The Mason Cell

di Lauretta Koizumi Reid
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***



Capitolo 1
*** I ***


Fa freddo. E’ umido. E’ buio. E mi fa male tutto.
La mia testa non risponde ai comandi, ma i miei sensi sì. E mi dicono che le cose non stanno andando per niente, ma proprio per niente bene. Il concetto è: quale individuo riuscirebbe a ricordare in quale posizione, o a che cosa  stava pensando subito prima di addormentarsi? Nessuno. Il sonno e l’oblio ti colgono impreparata, anche quando svieni e non sai dove sei o cosa ti sia successo prima di risvegliarti in un posto che non conosci. Che decisamente non conosci. Ma io devo capire.  


Forza, testa, forza, ragiona. Portami dove so che troverò una risposta.  


 
_
 

- Finnick! - urlai nel folto della foresta. La prudenza mi avrebbe suggerito di fare più piano, c’erano altri tributi in giro per l’arena, e loro non sapevano nulla del piano. Corsi forsennatamente scuotendo l’ascia che mi schizzò del sangue di Katniss. Povera ragazza, pensai, ma stai tranquilla, tra un po’ verranno a salvarti le chiappe. Nonostante questa certezza, ero convinta che qualcosa fosse andato storto. Ed avevo bisogno di trovare Finnick. Dove diavolo si era ficcato?

Tra un po’ il fulmine avrebbe colpito l’albero, come da piano di Lampadina, e sarebbe stato un disastro in tutti i sensi: per Capitol City, per noi, per il Distretto 13 che doveva venire a prenderci. Mi sentii montare la rabbia, il dubbio e la frustrazione che avevo provato quel giorno in cui la facciona placida di Plutarch e quella ubriaca di Haymitch mi avevano informato del piano.

Basta, Johanna, non è il momento di fare flashback. Pensa a correre.

- Katniss! Katniss!

Oh, no, questa è la voce... di Peeta. Sì, è lui. Perchè stai urlando e cercando Katniss, biondino idiota? Se manda a monte tutto, lo strozzo. Insomma, lo dicevo io che questa parte del piano era troppo superficiale. Qua si rischia grosso.
Ma l’hai accettato tu, cara, fa una voce fastidiosa dentro di me.

- Johanna? - ansimò Peeta, mentre si parava davanti a me, con un espressione di panico negli occhi.
E adesso? Devo togliere il rilevatore anche a lui? Non me l’hanno ordinato.

- Johanna, ascoltami, è successo di tutto. Il filo è saltato, Beetee è svenuto. Sta male. Forse è morto. Dobbiamo trovare Katniss, e Finnick! Johanna, muoviti, aiutami!

Le sue parole mi paralizzarono. Accidenti, allora c’era veramente stato un problema, e non da poco. Se Beetee non ce l'aveva fatta a realizzare la sua opera, cosa avremmo fatto? Ragionai su cosa fare, questo lo ricordo.

Poi un boato colse me e Peeta. Fu talmente forte che dovetti tapparmi le orecchie. E ora? E ora? Cosa faccio?
Ok, io tolgo il rilevatore a Peeta.

Cercai di coglierlo di sorpresa come ero riuscita a fare con Katniss, ma non ero preparata alla sua ribellione, alla sua forza, alle sue urla. Pensava volessi finirlo, ucciderlo.
Ma come potevo dirgli che non era vero? Tipo "Ehi, sta fermo, voglio solo toglierti il rilevatore!" perchè se fossimo stati ancora in onda avrei causato grossi guai. Ma lo eravamo oppure no? Capitol City aveva idea di cosa stava succedendo o preferiva godersi lo spettacolo? La nostra lotta mentale e fisica ci distrasse.

Infatti Peeta, a cavalcioni sopra di me, non vide cadere pezzi di Arena. Non vide la luce accecante sopra le nostre teste, artificiale, fortissima.
- Johanna!- urlò.

Non riuscivo a respirare. Che accidenti stava succedendo?

Praticai uno squarcio nel braccio di Peeta, finalmente, ma senza riuscire a togliergli il rilevatore. Lui si arrese al dolore con un urlo disperato.  
Sopra di noi, un hovercraft piccolo e nero mosse l’aria e atterrò. Incominciai a perdere le forze e la ragione. Nella luce, nel rumore, nel sangue, intravidi un 13 dipinto sulla fiancata.
Mi alzai, corsi.

- Ehi! Ehi! Siamo qui! Non riesco a togliere il rilevatore a Peeta! Non riesco a
 
qualcosa, poi, mi riportò bruscamente a contatto con la  terra.
 
 
_
 


Ora lo ricordo. E’ l’ultimo ricordo prima dell’oblio.
Quando la luce nei miei occhi si attenuò a causa di qualsiasi cosa stesse facendomi svenire, essa mi permise di mettere meglio a fuoco la scritta sull’hovercraft lucido che rifletteva i raggi.



C.C. hovercraft  1213


 

Sono prigioniera di Capitol City. 

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Capitolo 2
*** II ***


Non appena riapro gli occhi il mio respiro è superficiale e affannato. Però c’è, e questo vuol dire che Capitol City non ha ancora il mio cadavere in braccio. Ma il terrore che provo, che ho provato poche volte in vita mia, ancora mi annega i sensi.

Ora Johanna, apri bene gli occhi e dimmi cosa vedi.
E’ una stanza semibuia, piccola e rettangolare. Una grata di metallo sul soffitto altissimo fa filtrare la luce. In un angolo intravedo una lastra di ceramica con un buco in mezzo. Il pavimento è irregolare e bagnaticcio, e io ci sto rannicchiata sopra. In un altro angolo, un materasso, o ciò che rimane di esso, è addossato alla parete. Le pareti sono formate da mattonelle. Non c’è altro.

Ora Johanna, apri il naso e dimmi cosa senti.
Ma non vorrei mai averlo fatto. Un tanfo prepotente di sudore e capelli lerci mi arriva alle narici. Inoltre sento un puzzo di fogna, probabilmente originario della latrina all’angolo, se di latrina si tratta. Respingo un conato di vomito e continuo a respirare.

Ora Johanna, apri le orecchie e dimmi cosa senti.
Così, stesa per terra, non sento proprio nulla. Un inquietante silenzio. Niente.
Capisco che dovrò alzarmi, per riuscire a intuire altro. Con immane fatica mi rimetto in piedi. A parte il male alla testa, la nausea, la debolezza e un piede gonfio va tutto bene.

Noto che la porta è a grate, chiusa da un catenaccio, e la luce perciò entra anche da lì. Fuori dalla porta c’è solo un corridoio lungo e stretto, illuminato da alcune luci al neon. E poco più in là delle grate, c’è una sedia.

Dove c’è una sedia, c’è anche un uomo. Una guardia. Un carceriere.

Ispeziono la latrina, che sembra funzionante. Il materasso è sfondato e corroso, e un paio di scarafaggi passeggiano lungo l’imbottitura che ha straripato. Osservando la luce che filtra dalla grata sul soffitto, credo sia sera. Ma di che giorno? Come faccio a saperlo?

Mi appello all’unica cosa di me che potrebbe aver sentito lo scorrere del tempo, cioè il senso di sete e la crescita delle unghie. Ho molta sete, questo è certo, ma non da morirne. Le mie unghie non sono più lunghe di quando ho lasciato l’arena. Forse è passato un giorno, massimo due.
 
Le mie orecchie si rizzano quando sento un lamento. Proviene da qualche parte, ma non so da dove.
E non lo saprò mai, perché la porta a grate si apre con forza, e si palesano due Pacificatori senza casco.
- Ben svegliata, Mason! Adesso noi ci divertiamo un po', che ne dici?

Vorrei dimostrarmi coraggiosa e forte, ma lo strattone che viene dato ai miei capelli è troppo forte, e urlo.

Il pacificatore mi prende e mi attira al suo volto, sempre tenendo stretti miei capelli come una mazzo di fiori.
- Vedo che abbiamo la voce, eh? Ottimo, il presidente è ansioso di ascoltare cosa avete da dire tu e quell’altro. Sul perché l’Arena è esplosa, perché tu abbia tolto a Katniss Everdeen il rilevatore....ha tanti difetti, ma non la stupidità. Sì, lui pensa che ci possa essere stato qualcosa come una cospirazione....anche da parte tua, Johanna Mason, la dura e forte Johanna, che non ama nessuno e che nessuno ama...sembra incredibile, vero?

Ho poca saliva nella bocca, ma la uso per tirare uno sputo addosso all’uomo, che finisce sul suo naso, mancando l’occhio.

La sua espressione diventa rabbiosa e mi trascina dentro una stanza bianca. Vedo altri Pacificatori, e arnesi strani. Riesco a formulare un unico pensiero coerente: mi tortureranno.

E la mia mente cerca di correre al giorno in cui gran parte dei vincitori chiamati a morire nell’Arena, intinse il proprio indice destro nella vernice rossa e lo poggiò su una pergamena, la quale sanciva fedeltà al patto della rivoluzione. Con tutti gli annessi e connessi del caso

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Capitolo 3
*** III ***


Era una sala grande, fredda e azzurra, con un enorme tavolo di vetro al quale eravamo tutti seduti compostamente e in silenzio. Avvertivo la palpabile tensione del perché Plutarch Heavensbee avesse convocato alcuni degli ex vincitori prima dei giochi imminenti. Prima che andassi di nuovo a guardare la morte negli occhi.
E ciò che sentii in quella sala non lo dimenticherò mai.

- Se siamo riuniti qui, è perché abbiamo qualcosa in comune: nessuno di noi vuole morire a causa di questi Giochi e tutti odiamo a morte Capitol City e il suo sistema.
Silenzio.

- Fin qui... - mormorò Finnick Odair giocando svogliatamente con il bicchiere d’acqua di fronte a lui.
- E fin qui, ci siamo - lo riprese - il punto è: cosa possiamo fare? Cosa dobbiamo fare? Immagino che nessuno di voi sia rimasto indifferente e sconosciuto agli eventi che stanno colpendo i distretti in queste ultime settimane. Si stanno ribellando. E questo crediamo sia grazie alla vincitrice dello scorso anno, Katniss Everdeen, la ragazza di fuoco. Il gesto delle bacche velenose, voluto per ribellarsi oppure no, è stata comunque la scintilla che ha fatto scatenare l’incendio.
- No l’ha voluto fare per ribellarsi al sistema - mormorò la voce sommessa della Morfaminomane del Distretto 6 - ha solo sedici anni. E anche il ragazzo...hanno solo voluto salvarsi.
- Sì, è probabile - continuò Plutarch, infastidito dal timido commento - ma Katniss è la chiave per liberarci di tutto questo. E con questo, intendo quello che avete subìto tutti voi. Minacce, costrizioni, uccisioni,  molestie... traumi... devo continuare? 

Fece una pausa per permettere a tutti noi di abbassare la testa sotto il peso di quella verità che lui disse con tanta leggerezza. La testa di Finnick era la più bassa di tutte.
- Ora vi ri-sbattono  dentro, e credetemi, il Presidente non ha intenzione di far sopravvivere nessuno di voi. Troverà un modo per uccidervi tutti. Si è reso conto della fragilità del suo sistema, e vi vede come una possibile minaccia, persone adorate a Capitol City che hanno un potere ben più grande del suo. Gli Hunger Games si sono rivelate un’arma a doppio taglio, e voi siete la lama. Ciò che Snow non sa, è chi sono io. E nemmeno voi, effettivamente.
Riprese fiato e continuò.
- Faccio parte di una organizzazione, una setta, per così dire,  che ha l’obbiettivo di abbattere il Presidente Snow e la tirannia di Capitol City. La mia fortuna, e la sua sfortuna, è stata appassionarmi alla storia dei nostri antenati, e scoprire che l’oligarchia e la dittatura non sono i soli metodi governativi. Se tra le numerose leggi votate a Panem ci fosse stata anche l’impedimento della libera lettura, forse non sarei qui a dirvi queste cose. E per quanto riguarda l’organizzazione.....vi basti sapere che ha sede al Distretto 13.

Si sollevò un coro di ovazioni e grida. Ma era così. Il Distretto 13 viveva, in condizioni disumane, ma viveva. Ci volle un po’ per calmare tutti e farsi spiegare l’intera storia. Ma Plutarch aveva fretta di concludere. E anche io. Le mie imprecazioni erano state le più alte e offensive di tutte, ma ora dovevo capire in che quale accidenti di guaio volevano cacciarmi. Il piano fu spiegato nei minimi dettagli, come se si fosse trattato di una storia che avevamo già vissuto e che dovevamo stare a sentire e ripetere. Cosa dovevamo fare, con chi allearci, chi uccidere, chi non uccidere.
E io, Johanna Mason, Distretto 7, avevo la missione di allearmi con Katniss Everdeen, proteggerla a costo della vita, strapparle al momento opportuno il rilevatore dal braccio, radunarmi con i ribelli (perché già eravamo diventati tali occupando quella stanza) e attendere gli hovercraft del Distretto 13.

- Mi faccia solo capire una cosa - intervenne l’ingegnoso Beetee sollevandosi gli occhiali sul naso - dovremo tutti comportarci come se fossero giochi veri, esatto?
- Certo, o verrete scoperti!
- Quindi potremmo morire. - sentenziò con aria di sufficienza e con un sorriso furbesco.
- E’ una possibilità. Tutto deve andare come se non ci fosse nessuna cospirazione, nessun inganno. Ammazzate senza pietà chi non si trova in questa stanza, a eccezione di Katniss Everdeen. Lei è la Ghiandaia imitatrice, simbolo di questa rivoluzione, e va tenuta in vita.
- Sarebbe molto di più un simbolo se morisse - intervenni io.
- E’ vero, non escludo che vedo la vita di quella ragazza appesa a un filo. Ma non in questo modo. E poi non è questo il punto. Il punto è che vi ho radunati qui perché so che siete disposti a pagare qualunque prezzo perché Capitol City e Snow paghino per gli ultimi settantacinque anni di orrore. Anche morire.

Tanto che importa, pensai, nessuno può piangere per me, se muoio.

Il gelo ci pervase, insieme a sorrisi di follia, di rassegnazione, di volontà.
- Altra cosa, - sentenziò Haymitch Abernarty, - farete di tutto per proteggere anche il ragazzo, Peeta.
Ciò scatenò una nuova ondata, non si protesta, bensì di sorpresa.
- Non gliene importa un accidente, di quel ragazzo! Si vede lontano un miglio che recita! - si scaldò improvvisamente Finnick. Mags, l’anziana accanto a lui, gli accarezzò il braccio.
- Io non credo, belloccio. - ribatté Haymitch, con improvvisa lucidità - so quello che dico. Se Katniss perde Peeta, ho come l’impressione che non terrà abbastanza alla sua vita per non compiere qualche sciocchezza. E allora addio alla Ghiandaia. E addio anche a voi, potrebbe farvi fuori tutti e uccidersi lei stessa. Credetemi, può farlo. Per quanto riguarda la recita, non voglio perdermi in dettagli che non sono affari vostri, ma sono quasi certo che non sia così. Insomma, se fossi stato io nell’Arena, non ci sarebbero stati problemi. Ma è uscito lui, e questo è quanto. Tenete in vita Katniss, tenete in vita Peeta. Fatelo, e forse non morirete. Non fatelo, e la vostra vita penderà da un filo di ragnatela. Se morirete, morirete con onore. L’unica volta che nella vita potreste sperimentare questo sentimento.

I visi della morfaminomane del Distretto 6 e della compagna svitata di Beetee sono pieni di determinazione e tenerezza. Tenerezza. Istinto materno, può darsi. Nessuno di loro due ha figli, che io sappia, e Katniss e Peeta potrebbero esserlo benissimo. Sono pronte a dare la vita per loro.

E io? Io sono qui. Sono pronta anche io.
Perché sono vuota, non ho nulla da perdere. Nessuno mi piangerà. Io non piangerò per nessuno. Sono a posto. Ma vedo qualcosa all’orizzonte, ed è un senso. La mia vita avrà un senso.

Intinsi il mio dito indice destro nell’inchiostro rosso e lo poggiai vicino al mio nome scritto in stampatello. Avevo giurato.
E che i Giochi, i nostri giochi, altrettanto pericolosi, rischiosi, pazzi, avessero inizio.
 
Ma tutto questo è un’eco nella mia testa martoriata, mentre vengo riportata - trascinata - in cella.
 

Oggi hanno usato le buone, per così dire. Domande su domande, incalzanti, ingannevoli, furbe. Hanno trovato un buon oratore, uno che ci sapeva fare, sia con le parole sia con i metodi. Hanno preteso che raccontassi tutto di me. E hanno mostrato in una tv le mie riprese.

Perché, signorina Mason, ha tenuto stretta Katniss mentre la Cornucopia girava?

Perché non ha ucciso Beetee e Wireless, e si è  alleata con loro?   

Perché mai avrebbe massacrato il braccio della signorina Everdeen e stava per fare lo stesso con il signor Mellark, disattivando così i sistemi di rilevamento?

Perché, signorina Mason, è corsa a braccia aperte verso il nostro hovercraft?

E mi dica, signorina Mason, dove pensa che siano tutti gli altri?

Mi trascino a fatica verso quel materasso sfondato, senza sapere che giorno è, o che ore sono. E’ stata messa una ciotola d’acqua gelida per lavarmi e una per bere. Niente da mangiare. Ma non ho fame.
Sono solo dolorante e mi cola il naso perché cerco di tenere dentro le lacrime. Le buone maniere, secondo Capitol City, sono composte, oltre che da domande incalzanti, anche da una buona dose di schiaffoni, strattoni, torcimenti di braccia. Coloro che mi facevano questo erano accanto a me, in divisa da Pacificatori, con il casco in testa.

Non vedevo i loro volti. Ma li guardavo lo stesso con odio.  

Bevo. E prima di crollare nel silenzio più assoluto, penso che probabilmente tenevano il casco perché non avevano il coraggio di guardarmi in faccia.

Le mie palpebre calano, le mie orecchie fanno in tempo a catturare un urlo lancinante prima che l’oblio mi riporti con sé.
 
 
 
 
 
Note di fine capitolo: questo era un po’ più lungo, è vero. Mea culpa, volevo troppo raccontare la riunione prima dei giochi, e anche se volevo ampliarlo ancora un po’ (!), spero lo stesso che vi piaccia. E se volete leggere una fan fiction che vi narrerà cosa accadeva dall’altra parte del muro, usagainst_theworld vi presenta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1

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Capitolo 4
*** IV ***


Mi sveglio non so quanto tempo dopo. Mi alzo a fatica, con un solo pensiero basilare nella testa: fame. Cibo. Se devo morire qui dentro, non vorrei fosse per inedia. Ci sono tanti bei modi per morire, e sebbene nell’arena questo tipo di sofferenza la conosca, non dimentico che sono stata viziata per molti anni a potermi nutrire per bene. E che gli schiaffi fanno consumare una fottuta vagonata di calorie, a quanto pare.

Dinnanzi alle sbarre, trovo una banana su un piattino, con una fetta di pane. Il pane è umidiccio, come tutto qui dentro, e la banana è quasi completamente marrone. Scommetto che l’hanno messa appena mi sono addormentata, così aveva il tempo di marcire per bene. Che rabbia. Calmata la fame, calmato il dolore, una volta che la consapevolezza di essere rapita ha ormai riempito il mio animo, qualcos’altro mi trilla in testa.

E mi dica, signorina Mason, dove pensa che siano tutti gli altri?
Questa è una buona domanda. Che non abbiano Katniss è un dato di fatto. Ma gli altri? Se ho risposto “non lo so”, è perché era la verità. E quelle due urla che sono riuscita a captare...di chi sono?
Cerco di rievocarle nella mia testa, e nel momento in cui capisco a chi appartengono, grido anche io per la rabbia. Peeta. Lui era con me.
Probabilmente lo stanno torturando senza pietà, in quanto fidanzato di Katniss. E invece lui non sa nulla di nulla. Sono stata con entrambi abbastanza per capire che Peeta è l’unica anima decente in mezzo a tutti noi ex vincitori. Perché non lo abbiamo informato? Perché non abbiamo informato entrambi?

Qualcosa come il senso di colpa mi attanaglia lo stomaco. La banana si rivolta prepotentemente dentro di me, e non riesco a trattenerla. Corro dentro la latrina inciampando nei pantaloncini bianchi che indosso - ho anche la divisa da carcerata - e faccio appena in tempo a calarli prima di evacuare quel poco che avevo. Lo scarico ruggisce e cerca di portarsi via tutto, ma non toglie l’odore, che era già insopportabile prima di tutto questo. Faccio per allontanarmi, ma qualcosa attira la mia attenzione.
 Mi metto in equilibrio sulle piastrelle appoggia-piedi della latrina e capisco al volo cos’è. Un buco.

Un piccolo buco frastagliato nel muro, che noto perché è come un alone luminoso nel muro. Nella stanza di là, evidentemente, c’è più luce. Nessuno fa la guardia dinnanzi alla mia cella, e comunque mi trovo in un posto che hanno avuto l’accortezza di isolare un minimo dall’esterno.

Forse è un tentativo suicida, ma ci provo. Avvicino la bocca al buco tappandomi il naso perché le esalazioni mi stanno facendo sentire male - vedi se questo buco doveva stare proprio sulla latrina - e parlo.
- Peeta! Peeta. Peeta! Sono Johanna! Ci sei? Ci sei?
Non ho voce, sono debole. Ce la sto mettendo tutta. E proprio mentre mi sto arrendendo, qualcosa mi risponde. E’ un respiro rauco e corto.
- Peeta?
- Jo...Johanna?
- Sì! - esulto mentre un mezzo sorriso mi si dipinge sulla faccia seviziata.
Segue un momento di silenzio. La domanda più banale si affaccia alla bocca si entrambi nello stesso momento.

- Come stai? - sussurriamo all’unisono.
- Prima tu - dice lui.
- No, prima tu - gli rispondo io.
- Bene. Cioè... non benissimo. Appena arrivato mi hanno fatto moltissime domande e mi hanno picchiato. Dicono che...ci sia stata una cospirazione che voleva salvarci dall’arena, capitanata da Plutarch. E che noi lo sapevamo....e che facevamo tutto questo per salvare Katniss dalle grinfie di Snow. Che Snow ci avrebbe ucciso tutti comunque. Ho una tale confusione, Johanna... non capisco più nulla. Ti prego, spiegami! E’ tutto vero?....che cosa è successo realmente?
Se avessi ancora l’energia delle calorie della banana in corpo mi sarebbe più facile dargli una spiegazione. Ma cerco di essere brava con le parole come lui, e gli espongo tutto, dalla prima all’ultima informazione. Tutto. Il Distretto 13, il nostro piano, le alleanze, il salvataggio che per noi non ha funzionato...e naturalmente la prima domanda che mi pone, con tono rabbioso, è sempre quella.
- Perché non me lo avete detto? Anzi, perchè non CE lo avete detto?
- Non potevamo rischiare che uno di voi si tradisse. Mi dispiace Peeta...
- Sono due giorni che subisco torture, e non sapevo nulla. Ho sempre negato di sapere qualcosa. E oggi stranamente mi hanno risparmiato. Anzi, mi hanno dato molto cibo e acqua in abbondanza. - dice con tono freddo e distaccato.
- Non capisco...
- Ma sì che capisci, Johanna. Ormai io non sono più utile per loro. E’ gente intelligente, e ha compreso che se io non posso collaborare perché nessuno mi aveva informato del piano, è inutile tenermi in questa cella. Tanto vale darmi un ultimo pasto e poi spedirmi sulla forca....be'...almeno...almeno Katniss è in salvo. E questa è l’unica cosa che conta, per me...Johanna, non dire loro nulla, ok? Anche se ti faranno del male. Non permettere loro di arrivare a Katniss.
E invece l’unica cosa che vorrei fare è rivelare tutto, scappare da questa cazzo di cella con Peeta e lasciare che almeno lui viva. Ma non posso.

Sento la porta della prigione di Peeta aprirsi, e colgo un suo fugace “addio”. Mi allontano gattonando a quattro zampe sul pavimento lercio e poi mi ci rannicchio sopra. Credo di stare piangendo, per la prima volta da anni, quando alla mia porta si affacciano due uomini. 

Cercano di tirarmi su, ma non ci riescono. Scalcio, graffio, lotto, dico qualsiasi oscenità faccia parte del mio repertorio, urlo fino a perdere la voce.

- Allora....è tempo per le cattive maniere. -sentenzia uno di loro due, mentre si tampona una narice sanguinante.
 

 
 
 
 
 
 
Spero vi sia piaciuto, miei piccoli e affezionati follower. ;) E se volete leggere una fan fiction che vi narrerà cosa accadeva dall’altra parte del muro, usagainst_theworld vi presenta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1

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Capitolo 5
*** V ***


 Mi sveglio dentro una stanza bianca, la stessa dell’altra volta. Non mi ero resa conto di essere svenuta. Mi tocco il collo dolorante e capisco che hanno usato qualche arnese del cazzo per togliermi la coscienza.
La luce di questa stanza è fortissima.

- Ben ritrovata, Johanna. Allora, oggi cosa mi dice?
Resto zitta. Oramai resterò zitta per sempre. Lo farò per Peeta. Per tutti, ma soprattutto per lui.
- Non vogliamo dire niente? Be’, certo che se lei spreca tutte le sue energie per ribellarsi contro i nostri due amici, non troverà mai la forza per parlare.
Non guardo nemmeno in faccia il mio interlocutore. Fisso insistentemente la sua camicia nera e la sua cintura.

D’improvviso qualcuno mi blocca le mie braccia libere e le immobilizza. Fanno lo stesso con le gambe e fissano una cintura alla sedia perché non possa sollevarmi.
- Parli ora, Johanna. Lo so che lei sa. Non come il ragazzo.
- Vaffanculo - mormoro.
- Ultima possibilità - e vedo le sue mani in tensione.
- Andate a farvi fottere. - mi sto quasi divertendo.

Tirano fuori un arnese bianco. Lo accendono e parte un ronzio. Qualunque cosa sia, farà male.
Stringo i denti, ma non sono preparata a sentirmi tirare ogni singolo capello dalla sua radice. Usano quella macchinetta sulla mia testa, ma non si limita a tagliarmi i capelli, li tira con forza.

- Piace? Sa, le donne a Capitol City lo usano per togliere i peli superflui, ma noi l’abbiamo modificato in modo che risulti molto più utile.
E parte la giostra.
Tirano ciocche intere di capelli, io urlo, si fermano, fanno le domande e io non parlo. Mi limito a pensare a Plutarch che ci descrive la possibilità di essere catturati e uccisi. Penso al mio Distretto. Penso, non parlo. Al massimo grido. E quando non ce la faccio più per il dolore, quando penso che morirò, finalmente, mi prendono di peso e mi riportano il cella a calci. Vorrei piangere di nuovo, ma allo stesso tempo non voglio.
-Ci vediamo, Johanna.
Spero di no, penso trascinandomi sul materasso, dove c’è uno scarafaggio che mi aspetta.
 
Mi risveglio. Prendo il cibo che mi hanno lasciato. Disgustose polpette di carne e altro pane. Una mela che stranamente si è conservata bene. Vado alla latrina per urinare e so che dall’altra parte non sentirò nulla.
Invece, nonostante il dolore alla parte destra della testa mi tappi l’orecchio, sento qualcosa. Tonfetti sul muro. Li conto. Dodici.

- Ehi - è l’unica cosa che riesco a dire.
- Johanna! Finalmente! E’ un ora che busso!
- Peeta? Peeta, ma sei vivo!
- Sì!
Un mattone mi si toglie dallo stomaco.
- Cosa ti hanno fatto, Peeta?
- Non ci crederai, ma mi hanno...intervistato. Mi hanno pulito, pettinato e profumato, rinchiuso in una stanza con la bella compagnia di un mazzo di carte e poi mi hanno mandato in tv. Mi hanno....mi hanno ordinato di chiedere un cessate il fuoco.
- Sanno che i Ribelli sono al 13?
-Non ancora. Ma stanno indagando a fondo, e finora solo a Capitol City. Ritengono sia il posto più adatto a nascondersi. Mi hanno detto di esercitare al meglio il mio potere di oratore delle folle, e che se facevo il bravo potevo dipingere Katniss come una ragazza incinta e indifesa che non sapeva ciò che stava facendo. Per inciso, è quello che lei è davvero, visto che come me non sapeva nulla. Ah, be’, tranne che essere incinta, ovvio.
- Non lo è? - mi domando stupita.
- Figurati. Era un espediente per cercare di rimandare l’Edizione della Memoria. Che ha davvero funzionato, come vedi.
E’ inopportuno, ma mi sfugge una risatina che non riesco e non voglio trattenere.
- Che ore sono, Peeta? Lo sai?
- Era sera quando mi hanno rispedito qui. Dovrebbero essere circa le dieci.
Annuisco.
- Tu? - mi chiede Peeta.
- Io cosa?
- Cosa ti hanno fatto? Hai la voce arrochita.
- Niente che non possa sopportare.
Segue un momento di silenzio.
- Ci uccideranno comunque, lo sai, vero? - mormora.
-  Io sarò uccisa di sicuro. Tu no. Tu sei troppo...

Vorrei dire “utile” ma non lo faccio, per non offenderlo. “Utile” per essere usato come oratore, “utile” per essere trasmesso in tv. Ma fino a quanto potrà essere utile? E’ davvero probabile che se Capitol City scoprirà dove sono nascosti tutti, noi finiremo sulla forca.

Lui non completa la mia frase, non mi chiede nulla. Forse ha già capito da solo. Lo sento allontanarsi dal muro con passo malfermo.

La notte passa insonne.

 






Il Silk-Epil nella testa deve fare davvero male... :3 mi sono sempre chiesta perché Johanna fosse tornata dalla prigionia con la testa rasata a zero, ebbene, ho immaginato questa tortura. Fa un po’ ridere, lo ammetto. E qui fu Peeta, dall’altra parte del muro: usagainst_theworld e la sua fan fiction à http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1 è bella davvero, non lasciatevela sfuggire :)

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Capitolo 6
*** VI. ***


Le mie urla sovrastano persino il ronzio di quella stupida macchinetta vicino al mio orecchio.
Anche l’altra metà della mia testa oggi è stata torturata a morte.

- Parla, Johanna! Parla e noi ti libereremo! - urla uno di loro.
- Credete davvero che me la beva così? - grido, e sono le prime parole in assoluto che mi sentono dire.
- E per quale ragione mai dovremmo ucciderti, bambola? Tu sei molto preziosa. Perché il biondino potrà anche non sapere nulla, ma tu... come faresti a essere all’oscuro di una cosa così?
Non ce la faccio più. Basta.

- Ok....se parlo... liberate Peeta...e.... lo fate davanti ai...miei occhi. - sentenzio, con una voce che vorrebbe essere autoritaria come al solito, ma assomiglia di più al latrato di un cane.
La macchinetta si ferma, sotto ordine del torturatore. Quel pezzo di merda, sorvegliato a distanza da alcuni Pacificatori, allunga il viso verso il mio.
- Sai, Johanna....la tua offerta è vantaggiosa e molto ragionevole, però... temo di non poterti accontentare. Bada bene, io sarei perfettamente d’accordo.

- Ma? - e stavolta sono io ad avvicinarmi, guardandolo fisso negli occhi castano scuro.

- Ma sotto ordine diretto del Presidente Snow, Peeta resterà qui.

- Lui non sa nulla. L’hai detto anche tu, deficiente. - rispondo, con il tono autoritario e freddo che finalmente riconosco come mio - a cosa può servire al Presidente? E comunque le cose non cambiano...liberatelo e io parlerò. Tenetelo prigioniero o uccidetelo, e farete lo stesso con me. Puoi tornare ad accendere quella cosa, se tanto ti diverte. Ma io non parlerò mai.

- Possiamo sempre ritentare - sentenzia, con il suo sorriso sghembo, non prima di farmi patire un’altra umiliazione stampandomi un bacio dritto sulle mie labbra rinsecchite e spaccate.

 Loro urlano, io urlo, loro mi ordinano di parlare, io taccio.
E penso alla spiaggia, a Finnick, a Katniss e i suoi goffi tentativi di fare amicizia. Penso a Peeta, e al fatto che devo scoprire perché il Presidente lo voglia così tanto.

I miei capelli finiscono.
Stavolta nessuno mi riaccompagna in cella, sono io che senza forze e senza voce, gattono fino ad arrivare dentro. Nessuno mi cambia la divisa, è sempre questa da quando sono rinchiusa qui. E’ sporca, strappata. I pantaloncini hanno perso pezzi, la maglietta, a furia di essere tirata, usata per soffiare il naso, asciugarmi la faccia e il sangue, puzza da fare schifo. E ha perso così tanta stoffa anche lei che si intravede benissimo quasi tutto il seno sinistro, raggrinzito per il freddo e per il dimagrimento.
Stasera non si mangia nulla. Arranco fino alla latrina, dove so che sentirò Peeta. Ma c’è solo silenzio.

Starà dormendo? Oggi non l’ho sentito proprio. Forse quei bastardi si sono accorti che noi parliamo per farci forza, e magari alternano i turni di tortura in modo che non possiamo parlare.
Li odio.

Mi accorgo solo dopo qualche minuto che il pavimento è più scivoloso del solito. Mi alzo in piedi. Sono quasi due dita di acqua fredda e pulita che ricoprono il pavimento. Da dovunque scorra, scorre velocissima, e mi arriva fino alla ginocchia, sommergendo il lurido materasso.

Non so cosa vogliano farci. Affogarmi? Non direi, ci sono le sbarre, l’acqua scorrerebbe da lì. Avvelenarmi? Forse contiene qualche sostanza irritante. Renderla ghiacciata per farmi morire di freddo? Lavarmici? Giusto poco fa pensavo a quanto devo puzzare e fare schifo. Magari vogliono che mi ci faccia un bagnetto in modo da presentarmi in modo meno rivoltante alle sedute di tortura.

Pensa, cazzo, quando è che l’acqua diventa pericolosa?

Urlo prima di sentire il dolore. Prima di sentire il rumore.
Una scossa micidiale mi si irradia dalla punta dei piedi fino alla testa. Credo di morire, finalmente, ma non è così. Sono solo cascata in acqua.

Non respiro. E ne arriva un'altra, fortissima, che sento fino ai capelli.
Elettroshock. Ecco cos’è. Mi mandano la corrente a un voltaggio che danneggerà il mio corpo ma non lo ucciderà.

La stanza inizia a girare vorticosamente. Non so dove appendermi.

Una voce possente si irradia in cella.
- Mason. Quando è pronta a parlare, si porti tre dita alla bocca e le sollevi in aria. Noi smetteremo immediatamente.
No, Johanna. No.
E intanto ne arriva un’altra.
Johanna, pensa a qualcosa di bello. Pensa all’acqua bella. Pensa.
 
 
- Io li ho portati qui per te! Capito? - e iniziai a urlare di rabbia, mentre le braccia possenti di Finnick mi presero  di peso e mi buttarono nell’acqua calda e salata del mare.
- Va bene, è passata, è passata! Ho detto che mi è passata!  - continuai, cercando di liberarmi dalla sua stretta.  
- Johanna, dai, smettila. L’importante è che stiamo tutti bene - mi disse, mentre toglieva i residui più grandi di sangue dalla mia faccia.
Capii dall’espressione dei suoi occhi cerulei che mi stava rimproverando. Non dovevo lasciarmi sfuggire frasi così difficilmente interpretabili, o il piano sarebbe saltato. Eravamo sempre in diretta tv. Plutarch rischiava di morire di infarto.
- Lo so. -
E’ difficile, scemo, cercai di comunicargli. Lo sai cosa stiamo rischiando?
Finnick mi sorride con quell’espressione che gli vedo così poco. So cosa gli ha fatto Capitol City e lui sa cosa ha fatto a me. Di solito mette una maschera di arroganza e stupidità perché così gli è stato ordinato. Ma dietro c’è una persona completamente diversa.
- Lavati, d’accordo? Vedo di procurarti un po’ d’acqua.
- Ne avete?
- Quanta ne vuoi. Ma promettimi che farai la brava - e riprende quell’espressione finta sensuale. Certo. Il pubblico ora  rivuole il Finnick tutto-sesso.
 
Questo è l’inferno. L’arena non è nulla.

E tento di riaggrapparmi sempre a questa immagine, ogni volta che la scossa mi prende e le voci odiose rimbombano nella cella, voci che sento a stento: l’immagine di me che resto nell’acqua a ripulirmi. Che sono salva. Dove ho quasi portato a termine il mio compito. Dove l’arena non sembrava più così orribile. Dove bevevo. Dove per pochi secondi, sono davvero tranquilla.
 

 
 
 

 


 
Nota dell’autrice: spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Non so se ho reso bene la tortura di Johanna… spero! Ah,  i tempi verbali nell’ultima frase sono volutamente alterati. Lei cerca di farsi forza pensando a quando l’acqua non era un pericolo, e cerca di spostare l’immagine passata a quella presente. Recensite se vi è piaciuta! E aggiungo, che anche se è appena giunta a conclusione, la storia di usagainst_theworld http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1 è sempre lì che vi aspetta. 

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Capitolo 7
*** VII ***


Sono viva?

La prima frase che mi risveglia ogni volta.
Ma ogni volta non ha più un significato. Usano l’elettroshock da tre giorni, o almeno così mi sembra.

Perché ho perso il conto. Ho perso l’appetito. Ho perso la sensibilità agli arti.

Ma non ho perso la testa. Quella c’è sempre. L’immagine dell’unico momento di tranquillità nell’arena,quando mi lavavo nell’acqua, insieme all’immagine del nostro banchetto con pane e pesci prima della cattura, mi fanno tenere la bocca chiusa ad ogni sessione di tortura. Ma sta diventando sempre più tremendamente difficile.
Arranco sul pavimento. Peeta. Devo sentire la sua voce. Sapere che è vivo.
Mi avvicino al buco con l’orecchio, e non faccio nemmeno in tempo a chiedermi se valga il caso di chiamarlo o no, che la sua voce mi giunge.

- No, per favore... per favore, basta... non ce la faccio più...
Un blocco mi serra la gola. Credo sia panico. E’ la sua voce, certo. Ma è alterata e diversa.
oca, disperata. Come una persona che sta per morire.
E quindi faccio una cosa che per discrezione non ho mai fatto.
Avvicino al buco l’occhio sperando di vedere qualcosa, ma non vedo nulla.

Mi alzo in piedi, e comincio a tastare il muro di cemento consumato e roso dal tempo che si separa, in cerca di un buco più grande, di uno spiraglio più ampio. Lo tasto con minuziosità, ritrovando improvvisamente tutte forze, fregandomene delle gambe che cedono. Che cazzo gli hanno fatto? Lo hanno drogato? Picchiato ancora? Non capisco.

D’improvviso sento dei passi. Penso che siano per me, e invece vedo degli uomini che si dirigono verso la cella di Peeta. Corro verso le grate per vederli, e riesco a intravederne almeno quattro, con cuffie e mascherine, che calcano a grandi passi il corridoio. Alcuni hanno delle valigette in mano. Uno porta una specie di sedia, e un altro un grosso scatolone.
La porta della cella di Peeta sbatte, e odo distintamente il suo pianto e le sue implorazioni che mi spezzano il cuore. Urla come un ossesso, e dai rumori credo che lo stiano prendendo a botte. Mi arriva il fracasso di uno strascico per terra, e capisco che lo stanno bloccando sulla sedia.
Come facevano con me.
Poi d’improvviso le sue urla si bloccano. Lentamente.
Non ci vuole un genio ne’ una persona nelle mie condizioni per capire che gli hanno somministrato qualcosa.
Anche perché continua a mugugnare e lamentarsi.

- Quanto tempo stavolta?
- Direi che bastano dieci minuti.
- Cosa gli stiamo dando oggi?
- Il Presidente ha detto le ultime della settantacinquesima.
- Hai avviato la proiezione?
- Sì…
- Mi raccomando, distanza minima di trenta centimetri.
 
Credo che domani avrò l’orecchio ridotto a pezzi da come continuo a sbatterlo contro il muro, cercando il posto in cui riesco a carpire meglio le parole di quei barbari. Sono discorsi senza senso da cui devo cercare di ricavare qualcosa.

-  KATNISS! KATNISS! KATNIIIISS!!!

Sobbalzo all’indietro, atterrita da quell’urlo micidiale che proviene dalla bocca di Peeta. So di fare una cosa molto stupida che mi costerà caro, ma inizio a picchiare con  i pugni contro il muro.

- PEETA! PEETA, ASCOLTA!!! Sono io, Johanna! Sono qui! RESISTI!
- Basta! Non… no! No! Per favore…  – è la riposta roca che mi arriva dall’altra parte.

Oltre all’orecchio mi lacero anche i pugni. Ritrovando d’un colpo tutte le energie, inizio a correre per la stanza, strillando come un ossessa, cercando di passare attraverso le grate della prigione, sbattendo il mio corpo contro il muro. Con un calcio grazie al quale probabilmente mi procuro una contusione di media gravità, spezzo il fragile lavandino, i cui cocci taglienti cadono per terra. Ne afferro uno e lo punto sull’avanbraccio, dove corrono le mie vene.

Non potrà fare così male, in fondo. Non più male dell’elettroshock. Mi dispiace...Katniss… Plutarch… Finnick… mi dispiace Peeta… forse se mi levo di mezzo io, ti lasceranno andare. Realizzerete il vostro piano senza di me. Senza Johanna Mason. Tanto…
Ma non faccio in tempo a fare nulla, che la stanza si riempie d’acqua, e la scossa arriva puntuale e precisa.
Però questa non è una scossa da tortura. Questa mi atterra subito.

Muoio di nuovo.
E di nuovo mi risveglio.

C’è qualcosa che mi fa impazzire più del freddo. Più dei topi o dell’oscurità, più delle urla e dei pianti di Peeta, delle botte e delle domande delle guardie e dei carcerieri. E ancora più dell’elettroshock.
Ed è una semplice domanda, che mi sono posta fin dall’inizio: perché sono viva?
Perché non mi uccidono e basta? Non servo a nessuno, sanno che non collaborerò, non hanno nulla per farmi davvero del male. Sono un fantoccio rotto e inutile in una cella.
Ma forse è questa la mia punizione... la vita. Nonostante tutto.

Non ci sono più cocci nel lavandino, ne’ lenzuola, ne’ cuscino… nulla che nelle mie mani si possa trasformare in un’arma mortale. Non mi importa cosa mi possono ancora fare, io continuo imperterrita a schiacciare la testa contro il muro.
Peeta, dove sei?

Un impercettibile rumore dall’altra parte mi fa spalancare gli occhi d’improvviso. Nonostante il tremore incontrollabile alle mani, cerco di battere il pugno sul muro.

Ti prego rispondi, dai rispondi, forza, dai, dai, porca miseria, so che sei lì, cazzo, rispondi…

- Johanna. – un sussurro roco attraversa il muro.
 







Un ciao a tutti i lettori! Spero che abbiate apprezzato questo capitolo, e se siete nuovi, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate! :D 
Anche perchè, ammetto: questo capitolo è stato una tortura anche per me!! XD 
E se avete tempo, ecco a voi la versione di Peeta, dall'altra parte del muro, firmata 
usagainst_theworld http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1 (passate ;))

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Capitolo 8
*** VIII ***


- Peeta…
- Oh, Johanna. Sei tu davvero? Io…io pensavo che ti avessero uccisa.
- No, sono viva. Come te. – rispondo, alzando la voce più del dovuto. Non mi importa se ci sentono e ci impediscono di parlare. Voglio scambiare due parole. Devo farlo.
- Ho sentito tante tue urla, Johanna…. che cosa ti hanno fatto? – chiede, con il solito tono gentile, velato però di un’ombra che non riesco a definire. Tristezza? Paura? Stanchezza?

- Io… io… non importa. Tu… hai qualcosa da dirmi?
- Mi hanno intervistato di nuovo, l’altroieri. Di fianco a Snow. Perché… Johanna… Katniss è viva. Credo siano tutti vivi.
Cado sulle ginocchia che avevo tenuto ben flesse quando mi sono accucciata vicino al muro. Il freddo di questa cella oggi è così insopportabile che faccio anche fatica a parlare.
- Dimmi tutto quello che sai , Peeta. Se ce la fai. 

Peeta inizia a raccontare, con questa sua nuova e strana voce roca e profonda. Katniss è viva, e si manifesta con dei passaggi abusivi in televisione. Hanno mostrato delle scene in cui lotta, in un distretto. Ma non sa quale. Non gliel’hanno riferito. Sa solo che c’era di mezzo un ospedale e che Capitol City ha perduto alcune forze militari. Sono attacchi via etere che vanno sempre più intensificandosi. E Peeta è stato richiamato di nuovo quale portavoce di Capitol City e del cessate il fuoco. Tutto questo è linfa vitale per me. Il fatto che il pass-pro abbia funzionato è un qualcosa che non avrei mai pensato di sentire. Ci fu menzionato da Plutarch in quella prima riunione famosa, ma ero più che scettica all’idea che si sarebbe andato così avanti nella rivoluzione da realizzarli. Wow.
- Inoltre mi hanno fatto aggiungere un messaggio speciale per Katniss – dice, e noto che la voce si sfuma quando pronuncia il suo nome – dicendole di stare bene attenta. Non deve fidarsi delle persone che la stanno sfruttando. Lei non è una paladina della giustizia. Non si deve fidare.
Annuisco, prima di capire cosa è sottinteso in quella frase.

- Peeta… sanno che sono al 13?

La sua risposta è definitiva e senza dubbio.

- Sì.

Rabbridivisco. E non per il gelo.

- …ma se ho capito bene, non lo attaccano. Hanno troppa paura delle conseguenze di un eventuale contaminazione nucleare per tutta Panem. Dovrebbero usare bombe che attacchino in profondità… e nessuno può sapere cosa c’è lì sotto… a parte gli abitanti. Per ora stanno ad aspettare.
- Meno male.
- Meno male un accidente, Johanna.

Questa sua affermazione mi dà un’altra scarica di brividi. Non è ironico.
- Peeta?
- Sono stanco, Johanna. Stanco da morire. Scatenino pure la guerra, non m’importa. Se la sono voluta loro. E Katniss dà loro retta. Perché non vengono qui? Perché non moriamo tutti? Eh? Eh? Spiegamelo.

- Peeta, calmati! – esclamo io, perché sento battere i suoi pugni sul pavimento.

- Siamo vittime innocenti. E Katniss sta con loro. Sì, sì, molto carini Katniss e Gale che combattono per salvare l’ospedale. Che bella cosa. E noi qui, Johanna, a morire…

Mi sta spaventando. Anzi, di più. Mi sta terrorizzando. Parla in modo affettato e robotico, non mi sembra lui.

- Devo andare a mangiare. Devo andare alla porta che c’è da mangiare. – afferma con questo tono da robot – la pagheranno. La pagheranno.
- No, Peeta, ferma! Non andare! Resta con me! – esclamo, battendo di nuovo il mio pugno logorato.

Segue un lungo momento di silenzio, in cui penso che se ne sia andato. Poi lo sento bisbigliare qualcosa.
- Come? – gli rispondo di rimando.
- Ok, Johanna. Va bene. Sì. – mormora, con la voce solita.

- Peeta… - vorrei tanto chiedergli “cosa ti hanno fatto?”, la domanda che ogni tanto mi ossessiona, ma vengo chiamata da un voce tonante.

- Mason!

Mi alzo tremando da capo a piedi. Ne sono successe troppe, oggi. Ho sentito troppe cose e vissuto altrettante. Non sto proprio ferma sulle gambe, quindi arrivo di fronte alla porta a sbarre gattonando. Un uomo, in divisa blu e bianca, mi guarda dall’alto. 





Suspence! ;) Il prossimo arriverà presto! Nel frattempo, pubblicizzo senza pietà 
la storia di usagainst_theworld http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1 che è sempre lì che vi aspetta.
 

 

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Capitolo 9
*** IX ***


Osservo quella figura scura dinnanzi a me: è un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati ad hoc, occhi scuri, lieve accenno di barba e pancia prominente da chi ha sempre avuto abbastanza da mangiare. Divisa da Pacificatore, ma dev’essere qualcosa di diverso, perché non è completamente bianca. Mani pelose da lupo che reggono in mano uno straccio. Anzi, no. Non è uno straccio. E’ qualcos’altro.
Me lo allunga tra le sbarre e il solo contatto mi fa gemere di piacere. Qualunque cosa sia, è caldo. Me lo avvolgo intorno alle spalle che cominciano subito a rilassarsi.

- Se lo apri bene, te lo puoi infilare. E’ un vestito, Johanna.
Senza pensarci due volte, tolgo quel poco di maglietta sbrindellata che a stento mi copriva e tolgo anche i pantaloncini. Per fortuna le mutande si sono conservate perfettamente. Me lo infilo dalla testa. E’ una sorta di camice da ospedale azzurrino, solo più lungo e con le maniche fino al gomito.
Guardo l’uomo e colgo un sorriso soddisfatto che indugia sulle curve sciupate che una volta erano il mio seno, sulle cosce deturpate che una volta potevano dirsi forti. E ritorno quella di sempre.
- Grazie per il vestito. Mi sarà molto utile andare a morire vestita come si deve, no?
Quello mi guarda, finalmente, negli occhi.
- Perché pensi che devi morire?
Allargo le braccia.
- Perché questa è la fine che spetta a me e a Peeta, no, cinico idiota!? Potevo fare anche io il lavoro sporco, ma non me l’avete permesso! Cosa c’è, avete paura di dover ripulire il sangue da terra che mi schizzava dalle arterie? Ma non credo lo facciate voi, giusto? Avrete pure un senza-voce che potrà farlo, no?
- Johanna, Johanna… - l’uomo scuote la testa.

Rimaniamo in silenzio. Decido di andarmene.
- Tanto morirò lo stesso – aggiungo dandogli le spalle – che siate voi, o il cibo che mi attaccherà l’intestino, o il freddo, morirò. Ma se pensi di negoziare un camice con le informazioni che volete, vi sbagliate. Addio.
- Non vogliamo più nessuna informazione, Johanna. Le torture sono finite.

Mio malgrado, mi giro.
Ottenuta la mia attenzione, lui continua.

- Ma sì. Katniss Everdeen, e i suoi alleati fidati, sono al Distretto 13. Abbiamo deciso di attaccarli domani. Ci voleva solo il tempo di elaborare l’arma giusta, un potente detonatore che non avrà effetti ambientali ma scenderà abbastanza in profondità da ucciderne parecchi. Non vinceranno questa guerra, Johanna. Mi dispiace solo che tu abbia subito tante torture per niente.

Furiosa, mi scaglio contro le sbarre della cella.
- LA PAGHERETE! NON CI RIUSCIRETE! MORIRETE TUTTI, DAL PRIMO ALL’ULTIMO! Voi non sapete chi state sfidando! Siete solo dei maledetti bastardi!
Continuo ad urlare come una pazza, ma il viso dell’uomo resta impassibile, anzi, quasi tranquillo, dico di più, quasi soddisfatto. I suoi occhi da pesce lesso non mi abbandonano.
- Tranquilla, Johanna. Quando sarà tutto finito, sarai libera. Garantisco io per te.
- Perché, chi cazzo sei tu?
- Un Capo Pacificatore ha il suo bel potere, qui. Starai a Capitol City e ci starai benissimo.
- Be’, io preferisco morire!
- Non te lo lascerò fare – risponde lui.
- SI PUO’ SAPERE PERCHE’?
Sul volto dell’uomo si deposita un sorriso.

- Perché tu sei il mio Vincitore preferito.
 

Il senso di quelle parole non mi arriva subito. Ma quando capisco quello che vuole dire, sono senza fiato per il disgusto e l’incredulità.

- Sì, Johanna. Sono stato io a impedirti di suicidarti. Io a dire di fermare le torture. Non ho potuto intervenire prima, perché ero in viaggio nei Distretti. Per questo non hai mai avuto del cibo decente. Ma tranquilla, i responsabili l’hanno pagata. Quando ho ricevuto la notizia che eri qui in cella, e che cercavano di estrapolarti informazioni, sono corso qui, dalla mia Johanna Mason del Distretto 7. La ragazza più bella e coraggiosa e sfrontata che abbia mai visto. Quando ti guardavo in televisione… - si passa la lingua sulle labbra e io rabbrividisco.
- Tu non hai informazioni che ora ci possano essere utili. Fosse per me, saresti libera ora. Ma capisci, non posso permettermi certi comportamenti, ne va della mia carriera e della mia testa, soprattutto nei confronti del nostro Presidente. Posso però impedirti di morire.
Sono allibita. Esterrefatta. Incredula. Tutto potevo aspettarmi, tranne questo.

Un urlo dall’altra parte del muro mi sveglia dal torpore in cui ero precipitata. Peeta.
- Cosa sta succedendo a Peeta?
L’uomo scuote la testa.
- Mi dispiace, amore mio, ma questa non è proprio una cosa che posso dirti. Ordini ancora più in alto. Del Presidente, appunto.
- No. – sussurro con la voce più dura che riesco a fare – voglio sapere adesso cosa gli sta succedendo. ORA!
- Johanna, non chiedermi cose che non posso fare. Vuoi del cibo? Un’altra coperta?
- NO! Voglio sapere cos’ha Peeta! Perché prima era così aggressivo? Perché la sua voce è cambiata? Perché sembra impazzito? – rievoco la sua voce mentre pronunciava il nome di Katniss e ricomincio a tremare.

Lui fa per andarsene. Mi gioco il tutto per tutto.
- Sono disposta a fare qualsiasi cosa, se me lo dici.
Lui si avvicina.
-  Va bene – afferma con un sorriso. 







Il prossimo capitolo sarà l'ultimo!!! Stay tuned!!!
E anche se è appena giunta a conclusione, passate per la storia di usagainst_theworld http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1 

 

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Capitolo 10
*** X ***


Apre la porta della cella, mentre prego un Dio in cui non credo perché qualunque cosa faccia, non faccia più male dell’elettroshock. Unisce la sua testa alla mia, e sono avvolta in un tanfo prepotente di menta e eucalipto. Un odore buono, che però ora mi nausea. Avvicina le sue labbra e sento la sua lingua viscida girare attorno alla mia più e più volte, le sua mani percorrermi il viso. Mi schiaccia con prepotenza contro il muro, mentre mi impongo di stare ferma, stare ferma, stare ferma.

Le sue mani mi percorrono tutto il corpo, vogliono impossessarsi di ogni centimetro di pelle disponibile. Se il miei fianchi, il mio petto, la mia testa, a mia lingua,  si potessero sciogliere, ora sarebbero una poltiglia. Ma lui vuole ancora di più. Con un unico gesto, cala giù i miei malridotti slip. Continuo a pregare, mentre schiaccia il suo bacino contro il mio, e rabbrividisco: una cosa così dura dentro di me, bene non potrà farmi.

Ma poi si stacca di scatto.

- No, non posso farlo … non posso … perdonami Johanna, arrivo subito.
Corre via a perdifiato. Ne approfitto per rimettermi gli slip.
Ritorna dopo tre minuti, il gonfiore a livello del cavallo dei suoi pantaloni è scomparso.

Ora sembra anche lui distrutto come me.

- Johanna. Ciò che stiamo facendo con Peeta si chiama “depistaggio”. Mai sentito parlare?
Scuoto la testa.
- Ok. C’è un’area, nel cervello, adibita alla sensazione della paura e del terrore. Quando vieni colpito da un ago inseguitore, il veleno attacca quella parte del cervello, causando allucinazioni, confusione mentale, alterazione della memoria e breve termine, e morte.
- Ma cosa centra l’ago inseg… - provo a chiedere.
- Centra. Il veleno degli aghi inseguitori viene iniettato, a piccole dosi, ogni giorno, al tuo amico Peeta. Ma non senza un “direzionamento”. A farla breve, ogni volta che Peeta viene drogato, ci serviamo di ogni singolo ricordo che lui ha di Katniss Everdeen, per alterare i ricordi che lui ha di lei. Ogni ricordo che possiamo sfruttare. E’ convinzione del Presidente Snow che non sia sufficiente, anzi, che sia controproducente, uccidere Peeta Mellark per distruggere la Ghiandaia Imitatrice.
- Ciò vuol dire che… che Peeta… non ama più Katniss? Che si è dimenticato chi è? – sibilo, con un filo di voce.
- Dimenticato? Qui non si tratta di dimenticare. Peeta odia Katniss, al punto che la vede come una minaccia per la sua incolumità. Il processo naturalmente non è ancora completo, per nostra sfortuna i ricordi che il ragazzo associa alla Ghiandaia sono profondamente radicati, e basta poco perché ritorni allo stato pre-depistaggio. Deve averla amata molto. Come io per te. E se non ci credi, basta vedere come non ho approfittato di te, o come ti abbia svelato informazioni preziose quanto le nostre vite messe insieme.

Mi spinge dentro la cella, e io lo lascio fare. Mai, mai, mai in tutta la mia esistenza mi sono sentita più perduta e sconvolta. Mi siedo per terra e prendo la testa tra le mani. Tutto ciò che vedo è Peeta liberato, trasformato per uccidere Katniss, per essere una spietata macchina da guerra. Quegli occhi celesti che non abbandonavano mai la sua ragazza ora sono due buchi neri senza ricordi. Vedo il Distretto 13 esplodere, i corpi senza vita di tutti quanti. E io, libera ma prigioniera, senza nessun altro destino se non  quello di cercare di togliermi la vita.
Sento dei passi. Mi nascondo.
Qualcuno è appena uscito dalla cella di Peeta. Ora con lui non c’è nessuno. Sento i suoi lamenti soffocati.

Mi addosso alla parete. Io devo fare qualcosa. La Johanna cazzuta non è morta, almeno non ancora. Questa è la sua ultima occasione. 
- Peeta… Peeta!
- Jo? – non pronuncia per intero in mio nome, ma sembra che mi riconosca.
- Ti ricordi chi sono? – chiedo.
- Certo che sì...che domande mi fai – afferma con tono stanco. Credo che stia per addormentarsi, o peggio.
- Peeta ascoltami. ASCOLTAMI.
- Dopo Johanna. Sono stanco. Devo dormire. Domani mi vogliono in televisione.
In televisione? Bingo, cazzo. Bingo, accidenti, è perfetto.
- Peeta, tu devi ascoltarmi – grido con voce soffocata, presa dalla disperazione. – Domani attaccheranno il Distretto 13. Hai capito? Domani Katn...cioè... Finnick, Plutarch...tutte quelle persone...moriranno! Moriranno, capisci? Se vai in televisione devi dire questo: che moriranno tutti prima che faccia mattina! Il Distretto 13 sta per essere attaccato! Lo capisci questo? Eh?
- Nel Distretto 13 c’è Katniss.
- Si, si, lo so. Ma lei non è quello che pensi tu, ok? Ti prego, ascolta!
Inizia a mormorare frasi sconnesse di odio sbattendo la testa contro il muro. No, non può finire così. Cerco di ricordarmi come l’avevo sbloccato l’altra volta. Avevo detto una cosa tipo...tipo...stai con me. O...
- Resta con me, Peeta.
Devo dirlo almeno quattro volte perché mi senta, ma l’effetto c’è. Ribadisco tutto a Peeta ancora, e ancora, finchè risento quella voce dolce, profonda e determinata che conosco. Lo farà. So che questo potrà decretare la morte di entrambi. La mia, la sua, e anche quella del Capo che mi ha rivelato la preziosa informazione. Ma non m’importa. Restiamo accanto al muro tutta la notte e tutto il giorno seguente, nutrendoci dei respiri altrui. Finchè la luce in cella si riduce e capisco che si è fatta sera. Prelevano Peeta senza tante cerimonie. Lo riesco a intravedere quando passa davanti alla mia cella. I miei occhi incrociano i suoi.
 
 


Non so cosa fare. Perché non so cosa succederà. Non so se Peeta ce la farà a dire quell’informazione preziosa che sicuramente non si lasceranno sfuggire nei televisori del 13. Davanti a me non vedo nulla, del mio futuro. Solo un grande vuoto nero. Inganno l’attesa contando le mattonelle sul muro, ma mi tocca ricominciare molte volte da zero, poiché ogni rumore, ogni scalpiccio di passi, ogni cosa che non sia l’assoluto silenzio mi manda nel panico.

Quindici, sedici, diciassette, diciotto....

Venticinque, ventisei, ventisette...

Ottantaquattro, ottantacinque...

Uno, due, tre...

D’improvviso sento un frastuono paragonabile a un terremoto.
Gente che urla, che scalpita, che impreca.

Mi butto davanti alle sbarre per cogliere in tempo le guardie che trascinano Peeta, il cui viso è una maschera di sangue. Urlo. Lo buttano nella cella con violenza, ignorando le mie strilla. Poi passano a me. Sono pronta al dolore.

E invece mi sedano.
 

Per giorni.
 

Per molti, moltissimi giorni.
 


Nei barlumi di coscienza che mi sono concessi, mangio, faccio la pipì, vado di corpo, bevo. Colgo urla di Peeta. Peggiori, molto peggiori di quelle che sentivo una volta. Non so se nel Distretto 13 si sono salvati. Non so se Capitol City ha vinto e soprattutto non so che fine ha fatto il Capo Pacificatore. Ormai non so nemmeno se sono viva o se questo è l’inferno, comunque.
 
 
 




Prima è l’odore penetrante, acidulo, ad arrivare al mio naso.
Poi apro gli occhi. Per me, oggi, una zuppa di verdure. Con un gesto automatico, prendo il cucchiaio e me la caccio in bocca. La zuppa è buona, ma l’odore di questa cella oggi è terrificante.

Peeta non urla più.
Devo fare qualcos’altro che non sia mangiare?
No, è la mia risposta.

Mi dirigo di nuovo nel mio materasso. Nella cuccia del topo di fogna.
O sono io che ho la vista appannata, o la camera si riempie di gas.
O le mie orecchie sono danneggiate, oppure sento davvero un rumore di passi pesanti. Qualcuno corre.

- Sono qui! Li ho trovati, sono qui!
-Ben fatto! Forza, ora, non c’è più tempo! NON C’E’ PIU’ TEMPO!
Non so chi sia a urlare così.

Mi tiro su.
Con qualcosa che assomiglia a un grosso fuoco azzurro, il catenaccio della mia cella si scioglie, e la porta si spalanca.

- Io mi occupo di lei! Tu trova Peeta! – urla questo ragazzo alto e possente con il casco. Mi prende in braccio come una bambola, come una bambina. Uso le poche forze che ho per reggermi al suo collo e stringergli le gambe attorno al torace.
- E’ viva! – urla.
- Si che sono viva, - rispondo io – ma non urlarmi nell’orecchio.
Questo ragazzo ride istericamente, mentre viene scortato da altre persone.

Per me, accade tutto al rallenty.

Davanti a noi, persone si sparano con delle munizioni enormi. Pacificatori cadono a terra nel sangue. Il ragazzo che mi regge si becca una pallottola, ma continua a tenermi. Giro la guancia appoggiata sulla sua spalla alla mia destra per vedere Peeta. Molto malandato, con ancora i vestiti alla moda della televisione sporchi di sangue. Dorme.

Ma è Satana che aspetta l’occasione nel fuoco. E solo io lo so. Solo io so che queste urla esaltate da vincitori che sono riusciti a prendere due prigionieri a Capitol City sono inutili. Perché avete riportato un depistato invece di un ragazzo. Ucciderà Katniss.

Ma non riesco a dire nulla di tutto questo. Percorriamo corridoi che non ricordo, corriamo a perdifiato.

Poi trovo l’origine di quell’odore cattivo. Riverso su una sedia, il Capo Pacificatore è già mezzo putrefatto dai fenomeni cadaverici, e sulla fronte due buchi neri fanno intuire come sia morto. Mosche ronzano attorno. Gli occhi spalancati guardano in alto. La bocca è semiaperta con un rivolo di sangue coagulato su un lato.
 
Usciamo finalmente fuori. Un hovercraft ci aspetta. Molto simile a quello che ci prelevò dall’arena per portarci qui. Non so se c’è scritto Distretto 13, non so se questo hovercraft ha un numero, e non lo saprò mai. Chiudo gli occhi.
- Brava ragazza, dormi. E’ finita, è finita – mormora il ragazzo dagli occhi grigi e i capelli scuri che mi porta in braccio. Il suo viso, simile a quello di Katniss, che ora posso vedere perchè non ha più il casco, mi osserva.

Non è finita, penso, perdendo conoscenza.

E’ appena cominciata.

 
 
 

FINE.
 




Ed eccoci alla fine di questa storia! L’ultimo capitolo è stato lungo, e ovviamente spero vi sia piaciuto. Personalmente l’ultima parte, immaginata al rallenty, me gusta! *chemodestia* XD
Ringrazio usagainst_theworld, la collega ( di cui, ricordo, c’è la versione “Peetana” in
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1)
Ringrazio anche dislyjess per la sua costanza :) e Let_me_fly. Grazie anche a quelli che silenziosamente hanno seguito la storia.
Un bacio a tutti! 

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