Yelloween

di Andy Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sto... ***
Capitolo 2: *** ...venendo a... ***
Capitolo 3: *** ...prenderti... ***



Capitolo 1
*** Sto... ***


Sto...


 
Sì, la notte è bella. Silenziosa, piena di angoli per nascondere i difetti nel buio, per lasciare che sia soltanto la luna ad illuminare tutto.
La notte.
Omaggiata dai migliori poeti, suonata dai cantautori di mille paesi, sognata dagli amanti di tutto il mondo.
Poetica, innamorata, stanca e riposata, viva e spenta contemporaneamente.
Ma poi...poi c’è il rovescio della medaglia, perché tutto ha due facce.
E mentre la prima faccia della notte la mostra graziosa, la seconda ti pone una domanda.
 
Cosa si nasconde sotto al tuo letto?
 
 
 
Mike e Lizzy erano un po’ alticci. Quella sera Johnny Preston aveva dato un party a casa sua, e quando Johnny Preston dava un party a casa sua, l’alcool scorreva a fiumi.
E Mike e Lizzy vi si erano tuffati dentro senza né salvagente nè costume.
Ed in effetti erano rimasti seminudi, perché in quella notte d’ottobre, in quella calda notte d’ottobre, in quel di Violapoli, Mike non aveva la maglietta, e Lizzy le mutande.
Cercavano un posto per appartarsi, e Mike correva, perché la gonnellina a balze di Lizzy gli sembrava avesse un timer di chiusura.
“Presto” faceva lui, camminando con la maglietta in mano molto frettolosamente, e tirando con l’altra mano la sua fidanzatina, che rideva come un ebete ogni qualvolta inciampava sulla pavimentazione a mattonelle di Violapoli.
Qualche sporadico lampione illuminava qua e là il paese, che a quell’ora, e con i suoi tetti di quello strano viola, pareva macabro.
Sangue, pensava Mike.
E poi Lizzy gli diceva che pensava troppo.
Superò il centro Pokémon, dove un debole bagliore proveniente dai neon fuoriusciva dalle finestre, colorando di bianco i pochi centimetri in cui la luce usciva ed evadeva da quel posto.
Lizzy aveva sempre pensato fosse macabro.
Infatti non possedeva Pokémon. Le facevano un po’ impressione.
Un piccolo lamento si levò dall’interno del centro Pokémon, ma i due non ci fecero attenzione, continuando la loro marcia solitaria.
Superarono di conseguenza anche la casa di Tim, lo scontento, lo scemo del villaggio.
Mike non riusciva a credere che fosse disposto a cedere un Onix in cambio di un Bellsprout.
Un Bellsprout.
Quella città venerava un Pokémon assurdamente brutto.
Bastò voltare il capo di poco, infatti, per vedere la Torre Sprout pendere su Violapoli, incombente.
“Tsk...Bellsprout”
“Che problemi hai con i Bellsprout?!” chiese Lizzy, frivola ed oca.
“Tu odi i Pokémon più di me, silenzio”
“Oh, ma dai...dove stiamo andando?” chiese quella, spostandosi i capelli dal volto. Era sudaticcia, l’alcool le faceva questo effetto.
Ma non pensava minimamente di aver esagerato con la sangria.
No. La sangria era buona.
Superarono il varco per uscire da Violapoli, immettendosi nel Percorso 31, e si gettarono nell’erba alta.
Forse era un po’ pericoloso, ok, ma Mike aveva con se il suo Croconaw, e non temeva nulla. E poi in quel momento non era nel pieno delle facoltà mentali.
Quindi non ragionava con il cervello.
Lui la strinse, spostandole di nuovo i capelli dal volto, e la baciò, per poi tirarsela a sé e buttandosi nell’erba.
Sentirono un lieve fruscio, i Pokémon selvatici che fuggivano, niente di cui temere, erano solo Weedle e Caterpie. E Bellsprout. Quegli odiosi Bellsprout.
Lui la baciò, poi scese, carezzandole il collo con le labbra. Il calore aumentava, ed i due si univano in un abbraccio di passione, quando qualcosa fece fermare Mike.
Un fruscio dell’erba.
Un fruscio continuato.
“Che succede?” chiese Lizzy, sgranando gli occhi azzurri luminosi.
“Niente...tranquilla, niente”
Ma un altro fruscio mise Lizzy sugli attenti. Aveva già sentito parlare di quei maniaci sessuali che approfittavano della distrazione delle coppiette appartate per fargli del male.
“Mike...andiamo via”
“Non preoccuparti...non è niente”
Ma Mike sapeva di mentire a se stesso, e cercava di mantenere la calma. Dovevano allontanarsi di lì.
Era intimorito da quello strano luccichio tra gli alberi.
Il sudore grondava dal suo volto, gli addominali lucidi rimbalzavano la luce della luna come fossero uno specchio. Sgranò gli occhi, quel bagliore non c’era.
Era solo frutto della sua immaginazione.
Chiuse gli occhi ancora, per accertarsene. Non c’era nulla.
Lo fece di nuovo, non si era mai troppo sicuri. Ora c’era.
E poi scosse la testa ancora.
Non c’era.
“Stupida fantasia. Andiamo via” fece lui, rinfilandosi i pantaloni con calma.
Un soffio di vento si levò, facendo venire i brividi ai due.
“Ho freddo...” disse lei.
“Andiamo a riscaldarci, tranquilla. Ma in un altro posto. Qui non...” lo sguardo ancora sugli alberi. La luce c’era.
Gli riuscì così difficile deglutire che gli parve di aver ingoiato sabbia. “...non sono tranquillo” fece ancora, mentre una gocciolina di sudore cadde lenta fino a raggiungere lo zigomo.
“Che succede?!” si allarmò Lizzy. Lo sguardo spiritato di Mike la inquietava.
Il volto del ragazzo era impietrito.
Il bagliore c’era. Lo vedeva. E si avvicinava. Il rumore del vento si univa ad una sorta di fischio, un sibilo.
E poi un verso squarciò il silenzio.
Bastò poco.
Lizzy strillò. Vide il pesante corpo di Mike, quell’ammasso massiccio di muscoli, volare spinto da qualcosa, ed atterrare una decina di metri davanti a lei, sbattendo contro un albero.
La paura la paralizzò, ma lei fu in grado di sentire le urla di Mike, e lo strano rumore di quella cosa. Poi quello della carne di Mike che si lacerava.
Infine c’era solo odore di sangue. Ed una bellissima ragazza seminuda paralizzata nel prato del Percorso 31.
-
 
Lontano da tutto, lontano da tutti. Una nuova vita. Una nuova vita.
Yellow era davanti allo specchio, e si pettinava. I capelli biondi e lunghi erano cresciuti, e stavolta non aveva intenzione di tenerli coperti.
Stavolta tutti avrebbero dovuto vedere che era una donna.
Le delusioni del passato le bruciavano cocenti sulla pelle, come se ci fosse qualcuno a sussurrarle nell’orecchio quanto vicina fosse stata a tenere il suo amore per mano.
Ma così non era.
Era solo la sua mente, malvagia, a fare tutto questo.
Uscì dal bagno in mutande e reggiseno, e si vestì. Quel giorno, come gli altri giorni di quell’Ottobre stranamente caldo del resto, era molto soleggiato.
Un’occasione unica per allenare i suoi Pokémon, dato che si era data come obiettivo la vittoria della Lega Pokémon. Tante cose erano cambiate, da quei giorni matti, quelli in cui assieme a Red e Green, senza dimenticarsi della sgualdrina, di Blue, avevano sconfitto il Team Rocket.
Ricordava. Era una bambina
E adesso, dalla sua casa di Fiorpescopoli, usciva una donna, piena di orgoglio e di amore per se stessa.
Non sarebbe mai più stata messa in disparte, da nessuno.
Lasciò la coda di cavallo a pendere alta, sulla sua testa, come una palla appesa ad una corda, ed uscì di casa.
Sorrise. Si piaceva. Non che fosse mai stata attaccata all’aspetto esteriore, anzi. Però doveva ammettere che con un po’ d’impegno, forse, sarebbe stata più bella di Blue. Forse.
I capelli si erano allungati, ora un paio di ciuffi pendevano ai lati del volto, e scendevano lunghi. La frangetta che aveva davanti agli occhi aveva bisogno di una regolata, ma per ora andava bene così. Quando avrebbe avuto tempo sarebbe volata a Fiordoropoli, sarebbe andata a fare un taglietto. Piccolo. Ci teneva ai capelli, lei.
Il volto si era inspessito, cosa che succede a chiunque passi dall’essere una bambina a diventare una donna, in tutti i sensi.
Il fisico era maturato, e gli stava dando delle soddisfazioni. Alta, snella, con tutto al posto giusto. La infastidivano, ma al contempo la riempivano di piacere quegli sguardi increduli che i ragazzi le davano.
Gold la tartassava. Si poteva dire quasi che venisse una volta al giorno a darle fastidio, cercando il modo di corrompere la sua innocenza.
Senza riuscirci.
In quel momento l’obiettivo era la Lega Pokémon. Non a caso era scappata da Kanto. Lì troppe scene, troppi ricordi, troppe situazioni gli riportavano alla mente lui.
E non voleva più ricordare nulla.
Indossava una blusa, stile marinaio, bianca con rifiniture gialle, e con i bordi alle braccia di nero. La pancia scoperta ed un pantaloncino nero. A completare un paio di stivali dello stesso colore. E poi un piccolo fiocco bianco.
Era pronta, la borsa a tracolla attorno al corpo e via, pronti ad allenarsi.
I suoi Pokémon erano cambiati. Certo, Chuchu era rimasta. Non avrebbe potuto respirare senza la sua Pikachu. Ma per quanto riguardava gli altri, aveva preferito lasciarli al Professor Oak, con la promessa malcelata e sussurrata che sarebbe tornata a prenderli.
E lo avrebbe fatto.
Quello che stava facendo non era un tradimento, e non si era dimenticata dei suoi amici. Stava semplicemente scrivendo un’altra pagina della sua vita, con altri protagonisti ed altre situazioni, in un altro scenario.
Ora aveva un Hoothoot. Ed uno Spinarak.
“Bene...” aprì la porta di casa e vide Fiorpescopoli nel vivo del mercato della domenica. Quel giorno, accanto al mare, i pescatori stavano vendendo tutta la merce che quella notte le loro reti avevano tirato su. La folla accorreva festante, i ragazzini giocavano con palloni colorati e con piccoli Pokémon.
Camminò lentamente, superando il centro Pokémon e salutando Nuncius, un ragazzino che viveva lì.
“Stamattina Gold non s’è visto” disse lui.
“Grazie piccolo” sorrise Yellow, carezzandogli la testa ed arruffandogli i capelli. La ragazza proseguì camminando verso Violapoli lungo il Percorso 30. I soliti allenatori che combattevano tra di loro, ormai la conoscevano e non le si accostavano più.
Perdevano sempre, aspettavano fosse lei a chiedere di lottare, sperando che non accadesse.
Yellow si guardò davanti, mentre stagni d’acqua limpida si alternavano a zone d’erba alta.
Camminò, allenando il suo Spinarak. Era un simpatico ragnetto verde, e sebbene non avesse tutta questa simpatia per i ragni, il suo le piaceva.
 
Allenò i Pokémon per qualche ora, poi decise che dovevano riposarsi, e siccome si trovavano vicino Violapoli, avrebbe fatto una capatina al centro Pokémon per mettere qualcosa sotto i denti e far riposare i suoi amici.
Passò dal Percorso 30 al Percorso 31 e mise i piedi ancora nell’erba alta. Uno strano odore aleggiava nell’aria, e sembrava viziarla.
Puzzava.
Camminava lentamente, con la Poké Ball di Chuchu a portata di mano, dato che era il Pokémon più esperto ed allenato.
Sentiva che qualcosa stava per accadere.
E mentre camminava, inciampò, finendo con la faccia nell’erba. Yellow lanciò un urlo, quindi si rialzò. Si ripulì il volto dai fili verdi e quindi si voltò, per maledire il sasso che l’aveva gettata per terra.
“Oddio!” esclamò poi, lanciandosi parecchi metri indietro con un salto. Per terra giaceva una ragazza, con gli occhi azzurri sbarrati, seminuda e tremante.
“Che diavolo è successo?!” fece poi, avvicinandosi con cautela.
Quella era distesa sul fianco, le braccia conserte ed il seno nudo a vista. Tremava, e non si muoveva.
“Hey...” Yellow si muoveva cauta. Aveva paura. “Hey... tutto bene?”
Quella era immobile, ma il suo diaframma si muoveva.
Non era morta. Era solo la brutta copia di un essere umano.
Yellow mosse ancora un piccolo passo, mentre un soffio di vento l’attraverso, raffreddando il calore che aveva accumulato allenandosi sotto al sole.
L’erba scricchiolava sotto i suoi passi, quasi calpestasse dei pezzi di vetro, e fu allora che quello si risvegliò, metaforicamente parlando.
Scattò, e passò alla posizione seduta, noncurante del fatto che non avesse il reggiseno, con le labbra che tremavano, come le dita delle mani, sporche per il terreno che c’era in quella zona. Quasi subito aprì la bocca e prese una grossa boccata d’aria, come se fosse stata in apnea per sei minuti, e quando espirò le labbra si serrarono e gli occhi azzurri le si riempirono di lacrime, che colarono giù nere, per via del mascara sciolto.
Yellow doveva ragionare in fretta. La vedeva guardare un punto fisso davanti a lei, e piangere come una bambina a cui avevano tolto un giocattolo da mano.
“Scusami... come stai?”
Quella non parlava.
Yellow ragionò, doveva fare qualcosa per lei. E la prima che pensò fu quella di coprirla. Girò un po’ nell’erba, e trovò i suoi intimi, la sua borsa e la sua maglietta. Tutto fradicio.
“Ti hanno stuprato?!” chiese Yellow. In effetti era un’ipotesi plausibile, seminuda in mezzo all’erba. Ma quella continuava a piangere guardando dritto. Non guardava altro.
Yellow aprì la sua tracolla e ne tirò fuori un giubbino di jeans, lo mise sulle spalle della ragazza, che continuava a comportarsi come se stesse guardando in diretta tv lo sterminio della sua famiglia.
La puzza aumentava mano a mano che si avvicinava alla ragazza. Le tese la mano, sperando lei si accorgesse che voleva aiutarla.
Ma tutto ciò che lei  riusciva a fare era guardare dritto, piangendo. E tremare.
Solo per riflesso Yellow seguì il suo sguardo, e per la terza volta quel giorno urlò. Ma stavolta di più. Stavolta era un urlo sovraumano quello che lanciò la bionda.
Pidgey e Spearow si allontanarono dagli alberi, volando via.
Davanti ad un albero c’erano i resti di un ragazzo.
Gli occhi di quello erano sbarrati, ma spenti. Un grosso squarcio tra il collo e la spalla scendeva lungo la clavicola in diagonale fino a recidere l’ombelico.
Il taglio era netto, profondo, e pulito. Il sangue era sgorgato fin quando non era finito.
Tutto attorno a lui, insetti ed altri piccoli animali si cibavano dei suoi resti.
“Cazzo! Cazzo!”
Yellow aveva fatto dieci passi indietro fino a raggiungere la siepi alle sue spalle.
Pochi istanti, ed un Pidgeot lanciò un grosso strillo. L’erba si mosse come se ad atterrare fosse un elicottero, invece del Pokémon Uccello. Yellow pareva spaventata.
“Vai Chuchu!”
Era stato quel Pidgeot a squartare quel ragazzo, ne era sicura Yellow.
Ma poi il Pidgeot enorme sparì, rientrando nella sua sfera. Sfera che era mantenuta dalle mani di Valerio.
Yellow diede un sospiro di sollievo, e si inginocchiò, per recuperare le forze. La vista le si era appannata.
“Chi è che ha urlato?!” chiese allarmato Valerio.
Yellow lo guardò. Era un ragazzo abbastanza giovane, non molto alto, e neanche piazzato. Aveva una corporatura normale, ed i capelli blu, che pettinati in quel modo gli nascondevano l’occhio destro.
“I-io...” fece la ragazza.
Valerio le si avvicinò, mantenendo sempre una debita distanza. Si girò, e guardò tutto. Prima la ragazza pallida, poi il cadavere.
“Bene...c’è un bel po’ da fare...” si avvicinò alla ragazza tremante e le si accasciò davanti. Provò a metterle una mano sulla spalla, lei non si muoveva. A Valerio parve di essere trasparente, almeno fino a quando il suo dito indice si appoggiò sulla spalla di quella, che prese ad urlare in preda al terrore.
“No! Ti prego no! Lasciami!”
Valerio ritrasse la mano velocemente, spaventato dalla reazione, e vi si allontanò.
“Ma che succede?!” chiese poi spazientito verso Yellow.
“Io non lo so! Stavo passando di qui per andare a Violapoli e d’improvviso mi sono trovata a questa scena davanti!”
“Mi sembra di conoscerti” osservò poi Valerio.
“Mi chiamo Yellow”
“Già ho sentito questo nome”
Yellow pensò le parole E VORREI BEN VEDERE, HO SALVATO L’AMBARADAN PER BEN DUE VOLTE, quindi sospirò.
“A ogni modo io sono Valerio, commissario della polizia locale, nonché capopalestra di Violapoli. E adesso devo riuscire a risolvere questo caso”
“Cosa è successo a quel ragazzo?”
“È quello che devo scoprire. Probabilmente la ragazza ha visto tutto, ma nelle condizioni in cui versa non sarà facile ottenere una deposizione. Devo analizzare bene la scena”
Yellow ragionò. Si girò e guardò la ragazza. Non si era mossa di lì. L’aveva trovata distesa per terra, con i piedi rivolti verso l’albero, seminuda.
“I due probabilmente erano una coppia” disse poi.
“Da cosa lo deduci?”
“Dal fatto che il giubbotto che ha addosso gliel’ho messo io, perché sopra non portava niente. E che il ragazzo morto, anche lui senza maglietta, sembra che stesse tentando di infilarsi alla bene e meglio i pantaloni, prima che quella cosa gli sia accaduta”
Valerio annuì attentamente, poi si avvicinò al corpo esanime. Attorno al corpo c’erano tracce di legno. Alzò gli occhi, l’albero presentava un’ammaccatura sul tronco.
“...proprio dove manca la corteccia... il ragazzo è stato trascinato e spinto fino a qui. Chi ha fatto questa cosa deve aver preso il ragazzo e averlo sbattuto con forza immane all’albero. Gli esami ulteriori che farà il medico legale evidenzieranno sicuramente questa cosa. Troveranno graffi e schegge di legno dietro la sua schiena dovute all’impatto, ne sono certo”
L’analisi di Valerio sembrava non fare una piega.
“Erano qui... sicuramente, dov’era lei. A fare... a fare...” Yellow provava imbarazzo.
“Sì, hai ragione. E qualcuno l’ha spinto qui, l’ha squartato e se n’è andato... ma perché? E soprattutto, chi?!”
Yellow si sistemò i vestiti e si pulì dall’erba rimasta, poi ragionò ancora. “Credo sia un Pokémon. Questo ragazzo è enorme, e pesante. Non deve essere facile alzarlo e trascinarlo con forza fino a farlo sbattere sull’albero. L’albero dista sette metri dalla ragazza”
“La ragazza, a proposito...portiamola in centrale e cerchiamo di fare un riconoscimento. Magari amici e parenti ci potranno dire di più riguardo lei e la vittima”
 
Arrivarono a Violapoli. Quella città era molto bella, e le foglie arancioni che cadevano dagli alberi e volavano ovunque, volteggiando come delle nobili farfalle. La pavimentazione curata era antica, e tutte le case possedevano dei tetti viola, che donavano allegria e quant’altro. Il centro Pokémon aveva il tetto di un rosso un po’ più scuro, un bordeaux. E poi c’era il laghetto, sormontato dal ponticello che portava direttamente alla Torre Sprout.
La torre era altissima, e sebbene sembrasse pendere verso destra, e poi verso sinistra, gli abitanti erano tutti certi che questa non sarebbe mai caduta.
“E no, cara mia” fu spiegato a Yellow da un vetusto ed anziano signore. “La leggenda narra che il pilastro centrale attorno al quale è costruita la torre sia proprio il corpo di un enorme Bellsprout. Le sue radici arrivano fino al lago, e si nutrono dei sali minerali e di tutte le altre cose che servono ad una pianta”
Yellow annuiva, ma non ci capiva poi molto. Non aveva molta voglia di ascoltare, quel giorno.
La centrale della polizia era proprio accanto alla palestra di Valerio.
Yellow e quest’ultimo vi entrarono, e si sedettero. La ragazza era stata ricoverata al centro Pokémon, dove il pronto soccorso le aveva somministrato dei tranquillanti. La sua carnagione era rimasta sempre pallida, ma i suoi occhi si erano riempiti di una vita che precedentemente sembrava essere stata smarrita.
Tutto sommato non sembrava agitata, o forse era solo l’effetto dei tranquillanti.
La ragazza era seduta ad un tavolo, mentre stringeva tra le mani un giubbino rosso, appartenuto sicuramente al suo fidanzato, stretta nelle spalle e coperta dal giubbino di Yellow.
“Devo interrogarla” disse poi Valerio.
“Andiamo”
“Non puoi entrare nella sala interrogatori. Non sei un poliziotto”
“Ma ho visto per prima il cadavere e la ragazza! Posso essere d’aiuto!”
“Non se ne parla, le regole sono regole”
Valerio le poggiò il palmo della mano sulla fronte quando lei provò a muoversi, lasciandola da sola, e sbattendo la porta.
Yellow sbuffò.
Quella cosa l’aveva incuriosita più di quanto pensasse. E doveva sapere che cosa la ragazza che stavano interrogando stesse per rivelare.
Dimenticò per un attimo chi fosse, vestendosi dei panni di qualcun altro, comodi, che non aveva mai messo. Aiutare nelle indagini la faceva sentire utile, la manteneva viva.
Tuttavia gli sviluppi erano dietro quella porta di legno nero.
“Uhm... Spinarak” fece, facendolo uscire. Il ragnetto sibilò, poi salì su di una parete, e si fermò.
“Sgattaiola dentro, ed ascolta quello che Valerio dirà alla ragazza. E dopo mi dirai tutto, ok?”
Spinarak aveva capito. Saltò per terra ed entrò nella sala interrogatori passando sotto la porta, quindi si sedette ed aspettò.
Pensò, riflettè al fatto che avesse un potere straordinario. Il fatto di capire la volontà dei Pokémon, i bisogni, le opinioni, era una cosa che la rendeva speciale.
Speciale per tutto il mondo.
Conosceva solo un’altra persona in grado di farlo, e quello era Lance. Non a caso entrambi erano originari del Bosco Smeraldo.
Forse quella cosa era collegata... intanto arrovellava i propri pensieri attorno e ancora, girandoci in tondo, mantenendoli per mano, sperando che il tempo passasse più velocemente di quanto non avesse mai fatto.
 
Valerio camminava attorno al tavolo degli interrogatori, poi si sedette. La ragazza era evidentemente ancora sotto shock, ma sembrava capace di intendere e di volere.
“Ciao. Sono Valerio, e mi sto occupando di quello che è successo a quel ragazzo... era il tuo ragazzo, vero?”
Il silenzio che aveva inondato le orecchie dei due venne meno quando il respiro della ragazza cominciò a diventare dapprima greve, quindi spezzettato. Valerio vide le labbra di quella schiudersi, e la ragazza prese a respirare dalla bocca. Stava per avere un attacco di panico.
“Calmati...”
“Scusi...” fece, mentre il ventre si rigonfiava ritmicamente e le lacrime apparivano sui suoi occhi, e sostavano, come tuffatori sul trampolino. “...comunque sì. Era il mio ragazzo”
“Uhm... Mike si chiamava, giusto?”
Quella prese a piangere, poi annuì.
“E... e che ci facevate stanotte nel Percorso 31?”
“Beh... ecco... eravamo appena usciti da una festa, da Johnny Preston, ed eravamo un po’ alticci. Volevamo soltanto divertirci, ecco”
“Quindi siete andati nell’erba alta, sprovvisti di Pokémon con il quale difendervi”
“No. Mike aveva un Croconaw”
“E perché non l’ha utilizzato per difendersi?”
“Non... non lo so” fece quella, singhiozzando. “È successo tutto così velocemente che sicuramente non sarebbe riuscito a prendere la Pokè ball”
“Era capitano della squadra di football” osservò Valerio.
“Sì”
“Quindi era molto popolare”
La bionda annuì velocemente. “Sì” fece poi. “Era sempre benvoluto tra i suoi compagni di squadra, e... e non nascondo che più volte ho dovuto mettere a posto sgualdrinelle in cerca di popolarità”
“Come vi siete conosciuti?”
“Faccio la cheerleader...”
“Classico” sorrise Valerio.
“Però per me era diverso. Lo vedevo bello come il sole, e volevo stargli accanto. Non per popolarità o altro, ero popolare anche io... ma... sentivo che dovevo passare con lui la mia vita”
Valerio annuì, poi guardò il muro. Un piccolo Spinarak pendeva silenzioso. Non era il caso di dargli peso.
“Essere molto popolari è bello. Ma comporta dei rischi. C’è sempre qualcuno che vuole farti le scarpe. Conosci qualcuno che avrebbe voluto fargli del male?”
Lizzy si strinse nelle spalle, quindi sospirò. Poi spalancò gli occhi. “Forse sì. Forse c’era qualcuno che voleva fargli del male. Tim Dorsin”
“Il figlio di Charlie Dorsin?”
“Esatto”
“E come mai?”
“Perché Mike... beh, forse esagerava, però per divertirsi lo prendeva in giro”
“Era un bullo, più che normale” sorrise ancora Valerio, pescando dal cilindro l’ennesimo cliché.
“No, non era un bullo... cioè, gli era antipatico, ma si sa com’è... anche a me una persona che non conosco, di primo impatto può sembrarmi antipatica... ma poi...”
“Ma poi?”
“Ma poi ti piace”
“Lizzy... voglio sapere se Tim Dorsin potrebbe essere coinvolto in questa faccenda”
“Non ne ho idea”
“Perché in tal caso avrebbe lasciato te come testimone. E potrebbe tornare per completare il suo lavoro”
Lizzy sgranò i grossi occhi azzurri.
“Sì, hai sentito bene”
“Potrebbe uccidermi?”
“Sì”
“E... ed ora?”
“Ed ora sarai sotto stretta sorveglianza. E sarà meglio tu impari ad usare qualche Pokémon, perché possono salvarti la vita”

 
Spinarak era uscito dalla stanza ed era apparso davanti al volto di Yellow, pendendo dal soffitto. La bionda, seduta sulle sedie della sala d’attesa della centrale di polizia non era ancora abituata a quelle comparsate repentine e fulminee di Spinarak, ed abortì velocemente un urlo quando la curiosità superò la sorpresa.
Yellow allargò la mano, e Spinarak vi si posò sopra.
“Allora?” chiese Yellow?
D’improvviso i due, Pokémon ed allenatrice, erano allineati sulla stessa lunghezza d’onda. L’uno e l’altra riuscivano a sentire perfettamente le sensazioni, quasi i pensieri, dell’altro.
E Yellow prese a leggere nell’animo del suo ragno.
Spinarak diceva che Lizzy era sconvolta.
Diceva che la ragazza amava tanto il ragazzo.
Che il ragazzo era morto quella notte in una situazione stranamente rapida.
E che forse c’entrava qualcosa Tim Dorsin.
“Tim Dorsin...” ripetè quel nome Yellow. “Chi è Tim Dorsin?”
Si alzò all’improvviso, con ancora il ragno in mano, e si avviò verso l’esterno della centrale. Il sole pallido illuminava quella fine di Ottobre in maniera esemplare, mentre le famiglie cominciavano ad intagliare le zucche per Halloween. Yellow vedeva le persone nei giardini e nelle cucine, intente a rappresentare nel modo migliore Jack O’Lantern.
“Tim Dorsin... Tim Dorsin... chi è Tim Dorsin?” chiedeva a se stessa la bionda, cercando di orientarsi in quella città che non visitava spesso. Era andata lì meno di cinque volte, figurarsi se conosceva un ragazzo del luogo, più piccolo di lui per giunta. Non avrebbe mai avuto niente a che vedere con Tim Dorsin, Yellow, se Spinarak non fosse sgattaiolato dentro la sala degli interrogatori.
E mentre camminava, con Spinarak sulla testa, la targhetta “Famiglia Dorsin” suggerì antichi canti di fortune e vittorie alla mente di Yellow, che celere si precipitò verso la porta di quella casa.
Era una casa normale, non troppo grande né troppo piccola. Senza infamia né lode. Una casa normale. Che dentro nascondeva un serial killer.
Arrivò davanti alla porta di Mogano dell’abitazione. Vi era fissato il numero 2 sulla porta. Era la seconda casa di Violapoli. La prima, con ogni probabilità era il centro Pokémon.
Yellow bussò, poi fece un passo indietro, scendendo il piccolo scalino che precedeva la porta.
Attendeva, fremendo.
Sentì dei passi avvicinarsi, e quasi in un’attesa orgasmica, le sue dita non poterono fare a meno di stringersi in un pugno.
La porta si spalancò, e si manifestò un ragazzino piuttosto magrolino, con un po’ di peluria a rappresentare il principio di barba che ogni uomo ha alla sua età.
Diciassette anni circa. Ed uno sguardo piuttosto sveglio.
“Cerco Tim. Tim Dorsin”
“Sono io...” rispose stralunato il ragazzino. Non si aspettava di trovarsi davanti agli occhi una così bella ragazza.
“Ciao, mi chiamo Yellow e sono...”. Panico e gocciolina di sudore dalla tempia destra allo zigomo. “Sono un agente della polizia di Violapoli... sto indagando su di un caso e...”
“Parla di Mike Leslie, vero?”
“Immagino che le voci corrano” sorrise timidamente Yellow, grattandosi la testa.
“Violapoli è un piccolo paesino. Qui le voci volano” fece cupo il ragazzo.
“In ogni caso vorrei sapere che facevi ieri sera?”
“Ero qui, a casa mia”
“Che facevi?”
“Allenavo i miei Bellsprout...”
“Hai dei Bellsprout?”
“Sì. Quattro per la precisione”
“...devono piacerti molto...”
“Li adoro” sorrise divertito.
“C’è qualcuno che può testimoniare questa cosa?”
I due si guardarono per un attimo. Lo sguardo interdetto di Tim Dorsin costrinse Yellow a rettificare la sua domanda.
“Intendo il tuo alibi, non la tua adorazione per Bellsprout”
“Beh... mamma dormiva al piano di sotto, e papà lavorava”
Non bastava. Quell’alibi non era completo. Una madre addormentata al piano di sotto avrebbe potuto tranquillamente non essere un deterrente per un agile ragazzino magro e sottile in grado di scappare dalla finestra del primo piano non appena un paio di ragazzi di sua conoscenza, del tutto ubriachi, fossero passati davanti casa sua.
Restava il fatto che Mike Leslie pesava quasi un quintale, e Tim Dorsin forse raggiungeva i cinquanta chili. Con tutta la forza che ci avrebbe messo forse sarebbe riuscito ad alzare una gamba del deceduto. Ma non sarebbe mai riuscito a sbatterlo con forza contro l’albero. Quella cosa era davvero impossibile. Dubitava anche potessero essere stati i suoi Bellsprout. Quella creatura si era cibata del sangue di Mike Leslie, dopo aver reciso il torace del ragazzo con un taglio netto.
I Bellsprout non sono carnivori.
Ragionava la bionda, ed intanto tutto diventava sempre più complicato. Storse il labbro, poi. “Non lasciare il paese, Dorsin. Ti tengo d’occhio”
Il ragazzino inarcò un sopracciglio, quindi chiuse la porta, camminando ancora lentamente verso la sua stanza.
Forse un po’ era contento che Mike Leslie fosse morto.
Forse un po’ non sarebbe dovuto esserlo, perché non si può essere contenti della morte di qualcuno: non si piange per le disgrazie altrui.
Ma, e sempre forse, un po’ era convinto che sarebbe stato più tranquillo senza quell’omone grande e grosso senza un briciolo di cervello che lo punzecchiava ogni tre minuti. Il fatto che fosse più grosso sembrava giustificasse Mike nel mortificare Tim, nonostante lui non avesse fatto nulla per cercarsi quel trattamento. Anzi. Prima del primo approccio di Mike a Tim, che era terminato con quest’ultimo a testa in giù nel bidone dell’organico, il mingherlino apprezzava il quarterback per le sue capacità atletiche.
Ed ora, solo perché Mike lo maltrattava, la poliziotta carina era venuta a casa sua, dubitando apertamente della sua buona fede.
Si sedette sulla poltrona.
Mike Leslie era morto. Adesso sarebbe cambiato tutto.
Ma...
Ma aveva un rimpianto. Un piccolo rimpianto.
Avrebbe voluto vedere un’ultima volta la faccia di quel bastardo che soffriva, e di quella zoccola della sua ragazza mentre piangeva. Quasi rimpiangeva di non essere stato lui ad ammazzare quello stronzo.
La porta risuonò ancora poi, sotto i colpi possenti delle mani di qualcuno.
Lui si risvegliò dai suoi pensieri brutali, e lentamente avvicinò l’ingresso di casa sua.
Era sicuramente di nuovo la poliziotta carina. Non sapeva se essere compiaciuto del fatto di poter guardare di nuovo i suoi occhi oppure essere dispiaciuto perché lei sospettava di lui.
Lui non era un assassino.
Era solo vittima, seppur ipotetica, delle apparenze.
La porta si aprì, ma non era la poliziotta carina. Era Valerio.
“Valerio, ciao” sorrise Tim. Era felice di vederlo, perché Tim stimava molto Valerio. Era il capopalestra della città, ed in più era socialmente attivo in quanto poliziotto.
Ma poi fece due più due e capì che se Valerio, quel Valerio, era a casa sua era solo per via di Mike Leslie.
...fottutissimo Leslie. Gli rovinava la vita anche da morto.
“Tim Dorsin?” chiese Valerio, spostandosi una ciocca davanti al volto.
“Sì...”
“Ciao, sono Valerio, e mi sto occupando del...”
“Del caso di Mike Leslie, lo so. La sua collega è venuta prima e mi ha chiesto tutto. Parli con lei”
“Collega?!”
“Sì. La poliziotta carina, con i capelli biondi e la coda di cavallo”
“Yellow...” sospirò Valerio, poi si voltò, alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia al cielo col volto.

 

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Capitolo 2
*** ...venendo a... ***


...venendo a...


Yellow era rimasta nel Centro Pokémon quasi tutto il pomeriggio, e quando era ormai il tempo dei vespri aveva deciso di avvicinarsi al Percorso 31, per continuare la sua indagine.
Certo, Tim Dorsin avrebbe tranquillamente potuto uccidere Mike Leslie, aveva il movente per farlo e non aveva un alibi forte.
Ma il metodo era abbastanza insolito, e questo lo scagionava.
Quando entrò nel Percorso 31 la calma era piatta. La zona era stata transennata, e senza il cadavere, l’aria non era più viziata.
L’erba alta era tornata a brulicare di vita. C’era ancora la forma dei corpi dei due ragazzi, e questa cosa la turbava un po’.
Immaginava la scena sotto i suoi occhi.
I due in posizioni particolarmente bollenti, i loro corpi che si univano, poi qualcosa, proprio alla sua destra deve aver spinto con forza immane Mike contro l’albero, che si trovava proprio alla sua sinistra.
Alla sua destra...
Magari aveva lasciato qualche traccia lì, quella persona. O quella cosa.
Si avvicinò lentamente alla siepe abbastanza alta, e la attraversò. Ancora uno spiazzale d’erba alta. Ma sembrava integra, non come quella dove Mike e Lizzy avevano provato a consumare i loro corpi.
No, non era oltre la siepe.
“Forse... forse nella siepe...”
Yellow fece qualche passo indietro, ma oltre a qualche rametto spezzato dal suo precedente passaggio, quel cespuglio era intonso. E ragionando non avrebbe potuto nascondere qualcosa di abbastanza grosso e forte da alzare Mike, che pesava quasi cento chili, divisi in muscoli ed ossa.
Si appoggiò alla quercia che aveva affianco e sospirò. Non ne riusciva a venire a capo.
Doveva per forza essere un Pokémon. Un uomo così forte, pieno di pesanti ossa e muscoli, non sarebbe potuto essere anche così veloce.
E a quanto aveva detto Spinarak, cioè, Lizzy, tutto era successo nel giro di un secondo.
Yellow guardò la corteccia di quell’albero, rugosa e dura.
Se davvero era un Pokémon, allora la cosa si complicava. Esistevano tante di quelle specie di Pokémon che complicavano in maniera esponenziale il caso.
Valerio arrivò alle sue spalle e le infilò un dito nel fianco.
Yellow sobbalzò, lanciando un piccolo urlo. L’eco rimbalzò sulle pareti della Grotta Scura, e si disperse.
“Dov’eri finita?! Che ci fai qui?! E soprattutto, perché sei stata da Tim Dorsin?!”
Yellow si voltò repentinamente, spalle alla quercia, e sorrise imbarazzata. Non avrebbe mai rivelato il suo piccolo segreto a Valerio.
“In... intuizioni...”
“Ti avevo detto di aspettarmi fuori la porta della stanza degli interrogatori”
“Lo so, lo so, ma credevo di aver trovato un punto d’appoggio, e invece...”
“E invece sei ancora a zero”
“Già”
“Allora ti do un’informazione che non dovresti sapere” fece il Capopalestra, spostandosi il ciuffo dai capelli. “Le analisi fatte dal medico legale hanno evidenziato la presenza di schegge di legno nello strato sottocutaneo, ed anche in quello inferiore. Ciò significa che la vittima è stata spinta su quel tronco...” Valerio lo indicò con lo sguardo “...con una forza che non può essere nelle facoltà umane. Ad uccidere la vittima non è stato un uomo”
“Bensì un Pokémon” riprese Yellow, collegandosi ai suoi schemi mentali.
“Non c’è da escludere, però, l’ipotesi che il Pokémon killer potesse avere avuto un allenatore”
“In quel caso la faccenda si complica ancora di più”
“Non tanto. Le analisi hanno evidenziato un altro particolare, che purtroppo non c’è del tutto chiaro... è stato trovato un dente” fece Valerio, alzando il braccio, mostrando un sacchetto con il dente. Un lungo dente affilato.
“Beh... quello... quello che potremmo fare è un’analisi del Pokédex per fare una scrematura dei Pokémon presenti in questo territorio...”
“Aspetta! Hai detto Pokédex?!”
“Sì...” fece Yellow, tirando fuori l’enciclopedia Pokémon dalla borsa. “Me lo diede il Professor Oak tanto tempo fa”
“Quindi tu sei quella Yellow! Ecco dove avevo sentito il tuo nome!”
“Ehm... non so di cosa tu stia parlando”
“Ma sì! Tu sei quella che ha lottato contro i Super4! Assieme a Red!”
Yellow sospirò, e la testa tornò a roteare attorno al pensiero di quel ragazzo che tanto le aveva aperto il cuore, infilandosi lì dentro, scaldandosi per bene, nutrendosi delle emozioni della giovane ragazza, per poi lasciare quel giaciglio, quel cuore, facendolo raffreddare e asciando aperta quella grossa squarciatura e aveva usato per entrare.
Red faceva parte di una vita che lei aveva volutamente messo da parte.
Red faceva parte di un passato in cui, per essere presa sul serio, Yellow si era travestita da maschio, annullando la sua femminilità.
Ricordava quei momenti di imbarazzo quando, durante le avventure di una decina di anni prima, Yellow toccava le mani di Red. I due arrossivano. Qualcosa di grande nasceva già da allora, da quegli sguardi, dalle loro gote rosee, dalle labbra tirate in dentro per nascondere quei sorrisi, nonostante fossero poco più che bambini.
Bambini speciali, certo, ma pur sempre bambini.
La vita andava avanti, e quando Red capì che quella ragazza bionda con la coda di cavallo, piccolina e dolce doveva essere sua, si dichiarò.
Con una flemma insolita per il suo carattere, si avvicinò a lei, con una mano a reggere il cappello sulla pancia ed un’altra a grattarsi la nuca. Il volto rosso per l’imbarazzo, e gli occhi aperti al massimo, come per captare ogni singolo movimento.
“Yellow...” disse avvicinandosi.
Lei ricordava perfettamente quello che faceva. Stava con i piedi nell’acqua a pescare.
La ragazzina, ormai aveva diciassette anni, si girò e guardò l’amico di cui segretamente era innamorata.
“Sì, Red?”
“Mi piaci”
Yellow trasalì, quasi come se fosse tornata a galla dopo un’apnea di venti minuti, e con gli occhi lucidi si voltò.
Si chiedeva solo il motivo per cui ad un certo punto, un punto in cui tutto sembrava andare per il meglio, lui sparì.
Niente più.
E poi le parole di quella lurida.
Blue. Aveva grossi problemi a gestire quella ragazza. Un po’ smorfiosa, dal suo punto di vista, troppo sveglia per darle fiducia. Il trascorso aveva mostrato in lei anche il suo lato buono, ma si era messa in mezzo alla sua storia con Red. Non aveva capito in che modo avrebbe spinto Red a scomparire dalla circolazione, sta di fatto che da quando lui era scomparso, aveva deciso di abbandonare per sempre Kanto, e le persone che ci vivevano.
Tranne che con Crystal, non aveva cercato di farsi amico nessuno. Viveva aiutando il Professor Elm, e settimanalmente portava dati su particolari Pokémon su cui il giovane studioso necessitava di approfondimenti. Lui le dava dei soldi, che le permettevano di campare e di pagare le utenze nella sua casetta a Fiorpescopoli.
Poi decise che non doveva vivere di ricordi, e doveva fare della sua esistenza qualcosa di grande, qualcosa che gli altri avrebbero invidiato. E con le sue abilità curative, e mentali, in grado di leggere nella mente dei Pokémon, e di percepirne le sensazioni, le emozioni, credeva di poter arrivare in alto. Di arrivare a vincere la Lega Pokémon di Johto.
Era cresciuta, ed erano anni che non vedeva Red. Ormai era diventata una donna, e questa cosa un po’ la faceva sentire più forte, come se i seni che aveva fungessero da scudo, ma sapeva che era solo la leggera consapevolezza di essere una ragazza fantastica a farla sentire più sicura.
Era bella e dolce. E non tutti avevano la stessa luce di pace e grazie che c’era nei suoi occhi.
Nonostante questo, però, il solo nominare quel nome, Red, toccava le sue corde interne, e vibrava tutta, e quella sensazione non le piaceva.
 
“Yellow... tutto bene?”
“Sì...sì Valerio, tutto bene”. La voce della ragazza era scossa, quasi fosse successo qualcosa di invisibile a tutti davanti ai suoi occhi, e lei potesse vederla.
“Beh... con il Pokédex si potrebbe fare... ma c’è prima da escludere Tim Dorsin”
“Io direi che non può essere stato lui, fisicamente a commettere l’omicidio. Troppo mingherlino. In più possiede solo Bellsprout...”
“Ed un Onix”
“Beh... credo che Lizzy si sarebbe accorta di un Onix, per quanto grosso possa essere stato”
“Sì, è vero...” Valerio poi si voltò verso l’albero, ed attraversando l’erba alta arrivò verso il punto preciso in cui aveva trovato il corpo esanime di Mike.
Il suo cervello lavorava sodo, probabilmente di lì a poco Yellow avrebbe visto del fumo nero uscire dalle sue orecchie.
“Hai notato una cosa, però?”
La ragazza sbattè le lunghe ciglia truccate un paio di volte, quindi schiuse le labbra.
“Cosa?”
“Non c’è sangue, qui”
Yellow aggrottò fronte e sopracciglia, quindi inclinò leggermente la testa e raggiunse Valerio. Superò le transenne, e vide che in effetti, attorno alla sagoma del corpo di Mike non c’era alcuna macchia di sangue.
“Ma... ma con un taglio netto e doppio come quello che aveva la vittima il sangue sarebbe dovuto uscire tutto fuori! Avrebbe dovuto perdere anche qualche organo!”
“Esattamente. Ciò vuol dire che qualcuno, il sangue a Mike l’ha levato di proposito”
“Un vampiro?”
“Beh, probabilmente sì, almeno nella definizione. Tutto ciò che succhia sangue è un vampiro”
“Zubat? Qui vicino c’è una grotta”
Valerio sospirò, quindi prese una Pokéball dalla cintura, da cui uscì un Crobat. Il suo Crobat.
“Questa è l’ultima evoluzione di Zubat. È più facile che a fare quello che è stato fatto sia stato un Crobat”
“Già... ma non ne vivono in questa grotta”
“Può anche essere che uno Zubat che vive qui si sia evoluto, no?”
“Sì, può essere, però è strano. Cioè... l’alimentazione dei Crobat è abbastanza limitata e circoscritta a piccoli insetti e frutta”
Yellow non sapeva dove sbattere la testa. “Dovremmo cercare altri indizi. Potremmo portare questo dente al Professor Elm, magari ci dirà se può essere davvero di un Crobat”
“Ok. Occupatene tu. Ci vediamo domani a mezzogiorno alla centrale”
“Ok. Ciao Valerio”
 
Yellow attraversò il percorso 30 molto velocemente, approfittandone per allenare il suo Hoothoot. Siccome era quasi sera, doveva approfittarne. Magari una volta diventato un Noctowl sarebbe cambiata la situazione, ma quell’Hoothoot odiava la luce del giorno, e quando veniva il tramonto cominciava a diventare più arzillo.
Dopo aver asfaltato e seppellito diversi Rattata, arrivò a Fiorpescopoli. Passò un attimo da casa, si cambiò, si lavò, e scese di nuovo. Solo che stavolta ad aspettarla sotto il portone non c’era Nuncius.
“Gold...” fece stufa lei.
Il ragazzo sorrideva, con il suo classico ghigno. Era appoggiato alla parete accanto al portone di casa di Yellow, con le braccia conserte ed un piede alzato, poggiato sul muro.
In testa il cappello, girato al contrario, come sempre.
“Dolcezza” esplose.
Yellow gli passò davanti, snobbandolo, come aveva imparato a fare fin dalla terza o quarta volta che la importunava.
“Eddai, non fare sempre così!” fece, muovendosi velocemente, per raggiungerla.
Superarono il Centro Pokémon, immettendosi nel Percorso che divideva Borgo Foglianova a Fiorpescopoli.
“Yellow, eddai!”
La mano di Gold raggiunse la spalla della ragazza, e quella si fermò.
“Che vuoi?” chiese poi, dopo un sospiro.
“Voglio sapere come stai! Dove stai andando?” chiese, con un po’ di fiatone.
“Dal Professor Elm. Deve analizzare un dente”
“Dente?” chiese quello, incuriosito.
“Sì. Sto lavorando ad un’indagine a Violapoli, e ci servono degli accertamenti”
“Sei una poliziotta?” chiese curioso il giovane.
Yellow lo fissò. Se non fosse stato così fastidiosamente inopportuno, avrebbe anche potuto accettare di uscire una volta con lui.
“No, Gold. Mi sono trovata lì per caso, e Valerio mi ha chiesto un aiuto”
“Questo perché sei una Dexholder! E lo sono anche io, quindi voglio aiutarti!”
“Comincia con il lasciarmi stare”
“La solita burbera...”
Yellow vide il sole sbattere la porta a quella giornata pesante, e ritirarsi oltre l’orizzonte. Era sera. Le stelle risplendevano, ed una leggera brezza soffiava lieve lungo le creste degli alberi che costeggiavano il Percorso 29.
“Che ne dici se quando finisce sta faccenda ce ne andiamo a prendere una pizza?” chiese Gold, prendendo sotto braccio Yellow. Quella rimase immobile. Qualcosa era nell’aria.
“Gold, lasciami stare, non ho voglia di uscire con te”
“Cos’è?! Non ti piacciono gli uomini?!”
Dapprima Yellow sorrise, quindi annuì. “Sì, mi piacciono le donne, quindi lasciami stare”
Gold storse le labbra. “La cosa non diminuisce la mia irresistibile attrazione verso di te”
“Dovrebbe. Tra me e te non potrà mai esserci niente”
“E... perchè sei passata al lato oscuro?”
Yellow sorrise. Gold era la persona meno politicamente corretta che conosceva. Dopo Blue, naturalmente.
“Brutta faccenda con un uomo”
“Red, vero?”
E poi d’improvviso il flusso di coscienza che si arrotolava attorno alla colonna vertebrale sfondò i denti della ragazza ed uscì veemente.
“Non capisco il motivo per cui è scappato via, da un momento all’altro! Non capisco il fatto di per sé! Perché non mi ha avvertito?!”
“E... e se lo andassi a cercare, tu accetteresti un’uscita con me?”
“No, Gold”
Poi successe qualcosa di strano. Un forte rumore, un sibilo, si espanse. Era un’onda. Yellow si tappò le orecchie, mentre sentiva i Pokémon impauriti scappare verso le loro tane.
Il rumore non accennava a diminuire, anzi, aumentava sempre di più, come il rumore di un treno sulle rotaie in avvicinamento, ma più sottile, più alto.
Sembravano quasi ultrasuoni.
“Yellow!” urlò Gold, con le orecchie tappate, in ginocchio per il dolore ai timpani. Erano praticamente da soli, al centro del Percorso 29, ed avevano entrambi paura.
Yellow cercava di capire, mentre Gold era preoccupato per l’incolumità della ragazza, e la tirò a sé, stringendola.
Tutto ciò che riusciva a vedere, oltre agli alberi agitati dal vento e dai Pokémon che fuggivano per via della potenza di quel suono, era un paio di luci rosse, poste in orizzontale, proprio nella chioma di un albero che c’era davanti a loro.
“Yellow!” urlò Gold, ancora.
“Che vuoi?!”
“Hai dei Pokémon per difenderti?!”
“Sì!”
“Scappa via!”
“Cosa?!”
“Scappa via!”
Yellow aprì gli occhi, del colore del sole, ed incrociarono quelli del colore del grano di Gold, che la spinse via, facendola ruzzolare lontano. Yellow inciampò e cadde irritata tra i cespugli, quando il rumore si intensificò, quasi fosse una lama che tagliava i timpani, ed un soffio di vento accompagnò quel sibilo penetrante.
Quindi un’ombra nera si abbattè su Gold.
“No! Gold!”
Quell’ombra nera non sembrava far caso a Yellow, ed aveva aperto il torace di Gold in maniera precisa e pulita. In mezzo alla radura, dopo l’ennesimo sibilo, o qualunque fosse il suo verso, si gettò a capofitto sulla sua vittima.
Gold urlava, e lo avrebbe fatto ancora per poco, prima che il suo corpo capisse che il sangue all’interno del suo corpo non c’era più.
“Gold! Cosa diavolo sei?!” urlò Yellow, in piedi, con la Poké Ball di Chuchu in mano e le lacrime che cadevano dal volto.
Prese la torcia dalla borsa, e la puntò contro quel mostro.
Quello non si curò di nulla, continuando a banchettarsi del sangue di Gold.
Era un enorme pipistrello. Un pipistrello dalle orecchie grosse, che assomigliavano ad enormi casse di diffusione musicale. I denti aguzzi, il muso poco appuntito e gli occhi vispi, gialli come quelli di Gold.
A quello mancava un dente, e quel dente era proprio nella tasca dei pantaloni della ragazza.
Il corpo snello di quel pipistrello sembrava più grosso quando dispiegava le ali, attaccate a dita ossute ed artigliate.
Il colore era nero.
Nero come la notte.
 
Il terrore sul volto di Yellow rimase dipinto, come un’istantanea, e per minuti che sembravano un’eternità la ragazza rimase per terra, incredula ed impotente, con la Poké Ball di Chuchu nella mano tremante.
Le lacrime continuavano a scendere.
Gold era morto.
Quel mostro aveva finito di banchettare, e satollo lanciò un urlò terrificante.
Yellow non poteva perdersi l’occasione di sapere che Pokémon fosse.
Prese il Pokédex dalla borsa, e lo puntò verso il pipistrello gigante.
Il Pokédex ci metteva tempo.
Troppo tempo.
“Non lo riconosce, dannazione!”
Poi, siccome il Pokédex era dotato di una fotocamera, fece vari scatti del mostro e rimase seduta per terra, fino a quando il mostro non volò via ed il sangue riprese a circolare in tutti i punti.
Ripose la Poké Ball di Chuchu e si alzò all’in piedi.
Le ginocchia le ballavano, ed il trucco sciolto malcelava il pianto disperato che si era abbattuto su di lei.
Si avvicinò a Gold.
Gold era morto.
Era steso per terra, gambe stese e braccia allargate, il giubbotto che indossava era strappato, ed uno squarcio pulito tagliava in verticale l’addome del giovane. Niente sangue. Solo un buco nella carne ed un ragazzo morto per terra.
Gli occhi di Gold fissavano terrorizzati il vuoto, mentre la sua pelle aveva assunto il colore più pallido che potesse prendere.
“Gold...” Yellow tirò su con il naso, e poi intelligentemente pensò che non fosse molto saggio rimanere ancora lì. Corse spedita verso Borgo Foglianova, e quando ci arrivò, bussò con rabbia e paura alla porta del laboratorio.
Pochi secondi dopo il Professor Elm aprì la porta. Era un uomo morigerato, mingherlino, con un lungo camice addosso, un paio di lenti sottili ed i capelli corti e spettinati.
“Yellow. Che succede?!”
“Gold!” si disperava Yellow, in lacrime e col fiatone. “Gold è morto! Gold è stato ucciso da un mostro!”
“Che cosa stai dicendo, Yellow!”
“Gold! Davanti è me! È successo davanti a me!”
Elm vide gli occhi di Yellow riempirsi rapidamente di lacrime, il suo viso non riusciva a trattenere più il pianto, e cedette, come una vecchia diga dopo anni di onorato servizio contro la forte pressione del fiume.
Perché alla fine il fiume vince sempre.
 
“Quindi... quindi è stato questo Pokémon ad uccidere Gold?” chiese Elm, dopo aver analizzato le fotografie fatte dal Pokédex della ragazza.
“S-sì”
“E tutto questo davanti ai tuoi occhi”
Yellow annuì ancora, sotto una coperta di pile, gialla, mentre reggeva tra le mani un tè caldo.
Elm si alzò, e vide il dente che precedentemente Yellow gli aveva consegnato.
“Non ho idea di che Pokémon sia. Di certo non fa parte della linea evolutiva dello Zubat. Ci sono troppe differenze di fondo, troppi tratti incompatibili tra questo ed un Crobat. Non credo nemmeno sia una mutazione”
Yellow lo guardava, speranzosa che potesse aiutare a capire cosa avesse attentato alla sua vita.
“Forse è un Pokémon che non conosciamo ancora” aggiunse lo studioso.
“Come, scusi?”
“Lo sai, le scoperte riguardo i Pokémon non finiscono mai di stupire. Esistono zone in cui determinati Pokémon vivono piuttosto che in altre. Per esempio, un Sentret, che qui è un Pokémon comunissimo, non è molto facile da trovare ad Hoenn”
“Oh...”
“Già, lì è un Pokémon raro. Però... però potremmo chiedere un aiuto a qualcuno che sicuramente ci potrà dare delucidazioni. Per adesso vai a casa mia, e riposati. Ho chiamato la polizia, Valerio sarà qui a momenti, ma domani è certo che ti interrogheranno, per saperne di più. Quindi vai a dormire. Capiremo cosa ha ucciso Gold”
“Grazie Professor Elm”
“Buonanotte, Yellow”

 

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Capitolo 3
*** ...prenderti... ***


...prenderti.


Quella notte fu tormentata. Yellow strinse a sé i ricordi di quella sera come un bambino faceva con il suo orsacchiotto.
Gold. Gold ed il suo sguardo perso nel vuoto, che trapassava chiunque, fino a perdersi nelle alte sommità dell’universo.
E poi quel mostro incredibile.
Tremava. Un po’ il freddo, un po’ la paura, doveva rimanere lucida e restare tranquilla.
Chuchu era ai piedi del letto, qualunque cosa avrebbe chiamato lei.
Anche se non era sicura del fatto che Chuchu avesse potuto sconfiggere quel mostro.
La testa sul cuscino affondava morbida, ed i suoi pensieri si accumulavano tutti sul fondo della testa, sulla nuca, e si accalcavano, spingendosi tra di loro per risaltare nella mente della ragazza, proiettandosi immaginariamente sul soffitto buio.
Quel mostro uccideva.
Quel mostro ammazzava la gente.
Quel mostro beveva sangue.
Yellow respirava sempre più velocemente, e l’iperventilazione non sembrava così tanto lontana, se non fosse stato per un po’ di autocontrollo.
Alla fine doveva solo rassegnarsi al fatto che Gold non fosse più tra di loro, e che il caso era passato nelle esperti, o quasi, mani del Professor Elm.
 
La mattina seguente la luce era poca. Il sole aveva sonno e freddo, ed aveva deciso di scendere in ufficio con una densa coperta di nebbia. Non si vedeva molto oltre il proprio naso.
Borgo Foglianova, quelle tre case ed il laboratorio di Elm, erano sparite. Sarebbero riapparse solo poco a poco, una volta avvicinatasi agli edifici.
Passò accanto casa di Gold. Urla di pianto accompagnavano lamenti e voci rincuoranti.
“Gold è morto per difendere Yellow...” diceva qualcuno.
Non era proprio così. O forse no.
Forse era così.
La situazione era tutta sfumata, e quella nebbia davanti agli occhi non migliorava la situazione.
Casa di Lyra era lì accanto. Quella ragazza non era mai in casa.
Poi, a tentoni, si avvicinò al laboratorio.
Bussò.
I passi lenti di Elm si mischiarono ad un vociare diffuso.
La porta poi si aprì, ed Elm la salutò con un cenno del capo. “Oh, ecco, sei arrivata. Yellow, lui è il Professor Platan”
Da dietro ad una colonna, interamente coperta di macchinari, uscì un bellissimo uomo, con più o meno trent’anni.
Occhi profondi, grigi, misteriosi, e poi quei capelli lasciati andare così, selvaggi.
Una camicia azzurra ed un pantalone marrone, sotto quel camice che di solito contraddistingue chi aveva intrapreso simili scelte di vita, come quella di dedicarsi alla scienza.
Yellow ne rimase folgorata.
“S-salve” titubò, ancora un po’ scossa per quello che successe la notte prima.
“Ciao, Yellow” disse serio, ma nel contempo accomodante e tranquillizzante, Platan. “Ho analizzato attentamente il dente che è stato rinvenuto e...”
La porta dello studio del Professor Elm si aprì, e ne entrò Valerio, tutto sparato.
“Stai bene?!” si fiondò verso Yellow, stringendola a sé. Un attimo di stupore da parte della ragazza, prima che realizzasse dentro di sé che in quel momento sarebbero potuti apparire più di semplici collaboratori, o amici, e davanti agli occhi di Platan questa cosa non era molto apprezzata.
“Potevi telefonarmi ieri!” ringhiò il poliziotto, sempre verso la bionda.
“Valerio, calmati. La ragazza era sotto shock. Non a caso ti ho chiamato io”
Valerio si sistemò il ciuffo azzurro davanti all’occhio destro, quindi sbuffò.
“Ad ogni modo Gold è stato sventrato e prosciugato. Ancora”
“...se non fossi entrato con così tanta prepotenza avrei finito di dire che, dopo aver analizzato quel dente, sono riuscito a venire a capo dell’identità di quel Pokémon”
Yellow e Valerio inarcarono involontariamente le sopracciglia, entrambi contemporaneamente.
Yellow era stupita. “Ci... ci è riuscito?!”
“Era un Pokémon?!” disse con la stessa meraviglia Valerio.
Platan sorrise, e lento com’era nel parlare, ma anche nel muoversi e nel gesticolare, si girò verso il dente stesso, che era in osservazione nel microscopio, e lo estrasse con le mani.
“Questo Pokémon vive prettamente da dove vengo io, da Kalos”
“Kalos?!” chiese Yellow.
“Sì. È una regione poco distante da Hoenn. Lì ci sono parecchi Pokémon che non si sono ancora spostati”
“E... e come si chiama questo Pokémon”
“Noivern. Questo Pokémon è un Noivern. La caratteristica principale di Noivern è la grande aggressività, unita ad una velocità senza precedenti. Naturalmente essendo un Pokémon particolarmente difficile da trovare a Kalos, non credo ne sia migrato uno qui spontaneamente. Qualcuno deve avercelo portato, e poi liberato”
“Beh... gli allenatori viaggiano molto. Può essere che per qualche motivo qualche allenatore lo abbia liberato qui, a Johto” constatò Elm.
Platan sorrise, nascondendo lo sguardo sotto un ciuffo di capelli. “Qualunque allenatore con un briciolo di buon senso sarebbe capace di comprendere che liberare un Pokémon del genere precluderebbe a sé stesso ed alla sua squadra di vincere le competizioni più difficili. Non dico di aver preferenze sui tipi, ma Noivern è un Pokémon di tipo Drago, molto difficile da abbattere”
Yellow non capiva molto.
“Insomma...” entrò Valerio in gamba tesa. “Come dobbiamo acciuffare questo coso?”
Yellow sorrise, poi guardò Platan guardare sorpreso il poliziotto.
“Beh... generalmente i Noivern sono ghiotti di frutta”
“Non questo” punse sarcastico Valerio.
“Appunto. Bisogna invogliarlo a farlo uscire allo scoperto. Quindi se è di sangue che si nutre...”
“Sangue avrà...” sospirò Yellow.
 
Erano nel Percorso 31, proprio dove era morto Mike. C’era più probabilità che Noivern battesse dei territori a lui più familiari.
Nella nebbia, Yellow si stringeva nelle spalle. Il caldo del giorno prima era scomparso.
Valerio era smanioso di catturare Noivern. I due professori erano rimasti a Borgo Foglianova, ma erano certi che il piano potesse funzionare.
Valerio lo ripassò mentalmente.
“Bisogna piazzare un’esca. Siccome si ciba di sangue ne sentirà l’odore, e l’istinto lo porterà dalla sua fonte di cibo. Ed è lì che voi gli tenderete una grande trappola” furono le parole di Platan.
“Ma che trappola?” chiese Yellow.
“Beh, qui si vedrà la vostra bravura. Insomma, siete due allenatori forti” si pronunciò anche Elm.
Valerio guardava la nebbia fitta e densa, quasi sembrava schiuma sporca che fluttuava nell’aria. L’albero dove era morta la prima vittima, Mike, era ancora lì, danneggiato. Yellow era fissa a pensare a come fare per catturare Noivern, ed intanto Valerio spargeva del sangue generosamente donato dall’ospedale accanto a Fiordoropoli attorno ad una carcassa di manzo. L’odore penetrante del sangue attaccava con forza le narici dei due ragazzi, mentre accorrevano insetti e zanzare.
“Valerio...” lo chiamò Yellow.
Quello stava predisponendo tutto affinché funzionasse ogni cosa, e si girò verso la ragazza, meravigliandosi di come, anche con una simile nebbia, i suoi occhi riflettessero la luce. Ed era incredibile davvero, perché sembrava stessero guardando il mondo con un vetro sporco davanti al volto.
“Che succede, bionda?”
“È che ho notato una cosa...”
“Spara”
“Quando... quando tornavo con Gold verso Borgo Foglianova, prima che Gold fosse attaccato da Noivern abbiamo sentito un forte sibilo. È come se fosse un segno del suo arrivo. Come se ci chiamasse per dire hey! Sto arrivando! Ecco...”
“E allora?”
“Quando l’ho visto, però, ho notato una cosa davvero particolare”
“Cioè?”
“Le sue orecchie”
“Che avevano di strano?”
“Le sue orecchie erano lunghe, e... e sembravano cogliere ogni minimo rumore che si manifestava attorno a lui. Il suo udito era finissimo”
Valerio guardò con il volto fisso nel vuoto e nella nebbia Yellow.
“Capisci?!” esclamò lei.
“A dire il vero no”
“Il fatto che abbia un udito sensibile significa che possiamo immaginare dove viva. Sicuramente nella Grotta Scura! Lì non ci sono forti rumori”
“Il suo udito quindi è sensibile”
Yellow annuì.
“Non... non mi stupirei se gli ultrasuoni lo facessero impazzire”
“Era qui che volevo portarti!” esclamò tutta sorridente la ragazza. Valerio la guardò ancora e sorrise. In quel maglioncino lungo, che per inciso era del Professor Elm, Yellow ci navigava. Ma stava di fatto che il suo fascino aumentava minuto dopo minuto.
“Occorre che ci nascondiamo” suggerì il ragazzo, ed entrambi si celarono dietro un cespuglio, con vista albero e carcassa.
 
Yellow guardava la carcassa, quindi Valerio, poi ripensava a Platan, dopodiché a Gold.
Ma alla fine tutti i pensieri giravano in un vortice, come se stessero finendo nello scarico di un lavandino.
La sua mente gli andava contro.
Gli pareva dirle che era inutile che lei facesse tanto la sostenuta e che pensasse a tutt’altro, perché tanto sapeva alla perfezione che nel breve momento in cui gli occhi erano chiusi mentre lei li sbatteva, vedeva il viso di Red.
Lui era lì.
Anzi no.
Perché Red non era lì? Questa cosa la stava letteralmente divorando, mentre il suo stomaco manifestava la mancanza di cibo.
Valerio la guardò e storse le labbra. “Non hai mangiato?”
“A dire... a dire il vero no...”
“Male” fece. Prese una merendina dallo zaino che portava con sé e la diede alla ragazza.
Yellow lo guardò stupita.
“Zuccheri. Importantissimi”
Non fu neanche il tempo di sorridere, che il sibilo, quel sibilo, si espanse nella zona in maniera sinistra. Valerio rapidamente tirò Yellow a sé, e le mise una mano davanti alla bocca.
La ragazza spalancò gli occhi, spaventata.
“Silenzio. Qualunque cosa tu faccia, falla in silenzio”
Trovarono uno spiraglio visivo attraverso i piccoli rametti del cespuglio, e scorsero una figura alta e voluminosa vicino alla carcassa. Era piegata.
Succhiava il sangue.
Valerio stringeva forte Yellow, che dal canto suo era in grado solo di respirare, ed anche con difficoltà. I suoi occhi si spalancarono ancora di più, e quando si trovò costretta a deglutire quel cumulo di sabbia e saliva, il terrore le inondò il corpo:
Noivern l’aveva sentita.
Valerio mollò la presa dalla bocca della ragazza, e tese ogni muscolo del suo corpo, quindi si alzò all’in piedi non appena vide il mostro girarsi.
Gli occhi di Noivern e quelli di Valerio si incontrarono a metà strada nei loro sguardi. Noivern spalancò le fauci, ancora grondanti di sangue, e lanciò un urlo così forte che a Valerio stavano quasi per sanguinare le orecchie.
“Dannazione! Crobat!” lanciò in aria una Mega ball, ed il pipistrello a quattro ali ne uscì.
Noivern scattò velocemente verso Crobat, e lo attaccò ferocemente. Era un semplice attacco Azione, certo, ma sembrava che il livello di quel Pokémon fosse altissimo.
Ed un Pokémon con un livello altissimo fa danni anche con un attacco Azione.
“Crobat, usa Supersuono!”
Fu questione di un attimo, e le onde ad ultrasuoni del pipistrello si riversarono lungo l’aria, finendo nei grossi padiglioni auricolari di Noivern.
Quello si bloccò, emettendo un gemito di dolore.
I suoi occhi si strinsero in modo assoluto per il dolore, mostrava sofferenza tramite ogni muscolo, quasi gli stesse esplodendo il cervello, e per un momento il mostro succhiasangue era sparito. C’era solo un Pokémon che soffriva.
Yellow uscì dal cespuglio, con gli occhi fissi su quell’abominio.
“Valerio...”
Quello si girò, e la guardò. “Che vuoi?”
“Non... non fargli del male”
“Devo indebolirlo ancora, Yellow” disse il ragazzo dai capelli blu, e si girò ancora.
“Ti prego... non...”
“Crobat, continua!”
Valerio volle snobbare la ragazza, andare avanti, fare il suo dovere.
“Basta! Valerio basta!”
Yellow corse vicino al poliziotto e lo scosse per le spalle, come si fa con un congegno elettronico quando non funziona.
“Pidgeot!” Valerio mandò in campo il suo Pokémon migliore. “Usa Baldeali!”
“No, Valerio! Lo ferirai!”
Pidgeot volò in alto, mentre il vento gli tirava quel ciuffo di piume indietro, e si abbassò velocemente in picchiata. Noivern non poteva accorgersene.
E fu così che le ali coraggiose di Pidgeot si schiantarono contro Noivern, mettendolo al tappeto.
“Basta così!” urlò Yellow, stufa dal canto suo di vedere i Pokémon soffrire. “Vai Ultra Ball!”
“Non basterà!” alzò la voce anche Valerio, allarmato.
La Ultra Ball volò lenta dalla mano della giovane fino alla testa del Pokémon Drago, e quello per un attimo sparì nella sfera.
Un’oscillazione.
Due oscillazioni.
Niente.
È uscito! Crobat, continua!”
Il Supersuono continuava a bombardargli le orecchie, mentre risultava molto complicato a Noivern il mettersi all’in piedi e combattere la minaccia.
“Pidgeot! Zuffa!”
Quello si gettò a capofitto in una lotta ali e zampe contro l’avversario, che confuso e spaesato non riusciva a difendersi.
Ma il sangue di Noivern usciva a fiotti, e le zampe di Pidgeot graffiavano il suo corpo, ed il suo volto: una grossa cicatrice tagliò la sua guancia verticalmente, sfregiandolo.
“Lancia la Ultra Ball!”
Yellow obbedì, e tirò la sfera.
Un’oscillazione.
Due oscillazioni.
Tre oscillazioni.
Preso.
Il silenzio si espanse, in quel momento solo i loro respiri facevano rumore.
Noivern era in una Ultra Ball, era stato catturato.
E tutto era finito.
Tutto era finito.
 
“E... stop! Ottima, taglia pure!” il regista si alzò dalla sedia, tutto esaltato, sorridente, per via della scena ben girata. Valerio e Yellow sorrisero a mezza bocca, perché non adoravano quel mestiere, e difficilmente una simile proposta sarebbe stata accettata di nuovo, ma era stato un semplice divertimento, un gioco, e non ci sarebbe stato alcun problema a divertirsi.
Almeno una volta o due.
Valerio guardò Yellow e sorrise. Sapeva dei suoi dissidi interiori. Sapeva di Red, sapeva che era andato via per chissà dove.
“Smontiamo tutto!” urlò ancora il regista.
Gold si avvicinò a Yellow, con ancora il cerone bianco messo in faccia, per sembrare più pallido, da buon cadavere.
“Allora andrò a cercare Red. Te lo devo” sorrise il giovane.
“Se vuoi fallo pure. Per quel che conta, ormai...” gli occhi della ragazza erano tristi, mentre si allontanavano dal Percorso 31, ed entravano a Violapoli.
“Beh... tu non perdere le speranze. Puoi sempre accettare le mie proposte. Per una pizza. Una sera di queste...”
“Non ne ho voglia, ma grazie, sei gentilissimo”
“Allora vi saluto. Mi levo questo trucco da faccia e parto”
“Ciao Gold” sorrise Yellow, stringendolo a sé. Quel film era finito.
 
Ma qualcosa era stato lasciato per terra.
In una Ultra Ball.
 
 
E quella notte la Ultra Ball si aprì. E dopo aver lanciato un grosso urlo, nella notte di Halloween, Noivern spiccò il volo, ed andò via.
Ma quella cicatrice in faccia non era un effetto scenico. Era vera, e bruciava. Ed aveva giurato vendetta.
Vendetta contro Valerio ed i suoi uccellacci.

 

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