The White Panther - L'arrivo di Valery

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pane e Nutella ***
Capitolo 2: *** Minacce a fin di bene.. O quasi.. ***
Capitolo 3: *** Lione come Londra ***
Capitolo 4: *** Il pranzo della morte ***
Capitolo 5: *** Associazione in Favore della Comunicazione Interplanetaria ***
Capitolo 6: *** Soldatini di legno ***



Capitolo 1
*** Pane e Nutella ***


Pane e Nutella


« Quarta G, tutti qui! » urlò la professoressa di francese col suo accento tolosano e gli occhiali da sole verde marcio sul naso.
La mandria di ragazze si avvicinò alla sua guida madrelingua, lasciando perdere un invitante negozietto che vendeva caramelle a forma di insetti.
Lione li avevi accolti due giorni prima con un'ondata di luce che avrebbe potuto benissimo cuocere una bistecca sul tetto ripido di una casa nei dintorni della piazza, che i ragazzi avevano descritto ai genitori come Piazza Duomo di Milano, e il terzo giorno di gita era rimasto caldo esattamente come il primo.
« Allora, ragazze, l'altra classe non arriverà se non fra mezz'ora, perché una di loro ha dimenticato il suo giubbotto in uno Starbucks e sono tornate indietro. Mannaggia a quelle stordite che non sono altro. » Patricia, la professoressa col cuore di bambina, questa volta non inciampò nei tempi verbali e nemmeno sugli accenti. Si ritrovò attorniata da quattordici studenti: tre ragazzi e, la restante parte, galline che si divertivano come matte.
« Prof, è questo il Museo della seta che dobbiamo visitare oggi? » chiese Mattia, il ragazzo-collante che, con la sua euforia effeminata, riusciva sempre a far ragionare e sorridere chiunque, evitando inutili liti.
« Sì, Mattia, è questo. » Patricia si voltò e diede un'occhiata fugace al vetro della porta d'entrata sporco. Me lo aspettavo diverso, pensò storcendo il suo nasino a punta. « Comunque, ora entriamo. Mi raccomando: fate silenzio e non comportatevi come siete solite fare. » Guardò le sue alunne facendo l'occhiolino ad un paio di soggetti che, all'interno della classe, trascinavano tutti nel caos più totale.La scolaresca si fece coraggio e si preparò a passare un'oretta all'interno di quella sottospecie di museo ricavato da un ex café littéraire. Patricia li avrebbe intrattenuti giusto il tempo necessario per fargli vedere i vecchi telai, i tessuti tipici delle altre culture – specialmente quelle asiatiche – e le veloci diapositive con delle immagini che ritraevano giovani bruchi e crisalidi da cui si ricava la seta.
E così fu: usciti da lì, la piccola carovana si sentì più completa, più saccente. Fino ad un'ora prima pensavano che il baco producesse già da sé i fili; adesso, invece, erano consapevoli dell'antica e complicata lavorazione che c'è dietro ad un capo che chiunque reputerebbe troppo costoso se acquistato con l'ignoranza.
La professoressa Dupont stava raccogliendo gli ultimi volantini con le pubblicità di pizzerie lionesi per i suoi affamati studenti, quando un cestino posato sul bancone della cassa la fece sorridere. Chissà quale sarà la loro reazione?, si chiese prendendo una manciata di crisalidi con bachi ormai morti. Mise i volantini al sicuro dagli occhi famelici di Giulia, la più affamata della classe, salutò la proprietaria del mini museo e tornò sul marciapiede, dai suoi alunni.
Una volta distribuite le crisalidi, Patricia si divertì a guardare le loro smorfie nel tenere un bruco essiccato tra due dita e riporlo in borsa. Era stata la sua stessa reazione quando suo padre l'aveva portata in un museo simile, sempre a Lione: aveva solo sei anni e una paura matta di qualsiasi essere vivente che strisciasse. Suo padre l'aveva lasciata due mesi prima della gita, ma lei non si era data per vinta. È sempre stata una combattente. Le lacrime arrivarono, sì, ma le ricacciò indietro perché doveva dare il buon esempio davanti alle sue ragazze.
Alzò il braccio al cielo e urlò per farsi seguire fino alla fermata dell'autobus che li avrebbe riportati nei pressi del loro hotel a tre stelle. Nulla di speciale, ovviamente, ma comunque adatto ad un piccolo gruppo di studenti italiani.


Sfiniti, affamati e con i piedi doloranti. Ecco come si sentivano le due classi e le tre insegnanti che avevano acconsentito ad accompagnarle. E pensare che per arrivare al ristorante dove avrebbero cenato dovevano percorrere circa tre chilometri. Di certo, Giorgia non poteva lamentarsi, dato che sarebbero passate davanti ad una palestra i cui atleti erano più che invitanti. Ogni volta che le passava di fianco un bel ragazzo francese non poteva far altro che fissarlo a bocca aperta. Per fortuna c'era sempre la sua amica Marilena a ricordarle che a casa, nella frenetica Milano, c'era il suo ragazzo che l'aspettava con ansia.
La cena si presentò amara come la sera prima: pollo troppo saporito, fagiolini crudi, una specie di banana split senza banana e acqua calda. Insomma, la compagnia di Milano tornò in albergo con lo stomaco vuoto e una voglia irrefrenabile di mangiare pane e Nutella. Cosa che Giulia fece.
Una volta ritornati in camera, Giulia, Mattia e Guia non avrebbero voluto altro che fare piazza pulita delle ultime scorte che si erano portati da casa, ma ahimé erano già sparite la sera prima. Con la tristezza negli occhi e lo stomaco che piangeva, Giulia cercò di addormentarsi, rigirandosi più volte nel lettone che condivideva con gli altri due, nonostante ci fosse un altro letto singolo a pochi passi da loro. Sudava per lo sforzo enorme che faceva nel mantenere la calma e il controllo: non-doveva-avvicinarsi-al frigo.
Oh! Al diavolo la dieta!, pensò Giulia. Si scoprì lentamente e mise giù prima un piede, poi l'altro. Facendo attenzione a non emettere nemmeno un suono, scivolò fino alla porta della camera. Mattia era al centro del letto con Guia, una gigantessa bionda, che lo abbracciava come fosse stato un orsacchiotto di peluche.
Coltello, pane e vasetto monodose di crema alle nocciole. Sembravano chiamarla sottovoce e, mentre lei si affrettava silenziosamente verso il frigo, la crisalide essiccata abbandonata sul tavolo tremò.

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Capitolo 2
*** Minacce a fin di bene.. O quasi.. ***


Minacce a fin di bene.. o quasi


« Non capisco perché proprio Lione » disse Valery tirando le tende della camera da letto per far entrare la luce del mattino marzolino. Lei e Jack erano arrivati quella notte e, avendo una sola carta psichica, fecero ricorso alla buon vecchia prenotazione classica: arrivare, prenotare, dormire.
« Ah, quanto brontoli. Mi pare che hai passato una buona notte, o no? » la provocò lui accarezzandosi il petto scolpito.
« Oh, be'.. Ah, smettila.. » Valery arrossì violentemente. « Spiegami perché Lione, ti prego! Lo sai che non mi piace aspettare.. » Si girò e si lasciò cadere sul letto poggiando la testa sui suoi caldi addominali. Ne aspirò il profumo di lavanda e menta e quando rialzò lo sguardo lui le sorrideva quasi maligno.
« Io so qualcosa che tu non sai » le cantilenò con una voce da bambino. Ed era vero: per una volta, in quasi cent'anni di vita, Valery non aveva nessuna idea del perché fosse lì. « E va bene, te lo dirò » acconsentì nel vederla turbata e con la faccia immersa nel suo petto liscio. Poteva sentire il soffio caldo del suo respiro su di sé.
Valery si tirò su a sedere con lo scatto di un grillo facendo svolazzare i suoi capelli color grano e tese l'orecchio per recepire il più possibile, nonostante la vista annebbiata ed attratta da quell'uomo simile a un dio.
« Ero in una specie di vacanza ma ho ricevuto una chiamata e ho accettato l'incarico. Il Torchwood ha registrato una forte attività aliena in questa città e noi siamo qui per indagare. »
« Ma perché io? Potevi portare la tua squadra e invece ti sei messo in pericolo solo per attirare l'attenzione del mio Tardis. Potevi morire, buttandoti da quel burrone! » Lo disse quasi senza pensarci, poi, rivestendosi, si rese conto della sciocchezza ed entrambi risero fragorosamente per quasi dieci minuti.
Quando uscirono dall'ascensore dell'Appart'City di via Garibaldi, un gruppetto di ragazze squadrò Jack, il quale non smetteva di ricambiare i loro sguardi che escludeva quello di Giulia: lei se ne stava ferma a fissare il pavimento.
A Valery, scaltra come un felino, non scappò quel particolare; diede uno strattone a Jack e gli indicò la ragazza persa nel vuoto.
« Allora, ragazze, siamo pronte? Oggi si va in bicicletta! » Patricia arrivò col suo entusiasmo francese e passò fluida tra le sue alunne ancora un po' assonnate.
« Jack, quella ragazza.. » sussurrò Valery in direzione di Giulia. Prese dunque il suo cacciavite sonico e, senza dar nell'occhio, lo puntò sulla ragazza che nel frattempo si alzò e raggiunse le altre all'uscita dell'albergo.
« Lasciatelo dire, sei peggio del Dottore: vedi alieni ovunque. Quella poveretta ha solo dormito male » la sgridò lui. « Oppure non ha affatto dormito. Come noi due.. »
Valery fece finta di non averlo sentito e, furtiva, si mise a seguire fino alla porta d'uscita Giulia, col suo cacciavite puntato su di essa. Mentre quest'ultimo emetteva il suo consueto trillo, Jack corrugò la fronte nel momento in cui si accorse di una scia gelatinosa che partiva dal cestino della reception per arrivare fino all'ascensore di servizio.
« Val, lascia stare la ragazza e vieni qui. » Trascinò un dito sulla sostanza anomala. « Bleah, è nauseabonda » commentò.
Valery si accostò al suo compagno di viaggio e si mise ad esaminare la gelatina col cacciavite che, grazie alle sue onde soniche, la fece tramutare dal suo colore naturale – azzurro cielo – che si confondeva con la moquette, ad un brillante grigio topo. « Oh.. »
« Oh, cosa? »
« Credimi, non lo vuoi sapere. »
« E dai, avanti. A me lo puoi dire. » Jack le diede una dolce gomitata per incoraggiarla a parlare.
Alla reception, gli impiegati francesi non fecero caso ai due stranieri che, accovacciati per terra, discutevano come due bambini.
« Vai a dare uno sguardo dentro al cestino, per favore. »
Un po' fiero per l'incarico e un po' stanco di aspettare, Jack saettò sul luogo da ispezionare; piegò le ginocchia e, automaticamente, si tappò il naso per il tanfo che proveniva dal “luogo del delitto”. « Ma che diavolo..? »
« Uova rotte? »
« Sembrerebbe di sì. » Allungò una mano ed estrasse dal cestino un bozzolo bianco come la neve e rotto a metà. « No, aspetta: che razza di roba è? »
« È quello per cui siamo qui. »
« E cioè? »
« Jack, davvero, non lo vuoi sapere. »
« Val.. » Le andò vicino e le prese la testa fra le mani tiepide. « Lo sai che non mi piace minacciarti, ma potrei fare una visita al Dottore e mettergli una pulce nell'orecchio, quindi.. »
« Bava di lepidottero in metamorfosi. »
« Bava di.. cosa?! »
« Baco. Bava di baco. In particolare di quelli del bombice del gelso. Sono quelli della seta. »
« Ma il baco da seta non produce bava! »
« Bada bene: » si mise un indice davanti al volto e continuò: « quello terrestre non produce bava.. Ma quello di Surren sì. Sono classificati come parassiti e sono relativamente tranquilli perché penetrano nel cervello della loro vittima e ne guidano i movimenti senza, però, ucciderla. Somigliano anche alle lumache terrestri in quanto si muovono, appunto, con l'aiuto della loro bava. »
Per tutta la durata della spiegazione data da Valery, Jack era rimasto a bocca aperta a fissarla con estremo disgusto. « Avevi ragione tu » cominciò a dire con lo stomaco capovolto. « Non volevo saperlo. »

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Capitolo 3
*** Lione come Londra ***


Lione come Londra


Giulia si dirigeva con le sue compagne di classe verso la riva del fiume per noleggiare le biciclette lionesi, di un rosso fiammante e perfettamente funzionanti. Sulla larga strada coperta da sabbia color salmone camminavano altre scolaresche e persone del posto, ognuna di loro possibili vittime delle larve di Surren.
« Ci conviene accelerare il passo » suggerì Valery a un centinaio di metri dalle loro prede. Entrambi cominciarono a correre più forte quando, da lontano, notarono Giulia guardarsi attorno come spaesata per poi rallentare il ritmo della camminata e rimanere indietro a tutti. Valery si fermò ansimante; Jack la raggiunse e piegò la schiena in avanti poggiando le mani sulle ginocchia. « Cosa sta aspettando? »
« Gli altri: da solo è debole. »
« Sai già come hanno intenzione di agire? »
« No, e questo rende il tutto molto più interessante! » Ricominciò a correre con Jack che la guardava con ammirazione. Era tutta suo padre e sua madre.
« Qual'è il loro scopo, Val? »
« Crescere. Nient'altro che crescere per dominare sulle altre razze. Ricordati, Jack, che sono comunque animali. »
Mentre i due correvano per raggiungerla, Giulia incontrò lo sguardo di un bambino che passava di lì per mano alla madre. Le due vittime si fissarono per pochi istanti poi, stabilito che la vita più utile al loro scopo era quella della ragazza, il parassita sbucò fuori dall'orecchio del bimbo e tracciò una scia di bava lungo il suo collo tenero fino ad arrivare alla spalla. Valery si lanciò in una corsa ancor più sfrenata per fermarlo all'ultimo minuto, ma quello, il parassita, ritrasse il suo corpo e come una molla balzò fino all'orecchio di Giulia.
« Val! » urlò Jack dietro di lei di qualche passo. « Val, ferma, torna qui. È troppo tardi. »
Lei si girò. Non sapeva cosa fare, aveva ancora poca esperienza. Era certa che il loro piano sarebbe funzionato e ancora non sapeva come fermarli. « Ma non posso lasciarli mangiare! »
« Cosa vuoi dire? » Non dovevano più sussurrare, nonostante il Tardis li facesse parlare in francese, in quanto madre e figlio erano andati nella direzione opposta di Giulia, che aveva ormai raggiunto la sua classe.
« Hanno bisogno di nutrirsi, ma non riescono a metabolizzare il cibo terrestre; di conseguenza, l'unica soluzione è quella di nutrirsi sotto forma di parassiti. Pensaci bene: dallo stomaco, il cibo passa all'intestino tenue per primo, poi in quello crasso. Ma le vitamine, le proteine, i lipidi e tutto ciò che si ricava dal cibo, dove va? »
« Nel sangue.. »
« Esatto, e il sangue scorre per tutto il corpo per poi arrivare..? »
« Al cervello » rispose senza capire.
« E loro dove stanno? »
« Nel.. Nel cervello! Non sono semplici parassiti, sono insettoni intelligentoni! »
« Per la precisione, loro rimangono ben nascosti nelle pieghe del cervello: si adattano alla sua forma e non si sente alcun dolore perché la loro bava è anestetica e dura parecchie ore. Dovresti ancora avere i suoi effetti sul dito con cui l'hai raccolta dalla moquette. »
Jack sollevò l'indice e provò a passarlo sul suo cappotto. « È vero! Non ho sensibilità! Sembra addormentato. »
« Si nutrono a spese delle loro vittime, gli succhiano le energie e quando sono tutti pronti.. »
« Cosa succede? »
Valery lo guardò dritto negli occhi e vide il mare caraibico. « Quando sono tutti pronti, i componenti di una stessa famiglia escono dalle loro vittime e si uniscono. »
« Si riuniscono? »
« No, si uniscono proprio. Si mangiano l'un l'altro per crescere di volume. »
« Quindi, vuol dire che che ci ritroveremo un gigantesco vermone bavoso per le vie di Lione?! »
« Corretto. »
« Lo dici con tanta disinvoltura.. Se mi ritrovo altra bava addosso, me la prenderò con te » scherzò cercando con lo sguardo altre vittime. « Quanti pensi ce ne siano ancora? Voglio dire, da quanti membri è composta una famiglia di Surren? »
« Ognuno di loro potrebbe avere una o più larve nel cervello » disse indicando con un gesto lento l'intero spazio intorno a loro, riempito da centinaia di persone che, ignare, giravano per la città.
« Allora, Lione è in pericolo? »
« Al Dottore, Londra.. A me, Lione. »

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Capitolo 4
*** Il pranzo della morte ***


Il pranzo della morte


Lance, fucili, semplici pistole e frecce avvelenate. Ecco a cosa stavano pensando Jack e Valery mentre tornavano all'albergo. « Ci serve un piano. Uno di quelli colossali. »
« Sarà qualcosa di semplice: Jack, tu hai sempre due pistole con te, giusto? »
« Non essere scortese! Ne ho molte più di due.. »
Valery entrò nell'ascensore con Jack e digitò il tasto del terzo piano. Rimasero in silenzio fino a quando non chiusero la porta della loro camera, che dava sulla strada. L'armadio era vuoto, eccezion fatta per un unica valigetta rigida. Lui l'aprì e Valery ruppe il silenzio. « Bene. Ecco ciò che faremo. »

A quattro chilometri a ovest dall'hotel, i turisti e la gente del posto erano riuniti per l'ora di pranzo nei vari locali che fronteggiavano il Museo delle Belle Arti di Lione.
« Ora te lo chiedo io: perché questa piazza? » Jack era piuttosto accaldato, soprattutto perché Valery gli aveva ordinato di portare con sé quattro pistole e di seguirlo per cinque fermate di metropolitana. Non aveva più spiccicato parola da quando erano usciti dall'Appart'City: nessuna spiegazione, nessun accenno a qualche chiarimento. Ma lei era fatta così e in questo differiva dai suoi genitori: taciturna e riflessiva.
« A queste larve servono molte persone e noi siamo all'inizio della zona-shopping. In più, sono fortemente attratte dall'acqua. »
Il sole splendeva sulla fontana che padroneggiava la piazza e da cui sembravano uscire quattro cavalli tenuti a stento dalle redini.
« Bonjour, madame! » salutò un fruttivendolo.
« Maman, je veux faire un tour de manège! » supplicò una bambina tirando la manica della madre verso una giostra nelle vicinanze.
« Sembra tutto tranquillo.. » dichiarò Jack con una mano a mo' di scherno per la luce accecante della stella in fiamme.
« Sembra. »
« Sei sicura che verranno qui? »
Valery rimase in silenzio. No, non era sicura. Non era mai sicura di nulla. Prese dal suo marsupio il cacciavite sonico e lo puntò sulla gente che pian piano si fermava al centro della piazza.
« Maxime! Maxime!! » Un bambino aveva lasciato la sua bici ai piedi del padre e si stava dirigendo davanti alla fontana.
« Tieniti pronto. » Che cosa farebbe il Dottore?, pensò.
« Guarda, Val! C'è la ragazza dell'hotel! » Jack indicò Giulia, ferma immobile tra le altre vittime dei parassiti. Avevano tutti lo sguardo perso nel vuoto.
Il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi. I loro abiti ballavano nel vento mentre intorno a loro scendeva il silenzio. Poi tutto accadde senza che Valery se ne rendesse conto. I piccioni avevano lasciato la piazza per mettersi al sicuro sui cornicioni dei palazzi vicini, la fontana continuava a sgorgare acqua tiepida dalle bocche dei cavalli, una bambina urlò davanti al fratellino Maxime. Nel silenzio quasi perfetto che ne seguì, si poterono udire i movimenti viscidi delle larve che si liberavano delle loro vittime. Le voci su un possibile flash mob cominciavano ad acquietarsi.
« Valery, ordini. »
« Dammi due delle quattro pistole e, man mano che le larve escono, allontana le persone. »
« C'è il rischio che se le mangino? »
« Mhm.. N'ah.. »
Jack non parve per nulla rassicurato, tanto che oltre alle sue due pistole si assicurò di avere ancora nella tasca del cappotto la sua arma segreta.
« Pronto? »
« Sempre. »
« Oh, ma che dolce. »
Jack le fece l'occhiolino. « Al tuo tre. »
Gli ultimi piccioni ritardatari lasciarono la piazza. « Uno. » Tutte le vittime parvero vuote e scavate una volta libere e caddero a terra svenute ma ancora vive. « Due. » Come dei fulmini, i vermi celesti saltellarono in alto volando sopra le teste di Jack e Valery per tuffarsi nella piscina semicircolare della fontana. « Cambio di programma! Correte! » urlò con tutto il fiato che possedeva.
La gente che aveva assistito allo spettacolo lasciò i piatti e le tazze di caffè sui loro tavolini e andò a rifugiarsi nelle vie storiche ai lati della piazza. Come formiche spaventate dai passi di un essere umano, turisti e gente del posto svuotarono letteralmente il luogo in cui le piccole larve ormai non più tali si divoravano a vicenda con molto vigore. E cresceva.. Cresceva.. Mancavano poche decine di bruchi che quello che avrebbe poi costituito il rappresentante dell'intera famiglia era già lungo dodici metri.
Valery si sentì impotente: non aveva mai visto un essere più disgustoso di quello. Grugniva, si dimenava e ogni volta che spalancava la bocca spuntavano nuove tenaglie, nuovi occhi e una nuova bocca bavosa e fetida.
E in un attimo eccolo là, alto sopra le loro teste, l'alieno senza cervello che cresce solo per il gusto di farlo. I proiettili cominciarono a colpirlo, ma erano come stupide piume sulla pianta del piede di un uomo. Jack aveva le mani ricoperte di polvere da sparo – non ricordava un essere tanto ripugnante e tanto duro da vincere come quella cosa – ed esaurì per primo le pallottole. Nel mentre che cambiava il caricatore, Valery si ritrovò con una pistola inceppata e una totalmente scarica. Udirono un verso acuto da parte del mostro che con un balzo uscì dalla fontana, separando i due cercatori di taglie, e Jack fu preso dal panico.
Non sapendo come altro fare, Valery smontò le pistole e gettò i vari pezzi verso l'alieno. « Buona digestione » gli augurò sarcastica. Lui, quasi divertendosi, saltellò per acchiapparli ed ingoiarli tutti. « Ah. »
Non ci sono parole per descrivere l'espressione di Valery nel vedersi le orride tenaglie, che l'alieno muoveva famelico, a pochi centimetri dal suo naso.
Jack, forse, era ancora più terrorizzato di lei, nonostante sapesse che era come il Dottore. Ma se fosse stata fatta a pezzi e digerita? Aveva la nebbia che gli offuscava la mente e gli impediva di pensare ad una soluzione convincente. L'unica cosa che gli suggeriva la ragione era di attirare l'attenzione su di sé. In quel momento gli venne in mente una delle sue prime missioni in cui dovette affrontare un grifone inferocito scappato dallo zoo di Stadell, il grande pianeta degli animali, così recitava la pubblicità intergalattica.
Adrenalina, ossitocina, proteina beta-catenina: chiamate questa scarica come volete, ma Jack esplose in un sonoro richiamo: « Ehi, tu, brutto idiota! » ruggì. Ed ebbe ciò che voleva, tanto che l'alieno si voltò giusto in tempo per risparmiare la ragazza ed emise un leggero grugnito stridulo, accettando l'invito. Jack indietreggiò di qualche passo per porre maggiore distanza tra l'enorme bruco e la sua Valery, ora per terra e senza fiato.
« Jack, cosa fai?! Continua a sparare! Non so come fermarli, spara! »
« Val, tesoro, dammi un attimo.. » disse Jack arretrando con la fronte imperlata di sudore. « Avanti, abbocca » sussurrò. L'arma segreta aspettava solo di essre utilizzata.
L'effetto della sua provocazione fu migliore di quanto sperava: l'alieno, senza alcun preavviso, spalancò una dopo l'altra le sue bocche – il suo ripugnante alito urtò il naso sensibile di Jack – e lo inghiottì.

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Capitolo 5
*** Associazione in Favore della Comunicazione Interplanetaria ***


Associazione in Favore della Comunicazione Interplanetaria


Sparito. Jack era sparito nel momento stesso in cui quello stolto di un bruco assassino era fiondato sul suo amico, amante e compagno di viaggio.. Paralizzata dal dolore, Valery non riusciva a pensare a niente che non avesse a che fare con la vendetta. Lì per lì non poteva fare nulla, però: l'unica arma che funzionava ancora l'aveva smontata e data in pasto al suo nemico, mentre quelle di Jack erano sparite insieme a lui.
Il mostro la guardava con i mille occhi neri e piccoli come briciole.. La scrutavano, la studiavano per prevederne ogni mossa, ogni pensiero, ogni..
Valery decise che la sua missione poteva anche finire lì. D'altronde, aveva viaggiato per anni, secoli ormai, e aveva fallito. Lione era una bella città, mai quanto una non terrestre – come Lumidor, della galassia di Widegold, con tre satelliti e i prati dorati che donavano una sensazione di serenità e riscaldava i cuori dei suoi abitanti – ma comunque rispettosa e incantevole. L'arte non mancava, così come la storia, individuabili senza troppi sforzi in ogni angolo della cittadella. Be', pensò Valery, senza Jack non me ne vado. Così, dopo aver inseguito il Dottore senza aver destato alcun sospetto, andò verso l'alieno a testa alta, determinata. I cuori le galoppavano furiosamente e le sembrò che volessero uscirle dal petto come attratti dal mondo esteriore.
Ma che ne sarà di queste persone? La vocina dentro la sua testa la stava incitando a non arrendersi perché quel sentimento non era amore, ma solo qualcosa di futile e confuso. Smettila di provocare quel poveretto e abbi fiducia in lui, Valery.
Ma è tutto finito, pensò la pantera albina che oramai si sentiva più in pericolo di un piccolo topo in trappola. È tutto finito, il Destino mi ha tradita! Lui era il suo uomo impossibile, salvato dal Lupo Cattivo quando Rose non ne aveva pienamente il controllo. Le passarono dinnanzi agli occhi, come scene di un film, tutte le volte che le aveva salvato la vita, tutte le volte che era caduta in tentazione e che non rimpiangerebbe mai. Tutte le volte che si era ritrovata ad un passo dal Dottore e doveva aspettare: si avvicinava, lo studiava e poi andava in ritirata per cercarne uno più maturo che potesse accoglierla senza problemi.
Ok, combatterò. Fino alla fine. La lampadina del suo ingegno si accese e le mani le andarono automaticamente sul marsupio. Aprì la zip e ci frugò dentro. « Fatti sotto, verme » disse furibonda con un'ascia in mano. Com'è possibile? Be': navi spaziali, tasche, borse e tutto ciò che è dei Signori del Tempo è più grande all'interno. E, nonostante, i suoi genitori fossero totalmente umani, Valery conservava in sé un DNA speciale; ma, di questo, ne parleremo più avanti.
Era pronta a decapitarlo davanti a centinaia di persone pur di mettere fine a quell'incubo; stava camminando decisa, a passo svelto, verso il suo nemico alto quanto un palazzo di tre piani, quando quest'ultimo spalancò gli occhi e le mille bocche, con in volto un'espressione che non lasciava spazio né al dubbio né alla speranza: gli era rimasto Jack sullo stomaco. Nel disperato tentativo di disarmare il suo pranzo, il povero agglomerato di viscidi bachi da seta aliena cominciò a contorcersi in modo poco naturale, poi si arrestò subito dopo fissando Valery – rimasta immobile di fronte all'ennesimo spettacolino messo in piedi da Jack – con più panico di una vecchietta sulle montagne russe. Dall'interno del corpo informe del mega bruco, si udì uno strano urlo che sapeva di sforzo estremo; poi, come tutto era iniziato, finì. Il mostro cadde a terra a peso morto e, come uno scolapasta, risultò essere bucherellato e fumante. I fori sul suo corpo erano microscopici, ma abbastanza larghi da poterci infilare una mano e rompere la membrana spugnosa.
L'acido aveva arrossato appena le mani dell'uomo che, con movimenti secchi e duri, cercava di aprire uno squarcio sotto gli occhi atterriti di Valery. Il cadavere fumante sembrava un fantoccio caduto dal soffitto di un palco scenico, un dragone cinese fin troppo realistico.
«ROOOOOOAAAAAAAR!!» esclamò l'umano a denti stretti. SCRATCH! e il corpo inerme del bruco si ruppe in un buco largo circa due metri. Ne uscì un uomo alto e possente, forse un po' arrugginito dagli anni che portava – in un modo che il Dottore non seppe mai accettare – con estrema eleganza e nonchalance. Mise un piede fuori dalla creatura e i suoi stivali neri a punta mozzata fecero uno strano rumore appiccicaticcio a contatto con la pavimentazione nera e liscia a causa di quel gel celeste che non era altro che una specie di liquido corporeo che il bruco avrebbe trasformato in bava.
L'uomo sospirò e, mentre usciva del tutto dallo squarcio, una palla di metallo rotolò fino ai piedi di Valery. Lei la raccolse – passò i polpastrelli sui piccoli buchi sulla sua superficie – e poté avvertire una strana sensazione di disagio e pericolo, la stessa che sentiva nel tenere in mano una potente arma corrosiva. « Non. Ci. Credo. » Valery sollevò gli occhi sull'uomo e lo guardò per metà sorpresa, per metà arrabbiata – dopotutto, aveva disobbedito ai suoi ordini: aveva preso un'arma in più di quel che lei stessa gli aveva detto. « Pensavo fossi morto! » Gli corse incontro e, quando si trovò ad una spanna da lui, si bloccò con le braccia spalancate ed un sorriso amaro per l'odore che emanava: la bava di un cadavere di un bruco alieno in putrefazione non era proprio un buon odorino.
« Com'era? Bava di lepittero in metamorfosi? » Jack si scosse, buttando a terra qualche pezzo di gelatina.
« Lepidottero » lo corresse senza indugio.
« Perfetto! Sono ricoperto di bava di lepidottero in metamorfosi! Puzzo più di una Pozione Polisucco! »
« Come se avesse solo un brutto odore.. Comunque! Ora puoi certamente portare un campione di questa roba al Torchwood. » Valery gli sorrise e, dopo aver messo via l'ascia, tirò fuori dal suo marsupio una piccola provetta sterilizzata; l'aprì e la tenne sotto il mento di Jack. Una lunga goccia di mucosa azzurra scivolò sul fondo della provetta e Valery la richiuse col suo tappo ermetico.
Guardandosi intorno, videro le persone che avevano assistito allo scontro: erano chi spaventato, chi inorridito, chi incredulo dell'accaduto.
« Che..ne facciamo di questo minuscolo essere? » chiese Jack ironico.
« Penso che dovremmo fare un inchino. »
« Dimmi che non sei seria.. »
« Oh, eccome se lo sono. Alcuni non la prenderebbero bene » si spiegò lei. « Grazie, signore e signori. E bambini.. Grazie! » urlò. Valery si inchinò tre volte in tre direzioni diverse; la gente cominciava a tornare verso la fontana. « Questo spettacolo è stato offerto dall'A.Fa.C.I., l'Associazione in Favore della Comunicazione Interplanetaria, ed è unico nel suo genere » continuò.
« Ma non esiste nessuna associazione con questo nome! » le sussurrò all'orecchio Jack.
« Stai al gioco, per favore.. » gli rispose con lo stesso tono, poi continuò, diretta al loro pubblico: « Dunque, siate onorati di avervi assistito e partecipato! Speriamo in un non arrivederci.. Ah, dimenticavo! » Valery prese e posizionò sulla testa di Jack il suo cacciavite sonico che, con un lungo trillo, fece scivolare la bava dal suo corpo fino all'asfalto, per poi mandarla dritta nel tombino più vicino. Soddisfatti degli applausi, presero a correre fino all'hotel: lì, avrebbero recuperato le loro cose, ma soprattutto.. Jack doveva togliersi di dosso quel tanfo!

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Capitolo 6
*** Soldatini di legno ***


Soldatini di legno


« Ecco fatto. » Jack posò a terra la sua valigetta subito dopo essere uscito dal Tardis di Valery, atterrato a Cardiff. Si sistemò gli abiti e riprese la valigetta contenente la prova schiacciante di Surren. Dopo anni e anni, era riuscito a trovare un numero discreto di persone disposte a lavorare per il Torchwood – ora con obiettivi leggermente diversi: il loro motto era passato da “Se è alieno, è nostro” ad un semplice “Analizzare per conoscere” ‒ pronte ad analizzare la bava raccolta a Lione. « Torno subito, non fare brutti scherzi » le disse facendole l'occhiolino.
« Lo sai che potrei passare vent'anni in Cambogia e tornare qui ad un tuo secondo di distanza senza che te ne accorga. »
« Sì, ma non lo faresti mai: è nel tuo DNA, baby. »
« Oh, be'.. Già. » Valery adorava quando la chiamava in quel modo.


Camminava come un avvocato, controllando l'orologio ogni cinque minuti. Jack non era in ritardo, ma doveva calcolare la sua velocità per poter arrivare in sede col fiatone di una finta corsa: nonostante il cambiamento di ideali, i dipendenti del Torchwood avevano ancora un forte desiderio di studiare il mezzo di trasporto dei Signori del Tempo, e se fosse arrivato con un respiro troppo regolare avrebbe destato qualche sospetto.
Nel frattempo, chiusa nel suo Tardis, Valery accarezzava il passamano che la condusse alla consolle; guardò in alto e vide un soffitto a cupola con cassettoni quadrati che terminava in quattro gallerie con volte a sesto acuto, le quali si estendevano per tutto lo spazio circostante. Amava l'arte gotica più della sua stessa vita e quella ne era la prova. « Ah, vecchia mia.. Quante ne abbiamo passate, insieme.. » Il Tardis parve risponderle, tanto che Valery sorrise divertita dai ricordi.
Poi lo schermo posizionato intorno alla consolle si accese e si collegò ad una telecamera nei dintorni di una scuola inglese. Il Dottore col farfallino stava, come sempre, correndo; da chi – o cosa – non lo vedeva, ma correva e forse era in pericolo. Infatti, le porte del Tardis non le diedero nemmeno la possibilità di ragionare e prendere una decisione: sbatterono con un rumore secco e crudo. La piccola viaggiatrice venne sballottata un po' ovunque, tanto che si arrese alla volontà del Tardis e rimase a terra finché non atterrò.
Jack, il povero Jack, aveva finito il suo lavoro e stava tornando da Valery: gli era stata assegnata una nuova missione, ma l'aveva rifiutata dando, così, l'opportunità a Jimmy Peter – un nuovo dipendente – di fare un po' di esperienza sul campo. Girò l'angolo nella strada in cui si aspettava di ritrovarvi il Tardis per metà scheggiato di Valery, ma nulla: l'aveva abbandonato pure lei? No, ma ne avrebbe approfittato per prendersi una pausa e andare a pesca.


Le porte scricchiolarono, ma nessuno sembrò far caso ad una strana ragazza bionda con indosso una parrucca castana che usciva da una vecchia cabina telefonica.. E con la faccia di una che nasconde qualcosa.
Era atterrata a tre chilometri di distanza dalla scuola che aveva visto dallo schermo del Tardis e non sapeva dove stesse andando. L'aria fresca dell'alba le fece venire la pelle d'oca e il giubbino di pelle senza maniche non era dalla sua parte. La sua invenzione, che portava al polso, non emetteva alcun suono, eppure il Tardis l'aveva portata fin lì per un motivo e se non era il Dottore, cos'altro poteva essere?
Non riusciva a pensare camminando tra la gente che la urtava perché preoccupata a pensare al tempo che scorre; svoltò all'improvviso in una viuzza che escludeva del tutto il rumore del traffico londinese. Davanti a lei si estendeva il quartiere più deserto che avesse mai visto. Come in un film western, un foglio di carta volò attraversando la strada con molta calma; il rumore venne ripetuto dalla eco in mezzo ai quei palazzi abitati solo da topi e gatti randagi.
« Mhm.. Non mi piace tutta questa tranq- » Non fece in tempo a terminare la frase che, voltandosi, vide un uomo che in lontananza le faceva segno di scappare mentre correva disperato verso di lei. « Ma che cosa..?! » Il Dottore!, pensò. Ma era impossibile che il Tardis la esponesse ad un tale pericolo: poco più di settantadue ore prima, era stata nel passato del Dottore e lo aveva spiato attraverso dei girasoli, in toscana; l'aveva vista e il Tardis lo sapeva. Se avesse scoperto il suo segreto troppo presto, avrebbe rischiato di distruggere l'intero creato: non era il caso. Ecco il perché della parrucca.
Il Dottore si stava avvicinando sempre di più, sempre di più. Valery pensava che stesse correndo da lei perché l'aveva riconosciuta nonostante il suo arguto travestimento, ma quando le sfrecciò davanti lo sentì urlare un'unica parola: « CORRIIIIIIII!!! » E dietro di lui vide un esercito di piccoli soldati di legno.

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