Demons Ride

di Aka_Yuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: La Miko ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Sango ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Il Bonzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Kitsune ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: Segreti e la Sera ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI: Bianco ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII: Spade e Denari ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII: Alba ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX: Ombre e Storie ***
Capitolo 10: *** Capitolo X: Bisbigli ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI: Il Monaco e la Volpe ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII: Kaede e la Verità ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII: Il Verme nella Mela ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV: Un Attimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV: Kagura del Vento ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI: Inaspettatamente ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII: Dietro al Bandito ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII: Rosso ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX: Kirara ***
Capitolo 20: *** capitolo XX: Artigli e Pazienza ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI: Vendetta e un Sorriso ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII: L'Arco ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII: Preziosa ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV: Inuyasha e la Ladra ***
Capitolo 25: *** capitolo XXV: Un frammento e Lui ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: La Miko ***


Capitolo I: La Miko

“Dunque, se io volessi ingaggiare qualcuno per la mia protezione personale, dove potrei andare?” L’uomo col carretto si fermò un attimo a riflettere, grattandosi la testa ed osservando la ragazza che stava ritta di fronte a lui e gli aveva appena fatto questa strana domanda. Era una miko, come suggeriva il suo chihaya. Aveva i lunghi capelli neri mossi, legati in una coda bassa da un nastro rosso e stava compostamente ritta in piedi aspettando una risposta, guardando fisso l’uomo in volto con dei profondissimi occhi neri. L’uomo pensò solo cosa diavolo ci potesse fare una tale ragazza in un villaggio sperduto. Specie poi con una simile richiesta. Con un sospirò lasciò cadere il braccio.

“Non saprei esattamente, ma se fossi in lei andrei alla locanda giù in fondo a chiedere. Anche se là di certo non troverà della bella gente.” 

“La ringrazio.” si inchinò la ragazza senza scomporsi per le parole dell’uomo, che riprese a grattarsi la testa con aria confusa.

“Le serviranno un bel mucchio di soldi se vuole davvero ingaggiare una di quelle persone.” continuò l’uomo, prima che la miko si incamminasse. Lei si voltò nuovamente a sorridergli, facendolo arrossire.

“Devo ingaggiarne tre.” rispose, posando la mano su una saccoccia che teneva legata alla vita. Poi senza aggiungere altro si incamminò per la strada terrosa verso la locanda indicata dall’uomo. Questo rimase ad osservarla finchè non la vide entrare, poi sospirò nuovamente, prese il carretto e si mise in cammino a sua volta.

 

La locanda era un luogo buio e un po’ fumoso. Dentro c’erano quasi esclusivamente uomini, alcuni sfregiati o orribilmente deturpati, altri annebbiati fumavano oppio in compagnia di allegre donnette. Si sentiva un forte odore di sakè, che di certo da quelle parti scorreva a fiumi. Quando la miko aprì la porta la luce filtrò, attirando l’attenzione di tutti che rimasero parecchio sorpresi nel vedere chi stava entrando in quel posto. 

“Che divina visione! Vorresti avere un figlio con me?” esclamò un uomo vestito con un trichivara blu notte, alzandosi dallo sgabello su cui sedeva e andando incontro a braccia aperte alla ragazza. Prima che lei potesse aprire bocca, questo la abbracciò. Con una mano si stava allungando verso il fondoschiena della miko, quando qualcuno lo afferrò per un orecchio e lo lanciò via.

“Sparisci, depravato di un bonzo!” esclamò una ragazza che indossava un corto kimono color porpora. Sorrise alla miko, ancora piuttosto sorpresa da quello che era accaduto la fissava sorpresa.

“Ti sei persa? In un posto del genere una ragazza come te ci può finire solo per caso.” ridacchiò la ragazza. La miko a quel punto sorrise a sua volta.

“Affatto. Anzi, credo di aver già trovato quello che cercavo.”

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Sango ***


Capitolo II: Sango

“Quindi stai cercando un paio...”

“Pensavo a tre. Tre mi sembra un buon numero.”

“E tre sia. Stai cercando tre persone che ti proteggano per un viaggio che hai da fare, giusto?”

“Esattamente.” annuì la miko. La ragazza con il kimono rosso, che si chiamava Sango, l’aveva fatta accomodare ad un piccolo tavolo in un angolo della locanda. Nonostante questo gli occhi della maggior parte degli uomini erano puntati su di loro. Sango era una bella ragazza, snella ma formosa, cosa che il corto e aderente kimono metteva in mostra. I capelli castani e lisci erano legati in una coda alta e ai piedi calzava degli stivali. La miko, Kagome, arrossì guardandola e pensando che il suo fosse un abbigliamento un tantino aggressivo. Ma intimamente la invidiava un po’, poiché con il suo aspetto un tantino infantile, non avrebbe potuto assolutamente indossare abiti come quelli. Ne apparire bella come Sango. Nonostante ciò anche lei era bella, sebbene in una maniera alquanto diversa.

“Immagino tu non voglia dirmi a cosa ti servono queste tre persone e che tipo di scopo tu abbia.” rifletté ad alta voce Sango, guardandola con la coda degli occhi, mentre osservava attentamente i movimento all’interno della locanda. L’entrata in scena della miko aveva destato scalpore, come era presumibile. Mentre ascoltava la ragazza giocherellava col pugnale che aveva nella larga manica del kimono.

“Non qui di certo.” Sango si voltò e le sorrise.

“Questa è una mossa saggia. Dunque che tipo di persone stai cercando? Magari posso aiutarti a trovarle.”  Kagome sbatté le palpebre ripetutamente. Appoggiò le mani sul tavolino ed incrociò le dita, riflettendoci.

“Dunque, pensavo a qualcuno abile nell’uccisione di demoni, qualcuno con poteri spirituali, non caso io non bastassi e un demone magari.” elencò con lo sguardo vacuo. 

“Un demone?!” esclamò a voce troppo alta Sango attirando su di sé parecchi sguardi. Lei allora deglutì, cercando di ritrovare la calma e ripeté a voce più bassa ma comunque tesa:

“Un demone? Ma sei sicura? Questa non è una richiesta facile. Ma per lo meno siamo già a buon punto.”

“Cioè?” domandò Kagome sinceramente interessata. Sango sorrise furbamente, sistemandosi i capelli.

“Hai detto che ti serve qualcuno abile nell’uccidere demoni, no?” La miko annuì.

“Io sono alquanto abile.” Kagome sorrise.

“Davvero? Ma è una splendida notizia! Non mi sentivo completamente a mio agio a pensarmi in viaggio con tre rozzi e spietati mercenari! Sapermi in tua compagnia, mi rilassa oltremodo. Comunque, saprò ricompensarti adeguatamente.” fece allungando la mano verso la saccoccia, ma Sango la bloccò prima.

“Fai attenzione. Portare denaro in un posto simile non è molto saggio. Indicarglielo, ancora meno.” 

“Giusto.” sorrise imbarazzata Kagome, riportando le mani in grembo. Sango sorrise e sollevò un braccio ed urlò allegramente.

“Oste! Ci porti del sakè! Dobbiamo concludere un contratto in maniera adeguata!” 

“Sango,- mormorò timidamente Kagome -io non sono esattamente abituata a bere.” L’altra le fece un gesto con la mano esclamando:

“Non preoccuparti. Vedrai come va giù bene.” Kagome deglutì.

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Il Bonzo ***


Capitolo III: Il Bonzo

“Avevi proprio ragione!” esclamò Kagome, ingollando un bicchiere di sakè. Le guance le si erano fatte di un rosso intenso, simile quasi al colore del kimono di Sango e il suo tono di voce si era alzato via via che trangugiava uno dietro l’altro vari bicchieri di sakè.

“Su cosa?” domandò Sango, bevendo a sua volta. La miko la guardò ridacchiando e provando a versarsi ancora un bicchiere.

“Va giù proprio bene.” Mentre diceva così, facendo ridere a sua volta anche l’altra ragazza, le scivolò la presa dalla brocca che si sarebbe frantumata a terra con tutto il suo contenuto dentro, non fosse stata afferrata da un uomo. 

“Per tutti i Kami!” esclamò Kagome, rendendosi conto che le era scivolata solo quando l’uomo la posò nuovamente sul tavolino. Alzò lo sguardo per vedere chi era stata e si trovò a fissare due occhi azzurri illuminati da un sorriso. Lei sorrise a sua volta, come di riflesso.

“Salve meravigliose visioni.” gorgogliò l’uomo, inchinandosi a baciare la mano della miko che non reagì minimamente, limitandosi a ridacchiare inebetita. Invece Sango sbottò:

“Ma tu sei il bonzo pervertito di prima!” esclamò indicandolo. Lui si sollevò con un’espressione mogia e la guardò con un’espressione afflitta.

“A dire il vero il mio nome sarebbe Miroku.” Sango arrossì di colpo sentendosi puntata addosso quei tristi e lucenti occhi azzurri. Per un momento le sembrò che tutto l’alcol le fosse andato improvvisamente alla testa, facendole di colpo esplodere di rosse le gote. Brontolò:

“Sì, dunque, piacere, il mio nome è Sango.” Di colpo l’uomo si illuminò in un sorriso, abbracciandola ed esclamando:

“Oh dolce ragazza” E istantaneamente fece scendere la mani sul fondoschiena della ragazza, strusciando la guancia sbarbata sui suoi capelli. Le due ragazze rimasero impietrite un attimo volgendo lo sguardo una all’altra. Poi Kagome scoppiò a ridere e Sango allontanò il monaco assestandogli un calcio all’addome. L’uomo si piegò in due, mentre la ragazza sbottava:

“Ma ti pare!? Un monaco che si comporta in questo modo! Un pervertito, altroché, avevo ragione fin da subito! No, no, io non sbaglio mai su queste cose! Mai!” Intanto Kagome rischiava di cadere a terra dal troppo ridere. Ancora sghignazzando e boccheggiando, si appoggiò al tavolino e guardò la ragazza tra le lacrime.

“Però è perfetto! Credo di volere lui.” Sango la guardò sbigottita.

“Scusa, credo di non aver capito.” boccheggiò.

“Ha un forte potere spirituale. E poi è un monaco!” L’altra spalancò gli occhi fin quasi a farseli rotolare fuori dalle orbite.

“Tu sei ubriaca!” esclamò presa dal panico.

“No, che dici!” disse la miko, terminando la frase con un singhiozzo. Sango la guardo sollevando un sopracciglio, con un sorrisetto di scherno sulla bella bocca. Kagome sbuffò scrollando le spalle:

“Ok, forse solo un pochino, ma ho preso la mia decisione.” In quel momento il monaco si appoggiò al tavolino, tenendosi ancora l’addome.

“Quale decisione?” domandò con un po’ di affanno.

“Sei assunto!” esclamò allegramente Kagome, versandosi ancora un po’ di sakè. L’uomo leggermente spiazzato la fissò un attimo e poi volse lo sguardo verso Sango, la quale quando incontrò il suo sguardo si voltò con uno sbuffo, incrociando le braccia sul petto, per niente soddisfatta di come le cose si stavano mettendo. Il monaco invece sorrise osservando il viso dai lineamenti decisi e i capelli che scorrevano fluidi sulla schiena.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: Kitsune ***


Capitolo IV: Kitsune

“Facciamo che questo giro lo offro io.” commentò Sango dirigendosi dall’oste, dopo aver lanciato uno sguardo a Kagome, che ridacchiava accasciata sul tavolino, e aver scosso la testa con un sospiro. Miroku, che senza ombra di pudore si era seduto accanto a lei, ora la guardava ancora leggermente stupito.

“Divina Kagome? Mi potresti spiegare cosa significa che sono assunto?” La miko non dette però alcun segno di averlo sentito e continuò a sghignazzare con il viso affondato nelle braccia incrociate. Sentiva la testa girare e se chiudeva gli occhi le pareva che a muoversi fosse tutta la locanda, non di certo lei che per altro era ferma. Stranamente la cosa la faceva ridere. Il monaco aspettò ancora un attimo che la ragazza rispondesse, poi si guardò intorno con fare guardingo, mormorando:

“Divina Kagome?” Allungò una mano.

“Stupido bonzo!” esclamò una vocetta acuta e infantile. Il ragazzo saltò per la sorpresa, finendo quasi per cadere a terra. Poi abbassò lo sguardo, scoprendo che lo stavano fissando due occhietti severi.

“Shippo cosa c’è? Mi hai fatto prendere un colpo.” sospirò il monaco. Il bambino aveva le manine a pugno sui fianchi, in corrispondenza dell’obi viola che tenevano gli hakama dello stesso colore. Inoltre batteva insistentemente una zampetta da volpe a terra, con nervosismo e irritazione.

“Avevi detto che andavamo al mercato, ti ho aspettato fino ad ora! Dovevo sapere che eri qui ad insidiare qualche povera fanciulla che ha troppo bevuto! Sei il solito maniaco!” urlò più forte il bambino. Miroku quasi si gettò su di lui.

“Fai piano!” mugugnò, purtroppo per lui troppo in ritardo. Sebbene sapesse che si trattava solo di una sensazione, gli parve di sentire un ardente fiamma rabbiosa addensarsi dietro di lui, poco prima di ricevere un poderoso pugno in testa, che lo obbligò ad accucciarsi a terra, piagnucolando. 

“Non posso lasciarti solo un secondo!” esclamò Shippo e la sua voce fece eco a quella squillante di Sango. I due si voltarono a guardarsi, per un attimo, seppur sconosciuti, perfettamente in sintonia. Il piccolo kitsune si inchinò profusamente.

“Mi dispiace molto che questo stupido monaco- disse ribadendo il concetto con un calcio all’interessato -vi abbia in qualche modo recato fastidio. Il mio nome è Shippo e mi scuso anche a nome suo.” concluse tirando un’altro calcio allo sfortunato che mugugnò. Sango a sua volta si inchinò.

“Piacere mio, il mio nome è Sango.” Il bambino sorrise allegramente scuotendo la mano in direzione di Miroku, che lentamente si stava riprendendo, cercando di assumere nuovamente la posizione eretta. 

“Ora se volete ve lo porto via. Mamma mia, non gli posso staccare gli occhi di dosso un attimo che subito va ad infastidire la prima bella ragazza che trova. È incredibile, è come se le fiutasse!” 

Proprio in quel momento Kagome si alzò, esclamando:

“No!” poi l’equilibrio l’abbandonò e ricadde sulla sedia. Sango si affiancò a lei, sorreggendola per le spalle.

“Cosa c’è, Kagome-sama?” domandò con tenerezza. Quella ragazza aveva qualcosa che le ricordava un po’ suo fratello, pensiero che subito la fece irrigidire per un secondo.

“Non se lo può portare via, io l’ho assunto.” piagnucolò con voce infantile ed impastata la miko. Shippo la guardò e poi chiese a Sango:

“Assunto? Questa miko ha assunto Miroku?” domandò stupito. La ragazza sospirò.

“A dirla tutta sì. E ha assunto anche me.”

“Cosa vuol dire che mi ha assunto?” boccheggiò il monaco riuscendo finalmente a tirarsi su e parlare. Sango lo fulminò con un’occhiata che avrebbe fatto scappare i più e raggelò il bonzo, che sentì scorrergli un brivido gelato su per la schiena.

“Vuol dire che ha richiesto il tuo contributo come guarda del corpo per un viaggio che deve fare, onorabile monaco.” sibilò, caricando di veleno le ultime parole. Lui deglutì ma fu Shippo a rispondere estasiato:

“Che meravigliosa notizia! Ciò significa che ci pagherà per farle da scorta?”

“Immagino di sì.” rispose Sango accarezzando la testa della miko, che nel frattempo si era addormentata sul tavolino.

“Chissà perché ha bisogno di protezione...” rifletté ad alta voce e con un tono insolitamente serio Miroku, guardando la ragazza che dormiva con uno sguardo penetrante, ma che per la prima volta non lasciava trasparire alcun tipo di lussuria. Al massimo sincera curiosità ed un pizzico di preoccupazione. Sango lo guardò sbigottita dal repentino cambiamento, poi spostò lo sguardo sulla ragazza che dormiva. Deglutì. Certamente c’era molto più di un viaggio in ballo.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V: Segreti e la Sera ***


Capitolo V: Segreti e la Sera

Kagome aprì gli occhi e la testa iniziò a pulsarle violentemente. Si premette una mano sulla fronte cercando di ricordare che cosa fosse successo e perché si sentisse così affaticata. Non ricordava minimamente di essersi addormentata. Improvvisamente spalancò gli occhi e un’espressione di terrore le si dipinse sul volto mentre faceva scattare la mano sul suo petto. Tastò ripetutamente tra le pieghe del del kimono bianco cercando un solido rigonfiamento. Sospirò rilassandosi solo quando lo sentì sotto alle dita. Solo allora cercò lentamente di sollevarsi a sedere sul futon, nonostante le fitte insistenti alla testa. Si trovava... Dove si trovava? Pensò sentendo nuovamente il panico assalirla.

“Oh, finalmente ti sei svegliata, Kagome-sama.” La miko si girò di scatto cogliendo l’immagine di Sango che entrava nella stanza aprendo una porta scorrevole. La vista le si appannò immediatamente e dovette appoggiarsi su un braccio per non cadere giù. Sango le si avvicinò rapidamente, poggiando a terra un vassoio con sopra una teiera fumante e un paio di tazzine.

“Tutto apposto, Kagome-sama?” domandò gentilmente accarezzandole i capelli un po’ scompigliati dal sonno. L’altra annuì, non completamente sicura che la voce le sarebbe uscita come voleva lei. La ragazza dal kimono rosso sorrise amabilmente versando del tè bollente in una tazza.

“Tieni, questo è un ottimo rimedio per la tua situazione.” sorrise porgendo la tazza alla miko. L’altra afferrò debolmente la tazza e se la portò alla bocca.

“Con calma, è bollente.” la avvertì Sango. Dopo un paio di lenti sorsi, Kagome iniziò a sentirsi meglio. Guardò la ragazza arrossendosi e sentendosi immediatamente imbarazzata per come erano andate a finire le cose. L’altra notò la cosa e rise dolcemente.

“Non ti preoccupare! È capitato anche ai migliori di noi di ubriacarsi col sakè.” esclamò versandosi a sua volta un bicchiere di tè che iniziò a sorseggiare con un sorriso appena disegnato sulle labbra. 

“Non ho fatto niente di sciocco, vero?” domandò la miko con una leggere apprensione nella voce. Sango sospirò teatralmente scuotendo la testa.

“Una cosa davvero stupida l’hai fatta di sicuro.” brontolò, proprio mentre la porta si apriva nuovamente.

“Ben svegliata, divina Kagome.” disse pomposamente Miroku, accucciandosi per baciarle la mano. Sango lo spinse facendolo cadere, mentre Shippo gli saltò sulla testa esclamando:

“Stupido monaco!” Poi rotolò sul grembo della miko che lo guardò sbattendo le palpebre.

“E tu chi sei?” domandò osservandolo.

“Shippo. Un kitsune. Bado a questo stupido monaco.” rispose inchinadosi. La miko si guardò intorno spaesata.

“Hai assunto l’onorabile monaco.” sospirò Sango lanciando uno sguardo velenoso al ragazzo che le rispose con un sorriso sornione. Lei distolse lo sguardo con uno sbuffò ma anche arrossendo lievemente, cosa che lo fece ridacchiare. Kagome invece applaudì entusiasta.

“Ottimo! Quindi ne manca solo uno e possiamo partire!” Sango si fece seria.

“Kagome-sama, credo che dovresti almeno informarci su cosa implica questo lavoro.” La miko parve rifletterci e istintivamente portò la mano al petto.

“Dunque, devo recuperare alcune cose per mio padre...” 

“E noi?”

“Voi mi accompagnate e mi proteggete.” sorrise semplicemente. Sango la guardò in silenzio. Non era un vero sorriso quello della miko e ora che la guardava dritta negli occhi, sembrava quasi che la implorasse di non chiederle altro. Le sorrise di rimando. Conosceva la sacralità dei segreti.

“Va bene.- acconsentì -Quando partiamo?” domandò alzandosi in piedi.

“Tu ci stai Miroku? Shippo?” domandò cautamente rivolgendosi a loro.

“Certo che ci stiamo!- esclamò Shippo -Anche lui.” 

“Sono al suo servizio, divina Kagome.” annuì Miroku inchinandosi. La miko sorrise con allegria e poi si rivolse a Sango.

“Partiremo non appena troverò la terza persona.” L’altra si rabbuiò, incrociando le braccia sul petto.

“Il demone.” annuì pensierosa.

“Io sono un demone!” esclamò Shippo. Kagome lo guardò con tenerezza accarezzandogli la testa.

“Giusto. La quarta persona.”

“Ci faremo venire un’idea. Ora riposa, Kagome-sama.” concluse Sango dirigendosi verso la porta. Shippo la seguì, ma dovette tornare indietro a riprendersi il monaco.

 

Fuori dalla locanda, Sango si sedette sulla terrazza guardando l’orizzonte. Non vedeva l’ora di partire. Certo, non sapeva verso quale meta e quali sarebbero stati i pericoli che avrebbe dovuto affrontare. Nemmeno era certa di potersi fidare degli altri. Era da lungo tempo che non viaggiava più con qualcuno e, non voleva ammetterlo, ma le mancava la compagnia di qualcuno. Inoltre sarebbe stato tutto più facile con il fatto che non era affezionata ai compagni di viaggio. Per un attimo le tornò in mente il sorriso dolce di Kagome e la voce squillante e allegra di Shippo. Sì, anche gli occhi blu e maliziosi di Miroku. Sorrise. No, non si sarebbe mai affezionata a quelle persone. E questo non poteva che essere un vantaggio. 

Improvvisamente sentì una presenza alle sue spalle e un attimo dopo una mano si posò sul suo sedere. Lei, sospirando esasperata si voltò regalando una cinquina al viso sbarbato di Miroku.

“Ahia!” esclamò lui.

“Sapevi che l’avrei fatto.” concluse lei tornando a guardare l’orizzonte.

“Spero sempre in un finale diverso. Comunque mi sembravi così seria.” disse il monaco affiancandola.

“Pensavo alla divina Kagome. Ci nasconde qualcosa.”

“Già.” annuì pensieroso il monaco. Sango si voltò a guardarlo. Quando non faceva il maniaco era davvero un bel ragazzo, con un’espressione seria e forse un po’ malinconica nei grandi occhi blu, che ben si sposavano con i capelli neri, lunghi e legati da un molle codino. Lui si girò improvvisamente, cogliendo lo sguardo di Sango e facendola arrossire. La ragazza si voltò di scatto e andò via quasi marciando, sentendosi una stupida per essersi fatta mettere in difficoltà da uno stupido monaco maniaco. Lui d’altro canto sorrise mentre la guardava andare via.

“Non è l’unica comunque.” mormorò per poi voltarsi a sua volta a guardare l’orizzonte, dove il sole stava lentamente calando donando un caldo colore dorato al cielo. Un attimo dopo, però, era tutto buio.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI: Bianco ***


Capitolo VI: Bianco

Un raggio di sole mattutino la colpì in pieno volto e lei rispose con uno sbadiglio. Stiracchiò le braccia e si sollevò lentamente a sedere. La stanza era appena illuminata dalla tenue luce dell’alba. Lei sorrise e si alzò, cercando i vestiti che aveva poggiato vicino al futon dopo averli piegati accuratamente. Si allacciò i pantaloni hakama color rosso fuoco e poi infilò il kimono bianco dalle larghe maniche. Sistemò come meglio poteva i capelli, ma non avendo un pettine con sé, ciò non diede grandi risultati. Infine li legò con un nastro rosso. Aveva ancora un compito da fare.

“Sinceramente mi sono un po’ offeso. Cioè io sono un demone!” sbuffò Shippo.

“Ti stai ancora lamentando? Strano, molto strano.” sospirò Miroku. I due stavano percorrendo il corridoio per uscire proprio quando Kagome si affacciò dalla camera. Questi si bloccarono di scatto. Al piccolo kitsune gli occhi diventarono grandi grandi e lucidi.

“Kagome!” esclamò gettandosi ad abbracciarla. La miko lo prese in braccio con tenerezza.

“Buongiorno, Shippo, già sveglio?” domandò. Il bambino la guardò di sottecchi.

“Non sei arrabbiata per quello che ho detto?” chiese guardingo.

“Certo che no, sciocchino!” esclamò allegramente scompigliandogli i capelli. Shippo sorrise felice, lanciando un’occhiataccia a Miroku che si stava avvicinando di soppiatto. Il monaco sospirò fermandosi.

“Venerabile Kagome, noi stavano uscendo per andare a comprare alcune cose per il viaggio.” 

“È un’eccellente idea!- esclamò la miko -Ma dov’è Sango?” 

“Non è con te?” domandò Shippo.

“No, quando mi sono svegliata non c’era. Né lei né la sua roba. Dubito abbia dormito nella mia stanza.” ammise Kagome, portando istintivamente una mano al petto. 

“Sarà uscita.” considerò placidamente Miroku avviandosi anch’esso fuori dalla locanda con passo rapito. Shippo zampettò accanto a Kagome con un sorrisino birbante sul musetto.

“Secondo me è più preoccupato di quanto non voglia farci credere. È un tenerone infondo, sai?” La miko sorrise nervosamente. A dire la verità era qualcos’altro che la preoccupava. 

“Su, seguiamolo.” disse avviandosi fuori. 

Sulla strada c’era un gran vociare e la gente si accalcava infondo come se stesse succedendo qualcosa di assai interessante. I bambini correvano come impazziti, infilandosi tra le gambe delle persone per cercare di guadagnarsi la prima fila. Gli uomini invece urlavano incitamenti e Kagome vide passare mano in mano parecchi soldi, come se stessero scommettendo.

“Una rissa.”  concluse Sango sbucando dal nulla. La miko sobbalzò e Shippo strillò:

“Sango! Eccoti! Dov’eri finita?!” Lei li guardò battendo le palpebre. Era perfettamente sistemata e portava accanto a sé una saccocchia piena di roba, nonché un grande boomerang che pareva fatto d’osso.

“Non vi avevo detto che alloggiavo da un’altra parte? Me lo sarò dimenticato, scusate.” disse sorridendo. In quel momento si sentì un forte boato e tutto il capannello di gente che si era formato rimase in silenzio. Si sentì solo una risata sguaiata.

“Così impari a fare il gradasso! E voi che avete da guardare?!” La ressa iniziò a disperdersi velocemente. Miroku apparve tra la gente e si diresse dalle due donne e dal kitsune con un sorriso stampato sulla faccia.

“Buongiorno Sango. Fanciullo, credo di aver trovato qualcuno che potrebbe fare al caso nostro.” Kagome però non lo stava ascoltando. Pian piano che la folla si diradava, lei cominciò a vedere chi stava in mezzo. Inizialmente vide solo bianco. Un bianco purissimo che colpito dai primi più intensi raggi di sole quasi irradiava di riflesso. Ci mise un po’ a capire che si trattava dei capelli di un hanyō. Rideva sguaiatamente agitando un’enorme spada a destra e a sinistra per allontanare più velocemente il capannello di gente che si era formato intorno a lui. Ai suoi piedi un uomo enorme giaceva stramazzato. Non era però morto, perché ogni tanto da lui si sentivano provenire gemiti di dolore. 

“È un tipo alquanto chiassoso.” commentò Shippo storcendo il naso.

“Credo possa andare.” mormorò Kagome con lo sguardo vacuo puntato sull’hanyō completamente vestito di rosso e dalle orecchie di cane. Miroku sorrise soddisfatto.

“Ho dunque fatto un buon lavoro?” domandò rivolgendosi a Sango. Ma anche lei stava guardando il mezzodemone. Deglutì tesa poi si voltò verso il monaco e sorrise:

“Ottimo. Scusate porto queste cose dentro. Voi vedete se è interessato al lavoro.” Così dicendo sparì nella locanda.

“Certo.” annuì Kagome dirigendosi dall’hanyō senza staccargli gli occhi di dosso. Miroku rimase un attimo a fissare dov’era sparita Sango per poi girarsi e seguire la miko. Shippo sospirò e li seguì a sua volta.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII: Spade e Denari ***


Capitolo VII: Spade e Denari

Il grande e grosso hanjō dagli occhi gialli e la voce rombante, tacque quando l’esile miko si fermò di fronte a lui fissandolo in maniera convinta. Dietro di lei c’erano un giovane monaco, distinto pareva, tranne che quando passò una donna si voltò con uno sguardo lascivo, e un piccolo, minuscolo, saltellante kitsune. Inuyasha sospirò mostrando loro un ghigno selvaggio. 

“Vuoi fare un giro, principessa?” domandò con aria volgare, afferrandola con un braccio per la vita. Si aspettava la tipica reazione esagerata, con una discreta dose di urli isterici e pianti disperati, invece si trovò ad osservare il volto quasi impassibile della miko. 

“Cerco qualcuno da assumere per un viaggio a dire il vero. Saresti interessato?” domandò lei fissandolo negli occhi. Lui la lasciò andare quasi scottato e la guardò perplesso.
“Cosa!?” sbottò irato e sconcertato assieme. Che quella ragazzetta lo stesse prendendo in giro!? n tal caso, come osava!? Si abbassò ringhiando, ma il monaco si frappose tra loro.

“La divina Kagome voleva solamente informarti che necessita di un gruppo di accompagnatori per un determinato viaggio che deve compiere e ti ha presa seriamente in considerazione per le tue abilità appena dimostrate.” argomentò calmo e diligentemente Miroku. Inuyasha lo guardò con fastidio malcelato.

“Che diavolo vuole?!”

“Assumerti. Ti pago se mi accompagni e mi proteggi.” disse pratica Kagome. Lentamente l’hanjō si voltò con un sorrisetto malizioso.

“E non altri compiti suppletivi?”

“No.”

“E quanto mi pagherai?”

“Abbastanza.”

“Voglio di più.”

“Non sai nemmeno quanto sia abbastanza!”

“Se sei disposta a pagarmi ‘abbastanza’, potrai certamente pagarmi anche ‘di più’.” rispose pratico rinfoderando la sua spada. Si risistemò i capelli fissandola con un ghigno di scherno. Ma lei, sempre impassibile, acconsentì.

“E di più sia. Ci vediamo domani mattina presto davanti alla locanda.” 

“Agli ordini capo. Ma dimmi un po’, saremo solo io e te?” domandò squadrandola da capo a piedi con aria maliziosa. Lei sospirò esausta ma fu Shippo a rispondere arrabbiato.

“No! Ci siamo anche io, il monaco depravato e Sango! E lascia stare Kagome!” Lo sguardo selvaggio che Inuyasha però lo fece subito arretrare e borbottare una specie di scusa. 

“Chi hai detto che c’è, palletta di pelo?” ringhiò lui, posando una mano sul fodero della spada. Gli occhi gialli gli si erano iniettati di un’ira furibonda e incontrollabile e i denti aguzzi che sporgevano dalle labbra non facevano che dare al suo aspetto una nota ancora più pericolosa. Shippo tremò attaccandosi agli hakama di Kagome che rispose:

“No, ci saranno le persone che vedi qui e un’altra ragazza, Sango.” rispose calma. Un lampo passò negli occhi di Inuyasha, però un attimo dopo il suo corpo perse la tensione e si calmò, tornando a guardarli con aria strafottente ma divertita.

“Ottimo. Ci vediamo domani.” poi si girò e se ne andò. Nel momento stesso in cui si voltò, il sorriso gli scomparve, sostituito da un’espressione tesa e nervosa. Al contempo, sul viso di Kagome esplose il rossore che aveva trattenuto fino a quel momento. Poi si voltò verso Shippo e Miroku, con un’espressione imbarazzata:

“Sono andata bene?” Il monaco la guardò con un sorriso intenerito.

“Benissimo direi.”

“Sei stata bravissima, Kagome!” esultò Shippo applaudendole. Lei sorrise timidamente.

“Mi ha insegnato mio padre ha trattare con le persone così.”

“Tuo padre sa proprio il fatto suo!” 

“Già.” annuì la miko, abbassando il viso rabbuiandosi. Poi però sollevò di scatto il viso, sorridendo allegramente:

“Su, andiamo al mercato!”

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII: Alba ***


Capitolo VIII: Alba

Shippo sbadigliò rumorosamente stringendosi nella sua veste di pelliccia, che portava sopra all’hitoe blu con delle figlioline bianche disegnate sopra. Era l’alba, il sole ancora non si era alzato ma c’era un bagliore grigiastro che illuminava le cose. E faceva decisamente freddo. Sango era seduta sui gradini. Aveva indossato un kimono più lungo e aderente di un colore più tenue. Miroku le si era seduto accanto e aveva già una cinquina rossa stampata a fuoco sul volto. Kagome invece sostava in piedi, rigida, con indosso il suo chihaya e le maniche bianche che svolazzavano nella brezza. Stavano aspettando l’hanjō per partire.

“Secondo me non viene.” commentò Shippo, ancora piuttosto addormentato.

“Verrà.” rispose Sango risoluta osservando uno scarabeo che passava per terra davanti a lei. Miroku si girò a guardarla con le sopracciglia corrugate:

“Come fai ad esserne tanto sicura?” Lei si voltò facendo spallucce e con un sorrisetto disarmante:

“Nessuno rinuncerebbe a tutti quei soldi.” Il monaco la fissò attentamente, ma lei sostenne lo sguardo con fierezza, allora sorrise.

“Hai ragione.” rispose infine voltandosi nuovamente. I quattro rimasero fermi ad aspettare, in silenzio. Shippo fremeva, un po’ per la voglia di partire e buttarsi in una nuova avventura, un po’ perché faceva veramente un freddo terribile e un po’...

“Eccolo.” mormorò la miko, avvistando per prima la folta chioma bianca e la hitoe e gli hakama rossi. Camminava spavaldo, con lentezza misurata ed irritante. Kagome lo fissava in silenzio, imperturbabile. Non gli avrebbe dato nessuna soddisfazione. Di alcun tipo. Aveva già avuto a che fare con gente così piena di sé e l’unica cosa da fare era non dar loro attenzione. Ciò li faceva irritare. Magari all’inizio le avrebbe dato un po’ addosso, non l’avrebbe mollata un secondo, si sarebbe fatto mille domande chiedendosi come fosse possibile che lei lo ignorassi, visto che nessuno al mondo lo aveva mai ignorato. Un momento... la stava ignorando lui!  L’hanjō non la stava degnando di uno sguardo, concentrato com’era a scrutare l’altra ragazza, che d’altro canto aveva afferrato un bastoncino di legno e stava cercando di farci salire sopra lo scarabeo, il quale aveva però tutt’altre intenzioni.

“Buongiorno.” salutò con un tono più gracchiante del dovuto. Non era possibile, alla fine ci era riuscito ad irritarla! Lui si fermò di fronte al gruppo e finalmente sollevò lo sguardo su di lei.

“Eccomi. Possiamo andare.” ringhiò senza accennare minimamente ad una forma di saluto. Si limitò a guardarla in attesa che lei indicasse la direzione in cui sarebbero andati. Kagome gonfiò le guance irritata ma ritrovò quasi immediatamente il controllo e con aria placida si mise in cammino. Il gesto però non sfuggì all’hanjō, che la accostò guardandola con un ghigno:

“Ti faccio arrabbiare, bambolina?” Lei si limitò a sospirare e tacere, mantenendo uno sguardo altezzoso. Intimamente però si aprì in un largo sorriso di scherno: ecco, così doveva andare!

Dietro di loro Sango e Miroku si alzarono per seguirli. Lei si spolverò ben bene il kimono prima di incamminarsi con la sua saccoccia in spalla. Il monaco la osservò guardingo.

“Ma vi conoscete?” domandò. Lei si voltò a guardalo con un sopracciglio alzato e l’espressione stupita.

“Chi?” chiese immediatamente. Il monaco lanciò un’occhiata al mezzodemone dai capelli bianchi. Sango lo guardò che camminava ridacchiando sguaiato dietro alla miko.

“Certo che no.” rispose. Poi si bloccò. Con lentezza ruotò il busto, in volto già un’espressione furiosa. Miroku le sorrise intimidito, con ancora una mano sul suo sedere, mugugnando:

“Eri sporca.” Qualsiasi altra sua parola si perse. Sango riprese a camminare borbottando infastidita, mentre il bonzo cercava di riprendersi dalla botta. Shippo lo guardò con biasimo, i pugnetti stretti e puntati sulla vita.

“Sei proprio senza speranza.” commentò prima di correre e affiancare la ragazza. Il monaco sorrise e nei suoi occhi c’era una luce fredda e furba. Un attimo dopo si rialzò, si ripulì dalla polvere e si mise in cammino anch’egli.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX: Ombre e Storie ***


Capitolo IX: Ombre e Storie

“Credo che sia ora che ci fermiamo.” decretò Il monaco, che teneva in braccio Shippo, che già da un po’ era troppo stanco per camminare. Il sole non era ancora completamente calato e la luce traversa perdendosi tra gli alberi gettava lunghe ombre traballanti. Erano stati in viaggio tutto il giorno. All’incirca verso l’ora di pranzo si erano fermati ad una fonte e avevano mangiato qualcosa. Poi, semplicemente, avevano ricominciato a camminare. Ma non avevano parlato molto. C’era una sorta si silenziosa tensione che aleggiava tra loro. La miko trattava con sufficienza l’hanjō che dal canto suo non faceva che stuzzicarla, quando non era impegnato a squadrare silenziosamente gli altri suoi compagni. D’altra parte tutti quanti, a modo loro, si stavano osservando. Si giravano attorno, si osservavano per cercare di interpretare e soprattutto prevedere le mosse altrui. Sango sorrise osservando la foresta, in cui le ombre si allungavano, si univano e si spezzavano e dietro ad un’ombra se ne stagliava un’altra, e un’altra era nascosta ed era complicato, se non impossibile, dire dove una finiva e l’altra iniziava.

“Sì.” rispose atona Kagome. Non ci misero molto ad allestire un accampamento, mentre la miko e il kitsune andavano a prendere la legna nel sottobosco. Quando tornarono, Shippo esclamò allegramente che nelle vicinanze avevano trovato una fonte termale. Senza ulteriori indugi, mentre il monaco, controllato a vista dal bambino, accendeva un fuoco, le due ragazze si concessero un bagno caldo. Sango piegò il suo kimono e tutto il resto e appoggiò tutto su una roccia, prima di gettarsi in acqua. La miko rimase in disparte, in imbarazzo.

“Che meraviglia! Era da un po’ che non trovavo un posto così bello e rilassante.” disse lisciandosi i capelli bagnati Sango, poi si voltò ad osservare perplessa Kagome.

“Perché te ne stai lì?” domandò. La miko si strinse nelle braccia arrossendo.

“Io... io non ho mai fatto il bagno con nessuno...” mormorò con vergogna. 

“Oh, dunque, se vuoi mi giro.”

“Sarebbe molto gentile da parte tua.” bisbigliò sempre più rossa. Sango ridendo si voltò. Kagome si tolse velocemente i vestiti. Poi si tolse la catenina che teneva attorno al collo e la nascose in una tasca, ricoprendola con diversi strati di stoffa. Rimase un attimo immobile ad osservare l’altra ragazza, poi entrò in acqua. 

“Uhm... puoi girarti ora.” Sango sorridendo si voltò.

“Tutto apposto?” domandò.

“Sì, sì.” rispose l’altra. Rimasero in silenzio per un po’, in ammollo. Ogni tanto Sango lanciava delle occhiate alla miko, ma ogni volta che questa incrociava il suo sguardo, lei lo distoglieva. Alla fine però cedette:

“Non ci dirai mai, cosa devi fare, vero?” Kagome, che prima sorrideva, abbassò lo sguardo con tristezza, scuotendo leggermente la testa. Poi la sollevò incontrando lo sguardo scoraggiato della ragazza.

“Ma nemmeno te mi dirai come ti sei fatta quei segni, immagino.” mormorò. Sango si irrigidì, prima di darsi della stupida per essersi voltata così senza rifletterci. Sospirò toccandosi con la punta delle dita la base del collo, poi lasciò scivolare la mano lungo il fianco, mollemente, mentre si dirigeva con lunghe e lente falcate verso la riva. Si sollevò e uscì dalla naturale vasca termale. Poi però si fermò, dando le spalle alla miko, mentre sulla schiena le gocce scivolavano sulle cicatrici.

“Mi hanno frustata. Tempo fa.” disse per poi chinarsi e rivestirsi. Kagome era rimasta immobile e tesa.

“Perché?” mormorò sentendo le lacrime salirli agli occhi. L’altra alzò lo sguardo improvvisamente, con un sorriso duro sulle labbra.

“Me lo meritavo.” rispose alzandosi in piedi e andando via. La miko deglutì e uscì a sua volta.

 

Mangiarono in silenzio. Shippo si sentiva nervoso per la tensione che respirava intorno a sé. Si muoveva continuamente sul tronco su cui sedeva. Infine esplose.

“Voglio una storia!” strillò con vocina acuta, facendo voltare tutti. L’hanjō era accucciato in disparte e lo guardò ridacchiando, rimediandosi solo una linguaccia dal piccolo kitsune. Kagome invece lo guardò con dolcezza.

“Ok, se vuoi ti racconto una leggenda molto antica.”

“Sì, bello!” esclamò gioioso il bambino avvicinandosi alla miko. Anche il monaco volse la propria attenzione verso la ragazza. Sango invece continuò a masticare lentamente, osservando solo le fiamme lambire l’aria. Kagome si sistemò meglio, poi iniziò a raccontare con voce cristallina.

“Dunque, c’era una volta un’uomo, un’uomo molto esigente, che partì in viaggio alla ricerca di una donna la cui bellezza lo avrebbe soddisfatto.”

“Non era certo Miroku quest’uomo, a lui vanno bene tutte!” esclamò ridendo il bambino facendo ridere anche la miko. Sango si limitò a lanciare un’occhiata disgustata al monaco, che si grattava la testa con una risatina imbarazzata.

“Allora, egli girò il Giappone in lungo e in largo, ma la donna dei suoi sogni, la bellezza ideale che cercava, non sembrava trovarla in alcun luogo. Una sera però, mentre attraversava una vasta palude accompagnato dal suo cane, la vide. La donna perfetta, di una bellezza idilliaca. Finalmente l’aveva trovata e senza indugi le chiese di sposarla. Lei con un magnifico sorriso, che non fece che farlo innamorare ancora di più, acconsentì. L’uomo era felicissimo e ben presto la donna rimase incinta. Quando loro ebbero il primo figlio, anche il cane dell’uomo partorì un cucciolo. Ma man mano che questo cucciolo cresceva, cresceva in lui anche l’ostilità verso la donna. La perfetta unione famigliare venne quindi ad incrinarsi leggermente, ma l’uomo era così innamorato e la donna così fedele che ciò non diede troppi problemi. Ma l’astio del cane cresceva di giorno in giorno, finché non portò la donna a chiedere al marito di ucciderlo. L’uomo però era a tal punto legato all’animale che proprio non poté farlo. Un giorno però, il cane si gettò con furia sulla donna, terrorizzandola al punto che lei tornò alla sua originale forma: una volpe. Quando si accorse di quanto successo scappò via. L’uomo, sebbene sconvolto dall’avvenimento, con le lacrime agli occhi la richiamò, urlandole che a lui non importava il fatto che fosse una volpe, perché ella era pur sempre la madre dei sui figli, nonché la donna che amava così tanto, e che per lui sarebbe stata sempre la benvenuta. Così, ogni sera, la volpe tornava, si trasformava in donna e dormiva tra le braccia del marito.” Man mano che la ragazza raccontava, tutti gli sguardi e l’attenzione si catalizzavano su di lei. Quando tacque, tutti la stavano ascoltando in silenzio e profondamente attenti. Miroku aveva un sorriso languido dipinto sulle labbra, che me con il racconto gli avesse risvegliato un intimo sogno. Anche Inuyasha, lontano e al buio, la stava ascoltando e i suoi occhi gialli scintillavano nell’oscurità.

“Quindi?” domandò rompendo il silenzio che si era instaurato Sango. Nei suoi occhi neri seri e in attesa, si riflettevano le ondeggianti fiamme del fuoco. Lei la guardò con un sorriso dolce.

“Nulla. È una storia che mi piace e basta. E poi parla della prima kitsune e ho pensato che potesse piacere a Shippo.”

“Ah.” annuì la ragazza, rigirandosi verso le fiamme. 

“Insegna che anche l’uomo più esigente si può piegare e che non c’è forma che possa ingabbiare il cuore.” sussurrò il monaco. Sango alzò lo sguardo sorpresa. Per un attimo si fissarono negli occhi, poi la ragazza si alzò.

“Bella storia, Kagome-sama. Ma ora credo proprio che andrò a dormire. Buonanotte.” disse prima di coricarsi. La miko non la sentì nemmeno. Corrucciata pensava alle parole del monaco.

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Capitolo 10
*** Capitolo X: Bisbigli ***


Capitolo X: Bisbigli

Che fosse per il verso di qualche uccello notturno o per il passaggio di un animale non troppo cauto, o per qualche altra cosa magari più cupa e terrorizzante, il monaco si svegliò di scatto che il sole era ancora lontano dal sorgere. Sospirò stringendosi nel trichivara un po’ intirizzito un po’ infastidito per essersi svegliato. In effetti stava facendo un sogno particolarmente stimolante. Chiuse gli occhi ma non riuscì proprio a immergersi nuovamente in quella fantasia. Grugnì e si alzò, aveva sentito un bisbiglio nella foresta.

La testa di Shippo ondeggiava e, quando non trovò un solido appoggio, crollò brutalmente sulle foglie, facendolo svegliare agitato. Si stropicciò gli occhi. Era ancora notte, allora perché si era svegliato? Di scatto si voltò. Non c’era più Miroku, ecco perché. Saltò in piedi cercando di fare il minimo rumore e scivolò fino a dove dormivano le ragazze. Lanciò loro uno sguardo. No, Miroku non era lì. Kagome dormiva placidamente, rannicchiata in posizione fetale con le mani strette al petto e un’espressione angelica. Sango non si vedeva, completamente sotto alla coperta pareva solo un ammasso di stoffa. Il piccolo kitsune si tranquillizzò solo un po’, sapendo che il suo compagno non era andato nel cuore della notte ad infastidire le ragazze. Ma restava il mistero di dove si trovasse realmente. Il bambino si mise a girare intorno all’accampamento cercandolo. Quando notò che anche quell’antipatico dell’hanjō mancava, ebbe un tuffo al cuore. Si mise a cercare il monaco più alacremente, spingendosi nella foresta. Poi d’improvviso sentì un bisbiglio. Si bloccò, immobile, con i grandi occhi spalancati dal terrore. Le voci erano molteplici ma così sussurrate che proprio non riusciva ad identificarle. Sembravano nervosi. Cercando di fare il meno rumore possibile, spostando le zampette con attenzione avanzò un pochino. Voleva sentire cosa si stavano dicendo.

“Ora mi sembra il momento perfetto.” sibilò una voce.

“Ma se ti ha appena detto che c’è un problema, idiota!” esclamò un’altro, che Shippo identificò subito come un uomo per la nota bassa,  e poi si sentì un suono sordo e qualcuno mugugnò.

“Fate i bravi. Non abbiamo ancora capito nemmeno se ne vale la pena.” disse un’altra voce. Poi ci fu un silenzio di attesa. Il kitsune mosse ancora un piccolo passo.

“È troppo presto. Ci mancano troppe informazioni. Ci troveremo tra tre giorni nel nostro posto sicuro, li porterò lì.” sibilò una voce. Era così bassa e sussurrata che il piccolo riuscì a malapena a distinguere le parole. Però capì che erano in pericolo. Fece un altro passo, doveva assolutamente capire di chi si trattasse. Purtroppo per l’agitazione calpestò un rametto, che si spezzò. Il silenzio cadde assoluto, solo dopo che una delle voce esclamò, venendo prontamente taciuta. Shippo si sentì gelare. Sebbene regnasse il silenzio e lui, dopo il suo piccolo errore, si fosse bloccato immobile come una statua, sentiva come una presenza incombere su di lui. Prese un paio di profondi respiri prima di trovare il coraggio di voltarsi e tornare all’accampamento. 

“Che ci fai in giro col buio, palletta di pelo?” domandò una voce cavernosa e selvaggia. Shippo si sentì morire nell’udire Inuyasha parlare. Si voltò lentamente a guardarlo, con gli occhi a palla e la testa che urlava ‘Scappa!’ a voce spiegata. Ma deglutì e rimase fermo.

“Io... io dovevo fare la pipì.” rispose borbottando. Tremava come una foglia. L’hanjō lo scrutò severamente, con gli occhi gialli che lampeggiavano nell’oscurità, poi sorrise selvaggio.

“Fai attenzione, la foresta di notte è un posto pericoloso. Soprattutto per le pallette di pelo come te.” disse prima di allontanarsi nel buio. Il bimbo non se lo fece ripetere due volte e scappò all’accampamento.

Miroku sedeva al suo solito posto e, se Shippo non l’avesse visto con i suoi occhi, avrebbe detto che non si era mai mosso da lì.

“Dov’eri finito? Mi sono preoccupato.” domandò il monaco. Il kitsune lo guardò di sottecchi poi mugugnò:

“Da nessuna parte. Dovevo fare la pipì.”

“Da solo? Che bravo. Ma lo sai che la foresta...”

“Sì, lo so, è un posto pericoloso.” mormorò prima di stendersi e chiudere gli occhi. Ma non dormì. Anche Miroku chiuse gli occhi, ma senza abbandonarsi ai sogni.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI: Il Monaco e la Volpe ***


Capitolo XI: Il Monaco e la Volpe

“Ma dimmi Shippo, tu e l’onorevole monaco come vi conoscete?” domandò improvvisamente Sango, facendo sobbalzare il piccolo kitsune. Si erano svegliati tutti all’alba per ripartire. Silenziosamente avevano smontato tutto, avevano mangiato qualcosa e si erano rimessi in cammino. Zitti, proprio come il giorno precedente. Shippo quasi si sentiva male per la tensione, unita al poco sonno. Guardare Miroku lo faceva stare male. Vedere il ghigno sadico di Inuyasha poi, lo faceva letteralmente morire.

“Co-cosa?” domandò cercando di concentrarsi sulla ragazza, che sembrava invece riposata e pimpante. Lei gli sorrise. 

“Dicevo, come mai tu e houshi-sama vi conoscete?” domandò nuovamente.

“Oh, è una storia carina!” esclamò Miroku comparendo alla spalle dei due. Sango si limitò a fulminarlo con lo sguardo.

“Ho chiesto a Shippo.” 

“Sì, ma hai chiesto di ME a Shippo.” ammiccò, ricevendo solamente un sospiro infastidito. Il piccolo nel frattempo aveva avuto un tuffo al cuore all’apparizione del monaco. Camminava strascicando le zampette e tenendosi il cuore con una mano. Non poteva andare avanti così.

“Su, Shippo, è davvero una storia così carina come dice il monaco?” domandò Sango allegramente, lanciando un’ultima occhiata velenosa a sottolineare l’ultima parola.

“Uhm, sì, forse, ok... Dunque, inizia tutto con la morte dei miei genitori.”

“Ahi, non sembra carina come cosa.” sibilò la ragazza.

“Aspetta un attimo, quanto sei impaziente.” 

“Che succede?” domandò Kagome affiancando Sango. Aveva il volto un po’ pallido ma un bel sorriso dolce sul viso. Allegramente la ragazza prese la miko sotto braccio, lasciandola interdetta, e spiegò:

“Ho chiesto a Shippo com’è potuto finire insieme al venerabile monaco pervertito. Secondo me è una storia interessante.” 

“E io che ho detto?!”

“Taci, lasciano continuare.”

“I miei genitori furono uccisi da due demoni cattivi invidioso di mio padre. Io quindi iniziai a pensare che sarei potuto essere felice solo quando quei due non sarebbero morti, possibilmente per mano mia. Allora inizia a cercarli ovunque e, insomma, divenni parecchio cattivo anche io. Rubavo, facevo cose cattive ma, qualsiasi cosa facessi, niente mi faceva stare meglio. Un giorno ero in un villaggio e arrivo Miroku. L’avevano chiamato per esorcizzarmi credo. Ma lui non lo fece, non so, si mise solamente a parlarmi. Non ricordo nemmeno cosa mi disse esattamente. So solo che ad un certo punto mi ritrovai a piangere disperatamente. Sapete, prima di allora, non ero riuscito a piangere nemmeno una volta per la mia mamma e il mio papà. Nemmeno una volta. Poi non so, dopo aver pianto tanto, con Miroku che mi consolava, goffamente direi, però presente, dopo tutto questo, non so perché, ma mi sentì un po’ meglio. Allora ho deciso di girare con lui, anche perché ha decisamente bisogno di qualcuno che badi a lui.” concluse con un tono furbetto lanciando uno sguardo alle due ragazze, che però rimasero mute e serie. Kagome lo prese in braccio con un sorriso dolce e gli occhi un po’ lucidi:

“Sei proprio un bravo bambino.” mormorò accarezzandogli la testa. Sango deglutì. Si voltò verso Miroku, che sorrideva.

“Avevo ragione, era una storia carina, vero?” Lei non disse nulla e continuò a camminare seria. Shippo si voltò a guardare a sua volta il monaco. Gli sarebbe stato eternamente grato per ciò che aveva fatto, questo era certo, però era anche vero che lui non sapeva nulla del suo compagno di viaggi. Non sapeva perché fosse un monaco vagabondo, perché l’avesse aiutato, perché fosse così irrimediabilmente fissato con le donne. E soprattutto non sapeva cosa aveva fatto la notte prima.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII: Kaede e la Verità ***


Capitolo XII: Kaede e la Verità

Avevano camminato a lungo nella foresta, improvvisando dialoghi che sempre cadevano nel silenzio poco dopo essere iniziati. Ad accompagnarli era più che altro il suono dei loro passi sordi e il rumore del vento che soffiava delicato nelle foglie. Poi, finalmente, avvistarono un villaggio. Kagome non stava più nella pelle. Aveva passato buona parte dell’infanzia in quel villaggio. Lì, infatti, viveva la vecchia miko che l’aveva istruita e a cui lei era legata come ad una madre. La vide subito, la vecchia Kaede sedeva fuori dalla propria casa, sulle ginocchia un grande cesto intrecciato pieno di vari erbe. La ragazza le corse incontro felice, urlando il suo nome, lasciando indietro i suoi compagni un po’ straniti e sorpresi. La vecchia si alzò in piedi, scrutando con gli occhi non più tanto buoni la giovane che si stava avvicinando. Sorrise quando la riconobbe.

“Kagome, sono molto felice di rivederti.” La ragazza non disse nulla, si limitò a buttarsi tra le sue braccia in un abbraccio. Kaede rise stringendola a sua volta.

“Qual buon vento ti porta qua, piccola mia?” domandò guardandola in volto, potendo cogliere così, istantaneamente il repentino cambio di umore. Anche lei corrugò la fronte, facendole una piccola carezza.

“Che succede?” le chiese con una vena di preoccupazione. Ma la giovane miko scosse la testa, lanciando uno sguardo ai suoi compagni, ora arrivati di fronte alla casa. Kaede li guardò un attimo, poi sorrise loro.

“Benvenuti.- li salutò, inchinandosi -Il mio nome è Kaede e sono la miko del villaggio di Musashi.” I ragazzi si inchinarono a loro volta. Tutti tranne Inuyasha, che si limitò a guardare la vecchia con fare arrogante. La donna lo fissò severamente, con l’unico occhio sano che le rimaneva.

“Tu sei un hanjō molto poco furbo.” 

“Forse non mi serve essere furbo. Sono già forte.” ghignò Inuyasha.

“Non c’è forza che possa battere una mente attenta. Ma probabilmente già lo sai.”

“Cosa vuoi dire, vecchia?” ringhiò il mezzodemone, subito furioso. Kagome si pose davanti alla donna, facendole scudo col proprio corpo, ma Kaede sorrise e la spostò con un braccio.

“Intendo che conosci la sconfitta. Comunque entrate pure, cari ragazzi, sarete stanchi.” 

Entrarono tutti tranne Inuyasha che, fumante di rabbia, si sistemò a gambe e braccia incrociate, pensando a come avrebbe potuto prendersi gioco della vecchia, esattamente come lei aveva fatto con lui. Dentro la casa, Kaede fece accomodare Sango, Miroku e Shippo in una stanza, con la promessa che ben presto lei e la giovane miko li avrebbero raggiunti con un buon tè. Poi sparì nella cucina con Kagome. I tre giovani si lanciarono sguardi sospettosi. Sango fulminò il monaco che le aveva lanciato un sorriso provocante, allora l’uomo si voltò sospirando, cogliendo lo sguardo sospettoso del piccolo kitsune, che appena se ne accorse scosse la testa con un’espressione di rimprovero meno convincente del solito però.

Nel frattempo, Kaede aveva fatto sedere la sua giovane pupilla per farle raccontare cosa stava succedendo. La ragazza riuscì a malapena a trattenere le lacrime mentre spiegava alla vecchia miko cos’era successo a suo padre. Poi, molto lentamente, afferrò la catenina che teneva intorno al collo e la sollevò finché non le uscì dal kimono. La donna spalancò l’unico occhi rimastole quando vide cosa si nascondeva infondo, con velocità lo nascose con la mano, mormorandole:

“Nascondilo, bambina mia. Ho capito.” Kagome fece nuovamente scorrere la catenina sotto ai suoi vestiti, finché non tornò a sentire la solida presenza tra i seni. Kaede si era fatta agitata.

“Piccola mia, quello che stai facendo è davvero molto pericoloso. Non so nemmeno come tu faccia ad occultarne la presenza. I tuoi poteri devono essere cresciuti ancora di più in questo periodo.”

“È molto faticoso, lo ammetto, ma è l’unica possibilità che ho. Per questo ho ingaggiato delle guardie del corpo.”

“Quindi ti fidi di quelle persone.” Kagome abbassò lo sguardo imbarazzata. La donna la guardò perplessa, prima di comprendere il motivo del suo imbarazzo.

“Non hai detto loro niente, vero, piccola mia.” La giovane miko scosse la testa senza sollevare lo sguardo. Kaede la guardò con tenerezza, facendole sollevare il mento.

“Oh, bambina mia, quanto sei coraggiosa. Ma talvolta il coraggio non basta e credo che questa sia una di quelle volte.

“Ma come faccio?” chiese con le lacrime agli occhi.

“Kagome, perché hai scelto proprio quelle persone?” le domandò improvvisamente la vecchia, mettendosi a girare le foglie di tè nell’acqua bollente. La ragazza rimase perplessa. Corrugò la fronte, non ci aveva mai pensato. Lei sapeva e basta.

“Non lo so, ho creduto fossero le persone giuste...” mormorò. La vecchia Kaede si voltò a guardarla con un sorriso dolce stampato sul viso rugoso e consunto dall’età.

“Esatto.” Kagome la guardò a lungo senza capire, per poi rendersi conto che la risposta l’aveva già in lei. Sospirò abbassando il viso, stavolta con un sorriso.

“Già mi fido di loro, vero?” Kaede si limitò a continuarle a sorridere, poi si alzò faticosamente, prese un vassoio e con l’aiuto di Kagome, mise su tutto quello che serviva per il tè. Poi uscirono dalla cucina per tornare dai loro ospiti.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII: Il Verme nella Mela ***


Capitolo XIII: Il Verme nella Mela

Da quando aveva parlato con Kaede, si era sentita agitata. Sapeva di doversi confessare con qualcuno, di doversi sfogare. Non poteva continuare a non fidarsi di nessuno, a sentirsi in ansia ogni momento, sempre in tensione, sempre in pericolo. Ma non era riuscita a dir loro niente. Ci aveva provato sia mentre bevevano il tè sia dopo, durante la cena. Kaede la guardava, infondo sapeva quanto era difficile ma, da brava maestra, non aveva detto niente. Doveva riuscirci da sola. E ora, sdraiata sul suo futon, accanto a Sango, non riusciva a dormire. Le ritornò alla mente la scena alle terme, quei lunghi e bianchi segni sulla schiena della ragazza. E lo sguardo con cui le aveva detto che se li era meritati. Sospirò. Kagome non si era mai ritenuta forte e nemmeno coraggiosa, come aveva detto Kaede. Lei era spaventata. In ogni momento, fino ad arrivare ad avere paura della sua stessa paura, perché proprio quella, lei lo sapeva, l’avrebbe portata prima o poi a sbagliare tutto. Sango, invece, sembrava così forte. Così senza paure. O, meglio, penso corrucciandosi, come se si trovasse già nel suo incubo più grande, cosicché essere spaventata era diventata il suo normale stato di vivere. 

“Sango.” mormorò nel buio. L’altra mugugnò voltandosi.

“Sì?”

“Devo dirti una cosa.” 

“Ora?”

“Se non lo faccio ora, credo che non ci riuscirò.” Sango rimase un attimo zitta, poi si sistemò comodamente su un gomito osservandola con i profondi occhi neri.

“Dimmi.” Kagome si mise a sedere incrociando le gambe.

“Dunque, io ti ho già detto che devo fare una cosa per mio padre. Ma non ti ho detto molte altre cose. Non ce la faccio più a non fidarmi di nessuno, ad avere sempre paura. E credo di potermi fidare di te.” disse guardandola intensamente. L’altra rimase impassibile annuendo. L’altra allora prese un respiro.

“Allora, io sono la figlia del daimyo Higurashi-san.” Sango spalancò gli occhi e, mentre l’altra continuava, fece un sorrisetto.

“La mia vita è sempre stata, come dire, avvantaggiata, lo so. Per i suoi vasti territori e per il suo potere mio padre viene spesso attaccato da altri daimyo, ma lui è forte e è sempre riuscito a difendersi. Di recente gli attacchi sono sempre più frequenti. Ma non è questo il problema. Qualche tempo fa però, mio padre ha iniziato a trasformarsi in una maniera che non credevo possibile. Giorno dopo giorno l’ho visto trasformarsi sotto ai miei occhi in una creatura sempre più spaventosa, finché non sono venuta a sapere che quella che l’aveva colpito altro non era che una maledizione che lo fece diventare presto... un demone.” La ragazza aveva le lacrime agli occhi e Sango la guardava immobile, spiazzata. Fece il gesto di allungare una mano per posarla su quella della miko, ma poi la ritirò, come scottata. Intanto l’altra proseguiva nel suo racconto.

“Abbiamo provato in tutti i modi a farlo tornare normale, ma niente è servito. Intanto la notizia si è sparsa nei territori vicini, nonché nel nostro stesso. La gente è diventata sospettosa, gli alleati si sono ritirati ed i nemici sono diventati sempre più accaniti, anche con la scusa di voler salvare il territorio dal demone che era diventato mio padre. In questa drammatica situazione c’era una sola cosa che io potessi fare per quanto pericolosa ed avventata fosse...” mormorò sollevando la catenina e mostrando una pietra rosa chiaro che sarebbe stata sferica se non le fossero mancati diversi frammenti. Sango la guardò attentamente, sembrava quasi... ma era una leggenda...

“Questa è la Sfera dei Quattro Spiriti, un oggetto potentissimo con cui potrò ritrasformare mio padre nell’uomo che era. Essa però non è completa. Molto tempo fa, considerata la sua potenza e la sua pericolosità, venne divisa in diversi frammenti e distribuita tra i vari daimyo del Giappone. Ciò successe tantissimo tempo fa, ma i pezzi vengono ancora tramandati di generazione in generazione. Nel tempo, molti sono andati perduti e alcuni sono finiti in mani sbagliate. Il mio compito ora è ritrovare tutti i pezzi perduti per ridare a mio padre la sua forma e così la credibilità che gli serve per tenere unito il nostro territorio.” mormorò concludendo la storia. Sango era sconvolta. Deglutì, guardando l’altra con sincera compassione, si strinse le mani torturandole.

“Io... io non so cosa dire...” Kagome le lanciò un sorriso abbagliante, che non fece che far stringere ancora di più il suo stomaco.

“Non devi dire niente. Ero io che volevo dirtelo. Anzi ti ringrazio di avermi ascoltata.” concluse con uno sbadiglio.

“Credo proprio che sia l’ora che dormiamo.” mormorò coricandosi.

“Buonanotte Sango.” sussurrò con le ultime forze prima di addormentarsi. L’altra rimase immobile a fissare il soffitto con le mani sullo stomaco. Sentiva un incontrollabile dolore, come se qualcosa la stesse mangiando dall’interno. Come un verme nella mela. Ma sapeva, anche troppo bene, che non aveva niente a che vedere con il suo fisico. No, come la mela, lei era marcia.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV: Un Attimo ***


Capitolo XIV: Un Attimo 

Kagome entrò nella cucina di Kaede che dentro già fremeva di vita. Il piccolo Shippo aiutava la donna a preparare per tutti la colazione. Sango era seduta a terra accanto al monaco che mostrava già un segno rosso sulla guancia. Ma la ragazza rideva, mentre lui cercava  in maniera esagitata di spiegare una cosa.  L’hanjō sedeva fuori, ma con le orecchie tese e un sorrisetto sulla bocca. Kagome sorrise, contenta di quell’atmosfera frizzante. 

“Che succede?” domandò la miko allegramente, facendo voltare tutti. Shippo le corse incontro.

“Miroku cercava di rispondere ad una domanda di Sango.” ridacchiò il piccolo.

“Che domanda?” 

“Perché non abbia ancora fatto il lascivo con la vecchia.” rispose insolitamente Inuyasha, sorprendendo tutti, tranne Kaede, che gli lanciò un mestolo, che lo prese esattamente in mezzo alla fronte. Lui ringhiò furioso, ma lo sguardo severo della donna, lo fece presto risedere, sebbene sbuffando alterato. Sango ridacchiò di nuovo, mentre Miroku la guardava in silenzio, sorridendo a sua volta.

“Dovresti ridere più spesso.” Lei si voltò sollevando un sopracciglio.

“È vero, sei molto bella quando ridi.” annuì Kagome, sedendole vicino. La guardò con allegria.

“Mmm, dici davvero?” le domandò la ragazza, arrossendo un pochino.

“Sì.” rispose sinceramente, afferrando la tazza che la donna le stava porgendo. 

“Grazie.” mormorò Sango abbassando lo sguardo e torturandosi le mani. Sentiva le voci di Kagome e Kaede come se fossero molto distanti. Si concentrò sui sui occhi, per non chiuderli, e sulle sue mani, stringendole e torcendole. Erano gelide. Poi quasi trasalì, sentendo un tocco caldo. Sollevò di scatto lo sguardo, trovandosi ad incrociare i limpidi occhi blu di Miroku, che le sorridevano.

“Lo penso anche io.” disse, stringendole le mani e obbligandola a smettere di torturarsele. Lei lo fissò immobile, quasi terrorizzata, incapace di dire qualcosa o anche solo di muoversi.

“Ecco che il bonzo sfrutta ogni occasione per insidiare la povera Sango!” esclamò Shippo, apparendo tra loro e guardando severamente il ragazzo che si mise a ridacchiare imbarazzato. Lentamente fece scivolare via le mani della ragazza.

“Non la stavo insidiando...” borbottò.

“Lo sappiamo come sei fatto!- esclamò Kagome, abbracciando la ragazza -Tranquilla, Sango, ti proteggiamo noi.”

“Ehi!” esclamò il monaco, fintamente offeso. Sango non sapeva cosa dire. Si sentiva ancora pietrificata, ma non nello stesso modo di prima. Non con lo stesso freddo. Mentre Shippo rimproverava animatamente il monaco e Kagome rideva con Kaede per i comportamenti lascivi sempre dello stesso, tenendo comunque abbracciata la ragazza, Miroku la guardò un attimo, sorrise e le fece l’occhiolino, tornando poi subito a guardare il kitsune, che ora lo rimproverava anche per la sua mancanza di attenzione. Sango non poté non arrossire violentemente, coprendosi immediatamente il viso con le mani.

 

Poco dopo, quando si erano congedati da Kaede, che lentamente aveva fatto scivolare qualcosa nella mano della miko, che con le lacrime agli occhi l’aveva abbracciata, camminavano verso una nuova meta. Avanti c’erano Kagome e Sango, che chiacchieravano amichevoli, con Shippo che saltellava e ogni tanto interveniva. Dietro, Miroku le osservava, camminando lentamente, che un sorrisetto sulle labbra.

“So cosa stai cercando di fare.” ghignò improvvisamente Inuyasha avvicinandolo alle spalle. Il monaco si voltò a guardarlo interdetto con un’espressione interrogativa sul volto. L’altro però ghignava, con quel fare malizioso, selvaggio e forse un po’ cattivo.

“Non so cosa parli...” stava dicendo Miroku, quando il volto contorto dell’hanjō si voltò verso le due ragazze, che proseguivano pacifiche ridacchiando, chiacchierando quasi fossero vecchie amiche ritrovate.

“Con lei non funzionerà.” concluse, lasciandolo solo. Il monaco lo guardò con gli occhi stretti, cercando di unire i punti che ancora non davano però forma ad un disegno. Qualcosa, gli sfuggiva ancora ma, presto o tardi, sarebbe riuscito ad ottenere tutte le informazioni.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV: Kagura del Vento ***


Capitolo XV: Kagura del Vento

Kagura sedeva tra i rami fitti di un albero. Indossava un lungo kimono e si sventolava con un ventaglio. I corti capelli legati in alto ondeggiavano pigramente alle sue mosse. Gli occhi rossi invece erano attenti e posati sulle persone che camminavano sul sentiero. Persone rumorose ed interessanti. Il suo padrone, quanto odiava quella parola, oltre ad essere una persona molto noiosa, le dava anche dei compiti noiosi. Ma era una persona cattiva e se non svolgeva i compiti, si vendicava brutalmente. Deglutì riprendendo ad osservare quelle persone. Fissava in particolar modo la miko. La seguiva da quando aveva lasciato la sua residenza, ma la piccola era furba e in qualche modo era riuscita a far perdere le sue tracce. Almeno fino a quel momento. Aveva qualcosa che lei voleva. Qualcosa che voleva il suo padrone, a dire il vero. Ma non era molto furbo ad aver mandato lei a prenderlo. Lei, che tra tutti, lo detestava di più. Ghignò. Era stato quasi un miracolo che quella bambina fosse scampata al suo primo attacco. Il secondo, anche se si era circondata di tutte quelle persone, sarebbe stato l’ultimo. Anche perché erano assolutamente ridicoli, tutti loro. La ragazzina che girava pesantemente armata, poteva essere una minaccia solo per l’ego del monaco, che del resto era fastidioso e basta. Non aveva nessuna intenzione di tener conto nei suoi calcoli del piccolo, minuscolo kitsune, sarebbe stato umiliante. Assottigliò gli occhi, chi era l’ultimo? Il suo ghignò sparì di colpo. Si alzò in piedi. Questo cambiava totalmente i suoi piani... Lanciò una piuma nell’aria che presto divenne enorme e ci saltò sopra. Il suo padrone doveva sapere che Inuyasha era tra loro. Il suo ruolo però non lo sapeva. Non sapeva se sarebbe stato un intralcio o un aiuto per il loro piano. Rimase un attimo a guardarlo. Era come se lo ricordava, pensò con un sorrisetto e la lingua che guizzava tra le labbra. Alto e muscoloso, ne ricordava precisamente i dettagli del petto e del dorso. E non solo. Lo vide annusare l’aria, con quell’aria selvaggia ed animale che aveva. Si allontanò velocemente. Lui era l’unico che avrebbe potuto stanarla con quel fiuto che si ritrovava. Poi conosceva bene il suo odore. Scivolò via come il vento, mentre ridacchiava e la sua voce echeggiava come l’aria.

 

“Che succede?” domandò Kagome guardando l’hanjō che si era fermato ad annusare l’aria. Aveva un’espressione furiosa. Per un po’ non le rispose. Si erano fermati tutti ad osservarlo, con diversi gradi di sorpresa. Dopo un po’ lui sollevò le spalle, sbuffando:

“Niente.” Kagome però aspettò un attimo.

“Anche a me sembrava ci fosse qualcuno che ci guardasse... Mi è parso perfino di sentire una risata.” L’hanjō rimase impassibile.

“Te lo sarai immaginato.” concluse rimettendosi in cammino. Kagome però si sentiva a disagio. Si guardava intorno agitata tenendo una mano stretta sul petto. Il peso la tranquillizzava e spaventava alla stessa misura. Sango si avvicinò a lei e la prese sottobraccio.

“Non ti preoccupare, Kagome-sama, anche se ci fosse qualcuno in giro noi ti difenderemmo. Non devi temere nessuno.” la ragazza cercò di tranquillizzarla, mentre osservava a disagio tra gli alberi, quel verme di disagio che le si muoveva sempre più insistentemente nello stomaco.

“Ci paghi per questo.” ghignò Inuyasha, davanti a tutti. Lei lo fissò perplessa, mentre Shippo, cautamente nascosto dietro il trichivara di Miroku lo rimproverava aspramente della sua mancanza innata di tatto. Kagome però dopo un po’ gli sorrise, lasciandolo leggermente interdetto e con le sopracciglia corrugate. 

“Giusto.” esclamò riprendendo a camminare a sua volta e fiancheggiando presto l’hanjō. Indietro lasciò Sango e Miroku perplessi e Shippo che sospirava abbastanza conscio di come le cose stavano per evolversi. 

Kagome si voltò verso Inuyasha, con un sorrisetto birbante.

“Modo interessante per attenuare la tensione. È carino da parte tua preoccuparti.” Lui, dopo un iniziale momento di sbigottimento, nel quale la miko mise diversi passi tra lei e lui, Inuyasha tuonò:

“Io non mi preoccupo di nessuno!” La sua voce però tradiva lievemente l’imbarazzo per essere stato scoperto così facilmente. D’altro canto quell’odore l’aveva preoccupato non poco e anche lui aveva sentito una risata. Solo che la conosceva bene e sapeva di cosa era presagio.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI: Inaspettatamente ***


Capitolo XVI: Inaspettatamente

Ogni volta che Sango si voltava, vedeva inevitabilmente il viso del giovane monaco. Quegli occhi blu la colpivano come proiettili e, a dirla tutta, l’avrebbe trovato anche romantico, se un attimo dopo non si fosse trovata la mano morta dell’uomo sempre dove non doveva stare. Quel bonzo galleggiava sempre tra l’irritante e l’adorabile. Ma c’era qualcos’altro e lei lo sentiva a pelle. Come una tensione che non aveva a che vedere con le sue perversione. C’era uno sguardo serio, freddo e calcolatore con cui la guardava mentre pensava di non essere visto. La sondava. Era lo sguardo più profondo con cui qualcuno l’avesse mai guardata. Ogni volta le sembrava di venir scavata dentro. Stava riflettendo, quando posò un piede su un sasso particolarmente instabile, che subito cedette, facendola cadere. Già contemplava il dolore della sua faccia che si schiantava sul terreno, quando si bloccò a mezz’aria. Ancora con gli occhi chiusi e il cuore a mille, si sentì tirare su. Quando li riaprì si trovò davanti, di nuovo, quegli occhi blu. 

“Grazie.” borbottò lei tentando di divincolarsi visto che Miroku la teneva abbastanza stretta. Era la prima volta in cui aveva l’occasione di sentire la forza del bonzo. Non ci avrebbe mai creduto, ma era solido e la sua presa incredibilmente forte e, ora che la guardava sorridendo, non le lasciava molto spazio per il dibattito. 

“È stato un piacere.”

“Grazie ancora, ma credo che ora potresti lasciarmi andare.” Lui non disse niente, rimase ancora un attimo a fissarla, mentre la stringeva con un braccio, poi allargò il sorriso e, molto lentamente, la lasciò andare. Ed eccolo, ancora, lo sguardo lontano e serio. Ebbe un brivido quando sentì una mano sul fianco.

“Questa strana forma di corteggiamento potete continuarla dopo, ora abbiamo dei problemi.” sibilò l’hanjō, tenendo una mano pericolosamente artigliata sulla ragazza che aveva perso quasi subito il suo sguardo perplesso e forse un po’ preoccupato, diventando seria e determinata e guardando davanti, dove guardava Inuyasha. Kagome però fissava quella mano.

“Sei sicuro che sia qui per attaccarci?” mormorò a bassa voce Sango, rimanendo immobile ma con il corpo teso e la mente che si allungava verso le sue armi, che sentiva come prolungamenti di lei.

“Sì.”

“E lo possiamo battere?” 

“Probabilmente sì. Ma non credo sia solo. E, soprattutto, non credo sia leale.”

“Nessun demone lo è.” Inuyasha ringhiò pericolosamente.

“Tu non vuoi ricominciare questo discorso adesso.” Lei sollevò gli occhi al cielo. 

“Quindi il piano sarebbe?” chiese. Lui si voltò a guardarla con un ghignò selvaggio e letale. Poi scattò in avanti con gli artigli estratti e i denti bene in mostra.

“Cosa cavolo sta succedendo!?” sbottò Shippo, che aveva smesso di capirci qualcosa molte battute prima. Sango sospirò stancamente poi si voltò a guardarli con un espressione esasperata.

“Il piano è che non c’è un piano.” rispose prima di estrarre rapidamente una spada sottile e usarla per decapitare un demone che si stava avvicinando a tutta velocità alla miko, che strillò un attimo prima che la testa della creatura le cadde ai piedi. Prima che chiunque avesse la possibilità di fare domande o chiedere spiegazioni si trovarono circondati da un numero spropositato di piccoli e medi demoni di tutte le forme. Tutti che puntavano la miko. Improvvisamente si ritrovarono sbalzati dentro un vero e proprio campo di battaglia. Totalmente impreparati a quell’attacco, sia il monaco sia la ragazza si arrabattavano con quel che avevano, riuscendo comunque ad eliminare innumerevoli demoni. Che però continuavano ad arrivare. 

“Cosa facciamo? Queste creature continuano ad arrivare!” strillò improvvisamente Sango. Miroku si voltò a guardarla.

“Cosa proponi?” domandò usando un tono controllato ma guardingo.

“Conosco un posto... Un posto sicuro.” mormorò lei, sentendo però lo sguardo del monaco penetrarla. Sebbene si stessero battendo, lui continuava ad avere gli occhi puntati conto di lei. Anche in quel momento la stava sondando.

“Stolti! Non fatevi ingannare dal suo bel faccino.” sibilò in quel momento Inuyasha. Aveva le mani che grondavano sangue e una luce selvaggia e folle che gli brillava negli occhi. Shippo e Kagome si voltarono a guardarlo perplessi. Miroku invece era serio e quasi severo.

“Non ci credo non l’abbiate ancora capito. Certo che siete davvero stupidi!” rise sguaiatamente l’hanjō.

“Taci, Inuyasha!” gridò Sango sgozzando un demone con straordinaria violenza, per poi infilzarlo quando per terra continuava a divincolarsi.

“Però lei è effettivamente molto brava... Lo devo ammettere.”

“Stai zitto. Lo sai anche te che non abbiamo altra alternativa!” sibilò rabbiosa la ragazza, mentre l’hanjō rideva eliminando uno dietro l’altro i suoi nemici.

“Stai dicendo che non abbiamo alternativa che infilarci in un’imboscata di banditi per sfuggire a questi demoni?” rise malamente il mezzodemone. Sango deglutì. Improvvisamente sentì l’accusa su di lei. Abbassò lo sguardo umiliata.

“Tu l’avevi capito, no, bonzo? Ma sì, tu pensavi di redimerla con le belle paroline, ma te l’ho detto, con lei non funziona.”

“Fa. Silenzio.” sibilò furiosa Sango, con un tono che fece venire i brividi a tutti. Quando sollevò lo sguardo era gelida, non sembrava nemmeno più la persona di un attimo prima. Con un colpo netto del polso si liberò della carcassa che era rimasta infilzata nella sua spada e guardò Inuyasha con durezza.

“Non avete molte possibilità ora. O mi seguite o rimanete qui e presto o tardi finirete sotterrati da demoni che si nutriranno della vostra carne. A voi la scelta, io non resto qui a farmi massacrare.” concluse praticamente osservando con durezza uno ad uno i suoi compagni di viaggio. Kagome non sapeva più cosa pensare, ma le tornarono in mente le parole di Kaede e, dopo aver deglutito, annuì alla ragazza. Lei, con rapidità, fece loro cenno di muoversi e li guidò in un sentiero nella foresta, mentre un centinaio o più di demoni li seguivano.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII: Dietro al Bandito ***


Capitolo XVII: Dietro al Bandito

“Quando arriviamo!?” ruggì Inuyasha, ormai esausto. Si era caricato in spalla, nonostante i lamenti, la miko e in quel momento, la reggeva con una mano, mentre seguiva Sango che correva zigzagando nella boscaglia.

“Zitto. Siamo quasi arrivati. Non sarebbe un posto perfetto se fosse facile da trovare.” ansimò lei, a sua volta a corto di fiato e di forze. Dietro Miroku con Shippo in spalla correva in silenzio.

“Quindi era lei quella notte...” mormorò il piccolo kitsune. Il monaco sospirò. Quando si era svegliato, la prima cosa che aveva fatto era stato andare a vedere dov’era lei. E Kagome. Per qualche motivo aveva come avuto una sensazione, ma vedendole addormentate si era sentito tranquillo. Kagome sembrava un angelo e Sango tutta avvolta nelle coperte gli aveva fatto tenerezza. Stava per chinarsi a sistemarle i capelli quando aveva notato due cose: un fruscio poco lontano e uno svolazzo di kimono e che quella cosa sotto le coperte non aveva i capelli e non era Sango. Quindi l’aveva seguita silenziosamente, solo per vederla incontrarsi con tre loschi individui. Aveva ascoltato ogni singola parola con un peso nel cuore crescente. Non poteva crederci. E infatti guardandola, anche guardandola, non ci credeva completamente. C’era qualcosa nel modo in cui non fissa mai lo sguardo sugli uomini e in come si torturava le mani, che lo lasciava perplesso. Qualcosa che non gli tornava.

“E pensare che pensavo fossi tu...” sospirò il piccolo Shippo. 

“Cosa?!” sbottò il monaco. 

“Dico, che quella notte ho sentito qualcuno parlare e pensavo che fossi tu che tramavi con qualcun altro.”

“Ma perché avrei dovuto tramare!?”

“Non so. Non mi hai detto dov’eri andato e poi a volte sei silenzioso e pensieroso.”

“Stavo cercando di trovare una via d’uscita.” Shippo lo guardò con i suoi occhietti, scrutandolo, aprì la bocca ma la richiuse subito. Alla fine, la verità, non era sempre il momento giusto per dirla. Gli sorrise. Miroku lo guardò incerto, poi tornò a concentrarsi sul sentiero. Sango si fermò improvvisamente, facendo segno agli altri di tacere. Poi scostò un po’ di piante, scoprendo l’entrata di una grotta. Velocemente fece entrare tutti, lei per ultima. Sistemò di nuovo le piante davanti e si acquattò nel buio, insieme agli altri.

“Come ca...” stava per sbottare alterato Inuyasha, prima che lei gli coprisse la bocca con una mano, guardandolo con uno sguardo di fiamme e sibilando silenziosamente:

“Taci.” Rimasero in silenzio a lungo poi, improvvisamente, Sango buttò la testa fuori dalla grotta. Si guardò intorno poi ritornò dentro.

“Se ne sono andati.”

“Com’è possibile che non ci abbiano trovati?” domandò cautamente Kagome. Sango si voltò a risponderle ma quando vide che la miko distoglieva lo sguardo quando incontrò il suo, per un attimo rimase in silenzio. Poi deglutì e rispose:

“Quelle piante coprono gli odori. Non è vero, Inuyasha?” domandò con arroganza all’hanjō. Lui sbuffò. A dirla tutta per la fretta non ci aveva fatto caso, ma ora si rendeva conto che nemmeno lui sentiva niente, come se il fuori non esistesse più. Gli dava fastidio che quella ragazzina lo fregasse, anche perché non era la prima volta. Poi di colpo le afferrò il braccio, tirandolo bruscamente verso di sé e scoprendolo. 

“Ehi!” esclamò Sango con disappunto, cercando senza risultati di riprendersi il braccio. 

“Sei ferita, stupida.” ringhiò Inuyasha, osservando un lungo squarcio sanguinante sul braccio della ragazza. 

“Non è niente.” brontolò lei. L’hanjō la guardò rabbioso, poi sorrise selvaggio e, stringendole il braccio ferito, le domandò:

“Dicevi?”

“Non è niente.” ripeté lei stringendo i denti per il dolore e guardandolo con freddezza. 

“Lasciala! Le fai male!” esclamò Kagome. Il mezzodemone continuò a guardare impassibile Sango per poi mollare di colpo in braccio, che lei rapidamente ritrasse e strinse a sé.

“Sei proprio una stupida.” sbuffò Inuyasha buttandosi a sedere. Miroku fece per avvicinarsi a lei.

“Ma che ne vuoi sapere tu...” rise malamente Sango, lasciando scivolare il braccio lungo il fianco, mentre il sangue ricominciava a colarle giù fino al polso, poi giù, lungo le dita.

“Sango, dovresti fasciarti, fare qualcosa...” mormorò Kagome. Guardava quella scena con ansia crescente e con il petto sempre più pesante. L’altra si voltò a guardarla e aveva un’espressione fredda e cattiva, che fece arretrare la miko.

“Mi hanno fatto di peggio.” sibilò con un sorriso gelido, prima di uscire fuori dalla grotta. Miroku e Kagome si guardarono con preoccupazione. Inuyasha sbuffò.

“E smettetela di fare quelle facce. Quella fa tanto la dura, ma sarà andata a prendere qualcosa da mettere sulla ferita. Non morirà per un taglietto.” Il monaco si girò e la miko vide per la prima volta uno sguardo arrabbiato sul viso solitamente pacato e sorridente dell’uomo.

“Se tu sapevi già tutto, perché non hai detto niente?” Inuyasha sollevò le spalle e poi lo guardò ridacchiando.

“Forse volevo solo vedere come sarebbe andata.” Miroku gli lanciò uno sguardo disgustato e poi si sedette accanto alla miko, che quasi non riusciva a respirare dal peso che aveva sul petto. Shippo non sapeva poi cosa dire. Guardò Miroku, poi Kagome e poi l’ingresso della grotta, dove era sparita Sango.

“Oppure sapevo come sarebbe andata se l’avessi fatto.” borbottò. Kagome si girò di scatto.

“Cosa?”

“Stanno per arrivare.” annunciò con tono funereo Sango entrando. Attorno al braccio aveva una fasciatura da cui spuntavano delle foglie e sul viso l’espressione più cupa e nera che la miko avesse mai visto.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII: Rosso ***


Capitolo XVIII: Rosso

“Stanno per arrivare.”

“Ci annunci così? Cosa ne è dell’effetto sorpresa e degli agguati?” domandò una voce maschile. Sango si irrigidì immediatamente, mentre un alto uomo entrava nella grotta. Immediatamente tutti si alzarono in piedi e si misero in posizione di difesa. L’uomo però sorrise benevolmente, voltandosi poi a guardare Sango.

“Allora, mia piccola Sango?”

“Ve l’avevo detto che c’era un problema.” sibilò lei.

“Ah, giusto.” mormorò l’uomo, voltandosi lentamente a guardare il mezzodemone che se n’era rimasto seduto e ora guardava l’uomo con aria strafottente e irriverente.

“Ci rincontriamo, Inuyasha, che piacere.”

“Tutto tuo.” L’uomo rise.

“Hai sempre avuto un senso dell’umorismo audace. Non è vero, Sango?”

“Dov’è Kirara?” domandò lei, ignorando tutto il resto. L’uomo la guardò tristemente.

“Sango, mia cara, quante volte devo insegnartelo che l’educazione è la prima risorsa di un uomo?” Lei deglutì, facendo un passo indietro.

“Sì, scusami. Certo, quel mezzodemone ha sempre avuto una passione per l’umorismo.”

“Ben detto, Sanga cara. Ora andiamo, Kirara ti aspetta, e poi dobbiamo fare quattro chiacchiere. Non sei stata molto brava.” Sango deglutì spalancando gli occhi, mentre l’uomo la guardava sorridendo e con una mano le accarezzava la testa.

“Cosa le volete fare?” domandò Miroku facendo un passo verso di loro.

“Oh, nulla, nulla. Vero, Sango?” Lei annuì, col viso pallido e teso. Poi in silenzio la fece uscire. Kagome si avvicinò all’uscita. 

“Dove la portate?” domandò con le lacrime agli occhi.” L’uomo si limitò a sorriderle e tirarle un potente ceffone che la mandò a terra.

“Vi consiglio di fare i bravi, qui sono io il gentile. I miei amici qua fuori sono tutte delle brutte, brutte persone.” disse con un sorriso prima di sparire a sua volta. Kagoe rimase a terra tenendosi una mano sulla guancia, già gonfia e pulsante, e gli occhi spalancati e umidi.

“Forse dovevo avvisare su che tipi erano.” bofonchiò Inuyasha, apparendo dietro di lei. Con delicatezza ma fermezza, lui la issò in piedi, ma lei, troppo sconvolta, si limitò a restare con la mano sulla guancia e gli occhi spalancati. Lui sbuffò, spolverandole gli hakama rossi.

“Non ci faranno niente di male.” Si voltarono tutti a guardarlo. Lui sollevò gli occhi al cielo.

“È probabile che ci rubino tutto quello che abbiamo. Al massimo faranno male a me.” grugnì sedendosi su una rossa e gambe incrociate.

“Perché?” domandò Shippo con aria innocente. 

“Cavoli miei, palletta di pelo.” 

“È anche colpa tua se ci troviamo in questa situazione! Se non ti tenessi tutti questi segreti, ora non saremo qui!” lo rimproverò Shippo, mettendosi le manine sui fianchi. Inuyasha però ghignò, spaventandolo un po’ e obbligandolo a retrocedere.

“A dire la verità sta andando tutto secondo i miei piani.” Tornò a calare il silenzio. Solo Kagome, in un angolo, singhiozzava un po’. Miroku si era accucciato in un punto e rimaneva immobile ad occhi chiusi, quasi meditasse, ma una vena pompava sulla sua tempia e i suoi pugni erano chiusi e stretti, tanto da sbiancare le nocche. Il piccolo kitsune invece sentiva un forte desiderio di scoppiare a piangere.

“E smettila!” sbottò infine Inuyasha in direzione di Kagome, che si girò. Aveva una guancia rossa, ma per lo meno, era perfettamente in tinta con gli occhi gonfi per il pianto.

“Che vuoi adesso!? Non posso nemmeno piangere?!”

“No! Mi infastidisci e poi è stupido! Ho detto che sta andando tutto secondo i miei piani!”

“Oh, e immagino che questo per me significhi che ti devo ringraziare?! Perché sicuramente i tuoi piani comporteranno che ne usciremo tutti sani e salvi e ancora, diciamo, completamente integri e che quindi potrò continuare il mio viaggio e quindi salvare mio padre e quindi sposarmi e vivere una cavolo di vita felice!!” L’hanjō la guardò perplesso, sollevando un sopracciglio.

“Non so di cosa tu stia parlando, principessa, ma dal momento che mi paghi, sì, questo vuol dire che era nei miei piani.”

“E nei tuoi piani c’era anche questo!? Tu devi essere completamente pazzo! Anzi, sono io quella completamente pazza, come ho potuto fidarmi di voi!?” strillò al culmine dell’ira e della disperazione, mentre piangeva e la sua voce usciva isterica e acuta. Inuyasha però la guardava impassibile.

“Tu sai perché l’hai fatto.” disse calmo. Kagome si fermò. A guardarlo negli occhi ora le dava una sensazione completamente diversa da quella che aveva avuto in principio. Sì, era selvaggio, ma anche molto di più. C’era saggezza in lui e anche molta tristezza. E poi quegli occhi color ambra erano i più belli che lei avesse mai visto. Lei si avvicinò a lui lentamente.

“Tu cosa ne sai?” mormorò piano. Inuyasha distolse subito lo sguardo, bofonchiando infastidito.

“Niente era per farti smettere di piangere. Mi davi fastidio.” La miko lo guardò e sorrise. Poi si coprì la bocca e ridacchiò sommessamente. L’hanjō la fulminò con lo sguardo, ma non ebbe l’effetto voluto, anche perchè il suo volto era ancora leggermente arrossato. Kagome rise fino quasi a perdere il fiato, pensando che quel mezzodemone faceva tanto il duro ma poi si imbarazzava per un nonnulla. 

“Sono felice vi divertiate, ma al momento abbiamo cose più urgenti a cui pensare.” Miroku aprì di scatto gli occhi e Kagome si girò verso l’imboccatura della grotta, dalla quale Sango stava entrando.

“Sango, cosa ci fai qui?!” esclamò Shippo. La ragazza aveva un’espressione seria e decisa e si accostò l’indice alle labbra, in segno di silenzio. Poi indicò Inuyasha con il mento.

“Non gliel’hai detto?” sibilò. Lui sollevò gli occhi al cielo, incrociando le braccia.

“Certo.”

“Tu non ci hai detto nulla.” ringhiò silenziosamente Miroku, alzandosi. Inuyasha lo guardò con noncuranza.

“Vi ho detto che stava andando tutto secondo i miei piani.”

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX: Kirara ***


Capitolo XIX: Kirara

Sango guardò circospetta fuori poi entrò silenziosamente. Non camminava con la solita fluidità e il kimono era tutto disordinato.

“Cosa ti hanno fatto?” domandò immediatamente Miroku, posandole una mano sulla schiena. Lei rabbrividì e lo allontanò.

“Niente.” sibilò a denti stretti. Lui lasciò cadere le mani lungo i fianchi e le si allontanò, tenendole però gli occhi posati addosso.

“Allora?” domandò Kagome guardandola seriamente. Sango si voltò verso di lei.

“Allora vi faccio scappare.” 

“E come possiamo fidarci di te al momento?” Lei sospirò.

“Non vi dovete fidare. Se mi aiuterete con una certa faccenda, io vi aiuterò con la vostra certa faccenda.” rispose appoggiandosi con una spalla alle pareti della grotta. Lanciò uno sguardo panoramico, poi sollevò nuovamente il mento in direzione di Inuyasha.

“So anche dove hanno messo la tua katana.” Gli occhi dell’hanjō si illuminarono per un attimo, senza però cambiare espressione. Sango rimase appoggiata al muro con un’espressione sempre più impassibile e quasi altezzosa. Nervosamente però tamburellava le dita sul suo braccio, mentre teneva le braccia incrociate.

“E cosa sarebbe questa faccenda?” domandò Miroku. Lei lo guardò senza vederlo, poi abbassò lo sguardo e deglutì.

“Hanno qualcosa di mio...” mormorò. Kagome voleva chiederli cos’aveva, cosa stava succedendo, perché lei si comportasse così e, soprattutto, perché avesse sempre quello sguardo triste sul viso. Ma fu proprio questo a farle desistere da porle qualsiasi domanda. Si avvicinò lentamente a lei, mettendo un piede davanti all’altro con molta cautela, come se di fronte a sé ci fosse una fiera spaventata e, forse, anche ferita. Alla fine quell’immagine non le pareva troppo lontano dal vero. Sango era ferita e spaventata e ruggiva a più non posso per tenere lontani tutti, ma sapeva che l’unica cosa che voleva, alla fine di tutto, era proprio che le stessero vicini.

“Ci dirai tutto una volta finito?” le domandò, una volta che le fu davanti. Sango la guardò di sottecchi, quasi fosse al contempo impaurita e arrabbiata, poi si limitò ad annuire, senza mai spezzare il contatto visivo. Allora, senza preavviso, Kagome sorrise dolcemente, lasciando l’altra senza parole.

“Ok, spiegateci questo piano!” La ragazza la guardò perplessa poi sorrise timidamente, poi prese a disegnare sulla polvere, spiegando rapidamente. 

 

“Dov’eri finita, Sango?” gorgogliò un uomo, basso e volgare, ondeggiando per indicarla. Puzzava di sakè a metri di distanza. Lei arricciò il naso disgustata, strizzandosi i capelli.

“A lavarmi. Puzzavo di demone dopo essere stata così a lungo con quelli.” sibilò. L’uomo si alzò in piedi incespicando con un sorriso storto sul grugno. Lei lo guardò schifata, ma rimase immobile. Lui le mise vogliosa un braccio intorno alla vita, palpandola con la mano calda e sudata, mentre lei rabbrividiva disgustata.

“E perché non mi hai chiamata? Potevamo fare il bagno insieme!” Lei sorrise, vibrando visibilmente di rabbia e ripugnanza.

“Mi dispiace, ma ero già in ottima compagnia.” Mentre sul volto dell’uomo compariva un’espressione sorpresa, lei gli diede qualcosa di cui sorprendersi ancora di più. Sorrise con cattiveria, mentre estraeva lentamente la sottile spada dal suo ventre.

“Quanto desideravo farlo...” mormorò, facendo cadere il corpo dell’uomo che, prima di chiudere gli occhi per sempre, biascicò un “Puttana” che Sango sentì come il miglior complimento che le avessero mai fatto. Ma non aveva tempo per crogiolarsi, ne atterrò altri due e si girò giusto in tempo per vedere crollare davanti a sé un’altro, che stava per infilzarla. Con gli occhi spalancati fissò il ragazzo dietro, che le sorrise teneramente.

“In due si fa prima.” Lei annuì, ancora troppo preoccupata e sconvolta, per avere il fiato sufficiente a risponderle. Senza quasi che se ne accorgessero, i quattro uomini che stavano di guardia erano sistemati. Sango tremava, non certo per la fatica, ma più per un misto di euforia e terrore. Finalmente sarebbe stata libera, ma faceva anche paura da morire, perché da quel momento avrebbe sbagliato ancora, ma senza più scuse. Però il terrore, il terrore, era tutto per Kirara.

“Andrà tutto bene.” le disse Miroku, avvicinandosi a lei e posandole una mano sulla spalla. Lei sospirò, non riuscendo ad impedire al suo corpo di tremare.

“Perché dovrebbe andare tutto bene?” mormorò.

“Ci siamo fidati, prova a fidarti tu.” sorrise il monaco, strappando anche a lei un sorriso e uno sguardo grato per quella gentilezza che lei, sinceramente, sentiva con dovuta. Immediatamente si rabbuiò.

“Togli subito quella mano dal mio sedere, stupido bonzo.”

 

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Capitolo 20
*** capitolo XX: Artigli e Pazienza ***


Capitolo XX: Artigli e Pazienza

“E ora?” sussurrò Kagome, acquattata dietro ad tronco. Inuyasha sospirò esasperato e si voltò lentamente, facendo lampeggiare gli occhi gialli di nervosismo. Si puntò un dito alla bocca, facendole segno di tacere. Era la quinta volta che le faceva la stessa domanda e se avesse continuato, sarebbe stato presentarsi con un invito formale. Che era, a rigor di logica, l’effetto opposto a quello da loro desiderato. L’hanjō osservava da un po’ l’andirivieni di un paio di uomini. Non ci avrebbe messo niente a eliminarli tutti. Quello lì, con l’aria imberbe e la risata sguaiata, con la testa reclinata, sembrava implorarlo di tagliargli la gola con un artiglio aguzzo.Il sangue sarebbe zampillato come se quello non fosse stato un uomo, ma una fontana di gusto davvero macabro e discutibile. Poi sarebbe toccato al ciccione: anche se ormai infradiciato del sangue del compagno, non si sarebbe nemmeno accorto che lui gli apriva il ventre e sarebbe rimasto ad osservare le sue interiora scivolare irreparabilmente fuori dal suo corpo. Probabilmente l’ultima cosa che avrebbe visto sarebbero state quelle, rovesciate a terra oppure il suo viso, spietato, mentre lo superava come un sacco che si va ad abbattere sul terreno. A quel punto quello silenzioso, che osservava tutto e taceva sicuramente si sarebbe messo in attacco, ma troppo tardi. L’avrebbe aperto usando entrambe le mani, in senso opposto. L’avrebbe sfilacciato come un foglio sottile. Non avrebbe fatto tempo ad estrarre la spada. Forse gli sarebbe dispiaciuto finirlo così velocemente, perché gli pareva essere un bravo combattente. Ma forse no. A quel punto, solo alla fine, sarebbe toccato al capo. Probabilmente il tempo di girarsi l’avrebbe avuto. Ma solo quello. L’avrebbe afferrato e inchiodato all’albero più vicino. E avrebbe riso. Questa volta si sarebbe lui preso gioco di quel bandito. Avrebbe riso mentre gli infliggeva ferite dolore ma non mortale. Gli avrebbe cavato i denti, forse le unghie, gli avrebbe lacerato il petto, il ventre, le gambe... Gli occhi però li voleva ben aperti. Che lo vedesse. Che lo vedesse ben bene mentre si riprendeva ciò che era suo, l’orgoglio, l’onore e, già che c’era, un po’ di divertimento.

“Perché ridacchi in maniera così lugubre?” bisbigliò Kagome, cancellando il sorriso dal viso del mezzodemone, che si girò irritato.

“Devi. Fare. Silenzio.” sibilò a denti stretti, mettendo in mostra le zanne acuminate. Lei sollevò gli occhi al cielo sbuffando. Inuyasha soffiò l’aria tra i denti, trattenendosi a stendo. Odiava dover attendere, ancora di più con quella piccola viziata che gli metteva addosso un’ansia pressante. Dentro di sé ringhiava, già sentiva il sapore di sangue nella bocca, il calore che gli colava dalle labbra e dagli artigli e l’anima ansante che prendeva ancora una volta il fiato. Il profumo dolce della vendetta. Aveva tanto sperato di ritrovare quei banditi un giorno. Aveva sognato ogni notte come macellarli. Uno ad uno. Digrignò i denti per la frustrazione. Però aveva promesso a quella ragazza di aspettare e seguire il piano. Proprio a lei, che era una delle principali vittime dei suoi sogni, che però finivano sempre con i suoi grandi occhi marroni imploranti. Ringhiò mentre la frustrazione aumentava.

“Se tu segui il piano, io ti faccio riavere Tessaiga.” gli aveva mormorato guardandolo negli occhi, prima che se ne andasse. I suoi occhi erano molto diversi da come li ricordava, da come li aveva sognati. Aveva uno sguardo così fisso e deciso, che quasi non si era accorto di quanto forte gli stringesse il braccio. Non ci aveva fatto caso. Solo dopo aveva notato sul suo braccio i segni rossi lasciati dalle dita della ragazza. Eppure lui era un hanjō molto forte e lei solo una ragazzina... Aveva sbuffato incrociando le braccia e voltandosi, ma Sango aveva capito subito che faceva sul serio. Aveva sospirato, come se una parte del peso che le affliggeva il petto impedendole quasi di respirare a volte si fosse almeno un po’ mitigato. L’aveva guardato, quasi con tenerezza, certamente con gratitudine. Poi però aveva intercettando il suo sguardo falsamente rabbioso. Gli occhi gialli fissi e più seri che mai. Le era sfuggito un sorrisetto. Lui che era convinto che tutto andasse sempre secondo i suoi piani... Quanto si sbagliava. 

“Ti occuperai tu di lei.”

“E ora?” Inuyasha si voltò con una lentezza esasperante, trattenendo un ringhio solamente con la forza di volontà. La stessa che gli stava impedendo di affettare la miko lì sul posto. Fu davvero una fortuna che in quel momento nella foresta risuonasse l’urlo allarmato di Sango.

“Per tutti i Kami! I prigionieri sono scappati! Venite ad aiutarmi, ci sono un sacco di feriti!”

I due uomini che ridevano, smisero subito, voltandosi nervosamente verso il capo, ce fece loro un cenno nervoso con la mano invitandoli ad andare. Loro corsero subito. L’uomo silenzioso, senza muoversi in alcun modo, con le labbra quasi immobili, disse:

“Come pensi abbiano fatto a liberarsi?”

“Temo che la mia carissima Sango non sia più fedele come un tempo.” sospirò l’uomo con una falsa tristezza, che fece rabbrividire dal disgusto Kagome. Il capo si voltò verso l’uomo silenzioso.

“Temo dovremmo agire come tu sai.” L’uomo silenzioso annuì, voltandosi verso una piccola gabbia dentro la quale stava Kirara, che non aveva smesso un secondo di ringhiare.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI: Vendetta e un Sorriso ***


Capitolo XXI: Vendetta e un Sorriso

“Cos’è successo, Sango?” domandò malamente il più giovane dei due uomini accorsi. L’altro, più paffuto ed anziano, nel frattempo si era inginocchiati accanto ai compagni feriti e tramortiti. Sango guardò il giovane, sollevando il mento e lisciandosi i lunghi capelli bagnati.

“Non lo so, stavo facendo il bagno.” rispose altera. L’uomo si avvicinò a lei con passo marziale e le afferrò il mento con due dita, guardandola fissa con un mezzo sorriso che gli tagliava il viso aguzzo e imberbe.

“Sei sempre stata così arrogante, non so perché il capo ti permetta un tale atteggiamento.” sibilò malignamente, facendo scorrere lo sguardo lungo tutto il suo corpo, mentre si umettava le labbra facendo serpeggiare la lingua.

“Probabilmente pretendeva da te determinati pagamenti... alternativi.” Sango gli diede un forte schiaffo alla mano, liberandosi dalla sua presa, mentre lo guardava disgustata.

“Come osi insozzare così il mio onore?!” L’uomo la guardò ancora e rise sguaiatamente.

“Onore? Tu?” La ragazza dovette stringere i pugni finché le nocche non le sbiancarono e le unghie affilate non le squarciarono i palmi. Si morse le labbra, perché sapeva di dover guadagnare tempo e affondargli un pugnale nel petto, per quanto sarebbe stato molto liberatorio, non avrebbe fatto che far precipitare le possibilità che il suo piano funzionasse. Le serviva però molto autocontrollo.

“Una donna sola trai banditi. Nessuno potrebbe pensare che non sei una prostituta.” ridacchiò l’uomo. Sango raggelò. Era vero, nessuno avrebbe pensato che non era una prostituta. Deglutì amaramente. Sebbene niente fosse al mondo più lontano dal vero di quell’affermazione, nessuno al mondo le avrebbe creduto. Per un attimo sentì che le era impossibile sfuggire dalle grinfie di quegli uomini, anche scappando lontanissimo, anche non essendo più sotto il loro giogo, l’effetto che avevano si di lei le sarebbe rimasto addosso come un marchio infuocato. E probabilmente lontano da loro non avrebbe avuto una vita... Nessun uomo l’avrebbe voluta, sfregiata nell’anima e nel corpo com’era. Non c’era una famiglia a cui ritornare, non c’era una casa o un luogo che non le provocasse un dolore profondo. Alla fine a sfuggire da quella gente, avrebbe guadagnato solo una pesante libertà e un ancora più pesante debito. Deglutì ancora. Le sarebbe bastata, la libertà le sarebbe bastata.

“Ehi, questo si sta svegliando!” esclamò l’altro uomo, piegato su un moribondo che cercava di aprire gli occhi e parlare. Sango sentì un brivido correrle lungo la schiena. Sentiva l’uomo che masticava le parole faticosamente. Sentiva che il suo nome stava per uscire da quelle labbra aride. Sapeva che avrebbe dovuto agire. Ma non sapeva se era il momento giusto. Forse era troppo presto e l’unica creatura a cui lei teneva, sarebbe morta nello stesso istante in cui avrebbe affondato la lama nel petto di quei due uomini. Non sapeva se poteva fidarsi di Inuyasha o di Kagome. Non sapeva se quel monaco l’avrebbe aiutata. Non sapeva nemmeno cosa sarebbe successo se tutto fosse andato bene. Era paralizzata.

“È... è... è stata...” biascicò l’uomo mentre l’altro, chino su di lui, gli teneva una mano. Ma non finì mai di parlare. Sango fissò la scena quasi come la vedesse al rallentatore. Il monaco parve apparire dal nulla e tramortire l’uomo con il suo bastone. Poi, lentamente, sollevò il viso osservando lo sguardo del bandito. Gli sorrise, prima di assestargli un pugno in pieno volto che lo mandò lungo disteso. L’altro uomo ebbe giusto il tempo di voltarsi ed estrarre la spada, che Sango, scrollandosi di dosso qualsiasi indecisione, lo trafisse da lato a lato. L’uomo cadde in ginocchio, voltando poi lievemente il volto per incontrare lo sguardo di lei e, prima di cadere, biascicò:

“Forse alla fine avevi più coraggio di quanto pensassi.” Lei lo fissò con gli occhi sgranati. Miroku si inginocchiò accanto a lui, girandolo. Gli sentì i battiti e guardò la ferita. Poi si sollevò ad osservare Sango.

“Non morirà probabilmente se quando i suoi compagni si riprenderanno avranno cura di lui nel modo giusto. Ma già lo sai questo, vero?” disse alzandosi e ripulendosi dalla polvere.

“Tutto bene?” le chiese, evitando accuratamente di toccarla. Lei rimase immobile e silenziosa, con gli occhi fissi e spalancati per un attimo, poi alzò il volto a fissare quello del monaco. Lui rimase un attimo sorpreso, perché finalmente i suoi occhi sembravano sereni.

“Sì. Sì, ora starò bene.” rispose sorridendo.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII: L'Arco ***


Capitolo XXII: L’Arco

Inuyasha sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Vedeva la distanza che lo separava dall’uomo che ormai alzava l’arma sopra la piccola creatura rabbiosa. Vedeva ogni passo che l’avrebbe separato dal tagliargli la gola con gli artigli affilati. Ma purtroppo la fine che vedeva non riusciva ad essere positiva. Quel secondo di ritardo restava. Era troppo lontano. E questo non faceva che allontanarlo ancora di più dalla sua Tessaiga. Digrignò i denti, piantandosi le unghie nei palmi per la frustrazione. Inspirò profondamente preparandosi allo scatto. L’avrebbe fatto lo stesso. Aborriva la paura più di ogni cosa, la sua in particolare. E doveva lavare i ricordi nel sangue. I ricordi che lo facevano sentire piccolo e indifeso. I ricordi che erano colpa loro. Si alzò di scatto, sentendo ribollire le vene e la vendetta urlare parole bestiali nella sua mente. Poi sentì un fischio e una freccia colpì la spalla dell’uomo, che per il dolore fece cadere la spada, prima che questa colpisse Kirara. Inuyasha si voltò lentamente, scoprendo Kagome, fredda e lucida, che imbracciava l’arco e scoccava un’altra freccia, questa volta alla gamba dell’uomo che cadde in ginocchio. L’hanjō la guardava completamente sconvolto. Tra tutte le possibilità, l’ultima in cui credeva era certamente quella. La miko lo guardò altezzosamente, sollevando il mento in un gesto quasi stizzito.

“Allora? Non vuoi fare la tua parte?” Il mezzodemone sentì un fortissimo fischio nelle orecchie e la pressione sanguigna alzarglisi a dismisura. Come osava parlargli così!? Schizzò in avanti, tra la boscaglia, arrivando un in lampo a stringere con la mano il collo dell’uomo piegato dopo essere stato colpito dalle frecce della miko. Lo afferrò e lo scaraventò su un albero lontano, facendogli immediatamente perdere i sensi. Poi diresse il suo corpo e tutta la sua ira verso l’altro uomo, che sghignazzava. Quella risatina non fece che alimentare l’odio di Inuyasha, che si gettò su di lui con le peggiori intenzioni.

“Fermo.” Sentì la voce tranquilla di Kagome, mentre il sangue gli pulsava nelle tempie come tamburi di guerra. Il ritmo diminuì leggermente mentre si voltava, con lentezza. La miko era in piedi, con in braccio Kirara, che si strusciava sul suo braccio facendo le fusa. E lei la guardava con un delicato sorriso ad incresparle le labbra. Quasi una specie di risatina muta o, per lo meno, non ancora esplosa. E lui aspettava che ridesse. Poi lei alzò lo sguardo.

“Non ti serve a niente ucciderlo.” disse semplicemente, accarezzando la testa del Nekomata.

“Ma mi renderebbe felice!” ringhiò lui, guardandola. Sentiva sotto la sua mano, stretta sul collo dell’uomo, pulsare come il suo cuore, ad un ritmo accelerato. Quel suono lo chiamava, voleva essere fermato. Lei sollevò le spalle scuotendo le spalle.

“Può darsi.”

“Sicuramente.”

“Non puoi essere sicuro. Ma sicuramente lui ti ucciderebbe.”

“No!” esclamò Inuyasha, fermandosi a pensare solo dopo aver urlato. E mentre la ragazza parlava lentamente, con le labbra arricciate, la risatina sadica e crudele dell’uomo si affievoliva sempre di più, sostituita da un’espressione seria e tesa.

“Non mi ha ucciso...” rifletté l’hanjō. Kagome posò a terra Kirara, sospirando.

“Non so, forse pensava che lasciandoti disonorato tu ti saresti tormentato. E l’idea della vendetta e del disonore lentamente ti avrebbero consumato fino a diventare il tuo unico pensiero. E, forse, pensava che questa ossessione ti avrebbe condotto, non so, alla pazzia. Perché, se non lo avessi incontrato più, ti saresti continuato a torturare fino a consumarti definitivamente, e se l’avessi incontrato, come poi è successo, probabilmente l’avresti eliminato. Avresti eliminato tutti. E, forse, per un attimo, o qualche giorno, o persino per anni, saresti stato fiero di te. Ma credo che probabilmente pensasse che tutto quel vuoto non saresti più riuscito ad occuparlo. E lui da morto non aveva certo più di che tormentarsi. Sotto metri di terra non ci sono preoccupazioni. Ma io non lo so.” mormorò fissando negli occhi l’uomo, che la guardava a sua volta con la mascella contratta. Inuyasha era immobile. Poi si voltò a guardare l’uomo. Gli era parso per lungo tempo un individuo perfido e, in una certa e malsana misura, potente. Ma ora che lo guardava così, attaccato all’albero, con la gola tra i suoi artigli e la mascella serrata, si rendeva conto di quanto era in realtà ridicolo. Un sobillatore che aveva a lungo giocato con la sua mente, e non solo con la sua. Aveva il potere perché gli era permesso, e con le sue parole ti condizionava. E, probabilmente, era vero: voleva la morte, perché tutto era più facile nella morte. Sbuffò sonoramente allungando una mano artigliata verso Kagome.

“Passami quella fune.” Lei sorrise, la prese e gliela lanciò. Mentre l’hanjō si impegnava a stringere più possibile l’uomo e fissarlo al tronco, questo fissava la miko con un’ira gelida e muta. E lei sorrideva compiaciuta.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII: Preziosa ***


Capitolo XXIII: Preziosa

“Lo senti questo silenzio?” rabbrividì Sango, fermandosi in mezzo alla foresta con i capelli ormai quasi asciutti e un’espressione tirata. Senza accorgersene aveva fatto saettare la mano, arpionandola al braccio del monaco, che si era fermato a sua volta. Lui l’aveva guardata, un po’ perplesso, un po’ sorpreso. Improvvisamente Sango si era messa a tremare violentemente, mentre teneva gli occhi fissi di fronte a sé, talmente spalancati che presto le comparirono le lacrime. Ma lei non si azzardava a chiuderli. Miroku la afferrò per le spalle, scuotendola appena.

“Sango, andrà tutto bene. Sono sicuro che Inuyasha e la venerabile Kagome hanno compiuto in maniera ineccepibile il proprio dovere. Non devi più temere niente.” Un attimo dopo i loro sguardi si incontrarono. E vedendo gli occhi blu, belli e sicuri, dell’uomo, lei non poté impedirsi di scoppiare a  piangere. Appoggiò la testa sulla spalla del monaco e cominciò a singhiozzare forte, tenendosi a lui perché sentiva le gambe cederle.

“È tutta colpa mia.” continuava a ripetere, mentre Miroku non sapeva più come comportarsi o cosa dire per consolare la donna, che pareva aver avuto un improvviso crollo emotivo. Le batté sulle spalle con una certa goffaggine, incerto e maldestro.

“Su, vedrai che sta bene...” borbottò, cercando di apparire convinto ma maledicendosi per l’inadeguato tono di banalità con cui gli era uscita la voce. Sango rispose con un singhiozzo più forse e una serie di frasi strozzate.

“È tutto quello che è. Mi è rimasta solo lei. Ed è tutta colpa mia.” L’uomo sospirò, passandosi imbarazzato la mano sulla fronte, come a detergersi il sudore per uno sforzo che di certo non era fisico. Deglutì e aprì la bocca, per poi scuotere violentemente la testa richiudendola. Poi abbassò lo sguardo sul capo scosso dai singhiozzi di Sango e sospirò ancora, sorridendo poi incerto. Le posò le mani sulle spalle, allontanandola un po’ da sé, quel tanto che gli serviva per vederla negli occhi. Lei a sua volta alzò lo sguardo verso di lui, gonfia di pianto ed imbarazzata per essersi lasciata andare a quel modo.

“Scusa, mi sto comportando come una tale stupida...” mormorò con la voce ancora rotta e sollevando una mano per asciugarsi le lacrime con la manica.  

“Non ti preoccupare. E poi, tu non sei sola, ci sono io.” mormorò, ma le sue parole si persero, sovrastate dal forte urlo di Kagome.

“Sango!” La ragazza si voltò di scatto, interrompendo il contatto visivo con il monaco. Per un attimo  il suo viso si trasformò in una maschera di orrore, temendo che il peggior scenario, che tante volte si era immaginata, si fosse ora ineluttabilmente realizzato. Poi il sorriso della miko la colpì come uno schiaffo. Solo un attimo dopo la piccola Kirara le saltò in braccio, leccandole la guancia con la linguetta rasposa. Le parve di ricominciare a respirare solo in quel momento, come se, senza accorgersene, avesse trattenuto il fiato sino ad allora. Per mesi, per anni, in apnea, mentre il peso sulle sue spalle si aggravava come una maledizione, lasciandole un marchio in una stanchezza che l’affossava e la allontanava sempre di più dalla persona che sapeva di poter essere. Anni di apnea e ora respirava di nuovo. Alzò gli occhi, ormai inondati dalle lacrime di gioia e incontrò il sorriso di Kagome, piegata su di lei, con i capelli neri che le incorniciavano il volto. Si gettò su di lei ad abbracciarla.

“Grazie, grazie, grazie...” mormorava ridendo. Inuyasha le posò una mano artigliata sulla spalla. Sango sollevò il viso a guardarlo, mentre un sorriso enorme le illuminava il viso come non succedeva da anni. Lui però rimase impassibile, tranne per un piccolo sussulto di sorpresa che non riuscì a nascondere.

“Grazie.” stava per mormorargli Sango con un tono colmo di autentica riconoscenza, ma l’hanjō la precedette.

“Dov’è?” chiese rigidamente. Lei annuì.

“Shippo dovrebbe arrivare a momenti.” Inuyasha ringhiò.

“L’hai lasciata nelle piccole mani di quell’incompetente!? È incredibilmente preziosa!”

“Ti ringrazio molto per la fiducia! La gratitudine non è proprio di casa da queste parti.” sbottò Shippo, appena arrivato, guardando trucemente Inuyasha e tenendo saldamente in braccio un’enorme spada infilata di una custodia.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV: Inuyasha e la Ladra ***


Capitolo XXIV: Inuyasha e la Ladra

“Dunque, era una notte buia e tempestosa...”

“Sul serio? Sul serio vuoi iniziare così?!” sbuffò Sango lanciando uno sguardo irritato verso l’hanjō che aveva appena parlato con un tono sarcastico e infantile. Lui si girò verso di lei, fissandola con le braccia incrociate.

“Pensi di poter raccontare meglio questa storia?” ringhiò. Lei annuì, guardandolo altezzosamente.

“Non è che lo penso, lo so.” ribatté facendolo alterare ancora di più. 

Avevano camminato a lungo, senza guardarsi indietro nemmeno una volta, prima di accamparsi. Ed erano stati in silenzio per quasi tutto il tragitto. Dopo aver acceso il fuoco e mangiato qualcosa, il silenzio si era fatto persino più pesante. Tutti si guardavano aspettandosi qualcosa, finché Sango non aveva sospirato, sentendosi addosso numerosi sguardi, ma era stato Inuyasha ad intervenire.

“Ora vi racconto com’è andata l’intera storia.” aveva detto, mentre con una mano accarezzava la spada finalmente ritrovata, così come Sango accarezzava Kirara.

“Dunque ci eravamo conosciuti in una locanda, loro mi ci avevano mandato perché sapevano che lui era lì. E infatti l’avevo trovato subito, se ben ricordo stavi facendo una rissa ed eri ubriaco.” sghignazzò Sango lanciando un’occhiata al mezzodemone che aveva sbuffato irritato.

“Non ero ubriaco e mi avevano provocato.”

“Sì, certo.” ridacchiò lei, facendogli alzare gli occhi al cielo con un’aria irritata ed annoiata.

“Dicevo, mi avevano mandato e io sapevo cosa fare. Infondo mi ci è voluto poco per farmelo amico: qualche pugno e poi una caraffa di sakè offerta da me. Gli uomini sono fin troppo facili da raggirare.” Inuyasha sbuffò pesantemente, mentre si scambiava un’occhiata di comprensione con il monaco.

“Oh, fate silenzio e fatemi continuare! Dov’ero rimasta? Ah, sì, la rissa e il sakè. Avevamo cominciato a chiacchierare e casualmente, almeno così pensava lui, era uscito il fatto che dovevo andare da qualche parte a fare qualcosa...”

“Trovare la nonna malata e vecchia.” grugnì Inuyasha.

“Giusto! Cavolo, che scusa banale, ma come hai fatto a cascarci?” L’hanjō sospirò irritato, facendole cenno di continuare. Sango aveva trattenuto un risolino.

“Ecco, e fingendomi anche un po’ alticcia...”

“Anche che eri sbronza non era vero!? Ma c’era qualcosa su cui non hai mentito!?”

“La smetti di interrompermi!? Comunque, tutto il resto era vero... Ad ogni modo, l’avevo convinto ad accompagnarmi. Alla fine, il mio compito, era farlo parlare per scoprire, insomma, il suo punto debole. E devo ammetterlo, e credo concorderai, che ti ho fatto parlare assai.” sogghignò Sango.

“Dovevo difendermi in qualche modo dal tuo straparlare e dubito che la spada sarebbe servita.” ringhiò il mezzodemone.

“Sì, ok, mettiamola così, salviamo il tuo orgoglio. Fatto sta che hai iniziato a fidarti di me, o mi sbaglio?” Lui annuì mentre stringeva i pugni convulsamente per il nervosismo crescente. La ragazza si fece seria di colpo.

“Voi non ci crederete, e tu meno di tutti, ma anche io mi fidavo. Ma non c’era niente che io potessi fare. Ad un certo punto sono arrivata a sperare che tu non avessi punti deboli o lati nascosti. O che tu non me li avresti detti mai.” Lei deglutì e guardò a terra, torcendosi le mani.

“Credo di non avere il diritto di dire cosa mi dicesti. Ma posso dire che mi sentì veramente male quando lo sentì, da una parte perché sapevo che era una confessione che io di certo non meritavo e poi, ancora peggio, sapevo che quello che mi avevi detto io avrei dovuto riportare a quelle orribili persone che mi comandavano... Sinceramente non sapevo cosa fare. Ma alla fin fine, non ero io a decidere. Io non potevo decidere.” sollevò gli occhi, appena velati, a cercare quelli di Inuyasha, che stava seduto rigido fingendo di ignorarla.  Lei sospirò continuando a parlare, nuovamente con gli occhi bassi e una voce carica.

“Quella notte accadde tutto più velocemente di quanto io non potessi controllare. Il loro arrivo svegliò anche me...” quasi non riusciva a parlare. Prese un respiro, stringendosi le mani e cercando di ritrovare la calma. Kagome si mosse e fece per metterle una mano sulla spalla, per confortarla, ma lei in quel momento sollevò la testa, con una ritrovata espressione decisa sul volto.

“Sapevo che era sbagliato ciò che facevo e anche che non potevo continuamente nascondermi dietro al fatto che ero incastrata in quella situazione. Non volevo più sentirmi una vittima ma dovevo comunque continuare a giocare alle loro regole, o almeno far loro credere che lo facevo...”

“E quindi cos’avresti fatto?” sbuffò Inuyasha.

“Niente. Non avevo ancora un piano per sfuggire, lo ammetto. Però una cosa l’ho fatta. Sapevo sempre dove tenevano la tua spada. Avevo deciso che se fossi scappata, te l’avrei riportata. Anche a costo di farmi uccidere da te. Quindi, se vuoi, sono qui.” concluse fissando il mezzodemone negli occhi con quella sicurezza che la contraddistingueva. Lui scansò lo sguardo.

“Figuriamoci. Sarebbe una perdita di tempo ammazzarti. Specie ora che ho la mia Tessaiga.” Lei annuì. Rimase in silenzio un po’, poi sbuffò sollevando gli occhi al cielo.

“E poi, diciamo, che hai un merito, seppur minimo, nel suo recupero. Potremmo dire che siamo sulla buona strada per farti perdonare.” Sango alzò lo sguardo sorridendo.

 

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Capitolo 25
*** capitolo XXV: Un frammento e Lui ***


Capitolo XXV: Un frammento e Lui

Kagome aveva sbadigliato forte, coprendosi subito la bocca imbarazzata. Miroku l’aveva guardata con tenerezza, come si fa con i bambini, e le aveva posato una mano sulla spalla delicatamente.

“Divina Kagome, forse è l’ora di riposarci, sono stati giorni pesanti questi.” Lei lo guardò con gli occhi già annebbiati dal sonno e stava per replicare che, no, lei non era stanca affatto, quando si aprì in un altro, enorme, sbadiglio e non poté più mentire. Stava morendo di sonno. Sorrise timidamente, voltandosi poi verso gli altri, quasi per scusarsi. Sango si era già alzata e raccoglieva con le mani un mucchietto di sabbia, che poi gettò sul fuoco spegnendolo di colpa. Il buio fu istantaneo, costellato solo dalle flebili luci di un paio di lanterne ancora accese.

“Si dorme!” esclamò con brio, facendo lampeggiare gli occhi in direzione della miko, che ridacchiò per l’espressione divertita della ragazza. Da quando avevano liberato Kirara, Sango sembrava trasfigurata: camminava più leggera, sorrideva e ogni suo gesto pareva intriso di una vitalità che prima non aveva. Per Kagome era una gioia. La miko si alzò e salutò tutti. Sango la abbracciò forte, mentre le sussurrava qualcosa all’orecchio, che la fece trasalire. La lasciò andare, prendendole per un attimo la mano e facendole scivolare qualcosa nel palmo prima di andarsene con uno sguardo birichino, seguita dal monaco, che venne subito redarguito malamente. 

“Che ti ha dato?” domandò burbero Inuyasha, apparendo alle spalle di Kagome che sussultò facendo un balzo e infilando in fretta e furia ciò che aveva in mano in una tasca del suo abito.

“Niente!” esclamò con un tono acuto, incredibilmente colpevole. L’hanjō la guardò con un sopracciglio sollevato, per nulla convinto. Ma non indagò oltre, poiché la miko lo guardava con occhi imploranti, pregandolo silenziosamente di non fare altre domande. 

“Quindi ora vi fidate di lei?” sbuffò, incrociando le braccia. Kagome sbatté le palpebre diverse volte prima di rispondere.

“Perché non dovremmo?”

“Perché ha mentito fino ad ora.”

“Ma ora ci ha detto la verità.”

“Chi mente una volta, mente sempre.” rispose categorico. Lei lo fissò un attimo, cercando di sondare qualcosa, come per capire fin dove arrivasse il risentimento. Quanto profondamente fosse compromessa quella parte di una persona che ti porta a vedere, anche nell’oscurità e nel male più buio, una scintilla, il lato positivo. E quasi la irritava quell’espressione corrucciata e così sicura che assumeva il mezzodemone. Si irrigidì a sua volte, mettendo su lo sguardo severo che usava a volte quando il fratellino diceva qualcosa di molto stupido, che la indignava profondamente.

“La cattiveria che ti butti intorno prima o poi ti divorerà tutto intero, caro il mio Inuyasha. Ti credi tanto furbo con lo sguardo cattivo e la battuta sagace, a dispensare il consiglio che nulla cambia e dopo l’estate c’è sempre l’inverno. Ma sai, io non ci tengo a finire in un circolo buio in cui il mio riflesso diventa il mio migliore amico, e non mi fido neppure di lui. Io credo che qualcosa sbocci sempre, alla fine, anche dopo l’inverno più rigido. Sta solo a coglierlo in momento giusto.” disse tutto d’un fiato, piantandogli i grandi occhi scuri, sinceri e severi, nei suoi gialli e un po’ sbalorditi. Poi, senza aggiungere altro o aspettare una risposta, si girò e se ne andò.

Lui rimase ad osservarla nell’oscurità, vedendo benissimo come si rigirava tra le dita un frammento luccicante. Avrebbe potuto, e probabilmente avrebbe dovuto, risponderle a tono a quella bambina ingenua. Quante sciocchezze aveva sciorinato con tutta quella spavalda sicurezza da eroina vissuta. E quanto il suo aspetto, a tratti nobile e regale, a tratti infantile e puro, aveva calcato la mano alle sue parole. Era come se lei avesse parlato non solo con le labbra ma con quello che era. E, dannazione, lui la era rimasto a sentire. Non perché potesse credere a quello che quelle labbra sciocche dicevano. O forse avrebbe voluto. Ma era rimasto perché voleva sentirla. Sbuffò, scuotendo la testa irritato dai suoi stessi pensieri, mentre con la mano andava a cercare Tessaiga. Ora si sentiva un po’ meno incompleto. Un po’ meno. Lanciò un ultimo sguardo verso il buio in cui Kagome era sparita, poi si voltò e se ne andò.

 

In lontananza tirava un vento che, tra i profumi di una primavera imminente, portava anche guai e un sorriso divertito. Quei piccoli drammi la divertivano oltremodo. Se aveva imparato qualcosa dalla propria esistenza, era proprio quello. A divertirsi per le piccole cose, mentre la sua vita si assottigliava sotto le dita lunghe e precise del destino. Ridacchiò, scorgendo un bocciolo roseo su un pesco.

“Tutto fiorisce, anche dopo un lungo inverno.” mormorò, con la voce tra il fischio e il trillò, con una risata a fior di labbra. Allungò la mano, accarezzando il bocciolo morbido.

“Tutto sta nel coglierlo nel momento giusto.” La bocca le si allargò in un sorriso sadico, mentre sradicava con le dita quel fiore mai nato. Lo guardò, avvicinandoselo agli occhi e ruotandolo in tutte le direzione, come ad ispezionarlo.

“Rallegrati, così non morirai mai.” sogghignò, con un’amarezza che avrebbe spento le stelle se non fossero state troppo, troppo lontane per sentirla. Poi, in un alito di brezza, sparì. Il bocciolo rimase a terra.

 

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