Datemi una maschera e vi dirò chi sono.

di Stellyna_P
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # I Capitolo. ***
Capitolo 2: *** # II Capitolo ***
Capitolo 3: *** # III Capitolo ***



Capitolo 1
*** # I Capitolo. ***


Note: La storia è nata in un momento di delirio una notte di tanto tempo fa

 

 

Note:  La storia è nata in un momento di delirio ieri notte. Saranno solo pochi capitoli due, tre al massimo.

Questo capitolo è solo una specie d'introduzione, la vera e propria storia inizierà il prossimo capitolo.

Spero solo che vi piacerà, buona lettura.

Ilenia.

Dammi una maschera e ti dirò chi sono.

Accogliere e pronunciare la verità è sempre difficile.

Per questo ci nascondiamo sotto veli d'ipocrisia.

Per questo non riesco a guardarti negli occhi.

Datemi una maschera vi supplico, non riesco a sopportare questo fardello.

Non ci riesco, è troppo difficile.

 

 

 

 

L’aveva lasciata.

Poche parole sconnesse scritte in un messaggio per farla finita.

Finalmente avevano messo fine a quella falsa e Virginia non sapeva se essere arrabbiata, sollevata o confusa.

Virginia era davvero stanca, stanca di sentirsi così inadatta, di non riuscire mai ad esternare i propri sentimenti.

Una vecchia bambola di porcellana ecco cos’era, una bambolina intarsiata da piccole crepature.

Le sue ferite.

Voleva davvero cambiare, magari cercando di assomigliare un po’ di più alla sua migliore amica Loredaine.

Lei si che ci sapeva fare.

Era sempre così perfetta con i suoi capelli rossi sempre pettinati e i vestiti senza pieghe.

Loredaine era il suo opposto.

Decisa, forte, sociale e con una parlantina da fare invidia.

Quando Loredaine parlava era impossibile non ascoltarla, forse era per questo motivo che all’asilo lei l’attirò così tanto.

Adesso a distanza di quindici anni le cose non erano cambiate molto.

Loredaine continuava a essere la stella del momento, bellissima e perfetta e Virginia la sua comparsa.

E andava bene così, era il loro compromesso ma in quel momento Virginia avrebbe pagato milioni per assomigliare un po’ di più a Loredaine.

L’ennesima auto che le passo accanto le ricordò di trovarsi in mezzo alla strada, le auto passavano accanto a lei, e quasi la sfioravano mentre la pioggia cadeva fittamente.

La ragazza aveva sempre amato la pioggia, e non per quella stupida frase che tutti continuavano a ripetere: “Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alto con il viso alzato”.

Tutte stronzate, lei non avrebbe pianto nemmeno sotto la pioggia, anche perché era stufa di piangere e di lamentarsi.

Lei amava la pioggia perché adorava osservare il modo in cui le gocce d’acqua scivolavano perfettamente via dalla sua pelle per poi infrangersi al suolo.

I capelli neri le ricadevano sul volto,bagnati, oscurandole l’occhio sinistro, l’orologio regalatole dalla madre segnava le due di notte ma l’ora era davvero l’ultimo dei suoi pensieri.

E di pensieri ne aveva davvero tanti.

Imboccò una stradina che aveva tutta l’aria di essere desolata.

D’improvviso un faro abbagliante l’accecò mentre non riusciva a distinguere la macchina che velocemente e pericolosamente si avvicinava a lei.

Troppo velocemente.

Troppo vicina.

Era finita.

Questa volta avrebbe veramente lasciato il mondo, in un modo abbastanza dignitoso in fondo il giorno seguente la sua morte sarebbe stata riportata sui giornali. Che poi nessuno si sarebbe interessato del milionesimo incidente stradale era tutta un’altra cosa.

Il resto della sua storia ancora oggi non lo ricorda bene, sentì solo il rumore ovattato di una frenata e lo sportello di una macchina aprirsi fragorosamente.

E poi quella voce che la colpì come un dardo infuocato.

-Ma sei impazzita? Che cazzo sei scema? Camminare in mezzo alla strada, volevi per caso morire?-

Ricorda di aver alzato il volto velocemente, se quello era il paradiso non le piaceva affatto, aveva pensato Virginia, troppo rumoroso e quell’angelo aveva qualcosa d’inquinate che non le piaceva per niente.

-Ma sei anche sorda? Ti stavo ammazzando.-

Virginia non rispose, guardava il ragazzo che continuava ad agitare le mani con fare teatrale.

Aveva i capelli scuri da quello che poteva notare, visto la poca luce ed era anche abbastanza alto, anche se al confronto con lei anche un nano sarebbe stato un gigante.

Non si era mai lamentata del suo metro e cinquantacinque pensava sempre che in quel modo riusciva a confondersi bene con le altre persone.

-Scus..a- riuscì infine a balbettare Virginia ancora scossa.

-Scusa un corno. Ti sei fatta male?- domandò dopo averla squadrata, più per cortesia che per vero interesse.

Virginia arrossì di colpo, odiava parlare e soprattutto rispondere a quelle stupide domande come: Stai bene? Che mi racconti? A scuola?

Era odiosamente fastidioso.

-Si tutto bene, grazie.- rispose infine abbassando lo sguardo.

Il ragazzo di fronte a lei si allontanò un attimo dedicando le sue attenzioni alla sua macchina, la frenata che aveva fatto era stata abbastanza brusca e adesso sperava che quel catorcio che si spacciava per la sua macchina non si fosse guastata.

Virginia dal canto suo si stava seccando, voleva tornare a camminare per i fatti suoi.

Si avvicinò al ragazzo che le dava le spalle e timorosa ticchettò il dito sulla spalla di lui.

-Ehm… io dovrei andare. Grazie… per…ehm non avermi…si hai capito.- disse poi quando lui si girò. Adesso che lo vedeva meglio riusciva benissimo costare che il ragazzo era davvero carino.

Poteva avere massimo vent’anni, i capelli erano castano scuro e gli occhi verdi anche se Virginia pensò subito che il ragazzo usasse le lentine colorate perché quel verde sembrava abbastanza falso. Come quei diamanti falsi che prima ti abbagliano e solo dopo si dimostrano per quello che sono: Falsi.

Aveva un piercing sul labbro inferiore che gli donava parecchio e un tatuaggio a forma di serpente sul braccio.

Sembrava quel classico ragazzo che a mamma e papà non piacciono mai, quelli che le brave bambine evitano come la peste.

Ed emanava un’aura di famigliarità.

-No. Dimmi dove abiti non si sa mai mentre torni a casa cerchi di nuovo di ammazzarti.-

Virginia sbuffò, non stava cercando di suicidarsi anche perché era troppo legata alle cose terrene e alla sua vita per uccidersi.

-Cosa? Possibilmente sei anche un maniaco… è logico che non salgo in macchina con uno sconosciuto.- ripose subito ricordandosi le parole che fin a due anni fa ripeteva ogni volta che usciva di casa.

Il ragazzo rise divertito.

-Non ti preoccupare non ti voglio né violentare né portarti sulla brutta strada.- rispose lui con un sorrisino.

Si trovavano ancora nella stradina deserta e a Virginia parve tutta una scena abbastanza patetica aveva sonno e voleva tornare a casa per dormire e dimenticare quella giornata straziante.

-Ok ok accompagnami…- disse infine arrossendo.

-Ma ti avverto che sono cintura nera di Karatè.- e in fondo in quello che aveva detto c’era un fondo di verità lei in quel momento indossava una cintura nera.

Il ragazzo annuì poco convinto e gli fece cenno di entrare nella macchina, sinceramente in quel momento poco le importava di accettare un passaggio dallo sconosciuto che l’aveva quasi ammazzata le doleva troppo la testa per cercare di pensare a qualcosa di sensato.

Si sedette sul sedile della macchina mentre un odore di menta la colpì fortemente, quell’essenza aveva qualcosa di assicurante e familiare.

Il ragazzo salì anche lui in macchina da lato del guidatore accendendo il motore, che chissà per quale potenza divina funzionava ancora.

-Come ti chiami?- domandò poi il moro per spezzare la tensione.

-Virginia.- La risposta della ragazza arrivò subito come se se la fosse aspettata.

-Non mi piace.- rispose il ragazzo mentre seguiva il ditino della ragazza che accanto a sé l’indicava la via di casa sua.

Virginia arrossì nervosamente, avrebbe dovuto rispondere con qualcosa d’intraprendente come: “Non deve mica piacere a te” ma questo non faceva parte del suo carattere quindi si limitò a scrollare le spalle.

-Vedo che sei di poche parole, non mi hai nemmeno chiesto il mio nome.-

Virginia alzò di nuovo le spalle come se il discorso non le interessasse.

-Girà a destra e dopo aver superato il semaforo vai a sinistra.-

Il ragazzo annui.

-Comunque mi chiamo Alex.-

Il nome a Virginia non piacque, ricordava uno di quei nomi dei personaggi dei telefilm che vedeva sempre sua sorella.

Rimasero in silenzio, in sottofondo solo il rumore dell'indicazione di Virginia.

-Porti le lentine?- chiese di punto e in bianco la ragazza stupendo se stessa.

-Scusa?-

-Ho detto: Porti le lentine?- ripeté stizzita lei per aver dovuto ridire di nuovo la domanda.

Alex corrugò la fronte per poi sorridere.

-Si, come hai fatto a capirlo?- domandò curioso.

La ragazza si strinse fra le spalle.

-Così, l’ho notato.- rispose abbassa voce.

-Di che colore sono veramente?- domandò poi stupendosi di star dando vita lei stessa a una discussione.

-Azzurri.- rispose brusco Alex. Virginia non rispose, non glie’era piaciuto il tono con cui aveva parlato. Sembrava il suo quando gli domandavano di sua madre.

Si limitò ad annuire.

Il silenzio cadde fra i due, di nuovo, e fu quasi assordante.

Virginia si girò verso il finestrino osservando il cielo che quella notte era di un nero cupo, la luna sembrava voler giocare ad acchiappa acchiappa. Si ricordava che quando era piccola e saliva in macchina con i suoi genitori chiedeva sempre perché la luna e le stelle continuavano a inseguirla.

Sorrise a quell’ingenuo ricordo.

-Adesso dove devo andare?- sussurrò lui.

-A destra e poi sono arrivata.- disse iniziando a riconoscere il supermarket vicino a casa sua.

-Non per farmi gli affari tuoi ma che ci facevi a quell’ora fuori casa da sola?- domandò Alex concentrato a guardare la strada.

-Pensavo.- rispose lei.

Lui annuì poco e alzò il sopracciglio, voleva aggiungere che poteva benissimo pensare a casa sua ma si morse la lingua per non dirlo.

-Fermati.- disse quasi subito Virginia.

-Sono arrivata.- concluse.

Lui fermò la macchina, la casa di lei era davvero carina. Aveva un piccolo prato e la villa era illuminata.

-Allora…io vado…ciao e grazie- disse rossa in volto lei e lui la trovò davvero adorabile.

-Buonanotte Virginia.- ripose lui sorridendole.

La ragazza uscì di corsa dalla macchina, Alex la vide inciampare su un sasso e riprendere l’equilibrio subito, mettere la chiave sulla toppa della porta ed entrare a casa.

Quando Alex la vide rientrare a casa sussultò e si rilassò.

Virginia non l’aveva riconosciuto.

In fondo non l’aveva mai davvero visto.

Si girò e poté scorgere la piccola incisione che aveva fatto lui stesso a quindici anni.

VIRGY&RYAN.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** # II Capitolo ***


Dammi una maschera e ti dirò chi sono

Dammi una maschera e ti dirò chi sono.

Guardami.

Indosso la mia maschera, ma sono io.

Guardami.

Sono qui per te.

Guardami.

Non ti sono mai stata così vicino.

Guardami.

Adesso chiudi gli occhi.

Riaprili.

Ricorda.

Tre anni dopo.

**

Quella mattina la ricorda come se fosse ieri; Forse ricorda qualsiasi cosa che riguardi quella giornata di fine ottobre.

Da quello che mi hanno detto, so che ancora oggi Virginia continua a raccontare quella storia, a chi nemmeno lei lo sa, e chi la sente può dichiarare che la sua storia sia abbastanza affascinante.

E chi l’ascolta può anche riconoscere la figura del giovane di cui lei narra sempre, che ogni giorno va a fargli visita.

 

**

-Loredaine sei perfetta.-

La voce assonnata di Virginia la fece ridestare, era da un’ora che continuava a specchiarsi nello specchio dell’armadietto.

I capelli rossi le ricadevano perfettamente sulle spalle delicate, i tratti del viso erano stati evidenziati dal fard e gli occhi castani dal mascara. Il vestito da fatina delle nevi le scivolava lungo i fianchi rivelando le gambe toniche e lunghe.

Loredaine Lacroix sembrava appena uscita da un libro di fiabe. Ricordava in maniera esagerata una di quelle fate madrine che davano sempre il loro benevolo aiuto alle belle principesse.

-Sono in ansia, ho bisogno che questa festa vada bene, ci servono soci per l’associazione.- La voce sempre decisa di Loredaine traballava un po’ e questa scena ricordò a Virginia che anche la rossa era un essere umano e che alcune volte aveva i suoi momenti di debolezza.

-Dai Lory andrà tutto per il meglio.- Virginia cercò di sorridere.

Il vestito che indossava lei però non dava lo stesso effetto che provocava in Loredaine. Virginia indossava un lungo vestito bianco, la gonnellina era a campana e strati di velo la faceva tanto rimpiangere il vestito da contadina che era nascosto nell’armadio.

Rilegò i lunghi capelli castani in una crocchia, lasciando che alcune ciocche cadessero liberamente. Non aveva nessuna voglia di andare a quell’inutile ballo. Quelle feste non facevano per lei e avrebbe preferito andare a mangiare qualcosa nel bar vicino casa piuttosto.

-Ginny sei bellissima anche tu.- Virginia sorrise mentre continuava a guardarsi con sguardo schivo.

-Devo venire per forza?- sbottò per la terza volta e Loredaine non si trattene e sospirò sonoramente.

-Virgy si,devi venire, ho bisogno del tuo conforto morale.-

Loredaine aveva finalmente realizzato il suo sogno, essere una stilista. Aveva creato la sua società, anche grazie ai soldi di suo padre che non mancavano mai.

Adesso però toccava a Loredaine farsi conoscere. Toccava a lei fare il grande passo. E quella festa di beneficienza era già il suo inizio. A quel ballo avrebbero partecipato i più grandi registi del cinema.

Anche questo un piccolo regalo del padre della ragazza.

-Allora Ginny, andiamo?- domandò sorridendo, anche se la piccola mora notò la piccola patina di paura che alleggiava nei suoi occhi.

Era consapevole di come si sentisse in quel momento Loredaine, per una volta in vita sua voleva fare qualcosa da sola. Senza l’aiuto di suo padre e molto probabilmente, pensò Virginia, se la sarebbe cavata benissimo.

-Certo andiamo.- Virginia diete una piccola pacca a Loredaine che in risposta le fece una linguaccia.

-Paura?- domandò poco dopo Virginia.

-Nemmeno un po’.- rispose Loredaine sorridente e Ginny sorrise in risposta.

Lei le sue vere risposte gliele leggeva negli occhi.

Entrarono di corsa in macchina, cercando di non rovinare i vestiti che strascicavano per terra.

Appena arrivarono Virginia rimase di sasso.

La festa si svolgeva in uno degli Hotel più fantastici di New York, la sala era spettacolare.

I colori oro e argento davano un’aria di luce e di luminosità.

I tavoli erano pieni di cibarie varie. Al centro della sala un grande palco faceva la sua regale comparsa, dove alcune coppiette ballavano.

Era Halloween è quindi tutti erano vestiti, c’erano alcune principesse, zombiee, vampiri, lupi e altri vestiti comuni e no.

Sentì subito Loredaine spostarsi e salutare qualcuno che Virginia non aveva mai visto in vita sua.

Quella sala sembrava davvero uno scenario da favola, I lampadari di cristallo mandavano riflessi di luce colorata e Ginny sorrise.

La porta si aprì e la ragazza si girò per vedere chi fosse entrato.

Ma il sangue le si raggelò.

Un angelo era appena entrato. E non nel senso metaforico, era proprio un angelo.

Indossava un vestito nero con delle piccole ali dello stesso medesimo colore.

Come in ogni favola che si rispetti lui si girò per incontrare gli occhi lei.

E Virginia, come scritto da copione, perse la testa. Quegli occhi azzurri erano agghiaccianti.

Di un azzurro tendente al blu, il viso era coperto da una maschera.

Vide il ragazzo distogliere lo sguardo da lei e salutare un uomo che vicino a lui parlava animante.

Demone o angelo?

La sala era brulica di persone, Virginia seduta in un angolo della sala poteva sentire i bisbigli delle persone vicino a lei, la musica cercava di svuotarle la mente ma senza successo. Quegli occhi che aveva osservato con tanta brama il minuto prima le ricordavano troppo qualcuno, il bello è che non sapeva. Non sapeva a chi appartenessero quelle gemme, eppure sapeva che le aveva gia viste.

Si portò il calice alle labbra, assaporando il liquido dorato. Sentì il sapore dello champagne inebriarla, lo spumante le arrivò in gola e si sentì bruciare appena.

Loredaine, distante da lei, stava parlando con un uomo vestito di bianco, era abbracciata a uno di quelli che di solito Virginia considerava i ragazzi-usa e getta di Loredaine.

Sentì dei passi avvicinarsi e meccanicamente si girò. L’angelo nero che aveva incontrato poco fa, era lì davanti a lei. Sorrideva come un demone tentatore. La maschera lasciava scoperti gli occhi azzurri, la bocca e il mento.

Era angelico.

-Ti va di ballare?- le chiese mentre prendeva la mano di lei fra le sue.

Virginia rimase colpita da quello sguardo e da quelle mani calde e sicure, senza accorgersene annuì.

L’angelo tentatore sorrise e le porse il braccio invitandola in pista. Solo dopo la ragazza si accorse di quello che stava facendo. Stava ballando con uno sconosciuto, che per quanto fosse bello, rimaneva sempre tale.

Virginia s'irrigidì e questo lo notò anche lui.

-Qualcosa non va?-

-Scusa, non posso ballare con te. Io non ti conosco.-

Lui rise, e intrappolò i suoi occhi con quelli di Virginia.

Trascinò il suo corpo in mezzo alla pista e le mise le mani sui fianchi, sentì la dolcezza della stoffa candida del vestito con la sua mano.

-E se invece mi conoscessi?- domandò lui smettendo di ridere.

Virginia arrossì, quegli occhi e quell’espressione avevano il potere di scombussolarla.

-E chi sei?- domandò Virginia titubante.

-Dopo te lo dirò. Adesso balla con me.-

Grazie alla stessa forza distruttiva di prima Virginia si ritrovò ad annuire.

Di nuovo.

La mora appoggio le mani tremanti sul suo collo, maledicendosi mentalmente. Sembrava una ragazzina di dodici anni alla presa con la sua prima cotta.

La musica continuava a scorrere, scorrere come un fiume in piena. Quella musica dolce e ipnotizzante li accompagnava in quel ballo.

La ragazza appoggiò il suo viso sul petto di lui e senti cuore del ragazzo battere furiosamente. Lui in tutta risposa rafforzo la presa nei fianchi.

Virginia si sentiva protetta, quelle braccia le ricordavano gi abbracci che sua madre le dava, erano affettuosi e la teneva stretta a lei come se fosse la cosa più preziosa del mondo.

In quel momento anche lui la teneva in quel modo.

Era un estraneo, un estraneo.

Si ripeteva, non poteva permettersi di perdere la testa per un uomo che nemmeno conosceva.

Era successo già la prima volta, e il suo cuore non avrebbe sopportata un’altra accoltellata.

Quando Lucas l’aveva lasciata tre anni fa senza un valido motivo si era ripromessa più di non ricascare in quella trappola diabolica.

L’amore.

Se l’era promesso. E per quanto fosse stato difficile fin a quel momento ci era riuscita.

Non aveva provato nessun genere d’affetto, amore per nessuna persona, tranne per Loredaine e sua sorella.

E il ricordo di quel lui che aveva conservato sotto strati e strati di polvere.

E adesso quei sentimenti oppressi stavano scoppiando, come una pentola a pressione. E questo non era giusto.

Si allontanò da lui, facendo leva sul suo petto. Quell'angelo tentatore la guardava, aveva il sopraciglio alzato e Virginia poté leggere nei suoi occhi una tacita domanda.

-Scusa ma devo andare.-

Lui la trattene per un polso, non voleva che lei se ne andasse. Non ora che l’aveva ritrovata.

Il destino stava facendo di tutto per far sbocciare quel amore che lui teneva segreto da troppo tempo.

Non voleva che lei scappasse da lui.

-No.- disse deciso.

-Come ti permetti, mollami subito.- rispose imbarazzata ma anche oltraggiata Virginia, con chi credeva di aver a che fare?

Se lei voleva andarsene, se ne sarebbe andata.

Provò a staccarsi da lui, ma la presa del ragazzo era troppo solida.

-Virginia, rimani qui con me.-

Quelle parole furono come una doccia fredda, non solo perché lui aveva pronunciato il suo nome ma anche per il modo in cui aveva detto la frase.

Era stato dolce e quasi sofferente.

La presa dal polso scese delicatamente sulla mano, e lo afferrò dolcemente.

Aveva paura che solo un piccolo momento falso avrebbe causato la sua fuga e questo era l’ultima cosa che Ryan voleva.

-Vieni con me.- disse in un sussurrò Ryan.

Era lecito volerla più del dovuto?

Era lecito aver paura di un suo rifiuto?

Sapeva che un suo rifiuto l’avrebbe ucciso.

Erano così uguali.

-Chi sei? Io gia ti conosco.- domandò Virginia abbassando la testa.

Aveva paura.

Paura di sapere chi fosse.

Paura di capire.

Paura di sperare in una nuova vita.

Lui le accarezzò il viso dolcemente, alzandole il volto con due dita.

-E’ così importante sapere il mio nome? E’ così importante sapere chi sono veramente?-

Virginia rimase in silenzio.

Non sapeva cosa dire, o meglio che fare.

Se concedere a lei e al suo cuore un'altra opportunità o se scappare come Cenerentola.

Anche se sapeva che a lui non avrebbe lasciato nessuna scarpetta.

-Si, è importante.-

Lo vide sospirare per poi liberare la mano di lei dalla sua soffocante ma protettiva stretta.

Virginia si preoccupò di aver fatto la cosa sbagliata. Magari adesso lui se ne sarebbe andato lasciandola lì da sola.

Lui con pochi gesti eleganti si tolse la maschera, permettendo a lei di capire chi fosse.

Anche se era sicuro che non ci sarebbe mai arrivata.

In fondo non l’aveva mai visto veramente.

Appena Virginia vide il viso di lui carruggio la fronte, il ragazzo senza maschera era ancora più bello di quando pensassi.

Sembrava veramente un angelo tentatore.

Il suo.

 

Porti le lentine?

Si, come hai fatto a notarlo?

Di che colore sono veramente?

Azzurri.

 

Comunque mi chiamo Alex.

Virginia.

 

-Sei Alex? Il ragazzo che mi stava uccidendo.-

Lui rise, e Virginia si ricordò di come fosse bella la sua risata.

Anche quella di Alex era bella.

-E’ impossibile, ti ricordi di Alex ma non di me.- sospirò fra il divertito e l’amareggiato.

Si ricordava di un ragazzo incontrato tre anni prima, ma non dell’uomo che fin da piccolo le andava dietro.

Era pazzesco.

Era cieca.

-Cosa vuol dire?-

-Dio Ginny, sei pazzesca. Sono Ryan. Non Alex.- disse per poi riprendere fiato, mentre lentamente si allontanava da lei.

-Quando tre anni fa ti ho incontrato non potevo crederci, pensavo ti saresti ricordata di me e invece no. Quindi ho inventato un nome lì su due piedi.-

-Nome che nemmeno mi piace.- continuò lui.

Virginia chiuse un attimo gli occhi.

 

-Ehy tu bambina dammi la palla.-

-Io non sono una bambina. Ho sei anni.-

-Ok allora principessa, dammi la palla.-

-Non sono nemmeno una principessa. Sono Virginia.-

-Ok, ok ho capito. Virginia dammi la palla.-

-Ecco, tieni.-

-Comunque io sono Ryan.-

 

-Ryan dove ti sei cacciato?-

-Principessina scusa, ero con Tom e Lidia.-

-Lidia?-

-Si, la mia ragazza.-

-Ah…-

 

 

-Io... non voglio… non voglio che se ne vada.-

-Non se ne andrà, ci sono io qui con te.-

-Ryan saremo per sempre amici?-

-Certo… Amici…-

 

-E’ morta… mamma, no… no..-

-Smettila.-

-Calmati.-

-Cosa vuoi da me? Eh? Vattene-

-No, non me ne andrò. Te lo prometto.-

 

-Ginny…-

-….-

-Ginny parlami.-

-…-

-Ginny è passato un anno. Riprenditi.-

-E’ morta…-

-Si.-

-Voglio rimanere da sola.-

-No, non me ne andrò.-

 

 

-Virginia, non è colpa mia. Devo andare via. Sai, Londra. A papà hanno offerto questo lavoro.-

-Vattene, allora-

-Non è colpa mia.-

-Lo so.-

-Virginia, non andare. Aspetta.-

-Avevi promesso.-

-Cosa avevo promesso?-

-Che tu non te ne saresti mai andato.-

 

E il tempo passava, e lei conservava in uno scatolone i suoi ricordi.

Sigillati da lucchetti arrugginiti.

La chiave era sua, era di Ryan.

Perché anche se sembra impossibile la vita continua, e non aspetta che tu ti rimetta in gareggiata con il mondo.

 

 

 

Ryan.

Ryan.

Era difficile abituarsi a quelle quattro sillabe.

Era difficile ricordare quella piccola parentesi della sua vita.

-Ryan... – sussurrò.

Il suo Ryan era cresciuto, e adesso di quel magrolino sedicenne non c’era più traccia.

Solo gli occhi rimanevano invariabili.

Puri e dolci.

Come solo lui sapeva essere.

-Si?-

-Baciami Ryan.- disse arrossendo.

Lui anche se stupito non se lo fece ripetere, e se la tirò addosso a lui affondando la sua bocca nella sua.

Virginia si sentì viva.

Viva da come non succedeva da molto, quei sentimenti che aveva chiuso in quello scatole si riaprirono, fuoriuscendo con una folata di aria fresca.

Posò le sue mani sul collo, sfiorando i capelli neri che aveva sempre amato.

Non si accorse nemmeno della gente che li guardava, anche se senza accorgersene arrossì di più.

Loredaine dal suo angolino rideva.

Era stata davvero una brava fatina, aveva invitato Ryan alla festa.

Anche se non si era aspettata quei progressi così dolci.

Virginia aveva finalmente trovato l’ultimo tassello del suo puzzle.

Adesso la sua storia era finita.

C’erano tutti.

La principessa, la fata turchina, il cattivo e soprattutto il principe azzurro.

Virginia voleva fermare il tempo.

Non gli interessava se non lo vedeva da anni, che se ne era andato spezzandolo il cuore adesso era lì con lei.

E questo forse era la cosa più importante.

Si staccarono, forse solo per prendere fiato, mentre rimanevano abbracciati.

-Vieni con me.- le sussurrò in un orecchio, procurandole un brivido che le attraversò in tutto il corpo.

Lei annuì.

Ryan andò nella Hall dell'hotel, mentre Virginia l’aspettava alla porta della sala. Lui tornò pochi minuti dopo, dandole la mano.

Entrarono in una stanza, la stanza che aveva pagato prima lui.

Era tutto così strano per Virginia, il minuto prima era in una sala ad annoiarsi il minuto dopo sentiva la bocca sensuale di Ryan baciare delicatamente il suo collo, il suo seno.

Sentiva la sua lingua nell’ombelico e un gemito scappò dalle sue labbra.

E quando finalmente lui scivolò in lei, Virginia si sentì bene.

Finalmente completa.

Non si preoccupò minimante di aver accelerato i tempi, l’unica cosa che aveva registrato il suo cervello era che Ryan, il dolce Ryan era suo e fra le sue braccia.

 

-Amore ti accompagno io a casa?- la voce cristallina di Ryan la fece sussultare.

Era così presa dai suoi pensieri che non aveva ascoltato niente del suo discorso.

-No, vado con Loredaine. Tu vai a casa, ci vediamo domani ok?- domandò dolcemente Virginia rossa come un peperone al ricordo di quella notte.

Lui sorrise.

-Sicura di non voler essere accompagnata?-

Lei annuì e si salutarono con un bacio appassionato.

 

“Ginny io vado a casa di Matt… ci vediamo a casa.

Ps: devi raccontarmi tutto.”

Lei rise leggendo il messaggio che le aveva appena mandato Loredaine, adesso, però il suo unico problema era: Chi l’avrebbe accompagnata a casa?

Eliminò il problema pensando di tornarci da sola, in fondo l’hotel era a due passi da casa sua.

 

Quando uscì dall’hotel un sorriso stupido faceva da comparsa sul suo viso. Una macchina le passo accanto. Ricordando l’incontro avvenuto tre anni prima con Ryan.

Sorrise pensando a come fosse stata stupida a non accorgersi di lui.

Girò l’angolo attraversando una stradina desolata e tutto questo le procurò una specie di deja vù.

Quando svoltò l’angolo sentì solo il rumore di un clacson che impazzito si avvicinava a lei.

Troppo vicino.

Questo era un altro deja vù.

Un lampo giallo e poi un dolore fortissimo.

In fine il buio.

In fondo c’erano tutti…

La principessa, la fata turchina, il cattivo, lo scenario da favola e il principe azzurro.

L’unica cosa che mancava era il lieto fine.

Ma quella era la sua favola e così doveva essere.

Forse era destino.

 

 

 

 

 

Note: Questo è stato il penultimo capitolo. Lo so, lo so è parecchio ma per me va bene così qualcosa.

Spero che a qualcuno sia piaciuto, anche se ripeto non è niente di speciale.

Un bacio e grazie alle 3 persone che hanno inserito la fanfiction nei preferiti e a NovemberThree, Purple, clodiina85.

Spero che questo capitolo non vi abbia deluso.

Al prossimo e ultimo capitolo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** # III Capitolo ***


L’ultimo rumore che ricorda di aver sentito quella notte fu una sirena

Dammi una maschera e ti dirò chi sono.

 

L’ultimo rumore che ricorda di aver sentito quella notte fu una sirena.

Un rumore insistente e dannatamente odioso.

Quando a Virginia avevano raccontato la sua prima favola aveva pianto.

Si pianto, sua nonna gli aveva raccontato la storia del soldatino di legno e della sua bella ballerina.

In quel periodo a lei non piacque molto, preferii Cenerentola.

Era più graziosa, così l’aveva definita.

Adesso però sa che il soldatino di legno nella vita reale va più di moda di Cenerentola.

Ginny era stata una Cenerentola per una notte e adesso avrebbe bruciato come la ballerina.

Un bel cocktail di due storie micidiali.

L’ultima essenza che ricorda invece è quella di pulito e di medicinale.

Percepivo una voce lontana petulante e affannata.

-Trauma cranico, urgente. Sala 2-

Parole disconnesse, che per Virginia non avevano senso.

Dopo poco sentì un altro tipo di dolore diverso da quello che le stava annebbiando la mente.

E poi il buio.

 

-Mi dispiace, è in coma vigile-

-In che senso?-

-E’ in stato di incoscienza, non risponde a gli stimoli esterni, in questi giorni ha solo farfugliato strane parole e urlato senza un valido motivo. E’ anche questi sono segni del coma.-

-Si riprenderà?-

-Dovrebbe farlo prima dei trenta giorni, poi si parla di stato vegetativo persistente.-

 

Virginia guardò il ragazzo che con sguardo vacuo era appena entrato dalla porta.

Sorrise inconsciamente.

-Ciao Virginia.-

La ragazza continuò a sorridere e a guardarlo.

-Come va?-

Virginia lo guardò ancora.

-Non puoi sentirmi vero?-

Virginia sbuffò.

-Ryan, Ryan, Ryan, Ryan.- continuava a farfugliare Virginia cantilena.

-Si, Ryan- rispose il ragazzo con un sorriso amaro.

 

 

Tre anni dopo.

 

Il tempo scorre anche se sembra impossibile, eppure è così. Lui scorre trascinandosi via i ricordi più felici ma anche quelli più triste.

Virginia non è completamente uscita dal suo coma, eppure anche per lei la vita è continuata.

Ryan si è sposato, non con Virginia, ma ogni giorno va a trovarla.

Sempre,sempre,sempre.

E Virginia continua a dire quelle parole sconnesse che sono vaghi ricordi della sua vita passata.

Sembrava impossibile eppure quella magica storia era gia finita.

La principessa viveva tormentata dai ricordi giorno dopo giorno, la fata turchina creò la sua associazione la Virgy&Loredaine Look, il principe azzurro invece ogni giorno si domanda come sarebbe stato bello vivere con la sua principessa.

Eppure è finito così.

L’unica cosa che è rimasta è quel tenue ricordo che Virginia sembra voler tenersi stretto.

E mentre continua a ripetere il nome di Ryan, qualcuno giura di aver sentito anche un “ti amo”.

Ma è così che va a finire.

Come aveva ripetuto tante volte Virginia la storia del soldatino di stagno va più di moda di Cenerentola.

E in fondo quella era la sua favola e nessuno l’avrebbe cambiata.

-Ryan.-

 

 

 

 

 

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