I know what you are

di tyene_sand
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vibrazioni ***
Capitolo 2: *** Elya ***



Capitolo 1
*** Vibrazioni ***


I know what you are

 
  1. Vibrazioni

 
 
 
    Erano trascorsi già un paio di giorni da quando si era accorto di essere seguito. All’università, sulla strada di casa, in treno, mentre correva di sera, quando andava a studiare in biblioteca: quella donna c’era sempre. Qualche passo indietro rispetto a lui, ma c’era sempre.
    Masaya Aoyama, diciannove anni da poco compiuti, studente di biologia al secondo anno, sedeva irrequieto ad un tavolo da pic-nic nel parco Inohara, cercando inutilmente di concentrarsi sul testo di chimica che aveva davanti a sé. Quella donna era lì, nascosta a pochi metri da lui, e lo stava osservando. Non poteva girarsi per accertarsene, ma ne era comunque sicuro. Sentiva i suoi occhi puntati sulla nuca, come se il suo sguardo d’acciaio gli stesse bruciando la pelle. Ogni cellula del suo corpo avvertiva la sua presenza, ogni fibra del suo essere sapeva con certezza di quegli occhi grigi fissi su di lui.
Quella strana donna non si prendeva nemmeno la briga di non farsi notare, o forse semplicemente non le era possibile.
    La prima volta che si era reso conto della sua presenza stava andando a casa a piedi, diretto verso il quartiere dove si era trasferito poco dopo aver cominciato l’università. All’improvviso, aveva avvertito uno strano formicolio alla base della nuca, come se qualcuno alle sue spalle lo stesse guardando con insistenza. Si era voltato di scatto, cercando di capire se fosse soltanto una sensazione o se il suo corpo lo stesse effettivamente mettendo in guardia. Non aveva notato nulla di insolito, quindi si era voltato e aveva ricominciato a camminare. Aveva tirato un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi. Dopo qualche minuto, però, la sensazione di essere seguito era tornata, più forte di prima, e non aveva potuto fare a meno di fermarsi di nuovo per scrutare la gente attorno a lui. Aveva raggiunto la zona commerciale del suo quartiere. In quel momento, era fermo di fianco alla vetrina della libreria che frequentava di solito. Senza voltarsi indietro, si era messo a guardare i libri esposti in vetrina, fingendosi molto interessato all’ultimo romanzo di uno scrittore che, a dire il vero, riteneva mediocre, troppo commerciale e privo di idee interessanti. Sfruttando la superficie riflettente del vetro, aveva incominciato a scrutare i passanti. La sensazione persisteva. Inizialmente non era riuscito ad individuare nulla di strano, come prima. Poi, però, aveva notato una donna dal lato opposto della strada. Si trovava di fronte ad un altro negozio, fingendosi interessata agli abiti esposti nella vetrina decorata con colori allegri e primaverili; ogni tanto, però, si voltava, lanciando un’occhiata nella sua direzione. Dalla posizione in cui si trovava, malgrado il costante flusso di gente che riempiva entrambi i marciapiedi sbarrandogli la visuale in certi momenti, Aoyama era riuscito ad osservarla abbastanza attentamente.
Era alta, molto alta, circa una decina di centimetri in meno rispetto a lui: dunque un metro e ottanta, un metro e ottantacinque al massimo. Aveva un fisico longilineo, ma sotto ai vestiti leggeri che indossava si intravedeva una muscolatura tonica. Seni piccoli e tondi, fianchi stretti, gambe snelle. Indossava una semplice maglia nera a maniche corte, jeans grigi e attillati, stretti alle caviglie, scarpe basse e comode. La sua pelle era tanto chiara da contrastare in maniera quasi stridente col colore dei suoi capelli, neri come l’inchiostro, lucidi e perfettamente lisci, che ricadevano come una cascata sulle sue spalle, per poi lambire il suo corpo fino alla vita. Il suo volto aveva un che di esotico, con gli zigomi alti, la pelle chiarissima, le labbra rosee e piene, il mento piccolo e appuntito. Infine gli occhi. Grandi, grigi come metallo, lo sguardo volitivo, di pari durezza, nascosti soltanto da qualche filo di frangia ribelle. Scoprendosi a trattenere il fiato a quella visione, aveva dovuto ammettere a sé stesso che la trovava decisamente attraente.
    A giudicare dai lineamenti, era certamente una straniera. Non era asiatica, né tantomeno europea e nemmeno americana. Aoyama non sapeva molto dei restanti due continenti, ma era totalmente convinto di poter escludere anche quelli, poiché aveva già visto lineamenti simili a quelli della donna in passato: non era soltanto esotica, semplicemente lei non era terrestre. Teneva le orecchie ben nascoste sotto i capelli, certo, e indossava abiti terrestri, ma agli occhi attenti di Masaya qualsiasi cosa in lei denotava quanto in realtà fosse aliena non solo alla città di Tokyo e al Giappone, ma allo stesso pianeta Terra. Non si trattava solo del fatto che fosse molto più alta della media delle donne, né che non avesse con sé una borsa , né che fosse a maniche corte malgrado in vento ancora freddo di aprile, né che paresse manifestare un certo disagio nell’indossare pantaloni tanto attillati: il suo stesso modo di muoversi era differente da quello degli umani. Il suo portamento era regale. Malgrado l’altezza notevole si spostava con una grazia e una leggerezza degna di una divinità, quasi come se fluttuasse. E probabilmente sei anche in grado di farlo, signorina, aveva pensato.
    Quel giorno aveva deciso di tornare a casa e far finta di nulla, per vedere se la cosa avrebbe avuto sviluppi nei giorni successivi. Aveva pensato di allertare Shirogane, Akasaka-san e le ragazze per mezzo della sua ex, Ichigo, ma alla fine aveva desistito. Aveva l’impressione che quella donna fosse lì solo per lui, e aveva deciso di parlarne con la rossa solo quando fosse riuscito a scoprire perché l’aliena ce l’avesse proprio con lui.
 
   
 
 
    Masaya e Ichigo erano rimasti insieme per diversi anni. Quando si erano conosciuti erano poco più che bambini. A quell’età qualsiasi difficoltà dovuta alle divergenze caratteriali, d’opinione o di interessi sembra facilmente sormontabile e così era parso anche a loro, inebriati da quell’alone di sogno che le cose assumono a tredici-quattordici anni. Si poteva dire che fossero cresciuti assieme, e per un certo periodo era stato così. Poi, circa un anno prima, si erano resi conto che ormai il loro rapporto si era arenato. Giunti ad un bivio –se proseguire la loro relazione, prendendosi cura di quel rapporto ormai sofferente, o porvi la parola ‘Fine’- avevano capito entrambi che le loro diversità avrebbero finito per allontanarli sempre di più nel caso in cui avessero continuato a stare assieme, e dunque, di comune accordo, avevano deciso di lasciarsi. Il tutto si era svolto pacificamente, parlando come due persone adulte, senza liti né grida né recriminazioni. Ora, ad un anno di distanza, Masaya poteva dire di star godendosi il suo tempo da single. Lui e Ichigo, nel frattempo, erano rimasti in buoni rapporti, tanto buoni che lei ogni tanto lo invitava ad uscire e bersi un bicchiere coi suoi amici, e lui ricambiava mettendoci l’alloggio quando Ichigo era troppo ubriaca per tornare a casa.
 
 
 
 
 
 
    Normalmente era una persona pacata e molto paziente. Ora però, dopo due giorni di pedinamento ininterrotto, dopo esser stato seguito perfino quando, il giorno prima, aveva dovuto ricorrere all’uso di un bagno pubblico, Masaya Aoyama comprese che la misura era decisamente colma. Senza preavviso, si voltò e scrutò gli alberi attorno all’area pic-nic. Come previsto, lei era a pochi metri da lui, dietro un albero abbastanza grande da nasconderla. La donna si ritrasse, sopresa, e dopo aver pronunciato una qualche imprecazione in un linguaggio incomprensibile, cominciò a correre via, verso il folto degli alberi. –Ehi!- le gridò dietro Aoyama. – Aspetta!
    Lei non si fermò. Masaya si ritrovò a correrle dietro e, dannazione, quella maledetta correva veloce quasi quanto lui. Ma non abbastanza perché lui non riuscisse a raggiungerla. Quando ormai si trovavano soli nella macchia accelerò il passo e, dopo un paio di falcate particolarmente potenti, allungò un braccio e riuscì ad afferrarle un polso. Presa! Sgranando gli occhi per lo stupore, lei rimase paralizzata per alcuni istanti, ma subito dopo iniziò a divincolarsi nel tentativo di sfuggire alla sua presa. –Lasciami! Lasciami, ho detto!- sputò tra i denti. –Perché mi segui?- ribattè lui, con il fiatone. Per tutta risposta ricevette un diretto sulla mascella da parte della mano libera, che gli fece quasi mollare il braccio della donna per la sorpresa e il dolore. Ancora boccheggiante per il colpo ricevuto, si allungò verso di lei e riuscì ad afferrarle l’altro polso, bloccandole così entrambe la mani, ma lei continuava a divincolarsi. Nel giro di pochi istanti si ritrovarono a terra, lottando. Cazzo, pensò. Normalmente non imprecava, ma quello era un caso particolare. È forte quasi quanto me, la maledetta. Per quanto provasse a spingerla a terra per immobilizzarla, lei riusciva sempre a contrastarlo. Scalciava, mordeva, lo colpiva con qualsiasi parte del corpo. Era una fortuna che si trovassero in una zona isolata del parco, altrimenti un qualsiasi passante avrebbe potuto pensare che stesse cercando di aggredirla. Il che in verità non è del tutto errato, anche se è lei ad aggredire me. Ma cos’hanno al posto dei denti, dalle sue parti? Rasoi?! Con un’ultimo sforzo, dopo quelle che a Masaya  parvero ore, riuscì ad issarsi a cavalcioni su di lei, tenendola schiacciata a terra col proprio peso e bloccandole i polsi sopra la testa. Avevano entrambi il fiatone ed erano sudati come due marciatori durante una competizione olimpica. La maglia nera di lei, leggerissima e praticamente inzuppata, aderiva al suo corpo come una seconda pelle, lasciando intuire la forma del seno privo di sostegni. Rendendosi conto di essersi imbambolato a fissarlo, ragazzo distolse lo sguardo dal corpo della donna, imbarazzato, per puntarlo sui suoi occhi. Lei sostenne il suo sguardo senza timore.
 
    In quel preciso istante, qualcosa nel profondo dei loro esseri vibrò. Fu come un riconoscimento, come se i loro corpi stessero ritrovando, dopo lungo tempo, qualcuno che conoscevano da sempre. Un’ondata di calore li pervase, assieme ad una sensazione insostenibile ed inquietante che nessuno dei due riuscì ad interpretare. Tremavano. Le labbra dischiuse per la sorpresa, gli occhi sgranati, entrambi rimasero impietriti. Cos’era? Cos’era?!
Aoyama era sicuro che anche lei doveva averlo sentito, poiché sul suo volto si specchiavano le stesse emozioni che lui stava provando. Sorpresa. Confusione. Stordimento. … gioia?!
–Non voglio farti male- le disse, con voce calma. –Voglio solo sapere perché mi stai seguendo.- Lei non rispose, anzi serrò le labbra e voltò il capo lateralmente per non guardarlo. Ora che poteva osservarla da vicino, Masaya si rese conto che era molto giovane. Doveva avere all’incirca la sua età, al massimo un paio di anni in più. Era veramente bella.
    Mentre lui si perdeva nelle proprie elucubrazioni, la ragazza aveva ricominciato a divincolarsi. Cercò di liberarsi con un colpo di reni ma Aoyama, risvegliatosi dal suo torpore, la spinse nuovamente a terra. –Ti prego, non cercare di fuggire. Voglio solo parlare con te. So che mi stai seguendo, ma non so perché. L’unica cosa che so è che vieni da un altro pianeta. So cosa sei.-
-Anch’io- rispose la donna in un sussurro, decidendosi a parlare. Tornò a fissarlo, stavolta con un’intensità tale da far sì che un brivido gli corresse lungo la schiena –Anch’ io so cosa sei.
 
 
 
Sono tornata, e questa volta il mio protagonista è Aoyama. Non ho mai avuto niente contro di lui, anzi, personalmente lo trovo un personaggio abbastanza sottovalutato, perciò ecco qui I know what you are.
Chi è la donna che ha seguito il povero Masaya perfino nel momento del bisogno? Perché lo sta seguendo? Nel prossimo capitolo, che è ancora in stesura, cercherò di rispondere a questi interrogativi.
Un paio di spiegazioni a mio avviso necessarie: nella mia fantasia, da adulto Aoyama è diventato alto, taaaaanto alto. Circa un metro e novantacinque, non chiedetemi perché. Probabilmente perché da ragazzino era abbastanza promettente dal punto di vista fisico –ricordiamoci che aveva sui 13-14 anni, e quindi si può dire che fosse ancora bambino. Essendo la storia ambientata circa cinque anni dopo la battaglia finale, ho trovato che potesse starci. Inoltre, da buono sportivo qual è, credo che sia plausibile che il nostro non abbia mai smesso di allenarsi, e che dunque oltre ad essere veloce nella corsa possa anche essere forte e avere un fisico abbastanza scolpito.
Per quanto riguarda il carattere, Aoyama è fondamentalmente un buono, anche se sappiamo che ha anche la sua abbondante parte di lato oscuro. Una volta cresciuto, ho immaginato che potesse iniziare ad essere un po’ più spontaneo e che col tempo abbia cercato di venire a patti con il suo lato ‘cattivo’; malgrado ciò, spero di riuscire a renderlo al meglio senza stravolgerlo.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate, le vostre opinioni mi interessano!

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Capitolo 2
*** Elya ***


2. Elya 


–Ti prego, non cercare di fuggire. Voglio solo parlare con te. So che mi stai seguendo, ma non so perché. L’unica cosa che so è che vieni da un altro pianeta. So cosa sei.-
-Anch’io- rispose la donna in un sussurro, decidendosi a parlare. Tornò a fissarlo, stavolta con un’intensità tale da far sì che un brivido gli corresse lungo la schiena –Anch’ io so cosa sei.
 
 
    Ancora a cavalcioni su di lei, Aoyama aveva continuato a guardarla negli occhi. –Come, scusa?-, domandò, nuovamente stupito. Certo, sul pianeta da cui provenivano gli Ikisatashi ormai non era un segreto per nessuno che l’umano il cui corpo aveva ospitato Profondo Blu fosse sopravvissuto, ma come faceva a sapere se anche lei veniva da lì? Dal canto suo, la giovane si rifiutava ancora una volta di rispondergli. In effetti, dubito che riuscirò a cavarle di bocca qualcosa, finchè rimaniamo così, pensò, alludendo alla loro posizione. Anche la ragazza doveva aver pensato alla stessa cosa, poiché sibilò: -Umano. Non so cosa tu abbia intenzione di fare, ma ti assicuro che se non mi liberi immediatamente te ne pentirai. Togliti! Il tuo peso mi sta schiacciando!-
-Chi mi dice che non scapperai di nuovo, se lo faccio?-
-Nessuno deve dirti niente. Ma non lo farò. Ora alzati!-
-Scusa, scusa- disse lui, alzandosi. –Ma non c’è bisogno che usi quel tono di comando con me, non sei il mio capo. Te l’ho detto, voglio solo capire perché mi seguivi.-  Intanto anche lei si era rialzata, lisciandosi gli abiti e scrollando via i residui di erba, terra e foglie che le erano rimasti attaccati alla schiena. Così facendo, i suoi capelli si erano scostati un poco, lasciando intravedere la punta dell’orecchio sinistro. –Che hai da guardare tanto?!- sbottò, sentendosi osservata. Poi, accortasi che le sue orecchie avevano assunto la loro forma originale, si affrettò a trasformale, fino a farle sembrare delle semplici orecchie umane lievemente appuntite. Intanto, Masaya aveva ripreso a parlare. –Scusami, non volevo farti sentire a disagio. Non è bello sentirsi osservati, eh?- Silenzio. Ma gli alieni non sanno cogliere il sarcasmo?  –Ok, facciamo una cosa. Ora noi ce ne andiamo in un bar, io ti offro un caffè e tu mi racconti cosa ci fai qui e perché mi hai seguito per due giorni. Va bene?- Da parte dell’aliena, silenzio e un sopracciglio inarcato. –Per favore?-
 
    Non riusciva ancora a capacitarsi di come avesse potuto farsi convincere, ma una cosa era certa: quell’umano aveva del fascino. Furiosa con sé stessa per essersi fatta scoprire in maniera tanto stupida e ancora sotto shock per via di quanto era appena accaduto tra lei e il ragazzo, quella vibrazione intensa e ignota che pareva essere nata dal più profondo delle loro viscere, si era rifiutata di parlare ancora, ma, malgrado le sue resistenze, quell’umano, quel… ragazzino, era riuscito a circuirla, convincendola ad andare con lui. Dunque in quel momento erano seduti ad un tavolino all’esterno del primo bar che avevano trovato uscendo dal parco. Ovviamente, lei non aveva detto una parola per tutto il tragitto, e l’umano aveva dovuto desistere dai suoi tentativi di fare conversazione. Poco dopo che si erano seduti era arrivato un cameriere a prendere le loro ordinazioni. –Tu cosa prendi?- aveva chiesto l’umano. Al suo silenzio, si era rivolto al cameriere dicendo: - Due caffè, grazie- con un ampio sorriso sulle labbra. Con la coda dell’occhio, aveva visto la donna seduta al tavolino accanto al loro fissarlo estasiata. Respinse quell’immagine con un moto di fastidio, tornando a focalizzare la propria attenzione sul giovane. Certo, era un ragazzo davvero attraente, perfino per gli standard del suo pianeta. Capelli neri e lucidi, occhi nocciola con qualche riflesso dorato. Mani grandi e forti, spalle larghe, fisico definito.
Non erano molti gli uomini che potessero competere con lei in quanto a forza e resistenza fisica, sia sulla Terra che sul pianeta dal quale proveniva. Né erano molti quelli che potessero guardarla dall’alto in basso. D’altronde, lei era una degli ultimi rappresentanti di una razza ormai quasi estinta, e andava tanto fiera delle proprie origini quanto del timore che lei stessa incuteva negli altri a causa di esse. Questo ragazzo, però, non sembrava affatto intimorito né spaventato da lei. Nei suoi occhi si leggeva solo… curiosità. Ah! Non sa ancora chi si trova di fronte, crede che io sia come queste inermi umane, abituate a farsi difendere dagli uomini, incapaci anche solo di… -Non mi hai ancora detto il tuo nome- la voce del ragazzo aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri.
Visto che ormai mi sono cacciata in questa situazione, tanto vale che risponda.
-… Elya. Il mio nome è Elya.
 
- … Elya. Il mio nome è Elya.- aveva detto, nella sua voce la stessa nota esotica, straniera che caratterizzava quelle degli alieni che aveva conosciuto anni prima. Beh, questo è un passo avanti. – Davvero un bel nome. Elya… e poi?-
-Elya e basta.- Lui rise, era una risata sincera, di quelle che raggiungono gli occhi e scuotono il torace con la loro intensità. –Beh, devo ammettere che Elya Ebasta suona abbastanza alieno, sì.- Subito dopo aver pronunciato queste parole si accorse di aver fatto un passo falso, poiché l’espressione della ragazza si era indurita, dando al suo volto le sembianze di una maschera di granito. –Perdonami, non era mia intenzione offenderti.- Lo disse in tono sincero, ed in effetti lo era. Lei lo incuriosiva, era vero, ma Aoyama era consapevole che non sarebbe stato semplice riuscire a farla aprire un po’. Ogni parola doveva essere ponderata, altrimenti lei si sarebbe chiusa in se stessa come un riccio e ottenere qualunque informazione sarebbe diventato impossibile.  
    Ancora silenzio da parte di Elya, ma il suo volto appariva più rilassato. Arrivarono i caffè. Masaya aprì una bustina di zucchero e la versò intera nel suo, ma Elya afferrò la propria tazza, l’annusò e se la portò alla bocca, per rimetterla giù subito dopo con un’espressione disgustata. Il ragazzo dovette sforzarsi per rimanere serio. –Con un po’ di zucchero migliora.- L’aliena prese la bustina di zucchero che lui le stava porgendo, la versò nella bevanda, la mescolò e poi l’annusò ancora una volta con aria diffidente, senza azzardarsi a prendere un altro sorso.
-Probabilmente lo sai già, ma il mio nome è Masaya. Masaya Aoyama.- le tese la mano, che lei non strinse, preferendo restare a guardarlo con le braccia conserte. Lui scosse la testa, sbuffando. Provò con un’altra domanda, magari sarebbe riuscito a cavarle qualche altra informazione. –Quanti anni hai? Non sembri molto più grande di me.-
- Ventitrè, secondo il vostro computo. Sul mio pianeta calcoliamo l’età in maniera differente, ma in ogni caso differisce di poco. E non c’è bisogno che tu mi dica la tua, come puoi immaginare sono già a conoscenza dei tuoi dati anagrafici- la sua voce era ferma, era evidente che non volesse soffermarsi su quel discorso. – Bene, allora possiamo passare ad un altro argomento. Per esempio… che ne diresti di darmi qualche spiegazione?- Lei rimase impassibile per alcuni istanti, le braccia conserte e la postura rigida, e Aoyama temette di essersi giocato una volta per tutte la possibilità di capire cosa stesse accadendo.  D’un tratto Elya annuì lentamente, come se stesse considerando i pro e i contro del metterlo al corrente di quanto sapeva. Puntando nuovamente gli occhi grigi su di lui, parlò. –Non qui.- disse semplicemente. –Hai ragione, anche perché credo che stiamo attirando un po’ l’attenzione.- Era vero. Gli sguardi di quasi tutti gli avventori del locale erano puntati su di loro. Le donne guardavano con insistenza Masaya, gli uomini fissavano Elya come se volessero spogliarla con gli occhi.  Masaya avvertì un improvviso prurito alle mani, mentre una inspiegabile sensazione di possesso si faceva strada in lui. Pagò il conto e si affrettarono ad uscire dalla caffetteria. Mentre si allontanavano, le sue orecchie captarono una buona dozzina di commenti sul fisico dell’aliena. Dovette sforzarsi molto per mantenere la calma.
–Ma l’hai vista? – chiosò una delle voci -Pare uscita da una saga fantasy. Sembra un’elfa!-
-Andiamo, elfa- sussurrò Aoyama tra i denti, tirandola per un braccio – e per favore, copriti le orecchie. È meglio non rischiare.
 
    Ancora una volta, Elya non avrebbe saputo dire come lui fosse riuscito a convincerla, e la cosa non poteva far altro che incrementare la sua rabbia verso se stessa. Dannato ragazzino. Maledetto, ingenuo, giovane umano. Ora si trovava nell’appartamento che Masaya divideva con un altro inquilino, Ichiya. Quest’ultimo, a detta dell’umano, era via per lavoro.
Stranamente, Elya  si era sentita a proprio agio nell’appartamento fin dal primo momento in cui vi aveva messo piede, al punto che, stupendosi di sé stessa per la quarta volta quel giorno, aveva detto: - Dal momento che ci sono diverse cose di cui parlare, gradirei prima fare un bagno, se permetti. Esporre dei fatti mi riesce meglio quando mi sento… pulita.- Malgrado l’avesse squadrata con aria stranita, lui aveva acconsentito e le aveva indicato il bagno, fornendole l’occorrente per asciugarsi e rivestirsi.
Dopo essersi assicurata di aver chiuso la porta a doppia mandata, Elya si spogliò dei vestiti sudati e sporchi di terra, che caddero al suolo senza far rumore. Le scarpe erano state scalciate via poco prima. Nuda, con i capelli neri che ricadevano sulle spalle come un mantello, sedette sul bordo della vasca. Non è molto grande, ma andrà bene lo stesso. La stanza, come il resto della casa, era pervasa dall’odore di Aoyama misto a quello dell’altro umano, che, a giudicare dall’aroma rivoltante che lo caratterizzava, non doveva certo essere una persona piacevole con cui dividere la casa. Poi Elya ricordò che i suoi sensi erano molto più acuti di quelli della maggior parte del suo popolo, e molto, molto di più rispetto a quelli degli umani, quindi l’odore di questo Ichiya, nella percezione altrui, doveva essere molto meno accentuato, benché sgradevole.
    Aprì il rubinetto per far scorrere l’acqua, senza preoccuparsi di controllare la temperatura. Quando la vasca si fu sufficientemente riempita, Elya chiuse il rubinetto e mise una mano in acqua. Era appena tiepida. Mentalmente, chiese all’acqua di scaldarsi e questa obbedì, diventando bollente nel giro di pochi secondi. Si immerse nella vasca. Lo sbalzo di temperatura tra il suo corpo e l’acqua ebbe una durata brevissima, poiché esso adattò all’istante la propria temperatura a quella del liquido. L’aliena appoggiò la schiena contro la vasca e chiuse gli occhi, godendo della sensazione del proprio corpo immerso nell’acqua.
    L’acqua era il suo elemento, così come era stata l’elemento di sua madre e di sua nonna e di tutte le donne che costituivano il suo albero genealogico. La sua famiglia, così come tutte le famiglie importanti della regione da cui proveniva, considerava l’acqua come un elemento sacro, in quanto portatrice di vita. Al tempo in cui la regione era prospera, quando la sua famiglia era ancora ricca e potente, le acque nere del fiume Ren scorrevano direttamente all’interno del loro palazzo in appositi canali che correvano paralleli ai corridoi, in modo tale che chiunque volesse poteva immergervisi e camminarvi come se si stesse muovendo sulla terraferma. Non vi erano templi per l’adorazione degli Dei nel palazzo, poiché esso stesso, come tutti i palazzi che si ergevano sulle vaste terre della regione, era un tempio in onore della Dea Acqua. Elya non aveva mai potuto vedere tutto ciò. All’epoca in cui lei era nata, la sua famiglia era già caduta in rovina e sua madre, unica sopravvissuta della loro stirpe, era costretta vivere nascosta. Tutto ciò che Elya sapeva riguardo alle proprie origini lo doveva ai racconti di sua madre.
    Gli unici momenti della giornata in cui si permetteva di abbassare le difese erano quelli che trascorreva nella vasca da bagno. Contrariamente a quanto era accaduto a sua madre, Elya era riuscita a trovare un modo per sopravvivere senza dover vivere nell’ombra, ma il pericolo poteva essere sempre in agguato.
    Al pensiero della madre ebbe un moto di tristezza. I suoi occhi erano sul punto di riempirsi di lacrime. Scacciò quel pensiero cercando di concentrarsi sulla sensazione che aveva provato nel parco quel pomeriggio. Sul suo battito accelerato quando era passata. Sull’impressione che tutti i suoi sensi fossero impazziti, reclamando il contatto con quello… sconosciuto nella cui casa lei stava facendo il bagno come se si trovasse nella propria. Troppe emozioni in una sola giornata. Troppa intensità nel provarle. Elya non ci era abituata. Non più, almeno.
    Esisteva un solo modo per fa sì che la sua mente si liberasse del tutto di ogni preoccupazione, almeno per qualche breve istante. Istintivamente, la sua mano destra scivolò sulla sua pelle, fino a raggiungere il seno sinistro, mentre l’altra attraversò il ventre per fermarsi solo una volta raggiunto il suo centro. Per soffocare i propri gemiti, Elya nascose la testa sott’acqua.
 
 
    Masaya aveva iniziato a pensare che Elya si fosse chiusa in bagno per poi fuggire dalla finestra, quando questa apparve in cucina coperta solo dalla maglia e dai boxer che lui le aveva prestato. Non aveva indossato i pantaloni. Notò che i suoi capelli erano ancora bagnati. Aprì la bocca per farglielo notare, ma non ne ebbe il tempo, poiché nello stesso momento l’acqua evaporò dai capelli della ragazza, lasciandoli asciutti e lisci come quando era entrata in bagno diversi minuti prima. Le orecchie della ragazza avevano assunto ancora una volta la loro forma originale. Elya si sedette sulla sedia più vicina, invitando con un gesto Masaya a fare altrettanto. Lui si sedette di fronte a lei, scrutandola. Il silenzio si protrasse ancora per diversi minuti, finchè Elya non aprì la bocca e disse: -Come puoi immaginare, io provengo dallo stesso pianeta in cui vivono gli Ikisatashi. So già che li hai conosciuti, dunque non ci soffermeremo su questo.- Fece una pausa e deglutì. Poi fissò lo sguardo sul volto del ragazzo, prese un lungo respiro e infine proseguì. –Il mio nome completo è Elya Rӕljàr, della famiglia Nӕrod, e sono il Lord Comandante della Terza Divisione del nostro Esercito.
 
 
 
La volta scorsa avevo detto che avrei rivelato l’identità di Elya e spiegato cosa ci fa sulla Terra, ma alla fine ho deciso di ‘spalmare’ questa parte su due capitoli. Spero che questo secondo capitolo vi piaccia e vi incuriosisca almeno un po’. [Si para dal lancio di pomodori provenienti da un ipotetico pubblico.]
 
Un ringraziamento speciale a LucySophie per aver recensito il primo capitolo, significa davvero tanto per me!
 
Alla prossima, tyene_sand

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