Rise and shine

di Sery_24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Odiava la metro.
Una scatola di ferro, stipata di persone, che correva sottoterra a velocità assurda. Ogni volta le si stringeva la gola. Odiava la folla ed il contatto fisico che era costretta a subire ogni qual volta il treno si fermava.
37 minuti.
37 minuti era il tempo che ogni giorno trascorreva in metro per arrivare a lavoro.
Katniss Everdeen era una donna in carriera, ormai. Subito dopo il college, era stata assunta come stagista in una società di consulenza, e adesso, dopo quattro anni, era riuscita a farsi strada in quell’ambiente. Il lavoro le piaceva. Spesso era costretta a viaggiare per incontrare i vari partner con cui doveva contrarre. Ma la mancanza di routine non le pesava. In fondo, aveva 25 anni. Non aveva una famiglia, non aveva figli, non aveva nemmeno un fidanzato. Poteva permettersi di lavorare quanto voleva. Sua madre era infermiera, lavorava in un piccolo paesino della California. Sua sorella Prim, invece, era stata ammessa in un’importante college del Connecticut, in New Heaven. Ancora non riusciva a crederci: la sua sorellina studiava medicina a Yale. Tra il lavoro della madre e la borsa di studio parziale che Prim aveva ottenuto, potevano permettersi la retta tranquillamente. Spesso si sentiva in colpa per non contribuire. Eppure ricordava ancora le parole della madre quando le aveva offerto dei soldi: “Katniss, vivi a New York, lì la vita è molto più costosa. Sei giovane, inizia a spendere ciò che guadagni per te. Fa’ shopping, va’ al cinema, fatti un viaggio.”
Era facile parlare per la madre. Ma lei non era esattamente una persona socievole. Non aveva esattamente tanti amici. Ne aveva. Alcuni, ma gli impegni di lavoro li aveva allontanati. Da quando si era trasferita a New York aveva solo colleghi.
Quella mattina era così persa nei suoi ricordi e nella musica che ascoltava dal lettore mp3, che non si era accorta di aver raggiunto la sua fermata. Purtroppo il vagone era completamente pieno. I vari passeggeri non riuscivano a spostarsi, o almeno non erano riusciti a spostarsi abbastanza velocemente da permetterle di raggiungere l’uscita. Con un sibilo, le porte si chiusero davanti al suo viso e vide la stazione scomparirle davanti velocemente. Non riuscì a soffocare un grugnito di insoddisfazione. Sapeva che la colpa era completamente sua per essersi distratta a pensare, ma non riusciva a non riservare occhiate truci ai poveri e innocenti viaggiatori.
Alla fermata successiva, Katniss non perse nemmeno un secondo e si fiondò fuori dal treno. Infondo, quanto potrà mai essere lunga la distanza tra due stazioni della metro? Mentre valutava la direzione da prendere, si fiondò per strada. Era una mattinata di maggio. Il cielo era sereno. La giornata era fresca e ventilata. Era il clima perfetto per andare a lavoro. La giacca grigia del completo la difendeva egregiamente dalla tiepida temperatura mattutina. Maggio era perfetto: né freddo da farle maledire mentalmente la neve che ricopriva le strade newyorchesi, né caldo da farle incollare i capelli alla fronte. Era davvero una bella giornata. Guardò l’orologio. Erano le 08:45. Aveva solo un quarto d’ora per raggiungere l’ufficio. Si guardò velocemente in giro per orientarsi e subito si incamminò verso la strada che portava all’ ufficio. Dopo pochi minuti subito scorse il suo grattacielo. Era un palazzo interamente di vetro. Correndo, entrò nell’androne. Velocemente fece un cenno di saluto all’addetto della sicurezza all’ingresso e si diresse verso l’ascensore. Velocemente tentò di sistemarsi dietro un orecchio una ciocca ribelle di capelli neri che le era scivolata dal suo classico chignon. I suoi occhi grigi erano aperti e vigili. Era una persona mattiniera. Abitudine che aveva acquisito durante l’infanzia trascorsa nel Montana, tra i boschi e la caccia. Al quindicesimo piano si trovava la sede della sua società. Passò il badge. Il display dell’apparecchio mostrava le ore 09:05. Venti minuti aveva impiegato dalla metro per arrivare a lavoro. Per fortuna avrebbe dovuto recuperare solo 5 minuti. Con un sospiro di sollievo si diresse verso la segretaria per un veloce saluto. Era una donna sulla quarantina, con una voce squillante ed un abbigliamento troppo colorato per i suoi gusti.
“Buongiorno Katniss. Davvero una bella, bella, bella giornata oggi, non trovi?” la salutò con il suo tono davvero troppo squillante per quell’ora.
“Certo Effie, buongiorno anche a te.”
Era davvero una donna troppo appariscente. I suoi capelli biondo platino erano un pugno nell’occhio. Le labbra colorate di rosa erano davvero troppo carnose per essere naturali ed il suo tailleur color rosa shocking era talmente attillato da lasciare poco all’immaginazione. Eppure, lei sapeva bene che sotto quel look provocante si nascondeva una donna che definire stacanovista era riduttivo. Amava il suo lavoro e lo dimostrava. Mai un giorno di assenza, se non per malattia. Mai un minuto di ritardo. E di questo ne era contenta. Senza l’aiuto di Effie, non avrebbe mai saputo organizzare alla perfezione i mille impegni della sua carriera.
“Cara, prima di entrare in ufficio, il capo ti vorrebbe parlare. Ci sono delle grandi novità.” la sorprese facendole un occhiolino.
“Ah, si? Vado subito allora.”
Senza nemmeno posare la sua ventiquattrore nera, logora agli angoli dopo anni di lavoro, si diresse verso l’ultimo ufficio del grande corridoio. L’insegna della porta indicava solo un nome: Plutarch Heavensbee. Bussò un paio di volte e attese l’invito ad entrare del capo. Quando ricevette risposta, abbassò la maniglia ed entro nel più grande ufficio del piano. L’uomo, verso l’ultima metà dei suoi cinquant’anni, era vestito con un costoso completo marrone. Prima di prendere posto sulla comoda poltrona davanti alla scrivania, si perse per un attimo ad ammirare il grande panorama che si stagliava al di sotto dalle ampie vetrate che componevano i tre quarti della mura.
“Signorina Everdeen. Si sieda pure.”
Con un sorriso accennato, Katniss fece come le aveva detto. Non era una donna di molto parole e col suo capo, dopo quattro anni di lavoro, non sentiva il bisogno di fingersi più amichevole di quanto davvero fosse. Era stata la sua bravura, la sua capacità, a farle guadagnare quella posizione, non certo il suo buon carattere.
“Oggi ci ha appena raggiunto un suo collega dalla filiale di Sacramento. Speravo che potessi mostrargli la sede, il suo ufficio e magari metterlo un po’ a suo agio.”
La sua proposta la lasciò di sasso. Davvero non amava fare amicizia, e per lo più, non amava essere costretta ad intrattenere qualche belloccio californiano tutto muscoli e abbronzatura.
“Ma… non potrebbe farlo la Mason?” senza pensare aveva sollevato la prima obiezione che le era passata per la mente. Mentalmente si diede della stupida. La Mason… Tra tutti i nomi perché proprio quello di Johanna?
“Sa, meglio di me, Everdeen, che la Mason non è esattamente la persona migliore a cui affidare un incarico del genere.”
Certo che lo sapeva. Johanna era, se possibile, ancora più dura e antisociale di lei. Una forza della natura, certo. Bravissima nel suo lavoro e determinata come pochi. Eppure, con le persone, davvero non ci sapeva fare. Forse anche per questo, Johanna era una delle poche persone che apprezzava in quell’ufficio. Un’anima grigia come la sua. Poche parole, mai dolci. Ma una persona su cui sapeva di poter contare quando aveva un problema.
“Va bene, ho capito. Quando arriverà questa persona?”
“Oh, ma è già qui.”
Velocemente il capo alzò il telefono e compose il numero interno che lo avrebbe messo in contatto con la segreteria: “Effie, sì, mandami Odair.”
Dopo pochi secondi, entrò in ufficio uno degli uomini più belli che Katniss avesse mai visto. Doveva ammetterlo: i capelli ramati, la pelle baciata dal sole e gli occhi verde mare, facevano di Odair davvero un bellissimo uomo. Sui trent’anni probabilmente.
Il capo e Katniss si alzarono in piedi per permettere le opportune presentazioni.
“Katniss Everdeen, Finnick Odair. Odair per oggi lei sarà la tua accompagnatrice. Ti mostrerà gli uffici, il lavoro, come ci divertiamo qui alla District 12!” esclamò con un finto tono gioviale il capo, battendo le mani pesanti sulla schiena di entrambi.
“Ora andate pure. Everdeen per oggi sei libera dalle tue normali mansioni. Recupererai il lavoro perso domani, non preoccuparti!”
Fantastico, si ritrovò a pensare la giovane, cercando in tutti i modi di nascondere lo sguardo truce che di sicuro, normalmente, gli avrebbe rivolto. Ma era pur sempre il suo datore di lavoro. Quindi, si dipinse in faccia il sorriso più falso che poteva ed uscì dall’ufficio assieme al giovane.
Appena si chiusero la porta alle spalle, Odair le sorrise, sinceramente divertito.
“Bene, bene, Katniss.” si rivolse a lei come se fossero stati amici da tanti anni. Con tono cospiratorio continuò: “Che ne dici di svelarmi qualche segreto?”
La mora non riuscì a controllare il brivido che attraversò la sua spina dorsale. Non riusciva a capire cosa diavolo volesse quel tipo.
“Io… Io non ho segreti.” si trovò a balbettare, colta alla sprovvista e realmente a disagio. Quest’uomo, davvero, la inquietava nel peggior modo possibile.
Lui la guardò con una strana luce divertita negli occhi: “Ma certo, sono certo che tu non ne abbia. Io parlavo dell’ufficio. Come ci si diverte, qui?”
E proprio mentre il giovane distrattamente riposizionò la sua tracolla da lavoro da una spalla all’altra, notò un particolare che le fece tirare un sospiro di sollievo. Un cerchio dorato attorno all’anulare sinistro. Una fede. Dandosi mentalmente della stupida, gli porse forse il primo sorriso sincero di tutta la mattinata, o forse della settimana.
“Vieni Finnick, abbiamo la giornata libera, sentito? In ufficio c’è poco da vedere, è ora che ti mostri la città.”
Stupì anche se stessa per l’audacia della sua proposta, ma era forse il clima mite di maggio, o forse la sicurezza che quella fede le aveva trasmesso, o forse solo il fatto che il suo capo, distogliendole dai suoi compiti del giorno, le aveva reso possibile una fuga del genere. Non sapeva il motivo, ma sapeva cosa voleva fare quel giorno.
Il ragazzo, con un veloce occhiolino, fece un cenno verso l’ingresso. Velocemente schizzarono fuori, comunicando ad Effie che avrebbero solo fatto un veloce tour del palazzo.
“Odair, ti presento la grande mela, la città che non dorme mai: New York!”
 
Trascorrere il pomeriggio con Finnick non si rivelò assolutamente una cattiva idea. Katniss, si ritrovò più volte a pensare che davvero quell’uomo aveva una personalità complessa. All’apparenza era il tipo ragazzo da spiaggia: bello e poco furbo. Era, però, sufficiente che abbassasse la guardia solo per un po’, e si poteva scorgere la profondità della sua personalità.
“Sai, Katniss, non pensavo che il mio primo giorno di lavoro, sarebbe stato così interessante.” le disse porgendole un caffè che aveva appena preso da un chiosco all’angolo della strada. Erano su un panchina. I loro telefoni puntavano le ore 17.30. La giornata di lavoro era quasi finita, ben presto sarebbero dovuti tornare a lavoro, timbrare nuovamente per segnalare l’orario d’uscita, e tornare a casa.
“Vuoi una zolletta di zucchero?” interruppe con voce sexy il pensiero della giovane. Lei fissava quegli occhi verdi senza avere la forza di distogliere lo sguardo. Era davvero combattuta tra il prenderlo a calci e scoppiare clamorosamente a ridere. Aveva capito, ormai, che questo era solo il suo modo di scherzare. Non poté trattenersi più a lungo: scoppiò in una fragorosa risata. Non ricordava da quanti giorni non rideva così sinceramente e così tanto. Forse dall’ultima volta in cui Prim era venuta a trovarla. Forse.
“Odair, per favore! Se ti avesse sentito qualche bambino. Sei pregato di non sconvolgere la mente di poveri minori!”
Il biondo le rispose con uno sbuffo veloce, roteando la mano in cielo con fare noncurante: “Forza andiamo in ufficio! Stasera mi aspetta una triste serata solitaria, non vorrei arrivare in ritardo.”
“Tua moglie? Non è in città?” si maledisse lentamente per la sua stupida curiosità. Non erano affari suoi di sua moglie. Lui non gliene aveva parlato e magari sarebbe stato giusto non mettere l’argomento in mezzo. Ma questi suoi pensieri vennero interrotti da un sorriso sincero e da uno sguardo, per la prima volta, davvero stupendo di Finnick. Ora Katniss vedeva la vera bellezza del ragazzo. Era nel suo sguardo, nel suo sorriso, nella sua risata. Nella sincerità delle sue espressioni. Non era, tra le sue bellezze, quella che per prima ti colpiva. Ma era davvero la più potente.
“Annie per adesso è ancora in California. Arriverà venerdì. Doveva ancora concludere la sua ultima settimana di lavoro. E’ insegnante, sai? Lavora con i bambini.”
“Sembra fantastico.” e gli sorrise davvero con sincerità.
“Appena arriverà in città te la farò conoscere, sono sicuro che l’adorerai. Sono meno certo del fatto che lei possa piacerti più di me… ma infondo, questo è il rischio di sposare un adone come me.”
Katniss davvero non si fece scrupoli, questa volta, a sbattergli la sua ventiquattrore dietro la testa.
 
“Dai! Non voglio tornare a casa. Odio la solitudine, poi quell’appartamento è tutto in disordine, è tutto impolverato, davvero non ho voglia di tornarci!”
Era la decima volta che Finnick si lamentava del fatto di dover tornare a casa. Per essere un uomo di trent’anni, aveva la maturità di un quindicenne.
“Sarebbe l’occasione giusta per pulire casa, no?”
“Ti prego! Te l’ho già detto: offro io! Tutto io! Non amo nemmeno guardare la televisione! E poi, non dovresti essere gentile e aperta coi nuovi colleghi? Sai no, per socializzare?”
Sbuffò mentalmente un paio di volte. Puntò lo sguardo al cielo supplicando le forze misteriose che reggevano il mondo di aiutarla a superare anche quella nuova prova di resistenza.
“Odair! Ok. Andiamo, ma paghi tu e il posto lo decido io!”
“Signor sì, signora!”
 
Oggi davvero il destino era contro di lei. Non c’erano altre spiegazioni. Il suo ristorantino cinese preferito, che la sfamava coi suoi takeaway quasi tre sere a settimana, era eccezionalmente chiuso. Guardò con aria truce l’insegna e sbuffò mentalmente per la milionesima volta.
“Eh dai, Katniss, non fa niente. Guarda ci sono tanti altri locali in questa strada, scegline semplicemente un altro.” Concluse mettendole una mano sulla spalla con fare rassicurante. Odiava le persone troppo fisiche. E di certo Odair rientrava nel gruppo. Con un’alzata di spalle si allontanò dalla presa dell’uomo, sperando in modo poco scortese. Ma lui, al suo gesto, semplicemente ridacchiò.
“Va bene. Andiamo in quel locale lì.” E si diresse verso una panetteria. Era un locale piccolo, con tavolini e divanetti. L’insegna diceva “Mellark’s Bakery”. Non c’era mai entrata. Dopo solo qualche passo oltre l’ingresso, un profumo piacevole di pane le sciolse lo stomaco. Di fronte c’era un lungo bancone con varie vetrine che mostravano tutti prodotti appena sfornati e caldi. Alle pareti diversi quadri. Raffiguravano tutti dei paesaggi. C’era un lungo prato verde, un ruscello, una spiaggia, un paesaggio innevato. Erano stupendi.
Non riuscì a trattenersi, nonostante lo stomaco la spingesse verso il bancone, si avvicinò al quadro raffigurante il prato. In un angolo c’erano diversi alberi. Un bosco. Doveva essere un prato in un bosco. Iniziò a chiedersi dove si trovasse a New York un posto del genere. Ma forse, più probabilmente, non era a New York.
“Ti piace questo quadro?”
Una voce sconosciuta la fece sobbalzare e interrompere i suoi pensieri. Si voltò e vide che era un ragazzo. Alto poco più di lei, con delle spalle larghe, capelli mossi e biondi, gli occhi azzurri. Non poté far altro che fissare per diversi secondi quegli occhi. Non erano l’azzurro degli occhi di sua madre e Prim. Questi erano più scuri, di un blu più intenso. Come quello del mare aperto, non l’azzurro del cielo.
Annuì leggermente. “Sono molto belli.” gli rispose a voce bassa. Non amava conversare con gli sconosciuti, eppure si ritrovò a rispondere a quel ragazzo.
Lo vide arrossire leggermente alla sua risposta e aprire la bocca, stava per aggiungere qualcosa, quando una mano sulla spalla sorprese entrambi.
“Katniss, muoio di fame, perché non ci sediamo? Siamo stati tutta la giornata in giro e c’è un bel divanetto che ci sta aspettando.” Finnick, con la coda dell’occhio fece cenno ad un divano piccolo all’angolo della sala.
“Certo, andiamo.”
Dopo aver fatto un cenno di saluto al giovane sconosciuto si diressero verso il divano.
Subito, lo stesso ragazzo di prima si avvicinò a loro. “Se volete ordinare, potete chiedere a me.” disse loro con un sorriso educato.
“Ah, lavori qui?” si ritrovò Katniss a chiedersi, dopo poi maledirsi mentalmente per l’ennesima volta. Ovvio che lavorasse lì.
Il ragazzo si voltò verso di lei con un sorriso divertito, il sorriso raggiungeva i suoi occhi. Si ritrovò di nuovo a fissare quei bellissimi occhi. Erano limpidi, sinceri.
“Sì, certo. Questo locale appartiene alla mia famiglia e quando serve do spesso una mano.”
“Forza Katniss.” interruppe Finnick impaziente. “Ordina quello che vuoi, come ti ho detto prima offro io! Devo sdebitarmi per la bellissima giornata di oggi.”
“Non so se ti conviene, ho un leggero appetito al momento.” rispose ironica, per poi prendere il menù e ordinare più di quanto avesse in mente. In questo modo sperava che Finnick davvero avrebbe smesso di invitarla a cena fuori fino all’arrivo di sua moglie.
Eppure, la cena fu davvero piacevole. Il ragazzo era davvero divertente. La metteva a suo agio. La prendeva spesso in giro, ma aveva quasi capito il suo gioco. Più lei si ritraeva al suo tocco, più lui si spingeva vicino a lei. Più si innervosiva alle sue parole, più lui esagerava nel prenderla in giro. Così, di fronte al loro caffè, dopo la lauta cena, quando con voce sexy prese un zolletta di zucchero e con voce sensuale le chiese: “Vuoi una zolletta di zucchero?”
Non poté far altro che ridergli in faccia, prendere la zolletta ed immergerla nel caffè. Il giovane le offrì uno sguardo di approvazione: “Everdeen, credo che questo sia l’inizio di una lunga e duratura amicizia.”
“Chiudi il becco, Odair!”
 
Al momento del conto, entrambi si avvicinarono alla cassa. Dietro c’era il giovane riccio di prima.
“Finnick, non c’è bisogno! Davvero, dividiamo!”
L’altro sbuffò: “Ancora Katniss? Davvero non ci farei una bella figura!” e a quel punto si rivolse al giovane del quadro: “Se si invita una donna fuori a cena, si suppone che sia l’uomo a pagare, o sbaglio?”
L’altro gli offrì un sorriso di cortesia: “Solitamente è così che si fa agli appuntamenti.” Il suo sguardo azzurro incrociò per un attimo quello della ragazza.
“Esatto!” concluse Finnick.
“Ma questo non è un appuntamento!” si ritrovò ad obiettare, arrossendo, la mora.
“Particolari. Io ti ho invitato fuori, tu hai accettato, io pago! Puoi chiamarlo come vuoi, ma la sostanza non cambia.” la zittì Odair con un’occhiataccia.
La ragazza sbuffò rumorosamente e lasciò perdere. Che pagasse pure a questo punto.
Quando Finnick ricevette il resto e la ricevuta, il giovane della panetteria li fermò un attimo. “Scusatemi, se vi piacciono i quadri appesi alla panetteria, venerdì sera c’è una mostra alla New York Middle Academy School, se vi interessa…”
Finnick subito lo interruppe meravigliato: “Davvero?!” e dopo uno sguardo veloce a Katniss aggiunse: “A mia moglie piacerebbe tantissimo.” E così prese un depliant che il giovane gli offriva.
“A venerdì allora, li salutò.”
“Ci puoi contare!” salutò Finnick con un occhiolino.
Katniss lo salutò con un cenno del capo e mentre usciva dal locale si fermò a guardare ancora il giovane. Il suo voltò per un secondo mostrò la stanchezza che doveva provare in quel momento, ma fu solo un attimo. Sorridendo ricominciò a servire i clienti e a tornare al suo lavoro.
“Allora è andata? Venerdì torna anche Annie! Così te la potrò presentare per bene.” Improvvisamente il giovane si fermò a guardarla. Fino a quel momento non si era resa conto di guardare ancora il ragazzo del quadro attraverso le vetrate del locale.
“Oh, oh… Qui qualcuno ha una cotta!” la stuzzicò.
“Assolutamente, no!” negò lei indignata. “Non ho tempo per queste cose, l’amore è sopravvalutato. Torniamo a casa, su. Domani dobbiamo andare  a lavoro.”
Il giovane la guardò per un attimo, ma, per la fortuna di Katniss, lasciò cadere il discorso. Chiamarono un taxi e velocemente tornarono ognuno verso la propria abitazione.
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Il giorno dopo in ufficio si respirava un’aria decisamente più leggera. Il capo era partito per seguire da vicino l’apertura di una nuova sede della società a Chicago. Ogni qual volta era in viaggio, lavorare risultava più sereno. Tutto procedeva più lento e c’era tempo di scambiare chiacchiere tra colleghi. Katniss guardò per un attimo la pila di scartoffie che invadeva la sua scrivania. Si era accumulato il lavoro di due giorni. Senza la presenza di Heavensbee avrebbe potuto recuperare tutto lentamente in quindici giorni. Sarebbe tornato a New York, infatti, solo dopo due settimane. Eppure, il suo senso del dovere, non le permetteva di ignorare quella mole di lavoro così a lungo. Quindi, di malavoglia, aprì il primo fascicolo e iniziò a valutare il caso.
Non trascorse molto tempo, prima che una ragazza mora, poco più anziana di Katniss, facesse capolino nel suo ufficio.
“Non si bussa più, Johanna?”
“Buon giorno anche a te, stupida! Non ti ho visto ieri in ufficio.”
Johanna Mason. La sua unica amica in ufficio. La sua unica amica a New York.
Bruscamente si sedette su una sedia al lato opposto della stanza e fissò i suoi occhi marroni sullo skyline visibile dalle finestre dell’ufficio. La ragazza prese in mano uno specchietto e iniziò a giocherellare con una ciocca castana dei suoi capelli, per poi pettinarsi con le dita la frangia corta.
“Il capo mi ha fatto fare da babysitter ad un nuovo arrivato.” le rispose tornando al suo lavoro davanti al computer.
“Carino?” le chiese improvvisamente interessata la collega.
“Mh. - finse di soppesare la risposta – E’ giovane, alto, biondo, occhi verdi, muscoloso, abbronzato. Tu che ne pensi?” e con un gesto veloce salvò il lavoro concluso fino a quel momento e si concentrò interamente sull’amica.
Johanna di sicuro all’apparenza sembrava un tipo molto femminile. Indossava solo completi con gonna, lasciava sempre i capelli sciolti e non usciva mai di casa senza trucco e tacchi. Era piccola di statura e molto magra. Sembrava una dolce e ingenua ragazzina. Ma quella era solo l’apparenza. Non aveva guadagnato quel posto di lavoro facendo gli occhi dolci. Sapeva essere spietata quando voleva, e sapeva giocar duro con i colleghi. Vinceva ogni sfida aziendale alla quale partecipava. Era una vincitrice. Katniss di certo non poteva che essere felice di lavorare in un settore diverso dal suo. Con Johanna come avversario avrebbe anche potuto dire addio a tutti i bonus o premi.
“Sei proprio senza cervello! – ecco che si faceva strada la famosa dolcezza della Mason – Perché non me l’hai presentato subito? O forse l’hai adocchiato prima tu?”
La prima finse un’aria tremendamente sconsolata: “Purtroppo, l’ha adocchiato già qualcun’altra.”
La castana sbuffò. “Come sempre. Non succede sempre così? Mi piacciono le sfide.” Sorrise accavallando le gambe in una posa sensuale.
“Mi dispiace, ma sei arrivata troppo tardi. E’ off-limits.”
“In che senso, scusa? Cosa vuoi dire, idiota?”
Invece di risponderle alzò la mano sinistra e le indicò l’anulare.
L’altra spalancò gli occhi indignata: “Non mi dire! Ma c’è ancora qualcuno a questo mondo che ancora si sposa?!”
“A quanto pare…”
“Lo devo conoscere questo genio. Portami da lui, forza!” così dicendo la prese di forza e la trascinò fuori dalla stanza. L’ufficio di Odair si trovava nella direzione opposta alla sua. Era piccolo e poco luminoso. Il tipico ufficio che viene assegnato all’ultimo arrivato. Finnick poteva anche avere più esperienza di loro, ma era appena arrivato a New York. L’ufficio piccolo era il suo. Nel giro di qualche mese, ad obiettivi raggiunti, avrebbe subito avuto una stanza decente.
Le ragazze bussarono più volte alla porta e dopo poco entrarono dentro senza aspettare risposta. Finnick era seduto dietro la scrivania sorseggiando caffè. Al loro ingresso non fece una piega. Inclinò il viso a lato e sorrise sornione: “Non potevi resistere un minuto di più senza vedermi, vero Katniss?” e le fece un occhiolino.
La giovane gli rivolse uno sguardo truce e fissò la compagna: “Eccoti il nuovo arrivato: Finnick Odair. Ma non è un grande acquisto. Per lo più dalla sua bocca escono solo stronzate.”
La replica dell’amica però non arrivò. Fissava il biondo con le labbra stretta e gli occhi socchiusi. Era la tipica espressione concentrata di Johanna. Stava pensando a qualcosa. Ad un tratto, tutto il viso si distese e un sorriso le illuminò il volto: “Finnick! Finnick Odair! Sono io: Johanna Mason. Ti ricordi di me? Abbiamo studiato entrambi alla Cypress High School! Anche tu sei di Cypress, o sbaglio?”
Il biondo la guardò per un attimo alla ricerca di qualche ricordo e poco dopo anche lui parve ricordarsi di lei: “Johanna, ma certo! Mio Dio, da quanto tempo!” e così dicendo scavalcò con grazia la scrivania a la abbracciò con forza: “Non pensavo che lavorassi anche tu a New York”
“Dopo il liceo sono stata ammessa alla University of Southern California. Ho lavorato prima qualche anno a Denver, poi sono arrivata qua a New York. E tu, invece? Che ci fai qui?”
Il ragazzo le sorrise un attimo dolcemente: “Ho sposato Annie.”
Forse Katniss non aveva mai visto Johanna più sorpresa e felice: “Ma non mi dire?! Tu ed Annie? Se al liceo qualcuno mi avesse detto che sarebbe finita così, probabilmente gli avrei dato un pugno in faccia.”
L’altro scoppiò a ridere: “Credimi, forse io ti avrei anticipato!”
Katniss iniziò a sentirsi davvero fuori luogo ed il pensiero dei fascicoli nel suo ufficio la deprimeva profondamente: “Ragazzi, io vi lascio. Torno in ufficio a lavorare.”
“Lavorare! – la bloccò Finnick con voce sconvolta – Io ho appena rincontrato un’amica del liceo e tu pensi ad andartene? Si deve festeggiare!”
Johanna scoppiò a ridere: “Mio Dio, non sei proprio cambiato! Come hai fatto a trovare un lavoro?”
“Ehi! – si finse offeso l’altro – Guarda che lavoro per la District 12 da 6 anni ormai.”
“Allora facciamo una cosa... Che ne dite di andare fuori per la pausa pranzo?”
“Sounds good!” esclamò Finnick con un occhiolino.
“Va bene, allora. Adesso torno a lavorare.” acconsentì Katniss tornando nel suo ufficio.
Una volta sola, prese in mano le cartelle. Stava per comporre il numero di un’impresa con la quale doveva fissare un appuntamento, quando venne nuovamente interrotta dalla sua amica.
Sbuffò nuovamente per poi rivolgerle uno sguardo truce.
“Ehi ehi, calma tigre! Vengo in pace. C’è una cosa importante di cui devo parlarti.” concluse la castana con tono molto più serio.
L’altra subito abbassò la cornetta e le rivolse tutta la sua attenzione: “Cosa è successo?”
“Venerdì arriva Annie.” disse solo Johanna.
“Quindi?”
“Quindi, cerca di essere gentile con lei.” le abbaiò contro.
“Sono, spesso, gentile io.”
“No idiota. Sono seria. Finnick non ha lasciato la ridente e soleggiata California senza alcun motivo.”
“Okay.” rispose Katniss cercando di concludere quella conversazione il prima possibile. La sua naturale curiosità l’avrebbe spinta ad indagare oltre, ma davvero, non aveva forse bisogno di altri drammi nella sua vita. Se Finnick ed Annie avevano dei problemi, e se persino Johanna se ne preoccupava tanto, significava solo che la questione era seria. E, quindi, decisamente non erano affari suoi.
 
La restante mattinata trascorse senza particolari novità. Non aveva più parlato con nessuno dei colleghi. Si era concentrata sul lavoro, cercando di recuperare il più possibile. Con sua somma gioia, già un quinto del suo arretrato era stato sbrigato. Guardò distrattamente il cellulare. Erano le 12.30. La pausa pranzo iniziava alle 13. Distrattamente si chiedeva se senza Heavensbee avrebbero potuto sgattaiolare via prima. La mezz’ora prima della pausa era, assieme a quella che precedeva la fine della giornata, la più lenta e straziante. Il tempo sembrava congelarsi. Prese in mano il cellulare e iniziò a scorrere i numeri della sua rubrica. Non sentiva Gale da settimane. Stava facendo carriera. Si era arruolato come militare all’età di diciotto anni. Si era laureato in ingegneria e adesso doveva vivere in qualche zona vicino il Texas. Davvero doveva chiamarlo più spesso. Era pur sempre il suo miglior amico. Lui c’era sempre stato per lei. Senza di lui, probabilmente, non ce l’avrebbe mai fatta a superare il liceo. Merito, forse, era anche del dottor Aurelius, lo psicologo che la seguì durante quegli anni.
Forse, pensò divertita, non è che avessero fatto un gran lavoro.
“Katniss, andiamo?” interruppe i suoi pensieri la voce di Johanna. Erano le 12 e 45. Un quarto d’ora in anticipo.
“Arrivo.” rispose l’altra prendendo la borsa.
“Dovresti scioglierti i capelli, ogni tanto, o almeno cambiare acconciatura. Sempre questo noioso chignon.” la punzecchiò l’amica.
“Odio i capelli sciolti. Non amo la coda e la treccia non è molto professionale.” le rispose con tono piatto. Non amava particolarmente le conversazioni femminili, né tanto meno quelle in cui Johanna la riprendeva per l’abbigliamento, il trucco o i capelli.
“Ehi, Finnick, ti muovi?”
Il giovane era intendo a chiacchierare amabilmente con una estasiata Effie.
“Oh, questo ragazzo mi farà morire!” esclamò fingendosi spaventata. La donna si rivolse poi alle due ragazze: “Portatemelo via di qui, prima che mi faccia venire un attacco.”
“Odair muoviti. Ciao Effie!” Katniss spinse il ragazzo verso gli ascensori, salutando Effie con un gesto veloce della mano.
“Che ne dici di andare a mangiare nel posto in cui siamo stati ieri, Katniss? - le chiese maliziosamente il biondo – Ho notato che è stato particolarmente di tuo gusto.”
“Ah, davvero? – si inserì Johanna nel discorso – E cos’è che ha attirato particolarmente la sua attenzione?”
La mora decise di ignorare entrambi e si voltò verso lo specchio improvvisamente interessata al suo riflesso.
“Più che cosa, chi.” continuò il biondo.
Johanna non riuscì a trattenere un verso di incredulità: “Non ci posso credere. Katniss Everdeen interessata ad un essere vivente. Ma ne sei sicuro?”
“Sicuro, no. Non è che la ragazza qui sia molto espansiva. Pensa, però, che venerdì ha accettato di andare ad una mostra d’arte di cui questo ragazzo ha parlato.”
L’altra scoppiò a ridere: “Lei e l’arte? Deve essere amore!”
“Non saprei, in effetti hanno parlato assieme per qualche secondo davanti ad un quadro. Magari davvero è solo interessata all’arte.”
L’ironia delle loro battute non era per nulla velata.
“Adesso basta. Sono qua e vi sento. Non sono interessata a nessuno, mi piaceva il quadro e poi volevo conoscere tua moglie. Stop.” Forse si stava giustificando un po’ troppo, ma non immaginava che la coppia Mason Odair potesse essere così fastidiosa.
“Ad ogni modo, voglio vedere questo tipo! Deve essere una specie di Dio se anche una tipa come Katniss l’ha notato.”
Maledicendosi mentalmente per aver accettato di andare a pranzo con i due, si recarono alla panetteria Mellark. Il locale era pieno. Dagli abiti indossati dai clienti, la maggior parte di loro doveva essere impiegata in qualche azienda. I completi scuri e le ventiquattrore non mentivano. Si ritrovò ad odiare quell’accozzaglia di grigio. Spegnevano qualsiasi luce proveniente dai bellissimi quadri alle pareti.
Trovarono un tavolino libero e si sedettero. Subito si avvicinò un ragazzo. Era alto e biondo. Ricordava molto il ragazzo del quadro. Erano diversi i capelli, lisci e lunghi oltre le orecchie. Era diverso lo sguardo, molto più furbo e malizioso.
“Ragazzi se volete ordinare, ditemi tutto!” disse con fare allegro rivolgendosi indistintamente al tavolo. Non riusciva a capire cosa ci fosse di strano in questo locale. Perché erano sempre tutti felici e sorridenti.
“Per me focaccine al formaggio.” ordinò per prima Katniss. Tra le cose che aveva divorato la sera prima, quello fu il suo piatto preferito.
“Mi dispiace, ma le abbiamo terminate. Quelle le prepara personalmente mio fratello e non sempre è qui in panetteria. Ma se vuoi abbiamo tanti altri manicaretti, preparati personalmente da me, e devo ammettere, modestamente, che sono tutti eccezionali.” ammiccò con fare pomposo nella sua direzione facendole un occhiolino.
La ragazza non gli risparmiò il suo sguardo truce ed ordinò la prima cosa che vide su menù. Ultimamente, davvero, la fortuna l’aveva abbandonata. Non riusciva nemmeno più a mangiare ciò che desiderava.
“Per la splendida signora qui, invece?” si rivolse a Johanna dopo che anche Finnick ebbe comunicato la sua scelta.
“Stupiscimi! Se sei bravo la metà di quanto credi, non rischio di morire avvelenata.” lo rispose acida l’amica.
L’altro si finse mortalmente offeso: “Quanta poca fiducia nelle mie qualità. Vorrà dire che mi impegnerò personalmente a far sì che una bella ragazza come te non ci abbandoni prima del tempo.” E con un altro occhiolino si diresse verso la cucina per consegnare l’ordine.
“Cos’era quello?” parlò per primo un divertito Finnick.
“Bé – si difese subito la ragazza – Non è che qui tutti gli uomini siano prenotati per questa qui” e indicò Katniss.
“Ma infatti nessuno è prenotato per nessuno.” sbuffò l’ultima presa in causa.
“Certo. Comunque è carino, lui pensa che io sia carina. Non vedo quale sia il problema.” concluse la prima con fare seccato.
“Outch, Johanna. Credo di aver colpito un tasto dolente.” continuò il biondo.
“Ma quale tasto dolente! Parla il maritino super innamorato e depresso per la lontananza!”
Il pranzo trascorse velocemente tra i battibecchi continui dei due e con una Katniss che cercava di ignorare le varie frecciatine che le venivano eventualmente rivolte.
Al momento del conto, la mora prese la parola: “Oggi il pranzo lo offro io. Non voglio sentire ragioni.”
Da quando era piccola odiava sentirsi in debito con qualcuno. Finnick le aveva già offerto la lauta cena di ieri. Sentiva l’obbligo di sdebitarsi in qualche modo. Non riusciva a superare questo suo imperativo morale: mai essere in debito con qualcuno. Lo aveva giurato a se stessa da ragazzina, quando la loro situazione economica non era delle migliori. Quando per sopravvivere le fu necessario prendere cibo da altri, senza poter ricambiare in alcun modo quei gesti.
Ma ora era un’adulta. Aveva un lavoro che le permetteva di vivere al di sopra delle sue aspettative. Aveva più soldi di quanti ne amasse spendere. E mai, mai più, avrebbe permesso a qualcuno di farla sentire obbligata.
Nonostante le obiezioni degli altri, si diresse comunque alla cassa, accompagnata da una sorridente Johanna.
C’era il ragazzo di prima.
“Ciao. Comunque devo ammettere che avevi ragione. Il pranzo è stato davvero di mio gradimento.” aprì il discorso la castana.
L’altro le sorrise malizioso: “Non ne avevo dubbi. Comunque piacere Rye.”
“Io sono Johanna e lei è Katniss.”
“Piacere” si presentò svogliatamente la mora porgendo la mano.
“E’ un piacere conoscervi ragazze. Spero di rivedervi presto.”
A quel punto la Mason aprì la sua borsa e ne estrasse un biglietto da visita. Era uno di quelli con l’intestazione della District 12. Ogni manager della società ne aveva uno, compresi Katniss e Finnick.
“Prendi pure questo. Se vuoi rivedermi, chiamami.” E con un occhiolino veloce lasciò sola l’amica a pagare il conto.
 
Il pomeriggio passò piuttosto velocemente. Finalmente Katniss riuscì a concentrarsi solo ed esclusivamente sul suo lavoro. Con grande orgoglio, constatò di aver dimezzato la pila di scartoffie che aveva sul tavolo.
Alle 18 passò il badge dell’ufficio, salutò distrattamente Effie e si diresse di corsa alla metro. Dopo 37 minuti era di ritorno a casa. Era un piccolo appartamento di Brooklyn all’interno di un vecchio palazzo a due livelli. L’esterno era ricoperto di mattoncini rossi. La sua abitazione si trovava al secondo piano. Erano solo 50mq. C’era un unico ambiente per cucina e soggiorno, un piccolo bagno ed una camera da letto. L’ambiente era completamente arredato con mobili di legno chiaro. Le pareti erano bianche. Gli unici elementi di decoro erano le poche foto incorniciate appoggiate distrattamente su qualsiasi piano d’appoggio. Non aveva gusto né per l’arte né per l’arredamento. Amava le cose funzionali. Le cose necessarie. La sua casa rispecchiava la sua vita: niente posto per gli elementi superficiali.
Poggiò la borsa sul pavimento all’ingresso e si diresse in camera da letto. Velocemente si sciolse i capelli e si cambiò in una tuta e una felpa della sua università: Montana State University. Prese una busta di patatine nella dispensa e si distese sul divano. Si intrecciò velocemente i capelli e compose il numero di Gale.
“Ehi Catnip! Finalmente, stavo per chiamare tua madre e chiederle che fine avessi fatto.”
L’altra sorrise alle parole dell’amico. Doveva davvero chiamarlo più spesso.
“Che mi racconti di bello, Gale?”
“Mh, le solite cose. Ufficio, casa, lavoro, riposo. Tu, invece, novità?”
“Ah, anche per me è lo stesso! E’ da poco arrivato un nuovo collega di lavoro, quindi sono uscita più spesso. E’ della California, ma è apposto!” aggiunse ridacchiando. Lei e Gale prendevano spesso in giro i tipi bellocci e abbronzati che apparivano in ogni sceneggiato televisivo.
“Ha fatto colpo?”
“Ma no! Non è il mio tipo, e poi è sposato. Mi immagini come fame fatale? Non vorrei mai sfasciare un matrimonio!”
Entrambi scoppiarono a ridere. Era bello chiacchierare con chi ti conosceva davvero. Senza necessità di fingerti in alcun modo, senza dover filtrare tutti i tuoi pensieri.
“A te come va con Madge? Ancora assieme?”
“Sì. Tutto bene.” concluse sbrigativamente l’amico.
“C’è qualcosa che non va?” chiese subito apprensiva lei.
“Nulla, nulla. Davvero, è solo che sono un po’ stanco. E’ stata una giornata faticosa.”
“Sarà meglio attaccare allora. Ci sentiamo tra qualche mese!” ribatté ridacchiando la mora.
“Catnip, aspetta. Stavo pensando che magari potevo venirti a trovare. Alla fine del mese ho qualche giorno di ferie. Magari potrei venire a New York. Ci sono stato solo d’inverno. Vorrei testare se è vero che migliora in primavera.”
“Certo che migliora! – si finse indignata lei – Comunque mi farebbe davvero molto piacere, sai che c’è sempre un divano qui per te.” concluse ridacchiando.
“Tempo fa mi promettesti almeno una branda! Sei davvero una donna senza cuore.” borbottò l’altro cupamente.
“Zitto soldato! Fammi sapere i dettagli del tuo viaggio così mi organizzo. Non vorrei avere qualche viaggio di lavoro proprio nei pochi giorni che posso trascorrere col mio migliore amico.” concluse più dolcemente.
“Certo. Ciao Catnip.”
La ragazza poteva sentire il suo sorriso anche attraverso la cornetta.
“Ciao Gale.”
 
Il giovedì mattina una sconvolta Johanna fece irruzione nel suo ufficio.
“Mi ha chiamata.”
“Chi?” le domandò Katniss senza distogliere lo sguardo dal suo computer.
“Rye Mellark.”
“Chi?” le chiese ancora non riuscendo a capire di chi parlasse.
“Rye Mellark. Il ragazzo della panetteria.”
Katniss subito distolse gli occhi dal suo lavoro e si rivolse completamente alla collega: “Che ti ha detto?”
L’altra sbuffò: “Mi ha chiesto se anche qua pioveva.”
“Effettivamente è una giornata particolarmente piovosa, non mi stupirei se fosse provocata da una nuvola che segue solo te.” stette al gioco la nera.
“Sei proprio senza cervello. Comunque, mi ha invitata ad uscire. Questo venerdì!”
“Fantastico. Dove andrete?”
“A quanto pare alla stessa mostra d’arte alla quale andrete tu e Finnick. Dice che è obbligato ad andarci per colpa del fratello, sai, il tuo uomo. Ma ha aggiunto che con me, probabilmente, sarà come stare ad un party.”
Katniss non riusciva a credere alle frasi fatte che quel ragazzo adoperava per abbordare, e nemmeno riusciva a credere che Johanna ci abboccasse così facilmente.
“So cosa stai per dire! So che è un uomo pieno di sé, ma è carino. Gli darò una chance. Potresti provarci anche tu qualche volta. Magari ti farebbe bene.” E con  un’occhiata velenosa uscì sbattendosi la porta alle spalle.
La settimana si stava evolvendo nel migliore dei modi.
Ora alla mostra sarebbe venuto anche Johanna.
Non bastava Finnick.
 
 
 

Ragazzi, volevo ringraziare tutti quelli che hanno recensito. Siete fantastici. E un grazie di cuore anche a tutti quelli che hanno inserito la mia storia tra le seguite o le preferite. Vi adoro! Un ultimo grazie di cuore anche a chi ha solo letto! Sono la prima spesso a leggere storie e non commentare, vi capisco ragazzi. 
Che dire?! Spero vi piaccia anche questo capitolo.
Un bacio,
Serena

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Katniss odiava i venerdì casual.
Ormai aveva trovato un suo equilibrio nel vestiario lavorativo: camicia, giacca e pantalone. Il venerdì casual rovinava tutto. Non sapeva mai cosa indossare. Non sapeva cosa sarebbe stato appropriato mettere e cosa no.
Alla fine decise: un semplice maglioncino di filo leggero, un paio di jeans e scarpe da tennis. Davanti allo specchio della sua camera da letto iniziò ad intrecciarsi i capelli in una treccia morbida. L’unico lato positivo del casual consisteva nel potersi conciare i capelli nel modo che riteneva più comodo.
Invece della solita ventiquattrore prese un piccolo zainetto di pelle. Non aveva documenti da consegnare in ufficio, né ne avrebbe presi altri da portare a casa. Meglio viaggiare leggere, si disse, quindi.
Indossò un trench leggero e si diresse in ufficio. Stasera non sarebbe tornata subito a casa. Aveva la mostra a cui andare.
Finnick avrebbe lasciato il lavoro alle 12 per avere il tempo di prendere Annie all’aeroporto. Avrebbero depositato le valigie a casa e sarebbero passati a prenderla in ufficio per l’orario di chiusura. Si sarebbero recati assieme alla mostra. Finnick non era, infatti, pratico della città e aveva bisogno di lei come cicerone.
Era curiosa di conoscere Annie. L’ammonimento che le aveva fatto Johanna qualche giorno fa non era stato dimenticato. Voleva capire perché la giovane moglie le stesse così a cuore.
Cercò di allontanare tutti i pensieri e decise di mettersi al lavoro.
Durante il pomeriggio il suo cellulare iniziò a vibrare. Era un sms di Finnick.
 
“Ehi Katniss, perché non ci vediamo direttamente alla mostra alle 19? Purtroppo l’aereo è atterrato in ritardo. Non riusciamo a venire prima in ufficio. Se mi invii l’indirizzo della scuola, prendiamo un taxi. Sorry babe!”
 
Fantastico, pensò. La scuola non era molto distante dall’ufficio. Adesso avrebbe dovuto aspettare un’ora intera il loro arrivo. Velocemente gli inviò l’indirizzo e gli confermò che lo avrebbe aspettato direttamente alla mostra.
Distrattamente iniziò a chiedersi se magari potesse intrattenersi con Johanna. Lei aveva un appuntamento. Però, magari, avevano deciso di incontrarsi anche loro più tardi, quindi, avrebbe potuto farle compagnia. Con l’intenzione di almeno provare, si diresse verso l’ufficio dell’amica. Johanna occupava un luminoso ufficio leggermente più spazioso del suo. La scrivania era occupata quasi esclusivamente da foto della sua famiglia e dei suoi compagni del college. Si stupiva ancora del fatto che una persona così acida avesse così tanti amici. Non era una donna che ti mostrava facilmente il suo cuore, ma, evidentemente, non era stata l’unica ad aver avuto questo privilegio.
“Ciao, idiota. Perché mi disturbi?”
Guardandola, Katniss iniziò a credere che forse non aveva ben compreso il significato del termine casual. Johanna, infatti, indossava un tubino senza maniche blu scuro che le arrivava sopra il ginocchio e delle decolté col tacco. Aveva i capelli leggermente arricciati sulle punte ed un trucco appena più marcato del solito. Era davvero bella.
“Che succede? Perché mi guardi?” l’accusò subito l’altra, non fidandosi dello sguardo sorpreso che le stava rivolgendo.
“Nulla – si difese subito – è solo che stai molto bene conciata così.”
“Beh, è ovvio, stupida. Ho un appuntamento con Rye più tardi.”
Certo che lo sapeva. Solo che non immaginava che l’amica si sarebbe messa particolarmente in tiro per un giovane con cui aveva scambiato solo poche parole. Evidentemente il tipo della panetteria doveva averla colpita particolarmente.
“Piuttosto tu. Che ci fai vestita come una liceale? Non devi vederti con l’uomo dei sogni?” le chiese con tono malizioso.
“No! Io non ho nessun appuntamento. Devo solo vedere qualche quadro e conoscere la moglie di Finnick. Non c’è alcun bisogno di mettersi in tiro.”
“Se lo dici tu.” sbuffò l’altra per nulla convinta.
“Comunque ero venuta per chiederti a che ora devi incontrarti con Rye, che con gli altri ho appuntamento alle 19, così ho un’ora buca. Se eri libera magari potevamo avviarci alla mostra assieme.” le propose.
“Non ci siamo dati un orario. Lui dovrebbe già essere lì col fratello, quindi, semplicemente ci siamo messi d’accordo che dopo il lavoro, lo avrei raggiunto lì. Se non vuoi stare sola, potremmo andarci assieme. Poi, appena arrivano gli sposini, puoi togliere le tende.”
Non amava particolarmente questo piano. Non voleva essere il terzo incomodo, ma piuttosto che trascorrere da sola un’intera ora, decise di fare buon viso a cattivo gioco e di accettare.
“Ci vediamo all’ingresso a fine giornata. Non fare tardi, stupida.” l’ammonì acida la collega.
Con un cenno del capo, la salutò e tornò nel suo ufficio.
Anche questo era organizzato, ora doveva solo sperare che Finnick non tardasse troppo ad arrivare.
 
Alle 18 in punto entrambe le donne si avviarono verso la metro. La scuola in cui si teneva la mostra era distante solo due fermate. L’edificio era un semplice palazzone bianco, recintato con grate di ferro. All’esterno era appeso uno striscione “We help you building your future”. Un cartellone colorato e disegnato a mano recitava “Annuale mostra d’arte degli studenti ed insegnanti”.
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo sconcertato.
“E’ una mostra di bambini?” le chiese un’accigliata Johanna.
“Non ne ho la più pallida idea.”
“Ma quanti anni ha il tuo uomo?” chiese ancora scontrosa la prima.
“Più di quattordici anni sicuro.” le rispose ironica.
Si incamminarono all’interno dell’edificio e subito poco vennero fermate da una voce nota: “Ehi Johanna!” le raggiunse correndo un sorridente Rye. “Ciao, Katniss – si rivolse poi sorpreso all’altra – non pensavo che ci fossi anche tu.” concluse cercando di mascherare il tono appena deluso.
“No, non preoccuparti. Resto solo per poco, dovrei incontrarmi tra poco con due amici. Poiché sono in ritardo, Johanna si era offerta di farmi compagnia.” cercò di tranquillizzarlo un’imbarazzata Katniss.
L’altro subito le venne, però, incontro: “Oh ma non è assolutamente un problema! Non devi mica giustificarti, anzi, mi fa davvero piacere che sia venuta anche tu.” e dal sorriso che le rivolse era evidente la sua sincerità.
“Venite con me, vi mostro i quadri di mio fratello.” e le indicò un’ala più lontana della sala.
“Non sapevo avessi un fratello più piccolo.” iniziò la conversazione Johanna.
“Mh… Ho un fratello più grande, Whiton che vive  e lavora a Boston. E’ un dirigente bancario. Poi ho anche un fratello più piccolo… o ma eccolo. Ehi Peeta!” urlò verso un uomo girato di spalle. Era il ragazzo del quadro. I suoi capelli mossi e i grandi occhi azzurri non mentivano. Sorridendo si avvicinò ai tre. Indossava un paio di Jeans, una camicia bianca e una giacca scura. Continuava a passarsi un dito tra il collo della camicia e la cravatta. Non doveva essere un abbigliamento al quale era abituato.
“Salve ragazzi.” li salutò velocemente, decisamente con la mente altrove.
“Johanna lui è il mio fratellino, l’artista di casa. Peeta lei è Johanna.”
A questa presentazione subito il riccio scambiò uno sguardo veloce col fratello e con un sorriso amichevole porse la mano alla ragazza: “E’ un piacere Johanna. Rye mi ha parlato molto di te.” concluse con uno strano sorrisino divertito.
Le guance del fratello subito si colorarono di rosa: “Lei, invece, è Katniss, una sua amica.” lo interruppe il fratello sviando il discorso sulla mora in disparte.
Per la prima volta Peeta incrociò lo sguardo della giovane: “Katniss… - pronunciò il suo nome con attenzione – Ma noi ci conosciamo già.” concluse con una luce di realizzazione negli occhi e un sorriso caldo.
“Ciao. E’ un piacere Peeta.” gli porse la mano educatamente.
“Già vi conoscete?” domandò sorpreso Rye.
“Ah sì. A quanto pare Katniss è stata invitata da tuo fratello oggi alla mostra.” aggiunse ironica Johanna.
Katniss arrossì violentemente e rivolse un’occhiata truce alla ragazza: “Non è vero! Non mi ha invitata. M’ha solo fatto sapere che c’era questa mostra e, poiché mi piacevano i dipinti nella panetteria, sono venuta a dare un’occhiata.”
“Ad ogni modo sono felice che tu sia venuta. – le sorrise il ragazzo – Se vuoi posso mostrarti i quadri di cui ti parlavo.”
La ragazza annuì con un sorriso.
“Johanna noi perché non andiamo a prenderci prima da bere? Non potrei più sopportare altra pittura senza un briciolo d’alcool nel mio corpo.”  propose Rye.
“Credo che tu abbia avuto proprio una brillante idea.” E così i due si allontanarono non prima che Johanna le mostrasse un sorrisetto compiaciuto.
Sbuffando mentalmente Katniss, seguì, invece, Peeta. Si sentiva a disagio ad essere sola con lui, ma di certo non poteva rimproverare la sua amica. Era pur sempre il suo appuntamento. E lei, fino a quel momento, glielo stava rendendo piuttosto complicato.
“Come mai sola, stasera?” le chiese il ragazzo mentre si dirigevano in un’ala diversa della grande sala. Un cartello indicava: “Area Insegnanti”.
“Come, scusa?” la ragazza non aveva capito a cosa si riferisse il ragazzo.
Lui la guardò per un attimo, poi aggiunse: “Al locale sembrava che anche tuo marito volesse venire alla mostra.”
Katniss lo fissò per qualche secondo. Marito? Un moto inspiegabile di delusione si diffuse nel suo stomaco. Non si ricordava di lei. Si stava confondendo con un’altra cliente. Effettivamente, chi sa a quanti avventori aveva parlato della mostra di stasera. Perché lei sarebbe dovuta essere importante per lui? Non che lui lo fosse per lei. Ma sicuramente aveva sprecato dei minuti in questi giorni a pensare a lui. Anzi, se voleva essere sincera, forse aveva sprecato ore a pensare a lui. Era persino tornata alla panetteria.
Mascherando i suoi sentimenti, si dipinse sul viso una maschera di indifferenza: “Devi esserti confuso con qualcun altro. Io non sono sposata.”
L’altro si bloccò dal camminare e la fissò più attentamente: “Non eri tu lunedì sera che guardavi il dipinto del prato?”
“Il quadro col prato in mezzo ai boschi?”
Il ragazzo allargò per un attimo gli occhi sorpreso: “Si. E’ un prato nei boschi. Non pensavo fosse così chiaro.”
“Per chi ha trascorso l’infanzia tra i boschi, credimi, è palese.” ridacchio la ragazza davanti all’espressione di lui scherzosamente delusa.
L’altro ridacchio per un attimo assieme a lei, poi, continuando a camminare continuò a chiederle: “Quindi quel ragazzo che era a cena con te… Pensavo fosse tuo marito. Cioè, lui parlava di una moglie e poi mi ha chiesto un’opinione su chi dovesse offrire o meno. – poi si sbloccò di nuovo di colpo – Scusami. Non sono davvero affari miei. Non rispondere.” e arrossendo lievemente iniziò a passarsi nervosamente di nuovo le dita tra la cravatta e la camicia.
Fu più forte di lei, Katniss non riuscì a trattenersi dal ridacchiare nuovamente: “Finnick. Il ragazzo biondo è Finnick, un mio nuovo collega, che di fatto è sposato, ma non con me. La moglie è arrivata oggi e devo incontrarmi con loro tra poco. Vuole presentarmela.”
Il ragazzo non riuscì a nascondere un’espressione mortificata: “Mi dispiace, io davvero, non avrei dovuto trarre delle conclusioni affrettate, spero di non averti offesa.”
L’altra non poté far altro che rivolgergli uno sguardo truce: “Abbiamo parlato per cinque minuti massimo e già ti sei scusato mille volte. Non sono così sensibile da offendermi per così poco.”
L’altro ridacchio ancora, per poi aggiungere: “Meglio così. Ecco le tele di cui ti ho parlato.”
Così dicendo il ragazzo le indicò la parete alle sue spalle. Affissi c’erano una quindicina d’opere. Alcuni erano paesaggi, come quelli nella panetteria. Altri erano astratti, un tripudio di colori caldi e avvolgenti. C’erano anche un paio di quadri raffigurante le strade di New York e diversi soggetti umani. Chi camminava, chi faceva jogging. C’era anche un quadro di Central Park con una donna che consolava una bambina.
“Secondo te è caduta a terra?” gli chiese senza staccare un attimo gli occhi dal dipinto.
“Come scusa?”
“La bambina del quadro. Secondo te è caduta a terra, perciò piange?”
“Era inciampata nei lacci delle scarpe. Stava tentando di rincorrere un piccione.” le spiegò lui.
La ragazza, senza staccare gli occhi dal quadro, ponderò la risposta del giovane: “Cos’è che te lo fa credere? Da cosa pensi di averlo capito?”
“Dal fatto che l’ho visto.” rispose semplicemente.
Katniss subito distolse l’attenzione dalla tela e lo fisso sull’uomo dietro di lei: “Hai visto solo la scena o anche il pittore dipingere?”
“Mh… solo la scena.” l’imbarazzo del giovane era palese.
“Sono tuoi. Questi quadri, e quelli della panetteria. Sono tuoi, vero?”
Il ragazzo annuì lentamente: “Stavo per dirtelo lunedì, poi è arrivato il tuo amico e semplicemente non c’è stata più occasione. Scusami.”
Così dicendo ricominciò a torturarsi il nodo della cravatta.
La ragazza gli rivolse un altro sguardo truce: “Non c’è nulla di cui tu debba scusarti. E smettila di torturare quella povera cravatta.”
La mano del ragazzo si bloccò improvvisamente: “La cravatta?”
Katniss non riuscì a trattenere uno sbuffo esasperato: “Si, quella povera cravatta che hai al collo. Se non la sopporti più, scioglitela.”
Il ragazzo le rivolse uno sguardo serio, dopo pochi secondi, con un’espressione risoluta iniziò a sciogliere il nodo. Espirò sollevato quando ebbe sbottonato i primi due nodi della camicia, infilandosi la cravatta nella tasca della giacca.
La ragazza gli rivolse uno sguardo d’approvazione: “Meglio così?”
“Direi proprio di sì. – le rispose con un sorriso sollevato – Allora che ne pensi, dunque, dei miei quadri?”
“Che sono davvero stupendi. - gli rispose sincera guardandolo negli occhi – Ma il mio preferito rimane quello nella panetteria, quello del prato. Mi piacerebbe tantissimo passare una giornata in un posto del genere.” commentò più a se stessa che al giovane.
I loro discorsi vennero interrotti dall’arrivo di Finnick ed Annie.
“Quello non è il tuo amico?” le fece notare lui.
“Si, hai ragione. Ehi Finnick!”
A sentire il suo nome il ragazzo subito si voltò nella loro direzione, sfoderando un sorriso a trentadue denti. Mano nella mano si avvicinò assieme ad una ragazza. La giovane aveva una chioma castana e liscia che sfiorava le spalle esili. I suoi occhi erano verde scuro e la pelle chiara.
“Ciao, Katniss. – gli occhi dell’uomo passarono da lei a Peeta – Forse non noi ci siamo mai presentati. Io sono Finnick Odair e lei è mia moglie Annie.”
“Peeta Mellark, è un piacere conoscervi.” rispose stringendo la mano ai due.
“Annie, lei, invece, è Katniss, l’amica di cui ti ho parlato. Katniss lei è la mia splendida moglie Annie.” concluse rivolto alla mora. Nei suoi occhi verdi poteva leggerci tutto l’amore che provava per la donna, compreso, forse, un pizzico d’orgoglio.
Ad ogni modo non riuscì a non sorridere alla giovane donna che le porgeva la mano.
“Finnick mi ha parlato molto di te. Sono felice che abbia subito trovato dei colleghi come te e Johanna. Sicuramente il trasferimento a New York sarà più piacevole ora che abbiamo già incontrato dei volti amici.” le disse dolcemente Annie.
La ragazza si sentì leggermente in imbarazzo. Non aveva certo programmato di uscire spesso con la coppia. Anzi. La sua intenzione era quella di liberarsi di Odair non appena lei fosse tornata. Almeno fuori dall’orario di lavoro. Ad ogni modo le sorrise educatamente in risposta.
“Questi quadri sono stupendi!” la voce squillante della giovane moglie, riportò la loro attenzione ai dipinti di Peeta.
Annie rimase particolarmente colpita dal quadro della madre con la bambina. Improvvisamente gli occhi della donna iniziarono ad inumidirsi. Si stava commuovendo davanti a quel bellissimo quadro. Doveva avere una grande sensibilità per farsi travolgere da un quadro in questo modo. Katniss, nonostante fosse rimasta affascinata da quei lavori, non aveva avvertito quello stesso trasporto emozionale.
“Sono felice che ti piacciano i miei quadri.” la ringraziò Peeta con un sorriso imbarazzato.
“Li hai dipinti tu? - gli chiese Odair – Pensavo che la mostra fosse limitata solo agli insegnanti e agli studenti.”
“In verità, io sono un insegnante. Insegno arte in questa scuola.”
“Ehi, Annie, un collega, hai visto” disse dolcemente alla donna, facendola allontanare dal quadro. In quel momento Katniss si accorse come gli occhi della donna fossero chiusi e come le sue braccia fossero strette intorno alla vita. Il marito le mormorò qualcosa all’orecchio e vide la donna ricacciare indentro le lacrime e sciogliersi in un sorriso dolcissimo.
Katniss a disagio fissò la propria attenzione su Peeta. Anche lui pareva confuso, si voltò nella sua direzione e, quando i loro sguardi si incontrarono, le sorrise dolcemente.
Non capiva quel ragazzo. Non capiva la gente che sorrideva sempre. Senza motivo. A Peeta bastava vedere due persone innamorate per sorridere, per essere felice. Lei non ci riusciva.
 
Trascorsero entrambe le due ore successive osservando tutti i dipinti della mostra. Annie e Peeta sembravano andare molto d’accordo. Ad ogni quadro lui si fermava a spiegarle la tecnica utilizzata, il soggetto ritratto, quale insegnante o bambino lo avesse realizzato. All’ennesimo dipinto Katniss e Finnick si scambiarono uno sguardo esasperato.
“Io ho fame. – sbuffò il ragazzo – Non sarebbe l’ora di andare a cena?”
“Sono d’accordo Odair!” intervenne nel discorso una sorridente Johanna. Lei e Rye si erano appena uniti a loro gruppo.
“Peeta pensi di potertene andare o devi ancora presenziare?” gli chiese il fratello.
L’altro guardò l’orologio: “No. In realtà il mio turno è terminato quarantacinque minuti fa. Perché?”
“Stavamo pensando di andare a mangiare qualcosa.” ripropose Finnick.
“Per me va bene. Effettivamente ho un po’ d’appetito.” annuì il riccio.
Katniss prese un attimo in disparte Johanna che stava salutando Annie: “Verrete anche voi? Non preferireste stare da soli?”
L’altra la guardò maliziosamente: “Siamo stati soli fino ad ora. Poi è solo una cena. Potremo stare soli dopo.” e così dicendo si riavvicinò a Rye intrecciando il suo braccio a quello di lui.
Il pomeriggio doveva essere stato piacevole per i due.
“C’è un ristorante molto carino proprio qui vicino. Che ne dite?”
Quando gli altri annuirono soddisfatti dalla vicinanza, uscirono tutti dalla sala. Il locale si trovava proprio dietro l’angolo. Era molto piccolo, probabilmente a conduzione familiare. Prima di sedersi Finnick prese un attimo in disparte Peeta e Katniss. Annie più avanti chiacchierava amabilmente con Rye e Johanna.
“Volevo scusarmi per prima. Per la reazione di Annie. – iniziò serio Odair – Ultimamente è un po’ sensibile ed emotiva.”
“Finnick non devi spiegarci nulla, né scusarti. Non è successo nulla.” intervenne subito Katniss per interromperlo.
“Grazie. Solo… Abbiamo perso nostro figlio sei mesi fa. Cioè, non so nemmeno se posso esprimermi in questi termini… - prese un attimo fiato e poi continuò – Nostro figlio è morto prima del parto. Un incidente col cordone ombelicale… Non riusciva più a respirare.” Finnick si interruppe e scrollò le spalle come a togliersi un peso inesistente dalle spalle. O forse il peso esisteva, ma non era visibile. “Annie sta avendo un po’ di difficoltà a superarla. Si sente colpevole, anche se davvero nessuno avrebbe potuto prevederlo. Per questo poi abbiamo deciso di venire qui. Di cambiare casa. Di allontanarci dai ricordi dolorosi. E tu Peeta, davvero, grazie per averle mostrato tutti quei quadri. Era da tempo che non la vedevo concentrarsi su qualcosa di diverso. Grazie.” e così dicendo gli porse nuovamente la mano.
“Davvero, Finnick. Non ho fatto niente. E Annie è fantastica. Sono sicuro che riuscirà a superare tutto.” e invece di stringergli la mano, lo tirò verso di sé per dargli una pacca amichevole sulla schiena. Il tipico abbraccio mascolino, pensò Katniss, che, invece, non sapeva come rispondere alle parole del collega. Il lutto era qualcosa che, per fortuna, non aveva sperimentato nella sua vita. Non sapeva come comportarsi. L’unica cosa che riuscì a fare fu guardare Finnick negli occhi e mostrargli un sorriso rassicurante. Sperava di comunicargli tutto ciò che a parole le era impossibile: Mi dispiace. Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Starete bene. Il ragazzo rispose al sorriso e la strinse in un forte abbraccio.
“Grazie.” le disse solo, prima di raggiungere tutti assieme il resto del gruppo.
La serata, per il resto trascorse in modo molto piacevole. I due fratelli Mellark riuscivano a generare spesso una risata di gruppo solo con poche battutine l’uno a carico dell’altro. Finnick rallegrava l’atmosfera con la sua ironia marcatamente maliziosa. Spesso Johanna riusciva ad intervenire con qualche sua frecciatina velenosa. Katniss e Annie si limitavano a ridere. Felici per la sola ragione di stare assieme. Un venerdì sera. Senza preoccupazioni. Senza alcuno stress. Senza problemi da dover affrontare.
La ragazza riuscì a dimenticare tutti le difficoltà del suo passato. Riuscì davvero ad essere solo una ragazza di 25 anni, con tutta la vita avanti, con una lunga strada da percorrere.
“Ehi, Katniss ma la settimana prossima non è il tuo compleanno?” la richiamò al presente Johanna.
Era riuscita in quegli attimi a dimenticarsi anche del suo compleanno.
Ogni anno, quel giorno, le ricordava il momento peggiore della sua vita.
“Dovrebbe essere mercoledì.” annuì all’amica.
“Dobbiamo organizzare qualcosa allora!” si offrì subito Rye.
“Io direi una bella bevuta.” propose Finnick.
“Si, ma non di mercoledì. Voi in ufficio potrete pure recuperare la sbornia, ma io dovrò sopportare ragazzini scalmanati che non vedono l’ora di rovesciare pittura ovunque.” obiettò ragionevolmente Peeta.
“Sono d’accordo. – gli andò in aiuta Annie. – Anche io lunedì inizio il primo giorno di lavoro nella nuova scuola, vorrei che andasse tutto per il meglio.”
“Festeggiamo di venerdì allora.” concluse un soddisfatto Odair.
“Dovrebbe essere Katniss a decidere.” replicò nuovamente il più giovane dei Mellark rivolgendosi direttamente alla ragazza: “Tu che preferiresti fare Katniss?”
C’erano tante cosa che Katniss avrebbe preferito fare nel giorno del suo ventiseiesimo compleanno. Dormire. Rintanarsi in casa. Darsi malata in ufficio. Fuggire in un luogo lontano in cui nessuno avrebbe potuto ricordarle del suo giorno di nascita.
Ma erano cose che non poteva, né voleva, riferire a nessuno.
Con un sorriso forzato disse solo: “Venerdì sera è perfetto.”
 
Dopo la cena, i ragazzi si ritrovarono fuori dal locale.
“Bè, ragazzi è stato davvero un piacere. Appena riuscirò ad organizzare il nuovo appartamento siete tutti invitati a cena. Mi raccomando ci conto.” salutò tutti per prima Annie.
“Purtroppo domani e domenica, la signora mi ha incastrato nelle faccende domestiche. – comunicò mestamente il marito – Altrimenti avremmo potuto organizzare subito qualcosa di divertente. Ma ci rifaremo la settimana prossima.” e con un occhiolino si diresse verso il taxi che li avrebbe condotti a casa.
“Credo che sia ora anche per me di andare.” disse Johanna.
“Certo, vuoi che ti accompagni a casa?” propose subito con un sorriso Rye.
“Ovviamente.” rispose la castana rivolgendo un sorrisetto compiaciuto all’altra ragazza.
“Ah Peeta, prima che mi dimentichi… - parlò nuovamente il ragazzo – Quand’è che potresti venire a darmi una mano al locale? Sono state richieste le tue focaccine al formaggio, non possiamo ignorare l’ordine delle clienti.” concluse con un sorrisetto divertito verso Katniss.
“Rye, quando avrò tempo. Già dovresti essermi grato per il solo fatto di mettere la mia abilità a tua disposizione gratuitamente! Nel mio tempo libero, aggiungerei.” rispose ironicamente al fratello.
“C’è stata la richiesta specifica di una cliente molto carina.” continuò l’altro.
Katniss si sentì avvampare e indirizzò al ragazzo uno sguardo truce.
“Seriamente, non saprei.” cercò di tagliare a corto l’altro.
“Katniss sono davvero desolato per la mancanza d’interesse del mio fratellino. E’ un villano.” disse l’altro rivolgendosi alla ragazza con finto tono costernato. Di sicuro era consapevole di star contribuendo all’ aumento del suo imbarazzo.
Peeta sembrò finalmente fare due più due: “Hai chiesto tu le focaccine al locale? Quando sei tornata?” le chiese sorpreso.
“Il giorno dopo a pranzo. A Finnick è piaciuto molto il locale.” rispose velocemente cercando di sembrare il più sincera possibile. In fondo era stato davvero lui a proporre di andare in quel locale.
“Bé allora poi voi mi mettete d’accordo. E’ ora di andare Rye, è appena arrivato un altro taxi.” e così dicendo Johanna trascinò di peso il ragazzo verso l’auto per poi salutare frettolosamente con un’alzata di braccio.
“E’ ora che vada anch’io. Ci vediamo.” salutò Katniss sentendo ancora l’imbarazzo di prima. Mentre si stava avvicinando ad un altro taxi la voce del ragazzo la bloccò: “Che ne dici di dividere la corsa? E’ più piacevole viaggiare in compagnia.”
La ragazza non aveva davvero molta voglia di trascorrere del tempo sola con lui, ma non riusciva a trovare nessuna scusa per allontanarlo. Fu così costretta a dover accettare.
Per tutto il tragitto si ritrovò a conversare col giovane. Chiacchiere veloci, nulla di profondo. Su cose che erano accadute durante la serata. Su come Rye e Johanna sembrassero andare d’accordo. Su come Annie sembrasse davvero una donna dolcissima. Su come Finnick riuscisse sempre a scherzare.
Parlare con Peeta le risultava facile. Le piaceva come ogni volta che le si rivolgeva la guardasse fisso negli occhi. Di come non cercasse mai di estrapolarle informazioni, ma accettasse i suoi silenzi o le sue risposte evasive.
“Siamo arrivati al primo indirizzo.” li interruppe il taxista.
“E’ qui che abiti, quindi? E’ un bel quartiere. E’ vicino casa mia. Io vivo a tre isolati da qui.” commentò Peeta guardandosi intorno.
La ragazza semplicemente gli sorrise e mentre scendeva dall’auto, l’altro la richiamò: “Ehi Katniss!”
Subito il suo sguardo tornò sul biondo.
“Mercoledì sera vieni al locale. Troverai le focaccine.”
E con un ultimo sorriso e un saluto veloce, entrò nel portone di casa.


 
Salve a tutti! La storia non è ancora entrata nel vivo, ma ci stiamo lentamente avvicinando. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno speso un po’ del loro tempo a recensire, tutti quelli che hanno inserito questa storia tra le seguite, le preferite o le ricordate e tutti quelli che hanno semplicemente letto fino ad ora.
Grazie davvero di cuore, spero che la storia continui a piacervi.
Un bacio,

Serena.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Mercoledì mattina lo squillo del citofono la riportò bruscamente alla realtà. Katniss, ancora assonnata guardò l’orario. Erano le 6.00. Sperò ardentemente che chiunque osasse svegliarla a quell’ora fosse in pericolo di vita. Non riusciva ad immaginare un modo peggiore per iniziare quella giornata.
“Arrivo!” urlò verso nessuno dalla sua camera da letto all’ennesimo trillo. Inciampando tra le lenzuola arrancò verso il citofono.
“Chi è?” chiese con tono assonnato. Era troppo presto anche per urlare contro qualsiasi disturbatore.
“Sono io, apri!”
Un sorriso di stupore e gioia le si dipinse sul volto: “Prim! Che ci fai qui? Come fai a stare a New York? E l’università? Quando sei partita? Perché non mi hai avvisato? Sarei potuta venire a prenderti all’aeroporto!”
“Katniss, aprimi!” interruppe la sua serie di domande a raffica il tono divertito della sorella.
La sua Prim. La sua sorellina. Il suo orgoglio. La donna che aveva deciso di dedicare la sua vita agli altri. A salvare la vita delle persone.
Subito la aprì e corse giù per le scale. Non poteva aspettare che salisse. Appena la più giovane varcò il portone d’ingresso la strinse in un abbraccio fortissimo. Le due non potevano essere più diverse. Se la maggiore aveva lunghi capelli lisci e neri, la minore sfoggiava lunghe onde dorate. Dove la prima aveva grandi occhi grigi, la seconda esibiva dei brillanti fanali azzurri.
“Calma, Katniss! Così mi procuri una contusione alle costole.” rispose al suo abbraccio la sorella. Quanto le era mancato il suo tono divertito, allegro, spensierato. Prim, a differenza sua, riusciva sempre a scorgere la felicità e la speranza in ogni situazione. La più piccola di casa era sempre stata la più forte e coraggiosa. Nulla poteva turbarla. Nulla poteva scalfire il suo animo luminoso. Era la luce che rischiarava la sua famiglia.
“Che ci fai qui?” le chiese di nuovo appena varcarono l’ingresso di casa.
“Prima di tutto: buon compleanno sorellina! E poi, avevo dei giorni liberi all’università e quindi ho pensato di trascorrere un po’ di tempo con te.” le rispose allegra.
La mora subito si accigliò: “Sei sicura, Prim? Non devi saltare le lezioni solo perché, magari, sei preoccupata per me.”
La bionda sbuffò fingendosi annoiata: “Il mondo non ruota attorno a te. Non ci vedevamo da tanto, così ho deciso di fare un salto.”
Non convinta del tutto, Katniss lasciò perdere il discorso: “Visto che sei qui e mi hai svegliata molto prima del previsto, colazione da Starbucks?”
Gli occhi della ragazza si illuminarono immediatamente, adorava quella caffetteria e la sorella lo sapeva bene: “Sì!” le rispose con un gridolino eccitato.
Ridendo la mora le scompigliò i capelli con una mano e si diresse verso il bagno: “Vado a prepararmi e scendiamo.”
 
Il locale si trovava vicino casa. Con un po’ di fatica riuscirono a trovare un posto a sedere all’esterno. Era una giornata tiepida ed entrambe amavano l’aria aperta.
“Allora paperella, aggiornami un po’. Sono dure le lezioni?”
L’altra sbuffò comprendoni la fronte con la mano in segno di disperazione: “Non ne hai idea. La mattina seguiamo i corsi e il pomeriggio siamo di turno in ospedale. L’unico tempo per lo studio è la sera. Ciò significa che la mia vita sociale rasenta l’inesistenza.”
Prim era sempre stata una persona amichevole e socievole. Riusciva ad affascinare coi suoi modi gentili chiunque le si avvicinasse. Avere poco tempo per socializzare doveva esserle davvero un grande peso.
“Non dirmi che ancora non sei riuscita a conoscere l’intero campus.” commentò ironica l’altra.
“In realtà no. Riesco a frequentare solo i ragazzi di medicina. Sono le uniche persone con cui trascorro le mie giornate. Incontrare gente diversa mi è quasi impossibile.” le rispose tristemente, per poi arrossire leggermente e aggiungere: “Però, sono, comunque, riuscita ad incontrare dei tipi affascinanti, direi.”
L’altra scoppiò subito a ridere: “Primrose Everdeen, non mi dire che hai di già un nuovo fidanzato?”
La bionda era sempre stata molto corteggiata già dalle scuole superiori. Era bionda, alta, magra, gentile, dolce, intelligente. Cheerleader e reginetta della scuola. Questo l’aveva portata negli anni a collezionare migliaia di appuntamenti deludenti e una sfilza di storie d’amore che erano sempre finite con un cuore spezzato. Mai quello di Prim, fortunatamente. La sorella, infatti, tendeva ad essere piuttosto volubile nei suoi sentimenti. Si innamorava facilmente e quando lo faceva, donava davvero tutta se stessa, corpo ed anima. Il problema consisteva nella scarsa durata del suo stato d’amore. Pochi mesi ed improvvisamente l’affetto spariva. Al ragazzo di turno rifilava sempre la solita scusa: “Mi dispiace, ma i sentimenti che provo per te sono cambiati. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, ma forse sarebbe meglio restare solo amici.”
L’altra scoppiò a ridere: “Che posso dire? Sarà per compensare la mancanza di una figura paterna.” concluse ironicamente.
Ecco un’altra differenza di fondo tra le due. Lei era riuscita a superare il dolore della loro infanzia. Aveva canalizzato la sofferenza e partendo da ciò, aveva deciso di aprirsi al mondo. Non s’era lasciata traumatizzare da quell’avvenimento negativo della loro vita. Non si era lasciata cambiare da ciò. Anzi, la sofferenza l’aveva spinta ancora di più a credere nelle persone, a volersi fidare del mondo, alla ricerca di ciò che non aveva avuto, ma che voleva riuscire ad avere.
“Io ci credo ancora. – continuò ancora la sorella minore. – Io credo ancora nell’amore incondizionato. Un giorno lo troverò. Se non tenti, però, non potrai mai sapere se quella persona è quella giusta.”
La maggiore sospirò pensierosa. Amava quel lato positivo della sorella, ma non riusciva a farlo suo. Solo, non ci riusciva. Quanto avrebbe voluto aprire il suo cuore a qualcuno come lei faceva continuamente. Quanto avrebbe voluto fidarsi di un’altra persona. Quanto avrebbe voluto poggiarsi a qualcun altro. Stare da soli era davvero difficile, e Katniss sentiva sulle sue spalle tutta la fatica. Nonostante tutto, però, non ci riusciva. Non ci riusciva.
Così con un sorriso stanco cambiò discorso: “Allora, parlami di questo ragazzo.”
 
La giornata in ufficio trascorse in modo piuttosto monotono. Katniss svolse le sue normali attività interrotta solo da qualche veloce telefonata di auguri. Da sua madre, che le chiedeva se Prim fosse arrivata e le augurava di trascorrere un piacevole finesettimana assieme. Da Annie, che le ricordava che poi le avrebbe ripetuto gli auguri di persona. Da Gale, che le ricordava che la settimana dopo l’avrebbe richiamata per comunicarle le date della sua visita. Da Madge, che l’aggiornava delle ultime novità in Texas: del suo lavoro d’ufficio, era impiegata in una pubblica amministrazione cittadina, di come le cose con Gale stessero diventando sempre più serie e di come credeva che fosse quello giusto. Questo pensiero la rese inquieta. Per Madge, Gale era quello giusto. Il suo migliore amico era la persona più importante non più solo della sua vita. Ora anche di quella di Madge. Si disse che avrebbe dovuto imparare ad accettare questa situazione. Non erano più bambini. Non erano più la coppia che andava assieme alle feste scolastiche. Non erano più i due sui quali chiunque avrebbe scommesso su di un lungo e duraturo futuro assieme. Ormai si erano allontanati. E lui stava andando avanti. Si stava aprendo ad una persona diversa da lei. Avrebbe dovuto imparare a condividere. Non sapeva se era pronta. Era sempre stata una persona particolarmente possessiva. Non amava spartire i suoi affetti con altri. Ora Gale aveva, però, un’altra persona importante nella sua vita. Forse. Non sapeva per certo che Gale ricambiasse gli stessi sentimenti per Madge. Questa incertezza le bastò per concludere in maniera serena la conversazione con l’amica.
A pranzo Johanna entrò nel suo ufficio e le porse un piccolo pacchettino. Erano solite scambiarsi dei doni per le festività. Solitamente erano sempre piccole cose. Poco costose. Per lo più la ragazza era solita regalarle oggetti imbarazzanti che non avrebbe mai utilizzato. Un anno le aveva regalato un paio di calze color carne con autoreggenti. Le disse che non avrebbe mai potuto sapere quando le sarebbero servite. Fino a qual momento, erano ancora incartate nel suo cassetto della biancheria. Quell’anno la ragazza continuò a non stupirla. Le aveva regalato un completino intimo di pizzo nero. L’amica, sicuramente, non rimase delusa dalla sua scelta: l’espressione del volto di Katniss, un misto tra rabbia, incredulità ed imbarazzo, la ripagò di tutto. Quando anche Finnick entrò nella sua stanza non poté trattenersi dal sorridere radiosa. Il ragazzo le aveva portato una piccola scatola di muffin al cioccolato.
“Li ha preparati Annie. Sappiamo che festeggeremo venerdì, ma non poteva permettere che questo giorno passasse inosservato. Tanti auguri Katniss.”
Subito i due amici iniziarono ad intonare stonatamente la canzone d’auguri e, prima ancora che avesse tempo di soffiare su un piccolo fiammifero arrangiato a candela, Effie e altri colleghi irruppero nel suo ufficio. Inutile dire che la pausa si prolungò ben oltre l’orario solitamente stabilito.
Guardando tutti i suoi colleghi che le porgevano gli auguri, che chiacchieravano tra loro, che si complimentavano con Finnick per i dolci, capì che qualcosa stava cambiando. Fissò gli occhi sul giovane ramato. Se non si fosse mai trasferito a New York, probabilmente avrebbe trascorso la pausa pranzo da sola. Johanna avrebbe speso solo una mezzora per porgerle il suo pensiero, poi sarebbe tornata a lavoro. Lei avrebbe poi continuato a svolgere i suoi compiti e sarebbe stato tutto uguale agli altri giorni. Nonostante l’imbarazzo iniziale per tutte quelle attenzioni che le si stavano rivolgendo, capì che non le dispiaceva affatto quel cambiamento.
Quando Odair intercettò il suo sguardo, gli porse un sorriso sincero. Gale aveva aperto il suo cuore ad altre persone. Se lui ci stava riuscendo, se lui non era rimasto ancorato al passato, forse, avrebbe potuto riuscirci anche lei.
 
“Forza Prim, sto morendo di fame!”
“Non capisco perché tutta questa fretta. Ho i tacchi, non posso correre più di così.”
La mora sbuffò quando, all’ennesimo tombino sull’asfalto, la sorella dovette rallentare per costeggiarlo. Erano uscite quella sera per andare a mangiare qualcosa fuori. Prim aveva trascorso tutto il giorno a casa a studiare, quindi Katniss si sentiva in obbligo di mostrarle la città. Così, invece di scendere alla metro più vicina, aveva deciso di camminare un po’ di più a piedi. Solo dopo pochi metri capì l’errore madornale che aveva commesso. La sorella non era per niente un tipo sportivo. Durante il viaggio non aveva fatto altro che lamentarsi: “Oh mio Dio! Sono Stanchissima. I tacchi! Una pozzanghera! Oh, mio Dio, è un topo morto quello?” Inutile dire che la risposta alla sua ultima domanda era: “Prim, è solo un cappello caduto a terra.”
Con il doppio del tempo, raggiunsero il locale verso cui erano dirette.
“Come è carino questo posto!” subito squittì Prim. La sorella aveva un mezzo dubbio che le sua felicità fosse dovuta più che al locale, alla certezza di essere giunte a destinazione.
“Dai, su. Entriamo.”
Il locale era pieno. Guardandosi attorno entrambe non riuscivano a scorgere alcun tavolo o  divano vuoto.
“Credo che dovremmo scegliere un altro posto in cui cenare.” commentò visibilmente affranta la bionda.
L’altra annuì debolmente: “Okay, saluto qualcuno e andiamo.”
“Chi? Chi conosci?” e la bionda iniziò a scandagliare la folla. Questo era uno dei caratteri che condivideva con la sorella: la curiosità. Solo che, mentre la maggiore cercava in tutti i modi di tenerla a freno, la bionda se ne lasciava completamente sopraffare.
“Conosco il proprietario e suo fratello.” le rispose brevemente, iniziando a guardarsi attorno. Prima li avrebbe salutati, prima se ne sarebbero andate, mettendo a tacere la sorellina. Normalmente non si sarebbe mai preoccupata di loro, ma stasera era stata invitata da Peeta. E lui le aveva promesso le focaccine. Non poteva restare a mangiare, ma doveva comunque ringraziarlo per il pensiero. Ne sentiva l’obbligo.
“Come fai a conoscerli? C’è qualcosa che dovrei sapere?” la guardò maliziosa.
“Il proprietario esce con Johanna.” sperava che in questo modo la sorella concentrasse la sua attenzione su un altro gossip.
Johanna e Rye.
Quando aveva rincontrato l’amica, lunedì  in ufficio, era raggiante. Aveva trascorso il weekend col ragazzo e, a suo dire, era stato tutto perfetto. Katniss ne era davvero felice. Johanna meritava un po’ di serenità. Sperava che questo fosse quello giusto. Che non soffrisse più. Troppe volte l’aveva vista piangere per uomini che improvvisamente l’abbandonavano.
“Oh mio Dio!” esclamò di nuovo la bionda di fronte alla news.
“Oh mio Dio, sì!” le fece il verso la maggiore.
“Oh mio Dio, Katniss Everdeen ha fatto una battuta!” la voce fintamente sconvolta di Rye interruppe i loro discorsi. La mora si trovò ad arrossire, sperava che non avesse capito che stavano parlando di lui.
“Ciao, Rye. Tutto bene?” cercò di rompere il ghiaccio e di scrollarsi di dosso il senso d’imbarazzo.
“Ovviamente sì, benissimo. Tanti auguri tesoro!” e così facendo l’afferrò in un abbraccio soffocante.
“Grazie Rye. – disse staccandosi da lui senza che le sue guance si colorassero di rosa. Non era abituata a queste forme d’affetto pubbliche. – Questa è mia sorella Prim. E’ venuta a trovarmi per il finesettimana.” così il biondo strinse la mano alla più giovane.
“Ciao, Prim. Sono felice di conoscerti. Deduco che sarai dei nostri venerdì.”
La sorella guardò entrambi con uno sguardo confuso: “Che c’è in programma per venerdì?”
Rye lanciò un’occhiataccia verso la mora: “Non mi dire che non gliene hai parlato!”
L’altra subito si difese: “E’ arrivata stamattina, non ci siamo viste tutto il giorno perché ero al lavoro e adesso siamo uscite per venire qui a cena. Gliel’avrei detto! Di certo non l’avrei lasciata a casa da sola.”
L’altro la guardò ancora un po’ scettico per poi rivolgersi alla bionda: “Tua sorella non ama proprio festeggiare, vero?”
La più piccola scoppiò in una risatina annuendo: “Eh, già! Allora, cosa c’è in programma venerdì?”
“Una piccola ubriacata tutti assieme, per festeggiare i ventisei anni della vecchietta qui.”
La diretta interessata gli lanciò un’occhiata torva: “Guarda che tu sei due anni più grande di me. Chi è il vecchietto tra noi, scusa?”
“Si, ma tutti sanno che con gli anni gli uomini maturano, le donne invecchiano.” le rispose subito a tono.
“Prim, mi dispiace. – iniziò la mora con aria fintamente affranta – Non avrei dovuto portarti in questo locale. Non solo non c’è posto per mangiare, ma dobbiamo anche essere derise.”
Il ragazzo non si fece scappare nemmeno questa occasione per ribattere: “In realtà, derido te, non mi permetterei mai di offendere una ragazza bella e dolce come Prim.” concluse facendo l’occhiolino alla più giovane.
“Grazie Rye.” rispose sghignazzando la bionda.
“Ad ogni modo, è meglio andare adesso. Ci vediamo venerdì?” gli chiese la mora distrattamente.
“Dove vorreste andare, scusa?” li interruppe una voce da dietro il bancone. Lì impalato c’era Peeta con indosso un grembiule bianco ed una camicia nera completamente ricoperta di farina. Katniss guardandolo, scoppiò subito in una fragorosa risata. Rye, intercettando il suo sguardo, si accorse del fratello: “Peeta deve aver avuto un incidente con il sacco di farina. Sei fuori allenamento fratellino!” infierì il maggiore.
“Si dia il caso che non è il mio lavoro questo e, ripeto, dovresti essermi grato per tutto l’aiuto che ti offro.” lo rispose offeso il riccio.
L’altro sbuffò come per ignorare un ronzio fastidioso e continuò rivolgendosi alla più piccola delle Everdeen: “Devi sapere che mio fratello oggi è venuto al locale solo per preparare il piatto preferito di tua sorella.” le riferì con tono fintamente cospiratorio facendolo sentire anche ai diretti interessati.
Prim alla notizia sgranò gli occhi e li fissò sul giovane che si trovava più lontano da loro. Con un sorrisetto gli si avvicinò e gli porse una mano dolcemente: “Piacere, io sono Prim, la sorella di Katniss.”
Il giovane un po’ in imbarazzo per la frase del fratello le strinse con calore la mano.
“Visto che oggi è il compleanno di Katniss – iniziò Peeta prima rivolto a Prim, poi estendendo il discorso ad entrambe. – non potevo davvero permettere che questa ragazza rimanesse senza il suo piatto preferito. Mi ha fatto una richiesta specifica e non potevo deluderla.”
“Purtroppo non c’è nessun posto libero. Credo che dovrò mangiare le focaccine un’altra volta.” osservò la mora, per poi aggiungere: “Ma grazie lo stesso, Peeta.”
Il riccio esaminò velocemente il locale, poi con tono mortificato le rispose: “Temo tu abbia ragione.” Poi velocemente prese un contenitore da asporto e iniziò a riempirlo con varie portate.
“Che stai facendo?” gli chiese la giovane.
L’altro la guardò come se pensasse fosse palese la sua intenzione: “Non c’è posto a sedere, ma ciò non significa che non puoi avere il tuo regalo di compleanno. Puoi mangiarli dove e quando vuoi. Tanti auguri.” e con un sorriso dolce, le porse il pacco.
“Grazie. Quanto ti devo?” le rispose spiazzata la mora.
“Mi pare di aver detto che questo è un regalo di compleanno. – le rispose asciutto il giovane. - Ci vediamo venerdì?” chiese rivolgendosi poi ad entrambe le ragazze.
“Ovviamente!” rispose con un sorriso la bionda. Katniss semplicemente annuì ed insieme uscirono dal locale.
“E così… - iniziò con tono cospiratorio la più giovane. – Peeta ha preparato qualcosa solo per te? C’è qualcosa tra di voi?”
“Assolutamente no. Ci siamo parlati forse solo un paio di volte.” le rispose evasiva.
“Quindi vi conoscete a malapena, ma hai organizzato il tuo compleanno con lui?” il tono della sorella era scettico.
“Sì. E’ stato davvero un caso. Il fratello esce con Johanna, quindi siamo stati incastrati assieme per una sera. Davvero nulla di cui dover parlare.”
La bionda era ancora dubbiosa: “Non so te, ma io non mi impegnerei così tanto per qualcuno per il quale non ho alcun interesse e col quale sono stata costretta ad uscire assieme.”
“Ma infatti non si è impegnato per nulla. A malapena mi ha augurato un buon compleanno.” Katniss si maledisse per non aver coperto il tono un po’ deluso.
La sorella la osservò per un po’ per poi immergersi nei suoi pensieri.
“A cosa stai pensando?” le chiese la maggiore dopo qualche minuto di silenzio.
La sorella semplicemente si strinse nelle spalle: “Andiamo a casa?”
 
Non poteva crederci. Come aveva fatto a non accorgersi di nulla? Peeta le aveva inserito nel suo takeaway non solo le focaccine al formaggio ed altre bontà salate. Vi era all’interno anche una piccola scatola bianca di cartone. Subito, una volta alzato il coperchio non poteva credere ai propri occhi.
“Allora, cosa c’è lì, invece?” la stessa Prim era rimasta sbalordita da tutto quel ben di Dio. Avrebbero avuto da mangiare anche per tutta la giornata di domani.
Katniss non riusciva a rispondere. Non ricordava l’ultima volta che aveva avuto qualcosa del genere per il suo compleanno. Semplicemente non ne aveva mai festeggiato nessuno, quindi non ne aveva mai avuto bisogno.
“Katniss, mi stai uccidendo. Spostati. – spingendo malamente la sorella, Prim riuscì a guardare il contenuto della scatola. – Una torta di compleanno.” subito la bionda registrò il significato di quel gesto. Suo padre le regalava ogni anno una torta di compleanno.
“Lui lo sapeva?” subito chiese alla sorella che era ancora in silenzio.
“No, te l’ho detto. Non siamo nemmeno davvero amici.”
“Dovresti ringraziarlo.” le consiglio la bionda.
“Non ho nemmeno il suo numero di telefono.” obiettò subito pensierosa. Avrebbe potuto procurarselo, ma poi avrebbe dovuto spiegare a Johanna perché aveva bisogno del numero di Rye. E a Rye perché aveva bisogno di quello di Peeta. Sicuramente qualcosa che non voleva fare e che, quindi, non avrebbe fatto.
“C’è sempre venerdì.”
 
Venerdì sera arrivò troppo presto per Katniss. Avevano appuntamento per le dieci in un locale a Brooklyn. Il loro piano era semplice: ubriacarsi e passare la notte senza dover pensare al domani. E lei ne aveva assolutamente bisogno. Mercoledì era trascorso e anche quest’anno, non aveva ricevuto gli unici auguri di cui aveva avuto tanto bisogno in passato. Già, in passato. Preferiva mentire a se stessa e credere che, ormai, non aveva più bisogno di lui. Ma in realtà, il senso di frustrazione non l’aveva abbandonata nemmeno quell’anno.
Mentre si guardava alla specchio, quella sera, non riusciva a staccare lo sguardo dal suo riflesso. Si sentiva inadeguata. Si sentiva abbandonata. Si sentiva sola.
“Katniss. – interruppe i suoi pensieri Prim con voce allegra. – Ho scelto il tuo outfit! Starai benissimo stasera, e non voglio sentire lamentele.”
Ma nemmeno quell’anno era sola. Da quando si erano separate anni prima, quando Katniss era partita per il college, non c’era stato un anno in cui la sorella non aveva trascorso questi giorni con lei. La più piccola capiva quanto fossero difficili quei giorni per lei. E mai un anno l’aveva lasciata sola a deprimersi.
Facendo finta di sbuffare, con un sorriso mal celato, seguì la sorella e visionò gli abiti che aveva scelto per lei. Tutto sommato era qualcosa di semplice: un tubino nero e scarpe col tacco.
“Direi che può andare.” commentò soddisfatta.
La più piccola subito esplose in un gridolino di gioia stringendo le mani al petto: “Non sai quanto sono eccitata all’idea di andare per locali stasera! E’ la prima volta che riesco ad uscire con dei tuoi amici, e per festeggiare te! Sarà una serata stupenda!”
L’altra non riusciva a provare il suo stesso entusiasmo. Era vero che Prim non era mai uscita con dei suoi amici. Ma ciò era dipeso soprattutto dal fatto che lei non aveva assolutamente tanti amici. Ad eccezione di Johanna. Ma non si erano mai frequentate spesso durante i weekend. La sorella non aveva mai conosciuto i ragazzi che aveva frequentato nel corso degli anni. Non aveva mai voluto. Non voleva che la sorellina conoscesse questo lato della sua vita.
Nonostante non fosse su di giri per l’evento, si decise a fare buon viso a cattivo gioco.
“Prim, forse questa sera potrei addirittura ubriacarmi.” commentò fingendosi pensierosa.
La più piccola sbuffò scoppiando a ridere: “Come se fosse la prima volta.”
 
Quella sera Katniss mantenne la promessa.
Il locale era un piccolo pub stipato di gente. Si trovava nel seminterrato di un palazzetto a tre piani ed era illuminato debolmente da luci colorate. In sottofondo, una band cantava live musica pop.
“Adoro questo posto!” commentò Annie quando lei e Finnick presero posto al loro tavolo. Il gruppo era al completo. Johanna, Rye e Peeta erano stati i primi ad arrivare ed erano, per un pelo, riusciti ad occupare un tavolo per sedersi.
“La musica è stupenda.” disse Prim ascoltando un vecchio successo commerciale che veniva reinterpretato dalla band.
“Anche io adoro questa canzone.” convenne Peeta.
“Allora dovresti sentire Katniss cantarla. Ha una voce stupenda.”
La mora subito avverti gli occhi del biondo su di lei: “Mi farebbe piacere.” commentò lui educato.
“Non succederà mai, Mellark.” rispose la mora bruscamente. Non si rifiutava per vergogna. Solo odiava cantare.
“Scommetto che, dopo qualche shot, cambierai idea.” si intromise Finnick, facendo segno ad una barista di portare da bere.
Katniss non era mai stata una grande bevitrice. Poteva elencare sulle dita di una mano le volte in cui aveva bevuto così tanto. Un paio di volte al college, un paio di volte con Gale. Quel venerdì, quello del suo ventiseiesimo compleanno, sarebbe presto entrato nella lista. Le bastarono pochi drink per lasciarsi andare. La testa le girava piacevolmente, un sorriso sornione le si era appiccicato al viso e davvero non riusciva a non smettere di ridacchiare alle battute che si scambiavano al tavolo.
“Se avessi saputo prima che bastavano tre shots per vedere il tuo sorriso, t’avrei fatto ubriacare già il primo giorno che ci siamo conosciuti.” commentò divertito Odair.
La mora gli rispose semplicemente ridendo. Normalmente un commento del genere avrebbe fatto guadagnare al giovane un’occhiataccia, ma quella sera si sentiva in pace con il mondo, rilassata. Nemmeno i commenti cattivi dei ragazzi avrebbero potuto rovinarle il momento.
“Io propongo un altro giro!” esclamò un’esuberante Johanna.
“Sì!” urlò rispondendo la mora.  
Alla fine dell’ennesimo bicchiere d’alcol, la ragazza vide la collega scambiare due chiacchiere col ragazzo della band. Mentre tornava al tavolo la Mason aveva un sorriso scaltro dipinto sul volto, gli occhi le brillavano, un misto d’alcol e malizia.
“Mi hanno appena informato dal pubblico che oggi è il compleanno di una giovane donna.” la voce del cantante attirò l’attenzione di tutto il tavolo.
Katniss scorse Peeta passare lo sguardo dalla band a Johanna. La mora iniziava a sospettare quello che stava succedendo.
“Vorremmo invitarla qui sul palco con noi per cantare assieme una canzone! Ragazzi fate tutti un applauso per Katniss Everdeen!” quando il frontman terminò la sua presentazione, i vari avventori iniziarono a battere le mani. I più rumorosi erano Finnick e Rye che, con poca grazia, la costrinsero ad alzarsi dal tavolo e avvicinarsi al palco. Normalmente la ragazza non avrebbe mai accettato di rendersi ridicola a quel modo. Ma quella sera nessun pensiero negativo attraversava la sua mente. Era giovane e voleva divertirsi come ogni ragazza della sua età. Quando prese posto sul palco, il ragazzo della band le mise avanti una lista di canzoni. La mora ne scelse una che conosceva e si girò verso la sala. I suoi occhi incontrarono quelli blu di Peeta. Sembrava divertito dalla scena. Ma non solo. La ragazza non si preoccupò di indagare oltre e iniziò a cantare i versi della canzone scelta.
 
“Look at the stars
look how they shine for you
and everything you do
yeah they were all yellow
I came along
I wrote a song for you
and all the things you do
and it was called yellow
So then I took my turn
oh what a thing to have done
and it was all yellow
 
your skin
oh yeah your skin and bones
turn into something beautiful
and you know
you know I love you so
you know I love you so
 
I swam across
I jumped across for you
oh what a thing to do
'cos you were all yellow
I drew a line
I drew a line for you
oh what a thing to do
and it was all yellow
 
and your skin
oh yeah your skin and bones
turn into something beautiful
and you know
for you I bleed myself dry
for you I bleed myself dry
 
it's true
look how they shine for you
look how they shine for you
look how they shine for
look how they shine for you
look how they shine for you
look how they shine
 
look at the stars
look how they shine for you
and all the things that you do”
 
Katniss si accorse che la canzone era terminate solo quando avvertì il silenzio attorno a sé. Aprì gli occhi, che non si era resa conto di aver serrato, e li fissò nuovamente sulla platea. I vari clienti per un attimo sembrarono ancora assorti nella musica, ma dopo pochi secondi un forte applauso stordì la mora che decise di scendere dal palco e di ritornare al proprio tavolo. A malapena riuscì a sentire il cantante che la salutava col microfono. Al tavolo tutti i ragazzi sembravano sbalorditi.
“Ve l’avevo detto! Katniss ha una voce bellissima.” iniziò con tono orgoglioso Prim.
“Idiota, perché non ci hai mai detto di avere una voce del genere!”
Finnick, Rye ed Annie subito iniziarono a complimentarsi con lei. E a quel punto, si sentì soffocare. Non voleva cantare. Non voleva che qualcuno sapesse che aveva una bella voce. Non voleva che gli altri le ricordassero come era intonata. Con la scusa di volere un po’ d’aria si diresse velocemente fuori dal locale.
L’aria fresca le gelò il viso accaldato. Era un sollievo. All’interno del locale le mancava il fiato, non riusciva a respirare.
“Tutto bene?”
Ancor prima di voltarsi Katniss sapeva a chi apparteneva quella voce.
“Che ci fai qua fuori, Peeta?” gli chiese freddamente.
“Volevo sapere se andava tutto bene. Ho visto che sei letteralmente scappata qui fuori e non volevo che ti sentissi male.” le rispose dolcemente.
“Tutto okay, grazie.” gli disse solo.
Il ragazzo la osservò per un po’ combattuto. Lo vide aprire la bocca varie volte, per poi richiuderla prima di proferire parola.
“Cosa vuoi dirmi, Peeta?” gli chiese allora lei impaziente.
L’altro le sorrise: “Non credo che tu abbia voglia di sentirtelo dire, ma è più forte di me. Dio, Katniss hai una voce stupenda. Forse non ho mai sentito nessuno cantare come te. Giuro, quando eri sul palco, tutti sono rimasti in silenzio, incantati a guardarti. Non un rumore di bicchieri, né di passi, né clacson delle auto. Dio, se ci fossero stati degli angeli, anche loro sarebbero rimasti in silenzio pur di ascoltare la tua voce.”
La ragazza si sentì arrossire. Le parole di Peeta erano cariche di meraviglia e stupore. Le sue labbra erano curvate in un sorriso dolcissimo. I suoi occhi, fissi nei suoi, sembravano illuminare l’intera città. C’era solo una cosa che voleva fare in quel momento. Qualcosa che non avrebbe mai voluto fare. Qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare. Qualcosa che non si era mai permessa di fare. Forse era l’alcol, forse era il calore che le parole del ragazzo le aveva acceso dentro, forse era solo attrazione. Ma quando d’impulso strinse le sue braccia attorno al collo del giovane e posò le sue labbra su quelle morbide e calde di lui, sentì quanto tutto quello fosse giusto. Come tutto fosse naturale. Come si sentisse protetta.
E quando quelle sensazioni furono comprese dal suo cervello, le ci volle tutta la sua forza per staccarsi dal ragazzo e mormorargli a fior di labbra: “Questo non è mai successo.”
 

 
Anche questo capitolo è finito! Stiamo entrando nel vivo della storia. Adesso le cose iniziano a farsi più divertenti. Come sempre ringrazio tutti quelli che hanno recensito la mia storia, chi l’ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite, o chi l’ha semplicemente letta. Spero che continuate a seguirla, recensirla e leggerla. Vi auguro una buona Pasqua!
Un bacio,
Serena
 
P.S.
Se vi interessa, la canzone riportata nel testo è Yellow dei Coldplay. Ascoltatela se avete tempo, non ne rimarrete delusi! ;)

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


La sua prima volta era stata affrettata, veloce. Era stato un esperimento. Una curiosità da appagare. Come un morso d’insetto che si deve grattar via, fino a quando non si raggiunge la carne rossa e sanguinolenta. Un dolce piacere che si sa essere sbagliato, ma non si può fare a meno di raggiungere.
La sua prima volta era stata con Gale. Non erano mai stati amanti. Non aveva mai avuto sentimenti per quel ragazzo che considerava come un fratello. Era solo il suo migliore amico. L’unica persona di sesso maschile di cui sapeva poteva fidarsi. Che sapeva non l’avrebbe abbandonata.
Non avrebbe mai potuto dimenticare il suo sguardo quando un pomeriggio di gennaio, troppo freddo per uscire di casa, troppo buio per restare da soli in casa, glielo aveva proposto.
“Cosa stai dicendo? Non posso credere che tu dica sul serio!”
“Meglio con te che con qualcuno cui probabilmente dopo qualche settimana non saluterò nemmeno più per strada.”
Gli occhi grigi di lui, così simili ai suoi, si velarono di tristezza. Un senso di vergogna l’attraversò completamente facendola arrossire e stringere le mani in due pugni stretti. Non parlarono per diversi minuti. Poi, senza preavviso, lui le si avvicinò e la baciò. Lì, sul letto della sua vecchia casa nel Montana, varcò quell’ultima frontiera dell’amore. Non fu romantico, né soddisfacente. Gale fu dolce.
“Credo che non potevo chiederti di più.” commentò lui dopo amaramente.
“Spero solo – continuò – che un giorno troverai qualcuno da amare come amo io oggi te. Qualcuno di cui tu possa fidarti. Qualcuno da cui non scapperai.”
Lei non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo viso, una maschera di tristezza e rassegnazione.
“Spero anche io che tu un giorno, Gale, possa trovare una donna che possa amarti come meriti.”
E con un ultimo sorriso amaro sul viso, si alzò e tornò a casa. Non parlarono più di quel pomeriggio. Non parlarono dei sentimenti provati e non corrisposti. Tornarono gli amici di prima. 
 
Fin da quando era ragazza, Katniss non aveva mai avuto una relazione stabile. Aveva frequentato altri ragazzi. Aveva vissuto storie d’amore che poteva definire passionali. Con persone conosciute da poco. Di sfuggita. In qualche locale. Bramava il contatto fisico, le attenzioni che portava una notte trascorsa assieme. Tendeva ad uscire con sconosciuti, con persone con cui non aveva contatti, affinità. Mai amici, conoscenti o colleghi. Era più semplice così, alla fine, tagliare ogni ponte, ogni tipo di rapporto e tornare ognuno alla propria vita. Non amava i legami. Unirsi ad un uomo comportava limitazioni, assuefazioni, debolezze. Ci si abituava a non essere più soli. A potersi appoggiare a qualcun altro. E quando ci si era convinti che non si sarebbe più continuato a vivere come delle isole, arrivava la delusione. Si crollava. Come era crollata sua madre. Il giorno del suo dodicesimo compleanno, Katniss giurò a se stessa che non si sarebbe più fidata di nessun uomo. Mai più a nessuno avrebbe permesso di avvicinarsi a lei al punto da ferirla. Non sarebbe stata più abbandonata. Sarebbe stata lei ad abbandonare.
 “Katniss! Katniss, fermati!”
Peeta stava chiamando il suo nome, ma la ragazza non riusciva a fermarsi e voltarsi. Stava velocemente rientrando all’interno del locale. Voleva evitare di rimanere sola con lui. Voleva evitare assolutamente di doversi spiegare o giustificarsi. Era stata un’idiota.
Una mancanza di giudizio. Ecco cosa era stato quel bacio. Non poteva permettersi una storia con Peeta. Era troppo gentile. E le persone buone erano le peggiori. Erano le più logoranti da abbandonare. Si maledisse di nuovo mentalmente. Per una volta che aveva creato attorno a sé un gruppo di amici, aveva subito badato a rovinare tutto. A sconvolgere i nuovi equilibri.
“Ehi Katniss, tutto ok?” le chiese Prim una volta che si fu riseduta al tavolo. La maggiore semplicemente annuì prendendo un sorso dal cocktail della sorella. Quando anche Peeta fu tornato al tavolo sentì il suo sguardo contro di lei. Non osava incrociarlo. Non osava guardarlo. Non osava rivolgergli la parola. Per tutta la sera s’impegno ad evitare accuratamente qualsiasi forma di contatto.
Era una codarda.
Amaramente dovette affrontare la realtà: lei che si era sempre creduta una persona forte, coraggiosa, indifferente, indipendente, in realtà era solo una codarda che non riusciva nemmeno a parlare di un bacio.
Iniziò ad ipotizzare qualche frase con la quale avrebbe potuto aprire il discorso. “Sai Peeta, l’alcool non è il mio migliore amico.” No. Battuta di pessimo gusto. “Sai, forse fisicamente mi sento attratta da te, ma rimaniamo amici.” Peggio della prima. “Sai, Peeta, un bacio, in fondo, è solo un bacio.” Forse, non la frase migliore per assumersi le proprie responsabilità.
“Ragazzi, domani sera che ne dite di venire a cena da noi? – Annie interruppe i suoi pensieri – Finalmente abbiamo trasformato quell’appartamento in una vera casa. E non vedo l’ora di mostrarvela!”
“Si, dai ragazzi. Che ne dite?” si unì alla proposta Finnick.
Ben presto tutti annuirono. Katniss stessa acconsentì distrattamente, ma i suoi piani erano diversi. “Mi dispiace solo di non poter essere dei vostri domani.” si lamentò debolmente Prim.
Era vero. Prim avrebbe dovuto prendere l’aereo e tornare al campus il mattino dopo. I giorni assieme erano volati. Alla maggiore le si strinse il cuore. La sua casa sarebbe tornata silenziosa. Non avrebbe trovato nessuno ad aspettarla al ritorno dal lavoro.
“Dai, non essere triste. – le disse la bionda intercettando il suo sguardo – Ho sentito Rory e dice che tra qualche giorno Gale ha promesso di venire a trovarti. Non riuscirai a liberarti di noi così velocemente!” ridacchiò.
A quel pensiero sorrise. C’erano tante cose del passato che avrebbe voluto dimenticare, ma non loro. Non la sua famiglia. E gli Hawthorne ne facevano tutti parte.
“E così hai parlato con Rory, eh? Quanto spesso vi sentite?”
Rory era il fratello minore di Gale. Era coetaneo di Prim e fin da bambini avevano frequentato la stessa scuola e gli stessi corsi. Erano anche usciti assieme per diverso tempo durante l’ultimo anno, poi il college li aveva separati. Prim aveva studiato prima biologia al Carroll College, per poi essere ammessa agli studi di medicina a Yale. Rory, invece, dopo aver vinto una borsa di studio sportiva, stava per conseguire la laurea in architettura alla Washington University.
“Non spesso, anche perché sta studiando tantissimo per gli esami finali. Inoltre è stagista presso un’importante impresa edile, quindi ha davvero poco tempo libero.”
“Gale deve essere fiero di lui.”
L’altra annuì con un sorriso.
“Ma chi è questo Gale?” s’intromise Finnick.
“Un mio carissimo amico. Ci conosciamo da quando avevo tredici anni circa.”
“In realtà non è solo un carissimo amico. E’ anche un ex fidanzato di Katniss. Sono andati al ballo dell’ultimo anno assieme.” aggiunse con un sorriso furbo la più piccola delle Everdeen.
“Ancora con questa storia! – sbuffò la mora – Siamo andati assieme perché io non avevo nessun accompagnatore. Mi ha fatto un favore da amico.”
“Un favore bello grande visto che era già arruolato nell’esercito e ha dovuto farsi un viaggio lunghissimo solo per passare una serata con te.”
“Probabilmente l’avrà fatto per Madge, infatti, ad ora sono fidanzati da anni.”
“Se tu gli avessi dato una possibilità magari le cose sarebbe andate diversamente.”
“Tipico di Katniss. – s’inserì nel discorso Johanna. – Appena inizia a frequentare un ragazzo e le cose diventano serie, subito scappa. E il povero malcapitato finisce col cercarla per giorni fino a che non si arrende e lascia perdere. Tu finirai zitella mia cara! E per tua scelta.”
Alle sue parole puntò lo sguardo al cielo e prese un altro sorso del suo drink. Si era completamente allucidita dopo la boccata d’aria di prima, ma il suo stomaco iniziava a protestare contro il nuovo alcool in arrivo. Si decise a mettere il bicchiere sul tavolo. Domani, altrimenti, avrebbe dovuto lottare contro la nausea, e già sapeva che era un battaglia che non sapeva vincere.
“Bisogna giocarsela bene con te, allora.” commentò a bassa voce Peeta.
Erano le prime parole che le rivolgeva. Le disse in un tono così basso che dubitò che qualcun altro le avesse potute sentire.
“Cedimi, non ne vale la pena.”
 
 
 
La mattina dopo Prim era partita di buon ora. Doveva trovarsi in aeroporto per le 10, così quando Katniss aprì gli occhi trovò ad attenderla solo un bigliettino scritto velocemente.
 
Kat sono dovuta partire presto, ho preferito quindi non svegliarti. Non essere arrabbiata, avevi bisogno di riposare dopo la serata di ieri. Mi sono divertita tantissimo. Ricorda che ti voglio bene. Non bere troppo e comportati bene. Fa tutto quello che farei anch’io e non far nulla di quello che la tua testa ti suggerisce.
Ti mando una mail quando arrivo a Yale.
Non lavorare troppo!
Un bacio,
Prim
 
L’altra sorrise alla scrittura tonda e ampia della sorella e si diresse verso la cucina. Questa giornata, purtroppo, sarebbe stata dedicata completamente alle pulizie domestiche e alla tv. Si ritornava alla vecchia routine.
A metà giornata, con indosso una tuta e una maglia oversized, decise di guardare un po’ di tv. Smise di fare zapping non appena si sintonizzò sulla Fox, il suo canale preferito. Si preparò un sandwich e iniziò a pranzare guardando un episodio dei Simpsons. La puntata fu interrotta dalla suoneria del suo cellulare. Senza staccare gli occhi dal televisore si alzò per andarlo a recuperare sul bancone della cucina.
“Pronto?” rispose mandando giù l’ultimo boccone del panino.
“Che voce soave abbiamo quest’oggi.”
“Argh! Chiudi il becco Finnick! Stavo mangiando!”
L’altro ridacchio. “Non ti ingozzare troppo che Annie sta praticamente impazzendo. Sta cucinando ininterrottamente da questa mattina. Questa cena è stata davvero una pessima idea.”
Fu il turno dell’altra di ridere. “Così impari ad essere così socievole.”
“Non hai tutti i torti. – ragionò mestamente. – Ad ogni modo, ti ho chiamata per darti l’indirizzo per stasera. Anche se preferirei che ti mettessi d’accordo con gli altri. Non mi piace molto l’idea di lasciarti percorrere le strade newyorkesi da sola di notte.”
“Grazie, ma so badare a me stessa.”
“Ma infatti non ho paura per te. Temo per quei poveri malcapitati che incroceranno il tuo percorso. Non vorrei mai essere nei loro panni.” rispose facendo finta di rabbrividire.
L’altra sbuffò rotando gli occhi al cielo.
“Ti ho sentita.”
“Non era mia intenzione nascondermi. Comunque Finnick, credo che stasera non ci sarò per la cena. Purtroppo ho un gran mal di testa, probabilmente a causa di ieri sera e davvero preferirei rimanere a casa.” incrociò le dita sperando che il collega non indagasse oltre.
Passarono diversi minuti prima che l’altro elaborasse le sue parole.
“Mi dispiace, piccola. Dieci minuti e sto da te, vediamo che possiamo fare per farti star meglio.”
“No davvero Finnick, non ce n’è bisogno.” Ma le sue parole non ebbero mai risposta, l’altro aveva già attaccato e si stava, probabilmente, già dirigendo verso casa sua.
 
 
“A me non sembra che tu stia così male.” commentò l’altro una volta che si fu seduto sul suo divano. Aveva gettato la giacca su una sedia e allungato le gambe sul tavolino da caffè che aveva di fronte. La ragazza con un sospiro si accovacciò con le gambe incrociate accanto all’uomo.
“Ti va di parlare di cos’è che non va?” le chiese dopo un po’ dolcemente.
“Non davvero.” Fu la sua unica risposta.
L’altro allora non fece altro che prendere in mano il telecomando e cambiare canale. Si bloccò su un documentario sulla pesca. Stettero in silenzio per un po’.
“Come mai sei venuto?” Non riuscì a trattenersi dal domandare.
“Siamo amici. Credo che tu abbia bisogno di un po’ di compagnia al momento. – rispose senza distogliere lo sguardo dallo schermo. – Inoltre, Annie mi stava facendo impazzire.”
L’altra sorrise all’ultima sua affermazione.
“Sai, so che ieri è successo qualcosa. Dopo che sei scesa dal palco e sei uscita fuori, sei tornata turbata. Ho bisogno di parlare con Peeta? Ha fatto qualcosa? Siamo amici, parla con me.”
La ragazza poggiò la testa sullo schienale del divano.
“No. Lui non ha fatto niente. Sono stata io.”
L’altro scoppiò a ridere. Una risata cristallina e allegra. “Ti giuro che non avevo alcun dubbio al riguardo.”
“Allora perché hai chiesto?” s’infervorò subito.
 “Perché siamo amici. Gli amici prima si difendono e poi si aiutano.”
“Che significa?”
“Significa che se anche tu avessi fatto qualcosa di sbagliato, davanti agli altri ti difenderò sempre. La ramanzina arriverà solo dopo, in privato.”
Ci furono altri minuti di silenzio.
“L’ho baciato.” sputò fuori mormorando.
L’altro rimase impassibile, come se se lo aspettasse già.
“Te ne stai pentendo?”
“Sì.”
“Caspita. Deve baciare davvero male.” ridacchiò lui.
L’altra sbuffò. “Non è per questo. E’ che davvero non voglio alcuna storia seria. Mi piace la mia vita così com’è. Non voglio complicazioni, storie d’amore, litigi e quant’altro.”
“Caspita tigre, rallenta!” continuò ridendo lui. “Già siamo a quel punto? A me pare che tu gli abbia solo dato un bacino, non gli hai fatto una dichiarazione d’amore.”
“E’ che Peeta mi sembra un così bravo ragazzo. Non credo che lui voglia solo una storia leggera. Senza impegni.”
“Non saprei, ma evitarlo sicuramente non risolverà i tuoi problemi. Un consiglio che posso darti è quello di parlargli stasera. Digli cosa cerchi in una relazione. Se lui non può darti ciò che cerchi, almeno ci hai provato. Amici come prima.”
“E’ facile a dirsi.”
“E’ facile anche a farsi. Non sai quante volte ho fatto questo discorso a tante ragazze.”
“Anche ad Annie?” le chiese improvvisamente curiosa.
“No. Ad Annie, no. Eravamo amici. Non la vedevo come una possibile donna.” rispose sorridendo al ricordo.
“Poi cosa è cambiato?”
“Sono cambiato io.”
“Ma io non voglio cambiare.”
“E chi te lo sta chiedendo? Non è qualcosa che ci si impone. Succede e basta.”
“Quindi dovrei parlare con Peeta?”
L’altro annuì energicamente: “Esatto. Non sappiamo per certo nemmeno se abbia un qualche interesse per te, o sbaglio?”
Improvvisamente, la ragazza arrossì all’istante: “E’ vero. Ho dato per scontato di piacergli.”
L’altro rise di nuovo divertito. “Personalmente, credo che tu gli piaccia. Ad ogni modo dovete parlarne assieme. Ora, che ne dici di prepararti e venire a casa con me? Stare da sola non ti fa bene. Sembri un gattino spaventato, bagnato e soprattutto sporco. Ti sei lavata stamattina?”
L’altra lo fulminò con lo sguardo: “Non avevo intenzione né di uscire né di ricevere ospiti.”
“Non so davvero che faresti senza di me…”
 
 
Durante la cena a casa Odair, Katniss continuava a pensare alle parole di Finnick. Doveva parlarne con Peeta. Doveva chiarire la loro situazione una volta per tutte. Apparentemente le cose tra i due sembravano normali. La ragazza, però, più volte aveva sorpreso i suoi occhi azzurri fissi su di lei. Ogni volta cercava di incontrare il suo sguardo, ma l’altro lo distoglieva immediatamente.
“Novità per la mostra Peeta?” la domanda di Rye riuscì a conquistare la sua attenzione. Era improvvisamente interessata a quel discorso.
“No, ancora niente. Sto aspettando ancora una loro telefonata. Te l’ho detto, potrebbe anche concludersi con un nulla di fatto. Non voglio illudermi.”
“Di che si tratta?” chiese una curiosa Annie.
“Pare che i suoi quadri siano piaciuti ad un critico d’arte. E forse vorrebbe averne alcuni per una mostra che sta organizzando prossimamente, giusto?” rispose Johanna.
Peeta annuì imbarazzato: “Pare che sia una mostra per presentare nuovi talenti. Questo tizio per caso si trovava all’esposizione scolastica e sembra gli siano piaciuti i miei quadri.”
“Ma è fantastico!” esclamò allegramente Finnick.
“Sì, ma non voglio illudermi. Non ho mai puntato così in alto. Mi piace l’arte, mi piace dipingere e, fortunatamente, sono riuscito a trasformarla nel mio lavoro, insegnando. Il resto è qualcosa che non ho mai cercato. Non che non mi faccia piacere, ma ho sempre avuto aspirazioni più modeste.”
“Solitamente le cose migliori della nostra vita sono quelle che accadono per caso. Sono quelle che non sapevamo nemmeno di volere.” commentò Finnick.
“Non sono d’accordo. – lo interruppe Johanna. – Le cose migliori sono quelle che abbiamo cercato, per le quali abbiamo lottato e combattuto fino alla fine. Non c’è soddisfazione nelle belle cose che improvvisamente abbiamo accanto. Mentre non potremmo essere più felici di noi stessi quando sappiamo di aver guadagnato ciò che ci circonda.”
“Punti di vista. Solitamente io lotto per le cose necessarie. Ma non sempre sono le cose strettamente necessarie a rendermi il più felice possibile.” ribatté l’altro.
“Ma puoi vivere anche senza essere il più felice possibile. Puoi vivere anche senza tutto il superfluo. Ma non puoi vivere senza ciò che è necessario.” s’intromise Katniss.
“Il problema in realtà è un altro. – attirò l’attenzione la dolce voce di Annie. – E’ che quando assapori la felicità di un qualcosa che non credevi nemmeno di volere, tutto il centro del tuo mondo si sposta. Non è più necessario vivere, è necessario essere felici.”
“Stronzate. Io sono felice solo se sono viva. Da morta come potrei esserlo?” sottolineò l’ovvio Johanna. E Katniss non poteva più essere d’accordo con l’amica.
“Non so voi, ma io morirei contento sapendo di aver vissuto la mia vita felicemente.” prese la parola Peeta.
 Johanna sbuffò: “Ma saresti morto comunque.”
“Un giorno tutti dovremo morire, quindi perché preoccuparci a tutti i costi di evitare l’inevitabile, invece di goderci il viaggio?”
“Non so voi, ma davvero questo discorso sta diventando il più deprimente possibile. E ho portato davvero un dolce buonissimo. Che ne dite di affogare questi discorsi filosofici nel cioccolato?” cercò di dare un taglio a tutto Rye.
“Per me va benissimo!” lo appoggiò subito Finnick dirigendosi verso la cucina. 
 
 
Una volta finito il dessert, Katniss si sentiva davvero piena. Decise di alzarsi dal divano nel soggiorno, dove tutti stavano ancora chiacchierando, per prendere una boccata d’aria sul piccolo balcone dell’appartamento. Era una rarità a New York. Finnick era stato davvero fortunato.
Si bloccò a fissare il cielo. Le luci della città rendevano impossibile osservare le stelle. Odiava questa città per questo. Lei cresciuta nei boschi, nella natura, amava il cielo notturno. In quella città, invece, nemmeno la notte riusciva ad essere buia.
Il rumore della porta scorrevole del balcone che si apriva e si richiudeva la distolse dai suoi pensieri. Peeta lentamente si avvicinò e si posizionò accanto a lei, con le braccia appoggiate alla ringhiera. Il suo sguardo fisso verso l’orizzonte.
Nervosamente l’altra tornò a guardare il cielo. Nessuno dei due osava proferire parola. Sapeva, però, che era compito suo rompere il ghiaccio. Guardando in alto, blaterò la prima cosa che le passò per la mente: “Ma voi newyorkesi riuscite a studiare astronomia? Voglio dire, non si riesce a vedere nemmeno Sirio. Deve essere complicato.”
L’altro a quel punto puntò lo sguardo anche lui sul cielo. “Non hai tutti i torti. Ma basta allontanarsi dalla città, anche di solo un po’, per poter ammirare tutte le stelle che vuoi. Ad ogni modo, nonostante questo inconveniente, non rimpiango di essere cresciuto qui.”
“Sei nato qui?”
“Si, assolutamente. Sono uno dei pochi abitanti di New York, che di fatto è di New York. A te non piace vivere qui?”
“No. Cioè, qui ho il mio lavoro. Ho la mia casa. Sono anni ormai che sono qui eppure, ogni volta che torno a casa mia, nel Montana, mi mancano i boschi, la natura, la quiete. Questa città è davvero troppo affollata.”
L’altro ridacchio. “Non ami molto le persone, vero?”
“Non particolarmente.”
Restarono in silenzio ancora per qualche minuto.
“Senti Katniss, per ieri…”
“Lo so, Peeta, mi dispiace.” lo interruppe subito ieri.
L’altro sospirò: “Ti dispiace?”
“Sì. Cioè, non avrei dovuto farlo. Siamo amici e davvero, ho agito senza pensare. Potrei dare la colpa all’alcool, ma davvero non ero così ubriaca. Solo non ho ragionato. Ho agito d’impulso e mi dispiace.”
“A me non dispiace che tu abbia agito d’impulso, solo vorrei capire adesso cosa succede. Cambia qualcosa tra noi?”
L’altra continuò a fissare il suo sguardo sul cielo, grigio e rossastro.
“Davvero, mi dispiace. Io non sono alla ricerca di una storia seria, credo di non volere alcun tipo di legame.”
“Quindi non usciresti con me?”
Decise a quel punto di voltarsi verso il ragazzo. Vide il suo sguardo speranzoso, odiava doverlo deludere. “Uscirei con te. Ma non voglio una relazione. Non voglio alcun tipo di storia seria.”
L’altro corrugò la fronte: “Cosa vuoi di preciso?”
Sospirò affranta: “Non lo so nemmeno io. Mi piaci, ma non voglio illuderti promettendoti un qualche tipo di storia romantica. Non ne sono capace e non la voglio.”
“Forse, però, stiamo correndo troppo. Non puoi sapere già da adesso cosa ci sarà nel nostro futuro. Per adesso io so che tu sei una ragazza attraente, che mi piaci molto e che vorrei trascorrere del tempo con te.”
“Senza impegno?”
L’altro ridacchio: “Non posso assicurarti che io non mi impegnerò a cercare di far funzionare le cose. Io sono così, uno che s’impegna. Ma ciò non significa che tu sia costretta a fare lo stesso.”
“Ma non capisco perché dovresti farlo. Ci sono tante persone che potresti trovare. Ragazze che davvero meriterebbero tutti i tuoi sforzi.”
“Diciamo che voglio applicare la filosofia di Johanna. Impegnarmi in qualcosa e vedere se questa cosa riesce a rendermi davvero felice.”
Poiché Katniss non riusciva a rispondere, Peeta fu costretto a continuare il suo discorso. Le prese le mani nelle sue e la guardò negli occhi: “Non devi giurarmi, né promettermi nulla. Esci con me, frequentiamoci, senza impegno. Senza legami sentimentali di alcun tipo. Vediamo che succede. Io farò solo ciò che tu vorrai.”
“Farai solo ciò che io vorrò? E che ne sarà di ciò che tu vorrai?”
L’altro ridacchio, il suo sguardo speranzoso: “Per adesso, sono certo di volere ciò che vuoi anche tu. Non pensare. Viviamo giorno per giorno. Cosa vuoi tu, adesso?”
E senza rifletterci su, liberò le mani dalla stretta di lui, strinse la maglia scura che indossava e lo tirò verso sé. Quello che all’inizio era un timido incontro di labbra presto si trasformò in un bacio appassionato. Non c’erano legami, non c’erano sentimenti. Ma c’era passione. I loro corpi si attraevano come le cariche opposte di uno stesso atomo. Le mani di lei lentamente si staccarono dalla maglia per scivolare dietro la sua nuca. Passò le dita tra i suoi capelli meravigliandosi della morbidezza delle sue lievi onde. Le mani di Peeta allo stesso modo si divisero. Una, appoggiata alla schiena di lei, la spingeva contro di lui, l’altra la cingeva attorno alle spalle.
“Ehi, voi due. Che diavolo state facendo?” li interruppe un divertito Rye.
I due si staccarono improvvisamente ancora rossi in viso. Dietro al ragazzo potevano vedere gli altri tre amici con espressioni incredule e maliziose.
“Bé, pensavo fosse palese.” commentò ironicamente Peeta.
Katniss ridacchiò alla sua battuta.
“Stupida, inutile che ridi. Non credi che ci debba qualche spiegazione?” la prese in giro Johanna.
La ragazza, ancora stordita dal bacio e sorpresa dall’interruzione, riuscì solo a fissare il ragazzo accanto a lei alla ricerca di ispirazione. In che modo avrebbe dovuto spiegare loro quel bacio?
“Stiamo uscendo assieme.” rispose allora per lei il ragazzo.
Ed effettivamente era vero. Avevano deciso di frequentarsi. Senza impegno. La sua definizione forse era quella più calzante al momento.
“E da quando?” chiese maliziosamente Finnick.
“Mh, da adesso.”
“Adesso basta. Credo che niente di tutto questo sia affar nostro. Chi vuole un caffè?” la dolce Annie, per fortuna, riuscì a spostare l’attenzione da loro. Mentre stavano per riaccomodarsi tutti in salone, Johanna la prese però in disparte.
“Ehi, idiota, così tu e il pittore?”
“Già.”
“Abbiamo buon gusto, non c’è che dire.” continuò ammiccando in direzione dei due fratelli che stavano chiacchierando con Annie. “Raggiungiamo gli atri, su.”
 
 
Verso mezzanotte gli amici decisero di lasciare casa Odair. Mentre Katniss abbracciava Finnick per salutarlo, lui la strinse più forte a sé per sussurrarle: “Alla fine è andata bene, hai visto?”
L’altra gli rispose annuendo impercettibilmente, per poi uscire in strada assieme agli altri.
I quattro amici si salutarono e si divisero, ognuno in direzione della propria abitazione. Katniss era in compagnia di Peeta. Quasi aveva dimenticato che abitavano vicino. Dopo qualche minuto di camminata silenziosa, il biondo ruppe l’equilibrio stringendole la mano. Era una strana sensazione, la sua mano era grande e calda rispetto alla sua. Intrecciare le dita, le riuscì spontaneo quasi quanto il respirare.
“Non so se questa è una cosa che ti fa piacere. Ma ho voluto provarci lo stesso.” si giustificò lui.
L’altra gli sorrise: “Hai fatto bene a provarci.”
Rimasero in silenzio, un silenzio confortante, non carico di tensione. Una quiete che trasmetteva sicurezza, serenità, non tempesta.
“Qual è il tuo colore preferito?” le chiese lui improvvisamente.
“Il verde. Perché questa domanda?”
L’altro sollevò leggermente le spalle: “Volevo solo sapere qualcosa in più su di te. Mi sembra strano che io sappia ad esempio tu come baci, senza però conoscere le cose più semplici.”
“Non è questo il punto di frequentarsi senza impegno?”
“Non per me. Senza impegno non significa che io non debba conoscere la vera Katniss. Significa solo che non dobbiamo fare piani per il futuro. Né a breve né a lungo termine. Ma durante il presente, voglio conoscerti. E vorrei che tu conoscessi me.”
La ragazza ci pensò per un momento. Era chiaro il loro rapporto. Non riusciva a trovare alcuna obiezione valida al ragionamento di Peeta.
“Invece, qual è il tuo colore preferito?”
L’altro le sorrise compiaciuto: “L’arancione. Come quello del tramonto. Perché se è vero che a New York la notte non è mai buia e le stelle non sono mai visibili, è pur vero che su qualsiasi tetto, su qualsiasi grattacielo tu ti trova, potrai assistere, ogni volta, al tramonto più bello di tutta la tua vita.”
“Ogni tramonto qui è il più bello della tua vita?”
“Sai, non deve esserci necessariamente una classifica. Ognuno di loro è bello per qualche elemento, per qualche particolare. Quindi, sì, ognuno di loro indistintamente è il più bello che tu possa vedere durante un’intera vita.”
“A me sembrano tutti uguali.” commentò lei pensierosa.
“Non tutti hanno l’occhio dell’artista.” finse di pavoneggiarsi lui.
 
Dopo una ventina di minuti raggiunsero il palazzo in cui viveva Katniss. Quando lui iniziò ad aprire la bocca per parlare, lei subito lo zittì con un bacio. Appassionato quanto quello che si erano scambiati qualche ora prima. Le loro mani continuavano ad accarezzare l’altro. Le loro labbra erano unite ed i loro corpi schiacciati uno contro l’altro.
Dopo qualche minuti entrambi dovettero staccarsi, affannati, per riprendere fiato.
“Credo di aver trovato un modo per zittirti finalmente.”
“Non sai quanto mi faccia piacere che tu mi chiuda il becco.”
“Peeta, abbiamo una relazione senza impegni?”
“Senza impegni.”
“Senza sentimenti?”
“Senza sentimenti.”
“Vuoi restare con me stanotte?”
“Questa proposta mi sa d’impegno.” ridacchio lui, per poi stringerla nuovamente a sé riprendendola a baciarla.
E sempre baciandosi riuscirono ad entrare nell’appartamento della ragazza e a trovare finalmente il letto. Senza pensare, senza riflettere, senza ragionare, aprirono la strada alla loro passione. In modo lento, straziante, assaporando ogni minimo istante. Spinti solo dalla loro attrazione, decidendo di soccombere ad essa, solo nei modi e nei tempi da loro stabiliti. Perché erano giovani, avevano tutto il tempo di cui avevano bisogno. Avevano una vita avanti e potevano viverla come volevano.
 

Salve a tutti. Ci ho messo molto più tempo del solito ad aggiornare questa volta, ma purtroppo ho tantissimi impegni, quindi non è semplice ritagliare un angolo di tempo da dedicarmi alla scrittura. Spero, però, che il capitolo riesca a compensare l’attesa. Let me know!
Una recensione fa sempre piacere (molto, molto, ma molto piacere!), ma grazie anche a tutti quelli che semplicemente leggono.
Un bacio,
Serena

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Ricordava il giorno in cui aveva conosciuto Gale. Come avrebbe potuto dimenticarlo? I giorni in cui la sua vita aveva subito uno scossone ed era cambiata radicalmente erano impressi in modo indelebile nella sua memoria.
Il giorno del suo dodicesimo compleanno.
Il giorno in cui sua madre aveva ricominciato a lavorare.
Il giorno in cui aveva conosciuto Gale.
Il suo migliore amico gli aveva cambiato la vita. In meglio. Le parole non avrebbero mai potuto spiegare cosa rappresentasse per lei. Una roccia. Un appiglio. Un’ancora.
Era l’unica persona con la quale era riuscita ad aprirsi completamente. Conosceva tutte le sue paure, ogni sua lacrima, ogni sua cicatrice.
Non poteva essere diversamente.
Condividevano un passato. Un dolore indescrivibile, impronunciabile. Una sofferenza che si rinforza giorno dopo giorno. Che attecchisce nelle insicurezze umane e si nutre della disperazione che genera. Un tumore che si riproduce trasferendosi dal centro in tutte le zone periferiche dell’organismo. E proprio come questo, ti uccide. Uccide per sempre una parte di te. Aveva distrutto, annientato, in modo lento, straziante e doloroso il Gale e la Katniss bambini. Entrambi erano cresciuti improvvisamente. Avevano perso la dolcezza e l’innocenza dei bambini nel giro di pochi giorni.
 
Era l’agosto dei suoi dodici anni. Non c’era scuola. Il sole era alto in cielo. I bambini più fortunati stavano trascorrendo qualche giorno di vacanza al mare. L’anno precedente anche la famiglia Everdeen era al mare. In Florida. Ricordava ancora l’acqua fresca e rigenerante. La sabbia morbida e bollente sotto i piedi. Le corse per arrivare al bagnasciuga. I castelli di sabbia che crollavano sotto l’azione delle onde. Le lezioni di nuoto che suo padre iniziava ad impartire a Prim. La piccola di casa aveva finalmente deciso, non senza timore, di abbandonare i braccioli.
A distanza di dodici mesi, si ritrovava invece a camminare da sola. Il sole era ugualmente cocente, ma non c’era nessun luogo in cui riuscisse a trovare un po’ di refrigerio. Sua madre era andata in una clinica privata locale per sostenere un colloquio di lavoro. Prim era a casa di una compagna di scuola. Probabilmente a quest’ora stavano giocando nella piccola piscina gonfiabile della famiglia Prescott. Suo padre era sparito tre mesi prima. Non una telefonata. Non una notizia. Si era volatilizzato.
Senza nemmeno badare alla direzione dei suoi passi, si ritrovò nel bosco che si stagliava al limitare della piccola cittadina. Finalmente riuscì a trovare un po’ di refrigerio all’ombra degli imponenti alberi. Si sedette alle radici di una quercia, la schiena poggiata al tronco irregolare. Inspirò l’odore delle foglie, dei fiori. Chiuse gli occhi e cercò di elaborare quello che nei suoi occhi di bambina doveva necessariamente essere un film. Uno di quegli squallidi film drammatici di quart’ordine. Un padre che abbandona la moglie con due figlie. La donna che, da casalinga, è costretta a trovarsi un lavoro da cameriera per pagare le bollette in attesa del posto di lavoro dei suoi sogni. Una figlia che da piccola benestante, che non aveva mai badato a quanti soldi poteva spendere in vestiti, giocattoli o dolci, non riusciva più ad addormentarsi con lo stomaco pieno. Una bambina di otto anni che non avrebbe più rivisto il padre e che, probabilmente, alla fine non avrebbe nemmeno più ricordato. O almeno questo, con un po’ di fortuna, Katniss lo sperava. Nemmeno più un ricordo meritava di essere quell’uomo. Una rabbia forte ed incontrollata la percorse da capo a piedi. Tremava. Sentiva le mani stringersi a pugni e il sangue affluirle al viso. Non riusciva nemmeno più a mettere a fuoco l’orizzonte. Le figure di fronte iniziavano a sbiadire. Le ombre si confondevano. Gli uccelli erano solo macchie proteiformi che viaggiavano da un punto all’altro del cielo.
Fu solo quando sentì i suoi singhiozzi si rese conto di star piangendo. Piangeva disperatamente. Non aveva mai pianto fino a quel momento. Non voleva che la madre o la sorellina si preoccupassero anche per lei. Doveva essere forte. Non doveva essere un peso per nessuno. Non poteva permetterselo. Aveva paura di esserlo. Un peso finisce per essere abbandonato. E lei non voleva più esserlo. Sarebbe migliorata, sarebbe cresciuta, sarebbe diventata indipendente. Sarebbe diventata qualcuno su cui gli altri si sarebbe potuti appoggiare. Sarebbe diventata necessaria. In questo modo nessuno più l’avrebbe potuta abbandonare.
Quando anche l’ultima lacrima si fu seccata sulla sua guancia, sentì un ronzio provenire da lontano. Una macchia grigia si stagliava all’orizzonte. Non riusciva a mettere a fuoco lo strano uccello grigio con una lunga coda. Si alzò in piedi di scatto. La curiosità la spinse ad avvicinarsi a quella strana creatura. Più si avvicinava, più non sapeva decifrare quello strano essere. Improvvisamente, questo si posò a terra a pochi metri di distanza. Con passo lento e silenzioso, cercò di avvicinarsi. Il cuore le batteva forte. Le mani le sudavano. I sui occhi spalancati erano vigili e concentrati. Iniziò ad allungare una mano verso quella strana cosa, quando una voce la fece sobbalzare.
“Cosa credi di fare? Quello è il mio elicottero!”
La voce apparteneva ad un ragazzo. Era magro e alto. Più alto di qualsiasi ragazzo che frequentava la sua classe. Aveva i capelli neri e gli occhi grigi. La sua pelle era scura per il sole.
“Volevo solo capire cosa fosse.” rispose con un filo di voce, intimidita dall’autorità che quel ragazzo più grande emanava.
“Sei una femmina. Non puoi capire.” la liquidò subito lui avvicinando alla cosa.
“Sarò anche una femmina, ma non sono stupida!” si infervorò subito, rispondendolo a tono.
Lui la fissò per un attimo, per poi indicare con lo sguardo la strana scatola grigia che aveva in mano. Aveva una lunga antenna grigia.
“Non lo dico perché sei stupida. Ma perché questo è un gioco per maschi. E’ un elicottero radiocomandato e questo è il suo telecomando.”
Katniss guardò i due nuovi oggetti affascinata. “Posso vederli?”
Il ragazzo annuì facendole segno di avvicinarsi. Erano i giochi più belli che avesse mai visto. Niente bambole. Niente cucine giocattolo. Nessun castello magico. Era un piccolo elicottero funzionante, che volava davvero e che poteva essere pilotato da lontano con un semplice telecomando.
“E’ fantastico…” commentò lei estasiata.
L’altro le sorrise entusiasta: “Sei intelligente per essere una femmina.”
Il giorno dopo, incontrò nuovamente quello strano ragazzo che sembrava già un adulto. E anche il giorno dopo. E ancora quello dopo. Non s’erano mai dati un appuntamento preciso, eppure ogni giorno allo stesso orario, entrambi erano lì. Passeggiavano, giocavano, parlavano. Katniss presto scoprì che Gale aveva due fratelli ed una sorellina più piccola. La madre lavorava in una lavanderia. Suo padre era morto l’anno precedente.
“Era un militare. E’ stato coinvolto in un incidente aereo. Sai, era un pilota. Guidava gli elicotteri dell’esercito. Questo – disse indicando l’elicottero che aveva riportato con sé – è l’esatta riproduzione di quello che guidava lui. Me l’aveva regalato il giorno in cui è partito per il suo ultimo viaggio. Ho quattordici anni, sono troppo grande per continuare a perdere tempo coi giocattoli. Solo, non riesco a staccarmi da questo elicottero. E’ l’ultimo ricordo che ho di lui. So che è difficile da capire.” concluse ridendo imbarazzato.
Katniss non rispose. Era difficile da capire. Soprattutto quando l’unica cosa che lei, invece, voleva era dimenticare. Dimenticare tutto di suo padre.
“Tuo padre che fa, invece?”
“E’ morto anche lui.”
E, in cuor suo, sapeva che, per lei, era peggio che morto. Avrebbe preferito di gran lunga che fosse morto. Sapeva, però, che non avrebbe mai potuto dire queste parole ad un orfano di padre. Gale seppe la verità solo dopo settimane. Ma non fece commenti. Non le fece notare la sua bugia. Semplicemente, continuarono a passeggiare assieme come avevano sempre fatto.
L’estate passò, anche l’autunno. In poco tempo, anche gli anni iniziarono a volare e Gale era diventato tutto il suo mondo. Ogni volta che la madre era al lavoro, ogni volta che Prim era affidata alle cure di qualche altra donna, Gale era con lei. Da quando lo aveva incontrato, non aveva più saputo cos’era la solitudine.
Questo fino al diciottesimo compleanno di lui.
“Stai per farlo anche tu! Sapevo che l’avresti fatto! Avrei dovuto aspettarmelo! Perché, Gale? Perché?” gli urlò contro una sera d’estate.
“Sto per fare cosa?! Sto realizzando il mio sogno, Katniss! Tu più di tutti dovresti capirmi!” la sua voce era ugualmente alta. I loro volti erano contratti in una smorfia di rabbia e risentimento.
“Lascia perdere. Non ne vale la pena!” e così dicendo gli voltò le spalle e lo lasciò da solo nel bosco. Dopo pochi giorni, Gale si arruolò nell’esercito e partì per il corso d’addestramento in Ohio. Quando arrivò il Natale, quell’anno Katniss non aspettava alcun dono. Solo la sua seconda chance. Quando lo vide varcare l’uscita dell’aeroporto, non riuscì più a trattenersi. Gli corse incontro e lo strinse in un forte abbraccio.
“Scusami Gale, scusami.”
“Scusami tu. Avrei dovuto immaginarlo. Ma dovevo farlo, ti prego, cerca di capire.”
“Lo so…”
 
 
“Forza, alzati!”
Un grugnito di protesta si levò dall’altro lato del letto matrimoniale.
“Devi alzarti, faremo tardi! E poi ho fame.” continuò lei a lagnarsi.
Peeta finalmente si rigirò nel letto. Era steso supino, le mani a stropicciarsi gli occhi.
“Alla buon’ora. Sono già le dieci. Dobbiamo sbrigarci.”
L’altro le rivolse uno sguardo tagliente, per poi sbadigliare rumorosamente.
“Il tuo alito puzza ancora di birra.” commentò fingendosi disgustata.
L’altro ignorandola si mise finalmente seduto. Poi, improvvisamente, realizzò l’intera situazione e si voltò verso di lei. “Dimmi, ancora, perché ho acconsentito a questa cosa?” le chiese con voce ancora impastata.
“Perché non voglio pagare la consegna e tu sei abbastanza forte per trasportare una poltrona letto dall’auto fino a su in casa.” gli rispose in tono pacato e razionale.
L’altro annuì debolmente, per poi dirigersi verso il bagno. Lasciando la porta socchiusa, chiese ancora: “Pancake?”
“Ovvio. Altrimenti avrei cucinato io.”
Quando fu uscito dal bagno, si diresse in cucina ed iniziò a mettersi al lavoro.
“Sai, questa nostra cosa inizia a non piacermi più.” commentò lui.
Katniss subito sorrise. “Cosa è successo, adesso?”
“Credo che tu mi usi solo per le mie abilità culinarie.”
“E sarebbe un male perché?”
“Sai, se mi usassi per la mia intelligenza, per la mia capacità a letto, per la mia prestanza, andrebbe bene. Ma il fatto che tu approfitti delle mie abilità culinarie, non fa molto bene al mio ego.” rispose ironicamente.
“Ma oggi ti uso come facchino! Solo un uomo forte come te avrebbe potuto offrire questo servizio.”
“Zitta donna e apparecchia.” concluse la conversazione lui con finto tono duro.
Erano passate tre settimane da quando lei e Peeta avevano deciso di frequentarsi. La mattina dopo si era sentita particolarmente in imbarazzo: non le era capitato spesso di svegliarsi nel suo letto assieme ad un uomo. L’imbarazzo era stato però subito stemperato da lui. “Preparo la colazione?” le aveva chiesto subito dopo essersi completamente svegliato. Lei aveva semplicemente annuito e, ancora un po’ intontita dalla situazione, lentamente si era sentita sempre più a suo agio. Le cose tra loro erano così. Semplicemente normali. Nessuno dei due programmava. Nessuno dei due analizzava. Semplicemente agivano. Facevano ciò che volevano, senza doppi fini, senza troppe preoccupazioni. Se una sera volevano incontrarsi, semplicemente si chiamavano. Durante la settimana era capitato che avessero cenato assieme, poi ognuno tornava al proprio appartamento. Dovendo lavorare la mattina, era preferibile rimanere ognuno a casa propria.
Questa era la più evidente differenza tra la relazione che aveva con Peeta, rispetto a tutte quelle che aveva condotto fino a quel momento. Con lui c’era del sesso, ma non era solo quello. Lo aveva capito già dal primo lunedì. “Stasera cena?” era il messaggio che le aveva inviato al lavoro. “Certo.” gli rispose immediatamente. La cosa più stupefacente, però, fu il ritorno a casa. Solo un bacio sulle labbra, e dopo pochi secondi Peeta fu fuori dal suo campo visivo.
Non era un aspetto positivo della loro relazione. Era l’occasione che presupponeva un di più. Era la routine che portava con sé familiarità. Era il sentimento che scacciava la solitudine. Ed era qualcosa cui non auspicare. Avere qualcuno con cui parlare la sera dopo il lavoro, avere qualcuno con cui lamentarsi dei colleghi stacanovisti, avere qualcuno con cui ridere scacciando via lo stress della giornata. Era qualcosa cui ci si abituava facilmente. E lei non poteva permetterselo. Aveva imparato che questo tipo di felicità non dura a lungo. E lei non voleva tornare a piangere nei boschi. Non con Gale così lontano.
Eppure non riusciva a negargli quei momenti. Lui le aveva concesso l’incertezza. Lei poteva offrigli almeno la routine.
Se dentro di sé, continuava a ripetersi che non era reale, che non c’erano sentimenti, al termine di tutto non avrebbe sofferto. O almeno così sperava.
Il fine settimana subito dopo la cena da Finnick, aveva trascorso il venerdì sera a casa di lui. Era un appartamento più spazioso del suo. Le mura erano dipinte con maestria, di tanti colori vivaci. La cucina era rosa pallido, il salone e l’ingresso di un tenue giallo. La sua camera da letto, invece, era di un arancio rosato. “Il colore del tramonto” lo aveva definito lui. Eppure, lei, ancora non aveva visto nessun tramonto di quel colore. Quelle mura erano troppo perfette per poter rispecchiare la realtà.
Quella domenica mattina, invece, Peeta era rimasto a dormire da lei. La sera prima erano usciti a bere qualcosa con Rye e Johanna. Avevano subito alzato un po’ il gomito e, quindi, ancora non ricordava bene come precisamente erano giunti a casa sua. Ad ogni modo, non se ne preoccupava.
“Terra chiama Katniss.”
“Mh?”
“Muoviamoci, non voglio stare tutto il giorno in giro alla ricerca di una brandina.”
L’altra sbuffò. “Non è una brandina! E’ una poltrona letto.”
“Come vuoi.” Liquidò lui subito la situazione.
Da un paio di giorni, Peeta era diventato un po’ più brusco nei suoi confronti. Ieri sera aveva ipotizzato che, semplicemente, era una giornata no. Ma iniziava ad irritarla, quella mattina, il suo modo di fare. Cercava di ripensare agli avvenimenti degli ultimi giorni, eppure, non ricordava di essersi comportata in modo diverso dal solito. Inoltre, prima di ieri non si erano visti per tre giorni. Katniss era andava a San Diego per lavoro e si erano sentiti solo un paio di volte per telefono. Non avrebbe avuto modo di fare qualcosa di sbagliato.
Convincendosi del fatto che fosse solo una seconda brutta giornata, si vestirono ed uscirono per strada.
Raggiunsero a piedi il negozio di arredamento in cui lei aveva notato un’offerta per una poltrona letto: solo 300 dollari. Vista l’imminente visita di Gale di lì a pochi giorni, si era convinta che fosse giunta l’ora di acquistarne una. Inoltre in questo modo, anche le visite di Prim sarebbero state più comode. Non avrebbero più dovuto dividere il letto. Non pesava a nessuna delle due, ma almeno in questo modo, qualche volta, sarebbe potuta venire anche la madre per passare qualche giorno tutte assieme.
Appena varcata la soglia, subito adocchiò la poltrona rossa dell’offerta. Era un colore troppo vistoso e sgargiante per i suoi gusti, ma dato il prezzo, non poteva permettersi di essere schizzinosa. Con l’aiuto della commessa, la aprirono per valutare il materasso.
“Non è molto ampio, meno di una piazza, ma almeno in questo modo, anche aperto non dovrebbe occupare troppo spazio” le spiegò cortesemente la commessa.
Katniss posò il suo sguardo su Peeta. Era più basso di Gale, ma aveva le spalle decisamente più ampie. “Che ne dici di provarlo? Così posso farmi un’idea e valutare se fa al caso mio.” gli chiese. Il biondo sospirò nervosamente. “Mi ci devo stendere sopra?”
“Se vuoi.” gli rispose sulla difensiva, notando ancora il suo cattivo umore. L’altro semplicemente scrollò le spalle e si distese.
“Mh, Gale è più alto, ma credo che forse potremmo farcela con un materasso di questa lunghezza. Sì, credo che vada bene. La prendo.” statuì rivolgendosi alla commessa.
Quando questa si fu allontanata, si rivolse poi al biondo. “C’è qualcosa che non va?”
“Stavo pensando che se il tuo amico non ci dovesse entrare, potresti dormirci tu e lasciare a lui il letto matrimoniale.”
“Tu dici che dovrei?”
“Si, decisamente.” concluse ancora con voce aspra.
Anche questa volta, Katniss decise di lasciar perdere. Con un po’ di difficoltà riuscirono a trasportare la poltrona grazie al furgoncino messo a disposizione dal negozio. Poi, Peeta riuscì a trascinarlo per due rampe di scale fino al suo appartamento.
“Ora posso andare o ti servo per qualche altra cosa?”  
“Peeta, è successo qualcosa? Se hai qualche problema, puoi parlarmene.” si ritrovò a chiedergli dolcemente. Non sopportava più quella versione meschina del biondo.
“Non lo so, è successo qualcosa?” le rispose a tono lui.
“In che senso, scusa? Ho fatto qualcosa io?” gli chiese nuovamente incredula.
Lui si passò nervosamente una mano tra i ricci, per poi sedersi sul divano.
“Non lo so, Katniss. Forse sono solo un po’ nervoso. Quando arriva il tuo amico?” tentò di cambiare discorso.
“Mercoledì.”
L’altro annuì debolmente.
“Lo incontrerò?”
Questa domanda la spiazzò leggermente. Non ci aveva realmente pensato. “Se capita, perché no? Non ho davvero fatto piani. Se Gale vorrà uscire anche con voi, organizzeremo. Starà qui solo qualche giorno, magari vorrà trascorrere più tempo possibile con me. Posso provare a proporglielo.” concluse poi con voce più soffice.
“Io per te sono come tutti gli altri.” mormorò in tono basso. Probabilmente era una constatazione rivolta a se stesso e non a lei.
“Io… No, certo che no, in che senso scusa?” si ritrovò a corto di parole lei.
Lui subito si alzò dal divano e si diresse verso la porta.
“Lascia perdere, Katniss. Non è solo questo. Anche i giorni in cui sei stata fuori. Io… io ancora devo abituarmi a questa situazione. Non è facile per me.”
Percependo il silenzio della ragazza, aggiunse poi: “E’ meglio che vada, ci vediamo.”
“Aspetta Peeta. Non è facile nemmeno per me. Anche io mi sto abituando.”
“A me sembra che tu stia andando alla grande.”
E detto questo si chiuse la porta alle spalle.
 
 
“Così non vi sentite da ieri?” chiese Johanna. Erano in pausa pranzo nell’ufficio di Finnick. Il lunedì si sentivano sempre troppo fiacchi per andare a mangiare qualcosa in qualche tavola calda.
“Ma tu hai provato a chiamarlo la sera?”
“Certo  che no. Perché dovrei essere io a chiamarlo? Tutto il finesettimana si comporta in maniera fredda e scorbutica, senza spiegazioni esce da casa mia e adesso dovrei anche essere io a chiamarlo per prima?” le rispose in tono indignato.
“In amore non c’è posto per l’orgoglio.” S’intromise Finnick dando un morso al suo sandwich.
“Appunto. Amore. Io e Peeta stiamo uscendo assieme da soli pochi giorni e lui già inizia ad avere pretese su di me assurde. Cosa si aspetta? Non capisco cosa vorrebbe di più da me. Anzi, davvero, non mi interessa. Non dovrebbe aspettarsi nulla da me. Così eravamo d’accordo: senza impegno, senza legami. Ecco perché non volevo iniziare nessun tipo di relazione con lui! Evidentemente non è in grado di essere distaccato.” 
“Da quanto mi ha detto Rye, Peeta ha sempre avuto relazioni serie.” aggiunse l’amica tra un boccone e l’altro.
Katniss lo aveva già immaginato. E questo significava solo una cosa: la loro storia non aveva futuro. Non poteva continuare. Ed ora che ne aveva avuto conferma, doveva porre un termine a tutto ciò.
Una volta uscita da lavoro, si diresse immediatamente verso casa di Peeta. Una fermata di metro da casa sua. Questa era la distanza che li divideva. Due minuti di metro. Erano le 19. Il sole era da poco tramontato. L’aria primaverile era fresca. Il palazzo in cui viveva, era una di quelle vecchie costruzioni in mattoni chiari, a più piani con le scale di sicurezze esterne in bella vista. Il portone d’ingresso del palazzo era aperto, decise quindi di salire i tre piani e di raggiungere direttamente la porta d’ingresso dell’appartamento. Con un profondo respiro, bussò al campanello. Sette secondi. Probabilmente furono solo sette i secondi che passarono prima di scorgere il viso del ragazzo. La sua pelle chiara, le onde bionde, gli occhi azzurri. Appena la vide, il suo viso si contrasse in un’espressione confusa. Katniss notò la stanchezza sul suo volto. Si chiese se fosse stata lei a procurargli queste pene. Questa situazione doveva finire.
“Ciao, Katniss. Non ti aspettavo, entra.” Le disse facendosi da parte e permettendole di entrare, chiudendole la porta alle spalle.
“Come mai qui?” Le chiese ancora.
“Ho bisogno di parlarti.”
L’altro fissò gli occhi chiari in quelli scuri di lei. Parve leggervi qualcosa, perché dopo poco sbuffò e si passo una mano tra i capelli.
“Senti, oggi non è giornata. Io non ho voglia di parlare, se tu vuoi, fallo, ti ascolto.” E si sedette sul divano di pelle marrone al centro del salone.
“Allora. – iniziò prendendo un profondo respiro. – Volevo parlarti di quello che è successo ieri…”
Le sue parole vennero interrotte dallo squillo del telefono di casa. Peeta che non la stava nemmeno guardando in faccia, scattò improvvisamente in piedi e con un balzo prese in mano il ricevitore.
“Pronto, Delly? Novità? Hai parlato con la Perry? E la famiglia?”
Katniss vide il suo volto illuminarsi e la sua mano stringersi in un pugno trionfale. In pochi secondi tutto il suo corpo passò dall’emanare disperazione a gioia.
“Grande Delly, sei grande! Io ti amo!” esclamò con una lunga risata. Lo stomaco della ragazza si contrasse spiacevolmente, ma scacciò la sensazione con un sospiro lieve e un’alzata di spalle.
“Non so come ringraziarti! Cena domani sera? No, non preoccuparti. Allora a mercoledì. Si, sono libero, nessun disturbo, non preoccuparti. A domani allora, ciao e grazie ancora!” Chiuse il ricevitore continuando a sorridere. Era un sorrise che emanava luce e soddisfazione. Ma il pensiero che questa gioia non era dovuta a lei, continuava a crearle un forte disagio.
“Chi era al telefono?” gli chiese più bruscamente del previsto.
“Ah, nessuno non preoccuparti. Che dicevi prima?” le disse liquidando la questione e sedendosi nuovamente sul divano, questa volta in modo più rilassato e rivolgendo tutta la sua attenzione a lei.
“A me non sembrava nessuno. Chi era?”
“Katniss, qual è il problema? Parla, ti prego. Sono stanco, domani ho una giornataccia avanti, e davvero non era nessuno di importante al telefono. Ti prego, parla, così posso andare a riposare.” La pregò con tono stanco.
L’animo della giovane s’infervorò improvvisamente. Perché non voleva parlarle di quella Delly? Perché mercoledì sera avrebbero cenato assieme? Perché era così felice di parlare con Delly, mentre lei veniva liquidata con poche parole affrettate? E soprattutto, perché sentiva di odiare così tanto una persona che non aveva mai nemmeno incontrato?
“Va bene, Peeta, sai che ti dico? Va pure a dormire, non è importante quello che devo dirti. Anzi, niente di ciò che facciamo assieme è importante. Quindi, dimenticatene. Amici come prima!” gli urlò contro le ultime parole.
Il ragazzo alzò un sopracciglio confuso. “Scusami, Katniss, non volevo offenderti, solo che questi ultimi giorni sono stati davvero pesanti per me.”
“Adesso avrai modo di riprenderti e di uscire con chi vuoi, anche con Delly” e detto questo si avviò alla porta. Peeta in pochi secondi le fu davanti e le bloccò di peso la porta.
“Se non ti conoscessi meglio, penserei che tu sia gelosa di me.” le mormorò in tono malizioso.
“Io non sono mai stata gelosa di nessuno e certamente non inizierò con te.” gli rispose in tono aspro. Vide Peeta accusare il colpo, per poi riassumere, con nuova consapevolezza, la stessa espressione compiaciuta di prima.
“Guarda che non c’è nulla di male ad essere gelosi. Significa solo che teniamo a una persona e che non vogliamo perderla.”
Katniss sbuffò annoiata dalle sue parole dette con troppa convinzione.
“Devo ammettere che anche io sono un po’ geloso. Dell’arrivo di Gale, sai? Lui è il tuo migliore amico, conoscerà tutto di te. Io, invece, non so nulla. Oltre a che lavoro fai e che hai una sorella. Non mi sembra molto.”
“Nemmeno io so nulla di te. Solo che sei un artista, un insegnante e che hai un fratello.” gli rispose sulla difensiva.
“In realtà ho due fratelli. I miei genitori sono divorziati. Mio padre vive ancora qui a New York, mia madre si è trasferita in Texas col suo fidanzato. Non la vedo da dieci anni circa. Ma continua a mandarmi cartoline d’auguri ogni natale e compleanno, quindi, forse, dovrei ritenermi fortunato. I miei fratelli nemmeno quelle ricevono. Ho diversi amici che frequento da quando sono bambino. Questa è una delle fortune di essere cresciuti a New York: qualcuno va via, ma la maggior parte rimane sempre qui. Abbiamo la possibilità di farlo, è una città che offre tantissimo. Non c’è bisogno di trasferirsi, a meno che tu non lo voglia, certo! Mio fratello maggiore, ad esempio, è andato via. Troppa confusione diceva.”
“Comprensibile…”
Peeta ridacchiò. “Già, mi ero dimenticato che anche tu non sei una fan della grande mela! Tornando alla storia della mia vita, Delly è uno di quei numerosi amici d’infanzia dai quali non puoi e non vuoi allontanarti. Ormai, siamo anche colleghi di lavoro. Insegniamo nella stessa scuola. Lei inglese, io arte. Abbiamo questo studente in comune. Un ragazzino di dodici anni, che si è ammalato di leucemia. Jamie. La famiglia non ha alle spalle un situazione economica piuttosto stabile ed è per questo che io e Delly abbiamo deciso di organizzare una giornata di beneficenza. Questo sabato. Per cercare di raccogliere più denaro possibile.”
“Con cosa attirerete le persone?”
Peeta si passò nuovamente una mano tra i capelli. “Non sappiamo ancora. Non credo che i miei quadri possano attirare troppa gente, inoltre, credo sia preferibile puntare su qualcosa che possa essere venduto a pochi dollari. Pensavo a caramelle, muffin, cupcakes.”
“Non basta. – lo interruppe lei. – Dovete organizzare una qualche attività che possa coinvolgere i ragazzi. Direi una gara di corsa, una partita di basket, una caccia al tesoro. Dobbiamo creare un incentivo anche per i genitori: portate da noi i vostri ragazzi, noi ve li restituiremo scarichi. In questo modo loro potranno rilassarsi mangiando dolciumi e sorseggiando bibite fresche, mentre i ragazzi si divertiranno tra di loro. Non credi?”
Il ragazzo la guardò leggermente stupito. Poi con voce dolce le disse: “Direi che è un’ottima idea, ma avremo bisogno dell’aiuto di qualcuno che sappia fare da animatore a questi ragazzini. Non è un compito semplice.”
“Quando hai detto che ci sarà questa manifestazione?” gli chiese interrompendolo.
“Sabato, perché?”
“Perfetto! Ci penseremo noi, non preoccuparti! Io e Gale abbiamo sempre partecipato ai campeggi organizzati dall’associazione scout della nostra città. Lascia fare a noi.”
Peeta visibilmente incredulo subito si alzò per abbracciarla.
“Katniss, davvero grazie! Non sai quanto apprezzi il tuo aiuto. E’ da quando ho saputo della sua malattia, che continuavo a torturarmi. Non sapevo cosa fare, ma sapevo che dovevo cercare in qualche modo di aiutare tutti loro. I suoi genitori non avrebbero mai accettato una semplice colletta, quindi l’unica alternativa che avevo era offrire qualcosa in cambio di denaro. L’unica cosa che potevo fare era offrire dolci. Non avrei mai immaginato che ti saresti unita a noi e che ci avesti aiutato così spontaneamente, grazie!”
“E’ per questo che eri così lunatico ultimamente?”
L’altro ridacchiò tristemente. “Certo, ero arrabbiato, anzi, sono arrabbiato per la malattia di Jamie. Nessun dodicenne dovrebbe ammalarsi così gravemente. Inoltre, ero anche arrabbiato con te.”
La ragazza subito si staccò dal suo abbraccio. “E perché mai eri arrabbiato con me?”
“Perché sono geloso, è ovvio! Sono geloso di Gale e di Finnick.”
“Cosa?! Ma Finn è sposato!”
“Non sono geloso del fatto che tu possa innamorarti di loro, sono geloso del fatto che loro conoscono una Katniss a me sconosciuta. Io non so nulla della tua vita e tu non vuoi aprirti con me, pensando che confidandoti con me tu possa in qualche modo far evolvere la nostra relazione e renderla impegnativa. E tu non vuoi nulla di impegnativo nella tua vita. E guarda, posso accettarlo, ma non lo capisco. E non lo capisco perché non ti conosco e perché tu non vuoi che io ti conosca. E’ un cane che si morde la gola.”
Erano giunti al momento della verità.
“Io ero venuta qui per troncare la nostra relazione.” gli disse con voce ferma, guardandolo negli occhi. Per sua sorpresa, Peeta non sembrava sorpreso.
“L’avevo capito. Non mi aspetterei mai una tua visita a sorpresa per un motivo diverso da questo.”
“Non capisco. Perché adesso non sei arrabbiato, deluso o altro? Sei solo felice.” gli fece notare con tono leggermente deluso.
“Non fraintendermi. Ero arrabbiato appena sei venuta, ma dopo la chiamata di Delly ho rimesso a posto i vari pezzi del puzzle. Tu potresti anche rompere la nostra relazione assieme, ma non posso farmi abbattere da questo. Ho qualcuno che ha bisogno di me. La mia vita andrà avanti lo stesso. Inoltre, davvero non sono triste, perché sono certo che non stai per rompere con me. Non te lo permetterò. E non lo permetterai nemmeno tu. Almeno non fino a sabato.” concluse ridacchiando.
Anche Katniss non riuscì a trattenere un sorriso. “Okay, credo che fino a sabato riuscirò a sopportarti.”
“Però devi promettermi una cosa. – la interruppe improvvisamente serio. – Devi aprirti con me. Non voglio essere solo il tipo con cui fai sesso, voglio essere anche tuo amico e voglio che tu sia mia amica. Ho bisogno di sapere se posso parlare con te dei miei problemi. Quando tu eri a San Diego e io ho saputo del problema di Jamie, ero combattuto. Volevo chiamarti e sfogarmi con te, ma contemporaneamente non sapevo se potevo farlo e se a te avesse fatto piacere sentirmi. Non so come comportarmi, tu mi confondi. Devi capire che questa situazione è nuova per me e non so qual è il mio ruolo, il mio compito.”
Katniss gli prese le mani e le strinse alle sue. “Ci proverò. Ci proverò davvero ad aprirmi con te, ma sappi che non sarà facile. Non amo molto parlare di me. Se vorrai sapere qualcosa sarà meglio che tu inizi a porre qualche domanda. Invece tu, tu puoi parlarmi di tutto ciò che vuoi, davvero. Sono felice di poterti aiutare sabato e sarei felice se tu ti confidassi con me ogni volta che avrai un problema. Possiamo essere amici, davvero. Posso essere qui per te.”
“Grazie, ma non mi basta.”
Tenendola per mano la portò a sedersi sul suo divano.
“Io ti ho parlato di Delly. Ora voglio sapere di Gale. Da quanto tempo siete amici?”
“Da quando avevo dodici anni. Siamo cresciuti assieme. Poi lui è partito per l’esercito, ma siamo riusciti a rimanere sempre in contatto. Lui rimane sempre il mio migliore amico.”
“Prim disse che è stato anche qualcosa in più di un amico.”
Lei ruotò gli occhi al cielo. “Mai avuto un vero fidanzato. Solo storie poco importanti. Con Gale, c’è stato qualcosa. Gli voglio bene, ma nulla di romantico.”
“Qualcosa di che tipo? Un abbraccio, un bacio?”
“Con lui è stata la mia prima volta. Ma è stato solo quello, nulla di più.”
Prima di continuare Peeta fissò il suo sguardo sul muro di fronte.
“Solo una volta?”
“Solo una.”
“Dovrai aiutarmi, allora.”
“In che senso?”
“Dovrai aiutarmi ad accettare il fatto che la mia ragazza condivida l’appartamento con un suo ex per qualche giorno.”
“Ma non è un mio ex!”
“Infatti è qualcosa in più. Qualcuno con cui condividi un passato, qualcuno cui vuoi bene, qualcuno che forse è ancora l’uomo più importante della tua vita. Capisci il mio problema Katniss? Lui è qualcosa che io vorrei essere. Qualcosa cui aspiro ad essere. Cioè, solo in parte. Io vorrei essere molto di più. Ma vorrei essere anche quello.”
“Ma non è quello che abbiamo deciso.”
“Si fotta quello che abbiamo deciso! Questo è quello che voglio essere, e io farò di tutto per convincerti ad aprirti con me. Ci proverò con tutto me stesso.” le disse guardandola fisso negli occhi.
“Inoltre, tu e gli scout? Questa anche mi è nuova! Non ti immagino ad intrattenere ragazzini tutta la notte attorno al fuoco.” concluse in tono ironico, cambiando discorso ed alleggerendo l’atmosfera.
“Se sei povero in canna, credimi, faresti di tutto per mettere da parte qualcosa di soldi per il college. Anche intrattenere ragazzini viziati!” gli rispose ridendo.
“Sei una donna piena di sorprese, Katniss Everdeen.”
“Anche tu, Peeta Mellark.”
“Allora ti ho convinta?”
“A fare cosa?”
“A presentarmi come tuo fidanzato al tuo ex? A permettermi di conoscerlo?”
“Mi stai rendendo la vita un inferno, sappilo.” gli disse con un finto tono disperato.
“E’ quello che ci si aspetta dai fidanzati. Rovinarci la vita.” le rispose con un sorriso.
“Ed io in che modo te la starei rovinando?”
“Essendo così difficile! Io non sarei più felice di urlare al mondo che sto uscendo con te! Tu, invece, pare te ne vergogni e tendi sempre a nascondermi. Sono sorpreso anche del fatto che Rye, Johanna e Finnick sappiano di noi.”
“Io non mi vergogno di te, Peeta.”
“Lo so, ma questo è quello che provo. Soprattutto quando sembra che tu non voglia farmi conoscere Gale, soprattutto quando so che è una persona così importante per te.”
Con un sospiro, Katniss si ritrovò a cedere. “Arriva mercoledì. Quando vuoi incontrarlo?”
Sorridendole, le rispose: “Mercoledì sera. Io conosco Gale e tu Delly. Un bell’appuntamento a quattro.”
Sorridendogli di rimando, annuì col capo.
Peeta lentamente stava infrangendo ogni sua regola. E la cosa che più la sconvolgeva era che, infondo, quasi non le dispiaceva. Ne era quasi contenta.
Mercoledì avrebbe presentato a Gale, Peeta: il suo primo fidanzato.
 

 
Salve a tutti! Prima dell’arrivo di Gale avevo bisogno di un capitolo di transizione. Non mi sembra reale far evolvere la relazione tra Peeta e Katniss in modo troppo repentino. Dev’essere un’evoluzione lenta. Inoltre ho bisogno che i due inizino a conoscersi meglio, quindi, nonostante la mia prima intenzione era quella di far apparire Gale già da adesso, poi scrivendo, i miei piani sono mutati. Spero di non avervi deluso con questo capitolo, fatemi sapere! Ringrazio tutti quelli che hanno recensito la volta scorsa, vi adoro.
Quotando un’autrice americana su un altro sito di FF: Review make me smile
Un bacio e alla prossima,
Serena

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