All of Them

di Meretrice_Thomisus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!



Capitolo I


Paoletta

Non piango più ormai. Ho sprecato tutte le mie lacrime in passato. I motivi? Solo la mia storia potrà farveli conoscere.

2 Novembre 2006
 
Avevo quattordici anni, quando io e mia madre andammo a vivere a Kalars. Lei aveva ricevuto una richiesta di lavoro che non poteva rifiutare. La nostra povertà era dimostrata sia dalla catapecchia in cui vivevamo, sia dal mio guardaroba: maglioni fatti da mamma, vestiti smessi di mia cugina e scarpe da mercatino. E mentre mia madre si faceva in quattro per farmi vivere bene, dov’era mio padre? Mia mamma non voleva più vederlo. Quando nacqui io, i miei genitori erano troppo giovani, troppo immaturi, come diceva sempre mamma. Diciannove anni sono pochi per amare una bambina nata per errore, o così era per mio padre. Ci abbandonò quando avevo appena compiuto cinque anni. Però sapevo bene dov'era andato a finire.
Torniamo a noi, al vero inizio della mia storia.                                                                                        
«Amore dove stai andando? Guarda che ti perdi che non conosci la strada. Perché non aspetti qualche secondo così facciamo una passeggiata insieme?»
Guardai divertita mia madre che trasportava, senza fatica, in un braccio un vecchio e pesante televisore e nell’altro una scatola piena di brutti vestiti. Come potete constatare era una donna piuttosto massiccia, dai lunghi capelli castani alla Janis Joplin, e un seno prosperoso. Direi anche TROPPO prosperoso che in parte avevo ereditato.
«Mamma, tranquilla, non mi allontanerò troppo. »
«Hai già messo la canottiera? Potresti ammalarti! Metti anche la sciarpa già che ci s…»
«Ma’! So badare a me stessa. Non preoccuparti inutilmente, voglio solo visitare un po’ la città.»
Lei sospirò arrendevole.
«Va bene… torna presto, però, sono già le 16.30. E’ pericoloso stare in giro di notte. »
Risi per la sua preoccupazione esagerata e mi diressi verso la porta. Neanche il tempo di lasciarla chiudere alle mie spalle che una voce in lontananza urlò
«Attenta a come attraversi, non siamo più a Gesigos! Torna presto!»
Se non l’aveste capito, mia madre era una donna molto apprensiva.
 
Mi piaceva molto Kalars. La moltitudine di persone che chiacchierava mi metteva allegria, talmente tanta che mi misi a cantare. Me la cavavo abbastanza bene, comunque sia adoravo farlo e non mi importava del mio talento. Anzi, forse era anche la migliore cosa che possedevo nonostante non brillassi.  Si, ero brutta: capelli bruni e crespi, sopracciglia troppo folte e lentiggini molto accentuate. Ammetto, tuttavia, che uno dei motivi principali del mio aspetto era che non mi curassi più di tanto ma a mio avviso neanche facendolo sarei stata carina. Qualcosa di buono, fisicamente, però lo avevo ovvero due bellissimi occhi azzurri e grandi tette. Di queste ultime, a quel tempo, me ne vergognavo, tant è che le fasciavo sempre con lo scotch prima di uscire.
Camminavo piena di emozioni, con la voce che si faceva via via più potente. Mi pare di ricordare che, da una finestra, cadde una ciabatta che per poco non mi colpì. Quant’era sbadata la gente. Poco dopo mi imbattei in un imponente edificio, dal muro in marmo bianco di Carrara. La raffinatezza delle vetrate colorate, che mostravano disegni simili a quelli nelle chiese gotiche, mi rapì immediatamente. Sembrava assurdo che fosse solo una scuola. Mentre osservavo quella meraviglia, qualcosa, o meglio qualcuno, mi urtò violentemente.
 
 
 
 

Raphael
 
Sarei stato sicuramente bocciato quell’anno, me lo sentivo. C’è da dire che non era tutta colpa mia. Non avevo voti eccellenti, non ero il primo della classe, ma riuscivo sempre a cavarmela. Era quel nuovo professore che mi aveva preso di mira. Da giovane doveva essere stato uno sfigato, per questo era prevenuto nei miei confronti: io, un ragazzo alto (La bellezza di 1.81 e mezzo), bello, occhi chiari e un pizzico di arroganza che fa innamorare le ragazzine.
Quel giorno non ero andato a scuola… cioè, mi stavo dirigendo la, ma non di certo per le lezioni. Anzi, ero io ad avere in serbo per quello stronzo di un professore una piccola lezione. Ero riuscito a scoprire il suo più grande amore: Il suo fuoristrada. Ero euforico in quel momento, preso dalla corsa verso la vendetta contro il bastardo. Così assorto dai miei obbiettivi da non accorgermi di una stupida ragazzina ferma con il naso all’insù. La colpii talmente forte che cadde a terra rumorosamente.
«HEI!». Mi urlò con una vocina stridula.
Era piuttosto bruttina, o meglio, era una di quelle ragazze che se ne fregano del loro aspetto, e si vedeva. Le chiesi distrattamente scusa, poiché, poco più avanti vidi la vettura del professore. Mi avviai velocemente verso di essa, mentre la ragazza mi fissava perplessa.
Cominciai a frugare nello zaino che avevo appresso e dopo qualche ricerca trovai un cacciavite a stella. Dovevo farlo, ora o mai più. Con forza colpii le ruote della macchina. Feci via via sempre più pressione, con l'emozione mista a rabbia verso quell'uomo che mi travolgevano il corpo. Una volta finito il lavoro sospirai entusiasta ma sentivo che dovevo finire in bellezza. Con un gesto secco e deciso feci passare la punta del cacciavite sulla carrozzeria. Fu meraviglioso osservare la lunga striscia che si era andata a formare. Che scena sublime! Dio che goduria che provai! Calai velocemente il cappuccio sugli occhi e mi preparai a scappare, quando sentii degli occhi puntati addosso. Quella brutta ragazzina mi guardava con sguardo di rimprovero, anche se, con quelle foreste sopra agli occhi, più che causarti sensi di colpa faceva ridere. Avrebbe potuto fare la spia? Cercai di fare il gentile e salutarla, prima di correre a perdifiato. Era fatta! Non mi restava che tornare a casa rapidamente e continuare con la mia messa in scena da malato. Arrivai giusto in tempo perché, cinque minuti dopo essere entrato in silenzio dalla finestra, mia madre bussò alla porta. Doveva misurarmi la febbre e trovandomi rosso e accaldato (ovviamente per la corsa) se la bevve come niente, riuscendo per farmi riposare. Nella mia testa risuonò una risata malefica. Ero un fottuto genio! D’un tratto, però, frugando nella tasca di dietro dei pantaloni, mi accorsi che era vuota. Il mio portafoglio! Cazzo, c’era tutto la dentro, carta d’identità, soldi, cartine, tabacco.
Se l’avesse trovata il prof? O quella ragazza? Avevo cantato vittoria troppo in fretta.


Note: E' molto breve come capitolo ma, appunto, è solo un'introduzione. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!



 



Capitolo II


Paoletta

13 Novembre 2006
 
Ero terrorizzata. Il primo giorno di scuola mette ansia un po’ a tutti. Figuriamoci a me, una ragazza per niente bella o spigliata che non conosceva nessuno. Uno, ripensandoci, più o meno lo conoscevo, Raphael. Vi chiederete chi è: quel maleducato che giorni prima mi aveva fatto cadere. Credeva di passare inosservato, ma il destino volle che il suo portafoglio cadesse proprio vicino a me. Raphael Cabrera Flores, quasi diciassette anni, frequentante la mia nuova scuola. Forse leggere la sua carta d’identità non era stata un’azione molto carina. Avrei potuto rivelare al signore a cui aveva lanciato le cavallette il suo nome. Sarebbe stata una cattiveria e, a quel tempo, avevo troppa paura di, uno, parlare a quel professore (avevo scoperto che faceva parte della scuola) e due, di affrontare, nel caso, quel ragazzo. Se l’avesse scoperto chissà cosa mi avrebbe fatto.
Per quel giorno mi ero vestita alla meno peggio: maglione bianco cucito da mamma, pantaloni verdi e scarpe da tennis. Sapevo che non avrei sicuramente fatto colpo, i ragazzi si sarebbero girati solo per prendermi in giro. Quando entrai nel magnifico edificio (di cui ancora mi stupivo della magnificenza), sperai di diventare invisibile. Tra tutti gli studenti che osservai c’era una ragazza bellissima, che scoprii successivamente chiamarsi Elodia, dai capelli a caschetto di un rosso ramato, pelle candida e due occhi verdi e magnetici. Mi restò impressa anche perché, quando mi vide, sussurrò qualcosa all’amica e scoppiarono a ridere. Questo mi fece sprofondare dalla vergogna e penso se ne accorsero, poiché risero ancora più forte. Corsi, tutta rossa in faccia, in quella che sarebbe stata la mia classe. Mi sedetti in un posto a caso, ignorando gli sguardi indagatori dei miei compagni, e mi feci piccola piccola per il disagio. Poco dopo l’inizio della lezione, nella quale purtroppo fui presentata davanti a tutti i compagni, entrò uno strano ragazzino. Appariva fuori posto, proprio come me, con lo sguardo talmente fisso a terra che faceva apparire le mattonelle interessantissime. Aveva i capelli rossicci, colore che faceva contrasto con l’abbigliamento scuro, dai vestiti di almeno una taglia più grande. Si muoveva goffo con le spalle strette di chi ha paura.
«Jesus, sei di nuovo in ritardo! Il motivo?». Gli chiese arrabbiato l’insegnante.
Il ragazzo borbottò qualcosa di incomprensibile che sembrava “Non ho sentito la sveglia”, ma dal modo in cui lo disse fece capire che era una menzogna. Jesus non era molto amato dai suoi compagni, a sentire i commenti orribili che uscirono dalle loro bocche.
 
All’ora di pranzo dovetti andare nella mensa: tutti i tavoli erano occupati e non potevo di certo chiedere di sedermi con qualcuno. Mi bastò osservare il sorriso di scherno, rivolto a me, della ragazza bionda seduta ad un tavolo. Non avrei mai mangiato li, così ebbi un’idea triste e geniale allo stesso tempo, cioè chiudermi nei bagni. Cercai di non piangere, ma lo feci.
 

Rosy

Quel cazzo di mascara non durava più di due ore. Mi toccava sistemarlo ogni volta, ma non potevo lamentarmi più di tanto. In fondo lo avevo rubato. Entrai in bagno e mi guardai allo specchio. I capelli neri erano ancora pettinati, la frangetta apposto e il rossetto miracolosamente non sbavato, per fortuna. Stavo per andarmene quando udii un orribile singhiozzo proveniente da un bagno. D’istinto aprii la porta e mi trovai davanti uno spettacolo pietoso. Una ragazzina coi sopracciglioni, il moccio che colava e gli occhi rossi e gonfi dal pianto. 
«Ehm… tutto okey? »
«Io…eh…non… perc… ».  Cercò di dire qualcosa ma i singhiozzi glielo impedivano.
Riguardandola mi accorsi di non averla mai vista prima, doveva essere nuova.
«Panico da primo giorno, eh? Andiamo imbranata, pulisciti la faccia e andiamo in mensa! »
Le presi un braccio, ma fece forza e restò seduta.
«NO! Voglio solo…tornare a casa…»
Non sopportavo quella scena, così la costrinsi ad alzarsi e la ficcai a forza sotto al rubinetto aperto. Era un po’ crudele come cosa, ma per certe persone la cattiveria è il solo modo di svegliarsi. Si dibatteva e quando mi accorsi che stava affogando la feci rialzare. Presi dei fazzoletti e le asciugai la faccia.
«Guarda come sei fresca! Ora vedi di non ripiangere sennò sarà stato tutto inutile.»
Ora mi guardava spaventata, ma almeno non pianse più.
«Dai, scusa, forse ho esagerato… comunque mi chiamo Rosy. »
Le porsi la mano e titubò un po’ prima di prenderla.
«Io… sono…Pao…letta. »
Cercai di trattenere una risata. Ci mancava anche un nome così ridicolo. Povera,  non era colpa sua d’altronde.
«Su, andiamo!»
Dissi infine afferrandole una mano e dirigendomi fuori dal bagno.
Vicino alla mensa c’era un grande casino, con un sacco di studenti che ridevano e facevano il tifo a qualcuno. Come al solito era Pedro e stava rompendo i coglioni a quel povero sfigato di Jesus. Quel Pedro aveva una tale faccia da schiaffi, con quella cresta con cui faceva tanto il figo. Quel giorno diede il meglio di se, cioè, il peggio. Prese un vassoio e diede un colpo in faccia a Jesus, causandogli oltre a un segno rosso in faccia anche un occhio nero. Paoletta emise un verso di spavento mentre io mi trattenni dal prendere a pugni il bulletto. E come si dice, oltre il danno la beffa, prese il cellulare e scattò una foto allo sfortunato Jesus come ricordo della sua bravata.
«Perché nessuno ha fatto nulla? E’ orribile, gli altri sembravano anche contenti!». Mi disse lei con voce bassa e tremolante.
«Perché questo, Paoletta, è il liceo.»



 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!



Capitolo III


Jesus

13 Novembre 2006 (collegato al capitolo precedente)
 

Tre “Ave Maria” per le parole peccaminose dei miei compagni, due “Salve Regina” per l’abbigliamento inadeguato delle mie compagne, e dieci “Padre nostro” per me, che non potevo fare a meno di guardarle. Questo era ciò che mia madre avrebbe voluto facessi. Ma le preghiere non mi servivano a nulla, soprattutto contro il re dei bastardi, un futuro dannato: Pedro. Il male era racchiuso nei suoi occhi. Quando mi guardava la sua bocca assumeva una forma strana, come se fosse affamato. Era lui il diavolo a dare il via al mio “girone infernale”. Le sue mani mi causarono un occhio nero, anzi più che le sue mani fu il vassoio con cui mi colpì. Sapevo cosa mi avrebbe detto mia madre: era la giusta punizione per i miei pensieri lussuriosi dedicati alle ragazze. Pedro era forse un angelo mandato da Dio per mantenere pura la mia anima? Che cazzata avevo pensato. Adesso avevo paura di tornare a casa. Mia madre avrebbe cercato di lavare via i “segni del male” con l’acqua santa e una spazzola di ferro. Odiavo quei momenti.

 

Da bambino mia madre mi faceva sempre dare un bacio ai piedi del crocifisso al dì fuori della porta d’ingresso. Ma ormai mi limitavo a guardarlo per un po’ e fargli un cenno con la testa. Non volevo essere scoperto, perciò entrai cercando di fare il minimo rumore. Purtroppo mia madre possedeva un ottimo udito, come quello dei pipistrelli. Abbassai più che potevo la testa, ma non potei nascondere a lungo il marchio sul mio volto. Mia madre si portò una mano alla bocca emettendo un verso di spavento.
«Oh Santa Madre di Dio! Jesus, la mano del creatore è calata più forte del solito questo giorno! Quali peccati hai commesso?!». Mi chiese rabbiosa. Sospirai.
«Mi pento e mi dolgo dei miei peccati, madre.»
Di solito era la formula giusta per farla urlare il meno possibile.
«NON CHIAMARMI MADRE! Solo la beata vergine può essere chiamata in questo modo!»
Fece il segno della croce e chiese scusa al signore per la mia insolenza. Dovevo andarmene prima che degenerasse ancora di più.
«Scusami, mamma, pregherò per ciò che ho fatto. »
«E lo farai per tutta la sera! Non azzardarti ad uscire sinché non te lo dirò io!»
Nella mia stanza, per abitudine, iniziai a pregare un “Credo”, ma non riuscii a completarlo. Il dolore all’occhio era intenso. Come se non bastasse mi sentivo oppresso dagli sguardi accusatori dei santini appesi alle pareti. Ripensandoci, l’occhio non era niente rispetto alle frecce con cui San Sebastiano fu trafitto. L’avevo davvero pensato?! Dio mio, stavo impazzendo con quel tipo di vita.


Raphael


«Da oggi si cambia registro!»
Il mio vecchio era furioso. Avevo un modo tutto mio per capirlo, oltre al tono di voce. Osservavo le sue orecchie e quando raggiungevano un colorito bordeaux sapevo che era il momento di stare zitto. L’avevo fatta grossa, mi aveva nuovamente beccato in vela. Ero stato un coglione a farmi scoprire.
«D’ora in poi a scuola ti accompagnerò sempre io, così vedremo se avrai l’abilità di marinarla! E a casa alle 20 in punto ogni sera, nessun minuto di ritardo! »
In quel momento eravamo nella sua decappottabile sportiva rosso fiammante. Il suo unico vanto e la nostra unica passione in comune.
«Allora?! Non dici niente?!»
Se avessi parlato mi avrebbe preso a colpi. Se non lo avessi fatto, lo stesso. Prima ancora di ragionare sul da farsi, mi girai verso la strada e vidi qualcosa di insolito in lontananza. Solo dopo esserci avvicinati di più vidi quel pezzo di merda di Pedro insieme alla sua banda. Stavolta dovevano averla fatta grossa. Sembrava avessero picchiato una ragazzina, dato che loro ridevano sguaiatamente, mentre a terra c’era una ragazza in lacrime. Non aspettai neppure che mio padre si fermasse. Scesi velocemente e, senza pensarci due volte, piantai il mio pugno sul naso di Pedro che incominciò a sanguinare. Lui si coprì il volto con le mani.
«Tu! Figlio di put…».
Non riuscì a finire la frase, perché poco più avanti vide la figura imponente (era un uomo alto e ben piazzato, dallo sguardo truce, per nulla simile a me) di mio padre. Come se non bastasse le sue orecchie erano più rosse di quelle che aveva avuto in tutti questi anni (e con me come figlio era successo un sacco di volte). Lo stronzo non voleva passare casini e si limitò a sfidarmi con lo sguardo, per poi dire ai suoi seguaci di andare via. Come si allontanarono mi avvicinai alla ragazza, che nel mentre si stava asciugando le lacrime. Rimasi dubbioso perché ricordai di averla già vista. Ma dove?

«Tutto okey? Che è successo? »
«Stavo…tornando a casa… li ho visti e…stavano facendo del male a…»
Non completò la frase a causa di un singhiozzo.
«Del male a chi?»
«Ai gatti!»
Rimasi sbalordito. Tutto quanto era accaduto per dei gatti? Solo dei gatti?! Effettivamente in quel momento si sentì uno strano lamento. Vicino a noi c’era un micio bianco con il pelo sporco di fango e sangue. A giudicare dalle pietre sparse in giro gliele avevano tirate. Era sdraiato a terra. Aveva la coda spezzata e provava a rialzarsi senza successo. Notai con orrore che era l'unico sopravvissuto a una, per così dire, strage. Intorno erano appesi(al lampione vicino, alla spazzatura) i corpi di altri gattini che quei tre avevano impiccato senza pietà. Ah! Come cazzo fare cose del genere senza che gli si rivoltasse lo stomaco?
«Hei… aspetta un attimo… tu sei quel Raphael!»
Fui preso alla sprovvista dalla ragazza. Mi conosceva? Forse era una delle tante ragazze di scuola a cui piacevo e che non consideravo minimamente. Poi, però, la osservai meglio e la riconobbi immediatamente: era la ragazza che mi aveva visto compiere quello scherzo.
«Oh… sei tu…».
Tuttavia, come faceva a conoscere il mio nome? Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma al posto del “grazie” che mi aspettavo, aggrottò le sopracciglia urlando
«Come hai potuto fare una cosa simile?! Altra violenza non è mai la risposta alla violenza! Sei uguale a quei ragazzini, sei terribile!»
Indietreggiai sorpreso da quello scatto d’ira improvviso. L’avevo aiutata e mi trattava così?
«Ferma! Ferma! Per prima cosa, avrei preferito un grazie, e seconda cosa... come diavolo fai a sapere il mio nome?!»
«Bhè, il giorno in cui hai fatto del male a quel professore ti è caduto il portafoglio e l'ho trovato!»
Maledii la sua fastidiosissima voce. Non passo, infatti, molto tempo prima di ritrovarmi preso per il colletto da mio padre.
«CHE CAZZO HAI FATTO?!»
Le sue orecchie ormai erano diventate nere.
«Non è vero! Non ascoltarla... è sottoshock per prima, si inventa le cose!»
L'espressione della ragazza divenne un misto di indignazione e sorpresa.
«Questa è una bugia!». Ribattè.
Prese il mio portafoglio dalla borsa e me lo scaraventò addosso.
«Tieni il tuo stupido portafoglio! Ringrazia che non ti ho denunciato al professore per quelle cavallette!»
«DA OGGI SI CAMBIA REGISTRO!». Ripetè violentemente mio padre fissandomi con occhi di fuoco.
«Starai barricato in casa sino alla fine dei tuoi giorni!»
Detto questo mi buttò a forza dentro la macchina dandomi subito dopo un manrovescio. Stava per partire, ma si ricordò della ragazza che, nel mentre, aveva preso in mano il gatto mettendosi a piangere per le condizioni di quest'ultimo.
«Hem...ragazzina, come ti chiami?»
«...Paoletta..»
Facendo segno con la mano di avvicinarsi, mio padre le disse in modo gentile (tono che non aveva mai usato con me)
«Dai, sali in macchina. Ti accompagniamo prima dal veterinario e poi ti riportiamo a casa.»
Lei singhiozzante annuì, salendo sull'auto. Per tutto il viaggio sperai che quella Paoletta se ne andasse al più presto.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo IV
 
Elodia

17 Novembre 2006


«Perché ti dai tanto da fare con la dieta?». Mi chiese Odette con la stessa aria sognante di chi si è appena fatto una canna.
«Ma ficcati due dita in gola e vomita, così non ti devi sbattere troppo.
*»
Quella ragazzina aveva solo aria in testa. Le sofferenze della vita non sapeva minimamente cosa fossero. Non mi sarei mai sporcata le dita con qualcosa di così volgare come il vomito. Seguire una dieta rigida com'era la mia è segno di grande forza. Mi guardai allo specchio e quasi quasi mi venne voglia di leccare la superficie. Dio, quanto ero arrapante. Quella sera sopratutto: indossavo un tubino rosso fuoco come la passione che facevo nascere in tutti. Sorrisi, ovviamente in modo sexy, da quanto ero felice di essere nata in un corpo tanto perfetto. Stilai mentalmente la lista di chi mi sarei fatta:
-Nicolaj
-Bruno
-Esteban
-Pedro
E...cremé della cremé, il più scopabile del mondo, Raphael. Mi sorprendevo ancora di non averlo già tutto per me, ma era questione di tempo e sarebbe caduto ai miei piedi, calzanti delle decolté nere dai tacchi vertiginosi.
«Andiamo, Elody, sono prontissima!». Esclamò col suo solito sorriso svampito.
Odette non sapeva proprio comprendere il significato di sensuale, dato che ogni volta si metteva addosso degli orribili vestiti pieni di tulli color pastello, che la facevano apparire una ballerina. Bhè, almeno era graziosa e di conseguenza appetibile per i ragazzi. I suoi biondi capelli boccolosi le incorniciavano un volto ovale, con un naso leggermente all'insù, e dalla pelle chiara. Bastava guardarla per capire che aveva origini francesi. E poi non aveva bisogno di essere intelligente, e non lo era per nulla, dato che quelle grandi tette parlavano da se.


Pedro era sempre lo stesso. Fingeva di ignorarmi e fare l'indifferente, ma era tutta una messa in scena per apparire più desiderabile. Qualche moina e qualche frase piccante e l'avrei trascinato nei bagni del locale. Tuttavia la mia testa era da tutt'altra parte. Non facevo che sperare nell'arrivo di Raphael. Del MIO Raphael. Era il suo compleanno, non lo dimenticavo mai, e gli avrei fatto un bellissimo regalo... e che regalo! Ormai era già passato qualche minuto e Pedro ed io eravamo seduti in una poltrona in pelle blu cobalto. Lui aveva già ceduto e poggiava la sua mano sopra la mia coscia destra. Il suo lato da bullo mi piaceva, era uno che sapeva farsi rispettare e mi sembrava uno anche di grande talento a letto. Poi, però, la discoteca venne invasa da una luce. E per luce intendo Raphael, vestito con una camicia bianca attillata che gli metteva in risalto il suo fisico asciutto e ben modellato, seppur non poi così muscoloso. Mi morsi un labbro sensualmente e mi alzai lasciando perdere Pedro, avviandomi verso di Raphael. Pedro, sicuramente infastidito e arrabbiato per la sua occasione perduta, cominciò a seguirmi. Non mi prese per un braccio baciandomi appassionatamente per dimostrare a Raphael che voleva che fossi sua, come pensavo accadesse, ma si scaraventò direttamente su di lui. Raphael non riuscì neppure a realizzare la cosa che Pedro lo buttò violentemente a terra con un colpo in pancia. Non pensavo che Pedro fosse così morboso nei miei confronti. Dopo quella che stava facendo al mio Raphael si poteva scordare qualsiasi parte di me, anche solo l'orecchio. Dovevo fare qualcosa.
«Smettetela di litigare per me! Basta, vi prego!»
Cercai di separarli, afferrando Pedro per un braccio che, per riflesso, mi diede una forte gomitata su uno dei miei magnifici zigomi. Passai sopra la mano e la vidi sporca di sangue. Prima che qualcuno facesse qualcosa scappai via dal locale. Non cercai neppure Odette, tanto sicuramente stava flirtando con qualche venticinquenne, per poi ritrovarsi l'indomani nel suo letto capendo di essere stata nuovamente ingannata e che lui non era il principe azzurro che tanto cercava. Corsi a perdifiato lungo la strada, rabbiosa e disperata allo stesso tempo, col sangue che colava lungo la guancia finendomi in bocca. Ero nauseata dal suo disgustoso sapore metallico. Prima di entrare in casa mi fermai. Feci un respiro profondo e ripresi il controllo. Era stato solo un incidente. Non era colpa né di Pedro né tanto meno di Raphael. Era colpa mia che diventavo troppo velocemente l'ossessione di tutti. Quanto era dura essere tanto belle, a volte. Aprii lentamente la porta e, tolte le scarpe per non far rumore, mi diressi verso la mia stanza. Sentii le risate e le chiacchiere dei miei genitori in salotto.
«Oh, caro, abbiamo fatto una figlia davvero speciale! Non smetterò mai di ripeterlo.»
Non stavano parlando di me.
«Oggi ha sfilato in modo magnifico, come sempre d'altronde.»
Mia madre fece un verso di leggera disapprovazione.
«Però non mi convince tanto il modo in cui viene truccata per Valentino, cioè è così...convenzionale. Non mette in risalto i suoi zigomi raffinati.»
Mia madre sarebbe stata una donna bellissima, se non fosse stato per il suo naso sempre arricciato, come se sentisse costantemente un cattivo odore.
«Chissà se quell'altra riuscirà mai a combinare qualcosa.»

«Chi lo sa... non è alta come Julia, quindi che faccia la modella è escluso.»
«Spero non faccia la foto modella. Una patetica imitazione del lavoro di Julia. E poi con tutta la tecnologia che c'è oggi modificherebbero le sue foto in continuazione, date le sue imperfezioni. La rifiuterei come figlia!»
Bastava così. Continuai a camminare verso la mia stanza e, per il senso di abbandono che provavo, appena entrata non feci neppure caso a ciò che usai per ripulirmi dal sangue: un paio di mutandine in pizzo bianco. Imprecai per averle rovinate. E imprecai per la mia vita di merda.


Raphael

Quel gran figlio di puttana. Quel grandissimo figlio di troia. Non avrei mai smesso di ripeterlo sinché non l'avrei visto schiacciato da un treno. Quello stragrandissimo stronzo. Il dolore alla pancia mi veniva a fitte. Dovevo ammetterlo, i suoi pugni erano micidiali. Mi pentii quasi di essere scappato di casa. Speravo di passare un bel compleanno, che mi rifiutavo di festeggiare chiuso in camera, ma si stava rivelando una schifezza. Potevo rientrare e non rischiare che mio padre si accorgesse della mia assenza, ma non ne avevo alcuna voglia. Decisi di andare dove andavo ogni volta che mio padre, urlandomi di non volere più tra le palle un figlio “ribelle” come me, mi buttava fuori casa per una giornata intera. Bhè, anche se a volte, per punire la mia “ribellione”, mi rinchiudeva in casa come aveva fatto quell'ultima volta. Ma lasciamo perdere, era troppo difficile da comprendere quell'uomo. La casa di Rosy era a pochi isolati dalla discoteca. Era l'unica ragazza con cui mi divertivo anche senza scopare. A volte, però, quando era convinta che io non la guardassi, mi osservava in modo strano. Che mi volesse? Chi lo sapeva, non l'aveva mai dato a dimostrare, a parte quegli sguardi indecifrabili.
Sarei tranquillamente potuto entrare dalla porta d'ingresso, dato che sua madre, che secondo me faceva la prostituta di nascosto (dovevate vedere come si vestiva), mi adorava. Avevo anche la ferma convinzione che volesse portarmi a letto. Ripensando a ciò, preferii entrare dalla finestra per non essere notato da lei. Ormai non bussavo neanche più, tanto Rosy sapeva benissimo che io sarei potuto sbucare da un momento all'altro. Quando toccai il pavimento della sua stanza mi resi conto che Rosy era in “buona” compagnia. Quella rincoglionita di Paoletta con addosso un orribile pigiama in pile rosso. Presi quella scena come un pessimo regalo di compleanno. Tanti auguri, Raphael.



Note
*: Non vogliamo offendere nessuno con questa frase, è solo il personaggio che viene caratterizzato in questa maniera.

 

 



 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo V
 
Paoletta

17 Novembre 2006 (collegato al capitolo precedente)


Ecco che lui arriva e rovina tutto. Ero così felice che Rosy mi avesse invitato a dormire a casa sua. Non avevo mai fatto un pigiama party con un'amica. Mia madre stava per impedirmelo per via della sua apprensione, ma bastò farle credere che dovevamo studiare e cedette alla richiesta. Stava andando tutto bene: il film era pauroso, ma visto insieme a Rosy aveva un altro aspetto. Si chiamava The Others e io desideravo ardentemente di diventare bella come Nicole Kidman. Avevamo i popcorn e latte caldo e ogni tanto cuocevamo i marshmallow con l'accendino di Rosy. E poi arriva Raphael, quello screanzato che non faceva che mettersi in mezzo. E poi, non era in punizione? Come mai era davanti a noi?
«Hei... Rosy... cosa ci fa un cercopiteco* in camera tua?»
Cercai qualcosa da ribadire a quell'insulto infantile, ma rimasi in silenzio limitandomi a guardarlo male.
«Facciamo finta di studiare.»
Rosy prese una pausa e fece uno sguardo di intesa a Raphael.
«Tu, piuttosto, se vuoi restare devi pagare pedaggio!»
Non comprendevo cosa Rosy volesse dire. Raphael si, a quanto capii dal suo sorriso, e prese un pacchetto di sigarette. Tuttavia non fumò quella che prese, anzi la ruppe!
«Paolettina... tu... non hai mai fumato la Maria, vero?»
Rosy mi fissava divertita, sicuramente accortasi della mia perplessità.
«No... cos'è?»
Entrambi scoppiarono a ridere e io diventai rossa come il pigiama che avevo addosso.
«Tranquillo, piccolo macaco, c'è sempre una prima volta.»
Subito dopo incominciarono a maneggiare col tabacco e uno strano pezzo di carta. Dopo aver finito mi tesero quella sottospecie di sigaretta accesa.
«Dai, fai almeno due tiri!»
Mi guardarono sorridenti, ma non erano per nulla rassicuranti, erano sorrisi maligni. Fu una pessima idea assecondarli. Immaginatemi seduta con lo sguardo da pesce mentre ondeggio lentamente. Bhè, ero esattamente così. Questo dopo due minuti di tosse isterica, con Rosy e Raphael che si rotolavano a terra dalle risate, e continuavano anche in quel momento. Improvvisamente Raphael si sedette accanto a me, sorridendomi e accarezzandomi la testa. Fui sorpresa da quella gentilezza inaspettata e, dovevo ammetterlo, lui era davvero bello. Quel sorriso sembrava mi appartenesse. Poi saltò sul letto ed esclamò
«Paoletta, oggi sarà il giorno delle tue prime volte!»
Ero troppo frastornata per capire cosa intendesse, sinché Rosy non arrivò con tre bottiglie di quella che inizialmente credevo fosse acqua. Rosy sembrava su di giri ed era tutta rossa in faccia. Mi porse un bicchiere.
«Manda giù e non pensarci!»
Tutta tranquilla lo presi e bevvi, ma sentii subito un sapore forte e strano. Fu automatico: incominciai immediatamente a, come dicevano Rosy e Raphael, vomitarci l'anima. Raphael mi trascinò in bagno per evitare che sporcassi ulteriormente. Ripensandoci, seppur la situazione non fosse delle migliori, fu un gesto carino tenermi i capelli.

Il giorno dopo mi svegliai con un forte mal di testa. A mala pena ricordavo cosa ci facessi li. La stanza era un caos e il pavimento era sparso di bottiglie completamente vuote. Come presi più coscienza di me mi accorsi che i capelli di Raphael, addormentato profondamente sulla scrivania, erano tinti di verde. Non potei trattenere una risata... poi , però, mi guardai e al posto del mio pigiama vidi un vestitino nero con le paiette, che seppur attillato, mi stava due taglie più grande.
«… volevo quello giallo...»
Raphael farfugliava frasi sconnesse nel sonno.
«Il cavallo! NO!»
Era davvero buffo. Notai che Rosy non era nella stanza, ma poco dopo entrò coperta solo da un asciugamano, doveva esseri fatta la doccia. Mi chiesi come facesse a non avere vergogna sapendo che Raphael si sarebbe potuto svegliare da un momento all'altro.
«Sei sveglia! Come va?»
Mi chiese distrattamente mentre si asciugava i capelli con un altro asciugamano.
«Mi fa male tutto... e questo vestito chi me l'ha messo addosso?»
«Non ricordo.»
Avvampai sperando con tutto il mio cuore che non fosse stato Raphael. In quel momento, come se avesse sentito i miei pensieri, lui bisbigliò
«… usa lo scotch...»
Volevo morire, ero sicura che avesse visto il mio corpo, e sopratutto lo scotch con cui nascondevo il seno. Uno sbadiglio e Raphael aprì gli occhi. Accennò la domanda “che ore sono?” mentre si strofinava gli occhi.
«Sono le 11.15 del mattino, Cosmo*»
Fu come una miccia appena accesa, Raphael scattò giù dalla scrivania e prese a cercare disperatamente le sue scarpe.
«Merda! Mio padre si sarà accorto da ore delle mia fuga!»
Rosy sogghignò, forse la divertiva l'idea di Raphael preso a colpi. Finalmente lui trovò le scarpe e si fiondò fuori dalla stanza.
«Se sarò ancora vivo, a lunedì!»
Passarono pochi secondi prima che Raphael urlasse spaventato. Doveva essersi visto allo specchio.
«Sei stata grande a tingergli i capelli!»
Guardai sbalordita Rosy ridere di gusto.
«… io?»
«Ci puoi contare.»
Arrossii violentemente pensando a quali altre sciocchezze avevo potuto commettere. Preferii non saperlo.


Note*: Cercopiteco= specie di scimmia.

            Cosmo= Personaggio del cartone "Due fantagenitori" coi capelli verdi.

 




 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo VI
 
Pedro

18 Novembre 2006
 

Mi svegliai bruscamente a causa della musica metal di merda del vicino. Avevo quella tettona di Odette appiccicata al petto. Che palle, non l'avrei dovuta portare a casa. Quella notte fu proprio deludente, ma almeno un po' di soddisfazione l'avevo avuta: avevo dato una bella lezione a Raphael. Forse ci avrebbe pensato due volte prima di colpirmi all'improvviso. Con la presenza di suo padre per non farmi reagire, che coglione. Mi liberai dalla presa di Odette, che aveva il sonno talmente profondo che dubito se ne accorse. Andai in bagno a pisciare. Guardai in alto e come al solito vidi la macchia di muffa e i buchi nel soffitto. Quanto faceva cagare la mia casa, e lo squallore del bagno era solo il minimo. Tuttavia era il massimo che potevo permettermi per vivere lontano dai miei genitori e dalle loro regole, anche se avevo solo sedici anni.
Quel giorno sarei andato a prendere la roba. Una consolazione dopo quella merda di scopata dovevo pur averla. E dire che quella la sembrava così esperta. Come si dice, tutto fumo e niente arrosto. E ultimamente stavo trovando solo fumo. Forse dovevo ritornare alle vergini, almeno avrei sentito una sensazione di potere. Chiamai Nigro, uno dei miei compari, dicendogli di portare i soldi per pagare il nostro strafattone di fiducia. Chiudendo la chiamata mi ritrovai davanti Jesus. Jesus. Non ricordavo di averlo messo come sfondo. Aveva un' espressione dolorante, gli occhi socchiusi e la bocca aperta in una smorfia di dolore. Lo avevo pestato proprio per bene. Venni distratto dai miei pensieri da Odette, che aprii la porta del bagno improvvisamente facendomi spaventare.
«Non ti ho trovato accanto a me... mi sono sentita sola!»
Dio, che bambinetta. Vedendo che avevo il cellulare in mano me lo prese di scatto senza lasciarmi il tempo di impedirglielo.
«Perché questa foto? Non sarai mica gay?»
Mi guardava con uno sguardo sorpreso e un po' dispiaciuto. Le avrei voluto dare un pugno.
«IO?! Ri sembro un frocetto?! Vuoi che ti dia un'altra ripassata?»
Ero furente. Come poteva insinuare una tale cazzata? Abbasso subito lo sguardo desolata, come i bambini dopo aver fatto qualcosa di male.
«Non volevo dirlo, scusami... stiamo ancora assieme, vero?»
La sua, più che una faccia interrogativa, era supplicante.
«Certo, tesoro, e un giorno ci sposeremo e avremo tanti bambini.»
Mi osservò dubbiosa, con la sua solita espressione da pesce, cercando di capire se stessi scherzando oppure no.
«Te lo dico io, non è vero. Questa notte è stata solo una scopata.»
Adesso mi guardava sia triste con le lacrime agli occhi, sia ammirante. Sicuramente era convinta sapessi leggerle nel pensiero, ma era soltanto lei ad essere un libro aperto. E aperto, da quanto era stupida e facile da ingannare, non era solo il libro. Poco dopo scappò via in lacrime. Nigro mi chiamò.
«Pronto, Nigro?»
«Nigro tua mamma!»
Odiava essere chiamato per cognome, e questo mi spingeva a farlo ancora di più. Mi disse che era arrivato. Come chiusi la conversazione, nuovamente mi apparì la foto di Jesus. Stavolta non restai imbambolato, uscii direttamente dalla porta per andare a cambiarmi. Pensare fossi gay... che rincoglionita. La foto di quello sfigato era solo un trofeo per la mia superiorità. Non c'era nessun altro motivo per cui l'avessi. Giusto? No, proprio no...

 




 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo VII
 
Rosy

25 Novembre 2006
 

«E' stata davvero gentile ad invitarmi a pranzo.»
«Ma figurati! Ti piacciono i ravioli? Altrimenti abbiamo anche gli spaghetti, o se non ti piace la pasta ci sono degli hamburger. Posso prepararti quello che vuoi!»
Sia la madre di Paoletta che Paoletta stessa erano rosse in faccia, la prima per l'agitazione, la seconda per l'imbarazzo. Mi avevano invitato a pranzo, ma dal modo in cui mi stavano servendo e riverendo sembrava avessero invitato il presidente.
«Ecco, in realtà sono vegetariana, quindi i ravioli sono perfetti!»
Subito dopo la madre filò in cucina a prepararmi insalata e altre cento portate vegetariane che non sarei riuscita a mangiare neanche in un mese.
«Scusa mia madre... è la prima volta che porto qualcuno a casa.» Disse Paoletta tenendo in braccio il suo nuovo gatto bianco.
Lo accarezzai. Adoravo i gatti, erano così indipendenti e autonomi. Questo qua era un po' bruttino, però, magro, spelacchiato e con qualche ferita ormai cicatrizzata.

«Si chiama Birrolo. L'ha salvato Raphael.»
Oh... davvero?»
Mi raccontò per filo e per segno tutto quanto, forse anche con troppi dettagli. Alla fine guardò a terra sconsolata.
«Non l'ho neanche ringraziato... quel giorno l'ho trattato male.»
E poi, come se Raphael avesse un radar che lo avvertiva quando qualcuno parlava di lui, mi chiamò.
«Hei, Rosaelia, dove sei? Io sono in casa tua ma non ti trovo.»
«Non chiamarmi col nome intero, stronzo!»
Sapeva quanto odiassi il mio nome.
«Comunque sono da Paoletta.»
Paoletta mi guardava interrogativa.
«Vieni se vuoi, se sai dove abita.»
Non aspettai nemmeno che rispondesse. Chiusi la chiamata e rimisi in tasca il mio cellulare giallo.
«Chi... chi era?»
Sorrisi per la sua espressione preoccupata, ma non risposi.
«Comunque, Paoletta, oggi ho dei piani per te!»
«Dobbiamo provare le nostre parti per la recita?»
Già, la recita, quella settimana ci avevano avvertito dello spettacolo di metà anno a cui avrebbero partecipato la mia classe, quella di Raphael, quella di Paoletta e alcune altre. Che idiozia, ogni anno realizzavano sempre delle cagate. Quello non sarebbe stato da meno. Paoletta aveva, tuttavia, fatto un buco nell'acqua. Sogghignai.
«Certo... prima, però, dobbiamo fare qualcosa di più importante: estirpare ogni singolo pelo di troppo dalla tua faccia!»
Il suo sguardo era estremamente spaventato, con gli occhi sgranati. Portai fuori dalla borsa delle pinzette da estetista. Lei indietreggiò.
«Senti, o collabori o ti lego alla sedia!»

Raphael


Paoletta? Perché Rosy non si trovava amiche migliori? L'ultima volta che c'eravamo visti, però, era andata abbastanza bene. In fondo stare vicino a lei non era tanto un trauma, ma non potevo ancora dimenticare la spia che aveva fatto a mio padre. Non che dessi tanta importanza ai divieti di mio padre, dato che ero nuovamente scappato, dopo l'aggiunta di altri tre mesi alla punizione. Stavo andando a tentativi in quelle stradine diroccate, ricordandomi quale fosse la casa di Paoletta solo dopo essermela ritrovata davanti. Sarei entrato dalla finestra, come facevo sempre con Rosy. Le mandai un messaggio per chiederle dove fosse la stanza di Paoletta. Non mi rispose, forse era impegnata. Decisi di puntare sulla finestra con le tende rosa. Entrai senza problemi, ma quando alzai lo sguardo mi ritrovai di fronte una delle donne più grosse che avessi mai visto. Aveva un espressione terrorizzata, che ci mise un attimo a diventare incazzata.
«UN LADRO! Fuori di qui, delinquente!» Urlò.
Iniziò a prendermi a colpi con il mattarello che aveva in mano. Cazzo, che male! Non riuscivo neppure a dire niente, ma solo a ripararmi con le braccia. Attirate sicuramente dal casino, due persone entrarono correndo nella stanza.
«Signora, si fermi! E' un mio amico!»
Rosy non osava avvicinarsi alla scena, limitandosi a parlare da lontano. Vedere una donna dare colpi come un lottatore professionista
era sicuramente uno shock. Questa, al richiamo di Rosy, si girò stupita.

«E da quando si usa entrare dalla finestra?!»
«Lo scusi, è un idiota. Gli piace fare entrate ad effetto.»
Mi offesi a quelle parole. Non è vero che ero un idiota.
«Dai, mamma, lascialo, lo conosco anche io!»
La madre di Paoletta era quella? Per i colpi che dava poteva essere benissimo mio padre con una parrucca e un grembiulino a fiori. Dopo quel giorno non sarei più entrato dalla finestra di nessuno.

Paoletta


«Raphael, tienile le mani! Questa qui non vuole collaborare!» Disse Rosy seccata.
Sembravano delle belve pronte a sbranarmi. Raphael mi afferrò le braccia, attento a non farmi troppo male. Mi divincolai, ma seppure non ci stesse mettendo tanta forza, ero troppo debole per riuscire a liberarmi. Rosy si avvicinò con fare minaccioso. Era incredibile come degli occhi come i suoi, color nocciola circondati da delle folte ciglia, che sembravano quelli di un cerbiatto, potessero essere così spaventosi. Aveva lo stesso sguardo di chi si sta per gustare un dolce particolarmente buono.
«Dai, bertuccia, da oggi imparerai come ci si sente ad assomigliare ad un essere umano!». Sussurrò Raphael.
Provavo troppo nervosismo per rispondere, le pinzette si stavano avvicinando sempre di più al mio volto.
«Si muove troppo. Prendile la testa!»
Raphael lasciò le mie braccia, ma non mi permise di scappare. Subito strinse con una mano entrambi i miei polsi, con l'altra appoggiò saldamente la mia testa sul suo petto. Il mio viso si colorò di rosso, come la camicia a quadri che lui aveva indosso.
«Stai tranquilla, voglio solo renderti più carina.»
Rosy era gentile, una gentilezza poco credibile proveniente da una che mi stava per far soffrire di dolore. Ormai arresa chiusi con forza gli occhi. E poi vidi le stelle. Ogni tanto udivo frasi di Rosy come “Tu sei una donna, sii forte!”, ma il dolore era troppo per darle retta.
«L'aspetto fisico è importantissimo! Starai meglio senza due zolle di muschio sulla fronte.» Esclamò con convinzione Raphael.
Furono i dieci minuti più brutti della mia vita. Quando riaprii gli occhi, vidi il volto di Raphael fissarmi divertito dall'alto. Ero ancora attaccata al suo petto. Aveva già allentato la presa, così mi sposati velocemente con imbarazzo. Rosy mi fissava compiaciuta, come se stesse guardando un meraviglioso quadro da lei dipinto. Mi porse uno specchio.
«Adesso... sei quasi guardabile!» Disse il ragazzo con un segno di approvazione.
«Solo guardabile? Dopo tutta la fatica che ho fatto?!»
Rosy lo guardò accigliata. Mi sentivo al centro dell'attenzione. Quanto mi sarei voluta sotterrare.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo VIII
 
Pedro

29 Novembre 2006
 

Era l'ora di educazione fisica, questa volta avrei spaccato il culo a quel coglione di Nigro. Stavamo facendo la nostra solita partita di boxe, lo sport che preferivamo.
«E' il meglio che sai fare, testa di cazzo?!»
Prenderci a parolacce era il modo per gasarci che usavamo. Nigro mi tirò un gancio, ma lo schivai come un professionista.
«Non sai fare proprio un cazzo!» Gli intimai ghignante.
Gli diedi un potente diretto centrandolo in piena bocca. Esitò solo qualche istante.
«Quella puttana di tua madre deve essersi scopata un pappamoscio per aver fatto un figlio ritardato come te!» Urlai divertito.
Lui fece un sorriso maligno.
«Almeno non ha fatto un frocetto come te!»
Tra vari saltelli e una schivata continuò.
«Guarda che ho visto come mi guardi! Mi picchi così tanto giusto per vedermi ansimare, eh?»
Che palloso. Stava incominciando a stancarmi con le sue cazzate. Risi mentre gli davo uno swing sotto le costole.
«Ti picchio solo per vederti strisciare, verme!»
«Come no! Per me dai tanto fastidio a Jesus solo per poterlo toccare, checca!» Obbiettò ridendo sonoramente.
Spensi quella cazzo di risata con il pugno meglio assestato della storia, nell'orecchio. Cadde a terra e rimase stordito per qualche secondo. Perché avevo reagito così? Avevo esagerato... non capivo il motivo per cui avevo perso il controllo.
«Cazzo ti prende?! Vuoi uccidermi?!»
Rabbioso prese le sue cose e se ne andò dalla palestra.


Rosy

«Cosa stai cercando di dirmi, Raphael?»
Io e Raphael avevamo saltato la lezione ed eravamo nel terrazzo della scuola a fumare (sigarette, purtroppo).
«Niente, solo che secondo me delle tette grandi sono meglio di un culo grande!»
Lo analizzai per un attimo.
«Nessun altro significato secondario?»
«No.» Rispose distogliendo lo sguardo.
Stava parlando delle tette di Paoletta, ne ero certa, avevo visto come le aveva fissate l'altra volta. Infatti subito dopo disse
«Ma secondo te Paoletta è vergine?»
Che domanda stupida. Lo guardai sarcastica e gli risposi con una punta di veleno.
«Secondo te? Poi, cosa ti interessa?»
«Niente, niente, sta calma!»
Fece una pausa in cui lo squadrai con occhi di fuoco.
«Secondo te... qualcuno sarebbe capace di corrompere quella santarellina?»
«Quel qualcuno vorresti essere tu, vero?!»
Provai a nascondere la rabbia nelle mie parole, forse senza successo. Rimase un po' a pensare.
«E' giusto... per testare. Si, testare le mie capacità di conquistatore!»
«Oh... certo.»
Continuò come se nulla fosse.
«Voglio vedere quanto riesco ad avvicinarmi al Sole prima di bruciarmi.»
E lì pronunciai le parole più sbagliate che potessi dire.
«Non ci riusciresti mai!»
Aveva lo sguardo di chi vuole dimostrare la propria superiorità.
«E' una sfida?»
Mi maledii per ciò che avevo fatto nascere nella sua mente.
«NO! No, non è una sfida, lasciala in pace!»
Anche se sapevo benissimo che il motivo della mia rabbia non era la mia preoccupazione per Paoletta.
«Invece lo diventerà. E l'accetto volentieri!»
Lo sentivo, nei giorni successivi avrei sofferto tantissimo, come quando Elodia, mesi prima, stava appiccicata a Raphael come la cingomma che le avevo messo nei capelli per ripicca. Sorrisi debolmente, cercando di non dare a vedere la mia agitazione.

«Si... ci riuscirai. Cadrà sicuramente ai tuoi piedi.»
Ebbi un'illuminazione.
«Anzi, sarà troppo facile! Non ne vale la pena!»
Pregai che la psicologia inversa funzionasse, ma non ebbe effetto.
«Fanculo, ci proverò lo stesso! Inoltre avrò un sacco di momenti per provarci, dato che te la porti sempre appresso.»
Sospirai tristemente.
«E poi... è molto meglio adesso che l'hai un po' sistemata!»
Mi morsi il labbro, quasi pentendomi di essere stata gentile con lei. Paoletta ed io stavamo diventando buone amiche, ma in quel momento crebbe in me un odio, di cui mi vergognai profondamente, verso di lei.
«Si, è diventata carina...» Fu l'unica cosa che risposi.
E dentro morivo.


Pedro


Nigro era nella mensa, seduto un po' in disparte dal resto del gruppo. Mi misi tra lui e Felipe. Lo strozzai amichevolmente con l'incavo del braccio. Mi guardò estremamente incazzato.
«Scusami, amichetto mio... ma al solo sentire il nome Jesus mi sale un desiderio assurdo. E' stata una reazione improvvisa, capisci?» Dissi con una vocina stupida.
Per fortuna si mise a ridere. 
Cercai nella sala il diretto interessato.
«Ora scusami, ma voglio stare vicino a lui.»
Ridemmo malignamente, subito dopo mi alzai, dirigendomi verso di Jesus. Era in un tavolo in disparte, con la testa china sul piatto. Come alzò la alzò assunse un'aria allarmata, appena si rese conto che mi stavo avvicinando. Cercò di scappare, ma lo afferrai per i capelli. Il mio gruppo mi incitava con foga. Lo buttai a terra con forza e mi inginocchiai sopra di lui. Stavo preparando un pugno, quando mi fermai un attimo a guardarlo. Stava ansimando e ogni tanto deglutiva. Gli occhi erano chiusi saldamente e la testa era girata di lato, spaventata e pronta a prendere il colpo. Non ricevendolo aprii gli occhi. I suoi grandi occhi marroni. Aveva una macchiolina verde in basso all'occhio destro. Ma che cazzo facevo?! Che mi importava dei suoi occhi?! Ero in una stanza affollata, dove tutti aspettavano il mio gesto. L'attesa aveva pure fatto scendere il silenzio nella mensa. Serrai i denti. Battei i pugni al petto, come un gorilla pronto a spaccare la testa a qualche umano entrato nel suo territorio. La maggior parte degli studenti cominciarono a battere mani e piedi riprendendo ad urlare eccitati, mentre altri gridavano di non farlo. Calai il pugno potentemente. Emise un gemito di dolore. Come prima mi rifermai a guardarlo. Altri secondi di attesa e il pubblico emise un “Buuu” generale. Sentivo dei “continua” e qualche “Basta, smettila!”. Scossi la testa per riprendere la concentrazione. Ecco un altro colpo, e un altro ancora, e ancora! Non capivo più niente, lo stavo distruggendo. Ormai gli usciva sangue dal naso, aveva il labbro spaccato e il suo viso si stava gonfiando sempre di più. A ogni mio colpo reagiva sempre di meno, continuai sinché non si mosse più. Aveva quasi perso totalmente i sensi. Poi mi resi conto che avevano tutti smesso di incitare. Mi guardai intorno, leggermente stordito, e vidi una ragazzina del primo anno che si era messa a piangere. Il mio gruppo era in piedi, indecisi se reagire o no, ammutoliti e immobili. Nigro mi fissava con lo sguardo di chi aveva capito tutto, e ne era spaventato. Ma cosa cazzo significava quello sguardo? Cosa cazzo avevo capito?! Jesus aveva una pozza di sangue intorno alla sua faccia, che provenisse dal naso, dal labbro o da qualsiasi altra ferita non era più capibile. Sentii un dolore al petto. Perché avevo esagerato così tanto? Perché non mi ero limitato ad un solo colpo come facevo di solito? Mi alzai di scatto, il mio pubblico aveva incominciato a bisbigliare. Me ne andai sotto gli occhi di tutti. Mi sentivo strano e vuoto a lasciare Jesus li, inerme. Chi sarebbe andato a soccorrerlo?

 


 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo IX
 
Elodia 

1 Dicembre 2006

«Sta succedendo di tutto a scuola queste settimane.» Dissi svogliatamente sorseggiando un Black Russian.
rano quasi due settimane che non uscivo, e non l'avrei fatto sinché il livido sullo zigomo non se ne sarebbe andato del tutto. Mi ero annoiata a morte in quel periodo. Eravamo nella vasca a idromassaggio di casa mia. Come al solito Odette indossava lo stesso costume che avrebbe potuto scegliere una bambina. Blu e giallo, con delle ridicole paperelle disegnate. In quanto a me, bhe, il mio look poteva essere frainteso. Ero uno schianto, ovviamente, ma il mio costume aveva uno stile retrò che poteva non essere apprezzato.
«Già, credevo che Pedro fosse un bravo ragazzo. Ero convinta mi amasse!»
Aveva lo stesso sguardo di un cane bastonato. In quei giorni l'avevo consolata per il modo in cui era stata trattata, come succedeva ogni volta che un ragazzo ci provava con lei e lei ci cascava. Aveva riempito il mio cuscino di lacrime, mentre io cercavo di farla calmare per l'ennesima volta.
«Però è molto intelligente! Sa leggere nel pensiero, lo sapevi?»
La guardai sconsolata. Era un caso perso, ormai.
«E che mi dici del mio Raphael? Che sta combinando a scuola?»
Odette restò imbambolata con la fronte aggrottata. Si stava sforzando a pensare, e le sarebbe nuovamente venuto il mal di testa, poverina.
«Mi sembra molto vicino a quella ragazzina sempre attaccata a Rosy. Pame...Patri...Pao...Paoletta. Si, credo si chiami così.» Inarcai le sopracciglia sorpresa.
«Wow, questo farà soffrire la cara Rosaelia, non pensi?»
Che sciocca a chiederle una cosa simile. Si mise l'indice sul mento, lo faceva sempre quando cercava di ragionare.
«Perché Rosy è innamorata di Raphael, vero?»
Le feci un breve applauso.
«Brava, sono colpita!»
Mi morsi il labbro divertita. Magari... avrei potuto incoraggiare quell'unione.


Jesus

4 Dicembre 2006

Sentivo ancora dolore in tutto il volto, come se Pedro non avesse mai smesso di prendermi a pugni. Ero costretto a letto per rimettermi in sesto. Questa volta mia madre non mi aveva addossato la colpa per ciò che era accaduto, si era rassegnata alla maledizione che il demonio mi aveva mandato, o così diceva lei. Passavo le giornate tra pane, acqua e preghiere forzate. Spesso mia madre cercava di convincere il prete della nostra parrocchia a farmi benedizioni su benedizioni. Tuttavia, dopo le prime visite, si era fortunatamente stancato di perdere tempo con un “caso” così futile.
Nessuno era venuto a difendermi. Non avevo amici o persone con cui parlassi, ma non pensavo che tutti mi odiassero a tal punto. Scherzo del destino, l'unico ad accorgersi della mia presenza era Pedro. E non era affatto una buona cosa. Perché ce l'aveva tanto con me? Ero troppo diverso dagli altri. Magari avrei dovuto cambiare modo di vestire, di comportarmi, o anche la postura. Dovevo smettere di camminare a spalle basse. Che fosse perché non mi mostravo sicuro il motivo per cui lo attiravo tanto? Scossi la testa cancellando il pensiero. Non ero una stupida ragazzina problematica, non mi sarei trasformato in qualcun altro solo per essere accettato. Anche se avessi voluto, però, non ci sarei riuscito comunque. L'unica cosa che avrei voluto cambiare era la mia situazione familiare. Se avessi avuto una madre più attenta al mio benessere, invece che al peccato che credeva commettessi ogni volta, forse avrebbe fatto qualcosa. Difendermi, fare in modo che persone come Pedro smettessero di utilizzarmi come sacchi da boxe. Scesi dal letto e mi avvicinai alla libreria. Tolsi i libri più pesanti, messi nel ripiano centrale, rivelando, nel muro dietro, un'apertura. Infilai la mano e presi alcuni fogli A4 e l'astuccio con matite e carboncini, nascosti al suo interno. Mi sedetti per terra, dopo aver trovato un appoggio per i fogli. Non avevo idea di cosa avrei disegnato, sicuramente volti come facevo sempre. Volti che mi fissavano o mi accusavano per la mia codardia. Ogni volta che finivo di disegnare mi veniva quasi voglia di strappare il foglio, per cancellare quegli sguardi maligni. Quel giorno non mi soffermai solo su un normale volto. Disegnai una faccia deformata, demoniaca e rabbiosa. Non mi accorsi di ciò che avevo creato sino alla fine dell'opera. Riconoscevo Pedro in quell'orrore, avevo rappresentato la sua crudeltà, e avevo paura di essa. Appallottolai il foglio, ma poi ci ripensai. Lo riaprii e, dopo averlo osservato per un po', lo nascosi nel buco insieme a tutto il resto, dove mia madre non l'avrebbe mai trovato.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 
Capitolo X
 
Raphael

12 Dicembre 2006

 

Non so perché mi fosse venuta la fissa per Paoletta. Cioè, non avevo mai scopato con nessuna vergine. Poi vabbé, non era un gesto così crudele, le stavo semplicemente dando la chiave per entrare nella vita reale. Un'esperienza nuova, insomma. Forse, per aiutarmi, Rosy si faceva vedere sempre di meno. Pedinare Paoletta, ormai, era diventato facilissimo. Avevo bisogno di conoscere le sue abitudini e i suoi gusti, per comportarmi nel modo più adatto a conquistarla. Sicuramente le piacevano i polpettoni romantici, qualcosa come i libri Harmony di mia madre. Era sempre una scena piuttosto triste vedere mia madre piangere davanti ad essi e gridare “Lui la amava!”. Magari avrei dovuto leggerne qualcuno. Ma dove avrei trovato il coraggio? Vedere Paoletta uscire da casa sua mi fece riaffiorare il ricordo di sua madre. Un bruttissimo ricordo. Preferivo di gran lunga la mia. Assomigliavo molto di più a lei che a mio padre. Lei era dolce e non mi picchiava mai, tutt'al più, quando si arrabbiava, cercava di tirarmi ciabatte. Aveva, però, una pessima mira: o colpiva mio fratellino Marcos, o mio nonno che viveva da noi, oppure la pantofola finiva fuori dalla finestra. Paoletta non poteva essere vestita peggio di così. Pareva avesse addosso un sacco di tela, o forse lo indossava seriamente. Oddio, dato il libro che teneva in mano stava sicuramente andando in biblioteca per leggere in pace. Non persi tempo e la seguii senza farmi notare.

Come già avevo deciso, dovevo incominciare a leggere storie romantiche. Mi sarebbe venuto il diabete, ma un bravo manipolatore, a volte, doveva abbassarsi a tanto. Se, invece di una cosa così disgustosa, l'avessi vista come una semplice ricerca di sociologia, sarebbe potuta sembrare più accettabile. Per anticiparla sui tempi mi diressi nel reparto per le ragazze. Attorno a me si espanse l'aura negativa di quello scarto della letteratura. Mi feci coraggio e scelsi, con gli occhi chiusi, un libro dallo scaffale. “New Moon”, diceva la copertina. Per quanto mi ricordassi, doveva avere qualcosa a che fare con i vampiri. Era perfetto! Guardai e mi accorsi che era il secondo volume di quella saga, ma decisi di fregarmene e tenere quello. Avrebbe pensato che avessi già letto il primo e che fossi un grande appassionato. Mi sedetti nel primo tavolo che trovai. Dopo mezz'ora avevo già letto una sessantina di pagine. Avevo gli occhi fissi sul libro, non era per nulla male! Un attimo... cazzo... cazzo stavo facendo? Allontanai quel malefico romanzo e, alzando lo sguardo, mi accorsi che tutti mi stavano guardando male. Lo so cosa stavano pensando: che idiota, si legge libri da ragazza. Per la prima volta in vita mia la mia faccia divenne rossa, escludendo quando mio padre mi prendeva a schiaffi. Sorrisi imbarazzato. Ripetei mentalmente “Io sono un uomo”. Già, ero un uomo e anche un coglione, perché chissà dov'era finita Paoletta mentre leggevo. Cominciai a girare la biblioteca cercandola disperatamente. Poteva essere ovunque, oppure non esserci più. Finalmente trovai quel bonobo*, intento a portare attenzione su un pesante volume. Cercai di scoprirne il titolo, ma era troppo lontana. Era il momento di entrare in azione.
«Hei!» Urlai d'improvviso.
Lei trasalì, mentre la bibliotecaria mi fece un sonoro “Sssh!”. Chiesi scusa con il labiale. Paoletta era abbastanza sorpresa.
«Ehm... ciao.»
Presi posto vicino a lei.
«Che ci fai qui?» Mi chiese sottovoce.
Ricordandomi del libro che mi stava prendendo così tanto, mi limitai a sorriderle enigmaticamente. Stava leggendo un romanzo intitolato “Il trono di spade”*. Non lo avevo mai letto, però il mio amico Nicolaj era un appassionato della serie TV. C'era sesso, sesso, sesso e anche qualche incesto. Ero colpito, Paoletta aveva dei gusti così...inaspettati.
«Il fantasy che non è un fantasy. I draghi esistono ma nessuno ci crede.»
Sperai di aver detto la cosa giusta. Le brillarono gli occhi.
«Anche tu leggi il Trono di spade?»
«Ehm... no. Però conosco la serie. La adoro!»
Stavo mentendo spudoratamente, ma sembrò funzionare. Tuttavia, se mi avesse chiesto il mio personaggio preferito sarei stato finito.
«E qual'è il tuo personaggio preferito?»
Merda! Ed ora?
«Bhè... diciamo che... anche i cattivi hanno i loro...i loro lati positivi!»
Sorrisi di nuovo con fare misterioso, pregando vedesse qualcosa di diverso da ciò che c'era dietro alla maschera della mia espressione. Annuì convinta.
«Posso capire se ti piacciono Cersey o Tywin, però c'è un personaggio che non puoi non odiare. Stupiscimi, voglio vedere se ti piace Jof...»
«Ne parliamo un'altra volta, vero? Ora devo di nuovo andare. Sono ancora in punizione e sono scappato nuovamente!»
Dovevo filarmela prima di dimostrare la mia ignoranza su quell'argomento. Mi stavo allontanando, quando mi ricordai che avevo una missione. Tornai indietro e le diedi un bacio sulla guancia. Me ne andai senza guardarla, ma potevo immaginare che fosse rossa come non mai. La prima fase del mio piano era stata portata a termine.


Note:
 *Bonobo: Specie di scimmia.
       
*Il Trono di spade è del 2011, ma per una volta lasciamo perdere la coerenza.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!



Capitolo XI 
 

Paoletta

16 Dicembre 2006

Quel giorno non era per nulla una bella giornata. C'era un freddo pungente e il cielo era oscurato dalle nuvole. Era in perfetta sintonia con il viso cupo di Rosy, seduta a fianco a me. Era giù in quel periodo. Le presi la mano gentilmente e lei appoggiò la sua testa sulla mia spalla. Mi stringeva il cuore vederla così, e non saperne il motivo anche di più. Non volevo impicciarmi nei suoi affari, ma le chiesi comunque il perché. Rispose che era colpa del tempo, che era meteopatica. Non sapendo cosa fare cercai qualcosa che forse l'avrebbe tirata un po' su di morale.
«Perché non andiamo da Raphael?»
Mi fulminò con lo sguardo.
«Non me la sento.»
Abbassai gli occhi tristemente. Mi avrebbe fatto piacere vederlo, mi rallegrava il modo in cui mi stava trattando ultimamente. Un comportamento piuttosto insolito, però non mi dispiaceva affatto. E poi gli piaceva il Trono di spade.
«Paoletta, sii sincera. Ti piace Raphael?»
Sobbalzai per quella domanda improvvisa. Cosa avrei dovuto rispondere? No... non credo mi piacesse. O forse si?
«Per... perché? Cioè, n... no!»
Mi analizzò un po' scettica.
«Diventi tutta rossa quando è vicino a te.»
«Io... io divento rossa vicino a chiunque!»
Rosy fece una lunga pausa, poi continuò.
«Guarda che è un gran bastardo con le ragazze! Sta attenta.»
Perché mi avvertiva su questa cosa? Non lo comprendevo. Non ero sicura, forse avevo dimostrato qualcosa, oppure era lui ad averlo dimostrato. Rosy d'un tratto si fermò, fissando un punto.
«Rosy che c'è?»
Si riscosse alle mie parole.
«Niente. Comunque si è fatto tardi, dovremmo tornare a casa.»
Guardai a mia volta nel misterioso punto e, dietro ad un muro, mi parve vedere qualcuno, ma non ne ero certa. Mi venne una terribile paura. Poteva essere un pedofilo che ci stava spiando. La presi velocemente a braccetto e ci incamminammo dalla parte opposta. Lei sembrò soddisfatta.

Rosy

Come varcai la soglia di camera mia , non persi tempo e feci una chiamata. Pochi squilli e rispose disinvolto.
«E' questo il tuo modo di conquistarla? Stalkerarla?! Sei veramente un coglione!» Dissi con disgusto.
«E poi perché pedinarci? Cosa ti aspettavi di ottenere?»
«Non è che vi stessi pedinando... passavo di li, vi ho viste e mi sono nascosto.» Si giustificò.
Non ci credevo, che ridicolo, era sembrato solo un maniaco, quel giorno.
«E poi non mi avvicino più a Paoletta senza prima programmare la conversazione. Sai che mi sono sorbito tre stagioni di un telefilm in quattro giorni? Era una grande figata, comunque.»
Risi sarcastica, e sperai se ne accorse.
«Che cosa c'è Rosy? Ce l'hai con me perché hai paura di perdere la scommessa?»
No, ce l'ho con te perché mi piaci. Perché mi fa incazzare che ci provi così spudoratamente con le altre ragazze. Perché sei un bastardo per avermi fatto provare odio verso Paoletta, io che dovrei proteggerla. Proteggerla da te che la farai soffrire. Erano tutte cose che volevo urlargli, ma non l'avrei mai fatto. Non mi sarei mostrata debole davanti a nessuno. E cazzo, l'amore era una debolezza.
«Sai che ti dico, Raphael? Fai quello che vuoi, ma non aspettarti di vincere.»
Chiusi la chiamata talmente forte che per poco non feci saltare il tasto del cellulare. Avevo esagerato, avevo compromesso la mia immagine ironica e distaccata. Ora era diventata ufficialmente una sfida per lui. Mi vennero le lacrime agli occhi, ma non gli permisi di andare oltre.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 

Capitolo XII 
 
Jesus

24 Dicembre 2006
 

Spesso mi chiedevo se mia madre avesse programmato la mia nascita in modo che cadesse il giorno di Natale, come Gesù. Se così era veramente, allora aveva sperato in troppo. Ero nato due giorni prima delle sue aspettative. Non avrei comunque ricevuto regali. Mia madre si rifiutava di considerare il Natale come la festa commerciale che era diventata.
«Figlio mio, preparati, è quasi mezzanotte e dobbiamo andare alla messa.»
Aveva il vestito delle feste, quello che indossava ogni domenica e che la faceva apparire come la brutta copia di una suora. Per via dell'occasione, però, si era messa anche degli orecchini dorati e la medaglietta regalatale al suo battesimo, più di cinquanta anni fa. Quanto era ridicola. Presi tutto il coraggio che avevo. 
«No. Non voglio venire.»
Ero stanco di vivere la mia vita in chiesa, dietro a mia madre che mi trattava come una marionetta da muovere a suo piacimento. In più, se Pedro o altri mi avessero visto insieme a lei, mi avrebbero preso sicuramente a bastonate per la mia insignificanza.
«Come hai detto? Non ti ho sentito bene.»

Mi fissava con le narici dilatate, la bocca serrata e gli occhi cinerei. La bocca così chiusa le metteva in risalto quei disgustosi baffi che si ritrovava. Strinsi i pugni sino a farmi diventare bianche le nocche.
«Ho detto che non voglio venire!»
Digrignò i denti come una belva, incominciando a guardarmi con gli occhi spalancati. Ero terrorizzato, ma non potevo cedere proprio in quel momento.
«Lo sapevo che eri maledetto! Tutte queste punizioni che ti vengono inflitte sono sempre state un segno, lo sapevo, LO SAPEVO!»
Si accasciò a terra e si coprì le mani con il volto.
«Il giorno del Signore, il giorno della nascita del Signore, il giorno della nascita del Signore! Mio figlio non vuole lodare e rendere grazie al Signore!»
A quel punto tirò fuori il suo fedele rosario e lo strinse tra le mani, non curante dei segni che le si stavano formando sulla pelle per la troppa forza della stretta. Quella scena era scioccante. Come finì la sua litania si alzò bruscamente e mi afferrò per un braccio.
«Sei maledetto, Jesus, mi rifiuto di avere un figlio dannato come te! Maledetto, MALEDETTO!»
Urlava ed era fuori di se, ma quella non era semplice rabbia, era pazzia! La scrollai di dosso, mettendomi subito a correre verso la mia stanza, chiudendola a chiave.
«Esci, dannato! ESCI!»
Aveva cercato di rendermi ciò che voleva per tutto questo tempo e ora che si stava accorgendo di avere fallito, la disgustavo. Persi anche io la pazienza, dopo anni di obbedienza.
«Basta, BASTA! Non voglio più vivere questa vita del cazzo! Non credo più a Dio! Non esiste, hai capito? NON ESISTE. Ho sofferto per anni, preso di mira da tutti per colpa tua! PER COLPA TUA CHE MI HAI RESO UN CAZZO DI SFIGATO ASOCIALE!»
Era la verità solo in parte. Credevo ancora in Dio, allora perché avevo detto quelle cose? Come risposta ci fu solo il silenzio e un
rumore di passi pesanti che si allontanavano. Passai un'ora intera a girovagare sfinito nella mia stanza, senza avere neppure le forze per disegnare. Uscii poco dopo e mi aggirai per il corridoio. Cercavo tracce di mia madre, per capire se fosse in casa oppure no. Trovai solo le foto di famiglia, dove la mia faccia era stata segnata da una croce fatta con un pennarello rosso. Erano state pasticciate da poco. Nessuna foto ne era priva. Rimasi attonito per un po', poi realizzai l'odio che mia madre ormai provava per me. Mi riempii di dolore. La porta d'ingresso si aprì cigolante, facendo entrare mia madre che trascinava con violenza mio padre in casa. Era un ometto di piccola statura, molto più basso di mia madre, i cui capelli erano stati portati via dal tempo e dallo stress. Da quando ero piccolo non faceva che essere passivo e affranto, con rari casi in cui sorrideva, come se non gli fosse mai importato di essere sottomesso da mia madre. Quest'ultima alzò la testa, puntando su di me i suoi occhi freddi ridotti a fessura.

«Jesus, tu non vivrai più con noi. Dirò a tuo zio di prenderti con se. Tu per me non esisterai più, hai capito?»
Tutta la tristezza che provavo sfumò, trasformandosi in una furia cieca. Come spinto da una forza oscura, corsi in cucina e senza pensarci incominciai a lanciare e rompere tutto ciò che poteva essere frantumato: bicchieri, ciotole, piatti.
«IO RESTERO' QUI! NON ADRO' DA QUELLO SCHIZZATO CON LA PASSIONE PER I CANI!»
Urlavo con tutto il fiato che avevo, mentre la gola mi bruciava per lo sforzo che stavo facendo con la voce.
«Non guardarmi e non parlarmi più, se mi disprezzi così tanto, ma non me ne andrò! QUESTA E' CASA MIA!»
Appena sfogai tutta la rabbia ritornai in camera mia. Incominciai a piangere con disperazione. Non lo facevo da anni. Ricordo quando non era ancora così. Tutto era cambiate quando, qualche tempo dopo la mia nascita, ebbe un aborto spontaneo. Lo ritenne una punizione di Dio per un qualcosa che aveva fatto e da allora il suo comportamento nei miei confronti si stravolse. Era la prima volta che mi ribellavo a lei, e forse l'ultima volta che le avrei potuto rivolgere la parola.

Paoletta


Non ero così felice da un sacco di tempo. Di solito il Natale lo passavo da sola con mia madre, ma non quell’anno. Eravamo tutte riunite, Rosy, io e le nostre madri. Avevamo organizzato un cenone a casa mia, che seppur piccola, era adatta ad una festicciola così intima e semplice. Mia madre aveva passato una settimana per realizzare dei maglioni bianchi con una renna ricamata sul fronte. Aveva voluto che lo indossassimo tutte. Rosy, che non voleva apparire ridicola, non era per nulla d'accordo e tenne il muso per un po' per evitare di metterlo. Per convincerla le avevo rinfacciato la storia delle sopracciglia, come facevo ogni giorno da quando accadde. La madre di Rosy era una donna piuttosto particolare, coi capelli rosso tinti e spettinati, e il rossetto un po' troppo carico. Era su di giri e raccontava aneddoti della sua infanzia con in mano un bicchiere di vino. Mi chiesi se fosse esso a farla comportare in quella maniera o se fosse una persona molto espansiva ed euforica di per se. Ormai avevamo finito di cenare e Rosy ed io guardavamo la TV, prendendo in giro i ragazzi di X-Factor. Entrambe avremmo fatto di meglio, dato che entrambe eravamo bravissime a cantare. Le nostre madri stavano ancora ridendo sguaiatamente e finendo l'ennesima bottiglia di vino, forse stavano esagerando. Senza accorgermene Rosy, continuando a cantare e a guardarmi, si avviò verso sua madre urtandola. Il bicchiere di vino che quest'ultima teneva le si rovesciò addosso.
«Mannaggia, il vino nel maglione no! Ora mi toccherà toglierlo!» Disse con finta indignazione.
Saltellò sino al bagno, ma mia madre la fermò, porgendogliene un altro uguale.
«Rosy, ne avevo fatto uno in più! Mettiti pure questo!» Le disse allegramente.
Rosy rimase a bocca aperta per la pessima notizia. Le strappò il maglione di mano e lo trascinò sul pavimento sino al bagno. Sentii la porta chiudersi due volte, una per entrare, l'altra per far rimanere incastrato il nuovo maglione. Non capivo come facesse ad odiarlo, era così grazioso.

Scoccata la mezza notte ci facemmo gli auguri e, dopo altre chicchere, Rosy e sua madre se ne andarono via. Era stata davvero una bella serata. Come entrai in camera mia riguardai il regalo che Rosy mi aveva fatto: un kit da estetista. Rabbrividii al pensiero di ciò che mi avrebbe fatto con tutti quegli arnesi. Decisi di prendere una boccata d’aria, così mi avvicinai serenamente alla finestra aperta. Il cielo era tappezzato di stelle. Ero incantata a guardarle, quando udii qualcosa di insolito. Una voce, all’inizio appena impercettibile, divenne successivamente più forte.
«Hei, Lesula!* »
Sarebbero potuti passare anni, ma Raphael, la cui voce avevo immediatamente riconosciuto, mi avrebbe sempre e comunque associato ad una scimmia. Guardai in basso sinché non mi apparve di fronte il suo viso. Restai sorpresa per un po’, non capivo cosa ci facesse appeso alla mia finestra di notte fonda.
«Sono venuto a portarti un regalo. Sto facendo il giro nelle case di chi mi importa, e mancavi solo tu alla lista.»
Gli importava di me? Il mio cuore cominciò a battere. Era un po’ stupida come cosa, in fondo mi aveva solo portato un regalo. Notai che indossava un cappellino di Natale, che lo faceva apparire piuttosto buffo.
«Sono ridicolo, vero? Effettivamente mi sento un po’ come Babbo Natale, solo che lui almeno ha un mezzo di trasporto e qualche chilo in più.»
Sorrise e io ricambiai un po’ stordita. Mi porse in seguito un piccolo pacchetto viola, che presi con le mani tremanti. L’avrei dovuto aprire sul momento o no? Apparivo come una stupida, ed effettivamente lo ero.
«Andiamo, aprilo!» Mi sollecitò Raphael.
Certo che dovevo aprirlo. Incominciai a scartarlo, ma la tensione era talmente tanta che non riuscivo a non distruggere malamente la carta. Come accortosi della mia ridicola difficoltà, lui allungò una mano per aiutarmi, mentre con l’altra si reggeva alla finestra. Le nostre mani si sfiorarono e sentii una scossa. Non potei fare a meno di far cadere il regalo a terra. Dovevo smetterla con quella scena pietosa. Mi inchinai e presi velocemente il pacchetto, scartandolo una volta per tutte. Mi ritrovai con un piccolo pupazzo di scimmia. Era veramente carino. Lui rise di gusto.
«Dai, stupida, non è questo il vero regalo!»
Incominciò a cercare con una mano nello zaino che portava. Esso gli fece peso e Raphael non riuscì più a tenere la presa e cadde. Urlai. Corsi velocemente giù per le scale (la mia stanza era al primo piano) ed uscii dalla casa. Raphael era sdraiato sul pavimento. Mia madre doveva aver sentito il tonfo e il mio urlo, perché arrivò anche lei a vedere la scena.
«Che cosa è successo?!» Mi chiese lei confusa.
«Stavamo parlando alla finestra…ed è caduto!
» Risposi estremamente preoccupata.
Mia madre si girò a guardarmi con le sopracciglia aggrottate.
«COSA CI FACEVA ALLA TUA FINESTRA?»
Sussultai.
«Cosa diavolo stavate facendo voi due?! Non credevo che fossi così, Paoletta!»
Non mi aveva mai urlato in quella maniera. Provai a ribattere, ma finii solo per balbettare.
«Ma… mamma… io…»
«E poi proprio lui! Non mi piace per nulla, già dalla prima volta che l’ho visto!
» Disse con disprezzo.
«Mi stava solo portando un regalo… non lo aspettavo neppure. » Riuscii finalmente a dire.
Mia madre esitò.
«… Non poteva entrare dalla porta? »
Non risposi, mi limitai a scrollare le spalle.
«… Mmmh…»
Mi ricordai di Raphel a terra, che incominciò ad emettere suoni doloranti. Senza rendermene conto gli avevo preso la mano. Mia madre, nel mentre, era andata a prendere un bicchiere d’acqua, borbottando tra se e se
«Che stupidi ‘sti ragazzini d’oggi… stupidi!»
Intanto Raphael si stava riprendendo.
«… Che cazz…»
«RAPHAEL!»
«… La sai una cosa?»
«… Dimmi…» Dissi ansiosamente.
«Questa è davvero l’ultima volta… che salgo dalle finestre…»
E si rimise in piedi lentamente e con difficoltà, con qualche gemito soffocato.
«Sei sicuro di non voler andare all’ospedale? O… o di passare qui la notte? C’è il divano e puoi riposarti per rimetterti in sesto!»
Sul volto di Raphael si dipinse un’espressione di dolore.
«Tua madre mi ucciderebbe nel sonno, lo sento.»
Sorrisi divertita, sempre un po’ agitata per le sue condizioni.
«Magari un altro giorno.» Aggiunse con un occhiolino malizioso.
Distolsi rapidamente lo sguardo. Arrossii. Capii che stava bene.
«Ora vado… ah, dimenticavo il tuo regalo!»
Nel frattempo mia madre era tornata con il bicchiere, restando a fissarci senza fiatare. Afferrai frettolosamente il pesante e rettangolare pacchetto.
«Grazie…»
Si accorse di mia madre e comprese che era meglio andare via.
«Bhè, auguri Paoletta…»
Mi sorrise, per poi correre via zoppicando. Mi aveva chiamato per nome per la seconda volta da quando ci eravamo conosciuti. Mia madre si avvicinò con un’espressione severa sul volto.
«Non mi piace quel ragazzo, te l’ho già detto. Mi ricorda qualcuno. Devi stare attenta! Lo sai che i ragazzi vogliono solo una cosa.»
Rimase un attimo in silenzio in cui cercò di farsi coraggio per dirmi
«Ha chiamato tuo padre, vuole venire in città per parlarci…»
Spalancai sia gli occhi che la bocca a quella notizia.
«… Mio… padre?!»


Note: 
*Lesula - Specie di scimmia.


 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!

Capitolo XIII
 
Pedro

2 Gennaio 2007

Non stavo così in ansia da anni. Non sapevo bene a cosa era dovuto. Forse la paura di ricevere un'ulteriore denuncia per via di ciò che avevo fatto a Jesus. La prima era stata a causa di alcuni fumogeni, fatti in casa da un mio amico, lanciati all'interno della mia vecchia scuola. La secondo per aver “molestato” una ragazzina con un padre troppo protettivo (lei comunque ci stava, lo sapevo). Si, sicuramente era per questo motivo che ero preoccupato. Restava il problema di Nigro e gli altri. Non si comportavano più come prima. Avevano pure organizzato, qualche sera prima, un festino a cui non ero stato invitato. Così non andava bene. Dovevo riprendere il controllo e far capire a quei coglioni chi comandava. Sperai di trovarli al vecchio forno, ormai abbandonato e adibito a luogo di feste e rifugio per eroinomani senza tetto. Noi ci passavamo la maggior parte delle serate. Era veramente un posto del cazzo: odorava sempre di muffa e in alcuni punti di vomito, con il pavimento ricoperto di macchie e vetri rotti. Li trovai buttati a terra scomposti a fumare. Appena mi video cambiarono posizione. Tutti, tranne Nigro, si misero in piedi. Lui continuò a fumare guardandomi dritto negli occhi. Salò ruppe il silenzio.
«Pedro... è da un po' che... bhè... non ci troviamo tutti assieme...» 
«Già... che si fa oggi?» Risposi seccamente. 
Ci misero un po' 
a rispondere perché colti di sorpresa dalla mia domanda. Di solito ero io che programmavo la giornata. C'era un fottuto imbarazzo nell'aria. Nigro ridacchiò.
«Non abbiamo nulla da fare.» Disse Felipe.
«Andiamo a comprare la roba.» Ordinai.
Si scambiarono sguardi tesi.
«Ecco... in realtà l'abbiamo già presa...» Rispose Felipe, prima di essere interrotto da Salò.
«Quello che Felipe sta cercando di dire... ok, no... ehm... la tua parte, insomma... è stato Nigro a dirci che non saresti venuto!»
Pentito di ciò che aveva detto guardò nervosamente Nigro, sperando non gli spaccasse la bocca. Sorrisi sarcastico e presi a osservare Nigro che fece a sua volta un sorrisetto di scherno. Mi avvicina a lui, che continuava a stare seduto a terra. Mi inginocchiai a pochi centimetri dal suo volto ma lui non si scompose. Avevo una mano poggiata sul fianco e l'altra chiusa in un pugno pronta a colpirlo nel caso fosse servito. Lui mi sputò del fumo sulla faccia come segno di sfida, tenendo ancora gli occhi fissi nei miei. Ringhiai. Salò e Felipe erano palesemente a disagio, pronti a scappare non appena fosse successo qualcosa.
«Vorresti toccarmi, vero?» Mi disse Nigro cercando di insultarmi.
Il suo naso andò in frantumi ma riuscì ad afferrare il piercing che avevo al naso strappandolo, prima di essere scaraventato all'indietro. Entrambi cominciammo a sgorgare sangue. Lui non immaginava che avrei alzato le mani così presto e io ero stato un idiota a non proteggermi di più. Si mise una mano sul volto e rotolò lontano da me. Sputò del sangue sul pavimento e strinse i denti. Entrambi eravamo incazzati neri.
«Frocetto del cazzo!» Iniziò ad urlare.
Le frasi che pronunciò dopo non erano rivolte a me in particolare, ma a chiunque l'avesse potuto sentire. Voleva che tutti mi disprezzassero come lui ormai faceva.
«Vuole essere inculato da Jesus! VUOLE ESSERE...»
Non mi accorsi di come gli afferrai con violenza la testa sbattendogliela su un muro vicino. Salò e Felipe emisero versi di terrore e corsero via. Nigro non si rialzò.

Elodia

Sentivo ancora un po' i postumi della sbornia di Capodanno. Avrei voluto restare a letto ma quel giorno, purtroppo, era speciale, almeno per i miei genitori. Mia sorella ci aveva invitato a pranzo a casa sua. Nel vestirmi mi impegnai ad essere bella senza far pensare di essermi impegnata troppo. Jeans skinny, ma con sotto dei panta calze perché c'era ancora piuttosto freddo. Sopra avevo indossato un maglione nero con una cerniera sul retro, lasciata leggermente aperta. I miei genitori invece apparivano veramente ridicoli. Mia madre aveva tirato fuori un vecchio tailleur bianco, messo con calze velate e tacchi. Mio padre portava addirittura la cravatta e aveva passato la mattina a lucidarsi le scarpe. Era loro figlia e si erano vestiti come se dovessero incontrare una persona di alto rango. Come arrivammo mia madre e mia sorella si salutarono nel loro solito modo penoso. Tre baci sulle guance, accompagnati sa un “Tre baci alla francese!” ripetuto ogni volta. Noi ci salutammo con un abbraccio che agli occhi degli altri appariva caloroso e pieno di affetto. Ma in quel gesto c'era solo rigidità e freddezza. Mi sedetti a tavola con gli altri cercando di ascoltare il meno possibile e sperando che quella giornata finisse al più presto. Mi sorella Julia era stata molto più brava di me ad apparire bella facendo credere di non essersi impegnata più di tanto. Un maglione in cachemire grigio presentante un'elegante scollatura sulla schiena e una morbida gonna nera. I capelli biondi potevano sembrare distrattamente raccolti con una pinza, però ero certa che le ciocche che le ricadevano sul viso erano studiate nei minimi dettagli. Mi faceva davvero rabbia. Ad un certo punto non potei più ignorare lo svolgimento della conversazione, dato che mio padre si rivolse direttamente a me.
«Elodia, tua sorella ha ragione, sei ingrassata!»
Lei sorrise ironica, un'ironia che potei cogliere solo io.
«Peccato, avevo intenzione di regalarti dei pantaloni... dubito ti stiano, però.»
Come se avessi voluto dei vestiti di seconda mano. Sarebbero comunque stati bellissimi, un capo di qualche marca italiana che mi avrebbe fatto ricordare che lei era una modella e che diventava ogni giorno più ricca. Il suo nome non era ancora conosciuto all'estero ma le sue foto comparivano in molti magazine.
«Tranquilla, stai molto meglio, prima eri troppo magra!» Disse quella brutta stronza.

Mia madre era seccata. Con le narici dilatate e la bocca stretta esprimeva il suo disappunto sulla mia presunta grassezza. Una grandissima cazzata. Mi pesavo ogni due giorni e il mio peso era perfetto. A pranzo avevo mangiato tutto quello che avevo nel piatto pensando, nel frattempo, che per mantenermi in forma quella sera avrei digiunato. Forse era scorretta come dieta, ma funzionava. Ora mia madre guardava disgustata il mio piatto vuoto. Mi avevano stufato. Mi alzai bruscamente senza degnargli di una parola. Cercai il bagno e li mi guardai allo specchio, non trovai nulla di diverso. Osservarmi era sempre un sollievo. Possibile che a farmi sembrare grassa agli occhi di tutti fossero i panta calze, così li tolsi e mi rimisi i jeans. Così andava meglio. Dovevo trovare un posto dove gettarli ma quando aprii la porta ritrovai davanti mia sorella. Si stava mangiucchiando un unghia. Se qualcuno l'avesse fotografata in quel momento, sarebbe stata molto più bella di tante altre modelle messe in posa.
«Credo che tu sia riuscita a deludere nostra madre, con il tuo peso.»
«Sai, sei una troia!» Risposi calma.
Lei sorrise mostrando i suoi denti perfettamente bianchi.
«Oggi non mangerai più niente, vero? O andrai a scopare con il più alto numero di ragazzini possibile per perdere peso? Anzi, magari ti puoi infilare due dita in gola...»

Una volta aveva visto Odette farlo nel bagno di casa mia. Da allora mi ricattava per non rivelarlo a nessuno. La guardai freddamente. Odette non doveva toccarla. Lei continuò.
«Sai, esistono lassativi, se proprio non ti va di sporcarti le dita.»
Non dissi nulla.
«Nostra madre la prenderebbe davvero male se ne trovasse delle scatole nella tua borsa.»
Ricatto. Chissà cosa voleva in cambio.
«Perché cazzo ce l'hai tanto contro di me?» Le chiesi stringendo i pugni.
«Ma io ti voglio bene.» Rispose con una finta gentilezza.
«Ti sto solo educando a dovere.»

E detto questo se ne andò. Non so cosa mi spinse ad afferrarla per i capelli e buttarla a terra. Lei strillò. Immediatamente i miei genitori accorsero, visibilmente scossi in volto.
«Mamma, portala subito via! E' un incivile! Andate via tutti quanti!»
Julia riuscì addirittura a tirare fuori qualche lacrima. Era una fantastica attrice. Da quel giorno i miei genitori smisero di parlarmi.

 


 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!

Capitolo XIV
 
Jesus

8 Gennaio 2007

I lividi erano sbiaditi in un orribile giallo. Mi davano un’aria cadaverica. Il mio aspetto fisico, in quel momento, rispecchiava a pieno il mio stato d’animo. Non ero ancora preparato moralmente a riprendere la scuola dopo lo spettacolo che c’era stato. Cercai di farmi notare il meno possibile mentre mi dirigevo verso la classe. Non ci riuscii. Tutti, come passavo, mi guardavano e si portavano la mano alla bocca per bisbigliare sul mio conto. D’un tratto sentii una mano sulla spalla e trasalii. Dio Santo, era Pedro. Dio Santo, era Pedro!
«Jesus, ciao!» Mi disse una vocina squillante.
Sembrava quella di una bambina. No, non era assolutamente Pedro. Come mi girai vidi il tondo volto di Odette. Non mi sarei mai aspettato che mi avrebbe parlato. Cercai qualcosa da dire ma dalla mia bocca uscirono solo degli stupidi versi. Lei inclinò la testa e con un dito incominciò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
«Senti, volevo dirti che mi dispiace molto per quello che è successo. Pedro è stato davvero cattivo. E’ una persona cattiva cattiva!»
Aspettò che dicessi qualcosa ma non trovai nulla di intelligente da rispondere. Improvvisamente mi prese il viso tra le sue mani affusolate. Sussultai per la seconda volta. Era così vicina e le sue mani così delicate.
«Per fortuna questi brutti segnacci ti stanno andando via!»
Sorrise. Di qualcosa coglione. Pensai con rabbia. Dovevo farlo. Balbettai qualcosa prima di pronunciare parole sensate.
«Già… non mi fanno più male.» Bisbigliai.
«Sono tanto contenta!»
Mise le braccia dietro la schiena e ridacchiò. Notai che aveva il viso cosparso di efelidi. Erano carine.
«Ora vado, se Elodia mi vede con te si arrabbia, anche se mi piacerebbe molto stare un altro po’!»
Mi stampò un bacio sulla guancia e andò via saltellando. Prima di scomparire del tutto si girò e mi dedicò un ultimo sorriso. Senza rendermene conto restai imbambolato in corridoio per almeno un quarto d’ora. Era l’unica ragazza, oltre mia madre, ad avermi rivolto la parola.


Paoletta

Mi sembrava di vivere costantemente in un incubo, in quei dannati giorni. Avevo pure incominciato a soffrire di insonnia e le occhiaie che mi ritrovavo mi facevano apparire più brutta del solito. Mio padre sarebbe tornato. Non avevo idea di come avrei reagito alla sua vista. Ero terribilmente confusa. Non gli avrei di certo gettato le braccia al collo una volta incontrato. Insomma… ci aveva abbandonate e aveva sicuramente trascorso la maggior parte della sua vita non so dove con non so chi. Forse aveva una nuova famiglia, allora perché voleva riallacciare i contatti con noi? Non avevo voglia di parlare con nessuno. Rosy doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava e rispettava il mio desiderio di stare da sola. Raphael non lo avevo più visto dopo Natale. Tornata da scuola mi rinchiusi in camera per il resto della sera. Quando mi decisi ad uscire dalla stanza andai in cucina, con l’intenzione di cucinare qualcosa per allentare la tensione. Un dolce sarebbe stato perfetto. Non riuscii a trovare il libro di ricette che mi interessava, così decisi di chiederlo a mia madre. La trovai seduta sul letto, circondata da album di foto. In tutte quelle in cui sarebbe dovuta comparire la faccia di mio padre c’era una bruciatura. Così potevo sapere solo che adorava le camicie a quadri XL. Mi azzardai a chiederle titubante
«Quando arriverà mio padre?»
Lei sospirò.
«Non so neanche se arriverà, mantenere le promesse non è il suo forte…»
Non seppi cosa provare quando mi disse quello. Sollievo o rimpianto? Mi avvicinai a lei per osservare meglio le foto.
«Tesoro, non lasciarti andare come mi sono lasciata andare io… ero una bella ragazza.»
Guardai la foto che aveva in mano. Mi morsi le labbra per non dirle che no… non era una bella ragazza. Nell’immagine era al mare con le mani sui fianchi e un piede su un piccolo scoglio. Aveva indosso un costume intero nero che le metteva in risalto i fianchi larghi e le braccia grosse. Aveva i capelli crespi e la faccia da contadina. Non era affascinante, eppure mio padre si era interessato a lei. Qual’era stato il motivo? Il suo sorriso? Vedere quello che aveva nella foto ti faceva scogliere il cuore.
«Guarda come sono ingrassata!» Disse sconsolata.
Non era poi così tanto ingrassata, magari un po’ meno spensierata.
Il campanello suonò. Corsi ad aprire . Raphael non poteva essere perché altrimenti sarebbe entrato dalla finestra; Rosy, invece, ultimamente stava aiutando la madre in varie cose. Aprii la porta ritrovandomi davanti un uomo. Sussultò appena come mi vide. Restò zitto. Non avevo bisogno delle presentazioni per capire che lui era mio padre.



 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!


Capitolo XV
 
Paoletta

8 Gennaio 2007(continuo del capitolo precedente)

Non dissi nulla, avevo la gola così secca da non poter neppure emettere un suono. Lo lasciali li davanti alla porta senza rivolgergli la parola e corsi in camera da mia madre.
«E' arrivato... papà è arrivato!» Dissi con il fiatone.
Lei rimase sconcertata per un po' e successivamente si avviò con passo rapido all'entrata. I due si guardarono in silenzio senza fiatare.
«Ciao...»
Fu lui il primo a rompere il ghiaccio. Mia madre fece un semplice cenno con la testa e poi rispose con voce incerta.
«Ti va una tazza di té?»
Dopo che lui annuì con poca enfasi, si diressero verso la cucina dove presero posto al piccolo tavolo di legno. Mia madre si ricordò subito del té e rialzò per prepararlo. Fui costretta a rimanere di fronte a lui(rossa in viso), cercando con disperazione di non incrociare il suo sguardo. Maledii mia madre che si era allontanata. Seppur non lo stessi fissando a tratti riuscivo a scorgerne i particolari. La camicia aveva due bottoni aperti, lasciando intravedere le clavicole sporgenti. Il mento era piuttosto squadrato e leggermente scurito da un po' di barba. Le sue labbra sottili non mi erano nuove. Lui fece un sorriso e in esso notai un pizzico di divertimento.
«Non le assomigli molto, a tua madre intendo...» Disse con una voce roca, forse da fumatore.
Anche lui, allora, mi stava osservando. Assomigliavo effettivamente a lui? Non avevo il coraggio di guardare bene il suo volto.
«Perché mi ignori?»  
Deglutii e cedetti all'atto di dargli un'occhiata per qualche secondo. Immediatamente ritornai a guardarmi le mani, dalle unghie mangiucchiate, che avevano preso a sudarmi. Mi rimasero impressi i suoi occhi azzurri. I miei occhi azzurri.
«Andiamo, prima o poi dovrai abituarti alla mia presenza!»
«Che significa questo?!» Lo interruppe mia madre con in mano il pentolino dell'acqua da mettere a scaldare.
Lui scattò in piedi, aprì la bocca come per dire qualcosa poi la richiuse e sorrise nuovamente. Era molto alto.
«Ho cercato lavoro qua e, data la vostra situazione economica, considero più opportuno che io stia con voi... o perlomeno che Paoletta venga a vivere con me.»
Mia madre lasciò cadere il pentolino che si svuotò sul pavimento. Dovetti spostare di scatto la sedia perché non mi si bagnassero i piedi.
«Cosa cazzo vuoi fare? Lei è mia figlia testa di cazzo, non tua!» Urlò lei con le vene del suo largo collo in rilievo.
Non la sentivo mai imprecare in quella maniera ma non la biasimavo... non con quello che mio padre aveva appena detto.
Lui si passò una mano tra i capelli biondo cenere, scocciato. In mezzo alle basette mi accorsi di qualche capello bianco.
«Rufio...tu ci hai abbandonate! Ci hai abbandonate! Sai cosa significa crescere una bambina da sola? No, non lo sai.» Continuò imbestialita mia madre.
«Basta con questa storia, lo sai benissimo che ero troppo giovane per prendermi certe responsabilità...ora ho capito ch-»
Lei gli diede un forte ceffone a cinque dita, interrompendolo.
«E io? Quanti anni avevo secondo te? Quanti cazzo di anni servono per capire la cosa giusta da fare?»
L'uomo, che si copriva la guancia arrossata con le sue mani affusolate, portò i suoi occhi su di me.
«Non ho mai smesso di pensarti, credimi tesoro.»
Lui era pericolosamente vicino a mia madre che avrebbe potuto strangolarlo da un momento all'altro. Mi venne da piangere e lei cercò di avvicinarmi a lei ma, rifiutandomi, scappai di casa. Quasi ebbi pietà per quell'uomo che mia madre che mia madre avrebbe sicuramente ucciso di li a poco.
Corsi per un breve tragitto poi mi fermai, assalita da una terribile rabbia verso me stessa. Quanto avrei voluto di essere una ragazza forte e determinata, capace di affrontare le cose. Invece non ero nient'altro che debole e stupida, incapace addirittura di pronunciare una parola per dimostrare che ero dalla parte di mia madre.
Mi appoggiai ad un muro e mi feci tanti di quei filmini mentali su ciò che sarebbe potuto accadere che la mia testa incominciò a pulsare fortemente.
«Scimmia urlatrice!»
Raphael venne verso di me a testa alta e appoggiò una mano sul muro al di sopra della mia spalla.
«Lasciami stare...» Dissi debolmente.
Come se non mi avesse sentito, appoggiò anche l'altra mano e mi mostrò un sorriso carico di arroganza. Infastidita non resistetti dal tirargli un pugno nello stomaco, senza pensarci troppo. Mi divincolai e ripresi la mia corsa, forse sarei andata da Rosy... no... era meglio restare un altro po' da sola prima.
Sicuramente mi ero fatta più male io a tirargli il colpo che lui a riceverlo. Sentivo che mi stava prendendo in giro, o forse era la rabbia a distorcere le mie sensazioni.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!

Capitolo XVI

Rosy

10 Gennaio 2007

Quella notte Paoletta aveva nuovamente dormito da me. Due giorni prima mi aveva chiamato tra le lacrime chiedendomi, quasi implorando, se poteva restare a casa mia per un tempo indefinito. Era molto scossa e taciturna, non aveva spiccicato parola neppure su cosa le fosse successo. Si, era decisamente cambiata ma la cosa non mi dispiaceva. Dopo il pianto iniziale aveva assunto un atteggiamento serio, come se fosse determinata per qualcosa. Più la guardavo più mi veniva da pensare come fosse cresciuta.
«Sai una cosa?» Mi disse mentre ci stavamo vestendo per andare a scuola.
«Dimmi.»
«Ho tirato un pugno a Raphael l'altro giorno.»
Ci guardammo e non riuscii a trattenermi dal ridere di gusto. Le diedi delle pacche sulla schiena, orgogliosa.
«Brava, stiamo diventando violente ora?»
Scrollò le spalle mentre si inchinava ad allacciarsi una scarpa.
«Ho paura che ce l'abbia con me, o che abbia paura...non mi parla più, anzi mi ignora completamente.
«Tranquilla, te lo ritroverai tra i piedi tra poco... lui non molla...» Risposi sconsolata.
Aggrottò le sopracciglia rivolgendomi un'occhiata.
«Cosa intendi dire?»
Mi morsi il labbro inferiore un po' pentita della mia frase. E se glielo avessi detto? Ero stanca di quella storia e allo stesso tempo mi mancava Raphael. Mi mancava da morire. Mi mancava il suo stressarmi per leggere enciclopedie di animali con lo scopo di trovare nuovi nomi di scimmie(una passione che continuavo a non capire). Mi mancava il suo ridicolo sonnambulismo e le frasi senza senso che uscivano fuori. Mi mancava in tutto il suo essere così coglione ma allo stesso tempo divertente e assurdo.
Se avessi detto a Paoletta tutta la verità e lui ne fosse venuto a conoscenza non mi avrebbe mai perdonata. O peggio... avrebbe capito che provavo interesse e non doveva succedere. La mia debolezza non sarebbe mai dovuta essere mostrata.
«Perché gli hai dato un pugno comunque?» Continuai cambiando discorso, come se non la avessi sentita.
Paoletta non rispose subito.
«Mi ha sorpreso in un momento poco opportuno...»
Quell'affermazione mi  fece pensare di tutto, che Raphael fosse addirittura arrivato ad infiltrarsi in casa di Paoletta  mentre lei si faceva la doccia.
«Come scusa? Cosa ti ha fatto quell'idiota?»
Lei scosse le mani nella mia direzione.
«Aspetta, non intendo niente di male... era il mio umore che non era dei migliori.»
«Cioè? Dai, 'Etta, parla e basta!»
Ero stanca di quella discussione prolungata, volevo arrivare al dunque e subito. Lei sospirò.
«Non te l'ho ancora detto... ecco... è tornato mio padre.»
Spalancai gli occhi sorpresa, incominciando a boccheggiare confusa.
«Tuo padre?»
Annuì con vigore, serrando le labbra come per trattenersi dal dire cose troppo aggressive.
«Oh... pensavo fosse morto.»
Pensandoci bene però, se lui fosse morto davvero, la casa di Paoletta sarebbe stata ricoperta dalle sue foto. Invece non solo non c'è n'era neanche una ma né Paoletta né la madre avevano mai nominato l'uomo. Ciò dimostrava il disprezzo che entrambe provavano, un disprezzo che regnava negli occhi di Paoletta in quell'esatto momento.
«Io non ho mai conosciuto mio padre. Credo sia anche perché mia madre si è scopata così tanti tipi che non sa neppure lei chi sia.» Aggiunsi indifferente.
Non avendo mai avuto un padre sin dall'inizio non mi importava più di tanto. La mia vita la riuscivo a vivere tranquillamente anche con quella svitata di mia madre. Di certo non era la persona più adatta a cui rivolgersi per affidarle dei bambini da crescere, ma io me l'ero cavata... e avrei continuato a farlo.
«Cosa vuole? Come mai è apparso solo ora?» Chiesi con forse troppa tranquillità.
«Vuole che vada a vivere con lui...»
Paoletta diede un calcio alla sua borsa azzurra, facendo tintinnare dei pendagli a forma di stelle appesi. Dal modo in cui si mordeva le unghie si poteva cogliere tutto il suo nervosismo.
«Scusa un attimo, e tua madre?»
Abbassò la testa, desolata.
«Non lo so, non le parlo da due giorni... ho paura che ci sia mio padre in mezzo e non me la sento di vederlo.»
Si appoggiò di colpo una mano alla testa e strizzò gli occhi.
«Sono una stupida, la sto facendo preoccupare solo per la mia codardia!»
Le si inumidirono gli occhi, d'altronde era rimasta sempre la stessa.
«Ho capito il messaggio, oggi niente scuola. Andremo a risolvere questa situazione!» Annunciai.
Non era una proposta, sarebbe successo e basta.   
 
«La prossima volta colpiscilo di più, deve imparare a non rompere troppo le palle quel benedetto ragazzo...»
Paoletta mi ascoltava distrattamente da quando avevamo messo piede fuori casa. Sentiva quanto era necessario per rispondere, senza troppo impegno.
«Non lo rifarei più, non è da me...»
Sbuffai delusa: se fosse stata lei ad allontanarlo tutto sarebbe stato più facile e io non mi sarei dovuta sporcare le mani.
Come fummo davanti alla sua abitazione, lei si aggrappò al mio braccio preoccupata.
«Adesso si arrabbierà perché abbiamo saltato la scuola!»
Mi allontanai dalla sua presa, seccata.
«Chi sene frega, avevo verifica e poi... dai, sei qui per sistemare le cose!»
Annuì poco convinta.
«Però...»
Non le diedi più retta e suonai il campanello. Nessuno rispose. Riprovai a premerlo più volte ma nulla, il silenzio continuò a regnare. Qualcuno c'era per forza a giudicare dalla macchina scassata della madre di Paoletta parcheggiata la di fronte.
«Hai le chiavi?»
«Eh? Oh... si.»
Esitò, allora le strappai la borsa dalle mani e frugai per conto mio. Nel portachiavi era appeso un piccolo pupazzo di scimmia. Storsi la bocca per la brutta sensazione che mi trasmetteva quell'affare. Lasciai perdere e aprii finalmente la porta.
Il piano terra era vuoto, illuminato solo dalla luce che filtrava dalle fessure delle serrande abbassate. Paoletta prese in braccio il suo gatto, appollaiato dentro ad una scatola tutta graffiata.
«Forse sta ancora dormendo...» C'era timore nel suo sussurro.
Ci guardammo negli occhi e salimmo le scale, io rapidamente, lei a poco a poco. Aspettai che si avvicinasse a me, pronta ad abbassare la maniglia della stanza della madre. Eravamo titubanti entrambe sul da farsi e cercammo di ascoltare prima ciò che accadeva nella camera. Alla fine ci decidemmo.
All'inizio non capii bene per via del buio. Paoletta comprese molto prima di me perché emise un grido. Non appena mi abituai all'oscurità, misi a fuoco la scena. Davanti a noi la madre di Paoletta...bhé... lei e l'uomo che era con lei, che presumevo fosse il padre, erano sdraiati l'uno sopra l'altra. Si fissavamo come se li avessimo colti in flagrante, ed effettivamente era vero. Notai che più che altro stavano guardando solo me, dato che Paoletta era già scappata. Feci lo stesso anche io subito dopo un sorrisino tirato. Prima di raggiungerla presi alcune delle sue cose perché sapevo che non sarebbe tornata a vivere a casa sua molto presto.
Era già in strada con il gatto in braccio come uscii dalla casa. Scoppiai a ridere da sola.
«Se avessi saputo che stavano scopando non saremmo venute!» Dissi asciugandomi una lacrima.
Paoletta rimase zitta e capii che era meglio tacere e allontanarci al più presto da li.
Nel tragitto ripensai a quello che era accaduto e mi accorsi di come la faccia di suo padre mi fosse rimasta impressa.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!

Capitolo XVII
 
Jesus

12 Gennaio 2007

La mia presenza non era di certo più gradita a casa mia. Perciò, per facilitare i rapporti tra me e mia madre presi la decisione che mi sembrava più giusta. Di andare realmente da mio zio non se ne parlava ma l'idea di andarmene non era per nulla male. Questa possibilità mi si mostrò di fronte grazie all'annuncio di una mostra per giovani talenti. Chiunque poteva partecipare pagando una somma, cosa che riuscii a fare tramite i pochi risparmi che possedevo. Poiché minorenne avevo pure bisogno di un permesso dei miei genitori. Essendo per mia madre come un fantasma, la firma la feci fare a mio padre che era talmente passivo che mi avrebbe permesso di subire un eutanasia senza il minimo interesse di impedirmelo. La mostra iniziava a Febbraio e si poteva portare un minimo di sei lavori. Ero un po' in ritardo ma non era un problema: lavorando più ore al giorno, senza neanche mia madre a stressarmi per le preghiere, potevo cavarmela. In oltre avevo già il soggetto perfetto da rappresentare. Odette. Suonava bene come nome. Odette, Odette, Odette. Era un nome francese. La madre era francese, non so se il marito fosse il padre biologico di Odette. Non le assomigliava per niente. Lei era così delicata, lui invece... Ricordo che il giorno in cui l'avevo visto fuori da scuola, per prendere Odette, mi aveva ricordato un gorilla da quanto era peloso e massiccio.
In quel momento stavo cercando di fare i bozzetti preliminari del suo ritratto. Dato che lei era così bella anche il ritratto lo doveva essere. Avrei tanto voluto chiederle di farmi da modella ma di coraggio non ne avevo neanche un po'. Era dal giorno in cui mi aveva parlato che il desiderio di disegnarla mi assaliva, il difficile era ricordarsi i dettagli solo con l'uso della memoria. La osservavo spesso da lontano e ogni volta notavo particolari di lei sempre nuovi. Quando era in compagnia di Elodia non mi rivolgeva mai la parola, tuttavia, quando era da sola, mi sorrideva come un bambino in una foto, con ogni singolo dente in mostra. Il canino destro era leggermente scheggiato e, quando sorrideva, le si formava una fossetta sulla guancia. Sulla sua morbida, o immaginavo lo fosse, guancia rosa. Magari per il quadro avrei dovuto farle qualche foto...No, no, meglio di no.
Tornando alla mostra... se fossi riuscito a vendere almeno qualche quadro avrei ricavato il necessario per pagare il primo mese di affitto. Mi sarebbe andata bene anche una stanzetta con le pulci nel letto. Tutto pur di cambiare vita.

 
Rosy
 
In quei giorni, la sera(mentre Paoletta, ancora scossa, restava a casa con se stessa) aiutavo mia madre con il suo lavoro. La sua era un'attrazione naturale per le vagine e non in campo sessuale. Aveva una brutta reputazione nel quartiere e io non ci ero mai andata tanto d'accordo. Eravamo troppo diverse...e poi da bambina mi lasciava troppo tempo da sola per rincorrere i tanti uomini della sua vita. Nel vederla in quello stato pietoso avevo sviluppato una sorta di avversione verso il genere maschile e le relazioni in generale. Non che mi rifiutassi di averci a che fare ma solo che la cosa accadeva unicamente quando lo decidevo io. Raphael era mio amico da quando, in quarta elementare, aveva tentato di baciarmi con la lingua per una scommessa con un amico. Io lo avevo scaraventato a terra ma senza un perché fu proprio quel gesto a farci socializzare. I maschi ragionano in un modo tutto loro, erano proprio strani.
Quel pomeriggio avevo la possibilità di rilassarmi dato che le mie uniche mansioni furono il portare il caffè e altre cose a mia madre. Avevo il resto del tempo libero prima di ritornare da Paoletta. Mi resi conto che era da un bel po' che non andavo a cercare vestiti e non avrei neppure avuto bisogno di soldi. Per fortuna quel giorno mi ero portata la borsa più grande che avevo. Mi feci la coda, come tutte le volte che andavo a rubare.
Girai tra le strade affollate prima di decidermi ad entrare in un negozio. Cercai tra la roba qualcosa che potesse piacere anche a Raphael. Dopo un'ardua ricerca, viste le cagate che erano esposte, trovai una maglietta bianca con del pizzo sulla spalla. Assicurandomi che nessuno mi stesse guardando, ne presi due modelli identici, nascondendo uno dentro l'altro per far credere di averne solo uno. Andai successivamente nel camerino e, una volta dentro, infilai una delle magliette in borsa staccando prima l'antitaccheggio. Uscii fuori con nonchalance e rimisi a posto la maglietta restante, con un'espressione delusa di chi non è convinto del capo appena provato. Per evitare problemi preferii cambiare negozio. Altri minuti di camminata e varcai la soglia del successivo negozio. Di fronte mi ritrovai, presa alla sprovvista, Odette insieme ad Elodia. La prima, se non fosse stata con Elodia, mi avrebbe salutato agitando la mano. La seconda, invece, mi sorrise.
Quella brutta troia di Elodia alle medie aveva fatto credere a tutti che io fossi lesbica solo perché non facevo la cagnetta con chiunque.
Ricambiai il sorriso e in entrambe si poté avvertire l'odio reciproco. Chissà, magari le stavo sul cazzo anche perché ero amica di Raphael mentre lei si sognava qualsiasi relazione con lui.
La ignorai e ripresi la mia ricerca di vestiti quando sentii qualcuno tirarmi la borsa. Era Elodia con ancora quel fottuto sorriso stampato sul volto. Che cazzo voleva? Cercai di sembrare il più disinvolta possibile e mi diressi verso l'uscita, non era il caso rubare con quella in giro. Sbiancai quando, vicino a me, l'allarme suonò.
«Signorina, si fermi!»
Dicevano a me? Ne ebbi la conferma quando due mani maschili mi afferrarono le braccia. Non riuscivo a reagire, avevo la bocca impastata e le mani mi tremavano. L'uomo prese a perquisirmi la borsa e tirò fuori tutto il mio bottino. Non capivo, avevo strappato l'antifurto dalla maglietta, allora perché? Poi arrivò la risposta: una stupida collanina rosa. Non l'avevo mai presa e mai l'avrei fatto. Elodia. Era sparita ma avevo la certezza fosse sua la colpa. Questa me l'avrebbe pagata.

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