Le Cronache di Narnia - Il Viaggio del Veliero

di HikariMoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - L'arrivo a casa Scrubb ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Incontri e Contrasti ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Una Normale Giornata in Casa Scrubb ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Una Giornata in Spiaggia ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere e Spiegazioni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Di Nuovo A Narnia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Il Ricevimento del Console ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - L'arrivo a casa Scrubb ***


Salve a tutti! Chi mi seguiva già dirà: era ora… lo so scusate, mi faccio sempre attendere. ^-^ Ma vi giuro che non lo faccio apposta! Ma non perdiamo tempo: questa fan fiction finalmente inizia ed è questo che importa. Unica cosa importante da dire, questa storia è la continuazione di “Tears of Memory” alla cui conclusione si collega. In un certo senso Tears è stata un preludio perché è in questa storia che il vero viaggio inizia. Bene. Non sto nella pelle e sperò vi piacerà. Non voglio dilungarmi troppo proprio nel primo capitolo… quindi buona lettura e se mi viene in mente qualcos’altro, ci vediamo alla fine! ;) HikariMoon

Capitolo 1 – L’arrivo a casa Scrubb

La famiglia Pevensie al completo era ferma alla banchina insieme ai coniugi Alberta e Harold Scrubb, gli zii che si sarebbero occupati di Lucy e Edmund finché anche i due sarebbero potuti partire per l’America per raggiungere i genitori e i due fratelli maggiori, Peter e Susan. La decisione di separare per un po’ di tempo i quattro fratelli era stata accettata da tutti, ma non aveva accontentato praticamente nessuno.

Primi tra tutti gli zii che aveva sempre ritenuto il metodo di educazione usato dai Pevensie “all’antica”: soprattutto Alberta rimproverava sempre la sorella di star rovinando i propri figli, rendendoli inadatti al mondo che cambiava e alla modernità. Ma non era questa l’impressione che né Helen né Robert avevano mai avuto: vedevano i loro figli felici ed era quello che bastava. Per questo motivo la decisione di dividerli non era certo nata, come pensava Alberta, per allontanare Peter e Susan dai fratelli più piccoli. Helen e Robert pensavano semplicemente che Edmund e Lucy erano ancora troppo giovani per una lunga traversata e soprattutto per l’America. Non l’avrebbero detto se avessero saputo le straordinarie avventure da loro vissute a Narnia… ma non lo sapevano. I quattro fratelli avevano tentato di convincerli e ad un certo punto credevano di esserci riusciti. Avevano persuaso il padre ad andare tutti insieme, ma a quel punto era stato il destino a mettersi in mezzo. A causa della guerra erano poche le navi che riuscivano ad ottenere il permesso per partire e, ovviamente, ogni volta centinaia di persone cercavano di comprare il biglietto. Fu così che quando arrivò il turno di Robert Pevensie i posti rimasti erano solo cinque: troppo pochi per portare tutta la famiglia. Lucy e Edmund, da un lato, Peter e Susan, dall’altro, si dovettero rassegnare.

Ed erano proprio i quattro fratelli che maggiormente ne soffrirono. Peter e Susan, infatti, temevano che la separazione avrebbe precluso loro qualsiasi possibilità di tentare un ritorno a Narnia. Giorno dopo giorno si cercavano di convincere che non sarebbe stato così, soprattutto Susan cercava di afferrarsi alle parole di quel sogno, ma la paura in fondo restava. Senza contare che il legame tra di loro era fortissimo, rafforzato proprio grazie alle loro avventure a Narnia. Era per questo che anche Lucy e Edmund si addolorarono per quella partenza. Loro, poi, avevano un motivo in più. Sarebbero stati infatti accolti in casa Scrubb… ovvero in casa del loro insopportabile cugino Eustace Clarence Scrubb. Il ragazzo aveva solo un anno in meno di Edmund e per questo tra loro era stata sempre guerra aperta. E crescendo le cose non erano migliorate, si erano soltanto raffinate. Fortunatamente Alberta e Harold avevano deciso di non portare il figlio e almeno per un po’ Lucy e Edmund avrebbe ancora potuto godere della “libertà”.

In attesa che Helen e Robert tornassero, gli zii e i fratelli Pevensie erano in piedi sulla banchina, attorniati dalla folla. Susan e Peter erano qualche passo avanti e fissavano muti la mole gigantesca del transatlantico su cui sarebbero saliti. Susan era smarrita e cercò, come tante volte aveva fatto, forza nel fratello. Peter lo capì e le sorrise senza però riuscire a rasserenare completamente la sorella. E dopotutto non lo era neppure lui.

Susan si voltò indietro verso i due fratelli minori quasi temendo che fossero già scomparsi. I suoi occhi azzurri incrociarono quelli di Lucy. La ragazzina cercò di sorridere ma il risultato fu un sorriso spento, privo della gioia contagiosa che la contraddistingueva. Edmund invece sbuffò per l’ennesima volta, giusto per ribadire quella che era la sua opinione.

Quando Susan tronò a voltarsi dopo aver lanciato un’occhiata agli zii, Lucy riprese a dondolarsi sui piedi. Sentiva dietro di lei la presenza degli zii e non era una sensazione piacevole. Voleva andarsene ma sapeva che non poteva. Che bello sarebbe stato se improvvisamente Narnia li avesse richiamati… magari tutti e quattro: e così tanti saluti all’America e agli zii. Lucy sospirò: bello, ma impossibile.

Dal canto suo Edmund continuava a giocherellare con una biglia. La sua mano la stringeva più forte ogni volta che, dietro di lui, zio Harold voltava le pagine del giornale. Se lo avesse potuto prenderlo, farci una palla e con un calcio buttarlo in male quel maledetto giornale… chissà che faccia avrebbe fatto lo zio. Edmund ridacchiò. Se lo sarebbe meritato: non aveva detto una parola da quando era arrivato. E poi si chiedevano perché Eustace era odioso: con dei genitori così…

Un cupo boato richiamò tutti dai meandri dei propri pensieri. I quattro ragazzi si riscossero e alzarono lo sguardo verso la nave. Densi fumi scuri uscivano dai camini e facevano capire a tutti che la partenza era imminente. Susan strinse la mano di Peter, quasi spaventata. Qualche passo dietro Lucy si morse un labbro per impedirsi di piangere. Presto sarebbero partiti. Gli occhi azzurri delle sorelle tornarono ad incrociarsi vedendo l’una nell’altra lo stesso smarrimento.

In quel momento arrivarono Helen e Robert facendosi largo tra la folla. I due erano andati a far timbrare i biglietti che ora la donna teneva saldamente in mano. Una volta accanto a loro, Robert spostò vicino a sé una delle valigie che fino a quel momento era stata vicino agli zii. L’uomo si voltò sorridendo verso i figli.

“È tutto pronto. Possiamo salire.”

 

Susan e Lucy sorrisero per non deludere il padre, ma entrambe fecero uno sforzo enorme per non mettersi a piangere. Edmund e Peter, invece, annuirono distrattamente. A quel punto il padre si voltò verso Lucy e Edmund.

“Mi raccomando, fate i bravi dagli zii.”

Lucy e Edmund annuirono. Cos’altro avrebbero potuto fare? Non certo deludere i genitori. Helen sorrise e accarezzò Lucy.

“Fate sempre quello che vi dicono gli zii e comportatevi bene con vostro cugino.”

Edmund, non visto, sbuffò pensando mentalmente che lui avrebbe fatto il bravo con Eustace quando Eustace avrebbe smesso di dargli fastidio. Aveva un onore da difendere lui: un Re di Narnia non poteva certo cedere agli scherzi stupidi di uno presuntuoso cugino.

Alberta si intromise nelle raccomandazioni dei due genitori.

“Helen cara, Robert non dovete preoccuparvi. Da noi staranno benissimo. Vedrete, quando vi raggiungeranno in America non li riconoscerete neppure. Saranno diventati una signorina e un uomo.”

Helen sorrise per non deludere la sorella, ma non credeva che lei li potesse cambiare. E poi i suoi bambini, li amava così come erano. Molto meno gentile fu quello che pensò Edmund. Se avesse potuto, senza tanti complimenti, avrebbe tirato un calcio negli stinchi alla donna, alla faccia della buona educazione. Se zio Harold era insopportabile, zia Alberta faceva di tutto per essere odiosa. Peter se ne accorse e ridacchiò nascondendo la bocca dietro una mano per non farsi vedere. Susan li avrebbe rimproverati se li avrebbe visti, ma la ragazza era sprofondata nei ricordi che quegli istanti le facevano tornare in mente, ricordi di quella partenza lontana ormai due anni… quella partenza che gli aveva portati alla casa del professor Digory e poi a Narnia.

Improvvisamente zio Harold sbuffando chiuse il giornale. Era arrivato all’ultima pagina. L’uomo si voltò verso la moglie.

“Cara, credo che sarà ora che salutino e andiamo. La nave presto partirà.”

Helen e Robert aggrottarono la fronte. Nessuno dei due, sinceramente, aveva molta simpatia per il marito di Alberta, la quale già era difficile da reggere a lungo… ma erano pur sempre loro parenti, nonostante Helen e Alberta fosse diventate completamente diverse: dolce e premurosa la prima, altezzosa e saccente la seconda. Dal canto loro Edmund e Peter si guardarono come volersi dire: che bello se fossimo a Narnia… i due ridacchiarono per poi tornare subito seri. Sapevano anche loro che stavano per salutarsi.

Lucy si gettò tra le braccia della madre. “Mi mancherai, mamma.”

La donna sorrise. “Anche tu, piccola mia. Ma abbi fiducia, presto verrete in America anche voi.”

Nel frattempo Edmund aveva abbracciato il padre che lo aveva guardato negli occhi in modo eloquente.

“Fai il bravo, Edmund. Intesi?”

Edmund annuì sorridendo. Anche il padre sorrise sapendo benissimo che il ragazzo non avrebbe mai ignorato una provocazione del cugino Eustace. Del resto neanche lui da giovane lo aveva fatto quando andava a trovare i figli di suo zio…

Peter si voltò verso Susan e si accorse che la ragazza non si era neanche accorta di quello che stava succedendo.

“Susan.”

La ragazza trasalì e si voltò verso di lui. Peter sorrise e con la testa le indicò i genitori che in quel momento si stavano separando da Lucy e Edmund. La ragazza si sentii opprimere da quegli istanti e rapidamente superò la distanza che la separava da Edmund, gettandosi tra le sue braccia. Edmund fu sorpreso da quel gesto ma, alla fine, dopo un attimo di imbarazzo ricambiò l’abbraccio della sorella. Accanto a loro Peter stava abbracciando Lucy che quasi non toccava terra, avvolta dalle braccia del fratello maggiore. Sia Lucy che Susan cercarono di non piangere.

Edmund se ne accorse e la allontanò delicatamente sorridendo quasi sarcastico.

“Guarda che quelli che dovrebbero piangere siamo io e Lucy…”

Susan lo fissò e sorrise. Subito dopo gli tirò un amichevole pugno sulla spalla. Anche Edmund sorrise e i due fratelli si riabbracciarono. Dopo qualche istante fu di nuovo Edmund a parlare.

“Mi mancheranno i tuoi rimproveri, Susan.”

Susan si staccò da lui e lo guardò. “E a me mancherà il doverteli fare… ti voglio bene, Ed.”

Edmund per un attimo la guardò stupito poi si voltò di lato, quasi a disagio, iniziando a borbottare. Non si sentiva mai a proprio agio quando qualcun altro o lui stesso doveva mostrare i propri sentimenti.

“Guarda che fra qualche settimana ci rivediamo… mica è un addio questo.”

Susan sorrise dolcemente perché conosceva perfettamente suo fratello. Era il suo modo di dire che ti voleva bene. Lo sapevano anche Lucy e Peter. In quel momento Susan si voltò verso Lucy che si era separata da Peter. Mentre i due fratelli si salutavano, le due ragazze si fissarono per un istante per poi abbracciarsi. Susan affondò il viso nei capelli castano-rossicci della sorella. Lucy nascose invece il viso nella spalla della sorella maggiore. Per lunghi istanti nessuna delle due disse nulla. Bastava quell’abbraccio per dire tante cose che nessuna delle due aveva la forza di esprimere a parole. Alla fine fu proprio Lucy la prima a rompere il silenzio con una voce rotta dalla commozione.

“Mi mancherai così tanto, Sue…”

Susan a quel punto non riuscì a trattenere le lacrime che iniziarono a uscire lentamente dagli occhi e a rigarle le guance. Anche Lucy aveva iniziato a piangere, quasi con quelle poche parole da lei pronunciate avesse reso definitivamente reale quella separazione.

“Oh, anche tu Lu… non sai quanto…”

Le due si separarono guardandosi negli occhi. Tutte due stavano piangendo e accorgendosene sorrisero. In quel momento i loro genitori finirono di salutare gli zii e sollevarono le valigie. Susan abbracciò stretta Lucy ancora una volta. Se avessero potuto, nessuna delle due si sarebbe separata dall’altra.

“Lucy ti voglio bene. Vi scriverò ogni giorno, te lo prometto…”

Lucy annuì con decisione cercando di mostrarsi coraggiosa, di comportarsi per quello che era: Lucy, la Valorosa. “Ci conto. Ti voglio bene anche io, Susan. A presto.”

Anche Susan annuì e si staccò da lei. Cercando di sorridere la ragazza prese la propria valigia e affiancò Peter. I due accennarono un saluto verso gli zii. Zia Alberta rispose con un sorriso di circostanza mentre invece zio Harold mugugnò qualcosa da dietro il giornale che aveva riaperto nella speranza di trovare qualche notizia che era sfuggita alla sua precedente lettura. Era fin troppo evidente che, se fosse stato per lui, avrebbe di molto accorciato quei saluti.

A quel punto Susan e Peter si voltarono per seguire i genitori. Mentre si dirigevano verso la passerella, Susan tornò a voltarsi. Lucy e Edmund erano immobili a guardarli partire. Rassegnati loro a restare, rassegnati Susan e Peter a partire. La ragazza tornò a guardare avanti iniziando a salire. Lucy e Edmund intravedevano a malapena i due fratelli e i genitori tra il resto della folla che saliva. Solo ogni tanto i capelli scuri di Susan e quelli biondi di Peter facevano capolino tra cappelli e mani alzate a salutare. Entrambi sentivano un dolore fortissimo dentro di loro e sapevano che era lo stesso anche per i due fratelli maggiori. Senza saperlo pensarono tutti la stessa cosa: faceva male, come gli addii di Narnia. Improvvisamente i due fratelli minori videro sparire Susan e Peter dentro alla nave. I loro sguardi si voltarono immediatamente verso il bordo dove già decine di persone si stavano ammassando per salutare familiari e amici, agitando mani e sventolando fazzoletti. Entrambi avevano paura di non riuscire a vederli. Era la stessa paura anche di Susan e Peter che, non appena saliti, subito si diressero verso il bordo insieme ai genitori facendosi a fatica largo tra corpi e valigie.

In quegli istanti, la nave vibrò e iniziò a staccarsi dalla banchina. Lucy portò le mani al viso mentre i suoi occhi si inumidirono. Né lei né Edmund erano ancora riusciti a vederli. Gli occhi azzurri della ragazzina e quelli scuri del ragazzo continuarono a cercare freneticamente. Improvvisamente incrociarono altri due occhi azzurri, quelli di Peter. Il ragazzo alzò il braccio per salutarli. Subito dopo si voltò e strattonò accanto a sé Susan. I due fratelli si afferrarono al parapetto per non perdere quel piccolo spazio che erano riusciti a trovare. I due guardarono oltre il parapetto senza riuscire a vedere Lucy e Edmund. Anche Peter li aveva persi di vista tra la folla. Susan si sentì mancare il respiro, il cuore attanagliato dalla paura di non vederli.

Nel frattempo la nave si stava allontanando e Lucy e Edmund avevano iniziato a farsi largo tra la folla quasi correndo, cercando di farsi vedere. Tutte le persone sul parapetto sembravano così piccole da laggiù. Lucy perse quasi l’equilibrio quando un uomo davanti a lei arretrò. Si sentì persa, come in un mare in tempesta, sballottata dalle onde. Ma non poteva arrendersi. A pochi passi da lei, Edmund si voltò per aspettarla. Insieme ripresero a correre agitando le mani nella speranza che Susan e Peter li vedessero. Fu di nuovo Peter il primo a vederli. Il ragazzo sorrise iniziando a muovere la mano. Pochi istanti dopo anche Susan li vide cominciando ad agitare la mano. Susan scoppiò a piangere: Lucy se ne rese conto e scoppiò a piangere anche lei. La ragazzina e Edmund la videro muovere la bocca gridando qualcosa. Le sue parole si persero in mezzo alla folla e nel boato dei camini. Ma non aveva importanza. Anche Lucy sapeva che né Susan, né Peter, né i genitori l’avrebbero mai potuta sentire, ma gridò lo stesso con tutto il fiato che aveva in gola.

“Susan, Peter, mamma, papà a presto! Vi vogliamo bene!”

Un altro cupo rimbombò coprì le voci di tutti. In alto Susan e Peter continuavano ad agitare le mani, sporgendosi il più possibile per poter vedere fino alla fine i due fratelli minori. In basso, Lucy e Edmund continuarono a correre lungo la banchina fino a quando si trovarono sul bordo. Le onde scure scrosciavano sotto di loro. Nessuno dei quattro fratelli riusciva a distogliere lo sguardo.

Pochi istanti dopo la nave iniziò ad allontanarsi e le persone sul parapetto scomparvero dietro la sua mole. Lucy abbassò lo sguardo tirando su con il naso. Una leggera brezza la fece rabbrividire. Passarono lunghi minuti in cui la folla iniziò ad allontanarsi. Pian piano Lucy e Edmund furono gli unici a rimanere lì. A quel punto Edmund posò una mano sulla spalla della sorella.

“Dai, Lu. Torniamo indietro.”

Lucy alzò gli occhi rossi dal pianto e Edmund, per cercare di tirarla su di morale, sorrise ironico.

“Guarda che non ci conviene farli diventare isterici quei due… l’ho sempre detto, vostra madre ha sbagliato tutto con la vostra educazione. È sempre stata troppo indulgente!”

Lucy sorrise sentendo Edmund scimmiottare il tono di voce di zia Alberta. Alla fine annuì e i due lentamente tornarono indietro. Quando furono a qualche metro dai due, che li guardavano infastiditi da quell’attesa, Edmund si voltò verso Lucy per bisbigliarle all’orecchio.

“Ho cambiato idea… che ne dici se corriamo via? Tanto loro non ci prendono.”

Lucy gli lanciò uno sguardo di rimprovero, ma anche lei sorrideva. Finalmente Lucy e Edmund arrivarono dagli zii e presero in mano le proprie valigie. Zia Alberta li guardò autoritaria.

“Ora andiamo a prendere il treno per andare a Cambridge. Comportatevi in modo consono.”

Lucy e Edmund annuirono. Soddisfatta, la donna si voltò seguita dal marito che iniziò a borbottare qualcosa sul fatto che a causa di quelle perdite di tempo avrebbero rischiato di perdere il treno. Lucy e Edmund si guardarono scoraggiati: la loro tortura stava per avere inizio.

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Una automobile percorreva lentamente le strade di Cambridge. A bordo c’erano tre persone: un uomo alla guida, una donna bionda seduta al posto accanto, evidentemente sua moglie, e una ragazzina seduta dietro che continuava a giocherellare con una foto che la ritraeva con altre ragazze della sua età vicino a dei cavalli. La donna si voltò indietro sorridendo.

“Tesoro, siamo presto arrivati. Togliti quell’espressione imbronciata.”

La ragazzina sospirò alzando lo sguardo verso la madre.

“Era proprio necessario trasferirsi, mamma?”

La donna sorrise dolcemente e si allungò per accarezzarle la testa.

“Papà non poteva rinunciare ad una simile occasione di lavoro. Lo capisci, vero?”

La ragazzina annuì lentamente posando di lato la fotografia, accanto alla propria valigia e ad una gabbietta in cui sonnecchiava un piccolo furetto. A quel punto anche il padre inclinò la testa verso di lei, cercando di tirarla su di morale.

“Lo so che ti mancheranno i tuoi amici… ma vedrai che te ne farei presto di nuovi. Cambridge ti piacerà… sarà come una bella avventura, vedrai.”

La ragazzina sorrise e guardò per un istante fuori dal finestrino. Subito si voltò con un sorriso furbo.

“Cambridge è una città noiosa!”

I due genitori scoppiarono a ridere. Alla fine la madre tornò a voltarsi verso la figlia sorridendo.

“Non sarà così, vedrai. La tua è solo la prima impressione. Conoscendola meglio questa città ti piacerà. E poi a settembre andrai in una nuova scuola. Quella non sarà una bella avventura?”

La donna tornò a voltarsi continuando a parlare, anche se più che altro sembrava parlare a sé stessa.

“E se non sbaglio, chi ci ha venduto la casa ha detto che nella casa accanto ci vive anche un ragazzo della tua età… avrai subito un nuovo amico, non sei contenta?”

La ragazzina faticò un attimo per capire che la domanda era rivolta a lei e a quel punto annuì anche se poco convinta. Poi tornò a voltarsi verso il furetto. Sorridendo infilò un dito nella gabbietta e grattò la testolina dell’animale che si svegliò e le leccò il dito iniziando a zampettare nel piccolo spazio.

“Presto saremo nella nuova casa… che ne dici, Billy, sarà una nuova avventura?”

Il furetto la guardò e per un attimo sembrò veramente star riflettendo sulla sua domanda. La ragazzina sorrise e tornò a guardare fuori dal finestrino.

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Lucy e Edmund si fermarono accanto alla zia davanti alla stazione. Il viaggio fino a Cambridge non era stato lungo nonostante a loro, mentre si trovavano sul treno, era sembrato infinito… e noioso. Nell’attesa di zio Harold che era andato a prendere la propria automobile che la mattina aveva parcheggiato nelle vicinanze, Lucy e Edmund poterono ripensare a quelle poche ore passate sul treno. Era stato così strano dover rispondere alle domande impiccione della zia. Che lavoro aveva intenzione di fare Peter, quanto tempo passavano tutti e quattro insieme, se i loro genitori avevano già parlato del futuro di Susan, quali erano i loro risultati scolastici. In più Lucy si era sorbita le offerte della zia di darle alcuni consigli per essere più carina e, quando sarebbe cresciuta, poter ricevere delle buoni offerte di matrimonio. La zia si era inclinata verso di lei dandole un buffetto sulla guancia sorridendo.

“Sei ancora così piccolina… vedrai che quando diventerai una signorina ti torneranno utili i miei consigli.”

Lucy aveva abbassato la testa mortificata e aveva annuito. Ogni parola della zia era come una spina infilata nel suo cuore. Era come se qualcuno continuasse a ripeterle “Lucy sei brutta, Lucy sei infantile, Lucy quando diventerai come tua sorella Susan?”. O per lo meno era questa la sua sensazione. Per un attimo ripensò offesa alle parole di Susan sentendosi come presa in giro dai complimenti che la sorella maggiore, bella e perfetta, sempre lodata da tutti, le aveva fatto tanti mesi prima. Subito scacciò quei pensieri sentendosi in colpa. Susan non era certo una bugiarda. Per un attimo si vide simile alla zia e si ripromise che non sarebbe successo.

Edmund, invece, fu obbligato da zio Harold a leggere il giornale. Il ragazzo si finse interessato nella speranza che presto lo zio lo ignorasse convinto di aver avuto successo. Non lo avesse mai fatto… zio Harold sembrò aver recuperato la parola e costrinse Edmund a discutere con lui di ogni articolo. E allora aveva capito che cosa intendesse zia Alberta al porto: volevano metterli su quella che loro credevano la “giusta strada”, correggere l’indulgenza di Helen e Robert almeno sui due più piccoli, a loro idea più viziati e infantili dei due maggiori in modo tale che non contagiassero anche Peter e Susan. Si capiva quello che era l’obbiettivo di zia Alberta: doveva occuparsi dei due bambini e non delle due persone mature, Peter e Susan, pronti a essere finalmente educati alla vita adulta? Bene, avrebbe reso Lucy e Edmund due persone mature anche a costo di rieducarli nelle più piccole cose. Edmund aveva sospirato rendendosi conto che sarebbe stato peggio di quanto avessero mai potuto credere.

I due ragazzi vennero distolti dai loro pensieri dall’arrivo vicino al marciapiede dell’automobile di zio Harold. L’uomo scese e prese le valigie dei ragazzi mettendole nel baule. Edmund si sedette accanto al posto di guida e Lucy e zia Alberta dietro. Quando l’automobile partì, Lucy si appoggiò al finestrino osservando incuriosita le cose che erano cambiate a Cambridge dalla loro ultima visita. La voce dura e quasi esasperata di zia Alberta la fece voltare subito.

“Lucy siediti composta, guarda davanti. Sei ancora una bambina ma è ora che tu impari a non esserlo più. Schiena dritta. Comportati da signorina!”

Lucy sgranò gli occhi azzurri stupita. Non ricordava qualcuno che le si era rivolto con un tono così duro. Tutti dicevano sempre che lei era una ragazzina educata e gentile, anche a Narnia tutti avevano sempre lodato la sua gentilezza rivolta sempre verso tutti. Zia Alberta invece la trattava come la peggiore delle maleducate. Anche Edmund si era voltato scioccato dal modo in cui Lucy veniva trattata. Di solito era lui quello che veniva sgridato, non Lucy. La zia Alberta si riposò al sedile lanciandole ancora un’occhiata severa.

“Togliti dalla faccia quell’espressione imbambolata e vedi di ricordartelo. Sei abbastanza grande perché io non debba ripetertelo sempre. Prendi esempio da tua sorella Susan. Lei sì che è una signorina. Se solo non dovesse avere sempre a che fare con voi…”

La donna sospirò scuotendo la testa rassegnata. Lucy si sedette come voleva la zia per evitare di essere di nuovo rimproverata. Edmund la guardò e le sorrise per rincuorarla, ma Lucy aveva appena la forza di non piangere e rispose appena con un cenno al tentativo di Edmund. Il ragazzo tornò a voltarsi sospirando e meditando di vendicarsi di quello al primo scherzo di Eustace. A quel pensiero alzò le spalle: non era molto giusto, ma neanche il comportamento della zia. Ad una svolta zio Harold si voltò verso di lui.

“Hai prestato attenzione alla guida? Sarebbe una buona idea che ti facessi l’occhio… quando sarai grande ti servirà il giorno che vorrai imparare a guidare una macchina.”

Edmund non rispose leggermente sorpreso da quella domanda: ma non avevano continuato a ripetere che erano due bambini? E ora a quindici anni doveva già farsi l’occhio per guidare? Dopo qualche istante zio Harold lo guardò di nuovo.

“Peter immagino lo imparerà quando sarà in America. Lui è grande ormai e l’America sarà stimolante per farlo diventare veramente un uomo.”

Edmund sbuffò. Come volevasi dimostrare… ma gli zii avrebbero ricordato loro ogni cinque minuti di essere più piccoli e immaturi di Peter e Susan? Se solo fossero a Narnia… provassero a dire a qualcuno dei Narniani che Re Edmund il Giusto e Regina Lucy la Valorosa, grandi Re e Regina di Narnia, era immaturi e incapaci di occuparsi dei problemi degli adulti. Il ragazzo incrociò le braccia e affondò nel sedile annuendo per accontentare lo zio che effettivamente si voltò soddisfatto. Fu zia Alberta che si prese, però, l’ultima parola.

“Il tempo delle favole è finito. Se vostra madre non vuole ancora darvi una scrollata, saremo noi a farlo. È arrivato il momento di confrontarsi con il mondo reale.”

Edmund e Lucy sospirarono per l’ennesima volta cercando di non farsi sentire dalla zia. Per fortuna che il tragitto fino a casa Scrubb sarebbe stato breve…

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Nel frattempo c’era qualcuno altro che invece avrebbe preferito che il tragitto fino a casa Scrubb durasse all’infinito. E altri non era che Eustace Clarence Scrubb, figlio di Alberta e Harold. Il ragazzo continuava a camminare in tondo nella propria stanza che presto avrebbe dovuto condividere con Edmund Pevensie, il suo nemico di sempre. Sbuffava e quasi scalciava come un animale selvatico messo in gabbia. Ogni volta che completava un giro gettava lo sguardo sul letto che il padre aveva sistemato di fronte al suo. Subito distoglieva lo sguardo quasi disgustato. La sua vita era finita, un’estate rovinata. Chissà per quanto tempo i suoi due odiosi cugini sarebbero rimasti lì… erano settimane che pregava: prima che zio Robert trovasse posto per tutti, poi che Lucy e Edmund partissero presto per l’America. Ma si può avere rovinata in un modo simile le vacanze? La sua solita sfortuna… anzi sfortuna nera. Era stato l’unico in tutto il mondo che l’ultimo giorno di scuola tornato a casa, invece di trovarsi dei regali, si era trovato davanti i genitori che candidamente gli avevano comunicato che entro pochi giorni Edmund e Lucy sarebbero stati loro ospiti. Per quanto aveva avuto la forza di chiedere… e la madre soddisfatta aveva risposto che non si sapeva ancora quanto tempo si sarebbero fermati. Il mondo gli era crollato addosso di fronte a quella che era la peggiore delle tragedie.

Eustace sbuffò e si sedette pesantemente sulla sedia della scrivania. Anche quella avrebbe dovuto condividere da quel giorno. Rabbiosamente si alzò e alla fine si sedette per terra. Dopo aver guardato l’orologio posato sul comodino vicino al letto, il ragazzo si distese sotto al letto. Con fare circospetto prese una scatola e lentamente l’apri. Erano i suoi tesori: doveva nasconderla bene se non voleva che Edmund ficcasse le sua manacce anche lì. Poi prese un quadernetto da dentro la scatola e una penna. La sua espressione si fece seria. Dopo un attimo di indecisione uscì posandosi sul letto. Eustace fece dondolare la penna tra le dita prima di iniziare a scrivere.

“Giugno 1942. Io Eustace Clarence Scrubb, figlio di Alberta e Harold Scrubb, in pieno possesso delle mie facoltà mentali dichiaro che questo è il mio testamento nell’eventualità che i miei sciagurati cugini, Edmund Pevensie e Lucy Pevensie, mi conducano alla pazzia e ad una lenta e dolorosa agonia.”

Eustace si fermò osservando quello che aveva scritto: sì, era sufficientemente solenne. Particolarmente ispirato riprese la penna e si rimise a scrivere.

“Dichiaro che tutte le mie cose di scuola vengano divise tra i miei compagni di classe che potranno così giovarsene nel loro percorso di studi. Tutto il resto, fatta esclusione per la mia scatola dei tesori, lo lascio ai miei genitori, quelle povere anime, che verranno privati del loro unico figlio dalle perfide e meschine macchinazioni dei suddetti cugini. Infine la suddetta scatola dei tesori la lascio a Jimmy Stenford con la clausola che la custodisca e la tramandi di generazione in generazione in mio ricordo imperituro.”

Eustace sorrise soddisfatto e passò una mano sul foglio. Sapeva bene che Jimmy avrebbe fatto quello che lui voleva. Povero Jimmy, buono e gentile, ma privo di carattere. Per fortuna che lui magnanimamente aveva deciso di essere suo amico. Improvvisamente sentì fermarsi una macchina. Il primo pensiero di Eustace fu: eccoli. Senza perdere neppure un secondo il ragazzo afferrò quadernetto e penna, li rimise nella scatola, chiuse la scatola e la nascose il meglio possibile sotto al letto. Dopodiché, come un fulmine, corse alla finestra convinto di vedere nel vialetto sottostante i genitori e i due cugini. Invece, con sua grande sorpresa, il vialetto era deserto. Per un attimo Eustace credette di star già impazzendo, poi si accorse di una macchina parcheggiata nel vialetto accanto. Il ragazzo si dette una pacca sulla testa. Ora ricordava: quel giorno arrivavano i nuovo vicini. Curioso, Eustace si nascose dietro la tenda e sbriciò per vedere come erano. Che bello se fosse stato un ragazzo con cui fare amicizia ed opporsi insieme a lui a Edmund!

In quel momento dall’automobile scese un uomo con i capelli castani e gli occhiali seguito da una donna con i capelli biondi. I due si fermarono a guardare la casa. Sorridevano felici. Dopo pochi istanti scese anche una terza persona. Eustace sbuffò. Era una ragazza. La sua era proprio una sfortuna nera… anzi nerissima. Mancava solo che la vicina facesse amicizia con Lucy Pevensie! Un’altra arpia tra i piedi. Improvvisamente Eustace si accorse che la ragazzina lo stava fissando. I loro occhi si incrociarono e Eustace si ritrasse di scatto dopo averle lanciato un’occhiata di superiorità. Sotto la ragazzina sorrise scuotendo la testa rassegnata. I capelli castano-biondi ondeggiarono attorno al suo viso. Dentro alla stanza, invece, Eustace rimase spalle al muro fino a quando non sentì aprire e richiudersi la porta dei vicini. A quel punto tirò un sospirò di sollievo. Ci mancava solo quella… ma il suo sollievo durò poco. Pochi minuti dopo, infatti, un’altra macchina si fermò e non ci furono più dubbi. Era la macchina che portava i suoi cugini: nessuna sciagura era mai stata annunciata in modo più sinistro. O almeno così sembrò a Eustace la frenata della macchina paterna. Il ragazzo alzò lo sguardo verso l’alto esibendosi in un’espressione teatralmente disperata.

“La mia vita è finita!!”

E il primo capitolo è finito. Pensandoci forse è un po’ corto… all’inizio avevo pensato di metterci anche l’incontro tra Edmund, Lucy e Eustace, ma alla fine ho preferito rimandarlo al prossimo capitolo. Allora, che ne pensate? Spero di aver fatto un buon lavoro. Avrete notato la presenza di un nuovo personaggio, vero? ^-^ Non credo vi sarà molto difficile intuire chi sia, comunque… e a proposito di questo ho un favore da chiedervi. Quando descrivo un personaggio mi è più facile farlo avendo un immagine presente in mente: per Peter, Susan, Edmund, Lucy, Caspian, Eustace, ecc. non ho quindi nessun problema… per lei invece sì, non essendoci mai stata nei film. Il favore è questo: avreste qualche attrice da consigliarmi considerando che vorrei farla con i capelli biondo-castani e dell’età di Eustace? ^-^ (che non sia Anna Sophia Robb perché l’ho già in mente per un personaggio che apparire più avanti.) Se vi viene qualche idea, vi sarò grata… altrimenti mi arrangerò. ;)

Ancora una cosa e tolgo il disturbo. XD Questa è la prima long fiction che scrivo su Narnia (considerando che Tears era la prima fan fiction su Narnia che scrivevo in assoluto). Aspetto i vostri pareri. La prossima settimana non ci sarò perché sono via quindi vi dò appuntamento a quella dopo.

Grazie mille per aver letto. A presto! ^-^ HikariMoon

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Incontri e Contrasti ***


Capitolo 2 - Incontri e Contrasti

Edmund e Lucy scesero dall’automobile fermandosi uno affianco all’altra sul marciapiede. Non riuscivano a distogliere lo sguardo da quell’edificio che nelle settimane successive sarebbe stata la loro casa. Dietro di loro zio Harold aveva tirato fuori le valigie. Quando le posò accanto ai due, Edmund e Lucy si riscossero. Zia Alberta li superò sorridendo.

“Forza, sbrigatevi. Eustace sarà felicissimo di vedervi.”

Edmund ridacchiò e si abbassò per sussurrare all’orecchio della sorella.

“Sì… come il diavolo con l’acqua santa.”

Lucy si morse un labbro per non scoppiare a ridere. Ormai la tristezza per i commenti della zia era passata ed era tornata la solita gentile e spensierata Lucy. Mentre percorrevano il vialetto, gli occhi azzurri di Lucy vennero attratti da un movimento dentro alla casa vicina. La ragazzina si fermò per guardare meglio. Dietro alla tenda vide una ragazza più o meno della sua età, al massimo un anno più grande di lei. Lucy sorrise e mosse appena la mano per salutarla. La ragazza della casa accanto la guardò sorpresa per un attimo, ma alla fine sorrise anche lei. in quel momento zia Alberta arrivò dietro di lei colpendola piano alle spalle.

“Su, Lucy. Vuoi stare tutto il giorno qui?”

Lucy distolse lo sguardo dalla finestra e si sbrigò a fare quello che voleva la zia, raggiungendo in fretta Edmund che la aspettava davanti alla porta che zio Harold stava aprendo. Mentre stava per entrare Lucy si voltò ancora una volta e intravide di nuovo dietro la tenda la ragazza che aveva salutato. Lucy sorrise convinta che avrebbero potuto fare amicizia e scomparve dentro alla casa seguita a ruota dalla zia che chiuse la porta.

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Quando la porta si richiuse, la ragazza che Lucy aveva salutato spostò la tenda e guardò verso la casa chiedendosi chi potessero essere i due ragazzi che erano appena arrivati. Dietro di lei sentì il rumore dei tacchi della madre.

“Mamma… sai quanti figli hanno i vicini?”

La madre spostò una scatola sul tavolo e la affiancò. “Chi? I signori Scrubb?”

La ragazzina annuì. La madre sorrise passandole una mano tra i capelli.

“Prima non mi ascoltavi, Jill? I signori che ci hanno venduto la casa hanno detto che hanno un figlio. Perché?”

Jill si voltò verso la madre sorridendo. “Allora hanno degli ospiti. Sono appena arrivati un ragazzo e una ragazza che mi ha salutato.”

La madre inclinò la testa sorpresa. “Davvero? Beh… magari sono dei parenti. Ma quanto sei curiosa!”

La donna sorridendo colpì il naso della figlia che si voltò sbuffando fingendo di essersi offesa. La donna sorrise.

“Comunque lo scopriremo presto. Uno dei prossimi giorni andremo a trovarli. Così conoscerai anche loro figlio… magari va anche lui alla scuola in cui andrai tu. Dopotutto è sia per ragazzi che per ragazze.”

Jill alzò gli occhi al cielo senza farsi vedere dalla madre ripensando al ragazzo che aveva visto alla finestra e che le era sembrato piuttosto presuntuoso e arrogante. Dubitava di poter fare amicizia con un tipo simile… ma alla madre non glielo avrebbe mai detto: era troppo contenta per sminuirle il suo buon umore. Dopo un attimo si voltò di nuovo verso di lei sorridendo.

“Vado su a sistemare le mie cose nella mia nuova stanza. Anche Billy deve familiarizzare con la casa.”

La madre scosse la testa sorridendo. “Certo. Speriamo che Billy sia soddisfatto…”

Jill ridacchiò abbassandosi. “Billy… andiamo così poi puoi fare un giro.”

La ragazzina prese la gabbietta in cui il furetto zampettava fiutando l’aria e dando veramente l’impressione di voler uscire per sgranchirsi le zampe. Mentre saliva a due i gradini delle scale, Jill incrociò il padre che le fece una rapida carezza sulla guancia.

“Poi scendi a darci una mano, ok?”

Jill, arrivata in cima alle scale, si voltò sorridendo. “Certo.”

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Edmund e Lucy erano in piedi nell’atrio con le valigie in mano e si guardavano attorno quasi per controllare che Eustace non sbucasse fuori da qualche parte con uno dei suoi stupidi scherzi. Da lui ci si sarebbe potuti aspettare di tutto. Come quelle volta che casualmente era arrivato dalla cucina con una brocca piena d’acqua che poi, sempre casualmente, aveva rovesciato addosso a Susan e Lucy. E poi si era giustificato dicendo che voleva portarla in salotto immaginando che zii e cugini avrebbero avuto sete dopo il viaggio: non era certo colpa sua se erano arrivati all’improvviso e casualmente proprio nel momento in cui lui stava passando. Sembrava però che quella volta Eustace non ci fosse. Harold si avvicinò alle scale guardando verso l’alto.

“Eustace, scendi. Siamo arrivati. Vieni a salutare i tuoi cugini Lucy e Edmund.”

Edmund e Lucy si guardarono pensando la stessa cosa: perché Narnia non li chiamava in quel momento? Avrebbero preferito di gran lungo affrontare una guerra piuttosto che loro cugino. Quando sentirono dei passi si voltarono di scatto verso le scale. Eustace stava scendendo piano i gradini strascicando i piedi. Se qualcuno lo avesse visto, avrebbe pensato che lo stessero per portare al patibolo. Anche sulla faccia aveva dipinta un’espressione da funerale. Vedendolo Lucy sorrise per essere educata e per mostrarsi gentile mentre Edmund gli lanciò uno sguardo che significava io non ci casco. Quando fu vicino al padre, Harold gli posò una mano sulla spalla obbligandolo a fare più velocemente i pochi gradini che mancavano.

“Su, figliolo… non fare quella faccia. So che devi fare i compiti, ma potrai anche divertirti con i tuoi cugini. Non sarà così male questa prima parte dell’estate!”

Edmund, Lucy e Eustace, per la prima volta inconsapevolmente concordi, guardarono sbalorditi l’uomo che sorrideva chiedendosi se fosse tonto o se facesse finta di niente. Non c’era stata una volta in cui si fossero divertiti insieme i fratelli Pevensie e Eustace Scrubb, solo scherzi e dispetti: tutti lo sapevano… tutti tranne i coniugi Scrubb. In quel momento anche Alberta affiancò il figlio posandogli una mano sulla spalla.

“Tesoro… saluta i tuoi cugini e poi accompagnali nelle loro stanze.”

Eustace annuì come se gli avessero chiesto di baciare due rospi bavosi. Il ragazzo si avvicinò fermandosi ad una sicurezza di distanza dai due cugini che similmente si tenevano ad una distanza sostenibile da lui. I tre si guardarono studiandosi a vicenda. Per lunghi istanti nessuno dei tre si mosse, se non per il fatto che Eustace e Edmund ogni tanto si guardavano in cagnesco. Alla fine Alberta e Harold si allontanarono verso il salotto. La donna prima di sparire nella stanza si voltò sorridendo.

“Forza, sbrigatevi. E Lucy, quando hai finito di sistemare le tue cose, vieni in cucina così mi aiuti a preparare il pranzo.”

Detto questo la donna si eclissò nel salotto e i tre ragazzi rimasero soli. A quel punto Eustace allungò la mano per salutarli.

“Benvenuti… cugini.”

Edmund e Lucy rimasero immobili alternando lo sguardo tra la mano e il viso di Eustace. Il ragazzo sorrise angelico.

“Non vorrete che dica a mamma che siete stati scortesi e non mi avete voluto salutare!”

Edmund lo guardò male mentre Lucy si decise a salutarlo. Dopotutto era buona educazione, glielo aveva insegnato sua mamma. Così la ragazzina sorrise e gli strinse la mano.

“Ciao… Eustace.”

Non appena toccò la mano, Lucy la sentì umida. Di scatto la allontanò passandosela sulla gonna mentre Eustace iniziava a ridacchiare. Lucy non capì e guardò verso la gonna notando sconvolta una macchia bluastra proprio dove aveva passato la mano. Confusa si guardò la mano e la vide tutta blu d’inchiostro. A quel punto Eustace scoppiò a ridere iniziando a correre su per le scale.

“È troppo facile con te! Ci caschi sempre!”

Lucy abbassò la mano con un’espressione stupita, delusa e triste sul volto. Edmund invece lasciò cadere la valigia mettendosi a correre dietro al cugino.

“Brutto… se ti prendo!”

Lucy rimase immobile mentre sentiva i passi di corsa al piano superiore. All’improvviso sentì il rumore di una porta che si chiudeva, anzi sbatteva, e il rumore del pugno di Edmund che la colpiva una volta sola ma con decisione: un colpo di avvertimento, insomma.

“Tanto la dovrai aprire, lo so che devi dividerla con me! Stai solo rimandando la mia vendetta Eustace Clarence Scrubb!”

Sotto, Lucy sospirò sperando mentalmente che l’inchiostro andasse via in un modo o nell’altro dalla gonna e dalla mano. Scuotendo la testa prese la valigia iniziando a salire le scale. Arrivata a metà guardò fuori dalla finestra verso il cielo azzurro. Tristemente fissò le nuvole che pigramente la attraversavano.

“Mamma, papà… Peter… Susan… chissà cosa state facendo… quanto vorrei che fossimo lì con voi.”

Sconsolata Lucy sospirò ancora una volta. Poi riprese a salire e raggiunse il corridoio dove c’era anche Edmund. Il ragazzo si era seduto a braccia conserte contro la porta della stanza di Eustace e non dava l’impressione di volersi spostare da lì. La ragazzina si fermò a guardarlo. Edmund si voltò verso di lei sorridendo ma parlando forte in modo che anche Eustace da dentro la stanza lo sentisse.

“Io ho una pazienza formidabile quando voglio e sono un esperto di assedi. Ti prenderò per fame Eustace!”

Lucy sospirò e si avviò dalla parte opposta. Sapeva dove andare. Ogni volta che venivano lì, lei e Susan erano state messe nella stanza degli ospiti. L’unico lato positivo sarebbe stato quello, almeno per lei: almeno la notte sarebbe stata tranquilla. Ma sarebbe stato triste stare lì da sola: quante confidenze si erano scambiate distese sui letti, lei e Susan.

Quando entrò nella stanza i suoi occhi azzurri si mossero veloci per vedere se tutto era rimasto com’era. Lucy posò la valigia vicino al letto. Sembrava di sì: le pareti bianche, il letto, il comodino con la lampada… improvvisamente il suo sguardo cadde su un quadro appeso proprio di fronte al suo letto. Lentamente si avvicinò. Raffigurava una distesa quasi infinita di mare. Le onde create dal vento sembrava quasi vere e anche il cielo era stato dipinto così bene da sembrare reale. Lucy sorrise rincuorata. Non se lo ricordava, ma era felice che fosse stato appeso lì… avrebbe potuto immaginare di trovarsi là, a nuotare tra le sue onde cristalline.

“In nome dello sfavillante mare dell’Est, ecco a voi la Regina Lucy la Valorosa.”

Lucy sorrise sfiorando delicatamente la tela. Sì, sembrava proprio il mare di Narnia, il mare in nome del quale era stata incoronata. Quante volte lo avevano solcato fino alle Isole Solitarie. Se solo non fosse stato soltanto un dipinto… Ad un certo punto Lucy notò un piccolo puntino scuro all’orizzonte. Probabilmente era una nave, una nave che solcava le onde verso mete sconosciute e incredibili avventure. La ragazzina sospirò: tutto quello che a loro era precluso, costretti a stare a Cambridge. Improvvisamente sentì di nuovo rumore di passi concitati.

“Mostriciattolo dove scappi!”

“Guarda che chiamo mio padre!”

“Sì, chiamalo così gli mostro che cosa hai fatto a Lucy!”

Lucy si tappò le orecchie con le mani distendendosi sul letto. Chiuse gli occhi e cercò di ignorarli visualizzando nella mente i boschi e i prati di Narnia. Non sarebbe sopravvissuta a lungo in quel modo, sarebbe impazzita prima. Non senza Susan che le dava supporto… Dopo qualche istante Lucy abbassò le braccia lungo il corpo e aprì gli occhi a fissare il soffitto. Subito i suoi occhi azzurri corsero di nuovo al dipinto.

“Oh, ti prego Aslan… ti prego, fa che non sia così per tutto il tempo che staremo qui! Facci essere presto con Susan e Peter… ti chiedo solo questo, Aslan…”

A quel punto la ragazzina si alzò andando verso la porta: si era ricordata che la zia Alberta la voleva in cucina. Prima di uscire guardò la valigia e decise che l’avrebbe svuotata dopo. Sorridendo chiuse la porta a chiavi. C’era una cosa di zia Alberta che apprezzava: la donna era convinta che le ragazze dovessero poter difendere la loro privacy e avevano sempre la chiave della loro stanza anche quando veniva sequestrata ai ragazzi. Con uno come Eustace in giro, almeno poteva difendere le sue cose. Sorridendo si voltò per scendere le scale chiedendosi dove fossero finiti Edmund e Eustace.

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Susan e Peter erano immobili sulla banchina. I due si guardavano attorno con gli occhi sgranati e sentendosi piuttosto spaesati. Donne, uomini, bambini continuavano a passare loro davanti con valigie o in cerca di qualche congiunto. Quel posto era ancora più affollato del porto inglese da cui erano partiti. Susan si voltò verso la statua che si stagliava contro il cielo azzurro. Era maestosa. La Statua della Libertà… a scuola ne aveva sentito solo parlare. Una volta l’aveva vista su una foto sbiadita… vederla dalla realtà era così diverso. Guardarla ti faceva provare vertigini. Peter si voltò anche lui e guardò la statua.

“È maestosa… vero?”

Susan annuì. Non riusciva a parlare e si sentiva in colpa. Nonostante il dispiacere per il fatto che Lucy e Edmund non c’erano, non riusciva a non essere elettrizzata. E non solo perché tutto in quella città sembrava nuovo… da quel giorno in cui per pochi istanti aveva visto Caspian, si era sentita un po’ più leggera e serena. Sapere che sarebbe tornata a Narnia, in un modo o nell’altro, le dava una forza che non si era aspettata. Era una cosa che sentiva con il cuore… e che aveva promesso. Anche a costo di buttarsi da un ponte, se quello fosse stato l’unica via. Era così felice. E ripensare al bacio fugace che si erano scambiati la emozionava più di quanto l’avesse emozionata il ricordo del bacio scambiato a Narnia. Ma quello aveva avuto il sapore dell’addio, di un qualcosa che era destinato a finire per sempre… quel bacio invece… era l’inizio di qualcosa, l’inizio di un sogno che loro avrebbero trasformato in realtà, il primo capitolo di un futuro che avrebbero scritto insieme. Come poteva non sentirsi felice? Ora sapeva che era quello l’amore… stava imparando ad amare veramente e questo grazie a Caspian. Susan sorrise.

Peter guardò la sorella. Vedeva che c’era qualcosa di diverso. Era da mesi che cercavano di farsi coraggio a vicenda. Insieme avevano iniziato a credere in un loro ritorno a Narnia e insieme stavano affrontando la separazione da Lucy e Edmund… eppure Susan aveva qualcosa di diverso. Non sapeva neppure lui cosa… forse una luce nuova nello sguardo. Una felicità che gli teneva nascosta. E poi, da quel giorno sulla nave, la sua fiducia in un ritorno a Narnia era diventata incrollabile. Come sapesse che prima o poi sarebbe sicuramente successo… Peter sorrise. Ma forse non era diversa… era soltanto tornata la Susan di Narnia o almeno così a lui sembrava. Sì, sembrava veramente che stesse cercando di essere la dolce Regina che era stata a Narnia anche lì. Come avevano parlato appena partiti… poi però gli sorse un dubbio. Poteva in qualche modo centrare anche Caspian? Possibile che la sorella si fosse convinta che ritornando a Narnia avrebbe rivisto anche lui?

“Peter! Susan!”

I due ragazzi si voltarono venendo distolti dai propri pensieri. I genitori erano qualche metro più avanti e il padre stava facendo cenno di raggiungerli. Susan e Peter non se lo fecero ripetere e presero le valigie. Dopo pochi istanti arrivarono a fianco dei genitori e lì si accorsero che era arrivata una terza persona che riconobbero subito come l’amico del padre. L’uomo li guardava sorridendo e subito strinse la mano a Peter.

“Tu devi essere Peter. Tuo padre mi ha parlato un sacco di te. Diceva che in sua assenza se c’eri tu con i tuoi fratelli non si preoccupava.”

Peter sorrise leggermente imbarazzato ma visibilmente orgoglioso dei complimenti del padre. Gli occhi azzurri gli luccicavano. Susan sorrise.

Un attimo dopo, l’uomo lasciò la mano di Peter e fece un leggero inchino a Susan sempre sorridendo. Poi le prese la mano abbozzando un bacia mano.

“Tu invece devi essere la splendida Susan. Robert non faceva che decantare la tua bellezza e la tua gentilezza. E devo criticarlo, perché non ti rendeva merito.”

Susan sorrise imbarazzata voltandosi verso il padre. “Papà non ci vedeva da tanto…”

L’uomo sorrise e si voltò anche lui verso Robert.

“E gli altri due? Edmund e Lucy se non sbaglio.”

I due coniugi Pevensie sospirarono scambiandosi uno sguardo triste. Alla fine Robert tornò a voltarsi verso l’amico.

“Purtroppo non abbiamo trovato abbastanza posti, Dave.”

Helen annuì voltandosi a guardare verso il mare. “Ora stanno per un po’ da mia sorella a Cambridge.”

Dave li guardò comprendendo bene come si sentissero. Dopo un istante posò una mano sulla spalla di Robert sorridendo.

“Vedrai che staranno bene e che presto arriveranno qui a New York anche loro.”

Susan e Peter si scambiarono uno sguardo divertito: non era molto sicuri sulla prima affermazione dell’uomo. E in quanto alla seconda speravano vivamente che avesse ragione.

Finite le presentazioni e i saluti, il gruppo si allontanò dalla banchina e si diresse verso le strade di New York. Subito fuori dal porto, trovarono due automobili ad aspettarli. Davanti ad esse c’erano due persone: un uomo che assomigliava molto a Dave, stessi capelli neri e occhi castani, e un ragazzo con i capelli neri e gli occhi azzurri che poteva avere due-tre anni più di Peter e che vestiva con l’uniforme. I due, appena arrivarono, si fecero loro incontro sorridendo. Dave li raggiunse e si voltò verso i Pevensie.

“Loro sono mia fratello Stephen e mio nipote William. Sarete anche voi loro ospiti durante il vostro soggiorno.”

Mentre Dave faceva le presentazioni tra Stephen, Robert e Helen, William si avvicinò a Peter e Susan. Subito si accostò alla ragazza esibendosi in un elegante baciamano.

“William Evans, per servirvi.”

Susan sorrise. “Ti ringrazio. Io sono Susan Pevensie.”

William la guardò negli occhi sorridendo. “Non vi offendete se vi dico che siete bellissima?”

Susan arretrò di un passo arrossendo leggermente, imbarazzata dai complimenti del ragazzo. Sapeva benissimo di averne ricevuti moltissimi quando era Regina a Narnia, ma sentirseli dire dopo la promessa scambiata con Caspian… le sembrava di starlo quasi tradendo. Subito si stupì di quel pensiero rendendosi conto che ufficialmente tra lei e Caspian non c’era niente e che, in ogni caso, William si era dimostrato solo molto gentile nei suoi confronti. Sì, era stata sciocca a pensare una cosa simile: solo perché un ragazzo le faceva un complimento, non voleva mica dire che volesse corteggiarla.

In ogni caso in suo aiuto arrivo Peter che tese la mano verso William. Il ragazzo si voltò verso di lui e gliela strinse.

“Peter Pevensie.”

“William Evans.”

Peter lo squadrò cercando di capire quali intenzioni avesse quel tipo. Si era accorto degli sguardi che aveva lanciato a Susan. Doveva tenerlo d’occhio: gli bastava lo spasimante Narniano, non gli serviva certo quello americano. Per un attimo si accorse che in quel modo stava dando una mano a Caspian. Peter sollevò un sopracciglio. Che bello scherzo del destino… sperava solo che a Susan non venisse lo stesso pensiero: mancava solo che un giorno si dovesse sorbire i ringraziamenti del nuovo Re di Narnia.

William prese le loro valigie per sistemarle nel bagagliaio e Peter e Susan dedussero che avrebbero viaggiato nella sua macchina. Poco lontano i loro genitori stavano salendo sull’automobile di Stephen. Peter allora si sedette sul posto davanti mentre Susan si sistemò sui sedili posteriori.

Dopo qualche minuto le due automobili misero in moto e si avviarono lungo le strade di New York. Mentre le percorrevano Peter e Susan continuavano a guardare fuori dai finestrini osservando incuriositi le strade della nuova città. William sembrava piuttosto soddisfatto e quando passarono vicino ad un enorme giardino si voltò verso di loro sorridendo.

“Questo è Central Park. Se vuoi, Susan, un giorno ti porto a visitarlo.”

Susan annuì distrattamente osservando l’enorme parco che le ricordava tanto Hyde Park. Peter invece aveva lanciato un’occhiata contrariata a William che però sembrava non esserne accorto. Al biondo Pevensie non era sfuggito il passaggio dalla terza persona alla seconda nel rivolgersi a Susan che non faceva altro che confermare i suoi sospetti: aveva visto giusto, quel tipo stava cominciando a fare lo spasimante con Susan.

“Sei nell’esercito, William?”

Susan notò il tono di voce seccato di Peter che il ragazzo non era riuscito a mascherare e sorrise divertita. Anche William sembrava essersene accorto, ma fece finta di niente e annuì orgoglioso.

“Sono cadetto della Marina militare. A te piace il mare, Susan?”

Peter alzò gli occhi al cielo: eccolo che ricominciava. E lui che credeva che la persona più insopportabile fosse Eustace… Susan non riuscì a trattenere una risatina vedendo l’espressione del fratello ma arrivò a trattenersi e annuì.

“Sì, molto…”

Avrebbe voluto aggiungere come a Caspian ma si era trattenuta. Susan sorrise. Non sarebbero bastate ore di spiegazioni e Peter probabilmente l’avrebbe chiusa a chiave da qualche parte gettando poi via la chiave. William sorrise soddisfatto dalla risposta quasi vi leggesse un segno del destino. Peter si voltò verso la sorella lanciandole uno sguardo eloquente con cui le chiedeva di non dargli corda. Poi tornò a voltarsi verso William.

“Come mai hai scelto di entrare nell’esercito?”

William tornò a guardare davanti sorridendo. “Per rendermi utile alla nazione. Presto farò un periodo di addestramento sulle navi che pattugliano l’Atlantico.”

“Non hai paura che la nave affondi?”

Susan guardò Peter costernata da quella domanda. William invece alzò il mento fiero.

“Non ho paura. Noi soldati siamo pronti a morire per la nostra patria. Ma probabilmente voi non potete capire…”

Peter lo fulminò con lo sguardo e Susan si mise una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere. Se solo William avesse saputo… quante volte loro avevano messo la loro vita a repentaglio per Narnia e quante battaglie avevano affrontato. Prima però che Peter potesse ribattere qualcosa William svoltò dentro un viale che portava ad un elegante villino immerso in un enorme parco. Solo in quel momento Peter e Susan si accorsero di essersi lasciati alle spalle la città e di essere arrivati in un’area periferica. Qualche minuto dopo le due automobili si fermarono davanti alla scalinata d’accesso. Quando Peter e Susan scesero sentirono sorpresi l’odore del mare. Stupiti si guardarono attorno e alla fine fu William a rispondere loro mentre tirava fuori le loro valigie.

“Questa villa si trova vicino al mare. Siamo vicini alla foce del fiume Hudson. Se guardate tra gli alberi potete anche riuscire a vederlo.”

I due ragazzi si voltarono subito e lo scorsero. Peter sbuffò mentre Susan già immaginava le passeggiate in riva al mare a pensare a Caspian che stava veleggiando sui mari di Narnia.

“Queste le prendo io, non ti disturbare.”

La voce di Peter riportò Susan alla realtà. La ragazza si voltò e vide il fratello con in mano anche la sua valigia che stava dando le spalle a William che lo guardava senza capire il suo atteggiamento. Susan sorrise e in quel momento venne raggiunta da Peter.

“Susan, raggiungiamo mamma e papà.”

Susan annuì e i due ragazzi raggiunsero i genitori che stavano salutando la signora ?, moglie di Stephen e madre di William. Accanto a lei notarono però anche una ragazza dell’età di Susan che gli salutò sorridendo. Susan si avvicinò a Peter e gli sussurrò in un orecchio divertita.

“Devo fare io la sorella gelosa e protettiva ora?”

Peter la guardò sgranando gli occhi e iniziando a borbottare qualcosa mentre Susan scoppiava a ridere. Finalmente i due raggiunsero il gruppetto e lì vennero presentate loro la donna e la ragazza.

“Queste sono mia moglie Margaret e mia figlia Ann.”

Anche Susan e Peter si presentarono. La signora Evans sorrise.

“Sono felice di conoscervi. Spero farete amicizia con i miei ragazzi.”

Peter per fortuna non dovette rispondere perché Stephen guidò tutti dentro nell’atrio. La famiglia Pevensie si guardò attorno ammirata mentre gli altri sorridevano. Dopo un attimo Stephen riprese la parola.

“William e Ann accompagneranno i vostri ragazzi nelle loro stanze e Dave vi accompagnerà a voi, Robert. Quando vi siete sistemati scendete che così prendiamo il tè in giardino.”

Robert e Helen annuirono sorridenti e il gruppo si divise. I signori Evans si avviarono verso il giardino, mentre gli altri salirono le scale. Al piano superiore Robert, Helen e Dave svoltarono a sinistra mentre William, Peter, Susan e Ann svoltarono a destra. Fatti pochi metri i due ragazzi si fermarono mentre Ann fece segno di proseguire a Susan. Mentre apriva la porta della camera di Peter, William si voltò sorridendo verso Susan.

“Ci vediamo dopo, Susan.”

Susan annuì per mostrarsi gentile e seguì Ann. Quando svoltarono ad un angolo, la ragazza si voltò verso di lei ridacchiando.

“Tuo fratello non ha molta simpatia per il mio, vero?”

Susan non riuscì a mentire e annuì sorridendo. Ann tornò a girarsi saltellando.

“Poco fa credevo lo volesse strozzare!”

Susan sorrise un po’ imbarazzata. “Peter non è cattivo…”

Ann si voltò sorridendo. “Non ti preoccupare, non lo pensavo. So che mio fratello può essere un po’ insistente. Se ti da fastidio dimmelo che lo rimetto in riga.”

Susan scoppiò a ridere annuendo divertita. In quel momento arrivarono davanti ad una porta che Ann si affrettò ad aprire.

“La mia stanza dà sul tuo stesso terrazzo. Se hai bisogno di qualcosa vieni a bussarmi, ok?”

Susan annuì e Ann si allontanò agitando la mano. Quando rimase sola, Susan entrò lentamente nella stanza chiudendosi dietro la porta. Lentamente osservò la stanza. Era così ampia e spaziosa, che si sarebbero potute stare sia lei che Lucy. La ragazza si posò alla porta sospirando al pensiero dei due fratelli che si trovavano dall’altra parte dell’oceano. Dopo qualche istante, Susan si diresse verso la vetrata che dava sul terrazzo e lasciò la borsa vicino ad un tavolo su cui facevano bella mostra tutto il necessario per scrivere. Susan aprì le la porta vetri e uscì sul balcone. Subito il suo voltò venne illuminato da un meraviglioso sorriso. Da lì si riusciva a vedere benissimo la foce e il mare, mosso da una leggera brezza. La ragazza chiuse gli occhi posandosi alla pietra della balaustra. Che bello sarebbe stato stare lì la sera ed immaginare di trovarsi sullo stesso veliero di Caspian, magari abbracciati ad osservare la luna che si specchiava sulle onde. Susan aprì gli occhi azzurri che tornarono a fissare il mare.

“Sarebbe così bello Caspian… ma so che un giorno succederà. E allora non ti lascerò più.”

Susan sorrise. Peter poteva stare tranquillo. Potevano esserci anche decine di William pronti a farle la corte, ma non sarebbe cambiato nulla. Il suo cuore era già di Caspian. Ma non era convinta fosse quello che Peter avrebbe voluto…

Susan scoppiò a ridere e rientrò nella stanza per rinfrescarsi. Nel farlo sperò che il tè non durasse troppo perché doveva salire e scrivere una lettera a Lucy. Chissà come se la stavano passando a Cambridge… Susan sorrise dolcemente e chiuse i vetri. Sarebbe stato bello che Narnia li riunisse…

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Un vento leggero ma sostenuto gonfiava le vele porpora del Veliero dell’Alba che solcava leggero e veloce le onde del mare. I giorni passavano e Narnia era sempre più dietro le loro spalle e più vicine erano le Isole Solitarie. Il capitano Drinian era come sempre al timone e guidava con mani sicure la rotta della nave. E come sempre a quell’ora Caspian si trovava seduta sulla prua a forma di drago.

Il giovane Re dondolava svogliatamente una gamba giocherellando con il Corno d’Avorio che si portava sempre con sé. Ogni volta che i suoi occhi scuri lo vedevano, non riusciva a non sorridere. Erano passati alcuni giorni dal magico e inaspettato incontro con Susan ma la felicità che lo aveva pervaso non era ancora scemata. Anzi, più proseguivano sulla loro rotta, più si sentiva felice quasi potesse già scorgere Susan all’orizzonte che lo salutava sorridendo.

Improvvisamente Caspian venne distolto dai suoi pensieri dal rumore leggero di piccoli passi accanto a lui. Pochi istanti dopo vide Ripicì che si inchinava.

“Rip.”

“Vostra Maestà. Volevo solo avvertirvi che il Veliero dell’Alba prosegue sulla sua rotta senza nessun imprevisto.”

Caspian annuì sorridendo e si alzò lo sguardo verso l’orizzonte.

“Cosa pensi ci sia oltre l’orizzonte, Rip?”

Il topo salì svelto sulla testa del drago e fissò anche lui l’orizzonte. Per lunghi istanti non rispose e neppure Caspian disse altro. Alla fine Ripicì tornò a voltarsi.

“Da quello che so, Vostra Maestà, le Terre di Aslan.”

Caspian sorrise. “È quello che mi raccontava anche Cornelius. Sperò che sia così…”

Ripicì lo guardò interrogativo. Caspian lo guardò sorridendo.

“Mi piacerebbe veleggiare fino a lì, spingermi dove nessuno è mai arrivato.”

Rip annuì. “Sarebbe un onore per me seguirvi, Vostra Maestà. Ma temo che i vostri doveri vi reclamerebbero prima a Narnia.”

Caspian annuì poco convinto. Dopo un attimo Ripicì si allontanò rapido come era venuto e Caspian rimase solo. A quel punto tornò a guardare il corno e sorrise.

“Forse Rip ha ragione… ma ho anche un dovere verso il mio cuore. E se Narnia vuole una Regina, mia dolce Susan, dovrà pazientare che io ti venga a prendere… anche ai confini del mondo.”

Il giovane Re sorrise. Non avrebbe mai infranto la promessa che aveva fatto a Susan. L’avrebbe aspettata perché sapeva che lei sarebbe tornata. E forse l’avrebbe fatto anche senza quella certezza…

“Torna presto, Susan. Io sono qui.”

E con questo siamo a due! Devo ammettere che questa volta sono pienamente soddisfatta del risultato che ho ottenuto e spero vi piacerà. Ho messo un po’ tutto così nessuno è scontento! ^-^ Abbiamo visto l’incontro/scontro tra Eustace, Ed e Lu, abbiamo rivisto Jill, abbiamo seguito Susan e Peter nel loro arrivo in America, abbiamo fatto qualche nuova conoscenza e ho pure inserito Caspian. Sono stata brava? Secondo voi Caspian ha da preoccuparsi per William? XD
Per quanto riguarda Jill non ho ancora deciso chi le darà il volto… sono un po’ lenta quando bisogna prendere simili decisioni, ma spero di decidermi prima del prossimo capitolo. ;)
Cosa ci sarà nel prossimo capitolo? Non so bene neppure io. XD Devo ancora fare un po’ d’ordine ma sicuramente rivedremo nuovamente in azione Eustace per la “felicità” di Lucy e Edmund e probabilmente i tre conosceranno ufficialmente Jill. Per il resto vedremo…

Quindi passiamo ai ringraziamenti:

·         Per le recensioni del primo capitolo: Fly_My world, FrancyNike93, Martinny e SusanTheGentle

·         Per le seguite: Fly_My world, FrancyNike93, Serena VdW e SusanTheGentle

Con questo vi lascio dato che oggi non vi ho rotto le scatole all’inizio lasciandovi subito alla lettura del capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate e ovviamente un grazie anche a chi solo legge! ^-^

A presto, Hikari

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Una Normale Giornata in Casa Scrubb ***


Capitolo 3 -  Una Normale Giornata in Casa Scrubb

Susan sospirò di sollievo sedendosi alla scrivania della sua stanza. Si sentiva stanchissima. Un po’ per il viaggio, un po’ perché il tè con gli Evans era durato più di quanto prevedesse… si erano dimostrati degli ospiti di casa meravigliosi e si erano mostrati anche molto interessati a come si stava in Inghilterra, come andavano a scuola e mille altre cose. Per fortuna era riuscita finalmente a trovare il tempo per scrivere a Lucy. La ragazza guardò verso l’orologio posato sul tavolo e si rese conto che non aveva tempo da perdere. Poi doveva rinfrescarsi e cambiarsi per andare a cena. Aveva ancora indosso il vestito rosa a maniche corte che aveva messo appena finito di svuotare la valigia. La sera si stava avvicinando e l’aria cominciava a rinfrescarsi. Susan guardò verso la finestra da cui vedeva la distesa del mare che cominciava lentamente ad indorarsi per i raggi del sole che stava tramontando. Susan tornò a voltarsi verso la scrivania: avrebbe scritto la lettera e poi si sarebbe cambiata. Presa quella decisione, tirò fuori dal cassetto un foglio di carta e una penna. Sorridendo vergò per prima cosa l’indirizzo a cui si trovava e nell’angolo opposto la data: 24 giugno 1942. E cominciò a scrivere…

Cara Lucy, caro Edmund…

Poi Susan si fermò, abbassò la mano che teneva la penna e fissò il foglio bianco che aveva davanti. Improvvisamente le sembrava di avere la mente vuota. Erano successe così tante cose e così in fretta. E poi non voleva mostrarsi troppo entusiasta dell’America: sarebbe sembrata quasi una presa in giro nei loro confronti, confinati a Cambridge con Eustace. E doveva dire alla sorella quello che era successo sulla nave? Susan sospirò. No. O perlomeno non per lettera. Gli occhi azzurri di Susan cercarono la foto che aveva posato sulla scrivania. L’avevano fatta l’anno precedente, prima di andare di nuovo a scuola, prima di andare di nuovo a Narnia… erano tutti sorridenti. Sembrava quasi che sentissero quello che sarebbe successo dopo. Susan sorrise e si rimise a scrivere.

… Siamo appena arrivati in America. Il viaggio è andato bene. Vorrei che foste qui con noi. È una tale avventura, ma niente a che vedere con i nostri giorni a Narnia. Narnia… non passa giorno senza che io e Peter non ne parliamo. Speriamo tanto che Aslan cambi idea e ci permetta di venire a Narnia con voi, la prossima volta che vi chiamerà. Sarebbe bello. Io me lo sento, non so spiegarvi il motivo, ma dentro di me ne sono certa.

Susan sorrise. In realtà un motivo c’era... ma voleva tenerlo per sé, almeno per il momento. Quegli istanti con Caspian li avrebbe custoditi nel suo cuore, fino a quando si sarebbero rivisti.

Al porto siamo stati accolti dal fratello e dal nipote dell’amico di papà, Dave. Sono Stephen e William Evans. Staremo da loro finché saremo qui in America. La loro casa è una bellissima villa in riva al mare ed è questa la cosa più bella. Si può passeggiare sulla spiaggia e fingere che sia la spiaggia sotto Cair Paravel e che le onde che lambiscono la sabbia siano quelle del Mare Orientale. Se solo foste qui, sarebbe ancora più bello. Prego ogni giorno che voi ci possiate raggiungere presto… spero che la guerra non lo impedisca. Questo pomeriggio abbiamo preso il tè con la famiglia Evans e non sembra che la situazione sull’Atlantico stia migliorando. Anzi… sembra che gli attacchi tedeschi aumentino giorno dopo giorno. A quanto pare sembra siamo stati fortunati a prendere quella nave e ad arrivare in America sani e salvi. Temo che le nostre speranze non si avvereranno molto presto… anche secondo mamma e papà non potrete raggiungerci presto: sarebbe troppo pericolo e comunque sembra che d’ora in poi la traversata sia sconsigliabile, almeno per un po’. Sono tempi duri, però io e Peter continuiamo a sperare che si stiano sbagliando: né noi né soprattutto voi vogliamo che restiate settimane se non mesi a Cambridge.
Quasi dimenticavo, abbiamo conosciuto anche Margaret e Ann Evans. Sono la moglie e l’altra figlia del signor Evans. Anche loro sono state molto gentili con noi e vi salutano tanto. Ann ha più o meno la mia età e sembra molto simpatica: ha detto che qualsiasi cosa mi serva, posso chiedere a lei. Anche William è simpatico e molto gentile: è più grande di Peter ed è cadetto della Marina Militare. Credo si interessi a me.

Susan non riuscì a trattenere un sorriso divertito ripensando all’atteggiamento protettivo di Peter. A quanto sembrava Peter non riusciva proprio a far amicizia con i ragazzi che mostravano un qualche interesse per lei. Susan si voltò di nuovo ad osservare il mare. Affascinata posò il mento su una mano. A lei sarebbe bastato che Peter accettasse solo lui… chissà che cosa stava facendo Caspian in quel momento. Il rumore delle lancette la riscosse e Susan riprese a scrivere la lettera sorridendo divertita.

Peter non ne sembra molto contento. Dovevate vederlo. Credo si sarebbe comportato così se fossimo rimasti a Narnia… qualche volta dimentica che me la riesco a cavare da sola e che non ho bisogno di una guardia del corpo. William è molto carino, potrei dire affascinante, ma non credo di potermi mai innamorare di lui… non più per lo meno.
Adesso però voglio sapere come vanno le cose da voi. Gli zii sono insopportabili come sempre? E Eustace immagino si comporti anche lui come sempre… mi domando ogni volta che cosa gli abbiamo fatto: non credo si sia mai comportato in modo diverso con noi. Lucy, cerca di dire ad Edmund di avere pazienza. Nel complesso, spero che a Cambridge riusciate a sopravvivere. Cercate di essere forti e, quando proprio non ne potete più, pensate a Narnia e sarà come se fossimo di nuovo tutti insieme. Lo so che vi sembrerà strano questo consiglio, soprattutto dato da me che dopo il nostro primo ritorno da Narnia vi spronavo ad accettare la vita in Inghilterra. Probabilmente lo farei ancora, ma sono cambiata. Narnia è la cosa più bella che ci sia mai capitata, ora lo so: non cercherò mai più di dimenticarla, mai più.
Spero che questa lettera vi raggiunga presto e spero che presto riceveremo vostre notizie (navi permettendo): non vediamo l’ora. Io, comunque, vi scriverò il più frequentemente possibile per tenervi informati di ogni novità e, spero, per annunciarvi che presto verrete in America anche voi.
Mamma, papà e Peter vi salutano tanto. Baci e abbracci da parte di tutti noi: ci mancate.

                                                                                                                                    vostra Susan

Susan posò la penna soddisfatta e rilesse velocemente la lettera. Arrivata in fondo si rese conto di essersi dimenticata di scrivere una cosa importante. Rapidamente riprese la penna.

P.S. parlando di Narnia mi sono dimenticata di dirvi una cosa molto importante che riguarda papà. Vi ricordate che papà aveva detto che Dave aveva uno zio che lavorava al consolato britannico? Ebbene sembra che nelle università statunitensi manchino professori… credo abbiano chiesto l’aspettativa per potersi arruolare nell’esercito, non lo so. La cosa importante è che sono necessari dei sostituti e da quel che ho capito sembra che sia stata chiesta anche la collaborazione del consolato britannico per trovare dei supplenti. La notizia è questa: sembra che Dave abbia parlato di papà con lo zio che ha poi proposto il suo nome tra i candidati. È stato accettato! Lo abbiamo scoperto oggi al tè. Papà è felicissimo perché potrà tornare a fare ciò che ama e lo siamo anche noi perché così non dovrà essere richiamato. Comincerà domani e sembra che avrà un sacco di lavoro da fare: corsi, letture… non è meraviglioso? Spero che ne sarete felici come lo siamo noi. Ancora tanti saluti.

Sì, ora andava bene. Susan sorrise soddisfatta. Piegò la lettera e la infilò nella busta su cui scrisse in modo chiaro l’indirizzo di Cambridge. Fatto. Susan si alzò e si stiracchiò. Aveva finito appena in tempo. La stanza stava diventando scura. Accese la luce e guardò l’orologio. Aveva giusto il tempo di rinfrescarsi e cambiarsi. Prima si andare in bagno, Susan lasciò in bella vista la lettera. Così la mattina dopo l’avrebbe potuta dare al padre in modo che la spedisse dato che andava in città.

A quel punto Susan andò verso l’armadio e dopo qualche istante di indecisione prese un abito verde chiaro con le maniche leggermente più lunghe e un disegno di piccoli fiori bianchi, neri e verdi. In realtà era un po’ scolorito ma se lo doveva far bastare: in Inghilterra con i buoni e il razionamento non era più così facile andarsi a comprare un nuovo vestito. Susan alzò le spalle e scosse i capelli scuri che le ricadevano le spalle. Per lunghi istanti si fissò allo specchio indecisa su come raccoglierli. Prima se li era lavati ed erano ancora mossi. Improvvisamente sorrise. Prese un piccolo codino scuro con cui legò pochi capelli raccolti ai lati del viso. Alla fine ammirò il risultato sorridendo. Era quasi la stessa pettinatura che aveva avuto l’ultimo giorno a Narnia. Sorrise.

Improvvisamente sentì qualcuno bussare alla porta. Rapidamente si voltò.

“Avanti.”

Quando la porta si aprì, fece capolino la testa di Peter. “Posso entrare?”

Susan annuì e posò la spazzola sul cassettone. Peter venne avanti guardandosi attorno.

“Anche la mia camera è così grande. Mi sembra strano starci da solo…”

Susan sorrise dolcemente. Provava anche lei la stessa sensazione di Peter. Per loro, abituati a dormire insieme a Lucy e Edmund, era veramente difficile pensare che quelle stanze enormi fossero solo per loro.

“Sembra strano anche a me. Anche se a Narnia avevamo ognuno di noi stanze ancora più belle e grandi…”

Peter si voltò verso di lei sorridendo divertito. “Sì, ma eravamo Re e Regine.”

Susan sorrise di nuovo. “Hai ragione…”

Gli occhi di Peter vennero attratti dalla busta posata sul tavolo. Si avvicinò e la prese delicatamente tra le dita. Quando lesse l’indirizzo scritto sopra, storse il naso. Susan vedendolo ridacchiò. Peter tornò a voltarsi verso di lei.

“Hai già scritto a Lucy e Edmund?”

Susan annuì e riprese la lettera, tornando a riposarla di nuovo vicino alla loro foto.

“Sì. Le avevo promesso che lei avrei scritto sempre. Voglio far sentire loro che gli siamo vicini, anche se qui in America.”

Peter sorrise e posò una mano sulla spalla della sorella.

“Ero venuto a chiederti se eri pronta. Mamma, papà e gli Evans ci stanno aspettando.”

Susan si voltò sorpresa. “Sono già scesi tutti?”

Peter annuì e sbuffò. “Sì. Pensa che William mi ha chiesto più di una volta se eri scesa. Probabilmente teme che torni a nuoto in Inghilterra. Sinceramente mi veniva voglia di dirgli che eri veramente scappata… poi mamma mi ha detto di venire a chiamarti.”

Susan scoppiò a ridere e si strinse ad un braccio del fratello.

“Non ti preoccupare. Per me William potrà essere solo un amico.”

Peter la squadrò chiedendosi che cosa sottintendesse quella frase. Sperò ardentemente che Susan non fosse ancora innamorata di Caspian, non perché voleva essere cattivo ma perché non voleva che la sorella si illudesse e poi soffrisse se un giorno fossero tornati a Narnia. Alla fine però si obbligò a sorridere: non voleva che i suoi dubbi intristissero Susan che sembrava essere riuscita finalmente a riacquistare la serenità.

“Non so se in questo modo mi rassicuri molto…”

Susan scosse la testa ridendo. I capelli le ondeggiarono attorno al viso e a Peter sembrò proprio di rivedere la Regina Susan. Il ragazzo sorrise dolcemente mentre la mente si riempiva di ricordi. Dopo un attimo Susan iniziò a camminare verso la porta e Peter si riscosse e la seguì.

“Forza, Peter. Non facciamoli aspettare… o crederanno che siamo fuggiti a nuoto in due.”

Peter scoppiò a ridere e si richiuse la porta alle spalle.

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Un fresco venticello muoveva le tende bianche della stanza di Lucy. La finestra, leggermente aperta, lasciava passare, oltre che l’aria mattutina, anche la luce. La ragazzina si mosse tra le coperta e dopo un paio di minuti Lucy aprì gli occhi. Per alcuni istanti i suoi occhi azzurri vagarono spaesati da un angolo all’altro della stanza che le sembrava così poco familiare. Lucy si tirò a sedere e alla fine ricordò: primo risveglio in casa Scrubb. Un sospiro triste le uscì dalle labbra. Le prime mattine erano le peggiori, perché non realizzavi subito che eri in casa Scrubb e non nella cameretta in casa Pevensie. Ed era ancora peggio i giorni in cui, come quell’occasione, sognavi di essere tornato a Narnia. Lucy si voltò verso la finestra. Da dietro le tende si sentivano i cinguettii degli uccellini e si vedeva un bel cielo azzurro. Forse la giornata non sarebbe stata così male… anche se più che le condizioni climatiche, bisogna tenere in conto il fattore Eustace. Chissà quanti scherzi aveva macchinato il loro cugino durante la notte…

Lucy scosse la testa e sorrise. “Giù dal letto, Lucy! Basta poltrire.”

Senza altri indugi, la ragazzina uscì da sotto le leggere coperte e indossò le pantofole. Dopodiché si alzò e andò alla finestra. Con un solo gesto spalancò i vetri e si sporse fuori inspirando ad occhi chiusi l’aria frizzante della mattina. Quando tornò a voltarsi verso la stanza, il suo viso era illuminato con un bellissimo sorriso: doveva essere ottimista.

Sempre sorridendo si diresse verso il cassettone su cui aveva lasciato le cose per lavarsi. Passò davanti al quadro che aveva ammirato il pomeriggio prima lanciandogli un’occhiata distratta. Arrivata davanti al comò, però, si fermò e la sua espressione divenne pensierosa e subito dopo perplessa. Rapidamente fece un paio di passi indietro e si fermò davanti al quadro fissandolo attentamente. Sbattendo le palpebre sorpresa sfiorò con le dita la superficie ruvida del dipinto fermandosi sopra il puntino scuro che lei aveva immaginato essere una nave che veleggiava verso terre sconosciuto.

“Ieri non eri così grande…”

La sua voce uscì in un sussurro emozionato. Per un attimo credette potesse essere magia… quella magia. Poi però scosse la testa sorridendo amaramente. Probabilmente si stava inventando tutto lei. Dopotutto non è che fosse tanto più grande della prima volta che lo aveva visto. Aver sognato Narnia quella notte, le stava facendo brutti scherzi. Sì, doveva essere solo una sua illusione. E poi quando andavano a Narnia, succedeva tutto in un istante… Si tornò a voltare per andare a lavarsi ma si fermò ancora una volta, fissando tristemente il quadro.

“Ma sarebbe così bello…”

A quel punto Lucy scosse la testa e sorrise di nuovo. Non doveva voler affrettare le cose. Aslan lo aveva promesso… sarebbero tornati. Le tornarono in mente le parole del professor Digory, quelle che lui le aveva detto quella lontana notte di due anni prima quando aveva cercato di tornare a Narnia attraverso l’armadio e lei gli aveva chiesto se sarebbero mai tornati lì.

“Penso di sì, ma è probabile che capiti quando meno te lo aspetti. Comunque meglio tenere gli occhi aperti.”

Lucy non poté che sorridere e ripensare con affetto al professore. Aveva ragione. Bisognava essere pazienti e tenere gli occhi aperti. Magari anche guardando ogni giorno un quadro che rimaneva sempre lo stesso. E un giorno sarebbe successo… all’improvviso sarebbero stati a Narnia.

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Nel momento in cui Lucy chiuse la porta e in cui stava per voltarsi verso il corridoio, un gridò risuonò per tutta la casa, seguito dal rumore di oggetti che cadevano sul pavimento.

“Eustace Clarence Scrubb!!!”

Lucy sbattè gli occhi per la sorpresa, quasi sobbalzò per quanto era stata colta alla sprovvista. Vide il cugino fiondarsi giù per le scale ridendo come un matto dopo aver lasciato cadere a terra una maglia. Poi sentì altri rumori. Improvvisamente si riscosse e si mise a correre preoccupata verso la stanza.

“Edmund!”

La ragazzina si fermò sullo stipite guardando dentro la stanza. Edmund era seduto a terra. Con una mano si teneva la fronte e con l’altra si slacciava rabbiosamente le spighette delle scarpe.

“Se lo prendo… se questa volta lo prendo, per lui è finita… questa volta me la paga, lo giuro!”

Gli occhi azzurri di Lucy vagarono confusi per terra dove c’erano alla rinfusa tutti gli oggetti che prima dovevano essere stati sulla scrivania di Edmund. Poi tornò a guardare il fratello.

“Edmund… va tutto bene?”

Solo in quel momento il ragazzo sembrò accorgersi della presenza della sorella. La rabbia sembrò attenuarsi un po’, ma gli occhi scuri continuavano a lanciare scintille quasi cercassero la loro preda. Finalmente dopo qualche istante Edmund si alzò continuando a massaggiarsi la fronte. Lucy entrò e iniziò a raccogliere gli oggetti da terra. Il ragazzo la aiutò con la mano libera.

“Grazie, Lu.”

Lucy posò l’ultimo libro sulla scrivania e lo guardò interrogativa. “Mi spieghi che cosa è successo?”

Edmund sbuffò sedendosi sul letto e guardando truce il letto del cugino come se Eustace vi ci fosse seduto. Alla fine guardò la sorella.

“Mi verrà un bernoccolo grande come il cervello di quello stupido di nostro cugino!”

Lucy continuava a guardarlo senza capire. Edmund rimase mutò per alcuni secondi e poi sorrise furbescamente.

“Beh… pensandoci allora non sarà tanto grande!”

Lucy scoppiò a ridere sedendosi accanto al fratello e tirandogli un pugno amichevole sulla spalla. La ragazzina cercò di mostrarsi indignata ma non riusciva a smettere di ridere. Anzi dovette asciugarsi anche una lacrima per quanto rideva.

“Edmund! Non dovresti dirle certe cose cattive!”

Edmund alzò le spalle. “Se le merita tutte quella serpe formato ragazzo che dorme in camera con me! Ma lo sai che cosa si è inventato stamattina?”

Lucy sgranò gli occhi. “Ma sono cinque minuti che te lo chiedo!”

Edmund sorrise e indicò le scarpe che aveva ai piedi.

“Allora, mi ero appena seduto sul letto per finire di vestirmi e mettermi le scarpe… quando ecco che sbuca fuori nostro cugino. Sorrideva come un ebete e mi continuava a fissare.”

Lucy incrociò le braccio. “Ed, essere fissati è fastidiosi… ma non è un crimine!”

Edmund le fece cenno di aspettare e riprese a raccontare.

“Mi sembrava che tenesse qualcosa dietro le spalle, ma non ci ho fatto caso e gli ho detto di sloggiare dato che era già vestito. Lui è andato vicino alla porta senza fiatare. E poi si è fermato continuando a ghignare.”

Edmund si voltò verso il cugino guardandolo in cagnesco. “Ma non hai niente di meglio da fare? Aria!”

Eustace ridacchiò tirando fuori qualcosa da dietro le spalle e sventolandola davanti a sé.

“Ok, in questo caso però la tua maglia viene con me!”

Edmund alzò lo sguardo e riconobbe tra le mani del cugino il proprio maglioncino blu scuro. Sentì la rabbia ribollirgli dentro.

“Mettilo subito giù, Eustace!”

Eustace la appallottolò e la strinse tra le mani. “Scordatelo! Se lo rivuoi, devi venirtelo a prendere!”

Gli occhi di Edmund lampeggiarono e il ragazzo si alzò in piedi infilandosi, senza guardare, le scarpe.

“Io ti avevo avvertito Eustace!”

Eustace arretrò per nulla spaventato. Sembrava sfidarlo. Edmund non ci vide più e cercò di corrergli incontro. Non aveva fatto neanche un passo che si sentì i piedi bloccati. Colto alla sprovvista, riuscì appena in tempo ad impedirsi di rompersi la testa sulla scrivania. Mentre cadeva insieme a tutto ciò che fino ad un attimo prima c’era sulla scrivania, vide Eustace correre via correndo.

“Eustace Clarence Scrubb!”

“E questo è quanto.”

Lucy lo guardò preoccupata. “Sei sicuro di stare bene? Hai sbattuto forte la testa? Dovremmo dirlo a zia Alberta…”

Edmund scosse la testa e si alzò in piedi. “No, ma se questa volta pensa di passarla liscia si sbaglia di grosso! E parlare con gli zii è inutile: come parlare con un muro…”

Lucy sospirò. “Non esagerare Ed…”

Edmund la guardò indignato. “Io esagero? Vallo a dire a Eustace! Altro che piaghe d’Egitto, altro che Attila! Eustace mi farà diventare matto!”

Lucy sorrise andando verso la porta. “Cerca di resistere… dai, andiamo a fare colazione.”

Edmund annuì sebbene ribollisse ancora di rabbia. La sua mente però stava già cercando un modo per vendicarsi del cugino.

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Pochi minuti dopo erano tutti seduti in cucina attorno al tavolo per fare colazione. Edmund e Lucy erano seduti accanto e Eustace era davanti a loro. I due ragazzi continuavano a lanciarsi sguardi assassini mentre Lucy cercava di non vederli. In quel momento entrò zia Alberta con un sorriso a trentadue denti.

“Buongiorno!”

Eustace si voltò sorpreso verso la madre. “Credevo fossi già andata al circolo delle volontarie che aiutano la Croce Rossa…”

La donna gli venne vicino e gli scompigliò i capelli.

“Oggi no, tesoro. Ho preso una mezza giornata di permesso.”

Edmund e Lucy la guardarono sospettosi: speravano di non essere loro la causa di quel permesso. Eustace, dal canto suo, non sembrava neppure lui molto entusiasta: nuovi vicini e permesso della madre non promettevano nulla di buono. Zia Alberta sorridendo andò verso il frigorifero dove prese una bottiglia di succo di frutta. Edmund ne approfitto subito. Eustace non ebbe neppure il tempo di accorgersene: il piede di Edmund gli arrivò sullo stinco della gamba destra troppo veloce e inaspettato. Eustace saltò quasi sulla sedia mordendosi un labbro per non urlare: non avrebbe mai dato quella soddisfazione al suo odioso cugino. La madre tornò a voltarsi in quel momento e lui dovette abbozzare un sorriso. Zia Alberta non sembrò far molto caso alla sincerità del sorriso del figlio e si voltò verso Edmund e Lucy.

“Edmund, Lucy appena avete finito di fare colazione dovete andare a fare la spesa. Sul mobile dell’entrata ci sono la lista, i soldi e i buoni.”

Edmund e Lucy si guardarono sospirando. Eustace si voltò verso la madre dimenticandosi il dolore della gamba.

“Non dovrò andare con loro anche io, spero!”

Alberta si voltò verso di lui scuotendo la testa. Eustace sospirò di sollievo: ma cantò vittoria troppo presto...

“No, tu no, Eustace. Devi essere a casa perché tra un po’ vengono a trovarci la nostra nuova vicina con la figlia.”

Eustace fece una faccia inorridita che Alberta non notò perché si era già diretta verso il salotto. Edmund ridacchiò divertito. La voce della zia arrivò dall’altra stanza.

“Te lo avevo già detto che verrà nella tua stessa scuola? Ieri sera che ho controllato il giardino mi sono fermata a fare due chiacchiere con al signora Pole. Le ho detto che se la figlia ha qualche problema a scuola i primi tempi o per sapere il programma svolto fino ad adesso, può chiedere a te. Tu sei così bravo… non è stata un’ottima idea?”

Eustace rimase con la bocca spalancata sbiancando. Non bastavano i suoi cugini… anche la vicina ci voleva! Ma che cosa aveva fatto di male nella sua vita? Sì, non sarebbe sopravvissuto a quell’estate. La migliore delle ipotesi era un internamento a vita in qualche manicomio. Alzando lo sguardo vide Edmund e Lucy che cercavano di ridere senza far rumore. Eccoli i suoi cugini, sempre pronti a divertirsi della disgrazie altrui. Che persone orribili che erano…

Zia Alberta fece la sua ricomparsa nel soggiorno.

“Allora, avete finito?”

Lucy e Edmund si alzarono di scatto annuendo. Edmund, uscendo dalla stanza, tornò a voltarsi.

“Noi tra poco andiamo, allora… zia Alberta.”

Eustace lo fulminò con lo sguardo e dentro lo invidiò. Perché il suo odioso cugino poteva essere libero di uscire e lui no? Rinchiuso in quella casa ad aspettare di conoscere una nuova arpia che sua madre voleva che aiutasse! La donna lo raggiunse e gli diede un buffetto sulla guancia.

“Su, Eustace. Preparati. Saranno presto qui.”

Eustace si alzò e per poco non cadde a terra per la fitta di dolore che sentì sulla gamba. Se lo era dimenticato… Eustace si voltò con uno sguardo rabbioso verso il soffitto: suo cugino gliela avrebbe pagata.

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Lucy e Edmund si prepararono in un batter d’occhio. Eustace si era appena deciso ad uscire dal soggiorno che i due ragazzi sorridendo scesero le scale. Mentre Lucy prendeva la lista, i soldi e i buoni e li metteva nella borsa che aveva a tracolla, Edmund e Eustace si squadrarono come se fossero sul punto di sbranarsi. Improvvisamente si sentì bussare alla porta. I tre ragazzi si voltarono di scatto verso la porta. Un secondo dopo arrivò di corsa zia Alberta. La donna si sistemò il vestito mentre raggiungeva la porta borbottando agitata.

“Sono già qui… sono tutta in disordine… arrivo!”

L’ultima parola venne pronunciata dalla donna in tono molto più alto mentre si sistemava i capelli guardandosi allo specchi appeso alla parete. Finalmente, zia Alberta sfoggiò il sorriso delle grandi occasioni e aprì la porta. Dietro ad essa apparvero una donna con i capelli biondi raccolti e pochi passi indietro una ragazzina dell’età di Eustace con i capelli biondo-castani che guardò dentro alla casa incuriosita. Quando incrociò lo sguardo di Lucy, sorrise. Per fortuna pensò, Jill, almeno c’è anche lei. I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di zia Alberta che le venne vicino per baciarle le guance dopo aver salutato la madre.

“Tu così, sei Jill Pole… sei una ragazzina molto carina. Tu e Eustace andrete d’accordissimo!”

Jill e Eustace si guardarono per poi distogliere lo sguardo con lo stesso pensiero: neanche un po’. Nello stesso momento la signora Pole salutò i tre ragazzi all’interno, sorridendo anche verso Edmund e Lucy.

“Chi dei due ragazzi è suo figlio Eustace?”

Zia Alberta fece due passi indietro e prese Eustace per le spalle facendolo avanzare.

“Lui è Eustace. Loro sono solo i miei nipoti, Edmund e Lucy Pevensie. Stanno con noi finché i loro genitori e i fratelli maggiori sono in America. Purtroppo oggi si sono offerti per andare loro a fare la spesa. Magari un’altra volta sua figlia potrà conoscere un po’ meglio anche loro…”

Edmund e Lucy sgranarono gli occhi: ora si capiva quali erano i piani della zia. Non li voleva tra i piedi: offerti, strano modo di definire chi è stato costretto. A quanto pare la zia sembrava vergognarsi di loro. Del resto neppure Jill faceva i salti di gioia al pensiero che ci sarebbe stato solo quell’arrogante. Non ci poteva fare niente… le stava antipatico a pelle. Per non pensarci cercò di memorizzare i nomi degli altri due che le sembravano molto più simpatici. Improvvisamente sentì qualcosa muoversi nella tasca della borsetta che aveva a tracolla. Sgranò gli occhi e con le mani cercò di far rimanere dentro una testina scura che cercava di sbucare fuori.

“Billy, no!”

Di scatto Jill si voltò verso la madre per vedere se l’aveva sentita. Fortunatamente la signora Pole stava ancora parlando con la signora Scrubb. Jill tirò un sospiro di sollievo: sua madre non voleva che lei si portasse dietro il furetto, soprattutto quando andavano a casa di altre persone. Ma era più forte di lei, le dispiaceva così tanto lasciarlo solo nella gabbietta. Quando alzò lo sguardo, dopo esser riuscita a ricacciare dentro Billy, Jill incrociò gli occhi azzurri di Lucy. Di scatto alzò un dito davanti la bocca per farle capire di non dire niente. Lucy rimase immobile per alcuni istanti e alla fine sorrise annuendo piano. Jill sorrise: sì, decisamente più simpatici.

In quel momento zia Alberta si voltò verso Lucy e Edmund.

“Edmund, Lucy, cari, andate pure altrimenti troverete fila.”

I due ragazzi annuirono e uscirono salutando gentilmente la signora Pole che sorrisero loro. Mentre la donna entrava chiacchierando con zia Alberta, Lucy si fermò vicino a Jill che aveva aspettato a seguire la madre. Le due sorrisero.

“Lucy.”

“Jill.”

Lucy abbassò lo sguardo sulla borsa sorridendo divertita. Jill sorrise.

“È Billy, il mio furetto. Mi dispiaceva lasciarlo a casa solo. Non dirlo a mia madre!”

Lucy portò un dito alla bocca sorridendo. Un attimo dopo Jill venne chiamata dalla madre. La ragazzina raggiunse la porta e lì si voltò ancora una volta verso Lucy muovendo la bocca senza parlare per non far sentire alla madre.

“La prossima volta te lo presento.”

Lucy annuì sorridendo e raggiunse Edmund che la aspettava sul vialetto davanti alla casa. I due ragazzi si avviarono mentre Jill entrò nella casa e chiuse la porta.

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Lucy e Edmund si facevano largo tra le botteghe. La ragazzina teneva fissò lo sguardo sulla lista guidando il fratello di negozio in negozio. Edmund, dal canto sua, la seguiva annoiato portando le borse contenenti le cose già comprate. Improvvisamente la ragazzina si fermò davanti al fruttivendolo e si voltò verso il fratello.

“Entro e prendo quello che serve. Vieni con me?”

Edmund scosse la testa sedendosi su una panchina. “No, tranquilla. Ti aspetto qui.”

Lucy annuì e scomparve tra le persone che si accalcavano nel piccolo negozietto. Edmund si posò con la schiena alla panchina e guardò il cielo azzurro su cui si muovevano pigre alcune nuvole. Pochi istanti dopo passò un aereo che scomparve dietro ad un tetto. Edmund tornò ad abbassare lo sguardo e i suoi occhi scuri si posarono su un manifesto. Molte vie erano piene di quei manifesti propagandando l’arruolamento volontario per proteggere la patria. Edmund lo fissò per lunghi minuti mentre nella sua testa cominciavano a frullare strane idee. Lui era un Re, aveva guidato eserciti, combattuto decine di battaglia. Chi più di lui era adatto ad arruolarsi? Certo non avrebbe avuto ancora l’età, ma aveva l’esperienza. E poi avrebbe fatto qualsiasi cosa per andarsene da Cambridge, lontano dall’odioso cugino. Senza contare che finalmente avrebbe dimostrato anche ai genitori di valere quanto Peter nonostante fosse più piccolo. Improvvisamente i suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo di Lucy che teneva tra le braccia uno sacchetto di carta pieno di ortaggi. Subito Edmund si alzò.

“Purtroppo le carote sono finite. Il fruttivendolo non sa quando arriveranno. Ho dovuto comprare più rape.”

Edmund annuì distrattamente continuando a pensare all’idea che gli era venuta. Doveva riuscire a prendere il documento di zio Harold: un po’ di faccia tosta e il grosso era fatto. Velocemente guardò ancora una volta il manifesto memorizzando l’indirizzo a cui doveva andare: per fortuna era proprio da quelle parti. Poi raggiunse Lucy che si stava avviando verso casa. Quando la raggiunse, Lucy si voltò verso di lui.

“La prossima volta dobbiamo ricordarci di prendere la bicicletta… così almeno non dovremo riempirci di borse come facchini.”

Edmund annuì ripetendosi mentalmente l’indirizzo. Lucy continuò a camminare sorridendo.

“Come ti è sembrata Jill?”

Edmund la fissò senza capire. “Chi?”

Lucy gli rivolse uno sguardo di rimprovero. “Mi ascolti? Jill, la figlia dei nuovi vicini. La ragazzina che è venuta oggi a casa.”

Edmund annuì ricordandosi. “Sì, scusa. Ero distratto. Beh… mi sembrava a posto.”

Lucy sorrise. “Secondo me è molto simpatica. Sono sicura diventeremo amici. Ha un furetto, si chiama Billy. La prossima volta ha detto che me lo mostra.”

Edmund annuì tornando a pensare a quella che, ormai, ogni minuto di più gli sembrava la sua unica ancora di salvezza: l’arruolamento.

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Eustace aprì di malavoglia la porta della propria stanza e si sedette sbuffando sul letto.

“Questa è la mia camera. La divido con mio cugino. Se vuoi dare un’occhiata ai libri di scuola, cerca di darti una mossa.”

Detto questo Eustace si distese sul letto mettendosi a fissare il soffitto. Jill lo guardò per un attimo e poi scosse la testa. A quel punto posò la borsa sul bordo del letto di Eustace e iniziò a sfogliare uno dei libri di Eustace. Dopo un attimo si volò verso di lui sorridendo ironica.

“Non dovresti essere tu a mostrarmeli?”

Eustace sbuffò un’altra volta e alzò le spalle. “Non penso che tu sia incapace di guardare un paio di libri da sola. Ti ho fatto venire qui solo perché me lo ha detto mia madre.”

Jill sbuffò e tornò a voltarsi: antipatico. Non riusciva a descriverlo in nessun altro modo. E pensare che aveva cercato di non partire prevenuta, per fare un piacere a sua madre. Ma a quanto pare era inutile. Eustace praticamente la ignorava, quasi lo avesse obbligato lei a incontrarla. Figuriamoci, lei ne avrebbe fatto anche a meno. E nella nuova scuola se la sarebbe cavata benissimo da sola. Le urla di Eustace la colsero all’improvviso e Jill si voltò di scatto. Eustace era saltato in cima al letto e stringeva il proprio cuscino indicando tremante qualcosa ai piedi del letto.

“Un topo! Un topo! Un grosso e orribile ratto peloso!”

Jill sgranò gli occhi correndo verso il letto. “Billy!”

La ragazzina si inginocchiò vicino al letto e tese le braccia. Subito il furetto le corse sulle mani. Jill si rialzò e strinse l’animaletto al petto iniziando a cullarlo. Lanciò uno sguardo duro a Eustace che solo in quel momento si tornò a sedere guardandola disgustato.

“Che schifo! Hai un ratto come animale da compagnia!”

Jill lo fulminò con lo sguardo. “Non è un ratto! Billy è un furetto. E piantala di urlare! Lo hai spaventato a morte.”

Eustace sgranò gli occhi per l’indignazione.

“Io ho spaventato a morte lui? Guarda che sono io che mi sono ritrovato un ratto sulle coperte!”

Jill si voltò offesa. “Billy non è un ratto!”

Eustace la guardò con una smorfia. “E poi che razza di nome è Billy?”

Jill tornò a voltarsi fulminandolo di nuovo con lo sguardo.

“Billy è un bellissimo nome! E poi parli tu che ti chiami Eustace Clarence! Mai sentito un nome più brutto!”

Eustace si alzò punto sul vivo. “Senti mettiamo le cose in chiaro: non mi state simpatici né tu né il tuo ratto o che cosa cavolo è. Ci siamo capiti?”

Jill sorrise ironica e si voltò dall’altra parte. “Se è per questo neanche tu mi stai simpatico! E Billy è un furetto. Fu-ret-to.”

Eustace, ignorando il tono con cui Jill aveva scandito l’ultima parola, incrociò le braccia e sorrise soddisfatto, voltandosi anche lui dalla parte opposta di Jill.

“Benissimo. Come ti pare. Almeno su questo andiamo d’accordo. Quindi, quando servirà faremo finta di andare d’accordo così le nostre madri saranno contente. Per il resto…”

Jill si avviò verso la porta dopo aver preso la borsa in cui fece tornare Billy.

“Per il resto è come se non ci conoscessimo.”

Eustace annuì contento. “Perfetto. Possiamo tornare giù.”

Jill nel frattempo era già uscita dalla stanza maledicendo la sua sfortuna che le aveva fatto trovare un vicino che più antipatico non si poteva. Secondo suo padre sarebbe stata una bellissima avventura venire in quella nuova casa, lei per il momento non ci vedeva niente di bello. Se non che almeno i due cugini di Eustace, Edmund e Lucy, sembravano persone normali e simpatiche. Ardentemente sperò che le cose, i giorni successivi, migliorassero…

Eccomi qua… chiedo immensamente scusa per il ritardo con cui ho aggiornato questo capitolo! Spero che mi perdoniate! Purtroppo avevo sempre un sacco di cose da fare e non trovavo mai un attimo per scrivere. Comunque alla fine ci sono riuscita. ^-^ Finalmente Jill ha conosciuto Lucy, Edmund e Eustace e come prevedibile Eustace ha dato il meglio di sé per rendersi antipatico. E neppure Billy gli è stato simpatico… povero furetto. ;) E come sempre Edmund e Eustace sono peggio di cane e gatto! XD
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, vedremo un po’ meglio come se la passano Susan e Peter in America: questa volta gli ho un po’ trascurati. Per il ritorno a Narnia invece dovrete aspettare ancora qualche capitolo, ma arriverà presto ve lo prometto. Intanto si sta già muovendo qualcosa nell’aria… o meglio nel dipinto! XD E stavolta non si è visto neanche Caspian… ummh, la prossima volta mi devo rifare. ^-^

Passo quindi ai ringraziamenti:

·         Per le seguite: Fly_My world, FrancyNike93, GossipGirl88, mmackl, Serena VdW e SusanTheGentle

·         Per le preferite: english_dancer

·         Per le recensioni del capitolo 2: Fly_My world, FrancyNike93, mmackl e SusanTheGentle

E ovviamente ringrazio anche chi soltanto legge! Con questo vi saluto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto: fatemi sapere che cosa ne pensate. ^-^ A presto, Hikari

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Una Giornata in Spiaggia ***


Capitolo 4 - Una Giornata in Spiaggia

Susan aprì gli occhi. Si guardò attorno senza riconoscere subito il luogo in cui si trovava. Ma fu solo un attimo. Sentiva la sabbia sotto i suoi piedi nudi. Davanti a lei le onde s’infrangevano lente sul bagnasciuga. Un cielo cupo lo sovrastava: la notte stava svanendo ma il sole doveva ancora sorgere. Non c’era più alcuna luce distinta, le stelle erano scomparse e uno sbiadito chiarore si propagava vago dal luogo in cui il sole sarebbe apparso. Susan si guardò attorno spaventata. Si sentiva opprimere da quel cielo color piombo e da quel silenzio quasi irreale. Era sola. Dove era Peter? Dove erano i loro genitori? E gli Evans? La villa era avvolta da un silenzio in pratica assoluto. Forse tutti stavano ancora dormendo… ma allora lei che cosa ci faceva lì?

Quella domanda cominciò a rimbombarle nella mente e, per quanti sforzi facesse, non riusciva a darle risposta. Rabbrividì e strinse le braccia al corpo per cercare di scaldarsi. Se solo il sole fosse finalmente sorto… i suoi raggi l’avrebbero riscaldata e gli altri si sarebbero svegliati. Invece non succedeva nulla. Sembrava che non ci fosse più nessuno. Il vento che si era alzato le muoveva la leggere camicia da notte vanificando i suoi tentativi di scaldarsi. Cominciò a camminare mentre le lacrime cominciavano a pungerle gli occhi.

“Peter… mamma… papà…”

Nessuno le rispondeva. Susan si fermò guardandosi attorno freneticamente. Alla fine crollò: si sedette stringendosi le ginocchia e scoppiò a piangere. Non voleva restare da sola. Non voleva provare di nuovo quelle sensazioni… sì, erano le stesse cose che aveva provato appena tornata da Narnia. Il crollo delle speranze, delle illusioni, la convinzione che nessuno potesse anche minimamente capirla. La solitudine. Ma erano passati dei mesi: lei aveva ripreso a credere, a sperare. Susan tirò su con il naso sforzandosi di smettere di piangere e concentrandosi solamente sulle promesse che lei e Caspian si erano scambiati sulla nave.

“Io ti aspetto, Susan. Non importa quanto… io sono qui, per te.”

“Troverò un modo, Caspian… dovessi provarci tutta la vita… io tornerò da te.”

Susan respirò lentamente cercando di cacciare via definitivamente quei pensieri, focalizzando la sua attenzione sui quei momenti, sulle speranze che condivideva con Peter, sui volti dei suoi fratelli. Doveva crederci, avere fiducia. Improvvisamente sentì un leggero tepore sulla testa e sulla pelle delle braccia. Susan alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri videro il sole che sorgeva all’orizzonte, sempre più luminoso. La ragazza si alzò lentamente asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Sorrise. La speranza era come quel sole: stava a lei dargli la possibilità di sorgere sempre e illuminare la sua vita. Il colore del mare divenne blu e il cielo azzurro. Susan si avvicinò lentamente all’acqua e le onde le lambirono le punte dei piedi. Susan rabbrividì, ma il calore del sole le impediva di provare quel freddo che prima aveva avvolto il suo corpo.

Chiuse gli occhi. Provava una strana sensazione, ma non aveva paura. Aprì gli occhi e vide un’onda alta quanto lei venirle addosso. L’acqua la sommerse. Susan si sentì trascinare dalla forza dell’acqua e il respiro le venne quasi mozzato a contatto con l’acqua fredda dell’oceano. Non riusciva a tenere neppure gli occhi aperti. Con mani e piedi cercò di contrastare la forza della corrente ma senza successo. Per lunghi istanti continuò a sentirsi sballottata qua e là, annaspando avvolta da mulinelli d’acqua. Poi tutto attorno a lei si fermò. Susan aprì gli occhi e alzò lo sguardo verso l’alto. I raggi del sole filtravano attraverso l’acqua cristallina. Istintivamente guardò verso il basso e non vide altro che acqua di un blu sempre più intenso. Cominciò a nuotare per emergere e fu solo in quel momento che vide il profilo di una nave. Il cuore di Susan cominciò a battere più forte. Quando fu poco sotto la superficie delle onde, intravide il profilo di qualcuno che si protendeva verso di lei chiamandola. Susan sorrise e cercò di raggiungere più velocemente la superficie. Caspian arrivo. Il ragazzo protendeva le mani verso di lei. Susan allungò la sua, solo pochi centimetri d’acqua la separavano dall’aria. Ma non riuscì a far uscire la mano dall’acqua. Improvvisamente la superficie del mare era diventata di ghiaccio. Susan si posò alla fredda lastra con entrambe le mani, muovendo i piedi per darsi una spinta sufficiente a romperla. Ma era inutile. Un panico enorme le invase il cuore. Non poteva uscire. Non poteva andare da lui. E i suoi polmoni cominciavano a bruciare. Susan cercò di infrangere il ghiaccio con tutte le sue forze senza riuscirci. Strinse le mani a pugno colpendolo fino a farsi male. Il terrore dilatò i suoi occhi azzurri.

Improvvisamente sentì una risata gelida, perfida, crudele riecheggiare oltre il ghiaccio. Alzò lo sguardo e vide che oltre ad esso la nave era scomparsa e con essa Caspian. In quel momento scorse una figura venire verso di lei e inginocchiarsi sul ghiaccio, nel punto in cui lei cercava di spezzarlo. Susan non riusciva a capire chi fosse, ma sentiva l’odio che da essa trasudava. Due occhi blu ghiaccio la fissavano in un volto indefinito, avvolto da una nebbia verde che iniziò a diffondersi su tutto il ghiaccio. Rivoli di fumo verdastro riuscirono ad attraversare il ghiaccio venendole sempre più vicino e Susan spaventata cercò di evitarli. Un’altra risata malvagia attirò la sua attenzione.

“È tutto inutile, piccola sciocca. Tu non tornerai a Narnia.”

Susan sgranò gli occhi a quelle parole mentre dentro di lei una voce continuava a gridare il contrario. Chi era quella persona? La sua voce aveva qualcosa di famigliare, le insinuava dentro una paura che sentiva di aver già provato. Ma non la riconosceva perché c’era anche qualcosa, un timbro, un tono che non aveva mai sentito. La misteriosa persona riprese a parlare.

“Rassegnati, Susan. Il tuo tempo a Narnia è scaduto. E anche se vi tornassi, che cosa troveresti? Bugie, illusioni, inganni. Ti userebbero per poi mandarti via quando non saresti più necessaria.”

Susan cercò di allontanarsi da lei, di scappare da quella lastra di ghiaccio, ma non ci riusciva. Sembrava quasi che le sue mani vi fossero rimaste incollate. Volute di nebbia verde cominciarono ad avvolgerla. Susan cercò di dibattersi, ma il fumo la circondava senza via di scampo, simile a catene che la volessero imprigionare.

“Narnia ha scelto di rinunciare a te. Accettalo. Smettila di crearti sciocche illusioni che ti faranno solo soffrire. Dimentica. È la cosa più facile, è la cosa che ti farà stare meglio.”

Susan scosse la testa cercando di trovare tutto il coraggio che l’era rimasto, cercando di tenere la mente lucida. Era un sogno, anzi un incubo: non c’era altra spiegazione. Non doveva lasciarsi convincere: doveva pensare a Narnia, ai fratelli, a Caspian.

La misteriosa figura sembrò leggerle dentro e la guardò come se fosse una bambina troppo sciocca per accettare la verità. La sua mano attraversò il ghiaccio e si serrò attorno al polso di Susan. La ragazza cercò di divincolarsi, ma la presa era troppo forte.

“Dimentica Narnia, Susan. Dimentica Caspian. Lui non fa parte del tuo destino come lui non fa parte del tuo. Vuoi sapere dove il tuo amato Re verrà condotto dalla sua rotta?”

Susan sentì il cuore perdere un battito e una stretta allo stomaco. La misteriosa figura sembrò gioirne e strinse la mano fino a far dolere il polso di Susan.

“Durante il suo viaggio troverà la sua sposa e ai confini del mondo riceverà la benedizione di Aslan. E quella donna non sarai tu, Susan. Caspian si dimenticherà di te. Il suo destino è sposare un’altra. Narnia avrà la sua nuova Regina. Dimenticalo se non vuoi soffrire.”

Le lacrime iniziarono ad uscire dagli occhi azzurri di Susan confondendosi con l’acqua del mare. Il cuore della ragazza era come lacerato da quelle parole a cui non voleva credere ma che si insinuavano dentro di lei. No. No. Si era promessa che non avrebbe più cercato di dimenticare. Susan scosse la testa e chiuse gli occhi. Caspian non poteva mentirle. Le aveva detto di credere. Le aveva detto che l’avrebbe aspettata. Se lo amava, era quello il momento di dimostrarlo: doveva credere a lui, al suo cuore e non a quella voce. Credere alla loro muta promessa d’amore. Non avrebbe più dimenticato. Sarebbe tornata e, se quello era il loro destino, si sarebbe ribellata: Aslan avrebbe capito. La forza riaffiorò nel suo cuore e anche la figura oltre al ghiaccio sembrò percepirlo poiché si ritrasse leggermente e allentò la presa sul polso di Susan. La ragazza aprì gli occhi e gridò nonostante fosse sotto acqua.

“Aslan!”

Gridò il nome del Leone con tutta la forza che aveva, credendoci con mai prima. Doveva fidarsi di lui. Le voleva bene: l’avrebbe sentita. Non avrebbe abbandonato né lei né Peter. Li stava solo mettendo alla prova: ne era convinta. E improvvisamente lo sentì. Come prima la luce del sole, un ruggito si propagò nell’aria facendo dissolvere la nebbia. La misteriosa figura si alzò in piedi di scatto, furente, e svanì. Una rete di fenditure percorse tutto il ghiaccio che un attimo dopo si ruppe in mille frantumi lasciando di nuovo filtrare i raggi del sole. Susan a quel punto si spinse verso la superficie gettando la testa fuori dall’acqua e respirando a pieni polmoni.

“Seguì sempre il tuo cuore, mia cara. Non perdere mai la speranza.”

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Susan si alzò aprendo gli occhi di scatto. Era nel suo letto. La stanza era avvolta nel silenzio, illuminata leggermente dalla luce esterna dell’alba. L’unico rumore erano le lancette dell’orologio. Susan si passò una mano sulla fronte e si rese conto di star tremando: di paura, dall’emozione, per l’adrenalina. Che cos’era stato quel sogno, quell’incubo? Chi era quella misteriosa persona che le aveva dato quel senso terribile d’inquietudine, di paura? E se non avesse lottato, cosa le sarebbe successo? Sospirò e si lasciò andare sul cuscino. Ma non aveva sonno. Rimase immobile a fissare il soffitto che veniva illuminato ogni minuto di più dal sole. Tutto quello che era successo, doveva avere un significato. Qualcuno non lo voleva a Narnia? Ma chi? E per quale motivo? Lei e Peter sarebbero potuti essere un ostacolo? Susan non riusciva a crederci ma sentiva che era quello il significato del sogno. Qualcuno aveva cercato di spegnere la speranza e la fede che lei aveva riacceso in quei mesi. Quella convinzione lasciò spazio nella mente di Susan a un quesito ancora più agghiacciante: come aveva fatto quel qualcuno a infrangere le barriere tra i due mondi? Solo la Grande Magia, solo Aslan poteva e lo aveva fatto solo per chiamarli in difesa di Narnia. Susan si alzò mentre l’ansia cominciava a crescerle dentro. Sentiva che Narnia era in pericolo. Quel sogno ne era la prova… e quel nuovo nemico sembrava veramente molto potente. Doveva trovare assolutamente un modo, insieme a Peter, di tornare a Narnia. Era certa che Edmund e Lucy presto sarebbero stati chiamati. Uscì sul terrazzo e si posò al parapetto di pietra inspirando l’aria fresca della mattina. Però le sue erano solo congetture…

Improvvisamente le tornarono in mente il sole, Aslan… e ciò che la loro presenza aveva potuto fare. Non appena aveva creduto, non appena aveva riacceso la speranza e trovato il coraggio di non arrendersi… l’oscurità, il freddo, tutto era sparito. Forse era quello il significato più vero del sogno. Quello che la misteriosa persona aveva cercato di nasconderle. Se credeva, poteva tornare a Narnia.

“Susan?”

La ragazza si riscosse e si voltò di lato. Posata sullo stipite dell’altra porta a vetri vide Ann. La ragazza la guardava assonnata. Sbadigliò mentre si grattava gli occhi per cercare di svegliarsi. Aveva i cappelli arruffati. Susan sorrise e si sentì in colpa.

“Ann, scusa… ti ho svegliato?”

Ann si avvicinò a lei scuotendo la testa e senza riuscire a trattenere un altro sbadiglio. Quando le fu vicino, Ann si colpì piano le guance per scrollarsi via il sonno. Poi la ragazza si voltò incuriosita verso Susan.

“Che ci fai qui fuori a quest’ora?”

Susan sorrise. “Niente. Mi sono svegliata e non riuscivo a dormire. Pensavo.”

Ann si posò al parapetto fissando la spiaggia e il mare. L’aria fresca e salmastra sembrò veramente svegliarla. Infatti, la ragazza si voltò verso Susan sorridendo.

“Dopo colazione potremmo andare in spiaggia. Che ne pensi? Noi due, mio fratello e tuo fratello. Potremmo anche fare un tuffo ma credo che l’acqua sia ancora un po’ freddina. Forse verso l’ora di pranzo. Ci facciamo preparare qualcosa da portare lì… sì, facciamo un pic-nic in spiaggia. Ti va?”

Susan sorrise. Le piaceva stare con Ann. Rivedeva in lei una parte di quell’entusiasmo che caratterizzava Lucy unito al desiderio di essere sempre disponibile per gli altri. Conoscerla era stata decisamente una delle note positive di quel viaggio.

“Sarebbe bello. Basta che Peter e William siano d’accordo.”

Ann annuì cercando di mascherare uno sbadiglio con un sorriso.

“Sarà una bella giornata!”

Susan sorrise e i suoi occhi fissarono il mare. Sperava di riuscire durante il giorno a fare maggior chiarezza in quello che era successo, così da poter raccontare tutto a Peter. E chissà magari sarebbe arrivata anche la risposta di Lucy: ormai erano quasi due settimane che la lettera era stata spedita. Sempre se la nave non era stata affondata… Susan scosse la testa e i capelli ondeggiarono: non doveva perdere la speranza. Sorridendo tornò a voltarsi verso Ann. Ormai il sole era sorto e presto anche il resto della casa si sarebbe svegliato.

“Dai, andiamo a prepararci così non potranno dirci che siamo delle pigrone.”

Ann sorrise divertita. “William non lo può dire sicuro… quando è a casa, sembra voler recuperare tutto le levatacce dell’accademia!”

Susan non riuscì a trattenere una risata e Ann sembrò soddisfatta. Solo in quel momento Susan si accorse che Ann doveva aver percepito il suo turbamento e aveva fatto di tutto per tirarla su di morale. Sorrise.

A quel punto le due ragazze rientrarono dopo essersi scambiate la promessa che la prima che si finiva di preparare doveva aspettare l’altra.

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Caspian uscì sul balcone finendo di abbottonarsi la camicia. I suoi occhi scuri guardavano distrattamente la superficie delle onde e la scia che il Veliero dell’Alba si lasciava dietro. Continuava a pensare a quello che era successo quella notte. Non riusciva a spiegarsi neppure il motivo… eppure… qualcosa dentro di lui, per un attimo, aveva sentito che Susan era in pericolo. Si era svegliato di soprassalto, madido di sudore, oppresso da quel terribile presentimento. Era assurdo. Susan era nel suo mondo… ma lui era stato sicuro di quella sensazione. Da quel momento non era più riuscito a dormire. E dopo alcuni minuti passati a rigirarsi nel letto, era uscito a respirare l’aria della notte. Osservare le stelle lo aveva sempre rilassato: ed era stato così anche quella volta. Pian piano quella sgradevole sensazione era passata, quasi sostituita dalla certezza che Susan stesse bene. Solo a quel punto era riuscito a tornare a dormire. Ma da quando si era svegliato, aveva ripreso a pensarci cercando di analizzarlo con mente lucida.

Probabilmente era stato solo un incubo che, nonostante non ricordasse, doveva avergli lasciato quella sensazione. Anche se era la prima volta che gli succedeva. Forse era l’ansia… dopotutto uno degli obbiettivi del suo viaggio era proprio riavere Susan accanto a sé. Un po’ di tensione era normale, no? Caspian decise che quella era la risposta più plausibile. Eppure, dentro di lui sentiva che c’era qualcosa che non tornava, qualcosa che gli sfuggiva…

Il giovane Re non ebbe però tempo per proseguire quei ragionamenti. In quel momento qualcuno bussò alla porta della sua cabina. Caspian rientrò e chiuse le porte a vetri indossando sopra alla camicia una giacca. A quel punto aprì la porta e davanti a lui vide Drinian che s’inchinò rispettosamente.

“Buongiorno, Vostra Maestà.”

Caspian sorrise. “Buongiorno, Lord Drinian. Siete venuto per dirmi che sono in ritardo, vero?”

Drinian si rialzò guardando il suo Sovrano.

“Ero solo venuto a chiederle tra quanto desiderasse presidiare alla riunione degli ufficiali, Vostra Maestà.”

Caspian chiuse la porta della sua cabina voltandosi poi di nuovo sorridente verso il capitano del Veliero dell’Alba.

“È un modo per non sottolineare che sarei dovuto essere lì già da un pezzo?”

Lord Drinian rimase impassibile. “Tutto l’equipaggio è ai suoi ordini, Vostra Maestà.”

Caspian sorrise e si avviò verso la cabina di comando seguito da Lord Drinian. Durante la riunione non emersero particolari problemi relativi alla rotta. Da quando avevano lasciato Narnia, i giorni di navigazione erano stati caratterizzati da un tempo quasi sempre bello e da vento favorevole. E tutto lasciava immaginare che anche i giorni che li dividevano dall’attracco alle Isole Solitarie sarebbero stati uguali. La rotta prevista non avrebbe probabilmente subito molte variazioni.

Caspian era posato al tavolo su cui era sempre stesa la carta nautica. I suoi occhi fissavano su di essa le Isole Solitarie. Non ne sapeva molto. Quello che aveva scoperto era che esse appartenevano teoricamente ancora alla corona di Narnia. Ma sapeva anche per certo che, a memoria, nessuno dei suoi avi, sovrani di Telmar, se non forse i primi, si fosse mai interessato a quelle isole. Improvvisamente alzò lo sguardo e si voltò verso Drinian.

“Lord Drinian… avete mai navigato fino alle Isole Solitarie?”

Lord Drinian distolse lo sguardo dalla mappa che stava osservando insieme agli altri ufficiali, scambiando con loro pareri sulla rotta da seguire, e lo rivolse verso Caspian.

“Un’unica volta, Vostra Maestà, all’epoca degli ultimi anni di regno di vostro nonno, Caspian VIII. La nostra nave venne spinta lì da una tempesta. Rimanemmo solo il tempo necessario per rifornirci e sistemare i danni. La popolazione ci evitava, guardandoci con un misto di paura e curiosità. Quando tornammo a Narnia informammo di tutto il Re. Vostro nonno però non ne fu interessato e neppure il Consiglio considerò importante il ristabilimento di un’autorità in poche isole sperdute e prive di importanza strategica. Dall’Epoca d’Oro siete il primo Re di Narnia a rimettere piede su quelle isole che fanno ancora parte teoricamente dei possedimenti della Corona.”

Caspian annuì sovrappensiero. Si rese conto che arrivato lì avrebbe dovuto prima riconquistare la fiducia degli abitanti. Non doveva imporsi o, dopo milletrecento anni di abbandono, si sarebbero sentiti invasi. In un modo o nell’altro doveva farli sentire di nuovo Narniani, far vedere che lui li considerava come tali. Doveva riallacciare legami spezzati da secoli. Impresa per niente facile. Ma non poteva arrendersi. Chissà se avrebbe trovato lì i sette Lord… chissà se erano ancora vivi. Sarebbero stati giorni impegnativi: quanto avrebbe voluto non essere solo, quanto avrebbe voluto avere qualcuno accanto a lui pronto a sostenerlo in ogni momento. E quanto avrebbe voluto che fosse Susan quel qualcuno. Narnia non avrebbe potuto desiderare Regina migliore. E neppure lui... perché avrebbe avuto lei al suo fianco.

Il giovane Re si allontanò dal tavolo guardando gli altri ufficiali.

“Penso che non ci siano altre questioni. Continuiamo su questa rotta e, se Aslan vuole, arriveremo alle Isole Solitarie entro la settimana.”

Gli ufficiali annuirono e uscirono uno dopo l’altro. Solo Drinian rimase indietro. Quando tutti furono usciti, il capitano del Veliero chiuse la porta voltandosi verso Caspian.

“Vostra Maestà, posso farvi una domanda?”

Caspian annuì continuando a fissare la mappa, soprattutto quella parte bianca oltre le Isole Solitarie.

“Come capitano del Veliero dell’Alba, ho giurato di condurre voi e la vostra nave fino alle Isole Solitarie e di fare in modo che non vi succeda nulla. Però devo sapere una cosa: se non troveremo i sette Lord alle Isole Solitarie… cosa aveva intenzione di fare Vostra Maestà?”

Caspian alzò lo sguardo rimanendo muto per alcuni istanti. Poi lentamente si avvicinò alla parete a cui erano stati appesi i ritratti dei sette Lord. Solo a quel punto rispose a Drinian.

“Ho giurato sul mio onore che li avrei trovati o avrei scoperto che cosa è successo a quegli uomini che fedelmente servirono mio padre. Solo a quel punto potrò tornare a Narnia.”

Caspian si voltò a guardare Drinian sperando che il capitano non criticasse la sua decisione.

“Il nostro viaggio proseguirà fino ad allora. Spero continuerete a seguirmi, capitano.”

Drinian abbassò il capo in segno di rispettoso assenso. “Sono pronto a seguirvi, Vostra Maestà.”

A quel punto l’uomo si inchinò ancora una volta e si avviò verso la porta. Quando posò la mano sulla maniglia, però, Lord Drinian tornò a voltarsi verso Caspian. Il giovane Re sapeva di non essere stato del tutto sincero. Dubitava che, se anche avesse trovato le risposte che cercava sulle Isole Solitarie, avrebbe deciso di tornare a Narnia. Prima doveva incontrare Aslan: non avrebbe avuto altre possibilità. Tornare avrebbe significato piegarsi alle richieste sempre più pressanti e sposarsi. Ma lui non poteva: non poteva amare e sposare nessuna altra che non fosse Susan. La voce di Drinian distolse Caspian dai suoi pensieri.

“Vostra Maestà… le parole che mi avete rivolto pochi giorni fa… che cosa significavano, se posso chiedere?”

Caspian rimase muto. Ripensò a quelle parole che aveva detto a Drinian, subito dopo al magico, breve e inatteso incontro con Susan. Sentò che alla fine di questo viaggio, troverò la mia sposa. Glielo aveva detto perché dopo quello che era successo aveva sentito che Aslan lo avrebbe ascoltato. Era Susan la sposa che sperava di trovare in quel viaggio. Ma come poteva dirlo? Chiunque, anche Cornelius, gli avrebbe detto che un Sovrano non poteva correre dietro le chimere e che Narnia non poteva aspettare una Regina che probabilmente non sarebbe mai tornata o che, anche se fosse successo, sarebbe tornata magari migliaia di anni dopo. Gli occhi scuri di Caspian incontrarono quelli di Drinian. L’uomo intuì che cosa il suo Re non riusciva o non voleva dire. Tutti sapevano quello che era successo su quella piazza tre anni prima e molti dicevano che era proprio per quello che Caspian non aveva ancora trovato moglie. Drinian non seppe se chiamarla determinazione o capriccio. Ma quel qualcosa che brillava negli occhi scuri di Caspian non era certo la testardaggine di un ragazzo viziato. Per questo motivo non chiese altro: il tempo avrebbe dato tutte le risposte.

“Vostra Maestà, con il vostro permesso.”

Drinian uscì e Caspian tirò un sospiro di sollievo. Quello che lo preoccupava era la consapevolezza che non avrebbe potuto continuare per sempre a tacere la seconda ragione per cui aveva intrapreso quel viaggio. Doveva farlo sapere all’equipaggio prima che arrivasse il momento di tornare indietro. Ma come fare? Caspian si voltò verso l’intarsio dorato che raffigurava Aslan quasi sperasse che semplicemente guardandone il volto sarebbe riuscito a far chiarezza nei suoi dubbi. Alla fine, però, il giovane Re distolse lo sguardo voltandosi verso il mare che si vedeva oltre la finestra: sapeva che non poteva continuamente pretendere che Aslan lo aiutasse, doveva imparare a cavarsela da solo. Caspian non riuscì a trattenere un sospiro: ma se solo Aslan gli avesse dato un piccolo aiuto…

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Gli occhi azzurri di Susan fissavano le onde blu che si infrangevano tranquille sulla sabbia. Una leggera brezza spirava dal mare scompigliandole i capelli che aveva lasciato sciolti. Il calore del sole era in parte schermato dai rami dell’albero vicino al quale si erano sistemati. Avevano scelto una piccola spiaggetta a lato della foce del fiume. Seduta accanto a lei, sulla coperta che avevano steso per terra, c’era Ann che in quel momento era completamente assorta nel libro che si era portata. Anche Susan avrebbe potuto leggere, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il sogno di quella notte. Quella che cercava di capire era perché tutto era successo sulla spiaggia e poi in mare. Se le sue erano solo paranoie, la risposta più plausibile era che nel sogno aveva rimescolato dubbi, paure, pensieri ed emozioni. Non aveva forse rivisto Caspian  proprio mentre si trovava sul transatlantico? E non lo aveva visto mentre navigava verso una meta a lei sconosciuta? Senza contare che c’era una piccola parte di lei che continuava a ripeterle che lei non sarebbe tornata a Narnia, la sua più grande paura. Vocina che di giorno riusciva a tenere perfettamente a bada, zittita in un angolo della mente, ma che invece durante la notte poteva aver avuto il sopravvento. Forse era quella la realtà… magari esagerava a credere Narnia in pericolo. Eppure…

Ann alzò la testa posando il libro accanto a sé. Susan si voltò verso di lei e la vide sorridente.

“Adoro questi libri… quanto mi piacerebbe vivere una delle avventure di cui sono protagoniste le eroine dei romanzi.”

Susan non poté non sorridere ripensando a Narnia: lei le avventure da romanzo le aveva vissuto. Ann si voltò verso di lei.

“È lo stesso anche per te?”

Susan si sistemò una ciocca di capelli dietro un’orecchia. “Vivere straordinarie avventure?”

Ann annuì. Gli occhi le brillavano. “Sì. Affrontare pericoli, grandi avventure… magari esplorare terre sconosciuto. Non sarebbe bellissimo?”

Susan trattenne un sorrisetto divertito e annuì. “Direi di sì. Però la realtà sarebbe sicuramente molto diversa dai libri… dopotutto rischieresti davvero la vita e non avresti la certezza che l’epilogo della tua avventura finisca con vissero tutti felici e contenti.”

Susan parlava per esperienza. Aveva vissuto insieme ai fratelli incredibili avventure, ma in nessun momento qualcuno gli aveva rassicurati che avrebbero vinto, che non sarebbe successo niente… o che avresti visto i tuoi sogni realizzati. Ann sospirò posandosi sulle mani e alzando lo sguardo che si perdette nel cielo azzurro.

“Lo so, hai ragione… me lo dimentico. La vita non è un libro già scritto…”

Susan trasalì sentendo quelle parole. In mente le tornarono le frasi che in quell’incubo la misteriosa persona aveva pronunciato. Aveva parlato di destino, di un destino già scritto che né lei né Caspian avrebbero potuto cambiare. Quale era la verità? C’era un fato o ciascuno era padrone della propria vita e ne avrebbe cambiato il destino con le proprie scelte? La voce di Ann la riportò alla realtà e Susan tornò a prestare attenzione alla ragazza.

“Susan… se ti dico una cosa, prometti di tenerla per te?”

Susan si sedette più comodamente e annuì seria. Aveva capito che quello che voleva dirle Ann era qualcosa di importante. Dal canto suo, Ann ci aveva ripensato più volte prima di decidere di parlarne con Susan. Era una cosa che non aveva mai detto a nessuno, né alle amiche a scuola né ai genitori. Aveva sempre pensato che quello sarebbe stato il segreto che non avrebbe condiviso con nessuno. Ma con Susan sentiva di poterlo fare. Non sapeva neppure lei il perché, forse perché vedeva qualcosa che non aveva mai visto nei suoi occhi azzurri. Non lo sapeva cos’era: determinazione, fierezza, coraggio, dolcezza… ma sapeva una cosa: Susan e Peter avevano qualcosa che nessuno che lei conosceva aveva. Ed era un qualcosa che emanavano.

“È una cosa che non ho mai detto a nessuno…”

Ann abbassò lo sguardo imbarazzato sulle mani. Susan sorrise dolcemente e le strinse una mano. Ann alzò lo sguardo incontrando gli occhi di Susan e improvvisamente si sentì più leggera.

“Un giorno mi piacerebbe fare un lavoro con cui essere utile agli altri…”

Susan sorrise per farle capire di proseguire. Ann prese un profondo respiro prima di riprendere a parlare.

“Vorrei diventare una diplomatica, un’ambasciatrice. Pensi che sia assurdo?”

Susan non rispose subito: certo, donne in quei campi non ce ne erano molte. Ma con quale diritto poteva tarpare le ali ad Ann? Proprio lei che sperava di tornare a Narnia… Sorrise.

“Se è il tuo sogno non vedo perché non potresti provarci.”

Il viso di Ann venne illuminato da un sorriso a trentadue denti. “Grazie, sono contenta di aver parlato con te.”

Susan scosse la testa. “Di nulla.”

I discorsi delle due ragazze vennero interrotti dall’arrivo brusco di Peter e William. I due ragazzi avevano il fiatone e si guardavano con sfida. Susan sospirò. Nel frattempo i due si sedettero accanto a loro e Peter fece attenzione che William non si sedesse accanto a Susan. Non appena seduto, il biondo Pevensie si vide puntati addosso gli occhi di Susan che lo stavano rimproverando in silenzio.

“Cosa avete fatto?”

Peter sorrise soddisfatto guardando si sottecchi William.

“Niente di particolare. Qualche piccola gara…”

Susan scosse al testa sorridendo divertita sentendo il fratello calcare le ultime parole. A quanto pare l’istinto competitivo di Peter aveva trovato qualcuno che lo alimentasse. E se ci aggiungiamo che quel qualcuno anche essere interessato a lei…

Peter la guardò sorridendo. “Mangiamo qualcosa?”

Ann a quelle parole si voltò verso il cestino che aveva alle spalle, iniziando ad armeggiare per tirare fuori i panini e quant’altro la governante vi avesse messo dentro. William seguì con interesse la fuoriuscita del cibo e, ad un certo punto, inizio ad aiutare la sorella. Approfittando del momento, Peter si accostò a Susan guardandola fisso negli occhi.

“C’è qualcosa che non va?”

Quella domanda spiazzò Susan che sgranò gli occhi dalla sorpresa. Peter se ne accorse e sorrise: possibile che Susan ancora non avesse capito che, anche quando non diceva niente, si accorgeva se aveva qualcosa che non andava? Era da colazione che Susan sembrava distratta, assorta in qualcosa che la preoccupava. Per un po’ aveva fatto finta di niente, anche per evitare di scoprire che la causa magari era Caspian: cosa che lo avrebbe fatto infuriare, perché non sopportava proprio che Susan soffrisse per lui. Con il passare delle ore, però, si era reso conto che quel qualcosa continuava a tormentarla e perciò, messo da parte l’orgoglio, aveva deciso che, al momento giusto, avrebbe indagato. Anche a costo di sentirsi dire che pensava a Caspian…

“Allora?”

Susan sospirò e strinse le braccia attorno alle ginocchia. Poi alzò lo sguardo verso il mare fissando quasi ipnotizzata le onde. Dopo un attimo tornò a voltarsi verso Peter.

“Sto bene, non ti preoccupare. Riguarda un sogno di stanotte…”

Peter alzò le sopracciglia, non capendo a che cosa si stesse riferendo. Susan sorrise.

“Meglio che ne parliamo dopo, quando saremo soli.”

Peter capì. Riguardava Narnia. Anche se, quello che non si spiegava, era che legame ci fosse con il sogno di Susan. In quel momento la loro attenzione venne attratta da Ann e William che avevano finito di svuotare il contenuto del cestino. Ann sorrideva.

“Ci sono così tante cose che non riusciremo a finirle.”

William sorrise divertito e prese un panino. “Allora sarà meglio che iniziamo.”

Subito dopo anche gli altri tre lo imitarono, iniziando a mangiare in silenzio e rilassandosi al rumore della brezza tra le foglie e al suono delle onde del mare. Passarono un paio di minuti prima che William spezzasse il silenzio.

“Fra qualche settimana, il console britannico organizza un tè. Saranno invitati tutte le persone più importanti dei dintorni e molti ufficiali che si trovano in permesso.”

Peter sentì suonare nella testa un campanello d’allarme. Dove voleva arrivare? Perché lo aveva capito che il discorso di William non era fatto solo per fare due chiacchiere, soprattutto se nei dintorni c’era Susan.

“Anche nostro zio è invitato e lo siamo anche noi. Probabilmente verranno invitati anche i vostri genitori. Susan, ti piacerebbe venirci con me?”

Ecco, appunto. Peter strinse la mano attorno al panino facendo trasbordare il contenuto. Ma perché non erano rimasti a Cambridge anche loro? Eustace, anche se non fosse stato loro cugino, non avrebbe di sicuro fatto la corte a Susan. Non era che ce l’avesse proprio con William… ma possibile che tutti gli spasimanti di Susan non fossero inglesi? Perché a Londra non c’era un bravo ragazzo che si innamorasse di lei? No, doveva essere sempre qualcuno che l’avrebbe tenuta lontana da loro.

Nel frattempo, Susan, resasi conto dell’invito di William, non aveva la più pallida idea di cosa fare. Imbarazzata, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchia. Sapeva benissimo che accettare, non voleva dire essere innamorata di lui. Dopotutto potevano andarci insieme anche come semplici amici. Ma era anche consapevole che per William non sarebbe stato così: avrebbe pensato di avere una speranza con lei. E per essere sinceri, pensò Susan, se lei fosse stata un’altra, se fosse stato un altro momento, gliela avrebbe data una possibilità: dopotutto era carino, gentile… ma lei era Susan Pevensie, lei era già stata a Narnia e William era arrivato troppo tardi: il suo cuore era già di Caspian. E poi c’era Peter, che di sicuro non l’avrebbe presa bene. Che cosa fare? Susan alzò gli occhi incrociando prima quelli speranzosi di William, poi quelli di Peter che sembravano voler fulminare William e infine quelli di Ann che capì il suo problema. E fece qualcosa che Susan non si sarebbe aspettata.

“Potremmo andarci tutti e quattro insieme…”

Anche Peter e William si voltarono verso di lei. Ann abbassò lo sguardo, in disagio e le guance si tinsero di un tenue rossore. Ma non poteva desistere, sapeva che William non si sarebbe arreso.

“Sì… pensavo che oggi ci siamo divertiti… potremmo passare un’altra bella giornata.”

William si illuminò e sorrise soddisfatto. “È una bellissima idea, Ann! Susan sarà la mia dama e Peter sarà il tuo accompagnatore!”

Peter si voltò verso William e Susan si sorprese di non vedere William incenerito. Ma era meglio evitare. Con una mano tocca leggermente il braccio del fratello. I loro occhi azzurri si incrociarono e Susan scosse la testa. Peter cercò di dire qualcosa, ma Susan gli fece capire che non serviva. Peter sbuffò: non gli andava bene che a prendere le decisioni fosse William, ma almeno così poteva tenerlo d’occhio. Incrociò le braccia e, quando parlò, si sentiva ancora un basso ringhio che per fortuna riuscì a mascherare.

“Va bene… se per Ann non è un problema…”

Ann sorrise e scosse la testa. Non le dispiaceva essere accompagnata da lui ed era stato carino a chiedere se lei era d’accordo. E poi non era per niente un brutto ragazzo, anzi… Ann distolse subito lo sguardo vergognandosi un po’ per quello che le era passato per la mente. Sarebbe stato un piacevole pomeriggio tra amici, tutto qui.

Nel frattempo Susan, dopo essersi assicurata che Peter non avrebbe cercato di far fuori in qualche modo William, tirò fuori il suo lato pratico.

“Però ci sarebbe un problema…”

Ann inclinò la testa perplessa. “Quale?”

Susan sorrise imbarazzata. “Ecco… in Inghilterra tra razionamento e buoni… non è che fosse così facile comprare vestiti nuovi ultimamente. Non penso che io e Peter abbiamo qualcosa di adatto…”

William sorrise alzando le spalle. “E dov’è il problema, Susan? Uno di questi giorni Ann vi può accompagnare a fare un giro. Ci sono un sacco di negozi a New York. Sono certo che troverete qualcosa di perfetto. Io non penso vi potrò accompagnare perché devo tornare in accademia. Altrimenti non riuscirò ad estorcere un nuovo permesso per il giorno del tè. E poi tu saresti bellissima con qualsiasi cosa addosso… farai invidia a tutte le altre!”

Susan arrossì per il complimento e sorrise per mostrarsi gentile. Peter, dal canto suo, chiuse gli occhi e contò fino a dieci per evitare di mollare un pugno sul naso a William. Avrebbe dovuto controllarlo, decisamente. E, nonostante sapesse benissimo che non avrebbe dovuto, sperò ardentemente che William quel permesso non lo avesse mai.

Ann batté le mani alla proposta del fratello sorridendo.

“È una splendida idea, così vi potrò anche mostrare un po’ la città! Ci potremo fare accompagnare da mamma. Anche vostra madre potrebbe venire. Ci divertiremo!”

Susan annuì sorridendo. “Beh… allora è tutto a posto.”

William annuì. “Esatto. Forza, finiamo di mangiare. O vogliamo poltrire qui tutto il giorno?”

Gli altri non se lo fecero ripetere due volte e, in quella piacevole atmosfera, anche Susan dimenticò per un po’ le preoccupazioni che le aveva provocato quel sogno.

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Caro diario, oggi è il giorno 23 da quando i miei sciagurati cugini Edmund e Lucy hanno invaso la nostra casa. Non so quanto ancora riuscirò a sopportarli visto che devo dividere le mie cose con loro… sembra quasi che i giorni passati con loro siano 200! Se almeno potessi andare a scuola, non sarei costretto a vederli per così tante ore: guarda a cosa mi sono ridotto. Temo che la mia sanità mentale sia gravemente a rischio: non ho mai desiderato andare a scuola quando non ero obbligato! Inoltre caro diario sono anche 23 giorni da quando sono venuti ad abitare accanto a noi i nostri vicini… e con loro la figlia, Jill Pole. Da quando l’ho vista, ho capito che sarebbe stato come avere tra i piedi una seconda Lucy, se non peggio: e lo sai, caro diario, che su queste cose io non mi sbaglio mai. E dico mai. Infatti, Pole è una specie di arpia, anzi una strega: gira sempre con un ratto che ha addestrato per attaccare i poveri innocenti come me (l’ultima volta ha cercato di saltarmi in faccia e graffiarmi… forse voleva strapparmi gli occhi! e poi lei ha detto che ero stato io a spaventarlo!) e non mi sorprenderei se nella sua cameretta trovassi anche rospi e pipistrelli! Purtroppo, mia madre non se ne è accorta e così ha deciso che ogni tanto lei venga a casa nostra, in modo da recuperare il programma dell’anno precedente ed essere pronta per il prossimo. Rischio di trovarmela in classe, capisci? Manca solo che Edmund venga bocciato, che Lucy venga mandata ad una classe superiore e che i loro genitori me li mandino qui a Cambridge! Sarebbe la mia fine. Ma corro il rischio di non superare neppure questa estate. Anche oggi Pole è venuta… per fortuna mia madre è andata via quasi subito, così io ho potuto smettere di aiutarla e mi sono venuto a rintanare qui. Tanto quel brocco di mio cugino non fa altro che andare a parlare con Lucy nella sua stanza, penso che anche Jill li abbia raggiunti… ogni tanto li sento ridere. Chissà quali orrende macchinazioni stanno complottando alle mie spalle. E il fatto che Pole stia facendo amicizia con loro non è di nessun auspicio… probabilmente Lucy e Edmund cominceranno a raccontare anche a lei le loro assurde e improponibili storie su Nernia, Nirnia o come cavolo si chiama quel reame di cui loro parlano sempre. Ogni tanto la sera, quando pensano che io sia in camera, vado a spiare dietro alla porta e li sento parlare: non fanno altro che chiacchierare di quella lagna! Che bello se fossimo là, che peccato che non ci chiamino più… ma nessuno ha detto loro che le favole sono invenzioni? Guarda te, se può esistere un mondo dove loro sono stati Sovrani… loro poi, immagina che meraviglia… benvenuti a Nornia (o forse era Narnia? Boh, fa lo stesso), l’incredibile regno guidato dai Pevensie! Si salvi chi può! E il bello è che hanno cominciato a parlarne ancora di più da quando è arrivata la lettera dall’America! Sembra che quella svampita di Susan abbia detto loro di continuare a pensarci! E mamma diceva che Susan e Peter erano quelli maturi… due che continuano a fare questi giochetti, non sono maturi, parola di Eustace Clarence Scrubb! Sono io quello che legge libri in cui si racconta veramente qualcosa di vero, della realtà. E mi tocca sorbirli… almeno quei due sono in America. Immagina se fossero stati anche loro qua… penso che mi sarei trasferito a casa Pevensie: tanto loro sarebbero stati a casa Scrubb, ovvero casa mia. Ora devo andare, mi sembra di sentire i passi di Edmund. Sono sempre tra i piedi, peggio delle mosche. Se almeno lo fossero… se solo uno potesse trattare i parenti come tratta gli insetti, tutti i miei problemi sarebbero risolti. Potrei chiuderli in un barattolo, attaccarli al muro con un spillo.

Di scatto Eustace sgusciò da sotto il letto lasciandovi sotto il diario. Un attimo prima che la porta si aprisse, Eustace si sedette sul letto iniziando a fischiettare. Edmund entrò e vedendolo in quella posizione, lo squadrò sospettoso.

“Cosa stai combinando?”

Eustace alzò le spalle e lo guardò storto. “E a te che importa? E voi che state facendo? Avete invitato anche Pole nel paese degli svitati? Com’è che si chiamava quel vostro mondo… sai non me lo ricordo mai. Nernia, Nirnia? O forse era Nornia?”

Ridacchiando, si sbattè una mano sulla fronte. “No, giusto! Narnia, Narnia... Vero, cugino? Chissà perché, ma me lo dimentico sempre!”

Edmund gli lanciò un’occhiata gelida senza degnarsi di rispondergli. Preso quello che li serviva, uscì dalla porta richiudendosela alle spalle. Eustace tese l’orecchio finché non sentì i passi di Edmund raggiungere la stanza di Lucy e la porta chiudersi. A quel punto, tornò per terra tirando fuori ancora una volta il diario.

Nota per me: indagare sulle conseguenze legali in caso di parente (o vicino) infilzato.

E anche il capitolo quattro è terminato. Chiedo immenso perdono per aver fatto passare così tanto tempo da quando ho messo il terzo! Perdono, perdono, perdono!!!! >.< Purtroppo ero sempre di qua e di là per questa benedetta università… ma non penso vi interessi. Comunque ora sono qui. ;) Come promesso ho dedicato quasi totalmente il capitolo a Susan e Peter: prima il sogno/incubo della nostra Sue, poi il pomeriggio in spiaggia. E inoltre, ho messo Caspian! ^-^ Contente? Ok, non è una parte lunghissima, ma purtroppo a Narnia tutto è ancora tranquillo… o quasi. Infatti Caspian comincia a sentire che c’è qualcosa che non va. Ma i suoi resteranno solo sospetti… per il momento. E dulcis in fundo, non ho resistito a non ritagliare un piccolo spazio per il nostro scorbutico Eustace… piccola scena che si rifà a quella del film in cui lui scrive sul diario… ma modificata per ragioni di copione. XD Nel complesso sono abbastanza soddisfatta, anche se qualche punto credevo mi sarebbe venuto meglio… vabbè. Ora però è arrivato il momento di annunciarvi che, se non cambio idea o altro (il che non si può mai dire XD), l’arrivo a Narnia per i nostri Lucy, Edmund, Jill e Eustace è previsto per il capitolo 6! Preparatevi! J Per Susan e Peter invece è ancora presto… ma chissà che non arrivino a Narnia prima di quando prevediate. Il loro destino è nelle mie mani… ma sarò buona, promesso. ^-^ Per quanto riguarda il prossimo capitolo, il nostro Edmund (come nel film, ma non sarà proprio identico… diciamo che mi ispiro a quella scena) cercherà di arruolarsi. In America, invece, Susan, Peter e Ann andranno a fare acquisti. Ok, penso di avervi detto fin troppo, perciò…

… i ringraziamenti:

·         Per le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world, GossipGirl88, ImAdreamer99, mmackl, Serena VdW, Shadowfax e SusanTheGentle

·         Per le preferite: english_dancer

·         Per le recensioni del capitolo 3: Fly_My world, mmackl, Serena VdW, Shadowfax e SusanTheGentle

Ovviamente ringrazio anche chi solo legge. E voglio fare un ringraziamento speciale a chi a inserito “Tears of Memory” nelle seguite, nelle ricordate o nelle preferite dopo alla pubblicazione dell’ultimo capitolo e che dunque non avevo inserito già precedentemente nei ringraziamenti a fine dello stesso: Francy 98, _Sturdust, Crystal eye, ImAdreamer99 e nefrit93. Ah, ultimissima cosa: non sono riuscita a ricontrollare: se nel caso trovate qualche errore, ditemi ok? ^-^ Con questo penso di aver detto tutto e vi saluto, nella speranza, la prossima volta, di riuscire ad aggiornare un po’ prima. Ancora tante, tante grazie a tutti. A presto, Hikari

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere e Spiegazioni ***


Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere e Spiegazioni

Il silenzio regnava in casa Scrubb. Coloro che vi abitavano, erano ancora avvolti dalle braccia di Morfeo. Fuori, il sole doveva ancora sorgere e, oltre le case, si intravedeva solo un vago chiarore. Mancavano ancora un paio d’ore prima che si svegliassero.

Improvvisamente, la porta della camera di Edmund e Eustace cominciò ad aprirsi lentamente. Un debole cigolio ruppe il silenzio. Edmund si fermò e si voltò di scatto, sperando che il rumore non avesse svegliato il cugino. Lanciò uno sguardo appena verso il suo letto e poi sbuffò scuotendo la testa. La sua era stata una preoccupazione inutile. Eustace non dava l’impressione di aver sentito nulla: né Edmund che si era alzato, né il cigolio della porta. Il giovane Scrubb era disteso a pancia in giù e con le braccia stingeva il cuscino, mentre la leggera coperta era aggrovigliata attorno alle sue gambe e al suo busto. Ogni tanto si sentiva anche un leggero russare. Il volto di Edmund fu attraversato da una smorfia di disgusto: ma perché doveva dividere la camera con lui? Sarebbe stato di gran lungo meglio dividerla con un Minotauro…

Quando i suoi occhi caddero sull’orologio, Edmund ricordò il motivo per cui si era svegliato. Con cautela, Edmund uscì dalla stanza chiudendosi lentamente la porta alle spalle. Con Eustace non si poteva mai stare tranquilli: non si sarebbe sorpreso, se si fosse svegliato all’improvviso. Dopo un paio di istanti di attesa, il ragazzo si si voltò guardando il corridoio deserto. Casa Scrubb non sembrava tanto male… quando Eustace e i suoi genitori non c’erano. Istintivamente, i suoi occhi scuri corsero a guardare la parte del corridoio dove c’era la camera di Lucy. Chissà cosa gli avrebbe detto… sicuramente non sarebbe stata d’accordo. Ma Lucy non lo poteva capire: lei non doveva dividere la camera con Eustace e sorbirsi la sua presenza e le sue istigazioni. Ma soprattutto, Lucy non aveva mai dovuto sopportare il confronto con Peter. Peter: il maggiore, il più maturo, il più responsabile… il più. Il confronto tra Susan e Lucy era diverso. Certo, Susan era la più grande e veniva elogiata da tutti per la sua bellezza, ma tutti, compresi i loro genitori, voleva bene a Lucy per la sua spontaneità, per la sua allegria. E comunque era diverso, punto.

Scacciando dalla testa quei pensieri, Edmund si avviò lentamente verso l’altro lato del corridoio, verso la stanza di Alberta e Harold Scrubb. Facendo attenzione a fare il minimo rumore possibile, Edmund cominciò ad avvicinarsi in punta di piedi alla stanza degli zii. Quando stava per sorridere soddisfatto, ormai a poco più da un metro dalla porta, un asse del pavimento scricchiolo sotto i suoi piedi. Il ragazzo si immobilizzò e la fronte gli si imperlò di sudore. Passarono alcuni minuti che, a Edmund, sembrarono lunghissimi. Nessun rumore, però, proveniva dalla stanza. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: possibile che in quella casa tutto dovesse cigolare o scricchiolare? Edmund allungò la mano e la posò sulla maniglia. Ora veniva il difficile.

Lentamente abbassò la maniglia, spalancando lentamente la porta. Edmund deglutì in preda all’ansia. Doveva assolutamente trovare una scusa convincente da rifilare agli zii nell’eventualità che lo scoprissero.

Il ragazzo aprì la porta completamente, entrando velocemente nella stanza e lasciando l’uscio socchiuso. Meglio avere sempre una via di fuga veloce: le battaglie a Narnia non erano state così inutili, dopotutto. Edmund si inginocchiò e a gattoni si avvicinò alla sedia dove erano posati le giacche di zio Harold e di zia Alberta. Il silenzio regnava sovrano anche in quella stanza, tranne nei momenti in cui un distinto e rumoroso russare si sentiva provenire dalla parte di zio Harold. Edmund sospirò scuotendo la testa: a quanto pareva era proprio vero, tale padre tale figlio…

Quando raggiunse la sedia, Edmund si sollevò leggermente per osservare gli zii. Zio Harold continuava a russare, beatamente addormentato. Zia Alberta invece aveva gli occhi coperti da una mascherina scura. Edmund immaginò che, probabilmente, aveva pure i tappi… qualche volta si chiedeva se erano veramente parenti. La loro mamma non assomigliava neanche un po’ alla sorella: magari c’era stato uno scambio di bambini…

Edmund ridacchiò e si coprì la bocca con la mano. Non doveva perdere tempo. Con decisione iniziò a frugare tra le tasche della giacca. Vuota, vuota, portafoglio, vuota… ma dove cavolo aveva messo quel documento d’identità? Improvvisamente, il ragazzo sentì un rumore alle sue spalle. Rapidamente frugò nella tasca più vicina. Sentendo tra le dita la consistenza della carta, Edmund non perse tempo: afferrò il piccolo documento e si fiondò fuori dalla camera. Come un fulmine si nascose dietro al muro, sperando che nessuno venisse da quella parte. Dopo pochi istanti di logorante attesa, Edmund sentì la porta della stanza degli zii aprirsi. Riconobbe subito il ciabattare svogliato di suo zio. Un rumoroso sbadiglio gli confermò la sua ipotesi. Lentamente si sporse e vide lo zio entrare in bagno. Non appena la porta si chiuse, Edmund attraversò il corridoio ed entrò di scatto nella stanza che divideva con Eustace. Subito dopo, si fiondò nel letto nascondendosi sotto le coperte.

Un attimo dopo, Edmund imprecò sottovoce, maledicendo la sua sfortuna. Quella non era il documento d’identità di zio Harold. Come una beffa, si leggeva nitidamente un altro nome: Alberta Scrubb. E ora come avrebbe fatto? Di sicuro non aveva intenzione di tentare di nuovo la sorte, entrando un’altra volta di nascosto nella stanza. Zia Alberta si sarebbe accorta di quella sottrazione? Con zio Harold sarebbe stato sicuro di non venir scoperto: quell’uomo dimenticava sempre qualcosa a casa, esclusione fatta ovviamente per il giornale. Non aveva altra scelta. Doveva accontentarsi di quel documento. Magari, con un po’ di faccia tosta lo avrebbe potuto far passare per un errore ortografico. Sì, tanto cosa voleva che gliene importasse a quelli che compilavano le liste?

Edmund si convinse e nascose con attenzione e cura il documento nella tasca dei pantaloni. Poi guardò l’ora, cominciando a contare i minuti che lo separavano dal momento di alzarsi. Forse quella che stava per fare era una pazzia, ma era più che determinato a provarci. Il ragazzo si voltò e i suoi occhi scuri fissarono il soffitto. Se doveva essere sincero, non lo faceva per liberarsi della presenza di Eustace… cioè, non solo. Il fatto era che voleva dimostrare a tutti che valeva quanto Peter. E poi, voleva tornare ad avere un ruolo. Era stufo di fare il ragazzo qualunque. A Narnia era stato un Re: non ne poteva più di quella monotonia. Almeno Susan e Peter, in America, stavano vivendo qualcosa di diverso. Sì, era deciso: avrebbe fatto di tutto per sfuggire a quella routine sempre uguale.

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I membri della famiglia Evans al completo si trovavano uno accanto all’altro davanti alla scalinata d’entrata, nonostante fosse mattina presto. Di fronte a loro, vestito di tutto punto con la divisa dell’accademia, William stava sistemando la borsa sul sedile accanto a quello del posto di guida. C’erano tutti: suo zio Dave, Stephen e Margaret Evans e anche la sorella Ann. Un paio di passi indietro c’erano anche Susan e Peter con i loro genitori. In realtà, Peter avrebbe fatto anche a meno di alzarsi per salutarlo, ma Susan era stata categorica: dovevano mostrarsi gentili, dopotutto avevano anche ricevuto l’invito al tè ed erano ospiti a casa loro. Peter, ripensandoci, sbuffò: bella roba che vi avevano guadagnato… proprio da essere riconoscenti. Ci scommetteva tutto quello che aveva, che se Susan fosse stata una racchia con i brufoli e i denti storti non l’avrebbe invitata di sicuro… altro che gentilezza: il suo era solo interesse.

In quel momento, William si sciolse dall’abbraccio con Ann e arrivò davanti a loro. Robert e Helen salutarono il ragazzo con una stretta di mano e baci sulle guance. Poi, fu il loro turno. Non appena William arrivò davanti a Susan, il suo viso venne illuminato da un sorriso a trentadue denti. Peter dovette voltarsi perché altrimenti non sarebbe riuscito ad ignorare l’istinto di assestargli un pugno in pieno viso.

“Susan, non vedo l’ora di andare con te al ricevimento.”

Susan sorrise. “Sarà divertente…”

Alla ragazza non era venute in mente parole migliori. Avrebbe voluto tanto fargli capire che il loro rapporto non poteva andare oltre all’amicizia, ma non sapeva proprio come fare. E non poteva certo dirgli che non vedeva l’ora di andarci con lui. Sarebbe stato crudele fargli credere che tra loro ci sarebbe potuto essere qualcosa. Magari, al ricevimento avrebbe potuto spiegargli. Mentre si scambiavano dei formali baci sulle guance, Susan sospirò. Ma come poteva spiegargli che lei non poteva innamorarsi di lui perché era già innamorata? E se le chiedeva chi era… cosa si sarebbe inventata? Di sicuro non poteva dirgli che era innamorata del Re di un mondo in cui erano arrivati con la magia. Quando William si avvicinò a Peter, Susan prese una decisione: doveva trovare una soluzione.

Quando i due ragazzi si trovarono di fronte, Peter lo squadrò e mantenne un atteggiamento distaccato. Non erano amici e, finché avrebbe avuto delle intenzioni con Susan, non lo sarebbero stati. William si era accorto dell’atteggiamento ostile di Peter, ma cercava di fare finta di niente. Quando si strinsero la mano, i loro occhi si incrociarono.

“Ci vediamo, Peter.”

“A presto, William.”

A quel punto, William tornò vicino alla famiglia e abbracciò ancora una volta Ann. Subito dopo, salì sull’automobile con cui li aveva accompagnati dal porto e mise in moto. Tutti rimasero fermi a guardare la macchina che si allontanava lungo il vialetto e che poi scompariva in lontananza.

Lentamente il gruppo si sfaldò, i signori Evans e Dave rientrarono chiacchierando con Robert e Helen. Ann, invece, si avvicinò a Susan e Peter sorridendo.

“Mamma ha detto che possiamo andare oggi in città. Ci accompagna lei, poi lei e vostra madre andranno a farsi un giro per conto loro e io invece vi farò da guida. Pensavo che per prima cosa potremmo cercare i vestiti per voi… poi magari andiamo a mangiare qualcosa o vi mostro Central Park. Che ne dite?”

Susan sorrise annuendo. “Siamo nelle tue mani, Ann.”

Ann sorrise soddisfatta. “Venite dentro?”

Peter si voltò verso Susan. “Sue… vorrei parlarti un attimo.”

Susan lo guardò e annuì. Poi tornò a voltarsi verso Ann.

“Noi facciamo quattro passi sulla spiaggia… poi torniamo dentro.”

Ann annuì. “D’accordo… nel caso vi vengo a chiamare, se mamma dice che dobbiamo andare.”

Susan e Peter annuirono si avviarono verso il retro della casa. Ann invece rientrò nell’abitazione. I due ragazzi camminarono affiancati tra gli alberi fino al sentierino che immetteva sulla spiaggia. In silenzio cominciarono a camminare lungo il bagnasciuga. Passarono lunghi minuti prima che Peter si rivolgesse a Susan. In realtà aveva quasi un po’ di paura a rivolgerle quella domanda. Ma d’altra parte, smaniava nella speranza che la risposta fosse affermativa.

“Pensi che quel tuo sogno possa avere qualche legame con Narnia?”

Susan si voltò per un attimo verso di lui, poi tornò ad abbassare gli occhi azzurri che fissavano il moto delle onde sulla sabbia. Non gli rispose subito, quasi stesse cercando di capire lei per prima quale fosse la risposta giusta.

“Non lo so… però quando mi sono svegliata, avevo una strana sensazione… come se Narnia fosse in pericolo.”

Peter non rispose e deglutì guardando verso il mare. Fremeva al pensiero che Narnia potesse essere in pericolo e che lui non potesse tornarci per proteggerla. Poi tornò a guardare Susan, mentre i loro passi continuavano a imprimere orme sulla sabbia, orme che presto scomparivano.

“Cosa è successo nel sogno?”

Susan continuava a fissare le onde, quasi la aiutassero a ricordare. Ma in realtà non serviva. Ricordava ogni istante di quel sogno e ogni sensazione che le aveva lasciato, impressi in modo indelebile nella sua memoria.

“Ero su questa spiaggia… da sola. Non c’era nessuno.”

Susan si fermò guardando verso il mare. Peter la imitò e i suoi occhi si volsero verso di lei, in attesa che continuasse a parlare.

“Mi sembrava quasi di essere rimasta sola… come se nel mondo non ci fosse più nessuno. Vi provavo a chiamare, ma nessuno mi rispondeva. E il cielo sembrava volermi opprimere, scuro e senza sole.”

Susan sospirò. Peter le posò una mano sulla spalla.

“Poi che cosa è successo?”

Susan si voltò verso di lui e gli sorrise prima di riprendere a raccontare.

“Stavo  per cedere alla disperazione, ma si sono fatta forza cercando di pensare a voi e a Narnia. E all’improvviso è sorto il sole e tutto ha ripreso vita.”

Peter annuì senza però riuscire a togliersi un’espressione perplessa dal volto.

“Ma cosa c’entra questo con Narnia, Susan?”

Susan tornò a guardare verso il mare, chiedendosi se potesse avere un qualche collegamento con il suo incubo. Continuava a rifarsi le stesse domanda, ma ogni volta non riusciva a trovare risposte.

“Subito dopo, un’onda mi ha trascinato in mare. Mi sono ritrovata sott’acqua, lontano dalla costa… ho cominciato a nuotare verso la superficie e poi…”

Peter annuì per convincerla a proseguire. “E poi?”

Susan abbassò lo sguardo imbarazzata. Come poteva dire a Peter di aver sognato Caspian? Di sicuro si sarebbe arrabbiato perché lei continuava a soffrire a causa sua. Anche se non era vero. Il ricordo di Caspian non la faceva soffrire, non più almeno. Dopo il loro incontro… ecco un’altra cosa che a Peter non poteva dire: aveva trovato la forza di continuare a sperare proprio grazie a Caspian, grazie alla promessa che si erano scambiati. Ma Peter non poteva, o non voleva, capire. A quel punto, molto diplomaticamente, Susan decise di glissare su qualche particolare.

“Poi ho visto una nave che sembrava una di quelle di Narnia. Quando stavo per raggiungerla, la superficie del mare si è improvvisamente congelata imprigionandomi sotto.”

Peter sbattè gli occhi sorpreso. “Gelata?”

Susan annuì. “Sì, provavo e riprovavo a spezzarlo senza però riuscirci. Improvvisamente la nave è scomparsa ed è arrivata una persona avvolta da una nebbia verde.”

Il volto di Peter si fece serio. Anche se all’inizio aveva vagamente dubitato del collegamento tra il sogno e Narnia, ora si era convinto che qualcosa c’era. Non sapeva neanche lui il perché, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che Susan aveva ragione: quel sogno aveva, in qualche modo, un legame con Narnia. Susan riprese a raccontare.

“Non so perché, ma aveva come qualcosa di famigliare… mi trasmetteva un senso di paura, inquietudine che avevo già provato.”

Peter la guardò sgranando gli occhi ed esprimendo ad alta voce il primo pensiero che gli era venuto in mente.

“Jadis…”

Susan sospirò e lo guardò. “Non lo so. Anche io l’ho pensato, ma c’era il lei anche qualcosa che non avevo mai visto. Non so come spiegare…”

Peter stava rimuginando, pensando con rabbia all’eventualità che la perfida Strega avesse trovato per l’ennesima volta un modo per tornare. Alla fine, si voltò verso Susan.

“Poi?”

Susan sospirò ancora una volta. “Ha cominciato a dirmi che dovevo smettere di illudermi che sarei tornata a Narnia. Che sarei stata più felice dimenticando tutto, perché Narnia si era servita di me ingannandomi e facendomi venire solo quando le servivo. Continuava a ripetermi che Narnia non era nel mio destino.”

Il silenzio calò tra i due, entrambi concentrati nei propri pensieri. Susan continuava a pensare all’altra affermazione della misteriosa persona, quella che riguardava lei e Caspian. Ogni volta che ci pensava, provava una stretta al cuore. Peter, invece, era sempre più convinto che tutto quello centrasse con Narnia in un modo o nell’altro.

“Dobbiamo trovare un modo, Susan. Per tornare a Narnia, intendo. Sono convinto anche io che Narnia sia in pericolo.”

Susan annuì. “Sì… non voglio credere che quella persona, chiunque fosse, abbia ragione. Non mi rassegnerò mai.”

Peter sorrise vedendo la determinazione negli occhi di Susan.

“Come è finito il sogno?”

Susan si voltò verso il fratello. “Mi sono fatta forza per non credere alla sue parole, pensando di nuovo a Narnia. E alla fine ho chiamato Aslan.”

Peter la guardò eccitato. “E?”

Susan sorrise emozionata. “È arrivato ad aiutarmi. Ho sentito il suo ruggito. Quella persona se ne è andata e il ghiaccio è scomparso… sono emersa e ho sentito la sua voce.”

Susan prese un respiro, visibilmente emozionata. “Mi ha detto di continuare a seguire io mio cuore e di non perdere mai la speranza.”

Peter sorrise e abbracciò la sorella. “Visto? Aslan non ci ha abbandonato: sono certo che ci farà tornare a Narnia!”

Susan annuì sorridendo. Sì, non avrebbe mai smesso di sperare nel suo ritorno a Narnia.

In quel momento i due fratelli, sentirono la voce di Ann che li chiamava. Susan e Peter si voltarono e videro la ragazza muovere il braccio per attirare la loro attenzione all’imboccatura del sentiero. I due non persero tempo e raggiunsero Ann. Poi, insieme si diressero verso la villa.

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Lucy e Edmund salirono sulla bicicletta diretti, come altre volte da quando si trovavano a casa Scrubb, a fare la spesa. Non capivano esattamente come quello li avrebbe fatti diventare più “maturi”, ma forse quello era solo un modo per tenerli buoni. Infatti, Eustace non veniva mai mandato a fare la spesa. Edmund si sistemò sul sedile e Lucy si sistemò alla meglio sulla stanga, reggendosi con entrambe le mani. Era così concentrata a non cadere, che non si accorse del sospirò di sollievo emesso da Edmund quando aveva cominciato a pedalare via dalla casa. Se lo avesse sentito, forse lo avrebbe legato al sollievo di stare per un po’ lontano da Eustace.

Il motivo, però, era un altro. Edmund, quella mattina, aveva atteso con impazienza il momento in cui sarebbero potuti uscire. Non voleva rischiare che la zia si accorgesse dell’assenza del suo documento d’identità. Eustace di sicuro lo avrebbe accusato di essere il responsabile della scomparsa e quella volta non avrebbe neanche avuto tutti i torti. Per fortuna, però, tutto era andato per il meglio. Zia Alberta doveva aver dato per certo che il documento fosse nella sua solita tasca ed era uscita tranquillamente poco prima di loro. Se anche si fosse accorta della sparizione al circolo, avrebbe sicuro pensato che le fosse caduto in casa. Ed Edmund glielo avrebbe fatto credere, lasciando il documento sotto il comò.

Edmund sorrise. Il suo piano stava andando per il verso giusto. Una volta arrivati a destinazione, sarebbe dovuto solo stare attento a non insospettire Lucy. Era già un miracolo che la sorella non si fosse accorta quella mattina del suo comportamento irrequieto. La fortuna doveva essere proprio dalla sua parte. Un altro sorriso soddisfatto inarcò le sue labbra mentre pedalava di buona lena lungo il marciapiede.

Edmund, però, non sapeva che Lucy aveva ben altri pensieri. Dal giorno in cui era arrivata la lettera di Susan, un pensiero continuava a tormentarla. All’inizio aveva cercato di non pensarci, focalizzandosi sul fatto che Susan e Peter non avevano perso le speranze di tornare a Narnia. Anche quando aveva scritto la risposta, aveva cercato di convincersi che, nonostante tutto, sarebbero andati anche loro in America. Ma era stato tutto inutile e aveva continuato a pensarci: quando la sera andava a letto, la mattina che si guardava allo specchio e soprattutto quando zia Alberta parlava di Susan. In quei momenti, Lucy si scopriva invidiosa e neanche si rendeva conto che fosse quello il sentimento che la tormentava. Continuava a pensare a quello che Susan aveva detto: non erano neanche arrivati in America e Susan aveva già qualcuno che si interessava a lei. Dopotutto Susan era bella, affascinante, dolce.  E lei? Lucy si guardava allo specchio e vedeva tutti i difetti inimmaginabili. Una mattina si vedeva il naso troppo grosso, il giorno dopo il colore degli occhi troppo cupo. Un’altra volta ancora, guardava tristemente le lentiggine che le punteggiavano le guance o i capelli di un colore che trovava scialbo. Non si piaceva e ogni volta sognava come sarebbe stato essere come Susan. Sentirsi ammirata come lei…

Era così concentrata in questi pensieri, che Lucy non si accorse che erano quasi arrivati. Quando Edmund si fermò vicino ad un palo, per un pelo la ragazzina non scivolò rovinosamente a terra. Mentre scendeva dalla bicicletta e cercava di riprendersi, Lucy si accorse di un ragazzo in divisa sotto il portico dell’edificio poco lontano. Guardava nella loro direzione. Lucy sorrise e per un attimo si illuse che sorridesse verso di lei. Subito dopo, però i suoi sogni svanirono. Proprio da dietro di loro arrivò una ragazza che raggiunse il ragazzo sorridendo. Subito i due si misero a parlare e Lucy, nonostante si trovasse stupida, non riuscì a reprimere un’espressione delusa. Solo in quel momento si accorse di Edmund che la chiamava.

“Lu, ma stai ancora dormendo?”

La ragazzina si voltò di scatto verso di lui, sperando che Edmund non si fosse accorto di nulla.

“Che c’è Ed?”

Edmund sospirò e accennò dietro alle proprie spalle, dove oltre la strada c’era tutta la fila di negozi.

“Ti dicevo che mentre finisco di sistemare la bicicletta, puoi intanto entrare così magari facciamo un po’ meno fila…”

Edmund sperò che Lucy non si insospettisse: non glielo aveva mai chiesto le altre volte. La ragazzina, però, annuì senza troppa convinzione e si avviò.

“Va bene. Cerca di fare presto, Ed.”

Il ragazzo annuì rendendosi conto dell’aria avvilita della sorella. Mentre lei attraversava la strada, Edmund guardò nella direzione dove prima guardava Lucy e vide solo un ragazzo e una ragazza. Che cosa poteva aver visto Lucy da renderla così demoralizzata? Dopo, magari, glielo avrebbe chiesto. Ora aveva altro a cui pensare. Edmund finse di armeggiare con la bicicletta finché non vide Lucy scomparire dentro il primo negozio. A quel punto, tirò fuori dalla tasca il documento di zia Alberta e si diresse quasi di corsa all’entrata dell’edificio di fronte a lui. All’entrata troneggiava un enorme poster che propagandava l’arruolamento volontario. Edmund si fermò un attimo e lo fisso. Per qualche secondo, ebbe l’impressione di star per fare una sciocchezza. Stava per cambiare idea, ma alla fine scosse la testa guardando determinato verso l’entrata: avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva. Senza altri indugi, Edmund entrò nell’edificio.

Nel frattempo, Lucy era in attesa in fila. Non vedendo arrivare il fratello, cercò di sporgersi in modo da vedere attraverso la porta dove fosse finito. Con sorpresa si rese conto che non era più là della bicicletta. Subito dopo lo scorse entrare nell’edificio di fronte. Lucy aggrottò le sopracciglia stupita: che cosa stava facendo Edmund? Subito, il suo sguardo tornò alla fila in cui si trovava. Per fortuna non c’era tanta gente: era proprio curiosa di vedere che cosa stesse combinando.

Quando Edmund entrò, teneva le dita incrociate sperando che non ci fosse una fila troppo lunga: Lucy si sarebbe accorta del suo ritardo. Fortunatamente, c’erano solo una decina di persone davanti a lui. Edmund tirò un sospiro di sollievo e si mise dietro all’ultimo che gli lanciò un’occhiata che era un misto tra lo scettico e il divertito. Edmund non ci fece caso: l’importante era convincere l’inserviente che prendeva i nomi. Bastavano sangue freddo e faccia tosta: che c’era di difficile? Era sufficiente comportarsi come si comportava a Narnia: da Re.

Mentre Edmund si avvicinava al banchetto dove si davano i nominativi per l’arruolamento, altri ragazzi e uomini si mettevano in fila dietro di lui. A qualcuno scappò anche una mezza risata scorgendolo, ma Edmund gli ignorò perché finalmente era arrivato il suo turno. L’uomo davanti a lui si allontanò e Edmund fece un passo avanti porgendo con sicurezza il documento al militare seduto davanti a lui. L’uomo lo prese, ma non lo aprì guardando scettico Edmund.

“Sicuro di avere diciotto anni?”

Edmund si era aspettato quella domanda e si era preparato per rispondere con la sua solita faccia tosta.

“Perché… le sembrò più grande?”

Il militare lo scrutò ancora per un attimo e alla fine aprì svogliatamente il documento. Sembrava stesse ripetendo le stesse azioni ripetute decine di volte. Quando lesse il nome, l’uomo guardò ancora più scettico Edmund. Il suo tono era quasi di rimprovero.

“Alberta Scrubb?”

Delle risatine soffocate si alzarono alle spalle di Edmund, che si era preparato anche a quella domanda. Se tutto fosse andando come aveva previsto, sarebbe riuscito a convincerlo.

“È un errore di ortografia, dovrebbe essere Albert Scrubb.”

Nello stesso momento, Lucy si fermò sulla porta dell’edificio tenendo in mano due borse della spesa. Quando vide il fratello, non poté che scuotere la testa rassegnata. Non voleva neanche sapere come gli fosse venuta un’idea simile.

“Edmund, dovresti aiutarmi a portare la spesa, non credi?”

Sentendo la voce di Lucy, Edmund si voltò di scatto. I ragazzi in fila dietro di lui scoppiarono a ridere, mentre il militare tornava a Edmund il documento. Il ragazzo si allontanò arrabbiato e uno dei tizi in fila gli diede ridendo uno scappellotto in testa.

“Sarà per la prossima volta… eh, pulce?”

Edmund represse a fatica l’istinto di voltarsi e prenderlo a pugni. Stava andando tutto così bene: Lucy era arrivata proprio nel momento più inopportuno. Il ragazzo tirò dritto uscendo dalla edificio in cui ormai gli sembrava di soffocare: aveva fatto la figura dello stupido. Lucy cercò di attirare la sua attenzione senza riuscirci.

“Edmund, ma come ti è venuto in mente? Me lo dici?”

Edmund la ignorò, continuando a ribollire di rabbia. Quello che più lo imbestialiva erano state le parole del ragazzo. Arrivato alla bicicletta, Edmund sbuffò.

“Pulce… avrà avuto solo due anni più di me! Io sono un Re: ho combattuto delle guerre e ho guidato degli eserciti!”

Lucy lo guardò comprensiva, porgendogli le porse della spesa che Edmund cominciò a sistemare sulla bicicletta.

“Non in questo mondo, Ed.”

Edmund sbuffò di nuovo, sistemando con scatti rabbiosi le buste.

“Già, a Narnia sono un Re… e invece qui sono bloccato a bisticciare con Eustace Clarence Scrubb! Dimmi se si può avere un nome simile!”

Lucy scosse la testa, abituata agli sfoghi del fratello. In quel momento, la sua attenzione venne di nuovo attratta dal soldato e dalla ragazza di prima. Stavano ancora parlando sorridenti. La ragazza era posata ad una delle colonne del porticato e si stava sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchia. Lucy la fissò quasi ipnotizzata cercando di imitarla. Con la mano si sistemò una ciocca di capelli ritrovandosi a pensare che forse zia Alberta aveva ragione: lei non aveva proprio idea di come si comportasse una signorina. Cosa bisognasse fare per essere belle e attirare l’attenzione dei ragazzi. Forse avrebbe dovuto veramente seguire i suoi consigli. Tanto, brutta lo era: peggio non sarebbe potuto andare, no?

Di nuovo la voce di Edmund la riscosse dai suoi pensieri. Il ragazzo la guardava interrogativo, lanciando occhiate perplesse verso i ragazzi che Lucy osservava.

“Che stai facendo?”

Lucy si imbarazzò e si voltò di scatto verso la strada iniziando a camminare.

“Niente. Andiamo, dai.”

Edmund scosse le spalle e seguì Lucy. Per lunghi minuti nessuno dei due disse nulla. Quando arrivarono vicino alla casa, Edmund sbuffò.

“Lucy, ma potevi arrivare un attimo dopo?”

Lucy lo guardò indignata e anche leggermente spaventata, dimenticandosi almeno per il momento dei suoi dubbi, e lo colpì con un debole pugno sul braccio.

“Ed! ma che dici? Volevi davvero arruolarti?”

Edmund non rispose subito e sembrò rifletterci, mentre toglieva le borse della spesa e ne passava una a Lucy. Alla fine sospirò e scosse la testa.

“No. E ora, a pensarci, non penso di aver mai avuto un’idea più stupida di questa!”

Lucy sorrise e i due si avviarono verso la porta di casa. Subito si accorsero della presenza di Jill davanti alla porta. I due si affrettarono a raggiungerla.

“Jill!”

La ragazzina si voltò e un sorriso inarcò le sue labbra. “Lucy! Edmund!”

Edmund e Lucy si fermarono accanto a lei e Edmund prese le chiavi per aprire la porta. Nel farlo si voltò sorridendo sarcastico.

“Anche oggi a lezione dal caro cugino?”

Jill in tutta risposta sbuffò, mentre Lucy sorrise divertita accarezzando con la punta delle dita il furetto Billy che Jill teneva sempre nella sua borsetta.

“Non capisco come a mia madre sia venuta un’idea simile!”

Edmund la guardò con un’espressione comprensiva. “Lo dici a noi! Ti sembra un’idea migliore lasciare noi due qui, mentre i nostri fratelli maggiori sono in America?”

Jill scoppiò a ridere e scosse la testa. Lucy entrò in casa seguita da Edmund e Jill.

“Non continuiamo a pensarci… almeno ci siamo incontrati. Era peggio se non fosse successo.”

Edmund finse di inorridire a quel pensiero e Jill rise: era felice di aver fatto amicizia con Edmund e Lucy Pevensie. Rendevano più sopportare la frequentazione di casa Scrubb.

Lucy si sporse verso il salotto.

“Ciao, zio Harold. È arrivata Jill.”

Non ricevendo risposta, Lucy si diresse in cucina seguita da Jill. Edmund invece si fermò in salotto e guardò sconsolato lo zio che per l’ennesima volta stava leggendo il giornale. Che cosa ci trovava di cos’ interessante poi? La voce di Lucy, proveniente dalla cucina, ruppe di nuovo il silenzio.

“Ho cercato le carote, ma c’erano di nuovo solo le rape. Vuoi che cominci a fare la zuppa? Così sarà pronta quando la zia torna. Zio Harold?”

Nessuna risposta. Edmund scosse la testa rassegnato. Secondo lui zio Harold si addormentava ogni giorno su quella poltrona. Ecco perché era sempre con il giornale in mano. Si sedeva, cominciava a leggere le prime righe del primo articolo e… puff, la testa cadeva e tanti saluti all’articolo. A quella scena Edmund non poté che mettersi a ridere.

In quel momento arrivarono Lucy e Jill dalla cucina. La prima guardò il fratello in modo interrogativo.

“Che hai da ridere?”

Edmund cercò di farglielo a capire a gesti, ma il fatto che zio Harold non avesse neanche emesso uno dei grugniti che usava come saluto lo fece scoppiare di nuovo a ridere. Lucy e Jill si guardarono sorridendo divertite anche se non ne capivano il perché. In quel momento, dalle scale scese Eustace. Non appena vide i due cugini e la vicina, fece dietro front. Edmund lo vide e scosse la testa.

“Eustace, per fortuna che in questa casa ci sei tu. Come faremmo senza una persona matura come te?”

Lucy e Jill ridacchiarono. Eustace, invece, si fermò sulla porta del salotto guardando in cagnesco Edmund.

“Smettila di prendermi in giro, cugino. Proprio perché sono maturo non mi mischio con voi! Prova a chiederlo a mio padre!”

Edmund ridacchiò e si voltò per guardare lo zio. Proprio in quel momento un sonoro russare provenne da dietro il giornale. L’ilarità generale si scateno tra i due Pevensie e Jill. Eustace gli guardava indignato, ma in fondo anche lui fatica a trattenere le risate. Edmund si asciugò una lacrima causata dal tanto ridere.

“Magari glielo chiedo dopo…”

Eustace si voltò arrabbiato verso il padre mettendosi a gridare.

“Papà, Edmund, Lucy e Jill stanno ridendo di te!”

Capirono subito che Eustace voleva svegliare il padre. Edmund, se prima all’arruolamento si era trattenuto, era più che mai convinto di non farsi mettere i piedi in testa da Eustace.

“Piccola serpe!”

Il ragazzo cercò di raggiungere il cugino. Eustace, rendendosi conto della mala parata, iniziò a correre su per le scale cercando di attirare ancora, inutilmente, l’attenzione del padre.

“Papà, vuole picchiarmi!”

Solo a quel punto Harold Scrubb si riscosse. L’uomo abbassò il giornale e si guardò attorno senza capire. Lucy e Jill cercarono di trattenere le risate. Lucy fu la prima a parlare seguita a ruota da Jill.

“Ciao, zio Harold. Siamo appena tornati dalla spesa. C’erano solo le rape. Fra un po’ metto su la zuppa.”

“Buongiorno, signor Scrubb.”

L’uomo le guardò quasi non le riconoscesse. Alla fine annuì e rialzò il giornale. Sentendo dei rumori provenire dal piano di sopra, abbassò leggermente la pagina di giornale.

“Cercate di non fare troppo rumore: sto leggendo il giornale.”

Lucy e Jill annuirono e fecero appena in tempo ad uscire dalla stanza prima di scoppiare a ridere come matte. Dopo qualche minuto, le due si calmarono e iniziarono a salire.

“Lucy, posso venire in camera tua? Tanto dubito che Eustace si è dato alla macchia.”

Lucy sorrise e annuì. “Certo, così puoi fare uscire un po’ anche Billy.”

Jill annuì. Dopo qualche istante, le due arrivarono davanti alla porta della camera di Lucy ed entrarono. Quando Lucy si sedette sul letto, Jill si guardò attorno e vide la lettera di Susan posata sulla scrivania.

“Avete ricevuto qualche altra lettera dall’America?”

Lucy scosse la testa. “È un po’ presto. Abbiamo spedito la risposta un paio di giorni fa.”

Jill si sedette ai piedi del letto. “Ti mancano?”

Lucy annuì. “Tantissimo. Non vedo l’ora di raggiungerli.”

Il loro discorso venne troncato dall’arrivo di Edmund, la cui espressione era particolarmente soddisfatta. Il ragazzo prese una sedia e si sedette vicino a loro.

“Facciamo una partita a carte?”

Le due ragazze annuirono. Lucy prese il mazzo iniziando a mescolare, mentre Jill fece uscire Billy che iniziò a girovagare per la stanza.

Il furetto zampettò e corse per tutta la stanza annusando qua e là ed esplorando ogni angolo. Ad un certo punto arrivò davanti al quadro. L’animaletto si alzò sulle due zampe annusando curioso il dipinto. I suoi occhietti brillavano vivaci e mosse la testa a destra a sinistra quasi stesse studiando ciò che vi era raffigurato. Alla fine, saltò giù dalla mensola sotto al quadro e raggiunse il letto dove si accoccolò vicino a Jill. La ragazzina sorrise e lo accarezzò.

“Finito di girovagare?”

Il furetto mosse la testolina contro la sua mano. Poi, Jill tornò a voltarsi verso gli altri riprendendo a prestare attenzione al gioco.

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Susan, Peter e Jill scesero dall’automobile. I primi due si guardarono attorno, osservando le strade e gli edifici di New York. Ann, invece, tornò a voltarsi verso la macchina da cui la madre stava facendo le ultime raccomandazioni.

“Ci rivediamo qui tra qualche ora. Quando avete trovato i vestiti, ricordati di metterli sul mio conto, così uno dei prossimi giorni passo a pagare. Te lo ricorderai, Ann?”

La ragazza annuì, nonostante trovasse un po’ esagerate tutte le raccomandazioni della madre. La donna, a quel punto, sembrò soddisfatta e riprese in mano il volante.

“Mi raccomando divertitevi.”

Ann sorrise. Susan e Peter salutarono la madre e l’automobile ripartì, lasciandoli sul marciapiede. A quel punto, Ann si voltò verso i due Pevensie sorridendo.

“Venite. So il posto perfetto per trovare i vestiti per il tè. Io e mamma ci veniamo un sacco di volte e lei dice che se non trovi qualcosa lì, non lo trovi da nessun altra parte.”

Susan sorrise. “Allora andiamo.”

I tre ragazzi si avviarono e, dopo qualche minuto tra il via vai di persone della strada, arrivarono davanti alle porte di vetro di un negozio. Ann entrò senza esitazione Susan e Peter la seguirono. La ragazza fece un cenno di saluto ad una delle commesse e salì al primo piano. Non appena finirono di salire gli ultimi scalini, davanti a loro si stagliarono decine di file e mensole di abiti di tutti i tipi. Ann si voltò soddisfatta verso Susan e Peter.

“Facciamo prima per Peter… credo sia più facile. Poi, pensiamo a te Susan. Va bene?”

Susan e Peter annuirono. La prima si voltò verso Ann.

“Tu non prendi niente?”

Ann alzò le spalle con noncuranza. “Teoricamente ho già vestiti a casa che potrebbero andare bene. Se trovò qualcosa di assolutamente perfetto, però, potrei cambiare idea.”

Le due ragazze sorrisero e insieme a Peter si avviarono verso il reparto maschile.

Come avevano previsto, dopo neanche mezz’ora Peter era stato perfettamente vestito. Dopo qualche tentativo, aveva optato per un completo grigio-azzurro, camicia bianca e cravatta. Peter, inizialmente, non era stato molto convinto ma poi, per l’insistenza di Susan e Ann, aveva approvato. In particolare, Ann aveva affermato che metteva perfettamente in risalto i suoi occhi. subito dopo, però, la ragazza aveva abbassato lo sguardo imbarazzata e aveva detto che sua madre diceva sempre così. Fortunatamente per lei, il discorso venne spostato al vestiario delle due ragazze e i tre emigrarono nel reparto femminile.

Susan e Ann camminavano tra le file di vestiti guardando da un lato e dall’altro, mentre Peter le seguiva qualche passo indietro. Sembrava proprio un pesce fuor d’acqua e si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito non dover dare nessun commento.

Susan guardava i vestiti e, uno dopo l’altro, l’espressione del suo volto si incupiva: le sembravano tutti troppo eleganti. Quasi esagerati. Non andava certo al tè per far colpo su qualche ragazzo e tanto meno su William. Le sarebbe bastato un abito più semplice… la voce di Ann attirò l’attenzione di Susan.

“Sue, hai qualche preferenza? Che ne so colori accessi, tenui? Caldi o freddi?”

Susan sorrise vedendo l’espressione esitante di Ann: dopotutto era lì per aiutarla e lei non si stava collaborando per nulla. Con la mano mosse altre abiti che scartò subito, quasi non li vide.

“No saprei… non vorrei qualcosa di esagerato. Come colore…”

Ann si illuminò rimettendosi a cercare. “Azzurro o blu sicuramente. Così anche i tuoi occhi verranno messi in risalto.”

Susan sorrise e si rimise a cercare. Dopo buoni venti minuti, i tre si stavano dirigendo i camerini. Susan teneva in braccio due vestiti, uno azzurro e uno blu ma nessuno dei due la convinceva particolarmente. Più che altro si era fatta persuadere da Ann che da qualcosa dovevano pur iniziare. Arrivati ai camerini, Susan sparì in uno di essi e Peter e Ann rimasero fuori. Dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio, Ann iniziò ad allontanarsi.

“Io guardò se trovo ancora qualcosa…”

Peter annuì senza troppa convinzione: si stava già annoiando. Passò qualche minuto e Susan uscì sbuffando.

“Uno mi è stretto e l’altro è troppo esagerato.”

Ann, appena tornata a mani vuote, sembrò un po’ dispiaciuta ma subito dopo sorrise.

“Fa niente. Prima prova fallita: vedrai che troveremo qualcosa.”

Susan annuì e cominciò a riguardarsi attorno. Ann la seguì. Peter, invece, si posò alla parete vicino ai camerini tenendo il proprio completo tra le braccia: non vedeva l’ora che finisse. Susan si stava trovando insopportabile. Non era di nessun aiuto e scartava ogni vestito a priori. Alla fine, ammise con se stessa che il motivo era che non voleva andarci. Non aveva trovato ancora un modo per spiegare la situazione a William e per questo era in ansia. Poi un vestito attirò il suo sguardo. La ragazza si avvicinò, lo prese e lo guardò. Era un semplice vestito azzurro con un disegno floreale di margherite. La vita era leggermente stretta da un nastro nero a fiocco per creare uno sbuffo nella parte superiore. Anche le maniche erano a sbuffo e solo una fila di bottoncini impreziosiva la parte davanti. Susan sorrise come folgorata. Era perfetto. Stava per andarsene quando i suoi occhi caddero su un altro vestito. Susan lo guardò per un attimo e poi lo prese dirigendosi verso i camerini. Arrivata lì incrociò lo sguardo di Ann che si illuminò.

“Hai trovato qualcosa?”

Susan annuì e le porse il secondo vestito. “Tu prova questo. Qualcosa mi dice che è perfetto per te.”

Ann titubò un attimo, ma alla fine Susan la convinse. Le due entrarono in due camerini affiancati e Peter cominciò a camminare avanti e indietro sperando che quella fosse la volta buona. Dopo qualche minuto Ann aprì la porta e si sporse fuori con la testa.

“Sue… io sarei pronta.”

La voce di Susan la raggiunse da dentro il camerino. “Io no. Un attimo… intanto fatti dire da Peter che ne pensa: dopotutto sarà il tuo accompagnatore! Che ne pensi, Peter?”

Ann aprì la bocca per dire qualcosa, ma alla fine non disse nulla. Nel frattempo le sue guance si erano leggermente arrossate per l’imbarazzo. Anche Peter sembrava leggermente a disagio per quella richiesta, ma alla fine sospiro.

“Va bene…”

Ann arrossì ancora di più sentendo quelle parole. Per qualche istante, rimase dov’era. Poi aprì lentamente la porta e uscì guardando in giro e cercando in tutti i modi di non incrociare lo sguardo di Peter.

“Che… che ne pensi?”

Peter la guardò e per un attimo rimase senza parole. L’abito era color rosa-lilla e in vita c’era una fascia bianca che si chiudeva con un fiocco leggermente laterale. Un sottile disegno di fiori di un color più scuro decoravano la gonna e le maniche. Dopo un attimo, incrociò lo sguardo di Ann e sorrise balbettando qualcosa. Un solo pensiero gli roteava nella mente: ma chi glielo aveva fatto fare…

“Stai bene… sì… bene, sì…”

Proprio a quel punto, Susan uscì e guardò perplessa la scena dei due.

“Allora?”

Quando vide Ann, Susan sorrise entusiasta. “Ann stia benissimo. Sei bellissima. Lo dicevo che questo vestito è perfetto. Vero, Peter?”

Peter annuì guardando di lato. “Sì, sì.”

Ann sorrise e si voltò verso Susan guardandola eccitata. “Susan… sei meravigliosa. Quel vestito sembra fatto per te. Ti piace, vero?”

Susan annuì facendo un giro su se stessa. “Sì. Mi piace.”

Ann annuì soddisfatta. “Penso che abbiamo finito allora. Cambiamoci e andiamo a mettere in conto a mia madre i vestiti. Poi andiamo a fare un giro a Central Park.”

Susan e Peter annuirono. Poi le ragazze ritornarono nei camerini: sia loro che Peter non vedevano l’ora di uscire di nuovo all’aria aperta. Il tempo passato nel negozio era stato fin sufficiente e tanto ormai avevano quello volevano: ora erano pronti per andare al tè del console.

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Era un giorno come tanti a Portostretto, la città più grande e importante delle Isole Solitarie. Le case che la costituivano occupavano quasi completamente uno dei pendii di Doorn, l’isola più grande, dalle cime delle colline che la circondavano come una corona alle rive del mare, su cui dondolavano imbarcazioni di tutti i tipi e di diverse provenienze. Portostretto era infatti uno snodo fondamentale per i commerci ed era su questo che si basava principalmente la sua economia. L’altra attività più praticata era la pesca. Tutte le sere, appena calava il tramonto, decine di pescherecci grandi e piccoli prendevano il largo. Mogli, madri, sorelle e figlie rimanevano sulla riva finché le luci delle torce sparivano nell’oscurità della notte. A quel punto, tornavano indietro ad attendere il ritorno dei loro congiunti la mattina successiva.

E questo avveniva ancora, nonostante quello che da anni succedeva con il beneplacito del governatore Gumpas. Tutti a Portostretto lo avrebbero voluto cacciare, o meglio tutti coloro che non avevano un qualche interesse che lui rimanesse. E dato che la maggior parte di queste persone erano influenti, Gumpas era ancora al suo posto. Grazie al loro appoggio e all’esiguo reparto di soldati, Gumpas riusciva a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non era solo per questo che Gumpas governava incontrastato. Sarebbe stato troppo inetto e incapace per farlo. Era per questo che, appena aveva potuto, il governatore si era alleato con i pirati.

Le Isole Solitarie avevano conosciuto da sempre la pirateria. Da che mondo è mondo, dove c’erano marinai c’erano anche pirati. Ma un tempo essi venivano, si rifornivano, facevano i loro affari e ripartivano verso le coste per attaccare le navi di Archen o di altre terre. Da anni, invece, i pirati avevano preso il potere e avevano insediato nell’arcipelago il loro mercato di schiavi. Tutto era successo durante un tentativo di rivolta. Non appena Gumpas, da poco insediato, aveva annusato qualche rischio per il suo governo, aveva deciso di scendere a patti con i pirati, convinto di ottenere solo vantaggi. Ma, alla fine, il capo dei pirati aveva iniziato a ricattare Gumpas per avere sempre più libertà di azione e il governatore, pur di rimanere al potere, aveva ceduto.

Tutti alla fine avevano dovuto accettarlo. Dopotutto, non c’era nessuno che li avrebbe potuti liberare: non i mercanti di Calormen o quelli di Archen, non i viaggiatori che arrivavano e poi salpavano senza interessarsi a quello che succedeva sulle tre isole. E così Doorn, Arva e Felimath venivano lasciate a se stesse. E così erano cominciati i racconti di un tempo ormai dimenticato da tutti, conservato solo nella memoria dei più anziani che a loro volta lo avevano ascoltato dai loro nonni. Un nome aveva cominciato a serpeggiare sottovoce: Narnia. Perché un tempo le Isole Solitarie erano parte di Narnia e i suoi Re ne erano stati gli Imperatori. Ma quel tempo era trascorso da secoli, cancellato dai Re di Telmar. Ma era ancora impresso nelle memorie e veniva ora di nuovo tramandato. I bambini pendevano dalle labbra a sentire i racconti sull’Epoca d’Oro e sui suoi Sovrani: Re Peter il Magnifico, Regina Susan la Dolce, Re Edmund il Giusto e Regina Lucy la Valorosa. E con i loro nomi, era diventata più forte anche la speranza in Aslan. Ogni volta che il nome del Grande Leone veniva pronunciato, gli abitanti delle Isole Solitarie tornavano a sperare che un giorno sarebbero stati liberati.

Ma nel frattempo proseguiva la vita di tutti i giorni: i mercanti arrivavano e venivano, i pescatori uscivano in mare la notte per fare ritorno la mattina. E tra di loro c’era anche il marito di Helaine. La donna era nata e cresciuta sulle Isole Solitarie, non aveva conosciuto nessun altra terra. Ma, nonostante questo, ogni sera raccontava alla figlia i racconti che i suoi nonni le avevano raccontato quando era bambina. Helaine sospirò e, mentre asciugava le ciotole messe ad scolare la sera prima, si avvicinò all’uscio della porta guardando tristemente verso il mare. Oltre il porto e la baia di Doorn si vedevano anche Arva e Felimath. Era quella l’isola su cui si erano insediati i pirati. Ed era da lì che conducevano gli schiavi catturati a Doorn, per poi venderli al mercato. Sarebbe mai finita un giorno?

Gli occhi di Helaine tornarono a guardare verso il mare. Un mare che un tempo era amico degli abitanti delle Isole Solitarie e che, invece, sembrava volerli minacciare anche lui. Non erano le tempeste o le mareggiate, no. Era qualcosa di più inquietante e che nessuno riusciva a spiegare. Una nebbia verde che appariva ogni giorno di più all’orizzonte e, ultimamente, era arrivata quasi a lambire le spiagge delle tre Isole. Qualcuno diceva che fosse un fenomeno normale, altri che fosse la punizione per aver permesso la vendita di schiavi sull’isola. In realtà nessuno sapeva la verità, ma era anche vero che si era intensificata negli ultimi anni, contemporaneamente al rafforzamento della presenza dei pirati. Ma la verità era che da anni quella nebbia avevano cominciato a far parte dei racconti dei marinai. E nessuno sapeva neppure che cosa succedesse se si entrasse in contatto con la nebbia… qualcuno raccontava che alcune barche di pescatori erano scomparse. Affondate no, perché ogni volta c’era bel tempo. Ma anche questo non si sapeva se era vero. C’era anche qualcuno che, sottovoce tra i vicoli, diceva che era una emanazione del male e chi veniva raggiunto dalla nebbia fosse costretto ad affrontare le sue paure più grandi che gli portavano via, lentamente, la loro forza vitale.

Helaine non sapeva a cosa pensare. L’unica certezza era che, da quando riusciva a ricordarsi qualcosa, la nebbia era sempre apparsa all’orizzonte. Ricordava ancora la partenza dei Lord venuti, così dicevano, da Narnia e che avevano promesso di liberarli dalla nebbia. Ma anche loro erano scomparsi e non si era saputo più niente. Mai erano tornati.

Helaine voltò le spalle al mare e rientrò nella casa, posando una ciotola e prendendone un’altra. Aveva ancora un po’ di tempo prima che tornassero. La donna sorrise, mentre passava il panno lungo il bordo della ciotola. Gael sarebbe stata affamata e probabilmente sarebbe arrivata crollando dal sonno. Quella bambina era veramente incredibile: quando voleva qualcosa, era pronta a fare qualsiasi cosa per averla. La sera prima aveva cercato di convincerla in tutti i modi, ma era stato inutile. Ma forse, era stato meglio così: non aveva mai visto Gael felice come quel giorno…

Helaine si era alzata e aveva cominciato a sparecchiare. Nella stanza accanto, Rhynce stava prendendo le ultime cose che gli sarebbero potute servire mentre era sul peschereccio. Tutto sembrava uguale ad ogni altra sera. Ma c’era qualcosa di diverso. Gael, infatti, la loro unica figlia, aveva finito la cena il più velocemente possibile e stava portando quasi di corsa piatti, bicchieri e posati nella cucina. Helaine trovò quasi con sorpresa il tavolo già sgombro. Ma la donna non era ingenua: ogni volta che Gael faceva così, era perché voleva chiederle qualcosa. Infatti, la bambina le si era avvicinata e giocherellava con il bordo del vestito rosa. La donna sorrise dolcemente e si sedette su una sedia.

“C’è qualcosa che mi vuoi chiedere, Gael?”

La  bambina la guardò in silenzio per qualche istante, poi le si avvicinò guardandola con occhi supplicanti e si posò al bordo del tavolo vicino alla madre.

“Posso andare con papà? Ti prego, ti prego!”

Helaine sgranò gli occhi dalla sorpresa a quella richiesta. Avrebbe voluto dirle di no, perché andare per mare non era sicuro per una bambina: tra nebbie e pirati, non voleva che Gael corresse alcun pericolo. Non appena, però, aprì la bocca per risponderle, Gael congiunse le mani per pregarla e la guardò con gli occhi di un cucciolo abbandonato. Helaine cercò di resistere, ma alla fine cedette. La donna scosse la testa sorridendo rassegnata.

“Va bene, ma solo se è d’accordo anche papà!”

Il viso di Gael venne illuminato da un enorme sorriso. La bambina si sporse verso la madre stampandole un bacio sulla guancia.

“Grazie mamma!”

Gael non attese risposta e corse nella stanza accanto dal padre. Helaine scosse ancora una volta la testa sorridendo e andò a lavare i piatti. Non passarono neanche pochi minuti che Gael era riapparsa nella stanza saltellando. Un sorriso ancora più luminoso inarcava le sue labbra.

“Vado a pesca con papà! Vado a pesca con papà!”

Helaine sorrise. Come aveva previsto neanche Rhynce aveva resistito. La donna posò accanto a sé un piatto appena voltato prendendone un altro.

“Ricordati di portarti una coperta e anche qualcosa da mangiare! E cerca di dormire, mi raccomando Gael!”

Gael annuì volteggiando sorridente nella stanza. Era troppo felice. Vedendola, Helaine dimenticò per un attimo tutte le preoccupazioni: dopotutto, Rhynce sarebbe stato con lei e andavano solo qualche miglio in mare aperto. Non ci sarebbe stato niente di cui preoccuparsi.

Un rumore in strada distolse Helaine da quei pensieri. Si sentivano rumori di passi che si avvicinavano al gruppo di case dove c’era anche la loro. La donna sorrise: erano tornati. Non vedendo l’ora di riabbracciare la figlia, Helaine si asciugò le mani sul grembiule e prese il bicchiere di Gael dopo averlo riempito di latte. In quel momento, i rumori di passi si fermarono davanti alla loro porta. Helaine si voltò sorridendo e si posò allo stipite della porta della cucina.

Improvvisamente la porta venne aperta con una violenza tale da farla sbattere contro la parete. Fuori di essa si vedevano un gruppo di uomini armati. Il sorriso morì sulle labbra di Helaine che lasciò cadere a terra il bicchiere, il cui contenuto si sparse sul pavimento.

Salve a tutti! ^-^ Mi stavate dando per dispersa? Scusate!!!! So di meritare il vostro perdono per questo mostruoso ritardo, ma la speranza è l’ultima a morire XD… e poi sono stata brava e, per farmi perdonare, questo capitolo è venuto bello lungo: quasi 20 pagine word! *-* Sono soddisfatta, soprattutto perché c’erano alcuni punti che non mi convincevano ma alla fine mi sono venuti come volevo. Voi che ne dite? =) Abbiamo visto lo svolgimento del piano di Edmund, Susan ha raccontato il sogno a Peter, c’è stato il fallimento dell’arruolamento di Ed (per fortuna) e ho messo anche Jill e i dubbi di Lucy… poi Eustace, come poteva mancare? XD E ovviamente le compere del gruppetto in America, come promesso. Ho alternato molto i pezzi, spero che non vi abbia dato fastidio. Stavolta, purtroppo, il nostro Caspian non si è visto… ma la prossima volta si va a Narnia, quindi non è tanto grave vero? Finalmente dal prossimo capitolo tornerà ad essere centrale! ^-^ Per quanto riguarda l’ultima parte, non ho proprio resistito a metterla. Nel film si sapeva solo che Helaine è stata rapita e sacrificata… ma come è successo? Questa è la mia versione. ^-^ La descrizione iniziale delle Isole Solitarie non mi ha soddisfatto molto, ma mi rifarò quando ci arriveranno.

A questo punto, passiamo ai ringraziamenti:

·         Per le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world, GossipGirl88, ImAdreamer99, Joy_10, katydragons, Shadowfax e SusanTheGentle

·         Per le preferite: english_dancer

·         Per le recensioni del capitolo 3: Fly_My world, Joy_10 e Shadowfax

Per quanto riguarda, invece, il prossimo capitolo come vi ho già detto… finalmente si va a Narnia! ^-^ per questo motivo, i protagonisti saranno soprattutto Lucy, Edmund, Jill e Eustace e Caspian ovviamente. XD Sue e Peter si vedranno un po’ meno, ma cercherò di metterli almeno in un pezzettino.

Beh, che altro dire? Solo grazie, grazie se avrete avuto la pazienza di aspettare questa ritardataria cronica. E ringrazio anche chi solo legge e leggerà. Con questo vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo che arriverà… non so quando, ma arriverà: spero solo di non farvi aspettare un altro mese! T-T Scusate!!!! Ok, adesso vi lascio: ancora grazie!

A presto, HikariMoon

P.S. il titolo fa schifo, lo so... ma non mi era venuto in mente niente di meglio! >.<

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Di Nuovo A Narnia ***


Capitolo 6 - Di Nuovo A Narnia

Rhynce sorrise accarezzando il capo della figlia. La bambina, avvolta nella coperta, dormiva serena, con un mezzo sorriso che piegava le sue labbra. Aveva cercato di resistere tutta la notte, ma un paio d’ore prima dell’alba era crollata. L’uomo, cercando di non svegliarla, le scostò una ciocca di capelli scuri dal viso. In quell’istante, la voce di uno dei compagni di Rhynce lo riscosse. L’uomo accarezzò ancora una volta la figlia e poi si alzò raggiungendo l’amico.

“Rhynce, fra poco arriveremo in porto.”

L’uomo annuì e si voltò a guardare il profilo delle Isole Solitarie, una sagoma scura contro il cielo che iniziava ad essere illuminato dal sole. Ogni volta era un’emozione grandissima, nonostante quelle isole non fossero più un luogo tranquillo da molto molto tempo. Lo sguardo di Rhynce si rabbuiò e l’uomo distolse lo sguardo.

“Non dovremo avere problemi, meglio però stare attenti.”

L’uomo accanto a lui scoppiò a ridere. “Rhynce, non sei tu l’unico ad aver navigato!”

Rhynce non rispose e tornò alle sue mansioni. Le ultime miglia fino al porto furono percorse senza alcun problema. Erano tutti marinai esperti, sapevano come muoversi tra quelle spiagge. Quando attraccarono, mentre i compagni ammainavano le vele e cominciavano a scaricare le ceste di pesce, Rhynce tornò dalla figlia. Inginocchiatosi accanto a lei, la scosse piano.

“Gael, svegliati. Siamo arrivati.”

Dopo qualche istante, la bambina aprì gli occhi sbattendo le palpebre. Lentamente si tirò su stropicciandosi gli occhi con una mano e nel farlo sbadigliò. Il padre sorrise.

“Ti avevo detto di andare a dormire.”

Gael scosse la testa, cercando di non mostrare quanto stanca in realtà fosse.

“No. Io volevo aiutarti, papà… e poi è stato così bello!”

Rhynce e Gael sorrisero. Poi la bambina si alzò stringendo la mano dell’uomo. Fu in quel momento, che, all’improvviso, la voce di una donna superò quelle dei marinai che chiacchieravano mentre scaricavano le ceste.

“Rhynce! Rhynce!”

L’uomo, sorpreso e preoccupato, si diresse veloce verso la passerella, seguito da Gael. Non appena misero piede sulla banchina, una giovane donna dai capelli scuri li raggiunse. Sembrava sconvolta e gli occhi erano leggermente arrossati.

“Rhynce, grazie ad Aslan sei arrivato!”

L’uomo guardò allarmato la donna, che altri non era che la sorella minore di sua moglie Helaine, e le posò una mano sulla spalle nel tentativo di calmarla. Gael li guardava con gli occhi sgranati, senza riuscire a capire che cosa stesse succedendo.

“Shalia, che cosa sta succedendo?”

“Rhynce… Helaine!”

L’uomo, al sentir pronunciare il nome della moglie, strinse istintivamente con più forza la mano attorno al braccio della cognata. I suoi occhi tradivano la sua preoccupazione.

“Helaine? Che cosa è successo? Shalia, che cosa è successo a Helaine!”

Gael, sentendo pronunciare il nome della madre, alternò lo sguardo spaventato dal padre alla zia.

“Papà, zia… che cosa è successo alla mamma?”

La donna, quasi in lacrime, si portò una mano al viso voltandosi verso la cittadina.

“Io… ero lontano… stavo per andare da lei… quando… quando sono arrivati loro… l’hanno presa… anche da altre case… l’hanno portata via, Rhynce!”

Gael si staccò dal padre gridando dalla paura. “Mamma!”

Rhynce, sconvolto, obbligò la cognata a guardarlo. “Chi, Shalia? Dove l’hanno portata?”

Shalia, orami in lacrime, indicò le case dietro alle quali si trovava la piazza centrale e il molo dove attraccavano sempre i pirati.

“I pirati!”

Rhynce non attese altro. Lasciata la presa dal braccio della donna, iniziò a correre tra gli altri marinai. Gael cercò di seguirlo, ma Shalia la riuscì ad afferrare e abbracciarla per impedire di correre via.

“Papà!”

La voce di Rhynce provenne dalla folla di marinai che si guardava sorpresa e preoccupata.

“Gael, rimani con tua zia! Hai capito? Rimani con lei!”

Shalia, scossa dai singhiozzi, abbracciò con più forza la bambina che cercava in tutti i modi di divincolarsi.

“Devo andare dalla mamma! Zia, lasciami!”

La donna scosse la testa, continuando a singhiozzare. “No, Gael! Devi restare qui, tesoro. Devi restare qui…”

Ma Gael non voleva sentire ragioni e alla fine riuscì a sgusciare dalle braccia della donna. La bambina iniziò a correre tra i marinai, sorda ai gridi disperati della zia che protese le braccia verso di lei.

“Gael, no!”

Ma la bambina continuò a correre, incurante delle ceste che colpiva e del vestito che ogni tanto si impigliava su qualche amo rimasto tra le reti. Se la sua mamma era in pericolo, lei doveva fare qualcosa.

Nel frattempo, Rhynce aveva attraversato quasi tutta la cittadina e si trovava ormai vicinissimo alla piazza. E già da lì, si rese conto che stava succedendo qualcosa. Grida e pianti si levavano nell’aria e decine di persone assiepate si guardavano a vicenda, sconvolte e spaventate. Rhynce si infilò tra di loro, facendosi spazio anche a gomiti e spintoni. Ma alla fine arrivò al margine della folla, tenuto d’occhio da una schiera di soldati armati. E quando vide ciò che stava succedendo, Rhynce sbiancò disperato.

In mezzo alla piazza, tenuti d’occhio dai pirati, c’erano una quindicina di persone legate: donne e anziani soprattutto. E tra di loro, Rhynce riconobbe la moglie. Una morsa gli strinse lo stomaco e istintivamente cercò di andare verso di lei, ma uno dei soldati lo spintonò di nuovo tra la folla. Fu in quel momento che l’uomo vide a poca distanza dei prigionieri Gumpas, il Governatore delle Isole Solitarie, e il capo dei pirati. Il primo si guardava attorno a disagio, passandosi ogni tanto la mano sulla fronte sudata, il secondo invece guardava lui e tutti gli abitanti con sguardo crudele e superbo. Come se fossero tutti oggetti di sua proprietà. Rhynce strinse le mani a pugno. Fu in quel momento che si riuscì a sentire il discorso dei due.

“Ma siamo sicuri che sia necessario?”

Il pirata si voltò con un ghigno sarcastico verso il Governatore.

“Preferite prendere voi il posto di uno dei prigionieri?”

Gumpas, a quelle parole, arretrò di un passo scuotendo la testa spaventato.

“No, no… io chiedevo soltanto. Fino a oggi…”

Il pirata gli impedì di finire di parlare. “Fino a oggi c’erano stati sufficientemente schiavi scartati da poter essere usati. Questa volta non c’è ne sono… e così abbiamo dovuto rimediare altrove i sacrifici.”

Quella parola risuonò nel silenzio irreale calato sulla piazza. Espressioni sgomente e terrorizzate si fecero largo sul volto di tutti. I primi a gridare e a scoppiare in lacrime furono i prigionieri. Subito dopo, tutta la folla iniziò a gridare, cercando di superare i soldati. Ma erano armati e alla fine furono costretti a rimanere indietro. A quel punto, il capo dei pirati sguainò la sua spada. Tutti tacquero di nuovo, soltanto dei singhiozzi sommessi rompevano il silenzio.

“Molto meglio. Non vi conviene ribellarvi, è meglio per tutti. Dovreste ringraziarmi. In questo modo permetto a tutti di vivere al sicuro dalla nebbia maledetta.”

Una voce si alzò tra la folla. “Non puoi portarci via le nostre mogli e i nostri parenti!”

Il pirata lanciò uno sguardo gelido verso la folla.

“Silenzio! Non credo siate voi a tenere la lama dalla parte del manico! Il prossimo che osa dire qualcosa, lo faccio imprigionare!”

Rhynce deglutì, quasi pronto a spingersi avanti incurante della minaccia. Ma improvvisa sbucò dalla folla una bambina dai lunghi capelli scuri e con indosso un vestito rosa. Rhynce sgranò gli occhi vedendola e anche Helaine, tra i prigionieri, gridò dal terrore.

“Mamma!”

A pochi metri dai prigionieri, Gael venne afferrate per i capelli e gettata indietro sul selciato. La bambina gridò e Helaine cercò di raggiungerla, con il solo risultato di venire fatta risedere di nuovo. Rhynce, a quel punto, si fece largo tra i soldati gettandosi a stringere tra le braccia la bambina. subito, alzò lo sguardo verso il capo dei pirati che lo guardava furente.

“Vi prego, lasciate andare mia moglie. Prendete me al suo posto!”

A quelle parole, Helaine gridò. “No, Rhynce! No!”

Il pirata si avvicinò lentamente, guardandolo divertito.

“E così vorresti prendere il posto di tua moglie?”

Rhynce annuì senza esitazione, mentre Gael si stringeva a lui gridandogli di non farlo. Il pirata lo fissò per un istante e poi scoppiò a ridere crudele.

“Ringrazia che non spedisca nella nebbia anche tua figlia! Tu sei un pescatore, sei utile. Vedrai che riuscirai a sopravvivere!”

Rhynce sconvolto cercò di rialzarsi. “No!”

Ma il soldato che gli stava vicino lo ributtò a terra. A quel punto, il capo dei pirati si inginocchiò e lo tirò per il bavero della camicia.

“Vedi di non farmelo ripetere, altrimenti la nebbia sarà l’ultimo dei tuoi problemi!”

Subito dopo, lo lasciò andare e Rhynce si accasciò a terra senza forze, stretto a Gael che  continuava a piangere tendendo le braccia verso la madre. Un istante e i pirati fecero alzare i prigionieri che iniziarono a gridare e a supplicare di risparmiarli. Ma non servirono suppliche o preghiere, né le loro né quelle del resto della folla.

Spinti dai soldati, i prigionieri furono condotti fino al molo e costretti a salire sulle scialuppe che erano già state preparate. Rhynce, quando la moglie scomparve tra la folla, si alzò e cercò, disperato, di farsi largo tra la folla.  Raggiunsero il molo e li la videro, mentre veniva spinta su una delle scialuppe. Anche Helaine li vide e si portò una mano al volto coperto di lacrime.

“Gael, rimani con tua padre! Promettimelo, Gael!”

Poi la donna fu costretta a sedersi. Nessuno poté fare altro. Coloro che erano nelle scialuppe furono costretti a remare, mentre una delle navi dei pirati li seguiva lentamente per controllare che non scappassero. Tutti alzarono gli sguardi e all’orizzonte, come ogni mattina, videro farsi avanti la nebbia verde. Tutti zittirono, rabbrividendo. Le donne piangevano, gli uomini si guardavano impotenti. Dopo un attimo di esitazione, Gael e Rhynce si allontanarono dalla folla, lontano dal molo, verso il piccolo promontorio di scogli. Arrivarono lì, quando la nave dei pirati si fermò e quando le piccole barchette proseguirono sole verso il loro destino.

Gael e Rhynce rimasero immobili sugli scogli per tutto il tempo. L’uomo teneva stretta tra le braccia la bambina che guardava in lacrime le piccole scialuppe ormai lontane, ai margini della nebbia verde. Poi, fu un attimo: non appena le barchette vennero avvolte da essa, la nebbia si dissolse. E, di coloro che stavano sulle scialuppe, non ci fu più nessuna traccia. Solo l’orizzonte scuro e il cielo azzurro. Gael cercò di divincolarsi, gridando con tutto il fiato che aveva in gola.

“Mamma, mamma!”

Lontano, da molo, si levavano simili grida disperate. Rhynce, invece, teneva stretta Gael, impedendole di correre verso il mare e di tuffarsi per raggiungere la madre. Non riusciva a parlare, non riusciva a fare nulla. Ma le sue guance, scurite e scavate dal sole e dal vento del mare, furono rigate da lacrime amare. Non aveva potuto fare nulla e ora sua moglie era scomparsa. Gael si voltò stringendosi a lui e affondando il viso sul suo petto. L’esile corpo della bambina era scosso dai singhiozzi. Rhynce continuava a fissare l’orizzonte, dove la moglie era scomparsa. Non sapeva come, non sapeva a che costo, ma l’avrebbe riportata a casa. Anche a costo di raggiungerla a nuoto. Lo avrebbe fatto, ma ora non poteva far altro che soffrire in silenzio, sentendosi, su quegli scogli, solo quanto mai prima di allora. Solo, come erano soli gli abitanti delle Isole Solitarie: sarebbe mai arrivato qualcuno a porre fine a tutto quello?

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Un altro giorno di navigazione in pieno oceano attendeva il Veliero dell’Alba, ignaro di tutto quello che stava succedendo sulle Isole Solitarie. Ancora pochi giorni separavano Caspian e il suo equipaggio dall’arcipelago. Sul veliero, ogni cosa avveniva come tutti i giorni precedenti. Il cielo era sereno, il vento a favore e la mano sicura di Lord Drinian facevano tutti sentire sicuri.

Caspian aveva appena finito di allenarsi con la spada. Attività a cui dedicava ogni mattina un paio d’ore. Il giovane Re non era ancora sceso a cambiarsi e indossava ancora soltanto la camicia. Finito l’allenamento, aveva raggiunto Drinian discutendo con lui i dettagli dell’imminente arrivò alle Isole Solitarie e dell’ultimo tratto di rotta. Tratto che si prospettava privo di sorprese o di cambiamenti del tempo. Fu per quel motivo che, quando la voce di un marinaio si levò sopra il brusio del ponte, Caspian e Drinian alzarono lo sguardo sorpresi.

“Uomo in mare!”

A quelle parole, Caspian scese di corsa le scalette che portavano al ponte principale e raggiunse il parapetto. Afferratosi ad una delle corde a cui erano fissate le vele, Caspian guardò nella direzione che indicava il marinaio. Accanto a lui, molti marinai si erano raggruppati attorno al parapetto fissando nella stessa direzione. Ben presto, tutti si resero conto di quattro teste che sbucavano tra le onde a pochi metri dalla prua. Caspian, vedendole, sentì il proprio cuore perdere un battito. Ma non doveva pensare a quello. Senza esitazione, Caspian salì sul parapetto voltandosi verso Drinian.

“Lord Drinian, fermate la nave e fate abbassare l’ancora!”

Il capitano del Veliero dell’Alba lo guardò sorpreso, rendendosi conto di quello che voleva fare. Accanto a Caspian, altri tre uomini si issarono sul parapetto. In quel momento, un’onda quasi sommerse due dei quattro naufraghi. Caspian non attese oltre e si tuffò, seguito dai suoi uomini. Non sapeva neanche lui perché lo stava facendo, avrebbe potuto benissimo lasciare il salvataggio ai suoi marinai. Forse era il senso del dovere… o forse, più probabilmente, la speranza che covava in fondo al suo cuore.

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Susan era seduta nella veranda di casa Evans. Tra le mani teneva il libro che stava leggendo. Accanto a lei anche Ann stava leggendo un libro. Entrambe le ragazze erano assorte nella lettura. Una leggera brezza proveniente dal mare muoveva loro i capelli e gli unici suoni che riempivano l’aria erano i cinguettii degli uccellini e il rumore della risacca. Improvvisamente, dei passi affrettati, distrassero le due ragazze. Un attimo e Peter uscì dalla casa tenendo, sorridente, una busta in mano. Susan, non appena la vide, si alzò in piedi sorridendo emozionata e raggiunse subito il fratello.

“È di Lucy.”

Susan sorrise e presa la lettera andando a sedersi sul divanetto bianco. Peter la seguì sedendosi accanto a lei. Le mani di Susan quasi tremavano mentre apriva la lettera. Erano giorni che aspettavano quella risposta. Ann, a qualche metro da loro, li guardava sorridendo: sapeva che cosa voleva dire ricevere una lettera da parte dei fratelli. Anche lei, quando William era all’accademia, aspettava trepidante una sua lettera o una sua chiamata. Consapevole di non aver diritto di intromettersi, Ann si alzò sorridendo e entrò in casa a bere qualcosa.

Susan aprì la lettera e sorrise vedendo la grafia semplice e chiara della sorella. Quanto le mancava. Preso un respiro, Susan iniziò a leggere…

Cara Susan, caro Peter,

non sapete quanto siamo stati felici di ricevere questa lettera. Per un po’, ci ha fatto dimenticare di essere a casa Scrubb invece che con voi in America. Sarebbe proprio bello che Narnia ci richiami… ci richiami a tutti e quattro. Non sarebbe fantastico riunirci a Narnia? Anche noi vogliamo continuare a credere che sarà così.
Qui da noi è tutto come al solito. Zia Alberta continua ad affibbiarci commissioni da fare perché dice che ci fanno diventare “maturi” e zio Harold riesce addirittura a salutarci, qualche volta: quando non legge il giornale, ovviamente. E per il resto… Edmund e Eustace litigano ogni giorno. Qualche volta cerco di calmarli, ma inutilmente. L’unica cosa bella è che gli Scrubb hanno nuovi vicini. E la loro figlia si chiama Jill: abbiamo fatto amicizia. In realtà, secondo le loro madri, a diventare amici sarebbero dovuti essere Jill e Eustace… un po’ improbabile, vero?

Susan si interruppe e sorrise divertita, come anche Peter. Era felice che avessero anche loro trovato una nuova amica: si sarebbe sentita troppo in colpa a saperli soli con Eustace.

Speriamo che presto potremo raggiungervi. Il posto dove state sembra bellissimo. Anche qui, però, c’è qualcosa che ci fa pensare a Narnia. Nella mia stanza c’è appeso un quadro che raffigura la distesa di un oceano. Quando lo guardi, sembra proprio che le onde si muovano. Ogni volta, immagino che siano le onde del Mare Orientale. Almeno così siamo un po’ più vicini.
Purtroppo, abbiamo sentito anche noi notizie brutte a proposito degli attacchi tedeschi… ma leggerlo nella tua lettera è stato ancora peggio. Il solo pensiero di dover stare qui magari mesi, ci deprime: non riusciremmo mai a sopravvivere con Eustace. Se voi non c’è lo augurate, immaginatevi noi quanto siamo contenti.
Dì a Peter che non si preoccupi… tanto lo so anche io che tu non potresti innamorare di quel William, per quanto carino possa essere. Però sono felice per te: avere qualcuno che apprezza la tua bellezza, deve essere bello.

Peter aggrottò le sopracciglia e guardò Susan interrogativo. “Cosa intente con: lo so anche io che non ti puoi innamorare di William? Susan?”

La ragazza sorrise guardando la lettera. Peter, però, non aveva intenzione di arrendersi.

“Non mi dirai che c’entra ancora Caspian! Non hai sofferto abbastanza? Lo sai che se anche torneremo a Narnia, saranno passati un sacco di anni.”

Susan non si voltò verso di lui e la sua voce uscì in un sussurro. “Non è detto… io lo so…”

Subito dopo, però, Susan riprese a leggere sorridendo divertita e ignorando le proteste di Peter.

Comunque, noi cerchiamo di farci forza il più possibile. E pensiamo praticamente ogni minuto a Narnia: è l’unica cosa che rende più sopportabile Cambridge (oltre che passare, ogni tanto, del tempo insieme a Jill).
Come stanno mamma e papà? Dite loro che ci mancano molto e dite a papà che siamo contentissimi che lui abbia avuto quel lavoro: così almeno non dovrà essere richiamato nell’esercito.
Speriamo che questa lettera vi raggiunga… e che la prossima volta che ci scriverete, ci direte che possiamo venire anche noi in America. Ci mancate da morire: vi vogliamo bene, a tutti. Tanti saluti, anche da Edmund.

                                                                                              Un abbraccio, Lucy

P.S. Susan, sono contenta che tu non voglia più dimenticare Narnia. Dopo il nostro primo viaggio, avevo paura che tu ti allontanassi da noi. Sono felice che tu creda ancora a Narnia: questo non è strano, era strano quando non ci credevi. Vi abbraccio.

Susan sorrise stringendo la lettera al petto. Le sembrava quasi che Lucy e Edmund fossero lì con loro. Era difficile immaginarli a chilometri di distanza, oltre l’oceano. I suoi occhi si inumidirono e Peter, accorgendosene, le passò un braccio attorno alle spalle. Susan si voltò verso di lui sorridendogli grata.

“Non devi essere triste, Susan.”

La ragazza scosse la testa ricacciando indietro le lacrime che volevano uscire dai suoi occhi azzurri.

“No. Non lo so.”

Peter sorrise. “Così si fa, Sue. Lucy ha ragione… era strano quando non credevi a Narnia.”

Susan sospirò e si posò con la testa sulla sua spalla. Era felice di aver recuperato quel rapporto di confidenza con Peter. Dopo il secondo viaggio a Narnia, il loro legame sembrava essersi allentato… entrambi si erano chiusi in sé stessi nel tentativo di sopportare la decisione di Aslan di non farli più tornare. Ma poi la speranza di tornare a Narnia li aveva riavvicinati, permettendo loro di recuperare il meraviglioso rapporto fratello e sorella che avevano da quando erano bambini.

“Lo so. Sono stata una stupida. Credevo che in quel modo avrei sofferto di meno… invece non ho fatto altro che soffrire di più.”

Peter la allontanò leggermente da lui sorridendole.

“Non pensarci… l’importante è continuare a sperare che Narnia ci richiami.”

Susan annuì sorridendo, stringendo con più forza la lettera di Lucy. “Sì. Succederà, lo so.”

Peter annuì a sua volta, sorridendo divertito. “Già, però dobbiamo stare attenti… ti ricordi cosa ci aveva detto il professo Digory?”

I due ragazzi risero, ripetendo insieme la frase che il professore, qualche anno prima, aveva detto prima a Lucy e poi a tutti loro.

“È probabile che succeda quando meno te lo aspetti… quindi meglio tenere gli occhi aperti!”

La loro risata risuonò per tutta la veranda e fu udita anche da Helen Pevensie che in quel momento stava scendendo per chiedere loro una cosa. Quando li sentì, la donna non poté che sorridere dolcemente.

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Lucy era accoccolata nel vano della finestra. Finite tutte le mansioni che zia Alberta le aveva affibbiato anche quel giorno, per farla diventare una signorina diceva lei, si era potuta prendere una meritata pausa. Per quel motivo, non aveva esitato a prendere il libro che aveva cominciato a leggere un paio di sere prima. Eppure, nonostante anche Edmund e Eustace sembrassero aver deciso di concedersi una tregua, Lucy non riusciva a concentrarsi. Iniziava a leggere una frase e, a metà di essa, distoglieva lo sguardo e i suoi occhi azzurri iniziavano a vagare distrattamente su ciò che vedeva al di fuori.

Improvvisamente, Lucy sbuffò e chiuse il libro posandolo sul comò vicino alla finestra. Poi cinse le gambe con le braccia e posò la testa sulle ginocchia. Si continuava a dare della stupida: perché continuava a pensare a quel ragazzo e a quella ragazza che aveva visto un paio di giorni prima, perché continuava a paragonarsi a Susan e perché quasi non si riconosceva in quei momenti di malinconia. La ragazza emise un sospiro triste.

Il rumore improvviso della porta che si apriva riscosse Lucy dai suoi pensieri e la fece voltare. Nel vano della porta c’era Edmund che fumava di rabbia. Decisamente aveva cantato vittoria troppo presto: una tregua tra Edmund e Eustace era decisamente impossibile.

Edmund entrò accostando la porta e si sedette sbuffando sulla sedia accanto alla scrivania. Lucy, a quel punto, scese dal davanzale e si sedette sul letto. Per alcuni istanti, fissò il fratello, ma visto che non sembrava non volerle dire niente, fu lei la prima a parlare.

“Che è successo questa volta, Ed?”

Edmund la guardò, alzandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza gesticolando con le mani e sottolineando con ogni gesto il suo crescente disappunto.

“Che cosa è successo? Niente. Che cosa vuoi che sia successo? Vado così d’accordo con quello!”

Lucy abbozzò un sorriso rassegnato. “Ed.”

Il ragazzo sbuffò per l’ennesima volta, voltandosi verso la sorella.

“Diventerò pazzo, Lucy. Lo capisci? Eustace è peggio di un’arma! Potrebbero usarlo contro i tedeschi: scommetto che dopo due ore, si arrenderebbero.”

La ragazza lanciò uno sguardo di rimprovero verso il fratello. “Edmund!”

Edmund, in risposta, sbuffò un’altra volta senza smettere di camminare avanti e indietro.

“Lucy, tu non sei costretta a dividere la camera con lui. Vuoi sapere la sua ennesima trovata? Bene. Io ero sul mio letto e lui è arrivato. Fin lì ho fatto finta di niente, dato che purtroppo è anche camera sua. Poi, però, invece di ignorarmi come lo ignoravo io, si è messo a fare ogni sorta di rumore possibile per infastidirmi! Prima fischiettava, poi colpiva il portapenne con la matita… e poi io me ne sono andato. Ancora un minuto e lo avrei picchiato. Non sai quanto sei fortunata ad avere una stanza tutta tua!”

Lucy sospirò e abbassò lo sguardo. Un velo di amarezza passò sui suoi occhi azzurri. La sua voce uscì dalle labbra poco più alta di un sussurro.

“Susan e Peter…”

Edmund la guardò senza capire. “Che cosa hai detto?”

“Susan e Peter: sono loro i veri fortunati.”

Un silenzio pesante calò nella stanza dopo quelle parole pronunciate da Lucy. La ragazza rimase immobile a fissare il pavimento e Edmund si fermò abbassando le braccia lungo il corpo. Per lunghi minuti nessuno dei due fratelli disse nulla. Alla fine fu Edmund, tornando a sedersi, a rompere per primo il silenzio.

“Loro sono i fratelli maggiori, Lu. Ormai dovremmo farcene una ragione… noi contiamo meno di loro.”

Lucy alzò lo sguardo e sospirò tristemente, pentendosi del tono risentito con cui aveva parlato poco prima.

“Non dovremmo essere così cattivi con loro… Sue e Peter non hanno nessuna colpa.”

Edmund sorrise rassegnato. “Lo so… è per quello che mi da più fastidio. È solo una convenzione sociale… e a farne le spese siamo noi. I grandi in America e i piccoli dal cugino. Equo, no?”

Lucy sorrise. “Per niente.”

Edmund si alzò sorridendo. “Lu, cambiamo discorso… non mi va di deprimermi. Ci pensa già abbastanza quel pesce lesso.”

La sorella scoppiò a ridere. Subito dopo, guardò Edmund. “Parliamo di Narnia?”

Nel pronunciare il nome del magico mondo di cui erano diventati Sovrani, gli occhi di Lucy brillarono di entusiasmo. Anche l’espressione di Edmund cambiò e anche nei suoi occhi scuri scintillò una luce diversa. Ma prima che lui potesse dire qualcosa, una voce lo interruppe.

“Lo sapete che siete veramente noiosi?”

Edmund si girò di scatto e anche Lucy alzò lo sguardo. Fu allora che i due fratelli videro sul vano della porta il cugino. Eustace, senza neanche chiedere il permesso, entrò nella stanza. Edmund lo fulminò con lo sguardo.

“Nessuno ti ha detto che spiare è da maleducati? Come entrare senza chiedere il permesso.”

Eustace alzò le spalle con un’espressione indifferente. “L’educazione non me la faccio certo insegnare da te. E poi, con quello che vi dite…”

Edmund lo guardò canzonatorio sorridendo sarcastico. “Non ti obblighiamo mica ad ascoltare, Eustace. Libero di tornare ai tuoi intelligentissimi passatempi: fischiettare, colpire con una matita il portapenne…”

Eustace lo ignorò camminando per la stanza e guardandosi attorno.

“Ma che c’è ti trovate nelle vostre sciocchezze? Cos’è, non avete letto nessun altro libro oltre che a quel libro di favole? O nessuno vi ha detto che sono storie inventate?”

Edmund strinse una mano a pugno e si chiese come riuscì a trattenersi dal colpire in faccia il cugino.

“Illuminaci tu, cugino. Sentiamo, quali sono i libri che dovremmo leggere?”

Eustace sembrò ignorare il tono sarcastico di Edmund e si voltò verso il quadro appeso sopra alla mensola centrale, fermandosi davanti ad esso.

“Che ne so… tutti i libri che leggo io, per esempio. Libri con notizie vere…”

Edmund si volò verso Lucy soffocando una risata: Eustace che leggeva libri che parlavano di cose serie. Era più facile che nevicasse in estate. Dopo un attimo, Edmund lanciò un’occhiata al cugino che se ne stava zitto.

“Nient’altro di intelligente da dire? Mi aspettavo qualcosa di più da uno come te che legge tanto…”

Eustace non si voltò neanche, continuando a fissare il dipinto.

“Che quadro orribile…”

Lucy alzò lo sguardo su di lui, fissandolo arrabbiata. “Non è vero. È un quadro bellissimo.”

Eustace sbuffò. “Ma fammi il favore… se mamma lo ha messo qua, vuol dire che non valeva la pena farlo vedere agli ospiti. E poi anche un bambino saprebbe disegnare quattro onde e una bagnarola con la vela porpora. Che poi che nave ha le vele di quel colore, vorrei sapere…”

A quelle parole, Lucy scattò su come se fosse seduta su una molla. Senza dare risposta allo sguardo interrogativo di Edmund, la ragazza si diresse immediatamente verso il quadro scostando quasi bruscamente Eustace che emise un verso di disappunto.

“Non è possibile…”

Gli occhi azzurri di Lucy fissavano quel quadro come se fosse ipnotizzata. Non era possibile. Lei se lo ricordava bene: non c’era nessuna nave in quel dipinto. Solo un puntino scuro che… improvvisamente Lucy si ricordò di quella mattina, quando aveva avuto l’impressione di riuscire ad intravederne la forma. E anche allora aveva avuto l’impressione che il giorno prima il puntino non fosse così grande da poterlo permettere. Un sorriso sempre più luminoso e speranzoso cominciò ad illuminarle il viso. Una sola parola continuava a riempirle la mente: Narnia.

“Lu, cosa non è possibile?”

La voce di Edmund la riportò alla realtà e Lucy si voltò verso di lui senza riuscire a frenare l’emozione, senza preoccuparsi minimamente del fatto che Eustace potesse sentirli.

“Edmund, quel veliero non si vedeva… il primo giorno che ho guardato il dipinto, c’era solo una distesa di onde. Edmund, lo capisci? Ti rendi conto di che cosa significhi?”

Edmund non rispose subito e i suoi occhi scuri si volsero verso il dipinto fissando il veliero. Ogni istante che passava un’emozione più forte cresceva dentro di lui. La voce di Eustace ruppe il silenzio.

“Nanerottola, tu sei tutta pazza. Quel quadro è sempre stato così.”

Edmund si voltò verso di lui guardandolo duro. “Vuoi stare per una volta zitto, quando non sai neanche di cosa parli?”

Eustace sgranò gli occhi e ridacchiò divertito, roteando un dito vicino alla tempia.

“Scusate, mi correggo… a quanto pare siete pazzi entrambi. Ma vi sentite? Pretendete che un quadro cambi per farvi un favore!”

Edmund non ascoltò neanche le parole di Eustace continuando a guardare il dipinto. E ogni istante che lo fissava, si sentiva quasi vibrare dall’emozione.

“Lu… ne sei… ne sei sicura?”

Lucy annuì con decisione, senza che neanche l’ombra di un dubbio velasse il suo sguardo.

“Mai stata più sicura, Edmund. E quel veliero assomiglia ad una delle sue navi.”

Il ragazzo sorrise, ripensando ai loro precedenti viaggi a Narnia. “Allora mi fido… se non sei tu che capisci quando c’è qualcosa che riguarda Narnia.”

L’emozione crescente dei due Pevensie venne di nuovo interrotta da Eustace che, guardandoli stralunato, si tappò le orecchie con le mani.

“Eh, no! Ora basta! Siete insopportabili! Dovreste farvi vedere da un bravo dottore, sì signore!”

Edmund e Lucy si voltarono fissando perplessi la reazione isterica di Eustace. Il ragazzo, continuando a tenersi le mani sulle orecchie, aveva raggiunto la sedia dove poco prima si era seduto Edmund e vi si era installato, lanciando loro di tanto in tanto un’occhiata scioccata.

“Con questa tiritera di Narnia mi avete stufato!”

Edmund lo guardò sarcastico, lanciandogli al contempo uno sguardo gelido.

“Puoi uscire da questa stanza, se vuoi.”

Eustace in risposta gli mostrò la lingua. A quel punto, Edmund decise che aveva superato il limite e si avvicinò a lui minaccioso. Eustace, rendendosi conto delle intenzioni del cugino, si alzò correndo dalla parte opposta del letto.

“Non osare toccarmi!”

Edmund sorrise perfido. “Io ti avevo detto di uscire… Lucy, non voltarti e ora che il caro cugino abbia quel che merita.”

Lucy, dal canto suo, sospirò. “Edmund, cerca di fare la persona matura.”

Edmund si voltò verso la sorella, stando però attento che Eustace non cercasse di uscire.

“Lucy, con lui è impossibile e lo sai. E mi sono trattenuto fin troppo. Non è lui che ha avuto per giorni un bernoccolo sulla testa.”

Eustace iniziò a ridacchiare, ma accorgendosi dell’occhiata omicida di Edmund, si tappò la bocca con una mano.

“Ti conviene non ridere troppo… potrei raccontare a tuo padre che sei stato tu a rubare i dolci a zia Alberta!”

Eustace sgranò gli occhi, ma subito dopo guardò torvo Edmund. “Bugiardo!”

Edmund incrociò le braccia e un sorrisetto ironico si allargò sulle sue labbra. “Ah, davvero?”

Lucy, ancora davanti al dipinto, sospirò rassegnata. Ma quando avrebbero smesso di comportarsi come cane e gatto? La ragazza alzò la mano e sfiorò il dipinto. Per un istante ebbe quasi l’impressione che la tela fosse umida. Lucy allontanò di scatto la mano, osservando affascinata e stupita la tela.

“Ed…”

“Li ho trovati sotto il tuo letto. E sai una cosa? Li ho leccati uno per uno.”

Lucy si voltò a quelle parole, rendendosi conto che il fratello non l’aveva neppure sentita. Facendolo, riuscì anche a vedere la smorfia disgustata che attraversò il voltò di Eustace.

“Bleah! Mi avrai infettato!”

Lucy tornò a voltarsi: non voleva neanche sentirli. Davanti a loro c’era la possibilità di tornare a Narnia e Edmund perdeva tempo con Eustace. Lei non li avrebbe mai capiti. Quando, però, i suoi occhi azzurri tornarono a guardare il dipinto, Lucy si rese conto che c’era qualcosa che non andava. La tela sembrava essere diventata lucida.

Improvvisamente alcune gocce d’acqua colarono dalla cornice e si infransero sulla mensola posata al di sotto. Lucy sgranò gli occhi, mentre sempre più gocce d’acqua uscivano dal dipinto formando delle piccole pozze sulla mensola. Ogni istante che passava, rivoli sempre più abbondanti colavano dal dipinto. Un leggero soffio d’aria mosse leggermente i capelli di Lucy portando con sé l’odore fresco e salmastro del mare. Le onde dipinte cominciarono a muoversi e si poteva quasi sentirne il rumore. Scioccata e sorpresa, Lucy arretrò di un passò portandosi una mano alla bocca per l’emozione.

“Edmund!”

Al tono sorpreso e allarmato di Lucy, Edmund e anche Eustace smisero di litigare e si voltarono verso di lei. Il primo la raggiunse guardandola preoccupato.

“Che succede, Lucy?”

Lucy sentiva il cuore batterle sempre più forte dall’emozione: stava succedendo, stava veramente succedendo. La voce le uscì in un soffio, mentre le labbra si piegarono in un sorriso.

“Edmund, il dipinto!”

A quelle parole, Edmund si voltò e vide anche lui quello che stava succedendo. Dell’acqua stava uscendo dal dipinto, scivolando fino a terra. E la nave, la nave della vele porpora che poco prima avevano guardato, si avvicinava a loro a vele spiegate. Edmund spalancò la bocca posando una mano sulla spalla di Lucy. Non riusciva a credere che le loro speranze si stessero avverando. Eustace, invece, quando vide quello che stava succedendo sgranò gli occhi dal terrore. Non sapeva come avessero fatto, ma quello era il peggior scherzo dei suoi cugini: come riuscivano a far uscire l’acqua dal dipinto?

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Al piano di sotto, nessuno sospettava quello che stava succedendo al piano superiore. Zio Harold stava parlando al telefono con un collega, ogni tanto sbuffando e guardando tristemente il giornale di cui aveva dovuto interrompere la lettura. Zia Alberta, invece, stava finendo di preparare il pranzo fischiettando una delle poche canzoni che trasmettevano alla radio nelle pause dei bollettini di guerra.

Fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta. La donna, rendendosi conto che Harold non poteva andare ad aprire, si pulì le mani su uno strofinaccio e si avviò verso la porta. Mentre percorreva il corridoio, Alberta cercò di ravvivarsi i capelli.

“Sto arrivando!”

Quando aprì la porta e si rese conto che c’era solo Jill, la donna sorrise senza però riuscire a nascondere un lieve sollievo: sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi in quelle condizioni, accaldata e quasi spettinata, di fronte ad una delle sue amiche. E questo a Jill non sfuggì, ma evitò bene di farlo vedere. Lucy e Edmund le avevano detto quanto la donna desse importanza all’aspetto esteriore. Era anche quello uno dei motivi per cui non le stava molto simpatica… ma del resto tutta la famiglia Scrubb non brillava per simpatia.

“Buongiorno, signora Scrubb. Abbiamo finito lo zucchero e, quindi, mia madre le chiedeva se gentilmente ce ne poteva prestare un po’.”

Alberta sorrise e aprì la porta. “Ma certo, cara. Entra.”

Le due arrivarono al centro dell’atrio da cui salivano le scale. La donna si voltò verso Jill indicandole il piano superiore.

“Tesoro, finché vado a prendere lo zucchero se vuoi puoi salire a salutare Eustace.”

Alberta non aspettò neanche la risposta e si diresse verso la cucina. In questo modo, non si accorse dell’espressione disgustata di Jill che aveva espresso a denti stretti i propri pensieri.

“Neanche se mi paghi…”

Perché nessuno riusciva a capire che lei e Eustace non si sopportavano? Non era così difficile. Anzi, al massimo se doveva salire andava a salutare Lucy e Edmund. Ma dato che la madre le aveva detto di non trattenersi troppo, Jill decise di aspettare lì. Dalla cucina, sentiva provenire il rumore di portelle aperte e rischiuse e di piatti e barattoli spostati. Jill sospirò e iniziò a guardarsi attorno. La casa non era tanto brutta… fu in quel momento che Jill si rese conto che, dal piano superiore, non provenivano i classici rumori che aveva imparato a conoscere: ovvero Edmund e Eustace che litigavano rincorrendosi per il corridoio. E quel particolare alimentò la sua curiosità. Che cosa stavano facendo?

Improvvisamente, Billy, il suo furetto che anche quel giorno aveva portato nascosto nella borsetta, sgusciò fuori e saltò sul pavimento. Jill, rendendosene conto, si abbassò di scatto tendendo la mano verso l’animaletto.

“Billy! Torna subito qui!”

Il furetto, da parte sua, però, non sembrava per nulla intenzionato a tornare da Jill e ne ignorò il tono perentorio. Tranquillamente, si rizzò sulle zampette posteriori e iniziò ad annusare l’aria. Jill, tesa come una corda di violino, si cercò di avvicinare a lui in ginocchio, continuando a gettare occhiate preoccupate verso la cucina: mancava solo che la signora Scrubb arrivasse in quel momento. Se avesse reagito come il figlio…

“Billy! Ti prego, vieni qui!”

Jill allungò la mano e il furetto si voltò a guardarla inclinando la testa di lato. Quando stava per prenderlo, Billy si voltò e iniziò a correre su per i gradini. Jill, terrorizzata dall’idea che quello sciocco di Eustace potesse far scoprire che lei si portava dietro il furetto, si alzò in piedi di scatto iniziando a correre su per le scale. Il furetto, nel frattempo, aveva già raggiunto il corridoio. Quando Jill fu a pochi metri da lui, riprese la sua corsa verso la stanza di Lucy. La ragazza, finite le scale, si fermò un attimo a prendere un respiro ringraziando che l’animaletto non si fosse diretto verso la stanza di Eustace. Sentendo provenire delle voci dal lato della stanza di Lucy, Jill si avvicinò lentamente e sempre più curiosa.

Quando fu davanti alla stanza, si accorse che Billy si era fermato. Jill si abbassò prendendo sollevata il furetto tra le braccia. Fu a quel punto che si accorse che la porta della stanza era socchiusa. Piano, Jill si avvicinò e guardò all’interno, rimanendo piuttosto stupita da quello che vide. Lucy, Edmund e Eustace erano in piedi davanti al quadro appeso sopra la mensola e i primi due cercavano di tenere il terzo lontano dal dipinto.

“Lo so che è un imbroglio! Smettetela o lo dico alla mamma!”

Quello era Eustace. Subito dopo sentì la voce di Edmund. “Piantala! Te l’ho già detto che non è colpa nostra!”

Poi fu la volta di Lucy. “Eustace, ti prego. Calmati!”

Ma che cosa stava succedendo? Jill cercò di guardare oltre ai tre ma, stando in piedi, le impedivano di vedere. Incapace di resistere un minuto di più alla curiosità, Jill entrò e, senza neanche farci caso, chiuse la porta posandosi ad essa. Il rumore della porta fece voltare di scatto i tre ragazzi.

“Jill!”

Fu allora che la ragazza si rese conto di quello che stava succedendo e stentò a crederci: ondate d’acqua sempre più abbondanti uscivano dal quadro e si riversavano nella stanza. Jill sgranò gli occhi, accorgendosi a quel punto dell’acqua che le arrivava alle caviglie. Billy, vedendo l’acqua, si rifugiò nella borsa. Jill continuava a fissare ciò che stava succedendo: se qualcuno glielo avesse raccontato non ci avrebbe creduto.

“Ma cosa…”

Prima che Lucy o Edmund le dicessero qualcosa, Eustace, approfittando della distrazione dei due Pevensie, tornò a voltarsi verso il quadro e lo afferrò per la cornice staccandolo dalla parete.

“Adesso lo spacco questo orrendo coso!”

A quelle parole, Lucy e Edmund, sotto uno sguardo scioccato di Jill, si voltarono cercando di fermare Eustace. I due ragazzi afferrarono anche loro il quadro sulla cornice nel tentativo di toglierlo dalle mani del cugino. Le voci dei due Pevensie erano allarmate, quasi spaventate che tutto quello che stava succedendo potesse finire.

“No! Eustace, no!”

“Per favore, smettila!”

Jill non sapeva che cosa fare e li guardava immobile, mentre l’acqua raggiungeva ormai metà del suo polpaccio. Nel frattempo, con Eustace che tirava da un lato e i due Pevensie che tiravano dall’altro, il quadro bagnato dall’acqua scivolò dalle loro mani. Un’ondata più forte bagnò completamente i tre ragazzi e subito dopo il dipinto cade in acqua. Nello stesso istante in cui il quadro venne sommerso, ondate sempre più frequenti si riversarono nella stanza facendo raggiungere in pochi istanti il livello delle loro vite. Lucy, spaventata, si afferrò al braccio di Edmund. Eustace, invece, si fece largo e a fatica riuscì a raggiungere la porta. Dopo aver spinto di lato Jill, che gli rivolse uno sguardo omicida, Eustace si afferrò alla maniglia. Gli bastarono pochi secondi per capire che la porta era bloccata. Per questo motivo, si voltò infuriato verso la ragazza, più che mai convinto che lei fosse in combutta con i due Pevensie.

“Cosa hai fatto alla porta?!?”

Jill, mentre cercava di tenere la borsetta fuori dall’acqua, lo guardò offesa. “Io non ho fatto niente!”

Eustace la ignorò e iniziò a battere sulla porta con il pugno. “Mamma! Mamma!”

Edmund si voltò verso di lui, guardandolo infastidito. “Eustace, smettila!”

Eustace si voltò verso di lui, ma le parole gli vennero bloccate da un’ondata salata che quasi lo sommerse. L’acqua ormai era arrivata quasi alle loro spalle e soprattutto Lucy e Jill faticavano a restare con la testa fuori dall’acqua. Quest’ultima aveva raggiunta, tenendo la borsetta sollevata sopra la testa, i due Pevensie che le erano sembrati molto più lucidi di Eustace.

“Che cosa facciamo?”

“Non voglio morire! Sono troppo giovane!”

Al tono lamentoso di Eustace, Edmund alzò gli occhi al cielo. Subito dopo gli abbassò tornando a guardare Lucy e Jill. Ormai stavano nuotando cercando di tenersi a galla. Ma se l’acqua avesse continuato a riversarsi ancora nella stanza, non avrebbero più neanche avuto la possibilità di respirare. Edmund e Lucy, però, sentivano, anzi sapevano, che quella era la magia di Narnia. Aslan non avrebbe fatto loro succedere niente. Fu in quel momento che i due si resero conto per la prima che in quel viaggio non sarebbero stato soli: ad accompagnarli, però, non c’erano Susan e Peter. A venire con loro sarebbero stati Jill e Eustace. E per certi versi ne furono sorpresi. Un’altra ondata riempì la stanza e i quattro ragazzi si ritrovarono a pochi centimetri dal soffitto. Edmund posò una mano su di esso e iniziò ad inspirare.

“Prendete più aria che potete!”

Lucy e Jill non replicarono e si strinsero uno mano facendo come aveva detto Edmund. Eustace, invece, quasi piangeva.

“Non voglio morire! Non voglio morire! È tutta colpa vostra!”

Edmund si rivolse a lui quasi ringhiando. “Respira, brutto stupido! O sarò io ad affogarti!”

Eustace si zittì e iniziò a respirare, maledicendo in tutti i modi possibili sia i due Pevensie sia il giorno in cui avevano messo piede in quella casa. Poi nessuno ebbe più la possibilità di fare nulla. L’acqua riempì la stanza completamente. I quattro ragazzi si ritrovarono sballottati dalle onde, mentre le sedie e gli oggetti della stanza venivano sollevati dall’acqua.

Per lunghi istanti, non riuscirono quasi a muoversi, incapaci di contrastare con mani e piedi la forza della corrente che usciva dal quadro ormai scomparso nell’acqua che li circondava. Annaspando tra i mulinelli, quasi non riuscivano a tenere gli occhi aperti. Quando, però, sentirono i polmoni bruciare, il movimento della corrente si placò. I quattro ragazzi si ritrovarono immersi in una distesa azzurra e cristallina. Le pareti della stanza sembravano essere scomparse sostituite da un impenetrabile muro d’acqua blu scuro. Sopra le loro teste, raggi di luce filtravano oltre la superficie delle onde. Edmund, Lucy, Jill e Eustace non si chiesero neanche come fosse possibile e nuotarono il più velocemente possibile verso l’alto.

Quando Lucy emerse i suoi polmoni quasi gridavano. La ragazza respirò per lunghi istanti, muovendo le mani per tenersi a galla. Non appena i suoi occhi azzurri si aprirono, davanti ad essi si dispiegarono un cielo azzurro illuminato da un solo luminoso e una distesa blu-verde senza fine. Lucy sgranò gli occhi e il suo cuore perse un battito. La ragazza si sentì quasi mancare il respiro, rendendosi conto di quello che era successo. Erano a Narnia, senza alcun dubbio, senza alcuna possibilità di sbagliarsi. Erano a Narnia. Tutto il suo corpo venne percorso da una scarica di adrenalina, mentre un sorriso enorme le si allargò sulle labbra. Erano a Narnia, non riusciva a smettere di ripeterselo.

“Dove siamo?!?”

La voce isterica di Eustace riportò Lucy la realtà. La ragazza si voltò cercando con lo sguardo gli altri tre e li vide a pochi metri da lei. Jill si guardava attorno con gli occhi sgranati, incredula di trovarsi a galla in pieno oceano. Poco distante da lei anche Edmund sorrideva come Lucy, consapevole anche lui di essere tornati nel mondo in cui avevano sperato di essere richiamati per sfuggire dagli Scrubb. E a un metro da lui, c’era Eustace che, in pieno attacco di panico, agitava le braccia come un matto. Con l’unico risultato di finire con la testa sott’acqua ogni pochi minuti.

“Riportatemi a casa! Io vi… io vi faccio arrestare! Siete matti… matti da legare!”

Edmund, che trovandosi a Narnia non aveva nessuna intenzione di rovinarsi l’umore a causa del cugino, lo raggiunse con poche bracciate e lo afferrò per un braccio.

“Eustace, smettila! Grida ancora una volta e giuro che ti affogo!”

Eustace, mentre Lucy li raggiungeva lentamente a nuoto, guardò Edmund con aria sconvolta e sull’orlo di una crisi isterica. Ma prudentemente abbassò leggermente la voce.

“Calmarmi? Mi chiedi di calmarmi?!? Mi calmerei se fossimo nella stanza dove eravamo cinque minuti fa… non ora che mi trovo chissà dove in quello che sembra a tutti gli effetti un oceano! Mi calmo solo se mi dite che è un sogno!”

Fu in quel momento che Lucy li raggiunse. I suoi occhi brillavano di emozione.

“Non è un sogno, Eustace. Siamo a Narnia!”

Eustace la guardò scioccato. “Ora si che sto meglio… sono impazzito anche io! Fra poco mi risveglierò con una camicia di forza!”

Edmund scosse la testa rassegnato e lasciò il braccio ad Eustace che, per la sorpresa, finì per un secondo sotto le onde interrompendo i suoi piagnistei. Non appena riemerse, però, guardò il cugino con astio.

“Riportatemi a casa!”

Edmund non lo guardò neanche. “Non possiamo… e stai zitto una buona volta, devo pensare.”

Eustace era sempre più isterico. “A cosa? A quante ore possiamo resistere prima di affogare?!?”

Lucy, seppur consapevole di trovarsi in pieno oceano, non aveva paura: erano a Narnia, quello era di sicuro il Mare Orientale. Aslan non avrebbe fatto loro succedere nulla. I suoi pensieri, però, vennero interrotti dal grido spaventato e agitato di Jill.

“Billy! Billy!”

Lucy e Edmund si voltarono subito verso di lei. Jill, a pochi metri da loro, si guardava attorno con sguardo angosciato e si capiva che i suoi occhi non erano bagnati solo dall’acqua del mare. Lucy la raggiunse subito e Jill si afferrò al suo braccio.

“Lucy, Billy non c’è! Se lui è… io…”

Lucy scosse la testa guardandola sorridendo per rassicurarla. “Non pensarlo neanche. Vedrai che sarà qui vicino. Fidati.”

Jill tirò su con il naso e annuì ricacciando indietro le lacrime. Non doveva mostrarsi debole. I tre ragazzi, senza l’aiuto di Eustace che continuava a gridare al vento i suoi lamenti e la sua sfortuna, cominciarono a guardarsi attorno. Per lunghi minuti non videro altro che onde azzurre. Jill dovette fare uno sforzo enorme per non piangere: voleva troppo bene a Billy. Non avrebbe mai sopportato di perderlo.

“Jill!”

La voce di Edmund richiamò all’attenzione Jill e Lucy che era vicino di lei. Le due videro Edmund raggiungere a bracciate quello se sembrava a tutti gli effetti il libro che Lucy stava leggendo. Sopra di esso, afferrato con le unghie, c’era Billy: tutto bagnato, ma sano e salvo. Edmund lo prese in mano e venne subito raggiunto da Jill che prese il furetto tra le mani e lo strinse al volto. Non le importava, in quel momento, di dove si trovasse: l’unica cosa importante era che Billy fosse sano e salvo. Lucy la raggiunse e le posò una mano sulla spalla, sorridendo sollevata. Anche Edmund sorrise, ma poi tornò serio.

“Ora che ci siamo tutti, dobbiamo capire cosa fare. Nel dipinto c’era una nave… potrebbe essere qui vicino.”

Il ragazzo non disse ad alta voce che quella nave doveva essere nelle vicinanze: Lucy e Jill lo capirono. I tre ragazzi sapevano che, se non venivano trovati presto da una qualunque nave, non avrebbero resistito a lungo.

“Ci viene addosso!!!”

Lucy, Edmund e Jill si voltarono di scatto al grido terrorizzato di Eustace. E fu allora che la videro. Distratti dalla ricerca di Billy, non si erano resi conto che la nave era molto più vicina di quanto credessero. Ma decisamente troppo vicina.

“Svelte, nuotate!”

Lucy e Jill, con Billy saldamente afferrato ai suoi capelli, non se lo fecero ripetere due volte. Edmund iniziò a nuotare e si voltò verso il cugino.

“Eustace, non fare lo stupido: nuota!”

Eustace, al grido di Edmund, sembrò riscuotersi e nel terrore più puro cominciò a nuotare come un forsennato e in breve tempo raggiunse anche Edmund. I due ragazzi nuotarono velocemente. Edmund, però, si rese conto che non potevano certo essere più veloci di una nave. Ma strinse i denti: non doveva aver paura.

“Continuate a nuotare! Forza, ce la possiamo fare!”

Eustace, nuotando accanto a lui, riusciva, nonostante tutto, a trovare la forza per piagnucolare. “Riportatemi a casa! Io non c’è la faccio più!”

Edmund lo spintonò per non farlo smettere di nuotare. “Sei un sacco di patate! Invece dei tuoi intelligentissimi libri dovresti fare un po’ più di attività sportiva!”

Eustace non replicò neanche, troppo stanco e spaventato. A pochi metri da loro, anche Jill e Lucy stavano avendo le loro difficoltà, soprattutto per l’impiccio che costituivano le gonne bagnate. Non si voltarono neanche per vedere dove fosse la nave: se lo avessero fatto, non sarebbero più riuscite a nuotare avanti. Improvvisamente un’onda rischiò di sommergerle. Jill, per un soffio, riuscì a rimanere a galla. Lucy, invece, ne venne sommersa. A fatica la ragazzina riuscì a tornare a galla, ma si sentì venire meno le forze: non era lei quella brava a nuotare. Non aveva l’abilità innata di Susan e neanche la forza di Edmund e Peter. Lucy vide Jill gridare spaventata il suo nome, ma non c’è la faceva più. E un’altra onda la sommerse.

Negli stessi istanti in cui la prima onda aveva colpito le due ragazze, dal ponte della nave si erano tuffati quattro uomini. I primi due raggiunsero Eustace e Edmund e li afferrarono, aiutandoli a restare a galla. Eustace, inizialmente, aveva gridato spaventato quasi stessero cercando di ucciderlo. L’occhiataccia di Edmund, però, lo fece zittire e gli fece rendere conto che erano venuti per salvarli. Gli altri due proseguirono accelerando le bracciate per raggiungere le due ragazze. Jill, ormai stremata e spaventata per Lucy, fu la prima ad essere raggiunta. Il quarto raggiunse Lucy un attimo dopo che la seconda onda l’aveva sommersa. Senza un attimo di indecisione, l’uomo inspirò e si tuffò sott’acqua. Pochi metri dopo raggiunse Lucy e la afferrò per un braccio. Pochi istanti dopo, i due riemersero. Lucy, sentendo l’aria rientrare nei suoi polmoni, si afferrò la braccio del suo salvatore, respirando grandi boccate d’aria.

“Tranquilla, ti tengo io Lucy.”

A quella voce, Lucy aprì di scatto gli occhi e lo riconobbe subito. Sorridendo dalla gioia, Lucy gettò le braccia al collo dell’uomo che l’aveva salvata.

“Caspian!”

Il giovane Re sorrise abbracciando l’amica. Era felice, ma i suoi occhi scuri non poterono non cercare tra gli altri naufraghi gli occhi azzurri che sperava di rivedere. Non vedendo colei che li possedeva, un’ombra passò sui suoi occhi. Ma Caspian la cacciò subito, sforzandosi di sorridere quando Lucy si separò da lui, illuminata da un’enorme sorrise.

“Edmund! C’è Caspian!”

La ragazzina, raggiante, si era voltata verso il fratello che insieme al marinaio che lo aveva soccorso si stava avvicinando alla nave. Il ragazzo si fermò e, vedendo il giovane Re accanto alla sorella, sorrise.

“Lo sapevo che eravamo a Narnia!”

Caspian sorrise e annuì. “Sì, siete a Narnia.”

A quelle parole, Eustace si riprese a dimenare. “Io non volevo venirci! Mi avete costretto! Riportatemi in Inghilterra! Voglio tornare in Inghilterra!”

Le proteste del ragazzo, però, vennero ignorate da tutti. In quel momento, Lucy e Caspian vennero issati su una tavola di legno. Quando furono sollevati fuori dalle onde, Lucy si tenne stretta al braccio di Caspian e sorrise. Non riusciva a smettere. Un’emozione fortissima la pervadeva. E i suoi occhi cercavano di vedere tutto, affascinati dal veliero.

“Tieniti forte, Lucy.”

La ragazza annuì senza distogliere lo sguardo dal veliero. Una leggera brezza muoveva i suoi capelli riempiendole il naso del profumo di Narnia. Quando i suoi piedi toccarono le tavole di legno del ponte, Lucy si sentì esplodere dalla gioia. Attorno a loro c’era tutto l’equipaggio e tra loro si vedevano anche alcune delle creature di Narnia.

“Come avete fatto ad arrivare fin qua?”

Lucy si riscosse e si voltò verso Caspian. “Il quadro… poi l’acqua… oh, non è ho idea! Sono solo felice di essere qui!”

Caspian sorrise, contagiato dall’entusiasmo della ragazza. “Anche io!”

“Caspian!”

La voce di Edmund fece voltare entrambi. Il ragazzo, appena issato a bordo, si fece largo tra i marinai. Caspian gli andò incontro e i due ragazzi si abbracciarono sorridenti.

“Edmund!”

Caspian e Edmund, dal precedente viaggio, erano diventati ottimi amici. I due ragazzi si separarono e vennero raggiunti di Lucy. Tutti e tre sorridevano.

“Caspian, non sai quanto sia felice di essere a Narnia!”

Caspian annuì. “Anche io. Sebbene non mi aspettassi di trovarvi in mezzo all’oceano!”

Edmund lo guardo stupito, come anche Lucy. “Non sei stato tu a chiamarci?”

Caspian scosse la testa. “No. Non questa volta.”

Edmund, ripensando ai giorni passati a casa Scrubb, scosse le spalle sorridendo.

“Non importa. Sono felice di essere qui.”

Poco lontano dai tre, anche Jill e Eustace erano stati issati sul ponte della nave. La prima, non appena vi posò piede, sgranò gli occhi dalla sorpresa. Immobile iniziò a fissare ogni particolare della nave. Fu allora che vide Lucy e Edmund chiacchierare sorridenti con un ragazzo dai capelli scuri. Sembrava si conoscessero… non riusciva ancora a capire come, ma doveva essere così. Anche prima… avevano detto che si trovavano a Narnia. Jill si guardò attorno e il suo sguardo vagò sull’orizzonte fino alla vela porpora illuminata dai raggi del sole. Sì, decisamente se qualcuno glielo avesse detto non ci avrebbe creduto. Non sapeva come o perché, ma erano finiti da qualche parte… una qualche parte che decisamente non si trovava in Inghilterra e tanto meno sulla Terra. Alla fine Jill sorrise divertita: chissà se suo padre avesse mai immaginato qualcosa del genere, quando le aveva detto che trasferendosi avrebbe vissuto una nuova avventura.

Ma c’era chi non l’aveva preso altrettanto bene. Eustace, non appena aveva posato i piedi sul solido, era scivolato a terra guardandosi attorno sconvolto. Vista la sua reazione e non sembrando aver nessuna ferita, i marinai lo avevano ignorato voltandosi verso il loro Sovrano. Eustace, invece, era arretrato fino al parapetto posandovisi con la schiena. No, doveva essere un sogno. Era l’unica spiegazione. Presto si sarebbe svegliato e…

“Ahhh!”

Il grido di Eustace fece voltare tutti, anche chi fino a quel momento non si era neanche accorto della sua presenza. Edmund nel farlo aveva sbuffato.

“Sono perseguitato! Toglietemelo di dosso!!!!”

Eustace si alzò in piedi agitando le mani davanti a sé. Neanche pochi passi e inciampò in una corda e si ritrovò di nuovo a terra. E a poca distanza da lui, videro un grosso topo con una piuma dietro l’orecchia e uno spadino al fianco. Lo sguardo di quest’ultimo andava dall’indignato al divertito.

“Credo che le vostre reazioni siano esagerate, signore. Vi pregherei di calmarvi!”

Eustace, che non lo aveva neanche sentito, vedendolo di nuovo vicino a sé, riprese a gridare e ad agitarsi.

“Va via! Stammi lontano! Brutta bestiaccia!”

Il topo scosse la testa rassegnato. “Strillate come un poppante!”

Poco lontano, Lucy e Edmund lo riconobbero subito e sorrisero felici.

“Ripicì!”

Sentendosi chiamare, il topo, che altri non era che il topo-guerriero che valorosamente aveva aiutato i Sovrani nella battaglia contro Miraz, raggiunse velocemente i due ragazzi, inchinandosi loro.

“Vostre Maestà, è un onore per me ricontrarvi!”

Lucy sorrise entusiasta. “Rip, sono così felice di poterti rivedere!”

Edmund accanto a lei annuì. “Un vero piacere!”

Rip si rialzò inclinando il capo sorridendo. “Oh, il piacere è tutto mio, Vostre Maestà. Posso chiedervi cosa ne facciamo di quell’isterico intruso? Per caso lo conoscete?”

Lucy e Edmund soffocarono una risata. Se lo conoscevano… anche troppo, per loro sfortuna. Edmund sorrise divertito.

“Purtroppo sì, Rip.”

Caspian lo guardò incuriosito, lanciando un’occhiata a Eustace che sconvolto si stava rimettendo in piedi sorreggendosi al parapetto. “Chi è ?”

Lucy lo guardò sconsolata. “Nostro cugino.”

Ripicì la guardò poco convinto. “Immagino di lontano grado… non avrei mai osato arrecarvi una simile offesa, Maestà, ipotizzando una sua parentela con voi.”

Edmund rise. “Purtroppo è la verità…”

Di nuovo le loro parole vennero interrotti dalle grida di Eustace. Il gruppo si voltò quasi esasperato verso di lui.

“Quell’orribile ratto gigante voleva strapparmi gli occhi! Perché tutta la specie c’è la con me?”

I tre ragazzi scoppiarono a ridere, mentre Ripicì si voltò verso di lui piuttosto irritato: non sopportava che qualcuno interpretasse male le sue buone intenzioni.

“Volevo solo accertarmi delle vostre condizioni, signore, dato che eravate accasciato a terra!”

A quelle parole, Eustace sgranò gli occhi e per qualche istante boccheggiò come se non riuscisse più a respirare. Alla fine puntò il dito contro Ripicì, fissandolo sconvolto.

“Ha parlato! Quel ratto ha parlato! Lo avete sentito? Qualcun altro lo ha sentito?!?”

Edmund sorrise ironico verso il cugino. “Se è per questo parla sempre.”

Caspian a sua volta sorrise e annuì. “La difficoltò è farlo stare zitto.”

Ripicì, che aveva capito che nessuno dei due ragazzi voleva offenderlo, si avvicinò e si inchinò sorridendo verso Caspian.

“Nel momento in cui non vi sarà niente da dire, Vostra Altezza, io vi prometto che me ne starò zitto.”

“Buon senso che qualcun altro non ha…”

A quella voce sconosciuta, Lucy, Edmund e Caspian si voltarono per capire chi avesse parlato. Ci vollero loro alcuni secondi prima di rendersi conto che a parlare era stato niente di meno che Billy, il furetto di Jill. Lucy e Edmund lo guardarono a bocca spalancata, mentre l’animaletto si fermò a pochi passi da Ripicì.

“Tu parli?!?”

Edmund era scioccato. Lucy quanto lui e la ragazza si rese conto, alzando lo sguardo, che anche Jill fissava la scena con gli occhi sgranati: neanche lei doveva esserselo immaginato.

“Sì, parlo. Così almeno potrò ribattere a quell’insopportabile ragazzo!”

Ripicì sorrise e sembrò apprezzare di trovarsi d’accordo con il nuovo compagno di viaggio.

“Credo che noi due potremo andare d’accordo.”

Eustace, vedendo i due animali parlare, stava credendo veramente di essere impazzito. Anzi, erano tutti gli altri che dovevano essere impazziti. E Lucy e Edmund ne erano i capi: doveva essere una specie di pazzia contagiosa.

“Ora basta! Voglio tornare a casa! Non avete diritto di tenermi qui!”

Edmund lo guardò sarcastico. “Se vuoi, Eustace, puoi ributtarti in mare di nuovo. Io di sicuro non ti tratterò. Anzi… approverei in pieno.”

Lucy gli lanciò un’occhiata di rimprovero. “Edmund!”

Caspian si voltò verso i due amici guardandoli perplesso. “Voi non vi siete comportati così la prima volta che siete venuti a Narnia, vero?”

Edmund scosse la testa. “No… è nostro cugino che deve avere qualche problema comportamentale. Infatti, Jill non ha fatto nessuna scenata.”

Caspian lo guardò senza capire. Lucy sorrise e raggiunse la ragazza, rimasta fino a quel momento in disparte, prendendola per mano.

“Vieni.”

Jill annuì e le due si ritrovarono davanti a Caspian e Edmund.

“Caspian, questa è Jill Pole. Una nostra amica. Jill, questo è Caspian… Re Caspian.”

A quelle parole, Jill sgranò gli occhi e cercò di inchinarsi, ma un gesto della mano di Caspian la fermò. Il ragazzo sorrideva.

“Non preoccuparti, non serve. È un piacere conoscerti Jill.”

La ragazza sorrise sollevata. “Il piacere è mio.”

La voce di Ripicì li fece voltare verso di lui. “Tanto di cappello, signora. Si vede che siete amica delle Loro Maestà.”

Jill sorrise senza capire, mentre Billy sgattaiolò accanto a lei e tornò a posizionarsi sulla sua spalla. Jill gli lanciò uno sguardo eloquente del tipo c’è qualcosa che tu mi devi spiegare.

“La mia Jill è una ragazza straordinaria… l’opposto di quell’altro.”

Quell’altro, ovvero Eustace, quasi lo avessero chiamato, riprese a lamentarsi guardando in cagnesco tutti coloro che si trovavano sulla nave.

“Vi farò arrestare per rapimento! Vi farò sbattere in galera! Esigo che mi riportiate a casa!”

Edmund lo guardò scocciato, parlandogli come se fosse tonto.

“Eustace, siamo in pieno oceano. O-CE-A-NO. L’unico modo che hai per liberarci della tua presenza è tornartene a mollo tra le onde!”

Lucy lo guardò leggermente più comprensiva. “Non possiamo tornare, Eustace.”

Eustace lo guardò sconvolto. “Non è possibile! Voi non potete trattenermi qui contro la mia volontà!”

Jill lo guardò irritata: non sopportava proprio la sua ottusità. Non ci voleva tanto per capire che momentaneamente non potevano andarsene. “Scrubb, anche uno stupido capirebbe che ora non possiamo andare da nessuna parte. Siamo a Narnia e…”

Eustace si tappò le orecchie. “Eh, no! Non cominciare pure tu, Pole! Voi volete vedermi impazzire, ne sono certo! Riportatemi a casa!”

Lucy, Edmund e Jill parlarono in coro. “Sei sordo? Non possiamo!”

Caspian li guardò sorridendo divertito. Il cugino di Lucy e Edmund non aveva decisamente preso bene il suo arrivo a Narnia. Il giovane Re si chiese cosa potesse fare quel ragazzo per Narnia… che cosa potesse fare più di Peter… e di Susan. Consapevole di non aver diritto di dubitare di Aslan, Caspian ricacciò indietro quei pensieri.

Eustace, a quella risposta, si era posato disperato al parapetto, guardando angosciato le onde.

“Che destino crudele… morirò lontano da casa, senza sapere dove mi trovo!”

Una voce profonda gli rispose poco lontano da lui.

“Siete sul Veliero dell’Alba, la più bella nave della flotta di Narnia.”

Eustace si voltò lentamente verso chi aveva parlato e per qualche istante lo fissò muto. Davanti di lui si ergeva un Minotauro dal pelo scuro. Si chiamava Tavros e durante la battaglia contro Miraz si era dimostrato un guerriero forte e fidato. Ma per il resto, era gentile e non faceva male a nessuno. Eustace questo non lo sapeva e, forse, non ci avrebbe creduto neanche. Il ragazzo emise un verso strozzato e si accascio privo di sensi sulle assi del ponte. Era stato tutto decisamente troppo per lui. Tavros, accorgendosi che era svenuto, si voltò preoccupato e quasi sentendosi colpevole verso Caspian e gli altri, che nel frattempo non erano riusciti a scoppiare in una sonora risata.

“Ho detto qualcosa di strano?”

Caspian sorrise e scosse la testa. “No, ma penso che per lui sia stato troppo. Occupati di lui, Tavros.”

Il Minotauro annuì. “Come desiderate, Vostra Maestà.”

Caspian, a quel punto, si voltò verso Lucy e Edmund sorridendo loro. Subito dopo, si diresse sulla scaletta che portava al ponte del timone. Tutto l’equipaggio si voltò verso di lui. Caspian li guardò per un istante prima di parlare con voce ferma e forte.

“Uomini, rendete omaggio ai nostri naufraghi…”

A quelle parole, Lucy e Edmund si guardarono sorridendo emozionati. Quanto era mancata loro Narnia. Era lì che si sentivano veramente a casa. Jill, invece, li guardò senza capire e, quando Caspian riprese a parlare, la ragazza sgranò gli occhi per lo stupore.

“… Edmund il Giusto e Lucy la Valorosa! Grande Re e grande Regina di Narnia!”

A quelle parole, tutto l’equipaggio del Veliero dell’Alba si inginocchiò sul ponte, abbassano il capo con rispetto. Jill, in disparte, li fissava affascinata, stringendo al petto Billy. Gli occhi dei Lucy e Edmund brillavano di emozione: ogni volta era come la prima volta. Come il giorno in cui erano stati incoronati, come il giorno in cui avevano capito che il loro cuore sarebbe per sempre rimasto legato a quella magica terra. Ed ora erano di nuovo lì, a Narnia. E una nuova avventura stava per iniziare.

Salve a tutti! ^-^ Anche sta volta è passato un po’ dall’ultimo aggiornamento… il fatto è che ho un sacco di cose da fare (in primis: l’università) e non voglio rischiare di buttare su! Dall’altra parte però… quando inizio non mi fermo più. O.O Ok, forse il capitolo mi è venuto giusto un tantino lungo… voi che dite? XD E che io mi faccio lo schema del capitolo e poi scrivo: solo dopo mi accorgo della lunghezza! XD Però poi non riesco a dire “questo pezzo lo metto nel prossimo cap”. Però, dai, almeno così mi faccio perdonare. Vero che mi perdonate se aggiorno circa una volta al mese? ^-^’
Ma veniamo al capitolo (che non ho avuto tempo di rileggere XD). Vi è piaciuto come ho descritto gli avvenimenti alle Isole Solitarie? Spero di sì. Poi siamo passati a Caspian… e subito dopo una sorta di flasch-back sull’arrivo a Narnia. Che ne dite? Beh, poi l’arrivo sul Veliero seguiva un po’ il film… spero di non averlo reso troppo simile. ;) Aspetto le vostre recensioni, mi raccomando! ^-^
E nel PROSSIMO CAPITOLO… beh, vedremo come si ambientano i nostri eroi sul Veliero: soprattutto Jill e Eustace. E dall’America… sarà finalmente arrivato il giorno del ricevimento del console! Con annesso William alla conquista della nostra Susan! XD Meglio che chiami Peter a controllarlo, vero? Chissà che succederà… XD

Ma ora veniamo alla porta più importante di questo mio angolino, ovvero i ringraziamenti:

·         Per le seguite: aleboh, ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world, GossipGirl88, ImAdreamer99, Joy_10, katydragons, Shadowfax e SusanTheGentle

·         Per le preferite: aleboh, english_dancer e MoonyMoon

·         Per le ricordate: katydragons

·         Per le recensioni del capitolo 5: Fly_My world, Shadowfax e SusanTheGentle

Grazie, grazie a tutti! ^-^ Non so veramente come ringraziarvi! ;)
Ops, quasi dimenticavo… vi ricorderete che vi avevo chiesto di aiutarmi a scegliere un’attrice per dare volto a Jill, vero? Forse ho deciso… ditemi che ne pensate, se non vi va cambio. Allora, ero indecisa tra Abigail Breslin e Dakota Blue Richards (non che le altre fossero da scartare, anzi me le tengo in serbo per possibili futuri personaggi… ma mi sono basata su criteri molto scientifici… sul fatto che sono le uniche di cui ho visto qualche film! U.U): e alla fine ho scelto. Basandomi anche sul fatto che di una delle due ho rivisto un film pochi giorni fa con mia cugina… ho scelto Dakota Blue Richards (non linciatemi! Lo so che è la stessa scelta di SusanTheGentle). Il fatto è che mi sembrava davvero adatta per tenere a bada il nostro Eustace… e poi nella Bussola d’Oro (il suddetto film) il suo daimon si trasforma anche in una specie di furetto! *-* Non me lo ricordavo! ;) Che dite? Se non vi va bene, cambio. Ditemi solo che ne pensate…

Sì, non vi lascio ancora in pace … perché ho un altro favore da chiedervi! ^-^’ (voi direte: aggiorna una volta al secolo e ci chiede anche favori? Lo so, scusate! T-T) Ma volevo sapere, tenendo conto di ciò che è successo fino ad ora e agli “sviluppi” che magari vi immaginate in futuro, chi vedreste a dare il volto ad ANN EVANS (non l’ho descritta nei particolari… ma non fatemela bionda, ok? Opterei più sul castano dato che il fratello ha i capelli scuri… e occhi a vostra discrezione - circa età Susan) e WILLIAM EVANS (capelli scuri, neri o giù di lì, e occhi azzurri - circa qualche anno più di Peter)?

Con questo vi lascio. Ancora grazie. ^-^ A presto, Hikari

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Il Ricevimento del Console ***


Capitolo 7 – Il Ricevimento del Console

Susan e Peter erano tesi e non riuscivano a stare fermi un attimo. Non sapevano neppure loro il perché, ma si sentivano stranamente eccitati. E non era certo l’imminente tè del console ad emozionarli tanto.

I due ragazzi, quella mattina, si erano svegliati di scatto. Il sole stava appena sorgendo e in tutta la casa regnava il silenzio e la calma. Ma loro sentivano che qualcosa era successo. Senza neanche cambiarsi, avevano indossato la vestaglia ed erano usciti nel corridoio incontrandosi a metà strada. Quando i loro occhi azzurri si erano incrociati, avevano capito di aver avuto la stessa sensazione: non poteva essere un caso.

“Narnia…”

Pronunciarono insieme quella parola e nel farlo si abbracciarono. Susan non sapeva se essere felice oppure no. Rimasero muti per lunghi istanti, cercando di darsi forza a vicenda. Poi la voce di Peter ruppe il silenzio con una leggera incertezza.

“Pensi che Ed e Lu siano andati a Narnia?”

Susan non rispose subito. I suoi occhi fissavano senza vedere la parete di fronte e dovette fare una fatica enorme per non mettersi a piangere. Solo pensare che quella fosse la verità, la faceva soffrire perché, alla fine, avevano fallito. Per mesi avevano sperato che, nel momento in cui Narnia avrebbe richiamato Lucy e Edmund, Aslan avrebbe deciso di lasciarli venire anche a loro. Ma non era successo e, ogni istante che passava, era sempre più convinta che la loro non fosse stata solo una sensazione: Narnia aveva richiamato a sé due sei suoi Sovrani.

“Io… io penso di sì.”

Peter sospirò. “Anche io ho questa sensazione da quando mi sono alzato. E non può essere solo un caso se tutti e due abbiamo la stessa impressione…”

Susan si separò dal fratello e lo fissò negli occhi. “E ora?”

Peter non seppe subito cosa rispondere. Non era mica così facile… a Narnia non ci arrivavi prendendo un treno o una nave: la cosa era decisamente più complicata. Ma non potevano arrendersi. E alla fine il ragazzo sorrise.

“Un modo lo troveremo, vedrai Sue.”

La ragazza, dopo un attimo di esitazione, sorrise. “Hai ragione… non possiamo darci per vinti.”

In quel momento, il rumore dell’orologio del salone risuonò nella casa. Presto anche gli altri si sarebbero svegliati per prepararsi: era arrivato il giorno del tè del console. Peter sbuffò e Susan non poté che sorridere divertita: al fratello non era andata giù il fatto che William fosse riuscito a farsi dare il permesso per quel ricevimento. Poi, il maggiore dei Pevensie guardò con decisione la sorella.

“Senti, Sue… torniamo in camera e prepariamoci. Quando torniamo dal tè, proviamo a pensare che cosa potremmo fare. Magari anche in questa villa c’è un armadio magico…”

Susan annuì e i sue ragazzi si avviarono verso le proprie stanze. Una volta rientrata nella propria camera, Susan si lasciò cadere sul letto e fissò il soffitto. Quanto avrebbe voluto che il ricevimento fosse già finito… sarebbe stata una tortura dover relegare Narnia in un angolo della mente per tutte quelle ore. Fingere di divertirsi, mentre in realtà avrebbe voluto essere in tutto altro luogo. La ragazza chiuse gli occhi sospirando. Però doveva farcela. Sforzarsi un po’… Narnia e Caspian valevano ben più di quel piccolo sacrificio. E una volta tornati a casa, lei e Peter avrebbero deciso il da farsi. Come se bastasse che loro decidessero che volevano tornare a Narnia…

Dopo diversi minuti, Susan si alzò di nuovo dal letto. Star ferma l’avrebbe soltanto portata a concentrarsi sui pensieri più negativi. E invece doveva avere fiducia. Con quel pensiero fisso nella mente, Susan si diresse verso il bagno.

Quando ne uscì, aveva ritrovata la determinazione che aveva provato nell’incontro con Caspian. Non si sarebbe arresa. Resa serena da quella decisione, Susan si cambiò indossando l’abito azzurro a fiori che aveva comprato per il ricevimento. Lentamente di avvicinò allo specchio e finì di sistemarsi i capelli, che le ricadevano a morbide onde sulle spalle. Poi si passò con delicatezza il rossetto sulle labbra, l’unico trucco che aveva deciso di usare.

Posato il rossetto sul comò, Susan tornò a guardarsi sfiorandosi una guancia con la mano. Quanto era cambiata in quell’anno? E su Narnia quanto tempo era passato? Quelle domande la tormentavano… ma l’unica cosa che veramente le importava era che Caspian stesse bene.

In quel momento, Susan sentì qualcuno bussare alla porta. Datasi un’ultima occhiata allo specchio, la ragazza raggiunse rapidamente la porta e la aprì. Davanti a lei si ritrovò una sorridente Ann. Una volta di più Susan si convinse che aveva avuto ragione a convincere Ann a prendere quel vestito: le stava perfettamente. La ragazza sorrise.

“Buongiorno, Ann. Sei bellissima.”

Ann sorrise a sua volta. “Grazie… tu sei meravigliosa. Tutti guarderanno solo te.”

Susan rise imbarazzata e le due ragazze si diressero verso l’atrio, dove dovevano incontrarsi con gli altri.

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Anche Peter, mentre si preparava, non aveva fatto altro che pensare a Narnia e al modo in cui avrebbero potuto arrivarci. La frustrazione di non trovare nessuna idea plausibile, lui che era il Re Supremo, non aveva migliorato il suo umore e lo aveva costretto a rifarsi il nodo della cravatta almeno cinque volte prima di riuscirsi. Sistemandosi il nodo, Peter si guardò allo specchio e sbuffò.

Certo che quel William aveva un tempismo… invita Susan ad una festa, e lui in seconda battuta, e come per magia proprio quella mattina loro hanno l’impressione che Lucy e Edmund siano andati a Narnia. Se quello non era farlo apposta…

Peter sbuffò e uscì dalla stanza. Lui il suo per quel stupido ricevimento lo aveva fatto: aveva accettato di farsi trascinare per i negozi, avrebbe fatto da cavaliere per Ann (grazie al cielo quella ragazza non era la copia sputata del fratello). Che Susan non gli chiedesse di non tenerlo d’occhio… aveva già capito quali erano le mire di William. Ma aveva fatto i conti senza di lui: non avrebbe permesso che il primo venuto portasse loro via Susan.

In cima alle scale, Peter prese un profondo respiro e sorrise. Con un po’ di fortuna il ricevimento sarebbe durato poco e loro avrebbero potuto occuparsi di cose ben più importanti: chissà che con Susan non riuscisse a trovare un modo per tornare a Narnia. Con quella convinzione, iniziò a scendere le scale per raggiungere la famiglia.

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Susan fissava il paesaggio che, fuori dal finestrino dell’automobile, sfrecciava ai lati. Poco davanti si vedeva un’altra automobile in cui c’erano Peter, suo padre e il signor Evans. Avevano deciso di dividersi in quel modo perché tutti su un’unica automobile non ci stavano e poi perché avrebbero sicuro avuto argomenti diversi di cui parlare. Lei, però, non stava neppure prestando attenzione ai discorsi tra sua madre, Ann e la signora Evans che stava guidando.

Da quella mattina e, soprattutto da quando era salita in macchina, non faceva altro che pensare a Narnia. Almeno in quei momenti in cui poteva pensarci… già sapeva che al ricevimento non avrebbe più avuto neanche un momento. Dopo i primi momenti di sconforti e di senso della sconfitta, Susan si era riscossa e aveva smesso di piangersi addosso: forse Lucy e Edmund erano riusciti ad andare a Narnia, ma questo non significava che lei non sarebbe potuta riuscire a trovare un modo. Era più che mai certa della promessa di Caspian e non sarebbe certo stata lei  a venirne meno: era davvero pronta anche a buttarsi da un ponte, se quello fosse stato l’unico modo. Aslan aveva detto che erano cresciuti… bene, glielo avrebbe dimostrato: avrebbe cercato con determinazione un modo per raggiungere Narnia e lo avrebbe fatto con la consapevolezza di una donna adulta. Non voleva tornare a Narnia per un capriccio da bambina… certo, forse tornare a Narnia dopo il primo viaggio era stato un capriccio che poi, in quell’anno che li aveva separati dal secondo viaggio, lei aveva soffocato facilmente. Il motivo per cui voleva tornare ora… non l’avrebbe mai potuto soffocare, neanche provandoci per tutta la vita. Amava Caspian e avrebbe fatto di tutto per rivederlo.

“Sue, tesoro?”

Susan si riscosse dai suoi pensieri e si voltò di scatto verso l’interno dell’automobile dove si vide fissare da sua madre e da Ann. Helen Pevensie la guardava preoccupata.

“Stai bene tesoro?”

Susan sorrise per rassicurarla. “Sì, ero solo sovrappensiero. Di che cosa stavate parlando?”

Ann riprese il discorso sorridente.

“Commentavamo che fortuna ha avuto William ad avere il permesso per venire al ricevimento…”

Susan sorrise ripensando all’espressione che aveva attraversato il volto di Peter quando Ann aveva detto loro che William, all’ultimo, era riuscito ad ottenere il permesso. Ci scommetteva che suo fratello aveva sperato che quel permesso non lo ottenesse. L’unica consolazione che aveva avuto era che William li avrebbe aspettati alla villa del console, arrivato lì direttamente dall’accademia e, ovviamente, con indosso l’uniforme come tutti gli altri cadetti e gli ufficiali minori che sarebbero stati presenti. Sperava solo che il ricevimento non durasse troppo…

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Quando Susan scese dalla macchina, non poté non osservare ammirata la villa in cui si teneva il ricevimento. Era molto bella e anche il giardino, che da lì appena si intravedeva, doveva essere meraviglioso. Oltre il rumore delle macchine sulla ghiaia e le voci di altri invitati che si dirigevano all’interno, si sentiva il rumore delle onde. Ann le aveva detto che la villa si trovava su un altro dei rami del delta dell’Hudson.

“Susan!”

La voce di William la riscosse e Susan si voltò verso l’entrata. Il ragazzo era appena uscito da lì e si stava dirigendo a passi rapidi verso di lei, scendendo le scale e facendosi largo tra altri invitati. Peter, che le aveva raggiunte insieme al padre e al signor Evans, lo fissò per qualche istante in cagnesco. Poi, però, Peter si voltò verso Ann porgendole sorridente il braccio: era pur sempre un Re… e un Re si comporta sempre da cavaliere con la propria dama (anche quando, come gli era successo un paio di volte a Narnia, erano delle dame vecchie e pettegole che non ti facevano pensare ad altro se non che il ballo finisse presto).

“Ann.”

La ragazza alternò per qualche istante lo sguardo tra il volto di Peter e il suo braccio. Solo dopo, con un po’ di esitazione, posò la sua mano sul braccio di Peter sorridendo timidamente.

“Grazie, Peter.”

Proprio in quel momento, William li raggiunse e, dopo aver salutato i genitori, si avvicinò loro.

“Susan… sei meravigliosa!”

Susan sorrise. Si vedeva che William era sincero… le dispiaceva non poterlo ricambiare. Ma lei amava Caspian. Questo, però, non le impediva di essere gentile con lui. Poi, doveva riuscire a trovare un momento durante il ricevimento per parlare con lui… anche se non sapeva bene che cosa gli avrebbe detto.

“Grazie, William.”

Il ragazzo le sorrise e le porse il braccio, guardando anche gli altri. “Non mi devi ringraziare… è la verità. Vogliamo andare?”

A quel punto, i quattro ragazzi si avviarono seguendo i genitori che li avevano già preceduti. Mentre seguivano il resto degli invitati per andare nel giardino sul retro doveva erano stati sistemati tavolini e bungalow per il ricevimento, William si voltò verso Susan.

“Se non ti va di ballare o se invece vuoi ballare, dimmelo pure. O quando hai voglia di bere o mangiare qualcosa… cercherò di accontentarti. Non sono un grande ballerino, però per te farò questo sacrificio. In compenso sono molto bravo a portare bicchieri o piatti.”

Susan rise, ignorando l’occhiataccia che Peter rivolse verso William.

“Non preoccuparti, William.”

William la fissò fingendosi in ansia. “Certo che mi preoccupo… molti ufficiali o miei compagni di accademia sono molto più bravi di me a ballare! Non vorrei perdere la mia dama.”

Susan sorrise divertita e in quel momento arrivarono finalmente alla porta a vetri che dava sul giardino. Quando uscirono, avviandosi tra gli invitati, Susan sorrise ammirando il paesaggio che si poteva osservare da lì.

Ma non fu lei l’unica ad ammirare qualcosa. Infatti, la dolce Regina di Narnia non passò inosservata fin dal primo passo che aveva fatto nel giardino. La maggior parte dei giovani ufficiali e dei cadetti di voltò all’arrivo dei quattro ragazzi e non poterono che fissare affascinati la maggiore dei Pevensie. Non che Ann fosse meno bella, ma lei aveva già incontrato di vista la maggior parte di quei ragazzi in altri ricevimenti… Susan invece era la prima volta che la vedevano. Improvvisamente, uno dei cadetti iniziò ad applaudire, seguito a ruota da altri ufficiali e cadetti.

Susan, rendendosi conto di quello che stava succedendo, sorrise arrossendo leggermente. Poco lontano, i signori Pevensie guardarono la scena commossi ed orgogliosi. William, invece, si voltò verso di lei trionfante.

“Te lo avevo detto che saresti stata la più bella delle festa.”

Susan non rispose e sorrise. Peter e Ann li affiancarono. La ragazza sembrava entusiasta.

“Visto, Susan? Avevo ragione quando ti avevo detto con quel vestito saresti stata perfetta.”

Susan sorrise e anche gli altri lo fecero. William ed Ann, in particolare, si sentirono estremamente fortunati. Infatti, se William aveva detto di avere accanto a sé la ragazza più bella della festa, neanche Peter era passato inosservato alle fanciulle presenti al ricevimento. E Ann se ne era accorta, trovando ancora incredibile di essere lei la sua dama.

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Dopo che tutti gli invitati erano arrivati, sistemandosi vicino ai tavoli o sotto i bungalow, l’orchestra ingaggiata dal console aveva iniziato a suonare. Molte coppie si erano quindi dirette verso la pista allestita nello spazio ampio tra i tavoli. Quasi non sembrava che lontano da lì, sui mari ed in Europa, si stesse in realtà svolgendo una guerra. Neppure la massiccia presenza di ufficiali e cadetti riusciva a rendere evidente quel fatto: tutti sorridevano, chiacchieravano e ballavano.

La famiglia Pevensie e la famiglia Evans si erano sistemati ad un tavolino poco distante dalla pista. Chi prima, chi dopo, tutti tiravano fuori qualcosa di cui parlare o si collegavano a ciò che prima aveva detto un altro. Più di una volta, erano scoppiate delle risate allegre. Ad un certo punto, William si voltò sorridente verso Susan.

“Ti va di ballare, Susan?”

La ragazza rimase muta per qualche istante e poi annuì. Dopotutto era solo un ballo… e poi magari sarebbe riuscita a trovare il modo di chiarire le cose con lui. Susan prese la mano che William le porgeva e i due, dopo aver salutato gli altri, si avviarono verso la pista. Ann fissò con invidia il fratello e Susan. Aveva sempre sognato di ballare a quei ricevimenti… ma la maggior parte delle volte, o non aveva un cavaliere (cosa che succedeva quando era più piccola) o il cavaliere non amava particolarmente ballare. La ragazza sospirò abbassando lo sguardo rassegnata.

“Andiamo anche noi, Ann?”

La ragazza non comprese subito la domanda. Quando alzò lo sguardo, fissò quasi con la bocca spalancata la mano che Peter le stava porgendo sorridente. Per lunghi istanti, la ragazza spostò lo sguardo tra Peter e la pista da ballo. Non riusciva a crederci… il più bel cavaliere che aveva mai avuto in quei ricevimenti… le stava chiedendo se voleva ballare. La stava invitando a ballare! Ma doveva andare in Inghilterra per trovare simili ragazzi? Doveva essere decisamente un sogno perché lei non era mai stata così fortunata…

“Se non ti va, non importa.”

Ann si riscosse al sentire la voce di Peter e scosse la testa alzandosi in piedi.

“No… sì, mi piacerebbe molto.”

Peter sorrise divertito e le porse il braccio. “Allora andiamo.”

Ann annuì. Mentre percorrevano i pochi metri che li separavano dalle altre coppie che stavano ballando, la ragazza non riusciva a non sorridere. Incredula, fissava le coppie danzanti che presto avrebbero raggiunto. Si sarebbe ricordata quella giornata per tutta la vita.

Peter, dal canto suo, aveva fatto quella domanda a Ann perché aveva notato l’aria triste della ragazza. Solo in parte il motivo era quello di controllare William.

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William continuava a ballare fissando affascinato Susan. La ragazza, sempre sorridente, si muoveva leggera al suono della musica. Sembrava che non avesse fatto altro che ballare per tutta la vita. William aveva ballato con altre ragazze prima di allora, ma mai nessuna aveva avuto quella grazia, quella naturalità con cui ballava Susan. Accanto a lei si sentiva doppiamente goffo, molto più di quanto non gli fosse successo altre volte… il ragazzo sorrise imbarazzato.

“Non credevo che fossi così brava…”

Susan sorrise e scosse la testa. “Adoro ballare… ma era da un po’ che non lo facevo.”

William sgranò gli occhi incredulo. “Non si direbbe proprio…”

La ragazza sorrise felice. In quegli istanti non poteva che pensare a tutti i balli a cui aveva partecipato a Cair Paravel. Ricevimenti in cui lei e i suoi fratelli ballavano fino a notte fonda… chi l’avrebbe mai detto che sarebbe tornato loro utile sulla Terra. Avevano veramente imparato molte più cose di quanto credessero a Narnia… però sentiva che non aveva ancora imparato tutto.

In quel momento la musica finì e tutte le coppie si fermarono applaudendo l’orchestra. Mentre Susan applaudiva sorridente, improvvisamente si voltò di scatto verso la riva del fiume, immobilizzandosi.

“Susan, tutto bene?”

La ragazza quasi non sentì la domanda di William. Senza esitazione, si fece largo tra le coppie e si diresse quasi di corsa verso la spiaggia su cui erano state allestite delle barchette su cui a gruppi si poteva fare un giro. La ragazza si fermò sulla ghiaia fissando attorno a sé con crescente ansia. Lei lo aveva sentito. Ne era certa. Aveva sentito un ruggito… aveva sentito Aslan. Quando la mano di William le afferrò il braccio, Susan si voltò di scatto fissandolo confusa. Il ragazzo la fissava preoccupato.

“Sue, stai bene?”

La ragazza non rispose e vide arrivare anche Peter e Ann. Anche loro la stavano guardando preoccupati. Susan non sapeva che cosa dire. Tornò a fissare confusa le onde e la spiaggia. Non sentiva quasi più le voci, i suoni e le risate della festa. A malapena sentiva il rumore delle onde sulla ghiaia.

“Susan, che cosa succede?”

La ragazza si voltò alla voce del fratello. Tutti e tre la guardavano preoccupati. Gli occhi di Susan li fissarono per lunghi istanti.

“Io…”

Susan sospirò. Non poteva dirlo… Ann e William non avrebbero capito. “Niente…”

William sembrò sollevato. “Forse è meglio che facciamo due passi…”

Peter annuì, per una volta d’accordo con il giovane Evans. “Veniamo anche noi.”

Susan annuì e i quattro iniziarono a camminare lentamente lungo la riva. La maggiore dei Pevensie continuava a pensare a quello che aveva sentito… o che credeva di aver sentito. Forse  era stata tutta una sua illusione, provocata dall’enorme desiderio di andare a Narnia. La ragazza faticò a trattenere le lacrime.

Il gruppetto non parlò per lunghi minuti. Peter continuava a guardare preoccupato la sorella e non erano da meno neppure William e Ann. La seconda, in particolare, si stava chiedendo se non fosse meglio chiedere ai genitori di tornare a casa…

Improvvisamente Peter si fermò di scatto, sgranando gli occhi. Quando alzò lo sguardo, incrociò gli occhi di Susan. Lo aveva sentito anche lei… allora non era sua immaginazione. Aveva sentito un ruggito. Fu in quel momento che Peter capì: era quello che aveva agitato Susan pochi minuti prima. I due fratelli si fissarono in ansia ed emozionati, incapaci di pensare che fosse tutta una loro fantasia. William e Ann, invece, li fissavano sempre più preoccupati. La ragazza sfiorò con la mano il braccio di Peter per attirare la sua attenzione.

“Peter, che succede?”

Il ragazzo si voltò verso di lei e rimase muto per lunghi secondi. “Abbiamo sentito un rumore…”

William sbattè le palpebre perplesso. “Con tutta questa confusione? Tra voci e musica, io non ho sentito proprio niente.”

Anche Ann scosse la testa desolata. Peter e Susan si guardarono uno sguardo d’assenso: loro lo avevano sentito. La ragazza si voltò verso il braccio dell’Hudson che sfociava nell’Atlantico.

“Veniva da laggiù…”

William e Ann si voltarono alla loro volta. I due fissarono senza capire le onde azzurre su cui si vedevano un paio di barchette che si dondolavano placidamente.

“Dal fiume?”

Susan si voltò amareggiata verso Peter. I due rimasero per lunghi istanti incerti sul da farsi. Alla fine, fu Peter ha prendere l’iniziativa.

“Io e Susan vorremmo andare a controllare.”

I due Evans erano sempre più confusi, incapaci di capire quanto fosse importante per Susan e Peter anche il più piccolo indizio che potesse alimentare la loro speranza di tornare a Narnia.

William alzò le spalle rassegnato. “Se proprio ci tenete… prendiamo una barca. Al massimo facciamo un giro.”

Susan e Peter si guardarono uno sguardo allarmato. “Tutti e quattro?”

Ann li guardò perplessa. “Sì… ma c’è qualche problema?”

La maggiore dei Pevensie si sforzò di sorridere e scosse la testa. “No, no… credevamo solo che non vi interessasse.”

Ann sorrise. “Nessun problema… sarà una piacevole gita in barca.”

I due Pevensie annuirono e seguirono William e Ann. Pochi minuti dopo, i quattro erano seduti su una delle barche con i due ragazzi ai remi, Susan a prua e Ann a poppa. Un fresco venticello muoveva loro i capelli, mentre si dirigevano verso il centro del ramo. Bastava alzare lo sguardo e si riusciva a vedere l’oceano. Susan e Peter sentivano un’ansia sempre più crescente dentro di loro, mentre decine di domande si agitavano nella loro mente. Era stato veramente un ruggito? Era un segnale? E se lo era, cosa sarebbe successo? E Ann e William si sarebbero accorti di quello che stava succedendo?

“Cerchiamo di non spingerci troppo verso il mare… lì la corrente si fa più forte.”

La voce di William riscosse i due che annuirono senza aver sentito veramente quello che lui aveva detto. Non riusciva a pensare ad altro che a Narnia.

La speranza, però, così improvvisamente alimentata, svaporò altrettanto velocemente. I quattro infatti rimasero quasi mezz’ora in mezzo al fiume, ma né Susan né Peter sentirono più nulla. La ragazza si teneva al bordo della barca spostando lo sguardo sulle onde, mentre il ragazzo fissava amareggiato le onde che si infrangevano sulla fiancata della barca. Si erano sbagliati. Si erano sbagliati. Quell’agghiacciante pensiero suonava come una condanna definitiva… non sarebbero mai riusciti a tornare a Narnia.

“Che dite, torniamo indietro?”

Peter alzò lo sguardo e Susan si voltò verso William gli altri, guardandoli per la prima volta da quando erano saliti sulla barca. I suoi occhi azzurri erano sempre stati fissi sulle onde, simili a quelle che forse Caspian stava ancora solcando a Narnia.

“Se no i nostri genitori si chiederanno dove siamo finiti…”

Susan annuì verso Ann e tornò a fissare le onde con dolore. Per l’ennesima volta le lacrime cercarono di uscire dai suoi occhi. Dietro di lei, sentì la voce di Peter mentre prendeva in mano il remo.

“Va bene, torniamo.”

Improvvisamente, Susan si sentì spingere in avanti e solo con un po’ di fortuna riuscì ad afferrarsi al bordo. Un’onda sbattè contro la fiancata schizzandola fino sul viso. La ragazza si guardò attorno senza capire, sorpresa e confusa.

“Ma che sta succedendo?!?”

Susan si voltò di scatto e vide Ann afferrata al parapetto come lei, mentre Peter e William cercavano di controllare la barca con i remi. Le onde si fecero sempre più forti, facendo assomigliare sempre più la barca ad un guscio di noce sulle onde di un mare in tempesta. Gli spruzzi si facevano più forti e ben presto i quattro si ritrovarono fradici dalla testa ai piedi. Ann e Susan si scambiarono uno sguardo spaventato, mentre i due ragazzi si sforzavano al massimo delle loro capacità per tenere ben saldi i remi e governare la barca. Ma sembrava tutto inutile. Erano in completa balia delle onde.

All’improvviso, un’onda più forte quasi li sommerse facendo gridare di paura le due ragazze e strappando con violenza i remi dalle mani dei due ragazzi. A quel punto, anche Peter e William si afferrarono ai bordi della barca che veniva sbattuta avanti e indietro tra le onde.

“La corrente qui non dovrebbe essere così forte!”

Quelle parole di William folgorarono Peter e Susan che alzarono gli sguardi incrociando i loro occhi azzurri. Quasi dimenticarono quello che stava succedendo, mentre un’emozione sempre più forte cresceva dentro di loro. Come un grido, un’unica parola si alzò nelle loro menti: Narnia. Non c’era nessun’altra spiegazione, era semplicemente la magia di Narnia. Indifferenti, ormai, alle onde che li sballottavano, Peter e Susan sorrisero emozionati come mai prima di allora. I due tolsero una mano dal parapetto e le intrecciarono.

“Cosa possiamo fare? Possibile che nessuno si sia accorto di nulla?”

Peter si voltò verso Ann, guardandola tranquillo e sicuro. “Va tutto bene.”

William lo fissò come se fosse impazzito. “Tutto bene? Queste onde ci spingeranno al largo, dobbiamo chiamare aiuto prima che sia troppo tardi.”

“William no!”

I due Evans si voltarono con stupore verso Susan, la cui voce aveva avuto un tono perentorio e determinato che non le avevano mai sentito. In un certo senso, ai loro occhi, Susan e Peter sembravano cambiati: emanavano una sicurezza, una calma che non riuscivano a spiegare. Davanti ai loro sguardi, Susan sorrise.

“Andrà tutto bene, fidatevi.”

Ann la fissò senza capire. “E come potete dirlo?”

Peter prese un respiro prima di parlare. “Perché ci è già successo.”

William continuava a capirci sempre meno. “Ma di cosa state parlando? Dobbiamo chiedere aiuto!”

Il ragazzo fece per alzarsi, ma Peter lo afferrò per un polso obbligandolo a risedersi. L’espressione di Peter era diventata ferma. La barca ondeggiò quando William fu costretto a risedersi.

“Ma che cosa ti dice il cervello? Se vuoi affogarti, non puoi mettere a rischio la nostra vita. Non te lo permetto.”

“Stai zitto per una volta! All’accademia crederai di aver imparato tanto, magari anche a comandare… ma non sai niente. Non sai che cosa significhi avere delle vite che dipendono da te!”

William fissò scioccato Peter, senza avere la forza di opporsi al tono categorico del ragazzo.

Improvviso, un ruggito squarcio l’aria riempita dal fragore delle onde. Un luminoso sorriso si allargò sul volto di Susan, in contrasto con l’espressione sconvolta dei due Evans.

“Aslan!”

Le onde si fecero più forti, quasi alimentate dal ruggito. Un’espressione spaventata si dipinse anche sul volto di Susan e Peter. Ogni volta che un’onda si infrangeva sulla fiancata, quasi sommergendoli, un grido si alzava dalle loro bocche.

“Se non facciamo qualcosa affonderemo!”

Peter e Susan si fissarono senza sapere bene che cosa fare. William aveva ragione, ma non potevano fare nulla. Dovevano solo aver fiducia in Aslan… se stavano per farli tornare a Narnia, non avrebbe fatto loro del male.

La costa quasi non si vedeva più, nascosta agli spruzzi e dai cavalloni. Nessuno di loro sapeva dire da quanto tempo fossero lì, in balia delle onde.

Poi, fu un attimo. Improvvisa, un’onda più alta delle altre si abbatté su di loro. I quattro ragazzi fecero appena in tempo a fissare terrorizzati la massa d’acqua cristallina che si riversava su di loro e a prendere un po’ d’aria nei polmoni.

La forza dell’acqua li scaraventò giù dalla barca. L’impatto con l’acqua fredda del fiume e del mare fece quasi loro mancare il respiro. Come fuscelli, iniziarono ad essere sballottati, circondati dai pezzi in cui la barchetta era stata frantumata. I quattro annasparono, agitando braccia e gambe nella schiuma che impediva loro di tenere gli occhi aperti. Sembrarono restare in balia dei mulinelli per un’eternità.

Ma le onde, improvvise come si erano rafforzate, si placarono e i quattro rimasero circondati da una massa d’acqua immobile e cristallina. In basso non si scorgeva che un’immensità blu senza confine. Resisi conto di potersi finalmente muovere, i quattro ragazzi iniziarono a nuotare verso l’alto, circondati dai legni della barca.

Sopra di loro la luce filtrava attraverso le onde. Era come nel suo sogno. Susan sorrise: non le importava che i polmoni le bruciassero, non le importava che la gonna bagnata le ostacolasse il movimento, non le importava che stessero nuotando da qualche parte in pieno oceano. L’unica cosa che le interessasse veramente era che Aslan li aveva ascoltati. Li aveva riportati a Narnia. Perché lei lo sapeva. Non le serviva emerge e guardare il suo cielo azzurro o avere qualcuno che glielo confermasse. Ogni sua cellula, ogni fibra del suo corpo sapeva che era a Narnia. E lì da qualche parte Caspian la stava aspettando… Susan nuotò con tutte le sue forze verso la superficie, incapace di aspettare ancora tra quelle onde, pervasa da un’emozione e da una gioia fortissime. Sto arrivando, amore mio. Sono qui, come ti avevo promesso.

E finalmente Susan emerse e il suo cuore perse un battito. I pezzi di legno attorno a lei la colpivano, ma non se ne accorgeva neanche. Immobile, galleggiando sulle onde, Susan sorrise mentre calde lacrime iniziarono a rigarle le guance confondendosi con l’acqua salata del mare. Una distesa blu-verde senza fine si apriva davanti ai loro occhi, un cielo azzurro limpidissimo li sovrastava. Erano a Narnia. Erano a Narnia. E, con quel pensiero fissò in testa, la ragazza scoppiò in un pianto dirotto. Un pianto di gioia, che sapeva di speranza, di futuro e di libertà. Perché lei si sentiva finalmente libera… libera di poter essere di nuovo sé stessa, libera di affrontare finalmente il suo destino. E, in quella lotta, non sarebbe stata da sola.

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Il rumore della chiave, che veniva fatta girare nella serratura, la fecero risvegliare di scatto dal torpore in cui era caduta. Fece appena in tempo ad aprire gli occhi che la porta venne spalancata e fatta sbattere con violenza contro la parete. La luce proveniente dal ponte superiore illuminò gran parte dello stanzone e la ragazza dovette stringere le palpebre, quasi non più abituata ad una luce così forte. Contro il bianco si stagliava la figura imponente di uno dei pirati. Non poteva vederlo in volto, ma era certa che stava ghignando. Se solo non fosse stata incatenata alla parete, se solo avesse avuto la sua balestra…

“Spero che la traversata continui ad essere di vostro gradimento.”

Nessuno degli altri prigionieri osò dire una parola. Donne e bambini si strinsero agli uomini, che aspettavano impotenti quello che sarebbe stato il loro destino. La ragazza si morse un labbro per impedirsi di gridargli contro: aveva ancora sulla schiena il segno della volta in cui ci aveva provato. In quel momento il pirata lanciò nel centro della stanza un sacchetto da cui fuoriuscirono, rotolando sul pavimento sporco, una dozzina di panini.

“Mangiate… non possiamo permetterci di perdere uno di voi, proprio ora che mancano pochi giorni alle Isole Solitarie.”

L’uomo uscì ridendo sguaiatamente e chiudendosi la porta alla spalle. La luce scomparve e lo stanzone ripiombò nel buio quasi assoluto, rischiarato solo da quattro lucerne poste negli angoli. In ogni caso troppo deboli, per poter rischiarare l’intero stanzone in cui erano assiepate quasi trenta persone, di cui cinque bambini. Il tenue chiarore creava inquietanti ombre dei prigionieri che si muovevano sulle parete come anime inquiete e dannate. I sussurri, i pianti e il rumore delle catene accentuavano ancora di più l’atmosfera infernale.

Quando gli occhi scuri della ragazza si abituarono di nuovo alla penombra, vide uomini e donne strisciare lenti e deboli verso i pezzi di pane raffermo. Lei non si mosse e strinse le braccia attorno alle gambe. Sotto le dita poteva sentire i punti in cui la stoffa era strappata o sgualcita.  Si morse un labbro per soffocare un singhiozzo. In quel momento, una donna di avvicinò lentamente a lei e, anche se non riusciva a vederla bene, era certa che stava tentando di sorridere.

“Tieni, mangia…”

La ragazza guardò solo per un istante il pezzo di pane che le stava porgendo. Poi volse la testa.

“No.”

La donna abbassò il braccio tristemente. “Devi mangiare… o diventerai troppo debole…”

La ragazza si voltò verso la donna con rabbia.

“Cambierebbe qualcosa? Se devo vivere per diventare una schiava, preferisco morire.”

Poi, sospirò e cercò di parlare più dolcemente. “Dallo a tuo figlio…”

Ci furono lunghi istanti di silenzio, poi, sospirando, la donna tornò indietro verso la propria famiglia. La ragazza, invece, posò la testa sulle ginocchia lasciando così che i capelli biondi scarmigliati e sporchi le scivolassero ai lati del viso. Lacrime silenzioso iniziarono a rigarle le guance.

Da quanto tempo si trovava in quella stiva? Giorni? Settimane? Dopo un paio di giorno dalla partenza aveva perso il conto: lì sotto notte e giorno si confondevano in un unico grigiore fatto di sporcizia e aria viziata, pianti e grida disperate. Non sarebbe dovuto finire così… aveva deluso tutti. Si strinse ancora di più, afferrando con le dita la stoffa della gonna. Era tutto finito. Era fuggita per cosa? Non certo per diventare la sguattera o la concubina di qualche nobile. E invece sarebbe stato quello il suo futuro… Sempre più lacrime scivolavano sui suoi zigomi bagnando la gonna. Sarebbe stato meglio che quella notte fosse morta, insieme a suo padre. Invece era scappata con l’illusione che un giorno sarebbe tornata per vendicarsi, per riavere quello che era suo. Aveva lasciato la sua città con quella convinzione… lo aveva giurato in nome di Aslan, sarebbe tornata e si sarebbe vendicata. Ora, però, era tutto inutile. Non aveva più nulla a cui tornare, era troppo tardi. Probabilmente, anche tornando non ci sarebbe più stato nulla per lei. Forse era meglio sperare di morire in quella traversata, almeno così non sarebbe diventata schiava.

Se solo quella notte non si fosse fatta sorprendere da quei briganti… nella sua memoria quegli istanti si stagliavano indelebili: la cattura, la sua balestra e il suo pugnale che le venivano sottratti per poi essere venduti al capitano della stessa nave su cui lei si trovava, le catene, la stiva, la frustata che aveva ricevuto nel momento in cui aveva cercato di ribellarsi a quella schiavitù e alle avance dell’equipaggio.

Ormai lei era solo quello. Tutto il suo passato, la sua vita precedente, i giochi, i racconti di sua madre, le cavalcate con suo padre cominciavano a sfaldarsi, a diventare grigie come il luogo in cui si trovava, iniziavano a sprofondare nell’oblio e in un mare di disperazione di cui non vedeva il fondo.

La ragazza represse un singhiozzo e prese tra le mani uno dei due oggetti che era riuscita a nascondere a briganti e pirati. Attraverso il velo di lacrime, fissò quello che ormai era uno dei suo due unici legami con il passato. Sul suo palmo sporco, brillava splendido come sempre il ciondolo che un tempo era appartenuto a sua madre e che le aveva donato quando era morta. Un fiore dorato con incastonato al centro un opale. Sorrise amaramente guardandolo. Il suo nome significava “fiore dorato”, Elanor… ma solo il ciondolo avrebbe continuato a fiorire. Lei, ormai, stava appassendo, incapace di vedere un qualche futuro per lei. I singhiozzi si fecero sempre più pressanti ed Elanor non riuscì più a trattenerli. Rannicchiata su sé stessa si abbandonò alle lacrime e al dolore.

Fuori, intanto, la nave proseguiva la sua rotta che presto l’avrebbe portata ad attraccare sulle Isole Solitarie, principale mercato di schiavi del Mare Orientale. Sarebbe stato lì che il destino di Elanor e di tutte gli altri prigionieri sarebbe stato deciso.

Salve a tutti. Torno con questo aggiornamento dopo molto tempo da quando avevo pubblicato lo scorso capitolo.  Non voglio cominciare ad elencare motivi e scuse che giustifichino tutto questo tempo trascorso e capisco chi magari avrà deciso di smettere di seguire questa storia.

Voglio solo dire che, oltre agli impegni che ho avuto (sessione esami in primis…), questo ritardo è stato aumentato dall’insoddisfazione che provavo verso la struttura che avevo dato alla storia… non mi soddisfaceva e, quindi, ogni volta che provavo a scrivere non riuscivo ad andare avanti. In questi mesi, ho avuto tempo per pensarci e credo perciò di essere pronta per riiniziare. Per chi vorrà ancora seguirmi, dico subito che non avrò la possibilità di aggiornare ogni settimana… ma nonostante questo, mi impegnerò a farlo il più spesso possibile.

Passiamo quindi al capitolo. ^-^ Susan e Peter, insieme a William e Ann, sono riusciti finalmente a tornare a Narnia… tutti i loro sforzi sono stati premiati. E abbiamo conosciuto anche un nuovo personaggio, Elanor. Ditemi, se vi va, che ne pensate. ;)
Non penso di aver molto altro da dire sul capitolo… non so, forse sono un po’ fuori addestramento per le note. XD

Passo quindi subito ai ringraziamenti, premettendo che essi vanno a tutti coloro che mi hanno seguito, indifferentemente se continueranno a farlo oppure no.

·         Per le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world, GossipGirl88, Joy_10, katydragons, Min_Jee Sun, Shadowfax e SusanTheGentle

·         Per le preferite: aleboh, DansEyes, english_dancer e MoonyMoon

·         Per le ricordate: katydragons

·         Per le recensioni del capitolo 5: DansEyes (che ringrazio anche per le recensioni lasciate a Tears of Memory)

Inoltre, chi volesse, potete propormi chi vedreste ad interpretare Ann e William. Per quanto riguarda Ann (ma non ho avuto molto tempo per cercare) una possibilità potrebbe essere Caitlin Stasey… ma è ancora tutto in forse: potrei cambiare idea io stessa. XD Potete sempre cosa ne pensate, però…

Quindi, nel PROSSIMO CAPITOLO: vedremo come se la cavano Susan, Peter, Ann e William e se riusciranno a trovare un modo per arrivare alle Isole Solitarie. E qui invece scopriremo come se la stanno cavando Caspian e gli altri…

Prima di salutare, ringrazio ancora una volta tutti coloro che leggeranno il capitolo… se vi va lasciate una recensione. Grazie ancora anche a chi mi ha seguito e non lo farà più… dopotutto è colpa mia. XD

Beh, a presto. HikariMoon

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