A reason

di Black_in_Pain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memorie ***
Capitolo 2: *** Prova ***
Capitolo 3: *** Incontro ***
Capitolo 4: *** Ricatto ***
Capitolo 5: *** Novità ***
Capitolo 6: *** Amica ***
Capitolo 7: *** Verità ***
Capitolo 8: *** Proposta ***
Capitolo 9: *** Cambiamento ***
Capitolo 10: *** Scelte ***
Capitolo 11: *** Pace ***
Capitolo 12: *** Considerazioni ***
Capitolo 13: *** Confronto ***
Capitolo 14: *** Ragione ***



Capitolo 1
*** Memorie ***


Ps: Volevo precisare che questa è la mia prima FanFic e che sono molto preoccupata per come potrà essere giudicata, mi auguro di non aver scritto un completo disastro e che possa in qualche modo piacere. La storia prosegue dove “Il Canto Della Rivolta” si conclude, nella parte che precede l’epilogo. Quindi non racconterò nulla per ora del futuro di Katniss e Peeta che la Collins ha già rivelato (i loro figli, ecc…) Detto questo spero vi possa piacere. Un bacio, Pain.

Memorie

Sto ancora asciugandomi il viso e i capelli gocciolanti, quando sento aprire lentamente la porta socchiusa del bagno. Come una molla, d’istinto, copro il corpo nudo con un telo di cotone e costringo il cervello ad uno stato di difesa. Ricordi macchiati di dolore e paura, attraversano la mia mente instabile, scatenando una catena di pensieri malsani. Sono totalmente vulnerabile, in un certo senso debole, per combattere veramente. Eppure, nonostante non abbia alcuna speranza di vincere, mi giro velocissima. A quanto pare la vecchia ragazza dell’arena, quella pronta a reagire, è ancora nascosta da qualche parte dentro di me.
 La reale situazione, però, non necessita di una tale reazione, perché tutto ciò che vedo non ha né le sembianze di un ibrido, né l’aspetto di un potenziale nemico.
Devo avere un’espressione davvero orribile, perché il povero Ranuncolo, con la coda tra le gambe, esce di corsa, pentendosi di essere entrato. Mentre fugge, capisco di sbagliare in continuazione con lui. Anche adesso, che cerca la mia compagnia, lo respingo.
Rilasso i muscoli tesi e lascio cadere il candido pezzo di stoffa sul pavimento scivoloso e bagnato, in quell'istante capisco che non c’è bisogno di nascondermi e che sono veramente una stupida. Torno a fissare la mia immagine riflessa nel piccolo specchio del bagno attaccato alla parete, e quello che rimanda mi inquieta parecchio. Ho le narici e le pupille dilatate, un colorito pallido, malaticcio e di certo le cicatrici non aiutano a migliorare l’immagine generale. Ho proprio l’aspetto di una pazza furiosa.
Termino di prepararmi e raggiungo il salotto vestita solo con gli essenziali indumenti intimi. L’acqua calda della vasca deve essermi penetrata nella pelle, donandomi una temperatura mite. Nel frattempo, cerco Ranuncolo e lo trovo rannicchiato vicino al camino, che si riscalda con il calore del fuoco scoppiettante. Mi siedo accanto a lui e, dopo aver soffiato un po’, si lascia accarezzare la testolina spelacchiata. Spero che questo basti a perdonare il fatto di averlo spaventato tanto.
Non ho fame, ma so che dovrò mangiare comunque. La cosa non mi dispiace poi tanto, costatato con chi trascorrerò la serata. Ranuncolo è quasi sul punto di addormentarsi, e io pure, ma torniamo vigili immediatamente quando udiamo un leggero bussare proveniente dalla porta d’ingresso. Non c’è nemmeno più il bisogno di dare il permesso, tanto chi sta entrando ha il libero accesso a questa casa e a me.
Se non fosse per quel poco di pudore che mi è rimasto, avrei accolto Peeta così come sono: praticamente nuda.  Quindi, racimolata un po’ di dignità, raccolgo una coperta raggomitolata sul tappeto, avvolgendola sulle spalle. Mentre mi alzo, lui è già arrivato davanti a me e saluta il gatto con fare materno. Peeta, dopo Prim, è l’unico essere umano che Ranuncolo accetta come proprio simile. Questo, anche se non l’ho mai ammesso, è una cosa che mi ha sempre infastidito.
Ma la seccatura passa presto, quando l’immagine di mia sorella si materializza e lascia i miei polmoni senza aria. Di conseguenza, dopo uno spiraglio di capelli biondi intrecciati, un’altra chioma, folta e scura, appare nella mia testa. Le due figure lottano, e alla fine, una distrugge l’altra, incendiandola. Gale brucia Prim.
Peeta si accorge che qualcosa non va e si porge verso di me con fare preoccupato. Non è più quello di prima, me ne rendo conto ogni giorno di più. Se non lo avessero mai depistato, in questo momento sarei già tra le sue braccia, a consolarmi. Le sue labbra pronuncerebbero frasi dolci e rassicurati, poi andrebbero a cercare le mie. Adesso, invece, è confuso. Si ordina di controllare se stesso, cercando di fare la cosa giusta per entrambi. Esita, come mai ha esitato prima. Alla fine capisce cosa fare, e il vecchio Peeta ritorna, esaudendo le mie aspettative.
Ci ritroviamo inginocchiati a terra, rischiando di cadere dritti nelle braci ardenti, da tanto stiamo tremando.
«Katniss, va tutto bene» sussurra. «Sono solo incubi.»
Quello pare calmarmi un poco e smetto di singhiozzare in modo isterico, però le lacrime non hanno alcuna intenzione di cessare. Certo, sono diminuite, come un rubinetto che dopo essere stato chiuso, perde ancora qualche goccia. Piano, piano ci stacchiamo, ma Peeta non distoglie lo sguardo crucciato dal mio viso.
«E’ passato?» Domanda con un filo di voce. Io lo osservo bene, intenzionata a mentire nel metodo più sincero che conosco. «Sì, ora va meglio» dico ancora tremolante.
Mi aiuta ad alzarmi, però la testa di entrambi deve girare vorticosamente, perché finiamo per cadere di nuovo prima di ritrovare l’equilibrio originale. Dopo un paio di tentativi, siamo in piedi che ci sorreggiamo l’un l’altro. Ranuncolo ha osservato la scena da lontano e ci guarda con aria interrogativa. Io gli lancio un’occhiata che vuole essere rincuorante e lui, soddisfatto, sparisce in cucina, precedendoci.
Mi accorgo solo in quell'istante che Peeta tiene in mano un sacchetto dal profumo invitante. Lo stomaco chiuso per vari motivi, si riapre, pronto ad accogliere ciò che sta fumando in quell'involucro.
Arrivati, ci sediamo a tavola e Peeta si occupa di preparare tutto il necessario per mangiare. Lo fa in modo ordinato ma troppo veloce. Si vede che lasciarmi sola con i pensieri non lo faccia sentire a suo agio. Finalmente è tutto pronto. Il pane dorato e croccante che ha preparato è morbido e gustoso nella mia bocca. Io sto sbaffando ogni cosa che mi trovo davanti, contro ogni mia aspettativa, mentre lui non tocca nemmeno un boccone. Ha gli occhi spenti, forse per ciò che ha dovuto gestire pochi minuti prima.
«Non mangi?» lui fa cenno di no con il capo. «Non ho fame» spiega sorridendo lievemente.
No. Non è per colpa mia se lui è in questo stato. C’è qualcosa che evidentemente non mi dice.
Passano alcuni minuti e la voglia di mangiare passa anche a me. Troppo silenzio. Troppi segreti.
«Forza, dimmi cosa è successo» ci guardiamo, ma lui distoglie lo sguardo. «Peeta…»
Lo sento sbuffare. «Perché dev’essere successo qualcosa? Non posso solo non avere appetito ed essere stanco.»
Potrei anche crederci, se lui non fosse un libro aperto e io non lo avessi letto così tante volte.
«Avanti, Peeta…» lo incoraggio.
A quel punto spinge la sedia vicino alla mia e fissa i miei occhi con una rabbia che non gli appartiene. Ho forse esagerato? «Non so se ti farà piacere.»
Rido amaramente. «C’e ne sono ben poche di cose che mi fanno piacere, quindi non preoccuparti.»
Lo faccio sorridere un po’, ma poi torna serio come prima. «Domani mattina arriverà un carico dal distretto 2 » deglutisce. «E un gruppo di persone fidate ha il compito di seguire la spedizione.»
Non capisco, oppure non voglio capire. «Sono cose che succedono spesso.»
«Non è questo il punto» continua Peeta. Ormai non mi sta più guardando. «Una di queste persone fidate la conosciamo bene. La conosci bene, Katniss.»
Avevo compreso dove voleva arrivare appena ha nominato il Distretto 2, eppure avevo sperato fino all’ultimo di sbagliarmi. Peeta intuisce cosa ho appena compreso, decidendo di non proseguire.
Ma dovrebbe sapere quanto sono autodistruttiva, quando non possa fare a meno di infliggermi un dolore che merito. «Di chi parli?» mi sto rendendo ridicola, ma lui non mi guarda con disprezzo, anzi, il suo viso esprime compassione.
«Oh, Katniss» ansima esausto. Ho sempre l’aria di una che non ci arriva, quando Peeta pronuncia il suo nome.
«Gale» sibila con i denti stretti. «Gale arriverà qui all’alba.»
Non ha nemmeno il tempo di vedere la mia reazione, che sto già ripensando al fuoco e all’odore di carne che brucia. In un attimo, mi ritrovo nuovamente tra le braccia forti di Peeta, che continua a sussurrarmi “mi dispiace” all’orecchio. La cosa che più mi fa paura è che ha me non dispiace affatto, perchè sono in mezzo a due sensazioni contrastanti tra loro.
Il Desiderio e la rabbia. E una delle due sta vincendo. 



Spero che questo primo capitolo vi abbia più o meno incuriosito e che abbiate compreso il miscuglio di emozioni che ho scritto. Se trovate che possa essere accettabile, sarò ben contenta di sentire i vostri pareri e continuare a scrivere. Nel caso contrario, mi scuso (anche per eventuali errori grammaticali, che di certo non mancheranno) e accetterò ogni singolo suggerimento e critica costruttiva disponibile. Grazie per la lettura. Un bacio, Pain. 

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Capitolo 2
*** Prova ***


Questo capitolo è leggermente più lungo rispetto a quello precedente, perché raccoglie situazioni e pensieri molto più elaborati. Spero che possa risultare comunque piacevole. Un bacio, Pain.

 Prova

 
Lavare e riassettare la cucina sono compiti che di solito si subiscono volentieri Sae e Peeta, ma stasera sento che stare ferma, a far nulla, è l’unica cosa che non mi conviene fare. Sfrego con gesti meccanici i piatti sporchi e osservo con insistenza i coltelli che mi fissano luccicanti e bagnati. Questo non sfugge a Peeta, che, seppur non volendo, mi lancia occhiatacce piene di dissenso.
Mentre svolgo la parte della brava padrona di casa, concentro i miei pensieri su un unico, incessante chiodo fisso.  Rifletto su come farò ad aprire gli occhi, domani mattina. A recarmi nei boschi, andare a caccia o solo uscire di casa, sapendo che potrei incontrare l’unica persona che cerco di tenere lontana da me, per vari motivi. Troppo in conflitto tra loro.
Peeta lo sa e non manca di farmelo notare. Mi sento in colpa e probabilmente anche lui. Questi sentimenti sono troppo grandi anche per noi, che non riusciamo a mascherarli. Ormai ci conosciamo, ci capiamo, ci amiamo…
Amare. Ho detto così tante volte di amarlo ma, realmente, molto poche. Adesso che ci penso è ancora strano. Dividere tutto. Casa, emozioni, parole, paure. Queste cose non so se mi appartengono e non ci sono abituata. Nel frattempo, termino di lavare tutte le stoviglie e alla fine permetto che sia Peeta ad asciugare i coltelli e gli altri oggetti appuntiti e a sistemarli nei vari cassetti della credenza. Gli chiedo di nuovo se ha fame e per l’ennesima volta la sua risposta è sempre quella. «No, Katniss. Ma la tua continua premura finirà per farmi venire appetito comunque.»
Sorrido. «E’ proprio quello che sto cercando di fare.»
Ridiamo entrambi e la tensione sembra attenuarsi lievemente. Siamo così rilassati che ad un certo punto iniziamo anche a domandarci reciprocamente cosa pensiamo della situazione che si è creata e di ciò che accadrà all’alba. Non pensavo ne avremmo discusso, ma forse, amarsi, implica anche questo.
«Sei felice di rivederlo?» ha un non so che di accusatorio.
Mi mordo l’interno della guancia e deglutisco un ringhio di rabbia. Non voglio che me lo chieda. E’ come se mi stesse prendendo in giro.
Prendo la palla al balzo e gliela rilancio. «E tu lo sei?» Provo a risultare ironica.
Lui alza gli occhi e li fa roteare, poi torna a fissarmi con il mio stesso spirito sarcastico «Sì. Non puoi nemmeno immaginare quanto mi sia mancato.»
Ha un tono talmente svenevole che finisco quasi per crederci davvero. Un fatto mi rincuora: non ci diremo altro, oltre a questo. Non siamo così coraggiosi . Non io, almeno.
Sono ancora mezza svestita e Peeta se ne accorge solo quando, dalla cucina, passiamo al salotto. Non ci ha fatto caso.  A volte è proprio vero che certi particolari passano relativamente inosservati. Eppure, il suo bel viso, arrossisce ogni volta che accade. Mi scuso ma non mi allontano per cercare qualcosa di più coprente. Mi basteranno le sue braccia. Anche Ranuncolo pare essere imbarazzato, nascosto accanto al divano, mentre ci osserva.
La sua presenza mi mette a disagio. Guardone, penso.
Quindi, dal salotto, passiamo alla camera da letto, che trasformiamo in un vero e proprio rifugio di pace e incubi, allo stesso tempo. Sogniamo legati l’uno all’altro, poi urliamo e ci respingiamo come due calamite troppo simili tra loro. Poi invertiamo i poli e ci ritroviamo di nuovo attratti, irresistibilmente e senza scampo. A volte, svegliandomi con la fronte madida di sudore, dopo un incubo infuocato dall’odore intenso, la famosa fame mi assale. Lo afferro con impeto e lo costringo a non staccarsi da me finche non sono soddisfatta.
La notte trascorre così. Mai tranquilla, mai leggera.
Quando la mattina seguente riapro gli occhi, trovo Peeta seduto vicino alla finestra che guarda il sole come se ne fosse ipnotizzato. I riflessi luminosi, fanno scintillare i suoi capelli biondi, rendendolo ancora più magnetico di quello che già non sia.  Se avessi anche solo un briciolo del talento che possiede lui nel disegno, spenderei le mie giornate a ritrarlo in ogni posizione ed espressione che esprime. Però, non avendo a disposizione un dono tale, provo ogni volta a scattare una fotografia mentale e ad archiviarla nel mio ripostiglio personale. Quello dove conservo solamente le immagini più belle e felici della mia vita.
Ma la felicità si eclissa velocemente. L’alba è giunta e con essa anche Gale.
Mi stiracchio lievemente e il mio respirare pesante e ansioso discosta Peeta dai suoi pensieri. Ha un viso stanco e malinconico, provato da mille stati d’animo differenti. Provo a sorridergli, ma anche la mia faccia non deve ispirare chissà quanta sicurezza.
Si strofina gli occhi con il palmo della mano e schiarisce la gola in modo delicato. «Buongiorno.»
«Buongiorno» mugolo, con la lingua impastata. «Dormito bene?»
Devo aver fatto la battuta del secolo, perché le sue labbra si sforzano di non mostrare i denti bianchissimi.
«Con le tue mani fredde che mi toccavano ovunque, non è stato proprio uno dei miei sonni più ristoratori.»
La sua risposta mi offende, tanto che mi porto le mani sulle guance per testarne la reale temperatura. Quando scopro che ha ragione gli alito sopra, insistente. Questo lo fa alzare di scatto e me lo ritrovo accanto che dondola la testa. Mi afferra le dita e se le porta alla bocca, scaldandole con il proprio respiro caldo. «Sono contento che fossero tanto fredde, perché io ero già abbastanza bollente di mio.»
Questa affermazione mi fa arrossire pesantemente, ma cerco di tenerglielo nascosto. Ma a lui non sfugge niente. Mi bacia delicatamente le labbra e ormai non ho più bisogno di essere riscaldata. Sto andando a fuoco.
Lui si stacca bruscamente, guardando l’orologio in legno. «Devo andare al forno, mi staranno aspettando.»
Oppongo un po’ di resistenza, anche se non serve a nulla. Si riveste in fretta, allacciandosi i pantaloni con gesti veloci e disordinati. Prima di uscire dalla camera torna a sporgersi verso di me, accarezzandomi il viso.
Dentro i suoi occhi, però, c’è un gelo glaciale.
«So che ti sembrerà egoista» inizia. «Ma ti chiederei di rimanere a casa, oggi. Finche non sarò di ritorno con il pranzo.»
Questa richiesta mi fa male. Non si fida di me. E’ convinto che potrei precipitarmi in strada, cercando Gale. E una volta trovato, scappare con lui al Distretto 2 e non tornare mai più.
Comprende che mi sento tradita, ma non fa nulla per scusarsi o chiarire le sue parole. Forse, non lo fa perché ne è realmente sicuro. E non posso dagli torto.
Se ne va, lasciandomi sola tra le lenzuola scompigliate e in qualche modo capisco che la sua voleva essere un sfida. Una specie di test da superare.
Mi dirigo in bagno e mi ci vuole mezz’ora per districare i capelli e racchiuderli nella solita treccia. Ho un aspetto stravolto, ma almeno non sembro più una pazza furiosa. Scendo in cucina e la colazione è già pronta e fumante sul tavolo massiccio. Peeta deve essersi alzato molto presto per prepararmela.
Avrà voluto farsi perdonare in questo modo? Qualcosa me dice di sì.
 Si aspettava che avrei reagito come un gatto selvatico e questo è stato il suo modo per riconquistare la mia benevolenza. Mangio la metà di quello che mi si para davanti, avendo lo stomaco chiuso. Continuo ad osservare l’orario, sperando che mezzo giorno arrivi in fretta. Alla fine cedo quasi tutto a Ranuncolo, che apprezza di buon grado l’offerta, e come se fosse tutto normale, mi vesto con gli abiti da caccia che preparo ogni giorno sulla sedia della camera da letto. Non trovo gli stivali e so che questa è opera di Peeta. Li cerco ovunque, finche non li scorgo, incastrati in una fessura dietro l’armadio. Ammetto di aver riso a quella sua improvvisata mal riuscita.
Mi ritrovo con la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, senza nemmeno sapere perché lo sto facendo.
Ma, riflettendoci un po’, ci arrivo. Sono sempre stata una ragazza testarda, con i suoi principi e i suoi obbiettivi. Mai capace di obbedire agli ordini e andare nella direzione giusta. Anche adesso, dopo le raccomandazioni di Peeta, sono ancora pronta a trasgredire.
Apro la serratura e l’aria gelida del mattino mi rinfresca il viso stanco. Faccio due passi e richiudo la porta alle mie spalle. Mi incammino e intanto penso a quello che voglio realmente fare, una volta uscita dal Villaggio dei Vincitori. Eppure, nonostante tutto, non mi pento di aver disobbedito. Perché, in ogni caso, io non ho fatto alcuna promessa.

 
Ecco fatto! Un secondo capitolo fresco fresco. Sinceramente non pensavo di raccontare così poco di quello che succederà in seguito... ma almeno il terzo capitolo avrà qualcosa di interessante da proporre a chi avrà la pazienza di leggere. Vi prometto incontri interessanti e dialoghi accesi!
Un bacio, alla prossima, Pain.

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Capitolo 3
*** Incontro ***


Che luuungo questo terzo capitolo, ma finalmente la storia sta entrando nel vivo della trama che ho costruito. Mi auguro non vi annoierete prima di arrivare alla fine, fate un piccolo sforzo!  Spero vi piacia, un bacio, Pain, 

Incontro

Il Distretto 12 non è mai stato bello, né prima, né dopo le bombe incendiarie. Eppure, adesso, dove tutti si aiutano a vicenda e si scambiano materiali l’un l’altro, questo posto sta finalmente fiorendo. Ricostruire ciò che abbiamo perso è pressa poco impossibile e impensabile. Ma i carichi provenienti dagli altri distretti, come quello che Gale deve aver  sorvegliato questa mattina,  incrementano il progetto di ristrutturazione. Patire la fame non è più un pensiero così gravoso. Le scorte di pesce e reti da pesca del 4, danno lavoro e cibo a sufficienza da venir quasi rifiutati. Nessuno è più abituato ad accogliere simili portate nei loro stomaci, anche io, a volte, osservo più e più volte i vari bocconi, per capire se sono realmente veri.
Cerco di evitare il mercato e il Forno, non voglio dover incontrare Sae la Zozza, o peggio, Peeta.
Che spiegazioni potrei mai rifilargli? Sae è meglio tenerla lontana. Furba com’è, avrà già capito la situazione e intravisto Gale in giro, quindi se dovesse scoprirmi a gironzolare tra i banchi per gli scambi e le vendite, correrebbe filata e riferire l’accaduto a Peeta. Cosa che in questo momento non mi pare una mossa a mio favore.
Mi accorgo che non ricordo più il motivo della mia presenza al di fuori del Villaggio dei Vincitori. Sono vestita come se dovessi andare a caccia, ma intrufolarmi nei boschi, ora come ora, non è nei miei desideri.
Ma cosa desidero, allora?
Sono davvero arrivata fin qui per tornare indietro, oppure è proprio vero quello che Peeta pensa di me.
Forse sto veramente cercando Gale da qualche parte. Forse voglio che lui mi veda, abbigliata come un tempo, quando eravamo compagni di vita. Eppure, se anche dovesse accadere, io come reagirei? Sono mesi che non lo vedo, mi sembrano passati anni. L’ho mandato via io, in un certo senso. Accusandolo di aver ucciso mia sorella con i suoi dannati paracadute. Lui aveva risposto che non lo sapeva e che tanto, anche se  non ne fosse stato il responsabile, avrei finito per incolparlo comunque. Quelle parole erano vere.
Adesso più che mai, so che è stato lui, senza bisogno di conferme.
Però, c’è un’altra cosa che mi tormenta. Il fatto che amava mia sorella come se fosse la sua, che non le avrebbe mai fatto del male, perché sarebbe stato come l’equivalente di farlo a me.
Fatto sta, che lei non c’è più e io, in parte, me ne sono andata con lei.
Faccio alcuni respiri profondi per mantenere la calma e alla fine decido che i boschi sono l’unico luogo che necessita della mia presenza. Gale non ci andrà. Ne sono sicura. Non vorrà rivedermi, è scappato da me, nel Distretto 2, proprio per non costringersi di fronte alla mia faccia. Prima di girarmi e iniziare a camminare, una voce conosciuta mi chiama dal fondo alla strada. «Hey, dolcezza! Dove credi di andare?.»
Haymitch si sta avvicinando dondolando da una parte all’altra, con una delle sue oche starnazzanti che lo rincorre come un cagnolino.  Sbuffo esasperata e prendo in considerazione che darmela a gambe non farebbe altro che insospettirlo. Peeta deve aver traviato anche lui.
«Ciao, Haymitch. Già allegro di prima mattina vedo» il mio tono vuole essere accusatorio. Lui mi guarda torvo poi inizia a sbraitare. «Magari dolcezza. Sto andando in paese proprio per fare la scorta, è arrivata con i carichi di stamattina.»
Annuisco con la testa e aspetto che mi dica quello per cui mi è corso in contro. Quando vedo che non lo fa, rompo il ghiaccio per prima. «Glielo dirai?» Chiedo sospettosa.
Haymitch alza le mani in segno di resa. «L’ho sempre detto che non meritavi quel ragazzo…»
Alzo gli occhi al cielo. «Sì lo so, lo so. Neanche tra un milione di anni…»
«Ma nemmeno io merito la sua fiducia» mi interrompe con uno sguardo d’intesa. Da quelle parole capisco che siamo alleati e allora mi metto a correre nella direzione opposta.
Le recinzioni sono state tolte e nessun ronzio metterà in pericolo la mia incolumità. Arrivo nel folto della vegetazione e finalmente gli unici rumori che sento provengono dalla natura circostante. Corro libera e in un certo senso felice, fino al laghetto della mia infanzia, dove io e mio padre facevamo il bagno di nascosto da mia madre. Il viso di papà non mi mette malinconia come mi sarei aspettata. Magari è perche è l’unico che non è morto per colpa mia. Almeno lui, non l’ho ucciso io.
Ho dimenticato l’orologio e temo di non arrivare a casa in tempo per il pranzo, quando Peeta sarà di ritorno. Conoscendolo, rincaserà mezz’ora in anticipo, per farmi un’imboscata. Ma non mi preoccupo, dopo tanti anni passati all’aperto, credo che mi basterà il sole per orientarmi e sapere quando è il momento di alzare i tacchi e andarmene. Sfilo gli stivali e immergo i piedi infreddoliti nell’acqua tiepida. Sembra sempre estate, da quando Snow e Capitol City sono caduti. Ripenso alle mie mani fredde e tutto il mio corpo si irrigidisce.
D’ho un occhiata tutto in torno e poi decido di togliermi gli indumenti e disfare la treccia arruffata. Alla fine non resisto e mi immergo nelle acque torbide del laghetto. L’acqua non è molto profonda, ma riesco a nuotare bene.
Mentre galleggio, penso che dovrò sdebitarmi con Haymitch, magari regalandogli un’altra bella oca che nel becco tiene una bottiglia di liquore costoso. Rido di quell’immagine e decido che ci rifletterò più tardi. In verità, non sto facendo nulla di male, quindi non devo niente a nessuno.
Nuoto tutto intorno e provo a raggiungere la riva più profonda del laghetto. Quella che mio padre mi vietava di andare ad esplorare, mentre lui faceva avanti e indietro, rendendomi invidiosa. Quando ci arrivo, mi accorgo che è davvero profonda e stento a crederci. C’è parecchia vegetazione e alla fine rimango ingarbugliata in alcuni cespugli vicino alla sponda. Sto per tornare indietro, scusandomi mentalmente con mio padre e dandogli ragione, ma qualcosa mi blocca, attirando la mia attenzione. Poco distante dal punto in cui mi trovo io, sopra ad un masso che somiglia a uno scoglio marittimo, una figura luccicante è seduta con gli occhi chiusi. Ha le spalle ampie, i muscoli sodi, i capelli folti e scuri come un campo nella notte.
Quando lo riconosco, per poco non ingoio dell’acqua facendola andare di traverso.
Gale non sembra più Gale.
E’ così uomo, più di quanto non lo sia mai stato. E’ bello e terribilmente affascinante. La barba incolta gli dona particolarmente, anche se è  troppo corta per farlo sembrare davvero trasandato. Ha i capelli bagnati, più lunghi di un tempo. Anche gli arti sono lunghi e snelli, come quelli che metteva sempre in mostra Finnick. Un senso di nausea mi assale ricordandolo, ma la ricaccio indietro, troppo occupata a guardare il mio vecchio compagno di caccia.
Percepisco che quella visione non può farmi altro che male e, nel panico, cerco di liberarmi dai vegetali che mi intrappolano. Devo essere finita in un cespuglio di rovi, perche in un attimo mi ritrovo a urlare in preda a una qualche ferita causata da uno spino. Questo non sfugge a Gale, che si balza immediatamente e si mette sulla difensiva.
«Chi c’è?» sibila insospettito. Anche la sua voce è diversa. Calda, roca, adulta.
Finalmente mi divincolo dagli arbusti e nuoto nella direzione inversa, dove i miei vestiti mi aspettano. Naturalmente, nella foga, ci metto troppa forza e schizzo acqua ovunque, rendendomi visibile anche a kilometri di distanza.
«Catnip!» urla.
Sento un tonfo dietro di me e ho paura di voltarmi e vedere che mi sta seguendo, immerso in acqua anche lui. Quando scorgo la riva e mi sento in salvo, qualcosa mi afferra un braccio e mi ritrovo come paralizzata. Nonostante l’impedimento, continuo a scalcare, ma evidentemente non andrò da nessuna parte. Gale mi tiene stretta da dietro. La mia schiena nuda contro il suo petto altrettanto scoperto. L’imbarazzo mi assale. Almeno lui indossa qualche indumento, io ne sono completamente priva.
Sento il suo respiro affannato tra i capelli e il suo profumo virile inondarmi le narici. Sono in corto circuito e il cervello non ragiona come dovrebbe. Le sue braccia mi contornano il collo e le spalle, andando a schiacciarmi le clavicole. Faccio ancora un po’ di resistenza poi mi arrendo. «Finalmente ti sei calmata.»
Arrossisco e anche Gale si irrigidisce, facendomi un po’ male. Siamo immersi quasi completamente nell’acqua del laghetto, bagnati come alghe marine.
«Scusami» Lo dice così, su due piedi.
Si scusa per avermi seguita? Per star stringendo troppo la presa? Per avermi messa in imbarazzo? Per avermi abbandonata o per aver ucciso mia sorella?
Non capisco per cosa lo abbia detto. Quindi lo tengo buono per tutte le cose messe assieme. Non credevo che questo sarebbe bastato a mandare via ogni incomprensione, eppure mi ritrovo in pace con me stessa e con lui, come se non fosse successo niente e noi fossimo ancora quelli di un tempo.
La sua mano grande mi trova il mento e lo gira verso destra, dove il suo viso poggia sulla mia spalla. I suoi occhi, simili ai miei, mi catturano e mi viene da piangere. Quelle labbra poi, dopo avermi lasciata, quante altre ne avranno baciate? Mi sento schifosamente gelosa e in collera con lui, senza motivo.
Forse sta leggendo i miei pensieri, perché scuote il capo, come per dirmi che nessuno ha mai preso il mio posto e che io gli appartengo.
Stiamo per baciarci, lo sento. Ed è in quel momento che ricordo di aver scelto il dente di leone e non il fuoco che distrugge ogni cosa, compresa me. Rifiuto il contatto e il suo sguardo si indurisce pesantemente. Non sembra accettare un no.
Alla fine mi ritrovo con le labbra schiacciate contro le sue e il seno appoggiato al suo petto caldo. Sto strattonando con tutte le mie forza, ma lui non sembra accorgersene, implacabile com’è. Non ho mai fatto del male a Gale, ma sento che se non gliene faccio ora, sarà lui a farne a me. Muovo veloce la gamba sott’acqua e gli arrivo una ginocchiata abbastanza forte tra le gambe.
Lui molla la presa e io sono di nuovo libera dalla gabbia che mi imprigionava. Nuoto veloce verso la sponda mentre lui impreca coloratamente in mezzo al laghetto. Raccolgo i vestiti e corro attraverso la vegetazione infilandomi gli indumenti mentre cerco di scappare più veloce della luce.
Non mi sta seguendo e gliene sono grata.
Attraverso di soppiatto il paese e varco il cancello dei Vincitori con i cappelli bagnati attaccati alla fronte. Mezzo giorno è vicino, lo posso vedere chiaramente dal sole che splende forte e accecante. Rientro in casa giusto in tempo e corro in camera da letto per spogliarmi e cambiarmi d’abito. Non mi guardo nemmeno allo specchio, quando distrattamente indosso un paio di pantaloni e un maglione troppo largo. Raccolgo un asciugamano e lo tampono sui capelli cercando di asciugarli.
Capisco che Peeta è rientrato quando sento miagolare Ranuncolo. Gli vado in contro tanto per non farlo preoccupare. Lui mi guarda con uno sguardo stupito e indica il mio viso. «Che hai combinato?»
Credo stia osservando i miei capelli bagnati e disordinati. «Avevo voglia di un’altra doccia» spiego innocente.
Peeta aggrotta le sopracciglia e si avvicina guardingo. Mi sfiora il labbro con il pollice e io rabbrividisco. «Parlo di questo, non dei tuoi capelli.»
Analizzo il suo dito e lo ritrovo macchiato di rosso. Di sangue. Il mio sangue. Mi lecco le labbra con la lingua e il sapore metallico e salato mi impregna il palato.
Gale mi ha morso.  



Ecco fatto! Giunti fino alla fine di questo nuovo capitolo, più lungo ripsetto ai precedenti. Sto aggiornando come una matta e forse questo può risultare un tantino fastidioso. E' che se non pubblico in questi giorni, per un po' non ne avrò più il tempo... Comuque, tornando alla Fanfic, sono entrati in scena altri personaggi e la situazione si sta complicando almeno un po'.  Così facendo spero di aumentare la vostra  curiosità. Io punto su quello per adesso! Un bacione, mi auguro abbiate gradito! Un bacio, Pain. 

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Capitolo 4
*** Ricatto ***


Quarto capito, eh già! Premetto che è un po' corto, ma ha i suoi buoni motivi per esserlo... ma tralasciando le solite introduzioni noiose, vi lascio leggere tranquilli, un bacio, Pain

Ricatto  

Sae mi sta disinfettando la ferita, mentre Peeta è in salotto che telefona ad un sacco di persone, con tono basso. Che poi così basso non è visto che non  passa inosservato al mio udito ipersensibile, dovuto anche alla bravura dei dottori di Capital City.  Ho sempre detto che fa troppo rumore, sia quando insisteva a volermi aiutare nell’arena accompagnandomi a cacciare, sia quando, qualche volta, me lo porto dietro nei boschi a fare una passeggiata.
Si è insospettito dopo che gli ho spiegato di essere scivolata nella vasca da bagno, cadendo di faccia proprio sul bordo. Gli ho anche detto di non essermene resa conto e che probabilmente il sangue deve essere uscito in un secondo momento, quando non avevo specchi a disposizione per accorgermene. Sembrava che il mio racconto non facesse una piega e lo avesse convinto. Ero a casa quando è tornato e i capelli bagnati hanno reso il tutto un po’ più credibile. Eppure, adesso, lo sento chiamare mezzo distretto  per sapere se mi hanno vista uscire o qualcosa di simile.
Nessuno sembra dargli la risposta che vuole sentirsi dire. E questo mi mette il cuore in pace almeno un po’.
Sae è corsa subito da noi, quando ha saputo che mi ero recisa il labbro inferiore, e ha portato con se vari disinfettanti che, in ogni caso, possedevo anche io in qualche armadietto della cucina. Non ha fatto domande, al contrario di Peeta, e si è occupata solo di quello per cui è stata chiamata.
«E’ molto profondo» spiega tamponando con una garza sterile. «Hai preso una bella botta.»
Annuisco seria «Già.»
Mentre la ascolto descrivere la situazione anatomica del mio labbro, tendo l’orecchio buono per sentire con chi sta parlando Peeta, e non faccio molta fatica ad intuirlo. Il suo tono di voce è alto tanto da arrivare perfino ai padiglioni auricolari un po’ arrugginiti di Sae.
«Haymitch, dimmi la verità» dice Peeta leggermente infuriato.
Vorrei poter udire ciò che Haymitch gli sta spiegando, ma il mio raggio d’azione non arriva così lontano. Nonostante tutto, pare stiano bisticciando. La cosa non mi preoccupa. So che il mio alleato non mi tradirà. Spero solo non sia troppo ubriaco. Diventa chiacchierone, quando si ubriaca. Alla fine la sagoma di Peeta ricompare in cucina e viene ad osservare il lavoro svolto dalle mani abili della nostra curatrice improvvisata. Non ne sembra molto soddisfatto, ma non lo sarebbe nemmeno se con una magia il taglio si richiudesse e il gonfiore sparisse.  Pensava di fregarmi. Di cogliermi con le mani in pasta. E invece l’unico che ci è rimasto invischiato è stato ancora lui. Mi sento in colpa, quasi non riesco a guardarlo in faccia.
«Hai davvero sbattuto sul bordo della vasca, Katniss?» me lo chiede con fare implorante, talmente esausto da credere a qualsiasi cosa io gli risponderò.
Ci rifletto su e vorrei dirgli la verità seduta stante. Però, poi un pensiero mi mantiene ferma nella mia posizione di falsa innocenza: non ho fatto nulla di male, se non fare un bagno nel laghetto del bosco. Non ho chiesto io di incontrare Gale. Non ho voluto io finire in un cespuglio di rovi e farmi scoprire miseramente.
Nemmeno ho chiesto di essere baciata. Anzi, ho provato a respingerlo con tutte le mie forze, dandogli anche un calcio negli stinchi. Questo dovrebbe bastare a togliermi i sensi del rimorso. Quindi basterebbe solo spiegargli i fatti così come sono accaduti. Ma qualcosa mi dice che non mi crederebbe e, se anche lo facesse, le opzioni sarebbero due. Primo: andrebbe da Gale e minacciare di ucciderlo, cosa inutile, visto che l’altro lo farebbe  fuori per primo, senza fatica. Secondo: ucciderebbe me, perché sono uscita nonostante me lo abbia espressamente proibito, per poi andare comunque da Gale e farsi picchiare a sangue. Nè una nè l’alta mi risultano a favore. Quindi mento.
«Sì, davvero» rispondo.
A quel punto sospira e si lascia cadere su una delle sedie lì vicino. E’ stanco e il secondo turno al forno sta per iniziare. Lo incito ad andare, ma lui rifiuta, dicendomi che non ci pensa minimamente a lasciarmi sola.
Alla fine, un po’ costretto da me, un po’ spinto da Sae, riesco a farlo tornare in paese a finire ciò che stava facendo. Prima di uscire mi fa promettere che resterò a casa a riposare e, finche non glielo giuro sulla vita di mia madre, non ne vuole sapere di dileguarsi.
Una volta sola, sia perché ho promesso, sia perche rischiare di incontrare Gale mi mette lo stomaco in subbuglio, decido di rimanere veramente a letto, con il labbro che pulsa e brucia maledettamente. Non mi addormento  veramente, so che senza Peeta gli incubi mi divorerebbero. Perciò rimango vigile, in uno stato di delusione totale. Voglio essere libera, e lo sono, ma è come se restassi comunque incatenata all’interno di una gabbia di cristallo, costruita appositamente per me.
Passa un’ora, forse due e all’improvviso il campanello suona incessantemente. Mi metto seduta con tanta velocità da darmi il giramento di testa. Il sangue mi sale al cervello e la ferita pizzica più che mai. E se fosse Gale? Venuto a ripagarmi del colpo basso che gli ho propinato. O peggio, Peeta, che dopo averlo incontrato, ha appreso tutta la verità. Sono quasi paralizzata dalla paura e mi sento un verme senza ritegno.
Alla fine mi tocca alzarmi e andare ad aprire, perche se va avanti così, chiunque sia, metterà fuori uso il campanello e le mie povere orecchie. Ciò che vedo una volta spalancata la porta, però, non ha l’aspetto di nessuno a cui ho pensato poco prima. E’ solo Haymitch.
«Posso entrare, dolcezza?» l’alito, incredibilmente, non sembra puzzare di alcool.
Mi scosto e lui si dirige spedito in cucina, lasciandomi all’ingresso come una povera stupida. Lo seguo subito dopo, trovandolo a rovistare negli armadietti in cerca di qualche cosa da bere. Gliene sbatto in faccia uno, quasi schiaccandogli  il naso. Capisce di essersi comportato da maleducato e decide finalmente di fare l’ospite accomodante.
«Abbiamo rischiato grosso oggi. Soprattutto tu, signorina» spiega con fare indifferente. «Ho dovuto subirmi la ramanzina di un ragazzino isterico, solo per proteggere te e le tue scappatelle amorose.»
Ai  termini “ragazzino isterico” e “scappatelle amorose”, mi parte uno schiaffo più che volontario, che si scaglia sulla sua guancia. Lo prego, poco gentilmente, di lasciare casa mia e lui si scusa immediatamente.
«Va bene, ho sbagliato linguaggio, ma prova a metterti nei miei panni» improvvisa, massaggiandosi la parte lesa. «Non avresti pensato male anche tu, vedendo le cose dal mio punto di vista?»
Ci rifletto e annuisco seccata. «Bene. Quindi che si fa?»
«Tu cosa gli hai raccontato?» chiede curioso. «E a proposito, che ti sei fatta al labbro?»
Non rispondo né a una, né all’altra domanda. Mi sento sotto processo, come è giusto che sia.
«Va bene, niente interrogatorio.»
Ci osserviamo e lui sospira. «Sai che questa situazione non porterà a nulla di buono. Quell’altro ragazzo, il famoso “cugino”, tornerà qui sì e no almeno due volte al mese, se non di più.»
A quelle parole rabbrividisco. Haymitch continua. «Perciò, o la fai finita qui o mi costringerai a…»
«E’ già finita» ribatto, interrompendolo.
Lui sospira di nuovo. «…O mi costringerai a prendere provvedimenti.»
La sua affermazione, per una volta, non nasconde nessun sottotono ironico o leggero.
«E’ vero che noi non meritiamo l’affetto di quel ragazzo, ma continuare a trattarlo così, non ci giustifica.»
Il discorso si fa serio e non trovo nessun modo per controbattere. «Gli abbiamo mentito già troppe volte, Katniss.»
Mi arrendo, sono troppo vulnerabile. Mi siedo su una delle sedie e gli faccio cenno con capo di fare lo stesso. Lui esegue il mio suggerimento. «Cosa vuoi che faccia, Haymitch?»
«Voglio che tu sia sincera e trovi veramente il modo di scegliere cosa sia giusto e cosa invece ti danneggerebbe. So che pensi di averlo già tra le mani, ma la verità è che nemmeno tu sai cosa fare.»
E’ tutto vero. Tutto troppo dannatamente vero.
«Io credevo di aver già scelto…» spiego.
Haymitch sorride dolce e annuisce con fare paterno. «Lo so, dolcezza. Lo so.»
Alla fine gli offro un po’ di vino scadente, visto che né io, né Peeta ci accingiamo a berne. Lui si lamenta un po’, ma trangugia lo stesso tutta la bottiglia nel giro di pochi istanti. Mi chiede di collaborare e sono costretta, tra un bicchiere e l’altro, a raccontagli cosa è realmente successo oggi e come questo labbro sia ridotto così male. Al termine della storia, fischia impressionato e, se non lo avessi guardato con un occhiataccia molto eloquente, avrebbe sicuramente applaudito. «Non è Peeta. Decisamente non è Peeta!» ridacchia euforico.
Decido di ignorarlo e aspetto che finisca di bere tutto l’alcool che la casa possiede. Arrivano le sei di pomeriggio e lo costringo a levarsi di torno con i miei modi gentili e premurosi. Lo spingo letteralmente verso la porta, ma prima di uscire, mi guarda dritto negli occhi tornado serio e calcolatore.
«Ricorda, Katniss: sincerità. Non farmi fare la parte della persona subdola e malvagia.»
«Ma tu sei subdolo e malvagio» mormoro secca.
Lui ride di gusto e se ne torna dalle sue oche, che lo aspettano impazienti come amanti innamorate.
Rimango di nuovo sola, con la consapevolezza di essere in trappola: o ci penso io a sistemare le cose, o sarà quel bastardo di Haymitch a mettere in chiaro i punti della situazione.
In questo momento ho solo voglia di vedere Peeta, abbracciarlo forte e mangiare il suo pane. Prometto a me stessa di fargli passare una bella serata, sforzandomi anche di trattenere gli incubi, se necessario.
Intanto, mentre aspetto, apparecchio la tavola, sistemo la cucina eliminando le prove della passata presenza di Haymitch. Ranuncolo mi osserva incuriosito e io gli dico di andare a fare pensieri strani da qualche altra parte.
Arrivano le sette e mezzo e di Peeta neanche l’ombra. Comincio a preoccuparmi. Non è un buon segno.
Io, Gale e Peeta nello stesso distretto, a pochi passi l’uno dall’altro, non ha mai nulla di rassicurante.
Sto uscendo di casa per precipitarmi al forno, quando il telefono squilla costringendomi a tornare indietro.
Rispondo velocemente, intenzionata a sviare la conversazione. Ma la voce al di là della cornetta mi blocca sul posto.
«Ciao, Katniss. Scusa l’improvvisata, ma mi chiedevo se avessi tempo per me, almeno per
qualche minuto.»



Ecco fatto! L'ennesimo capitolo concluso. Sì, mi scuso, è davvero poco interessante, ma volendo lasciare un po di suspance, ho preferito tagliare il capitolo in questo modo... Chi sarà mai a chiamare Katniss proprio in un momento così delicato? Va bhe, ci arriveremo! Purtroppo non so quando potrò aggiornare ancora... ho una settimana piena, fitta fitta di impegni. Quindi credo proprio che dovrò lasciare la storia in questo stato! E' sadico, lo so. Giuro che domani butto giù qualcosina e chissà magari entro domani sera il capitolo 5 sarà pronto!  Un bacione e grazie a chi a letto e continua a recensire. Mi rendete felice, Pain. 

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Capitolo 5
*** Novità ***


Sono tornata con il quinto capitolo e sono molto felice di aggiungere qualche tocco in più alla trama, ingarbugliandola ancora di più. Magari leggendo capirete anche voi a cosa mi riferisco. Grazie  a chi legge e continua a recensire, capitolo per capitolo. Mi rendete felice! Un bacio, Pain. 

Novità
 

Sono nel pieno dell’oscurità più acuta, quando mi ritrovo a vagare in cerca del Forno. Le giornate si stanno accorciando velocemente e il sole si nasconde dietro le montagne così in fretta da non riuscire nemmeno a dargli un ultimo saluto. Sento i piedi pesanti e non mi accorgo neppure delle persone che mi salutano, quando mi passano accanto. Tanto ci sono tutti abituati in paese, quindi so di non offendere veramente qualcuno. Ormai mi accettano così come sono: scontrosa e indifferente.
Arrivo davanti alla panetteria con il fiato corto e il busto infreddolito. Il solo pensiero di scaldarmi con il calore dei forni, mi mette subito di buon umore. Appoggio la mano sull’angolo della porta, che è l’unica cosa che rimane a separare me e Peeta dal essere vicini. Prima di procedere, però, ascolto attentamente le voci squillanti e vagamente allegre che discutono amabilmente al di là di essa. La prima voce appartiene senza dubbio a Peeta. Lo so perché, tra tutte, la sua è quella che considero la più bella e pura. La seconda, invece, credo di averla già conosciuta in passato, ma non riesco ad associarle un nome. Intuisco unicamente che proviene da labbra femminili.
Rimango ad origliare per un po’, incuriosita dal tono in cui la conversazione sembra animarsi.
«E’ incredibile quanto tu sia cambiato, Peeta.»
«Sono solo tornato quello di prima. Non credo che valga chiamarlo cambiamento» spiega lui.
Ridono sottovoce, per paura di fare troppo rumore. Non capisco il motivo del mio vuoto di memoria improvviso. Questa risata arrogante e lievemente grossolana, mi pare un ricordo sfuocato, ma comunque presente da qualche parte, nel mio subconscio.
«Lei deve esserne felice» ipotizza la ragazza.
Sento Peeta sospirare «Non lo so, sinceramente. Non mi sembra serena, o almeno, non tanto quanto vorrei.»
Stanno parlando di me. Chi altro può essere  quella apatica e insoddisfatta.
Un’altra risata. «Per quel poco che l’ho conosciuta, non penso sia il tipo da mostrarsi allegra, anche se magari lo è.»
La tensione arriva a picchi indescrivibili e non riesco più a trattenere la voglia di capire con chi sta parlando Peeta. Quindi, con convinzione, spalanco la porta della panetteria.
«Parli del diavolo ed eccolo che si materializza! » ghigna divertita Johanna.
Peeta diventa di un rosso incandescente e so che non è l’eccesivo calore del luogo a fargli questo effetto.
Osservo uno e poi l’altro, piegando la testa  in modo ironico. Che scena particolare, non pensavo avrei mai avuto possibilità di vederla. Non ora almeno.
Anche loro si lanciano delle occhiatine eloquenti, ma Johanna non pare particolarmente sorpresa.
E’ davvero i ottima forma, se si considera lo stato in cui l’ho lasciata mesi fa. I capelli le sono ricresciuti un poco, e adesso le arrivano appena sotto le orecchie, anche se in alcune zone sono più radi. Il fisico è asciutto e sello come un tempo, solo che adesso è molto più allenato e sano di quando la vedevo fasciata nella tuta grigia del Distretto 13. L’unica cosa che mi sfugge, però, è la sua presenza qui, nel 12.
«Ero preoccupata» dico rivolta a Peeta. Lui annuisce e mi fa un cenno di scuse.
«Anche io sono contenta di rivederti, Katniss!» Strilla Johanna, traffigendomi con uno sguardo vagamente offeso.
Mi giro nella sua direzione e penso di doverle almeno un saluto, visto tutto quello che ha passato e i precedenti rapporti che si sono creati tra noi. «Ciao, Johanna. Ti trovo bene.»
Sembra soddisfatta dalle mie parole, perché fa una ruota su se stessa, mettendo le mani sui fianchi.
«Vorrei poter dire lo stesso di te, ragazza di fuoco.»
Quel soprannome mi fa rabbrividire e Peeta le sfiora la schiena, facendole capire di non scherzare troppo e di non andarci pesante con le battute. «Sto scherzando, sto scherzando! Sei davvero carina.»
Il suo tentativo di rimediare mi fa sorridere e finalmente l’aria pesante si calma.
«Che ci fai qui?» le chiedo interessata.
Lei giocherella con le dita e tiene lo sguardo basso. «Avevo voglia di farmi e una gita tra le miniere di carbone e questa mi è sembrata un’ottima destinazione.»
Comprendo che non mi rivelerà mai la reale motivazione, quindi lascio perdere e capisco che me ne è grata.
Mi sporgo verso Peeta e lui mi appoggia una mano sul fianco, in segno di pentimento. Lo guardo bene e gli faccio giurare con gli occhi di raccontarmi tutto una volta arrivati a casa.
«Johanna non ha un posto dove stare stanotte» inizia Peeta. «Quindi mi sono offerto di prestargli la mia casa al Villaggio dei Vincitori. Tanto io non ne ho bisogno per ora.»
Johanna sogghigna alla sua affermazioni, fantasticando con la mente su scene di cui non voglio venire a conoscenza.
Alla fine, Peeta chiude la panetteria e io e lui accompagniamo Johanna insieme a noi, lascandola davanti alla sua residenza improvvisata. Ci saluta con fare teatrale e da un bacio sulla guancia di Peeta, facendomi l’occhiolino. Questo mi infastidisce, ma dopo penso che dietro tutta questa messa inscena, si nasconde un animo instabile. Quando ci ritroviamo in salotto a parlare, io e Peeta siamo stanchi e affamati, eppure, toccare cibo non ci sfiora la mente.
«Il Dottor. Aurelius ha preso sotto la sua ala il caso di Johanna e le ha suggerito di andare a trovare vecchie conoscenza. Sai, persone che possano ricordarle famigliari o parenti» racconta lui, un po’ turbato. «E lei ha scelto noi.»
Il fatto mi sconvolge e mi sento anche lusingata. Una malsana preoccupazione mi avvolge, tremando per tutto il mio corpo. Ho troppe emozioni per lei, in questo momento e non credo di saperle gestire, quindi mi accingo a raccontare la mia storia. Quella che mi ha resa protagonista di una telefonata prima di uscire a cercarlo.
«Mi ha chiamato mia madre, era preoccupata. Non mi sente da parecchio tempo.» Spiego. «Aveva la voce distrutta. Ha rischiato di scoppiare a piangere due o tre volte.»
Peeta annuisce, ma non pare aver voglia di accusarmi per il mio comportamento di figlia mancata. Al contrario, mi accarezza la guancia, dicendomi di non farmene una colpa. Non potrei aiutarla, neanche volendo. Dopo la morte di Prim sento che la sola via d’uscita è quel piccolo ospedale del Distretto 4 in cui lavora.  
Alla fine siamo costretti a ingurgitare qualcosa, perché i nostri stomaci fanno talmente tanto rumore da svegliare Ranuncolo un paio di volte. Ceniamo in silenzio e succhiare la minestra bollente è davvero un’impresa. La ferita pulsante al labbro non smette di torturarmi, e la visione di me che soffro in silenzio smorza l’appetito anche a Peeta. Dopo aver provato a mangiare, lui si cura del mio taglio con minuziosa attenzione. Il disinfettante brucia e con esso anche la garza con cui me lo tampona. Ripenso al momento in cui Gale deve avermelo fatto. La ginocchiata tra le gambe non se l’aspettava di certo e avendo la bocca socchiusa, incastrata alla mia, deve averla richiusa bruscamente per la sorpresa. Non me lo perdonerà tanto facilmente. Come non me lo perdonerà Haymitch se non mi decido a chiarire la situazione con il mio cuore.
La medicazione giunge al termine e vorrei baciare Peeta per tanti motivi e ci provo anche, se non fosse che il solo contatto con la sua bocca mi provoca lancinanti dolori alla ferita ancora aperta. Questo fa soffrire entrambi. Capisco che ho sopportato pene peggiori e lo bacio comunque, infischiandomene delle sue preoccupazioni per la mia salute.
E’ lungo e delicato questo bacio, così differente da quello ricevuto da Gale nel laghetto del bosco. Sono soddisfatta di aver provato a rifiutarlo, perché le uniche labbra che desidero davvero sono quelle di Peeta, che non mi costringeranno ne mi morderanno mai. Se non sarò io a chiederlo espressamente, certo.
Non gli dico che mia madre vuole vedermi, non gli dico che la presenza di Johanna mi ingelosisce e non dico nemmeno quanto lo amo in questo momento.
Sono arrabbiata con me stessa per avere un impedimento così grande, ma davvero andare contro la mia natura mi è impossibile. Sento girarmi in testa le parole di Haymitch, che sussurrano “sincerità”.
Ed è meglio che trovi la forza di confessare davvero tutto ciò che ho dentro, perché percepisco, in un futuro non lontano, che non mi resta più molto tempo per averne la possibilità. 

Sì, lo so, è  cortino e contiene poca roba. Però alcune novità ci sono state davvero. Johanna mi piace molto come personaggio, e mi dispiace per chi invece pensa il contrario, perchè come soggetto mi serve essenzialmente per la trama della storia.

Quindi, per favore, provate a sopportarla se non vi va a genio! Per il resto sono stra felice di essere riuscita ad aggiornare, credevo di non averne il tempo! Meglio così, perchè, se non pubblico il sesto capitolo domani, non so prorprio quando ci riuscirò! Troppi impegni mi tengono lontana da pc.... Detto questo spero vi sia piaciuto, tanto quanto è piaciuto a me scriverlo. Aspetto un responso, positivo o negativo (speriamo di no XD ) che sia.
Un bacione, Pain 

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Capitolo 6
*** Amica ***


Sesto capitolo! Sto aggiornando troppo frequentemente, sicuramente vi state perdendo alcuni capitoli senza nemmeno accorgervene XD vi cosiglio di dare un'occhiatina all'indietro se vi sorge qualche dubbio. Mi auguro che anche questo pezzo possa risultare interessante e aspetto i vostri pareri. Un bacio, Pain. 

Amica

Non so come, e cerco di non chiedermelo, ma siamo finite a fare colazione insieme, a casa mia per giunta.
Johanna è mezza nuda, naturalmente. E’ venuta qui di mattina presto, sotto richiesta di Peeta, che l’ha invitata a non farsi problemi e a godersi tutta la nostra disponibilità. Non che io ne abbia da vendere, sia chiaro.
Spero proprio non si sia presentata in questo stato, mentre Peeta andava a chiamarla, prima di andare al Forno. Non credo rimarrei indifferente, se fossi un ragazzo  e mi trovassi davanti il corpo statuario di una giovane donna vestita solo di una canottiera striminzita, che le arriva all’ombelico, e un paio di pantaloncini, che chiamare realmente pantaloni sembra una presa in giro.
Do a vedere tutto il mio disappunto, ma lei mi ignora bellamente, rivolgendomi invece un mucchio di domande. «Che hai fatto alla bocca?»
Sbuffo, stanca di raccontare a tutti la stessa storia. «Sono scivolata» spiego. «Ho picchiato sul bordo della vasca da bagno.»
Johanna ghigna poco convinta, ma annuisce comunque. «Peeta mi ha detto come vanno le cose tra voi. Pare ci sia ancora un bel po’ da lavorare in quella tua bella testolina.»
La vedo inzuppare un biscotto nel caffè bollente che si è preparata, per poi ingurgitarlo tutto intero, senza nemmeno masticare. Quando fa così, vorrei solo prenderla a calci. Perchè Peeta si confida con un esemplare simile?        
 Lascio correre e bevo un sorso di latte caldo. Johanna capisce che non reagirò ai  suoi giochetti e ne rimane delusa. «Avanti, Katniss, dimmi qualcosa. Rispondi alle mie domande.»
«Tu non rispondi a nessuna delle mie, se è per questo.»
Ci osserviamo con sguardo glaciale. Se in questo momento fossimo nell’arena, la parola “alleate” non ci sfiorerebbe il cuore nemmeno per un istante. Ho davvero pensato che  fosse cambiata, eppure, i suoi gesti mi smentiscono ogni secondo che trascorriamo insieme. Avrei potuto accoglierla come una sorella perduta, se solo me ne avesse dato l’opportunità, ma pare sia qui unicamente per darmi fastidio e rovinarmi l’umore.
Terminiamo la colazione, però nessuna delle due ha intenzione di alzarsi e lavare le tazze sporche. Una cosa ci accomuna, allora. Alla fine, ci aiutiamo a vicenda. Io risciacquo, lei asciuga. E’ bello, mi sembra di avere di nuovo con me le abitudini di quando io e Prim badavamo a noi stesse.
«Me ne andrò via presto, se è questo che vuoi sapere» mormora Johanna, in tono basso. Intanto le passo un cucchiaino d’argento, che lei strofina e ripone nel cassetto della credenza.
«Non ho mai detto di volere la tua partenza» spiego, giustificando un po’ il mio comportamento.
Lei sorride, furba. «Allora credo proprio che il Distretto 12 potrebbe diventare un buon posto in cui vivere.»
Gli schizzo un po’ d’acqua sul viso, curandomi di non superare una certa quantità, vista la sua fobia.
«Adesso non esagerare» dico, la stessa espressione ci passa sul viso.
Finiamo per azzuffarci un po’, senza farci male realmente. La rabbia passa e capisco che la vera Johanna è tornata tra noi.
«Mi sto annoiando, Katniss.» ha un tono lamentoso, come quello di una bambina viziata. «Portami a trovare Peeta alla panetteria.»
Gli lancio un’occhiataccia che lei scaccia con la mano. «Se Miss. Gelosia non gradisce, andrò dove vuole lei.»
Rifletto. Tecnicamente non mi è permesso uscire di casa. Ma non so se Gale sia ancora nei paraggi. Dovrebbe essere tornato al 2, ormai. Se aveva in testa una qualche idea di restare, con la mia ginocchiata, la voglia dev’essergli passata di sicuro. Quindi mi metto il cuore in pace e acconsento all’idea di Johanna di prendere una boccata d’aria. Farà bene ad entrambe.
Le presto una tuta comoda, ma lei preferisce rimanere abbigliata così com’è. «Sei seria?» le domando scettica. Lei annuisce cocciuta. Perciò, l’unica che proverà ad essere normale a quanto pare sono io.
Nonostante non adori agghindarmi e farmi carina, il confronto con Johanna mi preoccupa un po’, quindi prima di uscire, indosso un completo della mia taglia, che mette in risalto le forme, e per una volta dopo tanto tempo, lascio sciolti i capelli sulle spalle. La mia immagine riflessa nello specchio della camera da letto, mi fa tornare ai tempi in cui Cinna si impegnava per farmi risultare bellissima e desiderabile agli occhi di tutti. Non raggiungerò mai livelli tanto alti, ma adattarmi con quello che ho non mi dispiace.
Quando mi presento all’ingresso, Johanna fischia in segno d’approvazione e mi costringe a fare un giro su me stessa, proprio come ha fatto lei il giorno precedente. Mette un braccio intorno al mio collo ricco di cicatrici sbiadite e ci incamminiamo chissà dove, come due novelle innamorate.
Non arriviamo molto lontano, visto che un certo starnazzare mischiato all’odore di liquore ci costringe a fermaci. Johanna ride sguaiatamente piegandosi in due. «Hey, Haymitch! Brutto ubriacone, che fai adesso? Badi alle anatre?»
«Si da il caso che siano oche» la corregge lui, barcollando verso di noi.
Sono scossa da una parte all’altra,  visto che lei non intende lasciarmi andare nemmeno mentre corre a salutarlo. Gli si riversa contro con schiamazzi e insulti amichevoli, come se fossero conoscenti di vecchia data. Mi ritrovo a sentire cose che non vorrei sentire e viceversa.
Haymitch mi guarda sospettoso. «Che ci fate in giro vuoi due?»
Visto che non fa domande sulla presenza di Johanna al distretto, do per scontato che lo abbia scoperto da Peeta e questo mi toglie un bel grattacapo a cui rimediare. Sono felice che ci sia lei con me, almeno lui non avrà modo di ricattarmi come è suo desiderio fare. Johanna gli spiega cosa gli frulla per la testa e lui non ne sembra molto contento. «Farete pensare male tutto il paese se vi vede così appiccicate.»
Mi viene la nausea alla possibilità che qualcuno possa credere veramente a una qualche relazione tra me e questa bomba ad orologeria. Perciò, grugnisco, mostrando dissenso.
Johanna risolve la questione con uno dei  suoi soliti discorsi sobri. «E’ ora che questo posto si scandalizzi un po’, non è vero, Katniss?»
Non le rispondo e osservo Haymitch, scorgendo pensieri contorti nei suoi lineamenti. Mi fa paura quando mi guarda  così. La mia nuova compagna percepisce la tensione e scacciando eventuali repliche con un gesto della mano, lo saluta, trascinandomi verso il cancello del Villaggio dei Vincitori. Una volta sole, perde tutto il suo spirito ironico. «Hai per caso mangiato a tradimento una delle sue oche? Non aveva una bella cera…»
Alzo le spalle, indifferente, facendola insospettire ancora di più.
Arriviamo al Forno e scorgo Sae che maneggia un pesce più grande della sua stessa piccola baracca per le vendite. Anche lei ci vede e sbarra gli occhi, spaventata. Non comprendo il perché di una simile reazione, ma non mi trasferisce niente di buono. Johanna, al contrario, non nota nulla e continua imperterrita il suo giro di ricognizione generale, cacciando il naso in ogni bancarella disponibile. Da lontano vedo Sae inviarmi segnali con le labbra contratte.  La ferita inizia a pulsare forte e il bruciore diventa insopportabile. Mi fa così male che siamo obbligate a farmi bagnare la bocca con un po’ d’acqua gelata. «Va meglio?» Johanna si preoccupa e io annuisco insoddisfatta. Mi esamina il labbro e scuote il capo. «Davvero netto, per essere un taglio procurato da una vasca da bagno.»
Gliela do vinta, spiegandole che non c’è stata nessuna caduta e che non è colpa del mio essere maldestra. Però non vado oltre e lei lo accetta. «Non dirlo a Peeta, se puoi.» la supplico.
«Promesso» giura facendo una croce sul cuore. «Come nell’arena.»
«Come nell’arena» ripeto.
Sono lieta di averla accanto, e me ne sorprendo.
Mentre siamo sedute su una panca di legno vecchia quanto me, intravedo ancora Sae, che gesticola parlando con qualcuno. Pare stia bloccando una persona, cercando di non farla proseguire. La tenda della sua baracca non mi permette di vedere chi è, ma immagino sia uno di quei furfanti da quattro soldi che cerca di imbrogliarla.
Anche Johanna sta prestando attenzione alla scena, solo che al contrario di me, riconosce la figura con cui la donna sta discutendo. Il suo viso passa dal bianco al rosso acceso, nel giro di pochi secondi. In un attimo balza in piedi, lasciandomi spiazzata mentre sorseggio ancora la mia acqua fresca.
La vedo muovere il capo a destra e a sinistra in cerca di qualcosa, che evidentemente non trova.
Sto iniziando a preoccuparmi sul serio e mi metto in piedi per starle alla pari. Ma lei mi si pianta davanti, cominciando a rovesciare discorsi senza senso. «Qui fa caldo, non credi? Meglio spostarci.»
Rifiuto di seguirla e mi sporgo nella direzione dove Sae sta ancora bisticciando.
Il sole rende difficile vedere tutto chiaramente e non mi accorgo che qualcuno mi sta venendo addosso come un animale inferocito. Meno male che Johanna mi si para di fronte, costruendo un muro di protezione. A quel punto il morso profondo che ho su labbro inferiore rischia di farmi piangere di dolore.
La sento respirare pesantemente, agitata come un cane selvatico braccato da un cacciatore affamato.
«Ciao, bellissimo! Scusami ma lei non si tocca. Almeno finche ci sono io a guastarti la festa.»
 
Mi scuso tantissimo se il capitolo presenta delle imperfezioni, è stato scritto mentre i miei occhi e il mio cervello non connettevano più insieme e si rifuitavano di collaborare tra loro. Prometto di rileggere il tutto e aggiungere evenutali correzioni. Anche sta volta il vostro parere è ampiamente gradito! Vi auguro una buona notte, un bacio, Pain. 

 

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Capitolo 7
*** Verità ***


Settimo capitolo! Sono rimasta lontana per qualche giorno e sicuramente avrete potuto riposare un po senza i miei continui aggiornamenti :') spero che questo capitolo possa piacervi, mi ci sono impegnata tanto. Un bacio, Pain 
 

Verità

Sento che niente ha più un senso, partendo dal cielo che mi sovrasta e arrivando fino al suolo che i miei piedi calpestano. Le parti paiono invertirsi e ciò che prima era giusto, adesso ha preso una piega sbagliata.
Johanna mi sta difendendo, mentre Gale la sovrasta con tutta la sua presenza ingombrante. E’ questo a non andare bene. Le cose non dovrebbero girare in questo modo: lui che cerca di farmi del male, mentre lei mi protegge rischiando la pelle.
Provo a scostare Johanna, ma lei oppone resistenza, continuando a spingermi ripetutamente dietro la sua schiena, dritta e ampia. E’ più alta di me, anche se di poco, quindi la sua ombra mi preserva dal sole e dalla rabbia di Gale, entrambi accecanti. Sono talmente preoccupata per la sua incolumità, che il cuore mi batte all’impazzata, mandando sangue formicolante alla  mia ferita pulsante. Sembra come se il taglio, ben incentrato sul labbro inferiore, sentisse la presenza di chi l’ha generato e cominciasse a bruciare ogni volta che lo percepisce nei paraggi.
«Non ho tempo per giocare con te. Levati » il tono di Gale è freddo e minaccioso. Lo posso vedere anche dal suo viso teso, che riesco a scorgere al di là della spalla di Johanna, mettendomi leggermente sulle punte.
Lei però non si muove di un millimetro e resta ferma dov’è. «Dipende da cosa hai intenzione di fare.»
Lui si spazientisce e le poggia una mano a lato del braccio, con l’intenzione di scansarla.  Johanna oppone resistenza,  indietreggiando contro di me, che arretro di conseguenza. Però, non demorde ancora, cocciuta com’è a non dargli ciò che vuole.
«Katniss, dille di togliersi di mezzo!»
«Io non prendo ordini da Katniss! Se mai è il contrario» ribatte lei, mostrando i denti.
Le pizzico il fianco, facendole intuire che sta esagerando con la sceneggiata, ma lei mi ignora.
«Johanna è okay. Lascialo passare» tento di persuaderla. «Anzi, permetti a me di avvicinarmi.»
La ascolto sbuffare, indecisa sulla strada da prendere. «Il suo ragazzo mi ammazza se non la riporto a casa tale  e quale a prima.»
Ah, ecco. Immaginavo che Peeta centrasse qualcosa. Devo essere arrivata troppo tardi ieri, in panetteria. Sicuramente quei due si sono messi a parlare di me e di ciò che mi circonda e automaticamente lei è diventata una dei tanti aiutanti ingaggiati  da Peeta per tenermi d’occhio. Questo mi ferisce doppiamente.
Gale deglutisce rumorosamente, poi sputa un po’ di saliva a terra. «Non è nel mio interesse se vivi o muori. Ma io non ne sarò di certo il responsabile, quindi spostati.»
Lei diffida ancora qualche secondo, mi guarda crucciata, finche non mi libera e il sole torna ad illuminarmi il viso.  «Ti tengo d’occhio, bell’imbusto» dice lei prima di allontanarsi un poco, piazzandosi a lato di una delle tante  bancarelle del mercato. Finalmente io e Gale rimaniamo soli, l’uno di fronte all’altro.  
«Mi dispiace per questo» mormora, indicando il taglio con l’indice, senza toccarlo. Io annuisco, osservandogli il cavallo dei pantaloni «Anche a me.» E lui capisce a cosa mi riferisco. Restiamo un attimo in silenzio, incapaci di trovare le parole. 
Io rompo il ghiaccio per prima. «Pensavo te ne fossi già andato.»
Lui distoglie lo sguardo, lanciando un’occhiataccia a Johanna, che ricambia volentieri. «Avevo alcuni affari in sospeso. E tu sei uno di quelli.»
Arrossisco violentemente e mi rincuoro di potermi nascondere tra le ciocche di capelli ribelli che mi coronano il viso. La vecchia treccia, in questo momento, non mi manca affatto. Lui però me li scosta con le dita, volendo guardarmi  bene per capire cosa provo. A questo suo gesto,  udiamo Johanna schiarirsi la gola grossolanamente. Gale trattiene un ringhio e rimette la mano accanto al busto, dove è giusto che stia.
Io gli faccio cenno di non darci troppo peso e riprendo la nostra conversazione. «Io sono già risolta da molto tempo, non credi? Era tutto chiaro, per te.»
Lui ride, amaro. «Chiaro? Lasciarci senza dire nulla e rimanere lontani per quasi un anno? Davvero cristallino, certo.»
Incrocio le braccia al petto «Sei tu che sei scappato.»
«Tu mi hai costretto!» strilla Gale.
«Hey, abbassa i toni!» risponde Johanna, lanciandogli un sassolino in testa. «Ops!»
Gale sta per andare ad acciuffarla ed io lo trattengo stretto per un braccio,  facendolo ragionare.
Lui mi allontana. «Devo andare Katniss. Partirò tra due giorni, tempo di sistemare i carichi e raggruppare i miei compagni.»
A quelle parole rabbrividisco. Se ne torna al Distretto 2, di nuovo. Mi sento delusa, sollevata e confusa tutto contemporaneamente. Penso a noi, a quello che eravamo e che siamo diventati. Penso alla bellezza del suo viso, che irradia virilità da ogni poro. Lo metto a confronto con quello di Peeta, e devo sbarazzarmi dell’immagine che mi si crea in testa, perché le differenze mi mettono fuori uso il cervello. Troppo diversi, troppo essenziali entrambi.
«Capisco» ho la voce rotta, sul punto di piangere.
Lui mi prende tutte e due le braccia, portandomi vicino a se. Sulla sua bocca si materializza un sorriso speranzoso e qualcosa mi dice che quello che sta per espormi, mi stravolgerà la giornata e l’intera esistenza. «Avevo un piano. Uno di quelli stupidi e avventati. Li  escogitavamo insieme un tempo, ricordi?»
Annuisco nostalgica e lui sorride ancora. «Devi ascoltarlo e prenderlo in considerazione, okay? Promettimi che almeno lo valuterai, senza scartarlo subito.»
Gli dico di sì, anche se non so quello che sto approvando.
Capendo che gli darò un’opportunità, Gale mi stringe forte, sollevandomi in aria. «Bene, ascolta: tra due giorni io…»
«Tempo scaduto! E rimettila a terra» Johanna mi è accanto e punta un dito in faccia a Gale, facendolo allentare la presa sul mio corpo. Lui mi guarda e comprendo che se c’è lei non può rivelarmi nulla. Sa che è amica di Peeta e sicuramente non vuole rovinare la sola speranza che ha per… bhe non lo so. Non so cosa gli frulli per la mente. Quindi mi saluta freddo, lanciandomi uno sguardo eloquente, che pare dire “aspettami”. Verrà lui a cercare me? O sarò io a congiungermi a lui? In tutti e due i casi, sto mentendo per l’ennesima volta a Peeta. E Haymitch non deve scoprirlo.
«Si è comportato bene?» chiede Johanna facendomi l’occhiolino.
«Sì, sì. Lo hai terrorizzato a morte.»
Lei sembra soddisfatta e gingilla la testa a destra e sinistra, come un cagnolino fa con la coda.
Camminiamo verso il Villaggio dei Vincitori, stanche di questa passeggiata terribile. Il vento inizia ad intensificarsi e con esso anche il sole. Mi sento fisicamente e psicologicamente vuota. Il susseguirsi degli eventi è stato rapido come un lampo e io non sono riuscita a elaborare le informazioni in modo soddisfacente. Ero convinta che Gale volesse rompere con me definitivamente, magari usando un comportamento violento e avventato. Invece, lui vuole rimediare, trovare un’alternativa a questo finale sfortunato che è toccato proprio a noi. Quello che non so è se voglio anche io la stessa cosa. E a spese di chi, per giunta? Mie? di Peeta? Non ne ho idea.
Provo solo un grande peso dentro lo stomaco, che si ingrandisce ad ogni passo che compio. Desidererei scomparire, dissolvermi nel nulla, alleviando così l’animo di tutte le persone che mi conoscono e si costringono a starmi vicino. Peeta troverebbe qualcuno molto meglio di me, che non lo farebbe soffrire e sentire sempre meno di quello che merita. Mia madre, a cui devo ancora permettere di venirmi a trovare, avrebbe sicuramente meno gratta capi senza una figlia così ingrata. E Gale. Gale sarebbe libero da ogni faccenda in sospeso, e potrebbe amare una ragazza completamente integra, non divisa in due come sono io.
Tutti questi pensieri mi fanno sentire inutile, un fardello per l’intera umanità.
Per un attimo il ricordo dell’arena mi rincuora. Vorrei poterci ritornare. Ma non per combattere e vincere. Ma per arrendermi immediatamente e lasciare che qualche altro tributo mi uccida con facilità. E non ci sarebbe più nessuna Katniss, ne nessuna ragazza di fuoco. La ghiandaia imitatrice scomparirebbe tra il sangue e le piume. Finalmente.
Johanna mi scuote piano e io le faccio cenno di stare bene. Arriviamo davanti a casa mia e lei dice di voler farsi una doccia e che tornerà per l’ora di pranzo. «Per prima, non preoccuparti. Sarò una tomba. Te l’ho promesso.»
Io la saluto, ringraziandola, poi mi richiudo la porta alle spalle, lasciando il mondo fuori. Ranuncolo mi viene vicino e io lo accarezzo. Anche lui sarebbe un gatto più felice senza di me.
Passo accanto ad uno specchio e la mia immagine mi fa ridere. Sembro una finta imitazione di me stessa. Non sono io, questa. I capelli sciolti, i vestiti stretti, il viso fresco. Decisamente un falso.
Ci  impiego poco a tornare nei miei panni. Basta una treccia veloce, un completo comodo e un broncio da manuale. Adesso il riflesso mi pare più realistico. Prima ero irriconoscibile. Rifletto un secondo sul da farsi, materializzando tutte le idee in un quadro generale. Prima le cose importanti, poi quelle irrilevanti. 
Al posto più alto c’è Peeta. Al secondo Gale e mia madre. Al terzo Haymitch e Johanna. E Agli ultimi posti me stessa e i miei sentimenti. Adesso non manca che  scalare uno ad uno i posti della classifica e occuparmi di ognuno di essi.
Peeta è il primo ed il più complicato da gestire. Non mi viene in mente nulla da fare per mettere in chiaro le cose con lui. In più adesso c’è anche Johanna che gironzola per casa, quindi la nostra privacy è uguale a zero.  
Sto pensando a cosa inventarmi, quando sento dei passi frettolosi giungere da fuori. Peeta è arrivato prima del previsto. E’ come se avesse intuito che qualcosa non va. Lo vedo entrare in casa con foga, ha il viso arrossato, con gli occhi lucidi e le pupille dilatate. Non riesce a tenere ferme le mani e quando Ranuncolo va a dargli il benvenuto, lui lo caccia via bruscamente.
«Katniss, stai bene?» ansima lui, venendomi in contro.
«Certo, perché?» Io gli porgo le mani, che lui stringe tanto da farmi male.
In un secondo il suo sguardo muta e le mie dita vengono lasciate andare velocemente, rimanendo sospese tra noi. «Cosa ti è venuto in mente? Perché sei uscita!»
Sae deve aver fatto la spia e lui sa tutto, me lo sento. «Me lo ha chiesto Johanna. L’ho accontentata.»
«Johanna poteva andare anche da sola!» strilla lui, su tutte le furie.
Mi scanso, infastidita. Mi sento una prigioniera nel mio stesso corpo. «Vuoi che rimanga reclusa in casa ogni volta che Gale è nei paraggi?»
Questo lo fa irritare ancora di più e niente sembra poterlo placare. «Te lo avevo chiesto. Hai promesso.»
«Peeta tu non ti fidi di me.»
Lui mi trafigge con gli occhi. «E faccio male, per caso?»
Ho un’espressione interrogativa, che lui risolve immediatamente. «Hanno visto tutti la vostra bella sceneggiata in paese. Era prevedibile che le voci arrivassero fino a me.»
«Non abbiamo fatto nulla. Solo parlato. Si è anche comportato bene» rispondo.
Peeta si morde il labbo. «E cosa pretendi? Che vi faccia i complimenti per non aver dato spettacolo?»
Esco dalla sala e mi dirigo direttamente in camera da letto. Non voglio più ascoltarlo. Forse perche ha torto, forse perche ha ragione. Come immaginavo, mi segue e mi riporta davanti a lui con uno strattone.
«Non sfuggire come se avessi paura» mormora. «Ti posso assicurare che quello più spaventato sono io.»
A quelle parole mi si stringe il cuore. Devo assolutamente raccontargli ogni particolare. Anche se non ci riesco. «Peeta non so se ne voglio parlare.»
«E invece ne parliamo, Katniss.»
Si siede sul letto e tiene lo sguardo basso, in cerca di calma e razionalità. Mi inginocchio ai suoi piedi, pronta ad ogni conseguenza di quello che sto per dire. «Cosa vuoi sapere?»
Peeta alza la testa quel poco che basta per incontrare il mio sguardo, poi fa un respiro profondo. Il più lungo che gli abbia mai sentito esalare. «Vi siete già visti prima di oggi, vero?»
«Sì.»
Deglutisce. «E’ stato lui a farti questo?»
I suoi occhi indicano la ferita al labbro ed io annuisco, trattenendo le lacrime. «Sì.»
Anche i suoi occhi sono diventati lucidi. «Lo sapevo.»
Mi aggrappo alle sue gambe e stringo forte. Ormai le lacrime mi rigano il viso. «Non era programmato, lo giuro. E’ stato un caso. Io non volevo, ecco… l’ho respinto. Davvero, non conta, non cambia nulla» sto riversando parole a caso, nella confusione totale. Ho troppe cose da dire. Mille modi di giustificarmi.
Peeta mi blocca con un gesto della mano. «E’ stato quel giorno in cui ti ho chiesto di rimanere in casa?»
«Sì, quello» singhiozzo.
Lui si massaggia le tempie. «Ma tu sei uscita comunque. Proprio come oggi.»
«Sì, mi dispiace…»
Peeta si mette a terra come me e insieme continuiamo a piangere, come bambini che si chiedono scusa a vicenda. «Sapevo che non mi avresti ascoltato. Tu non lo fai mai» sussurra. «Non potrò mai cambiare ciò che sei. L’ho capito adesso.»
Gli appoggio la testa sulla spalla e continuo a versare il mio pianto su di lui. «Io non volevo farti del male. Mai. Mi dispiace»
«Lo so» dice lui, senza toccarmi o cambiare posizione. «Lo ami. Vero o falso?»
«Falso. Io amo te » rispondo, la voce che trema. «E tu mi ami. Vero o falso?»
Si tira in dietro, lasciando il mio capo senza un appoggio. Ci scrutiamo attentamente e io aspetto la sua conclusione. Che non tarda ad arrivare, proprio come il tuono dopo un lampo.
«Non lo so, Katniss» Peeta si alza, lasciandomi completamente sola. A farmi compagnia ci sono unicamente crisi e incubi terrificanti.


Ecco ci qui! Mamma mia che tristezza queste ultime righe, mi si spezzava il cuore mentre le scrivevo. Mi scuso, come sempre, se ci sono errori di grammatica e di stesura, ma a volte anche rileggendo non ci faccio caso! Mi auguro vi piacia, ci vediamo nel prossimo capitolo, che è già nella mia testa che elabora. Un abbraccio, grazie di aver letto.
Pain. 

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Capitolo 8
*** Proposta ***


Capitolo otto! Essendo tornata attiva, sto dedicandomi alla fan fiction in modo ossesivo. Questo racconto mi prende davvero tanto! Voglio ringraziarvi se siete arrivati fino qui e spero continuerete ad accompagnarmi in questa avventura. Vi lascio al testo, un abbraccio, Pain! 

Proposta

Devo essere svenuta, perché, quando riapro gli occhi ermeticamente chiusi, dalle finestre non entra nessuna luce, solo buio e desolazione. Mi guardo intorno smarrita, e mi accorgo che sul comodino e in vari angoli della stanza sono state accese alcune candele. Accanto a me, sdraiata sul tappeto, c’è Johanna, che dorme profondamente. In un primo momento mi spavento, poi un senso di tenerezza mi ingoia il cuore, ed insieme ad esso un’immensa tristezza. Deve aver scoperto tutto ed ora è qui a darmi la sua comprensione silenziosa. Mi avvicino e la sento respirare regolarmente, come una bambina. Le accarezzo la fronte, spostandole dal viso alcune ciocche di capelli ribelli, poi recupero una coperta e gliela stendo sopra, cercando di coprire interamente tutto il suo corpo. Quando è così, indifesa e senza pretese, non resisto a volermi occupare di lei.
Mi alzo troppo velocemente e la testa mi gira in un vortice di emozioni contrastanti. Prendo una candela e, stando attenta a non fare troppo rumore, esco dalla stanza, dirigendomi in salotto. Non so perché, ma appena ci arrivo spero di trovarci Peeta, magari che accarezza Ranuncolo o che mi aspetta per la cena. Ma naturalmente lui non c’è.  Il caminetto è spento e mi ci vuole qualche minuto per ravvivare un fuoco decente. Quando riesco ad accenderlo, mi ci piazzo davanti, provando a scaldarmi un po’. Ranuncolo mi si avvicina, accucciandosi al mio fianco, in cerca di attenzioni. Io c’è la metto tutta per farlo sentire amato, ma come posso voler bene a qualcuno, quando non apprezzo nemmeno me stessa.
Lui mi osserva con occhi tristi, malinconici, molto simili ai miei. Entrambi sentiamo la mancanza di Peeta, proprio come un tempo sentivamo quella di Prim.
«E’ stata colpa mia, di nuovo» gli dico, ma lui pare non capire. Continua a strofinare la testolina sul palmo della mia mano, senza incolparmi di nulla.
Io invece, mi sento come un mostro e non ce la faccio più a trattenermi. Quindi scoppio in un pianto muto, straziante. Appoggio la testa tra le gambe e le ginocchia mi schiacciano il naso umido. Mi consolo da sola, fin quando non percepisco due mani delicate strofinami le spalle. Quando alzo lo sguardo, la mente mi inganna, facendomi visualizzare il viso di Peeta.
«Hey, Katniss» Johanna mi cinge , dondolando come un’onda marittima. Io la guardo, poi mi lascio andare, stringendola in maniera ossessiva. Lei, con un po’ di fatica e astio, ricambia.
«Riportalo qui» mormoro tra le lacrime salate. «Riportamelo.»
Johanna, forse impietosita, forse realmente provata dalla mia reazione esasperata, si commuove.
«Tranquilla» sussurra. «Si sistemerà tutto.»
Sta mentendo, lo intuisco. Eppure, mi aggrappo alle sue parole, che assomigliano all’unica ancora di speranza possibile. Restiamo abbracciate, seppur non volendolo, finché il mio pianto non si calma, fino a placarsi.
Lei mi asciuga le guance, maldestra. «Va meglio?»
Faccio cenno di no con la testa, sollevando le spalle.
«Bhe, meglio di niente» dice, alzandosi per andare a recuperare un bicchiere d’acqua.
Quando me lo porge, rischio di farlo cadere miseramente, tanto mi tremano le dita. Alla fine, Johanna è costretta ad appoggiarmi il bicchiere alle labbra e farmi bere a piccoli sorsi.
«Cosa ti ha detto?» chiedo, la voce rotta.
Lei sospira e si rimette seduta vicino a me. «Diciamo che non è proprio venuto in pace. Anzi, era parecchio arrabbiato.»
Deglutisco e lei continua «Mi ha obbligato a raccontagli tutto quello che ho visto e sentito, che in ogni caso non è molto, e alla fine è scoppiato proprio come te.  Inutile dire che mi sono messa a consolare anche lui.»
Non trovo la forza di controbattere e Johanna tenta di espormi ciò che sa «Mi ha supplicato di lasciarlo solo e mi ha spedito qui da te. Credo volesse che qualcuno, nonostante tutto, ti stesse accanto.»
Peeta si preoccupa per me. Quando io gli faccio del male, lui si cura della mia persona. Perche?
Questo mi deprime più di prima.
Lui si trova nella sua casa nel Villaggio dei Vincitori, a pochi passi da me. Ed io non ho il coraggio di andare a parlargli. Se c’è una possibilità di rimediare, non sono mai capace di farmi valere.
«Devo andare da lui» mormoro. Intanto sono già in piedi, indecisa su come muovermi.
Johanna mi si para davanti, scuotendo la testa. «No, no. Permettimi di darti un consiglio. Siete confusi entrambi, perciò questo non è decisamente il momento migliore per sistemare le cose.»
Rifletto ed è vero. Annuisco e aspetto un’idea migliore «Quindi Peeta non tornerà, vero?»
«Per stasera dovrai accontentarti della mia presenza» sorride lei.
Ci solleviamo a vicenda, prepariamo qualcosa da mangiare, senza molto successo. La mancanza di Peeta si sente anche in quel settore. Però laviamo i piatti come una squadra e risistemiamo la cucina con lo stesso spirito di collaborazione. Ci mettiamo a parlare del più e del meno, senza toccare argomenti troppo dolorosi. Stiamo discutendo animatamente, quando il telefono squilla improvvisamente.
Permetto che sia Johanna ad occuparsene, io non me la sento.
«Casa Everdeen» risponde lei e il modo in cui lo pronuncia mi fa sorridere. «Oh, sì. In questo momento però non può parlare.»
Io gli faccio cenno di continuare così. Chiunque sia, non ho la forza di affrontarlo.
«Capisco, certo. Glielo riferirò» Johanna sembra imbarazzata. «Bene, le auguro una buona serata.»
Appoggia la cornetta e si asciuga la fronte con fare teatrale. Io piego il capo, interrogativa.
«Era tua madre» spiega. Sono io a sudare adesso. «Aveva una voce… Strana.»
No. Non strana.  Persa e vuota, magari sì.  Ma non strana.
Mi decido, finalmente «Credo che la inviterò qui, uno di questi giorni.»
Johanna batte le mani. «Rivedrò tua madre, allora!»
Non capisco il suo entusiasmo. Come persona, la mamma, non è poi così interessante. Parla poco e ascolta relativamente, incastrata com’è nel suo mondo anestetizzato.  Le racconto della sua precedente telefonata e di come io sia una causa persa come figlia. Lei ridacchia e mi dice di aver sempre trattato sua madre nello stesso modo, se non peggio. Mi sento capita, in un certo senso. Meno cattiva. Johanna mi rivela anche di avere un debole per la treccia elaborata che mi ha visto portare in alcune occasioni e io provo a replicarla sui suoi capelli corti. Fallisco per tre volte di fila e alla quarta ottengo un risultato soddisfacente. Lei sembra contenta e in cambio mi raccoglie i capelli in una coda di cavallo che aveva sfoggiato spesso quando, in passato,  le ciocche le arrivavano fino alle spalle. Alla fine, i ruoli si invertono. Io assomiglio a lei e Johanna a me. La cosa non ci infastidisce e rimaniamo acconciate così per tutta la sera. Tra noi, qualcosa, sta mutando.
Dopo un’ora passata a far nulla, Johanna va a farsi una doccia e mi accorgo solo adesso che si è portata dietro alcuni vestiti. A quanto pare resterà con me per parecchio tempo. Di conseguenza, Peeta non ha intenzione di tornare presto.
Mentre lei è sotto l’acqua che si lava, sistemo la camera in modo da renderla vivibile per due donne opposte come siamo noi. Appoggio da una parte tutti i suoi averi e sposto quelli di Peeta nella mia metà della stanza. Non so cosa succederà questa notte. I nostri incubi, concesso che lei ne abbia,  si scontreranno? Oppure troveranno conforto gli uni negli altri?
Sto ancora riordinando, quando il campanello suona un paio di volte. Corro ad aprire, sperando qualcosa che naturalmente non ci sarà. Ed infatti, quando spalanco la porta, l’immagine di Sae è l’unica che vedo.
Sono in collera. Secondo i miei calcoli è stata lei ad avvertite Peeta di ciò che è successo in paese.
«Posso entrare?»
Lascio che si accomodi in salotto, poi la osservo con occhi accusatori, aspettando una motivazione a questa visita improvvisata. «Perche sei venuta?»
«Avevo bisogno di parlarti di alcune cose» risponde, martoriandosi le mani rugose. «Voglio che tu sappia che non centro nulla e che non ho fatto la spia.»
Sono scettica, ma le faccio cenno di andare avanti. «Io sono dalla vostra parte.»
Rido amara. «Mia e di Peeta?»
Lei scuote  il capo «No. Tua e di Gale.»
Questa sua uscita mi colpisce. Pensavo fosse una sostenitrice accanita degli innamorati sventurati e invece è tutto il contrario. «Non fraintendermi, rispetto molto Peeta. Ma tu e Gale siete sempre stati insieme. Vi vedevo cacciare, portarmi la selvaggina, mangiare insieme. Vi sono davvero affezionata.»
La blocco, non sopportando più di sentire altro. «Volevi dirmi questo?» le chiedo sbalordita.
«No, sono qui anche per un altro motivo» tira fuori dalla tasca del suo grembiule un foglietto stropicciato, accartocciato più volte su se stesso. Me lo porge, chiudendomelo nel palmo della mano. Poi si alza di scatto, dirigendosi alla porta. Le corro incontro, in cerca di spiegazioni, che lei rifiuta di darmi.
«Assicurati di essere sola, quando lo leggerai» e detto questo sparisce nell’oscurità della notte. Provo a chiamarla ad alta voce, ma lei non torna indietro.
Nascondo il foglio in un libro di medicina appartenuto a mia madre e  ho solo un breve lasso di  tempo per ricompormi, visto che Johanna, con tempismo perfetto, si presenta gocciolante e profumata. Pare che la sua fobia per l’acqua si sia leggermente attenuata e me ne rallegro. «Tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.»
Annuisco e le consiglio di asciugarsi, prima che si  prenda un malanno.
Aspetto per un po’ davanti a una delle finestre che mi offre la vista del vialetto, in cerca di capelli biondi e occhi azzurri in avvicinamento. Alla fine, Johanna mi costringe con la forza ad andare a letto, dicendomi che è inutile attendere qualcosa che non verrà. Le sue parole mi distruggono, ma è l’unico metodo per farmi ragionare in modo intelligente. Ci stendiamo sul materasso, senza darci la buona notte. Dopotutto, la situazione è già abbastanza imbarazzante così, senza doverla complicare ulteriormente. La luce della luna mi permette di tenere d’occhio le lancette dell’orologio, che ticchettano silenziosamente. Verso mezza notte, Johanna è già caduta in un sonno profondo, disturbato talvolta da qualche incubo fastidioso. Ogni tanto, per calmarla, le accarezzo i capelli, attenta a non esagerare con le premure.
Resto stesa ancora qualche minuto, poi, sicura di non essere scoperta, sgattaiolo in salotto, dove recupero il vecchio libro di medicina. Estraggo dalle pagine il bigliettino spiegazzato e lo tengo tra le mani, indecisa su cosa farne. Incredibilmente, ancora prima di leggerne il contenuto, so già di cosa si tratta.
Mi guardo in giro, ascolto la casa, e quando capisco che  non verrò disturbata, apro la carta e assimilo tutto ciò che vi è scritto sopra.  Mentre passo gli occhi sulle parole grossolane  e sulla calligrafia distratta, mi si riempiono ancora gli occhi di lacrime e il cuore di tristezza. Quando finisco di leggere, mi avvicino al camino e brucio il cartoncino tra le fiamme leggere. Nessuno, tranne me, deve risalire a questa prova.
Salgo le scale e ritorno in camera da letto, dove Johanna si muove scomposta, rimanendo scoperta e sull’orlo di cadere. Mi corico accanto a lei, appoggiando la testa sul cuscino candido, che sa di Peeta. Mi aggrappo a quel profumo per non abbandonarmi agli incubi, e ripenso al foglietto che si consuma nel fuoco, ed insieme ad esso tutto ciò che mi propone.
Chiudo gli occhi e nella mente mi ripassano accanto le frasi che ho letto e che vorrei dimenticare.
“Vediamoci dopo domani, al lago. Partiremo, per non tornare mai più.
  Ti amo Catinp.”


Ci stiamo avvicinando alla conclusione ormai, mancano davvero pochi capitoli. Non so se dispiacerà a qualcuno, ma a me sicuramente. Mi sono affezionata davvero tanto a questo racconto e terminarlo mi rattrista. Ma come ogni storia che si rispetti, è giusto che ci sia un finale. Mi auguro che questo capitolo vi sia piacuto e come sempre (ormai è un classico) mi scuso per eventuali errori ecc... Aspetto i vostri pareri con ansia. Vi mando un bacio, Pain! 


 

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Capitolo 9
*** Cambiamento ***


Capitolo nove! Sempre più vicini alla fine, spero vi piaccia, l'ho scritto tutto d'un fiato, con sentimenti ed emozioni del momento. Vi lascio alla lettura, un bacio. Pain

Cambiamento

Sto bevendo un sorso di latte cado, ancora provata dalla scarsa qualità del sonno a cui mi sono appena staccata, e nulla pare andare ne verso giusto. Johanna si è svegliata di mal umore, forse stanca di stare qui, con me, a fare da spugna alle mie lacrime. Un po’ la capisco, nemmeno io vorrei consolare me stessa.
Ci parliamo poco, lo stretto necessario, a dire il vero. Dopotutto, è giusto rimettere una certa distanza tra noi, visto il modo in cui ci siamo legate l’una all’altra. Entrambe odiamo dover dipendere da qualcuno e ammettere di averne bisogno ci irrita. Io, poi, non ho nessuna voglia di relazionare, in particolare dopo quello a cui sono costretta a pensare. Ho avuto incubi per tutta la notte. Un mischiarsi di scene terribili: la prima arena,  Peeta che mi abbandona e Gale che mi strappa dalla mia casa, senza ritegno.
In pratica, un vero uragano di situazioni orribili.
«Quanto sei brutto» dice Johanna, mentre osserva Ranuncolo con un’espressione schifata.
Io annuisco e, a mio malgrado, devo darle ragione. «Già. Ma mia sorella ci era affezionata, ed è l’unica eredità che mi ha lasciato.»
Lei ghigna «Bhe, bel regalino.»
Lui la guarda storto e Johanna gli fa la linguaccia più spaventosa che abbia mai visto. Tanto brutta da farlo scappare da qualche parte in salotto, probabilmente dietro al divano. Non so perché, ma credo che discutere di quanto sia spelacchiato il gatto sia solo il suo  modo per attaccare bottone.
E io gli do corda. «C’è qualcosa che vuoi dirmi?»
Lei mi lancia un’occhiata enigmatica, che non riesco a decifrare, poi alza le spalle, incurante «No, niente. E tu?»
Vorrei domandarle un sacco di cose, raccontarle cosa non posso rivelare a nessuno e chiederle aiuto. Ma alla fine,  so di non essere così coraggiosa, quindi faccio cenno di no con il capo, recidendo l’unico filo che cuciva l’intero tentativo di ricongiungerci. Johanna lo accetta e continua a mangiare i suoi biscotti secchi con aria annoiata. Temo che la giornata passerà così, e anche quelle che verranno. Impazzirò velocemente, se le cose continuano di questo passo.
«Andrò a trovare Haymitch» mormoro fredda.
Lei quasi si strozza, sputacchiando briciole ovunque  «E’ l’ultima persona a cui chiederei aiuto in una simile situazione!»
Lo so anch’io, ma lui è dannatamente schietto e conosce i miei segreti meglio di chiunque altro. Non posso affidarmi a nessuno che conosco. Non capirebbero.
«Haymitch sarà anche un alcolizzato di pessima categoria, ma non è stupido» spiego, usando un tono un po’troppo altezzoso. Questo cambio di voce non sfugge a Johanna, che intravede un possibile spiraglio di guerra. Il suo sguardo si accende e i suoi occhi entrano in modalità sfida, proprio come l’assassina che è, e che ha vinto gli Hunger Games qualche anno fa.  Fortunatamente, la mia espressione non è da meno. Se vuole litigare, ha trovato un’altra vincitrice per i suoi denti.
Dopo una lunga pausa, sospira pesantemente «Fa come credi e io farò lo stesso.»
Questa frase mi inquieta. Non si nasconde nulla di buono dietro a parole simili, soprattutto se pronunciate da una donna come lei. Annuisco, fingendo indifferenza. Ciò che combinerà non  potrà spingermi più in basso di quello che già sono. Perciò mi metto il cuore in pace e seguo le mie idee così come le ho pensate.
Finiamo di fare colazione e poi ci dividiamo come due estranee. Lei si veste velocemente, in modo succinto e disordinato, che nonostante tutto la fa apparire attraente. Io la imito, ovviamente non ottenendo lo stesso risultato. Johanna mi da una pacca sulla spalla, che non ha nulla di amichevole, ed esce di casa senza dare indicazioni.
Aspetto qualche minuto prima di andarmene a mia volta, non volendo rischiare di incrociare il suo cammino, e poi mi sbrigo a raggiungere la casa di Haymitch con poco spirito di convinzione. Mi raccomando di fare il giro lungo, quello che non mi farà passare davanti all’abitazione di Peeta. Sono troppo codarda per affrontarlo, se mai lui dovesse essere nei paraggi. Quindi mi spingo più in là, usando una strada che di solito non prendo mai e che mi fa arrivare da Haymitch in circa quindici minuti. Tempo incredibilmente esagerato, secondo i miei canoni. Osservo le finestre e non mi sorprende il fatto che siano chiuse e  non irradino nessuna luce dall’interno. Ma so che è in casa, quindi busso e ci sgattaiolo dentro senza aspettare il permesso. Naturalmente, lo ritrovo chino sul tavolo, circondato da bottiglie di vino e alcolici vari. Non c’è un odore troppo piacevole, ma la forza dell’abitudine me lo fa scordare presto. Mi avvicino e lo scuoto in malo modo, decisa a svegliarlo senza ulteriori perdite di tempo. Alla fine mi vedo costretta a versagli dell’acqua fresca sul viso, scaturendo una valanga di insulti e malelingue.
«Dolcezza, ma sei impazzita?» gracchia lui, bagnato fradicio.
«Devo parlarti» dico sbrigativa, appropriandomi di una sedia, che faccio mia sedendomici.
Lui sbuffa, mettendosi  eretto e  prestandomi un poco di attenzione «Sentiamo.»
«Peeta sa tutto, come volevi tu» inizio. «E sempre come volevi tu, adesso non mi parlerà mai più.»
Haymitch ride. «Sei davvero così sicura che la cosa mi faccia piacere?»
Naturalmente rispondo di sì.  «Povera Katniss» sussurra lui. Assomiglia ad una presa in giro, ma decido di ignorarla.
«Adesso non so che fare» confesso. «Sono fregata.»
«Lo hai voluto tu questo, lo sai?»
Deglutisco «Non sono qui per farmi fare la morale da te. Ti sto chiedendo di aiutarmi.»
Ammetterlo mi costa un po’ e lui lo comprende. «Prima di tutto, devo sapere se c’è dell’altro. Se mi nascondi ancora qualcosa.»
Annuisco e inizio a raccontagli di Gale e del biglietto che mi ha fatto avere tramite Sae. Anche lui rimane sbalordito quando scopre che è stata proprio lei a consegnarmelo. Gli spiego che vuole portarmi via con lui, al distretto 2, e che probabilmente non mi farà più rimettere piede qui. Negli occhi di Haymitch vedo un po’ di collera e forse… Gelosia. Geloso? Di me. Non ci posso credere.
«Ovviamente, non ci andrai, giusto?» domanda convinto.
Io sorrido «Ti mancherei troppo.»
Lui svia il discorso con un gesto della mano e mi fa ritornare concentrata. «No, seriamente. Cosa vuoi fare?»
Tremo un poco «Non lo so.»
«Ami Peeta?»
Sentire il suo nome è come un salto al cuore. «Sì, disumanamente.»
«E Gale?» il suo sguardo è grave.
«Penso» ammetto.
Haymitch sorride e tira le conclusioni a posto mio. «Tra “disumanamente” e “penso”,  uno è in netto vantaggio. Quindi apri gli occhi e abbraccia ciò che già sai.»
Ha ragione, ho sempre saputo qual’era la mia scelta, eppure non sono mai stata capace di renderla pubblica all’unica, vera persona interessata:  me stessa. In un secondo sento la testa completamente in ordine, come non succedeva da anni. Improvvisamente è tutto chiaro e limpido. Il sole dopo la pioggia. Non posso credere di non esserci arrivata prima. Davvero sono stata così cieca?
Devo avere un aria stralunata, perche Haymitch se la ride di gusto, scuotendo la testa da una parte all’altra.
Mi offendo e metto su un piccolo broncio, che non da l’effetto sperato. Anche se adesso ho visto la luce, l’ombra non è interamente scomparsa. Ho parecchie faccende in sospeso, generate da ciò che ho appena compreso. Ho trovato la risposta, ma adesso devo pagarne il prezzo. In cambio di qualcosa, bisogna sempre sacrificarne un'altra che abbia il medesimo valore, ed in questo caso sto accogliendo Peeta,  per lasciare Gale.
Questo mi spaventa e non so se sono pronta a una perdita simile. Una volta deciso, non potrò riaverlo indietro. La legge funziona così, e sta volta non mi è permesso infrangerla.  
«E ora che faccio?» chiedo nel panico più totale.
«Vai da lui, è ovvio» sospira, facendomi intuire di sloggiare e andare a risolvere i miei problemi da un'altra parte. Io mi avvicino alla sua figura, in conflitto su come ringraziarlo. Haymitch se ne accorge e mi rivolge un’occhiata scettica «Non vorrai abbracciarmi, spero. Vattene e fa quello che devi.»
Non me lo faccio ripetere due volte e con un cenno della mano lo saluto, scaraventandomi fuori dalla porta più veloce di un fulmine. Peeta. Peeta. Peeta. Riesco a pensare solo a lui. Non sono nella mia forma migliore, anzi, sono categoricamente in pessimo stato, ma non mi importa. Mi ha vista in vesti peggiori. Corro senza respirare e sento il cuore battere forte da farmi male. Niente pare potermi fermare. Niente tranne una scena a cui non avrei mai sperato di  assistere.  Riesco a nascondermi dietro ad un grosso albero, prima che loro mi vedano. Johanna e Gale stano discutendo. Tranquillamente, amichevolmente. E’ preoccupante.
«Capisco… sei proprio sicuro di quello che fai?» lei se ne sta in piedi, a pochi passi da lui, dondolando le braccia. Riesco a sentire  tutto quello che si dicono l’un l’altro. Ancora più preoccupante.  
Odio dover origliare. Scopro sempre qualcosa che non vorrei conoscere e sono convinta che sta per succedere proprio adesso.  
«Sì, anche se sembro un illuso» risponde lui.
Lei annuisce «Sinceramente? Lo sei.»
Temo di vedere Gale reagire, invece resta pacato e continua ad ascoltare senza emettere un fiato.
«Voglio dire» continua «sai già che cosa succederà, eppure hai voluto tentare comunque.»
Qualcosa mi dice che Johanna è venuta a conoscenza del biglietto che ho ricevuto, e neanche questo mi stupisce. Loro si osservano, intensamente, profondamente.  E’ decisamente troppo preoccupante.
«Non posso farne a meno. Ormai ci sono dentro fino al collo, da troppo tempo» Gale ha gli occhi persi e lucidi.
Johanna gli poggia una mano sulla spalla, ma incredibilmente la cosa non mi infastidisce. «E’ ora che tu riemerga. Lei non lo abbandonerà e lui non la lascerà mai andare via, lo sappiamo entrambi, no? Quindi liberati e ritrova un modo per vivere, diverso da questo.»
Gale pare illuminarsi, e un filo di dubbio gli attraversa il viso «Sembra che tu sappia cosa sto passando. Sei innamorata di Katniss anche tu per caso?»
Lei ride e trasforma la sua mano aperta in un pugno amichevole «Io ho un debole per Peeta. Mi spiace deluderti.» Questo sì che mi fa irrigidire.
Alla fine si sorridono a vicenda e vedo una luce nuova nei loro occhi. Una luccicanza che non ricordavo da tempo. Come quella che ha Peeta quando mi guarda negli occhi, solo più innocente. Non so se sono felice o delusa, se Johanna abbia aiutato più me o Gale, ma percepisco che qualcosa sta mutando. Anche dentro di me. Decido di allontanarmi. Non voglio più assistere, ho avuto ciò che desideravo. Adesso esigo solo di raggiungere Peeta, e far sì che i suoi occhi azzurri luccichino come prima, quando mi amava e avrebbe fatto tutto per me.  


Eccoci qui, è avanti un altro! Come al solito mi scuso infinitamente se il testo presenta imperfezioni e spero vorrete recensire ciò che pensate. Ultimamente ho notato che la storia non è molto seguita e magari è perchè non è interessante. Questo mi dispiace e mi auguro che se c'è qualcosa che non va, io riesca a sistemarlo, magari anche con un suggerimento da parte vostra, quindi niente paura, recensite pure che mi fa un grande piacere! Grazie di essere arrivati fin qui.
Un bacio, Pain. 

 

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Capitolo 10
*** Scelte ***


Capitolo dieci! Avevo una voglia di scrivere la continuazione del capitolo precedente, che non c'è l'ho fatta a resistere qualche giorno. E' soprattutto per una mia soddisfazione personale. E' scritto molto velocemente, magari lo riprendeò in questi giorni e aggiungerò qualche correzione, ma speriamo che così vi piacia comunque. Un bacio e buona lettura.

Scelte


Sono in stato confusionale. Ci sono troppe cose a cui non sono pronta a reagire. Riesco solo a starmene qui, in piedi, davanti alla porta  di Peeta,  guardando avanti  come una sciocca.
Ripenso a quello che Haymitch mi ha detto e mi convinco sempre di più che ciò che sto facendo è la cosa giusta. Ma tutto il mio corpo trema, spaventato. E se non mi desse un’altra possibilità? Dopotutto me ne ha già offerte così tante da quando ci conosciamo. E la maggior parte,  sono state una tale delusione per lui. So che non me lo ha mai fatto pesare, ma io lo percepisco  e  trarne un’esatta interpretazione ogni volta, senza che lui parli o si esprima, non mi è poi così difficile.
Nonostante il mio stato, decido che è il momento di agire, quindi stringo la mano in un pugno rigido e busso per tre volte. Sto bene attenta a scandire ogni colpo, così che capisca che dall’altra parte ci sono io. Di solito questo è il nostro modo di riconoscerci l’un l’altro. Non resta che attendere, con l’ansia che sale e si mischia al terrore di un rifiuto.
Ma nessuno pare disposto ad aprire questa porta.
Cambio posizione,  avvicinandomi alle finestre, che trovo sbarrate e senza alcun filo di luce o presenza umana. Intuisco che Peeta dev’essere andato alla panetteria, come fa ogni giorno. Naturalmente, per la troppa euforia, mi sono dimenticata di questo particolare. Osservo anche il cielo, grigio e inquietante. Vedo le nuvole gonfie di pioggia, che aspettano di scoppiare proprio su di me. Maledico il tempo, Peeta e tutto ciò che mi passa per la mente. Neanche la giacca per coprirmi  mi sono portata. Ritorno all’entrata e cerco di ripararmi sotto la piccola tettoia che circonda la porta d’ingresso. Mi richiudo in me stessa, stringendo le gambe al petto e appoggiando la testa sulle ginocchia, nel tentativo di rilassami. Volevo essere io ad andare da lui, ed invece sarà Peeta a trovarmi, contro la sua volontà. Come al solito, non combino niente di buono.
Comincio a percepire un vento ghiacciato, che mi scombina i capelli, bagnandomi leggermente il viso. Alzo gli occhi e il panorama che ho di fronte è davvero triste. Eppure, mi viene da ridere. Sono una ragazza distrutta, disordinata e impresentabile, seduta sotto il cataclisma che cade giù, che aspetta l’uomo più importante della sua vita.
Niente di più malsanamente ironico.
Ho dormito poco, gli incubi mi hanno strappato il cuore più e più volte nel corso della notte. Le palpebre pesano come secchi pieni d’acqua, sul punto di riversarsi. Anche non volendolo, ho paura che mi addormenterò proprio qui, senza ritegno. Sento che non me ne importa se muoio congelata o prendo la polmonite. Voglio solo che Peeta arrivi in fretta. Se dovesse cacciarmi, lo accetterei, l’importante è che mi veda, che capisca la lotta che sto combattendo ogni giorno, per lui. Per noi. Ripenso pure a Johanna e a Gale. Lui, ormai, non è più mio ed io non sono più sua. Mi auguro trovi una persona che sappia amarlo, il doppio, se non il triplo di me. Desidero scusarmi e dirgli addio, perché tanto non vorrà più avere rapporti con la sottoscritta. Ed io acconsentirò a questa sua richiesta, come è giusto che sia. Stare lontani, per tanto, forse per sempre,  guarirà ogni ferita che ci siamo procurati a vicenda.
Passano i minuti ed io non ce la faccio più. Sto per crollare in un sonno profondo. Magari gli incubi non penetreranno nei miei sogni, se sono tanto persa da non farli entrare. Alla fine, non reggo. Mi spengo, come una fiamma fa sotto la pioggia.
Incredibilmente, ciò che sento è nullo. Sto galleggiando in un mare di niente. Semplicemente dispersa in un’oasi inesistente. Caldo e freddo non esistono. In questo mondo è la neutralità a fare da padrona.
Scorgo per qualche istante immagini distorte, dai colori vividi e  famigliari, ma poi il vuoto ingoia quel poco che resta della realtà. Affogherò di sicuro e non mi dispiace. E’ sempre stato il mio desidero, disintegrarmi in minuscole particelle e volare via, nell’aria.
Eppure, qualcosa mi ricompone. Individuo dove sono finite le mie braccia, il mio busto. Finche non riacquisto l’intero controllo del mio corpo. Sto per ritornare cosciente e vigile, ma non per un volere personale.  
La forza delicata di due mani gentili, mi scuote, facendomi rinvenire. Sono talmente pessimista, che credo di essere stata svegliata da Sae o addirittura da Haymitch. Quindi non mi degno neppure di aprire gli occhi e guardare chi mi sta toccando.
«Katniss?»
Sospiro, deglutendo la poca saliva che ho in bocca.
«Katniss, andiamo. Ti prenderai un malanno se resti qui.»
«Non posso. Devo aspettare Peeta» spiego con la lingua impastata.
Silenzio «Ma io sono già qui.»
Finalmente spalanco le palpebre e mi stupisco di non aver riconosciuto la sua voce. La sua splendida, avvolgente e perfetta voce. «Peeta?»
Lui annuisce.
Non  contengo il sentimento e mi sporgo verso la sua figura, abbracciandolo in una morsa indistruttibile. Devo averci messo troppa foga, perche ci troviamo a terra, in completa balia della pioggia che cade. Non capisco più nulla e piango e rido insieme. «Scusa» continuo a ripetergli. «Scusami.»
Lui mi stringe e io me ne rincuoro. La paura c’è ancora, ma adesso si sta allevando. Anche l’acqua che mi segna il viso è mia alleata. Le lacrime si confonderanno meglio e io non apparirò cos’ ridicola. Ci osserviamo, manco non ci fossimo mai visti. I miei occhi grigi si perdono nell’azzurro del suo oceano. E’ vero che ho bisogno di lui. Cosa me ne farei di una persona troppo simile a me. Troppo arrabbiata con il mondo e ferita nell’orgoglio.  Alla fine confermo di nuovo la scelta presa mesi fa. Quella tra il dente di leone e il fuoco che distrugge. Basta fiamme, io voglio l’arancio, quello del tramonto. Quello che piace a Peeta.
«Ci stiamo bagnando dalla testa ai piedi, è meglio entrare» propone lui, aiutandomi ad alzarmi.
E’ da un po’ che non visito la sua casa. E’ simile alla mia, ma molto più accogliente. Credevo di trovare un disordine terribile, visto che Johanna ci ha alloggiato per una notte, ma Peeta deve aver posto rimedio immediatamente, quando  è tornato. Andiamo direttamente in salotto, dove lui accende più velocemente che può il caminetto. Siamo fradici, eppure, non mi sono mai sentita più asciutta e pulita di così. Ci sediamo sul tappeto, restando in silenzio per qualche minuto. Lui è indeciso, io solamente incantata dal suo viso.
Parla lui per primo e gliene sono grata «Mi sono comportato male.»
«Anch’io» rispondo, cercando le sue mani. Fortunatamente, le accetta, senza respingermi. No ha esitato nemmeno un secondo.
«Non volevo, ma ero geloso» spiega. «Ero terrorizzato dall’idea che non fossi abbastanza per te e che tu volessi… volessi altro.»
Stingo forte le sue dita, scuotendo il capo. «E’ stata colpa mia. Non ti ho fatto capire in che posizione sei. E sei così in alto, te l’assicuro.»
Sorride, ed è bello da morire,  poi la serietà lo riafferra «Ho ancora paura, Katniss. Perché sei qui?»
Libero le mani dalle sue e gli afferro il viso, avvicinandomi pericolosamente. Mi mancavano i suoi lineamenti.
 «Perché ti amo» confesso. «E tu mi ami. Vero o falso?»
La schiena trema, e anche il mio cuore. L’ultima volta che gliel’ho chiesto ho ricevuto una ferita straziante, che potrebbe riaprirsi e uccidermi all’istante. Può salvarmi o condannarmi con una sola parola. Lui ha questo potere su di me.
Attendo che risponda, ma invece di farlo, annulla la distanza che ci separa, unendo le nostre labbra nel bacio più caldo che ci siamo mai dati. Potente, aggressivo, disperato. Peeta mi possiede usando unicamente la sua bocca. Sono in estasi, non vorrei altro da lui, per il resto della vita. Mi basterebbe questo, per sempre.
«Vero» mormora, tra un bacio e l’altro. «Non farmi questo mai più.»
Piango di nuovo come una bambina e mi aggrappo alla sua camicia, che sa di pane e della sua essenza. Ci stacchiamo ansimanti e Peeta mi osserva con aria preoccupata. «E con lui? Cosa hai deciso di fare con lui?»
«Gale è libero, adesso» dico, volendo tornare a fare ciò che abbiamo interrotto. «E lo stesso vale per me.»
«Ti sbagli, non sei libera» sorride lui. «Tu appartieni a me.»
Arrossisco e Peeta torna a baciarmi, come mai ha fatto prima. Cadiamo a terra e il tappeto attutisce il colpo. Sento la sua protesi schiacciarmi la coscia e il suo petto impedirmi di respirare, ma va bene. Non lo separerò mai più dal mio corpo.
Però, con mio rammarico, si scosta, chiedendomi scusa. «Ho esagerato» lo dice con un’espressione colpevole.
«Esagera quanto vuoi.»
Ridiamo entrambi al mio tentativo di essere sensuale e alla fine l’atmosfera si raffredda.
«Torni a casa?» gli domando.
Lui dondola il capo, indeciso «Sì, ma c’è Johanna ora.»
Io lo guardo scettica «Johanna si troverà un altro posto. In più credo che partirà presto, probabilmente domani.»
Peeta ha un’aria interrogativa, ma io non ne sono ancora sicura, quindi non intendo dargli spiegazioni.
Alla fine, ci ricomponiamo, senza allontanarci troppo o per molto tempo. Lo aiuto a cucinare qualcosa, dobbiamo farlo velocemente, perché lui deve tornare al Forno. Staccarci mi provoca un certo dolore dentro, ma cerco di non farglielo vedere. Mi accompagna a casa e ci abbracciamo come se non dovessimo rivederci mai più.
«Torno presto, d’accordo? Non cambiare idea nel frattempo.»
Io annuisco e stringo più forte «Non succederà.»
Lo saluto in continuazione, finche non riesco più a scorgerlo, poi apro la porta e accedo la luce. Johanna è in casa, che gironzola da una parte all’altra, con un sacco di vestiti suoi appoggiati sull’avambraccio. La osservo, provando a capire cosa diavolo stia facendo. Non arrivandoci, glielo chiedo.
Lei alza le spalle e mi viene in contro, dandomi un buffetto sulla guancia «Levo le tende, ragazza di fuoco.»
Lo sapevo. Temo che insieme a Gale, non rivedrò più neanche lei. Magari per sempre. E per sempre, è tanto tempo.

  
Eccoci qui, un'altro capitolo è andato. Ho paura che sia il più brutto e corto cha abbia mai scritto, e mi scuso. Mi auguro possa piacervi comunque, nonostante la miriade di difetti che presenta. Se non gradite, avete ragione e  provvederò a sistemarlo. In quel caso, siate fiduciosi e resettate la memoria finche non avrò riscritto il capitolo in modo più decente XD Bhe adesso, quel che è fatto è fatto e non mi viene in mente nulla per migliorarlo. Chiedo nuovamente perdono per la banalità del racconto e spero vorrete recensire ugualmente.
Una buona notte. Bacio!
Pain

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Capitolo 11
*** Pace ***


Capitolo undici!  Visto che sono in vacanza, mi sto impegnando ad aggiornare molto frequentemente. Questo capitolo è un po' una pausa tra tutto quello che è successo nei racconti precedenti. Un piccolo regalo che faccio ai personaggi, che secondo me hanno sofferto già abbastanza. Spero vi piacia. Pain

Pace

Seduta sul divano, con le gambe incrociate e un’espressione interrogativa, osservo Johanna che sta ancora riordinando le sue cose, con una certa foga. E’ addirittura sparita per qualche minuto, per andare a casa di Peeta a prendere ciò che ci aveva lasciato. Non parla molto, svolge le azioni meccanicamente e con una liberà che mi fa sentire fin troppo ristretta. Dopo avermi spiegato che se ne sarebbe andata, non ha più detto nulla al riguardo. Nessuna motivazione, nessun particolare. E’ semplicemente rimasta taciturna, escludendomi dalla sua vita e dalle sue scelte personali. Il che è giusto, ma non mi sta bene comunque. Pare un tantino euforica, con quella luccicanza strana che le ho visto negli occhi mentre parlava con Gale. Sì, perché Gale centra di sicuro.
«E questa improvvisa voglia di partire?» chiedo, restando allerta.
Lei mi guarda innocente e mi si avvicina appoggiando i vestiti che ha in mano su una sedia vicina «Ti avevo detto che avrei fatto come credevo, no?»
Io annuisco, ma non mi basta come risposta «E’ per Gale, vero?»
Il suo viso cambia colore e da roseo diventa cereo. Anche il suo sguardo muta, tornado ad essere freddo e calcolatore «Cosa te lo fa pensare?»
«La vostra chiacchierata.»
Johanna mi si para davanti, inchiodandomi con gli occhi. «Mi hai seguita? Non dovevi andare da Haymitch?»
Scuoto il capo, sospirando  «Ci sono andata, ma prima di arrivarci ho incontrato voi.»
«E hai origliato» sorride lei.
Vorrei controbattere il contrario, ma effettivamente è vero. Ero io a decidere se ascoltare o meno, e ho scelto di rendermi partecipe del loro discorso, senza permesso. Johanna ridacchia e mi pizzica la guancia tanto forte da farmi lacrimare, poi si stacca e mi appoggia una mano sulla testa «Non fa niente.»
Sospiro, sollevata. Fortunatamente, l’ha presa bene. Eppure, percepisco che non ha finito, qualcosa le frulla per la testa, preoccupandola «Vuoi andartene con lui?»
«No» dico, il tono sicuro e deciso. Lei inspira, come sollevata. I mie sospetti si infittiscono e sinceramente non ce la faccio più a starmene da parte, incosciente di ciò che sta per accadere. «Tu invece sì, vero?»
Johanna deglutisce e si mette seduta ai miei piedi, inclinando la testa di lato, come un cane selvatico. Riflette un poco, prima di espormi la verità, ed io attendo paziente. Non ho alcuna fretta.
«Devo trovare un posto a cui appartenere, Katniss. Una famiglia» spiega, le labbra che tremano. «E anche Gale ha bisogno della stessa cosa.»
«E ti offrirai tu di dargliela?» non volevo essere meschina, ma le parole mi sono uscite da sole. Non credo di provare ancora gelosia, ma il fatto che Johanna voglia dare a Gale quello che non è capace di dare nemmeno a se stessa, mi preoccupa. A questo punto potevo rimanere sua e basta. I problemi ce li ho anch’io. Ma lui non ha bisogno di altri grattacapi, e nemmeno la sottoscritta.
«Sei davvero un’ipocrita a  volte» me lo rinfaccia con naturalezza e io non mi offendo. «Comunque, se non è per Gale, sarà per qualcun altro. Non intendo vagare in eterno, senza poter mai tornare a casa.»
Una casa, lei non c’è l’ha. E il suo distretto non ha più nulla di famigliare. Neanche il 12 o il 13 possono farle da abitazione. Mi devo proprio arrendere, e ordinare al cuore di mettersi in pace. Se vuole la mia benedizione, la otterrà.
«D’accordo» mormoro, poco convinta. «Abbi cura di lui, se è questo quello che intendi.»
Johanna ride e mi scompiglia i capelli, sta per immergersi di nuovo nei suoi affari, quando le prendo il braccio, facendola tornare indietro. «Hai davvero un debole per Peeta?»
Lei mi mostra un sorriso furbo e sospira esasperata « Le battute servono solo a renderci più leggeri. Quindi tranquilla, ragazza di fuoco.»
Mi rincuoro di questa sua spiegazione. Restando ancora un po’ sospettosa. Di certo non seguirebbe Gale se volesse Peeta. Credo sia stanco di avere attorno donne innamorate di qualcun altro. Accettare ancora una simile condizione, comporterebbe ad un masochismo che non riesco ad attribuirgli. Perciò, mi fido.
Aiuto Johanna a sistemare le sue cose, escludendo alcuni vestiti che le serviranno per il viaggio di domani. Mi spiace che se ne voglia andare, lo ammetto. Stare con lei mi ha fatto ricordare i giorni nel distretto 13, dove ci spingevamo a resistere vicendevolmente.
«E’ tutto apposto?  Dentro di te, intendo » chiede lei, fermandosi un attimo.
Si riferisce ai miei dubbi, a Peeta. Io annuisco, raccontandole un po’ quello che è successo oggi. Lei pare soddisfatta e naturalmente mi obbliga a saltare la parte della riappacificazione, che non gli avrei descritto ugualmente. Sembra felice che tutto stia andando nel verso giusto, per una volta. Io invece mi sento scombussolata . E’ strano che le cose vadano come dovrebbero. Ho vissuto in un modo al contrario. Sempre in lotta, sempre in perdita. E mai avrei sperato di riuscire a conquistare la normalità, nella mia vita. Assomiglia ad un sogno, e i miei hanno l’abitudine di trasformarsi in incubi.
«Mi spiace,  non potrò rivedere tua madre» sbuffa Johanna. Io alzo le spalle, non ritenendola una perdita così consistente.  «Te la saluterò, promesso» la rassicuro.
Mamma. Devo ancora accennare a Peeta questo fatto. Non so neanche io perche non glielo dico. Forse mi vergogno di volere mia madre qui. Ed è così ridicolo.
Finiamo di riordinare a ci mettiamo anche a sistemare la casa, visto che,  senza qualcuno che se ne prenda cura, è diventata un magazzino. Lavoriamo fino a sera, e siamo più sporche che mai. Entrambe vogliamo farci una doccia, ma Johanna è riluttante. Mi spiega con un po’ di fatica che a volte la paura dell’acqua e il ricordo della prigionia a Capitol City, la ingoia ancora. Di certo non posso permettere che rimanga in queste condizioni. Nel mio letto o in qualsiasi altro letto vorrà coricarsi, non ci entrerà così. Mi vedo costretta a proporle di farla insieme, ma lei mi uccide con lo sguardo. «Allora trova tu un modo!» sibilo arrabbiata.
Lei è indecisa, ma riluttante alla condivisione della vasca «Puoi aiutarmi se vuoi.»
Accetto e prima mi occupo di me, poi lascio che sia il suo turno di lavarsi. Almeno io sono apposto e non perderò tempo dopo. La faccio entrare nella vasca e con delicatezza le passo la spugna umida sulla schiena, lei trema come una foglia e ha gli occhi persi in pensieri passati. Uso più sapone che acqua, e cerco di non guardare frequentemente il suo corpo e le sue cicatrici, tanto per non metterla troppo a disagio. Che situazione strana. Siamo due donne e non ci scandalizziamo. Ma siamo io e lei, è questo il particolare che stona. Mi viene in mente quando ho dovuto ripulire le ferite di Peeta nell’arena. L’imbarazzo di spogliarlo e esaminare il suo corpo martoriato, mi bloccavano i movimenti e il cervello.
Sciacquo lentamente la sua pelle, rimuovendo ogni residuo di schiuma. Non ci incontriamo mai con gli occhi, finche lei non schiude le labbra per parlarmi. «Grazie» sussurra. «Ma se lo dici a qualcuno te ne pentirai.»
Io sorrido e le giuro di essere una tomba per il resto dei miei giorni. Le concedo un po’ di privacy mentre si asciuga e intanto torno in cucina per apparecchiare il tavolo. Lo preparo per tre.
Lancio un’occhiata all’orologio e,  puntuale come sempre,  la porta d’ingresso si apre e Ranuncolo va a salutare Peeta con cautela. E’ ancora offeso per com’è stato trattato l’ultima volta, ma le carezze lo riconquisteranno sicuramente.
«Hei» balbetto.
«Hei » mi si avvicina, baciandomi la guancia e cingendomi il fianco «Questa casa è irriconoscibile.»
«Io e Johanna ci siamo date da fare» scherzo.
«Già, anche se le pulizie di primavera sono passate da un pezzo» aggiunge Johanna, che è appena arrivata.
Ci guardiamo e la situazione è così ironica che ci insultiamo amichevolmente l’un l’altro.
Alla fine, ci sediamo e consumiamo forse il pasto  più animato di tutta lo nostra vita. Parliamo di tutto, evitando ciò che ci può far male, e la serata trascorre talmente pulita da darmi alla testa. Ho paura di non meritarmi tutto questo. Di non meritarmi la felicità. Perche temo proprio di esserlo adesso.
Ringrazio mentalmente tutte le persone che ho conosciuto e che si sono sacrificate per permettermi di vivere questo momento, atteso da anni.
Quando finiamo, salutiamo Johanna e le assicuriamo che domani saremo in stazione per dirle addio. Questo comporta vedere anche Gale, ma Peeta è d’accordo, convito che per concludere questa storia sia necessario che ci parliamo per un’ultima volta. La guadiamo allontanarsi e ci richiudiamo la porta alle spalle, bloccando il mondo fuori.
«Ti sta bene?» gli domando.
Lui fa cenno di sì con la testa. «E a te?»
So a chi si riferisce «Non sono io a decidere, ma sì.»
Ci mettiamo vicini l’un l’altro, assaporando un futuro non molto lontano, che finalmente ci possiamo godere. Mi è mancato così tanto, manco fossero passati anni. Sono distrutta e voglio solo stendermi accanto a lui e dormire un sonno senza incubi. Lui lo stesso e così facciamo.
Ci corichiamo a letto, stretti l’uno all’altro e rimaniamo svegli a chiacchierare un po’. Siamo rilassati e decido che è ora di rivelargli che la prossima persona che ospiteremo, sarà mia madre.
«Vuole davvero venire qui?» Peeta e scettico, e io più di lui, ma non so che dirgli.
«Se  vuole farsi del male, non posso fermarla» concludo.
Lui riflette e mi da torto «E se invece la facesse stare meglio?»
Sbuffo e allontano il discorso. Termino abbozzando alcune frasi sul giorno in cui organizzeremo la cosa e decidiamo che dopo la partenza di Johanna va bene. L’indomani telefonerò al suo ospedale, chiedendo di lei. Mi auguro sia contenta e che non porti nella mia vita, che si è appena sistemata, altra sofferenza.
Io e Peeta ci addormentiamo quasi subito, stanchi di tutto e niente. Questa notte non ho incubi, ma solo sogni distratti, dove vedo Prim e Rue giocare insieme, chiamandomi per nome. Mi pare di scorgere anche il figlio di Annie, che ride e fa nodi semplici con i capelli di sua madre. Un senso di calore mi avvolge il cuore, sollevandomi, e capisco che tra tutti questi bambini, sono ritornata piccola e ingenua anch’io.



Mamma mia che felicità essere arrivata fin qui, i capitoli che rimangono si contano sulle dita di una mano, quindi abbiate pazienza tra poco la tortura è finita XD Probabilmente di interessante o particolarmente utile alla storia, questo capitolo non ha niente, ma credo ci volesse uno stacco così, dopo aver fatto soffrire tutti per tanto tempo. Spero siate d'accordo con me. Adesso vi lascio, spero vi possa piacere e mi fatemi sapere cosa ne pensate. Aspetto con ansia i pareri, un bacio e grazie! 
Pain.

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Capitolo 12
*** Considerazioni ***


Capitolo dodici! Sono molto contenta di aver aspettato ad aggiungere il seguito, perchè non ero più sicura di quello che stavo combinando... quindi l'ho letto e scritto un paio di volte e questo è il risultato finale. Non è perfetto ma come capitolo è meglio di tanti altri. Spero vi piaccia, un bacio

Considerazioni


Mi sento lievemente claustrofobica, mentre osservo la moltitudine di gente che si dirige in stazione. C’è chi parte o arriva, chi saluta e chi semplicemente è lì solo per assistere. Io e Peeta ci teniamo per mano, facendoci strada in mezzo a tutte le persone che si scontrano, spingendosi l’una contro l’altra. Non riesco a scorgere Johanna e arrivo addirittura a pensare che se ne sia andata senza dirci addio come si deve.
A volte, troppe per i miei gusti, veniamo fermati da qualcuno che ci conosce e vuole sapere come stiamo. Io ignorerei le loro domande, ma Peeta è fin troppo educato e, con gentilezza, soddisfa le curiosità altrui senza alcuna fatica.
Alla fine, ci troviamo proprio al centro della stazione, dove carichi e vagoni vengono accolti e viceversa. Ho l’aria tesa e Peeta non è da meno. Sorrido al pensiero che creda ancora che scapperò, lasciandolo solo per sempre. Ogni volta che intuisco nei suoi occhi una tale convinzione, gli stringo le dita con forza, guardandolo nel modo più rassicurante che mi riesce di dimostrare.
Proviamo a chiamarla per nome, quella maledetta ragazza, ma di lei neanche l’ombra.
«Secondo me ci ha dato buca» dico irritata.
La cerchiamo ancora per un po’, finché Peeta non mi indica un punto non molto lontano, che evidentemente è il luogo in cui vuole ci dirigiamo. Quando, con un po’ di fatica, ci arriviamo, la scena che mi si para di fronte è un tantino nauseante. Johanna e Gale stanno chiacchierando,  e insieme a loro ci sono alcuni ragazzi, sicuramente provenienti dal Distretto 2. Appena ci vede, si divide dai suoi nuovi amici e ci viene in contro, il sorriso ben stampato sulle labbra. «Ma quanto ci avete messo!» brontola lei, con un’espressione contrariata.
Sto per mandarla al diavolo e Peeta mi trattiene per un soffio. Di conseguenza, Johanna si tranquillizza.
«Volete venire?» chiede, un po’ preoccupata.
Io guardo il mio compagno e lui guarda me. Entrambi i nostri sguardi urlano “no”, ma i nostri cuori gridano di farci coraggio e affrontare la situazione. «Certo» risponde Peeta.
Johanna ci presenta il suo gruppo, gesto che mi provoca una dose di imbarazzo non indifferente.
«Questi sono Jay e sua moglie Sabin» spiega lei, indicandoci una coppia molto giovane, che ci saluta amichevolmente. «Invece lui è Ruben, arriva dal distretto 3.»
Salutiamo tutti, senza essere veramente estasiati. Non la voglio conoscere tutta questa gente così amabile, mi bastano i miei amici, non me ne servono altri, e poi non sono neanche capace di gestire quelli che ho, quindi è meglio lasciar perdere con le nuove entrate.
Ci accingiamo a stringere mani e sorridere cordialmente, Gale mi osserva con occhi indecifrabili, come se aspettasse il suo turno.
«E’ un vero piacere conoscere la Ghiandaia Imitatrice» abbozza Vitaly, un uomo alto e di bella presenza.
Io mi irrigidisco all’istante, annuendo con fare distratto. Non sono più il simbolo della rivolta. Vorrei che la smettessero di attribuirmi soprannomi che non gradisco.
Capendo la mia reazione, Gale lancia un occhiataccia al compagno, rimettendolo al suo posto. Contraccambio con uno sguardo grato, che lui accetta. Peeta è circondato da alcune ragazze, tutte più vecchie di lui. Gli fanno domande, richieste, senza lasciargli un briciolo di spazio.
«Curiose le femmine del Distretto 2» commento e Johanna ride sguaiatamente.
«Non immagini quanto» ammette lei. «Ma non sono pericolose, te lo assicuro.»
Peeta mi scongiura di aiutarlo con gli occhi, ma io non ne ho l’intenzione. Ce la può fare anche da solo.         Ho un’opportunità e non me la posso far sfuggire di mano. Lui comprende e mi lascia libera di agire come voglio. A questo punto, mi sporgo verso Gale, che è rigido e distaccato come non mai.
 «Hei» mormoro.
«Ciao, Catnip» quel nomignolo mi fa sperare ancora in un po’ di complicità tra noi.
«Mi dispiace» sussurro. «Davvero.»
Lui sorride, amaro. «Bhe, non sei qui per accettare la mia proposta, vero?»
«Mi dispiace» ripeto.
Gale sospira e mi guarda con una certa comprensione. So che dopotutto è sollevato di questa mia decisione.
Rimaniamo vicini, senza dire una parola. Ma l’aria e intrisa di cose non dette, e una di queste gli esce dalla bocca, forse involontariamente «Mi mancherai.»
«Anche tu»  confesso e gli voglio baciare la guancia, ma lui si scosta, appoggiando le labbra sulle mie. E’ un contatto semplice, quasi inesistente, ricco di tutto il suo amore per me. Dura un secondo.
Si stacca piano, con una lentezza straziante «Dovevo farlo, per l’ultima volta.»
Sto per piangere, ma gli sorrido, ricordando una scena simile, successa qualche tempo fa, in un altro contesto. Annuisco, mormorando un “okay”  triste, che lui contraccambia. Poi osservo gli altri, che non ci hanno visti, e individuo Johanna. «Prenditi cura di lei, se puoi» aggiungo.
«Ci proverò» promette. «Ma sarà dura.»
Ridiamo insieme, per la prima volta dopo tanto tempo. Peeta è riuscito a liberarsi e ci viene in contro, prendendomi la mano. «Buon viaggio» dice a Gale. Ho realmente paura che si picchino davanti a tutti. Invece, restano buoni, senza dimostrarsi odio a vicenda.
«Grazie» risponde lui. Poi mi guarda. «Trattala bene, d’accordo?»
Divento paonazza nel giro di poco e entrambi sembrano divertiti. «Ci puoi scommettere.»
Si stringono la mano e questo mi stupisce. Arriva anche Johanna ,che appoggia la sua sulle loro già unite e mi invita a fare lo stesso. Io aggiungo la mia mano e insieme stringiamo un patto di alleanza solido come pietra.  Sono davvero felice. Questo è l’addio migliore a cui potessi partecipare.
Ci salutiamo, quando la locomotiva fischia e viene annunciata la partenza per il Distretto 2 e 4. Velocemente la stazione comincia a svuotarsi. Qualcuno piange, qualcuno rimane neutro. Sono stanca e rilassata contemporaneamente. Scorgo Johanna salire sul proprio vagone, aiutata da Gale che la sorregge. Gli faccio un cenno con la mano, sventolando l’arto come un fazzoletto. E’ una scena abbastanza teatrale.
Anche Peeta fa lo stesso e insieme mormoriamo parole che sanno di arrivederci. Guardo il mio vecchio compagno di caccia e prometto a me stessa di non dimenticare l’espressione che ha adesso:  fiera, soddisfatta. Voglio ricordarlo così. Non con uno sguardo truce, come quelli che ultimamente mi ha rivolto, ma con gli occhi liberi e rassegnati a una verità non poi così amara.
Mi viene da piangere e Peeta deve stringermi forte per non farmi cedere in mezzo a tutto il trambusto. Non so nemmeno io perche le lacrime scendono. Forse dopo tanta fatica e tanti sacrifici, sto finalmente lasciando che il destino faccia il suo corso, senza ostacolarlo o rifiutarlo bruscamente. Sono viva e sto vivendo. Niente di più semplice e naturale. Eppure, è così strano, irreale. Io che ho nuotato in mari di terrore, adesso galleggio tranquillamente tra le onde della calma più assoluta.
Bacio Peeta e gli dico che lo amo. Lui arrossisce e mi sussurra le mie identiche parole. Il treno ormai sta carburando, e tra poco non riuscirò più a scorgerlo. Sento che questo non è un addio, ma nemmeno un saluto blando. Non ci rincontreremo  per molto tempo, e chissà, magari quando accadrà non ci riconosceremo neanche più, tanto siamo cambiati e cresciuti.
Io e Peeta ci incamminiamo lenti verso la piazza, ma per quanto mi impegno, non riesco a staccare gli occhi dalla locomotiva che pian piano sparisce e se ne va. Ho come l’impressione di udire la risata grossolana di Johanna, che finalmente non deve più far finta di ridere. Ripenso alla coppietta del Distretto 2. La ragazza, Sabin, aveva il ventre gonfio e non staccava mai la sua mano delicata dall’addome. Non voglio credere che dentro di lei stesse crescendo una nuova vita, ma ovviamente è così. Non riesco ad accettarlo, ma se gli Hunger Games non ci sono più, quella creatura potrà vivere in un modo più sano e sicuro. E questo mi sta bene.
Come se Peeta mi leggesse nella mente, si sporge vicino al mio orecchio e dice: «Jay mi ha confidato che presto lui e sua moglie avranno un bambino.»
Io annuisco e so dove vuole arrivare. «Non è una cosa magnifica?» aggiunge estasiato.
Non voglio parlare di questo argomento, ma comprendo che lui ci tiene e lo lascio sognare.
Discutiamo di questa cosa per tutto il tragitto. Io rispondo vagamente, più con i versi che con le parole.
Peeta se ne accorge, ma stavolta non vuole mollare la presa. Non mi arrabbio, tanto la decisone spetta solo a me, quindi non vedo il motivo di stroncare così la sua voglia di raccontarmi contorti ragionamenti.
Arriviamo a casa e finalmente posso avere un po’ di pace delle continue richieste implicite di Peeta. Non sono stupida. Manca solo un cartello e un disegno fatto a matita per rendere ovvia la situazione.
Ho davvero il desiderio di dormire e mollare tutto. Ho trattenuto troppe emozioni, che se ne sono andate in maniera imprecisa e decisamente velocemente, quindi il mio corpo e la mia mente sono provati.
Sto per appisolarmi sul divano, quando Peeta mi ricorda che non posso ancora riposare.
«Tua madre, Katniss» dice, indicando il telefono. «La devi chiamare.»
Lo supplico di farlo al mio posto, ma lui rifiuta.
«Va bene, d’accordo» concludo seccata.
Alzo la cornetta e compongo il numero dell’ospedale in cui mamma lavora. Trovo la linea occupata per un paio di volte. Alla terza è libero. Parlo con una donna dalla voce gentile che mi passa mia madre senza tante storie. Scoprire che per una volta mi sono fatta viva di mia volontà la mette di buon umore e ne sono contenta.
«Ciao, mamma. Hai tempo per parlare?»
Lei balbetta insicura. «Certo, cara. Hai bisogno di qualcosa?»
«Io… e Peeta ci chiedevamo se ti andava di farci visita. E’ da un po’ che ci pensavamo e mi è sembrato carino domandartelo.»
Dall’altra parte c’è silenzio. Sapevo che l’avrei sconvolta. «Mamma?»
«Sì, sono qui. Ma sei sicura, Katniss?»
Le spiego che va tutto bene e che non ci sono problemi. «Se non sono di peso, allora, accetto volentieri» alla fine acconsente.
La saluto molto velocemente ricordandole il giorno esatto in cui andremo a prenderla alla stazione, lei è certa di aver capito e mi manda un debole ciao.
Chiudo la telefonata e Peeta mi accarezza le braccia con delicatezza. «Brava. Però, potevi anche omettere il mio nome. Dopo tutto sei tu quella che ha organizzato l'evento.»
E’ vero, ma se centra Peeta, qualsiasi sia la situazione, riesco a superarla meglio.
Lui sorride e si accorge per la prima volta di quanto io in realtà sia debole. Mi lascia sonnecchiare sul divano per qualche ora, vegliandomi da lontano. Mentre sono nel dormi veglia, esamino la mia mente, alla ricerca di cattivi presagi e brutti ricordi. Ma niente. Sono completamente vuota. Eppure, è un nulla piacevole. Ripenso per un instante a Sabin e al suo piccolo che cresce dentro di lei. Mi pare già di vederlo, che corre e strappa i capelli a Johanna.
 Un figlio. Non lo avevo mai preso in considerazione. Adesso, invece, mi appare come la cosa più normale e bella del mondo. Qualcuno solo per te, con il tuo stesso sangue nelle vene. Mi viene in testa l’immagine di Prim che sorride. Sta seduta accanto a me, con i capelli biondi raccolti in due simpatiche trecce. Guarda il mio volto e, prima che sprofondi nel sonno più assoluto, mormora poche, semplici parole.
 «Poi farlo.»
E io le credo.


Eccoci qui... bho lo controllato così tante volte, eppure non mi soddisfa ancora... mancheranno uno o due capitoli... e poi è finita! Nell'ultimo capitolo, vi avverto già, vi esporrò una piccola idea, una specie di pensiero che mi è venuto in mente, collegato strettamente a questa fanfic... ma aspettate ancora un po' e vedrete. Come sempre spero vi piaccia, mi ci sono impegnata e i pareri sono bene accetti. Perdonate gli errori e qualche frase un po' inutile, ma non sono riuscita a fare meglio di così. Mi auguro piaccia comunque.
Un bacio. Pain !

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Capitolo 13
*** Confronto ***


Capitolo tredici! Eccoci qui, vicinissimi (di un capitolo o due) alla conclusione. Ciò che ho scritto sta volta è estremamente tranquillo e serve alla storia per riempire alcuni buchi rimasti insospesi. Mi auguro che possa piacere comunque. Buona lettura. 
 

Confrono

Prima con Johanna, adesso con mia madre. Non avrei mai pensato che avere ospiti potesse mettere così a disagio. Io sto bene, percepisco la speranza farsi strada dentro di me, ma resto sempre e comunque la stessa: una persona solitaria, che ama il silenzio e le cose semplici. Niente interferenze, niente complicazioni.
Non voglio dire che considero  la mamma come un potenziale problema – è più facile che lo sia io per lei – eppure, non mi sento completamente tranquilla con la sua presenza che si aggira per la casa.
Io e Peeta siamo andati a prenderla stamattina presto, in stazione. Era già lì, che ci aspettava, chissà da quanto, chissà perchè. Ci è venuta in contro con un debole sorriso, che ho fatto fatica a ricambiare. Al contrario, il mio compagno, l’ha accolta nel migliore dei modi, mostrando un’aria serena e cordiale, tipica della sua personalità.
Ci siamo abbracciate, prima piano, poi, da parte sua, con foga e disperazione. Sono felice di non assomigliare per niente a Prim. Una minima uguaglianza le avrebbe fatto del male, ne sono certa.
Abbiamo camminato per un po’, parlando di tutto e niente, finche non abbiamo raggiunto il Villaggio dei Vincitori, dove un tempo abitava anche lei, insieme a me e a mia sorella. I suoi occhi, nel vedere la casa, si sono persi un momento. Devo ammettere che ho dovuto scuoterla non poco per farla ridestare. Naturalmente si è scusata e, sempre naturalmente, ho fatto finta che non importasse. 
Per ora i contatti tra noi sono stati questi. Nulla di più, nulla di meno.
Adesso che siamo qui, tutti e tre assieme, non ricordo il reale motivo di questa sua visita, ne tanto meno il perche io l’abbia invitata. E’ brutto, come pensiero, ma non posso farci molto, queste situazioni mi pesano parecchio.
E’ troppo presto per mangiare, troppo tardi per tornare a dormire, quindi ce ne stiamo sul divano a discutere di cose, a mio parere,  inutili e dispersive. Fortuna che c’è Peeta a tenere alto il tasso di attenzione. I suoi interventi ravvivano l’atmosfera, rendendola più calda e normale. Riesce a raccontare di tutto, soprattutto quando è sotto pressione e, per quello che intuisco, lo è a livelli abbastanza alti.
Mia madre è la stessa, se non peggio. Bhe, è presente, risponde e interagisce come un essere umano pensante, ma il suo atteggiamento è uguale a com'era in passato.
«Si trova bene al Distretto 4?» chiede Peeta, forse non trovando un altro argomento valido.
Lei sospira, piano. «C’è molto lavoro. Mi piace, davvero.»
Ovvio. Lavorare senza sosta equivale a non rimuginare su niente di doloroso. Provo pena e tristezza contemporaneamente.
«E voi come ve la passate qui?»
Io e Peeta ci osserviamo. Spero vivamente che la nostra telepatia funzioni anche in questo momento, altrimenti faremo la figura degli stupidi. O degli imbroglioni.
«Alla grande» diciamo all’unisono.
Sorridiamo e io sono così soddisfatta di lui. Il filo conduttore che ci lega è stato soddisfacente anche sta volta.
Mamma annuisce, contenta. «Mi fa davvero piacere.»
Il silenzio cala ancora, pare non voler lasciarci tregua oggi. Meno male che il tempo trascorre in fretta ed è già ora di mettere qualcosa sotto i denti.
Credevo che sarei stata io ad aiutare con il pranzo, invece è mia madre che si rimbocca le maniche e apparecchia la tavola, consigliando Peeta nelle pietanze da cucinare. Sbuffo, rimanendo in compagnia di ranuncolo, che per tutta la mattinata non ha voluto avvicinarsi a lei. Forse era convinto che gli avrebbe riportato Prim, una volta giunta qui, e invece si è sentito preso in giro di nuovo. Io lo capisco bene, ma non mi azzardo a toccarlo, irrequieto e alterato com’è.
Va a finire che mangiamo talmente velocemente da non avere nemmeno il tempo di instaurare un discorso decente.
Meglio. Tanto non avevamo più nient’altro da dirci, mi pare.
Conduco la mamma al piano di sopra, dove ho preparato una stanza pressa poco accogliente dove dormirà e farà ciò che le pare. E’ abbastanza vicina alla nostra, quindi non mi preoccupo. La aiuto pure a disfare il misero bagaglio che si è portata, giusto qualche abito e oggetto personale. Sono convinta di vedere dentro la sua valigia anche una vecchia camicia di Prim, stretta a una giacca consumata di papà, ma lei si affretta a nascondere il tutto, sorridendo svenevole.
La lascio sola, non potendo più sopportare il suo viso davanti a me. Le voglio bene, il nostro rapporto è migliorato, però non saremo mai una famiglia come le altre. Mai vicine, mai amiche.
Raggiungo Peeta, che è già pronto ad accogliermi fra le sue braccia. Lo guardo, volendo fargli un milione di domande, ma alla fine non me ne esce neanche una. In compenso è lui ad interessarsi.
«Come ti è sembrata?»
Alzo le spalle «Indifferente.»
Lui arriccia le labbra, insoddisfatto. «Sei già stanca, non è vero?»
«Non sai quanto» confesso, appoggiando la testa sul suo petto.
Peeta mi abbraccia, dondolando lievemente. Sto davvero bene così, il resto è come svanito.
«E solo fino a dopo domani, poi tornerà tutto normale. Unicamente tu ed io» mi rassicura.
Questa promessa mi riscalda il cuore e penso di poter sopportare se dopo il nostro mondo comincerà a girare ancora nel verso giusto.
Il pomeriggio passa, in qualche modo. Io e mia madre andiamo in paese, dove incontriamo Sae che ci viene in contro. Tiene lo sguardo basso, davanti a me, e lo alza solo per guardare la mamma dritta negli occhi.
Non abbiamo più avuto occasione di chiarire certe situazioni che si sono venute a creare. Ho paura di non volerne più sapere di lei. Non sono veramente arrabbiata, ma è come se avesse tradito la fiducia di Peeta.
Lui si è sempre affidato alle sue cure, era addirittura una delle sue spie, ingaggiate per controllarmi.
A Peeta non l’ho detto, voglio che il suo cuore non provi più nessun tipo di rancore, verso nessuno.
Restiamo con lei per minuti lunghi e interi. Tanto che devo dare sfogo a tutto il mio dissenso per farle staccare l’una dall’altra. Fortunatamente, ci salutiamo in fretta e ugualmente veloci ci dileguiamo dalla sua bancarella. Andiamo a sederci su una delle panchine che affiancano la stretta strada e finalmente ci godiamo la pace di quel momento.
Entrambe vorremmo interrogarci e porci dei quesiti a vicenda, eppure, siamo così codarde da rimanere in silenzio. Quello che mi stupisce è che, alla fine, è proprio lei a parlare.
«State davvero bene come dite?» chiede, l’espressione preoccupata.
Alzo le spalle «Certo che potrei farti anch’io la stessa domanda, no?»
La mamma annuisce e sospira pesantemente. «Non ho più avuto notizie di Gale… E’ in salute?»
In salute? Sta scherzando spero. Perché non espone semplicemente ciò che vuole sapere veramente?
«Lo visto poco tempo fa, ma se ne andato abbastanza velocemente» spiego. «E’ diventato un uomo ormai e io ero troppo immatura per stare con lui, perciò ci siamo salutati senza rancore.»
Lei rimane a bocca aperta, con l’incredulità negli occhi. Come tutti è ancora convinta che io sia una donna forte e incredibilmente intelligente. Oltre a Peeta, pare che nessuno intraveda la vera me: una ragazza distrutta e terribilmente insicura.
«Ero convinta fin dall’inizio che non avresti abbandonato Peeta» aggiunge lei, accarezzandomi una guancia.
Permetto che la sua mano mi tocchi per molto tempo, finché decido che è il mio turno di espormi, di essere una figlia che ha bisogno di sua madre.
«Mi sembra incredibile… Adesso sto bene, ma ho il terrore che tutto svanisca e mi crolli davanti, miseramente» Lo confesso tutto d’un fiato. Senza pensarci troppo.
Lei sembra sbigottita da questa mia uscita, ma è intenzionata ad assecondarmi «L’incubo è finito, Katniss. E’ impossibile dimenticare, ma possiamo comunque provare a vivere come ci meritiamo. Se non cerchiamo di fare almeno questo, non siamo altro che schiavi soggiogati da un regno ormai distrutto.»
Credo che mia madre non abbia mai detto nulla di più incredibile di ciò che le è appena sfuggito dalle labbra. Sono sbalordita.
«Grazie» sussurro. Mi serviva solo questo.
Lei sorride e insieme torniamo al Forno, visto che Peeta ormai avrà finito il turno in panetteria.
«Ti piace davvero il Distretto 4, mamma?»
Lo sguardo esasperato che mi lancia è vagamente ironico. «Ciò che faccio ogni giorno da senso alla mia esistenza. Quindi credo significhi che mi piace.»
Non soddisfatta, continuo «Stai male spesso? Anche io ho i miei momenti bui, non ce ne dobbiamo vergognare.»
«Io non me ne vergogno. Sai, dopo tanti anni ho deciso che commiserarmi è inutile e difficoltoso. Per me e per chi mi ha conosciuta è stato uno strazio, e non voglio che accada mai più.»
Si sta riferendo a me e a mia sorella. Forse questo è il suo modo per chiederci scusa indirettamente. Devo ricredermi per forza. E’ una donna diversa, più concreta e fiduciosa. Si è sgretolata in mille pezzi e ha deciso di ricomporsi a modo suo, proprio come me. Non siamo perfette, ma nella nostra difettosità siamo originali.
Rimaniamo vicine, sfiorandoci con la mente. Se Prim fosse qui, piangerebbe di felicità. Questo è il suo sogno più grande. Una famiglia. Non so se anch'io lo desidero, però stare accanto ad una madre, senza preoccuparsi di doverle nulla e prenderle niente, è davvero la soddisfazione più grande.  

E' la fine di un altro capitolo... Questo è davvero misero e mio parere scritto molto banalmente. Credo che meglio di così non sarei riuscita a farlo, però. Naturalmente, sotto l'aspetto degli errori grammaticali ecc.. avrei potuto fare di più, ma mi auguro non sia così terribile XD E' molto semplice, davvero tranquillo e delicato, come capitolo. Spero di non avervi annoiato e ci vediamo nel prossimo, che probabilmente sarà l'ultimo! Un grande bacio e grazie <3
Pain.

 

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Capitolo 14
*** Ragione ***


Capitolo quattordici! Vi prego di perdonare la mia assenza così lunga, ma lo studio, e tante altre faccende, mi hanno tenuta lontana da EFP e dalla normale vita di tutti i giorni. In compenso, ho avuto tempo per riflettere e concludere finalmente questa Fanfic! Eh, già. Questo è l'ultimo capitolo e spero proprio di aver chiuso con il botto. Mi sono impegnata tanto, sopratutto nelle ultime righe, che secondo me sono un po' il riassunto di tutto il mio lavoro. Vi prego, quando arrivate in fondo leggete le note che ho scritto, perchè riguardano la proposta/sorpresa accennata nei capitoli precedenti! Grazie mille a chi avrà ancora voglia di leggere e farmi sapere cosa ne pensa!!
Un bacio. E ancora scusa!!

Ragione

Quando diciamo che non abbiamo mai lo spazio necessario per fare tutto, è vero. Il tempo passa essenzialmente veloce e a volte non ci accorgiamo nemmeno di quanto le varie situazioni ci sfuggano dalle dita, come granelli di sabbia. Perché alla fine è così: crediamo di poter permetterci di rimandare tutto arrivando  a perdere le occasioni più importanti, miseramente.
Non so quando ho deciso che non mi sarei più fatta scappare nulla, che non mi sarei più tirata indietro nel dimostrare ciò che provo. Forse è da questo preciso istante, mentre con una mano saluto la mamma, e con l’altra mi asciugo gli occhi. Sta salendo sul vagone diretto al Distretto 4 e indossa un abito azzurro, simile alle sue iridi. L’hanno chiamata ieri sera, richiedendo la sua presenza per alcuni casi urgenti  giunti in ospedale. Senza di lei non riescono proprio a gestire i pazienti nell’ordine corretto, quindi ha deciso di partire il prima possibile.
Penso di essermi sentita vagamente infastidita da questo cambio di programma. So bene che la vita di dieci persone vale più della mia, ma lei è pur sempre mia madre. E io non lo accetto. Si è scusata un milione di volte, invocando il nostro perdono. Peeta non trovava modi per rassicurarla e io non avevo niente da aggiungere. Dare voce ai miei pensieri sarebbe stato dannoso per tutti, e di peggiorare di nuovo il nostro rapporto non ne avevo le forze. Quindi ho lasciato correre, come faccio sempre.
Straordinariamente, Ranuncolo le ha permesso una carezza veloce, poi è fuggito, nascondendosi dietro al divano. Avrei voluto raggiungerlo anch’io e rannicchiarmi accanto a lui, codarda come sono.
«Non credevo ti sarebbe dispiaciuto tanto» dice Peeta, asciugandomi le lacrime che scendono sulle guance.
Sto ancora guardando la mamma e cerco di non farle capire che sto soffrendo «Infatti è così.»
Lui ride e mi lancia un’occhiata storta «E allora perché piangi?»
«Non sto piangendo» mento, tirando su con il naso.
Peeta sorride, esasperato, e mi accarezza le braccia. Fortunatamente, non infierisce e io continuo la mia sceneggiata, costruendo un’espressione seria e impassibile. La mamma mi sussurra un flebile “ciao” e io contraccambio con una frase simile, anche se vorrei urlarle altro. In poco tempo il vagone comincia a muoversi e lentamente la sua figura inizia a scomparire. Il cuore mi batte forte,  mentre osservo il treno andarsene e, quando ormai è già lontano, perdo battiti. Magari se il nostro abbraccio prima di separarci fosse durato più a lungo, ora non mi sentirei così insoddisfatta. E adesso è tardi, mia madre sarà da qualche parte, seduta a guardare fuori dal finestrino, che riflette serenamente sul  nostro confronto intenso e vero come non mai. Mi auguro che i malati del Distretto 4 siano veramente messi male, altrimenti,  se scopro che erano solo casi banali, giuro che vado su tutte le furie e mi arrabbio sul serio.
Peeta dice che è inutile rimanere lì, ferma a far nulla e che è il caso di tornare a casa, o per lo meno di inventarci qualcos’altro. Accetto la proposta, convinta di non avere più niente che mi trattenga in questo luogo ricco di addii.
Passeggiamo stretti l’uno all’altro, chiacchierando tranquillamente di cose poco importanti, ma che a quanto pare aiutano l’attuale situazione. Lo guardo spesso, assimilando ogni poro della sua pelle e lui giocherella con la mia treccia, facendosela passare tra le dita. E’ davvero bello. Me ne rendo conto solo in questo periodo, dove sono rilassata e senza pensieri. Io, al contrario, temo di non essere all’altezza. Le cicatrici, il viso stanco, il fisico troppo magro. Non sono proprio l’immagine della donna desiderabile. Eppure, gli piaccio.
«Ho qualcosa su viso?» chiede lui, accorgendosi del mio esaminare persistente.
«No, non preoccuparti» sorrido, diventando lievemente rossa. «Stai benissimo.»
Peeta non si imbarazza e sostiene il mio discorso «Anche tu.»
Annuisco con fare ironico e gli suggerisco che certe cose con me non funzionano. So che lo pensa sul serio, ma sono anche sicura che abbia la mente traviata da quello che ho fatto per lui e da tutti i momenti trascorsi insieme.
«Io non scherzo» afferma con tono inflessibile. «Non vorrei altre, al di fuori di te.»
«Nemmeno Johanna?»
Rimane sbalordito e mi osserva con stupore «Cosa centra Johanna, adesso?»
Rammento la battuta che ha fatto a Gale e di quanto io ci sia cascata «Così, era una mia curiosità. E’ del tutto lecita, visto che quando si è spogliata in ascensore sia tu che Haymitch non avete opposto resistenza.»
Lui sbianca, ricordando la scena in questione «Mi porti ancora rancore per quel gesto, vero?»
«Può darsi» rido, pizzicandogli un fianco.
Torna rilassato e proseguiamo la nostra camminata, non conoscendo neanche noi la meta definitiva.
Arriviamo vicino ai boschi e stiamo per deviare al Villaggio dei Vincitori, quando gli propongo di venire con me, per addentrarci nella natura.
«Se vuoi cacciare, non ti conviene. Siamo entrambi consapevoli del fatto che faccio talmente rumore da spaventare tutti gli animali presenti nei dintorni» mormora, sbuffando.
«Non voglio andare a caccia… solo farti vedere un luogo in cui passavo la mia infanzia.»
Pare lusingato, perché le pupille gli si dilatano e il fiato diventa affannato. Gli accarezzo un braccio, per poi prenderlo per mano e condurlo tra la vegetazione. E’ davvero scoordinato, inciampa ovunque e si perde appena lo lascio solo. Di figli non ne ho bisogno, ho già lui a cui badare.
Alla fine, dopo varie imprecazioni e cambi di strada, giungiamo al lago dove io e mio padre andavamo a fare il bagno. La visione di quel luogo mi rimanda ricordi importanti. Il bacio con Gale, per esempio.
Eppure, non mi sconvolge e il mio corpo è calmo e controllato.
Peeta esamina tutto il perimetro, andando a raccogliere un sasso, che poi getta nelle acque torbide del laghetto.  «E’ qui che passavi le tue giornate?» domanda. «E’ tipico tuo.»
Ho sempre dichiarato di essere un libro aperto e questa ne è l’ennesima conferma.
Gli dico che poco lontano da lì c’è una piccola baracca e che mi sono presa la briga di ristrutturarla meglio che potevo. Quando glielo faccio presente, Peeta mi trafigge con un’espressione interrogativa  che non mi riesce di decifrare «Non è che vuoi uccidermi e occultare il mio cadavere, vero?»
Appena comprendo il senso delle sue parole, mi irrigidisco. Un ibrido, un assassina, ancora?
Ma poi qualcosa, una luce rassicurante, che catturo dai suoi lineamenti,  mi fa intuire che è tutta una presa in giro.
«Beccata» ammicco, circondandolo in un abbraccio. Lui mi bacia piano, e il contatto dura un secondo.
«Te lo permetto» mormora sulle mie labbra. «Se sei tu, posso anche morire.»
Questa frase mi mette tristezza, però è l’unico modo in cui riesce a darmi prova del suo amore incondizionato. «Andiamo» lo invito, accompagnandolo all’interno di quella casetta improvvisata.
 E’ abbastanza in ordine. Pulita, almeno. Ci sono un paio di coperte di un rosso sbiadito e qualche oggetto di vita quotidiana. Nel complesso, è accogliente.
«Carina» commenta e io rido.
Ci accoccoliamo sulle assi in legno e ci copriamo con quello che c’è. Alla fine, stiamo per congelare, quindi, recuperati alcuni fiammiferi e un po’ di legna, accendo un fuoco niente male. Ci scaldiamo le mani e respiriamo l’odore di cenere bruciata. Mi  guardo in giro e scorgo una scatola di fagioli e qualche pentola. Se mai venisse fame a uno dei due, o a entrambi, il cibo non mancherà.
Rimaniamo vicini per minuti interminabili ad ascoltare il respiro dell’altro, come se fosse la melodia migliore di sempre. Ma io non desidero sprecare questa occasione. Peeta mi ha dato l’immaginabile, tutto se stesso, mentre io l’ho ricambiato cedendogli la metà di ciò che posso realmente offrigli. Perciò questo è il momento di ripagarlo come si deve.
«Comunque, nemmeno io vorrei altri, oltre te» aggiungo, tornando al discorso di prima.
Lui annuisce ed è estremamente serio «Ma…»
«Nessun ma, per una volta.»
Gli circondo il collo con le braccia, baciandolo dolcemente. Lui mi avvolge il busto, attirandomi più vicino. Inerisco la mano tra i suoi capelli biondi, testandone la morbidezza, e gli accarezzo il capo, ossessiva. Mi ritrovo con pensieri confusi e offuscati dal desiderio, senza via di scampo. Salgo a cavalcioni sulle sue cosce e con le gambe mi aggrappo alla schiena dritta e tesa. Non devo pesare molto, perche lui non si lamenta. Restiamo avvinghiati in una morsa indistruttibile, incapaci di separarci. Voglio Peeta e lo voglio adesso.
«Mi ami. Vero o falso?» chiedo, pur sapendo già la risposta.
Lui sorride «Vero.»
«Vero» ripeto.
Dalla testa, passo alla sua schiena, sfiorandola con le mani. Sono fredde, forse congelate, e il gesto gli causa brividi interminabili. Mi scuso e faccio per riportarle a posto, ma lui non me lo concede, supplicandomi di non smettere. Alla fine, a forza di sfregarle sulla sua pelle bollente, diventano calde e piacevoli.
Peeta solleva la maglia di cotone che indosso e la sostituisce con le dita ruvide e incredibilmente gentili.
Ansimo piano, soffocando la mia reazione sulle sue labbra.
«Che stiamo facendo, Katniss?»
«Non lo so» sussurro, zittendolo definitivamente. 
Succede tutto così in fretta, eppure ho la capacità di distinguere ogni singolo particolare, ogni movimento. Siamo distesi tra le coperte rossicce che ho portato qui, con le gambe che si intrecciano e i respiri che si uniscono. Ho sempre creduto che sarebbe stato terribile, complicato ed estremamente sgradevole. Invece, siamo coinvolti da una moltitudine di sentimenti diversi: passione, paura, piacere, complicità e un po’ di dolore.
Tremo  quando  Peeta prende da me, e rilasso i muscoli quando ricevo da lui. E’ un susseguirsi di scambi a pari merito. Qualcosa di intenso e puro. Incondizionato.
Peeta mi cura, si preoccupa e io non faccio altro che accogliere le sue premure, sperando di star soddisfando le sue aspettative. E’ proprio vero che non poterei dividere una cosa simile con un altro. Neanche con Gale. Magari sarebbe  bello, ma non così. Questo è il massimo.
Siamo sfiniti e ci sosteniamo a vicenda, con dolcezza. Lui mi osserva, facendomi arrossire, e io evito i suoi occhi, perchè troppo pieni di emozioni complesse. Mi accarezza la il fianco, arrivando fino alle cosce, per poi tornare alla spalla, al seno e al mio viso beato.
«Grazie» conclude, prima di addormentarsi come un bambino.
Grazie. Devo avergli dato molto, e questo mi commuove. Piango di felicità, in silenzio, nascondendo il volto contro il suo petto e ringrazio qualcuno più in alto di me, per avermi aiutato. Osservo il fuoco che si sta spegnendo e mi accorgo di avere i capelli sciolti e sparsi ovunque. Il petto di Peeta si alza e si abbassa a intervalli regolari, e  il suo cuore battere nella norma. Ascolto il mio, che, al contrario, va come un treno e pulsa sangue ovunque. «Grazie a te» mormoro, la voce che trema. 
Riposiamo per qualche ora, poi, con imbarazzo, decidiamo di immergerci nel laghetto, che con l'arrivo del pomeriggio ha perso il suo gelo. Raccolgo un po’ d’acqua sul palmo della mano e gliela rovescio sui capelli, facendoli diventare scuri e lucidi. Lui fa lo stesso, e le ciocche mi si appiccicano sulla fronte, ma Peeta le tira all’indietro, massaggiandomi la cute. Il sole non è limpido e qualche nuvola minaccia il cielo, però la temperatura è gradevole e noi stiamo bene. Brilliamo alla luce dei raggi e quando non riesco più a sostenere il suo sguardo, mi immergo nel lago, rinfrescandomi il volto paonazzo. Andiamo avanti così per chissà quanto, laviamo via il sudore, il dolore e il passato, lasciando nuovo spazio a quello che verrà. Ora la pelle di entrambi è pronta ad accogliere nuovi strati di situazioni, perche sappiamo di poterla rigenerare quando vogliamo, basta aiutarci  l’un l’altro.
In questo momento molte consapevolezze si fanno strada nel mio subconscio, e permetto che vadano ad inondarmi la mente, raggiungendo un verdetto conclusivo.
Ho passato la vita cercando di trovare il senso  del terrore e del ingiusto, senza mai capire che era la bellezza ad aver bisogno di spiegazioni . Ho oltrepassato confini che dovevano rimanere tali e sono rimasta nascosta dietro a muri invisibili, che necessitavano di crollare. Non potevo sapere che in una baracca, insieme al ragazzo del pane, avrei scoperto la vera ragione ad ogni dubbio della mia esistenza.
Perché anche una Ghiandaia imitatrice, portatrice di fuoco e distruzione, ha il diritto di volare libera e, in fine, spegnersi nelle acque della normalità, per esalare l’ultimo grido di vendetta ed emettere il suo primo canto sincero.  

Eccoci qua! Oddio spero vi sia piaciuto questo capitolo finale!! Ho messo la mia intera anima e a tratti sono davvero soddisfatta. Perdonate gli errori che avete trovato, ma non sono perfetta e certe cose mi sfuggono, ma questo lo sapete già. La proposta/sorpresa di cui vi parlavo è questa : Ho deciso di aggiungere un capitolo Extra che racconterà un momento futuro dei nostri personaggi. Un salto di tempo consistente che servirà a voi lettori per sapere come finisce veramente la storia e come le cose si siano evolute nel corso degli anni. E' una PROPOSTA, quindi se non ritenete l'idea opportuna, non farò niente di tutto ciò. Dovete farmi sapere vuoi cosa ne pensate... io posso solo aspettare! Per ora ringrazio chi ha letto la fanfic e ha avuto voglia di farmi sapere cosa ne pensava, dandomi anche consigli e suggerimenti per correggere il testo. Grazie a tutti, davvero. Spero vogliate fare un ultimo sforzo e recensire il mio ultimo capitolo, dicendomi anche se la proposta risulta fattibile... Attendo con ansia... 
Un bacio infinito come l'universo!!
Pain.

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