Arlecchino

di LittleEevee
(/viewuser.php?uid=467083)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spagna: nessuno sa che dietro la mia allegria c'è un'immensa tristezza ***
Capitolo 2: *** Danimarca: stanco dei conflitti ***
Capitolo 3: *** Italia del Nord: quell'oblio chiamato guerra ***
Capitolo 4: *** Canada: lacrime ed inchiostro ***



Capitolo 1
*** Spagna: nessuno sa che dietro la mia allegria c'è un'immensa tristezza ***


'Hola, me presiento soy Antonio''
Inizio a scrivere su un quadernino di carta vuoto, pieno di pagine, tutte vuote. Scritte solamente dalle righe dei vari fogli che le compongono.
'' Così da oggi ho un nuovo amico, eh? Ne sono felice, anche se... stavolta è una cosa strana''
Un nuovo amico, già, se così lo si può chiamare. Ma non mi lamento, so che presto potrebbe diventare importante per me, se non indispensabile. Un pilastro in più per sorreggermi, un pilastro in più per non cadere, un sostegno in più per rialzarmi in futuro.
 ''Dalle persone non si può chiedere conforto ogni volta, ma con un diario è ben diverso.''
Ho pensato qualche giorno prima, così mi sono deciso a tentare, a scrivere un mio diario personale; non descriverò ogni giornata, ma sarà un ottimo sfogo ogni volta che ne sentirò il bisogno.
Io, scrivere un diario di sfogo... sembra una follia, eppure ne ho bisogno. Più bisogno di quanto la gente possa mai credere.



Ho nominato il diario ''Romanito'', uno dei piccoli nomignoli come ero solito chiamare Romano quando era ancora un bambino, quando il Sud Italia era ancora uno dei possedimenti spagnoli.
Romano, mi manca moltissimo, mi mancano i bei tempi in cui era lui a darmi il buongiorno, a suo modo, ma era pur sempre un buon risveglio, con il tempo ci feci l'abitudine.
Cambio la penna con cui scrivo, ora non è più d'inchiostro blu come l'oceano; ora uso una penna d'inchiostro nero, nero come i momenti bui, scuro più della notte. Più scuro di una cava senza lanterne, senza alcuna luce.
Stappo la penna ed inizio a scrivere con lentezza, scegliendo le giuste parole per esprimere i miei sentimenti, per esprimere la mia persona. Inizio con una piccola introduzione, tanto per far capire al mio diario perché scrivo, perché mi serve da sfogo. Non che poi il diario possa rispondermi, ma sarebbe una cosa forte, penso.


'' Tu lo sai, o meglio lo stai per sapere. La gente crede che io sia felice, solo perché sono allegro e spensierato, simpatico e solare. Non immagina mica le tenebre che avvolgono la mia anima, la tenebre che affliggono el mio corazón. Tutto perché io sono un ''bravo attore'', il tutto perché pian piano con il tempo ho imparato a fingere, migliorando sempre più. Non se ne accorgono, ma io indosso molte maschere; maschere con le quali nascondo il mio stato d'animo, ogni mia sofferenza. E se poi mi capita di non riuscire... è semplice, o mi allontano con una scusa, oppure rispondo semplicemente d'esser stanco.
Come le donne usano il trucco per le loro ''imperfezioni'', io uso del ''trucco'' per mascherare il mio umore, per nascondere i miei timori e così preservare l'orgoglio. Orgoglio... in realtà non sopporto l'idea di far preoccupare qualcuno, tutto qua. Adoro vedere la gente felice..''



Già, sono uno che recita, che finge di star bene.
Sono come un arlecchino: indosso delle maschere e faccio ridere; non mi comporto da buffone, ma resto sempre e comunque solare, do conforto a chiunque mi sia attorno. Tento di rendere chiunque felice, cerco di far ridere, di risollevare il morale altrui.
Tutto questo in cambio di niente, o meglio: in cambio di sorrisi. Sembra strano, eppure la gente felice riesce a mettermi di buon umore, a volte riesce a distrarmi un po' dalla sofferenza.
Sospiro. Magari Romano fosse un po' più sorridente, o magari lo fosse stato da bimbo. Un bambino ostile e volgare, una cosa alquanto innaturale. Eppure seppi volergli bene lo stesso, forse troppo.
Ecco, mi sono di nuovo perso tra i miei pensieri, di nuovo con la testa tra le nuvole; dopo quelle poche righe non ho scritto altro.
Uff, non pensavo che scrivere un diario potesse essere così complicato! Eppure... quando si parla di sé stessi, quando ci sfoga, le parole non dovrebbero venire da sole?
Uhm, la verità è un'altra, in realtà è che yo estaba escribiendo en mi cabeza, stavo ''scrivendo'' direttamente nei miei pensieri.
Devo smetterla, mi è inutile fare un diario se poi penso invece di scrivere. Su, devo riprendere a scrivere, voglio continuare a scrivere.
Inizio a mordicchiare un po' l'estremità della penna, come uno scrittore in cerca d'ispirazione, ma la differenza è una: lo scrittore deve inventare, io devo solo far ordine nella mia testa, io devo scrivere cose che già so. Cose che ho vissuto in prima persona.


'' Scusami Romanito, scusami se è tanto che cerco di scrivere e poi non riesco. Escusame, è come se qualcosa mi bloccasse, come se qualcosa mi impedisse di scrivere i miei sentimenti. O forse no, forse è solo che non so da dove iniziare. Ho tanto da scrivere, e molta fretta di terminare. Ma uno sfogo non è una cosa che si ottenga in poco tempo, no? Soprattutto se troppe sono state le volte in cui si hanno incatenato le emozioni, segregate in fondo al cuore. E' difficile sfogarsi in fretta se si è un Arlecchino, se si recita per fingersi liberi, liberi da angosce.''


Chiamare ''Romanito'' il mio diario... forse sono più patetico di quanto avessi mai pensato, sono caduto proprio in basso. Troppo. Ma ci sono abituato, chissà, prima o poi mi riprenderò anche da questa caduta, o forse no.
Chissà cosa penserebbe di me la gente vedendomi in questo stato. Penserebbe di star sognando, oppure che è arrivata l'Apocalisse... un motivo in più per continuare a recitare.
Il mio umore, è paragonabile ad un alternarsi di luce e buio: un istante sprofondo, ma poco dopo mostro un enorme sorriso. E' uno spettacolo abbastanza divertente? Non lo so, eppure il destino si diverte, si diverte a vedermi un po' come un suo pupazzo. Che io sia il suo Arlecchino personale?



'' Caro diario... ti chiedi quale sia la mia più grande causa di sofferenza? Risiede nel passato, se avessi avuto un sfogo, se non mi fossi tenuto tutto dentro, chissà... forse non mi sentirei sprofondare nell'oblio. Il piccolo Romano... mi affezionai un po' troppo a lui, ma lui pochissimo a me, forse è ciò che mi ha ferito di più.''


Il piccolo Romano... ci misi un'eternità a convincere Austria a cederlo a me, a darmi uno dei due bambini che rappresentavano l'Italia, i fratelli Vargas.
Entrambi erano al suo servizio, li vidi casualmente un giorno; notai subito il bellissimo faccino di Romano, la sue estrema pucciosità che camuffava con uno sguardo ostile e parole che non sarebbero mai dovute uscire dalla bocca di un bambino. Quando si imbronciava lui gonfiava le guanciotte, spesso arrossiva; sembrava proprio un pomodoro!
Io lo riempivo di attenzioni, mi prendevo cura di lui. Lui si comportava come se non gliene fregasse nulla, neanche un ''grazie'' ogni tanto.
Sebbene fossi contento di vederlo felice... tutta quella sua ostilità iniziò lentamente a corrodere la mia anima, a lacerare il mio cuore.
Lui era come un figlio per me, era la cosa più importante che avessi mai avuto. Evidentemente per lui non era così.
Ecco, le lacrime iniziano a scendere dai miei occhi, mi bagnano il volto. Piango in silenzio come sempre, mentre cerco di trattenere i singhiozzi e piccoli lamenti. Nessuno deve sentirmi, nessuno.


Le lacrime non vogliono smettere di scendere, mi sento a pezzi.
Mi sento bruciare il cuore, come una ferita immersa nell'acqua del mare, come se il mio cuore non pulsasse solo sangue, ma anche acqua ossigenata, cosicché ogni battito mi faccia quasi morire di dolore.
Ora mi alzo dalla sedia, mi allontano dal diario. Non vorrei che le lacrime possano cadere su quel poco che ho scritto, non voglio che le lacrime sbavino quel poco inchiostro che ha macchiato il foglio, riducendo il tutto ad un'inutile macchiolina nera.
Ecco, la stessa situazione di sempre: me ne sto solo nella mia stanza a piangere in silenzio, trattenendo i singhiozzi, cercando di fermarmi.
Le gambe mi cedono, cado terra in ginocchio. Cerco di farmi forza e rialzarmi, a stento raggiungo un angolo della stanza, poi mi siedo a terra.
Mi rannicchio su me stesso, tengo piegate le gambe e le abbraccio, poggiando la nuca sulle ginocchia, continuando a far scendere le lacrime.
Dopo svariati minuti faccio un respiro profondo, poi un altro. Lentamente riesco a fermare le lacrime, finalmente posso tornare a scrivere.
E se mi facesse più male che bene? Pazienza, ormai ho iniziato... non voglio fermarmi.



'' Troppe sono state le volte in cui reprimevo i miei sentimenti, troppe le volte in cui mi sono trattenuto dal piangere. Continuo a recitare, fingo di star bene. Tutto ciò per sembrare libero agli occhi di tutti, non immaginerebbero nemmeno un briciolo di ciò che sto passando. Ma a me va bene così, recitare nonostante io stia scivolando con la mente, nonostante il mio cuore si stia lesionando sempre più. Prima o poi tutto questo finirà.''
E' più di mezzora che scrivo, non mi sento meglio; mi sento peggio, l'oblio inizia ad inghiottirmi sempre più, ma ci sono state volte peggiori.
'' Molte volte mi capitò di prendermi a pugni da solo, o di buttarmi a terra... ero stufo della sofferenza psicologica, pensavo che un po' mi sarei distratto. In parte ero nel giusto. Il dolore carnale mi distrasse per poco, alla fine mi ritrovai con orrendi lividi e basta. La gente non doveva vederli, per cui comprai del trucco... e li nascosi agli occhi di tutti. Cosa avrebbero pensato di me? Io dovevo continuare a recitare, e così feci.''


Scrivo qualche altro rigo, poi mi fermo. Un po' per i crampi alla mano, un po' perché non me la sento più di scrivere.
Nessuno sa di tutte le ferite che subito il mio cuore, di quante volte io abbia passato notte insonni, a piangere nel buio della notte.
Ecco, le lacrime iniziano a scendere di nuovo, chissà quando vorranno fermarsi; spero il più presto possibile, ma so che ci vorrà tempo. Molto.
- Ehi bastardo, sei in casa!?-
Riconosco benissimo quella voce e quel tono: è Romano.
Cosa ci fa qua? Non mi aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi!
La sua voce non è tanto alta, il che significa che deve ancora percorrere il corridoio per raggiungermi. Se non rispondo si insospettirà... non devo fargli capire di aver pianto.


- Hola Romano!- provo ad usare il mio solito tono solare, ma purtroppo la voce è in parte strozzata
- Ehi bastardo, che hai?- dice mentre sento i suoi passi per il corridoio
- Solo un po' di mal di gola, stavo spolverando la libreria...- dico mentre poi nascondo il diario sotto a dei libri, il tutto senza far rumore. Infine mi asciugo le lacrime e torno con un finto sorriso sul volto. Finto ma efficace, Romano ci casca in piano, non mi vede per niente strano.
Che stranezza, dover fingere d'essere felici con la persona che è stata una delle più grandi cause di sofferenza; non lo odio, anzi: se nascondo le lacrime è proprio perché gli voglio bene.


E così anche oggi passerò il tempo a recitare, a mostrare una felicità che in realtà non c'è. Ehi Romano... chissà se in questo momento anche tu stai recitando, se così fosse mi capiresti. Se tu recitassi, allora ti rispecchieresti dentro di me. Ma sai, che si reciti o meno, la verità è solo una, che tutte le maschere da indossare hanno un qualcosa in comune. Ognuno di noi è la stessa maschera dell'altro, ognuno di noi soffre per qualcosa che cerca di nascondere; peccato che non tutti riescano a mascherare i sentimenti.
-----------------------------------------------------------------
Salve a tutti ^^
Come già scritto nella descrizione, questi vari capitoli sono ispirati ad una canzone, chiamata appunto ''Arlecchino'', se ancora non avete provato ad ascoltarla... vi consiglierei di farlo, a mio parere ne vale la pena.
Non ho ancora in mente quanti capitoli saranno,  né ho idea tra quanto pubblicherò il prossimo capitolo: in parte è perché tenterò di dare il meglio, in parte perché la scuola mi lascia pochissimo tempo per scrivere.
Voglio farvi un piccolo spoiler per quanto riguarda il prossimo capitolo: il protagonista sarà Danimarca. La sua angoscia? Segreto u..u
Ciauuuu ^^
Ps: non per tutti i capitoli saranno i pg a parlare in prima persona, poi vedrò che fare u..u

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Danimarca: stanco dei conflitti ***


La notte era arrivata da poche ore, il danese si rinchiuse nella propria stanza.
'' Vado a letto, sono esausto'' fu ciò ch'ebbe detto al resto dei Nordici, giustificando quel suo rintanarsi nella propria stanza, non avendo neanche la minima intenzione di dormire.
Voleva stare per conto suo e basta; cosa alquanto insolita per Mathias. Chiuse a chiave la porta, voleva stare solo, voleva riflettere. Ripensò alla giornata che giungeva al termine, ricordando ogni fondamentale dettaglio; non si sarebbe dimenticato di quel giorno, o forse si? Infondo le sue giornate non variavano molto, non variava ciò che in esse accadeva.
Non cambiava il comportamento delle persone, non cambiavano le opinioni.


Quella mattina si era svegliato abbastanza tardi, Norvegia perse del tempo a svegliarlo, rimproverandolo poi con durezza.
Dovevano lavorare, avevano bisogno di lui per la vendita dei loro mobili, avevano bisogno della sia bravura come venditore.
Il norvegese lo chiamò più volte, ma fu inutile: Danimarca era peggio di un ghiro, svegliarlo era una impresa molto più che ardua. Lukas seppe che pur continuando a chiamarlo, Mathias non si sarebbe svegliato.
Prese una brocca d'acqua e verso il contenuto di essa in testa al danese, che si svegliò di colpo. Un risveglio tutt'altro che piacevole, ma rispose al gesto con una risatina, facendo innervosire ancora di più il norvegese.
Alla fine scoppiò una rissa: Lukas che colpiva con rabbia, Mathias che si difendeva con divertimento, come se ciò fosse un gioco. La giornata proseguì con un succedersi di battibecchi tra il danese e i vari componenti dei paesi Nordici.
La solita monotonia, il solito destino ripetuto.


'' Perché, perché deve sempre essere così? '' fu ciò che si chiese, tornando al presente dopo aver portato la mente a quella giornata. Ad altre giornate.
Da una parte si divertiva a scatenare battibecchi, ma dall'altra la situazione non gli piaceva affatto; gli sarebbe piaciuto poter andare daccordo con ognuno di loro. Avrebbe di gran lunga preferito poter scherzare con tranquillità piuttosto che azzuffarsi in piccole liti.
Picchiare non era una cosa che odiava, le zuffe erano un buon passatempo... ma non è solo di zuffe che si vive, e lo sapeva bene. Da svariati giorni il danese non faceva che riflettere, a corrodersi l'anima, solo per cercare di sistemare i rapporti con i suoi ''amici'', solo per evitare ulteriori conflitti.
Ma di soluzioni non ne trovava, forse era troppo stupido.



''Forse sono stupido, ma essere stupido non mi impedisce d'essere un bravo attore, eh no! Potevo capire Finlandia e Islanda... ma neanche Svezia e Norvegia sembrano essersi accorti del mio stato d'animo, di come io finga... sono davvero bravo!''

Continuò a riflettere, continuò a chiedersi perché i loro rapporti fossero così instabili, perché i battibecchi fossero all'ordine del giorno.
Lui era davvero una persona così orribile? Evidentemente si.
Senti come un tuffo al cuore.
Sentì il sangue scorrere gelido dentro di sé; non era il corpo ad avere freddo, ma la sua anima. Piangere? Non era da lui, il suo orgoglio era un muro invalicabile, che mai sarebbe crollato. Più facile dire che piuttosto Mathias avrebbe lasciato sé stesso a morire.


'' La gente, tutti... pensano che io sia felice, perché bravo a fingere. Anzi, no! Loro non si accorgono nemmeno della mia recita, non si accorgono di niente. Potrei crollare, o provarci... ma no, non voglio deluderli.
Continuerò a sorridere, mi fingerò felice solo per non deludere loro, per non deluderli delle mie abilità di attore.
Attore... non mi definirei così; io sono un Arlecchino, ho molte maschere con le quali nascondo i miei veri sentimenti. Nascondo l'oblio del mio cuore, mantengo saldo il mio orgoglio.
La mia mente scivola, ma non importa... io voglio potermi sentire libero, continuerò a recitare, non importa cosa accadrà. Non posso essere felice, ma almeno posso fingere e magari forse riuscire a convincermi, a credere davvero d'esser felice''



Lunghi pensieri, profonde riflessioni.
Era così che i minuti passavano, il danese era assorto nei suoi pensieri, quasi isolato dalla realtà. Se ci fosse riuscito... sarebbe rimasto sveglio l'intera notte per pensare. Se avesse potuto.
La stanchezza iniziò a farsi sentire; poteva pure fare l'Arlecchino, poteva fingere la felicità, ma di certo non poteva battere la stanchezza. Si addormentò, abbandonando per un po' le sue preoccupazioni, affidandosi al mondo dei sogni.

_____________________________
Ciao a tutti! Ecco il 2° capitolo u..u
Inizialmente lo avevo già pubblicato, ma non essendone soddisfatta ho deciso di eliminarlo e riscriverlo, non che sia tanto migliore ora...
Questa raccolta è più complicata di quanto immaginassi, soprattutto in questi giorni che la mia ispirazione va a farsi friggere T...T
Perdonate se farò capitoli in ritardo
Ciao!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Italia del Nord: quell'oblio chiamato guerra ***


Feliciano era un ragazzo allegro e spensierato, agli occhi di tutti era un fannullone, un piagnucolone che sapeva pensare soltanto a riempirsi lo stomaco, alle belle ragazze ed alle bandiere bianche.
Ma davvero Feliciano è così? Davvero non ha doti, davvero è così come appare agli occhi di tutti? Forse no, forse la sua era tutta una maschera.
Quell'apparente felicità?
Soltanto un'illusione.



Ogni sera l'italiano si chiudeva in camera sua, prendeva una coperta ed in essa si rannicchiava, sedendosi sul letto. Spegnava la luce, ma accendeva una candela: il buio era una delle tante cose che non gli piacevano; infine afferrava il cuscino e l'abbracciava.
Che fosse stato per riscaldarsi, per distendere i nervi o per non sentirsi solo... non importava. A lui piaceva tenere stretto a sé il cuscino, gli dava un po' di conforto.
E poi? Poi iniziava a piangere in silenzio, per non disturbare la quiete della notte ma anche perché preferiva il silenzio ai lamenti.
L'oblio che risiedeva nel suo cuore era in parte dovuto a lamenti e grida strazianti, ad urla di terrore e dolore, alla sofferenza; se l'italiano si sentiva cadere il mondo addosso era per colpa delle guerre, dei conflitti.
Di inutili spargimenti di sangue.



Sin da piccolo Feliciano era stato un bambino allegro e spensierato, che adorava l'arte in ogni sua più piccola forma. Adorava dipingere e disegnare, adorava la musica; gli piaceva molto ascoltare Austria che suonava il piano.
La pizza, la pasta... gli erano sempre piaciute, ma allora: che c'era di tanto diverso dal Feliciano dei tempi moderni? Cosa fece cambiare il suo stato d'animo?
La guerra e tutto ciò che essa comportava.
Nessuno si era mai chiesto come mai l'Italia fosse debole in battaglia, nessuno aveva mai immaginato che l'oblio che risiedeva nel cuore di Feliciano potesse esserne in parte la causa. Un momento: nessuno ipotizzava un oblio, nessuno ipotizzava l'angoscia.
Infondo l'italiano era bravo a mascherarsi, era bravo a fare l'Arlecchino.



Da bambini molte cose sono incomprensibili, molte disgrazie possono sembrare un gioco, cose come le uccisioni e la guerra possono apparire cose da niente se si è piccoli, e così fu anche per Feliciano. Ma c'è una differenza: a differenza degli altri bambini, lui si è ritrovato lui stesso a svolgere un ruolo di spicco in guerra.
Si ritrovò ad esser protagonista di quello che per un bambino poteva esser uno svago, un divertimento. Le persone erano i bersagli, e la armi con le quali abbatteva vite umane erano solo dei balocchi.
Molto più tardi avrebbe appreso il vero significato della guerra, il significato della morte e della sofferenza. Di certo ne avrebbe pure pagato le sofferenze.
Da piccolo non aveva problemi a scendere sul campo di battaglia, non temeva di poter stroncare vite umane, né temeva la morte. Sbaragliò molti nemici, facendo diventare famosa la sua nazione.
Poi ci fu una ricaduta, ovviamente.


Già verso i dieci anni iniziò a chiedersi se la guerra fosse cosa buona, ma era ancora un bambino: le idee dei bambini sono facili da manipolare, da compromettere.
Se un cuore pure commette del male senza volerlo, può ancora esser considerato puro? Probabilmente sì, ma solo se poi si fosse pentito, se ne avesse pagato le conseguenze.
E quelle sarebbero arrivate.



Solo durante l'adolescenza capì cosa veramente avesse fatto, cosa significassero l'agonia e l'angoscia, il dolore fisico e quello psicologico. Un flashback passò veloce nella sua mente, veloce come un fulmine per ricordargli cosa avesse fatto nelle guerre scorse. Rapido per fargli capire quanto egli stesso fosse stato un mostro, un demonio.
Fu allora che iniziò a crollare, a lacerarsi l'animo.
Era tardi; troppo tardi scoprì cosa fosse il terrore, troppo tardi capì cosa significasse aver paura di perdere le persone care, ma anche solo i propri compagni di guerra.
In ritardo comprese come ci si sentisse ad aver paura di rimanere soli, a temere d'esser inghiottiti in un oblio senza fine e senza intervalli di luce. Aveva capito, e dovette iniziare a scontare le sue pene, tutte le colpe dovute all'ingenuità della giovinezza, all'ignoranza di bambino.
Era stato causa di tenebre? Molto bene, le tenebre si sarebbero impadronite del suo cuore, avrebbero invaso la sua mente fino all'invaderne l'anima.



Così ogni sera era a ciò che l'italiano ripensava, erano quelli i pensieri che tanto lo affliggevano e che non aveva mai confidato né al fratello né al tedesco.
Rimaneva solo, il cuscino tra le braccia, a pensare, si isolava per non essere un peso, ma allo stesso tempo perché pensava di meritarsi un trattamento simile, un modo per pagare alle sue colpe.




''Appaio sempre felice a tutti, allegro e spensierato. Sembro un bambino, mi piacerebbe davvero poter affermare ciò e riderci su. Mi piacerebbe... ma non posso.
Se qualcuno scoprisse la verità... direbbe che alla fine sarei felice lo stesso, perché se si sa fingere allora si sa anche essere felici, ci si sa illudere.
Se la tristezza è banale, ma non basta una recita a placare l'oblio. Se un asteroide finisce in un buco nero... esso si tappa? Ovvio che no, continuerà a risucchiare tutto ciò che ha attorno.
Ecco... la mia angoscia risucchia la felicità, per aumentare se stessa''



Iniziò a tremare come una foglia, ma in silenzio.
Dai suoi occhi scesero delle lacrime di dolore che non accennavano a fermarsi. Il cuore batteva rapido, come se stufo di tutto quel silenzio, come se stufo di tenere rinchiusi tutti quei sentimenti, quelle emozioni impetuose.
Feliciano strinse più forte il cuscino, ma ciò non gli servì a molto: più piangeva e più si sentiva peggio.
Era il pianto a peggiorare tutto? No, a peggiorare tutto era il suo status di Arlecchino, se avesse pianto per bene si sarebbe di certo sentito meglio. Su stava facendo del male da solo, si stava devastando l'anima e lacerando il cuore.
Gli occhi erano sempre più gonfi per via del pianto.




'' Ehy Nonno Roma... perché non mi hai mai detto cosa avrei dovuto fare? Perché non mi hai mai detto che avrei fatto del male nella mia vita? Se tu mi avessi avvertito, forse, mi sarei evitato tutta questa situazione... ma non importa, ormai non si può far nulla. Il passato non si può cambiare da un momento all'altro, magari si potesse.
Io... ormai sono diventato un Arlecchino, è troppo tardi... non è vero? Non mi riprenderò, troppo tempo è passato, e troppi sentimenti negativi attanagliano il mio cuore.
Potrei crollare, ma... no, non voglio crollare. Devo ancora scontare la mia pena, sennò smetterei di soffrire, di farmi del male da solo.
Da tempo recito per sembrare libero, per sentirmi libero da tutto, da ogni ansia. Funziona? Per me no, ma gli altri ci credono per cui va bene... dopo il male inflitto non voglio causare altro male, non voglio che qualcuno soffra per preoccuparsi di me.
Sono un Arlecchino, indosso maschere e con del trucco nascondo i lividi della mia anima, dal più piccolo graffio alla più grande ferita, così va bene... no? ''



Smise di abbracciare il cuscino, lo afferrò e lo strinse attorno alla sua testa per tapparsi le orecchie.
Troppi ricordi gli scorrevano nella mente, rapidi ma abbastanza forti da aumentare quella sua agonia. Si tappava le orecchie, gli sembrava quasi di poter ricordare quelle urla strazianti e quei pianti di gente innocente. Si ricordava la paura sul volto di molti bambini, e fu forse ciò ad aumentare la sua sofferenza: nessun bambino al mondo avrebbe dovuto patire tutto ciò, nessuno.


Per svariati minuti Feliciano rimase con lo sguardo perso nel vuoto, le lacrime che tentavano di fermarsi, di non cadere più dai suoi occhi. L'italiano provò varie volte a calmare la sua respirazione, a calmare se stesso, ma tutto sembrava inutile. Alla fine ci riuscì, lentamente, ma raggiunse ''l'obbiettivo''.
Cerco di mettere in ordine i propri pensieri, poi trasse della conclusioni; non importa cosa sarebbe successo, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, lui avrebbe continuato a fingere di star bene.
Sarebbe stato ancora per molto tempo un Arlecchino, e ciò gli stava bene, avrebbe adempito bene al suo compito.

________________________________________
Innanzitutto grazie a chiunque abbia letto ^^ spero che questo capitolo sia piaciuto
Ringrazio Triscele_Celtica98 per avermi suggerito di fare un capitolo su Feliciano, e la ringrazio anche per aver recensito. Ringrazio anche _Vanilla per la sua recensione ai capitoli precedenti questo.
Come al solito premetto che non so quando aggiungerò un nuovo capitolo, ma più o meno ho capito perché non riuscissi a scrivere u..u
Vi saluto, ciaoooo!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Canada: lacrime ed inchiostro ***


“ - Ma tu chi seiiii? - mi chiese così il mio amico Kumajiro, quel tenero orsacchiotto parlante, dalla pelliccia bianca e soffice, sì, insomma... si è capito chi.
- Come non ti ricordi di me? Io sono Canada....-
-Chi?-
- Canada, sono Canada!-

Come al solito mi esprimo con il dispiacere in volto, essere dimenticati non è una cosa bella, soprattutto se a dimenticarsi di te è una persona che consideri cara. Io sono molto affezionato a Kumajiro eppure lui, per lui è quasi come se non esistessi.
E non solo con lui, ovvio... tutti si scordano di me, spesso neanche mi notano. Che cosa triste... “


Matthew scriveva lentamente, nel silenzio della notte che quel giorno aveva un cielo nuvoloso, neanche le stelle e la luna potevano far compagnia al ragazzo. Era sempre solo, che fosse circondato da gente oppure no, la situazione non cambiava molto. Non era proprio vita la sua, un fantasma sarebbe stato notato di più.
A cos'era paragonabile, allora, il canadese? Era forse la personificazione del nulla? No di certo, ma spesso arrivava a pensare ad una cosa simile. Con una penna nera macchiava d'inchiostro le pagine di un diario, il suo diario, il secondo 'amico' più fidato che avesse.
La scrittura procedeva e con essa avanzava anche la notte; lui non era stanco, o meglio, non era stanco per assenza di sonno, s'intende. La sua stanchezza era un'altra, assai differente da quanto si possa immaginare.


“ Eh diario, come avrai capito dalle righe precedenti, sono sempre io, il patetico Canada, colui che di amici veri e propri non ne ha... l'eterno dimenticato, la rappresentazione del nulla.
Diario... non mi chiederai anche tu chi sono, vero? E' improbabile però ho paura, temo che da un giorno all'altro io possa trovare una grafia diversa dalla mia che dica la seguente e scontata domanda:

- TU CHI SEI? -

sarebbe un vero shock una cosa del genere, non ti pare? Ahahah, già... non può dimenticarmi ma non puoi neanche rispondermi, che cosa ironica e triste.
Ma sai, diario, una persona che si ricorda di me c'è, un'altra nazione che non chiede mai chi io sia, una nazione che mi ricorda, l'Olanda.

Durante l'ultima guerra mondiale diedi un aiuto alla sua nazione, lui se ne ricordò, eccome. Ogni anno, per gratitudine, mi manda un enorme quantità di bulbi di tulipano, non se n'è mai scordato. Secondo te dovrei essere felice diario? Perché vedi, la cosa non mi fa impazzire... sembro sciocco lo so, ma è così. “


Annotò le motivazioni di quell'infelicità che ovviamente non era ingratitudine, ma bensì un ragionamento ben espresso.
Olanda si ricordava di lui per questioni di guerra, per una situazione delicata dalla quale, da sola, la nazione non sarebbe riuscita ad uscirne facilmente. Matthew aveva fatto un'azione più che significativa ma, il canadese, non era orgoglioso, tutt'altro.
Le persone comuni non hanno bisogno di fare cose ecezionali per essere parlate o solamente ricrdate, allora perché per lui c'era quell'eccezione? Perché doveva essere ricordato per un aiuto in guerra, per rimanere poi ignorato da quasi tutti?
Proprio non capiva ciò, né voleva sforzarsi a capirlo: il destino è crudele, ecco la verità; non gli parve che esistessero altre spiegazioni possibili.
No, non potevano essercene.


“ Sai diario, mio fratello America viene sempre ricordato, riesce ad essere al centro dell'attenzione senza far niente di speciale... come lo invidio. Io mi accontenterei anche di molto meno, vorrei soltanto essere meno solo. La solitudine, prima o poi, ti uccide ma non sul colpo: inizia a corroderti l'anima lentamente, sprigionando un oblio che aumenta sempre di più, inarrestabile.
Puoi tentare di opporti ma è tutto inutile, da solo non puoi farcela, hai per forza bisogno di aiuto. Ma come puoi riceverne se sei sempre dimenticato dagli altri?
Che strana cosa sapere come potersi salvare senza averne poi la possibilità, che schifezza “


Parola dopo parola le pagine iniziavano a riempirsi di frasi e pensieri, ma non solo, in un certo senso si poteva dire che più il ragazzo scriveva e più quel diario si riempiva di Matthew, metaforicamente parlando.
Là erano scritte le sue emozioni, i sentimenti... Matthew non si era posto dei limiti, seguiva quella che era la sua personalità, ciò che rimaneva della sua povera anima, ogni giorno più straziata e meno combattiva. Ma cosa combatte un'anima? Beh, è tanto evidente: la sua lotta è il riuscire a sentirsi viva, ignorando tutti gli eventi brutti che potrebbero accadere, ignorando gli aspetti angoscianti della quotidianità.
Ma Canada non era un combattente, era debole o almeno così si considerava.


“ Tutti hanno, per loro, una persona che possa esserci, che sia in grado di risollevare il morale quando esso è a terra, tutti hanno una persona che ogni tanto chiede loro come stiano, se la vita sia buona o stronza con loro; tutti tranne che me.
Ma non è la vita ad essere tremenda, è diverso: nel mio caso è il destino ad essere crudele, a beffarsi di me.
Questa solitudine è uno schifo, un vero schifo. E' triste, no, è molto peggio... “


La bianche pagine non rimasero a lungo immacolate, l'inchiostro scivolava rapidamente su di esse, lasciando un segno su di esse. Una grafia di dimensioni ridotte ma elegante e comprensibile. Quella carta neutra non sarebbe rimasta tale a lungo, dei sentimenti erano là descritti con un inchiostro nero che era in compagnia delle lacrime del canadese che silenziose, tra un singhiozzo e l'altro, cadevano sul foglio rischiando di sbavare lo scritto.
Povero Matthew, tutto solo.


“ Tutti, tutti si scordano di me oppure non si accorgono che io sia accanto a loro. Le solite frasi, i soliti toni

- Ah, ma c'eri pure tu?-

- Scusami, non ti avevo visto!-

- Quasi mi sembravi invisibile...-

- Eh? Hai detto qualcosa?-

- ...ah, mi ero dimenticato di te-

- Chi saresti?-

- Canada? Mai sentito nominare?- ''


Scriveva, a distanza tra loro, le frasi più ricorrenti. Le scuse, le parole... tutti i momenti in cui si erano dimenticati di lui. Le lacrime non accennavano a fermarsi, anzi aumentavano.
Quante pagine aveva riempito con quelle ''citazioni''? Tre o quattro, quasi cinque. Doveva reagire, tornare lucido; quel pianto doveva essere stoppato. Andava trovata una fine al racconto di quel giorno, chiudere poi il diario e riaprirlo il più tardi possibile, magari per un avvenimento felice, degno d'esser ricordato per riscaldarsi il cuore ogni qual volta che si fosse sentito morire.
Eh, ma avvenimenti così non ne aveva avuti mai, poteva sperare solo che il destino decidesse d'esser magnanimo. Una cosa impossibile, tutti sanno che il destino è un pazzo sadico che ci gode assai nell'arrecare danno psicologico, di sfruttare una ad una le persone che più riteneva ''degne'' di diventare le sue marionette.


“ Scrivo e scrivo... inizia a farmi male la mano.
Ovviamente è un dolore insignificante se paragonato al dolore della mia anima, dolore che nessuna panacea potrà mai guarire. Nulla. E allora che fare?
Semplice, caro diario, tutto quel che devo fare è continuare a vivere con un finto sorriso sul volto, procedere la vita soffocando tali sentimenti. L'oblio non potrà essere infinito... no?

Sarò un Arlecchino, indosserò una maschera che altro non farà se non nascondere il mio dolore, mostrerò un sorriso o almeno proverò. Ci sono riuscito per tutto questo tempo e così continuerà ad essere, la felicità non arriverà per me.
Non ci spero nemmeno che arrivi, in cuor mio ho un altro desiderio # Desidero che le persone possano trovar la felicità, vorrei che nessuno possa essere costretto a vivere ciò che sto passando io... “


Aveva ancora molto da scrivere ma lasciò perdere, la stanchezza si impossessò di lui, crollò; doveva sopportare la stanchezza psicologica ma non doveva neanche scordarsi di star bene fisicamente...
_________________________________________________________
Ciao a tutti, spero che questo capitolo sia piaciuto.
Mi dispiace di aver aggiornato solo ora, ma ho avuto delle complicazioni che mi hanno impedito di scrivere... ed ora ci si sta mettendo di mezzo pure la scuola.
Non so quanti capitoli durerà ancora questa fanfiction, ma sono determinata a fare capitoli che siano almeno decenti, cercando di dare il massimo.
Non so quando aggiornerò di nuovo, ma per allora vi saluto... ciau!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2547043