Vestali

di sunflowers_in_summer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mama ≈ “Sanno di dovermi rispetto, perché io sono la Vestalis Maxima.” ***
Capitolo 2: *** Ruth ≈ “E so che stavolta sarà dura spegnermi.” ***
Capitolo 3: *** Cloe ≈ “Ma io non posso saperne niente, perché credono davvero che sia pazza.” ***
Capitolo 4: *** Minnie ≈ “Non posso dire a Maxie cosa fare, e io lo so perfettamente.” ***
Capitolo 5: *** Maxie ≈ “Io non so molto.” ***
Capitolo 6: *** Terry ≈ “Occhi che non sanno stare più di un’ora senza cercare la mia figura.” ***



Capitolo 1
*** Mama ≈ “Sanno di dovermi rispetto, perché io sono la Vestalis Maxima.” ***


VESTALI

"In un tempo lontano di re e imperatori antichi, sei donne Romane si dedicavano alla cura del Fuoco Sacro alla dea vergine Vesta, promettendodi servirla e servire il Popolo Romano per la durata di Trent’anni. Il Pontifex Maximus le sceglieva tra bambine di famiglie patrizie, e a loro era data un’importanza fuori dal comune, a loro era concesso un rispetto inimmaginabile.
Ma se solo avessero spento il fuoco o avessero perduto la loro purezza, sarebbero state murate vive, poiché nessun uomo può uccidere ciò che è sacro agli dei.
Nella fiorente città di Nuova Roma questo succede ancora…"
 
 
 
 
 
Mama ≈ “Sanno di dovermi rispetto, perché io sono la Vestalis Maxima.”

 
stai a braccia conserte, Mama. Guardali con sufficienza. Se c’è una sola insegna alzata mentre tu passi per il Foro, allora è il momento di arrabbiarsi. -
Mi do ordini da sempre. Da quando ho iniziato a ragionare, e molto prima delle mie coetanee, i miei pensieri sono stati ordini che io stessa mi imponevo di seguire. Sangue Romano, come è facile constatare, sebbene alcuni non siano affatto sicuri delle mie origini.
Augustus, l’augure e cerimoniere del tempio di Giove dell’epoca, avrebbe preferito di gran lunga buttarmi tra i flutti del Tevere quando, neonata, mi ebbe tra le braccia, ma sarebbe stato sacrilegio, imitazione dei Divini Gemelli Fondatori.
I Senatori, appena mi videro, così piccola e in fasce, decretarono che era una situazione ambigua. Che io stessa  ero un essere ambiguo, visto e considerato che una ninfa sconosciuta mi aveva affidata al Popolo Romano nel divino nome di mio padre, il quale però non si era voluto svelare e che tuttora mai si è svelato.
I cinici dissero che ero figlia di antiche forze oscure, forse dei Titani. Ma Julie, il pretore dell’epoca, mi difese strenuamente e ottenne la mia tutela. Cosa ardua, per una ragazza appena diciottenne, che si ritrovò tutto d’un colpo oltre a pretore anche madre.
Lei mi diede un nome, un nome che già da tempo presagiva qualcosa. Mi chiamò Flavia Mamilia, e da allora il mio destino si dipanò davanti a me come i colli di Campo di Giove. Ero solo una bambina, d’altra parte.
Mama fu subito l’abbreviazione di quel mio nome che agli adulti ricordava un’antica e famosa sacerdotessa: una Vestale vissuta  nell’Epoca d’Oro di Roma. Per ordine del Senato, per paura che fossi pericolosa, era stato predetto che avrei seguito le sue orme.
Entrai nella Casa delle Vestali che avevo appena compiuto sei anni. Le altre bambine a malapena sapevano dove si trovassero, attaccate alle gonne delle loro madri. Io, quella che avevo sempre considerato mia madre, l’avevo persa dieci mesi prima, dopo la sua morte in battaglia.
Venni scelta dal Pontifex Maximus ero bella, ero forte, ero sveglia. Ed ero orgogliosa, ero una piccola donna Romana. Sarebbe quasi stato un peccato privare una tale guerriera ai campi di battaglia se tutti non avessero concordato che un tale sacrificio avrebbe onorato immensamente la dea.
E quasi ero felice di avere una famiglia, un futuro roseo davanti a me. Peccato che, qui a Nuova Roma, la vita di una Vestale è tutt’altro che rosea.
Attraverso il Foro a testa alta, la camicetta svolazzante come veli, candida e pura, perché alla dea piace così. E tutti al mio passaggio trasformano i sorrisi in cenni del campo reverenziali. Anche i bambini sanno di dovermi rispetto, perché io sono la Vestalis Maxima.
Ecco le candide colonne della Casa delle Vestali, macchiate solo per un istante dai miei capelli corvini e raccolti stretti in una crocchia, per non rendermi frivola e superficiale agli occhi degli altri: sono una donna Romana e una Vestale, non posso permettermi di rallegrarmi per cose vane e passeggere.
E ora salgo le scale senza mettere un piede fuori posto, perché so perfettamente che tutti volgono lo sguardo a me, come alle cerimonie che presiedo. La mia intera vita mi sembra una cerimonia.
Eppure nella Casa sento i miei nervi sciogliersi un po’, sento la tensione dileguarsi come nebbia ed espongo un nuovo lato di me.
Cammino tra le statue del cortile interno con un passo più leggero e vedo Terry, che è seduta al bordo della fontana mentre gioca con i petali candidi galleggianti sull’acqua della fontana.
Le sorrido dolcemente e lei mi risponde con un cenno gioioso: la conosco praticamente da sempre, e so bene che il suo affetto incondizionato lo offre a tutti, anche ai più cupi e i più crudeli.
Terry è capace di colorare le vite di tutti, ed è un autentico peccato che stia sempre chiusa qui dentro, senza poter mai andare via da Nuova Roma, senza mai poter esprimere i suoi sentimenti appieno e vivere una vita piena d’amore...
Affretto il passo verso il sentiero che porta al tempio, il luogo in cui conserviamo il Fuoco Sacro della Dea.
Faccio mente locale, ma non riesco davvero a ricordare chi sia di turno oggi… Cloe? No, lei non è affatto adatta ai turni, in genere la sostituisco io.
Mentre ancora sto pensando, entro nella grande stanza circolare e circondata da alte colonne di marmo bianchissimo dove arde il Fuoco Sacro e lì i miei occhi catturano immediatamente l’immagine di Ruth.
Ma che non c’è una sola fiamma ad ardere nella stanza…



Bene. Bene bene.
Non so che dire, lol. Ah, ecco.
Il nome abbreviato, cioè Mama, da’ l’idea di una figura materna, quella che a Mama è mancata dopo un po’ e quella che cerca di imporre alle altre Vestali, come vedremo nei prossimi capitoli.
Il tempio dovrebbe trovarsi fuori dalla città, ma per ragioni di praticità è vicinissimo alla Casa delle Vestali, il luogo dove alloggiano.
Flavia Mamilia è una Vestale realmente esistita, a cui ho preso solo e soltanto il nome. Tutte le Vestali della storia (ognuna narrerà un capitolo dal suo punto di vista) hanno questa caratteristica, nomi veri abbreviati ma ricordati nel corso dei capitoli.
Sappiate che per una filogreca come me non è per niente facile ambientare una storia a Nuova Roma, ma ci ho provato, e mio malgrado inserendo alcuni giudizi su un sistema gerarchico da me ripreso solo ai fini della storia. Se volete qualcosa di più greco ma meno patriottico, ho un’altra FF di nome “L’Oratrice”, che sarà presto parte di una serie (tutta greca).
Se i filoromani vogliono coprirmi di insulti, lo facciano almeno per recensione :’)
Credo che sia tutto, per ora. A presto,
Ella.
  • PROSSIMAMENTE:      Ruth ≈ “E so che stavolta sarà dura spegnermi.”


 

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Capitolo 2
*** Ruth ≈ “E so che stavolta sarà dura spegnermi.” ***


VESTALI


Ruth ≈ “E so che stavolta sarà dura spegnermi.”
 
 
Sono in fiamme. Il fuoco circonda con le sue lingue vermiglie le mie membra e trattengo il fiato per alcuni momenti interminabili senza poter più controllare ogni minima mia azione.
Vado a fuoco, è vero, ma non sto bruciando affatto. E per spiegare meglio ciò che mi sta succedendo, è necessario che racconti in breve la mia storia e quella della mia famiglia.
Le famiglie Romane sono speciali. Ogni singolo organo fu originariamente fondato sulle familiae e questa caratteristica sussiste ancora oggi a Nuova Roma, nel Campo di Giove.
Ogni famiglia ha una caratteristica, una storia, la discendenza di un dio che si incrocia quasi sempre ad altre discendenze, creando mescolanze ingarbugliate e antichissime. Quasi sempre, ma non nel caso della mia famiglia.
Il mio bisnonno era un figlio di Vulcano, ed era un nobile Romano dalle idee talmente radicate da considerare ogni essere all’infuori della sua famiglia un umile barbaro. Motivo per cui cercò di pilotare matrimoni e discendenze di ogni suo familiare e di trasmettere i suoi concetti di superiorità alla prole, riuscendoci in un modo eccellente.
La mia discendenza dal fabbro degli dei è talmente diretta che, come altri membri della mia famiglia, avrei dovuto dimostrare un minimo controllo sul fuoco. Peccato che l’abbia manifestato troppo tardi.
Frustrato perché la sua primogenita, alla tarda età di sette anni, non era all’altezza delle sue aspettative, mio padre decise di offrirmi spontaneamente alla scelta del Pontifex Maximus, al contrario di tanti altri genitori che si rifiutarono di sacrificare le loro figlie.
Venni scelta perché l’entrata della primogenita di una famiglia tanto importante nella stretta cerchia delle sacerdotesse di Vesta sarebbe stato un accrescimento di prestigio. E, dopotutto, non sembravo tanto attratta dal fuoco da provare anche il minimo desiderio di giocare con quello sacro a Vesta…
Il primo giorno in cui i miei poteri si manifestarono fu all’età di sedici anni. La mia mano prese fuoco all’improvviso, in una giornata fredda di primo inverno in cui, seduta alla fontana, non desideravo altro che un po’ di calore. Allora cercai di spegnere le fiamme immergendo la mano nell’acqua della fontana, ma quella continuava a bruciare incurante.
Nel corso degli anni questi episodi si sono ripetuti quasi costantemente, in un crudele gioco durante il quale speravo ogni volta che le fiamme non si ripresentassero. Ma quelle tornavano ogni volta.
E allora pregavo con sguardi disperati Mama di non denunciarmi e lei mi copriva sempre con quella tenerezza e bontà d’animo che tutti quelli fuori di qui neanche sospettano. Mi ha coperta persino quando è diventata Vestalis Maxima e le sue responsabilità si sono moltiplicate.
Ma prima d’ora mai avevo preso fuoco completamente.
Cado in ginocchio e mi impongo di respirare, di controllarmi, mentre il mio sguardo si posa sul pavimento lucido in cui posso specchiarmi perfettamente: vedo i capelli rossicci che si sollevano e mi ricadono sulle spalle come se fossero alghe in mare, il prendisole candido che si colora di mille sfumature di arancio senza consumarsi  e le fiammelle che danzano introno alle mie braccia. Vedo i miei occhi, i miei occhi terrorizzati, e so che stavolta sarà dura spegnermi.
Se solo mi concentrassi…
«Ruth…» bisbiglia una voce dietro di me, una voce preoccupata e ben conosciuta.
Mi volto quanto basta per riconoscere Mama, la quale mi fissa sconvolta, con la fronte corrugata.
E poi accade tutto in un secondo: il calore attorno a me svanisce repentinamente e la stanza diventa leggermente più buia. Mi guardo le mani e sono dello stesso colore pallido di sempre, quindi volgo lo sguardo a Mama. Ma lei guarda il braciere del Fuoco Sacro, non me.
Giro lo sguardo ancora una volta e noto con terrore che nessuna fiamma danza nel catino di marmo bianco e oro imperiale. Nessuna scintilla, nemmeno un tizzone ardente. Niente.
Passi leggeri riecheggiano all’ingresso e il volto allegro di Terry si trasforma in un’espressione di orrore e preoccupazione, mentre alterna lo sguardo tra me, Mama e il Fuoco spento. La mia compagna sacerdotessa si copre la bocca con la mano per celare un ritardato grido di sorpresa, ma Mama la blocca con un gesto perentorio della mano.
«Hai…» inizia a balbettare la Vestalis Maxima, sebbene cerchi di sembrare sicura e ferma «Terentia Rufia, hai spento il Fuoco Sacro, oltre te stessa».
Terry inizia a singhiozzare sommessamente e la mia testa gira vorticosamente attorno al tempio.
La mia superiore, la Vestalis Maxima, non ha potuto proteggermi dalla punizione stavolta, e questo può significare solo una cosa: morte per me, e sarò murata viva per non macchiare nessuno del peccato del mio assassinio.



 

 
Buooonasera,
Vediamo, cosa posso usare come scusa per non aver aggiornato prima?  Il fatto che stia scrivendo tre fanfictions insieme? Il fatto che mi stia momentaneamente deprimendo?
Non ci sono scuse, lo so. Spero che questo capitolo appaghi l’attesa.
Devo dire che l’idea di Riordan delle discendenze e delle famiglie romane mi ha affascinata, anche perché ha in parte appagato il mio desiderio di sapere cosa accadeva ai semidei più longevi.
Ruth è un po’ silenziosa riguardo alle critiche. È ricca e nobile, ma se ne frega altamente, un po’ perché in questo capitolo non ne ha avuto tempo. Ma diciamo che tutti e sei i capitoli ricoprono un lasso di tempo di un giorno, e non so se sia una cosa buona o cattiva. E ora sto parlando a vanvera, lol.
In breve, spero che vi sia piaciuto il capitolo e giuro sullo Stige che pubblicherò prima che passi una settimana.
Un pasticcino blu,
Ella.
 
 
  • PROSSIMAMENTE: Cloe ≈ “Ma io non posso saperne niente, perché credono davvero che sia pazza.”
 
 

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Capitolo 3
*** Cloe ≈ “Ma io non posso saperne niente, perché credono davvero che sia pazza.” ***


VESTALI


Cloe ≈ “Ma io non posso saperne niente, perché credono davvero che sia pazza.”
 
 
Sto distesa sul prato, sul petto un mazzo di margherite raccolte ai margini di Campo di Marte.
È incredibile la quantità di fiori che possa crescere attorno a quel grande Campo di Morte. Ma una ninfa non dovrebbe pensare alla morte, solo a cose allegre. Proprio come una Vestale deve manifestare la benevolenza della Dea verso il Popolo Romano.
Rotolo su un fianco e spighe di grano bionde come i miei capelli mi solleticano la faccia e scoppio a ridere. Da sola, ai margini del Campo di Marte. Nessuno vive qui da tempo.
Le nuvole in cielo formano una c, proprio come le mie iniziali: Clœlia Claudina, una Vestale Romana nata da un’Epimelide, ninfa dei campi e dei pascoli.
Ma tutte le Epimelidi furono sterminate in una guerra di diciotto anni fa dai Romani, quando io ero solo un bocciolo di papavero. Mia madre, prima di essere trucidata, mi piantò di nascosto dentro la linea del pomerio e, quando sbocciai come mezza umana e mezza ninfa alcuni giorni dopo, ero considerata sacra.
Tutte le persone sacre sono sacre a qualche dio e io lo sono a Vesta. Era inevitabile consacrarmi a lei, quando fui pronta.
Tutti, a Nuova Roma, mi considerano pazza, e io lo so bene. Credono che ci sia qualcosa di strano in me perché passo tutto il tempo nei campi. Dimenticano quasi sempre le mie origini, si sforzano di farlo.
Mi manca la mamma. Non che l’abbia mai vista, ma quando sono nei campi riesco quasi a sentire un sussurro leggero, simile al ronzio di un’ape, ma più dolce…
Lei non sbaglierebbe a pronunciare il mio nome romano, come fanno tutti: mi chiamano Cloe, non Clelia. Mi hanno dato il loro prezioso nome romano per storpiarlo, ma faccio sempre finta di niente.
Mi sto per mettere a riascoltare il ronzio di mia madre, ma sento solo un lamento lugubre. E un urlo agghiacciante. E una serie di singhiozzi intermittenti.
Mi alzo di scatto e le margherite che ho sul petto si sparpagliano attorno a me mentre cerco di calmare il respiro affannato. Paura. Ecco che effetto mi fa il dolore degli altri.
Alzo lentamente la testa e guardo al di sopra delle alte spighe e quello che vedo sulla strada è incredibile: una lunga fila di Romani in lacrime scorre in processione dietro una lettiga completamente nera e chiusa da tende pesanti, preceduta solo dal Pontifex Maximus e da una donna dai capelli corvini raccolti distrattamente sulla nuca che si strofina gli occhi. Quella è Mama.
D’istinto mi alzo dal giaciglio di erba secca e corro più veloce che posso attraverso le spighe di grano. La gonna e la maglia bianche rimangono impigliate dappertutto, ma io penso solo a Mama che si asciuga gli occhi, perché Mama non piange mai, a maggior ragione se è in pubblico.
Percorsi gli ultimi metri, mi aggrappo al braccio muscoloso di uno degli uomini che regge la lettiga e mi arrampico veloce come un fulmine al tendaggio nero, tanto da strappare parte di esso dal tettuccio della lettiga.
Poggio un piede a un appiglio improvvisato e mi siedo nella lettiga, mentre sento i lamenti attorno a me che si trasformano in esclamazioni di sorpresa.
Davanti a me Ruth è distesa e tremante ed è completamente vestita di nero. Prima che possa rendermi conto delle mie azioni, un urlo lacera i miei polmoni e mi scuote il petto tanto da farmi quasi crollare sulla lettiga, accanto a Ruth. Invece scatto giù con un balzo e corro davanti al Pontifex Maximus per fermare la processione.
«Clemenza!» urlo tra le lacrime e inginocchiandomi a terra «Sono una Vestale che chiede che la compagna sia risparmiata!»
Il Pontifex Maximus mi guarda interdetto, come se gli abbia rovinato un grande divertimento; poi inizia a citare le sue leggi: «La tua compagna si è macchiata del grave crimine di spegnere il Fuoco Sacro!»
«Ma…» interviene Mama con voce rotta «Ma una Vestale può risparmiare la vita a un condannato a morte» mi guarda con sorpresa, come se mi vedesse davvero per la prima volta «Perché non ci ho pensato prima?»
Il Pontifex Maximus mi guarda con i suoi occhi di ghiaccio per attimi interminabili, ogni tanto sembra che voglia dire qualcosa e fa per aprire la bocca, ma subito la richiude.
«E va bene» borbotta infine «Ma questo serva da monito a tutte voi altre Vestali, perché la prossima volta non sarò così clemente!»
Ruth scende dalla lettiga e corre ad abbracciarmi singhiozzante di gioia, ma è come se la forza che mi ha pervasa poco prima si sia dissolta e io sia tornata solo la solita Vestale apatica di sempre.
A poco a poco tutti tornano verso Nuova Roma, e io mi dirigo di nuovo verso i campi. Grano e papaveri, oro e sangue, sacrifici e gloria e salvezza. Ecco la vita di Roma.
Ma io non posso saperne niente, perché credono davvero che sia pazza.



Buooonasera,
È mercoledì. Constatazione idiota delle 21.49. Dunque avrei dovuto aggiornare ieri, se non fosse che sono stata messa sotto torchio da un pesante speaking exam del Cambridge. Non che a voi interessi.
Avrei dovuto scrivere l’altra volta che Ruth deriva da Rufia per il suono f che corrisponde a th, in modo da rendere il nome più moderno. Spero che il ragionamento sia abbastanza chiaro.
Le Epimelidi sono qualcosa che ho voluto introdurre dopo una (breve, le mie non sono mai approfondite abbastanza ^^’) ricerca. Mi sembrava offensivo darle della comune ninfa u.u la stessa cosa per la legge che tira fuori Mama: tutto vero, almeno secondo Wikipedia. E io mi fido :)
Anyway, questa è Cloe. So che dà tanto di Annie Cresta, o almeno così volevo che sembrasse. La gente la crede pazza, ma lei, come avrete notato non lo è. Spero, in futuro, di migliorare nello scrivere di persone pazze, perché le amo e perché vorrei migliorarmi sempre di più. Quindi diamo il via al televoto alle recensioni, su ^^’
Un bacione immenso,
Ella.
 

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Capitolo 4
*** Minnie ≈ “Non posso dire a Maxie cosa fare, e io lo so perfettamente.” ***



VESTALI


 
Minnie ≈ “Non posso dire a Maxie cosa fare, e io lo so perfettamente.”
 
senza che Mama dica una sola parola, prendo Maxie per il braccino candido e la conduco fuori dalla fila che lentamente volge ai colli di Nuova Roma.
Cammino con passo spedito ignorando volutamente i lamenti della bambina perché non sopporto la vista di tutto quel nero e quella mescolanza di ceti tanto diversi in quella che sarebbe dovuta essere una cerimonia sacra.
D’altra parte sono contenta che abbiano risparmiato Ruth. La sua morte avrebbe tolto quel minimo di lustro che, dopo anni di tempo, rimane alle Vestali.
E io, che sono una sacerdotessa di Vesta per adorarla e per manifestare al Popolo Romano il lustro degli dei, non certo per fare la baby sitter alternativamente a una ninfa senza cervello e a una bambina neo sacerdotessa! Ma… Maxie è il mio orgoglio, una personcina da plasmare a mio piacimento, una bambina a cui trasmettere l’importanza e la gloria di Roma, quel baratro incolmabile che divide gli antichi patrizi dai Graeci barbari che si infiltrano segretamente tra i Romani. Io lo so che i Graeci esistono ancora, spuntano come funghi al mercato, nelle Coorti, persino nel Senato… Il mercato. Buona idea: a quest’ora del giorno la maggior parte della gente se n’è andata o è ancora sulla via del ritorno dalla mancata cerimonia funebre e posso passeggiare senza confusione attorno a me.
Affretto il passo il più possibile, ma trascinarsi dietro Maxie è come trascinare un masso irremovibile. Ha deciso che non si muoverà finché non le darò attenzioni.
«Miunicia» mi chiama lei con il mio nome per intero.
Ho un solo nome. Ecco qual è il mio problema.
«Cosa vuoi?» urlo esasperata, e io mi trattengo sempre da urlare come una barbara.
«Tu non puoi dirmi cosa fare» dice con malizia e sfida.
È perché ho un solo nome. Uno solo.
Mi volto e la trascino come una Furia mentre cado nel vortice di pensieri, ricordi, illusioni…
Non sono nobile di nascita e dubito che lo sarò di morte. Non sono nobile perché sono figlia di commercianti, non di Patrizi, come Ruth, Maxie e, molto probabilmente, come Mama. Non sono nobile, ed è per questo che ho un solo nome. Nessuna appendice, nessun appellativo per una figlia di commercianti.
Non sono nobile, ma il Pontifex Maximus mi ha scelta come se mi fosse stato dato un permesso, una grande concessione dettata da una legge recente che voleva l’ammissione alle Vestali anche per la figlie di famiglie plebee.
Ed è quello che sono io, figlia di una famiglia plebea. Io, che non posso dire a Maxie cosa fare, perché sono inferiore a lei per rango. È così che vanno le cose a Nuova Roma, proprio come nella Roma Antica.
È per questo che ci tengo tanto a quel concetto di razza che Mama proprio non approva: ho smesso di essere plebea da quando sono entrata a far parte delle Vestali e non ho alcuna intenzione di tornare al livello dei miei genitori. La mia anima è pura al cospetto degli dei, le mie decisioni sono sempre prese seguendo i Costumi degli Antichi, il Mos Maiorum.
Ma non vale, perché non posso dire a Maxie cosa fare, e io lo so perfettamente. Posso solo sperare che un giorno, quando sarà capace di pensare senza la mia guida, non ritrovi in me un essere ripugnante ed inferiore a lei.
Io sto educando quella bambina, io le sto insegnando a volermi bene, ed è perché sono a conoscenza del fatto che la nobiltà mi guarda dall’alto al basso, che genitori severi impongono alle figlie che non mi sia dato alcun affetto. Conosco bene questa parte dell’orgoglio Romano.
Una manina pallida mi tira la manica della giacca bianca e mi volto aspettandomi che Maxie abbia qualcos’altro da ridire sulla mia andatura, ma quello che vedo mi fa spuntare un sorriso tenue: la piccola Vestale, infatti, mi porge un minuscolo mazzo di margheritine bianche.
«Vedi?»  mi chiede con un pizzico di trionfo nella voce «Bianche come noi»
Raccolgo delicatamente il mazzo e lo tengo fermo con un nastrino candido che cavo dalla tasca dei jeans color avorio chiaro.
«Sai cosa simboleggiano?» chiedo prendendo per mano la bambina e reggendo con l’altra mano il mazzolino. È una passione che sto cercando di trasmetterle, quella per i fiori. Loro dicono sempre la verità.
La bambina scuote la testa e rispondo: «Purezza, innocenza e verità»
«Allora sono proprio i fiori delle Vestali!» esclama Maxie tirandomi leggermente la mano.
«Non lo so» rispondo ridendo «Ma possono essere i tuoi fiori, se lo vuoi»
«Sono anche i tuoi, Minnie» dice Maxie, la voce profonda come quella di una saggia dea.
“Non c’è alcuna verità in qualcuno che finge di essere ciò che non è solo per appagare l’orgoglio” vorrei dirle, molto misteriosamente. Ma ormai siamo vicinissime a Terminus, e non vorrei ferire il suo orgoglio.
 




Uh, hi *agita la mano in segno di saluto*
Mi stavo quasi dimenticando che fosse martedì. Il che significa, come riflettevo prima, che tra due martedì questa storia sarà finita. Ma non pensiamoci, adesso.
Ho immaginato che avere due nomi, in questa storia, sia segno di nobiltà. E non volevo tutte le vestali uguali, di aspetto (avrei voluto inserire da qualche parte il fatto che Minnie porta gli occhiali, ma non ci sono riuscita) e di carattere, ma soprattutto di estrazione sociale. Così, dopo l’Epimelide, abbiamo la figlia di commercianti.
Ho voluto inoltre dipingere la mia Nuova Roma come qualcosa pieno di orgoglio, ma che cerca di emanciparsi, pur non riuscendoci. Ecco il perché della legge che permette anche alle non-nobili di entrare nelle vestali.
Spero che non ci sia nient’altro di poco chiaro. Per qualunque cosa chiedete pure :))
Un bacio,
Ella.
  • PROSSIMAMENTE: Maxie ≈ “Io non so molto.”

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Capitolo 5
*** Maxie ≈ “Io non so molto.” ***


VESTALI




Maxie ≈ “Io non so molto.”
 
 
Si sente già da lontano l’odore dei pasticcini di Tito, il panettiere più bravo di Nuova Roma. A volte si sente di più l’odore della glassa al cioccolato che li ricopre fino agli stampini di carta colorata, a volte sento meglio l’odore delle fragole che ci mette sopra a disegnare un cuoricino, a volte l’odore delle mandorle che ci mette dentro e che danno sempre tanto fastidio alla dentiera di nonno Flavius.
Molte cose danno fastidio a nonno Flavius: Hortensia che canta troppo forte quando pulisce le alte finestre della villa, il cane Amatius che abbaia in giardino, la mamma che litiga con papà, la cuoca che mette troppe cipolle nella zuppa, le congetture di Amulius, l’augure.
Però nonno Flavius non è molto male, anzi è davvero buffo quando si mette quegli strani vestiti per andare in Senato, anche se ogni volta si lamenta perché non vuole salire le alte scale dell’edificio e costringe papà a reggerlo per un braccio.
È stato nonno Flavius a decidere che fossi esposta alla scelta del Pontifex, lo scorso anno. Mi ha detto che avrei avuto una stanza grandissima, piena di bambole e di giocattoli, che Tito mi avrebbe regalato i pasticcini ogni giorno, che mi avrebbe voluto più bene se fossi stata una Vestale.
Ma c’è un problema davvero grosso: è tutto bianco. Le mie bambole sono tutte vestite di bianco, la mia stanza ha le pareti e le tende bianche, Tito mi regala solo pasticcini con la glassa bianca, e quella non mi piace nemmeno tanto.
Bianco è anche il colore del capello che è spuntato a mamma l’ultima volta che Mama le ha permesso di entrare nella Casa, ma lei lo ha tirato dietro un orecchio e ha fatto finta di niente. La mamma fa sempre finta che non succeda niente, forse perché Maximus, mio fratello, ha deciso di lasciare l’esercito e sposare una sua amica che non ha nessun titolo nobiliare, forse perché papà è sempre pieno di impegni e non le dedica mai attenzione. Forse, io non lo so.
Io non so molto.
So, certo, che il mio nome intero è Numisia Maxima, proprio come quello di mia nonna, che non ho mai conosciuto.
So che non è vero che se ti dicono che ti ameranno se fai qualcosa, perché poi ti trattano sempre allo stesso modo.
So che sono una Vestale, ma che non mi piace il bianco, perché se c’è bianco non vedi il resto. Se il bianco non c’è, ci sono i colori, l’allegria! Ma so anche che vedrò il bianco per altri ventinove anni.
Quanti sono ventinove anni? Non lo so, non riesco a contarli sulle dita, sono troppi!
So che per ventinove anni sarò costretta a servire la Dea, ma io non l’ho mai nemmeno vista. Forse ha il capelli biondi come le fiamme gialle che l’altro giorno Mama mi ha fatto controllare per la prima volta, ma solo per pochissimo tempo…
So che Terry, quando va a raccogliere l’uva o le arance nell’orto della Casa deve far finta di non vedere Amulio, il giardiniere, perché se lo guarda arrossisce come una mela matura e invece le sue guance devono rimanere bianche, perché è una Vestale.
Minnie dice che è innamorata, e sospira forte ogni volta. So che è perché è un po’ gelosa di Terry e anche perché la compatisce e dice che è una storia impossibile.
Svogliatamente saltello da una delle pietre che lastricano la via verso le altre e mi ritrovo con le mani alle sbarre della scuola, proprio mentre gli altri bambini stanno giocando in cortile.
Si rincorrono, nei grembiuli svolazzanti e colorati, così diversi dal mio vestito bianco. E sono così felici, mentre cadono senza paura di doversi fare male, perché il rosso del sangue non sta bene con il bianco delle Vestali…
Minnie mi scuote dolcemente la spalla e mi lascio portare via senza fare capricci, perché non ne ho la forza e sono tutta concentrata a catturare nella memoria quelle immagini di felicità che a me sono state negate.
Anche io andavo a quella scuola. Ci sono stata solo per poco tempo prima che diventassi Vestale, ma ricordo tutto molto bene: Tony, il figlio di Tito, vendeva i panini al cancello, ed erano sempre buoni e caldi; vicino alla via di ghiaia che portava al portone della scuola cresceva sempre qualche fiore, sempre, anche in inverno, per via dei giardinieri, che a Nuova Roma sono tutti figli di Proserpina; i grembiulini potevano essere di tutti i colori che si voleva, proprio come i muri, e niente era bianco; la maestra profumava di pervinca, proprio come i fiori che Minnie mi ha fatto conoscere; nonno Flavius veniva a prendermi all’uscita e, quando lui era in Senato, Maximus prendeva una piccola licenza dal Campo di Giove e mi portava sul colle a nord della Collina dei Templi.
Lì vedevamo tutta la valle, che ci fosse sole o pioggia, e il vento a volte soffiava leggero e scompigliava i capelli già disordinati di Max. Lì eravamo solo due fratelli felici.
Mi mancano molto queste cose, la mia famiglia, i colori… E penso che mi piacerebbe, una volta passati questi ventinove anni, riprendere la mia vita da dove l’ho lasciata, anche se so che è impossibile.
E così mi limito a prendere Minnie per mano e tornare alla Casa delle Vestali.

 



Ehilà,
Sono stanca morta, sopraffatta dagli impegni, ma in qualche modo piena di speranza… strani, i sentimenti umani.
Ad ogni modo, wow, siamo quasi alla fine di questa storia! Ripensandoci ora, avrei voluto scrivere qualcosa di più, altri capitoli. Babbè, pazienza.
Non ho molto da dire riguardo questo capitolo. Credo che sia il mio preferito, perché è contemporaneamente bianco e colorato, allegro e triste. Ho cercato di renderlo con la semplicità della bambina che è Maxie, ma non credo di esserci riuscita molto bene…
Il nome originale era Numisia Mamilia, ma ho deciso di cambiarlo perché una Mama c’era già, e chiamare Maxie una bambina mi sembrava una cosa carina…
Be’, nient’altro. Spero che vi sia piaciuto.
Alla prossima (e anche ultima, in questa storia),

Ella.
  • PROSSIMAMENTE: Terry ≈ “Occhi che non sanno stare più di un’ora senza cercare la mia figura.”

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Capitolo 6
*** Terry ≈ “Occhi che non sanno stare più di un’ora senza cercare la mia figura.” ***


VESTALI



Terry ≈ “Occhi che non sanno stare più di un’ora senza cercare la mia figura.”
 

Saranno le nove di sera quando scendo cauta la stretta scala che collega gli appartamenti delle Vestali al giardino e all’orto sottostanti.
Il sole è tramontato da più di un’ora, ma riesco ancora a vedere un riflesso di arancio in ogni cosa. Probabilmente è solo la mia immaginazione.
Stringo la cesta al petto e scendo più veloce che posso, poi sfreccio tra le aiuole. Il buio non mi piace, non mi fido delle cose che non sono chiare e limpide.
Come i suoi occhi. Quelli sono neri come la pece, ma sono tanto belli…
Sto ancora correndo quando urto qualcosa di duro contro la mia spalla, ma non riesco a capire cosa sia finché una torcia non si accende davanti a me e rivela la nota figura di Amulio.
Porta il cappello di lana calato sui riccioli scuri e la barba incolta da qualche giorno. Ma i suoi occhi sono la cosa più stupefacente: sono sempre così tristi e cupi, come se guardassero qualcosa che lui non può avere…
«C-ciao» balbetta abbassando lo sguardo a terra «Cioè… Ave, Terenzia Flavola»
«Ave a te, Amulio» sussurrò imbarazzata.
«Non c’è la luna oggi» osserva guardando all’improvviso il cielo «E non si può raccogliere molto dall’orto, senza la luna»
«Cercavo le fragole» dico indicando il cesto «Ma ho… cambiato idea. Tornerò domattina» concludo allontanandomi senza voltarmi.
«B-buonanotte, Terenzia Flavola» balbetta allontanandosi anche lui e non posso fare a meno di sorridergli arrossendo e di scappare via, su per la stretta scala.
La parte ragionevole di me si era ripromessa di mandare qualcun’altro nell’orto, promessa che si è ripresentata più volte durante questa giornata, ma che non ho mai avuto i coraggio di attuare.
Quando poi, a metà serata, mi sono accorta che non ci sono fragole per la colazione di domani, ho preso il cestino e sono scesa dagli appartamenti, sperando vivamente che Amulio avesse già lasciato i giardino.
La parte inguaribilmente innamorata del mio cervello, al contrario, si è ricordata perfettamente che, a una certa ora, Amulio fa delle ronde per sorprendere eventuali ladri, motivo in più per scendere alla ricerca delle fragole, sebbene senza luci di riferimento.
Ma la mia luce sono i suoi occhi che, seppure tanto scuri, riflettono tutta la chiarezza del mondo; quegli occhi che non sanno stare più di un’ora  senza cercare la mia figura, e solo per contemplarla un po’.
Il corridoio su cui si affacciano le porte delle sei grandi stanze personali delle Vestali non è proprio di un bianco puro: è un bianco tendente al giallognolo, che da tanto l’idea di antico. Chissà quante Vestali innamorate hanno pensato a degli occhi speciali, nel corso degli anni, in questo corridoio…
Ruth, nella sua stanza, è seduta sul suo letto – lo vedo perché le stanze non hanno porte, ma solo tende, quasi sempre tirate per far arieggiare le stanze – e tiene in mano il medaglione con lo stemma della sua familia, quello che non indossa mai. La sua mano inizia a prendere fuoco, ma riesce a spegnerla di scatto e la guarda con sorpresa.
Sono certa che imparerà a controllare il suo potere, ora che sa quanto è pericoloso.
Nella sua stanza, Cloe sta intrecciando i capelli ondulati i Maxie, mentre questa le parla di suo fratello Maximus e del cane Amatus, e ridono entrambe come pazze per qualcosa che solo loro due trovano divertente.
Minnie, nella sua stanza, strappa l’ennesima lettera dei suoi genitori. Le scrivono una lettera ogni due giorni, ma lei non le legge mai e le straccia ogni volta con un’espressione vagamente sadica.
Ma stavolta sembra solo tanto, tanto triste. Guarda il vuoto per un po’, poi prende i pezzi della lettera da terra e inizia a ricomporli sul copriletto.
Mama ha l’ultima stanza, quella con un fregio bellissimo di rose bianche sull’ingresso, quella proprio accanto alla mia. Sto per andare a dormire, ma decido di dare la buonanotte alla mia compagna.
«Mama?» chiedo scostando la sua tenda, che è sempre chiusa.
Mama è seduta alla finestra, raggomitolata nella vestaglia bianca, e guarda la luna.
«Domani sono le Calende di Giugno» dice senza guardarmi.
«Sarà una giornata piena» rispondo sedendomi accanto a lei.
«E domani saranno ventotto anni che sono una Vestale» conclude lei sospirando.
«Ti sposerai, allora, Mama?» chiedo allora, imbarazzata.
«Non lo so, Terry. Nessuno mi ama quanto Amulio ama te» dice guardandomi con un tenue sorriso e lasciandomi arrossire «So solo che continuerò a tenere la testa alta per il resto dei miei giorni, perché nessuno deve dire a una Vestale o un’ex Vestale cosa deve fare.»
Saluto con un sorriso Mama e mi rifugio nel mio letto, chiudendo gli occhi placidamente. Domani sarà un’altra lunga e grande giornata da Vestale.
 
 



Ehilà :D
Sinceramente, non sapevo come concludere la storia. Non ero affatto convinta delle parole di Mama, ma ero determinata a non abbondare con i dettagli melensi della prima parte. Ad ogni modo, avrei voluto citare Effie Trinket (“Oggi è una grande, grande, grande giornata!”), ma mi sono ingegnata e questa è tutta farina del mio sacco.
Dunque, Terry e Amulio. All’inizio, nella mia testa, lui era un figlio di Demetra e lei di Poseidone (o meglio, Cerere e Nettuno), poi ho accantonato l’idea. Il loro è quel genere di skinny skinny love, tanto impossibile e tanto dolcioso. E sì, Amulio è palesemente ispirato a una persona che conosco e che sempre più spesso ispira i miei personaggi migliori.
Volevo, inoltre, una ricapitolazione di tutte le Vestali, breve ma concisa. Credo che la migliore, in questo capitolo, sia proprio Minnie, personaggio che ho voluto graziare, infine.
Non ho nient’altro da dire, a parte che questa storia è stata molto importante per me e che averla finalmente portata al termine, sebbene sia comunque molto breve, è una cosa che mi commuove. Spero che vi sia piaciuta, e ringrazio i lettori di averla seguita con costanza; significa molto per me :’)
Un abbraccio caloroso,
Ella.

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