a riempirlo.
«Oh, andiamo!»
Il maggiore dei Denver alzò un sopracciglio, in sua direzione «Cosa?»
«Hai appena finito di mangiare, Jay! Come fai ad avere sempre fame? E  poi siamo qui per l'uovo di Bill, ricordi?»
«Sì ma è quasi Pasqua, fratellino!»
«Non avrai intenzione di vestirti da coniglio?» indagò Archie, che ormai non si stupiva più di niente. Jay fece una smorfia «No, a meno che non voglia finire arrosto.»
Archie si arrese all'idea che le conversazioni con suo fratello non sempre approdassero ad un senso logico.
«Forse così sono abbastanza...» si inserì ad un tratto, notando che Jay continuava a schiaffare dentro il carrello ogni schifezza che avesse stuzzicato la sua -maniacale- curiosità.
«Dobbiamo fare provviste, baby! Sono certo che in questi giorni di attesa pre-pasqua noi due, spaparanzati sul mio divanetto di fronte ad una bella partita di baseball alla tv, ci rimpinzeremo di schifezze, proprio come ai vecchi tempi!»
Il suo entusiasmo era disarmante, non c'era che dire.
Archie si schiarì la gola, standogli dietro. «Che tu mangerai, vuoi dire.»
Jay lo ignorò, così coinvolto dal disegno di uno strano biscotto a forma di barchetta su una confezione dai colori sgargianti. Dopo uno scrupoloso esame degli ingredienti ed un'alzata di spalle ficcò anche quello nel carrello e si immesse nel reparto successivo.
Archie diede un'occhiata all'orologio: le sei e un quarto. «Eih, Jay?»
«Mmm?»
«Lascia stare le girandole di zucchero, per favore.» aggiunse poi mentre il fratello riponeva la busta al suo posto, schifato. «Troppo zucchero, hai ragione: ne ho abbastanza. Oh, guarda, gli sciroppi all'ananas!»
«Jay! Gwen ci sta aspettando, potremo comprare quell'uovo per cui siamo venuti e andarcene?»
«Perché tanta fretta?» commentò Jay prendendo due confezioni di lecca lecca. «Coca cola.» gioì poi, umettandosi le labbra «La tua preferita, ricordi?»
«Perché dobbiamo ancora riaccompagnare Gwen a casa e scaricare i bagagli, Jay!» ribadì Archie, che iniziava ad irritarsi da tutta quell'indifferenza.
«Oh, per i bagagli non è un problema, posso portarteli io visto che sei un mollaccione!»
Il fratello sospirò, cercando di calmarsi.
«E poi una volta che avremo lasciato Gwen abbiamo tutto il tempo che vogliamo, quindi di cosa...»
Jay si bloccò come se avesse realizzato qualcosa solo in quel momento, e lanciò un'occhiata fulminea ad Archie. «No aspetta... perché tu vieni con me, giusto?»
Archie strinse le labbra. «Mi dispiace, ma ho promesso a Gwen...»
«Hai promesso a Gwen?» quasi urlò Jay, improvvisamente dimentico di trovarsi in un locale pubblico.
«Jay, per favore...» lo ammonì Archie preoccupato. Jay abbassò il tono della voce, senza mollarlo con gli occhi per un attimo. «E così vai da Gwen?»
«E' la mia ragazza.»
«E io sono tuo fratello!»
«Lo so, ma le ho promesso che sarei andato da lei. Dai, che male c'è, possiamo sempre incontrarci per...»
«Che male c'è? Cavolo, Archie, non ci vediamo mai! Scendi una volta ogni sei mesi, ti vedo a stento due volte l'anno, e quando finalmente arrivi vai da Gwen?»
Qualche cliente troppo curioso rivolse loro occhiate confuse mentre li superavano e Archie si guardò intorno a disagio, schiarendosi la gola.
«Senti, mi dispiace, non pensavo che ti avrebbe dato fastidio.»
«Non pensavi, appunto!»
«Per favore... possiamo parlarne fuori?»
Jay si guardò intorno mordendosi con rabbia l'interno della guancia, poi distrattamente abbandonò il cestino verde su un ripiano e uscì a grandi falcate, inseguito a breve distanza dal più giovane.
«Credevo che fosse una tradizione!» sibilò Jay una volta che entrambi ebbero nuovamente calpestato il marciapiede.
«Non è la fine del mondo, sarà solo per qualche giorno.»
Jay distolse lo sguardo, seguendo con gli occhi le macchine che si susseguivano per la strada, e i passanti persi nei loro pensieri.
Doveva calmarsi... doveva porre fine a quella reazione da donna mestruata.
Ma davvero... la delusione era così cocente che per un momento credeva di non essere in grado di aggiungere altro, ma le parole di Archie gli provocarono l'effetto contrario.
«Andiamo, Jay, sono sempre stato nel tuo appartamento, questa è la prima volta che, diciamo, porto avanti altri progetti. D'estate verrò a stare da te, promesso.»
«D'estate?» Jay tornò a guardarlo, scettico. «Certo, e poi magari te ne esci con una scusa, come corsi avanzati o club estivi per l'università, non è vero?»
«Non erano scuse, dovevo prepararmi, avevo gli esami a settembre ed era necessario che...»
«Ci rivedremo il prossimo anno, allora?»
«No, non farò passare così tanto tempo» si impuntò Archie «Ti vengo a trovare a Luglio, dai.»
«Come l'anno scorso, e quello prima ancora.»
«Rinuncerò ai corsi, okay?»
«Sai che non lo farai.»
«Stiamo parlando del mio futuro, può essere che non te ne importi niente?» se ne uscì Archie ad un tratto, disperato.
«E' importante che io frequenti quei corsi, non lo faccio certo per divertirmi!»
«Cosa vuoi dire, che io passo le giornate a grattarmi?» ribatté Jay velenosamente «E' solo che, dannazione, non ce la faccio a vederti una volta all'anno! Insomma, tu... tu sei mio fratello! Quando ti chiamo al cellulare hai sempre fretta, e cerchi di riattaccare con la scusa dello studio; quando arrivi qui c'è sempre quella Gwen di mezzo. Per una volta, non possiamo mollare tutto e tornare ad essere fratelli, come un tempo?»
«Quel tempo è finito!» gli urlò Archie, allargando le braccia. «Perché non riesci ad accettarlo? Siamo cresciuti, Jay. Io sono cresciuto, e forse dovresti iniziare a farlo anche tu!»
«Mi stai dando del bambino?» lo aggredì Jay, incredulo e offeso.
«No, non volevo dire questo!»
«Oh, eccome se volevi dirlo.»
Senza che nemmeno se ne fossero accorti avevano iniziato a camminare spediti per il marciapiede, incuranti del fatto che stessero urlando e della gente che li studiava stralunata.
«Carità, per favore...» tremolò una voce al fianco di Archie: Jay notò un barbone di colore, coperto di luride coperte e dal volto scarno, che reggeva in una mano incerta un bicchiere di latta.
Archie e Jay lo bypassarono quasi senza uno sguardo, troppo intenti a urlarsi contro.
«Perché devi sempre fraintendere quello che ti dico? No grazie!» aggiunse Archie irritato dall'insistenza del vecchio che si ritirò imbarazzato.
«Forse ti preferivo com'eri prima.»
«Un bambino capriccioso?»
«Un fratello.» rispose invece Jay, lanciandogli uno sguardo penetrante. Archie allargò le narici, cercando di calmarsi. Ma era inutile.
«L'università ti ha cambiato, Archie. Io mi faccio in quattro, che credi? Che lavorare all'officina di papà sia facile? Tu non hai idea di cosa sia il lavoro manuale! Passi il tempo tra libri ingialliti e biblioteche ammuffite!»
«Ti da fastidio il fatto che io sia andato all'unversità e tu no? E' stata una mia scelta!»
«Non me ne frega niente se tu sei andato all'università! Ma in questa famiglia sono sempre io che mi sono preso cura di tutto, che mi sono preso cura di te e la mamma, dopo la morte di papà! Io sto portando avanti l'officina, io mi pago l'affitto. E non mi sembra che chiedere la compagnia del proprio fratello per qualche giorno sia troppo esigente!»
«Starò da Gwen solo qualche giorno, potremo sempre incontrarci in centro! E comunque non venirmi a parlare di responsabilità: anche io lavorerò, dopo la laurea. Ma ho bisogno di prepararmi, ne va della mia vita, Jay.»
«E la mia, allora? Praticamente venduta!»
«Oh, non ricominciare...»
«Ricomincio invece!» Jay agitò una mano di scatto come se stesse scacciando una mosca molesta. «Sei diventato uno di quegli snob della scuola, vero? Vuoi iniziare a vantarti della tua intelligenza o cosa?»
«Io non sono così!» urlò Archie in risposta, offeso. «E si può sapere perché stiamo litigando in questo modo? Per cosa?»
«Lascia perdere...»
«Per Gwen? Ma si può sapere che cavolo ti prende? Cosa ti ha fatto, per farsi odiare tanto?»
«Non è lei, dannazione!»
«Allora cosa, ti da fastidio che io stia con qualcuna? Fammi capire, tu puoi farti tutte le ragazze che vuoi e io non posso averne nemmeno una? Non ti è mai andato bene, anche quando eravamo piccoli!»
«Che diavolo stai dicendo? Non sono arrabbiato con lei, ma insomma... esiste anche la tua famiglia, sai?»
«Anche lei fa parte della mia famiglia!»
Jay sbiancò. «Cosa?» poi, riprendendo vigore. «Oh certo, quindi la sposerai...»
«Non adesso! Forse un giorno... chissà. Senti, un giorno mi sposerò, okay? Che a te piaccia o no succederà, quindi tanto vale che lo accetti adesso.»
«A me va benissimo che ti sposi, è la tua vita e ci fai quello che vuoi, ma non devi trascurare la tua vecchia famiglia! La mamma ti vede una volta all'anno, come pensi che stia? Chi pensi che la consola quando sta male? Io. Chi pensi che abbia sempre cancellato le sue lacrime dopo la morte di papà? Io. Chi era sempre presente per dare una mano in casa? Io. Tu non ci sei mai stato!»
«Stai cercando di dire che non me ne frega niente della mamma? Non capisci niente, allora! Per me tu e lei siete importanti quanto Gwen! E i miei impegni non... non dureranno per sempre, va bene?»
«Se avessi voluto passare del tempo con lei l'avresti trovato.»
Archie strinse i pugni, rischiando di  travolgere una vecchietta. «Non farmi la paternale, adesso!»
«Sto solo cercando di farti rinsavire, fratellino.»
«Sai cosa?» Archie fece una risatina senza allegria, con una mano in fronte «Mi sono stancato. Della tua gelosia, dei tuoi rimproveri, delle tue prese in giro. Mi sono stancato di sorbirmi i tuoi insulti, Jay. Sei proprio un bambino.»
Jay deglutì aria, pronto a scattare. La parola gli entrò nel petto come un proiettile. Si inumidì le labbra. «Ah, bene, è questo che pensi, allora?»
«Ti auguro di trovarti una ragazza, e forse solo allora ti deciderai a crescere!»
«Ottimo.» Jay si fermò improvvisamente, costringendo il fratello a fare lo stesso, con uno sguardo interrogativo. «Bene, quindi pensi che sia un idiota, non è vero?»
«Jay, aspetta, io non...»
«Dici di essere cresciuto, di non essere più un ragazzino. Perfetto. Allora sai che c'è? Che adesso tu vai a prendere Gwen in macchina e te ne torni a casa sua a piedi. Se sei abbastanza grande per vivere da solo a Londra, lo sarai anche per andare avanti senza il mio aiuto!»
Jay lo fissò con astio, ma il dolore nel volto di Archie lo fece sentire un mostro. L'aveva ferito.
Eppure non gli importava...
 Era furioso, voleva prendere a pugni qualcuno, o in alternativa un muro, fino a scrostarlo o sbucciarsi le mani. Il peso di quelle parole parve permeare nell'aria, e quando Archie parlò ogni emozione era sparita dalla sua voce.
Era fredda e distante... terribilmente atona.
«Sì, hai ragione.» si drizzò sulla schiena, rigido, rilassando le mani che, inavvertitamente, aveva stretto a pugno nella furia della lite.
«Ecco bravo, muoviti.» Jay modulò la voce in un tono che non ammetteva repliche.
«Tanto non ho bisogno di te.» strascicò Archie, per poi dargli le spalle e allontanarsi veloce.
Jay lo seguì con lo sguardo, con tutti i nervi a fior di pelle. «Su, dai, corri! Che non vorrai farla aspettare, poverina! Dai, va' da Gwen!»
Archie si voltò un'ultima volta, lanciandogli uno sguardo cupo e pieno di risentimento. «E tu, Jay, va' al diavolo
Jay si irrigidì, mentre scorgeva suo fratello tornare a rivolgergli la schiena. Quelle parole continuavano a vorticargli in mente, mentre si voltava come una furia, e si allontanava con le tempie che pulsavano e la bocca secca.
«Sì, ci vado volentieri!» latrò all'aria, sebbene conscio che suo fratello non l'avrebbe sentito.
Che bastardo! pensò intensamente -o forse lo borbottò, doveva ancora riuscire a capirlo- con gli occhi fissi sul marciapiede e il cuore in tumulto. Non ha rispetto! E quella Gwen...
Proprio mentre la sua mente si preparava a snocciolare con assoluta perizia tutti gli insulti più crudeli che era riuscito a reperire dal suo repertorio, il rumore improvviso di un clacson e poi quello di un tonfo lo strapparono violentemente dai suoi pensieri.
Jay alzò la testa mentre intorno si diffondevano delle urla sconvolte. Il cuore aumentò i battiti mentre si voltava indietro -dall'origine del rumore- con un gran brutto presentimento.
E ciò che vide lo paralizzò dal terrore: una folla si era riunita attorno ad un fagotto scuro steso sull'asfalto... una folla di persone scandalizzate e traumatizzate che si coprivano la bocca.
Jay iniziò a correre senza nemmeno rendersene conto, col cuore in gola e lo stomaco attorcigliato, come se qualcuno glielo stesse tirando dall'interno.
Sempre più turbato, scorse con lo sguardo quel caleidoscopio di volti, cercando di riconoscere quello di suo fratello.
Poi lo vide: quando si fu avvicinato abbastanza da riconoscerlo, trovò il volto di Archie.
Ma lo riconobbe in quello sfigurato di ciò che aveva scambiato per un fagotto, circondato da un ventaglio di sangue che si allargava sull'asfalto.
Il cuore gli balzò nel petto, e un attimo dopo Jay si buttava in mezzo alla folla, spingendo via chiunque gli capitasse a tiro. «ARCHIE!»
Un uomo gli tirò un braccio, per fermare la sua avanzata disperata, intimandogli di stare indietro. «Lasciagli lo spazio per respirare...»
«E' MIO FRATELLO!» sbraitò Jay spingendolo via con tutte le sue forze. Quando riottenne la libertà si accucciò a terra, e allungò una mano verso il corpo insanguinato, accorgendosi che gli tremavano le dita.
Gli afferrò la testa, sollevandola delicatamente, e le mani gli si macchiarono immediatamente di rosso. «Archie!»
Il fratello, con le labbra socchiuse dalle quali non filava un alito di ossigeno, batté lentamente le palpebre come se non lo riconoscesse. Provò a parlare ma gli uscì solo un rantolo rauco e spezzato.
«Shhh» gli intimò Jay portandogli la frangetta lontano dalla fronte «Sono qui, Archie, sono qui, non...» la voce gli vacillò, mentre cercava di trattenere i singhiozzi «non ti lascio...»
E per un attimo rivide il suo piccolo fratellino di appena sei anni, sul pelo dell'acqua.
«Ho paura, Jay... non so nuotare, aiutami!»
«Tranquillo, ci sono qua io» gli aveva sussurrato Jay, rassicurante, con una mano sotto la sua schiena. Glielo avrebbe insegnato lui, a stare a galla.
«Non lasciarmi, ti prego!» aveva piagnucolato Archie, terrorizzato.
«Non ti lascerò, promesso... non ti lascerò, Archie.»
Le palpebre di Archie tremarono, come se non riuscissero a stare aperte, e Jay, allarmato, iniziò a dargli piccoli buffetti sulla guancia.
«No, Archie... no, no, no, stai con me... guardami, sono qui... non mollare, non...» alzò lo sguardo su tutti quegli occhi sconvolti. «Chiamate un'ambulanza, presto!»
«Sarà qui a minuti.» avvertì l'uomo che prima l'aveva trattenuto, rimettendo il cellulare in tasca. «Nel frattempo forse non converrebbe muoverlo. Potrebbero aggravarsi le lesioni intern-»
«Chi è stato?» ruggì Jay, cercando la macchina. «Chi è quel bastardo che...»
«E' scappato.» insistette l'uomo, mentre altra gente si ammassava là attorno, con voci spezzate e sussurri spaventati.
«Comunque io sono un medico, lei non dovrebbe...»
«Sono suo fratello!» urlò Jay, poi riprese a dare colpetti al volto di suo fratello, prestandogli la sua più completa attenzione. «Resisti, Archie, okay? Adesso arriva l'ambulanza e poi... Archie?»
Suo fratello non rispondeva più agli stimoli, dalle sue labbra non si levava un suono o un sospiro, e la testa era ricaduta pesante contro il suo braccio.
«Archie!» in preda al panico, gli diede dei leggeri buffetti sulle guance «No, no... resta con me... apri gli occhi, Archie... ti supplico! Andiamo... andiamo!»
Lo scosse per le spalle, ma il risultato fu che la testa del fratello ciondolò senza forza, abbandonata completamente su di lui.
«Archie...?»
«Forse posso fargli un massaggio cardiaco!» suggerì il medico, nervoso, cerando di farsi spazio, mentre qualcun altro afferrava Jay dalla piega del gomito.
Il maggiore dei Denver si dimenò dalla sua presa, col petto che doleva e gli occhi lucidi, poi si lasciò andare... smise di lottare.
Distrutto, si lasciò scivolare tra le braccia di qualcuno -forse una donna, forse un uomo, che importanza aveva?-, non riuscendo a deglutire... dimentico di come si facesse a respirare.
Portò gli occhi sul fratello... su quell'esanime corpo pallido e insanguinato, che il medico tentava invano di risvegliare, picchiando violentemente un pugno in corrispondenza del cuore.
 In un ultimo, disperato massaggio cardiaco. Un ultimo, disperato, tentativo di risvegliarlo.
Ma Archie non riaprì gli occhi.
Non ricominciò a respirare.
Non gli disse che era un idiota, o un bambino.
  Non disse più nulla.
Jay sentiva un vuoto all'altezza del petto, un vuoto incolmabile che gli risucchiava ogni altro pensiero, e ogni forza. Gli occhi bruciavano. Ma poi tutto smise di avere un senso.
Una campana risuonò lontano. O forse vicino. O forse solo nella sua testa.
Archie era morto.
Un altro rintocco.
Morto. Suo fratello...
Un altro rintocco.
Archieee!
Tutto si fece confuso...


You don't need money, don't take fame
Don't need no credit card to ride this train
It's strong and it's sudden and it's cruel sometimes
But it might just save your life
That's the power of love
That's the power of love


Jay spalancò gli occhi, destato di soprassalto, ritrovandosi a fissare il soffitto della sua stanza.





To be continued ~





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Capitolo 5

Come aveva fatto a ritrovarsi in camera sua, sul suo letto?
 Eppure poteva sentire ancora la sensazione orribile del sangue di suo fratello tra le dita, la sua pelle che si raffreddava, il respiro che se ne andava in un rantolio. Jay represse un conato di vomito e si costrinse a inspirare profondamente.
Archie era morto...
Archie...
Deglutì per calmarsi, chiudendo gli occhi e cercando di rallentare il battito del suo cuore impazzito.







~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! T_____T
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(nuu, Jay, cucciolo, non pensare ad Archie, non...  aaaaah ti consolo io!! T__T)
Salve gente! ;D Avete preso i fazzoletti come vi avevamo suggerito?Lo so, lo so questa parte vi ha fatto prendere un colpo ma possiamo spiegare! XD Anzi no, facciamo le stronze e non vi diciamo nulla :P Archie è vivo? E' morto? E' stato solo un sogno?
Le possibilità sono tante e tutte da scoprire! >>

--------[Vi invitiamo a leggere l'ultima parte della storia, cioè da quando Jay torna indietro e scopre l'incidente, con questa colonna sonora di sottofondo: https://www.youtube.com/watch?v=1wk21MayxB0 noi l'abbiamo scritta con questa e... e... aaah T___T]------

E che ne pensate del bonazz.. ehm, figacci.. no, ecco del bel figliolo dell'inizio capitolo? Non so voi ma io mi sono presa una cotta per lui!
*Miss Watson si fa aria con una mano*
E la reazione del nostro Jay? Prima che passiate alle armi, volevamo assicurare che è assolutamente normale e spiegabile logicamente, ma a parte questo, non possiamo aggiungere altro. E dell'incontro-scontro con Bella? Come avrete notato, o anche se non l'avete fatto, Bella è una parodia della classica mary sue.
Ovviamente siamo più che consapevoli del fatto che sia un personaggio a volte "esagerato", ma ci tenevamo ad annunciare che prende spunto da una persona che conosciamo realmente e che SUL SERIO fa discorsi del genere e si veste in quel modo, quindi parodia a parte, purtroppo esistono persone così. Dio mi mandi un lanciafiamme per eliminarla al più presto dalla faccia della terra!
Per quanto riguarda Archie, tante lacrime anche per lui!! ç__ç *inizia a piangere* aaaaah! Mio dio, devo riprendermi ma... *non ce la fa e ricomincia a piangere* do' la parola alla mia collega, vah, io non riesco a parlare... T___T
*Miss Watson passa un fazzolettino ricamato a Lady Holmes*
Susu Lady si calmi!
Quindi, lasciando la mia collega a piangere in un angolino, mi auguro - anche a nome suo- che il capitolo vi sia piaicuto :D E mi raccomando, mandateci i vostri pareri v.v Una recensione al giorno toglie Miss Watson e Lady Holmes di torno :P
Ma passiamo ai ringraziamenti..
Grazie a tutti coloro che hanno recensito, letto e messo mi piace alla nostra pagina facebook! Ragazzi, siete i migliori!
E un grazie speciale va a quelle meravigliose persone che recensiscono, e quindi: Halo J Phoenix (non ucciderci dopo questo cap! ç__ç), Sakura Georgina Nakamura, mizuki95, La sposa di Ade (ti saluta la radiolina!!), ShadeFlash (utilissimo il tuo consiglio, come sempre! xD) e sattolo (questa volta l'ho scritto giusto, visto? >>)
Ricordate: La musica è la voce dell'anima!
A presto :D





***

1. Isabella (Bella) Sea [versione moderna]:

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2. Isabella (Bella) Sea [ai tempi del liceo, versione Reginetta del Ballo]:

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3. Ken Russel [versione moderna]:


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4. Ken Russel [ai tempi del liceo, versione giocatore di Basket]:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM

1. Jay che chiama Archie, prima di iniziare a correre verso di lui:

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Capitolo 6
*** 5. ***


Timeless 5
Capitolo 5




Ansimò, una mano sulla fronte madida di sudore, gli occhi che vagavano smarriti attraverso la penombra.
I ricordi lo travolsero come un'onda violenta, lasciandolo stordito e spaventato oltre l'inverosimile.
Solo... solo un sogno?
Come aveva fatto a ritrovarsi in camera sua, sul suo letto?
 Eppure poteva sentire ancora la sensazione orribile del sangue di suo fratello tra le dita, la sua pelle che si raffreddava, il respiro che se ne andava in un rantolio. Jay represse un conato di vomito e si costrinse a inspirare profondamente.
Archie era morto...
Archie...
Deglutì per calmarsi, chiudendo gli occhi e cercando di rallentare il battito del suo cuore impazzito.
Era tutto apposto, adesso, tutto apposto. Era stato tutto un terribile incubo, niente di reale.
Adesso, pensandoci con assoluta razionalità: non era possibile che suo fratello fosse davvero morto: prima di ogni altra cosa Jay era abbastanza sicuro di non essersene andato con le proprie gambe dalla strada e secondo... chi avrebbe dovuto portarcelo?
E poi come avrebbe potuto abbandonare suo fratello? No, era assurdo...
Chi avrebbe chiamato sua madre, Bill, Gwen...?
No, c'era qualcosa che non quadrava.
Jay si mise a sedere sul letto, le mani tra i capelli. Gettò uno sguardo alla stanza, scoprendola disordinata come al solito, la radiolina che trasmetteva Radio Hourglass come ogni mattina e i vestiti del giorno prima gettati alla rinfusa per la stanza.
Cosa diamine era successo, allora?
Si alzò di scatto e quasi barcollando si diresse verso la scrivania su cui, il giorno prima, aveva gettato portafogli, chiavi e cellulare: afferrò quest'ultimo, soppesandolo pensieroso.
Non credeva ai sogni premonitori o a quelle cazzate sui Profeti di Dio o roba simile, ma per la prima volta iniziò a pensare che quella potesse essere considerata una valida spiegazione. Jay pensò, il terrore che si dilagava per ogni fibra del suo corpo, che probabilmente quello fosse un segnale. Se Archie non era morto allora..
Poteva stargli per succedere qualcosa!
Magari il suo aereo stava per precipitare oppure... oppure... che fosse già precipitato?
Se c'era una cosa che odiava sopra ogni altra, era il non sapere che fare: se lo avesse chiamato probabilmente avrebbe trovato semplicemente il telefono spento, dato che sugli aerei era d'obbligo il mantenerlo staccato. Ma allora come doveva muoversi?
Quando prese la sua decisione la sveglia segnava le sette e trentacinque minuti e il programma mattutino di Radio Hourglass era iniziato da un pezzo.
Scese precipitosamente le scale, evitando per un soffio la signora Mao, e si diresse verso l'uscita salutando distrattamente Guirao: doveva raggiungere l'officina di Bill e in fretta, anche.
La saracinesca era abbassata per metà come nel sogno: Jay la sollevò di tutta fretta ed entrò nella soffocante officina.
«Bill!» lo chiamò, non vedendolo da nessuna parte. O meglio, praticamente lo urlò perché ne seguì un rumore -come quando due oggetti di notevole dimensione entrano in collisione tra loro- e poi Bill emerse da sotto la macchina che stava aggiustando, ricoperto interamente da uno spesso strato di olio e fuliggine.
«Ma che ti urli così? Cretino!» lo rimbeccò l'uomo, burbero come al solito, massaggiandosi un bernoccolo che gli era spuntato sulla fronte. Jay si trattenne dall'abbracciarlo solo perché sapeva benissimo che l'uomo lo avrebbe preso a colpi di chiave inglese sulla testa.
«Scusa» sospirò il ragazzo, in risposta.
Passò qualche minuto di silenzio, durante il quale il proprietario dell'officina si ripulì con una garza, per asportare l'olio e il sudore, e Jay si tormentava l'interno della guancia, soprappensiero.
Cosa era esattamente venuto a fare all'officina?
Il cuore gli tamburellava nel petto senza sosta, e il turbamento non voleva saperne di lasciarlo andare. Continuava ad arrovellarsi sulle immagini che il sogno -l'incubo- aveva inciso a fondo nella sua memoria.
«Che sei venuto a fare, comunque?»
Jay, riportato violentemente al presente, rialzò gli occhi sull'amico.
«Io...» deglutì.
Ecco la domanda da un milione di dollari: che era venuto a fare lì? Non certamente per farsi consolare da un brutto sogno, non era mica un dannato moccioso che aveva bisogno delle coccole!
«Io... sì beh, ero venuto... cioè, sono venuto per... per...» Jay si guardò intorno. Perfetto, che dire? «Per la mia moto! Sì sai, ieri sera ero così stanco che non mi ricordo dove l'ho parcheggiata» annuì, fiero della sua risoluzione.
Bill lo guardò come se fosse stato un alieno con tanto di tutù e scarpine.
«Ma sei idiota? L'hai parcheggiata qui, come al solito! Ma che ti sei fumato?»
«Oh giusto, giusto.» si affrettò a concordare Jay, con una risatina.
Si maledisse mentalmente in tutte le lingue che conosceva, mentre si passava la mano sul collo: si sentiva a disagio e gli mancava l'aria, proprio come se qualcuno gli avesse stretto un cappio attorno al collo.
Avrebbe voluto dire tante cose e allo stesso tempo rimanere in silenzio, per riordinare la mente e cercare di assegnare un fottuto senso a quella fottutissima situazione.
Ma nel dubbio, tacque: Bill lo scrutò con un sopracciglio alzato e Jay evitò di guardarlo in faccia, in preda ad un sordo imbarazzo.
Era stato solo un sogno, quindi.
Solo un dannatissimo sogno.
E Bill gli aveva appena dato la conferma: Jay si ripromise mentalmente  di regalargli l'abbonamento a quella rivista di motori che l'uomo ammirava da anni e sospirò, abbozzando un sorriso.
Restava però il dilemma di quel sogno, l'immagine del volto sfigurato di Archie e del suo sangue tra le dita: era solo un incubo o un avvertimento?
Come doveva spiegarselo?
«Hey, non è che potresti prestarmi una macchina? Devo andare a prendere Archie e Gwen.» si decise alla fine, ancora pensieroso, lasciando vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Non udendo nessun suono provenire da Bill, però, aggrottò le sopracciglia e si voltò nella sua direzione.
Il meccanico lo stava squadrando come se temesse di vederlo svenire da un momento all'altro.
«Sicuro di star bene? Non pronunci mai il nome di Gwen in modo...» e fece un gesto con la mano «Insomma, come se la sopportassi.»
Per tutta risposta Jay si limitò a grugnire: era vero, di solito non avrebbe mai pronunciato il nome di Gwen in maniera tanto normale  -cioè senza condirlo di soprannomi variabili dal semplice ''canarino'' al più complesso ''oca affetta da ridarella''- ma, anche se era ormai certo che la morte di Archie non fosse mai avvenuta, si sentiva stranamente in colpa.
In fondo, nel suo sogno, avevano litigato e subito dopo Archie era morto.
Non se la sentiva nemmeno di riempire d'improperi Gwen, a essere sinceri. Giudicava se stesso l'unico da biasimare: era colpa delle sue parole se Archie era...
Sospirò, per riprendere il controllo del suo cuore. No, non era colpa sua.
O meglio, non c'era nessuna morte di cui prendersi carico e responsabilità. E adesso era meglio se viveva la sua giornata, dimenticando gli scherzi della sua mente e quel maledetto sogno senza senso.
Capendo l'antifona Bill afferrò un vecchio straccio abbandonato sul tavolo di legno grezzo e si pulì le mani, camminando verso...
«Vuoi darmi la tua Alfa Romeo?» domandò Jay, senza pensarci.
Bill lo guardò con tanto d'occhi.
«Come diamine fai a...»
«La tieni sempre li.» si affrettò a rimediare Jay, dandosi mentalmente dell'idiota. Si costrinse a sorridere, camminando accanto al vecchio meccanico che sembrava comunque poco convinto.
Turbato afferrò le chiavi che Bill gli porse ed aprì lo sportello.
Esattamente come nel suo sogno.



*


Quando si accorse che aveva ricominciato a tamburellare nervosamente le dita sul bancone del servizio clienti era ormai troppo tardi: la segretaria si limitò a scoccargli uno sguardo vacuo e Jay ritrasse le mani, applicandole sui fianchi, e si passò la lingua sulle labbra.
L'attesa era snervante e quell'odiosissima musichetta dell'aereoporto gli stava rodendo il fegato: si sarebbe volentieri tolto uno scarpone per lanciarlo contro uno dei tanti altoparlanti, per tacere quei suoni stridenti.
Ma soprattutto, doveva smetterla di essere così fottutamente ansioso. Archie stava bene. Si era perfino informato sui voli, e a parte il consueto ritardo, non era stato annunciato nessun incidente.
Quindi, a meno che suo fratello non fosse stato colto da un improvviso infarto sul proprio comodo sedile, non c'era motivo di preoccuparsi, no?
«Jay!»
Sussultò, riconoscendo la voce, e si voltò fulmineo. «Archie...» biascicò.
Suo fratello stava correndo verso di lui, agitando una mano al suo indirizzo e trascinando dietro di sé due pesanti valige. Indossava la camicia bianca e i jeans neri del sogno, ma non c'era traccia di sangue, in essi. Jay percepì il sollievo avvolgerlo in una morsa quasi soffocante e con un groppo in gola colmò la poca distanza che lo separava ancora dal fratello.
«Fratellino!» commosso lo strinse in un abbraccio protettivo, aggrappandosi quasi con disperazione e facendo pressione con le dita sulla sua schiena, come per assicurarsi che fosse reale.
Archie, preso alla sprovvista da quella reazione, ridacchiò nervosamente e rispose all'abbraccio in ritardo, con delle leggere pacche sulle spalle del più grande.
«Eih, che entusiasmo.» soffiò, divertito e incredulo, quando si furono separati -e anche un po' imbarazzato, forse- «Sembra che hai visto un fantasma!»
Jay batté le palpebre, ancora troppo coinvolto per cogliere la battuta.
«Già, un fantasma...» rispose senza allegria.
Archie strinse le labbra in una smorfia giocosa e gli diede una sonora pacca sulla spalla. «Sei... non so, diverso!»
«Tu sei sempre lo stesso idiota di sempre, invece!» lo rimbeccò Jay aprendosi in un sorriso felice, allungando una mano per prendere una delle valige del fratello, grato di poter godere ancora di quei momenti.
Fanculo il sogno, pensò con rabbia mentre attraversavano la sala d'aspetto illuminata a giorno, con la voce di donna che riecheggiava tra le pareti bianche comunicando in tutte le lingue del mondo "Benvenuti in Texas".


*


Jay era molto più tranquillo quando lui e Archie caricarono i bagagli del secondo sull'Alfa Romeo.
Sorrise alle battute del fratello e gli fece perfino qualche domanda, distrattamente, mentre metteva in moto e sgommava per le strade della sua città, diretto al Caffé d'Europe, tappa necessaria secondo la mappa della loro tradizione.
E veramente era tornato ad essere il ragazzo spensierato di sempre -facendo dannare il povero fratellino con battutine a doppio senso e sorrisi maliziosi- mentre cercavano un posto nel noto bar e si accomodavano in quello più periferico, con spifferi d'aria tiepida provenienti dall'esterno, scorrendo i menù alla ricerca del dolce più invitante tra quelli proposti.
Ma fu quando Jay scorse il volto delle cameriere, che qualcosa si spezzò in quella calma perfetta, che gli fece venire la pelle d'oca e un senso di smarrimento e di paura mai provato prima.
«Possiamo aiutarvi?» cinguettò la cameriera chiamata Bonnie, con aria solare. Al suo fianco la biondina col cartellino che recitava "Naomi" tirò fuori il suo block notes, disponibile ma lievemente annoiata.
Il maggiore dei Denver agghiacciò, incapace di distogliere lo sguardo da quelle cameriere, sconvolto.
«Oooh, Jay!» lo richiamò Archie stimolandogli un braccio «stanno parlando con te.»
Jay deglutì più di una volta, sentendo la gola arida e secca, ma quando aprì bocca per parlare gli uscì solo un suono indistinto.
Provò a schiarirsela, ma il freddo improvviso che sentiva gli impedì di articolare una parola di senso compiuto.
«Ho capito, inizio io...» risolse Archie, con un sorrisetto, per poi rivolgersi alle cameriere, pacato e timido. «Un the e una fetta di torta al...»
«Pistacchio.» concluse per lui Jay, con lo sguardo perso nel vuoto e lo stomaco chiuso.
Archie richiuse la bocca, gettandogli un'occhiata sorpresa. «Emh... sì.» confermò, attonito.
Jay non replicò; si limitò a passarsi una mano sulla fronte, e poi sui capelli, adesso seriamente allarmato. Tutto stava accadendo esattamente come nel sogno, e ciò significava che...
Oh no, no, no, non può essere possibile, non... non può.
Rialzò un paio di occhi lucidi all'indirizzo del fratello: non avrebbe sopportato di perderlo. Non di nuovo.




Più tardi le cameriere si allontanarono con le ordinazioni, lasciandoli soli al tavolo: Jay giocherellava con i tovaglioli con aria pensierosa e Archie lo studiava perplesso.
«Jay? Tutto okay?» si decise a chiedergli infine.
«Meravigliosamente.» replicò seccamente l'altro, appallottolando un tovagliolino di carta con le dita. Sentì lo sguardo di Archie perforagli la nuca e deglutì, sperando che il magone all'altezza dello stomaco sparisse presto.
«Non ne sarei così convinto. Sei pallido.» osservò Archie. «E silenzioso. E tu non sei mai silenzioso, non è un aggettivo che ti si addice. E' successo qualcosa?»
«Perché se sto zitto è sintomo di guai, per te?» volle informarsi Jay.
Archie ridacchiò brevemente.
«Tu che stai zitto è come vedere mamma sposarsi con Bill.» replicò, incrociando le braccia al petto. Alzò le sopracciglia. «Insomma, che succede?» insistette.
Ecco, cosa stava succedendo? Quella era davvero una bella domanda.
Era come se tutte le sue convinzioni, quelle che aveva faticosamente raggranellato in tutto l'arco della mattinata, si stessero sgretolando tra le sue dita. Ecco che diamine stava succedendo.
Naturalmente non disse nulla, limitandosi ad alzare le spalle, mentre Naomi li serviva per poi dirigersi verso il tavolo dei signori anziani del suo sogno.
Affondò svogliatamente la forchetta nella torta di mele, mentre Archie lo fissava sempre più preoccupato nascondendo le sue occhiate, ben sapendo che avrebbero solo peggiorato la situazione, dietro un sorso di the e un morso alla sua torta. Il silenzio era teso, pesante: Jay si sentiva come in attesa di qualcosa di inevitabile.
Una conferma.
E quando Jules Starks e Beatrix Lowell entrarono nel locale accompagnate dal loro amico, Jay ebbe la sua fottutissima conferma. Impallidì fissandole, mentre si sedevano, con lo stesso sguardo che avrebbe riservato a uno zombie in cerca di cervelli da azzannare.
«Eih, guarda, ma quelle non sono...» iniziò Archie, ispirato.
Il fratello posò con un po' troppa forza la forchetta nel piatto.
«Jay?» lo richiamò Archie, preoccupatissimo.
«Non mi sento bene.» spiegò seccamente, mettendo sul tavolo delle banconote.
Tanto per quel giorno la colazione sarebbe saltata, se lo sentiva.
«Ma... aspetta Jay! La colazione? E la torta per mamma? Ma sopratutto, non eri tu che volevi chiedere loro l'autografo da una vita?» fece Archie, stranito. «Cioè, adesso hai l'occasione di...»
Il maggiore scosse il capo, dirigendosi frettolosamente verso l'uscita.
Aveva la consapevolezza che dietro quel sogno si nascondesse qualcosa: ma cosa, esattamente, non avrebbe saputo, né voluto dirlo.
«La compro da un'altra parte» ribatté spiccio, tanto per dargli conto.
Poi uscì, senza un'altra parola: aveva come l'impressione che per quel giorno le cose non sarebbero andate come aveva previsto in quei sei lunghissimi mesi di lontananza da suo fratello.






To be continued ~





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Capitolo 6

«Archie?»
«Mmm?» il fratellino tornò a guardarlo, svogliato.
«Ti è mai capitato...» si sentì idiota subito dopo averlo detto, ma a quel punto non poteva tirarsi indietro. Peggio di così non poteva andare, quanto valeva continuare: perciò prese una boccata d'aria. «Sì, insomma, hai mai fatto un sogno che sembrasse... reale?»






~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! ^^
Lo scorso capitolo ha suscitato qualche dissapore, eh?XD Diciamo che abbiamo ricevuto QUALCHE minaccia di morte °° *si guarda furtivamente intorno*
Archie è vivo, ma chi ha capito cosa è successo alzi la mano o lo scriva in recensione che fa lo stesso xD
Il nostro Jay ha aperto gli occhi in un mondo non proprio fatto di unicorni e nuvolette rosa! Come si comporterà secondo voi? Io vi consiglierei di tenere una scatola di fazzoletti sempre accanto a voi se volete continuare a leggere senza allagare casa XD
Vabbè senza esagerare, mica è tutto così negativo! >>  Allora, lettori, che dire di questo capitolo? Ci auguriamo che il sollievo di Jay nel riabbracciare il fratello sia lo stesso provato da voi nello scoprire che è ancora vivo.
Di sicuro io e la mia collega ci immedesimiamo perfettamente nel maggiore dei denver :)
Si ma povero Jay, ci odierà! D:
Ringraziamo chi legge e basta, chi ci segue su facebook e chi ci apprezza e ci riempe di complimenti *w* [ci sciogliamo ogni voltaaa ç/////ç]
Ma ringraziamo anche chi recensisce, quindi offriamo un pegno di pace a Halo J Phoenix, valentinamiky, La sposa di Ade (a te offriamo anche una radiolina in omaggio <3), mizuki95, R o w e (abbiamo provato a seguire i tuoi consigli, anche se i trattini sono parte integrante del nostro stile e quindi li lasceremo ;) ), ShadeFlash e I am a Supernatural fan (ci fai arrossire!)
Ragazzi, siamo felici che questa storia vi piaccia!^^
Risponderemo prestissimo ai commenti, probabilmente stasera stessa! La mia collega ha finito di scrivere insieme a me lo spazio autrici e poi è dovuta andare, e siccome le risposte le scriviamo insieme, dovrete pazientare solo un pochino! :)
Volevo aggiungere anche -e più che altro è un consiglio-: guardate le immagini e le gif che postiamo. Non sono mai inutili (specialmente le seconde) e serve per rendere i nostri personaggi più reali, quasi in... 3D, ecco :D
Per vedere gli altri collage realizzati da me (Lady Holmes) e dalla mia collega (Miss Watson) vi invogliamo a mettere "mi piace" alla nostra pagina su Timeless, dove potrete seguire in diretta i nostri scleri, gli aggiornamenti, degli spoiler e delle curiosità esclusivi :)
Qui il link: https://www.facebook.com/pages/Timeless/182176118576389
Per tutto il resto... alla prossima! :D

P.S: FORZA ITALIA! Image and video hosting by TinyPic

***

1. Archie e Jay al Caffé d'Europe [Collage fatto personalmente da Lady Holmes]:

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2. Bill [una foto a capitolo leva il medico di torno^^]:

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3. Jay (quanto è tenero *__*):

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4. Archie (che tenta di propinare al fratello musica diversa?):

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM

1. Jay spaventato che chiama Archie al cellulare, subito dopo essersi "svegliato":

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2. L'abbraccio tra Jay e Archie in aereoporto T____T:

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2. L'espressione da cucciolo di cane di Archie:

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Capitolo 7
*** 6. ***


Timeless 6
Capitolo 6




Il motore della macchina ruggiva ogni volta che Jay premeva l'acceleratore, e già solo il fatto di poterlo sentire fece corrugare la fronte di Archie.
«Mi spieghi che sta succedendo?»
«Cosa?» chiese Jay disattento, senza staccare gli occhi dalla strada.
«Tu.» Archie si grattò un sopracciglio, scoccandogli un'occhiata da sotto la frangetta. «Sì, insomma, che ti prende?»
«Nulla» rispose forse troppo in fretta Jay. «Perché?»
«Beh, tanto per iniziare: da quando non ascolti radio Hourglass e non sbavi come una ragazzina per le voci delle speakers? O non ti tiri i capelli quando le vedi, urlando che desideri come un ossesso il loro autografo, perché te le sogni praticamente ogni notte?»
Jay fece una risatina, ma si disperse subito dopo, superata dal rumore delle ruote che sfrecciavano sull'asfalto. «Vuoi che accendo la radio?» volle rabbonirlo poi, e senza aspettare risposta premette il bottone. Non si sorprese nemmeno quando nell'abitacolo si diffusero le note di Hold the Line.
«Oh, i Toto» commentò Archie allegro «Ricordo che una volta, da ragazzino, avevi inserito un loro CD nello stereo di mamma e alzato il volume al massimo, facendo svegliare di soprassalto Max.»
Max era stato il loro cane molti anni prima: un Golden Retriever beige dal pelo morbido e setoso, che suo padre aveva regalato a lui e Archie per Natale quando Jay aveva otto anni e il fratellino appena quattro. Era morto quando Archie frequentava il penultimo anno di liceo, e da quel momento Susan non aveva più voluto animali.
«Già, Max... bei tempi, quelli.»
«Da quando sei tanto nostalgico?»
«E tu da quando sei così pedante?»
«Ecco, adesso ti riconosco!» sorrise Archie, più rilassato. Ma il silenzio che ne seguì fu forse ancora più ingombrante del precedente.
 Gli occhi di Archie gli bruciavano la nuca ma Jay non ci fece nemmeno tanto caso: lo sguardo puntato sull'asfalto, le mani che pigre spostavano il volante. Tutto il suo dinamismo si svolgeva nella mente.
«So che non ami parlare di te...» iniziò Archie, e Jay sospirò, comprendendo che l'unico modo per farlo tacere era assecondarlo.
«Ma sai, comincio a preoccuparmi... insomma tu che non canti, che non balli e che non ti godi la musica? Sembra quasi che tu abbia subìto un trauma o una cosa del genere.»
«Sto bene, Archie, sul serio.»
«Sì ma...»
«Non c'è niente di cui preoccuparsi, davvero, è tutto okay.» Jay provò un sorriso ma Archie, com'era da aspettarselo, non gli credette.
«Mi auguro per te che sia così.»
Jay tacque per un po', occhieggiando il fratello, e chiedendosi se fosse opportuno metterlo al corrente o no di quello che sarebbe successo. Del resto, se come stava in effetti avvenendo tutto si ripeteva, poteva ancora salvarlo.
«Archie?»
«Mmm?» il fratellino tornò a guardarlo, svogliato.
«Ti è mai capitato...» si sentì idiota subito dopo averlo detto, ma a quel punto non poteva tirarsi indietro. Peggio di così non poteva andare, quanto valeva continuare: perciò prese una boccata d'aria. «Sì, insomma, hai mai fatto un sogno che sembrasse... reale?»
Si sorprese di come il suo cuore rombasse contro le costole, mentre aspettava ansiosamente una risposta. Si rese conto in quel frangente di quanto realmente fosse smarrito e spaventato.
«Reale?» ripeté Archie, sollevando le sopracciglia.
«Sì, reale.» confermò Jay, con urgenza «Nitido, vivido, vero
«Beh, può capitare a volte di fare sogni così.» proseguì diplomaticamente il minore dei Denver, dando di nuovo sfogo alla sua vena secchiona alla presentatore di Super Quark. «Ci sono volte in cui sogni e sai di star sognando, e altre in cui, al contrario, ti svegli e non riesci a credere che quello che hai visto possa essere stato solo un sogno.»
«Esatto!» si aggregò Jay, ispirato, battendo una mano sul volante.
«E' assolutamente normale.» Archie tacque per un momento, e quando riprese la sua voce aveva assunto una sfumatura divertita. «Ma perché mi chiedi...»
«E tu credi nei sogni premonitori?»
«Hai fatto un sogno del genere?» Archie adesso sorrideva apertamente, e Jay tramontò gli occhi al cielo. Pessima, davvero pessima idea essersi esposto a tal punto.
«Io non...» cercò di rimediare, ma ormai era troppo tardi. L'abitacolo si riempì della risata cristallina di Archie. «Ho un fratello profeta!»
«Cretino.» borbottò Jay cupo, mentre Archie si asciugava gli occhi.
«Questa mi è nuova... che sogno era?»
«Lasciamo stare.»
«Per questo oggi sei così strano?»
Jay non rispose e Archie strinse le labbra, in quel modo così tipico di lui, che inavvertitamente gli faceva gonfiare le guance, e che lo faceva assomigliare irrimediabilmente ad un cucciolo di cane.
«Eih, Jay, gir-» Archie tacque, quando Jay svoltò a destra come se fosse la cosa più normale del mondo.
Boccheggiò perplesso, poi gli rivolse un'occhiata sarcastica.
«Che c'è?»
«Non hai mai fatto questa strada prima, come facevi a... insomma, sai dov'è casa di Gwen?»
Jay impallidì, battendo le palpebre, poi lasciò vagare gli occhi intorno e scrollò le spalle stampandosi in faccia l'espressione più ingenua e spaesata del suo repertorio. «No, perché?»
«Hai... girato senza che te l'avessi suggerito» rispose Archie, ancora confuso, per poi agitare una mano come per dimenticare l'accaduto. «Ah, lasciamo perdere... piuttosto, il sogno?»
Jay posteggiò, curandosi di non calcolare il fratello, e quando la macchina si arrestò gli regalò un pugno giocoso sull'avambraccio.
«Smettila di fare domande e vai dalla tua ragazza!»
«Guarda che non finisce qui.» replicò Archie con un broncio ironico. Jay si concesse una risatina, poi lasciò correre una mano sui suoi capelli ricci, scompigliandoli ancora di più.
Archie provò a ritrarsi dal suo tocco, con mugolii di protesta, e finalmente gli afferrò il polso, scostandoselo, e si passò veloce le mani sulla chioma per provare a disciplinarla.
«Ti odio!»
«So che mi ami, baby.»
«Stronzo.» concluse Archie, per poi sorridere, aprire lo sportello e uscire fuori. E mentre Jay lo seguiva con lo sguardo, si lasciò ricadere contro il sedile della macchina, una mano sullo sterzo e l'altra appoggiata al bordo del finestrino: quello era suo fratello, e nessuno, nessuno, glielo avrebbe portato via. Fanculo anche al destino!
Anche se non poteva ignorare il fatto che le coincidenze continuavano a ripetersi...


*

«Tesoro!» trillò Susan, allegra, cingendolo con le braccia.
 Jay ricambiò quell'abbraccio con affetto, lasciando un bacio tra i capelli della donna: passò la torta a Bill che, come nel sogno, con un cenno portò il pacco in cucina.
«Ucci ucci sento odor di... lasagne?»
Susan si bloccò dall'abbracciare Archie e Bill lo guardò corrucciato: la prima alzò appena un sopracciglio, scrutandolo istupidita.
«Sei diventato un veggente, Jay?» scherzò poi la donna, stringendo Archie e Gwen con lo stesso ardore che avrebbe messo se fossero tornati dal Vietnam. Ma si sa, le madri...
«Oh avanti, sono il mio piatto preferito!» si schernì Jay, con una risata stridula.
Era come un'ennesima conferma.
Un'ennesima quanto crudele pugnalata al cuore.
«Era ovvio che tu le cucinassi, mamma! Non sai vivere senza viziarmi.» finse di vantarsi, scatenando le risate di Gwen e Susan.
Ma poté sentire distintamente gli occhi di Archie e Bill perforarlo. Il primo preoccupato, il secondo sempre più disorientato.
Il pranzo fu insolitamente tranquillo. Jay si limitò a mangiare in silenzio, senza fare battutine imbarazzanti di sorta o tentare in qualche modo di disturbare Gwen, cosa che fece sinceramente insospettire Archie, Bill e Susan.
Gwen era davvero troppo ingenua per accorgersene, povera.
«Tesoro, stai bene?»
La voce di sua madre lo riscosse dalle sue fantasticherie mentre Jay continuava a punzecchiare svogliatamente le proprie patate al forno.
Il ragazzo alzò lo sguardo sulla donna che lo squadrava apprensiva e sforzò un sorriso.
«Certo mamma!» fece, posando la forchetta nel piatto. «Penso di non avere tanta fame, però. Scusatemi.»
Si alzò, dirigendosi verso l'esterno della casa: mentre si chiudeva la porta alle spalle, tuttavia, si concesse di lanciare una breve occhiata verso suo fratello che sussurrava qualcosa a Gwen.
Lo avrebbe salvato. Questa volta non sarebbe stato disposto a lasciarlo andare.
Eppure, il destino sembrava deciso a non dargli conto.



Col fatto che tutto ciò che era avvenuto sembrata ripercorrere per filo e per segno gli avvenimenti del sogno, Jay non si aspettava che qualcosa potesse svolgersi diversamente: più tardi, infatti, posteggiò vicino alla gelateria, e ricordò a Gwen di riprendere il cellulare dimenticato in macchina, supportato dalle occhiate interrogative e allibite dei due, per rispondere con una semplice alzata di spalle. Forse avrebbe dovuto essere più discreto ma non se la sentiva di rimuginarci su.
C'era qualcosa che mancava in tutto quello.
Un ultimo tassello...
Chiese a Gwen e Archie di andare avanti e si lasciò ricadere contro il fianco della macchina, aspettando che il ragazzo contro cui era andato a sbattere apparisse.
Il ragazzo però, non venne. Jay pazientò per una buona mezz'ora prima di rendersi conto che era ridicolo, stare lì appoggiato a una macchina che non era la sua ad attendere una persona che non conosceva e che aveva visto solo in uno stupidissimo sogno.
Certo, l'aver ricordato a Gwen il cellulare -così da non essere costretto a tornare indietro per recuperarlo- gli aveva regalato dei minuti di vantaggio, ma passati quelli, avrebbe dovuto scorgere il ragazzo. E invece di lui non c'era traccia. Era troppo assurdo per essere vero, nulla era cambiato dal sogno, ma allora...
Rassegnato si ficcò le mani in tasca e s'incamminò verso la gelateria, soppesando se forse non si fosse solo immaginato quell'incontro ravvicinato.
Ma non aveva tutta questa voglia di gelato a dire il vero.




«Questo va bene secondo te?»
«Mmmh» Jay gettò un'occhiata al grosso uovo al cioccolato bianco esposto nella vetrina della pasticceria che suo fratello stava indicando, e si limitò a scuotere il capo. Non lo stava nemmeno ascoltando.
A parte quel dettaglio del ragazzo scomparso, il resto degli avvenimenti si erano replicati esattamente come nel sogno, tanto che Jay si era ritrovato ad anticipare a mente gran parte delle battute: l'incontro con Bella fu sicuramente l'evento che meno di tutti avrebbe voluto dover rivivere -insieme all'incidente di suo fratello, ma quello lo avrebbe evitato a tutti i costi, poco ma sicuro-. Quanto mancava? Qualche minuto, probabilmente. Avrebbe trovato quel bastardo e impedito a suo fratello di attraversare la strada. Semplice, no?
Archie gli gettò un'occhiata esterrefatta e insieme, sinceramente preoccupata.
«Jay?»
Oh no. Quel tono era segnale di una cosa sola: pericolo di un Archie in modalità mamma chioccia.
Gli rivolse il suo sorriso più smagliante.
«Nocciolato» o forse era pralinato al nocciola?
Oh, al diavolo! «Bill adora il nocciolato: e chi non ama il nocciolato? Sono sicuro che ce ne darà un bel po', che uomo simpatico che è, vero Archie? Pensavo di chiamarlo zio Bill, sempre che poi non decida di staccarmi la testa dal collo ed usarla come pallone da basket o in alternativa come altarino per le rondini.» fece, parlando a macchinetta giusto per stordire il fratellino.
Varcarono la porta annunciati dall'allegro tintinnare della campanella all'ingresso e, prevedibilmente, la commessa si avvicinò a loro.
«No, non ci serve aiuto» l'anticipò Jay, sorpassandola. La donna lo guardò stupita per un momento, poi azzardò un sorriso timido e annuì volgendo loro i tacchi. Archie seguì il fratello con le sopracciglia aggrottate.
«Ma come facevi...»
«Ogni commessa te lo chiede, fratellino. ''Ha bisogno di aiuto? Posso aiutarla? Oh per favore, si lasci aiutare!''» cinguettò, imitando la voce di Bella. Archie non trattenne un risolino e di riflesso anche Jay sorrise.
«Bene, compriamo quell'uovo e andiamocene. O come facciamo poi a portare i bagagli da Gwen?» fece, amaro.
No, non gli interessava che Archie passasse le vacanze con Gwen. Non era importante di fronte alla prospettiva di vederlo morire: certo, restava la delusione alla bocca dello stomaco, l'amaro che non voleva proprio saperne di scendere giù, la flebile speranza che per una fottutissima volta Archie decidesse di tornare a essere quel bambino che s'infilava sotto le coperte del suo letto alla ricerca di protezione e lo stringeva forte quando un fulmine illuminava brevemente il cielo.
Ma sarebbe stato così. Non poteva cambiarlo e nemmeno sperare che decidesse di cambiare.
Il sorriso morì sulle labbra di Archie.
«Jay...»
«Tranquillo, ci sono abituato» si schermì seccamente, afferrando l'uovo al nocciolato, facendo per trascinarsi alla cassa. Sentì Archie afferrargli il braccio e si costrinse a sorridergli.
In fondo era quello no? Jay che sorrideva, Jay che ripeteva che era tutto apposto anche quando non era apposto un cazzo.
Tutti si aspettavano che sorridesse e basta, che si arrabbiasse per qualsiasi cosa, che agisse d'impulso. Beh, non quella fottuta volta, okay?
«Va tutto bene» si obbligò a rassicurarlo. Gli scompigliò i capelli e si diresse alla cassa per pagare l'uovo, sentendo lo sguardo di suo fratello seguirlo, teso.
Quando furono usciti Jay camminò in silenzio accanto a un preoccupato Archie, l'uovo sottobraccio e gli occhi bassi. No, non aveva nessuna intenzione di parlarne perché no, non avrebbero risolto nulla: Archie se ne sarebbe fatto una ragione e basta. Magari un giorno gli avrebbe raccontato del perché fosse stato così strano tutta quella giornata ma al momento sentiva che fosse meglio tenere la questione per sé.
«Carità per favore...»
Il silenzio venne interrotto dal tintinnare del barattolo di latta del barbone: senza pensarci due volte Jay infilò in esso una banconota da venti dollari, imitato da Archie e passò avanti, presto raggiunto dal fratello, accompagnato dai ringraziamenti euforici dell'uomo vestito di stracci.
Archie gli afferrò il braccio.
«Jay...»
«Sto bene» disse bruscamente. Archie affilò lo sguardo, due lame che lo oltrepassarono da parte a parte.
«Stai bene un cazzo, Jay.»
Il nostro eroe si voltò a guardare suo fratello con aria decisamente sconvolta. Era la prima volta che sentiva Archie imprecare in quella maniera e chissà perché la cosa lo fece sorridere.
Archie sorrise a sua volta, un sorriso dolce e spontaneo che fece scattare in Jay qualcosa di simile alla tenerezza: attirò a se il fratello in uno di quegli abbracci spacca costole che erano così poco frequenti tra loro e affondò il naso tra i suoi ricci scuri.
«Ti voglio bene. Non importa che scelte farai o se bevi il the alle cinque. Ti voglio bene e sono orgoglioso di te, ricordatelo sempre.» gli sussurrò.
Archie ridacchiò contro il suo collo, dandogli uno scappellotto.
«Perché sei così sentimentale, oggi? Hai le tue cose?» lo prese in giro.
Divertito Jay gli stampò per vendetta un bavoso bacio sulla fronte e Archie fece un saltello all'indietro strofinandosi il punto offeso con forza.
«Jay!» lo rimproverò. L'altro fece spallucce, ghignando.
«Se fai il cazzone mentre io mi dichiaro non è mica colpa mia.» ribatté Jay, scompigliandogli i capelli.«Andiamo, stasera ti offro la cena. Niente impegni, eh... non pretendo che tu venga a letto con me, dopo.»
Archie lo guardò scandalizzato, dandogli una gomitata sugli stinchi che ebbe il potere di far piegare Jay dalle risate.
«Smettila di ridere o...» Archie gli gettò un'occhiata divertita. «Jay! Smettila, sto facendo sul serio!»
«Tu fai sempre sul serio, fratellino. Ma dimmi dimmi, chi è l'uomo tra te e Gwen? Perché beh, proprio tu non mi sembr...»
«Jay!Ti consiglio di correre, ora
«Uh che paura» lo beffeggiò Jay. Ma stette al gioco e si mise a correre, inseguito dalla risata del fratello minore. Era una scena, quella, che lo riportava a quando era lui ad occuparsi di Archie, a farlo giocare, ad aiutarlo coi compiti.. E pensare che gli aveva dato dritte per conquistare Gwen!
Corse con quanto fiato aveva, il cuore che batteva impazzito dentro la cassa toracica: poteva farcela, poteva salvare Archie e riportare il loro rapporto a quello di un tempo. Per lui avrebbe accettato anche di fare il testimone alle sue nozze con Gwen, avrebbe...
Attraversò la strada.
C'è un momento, nella vita di ogni uomo, in cui il tempo rallenta piano, come un fiume il cui corso è stato bruscamente interrotto.
C'è un momento nella vita di ogni uomo, in cui il suo cuore si dilania inesorabilmente.
Jay avvertì il suono prolungato di un clacson, lo strisciare delle gomme, con l'orrore che si irradiava nel suo petto come una ragnatela gelata.
Eppure era sicuro... sicuro di essere in anticipo! Non era ancora giunto il momento, non...
Si voltò.
Una macchina -un pic-up di un azzurro cupo e scolorito- procedeva spedita verso Archie che, intento com'era a correre, non se n'era reso conto e alzava una mano verso di lui, il sorriso felice in volto come quello di un bambino.
Come quando lo andava a prendere all'uscita della scuola, ai primi anni delle elementari, e lui gli correva incontro per farsi notare, per poi saltargli in braccio e raccontargli la sua giornata da cima a fondo.
«Archie!» urlò. «ARCHIE, LEVATI DA LI'!» si sentiva esattamente come se la disperazione e il terrore avessero sostituito il sangue che avrebbe dovuto normalmente circolare nel suo corpo. Scattò quando vide Archie fermo, l'espressione piena di paura e sciocco sbalordimento mentre fissava quella macchina che gli veniva incontro a tutta velocità.
Si scagliò su di lui con tutto il suo peso e lo schiacciò a terra, gli occhi chiusi e il respiro a mille. Il pick-up sterzò, poi ne seguì uno schianto.
E finalmente Jay si concesse di aprire gli occhi, tra la polvere e il fumo, buttando giù l'aria che aveva trattenuto per tutto quel tempo.
«Hai visto, Archie? Ce l'abbiamo fatta, l'abbiamo...» iniziò con una risatina carica di sollievo, ma ciò che vide gli congelò il sorriso sulle labbra e fece sì che il suo cuore quasi si spezzasse.
Archie era steso sotto di lui, l'espressione perfettamente congelata in quell'ultimo instante di terrore. E il sangue scorreva tra i suoi riccioli, sulle mani di Jay: perché Archie aveva sbattuto la testa contro il marciapiede, morendo quasi senza rendersene conto.
Lo guardò per un attimo, con il corpo di suo fratello tra le braccia, sporco del sangue che continuava a scendere dalla ferita aperta e circondato dai sussurri della gente che gli chiedevano di lasciarlo andare.
Era sordo, reso quasi cieco dal dolore e dal senso di colpa.
Non ce l'aveva fatta...
Archie era morto... di nuovo.
Definitivamente.
Il suo fratellino...
Vide il medico, o almeno quello che ricordò essere tale, prendere il telefono, ma non gl'importò.
Si rese conto di stare piangendo quando vide la camicia di Archie che iniziava a bagnarsi di piccole goccioline d'acqua. Si passò una mano sulla guancia umida, sporcandosela anche di sangue.
Cullava Archie, canticchiando Hey Jude* dei Beatles, perché era la ninna nanna che gli piaceva da bambino. Scioccamente era convinto che bastasse questo a farlo svegliare, anche se razionalmente sapeva che Archie non si sarebbe più svegliato...
«M-mi dispiace.» singhiozzò «Mi dispiace. Mi dispiace A-archie, mi dispiace fratellino... io non... non volevo! Lo sapevo e n-non ho potuto... non ho potuto fare nulla!»
Lo strinse come qualche minuto prima, il naso tra i suoi riccioli sporchi di sangue.
«Mi dispiace...» ripeté come un mantra, baciandogli la fronte, frammezzando quelle due parole con Hey Jude, singhiozzando le strofe contro la pelle di suo fratello.
«Hey Jude d-don’t make it bad... take a sad s-song and make it better, r-remember...» tirò su col naso, con voce spezzata «to let her into your h-heart...»
Archie non ascoltava più la sua voce cantare come un tempo.
Ed era colpa sua. Era morto... Archie era morto e lui non aveva fatto niente per impedirlo perché aggrappato al sorriso di suo fratello, così felice per un fottuto momento da non ricordarsi, egoisticamente, di altro.
«...then you... you can start to m-make it better. Hey Jude don’t be a-afraid, you-... were made t-to go out and get h-her...»
La campana suonava, tutto si confondeva in quelle ultime note...
Fu come se improvvisamente Jay venisse risucchiato via, il corpo di Archie diventasse un puntino sempre più lontano, strappatogli via, con la forza.

You don't need money, don't take fame
Don't need no credit card to ride this train
It's strong and it's sudden and it's cruel sometimes
But it might just save your life
That's the power of love
That's the power of love

E Jay si alzò a sedere di botto, col fiato corto, gli occhi pieni di lacrime e la fronte sudata.



*https://www.youtube.com/watch?v=CfTrthOpKCA [T___T]


To be continued ~





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Capitolo 7

«Dov'è Archie?»
«Archie?»
«Perché mi hai riportato indietro?!» Jay non si accorse nemmeno della lacrima che gli era sfuggita dalla palpebra destra, e prima che l'uomo potesse fargli domande indiscrete se la asciugò con la manica della giacca.







~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

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V
egonunmed a tutti, lettori! ç____ç
Io proprio non ce la faccio.
Mi dispiace, non posso. Non per pigrizia, nè per chissà che altro ma.. Non posso proprio.
L'ultima scena mi ha fatto piangere mentre la scrivevamo. E' come vedere il proprio figlio morire e accorgersi che non si può fare nulla per salvarlo...
Lo so, non sono nessuno per fare questi paragoni ma..ma..ma..
*Miss Watson scoppia a piangere* Oddio, è così triste!
Maddai, su *Lady Holmes passa un fazzoletto* Beh sì, povero Jay e povero, soprattutto, Archie... che destino crudele essere i personaggi di una nostra storia! T_T
Avere a che fare con la nostra crudeltà, anche se... noi li amiamo. Più amiamo un personaggio più questi deve soffrire: è il nostro modo di dimostrargli l'affetto, vero collega? >>
*Miss Watson si soffia il naso* Poveri cari, ma certo che li amiamo! Beh... a modo nostro °°
Comunque ci auguriamo che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e che il finale vi abbia, se non resi dei killer con istinti omicidi verso di noi, per lo meno perplessi. Tranquilli che le cose ormai si stanno per, come dire, concludere... non vi terremo in sospeso in eterno v.v
Ahem... Io non ci punterei LOL
Concludere la PRESENTAZIONE, intendo v.v la storia vera e propria deve ancora iniziare LoL
Abbandonando gli occhi rossi e i pianti insterici da mamma *Miss Watson getta via il fazzolettino* Ringraziamo voi fedeli ( e ingenui) lettori per seguirci con così tanta costanza ^^

Quoto! Ringraziamo particolarmente coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: Halo J Phoenix, La sposa di Ade, I am a Supernatural fan e mizuki95 *___*
Spargiamo ammmore e torte per voi **
E ricordate -anche per rimediare allo scorso capitolo dove abbiamo dimenticato questa parte fondamentale-: la musica è la voce dell'anima!! v.v
Spero se lo ricordi anche Jay prima di strozzarci...
Aaaah non credi che stia già soffrendo abbastanza il poveretto? Lascialo riprendersi, almeno! T__T
Io preparerei la difesa.. Ma alla prossima carissimi! :D
Già alla prossima! Sperando che mi carica sta cacchio di gif!! :D *Lady Holmes disperata che sta odiando tinypic*
MEZZ'ORA PIU' TARDI:
Sìììì siamo riuscite a mettere la gif!! *///////* °dopo almeno venti tentativi dal suo computer, notando che la gif proprio non voleva saperne di inserirsi in tinypic, Lady Holmes l'ha mandava a Miss Watson, che ha risolto il problema°
Scusate, sono troppo contenta, che faticaccia sta gif! Colpa sua se abbiamo ritardato con l'aggiornamento v.v datele la colpa, è la terza della Rubrica "Gif a Random" xD In ogni caso, alla prossima! *-*


***

1. Max [il Golden Retriever di Jay e Archie]:

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2. Jay disperato [ma quanto cacchio lo facciamo soffrire?! ç___ç]:

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3. Susan: 

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4. Archie: 

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM

1. Archie annoiato in macchina:

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2. Jay che usa il volante come tamburo durante Hold The Line [Spiegata la reazione di Archie nella prima gif xD]:

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3. Jay affranto al vedere il fratellino morire di nuovo [ç__ç]:

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Capitolo 8
*** 7. ***


Timeless 7
Buonasera fan, qui è Lady Holmes che vi parla! Mentre la mia collega scrive una scena del capitolo 8, io vi avverto di tre cosette. Prima: questo capitolo è molto lungo, non so se la cosa vi possa dispiacere o compiacere. Seconda: sembra inutile dirlo, del resto se siete arrivati fino a qui conoscerete benissimo il nostro protagonista. Ma in ogni caso mi sembra giusto avvertirvi: specialmente questo capitolo è ricco di parolacce. Turpiloquio e Jay vanno molto d'accordo, e questo lo sapevate v.v La terza è una domanda: bene, sappiate che a primo impatto io e la mia collega abbiamo scelto la sezione fantasy per questa storia, ma poi ci siamo accorte che, porco Caspian, esiste anche la "soprannaturale/Angeli e demoni" e beh, sembra più indicata. Ora, ci sembrava necessario chiedere il vostro parere a riguardo: insomma la spostiamo o no? A noi non cambia niente, ma non vorremmo lasciarvi brutte sorprese, come dire, che non trovate più la storia nella sezione fantasy, ecco >> Noi vi abbiamo avvertito, a voi la risposta :D  E adesso basta rompervi le palle, ecco il capitolo! Buona lettura! :)

Capitolo 7




Rimase qualche secondo fermo in quella posizione, poi corse giù dal letto e si diresse in bagno, vomitando anche l'anima con la testa che gli girava, le mani tremanti e gli occhi lucidi.
Era scombussolato ed esausto, e il cuore non voleva saperne di rallentare i battiti. Si aggrappò letteralmente al bordo del lavandino, prendendo grandi boccate di ossigeno, e si sciacquò la bocca per diversi minuti.
Quando finalmente alzò gli occhi sullo specchio, il ragazzo che gli ricambiò l'occhiata era pallido, coi capelli stravolti e una sorda paura in fondo alle pupille. Si passò le dita ancora bagnate sulle palpebre, per rianimarsi, e alla fine non seppe più distinguere le lacrime dalle gocce d'acqua.
Okay, è tutto finito, tutto finito. Continuava a ripetersi.
Si sentiva uno straccio, e non voleva, non voleva assolutamente pensare a tutto quel sangue intorno al corpo di suo fratello.
Si liberò dei vestiti in fretta e furia, e si infilò sotto il getto caldo della doccia, lasciando ricadere la schiena contro un lato del box, mentre l'acqua bollente gli scorreva sulle scapole e tra i capelli.
Chiuse gli occhi e ispirò, battendo un pugno sul muro dietro di sé, e poi un altro, e  un altro ancora, ringhiando tutto il dolore e la disperazione.
O stava diventando completamente pazzo o suo fratello era morto. Di nuovo.
E nessuna delle due ipotesi era accettabile.
Cosa ricordava del giorno prima? Forse era svenuto, anzi sicuramente era svenuto... e probabilmente Bill l'aveva riportato a casa.
Ed Archie era morto.
Nonostante avesse già previsto la sua morte, non era stato in grado di salvarlo. Aveva fallito.
Aveva ucciso Archie, non era stato in grado di prendersi cura di lui.
Con un fortissimo senso di nausea si asciugò e si rivestì con gli stessi abiti del giorno prima -chi cazzo se ne fregava della moda!- e corse fuori lasciando praticamente la porta aperta e la radio accesa, che continuava a trasmettere i discorsi delle due speakers di radio Hourglass.
Nell'emergere così di fretta nel corridoio si ritrovò a travolgere letteralmente la signora Mao. Jay si allungò in tempo per evitarle una caduta, poi la sommerse di scuse e scappò via, col cuore in tumulto.
L'anziana vicina non replicò, e nemmeno Guirao quando raggiunse il portone d'ingresso. Forse avevano scorto la sua espressione sconcertata e gli occhi lucidi, e avevano preferito tenere le proprie considerazioni per sé.
Jay attraversò le strade senza curarsi dei clacson e delle macchine che frenavano di colpo, e si ritrovò addirittura a fermarne una con entrambe le mani, graffiandosi anche. Si premurò di insultare il guidatore -stava troppo male per essere gentile- e quasi ebbe un sussulto quando raggiunse la saracinesca.
La alzò con un movimento secco del piede e si infilò dentro, ruggendo.
«BILL!»
Qualcosa si mosse in un punto imprecisato sotto la macchina rossa posta a pochi metri dall'ingresso e da un carrellino venne fuori la figura macchiata di Bill, circondata da un ventaglio di chiavi inglesi insozzate di olio.
«Ma ti hanno insegnato l'educazione? Che si urla così?!» lo redarguì l'uomo, sistemandosi il cappellino e rimettendosi in piedi mentre Jay, col fiato corto, lo raggiungeva e gli afferrava i lembi della giacca imbottita.
«Dov'è Archie?»
«Archie?»
«Perché mi hai riportato indietro?!» Jay non si accorse nemmeno della lacrima che gli era sfuggita dalla palpebra destra, e prima che l'uomo potesse fargli domande indiscrete se la asciugò con la manica della giacca.
«Ragazzo, che ti succede?» Bill aveva abbandonato il tono burbero, sostituito da uno apprensivo. «Stai...»
«Dove diamine è Archie?!» urlò, fuori di sé, e quando l'uomo non rispose, limitandosi a battere le palpebre e a richiamarlo, Jay batté i palmi sul tavolo, con una bestemmia. In quel frangente si accorse del giornale ripiegato. Lo afferrò immediatamente, scorrendo le notizie e il necrologio: non trovò il nome del fratello da nessuna parte. Perplesso alzò gli occhi e lesse la data.
«Perché diavolo leggi il giornale di ieri?»
«Di ieri?» Bill alzò un sopracciglio, adesso seriamente preoccupato, avanzando qualche passo titubante verso di lui. «Quello l'ho comprato stamattina.»
Jay rilassò i muscoli, guardandolo come se non riuscisse realmente a vederlo. Deglutì, sentendo il nervosismo crescere dentro di lui come una pianta rampicante irta di spine.
«No, Bill...» sussurrò, scuotendo la testa e stringendo la mascella. «No, cazzo! Questo è del 26 Marzo!»
«Appunto.»
«Fanculo!»
«Jay...?»
«IERI era il 26 Marzo!» continuò Jay, con un tono piuttosto isterico.
«Sei esaurito, per caso?»
«CAZZO!» Jay buttò all'aria il giornale, portandosi le mani tra i capelli e girando su se stesso, quasi non volesse credere alle sue orecchie. Poi iniziò a ridere.
Bill era sconvolto. «Ragazzo, sul serio, forse hai bisogno di dormire...»
«Bill, sto diventando pazzo!» spiegò Jay con gli occhi lucidi ed una risata priva di allegria. Lasciò ricadere le mani lungo i fianchi, umettandosi le labbra e continuando a scuotere la testa. «Se tutto questo è un fottutissimo scherzo giuro che vi prendo tutti a calci in culo!»
«Di che diavolo stai parlando?»
«Ieri era giovedì!» Jay allargò le braccia, nevrotico «L'altro ieri era giovedì, e oggi è giovedì pure! Ogni giorno è sempre lo stesso fottuto giorno!»
Bill abbandonò il cappello sul tavolo e si passò un polso sulla fronte imperlata di sudore, studiando il giovane. Poi sospirò. «Dio santo, Jay, mi stai facendo perdere vent'anni di vita. Io credo che tu sia un po' confuso.»
«No, non sono confuso! Io sto diventando pazzo, Bill, PAZZO!»
L'uomo lo guardò scettico.
«Sei indisposto per caso?» indagò, pulendosi le mani su uno straccio. «Ragazzo, dovresti dormire di più... non hai una bella cera!»
Esausto Jay si tirò i capelli corti via dalla fronte. Indisposto? Si sentiva una donna incinta, altroché!
Va bene, possibilmente la prima volta aveva sognato tutto quell'ambaradan. E poteva anche passare: un sogno strano capita a tutti, no?
Ma sognare due volte la stessa cosa no. E c'era qualcosa di assolutamente strano in tutto quello, nei giorni che si ripetevano, nelle azioni che si svolgevano uguali sotto i suoi occhi: possibilmente aveva urgente bisogno di caffeina.
O di una bella vacanza.
O magari tutte e due le cose insieme.
«Jay..»
Riscosso dalla voce di Bill Jay scrollò più e più volte la testa e si diresse deciso verso la sua piccolina, sotto lo sguardo preoccupato dell'uomo.
«Vado a prendere Archie.» dichiarò, infilandosi il casco.
«Ma... e Gwen?»
Giusto, Gwen. Beh...
«E chi se ne fotte!» ribatté con forza. Mise in moto e partì sgommando.




L'aereoporto della città non era molto distante dal centro e se poi quella distanza era colmata in moto il tempo che si impiegava era davvero poco. Eppure a Jay sembrò di occupare secoli.
Parcheggiò precipitosamente, si tolse il casco, e corse verso l'entrata dell'aereoporto, guardandosi in giro: si affrettò verso il tabellone degli arrivi e lo consultò velocemente, rilassandosi appena quando scoprì che l'aereo di suo fratello non era ancora arrivato.
Bene, aveva tempo per riflettere.
Dunque, il 26 Marzo sembrava divertirsi a ritornare in salse diverse. O era lui che cambiava gli eventi? Possibile, anche perché a quel che pareva era l'unico che ricordava qualcosa.
Solo un evento sembrava inevitabile: la morte di suo fratello. Jay deglutì, scacciando furiosamente l'immagine del corpo immobile di Archie riverso sulla strada e circondato dal sangue.
No, non era decisamente il tempo per pensarci. Poteva impedirlo, doveva assolutamente fare in modo che non succedesse nulla del genere.
Forse il fatto di aver preso la moto al posto dell'Alfa Romeo avrebbe cambiato qualcosa... ma cosa di preciso Jay non avrebbe saputo e potuto stabilirlo: aveva la mente piena di pensieri vorticosi che lo confondevano e lo stordivano.
Delle hostess gli passarono accanto, ridacchiando e indicandolo tra loro. Non le degnò di un'occhiata, dirigendosi verso il bar.
Aveva bisogno di cibo. E di una buona dose di caffeina.
Un hot dog, una tripla porzione di patatine fritte con maionese e due tazze di caffè più tardi Jay A. Denver si ritrovò sotto quel cartellone, di nuovo, mentre una voce metallica annunciava che il volo AS987T proveniente da Londra era appena atterrato.
Immaginò suo fratello scendere dall'aereo salutando cortesemente le hostess, salendo sulla navetta che lo avrebbe portato di fronte all'entrata dell'aereoporto per poi scendere anche da quella, dirigersi verso il nastro delle valigie e attendere insieme a tanti altri che queste venissero caricate: se lo prefigurò in mente nell'atto di prendere la propria valigia e...
«JAY!»
Il suddetto si voltò di scatto e sorrise nel vedere Archie, con gli stessi identici vestiti che gli aveva visto addosso per due giorni, correre e salutarlo. Gli corse incontro e lo abbracciò di slancio.
«Jay, non soffocarmi!» Archie lo prese a pugni sulla schiena e il maggiore allentò la presa, accorgendosi del colorito bluastro che la pelle del fratello aveva assunto. Ops.
«Scusa» ridacchiò un po' in imbarazzo. «Archibald.» aggiunse maligno, scompigliandogli la zazzera scura.
Il fratello lo guardò male.
«Idiota.»
«Secchione.»
«Demente.»
«Vecchietto.»
Archie replicò a quest'ultimo insulto con una smorfia e Jay rise, scompigliandogli ancora i capelli, per poi prendere le valigie.
«Ho portato la moto.» fece allegramente. «Quindi fratello, oggi niente pranzo da mamma, ti porto nel migliore ristorante italiano della città. Chiama anche Gwen, se ti va, anche se suppongo che sarebbe meglio che tu non lo facessi...»
Archie lo guardò sconvolto.
«Non erano questi i piani per la giornata» osservò.
In effetti quelli non erano mai stati i piani per la giornata, ma Jay si limitò a sorridere.
«Ti fidi di me?»
«No.»
«Ragazzo cattivo!»
«Jay» cantilenò Archie, ed era sempre sinonimo di guai «Che significa che non andiamo da mamma e che non prendiamo Gwen?»
«Che non andiamo da mamma e non prendiamo Gwen» rispose candidamente Jay, acciuffando una delle valige di Archie e incamminandosi a passo spedito verso l'uscita, col fratellino che lo tallonava a breve distanza. «E perché no? E' una tradizione di famiglia il pranzo da mamma. E poi sono appena tornato, e Gwen...»
«Una domanda per volta, fratellino» Jay si fece da parte, reggendo la porta per farlo passare, ma Archie non sembrava volerne sapere di uscire senza una spiegazione; così rimase al suo fianco, con le braccia conserte.
«Si può sapere che sta succedendo?»
Jay portò finalmente gli occhi su di lui, con una smorfia ironica. «Niente, cambio di programma, tutto qui. Mamma e Gwen le potrai vedere domani, oggi sei mio.» gli fece l'occhiolino e, notando che il fratello non sembrava intenzionato a superarlo, affiorò all'aria aperta, senza curarsi di tenere la porta. Archie fu costretto ad un balzo, frenandola con le mani, per impedire alla porta a vetri di spaccargli il naso.
Borbottando qualcosa di imprecisato e massaggiandosi le nocche, con una veloce corsetta lo raggiunse di nuovo, mentre la valigia gli ballonzolava contro il fianco.
«Jay, che diavolo... mi vuoi spiegare?! Gwen è la mia ragazza, e mamma l'ho sentita ieri al telefono. Sembrava tutto a posto, non capisco perché...»
Jay cercò di mettere tra sé e il minore più distanza possibile, ma mentre si dirigevano al posteggio, sotto il sole battente, realizzò che non poteva fuggire per sempre. L'incolumità di Archie era l'unica cosa che avrebbe preservato quel giorno, anche a discapito di Susan e Gwen: meglio avere con sé un fratello scostante e depresso che uno morto.
E Archie si era quasi calmato, senonché, quando scorse il mezzo di trasporto che li avrebbe riportati in città, assunse un'espressione tra il sorpreso e l'offeso.
«Che c'è?» domandò Jay sospettoso, senza voler realmente conoscere la risposta. Archie dapprima gli lanciò uno sguardo significativo, poi sospirò e allargò le braccia «Ma dico, ti sei bevuto il cervello?»
Jay lo ignorò e saltò sul sellino, spolverando il manubrio e ponendosi la valigia tra le scarpe.
«No, sono più un tipo da birra.»
Archie tramontò gli occhi al cielo, poi avanzò fino a raggiungere la moto -o meglio, fino a poter guardare il fratello in faccia, sebbene il maggiore cercasse di evitare in ogni maniera possibile il suo sguardo-.
«E' per questo che non possiamo prendere Gwen e andare da mamma? Per il tuo assurdo gusto di metterti al centro dell'attenzione e guidare questa cavolo di moto?»
«Eih, non insultare la mia piccolina, è sensibile!»
«Oh, per favore!» Archie iniziava seriamente a perdere la pazienza «Andiamo, non posso credere che Bill non avesse una macchina da prestarti!»
«Senti,» Jay lo incatenò con gli occhi -doveva inventare una scusa, o suo fratello avrebbe pernottato in aereoporto- «mamma mi ha telefonato questa mattina e si è scusata mille volte, ma credeva che saresti tornato domani. Di conseguenza ha spostato anche il pranzo. E Bill non era all'officina, oggi. Non... non l'ho visto, già. La saracinesca era...» si schiarì la gola, chiedendosi se risultasse abbastanza credibile «era, sì, era chiusa. E avevo posteggiato la moto fuori quindi ho potuto usare solo questa. Se Gwen vuole venire con noi dovrà prendere un taxi.»
«E se prendessimo noi un taxi?» propose Archie, speranzoso.
«E lasciare qui la mia piccola? Non se ne parla!» convinto di aver avuto la meglio Jay diede un colpetto sul sellino «Monta, su, e non rompere le palle.»
 «Che dolce.»
«Proprio come una torta al pistacchio eh?» il sorriso di Jay però si smorzò subito dopo, quando ricordò che all'incontro nel Caffè d'Europe era seguita, qualche ora dopo, la morte di suo fratello. Aspettò che l'altro lo seguisse, con la valigia dietro la schiena, poi gli passò il casco e infilò il proprio -solo perché Archie aveva iniziato a snocciolargli i pericoli a cui un motociclista disattento e senza casco andava incontro, con conseguenze disastrose tra cui un cranio perforato e qualche vertebra del corpo che cambiava residenza- e infine mise in moto, lasciando dietro di sé solo un nugolo di polvere.
Quel giorno non avrebbe commesso lo stesso errore: non si diresse al Caffè d'Europe, ma ad un altro bar aperto da poco ma molto frequentato -la pasticceria Carlisle, un locale che Bill gli aveva consigliato tempo addietro- dove si premurò di ordinare dolci differenti a quelli che aveva mangiato i due giorni precedenti, gioendo mentalmente quando il cameriere annunciò ad Archie che la torta al pistacchio era finita.
«Ah.»
Archie sbirciò il menù, un po' deluso.
«Però posso consigliarle un'ottima bavarese al cioccolato.» si affrettò ad aggiungere il cameriere. «Anche se la signora che si occupa della cucina oggi non c'è posso assicurarle che la ragazza che la sostituisce è bravissima.»
«Oh» il ragazzo gettò un'ultimo sguardo al menù, poi annuì chiudendolo. «Vada per la bavarese al cioccolato, allora.»
Il cameriere annuì, scrisse l'ordinazione e si allontanò verso la cucina: Jay fece appena in tempo a vedere una ragazza sottile china sul tavolo da lavoro, prima che le porte si richiudessero e la sua attenzione fosse richiamata da Archie.
«Allora, mi hai portato qui perché la ragazza che sta alla cassa è carina...» e accennò con la testa alla biondina che stava messaggiando svogliatamente alla cassa masticando una gomma americana. «O per qualche altro motivo che la mia povera mente non comprende?»
«Solo perché volevo dichiararti il mio amore lontano da occhi indiscreti» Jay si passò la lingua sulle labbra in un gesto malizioso «E perché i bagni sono liberi» e ammiccò
Archie gli mollò un pugno sulla spalla, scuotendo arrendevolmente la testa.
«Fai così con tutte quelle che si dichiarano?» indagò Jay, massaggiandosi il punto offeso col broncio.
«Solo con quelle che mi fanno proposte indecenti» ribatté Archie, storcendo il naso in una smorfia a metà tra il rassegnato e il divertito. Jay ridacchiò mentre il cameriere portava le sue ordinazioni, pensando che quell'espressione sul volto di suo fratello fosse una delle cose più tenere che avesse visto da sei mesi a quella parte.
E mentre lo osservava mangiare la bavarese, sporcandosi per chissà quale strano motivo il naso di cioccolato, si promise che in qualche modo lo avrebbe protetto. Non importava in quale, ma lo avrebbe fatto.
E con questa determinazione prese a mangiare, continuando a stuzzicare il fratellino e a prenderlo in giro per le macchie sul naso.

*

«Jay, la vuoi finire?»
«Non è mica colpa mia se è così grosso!»
Archie gli lanciò uno sguardo esasperato.
«Mi stai facendo male» lo informò piatto. Suo fratello gli rivolse una smorfia concentrata.
«Ma che diamine... perché non entra?»
Il minore dei Denver alzò gli occhi al cielo.
«Forse perché è un'altalena per neonati, genio?»
Jay capitolò con un sospiro, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, mentre Archie si districava non senza difficoltà da quel minuscolo sellino.
«Sì ma il tuo sedere resta troppo grosso! Hai mai pensato di fare una dieta, baby?»
«Fottiti.»
«Dai, ti aiuto o con quel tuo sederone resterai incollato lì» ghignò infine il nostro protagonista, afferrando il fratello da sotto le ascelle e caricandoselo sulle spalle.
«Jay, mi hai aiutato, okay, ma ora che stai facendo?»
Il tono terrorizzato di Archie lo fece ridere.
Dopo colazione erano andati in quel parco, lo stesso in cui giocavano a pallone da piccoli, tanto amato dai loro genitori - Susan aveva spesso ripetuto come Josh Denver, lo spaccone, il casanova, l'avesse baciata proprio lì- per fare un giro: prima Jay aveva insistito per infilarlo in quella stupida altalena e in quel momento stava correndo con lui in spalla, ridendo e facendo casino come solo un enorme bambino di venticinque anni sa fare.
«Mettimi giù!» urlò Archie, tempestandogli la schiena di pugni.
Qualche vecchietta li guardava male, altre sospiravano nel ricordo della giovinezza ormai perduta: alcune mamme portavano via i loro pargoli borbottando e tappando loro gli occhi, ma per il resto tutti gli altri se ne stavano beatamente fregando.
Jay comunque lo rimise per terra, sempre ridendo.
«E dai, Archie, sciogliti un po'!» sghignazzò, dandogli uno spintone: alla fine, contagiato dall'ilarità del fratello e divertito dagli sguardi omicidi che una vecchietta gli stava lanciando, Archie iniziò a ridere.
«Ma bene, bene, ci divertiamo al parco e ci dimentichiamo della fidanzata!»
Mani sui fianchi, sguardo serio, bocca piegata in un broncio. Gwen li stava guardando come nemmeno loro madre aveva fatto in tutti quegli anni passati a combinarne di tutti i colori -identificabile come l'infanzia- tanto che persino Jay smise di ridere.
Archie le lanciò uno sguardo preoccupato.
«Tesoro...» tentò, ma lei non lo fece continuare perché incominciò a saltellare come una bambina.
«Oh amore, andare in taxi è stato così eccitante! Non l'avevo mai preso! Il tassista era un messicano credo, era così barboso e arrabbiato... e non conosceva l'indirizzo, così ha chiesto a un suo collega di spiegarglielo! Imprecava sempre, ma almeno l'aria condizionata funzionava! Allora mi sono detta: mangerò qualcosa al cioccolato, perché sai come fa bene il cioccolato all'anima? Mia nonna lo diceva sempre e... JAY!»
E Jay, talmente concentrato nel capire se Gwen respirasse tra una parola e l'altra, si ritrovò stritolato da un abbraccio della suddetta sotto lo sguardo divertito di Archie.
«Oh ma come sono felice di vederti!!» strillò tutta contenta la ragazza, mordendosi il labbro.
Impacciato e imbarazzato, non essendo abituato a tanto entusiasmo, Jay rivolse uno sguardo supplichevole verso il fratellino che sghignazzò e alzò le spalle.
Traditore.
«Perché non vieni mai a trovarmi con Archie?» s'imbronciò improvvisamente Gwen, staccandosi da lui. «Io mi diverto quando vieni! Sei così simpatico e... oh ciao anche a te, tesoro!»
Come ricordandosi della sua presenza solo in quel momento Gwen interruppe il suo soliloquio per gettare le braccia al collo di Archie e incollarsi alle sue labbra.
Non che a Jay fosse dispiaciuto che quell'insensato fiume di suoni senza capo né coda si fosse arrestato così bruscamente: conosceva abbastanza Gwen per poter tranquillamente accordare che la ragazza tendesse spesso a saltare da un argomento all'altro come se niente fosse, o rivolgersi improvvisamente ad un'altra persona, seppellendo nei recessi più reconditi nel proprio cervello e della propria attenzione quella con cui stava parlando in precedenza.
Tuttavia, si ritrovò a distogliere lo sguardo disgustato quando i due piccioncini non sembrarono intenzionati a staccarsi subito. Ma quanto poteva durare la loro riserva d'aria?!
Aspettò pazientemente che terminassero quei suoni appiccicosi, ma quando ciò non avvenne, irritato, si decise ad intervenire. «Allora, possiamo andare?»
Archie e Gwen finalmente si separarono, il primo rosso di vergogna, la seconda leggermente divertita.
«Dove?» chiese il primo, distratto. Jay alzò un sopracciglio «Non so, tu che vuoi fare a orario di pranzo? Giocare a bowling?»
«Allora scegliamo un ristorante, magari italiano come avevi proposto» risolse Archie, ignorando la frecciatina. Poi guardando Gwen: «Che ne pensi se..»
«Oh no, niente ristoranti!» si inserì Jay con urgenza, e quando ebbe ottenuto tutti gli occhi addosso continuò, schiarendosi la gola. «Meglio qualcosa di più... non so...»
«Ma eri stato tu a suggerire il ristorante italiano, stamattina.» insistette Archie.
«Beh, ho cambiato idea.»
Archie batté le palpebre e Jay rise nervosamente.
«Voglio dire... sono così cupi e deprimenti, i ristoranti...»
E nei ristoranti avrebbero propinato gli stessi cibi che avevano mangiato il giorno prima, e quello prima ancora... e  entrambe le volte Archie era morto. No, doveva cambiare gli eventi, se voleva anche solo sperare di salvarlo.
Archie e Gwen si scambiarono un'occhiata interrogativa, mentre Jay si guardava freneticamente intorno, alla ricerca di un disperato aiuto e di una risposta plausibile. Poi il suo sguardo venne catturato da un'insegna al neon che lampeggiava su un camioncino, e sospirò di sollievo. Salvezza!
«Che ne dite di un hot dog?» propose poi, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Già Archie si stava preparando a replicare con una secca ramanzina, su quanto fosse poco carino mangiare dei panini proprio il giorno in cui lui tornava, e peggio ancora costringere Gwen -la povera e delicata Gwen, citando le sue probabili parole- a macchiarsi le mani con la maionese, quando la suddetta se ne uscì con un risolino allegro e complice.
«Oh, ma io AMO gli hot dog!»
Jay e Archie spalancarono gli occhi, l'uno trionfante, l'altro avvilito.
«Stai scherzando?» volle informarsi il minore.
 Gwen di tutta risposta gli strinse la mano, inclinando appena la testa. «Cos'è, sei convinto che io sia una femminuccia da quattro soldi? Non ho bisogno di caviale e champagne! E mi piacciono gli hot dog, anzi ne vado matta!»
Jay non riusciva a credere alle proprie orecchie.
 Sentiva di adorare Gwen. Forse aveva sbagliato a trattarla così male in passato...
«Hai visto?» rivolse un sorrisetto di sfida ad Archie, che rispose facendo il muso. «Perfino la tua ragazza è d'accordo con me, e siamo due contro uno! Per amor della giustizia abbiamo vinto noi, tu che dici? Accetterai di abbassarti al livello dei comuni plebei?»
Il bruno tramontò gli occhi al cielo, poi superò entrambi con un sospiro da genitore stanco. «E vada per gli hot-dog...»
Jay esultò mentalmente, mentre Gwen emetteva un gridolino eccitato. Un attimo dopo gli si era aggrappata al braccio, euforica come una bambina di fronte ad un gelato.
«Sai che papà mi portava sempre a mangiare hot dog la domenica, quand'ero piccola? Ci facevamo lunghe camminate nel parco, al tramonto, col vento tra gli alberi e, dio, era così rilassante! E quei panini erano squisiti, così caldi e morbidi! Si chiamava Frank il tipo che li faceva, credo, oppure Jim, o Jack, o Francis, o...» Jay aveva smesso di ascoltarla già dal "sai", concentrandosi a seguire i movimenti del fratello con un gran sorriso. Era orgoglioso di se stesso: ci stava riuscendo. Questa volta stava sul serio cambiando gli eventi.
Questa volta... questa volta avrebbe salvato Archie.
Ordinarono tre maxi hot dog e tre porzioni di patatine e si sedettero in uno di quei tavoli di legno coperti da una tettoia e circondati da alberi, proprio vicino al laghetto. Archie si chinò a cogliere un narciso e lo porse a Gwen che sorrise, intenerita, e gli schioccò un bacio sul naso.
Alle loro spalle, mossi da un leggero vento, petali di pesco e ciliegio cadevano lentamente, volteggiando per aria prima di posarsi sul terreno. Quel posto aveva l'impressionante capacità di rilassare Jay.
Susan tampinò sia lui che il fratello con decine di telefonate che Jay fingeva di non sentire -anzi spense direttamente il cellulare- e che invece facevano aggrottare le sopracciglia di Archie. Ma prima che il fratellino potesse rispondere Jay gli prendeva il cellulare, con la scusa di guardare l'orario. Alla fine gli spiegò con un sorriso, che il giorno dopo avrebbero fatto una sorpresa alla mamma, e Archie finalmente si tranquillizzò.
I petali continuavano a galleggiare nell'aria, cadendo con calma.
«E' bellissimo qui.» sussurrò Gwen, incantata.
Jay annuì, sistemandosi di fronte a lei.
«Era il posto preferito di mio padre... e un po' è anche il mio» ammise, immalinconito, portandosi una patatina grondante di maionese alla bocca. Probabilmente avrebbe aggiunto qualcosa di profondo, giusto per impressionare Gwen, ma qualcosa gli colpì la guancia e toccandosi la faccia scoprì che...
«Archie! E che schifo!»
Archie rise, piegato in due, la bottiglia di maionese accanto.
Gwen sbatté qualche minuto le palpebre, non capendo cosa fosse successo. Per innalzarla al celebre mondo della... maionese Archie le schioccò un rumoroso bacio sulla guancia.
La ragazza fece un saltello, portandosi una mano allo zigomo.
Jay pensò che fosse bello stare lì, con loro due, a ridere e comportarsi come un bambino. Addentò il suo hot dog, masticandolo con un sorriso mentre scostava lo sguardo per non vedere le smancerie di Gwen e Archie -la prima stava leccando la faccia di suo fratello sghignazzando su quanto fosse buono mentre il secondo rideva e si dimenava- e osservò i petali di pesco e ciliegio volteggiare dolcemente.
Improvvisamente il futuro, per una strana ragione, non sembrava così oscuro.
Deglutì il boccone e stava per prendere un sorso di coca cola quando una sagoma attirò la sua attenzione. Quasi si strozzò con la bibita e prese a tossire convulsamente mentre Archie gli dava delle pacche sulla spalla: vide il ragazzo voltarsi, squadrarlo, il suo viso assumere un'espressione confusa.  
Era il tipo coi capelli scuri e la giacca di jeans con cui si era scontrato il primo giorno, e che aveva aspettato con ansia il secondo, senza vederne traccia. Era l'unica eccezione alla sequenza di coincidenze che continuavano a ripetersi a oltranza.
Era l'unica luce in quell'oscurità priva di senso.
L'unica speranza che gli era rimasta per comprendere cosa cazzo stesse succedendo.
«Ehi!» lo chiamò Jay con la voce ancora gracchiante per il quasi soffocamento, saltando in piedi, seguito dallo sguardo allibito di Archie e Gwen.
Il ragazzo spalancò gli occhi, all'improvviso quasi spaventato; e quando Jay, col cuore a mille, si avvicinò a grandi passi verso di lui quello indietreggiò in maniera sconnessa.
«Tu, aspetta!» urlò Jay iniziando a correre, subito imitato dall'altro, che si tuffò in mezzo alla folla e agli alberi.
«Dannazione!» Il biondo accelerò la corsa: non poteva lasciarselo scappare. Quel ragazzo, come lui, sembrava cambiare comportamento ogni giorno. Sembrava sapere.
«Jay, un momento, ma cosa...» si stava intanto domandando Archie, alzandosi a sua volta insieme alla propria ragazza. Quando si rese conto che il maggiore non gli stava dando conto si ritrovò a braccarlo a breve distanza, cercando di richiamarlo indietro.




To be continued ~




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Era così concentrato a non togliergli gli occhi di dosso che non si accorse di essere uscito fuori dal parco e di star attraversando di filato la strada, e nemmeno di essere seguito dal fratello e Gwen. Si rese conto di tutte queste cose assieme quando un clacson e una luce improvvisa lo investirono, la voce terrorizzata del fratello urlava il suo nome, e qualcosa lo urtava violentemente su un fianco.
Venne sbalzato a qualche metro, e sbatté con violenza sull'asfalto, rotolando un paio di volte prima di fermarsi. L'impatto gli strappò un gemito.
«Jay!»








~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D
*Miss Watson arriva trafelata*
Scusate, è stato lungo e faticoso e fa caldo!ç_ç
E il mio mouse del Caspian non funziona come dovrebbe! T_T ah sì, e l'anticipazione è molto bastarda, come noi. C'è stata una vera e propria svolta, eh?? Non ve l'aspettavate! v.v
*si asciuga la fronte con un fazzolettino*
Per quanti ci staranno odiando penso che il vostro mouse si sia suicidato, Lady Holmes
E' possibile, miss Watson, è possibile, anzi probabilissimo >> Ma anche lei ci colpa, eh, lei mi fa compagnia e non mi ha ancora consegnata alla giustizia v.v
Dovrebbero consegnare me per prima, Lady Holmes xD E poi sa che noia?
*Miss Watson passa del the freddo alla collega*
Ordunque, che aggiungere?
*Lady Holmes lo beve in un sorso, poi sospira di sollievo come Jay dopo una bottiglia di birra*
Che aggiungere? Che un po' ci piace vedervi soffrire, e quindi abbiamo stroncato il capitolo proprio sul più bello *-*
La mia collega si è espressa benissimo xD Ma si beh, ormai pensare Jay che non impreca è reato: considerando sotto chi è nato, poveraccio xD
Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto - noi ci mettiamo tanto ammmore nel scriverlo- e ci piacerebbe sentire la vostra opinione a proposito del miserioso ragazzo!
Chi è? Che importanza ha nella storia?
Ma sopratutto: riuscirà Jay a prenderlo - e non pensate male monellacci!- prima che al nostro Archie succeda qualcosa di brutto?
Ammesso che c'entri qualcosa, eh XD
Ma noi vi facciamo illudere, con queste domande u.ù tipo con la signora Mao e il signor Guirao.. magari non servono a nulla -o magari il signor Guirao estrarrà il fucile e farà fuori Jay >.>-, ma intanto voi vi fate filmini mentali e noi sghignazziamo contente xD
E poi... beh volevamo ringraziare tutti coloro che leggono, chi ha inserito la storia tra seguite, preferite e compagnia bella, e soprattutto coloro che hanno recensito, solo che ci scocciamo ad andare a prendere i nomi, quindi accontentatevi. Tanto sapete che parliamo di VOI! *____* E' l'orario, sono le undici, praticamente, e noi siamo stanche! T_T
Regaliamo a tutti torte e ammore!
Siete fantastici!^^
Ringraziamo chi ci segue su facebook e sopporta i nostri scleri quotidiani e i nostri collage!XD
Alla prossima, gente! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! :3

 

***

1. Gwen che mangia l'hot dog:

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2. Bill e Susan:

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3. Un Jay coi capelli più lunghetti *-* -come si ridurrà probabilmente, insomma-:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM [oggi dedicate solo a Jay ^^]

1. Jay, nell'officina di Bill, quando realizza che lo stesso giorno si sta ripetendo:

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2. Sempre il nostro eroe, che crede di essere diventato pazzo:

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3. Sempre lui, nell'atto di... imprecare [??]:

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Capitolo 9
*** 8. ***


Timeless 8
Capitolo 8




L'unico suono che accompagnava Jay era il suo respiro e il battito dei passi sul sentiero sterrato, mentre il ragazzo davanti a lui correva spedito, gettandosi ogni tanto un'occhiata alle spalle per controllare di essere ancora seguito.
Il fatto stesso che gli stesse sfuggendo in quel modo fece insospettire Jay.
«EEEEHI!» si sgolò saltando lo skateboard che un bambino si era lasciato sfuggire a pochi centimetri dai suoi piedi.
Scartò improvvisamente per evitare una vecchietta col bastone, ma travolse un tipo con un carretto di gelati, che imprecò e lo minacciò di morte agitando una manciata di dollari appena incassati.
Si allontanò dai coni gelato che rotolavano sul terreno, promettendosi che più tardi avrebbe rimediato al danno, curandosi tuttavia di non staccare gli occhi dalla giacca di jeans del ragazzo moro. Cavolo quanto era veloce!
Sembrava quasi non toccare terra coi piedi, quasi come se... volasse.
Era così concentrato a non togliergli gli occhi di dosso che non si accorse di essere uscito fuori dal parco e di star attraversando di filato la strada, e nemmeno di essere seguito dal fratello e Gwen. Si rese conto di tutte queste cose assieme quando un clacson e una luce improvvisa lo investirono, la voce terrorizzata del fratello urlava il suo nome, e qualcosa lo urtava violentemente su un fianco.
Venne sbalzato a qualche metro, e sbatté con violenza sull'asfalto, rotolando un paio di volte prima di fermarsi. L'impatto gli strappò un gemito.
«Jay!»
Sentì dei passi accorrere in fretta, poi qualcuno scuotergli le spalle e qualcun altro allontanargli i capelli dalla fronte.
Rantolò qualcosa, portandosi una mano alla testa. Una fitta lo colpì non appena mosse il gomito ma la ignorò.
 Si sentiva caldo...
Batté le palpebre per mettere a fuoco, e riconobbe i contorni del volto di Archie. Apriva la bocca ma Jay non riusciva a sentire cosa stesse dicendo.
Allontanò le dita dalla fronte e le riscoprì ricoperte di sangue. Maledizione!
Poi, ad un tratto, del tutto senza preavviso, i suoni gli invasero i timpani con il fragore di un'ondata. Scosse la testa per riprendersi, mettendosi a sedere sorretto dalle braccia di Gwen e quelle di Archie.
«Jay, ehi Jay!» Archie gli passò una mano sulla fronte «Ehi mi senti? Ci sei?»
Il maggiore dei Denver impiegò pochi attimi per riordinare la mente e riacciuffare i ricordi.
«Sì, ci sono!» rispose evasivo, scostando il fratello per mettersi in piedi.
Doveva trovare il ragazzo...
«Sei sicuro? Riesci ad alzarti? Vuoi che ti aiuto?»
«No, Archie, sto bene, sto...»
«Oh, Dio, Jay, eravamo così preoccupati!» Gwen non sembrava intenzionata a lasciargli andare il braccio. «Credevamo che fossi morto! E fortuna che hai aperto gli occhi, stavo già per staccare la testa a quella gallina vamp che ha attentato alla tua vita!»
«Gallina...»
«Denver!»
Archie e Gwen si scostarono appena, a mostrare il volto della persona che l'aveva investito. Jay non poteva credere ai propri occhi.
«Bella?!»
E mai una parola aveva assunto un significato più spregiativo dei peggiori insulti del suo repertorio.
A quanto pareva anche quell'incontro era stato scritto nel destino e se proprio non poteva evitarlo...  no, un momento. Il ragazzo era un'eccezione alla regola: il giorno prima non era comparso -come invece avrebbe dovuto-, quindi... sì, poteva impedire la morte di suo fratello.
Spinto dall'adrenalina e da quella nuova speranza che si era affacciata timidamente nella sua testa, Jay si liberò dalla stretta del fratello e di Gwen, dallo sguardo da cerbiatta terrorizzata di Bella e quello sconvolto di Ken, e sgattaiolò via dalla folla di macchine e persone che si era riunita là intorno. Ma quando riportò gli occhi nel punto in cui aveva visto l'ultima volta il ragazzo, come c'era da aspettarselo, non lo trovò.
Imprecò a denti stretti, assestandosi un pugno sulla coscia. Il movimento tuttavia gli fece risalire un brivido di dolore lungo il gomito.
Bene, perfetto! Non solo aveva perso anche l'ultima chiave per capire qualcosa di quella fottutissima situazione, ci aveva rimediato anche un gomito dolorante ed un profondo taglio sulla fronte!
E come se ciò non bastasse, Archie continuava a spronarlo ad andare in ospedale per farsi mettere i punti. Peggio di così non poteva andare...
«Denver! Ma che ti salta in mente?» la vocetta acuta di Bella che strillava, probabilmente preoccupata dal ritrovarsi probabili graffi sulla macchina rosa, gli giunse distante e quasi ovattata.
«Maledizione!» reiterò tra i denti, arrabbiato, lasciando che Archie gli afferrasse il braccio -quello sano- e lo trascinasse via.
«Su, andiamo... Gwen, amore, hai chiamato l'ambulanza?»
La ragazza annuì preoccupata mettendo di nuovo il cellulare nella borsetta: osservò con timore il viso stravolto di Jay ma aiutò Archie a condurlo verso il marciapiede dato che, pur non scalciando o dimenandosi, il maggiore dei Denver non sembrava propenso a collaborare.
«Sì...» sussurrò alla fine. «Saranno qui a momenti.»

 
*

Susan Denver non amava particolarmente gli ospedali.
Odiava principalmente quella puzza di disinfettante che abbracciava ogni stanza, le pareti troppo bianche, l'incapacità dei medici nel dare le brutte notizie.
Odiava lo sguardo di pietà che le infermiere rivolgevano ai parenti dei defunti. E c'era passata con Josh, quando era morto e il corpo di suo marito non era diventato altro che un guscio senz'anima, freddo.
Ricordava perfettamente il momento in cui si era avvicinata al corpo di Josh, su quella barella, e aveva alzato il fazzoletto che gli copriva il volto. Poteva sembrare quasi che stesse dormendo, ma Susan sapeva bene che non era così.
Non avrebbe più aperto gli occhi.
Non avrebbe più sorriso.
Non avrebbe più...
La donna scosse la testa, scacciando quelle immagini dalla sua testa e lanciò un'occhiata nervosa verso Bill al volante, teso. Doveva pensare a Jay, ora.
«Quanto manca?» chiese, stringendo la borsa.
Bill sospirò.
«E' la quarta volta che mi fai la stessa domanda, Suzie»
Suzie. Lo stesso soprannome con cui la chiamava quando erano ragazzi.
Le scappò un sorriso al pensiero: sì, era davvero fortunata ad avere Bill al fianco. Era davvero un ottimo amico ed era stato grazie a lui se Jay non aveva intrapreso cattive strade dopo la morte di Josh, ne era sicura.
«Non ti ringrazierò mai abbastanza, Bill» gli disse, poggiando la mano sulla sua.
Bill arrossì furiosamente e borbottò qualcosa al proposito di ''prendersi la testa di Jay come ricompensa''. Susan scoppiò a ridere, ma divenne immediatamente seria quando giunsero in vista della scritta ''Ospedale''.
Avrebbe dato di matto con Jay, un giorno. Ne era più che sicura



«Jay»
Il maggiore dei Denver finse di non sentire, per l'ennesima volta, il richiamo del fratellino, e di tutta risposta immerse di nuovo le dita nella ciotola delle caramelle, portandosele in bocca per masticare svogliatamente.
«Mmm, c' foi?» domandò con la bocca piena, acciuffandone un altro pugno.
Erano almeno da quindici minuti in sala d'attesa, aspettando che il dottore terminasse di visitare un paziente. A Jay, personalmente, non andava di alzarsi da quella comoda sedia in plastica blu: innanzitutto la frescura che aleggiava nell'ambiente lo rilassava, per non parlare delle caramelle alla frutta ricoperte di zucchero, una vera delizia per il palato!
«Quelle sono destinate ai bambini» si sentì in dovere di chiarire Archie, mentre Gwen si mordeva il labbro osservando il graffio sulla fronte di Jay.
«'Edi 'ambfini in 'iro'?» sbottò dopo poco quest'ultimo, sempre masticando. Poi gli porse una caramella arancione, deglutendo «E' all'arancia, vuoi?»
«Non siamo qui per mangiare» Archie cercò una posizione più comoda sulla sedia, nervoso, e notando quel gesto Gwen gli strinse dolcemente la mano.
«Ri'assati, 'ate'ino» lo rimproverò bonario Jay, con le guance piene di caramelle. Archie lo guardava tra il disgustato e l'intenerito.
Ad un certo punto, proprio mentre le dita golose di Jay andavano alla ricerca di nuove caramelle, il suo occhio cadde su un'infermiera piuttosto carina che si stava avvicinando sorridendo in sua direzione.
Ritirò le dita, aprendosi di conseguenza in un sorriso che doveva essere tremendamente fascinoso ma che invece attirò l'occhiataccia del fratello.
«Buonasera» salutò l'infermiera fermandosi con le mani incrociate dietro la schiena, proprio di fronte a lui.
«Buonissima sera, adesso» replicò cordiale Jay lasciando vagare lo sguardo sul suo corpo. Mmm la tipa aveva tutte le curve al posto giusto, proprio... il gomito di suo fratello infilato nel fianco lo fece tornare bruscamente alla realtà.
«E' lei che ha avuto l'incidente, suppongo.»
«Sì, è lui» rispose sbrigativamente Archie, aiutando il fratello ad alzarsi reggendogli il braccio. Senza che lui gliel'avesse chiesto, notò con fastidio Jay, che tuttavia si abbandonò a lui, docile.
Non appena riconquistò la posizione eretta, un capogiro minacciò di fargli rivoltare lo stomaco: deglutì battendo le palpebre e si impose di raggiungere l'equilibrio. Poi sorrise in direzione dell'infermiera e di Archie, per tranquillizzarlo.
«Ce la faccio da solo» e a dimostrazione delle sue parole, mosse qualche passo verso l'infermiera che lo guidò in una stanza piuttosto illuminata. «La prego, seguitemi» la donna si rivolse anche ad Archie e Gwen che non se lo fecero ripetere due volte e si mossero a ruota dietro Jay, rimanendo tuttavia fuori dalla stanza.
All'interno delle quattro mura un medico sui quaranta, con un lungo camice bianco ed uno stetoscopio attorno al collo, stava sistemando delle garze e dei farmaci su un tavolino bianco. «Innanzitutto buonasera» l'uomo, dal volto gentile e gli occhi scuri e attenti, strinse energicamente le mani di Archie e Gwen, poi si volse in direzione di Jay, gli sollevò il mento con un gesto deciso e gli controllò gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie, alla ricerca di tracce di sangue. Poi gli auscultò il battito del cuore nel collo, e infine gli esaminò con fare clinico la ferita sulla fronte.
«Niente di grave, non sembra aver subìto un edema celebrale, ma in ogni caso avremmo bisogno di fare una tac per accertarcene» spiegò in fretta il medico all'indirizzo di Archie, mentre alzava il braccio di Jay -pallido e balbettante dopo aver sentito la parola tac- per studiargli il gomito «Qui abbiamo una leggera contusione, ma non troppo estesa. Probabilmente non ci sarà nemmeno bisogno del gesso.»
Si allontanò dal paziente per sistemare alcuni strumenti e intanto diede delle istruzioni all'infermiera, che Jay scoprì chiamarsi Darcy. La donna, una bella bruna molto formosa, gli si accostò con un accenno di ilarità nelle labbra ripassate col rossetto, e gli ripulì la ferita con un batuffolo di cotone impregnato di acqua ossigenata. Nell'altra mano -molto curata, notò il giovane: aveva lo smalto rosso, ed era irrimediabilmente sexy- reggeva una garza bianca.
«E così lavori da tanto qui?» volle fare conversazione Jay, con un sorriso accattivante che la donna non colse -o finse di non cogliere-. «Qualche anno, in effetti. Sta buono, ho quasi finito» aggiunse quando lo vide trasalire di colpo, con espressione sofferente.
Jay, che si era irrigidito quando una fitta particolarmente intensa gli serrò il cranio, si rilassò sotto il tocco fresco e gentile della donna.
«Voi uomini siete tutti uguali, vi sembra di morire per un nonnulla» rise poi lei, mentre allontanava il batuffolo per passargli la garza sulla ferita e premere con le dita affinché i cerotti reggessero.
«Ehi, io sono un tipo forte» si sdegnò Jay pompandosi tutto. La donna scosse ancora la testa, divertita da quell'atteggiamento da pavone narcisista. «Sapevi che la soglia del dolore delle donne è dieci volte superiore a quella di voi uomini?»
«Non siamo tutti uguali» concluse Jay convinto, facendole l'occhiolino. Al ragazzo non sfuggì la reazione di Archie, dietro il vetro che separava la stanza dal corridoio: il bruno aveva infatti tramontato gli occhi al soffitto, esasperato.
Accanto ad Archie Gwen si portò una mano alla bocca per contenere una risatina che, evidentemente, stava premendo per uscire. Jay rivolse una linguaccia a entrambi prima di riportare la sua attenzione alla donna che lo stava medicando.
Stava per aprire bocca per aggiungere qualcosa -magari chiederle il numero di telefono- quando il medico lo anticipò, battendo le mani per attirare la loro attenzione.
«Bene, signorina Popps, può gentilmente aiutare il nostro paziente a prepararsi per la tac?»
Il sorriso sulle labbra di Jay si congelò immediatamente. Tac voleva dire rimanere lì fino a quando -e non sapeva se effettivamente sarebbe accaduto di nuovo- l'ora X non fosse arrivata e il tempo si sarebbe riavvolto. E doveva capire di più su tutta quella storia!
E chi gli assicurava che un pazzo armato d'ascia non sarebbe entrato per fare a pezzi Archie? O che decidesse di uscir fuori a prendersi una boccata d'aria, rischiando nuovamente un incidente? E se il pic up azzurro appartenesse a qualcuno dell'ospedale?
Va bene, va bene, un po' gli ospedali lo tediavano -per non dire che gli rompevano le... scatole- e aveva sempre avuto paura dei medici con i loro immacolati camici bianchi. Ma per quella volta avrebbe pensato ad Archie.
Senza pensarci due volte scattò in piedi, sottraendosi alla presa dell'infermiera.
«Per oggi no, dottore» replicò con un sorrisetto cortese, mentre quello si voltava senza capire «Dolcezza, penso che ci rincontreremo».
Fece l'occhiolino all'infermiera prima di voltarsi verso l'uscita e iniziare a correre con quanto fiato aveva in gola: sgomitò Archie, dribblò senza troppi problemi Gwen e rischiò di travolgere Susan e Bill, appena arrivati.
«Scusa mamma!» urlò.
«Jay! Ma dove diamine stai andando?» sentì Susan strillare. Le rivolse un sorriso e un cenno da ''ci vediamo dopo'' e continuò a correre.
Non avrebbe mai seriamente pensato di scappare da un ospedale e da una bella ragazza ma ehi, c'era una prima volta per tutto.
«Jay! JAY!»
Il maggiore dei Denver svoltò l'angolo evitando di scivolare, poi si ritrovò a percorrere le scale come se fosse inseguito da un branco di rinoceronti. Superata la prima rampa fu raggiunto dal rumore di passi che battevano veloci poco dietro di lui.
«Ehi, aspetta un secondo!»
Era Archie, in cima alle scale, col fiato corto e i capelli stravolti -più del solito, per lo meno-.
Jay sorrise mentalmente: era ovvio che ad inseguirlo avrebbero mandato il fratellino, il più veloce del gruppo... ma già sentiva i passi dietro di sé -quelli di mamma, Bill e Gwen e chissà, magari anche il dottore- così ignorò il minore e riprese a scendere le scale, richiamato dalle urla confuse di Archie.
Cinque rampe di scale, dodici corridoi e tre porte dopo, Jay emerse all'aria aperta, e subito si immise nel parcheggio, guardandosi in giro alla ricerca del posteggiatore. Lo individuò e in fretta lo raggiunse. «Scusi!»
L'uomo, un tipo dal ventre largo, una calvizie incipiente e la fronte imperlata di sudore, lo scrutò diffidente, soffermandosi particolarmente sulla garza retta dal cerotto sulla sua fronte.
«Scusi, dove ha posteggiato il tipo che è arrivato da poco, sulla cinquantina, accompagnato da una donna bruna con indosso un maglioncino color lav-...»
«Ho capito» lo interruppe l'omino levando una mano pelosa; sembrava aver sudato solo ad ascoltarlo «Ma lei chi è?»
«Sono suo figlio» mentì Jay: in effetti non aveva specificato se stesse parlando di Bill o di Susan: nel secondo caso era la pura verità «Sa, mio fratello minore ha avuto un disturbo... lui è un po' schizofrenico, poverino, ed anche paranoico. E' sempre convinto che qualcuno voglia farmi del male e quindi, capisce, si preoccupa in maniera assurda per questo. O, eccolo!» aggiunse, indicando Archie che era appena apparso dalla porta a vetri, reggendosi allo stipite per riprendere fiato. Non appena il minore lo notò, iniziò a sbracciarsi gridando il suo nome e notando che non si smuoveva, corse in sua direzione.
«Ha visto?» proseguì Jay con un sorriso complice, e l'ometto, troppo confuso per tutte quelle informazioni messe assieme, annuì consegnandogli una chiave «Prego, da quella parte! E, oh» come ricordandosi qualcosa solo in quel momento gli afferrò il braccio, facendolo voltare. «Mi dispiace per suo fratello, è una vera sfortuna».
Jay annuì mostrando l'espressione più compita del suo repertorio, poi si congedò e fece lampeggiare la sicura della macchina solo per scoprire quale fosse e dove fosse posteggiata. Rimase impietrito per un attimo quando si rese conto del brutto scacco che gli aveva giocato il destino: Bill, nonostante la preoccupazione e la fretta, aveva scelto proprio l'Alfa Romeo.
Si voltò un attimo per accertarsi che Archie lo stesse ancora seguendo, poi aprì lo sportello e si infilò dentro, aspettando che l'altro lo raggiungesse.
«Che diavolo fai?» lo accolse il fratellino quando arrivò, battendo una mano sul finestrino chiuso. Jay, con il suo sguardo più innocente, lo abbassò. «Come hai detto, scusa?»
«Ma ti sei fumato il cervello?» sbraitò Archie: Jay non l'aveva mai visto tanto arrabbiato, eppure la visione lo fece ridere.
«A te che sembra?»
«Sei peggio di un bambino!» si stupì Archie, allargando le braccia «Anzi, no, sei un coglione! Hai fatto spaventare mamma a morte!»
«Beh, mi dispiace, ma...»
«Ma un corno, razza di cretino! Tu adesso torni dentro e ti fai controllare! Se non ti è ancora venuto un edema celebrale te lo procuro io, Dio santo...»
Jay corrugò le sopracciglia: no, decisamente un Archie in modalità isterica ancora gli mancava. Pareva che si fossero scambiati i ruoli.
«Senti, col cazzo che indosso quei pigiamini striminziti che coprono a stento solo il lato A! Non ci sto mica con le chiappe al vento, io!»
Archie non ebbe il coraggio di dire niente, troppo sconvolto per aprire bocca. Quando lo fece si munì di vocaboli piuttosto coloriti.
«Tu stai male sul serio...» fu il suo insulto più gentile e controllato.
Jay finse di non ascoltarlo, poi inserì la chiave nella toppa e mise in moto. Tutto stava andando secondo i piani. Bastava solo... ecco, Archie era appena entrato nella macchina.
«Che ti è saltato in mente? Non provarci neanche!»
Jay sospirò allontanando le mani dal volante: il fratellino aveva ancora il fiatone, e quindi attese che si calmasse.
«Jay, per favore...»
Alla sua voce così lamentosa Jay non resistette: si voltò a guardarlo intensamente, e con molta probabilità Archie lesse nella sua espressione un dolore immenso, perché distese il volto, allarmato.
«Jay... oh! Che ti prende? Che succede, cosa...»
«Non posso perderti di nuovo!» esplose alla fine. E al diavolo il suo piano... non riusciva a mentirgli, non quando i suoi occhi scuri erano così disarmanti!
«Cosa? Ma di che parli, io...»
«Ricordi quando ti ho parlato di quel sogno strano che ho fatto, stamattina?»
«Eh?» adesso Archie sembrava seriamente allibito «No.» fece, dopo averci pensato su «Di quali sogni...»
«Vero, dannazione, quello è successo ieri!»
Archie chinò appena il capo, come un cane che cerca di comprendere qualcosa guardandola da un'altra inclinazione.
«Inizio davvero a preoccuparmi per la tua botta in testa.»
«Ehi, guarda che sto benissimo, chiaro? Non sono io che rischio di morire, oggi!»
Jay si maledisse un attimo dopo e per sfogarsi batté un colpo sul volante. Tuttavia Archie parve venirgli incontro, perché chiuse lo sportello, quasi per impedire al mondo esterno di disturbarli. Poi, con assoluta calma, gli poggiò una mano sul braccio, attento a non sfiorare il gomito contuso.
«Mi dici che succede? Per favore, Jay, non ce la faccio a vederti così...»
L'interpellato si morse il labbro inferiore, seriamente combattuto: se anche ce l'avesse fatta a salvare Archie, c'era il rischio che la giornata si ripetesse, vanificando ogni suo sforzo. Ma non avrebbe comunque perso nulla nel raccontare ciò che stava succedendo -anche se aveva idea che mandare una lettera di protesta ai piani alti non sarebbe stato male, giusto per far capire quanto odiasse la svolta che
aveva preso la sua vita- e, anche se avrebbe voluto proteggere Archie, era giusto confidarglielo.
«Mi prenderai per pazzo...» iniziò incerto. Archie alzò le sopracciglia sfoggiando la sua migliore espressione da ''più di quanto sei?'' meritandosi uno scappellotto sulla nuca.
«Ahio! Va bene, va bene. Non ti prenderò per pazzo, ma tu dimmi che cavolo succede!»
Vorrei tanto saperlo anch'io, pensò Jay. Prese comunque un profondo respiro e fissò con aria interessata il cruscotto.
«Ecco... diciamo pure... anzi, te lo dico sinceramente, senza giri di parole: ho già vissuto questa giornata. Per tre volte, contando questa.»
Trenta secondi di silenzio. Male, molto male.
«E ogni volta tu... morivi. La prima volta l'ho considerata un sogno ma...»
Archie gli mise una mano sulla spalla.
«Jay, capisco lo stress e tutto il resto, però da qui a inventarti questa storia solo per non fare una tac è un po'...»
«Cazzo, Archie!» ed ecco, aveva perso tutta la sua famosa pazienza.
Archie ammutolì, osservando il volto serio di Jay. C'era qualcosa, in fondo agli occhi verdissimi di suo fratello, che lo teneva inchiodato sul sedile.
Era pazzo?
La botta in testa gli doveva aver fatto male, però...
La voce di suo fratello lo riscosse dai suoi pensieri. Jay, infatti, infilò la chiave e il motore ruggì come se non stesse aspettando altro.
«Non me ne fotte se non mi credi, okay? Ma sto tentando di salvarti il culo, quindi mi ringrazierai a fine giornata!»
«Jay, ma che cazz...»
«Per una dannata volta nella tua vita, Archie. Stai zitto!»
Il motore ruggì nel momento in cui Jay accese l'auto, coprendo le urla di Archie: la macchina sgommò a tutta velocità verso l'uscita dell'ospedale, quando...
Gwen spuntò da chissà dove, aprendo le braccia per fermare la corsa. E, anzi, Jay fece appena in tempo a frenare prima d'investirla: la ragazza marciò verso l'auto, aprì lo sportello posteriore e si sedette con assoluta calma.
«Dio, tesoro!» Archie la mirò confortato. «Finalmente qualcuno che...»
«Oh Jay, è stato così stimolante! Gli ospedali sono tanto tristi e deprimenti, e odio quell'odore di disinfettante! Me lo offri un gelato, eh? Ho una fame!» trillò un'allegra Gwen, sporgendosi verso i sedili anteriori. Archie boccheggiò incredulo e Jay accennò un sorriso vittorioso.
«Ma certo» fece accomodante. «Anche un cheeseburger, se ti va.»
E mentre Gwen rideva entusiasta pensò che avere un'alleata in più non sarebbe stato male. Affatto.



To be continued ~





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Capitolo 9

«Ma prima di andare gente...» ghignò allegramente, mettendo le braccia sulle spalle di entrambi. «A quando il mio primo nipotino?»
A quella domanda Gwen arrossì furiosamente e Archie alzò gli occhi al cielo.
«Jay!»
Sordo al richiamo di Archie il maggiore continuò a parlare tranquillo.
 «Ovviamente sarà figo come me, io sarò lo zio preferito e lo riempirò di dolciumi e giocattoli e quando sarà grande gli insegnerò la suprema arte del rimorchio!»




~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :)
Carissimi! Come state? Come procedono le vacanze? ^_^
Visto che alla fine al povero Jay non è successo granchè? Solo qualche cosina lieve u.u Non siamo poi così sadiche!
E nell'ospedale abbiamo visto un altro lato di Jay -che conoscevate ma che non avete mai visto in azione... o sì?- il nostro bambinone che adora le caramelle e ci prova con le infermiere sexy! Sempre lui! E il fratellino, l'unico che riesce a far rinsavire quella testa calda v.v
Che ne pensate della scena tra Bill e Susan? Noi troviamo che siano molto dolci, voi no? °^°
A proposito, abbiamo dato un nome alla coppia in questione, chiamandola Bussan. Sì, lo so, Susan non è Sussan... Ma io personalmente lo trovo adorabile!°^°
Comunque anche Gwen sta cambiando agli occhi di tutti, trasformandosi da rompiballe a ragazza seria... Ma non  mi esprimo!XD
Che poi gli spoiler fanno male se non assunti con moderazione u.u
Gwen non è un'oca, l'avrete notato. E' solo una ragazza solare, e vi possiamo fare questo spoiler: nel prossimo capitolo lei e Jay si abbracceranno! :D
Ma te li immagini Gwen e Jay... Insieme?°^°
Oddio!
Vi piace il rapporto di sfida/gelosia/affetto instaurato dai due? Beh sono un po' come fratello e sorella che si stuzzicano... io li adoro :)
*Miss Watson corre a vomitare*
Ma no collega, cosa vai a pensare?! D: Jay ha già rubato abbastanza ragazze a quel povero cristo di Archie, non trovi?? xD
Sì ma non è quello che mi indigna xD No, è come vedere... cioè sarebbe come se io me ne andassi con mio cugino! Li vedo troppo come fratello e sorella, migliori amici al massimo!
Comunque sì, sono adorabili ^^ Sono la perfetta incarnazione di un rapporto fraterno qualsiasi, che non smette comunque di stupire u.u
Ma appunto, nessuno ha detto di vederli assieme... calm down xD
Non dicevo questo però!XD
Dicevo che me l'ero solo immaginato u.u
Comunque è tardi e dobbiamo aggiornare, quindi...alla prossima carissimi fan! :D e ricordate: la musica è la voce dell'anima *-*


***

1. Jay divertito:

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2. Il fratellino =) :

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3. Archie al parco:

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4. Jay in macchina:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM [dedicate ai due fratelli **]

1. Jay, nella sala d'attesa dell'ospedale, con le guance piene di caramelle **:

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2. Archie che sorride:

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3. Jay che scappa dall'ospedale:

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Capitolo 10
*** 9. ***


Timeless 9
Buonsalve, readers! :D Innanzitutto ci scusiamo per il ritardo -ma tranquilli, non vi abbiamo dimenticato così come non abbiamo dimenticato questa storia! ;)- ma in compenso vi regaliamo un capitolo lungo, e piuttosto ricco di sorprese. Un vero e proprio capitolo svolta! *-* Da questo momento in poi -e successivamente- Timeless cambia registro! ;D Diciamo che finalmente si conclude la "presentazione", durante la quale avrete capito poco e niente, e si entra nel vivo della storia! :) Per adesso... buona lettura! :D

Capitolo 9




Mezz'ora dopo Jay stava osservando Gwen bere un frullato alla fragola mentre Archie giocherellava con la cannuccia della coca cola.
Aveva raccontato ogni cosa -qualsiasi dettaglio gli venisse in mente- di quella storia: al sentire il racconto della sua morte Archie trasalì e Gwen alzò la testa con gli occhi lucidi, stringendo la mano di Jay. Per il resto, comunque, non proferirono verbo limitandosi ad ascoltare.
«E questo è tutto» mormorò Jay.
Abbassò lo sguardo sulla crostata alla nutella e ne staccò un pezzo con la forchettina, portandosela alle labbra. Masticò svogliatamente, sentendo il composto al cioccolato dolce-amaro impiastricciargli la lingua, scendergli dolcemente lungo la gola e mescolarsi alla dolcezza della pasta frolla.
Si leccò le labbra, in attesa.
«Tu pensi che possa accadere anche questa volta?» osò chiedere Gwen, interrompendo il silenzio che si era creato, la mano sulla spalla di Archie.
Jay scosse il capo.
«Non ne sono sicuro» ammise.
Leccò lo zucchero a velo dalla forchettina, riflettendo. Aveva imparato che gli avvenimenti potevano cambiare semplicemente volendolo: e la morte di Archie, volendo, poteva essere evitata. Ma...
E se altri fossero morti al posto del fratello?
Il suo sguardo corse a Gwen, poi si rivide seduto su quel tavolino, davanti a una crostata al cioccolato. E decise che avrebbe reagito.
«Quindi, tu pensi che basterebbe non attraversare la strada, giusto?» pretese di sapere Archie, non ancora del tutto convinto. Jay conosceva il fratello da quando ancora si frullava nel ventre della mamma, e quegli occhi scuri non erano mai stati facili da impressionare. Il fratellino era troppo legato alla logica e alla razionalità per poter accettare appieno un simile racconto, letteralmente irrazionale, illogico e, tanto per cambiare, proprio assurdo.
Però... allo stesso tempo Jay era sicuro -o per lo meno, voleva esserlo- che il fratello lo conoscesse abbastanza per comprendere quando stesse mentendo e quando, al contrario, stesse dicendo la verità, come in quel caso.
«Considerando che per due volte hai rischiato di essere investito e una volta è proprio successo, io direi di evitare le strade come la peste.»
«Sono d'accordo» convenne Gwen, con una serietà che impressionò il maggiore dei Denver.
«Jay, sei sicuro che...» iniziò di nuovo Archie e Jay sbuffò, distogliendo lo sguardo. Eccolo che ricominciava. «Se non vuoi credermi sei liberissimo di farlo. Non mi interessa, okay? Basta che mi stai vicino e eviti di farti ammazzare!»
«Non ci tengo a perdere le penne, sia chiaro» ribatté Archie, ostinato «Sono solo molto perplesso, insomma... potrebbe avere una spiegazione perfettamente razionale tutto questo.»
«Per esempio?»
«Può capitare di fare sogni, sai, come dire... particolari.»
«Oh no, risparmiami la lezione, Sherlock.»
Jay stava per aggiungere qualche frase ad effetto, su quanto tutta quella situazione avesse totalmente voltato le spalle alla logica quando, lasciando vagare distrattamente lo sguardo in giro, qualcosa attirò la sua attenzione inchiodandolo sul posto per attimi che parvero interminabili.
«Oh mio...» si lasciò sfuggire, colto di sorpresa. Archie corrugò la fronte, seguendo la traiettoria del suo sguardo. «Cosa?»
Ma Jay non lo ascoltò. Si alzò in piedi come una furia e si avvicinò all'oggetto dei suoi pensieri. Lì, abbandonato sul ciglio della strada, col sole che si rifletteva pallido sulla carrozzeria, stava posteggiato il picup azzurro. Il giovane fu attraversato da una scarica di sensazioni diverse che variarono dall'orrore ad una gioia cocente, che per un attimo lo destabilizzarono. Quando riprese il controllo di sé alzò una mano per fermare il fratello -che si risedette, confuso- e abbozzò un sorriso privo di allegria.
«Aspettatemi qui, tutti e due. E mi raccomando, che non vi salti in mente di attraversare la strada per venirmi a chiamare, d'accordo?»
«Signor sì signore» rispose atono Archie, mentre Gwen gli dava manforte annuendo spaventata.
Con quella conferma che ancora gli vorticava nella mente Jay si avvicinò furtivo al picup, lasciando scorrere un dito sulla carrozzeria ricoperta di polvere: il gesto lasciò dietro di sé una scia di pulito, che fece venire la pelle d'oca a Jay. Era proprio quello il picup che aveva attentato alla vita di suo fratello, o meglio... che gliel'aveva strappata via, per ben due volte. Fece saettare lo sguardo intorno per ricercare il possibile proprietario e magari, colto dalla rabbia, prenderlo anche a calci in culo, ma quando si rese conto che la strada era deserta, fatta eccezione per Archie e Gwen nelle panchine del parco, stabilì di cambiare tattica.
Una volta che aveva individuato la falce retta dalla Morte, non poteva lasciarsela scappare. Frugò nelle tasche alla ricerca di un oggetto contundente -o qualsiasi altra cosa che avesse una punta acuminata- ma non trovò altro che il proprio cellulare. Sbirciò in giro, imprecando tra i denti, e finalmente la fortuna gli sorrise.
Lì, a pochi metri, poco oltre l'angolo vi era un'impalcatura in legno scheggiato aggrappata ad una casa in stato di ristrutturazione. Jay si avvicinò di soppiatto, poi tastò la superficie imprecisa e lanciò un urlo strozzato quando una scheggia particolarmente appuntita gli punse il dito, facendo emergere una minuscola gocciolina di sangue che subito Jay fece sparire nella propria lingua. Staccò con decisione la scheggia -attento a non ferirsi- e a lavoro ultimato sollevò gli angoli della bocca, soddisfatto. «Salve, bambolina.»
Si voltò verso la sua preda e come un felino in agguato si accucciò vicino alla ruota anteriore. Con un unico gesto rapido e veloce, affondò la punta di legno nella ruota, che oppose una certa resistenza. Non ancora soddisfatto, per precauzione bucò anche la seconda ruota. Infine gettò la scheggia lontano dalla propria portata, quando si rese conto che la strada stava iniziando ad affollarsi di gente, probabilmente richiamata dalla frescura del tramonto.
Sorrise mentre si avviava con nonchalance verso Gwen e Archie.
 Magari le cose sarebbero potute andare meglio...
Ciò che sapeva era che si stava impegnando affinché Archie non ci lasciasse le penne. E che il fratellino sarebbe stato tanto collaborativo da evitare di farsi ammazzare e quindi attraversare la strada.
«Sono ancora intero» lo informò Archie, stringendo a sé una Gwen tremante.
Jay alzò un sopracciglio, preferendo non commentare. Mise una mano tra i capelli della ragazza e le sorrise, scompigliandoli.
 «Ti porto a vedere i cigni, ti va?»
 Lei sorrise, gli occhi ancora lucidi e un tremolio sulle labbra. Annuì e si alzò con Archie che le strinse la mano -Jay non seppe capire se lo avesse fatto per infonderle o infondersi coraggio- e tutti e tre si diressero verso il laghetto.
C'era una sorta di inquietudine, nell'aria.
Strisciava subdola sotto pelle, accarezzando con i suoi artigli il cuore di tutti e tre i ragazzi: Archie osservò con un sorriso Gwen lanciare le molliche ai cigni e si chiese se tutto quello avrebbe avuto una fine.
  Jay si limitò a borbottare qualcosa di prettamente indefinito, grattandosi la testa. Il minore gli lanciò un'occhiata incuriosita ma l'altro scosse il capo e prese a punzecchiare Gwen facendola ridere.
«Che ne dite di spostarci verso la piazzetta?»
La domanda di Archie colse impreparati sia Jay che Gwen, che si scambiarono uno sguardo dubbioso. La piazzetta era niente più che uno spiazzale tra gli alberi, provvisto di panchine -dove i genitori si sedevano per parlare e tenere contemporaneamente d'occhio i proprio figli- camioncini di gelato e zucchero filato, aiuole fiorite con una pavimentazione fatta di ciottoli colorati che rappresentava
un angelo con un giglio in mano che porgeva l'altra mano verso l'osservatore.
Un luogo delizioso, tutto sommato.
E sopratutto lontano dalla strada.
Non trovandoci nulla di male Gwen alzò le spalle e si sollevò, prendendo a braccetto Archie mentre Jay si affiancava loro, in silenzio.
«Starò bene.»
Jay sussultò.
Alzò lo sguardo e vide Archie guardarlo, sorridendo appena, rassicurante.
«Hai fatto quello che potevi. Starò bene, te lo prometto.»
«Anche perché se ti fai ammazzare ti uccido ovunque tu vada a cacciarti» replicò il fratello maggiore, facendo una leggera smorfia: sentiva di avere già gli occhi lucidi -e lui non piangeva, non era una fottutissima ragazzina!- e per nasconderlo diede una spinta ad Archie che ricambiò.
«Sei sempre così dolce» borbottò il minore, fingendosi offeso.
«Mi ami anche per questo, tesoruccio. Senza offesa per Gwen» ridacchiò Jay, pizzicando la guancia arrossata della ragazza del trio.
Gwen accennò un sorrisetto. Era strano non vederla ridere, per una volta.
Archie aggrottò appena le sopracciglia.
«Ci stai provando con la mia ragazza, razza di idiota?» proferì fintamente minaccioso.
Jay battè le ciglia con falsa innocenza.
«Veramente...»
«Non sono sicuro di voler sentire come finisce quella frase, Jay» lo informò Archie.
Gwen scoppiò a ridere, incapace di trattenersi di fronte a quella scena di amore fraterno. Jay accennò un ghigno e le passò un braccio intorno alle spalle.
«Quando ammetterà il suo amore per me?»
«Ah, non lo so... è così testardo alle volte!»
Era strano scherzare con Gwen in quella maniera -così spontanea da lasciarlo sbigottito- ma aveva capito che darle battaglia non sarebbe servito a nulla. Lei era una parte importante della vita di Archie e tutto ciò che poteva fare per renderlo felice era accettarla.
«Guardate che vi sento!»
Archie storse il naso, con aria così snob che Gwen si mise a ridere di nuovo e corse ad abbracciarlo.
«Vuoi dello zucchero filato alla fragola, Gwen? So che è il tuo preferito» propose allegro Jay. Come Susan, Gwen sembrava adorare la fragola più di se stessa: forse era vero quello studio che dichiarava che gli uomini cercavano nelle proprie compagne una donna che assomigliasse alla mamma.
Erano giunti nella piazzetta, inondata dal sole di Marzo: vi erano bambini che giocavano con la palla, altri che inseguivano camioncini dai colori sgargianti. Alcune bambine muovevano gli hula hoop mentre altre saltavano la corda a ritmo di canzoni infantili.
I genitori parlavano sulle panchine, tenendo d'occhio i figli: a volte, richiamati dalle vocine chiare, alzavano lo sguardo e salutavano con un sorriso. Con una stretta al cuore Jay si rivide bambino in quello stesso parco intento a giocare a palla mentre suo padre chiacchierava con Bill, entrambi con una birra ghiacciata in mano, con Susan intenta a spettegolare con una vecchia amica e Archie nel passeggino.
Si costrinse a scacciare l'immagine e sorrise verso Gwen e Archie.
«Andate voi due colombe in amore verso lo zucchero filato?»
Una mamma passò proprio in quel momento con un passeggino, spingendolo lentamente: cogliendo al volo l'occasione Jay si rivolse verso i due piccioncini.
Dopotutto era sempre Jay A. Denver che prendeva in giro Gwen e Archie e il loro mondo di zucchero filato, arcobaleni e nuvolette rosa.
«Ma prima di andare gente...» ghignò allegramente, mettendo le braccia sulle spalle di entrambi. «A quando il mio primo nipotino?»
A quella domanda Gwen arrossì furiosamente e Archie alzò gli occhi al cielo.
«Jay!»
Sordo al richiamo di Archie il maggiore continuò a parlare tranquillo.
 «Ovviamente sarà figo come me, io sarò lo zio preferito e lo riempirò di dolciumi e giocattoli e quando sarà grande gli insegnerò la suprema arte del rimorchio!»
Esasperato Archie prese Gwen per mano, facendo per incedere prima che il maggiore avesse tempo per aggiungere qualcosa.
 Jay lasciò scivolare le mani dalle spalle dei due alle loro schiene, spingendoli dolcemente in avanti. «E mi raccomando, al diavolo la dieta! Quella si inizia sempre il lunedì e oggi non è lunedì!»
 «Certo!» Archie scosse la testa divertito, senza voltarsi, poi strinse Gwen al suo fianco e si incamminò verso il carretto; Jay si ritrovò a guardarli allontanarsi, con un sorriso dolce sulle labbra: quei due erano uno spasso, e soprattutto, stavano bene assieme. Archie era felice, e Gwen lo amava...
 Non l'avrebbe fatto soffrire, e a Jay tanto bastava. Si era sbagliato sulla giovane Paxton, e sinceramente, l'idea di un nipotino non lo spaventava poi tanto: non significava perdere suo fratello. Anzi, forse li avrebbe legati ancora di più.
Si volse con ancora quel sorriso sulle labbra, scuotendo piano la testa proprio come prima aveva fatto il suo fratellino: con le mani in tasca avanzò nella piazza, guardandosi intorno per seguire i giochi dei bambini spensierati che correvano come se non avessero nessuna preoccupazione, nessun nervosismo a tormentarli.
Ormai che aveva sperimentato cosa volesse dire perdere Archie, perderlo sul serio, aveva realizzato di essersi comportato da idiota quel primo giorno. Si lasciò attirare dalla sfera infuocata del sole che si affacciava dietro una coppia di palazzi, e per la prima volta non ebbe paura.
 Il tramonto ormai era praticamente trascorso... e Archie stava bene.
Proprio mentre era perso in queste considerazioni un pallone da calcio di stoffa gli si frappose tra i piedi, ed un attimo dopo una bimbetta minuscola con le codine bionde e una coppia di grandi occhi azzurri alzò lo sguardo su di lui, ammirata e spaventata insieme: dal suo punto di vista doveva apparirgli un colosso. Jay rise dolcemente sollevando la palla con la punta del piede, alla stregua di un giocatore di calcio, poi la afferrò al volo e la porse alla piccola che la agguantò con una risatina, e fuggì via. «Glazie signole!»
La bambina tornò a giocare col suo pallone e Jay, quasi ingenuamente, fantasticò sull'aspetto che avrebbero avuto i suoi nipoti... i capelli di Archie? Gli occhi di Gwen?
Stava giusto immaginando un pargolo con i riccioli scuri ed un enorme sorriso privo di dentini, quando un clacson terribile gli fece alzare gli occhi come se fosse stato morso da uno spillo. Ciò che vide lo paralizzò semplicemente dal terrore. Il picup azzurro stava suonando all'indirizzo della bimba con le treccine, che per recuperare il pallone andato a finire in mezzo alla strada, si era ritrovata al centro della carreggiata.
 «SPOSTATI!» Jay non si chiese nemmeno come fosse possibile che quel picup fosse ancora in circolo, dopo che gli aveva bucato ben due ruote. Per un attimo interminabile, mentre correva col cuore in gola verso la strada, gli venne il dubbio di aver sbagliato macchina. Afferrò la bimba da sotto le ascelle e si spostò sul marciapiede appena in tempo. La bimba lanciò un urletto spaventato e poi gli strinse le braccia al collo, tremante. Jay le accarezzò la testa per tranquillizzarla e cercò di calmare i battiti del suo cuore. «Va tutto bene, piccola, sei salva.»
 Che, proteggendo Archie, avesse rischiato di far morire un'altra persona? Tuttavia i suoi peggiori incubi parvero avverarsi quando il picup, per evitare la palla di stoffa, sterzò improvvisamente. Il guidatore -che Jay non riuscì a intravedere, nella fretta- perse il controllo del mezzo quando sorpassò il minuscolo gradino che separava la piazza dalla strada. Con la morte nel cuore e un terrore cieco e sordo negli occhi, Jay si rese conto che il mezzo era sbandato proprio a causa di quelle ruote bucate che adesso strisciavano sul pavimento della piazza.
 Tra urla terrorizzate i ragazzini correvano lontani per sfuggire dalla traiettoria del mezzo inarrestabile, abbandonando i loro giochi dove capitava, mentre i genitori ancor più spaventati li rincorrevano per metterli in salvo, prendendoli in braccio come Jay aveva fatto con la bambina.
 Ma poi, come se tutto fosse già stato deciso, come se il destino, inevitabile, avesse guidato il picup, quello si ritrovò a scivolare senza sosta proprio verso il carretto dello zucchero filato.
Oh no!  con un tuffo al cuore Jay rimise la bimba a terra e corse come un forsennato. «ARCHIEEE, GWEN!»
E poi la vide: l'ennesima conferma.
Archie e Gwen che si voltavano, bianchi come cenci, con le bocche aperte e gli occhi spalancati. Poi Archie afferrava Gwen, per farle scudo col suo corpo e allontanarla... ma non ci riuscì in tempo.
Il picup si scontrò col carretto dello zucchero filato: il proprietario si lanciò di lato per evitare l'urto, il picup finalmente si arrestò -dopo aver spinto il carretto di vari metri- e l'airbag si diradò di colpo oscurando la vista del guidatore. Archie e Gwen, fortunatamente, avevano subito solo un leggero impatto, che non aveva causato loro nemmeno un graffio.
Poi tutto accadde in pochi attimi. Jay rallentò la corsa, ricambiando lo sguardo di suo fratello. Un sorriso spontaneo gli sorse nelle labbra, vedendolo salvo -sì, in culo al destino!Ce l'aveva fatta, finalmente! Ci era riuscito!-.
Voleva urlare, ridere e piangere dalla contentezza nello stesso momento. Sarebbe potuto morire dalla gioia.
Gwen era ancora aggrappata alla maglietta di Archie, con i capelli stravolti e lo sguardo in preda al panico.
Archie sorrise in direzione del fratello, i suoi occhi brillarono, ma poi...
 Il retro del picup esplose... Archie e Gwen furono sospinti via dall'onda d'urto, e sparirono dalla vista: dietro vi era una scala...
Jay agghiacciò, poi ricominciò a correre e urlare i nomi di suo fratello e di Gwen, mentre intorno la gente terrorizzata gridava, piangeva e accorreva verso il carretto, o verso la base delle scale.
 Jay per un momento quasi non sentì niente, a parte il proprio respiro. In un attimo si affacciò sulle scale... due corpi erano riversi in fondo.
 No... non anche Gwen...
Con gli angoli degli occhi che bruciavano, lo stomaco sottosopra e il respiro bloccato Jay si fece strada a spintoni e spallate, scese le scale quasi in un balzo felino, e si avvicinò ai corpi. Uno dei due fagotti si muoveva.
 Gli fu vicino in un attimo e Gwen, tossendo, gli si aggrappò al braccio.
«Gwen!» urlò Jay per sovrastare i rumori, afferrandole il viso con una mano e scacciandole i capelli dagli occhi, ansioso «Stai bene? Ehi, mi senti?»
 Gwen tossì, poi annuì con le labbra strette, e lo guardò, stringendogli appena l'avambraccio. In quello sguardo Jay capì tutto ma aveva paura... paura di voltarsi... paura di scoprire che Archie non aveva avuto la stessa fortuna.
Poi lo strillo acuto di Gwen lo riportò bruscamente alla realtà.
«Oh mio dio, OH MIO DIO!» stava urlando Gwen con una mano alla bocca e gli occhi pieni di lacrime. Gli infilò le unghie nella carne e Jay voltò lo sguardo: dal secondo fagotto si allargava una pozza scura.
«ARCHIE!»
In un attimo gli fu vicino, rivoltandolo: Archie, con la bocca dischiusa, da cui scivolava un rivolo di sangue, gli occhi spalancati nel vuoto e l'espressione sofferente, aveva un largo graffio sulla fronte... di molto più grave e profondo di quello di Jay.
 Non appena gli passò una mano sotto la testa, sul collo, il maggiore si rese conto che non vi era nessun battito.
Non riuscì nemmeno a stupirsene.
Gwen nascose il volto sulla sua spalla, stropicciandogli la maglietta con la mano e singhiozzando rumorosamente.
«Avevi ragione, Jay!» strepitava, piangendo «Tu l'avevi previsto e noi non ti abbiamo voluto credere! Mi dispiace, mi...»
Jay la strinse con le braccia, cullandola, mentre fissava il volto di suo fratello, gli occhi castani ormai opachi e spenti, che fissavano un cielo che non avrebbero più rivisto. Si ritrovò a piangere con Gwen, seppellendo il naso nei suoi capelli.
 «Non è colpa tua, non è... colpa di nessuno.»
«Adesso lui è morto però!» seguitava a piagnucolare Gwen, col volto deformato dal dolore e dal pianto «Lui è morto e non lo vedrò più, Jay! Non lo vedremo mai più!»
Jay la strinse ancora di più e alzò gli occhi lucidi, lasciandoli vagare intorno: la gente si era ammassata lì attorno, sconvolta, coprendosi il volto o la bocca, alcuni piangendo sommessamente.
La polvere dell'esplosione continuava a galleggiare pigramente nell'aria, quasi totalmente portata via dal vento...
E poi, tra tutte quelle facce, qualcosa attirò l'attenzione di Jay, tanto che una forza invisibile lo costrinse a tornare indietro con gli occhi: lì, proprio dietro l'angolo, c'era il tipo con la giacca di jeans.
Fissava la scena come se avesse corso per tutto quel tempo e fosse arrivato proprio in quel momento. Jay trasalì, e il ragazzo, quasi l'avesse sentito, alzò lo sguardo da suo fratello a lui e nei suoi occhi... nei suoi occhi a Jay parve di leggere una profonda impotenza.
«EIH!»
 Quello spalancò le palpebre, poi indietreggiò cauto, come se volesse scomparire veloce come era apparso, tornando sui suoi passi. Ma Jay non glielo avrebbe permesso.
Un odio intenso lo stordì: si districò dalla presa di Gwen, che si accasciò sul corpo esanime di Archie, stringendogli la maglia e piangendo mentre gli accarezzava la guancia priva di colore.
 Jay iniziò a correre verso il tipo che sparì dietro l'angolo del palazzo.
«BASTARDO, TORNA QUI!»
Non poteva lasciarselo sfuggire... non di nuovo! Quel tipo nascondeva qualcosa... ed era rimasto, come spettatore, a osservare la morte di suo fratello. E chissà se non l'avesse già fatto le altre due volte?
Non ne poteva più di vedere il fratellino morire. Il suo cuore era ormai dilaniato dal dolore, tanto che era sicuro non avrebbe avuto la forza di rivivere ancora una volta la stessa tragedia.
Se la giornata si fosse ripetuta, sarebbe stato perfino disposto a gettarsi davanti al picup e morire al posto del fratellino, pur di risparmiarsi tutto questo dolore.
Quando raggiunse lo spigolo del palazzo vide il tipo in giacca di jeans guardarlo fisso, a molti metri di distanza.
Ma non con sfida... pareva controllare se fosse ancora seguito.
«Torna qui, figlio di puttana!» ruggì Jay, accelerando la corsa: il tipo riprese a correre, ma sembrava esausto... come se non avesse fatto altro per tutta la giornata.
 Poi, proprio quando stava girando l'angolo, abbatté un ragazzino in skateboard che stava girando in quell'istante. Il ragazzino si scusò, poi si diede una spinta col piede e ripartì sulla sua tavoletta, come se niente fosse. Il tipo in giacca di jeans invece cadde all'indietro di schiena, con un gemito strozzato.
Jay fu invaso da una gioia quasi perversa, consapevole che l'avrebbe raggiunto. Il tipo gli lanciò uno sguardo confuso coi suoi occhi azzurri che adesso avevano assunto una sfumatura più scura, poi provò a rimettersi in piedi.
 Eh no, pensò Jay riducendo gli occhi a due fessure e cercando di velocizzare ancora di più la corsa, non ci provare nemmeno!
«Adesso basta!» lo avvisò, imperioso.
E quando il tipo, rimessosi in piedi traballante, provò a correre di nuovo, il maggiore dei Denver con un urlo rabbioso gli si gettò addosso, agguantandogli la giacca prima che potesse sfuggirgli.
 Il tipo, sentendosi strattonato, fu riportato indietro dalla spinta, e provò a districarsi. «ADESSO MI STAI A SENTIRE!»
 Jay gli strinse il colletto della maglietta nera e lo sbatté contro il muro, abbattendo una mano accanto al suo viso per impedirgli di muoversi.
 «Dimmi chi cazzo sei!»
«Lasciami andare» gli intimò il tipo fissando su di lui uno sguardo ostile. Per prestar fede alle sue parole gli afferrò con decisione il braccio che gli stringeva il colletto.
«No, ti lascio andare un corno, brutto bastardo!» Jay gli assestò un pugno e quello emise un lamento rauco con le labbra che velocemente si riempivano di sangue.
Presto avrebbe avuto un livido violaceo nella guancia, ma a Jay non importava. «Allora?!» lo strattonò, facendosi ancora più vicino. L'altro riportò un paio di occhi azzurri su di lui e Jay quasi rimase stupito da quell'ingenuità.
«Perché lo fai?» in un attimo sentì tutta la rabbia lasciar il posto alla tristezza. Strinse le labbra per non cedere all'impulso di piangere di nuovo, ma a quanto pare gli occhi non risposero perché si riempirono di nuovo di lacrime.
«Perché ti diverti a far morire mio fratello, eh?»
Il tipo parve colpito da quella frase, perché corrugò le sopracciglia «Non ho ucciso io tuo fratello» rispose, inflessibile.
 «Allora spiegami!» Jay lo strattonò di nuovo, senza curarsi di avergli fatto di nuovo sbattere la testa contro il muro. «Perché non crederò a nessuna scusa: io e te siamo gli unici che ricordiamo! Siamo gli unici che rivivono questo dannato giorno sapendo quello che sta succedendo, e io adesso voglio sapere perché!»
«Non lo so» replicò quello, ostinato «Ti stavo seguendo per capire.»
Questa volta fu il turno di Jay di stupirsi «Cosa? Seguirmi? Tu mi stavi seguendo?»
«Sì.»
«Allora perché sei scappato tutte e due le volte che ti ho visto?»
«Perché tu non avresti dovuto capire» si passò due dita affusolate e pallide sulle labbra, poi osservò il sangue che le aveva macchiate come se l'avesse visto per la prima volta. Quasi intimorito rialzò lo sguardo e in un attimo Jay sentì un dolore immenso invadergli la guancia. Con un urlo e una mezza imprecazione lasciò la presa, portandosi una mano al proprio labbro, anch'esso spaccato.
«'Cazzo fai?» lo accusò Jay, sputando il sangue che gli riempiva la bocca. Il tipo non rispose, si limitò a fissarlo con un'intensità che per un attimo lo sbilanciò.
«Quello che hai fatto tu» chiosò, come se ciò spiegasse tutto.
Jay battè le palpebre, dubbioso.
Ma non aveva tempo per pensare a quanto quel tipo fosse strano: la rabbia ammontava di lui come una pentola a pressione sul punto di esplodere, e ogni attimo che passava non migliorava di certo la situazione.
«Non provare a cambiare discorso, stronzo! Adesso spiegami che diamine sta succedendo» gli puntò un dito sotto il naso «Voglio sapere che razza di scherzo è questo... perché i giorni si ripetono? Perché io ricordo tutto? Sto impazzendo per caso? Questa cosa avrà mai fine?»
 «Spero di no» rispose sincero quello, per un motivo che Jay non capì.
«Come spero di no?» Jay lo afferrò di nuovo per il colletto, in preda alla collera più travolgente «Non ti lascio andare, sorta di coglione, se non fermi tutto questo. ORA. E' chiaro?»
 Sperò di risultare abbastanza minaccioso, ma l'occhiata che il tipo gli restituì era carica di qualcosa di inspiegabile.
«E' quello che sto cercando di fare, infatti.»
«Come?»
«Non sono stato io ad iniziare tutto questo.»
Il tipo lo fissò negli occhi, senza battere ciglio, poi soggiunse «Te l'ho detto: sto cercando di impedirlo.»
«Ma se non sei stato tu...» Jay attenuò la stretta attorno al suo colletto, senza tuttavia lasciarlo andare «allora chi...?»
 La campana diffuse il suo primo rintocco interrompendolo e la pelle del tipo in giacca di jeans parve assumere i colori del tramonto, così come i suoi occhi che si specchiarono nella palla solare e si incupirono ulteriormente.
«Non c'è più tempo.»
 «Cosa?»
 «La campana» spiegò il tipo, in fretta «Ho perso un altro giorno.»
 «Ma di che parli?»
Jay iniziava seriamente a confondersi.
 «Adesso questo giorno si ripeterà di nuovo.»
 «Eh?» Jay scosse piano la testa, quando comprese «Oh no, no... di nuovo la morte di Archie no, per favore...»
 Il tipo sembrò riflettere su qualcosa, poi lo immobilizzò coi suoi occhi «Però non posso lasciarti andare, sai troppe cose. Non dovrebbe essere permesso, non posso ignorare il tutto.»
«Che?»
 «Verrai con me» decretò infine, con un tono che non ammetteva repliche ma che produsse una ruga di perplessità sulla fronte di Jay.
«Dove?»
 «Lo vedrai.»
«A fare cosa?»
«Lo vedrai»
«Ma perché?!»
«Lo vedrai.»
«Porca miseria, quante cose dovrò vedere domani?» scoppiò Jay, con voce quasi isterica, lasciandogli finalmente andare il colletto.
 «Ritroviamoci in questa piazza, di fronte alla scala, alle nove in punto. Se non vieni lo saprò, quindi ti consiglio di non mancare.»
 «Ma cosa, che diavolo...» un attimo dopo il rimbombo della campana lo stordì.
 «Ci resta solo un giorno, poi tutto finirà. Ci vediamo domani» come se il tipo l'avesse evocata, una sorta di nebbia mista a torpore avvolse Jay.
«Aspetta!» provò a richiamarlo, senza capire, mentre il mondo esterno si dissolveva. Infine tutto divenne nero.

You don't need money, don't take fame
Don't need no credit card to ride this train
It's strong and it's sudden and it's cruel sometimes
But it might just save your life
That's the power of love
That's the power of love

Jay sussultò, riaprendo gli occhi, e scattando come se non avesse mai smesso di muoversi. Fulminò la stanza con gli occhi, poi allargò le braccia e sospirò, ricadendo indietro esausto.
«Oh no, ancora...» brontolò portandosi le mani al volto. «Inizio ad odiare 'sta cazzo di canzone.»




To be continued ~





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Capitolo 10

«Wow, che gioiellino! Immagino anni 70, vero? E' tua?»
Non ricevette risposta: l'altro si limitò a dirigersi tranquillamente verso l'auto e poggiare una mano sullo sportello che si aprì nemmeno avesse avuto le chiavi in mano.
Ora, Jay A. Denver non era un cervellone come Archie, ma era comunque un tipo perfettamente razionale. Dove per razionale intendiamo uno che non crede nella magia e in sciocchezze simili. Ma nel vedere quel ragazzo aprire lo sportello come se nulla fosse, sedersi e guardare con interesse il manubrio dell'auto non poté far altro che sbarrare occhi e bocca.
«Merda!»
«Ti spiegherò più tardi.»






~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~


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Vegonunmed a tutti, lettori! ç_ç
E sì, anche noi spiegheremo più tardi... nel prossimo capitolo! :D Mettiamola così, questo, come avrete capito -e come abbiamo anticipato all'inizio- è un capitolo-svolta, decisamente importante. Si sta entrando nel merito della storia! ;) Chi è il tipo in giacca di jeans? Cosa nasconde? Cosa sta cercando di fermare, chi, e perché? Questo e molto altro nei prossimi capitoli! Voi e Jay avrete tutte le spiegazioni che cercate nel capitolo 10! :) Adesso passo la parola alla mia collega!
Povero Jay, già inizia a odiare la canzone! XD Un giorno prenderà la radiolina e la sbatterà per terra, saltandoci sopra... Sperando che la Sposa di Ade non gli mandi contro qualche simpatico animaletto!
Comunque per me Jay ha sbagliato u.u
Insomma, doveva sbattere al muro il nostro nuovo amico e violentarlo!XD
Ma no, sorella, non dire queste cose!! *le tappa la bocca* ma quiiindi, dicevamo? :D
*mugugna qualcosa di indefinibile*

Comuuunque, che fine farà Archie? Dove andrà Jay, cosa dovrà fare?
Beh la storia s'infittisce, questo è certo. E ricordate nulla è come sembra! u.ù
...fa così figo dirlo °^°
Comunque che ne pensate di quest'altra morte bastarda di Archie? Ve lo avevamo detto che Jay e Gwen si sarebbero abbracciati! XD
Ma quanto siamo stronze! xD
Oh avanti, quello era un abbraccio XD Dipende solo da come lo guardi... LOL
Beh sì, ma... okaaaay stiamo rompendo le balle ai lettori, quindi... alla prossima, cari! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*



***

1. Jay versione anime °^° -tipo che non c'entra niente ma ci piaceva... abbiamo trovato questa immagine e ci siamo dette "è lui!!" quindi eccola qui-:

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2. Gwen:

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3. Archie:

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4. Jay con la ferita sulla fronte:

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5. Il tipo con la giacca di jeans:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM [dedicate ai due fratelli **]

1. Jay preoccupato per il fratellino:

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2. Archie -sembra vagamente idiota qui xD-:

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3. Jay che da' un pugno al tipo:

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Capitolo 11
*** 10. ***


Timeless 10
Faccio velocemente pubblicità ad una ff su Timeless (*///////* che emozione che qualcuno scrive sulla nostra storia!! <3) scritta da una nostra fan (La Sposa di Ade), che rivive le vicende del primo capitolo viste dal POV della radiolina! ;D Per farvi quattro risate... per altro è approvata dal duo gwapple, non perdetela!! :) http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1246964


Capitolo 10





Jay si passò una mano sulla faccia. Era discretamente stanco di tutta quella storia, a essere sinceri: si sentiva esattamente come se qualcuno gli puntasse ogni giorno una spada alla testa, tentando di staccargliela. Poi il campanello suonava, il fattorino delle pizze compariva sulla soglia e il boia decideva di rimandare il suo supplizio all'indomani. Insomma il dolore era estenuante e non lo lasciava in pace.
Che figlio di puttana, pensò, steso sul suo letto. Per la quarta volta in altrettanti giorni.
Power of Love continuava a suonare alla radiosveglia: il ragazzo si passò la lingua sulle labbra secche, stringendo gli occhi.
«Ed inizio ad odiare anche questo fottuto giovedì» borbottò tra sé, mettendosi a sedere sul letto realizzando al contempo di stare iniziando a parlare da solo. Chi era che diceva che parlare con se stessi era sintomo di pazzia? Grand'uomo sicuramente...
 Si alzò con lentezza, i muscoli che urlavano pietà: dopo l'iniziale rabbia era subentrata la stanchezza di chi ha camminato molto senza mai fermarsi un secondo, di chi ha combattuto ma sa che la Morte è lì, dietro l'angolo...
Sferrò un pugno al muro.
 Che cazzo andava a pensare? No! La morte, quella dannata puttana che si stava portando via suo fratello -o almeno, ci stava provando- non l'avrebbe avuta vinta.
 Si mise sotto la doccia, lasciando che l'acqua calda gli scorresse addosso e sfregò ogni centimetro di pelle con rabbia sorda.
 Quando uscì dal bagno erano le otto e mezza di quel giovedì 26 Marzo.
Afferrò il cellulare, soppesandolo per qualche minuto: l'aereo di Archie atterrava alle nove meno cinque e a meno di possedere i superpoteri di Flash, come considerò lo stesso Jay, non ce l'avrebbe mai fatta.
Inspirò profondamente prima di comporre il numero: schiacciò il tasto verde e si portò il cellulare all'orecchio.
Alle nove avrebbe incontrato quel grandissimo cazzone che sembrava essere coinvolto in quella storia e che gli aveva promesso di accordargli spiegazioni.
Primo squillo...
Quello stesso coglione che gli aveva tirato un pugno, per intenderci.
Secondo squillo...
E che lo guardava come se fosse lui l'alieno!
Terzo squillo...
«Pronto?»
«Ciao mamma» la salutò, seduto sul letto. La radiolina continuava a trasmettere imperterrita Radio Hourglass e le voci di Jules e Beatrix, combinate a quella di sua madre, ebbero l'effetto di tranquillizzarlo.
Almeno in parte.
«Tesoro!» Susan era sorpresa nel sentirlo. Jay la immaginò cucinare anche per lui, l'odore della salsa che si diffondeva per casa.
Ebbe una fitta di nostalgia al pensiero.
«Scusa l'ora, mamma. Ma un amico mi ha chiamato per chiedermi un favore e non ho potuto dire di no...» non era la bugia migliore del suo repertorio, ma era la scusa più credibile che il cervello gli avesse suggerito: anche perché andare da sua madre e dirle con estrema noncuranza che da quel cosiddetto amico dipendeva la vita di Archie... beh, non era consigliabile.
«Jay, è successo qualcosa?» chiese sua madre.
Il ragazzo scosse il capo, sorridendo anche se lei non poteva vederlo.
«No, è tutto okay. Mi ha solo chiesto un favore, arriverò in tempo per pranzo, ma non posso andare a prendere Archie» si leccò il labbro inferiore. «Puoi... pensarci tu?»
«Capisco... va bene, va bene. Ma se non torni per pranzo ti arrostisco al posto del cinghiale!»
«Hai cucinato un cinghiale?» Jay tentò di dare alla propria voce una sfumatura di stupore e Susan ridacchiò.
«Certo che no, sciocchino! E' per stasera!»
Jay alzò le sopracciglia.
«E lo mangerai tutto da sola?»
«Beh, non vorrei di certo finire come quella pubblicità a mangiare mappamondi e cabine telefoniche!» Susan rise, seguita immediatamente dal figlio. E sì, lo spot dei Tuc spopolava in TV.
«Mamma, tu sei tutta matta...» sbuffò Jay, divertito. Occhieggiò l'orologio: doveva muoversi. «Va bene, io vado eh? A stasera. E... mamma?»
«Sì, tesoro?»
Jay si morse il labbro inferiore.
«Ti voglio bene.»
«Oh...» probabilmente Susan non se lo aspettava ma si ricompose immediatamente. «Anche io tesoro. Te ne voglio moltissimo.»
Jay sorrise, gli occhi lucidi fissi sul panorama fuori dalla finestra.
Poi chiuse la conversazione, e il silenzio si impadronì della stanza.


Si preparò in fretta, ma per scaramanzia scelse abiti diversi da quelli che aveva indossato nei precedenti quattro giorni.
Infilò una maglietta bianca a maniche corte e un paio di calzini grigi: mentre si tirava su la zip dei jeans lo sguardo gli cadde su una sciarpa nera abbandonata sul tavolo.
L'aveva cucita a mano Susan per il suo quindicesimo compleanno.
Se la avvolse attorno al collo, afferrò la giacca di jeans appesa all'attaccapanni all'ingresso e una volta presi cellulare, portafoglio e occhiali da sole uscì.
Cambiare abiti probabilmente non avrebbe fatto la differenza, ma voleva comunque -e forse anche con una certa dose di infantilità- aggrapparsi alla speranza che così facendo tutto sarebbe andato bene.
Beh, pensò Jay, frugando nelle tasche alla ricerca della chiave, quantomeno bisognerà essere ottimisti.
«Buongiorno, caro ragazzo!»
La signora Mao gli sorrise, come ogni altro giorno: e come ogni altro giorno Jay ricambiò il sorriso con cordialità mentre girava la chiave nella toppa.
«Buongiorno, signora Mao» la salutò di rimando.
Si sentiva quasi come un attore che prova la stessa scena mille e mille volte.
«Vai da qualche parte?»
Il solito senso di disagio si intensificò. Rispondere: Sì, da un pazzo psicopatico con la giacca di jeans che può aiutarmi a capire qualcosa di questa assurda vicenda del cazzo, sarebbe stato troppo da schizzati, vero?
Non era proprio sicuro della sua sanità mentale, al momento...
«Certo. Cioè... da mio fratello, in aeroporto» puntualizzò poi, ricordandosi di quello che aveva detto il primo giorno.
«E non vorrei arrivare in ritardo quindi... arrivederla!»
E agitando una mano si allontanò veloce dalla vicina di casa. Almeno si sarebbe di nuovo risparmiato le foto della nipote, che sicuramente la donna l'avrebbe costretto a sfogliare. Come al solito...
Rivolse un cenno al signor Guirao -inseguito dal suo "Oh ciao!"- mentre correva verso l'uscita e continuò a correre per un pezzo, fino a quando non vide in lontananza l'officina di Bill: allora si apprestò a camminare più lento, le mani affondate nelle tasche e il naso per aria, a guardare le nuvole.
Durante il tragitto ripensò alle parole del tizio strambo: cosa avrebbe dovuto vedere? Dove lo avrebbe portato?
Ma sopratutto: perché proprio lui? Jay se lo era chiesto più e più volte. Perché solo lui sembrava ricordarsi cosa era successo, tizio strambo a parte, tra tutte le persone che abitavano la Terra?
Sbuffò ritrovandosi a giocherellare con le chiavi di casa.
Rivolse uno sguardo nostalgico verso l'officina, ma si costrinse ad affrettare il passo. Mancava un quarto d'ora alle nove e le parole del ragazzo -Se non vieni lo saprò, quindi ti consiglio di non mancare- gli si erano impresse in mente: sembrava un tipo davvero poco paziente...
E sospirò meditando su quanto la sfiga pareva averci preso gusto a tormentarlo, in quei giorni.
Arrivò alla piazzetta alle nove meno cinque minuti e si sedette sulle scale, guardandosi intorno. Non c'era quasi nessuno, a quell'ora, e Jay si chiese preoccupato come avrebbe fatto a...
«Ciao.»
Con uno strillo ben poco virile Jay si mise in piedi, voltandosi di botto verso la causa del suo spavento: il ragazzo della sera prima era lì, col solito volto indifferente ma con gli occhi accesi da una scintilla di curiosità infantile.
«Non. Farlo. Mai. Più» scandì Jay, una mano sul cuore e il respiro affannoso.
L'altro alzò le sopracciglia e scrollò le spalle. «Va bene» fece incolore.
Jay gli scoccò un'occhiataccia.
«Mettici un po' di sentimento e potrei anche pensare di crederti» ribatté sarcastico.
Totalmente insensibile alle sue parole il ragazzo si incamminò spedito senza voltarsi indietro e Jay -dopo aver alzato gli occhi al cielo- si decise a seguirlo, precipitandosi per raggiungerlo.
«Ehi, ehi, fermati Cullen!» lo richiamò, afferrandogli il braccio. «Dove mi stai portando?»
L'altro osservò la mano che lo teneva con un cipiglio decisamente perplesso.
«Non mi chiamo Cullen» rispose.
Jay corrugò le sopracciglia, ma decise di lasciar perdere.
«Okay uhm... Tu. Dove stiamo andando? Dovresti spiegarmi un paio di cose, ricordi?»
«Verso la macchina.»
«Giusto, come no. La macchina, ovvio... che idiota! Dì un po', Ennis Del Mar, ce l'hai la patente?»
L'altro sembrò deciso a ignorare le sue battute e si diresse a passo di marcia verso l'uscita della piazzetta seguito da Jay: svoltarono a destra, trovandosi di fronte a un parcheggio davanti cui era stata posteggiata una Golf Cabrio nera con tanto di cappotte.
Jay fischiò.
«Wow, che gioiellino! Immagino anni 70, vero? E' tua?»
Non ricevette risposta: l'altro si limitò a dirigersi tranquillamente verso l'auto e poggiare una mano sullo sportello che si aprì nemmeno avesse avuto le chiavi in mano.
Ora, Jay A. Denver non era un cervellone come Archie, ma era comunque un tipo perfettamente razionale. Dove per razionale intendiamo uno che non crede nella magia e in sciocchezze simili. Ma nel vedere quel ragazzo aprire lo sportello come se nulla fosse, sedersi e guardare con interesse il manubrio dell'auto non poté far altro che sbarrare occhi e bocca.
«Merda!»
«Ti spiegherò più tardi.»
Jay batté le palpebre un paio di volte, per un attimo sicuro di esserselo solo immaginato. Ma le parole del tipo sembravano dargli una conferma. Chi diavolo era? Come aveva fatto ad aprire lo sportello con un solo tocco?
Certo, dopo aver vissuto lo stesso giorno per quattro volte c'erano ben poche visioni che potevano sorprenderlo ma questa... questa decisamente usciva dai suoi schemi.
«Chi cazzo sei? Superman sotto mentite spoglie?»
«No» si limitò a rassicurarlo l'altro, facendogli cenno di seguirlo. Jay ringhiò un'imprecazione.
«Okay. Tutto normale, vero?» borbottò isterico, aprendo la portiera del passeggero: si sedette e si voltò verso il ragazzo che studiava i comandi dell'auto come se non sapesse dove mettere mano.
«Ce l'hai un nome o devo inventarmi un nomignolo diverso ogni volta che ti chiamo?» lo interrogò, caustico.
«Tecnicamente si, tutti ne hanno uno» e la sua attenzione si spostò sul freno a mano. «Ma è in enochiano, dubito capiresti.»
«In eno-cosa?»
«Enochiano» sillabò il moro, cercando di capire come azionare la macchina «E' la lingua degli angeli: risulterebbe impronunciabile per te.»
«Mettimi alla prova... Aspetta, hai detto lingua degli angeli?»
Un angelo!
Come aveva fatto a non pensarci prima?
«Certo, ovvio, un angelo. Normalissimo, se ne incontrano molti per strada...» bofonchiò Jay
«E' costernazione quella?» s'informò l'altro; Jay gli scoccò un'occhiataccia.
«E tu saresti un angelo? Amico, seriamente, fatti visitare!» sbuffò infine il ragazzo, mettendo mano alla portiera della macchina per aprirla e scendere.
«Voi esseri umani siete sempre troppo scettici.»
La fottuta portiera non si apriva: Jay sbuffò, tentando di recuperare la calma.
«E tu sei un pazzo che si crede un angelo, siamo pari» ringhiò.
«Io non mi credo un angelo, lo sono!» replicò l'altro. Il volto del moro era impassibile, ma in fondo agli occhi Jay poté scorgere una scintilla di rabbia.
Oh. Stava facendo incazzare lo psicopatico: ma bene!
Jay si voltò appena, con una smorfia di stizza. «L'aspetto più assurdo di tutta questa faccenda è che sei serio!»
«Tu non vuoi credermi.»
«Ma certo, perché dovrei credere ad una cazzata del genere? Tu sei un angelo. Come no. E io sono Chuck Norris.»
Quello parve rifletterci. «Non sapevo ti chiamassi Chuck.»
Jay aprì la bocca per ribattere, poi si limitò a lasciarsi ricadere contro il sedile: d'accordo, aveva davvero a che fare con un pazzo. Si ritrovò a ridere di cuore, sciogliendo la tensione. «Oh, sì, certo, ho capito! Ora mi dirai anche che ti chiami Castiel.»
L'altro scosse la testa, serio. «No, in realtà non mi chiam-...»
«Cos'è, un fottuto episodio di Supernatural?!»
L'altro strinse le labbra senza capire e Jay sospirò esasperato, assestando un pugno sullo sportello. «Sei uno psicopatico, lasciami andare. Perché cazzo non si apre? Porca...»
«Tu non vai da nessuna parte.» il tipo assottigliò gli occhi e Jay avvertì un brivido risalirgli lungo la schiena. Quel tono non ammetteva repliche. Deglutì, ritirando piano la mano, per evitare gesti avventati. Qualcosa nel suo viso l'aveva letteralmente congelato sul posto: la luce che aveva invaso l'iride del tipo, facendo assumere all'azzurro sfumature violette, si ritirò all'interno della pupilla, sparendo nel nulla. Per un attimo Jay credette di averlo solo immaginato. Eppure il tipo puntò su di lui uno sguardo inflessibile e determinato. «Che tu mi creda o no, non c'è più tempo. C'è stata una rivolta in Paradiso, Dio è sparito e io sono fuggito per cercarlo.»
Jay si ritrovò ad annuire, totalmente in balia del suo sguardo: che gli avesse fatto qualche strano incantesimo? E... ehi, da quanto credeva agli incantesimi?
Provò a riscuotersi, senza realmente prestar credito alle sue parole. «Paradiso? Dio? Oh, andiamo, amico, ma una scusa più credibile no? Questa roba non esiste! Chi è il tuo spacciatore?»
Ma l'altro lo ignorò, perché continuò imperterrito, senza interrompere lo scambio visivo «Gli altri angeli, guidati da coloro che voi umani conoscete come Michael e Gabriel, stanno tentando di portare l'Apocalisse sulla terra. Per farlo devono liberare i quattro Cavalieri, e per liberarli si devono spezzare sette sigilli. Sette proprio come...»
«... I giorni della settimana» completò per lui Jay, con lo sguardo perso nel vuoto. Deglutì, poi si leccò le labbra. Fu in quel momento che abbandonò ogni resistenza e cedette totalmente: che fosse una cazzata o meno, tutto sembrava coincidere.
Era già abbastanza assurdo che i giorni non volessero scorrere, cosa poteva sorprenderlo ormai? Una parte di lui si rifiutava anche solo di prendere in considerazione quella fantomatica teoria, l'altra si disse che non aveva niente da perdere, a questo punto. Quanto valeva stare a sentire lo psicopatico.
  «E ogni giorno che si ripete... è un sigillo che si spezza?»
«Esattamente» confermò il suddetto angelo, con un gomito sullo sterzo «Ogni sigillo viene spezzato con una morte.»
Jay impallidì di colpo, trattenendo il fiato, poi cercò gli occhi dell'angelo. «Archie!»
L'altro annuì, in silenzio «All'inizio non l'avevo capito, ma adesso è tutto molto chiaro.» fece una pausa, attendendo, probabilmente, che Jay registrasse le sue parole «Ogni volta che tuo fratello muore il giorno finisce.»
«Brutti figli di puttana» Jay contrasse la mascella, sentendo un odio profondo e cieco farsi strada attraverso le vene «Non permetterò loro di prendersi la vita di mio fratello e di completare la loro fottuta Apocalisse!»
«Nemmeno io.»
Jay rialzò piano il mento, poi girò appena il collo per incontrare gli occhi di quello. Probabilmente aveva un aspetto patetico, ma non gliene poteva importare di meno.
«Tu potresti fermarli?» domandò titubante, speranzoso. Temeva però la risposta: non avrebbe sopportato di perdere Archie. Non definitivamente.
«E' quello che sto cercando di fare, impedire loro di spezzare l'ultimo sigillo» confermò quello, per poi concludere «Che verrà distrutto questa sera.»
«Ehi un momento!» Jay gli afferrò il braccio con un movimento istintivo. Poi ricordò quanto al tipo desse fastidio il contatto fisico e così ritirò le dita «Tu avevi detto che i sigilli sono sette.»
«Sì.»
«Ma sono passati ancora solo quattro giorni.»
«No, per essere precisi: per te sono passati solo quattro giorni, incluso questo.»
Jay corrugò la fronte, disorientato. «Non ti seguo.»
«Io non so cosa sia successo di preciso, va bene?» il tipo accompagnò le parole con un gesto della mano, e per la prima volta da quando l'aveva incontrato, sembrava quasi... preoccupato. «Tu non avresti dovuto ricordare niente, così come tutti. E invece...» sospirò, guardando altrove «Deve essere accaduto qualcosa quando ci siamo toccati.»
Senza sapere bene il perché Jay arrossì appena: che tipo inopportuno e imbarazzante! «Toccati? Detto così sembra un'altra cosa, palla di piume!»
L'attenzione del tipo parve richiamata dal suo nomignolo comico, perché riportò su di lui un paio di occhi increduli. «Tu sai con chi stai parlando?»
«Con un povero disperato» replicò Jay acido. Poi però distese il volto, con una risatina gutturale che non raggiunse le labbra «E credimi, ti capisco benissimo, perché lo sono anche io.»
Quello non ribatté subito. «In ogni caso, deve essere successo qualcosa quando ci siamo incontrati. Forse ti ho, inavvertitamente, trasmesso qualcosa, non saprei spiegarmelo. Da quel momento tu sei rimasto vigile e attento. Da quel momento vedevi, mentre tutto il mondo restava cieco.»
Il biondo avrebbe volentieri applaudito.
«Che poeta, sono commosso.»
«Ma era già passato un giorno, prima di allora. E non c'è più tempo.»
Jay si grattò un sopracciglio. «Ma se era passato solo un giorno, significa che sono cinque, non sette. Gli altri due sigilli, allora? Il calcolo non torna.»
A questo punto, il moro cercò una posizione più comoda sul sedile foderato. «Il calcolo non torna, certo, e non può se non conosci i fatti. Devi sapere che circa trent'anni fa, qualcuno tentò di liberare i cavalieri dell'Apocalisse. Questo qualcuno -l'identità purtroppo non ci fu mai nota- uccise il nostro profeta, che all'epoca era solo un ragazzo, ma morì anche lui nel tentativo. Due dei sette sigilli sono dunque già stati spezzati, più i quattro di adesso, sono sei. Ormai occorre solo l'ultimo per liberare i Cavalieri... e verrà spezzato stasera.»
Troppe nozioni tutte assieme: Jay si sentì la testa scoppiare. Esistevano anche i profeti? Che funzione avevano? Chi aveva tentato di aprire i sigilli e soprattutto, perché? Si trattava di un angelo, o magari di un demone? Oppure un umano?
L'angelo si concesse un breve sospiro. «Dunque abbiamo molto da fare, e in fretta anche.»
Jay finalmente si riportò al presente: l'ansia premeva, così come il nervosismo e la confusione. «Aspetta un momento: hai detto che stai cercando Dio?»
Come gli suonava strano pronunciare il Suo nome.
«Sì, così come ho fatto negli altri giorni... all'inizio, in realtà, ho provato a parlare coi miei fratelli. Ma è stato tutto inutile. Il giorno in cui ci siamo incontrati, stavo scappando da loro. Volevano eliminarmi perché mi ero ribellato. Ho passato il giorno seguente a cercare di capire dove sarebbe avvenuta la successiva distruzione del nuovo sigillo, ma ho fallito. Ieri, invece, ti ho seguito per capire cosa avessi di strano: per un momento ho... creduto che tu potessi aiutarmi.»
Jay batté le palpebre aspettando che continuasse. Notando che non lo faceva lo esortò col mento. «Io? Aiutarti? E come?»
«Credevo fossi Dio, per un momento» rispose quello, abbassando gli occhi. A Jay non sfuggì l'imbarazzo che si celava dietro quelle palpebre.
«Non ho mica un Death Note con me, e il mio cognome letto al contrario non dice "Io sono Gay", quindi dubito di voler essere Dio» lo consolò, mordace.
L'angelo, ancora una volta, non sembrò cogliere la battuta, e riprese a parlare come se niente fosse.
«Poi ho pensato che magari tu fossi un serafino, uno appartenente alla più alta gerarchia angelica, per intenderci. Ma mi sbagliavo, sei solo un umano.»
Quelle parole ebbero l'impatto di una pugnalata.
«Già, spiacente, sono solo uno stupido ed inutile pezzo di carne. Adesso cosa farai, andrai a piangere da paparino?» si risentì Jay, ferito.
«Mio padre è anche tuo padre» controbatté il moro, intrecciando pacatamente le mani sulla pancia
«Lascia stare le cazzate teologiche, grazie» soffiò Jay. Colse lo sguardo di fuoco del ragazzo e alzò gli occhi al cielo. «'Kay, scusa, come non detto.»
Il moro annuì, un po' più rilassato e Jay ne approfittò per continuare.
«Quindi... dovresti spiegarmi meglio tutta questa storia. Ho capito che questi due minchioni vogliono essere i novelli Voldemort e Sauron» e qui Jay ignorò l'occhiataccia che il tizio gli lanciò, probabilmente offeso dai paragoni poco carini. Ammesso che sapesse a cosa si riferisse.
«Ma ancora non capisco bene una questione: a cosa servono questi sigilli? Hai parlato di Cavalieri dell'Apocalisse ma non sono un esperto a riguardo, dunque...»
«E' meglio se adesso andiamo, non c'è più tempo. Ti spiegherò strada facendo.»
«Andare dove?»
«Al cimitero.»
Jay quasi si soffocò con la sua stessa saliva.
«Intendi letteralmente o figurativamente?»
L'angelo gli rivolse un'occhiata invadente che lo fece ridere per un attimo. Poi impallidì, quando si rese conto della serietà di quella frase.
«Mi stai prendendo in giro?»
«Dovrei?»
Jay sospirò, massaggiandosi le tempie.
«Beh, credo di no.»
«Appunto» annuì il moro. Poi si voltò verso Jay con la solita aria seria.
«Posso farti una domanda?»
Jay scrollò le spalle, annuendo. L'altro piegò la testa in un modo che gli ricordò un pettirosso. «Sai come si guida questo affare?»






To be continued ~





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Capitolo 11

«Comunque ce l'hai un nome? Insomma, non è che posso girarmi e dire ''hey coso, hai una penna?''»
«Te l'ho già detto: risulterebbe impronunciabile per te, essendo in lingua angelica. Ma se proprio insisti...»
Ciò che accadde dopo fu difficile da identificare: Jay seppe solo che qualcosa gli fischiò nelle orecchie, come un rumore sordo di un tuono che rombava in lontananza, un suono invadente che lo fece rabbrividire lungo tutta la spina dorsale, costringendolo a corrugare il volto e tapparsi le orecchie.
«Okay, okay, afferrato, avevi ragione!»
L'angelo richiuse la bocca soddisfatto, abbandonandosi contro il sedile.



~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~


 
Vegonunmed a tutti, lettori!
*Miss Watson entra in punta di piedi* Ahem... Buonasera?
Sì, non tirateci pomodori: siamo in sommo ritardo con gli aggiornamenti, ma comprendeteci, tra scuola e tutto abbiamo giusto il tempo di respirare!XD
In ogni caso che ne pensate di questo capitolo? v.v Le cose si fanno più interessanti anche per Jay!XD Avreste scommesso sull'identità del moro?
Oppure pensavate fosse qualcos'altro?
Credo che I am a Supernatural fan abbia azzeccato la sua identità, però..
Personalmente io mi sono affezionata al piccoletto *^* E'.. buh, è così dolciosamente dolcioso!
Emh... sorella? O.o
Sì?XD
*Lady Holmes da' una scrollata alla collega per riportarla al presente*
Basta con tutti questi vezzeggiativi e queste parolette dolci, mi sta venendo il diabete!!
Angeli!Angeli!Angeli ovunque!
.... VA BEEENE *spinge via la collega e prende la parola*
A parte che i fan vorranno trucidarci per l'assurdo ritardo, assolutamente IMPERDONABILE, lo sappiamo! T_T ma c'è qualcosa che voi non sapete... impegni a parte, avete rischiato grossissimo. Causa un bel litigio pesante tra me e la mia controparte, ma... insomma, poi abbiamo risolto -per fortuna-.
Abbiamo avuto pochissimo tempo per scrivere e i capitoli di adesso sono belli impegnativi e ricchi di informazioni. Come questo: a proposito, è stato tutto chiaro o c'è qualche punto su cui siete dubbiosi? Avete dovuto rileggere la parte più volte per capire di che Caspian stavamo blateran---parlando? °^°
E' importante che tutto risulti chiaro e, se così non fosse, vi preghiamo di comunicarcelo con una recensione! :D -che son sempre gradite, eh, lettori pigri!!-
Inoltre, volevo portare alla vostra attenzione i numerosi appellativi che Jay affibia al povero "angelo", per non parlare delle numerose citazioni filmiche: io e la mia collega abbiamo dato sfogo alla nostra cultura cinematografica, vero Miss Watson?? xD
*Silenzio*
.... sorella??

Cinque minuti dopo:

Oooh si, è stato divertende!
*Lady Holmes, che stava piacevolmente dormendo, si sveglia di colpo* Ah? Cosa? Chi sono?
*Si guarda intorno e si schiarisce la gola, in imbarazzo, mentre si ricompone e aggiusta degli immaginari fogli su un immaginario bancone da TG* Oh salve. Emh... allora al prossimo capitolo! ^^
*Miss Watson sorseggia piacevolmente il the*
Non dormire sul posto di lavoro v.v
E detto questo, cari fan, alla prossima! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*









***

1. La Golf Cabrio nera con capotte anni '70:

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2. Susan preoccupata, dopo aver parlato col figlio:

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2. Jay con gli abiti che indossa la mattina, per incontrare il tipo:

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1. Jay che si volta verso il tipo, al suo arrivo:

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1. Il tipo che si volta verso Jay, di rimando:

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Capitolo 12
*** 11. ***


Timeless 11
Capitolo 11




Chissà come, il tipo era riuscito a procurarsi la chiave della Golf Nera, ma aveva preferito lasciare che Jay guidasse: dal canto suo, benché incredulo di stare portando un angelo a spasso per la città, il ragazzo aveva accettato senza pensarci due volte, convinto che schiantarsi contro un albero non sarebbe stato di certo il modo migliore per iniziare la giornata.
Almeno in quel caso sarebbero finiti sul serio al cimitero, anche se forse non nel senso che lo psicopatico intendeva.
«Quindi sei un angelo» ripeté Jay, mentre Beatrix di Radio Hourglass intratteneva un tizio al telefono.
«Già» fu la pacata risposta
«E... uhm, non per offenderti ma... rubare è concesso tra voi pennuti?»
«Preferisco prendere in prestito. Questa macchina tornerà al legittimo proprietario al tramonto.»
Iniziava ad irritarlo.
Jay sospirò e virò a destra, le mani ben salde sul volante e le labbra strette in una linea sottile. Almeno non lo avesse fissato! Invece no, quel... quel... quello lì non aveva fatto altro per tutto il tragitto!
«Avevi promesso di darmi alcune spiegazioni» gli ricordò nervoso. «Sui tuoi amici piumini e le loro voglie di conquista.»
«Pensavo che a scuola s'insegnasse qualcosa di religione» il tono dell'altro non aveva la minima inclinazione sorpresa.
«Beh» disse Jay, concentrato sulla guida mentre alla radio Beatrix parlava di manga -i fumetti giapponesi- e spiegava la differenza tra yaoi e yuri «Non fanno di certo corsi accelerati su come sopravvivere all'Apocalisse, se proprio t'interessa.»
L'angelo non parve cogliere, ma si schiarì comunque la gola.
«I quattro cavalieri dell'Apocalisse sono creature di Dio che rappresentano la storia de-...»
Jay fece una smorfia.
«Sembri Wikipedia» commentò. Colse lo sguardo stranito che il moro gli lanciò e alzò gli occhi al cielo.
Di tutti gli angeli gli era capitato il più sveglio, vero?
«Va bene, va bene, sto attento. Quattro cavalieri creati da Dio per fare che cosa?»
«Compaiono quando si rompono i sette sigilli e squillano le sette trombe» spiegò l'angelo con agghiacciante tranquillità. «Ognuno di essi rappresenta una parte della storia dell'umanità: il cavallo rosso è la Guerra, il cavallo bianco è Pestilenza, l'Ira di Dio che si abbatte sulla Terra per pulirla dai peccati. Il cavallo nero è Carestia e ingiustizia sociale. E poi, l'ultimo, il più potente e temuto, è il cavallo verdastro, del colore dei cadaveri. Il cavallo della Morte.»
«Fa tanto Power Rangers» considerò Jay, divertito.
Frenò quando un semaforo scattò il rosso, ma l'angelo continuò a parlare tranquillamente.
«I miei fratelli hanno deciso di scatenare l'Apocalisse. Sono arrabbiati con gli umani che hanno sottratto loro l'amore di Nostro Padre» e si guardò le mani, con aria pensierosa. «Vogliono abbattere questo mondo e costruirne uno migliore.»
«'Azzo, altro che Sauron e Voldemort, qui è questione di manie di protagonismo e basta...» ironizzò il maggiore dei Denver. In realtà sentiva una certa paura serpeggiargli nel corpo, insieme al sangue, e raggiungergli il cuore che ora pesava, freddo, nel petto.
Occhieggiò con aria assorta il ragazzo seduto in macchina con lui.
«E tu?» chiese improvvisamente.
L'altro alzò la testa, senza capire.
«Io?»
«Tu perché vuoi salvarci?»
La luce rossa del semaforo lasciò posto a quella verde e Jay mise piede sull'acceleratore.
«Perché... è il mondo che mio padre ama.»
«Non credo sia una risposta» ribadì distrattamente Jay, guardandosi intorno. Il cimitero era appena più in là: ma dove cavolo doveva parcheggiare?
«Come?»
«Beh, è ovvio. Insomma, tu stai facendo questo perché tuo padre ama il nostro mondo e cazzate varie: ma cosa vuoi tu? Vi fanno tutti con lo stampino o avete il cervello di valutare da soli cosa è meglio?»
Il silenzio regnò nell'abitacolo per qualche minuto.
Jay parcheggiò l'auto di fronte a una vecchia libreria, poi si voltò verso il moro con aria assorta.
«Comunque ce l'hai un nome? Insomma, non è che posso girarmi e dire ''hey coso, hai una penna?''»
«Te l'ho già detto: risulterebbe impronunciabile per te, essendo in lingua angelica. Ma se proprio insisti...»
Ciò che accadde dopo fu difficile da identificare: Jay seppe solo che qualcosa gli fischiò nelle orecchie, come un rumore sordo di un tuono che rombava in lontananza, un suono invadente che lo fece rabbrividire lungo tutta la spina dorsale, costringendolo a corrugare il volto e tapparsi le orecchie.
«Okay, okay, afferrato, avevi ragione!»
L'angelo richiuse la bocca soddisfatto, abbandonandosi contro il sedile.
 «Uno a zero per te» borbottò Jay schioccando un dico accanto al proprio timpano per accertarsi di non essere diventato sordo «Certo che la vostra lingua eno-e-qualcosa è proprio terribile. Fammi capire, se dovessi urlare il tuo nome riusciresti a far esplodere un bicchiere di vetro?»
«La cosa ti divertirebbe?» indagò il moro, con un sopracciglio alzato. Ma la sua serietà era così impressionante che Jay decise di lasciar perdere.
«Piuttosto, vediamo a chi hai fregato la macchina» senza aggiungere altro allungò una mano verso il portaoggetti del vano anteriore, e frugò tra le varie cartacce, le penne e le cianfrusaglie, fin quando non incontrò una superficie fibrosa. Non senza difficoltà tirò fuori un portafoglio dal ciarpame, e lo rigirò ammirato.
Era di pelle nera, proprio come la sua giacca. «Mmm, il tipo, o la tipa, ha davvero buon gusto, non c'è che dire». Aprì il portafogli e sfilò la carta d'identità: la foto mostrava un uomo massiccio con la testa pelata, due occhi porcini, un paio di braccia muscolose e perfino un tatuaggio a forma di ancora sulla spalla. Indossava una canottiera biancastra stinta e sudata.
«Il nostro Braccio di Ferro di sicuro non ha partecipato ad un concorso di bellezza» ridacchiò mentre scorreva le informazioni «Felix Orion Payne» lesse, per poi corrugare la fronte e alzare gli occhi sull'angelo. «Felix... sai che non è male? Ho deciso che d'ora in poi ti chiamerò Felix!»
«Ma veramente...» tentò l'altro, subito stroncato dall'esuberanza di Jay «Oh, amico, meglio di "coso", no? O hai intenzione di sorbirti ancora le mie citazioni filmiche? E poi hai una faccia da Felix, a differenza di questo qui.»
Osservandolo meglio, Jay fu sicuro che l'angelo si stesse domandando cosa significasse "avere una faccia da Felix", tuttavia ebbe il buon senso di non obiettare e Jay sorrise tutto contento, come un bambino a cui è stato regalato un nuovo giocattolo.
«Comunque» riprese l'ormai denominato Felix, guardando fuori dal finestrino e mettendo immediatamente mano sullo sportello. «Suppongo sia ora di scendere.»
«Woooho, ehi, un momento!» Jay lo agguantò per un polso prima che potesse osare fare un altro movimento, e quando ebbe riottenuto la sua attenzione, per precauzione  annullò il contatto fisico. «Non stai dimenticando qualcosa?»
L'altro corrugò le sopracciglia. «No.»
«Invece sì, zuccone! Prima di tutto: perché siamo in un cimitero? Hai intenzione di uccidermi e seppellirmi senza lasciare tracce perché, come hai detto tu, so troppe cose e questo non va bene? Oppure hai semplicemente trovato un posto abbastanza isolato per stuprarmi? No, perché sai, potrebbe sembrare che prima tu mi avessi abbordato, ma di solito si fa con le ragazze, e la cosa è imbarazzante in questo contesto, se ci pensi...»
Felix lo lasciò parlare senza realmente ascoltarlo, attendendo che finisse, e Jay pensò che fosse meglio andare al sodo.
«Anche perché in quel caso, baby, sarebbe stato più consono portarmi a cena fuori. Insomma, un ristorante romantico con un bel sottofondo di jazz, non un cimitero che pullula di tombe, brutti corvi rompicoglioni e alberi che sembrano scheletri pronti ad azzannarti» lasciò vagare lo sguardo intorno, e tutto ciò che avrebbe potuto descrivere quel luogo era l'aggettivo grigio «Sì, beh, quello che sto cercando di dire, Pulcino Pio, è che questo dannato posto mette i brividi.»
Felix seguì il suo sguardo, senza fiatare: in effetti quel cimitero sembrava il perfetto sottofondo di un film horror, uno di quelli in stile anni 50 però, ancora in bianco e nero. E del resto tutto ciò che si stendeva al di là dell'insegna sgangherata con su scritto "Eddison Cemetery", appesa ad un cancello arrugginito e scardinato, assumeva tutte le sfumature del grigio. Dalle vecchie tombe incrostate e ricoperte di muschio e rampicanti, agli alti cipressi scuri, e a quegli altri alberi spogli con le radici che spaccavano il terreno. E nonostante fossero in pieno giorno, la luce del sole non sembrava riuscire a raggiungere quel luogo desolato: Jay si sentì come se avesse di nuovo cinque anni, e all'improvviso desiderò di fare dietro front e rinchiudersi nella prima casa che trovasse disponibile.
«Scherzi a parte, Fel: cosa ci siamo venuti a fare qui?»
Felix come risposta si limitò ad aprire lo sportello ed emergere all'aria aperta. Jay lo seguì immediatamente, stringendosi nella giacca quando, non appena varcò l'ingresso del cimitero, una folata di vento gelido lo fece rabbrividire fin nelle ossa.
«Dobbiamo fare una partita a golf con i fratelli Salvatore o cosa?»
«Seguimi» ordinò Felix e Jay eseguì, più per non stare solo in mezzo a quella desolazione infinita che per mero spirito servizievole. Un qualcosa si mosse vicino alla sua spalla, tra i cespugli, e Jay quasi urlò quando un'upupa gli frullò le ali ad un palmo dal naso.
«Fottuto uccellaccio del malaugurio!» imprecò a voce bassa, mentre si affrettava a raggiungere nuovamente Felix. Si portava alle spalle venticinque anni, ma aveva sempre odiato dal profondo dell'anima il freddo e il buio. O meglio, precisamente da quando suo padre era morto. «Allora? Hai intenzione di parlarmi o farai la mummia per tutto il tragitto?»
A Jay non sfuggì il fatto che l'angelo lo stesse conducendo sempre più in profondità, nel fitto di quello spianale disseminato di inquietanti lapidi e sporadici alberi secchi. «E non voglio nemmeno immaginare come debba essere qui durante la notte. Con la luna piena magari, e qualche ululato in sottofondo. A proposito! Esistono i licantropi, Felix?»
«No» rispose l'altro scavalcando una radice. Jay lo tallonò veloce, per imitare i suoi movimenti, ma inciampo' e rovinò a terra tra le foglie secche e il fango. L'angelo nemmeno si ravvide di aiutarlo ad alzarsi e continuò con la sua avanzata, mentre quello si rimetteva in piedi spolverandosi via lo sporco, per poi ricominciare con le domande a raffica, come se niente fosse.
«E i vampiri? E gli zombie?»
«Sono solo leggende che voi esseri umani avete creato, confondendo creature oscure frutto della vostra fantasia con i demoni.»
«I demoni?» Jay si fermò un attimo, raggelato, per poi correre ad affiancarlo, con un leggero panico nella voce «Esistono davvero?»
«Sì.»
«Con le corna, la coda a punta e gli occhi di fuoco?»
«Non proprio...»
«Ma quindi ci sono sul serio?»
«Certo, come noi» fu la replica, mentre il moro si voltava a guardarlo, quasi irritato. «I profeti ne hanno parlato nei tempi antichi.»
«Profeti? Ci sono anche i profeti?» Jay spalancò la bocca, meravigliato «Cavoli!»
Felix scostò un ramo per proseguire, poi lo lasciò andare e Jay se lo beccò dritto in fronte. «Aiha! Ma potresti fare più attenzione, Bello Swan?!»
Sbuffò massaggiandosi la zona offesa, ricordando come solo il giorno prima in quello stesso punto dove ora stava toccando pelle sana, ci fosse una profonda ferita sanguinante.
Ma era troppo eccitato al momento per prestarci attenzione.
«Esistono altre divinità?»
«Quali altre divinità?»
«Non lo so, tipo quelle nordiche!» Jay fu sicuro che i propri occhi stessero brillando «Esiste Odino?»
«No.»
«E Thor?»
«No.»
«Ah! E quindi niente martello...»
«Al massimo esiste la spada di Michael.»
«E la Vedova Nera? Gran bella gnocca quella.»
«Non confondere i fumetti con la vita reale, Jay.»
«Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerla. Oppure Iron Man, lui sì che è un gran figo. O Capitan America: sapevi che colleziono le sue figurine da quando ero piccolo? Cioè, in effetti lo facevo solo quando ero piccolo. Archie mi prendeva in giro per questo, ma lui non capisce niente di queste cose, ha sempre preferito le biblioteche ai cinema, non è mica tanto norma-»
«Potresti stare zitto per un momento?» quasi urlò Felix, mostrando per la prima volta un tocco di emozione in più. Poi sospirò, rallentando il passo. «Siamo arrivati.»
Ciò che Jay vide fu una tomba di famiglia costruita in modo da ricordare uno di quegli antichi templi greci per cui Archie andava matto: davanti a questa vi erano due statue perfettamente uguali rappresentanti due ragazze con le ali, vestite alla foggia romana, le mani giunte e un'espressione triste in volto.
Le due statue erano già state raggiunte dal muschio: Jay le guardò con le sopracciglia aggrottate mentre Felix sembrava essere assorto in chissà quali pensieri.
«Sono dei tuoi simili, queste belle fanciulle?»
«Angeli? Sì. Ma non sono due fanciulle. Non entrambi, per lo meno.»
Jay corrugò le sopracciglia, perplesso «Che vuoi dire? Sono uomini?»
«Non proprio» Felix si inumidì le labbra «Gli angeli non sono come gli umani: possono scegliere quale genere li rappresenti meglio. Alcuni di noi hanno aspetto di donne, altri di uomini, come me. Ma possiamo cambiare se è necessario.»
Quello che accadde dopo, fu forse l'evento più inatteso e sconvolgente a cui Jay avesse assistito durante tutta quella lunga giornata: quando si era voltato di nuovo verso Felix, al posto del bel ragazzo che conosceva, incontrò le forme di una ragazza tale e quale all'angelo, solo in fattezze femminili.
I capelli lunghi e morbidi che ricadevano sulle spalle e su un seno abbondante, piuttosto evidente sotto la maglietta nera e la giacca di jeans, ed un corpo più esile e aggraziato: il volto era quello dell'angelo, solo con le ciglia più lunghe e gli zigomi più pronunciati. Gli occhi, grandi e violetti -avevano di nuovo assunto quella strana sfumatura- erano identici a quelli di Felix.
«Mi preferisci così?» domandò Felix... Felicia?.... sì insomma, l'angelo, sfarfallando ingenuamente le ciglia. Jay si ritrovò ad arrossire e distogliere lo sguardo, nervoso.
Cazzo, è proprio uno schianto! Il maggiore dei Denver si massaggiò la mascella per cercare di calmare i suoi ormoni impazziti, e rimettere ordine nella sua mente: quello era Felix, dannazione! D'accordo, al momento aveva l'aspetto di una ragazza tremendamente sexy, ma era comunque un uomo!
«Non devi fare un favore a me!» biascicò quando ebbe riacquistato un po' di lucidità -naturalmente evitò di guardarla, per non risvegliare anche qualcos'altro-. «Tu in quale corpo ti trovi meglio?»
«Nella mia versione maschile» rispose genuinamente la ragazza, quasi dispiaciuta «Ma a quanto ho capito a te piacerebbe di più se...»
«A me non cambia niente!» lo... la?... rassicurò Jay spalancando le braccia, finalmente voltandosi a guardarla. Si accorse troppo tardi di come suonasse ambigua quella frase.
«Cioè, non nel senso...» l'angelo lo fissò coi suoi occhi invadenti e Jay deglutì senza riuscire a fiatare. «Io... oh, lasciamo stare. Torna Felix, okay? Sarai anche bravo a fare questo tipo di... illusioni? Ma tu sei un ragazzo, no? Non devi cambiare ciò che sei per fare un favore agli altri.»
Quando terminò di parlare, di fronte a lui c'era di nuovo il buon vecchio Felix.
«Hai visto? Non è stato difficile» ridacchiò senza ben sapere perché, e vide l'altro sollevare appena gli angoli della bocca. Ammutolì. Era un sorriso, quello? Il primo sorriso che avesse mai fatto, rivolto a lui?
Jay non seppe se se ne accorse in quell'istante, o se fosse solo un residuo della visione di prima, ma le ciglia dell'angelo, anche in versione maschile, gli parvero particolarmente lunghe. Ma forse erano sempre state così...
«Seguimi.»
«Dove siamo arrivati? Ma cosa sei, un profanatore di tombe nel tempo libero?» s'indignò, già dimentico del piccolo scatto d'ira dell'angelo e della successiva trasformazione in donna.
Questi gli lanciò un'occhiata indifferente.
«Dobbiamo andare all'Inferno.»








To be continued ~





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Capitolo 12

«Stai attento alla nebbia.»
«Un momento, ma di cosa sta-...» non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase dal momento che una spessa nebbia si frappose nel suo campo visivo, coprendo del tutto l'angelo.
Oh. Ora aveva capito di cosa stesse parlando, quel moccioso piumato...
«FEL! »
Nessuno rispose.



~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

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 Dite "ciao" alla zucca ballerina brasiliana fatta da Miss Watson *-*

Vegonunmed a tutti, lettori! :D
Ma happy halloween a tutti! *Miss Watson saltella offrendo a tutti dita mozzate sanguinanti* Un morsetto?:D
Allora sì, l'aggiornamento oggi è stato perfettamente voluto -voglio dire, con quanta figaggine finisce sto capitolo? Ve ne rendete conto?- e finalmente si scoprono un paio di cose in più: ma cosa assolutamente più importante... L'ANGELO HA UN NOME!
*si odono cori di alleluja*
Sì, nella scena del cimitero anche io pensavo che si sarebbero baciati. O che lui le sarebbe saltato addosso... Ma Jay è di buon cuore, non sfiorerebbe mai una fanciulla senza il consenso di questa [o questo, dato il caso specifico :P n.d.LH] u.ù
Tranne se la suddetta fanciulla stia per ucciderlo. Ma dettagli, mh?:D
Personalmente ritengo questo capitolo uno dei più... solenni, diciamo, che abbiamo scritto fino a ora. Non è da escludere che ce ne saranno altri, più seri, più drammatici... Ma ehy per ora questo è il picco. Accontentatevi
LOL
Comunque come stavo seriamente dicendo credo che questo sia un punto di svolta. Da adesso non si può tornare indietro. Ci addentreremo in un mondo che ci appartiene solo in parte, di cui le regole ci sono state sommariamente descritte.
Jay è pronto? Riuscirà nella sua impresa?
*Miss Watson s'illumina la faccia con una torcia* E vi aspettate che ve lo dica?
*Lady Holmes si schiarisce la gola e, dopo aver finito di mettere le gif e vedere la puntata di SPN su rai 4, prende parola*
Ma salveeee, anime, come state?? :D In realtà dovevamo aggiornare secoli fa ma la scuola [le interrogazioni, i compiti, l'idea degli esami di maturità a giugno ç_ç] ci toglie tutte le energie. Per non parlare degli orari diversi tra me e la mia collega, raramente riusciamo a beccarci! Con la stesura stiamo andando un po' a rilento, ma l'importante è che Timeless vada avanti! :D Ultimamente stiamo scrivendo una parte particolarmente (perdonate il gioco di parole u.ù) difficile, quindi abbiate pazienza, lo riguardiamo mille volte! °^°
Comunque sì, come ha ben detto Miss Watson, questo è uno dei capitoli che preferiamo... e d'ora in poi non si torna più indietro! Ci addentreremo nell'INFERNO!! °çç° *muore al solo pensiero*
Per quanto riguarda la questione di Felix/Felicia, è il nostro modo di vedere la leggenda sull'asessualità degli angeli. Per noi un sesso ce l'hanno eccome, solo possono decidere quale dei due, come dire, adottare, a seconda di come si trovino meglio u.ù Felix e Felicia, si sappia, SONO LA STESSA PERSONA. Hanno la stessa anima, differiscono solo, appunto, in particolari fisici derivanti appunto dal sesso u.ù
Anyway, si è fatto tardi e la mia collega è scomparsa, e io devo andare a una festa quindi scappo... alla prossima!! :D
*fa una risata malvagia e scompare in una nuvola di fumo*
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*




†††

1. Jay spaventato, dopo la rivelazione di Fel:

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2. Felicia:

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3. L'Eddison Cemetery dove vanno Fel e Jay:

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4. Felix (versione maschio):

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Jay affascinato dall'aspetto di Felicia:

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2. Felicia che si volta verso Jay:

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3. Jay/Felicia:

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HAPPY HALLOWEEN, ANIME! :D

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Capitolo 13
*** 12. ***


Timeless 12
Capitolo 12




Il silenzio che seguì quell'affermazione fu inquietante. Per qualche minuto, infatti, non si sentì altro che il leggero fruscio del vento tra le fronde degli alberi: Jay deglutì pesantemente, fissando l'angelo, spaventato.
«Che cavolo vuol di-....» non poté finire la frase perché già Felix si era diretto verso la statua a destra.
«Basta con le domande, dobbiamo fare in fretta» lo interruppe, senza nemmeno voltarsi.
«Inferno? Cioè... intendi proprio l'Inferno? Quell'inferno?!»
Jay realizzò di essere vagamente isterico, mentre un sudore freddo gli imperlava la fronte e il cuore non ne voleva sapere di rallentare i battiti.
«L'unico vero Inferno, sì» controbatté Felix, senza realmente capire la domanda.
«Oh merda!» urlò Jay, incapace di trattenersi. Boccheggiò per un po', provando a calmarsi. Ma l'unica cosa che riuscì a dire dopo un minuto buono fu un semplice:
«Cazzo!»
«Non preoccuparti, ti proteggerò io.»
«L'inferno è come l'ha descritto Dante?» chiese, sentendosi come un alunno che non avesse capito una lezione di letteratura. Si schiarì la gola, consapevole di quella fredda paura che gli serpeggiava nelle viscere. «Coi gironi, le urla, i dannati, il fuoco eterno, il dolore e le pene?»
«Non esattamente» fu la semplice risposta «Ma ripeto, basta con le domande, dobbiamo muoverci: non preoccuparti e continua a seguirmi, saremo al sicuro. Una volta dall'altra parte, capirai tutto: le parole sono superflue. Potrai vedere tutto ciò che vuoi una volta che saremo lì.»
«Vuoi scherzare, spero!» Jay allargò le braccia, e quando Felix si voltò a guardarlo, confuso, l'umano le lasciò ricadere lungo i fianchi «Non stai scherzando.»
E non era una domanda.
Felix gli fece cenno di avvicinarsi e Jay dovette riflettere velocemente prima di apprestarsi a seguirlo: tutta quella fottuta situazione non aveva un senso. Forse era solo uno stupidissimo sogno, forse no, ma in ogni caso non aveva altra scelta.
«Magari per te è perfettamente normale» cercò di rimediare, gesticolando «Apocalisse, angeli, demoni, inferno, divinità e superpoteri, ma io non sono Harry Potter e faccio fatica ad accettare tutto questo. Se magari ti degnassi di metterti nei miei panni, tanto per capire, sarebbe confortante. Per inciso, sto parlando con te.»
Ma non ricevette risposta, nemmeno questa volta.
Offeso dalla poca attenzione riservatogli, Jay gonfiò le guance a mo' di criceto.
O come un bambino a cui sono state tolte le caramelle.
«Hey! Potresti... non so, ascoltarmi, mentre parlo?» brontolò.
Felix stava tastando il marmo sotto l'ala: diede uno strattone, come se stesse tirando una leva, e poi saltò giù con agilità. Ci fu un attimo di silenzio e poi la statua, con un rumore orrendo simile ai versi di un maiale che viene brutalmente scannato, incredibilmente iniziò a spostarsi rivelando sotto la sua base un passaggio.
«Questo era totalmente inaspettato» commentò Jay, dopo qualche minuto di stupore.
Parve che gli occhi di Felix fossero accesi, per un attimo, da un guizzo di divertimento ma, quando si girò a guardarlo, il ragazzo stava camminando tranquillamente verso l'apertura sotto la statua.
Con un seccato: «Ma mi vuoi aspettare?» Jay lo raggiunse, quasi correndo.
Sotto la statua cominciava una lunga e strettissima scala -fottuti creatori di fottutissime scale!- di marmo, resa scivolosa dal muschio: le pareti di pietra nera erano umide e, quando Jay si aggrappò ad esse per non cadere, avvertì un brivido lungo la schiena che aveva poco a che fare con il freddo o altre stronzate del genere.
«Dobbiamo scendere.»
La voce pacata di Felix lo riscosse: il maggiore dei Denver gli scoccò un'occhiata impaurita.
«Dobbiamo proprio?»
Allungò uno sguardo alla scala che si diradava sotto di loro -alcuni gradini scomparivano nel buio-, rabbrividendo.
«Se vuoi restare qui...» replicò piatto Felix
«Non è questo!» si risentì Jay, stizzito. «Soffro di claustrofobia, stupido pennuto.»
Ed era vero: da quando suo padre era morto in un incidente di ascensore, Jay era stato sommerso spesso da attacchi di panico durante i quali gli mancava addirittura il fiato, specialmente nei luoghi scuri e bui. A testimoniarlo, tantissime notti insonni durante l'anno che era seguito alla tragedia di Josh.
E questo sembra proprio il posto che fa al caso mio, pensò con una smorfia.
Le sopracciglia dell'angelo si levarono appena: era chiaro come il sole che ci credesse poco, e Jay ebbe la folle voglia di picchiarlo a sangue, alla faccia della fine del mondo. Tuttavia, Dio doveva davvero saper educare bene i suoi soldati, perché Felix si limitò a non fare commenti ma scrollò semplicemente le spalle.
«Comunque sia, dobbiamo scendere» lo ragguagliò.
«Grazie, non c'ero proprio arrivato, Capitan Ovvio» reiterò sarcasticamente Jay. L'angelo lo guardò stordito, poi lo precedette lungo quella discesa.
«Reggiti alle pareti o potresti scivolare e romperti qualcosa» comunicò, cominciando a scendere i gradini con attenzione. Jay gli fece il verso ma poi, seppur preferendo incontrare un orso affamato che seguirlo, gli andò dietro.
Sì, le sfingi della sfortuna infinita lo avevano proprio in simpatia...
A cominciare dall'incontro con quell'angelo: okay, va bene, in fondo i novelli Sauron e Voldemort avrebbero anche potuto fargli la pelle però...
«Quindi, fammi capire... scendiamo questa scala e ci ritroviamo direttamente a Narnia?»
Felix corrugò la fronte. «Ma veramente non...»
«Cos'è, un armadio era troppo fuori moda?»
Come c'era da aspettarsi, l'angelo non colse la battuta.
Jay sbuffò, alzando gli occhi al cielo, chiedendo ai piani alti di dargli un po' di pazienza: poi ricordò che i suddetti piani alti tentavano di distruggere l'umanità, e scosse il capo.
Rassegnato al suo infausto destino, continuò a scendere le scale per un tempo che parve semplicemente essere troppo lungo per essere descritto: man mano che avanzavano, in effetti, Jay sentiva sempre più freddo e si chiedeva distrattamente quando quella rampa di scale sarebbe terminata, e se per caso si sarebbe trovato a testa in giù come in quel quadro intricato di... com'è che si chiamava?
Ad Archie piaceva proprio quel pittore.
Nel ripensare al fratello un nodo doloroso gli strinse lo stomaco, risvegliandolo dai propri pensieri: Felix armeggiò con qualcosa e poi la luce delle lampade inondò quello che si mostrò come uno stretto, freddo cunicolo di pietra.
In quell'istante Jay si rese conto che i gradini erano, grazie al cielo -o forse no-, finiti.
Strizzò le palpebre, riabituandosi alla luce. Vide l'angelo scrutarlo, quasi si aspettasse di vederlo cadere o fuggire da un momento all'altro: per tutta risposta alzò un sopracciglio, vagamente offeso.
Okay, lo riconosceva: non era di certo Riccardo Cuor di Leone e perché no, gli sarebbero serviti mesi per carburare al meglio tutta quella storia. Ma di mezzo c'era la vita di suo fratello, la sua stessa esistenza, quella di Gwen, sua madre e Bill...
Non si sarebbe tirato indietro.
Felix parve capire che non sarebbe scappato a gambe levate perché gli concesse una smorfia, o un sorriso -dipendeva dai punti di vista- e si voltò, prendendo a camminare di nuovo.
«Stai attento alla nebbia.»
«Un momento, ma di cosa sta-...» Jay non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase dal momento che una spessa nebbia si frappose nel suo campo visivo, coprendo del tutto l'angelo.
Oh. Ora aveva capito di cosa stesse parlando, quel moccioso piumato...
«FEL!»
Nessuno rispose.
Ringhiando di rabbia e frustrazione cominciò ad avanzare nella nebbia, sempre dritto, le mani tese in avanti per non rompersi il naso in qualche colonna di pietra.
Avvertiva come un vago senso di inquietudine e solitudine insieme, che gli schiacciavano opprimenti il petto: era come se qualcuno lo avesse posto sotto un masso e costretto a tentare di rialzarsi.
Dannata claustrofobia, imprecò mentalmente, stringendo i denti mentre un brivido gli risaliva lungo la schiena.
«Dannata nebbia!» biascicò invece.
E poi... poi sentì una mano fredda afferrargli la spalla e spingerlo leggermente in avanti: il senso di vuoto interiore sparì e Jay si accorse di stare respirando affannosamente.
Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi chiarissimi di Felix. Quindi si passò la lingua sulle labbra secche.
«Grazie Edward, ma sto bene» sbottò seccato. Felix non infierì, semplicemente mollò la presa: cosa per cui, il ragazzo se lo sentiva, gli sarebbe stato eternamente grato.
Jay respirò profondamente, assicurandosi di essere ben stabile sulle proprie gambe. Sentì lo sguardo di Felix puntato sulla schiena e si schiarì la voce, a disagio.
«Dove dobbiamo andare ora?»
«Non ci vorrà molto» disse Felix e Jay si chiese distrattamente se quello non fosse un magro tentativo di consolazione. «Riesci a camminare?»
«Ti stai calando perfettamente nella parte del vampiro romantico, sai?» commentò Jay, alzando le sopracciglia. Felix gli lanciò un'occhiata ma poi, forse decidendo che non era il caso di perdere tempo per chiedergli spiegazioni, andò avanti seguito dal ragazzo: continuarono a camminare per altri venti, forse trenta minuti -il tempo sembrava essersi fermato- giungendo alla fine davanti a quello che aveva tutto l'aspetto di un arco di marmo scuro.
O almeno, per quel poco che Jay riusciva a vedere, pareva scuro: il pavimento di pietra era nascosto ai loro occhi dalla nebbia e ovunque si girasse il maggiore dei Denver non scorgeva altro. Gli sembrava di galleggiare su una nuvola e per un unico folle attimo si chiese se gli angeli vivessero su di esse, in Paradiso.
Ma scacciò immediatamente l'idea, quando avvertì l'angelo affiancarlo: le domande idiote alle quali era imbarazzante rispondere erano una prerogativa del moro, non sua.
Per nascondere il disagio si schiarì la gola, ringraziando la nebbia che gli celava il volto.
«E ora che si fa?» domandò, non esattamente certo di voler conoscere la risposta.
«Di solito gli archi si varcano» fu la semplice risposta, piatta e priva di emozioni come sempre. Jay tenne a freno la lingua e represse l'impulso di prenderlo a pugni.
Era fottutamente spaventato da quello che avrebbe trovato dall'altra parte: possibile che quel dannato volatile piumato non riuscisse a capirlo? Lui magari era abituato a svolazzare tra le anime dei morti, ma Jay di certo non se l'era mai nemmeno sognato. Ed essere il protagonista di un film horror non era certo in cima alla lista dei suoi desideri.
Jay deglutì aria, e quando realizzò che Felix si aspettava che lo precedesse, si massaggiò la nuca.
All'improvviso le gambe sembravano essersi tramutate in gelatina. Era congelato sul posto.
«Eih, Fel, emh...»
L'angelo reclinò appena la testa, attendendo che continuasse.
«Cosa... cosa c'è là dietro?» riuscì a chiedere, dopo aver preso una lunga boccata d'ossigeno, alzando finalmente lo sguardo sul moro per incontrare i suoi occhi.
«Lo vedrai non appena avrai varcato la soglia. Se vuoi passo per primo.»
Jay dovette concludere che stare lì immobile come uno stoccafisso non l'avrebbe di certo levato dai pasticci, così si passò sbrigativamente la mano sui capelli, ravvivandoli appena; infine seguì Felix, docile.
«E' solo che... cioè, mi sembra tutto così assurdo... e, sì beh, si parla pur sempre dell'Inferno, voglio dire... Dio, è così incredibile che...»
«Perché hai nominato mio padre?» eruppe Felix, voltandosi come un cane a cui hanno pestato la coda. Jay rischiò di rovinargli addosso, ma riuscì a bloccarsi in tempo. «Eh?» domandò, stralunato. Poi comprese «D'accordo, scusami, smetto di nominare il Suo nome invano, contento?»
Felix tornò a voltargli le spalle e riprendere la camminata, e Jay suppose che fosse il suo modo per esprimere l'assenso. Lo tallonò, con ancora quello strano senso di terrore che formicolava sulla pelle, mentre nella sua mente prendevano forma visioni terrificanti di demoni cornuti, lingue di fuoco ondeggianti e anime insanguinate e sofferenti. Poteva già sentire le loro urla.
Rabbrividì al solo pensiero, chiedendosi se fosse la stessa sensazione che il piccolo Archie aveva provato quando, da bambini, lo costringeva ad ascoltare la storia dell'omino dello zucchero.
«Sicuro di stare bene?» volle informarsi Felix, sfiorandogli appena la spalla con le dita. Jay gli scoccò un'occhiataccia.
Ed è serio, pensò incredulo. Non riesce davvero ad immedesimarsi, eh?
Indeciso se rispondergli male o ostentare false rassicurazioni, ricordò la natura soprannaturale del suo nuovo amico, e ragionò che fosse totalmente inutile inventare scuse che l'angelo avrebbe smascherato con un'analisi superficiale, mediante i suoi occhi dotati di sovrumani raggi X.
«Oh sì, mai stato meglio. Davvero una favola, Sherlock. Ho solo visto mio fratello morire tre volte, i giorni riavvolgersi come se niente fosse, e le altre persone ripetere le stesse azioni senza ricordare nulla di ciò che avevano fatto nelle ventiquattr'ore precedenti. Vengo rapito da un pazzo che dichiara di essere un pennuto con tanto di aureola, scopro che i quattro cavalieri dell'Apocalisse saranno liberati dagli altri piumini per distruggere il mio mondo e, dulcis in fundo, sto solo per mettere piede nel più orribile luogo di perdizione della terra, in mezzo a mostri assetati di sangue, demoni e anime dannate, in compagnia di un angelo autistico con la fissa per le giacche di jeans e uno spiccato senso dell'umorismo totalmente incomprensibile. Una gita, insomma: sto solo per entrare all'Inferno, cosa vuoi che sia.» rispose d'un fiato, il tutto condito con una risata priva di allegria.
Tuttavia non ebbe il tempo di aggiungere altro perché Felix lo spinse oltre l'arco, immergendolo nella nebbia più totale, e una volta che essa si fu diradata... non successe assolutamente nulla.
Non c'erano lingue di fuoco a lambirgli il viso, né urla strazianti rimbombavano nell'aria: gli unici suoni che sentiva erano il fischiare di un treno e il sussurrare concitato di qualcuno.
Aprì gli occhi -non si era reso conto di averli chiusi- e si guardò intorno, stupefatto.
Quella che si dipanò di fronte al suo sguardo aveva tutto l'aspetto di una stazione immensa, dalle pareti di pietra lavorata, illuminata a giorno da alcune luci al neon, che Jay era sicuro non fossero opera di esseri umani perché risultavano quasi accecanti e fu costretto a distogliere lo sguardo dopo appena qualche secondo.
«Luce angelica» gli sussurrò Felix in risposta al suo sguardo, accostandosi a lui «Quelle luci sono alimentate dalla grazia angelica che è, come potrai immaginare, inesauribile. Nei tempi antichi usavamo le torce -il fuoco non si spegneva mai, per le stesse ragioni-, ma abbiamo scelto di apportare qualche... cambiamento.» fece una piccola smorfia, portando di nuovo gli occhi di fronte a sé e raddrizzando la schiena «Per stare a passo coi tempi, diciamo.»
«Una stazione, sul serio?» replicò Jay, impressionato.
Si era immaginato di tutto, da vulcani in eruzione, a cascate di fuoco e stanze di tortura. Tutto, ma di sicuro non quello.
Un dubbio si affacciò nella sua mente, apparendo sempre più fondato ogni qual volta ci ripensava.
«Questo non è l'Inferno» concluse dopo un'attenta riflessione, in parte offeso per il fatto che Felix gli avesse mentito, e in parte confuso dalla piega che stava prendendo quella situazione.
Un sacco di teorie sbocciarono nella sua testa, supposizioni a e sensazioni a cui non voleva dare un nome, insieme ad uno strano senso di paura, smarrimento e soprattutto, tradimento.
Che Felix in realtà non volesse aiutarlo ma consegnarlo agli altri angeli? O che magari non fosse nemmeno un angelo?
Oppure...
«No, infatti, non è l'Inferno» concesse Felix, in tutta tranquillità. «Questo è il Limbo. Certo, il fiume Acheronte e la barca a remi erano decisamente una scelta più economica, ma siamo nel ventunesimo secolo e...»
«... volevate stare a passo coi tempi» gli venne in aiuto Jay, con evidente sollievo. Rivolse un piccolo sorriso a Felix, quasi per scusarsi di aver diffidato di lui, anche solo per un istante.
Mai bagnarsi prima che piove, ricordò sentendosi decisamente più leggero.
«Sì, esatto» confermò l'angelo, ricambiando appena quel gesto amichevole. Poi però tornò la solita maschera granitica e Jay si regalò il tempo di lasciar vagare lo sguardo intorno.
In fondo c'erano posteggiati due treni da cui proveniva -alternativamente- uno sbuffo di fumo. Erano in due rotaie differenti, che si riavvolgevano su se stesse immergendosi in un cunicolo a parte, la prima a destra e la seconda a sinistra.
Perfino i treni erano diversi: il primo, quello di sinistra, era moderno, di un grigio metallizzato che brillava alla luce delle lampade, di forma allungata e tonda, un po' come i moderni treni terrestri che Jay aveva preso tante volte nella sua vita.
Il secondo, invece, quello che avrebbe imboccato il cunicolo di destra, aveva l'aspetto di un'antica locomotiva a vapore di fine Ottocento. Nero e scarlatto, più alto del primo e decisamente più largo, era provvisto di un lungo comignolo che emergeva dal tettuccio della cabina di guida.
In entrambi i mezzi, annotò il ragazzo, non vi era traccia di insegne o simboli a parte un numero laccato in rosso sulla vernice nera della locomotiva di destra, ma non riuscì a riconoscerlo per via della distanza.
Per accedere alla zona delle rotaie dei due treni -separate da uno sbarramento metallico- bisognava passare per una...
«Biglietteria?!» Jay boccheggiò per un po', incapace di credere ai propri occhi. Quello era il colmo.
Di sicuro avrebbe divertito un mondo Archie.
Il pensiero di suo fratello, però, gli riaprì una voragine nel petto.
«Andiamo a prendere il biglietto» lo distrasse Felix, riportandolo alla realtà. Gli ci volle un attimo in più per cogliere il messaggio.
«Biglietto? Gli oboli si sono forse arrugginiti?»
«Troppe monete in giro» si accodò Felix, polemico «un dispendio di energie piuttosto inutile, quello di cercare di cogliere la nazionalità dell'anima dal diverso tipo di moneta che portava con sé. E poi,» si diede una scrollata alla giacca di jeans «voi umani avete abbandonato l'abitudine di lasciare una moneta sotto la lingua dei vostri defunti. Credevo lo sapessi.»
«Ma certo che lo so, idiota di un pennuto, era una battuta!» si schermì Jay, aspro.
Una vecchietta confusa gli zampettò davanti, senza sapere dove andare, e Jay si accorse solo in quell'istante che la parete da cui lui e il pennuto erano venuti fuori era costellata di tanti altri archi tutti uguali, con la sola differenza che sopra ognuno di loro vi era un cartello con scritto il nome di uno Stato. Si voltò notando che sopra l'arco da cui erano usciti lui e Felix c'era inciso "Texas - America".
«Non sai quanta confusione con questi.» Felix glieli indicò con un ampio gesto della mano «Voi umani non riuscite proprio a stabilizzare un nome definitivo, né i confini di un luogo. Abbiamo dovuto modificare spesso questi nomi, e non è stato di certo facile.»
«Tutte le persone del Texas affluiscono qui, in questo arco, nel cunicolo che abbiamo attraversato prima?» chiese invece Jay, ignorando il suo commento.
«Praticamente sì.»
«Ogni città del Texas ha un portale, quindi?»
«Sì. E tutti si riuniscono al percorso principale, che è quello che abbiamo intrapreso noi.»
«E ogni cimitero è un portale?»
«Non tutti... i portali non sono collocati sempre nei cimiteri. Quando questo accade, vengono scelti cimiteri piccoli, poco frequentati e lontani da occhi indiscreti, tipo l'Eddison, per intenderci.»
«Ma...»
«Jay,» lo interruppe Felix, sbrigativo «Adesso non c'è tempo per discutere. Abbiamo molte cose da fare.»
«D'accordo, d'accordo, sono logorroico, lo so. Ma è una reazione logica al tuo mutismo, quindi è colpa tua» chiarì poi, tanto per stuzzicarlo, o provocargli anche solo qualche reazione.
Tuttavia, ancora una volta, Felix non replicò. Si limitò ad incamminarsi verso la biglietteria, al seguito di uomini, donne, vecchi e bambini spaesati, emersi dai vari archi.
«Quelle sono le anime dei morti» illustrò Felix, con un fare accademico che gli ricordò nostalgicamente Archie. «Purtroppo è da un paio di giorni che abbiamo qualche problema: col fatto che il 25 Marzo continua a ripetersi le anime dei morti sono, ecco... impazzite. Continuano a risvegliarsi nelle loro tombe, anche se non ricordano di essere già state qui. O meglio, è come se tutto ciò che succede oggi viene annullato e si ripete anche domani.»
«Come dire che qui vengono sempre le stesse anime da cinque giorni?»
«In pratica sì, tranne quando i miei fratelli commettono qualche errore cambiando il destino di qualcuno e risparmiando quello di un altro.»
Jay non ebbe bisogno di chiedere che cosa intendesse: a quanto pareva gli angeli non erano così perfetti come potevano apparire, e anche loro commettevano errori, uccidendo qualche povero innocente nel tentativo di aprire i sigilli. Il pensiero corse immediatamente a suo fratello: chissà se perfino la sua morte non fosse solo frutto di qualche inspiegabile errore di un pennuto, che aveva per sempre definito le sorti della sua vita?
«E pensare che tutto è stato causato da quei dementi dei tuoi fratellini che si divertono a rivedere il replay di questo fottuto 25 Marzo» commentò, cupo. Felix non ebbe altro da aggiungere.
Volgendo lo sguardo intorno a sé, comunque, Jay notò che i contorni della stazione sembravano vagamente indefiniti a causa della nebbia che aleggiava -sebbene fosse in minore quantità rispetto al cunicolo da cui erano arrivati- tutto intorno: guardando verso sinistra vide che la biglietteria, che recava un cartello con su scritto "Acheronte, il biglietto del vostro al di là!", era composta da una casetta costituita da un unico blocco di cemento con un tettuccio di legno.
E davvero, esclusa la citazione sul carrello, sarebbe parsa una biglietteria come un'altra, se non fosse per il fatto che a presiederla ci stesse un tizio per metà toro, intento a masticare svogliatamente una gomma americana e che... beh, c'era anche da considerare quel piccolo particolare di quelle decine e decine di anime che giungevano da ogni parte -c'era da chiedersi se non spuntassero anche dal pavimento- e che si affollavano davanti a lui e Felix, ostruendogli la visuale.
Jay trasalì quando scorse il minotauro. Per un momento credette che indossasse una maschera, eppure...
«Jay?»
Al richiamo di Felix il ragazzo batté le palpebre e si volse al suo indirizzo, con il fiato trattenuto tra i denti.
«Che cazzo è?»
«Chi, semmai.»
«Quel mostro sarebbe una persona?!» mormorò sconcertato.
 In quello stesso momento l'uomo irsuto dalla testa taurina formò con il chewing-gum una bolla color rosa, che scoppiò quasi subito.
«Quella persona» e Felix parve sottolineare il concetto «si chiama Minosse. E sono sicuro che tu l'abbia già sentito nominare.»









To be continued ~





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Capitolo 13

«Farai un'eccezione, allora» Felix non sembrava intenzionato a cedere «Lasciaci passare.»
Minosse scoppiò ancora una volta la gomma, ma non volle sentire ragioni. «Le regole sono dettate da nostro Signore per essere rispettate, e su questo non si discute. Nome e cognome» fece una pausa, poi ridusse gli occhi a due fessure, come se si fosse appena accorto di qualcosa. «Un momento, ma io ti ho già visto, angelo. Tu non sei quello ricercato?»





~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*]
Ma salve cari :3
Come va? Passato un buon Halloween?
Io mi sono rimpinzata di biscotti mentre li cucinavo con mia madre - e non si è nemmeno convinta a cucinare il pasticcio di carne a forma di mano mozzata, cattiva :(- ma decisamente a nessuno frega, vero?
*si guarda in giro mentre una palla di polvere le saltella accanto*
Ow, che cattivi!
Comunque che ne pensate di questo nuovo capitolo? Io mi sto innamorando sempre di più del povero Felix *_*
Insomma, sembra il papà con il bambino...
E Jay? Che ne pensate? Riuscirà il nostro intrepido (???) eroe (?????) senza macchia e senza paura (oh, ma come sono burlona!) a sopravvivere all'Inferno e a tutto ciò che questo comporta?
Si aprono le scommesse!
Riusciranno a penetrare nell'Inferno (come suona male) senza essere sgamati?
Perchè Felix è un angelo ma Jay.. insomma, Jay è Jay u.ù
Salve anche da parte mia, alias Lady Holmes! :) La mia collega si è dissolta nel nulla lasciandomi su facebook da sola (cattiva lei ç_ç) quindi buh, finisco questo spazio autrici e poi scappo a mangiare! :D [che orari assurdi! D: n.d.tutti]
Sì, adesso il viaggio si fa sempre più dark, in contrasto al nostro Jay, una mina vagante pieno di vita -in un mondo dove sono tutti morti, praticamente. Oh come suona inquietante :S- Come ha colto un nostro fan nello scorso capitolo, c'è il contrasto tra il cupo e freddo cimitero e la vivacità -e la loquacità esasperata- di Jay. Il nostro eroe (??) tende a straparlare quando è nervoso, si sarà notato, ed è iperattivo, sebbene non abbia dimenticato la morte di suo fratello. E' come un pensiero che lo rode in sottofondo lì, sotto la pelle, pronto ad approfittarsi di un momento di debolezza per venir fuori.
Come vedrete anche nei prossimi capitoli, Archie non sarà direttamente presente per un po', ma in fondo lui è, come direbbero i filosofi antichi, il motore immobile che muove l'universo di Timeless. Sarà implicitamente SEMPRE presente -nella mente di Jay... e non solo- x°D
OOOH E' RESUSCITATA! Miss Watson è di nuovo tra noi! *-* Vuoi aggiungere qualcosa, sorella? u.ù *intanto va a cercare su google immagini fighe su angeli*
Si. Se avete un fratello maggiore trucidatelo per me °O° Non posso uccidere il mio...
Se debbo aggiungere qualcosa per quanto riguarda la storia direi che è meglio fermarsi qui ù.ù Non vorrei spoilerare!
Io invece volevo aggiungere un'ultima cosa!! x°D a parte: al prossimo capitolo, intendo... ebbene
E allora che mi chiedi a fare?LOL
Prima o poi aggiorneremo la nostra pagina facebook su Timeless, sarebbe figo inserire una sezione per raccogliere tutte le canzoni che sembrano "parlare" di questa storia... e ce ne sono tante e ne abbiamo raccolte abbastanza x°D canzoni che sembrano riferirsi ad un preciso momento del libro, o che sembrano esprimere il personaggio -come se fossero scritte da lui, quelle parole- e sì, ripeto, ce ne sono eccome e ve le faremo sentire u.ù
Ma, se anche voi ne trovate, potreste scriverci il titolo! :D noi adoriamo la musica ed essa è una parte integrante di questo libro ergo.. a voi la parola, readers! u.ù
Oh, e ringraziamo tutte quelle anime che ci seguono, siete la nostra luce angelica in mezzo all'oscurità °^°
E detto ciò, alla prossima! :D
*da' gomitate alla collega* sorella, dì qualcosa! *finge un sorriso falsissimo*
Yeaaaah
*Miss Watson tira fuori un cartello con su scritto Commentate o vi uccidiamo* Alla prossima! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^* [Probabilmente vi starete domandando il significato di questa frase che inseriamo ogni santa volta... lo scoprirete tra poco u.ù]





†††

1. La sorpresa sul volto di Jay:

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2. Felix versione manga [<3]:

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3. Di nuovo il cimitero:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Reazione di Jay di fronte alla stazione:

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2. Camminata di Felix [*__*]:

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Capitolo 14
*** 13. ***


Timeless 13 b
Salve, nostri cari lettori! :3 prima di lasciarvi al capitolo ci volevamo scusare per l'assurdo ritardo e vi promettiamo che non accadrà più che dovrete attendere così tanto. Anche se sembra strano, siamo state più impegnate nelle vacanze che nei giorni normali. In ogni caso, non siamo rimaste "inattive". Qui infatti potete trovare la One Shot su Timeless che abbiamo scritto in occasione della vigilia di Natale :) Incontrerete i piccoli Jay e Archie e un qualcuno particolare dietro le quinte:  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1480394&i=1 [cliccando il link si aprirà una nuova finestra, così potrete leggerla tranquillamente dopo :)] e adesso... buona lettura, anime! :D




Capitolo 13




«Minosse?» Jay spalancò la bocca, poi la richiuse. Era sconvolto. «Oh mio Dio.»
Felix lo fulminò con un'occhiata ammonitrice.
«Sì, scusa, hai ragione, non si nomina il Suo nome invano» poi, dopo un attimo di silenzio, durante il quale il suo cervello cercò di registrare tutte quelle informazioni e il cuore continuò a pompare frenetico contro le costole, riprese: «E' lo stesso Minosse che Dante ha descritto nella sua opera?»
Vorrei che Archie fosse qui. Lui saprebbe cosa dire... Jay iniziò a pentirsi di non aver mai studiato seriamente la Divina Commedia al liceo.
«Il Nostro amato profeta gioca un po' troppo di fantasia» fu però la risposta di Felix «Ma sì, fondamentalmente si tratta della stessa figura.»
«Ha anche la coda?»
Felix finse di non sentirlo e azzardò qualche passo quando la fila scorse. Jay considerò l'idea che l'angelo si fosse rassegnato alle sue continue domande, e certune non le ritenesse nemmeno degne di risposta.
Minosse o no, dovrebbe farsi una ceretta, osservò disgustato, accorgendosi di come i peli del mostro crescevano addirittura sul palmo, mentre Felix al suo fianco strappava un tagliando col numero dalla macchinetta eliminacode rossa, posta sulla parete vicina alla biglietteria.
«Sembra di essere in fila per i salumi, al supermercato» borbottò Jay, divertito.
Non che fosse del tutto sicuro che Felix avesse bene in mente il significato della parola ''salumi'' -a questo proposito si chiese se avesse mai avuto modo di gustare un panino con la mortadella, o se gli angeli vivessero di luce come le piante, e mangiassero nuvole nei giorni festivi- né che capisse esattamente cosa fosse un ''supermercato'' ma decise per il bene comune di lasciare perdere, e di concentrarsi su quegli strambi avvenimenti che gli stavano capitando tra capo e collo.
Non si sarebbe nemmeno stupito di vedere un hobbit saltellare allegramente chiedendogli informazioni sulla scorciatoia per Hogwarts...
No, d'accordo. Stava scadendo nel non-sense.
«Concentrati sulla fila» lo avvisò Felix, piatto.
Jay sbuffò.
«Amico, non è che ci voglia una grande concentrazione...» ribatté.
A quel punto Felix assunse la stessa aria scocciata di una maestra che spiega per l'ennesima volta, a un alunno un po' troppo distratto, perché due più due fa quattro.
«Se continui a guardarti in giro, nessuno riuscirà a credere alla possibilità che tu sia un'anima scortata da un angelo.»
«Vuoi farmi passare per una... okay, sto zitto» sospirò Jay, cogliendo gli occhi dell'angelo stringersi. Felix sembrò soddisfatto e spostò lo sguardo sulle persone davanti a loro, che si stavano riducendo sempre di più.
In ogni caso, nel turno prima di loro un vecchietto indossava un completo elegante con tanto di panciotto e guardava fisso di fronte a sé. Jay si ricordò di un giochetto che lui e Archie facevano da bambini, cercando di indovinare che lavoro praticassero le persone solo guardandone l'aspetto fisico e le movenze.
E da quello che poteva intuire quel signore doveva essere necessariamente un... notaio? O forse un direttore di banca?
Dietro di loro c'erano due bambini che si stringevano la mano, due gemelli dagli identici occhi azzurri e dai medesimi capelli biondi scompigliati.
Jay provò una fitta all'altezza del petto e si ritrovò a sollevare gli angoli della bocca quando i due bambini alzarono su di lui il viso paffuto e gli sorrisero giocosi.
Forse non sapevano di essere morti... forse non sospettavano cosa sarebbe successo da lì a poco.
Si sentì agghiacciare.
Era, la folla di anime, piena di persone di ogni età e provenienza, alcuni decisamente avanti con gli anni e altri troppo giovani per aver visto metà delle cose che un essere umano aveva il diritto di vedere prima di morire.
Si chiese dove fosse Dio mentre un bambino moriva. Dove la sua onniscienza arrivasse davvero, per permettere che bambini innocenti morissero così.
Poi percepì la mano fredda di Felix sul braccio.
«Sto sentendo la tua anima urlare» gli comunicò con quella che doveva essere... dolcezza? «Non affliggerti così. Quei due bambini hanno trovato la pace dai maltrattamenti del mondo.»
«Avevano tutto il diritto di farsi una vita!» obiettò Jay, avvertendo gli occhi bruciare per le lacrime trattenute. «Avevano tutto il diritto di farsi una fottuta vita!»
Felix non rispose, lasciò semplicemente che la sua mano scivolasse sul suo braccio, quasi in una carezza di conforto, prima di lasciarla ricadere lungo il fianco.
Quel gesto, pensò il maggiore dei Denver, non avrebbe cambiato le cose. Non avrebbe riportato in vita quei bambini, non avrebbe permesso loro di crescere ed invecchiare, di godere di ogni singolo istante assieme.
Assieme...
Non permetterò che succeda lo stesso ad Archie, pensò intensamente, stringendo i pugni. Se non riuscirò a salvarlo, se sarà impossibile evitare la sua morte, non permetterò che  muoia da solo... andrò con lui.
Del resto, non riusciva ad immaginare la sua vita senza Archie... lui era il suo fratellino, il suo migliore amico, la sua famiglia. Era quel neonato che allungava le braccine paffute dalla culla, chiamando il suo nome, la prima parola che avesse pronunciato.
Era quel bambino che si disperava e si protendeva sulle punte quando lui gli fregava la scatola dei cereali, agitandoli in alto fuori dalla sua portata.
Era quel ragazzo in preda all'ansia che, divorandosi il labbro, e con gli occhi luccicanti pieni di aspettativa, gli chiedeva con voce tremante di aprire la lettera di Cambridge, e di comunicargli il risultato.
Era quel giovane uomo che l'aveva riabbracciato in aeroporto, sempre sorridente e felice di vederlo.
Quando colse l'espressione mutata di Felix, tuttavia, Jay deglutì a vuoto, sentendosi fin troppo vulnerabile. Non doveva lasciarsi andare... e cosa aveva appena detto l'angelo? Riusciva a sentire la sua anima urlare?
Il che voleva dire...
Riusciva a sentire la sua anima?
Si schiarì la gola, poi raddrizzò la schiena e si impose di darsi un contegno.


Seguì qualche momento di silenzio durante il quale Jay se ne stette buono e fermo, tentando di calmare i battiti del proprio cuore. O almeno provò a stare fermo, perché poi non resistette più, e allo scoccare del sesto minuto -sì, li aveva contati, in preda alla noia- stava già punzecchiando Felix per ricevere la sua attenzione.
«Pssst... Fel! »
L'angelo lo guardò freddo.
Aspetto che, comunque, non scoraggiò Jay, il quale si gonfiò il petto come se stesse preparandosi per un'immersione.
«Ho una domanda...»
Passando sopra allo sguardo da ''non-mi-dire'' dell'angelo, Jay si aprì in un sorriso genuino.
«Si rimorchia anche quaggiù?»
E Jay A. Denver fu certo che quello che aveva attraversato lo sguardo di Felix fosse un lampo di pura rassegnazione.
Non ebbe il tempo di chiederglielo, dal momento che uno svogliato «Avanti» -piuttosto cavernoso a dire il vero- lo costrinse a rendersi conto che anche il vecchietto di fronte a loro aveva ritirato il suo biglietto e che sì, adesso sarebbe stato il loro turno di esser messi sotto torchio da Minosse, l'imparziale giudice dell'oltretomba.
A meno che le sue reminiscenze scolastiche non lo stessero tradendo.
Prima di ricevere il biglietto, il vecchio aveva fatto aderire il palmo ad una superficie simile ad uno scanner, posta sul bancone: la sagoma si era illuminata, poi Minosse aveva letto qualcosa al computer, e infine dalla stampante si era affacciato un biglietto, che il vecchio agguantò lesto. Infine l'anima si allontanò con qualche difficoltà e quando anche il suo passo claudicante fu ormai lontano, Felix gli si accostò.
«Adesso lascia fare a me.»
«Che diavolo è quell'oggetto?» domandò invece Jay, additando lo strano scanner «Fa la lastra o cosa?»
«Rileva l'anima e tutte le informazioni in essa contenuta, inviandole direttamente al computer» spostò lo sguardo sull'oggetto nominato «Il computer rielabora i dati e da essi deduce in quale Regno e in quale Girone l'anima debba essere collocata» poi su quella che sembrava una stampante «Infine si ottiene il biglietto.»
Jay storse il naso, non ancora del tutto convinto.
Lui non era un'anima: fino a prova contraria era ancora vivo, e Felix un angelo; e non c'era quella leggenda che diceva che gli angeli non possedessero anime?
Insomma, l'interrogativo che frullava nella sua testa come uno stormo di corvi impazziti in cerca di una via di fuga, era come avrebbero fatto a passare senza destare sospetti. Ma il "lascia fare a me" di Felix e il suo sguardo determinato lo convinsero a fidarsi.
Fece qualche passo, ancora titubante, e Felix camminò al suo fianco: si sentiva tutti gli occhi della folla dietro di lui addosso, e non era certo una bella sensazione.
Decine di anime mi stanno fissando. Anime di MORTI.
Roba che se la raccontassi ad Archie non ci crederebbe... a proposito! Ci sarà anche Archie tra loro?
Certo, al momento in cui Jay e Felix erano spariti all'interno del passaggio segreto sotto la tomba, Archie era ancora vivo. Ma se era vero che lì sotto, nel Limbo, sempre le stesse anime da cinque giorni a quella parte continuavano a tornare, forse anche suo fratello poteva trovarsi lì, no?
Sì, Jay aveva la vaga impressione di stare diventando isterico.
Si guardò freneticamente intorno, come a voler cogliere tra i tanti sguardi quello del suo fratellino, ma Felix gli sfiorò appena il polso e il maggiore dei Denver sentì attraversarlo una sensazione di calore piacevole.
All'improvviso, una calma che non gli apparteneva gli rilassò i muscoli, e Jay si chiese se l'angelo non gli avesse fatto una delle sue magie piumose.
Gli rivolse un cenno riconoscente, che l'angelo ricambiò annullando il contatto; poi proseguirono in silenzio.
La nebbia continuava a vorticare.
Dovrei sentire freddo... eppure non percepisco niente, rifletté Jay sistemandosi meglio la sciarpa. Forse è merito di questa...
Quando fu abbastanza vicino da poter occhieggiare Minosse, si rese conto che era un uomo massiccio e tarchiato, con la curva dei muscoli evidente anche sotto le maniche della maglietta: la testa di toro era provvista di due lunghe corna arcuate e appuntite in cima. Ne seguì il profilo con lo sguardo, rapito, sudando freddo al pensiero di come una di quelle avrebbe potuto sfondargli il petto, trapassandogli il cuore.
Allorché ridiscese la mascella forte e il collo spesso, un dettaglio lo bloccò sul posto, facendogli sollevare le sopracciglia: sulla maglietta nera di Minosse vi era una scritta in bianco: "I love my Mama", dove Mama faceva bella mostra di sé in una calligrafia rossa e in corsivo.
«Beh, che hai da guardare?» sbottò il minotauro, sulla difensiva «E' un regalo!»
Jay rialzò lo sguardo sulla testa di toro e si ritrovò incatenato da una coppia di occhi privi di sclera e da un'ampia iride infuocata, con tanto di pupilla verticale e quasi luminosa, come il cuore di una fiamma. Avvertì un brivido risalirgli lungo la spina dorsale e pervadere ogni fibra del suo corpo.
Trasalì, indietreggiando istintivamente, ma la presenza di Felix -e la sua mano tra le scapole- lo costrinsero a bloccarsi.
Per la prima volta da quando aveva incontrato l'angelo, realizzò veramente quanto fosse terribile ed inquietante ciò che l'avrebbe aspettato. Si sentì piccolo e indifeso di fronte alla maestosa figura di Minosse, improvvisamente avvinto da un terrore reverenziale: non era uno scherzo. Quel viaggio non era una gita, o un picnic.
Provava la stessa sensazione di turbamento di quando, da bambino, sua madre lo costringeva ad entrare in Chiesa, e lui si perdeva a contemplare i quadri in ombra nei corridoi, che rappresentavano figure divine e superiori, diavoli o demoni, angeli e aureole. Quelle figure che sembravano avvolte da un alone di mistero tetro. Un mistero antico, incomprensibile, troppo oltre la sua comprensione.
Come quando seguiva con gli occhi l'ondeggiare incessante delle candele negli altari, immaginando come sarebbe stato mettere piede in quegli stessi luoghi centinaia di anni prima.
«La mano, qui!» lo richiamò Minosse, svegliandolo dal suo torpore. Probabilmente non era la prima volta che ripeteva la stesa frase, perché dal tono sbrigativo sembrava aver parecchia fretta. «Non ho mica tutta l'eternità -anzi sì-, ma comunque non ho intenzione di perdere tutto il secolo appresso a te, quindi...»
«Lui è con me» interloquì Felix, per porre fine a quell'attacco verbale.
Minosse spostò il mento in sua direzione, come se l'avesse notato solo in quel momento. «E tu chi saresti?» domandò, diffidente «Non percepisco nessuna aurea in te...»
«Sono un angelo di Dio» Felix poggiò una mano rassicurante sulla spalla di Jay «Devo scortare il prigioniero all'Inferno.»
Prigioniero? Jay si chiese a che gioco stesse giocando.
Minosse fece una risatina rauca, che mostrò per un attimo la gomma ancorata tra i molari. Poi poggiò un gomito sul bancone, in atto di sfida «Senti, bello, io ho degli ordini ben precisi che devo seguire. Se non ho nome e cognome del prigioniero non posso permettervi l'accesso.»
«Farai un'eccezione, allora» Felix non sembrava intenzionato a cedere «Lasciaci passare.»
Minosse scoppiò ancora una volta la gomma, ma non volle sentire ragioni. «Le regole sono dettate da nostro Signore per essere rispettate, e su questo non si discute. Nome e cognome» fece una pausa, poi ridusse gli occhi a due fessure, come se si fosse appena accorto di qualcosa. «Un momento, ma io ti ho già visto, angelo. Tu non sei quello ricercato?»
Jay si voltò fulmineo verso Felix, col fiato sospeso, per assistere alla sua reazione. Felix era visibilmente impallidito, ma se anche avesse provato paura non lo diede a vedere.
«Ti sbagli» lo contraddisse, per poi fare un altro passo e sovrastare il toro. Minosse dovette arcuare il collo peloso per guardarlo in faccia.
«Invece no, questi vecchi occhi non mentono, tu sei...» poi la sua lingua parve attorcigliarsi, e dalla sua gola non venne fuori che un suono rauco. Un attimo dopo il suo volto perse espressività, e gli occhi avevano assunto una strana sfumatura violetta.
«D'accordo, vi darò il biglietto.»
Jay corrugò le sopracciglia di fronte a quel repentino cambiamento, e con un sospetto lasciò correre lo sguardo da Felix a Minosse: entrambi avevano gli occhi viola.
Gli ha fatto quel dannato incantesimo! capì, meravigliato. Lo costringe a fare tutto quello che vuole. E bravo Fel!
Riflettendoci, si augurò che l'angelo non decidesse di testarlo anche su di lui.
Anzi, e se l'avesse già fatto?
«In ogni caso, temo di aver bisogno del nome del prigioniero» insistette Minosse, tamburellando le dita sul bancone.
«Il nome» ripeté Felix, incerto. Poi si soffermò su Jay. «Il nome...»
«Denv-» iniziò Jay ma Felix lo sovrastò. «Harry Potter»
Jay lo fulminò con un'occhiata. Minosse annuì, poi scrisse qualcosa nella tastiera, e infine stampò e porse il biglietto.
«Molto bene» Felix lo collocò tra le dita di Jay, poi lo superò, e la sbarra metallica che bloccava l'accesso si levò per lasciarli passare.
«Seguimi.»


«Harry Potter?» lo interrogò Jay, una dozzina di passi più tardi «Sul serio?»
«Avevamo bisogno di un alibi, e ricordavo che mi avessi chiamato così una volta» si schermì Felix, con quello che doveva essere senza dubbio... imbarazzo? «Se Minosse avesse scritto "Jay Denver" nel motore di ricerca angelico, avrebbe ottenuto le tue informazioni, compreso il fatto che sei ancora vivo.»
Jay alzò un sopracciglio, ma convenne che in effetti aveva dato prova di tutto il suo repertorio cinematografico. Forse Harry Potter non era il migliore ma nemmeno il più malvagio: poteva andargli anche peggio, alla fine. Tipo Ennis del Mar o Voldemort.
«Va bene, cosetto piumoso, è tutto okay. Niente più soprannomi per un po', mh?»
Felix sembrò confuso, ma non fece domande e si limitò a guardarlo -indecifrabile come al solito- prima di scrollare le spalle.
Il pavimento di pietra era nascosto ai loro occhi dalla nebbia e da ogni parte, anche se Jay non sarebbe riuscito a stabilire con esattezza da dove fossero entrate, giungevano delle persone che si dividevano ordinatamente in due file, controllati a vista da un angelo -almeno Jay suppose fosse tale- grosso come un buttafuori e con la stessa faccia truce di uno di quei mafiosi che si vedono in certi film.
«Non alzare lo sguardo.»
Sussultò, reprimendo un urlo ben poco virile, sentendo la voce di Felix a pochi centimetri dal proprio orecchio.
«Com...?»
«Non alzare lo sguardo» scandì per bene Felix, una mano premuta sulla nuca del maggiore dei Denver. «Fidati di me.»
«Potrei rifiutarmi?» replicò ironicamente Jay.
Comunque obbedì, prendendo a fissare le proprie scarpe, mettendosi in fila con l'angelo accanto: Felix aveva un aspetto teso, a giudicare dalla postura rigida che tutto il suo corpo aveva assunto, ma si muoveva deciso come se fosse rassegnato all'idea di doverlo fare.
Ma che cosa dovesse fare di preciso, Jay non riusciva a indovinarlo.
«Un angelo?»
La voce dell'angelo somigliante in tutto e per tutto a un buttafuori risuonò sorpresa mentre Felix costringeva Jay a fermarsi.
Felix piegò appena il capo, in un cenno formale di saluto.
«Fratello, spero di non recarti danno con la mia venuta...»
«Oh no, fa piacere vedere un altro angelo in questo posto» replicò l'altro con un sorriso che si rivelò essere un ghigno capace di fare indietreggiare e tremare le anime.
Felix restò impassibile, quasi come se fosse stato abituato sin dalla nascita ad avere a che fare con ''fratelli'' - ma fratelli poi, perché? Se nemmeno si conoscevano!- decisamente più grossi e minacciosi di lui.
«Ma ora dimmi, fratello, cosa ti porta qui?» aggiunse l'angelo-buttafuori, dopo qualche minuto di silenzio, forse notando che quel sorriso intimidatorio non aveva avuto alcun effetto sull'altro. «E chi è quello che ti porti dietro? Ti hanno affidato un nuovo giocattolo da portare ai demoni?»
E quest'ultima domanda venne seguita da una risata gelida, capace di far rabbrividire Jay che strinse gli occhi e si riempì i polmoni d'aria, tentando di dominare la paura.
«Una cosa del genere, si. Nostro Padre ha deciso di gettarlo in pasto alla Stella del Mattino: troppo blasfema è la sua anima, troppo il pericolo che il suo cuore semina tra gli uomini suoi simili. Non è degno nemmeno dell'Inferno e non c'è speranza per la sua anima imbevuta di peccato.»
Felix lo disse con freddezza e Jay in cuor suo si chiese se certe cose succedessero realmente da quelle parti: perché davvero, era orribile il poter pensare che Lucifero mangiasse le anime. Andiamo!
«Davvero? Impressionante...» l'angelo, però, sembrava esserci cascato. Prese, con un sorriso maligno, il biglietto dalle mani di Felix e ne spezzò un lato, per poi restituirglielo. «Buon viaggio, fratello.»
Felix afferrò con decisione la spalla di Jay, spintonandolo avanti.
Prima di passare si voltò verso l'angelo e accennò un saluto.
«Addio.»
Jay si massaggiò con una smorfia la spalla. Cavolo, altro che ammasso di piume, Felix aveva la forza di dieci buttafuori!
E aveva come l'impressione che si fosse anche trattenuto...
L'angelo lo raggiunse, accennandogli di continuare a camminare: e guardandosi intorno Jay vide che ora il corridoio si divideva in una biforcazione: sopra l'entrata di un corridoio c'era appeso un enorme cartello con su scritto ''Inferno'' in rosso con lucine colorate mentre sopra l'altra qualcuno aveva appeso un cartello, in grigio, con su scritto ''Purgatorio''.
Jay alzò le sopracciglia ma preferì non commentare, mentre seguiva docilmente Felix lungo l'imboccatura del corridoio che portava all'Inferno: uscirono in quella che sembrava in tutto e per tutto una stazione ferroviaria con tanto di negozietti costruiti con mattoni e distributori di merendine e bibite.
Ma, dietro un piccolo albero, Jay vide una grata -che divideva una stazione ferroviaria dall'altra- che suppose essere la stazione del Purgatorio: allungò una mano per toccarla, come ipnotizzato, ma Felix gli bloccò il polso.
«No» mollò la presa su di lui, per poi accennare alla grata. «E' stata progettata per disintegrare chiunque la tocchi.»
«Molto invitante, Fel» brontolò Jay, allontanandosi come scottato. Poi sollevò un sopracciglio. «Chiunque la tocchi, hai detto... perfino voi Angeli?»
«Sì, esattamente.»
«Credevo aveste una sorta di giubbotto anti-proiettile per queste cose» Jay sorrise divertito, dandogli un'amichevole pacca sulla spalla le cui intenzioni furono fraintese dall'angelo, almeno a giudicare dall'espressione oltraggiata che gli rivolse.
«Siamo eterni ma non immortali, Jay. Ci sono limiti che nemmeno noi possiamo superare.»
«Quelli imposti da papà Castoro?»
Felix contrasse il volto. «E' anche il tuo Dio, dovresti portargli rispetto.»
«Sì, sì, come vuoi» l'umano si spostò a distanza di sicurezza dalla grata «E dimmi, anche Dio si disintegra se la sfiora?»
Felix tramontò gli occhi ma non rispose, limitandosi ad allontanarsi, e Jay scrollò le spalle zampettandogli dietro. «Comunque è una figata!» sorrise come un bambino allegro, tutto gongolante, e Felix lo guardò come se l'avesse visto per la prima volta.
«Beh, che vuoi?» Jay distolse lo sguardo, affondando le mani nelle tasche.









To be continued ~





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Capitolo 14

Svogliato continuò ad avanzare, quando avvertì nuovamente un freddo gelido penetrargli le ossa e alzò lo sguardo -ma quando l'aveva fissato sul pavimento?- sentendo le anime che lo circondavano cercare quasi di indietreggiare, inorridite.
Accanto all'entrata del treno c'era un uomo... o quello che sembrava un uomo, per lo meno, anche se a ben vedere era... non sapeva come definirlo.





~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*]
*Miss Watson distribuisce caramelle e cioccolatini travestita da Befana* Ma Buon Anno, cari, Buon Anno!
Come avete passato queste vacanze? Spero bene!
Dal canto mio non mi posso lamentare... *sospiro sognante* Ma non stiamo qui a pettinare le bambole e allevare ippopotami di cioccolato, giusto?
*passa una palla di polvere*
*Miss Watson tossecchia*
Si insomma, avete capito no?
*Lady Holmes alza un sopracciglio* eeemh... no?
*Miss Watson si imbroncia*
Ma uffa! Sono euforica, comprendetemi ^^ Non come la mia collega <-<
Io ho raggiunto la pace dei sensi, che vuoi tu!! u.ù
*Miss Watson alza una manina come a scacciare una mosca* Comunque si, il capitolo u.u Che ne pensate?
E finalmente il nostro eroe incontra il feroce Minosse!
Felix deve usare i suoi poteri per mettere a tacere Minosse... Non lo trovate assolutamente affascinante?*-* Deve essere bellissimo con quegli inquetanti occhi viola che scrutano il suo interlocutore fino a studiarne l'anima...
*sospiro sognante*
Lo so, lo so, che tutti state aspettando la sua entrata all'Inferno... ma prima c'è un terreno da preparare, e vi assicuriamo che non ne rimarrete delusi!
E Felix è un gran figo, punto u.u
Come Jay.
Ma questo lo si era intuito uhuh
In questa storia sono tutti dei gran fighi, in effetti. Sarà l'aria Denver?? *sbava pensando alle lentiggini*
Sese, le lentiggini. Oi, però Gwen e Susie sono davvero fortunate... *sbava e basta*
Esatto!! Anche se Susan ha potuto approfittarne ben poco!! ç_ç
Però vedi che fortuna!! Circondata da tre bei maschioni! Josh, Jay e Archie.. aaah vorrei essere lei °ç°
*ripensa a molte altre cose*
In effetti... no D:
Già, in effetti no xD
Comuuuuunque, il prossimo capitolo arriverà molto presto!!
Ci auguriamo di non farvi aspettare più così tanto... sorella?
*Silenzio*
*Lady Holmes si guarda ansiosamente attorno* Eeemh.... *si sistema nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio* la mia collega credo sia sparita dunque... uh... notte (?) °^°
Dannata connessione!*impreca*
Comunque, ragazzuoli, con l'augurio di sentirci a breve spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che ci lascerete le vostre impressioni! *Miss Watson nasconde una mannaia dietro la schiena*
E Felix e Jay vi salutano con noi!:D
Ringraziamo chi ha aggiunto la storia tra le preferite, seguite e ricordate, e chi semplicemente legge  ci sono molti lettori silenziosi così, beh... vi invitiamo a parlare!
Agli autori fa molto piacere leggere recensioni, e poi chissà, potremo inserirvi come comparse
*Lady Holmes riceve una gomitata da Miss Watson che le impone di non fare spoiler*
Inoltre date pure un'occhiata alla nostra pagina facebook! Prima o poi potremmo fare un'annuncio importante  No, non ci sposiamo: e no, nessuna delle due è incinta ù-ù
Detto questo, ARRIVEDERCI :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*







†††

1. Jay al ricordo di suo fratello Archie:

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2. Le dimensioni del Minotauro:

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3. La maglietta di Minosse -più o meno XD- [al maschile ovviamente u.ù]:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Jay alla vista del Minotauro:

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2. Il ricordo di Archie:

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3. Felix:

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Capitolo 15
*** 14. ***


Timeless 14
Capitolo 14




Jay si guardò intorno, notando come le anime si stessero rapidamente disperdendo per la stazione: sentiva ancora qualche spiffero gelido colpirlo ma, davvero, stava meglio di prima. Merito anche della sciarpa di sua madre, gli aveva tenuto caldo il collo.
Felix invece non sembrava avere né caldo né freddo mentre guardava il grande orologio -era posto proprio in alto rispetto alle loro teste- che segnava lo scorrere del Tempo. Jay si chiese vagamente se le anime ne avessero davvero bisogno; che differenza può esserci tra un minuto e l'altro, tra un giorno all'altro per chi il tempo non lo misura più?
Probabilmente era una di quelle stranezze angeliche di cui Felix e il suo magico mondo fatato sembravano pieni.
Come la maglietta di Minosse, per esempio: i love my mama. Ma seriamente? Avrebbe dovuto spedirgli una bella maglietta degli AC/DC, arrivato a casa: magari Felix avrebbe acconsentito a operare il trasporto...
Certo, restava il problema della misura, ma ehi, ci avrebbe lavorato su quello.
Mentre Jay era immerso sino al collo in questi contorti pensieri, Felix squadrava con sospetto il luogo che li circondava.
«Non sembra che i miei fratelli siano nei paraggi» dichiarò. «Penso che abbiamo un qualche vantaggio su di loro» si leccò le labbra, voltandosi verso Jay e per un momento, mentre si guardavano in silenzio, ogni tipo di pensiero attraversò la mente di quest'ultimo.
L'angelo stava per fargli un qualche incantesimo di teletrasporto? O forse voleva violentarlo? O pugnalarlo?
Felix si mise le mani in tasca.
E' lì che nasconde il pugnale!
Poi Jay considerò che, in effetti, Felix non aveva bisogno di armi per farlo fuori: non con tutto il potere angelico che custodiva dentro la pelle.
Improvvisamente un rumore sordo -come un budino che tremola durante il terremoto- interruppe la quiete. Felix trasalì, guardandosi intorno con aria circospetta e davvero, se non fosse stata una situazione così critica, Jay avrebbe riso di cuore fino alle lacrime.
«Cos'è stato?» chiese Felix. Sembrava essere impallidito -ammesso che potesse impallidire, bianco com'era... Ma un po' di mare mai?- tuttavia manteneva una certa compostezza, una certa eleganza...
«Il mio stomaco» rispose con tranquillità Jay.
Felix gli lanciò uno sguardo confuso e Jay sbuffò, divertito, ridendo all'occhiata scettica che l'angelo regalò alla sua pancia. Si era ripromesso di non ridere, ma non aveva resistito. Non con quegli occhioni blu e innocenti puntati addosso.
Fel lo guardò, quasi... Jay avrebbe giurato che fosse rimasto quasi affascinato dalla sua risata, ma fu un attimo e il volto dell'angelo tornò tranquillo e composto come sempre, sembrava essere stato scolpito nel marmo: sospirando il ragazzo si massaggiò il ventre, imbronciato come un bambino.
«Non c'è un... qualcosa da mettere sotto i denti, qui? Muoio di fame!» si lagnò.
«I miei fratelli e io non abbiamo bisogno di mangiare» si giustificò Felix «Però una volta ho sentito dire che due miei fratelli avevano deciso di creare un... Restaurante qui vicino»
Restaurante?
«Credo fosse un ristorante, Fel» ghignò Jay, mettendogli un braccio intorno alle spalle, ed ottenendo un'occhiata perplessa. «Portami in questo luogo sacro, compagno. Verso l'Inferno e gli hamburger al bacon!»
In realtà, come il nostro impavido difensore di hamburger al bacon ebbe modo di constatare, il ristorante in questione aveva l'aria tipica di certi locali italiani della tv -con tanto di tovaglie a quadretti bianchi e rossi- ma al contempo, benché fosse amorevolmente pulito e ben tenuto, aveva l'aria di essere stato abbandonato da tempo.
«Uhm... sicuro che funzioni, cuscinetto?» chiese Jay, guardandosi intorno. «Voglio dire, non c'è nessuno qui in giro.»
Si sedettero a un tavolo con Felix che -probabilmente aspettandosi che un suo caro fratello spuntasse da dietro il bancone di legno scuro, perfettamente lucidato, per offrire al resto della dolce famiglia un banchetto a base di carne umana e angelica innaffiata di sangue- fissava la porta d'ingresso, ansioso, ignorandolo.
E si, Jay A. Denver odiava essere ignorato.
Batté un pugno sul tavolo, seccato.
«Ma insomma!» grugnì. «Dov'è il mio panino?»
E il panino magicamente comparve -ed era uno di quei panini enormi e traboccanti di bacon, cipolla croccante, formaggio e senape, esattamente come piacevano a lui- ben disposto su un piatto con tanto di patatine fritte annegate nel ketchup e nella maionese e un bicchiere di Coca Cola ghiacciata con una fettina di limone e una cannuccia multicolor.
«Che servizio» fu l'ultima parola intellegibile che il povero Felix sentì prima che Jay si gettasse sul cibo, divorandolo a grandi morsi e rischiando quasi di soffocarsi per la passione con cui masticava ogni boccone.
L'occhiata sconcertata che gli rivolse costrinse Jay ad alzare appena gli occhi, distogliendo lo sguardo dal suo succulento bottino.
«C' foi?» gli chiese, con la bocca ancora piena, mentre Felix lo scrutava incredulo da tanta foga. Deglutì. «Potrebbe essere l'ultima volta che mangio in vita mia. L'ultimo... hamburger» all'improvviso tornò con gli occhi sul cibo, quasi compiangendo di non essere rimasto sulla Terra «A noi due, piccolo mio. Non temere, nel mio stomaco sarai al sicuro.»
E giù un altro morso.
Felix pensò saggiamente che fosse meglio non fare domande e Jay gli fu grato per questo: finì di gustarsi il panino emettendo versi gutturali di piacere, e infine si leccò le dita con un ampio sorriso. Oh, amava gli hamburger. E il sapore del cibo, e... e all'improvviso fu colto da una paura quasi irrazionale: e se davvero non fosse mai più riuscito ad uscire da quel posto, a tornare in superficie?
«Jay» lo richiamò Felix, forse avendo notato la sua espressione grazie al suo radar angelico.
«Io non...» Jay si bloccò, afferrando il tovagliolo di carta che Felix gli porgeva, gentile. «... mi dispiace»
La creatura soprannaturale alzò semplicemente le spalle.
«E' normale, non preoccuparti. Del resto sei umano. Mio Padre diceva sempre che la paura è il più grande dono e la più grande maledizione per ogni essere umano. Non devi vergognartene.»
«La tua filosofia mi sorprende» ironizzò Jay, anche se -e non lo avrebbe mai ammesso- quelle parole lo avevano davvero colpito nel profondo.
L'angelo abbozzò un sorriso -davvero? Era proprio un sorriso, quello?-, poi si sporse a guardarlo negli occhi, serio.
«Gli uomini scelgono spesso il peccato, Jay. E da esso sono marchiati sin dalla loro venuta al mondo. Ma c'è qualcosa, in te, che mi ricorda la luce in cui sono nato.»
Restarono in silenzio, l'umano sorpreso e l'angelo serio, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo puntato negli occhi verdi dell'altro.
«Beh» Jay sbatté le palpebre. Avvertiva un calore strano all'altezza del petto «... uhm, grazie. A quando il matrimonio, quindi?»
Per un attimo Felix parve sorridere. Questa volta realmente.
Forse non è così rigido e impassibile come credevo...
Finita quella delizia, straboccante di grassi idrogenati ed estremamente dannosa per il suo fegato, Jay afferrò il piatto, porgendolo ad un confuso Felix, che sicuramente non avrebbe saputo che farsene.
«Cos...?»
«Dai, assaggia! Sono buonissime, il cibo preferito di gran parte degli umani.»
Felix lanciò un'occhiata scettica, prima al piatto sormontato da una montagna di patatine, poi all'umano che gli sedeva di fronte: sembrava convinto quasi che Jay fosse intenzionato a offrirgli del veleno, se non avesse voluto concedergli la possibilità di fidarsi di lui.
E davvero l'umano avrebbe potuto ridere della faccia -Gwen l'avrebbe definita ''coccolosa''- dell'angelo mentre prendeva in mano una patatina con della maionese sopra.
Era come avere a che fare con un bambino con l'inflessibilità di una statua greca, tutto qui.
Felix diede un piccolo morso alla patatina e la masticò a lungo prima di deglutire, con la maionese che gli sporcava le dita. Aveva uno sguardo talmente luminoso mentre la gustava, che Jay non si trattenne e ghignò.
«Buono vero, Fel?» rise, ponendo il piatto al centro e afferrando una manciata di patatine. Se le ficcò in bocca senza pensarci due volte, masticando rumorosamente.
Felix si limitò ad annuire e prese a mangiare con eleganza, leccandosi le labbra quando un po' di salsa vi colava sopra. Onestamente, a Jay faceva l'impressione di vedere Mr Darcy rimpinzarsi in un fast food...
«Posso farti una domanda?»
La voce di Felix lo distolse dai propri pensieri e annuì, deglutendo le patatine con della sana Coca Cola che offrì poi all'angelo, il quale rifiutò con un cenno.
«Perché ti ostini a chiamarmi Fel? Credevo che avessi deciso che il mio nome sarebbe stato Felix.»
E davvero, in circostanze normali Jay avrebbe commentato con qualche battuta sarcastica. Ma quelle non erano circostanze normali.
Nonostante tutto, comunque, il maggiore dei Denver si affogò con la coca-cola e iniziò a tossire per sopravvivere, tra una risata e un'altra.
«Perché ridi?» lo interrogò l'angelo, disorientato.
«Sei davvero divertente!» Jay si schiarì la gola, con gli occhi lucidi, e si batté il petto per riprendere il controllo della sua trachea. «Dico sul serio: deve essere uno spasso per i tuoi amici arruffati, lassù tra le nuvole.»
«Gli angeli non conoscono il concetto di amicizia come voi esseri umani» lo corresse Felix «L'unico amore che ammettiamo è verso Dio.»
«Quello non è amore, è devozione.»
«Cosa?»
«Niente, niente,» Jay si umettò le labbra, riportando gli occhi sulla Coca Cola e inclinandola appena per saggiarne il contenuto. «In ogni caso, Fel è un diminutivo di Felix. Sono praticamente lo stesso nome, solo che Fel è più veloce e immediato. Insomma, immagina che mi trovi in pericolo e un demone stia per strapparmi le budella. Il tempo che pronuncio il tuo nome completo mi vedresti già morto e stecchito in una pozza di sangue. Se invece usassi il diminutivo avrei una possibilità in più di salvarmi!» gli fece l'occhiolino, poi riprese possesso della cannuccia e si regalò qualche sorso.
Felix corrugò la fronte, forse riflettendo su quel gesto nuovo ed inconsueto -e per lui sicuramente incomprensibile- forse ripensando alle sue parole -e al significato di "diminutivo"- eppure alla fine non sembrò del tutto persuaso.
«Li usate spesso, voi umani, questi dim-... dim-...»
«Diminutivi» gli venne in aiuto Jay.
«Quelli.»
«Sì, di frequente. Anche Jay è un diminutivo, per esempio.»
Felix adesso si era fatto improvvisamente attento; l'umano, tuttavia, lo ignorò bellamente, continuando a gustarsi le patatine.
«Qual è il tuo vero nome, allora?»
Jay ammiccò, con un sogghigno perfido: si era aspettato la domanda, era inevitabile. Ma non avrebbe risposto.
Non lo faceva mai, quando glielo chiedevano.
Non che si vergognasse del suo nome, anzi... solo che in presenza della creatura divina si sentiva sempre nudo, dal momento che Felix conosceva tutto di lui -insomma, poteva perfino sentirgli l'anima!-, e se poteva conservare ancora anche solo un segreto, l'avrebbe fatto.
E poi, perfino nella realtà, pochissime persone ne erano a conoscenza: giusto sua madre, il suo defunto padre, Bill e suo fratello Archie.
«Eh, amico, adesso vuoi sapere troppo.»
«Perché?»
«Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti» Jay gli rivolse un sorrisetto storto, minacciandolo con una patatina. Infine ne strappò un morso, mantenendo il mezzo ghigno e sollevando appena le sopracciglia.
L'angelo doveva aver preso sul serio le sue parole, perché fece correre gli occhi via dal suo viso, concentrandosi sulle sfumature di colore della confezione di patatine.
Probabilmente Felix avrebbe aggiunto anche altro -Jay notò che stava per schiudere le labbra- ma un improvviso e penetrante suono li sorprese.
Era come se qualcuno stesse facendo suonare una sirena per richiamare un ordine: Jay sobbalzò sulla sedia e si guardò intorno, freneticamente, quasi aspettandosi che i Cavalieri dell'Apocalisse accorressero verso di loro con spade sguainate.
Ma non successe nulla del genere e Jay si voltò verso Felix che si stava alzando con calma. L'umano aggrottò le sopracciglia, seriamente perplesso.
«Fel? Che succede?»
L'angelo si fermò e alzò lo sguardo, incrociando gli occhi dell'altro. Ed era uno sguardo impassibile quello che Jay si vide rivolgere, lo sguardo di chi è ormai abituato a certe cose.
«Andiamo» rispose semplicemente. «E' ora.»



Uscirono dal locale e si trovarono immersi in una folla di anime che percorreva, questa volta senza emettere un suono, la distanza che la divideva dal treno.
Jay socchiuse le palpebre, stranito da quel silenzio tanto grave, girandosi poi verso Felix il quale scosse la testa e si portò un dito alle labbra: capendo l'antifona Jay alzò gli occhi al cielo e si limitò ad annuire, imbronciato, seguendo l'angelo in perfetto silenzio.
E poi, ma non seppe dire bene quando, qualcosa cambiò.
Le anime si agitarono come delle spighe mature sotto il vento di settembre e un lieve sussurro iniziò a serpeggiare tra di loro. Jay si guardò intorno, meravigliato, ma nessuna anima sembrava aver notato la sua presenza: ogni sguardo era rivolto verso il treno -quello che aveva tutto l'aspetto di una locomotiva antica- che svettava minaccioso di fronte a loro, una leggera nuvoletta di fumo che si levava dal comignolo danzando nell'aria.
«Da questa parte, signore e signori.»
Una voce annoiata e acuta lo colse di sorpresa e lo costrinse a portare lo sguardo alla sua destra, dove un uomo -probabilmente un altro angelo- si stava limando le unghie mentre le anime gli sfilavano davanti. Forse sentendosi osservato, forse avvertendolo con i suoi sensi da pennuto, l'altro angelo alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi: con una punta di terrore Jay vide questi ultimi illuminarsi mentre  il proprietario buttava via la limetta.
Sul serio? Jay batté le palpebre chiedendosi se non ci fosse stato un errore e fosse capitato in una stazione di drogati.
E quello doveva essere un angelo? Sembrava la versione maschile di Gwen, ma molto meno adorabile!
... Aveva seriamente pensato che Gwen fosse adorabile?
Jay storse il naso, pensando che l'influenza di Archie stava facendogli davvero ma davvero male, e aprì la bocca per dire una qualsiasi cosa ma l'angelo esaltato non gliene diede il tempo.
«Non ci credo!» strillò con quella vocetta acuta, precipitandosi verso di loro. Jay poté sentire distintamente Felix fare un passo, quasi come se volesse coprirlo dallo sguardo del suo ''collega''. «Jeremy all'ingresso mi aveva accennato qualcosa ma...» scosse la testa con aria eccitata mentre batteva le mani. «Non mi aveva detto quanto foste carini insieme, davvero!»
Cari-...
CHE COSA?!
«Ahem...» fu l'unica cosa che riuscì a dire Jay prima che Stiles, così recitava la targhetta appuntata sulla camicia dell'angelo, gli piantasse in faccia due enormi occhioni da Bambi e gli stringesse la mano con forza.
«Tanti auguri!» esclamò convinto, per poi salutare con la mano e allontanarsi per conseguire il suo compito.
L'unica cosa che Jay riuscì a fare, per i successivi cinque minuti, fu scuotere la testa con espressione inorridita mentre Felix camminava con tranquillità accanto a lui, il volto impassibile.
Avrebbe dovuto seriamente rivolgersi a un esorcista, una volta tornato a casa.
«Quindi...» iniziò, qualche minuto dopo, frugando nella tasca della giacca di pelle alla ricerca del biglietto che aveva nascosto prima, quasi senza accorgersene «Dov'è che stiamo andando?»
«All'Inferno» rispose Felix come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Te l'avevo già detto, credevo fosse chiaro.»
«Ma ti sembro così stupido?» scattò Jay, scoccandogli un'occhiata torva «Idiota, intendevo nel treno... abbiamo uno scompartimento o cosa?» finalmente riuscì a trovare il pezzo di carta, così lo estrasse e se lo rigirò tra le dita tremanti. Non che avesse paura... ma iniziava a provare un certo freddo, e rimpianse di non essersi portato dietro dei guanti.
Scorse con gli occhi le poche informazioni stampate sul foglietto, e il suo volto si contrasse sempre di più durante la lettura.
«Ma che cazzo c'è scritto? Non si capisce niente!»
A parte l' "Angel Pass", che suppose dovesse essere il permesso speciale di Felix per portare il suo prigioniero dritto nella bocca del leone alias Lucifero, il suo nome e cognome -ovvero Harry Potter-, e il girone, "Golosi", in seguito alla scritta "scompartimento" vi era una sequenza numerica incomprensibile
O almeno, quella che sarebbe dovuta essere una sequenza numerica. A dire il vero, erano solo rune prive di senso.
«E' Enochiano» comprese Felix, affacciandosi oltre la sua spalla «Non preoccuparti, so dove dobbiamo andare.»
Jay studiò ancora un po' il biglietto, poi annuì ancora non del tutto convinto, e se lo cacciò nuovamente in tasca. «Sarà. Inizio ad odiare questo fottuto Enochiano...»
«Non dovresti, è la lingua che permette di capirci.»
Jay rischiò di affogarsi con la saliva.
«Che cosa?!» quasi urlò, con voce gracchiante.
«Te lo spiego in un altro momento. Adesso seguimi.»
L'umano aprì la bocca per ribattere, ma alla fine capitolò: tanto Felix non gli avrebbe risposto. Non in quel momento.
Svogliato continuò ad avanzare, quando avvertì nuovamente un freddo gelido penetrargli le ossa e alzò lo sguardo -ma quando l'aveva fissato sul pavimento?- sentendo le anime che lo circondavano cercare quasi di indietreggiare, inorridite.
«Caronte...» sussurrò Felix a mezza voce, e Jay non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi e aggredirlo di domande.
Accanto all'entrata del treno c'era un uomo... o quello che sembrava un uomo, per lo meno, anche se a ben vedere era... non sapeva come definirlo.
Innanzitutto, trovandosi all'ombra del treno, non era bagnato dalla luce angelica. In secondo luogo il suo aspetto, grazie o no al favore dell'oscurità, era piuttosto inquietante.
Alto, leggermente ingobbito in avanti, senza capelli, dalla pelle scolorita e gli occhi ardenti come fiammelle, circondati da un ventaglio di rughe. Aveva l'aspetto di un vecchio, la persona più decrepita che Jay avesse mai visto, con quella pelle così incartapecorita, rugosa e arricciata, ma allo stesso tempo anche quella più raccapricciante.
 Se Minosse gli aveva provocato un brivido, la visione di quest'ultimo esortava le sue gambe a fare dietro front cercando un nascondiglio sicuro. E Jay A. Denver non era mai stato un fifone.
Il vecchio aveva il capo chiazzato dall'età, le labbra screpolate e fessurate, la bocca una voragine nera priva di denti, il respiro un rantolo senza suono.
 Indossava un lungo abito nero, drappeggiato, dalle maniche ampie che facevano risaltare le braccia ossute: l'abito stesso sembrava cadere largo sul corpo nient'affatto prestante.
In ogni caso, non disse una parola: semplicemente controllava che ogni anima presente salisse su quel treno. Quando Jay e Felix gli sfilarono davanti, e il maggiore dei Denver incontrò per un attimo gli occhi di Caronte, che parevano quasi luminosi -una luce fredda, però-, sentì un'ondata gelida percorrere il suo corpo, come se il tempo si fosse fermato, e quegli occhi fossero due pugnali di ghiaccio infilzati nel suo petto.
Forse il freddo che emetteva la sua figura doveva intimorire le anime, o forse...
«Stai bene?»
Ma perché diamine se ne uscivano tutti con quelle frasi ad effetto nel bel mezzo del silenzio? E che cavolo!
Jay annuì a disagio mentre Felix si toglieva la giacca e gliela poggiava sulle spalle, esortandolo a salire sul treno.
Il ragazzo sentì il calore invadere di nuovo le sue vene -e non si chiese nemmeno se fosse per via della giacca o perché avevano superato il vecchio, lasciandosi lui e il suo silenzio dietro le spalle, o ancora perché era al chiuso nella locomotiva- e sospirò sollevato e sorpreso insieme, voltandosi verso il suo accompagnatore: Felix pareva perfettamente a suo agio in quell'ambiente, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Non hai freddo?» gli chiese.
Fel scosse il capo.
«Gli angeli non sentono il freddo.»
«Davvero?» Jay non riusciva più a stupirsi di nulla. Credeva che le anime non potessero avvertire il cambiamento di temperatura per il fatto che non avessero un corpo. Ma gli angeli...
«E il caldo?»
«Nemmeno.»
«C'è qualcosa che percepite?» concluse, esasperato, allargando le braccia. Non avrebbe atteso risposta, eppure...
«Percepiamo quando voi umani avete bisogno di qualcosa.»
Jay rimase in silenzio qualche secondo, prima di emettere una specie di grugnito.
«Era una domanda retorica, comunque. Non avresti dovuto rispondere.»
Felix assunse un'espressione costernata. «Oh. Non lo sapevo, mi dispiace.»
«Smettila: tutta questa situazione sta sembrando un film romantico di quart'ordine.»
Felix non replicò, procedendo indisturbato, ma Jay avrebbe quasi potuto giurare di averlo visto sorridere.






To be continued ~





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Capitolo 15

«Fel? Eih, Felix! Che ti prende?»
Allungò una mano verso di lui e Felix deglutì, battendo le palpebre.
«Mi... dispiace» corrugò la fronte, gli occhi blu più profondi del solito. «Io... questo non...»
Jay alzò un sopracciglio: mi dispiace? Felix... l'aveva detto sul serio?
Si ritrovò a sorridere, intenerito. «Quelli, amico mio, si chiamano sentimenti. O emozioni.»
Felix sembrava ancora immensamente turbato «... amico?»






~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Ci scusiamo per l'immenso ritardo ma tra un impegno e l'altro - soprattutto è colpa mia, i miei professori sono dannatamente severi e non mi lasciano il tempo di respirare- scrivere è diventato una sorta di miraggio xD
Okay okay, torniamo al capitolo che è meglio xD
Allora ragazzi miei, che ve ne pare? Vi piace quest'atmosfera cupa che si sta delineando?
Che ve ne pare della stazione?
Io ho particolarmente adorato la parte in cui Felix e Jay mangiano insieme perchè non solo Fel dimostra un lato umano e, ammettiamolo, quei due sono così dannatamente shippab... ahem, non dovevo dirlo, vero?
Comunque si, penso che mangiare insieme sia un atto terribilmente intimo, che avvicina le persone. Il cibo avvicina le persone e, caspita non sono così irrealistica da dire che succede sempre!, a volte riesce persino a dissipare i contrasti.
Come la cioccolata. Quante volte vi siete seduti sul divano con una barretta di cioccolato in mano e, assaporandola, avete tamponato i vostri problemi?
Ecco, quello è esattamente quello che intendo.
Che dire di più? XD Gli angeli hanno saltellato verso la modernità -io amo quel pub dove vanno Fel e Jay, ne aprirò uno simile!- ma siamo perfettamente sicuri che i nostri eroi non corrano rischi? XD
Che ne pensate dell'angioletto Stiles?LOL
*Lady Holmes arriva trafelata* Bello Stiles!! E' un fanboy *^*
Anyway, aggiungere che abbiamo dovuto dividere questo capitolo dal prossimo, perchè era venuto di 23 pagine. Quindi ci scusiamo anche perché questo capitolo è breve e lo sarà anche il prossimo, ma proprio per questo, aggiorneremo più in fretta! La verità è che, come la mia collega ha detto prima, la scuola ci sta impegnando parecchio e, credetemi, abbiamo avuto davvero pochissimo tempo per scrivere.
Comunque, la storia ormai è quasi al suo momento cruciale, insomma... ormai stiamo per addentrarci all'Inferno, e avrete tante sorprese! :P siete pronti per affrontare un inquietante e fantastico viaggio in compagnia di Jay e Felix? Allora, allacciate le cinture, che si parte!! :D
Stiles è adorabile, Caronte è spaventoso, direi che è un mix perfetto u.ù
E non so che altro dire, se non che adoro la scena del Ristorante, e che, a titolo informativo, la battuta sul nome completo di Jay "se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti", è una delle prime che abbiamo inventato, in assoluto, su timeless XD anzi, se la mia memoria non mi inganna, è una di quelle a cui avevamo pensato il giorno stesso in cui ci è venuta l'ispirazione per il libro. Eravamo al cinema, a mangiare pizza, dopo aver visto In Time *-* ricordi, sorella??
Aaah sì, come dimenticarlo? XD
*ricorda vagamente due ragazze con l'espressione pazzoide che stillano Scriveremo qualcosa di unico al mondo!*
*tossicchia*
Ahahahaha e quella è stata una delle prime frasi ** ricordo ancora quando dovevamo scegliere i nomi dei personaggi... per Jay c'era una lista lunghissima, per Archie ricordo c'erano una serie di nomi come (Michie, Matthew detto Matt LOL), invece Felix l'avevamo beccato a colpo °^°
Sii, e poi Felix io me lo sono sempre immaginato bellissimo °_° Un qualcosa di indefinito dai grandissimi occhi blu e lo sguardo ingenuo
*sospira come una vecchietta di ottant'anni*
Infatti!! Stavo per dire che non riusciamo a trovare un attore che lo identifichi, quindi non fate caso se cambiamo ogni volta x°°D cerchiamo una foto che ce lo ricordi, non un attore. Un attore può assomigliare al nostro Felix -così come è nella nostra mente- in una foto, e nell'altra no. Quindi noi scegliamo quelle che ce lo ricordano u.ù sarà che è un angelo, sarà che siamo noi sfortunate che non troviamo attori abbastanza... "angelici"... ma il nostro personaggio rimane frutto della nostra mente **
E' più gracile rispetto a Jay, ha degli occhi molto espressivi che variano tutte le tonalità del blu e del violetto -nel caso utilizzi gli incantesimi angelici xD- e anche questo ha una spiegazione, non è semplicemente perché siamo delle bimbeminkia che vogliono mettere i personaggi con gli occhi rosa LOL
*immagina Felix con gli occhi rosa*+
*scoppia a ridere*
Oddio, ma che è? La versione angelica di Sailor Moon? XD
La verità è che gli occhi di Felix sono blu. La grazia angelica è una luce bianca. Quando Felix utilizza i suoi "poteri piumosi", attinge a quella grazia angelica che ha dentro di sè, di conseguenza, schiarendo il blu, e sovrapponendolo al bianco, viene fuori una sorta di azzurro/violetto xD
Rosa era per dire, gli occhi di Fel al massimo sono viola e NON rosa ahahhaah
tu volevi aggiungere qualcosa, compagna? u.u
In realtà no, sorella u.u
Allora, diciamo arrivederci ai lettori che ci seguono, se non che li adoriamo, e che senza di loro Timeless non sarebbe ciò che è oggi :D
E che manderemo ai più fedeli una copia di Felix dagli occhi rosa, no? *ride ancora*
Come avevamo anticipato, voi recensitori comparirete come personaggi -perché, al di là di tutto, abbiamo bisogno di tantissimi personaggi per la storia, quindi perchè non attingere ai nostri amati lettori? u.ù- e speriamo che ognuno di voi apprezzi la sua "particina" :P Altresì, lettori silenziosi, dite la vostra!! Ogni parere sarà sempre gradito! :D E non accusateci di fanservice, facciamo solo ciò che è giusto u.ù
Oh, e dimenticavo... per "La sposa di Ade": le parti pre-inferno, e inferno, sono piuttosto cupe ed inquietanti, anzi fanno venire proprio i brividi, quindi supponiamo che le adorerai!! *-*
Sì, non uccideteci per come vi rappresenteremo LOL
Vi salutiamo, dunque, alla prossima :D
Hasta la vista!! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*







†††

1. Jay al ristorante:

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2. Felix (detto anche Fel... ammazza che figo °ç°):

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3. L'angelo Stiles *-*:

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4. L'inquietante Caronte (è solo un'immagine approssimativa: infatti nel nostro immaginario la sua figura provoca una sensazione di gelo e lui stesso è un tipo più morto che vivo, non animato da una furia cieca):

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Collage di Jay che mangia l'hamburger (LOL, tanto per farvi venire fame :P):

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2. Il ricordo di Gwen (perché Jay non lo ammetterà mai ma gli manca... e manca anche a noi! ç__ç):

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Capitolo 16
*** 15. ***


Timeless 15
Capitolo 15




All'interno il treno ricordava una di quelle antiche quanto lussuose locomotive che usavano i ricchi per spostarsi negli anni in cui il carbone era la ricchezza principale: totalmente rivestito di nero, con piccole lampade a olio a rischiarare il passaggio. Ogni porta degli scompartimenti era sul marrone scuro ma, nonostante tutto, Jay non poté impedirsi di provare una certa inquietudine mentre seguiva docilmente Felix. Si tolse la giacca di jeans e la porse all'angelo.
«Grazie» borbottò e l'angelo alzò le spalle, voltandosi per afferrare la giacca: l'osservò a lungo e poi piegò il capo, come se qualcosa nell'insieme stesse sfuggendo alla sua comprensione.
«Stai bene?»
«Sì, solo...» e Jay indicò con la mano, in un gesto ampio quanto vago, l'ambiente che lo circondava. «Lucifero si tratta bene!»
«Da quel che so Lucifer era un tipo un po' eccentrico e... decisamente particolare» rispose Felix, alzando le spalle. «Micheal raccontava sempre che amasse moltissimo mettersi in mostra, anche agli occhi di nostro Padre.»
 Jay aggrottò le sopracciglia, perplesso, ma chissà perché la sua mente lo rimandò a quell'angelo che aveva saltellato intorno a loro due qualche minuto prima, e un brivido si fece strada lungo la sua schiena. Terrore verso Lucifero o verso il suddetto angelo? Jay non avrebbe saputo stabilirlo.
«Non riesco a immaginarlo» borbottò sarcastico.
Tuttavia Felix parve non cogliere: avevano infatti, o almeno così pareva, raggiunto il loro scompartimento e quando l'angelo fece scorrere la porta -su cui era stata appesa una targhetta con il suo presunto nome Harry Potter- Jay si trovò davanti a uno scomparto davvero elegante, con poltrone rivestite di pelle nera, il pavimento fatto di una soffice moquette rossa e persino un tavolino di vetro scuro e un piccolo minibar, tanto da strappargli un fischio di apprezzamento (come ogni maschio del Texas si lascia scappare davanti a una bella donna o una bella macchina, secondo la sua filosofia).
«Wow!»
«Te l'ho detto, parrebbe che a Lucifer piacessero le cose in grande» mormorò Felix, sedendosi composto su una delle poltrone accanto al finestrino, seguito immediatamente dall'umano.
«Aspetta... ma quindi tu non hai mai conosciuto Lucifer?»
Lucifer... Satana. Bastava il nome a farlo rabbrividire.
Non riusciva a realizzare che fosse realmente il diavolo. Insomma, il diavolo!
«Sì, ma ho vaghi ricordi di lui. Ero un angelo appena nato quando Lucifer venne cacciato, non mi ammisero nella battaglia» confidò Fel.
Jay si chiese se all'angelo che lo accompagnava non fosse mai venuto in mente di indagare di più su quello che a conti fatti era un altro fratello, ma si promise di scoprirne di più in seguito.
«Ma se l'Inferno è in mano agli angeli... Lucifer dove sta?»
«E' relegato all'interno di una gabbia nel punto più remoto dell'Inferno, incatenato con un metallo divino che blocca ogni suo potere angelico, e protetto dal Custode dell'Inferno.»
Forse loro due non si sarebbero avvicinati al diavolo, dopotutto. Jay non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
«Il Custode... che sarebbe? Un angelo?»
«No» rispose Felix, quasi oltraggiato «Nessun angelo si assumerebbe quell'incarico, il Diavolo è capace di corrompere anche l'anima più pura.»
Jay iniziava ad avere paura... un terrore freddo che serpeggiava sulla pelle, facendogli desiderare di possedere un maglione, uno di quelli larghi e sgualciti che indossava Archie nelle gelide giornate invernali.
«E allora... chi?» domandò, con voce flebile, dubitando di volerlo davvero sapere.
«Il Cerbero.»
Jay divenne cinereo. «C-Cerbero?» pigolò. Felix annuì, e Jay represse l'impulso di svenire. «Oh, perfetto, grandioso! Incontreremo Fuffi che fa la guardia a una botola! Dimmi, avete anche voi una pietra filosofale?»
«No» obiettò Felix, perplesso «E si chiama Cerbero, non Fuffi. In ogni caso non lo incontreremo.»
Jay sbuffò: Felix non aveva letto Harry Potter.
Dovette concedersi qualche minuto, però, per riprendere a respirare regolarmente. Beh, non l'avrebbero incontrato, no? Quindi quanto valeva che si calmasse.
«Comunque... tu sei mai stato all'Inferno?»
«Sono un angelo» rispose Felix, continuando a guardare fuori dal finestrino -che c'era da vedere?- e Jay sospirò esasperato: ma proprio in quel momento il treno si mise in marcia con uno schianto sordo -Caronte doveva aver preso la patente nell'ovetto Kinder- e per i successivi cinque minuti il nostro eroe venne impegnato nell'altrettanto eroica impresa di non vomitare.
«Stai bene?» gli chiese ancora Felix e seriamente, per un momento a Jay venne voglia di piangere: era carino a preoccuparsi, ma si sentiva così tanto una ragazzina...
«Non preoccuparti» borbottò, massaggiandosi le tempie. «Quindi non sai cosa troveremo all'Inferno?»
«Suppongo demoni sanguinari che non vedono l'ora di trucidare e torturare anime di peccatori» chiosò Felix, con lo stesso tono con cui generalmente si annunciano le previsioni meteorologiche.
In quel momento Jay sentì di nuovo la voglia di piangere. Ma come diamine faceva a essere così calmo mentre lui se la stava letteralmente facendo sotto?!
«Non posso crederci... no, sul serio! »
Felix riportò la sua attenzione su di lui, come se fosse stato un interessante animale dello zoo, che cerca di attirare l'attenzione dei passanti con giochi e versi, ma Jay lo ignorò, per quanto potesse ignorare uno sguardo pungente e penetrante come quello dell'angelo -eccola di nuovo la ragazzina dentro di lui che lottava per emergere...- e continuò a parlare, terrorizzato e arrabbiato allo stesso tempo.
«Ma dove cazzo siamo, in un fottuto fantasy? E chi sta scrivendo, delle ragazzine con forti frustrazioni sociali? E poi chi incontreremo? Demoni, cerberi..?»
Felix alzò elegantemente un sopracciglio. Forse si stava chiedendo che tipo di droga usasse -ammesso che sapesse cosa fosse la droga- ma anche Jay onestamente iniziava a chiederselo, quindi non ci fece caso.
«Stiamo scendendo all'Inferno, è abbastanza ovvio. Come la presenza di Lucifer nella gabbia, più o meno.»
«...'Fanculo, io mi licenzio! »
Jay continuò a guardare fuori dal finestrino col respiro corto e il cuore che non ne voleva sapere di rallentare.
E Felix, come se avesse compreso cosa stava provando -finalmente!- o come se gli avesse letto l'anima -più probabile- si sporse appena verso di lui.
Ancora una volta sembrava studiarlo, quasi fosse sorpreso di ciò che animava il suo cuore.
«Sei spaventato» realizzò, con quelle sopracciglia aggrottate come un cane confuso.
«Beh, tu che dici, Einstein?» esplose Jay, allargando le braccia. «Cazzo, tutto questo è un incubo! Sta succedendo così in fretta e io... io...»
Le parole gli si smorzarono in gola. Si passò la mano sulla bocca e il mento, sentendo gli occhi bruciare all'improvviso. Scosse la testa, sfuggendo allo sguardo dell'angelo.
«Niente, lascia perdere....»
«Dev'essere terribile per un essere umano» continuò Felix, imperterrito, fingendo di non averlo sentito «Jay, forse io non sono chi speravi che fossi. Forse non riesco a capirti. Ma le tue emozioni sono così intense che mi destabilizzano. Le urla della tua anima lacerano anche la mia. Un umano non ha mai vissuto tutto ciò che tu ti stai apprestando a vedere: suppongo che la tua paura sia più che giustificata. Farei di tutto per tenerti lontano da tutto questo ma non posso, e tu lo sai. Mi...» Felix si bloccò, come se avesse ingoiato un rospo. All'improvviso spalancò gli occhi inorridito, e a Jay fece l'impressione di un pesce tirato fuori da una lenza che boccheggia alla ricerca d'acqua.
Si portò una mano in corrispondenza del petto, come se gli avessero appena annunciato che aveva perso le ali. E lo sguardo che gli rivolse era così smarrito che Jay si chiese che cosa fosse successo.
«Fel? Eih, Felix! Che ti prende?»
Allungò una mano verso di lui e Felix deglutì, battendo le palpebre.
«Mi... dispiace» corrugò la fronte, gli occhi blu più profondi del solito. «Io... questo non...»
Jay alzò un sopracciglio: mi dispiace? Felix... l'aveva detto sul serio?
Si ritrovò a sorridere, intenerito. «Quelli, amico mio, si chiamano sentimenti. O emozioni.»
Felix sembrava ancora immensamente turbato «... amico?»
Jay tramontò gli occhi al cielo, poi tornò a guardare fuori dal finestrino, lasciando Felix da solo coi suoi dubbi.
Possibilmente gli angeli non erano stati programmati per provare qualcosa....
Jay abbandonò la testa sul vetro, mentre fuori dal finestrino scuri cunicoli, intervallati da torce, si susseguivano senza fine.
Il suo respiro si condensava appannando la superficie trasparente, e Jay, quasi rapito, lasciò scorrere un dito sulla patina di vapore acqueo.
Proprio come Archie, così tanti anni prima...

«Guarda! Jay, guarda!»
Jay non alzò nemmeno gli occhi dal fumetto che stava leggendo. «Cosa?»
«Guarda!» Archie gli abbassò con rabbia il volume e Jay si ritrovò a fissare il suo broncio a distanza ravvicinata. Tramontò gli occhi al cielo e abbandonò il libretto sul sedile. «Okay, hai vinto. Beh?»
Archie sorrise mostrando una chiostra di piccoli denti bianchissimi, tra i quali mancava un incisivo superiore, e poi gli indicò il vetro appannato, sul quale erano stati tracciati due omini con i corpi formati da cinque strisce, una per il busto e quattro per gli arti, e un cerchio come testa.
«Wow, sei un artista» lo stuzzicò il maggiore facendogli il solletico e Archie sfuggì dalla sua presa ancora ridendo.
«Siamo io e te!» allungò il piccolo indice e segnò due occhi ad ognuno degli omini, e due grandi bocche sorridenti. Poi si volse a guardarlo per rintracciarne la reazione.
«Sono proprio belli, Archie» il sorriso di Jay però si smorzò. «Sembriamo così felici...»
Suo padre era morto un anno prima, e da quel momento l'umore di Jay non aveva mai superato il grigio nebbioso.
Archie parve accorgersene perché si tuffò praticamente sul suo sedile, iniziando a dondolare le gambette.
«Ci divertiremo, dal nonno.»
Jay annuì, guardando fuori dal finestrino... eppure una lacrima sfuggì dalle sue palpebre. «Sì... ci divertiremo, Archie.»
«Io dico sul serio!» parve offendersi il fratellino, che incrociò le braccia al petto e lo fulminò con un'occhiataccia.
«Staremo bene, Jay, te lo prometto. Fidati di me.»
E Jay si pentì di essersi mostrato così debole: il suo piccolo fratellino, di appena sette anni, era molto più forte di lui, tanto da volerlo consolare. Sarebbe dovuto essere il contrario. Jay gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui e che l'avrebbe protetto.
«Certo che staremo bene!» e ricominciò a fargli il solletico, vedendolo contorcersi dalle risate e pregarlo di smetterla. E Jay rise con lui. Rise, per la prima volta in così tanti mesi.

Batté le palpebre e il panorama tornò quello dei cunicoli.
Strinse i pugni sui jeans.
«Sai cosa?» disse poi, per spezzare il ghiaccio e Felix, che stava anche lui  guardando fuori dal finestrino, si voltò di nuovo.
«Cosa?»
«Non mi importa cosa ci sarà dall'altra parte» cercò una posizione più comoda sul sedile, infine girò gli occhi sull'angelo. «Demoni, cerberi, dannati, quello che vuoi... non me ne può fregar di meno. Devo andare avanti lo stesso. Devo farlo, per Archie. Capisci?»
Felix annuì, anche se Jay ne dubitava.
«E se tu non fossi robot-Felix lo capiresti.»
L'angelo non replicò e Jay gli fu grato per questo. Poi, il treno ebbe un sussulto e Jay impallidì di colpo, rendendosi conto che stava per fermarsi e no, nonostante tutto, lui non era ancora psicologicamente pronto per l'Inferno.
«Jay,» Felix si guardò intorno, come se si fosse ricordato di qualcosa solo in quel momento «Siamo arrivati.»




To be continued ~





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Capitolo 16

[...] Jay non avrebbe mai voluto essere così sprezzante o assumere un tono così supponente ma quando Felix si voltò verso di lui, con un'espressione di furia cieca sul viso, ebbe la certezza matematica di essersi spinto troppo oltre.
L'angelo lo afferrò per il colletto, sbattendolo senza troppi riguardi contro il muro.
«Ascoltami bene, umano» e calcò l'appellativo con freddezza tale da farlo rabbrividire. «Osa mettermi in dubbio anche solo un'altra volta e giuro su mio padre che finirai davvero i tuoi giorni all'Inferno.»





~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Suppongo, a questo punto, che sia inutile scusarsi per il ritardo. Ma davvero, non potete capire quanto impegnate siamo in questo periodo, pensate solo al fatto che i nostri esami di maturità sono prossimi, i test di medicina sono stati anticipati a luglio, andiamo in scuole diverse e sfortunatamente -è matematico -.-""- quando una delle due è libera l'altra ha da fare. Tra diciottesimi, feste, impegni vari e stanchezza e crisi di ispirazione che ci portavano a criticare ogni cosa che scrivevamo, purtroppo abbiamo ritardato con la stesura stessa xD Questo capitolo è vergognosamente corto, e proprio per questo vi PROMETTIAMO che il prossimo arriverà la prossima settimana, quindi non temete! :) Il lato positivo è che questi capitoli sono -finally, penseranno molti di voi- ricchi di azione -almeno, dal prossimo in poi xD- perché ci addentriamo sempre di più nel viaggio soprannaturale del nostro eroe. Come avete visto, Archie non smetterà di ricorrere nei ricordi di Jay. Qualcuno ci ha chiesto quando tornerà in carne ed ossa. Eeeeh mi sa che dovrete aspettare un po'!! :P
Ma lascio la parola alla mia collega, che se no sembra che parlo solo io u.ù
Allora carissimi, prima di iniziare con il nostro delirio mensile/secolare vogliamo fare tantissimi auguri alla nostra fan numero uno, una ragazza che abbiamo conosciuto grazie a questa storia... LA SPOSA DI ADE!
Tanti auguri! XD
Oh sì, è grazie a te che stiamo aggiornando, se no chissà che tempo si faceva!! :P
Io tecnicamente dovrei essere di là a studiare matematica, ma come la mia collega tenevo a fare questo piccolo regalo alla Sposa di Ade... Ritieniti onorata, non lascio quasi mai i libri nell'ultimo periodo XD
quindi, gente, come va? Vi siamo mancate?
Lasciando stare le disastrose elezioni che mi hanno fatto vergognare di essere siciliana -Quoto, sorella, quoto ç__ç-, credo che l'ultimo periodo sia stato il più caotico di tutta la mia vita. Ma questo non interessava a nessuno, scommetto XD
Allora, considerazioni sul capitolo?
Vi piace il rapporto tra Jay e Fel?
Siete sicure che non siamo così bastarde da far succedere qualcosa di brutto tra i due?
Il tacchino di Susan si sarà definitivamente bruciato?
Che ne pensate del ricordo di Jay?
Lo spread è solo un'invenzione del gatto con gli stivali o in realtà è Lucifero che sta trollando tutti?
*Miss Watson viene presa e rinchiusa in manicomio, ma riesce a scappare vendendo l'anima a quel figone di Felix*
Alla mia esimia collega la parola!
Oh, ma grazie, grazie *si riappropria del microfono* AHAHAAH LUCIFER OUR KING! <3
Presto vedremo anche lui, non temete *-* o magari sì... TEMETELO! °ç°
E per quanto riguarda le dinamiche Jay/Fel, sappiate che sta per iniziare un arco abbastanza "angst", perché noi siamo cattive, bastarde e stronze e voi ci amate per questo vero?? <3
Anyway, alla prossima!! :D
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*







†††

1. Baby!Jay <3:

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2. Present!Jay (sbav °ç°):

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3. Baby!Archie:

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4. Present!Archie:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Jay divertito dalla sorpresa di Fel, mentre gli spiega cosa sono le emozioni (<3):

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2. Il ricordo di Archie:

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Capitolo 17
*** 16. ***


Timeless 16
Nel capitolo precedente...

Jay e Felix, dopo essersi lasciati alle spalle la terribile e gelida figura di Caronte, si addentrano nel treno dall'aspetto di un'antica locomotiva a vapore, alla ricerca del loro scompartimento. Qui, Felix racconta all'umano che non è mai entrato all'Inferno, e che non ha mai conosciuto Lucifero poiché nel periodo della Prima Apocalisse era un angelo appena nato. Inoltre, si ritrova per la prima volta a provare delle emozioni e dei sentimenti autentici. Jay, con la fronte sul vetro, viene colto da un ricordo che vede protagonisti lui e suo fratello da bambini. Rinvigorito dall'affetto per il fratello, comunica di essere pronto per affrontare l'Inferno. Proprio in tempo, perché il treno si ferma e Felix gli annuncia che sono arrivati.

Now...



Capitolo 16




Il maggiore dei Denver prese un bel respiro profondo -si sentiva molto una donna incinta sull'orlo di una crisi isterica- prima di lanciare un'occhiataccia verso Felix che lo stava guardando immobile e curioso.
«Non ci sarei mai arrivato, guarda» fece sarcastico mentre l'angelo piegava il capo, probabilmente non capendo ciò che voleva trasmettergli: e davvero, per Jay era davvero impossibile prendersela.
Perciò sospirò e si fece violenza per alzarsi, quasi come se ogni movimento -anche il più stupido, quello che a prima vista comportava il minimo spreco di energia- gli costasse uno sforzo orribile; lanciò uno sguardo verso il suo accompagnatore che si era alzato e aveva aperto la porta dello scompartimento e che ora lo guardava, attento, come un predatore che controlla la sua preda.
«Cosa si fa adesso?» mormorò Jay.
Felix rimase impassibile mentre lo conduceva fuori dal treno.
«Per prima cosa» lo sentì dire. «Dobbiamo raggiungere le porte dell'Inferno.»
Perché era davvero quello che ci voleva, giusto?





Quando Jay e Felix scesero dal treno si trovarono in una stazione simile in tutto e per tutto a quella che si erano lasciati dietro: ma l'atmosfera non era semplicemente pregna di malinconia o tristezza, no. Jay avvertì il gelo appiccicarsi sulla sua pelle e scorrere al di sotto del tessuto cutaneo, come un serpente capace di insinuarsi nelle fessure.
«Uhm... non ci sono dei cartelloni con le indicazioni per la porta dell'Inferno, vero?»
«So dov'è» ribatté semplicemente Felix e Jay alzò gli occhi al soffitto con un sorrisetto sarcastico sul volto.
«Ma davvero, sai dov'è. Wow, questo sì che aggiusta le cose» e davvero, Jay non avrebbe mai voluto essere così sprezzante o assumere un tono così supponente ma quando Felix si voltò verso di lui, con un'espressione di furia cieca sul viso, ebbe la certezza matematica di essersi spinto troppo oltre.
L'angelo lo afferrò per il colletto, sbattendolo senza troppi riguardi contro il muro.
«Ascoltami bene, umano» e calcò l'appellativo con freddezza tale da farlo rabbrividire. «Osa mettermi in dubbio anche solo un'altra volta e giuro su mio padre che finirai davvero i tuoi giorni all'Inferno.»
Per quanto spaventato Jay rimaneva sempre Jay. Perciò sorrise, inclinando il capo.
«E' una proposta indecente?» ammiccò, cercando di stemperare la tensione: non funzionò, evidentemente, perché Felix rimase sempre impassibile, ma quantomeno la presa sulla sua maglietta si sciolse e Jay tornò a respirare regolarmente.
L'angelo si voltò, infilandosi le mani in tasca.
«Abbiamo già perso troppo tempo» commentò Felix, freddo, cominciando ad avviarsi e Jay, sebbene al momento non fosse esattamente nelle migliori condizioni, si alzò un po' traballante prendendo a seguirlo.
Ma che era preso a Felix? D'accordo, magari lui non avrebbe dovuto spingersi così tanto in là - Susan diceva sempre che le persone mettono dei confini tra loro stessi e il mondo e che è bene per il quieto vivere non spingersi oltre quei limiti- però Felix gli sembrava... freddo. Quasi animato da una scintilla di odio.
Forse era sua impressione o quello era un atteggiamento difensivo? Ma da cosa avrebbe dovuto difendersi Felix?
Jay storse il naso, raggiungendolo. Magari erano solo brutti ricordi legati all'Inferno? A qualche racconto che qualche fratello angelo più grande gli aveva propinato per divertimento, così come lui faceva con Archie?
In fondo non conosceva abbastanza la testa di quegli esseri piumati. Magari ragionavano un po' come gli esseri umani -non erano tutti figli dello stesso Dio, in fondo?- e anche loro si divertivano con poco: Jay sbuffò, scrollando le spalle, ripromettendosi che avrebbe cercato l'occasione adatta per scusarsi con Felix perché davvero, non gli andava che l'angelo tornasse in quello stato di apatia che aveva caratterizzato i primi momenti -quanto tempo era passato?- del loro incasinatissimo rapporto.
E non lo diceva solo perché ogni tanto una ragazzina urlacchiante prendeva posto dentro di lui, ma perché Felix era colui che lo aveva -e lo stava- aiutando in quella pazza avventura e aveva iniziato a considerarlo un po' come un amico.
Se mi sentisse Archie... pensò con una punta di divertimento.
Mentre il nostro eroe era tutto immerso in queste profonde macchinazioni mentali, Felix lo condusse attraverso la folla di anime: e ad un certo punto la paura zittì quegli interrogativi inutili e la consapevolezza di essere ormai vicino all'inferno rendeva sempre più pesante il mettere un passo dietro l'altro.
Ma doveva farlo.
Per Archie, perché suo fratello non meritava una fine tanto orribile.
Per Susan, perché sua madre -la sua dolcissima mamma- non avrebbe retto un altro colpo dopo la morte di suo padre e per Bill, perché dopo la morte di Josh aveva fatto loro da padre e in un qualche modo Jay voleva sapere di aver fatto qualcosa per lui: e voleva farlo anche per Gwen che amava suo fratello e che aveva scoperto essere molto migliore di una prima impressione.


Benché la stazione assomigliasse in tutto e per tutto a quella che lui e Felix si erano lasciati alle spalle, Jay poté distintamente avvertire un senso di lieve terrore impadronirsi della sua anima.
Non che ci fossero scheletri appoggiati alle pareti o cadaveri in putrefazione pronti ad accoglierli. Niente di tutto questo.
Ma era proprio quello il punto. Non c'era niente.
Solo silenzio a circondarli, un silenzio cupo e denso come lo sciroppo d'acero sui pancake. Jay pensò che, come nei peggiori film horror, quello non era mai un buon segno: alzò lo sguardo, quasi a voler cercare il cielo, ma ciò che vide fu una spessa parete di pietra.
Fece una smorfia, sentendo i muscoli tendersi sotto l'epidermide, avvertendo una morsa nel petto. Che fosse tornata la claustrofobia?
«Voi uomini alzate sempre gli occhi al cielo quando siete in difficoltà o avete paura» parlò Felix, e risentire la sua voce dopo un mutismo tanto lungo sorprese Jay e lo fece sobbalzare in un primo momento. Ma essa era priva di alcuna emozione «Guardate il cielo cercando inconsciamente Dio e noi angeli, per proteggervi. Però, anche quando proviamo a parlarvi, voi non ci ascoltate. Voi non ascoltate mai.»
E c'era forse un tono di rabbia in quell'esclamazione? Era per questo che Felix era arrabbiato con lui?
«Io ti ascolto» obiettò, corrugando le sopracciglia. Poi si fermò un attimo, ripensandoci «Cioè, tendo a straparlare, è vero, ma ti ascolto. Sul serio. Sei tu quello che mi ignora più che volentieri, certe volte!»
Felix iniziò a camminare verso una donna, che stava radunando le anime piuttosto rumorosamente.
«Beh, più che certe volte, in effetti, mi ignori molte volte. Quasi sempre. Anche adesso!» Jay imprecò. Niente. Bestemmiò. Felix non reagì. Non gli disse di non nominare Dio invano. Lo... ignorò e basta.
«Parlare col muro sarebbe più divertente!» gli urlò dietro Jay, allargando le braccia. Ma ancora una volta Felix finse di non sentire e il maggiore dei Denver capitolò, tramontando gli occhi al cielo. Pardon, al soffitto di pietra.
Erano circondati da uno spesso cunicolo che si diramava per chilometri e chilometri, forse verso un esterno che al momento Jay non poteva vedere: ma il nostro eroe si affrettò a raggiungere l'angelo che si era fermato accanto a un punto in cui la grata si interrompeva e c'era una porta -una di quelle porte da saloon del Texas, però in metallo- accanto alla quale stava in piedi la donna che Jay aveva individuato prima e che alzò lo sguardo vedendoli arrivare. Le altre anime uscite dal treno, nel frattempo, si stavano accalcando accanto a loro.
Quando Jay le giunse accanto la ragazza alzò lo sguardo su di lui e un sorriso divertito le si dipinse sul volto. E Jay poté vedere due affilati canini sporgere appena dalle labbra: la ragazza lasciò la boccetta di smalto rosso fuoco -quasi quanto i suoi occhi- sul bancone dietro cui era seduta e con un balzo fu proprio davanti a loro.
Era vestita come se fosse pronta ad andare a mare - pantaloncini, maglietta corta- ma i guanti di pelle marrone, senza dita, e gli stivaletti alla Lara Croft la dicevano lunga su quanto non fosse decisamente una ragazza normale che si preparava per una gita a mare con le amiche.
La demone li scrutò a lungo con quel suo inquietante sorrisetto divertito. Sembrava che stesse guardando con interesse uno spettacolo decisamente buffo, come una scimmietta allo zoo che si gratta il sedere dopo aver mangiato.
«Questo è interessante» disse la ragazza, interrompendo il silenzio teso che si era creato: Jay notò con la coda dell'occhio che Felix si era posto proprio accanto a lui, quasi come se fosse stato indeciso se proteggerlo dallo sguardo della demone o studiare le azioni della giovane donna prima di buttarsi su di lui, e fosse rimasto sospeso tra i due gesti.
Lo notò anche la demone perché scoppiò a ridere, di una risata piuttosto allegra. Jay si chiese vagamente che ci trovasse di comico in tutta quella situazione.
«Oh, che carino... un angelo pronto a difendere il suo fragile umano!» si portò una mano alla bocca, a nascondere quel sorriso spaventoso come quello di una teschio. «State insieme, quindi?»
Jay s'irrigidì e Felix contrasse la mascella, come se stesse valutando di saltarle al collo indipendentemente dal fatto che così sarebbero stati scoperti in un batter d'occhio: ma alla fine parve semplicemente calmarsi -o costringersi a farlo- perché emise un breve sospiro.
Forse gli avevano già parlato dell'esuberanza di quella guardiana?
«Sono un angelo» le disse semplicemente e Jay vide la demone riprendere immediatamente a ridere; sembrava che Felix le avesse appena raccontato una divertentissima barzelletta.
«Certo, lo avevo sentito, caro» riconobbe quindi la donna, smettendola di ridere, ma sempre mantenendo quel sorriso ironico, scostandosi una ciocca di capelli dalla faccia. «Ma diversi tuoi fratelli hanno avuto degli amanti umani... Maschi o femmine, non importa. Non ci sarebbe nulla di male, giusto?»
Ma per quale motivo tutti lì sembravano essere assolutamente convinti che stessero insieme? Come si faceva per far notare loro che era etero?
«Dimmi cosa vuoi, demone» il tono di Felix era ghiaccio allo stato puro, quello che scotta quando lo tocchi. Jay rabbrividì, ma la demone rise di nuovo e scosse il capo, dirigendosi verso la sua postazione.
Trafficò con qualcosa e poi premette un pulsante, o abbassò una leva, Jay non ebbe modo di capirlo e le porte si aprirono rivelando un passaggio luminoso: oltre il varco della porta, non si vedeva altro che una nebbia perlacea.
Infine la demone si voltò verso di loro con il suo perenne, minaccioso, sorriso compiaciuto, mentre le anime si affrettavano a varcare la soglia luminosa.
«Non voglio niente, angelo. Erano anni che non ridevo così di gusto... oh, penso che i miei colleghi non vorranno perdersi lo spettacolo di voi due che vi ostinate a negare l'ovvio» annuì con aria convinta e sollevò la mano guantata in cenno di saluto. «Ciao ciao bei fustacchioni! Buon divertimento e ricordatevi... qui all'Inferno il posto è abbastanza caliente per certe effusioni!»
Jay si voltò per urlarle contro qualcosa di poco carino, ma Felix lo afferrò per la maglietta, trascinandolo verso la porta aperta.
L'ultima cosa che Jay sentì fu la risata della demone rimbombargli nella testa, prima di essere avvolto dalla luce bianca.




Jay inciampò in qualcosa, e riaprendo gli occhi si accorse di essere sdraiato su un tappeto di foglie secchie e terra scura, mentre le anime si disperdevano intorno a lui. L'umano batté le palpebre confuso, poi la voce di Felix lo destò dalla sorpresa. «Alzati.»
E Jay eseguì, guardandosi intorno: si ritrovavano in una foresta cupa, di alberi morti o bruciati, il tutto immerso in una nebbia fuligginosa: lo sfondo del peggior film horror. Rabbrividì, voltandosi: la porta di metallo era sparita. Al suo posto, proprio lì, erta in mezzo al nulla, svettava una porta di legno bianco rovinato e sverniciato in alcuni punti. Due orme di mani insanguinate facevano bella mostra di sé sulla sua superficie, più una serie di graffi che gli fecero accapponare la pelle: sembrava quasi che qualcuno avesse tentato di aprirla facendosi largo con le unghie.
Sconcertato, la aggirò, accorgendosi di come fosse lì, ancorata al nulla più assoluto, solo un'asse di legno vecchio sospesa nell'aria.
«Ma che accidenti...?»
Un uccellò gracchiò e Jay rischiò di farsi venire un infarto. Sussultò, notando un corvo sulla sommità della porta, che zampettò un po' per farsi più vicino. Jay lo fissò, insultandolo mentalmente con i peggiori epiteti del suo repertorio.
Qualcuno fischiò e il corvo lasciò in pace Jay, volando via. In un frullio di ali atterrò sul dito pallido e affusolato di qualcuno. Il giovane si girò per riscontrarne il proprietario e agghiacciò: una figura incappucciata, in nero, che stringeva nell'altra mano un lungo bastone nodoso e contorto, sormontato da quello che aveva tutto l'aspetto di un teschio di ariete.
La figura alzò la testa al suo indirizzo, e Jay deglutì a vuoto: il volto era immerso nell'ombra del cappuccio, ma gli occhi emettevano una luce azzurra come spettrali e morti.
«Il mio nome è Danielle e sarò la vostra guida. Da questa parte» disse la figura, con voce cavernosa. In quel frangente Jay si rese conto che fosse una donna.
 Si accorse anche di un'altro dettaglio: le  restanti anime erano accompagnate da figure incappucciate, ognuna col suo bastone con un teschio diverso -fu sicuro di averne visto uno umano-, che li scortavano, camminando ai lati del gruppo. I dannati, proprio come lui, sembravano in preda al panico e si guardavano intorno freneticamente, il terrore in fondo alle pupille. Jay strinse i pugni.
Ma non gli fu di nessun conforto: il freddo era opprimente.
«Che diavolo sono?!» quasi aggredì Felix, accostandosi al suo orecchio, mentre la donna incappucciata lo pungolava con il teschio in cima al bastone, per esortarlo a camminare.
«Sono Mietitori» rispose Felix e Jay avvertì il freddo stringere le dita attorno al suo cuore, facendogli perdere un battito.
«C-cosa? Intendi... tipo quelli di The Sims 2
«Cosa?»
«Sono... sono....»
«Falciatori di anime, si occupano di scortare i dannati alle porte dell'Inferno. In generale, morendo, gli esseri umani che andranno in paradiso vengono accompagnati da un angelo. Tutti gli altri, da un Mietitore.»
«Vuoi dire che quando moriamo, o meglio, un momento prima di morire, vediamo questi... falciatori?!»
«Loro sono i servi del cavaliere Morte, i suoi "figli", potremo definirli.»
Felix continuò a camminare con lo sguardo fisso davanti a sé. Jay si chiese perché non gli rivolgesse nemmeno un'occhiata, da quando avevano litigato. «Solo Morte, però, possiede la Falce.»
Jay annuì, col cuore che rotolava nelle costole. Cercò di prendere una boccata d'aria, ma realizzò di non avere fiato. Si umettò le labbra e sospirò di nuovo, ma non riusciva davvero ad ottenere ossigeno.
Cavolo, ci mancava solo un attacco di panico!
I Mietitori, che scortavano le anime, tenevano in una mano il bastone, e nell'altra una lanterna che emetteva una strana e raccapricciante luce verde, che non faceva che espandere nel luogo già di suo terrificante, un aspetto se possibile anche peggiore. Si irraggiava nella nebbia, senza tuttavia penetrarla più di tanto. La foresta nera era immersa nel silenzio: ovunque si levava il fumo, come se ci fosse stato un incendio. Aveva tutto l'aspetto di un cimitero malandato, o peggio, di una foresta, le fiamme ormai estinte dalla pioggia, o ancora, ad un luogo che pullulava di rovine, con comignoli di fumo che ondeggiavano qua e là quasi ad aumentare la sensazione di degrado e distruzione, di perdita di speranze e di... morte.
Jay, quasi inconsciamente, si avvicinò a Felix fino a sfiorargli il braccio col gomito, guardandosi intorno come un gatto che cammina in mezzo ad un branco di cani ringhianti.
«Hai detto che i Mietitori ci scortano all'Inferno... quindi dove ci troviamo adesso?»
«Nella Selva Oscura» tuonò una voce possente e tenebrosa. Jay divenne cinereo, voltandosi: la Mietitrice dietro di lui alzò il capo tanto che alcune ciocche biondo scuro sfuggirono dal cappuccio e ricaddero sul petto fasciato dal nero della tunica larga -assomigliava a quella di Caronte, ma decisamente più consumata e sfilacciata-.
Jay cercò gli occhi di Felix. «Davvero?» esalò, con le sopracciglia inarcate «Intendi... la stessa Selva Oscura di Dante? Fonte dei peccati? Ciò significa che incontreremo le tre...» deglutì, con gli occhi che saettavano febbrili intorno «...fiere?»
L'ultima parola uscì come un sussurro appena udibile e Felix si concesse finalmente di voltarsi a guardarlo.
«No, niente di tutto questo. Però potremo incappare nei Cerberi.»
«Oh, capito... aspetta, COSA?! Hai detto Cerberi
Felix annuì semplicemente e Jay boccheggiò un po', fermandosi nel bel mezzo della camminata, troppo turbato per poter continuare.
«Mi avevi assicurato che non li avremmo incontrati!»
«Ho detto che era possibile non incontrarli, così come era possibile incontrarli.»
Jay stava per ribattere, ma il corno dell'ariete nel teschio gli stuzzicò la schiena, così si costrinse a correre per raggiungere Felix. Rimasero in silenzio per un po', mentre attraversavano il bosco immerso nella nebbia perlacea: i mietitori avanzavano lenti ma decisi, con la lunga tunica nera che strisciava a terra, tra le foglie secche, e il respiro che si levava come vapore dalle loro labbra screpolate e più morte che vive.
C'era un'atmosfera di morte che tolse a Jay perfino la voglia di fare battute: il suo senso dell'humor si era congelato come le mani.
Ad un certo punto la nebbia si diradò un poco, permettendo loro di vedere ciò che si celava al di là della quarta fila di alberi: una distesa di acqua scura, calma e piatta come l'olio, con solo delle leggerissime increspature sulla superficie.
Gli alberi morti si specchiavano su di esso, in contrasto con la nebbia bianca, e Jay si chiese quali immonde e orribili creature celassero quei flutti bui.
«Cos'è, è in questo lago che voi angeli fate il bagno?» provò a scherzare, ma la risatina che gli uscì fu piuttosto isterica.
«Noi angeli non abbiamo bisogno di "fare il bagno" come voi umani, siamo sempre puliti. Lo sporco non ci macchia, così come non lo fanno i peccati. In nessun caso.»
«Che modesto» sghignazzò Jay scuotendo divertito la testa.
Felix ignorò l'ultimo commento. «Comunque è un fiume, non un lago. Quello che vedi è infatti lo Stige: le sue acque sono purificatrici. Chiunque vi si immerga, verrà lavato da tutti i suoi peccati. Ma poche sono le anime a cui è concesso di farlo. Solo quelle che sono pronte a varcare i cancelli dorati dell'Eden.»
«Capisco» Jay si morse l'interno della guancia, riflettendo: per andare in Paradiso con Felix, sarebbero quindi dovuti tornare indietro alla selva Oscura e tuffarsi -e magari fare un paio di vasche- in quella distesa che sembrava petrolio liquido?
I dubbi gli frullavano in testa.
Ancora una volta, come tante in passato, si voltò a guardare Felix: ma l'amico non ricambiò, e Jay sentì una fitta di gelo nelle ossa, che non aveva niente a che fare con la temperatura esterna, e che gli fece ingoiare tutte le domande che aveva.
Da quando aveva iniziato il viaggio era stato solo in parte consapevole di quello che l'avrebbe aspettato: eppure, non aveva scelta. La vita di Archie era più importante di ogni possibile paura. Ma da solo, non ce l'avrebbe mai fatta... e lui non era solo. Aveva Felix.  Da subito, la presenza rassicurante di quell'angelo con la fissa per le giacche di jeans gli aveva infuso coraggio: gli aveva fatto vedere quella speranza che non era più soltanto un miraggio. Perché Fel, nonostante l'aspetto apparentemente gracile, era molto più forte di lui. Molto più potente di qualsiasi cosa Jay avesse mai visto, e in parte, quasi lo terrorizzava quell'enorme potere: con un'occhiata poteva cambiare la realtà. Con un'occhiata poteva costringere chiunque a fare ciò che voleva. Era una creatura soprannaturale, divina. Jay sapeva che al suo fianco non avrebbe dovuto aver paura di niente, perché nessuno sarebbe stato tanto stupido da rischiare di affrontarlo.
E lo stesso angelo l'aveva assicurato che l'avrebbe protetto. Ma non questa volta...
Jay sentì la paura tornare a farsi sentire, quella paura che aveva negato a se stesso per tutto quel tempo, nascondendola dietro battute e scherzi. Quella paura che aveva esorcizzato rifugiandosi nella presenza di Felix.
Eppure, odiava dipendere da qualcuno. Forse Felix non voleva proteggerlo veramente: del resto, a lui non importava niente che Jay vivesse. Non aveva veramente bisogno di lui. Avrebbe potuto trovare Dio anche da solo.
E nemmeno Jay voleva aver bisogno di lui.
 Provò a chiamarlo piano, ma notando che ancora una volta -a conferma dei suoi sospetti- l'angelo lo ignorò, Jay strinse le labbra. Poi prese una boccata d'ossigeno, serrò i pugni tanto forte da infilarsi le unghie nei palmi e, semplicemente, si distaccò dall'altro. Creò una certa distanza tra sé e l'angelo, e si affrettò a seguire le altre anime.
Non mi importa se non vuole aiutarmi... sarò in grado di proteggermi da solo. E' quello che ho sempre fatto, con Archie.
Alzò la testa, riducendo gli occhi lucidi a due fessure.
E pregò. Semplicemente pregò.
 Perché all'improvviso si chiese che cosa stesse succedendo sulla Terra.
Non sapeva perché lo facesse, non era mai stato troppo religioso. Ma ne sentiva l'esigenza... se esistevano gli angeli, i demoni e Dio, chissà se gli umani non avessero potuto ascoltare le preghiere provenienti dai regni ultraterreni.
 Fratellino, abbi fiducia in me. Ce la farò. Riuscirò a salvarti.
Ho ancora troppi insulti da rivolgerti, troppe battute e storie da raccontarti, non posso permettermi di perderti.
 Bill, abbi fiducia in me. Mi hai consolato tante volte da piccolo, mi hai detto che ero più forte di quello che credevo. Voglio provarti che avevi ragione. Conserva la mia piccola per me, nel frattempo.
 Gwen, abbi fiducia in me. So che l'hai sempre avuta, sono stato troppo cieco per vederla. Non cambiare mai. Ti ho giudicato male, e voglio che tu sappia che mi dispiace.
 Mamma, abbi fiducia in me. Tornerò indietro e mangerò il tuo tacchino. Ti dimostrerò che posso prendermi cura della famiglia, proprio come papà.
 Papà, abbi fiducia in me. Se mai ci rivedremo, voglio che tu sappia che sei stato sempre un esempio per me. Farò in modo che potrai essere fiero di tuo figlio.







To be continued ~





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Capitolo 17

«Jay, Jay, JAY!»
Il maggiore dei Denver trasalì e inciampò in qualcosa: un attimo dopo era a terra con un gemito strozzato, mentre batteva le palpebre per mettere a fuoco. Non l'avesse mai fatto.
Un teschio umano lo fissava mezzo insepolto nella terra, con le orbite nere che brulicavano di vermi biancastri. Gli esseri si contorcevano e uno cadde sulle dita di Jay che le ritrasse come scottato.
Un ringhio basso dietro di lui gli fece dimenticare per un momento perfino chi fosse [...]




~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Vorrei, per iniziare, scusarmi per il ritardo nell'aggiornare che è solo imputabile a me, Miss Watson: non vorrei che pensiate che sia un ritardo del tipo ''oh come mi annoia aggiornare'', ma ho degli impegni abbastanza gravosi e dato che ho avuto diversi problemi di salute vengo controllata mensilmente da un medico e ieri -purtroppo- avevo questa visita.
Aggiungete i compiti, le interrogazioni e il trinity e otterrete la mia vita incasinata XD Ho pensato, lo ammetto, di abbandonare il progetto perchè conscia di non poter donare il 100% ma Lady Holmens probabilmente mi avrebbe picchiata a sangue e poi sono affezionata a Timeless e a tutto ciò che questo comporta.
Quindi questo capitolo, secondo me, è uno dei migliori che abbiamo mai sfornato.
Si vede la parte... Diciamo ''peggiore'' di Felix, quella del soldato freddo e calcolatore, si vedono due delle comparse di cui vi avevamo già parlato -una è billina1000, la demone che apre la porta di metallo, e l'altra, la Mietitrice, è mizuki95- si vede la confusione di Jay che nonostante tutto il suo coraggio prova paura per quello che inevitabilmente lo aspetta.
Credo che questo sia considerabile come uno dei punti cruciali di Timeless: l'inizio del viaggio. Un viaggio che, come in tutti i romanzi, può essere di formazione come di chiusura in se stessi: tuttavia, ritengo, ogni viaggio ha il suo perchè.
Ogni viaggio lascia una traccia, sottile forse e invisibile a occhio nudo, ma è un qualcosa che ti segna, sempre.
E questo è il viaggio di Jay. Il suo viaggio attraverso i mondi ultraterreni, un viaggio che forse tocca i recessi della sua anima
Penso di aver finito. Alla prossima e lascio la parola alla mia collega
Io... ho letto solo ora quello che la mia collega ha scritto e sì... NON TI AZZARDARE AD ABBANDONARMI E ABBANDONARE JAY PERCHE' TI PRENDEREI A PUGNI!! T___T
Ora mi sento come se non facessi nulla... ma che ci posso fare se da me sono in periodo "spiegazioni" e delle uniche materie che interrogano mi hanno già sentita? °^°
Proveremo ad aggiornare stabilmente ogni 10/12 giorni circa, in caso contrario sappiate che è a causa degli impegni... e avvicinandosi gli esami penso che andrà a peggiorare! ç^ç
A questo punto mi auguro davvero che riusciremo a scrivere il più possibile ora, così avremo dei capitoli da parte per dopo.
Anyway, sì... il viaggio di Jay non è solo fisico, ma anche psicologico.
Stiamo per avventurarci nella parte più horror della storia, nonché quella in cui il nostro eroe sarà più spaventato. Felix, come ci ha fatto notare un lettore, si sta umanizzando sempre di più... tuttavia, questo non rappresenta necessariamente un bene.
Sperando che anche questo capitolo vi sia piaciuto come gli altri, e che continuerete con noi questo viaggio, ci vediamo al prossimo aggiornamento!! :)
P.s: per quanto riguarda le risposte alle recensioni. Non è nostra intenzione fare le "stronze" che se ne fregano e non rispondono. Ma non riusciamo praticamente a beccarci online e rispondere assieme. Se va tutto bene, stasera dopo cena dovremmo rispondervi, sappiate che non vi abbiamo dimenticato :')
Continuate a supportarci, siamo particolarmente stressate in questo periodo! <3
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*
 






†††

1. La porta bianca che li ha trasportati nella Selva:

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2. La Selva Oscura:

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3. Lo Stige:

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4. I Mietitori e le anime dannate:

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5. Jay entrato nella selva:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Jay nella selva:

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2. La terribile Selva Oscura:

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Capitolo 18
*** 17. ***


Timeless 17
AVVISO IMPORTANTE: quello che vi apprestate a leggere sarà l'ultimo capitolo fino a luglio. Io e la mia collega siamo davvero troppo impegnate per via degli esami e con la stesura siamo ferme a metà del capitolo 18. Dopo i dannati esami riprenderemo a scrivere e pubblicare regolarmente, quindi abbiate pazienza, non abbandonateci e non perdete le speranze ^-^ Fortunatamente questo capitolo è particolarmente lungo. Per chi volesse nel frattempo passarsi il tempo -o se non le avesse ancora lette- dia un occhiata a queste due storielle su Timeless:

1) Angeli della neve... e non solo {il Natale del '98 con i piccoli Jay e Archie}: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1480394&i=1

2) I sentimenti segreti di una radiolina texana {fornitaci dalla carissima La Sposa di Ade}: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1246964




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Nel capitolo precedente...


Usciti dal treno che li ha portati a destinazione, Jay e Fel si ritrovano in una stazione molto simile alla prima in cui erano incappati. L'angelo è inspiegabilmente nervoso, e non si cura di risparmiare a Jay urti e minacce, tra le quali quella di lasciarlo all'Inferno per sempre.  Camminando, il passaggio dei due viene sbarrato da una grata presidiata da una demone-guardiana dagli occhi rossi, che erroneamente li scambia per una coppia. Abbassando una leva, la ragazza apre un passaggio luminoso, che i due, insieme al resto delle anime dei dannati destinati all'Inferno, si affrettano a varcare, ritrovandosi catapultati in un bosco tetro e inquietante, che Felix svela essere niente di meno che la Selva Oscura. Dietro un tendaggio di alberi e cepusgli scorgono un lungo corso d'acqua scura, lo Stige, fonte di purificazione per tutte le anime destinate al paradiso, per epurarsi dei propri peccati. Smarrito e in panico per l'atmosfera nebbiosa e lugubre del luogo, Jay rivolge una preghiera alle persone amate che lo aspettano sulla terra, e a suo padre morto, perché gli infonda il coraggio necessario per salvare Archie dal suo triste destino.

Now...







Capitolo 17




Jay si chiese che ore fossero. Sembravano passati secoli da quando si erano inoltrati nella Selva Oscura e il paesaggio non si degnava di cambiare: i Mietitori non davano segni di volersi fermare -o di aver scorto le porte- e Jay, memore degli interminabili monologhi di Archie sul grande, inimitabile ed eccellentissimo poeta Dante e su quanto fosse meraviglioso, epico e intramontabile il suo capolavoro, si chiese che forma avessero le porte e se per caso reggessero una targa con su scritto: ''Perdete ogni speranza...''.
Inoltre Jay aveva come l'impressione che la Mietitrice che aveva visto all'ingresso lo stesse osservando -e sentiva i suoi occhi sulla nuca, quasi come se tentasse di penetrare la carne e studiargli l'anima- ma, pur avendo il folle desiderio di girarsi per chiederle cosa volesse, non aveva il coraggio di farlo e continuava a camminare, cauto, quasi aspettandosi di essere fulminato o chissà che altro. Inoltre, ultimo ma non per questo meno importante, Felix camminava a poca distanza da lui, ma Jay sentiva che quella vicinanza era di stampo totalmente fisico: l'angelo appariva infatti arrabbiato, ma per cosa poi?, e distratto. Freddo come quando si erano incontrati, ma non... c'era qualcosa di fottutamente diverso in quella freddezza, adesso.
Una volta, leggendogli la favola di Amore e Psiche, Susan gli aveva detto che gli uomini hanno bisogno di credere sempre in qualcosa: che sia il poter acquistare un nuovo modello di macchina, il riuscire a conquistare l'amore di una persona...
O, più semplicemente, arrivare a fine giornata. Si ha bisogno di una certezza a cui aggrapparsi per non crollare, per alzarsi ogni giorno e combattere contro una vita che, troppo spesso, si rivela come un fiume in piena.
E Jay ci stava provando, con tutto se stesso.
Stava provando ad aggrapparsi alla convinzione che sarebbe tornato a casa, che avrebbe potuto riabbracciare Archie e mangiare quel famoso tacchino che la povera Susan stava cucinando ormai da giorni: ma più ci provava, più sentiva come la sensazione fisica di scivolare. Ciò che viene comunemente chiamato ''arrampicarsi sugli specchi'' in sostanza; Archie poteva essere morto, gli angeli avrebbero potuto davvero aver raggiunto casa sua...
Cosa ne sapeva lui? Anche lui avrebbe potuto morire da un momento all'altro. Bastava incontrare un demone un po' meno divertito o semplicemente che un Mietitore decidesse di giocare con lui... e la presenza di Felix non era più sinonimo di sicurezza.
Finalmente, dopo quelli che potevano essere minuti come ore, il paesaggio iniziò a mutare: gli alberi diventavano un po' contorti e bruciacchiati, l'erba era di uno strano giallo seppia e qui e lì Jay notò delle croci nel terreno, rotte o annerite.
Gli sembrava quasi di star vedendo da vicino l'opera di un piromane.
«Bello vero?»
La voce della Mietitrice, a un centimetro dal suo orecchio, lo fece sussultare. Jay si voltò a guardarla per un breve attimo, cogliendo un sorriso malignamente divertito sul suo volto -e gli sembrò qualcosa di stridente, come delle unghie che grattano una lavagna- prima di rivolgersi nuovamente in avanti, attento a non inciampare su una qualche radice.
«Spettacoli del genere dovrebbero far piacere a un essere umano.»
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose Jay. Si sorprese di avere ancora voce per parlare, dopo tutto quel silenzio: forse se ne sorprese anche la Mietitrice perché ridacchiò appena prima di continuare, con quella voce tiepida e tranquilla che qualche ragazzina umana, e viva, avrebbe probabilmente usato per discutere del tempo.
«Questo paesaggio intorno... sai cos'è? E' il peccato che in mille e più anni è scaturito da Lucifero e da tutte le anime dannate che dopo di lui o con lui hanno calpestato quest'erba. Il peccato brucia, umano. Il peccato corrode tutto ciò che ti circonda.»
Jay tacque, sforzandosi di chiudere la voce della Mietitrice fuori dalla sua testa, ma la verità era che non era possibile non ascoltare quelle parole che sembravano essere state create apposta per penetrare l'anima.
«Voi umani scegliete sempre la via più semplice e siete tutti peccatori, nel vostro piccolo. Credimi, ho visto dannati che sotto la faccia di brave ragazze o di onesti uomini nascondevano un'anima nera come il fango da cui l'umanità è nata» il ragazzo era quasi sicuro di poter sentire il sorriso sul volto di Danielle, di poter immaginare il modo in cui gli occhi brillassero di un'eccitazione inspiegabile.
«Non è compito tuo giudicarci» ribatté semplicemente. Felix aveva notato ciò che stava succedendo? Con la coda dell'occhio Jay colse il corpo dell'angelo irrigidirsi in una posizione di difesa, benché il suo volto rimanesse impassibile.
La Mietitrice rise ancora.
«Questo è vero, umano, questo è vero...» seguì qualche momento di silenzio, in cui Jay poté quasi sentire il fremito di orrore che attraversava le anime intorno intensificarsi, allargarsi, come un'onda che si prepara a colpire le coste dove andrà a morire.
«Eppure in te c'è qualcosa di profondamente diverso, umano. Sai cos'è?»
«Un migliore senso dell'umorismo?» tentò Jay. Sentiva che quella conversazione, di minuto in minuto, cominciava a innervosirlo e non vedeva l'ora di troncarla: vuoi per il pensiero di dover -forse- affrontare Lucifero in persona -non il primo deficiente che passava di lì- vuoi per le parole della Mietitrice, Jay sapeva bene che tra poco se la sarebbe fatta sotto dalla paura.
Ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso. Aveva pur sempre una reputazione da difendere, lui.
«Oh, no... è la tua anima. E' quella ciò che colpisce ogni essere qui dentro: è quella che ha colpito anche il tuo angelo.»
Jay scoccò una veloce occhiata a Felix, vedendolo stringere le dita a pugno, le nocche quasi bianche nello sforzo, poi tornò al presente accorgendosi in tempo di una radice annerita che sbucava dal terreno. In tempo per non cadere a terra, ovvio, ma non per inciamparci. Il suo movimento improvviso fece girare qualche anima curiosa, e tra i tanti occhi, Jay si ritrovò attraversato da un paio che sembrava brillare all'interno di due orbite vuote: gli si mozzò il fiato, poi il Mietitore riprese il cammino come se niente fosse.
Il maggiore dei Denver si schiarì la voce per riassumere il controllo, mentre avvertiva vagamente la risata silenziosa di Danielle.
«Cos'ha la mia anima di tanto speciale?» le sussurrò con urgenza, quasi come se temesse che Felix potesse ascoltare.
«Sembra essere una di quelle anime appena plasmate... di quelle che non hanno ancora incontrato l'ingiustizia del mondo» la voce di Danielle era simile a quella di un'amante in una camera da letto. «C'è qualcosa in te che stona con l'Inferno. La tua mente conosce i concetti di famiglia e di onore e sebbene io possa vedere che hai qualche macchia di rabbia, non riesco a scorgere invidia nel senso stretto del termine.»
Jay abbassò lo sguardo, colpito.
Non credeva di essere così... pulito? Era quello il termine da utilizzare?, e forse le parole di Danielle erano solo frutto della noia di una Mietitrice che non aveva di meglio da fare che prendere in giro il primo umano che passasse: tuttavia, dandole un'occhiata, si rese conto che probabilmente sarebbe stata l'ultima persona -ma era davvero una persona?- che avrebbe potuto prendere in giro qualcuno.
Eppure anche Felix gli aveva detto qualcosa del genere, quella che sembrava essere una vita fa, quando erano seduti nel tavolino di quel ristorante alla stazione.
Mi ricordi la luce in cui sono nato.
Ed era vero? Aveva davvero un'anima così pura?
Jay si leccò le labbra.
«Senti, non credo che...»
«Sssh!»
Il ragazzo alzò lo sguardo, pronto a voltarsi e a chiederle infastidito perché mai dovesse star zitto, quando si accorse di essere al limite della Selva Oscura. Davanti a loro, adesso, c'era uno strettissimo sentiero in cui non sarebbero entrate più di tre persone una accanto all'altra.
I lati del sentiero erano totalmente immersi nell'oscurità: era come se un enorme riflettore fosse puntato sul cammino da seguire. Ed era Dio? Il Diavolo?
Jay non avrebbe saputo stabilirlo con certezza.
 E, in effetti, non avrebbe voluto stabilirlo con certezza.
Oltre quel sentiero, probabilmente c'erano le Porte dell'Inferno e Jay venne investito dalla consapevolezza che sì, da quel punto in poi non si sarebbe più tornati indietro: un senso di nausea e di vertigine insieme che si mescolavano alla ferrea volontà di non morire, di sperare di sopravvivere quel tanto che sarebbe bastato per riabbracciare Archie.
Oltre quel sentiero, c'era forse la Morte.
Oltre quel sentiero, c'era un futuro sempre più incerto che lo stava aspettando a braccia aperte.
Ma era un Denver, giusto? E i Denver non si lasciano mai scoraggiare, nemmeno quando c'è l'Apocalisse dietro la porta: continuano piuttosto a camminare a testa alta tra le fiamme e le urla. O almeno, questo era ciò che suo padre gli ripeteva sempre, esortandolo a essere coraggioso e a non farsi mai e poi mai sottomettere da niente e da nessuno: Jay non era affatto sicuro che Josh intendesse anche una vera Apocalisse ma poco importava, aveva bisogno di tutto il coraggio necessario.
E poi...
Poi successe qualcosa.
Jay notò un fremito nella folla che li circondava, come se avessero visto qualcosa di terribilmente impudico ma non riuscissero a staccarne lo sguardo e spostò gli occhi dal sentiero alle persone -sempre se di persone si potesse parlare- che lo circondavano.
Qualcuno urlò.
L'anima di un uomo smilzo e con gli occhi cerchiati si staccò dalla folla, iniziando a correre indietro verso gli alberi, lontano dalla strada luminosa che si diramava proprio davanti a loro: Jay sentì i Mietitori tentare di calmare la folla ma non scorse traccia di paura nei loro occhi. Danielle, accanto a lui, appariva rilassata esattamente come se nessuna anima avesse mai lasciato il sentiero prestabilito.
Si sentì un ringhio. Jay ebbe modo di ascoltare anche il rumore di catene che strisciano per terra prima che dei cani, degli enormi cani neri che sembravano non vedere una buona bistecca da un bel po', accerchiassero l'anima terrorizzata, latrando.
«Pietà!» l'uomo indietreggiò in maniera sconnessa mentre i cani avanzavano con passo terribilmente lento, in agguato, la bava tra le zanne aguzze, il pelo irto, un ruggito gutturale che faceva tremar loro la gola.
Jay si voltò verso la Mietitrice, allarmato.
«Fa' qualcosa!»
Danielle lo guardò incuriosita. Non capiva o faceva finta?
«E perché? E' scappato. Sarà punito come merita.»
«Ma...»
«Fa' silenzio, umano. E' questa la punizione, non sta a noi sindacare» replicò la Mietitrice e Jay notò che sembrava davvero infastidita: quindi, benché sentisse che fosse ingiusto e che nessuno meritasse una fine del genere, chiuse la bocca.
E gli occhi, quando vide il primo cane saltare con un ringhio sulla povera vittima.
«Pietà, pie-AAAAAH»
 E avrebbe voluto tapparsi anche le orecchie mentre avvertiva le urla dell'uomo e il guaire sordo dei cani mescolarsi al rumore di carne lacerata: nascondersi tra le braccia di Susan, come quando era un bambino.
Ma sua madre non era lì. Era da solo, con la compagnia di un angelo che si era incazzato senza un motivo particolare.
Quando tutto finì e il silenzio scese di nuovo, Jay si arrischiò ad aprire gli occhi.
Dei cani non c'era più traccia e dell'anima rimanevano solo pochi brandelli di cenere mista a sangue: un venticello si alzò, portandosi via anche quei miserabili resti.
«Che vi sia d'esempio, umani!» Danielle alzò le braccia, un sorriso folle sul volto magro. «Questa sarà la punizione di chi tenterà di fuggire al suo destino! La dannazione o l'annullarsi della vostra anima, non importa, non si torna più indietro...»
Già. Non si torna più indietro.
Deglutendo a fatica Jay lasciò saettare lo sguardo intorno, eppure quando trovò Felix si bloccò. Si voltò di nuovo, si morse l'interno della guancia e desiderò solo che tutto finisse al più presto.
«Sono quelli i Cerberi?» domandò alla Mietitrice, mantenendo il tono più stabile che riuscisse a pescare dal proprio repertorio.
«No, ragazzo. Tu neanche immagini cosa sia un Cerbero.» Danielle scosse la testa con una risatina supponente e Jay sentì che il peggio doveva ancora arrivare «In confronto ai Cerberi, questi sono dei cuccioli indifesi.»
«Oh, proprio degli adorabili animaletti da compagnia, eh?» provò a scherzare, e il sorriso della Mietitrice si allargò, si fece più tagliente.
Jay sentì che iniziava a mancargli lo sguardo confuso che assumeva Felix quando non capiva una battuta: Danielle pareva comprenderle, ma il sorriso che assumeva era una delle cose più inquietanti che Jay avesse mai visto. Aveva il sentore che non potesse fidarsi di lei... era come se si divertisse a vederlo soffrire.
Jay accantonò in un angolo della sua mente quei pensieri combattuti e seguì le altre anime e i mietitori all'interno del percorso luminoso.
Non appena superò l'ultima fila di alberi la luce, flebile ma immensa in quell'oscurità fitta, gli bagnò le dita, che si guardò meravigliato. Alzò il naso in aria, per cercare di rintracciare l'origine di quella brillantezza: sembrava di trovarsi sotto dei riflettori, eppure in alto non vi era che nebbia e quelle che potevano essere scambiate per nuvole scure. Vi era uno squarcio in esse, come una fessura di luce che illuminava il terreno sottostante.
Jay riabbassò gli occhi e prese un grande respiro, prima di continuare la marcia, attento -in maniera quasi maniacale- a mantenersi nel lato illuminato e non scivolare nemmeno con la punta delle scarpe nella zona in ombra.
La nebbia volteggiava nell'aria, tetra e umida, inondandoli a sprazzi, in modo che in alcuni momenti la strada fosse perfettamente visibile e in altri completamente celata. E quelli erano i peggiori, perché le anime delle prime file titubavano ad immergervisi, eppure i Mietitori non sembravano provare pietà, perché li minacciavano coi loro bastoni.
E dopo l'esperienza del dannato fatto a pezzi dai cani infernali, nessuno aveva davvero voglia di ribellarsi agli ordini.
Radici morte affioravano dal terreno scuro, che Jay si prese il tempo di analizzare: aveva l'aspetto di terra bruciata. Nera, crepata nei punti in cui pareva dura come la pietra, un involucro di cenere fumante. Gli alberi erano sempre meno radi, ma quella selva era piena di sussurri: le ombre li seguivano tra i rami morti e le foglie marce, e c'era qualcosa, qualcosa che li osservava; Jay ebbe per un momento, dando una fugace occhiata intorno, la certezza di aver scorto un paio di occhi rossi dietro un cespuglio al buio fuori dal percorso. Il tempo di battere le palpebre che quelli erano spariti nell'oscurità, dietro una nuova ondata di nebbia. Quando si era diradata, non vi era più traccia di essi.
Era come se qualche mostro fosse nascosto tra i rami anneriti, e non aspettasse altro che azzannarlo.
«Jay» sussurrò qualcuno e il giovane alzò la testa di scatto: nessuna anima gli stava prestando attenzione.
Aveva forse sognato?
«Jay» di nuovo il sussurro, seguito da una sorta di eco. Jay si girò a guardare Felix, ma lo vide perfettamente calmo, camminare con lo sguardo puntato dritto di fronte a sé. Non sembrava essersi accorto di niente.
«Jay, Jay, JAY!»
Il maggiore dei Denver trasalì e inciampò in qualcosa: un attimo dopo era a terra con un gemito strozzato, mentre batteva le palpebre per mettere a fuoco. Non l'avesse mai fatto.
Un teschio umano lo fissava mezzo insepolto nella terra, con le orbite nere che brulicavano di vermi biancastri. Gli esseri si contorcevano e uno cadde sulle dita di Jay che le ritrasse come scottato.
Un ringhio basso dietro di lui gli fece dimenticare per un momento perfino chi fosse: si mise in piedi in un attimo, affrettandosi a raggiungere il gruppo, cercando di sospirare via la paura, ma la verità era che tutta la sua pelle al momento stava tremando, e aveva un'insopportabile voglia di urlare con quanto fiato gli restava.
«Prova a distrarti di nuovo, bellezza, e diventerai cibo per cani» gli ricordò sadicamente Danielle, accennando col mento al grosso cane infernale, che adesso si era leccato le gengive nerastre e si era deciso a seguire qualche altra preda.
Jay avrebbe voluto ribattere con qualche battuta ad effetto, o anche con qualsiasi altra cosa, ma la sua gola era bloccata.
«Jay.»
Spalancò gli occhi, col cuore che aumentava i battiti. La foresta gli stava parlando... ne era sicuro. Aveva un'anima, quella dannata Selva Oscura, che forse stava cercando di distruggerlo. O forse aveva realizzato, in qualche maniera ancestrale, che possedeva un corpo e che giocava ancora nella squadra dei vivi.
«Jay?»
Strinse i pugni. Doveva solo ignorarla. Era solo frutto della sua immaginazione, non c'era niente di reale, niente.
«Jay!»
Forse stava impazzendo.
Ho bisogno di una lattina di birra. Dieci lattine di birra.
Qualcosa gli toccò la spalla e Jay tornò bruscamente al presente, come morso da uno spillo. Si voltò senza fiato e quasi inciampò di nuovo quando ritrovò il volto di Felix a distanza ravvicinata.
«Fel...?» sibilò, passando in un attimo da allarmato ad arrabbiato «Dannazione, eri tu?! Mi hai fatto prendere un colpo!»
Felix non disse che gli dispiaceva. Jay era convinto che non l'avrebbe detto mai più.
«Ti comporti in maniera strana.»
«Oh, io?! Davvero?» Jay non riuscì a contenere la risatina priva di allegria «Senti chi parla! Ti incazzi senza motivo, mi ignori bellamente per tutto il tempo e poi mi chiami da almeno un minuto? E sarei io quello strano...?»
«Ti ho chiamato solo tre volte» protestò Felix, corrugando le sopracciglia.
«Cos'è, non sai nemmeno contare adesso? Saranno state almeno cinque! Anzi di più, guarda!»
«Non ero io.»
«E poi sono in una fottuta Selva Oscura, come diavolo vuoi che mi compor-... aspetta, cosa?»
Felix adesso sembrava vagamente turbato. Guardò qualcosa oltre la sua spalla, poi occhieggiò Danielle e uno dei cani ringhianti che la affiancavano. Infine, quando tornò con gli occhi su di lui, essi erano particolarmente blu e profondi e Jay si sentì inchiodato sul posto.
«Non ascoltare le voci, Jay, non ascoltarle. Siamo in un luogo maledetto, segui la luce... segui me.»
E Jay, davvero, non riuscì a far altro che annuire: si sentiva tanto come un bambino impaurito appeso alle sottane della mamma.
«Quelli non sono Cerberi, sono solo cani infernali. I Cerberi hanno tre teste, non una» chiarì poi l'angelo, quasi leggendo i suoi dubbi «e non credevo che li avremmo incontrati. L'ultima volta che sono stato qui non c'erano.»
«Ah» e ancora una volta, il giovane avvertì le parole incastrarsi tra i denti.
Tre teste... porca miseria!
«Comunque, non è per questo che ti ho chiamato. Dobbiamo parlare, è importante.»
«Ah sì? Credevo che non volessi più farlo, che avessi deciso di continuare lo sciopero della parola» borbottò Jay incapace di guardarlo oltre.
Sentì gli occhi di Felix su di sé, ma non si voltò per incontrarli, o per provare a leggervi qualche emozione. Aveva sbagliato in passato a farlo e poi... non voleva una nuova delusione, scoprendoli freddi e insensibili.
«Devi ascoltarmi.»
«Lo sto facendo!» replicò Jay sulla difensiva, per poi sospirare, notando che aveva parlato a voce troppo alta e che alcune anime terrorizzate lo stavano squadrando come se fosse un pazzo uscito da un manicomio.
«Mi dispiace» soffiò, guardando l'angelo. E in un certo senso, non si stava nemmeno riferendo all'ascoltare. Gli dispiaceva, forse, di aver dubitato di Felix, anche se per poco. Ma non voleva illudersi che fosse tornato tutto come prima solo perché Felix aveva ripreso a parlargli. Il pennuto era più freddo e laconico del solito, e non era un buon segno.
«Stiamo per addentrarci all'Inferno, Jay. Sono quasi certo che i miei fratelli ancora non sappiano cosa io abbia in mente di fare, né dove possa trovarmi. Probabilmente ritengono che mi stia ancora nascondendo sulla Terra, da qualche parte, tentando di bloccare l'apertura dell'ultimo sigillo.»
Jay annuì, partecipe, cercando di cogliere il filo del discorso.
«Ma all'Inferno potrebbero essere appostati, di guardia, alcuni angeli che mi conoscono. E' assolutamente fondamentale che nessuno di loro scopra chi sono realmente, o potrebbero avvertire gli Arcangeli e per noi sarebbe la fine.»
«Nel senso che ce li troveremmo alle calcagna?» si preoccupò Jay, sudando freddo alla prospettiva.
«Sarebbero capaci di smuovere l'intero Inferno pur di trovarci. Se ciò accadesse noi verremmo uccisi. O nel caso più grave, io potrei venire bandito dall'Eden, e tu ucciso lo stesso. Comunque il mondo verrebbe distrutto e tuo fratello morirebbe.»
Jay deglutì. Era forse una frecciatina?
«Vai al punto, Fel.»
«Il punto» riprese Felix, e Jay si stupì che avesse usato la sua stessa parola «è che è di vitale importanza che tu ti comporti come un dannato. Sei solo un'anima che io sto portando da Lucifero, tutto qui. Se dovessero scoprirci e chiederci qualcosa, questa sarà la nostra copertura. E sicuramente eviterò di mostrare la mia vera forma angelica.»
Jay adesso si era fatto più attento. «Un momento... vera forma? E questa allora che diamine è?!»
«Noi angeli siamo nati nella luce di Dio, quindi la nostra vera forma è molto più luminosa di questa che vedi adesso, che sarebbe solo la sua versione materiale.»
Jay corrugò la fronte, riflettendo: forse era per questo, dunque, che gli occhi di Felix assumevano delle soprannaturali sfumature viola quando utilizzava il suo mojo angelico? Era come se una luce si accendesse dietro l'iride, donandole quel colore particolare... era come se Felix si accendesse dall'interno, alla stregua di un'abat-jour.
«E scommetto che magari è perfino più luminosa del sole, e per questo noi umani non possiamo vederla, giusto?»
«Agli angeli non è permesso mostrare la propria vera forma sulla Terra, di fronte agli umani; non potete vederla perché a noi è vietato farvela vedere, tutto qui. E' uno dei primi comandamenti.»
«Non credo di ricordarlo...»
Non era religioso, ma almeno i dieci comandamenti li conosceva! La maestra Smith, alle elementari, con quell'odiosissimo accento francese e il neo sopra le spesse labbra ripassate col rossetto, l'aveva interrogato un paio di volte a riguardo, quindi era piuttosto difficile -se non impossibile- dimenticarlo.
«Quelli conosciuti come dieci comandamenti valgono solo per gli umani. Gli angeli ne hanno altri.»
«Davvero?» Jay spalancò la bocca, promettendosi di raccontarlo ad Archie quando sarebbe tornato «Esistono anche i dieci comandamenti angelici?»
«I primi due corrispondo a quelli di voi umani.»
«E gli altri quali sono? Ricordati di santificare le Apocalissi?» iniziò a snocciolare Jay sulla punta delle dita «Onora tuo padre e... e basta, c'è solo tuo padre. Non uccidere... gli altri angeli; ma i demoni e gli umani sì, se ti annoi. Non commettere atti impuri, come mangiare hamburger o capire le battute. Non rubare, tranne il tempo e la pazienza di Jay Denver. Non dire falsa testimonianza, tanto non ne saresti capace perché gli angeli non sanno mentire. Non desiderare le ali d'altri?» rise sciogliendo un po' la tensione che l'aveva accalappiato prima «Ehi, a proposito... non mi hai mai parlato di ali. Le avete?»
«Sì, ma dubito che tu avrai mai il permesso di vederle. In ogni caso, sia gli angeli che i demoni riescono a percepire l'aura di un angelo anche se non si trova nella sua forma originaria. Per inciso, non domandarmi come sia, perché non riceverai risposta. Certi segreti dovranno rimanere tali e tu sei solo un umano.»
«Sì, questo me l'hai ripetuto tantissime volte, grazie tante. I tuoi complimenti sono sempre molto apprezzati» Jay fece una smorfia, che però si trasformò in un sorriso storto quando realizzò che tra lui e Fel sembrava essere tornato tutto normale.
«Dobbiamo essere più discreti possibile» insistette Felix, cercando i suoi occhi «Hai capito?»
«Sì, sì, non sono mica scemo!»
«Su questo ho i miei dubbi.»
«Oh! Cos'era quello, Fel, senso dell'umorismo? Dovresti fare pratica, amico.»
«Io non sono tuo amico.»
E quello fu come un fulmine a ciel sereno. Il sorriso di Jay si smorzò, specialmente rendendosi conto che no, adesso Fel non stava scherzando, e più che indifferenza c'era proprio rabbia nella sua voce. E... disprezzo?
Jay sentì qualcosa infrangersi dentro di lui.
«Continui ad interrompermi, e non capisci che ciò che devo dirti è importante» Fel aveva decisamente perso la pazienza, ma non stava sbraitando... era controllato, come sempre «Jay, noi dobbiamo entrare all'Inferno e ingannare i guardiani fingendo che io ti stia portando da Lucifero. Una volta dentro, troviamo ciò che stiamo cercando e andiamocene.»
Jay cercò di deglutire l'amaro delle ferite che le parole di Felix avevano aperto, e abbozzò un sorrisetto. Tuttavia fu invano, perché i muscoli della bocca non sembravano voler collaborare.
«E cos'è che stiamo cercando, Dio?»
«Sì, ma per trovare Dio, dobbiamo trovare prima qualcos'altro.»
«Che sarebbe...?»
«Un oggetto.»
Jay alzò un sopracciglio, attendendo che continuasse. Ma Felix non era famoso per la sua lungimiranza.
L'umano si schiarì la gola per attirare la sua attenzione.
«Che sarebbe...?» chiese ancora.
Felix lo guardò un attimo, come per analizzarlo, poi si voltò di nuovo e Jay vide la sua mascella contrarsi. Quasi come se... come se non volesse rispondergli. Come se stesse analizzando i pro e i contro.
Lo vide tramontare gli occhi al cielo e poi accostarglisi, e parlare a voce bassa per non farsi sentire dai Mietitori e le altre anime.
«E' una chiave.»
«Una chiave?!» quasi urlò Jay sorpreso, e Felix lo bruciò con uno sguardo di fuoco. Jay arrossì, in imbarazzo. «Umh volevo dire...» trasformò la voce in un sussurro «Una chiave?»
«Sì.»
«E ci aiuterà a trovare Dio? Come?»
«Non lo so.»
Jay si umettò le labbra, con la bocca dischiusa e la fronte accigliata, poi scrollò le spalle. «Va bene, almeno sai dove si trova?»
«All'Inferno.»
«Ah-ah, grazie, genio, fino a qui ci ero arrivato anche io. Però... l'Inferno sarà vastissimo, no?»
«Lo sguardo si perde all'orizzonte senza rintracciarne confini.»
«Sì... era quello che intendevo» si grattò un sopracciglio «Quindi, da che parte?»
«Non lo so.»
Jay raddrizzò la schiena, sicuro di averci sentito male. «Scusa?»
«Non lo so, per questo dovremo cercarla.»
Jay annuì distrattamente, la fronte ancora corrugata. «Capisco... e che forma ha?»
«La chiave?»
«No, Dio» ribatté Jay con sufficienza «Certo, la chiave, idiota!»
 Felix strinse gli occhi a due fessure e Jay deglutì a disagio «Cioè, non idiota, insomma.... scherzavo.»
«Non so che forma abbia la chiave.»
Passò qualche attimo, mentre entrambi camminavano in silenzio, seguendo l'ordinata fila di anime circondate da mietitori. Dei cani neri non vi era più traccia.... e gli alberi erano praticamente terminati.
La nebbia continuava a vorticare tra quelle che sembravano vecchie pietre tombali crepate e ricoperte di ragnatele, che emergevano di tanto in tanto dal terreno nero, come ricoperto da una sabbia finissima. Più avanti, la nebbia era così fitta che non si vedeva nulla se non macchie lattiginose.
Ovunque permeava nell'aria un tanfo di putrefazione, decomposizione e morte e Jay avrebbe volentieri rimesso l'hamburger di qualche ora -o giorno, o quello che fosse- prima, che al momento si stava rivoltando nel suo stomaco.
Tuttavia adesso un altro dilemma lo assillava...
«Quindi, fammi capire bene, noi stiamo cercando una chiave che non sai dove si trova, come sia fatta e a che cosa serva?»
«Sì.»
Jay scosse la testa, con una risatina sarcastica. «Fantastico.»
Poi, tutt'a un tratto, una folata di vento particolarmente intensa spazzò via la nebbia.
E ciò che si dipanò davanti ai loro occhi bloccò Jay sul posto, col fiato trattenuto tra i denti.
Un percorso lastricato in pietra si apriva di fronte a loro, e scendeva, affiancato su entrambi i lati da una fila di statue scure appese a delle lapidi color marmo invecchiato, fino ad un'enorme costruzione: due grandi ante ricoperte da quelle che sembravano spade incrociate erano serrate al termine del percorso, e da esse filtrava un'intensa luce giallognola, come se si stesse consumando un incendio dall'altra parte.
Le porte -che Jay immaginò dovessero essere quelle dell'Inferno... Dio, solo pensare a quella parola, così come a "Satana", gli dava i brividi- erano spalleggiate da due pareti rocciose, che sembravano ricoperte di... ossa? Jay represse un conato, riconoscendo alcuni scheletri umani e altri, decisamente troppo grandi per essere qualsiasi cosa Jay avesse mai visto in vita sua. C'era una gabbia toracica, infatti, che era larga almeno dieci volte una Balena.
Sopra la porta, una mostruosa bocca spalancata di quello che aveva tutta l'aria di uno dei demoni rappresentati nelle chiese: gli occhi erano gialli, probabilmente di qualche pietra preziosa -o forse d'oro- brillavano di luce propria, come se al loro interno ci fosse un lume acceso.
E Jay aveva l'impressione che quegli occhi stessero guardando proprio lui; che lo stessero seguendo, per intimidirlo.
 La bocca era ricoperta da una chiostra di denti appuntiti come quelli di un vampiro, dai quali colava un liquido rosso che Jay si augurò non fosse sangue. Ma la verità era che non poteva essere nient'altro; del resto si trovava all'Inferno, non in un filmucolo di quart'ordine.
Dagli zigomi della faccia demoniaca sopra la porta -che era grande quanto metà della porta stessa, più o meno- emergevano quattro lunghe protuberanze di pietra appuntita, che dovevano essere necessariamente delle corna o qualcosa del genere, Jay non aveva tutta questa voglia di scoprirlo.
Dietro le porte, vi era appena un piccolo spazio aperto nella parete rocciosa; attraverso quello spiraglio, si spandeva una luce arancione intensa e tremolante e Jay non ebbe dubbi: se l'Inferno era come l'aveva descritto Dante, il fuoco doveva essere l'elemento dominante.
«Jay!» lo richiamò Felix, strappandolo dalla sua contemplazione, e non fu nemmeno la prima volta, perché l'angelo appariva piuttosto contrariato. Ma il giovane umano non riuscì nemmeno a girarsi per rispondere all'occhiata, o a muoversi: gli tremavano le ginocchia, le gambe erano intorpidite, e aveva perfino dimenticato come si facesse a respirare.
Voleva darsi un pizzicotto e risvegliarsi nel suo letto, sotto le note di "The Power of Love". Ma questo avrebbe significato il ritorno ad un altro un incubo, un incubo ben peggiore dell'Inferno: un incubo dove suo fratello era morto, per sempre.
Jay ricominciò a respirare, stringendo i pugni per darsi forza. Se aveva affrontato la morte di Archie, poteva affrontare anche questo.






To be continued ~





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Capitolo 18

Nell'immaginario collettivo, solitamente, la porta dell'Inferno è l'entrata di una grotta a cui si accede dopo aver attraversato un bosco molto fitto. Oppure -per le menti più semplici- essa è una semplice porta con sopra una targa.
Generalmente si può dire che l'immagine della porta dell'Inferno, come tutte le altre cose, cambi a seconda della mente che si figura di avercela davanti.





~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Hola chicos! (e chicas, non vogliamo fare discriminazioni di sorta) Non ve lo aspettavate, vero? Lo so, lo so, avevamo detto che non sapevamo quando avremmo aggiornato ma ora il computer di Lady Holmes è stato aggiustato e il mondo ci sorride.
O forse no.
Comunque mi duole dirvi che non aggiorneremo prima di luglio. Perchè gli esami sono vicini, ci sono i test universitari e la vostra Miss Watson sta andando in crisi nervose giusto perchè, da brava secchiona, crede che gli esami possano essere pessimi. E lunedì m'interroga di latino, la stronza.
Ma non è questo il punto, giusto? Il punto è che ci avvicinamo alle porte dell'Inferno!
Eccitati? Noi si, moltissimo! Non vediamo l'ora di mettere in scena tutto ciò di cui abbiamo sempre discusso e poi buh, ci emoziona sapere di avere tanto seguito.
Grazie della pazienza che ci dimostrate ogni giorno, grazie di seguire Timeless.. Noi vi adoriamo, sappiatelo!!! <3
Ma ora passo il microfono a Lady Holmes che probabilmente potrà intrattenervi meglio di quanto io stessa possa fare. Ora scappo a studiare che è meglio LOL
mizzica, ho solo due ore... cavolocavolocavolo
ci sentiamo dopo, eh? ciau ^^
Salveee amatissimi lettori!! *-*
Credo che la mia collega abbia detto tutto quello che c'era da dire. Posso aggiungere che anche io non vedo l'ora di entrare all'Inferno, dove incontreremo tanti personaggi interessanti e il nostro gruppetto si allargherà un po'!! :P
Sperando che le spiegazioni di Felix siano sempre chiarissime, vi anticipo che comunque non dureranno in eterno, nei prossimi capitoli vedremo più azione! :D
Piuttosto, facciamo un punto di ciò che abbiamo scoperto oggi -e che saranno punti interessanti in futuro.
1) I cani infernali e i Cerberi NON sono la stessa cosa
Credetemi, quando incontrerete un Cerbero lo capirete :P Se i cani infernali di per sé sono terrificanti, immaginate i Cerberi. Povero il nostro Jay <3
2) Lo strumento per trovare Dio è una chiave
Non sappiamo nè com'è, nè a che serve e nè dove si trova di preciso. E' da qualche parte dell'Inferno, potrebbe essere ovunque. Aprirà una porta? Chi lo sa. Leggete e saprete :P
3) La forma attuale di Felix è solo la versione materiale di quella autentica
Jay la vedrà mai? Toccherà mai le ali del suo nuovo amico? Eeeeh chi lo sa u.ù
4) La selva Oscura è un luogo maledetto e Felix è una creatura pura
Inutile dire che un luogo maledetto e peccaminoso non è esattamente dove dovrebbe trovarsi una creatura purissima come un angelo. Parte del comportamento strano di Felix potrebbe essere influenzato anche da questo. Potrebbe.
5) Le voci che sente Jay non sono allucinazioni
Il nostro eroe è lontano dall'essere pazzo -per ora- xD Le voci che sente -prima che Felix lo chiami- sono quelle dei morti. O di mostri. O dello spirito del mondo (?) Beh vi lasciamo nel dubbio! :P La Selva Oscura pullula di cadaveri, e ci troviamo nel regno dei morti, quindi that's all. La frase di Felix "segui la luce" non fa riferimento solo al sentiero illuminato. E' anche una metafora. La luce rappresenta Dio, la salvezza. L'oscurità il peccato e la morte. Quando Fel aggiunge "segui... me", è parecchio suggestivo anche qui perché Felix è un angelo (=purezza) quindi sta cercando di, umh, "conservare" Jay lontano da quel terribile luogo, per non macchiare la sua anima.
6) L'anima di Jay è particolarmente... pulita
Non è meno peccatore degli altri. E' prorio il suo credere di non meritarsi la salvezza che lo rende più puro di molti altri.

Tenete a mente questi punti, saranno fondamentali più avanti :P
Detto questo non so che altro aggiungere, vi saluto quindi!! :D LOVE YOU, GUYS <3

E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*


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†††

1. Il sentiero illuminato:

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2. Uno dei cani infernali:

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3. La porta dell'Inferno:

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4. Jay:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Jay nella selva Oscura:

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Capitolo 19
*** 18. ***


Timeless 18 E' passato un bel po' di tempo dall'ultimo capitolo, ne siamo consapevoli... ma tra esami di maturità e stress vari, è un miracolo anzi che siamo riuscite a scrivere due capitoli ^^ Comunque, anche se si stanno avvicinando i test dell'Università, vi promettiamo che non mancheremo ai nostri aggiornamenti regolari. Anche perché ormai siamo arrivati alla parte più intrigante! :P E oggi, incontrerete due personaggi... particolari. Buona lettura ;)

∞ DEDICHIAMO QUESTO CAPITOLO A CORY MONTEITH, CHE PROBABILMENTE AVRA' INGRANDITO LE SCHIERE ANGELICHE A CASA DI FEL ç-ç


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Ci mancherai, Cory 



Nel capitolo precedente...


La Selva Oscura è un luogo cupo, inquietante e maledetto. Jay e Felix sono costretti ad attraversarla, insieme al gruppo di dannati guidati dai Mietitori, per raggiungere le porte dell'Inferno. La foresta è abitata da cani infernali, che divorano i dannati che tentano di fuggire dal cammino prestabilito, riducendoli a brandelli di cenere insanguinata. Danielle confida a Jay che la sua anima ha qualcosa di particolarmente luminoso e puro che ha convinto Felix a fidarsi di lui: Jay sente tuttavia che c'è qualcos'altro sotto. La Selva è anche dominata da voci, che Jay stesso riesce a sentire, come se lo chiamassero. Ma esse sono le voci dei morti, e Felix vieta al ragazzo di ascoltarle. Più avanti scoprono che le anime all'Inferno hanno una forma materiale, sebbene non abbiano un cuore che batte, e per questo possono provare dolore e sofferenza. Felix spiega altresì a Jay il motivo per cui hanno intrapreso questo viaggio: recuperare una chiave in grado di trovare Dio. Questa chiave, secondo le scarne notizie in possesso dell'angelo, è nascosta da qualche parte all'Inferno, ma nessuno l'ha mai vista e sa che forma abbia. L'obiettivo di Jay e Felix è trovarla senza farsi riconoscere, e fuggire immediatamente dopo. Riusciranno nella loro impresa?

Now...







Capitolo 18




Quando si furono avvicinati, e finalmente la sabbia lasciò il posto al percorso lastricato, il rumore dei loro passi echeggiò nel silenzio, donando al luogo un'aria ancora più inquietante.
I Mietitori erano gli unici che sembravano non produrre alcun rumore: scivolavano leggeri sulla pietra, i piedi -o chi per loro- completamente coperti dallo strascico della lacera casacca, i volti nascosti dai cappucci, come dei cadaveri usciti dalle tombe.
E Felix, ovvio. Ma Felix era un angelo, e Jay non si stupiva più di vederlo camminare leggiadro come se galleggiasse nell'aria.
Dietro il leggero velo di nebbia, le statue nere sembravano scrutarli, sebbene i dettagli non fossero ancora nitidi abbastanza per analizzarli meglio.
«Belli, vero?»
Jay sobbalzò, non aspettandosi quella voce sibilante all'altezza dell'orecchio.
Danielle, pensò deglutendo.
Poteva quasi vederla sorridere, dietro il suo collo, mentre si discostava da lui per riprendere il cammino e lo puntellava di tanto in tanto con il teschio in cima al bastone, forse per esortarlo a camminare o forse -anzi, sicuramente- perché si divertiva un mondo a spaventarlo.
«Avete un ottimo scultore qui ai piani bassi, eh?» tentò di scherzare Jay, regolarizzando il respiro.
«Credi che siano delle statue?»
Danielle rise, una risata che da silenziosa si fece sempre più rumorosa, costringendola perfino a tirare indietro la testa.
Eppure, il cappuccio non sfuggì.
La Mietitrice non disse nient'altro: continuò a camminare dietro di loro, più dietro del solito, sempre ridendo.
Che cazzo c'è di divertente? Si irritò Jay, stringendo i pugni, creando tra sé e Danielle più distanza possibile.
Solo in quell'istante si ricordò di Felix, quando l'angelo gli afferrò il polso.
«Non agitarti, non devono scoprirci.»
«Perché, se mi agito ci scoprono?» lo aggredì. Si impose di calmarsi, ma quella Mietitrice gli aveva messo addosso una strana ansia.
«Quelle non sono statue, Jay» disse invece Felix, lo sguardo più cupo del solito puntato sulle figure scure «Sono i primi peccatori dell'Inferno, legati a delle tombe e posti all'ingresso delle porte per intimidire i dannati.»
«Come i teschi disseminati un po' ovunque?»
«No, quelli sono i resti dei dannati che hanno tentato di fuggire nel corso dei millenni, e che sono stati sbranati per questo motivo dai cani infernali.»
Quasi come se avesse evocato le ossa, parlandone, Jay rischiò di incespicare in un femore.
«Quindi quelle anime sulle tombe hanno tipo... diecimila anni o giù di lì?»
«Il tempo qui non conta, ma tecnicamente, sì.»
Jay però non capiva.
«Ma scusa... se quelle sono anime, com'è possibile che di loro sono rimaste solo le... ossa?»
E Jay fu sicuro di aver visto le labbra di Felix fremere in quello che era un... sorriso? O forse era solo compatimento. Eppure...
Felix gli gettò un'occhiata vagamente... divertita?
Sto sognando?
«Come credi che siano fatto le anime, Jay?»
«Umh, tipo fantasmi?» si arrischiò, levando un sopracciglio quasi in gesto di scuse.
Aveva sempre immaginato le anime con l'aspetto simile a quello di Casper, che vagavano sulla terra galleggiando nell'aria per spaventare i vivi.
Felix adesso stava... ridendo.
 Jay fissò incredulo, con occhi spalancati e bocca dischiusa, il modo in cui l'angelo stava mostrando i denti, scuotendo la testa come se quella fosse la battuta più divertente del secolo.
E non era nemmeno una battuta!
Sì, sto sicuramente sognando.
«Oh, no, le anime sono incorporee, come i... fantasmi... solo sulla Terra, perché non vi appartengono. Non più. Appartengono all'aldilà, dopo la morte, e solo in esso possono mantenere la loro vera forma, che è materiale.»
«Ma allora che differenza c'è tra un'anima ed un corpo vivo?» pretese di sapere Jay, sempre più sconcertato «Che differenza c'è tra me» e si indicò «e loro?» e indirizzò l'indice verso le anime dei dannati.
«Il tuo cuore batte, il loro no.»
Il maggiore dei Denver si concesse qualche attimo per assimilare la notizia, battendo le palpebre mentre Felix lo superava.
Poi lo raggiunse in pochi balzi, con la fronte corrugata ed una risatina che premeva per uscire.
«Perciò sono come degli zombie biancastri, eh?»
E non resistette. Al diavolo l'inferno. Al diavolo le statue/cadaveri. Al diavolo le altre anime che lo scrutavano torve, probabilmente chiedendosi come si potesse ridere in una situazione del genere. Al diavolo il diavolo stesso, Jay rise apertamente, soprattutto quando Felix lo corresse, con tutta l'ingenuità che lo caratterizzava.
«Non proprio, perché non si decompongono.»
A quel punto Jay aveva le lacrime e Felix impallidì, quasi come se si stesse preoccupando per lui. Jay si aggrappò al suo braccio per riprendere fiato e gli diede un giocoso pugno sulla spalla.
«Non preoccuparti per me, sono lacrime di gioia, queste.»
«Non ero preoccupato» si difese Felix, tornando una statua di marmo.
Jay avrebbe volentieri riso ancora, ma poi un movimento improvviso costrinse le anime a fermarsi e lui con loro. Non si era reso conto di quanto si fossero avvicinati fin quando non si ritrovò a dover alzare gli occhi per seguire il profilo delle immense porte scure.
Il mietitore alla testa del gruppo si era fermato ad un passo dalla prima fila di tombe con appese le anime dei dannati, ormai immobili come statue nere.
Ve ne erano cinque per lato, e poi... le porte.
Jay deglutì e lasciò il braccio di Felix.
Anche se erano una delle immagini più inquietanti su cui avesse mai posato lo sguardo in tutta la sua vita, Jay si rese ben presto conto di non riuscire a smettere di fissarle; quelle grandi porte massicce, la testa del demone, quel filo di sangue...
 Era l'immagine stessa del terrore e della morte. Era l'inquietante rappresentazione del peccato.
Era tutto ciò che il mondo aborriva. E, nello stesso tempo, ciò di cui era fatto.
Jay si riscosse dai suoi pensieri quando, con un fruscio del mantello nero che indossava, Danielle gli passò accanto; la osservò perplesso mentre oltrepassava le anime e i Mietitori, il passo sicuro e un sorriso appena accennato sulle labbra sottili e pallide.
«Che vuole fare?» chiese rivolto a Felix il quale si portò un dito sulle labbra, invitandolo a tacere.
 La Mietitrice si era portata proprio al centro della piccola folla, alzando le braccia lunghe e magre: Jay pensò che sarebbe stata anche affascinante se non fosse stato per quello sguardo spento, privo di vita.
Uno sguardo che era del tutto diverso da quello di Felix. E in effetti... gli occhi erano l'unica parte espressiva del suo amico piumato.
«Anime peccatrici!» la voce di Danielle lo riscosse dai suoi pensieri, facendogli nascere un brivido che lo scosse dal profondo. Era esattamente così che, da bambino, si era immaginato la voce di Dio nel momento in cui avrebbe richiamato a sé le anime il giorno del Giudizio, quando il prete leggeva la Bibbia nelle ore del catechismo.
«Voi che avete ignorato la voce della vostra coscienza! Voi che nella vostra esistenza siete vissuti nel peccato e che nel peccato siete morti, ascoltate le mie parole!»
Il silenzio regnava sovrano sulla folla; inconsciamente Jay trattenne il respiro, come se pensasse che avrebbe potuto essere un rumore molesto capace di spezzare l'atmosfera che si era creata.
Il ghigno sulla faccia di Danielle crebbe, diventando ancora più minaccioso.
«Questo è la fine del vostro cammino terreno e l'inizio di quello eterno! Qui voi pagherete i vostri errori, i vostri peccati, qui le vostre anime bruceranno in quei vizi che in vita avete così fedelmente seguito, dimenticandovi dell'esistenza di un mondo ultraterreno, voi poveri sciocchi legati al vostro mondo e incapaci, nel vostro egoismo, di guardare oltre!»
Le porte alle sue spalle si aprirono, facendo urlare la folla di anime: anche Jay avrebbe voluto urlare, scappare senza guardarsi indietro. Non poteva, non ci sarebbe stato modo per farlo: la vita di suo fratello dipendeva anche da quello, così come anche la vita di sua madre, quella di Bill, quella di Gwen... le persone che aveva conosciuto, i luoghi che più aveva amato: tutto era nelle sue mani e nella sua capacità di andare avanti, con coraggio, anche di fronte a Lucifero stesso.
Danielle ghignò al terrore sui volti che la circondavano e fece un passo per spostarsi di lato. Subito gli altri Mietitori presero a spingere le anime che accompagnavano verso le porte, verso quella luce accecante che altro non era se non il risultato del riverbero delle fiamme sui muri.
«Andiamo» quello di Felix fu un sussurro, ma nella testa di Jay risuonò come un urlo: il ragazzo, tuttavia, annuì e seguì l'angelo verso la luce.
Fu un attimo. Il suo sguardo incrociò quello della Mietitrice e Jay venne attraversato da un brivido freddo nell'improvvisa, spontanea, consapevolezza che Danielle sapesse; mentre le passava accanto, e non seppe mai se se lo fosse semplicemente sognato o se fosse vero, ma la sentì sussurrare qualcosa che lo gelò sul posto.
«Buona fortuna umano... e speriamo che il peso della carne non ti ostacoli troppo.»
Si girò a guardarla per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma Felix lo aveva afferrato per la manica e trascinato dentro.
Il ghigno maligno sulla faccia di Danielle risplendette nella sua mente come avrebbe fatto il sorriso stesso del diavolo.
E non l'aveva nemmeno ancora visto, il diavolo!
Jay batté le palpebre per la forte luce, un attimo dopo l'oscurità fu così intensa che gli bruciarono gli occhi.
Per un attimo gli parve di cadere, e così si aggrappò al braccio di Felix, tanto per assicurarsi che fosse ancora lì accanto a lui.
Il cuore accelerò i battiti. Fece guizzare lo sguardo da un punto all'altro ma non vedeva che buio. Un'immensa, infinita, totale macchia nera senza contorni.
L'attimo successivo credette di essere morto.
Quello dopo ancora gli assicurò di non essere solo, poiché le anime da qualche parte accanto a lui lanciarono urla strozzate o gemiti spaventati.
Qualcuno invocò pietà.
Qualcun altro, con la voce chiara di un bambino in lacrime, chiamò la mamma.
Cosa ci faceva un bambino là sotto? I bambini non erano creature innocenti? E com'è che Jay non l'aveva notato prima?
Il giovane Denver era privato della vista, ma gli altri sensi funzionavano benissimo. Vi era ovunque un tanfo insopportabile, umido e denso come di carne in putrefazione, e uno strano freddo che si attaccava alla pelle.
Allungò una mano alla sua destra e incontrò una superficie ruvida e viscida. Era gelida. Staccò la mano con un brivido e quando si strofinò le dita le trovò bagnate di qualcosa.
Deglutì.
Forse quella era veramente la fine.
Il bambino scoppiò a piangere.
Alcune anime di adulti lo imitarono.
Poi qualcuno, probabilmente uno dei mietitori, sussurrò qualcosa: era appena un sibilo, come un sospiro tra i denti marci, senza alcun senso compiuto.
Jay sentì un brivido risalirgli lungo la schiena, ma poi successe qualcosa. All'improvviso si accese una luce.
Un cono di luce che bagnò un pavimento in mattoni squadrati di pietra, solo per una manciata di passi davanti al Mietitore della prima fila.
Jay batté le palpebre ormai abituate al buio, e quando mise a fuoco l'ambiente circostante si rese conto che la luce proveniva da due torce poste su degli anelli di osso alle due pareti ai lati.
Il piccolo dettaglio insignificante era che le torce erano dei teschi umani, con delle fiammelle nelle orbite vuote.
Il resto della torcia aveva la forma di un femore.
Jay liberò la presa sul braccio di Felix, e riprese a camminare dietro le anime che seguivano il Mietitore. Ogni volta che la creatura superava il cono di luce, le due torce si spegnevano lasciando posto alle due successive. Jay e Felix erano all'ultima fila, così si assicurarono di non rimanere troppo indietro, o avrebbero dovuto affrontare di nuovo il buio.
Il budello di pietra sembrava non finire mai, e Jay iniziò ad avvertire un senso di oppressione all'altezza del petto. Accorgersi che il liquido sulle pareti era sangue non era per niente confortante, e sebbene si fosse ripulito le dita sui jeans, rimanevano delle tracce rossastre.
In più, quel maledetto senso di claustrofobia lo avvolse come un panno bagnato attorno alla bocca.
Aveva la nausea, si sentiva debole e aveva il respiro e il battito accelerato.
«Jay... Jay... resta con me!» lo esortò Felix, scuotendogli la spalla.
Jay riaprì gli occhi.
Non ricordava nemmeno di averli chiusi.
Fu colto da un'ondata di panico, che si affrettò a esorcizzare: non poteva mollare adesso, non quando erano così vicini.
Guardò Felix in cerca di conforto, e annuì silenziosamente quando l'angelo rispose al suo sguardo.
Continuarono a camminare per quelli che parvero secoli, col rumore dei loro passi che riecheggiava nel cunicolo, fin quando le pareti si allargarono ad abbracciare in cerchio una stanza molto più vasta.
Era spoglia se non fosse per una scrivania con due uomini seduti dietro ed un altro in piedi, e vari scaffali di uno strano materiale dal colore di carne marcia sul quale Jay decise di non indagare, ricoperti di varie boccette contenenti organi, bulbi oculari e sangue.
Qualcuno ebbe un conato. Un'altra anima si piegò per vomitare, ma non gli uscì niente dalla bocca. Il bambino pianse più forte e Jay si limitò a distogliere lo sguardo.
 Non avrebbe mai creduto possibile l'idea di ringraziare il signor Guirao per avergli mostrato spesso la sua collezione di organi. Per lo meno riusciva a non farsi impressionare più di tanto, anche se questo sembrava un brutto scherzo del destino.
«Allora, muoversi, muoversi!» intimò uno dei due uomini seduti dietro la scrivania, agitando una mano come per ordinare un gregge di pecore particolarmente irritante.
Indossava una corona di alloro in testa e una tunica rossa, e aveva un grosso naso adunco. Jay aveva come l'impressione di conoscerlo.
L'altra figura invece era molto più pacata. Aveva un'espressione tranquilla e serena, che stonava col luogo circostante, portava le mani incrociate sul grembo ricoperto da un peplo bianco bordato di porpora, e osservava le anime con un aspetto tutt'altro che minaccioso, la pelle olivastra e i riccioli scuri. Anzi, sorrise addirittura al bambino in lacrime, e il piccolo smise immediatamente di piangere, asciugandosi gli occhi.
Jay corrugò le sopracciglia e diede una breve gomitata a Felix.
«E' un angelo, vero?»
L'aveva capito subito. Nessuno era in grado di giocare con così tanta facilità con le emozioni degli uomini.
«Sì» si limitò a dire Felix.
L'uomo col naso adunco stava appuntando qualcosa su un enorme librone dalle pagine ingiallite, con una penna d'oca di quelle che si utilizzavano nel medioevo. Accanto a lui c'era un calamaio ormai praticamente vuoto.
«Allora, nome prego» disse annoiato mentre la prima anima, di una donna coi capelli scuri, stretta nel suo trench beige, porse il proprio biglietto con mani tremanti.
L'angelo recuperò il biglietto e lesse il nome all'altro, che lo trascrisse sul libro. Poi impresse un sigillo a forma di pentacolo con la ceralacca rossa, e, come per magia, sul polso dell'anima della donna comparve un simbolo, che Jay non riuscì a identificare a quella distanza.
Rune antiche: sicuramente enochiano.
Dopodiché il Mietitore rimasto indicò col suo lungo bastone col teschio un arco a sesto acuto, oltre il quale non si vedeva la continuazione del cunicolo. Vi era come un velo nero.
La donna lo attraversò e sparì.
La fila scorse sotto lo sguardo vigile del Mietitore, e quando arrivò il suo turno Jay batté una mano sul tavolo, puntando l'indice dell'altra sull'uomo col naso adunco.
«Tu sei Dante Alighieri!»
L'aveva capito praticamente alla seconda occhiata. La corona d'alloro e lo sguardo nervoso del tipo erano stati una conferma. Era incredibile. L'aveva studiato a scuola per anni, ma chi avrebbe mai pensato di poterlo incontrare in carne e ossa, e per di più in quel luogo?
Dante era l'unico che, come lui, aveva attraversato i tre regni dell'Oltretomba da vivo. Avevano qualcosa in comune.
Felix sembrava stupito quanto Dante. Ma per motivi diversi. Jay sentì la nuca pizzicare, avvertendo lo sguardo del suo angelo addosso. Probabilmente l'amico si stava chiedendo che cosa avesse in mente. Del resto dovevano passare inosservati.
Dante invece batté le palpebre, alzando lo sguardo dall'enorme tomo polveroso, la penna d'oca che ebbe uno scatto tra le sue dita.
«Prego?»
«Tu sei Dante Alighieri, ti ho riconosciuto» Jay gongolò tornando in posizione eretta. Fece un gesto col mento, indicando Dante, e si rivolse a Felix.
«Ho visto triliardi di sue immagini sui miei libri di letteratura. Me l'hanno pure chiesto agli esami di maturità per il diploma, i bastardi!»
L'angelo accanto a Dante si schiarì la gola.
«Sì... sono io» Dante lasciò la penna sul librone «Esami di maturità?»
«Dovremmo continuare col nostro lavoro» intervenne l'angelo coi ricci, impassibile, ma con una certa nota di impazienza.
«Oh sì, giusto, giusto» convenne il Poeta.
Poi, sottovoce, sporgendosi verso Jay «Intendi dire a scuola? Mi hai... studiato?»
«Beh, ci costringono a farlo» replicò Jay sullo stesso tono «Però devo dirlo, sei bravo.»
Dante appoggiò la schiena sulla sedia, tutto compiaciuto.
«Hai visto, 'Gil? Te l'avevo detto io che avrei fatto storia!»
L'angelo tramontò gli occhi al cielo.
Felix osservava la scena perplesso, Jay curioso.
«Oh diamine, se lo sapesse Archie...»
«Jay» lo ammonì piano Felix ma Jay lo ignorò.
«Posso avere un autografo?»
Dante batté le palpebre.
«Cosa?»
«Sono un tuo grande fan!»
«Tu cosa?»
«Un fan!» rimarcò Jay, scandendo bene le parole.
«Un faro?»
«No! F-A-N!» Jay allargò le braccia «Lo siamo tutti: Archie è un fan migliore di me. Ha letto tutti i tuoi libri... e non solo a scuola, intendo. La Divina Commedia la saprà praticamente a memoria, a volte cita dei versi tanto per fare sfoggio di cultura. Proprio come un fan!»
«Di nuovo questa parola» il Poeta assottigliò gli occhi.
«Credo stia per "fanatico"» intervenne l'angelo al fianco di Dante.
«Oh» Dante più che deluso pareva sorpreso. Scrollò le spalle, con un sorriso. «Beh, sai che diceva mio padre? Non importa se si parla bene o male di te. L'importante è che se ne parli!»
«Tuo padre è Dio» cantilenò l'angelo, paziente.
«Certo che sei pesante, Virgilio!» sbottò il Poeta.
Jay perse il controllo della propria mascella.
Virgilio. Il poeta latino che aveva guidato Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio?
Archie avrebbe venduto un rene per poter vivere un'esperienza del genere.
Quando sarebbe tornato indietro, Jay gli avrebbe portato un bel souvenir. Non poteva sprecare un'occasione del genere.
Si frugò eccitato nelle tasche, fin quando non trovò il proprio portafoglio. Recuperò uno dei tanti scontrini che aveva ammucchiato tra una piega e l'altra e lo poggiò sul tavolo.
«Ti prego, devi solo scrivere il tuo nome qui sopra!»
«Perché?»
«Dante, no» gli proibì Virgilio, senza alzare la voce.
«Ma è solo uno stupidissimo nome!» reagì il Poeta.
«E poi questo ragazzo è un mio fanatico, giusto?»
«Ammiratore, diciamo» lo corresse Jay con un sorriso affabile. «Allora?»
E Felix intervenì per la prima volta in quella conversazione.
«Per favore, Maestro, è solo l'ultimo volere di un uomo che sta andando a morire.»
Jay si voltò lento verso Felix, così sorpreso e riconoscente che gli si bloccarono le parole in gola.
Virgilio parve pensarci un po'. Poi sospirò. «E va bene...»
Jay e Dante esultarono.
Dante scrisse il suo nome, con precisione, poi restituì lo scontrino a Jay, che lo rimise nella giacca con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Come un bambino che ha appena mangiato un gelato.
«Ti chiederei di fare una foto, ma il mio cellulare...» e lo estrasse per mostrarlo «... è piuttosto vecchio e non le può scattare.»
E per la prima volta nella sua vita invidiò il cellulare senza tasti di Archie, quello che aveva il nome di un asciugacapelli.
«Che diavolo è quello?» quasi urlò Dante alla vista del cellulare. Jay alzò le sopracciglia e agitò appena l'apparecchio, con fare interrogativo.
«Dante!» avvisò Virgilio.
«Oh scusa: che angelo è quello?»
«Niente» rispose Felix, con un'occhiata eloquente. Jay rinfoderò il telefonino.
«In ogni caso, buona permanenza in questo luogo di perdizione!» continuò Dante. Poi, rivolto a Virgilio «Senti, ma è giusto che un mio ammiratore vada all'Inferno?»
«Dante, sono ordini dall'alto.»
«D'accordo, ma non si potrebbe fare un'eccezione?»
«No, mi è stato ordinato di portare quest'anima all'Inferno, in pasto a Lucifero» Felix pose fine alla discussione e Jay si irrigidì.
In che squadra stai giocando, Fel?
«Oh» adesso Dante sembrava veramente turbato «Accidenti, ragazzo, che fine terribile. Non la augurerei nemmeno al mio peggior nemico.»
«Tu non hai nemici» gli ricordò Virgilio, come un professore stanco col suo alunno meno attento.
«Beh, sì, ma... oh va al diavolo!» si schiarì la gola «Oh, scusa, non volevo dire... non letteralmente... oh»
«Fa niente» commentò Jay, vagamente divertito.
«Non dovrebbe essere permesso di nutrire quel mostro.»
«Purtroppo, è necessario» Virgilio poi si rivolse agli ospiti «Il nome, prego.»
Jay estrasse il biglietto che gli aveva stampato Minosse.
Virgilio lesse il nome. «Harry Potter.»
«Harry Potter» ripeté Dante con una smorfia «Ho già sentito questo nome...»
Jay trattenne il fiato, spaventato. E se li avessero scoperti?
Dante intinse la penna nel calamaio e sorrise «Forse anche tu hai dei... "fanatici" sulla Terra, eh?»
Jay afferrò l'occasione al volo «Proprio così!»
Dante ridacchiò. «Mi auguro che non sappiano mai a cosa è stato destinato il loro idolo. Ah! Se i miei sapessero a cosa sono stato destinato io! A rimanere qui a fare da guardia all'Inferno, puah!»
Ricalcò la penna sulla gambetta dell'H, ma l'inchiostro veniva a tratti. Agitò la piuma d'oca e riprovò. Niente.
«Per tutti gli angeli del Paradiso!»
La intinse ma non vi era più inchiostro.
«Altro inchiostro!» ordinò autoritario, battendo il calamaio sul tavolo. La terza figura -quella in piedi, allampanata e gracile, rimasta in ombra per tutto il tempo-, annuì veloce e andò a scartabellare tra i ripiani degli scaffali, spostando le boccette di organi.
«Sono il più importante Profeta del Signore e mi relegano qui, ti sembra un trattamento equo?» Dante buttò nervosamente la piuma sul libro. «Ormai tutto il dannato Ade si è modernizzato, sicuramente avrai visto le carrozze metalliche che ci sono sopra, in stazione.»
«Si chiamano treni» illustrò Virgilio, con un fare accademico che a Jay ricordò il suo fratellino.
«Quello che è» fece Dante, distratto «Beh, adesso ci sono dei macchinari molto più efficienti per registrare i nomi ma NO! Il Grande Poeta deve scrivere su un maledettissimo libro! Perché devo essere l'unico a fare fatica? Quei cosi coi tasti sarebbero molto più utili e veloci!»
Jay provò a immaginarsi Dante Alighieri con un laptop.
Era indeciso se ridere o rimuovere l'immagine dalla retina.
«E' il... Signore che decide?»
«Lui decide ogni cosa» decantò Dante con fare teatrale, irritato.
«Beh allora prova a... chiederglielo, no?» tentò ancora Jay.
Dante gli rivolse un'occhiata significativa.
«Pensi che sia nella testa di Dio? Beh, non lo sono!»
«Tecnicamente, lo sei» puntualizzò Virgilio.
«Sta' zitto.»
Jay si ritrovò a sorridere. Gli ricordavano tanto i suoi battibecchi con Archie. Voleva tornare a casa per iniziarne altri. Voleva così bene a suo fratello...
«Dante, sono un angelo. Non puoi darmi ordini.»
«Beh, nemmeno tu!» lo rimbeccò Dante.
«E nemmeno saresti diventato un angelo se non fosse stato per me!»
«Ecco che ci risiamo» sospirò Virgilio alzando gli occhi al soffitto mentre Dante iniziava a snocciolare le sue lamentele.
«Tu, d-dannato, mi hai abbandonato!»
«Questo non è vero, io-...»
«Stavo parlando con te e all'improvviso -PUFF- sei sparito nel nulla!»
«Non ti ho mai abbandonato... stavo obbedendo agli ordini di Nostro Signore.»
«Chiudi la bocca, bugiardo! Mi hai lasciato con LEI, codardo che non sei altro!»
Jay pensò che Lei corrispondesse a Beatrice, la donna angelo amata da Dante, che aveva guidato il poeta al Paradiso, sostituendosi a Virgilio.
Ah, dovrebbe sentirmi Archie, adesso! Non potrebbe più dire che non ho mai studiato!
«Smettila di giudicarmi» continuò Virgilio.
«A lei non è mai importato niente di me! Io le dichiaravo amore eterno e lei mi ignorava. E tutto per un "bene superiore". Sai cosa penso io del "bene superiore"? Eh?»
«Dante...»
«Ho capito, ho capito: non qui. Ma in ogni caso, ti sei fatto sostituire da quell'odiosissima saccente, che mi trattava come una pezza ai piedi. E io ero il Profeta!»
«Già.»
«E guarda dove sono adesso! Dietro una stupida scrivania a scrivere carte! E' il mio destino continuare a scrivere per sempre? Perché non posso andare nell'Eden con i beati e gli altri angeli? O al Paradiso come tutti i comuni mortali?»
Jay corrugò la fronte: e così Eden e Paradiso erano due posti diversi? Avrebbe dovuto chiedere a Felix, più tardi.
«Proprio perché sei un Profeta. E' il destino dei Profeti continuare a servire Dio. Dovresti essere fiero della fiducia che ripone in te.»
«Certo, certo, lo so... ma dov'è Dio, adesso?»
E' quello che stiamo cercando di scoprire, avrebbe voluto rispondere Jay. Ma invece tacque.
In ogni caso, il discorso sembrava aver sollevato una patina di malinconia che oscurò perfino Virgilio.
Dante cambiò discorso, adesso con voce più bassa e meno accesa.
«Comunque, il punto è che sei sparito senza avvertirmi. Non... non ti ho nemmeno potuto dire "addio"...»
«Ma stavo seguendo il volere di Di-»
«Mi sei mancato, dannazione!»
Jay, che stava facendo saltare lo sguardo da uno all'altro, si bloccò, incredulo.
Virgilio sembrava sorpreso quanto lui dalla dichiarazione.
«... oh. Mi dispiace, allora. Ma per lo meno, ho fatto del mio meglio nel mio compito: proteggerti.»
Jay spostò lo sguardo su Felix. «Questo mi ricorda qualcuno...»
Felix rispose al suo sguardo, non più freddo e impassibile come sempre, ma quasi... grato? E in parte anche dispiaciuto.
Jay sorrise e Felix rispose con una piccola smorfia che sembrava un sorriso. Tuttavia, un attimo dopo era sparito.
«Grazie, amico» confessò Dante.
Virgilio non sembrava credere alle proprie orecchie. «Davvero?»
«No... sì! Tu -voglio dire- te lo meriti. Da sempre.»
«... troppo gentile.»
«Mi hai aiutato tutte le volte che ero in pericolo... e anche quando non lo ero, quindi... grazie, sul serio.»
«Questo è un bene.»
«Non ti ci abituare! A proposito...» riprese Dante, all'indirizzo di Jay «So che sarà il tuo ultimo viaggio e non uscirai mai più di qui...»
Quanto ti sbagli.
Jay si dovette far violenza per non far reagire i suoi muscoli facciali in nessun modo. Doveva imitare l'immobilità statuaria di Felix.
«Però... beh, non è colpa tua se sei stato destinato a un fato tanto crudele. Quindi, se mai lui» e puntò la penna d'oca su Felix «ti dovesse lasciare da qualche parte o dovesse scomparire come questo qui» accennò a Virgilio «Promettimi che tornerai qui da me, intesi? Così, tutti e due insieme, potremmo cercare la nostra vendetta!»
«Dante!»
«Che c'è adesso, 'Gil?»
«Sei un profeta del Signore, uno dei Beati. Dovresti essere puro e incontaminato. Questo linguaggio non ti si addice. Non puoi parlare di vendetta!»
«Dettagli...» biascicò Dante come un bambino rimproverato dal genitore.
Virgilio si acquietò e Dante divenne nervoso.
«Non lo dirai a nostro Padre, vero?»
«No, non preoccuparti, non lo farò» lo rassicurò Virgilio. Dante annuì riconoscente e poi tornò al suo compito.
«Allora, il mio inchiostro?!» si infiammò.
 «Sì, sì, mi scusi, è che non volevo interromperla!» si scusò il giovane paggio -probabilmente anche lui un angelo o uno dei beati- allungando la boccetta di inchiostro nuova.
Dante gliela strappò con fare rabbioso dalle mani e intinse la penna. Scrisse Harry Potter sul libro, e Jay si premurò di nascondere il polso dietro la schiena, prima che si accorgessero che non aveva il marchio.
«Qual è il tuo nome, angelo?»
Felix aprì la bocca, ma poi la richiuse e deglutì. Jay avvertì il pericolo, e si tese come un gatto col pelo irto.
Non aveva mai visto Felix tanto umano come in quel momento.
«Fa parte della procedura» spiegò Virgilio, mentre Dante attendeva con la penna in mano.
«Felix» rispose per lui Jay.
Felix impallidì e si voltò a guardarlo come se volesse strappargli il cuore dal petto e divorarlo seduta stante.
Jay si limitò a fargli l'occhiolino.
«Felix» ripeté Dante facendo schioccare la lingua, ad assaporarne il suono. «Mmm, mi piace» scrollò le spalle e scrisse il nome sul libro. «Però che brutto lavoro ti è toccato, eh Felix?»
Felix annuì, incapace di rispondere perché troppo smarrito, mentre Virgilio lo fissava intensamente, come se gli stesse sondando l'anima.
«Beh» Dante alzò gli occhi su Jay mentre premeva la ceralacca sul libro e girava pagina. «E anche per oggi abbiamo finito. O meglio... per ora. Mi spiace per te, ragazzo. Goditi i tuoi ultimi momenti e... addio.»
Jay annuì e gli regalò un sorriso che uscì come una smorfia.
«E' stato un piacere conoscerti, Dante!» salutò, mentre il Mietitore li superava silenzioso, dirigendosi verso l'arco.
«A-anche per me» rispose Dante, indeciso «Credo.»
Jay gli diede finalmente le spalle, e aspettò che Felix lo raggiungesse.
«Tranquillo» gli sussurrò accostandoglisi mentre il Mietitore si fermava di fronte all'arco.
«Felix non è il tuo vero nome, no?»
Jay non capiva perché il suo amico non fosse arrivato prima alla conclusione.
«Il nome di un angelo non ha importanza, si accorgeranno presto dell'imbroglio, Jay. Non avremmo dovuto dire nessun nome. Ma ormai...» sospirò «E' troppo tardi. Dovremmo fare più in fretta del previsto. Per lo meno non hanno ancora scoperto il tuo segreto.»
Il Mietitore sollevò un lembo del velo nero. Non appena lo fece, una zaffata di calore soffiò in faccia a Jay, che sentì le guance imporporarsi e gli occhi diventare lucidi.
Lì dietro vi era l'Inferno.
Felix prese un lungo respiro. «Andiamo.»
Gli poggiò una mano sulla spalla e varcarono la soglia, ritrovandosi risucchiati nell'oscurità.









To be continued ~





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Capitolo 19

La prima cosa che pensò fu che quel vento caldo, fin troppo caldo, avrebbe potuto scioglierlo, liquefacendo la pelle, la carne, i muscoli. E che le lingue fiammeggianti che vedeva erigersi danzando con il vento sferzante lo avrebbero raggiunto nel loro cammino di morte.
Ma poi, riuscendo faticosamente a distogliere la sua mente da quel vortice di pensieri neri e fuligginosi come l'Inferno stesso, riuscì a vedere oltre il fumo delle fiamme, oltre il vento che gli sferzava il volto come uno schiaffo: e vide, percepì, la vera essenza dell'Inferno.






~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Credo che questo sia un capitolo decisamente importante.
Non solo perché siamo ad un passo dall'entrare nell'Inferno vero e proprio, non solo perché ci avviciniamo sempre più al faccia a faccia con Lucifer.
No.
Questo capitolo è di grande importanza anche perché è stato dedicato a Cory, l'attore di 31 anni morto sabato scorso. La sua morte ci è stata di grande aiuto per capire moltissime cose e per riuscire a vedere quanto la vita sia breve.
Cory non era che un ragazzo come altri, è vero, non era un santo e forse non aspirava nemmeno ad esserlo. Eppure aveva un sogno e con la sua morte ha mostrato quanto sia importante afferrare i sogni, non aspettare.
Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicargli il capitolo. Per ringraziarlo di tutto ciò che ci ha insegnato, anche se ormai non potremo più farlo dal vivo.
Tornando al capitolo, credo che Jay stia per affrontare tutte le sue peggiori paure o.o Insomma, siamo all'Inferno e ci conoscete abbastanza, direi, da non scommettere sulla sua sopravvivenza!
...
Okay, magari non siamo così crudeli. Forse. Non scommetteteci niente, in ogni caso!:P
E ora, passo la parola alla mia collega!
*Asciuga le lacrime* I-io... non so cosa dire T__T
Cory è stato un duro colpo per entrambe. Abbiamo visto Glee (io, a dire il vero, lo STAVO vedendo, sono a metà della seconda stagione) ma adoravamo Finn e Cory e... era così giovane.
Ma non voglio rattristarvi ancora di più.
Io e la mia collega abbiamo avuto parecchi problemi in questo periodo, tanto che eravamo arrivate alla conclusione che non avremmo potuto scrivere per un bel po'.
Ma questa cosa ci ha fatto riflettere.
Un giorno ci sei, e l'altro, chissà?
Quindi bisogna inseguire i sogni. Anche per chi, come lui, ci ha provato fino in fondo, ma non ce l'ha fatta. Non ha avuto il... tempo.
Il tempo è prezioso, il nostro sogno è scrivere, e così è quello che facciamo. Quello che faremo.
E non importa se ci saranno ostacoli e difficoltà, supereremo anche quelli.
Abbiamo deciso di onorare Cory inserendolo come personaggio, lo vedrete più avanti. Se lo merita.
E per quanto riguarda la storia... già iniziamo a sentire l'aria dell'Inferno.
Nel prossimo capitolo ci addentreremo proprio tra le fiamme eterne -e già avete avuto un assaggio nell'anticipazione-.
Detto questo, spero che questo capitolo vi abbia fatto sorridere un po', con l'incontro con questi due personaggi così eccentrici e adorabili.
Personalmente, ho sempre amato la Divina Commedia, Dante e Virgilio. E ci sembrava D'OBBLIGO inserirli, considerando che si fa spesso riferimento alla sua opera in Timeless.
Jay ha proprio bisogno di ridere... non so quando accadrà di nuovo. Se accadrà di nuovo.
Ma nooo, cosa ditee, noi NON siamo crudeli!! u.ù
Anyway, alcune delle battute di Dante e Virgilio le avevo trascritte mesi fa su twitter, in inglese -perché crea battute in inglese? Vi chiederete. VORREI SAPERLO ANCHE IO, vi rispondo-, ma tralasciando i miei problemi mentali, beh, sappiate che alcune battute suonavano MOLTO meglio in lingua originale! x°D
Tipo quel "che diavolo è questo? Oh, scusa, che angelo è questo?" è la traduzione [?] di "What the hell is that? Oh, sorry: what the heaven is that?!"
Detto ciò -che non interessava a nessuno LOL- quest'oggi abbiamo scoperto che Eden e Paradiso NON sono la stessa cosa {si sente tanto come Dora l'esploratrice}. Nell'Eden risiedono gli angeli e alcune anime beate, in Paradiso, i comuni mortali. Ma avrete più notizie in seguito u.ù
COMUNQUE, è tardi, io e la mia collega vi salutiamo, e vi auguriamo delle belle vacanze!
Aggiorneremo presto, non temete!

E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^* E Cory... insegna agli angeli a cantare :')


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†††

1. Dante Alighieri:

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2. Virgilio:

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3. Dante e Virgilio nel loro viaggio:

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4. Jay sorridente quando chiede l'autografo:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Un Jay a random tanto per farvi sbavare (?):

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2. Il nostro impavido Denver all'interno del cunicolo:

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3. L'occhiolino a Fel:

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4. Quando Virgilio gli concede l'autografo:

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Capitolo 20
*** 19. ***


Timeless 19
Augurissimi RITA, questo capitolo è tutto per te!! *____*


Nel capitolo precedente...

Il nostro Denver in compagnia del criptico Felix ha finalmente varcato le terrificanti porte dell'Inferno, precedute da una serie di corpi carbonizzati e pietrificati che Jay aveva inizialmente scambiato per statue, ma che si rivelano essere i corpi dei Primi Dannati posti lì come monito.
Dopo aver percorso un buio e inquietante cunicolo in pietra, accompagnati solo dal suono dei loro respiri, il frusciare dei mantelli dei Mietitori e lo scoppiettare delle torce, Jay e Felix hanno fatto la conoscenza del Guardiano del Velo che trasporta direttamente nella dimensione dell'Inferno. Egli è Dante Alighieri, uno dei primi profeti di Dio, il cui compito è quello di appuntare i nomi di tutte le anime che valicano il velo. Al suo fianco vi è il fido Virgilio, il suo angelo custode, ad assicurarsi che svolga correttamente il suo lavoro.
Dopo aver rischiato di essere scoperti, Jay alias Harry Potter e Felix hanno oltrepassato il velo, ritrovandosi catapultati dall'altra parte...

Now...







Capitolo 19




Ci fu un accecante lampo di luce rossa e Jay venne violentemente sbalzato al di fuori del velo, rotolando su un terreno rosso come il sangue.
Il ragazzo pensò che niente avrebbe potuto arrestare la sua caduta, ma poi una mano lo afferrò per la giacca e Felix lo tirò indietro e lo rimise in piedi, pronto come sempre.
«Grazie» borbottò Jay quando l'angelo mollò la presa: aveva chiuso gli occhi senza nemmeno rendersene conto ma, quando li riaprì, si pentì amaramente per non averli tenuti chiusi.
Lui e Felix si trovavano, infatti, sull'orlo di un altissimo precipizio, una sporgenza alta più o meno quanto il Burj Dubai fatta interamente di una roccia rossa all'apparenza molto fragile.
Forse avrebbe dovuto prenderne un campione e portarlo ad Archie per delle ricerche... pensare a suo fratello gli diede un po' di coraggio. Quello necessario, almeno, per guardare e non indietreggiare ancora, terrorizzato, di fronte a quella che era la realizzazione di ogni suo incubo di bambino.
La prima cosa che pensò fu che quel vento caldo, fin troppo caldo, avrebbe potuto scioglierlo, liquefacendo la pelle, la carne, i muscoli. E che le lingue fiammeggianti che vedeva erigersi danzando con il vento sferzante lo avrebbero raggiunto nel loro cammino di morte.
Ma poi, riuscendo faticosamente a distogliere la sua mente da quel vortice di pensieri neri e fuligginosi come l'Inferno stesso, riuscì a vedere oltre il fumo delle fiamme, oltre il vento che gli sferzava il volto come uno schiaffo: e vide, percepì, la vera essenza dell'Inferno.
Certuni hanno dell'Inferno un'idea decisamente sbagliata: un luogo perfettamente ordinato, dove ogni peccatore ha il suo posto, la sua punizione.
Forse influenzati dalla lettura della Divina Commedia immaginiamo che l'Inferno debba essere come il Grande Poeta lo ha descritto: un luogo che sprofonda verso il basso, attratto da quell'oscurità da cui è stato generato, fuggendo una luce che lo ha abortito.
Eppure, quello che si presentava davanti agli occhi sconvolti di Jay, gli occhi di un bambino impaurito, era tutt'altro che un luogo ordinato nella sua spietata crudeltà verso le anime che vi abitavano.
E improvvisamente divenne chiaro, nella sua mente, il perché Dante avesse scelto di rappresentare tutto quello.
Il perché non avesse parlato del sangue che si mischiava alla terra, il perché avesse ordinato l'Inferno, quando esso era tutt'altro.
C'era -da un lato- l'urgenza di raccontare quel viaggio che lo aveva scosso dal profondo. E c'era -dall'altro- la necessità di poter descrivere agli uomini ciò che non avrebbero potuto capire: Jay deglutì, scosso, incapace di muovere un altro passo.
«Jay?» la voce atona di Felix fu ciò che lo strappò definitivamente a quei pensieri tormentati e, voltandosi verso il suo amico piumato vide, tra le pieghe di quel volto apparentemente impassibile, impercettibili scaglie di nervosismo.
Aveva paura anche lui?
La possibilità lo rese ancora più nervoso ma annuì, tentando un sorriso che ovviamente non venne ricambiato.
E poi qualcos'altro attirò la sua attenzione.
Lontano, quello che sembrava essere un tempio, bruciava di una fiamma perenne.
Alzando lo sguardo deglutì.
Il cielo aveva la stessa tonalità del sangue.
Poi, il fumo denso sembrava raccogliersi sul soffitto, assumere consistenza e una forma ben definita: quella di un demonio ghignante, i cui occhi assottigliati e rossi seguivano con maligna soddisfazione lo spettacolo che aveva scena proprio sotto di lui tra il fuoco, il vento e il fumo, e per un breve istante Jay pensò che fosse davvero un demone vivo, intrappolato lassù come un guardiano sin troppo zelante.
Inoltre, il ragazzo notò qualcosa svolazzare intorno alla faccia ghignante e, aguzzando appena la vista, individuò degli stranissimi esseri dal corpo di uccello e la testa di... donna?
Aveva già visto un'immagine simile in uno dei suoi libri di scuola...
Arpie, gli suggerì il suo cervello, una vocina spaventosamente simile a quella di Archie quando si lanciava nelle sue spiegazioni di irritante ''so tutto io''.
Dio, quanto gli mancava.
Deglutì, ricacciando indietro quel groppo insistente che si era formato nella sua gola, un accumulo di terrore e nostalgia, abbassando lo sguardo.
In effetti -come abbiamo già detto- l'Inferno non aveva la forma di un luogo preciso ed ordinato. Non c'erano gironi perché, in effetti, gli bastava una sola occhiata per rendersi conto -da quella posizione privilegiata- dei dettagli di quel luogo, come un critico d'arte che scruta con attenzione una delle opere che hanno fatto la storia del mondo.
Gli alberi, notò Jay, erano effettivamente scarsi: erano secchi, neri, i rami privi di foglie, dalle venature che parevano lampeggiare, come se un incendio le stesse divorando da dentro.
Esattamente come dei carboni ardenti. Se avesse acuito l'udito avrebbe potuto avvertire lo scoppiettio che avveniva all'interno dei tronchi.
 Era come vedere una riproduzione in piccolo della Foresta Nera o ciò che rimaneva di un incendio: anche la terra era scura e secca, arida come se fosse stata incendiata più e più volte, e in alcuni tratti era sprofondata in quella che aveva tutto l'aspetto di essere lava.
L'aria era impregnata del calore delle fiamme che ardevano, ma anche delle urla dei dannati e dalle loro imprecazioni, dai versi delle Arpie -simili in tutto e per tutto ai versi striduli degli avvoltoi- e dal cupo ringhiare di...
Cani?
Jay scorse le familiari figure di alcuni cani, delle dimensioni di un cavallo, incatenati agli alberi o impegnati nell'inseguire le anime dei dannati perché si affrettassero verso le loro punizioni e non tentennassero come bambini prima di confessare un peccato alla mamma: ma no, non erano cani normali...
Se con una testa si chiamano Cani Infernali, con tre sono...
«Cerberi» completò Felix, come se gli avesse letto nel pensiero, gli occhi puntati sulle creature grandi quanto cavalli. C'era qualcosa nella sua fissità che confermò l'ipotesi di Jay, che l'angelo non solo avesse paura, ma fosse terrorizzato tanto quanto lui.
«Ah» la voce di Jay suonò moderatamente tremante mentre i suoi occhi scorrevano ancora sul luogo di desolante terrore che era l'Inferno, cogliendo -più in là- le rovine di quello che a prima vista gli era parso un tempio -o che forse lo era stato, secoli prima-. «E quello?»
«La riproduzione di quello che è stato il più grande smacco che l'Impero di Roma fece a Dio» rispose Felix, ora una nota di rabbia nella voce. Tuttavia i suoi occhi non tradivano nessuna emozione, e rimasero perfettamente tranquilli. «La distruzione del tempio di Gerusalemme, i pagani che tentarono di dimostrare la loro superiorità sul Dio che non riconoscevano.»
Vide le anime -di quella consistenza che aveva visto prima, che sembrava renderle uguali ai corpi che si erano lasciati alle spalle- contorcersi tra le fiamme, le loro urla di dolore che riempivano quel luogo, le loro bestemmie rivolte a un Dio in cui non avevano mai creduto, legate a un egoismo che niente e nessuno al mondo avrebbe mai potuto cancellare:  e tra loro, come vigilantes, c'erano altre persone.
Avevano volti umani, ma il loro corpo era coperto da una spessa armatura nera come il fumo che usciva dalle fiamme, nera forse come il peccato stesso: e tuttavia, finemente elaborata. I guanti di metallo, le spalle, il busto e le gambe: ogni pezzo dell'armatura era decorata e lasciava ampie porzioni di pelle scoperte.
Ma non era pelle, quella.
Somigliava più a lava incandescente che ribolle nelle viscere stesse della Terra. Jay se ne sentì terrorizzato, benché sapesse che a quel punto le armature non fossero il vero problema: lo preoccupavano più che altro le persone che le indossavano!    
«Felix?»    
L'angelo scrutava con attenzione il paesaggio sotto di loro, quasi fosse perso in chissà quali considerazioni: probabilmente si stava chiedendo da dove iniziare a cercare qualsiasi cosa dovessero cercare. E tuttavia Jay colse l'occhiata che per qualche secondo l'angelo gli rivolse, facendogli capire di avere la sua completa attenzione.
L'umano si schiarì la voce, leccandosi il labbro inferiore. Indicò con discrezione le persone che si dividevano in gruppetti lungo il perimetro dell'Inferno: certune erano accanto alle fiamme che ardevano le anime, mentre altre...
Deglutì, rendendosi conto che le fiamme non fossero l'unica tortura che l'Inferno riservava alle anime. Alcune di esse erano infatti legate a delle ruote infuocate che giravano all'infinito e preda delle armi e delle frustate di alcune di quelle persone che, appostate accanto a loro, le pugnalavano, tiravano fuori i loro organi dopo aver squarciato i loro corpi e ridevano, ridevano sadicamente, dando un morso a cuore, polmoni, fegato come chiunque altro avrebbe mangiato una gustosa mela.
«Jay... Jay! Guardami!»
La voce di Felix lo strappò da quella visione raccapricciante e si rese conto di stare per vomitare; deglutì per scacciare la sensazione acida nella sua bocca e si forzò a distogliere lo sguardo.
Per alcuni secondi, mentre lui era impegnato a calmarsi, Fel non disse una parola e Jay gli fu grato per quella che -pensava- fosse una piccola premura nei suoi confronti: nonostante tutto, nonostante quel muro di ghiaccio, era profondamente convinto che quell'angelo che aveva intravisto, quello che gli aveva dato la sua giacca e che aveva riso, ci fosse ancora e che fosse anzi ben presente.    
Ma perché Felix si ostinava a dominarsi, a tenerlo a distanza?
«Quelle non sono persone, Jay» la voce di Felix interruppe i suoi pensieri. Il ragazzo vide l'angelo stringere gli occhi. «...non pensare nemmeno per un momento che lo siano. Sono i così detti ''angeli caduti'', coloro che servirono Lucifer e i suoi generali nella guerra che portò alla loro caduta. E se anche sono mai stati umani... non ricordano più che cosa voglia dire.»    
«Stai dicendo che...»
«Sì, sto dicendo che quelli sono demoni.»
Jay restò in silenzio qualche secondo, passandosi una mano sul volto.
Demoni. Se li era sempre immaginati diversi ma -rifletté- cosa in quel casino che lo aveva investito con la potenza di un treno rispecchiava ciò che conosceva?
Si sentiva confuso e spaventato, era vero, sapeva  di non essere il ragazzo più coraggioso al mondo eppure...
Eppure voleva salvare i suoi cari. Voleva salvare ciò che chiamava casa, le persone che erano il suo tutto.
Non era pronto ad andare fino in fondo ma voleva farlo.
E se voleva essere minimamente preparato, sapeva di dover sapere.
Per cui sospirò.
«Perché hanno quelle armature?»
«Serve a impedire loro di trasformarsi... Se prendessero la loro vera forma, con i loro veri poteri, potrebbero liberare Lucifero. O quello che è peggio, potrebbero eleggere qualcuno peggiore di lui e allora sarebbe il Caos» rivelò Felix, composto come sempre.
Le labbra di Jay si ridussero a una linea sottile.
«E non potrebbero liberarsi in alcun modo?»
«Solo se riuscissero a corrompere un angelo. Solo la magia angelica può liberarli... o Dio stesso.»
«Sono demoni, potrebbero tranquillamente farlo.»
«Vero» rispose Felix, impassibile. «Ma nessun angelo è così stupido. E in genere non mandiamo i novellini a combattere.»
Jay incrociò le braccia.
«Sono un novellino anche io» gli ricordò. Non si sentiva né arrabbiato né offeso, solo molto stanco.
E aveva bisogno di sapere, capire. Perché Felix non gli aveva solo cancellato la memoria con un abracadabra angelico, quando ne aveva avuto l'occasione?        
«No, non lo sei. Te l'ho detto, c'è qualcosa in te che ricorda la luce del Paradiso» Felix gli aveva voltato le spalle e procedeva verso la discesa di quella montagna. «Sei molto più coraggioso di altri. Sono sicuro che in qualche modo mio Padre abbia voluto che tu fossi lì, su quel marciapiede, unico tra tanti a ricordare»
«E se semplicemente non fosse così?» Jay allargò le braccia, esasperato e... solo. Lo era?
Probabilmente sì.
Felix si fermò. Poi voltò appena la testa da sopra la spalla.
«Impossibile» la sua voce risuonò gelida.
«Lui decide tutto. Lui ha un Destino per tutti noi»
«Tu hai solo bisogno di crederci!»
«Hai due scelte Jay» replicò Felix, dopo qualche attimo di silenzio. «Crederci e avere un'ancora in mezzo alla tempesta. Non crederci e impazzire: qualunque sia la tua scelta, falla in fretta. Come piace dire a voi umani, stiamo andando dritti alla bocca del leone.»
Detto questo, continuò il suo cammino.
Jay lo raggiunse quasi correndo. Lo affiancò, regolando i propri passi con i suoi.
Tuttavia, come poteva essere prevedibile, il ragazzo non aveva esaurito le domande: si sentiva piuttosto confuso dall'insieme e probabilmente anche stordito dal fumo delle fiamme.
Sapeva che in fondo fosse del tutto normale -forse anche Dante lo era stato la prima volta in cui aveva messo piede in quel luogo- ma non poteva fare a meno di sentirsi spaventato. Era terrorizzato sia dal luogo che lo circondava che dalla confusione opprimente che sentiva nella sua testa: un gomitolo di nozioni e visioni raccapriccianti che lo stordiva un po' come il fumo delle fiamme.    
Si sentiva come un bambino che si sveglia al buio, dopo un incubo, con l'impressione di essere ancora immerso nella dimensione che la sua mente aveva creato.
Ma quella non era una semplice dimensione onirica. Era la dura realtà.
«E quella demone, allora? Quella che abbiamo incontrato scesi dal treno?»
La ricordava ancora dettagliatamente: i capelli lisci e di un biondo quasi bianco, gli occhi fiammeggianti, il sorriso astuto.
Felix alzò un sopracciglio, invitandolo a continuare.
«Voglio dire... perché non indossava l'armatura? Perché non ha tentato di squartarci? Perché non è all'Inferno?»
Felix alzò semplicemente le spalle mentre i suoi occhi frugavano ogni centimetro dell'altopiano su cui si trovava: cosa stava cercando?
Forse tra quella terra rossa era nascosta una leva?
Jay non seppe perché, ma immaginò un ascensore che li avrebbe comodamente trasportati al livello dell'Inferno vero e proprio.
«Perché si è pentita» spiegò Felix, con una voce che sembrava remota nel tempo. Una folata di vento afoso e scintille gli solleticò i capelli e la giacca di jeans, quasi come scia delle sue parole.
Jay sussultò, guardando l'angelo che si avvicinava alla parete rocciosa, esplorandola con le dita.
«I demoni possono pentirsi?»
«Tutti possono pentirsi, Jay. Persino Lucifer, se non fosse così assuefatto dal peccato.»
Jay lasciò correre lo sguardo lungo la rossa valle dell'Inferno, dove alcune anime erano state legate a degli alberi neri e venati di fuoco pulsante: c'erano degli avvoltoi che strappavano ai dannati le membra, facendoli urlare dal dolore, sotto le risate crudelmente divertite dei demoni.
Esseri come quelli potevano pentirsi?
 Difficile, pensò Jay, ma a quanto pareva non impossibile.
«Catherine» iniziò Felix, le dita eleganti che continuavano a scorrere sulla roccia «ha giurato di servire la causa di Dio e di adoperarsi per la riuscita del suo disegno.»
Fece una pausa.
«Per questo gli angeli le hanno tatuato il simbolo di Dio e del suo profeta Salomone.»
«Il simbolo di Salomone?»
«E' una stella a sei punte, formata da due triangoli incrociati che indicano i quattro elementi.»
«Oh» Jay strabuzzò un po' gli occhi. Aveva come l'impressione di averlo già visto da qualche parte...
Forse in uno dei libri di religione delle elementari?
«E com'è che non l'ho notato? Era trasparente, per caso? O fatto della vostra maledetta magia piumosa razzista che solo voi potete ammirare? Oppure...» ghignò, malizioso «era tatuato lì dove non batte il sole?»
«Portava i guanti» lo informò Felix, come se ciò spiegasse tutto. Poi inclinò appena il volto, corrugando la fronte. «Che significa dove non batte il sole? All'Inferno non batte mai il sole perché non c'è un so-»
«Lascia perdere» lo interruppe Jay esasperato dalla mancanza di perspicacia dell'altro. A dispetto delle sue aspettative, Felix obbedì.
Jay si regalò qualche attimo per riorganizzare la mente.
Catherine... così ecco svelato il nome della nostra Lara Croft!
Probabilmente ridacchiò, perché l'angelo gli rivolse un'occhiata incredula. Un attimo dopo, però, la sua attenzione fu richiamata da qualcos'altro.
Finalmente Felix, infatti, sembrò trovare ciò che cercava: premette una parte della roccia e quella -con un fragore assordante- arretrò.
Contemporaneamente, alzando polvere rossa ovunque, si alzò un arco della stessa roccia di cui la montagna era composta; Jay arretrò, spaventato, gli occhi incollati su quello spettacolo, come un archeologo che scopre gli antichi sistemi di un'antichissima piramide egiziana.
Volendo, sotto quell'arco spuntato da chissà dove, sarebbero potuti passare comodamente cavalieri di due metri seduti sui loro cavalli: gli occhi di Jay, spalancati, ne osservarono le decorazioni della pietra, delle incisioni che sembravano fatte con il sangue.
Un brivido di terrore gli attraversò la spina dorsale, potente come una scarica elettrica.
 Fel gli fece cenno di seguirlo, silenzioso come sempre e Jay obbedì, lieto di non dover prendere decisioni di sorta.
Tra le rocce spuntava uno stretto passaggio; ai lati dell'imboccatura c'erano due legni splendidamente intarsiati, decorati con due teschi dagli occhi fiammeggianti. Qualcuno, forse un demone, si era divertito a disegnare sulle pareti rocciose qualcosa.
Jay assottigliò gli occhi, allungando una mano verso la roccia, e accarezzò con le dita le linee tracciate in rosso. Quando le ritirò, erano viscide di...
«Sangue?»
«Sì» ammise Felix, con una smorfia.
Jay deglutì. Sembrava ancora fresco.
In fretta si asciugò le dita sulla maglietta, e alzò lentamente lo sguardo sui disegni. Rappresentavano angeli -almeno a giudicare dalle ali-, ma anche altre creature munite di corna, che forse erano demoni? Jay non lo sapeva.
Jay non sapeva più nulla ormai.
Sembravano disposti in sequenza, come a raccontare una storia.
E come se fosse stato proiettato indietro nel tempo, Jay aveva appena abbassato la macchina fotografica che teneva appesa al collo con un nastro di corda nero, scorgendo il volto di suo fratello che lo occhieggiava perplesso.
«La vuoi mettere giù?»
Stavano camminando in un museo, e Archie era impegnato a passeggiare con le mani dietro la schiena, come un accademico.
Molto più avanti, Susan stava ammirando un quadro di Van Gogh.
«Gli affreschi...» stava spiegando Archie, indicandogli il quadro che bagnava la parete per un lungo tratto «...raccontano una storia. Non sono come i quadri normali, e alcuni...» si allontanò dall'affresco -che rappresentava un porto con delle barche ormeggiate e più dietro i profili di una città che doveva essere Firenze- «...o meglio, i primi, si ritrovavano nella preistoria...» gli afferrò il polso e lo condusse davanti alla vetrina che indicava l'ingresso alla sezione antica «... e rappresentavano scene di caccia, o di pesca, o di raccolta dei frutti. Scene di vita, insomma.»
All'interno, la sezione era illuminata da alcune lampade al neon che, insieme alle pareti di pietra, regalavano al tutto un insolito color seppia.
Jay si ritrovò a guardarsi intorno meravigliato: i vasi -o cocci di vasi- all'interno delle loro teche di vetro, vecchi pettini d'osso, utensili di tutti i tipi.
E poi, quando si voltò, scorse ciò di cui stava parlando Archie: un affresco lungo quanto tutta una parete.
Si avvicinò.
Mostrava degli omini appena abbozzati, armati di lance, che rincorrevano dei Mammut.
Ma non era finita qui...
Jay continuò a camminare, lasciando scorrere i polpastrelli della mano sinistra sulla superficie ruvida, e sulle figure in tempera scura.
Più avanti, gli omini erano riusciti a uccidere uno dei Mammut. Ancora più oltre, stavano portando la preda al villaggio. All'estremità del dipinto, erano seduti attorno ad un fuoco, mangiando carne.
Jay si scoprì con le dita che accarezzavano anche quella pietra mano a mano che lui avanzava, seguito da un Felix confuso.
La differenza era che qui le figure erano più delineate. All'inizio vi erano due fiamme, o almeno Jay pensò fossero tali, e più avanti da esse emergevano due creature alate. Angeli.
E poi i due uomini alati parvero prendere vita... Jay si chiese se non se lo stesse solo immaginando, ma gli parve di vedere le due figure, piccole e non troppo dettagliate, correre verso destra. Le seguì istintivamente, correndo appresso alla pietra, e le due figure, mano a mano che si avvicinavano all'altra estremità, crescevano di dimensioni.
Quasi come se stessero diventando adulte.
Poi una delle due si bloccò di colpo, come se non volesse più correre, e l'altra si voltò a guardarla, attendendo.
In quell'istante, qualcosa accadde.
La figura che era rimasta indietro fu artigliata da molte paia di mani arcuate spuntate dal terreno.
Quella più avanti cercò di andarle incontro, per aiutarla, ma una grande mano proveniente dall'alto -da quella che aveva tutto l'aspetto di una nuvola- gli afferrò il braccio e l'angelo fu costretto a fermarsi.
L'angelo che era rimasto indietro veniva tirato verso il limite della pietra.
Giù, giù, giù, sempre più giù.
L'altro angelo finalmente riuscì a sfuggire dalla presa e corse incontro al primo, ma era ormai troppo tardi.
L'angelo rimasto indietro si ritrovò letteralmente spinto verso un dirupo, in bilico... e la zolla di terreno in cui si trovava sembrava abbassarsi, inabissarsi ancora e ancora.
Jay non si accorse nemmeno di aver iniziato a camminare curvo, per seguire i movimenti.
L'altro angelo corse ad aiutare il secondo, ma egli indietreggiò e cadde.
Il primo gli allungò una mano.
Il secondo l'afferrò.
Forse non era la fine...
Ma poi il secondo mollò la presa...
E cadde, nel baratro.
Jay sentì distintamente un urlo, e sobbalzò. In quell'istante, le immagini tornarono immobili come prima -solo disegni fatti col sangue su una parete- e lui si rese conto di essere letteralmente in ginocchio.
Si rimise in piedi, scosso, continuando a tastare la parete.
«Che diavolo...? Si stavano muovendo!» guardò Felix, in cerca di aiuto «Ti giuro che si stavano muovendo!»
Non me lo sono immaginato...
Felix rispose in maniera altrettanto enigmatica.
«A quanto pare agli umani da' questa impressione.»
Jay batté le palpebre, poi tornò a scrutare il dipinto.
Nulla era cambiato.
Nulla si era mosso.
«Che cos'è?» chiese immediatamente, col fiato corto.
Il cuore gli batteva nel petto. Il pensiero dell'urlo atroce lo fece rabbrividire.
Felix non parlò subito.
Aveva un'espressione strana, quasi dispiaciuta.
Avanzò fino a fermarsi al suo fianco, poi, come lui, alzò un palmo e lo adagiò delicatamente sulla figura che era caduta, di cui ormai si vedeva solo la testa, essendo il resto del corpo sommerso dalle mani.
«Lucifer...» soffiò.
Jay si irrigidì. Se quello era Lucifer, allora...
«L'altro è Michael» realizzò, prima ancora che Felix parlasse. Lasciò guizzare lo sguardo da un angelo all'altro.
«Sì» disse di nuovo Felix, tetro.
Jay annuì, poi si inumidì le labbra mentre la sua mente riordinava i pezzi del puzzle.
«E' la caduta del diavolo, vero?» pretese di sapere, senza guardarlo.
«Già» Felix incrociò le braccia al petto, sempre guardando il dipinto «Il trauma più grande del paradiso. Il peccato mai dimenticato. Una terribile perdita... per tutti noi
«E Michael gli ha... teso la mano» continuò Jay, tracciando con le dita lo spazio intorno all'altro angelo.
«Così narra la leggenda» Felix si voltò finalmente a guardarlo «Ma nessuno sa cosa realmente successe quel giorno. Solo Michael, Lucifer e Dio erano presenti, durante la cacciata dal Paradiso.»
Jay annuì, ancora perso nei suoi pensieri.
Quelle mani munite di artigli...
«Uno tirato verso il basso...» indicò Lucifer «L'altro verso l'alto...» spostò il dito su Michael. «E' un po' come Inferno e Paradiso?»
«E' più come peccato e purezza» lo corresse Felix, e poi lo osservò come se volesse comunicargli qualcos'altro.
Jay lo fissò a sua volta, attendendo nuove spiegazioni, ma alla fine Felix sospirò come se ci avesse rinunciato, in un modo così umano che Jay per un attimo si chiese se per caso non stesse male.
«Comunque...» lo superò, ignorandolo «dobbiamo andare avanti, non abbiamo molto tempo.»
«Suppongo che mettere il film della caduta di Lucifero sia un modo carino di dare il benvenuto in Horrorland, dico bene?» scherzò Jay, cercando di sotterrare l'inquietudine.
«E' un monito.»
«Sì, già. Quello. Lo sapevo. Era la mia seconda ipotesi» farfugliò.
Felix gli rispose col silenzio e Jay si affrettò a seguirlo prima che si allontanasse troppo.
«Non c'è che dire, Lucifer ha gusto» commentò ironico mentre iniziavano lentamente la loro discesa, aggrappandosi alla parete per non cadere e sforzandosi di non guardare giù perché -se si conosceva bene- avrebbe corso il rischio di inciampare. Ancora.
E in un momento del genere era meglio evitare, grazie mille.
«L'angelo più bello del Paradiso» riprese Felix, senza voltarsi nemmeno un momento ad assicurarsi che stesse tenendo il passo. Ed era impressione sua o c'era qualcosa di simile alla malinconia in quella voce?
«E ora la vanità è il suo primo peccato.»
«Il suo aspetto è mutato, che tu sappia?»
«No» rispose Felix, cupo. «E' ancora dotato della bellezza sfolgorante di un angelo, perché il male si presenta sotto forme allettanti. No. Ma era un traditore e come tale è stato sottoposto alla peggiore umiliazione che un angelo possa mai soffrire.»
Jay non era sicuro di volerla conoscere, ma la lingua si mosse prima che il cervello potesse impedirglielo.
«Cioè?»
«Michael gli ha... strappato le ali.»





Nel frattempo, a molti metri ed una dimensione di distanza, un uomo col naso adunco ed una corona di alloro in testa, stava picchiettando nervosamente la punta della piuma d'oca contro il legno della scrivania.
In circostanze normali, l'angelo al suo fianco l'avrebbe pregato di smetterla, aggiungendo che quel suono fastidioso stava molestando i suoi timpani, togliendogli la concentrazione.
Ma quelle non erano circostanze normali. E l'angelo sembrava pensieroso quanto lui.
«'Gil?» domandò l'uomo col naso adunco, titubante.
L'altro finalmente distolse lo sguardo dal velo scuro, rivolgendogli la sua più completa attenzione.
«Sì, Dante?»
«Quel ragazzo... Harry Potter» Dante si umettò le labbra, cercando una posizione più comoda sulla sedia, e le parole giuste.
«Hai notato anche tu quello che ho notato io?»
Virgilio sollevò un sopracciglio, in silenzio.
Poi parlò.
«Che è umano?»
Dante annuì, partecipe.
L'angelo accennò un sorriso. «Dante, Dante, Dante... secondo te dopo averti fatto da guida per tanto tempo, non riconosco il battito del cuore?»
Dante però non sembrava trovare la questione divertente.
Era nervoso e preoccupato, e continuava a tormentarsi l'interno della guancia e le mani.
«Che cosa ci fa un essere umano quaggiù? E che cosa sta complottando quell'angelo? Felix non è un nome da angelo!»
«So che vorresti delle risposte, davvero. Ma la realtà è che... non ne ho idea.»
Dante lasciò finalmente andare la penna d'oca che rotolò sulla scrivania scandendo quel silenzio teso, e infine irrigidì la schiena, puntando gli occhi su quelli dell'altro.
«Che cosa facciamo?!»
Potevano quasi sentire il respiro caldo dell'Inferno dietro il velo.
«Dobbiamo avvertire gli altri angeli?»








To be continued ~





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Capitolo 20

«Devi perciò mantenere un profilo basso. O almeno giurarmi che ci proverai. Non fidarti dei demoni, per nessuna ragione al mondo... e su tutto ricordati che non sei pronto per affrontarli da solo. Nè loro né gli angeli che ci danno la caccia. Non ne hai le capacità fisiche.»
Jay non si offese, semplicemente perché era quella la realtà dei fatti, e annuì. Poi si schiarì la voce.
«E di te posso fidarmi, invece?» indagò. Era serio, non c'erano giochetti o battutine stupide di mezzo: voleva davvero fidarsi di Felix, nonostante a volte gli sembrasse che l'angelo stesse facendo di tutto pur di evitare che ciò accadesse.
Fel si esibì in una smorfia che Jay, semplicemente, non seppe come definire.







~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Salve a tutti

Sì lo sappiamo siamo persone orribili e probabilmente non meriteremmo il vostro affetto e tutto quello che ci date ogni giorno, ma lasciatemi dire che è un periodo un po' pesante (tra università e altre cose che non sto qui a spiegare) e che abbiamo avuto diverse incomprensioni.
Ho quasi rischiato di mollare tutto, come alcuni di voi già sanno, ma Lady Holmes è riuscita a convincermi a tornare indietro, sapete com'è fatta sa essere ben persuasiva, ed eccoci qui ad aggiornare XD
Che ve ne pare del capitolo?
Pochi passi all'azione, dunque! Non siete emozionati?
Non vi tremano le gambe?**
C'è da dire che questi capitoli sprizzano Jalix da tutti i pori...
*va a prendere un secchio per contenere la bava*
Anyway, io spero che da qui in poi le cose di facciano più interessanti per tutti voi ** Noi siamo qui e vi aspettiamo pazientemente come sempre u.u
Salve a tutti anche da me!! :D
Sì, io e Miss Watson abbiamo avuto un brutto litigio che ha rischiato di rovinare sia la nostra amicizia che Timeless, ma per fortuna, come Jay imparerà, i miracoli esistono e quindi siamo riuscite con un po' di buona volontà a sistemare le cose :3
Questi capitoli sono stati per lo più introduttivi, e forse da questo vi aspettavate qualcosa in più, ma abbiamo preferito concentrarci un po' sui retroscena angelici :P c'è una bella storia da raccontare sulle motivazioni che hanno spinto gli angeli ad agire in un certo modo, e la Caduta di Lucifer è solo la punta dell'iceberg.
Un'altra cosa che mi piacerebbe farvi notare, è che la storia è un POV di Jay, che si fida di Felix, ma non sempre Felix sa tutto, e non tutto quello che è convinto di sapere poi magari è vero, e tutto ciò che è considerato una leggenda MAGARI potrebbe davvero essere SOLO una leggenda ;)
Anyway, prima di lasciarvi vi anticipo che nel prossimo capitolo finalmente faremo la conoscenza di un personaggio molto importante che si unirà alla nostra Squadra :D
Detto questo, alla prossima! ^^ Spero che non abbiate smesso di leggere per il ritardo :(
Il prossimo cap arriverà tra due settimane! <3
E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^*


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†††

1. L'Inferno popolato da Arpie:

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2. The HELL:

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3. La faccia del Demone in cielo (con la serie di anime dannate + Jay e Fel sotto):

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4. Demone con Cerberi:

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5. Jay terrorizzato:

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-Ci scusiamo per l'assenza di Gif ma oggi tinypic si rifiuta di funzionare per quelle O__O



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Farai felice milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)

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Capitolo 21
*** 20. ***


Timeless 20 AVVISO IMPORTANTE
So che il ritardo non è giustificato -almeno per così poco tempo- e questa volta non è una questione di impegni -oppure sì xD-
Sono Lady Holmes.
Qual è l'annuncio? Io e la mia collega abbiamo avuto dei problemi... no, non abbiamo litigato.
Ma lei lascerà momentaneamente il progetto.
Il ritardo è stato per questo motivo... ho aspettato per un po' che si liberasse per scrivere, ma alla fine abbiamo capito che era meglio lasciar perdere.
O per lo meno, per adesso.
Perciò ho dovuto prendere io le redini della storia... questo capitolo è ancora scritto in due, o per lo meno all'inizio, poi da metà e dal prossimo li sto scrivendo da sola... ho cercato anche di portarmi avanti.
Lo so, LO SO, è un duro colpo.
Spiace anche a me.
Ma spero comunque che continuerete ad apprezzare la storia, adesso aggiornerò un po' più velocemente. E tutto si fa più creepy cwc

Comunque, questo è l'annuncio di Miss Watson, di qualche giorno fa:


Cari lettori

è con rammarico che debbo abbandonare Timeless. Non fraintendetemi, non è un addio definitivo, solo riconosco di non essere capace di far coincidere le cose
e lascio la direzione a Lady Holmes che, ne sono sicura, saprà concludere degnamente questa storia
Con affetto
Miss Watson



Nel capitolo precedente...


Jay e Felix hanno varcato le soglie dell'Inferno, un caos di sabbia, fumo e sangue, con il volto di un demone terrificante nel cielo, abitato da Arpie, Cerberi e demoni, che si divertono a torturare e sviscerare le anime dei dannati nelle loro ruote uncinate.
All'ingresso del tempio vi è rappresentata col sangue la scena della caduta di Lucifer, le cui ali furono strappate dal fratello Michael. Perdere le ali è quanto di peggio può accadere ad un angelo, perché equivale alla dannazione e al disonore eterno.
Ancora una volta Felix rivela a Jay di aver colto qualcosa di particolare in lui, come una luce diversa simile a quella del Paradiso, eppure non riesce a spiegarsene l'origine. Ma se è vero quello che si dice, Dio ha un piano per ognuno di noi...
Jay scopre anche che i demoni sono controllati dagli angeli attraverso una maledizione, un'armatura che impedisce loro di raggiungere la propria vera forma, assai più bestiale di quella attuale. I demoni, un tempo angeli, possono ancora pentirsi, ma pochi di loro lo fanno.
Infine, al di là del velo Dante e Virgilio hanno riconosciuto Jay come un essere umano ancora vivo, e Felix come un impostore, ma non sanno esattamente come reagire alla notizia. Avvertiranno gli altri angeli?


Now...



Soundtrack del giorno:
https://www.youtube.com/watch?v=mNuV0xQLNuQ (che in realtà non ha niente a che fare col capitolo ma mi piace quindi ascoltatela durante la lettura u.ù)





Capitolo 20




Jay restò in silenzio per qualche attimo mentre lui e Felix continuavano a scendere verso l'Inferno e quelle parole e ciò che rappresentavano gli rimbombavano nella testa.
Michael gli ha strappato le ali.
Se almeno un po' aveva capito di tutto quel casino che aveva deciso di piombargli tra capo e collo, le ali per gli angeli erano ciò che per gli umani erano gambe e braccia.
Si immaginò mentre strappava un braccio ad Archie e l'immagine, oltre a fargli torcere lo stomaco, gli provocò un brivido di raccapriccio.
«Con che... come diavolo ha fatto? Era pur sempre suo fratello!»
«Michael è la spada di Dio.»
«Lucifer era suo fratello! Non so come funzionino le cose tra voi esseri piumati ma strappare qualcosa di così importante a un fratello senza nemmeno sedersi e prendere un the insieme e parlarne è... non ho nemmeno parole!»
Ma Felix aveva uno sguardo lontano, quasi come se pensasse a qualcosa. O a qualcuno. Per un momento Jay si chiese il perché di quello sguardo...
Da quello che aveva capito, il suo amico piumoso non era ancora nato, ai tempi.
Si chiese chi gli avesse raccontato quella storia.
«Ci sono volte in cui anche noi angeli dubitiamo» sussurrò Fel, strappandolo da quelle riflessioni. Jay lo guardò stranito, quasi non riconoscendolo.
Lo diceva proprio lui che poco prima aveva proclamato un'incrollabile fede in Dio?
«Eppure obbediamo. Perché è ciò che ci rimane per sopravvivere» e quasi rispondendo alla domanda nascosta dietro lo sguardo di Jay aggiunse: «Me lo ha detto una persona molto saggia, una volta.»
Prima che Jay potesse aggiungere altro, però, Felix parve riscuotersi dalle sue riflessioni e si portò un dito alle labbra: l'umano lo guardò smarrito qualche attimo e l'angelo scosse il capo.
Jay avrebbe voluto chiedergli chi fosse quella persona tanto saggia, e per un momento s'immaginò un baby Felix con due enormi occhioni blu fissare con aria attenta un uomo -o una donna, perché no- senza volto parlare all'ombra di un albero o magari accanto al fuoco scoppiettante di un camino, ma l'angelo non gli diede nemmeno il tempo di aprire bocca: parve infatti che Felix fosse stato bruscamente strappato dai suoi pensieri e riportato con i piedi ben saldi sul terreno perché, un attimo dopo, l'angelo aveva ripreso l'aria fredda e composta del soldato.
«Ora ascoltami» lo avvertì severamente. Jay si chiese se lo avessero cresciuto così o se facesse parte del suo carattere e si stupì di quella voglia che aveva di conoscere quante più parti possibili dell'angelo che lo accompagnava in quella stramba avventura.
Peccato che Felix non sembrasse dello stesso parere.
Aveva iniziato a rinchiudersi dietro un alto muro di ghiaccio e, nonostante i brevi momenti in cui gli permetteva di spiarlo da dietro le crepe, manteneva l'atteggiamento freddo e impersonale di una macchina da guerra addestrata per uccidere senza troppi rimorsi, raggiungere il proprio obiettivo senza pensare alle conseguenze.
Ma se Felix fosse stato davvero solo il soldato che tante volte lo aveva ripreso?
L'angelo che lo riprendeva per ogni minimo errore, quasi disgustato dal suo essere solo un piccolo, povero umano?
Jay non sapeva che pensare. Non era di certo la prima volta, era davvero solo un essere umano e aveva avuto mille momenti di incertezza, ma mai nella vita aveva avuto tanta paura.
Vuoi perché Felix fosse la sua ancora in mezzo alla tempesta, vuoi perché in fondo si fosse davvero affezionato a quella piccola palla di piume che proprio non capiva i suoi riferimenti cinematografici e letterari.
«Stiamo per addentrarci nell'Inferno e sono abbastanza sicuro che il nostro vantaggio sui miei fratelli non ci renderà immuni dall'essere trovati. I demoni sono creature scaltre e pericolose, l'incarnazione della falsità, della corruzione, della malvagità: non devi mai fidarti di loro» disse Felix, strappandolo dai suoi pensieri.
«Devi perciò mantenere un profilo basso. O almeno giurarmi che ci proverai. Non fidarti dei demoni, per nessuna ragione al mondo... e su tutto ricordati che non sei pronto per affrontarli da solo. Nè loro né gli angeli che ci danno la caccia. Non ne hai le capacità fisiche.»
Jay non si offese, semplicemente perché era quella la realtà dei fatti, e annuì. Poi si schiarì la voce.
«E di te posso fidarmi, invece?» indagò. Era serio, non c'erano giochetti o battutine stupide di mezzo: voleva davvero fidarsi di Felix, nonostante a volte gli sembrasse che l'angelo stesse facendo di tutto pur di evitare che ciò accadesse.
Fel si esibì in una smorfia che Jay, semplicemente, non seppe come definire.
«Andiamo» furono le sue uniche parole, poi gli fece cenno di seguirlo mentre svoltava l'angolo della montagna che li separava dall'orrore vero e proprio.
E all'umano non restò altro da fare se non seguirlo.
 Doveva ammetterlo: da vicino l'Inferno era anche peggio di ciò che avesse visto dall'alto.
Il caldo era semplicemente insostenibile e Jay dovette ammettere che, se quella sciarpa non fosse stata una sorta di sostegno morale -un modo per convincersi che sua madre fosse lì con lui, con il suo sorriso incoraggiante e l'aria benevola, quelle carezze fuggevoli che gli faceva ogni tanto tra i capelli e sul volto e il suo profumo che sapeva di casa-, se la sarebbe tolta più che volentieri.
«Ma tu non hai caldo?» si irritò quasi, accusandolo.
L'angelo sospirò come se non si stupisse nemmeno più di quel tono. «Quante volte devo ripetertelo? Noi angeli non...»
«...siete attrezzati per sentire nulla, sì, sì» completò per lui Jay, distogliendo lo sguardo. Si passò la lingua sulle labbra. Doveva calmarsi, o Felix se ne sarebbe accorto.
L'angelo, dal suo canto, non sembrava neanche prestargli attenzione. Titubante ad allontanarsi dal riparo in cui si trovava e forse, inconsciamente, cercare di ritardare il più possibile l'entrata all'Inferno, fece qualche passo senza staccare la mano dalla parete, e Jay si concesse qualche attimo per guardarsi intorno, ancora una volta.
Vi erano delle strane sporgenze di pietra rossa un po' ovunque, come degli scogli che emergevano da quel pavimento bollente, e molti di essi erano schizzati di sangue. I demoni, nelle loro lucenti armature nere, torturavano anime che erano legate a queste rocce o abbandonate per terra, o ancora appese a testa in giù da degli alberi morti.
Più avanti, addirittura, Jay notò quelle che avevano tutto l'aspetto di ruote della fortuna... solo che ad ogni tassello non c'erano cartelli che annunciavano soldi o regali natalizi.
Le ruote giravano lentamente, con le anime bloccate ad esse tramite delle corde su polsi e caviglie.
E i demoni con i propri artigli affilati squarciavano la loro pelle, bevevano il loro sangue, strappavano loro gli organi di dosso, spesso ancora pulsanti, mentre l'anima urlava e urlava e urlava...
«Jay» lo richiamò Felix piano, toccandogli una spalla con due dita. Jay sussultò e lo guardò, come un bimbo smarrito. Deglutì, cercando di ricacciare in fondo alla gola la paura sorda, e alla richiesta silenziosa dell'angelo di continuare la marcia annuì.
Felix fece una smorfia che forse doveva somigliare ad un sorriso e finalmente abbandonò la parete rocciosa.
«Ricorda adesso: profilo basso e niente gesti inconsulti, siamo intesi?»
Jay non si rese nemmeno conto che l'angelo gli stava rivolgendo la parola. Appena abbandonato il percorso di pietra e messo piede nel vero suolo dell'Inferno, una nuvoletta di vapore si sollevò dal punto in cui l'aveva appoggiato. Attratto e insieme preoccupato dalla situazione, levò il piede e si ritrovò ad ammirare la propria impronta pulsante e incandescente.
«Ma che--?»
«Jay!» lo rimproverò Felix con un sussurro agitato.
«Scusa...» borbottò lui inghiottendo l'imprecazione che gli risalì alle labbra non appena fece qualche altro passo. Il calore era praticamente insopportabile. Gli sembrava come se da un momento all'altro gli si potessero squagliare i piedi.
E forse le scarpe avevano già iniziato a sciogliersi.
«Adesso ascoltami bene...» Felix parlava sottovoce e in maniera concisa, guardandolo a testa bassa e con la coda nell'occhio mentre procedeva veloce.
«Non guardarti intorno. Ripeto: non guardarti intorno. Seguimi dietro quella sporgenza rocciosa e non fare altro.»
Jay desiderò con tutto se stesso ascoltarlo davvero, ma tra il pavimento bollente -in alcuni tratti la pietra si spaccava e si poteva intravvedere la lava sottostante, tra il fumo- e tra le urla dei dannati e le risate dei demoni, era un po' difficile restare concentrato.
La sporgenza di cui parlava Felix non era lontana: e si trovava in una zona in cui, per fortuna, non vi erano presenti demoni o anime torturate.
«Affrettati» lo rimbeccò Felix quando Jay si perse a fissare una ruota della tortura: a soffrire vi era un uomo con la barba rossa -Jay non seppe dire se per natura o per il sangue- che si lamentava, il petto scoperto e ricoperto di sudore, fango e soprattutto ferite aperte e sanguinanti.
«Ti prego...» implorava il poveretto, gli occhi lucidi di lacrime -per il caldo o il dolore?- le labbra e le gote tremolanti, il petto che si alzava e abbassava velocemente.
«Ti prego... farò tutto quello che vuoi... tutto... ma lasciami andare...»
Il demone, un bestione alto quasi due metri con una corazza ricoperta di borchie che era il doppio di lui, ed un elmo spinato che gli copriva il volto, eruttò una risata soddisfatta. «Cosa dici? Non ti ho sentito... ripeti più forte.»
Con un gesto fluido colpì il poveretto al ventre, squarciandoglielo con gli artigli. L'uomo urlò come Jay non aveva mai sentito urlare nessuno, col gomito del demone che spariva dentro il suo stomaco sanguinante.
Il demone ritirò la mano imbrattata di sangue, e il poveretto accasciò la testa sul petto. «Ti prego... ti p-prego...»
«D'accordo» convenne il demone, facendo spallucce e un passo indietro. «Ti lascerò stare.»
Il dannato aprì di nuovo gli occhi, e Jay trattenne il fiato insieme a lui.
«Davvero?»
Il poveretto era così sollevato che sarebbe scoppiato a piangere, se poi il demone non avesse fatto un altro passo indietro e detto semplicemente:
«Sì... perché ti lascerò a lui.»
Schioccò le dita, e il grosso Cerbero dietro di lui, con le tre teste dalle orecchie tirate all'indietro e i canini scoperti, spiccò un salto.
L'ultima cosa che Jay vide fu un ammasso di pelo che si avventava sull'anima tra le urla disperate di questa e il chiarissimo rumore della carne dilaniata e delle ossa fatte a pezzi.
Felix lo tirò quasi di peso dietro la sporgenza e solo allora Jay si ricordò di respirare... aveva l'affanno, il cuore batteva a mille e gli occhi saettavano da un punto all'altro.
Non poteva credere a quello che aveva appena visto.
«Jay...» quante volte Felix aveva ripetuto il suo nome?
«Ti avevo detto di non guardare.»
«Mi dispiace» disse in fretta Jay, la voce che uscì spezzata e come un soffio, il respiro accelerato. «Io non...»
Gli bruciavano gli occhi
«Mi dispiace, io... io...»
«Jay? Jay!»
Il giovane Denver prese un grande respiro, chiuse gli occhi per calmarsi, e quando li riaprì si portò una mano alla bocca, per frenare il conato di vomito.
«Sto... sto bene» si schiarì la gola «Sto bene, davvero. Allora, il piano?»
Tentò anche di fare un sorriso, che probabilmente ebbe l'effetto di una smorfia disgustata perché Felix sollevò un sopracciglio. Ma fortunatamente non disse una parola.
«Il piano...» si guardò intorno per assicurarsi di non essere visto, poi infilò la mano sotto la giacca di jeans e ne estrasse un coltello.
Era un pugnale maestoso, con l'impugnatura di quello che sembrava argento e la lama di uno strano materiale brillante. Non come un cristallo, ma come un qualcosa che producesse luce propria.
«Contiene grazia angelica» spiegò in risposta al suo sguardo.
Jay non ebbe nemmeno il tempo di fare domande perché Felix, senza troppe cerimonie, gli afferrò un palmo e vi fece una breve incisione col coltello.
«Ahi! Ma sei impazzito...?»
Felix lasciò la presa e Jay ritrasse con rabbia la mano sanguinante, cercando di tamponare la ferita con l'altra.
«Che ti è saltato in men--»
«Silenzio.»
Felix raccolse tra le dita il sangue di Jay rimasto sul coltello e con esso disegnò un simbolo a forma di triangolo sulla parete.
«E' un sigillo Enochiano» illustrò, guardandosi di nuovo intorno per assicurarsi che nessuno li avesse notati. Per fortuna, in quella zona della radura non c'era anima viva.
O morta.
«Ho utilizzato il tuo perché funzionano solo col sangue umano» continuò mentre ripuliva la lama contro i pantaloni e la rimetteva a posto dentro la tasca interna della giacca di jeans «infatti un tempo i vostri sacerdoti facevano sacrifici umani per comunicare con Dio e gli angeli. Non capivano che bastava solo un po' di sangue... è anche vero che alcuni angeli, quelli più oscuri, pretendevano che i sacrifici morissero... ma erano per lo più gli angeli della Morte stessi e molti di loro sono di fatto diventati Mietitori, dopo. I peggiori addirittura sono caduti dal Paradiso e si sono trasformati in demoni, probabilmente sono tra queste fila, anche per questo spero di non incrociare il cammino di nessuno perché non vorrei che per qualche fortuito caso qualcuno potesse ricordare il mio volto e quindi...»
«Felix!» lo interruppe Jay, un po' brusco «sono sicuro che il tuo racconto sia interessantissimo ma vedi, dei mostri assetati di sangue stanno ammazzando gente a pochi metri da noi e i tuoi fratelli bastardi ci stanno alle costole quindi... non potremo fare in fretta? Qualsiasi... qualsiasi cosa dobbiamo fare.»
«Oh, sì» convenne Felix, colto per un attimo alla sprovvista «Hai... voglio dire, suppongo tu abbia ragione.»
Si schiarì la gola e abbassò un attimo lo sguardo. «Va bene. Facciamolo.»
Si tirò su la manica del braccio sinistro e poi toccò il sigillo col palmo ben aperto. Esso si illuminò subito della stessa luce viola che poi passò velocemente nelle vene di Felix fino a fermarsi sotto le sue palpebre.
L'angelo parve illuminarsi tutto per un attimo, poi fu come se qualcuno gli avesse dato un pugno perché si irrigidì tutto e tirò indietro la testa. Quando riaprì gli occhi, le iridi avevano assunto quella sfumature violetta di quando utilizzava la sua magia angelica.
Jay non si accorse subito della seconda luce che si era accesa a distanza, concentrato com'era a fissare meravigliato Felix.
Felix, quasi spinto da una forza sovrannaturale, ruotò il capo in maniera che Jay avrebbe definito "robotica" e puntò lo sguardo in lontananza, dove l'orizzonte si perdeva dietro dislivelli di terreno infuocati.
In cima ad una piccola collinetta, poi, vi era il tempio che avevano visto all'inizio.
O meglio, quello che ne restava.
Felix staccò la mano dal sigillo e la leggera luce che l'aveva catturato fino ad un momento prima si estinse, veloce come era arrivata. Il distacco fu in qualche modo traumatico, come se gli avesse prosciugato gran parte delle forze perché traballò e sarebbe svenuto se Jay non l'avesse prontamente afferrato per le spalle.
«Woohoo, Felix, che ti prende?»
Lo scosse delicatamente, cercando di non farlo scivolare a terra.
Felix grugnì qualcosa, dondolò la testa come se fosse troppo pesante per sorreggerla, poi sollevò le palpebre e le sbatté un paio di volte per metterlo a fuoco.
«Che...» farfugliò semplicemente, quando la comprensione conquistò il suo sguardo. Si riscosse e si discostò in fretta da lui per rimettersi in equilibrio.
«Dimenticavo quanto potessero indebolire questi sigilli» si scusò con un mezzo sorriso a cui Jay rispose annuendo.
«Comunque era un incantesimo di localizzazione. Adesso sappiamo dove trovare la chiave.»
«Al tempio?»
«Alle rovine» lo corresse Felix. Stava per girarsi, ma corrugò le sopracciglia. «Un momento, tu come fai a saperlo?»
«L'ho visto» rispose ovvio Jay, e sentì un improvviso gelo. «Aspetta, non avrei dovuto?»
«No» confermò Felix quasi timoroso.
Osservò un attimo il vuoto, poi riportò gli occhi su di lui. «Deve essere per via del sangue» giustificò.
Jay fece una smorfia non del tutto convinta e Felix si rianimò. «Dobbiamo muoverci. Ah, e Jay...» lo bloccò con un braccio proprio quando avevano ripreso la marcia. Lo guardò intensamente «Non distrarti. Per nessuna ragione. Non guardare, se ti fa sentire meglio. Va bene?»
Jay si sentì punto sul vivo. Come se fosse facile! Si trovavano nel fottuto Inferno, mica in un parco giochi!
«Non puoi perdere il controllo proprio adesso. C'è ancora... tanto lavoro da fare» Felix mantenne il contatto visivo «Non possiamo permetterci rallentamenti. Devi rimanere concentrato, focalizzato sull'obiettivo.»
«Sì... sì, va bene» lo rassicurò in fretta l'umano, intriso di fastidio. Ma non gli diede il tempo di coglierlo perché lo superò incamminandosi a capo chino.
«Provaci tu a ignorare tutto, idiota...» biascicò offeso.
«Cosa hai detto?»
«Niente» sbottò Jay. Felix non indagò oltre, si limitò a camminargli al fianco e non appena, superata la roccia, i suoni prepotentemente tornarono a squarciare i timpani di Jay così come i demoni i corpi delle povere vittime, gli poggiò una mano sulla spalla.
«Ricordati quello che ti ho detto.»
Jay si costrinse a distogliere lo sguardo da quella tragedia, quelle urla, quel terrificante demone di fumo nel cielo, quei Cerberi che latravano e divoravano, quelle Arpie che lanciavano strida fastidiose e quel calore infinito che si levava dalla lava incandescente.... distolse lo sguardo da tutto quello schifo, sicuro che, purtroppo, non l'avrebbe mai più dimenticato.
Gli era rimasto impresso nella retina, indelebile, come un marchio a fuoco.
Focalizzarsi sull'obiettivo, si ripeteva a mente mentre cercava di deglutire e respirare, di continuare ad andare avanti mentre il Male infuriava attorno a lui. Ignorò i corpi straziati che venivano scagliati lontano, le risate dei demoni, tutto.
Focalizzarsi sull'obiettivo, pensò ancora, Archie.
Cercò di imprimersi a mente l'immagine del fratello. Del suo viso allegro, sorridente, con le fossette sulle guance e i riccioli scuri.
Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio... mentre il suo cuore e la sua anima urlavano di dolore e paura per quel luogo di perdizione... ma doveva andare avanti.
Dammi la forza, fratellino... pregò infine, mentre una lacrima rotolava giù calda e veloce.
«Eih, voi due laggiù, dove pensate di andare?!»





To be continued ~





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Capitolo 21

Il demone sbuffò tra i denti, raggiungendoli.
«Ecco, allora andatevene!» e separò Jay dalla donna, allontanandolo con una mano sul petto.
Ma poi qualcosa cambiò.
Cambiò nello sguardo del demone, e in quello di Felix.
Il primo di apprensione, il secondo di paura.
Jay sfuggì al tocco del demone, col fiato corto e il cuore a mille, mentre quello voltava il palmo e lo osservava come se non lo riconoscesse.
Il tempo parve fermarsi, cristallizzarsi in quell'attimo.
Jay aveva commesso l'errore più madornale della sua vita.
E non poteva più rimediare.








~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } [ma tra poco solo Autrice mi sa ç_ç]~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*] {in corsivo le frasi di Miss Watson, normali quelle di Lady Holmes}
Non so davvero cosa aggiungere... abbiate pazienza, Miss Watson non è andata via per sempre :') tornerà appena sarà più libera....
Ma parliamo del capitolo :D
Felix e Jay non credevano davvero che tutto sarebbe andato rosa e fiori, vero?? E questo ancora è SOLO l'inizio ;)
Non vi dirò niente perchè, usando l'espressione di River Song, "spoileeers :D", ma posso annunciarvi che qualcosa di creepy è all'orizzonte, forse più vicino di quanto sembri.
Poi, qui ci sono degli spunti interessanti. Come dico sempre non tutto è come sembra.
Innanzitutto, sì, più avanti scopriremo qualcosa in più su questa "persona saggia" di cui parla Fel, e avremo anche dei flashback sul suo passato cwc Anche gli angeli sono stati bambini, del resto <3
E Jay che nota cosa che non dovrebbe... EHEH :D *meglio se sto zitta perché se no spoiler LOL*
Oh e presto il nostro team darà il benvenuto ad un nuovo personaggio ;)
A questo punto davvero non ho parole. E strano, perché di solito sono loquace xD
E' inutile scusarmi di nuovo per il ritardo, perchè è assurdo, e lo so.
Mi dispiace.
Ma perdonatemi :')
Il vostro supporto è sempre prezioso e arricchisce questa storia sempre di più <3
Sì, parlo anche a voi lettori silenziosi, fate un fischio ogni tanto ;)
Spero di poter essere all'altezza delle vostre aspettative e di saper reggere la storia da sola per un po'.... ma sarete voi i miei giudici :D
p.s: e siccome qualcuno ha chiesto... no, Jay non è una femminuccia lamentosa che va in panico e piange ad ogni occasione. Tutt'altro. Lo vedrete più avanti, e con altri flashback... è un ragazzo sensibile -ma non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura xD- ma diciamo che il passato l'ha temprato abbastanza -sia il passato passato, che il passato inteso come morte di Archie- Diciamo, ecco, che l'Inferno è abbastanza terrificante, se arriva a farlo disperare come sta facendo xD ma per gli amanti del suo spirito vivace, tranquilli che anche lui farà emergere il suo lato più badass, più prima che poi -diciamo anche dal prossimo capitolo bwahah- ;)


E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^* 


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†††

1. La caduta di Lucifer:

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2. I demoni:

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3. Un Jay inquieto:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Don't mess with the guy, Fel!! (also: rifatevi gli occhi u.ù):

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Capitolo 22
*** 21 ***


Timeless 21 Nel capitolo precedente...

L'Inferno non è sicuramente migliore di come Dante l'aveva descritto, di questo Jay se ne rende conto subito: vi sono arpie, demoni, ruote delle torture, armi di tutti i tipi, e sangue sparso un po' ovunque.
Il caldo è insopportabile, e il terreno è incandescente. Le urla dei dannati lacerano il silenzio. L'immagine di un demone di fumo li fissa dal cielo.
Come se ciò non fosse abbastanza, lui e Felix devono anche mantenere un profilo basso per non farsi scoprire dagli altri angeli. Felix utilizza il sangue di Jay per disegnare un sigillo, col quale rintraccia l'ubicazione della chiave: le rovine del tempio.
Si incamminano allora a quell'indirizzo, ma vengono fermati da qualcuno...

«Eih, voi due laggiù, dove pensate di andare?!»

Now...



Soundtrack del giorno:
https://www.youtube.com/watch?v=efcXonnA2zI (che in realtà non ha niente a che fare col capitolo ma mi piace quindi ascoltatela durante la lettura u.ù)





Capitolo 21




Jay sussultò, riaprendo gli occhi, e quasi inciampò sui suoi stessi piedi.
Di fronte a lui si ergeva un demone che lo superava di almeno una spanna in altezza, coi capelli lunghi e neri, gli occhi fiammeggianti, ed un sorriso munito di denti aguzzi. Indossava un'armatura nera cosparsa di borchie, reggeva in mano uno di quegli spadoni medievali che Jay aveva visto tante volte nei film, dentellato da un lato, e aveva tutta l'aria di non volerli lì.
A donargli un'espressione minacciosa non erano solo i denti e i muscoli... qualcosa nel suo viso deturpato, nella sua figura schizzata di sangue, nella sua pelle raggrinzita e nelle ombre violacee sotto gli occhi, incuteva un timore reverenziale.
Forse era lo sguardo.
Non perché gli occhi fossero rossi, non perché all'interno vi guizzasse una luce come di una fiamma, no. Ma c'era un'oscurità, una freddezza, una profondità come di un abisso.
«Allora? Parlo con voi due!» continuò il demone facendosi più vicino. Il suo alito era fetido.
Solo in quel frangente Jay si accorse che aveva ripreso a respirare. Ma i suoi muscoli erano ancora congelati.
«Sto portando un prigioniero da Lucifer» intervenì Felix come da copione, avanzando di qualche passo in modo da mettersi in mezzo ai due, e deviare l'attenzione del demone verso di sé.
La reazione del mostro fu immediata: spalancò gli occhi e sbiancò, per quanto fosse possibile considerando il colorito già smorto della sua pelle.
Poi si affannò in un buffo inchino, con tanto di capo abbassato.
«Mi scusi signore, non l'avevo riconosciuta!»
Jay sollevò un sopracciglio, spostando lo sguardo su Felix, che tuttavia lo ignorò.
Forse ha capito solo ora che si stava rivolgendo ad un angelo? Si chiese il maggiore dei Denver mentre il demone si rimetteva in piedi.
«Dalla stella del mattino?» si aprì in un sorriso entusiasta, in modo che i denti aguzzi facessero bella mostra di sé. Si voltò verso Jay, che trattenne nuovamente il respiro.
Il demone gli faceva lo stesso effetto di Medusa a Perseo: trasformarlo in pietra.
«Deve essere un pezzo grosso, allora» considerò il demone analizzandolo come se fosse un taglio di carne particolarmente appetitoso.
«Siete sicuro, signore, che non volete che gli dia una ripassatina, prima? Ho appena finito il mio turno...» con un pollice coperto dalla manopola di ferro nero indicò la propria ruota delle torture, in legno, con quattro ganci per polsi e caviglie, quasi interamente ricoperta di sangue fresco.
Accanto ad essa vi era un tavolo cosparso di armi, lame, chiodi e ganci di tutti i tipi.
Jay, se possibile, divenne ancora più cinereo.
«Oh no» obiettò nuovamente Felix, così improvvisamente che a Jay sembrò uno scoppio e sobbalzò.
Il demone corrugò la fronte.
«Mmm.»
Jay emise una risatina nervosa, sollevando le mani all'altezza delle spalle.
«Sarà per un'altra volta, amico» si scusò, ironico, ma la voce gli uscì più spezzata del previsto.
Il demone strinse la mascella.
«Peccato. Davvero un peccato» scosse la testa «Quegli occhi verdi sarebbero stati perfetti per la mia collezione.»
Ogni tentativo di replica morì nella gola di Jay.
Felix gli afferrò il braccio e lo trascinò in avanti, lontano dal demone.
«Ci penserò, per la prossima anima.»
«D'accordo, come preferisce» fece il demone, servile, con un altro inchino di congedo. «Per qualsiasi cosa chieda di me, signore. Il mio nome è Furcas*. Mi trova sempre qui, in ogni caso. Buon viaggio, e a te, umano...»
Jay si costrinse a guardarlo, mentre quello sorrideva e lo salutava con la mano.
«Buona morte. Oh no, scusa, dimenticavo: sei già morto.»
Jay sforzò una risatina, annuendo, poi tornò sui suoi passi al fianco di Felix.
«Ma che simpatico. Qui il senso dell'umorismo lo vincono alla lotteria?»
«Avremmo dovuto stare più attenti» si rimproverò invece Felix. «Ci è mancato pochissimo, se ci avesse scoperto...» sospirò.
«E io che credevo che il nostro problema principale fossero gli altri angeli» replicò Jay, sarcastico.
«Oh, non sottovalutarli» Felix schioccò le dita e attorno ai polsi di Jay si costituì un paio di manette.
«Ma che...»
«Precauzione, Jay. In questo modo sembriamo più carnefice e vittima.»
Alzò il capo guardandosi intorno, oltre la spalla di Jay.
Quando si assicurò che nessuno li stesse osservando, si accostò all'umano.
«Ho controllato: più avanti c'è una schiera di demoni, quindi dovremo mantenere la massima concentrazione per passare inosservati. Fortunatamente sono occupati nelle loro mansioni, quindi è più probabile che non ci notino.»
«Con mansioni intendi torture, vero?»
«Non è il momento di fare dello spirito, Jay.»
«Non stavo facendo dello spirito, Spock!» Jay sbuffò quando Felix inclinò la testa senza capire il riferimento. «D'accordo, ti ascolto. Massima concentrazione. Focalizzarsi sull'obiettivo. Ci sono. C'è altro?»
«Sì» rispose Felix, che evidentemente non vedeva l'ora di dirlo. «Riguarda gli angeli. Prima avevo dato un'occhiata ma dalla postazione in cui siamo adesso ho avuto una percezione più chiara delle loro posizioni. Vi sono tre angeli guardiani. Due si trovano agli angoli, poco lontani dalla porta. Non si muovono da lì, a meno che qualcosa non attiri la loro attenzione. Il terzo, invece, gira tra i demoni per controllare che le mansioni vengano svolte come Dio... o chi per lui» si corresse poco dopo, con una nota di frustrazione «ha ordinato. E ho ragione di credere che potremmo incontrarne un altro più avanti, e altri due ai limiti dell'Inferno. Dubito, tuttavia, che arriveremo così lontano.»
«Perché ci uccidono prima?»
«Perché la nostra meta sono le rovine, non i confini dell'Inferno» rettificò Felix, asciutto.
«O perché ci uccidono prima» insistette Jay.
«Quello che è» Felix si allontanò da lui, assumendo nuovamente la sua posa da creatura soprannaturale altezzosa.
Jay suppose che lo facesse per non attirare sguardi indiscreti.
Intanto, guardando davanti a sé notò un fiume aprirsi la sua strada attraverso il terreno bruciato. La superficie del fiume era rossa, ribolliva e fumava in più punti, così ad un primo sguardo superficiale Jay lo identificò come lava.
Quando tuttavia fu a distanza sufficiente per analizzarlo, si rese conto che il colore era fin troppo rosso, e sembrava anche viscoso.
«Oh porca...» fece istintivamente un passo indietro, con un rimescolio delle viscere. «Ma dannazione, non potevano avere la fissa del cioccolato, questi? No, il sangue. Sempre il sangue.»
«Che ti aspettavi? Sei all'Inferno» lo riprese Felix, con sufficienza, ma con un tono che sembrava in parte divertito.
Che il pennuto stia imparando a scherzare?
Jay stette al gioco.
«Farò presenti le mie lamentele al diavolo, affinché prenda provvedimenti sull'arredamento scadente.»
Felix sbuffò una risata, stringendo le labbra, poi però l'allegria evaporò veloce com'era arrivata.
«Come la attraversiamo questa arteria vivente?» domandò Jay, mentre scrutava timoroso i demoni dall'altra parte della riva, alcuni di loro intenti a frustrare un paio di anime appena arrivate.
«Ci dovrebbe essere una barca.»
«Non ci credo...!»
«Perché?» chiese Felix, poi individuò una barca, abbandonata sull'altra sponda, e allungò una mano verso di essa.
I suoi occhi si illuminarono di viola e un attimo dopo la barca venne trainata verso di lui come da una corda invisibile.
«Wow, telecinesi. Figo.»
La barca avanzò placida, producendo onde concentriche sulla superficie del sangue. Traballando li raggiunse, con un piccolo tonfo contro la riva.
«Per fortuna ho avuto l'accortezza di creare le manette, altrimenti ci avrebbero fermato già dieci demoni» si vantò Felix. Poi, senza aspettare che Jay allungasse un piede per salire sulla barca, lo spinse in avanti.
Jay perse l'equilibrio e sbatté il naso contro il bordo dell'imbarcazione.
«Vaffanculo!» imprecò a denti stretti mentre si portava una mano alla zona offesa, che aveva iniziato a sanguinare.
«Ma ti si è ammattito il cervello?»
«Dobbiamo mantenere un profilo basso, e tu sei il mio prigioniero. Meno sembriamo strani meglio è.»
«Oh certo, e quindi spaccare il naso al prigioniero rientra nel piano?»
«Sì.»
Felix non si curò nemmeno di afferrare i remi. Con un movimento agile della mano essi presero vita e li condussero attraverso il fiume ribollente.
«E adesso, goditi il viaggio.»
Jay si limitò a rivolgergli lo sguardo più torvo del suo repertorio.
«Era una battuta?»
Felix scrollò le spalle. «Ha importanza?»
Jay tramontò gli occhi al cielo, poi ancora imbronciato e dolorante si sporse appena per vedere il sangue sbattere contro la pareti della barca di legno. Si arrampicava per un po', per poi rifluire come schiuma attorno al loro passaggio.
Ogni tanto una bolla si espandeva sulla superficie, per poi esplodere quando il remo la sfiorava, imbrattandolo di sangue.
Jay represse un conato di vomito e decise che osservare i demoni torturare le anime era meno disgustoso.
Ma forse si sbagliava.
Perché in quella fila di anime innocenti riconobbe quelle che avevano accompagnato prima lui e Felix, quando attendevano di passare attraverso il velo.
Sentì piangere il bambino, ma non riuscì a vederlo da nessuna parte.
A quanto pareva il piccolo era bravo a nascondersi.
Stava giusto analizzando anche gli altri volti, quando la punta della barca toccò l'altra sponda, con un leggero tramestio di acque e un sobbalzo che rischiò di farlo cadere nel fiume.
Fortunatamente si aggrappò in tempo e si ritrovò semplicemente ad urtare un fianco, con un piede in aria.
«Atterraggio turbolento, eh?»
«Più avanti c'è un percorso lastricato. Dobbiamo seguirlo, ci porterà al tempio. Superati questi demoni non dovremmo incontrarne altri almeno per un po'.»
«Davve-» stava dicendo Jay ma poi Felix mutò atteggiamento di colpo, si alzò e lo tirò in piedi con una forza eccezionale.
Dopo lo gettò bruscamente sulla riva, e senza nemmeno aspettare le sue repliche, saltò agilmente a terra e afferrò nuovamente le manette, trascinandolo su.
«Potresti smetterla di sbattermi da una parte all'altra come se fossi una tovaglia coperta di briciole?» lo aggredì Jay tra i denti, dando uno strattone alle manette per sfuggire alla presa dell'angelo. «Mi fai male, idiota!»
«Niente in confronto al male che ti farebbero questi demoni se ti prendessero» lo rassicurò, spingendolo in avanti senza tante cerimonie.
«Vai avanti e non ti fermare» sibilò poi e Jay annuì, cercando ancora una volta di focalizzarsi sull'obiettivo -cioè il percorso lastricato- e non sui demoni che infuriavano attorno.
Tuttavia fu impossibile non alzare lo sguardo, nel riconoscere quei volti familiari.
Vide un uomo pingue, di cui riconobbe il neo sotto il naso, e poi quel vecchietto tutto azzimato, col vestito ormai stracciato e sporco di fango e sangue, a terra mentre due demoni sopra di lui lo prendevano a colpi di frusta.
Ad ogni sferzata e conseguente urlo di dolore Jay percepiva rizzarsi i peli della nuca e un brivido attraversargli il corpo.
Ad un tratto sentì distintamente il suono di un osso rotto e della carne lacerata, e una ventata di sangue gli bagnò la guancia.
«Non fermarti» gli intimò Felix da qualche parte dietro di lui, e come risposta al suo silenzio gli mise una mano sulla spalla.
O meglio, gliela strinse con forza, guidandolo in avanti.
«Non guardare, ti ho detto.»
Sembrava furioso.
Jay deglutì.
Sì, doveva calmarsi.
No, okay, calmarsi non era contemplato.
Impossibile, si trovava all'Inferno.
Va bene, Jay, pensa ad una strategia. Chiuse gli occhi e provò ad andare alla cieca, ma così rischiava di investire un demone come era successo prima, e farsi strappare gli occhi dalle orbite per una qualche malata ossessione non era certo in cima alla lista dei suoi desideri.
Ora, estrarsi i timpani per non sentire, non era fattibile.
O meglio, se non poteva evitarsi di sentire, almeno poteva tentare di non ascoltare.
 Allora decise per la mossa più semplice: abbassare gli occhi e guardare il terreno, spegnendo il cervello per un attimo.
E si rivelò anche la mossa più efficace... se non fosse che ad un tratto nel suo campo visivo apparve una donna.
E più precisamente, la donna in trench in fila con lui per parlare con Dante e Virgilio.
Jay dovette arrestarsi improvvisamente per non calpestarla, rischiando di provocare un effetto domino, infatti Felix non riuscì ad imitarlo in tempo e gli finì addosso.
«Jay...» stava iniziando ma il ragazzo non lo ascoltò.
La donna non aveva la forza di rimettersi in piedi.
Era tremante, imperlata di sudore, macchiata di fango e sangue, coi vestiti sporchi e stracciati e i capelli stravolti e pieni di polvere.
Il trench beige aveva ormai assunto una sfumatura bordeaux.
Il demone che l'aveva fatta cadere rise di gusto, ad un paio di metri da lei, mulinando la frusta.
Jay stava per aggirarla e continuare il cammino, con un peso sul cuore, quando la donna lo guardò.
E accadde tutto in pochi secondi.
Lo riconobbe e gli afferrò la caviglia.
«Ti prego... aiutami...»
Jay aprì la bocca, senza sapere cosa dire.
«Dovremmo andarcene, e in fre-» lo avvertì Felix, ma Jay non poteva lasciarla lì.
La donna provò ad alzarsi ma aveva una profonda ferita al fianco e quindi ricadde giù con un gemito strozzato, mentre sul pavimento si allargava una pozza di sangue.
Jay non realizzò nemmeno che si era accucciato per soccorrerla.
Il suo corpo smise di rispondere; agì d'istinto.
Le afferrò le braccia, nonostante l'impedimento delle manette, e la aiutò ad alzarsi.
«Ecco» concluse, apprensivo, mentre quella sorrideva tra le lacrime.
«Grazie, grazie davvero, sei...»
E poi il demone arrivò.
«Sta' indietro!» abbaiò, imponente, avanzando a grandi falcate con la frusta che lasciava un segno sulla sabbia dietro di lui.
Jay lasciò andare la donna, e Felix provò di nuovo a mettersi in mezzo.
«Noi non volevamo intervenire, infatti ce ne stavamo andan-»
Il demone sbuffò tra i denti, raggiungendoli.
«Ecco, allora andatevene!» e separò Jay dalla donna, allontanandolo con una mano sul petto.
Ma poi qualcosa cambiò.
Cambiò nello sguardo del demone, e in quello di Felix.
Il primo di apprensione, il secondo di paura.
Jay sfuggì al tocco del demone, col fiato corto e il cuore a mille, mentre quello voltava il palmo e lo osservava come se non lo riconoscesse.
Il tempo parve fermarsi, cristallizzarsi in quell'attimo.
Jay aveva commesso l'errore più madornale della sua vita, e non poteva più rimediare.
«Andiamo» esortò Felix con una voce stranamente acuta.
Jay non se lo fece ripetere due volte, e si mise a correre.
Ciò non gli impedì di sentire le urla del demone, e l'appressarsi di passi frettolosi al loro inseguimento.
«E' VIVO!» si stava sgolando il demone intanto «Ho sentito il cuore. QUEL DANNATO E' ANCORA VIVO!»


«Prendetelo!» ordinò qualcun altro, e Jay sentì l'ansia divorargli la gabbia toracica.
Si voltò un attimo per assicurarsi che i demoni fossero ad una certa distanza, ed ebbe un tuffo al cuore quando vide i suoi inseguitori sguinzagliare i cerberi.
I cani a tre teste velocizzarono la corsa con un latrato eccitato, sollevando una nuvola di polvere ad ogni passo, sollecitati dalle fruste e dai ringhi dei demoni dietro di loro.
«Non ce la faremo mai!» urlò Jay in modo che Felix sentisse.
Dio, siamo morti, siamo morti, SIAMO MORTI!
Felix si voltò forse per averne conferma, e ciò che vide dovette convincerlo dell'evidenza, perché deglutì a vuoto.
«Corri più veloce che puoi, e non voltarti!» lo avvertì poco dopo, i capelli che gli finivano in bocca. «La vedi quella strada là davanti?»
Jay la vedeva, eccome se la vedeva.
Non aveva altro in mente che quella al momento: raggiungerla avrebbe rappresentato la salvezza.
Meglio qualche graffio da urto che i canini dei cerberi tra i tessuti della pelle.
Il percorso continuava, ergendosi verso una specie di montagna -che aveva l'aspetto di un vulcano considerando la lava che eruttava-, ma restringendosi sempre di più. Ad entrambi i lati vi era il precipizio... e in fondo, il magma.
Jay ruotò di nuovo il collo per registrare l'approssimarsi dei cerberi, ma quel movimento gli fu fatale perché non vide la roccia sporgente di fronte a sé e perse l'equilibrio.
Dopo un salto di qualche metro, in cui registrò con lo sguardo la propria ombra scorrere sul pavimento incartapecorito, rotolò un paio di volte, gemendo.
«JAY!» lo chiamò Felix, spaventato.
Quando finalmente la scivolata si arrestò, Jay si ritrovò a tossire senza sosta.
Alzò gli occhi e vide il cerbero. Le tre teste ringhianti, con una ragnatela di saliva ad unire le tre bocche, e gli occhi gialli, come se avessero un fuoco all'interno delle orbite e nessuna pupilla.
Era troppo tardi.
Perfino per alzarsi.
Era Archie il secchione della famiglia, ma non aveva bisogno di lui per calcolare che il tempo di mettersi in piedi e fuggire dal mostro, non era matematicamente abbastanza.
In preda al panico iniziò ad indietreggiare restando a terra, tentando disperatamente di toccare con la mano qualcosa di appuntito da usare contro il Cerbero.
Ma non trovò che le spaccature del terreno e il calore che ne fuoriusciva.
«JAY!» Felix stava correndo indietro verso di lui.
Ma non sarebbe arrivato in tempo.
Il cerbero si abbassò leggermente, e senza nemmeno smettere di correre spiccò il salto.
«FEEEL» urlò Jay coprendosi il volto con le braccia.
Si aspettò di essere dilaniato da un paio di canini affilati e inciso da una serie di artigli, e invece sentì solo un guaito.
Nessun peso sul suo corpo.
Riaprì gli occhi confuso, abbassando piano il braccio e ciò che vide fu semplicemente qualcuno combattere contro il Cerbero.
«Fel...?» tentò, poi la punta di una spada emerse dal petto del cerbero, che sussultò con un rivolo di sangue che scivolava tra i denti, e stramazzò a terra sollevando del vapore.
Il fumo investì Jay in pieno, e il ragazzo si ritrovò col ventre a terra, tossendo.
Si trascinò senza fiato dietro una roccia, con gli occhi lucidi per il calore. Poi rialzò lo sguardo.
Dal fumo si delinearono i contorni di una figura che impugnava una spada.
«Felix...?» chiamò ancora, con la voce rauca per la tosse.
La figura avanzò, in modo da rendersi visibile.
«Prova ancora, straniero.»
Non era Felix.





To be continued ~





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Capitolo 22

Jay non seppe cosa successe.
Semplicemente all'improvviso si sentì strattonato verso l'alto, l'ossigeno gli sfuggì dai polmoni, e i demoni, i cerberi e il terreno si rimpicciolirono sotto di lui.
Prima ancora che si rendesse conto che stava volando, si ritrovò avvolto dalla foschia, e vide proiettata la sua ombra su una nuvola.
Tuttavia, vi erano dietro anche due immense ali.
[...]
«FAMMI SCENDERE!» implorò Jay agitando i piedi nel vuoto.
Okay, stava probabilmente per morire.





*Furcas: è davvero il nome di un demone che, nella demonologia cristiana, è descritto come "barbuto e con i capelli lunghi" ;)




~ Angolo Autrice { ovvero quella folle di Lady Holmes ~

Vegonunmed a tutti, lettori! :D [--> per chi si stesse chiedendo che diavolo significa questa parola, sappiate che è il corrispettivo Enochiano di "Ciao" *-*]
Come avrete notato, o forse no (lol), questo capitolo l'ho scritto da sola (senza la mia collega ç_ç) e così anche i prossimi. Spero che apprezzerete lo stesso :D
Mi spiace per il ritardo, ma ho preferito portarmi avanti coi capitoli. Il prossimo lo avrete tra circa una settimana, non preoccupatevi :D
E nooo come avete visto questo non è un pesce d'aprile!!
Finalmente ho pubblicato, eh sì... comunque non so cosa dire... le cose si complicano sempre di più, finalmente c'è più azione, le cose iniziano a smuoversi, conosceremo presto un nuovo membro del nostro team, e in più nei prossimi due capitoli scopriremo qualcosa in più su Felix...
A parte questo, vi dico di preparare i fazzoletti BWAHAH :P
Alla prossima, carissimi! <3



E ricordate: la musica è la voce dell'anima! *^* 


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†††

1. Hell:

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2. La stradina per le rovine:

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3. Jay:

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R.u.b.r.i.c.a: GIF A RANDOM


1. Il demone di fumo:

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