Le Cronache di Narnia - Il Viaggio del Veliero di HikariMoon (/viewuser.php?uid=119941)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - L'arrivo a casa Scrubb ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Incontri e Contrasti ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Una Normale Giornata in Casa Scrubb ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Una Giornata in Spiaggia ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere e Spiegazioni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Di Nuovo A Narnia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Il Ricevimento del Console ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - L'arrivo a casa Scrubb ***
Salve
a tutti! Chi mi seguiva già dirà: era
ora… lo so scusate, mi faccio sempre attendere.
^-^ Ma vi giuro che non lo
faccio apposta! Ma non perdiamo tempo: questa fan fiction finalmente
inizia ed
è questo che importa. Unica cosa importante da dire, questa
storia è la
continuazione di “Tears of
Memory”
alla cui conclusione si collega. In un certo senso Tears
è stata un preludio perché è in questa
storia che il vero
viaggio inizia. Bene. Non sto nella pelle e sperò vi
piacerà. Non voglio
dilungarmi troppo proprio nel primo capitolo… quindi buona
lettura e se mi
viene in mente qualcos’altro, ci vediamo alla fine! ;)
HikariMoon
Capitolo
1 –
L’arrivo a casa Scrubb
La famiglia
Pevensie al completo era ferma alla banchina insieme ai coniugi Alberta
e
Harold Scrubb, gli zii che si sarebbero occupati di Lucy e Edmund
finché anche
i due sarebbero potuti partire per l’America per raggiungere
i genitori e i due
fratelli maggiori, Peter e Susan. La decisione di separare per un
po’ di tempo
i quattro fratelli era stata accettata da tutti, ma non aveva
accontentato
praticamente nessuno.
Primi tra
tutti
gli zii che aveva sempre ritenuto il metodo di educazione usato dai
Pevensie “all’antica”:
soprattutto Alberta rimproverava sempre la sorella di star rovinando i
propri
figli, rendendoli inadatti al mondo che cambiava e alla
modernità. Ma non era
questa l’impressione che né Helen né
Robert avevano mai avuto: vedevano i loro
figli felici ed era quello che bastava. Per questo motivo la decisione
di dividerli
non era certo nata, come pensava Alberta, per allontanare Peter e Susan
dai
fratelli più piccoli. Helen e Robert pensavano semplicemente
che Edmund e Lucy
erano ancora troppo giovani per una lunga traversata e soprattutto per
l’America.
Non l’avrebbero detto se avessero saputo le straordinarie
avventure da loro
vissute a Narnia… ma non lo sapevano. I quattro fratelli
avevano tentato di
convincerli e ad un certo punto credevano di esserci riusciti. Avevano
persuaso
il padre ad andare tutti insieme, ma a quel punto era stato il destino
a
mettersi in mezzo. A causa della guerra erano poche le navi che
riuscivano ad
ottenere il permesso per partire e, ovviamente, ogni volta centinaia di
persone
cercavano di comprare il biglietto. Fu così che quando
arrivò il turno di
Robert Pevensie i posti rimasti erano solo cinque: troppo pochi per
portare
tutta la famiglia. Lucy e Edmund, da un lato, Peter e Susan,
dall’altro, si
dovettero rassegnare.
Ed erano
proprio i quattro fratelli che maggiormente ne soffrirono. Peter e
Susan,
infatti, temevano che la separazione avrebbe precluso loro qualsiasi
possibilità di tentare un ritorno a Narnia. Giorno dopo
giorno si cercavano di
convincere che non sarebbe stato così, soprattutto Susan
cercava di afferrarsi
alle parole di quel sogno, ma la paura in fondo restava. Senza contare
che il
legame tra di loro era fortissimo, rafforzato proprio grazie alle loro
avventure a Narnia. Era per questo che anche Lucy e Edmund si
addolorarono per
quella partenza. Loro, poi, avevano un motivo in più.
Sarebbero stati infatti
accolti in casa Scrubb… ovvero in casa del loro
insopportabile cugino Eustace
Clarence Scrubb. Il ragazzo aveva solo un anno in meno di Edmund e per
questo
tra loro era stata sempre guerra aperta. E crescendo le cose non erano
migliorate, si erano soltanto raffinate. Fortunatamente Alberta e
Harold
avevano deciso di non portare il figlio e almeno per un po’
Lucy e Edmund
avrebbe ancora potuto godere della
“libertà”.
In attesa che
Helen e Robert tornassero, gli zii e i fratelli Pevensie erano in piedi
sulla
banchina, attorniati dalla folla. Susan e Peter erano qualche passo
avanti e
fissavano muti la mole gigantesca del transatlantico su cui sarebbero
saliti. Susan
era smarrita e cercò, come tante volte aveva fatto, forza
nel fratello. Peter
lo capì e le sorrise senza però riuscire a
rasserenare completamente la
sorella. E dopotutto non lo era neppure lui.
Susan si
voltò
indietro verso i due fratelli minori quasi temendo che fossero
già scomparsi. I
suoi occhi azzurri incrociarono quelli di Lucy. La ragazzina
cercò di sorridere
ma il risultato fu un sorriso spento, privo della gioia contagiosa che
la
contraddistingueva. Edmund invece sbuffò per
l’ennesima volta, giusto per
ribadire quella che era la sua opinione.
Quando Susan
tronò a voltarsi dopo aver lanciato un’occhiata
agli zii, Lucy riprese a
dondolarsi sui piedi. Sentiva dietro di lei la presenza degli zii e non
era una
sensazione piacevole. Voleva andarsene ma sapeva che non poteva. Che
bello
sarebbe stato se improvvisamente Narnia li avesse
richiamati… magari tutti e
quattro: e così tanti saluti all’America e agli
zii. Lucy sospirò: bello, ma
impossibile.
Dal canto suo
Edmund continuava a giocherellare con una biglia. La sua mano la
stringeva più
forte ogni volta che, dietro di lui, zio Harold voltava le pagine del
giornale.
Se lo avesse potuto prenderlo, farci una palla e con un calcio buttarlo
in male
quel maledetto giornale… chissà che faccia
avrebbe fatto lo zio. Edmund
ridacchiò. Se lo sarebbe meritato: non aveva detto una
parola da quando era
arrivato. E poi si chiedevano perché Eustace era odioso: con
dei genitori così…
Un cupo boato
richiamò tutti dai meandri dei propri pensieri. I quattro
ragazzi si riscossero
e alzarono lo sguardo verso la nave. Densi fumi scuri uscivano dai
camini e
facevano capire a tutti che la partenza era imminente. Susan strinse la
mano di
Peter, quasi spaventata. Qualche passo dietro Lucy si morse un labbro
per
impedirsi di piangere. Presto sarebbero partiti. Gli occhi azzurri
delle
sorelle tornarono ad incrociarsi vedendo l’una
nell’altra lo stesso
smarrimento.
In quel
momento
arrivarono Helen e Robert facendosi largo tra la folla. I due erano
andati a
far timbrare i biglietti che ora la donna teneva saldamente in mano.
Una volta
accanto a loro, Robert spostò vicino a sé una
delle valigie che fino a quel
momento era stata vicino agli zii. L’uomo si voltò
sorridendo verso i figli.
“È
tutto
pronto. Possiamo salire.”
Susan e Lucy
sorrisero per non deludere il padre, ma entrambe fecero uno sforzo
enorme per
non mettersi a piangere. Edmund e Peter, invece, annuirono
distrattamente. A
quel punto il padre si voltò verso Lucy e Edmund.
“Mi
raccomando,
fate i bravi dagli zii.”
Lucy e Edmund
annuirono. Cos’altro avrebbero potuto fare? Non certo
deludere i genitori.
Helen sorrise e accarezzò Lucy.
“Fate
sempre
quello che vi dicono gli zii e comportatevi bene con vostro
cugino.”
Edmund, non
visto, sbuffò pensando mentalmente che lui avrebbe fatto il
bravo con Eustace
quando Eustace avrebbe smesso di dargli fastidio. Aveva un onore da
difendere
lui: un Re di Narnia non poteva certo cedere agli scherzi stupidi di
uno
presuntuoso cugino.
Alberta si
intromise nelle raccomandazioni dei due genitori.
“Helen
cara,
Robert non dovete preoccuparvi. Da noi staranno benissimo. Vedrete,
quando vi
raggiungeranno in America non li riconoscerete neppure. Saranno
diventati una
signorina e un uomo.”
Helen sorrise
per non deludere la sorella, ma non credeva che lei li potesse
cambiare. E poi
i suoi bambini, li amava così come erano. Molto meno gentile
fu quello che
pensò Edmund. Se avesse potuto, senza tanti complimenti,
avrebbe tirato un
calcio negli stinchi alla donna, alla faccia della buona educazione. Se
zio
Harold era insopportabile, zia Alberta faceva di tutto per essere
odiosa. Peter
se ne accorse e ridacchiò nascondendo la bocca dietro una
mano per non farsi
vedere. Susan li avrebbe rimproverati se li avrebbe visti, ma la
ragazza era
sprofondata nei ricordi che quegli istanti le facevano tornare in
mente,
ricordi di quella partenza lontana ormai due anni… quella
partenza che gli
aveva portati alla casa del professor Digory e poi a Narnia.
Improvvisamente
zio Harold sbuffando chiuse il giornale. Era arrivato
all’ultima pagina. L’uomo
si voltò verso la moglie.
“Cara,
credo
che sarà ora che salutino e andiamo. La nave presto
partirà.”
Helen e Robert
aggrottarono la fronte. Nessuno dei due, sinceramente, aveva molta
simpatia per
il marito di Alberta, la quale già era difficile da reggere
a lungo… ma erano
pur sempre loro parenti, nonostante Helen e Alberta fosse diventate
completamente diverse: dolce e premurosa la prima, altezzosa e saccente
la
seconda. Dal canto loro Edmund e Peter si guardarono come volersi dire:
che
bello se fossimo a Narnia… i due ridacchiarono per poi
tornare subito seri.
Sapevano anche loro che stavano per salutarsi.
Lucy si
gettò
tra le braccia della madre. “Mi mancherai, mamma.”
La donna
sorrise. “Anche tu, piccola mia. Ma abbi fiducia, presto
verrete in America
anche voi.”
Nel frattempo
Edmund aveva abbracciato il padre che lo aveva guardato negli occhi in
modo
eloquente.
“Fai
il bravo,
Edmund. Intesi?”
Edmund
annuì
sorridendo. Anche il padre sorrise sapendo benissimo che il ragazzo non
avrebbe
mai ignorato una provocazione del cugino Eustace. Del resto neanche lui
da giovane
lo aveva fatto quando andava a trovare i figli di suo zio…
Peter si
voltò
verso Susan e si accorse che la ragazza non si era neanche accorta di
quello
che stava succedendo.
“Susan.”
La ragazza
trasalì e si voltò verso di lui. Peter sorrise e
con la testa le indicò i
genitori che in quel momento si stavano separando da Lucy e Edmund. La
ragazza
si sentii opprimere da quegli istanti e rapidamente superò
la distanza che la
separava da Edmund, gettandosi tra le sue braccia. Edmund fu sorpreso
da quel
gesto ma, alla fine, dopo un attimo di imbarazzo ricambiò
l’abbraccio della
sorella. Accanto a loro Peter stava abbracciando Lucy che quasi non
toccava
terra, avvolta dalle braccia del fratello maggiore. Sia Lucy che Susan
cercarono di non piangere.
Edmund se ne
accorse e la allontanò delicatamente sorridendo quasi
sarcastico.
“Guarda
che
quelli che dovrebbero piangere siamo io e Lucy…”
Susan lo
fissò
e sorrise. Subito dopo gli tirò un amichevole pugno sulla
spalla. Anche Edmund
sorrise e i due fratelli si riabbracciarono. Dopo qualche istante fu di
nuovo
Edmund a parlare.
“Mi
mancheranno
i tuoi rimproveri, Susan.”
Susan si
staccò
da lui e lo guardò. “E a me mancherà il
doverteli fare… ti voglio bene, Ed.”
Edmund per un
attimo la guardò stupito poi si voltò di lato,
quasi a disagio, iniziando a
borbottare. Non si sentiva mai a proprio agio quando qualcun altro o
lui stesso
doveva mostrare i propri sentimenti.
“Guarda
che fra
qualche settimana ci rivediamo… mica è un addio
questo.”
Susan sorrise
dolcemente perché conosceva perfettamente suo fratello. Era
il suo modo di dire
che ti voleva bene. Lo sapevano anche Lucy e Peter. In quel momento
Susan si
voltò verso Lucy che si era separata da Peter. Mentre i due
fratelli si
salutavano, le due ragazze si fissarono per un istante per poi
abbracciarsi.
Susan affondò il viso nei capelli castano-rossicci della
sorella. Lucy nascose
invece il viso nella spalla della sorella maggiore. Per lunghi istanti
nessuna
delle due disse nulla. Bastava quell’abbraccio per dire tante
cose che nessuna
delle due aveva la forza di esprimere a parole. Alla fine fu proprio
Lucy la
prima a rompere il silenzio con una voce rotta dalla commozione.
“Mi
mancherai
così tanto, Sue…”
Susan a quel
punto non riuscì a trattenere le lacrime che iniziarono a
uscire lentamente
dagli occhi e a rigarle le guance. Anche Lucy aveva iniziato a
piangere, quasi
con quelle poche parole da lei pronunciate avesse reso definitivamente
reale
quella separazione.
“Oh,
anche tu
Lu… non sai quanto…”
Le due si
separarono guardandosi negli occhi. Tutte due stavano piangendo e
accorgendosene sorrisero. In quel momento i loro genitori finirono di
salutare
gli zii e sollevarono le valigie. Susan abbracciò stretta
Lucy ancora una
volta. Se avessero potuto, nessuna delle due si sarebbe separata
dall’altra.
“Lucy
ti voglio
bene. Vi scriverò ogni giorno, te lo
prometto…”
Lucy
annuì con
decisione cercando di mostrarsi coraggiosa, di comportarsi per quello
che era:
Lucy, la Valorosa. “Ci conto. Ti voglio bene anche io, Susan.
A presto.”
Anche Susan
annuì e si staccò da lei. Cercando di sorridere
la ragazza prese la propria
valigia e affiancò Peter. I due accennarono un saluto verso
gli zii. Zia
Alberta rispose con un sorriso di circostanza mentre invece zio Harold
mugugnò
qualcosa da dietro il giornale che aveva riaperto nella speranza di
trovare
qualche notizia che era sfuggita alla sua precedente lettura. Era fin
troppo
evidente che, se fosse stato per lui, avrebbe di molto accorciato quei
saluti.
A quel punto
Susan e Peter si voltarono per seguire i genitori. Mentre si dirigevano
verso
la passerella, Susan tornò a voltarsi. Lucy e Edmund erano
immobili a guardarli
partire. Rassegnati loro a restare, rassegnati Susan e Peter a partire.
La
ragazza tornò a guardare avanti iniziando a salire. Lucy e
Edmund intravedevano
a malapena i due fratelli e i genitori tra il resto della folla che
saliva.
Solo ogni tanto i capelli scuri di Susan e quelli biondi di Peter
facevano
capolino tra cappelli e mani alzate a salutare. Entrambi sentivano un
dolore
fortissimo dentro di loro e sapevano che era lo stesso anche per i due
fratelli
maggiori. Senza saperlo pensarono tutti la stessa cosa: faceva male,
come gli
addii di Narnia. Improvvisamente i due fratelli minori videro sparire
Susan e
Peter dentro alla nave. I loro sguardi si voltarono immediatamente
verso il
bordo dove già decine di persone si stavano ammassando per
salutare familiari e
amici, agitando mani e sventolando fazzoletti. Entrambi avevano paura
di non
riuscire a vederli. Era la stessa paura anche di Susan e Peter che, non
appena
saliti, subito si diressero verso il bordo insieme ai genitori
facendosi a
fatica largo tra corpi e valigie.
In quegli
istanti, la nave vibrò e iniziò a staccarsi dalla
banchina. Lucy portò le mani
al viso mentre i suoi occhi si inumidirono. Né lei
né Edmund erano ancora
riusciti a vederli. Gli occhi azzurri della ragazzina e quelli scuri
del
ragazzo continuarono a cercare freneticamente. Improvvisamente
incrociarono
altri due occhi azzurri, quelli di Peter. Il ragazzo alzò il
braccio per
salutarli. Subito dopo si voltò e strattonò
accanto a sé Susan. I due fratelli
si afferrarono al parapetto per non perdere quel piccolo spazio che
erano
riusciti a trovare. I due guardarono oltre il parapetto senza riuscire
a vedere
Lucy e Edmund. Anche Peter li aveva persi di vista tra la folla. Susan
si sentì
mancare il respiro, il cuore attanagliato dalla paura di non vederli.
Nel frattempo
la nave si stava allontanando e Lucy e Edmund avevano iniziato a farsi
largo
tra la folla quasi correndo, cercando di farsi vedere. Tutte le persone
sul
parapetto sembravano così piccole da laggiù. Lucy
perse quasi l’equilibrio
quando un uomo davanti a lei arretrò. Si sentì
persa, come in un mare in
tempesta, sballottata dalle onde. Ma non poteva arrendersi. A pochi
passi da
lei, Edmund si voltò per aspettarla. Insieme ripresero a
correre agitando le
mani nella speranza che Susan e Peter li vedessero. Fu di nuovo Peter
il primo
a vederli. Il ragazzo sorrise iniziando a muovere la mano. Pochi
istanti dopo
anche Susan li vide cominciando ad agitare la mano. Susan
scoppiò a piangere:
Lucy se ne rese conto e scoppiò a piangere anche lei. La
ragazzina e Edmund la
videro muovere la bocca gridando qualcosa. Le sue parole si persero in
mezzo
alla folla e nel boato dei camini. Ma non aveva importanza. Anche Lucy
sapeva
che né Susan, né Peter, né i genitori
l’avrebbero mai potuta sentire, ma gridò
lo stesso con tutto il fiato che aveva in gola.
“Susan,
Peter,
mamma, papà a presto! Vi vogliamo bene!”
Un altro cupo
rimbombò coprì le voci di tutti. In alto Susan e
Peter continuavano ad agitare
le mani, sporgendosi il più possibile per poter vedere fino
alla fine i due
fratelli minori. In basso, Lucy e Edmund continuarono a correre lungo
la
banchina fino a quando si trovarono sul bordo. Le onde scure
scrosciavano sotto
di loro. Nessuno dei quattro fratelli riusciva a distogliere lo sguardo.
Pochi istanti
dopo la nave iniziò ad allontanarsi e le persone sul
parapetto scomparvero
dietro la sua mole. Lucy abbassò lo sguardo tirando su con
il naso. Una leggera
brezza la fece rabbrividire. Passarono lunghi minuti in cui la folla
iniziò ad
allontanarsi. Pian piano Lucy e Edmund furono gli unici a rimanere
lì. A quel
punto Edmund posò una mano sulla spalla della sorella.
“Dai,
Lu.
Torniamo indietro.”
Lucy
alzò gli
occhi rossi dal pianto e Edmund, per cercare di tirarla su di morale,
sorrise
ironico.
“Guarda
che non
ci conviene farli diventare isterici quei due…
l’ho sempre detto, vostra madre
ha sbagliato tutto con la vostra educazione. È sempre stata
troppo indulgente!”
Lucy sorrise
sentendo Edmund scimmiottare il tono di voce di zia Alberta. Alla fine
annuì e
i due lentamente tornarono indietro. Quando furono a qualche metro dai
due, che
li guardavano infastiditi da quell’attesa, Edmund si
voltò verso Lucy per
bisbigliarle all’orecchio.
“Ho
cambiato
idea… che ne dici se corriamo via? Tanto loro non ci
prendono.”
Lucy gli
lanciò
uno sguardo di rimprovero, ma anche lei sorrideva. Finalmente Lucy e
Edmund
arrivarono dagli zii e presero in mano le proprie valigie. Zia Alberta
li
guardò autoritaria.
“Ora
andiamo a
prendere il treno per andare a Cambridge. Comportatevi in modo
consono.”
Lucy e Edmund
annuirono. Soddisfatta, la donna si voltò seguita dal marito
che iniziò a
borbottare qualcosa sul fatto che a causa di quelle perdite di tempo
avrebbero
rischiato di perdere il treno. Lucy e Edmund si guardarono scoraggiati:
la loro
tortura stava per avere inizio.
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Una automobile
percorreva lentamente le strade di Cambridge. A bordo c’erano
tre persone: un
uomo alla guida, una donna bionda seduta al posto accanto,
evidentemente sua
moglie, e una ragazzina seduta dietro che continuava a giocherellare
con una
foto che la ritraeva con altre ragazze della sua età vicino
a dei cavalli. La
donna si voltò indietro sorridendo.
“Tesoro,
siamo
presto arrivati. Togliti quell’espressione
imbronciata.”
La ragazzina
sospirò alzando lo sguardo verso la madre.
“Era
proprio
necessario trasferirsi, mamma?”
La donna
sorrise dolcemente e si allungò per accarezzarle la testa.
“Papà
non
poteva rinunciare ad una simile occasione di lavoro. Lo capisci,
vero?”
La ragazzina
annuì lentamente posando di lato la fotografia, accanto alla
propria valigia e
ad una gabbietta in cui sonnecchiava un piccolo furetto. A quel punto
anche il
padre inclinò la testa verso di lei, cercando di tirarla su
di morale.
“Lo
so che ti
mancheranno i tuoi amici… ma vedrai che te ne farei presto
di nuovi. Cambridge
ti piacerà… sarà come una bella
avventura, vedrai.”
La ragazzina
sorrise e guardò per un istante fuori dal finestrino. Subito
si voltò con un
sorriso furbo.
“Cambridge
è
una città noiosa!”
I due genitori
scoppiarono a ridere. Alla fine la madre tornò a voltarsi
verso la figlia
sorridendo.
“Non
sarà così,
vedrai. La tua è solo la prima impressione. Conoscendola
meglio questa città ti
piacerà. E poi a settembre andrai in una nuova scuola.
Quella non sarà una
bella avventura?”
La donna
tornò
a voltarsi continuando a parlare, anche se più che altro
sembrava parlare a sé
stessa.
“E
se non
sbaglio, chi ci ha venduto la casa ha detto che nella casa accanto ci
vive
anche un ragazzo della tua età… avrai subito un
nuovo amico, non sei contenta?”
La ragazzina
faticò un attimo per capire che la domanda era rivolta a lei
e a quel punto
annuì anche se poco convinta. Poi tornò a
voltarsi verso il furetto. Sorridendo
infilò un dito nella gabbietta e grattò la
testolina dell’animale che si
svegliò e le leccò il dito iniziando a zampettare
nel piccolo spazio.
“Presto
saremo
nella nuova casa… che ne dici, Billy, sarà una
nuova avventura?”
Il furetto la
guardò e per un attimo sembrò veramente star
riflettendo sulla sua domanda. La
ragazzina sorrise e tornò a guardare fuori dal finestrino.
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Lucy e Edmund
si fermarono accanto alla zia davanti alla stazione. Il viaggio fino a
Cambridge non era stato lungo nonostante a loro, mentre si trovavano
sul treno,
era sembrato infinito… e noioso. Nell’attesa di
zio Harold che era andato a prendere
la propria automobile che la mattina aveva parcheggiato nelle
vicinanze, Lucy e
Edmund poterono ripensare a quelle poche ore passate sul treno. Era
stato così
strano dover rispondere alle domande impiccione della zia. Che lavoro
aveva
intenzione di fare Peter, quanto tempo passavano tutti e quattro
insieme, se i
loro genitori avevano già parlato del futuro di Susan, quali
erano i loro
risultati scolastici. In più Lucy si era sorbita le offerte
della zia di darle
alcuni consigli per essere più carina e, quando sarebbe
cresciuta, poter ricevere
delle buoni offerte di matrimonio. La zia si era inclinata verso di lei
dandole
un buffetto sulla guancia sorridendo.
“Sei
ancora
così piccolina… vedrai che quando diventerai una
signorina ti torneranno utili
i miei consigli.”
Lucy aveva
abbassato la testa mortificata e aveva annuito. Ogni parola della zia
era come
una spina infilata nel suo cuore. Era come se qualcuno continuasse a
ripeterle “Lucy sei brutta, Lucy
sei infantile, Lucy
quando diventerai come tua sorella Susan?”. O per
lo meno era questa la sua
sensazione. Per un attimo ripensò offesa alle parole di
Susan sentendosi come
presa in giro dai complimenti che la sorella maggiore, bella e
perfetta, sempre
lodata da tutti, le aveva fatto tanti mesi prima. Subito
scacciò quei pensieri
sentendosi in colpa. Susan non era certo una bugiarda. Per un attimo si
vide
simile alla zia e si ripromise che non sarebbe successo.
Edmund,
invece,
fu obbligato da zio Harold a leggere il giornale. Il ragazzo si finse
interessato nella speranza che presto lo zio lo ignorasse convinto di
aver
avuto successo. Non lo avesse mai fatto… zio Harold
sembrò aver recuperato la
parola e costrinse Edmund a discutere con lui di ogni articolo. E
allora aveva
capito che cosa intendesse zia Alberta al porto: volevano metterli su
quella
che loro credevano la “giusta strada”, correggere
l’indulgenza di Helen e
Robert almeno sui due più piccoli, a loro idea
più viziati e infantili dei due
maggiori in modo tale che non contagiassero anche Peter e Susan. Si
capiva
quello che era l’obbiettivo di zia Alberta: doveva occuparsi
dei due bambini e
non delle due persone mature, Peter e Susan, pronti a essere finalmente
educati
alla vita adulta? Bene, avrebbe reso Lucy e Edmund due persone mature
anche a
costo di rieducarli nelle più piccole cose. Edmund aveva
sospirato rendendosi
conto che sarebbe stato peggio di quanto avessero mai potuto credere.
I due ragazzi
vennero distolti dai loro pensieri dall’arrivo vicino al
marciapiede
dell’automobile di zio Harold. L’uomo scese e prese
le valigie dei ragazzi
mettendole nel baule. Edmund si sedette accanto al posto di guida e
Lucy e zia
Alberta dietro. Quando l’automobile partì, Lucy si
appoggiò al finestrino
osservando incuriosita le cose che erano cambiate a Cambridge dalla
loro ultima
visita. La voce dura e quasi esasperata di zia Alberta la fece voltare
subito.
“Lucy
siediti
composta, guarda davanti. Sei ancora una bambina ma è ora
che tu impari a non
esserlo più. Schiena dritta. Comportati da
signorina!”
Lucy
sgranò gli
occhi azzurri stupita. Non ricordava qualcuno che le si era rivolto con
un tono
così duro. Tutti dicevano sempre che lei era una ragazzina
educata e gentile,
anche a Narnia tutti avevano sempre lodato la sua gentilezza rivolta
sempre
verso tutti. Zia Alberta invece la trattava come la peggiore delle
maleducate.
Anche Edmund si era voltato scioccato dal modo in cui Lucy veniva
trattata. Di
solito era lui quello che veniva sgridato, non Lucy. La zia Alberta si
riposò
al sedile lanciandole ancora un’occhiata severa.
“Togliti
dalla
faccia quell’espressione imbambolata e vedi di ricordartelo.
Sei abbastanza
grande perché io non debba ripetertelo sempre. Prendi
esempio da tua sorella
Susan. Lei sì che è una signorina. Se solo non
dovesse avere sempre a che fare
con voi…”
La donna
sospirò scuotendo la testa rassegnata. Lucy si sedette come
voleva la zia per evitare
di essere di nuovo rimproverata. Edmund la guardò e le
sorrise per rincuorarla,
ma Lucy aveva appena la forza di non piangere e rispose appena con un
cenno al
tentativo di Edmund. Il ragazzo tornò a voltarsi sospirando
e meditando di
vendicarsi di quello al primo scherzo di Eustace. A quel pensiero
alzò le
spalle: non era molto giusto, ma neanche il comportamento della zia. Ad
una
svolta zio Harold si voltò verso di lui.
“Hai
prestato
attenzione alla guida? Sarebbe una buona idea che ti facessi
l’occhio… quando
sarai grande ti servirà il giorno che vorrai imparare a
guidare una macchina.”
Edmund non
rispose leggermente sorpreso da quella domanda: ma non avevano
continuato a
ripetere che erano due bambini? E ora a quindici anni doveva
già farsi l’occhio
per guidare? Dopo qualche istante zio Harold lo guardò di
nuovo.
“Peter
immagino
lo imparerà quando sarà in America. Lui
è grande ormai e l’America sarà
stimolante per farlo diventare veramente un uomo.”
Edmund
sbuffò.
Come volevasi dimostrare… ma gli zii avrebbero ricordato
loro ogni cinque
minuti di essere più piccoli e immaturi di Peter e Susan? Se
solo fossero a
Narnia… provassero a dire a qualcuno dei Narniani che Re
Edmund il Giusto e
Regina Lucy la Valorosa, grandi Re e Regina di Narnia, era immaturi e
incapaci
di occuparsi dei problemi degli adulti. Il ragazzo incrociò
le braccia e
affondò nel sedile annuendo per accontentare lo zio che
effettivamente si voltò
soddisfatto. Fu zia Alberta che si prese, però,
l’ultima parola.
“Il
tempo delle
favole è finito. Se vostra madre non vuole ancora darvi una
scrollata, saremo
noi a farlo. È arrivato il momento di confrontarsi con il
mondo reale.”
Edmund e Lucy
sospirarono per l’ennesima volta cercando di non farsi
sentire dalla zia. Per
fortuna che il tragitto fino a casa Scrubb sarebbe stato
breve…
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Nel frattempo
c’era qualcuno altro che invece avrebbe preferito che il
tragitto fino a casa
Scrubb durasse all’infinito. E altri non era che Eustace
Clarence Scrubb,
figlio di Alberta e Harold. Il ragazzo continuava a camminare in tondo
nella
propria stanza che presto avrebbe dovuto condividere con Edmund
Pevensie, il
suo nemico di sempre. Sbuffava e quasi scalciava come un animale
selvatico
messo in gabbia. Ogni volta che completava un giro gettava lo sguardo
sul letto
che il padre aveva sistemato di fronte al suo. Subito distoglieva lo
sguardo
quasi disgustato. La sua vita era finita, un’estate rovinata.
Chissà per quanto
tempo i suoi due odiosi cugini sarebbero rimasti
lì… erano settimane che
pregava: prima che zio Robert trovasse posto per tutti, poi che Lucy e
Edmund
partissero presto per l’America. Ma si può avere
rovinata in un modo simile le
vacanze? La sua solita sfortuna… anzi sfortuna nera. Era
stato l’unico in tutto
il mondo che l’ultimo giorno di scuola tornato a casa, invece
di trovarsi dei
regali, si era trovato davanti i genitori che candidamente gli avevano
comunicato che entro pochi giorni Edmund e Lucy sarebbero stati loro
ospiti.
Per quanto aveva avuto la forza di chiedere… e la madre
soddisfatta aveva
risposto che non si sapeva ancora quanto tempo si sarebbero fermati. Il
mondo
gli era crollato addosso di fronte a quella che era la peggiore delle
tragedie.
Eustace
sbuffò
e si sedette pesantemente sulla sedia della scrivania. Anche quella
avrebbe
dovuto condividere da quel giorno. Rabbiosamente si alzò e
alla fine si sedette
per terra. Dopo aver guardato l’orologio posato sul comodino
vicino al letto,
il ragazzo si distese sotto al letto. Con fare circospetto prese una
scatola e
lentamente l’apri. Erano i suoi tesori: doveva nasconderla
bene se non voleva
che Edmund ficcasse le sua manacce anche lì. Poi prese un
quadernetto da dentro
la scatola e una penna. La sua espressione si fece seria. Dopo un
attimo di
indecisione uscì posandosi sul letto. Eustace fece dondolare
la penna tra le
dita prima di iniziare a scrivere.
“Giugno
1942.
Io Eustace Clarence Scrubb, figlio di Alberta e Harold Scrubb, in pieno
possesso delle mie facoltà mentali dichiaro che questo
è il mio testamento
nell’eventualità che i miei sciagurati cugini,
Edmund Pevensie e Lucy Pevensie,
mi conducano alla pazzia e ad una lenta e dolorosa agonia.”
Eustace si
fermò osservando quello che aveva scritto: sì,
era sufficientemente solenne.
Particolarmente ispirato riprese la penna e si rimise a scrivere.
“Dichiaro
che
tutte le mie cose di scuola vengano divise tra i miei compagni di
classe che
potranno così giovarsene nel loro percorso di studi. Tutto
il resto, fatta
esclusione per la mia scatola dei tesori, lo lascio ai miei genitori,
quelle
povere anime, che verranno privati del loro unico figlio dalle perfide
e
meschine macchinazioni dei suddetti cugini. Infine la suddetta scatola
dei
tesori la lascio a Jimmy Stenford con la clausola che la custodisca e
la
tramandi di generazione in generazione in mio ricordo
imperituro.”
Eustace
sorrise
soddisfatto e passò una mano sul foglio. Sapeva bene che
Jimmy avrebbe fatto
quello che lui voleva. Povero Jimmy, buono e gentile, ma privo di
carattere.
Per fortuna che lui magnanimamente aveva deciso di essere suo amico.
Improvvisamente sentì fermarsi una macchina. Il primo
pensiero di Eustace fu:
eccoli. Senza perdere neppure un secondo il ragazzo afferrò
quadernetto e
penna, li rimise nella scatola, chiuse la scatola e la nascose il
meglio
possibile sotto al letto. Dopodiché, come un fulmine, corse
alla finestra
convinto di vedere nel vialetto sottostante i genitori e i due cugini.
Invece,
con sua grande sorpresa, il vialetto era deserto. Per un attimo Eustace
credette di star già impazzendo, poi si accorse di una
macchina parcheggiata
nel vialetto accanto. Il ragazzo si dette una pacca sulla testa. Ora
ricordava:
quel giorno arrivavano i nuovo vicini. Curioso, Eustace si nascose
dietro la
tenda e sbriciò per vedere come erano. Che bello se fosse
stato un ragazzo con
cui fare amicizia ed opporsi insieme a lui a Edmund!
In quel
momento
dall’automobile scese un uomo con i capelli castani e gli
occhiali seguito da
una donna con i capelli biondi. I due si fermarono a guardare la casa.
Sorridevano felici. Dopo pochi istanti scese anche una terza persona.
Eustace
sbuffò. Era una ragazza. La sua era proprio una sfortuna
nera… anzi nerissima.
Mancava solo che la vicina facesse amicizia con Lucy Pevensie!
Un’altra arpia
tra i piedi. Improvvisamente Eustace si accorse che la ragazzina lo
stava
fissando. I loro occhi si incrociarono e Eustace si ritrasse di scatto
dopo
averle lanciato un’occhiata di superiorità. Sotto
la ragazzina sorrise scuotendo
la testa rassegnata. I capelli castano-biondi ondeggiarono attorno al
suo viso.
Dentro alla stanza, invece, Eustace rimase spalle al muro fino a quando
non
sentì aprire e richiudersi la porta dei vicini. A quel punto
tirò un sospirò di
sollievo. Ci mancava solo quella… ma il suo sollievo
durò poco. Pochi minuti
dopo, infatti, un’altra macchina si fermò e non ci
furono più dubbi. Era la
macchina che portava i suoi cugini: nessuna sciagura era mai stata
annunciata
in modo più sinistro. O almeno così
sembrò a Eustace la frenata della macchina
paterna. Il ragazzo alzò lo sguardo verso l’alto
esibendosi in un’espressione
teatralmente disperata.
“La
mia vita è
finita!!”
E
il primo capitolo è finito. Pensandoci forse è un
po’ corto… all’inizio avevo
pensato di metterci anche l’incontro tra Edmund, Lucy e
Eustace, ma alla fine
ho preferito rimandarlo al prossimo capitolo. Allora, che ne pensate?
Spero di
aver fatto un buon lavoro. Avrete notato la presenza di un nuovo
personaggio,
vero? ^-^ Non credo vi sarà molto difficile intuire chi sia,
comunque… e a
proposito di questo ho un favore da chiedervi. Quando descrivo un
personaggio
mi è più facile farlo avendo un immagine presente
in mente: per Peter, Susan,
Edmund, Lucy, Caspian, Eustace, ecc. non ho quindi nessun
problema… per lei
invece sì, non essendoci mai stata nei film. Il favore
è questo: avreste
qualche attrice da consigliarmi considerando che vorrei farla con i
capelli
biondo-castani e dell’età di Eustace? ^-^ (che non
sia Anna Sophia Robb perché
l’ho già in mente per un personaggio che apparire
più avanti.) Se vi viene
qualche idea, vi sarò grata… altrimenti mi
arrangerò. ;)
Ancora
una cosa e tolgo il disturbo. XD Questa è la prima long
fiction che scrivo su
Narnia (considerando che Tears era
la
prima fan fiction su Narnia che scrivevo in assoluto). Aspetto i vostri
pareri.
La prossima settimana non ci sarò perché sono via
quindi vi dò appuntamento a
quella dopo.
Grazie
mille per aver letto. A presto! ^-^ HikariMoon
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Incontri e Contrasti ***
Capitolo
2 - Incontri
e Contrasti
Edmund e Lucy
scesero dall’automobile fermandosi uno affianco
all’altra sul marciapiede. Non
riuscivano a distogliere lo sguardo da quell’edificio che
nelle settimane
successive sarebbe stata la loro casa. Dietro di loro zio Harold aveva
tirato
fuori le valigie. Quando le posò accanto ai due, Edmund e
Lucy si riscossero.
Zia Alberta li superò sorridendo.
“Forza,
sbrigatevi. Eustace sarà felicissimo di vedervi.”
Edmund
ridacchiò e si abbassò per sussurrare
all’orecchio della sorella.
“Sì…
come il
diavolo con l’acqua santa.”
Lucy si morse
un labbro per non scoppiare a ridere. Ormai la tristezza per i commenti
della
zia era passata ed era tornata la solita gentile e spensierata Lucy.
Mentre
percorrevano il vialetto, gli occhi azzurri di Lucy vennero attratti da
un
movimento dentro alla casa vicina. La ragazzina si fermò per
guardare meglio.
Dietro alla tenda vide una ragazza più o meno della sua
età, al massimo un anno
più grande di lei. Lucy sorrise e mosse appena la mano per
salutarla. La
ragazza della casa accanto la guardò sorpresa per un attimo,
ma alla fine
sorrise anche lei. in quel momento zia Alberta arrivò dietro
di lei colpendola
piano alle spalle.
“Su,
Lucy. Vuoi
stare tutto il giorno qui?”
Lucy distolse
lo sguardo dalla finestra e si sbrigò a fare quello che
voleva la zia,
raggiungendo in fretta Edmund che la aspettava davanti alla porta che
zio
Harold stava aprendo. Mentre stava per entrare Lucy si voltò
ancora una volta e
intravide di nuovo dietro la tenda la ragazza che aveva salutato. Lucy
sorrise
convinta che avrebbero potuto fare amicizia e scomparve dentro alla
casa
seguita a ruota dalla zia che chiuse la porta.
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Quando la
porta
si richiuse, la ragazza che Lucy aveva salutato spostò la
tenda e guardò verso
la casa chiedendosi chi potessero essere i due ragazzi che erano appena
arrivati. Dietro di lei sentì il rumore dei tacchi della
madre.
“Mamma…
sai quanti
figli hanno i vicini?”
La madre
spostò
una scatola sul tavolo e la affiancò. “Chi? I
signori Scrubb?”
La ragazzina
annuì. La madre sorrise passandole una mano tra i capelli.
“Prima
non mi
ascoltavi, Jill? I signori che ci hanno venduto la casa hanno detto che
hanno
un figlio. Perché?”
Jill si
voltò
verso la madre sorridendo. “Allora hanno degli ospiti. Sono
appena arrivati un
ragazzo e una ragazza che mi ha salutato.”
La madre
inclinò la testa sorpresa. “Davvero?
Beh… magari sono dei parenti. Ma quanto
sei curiosa!”
La donna
sorridendo colpì il naso della figlia che si
voltò sbuffando fingendo di
essersi offesa. La donna sorrise.
“Comunque
lo
scopriremo presto. Uno dei prossimi giorni andremo a trovarli.
Così conoscerai
anche loro figlio… magari va anche lui alla scuola in cui
andrai tu. Dopotutto
è sia per ragazzi che per ragazze.”
Jill
alzò gli
occhi al cielo senza farsi vedere dalla madre ripensando al ragazzo che
aveva
visto alla finestra e che le era sembrato piuttosto presuntuoso e
arrogante. Dubitava
di poter fare amicizia con un tipo simile… ma alla madre non
glielo avrebbe mai
detto: era troppo contenta per sminuirle il suo buon umore. Dopo un
attimo si
voltò di nuovo verso di lei sorridendo.
“Vado
su a
sistemare le mie cose nella mia nuova stanza. Anche Billy deve
familiarizzare
con la casa.”
La madre
scosse
la testa sorridendo. “Certo. Speriamo che Billy sia
soddisfatto…”
Jill
ridacchiò
abbassandosi. “Billy… andiamo così poi
puoi fare un giro.”
La ragazzina
prese la gabbietta in cui il furetto zampettava fiutando
l’aria e dando
veramente l’impressione di voler uscire per sgranchirsi le
zampe. Mentre saliva
a due i gradini delle scale, Jill incrociò il padre che le
fece una rapida
carezza sulla guancia.
“Poi
scendi a
darci una mano, ok?”
Jill, arrivata
in cima alle scale, si voltò sorridendo.
“Certo.”
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Edmund e Lucy
erano in piedi nell’atrio con le valigie in mano e si
guardavano attorno quasi
per controllare che Eustace non sbucasse fuori da qualche parte con uno
dei
suoi stupidi scherzi. Da lui ci si sarebbe potuti aspettare di tutto.
Come
quelle volta che casualmente era
arrivato dalla cucina con una brocca piena d’acqua che poi,
sempre casualmente, aveva
rovesciato addosso a
Susan e Lucy. E poi si era giustificato dicendo che voleva portarla in
salotto
immaginando che zii e cugini avrebbero avuto sete dopo il viaggio: non
era
certo colpa sua se erano arrivati all’improvviso e casualmente proprio nel momento in cui
lui stava passando. Sembrava
però che quella volta Eustace non ci fosse. Harold si
avvicinò alle scale
guardando verso l’alto.
“Eustace,
scendi. Siamo arrivati. Vieni a salutare i tuoi cugini Lucy e
Edmund.”
Edmund e Lucy
si guardarono pensando la stessa cosa: perché Narnia non li
chiamava in quel
momento? Avrebbero preferito di gran lungo affrontare una guerra
piuttosto che
loro cugino. Quando sentirono dei passi si voltarono di scatto verso le
scale.
Eustace stava scendendo piano i gradini strascicando i piedi. Se
qualcuno lo
avesse visto, avrebbe pensato che lo stessero per portare al patibolo.
Anche
sulla faccia aveva dipinta un’espressione da funerale.
Vedendolo Lucy sorrise
per essere educata e per mostrarsi gentile mentre Edmund gli
lanciò uno sguardo
che significava io non ci casco.
Quando fu vicino al padre, Harold gli posò una mano sulla
spalla obbligandolo a
fare più velocemente i pochi gradini che mancavano.
“Su,
figliolo…
non fare quella faccia. So che devi fare i compiti, ma potrai anche
divertirti
con i tuoi cugini. Non sarà così male questa
prima parte dell’estate!”
Edmund, Lucy e
Eustace, per la prima volta inconsapevolmente concordi, guardarono
sbalorditi l’uomo
che sorrideva chiedendosi se fosse tonto o se facesse finta di niente.
Non
c’era stata una volta in cui si fossero divertiti insieme i
fratelli Pevensie e
Eustace Scrubb, solo scherzi e dispetti: tutti lo sapevano…
tutti tranne i
coniugi Scrubb. In quel momento anche Alberta affiancò il
figlio posandogli una
mano sulla spalla.
“Tesoro…
saluta
i tuoi cugini e poi accompagnali nelle loro stanze.”
Eustace
annuì
come se gli avessero chiesto di baciare due rospi bavosi. Il ragazzo si
avvicinò fermandosi ad una sicurezza di distanza dai due
cugini che similmente
si tenevano ad una distanza sostenibile da lui. I tre si guardarono
studiandosi
a vicenda. Per lunghi istanti nessuno dei tre si mosse, se non per il
fatto che
Eustace e Edmund ogni tanto si guardavano in cagnesco. Alla fine
Alberta e
Harold si allontanarono verso il salotto. La donna prima di sparire
nella
stanza si voltò sorridendo.
“Forza,
sbrigatevi. E Lucy, quando hai finito di sistemare le tue cose, vieni
in cucina
così mi aiuti a preparare il pranzo.”
Detto questo
la
donna si eclissò nel salotto e i tre ragazzi rimasero soli.
A quel punto
Eustace allungò la mano per salutarli.
“Benvenuti…
cugini.”
Edmund e Lucy
rimasero immobili alternando lo sguardo tra la mano e il viso di
Eustace. Il
ragazzo sorrise angelico.
“Non
vorrete
che dica a mamma che siete stati scortesi e non mi avete voluto
salutare!”
Edmund lo
guardò male mentre Lucy si decise a salutarlo. Dopotutto era
buona educazione,
glielo aveva insegnato sua mamma. Così la ragazzina sorrise
e gli strinse la
mano.
“Ciao…
Eustace.”
Non appena
toccò
la mano, Lucy la sentì umida. Di scatto la
allontanò passandosela sulla gonna
mentre Eustace iniziava a ridacchiare. Lucy non capì e
guardò verso la gonna
notando sconvolta una macchia bluastra proprio dove aveva passato la
mano. Confusa
si guardò la mano e la vide tutta blu
d’inchiostro. A quel punto Eustace
scoppiò a ridere iniziando a correre su per le scale.
“È
troppo
facile con te! Ci caschi sempre!”
Lucy
abbassò la
mano con un’espressione stupita, delusa e triste sul volto.
Edmund invece
lasciò cadere la valigia mettendosi a correre dietro al
cugino.
“Brutto…
se ti
prendo!”
Lucy rimase
immobile mentre sentiva i passi di corsa al piano superiore.
All’improvviso
sentì il rumore di una porta che si chiudeva, anzi sbatteva,
e il rumore del
pugno di Edmund che la colpiva una volta sola ma con decisione: un
colpo di
avvertimento, insomma.
“Tanto
la
dovrai aprire, lo so che devi dividerla con me! Stai solo rimandando la
mia
vendetta Eustace Clarence Scrubb!”
Sotto, Lucy
sospirò sperando mentalmente che l’inchiostro
andasse via in un modo o
nell’altro dalla gonna e dalla mano. Scuotendo la testa prese
la valigia
iniziando a salire le scale. Arrivata a metà
guardò fuori dalla finestra verso
il cielo azzurro. Tristemente fissò le nuvole che pigramente
la attraversavano.
“Mamma,
papà…
Peter… Susan… chissà cosa state
facendo… quanto vorrei che fossimo lì con
voi.”
Sconsolata
Lucy
sospirò ancora una volta. Poi riprese a salire e raggiunse
il corridoio dove
c’era anche Edmund. Il ragazzo si era seduto a braccia
conserte contro la porta
della stanza di Eustace e non dava l’impressione di volersi
spostare da lì. La
ragazzina si fermò a guardarlo. Edmund si voltò
verso di lei sorridendo ma
parlando forte in modo che anche Eustace da dentro la stanza lo
sentisse.
“Io
ho una
pazienza formidabile quando voglio e sono un esperto di assedi. Ti
prenderò per
fame Eustace!”
Lucy
sospirò e
si avviò dalla parte opposta. Sapeva dove andare. Ogni volta
che venivano lì,
lei e Susan erano state messe nella stanza degli ospiti.
L’unico lato positivo
sarebbe stato quello, almeno per lei: almeno la notte sarebbe stata
tranquilla.
Ma sarebbe stato triste stare lì da sola: quante confidenze
si erano scambiate
distese sui letti, lei e Susan.
Quando
entrò
nella stanza i suoi occhi azzurri si mossero veloci per vedere se tutto
era
rimasto com’era. Lucy posò la valigia vicino al
letto. Sembrava di sì: le
pareti bianche, il letto, il comodino con la lampada…
improvvisamente il suo
sguardo cadde su un quadro appeso proprio di fronte al suo letto.
Lentamente si
avvicinò. Raffigurava una distesa quasi infinita di mare. Le
onde create dal
vento sembrava quasi vere e anche il cielo era stato dipinto
così bene da
sembrare reale. Lucy sorrise rincuorata. Non se lo ricordava, ma era
felice che
fosse stato appeso lì… avrebbe potuto immaginare
di trovarsi là, a nuotare tra
le sue onde cristalline.
“In
nome dello
sfavillante mare dell’Est, ecco a voi la Regina Lucy la
Valorosa.”
Lucy sorrise
sfiorando delicatamente la tela. Sì, sembrava proprio il
mare di Narnia, il
mare in nome del quale era stata incoronata. Quante volte lo avevano
solcato
fino alle Isole Solitarie. Se solo non fosse stato soltanto un
dipinto… Ad un
certo punto Lucy notò un piccolo puntino scuro
all’orizzonte. Probabilmente era
una nave, una nave che solcava le onde verso mete sconosciute e
incredibili
avventure. La ragazzina sospirò: tutto quello che a loro era
precluso,
costretti a stare a Cambridge. Improvvisamente sentì di
nuovo rumore di passi
concitati.
“Mostriciattolo
dove scappi!”
“Guarda
che
chiamo mio padre!”
“Sì,
chiamalo
così gli mostro che cosa hai fatto a Lucy!”
Lucy si
tappò
le orecchie con le mani distendendosi sul letto. Chiuse gli occhi e
cercò di ignorarli
visualizzando nella mente i boschi e i prati di Narnia. Non sarebbe
sopravvissuta a lungo in quel modo, sarebbe impazzita prima. Non senza
Susan
che le dava supporto… Dopo qualche istante Lucy
abbassò le braccia lungo il
corpo e aprì gli occhi a fissare il soffitto. Subito i suoi
occhi azzurri
corsero di nuovo al dipinto.
“Oh,
ti prego
Aslan… ti prego, fa che non sia così per tutto il
tempo che staremo qui! Facci
essere presto con Susan e Peter… ti chiedo solo questo,
Aslan…”
A quel punto
la
ragazzina si alzò andando verso la porta: si era ricordata
che la zia Alberta
la voleva in cucina. Prima di uscire guardò la valigia e
decise che l’avrebbe
svuotata dopo. Sorridendo chiuse la porta a chiavi. C’era una
cosa di zia
Alberta che apprezzava: la donna era convinta che le ragazze dovessero
poter
difendere la loro privacy e avevano sempre la chiave della loro stanza
anche
quando veniva sequestrata ai ragazzi. Con uno come Eustace in giro,
almeno poteva
difendere le sue cose. Sorridendo si voltò per scendere le
scale chiedendosi
dove fossero finiti Edmund e Eustace.
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Susan e Peter
erano immobili sulla banchina. I due si guardavano attorno con gli
occhi
sgranati e sentendosi piuttosto spaesati. Donne, uomini, bambini
continuavano a
passare loro davanti con valigie o in cerca di qualche congiunto. Quel
posto
era ancora più affollato del porto inglese da cui erano
partiti. Susan si voltò
verso la statua che si stagliava contro il cielo azzurro. Era maestosa.
La
Statua della Libertà… a scuola ne aveva sentito
solo parlare. Una volta l’aveva
vista su una foto sbiadita… vederla dalla realtà
era così diverso. Guardarla ti
faceva provare vertigini. Peter si voltò anche lui e
guardò la statua.
“È
maestosa…
vero?”
Susan
annuì.
Non riusciva a parlare e si sentiva in colpa. Nonostante il dispiacere
per il
fatto che Lucy e Edmund non c’erano, non riusciva a non
essere elettrizzata. E
non solo perché tutto in quella città sembrava
nuovo… da quel giorno in cui per
pochi istanti aveva visto Caspian, si era sentita un po’
più leggera e serena.
Sapere che sarebbe tornata a Narnia, in un modo o nell’altro,
le dava una forza
che non si era aspettata. Era una cosa che sentiva con il
cuore… e che aveva
promesso. Anche a costo di buttarsi da un ponte, se quello fosse stato
l’unica
via. Era così felice. E ripensare al bacio fugace che si
erano scambiati la
emozionava più di quanto l’avesse emozionata il
ricordo del bacio scambiato a
Narnia. Ma quello aveva avuto il sapore dell’addio, di un
qualcosa che era
destinato a finire per sempre… quel bacio invece…
era l’inizio di qualcosa,
l’inizio di un sogno che loro avrebbero trasformato in
realtà, il primo
capitolo di un futuro che avrebbero scritto insieme. Come poteva non
sentirsi
felice? Ora sapeva che era quello l’amore… stava
imparando ad amare veramente e
questo grazie a Caspian. Susan sorrise.
Peter
guardò la
sorella. Vedeva che c’era qualcosa di diverso. Era da mesi
che cercavano di
farsi coraggio a vicenda. Insieme avevano iniziato a credere in un loro
ritorno
a Narnia e insieme stavano affrontando la separazione da Lucy e
Edmund… eppure
Susan aveva qualcosa di diverso. Non sapeva neppure lui
cosa… forse una luce nuova
nello sguardo. Una felicità che gli teneva nascosta. E poi,
da quel giorno
sulla nave, la sua fiducia in un ritorno a Narnia era diventata
incrollabile. Come
sapesse che prima o poi sarebbe sicuramente successo… Peter
sorrise. Ma forse
non era diversa… era soltanto tornata la Susan di Narnia o
almeno così a lui
sembrava. Sì, sembrava veramente che stesse cercando di
essere la dolce Regina
che era stata a Narnia anche lì. Come avevano parlato appena
partiti… poi però
gli sorse un dubbio. Poteva in qualche modo centrare anche Caspian?
Possibile
che la sorella si fosse convinta che ritornando a Narnia avrebbe
rivisto anche
lui?
“Peter!
Susan!”
I due ragazzi
si voltarono venendo distolti dai propri pensieri. I genitori erano
qualche
metro più avanti e il padre stava facendo cenno di
raggiungerli. Susan e Peter
non se lo fecero ripetere e presero le valigie. Dopo pochi istanti
arrivarono a
fianco dei genitori e lì si accorsero che era arrivata una
terza persona che
riconobbero subito come l’amico del padre. L’uomo
li guardava sorridendo e
subito strinse la mano a Peter.
“Tu
devi essere
Peter. Tuo padre mi ha parlato un sacco di te. Diceva che in sua
assenza se
c’eri tu con i tuoi fratelli non si preoccupava.”
Peter sorrise
leggermente imbarazzato ma visibilmente orgoglioso dei complimenti del
padre.
Gli occhi azzurri gli luccicavano. Susan sorrise.
Un attimo
dopo,
l’uomo lasciò la mano di Peter e fece un leggero
inchino a Susan sempre
sorridendo. Poi le prese la mano abbozzando un bacia mano.
“Tu
invece devi
essere la splendida Susan. Robert non faceva che decantare la tua
bellezza e la
tua gentilezza. E devo criticarlo, perché non ti rendeva
merito.”
Susan sorrise
imbarazzata voltandosi verso il padre. “Papà non
ci vedeva da tanto…”
L’uomo
sorrise
e si voltò anche lui verso Robert.
“E
gli altri
due? Edmund e Lucy se non sbaglio.”
I due coniugi
Pevensie sospirarono scambiandosi uno sguardo triste. Alla fine Robert
tornò a
voltarsi verso l’amico.
“Purtroppo
non
abbiamo trovato abbastanza posti, Dave.”
Helen
annuì
voltandosi a guardare verso il mare. “Ora stanno per un
po’ da mia sorella a
Cambridge.”
Dave li
guardò
comprendendo bene come si sentissero. Dopo un istante posò
una mano sulla
spalla di Robert sorridendo.
“Vedrai
che
staranno bene e che presto arriveranno qui a New York anche
loro.”
Susan e Peter
si scambiarono uno sguardo divertito: non era molto sicuri sulla prima
affermazione dell’uomo. E in quanto alla seconda speravano
vivamente che avesse
ragione.
Finite le
presentazioni e i saluti, il gruppo si allontanò dalla
banchina e si diresse
verso le strade di New York. Subito fuori dal porto, trovarono due
automobili
ad aspettarli. Davanti ad esse c’erano due persone: un uomo
che assomigliava
molto a Dave, stessi capelli neri e occhi castani, e un ragazzo con i
capelli
neri e gli occhi azzurri che poteva avere due-tre anni più
di Peter e che
vestiva con l’uniforme. I due, appena arrivarono, si fecero
loro incontro
sorridendo. Dave li raggiunse e si voltò verso i Pevensie.
“Loro
sono mia
fratello Stephen e mio nipote William. Sarete anche voi loro ospiti
durante il
vostro soggiorno.”
Mentre Dave
faceva le presentazioni tra Stephen, Robert e Helen, William si
avvicinò a
Peter e Susan. Subito si accostò alla ragazza esibendosi in
un elegante
baciamano.
“William
Evans,
per servirvi.”
Susan sorrise.
“Ti ringrazio. Io sono Susan Pevensie.”
William la
guardò negli occhi sorridendo. “Non vi offendete
se vi dico che siete
bellissima?”
Susan
arretrò
di un passo arrossendo leggermente, imbarazzata dai complimenti del
ragazzo. Sapeva
benissimo di averne ricevuti moltissimi quando era Regina a Narnia, ma
sentirseli
dire dopo la promessa scambiata con Caspian… le sembrava di
starlo quasi
tradendo. Subito si stupì di quel pensiero rendendosi conto
che ufficialmente
tra lei e Caspian non c’era niente e che, in ogni caso,
William si era
dimostrato solo molto gentile nei suoi confronti. Sì, era
stata sciocca a
pensare una cosa simile: solo perché un ragazzo le faceva un
complimento, non
voleva mica dire che volesse corteggiarla.
In ogni caso
in
suo aiuto arrivo Peter che tese la mano verso William. Il ragazzo si
voltò
verso di lui e gliela strinse.
“Peter
Pevensie.”
“William
Evans.”
Peter lo
squadrò cercando di capire quali intenzioni avesse quel
tipo. Si era accorto
degli sguardi che aveva lanciato a Susan. Doveva tenerlo
d’occhio: gli bastava
lo spasimante Narniano, non gli serviva certo quello americano. Per un
attimo
si accorse che in quel modo stava dando una mano a Caspian. Peter
sollevò un
sopracciglio. Che bello scherzo del destino… sperava solo
che a Susan non
venisse lo stesso pensiero: mancava solo che un giorno si dovesse
sorbire i
ringraziamenti del nuovo Re di Narnia.
William prese
le loro valigie per sistemarle nel bagagliaio e Peter e Susan dedussero
che
avrebbero viaggiato nella sua macchina. Poco lontano i loro genitori
stavano
salendo sull’automobile di Stephen. Peter allora si sedette
sul posto davanti
mentre Susan si sistemò sui sedili posteriori.
Dopo qualche
minuto le due automobili misero in moto e si avviarono lungo le strade
di New
York. Mentre le percorrevano Peter e Susan continuavano a guardare
fuori dai
finestrini osservando incuriositi le strade della nuova
città. William sembrava
piuttosto soddisfatto e quando passarono vicino ad un enorme giardino
si voltò
verso di loro sorridendo.
“Questo
è
Central Park. Se vuoi, Susan, un giorno ti porto a visitarlo.”
Susan
annuì
distrattamente osservando l’enorme parco che le ricordava
tanto Hyde Park.
Peter invece aveva lanciato un’occhiata contrariata a William
che però sembrava
non esserne accorto. Al biondo Pevensie non era sfuggito il passaggio
dalla
terza persona alla seconda nel rivolgersi a Susan che non faceva altro
che
confermare i suoi sospetti: aveva visto giusto, quel tipo stava
cominciando a
fare lo spasimante con Susan.
“Sei
nell’esercito, William?”
Susan
notò il
tono di voce seccato di Peter che il ragazzo non era riuscito a
mascherare e
sorrise divertita. Anche William sembrava essersene accorto, ma fece
finta di
niente e annuì orgoglioso.
“Sono
cadetto
della Marina militare. A te piace il mare, Susan?”
Peter
alzò gli
occhi al cielo: eccolo che ricominciava. E lui che credeva che la
persona più
insopportabile fosse Eustace… Susan non riuscì a
trattenere una risatina
vedendo l’espressione del fratello ma arrivò a
trattenersi e annuì.
“Sì,
molto…”
Avrebbe voluto
aggiungere come a Caspian ma si era
trattenuta. Susan sorrise. Non sarebbero bastate ore di spiegazioni e
Peter
probabilmente l’avrebbe chiusa a chiave da qualche parte
gettando poi via la
chiave. William sorrise soddisfatto dalla risposta quasi vi leggesse un
segno
del destino. Peter si voltò verso la sorella lanciandole uno
sguardo eloquente
con cui le chiedeva di non dargli corda. Poi tornò a
voltarsi verso William.
“Come
mai hai
scelto di entrare nell’esercito?”
William
tornò a
guardare davanti sorridendo. “Per rendermi utile alla
nazione. Presto farò un
periodo di addestramento sulle navi che pattugliano
l’Atlantico.”
“Non
hai paura
che la nave affondi?”
Susan
guardò
Peter costernata da quella domanda. William invece alzò il
mento fiero.
“Non
ho paura.
Noi soldati siamo pronti a morire per la nostra patria. Ma
probabilmente voi
non potete capire…”
Peter lo
fulminò con lo sguardo e Susan si mise una mano sulla bocca
per non scoppiare a
ridere. Se solo William avesse saputo… quante volte loro
avevano messo la loro
vita a repentaglio per Narnia e quante battaglie avevano affrontato.
Prima però
che Peter potesse ribattere qualcosa William svoltò dentro
un viale che portava
ad un elegante villino immerso in un enorme parco. Solo in quel momento
Peter e
Susan si accorsero di essersi lasciati alle spalle la città
e di essere
arrivati in un’area periferica. Qualche minuto dopo le due
automobili si
fermarono davanti alla scalinata d’accesso. Quando Peter e
Susan scesero
sentirono sorpresi l’odore del mare. Stupiti si guardarono
attorno e alla fine
fu William a rispondere loro mentre tirava fuori le loro valigie.
“Questa
villa
si trova vicino al mare. Siamo vicini alla foce del fiume Hudson. Se
guardate
tra gli alberi potete anche riuscire a vederlo.”
I due ragazzi
si voltarono subito e lo scorsero. Peter sbuffò mentre Susan
già immaginava le
passeggiate in riva al mare a pensare a Caspian che stava veleggiando
sui mari
di Narnia.
“Queste
le
prendo io, non ti disturbare.”
La voce di
Peter riportò Susan alla realtà. La ragazza si
voltò e vide il fratello con in
mano anche la sua valigia che stava dando le spalle a William che lo
guardava
senza capire il suo atteggiamento. Susan sorrise e in quel momento
venne
raggiunta da Peter.
“Susan,
raggiungiamo mamma e papà.”
Susan
annuì e i
due ragazzi raggiunsero i genitori che stavano salutando la signora ?,
moglie
di Stephen e madre di William. Accanto a lei notarono però
anche una ragazza
dell’età di Susan che gli salutò
sorridendo. Susan si avvicinò a Peter e gli
sussurrò in un orecchio divertita.
“Devo
fare io
la sorella gelosa e protettiva ora?”
Peter la
guardò
sgranando gli occhi e iniziando a borbottare qualcosa mentre Susan
scoppiava a
ridere. Finalmente i due raggiunsero il gruppetto e lì
vennero presentate loro
la donna e la ragazza.
“Queste
sono
mia moglie Margaret e mia figlia Ann.”
Anche Susan e
Peter si presentarono. La signora Evans sorrise.
“Sono
felice di
conoscervi. Spero farete amicizia con i miei ragazzi.”
Peter per
fortuna non dovette rispondere perché Stephen
guidò tutti dentro nell’atrio. La
famiglia Pevensie si guardò attorno ammirata mentre gli
altri sorridevano. Dopo
un attimo Stephen riprese la parola.
“William
e Ann
accompagneranno i vostri ragazzi nelle loro stanze e Dave vi
accompagnerà a voi,
Robert. Quando vi siete sistemati scendete che così
prendiamo il tè in
giardino.”
Robert e Helen
annuirono sorridenti e il gruppo si divise. I signori Evans si
avviarono verso
il giardino, mentre gli altri salirono le scale. Al piano superiore
Robert,
Helen e Dave svoltarono a sinistra mentre William, Peter, Susan e Ann
svoltarono a destra. Fatti pochi metri i due ragazzi si fermarono
mentre Ann
fece segno di proseguire a Susan. Mentre apriva la porta della camera
di Peter,
William si voltò sorridendo verso Susan.
“Ci
vediamo
dopo, Susan.”
Susan
annuì per
mostrarsi gentile e seguì Ann. Quando svoltarono ad un
angolo, la ragazza si
voltò verso di lei ridacchiando.
“Tuo
fratello
non ha molta simpatia per il mio, vero?”
Susan non
riuscì a mentire e annuì sorridendo. Ann
tornò a girarsi saltellando.
“Poco
fa
credevo lo volesse strozzare!”
Susan sorrise
un po’ imbarazzata. “Peter non è
cattivo…”
Ann si
voltò
sorridendo. “Non ti preoccupare, non lo pensavo. So che mio
fratello può essere
un po’ insistente. Se ti da fastidio dimmelo che lo rimetto
in riga.”
Susan
scoppiò a
ridere annuendo divertita. In quel momento arrivarono davanti ad una
porta che
Ann si affrettò ad aprire.
“La
mia stanza
dà sul tuo stesso terrazzo. Se hai bisogno di qualcosa vieni
a bussarmi, ok?”
Susan
annuì e
Ann si allontanò agitando la mano. Quando rimase sola, Susan
entrò lentamente
nella stanza chiudendosi dietro la porta. Lentamente osservò
la stanza. Era
così ampia e spaziosa, che si sarebbero potute stare sia lei
che Lucy. La
ragazza si posò alla porta sospirando al pensiero dei due
fratelli che si
trovavano dall’altra parte dell’oceano. Dopo
qualche istante, Susan si diresse
verso la vetrata che dava sul terrazzo e lasciò la borsa
vicino ad un tavolo su
cui facevano bella mostra tutto il necessario per scrivere. Susan
aprì le la
porta vetri e uscì sul balcone. Subito il suo
voltò venne illuminato da un
meraviglioso sorriso. Da lì si riusciva a vedere benissimo
la foce e il mare,
mosso da una leggera brezza. La ragazza chiuse gli occhi posandosi alla
pietra
della balaustra. Che bello sarebbe stato stare lì la sera ed
immaginare di
trovarsi sullo stesso veliero di Caspian, magari abbracciati ad
osservare la
luna che si specchiava sulle onde. Susan aprì gli occhi
azzurri che tornarono a
fissare il mare.
“Sarebbe
così
bello Caspian… ma so che un giorno succederà. E
allora non ti lascerò più.”
Susan sorrise.
Peter poteva stare tranquillo. Potevano esserci anche decine di William
pronti
a farle la corte, ma non sarebbe cambiato nulla. Il suo cuore era
già di
Caspian. Ma non era convinta fosse quello che Peter avrebbe
voluto…
Susan
scoppiò a
ridere e rientrò nella stanza per rinfrescarsi. Nel farlo
sperò che il tè non
durasse troppo perché doveva salire e scrivere una lettera a
Lucy. Chissà come
se la stavano passando a Cambridge… Susan sorrise dolcemente
e chiuse i vetri. Sarebbe
stato bello che Narnia li riunisse…
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Un vento
leggero ma sostenuto gonfiava le vele porpora del Veliero
dell’Alba che solcava
leggero e veloce le onde del mare. I giorni passavano e Narnia era
sempre più
dietro le loro spalle e più vicine erano le Isole Solitarie.
Il capitano
Drinian era come sempre al timone e guidava con mani sicure la rotta
della
nave. E come sempre a quell’ora Caspian si trovava seduta
sulla prua a forma di
drago.
Il giovane Re
dondolava svogliatamente una gamba giocherellando con il Corno
d’Avorio che si
portava sempre con sé. Ogni volta che i suoi occhi scuri lo
vedevano, non
riusciva a non sorridere. Erano passati alcuni giorni dal magico e
inaspettato
incontro con Susan ma la felicità che lo aveva pervaso non
era ancora scemata.
Anzi, più proseguivano sulla loro rotta, più si
sentiva felice quasi potesse
già scorgere Susan all’orizzonte che lo salutava
sorridendo.
Improvvisamente
Caspian venne distolto dai suoi pensieri dal rumore leggero di piccoli
passi
accanto a lui. Pochi istanti dopo vide Ripicì che si
inchinava.
“Rip.”
“Vostra
Maestà.
Volevo solo avvertirvi che il Veliero dell’Alba prosegue
sulla sua rotta senza
nessun imprevisto.”
Caspian
annuì
sorridendo e si alzò lo sguardo verso l’orizzonte.
“Cosa
pensi ci
sia oltre l’orizzonte, Rip?”
Il topo
salì
svelto sulla testa del drago e fissò anche lui
l’orizzonte. Per lunghi istanti
non rispose e neppure Caspian disse altro. Alla fine Ripicì
tornò a voltarsi.
“Da
quello che
so, Vostra Maestà, le Terre di Aslan.”
Caspian
sorrise. “È quello che mi raccontava anche
Cornelius. Sperò che sia
così…”
Ripicì
lo
guardò interrogativo. Caspian lo guardò
sorridendo.
“Mi
piacerebbe
veleggiare fino a lì, spingermi dove nessuno è
mai arrivato.”
Rip
annuì.
“Sarebbe un onore per me seguirvi, Vostra Maestà.
Ma temo che i vostri doveri
vi reclamerebbero prima a Narnia.”
Caspian
annuì
poco convinto. Dopo un attimo Ripicì si allontanò
rapido come era venuto e
Caspian rimase solo. A quel punto tornò a guardare il corno
e sorrise.
“Forse
Rip ha
ragione… ma ho anche un dovere verso il mio cuore. E se
Narnia vuole una
Regina, mia dolce Susan, dovrà pazientare che io ti venga a
prendere… anche ai
confini del mondo.”
Il giovane Re
sorrise. Non avrebbe mai infranto la promessa che aveva fatto a Susan.
L’avrebbe aspettata perché sapeva che lei sarebbe
tornata. E forse l’avrebbe
fatto anche senza quella certezza…
“Torna
presto,
Susan. Io sono qui.”
E
con questo siamo a due! Devo ammettere che questa volta sono pienamente
soddisfatta del risultato che ho ottenuto e spero vi
piacerà. Ho messo un po’
tutto così nessuno è scontento! ^-^ Abbiamo visto
l’incontro/scontro tra Eustace,
Ed e Lu, abbiamo rivisto Jill, abbiamo seguito Susan e Peter nel loro
arrivo in
America, abbiamo fatto qualche nuova conoscenza e ho pure inserito
Caspian.
Sono stata brava? Secondo voi Caspian ha da preoccuparsi per William? XD
Per
quanto riguarda Jill non ho ancora deciso chi le darà il
volto… sono un po’
lenta quando bisogna prendere simili decisioni, ma spero di decidermi
prima del
prossimo capitolo. ;)
Cosa
ci sarà nel prossimo capitolo? Non so bene neppure io. XD
Devo ancora fare un
po’ d’ordine ma sicuramente rivedremo nuovamente in
azione Eustace per la
“felicità” di Lucy e Edmund e
probabilmente i tre conosceranno ufficialmente
Jill. Per il resto vedremo…
Quindi
passiamo ai ringraziamenti:
·
Per
le recensioni del primo capitolo: Fly_My world, FrancyNike93, Martinny e
SusanTheGentle
·
Per
le seguite: Fly_My
world, FrancyNike93, Serena VdW e SusanTheGentle
Con
questo vi lascio dato che oggi non vi ho rotto le scatole
all’inizio
lasciandovi subito alla lettura del capitolo. Fatemi sapere cosa ne
pensate e
ovviamente un grazie anche a chi solo legge! ^-^
A
presto, Hikari
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - Una Normale Giornata in Casa Scrubb ***
Capitolo 3 -
Una Normale Giornata in Casa Scrubb
Susan sospirò
di sollievo sedendosi alla scrivania della sua stanza. Si sentiva
stanchissima.
Un po’ per il viaggio, un po’ perché il
tè con gli Evans era durato più di
quanto prevedesse… si erano dimostrati degli ospiti di casa
meravigliosi e si
erano mostrati anche molto interessati a come si stava in Inghilterra,
come
andavano a scuola e mille altre cose. Per fortuna era riuscita
finalmente a
trovare il tempo per scrivere a Lucy. La ragazza guardò
verso l’orologio posato
sul tavolo e si rese conto che non aveva tempo da perdere. Poi doveva
rinfrescarsi e cambiarsi per andare a cena. Aveva ancora indosso il
vestito
rosa a maniche corte che aveva messo appena finito di svuotare la
valigia. La
sera si stava avvicinando e l’aria cominciava a rinfrescarsi.
Susan guardò
verso la finestra da cui vedeva la distesa del mare che cominciava
lentamente
ad indorarsi per i raggi del sole che stava tramontando. Susan
tornò a voltarsi
verso la scrivania: avrebbe scritto la lettera e poi si sarebbe
cambiata. Presa
quella decisione, tirò fuori dal cassetto un foglio di carta
e una penna.
Sorridendo vergò per prima cosa l’indirizzo a cui
si trovava e nell’angolo
opposto la data: 24 giugno 1942. E cominciò a
scrivere…
Cara Lucy, caro
Edmund…
Poi Susan si
fermò, abbassò la mano che teneva la penna e
fissò il foglio bianco che aveva
davanti. Improvvisamente le sembrava di avere la mente vuota. Erano
successe
così tante cose e così in fretta. E poi non
voleva mostrarsi troppo entusiasta
dell’America: sarebbe sembrata quasi una presa in giro nei
loro confronti,
confinati a Cambridge con Eustace. E doveva dire alla sorella quello
che era
successo sulla nave? Susan sospirò. No. O perlomeno non per
lettera. Gli occhi
azzurri di Susan cercarono la foto che aveva posato sulla scrivania.
L’avevano
fatta l’anno precedente, prima di andare di nuovo a scuola,
prima di andare di
nuovo a Narnia… erano tutti sorridenti. Sembrava quasi che
sentissero quello
che sarebbe successo dopo. Susan sorrise e si rimise a scrivere.
… Siamo appena
arrivati in America. Il viaggio è andato bene. Vorrei che
foste qui con noi. È
una tale avventura, ma niente a che vedere con i nostri giorni a
Narnia.
Narnia… non passa giorno senza che io e Peter non ne
parliamo. Speriamo tanto
che Aslan cambi idea e ci permetta di venire a Narnia con voi, la
prossima
volta che vi chiamerà. Sarebbe bello. Io me lo sento, non so
spiegarvi il
motivo, ma dentro di me ne sono certa.
Susan sorrise.
In realtà un motivo c’era... ma voleva tenerlo per
sé, almeno per il momento.
Quegli istanti con Caspian li avrebbe custoditi nel suo cuore, fino a
quando si
sarebbero rivisti.
Al porto siamo
stati accolti dal fratello e dal nipote dell’amico di
papà, Dave. Sono Stephen
e William Evans. Staremo da loro finché saremo qui in
America. La loro casa è
una bellissima villa in riva al mare ed è questa la cosa
più bella. Si può
passeggiare sulla spiaggia e fingere che sia la spiaggia sotto Cair
Paravel e
che le onde che lambiscono la sabbia siano quelle del Mare Orientale.
Se solo
foste qui, sarebbe ancora più bello. Prego ogni giorno che
voi ci possiate
raggiungere presto… spero che la guerra non lo impedisca.
Questo pomeriggio
abbiamo preso il tè con la famiglia Evans e non sembra che
la situazione
sull’Atlantico stia migliorando. Anzi… sembra che
gli attacchi tedeschi
aumentino giorno dopo giorno. A quanto pare sembra siamo stati
fortunati a
prendere quella nave e ad arrivare in America sani e salvi. Temo che le
nostre
speranze non si avvereranno molto presto… anche secondo
mamma e papà non
potrete raggiungerci presto: sarebbe troppo pericolo e comunque sembra
che
d’ora in poi la traversata sia sconsigliabile, almeno per un
po’. Sono tempi
duri, però io e Peter continuiamo a sperare che si stiano
sbagliando: né noi né
soprattutto voi vogliamo che restiate settimane se non mesi a Cambridge.
Quasi dimenticavo, abbiamo conosciuto anche Margaret e Ann Evans. Sono
la
moglie e l’altra figlia del signor Evans. Anche loro sono
state molto gentili
con noi e vi salutano tanto. Ann ha più o meno la mia
età e sembra molto
simpatica: ha detto che qualsiasi cosa mi serva, posso chiedere a lei.
Anche
William è simpatico e molto gentile: è
più grande di Peter ed è cadetto della
Marina Militare. Credo si interessi a me.
Susan non
riuscì a trattenere un sorriso divertito ripensando
all’atteggiamento
protettivo di Peter. A quanto sembrava Peter non riusciva proprio a far
amicizia con i ragazzi che mostravano un qualche interesse per lei.
Susan si
voltò di nuovo ad osservare il mare. Affascinata
posò il mento su una mano. A
lei sarebbe bastato che Peter accettasse solo lui…
chissà che cosa stava
facendo Caspian in quel momento. Il rumore delle lancette la riscosse e
Susan
riprese a scrivere la lettera sorridendo divertita.
Peter non ne
sembra molto contento. Dovevate vederlo. Credo si sarebbe comportato
così se
fossimo rimasti a Narnia… qualche volta dimentica che me la
riesco a cavare da
sola e che non ho bisogno di una guardia del corpo. William
è molto carino,
potrei dire affascinante, ma non credo di potermi mai innamorare di
lui… non
più per lo meno.
Adesso però voglio sapere come vanno le cose da voi. Gli zii
sono
insopportabili come sempre? E Eustace immagino si comporti anche lui
come
sempre… mi domando ogni volta che cosa gli abbiamo fatto:
non credo si sia mai
comportato in modo diverso con noi. Lucy, cerca di dire ad Edmund di
avere
pazienza. Nel complesso, spero che a Cambridge riusciate a
sopravvivere.
Cercate di essere forti e, quando proprio non ne potete più,
pensate a Narnia e
sarà come se fossimo di nuovo tutti insieme. Lo so che vi
sembrerà strano
questo consiglio, soprattutto dato da me che dopo il nostro primo
ritorno da
Narnia vi spronavo ad accettare la vita in Inghilterra. Probabilmente
lo farei
ancora, ma sono cambiata. Narnia è la cosa più
bella che ci sia mai capitata,
ora lo so: non cercherò mai più di dimenticarla,
mai più.
Spero che questa lettera vi raggiunga presto e spero che presto
riceveremo
vostre notizie (navi permettendo): non vediamo l’ora. Io,
comunque, vi scriverò
il più frequentemente possibile per tenervi informati di
ogni novità e, spero,
per annunciarvi che presto verrete in America anche voi.
Mamma, papà e Peter vi salutano tanto. Baci e abbracci da
parte di tutti noi:
ci mancate.
vostra Susan
Susan posò la
penna soddisfatta e rilesse velocemente la lettera. Arrivata in fondo
si rese
conto di essersi dimenticata di scrivere una cosa importante.
Rapidamente
riprese la penna.
P.S. parlando
di Narnia mi sono dimenticata di dirvi una cosa molto importante che
riguarda
papà. Vi ricordate che papà aveva detto che Dave
aveva uno zio che lavorava al
consolato britannico? Ebbene sembra che nelle università
statunitensi manchino
professori… credo abbiano chiesto l’aspettativa
per potersi arruolare
nell’esercito, non lo so. La cosa importante è che
sono necessari dei sostituti
e da quel che ho capito sembra che sia stata chiesta anche la
collaborazione
del consolato britannico per trovare dei supplenti. La notizia
è questa: sembra
che Dave abbia parlato di papà con lo zio che ha poi
proposto il suo nome tra i
candidati. È stato accettato! Lo abbiamo scoperto oggi al
tè. Papà è
felicissimo perché potrà tornare a fare
ciò che ama e lo siamo anche noi perché
così non dovrà essere richiamato.
Comincerà domani e sembra che avrà un sacco
di lavoro da fare: corsi, letture… non è
meraviglioso? Spero che ne sarete
felici come lo siamo noi. Ancora tanti saluti.
Sì, ora andava
bene. Susan sorrise soddisfatta. Piegò la lettera e la
infilò nella busta su
cui scrisse in modo chiaro l’indirizzo di Cambridge. Fatto.
Susan si alzò e si
stiracchiò. Aveva finito appena in tempo. La stanza stava
diventando scura.
Accese la luce e guardò l’orologio. Aveva giusto
il tempo di rinfrescarsi e
cambiarsi. Prima si andare in bagno, Susan lasciò in bella
vista la lettera.
Così la mattina dopo l’avrebbe potuta dare al
padre in modo che la spedisse
dato che andava in città.
A quel punto
Susan andò verso l’armadio e dopo qualche istante
di indecisione prese un abito
verde chiaro con le maniche leggermente più lunghe e un
disegno di piccoli
fiori bianchi, neri e verdi. In realtà era un po’
scolorito ma se lo doveva far
bastare: in Inghilterra con i buoni e il razionamento non era
più così facile
andarsi a comprare un nuovo vestito. Susan alzò le spalle e
scosse i capelli
scuri che le ricadevano le spalle. Per lunghi istanti si
fissò allo specchio
indecisa su come raccoglierli. Prima se li era lavati ed erano ancora
mossi.
Improvvisamente sorrise. Prese un piccolo codino scuro con cui
legò pochi
capelli raccolti ai lati del viso. Alla fine ammirò il
risultato sorridendo.
Era quasi la stessa pettinatura che aveva avuto l’ultimo
giorno a Narnia.
Sorrise.
Improvvisamente
sentì qualcuno bussare alla porta. Rapidamente si
voltò.
“Avanti.”
Quando la porta
si aprì, fece capolino la testa di Peter. “Posso
entrare?”
Susan annuì e
posò la spazzola sul cassettone. Peter venne avanti
guardandosi attorno.
“Anche la mia
camera è così grande. Mi sembra strano starci da
solo…”
Susan sorrise
dolcemente. Provava anche lei la stessa sensazione di Peter. Per loro,
abituati
a dormire insieme a Lucy e Edmund, era veramente difficile pensare che
quelle
stanze enormi fossero solo per loro.
“Sembra strano
anche a me. Anche se a Narnia avevamo ognuno di noi stanze ancora
più belle e
grandi…”
Peter si voltò
verso di lei sorridendo divertito. “Sì, ma eravamo
Re e Regine.”
Susan sorrise
di nuovo. “Hai ragione…”
Gli occhi di
Peter vennero attratti dalla busta posata sul tavolo. Si
avvicinò e la prese
delicatamente tra le dita. Quando lesse l’indirizzo scritto
sopra, storse il
naso. Susan vedendolo ridacchiò. Peter tornò a
voltarsi verso di lei.
“Hai già
scritto a Lucy e Edmund?”
Susan annuì e
riprese la lettera, tornando a riposarla di nuovo vicino alla loro foto.
“Sì. Le
avevo
promesso che lei avrei scritto sempre. Voglio far sentire loro che gli
siamo
vicini, anche se qui in America.”
Peter sorrise e
posò una mano sulla spalla della sorella.
“Ero venuto a
chiederti se eri pronta. Mamma, papà e gli Evans ci stanno
aspettando.”
Susan si voltò
sorpresa. “Sono già scesi tutti?”
Peter annuì e
sbuffò. “Sì. Pensa che William mi ha
chiesto più di una volta se eri scesa.
Probabilmente teme che torni a nuoto in Inghilterra. Sinceramente mi
veniva
voglia di dirgli che eri veramente scappata… poi mamma mi ha
detto di venire a
chiamarti.”
Susan scoppiò a
ridere e si strinse ad un braccio del fratello.
“Non ti
preoccupare. Per me William potrà essere solo un
amico.”
Peter la
squadrò chiedendosi che cosa sottintendesse quella frase.
Sperò ardentemente
che Susan non fosse ancora innamorata di Caspian, non perché
voleva essere
cattivo ma perché non voleva che la sorella si illudesse e
poi soffrisse se un
giorno fossero tornati a Narnia. Alla fine però si
obbligò a sorridere: non
voleva che i suoi dubbi intristissero Susan che sembrava essere
riuscita
finalmente a riacquistare la serenità.
“Non so se in
questo modo mi rassicuri molto…”
Susan scosse la
testa ridendo. I capelli le ondeggiarono attorno al viso e a Peter
sembrò
proprio di rivedere la Regina Susan. Il ragazzo sorrise dolcemente
mentre la
mente si riempiva di ricordi. Dopo un attimo Susan iniziò a
camminare verso la
porta e Peter si riscosse e la seguì.
“Forza, Peter.
Non facciamoli aspettare… o crederanno che siamo fuggiti a
nuoto in due.”
Peter scoppiò a
ridere e si richiuse la porta alle spalle.
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Un fresco
venticello muoveva le tende bianche della stanza di Lucy. La finestra,
leggermente aperta, lasciava passare, oltre che l’aria
mattutina, anche la
luce. La ragazzina si mosse tra le coperta e dopo un paio di minuti
Lucy aprì
gli occhi. Per alcuni istanti i suoi occhi azzurri vagarono spaesati da
un
angolo all’altro della stanza che le sembrava così
poco familiare. Lucy si tirò
a sedere e alla fine ricordò: primo risveglio in casa
Scrubb. Un sospiro triste
le uscì dalle labbra. Le prime mattine erano le peggiori,
perché non realizzavi
subito che eri in casa Scrubb e non nella cameretta in casa Pevensie.
Ed era
ancora peggio i giorni in cui, come quell’occasione, sognavi
di essere tornato
a Narnia. Lucy si voltò verso la finestra. Da dietro le
tende si sentivano i
cinguettii degli uccellini e si vedeva un bel cielo azzurro. Forse la
giornata
non sarebbe stata così male… anche se
più che le condizioni climatiche, bisogna
tenere in conto il fattore Eustace. Chissà quanti scherzi
aveva macchinato il
loro cugino durante la notte…
Lucy scosse la
testa e sorrise. “Giù dal letto, Lucy! Basta
poltrire.”
Senza altri
indugi, la ragazzina uscì da sotto le leggere coperte e
indossò le pantofole.
Dopodiché si alzò e andò alla
finestra. Con un solo gesto spalancò i vetri e si
sporse fuori inspirando ad occhi chiusi l’aria frizzante
della mattina. Quando
tornò a voltarsi verso la stanza, il suo viso era illuminato
con un bellissimo
sorriso: doveva essere ottimista.
Sempre
sorridendo si diresse verso il cassettone su cui aveva lasciato le cose
per
lavarsi. Passò davanti al quadro che aveva ammirato il
pomeriggio prima
lanciandogli un’occhiata distratta. Arrivata davanti al
comò, però, si fermò e
la sua espressione divenne pensierosa e subito dopo perplessa.
Rapidamente fece
un paio di passi indietro e si fermò davanti al quadro
fissandolo attentamente.
Sbattendo le palpebre sorpresa sfiorò con le dita la
superficie ruvida del
dipinto fermandosi sopra il puntino scuro che lei aveva immaginato
essere una
nave che veleggiava verso terre sconosciuto.
“Ieri non eri
così grande…”
La sua voce
uscì in un sussurro emozionato. Per un attimo credette
potesse essere magia…
quella magia. Poi però scosse la testa sorridendo
amaramente. Probabilmente si
stava inventando tutto lei. Dopotutto non è che fosse tanto
più grande della
prima volta che lo aveva visto. Aver sognato Narnia quella notte, le
stava
facendo brutti scherzi. Sì, doveva essere solo una sua
illusione. E poi quando
andavano a Narnia, succedeva tutto in un istante… Si
tornò a voltare per andare
a lavarsi ma si fermò ancora una volta, fissando tristemente
il quadro.
“Ma sarebbe
così bello…”
A quel punto
Lucy scosse la testa e sorrise di nuovo. Non doveva voler affrettare le
cose.
Aslan lo aveva promesso… sarebbero tornati. Le tornarono in
mente le parole del
professor Digory, quelle che lui le aveva detto quella lontana notte di
due
anni prima quando aveva cercato di tornare a Narnia attraverso
l’armadio e lei
gli aveva chiesto se sarebbero mai tornati lì.
“Penso di
sì,
ma è probabile che capiti quando meno te lo aspetti.
Comunque meglio tenere gli
occhi aperti.”
Lucy non poté
che sorridere e ripensare con affetto al professore. Aveva ragione.
Bisognava
essere pazienti e tenere gli occhi aperti. Magari anche guardando ogni
giorno
un quadro che rimaneva sempre lo stesso. E un giorno sarebbe
successo…
all’improvviso sarebbero stati a Narnia.
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Nel momento in
cui Lucy chiuse la porta e in cui stava per voltarsi verso il
corridoio, un
gridò risuonò per tutta la casa, seguito dal
rumore di oggetti che cadevano sul
pavimento.
“Eustace
Clarence Scrubb!!!”
Lucy sbattè gli
occhi per la sorpresa, quasi sobbalzò per quanto era stata
colta alla
sprovvista. Vide il cugino fiondarsi giù per le scale
ridendo come un matto
dopo aver lasciato cadere a terra una maglia. Poi sentì
altri rumori. Improvvisamente
si riscosse e si mise a correre preoccupata verso la stanza.
“Edmund!”
La ragazzina si
fermò sullo stipite guardando dentro la stanza. Edmund era
seduto a terra. Con
una mano si teneva la fronte e con l’altra si slacciava
rabbiosamente le spighette
delle scarpe.
“Se lo
prendo…
se questa volta lo prendo, per lui è finita…
questa volta me la paga, lo
giuro!”
Gli occhi
azzurri di Lucy vagarono confusi per terra dove c’erano alla
rinfusa tutti gli
oggetti che prima dovevano essere stati sulla scrivania di Edmund. Poi
tornò a
guardare il fratello.
“Edmund… va
tutto bene?”
Solo in quel
momento il ragazzo sembrò accorgersi della presenza della
sorella. La rabbia
sembrò attenuarsi un po’, ma gli occhi scuri
continuavano a lanciare scintille
quasi cercassero la loro preda. Finalmente dopo qualche istante Edmund
si alzò
continuando a massaggiarsi la fronte. Lucy entrò e
iniziò a raccogliere gli
oggetti da terra. Il ragazzo la aiutò con la mano libera.
“Grazie, Lu.”
Lucy posò
l’ultimo libro sulla scrivania e lo guardò
interrogativa. “Mi spieghi che cosa
è successo?”
Edmund sbuffò
sedendosi sul letto e guardando truce il letto del cugino come se
Eustace vi ci
fosse seduto. Alla fine guardò la sorella.
“Mi verrà un
bernoccolo grande come il cervello di quello stupido di nostro
cugino!”
Lucy continuava
a guardarlo senza capire. Edmund rimase mutò per alcuni
secondi e poi sorrise
furbescamente.
“Beh…
pensandoci allora non sarà tanto grande!”
Lucy scoppiò a
ridere sedendosi accanto al fratello e tirandogli un pugno amichevole
sulla
spalla. La ragazzina cercò di mostrarsi indignata ma non
riusciva a smettere di
ridere. Anzi dovette asciugarsi anche una lacrima per quanto rideva.
“Edmund! Non
dovresti dirle certe cose cattive!”
Edmund alzò le
spalle. “Se le merita tutte quella serpe formato ragazzo che
dorme in camera
con me! Ma lo sai che cosa si è inventato
stamattina?”
Lucy sgranò gli
occhi. “Ma sono cinque minuti che te lo chiedo!”
Edmund sorrise
e indicò le scarpe che aveva ai piedi.
“Allora, mi ero
appena seduto sul letto per finire di vestirmi e mettermi le
scarpe… quando
ecco che sbuca fuori nostro cugino. Sorrideva come un ebete e mi
continuava a
fissare.”
Lucy incrociò
le braccio. “Ed, essere fissati è
fastidiosi… ma non è un crimine!”
Edmund le fece
cenno di aspettare e riprese a raccontare.
“Mi sembrava
che tenesse qualcosa dietro le spalle, ma non ci ho fatto caso e gli ho
detto
di sloggiare dato che era già vestito. Lui è
andato vicino alla porta senza
fiatare. E poi si è fermato continuando a
ghignare.”
Edmund si voltò
verso il cugino guardandolo in cagnesco. “Ma non hai niente
di meglio da fare?
Aria!”
Eustace
ridacchiò tirando fuori qualcosa da dietro le spalle e
sventolandola davanti a
sé.
“Ok, in questo
caso però la tua maglia viene con me!”
Edmund alzò lo
sguardo e riconobbe tra le mani del cugino il proprio maglioncino blu
scuro.
Sentì la rabbia ribollirgli dentro.
“Mettilo subito
giù, Eustace!”
Eustace la
appallottolò e la strinse tra le mani.
“Scordatelo! Se lo rivuoi, devi
venirtelo a prendere!”
Gli occhi di
Edmund lampeggiarono e il ragazzo si alzò in piedi
infilandosi, senza guardare,
le scarpe.
“Io ti avevo
avvertito Eustace!”
Eustace arretrò
per nulla spaventato. Sembrava sfidarlo. Edmund non ci vide
più e cercò di
corrergli incontro. Non aveva fatto neanche un passo che si
sentì i piedi
bloccati. Colto alla sprovvista, riuscì appena in tempo ad
impedirsi di
rompersi la testa sulla scrivania. Mentre cadeva insieme a tutto
ciò che fino
ad un attimo prima c’era sulla scrivania, vide Eustace
correre via correndo.
“Eustace
Clarence Scrubb!”
“E questo è
quanto.”
Lucy lo guardò
preoccupata. “Sei sicuro di stare bene? Hai sbattuto forte la
testa? Dovremmo
dirlo a zia Alberta…”
Edmund scosse
la testa e si alzò in piedi. “No, ma se questa
volta pensa di passarla liscia
si sbaglia di grosso! E parlare con gli zii è inutile: come
parlare con un muro…”
Lucy sospirò.
“Non esagerare Ed…”
Edmund la
guardò indignato. “Io esagero? Vallo a dire a
Eustace! Altro che piaghe
d’Egitto, altro che Attila! Eustace mi farà
diventare matto!”
Lucy sorrise
andando verso la porta. “Cerca di resistere… dai,
andiamo a fare colazione.”
Edmund annuì
sebbene ribollisse ancora di rabbia. La sua mente però stava
già cercando un
modo per vendicarsi del cugino.
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Pochi minuti
dopo erano tutti seduti in cucina attorno al tavolo per fare colazione.
Edmund
e Lucy erano seduti accanto e Eustace era davanti a loro. I due ragazzi
continuavano a lanciarsi sguardi assassini mentre Lucy cercava di non
vederli.
In quel momento entrò zia Alberta con un sorriso a trentadue
denti.
“Buongiorno!”
Eustace si
voltò sorpreso verso la madre. “Credevo fossi
già andata al circolo delle
volontarie che aiutano la Croce Rossa…”
La donna gli
venne vicino e gli scompigliò i capelli.
“Oggi no,
tesoro. Ho preso una mezza giornata di permesso.”
Edmund e Lucy
la guardarono sospettosi: speravano di non essere loro la causa di quel
permesso. Eustace, dal canto suo, non sembrava neppure lui molto
entusiasta:
nuovi vicini e permesso della madre non promettevano nulla di buono.
Zia
Alberta sorridendo andò verso il frigorifero dove prese una
bottiglia di succo
di frutta. Edmund ne approfitto subito. Eustace non ebbe neppure il
tempo di
accorgersene: il piede di Edmund gli arrivò sullo stinco
della gamba destra
troppo veloce e inaspettato. Eustace saltò quasi sulla sedia
mordendosi un
labbro per non urlare: non avrebbe mai dato quella soddisfazione al suo
odioso
cugino. La madre tornò a voltarsi in quel momento e lui
dovette abbozzare un
sorriso. Zia Alberta non sembrò far molto caso alla
sincerità del sorriso del
figlio e si voltò verso Edmund e Lucy.
“Edmund, Lucy
appena avete finito di fare colazione dovete andare a fare la spesa.
Sul mobile
dell’entrata ci sono la lista, i soldi e i buoni.”
Edmund e Lucy
si guardarono sospirando. Eustace si voltò verso la madre
dimenticandosi il
dolore della gamba.
“Non dovrò
andare con loro anche io, spero!”
Alberta si
voltò verso di lui scuotendo la testa. Eustace
sospirò di sollievo: ma cantò
vittoria troppo presto...
“No, tu no,
Eustace. Devi essere a casa perché tra un po’
vengono a trovarci la nostra
nuova vicina con la figlia.”
Eustace fece
una faccia inorridita che Alberta non notò perché
si era già diretta verso il
salotto. Edmund ridacchiò divertito. La voce della zia
arrivò dall’altra
stanza.
“Te lo avevo
già detto che verrà nella tua stessa scuola? Ieri
sera che ho controllato il
giardino mi sono fermata a fare due chiacchiere con al signora Pole. Le
ho
detto che se la figlia ha qualche problema a scuola i primi tempi o per
sapere
il programma svolto fino ad adesso, può chiedere a te. Tu
sei così bravo… non è
stata un’ottima idea?”
Eustace rimase
con la bocca spalancata sbiancando. Non bastavano i suoi
cugini… anche la
vicina ci voleva! Ma che cosa aveva fatto di male nella sua vita?
Sì, non
sarebbe sopravvissuto a quell’estate. La migliore delle
ipotesi era un
internamento a vita in qualche manicomio. Alzando lo sguardo vide
Edmund e Lucy
che cercavano di ridere senza far rumore. Eccoli i suoi cugini, sempre
pronti a
divertirsi della disgrazie altrui. Che persone orribili che
erano…
Zia Alberta
fece la sua ricomparsa nel soggiorno.
“Allora, avete
finito?”
Lucy e Edmund
si alzarono di scatto annuendo. Edmund, uscendo dalla stanza,
tornò a voltarsi.
“Noi tra poco
andiamo, allora… zia Alberta.”
Eustace lo
fulminò con lo sguardo e dentro lo invidiò.
Perché il suo odioso cugino poteva
essere libero di uscire e lui no? Rinchiuso in quella casa ad aspettare
di
conoscere una nuova arpia che sua madre voleva che aiutasse! La donna
lo
raggiunse e gli diede un buffetto sulla guancia.
“Su, Eustace.
Preparati.
Saranno presto qui.”
Eustace si alzò
e per poco non cadde a terra per la fitta di dolore che
sentì sulla gamba. Se
lo era dimenticato… Eustace si voltò con uno
sguardo rabbioso verso il
soffitto: suo cugino gliela avrebbe pagata.
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Lucy e Edmund
si prepararono in un batter d’occhio. Eustace si era appena
deciso ad uscire
dal soggiorno che i due ragazzi sorridendo scesero le scale. Mentre
Lucy
prendeva la lista, i soldi e i buoni e li metteva nella borsa che aveva
a
tracolla, Edmund e Eustace si squadrarono come se fossero sul punto di
sbranarsi. Improvvisamente si sentì bussare alla porta. I
tre ragazzi si voltarono
di scatto verso la porta. Un secondo dopo arrivò di corsa
zia Alberta. La donna
si sistemò il vestito mentre raggiungeva la porta
borbottando agitata.
“Sono già
qui…
sono tutta in disordine… arrivo!”
L’ultima parola
venne pronunciata dalla donna in tono molto più alto mentre
si sistemava i
capelli guardandosi allo specchi appeso alla parete. Finalmente, zia
Alberta
sfoggiò il sorriso delle grandi occasioni e aprì
la porta. Dietro ad essa
apparvero una donna con i capelli biondi raccolti e pochi passi
indietro una
ragazzina dell’età di Eustace con i capelli
biondo-castani che guardò dentro
alla casa incuriosita. Quando incrociò lo sguardo di Lucy,
sorrise. Per fortuna
pensò, Jill, almeno c’è anche lei. I
suoi pensieri vennero interrotti dalla
voce di zia Alberta che le venne vicino per baciarle le guance dopo
aver
salutato la madre.
“Tu così,
sei
Jill Pole… sei una ragazzina molto carina. Tu e Eustace
andrete
d’accordissimo!”
Jill e Eustace
si guardarono per poi distogliere lo sguardo con lo stesso pensiero:
neanche un
po’. Nello stesso momento la signora Pole salutò i
tre ragazzi all’interno,
sorridendo anche verso Edmund e Lucy.
“Chi dei due
ragazzi è suo figlio Eustace?”
Zia Alberta
fece due passi indietro e prese Eustace per le spalle facendolo
avanzare.
“Lui è
Eustace.
Loro sono solo i miei nipoti, Edmund e Lucy Pevensie. Stanno con noi
finché i
loro genitori e i fratelli maggiori sono in America. Purtroppo oggi si
sono
offerti per andare loro a fare la spesa. Magari un’altra
volta sua figlia potrà
conoscere un po’ meglio anche loro…”
Edmund e Lucy
sgranarono gli occhi: ora si capiva quali erano i piani della zia. Non
li
voleva tra i piedi: offerti, strano modo di
definire chi è stato
costretto. A quanto pare la zia sembrava vergognarsi di loro. Del resto
neppure
Jill faceva i salti di gioia al pensiero che ci sarebbe stato solo
quell’arrogante. Non ci poteva fare niente… le
stava antipatico a pelle. Per
non pensarci cercò di memorizzare i nomi degli altri due che
le sembravano
molto più simpatici. Improvvisamente sentì
qualcosa muoversi nella tasca della
borsetta che aveva a tracolla. Sgranò gli occhi e con le
mani cercò di far
rimanere dentro una testina scura che cercava di sbucare fuori.
“Billy, no!”
Di scatto Jill
si voltò verso la madre per vedere se l’aveva
sentita. Fortunatamente la
signora Pole stava ancora parlando con la signora Scrubb. Jill
tirò un sospiro
di sollievo: sua madre non voleva che lei si portasse dietro il
furetto,
soprattutto quando andavano a casa di altre persone. Ma era
più forte di lei,
le dispiaceva così tanto lasciarlo solo nella gabbietta.
Quando alzò lo
sguardo, dopo esser riuscita a ricacciare dentro Billy, Jill
incrociò gli occhi
azzurri di Lucy. Di scatto alzò un dito davanti la bocca per
farle capire di
non dire niente. Lucy rimase immobile per alcuni istanti e alla fine
sorrise
annuendo piano. Jill sorrise: sì, decisamente più
simpatici.
In quel momento
zia Alberta si voltò verso Lucy e Edmund.
“Edmund, Lucy,
cari, andate pure altrimenti troverete fila.”
I due ragazzi
annuirono e uscirono salutando gentilmente la signora Pole che
sorrisero loro.
Mentre la donna entrava chiacchierando con zia Alberta, Lucy si
fermò vicino a
Jill che aveva aspettato a seguire la madre. Le due sorrisero.
“Lucy.”
“Jill.”
Lucy abbassò lo
sguardo sulla borsa sorridendo divertita. Jill sorrise.
“È Billy, il
mio furetto. Mi dispiaceva lasciarlo a casa solo. Non dirlo a mia
madre!”
Lucy portò un
dito alla bocca sorridendo. Un attimo dopo Jill venne chiamata dalla
madre. La
ragazzina raggiunse la porta e lì si voltò ancora
una volta verso Lucy muovendo
la bocca senza parlare per non far sentire alla madre.
“La prossima
volta te lo presento.”
Lucy annuì
sorridendo e raggiunse Edmund che la aspettava sul vialetto davanti
alla casa.
I due ragazzi si avviarono mentre Jill entrò nella casa e
chiuse la porta.
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Lucy e Edmund
si facevano largo tra le botteghe. La ragazzina teneva fissò
lo sguardo sulla
lista guidando il fratello di negozio in negozio. Edmund, dal canto
sua, la
seguiva annoiato portando le borse contenenti le cose già
comprate.
Improvvisamente la ragazzina si fermò davanti al
fruttivendolo e si voltò verso
il fratello.
“Entro e prendo
quello che serve. Vieni con me?”
Edmund scosse
la testa sedendosi su una panchina. “No, tranquilla. Ti
aspetto qui.”
Lucy annuì e
scomparve tra le persone che si accalcavano nel piccolo negozietto.
Edmund si
posò con la schiena alla panchina e guardò il
cielo azzurro su cui si muovevano
pigre alcune nuvole. Pochi istanti dopo passò un aereo che
scomparve dietro ad
un tetto. Edmund tornò ad abbassare lo sguardo e i suoi
occhi scuri si posarono
su un manifesto. Molte vie erano piene di quei manifesti propagandando
l’arruolamento
volontario per proteggere la patria. Edmund lo fissò per
lunghi minuti mentre
nella sua testa cominciavano a frullare strane idee. Lui era un Re,
aveva
guidato eserciti, combattuto decine di battaglia. Chi più di
lui era adatto ad
arruolarsi? Certo non avrebbe avuto ancora l’età,
ma aveva l’esperienza. E poi
avrebbe fatto qualsiasi cosa per andarsene da Cambridge, lontano
dall’odioso
cugino. Senza contare che finalmente avrebbe dimostrato anche ai
genitori di
valere quanto Peter nonostante fosse più piccolo.
Improvvisamente i suoi
pensieri vennero interrotti dall’arrivo di Lucy che teneva
tra le braccia uno
sacchetto di carta pieno di ortaggi. Subito Edmund si alzò.
“Purtroppo le
carote sono finite. Il fruttivendolo non sa quando arriveranno. Ho
dovuto
comprare più rape.”
Edmund annuì
distrattamente continuando a pensare all’idea che gli era
venuta. Doveva
riuscire a prendere il documento di zio Harold: un po’ di
faccia tosta e il
grosso era fatto. Velocemente guardò ancora una volta il
manifesto memorizzando
l’indirizzo a cui doveva andare: per fortuna era proprio da
quelle parti. Poi
raggiunse Lucy che si stava avviando verso casa. Quando la raggiunse,
Lucy si
voltò verso di lui.
“La prossima
volta dobbiamo ricordarci di prendere la bicicletta…
così almeno non dovremo
riempirci di borse come facchini.”
Edmund annuì
ripetendosi mentalmente l’indirizzo. Lucy continuò
a camminare sorridendo.
“Come ti è
sembrata Jill?”
Edmund la fissò
senza capire. “Chi?”
Lucy gli
rivolse uno sguardo di rimprovero. “Mi ascolti? Jill, la
figlia dei nuovi
vicini. La ragazzina che è venuta oggi a casa.”
Edmund annuì
ricordandosi. “Sì, scusa. Ero distratto.
Beh… mi sembrava a posto.”
Lucy sorrise.
“Secondo me è molto simpatica. Sono sicura
diventeremo amici. Ha un furetto, si
chiama Billy. La prossima volta ha detto che me lo mostra.”
Edmund annuì
tornando a pensare a quella che, ormai, ogni minuto di più
gli sembrava la sua
unica ancora di salvezza: l’arruolamento.
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Eustace aprì di
malavoglia la porta della propria stanza e si sedette sbuffando sul
letto.
“Questa è la
mia camera. La divido con mio cugino. Se vuoi dare
un’occhiata ai libri di
scuola, cerca di darti una mossa.”
Detto questo
Eustace si distese sul letto mettendosi a fissare il soffitto. Jill lo
guardò
per un attimo e poi scosse la testa. A quel punto posò la
borsa sul bordo del
letto di Eustace e iniziò a sfogliare uno dei libri di
Eustace. Dopo un attimo
si volò verso di lui sorridendo ironica.
“Non dovresti
essere tu a mostrarmeli?”
Eustace sbuffò
un’altra volta e alzò le spalle. “Non
penso che tu sia incapace di guardare un
paio di libri da sola. Ti ho fatto venire qui solo perché me
lo ha detto mia
madre.”
Jill sbuffò e
tornò a voltarsi: antipatico. Non riusciva a descriverlo in
nessun altro modo.
E pensare che aveva cercato di non partire prevenuta, per fare un
piacere a sua
madre. Ma a quanto pare era inutile. Eustace praticamente la ignorava,
quasi lo
avesse obbligato lei a incontrarla. Figuriamoci, lei ne avrebbe fatto
anche a
meno. E nella nuova scuola se la sarebbe cavata benissimo da sola. Le
urla di
Eustace la colsero all’improvviso e Jill si voltò
di scatto. Eustace era
saltato in cima al letto e stringeva il proprio cuscino indicando
tremante qualcosa
ai piedi del letto.
“Un topo! Un
topo! Un grosso e orribile ratto peloso!”
Jill sgranò gli
occhi correndo verso il letto. “Billy!”
La ragazzina si
inginocchiò vicino al letto e tese le braccia. Subito il
furetto le corse sulle
mani. Jill si rialzò e strinse l’animaletto al
petto iniziando a cullarlo.
Lanciò uno sguardo duro a Eustace che solo in quel momento
si tornò a sedere
guardandola disgustato.
“Che schifo!
Hai un ratto come animale da compagnia!”
Jill lo fulminò
con lo sguardo. “Non è un ratto! Billy
è un furetto. E piantala di urlare! Lo
hai spaventato a morte.”
Eustace sgranò
gli occhi per l’indignazione.
“Io ho
spaventato a morte lui? Guarda che sono io che mi sono ritrovato un
ratto sulle
coperte!”
Jill si voltò
offesa. “Billy non è un ratto!”
Eustace la
guardò con una smorfia. “E poi che razza di nome
è Billy?”
Jill tornò a
voltarsi fulminandolo di nuovo con lo sguardo.
“Billy è un
bellissimo nome! E poi parli tu che ti chiami Eustace Clarence! Mai
sentito un
nome più brutto!”
Eustace si alzò
punto sul vivo. “Senti mettiamo le cose in chiaro: non mi
state simpatici né tu
né il tuo ratto o che cosa cavolo è. Ci siamo
capiti?”
Jill sorrise
ironica e si voltò dall’altra parte. “Se
è per questo neanche tu mi stai
simpatico! E Billy è un furetto. Fu-ret-to.”
Eustace,
ignorando il tono con cui Jill aveva scandito l’ultima
parola, incrociò le
braccia e sorrise soddisfatto, voltandosi anche lui dalla parte opposta
di
Jill.
“Benissimo.
Come ti pare. Almeno su questo andiamo d’accordo. Quindi,
quando servirà faremo
finta di andare d’accordo così le nostre madri
saranno contente. Per il resto…”
Jill si avviò
verso la porta dopo aver preso la borsa in cui fece tornare Billy.
“Per il resto
è
come se non ci conoscessimo.”
Eustace annuì
contento. “Perfetto. Possiamo tornare
giù.”
Jill nel
frattempo era già uscita dalla stanza maledicendo la sua
sfortuna che le aveva
fatto trovare un vicino che più antipatico non si poteva.
Secondo suo padre
sarebbe stata una bellissima avventura venire in quella nuova casa, lei
per il
momento non ci vedeva niente di bello. Se non che almeno i due cugini
di
Eustace, Edmund e Lucy, sembravano persone normali e simpatiche.
Ardentemente
sperò che le cose, i giorni successivi,
migliorassero…
Eccomi
qua… chiedo immensamente scusa per il ritardo con cui ho
aggiornato questo
capitolo! Spero che mi perdoniate! Purtroppo avevo sempre un sacco di
cose da
fare e non trovavo mai un attimo per scrivere. Comunque alla fine ci
sono
riuscita. ^-^ Finalmente Jill ha conosciuto Lucy, Edmund e Eustace e
come
prevedibile Eustace ha dato il meglio di sé per rendersi
antipatico. E neppure
Billy gli è stato simpatico… povero furetto. ;) E
come sempre Edmund e Eustace
sono peggio di cane e gatto! XD
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, vedremo un po’
meglio come se la
passano Susan e Peter in America: questa volta gli ho un po’
trascurati. Per il
ritorno a Narnia invece dovrete aspettare ancora qualche capitolo, ma
arriverà
presto ve lo prometto. Intanto si sta già muovendo qualcosa
nell’aria… o meglio
nel dipinto! XD E stavolta non si è visto neanche
Caspian… ummh, la prossima
volta mi devo rifare. ^-^
Passo
quindi ai ringraziamenti:
·
Per
le seguite: Fly_My world, FrancyNike93, GossipGirl88, mmackl, Serena
VdW e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: english_dancer
·
Per
le recensioni del capitolo 2: Fly_My world, FrancyNike93, mmackl e
SusanTheGentle
E
ovviamente ringrazio anche chi soltanto legge! Con questo vi saluto.
Spero che
il capitolo vi sia piaciuto: fatemi sapere che cosa ne pensate. ^-^ A
presto,
Hikari
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 - Una Giornata in Spiaggia ***
Capitolo 4 - Una
Giornata in Spiaggia
Susan aprì gli
occhi. Si guardò attorno senza riconoscere subito il luogo
in cui si trovava.
Ma fu solo un attimo. Sentiva la sabbia sotto i suoi piedi nudi.
Davanti a lei
le onde s’infrangevano lente sul bagnasciuga. Un cielo cupo
lo sovrastava: la
notte stava svanendo ma il sole doveva ancora sorgere. Non
c’era più alcuna
luce distinta, le stelle erano scomparse e uno sbiadito chiarore si
propagava
vago dal luogo in cui il sole sarebbe apparso. Susan si
guardò attorno
spaventata. Si sentiva opprimere da quel cielo color piombo e da quel
silenzio
quasi irreale. Era sola. Dove era Peter? Dove erano i loro genitori? E
gli Evans?
La villa era avvolta da un silenzio in pratica assoluto. Forse tutti
stavano
ancora dormendo… ma allora lei che cosa ci faceva
lì?
Quella domanda
cominciò a rimbombarle nella mente e, per quanti sforzi
facesse, non riusciva a
darle risposta. Rabbrividì e strinse le braccia al corpo per
cercare di
scaldarsi. Se solo il sole fosse finalmente sorto… i suoi
raggi l’avrebbero
riscaldata e gli altri si sarebbero svegliati. Invece non succedeva
nulla.
Sembrava che non ci fosse più nessuno. Il vento che si era
alzato le muoveva la
leggere camicia da notte vanificando i suoi tentativi di scaldarsi.
Cominciò a
camminare mentre le lacrime cominciavano a pungerle gli occhi.
“Peter…
mamma…
papà…”
Nessuno le
rispondeva. Susan si fermò guardandosi attorno
freneticamente. Alla fine
crollò: si sedette stringendosi le ginocchia e
scoppiò a piangere. Non voleva
restare da sola. Non voleva provare di nuovo quelle
sensazioni… sì, erano le
stesse cose che aveva provato appena tornata da Narnia. Il crollo delle
speranze, delle illusioni, la convinzione che nessuno potesse anche
minimamente
capirla. La solitudine. Ma erano passati dei mesi: lei aveva ripreso a
credere,
a sperare. Susan tirò su con il naso sforzandosi di smettere
di piangere e
concentrandosi solamente sulle promesse che lei e Caspian si erano
scambiati
sulla nave.
“Io
ti aspetto,
Susan. Non importa quanto… io sono qui, per te.”
“Troverò
un
modo, Caspian… dovessi provarci tutta la vita… io
tornerò da te.”
Susan respirò
lentamente cercando di cacciare via definitivamente quei pensieri,
focalizzando
la sua attenzione sui quei momenti, sulle speranze che condivideva con
Peter,
sui volti dei suoi fratelli. Doveva crederci, avere fiducia.
Improvvisamente
sentì un leggero tepore sulla testa e sulla pelle delle
braccia. Susan alzò lo
sguardo e i suoi occhi azzurri videro il sole che sorgeva
all’orizzonte, sempre
più luminoso. La ragazza si alzò lentamente
asciugandosi le lacrime con il
dorso della mano. Sorrise. La speranza era come quel sole: stava a lei
dargli
la possibilità di sorgere sempre e illuminare la sua vita.
Il colore del mare
divenne blu e il cielo azzurro. Susan si avvicinò lentamente
all’acqua e le
onde le lambirono le punte dei piedi. Susan rabbrividì, ma
il calore del sole
le impediva di provare quel freddo che prima aveva avvolto il suo corpo.
Chiuse gli
occhi. Provava una strana sensazione, ma non aveva paura.
Aprì gli occhi e vide
un’onda alta quanto lei venirle addosso. L’acqua la
sommerse. Susan si sentì
trascinare dalla forza dell’acqua e il respiro le venne quasi
mozzato a
contatto con l’acqua fredda dell’oceano. Non
riusciva a tenere neppure gli
occhi aperti. Con mani e piedi cercò di contrastare la forza
della corrente ma
senza successo. Per lunghi istanti continuò a sentirsi
sballottata qua e là, annaspando
avvolta da mulinelli d’acqua. Poi tutto attorno a lei si
fermò. Susan aprì gli
occhi e alzò lo sguardo verso l’alto. I raggi del
sole filtravano attraverso
l’acqua cristallina. Istintivamente guardò verso
il basso e non vide altro che
acqua di un blu sempre più intenso. Cominciò a
nuotare per emergere e fu solo
in quel momento che vide il profilo di una nave. Il cuore di Susan
cominciò a
battere più forte. Quando fu poco sotto la superficie delle
onde, intravide il
profilo di qualcuno che si protendeva verso di lei chiamandola. Susan
sorrise e
cercò di raggiungere più velocemente la
superficie. Caspian arrivo. Il
ragazzo protendeva le mani verso di lei. Susan
allungò la sua, solo pochi centimetri d’acqua la
separavano dall’aria. Ma non
riuscì a far uscire la mano dall’acqua.
Improvvisamente la superficie del mare
era diventata di ghiaccio. Susan si posò alla fredda lastra
con entrambe le
mani, muovendo i piedi per darsi una spinta sufficiente a romperla. Ma
era
inutile. Un panico enorme le invase il cuore. Non poteva uscire. Non
poteva
andare da lui. E i suoi polmoni cominciavano a bruciare. Susan
cercò di
infrangere il ghiaccio con tutte le sue forze senza riuscirci. Strinse
le mani
a pugno colpendolo fino a farsi male. Il terrore dilatò i
suoi occhi azzurri.
Improvvisamente
sentì una risata gelida, perfida, crudele riecheggiare oltre
il ghiaccio. Alzò
lo sguardo e vide che oltre ad esso la nave era scomparsa e con essa
Caspian.
In quel momento scorse una figura venire verso di lei e inginocchiarsi
sul
ghiaccio, nel punto in cui lei cercava di spezzarlo. Susan non riusciva
a
capire chi fosse, ma sentiva l’odio che da essa trasudava.
Due occhi blu
ghiaccio la fissavano in un volto indefinito, avvolto da una nebbia
verde che
iniziò a diffondersi su tutto il ghiaccio. Rivoli di fumo
verdastro riuscirono
ad attraversare il ghiaccio venendole sempre più vicino e
Susan spaventata
cercò di evitarli. Un’altra risata malvagia
attirò la sua attenzione.
“È
tutto inutile, piccola sciocca. Tu non tornerai a
Narnia.”
Susan sgranò
gli occhi a quelle parole mentre dentro di lei una voce continuava a
gridare il
contrario. Chi era quella persona? La sua voce aveva qualcosa di
famigliare, le
insinuava dentro una paura che sentiva di aver già provato.
Ma non la
riconosceva perché c’era anche qualcosa, un
timbro, un tono che non aveva mai
sentito. La misteriosa persona riprese a parlare.
“Rassegnati,
Susan. Il tuo tempo a Narnia è scaduto. E
anche se vi tornassi, che cosa troveresti? Bugie, illusioni, inganni.
Ti
userebbero per poi mandarti via quando non saresti più
necessaria.”
Susan cercò di
allontanarsi da lei, di scappare da quella lastra di ghiaccio, ma non
ci
riusciva. Sembrava quasi che le sue mani vi fossero rimaste incollate.
Volute
di nebbia verde cominciarono ad avvolgerla. Susan cercò di
dibattersi, ma il
fumo la circondava senza via di scampo, simile a catene che la
volessero
imprigionare.
“Narnia
ha scelto di rinunciare a te. Accettalo. Smettila
di crearti sciocche illusioni che ti faranno solo soffrire. Dimentica.
È la
cosa più facile, è la cosa che ti farà
stare meglio.”
Susan scosse la
testa cercando di trovare tutto il coraggio che l’era
rimasto, cercando di
tenere la mente lucida. Era un sogno, anzi un incubo: non
c’era altra
spiegazione. Non doveva lasciarsi convincere: doveva pensare a Narnia,
ai
fratelli, a Caspian.
La misteriosa
figura sembrò leggerle dentro e la guardò come se
fosse una bambina troppo
sciocca per accettare la verità. La sua mano
attraversò il ghiaccio e si serrò
attorno al polso di Susan. La ragazza cercò di divincolarsi,
ma la presa era
troppo forte.
“Dimentica
Narnia, Susan. Dimentica Caspian. Lui non
fa parte del tuo destino come lui non fa parte del tuo. Vuoi sapere
dove il tuo
amato Re verrà condotto dalla sua rotta?”
Susan sentì il
cuore perdere un battito e una stretta allo stomaco. La misteriosa
figura
sembrò gioirne e strinse la mano fino a far dolere il polso
di Susan.
“Durante
il suo viaggio troverà la sua sposa e ai
confini del mondo riceverà la benedizione di Aslan. E quella
donna non sarai
tu, Susan. Caspian si dimenticherà di te. Il suo destino
è sposare un’altra.
Narnia avrà la sua nuova Regina. Dimenticalo se non vuoi
soffrire.”
Le lacrime
iniziarono ad uscire dagli occhi azzurri di Susan confondendosi con
l’acqua del
mare. Il cuore della ragazza era come lacerato da quelle parole a cui
non
voleva credere ma che si insinuavano dentro di lei. No. No. Si era
promessa che
non avrebbe più cercato di dimenticare. Susan scosse la
testa e chiuse gli
occhi. Caspian non poteva mentirle. Le aveva detto di credere. Le aveva
detto
che l’avrebbe aspettata. Se lo amava, era quello il momento
di dimostrarlo:
doveva credere a lui, al suo cuore e non a quella voce. Credere alla
loro muta
promessa d’amore. Non avrebbe più dimenticato.
Sarebbe tornata e, se quello era
il loro destino, si sarebbe ribellata: Aslan avrebbe capito. La forza
riaffiorò
nel suo cuore e anche la figura oltre al ghiaccio sembrò
percepirlo poiché si
ritrasse leggermente e allentò la presa sul polso di Susan.
La ragazza aprì gli
occhi e gridò nonostante fosse sotto acqua.
“Aslan!”
Gridò il nome
del Leone con tutta la forza che aveva, credendoci con mai prima.
Doveva
fidarsi di lui. Le voleva bene: l’avrebbe sentita. Non
avrebbe abbandonato né
lei né Peter. Li stava solo mettendo alla prova: ne era
convinta. E
improvvisamente lo sentì. Come prima la luce del sole, un
ruggito si propagò
nell’aria facendo dissolvere la nebbia. La misteriosa figura
si alzò in piedi
di scatto, furente, e svanì. Una rete di fenditure percorse
tutto il ghiaccio
che un attimo dopo si ruppe in mille frantumi lasciando di nuovo
filtrare i
raggi del sole. Susan a quel punto si spinse verso la superficie
gettando la
testa fuori dall’acqua e respirando a pieni polmoni.
“Seguì
sempre il tuo cuore, mia cara. Non perdere mai
la speranza.”
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Susan si alzò
aprendo gli occhi di scatto. Era nel suo letto. La stanza era avvolta
nel
silenzio, illuminata leggermente dalla luce esterna
dell’alba. L’unico rumore
erano le lancette dell’orologio. Susan si passò
una mano sulla fronte e si rese
conto di star tremando: di paura, dall’emozione, per
l’adrenalina. Che cos’era
stato quel sogno, quell’incubo? Chi era quella misteriosa
persona che le aveva
dato quel senso terribile d’inquietudine, di paura? E se non
avesse lottato,
cosa le sarebbe successo? Sospirò e si lasciò
andare sul cuscino. Ma non aveva
sonno. Rimase immobile a fissare il soffitto che veniva illuminato ogni
minuto
di più dal sole. Tutto quello che era successo, doveva avere
un significato.
Qualcuno non lo voleva a Narnia? Ma chi? E per quale motivo? Lei e
Peter
sarebbero potuti essere un ostacolo? Susan non riusciva a crederci ma
sentiva
che era quello il significato del sogno. Qualcuno aveva cercato di
spegnere la
speranza e la fede che lei aveva riacceso in quei mesi. Quella
convinzione
lasciò spazio nella mente di Susan a un quesito ancora
più agghiacciante: come
aveva fatto quel qualcuno a infrangere le barriere tra i due mondi?
Solo la
Grande Magia, solo Aslan poteva e lo aveva fatto solo per chiamarli in
difesa
di Narnia. Susan si alzò mentre l’ansia cominciava
a crescerle dentro. Sentiva
che Narnia era in pericolo. Quel sogno ne era la prova… e
quel nuovo nemico
sembrava veramente molto potente. Doveva trovare assolutamente un modo,
insieme
a Peter, di tornare a Narnia. Era certa che Edmund e Lucy presto
sarebbero
stati chiamati. Uscì sul terrazzo e si posò al
parapetto di pietra inspirando
l’aria fresca della mattina. Però le sue erano
solo congetture…
Improvvisamente
le tornarono in mente il sole, Aslan… e ciò che
la loro presenza aveva potuto
fare. Non appena aveva creduto, non appena aveva riacceso la speranza e
trovato
il coraggio di non arrendersi…
l’oscurità, il freddo, tutto era sparito. Forse
era quello il significato più vero del sogno. Quello che la
misteriosa persona
aveva cercato di nasconderle. Se credeva, poteva tornare a Narnia.
“Susan?”
La ragazza si
riscosse e si voltò di lato. Posata sullo stipite
dell’altra porta a vetri vide
Ann. La ragazza la guardava assonnata. Sbadigliò mentre si
grattava gli occhi
per cercare di svegliarsi. Aveva i cappelli arruffati. Susan sorrise e
si sentì
in colpa.
“Ann, scusa…
ti
ho svegliato?”
Ann si avvicinò
a lei scuotendo la testa e senza riuscire a trattenere un altro
sbadiglio.
Quando le fu vicino, Ann si colpì piano le guance per
scrollarsi via il sonno.
Poi la ragazza si voltò incuriosita verso Susan.
“Che ci fai qui
fuori a quest’ora?”
Susan sorrise.
“Niente. Mi sono svegliata e non riuscivo a dormire.
Pensavo.”
Ann si posò al
parapetto fissando la spiaggia e il mare. L’aria fresca e
salmastra sembrò
veramente svegliarla. Infatti, la ragazza si voltò verso
Susan sorridendo.
“Dopo colazione
potremmo andare in spiaggia. Che ne pensi? Noi due, mio fratello e tuo
fratello. Potremmo anche fare un tuffo ma credo che l’acqua
sia ancora un po’
freddina. Forse verso l’ora di pranzo. Ci facciamo preparare
qualcosa da
portare lì… sì, facciamo un pic-nic in
spiaggia. Ti va?”
Susan sorrise. Le
piaceva stare con Ann. Rivedeva in lei una parte di
quell’entusiasmo che
caratterizzava Lucy unito al desiderio di essere sempre disponibile per
gli
altri. Conoscerla era stata decisamente una delle note positive di quel
viaggio.
“Sarebbe bello.
Basta che Peter e William siano d’accordo.”
Ann annuì
cercando di mascherare uno sbadiglio con un sorriso.
“Sarà una
bella
giornata!”
Susan sorrise e
i suoi occhi fissarono il mare. Sperava di riuscire durante il giorno a
fare
maggior chiarezza in quello che era successo, così da poter
raccontare tutto a
Peter. E chissà magari sarebbe arrivata anche la risposta di
Lucy: ormai erano
quasi due settimane che la lettera era stata spedita. Sempre se la nave
non era
stata affondata… Susan scosse la testa e i capelli
ondeggiarono: non doveva perdere
la speranza. Sorridendo tornò a voltarsi verso Ann. Ormai il
sole era sorto e
presto anche il resto della casa si sarebbe svegliato.
“Dai, andiamo a
prepararci così non potranno dirci che siamo delle
pigrone.”
Ann sorrise
divertita. “William non lo può dire
sicuro… quando è a casa, sembra voler
recuperare tutto le levatacce dell’accademia!”
Susan non
riuscì a trattenere una risata e Ann sembrò
soddisfatta. Solo in quel momento
Susan si accorse che Ann doveva aver percepito il suo turbamento e
aveva fatto
di tutto per tirarla su di morale. Sorrise.
A quel punto le
due ragazze rientrarono dopo essersi scambiate la promessa che la prima
che si
finiva di preparare doveva aspettare l’altra.
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Caspian uscì
sul balcone finendo di abbottonarsi la camicia. I suoi occhi scuri
guardavano
distrattamente la superficie delle onde e la scia che il Veliero
dell’Alba si
lasciava dietro. Continuava a pensare a quello che era successo quella
notte.
Non riusciva a spiegarsi neppure il motivo…
eppure… qualcosa dentro di lui, per
un attimo, aveva sentito che Susan era in pericolo. Si era svegliato di
soprassalto, madido di sudore, oppresso da quel terribile
presentimento. Era
assurdo. Susan era nel suo mondo… ma lui era stato sicuro di
quella sensazione.
Da quel momento non era più riuscito a dormire. E dopo
alcuni minuti passati a
rigirarsi nel letto, era uscito a respirare l’aria della
notte. Osservare le
stelle lo aveva sempre rilassato: ed era stato così anche
quella volta. Pian
piano quella sgradevole sensazione era passata, quasi sostituita dalla
certezza
che Susan stesse bene. Solo a quel punto era riuscito a tornare a
dormire. Ma
da quando si era svegliato, aveva ripreso a pensarci cercando di
analizzarlo
con mente lucida.
Probabilmente
era stato solo un incubo che, nonostante non ricordasse, doveva avergli
lasciato quella sensazione. Anche se era la prima volta che gli
succedeva.
Forse era l’ansia… dopotutto uno degli obbiettivi
del suo viaggio era proprio
riavere Susan accanto a sé. Un po’ di tensione era
normale, no? Caspian decise
che quella era la risposta più plausibile. Eppure, dentro di
lui sentiva che c’era
qualcosa che non tornava, qualcosa che gli sfuggiva…
Il giovane Re
non ebbe però tempo per proseguire quei ragionamenti. In
quel momento qualcuno
bussò alla porta della sua cabina. Caspian
rientrò e chiuse le porte a vetri
indossando sopra alla camicia una giacca. A quel punto aprì
la porta e davanti
a lui vide Drinian che s’inchinò rispettosamente.
“Buongiorno,
Vostra Maestà.”
Caspian
sorrise. “Buongiorno, Lord Drinian. Siete venuto per dirmi
che sono in ritardo,
vero?”
Drinian si
rialzò guardando il suo Sovrano.
“Ero solo
venuto a chiederle tra quanto desiderasse presidiare alla riunione
degli
ufficiali, Vostra Maestà.”
Caspian chiuse
la porta della sua cabina voltandosi poi di nuovo sorridente verso il
capitano
del Veliero dell’Alba.
“È un modo
per non
sottolineare che sarei dovuto essere lì già da un
pezzo?”
Lord Drinian
rimase impassibile. “Tutto l’equipaggio
è ai suoi ordini, Vostra Maestà.”
Caspian sorrise
e si avviò verso la cabina di comando seguito da Lord
Drinian. Durante la
riunione non emersero particolari problemi relativi alla rotta. Da
quando
avevano lasciato Narnia, i giorni di navigazione erano stati
caratterizzati da
un tempo quasi sempre bello e da vento favorevole. E tutto lasciava
immaginare
che anche i giorni che li dividevano dall’attracco alle Isole
Solitarie
sarebbero stati uguali. La rotta prevista non avrebbe probabilmente
subito
molte variazioni.
Caspian era
posato al tavolo su cui era sempre stesa la carta nautica. I suoi occhi
fissavano su di essa le Isole Solitarie. Non ne sapeva molto. Quello
che aveva
scoperto era che esse appartenevano teoricamente ancora alla corona di
Narnia. Ma
sapeva anche per certo che, a memoria, nessuno dei suoi avi, sovrani di
Telmar,
se non forse i primi, si fosse mai interessato a quelle isole.
Improvvisamente
alzò lo sguardo e si voltò verso Drinian.
“Lord
Drinian…
avete mai navigato fino alle Isole Solitarie?”
Lord Drinian
distolse lo sguardo dalla mappa che stava osservando insieme agli altri
ufficiali, scambiando con loro pareri sulla rotta da seguire, e lo
rivolse
verso Caspian.
“Un’unica
volta, Vostra Maestà, all’epoca degli ultimi anni
di regno di vostro nonno,
Caspian VIII. La nostra nave venne spinta lì da una
tempesta. Rimanemmo solo il
tempo necessario per rifornirci e sistemare i danni. La popolazione ci
evitava,
guardandoci con un misto di paura e curiosità. Quando
tornammo a Narnia
informammo di tutto il Re. Vostro nonno però non ne fu
interessato e neppure il
Consiglio considerò importante il ristabilimento di
un’autorità in poche isole
sperdute e prive di importanza strategica. Dall’Epoca
d’Oro siete il primo Re
di Narnia a rimettere piede su quelle isole che fanno ancora parte
teoricamente
dei possedimenti della Corona.”
Caspian annuì
sovrappensiero. Si rese conto che arrivato lì avrebbe dovuto
prima
riconquistare la fiducia degli abitanti. Non doveva imporsi o, dopo
milletrecento
anni di abbandono, si sarebbero sentiti invasi. In un modo o
nell’altro doveva
farli sentire di nuovo Narniani, far vedere che lui li considerava come
tali. Doveva
riallacciare legami spezzati da secoli. Impresa per niente facile. Ma
non
poteva arrendersi. Chissà se avrebbe trovato lì i
sette Lord… chissà se erano
ancora vivi. Sarebbero stati giorni impegnativi: quanto avrebbe voluto
non
essere solo, quanto avrebbe voluto avere qualcuno accanto a lui pronto
a
sostenerlo in ogni momento. E quanto avrebbe voluto che fosse Susan
quel
qualcuno. Narnia non avrebbe potuto desiderare Regina migliore. E
neppure lui...
perché avrebbe avuto lei al suo fianco.
Il giovane Re
si allontanò dal tavolo guardando gli altri ufficiali.
“Penso che non
ci siano altre questioni. Continuiamo su questa rotta e, se Aslan
vuole,
arriveremo alle Isole Solitarie entro la settimana.”
Gli ufficiali
annuirono e uscirono uno dopo l’altro. Solo Drinian rimase
indietro. Quando tutti
furono usciti, il capitano del Veliero chiuse la porta voltandosi verso
Caspian.
“Vostra
Maestà,
posso farvi una domanda?”
Caspian annuì
continuando a fissare la mappa, soprattutto quella parte bianca oltre
le Isole
Solitarie.
“Come capitano
del Veliero dell’Alba, ho giurato di condurre voi e la vostra
nave fino alle
Isole Solitarie e di fare in modo che non vi succeda nulla.
Però devo sapere
una cosa: se non troveremo i sette Lord alle Isole
Solitarie… cosa aveva
intenzione di fare Vostra Maestà?”
Caspian alzò lo
sguardo rimanendo muto per alcuni istanti. Poi lentamente si
avvicinò alla
parete a cui erano stati appesi i ritratti dei sette Lord. Solo a quel
punto
rispose a Drinian.
“Ho giurato sul
mio onore che li avrei trovati o avrei scoperto che cosa è
successo a quegli
uomini che fedelmente servirono mio padre. Solo a quel punto
potrò tornare a
Narnia.”
Caspian si
voltò a guardare Drinian sperando che il capitano non
criticasse la sua
decisione.
“Il nostro
viaggio proseguirà fino ad allora. Spero continuerete a
seguirmi, capitano.”
Drinian abbassò
il capo in segno di rispettoso assenso. “Sono pronto a
seguirvi, Vostra
Maestà.”
A quel punto
l’uomo si inchinò ancora una volta e si
avviò verso la porta. Quando posò la
mano sulla maniglia, però, Lord Drinian tornò a
voltarsi verso Caspian. Il
giovane Re sapeva di non essere stato del tutto sincero. Dubitava che,
se anche
avesse trovato le risposte che cercava sulle Isole Solitarie, avrebbe
deciso di
tornare a Narnia. Prima doveva incontrare Aslan: non avrebbe avuto
altre
possibilità. Tornare avrebbe significato piegarsi alle
richieste sempre più
pressanti e sposarsi. Ma lui non poteva: non poteva amare e sposare
nessuna
altra che non fosse Susan. La voce di Drinian distolse Caspian dai suoi
pensieri.
“Vostra
Maestà…
le parole che mi avete rivolto pochi giorni fa… che cosa
significavano, se
posso chiedere?”
Caspian rimase
muto. Ripensò a quelle parole che aveva detto a Drinian,
subito dopo al magico,
breve e inatteso incontro con Susan. Sentò
che alla fine di questo viaggio, troverò la mia sposa.
Glielo aveva detto
perché dopo quello che era successo aveva sentito che Aslan
lo avrebbe
ascoltato. Era Susan la sposa che sperava di trovare in quel viaggio.
Ma come
poteva dirlo? Chiunque, anche Cornelius, gli avrebbe detto che un
Sovrano non
poteva correre dietro le chimere e che Narnia non poteva aspettare una
Regina
che probabilmente non sarebbe mai tornata o che, anche se fosse
successo,
sarebbe tornata magari migliaia di anni dopo. Gli occhi scuri di
Caspian
incontrarono quelli di Drinian. L’uomo intuì che
cosa il suo Re non riusciva o
non voleva dire. Tutti sapevano quello che era successo su quella
piazza tre
anni prima e molti dicevano che era proprio per quello che Caspian non
aveva
ancora trovato moglie. Drinian non seppe se chiamarla determinazione o
capriccio. Ma quel qualcosa che brillava negli occhi scuri di Caspian
non era
certo la testardaggine di un ragazzo viziato. Per questo motivo non
chiese
altro: il tempo avrebbe dato tutte le risposte.
“Vostra
Maestà,
con il vostro permesso.”
Drinian uscì e
Caspian tirò un sospiro di sollievo. Quello che lo
preoccupava era la
consapevolezza che non avrebbe potuto continuare per sempre a tacere la
seconda
ragione per cui aveva intrapreso quel viaggio. Doveva farlo sapere
all’equipaggio prima che arrivasse il momento di tornare
indietro. Ma come
fare? Caspian si voltò verso l’intarsio dorato che
raffigurava Aslan quasi
sperasse che semplicemente guardandone il volto sarebbe riuscito a far
chiarezza nei suoi dubbi. Alla fine, però, il giovane Re
distolse lo sguardo
voltandosi verso il mare che si vedeva oltre la finestra: sapeva che
non poteva
continuamente pretendere che Aslan lo aiutasse, doveva imparare a
cavarsela da
solo. Caspian non riuscì a trattenere un sospiro: ma se solo
Aslan gli avesse
dato un piccolo aiuto…
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Gli occhi
azzurri di Susan fissavano le onde blu che si infrangevano tranquille
sulla
sabbia. Una leggera brezza spirava dal mare scompigliandole i capelli
che aveva
lasciato sciolti. Il calore del sole era in parte schermato dai rami
dell’albero vicino al quale si erano sistemati. Avevano
scelto una piccola
spiaggetta a lato della foce del fiume. Seduta accanto a lei, sulla
coperta che
avevano steso per terra, c’era Ann che in quel momento era
completamente assorta
nel libro che si era portata. Anche Susan avrebbe potuto leggere, ma
l’unica cosa
a cui riusciva a pensare era il sogno di quella notte. Quella che
cercava di
capire era perché tutto era successo sulla spiaggia e poi in
mare. Se le sue
erano solo paranoie, la risposta più plausibile era che nel
sogno aveva
rimescolato dubbi, paure, pensieri ed emozioni. Non aveva forse rivisto
Caspian
proprio mentre si
trovava sul
transatlantico? E non lo aveva visto mentre navigava verso una meta a
lei
sconosciuta? Senza contare che c’era una piccola parte di lei
che continuava a
ripeterle che lei non sarebbe tornata a Narnia, la sua più
grande paura. Vocina
che di giorno riusciva a tenere perfettamente a bada, zittita in un
angolo
della mente, ma che invece durante la notte poteva aver avuto il
sopravvento. Forse
era quella la realtà… magari esagerava a credere
Narnia in pericolo. Eppure…
Ann alzò la
testa posando il libro accanto a sé. Susan si
voltò verso di lei e la vide
sorridente.
“Adoro questi
libri… quanto mi piacerebbe vivere una delle avventure di
cui sono protagoniste
le eroine dei romanzi.”
Susan non poté
non sorridere ripensando a Narnia: lei le avventure da romanzo le aveva
vissuto. Ann si voltò verso di lei.
“È lo stesso
anche per te?”
Susan si
sistemò una ciocca di capelli dietro un’orecchia.
“Vivere straordinarie
avventure?”
Ann annuì. Gli
occhi le brillavano. “Sì. Affrontare pericoli,
grandi avventure… magari
esplorare terre sconosciuto. Non sarebbe bellissimo?”
Susan trattenne
un sorrisetto divertito e annuì. “Direi di
sì. Però la realtà sarebbe
sicuramente molto diversa dai libri… dopotutto rischieresti
davvero la vita e
non avresti la certezza che l’epilogo della tua avventura
finisca con vissero tutti felici e contenti.”
Susan parlava
per esperienza. Aveva vissuto insieme ai fratelli incredibili
avventure, ma in
nessun momento qualcuno gli aveva rassicurati che avrebbero vinto, che
non
sarebbe successo niente… o che avresti visto i tuoi sogni
realizzati. Ann
sospirò posandosi sulle mani e alzando lo sguardo che si
perdette nel cielo
azzurro.
“Lo so, hai
ragione… me lo dimentico. La vita non è un libro
già scritto…”
Susan trasalì
sentendo quelle parole. In mente le tornarono le frasi che in
quell’incubo la
misteriosa persona aveva pronunciato. Aveva parlato di destino, di un
destino
già scritto che né lei né Caspian
avrebbero potuto cambiare. Quale era la
verità? C’era un fato o ciascuno era padrone della
propria vita e ne avrebbe
cambiato il destino con le proprie scelte? La voce di Ann la
riportò alla
realtà e Susan tornò a prestare attenzione alla
ragazza.
“Susan… se
ti
dico una cosa, prometti di tenerla per te?”
Susan si
sedette più comodamente e annuì seria. Aveva
capito che quello che voleva dirle
Ann era qualcosa di importante. Dal canto suo, Ann ci aveva ripensato
più volte
prima di decidere di parlarne con Susan. Era una cosa che non aveva mai
detto a
nessuno, né alle amiche a scuola né ai genitori.
Aveva sempre pensato che
quello sarebbe stato il segreto che non avrebbe condiviso con nessuno.
Ma con
Susan sentiva di poterlo fare. Non sapeva neppure lei il
perché, forse perché
vedeva qualcosa che non aveva mai visto nei suoi occhi azzurri. Non lo
sapeva
cos’era: determinazione, fierezza, coraggio,
dolcezza… ma sapeva una cosa:
Susan e Peter avevano qualcosa che nessuno che lei conosceva aveva. Ed
era un
qualcosa che emanavano.
“È una cosa
che
non ho mai detto a nessuno…”
Ann abbassò lo
sguardo imbarazzato sulle mani. Susan sorrise dolcemente e le strinse
una mano.
Ann alzò lo sguardo incontrando gli occhi di Susan e
improvvisamente si sentì
più leggera.
“Un giorno mi
piacerebbe fare un lavoro con cui essere utile agli
altri…”
Susan sorrise
per farle capire di proseguire. Ann prese un profondo respiro prima di
riprendere a parlare.
“Vorrei
diventare una diplomatica, un’ambasciatrice. Pensi che sia
assurdo?”
Susan non
rispose subito: certo, donne in quei campi non ce ne erano molte. Ma
con quale
diritto poteva tarpare le ali ad Ann? Proprio lei che sperava di
tornare a
Narnia… Sorrise.
“Se è il tuo
sogno non vedo perché non potresti provarci.”
Il viso di Ann
venne illuminato da un sorriso a trentadue denti. “Grazie,
sono contenta di
aver parlato con te.”
Susan scosse la
testa. “Di nulla.”
I discorsi
delle due ragazze vennero interrotti dall’arrivo brusco di
Peter e William. I
due ragazzi avevano il fiatone e si guardavano con sfida. Susan
sospirò. Nel
frattempo i due si sedettero accanto a loro e Peter fece attenzione che
William
non si sedesse accanto a Susan. Non appena seduto, il biondo Pevensie
si vide
puntati addosso gli occhi di Susan che lo stavano rimproverando in
silenzio.
“Cosa avete
fatto?”
Peter sorrise
soddisfatto guardando si sottecchi William.
“Niente di
particolare. Qualche piccola gara…”
Susan scosse al
testa sorridendo divertita sentendo il fratello calcare le ultime
parole. A
quanto pare l’istinto competitivo di Peter aveva trovato
qualcuno che lo
alimentasse. E se ci aggiungiamo che quel qualcuno anche essere
interessato a
lei…
Peter la guardò
sorridendo. “Mangiamo qualcosa?”
Ann a quelle
parole si voltò verso il cestino che aveva alle spalle,
iniziando ad armeggiare
per tirare fuori i panini e quant’altro la governante vi
avesse messo dentro.
William seguì con interesse la fuoriuscita del cibo e, ad un
certo punto,
inizio ad aiutare la sorella. Approfittando del momento, Peter si
accostò a
Susan guardandola fisso negli occhi.
“C’è
qualcosa
che non va?”
Quella domanda
spiazzò Susan che sgranò gli occhi dalla
sorpresa. Peter se ne accorse e
sorrise: possibile che Susan ancora non avesse capito che, anche quando
non
diceva niente, si accorgeva se aveva qualcosa che non andava? Era da
colazione
che Susan sembrava distratta, assorta in qualcosa che la preoccupava.
Per un
po’ aveva fatto finta di niente, anche per evitare di
scoprire che la causa
magari era Caspian: cosa che lo avrebbe fatto infuriare,
perché non sopportava
proprio che Susan soffrisse per lui. Con il passare delle ore,
però, si era reso
conto che quel qualcosa continuava a tormentarla e perciò,
messo da parte l’orgoglio,
aveva deciso che, al momento giusto, avrebbe indagato. Anche a costo di
sentirsi dire che pensava a Caspian…
“Allora?”
Susan sospirò e
strinse le braccia attorno alle ginocchia. Poi alzò lo
sguardo verso il mare
fissando quasi ipnotizzata le onde. Dopo un attimo tornò a
voltarsi verso
Peter.
“Sto bene, non
ti preoccupare. Riguarda un sogno di stanotte…”
Peter alzò le
sopracciglia, non capendo a che cosa si stesse riferendo. Susan sorrise.
“Meglio che ne
parliamo dopo, quando saremo soli.”
Peter capì.
Riguardava Narnia. Anche se, quello che non si spiegava, era che legame
ci
fosse con il sogno di Susan. In quel momento la loro attenzione venne
attratta
da Ann e William che avevano finito di svuotare il contenuto del
cestino. Ann
sorrideva.
“Ci sono
così
tante cose che non riusciremo a finirle.”
William sorrise
divertito e prese un panino. “Allora sarà meglio
che iniziamo.”
Subito dopo
anche gli altri tre lo imitarono, iniziando a mangiare in silenzio e
rilassandosi al rumore della brezza tra le foglie e al suono delle onde
del
mare. Passarono un paio di minuti prima che William spezzasse il
silenzio.
“Fra qualche
settimana, il console britannico organizza un tè. Saranno
invitati tutte le
persone più importanti dei dintorni e molti ufficiali che si
trovano in
permesso.”
Peter sentì
suonare nella testa un campanello d’allarme. Dove voleva
arrivare? Perché lo
aveva capito che il discorso di William non era fatto solo per fare due
chiacchiere, soprattutto se nei dintorni c’era Susan.
“Anche nostro
zio è invitato e lo siamo anche noi. Probabilmente verranno
invitati anche i
vostri genitori. Susan, ti piacerebbe venirci con me?”
Ecco, appunto.
Peter strinse la mano attorno al panino facendo trasbordare il
contenuto. Ma
perché non erano rimasti a Cambridge anche loro? Eustace,
anche se non fosse
stato loro cugino, non avrebbe di sicuro fatto la corte a Susan. Non
era che ce
l’avesse proprio con William… ma possibile che
tutti gli spasimanti di Susan
non fossero inglesi? Perché a Londra non c’era un
bravo ragazzo che si
innamorasse di lei? No, doveva essere sempre qualcuno che
l’avrebbe tenuta
lontana da loro.
Nel frattempo,
Susan, resasi conto dell’invito di William, non aveva la
più pallida idea di
cosa fare. Imbarazzata, si sistemò una ciocca di capelli
dietro l’orecchia. Sapeva
benissimo che accettare, non voleva dire essere innamorata di lui.
Dopotutto
potevano andarci insieme anche come semplici amici. Ma era anche
consapevole che
per William non sarebbe stato così: avrebbe pensato di avere
una speranza con
lei. E per essere sinceri, pensò Susan, se lei fosse stata
un’altra, se fosse
stato un altro momento, gliela avrebbe data una possibilità:
dopotutto era
carino, gentile… ma lei era Susan Pevensie, lei era
già stata a Narnia e
William era arrivato troppo tardi: il suo cuore era già di
Caspian. E poi c’era
Peter, che di sicuro non l’avrebbe presa bene. Che cosa fare?
Susan alzò gli
occhi incrociando prima quelli speranzosi di William, poi quelli di
Peter che
sembravano voler fulminare William e infine quelli di Ann che
capì il suo
problema. E fece qualcosa che Susan non si sarebbe aspettata.
“Potremmo
andarci tutti e quattro insieme…”
Anche Peter e
William si voltarono verso di lei. Ann abbassò lo sguardo,
in disagio e le
guance si tinsero di un tenue rossore. Ma non poteva desistere, sapeva
che
William non si sarebbe arreso.
“Sì…
pensavo
che oggi ci siamo divertiti… potremmo passare
un’altra bella giornata.”
William si
illuminò e sorrise soddisfatto. “È una
bellissima idea, Ann! Susan sarà la mia
dama e Peter sarà il tuo accompagnatore!”
Peter si voltò
verso William e Susan si sorprese di non vedere William incenerito. Ma
era
meglio evitare. Con una mano tocca leggermente il braccio del fratello.
I loro
occhi azzurri si incrociarono e Susan scosse la testa. Peter
cercò di dire
qualcosa, ma Susan gli fece capire che non serviva. Peter
sbuffò: non gli
andava bene che a prendere le decisioni fosse William, ma almeno
così poteva
tenerlo d’occhio. Incrociò le braccia e, quando
parlò, si sentiva ancora un
basso ringhio che per fortuna riuscì a mascherare.
“Va bene… se
per Ann non è un problema…”
Ann sorrise e
scosse la testa. Non le dispiaceva essere accompagnata da lui ed era
stato
carino a chiedere se lei era d’accordo. E poi non era per
niente un brutto
ragazzo, anzi… Ann distolse subito lo sguardo vergognandosi
un po’ per quello
che le era passato per la mente. Sarebbe stato un piacevole pomeriggio
tra
amici, tutto qui.
Nel frattempo
Susan, dopo essersi assicurata che Peter non avrebbe cercato di far
fuori in
qualche modo William, tirò fuori il suo lato pratico.
“Però ci
sarebbe un problema…”
Ann inclinò la
testa perplessa. “Quale?”
Susan sorrise
imbarazzata. “Ecco… in Inghilterra tra
razionamento e buoni… non è che fosse
così facile comprare vestiti nuovi ultimamente. Non penso
che io e Peter
abbiamo qualcosa di adatto…”
William sorrise
alzando le spalle. “E dov’è il problema,
Susan? Uno di questi giorni Ann vi può
accompagnare a fare un giro. Ci sono un sacco di negozi a New York.
Sono certo
che troverete qualcosa di perfetto. Io non penso vi potrò
accompagnare perché
devo tornare in accademia. Altrimenti non riuscirò ad
estorcere un nuovo
permesso per il giorno del tè. E poi tu saresti bellissima
con qualsiasi cosa
addosso… farai invidia a tutte le altre!”
Susan arrossì
per il complimento e sorrise per mostrarsi gentile. Peter, dal canto
suo,
chiuse gli occhi e contò fino a dieci per evitare di mollare
un pugno sul naso
a William. Avrebbe dovuto controllarlo, decisamente. E, nonostante
sapesse
benissimo che non avrebbe dovuto, sperò ardentemente che
William quel permesso
non lo avesse mai.
Ann batté le
mani alla proposta del fratello sorridendo.
“È una
splendida idea, così vi potrò anche mostrare un
po’ la città! Ci potremo fare
accompagnare da mamma. Anche vostra madre potrebbe venire. Ci
divertiremo!”
Susan annuì
sorridendo. “Beh… allora è tutto a
posto.”
William annuì.
“Esatto. Forza, finiamo di mangiare. O vogliamo poltrire qui
tutto il giorno?”
Gli altri non
se lo fecero ripetere due volte e, in quella piacevole atmosfera, anche
Susan
dimenticò per un po’ le preoccupazioni che le
aveva provocato quel sogno.
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Caro
diario, oggi è il giorno 23 da quando i miei
sciagurati cugini Edmund e Lucy hanno invaso la nostra casa. Non so
quanto
ancora riuscirò a sopportarli visto che devo dividere le mie
cose con loro…
sembra quasi che i giorni passati con loro siano 200! Se almeno potessi
andare
a scuola, non sarei costretto a vederli per così tante ore:
guarda a cosa mi
sono ridotto. Temo che la mia sanità mentale sia gravemente
a rischio: non ho
mai desiderato andare a scuola quando non ero obbligato! Inoltre caro
diario
sono anche 23 giorni da quando sono venuti ad abitare accanto a noi i
nostri
vicini… e con loro la figlia, Jill Pole. Da quando
l’ho vista, ho capito che
sarebbe stato come avere tra i piedi una seconda Lucy, se non peggio: e
lo sai,
caro diario, che su queste cose io non mi sbaglio mai. E dico mai.
Infatti,
Pole è una specie di arpia, anzi una strega: gira sempre con
un ratto che ha
addestrato per attaccare i poveri innocenti come me (l’ultima
volta ha cercato
di saltarmi in faccia e graffiarmi… forse voleva strapparmi
gli occhi! e poi
lei ha detto che ero stato io a spaventarlo!) e non mi sorprenderei se
nella
sua cameretta trovassi anche rospi e pipistrelli! Purtroppo, mia madre
non se
ne è accorta e così ha deciso che ogni tanto lei
venga a casa nostra, in modo
da recuperare il programma dell’anno precedente ed essere
pronta per il
prossimo. Rischio di trovarmela in classe, capisci? Manca solo che
Edmund venga
bocciato, che Lucy venga mandata ad una classe superiore e che i loro
genitori
me li mandino qui a Cambridge! Sarebbe la mia fine. Ma corro il rischio
di non
superare neppure questa estate. Anche oggi Pole è
venuta… per fortuna mia madre
è andata via quasi subito, così io ho potuto
smettere di aiutarla e mi sono
venuto a rintanare qui. Tanto quel brocco di mio cugino non fa altro
che andare
a parlare con Lucy nella sua stanza, penso che anche Jill li abbia
raggiunti…
ogni tanto li sento ridere. Chissà quali orrende
macchinazioni stanno complottando
alle mie spalle. E il fatto che Pole stia facendo amicizia con loro non
è di
nessun auspicio… probabilmente Lucy e Edmund cominceranno a
raccontare anche a
lei le loro assurde e improponibili storie su Nernia, Nirnia o come
cavolo si
chiama quel reame di cui loro parlano sempre. Ogni tanto la sera,
quando
pensano che io sia in camera, vado a spiare dietro alla porta e li
sento
parlare: non fanno altro che chiacchierare di quella lagna! Che bello
se fossimo
là, che peccato che non ci chiamino
più… ma nessuno ha detto loro che le favole
sono invenzioni? Guarda te, se può esistere un mondo dove
loro sono stati
Sovrani… loro poi, immagina che meraviglia…
benvenuti a Nornia (o forse era
Narnia? Boh, fa lo stesso), l’incredibile regno guidato dai
Pevensie! Si salvi
chi può! E il bello è che hanno cominciato a
parlarne ancora di più da quando è
arrivata la lettera dall’America! Sembra che quella svampita
di Susan abbia
detto loro di continuare a pensarci! E mamma diceva che Susan e Peter
erano
quelli maturi… due che continuano a fare questi giochetti,
non sono maturi,
parola di Eustace Clarence Scrubb! Sono io quello che legge libri in
cui si
racconta veramente qualcosa di vero, della realtà. E mi
tocca sorbirli… almeno
quei due sono in America. Immagina se fossero stati anche loro
qua… penso che
mi sarei trasferito a casa Pevensie: tanto loro sarebbero stati a casa
Scrubb,
ovvero casa mia. Ora devo andare, mi sembra di sentire i passi di
Edmund. Sono
sempre tra i piedi, peggio delle mosche. Se almeno lo
fossero… se solo uno
potesse trattare i parenti come tratta gli insetti, tutti i miei
problemi
sarebbero risolti. Potrei chiuderli in un barattolo, attaccarli al muro
con un
spillo.
Di scatto
Eustace sgusciò da sotto il letto lasciandovi sotto il
diario. Un attimo
prima che la porta si aprisse, Eustace si sedette sul letto iniziando a
fischiettare. Edmund entrò e vedendolo in quella posizione,
lo squadrò
sospettoso.
“Cosa stai
combinando?”
Eustace alzò le
spalle e lo guardò storto. “E a te che importa? E
voi che state facendo? Avete invitato
anche Pole nel paese degli svitati? Com’è che si
chiamava quel vostro mondo…
sai non me lo ricordo mai. Nernia, Nirnia? O forse era
Nornia?”
Ridacchiando,
si sbattè una mano sulla fronte. “No, giusto!
Narnia, Narnia... Vero, cugino?
Chissà perché, ma me lo dimentico
sempre!”
Edmund gli
lanciò un’occhiata gelida senza degnarsi di
rispondergli. Preso quello che li
serviva, uscì dalla porta richiudendosela alle spalle.
Eustace tese l’orecchio
finché non sentì i passi di Edmund raggiungere la
stanza di Lucy e la porta
chiudersi. A quel punto, tornò per terra tirando fuori
ancora una volta il
diario.
Nota per me:
indagare sulle conseguenze
legali in caso di parente (o vicino) infilzato.
E
anche il capitolo quattro è terminato. Chiedo immenso
perdono per aver fatto
passare così tanto tempo da quando ho messo il terzo!
Perdono, perdono,
perdono!!!! >.< Purtroppo ero sempre di qua e di
là per questa benedetta
università… ma non penso vi interessi. Comunque
ora sono qui. ;) Come promesso
ho dedicato quasi totalmente il capitolo a Susan e Peter: prima il
sogno/incubo
della nostra Sue, poi il pomeriggio in spiaggia. E inoltre, ho messo
Caspian!
^-^ Contente? Ok, non è una parte lunghissima, ma purtroppo
a Narnia tutto è
ancora tranquillo… o quasi. Infatti Caspian comincia a
sentire che c’è qualcosa
che non va. Ma i suoi resteranno solo sospetti… per il
momento. E dulcis in
fundo, non ho resistito a non ritagliare un piccolo spazio per il
nostro
scorbutico Eustace… piccola scena che si rifà a
quella del film in cui lui
scrive sul diario… ma modificata per ragioni di copione. XD
Nel complesso sono
abbastanza soddisfatta, anche se qualche punto credevo mi sarebbe
venuto
meglio… vabbè. Ora però è
arrivato il momento di annunciarvi che, se non cambio
idea o altro (il che non si può mai dire XD),
l’arrivo a Narnia per i nostri
Lucy, Edmund, Jill e Eustace è previsto per il capitolo 6!
Preparatevi! J Per Susan
e Peter invece è ancora
presto… ma chissà che non arrivino a Narnia prima
di quando prevediate. Il loro
destino è nelle mie mani… ma sarò
buona, promesso. ^-^ Per quanto riguarda il
prossimo capitolo, il nostro Edmund (come nel film, ma non
sarà proprio
identico… diciamo che mi ispiro a quella scena)
cercherà di arruolarsi. In
America, invece, Susan, Peter e Ann andranno a fare acquisti. Ok, penso
di
avervi detto fin troppo, perciò…
…
i ringraziamenti:
·
Per
le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world,
GossipGirl88, ImAdreamer99, mmackl, Serena VdW, Shadowfax e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: english_dancer
·
Per
le recensioni del capitolo 3: Fly_My world, mmackl, Serena VdW,
Shadowfax e
SusanTheGentle
Ovviamente
ringrazio anche chi solo legge. E voglio fare un ringraziamento
speciale a chi
a inserito “Tears of Memory” nelle seguite, nelle
ricordate o nelle preferite
dopo alla pubblicazione dell’ultimo capitolo e che dunque non
avevo inserito
già precedentemente nei ringraziamenti a fine dello stesso:
Francy 98,
_Sturdust, Crystal eye, ImAdreamer99 e nefrit93. Ah, ultimissima cosa:
non sono
riuscita a ricontrollare: se nel caso trovate qualche errore, ditemi
ok? ^-^
Con questo penso di aver detto tutto e vi saluto, nella speranza, la
prossima
volta, di riuscire ad aggiornare un po’ prima. Ancora tante,
tante grazie a
tutti. A presto, Hikari
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere e Spiegazioni ***
Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere
e Spiegazioni
Il silenzio
regnava
in casa Scrubb. Coloro che vi abitavano, erano ancora avvolti dalle
braccia di
Morfeo. Fuori, il sole doveva ancora sorgere e, oltre le case, si
intravedeva
solo un vago chiarore. Mancavano ancora un paio d’ore prima
che si
svegliassero.
Improvvisamente,
la porta della camera di Edmund e Eustace cominciò ad
aprirsi lentamente. Un
debole cigolio ruppe il silenzio. Edmund si fermò e si
voltò di scatto,
sperando che il rumore non avesse svegliato il cugino.
Lanciò uno sguardo
appena verso il suo letto e poi sbuffò scuotendo la testa.
La sua era stata una
preoccupazione inutile. Eustace non dava l’impressione di
aver sentito nulla:
né Edmund che si era alzato, né il cigolio della
porta. Il giovane Scrubb era
disteso a pancia in giù e con le braccia stingeva il
cuscino, mentre la leggera
coperta era aggrovigliata attorno alle sue gambe e al suo busto. Ogni
tanto si
sentiva anche un leggero russare. Il volto di Edmund fu attraversato da
una
smorfia di disgusto: ma perché doveva dividere la camera con
lui? Sarebbe stato
di gran lungo meglio dividerla con un Minotauro…
Quando i suoi
occhi caddero sull’orologio, Edmund ricordò il
motivo per cui si era svegliato.
Con cautela, Edmund uscì dalla stanza chiudendosi lentamente
la porta alle
spalle. Con Eustace non si poteva mai stare tranquilli: non si sarebbe
sorpreso, se si fosse svegliato all’improvviso. Dopo un paio
di istanti di
attesa, il ragazzo si si voltò guardando il corridoio
deserto. Casa Scrubb non
sembrava tanto male… quando Eustace e i suoi genitori non
c’erano.
Istintivamente, i suoi occhi scuri corsero a guardare la parte del
corridoio
dove c’era la camera di Lucy. Chissà cosa gli
avrebbe detto… sicuramente non
sarebbe stata d’accordo. Ma Lucy non lo poteva capire: lei
non doveva dividere
la camera con Eustace e sorbirsi la sua presenza e le sue istigazioni.
Ma
soprattutto, Lucy non aveva mai dovuto sopportare il confronto con
Peter.
Peter: il maggiore, il più maturo, il più
responsabile… il più. Il confronto
tra Susan e Lucy era diverso. Certo, Susan era la più grande
e veniva elogiata
da tutti per la sua bellezza, ma tutti, compresi i loro genitori,
voleva bene a
Lucy per la sua spontaneità, per la sua allegria. E comunque
era diverso,
punto.
Scacciando
dalla testa quei pensieri, Edmund si avviò lentamente verso
l’altro lato del
corridoio, verso la stanza di Alberta e Harold Scrubb. Facendo
attenzione a
fare il minimo rumore possibile, Edmund cominciò ad
avvicinarsi in punta di
piedi alla stanza degli zii. Quando stava per sorridere soddisfatto,
ormai a
poco più da un metro dalla porta, un asse del pavimento
scricchiolo sotto i
suoi piedi. Il ragazzo si immobilizzò e la fronte gli si
imperlò di sudore.
Passarono alcuni minuti che, a Edmund, sembrarono lunghissimi. Nessun
rumore,
però, proveniva dalla stanza. Il ragazzo tirò un
sospiro di sollievo: possibile
che in quella casa tutto dovesse cigolare o scricchiolare? Edmund
allungò la
mano e la posò sulla maniglia. Ora veniva il difficile.
Lentamente
abbassò
la maniglia, spalancando lentamente la porta. Edmund deglutì
in preda
all’ansia. Doveva assolutamente trovare una scusa convincente
da rifilare agli
zii nell’eventualità che lo scoprissero.
Il ragazzo
aprì
la porta completamente, entrando velocemente nella stanza e lasciando
l’uscio
socchiuso. Meglio avere sempre una via di fuga veloce: le battaglie a
Narnia
non erano state così inutili, dopotutto. Edmund si
inginocchiò e a gattoni si
avvicinò alla sedia dove erano posati le giacche di zio
Harold e di zia
Alberta. Il silenzio regnava sovrano anche in quella stanza, tranne nei
momenti
in cui un distinto e rumoroso russare si sentiva provenire dalla parte
di zio
Harold. Edmund sospirò scuotendo la testa: a quanto pareva
era proprio vero,
tale padre tale figlio…
Quando
raggiunse la sedia, Edmund si sollevò leggermente per
osservare gli zii. Zio
Harold continuava a russare, beatamente addormentato. Zia Alberta
invece aveva
gli occhi coperti da una mascherina scura. Edmund immaginò
che, probabilmente, aveva
pure i tappi… qualche volta si chiedeva se erano veramente
parenti. La loro
mamma non assomigliava neanche un po’ alla sorella: magari
c’era stato uno
scambio di bambini…
Edmund
ridacchiò e si coprì la bocca con la mano. Non
doveva perdere tempo. Con
decisione iniziò a frugare tra le tasche della giacca.
Vuota, vuota,
portafoglio, vuota… ma dove cavolo aveva messo quel
documento d’identità?
Improvvisamente, il ragazzo sentì un rumore alle sue spalle.
Rapidamente frugò
nella tasca più vicina. Sentendo tra le dita la consistenza
della carta, Edmund
non perse tempo: afferrò il piccolo documento e si
fiondò fuori dalla camera.
Come un fulmine si nascose dietro al muro, sperando che nessuno venisse
da
quella parte. Dopo pochi istanti di logorante attesa, Edmund
sentì la porta
della stanza degli zii aprirsi. Riconobbe subito il ciabattare
svogliato di suo
zio. Un rumoroso sbadiglio gli confermò la sua ipotesi.
Lentamente si sporse e
vide lo zio entrare in bagno. Non appena la porta si chiuse, Edmund
attraversò
il corridoio ed entrò di scatto nella stanza che divideva
con Eustace. Subito
dopo, si fiondò nel letto nascondendosi sotto le coperte.
Un attimo
dopo,
Edmund imprecò sottovoce, maledicendo la sua sfortuna.
Quella non era il
documento d’identità di zio Harold. Come una
beffa, si leggeva nitidamente un
altro nome: Alberta Scrubb. E ora come avrebbe fatto? Di sicuro non
aveva
intenzione di tentare di nuovo la sorte, entrando un’altra
volta di nascosto
nella stanza. Zia Alberta si sarebbe accorta di quella sottrazione? Con
zio
Harold sarebbe stato sicuro di non venir scoperto: quell’uomo
dimenticava
sempre qualcosa a casa, esclusione fatta ovviamente per il giornale.
Non aveva
altra scelta. Doveva accontentarsi di quel documento. Magari, con un
po’ di
faccia tosta lo avrebbe potuto far passare per un errore ortografico.
Sì, tanto
cosa voleva che gliene importasse a quelli che compilavano le liste?
Edmund si
convinse e nascose con attenzione e cura il documento nella tasca dei
pantaloni. Poi guardò l’ora, cominciando a contare
i minuti che lo separavano
dal momento di alzarsi. Forse quella che stava per fare era una pazzia,
ma era
più che determinato a provarci. Il ragazzo si
voltò e i suoi occhi scuri
fissarono il soffitto. Se doveva essere sincero, non lo faceva per
liberarsi
della presenza di Eustace… cioè, non solo. Il
fatto era che voleva dimostrare a
tutti che valeva quanto Peter. E poi, voleva tornare ad avere un ruolo.
Era
stufo di fare il ragazzo qualunque. A Narnia era stato un Re: non ne
poteva più
di quella monotonia. Almeno Susan e Peter, in America, stavano vivendo
qualcosa
di diverso. Sì, era deciso: avrebbe fatto di tutto per
sfuggire a quella
routine sempre uguale.
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I membri della
famiglia Evans al completo si trovavano uno accanto all’altro
davanti alla
scalinata d’entrata, nonostante fosse mattina presto. Di
fronte a loro, vestito
di tutto punto con la divisa dell’accademia, William stava
sistemando la borsa
sul sedile accanto a quello del posto di guida. C’erano
tutti: suo zio Dave,
Stephen e Margaret Evans e anche la sorella Ann. Un paio di passi
indietro
c’erano anche Susan e Peter con i loro genitori. In
realtà, Peter avrebbe fatto
anche a meno di alzarsi per salutarlo, ma Susan era stata categorica:
dovevano
mostrarsi gentili, dopotutto avevano anche ricevuto l’invito
al tè ed erano
ospiti a casa loro. Peter, ripensandoci, sbuffò: bella roba
che vi avevano
guadagnato… proprio da essere riconoscenti. Ci scommetteva
tutto quello che
aveva, che se Susan fosse stata una racchia con i brufoli e i denti
storti non
l’avrebbe invitata di sicuro… altro che
gentilezza: il suo era solo interesse.
In quel
momento,
William si sciolse dall’abbraccio con Ann e arrivò
davanti a loro. Robert e
Helen salutarono il ragazzo con una stretta di mano e baci sulle
guance. Poi,
fu il loro turno. Non appena William arrivò davanti a Susan,
il suo viso venne
illuminato da un sorriso a trentadue denti. Peter dovette voltarsi
perché
altrimenti non sarebbe riuscito ad ignorare l’istinto di
assestargli un pugno
in pieno viso.
“Susan,
non
vedo l’ora di andare con te al ricevimento.”
Susan sorrise.
“Sarà divertente…”
Alla ragazza
non
era venute in mente parole migliori. Avrebbe voluto tanto fargli capire
che il
loro rapporto non poteva andare oltre all’amicizia, ma non
sapeva proprio come
fare. E non poteva certo dirgli che non vedeva l’ora di
andarci con lui.
Sarebbe stato crudele fargli credere che tra loro ci sarebbe potuto
essere
qualcosa. Magari, al ricevimento avrebbe potuto spiegargli. Mentre si
scambiavano dei formali baci sulle guance, Susan sospirò. Ma
come poteva
spiegargli che lei non poteva innamorarsi di lui perché era
già innamorata? E
se le chiedeva chi era… cosa si sarebbe inventata? Di sicuro
non poteva dirgli
che era innamorata del Re di un mondo in cui erano arrivati con la
magia.
Quando William si avvicinò a Peter, Susan prese una
decisione: doveva trovare
una soluzione.
Quando i due
ragazzi si trovarono di fronte, Peter lo squadrò e mantenne
un atteggiamento
distaccato. Non erano amici e, finché avrebbe avuto delle
intenzioni con Susan,
non lo sarebbero stati. William si era accorto
dell’atteggiamento ostile di Peter,
ma cercava di fare finta di niente. Quando si strinsero la mano, i loro
occhi
si incrociarono.
“Ci
vediamo,
Peter.”
“A
presto,
William.”
A quel punto,
William tornò vicino alla famiglia e abbracciò
ancora una volta Ann. Subito
dopo, salì sull’automobile con cui li aveva
accompagnati dal porto e mise in
moto. Tutti rimasero fermi a guardare la macchina che si allontanava
lungo il
vialetto e che poi scompariva in lontananza.
Lentamente il
gruppo si sfaldò, i signori Evans e Dave rientrarono
chiacchierando con Robert
e Helen. Ann, invece, si avvicinò a Susan e Peter sorridendo.
“Mamma
ha detto
che possiamo andare oggi in città. Ci accompagna lei, poi
lei e vostra madre
andranno a farsi un giro per conto loro e io invece vi farò
da guida. Pensavo
che per prima cosa potremmo cercare i vestiti per voi… poi
magari andiamo a
mangiare qualcosa o vi mostro Central Park. Che ne dite?”
Susan sorrise
annuendo. “Siamo nelle tue mani, Ann.”
Ann sorrise
soddisfatta.
“Venite dentro?”
Peter si
voltò
verso Susan. “Sue… vorrei parlarti un
attimo.”
Susan lo
guardò
e annuì. Poi tornò a voltarsi verso Ann.
“Noi
facciamo
quattro passi sulla spiaggia… poi torniamo dentro.”
Ann
annuì.
“D’accordo… nel caso vi vengo a
chiamare, se mamma dice che dobbiamo andare.”
Susan e Peter
annuirono si avviarono verso il retro della casa. Ann invece
rientrò
nell’abitazione. I due ragazzi camminarono affiancati tra gli
alberi fino al sentierino
che immetteva sulla spiaggia. In silenzio cominciarono a camminare
lungo il
bagnasciuga. Passarono lunghi minuti prima che Peter si rivolgesse a
Susan. In
realtà aveva quasi un po’ di paura a rivolgerle
quella domanda. Ma d’altra
parte, smaniava nella speranza che la risposta fosse affermativa.
“Pensi
che quel
tuo sogno possa avere qualche legame con Narnia?”
Susan si
voltò
per un attimo verso di lui, poi tornò ad abbassare gli occhi
azzurri che
fissavano il moto delle onde sulla sabbia. Non gli rispose subito,
quasi stesse
cercando di capire lei per prima quale fosse la risposta giusta.
“Non
lo so…
però quando mi sono svegliata, avevo una strana
sensazione… come se Narnia
fosse in pericolo.”
Peter non
rispose e deglutì guardando verso il mare. Fremeva al
pensiero che Narnia
potesse essere in pericolo e che lui non potesse tornarci per
proteggerla. Poi
tornò a guardare Susan, mentre i loro passi continuavano a
imprimere orme sulla
sabbia, orme che presto scomparivano.
“Cosa
è
successo nel sogno?”
Susan
continuava a fissare le onde, quasi la aiutassero a ricordare. Ma in
realtà non
serviva. Ricordava ogni istante di quel sogno e ogni sensazione che le
aveva
lasciato, impressi in modo indelebile nella sua memoria.
“Ero
su questa
spiaggia… da sola. Non c’era nessuno.”
Susan si
fermò
guardando verso il mare. Peter la imitò e i suoi occhi si
volsero verso di lei,
in attesa che continuasse a parlare.
“Mi
sembrava
quasi di essere rimasta sola… come se nel mondo non ci fosse
più nessuno. Vi
provavo a chiamare, ma nessuno mi rispondeva. E il cielo sembrava
volermi
opprimere, scuro e senza sole.”
Susan
sospirò.
Peter le posò una mano sulla spalla.
“Poi
che cosa è
successo?”
Susan si
voltò
verso di lui e gli sorrise prima di riprendere a raccontare.
“Stavo per cedere alla
disperazione, ma si sono
fatta forza cercando di pensare a voi e a Narnia. E
all’improvviso è sorto il
sole e tutto ha ripreso vita.”
Peter
annuì
senza però riuscire a togliersi un’espressione
perplessa dal volto.
“Ma
cosa
c’entra questo con Narnia, Susan?”
Susan
tornò a
guardare verso il mare, chiedendosi se potesse avere un qualche
collegamento
con il suo incubo. Continuava a rifarsi le stesse domanda, ma ogni
volta non
riusciva a trovare risposte.
“Subito
dopo,
un’onda mi ha trascinato in mare. Mi sono ritrovata
sott’acqua, lontano dalla
costa… ho cominciato a nuotare verso la superficie e
poi…”
Peter
annuì per
convincerla a proseguire. “E poi?”
Susan
abbassò
lo sguardo imbarazzata. Come poteva dire a Peter di aver sognato
Caspian? Di sicuro
si sarebbe arrabbiato perché lei continuava a soffrire a
causa sua. Anche se
non era vero. Il ricordo di Caspian non la faceva soffrire, non
più almeno.
Dopo il loro incontro… ecco un’altra cosa che a
Peter non poteva dire: aveva
trovato la forza di continuare a sperare proprio grazie a Caspian,
grazie alla
promessa che si erano scambiati. Ma Peter non poteva, o non voleva,
capire. A
quel punto, molto diplomaticamente, Susan decise di glissare su qualche
particolare.
“Poi
ho visto
una nave che sembrava una di quelle di Narnia. Quando stavo per
raggiungerla,
la superficie del mare si è improvvisamente congelata
imprigionandomi sotto.”
Peter
sbattè
gli occhi sorpreso. “Gelata?”
Susan
annuì.
“Sì, provavo e riprovavo a spezzarlo senza
però riuscirci. Improvvisamente la
nave è scomparsa ed è arrivata una persona
avvolta da una nebbia verde.”
Il volto di
Peter si fece serio. Anche se all’inizio aveva vagamente
dubitato del
collegamento tra il sogno e Narnia, ora si era convinto che qualcosa
c’era. Non
sapeva neanche lui il perché, ma qualcosa dentro di lui gli
diceva che Susan
aveva ragione: quel sogno aveva, in qualche modo, un legame con Narnia.
Susan
riprese a raccontare.
“Non
so perché,
ma aveva come qualcosa di famigliare… mi trasmetteva un
senso di paura,
inquietudine che avevo già provato.”
Peter la
guardò
sgranando gli occhi ed esprimendo ad alta voce il primo pensiero che
gli era
venuto in mente.
“Jadis…”
Susan
sospirò e
lo guardò. “Non lo so. Anche io l’ho
pensato, ma c’era il lei anche qualcosa
che non avevo mai visto. Non so come spiegare…”
Peter stava
rimuginando, pensando con rabbia all’eventualità
che la perfida Strega avesse
trovato per l’ennesima volta un modo per tornare. Alla fine,
si voltò verso
Susan.
“Poi?”
Susan
sospirò
ancora una volta. “Ha cominciato a dirmi che dovevo smettere
di illudermi che
sarei tornata a Narnia. Che sarei stata più felice
dimenticando tutto, perché
Narnia si era servita di me ingannandomi e facendomi venire solo quando
le
servivo. Continuava a ripetermi che Narnia non era nel mio
destino.”
Il silenzio
calò tra i due, entrambi concentrati nei propri pensieri.
Susan continuava a
pensare all’altra affermazione della misteriosa persona,
quella che riguardava
lei e Caspian. Ogni volta che ci pensava, provava una stretta al cuore.
Peter,
invece, era sempre più convinto che tutto quello centrasse
con Narnia in un
modo o nell’altro.
“Dobbiamo
trovare un modo, Susan. Per tornare a Narnia, intendo. Sono convinto
anche io
che Narnia sia in pericolo.”
Susan
annuì.
“Sì… non voglio credere che quella
persona, chiunque fosse, abbia ragione. Non
mi rassegnerò mai.”
Peter sorrise
vedendo la determinazione negli occhi di Susan.
“Come
è finito
il sogno?”
Susan si
voltò
verso il fratello. “Mi sono fatta forza per non credere alla
sue parole,
pensando di nuovo a Narnia. E alla fine ho chiamato Aslan.”
Peter la
guardò
eccitato. “E?”
Susan sorrise
emozionata. “È arrivato ad aiutarmi. Ho sentito il
suo ruggito. Quella persona
se ne è andata e il ghiaccio è
scomparso… sono emersa e ho sentito la sua
voce.”
Susan prese un
respiro, visibilmente emozionata. “Mi ha detto di continuare
a seguire io mio
cuore e di non perdere mai la speranza.”
Peter sorrise
e
abbracciò la sorella. “Visto? Aslan non ci ha
abbandonato: sono certo che ci
farà tornare a Narnia!”
Susan
annuì
sorridendo. Sì, non avrebbe mai smesso di sperare nel suo
ritorno a Narnia.
In quel
momento
i due fratelli, sentirono la voce di Ann che li chiamava. Susan e Peter
si
voltarono e videro la ragazza muovere il braccio per attirare la loro
attenzione all’imboccatura del sentiero. I due non persero
tempo e raggiunsero
Ann. Poi, insieme si diressero verso la villa.
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Lucy e Edmund
salirono sulla bicicletta diretti, come altre volte da quando si
trovavano a
casa Scrubb, a fare la spesa. Non capivano esattamente come quello li
avrebbe
fatti diventare più “maturi”, ma forse
quello era solo un modo per tenerli
buoni. Infatti, Eustace non veniva mai mandato a fare la spesa. Edmund
si
sistemò sul sedile e Lucy si sistemò alla meglio
sulla stanga, reggendosi con
entrambe le mani. Era così concentrata a non cadere, che non
si accorse del
sospirò di sollievo emesso da Edmund quando aveva cominciato
a pedalare via
dalla casa. Se lo avesse sentito, forse lo avrebbe legato al sollievo
di stare
per un po’ lontano da Eustace.
Il motivo,
però, era un altro. Edmund, quella mattina, aveva atteso con
impazienza il
momento in cui sarebbero potuti uscire. Non voleva rischiare che la zia
si
accorgesse dell’assenza del suo documento
d’identità. Eustace di sicuro lo
avrebbe accusato di essere il responsabile della scomparsa e quella
volta non
avrebbe neanche avuto tutti i torti. Per fortuna, però,
tutto era andato per il
meglio. Zia Alberta doveva aver dato per certo che il documento fosse
nella sua
solita tasca ed era uscita tranquillamente poco prima di loro. Se anche
si
fosse accorta della sparizione al circolo, avrebbe sicuro pensato che
le fosse
caduto in casa. Ed Edmund glielo avrebbe fatto credere, lasciando il
documento
sotto il comò.
Edmund
sorrise.
Il suo piano stava andando per il verso giusto. Una volta arrivati a
destinazione, sarebbe dovuto solo stare attento a non insospettire
Lucy. Era
già un miracolo che la sorella non si fosse accorta quella
mattina del suo
comportamento irrequieto. La fortuna doveva essere proprio dalla sua
parte. Un
altro sorriso soddisfatto inarcò le sue labbra mentre
pedalava di buona lena
lungo il marciapiede.
Edmund,
però,
non sapeva che Lucy aveva ben altri pensieri. Dal giorno in cui era
arrivata la
lettera di Susan, un pensiero continuava a tormentarla.
All’inizio aveva
cercato di non pensarci, focalizzandosi sul fatto che Susan e Peter non
avevano
perso le speranze di tornare a Narnia. Anche quando aveva scritto la
risposta,
aveva cercato di convincersi che, nonostante tutto, sarebbero andati
anche loro
in America. Ma era stato tutto inutile e aveva continuato a pensarci:
quando la
sera andava a letto, la mattina che si guardava allo specchio e
soprattutto
quando zia Alberta parlava di Susan. In quei momenti, Lucy si scopriva
invidiosa e neanche si rendeva conto che fosse quello il sentimento che
la tormentava.
Continuava a pensare a quello che Susan aveva detto: non erano neanche
arrivati
in America e Susan aveva già qualcuno che si interessava a
lei. Dopotutto Susan
era bella, affascinante, dolce. E
lei?
Lucy si guardava allo specchio e vedeva tutti i difetti inimmaginabili.
Una
mattina si vedeva il naso troppo grosso, il giorno dopo il colore degli
occhi
troppo cupo. Un’altra volta ancora, guardava tristemente le
lentiggine che le
punteggiavano le guance o i capelli di un colore che trovava scialbo.
Non si
piaceva e ogni volta sognava come sarebbe stato essere come Susan.
Sentirsi
ammirata come lei…
Era
così
concentrata in questi pensieri, che Lucy non si accorse che erano quasi
arrivati. Quando Edmund si fermò vicino ad un palo, per un
pelo la ragazzina
non scivolò rovinosamente a terra. Mentre scendeva dalla
bicicletta e cercava
di riprendersi, Lucy si accorse di un ragazzo in divisa sotto il
portico
dell’edificio poco lontano. Guardava nella loro direzione.
Lucy sorrise e per
un attimo si illuse che sorridesse verso di lei. Subito dopo,
però i suoi sogni
svanirono. Proprio da dietro di loro arrivò una ragazza che
raggiunse il
ragazzo sorridendo. Subito i due si misero a parlare e Lucy, nonostante
si
trovasse stupida, non riuscì a reprimere
un’espressione delusa. Solo in quel
momento si accorse di Edmund che la chiamava.
“Lu,
ma stai
ancora dormendo?”
La ragazzina
si
voltò di scatto verso di lui, sperando che Edmund non si
fosse accorto di
nulla.
“Che
c’è Ed?”
Edmund
sospirò
e accennò dietro alle proprie spalle, dove oltre la strada
c’era tutta la fila
di negozi.
“Ti
dicevo che
mentre finisco di sistemare la bicicletta, puoi intanto entrare
così magari
facciamo un po’ meno fila…”
Edmund
sperò
che Lucy non si insospettisse: non glielo aveva mai chiesto le altre
volte. La
ragazzina, però, annuì senza troppa convinzione e
si avviò.
“Va
bene. Cerca
di fare presto, Ed.”
Il ragazzo
annuì rendendosi conto dell’aria avvilita della
sorella. Mentre lei
attraversava la strada, Edmund guardò nella direzione dove
prima guardava Lucy
e vide solo un ragazzo e una ragazza. Che cosa poteva aver visto Lucy
da
renderla così demoralizzata? Dopo, magari, glielo avrebbe
chiesto. Ora aveva
altro a cui pensare. Edmund finse di armeggiare con la bicicletta
finché non
vide Lucy scomparire dentro il primo negozio. A quel punto,
tirò fuori dalla
tasca il documento di zia Alberta e si diresse quasi di corsa
all’entrata
dell’edificio di fronte a lui. All’entrata
troneggiava un enorme poster che
propagandava l’arruolamento volontario. Edmund si
fermò un attimo e lo fisso.
Per qualche secondo, ebbe l’impressione di star per fare una
sciocchezza. Stava
per cambiare idea, ma alla fine scosse la testa guardando determinato
verso
l’entrata: avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva. Senza
altri indugi, Edmund
entrò nell’edificio.
Nel frattempo,
Lucy era in attesa in fila. Non vedendo arrivare il fratello,
cercò di
sporgersi in modo da vedere attraverso la porta dove fosse finito. Con
sorpresa
si rese conto che non era più là della
bicicletta. Subito dopo lo scorse
entrare nell’edificio di fronte. Lucy aggrottò le
sopracciglia stupita: che
cosa stava facendo Edmund? Subito, il suo sguardo tornò alla
fila in cui si
trovava. Per fortuna non c’era tanta gente: era proprio
curiosa di vedere che cosa
stesse combinando.
Quando Edmund
entrò, teneva le dita incrociate sperando che non ci fosse
una fila troppo
lunga: Lucy si sarebbe accorta del suo ritardo. Fortunatamente,
c’erano solo
una decina di persone davanti a lui. Edmund tirò un sospiro
di sollievo e si
mise dietro all’ultimo che gli lanciò
un’occhiata che era un misto tra lo
scettico e il divertito. Edmund non ci fece caso:
l’importante era convincere
l’inserviente che prendeva i nomi. Bastavano sangue freddo e
faccia tosta: che
c’era di difficile? Era sufficiente comportarsi come si
comportava a Narnia: da
Re.
Mentre Edmund
si avvicinava al banchetto dove si davano i nominativi per
l’arruolamento,
altri ragazzi e uomini si mettevano in fila dietro di lui. A qualcuno
scappò
anche una mezza risata scorgendolo, ma Edmund gli ignorò
perché finalmente era
arrivato il suo turno. L’uomo davanti a lui si
allontanò e Edmund fece un passo
avanti porgendo con sicurezza il documento al militare seduto davanti a
lui.
L’uomo lo prese, ma non lo aprì guardando scettico
Edmund.
“Sicuro
di
avere diciotto anni?”
Edmund si era
aspettato quella domanda e si era preparato per rispondere con la sua
solita
faccia tosta.
“Perché…
le
sembrò più grande?”
Il militare lo
scrutò ancora per un attimo e alla fine aprì
svogliatamente il documento.
Sembrava stesse ripetendo le stesse azioni ripetute decine di volte.
Quando
lesse il nome, l’uomo guardò ancora più
scettico Edmund. Il suo tono era quasi
di rimprovero.
“Alberta
Scrubb?”
Delle risatine
soffocate si alzarono alle spalle di Edmund, che si era preparato anche
a
quella domanda. Se tutto fosse andando come aveva previsto, sarebbe
riuscito a
convincerlo.
“È
un errore di
ortografia, dovrebbe essere Albert Scrubb.”
Nello stesso
momento, Lucy si fermò sulla porta dell’edificio
tenendo in mano due borse
della spesa. Quando vide il fratello, non poté che scuotere
la testa
rassegnata. Non voleva neanche sapere come gli fosse venuta
un’idea simile.
“Edmund,
dovresti aiutarmi a portare la spesa, non credi?”
Sentendo la
voce di Lucy, Edmund si voltò di scatto. I ragazzi in fila
dietro di lui
scoppiarono a ridere, mentre il militare tornava a Edmund il documento.
Il
ragazzo si allontanò arrabbiato e uno dei tizi in fila gli
diede ridendo uno
scappellotto in testa.
“Sarà
per la prossima
volta… eh, pulce?”
Edmund
represse
a fatica l’istinto di voltarsi e prenderlo a pugni. Stava
andando tutto così
bene: Lucy era arrivata proprio nel momento più inopportuno.
Il ragazzo tirò
dritto uscendo dalla edificio in cui ormai gli sembrava di soffocare:
aveva
fatto la figura dello stupido. Lucy cercò di attirare la sua
attenzione senza
riuscirci.
“Edmund,
ma
come ti è venuto in mente? Me lo dici?”
Edmund la
ignorò, continuando a ribollire di rabbia. Quello che
più lo imbestialiva erano
state le parole del ragazzo. Arrivato alla bicicletta, Edmund
sbuffò.
“Pulce…
avrà
avuto solo due anni più di me! Io sono un Re: ho combattuto
delle guerre e ho
guidato degli eserciti!”
Lucy lo
guardò
comprensiva, porgendogli le porse della spesa che Edmund
cominciò a sistemare
sulla bicicletta.
“Non
in questo
mondo, Ed.”
Edmund
sbuffò
di nuovo, sistemando con scatti rabbiosi le buste.
“Già,
a Narnia
sono un Re… e invece qui sono bloccato a bisticciare con
Eustace Clarence
Scrubb! Dimmi se si può avere un nome simile!”
Lucy scosse la
testa, abituata agli sfoghi del fratello. In quel momento, la sua
attenzione
venne di nuovo attratta dal soldato e dalla ragazza di prima. Stavano
ancora parlando
sorridenti. La ragazza era posata ad una delle colonne del porticato e
si stava
sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchia. Lucy la
fissò quasi
ipnotizzata cercando di imitarla. Con la mano si sistemò una
ciocca di capelli
ritrovandosi a pensare che forse zia Alberta aveva ragione: lei non
aveva
proprio idea di come si comportasse una signorina. Cosa bisognasse fare
per
essere belle e attirare l’attenzione dei ragazzi. Forse
avrebbe dovuto
veramente seguire i suoi consigli. Tanto, brutta lo era: peggio non
sarebbe
potuto andare, no?
Di nuovo la
voce di Edmund la riscosse dai suoi pensieri. Il ragazzo la guardava
interrogativo, lanciando occhiate perplesse verso i ragazzi che Lucy
osservava.
“Che
stai
facendo?”
Lucy si
imbarazzò e si voltò di scatto verso la strada
iniziando a camminare.
“Niente.
Andiamo, dai.”
Edmund scosse
le spalle e seguì Lucy. Per lunghi minuti nessuno dei due
disse nulla. Quando
arrivarono vicino alla casa, Edmund sbuffò.
“Lucy,
ma
potevi arrivare un attimo dopo?”
Lucy lo
guardò
indignata e anche leggermente spaventata, dimenticandosi almeno per il
momento
dei suoi dubbi, e lo colpì con un debole pugno sul braccio.
“Ed!
ma che
dici? Volevi davvero arruolarti?”
Edmund non
rispose subito e sembrò rifletterci, mentre toglieva le
borse della spesa e ne
passava una a Lucy. Alla fine sospirò e scosse la testa.
“No.
E ora, a
pensarci, non penso di aver mai avuto un’idea più
stupida di questa!”
Lucy sorrise e
i due si avviarono verso la porta di casa. Subito si accorsero della
presenza
di Jill davanti alla porta. I due si affrettarono a raggiungerla.
“Jill!”
La ragazzina
si
voltò e un sorriso inarcò le sue labbra.
“Lucy! Edmund!”
Edmund e Lucy
si fermarono accanto a lei e Edmund prese le chiavi per aprire la
porta. Nel
farlo si voltò sorridendo sarcastico.
“Anche
oggi a
lezione dal caro cugino?”
Jill in tutta
risposta sbuffò, mentre Lucy sorrise divertita accarezzando
con la punta delle
dita il furetto Billy che Jill teneva sempre nella sua borsetta.
“Non
capisco
come a mia madre sia venuta un’idea simile!”
Edmund la
guardò con un’espressione comprensiva.
“Lo dici a noi! Ti sembra un’idea
migliore lasciare noi due qui, mentre i nostri fratelli maggiori sono
in
America?”
Jill
scoppiò a
ridere e scosse la testa. Lucy entrò in casa seguita da
Edmund e Jill.
“Non
continuiamo a pensarci… almeno ci siamo incontrati. Era
peggio se non fosse
successo.”
Edmund finse
di
inorridire a quel pensiero e Jill rise: era felice di aver fatto
amicizia con
Edmund e Lucy Pevensie. Rendevano più sopportare la
frequentazione di casa
Scrubb.
Lucy si sporse
verso il salotto.
“Ciao,
zio
Harold. È arrivata Jill.”
Non ricevendo
risposta, Lucy si diresse in cucina seguita da Jill. Edmund invece si
fermò in
salotto e guardò sconsolato lo zio che per
l’ennesima volta stava leggendo il
giornale. Che cosa ci trovava di cos’ interessante poi? La
voce di Lucy,
proveniente dalla cucina, ruppe di nuovo il silenzio.
“Ho
cercato le
carote, ma c’erano di nuovo solo le rape. Vuoi che cominci a
fare la zuppa?
Così sarà pronta quando la zia torna. Zio
Harold?”
Nessuna
risposta. Edmund scosse la testa rassegnato. Secondo lui zio Harold si
addormentava ogni giorno su quella poltrona. Ecco perché era
sempre con il
giornale in mano. Si sedeva, cominciava a leggere le prime righe del
primo
articolo e… puff, la testa cadeva e tanti saluti
all’articolo. A quella scena
Edmund non poté che mettersi a ridere.
In quel
momento
arrivarono Lucy e Jill dalla cucina. La prima guardò il
fratello in modo
interrogativo.
“Che
hai da
ridere?”
Edmund
cercò di
farglielo a capire a gesti, ma il fatto che zio Harold non avesse
neanche
emesso uno dei grugniti che usava come saluto lo fece scoppiare di
nuovo a
ridere. Lucy e Jill si guardarono sorridendo divertite anche se non ne
capivano
il perché. In quel momento, dalle scale scese Eustace. Non
appena vide i due
cugini e la vicina, fece dietro front. Edmund lo vide e scosse la testa.
“Eustace,
per
fortuna che in questa casa ci sei tu. Come faremmo senza una persona
matura
come te?”
Lucy e Jill
ridacchiarono. Eustace, invece, si fermò sulla porta del
salotto guardando in
cagnesco Edmund.
“Smettila
di
prendermi in giro, cugino. Proprio perché sono maturo non mi
mischio con voi!
Prova a chiederlo a mio padre!”
Edmund
ridacchiò e si voltò per guardare lo zio. Proprio
in quel momento un sonoro
russare provenne da dietro il giornale. L’ilarità
generale si scateno tra i due
Pevensie e Jill. Eustace gli guardava indignato, ma in fondo anche lui
fatica a
trattenere le risate. Edmund si asciugò una lacrima causata
dal tanto ridere.
“Magari
glielo
chiedo dopo…”
Eustace si
voltò arrabbiato verso il padre mettendosi a gridare.
“Papà,
Edmund,
Lucy e Jill stanno ridendo di te!”
Capirono
subito
che Eustace voleva svegliare il padre. Edmund, se prima
all’arruolamento si era
trattenuto, era più che mai convinto di non farsi mettere i
piedi in testa da
Eustace.
“Piccola
serpe!”
Il ragazzo
cercò di raggiungere il cugino. Eustace, rendendosi conto
della mala parata,
iniziò a correre su per le scale cercando di attirare
ancora, inutilmente,
l’attenzione del padre.
“Papà,
vuole
picchiarmi!”
Solo a quel
punto Harold Scrubb si riscosse. L’uomo abbassò il
giornale e si guardò attorno
senza capire. Lucy e Jill cercarono di trattenere le risate. Lucy fu la
prima a
parlare seguita a ruota da Jill.
“Ciao,
zio
Harold. Siamo appena tornati dalla spesa. C’erano solo le
rape. Fra un po’
metto su la zuppa.”
“Buongiorno,
signor Scrubb.”
L’uomo
le
guardò quasi non le riconoscesse. Alla fine annuì
e rialzò il giornale. Sentendo
dei rumori provenire dal piano di sopra, abbassò leggermente
la pagina di
giornale.
“Cercate
di non
fare troppo rumore: sto leggendo il giornale.”
Lucy e Jill
annuirono e fecero appena in tempo ad uscire dalla stanza prima di
scoppiare a
ridere come matte. Dopo qualche minuto, le due si calmarono e
iniziarono a
salire.
“Lucy,
posso
venire in camera tua? Tanto dubito che Eustace si è dato
alla macchia.”
Lucy sorrise e
annuì. “Certo, così puoi fare uscire un
po’ anche Billy.”
Jill
annuì.
Dopo qualche istante, le due arrivarono davanti alla porta della camera
di Lucy
ed entrarono. Quando Lucy si sedette sul letto, Jill si
guardò attorno e vide
la lettera di Susan posata sulla scrivania.
“Avete
ricevuto
qualche altra lettera dall’America?”
Lucy scosse la
testa. “È un po’ presto. Abbiamo spedito
la risposta un paio di giorni fa.”
Jill si
sedette
ai piedi del letto. “Ti mancano?”
Lucy
annuì.
“Tantissimo. Non vedo l’ora di
raggiungerli.”
Il loro
discorso venne troncato dall’arrivo di Edmund, la cui
espressione era
particolarmente soddisfatta. Il ragazzo prese una sedia e si sedette
vicino a
loro.
“Facciamo
una
partita a carte?”
Le due ragazze
annuirono. Lucy prese il mazzo iniziando a mescolare, mentre Jill fece
uscire
Billy che iniziò a girovagare per la stanza.
Il furetto
zampettò e corse per tutta la stanza annusando qua e
là ed esplorando ogni
angolo. Ad un certo punto arrivò davanti al quadro.
L’animaletto si alzò sulle
due zampe annusando curioso il dipinto. I suoi occhietti brillavano
vivaci e
mosse la testa a destra a sinistra quasi stesse studiando
ciò che vi era
raffigurato. Alla fine, saltò giù dalla mensola
sotto al quadro e raggiunse il
letto dove si accoccolò vicino a Jill. La ragazzina sorrise
e lo accarezzò.
“Finito
di girovagare?”
Il furetto
mosse la testolina contro la sua mano. Poi, Jill tornò a
voltarsi verso gli
altri riprendendo a prestare attenzione al gioco.
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Susan, Peter e
Jill scesero dall’automobile. I primi due si guardarono
attorno, osservando le
strade e gli edifici di New York. Ann, invece, tornò a
voltarsi verso la
macchina da cui la madre stava facendo le ultime raccomandazioni.
“Ci
rivediamo
qui tra qualche ora. Quando avete trovato i vestiti, ricordati di
metterli sul
mio conto, così uno dei prossimi giorni passo a pagare. Te
lo ricorderai, Ann?”
La ragazza
annuì, nonostante trovasse un po’ esagerate tutte
le raccomandazioni della
madre. La donna, a quel punto, sembrò soddisfatta e riprese
in mano il volante.
“Mi
raccomando
divertitevi.”
Ann sorrise.
Susan e Peter salutarono la madre e l’automobile
ripartì, lasciandoli sul
marciapiede. A quel punto, Ann si voltò verso i due Pevensie
sorridendo.
“Venite.
So il
posto perfetto per trovare i vestiti per il tè. Io e mamma
ci veniamo un sacco
di volte e lei dice che se non trovi qualcosa lì, non lo
trovi da nessun altra
parte.”
Susan sorrise.
“Allora andiamo.”
I tre ragazzi
si avviarono e, dopo qualche minuto tra il via vai di persone della
strada,
arrivarono davanti alle porte di vetro di un negozio. Ann
entrò senza
esitazione Susan e Peter la seguirono. La ragazza fece un cenno di
saluto ad
una delle commesse e salì al primo piano. Non appena
finirono di salire gli
ultimi scalini, davanti a loro si stagliarono decine di file e mensole
di abiti
di tutti i tipi. Ann si voltò soddisfatta verso Susan e
Peter.
“Facciamo
prima
per Peter… credo sia più facile. Poi, pensiamo a
te Susan. Va bene?”
Susan e Peter
annuirono. La prima si voltò verso Ann.
“Tu
non prendi
niente?”
Ann
alzò le
spalle con noncuranza. “Teoricamente ho già
vestiti a casa che potrebbero
andare bene. Se trovò qualcosa di assolutamente perfetto,
però, potrei cambiare
idea.”
Le due ragazze
sorrisero e insieme a Peter si avviarono verso il reparto maschile.
Come avevano
previsto, dopo neanche mezz’ora Peter era stato perfettamente
vestito. Dopo
qualche tentativo, aveva optato per un completo grigio-azzurro, camicia
bianca
e cravatta. Peter, inizialmente, non era stato molto convinto ma poi,
per
l’insistenza di Susan e Ann, aveva approvato. In particolare,
Ann aveva
affermato che metteva perfettamente in risalto i suoi occhi. subito
dopo, però,
la ragazza aveva abbassato lo sguardo imbarazzata e aveva detto che sua
madre
diceva sempre così. Fortunatamente per lei, il discorso
venne spostato al
vestiario delle due ragazze e i tre emigrarono nel reparto femminile.
Susan e Ann
camminavano tra le file di vestiti guardando da un lato e
dall’altro, mentre
Peter le seguiva qualche passo indietro. Sembrava proprio un pesce fuor
d’acqua
e si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito non dover dare
nessun
commento.
Susan guardava
i vestiti e, uno dopo l’altro, l’espressione del
suo volto si incupiva: le
sembravano tutti troppo eleganti. Quasi esagerati. Non andava certo al
tè per
far colpo su qualche ragazzo e tanto meno su William. Le sarebbe
bastato un
abito più semplice… la voce di Ann
attirò l’attenzione di Susan.
“Sue,
hai
qualche preferenza? Che ne so colori accessi, tenui? Caldi o
freddi?”
Susan sorrise
vedendo l’espressione esitante di Ann: dopotutto era
lì per aiutarla e lei non
si stava collaborando per nulla. Con la mano mosse altre abiti che
scartò
subito, quasi non li vide.
“No
saprei… non
vorrei qualcosa di esagerato. Come colore…”
Ann si
illuminò
rimettendosi a cercare. “Azzurro o blu sicuramente.
Così anche i tuoi occhi
verranno messi in risalto.”
Susan sorrise
e
si rimise a cercare. Dopo buoni venti minuti, i tre si stavano
dirigendo i
camerini. Susan teneva in braccio due vestiti, uno azzurro e uno blu ma
nessuno
dei due la convinceva particolarmente. Più che altro si era
fatta persuadere da
Ann che da qualcosa dovevano pur iniziare. Arrivati ai camerini, Susan
sparì in
uno di essi e Peter e Ann rimasero fuori. Dopo qualche attimo di
imbarazzante
silenzio, Ann iniziò ad allontanarsi.
“Io
guardò se
trovo ancora qualcosa…”
Peter
annuì
senza troppa convinzione: si stava già annoiando.
Passò qualche minuto e Susan
uscì sbuffando.
“Uno
mi è
stretto e l’altro è troppo esagerato.”
Ann, appena
tornata a mani vuote, sembrò un po’ dispiaciuta ma
subito dopo sorrise.
“Fa
niente.
Prima prova fallita: vedrai che troveremo qualcosa.”
Susan
annuì e
cominciò a riguardarsi attorno. Ann la seguì.
Peter, invece, si posò alla
parete vicino ai camerini tenendo il proprio completo tra le braccia:
non
vedeva l’ora che finisse. Susan si stava trovando
insopportabile. Non era di
nessun aiuto e scartava ogni vestito a priori. Alla fine, ammise con se
stessa
che il motivo era che non voleva andarci. Non aveva trovato ancora un
modo per
spiegare la situazione a William e per questo era in ansia. Poi un
vestito attirò
il suo sguardo. La ragazza si avvicinò, lo prese e lo
guardò. Era un semplice
vestito azzurro con un disegno floreale di margherite. La vita era
leggermente
stretta da un nastro nero a fiocco per creare uno sbuffo nella parte
superiore.
Anche le maniche erano a sbuffo e solo una fila di bottoncini
impreziosiva la
parte davanti. Susan sorrise come folgorata. Era perfetto. Stava per
andarsene
quando i suoi occhi caddero su un altro vestito. Susan lo
guardò per un attimo
e poi lo prese dirigendosi verso i camerini. Arrivata lì
incrociò lo sguardo di
Ann che si illuminò.
“Hai
trovato
qualcosa?”
Susan
annuì e
le porse il secondo vestito. “Tu prova questo. Qualcosa mi
dice che è perfetto
per te.”
Ann
titubò un
attimo, ma alla fine Susan la convinse. Le due entrarono in due
camerini
affiancati e Peter cominciò a camminare avanti e indietro
sperando che quella
fosse la volta buona. Dopo qualche minuto Ann aprì la porta
e si sporse fuori
con la testa.
“Sue…
io sarei
pronta.”
La voce di
Susan la raggiunse da dentro il camerino. “Io no. Un
attimo… intanto fatti dire
da Peter che ne pensa: dopotutto sarà il tuo accompagnatore!
Che ne pensi,
Peter?”
Ann
aprì la
bocca per dire qualcosa, ma alla fine non disse nulla. Nel frattempo le
sue
guance si erano leggermente arrossate per l’imbarazzo. Anche
Peter sembrava
leggermente a disagio per quella richiesta, ma alla fine sospiro.
“Va
bene…”
Ann
arrossì
ancora di più sentendo quelle parole. Per qualche istante,
rimase dov’era. Poi
aprì lentamente la porta e uscì guardando in giro
e cercando in tutti i modi di
non incrociare lo sguardo di Peter.
“Che…
che ne
pensi?”
Peter la
guardò
e per un attimo rimase senza parole. L’abito era color
rosa-lilla e in vita
c’era una fascia bianca che si chiudeva con un fiocco
leggermente laterale. Un
sottile disegno di fiori di un color più scuro decoravano la
gonna e le
maniche. Dopo un attimo, incrociò lo sguardo di Ann e
sorrise balbettando
qualcosa. Un solo pensiero gli roteava nella mente: ma chi glielo aveva
fatto
fare…
“Stai
bene… sì…
bene, sì…”
Proprio a quel
punto, Susan uscì e guardò perplessa la scena dei
due.
“Allora?”
Quando vide
Ann, Susan sorrise entusiasta. “Ann stia benissimo. Sei
bellissima. Lo dicevo
che questo vestito è perfetto. Vero, Peter?”
Peter
annuì
guardando di lato. “Sì, sì.”
Ann sorrise e
si voltò verso Susan guardandola eccitata.
“Susan… sei meravigliosa. Quel
vestito sembra fatto per te. Ti piace, vero?”
Susan
annuì
facendo un giro su se stessa. “Sì. Mi
piace.”
Ann
annuì
soddisfatta. “Penso che abbiamo finito allora. Cambiamoci e
andiamo a mettere
in conto a mia madre i vestiti. Poi andiamo a fare un giro a Central
Park.”
Susan e Peter
annuirono. Poi le ragazze ritornarono nei camerini: sia loro che Peter
non
vedevano l’ora di uscire di nuovo all’aria aperta.
Il tempo passato nel negozio
era stato fin sufficiente e tanto ormai avevano quello volevano: ora
erano
pronti per andare al tè del console.
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Era un giorno
come tanti a Portostretto, la città più grande e
importante delle Isole
Solitarie. Le case che la costituivano occupavano quasi completamente
uno dei
pendii di Doorn, l’isola più grande, dalle cime
delle colline che la
circondavano come una corona alle rive del mare, su cui dondolavano
imbarcazioni di tutti i tipi e di diverse provenienze. Portostretto era
infatti
uno snodo fondamentale per i commerci ed era su questo che si basava
principalmente la sua economia. L’altra attività
più praticata era la pesca. Tutte
le sere, appena calava il tramonto, decine di pescherecci grandi e
piccoli prendevano
il largo. Mogli, madri, sorelle e figlie rimanevano sulla riva
finché le luci
delle torce sparivano nell’oscurità della notte. A
quel punto, tornavano
indietro ad attendere il ritorno dei loro congiunti la mattina
successiva.
E questo
avveniva ancora, nonostante quello che da anni succedeva con il
beneplacito del
governatore Gumpas. Tutti a Portostretto lo avrebbero voluto cacciare,
o meglio
tutti coloro che non avevano un qualche interesse che lui rimanesse. E
dato che
la maggior parte di queste persone erano influenti, Gumpas era ancora
al suo
posto. Grazie al loro appoggio e all’esiguo reparto di
soldati, Gumpas riusciva
a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non era solo per questo che
Gumpas
governava incontrastato. Sarebbe stato troppo inetto e incapace per
farlo. Era
per questo che, appena aveva potuto, il governatore si era alleato con
i
pirati.
Le Isole
Solitarie avevano conosciuto da sempre la pirateria. Da che mondo
è mondo, dove
c’erano marinai c’erano anche pirati. Ma un tempo
essi venivano, si
rifornivano, facevano i loro affari e ripartivano verso le coste per
attaccare
le navi di Archen o di altre terre. Da anni, invece, i pirati avevano
preso il
potere e avevano insediato nell’arcipelago il loro mercato di
schiavi. Tutto
era successo durante un tentativo di rivolta. Non appena Gumpas, da
poco
insediato, aveva annusato qualche rischio per il suo governo, aveva
deciso di
scendere a patti con i pirati, convinto di ottenere solo vantaggi. Ma,
alla
fine, il capo dei pirati aveva iniziato a ricattare Gumpas per avere
sempre più
libertà di azione e il governatore, pur di rimanere al
potere, aveva ceduto.
Tutti alla
fine
avevano dovuto accettarlo. Dopotutto, non c’era nessuno che
li avrebbe potuti
liberare: non i mercanti di Calormen o quelli di Archen, non i
viaggiatori che
arrivavano e poi salpavano senza interessarsi a quello che succedeva
sulle tre
isole. E così Doorn, Arva e Felimath venivano lasciate a se
stesse. E così
erano cominciati i racconti di un tempo ormai dimenticato da tutti,
conservato
solo nella memoria dei più anziani che a loro volta lo
avevano ascoltato dai
loro nonni. Un nome aveva cominciato a serpeggiare sottovoce: Narnia.
Perché un
tempo le Isole Solitarie erano parte di Narnia e i suoi Re ne erano
stati gli
Imperatori. Ma quel tempo era trascorso da secoli, cancellato dai Re di
Telmar.
Ma era ancora impresso nelle memorie e veniva ora di nuovo tramandato.
I
bambini pendevano dalle labbra a sentire i racconti
sull’Epoca d’Oro e sui suoi
Sovrani: Re Peter il Magnifico, Regina Susan la Dolce, Re Edmund il
Giusto e
Regina Lucy la Valorosa. E con i loro nomi, era diventata
più forte anche la
speranza in Aslan. Ogni volta che il nome del Grande Leone veniva
pronunciato,
gli abitanti delle Isole Solitarie tornavano a sperare che un giorno
sarebbero
stati liberati.
Ma nel
frattempo proseguiva la vita di tutti i giorni: i mercanti arrivavano e
venivano, i pescatori uscivano in mare la notte per fare ritorno la
mattina. E
tra di loro c’era anche il marito di Helaine. La donna era
nata e cresciuta
sulle Isole Solitarie, non aveva conosciuto nessun altra terra. Ma,
nonostante
questo, ogni sera raccontava alla figlia i racconti che i suoi nonni le
avevano
raccontato quando era bambina. Helaine sospirò e, mentre
asciugava le ciotole
messe ad scolare la sera prima, si avvicinò
all’uscio della porta guardando
tristemente verso il mare. Oltre il porto e la baia di Doorn si
vedevano anche
Arva e Felimath. Era quella l’isola su cui si erano insediati
i pirati. Ed era
da lì che conducevano gli schiavi catturati a Doorn, per poi
venderli al
mercato. Sarebbe mai finita un giorno?
Gli occhi di
Helaine tornarono a guardare verso il mare. Un mare che un tempo era
amico
degli abitanti delle Isole Solitarie e che, invece, sembrava volerli
minacciare
anche lui. Non erano le tempeste o le mareggiate, no. Era qualcosa di
più
inquietante e che nessuno riusciva a spiegare. Una nebbia verde che
appariva
ogni giorno di più all’orizzonte e, ultimamente,
era arrivata quasi a lambire
le spiagge delle tre Isole. Qualcuno diceva che fosse un fenomeno
normale,
altri che fosse la punizione per aver permesso la vendita di schiavi
sull’isola. In realtà nessuno sapeva la
verità, ma era anche vero che si era
intensificata negli ultimi anni, contemporaneamente al rafforzamento
della
presenza dei pirati. Ma la verità era che da anni quella
nebbia avevano
cominciato a far parte dei racconti dei marinai. E nessuno sapeva
neppure che
cosa succedesse se si entrasse in contatto con la nebbia…
qualcuno raccontava
che alcune barche di pescatori erano scomparse. Affondate no,
perché ogni volta
c’era bel tempo. Ma anche questo non si sapeva se era vero.
C’era anche
qualcuno che, sottovoce tra i vicoli, diceva che era una emanazione del
male e
chi veniva raggiunto dalla nebbia fosse costretto ad affrontare le sue
paure
più grandi che gli portavano via, lentamente, la loro forza
vitale.
Helaine non
sapeva a cosa pensare. L’unica certezza era che, da quando
riusciva a
ricordarsi qualcosa, la nebbia era sempre apparsa
all’orizzonte. Ricordava
ancora la partenza dei Lord venuti, così dicevano, da Narnia
e che avevano
promesso di liberarli dalla nebbia. Ma anche loro erano scomparsi e non
si era
saputo più niente. Mai erano tornati.
Helaine
voltò
le spalle al mare e rientrò nella casa, posando una ciotola
e prendendone
un’altra. Aveva ancora un po’ di tempo prima che
tornassero. La donna sorrise,
mentre passava il panno lungo il bordo della ciotola. Gael sarebbe
stata
affamata e probabilmente sarebbe arrivata crollando dal sonno. Quella
bambina
era veramente incredibile: quando voleva qualcosa, era pronta a fare
qualsiasi
cosa per averla. La sera prima aveva cercato di convincerla in tutti i
modi, ma
era stato inutile. Ma forse, era stato meglio così: non
aveva mai visto Gael felice
come quel giorno…
Helaine si era
alzata e aveva cominciato a sparecchiare. Nella stanza accanto, Rhynce
stava
prendendo le ultime cose che gli sarebbero potute servire mentre era
sul
peschereccio. Tutto sembrava uguale ad ogni altra sera. Ma
c’era qualcosa di
diverso. Gael, infatti, la loro unica figlia, aveva finito la cena il
più
velocemente possibile e stava portando quasi di corsa piatti, bicchieri
e
posati nella cucina. Helaine trovò quasi con sorpresa il
tavolo già sgombro. Ma
la donna non era ingenua: ogni volta che Gael faceva così,
era perché voleva
chiederle qualcosa. Infatti, la bambina le si era avvicinata e
giocherellava
con il bordo del vestito rosa. La donna sorrise dolcemente e si sedette
su una
sedia.
“C’è
qualcosa
che mi vuoi chiedere, Gael?”
La bambina la
guardò in silenzio per qualche
istante, poi le si avvicinò guardandola con occhi
supplicanti e si posò al
bordo del tavolo vicino alla madre.
“Posso
andare
con papà? Ti prego, ti prego!”
Helaine
sgranò
gli occhi dalla sorpresa a quella richiesta. Avrebbe voluto dirle di
no, perché
andare per mare non era sicuro per una bambina: tra nebbie e pirati,
non voleva
che Gael corresse alcun pericolo. Non appena, però,
aprì la bocca per
risponderle, Gael congiunse le mani per pregarla e la guardò
con gli occhi di
un cucciolo abbandonato. Helaine cercò di resistere, ma alla
fine cedette. La
donna scosse la testa sorridendo rassegnata.
“Va
bene, ma
solo se è d’accordo anche
papà!”
Il viso di
Gael
venne illuminato da un enorme sorriso. La bambina si sporse verso la
madre
stampandole un bacio sulla guancia.
“Grazie
mamma!”
Gael non
attese
risposta e corse nella stanza accanto dal padre. Helaine scosse ancora
una
volta la testa sorridendo e andò a lavare i piatti. Non
passarono neanche pochi
minuti che Gael era riapparsa nella stanza saltellando. Un sorriso
ancora più
luminoso inarcava le sue labbra.
“Vado
a pesca
con papà! Vado a pesca con papà!”
Helaine
sorrise. Come aveva previsto neanche Rhynce aveva resistito. La donna
posò
accanto a sé un piatto appena voltato prendendone un altro.
“Ricordati
di
portarti una coperta e anche qualcosa da mangiare! E cerca di dormire,
mi
raccomando Gael!”
Gael
annuì
volteggiando sorridente nella stanza. Era troppo felice. Vedendola,
Helaine
dimenticò per un attimo tutte le preoccupazioni: dopotutto,
Rhynce sarebbe
stato con lei e andavano solo qualche miglio in mare aperto. Non ci
sarebbe
stato niente di cui preoccuparsi.
Un rumore in
strada distolse Helaine da quei pensieri. Si sentivano rumori di passi
che si
avvicinavano al gruppo di case dove c’era anche la loro. La
donna sorrise:
erano tornati. Non vedendo l’ora di riabbracciare la figlia,
Helaine si asciugò
le mani sul grembiule e prese il bicchiere di Gael dopo averlo riempito
di
latte. In quel momento, i rumori di passi si fermarono davanti alla
loro porta.
Helaine si voltò sorridendo e si posò allo
stipite della porta della cucina.
Improvvisamente
la porta venne aperta con una violenza tale da farla sbattere contro la
parete.
Fuori di essa si vedevano un gruppo di uomini armati. Il sorriso
morì sulle
labbra di Helaine che lasciò cadere a terra il bicchiere, il
cui contenuto si
sparse sul pavimento.
Salve
a tutti! ^-^ Mi stavate dando per dispersa? Scusate!!!! So di meritare
il
vostro perdono per questo mostruoso ritardo, ma la speranza
è l’ultima a morire
XD… e poi sono stata brava e, per farmi perdonare, questo
capitolo è venuto
bello lungo: quasi 20 pagine word! *-* Sono soddisfatta, soprattutto
perché
c’erano alcuni punti che non mi convincevano ma alla fine mi
sono venuti come
volevo. Voi che ne dite? =) Abbiamo visto lo svolgimento del piano di
Edmund, Susan
ha raccontato il sogno a Peter, c’è stato il
fallimento dell’arruolamento di Ed
(per fortuna) e ho messo anche Jill e i dubbi di Lucy… poi
Eustace, come poteva
mancare? XD E ovviamente le compere del gruppetto in America, come
promesso. Ho
alternato molto i pezzi, spero che non vi abbia dato fastidio.
Stavolta,
purtroppo, il nostro Caspian non si è visto… ma
la prossima volta si va a
Narnia, quindi non è tanto grave vero? Finalmente dal
prossimo capitolo tornerà
ad essere centrale! ^-^ Per quanto riguarda l’ultima parte,
non ho proprio
resistito a metterla. Nel film si sapeva solo che Helaine è
stata rapita e
sacrificata… ma come è successo? Questa
è la mia versione. ^-^ La descrizione
iniziale delle Isole Solitarie non mi ha soddisfatto molto, ma mi
rifarò quando
ci arriveranno.
A
questo punto, passiamo ai ringraziamenti:
·
Per
le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world,
GossipGirl88, ImAdreamer99, Joy_10, katydragons, Shadowfax e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: english_dancer
·
Per
le recensioni del capitolo 3: Fly_My world, Joy_10 e Shadowfax
Per
quanto riguarda, invece, il prossimo capitolo come vi ho già
detto… finalmente
si va a Narnia! ^-^ per questo motivo, i protagonisti saranno
soprattutto Lucy,
Edmund, Jill e Eustace e Caspian ovviamente. XD Sue e Peter si vedranno
un po’
meno, ma cercherò di metterli almeno in un pezzettino.
Beh,
che altro dire? Solo grazie, grazie se avrete avuto la pazienza di
aspettare
questa ritardataria cronica. E ringrazio anche chi solo legge e
leggerà. Con
questo vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo che
arriverà… non so
quando, ma arriverà: spero solo di non farvi aspettare un
altro mese! T-T
Scusate!!!! Ok, adesso vi lascio: ancora grazie!
A
presto, HikariMoon
P.S. il
titolo fa schifo, lo so... ma non mi era venuto in mente niente di
meglio! >.<
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 - Di Nuovo A Narnia ***
Capitolo 6 - Di
Nuovo A Narnia
Rhynce sorrise
accarezzando il capo della figlia. La bambina, avvolta nella coperta,
dormiva serena,
con un mezzo sorriso che piegava le sue labbra. Aveva cercato di
resistere
tutta la notte, ma un paio d’ore prima dell’alba
era crollata. L’uomo, cercando
di non svegliarla, le scostò una ciocca di capelli scuri dal
viso. In quell’istante,
la voce di uno dei compagni di Rhynce lo riscosse. L’uomo
accarezzò ancora una
volta la figlia e poi si alzò raggiungendo l’amico.
“Rhynce,
fra
poco arriveremo in porto.”
L’uomo
annuì e
si voltò a guardare il profilo delle Isole Solitarie, una
sagoma scura contro
il cielo che iniziava ad essere illuminato dal sole. Ogni volta era
un’emozione
grandissima, nonostante quelle isole non fossero più un
luogo tranquillo da
molto molto tempo. Lo sguardo di Rhynce si rabbuiò e
l’uomo distolse lo
sguardo.
“Non
dovremo
avere problemi, meglio però stare attenti.”
L’uomo
accanto
a lui scoppiò a ridere. “Rhynce, non sei tu
l’unico ad aver navigato!”
Rhynce non
rispose e tornò alle sue mansioni. Le ultime miglia fino al
porto furono
percorse senza alcun problema. Erano tutti marinai esperti, sapevano
come
muoversi tra quelle spiagge. Quando attraccarono, mentre i compagni
ammainavano
le vele e cominciavano a scaricare le ceste di pesce, Rhynce
tornò dalla
figlia. Inginocchiatosi accanto a lei, la scosse piano.
“Gael,
svegliati. Siamo arrivati.”
Dopo qualche
istante, la bambina aprì gli occhi sbattendo le palpebre.
Lentamente si tirò su
stropicciandosi gli occhi con una mano e nel farlo
sbadigliò. Il padre sorrise.
“Ti
avevo detto
di andare a dormire.”
Gael scosse la
testa, cercando di non mostrare quanto stanca in realtà
fosse.
“No.
Io volevo
aiutarti, papà… e poi è stato
così bello!”
Rhynce e Gael
sorrisero. Poi la bambina si alzò stringendo la mano
dell’uomo. Fu in quel
momento, che, all’improvviso, la voce di una donna
superò quelle dei marinai
che chiacchieravano mentre scaricavano le ceste.
“Rhynce!
Rhynce!”
L’uomo,
sorpreso e preoccupato, si diresse veloce verso la passerella, seguito
da Gael.
Non appena misero piede sulla banchina, una giovane donna dai capelli
scuri li
raggiunse. Sembrava sconvolta e gli occhi erano leggermente arrossati.
“Rhynce,
grazie
ad Aslan sei arrivato!”
L’uomo
guardò allarmato
la donna, che altri non era che la sorella minore di sua moglie
Helaine, e le
posò una mano sulla spalle nel tentativo di calmarla. Gael
li guardava con gli
occhi sgranati, senza riuscire a capire che cosa stesse succedendo.
“Shalia,
che
cosa sta succedendo?”
“Rhynce…
Helaine!”
L’uomo,
al
sentir pronunciare il nome della moglie, strinse istintivamente con
più forza
la mano attorno al braccio della cognata. I suoi occhi tradivano la sua
preoccupazione.
“Helaine?
Che cosa
è successo? Shalia, che cosa è successo a
Helaine!”
Gael, sentendo
pronunciare il nome della madre, alternò lo sguardo
spaventato dal padre alla
zia.
“Papà,
zia… che
cosa è successo alla mamma?”
La donna,
quasi
in lacrime, si portò una mano al viso voltandosi verso la
cittadina.
“Io…
ero
lontano… stavo per andare da lei…
quando… quando sono arrivati loro…
l’hanno
presa… anche da altre case… l’hanno
portata via, Rhynce!”
Gael si
staccò
dal padre gridando dalla paura. “Mamma!”
Rhynce,
sconvolto, obbligò la cognata a guardarlo. “Chi,
Shalia? Dove l’hanno portata?”
Shalia, orami
in lacrime, indicò le case dietro alle quali si trovava la
piazza centrale e il
molo dove attraccavano sempre i pirati.
“I
pirati!”
Rhynce non
attese altro. Lasciata la presa dal braccio della donna,
iniziò a correre tra
gli altri marinai. Gael cercò di seguirlo, ma Shalia la
riuscì ad afferrare e
abbracciarla per impedire di correre via.
“Papà!”
La voce di
Rhynce provenne dalla folla di marinai che si guardava sorpresa e
preoccupata.
“Gael,
rimani
con tua zia! Hai capito? Rimani con lei!”
Shalia, scossa
dai singhiozzi, abbracciò con più forza la
bambina che cercava in tutti i modi
di divincolarsi.
“Devo
andare
dalla mamma! Zia, lasciami!”
La donna
scosse
la testa, continuando a singhiozzare. “No, Gael! Devi restare
qui, tesoro. Devi
restare qui…”
Ma Gael non
voleva sentire ragioni e alla fine riuscì a sgusciare dalle
braccia della
donna. La bambina iniziò a correre tra i marinai, sorda ai
gridi disperati
della zia che protese le braccia verso di lei.
“Gael,
no!”
Ma la bambina
continuò a correre, incurante delle ceste che colpiva e del
vestito che ogni tanto
si impigliava su qualche amo rimasto tra le reti. Se la sua mamma era
in
pericolo, lei doveva fare qualcosa.
Nel frattempo,
Rhynce aveva attraversato quasi tutta la cittadina e si trovava ormai
vicinissimo alla piazza. E già da lì, si rese
conto che stava succedendo
qualcosa. Grida e pianti si levavano nell’aria e decine di
persone assiepate si
guardavano a vicenda, sconvolte e spaventate. Rhynce si
infilò tra di loro,
facendosi spazio anche a gomiti e spintoni. Ma alla fine
arrivò al margine
della folla, tenuto d’occhio da una schiera di soldati
armati. E quando vide
ciò che stava succedendo, Rhynce sbiancò
disperato.
In mezzo alla
piazza, tenuti d’occhio dai pirati, c’erano una
quindicina di persone legate:
donne e anziani soprattutto. E tra di loro, Rhynce riconobbe la moglie.
Una morsa
gli strinse lo stomaco e istintivamente cercò di andare
verso di lei, ma uno
dei soldati lo spintonò di nuovo tra la folla. Fu in quel
momento che l’uomo
vide a poca distanza dei prigionieri Gumpas, il Governatore delle Isole
Solitarie,
e il capo dei pirati. Il primo si guardava attorno a disagio,
passandosi ogni
tanto la mano sulla fronte sudata, il secondo invece guardava lui e
tutti gli
abitanti con sguardo crudele e superbo. Come se fossero tutti oggetti
di sua
proprietà. Rhynce strinse le mani a pugno. Fu in quel
momento che si riuscì a
sentire il discorso dei due.
“Ma
siamo
sicuri che sia necessario?”
Il pirata si
voltò con un ghigno sarcastico verso il Governatore.
“Preferite
prendere voi il posto di uno dei prigionieri?”
Gumpas, a
quelle parole, arretrò di un passo scuotendo la testa
spaventato.
“No,
no… io
chiedevo soltanto. Fino a oggi…”
Il pirata gli
impedì di finire di parlare. “Fino a oggi
c’erano stati sufficientemente
schiavi scartati da poter essere usati. Questa volta non
c’è ne sono… e così
abbiamo dovuto rimediare altrove i sacrifici.”
Quella parola
risuonò nel silenzio irreale calato sulla piazza.
Espressioni sgomente e
terrorizzate si fecero largo sul volto di tutti. I primi a gridare e a
scoppiare in lacrime furono i prigionieri. Subito dopo, tutta la folla
iniziò a
gridare, cercando di superare i soldati. Ma erano armati e alla fine
furono
costretti a rimanere indietro. A quel punto, il capo dei pirati
sguainò la sua
spada. Tutti tacquero di nuovo, soltanto dei singhiozzi sommessi
rompevano il
silenzio.
“Molto
meglio. Non
vi conviene ribellarvi, è meglio per tutti. Dovreste
ringraziarmi. In questo
modo permetto a tutti di vivere al sicuro dalla nebbia
maledetta.”
Una voce si
alzò tra la folla. “Non puoi portarci via le
nostre mogli e i nostri parenti!”
Il pirata
lanciò uno sguardo gelido verso la folla.
“Silenzio!
Non credo
siate voi a tenere la lama dalla parte del manico! Il prossimo che osa
dire
qualcosa, lo faccio imprigionare!”
Rhynce
deglutì,
quasi pronto a spingersi avanti incurante della minaccia. Ma improvvisa
sbucò
dalla folla una bambina dai lunghi capelli scuri e con indosso un
vestito rosa.
Rhynce sgranò gli occhi vedendola e anche Helaine, tra i
prigionieri, gridò dal
terrore.
“Mamma!”
A pochi metri
dai prigionieri, Gael venne afferrate per i capelli e gettata indietro
sul
selciato. La bambina gridò e Helaine cercò di
raggiungerla, con il solo
risultato di venire fatta risedere di nuovo. Rhynce, a quel punto, si
fece
largo tra i soldati gettandosi a stringere tra le braccia la bambina.
subito,
alzò lo sguardo verso il capo dei pirati che lo guardava
furente.
“Vi
prego,
lasciate andare mia moglie. Prendete me al suo posto!”
A quelle
parole, Helaine gridò. “No, Rhynce! No!”
Il pirata si
avvicinò
lentamente, guardandolo divertito.
“E
così
vorresti prendere il posto di tua moglie?”
Rhynce
annuì
senza esitazione, mentre Gael si stringeva a lui gridandogli di non
farlo. Il
pirata lo fissò per un istante e poi scoppiò a
ridere crudele.
“Ringrazia
che
non spedisca nella nebbia anche tua figlia! Tu sei un pescatore, sei
utile. Vedrai
che riuscirai a sopravvivere!”
Rhynce
sconvolto cercò di rialzarsi. “No!”
Ma il soldato
che gli stava vicino lo ributtò a terra. A quel punto, il
capo dei pirati si
inginocchiò e lo tirò per il bavero della camicia.
“Vedi
di non
farmelo ripetere, altrimenti la nebbia sarà
l’ultimo dei tuoi problemi!”
Subito dopo,
lo
lasciò andare e Rhynce si accasciò a terra senza
forze, stretto a Gael che continuava
a piangere tendendo le braccia
verso la madre. Un istante e i pirati fecero alzare i prigionieri che
iniziarono a gridare e a supplicare di risparmiarli. Ma non servirono
suppliche
o preghiere, né le loro né quelle del resto della
folla.
Spinti dai
soldati, i prigionieri furono condotti fino al molo e costretti a
salire sulle
scialuppe che erano già state preparate. Rhynce, quando la
moglie scomparve tra
la folla, si alzò e cercò, disperato, di farsi
largo tra la folla. Raggiunsero
il molo e li la videro, mentre
veniva spinta su una delle scialuppe. Anche Helaine li vide e si
portò una mano
al volto coperto di lacrime.
“Gael,
rimani
con tua padre! Promettimelo, Gael!”
Poi la donna
fu
costretta a sedersi. Nessuno poté fare altro. Coloro che
erano nelle scialuppe
furono costretti a remare, mentre una delle navi dei pirati li seguiva
lentamente per controllare che non scappassero. Tutti alzarono gli
sguardi e
all’orizzonte, come ogni mattina, videro farsi avanti la
nebbia verde. Tutti zittirono,
rabbrividendo. Le donne piangevano, gli uomini si guardavano impotenti.
Dopo un
attimo di esitazione, Gael e Rhynce si allontanarono dalla folla,
lontano dal
molo, verso il piccolo promontorio di scogli. Arrivarono lì,
quando la nave dei
pirati si fermò e quando le piccole barchette proseguirono
sole verso il loro
destino.
Gael e Rhynce
rimasero immobili sugli scogli per tutto il tempo. L’uomo
teneva stretta tra le
braccia la bambina che guardava in lacrime le piccole scialuppe ormai
lontane,
ai margini della nebbia verde. Poi, fu un attimo: non appena le
barchette
vennero avvolte da essa, la nebbia si dissolse. E, di coloro che
stavano sulle
scialuppe, non ci fu più nessuna traccia. Solo
l’orizzonte scuro e il cielo
azzurro. Gael cercò di divincolarsi, gridando con tutto il
fiato che aveva in
gola.
“Mamma,
mamma!”
Lontano, da
molo, si levavano simili grida disperate. Rhynce, invece, teneva
stretta Gael,
impedendole di correre verso il mare e di tuffarsi per raggiungere la
madre. Non
riusciva a parlare, non riusciva a fare nulla. Ma le sue guance,
scurite e
scavate dal sole e dal vento del mare, furono rigate da lacrime amare.
Non aveva
potuto fare nulla e ora sua moglie era scomparsa. Gael si
voltò stringendosi a
lui e affondando il viso sul suo petto. L’esile corpo della
bambina era scosso
dai singhiozzi. Rhynce continuava a fissare l’orizzonte, dove
la moglie era
scomparsa. Non sapeva come, non sapeva a che costo, ma
l’avrebbe riportata a
casa. Anche a costo di raggiungerla a nuoto. Lo avrebbe fatto, ma ora
non
poteva far altro che soffrire in silenzio, sentendosi, su quegli
scogli, solo
quanto mai prima di allora. Solo, come erano soli gli abitanti delle
Isole Solitarie:
sarebbe mai arrivato qualcuno a porre fine a tutto quello?
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Un altro
giorno
di navigazione in pieno oceano attendeva il Veliero
dell’Alba, ignaro di tutto
quello che stava succedendo sulle Isole Solitarie. Ancora pochi giorni
separavano Caspian e il suo equipaggio dall’arcipelago. Sul
veliero, ogni cosa
avveniva come tutti i giorni precedenti. Il cielo era sereno, il vento
a favore
e la mano sicura di Lord Drinian facevano tutti sentire sicuri.
Caspian aveva
appena finito di allenarsi con la spada. Attività a cui
dedicava ogni mattina
un paio d’ore. Il giovane Re non era ancora sceso a cambiarsi
e indossava
ancora soltanto la camicia. Finito l’allenamento, aveva
raggiunto Drinian
discutendo con lui i dettagli dell’imminente
arrivò alle Isole Solitarie e
dell’ultimo tratto di rotta. Tratto che si prospettava privo
di sorprese o di
cambiamenti del tempo. Fu per quel motivo che, quando la voce di un
marinaio si
levò sopra il brusio del ponte, Caspian e Drinian alzarono
lo sguardo sorpresi.
“Uomo
in mare!”
A quelle
parole, Caspian scese di corsa le scalette che portavano al ponte
principale e
raggiunse il parapetto. Afferratosi ad una delle corde a cui erano
fissate le
vele, Caspian guardò nella direzione che indicava il
marinaio. Accanto a lui,
molti marinai si erano raggruppati attorno al parapetto fissando nella
stessa
direzione. Ben presto, tutti si resero conto di quattro teste che
sbucavano tra
le onde a pochi metri dalla prua. Caspian, vedendole, sentì
il proprio cuore
perdere un battito. Ma non doveva pensare a quello. Senza esitazione,
Caspian
salì sul parapetto voltandosi verso Drinian.
“Lord
Drinian,
fermate la nave e fate abbassare l’ancora!”
Il capitano
del
Veliero dell’Alba lo guardò sorpreso, rendendosi
conto di quello che voleva
fare. Accanto a Caspian, altri tre uomini si issarono sul parapetto. In
quel
momento, un’onda quasi sommerse due dei quattro naufraghi.
Caspian non attese
oltre e si tuffò, seguito dai suoi uomini. Non sapeva
neanche lui perché lo
stava facendo, avrebbe potuto benissimo lasciare il salvataggio ai suoi
marinai. Forse era il senso del dovere… o forse,
più probabilmente, la speranza
che covava in fondo al suo cuore.
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Susan era
seduta nella veranda di casa Evans. Tra le mani teneva il libro che
stava
leggendo. Accanto a lei anche Ann stava leggendo un libro. Entrambe le
ragazze
erano assorte nella lettura. Una leggera brezza proveniente dal mare
muoveva
loro i capelli e gli unici suoni che riempivano l’aria erano
i cinguettii degli
uccellini e il rumore della risacca. Improvvisamente, dei passi
affrettati,
distrassero le due ragazze. Un attimo e Peter uscì dalla
casa tenendo, sorridente,
una busta in mano. Susan, non appena la vide, si alzò in
piedi sorridendo emozionata
e raggiunse subito il fratello.
“È
di Lucy.”
Susan sorrise
e
presa la lettera andando a sedersi sul divanetto bianco. Peter la
seguì
sedendosi accanto a lei. Le mani di Susan quasi tremavano mentre apriva
la
lettera. Erano giorni che aspettavano quella risposta. Ann, a qualche
metro da
loro, li guardava sorridendo: sapeva che cosa voleva dire ricevere una
lettera
da parte dei fratelli. Anche lei, quando William era
all’accademia, aspettava
trepidante una sua lettera o una sua chiamata. Consapevole di non aver
diritto
di intromettersi, Ann si alzò sorridendo e entrò
in casa a bere qualcosa.
Susan
aprì la
lettera e sorrise vedendo la grafia semplice e chiara della sorella.
Quanto le
mancava. Preso un respiro, Susan iniziò a leggere…
Cara Susan,
caro Peter,
non sapete
quanto siamo stati felici di ricevere questa lettera. Per un
po’, ci ha fatto
dimenticare di essere a casa Scrubb invece che con voi in America.
Sarebbe proprio
bello che Narnia ci richiami… ci richiami a tutti e quattro.
Non sarebbe
fantastico riunirci a Narnia? Anche noi vogliamo continuare a credere
che sarà
così.
Qui da noi è tutto come al solito. Zia Alberta continua ad
affibbiarci
commissioni da fare perché dice che ci fanno diventare
“maturi” e zio Harold
riesce addirittura a salutarci, qualche volta: quando non legge il
giornale,
ovviamente. E per il resto… Edmund e Eustace litigano ogni
giorno. Qualche
volta cerco di calmarli, ma inutilmente. L’unica cosa bella
è che gli Scrubb
hanno nuovi vicini. E la loro figlia si chiama Jill: abbiamo fatto
amicizia. In
realtà, secondo le loro madri, a diventare amici sarebbero
dovuti essere Jill e
Eustace… un po’ improbabile, vero?
Susan si
interruppe e sorrise divertita, come anche Peter. Era felice che
avessero anche
loro trovato una nuova amica: si sarebbe sentita troppo in colpa a
saperli soli
con Eustace.
Speriamo che
presto potremo raggiungervi. Il posto dove state sembra bellissimo.
Anche qui,
però, c’è qualcosa che ci fa pensare a
Narnia. Nella mia stanza c’è appeso un
quadro che raffigura la distesa di un oceano. Quando lo guardi, sembra
proprio
che le onde si muovano. Ogni volta, immagino che siano le onde del Mare
Orientale. Almeno così siamo un po’ più
vicini.
Purtroppo, abbiamo sentito anche noi notizie brutte a proposito degli
attacchi
tedeschi… ma leggerlo nella tua lettera è stato
ancora peggio. Il solo pensiero
di dover stare qui magari mesi, ci deprime: non riusciremmo mai a
sopravvivere
con Eustace. Se voi non c’è lo augurate,
immaginatevi noi quanto siamo
contenti.
Dì a Peter che non si preoccupi… tanto lo so
anche io che tu non potresti
innamorare di quel William, per quanto carino possa essere.
Però sono felice
per te: avere qualcuno che apprezza la tua bellezza, deve essere bello.
Peter
aggrottò
le sopracciglia e guardò Susan interrogativo.
“Cosa intente con: lo so anche io
che non ti puoi innamorare di William? Susan?”
La ragazza
sorrise guardando la lettera. Peter, però, non aveva
intenzione di arrendersi.
“Non
mi dirai
che c’entra ancora Caspian! Non hai sofferto abbastanza? Lo
sai che se anche
torneremo a Narnia, saranno passati un sacco di anni.”
Susan non si
voltò verso di lui e la sua voce uscì in un
sussurro. “Non è detto… io lo
so…”
Subito dopo,
però, Susan riprese a leggere sorridendo divertita e
ignorando le proteste di
Peter.
Comunque, noi
cerchiamo di farci forza il più possibile. E pensiamo
praticamente ogni minuto
a Narnia: è l’unica cosa che rende più
sopportabile Cambridge (oltre che
passare, ogni tanto, del tempo insieme a Jill).
Come stanno mamma e papà? Dite loro che ci mancano molto e
dite a papà che
siamo contentissimi che lui abbia avuto quel lavoro: così
almeno non dovrà
essere richiamato nell’esercito.
Speriamo che questa lettera vi raggiunga… e che la prossima
volta che ci
scriverete, ci direte che possiamo venire anche noi in America. Ci
mancate da
morire: vi vogliamo bene, a tutti. Tanti saluti, anche da Edmund.
Un
abbraccio, Lucy
P.S. Susan,
sono contenta che tu non voglia più dimenticare Narnia. Dopo
il nostro primo
viaggio, avevo paura che tu ti allontanassi da noi. Sono felice che tu
creda
ancora a Narnia: questo non è strano, era strano quando non
ci credevi. Vi
abbraccio.
Susan sorrise
stringendo la lettera al petto. Le sembrava quasi che Lucy e Edmund
fossero lì
con loro. Era difficile immaginarli a chilometri di distanza, oltre
l’oceano. I
suoi occhi si inumidirono e Peter, accorgendosene, le passò
un braccio attorno
alle spalle. Susan si voltò verso di lui sorridendogli grata.
“Non
devi
essere triste, Susan.”
La ragazza
scosse la testa ricacciando indietro le lacrime che volevano uscire dai
suoi
occhi azzurri.
“No.
Non lo so.”
Peter sorrise.
“Così si fa, Sue. Lucy ha ragione… era
strano quando non credevi a Narnia.”
Susan
sospirò e
si posò con la testa sulla sua spalla. Era felice di aver
recuperato quel
rapporto di confidenza con Peter. Dopo il secondo viaggio a Narnia, il
loro
legame sembrava essersi allentato… entrambi si erano chiusi
in sé stessi nel
tentativo di sopportare la decisione di Aslan di non farli
più tornare. Ma poi
la speranza di tornare a Narnia li aveva riavvicinati, permettendo loro
di
recuperare il meraviglioso rapporto fratello e sorella che avevano da
quando
erano bambini.
“Lo
so. Sono
stata una stupida. Credevo che in quel modo avrei sofferto di
meno… invece non
ho fatto altro che soffrire di più.”
Peter la
allontanò leggermente da lui sorridendole.
“Non
pensarci…
l’importante è continuare a sperare che Narnia ci
richiami.”
Susan
annuì
sorridendo, stringendo con più forza la lettera di Lucy.
“Sì. Succederà, lo
so.”
Peter
annuì a
sua volta, sorridendo divertito. “Già,
però dobbiamo stare attenti… ti ricordi
cosa ci aveva detto il professo Digory?”
I due ragazzi
risero, ripetendo insieme la frase che il professore, qualche anno
prima, aveva
detto prima a Lucy e poi a tutti loro.
“È
probabile
che succeda quando meno te lo aspetti… quindi meglio tenere
gli occhi aperti!”
La loro risata
risuonò per tutta la veranda e fu udita anche da Helen
Pevensie che in quel
momento stava scendendo per chiedere loro una cosa. Quando li
sentì, la donna
non poté che sorridere dolcemente.
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Lucy era
accoccolata nel vano della finestra. Finite tutte le mansioni che zia
Alberta
le aveva affibbiato anche quel giorno, per farla diventare una
signorina diceva
lei, si era potuta prendere una meritata pausa. Per quel motivo, non
aveva
esitato a prendere il libro che aveva cominciato a leggere un paio di
sere
prima. Eppure, nonostante anche Edmund e Eustace sembrassero aver
deciso di
concedersi una tregua, Lucy non riusciva a concentrarsi. Iniziava a
leggere una
frase e, a metà di essa, distoglieva lo sguardo e i suoi
occhi azzurri
iniziavano a vagare distrattamente su ciò che vedeva al di
fuori.
Improvvisamente,
Lucy sbuffò e chiuse il libro posandolo sul comò
vicino alla finestra. Poi
cinse le gambe con le braccia e posò la testa sulle
ginocchia. Si continuava a
dare della stupida: perché continuava a pensare a quel
ragazzo e a quella
ragazza che aveva visto un paio di giorni prima, perché
continuava a
paragonarsi a Susan e perché quasi non si riconosceva in
quei momenti di
malinconia. La ragazza emise un sospiro triste.
Il rumore
improvviso della porta che si apriva riscosse Lucy dai suoi pensieri e
la fece
voltare. Nel vano della porta c’era Edmund che fumava di
rabbia. Decisamente
aveva cantato vittoria troppo presto: una tregua tra Edmund e Eustace
era
decisamente impossibile.
Edmund
entrò
accostando la porta e si sedette sbuffando sulla sedia accanto alla
scrivania.
Lucy, a quel punto, scese dal davanzale e si sedette sul letto. Per
alcuni
istanti, fissò il fratello, ma visto che non sembrava non
volerle dire niente,
fu lei la prima a parlare.
“Che
è successo
questa volta, Ed?”
Edmund la
guardò, alzandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e
indietro per la
stanza gesticolando con le mani e sottolineando con ogni gesto il suo
crescente
disappunto.
“Che
cosa è
successo? Niente. Che cosa vuoi che sia successo? Vado così
d’accordo con quello!”
Lucy
abbozzò un
sorriso rassegnato. “Ed.”
Il ragazzo
sbuffò per l’ennesima volta, voltandosi verso la
sorella.
“Diventerò
pazzo, Lucy. Lo capisci? Eustace è peggio di
un’arma! Potrebbero usarlo contro
i tedeschi: scommetto che dopo due ore, si arrenderebbero.”
La ragazza
lanciò uno sguardo di rimprovero verso il fratello.
“Edmund!”
Edmund, in
risposta, sbuffò un’altra volta senza smettere di
camminare avanti e indietro.
“Lucy,
tu non sei
costretta a dividere la camera con lui. Vuoi sapere la sua ennesima
trovata?
Bene. Io ero sul mio letto e lui è arrivato. Fin
lì ho fatto finta di niente,
dato che purtroppo è anche camera sua. Poi, però,
invece di ignorarmi come lo
ignoravo io, si è messo a fare ogni sorta di rumore
possibile per infastidirmi!
Prima fischiettava, poi colpiva il portapenne con la matita…
e poi io me ne
sono andato. Ancora un minuto e lo avrei picchiato. Non sai quanto sei
fortunata ad avere una stanza tutta tua!”
Lucy
sospirò e
abbassò lo sguardo. Un velo di amarezza passò sui
suoi occhi azzurri. La sua
voce uscì dalle labbra poco più alta di un
sussurro.
“Susan
e Peter…”
Edmund la
guardò senza capire. “Che cosa hai
detto?”
“Susan
e Peter:
sono loro i veri fortunati.”
Un silenzio
pesante calò nella stanza dopo quelle parole pronunciate da
Lucy. La ragazza
rimase immobile a fissare il pavimento e Edmund si fermò
abbassando le braccia
lungo il corpo. Per lunghi minuti nessuno dei due fratelli disse nulla.
Alla
fine fu Edmund, tornando a sedersi, a rompere per primo il silenzio.
“Loro
sono i
fratelli maggiori, Lu. Ormai dovremmo farcene una ragione…
noi contiamo meno di
loro.”
Lucy
alzò lo
sguardo e sospirò tristemente, pentendosi del tono risentito
con cui aveva
parlato poco prima.
“Non
dovremmo
essere così cattivi con loro… Sue e Peter non
hanno nessuna colpa.”
Edmund sorrise
rassegnato. “Lo so… è per quello che mi
da più fastidio. È solo una convenzione
sociale… e a farne le spese siamo noi. I grandi in America e
i piccoli dal
cugino. Equo, no?”
Lucy sorrise.
“Per niente.”
Edmund si
alzò
sorridendo. “Lu, cambiamo discorso… non mi va di
deprimermi. Ci pensa già
abbastanza quel pesce lesso.”
La sorella
scoppiò a ridere. Subito dopo, guardò Edmund.
“Parliamo di Narnia?”
Nel
pronunciare
il nome del magico mondo di cui erano diventati Sovrani, gli occhi di
Lucy
brillarono di entusiasmo. Anche l’espressione di Edmund
cambiò e anche nei suoi
occhi scuri scintillò una luce diversa. Ma prima che lui
potesse dire qualcosa,
una voce lo interruppe.
“Lo
sapete che
siete veramente noiosi?”
Edmund si
girò
di scatto e anche Lucy alzò lo sguardo. Fu allora che i due
fratelli videro sul
vano della porta il cugino. Eustace, senza neanche chiedere il
permesso, entrò
nella stanza. Edmund lo fulminò con lo sguardo.
“Nessuno
ti ha
detto che spiare è da maleducati? Come entrare senza
chiedere il permesso.”
Eustace
alzò le
spalle con un’espressione indifferente.
“L’educazione non me la faccio certo
insegnare da te. E poi, con quello che vi dite…”
Edmund lo
guardò canzonatorio sorridendo sarcastico. “Non ti
obblighiamo mica ad
ascoltare, Eustace. Libero di tornare ai tuoi intelligentissimi
passatempi:
fischiettare, colpire con una matita il
portapenne…”
Eustace lo
ignorò camminando per la stanza e guardandosi attorno.
“Ma
che c’è ti
trovate nelle vostre sciocchezze? Cos’è, non avete
letto nessun altro libro
oltre che a quel libro di favole? O nessuno vi ha detto che sono storie
inventate?”
Edmund strinse
una mano a pugno e si chiese come riuscì a trattenersi dal
colpire in faccia il
cugino.
“Illuminaci
tu,
cugino. Sentiamo, quali sono i libri che dovremmo leggere?”
Eustace
sembrò
ignorare il tono sarcastico di Edmund e si voltò verso il
quadro appeso sopra
alla mensola centrale, fermandosi davanti ad esso.
“Che
ne so…
tutti i libri che leggo io, per esempio. Libri con notizie
vere…”
Edmund si
volò
verso Lucy soffocando una risata: Eustace che leggeva libri che
parlavano di
cose serie. Era più facile che nevicasse in estate. Dopo un
attimo, Edmund
lanciò un’occhiata al cugino che se ne stava zitto.
“Nient’altro
di
intelligente da dire? Mi aspettavo qualcosa di più da uno
come te che legge
tanto…”
Eustace non si
voltò neanche, continuando a fissare il dipinto.
“Che
quadro
orribile…”
Lucy
alzò lo
sguardo su di lui, fissandolo arrabbiata. “Non è
vero. È un quadro bellissimo.”
Eustace
sbuffò.
“Ma fammi il favore… se mamma lo ha messo qua,
vuol dire che non valeva la pena
farlo vedere agli ospiti. E poi anche un bambino saprebbe disegnare
quattro
onde e una bagnarola con la vela porpora. Che poi che nave ha le vele
di quel
colore, vorrei sapere…”
A quelle
parole, Lucy scattò su come se fosse seduta su una molla.
Senza dare risposta
allo sguardo interrogativo di Edmund, la ragazza si diresse
immediatamente
verso il quadro scostando quasi bruscamente Eustace che emise un verso
di
disappunto.
“Non
è
possibile…”
Gli occhi
azzurri di Lucy fissavano quel quadro come se fosse ipnotizzata. Non
era
possibile. Lei se lo ricordava bene: non c’era nessuna nave
in quel dipinto.
Solo un puntino scuro che… improvvisamente Lucy si
ricordò di quella mattina, quando
aveva avuto l’impressione di riuscire ad intravederne la
forma. E anche allora
aveva avuto l’impressione che il giorno prima il puntino non
fosse così grande
da poterlo permettere. Un sorriso sempre più luminoso e
speranzoso cominciò ad
illuminarle il viso. Una sola parola continuava a riempirle la mente:
Narnia.
“Lu,
cosa non è
possibile?”
La voce di
Edmund la riportò alla realtà e Lucy si
voltò verso di lui senza riuscire a
frenare l’emozione, senza preoccuparsi minimamente del fatto
che Eustace
potesse sentirli.
“Edmund,
quel
veliero non si vedeva… il primo giorno che ho guardato il
dipinto, c’era solo
una distesa di onde. Edmund, lo capisci? Ti rendi conto di che cosa
significhi?”
Edmund non
rispose subito e i suoi occhi scuri si volsero verso il dipinto
fissando il
veliero. Ogni istante che passava un’emozione più
forte cresceva dentro di lui.
La voce di Eustace ruppe il silenzio.
“Nanerottola,
tu sei tutta pazza. Quel quadro è sempre stato
così.”
Edmund si
voltò
verso di lui guardandolo duro. “Vuoi stare per una volta
zitto, quando non sai
neanche di cosa parli?”
Eustace
sgranò
gli occhi e ridacchiò divertito, roteando un dito vicino
alla tempia.
“Scusate,
mi
correggo… a quanto pare siete pazzi entrambi. Ma vi sentite?
Pretendete che un
quadro cambi per farvi un favore!”
Edmund non
ascoltò neanche le parole di Eustace continuando a guardare
il dipinto. E ogni
istante che lo fissava, si sentiva quasi vibrare
dall’emozione.
“Lu…
ne sei… ne
sei sicura?”
Lucy
annuì con
decisione, senza che neanche l’ombra di un dubbio velasse il
suo sguardo.
“Mai
stata più
sicura, Edmund. E quel veliero assomiglia ad una delle sue
navi.”
Il ragazzo
sorrise, ripensando ai loro precedenti viaggi a Narnia.
“Allora mi fido… se non
sei tu che capisci quando c’è qualcosa che
riguarda Narnia.”
L’emozione
crescente dei due Pevensie venne di nuovo interrotta da Eustace che,
guardandoli stralunato, si tappò le orecchie con le mani.
“Eh,
no! Ora
basta! Siete insopportabili! Dovreste farvi vedere da un bravo dottore,
sì
signore!”
Edmund e Lucy
si voltarono fissando perplessi la reazione isterica di Eustace. Il
ragazzo,
continuando a tenersi le mani sulle orecchie, aveva raggiunto la sedia
dove
poco prima si era seduto Edmund e vi si era installato, lanciando loro
di tanto
in tanto un’occhiata scioccata.
“Con
questa
tiritera di Narnia mi avete stufato!”
Edmund lo
guardò sarcastico, lanciandogli al contempo uno sguardo
gelido.
“Puoi
uscire da
questa stanza, se vuoi.”
Eustace in
risposta gli mostrò la lingua. A quel punto, Edmund decise
che aveva superato
il limite e si avvicinò a lui minaccioso. Eustace,
rendendosi conto delle
intenzioni del cugino, si alzò correndo dalla parte opposta
del letto.
“Non
osare
toccarmi!”
Edmund sorrise
perfido. “Io ti avevo detto di uscire… Lucy, non
voltarti e ora che il caro
cugino abbia quel che merita.”
Lucy, dal
canto
suo, sospirò. “Edmund, cerca di fare la persona
matura.”
Edmund si
voltò
verso la sorella, stando però attento che Eustace non
cercasse di uscire.
“Lucy,
con lui
è impossibile e lo sai. E mi sono trattenuto fin troppo. Non
è lui che ha avuto
per giorni un bernoccolo sulla testa.”
Eustace
iniziò
a ridacchiare, ma accorgendosi dell’occhiata omicida di
Edmund, si tappò la
bocca con una mano.
“Ti
conviene
non ridere troppo… potrei raccontare a tuo padre che sei
stato tu a rubare i
dolci a zia Alberta!”
Eustace
sgranò
gli occhi, ma subito dopo guardò torvo Edmund.
“Bugiardo!”
Edmund
incrociò
le braccia e un sorrisetto ironico si allargò sulle sue
labbra. “Ah, davvero?”
Lucy, ancora
davanti al dipinto, sospirò rassegnata. Ma quando avrebbero
smesso di
comportarsi come cane e gatto? La ragazza alzò la mano e
sfiorò il dipinto. Per
un istante ebbe quasi l’impressione che la tela fosse umida.
Lucy allontanò di
scatto la mano, osservando affascinata e stupita la tela.
“Ed…”
“Li
ho trovati
sotto il tuo letto. E sai una cosa? Li ho leccati uno per
uno.”
Lucy si
voltò a
quelle parole, rendendosi conto che il fratello non l’aveva
neppure sentita.
Facendolo, riuscì anche a vedere la smorfia disgustata che
attraversò il voltò
di Eustace.
“Bleah!
Mi
avrai infettato!”
Lucy
tornò a
voltarsi: non voleva neanche sentirli. Davanti a loro c’era
la possibilità di
tornare a Narnia e Edmund perdeva tempo con Eustace. Lei non li avrebbe
mai
capiti. Quando, però, i suoi occhi azzurri tornarono a
guardare il dipinto, Lucy
si rese conto che c’era qualcosa che non andava. La tela
sembrava essere
diventata lucida.
Improvvisamente
alcune gocce d’acqua colarono dalla cornice e si infransero
sulla mensola
posata al di sotto. Lucy sgranò gli occhi, mentre sempre
più gocce d’acqua
uscivano dal dipinto formando delle piccole pozze sulla mensola. Ogni
istante
che passava, rivoli sempre più abbondanti colavano dal
dipinto. Un leggero
soffio d’aria mosse leggermente i capelli di Lucy portando
con sé l’odore
fresco e salmastro del mare. Le onde dipinte cominciarono a muoversi e
si
poteva quasi sentirne il rumore. Scioccata e sorpresa, Lucy
arretrò di un passò
portandosi una mano alla bocca per l’emozione.
“Edmund!”
Al tono
sorpreso e allarmato di Lucy, Edmund e anche Eustace smisero di
litigare e si
voltarono verso di lei. Il primo la raggiunse guardandola preoccupato.
“Che
succede,
Lucy?”
Lucy sentiva
il
cuore batterle sempre più forte dall’emozione:
stava succedendo, stava
veramente succedendo. La voce le uscì in un soffio, mentre
le labbra si
piegarono in un sorriso.
“Edmund,
il
dipinto!”
A quelle
parole, Edmund si voltò e vide anche lui quello che stava
succedendo.
Dell’acqua stava uscendo dal dipinto, scivolando fino a
terra. E la nave, la
nave della vele porpora che poco prima avevano guardato, si avvicinava
a loro a
vele spiegate. Edmund spalancò la bocca posando una mano
sulla spalla di Lucy.
Non riusciva a credere che le loro speranze si stessero avverando.
Eustace,
invece, quando vide quello che stava succedendo sgranò gli
occhi dal terrore.
Non sapeva come avessero fatto, ma quello era il peggior scherzo dei
suoi
cugini: come riuscivano a far uscire l’acqua dal dipinto?
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Al piano di
sotto, nessuno sospettava quello che stava succedendo al piano
superiore. Zio
Harold stava parlando al telefono con un collega, ogni tanto sbuffando
e
guardando tristemente il giornale di cui aveva dovuto interrompere la
lettura.
Zia Alberta, invece, stava finendo di preparare il pranzo fischiettando
una
delle poche canzoni che trasmettevano alla radio nelle pause dei
bollettini di
guerra.
Fu in quel
momento che qualcuno bussò alla porta. La donna, rendendosi
conto che Harold
non poteva andare ad aprire, si pulì le mani su uno
strofinaccio e si avviò
verso la porta. Mentre percorreva il corridoio, Alberta
cercò di ravvivarsi i
capelli.
“Sto
arrivando!”
Quando
aprì la
porta e si rese conto che c’era solo Jill, la donna sorrise
senza però riuscire
a nascondere un lieve sollievo: sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi
in quelle
condizioni, accaldata e quasi spettinata, di fronte ad una delle sue
amiche. E
questo a Jill non sfuggì, ma evitò bene di farlo
vedere. Lucy e Edmund le
avevano detto quanto la donna desse importanza all’aspetto
esteriore. Era anche
quello uno dei motivi per cui non le stava molto simpatica…
ma del resto tutta
la famiglia Scrubb non brillava per simpatia.
“Buongiorno,
signora Scrubb. Abbiamo finito lo zucchero e, quindi, mia madre le
chiedeva se
gentilmente ce ne poteva prestare un po’.”
Alberta
sorrise
e aprì la porta. “Ma certo, cara. Entra.”
Le due
arrivarono al centro dell’atrio da cui salivano le scale. La
donna si voltò
verso Jill indicandole il piano superiore.
“Tesoro,
finché
vado a prendere lo zucchero se vuoi puoi salire a salutare
Eustace.”
Alberta non
aspettò neanche la risposta e si diresse verso la cucina. In
questo modo, non
si accorse dell’espressione disgustata di Jill che aveva
espresso a denti
stretti i propri pensieri.
“Neanche
se mi
paghi…”
Perché
nessuno
riusciva a capire che lei e Eustace non si sopportavano? Non era
così
difficile. Anzi, al massimo se doveva salire andava a salutare Lucy e
Edmund.
Ma dato che la madre le aveva detto di non trattenersi troppo, Jill
decise di
aspettare lì. Dalla cucina, sentiva provenire il rumore di
portelle aperte e
rischiuse e di piatti e barattoli spostati. Jill sospirò e
iniziò a guardarsi
attorno. La casa non era tanto brutta… fu in quel momento
che Jill si rese
conto che, dal piano superiore, non provenivano i classici rumori che
aveva
imparato a conoscere: ovvero Edmund e Eustace che litigavano
rincorrendosi per
il corridoio. E quel particolare alimentò la sua
curiosità. Che cosa stavano
facendo?
Improvvisamente,
Billy, il suo furetto che anche quel giorno aveva portato nascosto
nella
borsetta, sgusciò fuori e saltò sul pavimento.
Jill, rendendosene conto, si
abbassò di scatto tendendo la mano verso
l’animaletto.
“Billy!
Torna
subito qui!”
Il furetto, da
parte sua, però, non sembrava per nulla intenzionato a
tornare da Jill e ne
ignorò il tono perentorio. Tranquillamente, si
rizzò sulle zampette posteriori
e iniziò ad annusare l’aria. Jill, tesa come una
corda di violino, si cercò di
avvicinare a lui in ginocchio, continuando a gettare occhiate
preoccupate verso
la cucina: mancava solo che la signora Scrubb arrivasse in quel
momento. Se
avesse reagito come il figlio…
“Billy!
Ti
prego, vieni qui!”
Jill
allungò la
mano e il furetto si voltò a guardarla inclinando la testa
di lato. Quando
stava per prenderlo, Billy si voltò e iniziò a
correre su per i gradini. Jill,
terrorizzata dall’idea che quello sciocco di Eustace potesse
far scoprire che
lei si portava dietro il furetto, si alzò in piedi di scatto
iniziando a
correre su per le scale. Il furetto, nel frattempo, aveva
già raggiunto il
corridoio. Quando Jill fu a pochi metri da lui, riprese la sua corsa
verso la
stanza di Lucy. La ragazza, finite le scale, si fermò un
attimo a prendere un respiro
ringraziando che l’animaletto non si fosse diretto verso la
stanza di Eustace.
Sentendo provenire delle voci dal lato della stanza di Lucy, Jill si
avvicinò
lentamente e sempre più curiosa.
Quando fu
davanti alla stanza, si accorse che Billy si era fermato. Jill si
abbassò
prendendo sollevata il furetto tra le braccia. Fu a quel punto che si
accorse
che la porta della stanza era socchiusa. Piano, Jill si
avvicinò e guardò
all’interno, rimanendo piuttosto stupita da quello che vide.
Lucy, Edmund e Eustace
erano in piedi davanti al quadro appeso sopra la mensola e i primi due
cercavano di tenere il terzo lontano dal dipinto.
“Lo
so che è un
imbroglio! Smettetela o lo dico alla mamma!”
Quello era
Eustace. Subito dopo sentì la voce di Edmund.
“Piantala! Te l’ho già detto che
non è colpa nostra!”
Poi fu la
volta
di Lucy. “Eustace, ti prego. Calmati!”
Ma che cosa
stava succedendo? Jill cercò di guardare oltre ai tre ma,
stando in piedi, le
impedivano di vedere. Incapace di resistere un minuto di più
alla curiosità,
Jill entrò e, senza neanche farci caso, chiuse la porta
posandosi ad essa. Il
rumore della porta fece voltare di scatto i tre ragazzi.
“Jill!”
Fu allora che
la ragazza si rese conto di quello che stava succedendo e
stentò a crederci:
ondate d’acqua sempre più abbondanti uscivano dal
quadro e si riversavano nella
stanza. Jill sgranò gli occhi, accorgendosi a quel punto
dell’acqua che le
arrivava alle caviglie. Billy, vedendo l’acqua, si
rifugiò nella borsa. Jill
continuava a fissare ciò che stava succedendo: se qualcuno
glielo avesse
raccontato non ci avrebbe creduto.
“Ma
cosa…”
Prima che Lucy
o Edmund le dicessero qualcosa, Eustace, approfittando della
distrazione dei
due Pevensie, tornò a voltarsi verso il quadro e lo
afferrò per la cornice
staccandolo dalla parete.
“Adesso
lo
spacco questo orrendo coso!”
A quelle
parole, Lucy e Edmund, sotto uno sguardo scioccato di Jill, si
voltarono
cercando di fermare Eustace. I due ragazzi afferrarono anche loro il
quadro
sulla cornice nel tentativo di toglierlo dalle mani del cugino. Le voci
dei due
Pevensie erano allarmate, quasi spaventate che tutto quello che stava
succedendo potesse finire.
“No!
Eustace,
no!”
“Per
favore,
smettila!”
Jill non
sapeva
che cosa fare e li guardava immobile, mentre l’acqua
raggiungeva ormai metà del
suo polpaccio. Nel frattempo, con Eustace che tirava da un lato e i due
Pevensie che tiravano dall’altro, il quadro bagnato
dall’acqua scivolò dalle
loro mani. Un’ondata più forte bagnò
completamente i tre ragazzi e subito dopo
il dipinto cade in acqua. Nello stesso istante in cui il quadro venne
sommerso,
ondate sempre più frequenti si riversarono nella stanza
facendo raggiungere in
pochi istanti il livello delle loro vite. Lucy, spaventata, si
afferrò al
braccio di Edmund. Eustace, invece, si fece largo e a fatica
riuscì a
raggiungere la porta. Dopo aver spinto di lato Jill, che gli rivolse
uno
sguardo omicida, Eustace si afferrò alla maniglia. Gli
bastarono pochi secondi
per capire che la porta era bloccata. Per questo motivo, si
voltò infuriato
verso la ragazza, più che mai convinto che lei fosse in
combutta con i due
Pevensie.
“Cosa
hai fatto
alla porta?!?”
Jill, mentre
cercava di tenere la borsetta fuori dall’acqua, lo
guardò offesa. “Io non ho
fatto niente!”
Eustace la
ignorò e iniziò a battere sulla porta con il
pugno. “Mamma! Mamma!”
Edmund si
voltò
verso di lui, guardandolo infastidito. “Eustace,
smettila!”
Eustace si
voltò verso di lui, ma le parole gli vennero bloccate da
un’ondata salata che
quasi lo sommerse. L’acqua ormai era arrivata quasi alle loro
spalle e
soprattutto Lucy e Jill faticavano a restare con la testa fuori
dall’acqua.
Quest’ultima aveva raggiunta, tenendo la borsetta sollevata
sopra la testa, i
due Pevensie che le erano sembrati molto più lucidi di
Eustace.
“Che
cosa
facciamo?”
“Non
voglio
morire! Sono troppo giovane!”
Al tono
lamentoso di Eustace, Edmund alzò gli occhi al cielo. Subito
dopo gli abbassò
tornando a guardare Lucy e Jill. Ormai stavano nuotando cercando di
tenersi a
galla. Ma se l’acqua avesse continuato a riversarsi ancora
nella stanza, non
avrebbero più neanche avuto la possibilità di
respirare. Edmund e Lucy, però,
sentivano, anzi sapevano, che quella era la magia di Narnia. Aslan non
avrebbe
fatto loro succedere niente. Fu in quel momento che i due si resero
conto per
la prima che in quel viaggio non sarebbero stato soli: ad
accompagnarli, però,
non c’erano Susan e Peter. A venire con loro sarebbero stati
Jill e Eustace. E
per certi versi ne furono sorpresi. Un’altra ondata
riempì la stanza e i quattro
ragazzi si ritrovarono a pochi centimetri dal soffitto. Edmund
posò una mano su
di esso e iniziò ad inspirare.
“Prendete
più
aria che potete!”
Lucy e Jill
non
replicarono e si strinsero uno mano facendo come aveva detto Edmund.
Eustace,
invece, quasi piangeva.
“Non
voglio
morire! Non voglio morire! È tutta colpa vostra!”
Edmund si
rivolse a lui quasi ringhiando. “Respira, brutto stupido! O
sarò io ad
affogarti!”
Eustace si
zittì e iniziò a respirare, maledicendo in tutti
i modi possibili sia i due Pevensie
sia il giorno in cui avevano messo piede in quella casa. Poi nessuno
ebbe più
la possibilità di fare nulla. L’acqua
riempì la stanza completamente. I quattro
ragazzi si ritrovarono sballottati dalle onde, mentre le sedie e gli
oggetti
della stanza venivano sollevati dall’acqua.
Per lunghi
istanti, non riuscirono quasi a muoversi, incapaci di contrastare con
mani e
piedi la forza della corrente che usciva dal quadro ormai scomparso
nell’acqua
che li circondava. Annaspando tra i mulinelli, quasi non riuscivano a
tenere
gli occhi aperti. Quando, però, sentirono i polmoni
bruciare, il movimento
della corrente si placò. I quattro ragazzi si ritrovarono
immersi in una
distesa azzurra e cristallina. Le pareti della stanza sembravano essere
scomparse sostituite da un impenetrabile muro d’acqua blu
scuro. Sopra le loro
teste, raggi di luce filtravano oltre la superficie delle onde. Edmund,
Lucy,
Jill e Eustace non si chiesero neanche come fosse possibile e nuotarono
il più
velocemente possibile verso l’alto.
Quando Lucy
emerse i suoi polmoni quasi gridavano. La ragazza respirò
per lunghi istanti,
muovendo le mani per tenersi a galla. Non appena i suoi occhi azzurri
si
aprirono, davanti ad essi si dispiegarono un cielo azzurro illuminato
da un
solo luminoso e una distesa blu-verde senza fine. Lucy
sgranò gli occhi e il
suo cuore perse un battito. La ragazza si sentì quasi
mancare il respiro,
rendendosi conto di quello che era successo. Erano a Narnia, senza
alcun
dubbio, senza alcuna possibilità di sbagliarsi. Erano a
Narnia. Tutto il suo
corpo venne percorso da una scarica di adrenalina, mentre un sorriso
enorme le
si allargò sulle labbra. Erano a Narnia, non riusciva a
smettere di ripeterselo.
“Dove
siamo?!?”
La voce
isterica di Eustace riportò Lucy la realtà. La
ragazza si voltò cercando con lo
sguardo gli altri tre e li vide a pochi metri da lei. Jill si guardava
attorno
con gli occhi sgranati, incredula di trovarsi a galla in pieno oceano.
Poco
distante da lei anche Edmund sorrideva come Lucy, consapevole anche lui
di
essere tornati nel mondo in cui avevano sperato di essere richiamati
per
sfuggire dagli Scrubb. E a un metro da lui, c’era Eustace
che, in pieno attacco
di panico, agitava le braccia come un matto. Con l’unico
risultato di finire
con la testa sott’acqua ogni pochi minuti.
“Riportatemi
a
casa! Io vi… io vi faccio arrestare! Siete matti…
matti da legare!”
Edmund, che
trovandosi a Narnia non aveva nessuna intenzione di rovinarsi
l’umore a causa
del cugino, lo raggiunse con poche bracciate e lo afferrò
per un braccio.
“Eustace,
smettila! Grida ancora una volta e giuro che ti affogo!”
Eustace,
mentre
Lucy li raggiungeva lentamente a nuoto, guardò Edmund con
aria sconvolta e
sull’orlo di una crisi isterica. Ma prudentemente
abbassò leggermente la voce.
“Calmarmi?
Mi
chiedi di calmarmi?!? Mi calmerei se fossimo nella stanza dove eravamo
cinque
minuti fa… non ora che mi trovo chissà dove in
quello che sembra a tutti gli
effetti un oceano! Mi calmo solo se mi dite che è un
sogno!”
Fu in quel
momento che Lucy li raggiunse. I suoi occhi brillavano di emozione.
“Non
è un
sogno, Eustace. Siamo a Narnia!”
Eustace la
guardò scioccato. “Ora si che sto
meglio… sono impazzito anche io! Fra poco mi
risveglierò con una camicia di forza!”
Edmund scosse
la testa rassegnato e lasciò il braccio ad Eustace che, per
la sorpresa, finì
per un secondo sotto le onde interrompendo i suoi piagnistei. Non
appena
riemerse, però, guardò il cugino con astio.
“Riportatemi
a
casa!”
Edmund non lo
guardò neanche. “Non possiamo… e stai
zitto una buona volta, devo pensare.”
Eustace era
sempre più isterico. “A cosa? A quante ore
possiamo resistere prima di
affogare?!?”
Lucy, seppur
consapevole di trovarsi in pieno oceano, non aveva paura: erano a
Narnia,
quello era di sicuro il Mare Orientale. Aslan non avrebbe fatto loro
succedere
nulla. I suoi pensieri, però, vennero interrotti dal grido
spaventato e agitato
di Jill.
“Billy!
Billy!”
Lucy e Edmund
si voltarono subito verso di lei. Jill, a pochi metri da loro, si
guardava
attorno con sguardo angosciato e si capiva che i suoi occhi non erano
bagnati
solo dall’acqua del mare. Lucy la raggiunse subito e Jill si
afferrò al suo
braccio.
“Lucy,
Billy
non c’è! Se lui è…
io…”
Lucy scosse la
testa guardandola sorridendo per rassicurarla. “Non pensarlo
neanche. Vedrai
che sarà qui vicino. Fidati.”
Jill
tirò su
con il naso e annuì ricacciando indietro le lacrime. Non
doveva mostrarsi
debole. I tre ragazzi, senza l’aiuto di Eustace che
continuava a gridare al
vento i suoi lamenti e la sua sfortuna, cominciarono a guardarsi
attorno. Per
lunghi minuti non videro altro che onde azzurre. Jill dovette fare uno
sforzo
enorme per non piangere: voleva troppo bene a Billy. Non avrebbe mai
sopportato
di perderlo.
“Jill!”
La voce di
Edmund richiamò all’attenzione Jill e Lucy che era
vicino di lei. Le due videro
Edmund raggiungere a bracciate quello se sembrava a tutti gli effetti
il libro
che Lucy stava leggendo. Sopra di esso, afferrato con le unghie,
c’era Billy:
tutto bagnato, ma sano e salvo. Edmund lo prese in mano e venne subito
raggiunto da Jill che prese il furetto tra le mani e lo strinse al
volto. Non
le importava, in quel momento, di dove si trovasse: l’unica
cosa importante era
che Billy fosse sano e salvo. Lucy la raggiunse e le posò
una mano sulla
spalla, sorridendo sollevata. Anche Edmund sorrise, ma poi
tornò serio.
“Ora
che ci
siamo tutti, dobbiamo capire cosa fare. Nel dipinto c’era una
nave… potrebbe
essere qui vicino.”
Il ragazzo non
disse ad alta voce che quella nave doveva essere nelle vicinanze: Lucy
e Jill
lo capirono. I tre ragazzi sapevano che, se non venivano trovati presto
da una
qualunque nave, non avrebbero resistito a lungo.
“Ci
viene
addosso!!!”
Lucy, Edmund e
Jill si voltarono di scatto al grido terrorizzato di Eustace. E fu
allora che
la videro. Distratti dalla ricerca di Billy, non si erano resi conto
che la
nave era molto più vicina di quanto credessero. Ma
decisamente troppo vicina.
“Svelte,
nuotate!”
Lucy e Jill,
con Billy saldamente afferrato ai suoi capelli, non se lo fecero
ripetere due
volte. Edmund iniziò a nuotare e si voltò verso
il cugino.
“Eustace,
non
fare lo stupido: nuota!”
Eustace, al
grido di Edmund, sembrò riscuotersi e nel terrore
più puro cominciò a nuotare
come un forsennato e in breve tempo raggiunse anche Edmund. I due
ragazzi
nuotarono velocemente. Edmund, però, si rese conto che non
potevano certo
essere più veloci di una nave. Ma strinse i denti: non
doveva aver paura.
“Continuate
a
nuotare! Forza, ce la possiamo fare!”
Eustace,
nuotando accanto a lui, riusciva, nonostante tutto, a trovare la forza
per
piagnucolare. “Riportatemi a casa! Io non
c’è la faccio più!”
Edmund lo
spintonò
per non farlo smettere di nuotare. “Sei un sacco di patate!
Invece dei tuoi
intelligentissimi libri dovresti fare un po’ più
di attività sportiva!”
Eustace non
replicò neanche, troppo stanco e spaventato. A pochi metri
da loro, anche Jill
e Lucy stavano avendo le loro difficoltà, soprattutto per
l’impiccio che
costituivano le gonne bagnate. Non si voltarono neanche per vedere dove
fosse
la nave: se lo avessero fatto, non sarebbero più riuscite a
nuotare avanti.
Improvvisamente un’onda rischiò di sommergerle.
Jill, per un soffio, riuscì a
rimanere a galla. Lucy, invece, ne venne sommersa. A fatica la
ragazzina riuscì
a tornare a galla, ma si sentì venire meno le forze: non era
lei quella brava a
nuotare. Non aveva l’abilità innata di Susan e
neanche la forza di Edmund e
Peter. Lucy vide Jill gridare spaventata il suo nome, ma non
c’è la faceva più.
E un’altra onda la sommerse.
Negli stessi
istanti in cui la prima onda aveva colpito le due ragazze, dal ponte
della nave
si erano tuffati quattro uomini. I primi due raggiunsero Eustace e
Edmund e li
afferrarono, aiutandoli a restare a galla. Eustace, inizialmente, aveva
gridato
spaventato quasi stessero cercando di ucciderlo.
L’occhiataccia di Edmund,
però, lo fece zittire e gli fece rendere conto che erano
venuti per salvarli.
Gli altri due proseguirono accelerando le bracciate per raggiungere le
due
ragazze. Jill, ormai stremata e spaventata per Lucy, fu la prima ad
essere
raggiunta. Il quarto raggiunse Lucy un attimo dopo che la seconda onda
l’aveva
sommersa. Senza un attimo di indecisione, l’uomo
inspirò e si tuffò sott’acqua.
Pochi metri dopo raggiunse Lucy e la afferrò per un braccio.
Pochi istanti
dopo, i due riemersero. Lucy, sentendo l’aria rientrare nei
suoi polmoni, si
afferrò la braccio del suo salvatore, respirando grandi
boccate d’aria.
“Tranquilla,
ti
tengo io Lucy.”
A quella voce,
Lucy aprì di scatto gli occhi e lo riconobbe subito.
Sorridendo dalla gioia,
Lucy gettò le braccia al collo dell’uomo che
l’aveva salvata.
“Caspian!”
Il giovane Re
sorrise abbracciando l’amica. Era felice, ma i suoi occhi
scuri non poterono
non cercare tra gli altri naufraghi gli occhi azzurri che sperava di
rivedere.
Non vedendo colei che li possedeva, un’ombra passò
sui suoi occhi. Ma Caspian
la cacciò subito, sforzandosi di sorridere quando Lucy si
separò da lui,
illuminata da un’enorme sorrise.
“Edmund!
C’è
Caspian!”
La ragazzina,
raggiante, si era voltata verso il fratello che insieme al marinaio che
lo
aveva soccorso si stava avvicinando alla nave. Il ragazzo si
fermò e, vedendo
il giovane Re accanto alla sorella, sorrise.
“Lo
sapevo che
eravamo a Narnia!”
Caspian
sorrise
e annuì. “Sì, siete a Narnia.”
A quelle
parole, Eustace si riprese a dimenare. “Io non volevo
venirci! Mi avete
costretto! Riportatemi in Inghilterra! Voglio tornare in
Inghilterra!”
Le proteste
del
ragazzo, però, vennero ignorate da tutti. In quel momento,
Lucy e Caspian
vennero issati su una tavola di legno. Quando furono sollevati fuori
dalle
onde, Lucy si tenne stretta al braccio di Caspian e sorrise. Non
riusciva a
smettere. Un’emozione fortissima la pervadeva. E i suoi occhi
cercavano di
vedere tutto, affascinati dal veliero.
“Tieniti
forte,
Lucy.”
La ragazza
annuì senza distogliere lo sguardo dal veliero. Una leggera
brezza muoveva i
suoi capelli riempiendole il naso del profumo di Narnia. Quando i suoi
piedi
toccarono le tavole di legno del ponte, Lucy si sentì
esplodere dalla gioia. Attorno
a loro c’era tutto l’equipaggio e tra loro si
vedevano anche alcune delle
creature di Narnia.
“Come
avete
fatto ad arrivare fin qua?”
Lucy si
riscosse e si voltò verso Caspian. “Il
quadro… poi l’acqua… oh, non
è ho idea!
Sono solo felice di essere qui!”
Caspian
sorrise,
contagiato dall’entusiasmo della ragazza. “Anche
io!”
“Caspian!”
La voce di
Edmund fece voltare entrambi. Il ragazzo, appena issato a bordo, si
fece largo
tra i marinai. Caspian gli andò incontro e i due ragazzi si
abbracciarono
sorridenti.
“Edmund!”
Caspian e
Edmund, dal precedente viaggio, erano diventati ottimi amici. I due
ragazzi si
separarono e vennero raggiunti di Lucy. Tutti e tre sorridevano.
“Caspian,
non
sai quanto sia felice di essere a Narnia!”
Caspian
annuì.
“Anche io. Sebbene non mi aspettassi di trovarvi in mezzo
all’oceano!”
Edmund lo
guardo stupito, come anche Lucy. “Non sei stato tu a
chiamarci?”
Caspian scosse
la testa. “No. Non questa volta.”
Edmund,
ripensando ai giorni passati a casa Scrubb, scosse le spalle sorridendo.
“Non
importa.
Sono felice di essere qui.”
Poco lontano
dai tre, anche Jill e Eustace erano stati issati sul ponte della nave.
La prima,
non appena vi posò piede, sgranò gli occhi dalla
sorpresa. Immobile iniziò a
fissare ogni particolare della nave. Fu allora che vide Lucy e Edmund
chiacchierare sorridenti con un ragazzo dai capelli scuri. Sembrava si
conoscessero… non riusciva ancora a capire come, ma doveva
essere così. Anche
prima… avevano detto che si trovavano a Narnia. Jill si
guardò attorno e il suo
sguardo vagò sull’orizzonte fino alla vela porpora
illuminata dai raggi del
sole. Sì, decisamente se qualcuno glielo avesse detto non ci
avrebbe creduto.
Non sapeva come o perché, ma erano finiti da qualche
parte… una qualche parte
che decisamente non si trovava in Inghilterra e tanto meno sulla Terra.
Alla
fine Jill sorrise divertita: chissà se suo padre avesse mai
immaginato qualcosa
del genere, quando le aveva detto che trasferendosi avrebbe vissuto una
nuova
avventura.
Ma
c’era chi non
l’aveva preso altrettanto bene. Eustace, non appena aveva
posato i piedi sul
solido, era scivolato a terra guardandosi attorno sconvolto. Vista la
sua
reazione e non sembrando aver nessuna ferita, i marinai lo avevano
ignorato
voltandosi verso il loro Sovrano. Eustace, invece, era arretrato fino
al
parapetto posandovisi con la schiena. No, doveva essere un sogno. Era
l’unica
spiegazione. Presto si sarebbe svegliato e…
“Ahhh!”
Il grido di
Eustace fece voltare tutti, anche chi fino a quel momento non si era
neanche
accorto della sua presenza. Edmund nel farlo aveva sbuffato.
“Sono
perseguitato! Toglietemelo di dosso!!!!”
Eustace si
alzò
in piedi agitando le mani davanti a sé. Neanche pochi passi
e inciampò in una
corda e si ritrovò di nuovo a terra. E a poca distanza da
lui, videro un grosso
topo con una piuma dietro l’orecchia e uno spadino al fianco.
Lo sguardo di
quest’ultimo andava dall’indignato al divertito.
“Credo
che le
vostre reazioni siano esagerate, signore. Vi pregherei di
calmarvi!”
Eustace, che
non lo aveva neanche sentito, vedendolo di nuovo vicino a
sé, riprese a gridare
e ad agitarsi.
“Va
via! Stammi
lontano! Brutta bestiaccia!”
Il topo scosse
la testa rassegnato. “Strillate come un poppante!”
Poco lontano,
Lucy e Edmund lo riconobbero subito e sorrisero felici.
“Ripicì!”
Sentendosi
chiamare, il topo, che altri non era che il topo-guerriero che
valorosamente
aveva aiutato i Sovrani nella battaglia contro Miraz, raggiunse
velocemente i
due ragazzi, inchinandosi loro.
“Vostre
Maestà,
è un onore per me ricontrarvi!”
Lucy sorrise
entusiasta. “Rip, sono così felice di poterti
rivedere!”
Edmund accanto
a lei annuì. “Un vero piacere!”
Rip si
rialzò
inclinando il capo sorridendo. “Oh, il piacere è
tutto mio, Vostre Maestà.
Posso chiedervi cosa ne facciamo di quell’isterico intruso?
Per caso lo
conoscete?”
Lucy e Edmund
soffocarono una risata. Se lo conoscevano… anche troppo, per
loro sfortuna.
Edmund sorrise divertito.
“Purtroppo
sì,
Rip.”
Caspian lo
guardò incuriosito, lanciando un’occhiata a
Eustace che sconvolto si stava
rimettendo in piedi sorreggendosi al parapetto. “Chi
è ?”
Lucy lo
guardò
sconsolata. “Nostro cugino.”
Ripicì
la
guardò poco convinto. “Immagino di lontano
grado… non avrei mai osato arrecarvi
una simile offesa, Maestà, ipotizzando una sua parentela con
voi.”
Edmund rise.
“Purtroppo è la
verità…”
Di nuovo le
loro parole vennero interrotti dalle grida di Eustace. Il gruppo si
voltò quasi
esasperato verso di lui.
“Quell’orribile
ratto gigante voleva strapparmi gli occhi! Perché tutta la
specie c’è la con
me?”
I tre ragazzi
scoppiarono a ridere, mentre Ripicì si voltò
verso di lui piuttosto irritato:
non sopportava che qualcuno interpretasse male le sue buone intenzioni.
“Volevo
solo
accertarmi delle vostre condizioni, signore, dato che eravate
accasciato a
terra!”
A quelle
parole, Eustace sgranò gli occhi e per qualche istante
boccheggiò come se non
riuscisse più a respirare. Alla fine puntò il
dito contro Ripicì, fissandolo
sconvolto.
“Ha
parlato!
Quel ratto ha parlato! Lo avete sentito? Qualcun altro lo ha
sentito?!?”
Edmund sorrise
ironico verso il cugino. “Se è per questo parla
sempre.”
Caspian a sua
volta sorrise e annuì. “La difficoltò
è farlo stare zitto.”
Ripicì,
che
aveva capito che nessuno dei due ragazzi voleva offenderlo, si
avvicinò e si
inchinò sorridendo verso Caspian.
“Nel
momento in
cui non vi sarà niente da dire, Vostra Altezza, io vi
prometto che me ne starò
zitto.”
“Buon
senso che
qualcun altro non ha…”
A quella voce
sconosciuta, Lucy, Edmund e Caspian si voltarono per capire chi avesse
parlato.
Ci vollero loro alcuni secondi prima di rendersi conto che a parlare
era stato
niente di meno che Billy, il furetto di Jill. Lucy e Edmund lo
guardarono a
bocca spalancata, mentre l’animaletto si fermò a
pochi passi da Ripicì.
“Tu
parli?!?”
Edmund era
scioccato. Lucy quanto lui e la ragazza si rese conto, alzando lo
sguardo, che
anche Jill fissava la scena con gli occhi sgranati: neanche lei doveva
esserselo immaginato.
“Sì,
parlo.
Così almeno potrò ribattere a
quell’insopportabile ragazzo!”
Ripicì
sorrise
e sembrò apprezzare di trovarsi d’accordo con il
nuovo compagno di viaggio.
“Credo
che noi
due potremo andare d’accordo.”
Eustace,
vedendo i due animali parlare, stava credendo veramente di essere
impazzito.
Anzi, erano tutti gli altri che dovevano essere impazziti. E Lucy e
Edmund ne
erano i capi: doveva essere una specie di pazzia contagiosa.
“Ora
basta! Voglio
tornare a casa! Non avete diritto di tenermi qui!”
Edmund lo
guardò sarcastico. “Se vuoi, Eustace, puoi
ributtarti in mare di nuovo. Io di
sicuro non ti tratterò. Anzi… approverei in
pieno.”
Lucy gli
lanciò
un’occhiata di rimprovero. “Edmund!”
Caspian si
voltò
verso i due amici guardandoli perplesso. “Voi non vi siete
comportati così la
prima volta che siete venuti a Narnia, vero?”
Edmund scosse
la testa. “No… è nostro cugino che deve
avere qualche problema comportamentale.
Infatti, Jill non ha fatto nessuna scenata.”
Caspian lo
guardò senza capire. Lucy sorrise e raggiunse la ragazza,
rimasta fino a quel
momento in disparte, prendendola per mano.
“Vieni.”
Jill
annuì e le
due si ritrovarono davanti a Caspian e Edmund.
“Caspian,
questa è Jill Pole. Una nostra amica. Jill, questo
è Caspian… Re Caspian.”
A quelle
parole, Jill sgranò gli occhi e cercò di
inchinarsi, ma un gesto della mano di
Caspian la fermò. Il ragazzo sorrideva.
“Non
preoccuparti, non serve. È un piacere conoscerti
Jill.”
La ragazza
sorrise sollevata. “Il piacere è mio.”
La voce di
Ripicì li fece voltare verso di lui. “Tanto di
cappello, signora. Si vede che
siete amica delle Loro Maestà.”
Jill sorrise
senza capire, mentre Billy sgattaiolò accanto a lei e
tornò a posizionarsi
sulla sua spalla. Jill gli lanciò uno sguardo eloquente del
tipo c’è qualcosa che tu
mi devi spiegare.
“La
mia Jill è
una ragazza straordinaria… l’opposto di
quell’altro.”
Quell’altro,
ovvero Eustace, quasi lo avessero chiamato, riprese a lamentarsi
guardando in
cagnesco tutti coloro che si trovavano sulla nave.
“Vi
farò
arrestare per rapimento! Vi farò sbattere in galera! Esigo
che mi riportiate a
casa!”
Edmund lo
guardò scocciato, parlandogli come se fosse tonto.
“Eustace,
siamo
in pieno oceano. O-CE-A-NO. L’unico modo che hai per
liberarci della tua
presenza è tornartene a mollo tra le onde!”
Lucy lo
guardò
leggermente più comprensiva. “Non possiamo
tornare, Eustace.”
Eustace lo
guardò
sconvolto. “Non è possibile! Voi non potete
trattenermi qui contro la mia
volontà!”
Jill lo
guardò
irritata: non sopportava proprio la sua ottusità. Non ci
voleva tanto per
capire che momentaneamente non potevano andarsene. “Scrubb,
anche uno stupido
capirebbe che ora non possiamo andare da nessuna parte. Siamo a Narnia
e…”
Eustace si
tappò le orecchie. “Eh, no! Non cominciare pure
tu, Pole! Voi volete vedermi
impazzire, ne sono certo! Riportatemi a casa!”
Lucy, Edmund e
Jill parlarono in coro. “Sei sordo? Non possiamo!”
Caspian li
guardò sorridendo divertito. Il cugino di Lucy e Edmund non
aveva decisamente
preso bene il suo arrivo a Narnia. Il giovane Re si chiese cosa potesse
fare
quel ragazzo per Narnia… che cosa potesse fare
più di Peter… e di Susan. Consapevole
di non aver diritto di dubitare di Aslan, Caspian ricacciò
indietro quei
pensieri.
Eustace, a
quella risposta, si era posato disperato al parapetto, guardando
angosciato le
onde.
“Che
destino
crudele… morirò lontano da casa, senza sapere
dove mi trovo!”
Una voce
profonda gli rispose poco lontano da lui.
“Siete
sul
Veliero dell’Alba, la più bella nave della flotta
di Narnia.”
Eustace si
voltò lentamente verso chi aveva parlato e per qualche
istante lo fissò muto.
Davanti di lui si ergeva un Minotauro dal pelo scuro. Si chiamava
Tavros e
durante la battaglia contro Miraz si era dimostrato un guerriero forte
e
fidato. Ma per il resto, era gentile e non faceva male a nessuno.
Eustace
questo non lo sapeva e, forse, non ci avrebbe creduto neanche. Il
ragazzo emise
un verso strozzato e si accascio privo di sensi sulle assi del ponte.
Era stato
tutto decisamente troppo per lui. Tavros, accorgendosi che era svenuto,
si
voltò preoccupato e quasi sentendosi colpevole verso Caspian
e gli altri, che
nel frattempo non erano riusciti a scoppiare in una sonora risata.
“Ho
detto
qualcosa di strano?”
Caspian
sorrise
e scosse la testa. “No, ma penso che per lui sia stato
troppo. Occupati di lui,
Tavros.”
Il Minotauro
annuì. “Come desiderate, Vostra
Maestà.”
Caspian, a
quel
punto, si voltò verso Lucy e Edmund sorridendo loro. Subito
dopo, si diresse
sulla scaletta che portava al ponte del timone. Tutto
l’equipaggio si voltò
verso di lui. Caspian li guardò per un istante prima di
parlare con voce ferma
e forte.
“Uomini,
rendete omaggio ai nostri naufraghi…”
A quelle
parole, Lucy e Edmund si guardarono sorridendo emozionati. Quanto era
mancata
loro Narnia. Era lì che si sentivano veramente a casa. Jill,
invece, li guardò
senza capire e, quando Caspian riprese a parlare, la ragazza
sgranò gli occhi
per lo stupore.
“…
Edmund il
Giusto e Lucy la Valorosa! Grande Re e grande Regina di
Narnia!”
A quelle
parole, tutto l’equipaggio del Veliero dell’Alba si
inginocchiò sul ponte,
abbassano il capo con rispetto. Jill, in disparte, li fissava
affascinata,
stringendo al petto Billy. Gli occhi dei Lucy e Edmund brillavano di
emozione:
ogni volta era come la prima volta. Come il giorno in cui erano stati
incoronati, come il giorno in cui avevano capito che il loro cuore
sarebbe per
sempre rimasto legato a quella magica terra. Ed ora erano di nuovo
lì, a
Narnia. E una nuova avventura stava per iniziare.
Salve
a tutti! ^-^ Anche sta volta è
passato un po’ dall’ultimo
aggiornamento… il fatto è che ho un sacco di cose
da
fare (in primis: l’università) e non voglio
rischiare di buttare su! Dall’altra
parte però… quando inizio non mi fermo
più. O.O Ok, forse il capitolo mi è
venuto giusto un tantino lungo… voi che dite? XD E che io mi
faccio lo schema
del capitolo e poi scrivo: solo dopo mi accorgo della lunghezza! XD
Però poi
non riesco a dire “questo pezzo lo metto nel prossimo
cap”. Però, dai, almeno
così mi faccio perdonare. Vero che mi perdonate se aggiorno
circa una volta al
mese? ^-^’
Ma veniamo al capitolo (che non ho avuto tempo di rileggere XD). Vi
è piaciuto
come ho descritto gli avvenimenti alle Isole Solitarie? Spero di
sì. Poi siamo
passati a Caspian… e subito dopo una sorta di flasch-back
sull’arrivo a Narnia.
Che ne dite? Beh, poi l’arrivo sul Veliero seguiva un
po’ il film… spero di non
averlo reso troppo simile. ;) Aspetto le vostre recensioni, mi
raccomando! ^-^
E nel PROSSIMO CAPITOLO… beh, vedremo
come si ambientano i nostri eroi
sul Veliero: soprattutto Jill e Eustace. E
dall’America… sarà finalmente
arrivato il giorno del ricevimento del console! Con annesso William
alla
conquista della nostra Susan! XD Meglio che chiami Peter a
controllarlo, vero?
Chissà che succederà… XD
Ma
ora veniamo alla porta più importante
di questo mio angolino, ovvero i ringraziamenti:
·
Per
le seguite: aleboh,
ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My
world, GossipGirl88,
ImAdreamer99, Joy_10, katydragons,
Shadowfax e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: aleboh,
english_dancer e MoonyMoon
·
Per
le ricordate: katydragons
·
Per
le recensioni del capitolo 5: Fly_My world,
Shadowfax e SusanTheGentle
Grazie,
grazie a tutti! ^-^ Non so veramente come ringraziarvi! ;)
Ops, quasi dimenticavo… vi ricorderete che vi avevo chiesto
di aiutarmi a
scegliere un’attrice per dare volto a Jill, vero? Forse ho
deciso… ditemi che
ne pensate, se non vi va cambio. Allora, ero indecisa tra Abigail
Breslin e
Dakota Blue Richards (non che le altre fossero da scartare, anzi me le
tengo in
serbo per possibili futuri personaggi… ma mi sono basata su
criteri molto
scientifici… sul fatto che sono le uniche di cui ho visto
qualche film! U.U): e
alla fine ho scelto. Basandomi anche sul fatto che di una delle due ho
rivisto
un film pochi giorni fa con mia cugina… ho scelto Dakota
Blue Richards (non
linciatemi! Lo so che è la stessa scelta di SusanTheGentle).
Il fatto è che mi
sembrava davvero adatta per tenere a bada il nostro Eustace…
e poi nella Bussola
d’Oro (il suddetto film) il suo daimon si trasforma anche in
una specie di
furetto! *-* Non me lo ricordavo! ;) Che dite? Se non vi va bene,
cambio. Ditemi
solo che ne pensate…
Sì,
non vi lascio ancora in pace … perché ho un altro
favore da chiedervi! ^-^’
(voi direte: aggiorna una volta al secolo e ci chiede anche favori? Lo
so,
scusate! T-T) Ma volevo sapere, tenendo conto di ciò che
è successo fino ad ora
e agli “sviluppi” che magari vi immaginate in
futuro, chi vedreste a dare il
volto ad ANN EVANS (non l’ho descritta nei
particolari… ma non fatemela bionda,
ok? Opterei più sul castano dato che il fratello ha i
capelli scuri… e occhi a
vostra discrezione - circa età Susan) e WILLIAM EVANS
(capelli scuri, neri o
giù di lì, e occhi azzurri - circa qualche anno
più di Peter)?
Con
questo vi lascio. Ancora grazie. ^-^ A presto, Hikari
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 - Il Ricevimento del Console ***
Capitolo 7 – Il
Ricevimento del Console
Susan e Peter
erano
tesi e non riuscivano a stare fermi un attimo. Non sapevano neppure
loro il
perché, ma si sentivano stranamente eccitati. E non era
certo l’imminente tè del
console ad emozionarli tanto.
I due ragazzi,
quella mattina, si erano svegliati di scatto. Il sole stava appena
sorgendo e
in tutta la casa regnava il silenzio e la calma. Ma loro sentivano che
qualcosa
era successo. Senza neanche cambiarsi, avevano indossato la vestaglia
ed erano
usciti nel corridoio incontrandosi a metà strada. Quando i
loro occhi azzurri
si erano incrociati, avevano capito di aver avuto la stessa sensazione:
non
poteva essere un caso.
“Narnia…”
Pronunciarono
insieme quella parola e nel farlo si abbracciarono. Susan non sapeva se
essere
felice oppure no. Rimasero muti per lunghi istanti, cercando di darsi
forza a
vicenda. Poi la voce di Peter ruppe il silenzio con una leggera
incertezza.
“Pensi
che Ed e
Lu siano andati a Narnia?”
Susan non
rispose subito. I suoi occhi fissavano senza vedere la parete di fronte
e
dovette fare una fatica enorme per non mettersi a piangere. Solo
pensare che
quella fosse la verità, la faceva soffrire
perché, alla fine, avevano fallito.
Per mesi avevano sperato che, nel momento in cui Narnia avrebbe
richiamato Lucy
e Edmund, Aslan avrebbe deciso di lasciarli venire anche a loro. Ma non
era
successo e, ogni istante che passava, era sempre più
convinta che la loro non
fosse stata solo una sensazione: Narnia aveva richiamato a
sé due sei suoi
Sovrani.
“Io…
io penso
di sì.”
Peter
sospirò.
“Anche io ho questa sensazione da quando mi sono alzato. E
non può essere solo
un caso se tutti e due abbiamo la stessa
impressione…”
Susan si
separò
dal fratello e lo fissò negli occhi. “E
ora?”
Peter non
seppe
subito cosa rispondere. Non era mica così facile…
a Narnia non ci arrivavi
prendendo un treno o una nave: la cosa era decisamente più
complicata. Ma non
potevano arrendersi. E alla fine il ragazzo sorrise.
“Un
modo lo
troveremo, vedrai Sue.”
La ragazza,
dopo un attimo di esitazione, sorrise. “Hai
ragione… non possiamo darci per
vinti.”
In quel
momento, il rumore dell’orologio del salone
risuonò nella casa. Presto anche
gli altri si sarebbero svegliati per prepararsi: era arrivato il giorno
del tè
del console. Peter sbuffò e Susan non poté che
sorridere divertita: al fratello
non era andata giù il fatto che William fosse riuscito a
farsi dare il permesso
per quel ricevimento. Poi, il maggiore dei Pevensie guardò
con decisione la
sorella.
“Senti,
Sue… torniamo
in camera e prepariamoci. Quando torniamo dal tè, proviamo a
pensare che cosa
potremmo fare. Magari anche in questa villa c’è un
armadio magico…”
Susan
annuì e i
sue ragazzi si avviarono verso le proprie stanze. Una volta rientrata
nella
propria camera, Susan si lasciò cadere sul letto e
fissò il soffitto. Quanto
avrebbe voluto che il ricevimento fosse già
finito… sarebbe stata una tortura
dover relegare Narnia in un angolo della mente per tutte quelle ore.
Fingere di
divertirsi, mentre in realtà avrebbe voluto essere in tutto
altro luogo. La
ragazza chiuse gli occhi sospirando. Però doveva farcela.
Sforzarsi un po’…
Narnia e Caspian valevano ben più di quel piccolo
sacrificio. E una volta tornati
a casa, lei e Peter avrebbero deciso il da farsi. Come se bastasse che
loro
decidessero che volevano tornare a Narnia…
Dopo diversi
minuti, Susan si alzò di nuovo dal letto. Star ferma
l’avrebbe soltanto portata
a concentrarsi sui pensieri più negativi. E invece doveva
avere fiducia. Con
quel pensiero fisso nella mente, Susan si diresse verso il bagno.
Quando ne
uscì,
aveva ritrovata la determinazione che aveva provato
nell’incontro con Caspian.
Non si sarebbe arresa. Resa serena da quella decisione, Susan si
cambiò
indossando l’abito azzurro a fiori che aveva comprato per il
ricevimento.
Lentamente di avvicinò allo specchio e finì di
sistemarsi i capelli, che le
ricadevano a morbide onde sulle spalle. Poi si passò con
delicatezza il
rossetto sulle labbra, l’unico trucco che aveva deciso di
usare.
Posato il
rossetto sul comò, Susan tornò a guardarsi
sfiorandosi una guancia con la mano.
Quanto era cambiata in quell’anno? E su Narnia quanto tempo
era passato? Quelle
domande la tormentavano… ma l’unica cosa che
veramente le importava era che
Caspian stesse bene.
In quel
momento, Susan sentì qualcuno bussare alla porta. Datasi
un’ultima occhiata
allo specchio, la ragazza raggiunse rapidamente la porta e la
aprì. Davanti a
lei si ritrovò una sorridente Ann. Una volta di
più Susan si convinse che aveva
avuto ragione a convincere Ann a prendere quel vestito: le stava
perfettamente.
La ragazza sorrise.
“Buongiorno,
Ann. Sei bellissima.”
Ann sorrise a
sua volta. “Grazie… tu sei meravigliosa. Tutti
guarderanno solo te.”
Susan rise
imbarazzata e le due ragazze si diressero verso l’atrio, dove
dovevano
incontrarsi con gli altri.
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Anche Peter,
mentre si preparava, non aveva fatto altro che pensare a Narnia e al
modo in
cui avrebbero potuto arrivarci. La frustrazione di non trovare nessuna
idea
plausibile, lui che era il Re Supremo, non aveva migliorato il suo
umore e lo
aveva costretto a rifarsi il nodo della cravatta almeno cinque volte
prima di
riuscirsi. Sistemandosi il nodo, Peter si guardò allo
specchio e sbuffò.
Certo che quel
William aveva un tempismo… invita Susan ad una festa, e lui
in seconda battuta,
e come per magia proprio quella mattina loro hanno
l’impressione che Lucy e
Edmund siano andati a Narnia. Se quello non era farlo
apposta…
Peter
sbuffò e
uscì dalla stanza. Lui il suo per quel stupido ricevimento
lo aveva fatto:
aveva accettato di farsi trascinare per i negozi, avrebbe fatto da
cavaliere
per Ann (grazie al cielo quella ragazza non era la copia sputata del
fratello).
Che Susan non gli chiedesse di non tenerlo
d’occhio… aveva già capito quali
erano le mire di William. Ma aveva fatto i conti senza di lui: non
avrebbe
permesso che il primo venuto portasse loro via Susan.
In cima alle
scale, Peter prese un profondo respiro e sorrise. Con un po’
di fortuna il
ricevimento sarebbe durato poco e loro avrebbero potuto occuparsi di
cose ben
più importanti: chissà che con Susan non
riuscisse a trovare un modo per
tornare a Narnia. Con quella convinzione, iniziò a scendere
le scale per
raggiungere la famiglia.
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Susan fissava
il paesaggio che, fuori dal finestrino dell’automobile,
sfrecciava ai lati.
Poco davanti si vedeva un’altra automobile in cui
c’erano Peter, suo padre e il
signor Evans. Avevano deciso di dividersi in quel modo
perché tutti su un’unica
automobile non ci stavano e poi perché avrebbero sicuro
avuto argomenti diversi
di cui parlare. Lei, però, non stava neppure prestando
attenzione ai discorsi
tra sua madre, Ann e la signora Evans che stava guidando.
Da quella
mattina
e, soprattutto da quando era salita in macchina, non faceva altro che
pensare a
Narnia. Almeno in quei momenti in cui poteva pensarci…
già sapeva che al
ricevimento non avrebbe più avuto neanche un momento. Dopo i
primi momenti di
sconforti e di senso della sconfitta, Susan si era riscossa e aveva
smesso di
piangersi addosso: forse Lucy e Edmund erano riusciti ad andare a
Narnia, ma
questo non significava che lei non sarebbe potuta riuscire a trovare un
modo.
Era più che mai certa della promessa di Caspian e non
sarebbe certo stata lei a
venirne meno: era davvero pronta anche a
buttarsi da un ponte, se quello fosse stato l’unico modo.
Aslan aveva detto che
erano cresciuti… bene, glielo avrebbe dimostrato: avrebbe
cercato con
determinazione un modo per raggiungere Narnia e lo avrebbe fatto con la
consapevolezza di una donna adulta. Non voleva tornare a Narnia per un
capriccio da bambina… certo, forse tornare a Narnia dopo il
primo viaggio era
stato un capriccio che poi, in quell’anno che li aveva
separati dal secondo
viaggio, lei aveva soffocato facilmente. Il motivo per cui voleva
tornare ora…
non l’avrebbe mai potuto soffocare, neanche provandoci per
tutta la vita. Amava
Caspian e avrebbe fatto di tutto per rivederlo.
“Sue,
tesoro?”
Susan si
riscosse dai suoi pensieri e si voltò di scatto verso
l’interno dell’automobile
dove si vide fissare da sua madre e da Ann. Helen Pevensie la guardava
preoccupata.
“Stai
bene
tesoro?”
Susan sorrise
per rassicurarla. “Sì, ero solo sovrappensiero. Di
che cosa stavate parlando?”
Ann riprese il
discorso sorridente.
“Commentavamo
che fortuna ha avuto William ad avere il permesso per venire al
ricevimento…”
Susan sorrise
ripensando all’espressione che aveva attraversato il volto di
Peter quando Ann
aveva detto loro che William, all’ultimo, era riuscito ad
ottenere il permesso.
Ci scommetteva che suo fratello aveva sperato che quel permesso non lo
ottenesse. L’unica consolazione che aveva avuto era che
William li avrebbe
aspettati alla villa del console, arrivato lì direttamente
dall’accademia e,
ovviamente, con indosso l’uniforme come tutti gli altri
cadetti e gli ufficiali
minori che sarebbero stati presenti. Sperava solo che il ricevimento
non
durasse troppo…
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Quando Susan
scese dalla macchina, non poté non osservare ammirata la
villa in cui si teneva
il ricevimento. Era molto bella e anche il giardino, che da
lì appena si
intravedeva, doveva essere meraviglioso. Oltre il rumore delle macchine
sulla
ghiaia e le voci di altri invitati che si dirigevano
all’interno, si sentiva il
rumore delle onde. Ann le aveva detto che la villa si trovava su un
altro dei
rami del delta dell’Hudson.
“Susan!”
La voce di
William la riscosse e Susan si voltò verso
l’entrata. Il ragazzo era appena
uscito da lì e si stava dirigendo a passi rapidi verso di
lei, scendendo le
scale e facendosi largo tra altri invitati. Peter, che le aveva
raggiunte
insieme al padre e al signor Evans, lo fissò per qualche
istante in cagnesco.
Poi, però, Peter si voltò verso Ann porgendole
sorridente il braccio: era pur
sempre un Re… e un Re si comporta sempre da cavaliere con la
propria dama
(anche quando, come gli era successo un paio di volte a Narnia, erano
delle
dame vecchie e pettegole che non ti facevano pensare ad altro se non
che il
ballo finisse presto).
“Ann.”
La ragazza
alternò per qualche istante lo sguardo tra il volto di Peter
e il suo braccio.
Solo dopo, con un po’ di esitazione, posò la sua
mano sul braccio di Peter
sorridendo timidamente.
“Grazie,
Peter.”
Proprio in
quel
momento, William li raggiunse e, dopo aver salutato i genitori, si
avvicinò
loro.
“Susan…
sei
meravigliosa!”
Susan sorrise.
Si vedeva che William era sincero… le dispiaceva non poterlo
ricambiare. Ma lei
amava Caspian. Questo, però, non le impediva di essere
gentile con lui. Poi,
doveva riuscire a trovare un momento durante il ricevimento per parlare
con
lui… anche se non sapeva bene che cosa gli avrebbe detto.
“Grazie,
William.”
Il ragazzo le
sorrise e le porse il braccio, guardando anche gli altri.
“Non mi devi
ringraziare… è la verità. Vogliamo
andare?”
A quel punto,
i
quattro ragazzi si avviarono seguendo i genitori che li avevano
già preceduti.
Mentre seguivano il resto degli invitati per andare nel giardino sul
retro
doveva erano stati sistemati tavolini e bungalow per il ricevimento,
William si
voltò verso Susan.
“Se
non ti va
di ballare o se invece vuoi ballare, dimmelo pure. O quando hai voglia
di bere
o mangiare qualcosa… cercherò di accontentarti.
Non sono un grande ballerino,
però per te farò questo sacrificio. In compenso
sono molto bravo a portare
bicchieri o piatti.”
Susan rise,
ignorando l’occhiataccia che Peter rivolse verso William.
“Non
preoccuparti, William.”
William la
fissò fingendosi in ansia. “Certo che mi
preoccupo… molti ufficiali o miei
compagni di accademia sono molto più bravi di me a ballare!
Non vorrei perdere
la mia dama.”
Susan sorrise
divertita e in quel momento arrivarono finalmente alla porta a vetri
che dava sul
giardino. Quando uscirono, avviandosi tra gli invitati, Susan sorrise
ammirando
il paesaggio che si poteva osservare da lì.
Ma non fu lei
l’unica ad ammirare qualcosa. Infatti, la dolce Regina di
Narnia non passò
inosservata fin dal primo passo che aveva fatto nel giardino. La
maggior parte
dei giovani ufficiali e dei cadetti di voltò
all’arrivo dei quattro ragazzi e
non poterono che fissare affascinati la maggiore dei Pevensie. Non che
Ann
fosse meno bella, ma lei aveva già incontrato di vista la
maggior parte di quei
ragazzi in altri ricevimenti… Susan invece era la prima
volta che la vedevano.
Improvvisamente, uno dei cadetti iniziò ad applaudire,
seguito a ruota da altri
ufficiali e cadetti.
Susan,
rendendosi
conto di quello che stava succedendo, sorrise arrossendo leggermente.
Poco
lontano, i signori Pevensie guardarono la scena commossi ed orgogliosi.
William, invece, si voltò verso di lei trionfante.
“Te
lo avevo
detto che saresti stata la più bella delle festa.”
Susan non
rispose e sorrise. Peter e Ann li affiancarono. La ragazza sembrava
entusiasta.
“Visto,
Susan?
Avevo ragione quando ti avevo detto con quel vestito saresti stata
perfetta.”
Susan sorrise
e
anche gli altri lo fecero. William ed Ann, in particolare, si sentirono
estremamente
fortunati. Infatti, se William aveva detto di avere accanto a
sé la ragazza più
bella della festa, neanche Peter era passato inosservato alle fanciulle
presenti al ricevimento. E Ann se ne era accorta, trovando ancora
incredibile
di essere lei la sua dama.
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Dopo che tutti
gli invitati erano arrivati, sistemandosi vicino ai tavoli o sotto i
bungalow,
l’orchestra ingaggiata dal console aveva iniziato a suonare.
Molte coppie si
erano quindi dirette verso la pista allestita nello spazio ampio tra i
tavoli.
Quasi non sembrava che lontano da lì, sui mari ed in Europa,
si stesse in realtà
svolgendo una guerra. Neppure la massiccia presenza di ufficiali e
cadetti
riusciva a rendere evidente quel fatto: tutti sorridevano,
chiacchieravano e
ballavano.
La famiglia
Pevensie e la famiglia Evans si erano sistemati ad un tavolino poco
distante dalla
pista. Chi prima, chi dopo, tutti tiravano fuori qualcosa di cui
parlare o si
collegavano a ciò che prima aveva detto un altro.
Più di una volta, erano
scoppiate delle risate allegre. Ad un certo punto, William si
voltò sorridente
verso Susan.
“Ti
va di
ballare, Susan?”
La ragazza
rimase muta per qualche istante e poi annuì. Dopotutto era
solo un ballo… e poi
magari sarebbe riuscita a trovare il modo di chiarire le cose con lui.
Susan
prese la mano che William le porgeva e i due, dopo aver salutato gli
altri, si
avviarono verso la pista. Ann fissò con invidia il fratello
e Susan. Aveva
sempre sognato di ballare a quei ricevimenti… ma la maggior
parte delle volte,
o non aveva un cavaliere (cosa che succedeva quando era più
piccola) o il
cavaliere non amava particolarmente ballare. La ragazza
sospirò abbassando lo
sguardo rassegnata.
“Andiamo
anche
noi, Ann?”
La ragazza non
comprese subito la domanda. Quando alzò lo sguardo,
fissò quasi con la bocca
spalancata la mano che Peter le stava porgendo sorridente. Per lunghi
istanti,
la ragazza spostò lo sguardo tra Peter e la pista da ballo.
Non riusciva a
crederci… il più bel cavaliere che aveva mai
avuto in quei ricevimenti… le
stava chiedendo se voleva ballare. La stava invitando a ballare! Ma
doveva
andare in Inghilterra per trovare simili ragazzi? Doveva essere
decisamente un
sogno perché lei non era mai stata così
fortunata…
“Se
non ti va,
non importa.”
Ann si
riscosse
al sentire la voce di Peter e scosse la testa alzandosi in piedi.
“No…
sì, mi
piacerebbe molto.”
Peter sorrise
divertito e le porse il braccio. “Allora andiamo.”
Ann
annuì.
Mentre percorrevano i pochi metri che li separavano dalle altre coppie
che
stavano ballando, la ragazza non riusciva a non sorridere. Incredula,
fissava
le coppie danzanti che presto avrebbero raggiunto. Si sarebbe ricordata
quella
giornata per tutta la vita.
Peter, dal
canto suo, aveva fatto quella domanda a Ann perché aveva
notato l’aria triste
della ragazza. Solo in parte il motivo era quello di controllare
William.
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William
continuava a ballare fissando affascinato Susan. La ragazza, sempre
sorridente,
si muoveva leggera al suono della musica. Sembrava che non avesse fatto
altro
che ballare per tutta la vita. William aveva ballato con altre ragazze
prima di
allora, ma mai nessuna aveva avuto quella grazia, quella
naturalità con cui
ballava Susan. Accanto a lei si sentiva doppiamente goffo, molto
più di quanto
non gli fosse successo altre volte… il ragazzo sorrise
imbarazzato.
“Non
credevo
che fossi così brava…”
Susan sorrise
e
scosse la testa. “Adoro ballare… ma era da un
po’ che non lo facevo.”
William
sgranò
gli occhi incredulo. “Non si direbbe
proprio…”
La ragazza
sorrise felice. In quegli istanti non poteva che pensare a tutti i
balli a cui
aveva partecipato a Cair Paravel. Ricevimenti in cui lei e i suoi
fratelli
ballavano fino a notte fonda… chi l’avrebbe mai
detto che sarebbe tornato loro
utile sulla Terra. Avevano veramente imparato molte più cose
di quanto
credessero a Narnia… però sentiva che non aveva
ancora imparato tutto.
In quel
momento
la musica finì e tutte le coppie si fermarono applaudendo
l’orchestra. Mentre
Susan applaudiva sorridente, improvvisamente si voltò di
scatto verso la riva
del fiume, immobilizzandosi.
“Susan,
tutto
bene?”
La ragazza
quasi non sentì la domanda di William. Senza esitazione, si
fece largo tra le
coppie e si diresse quasi di corsa verso la spiaggia su cui erano state
allestite delle barchette su cui a gruppi si poteva fare un giro. La
ragazza si
fermò sulla ghiaia fissando attorno a sé con
crescente ansia. Lei lo aveva
sentito. Ne era certa. Aveva sentito un ruggito… aveva
sentito Aslan. Quando la
mano di William le afferrò il braccio, Susan si
voltò di scatto fissandolo
confusa. Il ragazzo la fissava preoccupato.
“Sue,
stai
bene?”
La ragazza non
rispose e vide arrivare anche Peter e Ann. Anche loro la stavano
guardando
preoccupati. Susan non sapeva che cosa dire. Tornò a fissare
confusa le onde e
la spiaggia. Non sentiva quasi più le voci, i suoni e le
risate della festa. A
malapena sentiva il rumore delle onde sulla ghiaia.
“Susan,
che
cosa succede?”
La ragazza si
voltò alla voce del fratello. Tutti e tre la guardavano
preoccupati. Gli occhi
di Susan li fissarono per lunghi istanti.
“Io…”
Susan
sospirò.
Non poteva dirlo… Ann e William non avrebbero capito.
“Niente…”
William
sembrò
sollevato. “Forse è meglio che facciamo due
passi…”
Peter
annuì,
per una volta d’accordo con il giovane Evans.
“Veniamo anche noi.”
Susan
annuì e i
quattro iniziarono a camminare lentamente lungo la riva. La maggiore
dei
Pevensie continuava a pensare a quello che aveva sentito… o
che credeva di aver
sentito. Forse era
stata tutta una sua
illusione, provocata dall’enorme desiderio di andare a
Narnia. La ragazza
faticò a trattenere le lacrime.
Il gruppetto
non parlò per lunghi minuti. Peter continuava a guardare
preoccupato la sorella
e non erano da meno neppure William e Ann. La seconda, in particolare,
si stava
chiedendo se non fosse meglio chiedere ai genitori di tornare a
casa…
Improvvisamente
Peter si fermò di scatto, sgranando gli occhi. Quando
alzò lo sguardo, incrociò
gli occhi di Susan. Lo aveva sentito anche lei… allora non
era sua
immaginazione. Aveva sentito un ruggito. Fu in quel momento che Peter
capì: era
quello che aveva agitato Susan pochi minuti prima. I due fratelli si
fissarono
in ansia ed emozionati, incapaci di pensare che fosse tutta una loro
fantasia.
William e Ann, invece, li fissavano sempre più preoccupati.
La ragazza sfiorò
con la mano il braccio di Peter per attirare la sua attenzione.
“Peter,
che
succede?”
Il ragazzo si
voltò verso di lei e rimase muto per lunghi secondi.
“Abbiamo sentito un rumore…”
William
sbattè
le palpebre perplesso. “Con tutta questa confusione? Tra voci
e musica, io non
ho sentito proprio niente.”
Anche Ann
scosse la testa desolata. Peter e Susan si guardarono uno sguardo
d’assenso:
loro lo avevano sentito. La ragazza si voltò verso il
braccio dell’Hudson che
sfociava nell’Atlantico.
“Veniva
da
laggiù…”
William e Ann
si voltarono alla loro volta. I due fissarono senza capire le onde
azzurre su
cui si vedevano un paio di barchette che si dondolavano placidamente.
“Dal
fiume?”
Susan si
voltò
amareggiata verso Peter. I due rimasero per lunghi istanti incerti sul
da
farsi. Alla fine, fu Peter ha prendere l’iniziativa.
“Io
e Susan
vorremmo andare a controllare.”
I due Evans
erano sempre più confusi, incapaci di capire quanto fosse
importante per Susan
e Peter anche il più piccolo indizio che potesse alimentare
la loro speranza di
tornare a Narnia.
William
alzò le
spalle rassegnato. “Se proprio ci tenete…
prendiamo una barca. Al massimo
facciamo un giro.”
Susan e Peter
si guardarono uno sguardo allarmato. “Tutti e
quattro?”
Ann li
guardò
perplessa. “Sì… ma
c’è qualche problema?”
La maggiore
dei
Pevensie si sforzò di sorridere e scosse la testa.
“No, no… credevamo solo che
non vi interessasse.”
Ann sorrise.
“Nessun problema… sarà una piacevole
gita in barca.”
I due Pevensie
annuirono e seguirono William e Ann. Pochi minuti dopo, i quattro erano
seduti
su una delle barche con i due ragazzi ai remi, Susan a prua e Ann a
poppa. Un
fresco venticello muoveva loro i capelli, mentre si dirigevano verso il
centro
del ramo. Bastava alzare lo sguardo e si riusciva a vedere
l’oceano. Susan e
Peter sentivano un’ansia sempre più crescente
dentro di loro, mentre decine di
domande si agitavano nella loro mente. Era stato veramente un ruggito?
Era un segnale?
E se lo era, cosa sarebbe successo? E Ann e William si sarebbero
accorti di
quello che stava succedendo?
“Cerchiamo
di
non spingerci troppo verso il mare… lì la
corrente si fa più forte.”
La voce di
William riscosse i due che annuirono senza aver sentito veramente
quello che
lui aveva detto. Non riusciva a pensare ad altro che a Narnia.
La speranza,
però, così improvvisamente alimentata,
svaporò altrettanto velocemente. I
quattro infatti rimasero quasi mezz’ora in mezzo al fiume, ma
né Susan né Peter
sentirono più nulla. La ragazza si teneva al bordo della
barca spostando lo
sguardo sulle onde, mentre il ragazzo fissava amareggiato le onde che
si
infrangevano sulla fiancata della barca. Si erano sbagliati. Si erano
sbagliati. Quell’agghiacciante pensiero suonava come una
condanna definitiva…
non sarebbero mai riusciti a tornare a Narnia.
“Che
dite,
torniamo indietro?”
Peter
alzò lo
sguardo e Susan si voltò verso William gli altri,
guardandoli per la prima
volta da quando erano saliti sulla barca. I suoi occhi azzurri erano
sempre
stati fissi sulle onde, simili a quelle che forse Caspian stava ancora
solcando
a Narnia.
“Se
no i nostri
genitori si chiederanno dove siamo finiti…”
Susan
annuì
verso Ann e tornò a fissare le onde con dolore. Per
l’ennesima volta le lacrime
cercarono di uscire dai suoi occhi. Dietro di lei, sentì la
voce di Peter
mentre prendeva in mano il remo.
“Va
bene,
torniamo.”
Improvvisamente,
Susan si sentì spingere in avanti e solo con un
po’ di fortuna riuscì ad
afferrarsi al bordo. Un’onda sbattè contro la
fiancata schizzandola fino sul
viso. La ragazza si guardò attorno senza capire, sorpresa e
confusa.
“Ma
che sta
succedendo?!?”
Susan si
voltò
di scatto e vide Ann afferrata al parapetto come lei, mentre Peter e
William
cercavano di controllare la barca con i remi. Le onde si fecero sempre
più
forti, facendo assomigliare sempre più la barca ad un guscio
di noce sulle onde
di un mare in tempesta. Gli spruzzi si facevano più forti e
ben presto i
quattro si ritrovarono fradici dalla testa ai piedi. Ann e Susan si
scambiarono
uno sguardo spaventato, mentre i due ragazzi si sforzavano al massimo
delle
loro capacità per tenere ben saldi i remi e governare la
barca. Ma sembrava
tutto inutile. Erano in completa balia delle onde.
All’improvviso,
un’onda più forte quasi li sommerse facendo
gridare di paura le due ragazze e
strappando con violenza i remi dalle mani dei due ragazzi. A quel
punto, anche
Peter e William si afferrarono ai bordi della barca che veniva sbattuta
avanti
e indietro tra le onde.
“La
corrente
qui non dovrebbe essere così forte!”
Quelle parole
di William folgorarono Peter e Susan che alzarono gli sguardi
incrociando i
loro occhi azzurri. Quasi dimenticarono quello che stava succedendo,
mentre
un’emozione sempre più forte cresceva dentro di
loro. Come un grido, un’unica
parola si alzò nelle loro menti: Narnia. Non c’era
nessun’altra spiegazione,
era semplicemente la magia di Narnia. Indifferenti, ormai, alle onde
che li
sballottavano, Peter e Susan sorrisero emozionati come mai prima di
allora. I
due tolsero una mano dal parapetto e le intrecciarono.
“Cosa
possiamo
fare? Possibile che nessuno si sia accorto di nulla?”
Peter si
voltò
verso Ann, guardandola tranquillo e sicuro. “Va tutto
bene.”
William lo
fissò come se fosse impazzito. “Tutto bene? Queste
onde ci spingeranno al
largo, dobbiamo chiamare aiuto prima che sia troppo tardi.”
“William
no!”
I due Evans si
voltarono con stupore verso Susan, la cui voce aveva avuto un tono
perentorio e
determinato che non le avevano mai sentito. In un certo senso, ai loro
occhi,
Susan e Peter sembravano cambiati: emanavano una sicurezza, una calma
che non
riuscivano a spiegare. Davanti ai loro sguardi, Susan sorrise.
“Andrà
tutto
bene, fidatevi.”
Ann la
fissò
senza capire. “E come potete dirlo?”
Peter prese un
respiro prima di parlare. “Perché ci è
già successo.”
William
continuava a capirci sempre meno. “Ma di cosa state parlando?
Dobbiamo chiedere
aiuto!”
Il ragazzo
fece
per alzarsi, ma Peter lo afferrò per un polso obbligandolo a
risedersi.
L’espressione di Peter era diventata ferma. La barca
ondeggiò quando William fu
costretto a risedersi.
“Ma
che cosa ti
dice il cervello? Se vuoi affogarti, non puoi mettere a rischio la
nostra vita.
Non te lo permetto.”
“Stai
zitto per
una volta! All’accademia crederai di aver imparato tanto,
magari anche a
comandare… ma non sai niente. Non sai che cosa significhi
avere delle vite che
dipendono da te!”
William
fissò
scioccato Peter, senza avere la forza di opporsi al tono categorico del
ragazzo.
Improvviso, un
ruggito squarcio l’aria riempita dal fragore delle onde. Un
luminoso sorriso si
allargò sul volto di Susan, in contrasto con
l’espressione sconvolta dei due
Evans.
“Aslan!”
Le onde si
fecero più forti, quasi alimentate dal ruggito.
Un’espressione spaventata si
dipinse anche sul volto di Susan e Peter. Ogni volta che
un’onda si infrangeva
sulla fiancata, quasi sommergendoli, un grido si alzava dalle loro
bocche.
“Se
non
facciamo qualcosa affonderemo!”
Peter e Susan
si fissarono senza sapere bene che cosa fare. William aveva ragione, ma
non
potevano fare nulla. Dovevano solo aver fiducia in Aslan… se
stavano per farli
tornare a Narnia, non avrebbe fatto loro del male.
La costa quasi
non si vedeva più, nascosta agli spruzzi e dai cavalloni.
Nessuno di loro
sapeva dire da quanto tempo fossero lì, in balia delle onde.
Poi, fu un
attimo. Improvvisa, un’onda più alta delle altre
si abbatté su di loro. I
quattro ragazzi fecero appena in tempo a fissare terrorizzati la massa
d’acqua
cristallina che si riversava su di loro e a prendere un po’
d’aria nei polmoni.
La forza
dell’acqua li scaraventò giù dalla
barca. L’impatto con l’acqua fredda del
fiume e del mare fece quasi loro mancare il respiro. Come fuscelli,
iniziarono
ad essere sballottati, circondati dai pezzi in cui la barchetta era
stata
frantumata. I quattro annasparono, agitando braccia e gambe nella
schiuma che
impediva loro di tenere gli occhi aperti. Sembrarono restare in balia
dei
mulinelli per un’eternità.
Ma le onde,
improvvise come si erano rafforzate, si placarono e i quattro rimasero
circondati da una massa d’acqua immobile e cristallina. In
basso non si
scorgeva che un’immensità blu senza confine.
Resisi conto di potersi finalmente
muovere, i quattro ragazzi iniziarono a nuotare verso l’alto,
circondati dai
legni della barca.
Sopra di loro
la luce filtrava attraverso le onde. Era come nel suo sogno. Susan
sorrise: non
le importava che i polmoni le bruciassero, non le importava che la
gonna
bagnata le ostacolasse il movimento, non le importava che stessero
nuotando da
qualche parte in pieno oceano. L’unica cosa che le
interessasse veramente era
che Aslan li aveva ascoltati. Li aveva riportati a Narnia.
Perché lei lo
sapeva. Non le serviva emerge e guardare il suo cielo azzurro o avere
qualcuno
che glielo confermasse. Ogni sua cellula, ogni fibra del suo corpo
sapeva che
era a Narnia. E lì da qualche parte Caspian la stava
aspettando… Susan nuotò
con tutte le sue forze verso la superficie, incapace di aspettare
ancora tra
quelle onde, pervasa da un’emozione e da una gioia
fortissime. Sto arrivando, amore mio. Sono
qui, come ti
avevo promesso.
E finalmente
Susan emerse e il suo cuore perse un battito. I pezzi di legno attorno
a lei la
colpivano, ma non se ne accorgeva neanche. Immobile, galleggiando sulle
onde,
Susan sorrise mentre calde lacrime iniziarono a rigarle le guance
confondendosi
con l’acqua salata del mare. Una distesa blu-verde senza fine
si apriva davanti
ai loro occhi, un cielo azzurro limpidissimo li sovrastava. Erano a
Narnia.
Erano a Narnia. E, con quel pensiero fissò in testa, la
ragazza scoppiò in un
pianto dirotto. Un pianto di gioia, che sapeva di speranza, di futuro e
di
libertà. Perché lei si sentiva finalmente
libera… libera di poter essere di
nuovo sé stessa, libera di affrontare finalmente il suo
destino. E, in quella
lotta, non sarebbe stata da sola.
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Il rumore
della
chiave, che veniva fatta girare nella serratura, la fecero risvegliare
di
scatto dal torpore in cui era caduta. Fece appena in tempo ad aprire
gli occhi
che la porta venne spalancata e fatta sbattere con violenza contro la
parete.
La luce proveniente dal ponte superiore illuminò gran parte
dello stanzone e la
ragazza dovette stringere le palpebre, quasi non più
abituata ad una luce così
forte. Contro il bianco si stagliava la figura imponente di uno dei
pirati. Non
poteva vederlo in volto, ma era certa che stava ghignando. Se solo non
fosse
stata incatenata alla parete, se solo avesse avuto la sua
balestra…
“Spero
che la
traversata continui ad essere di vostro gradimento.”
Nessuno degli
altri prigionieri osò dire una parola. Donne e bambini si
strinsero agli uomini,
che aspettavano impotenti quello che sarebbe stato il loro destino. La
ragazza
si morse un labbro per impedirsi di gridargli contro: aveva ancora
sulla
schiena il segno della volta in cui ci aveva provato. In quel momento
il pirata
lanciò nel centro della stanza un sacchetto da cui
fuoriuscirono, rotolando sul
pavimento sporco, una dozzina di panini.
“Mangiate…
non
possiamo permetterci di perdere uno di voi, proprio ora che mancano
pochi
giorni alle Isole Solitarie.”
L’uomo
uscì
ridendo sguaiatamente e chiudendosi la porta alla spalle. La luce
scomparve e
lo stanzone ripiombò nel buio quasi assoluto, rischiarato
solo da quattro
lucerne poste negli angoli. In ogni caso troppo deboli, per poter
rischiarare
l’intero stanzone in cui erano assiepate quasi trenta
persone, di cui cinque
bambini. Il tenue chiarore creava inquietanti ombre dei prigionieri che
si
muovevano sulle parete come anime inquiete e dannate. I sussurri, i
pianti e il
rumore delle catene accentuavano ancora di più
l’atmosfera infernale.
Quando gli
occhi scuri della ragazza si abituarono di nuovo alla penombra, vide
uomini e
donne strisciare lenti e deboli verso i pezzi di pane raffermo. Lei non
si
mosse e strinse le braccia attorno alle gambe. Sotto le dita poteva
sentire i
punti in cui la stoffa era strappata o sgualcita.
Si morse un labbro per soffocare un
singhiozzo. In quel momento, una donna di avvicinò
lentamente a lei e, anche se
non riusciva a vederla bene, era certa che stava tentando di sorridere.
“Tieni,
mangia…”
La ragazza
guardò solo per un istante il pezzo di pane che le stava
porgendo. Poi volse la
testa.
“No.”
La donna
abbassò il braccio tristemente. “Devi
mangiare… o diventerai troppo debole…”
La ragazza si
voltò verso la donna con rabbia.
“Cambierebbe
qualcosa? Se devo vivere per diventare una schiava, preferisco
morire.”
Poi,
sospirò e
cercò di parlare più dolcemente. “Dallo
a tuo figlio…”
Ci furono
lunghi istanti di silenzio, poi, sospirando, la donna tornò
indietro verso la
propria famiglia. La ragazza, invece, posò la testa sulle
ginocchia lasciando
così che i capelli biondi scarmigliati e sporchi le
scivolassero ai lati del
viso. Lacrime silenzioso iniziarono a rigarle le guance.
Da quanto
tempo
si trovava in quella stiva? Giorni? Settimane? Dopo un paio di giorno
dalla
partenza aveva perso il conto: lì sotto notte e giorno si
confondevano in un
unico grigiore fatto di sporcizia e aria viziata, pianti e grida
disperate. Non
sarebbe dovuto finire così… aveva deluso tutti.
Si strinse ancora di più,
afferrando con le dita la stoffa della gonna. Era tutto finito. Era
fuggita per
cosa? Non certo per diventare la sguattera o la concubina di qualche
nobile. E
invece sarebbe stato quello il suo futuro… Sempre
più lacrime scivolavano sui
suoi zigomi bagnando la gonna. Sarebbe stato meglio che quella notte
fosse
morta, insieme a suo padre. Invece era scappata con
l’illusione che un giorno
sarebbe tornata per vendicarsi, per riavere quello che era suo. Aveva
lasciato
la sua città con quella convinzione… lo aveva
giurato in nome di Aslan, sarebbe
tornata e si sarebbe vendicata. Ora, però, era tutto
inutile. Non aveva più
nulla a cui tornare, era troppo tardi. Probabilmente, anche tornando
non ci
sarebbe più stato nulla per lei. Forse era meglio sperare di
morire in quella
traversata, almeno così non sarebbe diventata schiava.
Se solo quella
notte non si fosse fatta sorprendere da quei briganti… nella
sua memoria quegli
istanti si stagliavano indelebili: la cattura, la sua balestra e il suo
pugnale
che le venivano sottratti per poi essere venduti al capitano della
stessa nave
su cui lei si trovava, le catene, la stiva, la frustata che aveva
ricevuto nel
momento in cui aveva cercato di ribellarsi a quella
schiavitù e alle avance
dell’equipaggio.
Ormai lei era
solo quello. Tutto il suo passato, la sua vita precedente, i giochi, i
racconti
di sua madre, le cavalcate con suo padre cominciavano a sfaldarsi, a
diventare
grigie come il luogo in cui si trovava, iniziavano a sprofondare
nell’oblio e
in un mare di disperazione di cui non vedeva il fondo.
La ragazza
represse
un singhiozzo e prese tra le mani uno dei due oggetti che era riuscita
a
nascondere a briganti e pirati. Attraverso il velo di lacrime,
fissò quello che
ormai era uno dei suo due unici legami con il passato. Sul suo palmo
sporco,
brillava splendido come sempre il ciondolo che un tempo era appartenuto
a sua
madre e che le aveva donato quando era morta. Un fiore dorato con
incastonato
al centro un opale. Sorrise amaramente guardandolo. Il suo nome
significava
“fiore dorato”, Elanor… ma solo il
ciondolo avrebbe continuato a fiorire. Lei,
ormai, stava appassendo, incapace di vedere un qualche futuro per lei.
I
singhiozzi si fecero sempre più pressanti ed Elanor non
riuscì più a
trattenerli. Rannicchiata su sé stessa si
abbandonò alle lacrime e al dolore.
Fuori,
intanto,
la nave proseguiva la sua rotta che presto l’avrebbe portata
ad attraccare
sulle Isole Solitarie, principale mercato di schiavi del Mare
Orientale.
Sarebbe stato lì che il destino di Elanor e di tutte gli
altri prigionieri
sarebbe stato deciso.
Salve
a tutti. Torno con questo
aggiornamento dopo molto tempo da quando avevo pubblicato lo scorso
capitolo. Non
voglio cominciare ad
elencare motivi e scuse che giustifichino tutto questo tempo trascorso
e
capisco chi magari avrà deciso di smettere di seguire questa
storia.
Voglio
solo dire che, oltre agli impegni
che ho avuto (sessione esami in primis…), questo ritardo
è stato aumentato
dall’insoddisfazione che provavo verso la struttura che avevo
dato alla storia…
non mi soddisfaceva e, quindi, ogni volta che provavo a scrivere non
riuscivo
ad andare avanti. In questi mesi, ho avuto tempo per pensarci e credo
perciò di
essere pronta per riiniziare. Per chi vorrà ancora seguirmi,
dico subito che
non avrò la possibilità di aggiornare ogni
settimana… ma nonostante questo, mi
impegnerò a farlo il più spesso possibile.
Passiamo
quindi al capitolo. ^-^ Susan e
Peter, insieme a William e Ann, sono riusciti finalmente a tornare a
Narnia…
tutti i loro sforzi sono stati premiati. E abbiamo conosciuto anche un
nuovo
personaggio, Elanor. Ditemi, se vi va, che ne pensate. ;)
Non penso di aver molto altro da dire sul capitolo… non so,
forse sono un po’
fuori addestramento per le note. XD
Passo
quindi subito ai ringraziamenti,
premettendo che essi vanno a tutti coloro che mi hanno seguito,
indifferentemente se continueranno a farlo oppure no.
·
Per
le seguite: ChibiRoby,
ElenaDamon18, Fly_My world,
GossipGirl88,
Joy_10, katydragons, Min_Jee Sun, Shadowfax
e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: aleboh,
DansEyes,
english_dancer e MoonyMoon
·
Per
le ricordate: katydragons
·
Per
le recensioni del capitolo 5: DansEyes
(che
ringrazio anche per le recensioni lasciate a Tears of Memory)
Inoltre,
chi volesse, potete propormi chi vedreste ad interpretare Ann e
William. Per quanto
riguarda Ann (ma non ho avuto molto tempo per cercare) una
possibilità potrebbe
essere Caitlin Stasey… ma è ancora tutto in
forse: potrei cambiare idea io
stessa. XD Potete sempre cosa ne pensate, però…
Quindi,
nel PROSSIMO CAPITOLO: vedremo come se la cavano
Susan, Peter, Ann e
William e se riusciranno a trovare un modo per arrivare alle Isole
Solitarie. E
qui invece scopriremo come se la stanno cavando Caspian e gli
altri…
Prima
di salutare, ringrazio ancora una volta tutti coloro che leggeranno il
capitolo…
se vi va lasciate una recensione. Grazie ancora anche a chi mi ha
seguito e non
lo farà più… dopotutto è
colpa mia. XD
Beh,
a presto. HikariMoon
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