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Tougo giaceva stanco sul suo letto, tentando
di ignorare il mal di testa che lo accompagnava da quella mattina. Aveva una
gran voglia di prendere e mollare tutto: i debiti, i giornalisti molesti, i
vicini pettegoli... C'era una sola cosa che lo tratteneva in quella casa.
-Papà?
Al suono di quella vocina, l'ex calciatore si
mise a sedere per guardare l'unico motivo che lo spingeva ad andare avanti in
quella vita: suo figlio.
-Cosa c'è Reiji?
Il piccolo distolse lo sguardo per evitare di
incontrare gli occhi del padre.
-Posso dormire qui con te?
Tougo sospirò, portandosi una mano alla
testa: la sua emicrania non dava cenni di miglioramento.
-Va bene...
Il bambino trotterellò fino al letto
matrimoniale e ci salì sopra con qualche difficoltà. Il padre sorrise, evitando
di aiutarlo: sapeva quanto fosse orgoglioso suo figlio ed era certo che ad ogni
sua proposta di aiutarlo il piccolo avrebbe risposto “faccio da solo”. L’uomo tornò
a sdraiarsi sul letto, guardando Reiji che si accoccolava nel posto che un
tempo era occupato da sua madre.
-Allora, cosa c’è che non va?
Il bambino borbottò qualcosa, nascondendo il
viso contro il cuscino. Il padre sospirò ed accarezzò il viso di suo figlio,
spingendo il piccolo a guardarlo negli occhi.
-Non ho capito, ripeti.
Reiji sostenne in silenzio lo sguardo del
padre, quasi in segno di sfida, poi si decise a cedere, confessando il motivo
di quella sua richiesta tanto insolita.
-Ho fatto un brutto sogno…
Tougo esitò un attimo prima di abbracciare il
figlio che, come sospettato dall’uomo, si agitò lamentandosi, contrariato da
quel gesto di affetto.
-E cosa hai sognato?
Il piccolo smise di colpo di agitarsi, ma non
disse una parola.
-Sai che se me lo racconti non ripeterai più
quel sogno?
Il bambino rimase in silenzio ancora per un
po’, poi si rannicchiò fra le braccia del genitore e gli rispose.
-Ho sognato che mi lasciavi solo anche tu.
Tougo si morse le labbra, sentendosi un
verme. Aveva più volte pensato di andarsene, lasciando suo figlio in custodia
ai parenti di sua madre, e sapere che Reiji vedeva una situazione del genere
come un incubo lo faceva stare male.
-Però non sarebbe meglio se papà se ne
andasse? Non ti prenderebbero più in giro a causa mia…
-No! Non mi interessa! Non te ne puoi andare,
non puoi lasciarmi solo!
Il piccolo abbracciò il padre, stringendosi
il più possibile a lui, lasciando basito il genitore. Ripresosi dallo stupore
iniziale, l’uomo strinse più forte suo figlio.
-Non staresti solo, puoi andare a vivere con
gli zii insieme alla tua sorellina.
-Non voglio, la zia è antipatica!
L’ex-calciatore ridacchiò, pensando che suo
figlio avesse proprio ragione riguardo a sua zia, poi si pietrificò, sentendo
che Reiji aveva iniziato a piangere. Tougo sospirò e si mise ad accarezzare
delicatamente i capelli del figlio per consolarlo.
-Ehi pulce, cos’hai da piangere adesso?
-Promettimi che non te ne andrai! Non puoi
anche tu, dopo la mamma… Non puoi e basta!
-Reiji…
-PROMETTIMELO!
Il padre fissò lo sguardo disperato e pieno
di lacrime del bambino e, mosso a tenerezza, decise di accettare la promessa
senza ulteriori discussioni.
-Va bene, te lo prometto. Ora però calmati!
Il piccolo annuì,
stropicciandosi gli occhi per asciugarli. Tougo sorrise, posando un bacio sulla
fronte di suo figlio.
-Bravo. Ora cerchiamo di
dormire, ok?
Reiji fece nuovamente segno
di si con la testa e si accoccolò meglio, per stare il più comodo possibile fra
le braccia di suo padre, che continuava a coccolarlo affettuosamente.
-Buonanotte Reiji…
-Buonanotte papà… Ti voglio
bene…
Il cuore dell’ex-calciatore
saltò qualche battito sentendo suo figlio pronunciare quelle parole che non gli
rivolgeva più da troppo tempo e gli baciò nuovamente il capo.
-Anche io ti voglio bene
Reiji, più di quanto tu possa immaginare.
Il bimbo rivolse un sorriso
stanco al padre prima di crollare a dormire. Tougo invece rimase ancora un po’
sveglio a riflettere: riteneva che scomparire dalla vita di suo figlio fosse la
cosa migliore da fare. Forse, però, era ancora troppo presto, il piccolo non
avrebbe capito il suo gesto. L’uomo decise di mettersi a dormire e, una volta
chiusi gli occhi, non poté fare a meno di sorridere rendendosi conto che il mal
di testa gli era finalmente passato.
Angolino rotondo
Pubblicare ad orari decenti è
troppo mainstream. Salve a tutti, Lau
è tornata a rompere le balle con un’altra raccolta! Come già detto nell’introduzione
nei vari capitoli parlerò di Atsuko, la mamma di Endou, e di Kageyama insieme
ai loro cari paparini. Ecco, questo dovrebbe farvi capire che questa raccolta
racconterà principalmente di tutte le mie headcanon
su di loro. Questo primo capitolo è dedicato a Reiji e Tougo. Ho già scritto di
Tougo nell’altra mia raccolta ma ho sempre voluto mettere in qualche modo in
risalto il suo rapporto padre/figlio. Forse è un’idea che non viene condivisa o
magari non del tutto esatta, ma a me piace pensare che Tougo non fosse un
menefreghista che se ne fotteva altamente di Reiji, bensì un padre che pensava
comunque al bene del figlio come prima cosa. Poi le sue idee su cosa era meglio
per Reiji non erano proprio del tutto ok, ma questo è un discorso a parte.
Nella fic Kageyama ha all’incirca otto anni, secondo
la mia idea è passato più o meno un anno dalla morte di sua madre e vive da
solo con suo padre. So che ha anche un fratello o una sorella (per me una sorella)
ma questa è stata affidata ai suoi zii materni dopo la morte di sua madre,
visto che Tougo non era in grado di occuparsi di una bambina appena nata.Ho detto quasi tutto, manca un’ultima cosa:
secondo me Reiji, da bambino, non era un “bestione” alto praticamente due metri
come l’abbiamo visto da adulto, secondo me da bambino era molto piccolo, poi ha
avuto uno sviluppo improvviso durante l’adolescenza! Ora vi lascio in pace,
grazie a chi ha letto ed al prossimo capitolo!
Saeko alzò gli occhi dal bucato
che stava piegando per guardare la sua figlioletta Atsuko, sinceramente
sorpresa da quella domanda.
-Beh… Si, certo! Perché me
lo chiedi?
La bimba abbassò lo sguardo,
imbronciata.
-A me non piace poi tanto…
Ascoltando quelle parole la
donna capì subito il problema: ogni volta che Endou Daisuke, suo marito,
trovava un po’ di tempo da passare con sua figlia, convinceva sempre la bimba a
giocare a calcio.
-Non ti piace giocare con
papà?
La piccola rialzò lo sguardo
sulla madre, visibilmente arrabbiata.
-Sì che mi piace giocare con
papà! A me non piace giocare a calcio!
Saeko non riuscì a
trattenere una risatina, poi si mise a riflettere: conoscendo l’amore che suo
marito nutriva per quello sport era sicura che scoprire che la sua unica figlia
non apprezzava allo stesso modo il calcio l’avrebbe distrutto. Ma la donna non
poteva certo permettere che Daisuke costringesse Atsuko a fare cose che non le
piacevano. Saeko arrivò alla conclusione che parlare del problema a suo marito
fosse la soluzione migliore, anche se ci sarebbe voluta una buona dose di
tatto. Vedendo che Atsuko aspettava ancora una risposta, la donna si inventò
sul momento una risposta momentanea da darle.
-Secondo me dovresti provare
a far capire a papà che a te piacciono altri giochi, ma sii delicata! Lo sai
quant’è sensibile tuo padre riguardo certi argomenti.
La bimba annuì convinta e si
allontanò, tornando a giocare con le sue bambole. Saeko la osservò, felice di
essere riuscita a rassicurarla, poi tornò a piegare il suo bucato, iniziando a
pensare a come iniziare il discorso con Daisuke una volta che quest’ultimo
fosse tornato dal ritiro con la sua squadra.
-Sono tornato!
-Bentornato tesoro!
Saeko andò ad accogliere suo
marito con un bacio, seguita a ruota da sua figlia che si gettò subito fra le
braccia del padre. Ogni volta che Daisuke tornava dai suoi viaggi per la
famiglia Endou era un momento speciale: potevano tornare a sedere tutti insieme
allo stesso tavolo, Daisuke raccontava com'era stata la sua trasferta e poi
dava alle sue donne i doni che aveva comprato per loro durante il viaggio.
Distratta dagli orecchini che suo marito le aveva appena regalato, Saeko si
dimenticò completamente del discorso che doveva fare a Daisuke e non notò
nemmeno Atsuko che si avvicinava a suo padre.
-Papà, devo parlarti.
Con il suo solito sorriso
stampato sul volto, l’uomo si chinò per stare allo stesso livello della figlia
e le accarezzò i capelli.
-Dimmi tutto!
Vedendo suo padre così
sorridente Atsuko ebbe un attimo di esitazione, poi incrociò decisa le braccia
al petto e parlò.
-A me il calcio non piace.
Daisuke assunse
un’espressione incredula.
-C-Come?
-Non mi piace il calcio!
Daisuke sentì una fitta
lancinante al petto, come se il suo cuore si stesse spezzando: non poteva
credere che la sua amata figlioletta non condividesse la sua grande passione
per quello sport. E soprattutto non poteva credere di non essersene mai accorto
tutte le volte che aveva giocato con lei. Sentendosi un pessimo padre, l’uomo
si rattristò, reazione che non passò inosservata agli occhi attenti di Atsuko,
che subito cercò di rimediare al danno causato.
-Non essere triste papà! A
me non piace giocare a calcio, però mi piace giocare con te! Se ci sei tu a
giocare con me ogni gioco diventa divertente!
Daisuke rialzò lo sguardo,
osservando la figlia con occhi lucidi.
-Dici davvero?
La bimba annuì.
-Però qualche volta voglio
scegliere io a cosa giocare!
L’uomo ritrovò subito il
sorriso e l’entusiasmo che lo caratterizzavano.
-Va bene! Ora a cosa ti
piacerebbe giocare?
-A prendere il tè con le
bambole!
L’entusiasmo di Daisuke si
smorzò di colpo: non aveva mai giocato con le bambole e non aveva la più
pallida idea di come si facesse, ma il sorriso felice di sua figlia lo convinse
che provare non gli sarebbe costato nulla.
-Ok, andiamo!
L’uomo prese per mano la
bimba e si avviarono verso la cameretta della piccola. Vedendoseli passare
affianco, Saeko distolse finalmente l’attenzione dagli orecchini.
-Beh, dove andate voi due?
Padre e figlia risposero in
coro.
-A giocare con le bambole!
La donna rimase a guardarli
sorpresa mentre si allontanavano, poi non riuscì a trattenere una risatina: era
felice di vedere che Atsuko e Daisuke erano riusciti a chiarirsi senza aver
bisogno del suo aiuto. Saeko si chiese cosa avesse potuto dire sua figlia per convincere
così in fretta l’uomo a lasciar perdere per un po’ il calcio, doveva
assolutamente saperlo. E chissà, magari utilizzando la stessa strategia della
sua bambina un giorno sarebbe riuscita a confessare a suo marito che nemmeno a
lei il calcio piaceva poi tanto.
Angolino rotondo
Ed ecco il primo capitolo dedicato ad Atsuko! L’atmosfera in casa Endou l’ho
dipinta molto diversa da quella del precedente capitolo, è decisamente più
solare. In fondo sono una famiglia felice, tormentata da piccoli problemi come
delle incomprensioni fra padre e figlia, è normale che l’atmosfera sia più
dolce e tranquilla. Spero solo che il capitolo non sia risultato noioso!
Comunque, Atsuko in questo capitolo ha all’incirca quattro anni. Secondo me
Daisuke si è ritirato dal mondo del calcio quando Atsuko aveva otto anni, solo
allora si è fatto assumere dalla Raimon come allenatore. Reiji ed Atsuko si
passano cinque anni. Probabilmente è un divario troppo piccolo, ma per me
entrambi non dimostrano la loro età nella serie, sembrano più giovani! Poi sono
mie idee, ognuno può pensarla come vuole. Non ricordo più che altro dovevo
dire, quindi chiudo qui. Grazie a tutti per aver letto fin qui, alla prossima!
Se c’era un aspetto in
particolare che Tougo adorava di suo figlio era la sua indipendenza: raramente
il piccolo gli faceva domande su ciò che sentiva o vedeva, spesso arrivava da
solo alla soluzione ragionando o informandosi da solo. Per questo l’ex
calciatore, quelle sere in cui non si sentiva in forma, doveva smaltire una
sbornia o non voleva essere disturbato, sceglieva un film e lo guardava insieme
a Reiji, sicuro che il figlio non avrebbe chiesto tante spiegazioni. Una sera
l’uomo tentava di smaltire una sbornia parecchio dolorosa, così si sdraiò sul
divano mentre, seduto comodamente sul tappeto davanti alla televisione, suo
figlio guardava un film sulla guerra fredda. I due non si scambiarono una
parola per tutta la durata del film, solo una volta terminati i titoli di coda
il più piccolo decise di rivolgere una domanda al genitore.
-Papà, come faccio ad avere
un sottomarino?
Nonostante il dolore alla
testa non gli desse tregua, quella domanda colpì Tougo, che guardò suo figlio
con aria perplessa.
-Perché vuoi saperlo?
-Perché quando sarò grande
ne voglio uno tutto per me.
Nonostante riuscisse a
leggere l’entusiasmo negli occhi del bambino, l’uomo non poté trattenere una
risata.
-Pulce, non riuscirai mai ad
avere un sottomarino tuo!
Reiji mise il broncio,
guardando in cagnesco suo padre.
-Tu dimmi solo come fare.
-Beh, o sei ricco, ma
davvero, davvero ricco, oppure diventi presidente o comandante della marina
militare, anche se in quel caso il sottomarino apparterrebbe al governo e non a
te.
Tougo guardò bene
l’espressione del figlio: era l’espressione di quando faceva i capricci e,
testardo com’era, sapeva che non sarebbe mai riuscito a fargli rinunciare
all’idea di avere un sottomarino suo, così decise di correre in qualche modo ai
ripari.
-Va bene, domani ti compro
un sottomarino giocattolo, quello sarà tutto tuo.
Reiji iniziò a tremare di
rabbia: il fatto che suo padre non gli desse fiducia lo mandava su tutte le
furie.
-Vedrai, da grande avrò un
sottomarino tutto mio e tu non potrai farci un giro sopra!
Il genitore liquidò il bimbo
con un semplice “sì, sì” facendolo arrabbiare ancora di più, ma non se ne curò
più di tanto.
Molti anni dopo, a bordo del
suo sottomarino, Kageyama Reiji scrutava l’oceano, tranquillo come non mai.
L’uomo era sorpreso di come il mare riuscisse a placare il suo spirito
tormentato anche a pochi giorni dalla sfida contro la Raimon. Il castano
inspirò a pieni polmoni l’aria salmastra, mentre gli tornava alla mente la
prima volta in cui aveva iniziato a desiderare un sottomarino. Ricordava che in
quell’occasione suo padre rise di lui e gli tornò in mente tutta la rabbia che
aveva provato in quel momento, ma ritrovò quasi subito la calma. In fondo ci
era riuscito, aveva un sottomarino completamente suo e non solo: nella sua vita
era riuscito a conquistare molto più di quanto avesse mai conquistato il suo
genitore. L’unico problema era costituito dalla squadra della Raimon e dal loro
capitano, ma presto avrebbe sistemato anche quello. Intanto si godeva la quiete
di quel momento e la soddisfazione di aver smentito suo padre. Kageyama alzò
gli occhi al cielo, con il suo solito ghigno stampato sul volto.
-Hai visto papà? Te l’avevo
detto che sarei riuscito ad avere un sottomarino tutto mio.
Angolino rotondo
No, non sono morta. Sono ancora qui e pubblico ad orari sempre meno
decenti. E non ripeto più che aggiornerò presto le altre fic
che ho in corso perché mi sono accorta che ogni volta che lo dico mi porto
sfiga da sola. Passiamo a parlare del capitolo che è meglio. Siamo tornati a
parlare di Tougo e Reiji e devo dire che mi sono sorpresa da sola con questo
capitolo. Ero partita con l’idea di scrivere un capitolo un po’ comico, con
Reiji da adulto tutto orgoglioso di sé perché è stato in grado di dimostrare
che suo padre era nel torto, ma poi, quando l’ho riletto a fine stesura, mi
sono accorta che è un capitolo abbastanza malinconico. Non era assolutamente
mia intenzione renderlo così, ma lo trovo comunque bello ed ho deciso di
pubblicarlo. Spero sia piaciuto a voi come è piaciuto a me. Alla prossima!
Per
circa una settimana la piccola Atsuko fu sfrattata dalla sua stanza: suo padre
aveva bisogno di una scrivania e, essendo quella in camera della bimba l’unica
presente in casa Endou, Daisuke si era appropriato non solo di quella, ma anche
dell’intera stanza. Né Atsuko né sua madre sapevano cosa facesse Daisuke lì
dentro: passava la maggior parte della giornata chiuso nella camera, intento a
scrivere qualcosa su un quaderno mentre borbottava parole incomprensibili.
Atsuko era decisamente preoccupata per suo padre: era abituata a vederlo fare
cose strane, ma di solito erano cose strane e divertenti, non inquietanti come
in quel caso. La preoccupazione della bimba salì alle stelle quando il genitore
ignorò una partita di calcio per rimanere a scrivere. Nei giorni seguenti a
quell’episodio, la piccola Endou si mise a spiare il padre nel tentativo di
comprendere le sue azioni. Arrivò anche ad entrare nella camera e a sedersi sul
suo letto, tanto Daisuke sembrava non avvertire la sua presenza. Verso sera
l’uomo scattò in piedi urlando “Finito!”, spaventando non poco la figlia, che
sobbalzò per la sorpresa. Però, con quel movimento involontario, Atsuko catturò
finalmente l’attenzione del genitore che le sorrise raggiante, come al solito.
-Ehi
principessa, cosa ci fai qui?
La
bimba, un po’ intimorita da quel cambiamento improvviso, esitò un attimo prima
di rispondere.
-Ero
curiosa… Volevo capire cosa stavi facendo…
A
quell’affermazione Daisuke sembrò cascare dalle nuvole e prese il quaderno che
aveva lasciato sulla scrivania, mostrandolo poi alla figlia.
-Guarda
tesoro, questo è il mio primo quaderno di allenamento speciale! Mi ci sono
impegnato tantissimo e finalmente è pronto! Dentro sono descritte tutte le hissatsu che ho creato negli anni!
Timidamente,
Atsuko prese in mano il quaderno ed iniziò a sfogliarlo, ma le uniche cose che
riuscì a vedere furono una lunga serie di scarabocchi e di scritte
incomprensibili che nemmeno il più pasticcione dei suoi compagni di scuola
sarebbe riuscito a creare.
-P-Papà…
-È
stupendo, vero?
Vedendo
il padre tanto fiero del suo lavoro ed essendo troppo sollevata nel vederlo
comportarsi di nuovo in modo normale, la bimba decise di non dire ciò che
pensava davvero.
-M-Mh, sì papà, è bellissimo!
Daisuke
gongolò, felice di avere l’approvazione di sua figlia, poi la prese per mano.
-Forza,
andiamo a mostrarlo anche alla mamma e facciamoci una bella merenda!
Atsuko
sospirò e scese dal letto, seguendo il padre in cucina: era stata costretta a
dire una bugia a Daisuke, ma almeno riaveva di nuovo la sua stanza e,
soprattutto, il suo papà allegro, solare ed esuberante di sempre.
Molti
anni dopo Atsuko, ormai adulta e sposata, si tormentava mentre cercava la
soluzione ad un problema sorto quel pomeriggio: suo figlio Mamoru aveva trovato
i vecchi oggetti del nonno ed ora si era deciso di voler giocare a calcio.
Atsuko aveva paura, non voleva lasciarlo giocare a calcio. E se gli fosse
accaduto qualcosa di male? In fondo non aveva ancora superato la morte di suo
padre. La donna osservò il pallone da calcio ed il quaderno, soffermandosi in
particolar modo su quest’ultimo: le ricordava qualcosa, così, spinta dalla
curiosità, iniziò a sfogliarlo. Le bastò sfogliare poche pagine per riportarle
alla mente tutti i ricordi relativi alla creazione di quel quaderno. Atsuko
sospirò, pensando a quanto fosse infantile suo padre e quanto scarse fossero le
sue abilità nel disegno, ma allo stesso tempo quegli scarabocchi senza senso la
convinsero a lasciar provare a Mamoru il calcio: dopotutto quello per lui
sarebbe solo stato un passatempo passeggero, dopo un mese si sarebbe
interessato a qualche altra cosa, e non sarebbe mica diventato il campione del
mondo grazie a quel quaderno. Il solo pensiero fece ridere Atsuko, che chiuse
il quaderno e si alzò per andare a letto: non poteva ancora immaginare cosa
avrebbero scatenato suo figlio e quel quaderno una decina di anni più tardi.
Angolino
rotondo
Io che pubblico ad un orario
decente ahahahahahahah che storia. Ho mille idee per
questa raccolta, ma sono pigra e lenta e pubblico ogni morte di papa.Però visto che ora mi sto mettendo d’impegno
in tutto ed ho una postazione computer decisamente più decente sarò più attiva
(questa volta sul serio, lo giuro). Infatti stanno per arrivare due
aggiornamenti nuovi nuovi a breve, stay tuned!