The Other Side Of The Door

di Marti Lestrange
(/viewuser.php?uid=168998)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** poles apart. ***
Capitolo 2: *** hard out here. ***
Capitolo 3: *** begin again. ***



Capitolo 1
*** poles apart. ***



THE OTHER SIDE OF THE DOOR

capitolo 1
poles apart.
 
 
 
"Così spero che qualcuno bussi alla porta.
Non solo il vento."
 
 
 
 
"Ciao, Regina. Sono io, Sidney. Domani mattina temo di doverti dare buca per la nostra colazione del martedì. Parto direttamente per Storybrooke, per quell'articolo di cui ti ho accennato. Ci rivediamo martedì prossimo. Ciao ciao!"
 
 
Regina uscì dalla doccia e si strofinò leggermente i capelli bagnati con un asciugamano. Alcune gocce d'acqua colarono piano sul pavimento in legno, mentre il cielo fuori si tingeva di arancio. Il tramonto.
Sedette sul letto e si lasciò cadere sulla schiena, sospirando e chiudendo gli occhi. Aveva avuto una giornata piuttosto dura, in ufficio. Aveva appena concluso un difficile caso che aveva coinvolto la sezione francese e italiana dell'Interpol riguardo la diffusione di alcuni documenti sui servizi segreti. Il suo capo si era complimentato con lei per il modo in cui aveva svolto le indagini, accordandole una settimana di vacanza come "premio". Che diavolo avrebbe fatto, in quella dannata settimana? Henry era a casa di Emma Swan - la sua vera madre - e, anche se si trovava comunque a Londra, andarlo a prendere era fuori discussione. Il tribunale era stato piuttosto chiaro: "quando il ragazzo è con la madre biologica, la madre adottiva non deve in alcun modo intervenire, se non per gravi motivi". Ecco, al diavolo. E Sidney, il suo fidato amico Sidney, le lasciava un messaggio in segreteria dicendole che no, niente colazione, "parto direttamente per Storybrooke". Al diavolo anche Sidney. E dove diamine stava questa Storybrooke?
 
 
*
 
 
- Devi proprio andare?
- Mi spiace, Henry. Devo proprio.
- Però hai detto che sarà solo per pochi giorni, giusto?
- Giusto.
- E hai anche detto che non si tratta di niente di pericoloso, dico bene?
- Dici bene.
- Me lo prometti?
- Te lo prometto, Henry.
Il ragazzo alzò gli occhi su sua madre e le sorrise, incerto. Si trovavano sulla soglia di casa Swan, in una tranquilla strada di Kensington. Amene casette a schiera bianche di calce, colonnine doriche all'entrata e perfetti infissi decorati con simpatiche tendine di pizzo ricamate. Casa Swan aveva la porta rossa, era facilmente identificabile, ed Henry adorava quella zona di Londra.
Circa due anni prima, la biondissima Emma Swan, collaboratrice di giustizia a Scotland Yard, era apparsa nella vita di Henry come un uragano. O come un fantasma dal passato. Regina aveva strenuamente lottato per impedire che quella donna rovinasse la loro vita - il loro precario equilibrio famigliare - ripiombando tra loro e allontanando così suo figlio da lei, Regina, che lo aveva adottato a pochi giorni dalla nascita, che lo aveva cresciuto come figlio suo, che lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. La giustizia inglese si era resa ancora una volta ridicola. Emma Swan aveva ricevuto il permesso formale di stare con suo figlio almeno una settimana al mese. Le cose si erano progressivamente sistemate e il rapporto tra le due era passato dall'aperta ostilità dell'inizio ad una convivenza pacifica e adulta. Niente insulti, niente risse, niente lancio di coltelli nei corridoi del palazzo di giustizia, ma semplici strette di mano e normali convenevoli, dal banale "come va, Emma?" al ridicolo "spero che tu abbia passato un piacevole weekend, Regina". Insomma, niente di tutto ciò rientrava nel loro "essere se stesse", ma lo facevano per il bene di Henry. Soltanto per lui.
Regina era stata costretta a prolungare la permanenza di Henry a casa di Emma ancora per un po'. Era tornato a casa il lunedì mattina e il martedì era di nuovo a casa Swan. Il lavoro aveva interrotto la devastante settimana di vacanza di Regina, riportandola alla realtà e alla sua normale routine. Avrebbe preferito finire le vacanze, piuttosto che dover indagare sulla morte di un amico, però. In fondo, la morte non guarda in faccia nessuno. La morte avanza insieme al destino, sulla sua stessa strada parallela, in attesa di incrociarne il cammino.
- Va tutto bene, Regina?
Regina si volse, gli occhi lucidi di pianto, e incontrò lo sguardo attento di Emma Swan, che teneva in mano lo zaino di Henry, mentre richiudeva la porta. Regina si stava avviando verso gli scalini e alla sua macchina.
- Non questa volta, Swan - rispose lei.
Era la prima volta che Regina dava ad Emma una risposta completamente sincera.
 
 
*
 
 
"Infine, nel trittico delle prime notizie del giorno, è con profondo rammarico che annunciamo l'improvvisa scomparsa di Sidney Glass, rinomato giornalista d'assalto del Tribune. Glass si trovava a Storybrooke, amena cittadina nel Nottinghamshire, per occuparsi di un articolo di prossima pubblicazione, e la sua morte è avvenuta in circostanze piuttosto misteriose. L'uomo sarebbe annegato nei pressi del fiume Trent ed è stato rinvenuto all'alba di ieri mattina da un gruppo di ragazzini del luogo. Manca all'appello la sua macchina fotografica e il suo taccuino, che sappiamo tutti essere parti integranti del mestiere di giornalista e importanti tasselli che rendono il caso ancora più torbido e oscuro. In attesa di altre notizie, diamo la linea al servizio di oggi sulla politica internazionale".
 
Regina spense la televisione. Lo schermo nero inghiottì Penelope McRight, famosa giornalista e sogno erotico del 90% degli inglesi, la cui voce morì all'improvviso, così come la vita di Sidney si era spenta là fuori, da qualche parte, a metà strada tra la provincia e l'inferno.
Afferrò la borsa che aveva preparato quella mattina, prima di uscire con Henry, e spense tutte le luci di casa. Il buio, venato dai fasci di luce che filtravano dalle imposte chiuse, era spesso e carico di presagi, e la salutò quasi con rassegnazione, come preparandosi ad una lunga attesa.
Regina si richiuse la porta alle spalle.
 
 
*
 
 
L'alba di Storybrooke era sempre fredda. Il nuovo giorno accoglieva i suoi abitanti con una sottile nebbiolina e la rugiada ancora sospesa sulle foglie. Il camion della nettezza urbana aveva come sempre svegliato mezza via e quello che restava fino alle sette era un'ora di sonno inframmezzata da pezzi di sogni sparsi sul cuscino e l'insopportabile ticchettio della sveglia. A volte, quando non riusciva a riprendere sonno, Robin si soffermava ad ascoltare il respiro di suo figlio Roland, che gli giungeva alle orecchie dalla camera accanto, leggermente intenso per via del sonno profondo e allo stesso tempo regolare, pacato, quasi come una lieve ninnananna soffiata dal vento. Era un po' come quando corri e cerchi di regolarizzare il respiro focalizzando il tuo sguardo su un preciso punto sopra il tuo orizzonte, inspirando ed espirando, concentrato. Suo figlio era il metro della sua vita, la sua bilancia, l'unica vera ragione per alzarsi ancora al mattino e vestirsi e uscire. La sua àncora.
Il caffé quella mattina aveva il sapore del fiele. La morte di quel giornalista sembrava essersi trasformata in qualcosa di più complicato e articolato di un semplice e tragico incidente, di una gita nei boschi andata storta. Sidney Glass sembrava essere stato assassinato, secondo quanto annunciato alla televisione. Sicuramente avrebbero mandato qualcuno ad indagare, un patetico agentuccio buono a niente che se ne sarebbe tornato a Londra dopo due giorni, con un pugno di mosche e le mazzette dello Sceriffo ancora calde in tasca. Tutto sarebbe stato abilmente insabbiato, come sempre. Era così che funzionavano le cose a Storybrooke.
Robin abbandonò la tazza ormai vuota nel lavandino e recuperò il suo scassato telefono cellulare. Una chiamata persa da Will Scarlet.
- Hey, Will, che succede?
- Robin Locksley, si può sapere dove ti sei cacciato, maledizione? - inveì l'altro gridando nel telefono.
- Sono a casa mia, stupido. Tu, piuttosto! Come mai chiami così presto?
- Abbiamo appena ricevuto la notizia, qui in centrale. Arriverà un agente, oggi. Probabilmente nel tardo pomeriggio.
- Per il caso Glass? Ho immaginato sarebbe successo... Un altro incapace che finirà nella rete dello Sceriffo e di Gisbourne, ovviamente.
- Non lo so come finirà, questa volta, sai, Locksley? - aggiunse Will ironicamente.
- Cosa vuoi dire?
- Voglio dire che questa volta si tratta dell'Interpol in persona e non credo che l'agente corra il rischio di finire nella rete di quei babbei. A meno che non ceda al fascino da orso dello Sceriffo...
- Una donna? - esclamò Robin. - Ne sei sicuro?
- Eccome, amico. Regina Mills, questo è il nome. E suona tutto tranne che ricattabile.
 
 
*
 
 
Storybrooke accolse Regina a luci spente. Il tramonto sbiadiva velocemente nel blu scuro della tiepida sera primaverile, punteggiato da qualche stella rada, fiochi lampioni sparsi nel cielo. Le luci della piccola cittadina nel Nottinghamshire illuminavano fiocamente la Main Street, tranquilla e all'apparenza innocua. Tutto sembrava stonare con i racconti letti su quel piccolo angolo rurale poco distante da Nottingham, dove ancora si potevano trovare antichi residui dell'estrazione carbonifera e segni inequivocabili del suo glorioso passato industriale. Ora, tutto girava intorno ad un'unica fabbrica, dedita alla produzione di componenti meccaniche per svariati marchi automobilistici. Peccato che la crisi nel settore stesse riducendo l'industria sull'orlo del fallimento, e con lei tutti i suoi operai, la maggior parte dei quali proveniva da Storybrooke e lì risiedeva. Il piccolo centro distava solo 10 km da Nottingham e subiva il fascino della grande città. La piccola criminilità agiva incontrollata e libera e la massima autorità, preposta al mantenimento dell'ordine - il capo della polizia - non sembrava granché interessato ai piccoli spacciatori, ai ladruncoli e agli estorsori. Insomma, si trattava di una città allo sbando, dove tutto appariva pulito e tranquillo, ma dove in realtà la sostanza era ben altra.
Regina parcheggiò davanti ad un innocuo locale proprio al centro della strada principale. "Granny's" era il nome: tranquillo e incoraggiante, come ultima tappa del suo viaggio. Aveva affittato una stanza nel piccolo bed&breakfast sopra la tavola calda, dietro consiglio del sito turistico della città. Le vetrine del locale erano però oscurate, dettaglio particolare per una tavola calda in stile old America nel bel mezzo dell'Inghilterra, ma Regina non ci fece caso. Scese dalla macchina, lasciando il bagaglio all'interno, si sistemò la gonna spiegazzata e fece un sospiro.
Quello che vide varcando la porta di "Granny's" la lasciò alquanto basita. Rimase ferma poco oltre l'entrata, stupita di ritrovarsi all'interno di un vecchio pub in perfetto stile inglese: tavolini in legno sparsi per la sala, sedie scampagnate di vari colori e fatture, un lungo bancone di quercia sul fondo, specchi dietro i baristi affacendati e luci soffuse. Alle pareti, spessi pannelli di legno isolavano gli avventori dal vento gelido di quelle regioni e vecchie stampe raffiguranti soggetti vintage erano appese qua e là. Un'intera parete era dedicata alla squadra calcistica del Notts Country, con vecchie maglie bianconere e sciarpe e autografi.
A quell'ora, gli avventori erano pochi, e occupavano soltanto alcuni tavolini accanto al bancone. Regina intercettò lo sguardo di uno dei baristi, intento ad asciugare dei bicchieri. Era molto giovane, ma le rivolse comunque un sorriso cortese.
- Heilà! - esclamò una voce a pochi centimetri da lei. Regina quasi sobbalzò, ritrovandosi accanto un ragazzo enorme, non molto alto ma ben piazzato. Aveva il volto paonazzo, nonostante non sembrasse minimamente ubriaco: le classiche guance rubizze di chi fa un passo di troppo e ha il fiatone. Le sorrideva bonario, vestito semplicemente, i capelli scuri ritti sulla testa.
- Lei deve essere Regina! - esclamò ancora.
Regina, da parte sua, si era limitata a sgranare gli occhi, troppo sorpresa per replicare. Annuì leggermente.
- Ottimo! Sono felice di fare la sua conoscenza. Benvenuta a Storybrooke! E benvenuta da "Granny's". Venga, venga...
Il ragazzo la trascinò di peso fino al bancone, dove la lasciò cadere su uno sgabello foderato in pelle marrone, ormai vecchia e consunta. "Chissà chi ci si è seduto, qui sopra", pensò Regina. La sua gonna da duecento sterline implorava pietà. Il ragazzone fece nuovamente il giro del bancone, mentre Regina si guardava intorno, indecisa se starnutire, quasi sicuramente con un'espressione di supponenza sul volto e la borsa nera stretta in grembo, quasi come fosse un solido salvagente in un mare in burrasca. Ed era proprio così che si sentiva: alla deriva e completamente sperduta.
- A proposito! - la voce del suo nuovo "amico" la ridestò dai suoi pensieri cupi. - Io sono Theodore. Theodore Lucas. Ma tutti mi chiamano semplicemente Tuck. Piacere!
Le tese la mano e Regina non poté fare a meno che tendere la sua e stringere quelle dita grassocce. E umide. E appiccicaticce. Avrebbe voluto scappare a gambe levate. Poi si ricordò che era morto un amico, che lei era un rispettato e temuto agente dell'Interpol, che non avrebbe dovuto fidarsi di nessuno e che ce la poteva fare, qualsiasi cosa sarebbe successa.
- Regina Mills - replicò lei con distaccata educazione. Lanciò uno sguardo alla ragazza alta e sinuosa poggiata al bancone, a qualche metro di distanza da loro, che li osservava interessata. Tuck intercettò il suo sguardo e la mora riprese il suo lavoro, sparendo nel retro del locale, il grembiulino rosso che spiccava nella penombra.
- Mia sorella Ruby - spiegò Tuck. - Lavora come cameriera e mi aiuta nella gestione del pub e del B&B. A proposito, lei ha anche una camera di sopra, ricordo bene? Prenotazione via Internet.
- Esattamente - confermò Regina. - Parlando della mia camera, preferirei salire di sopra il prima possibile, sono piuttosto stanca per il lungo viaggio...
- Non prima di essersi rifocillata, però. Deve provare la specialità della casa: hamburger di coniglio con spinaci e pomodoro. Una golosità irresistibile, davvero.
Hamburger di coniglio: dove diavolo era finita?
- Oh, no, grazie, davvero - rispose lei agitando una mano. - Sono apposto così. Sono talmente stanca che andrò direttamente a dormire, temo.
- No e poi no - continuò l'altro, imperterrito. - Prima deve mettersi qualcosa nello stomaco. Oh, ecco che arriva Will... Hey, Will! - gridò nella direzione di un nuovo venuto appena entrato nel pub. Un ragazzo alto e dinoccolato, vestito da poliziotto, si diresse verso di loro. Aveva le orecchie stranamente a sventola, che però li conferivano un'aria innocua e quasi simpatica, se solo Regina si fosse trovata in uno stato d'animo meglio disposto per tutto ciò che Storybrooke aveva da offrirle.
- Will, ti presento Regina. E' appena arrivata in città da Londra - disse Tuck non appena Will li ebbe raggiunti al bancone. Il ragazzo si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso furbo e stranamente ironico. Le tese la mano.
- Will Scarlet - esclamò. - Estasiato, agente Mills.
- Oh, ma allora si tratta dell'agente Mills! - esclamò Tuck portandosi una mano alla bocca, stupito.
- Te lo avevo detto che sarebbe arrivata nel pomeriggio, testone! - esclamò Will.
- Sai che mi dimentico di tutto, Will - si scusò Tuck, all'improvviso depresso. - Vado in cucina ad ordinare quell'hamburger...
Non fece in tempo a dar loro le spalle che una terza voce si unì al gruppo.
- Non preoccuparti, Tuck. Non credo che l'agente Mills ti arresti per non averla riconosciuta. Vero, agente?
Regina incontrò lo sguardo di un uomo alto e decisamente muscoloso,da quello che poté intuire da sotto la leggera camicia a quadri che indossava. Era biondiccio e una barbetta dello stesso colore gli ornava le guance. Le sorrise sarcastico e lei alzò le sopracciglia. Si guardarono a lungo, prima che Will si schiarisse la voce e li facesse tornare sulla terra.
- Capo... - cominciò rivolto al nuovo venuto. Questi gli lanciò un'occhiata.
- Ti ho già detto di non chiamarmi più così. Non sono più il tuo capo, ricordi?
Will annuì. - Già, vecchie abitudini.
- Lei sarebbe? - li interruppe Regina, alquanto seccata. Si stava stufando di tutte quelle presentazioni.
L'uomo tornò a guardarla.
- Robin. Robin Locksley.
 
 
 
NOTE
  • Il titolo è quello dell'omonima canzone dei Pink Floyd.
  • La citazione è di Alda Merini.
 
 
 
Salve a tutti! Eccomi qui con questa nuova avventura. Chi mi conosce già sa quanto io mi sia innamorata di questo pairing... l'Outlaw Queen è perfetto, secondo me, e merita un lieto fine. Capito, autori?
Detto ciò, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, per qualsiasi domanda/chiarimento potete scrivermi qui su Efp oppure su FB. Vi lascio il link al mio gruppo, dove pubblico album prestavolto, spoiler, anticipazioni e aggiornamenti costanti sulla pubblicazione.
Ecco il link: https://www.facebook.com/groups/159506810913907/224839144380673/?comment_id=224839307713990¬if_t=group_comment
 
 
Alla prossima!
 
Marti

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** hard out here. ***



THE OTHER SIDE OF THE DOOR

capitolo 2
hard out here.
 
 
 
“After the war we said we’d fight together
I guess we thought that’s just what humans do
Letting darkness grow
As if we need its palette and we need its colour
But now I’ve seen it through
And now I know the truth
 
That anything could happen
Anything could happen”
 
 
 
 
- Allora?
- Cosa?
- L’hai vista?
- Ancora no. Ma la vedrò presto.
Gideon Gisbourne osservò il suo capo aspirare una copiosa boccata della sua Marlboro, per poi sputargli addosso la maggior parte del fumo, come se lui fosse fatto di carta. Odiava quando Lo Sceriffo gli fumava in faccia. Ovviamente, non si sarebbe mai sognato di dirglielo.
- Credi che ci darà dei problemi, Keith? – gli chiese.
L’altro lo guardò, sfoderando uno dei suoi più infidi sorrisi.
- Problemi, Guy? – ripeté, quasi ridendo. – Non so neanche cosa voglia dire.
- Beh, è pur sempre un agente dell’Interpol – argomentò lui.
Eccolo, un altro dei difetti di Keith: l’avventatezza. Ed era fin troppo sicuro di sé, a volte. Anzi, diciamo sempre. Lui ci sarebbe andato cauto, con una come Regina Mills. Keith era però di tutt’altro avviso. Tolse i piedi dalla scrivania e si alzò. Si avvicinò alla finestra e osservò Storybrooke, ancora mezza addormentata.
- E io sono lo Sceriffo. Credo che questo basti.
 
 
*
 
 
Storybrooke appariva quasi diversa, alla luce del sole. Dalla finestra della sua stanzetta, al Granny’s, Regina poteva comodamente osservare una vasta porzione della Main Street, parzialmente nascosta dalle tendine in chintz. Carta da parati vecchio stile leggermente scolorita, divano e copriletto fiorati, uno specchio antichizzato appeso accanto alla porta et voilà, come ritrovarsi all’improvviso nella pittoresca Inghilterra vittoriana. E i merletti chiudevano il tutto.
Be’, avrebbe dovuto accontentarsi: la città non offriva di meglio e aveva sentito dire che le stanze al Rabbit Hole – il locale notturno di Storybrooke – erano più moderne ma sudice, in quel covo balordo di uomini poco raccomandabili accompagnati da donne discutibili, dove tutto puzzava di corruzione e droga e sudore. Molto meglio il Granny’s – e Tuck.
Ripensando ai racconti della sera prima, Regina andò con la mente a Robin Locksley. Rievocò il suo viso, quell’espressione spavalda e insieme gentile, quei modi accattivanti e quell’aria di tormento che gli aleggiava intorno, come una maledizione. O una condanna. Come se Storybrooke gli avesse tolto tutto e avesse lasciato solo un involucro, che ogni tanto tornava a sentirsi completo, come le due metà di una mela. O di un cuore.
 

- Robin Locksley – ripeté Regina, pensierosa. – Come mai il suo nome non mi è nuovo?
Robin la guardò per un momento in silenzio.
- Andiamo a sederci, le va? – propose lui senza rispondere alla sua domanda. Regina annuì e lo seguì ad un tavolo, dove ordinò una bottiglia di acqua minerale ad una sorridente cameriera tutta curve e capelli biondi. Questa le sorrise e tornò con l’acqua e una birra scura per Robin, come se sapesse alla perfezione quello che l’uomo era solito bere.
- Grazie, Ana – disse lui.
- Non c’è di che, Locksley. Cosa vi porto? Per lei è già pronta la specialità della casa – aggiunse rivolta a Regina. – Tuck si è occupato di tutto.
- Fantastico – bofonchiò Regina.
- Le piacerà la specialità di Granny’s, Regina – disse Robin una volta che Ana ebbe ondeggiato via dal loro tavolo con la sua ordinazione. – Piace a tutti.
- Io non sono “tutti” – replicò lei, infastidita, controllando che il bicchiere fosse pulito e versandosi poi dell’acqua. Robin si limitò a lanciarle un’occhiata e a sorseggiare la sua birra.
Il silenzio si protrasse fino a quando Ana non tornò con i loro piatti. Lanciò un sorriso a Robin e uno sguardo curioso a Regina e poi si dileguò. Regina osservò attentamente l’hamburger di coniglio, rosolato al punto giusto, stretto in mezzo al pane croccante, insieme al pomodoro e all’insalata. Accanto, nello stesso piatto, delle patatine fritte fumavano profumate. Be’, l’aspetto non era niente male, Regina dovette ammetterlo. Sentiva lo sguardo di Robin addosso, che la studiava interessato mentre lei sollevava il panino e se lo portava al naso. Annusò e, per la seconda volta quella sera, dovette ammettere un’altra cosa: il profumo era davvero invitante. Non le restava che assaggiarlo. Dieci minuti dopo, il panino era sparito e Regina si apprestava a terminare le patatine fritte.
Intercettò lo sguardo ironico di Robin. Alzò gli occhi al cielo.
- Non dica niente, per favore. Nessun “glielo avevo detto” o simili.
Robin sollevò le mani in segno di resa e sorrise. – Figuriamoci. Non mi permetterei mai.
Regina si lasciò sfuggire un sorriso, che nascose subito dietro il suo più classico cipiglio serio e professionale. – Bene – cominciò. – Presumo che si sia unito a me per cena non per fare conoscenza. Cosa vuole sapere, Locksley?
Mentre mangiava si era all’improvviso ricordata dove avesse letto il nome dell’uomo: nel rapporto che il suo capo le aveva spedito riguardo Storybrooke. Robin Locksley era stato un poliziotto, prima che Gideon Gisbourne lo sollevasse dall’incarico, per motivazioni apparentemente misteriose e piuttosto torbide. Come tutto in quella città, d’altronde.
Robin le sorrise. – Cosa le fa intendere che io non sappia già tutto quello che desidero sapere?
- Non si sarebbe disturbato a sedere con me e a sopportare i miei vizi da donna di città. Come mai Gisbourne l’ha sollevata dall’incarico?
- Come mai il suo amico Glass è venuto a ficcare il naso a Storybrooke?
Regina aggrottò la fronte. – E questo cosa vorrebbe dire, scusi? Sidney era un giornalista, faceva il suo lavoro.
- Certo – disse Robin, poi si guardò intorno circospetto, si chinò sul tavolo e continuò sottovoce: - Ficcare il naso in questa città è pericoloso, Regina. Si finisce molto spesso nei guai. Cosa aveva scoperto il suo amico?
- Non lo so – rispose lei sincera. – Non ho più parlato con Sidney da prima della sua partenza. E il suo taccuino e il registratore sono andati persi. Dico bene?
Robin l’osservò per un momento. – Dice bene – confermò. Si appoggiò nuovamente alla sua sedia, sospirando. – Speravo davvero che lei sapesse qualcosa di più.
- In ogni caso, non ne parlerei con lei – disse Regina risoluta.
Robin alzò un sopracciglio. – Le converrebbe fidarsi di me, Regina. Storybrooke è una giungla.
- Non ho bisogno d’aiuto.
Detto ciò, Regina si alzò in piedi, sistemandosi la gonna.
- Gideon Gisbourne e lo Sceriffo Keith. Si ricordi questi nomi. Non si fidi di loro.
- Lo Sceriffo? – ripeté Regina alzando un sopracciglio, ironica. – Dove siamo, in un film western?
- Si fa chiamare così. In ogni caso, occhi aperti. Fingeranno di volerla aiutare. Si mostreranno quasi gentili e disponibili. In realtà, aspettano solo il momento giusto per colpire.
- Terrò gli occhi aperti – lo rassicurò Regina afferrando la sua borsa. – Ora se non le spiace, sono stanca e me ne andrei volentieri a dormire. E, Locksley – aggiunse lei tornando a guardarlo minacciosa – veda di non starmi tra i piedi. Chiaro?
Robin sorrise. – Non me lo sognerei neanche. Regina.
Lei lo guardò un’ultima volta e poi si diresse con passo spedito al bancone, dove recuperò i suoi bagagli e la chiave della sua stanza, per poi sparire su per le scale.
 

Regina tornò alla realtà e distolse lo sguardo dalla strada. Gisbourne e lo Sceriffo. Prima o poi avrebbe dovuto affrontarli, anche se Robin le aveva caldamente consigliato di non fidarsi di loro. Beh, lei non si fidava di nessuno, quindi era più che a posto.
In qualche modo, però, sentiva che Locksley le aveva detto la verità, riguardo Storybrooke e quegli uomini. Tutto quello che era uscito dalla sua bocca la sera prima era suonato vagamente surreale, se rapportato ad un’amena cittadina come Storybrooke, però lo sentiva come vero e sincero. E, cosa ancora più strana, sentiva quasi di potersi fidare di Locksley, anche se lo aveva appena conosciuto, anche se non sapeva niente di lui - a parte i dettagli riportati nel rapporto dell’Interpol -, anche se non avrebbe dovuto. Anche se. Ormai la sua vita di basava su poche e rare eccezioni. E Robin sembrava stranamente farne parte.
 
 
*
 
 
- Hey, Locksley!
Robin si voltò e l’alta e massiccia figura di John Littleton – che era piccolo solo di nome – gli venne incontro dal fondo della Main Street. Indossava già la tuta da lavoro della “Mecanics Components”, nome poco fantasioso della maggior fonte di lavoro – e reddito – della città. Il suo collega era quello che si poteva definire un moderno gigante. Superava di gran lunga il metro e novanta, aveva due braccia potenti quanto una pala eolica e un sorriso davvero poco raccomandabile. In fondo in fondo, però, e Robin lo sapeva bene, Little John – così lo chiamavano gli amici – era un buono. Un vero buono. E un vero amico.
- Hey, John! – replicò Robin fermandosi. Teneva Roland per mano. Erano diretti all’asilo, come ogni mattina.
- Che ci fai in giro a quest’ora, amico?
John scompigliò i capelli del piccolo Roland, ancora parzialmente addormentato.
- Ciao, ragazzino – lo salutò.
- Ciao, zio John – replicò Roland a bassa voce.
- C’è un motivo particolare per il quale non dovrei uscire presto il mattino, Locksley?
- No davvero. È che di solito quando facciamo il turno pomeridiano non sei sveglio prima di mezzogiorno.
- Beh, ieri ho sentito parlare che c’è una nuova femmina in città, e speravo di incontrarla in giro – spiegò John ridendo mentre si incamminava al fianco di Robin.
Robin tese le spalle, infastidito. John aveva un modo di esprimersi tutto suo, lo sapeva, ma il sostantivo “femmina” accostato a Regina Mills lo rendeva nervoso.
- Sì, l’ho incontrata ieri sera.
- L’hai incontrata? – esclamò John. – E dove?
- Da Granny’s. Ha una camera lì. Abbiamo cenato insieme. Ho cercato di sapere qualcosa di più sul suo amico Glass, ma lei non sembra sapere più di noi.
- Peccato – commentò l’altro. – In ogni caso, com’è?
Robin gli lanciò un’occhiataccia.
- Okay, ho capito, non mi dirai niente. Ti piace.
- Come, scusa? – esclamò Robin.
Il profilo del piccolo edificio in mattoni rossi che era l’asilo municipale di Storybrooke si profilò davanti a loro.
- L’ho capito, dai. Il modo in cui hai teso le spalle quando ho detto “femmina”. E l’occhiata assassina di prima. Mi arrendo, ti piace e io non ci metterò il naso.
- Non hai capito proprio niente, Little John, scemo che non sei altro. Quella non è il tipo di nessuno. Almeno non qui a Storybrooke.
Si fermarono di fronte al cancello. Robin guardò in viso John.
- Ci vediamo oggi?
- Se proprio dobbiamo – commentò l’amico ridendo. – Ciao, Robin. Ciao, Roland.
Scompigliò ancora una volta i capelli al bambino e poi attraversò la strada diretto da Granny’s per colazione. Robin l’osservò andare via prima di imboccare il vialetto che avrebbe condotto lui e Roland in classe. Alice Miller, la maestra, li attendeva sulla porta. Robin ripensò rapidamente alle parole di Little John. Poi cancellò Regina Mills dalla sua mente e sorrise ad Alice.
 
 
*
 
 
Will Scarlet poteva ritenersi un uomo fortunato. Certo, abitava a Storybrooke, dove la vita era tutt’altro che facile. In più, lavorava in polizia, dove Gideon Gisbourne, il loro capo, appoggiato dallo Sceriffo Keith, faceva prevalere la linea dura. Nonostante questi due elementi, però, Will era un uomo fortunato. La sua fortuna consisteva principalmente in due preziosi e pericolosi elementi: Alice Miller e Anastasia Reeve. La prima, l’incarnazione della perfetta brava ragazza di provincia: maestra d’asilo, babysitter durante il tempo libero, romantica, tenera, sognatrice, tutto ciò che un ragazzo per bene poteva desiderare. Si conoscevano da quando erano bambini. Avevano passato una vita insieme, anche e soprattutto perché Michael, il fratello di Alice, era il suo migliore amico da sempre. La seconda, invece, era l’incarnazione della dannazione eterna: bellissima, pericolosa, sexy, era tutto ciò che un cattivo ragazzo poteva desiderare. Di due anni più vecchia di Will e Michael, era il sogno proibito di tutti i ragazzini della città. Ragazzini che poi erano cresciuti e che però non avevano affatto abbandonato il sogno delle curve perfette di Ana Reeve e il ricordo dei suoi pantaloncini durante le partite di lacrosse al liceo.
In quel momento, entrando da Granny’s dopo aver appena salutato Alice, che aveva incrociato lì davanti e che era diretta a casa Locksley per badare al piccolo Roland, Will incontrò lo sguardo di Ana, ferma dietro il bancone ad asciugare alcuni bicchieri. Il locale non era pienissimo, ma Will individuò Much – questo il diminutivo di Michael – seduto al bancone. Stava mangiando un boccone prima di iniziare il suo turno. Will gli si avvicinò e gli assestò una sonora pacca sulla spalla. Much sussultò e tossicchiò, sputando cibo dappertutto.
- Sei pazzo, Will? – esclamò dopo essersi ripreso. Will se la rideva della grossa, mentre prendeva posto sullo sgabello accanto a quello dell’amico.
- Ancora non l’hai capito?
- Mi stupisco ogni santa volta, è questo il bello.
Will lanciò un’occhiata ad Ana, che intanto stava servendo del gin ad un avventore.
- Allora? – chiese Much, e Will si girò a guardarlo. – Quando ti deciderai a chiedere ad Ana di uscire?
Will alzò gli occhi al cielo. – Credi che sia semplice? Insomma, è Ana Reeve. L’irraggiungibile Ana Reeve.
Much osservò la ragazza per un momento e poi alzò le spalle. – Che problema c’è? Tu sei Will Scarlet. Ne hai fatta di strada, da quando eravamo due poveri sfigatelli al liceo e Ana era la reginetta della scuola. Insomma, guardati! Hai paura a chiedere ad una ragazza di uscire?
Non era solo quello. C’era anche il “problema Alice”. Non voleva ferire i suoi sentimenti. Lui piaceva ad Alice, lo aveva capito, e glielo aveva detto anche Much. In fondo, Alice un po’ gli piaceva, doveva essere sincero. Era un po’ come andare a fermarsi in un porto sicuro, senza problemi e turbamenti. Dall’altra parte, però, il pensiero di Ana non gli dava pace. Aveva una cotta per lei praticamente da sempre e avevano parlato poche volte, solo in occasione delle sue assidue visite da Granny’s, anche se Ana serviva praticamente sempre ai tavoli e Will sedeva praticamente sempre al bancone, per scambiare qualche chiacchiera con Much tra un cliente e l’altro. Insomma, le occasioni per interagire con lei erano davvero poche.
- Insomma, Will, ti devi decidere – concluse Much poggiando il bicchiere vuoto sul piano in legno del bancone.
In quel momento, Regina Mills scese le scale interne che portavano alle camere del bed&breakfast, elegante come la prima volta in cui Will l’aveva vista. Si diede un’occhiata in giro e poi si avvicinò al bancone. Will la salutò con la mano, lei ricambiò rapidamente e poi parlò per un momento con Tuck, poco lontano da loro. Tuck annuì e lei si andò a sedere ad un tavolo tranquillo accanto alla finestra.
- Che donna strana – commentò Will sorseggiando la birra che Tuck gli aveva servito poco prima. Si voltò di nuovo verso Ana e sospirò. Lei lo stava guardando, seria. Le sue belle labbra si incrinarono in un sorriso suadente che Will prontamente ricambiò. Sentì il pugno di Much colpirgli la gamba sotto il bancone, ma non ci fece molto caso. Il suo amico stava senz’altro intimandolo ad agire. Per Dio, era Will Scarlet! Nessuna donna lo aveva mai atterrito, prima. Così si decise, si alzò e raggiunse la ragazza.
- Hey, Reeve – la salutò prendendo posto di fronte a lei. Sentiva lo sguardo di Much – e di metà degli avventori – addosso. Non gliene importava niente. In quel momento aveva mandato alle ortiche ogni cautela.
- Scarlet – ricambiò il saluto lei continuando ad asciugare i bicchieri, tranquilla.
- Allora mi conosci.
- Chi non ti conosce, agente? – commentò Ana dischiudendo le labbra. Gettò lo strofinaccio umido poco lontano e si chinò sul bancone. Will poteva intravederle il seno attraverso la stoffa leggera della maglietta bianca.
- Hai intenzione di invitarmi da te o no? – aggiunse.
Will per poco non cadde dallo sgabello.
- Quando vuoi – rispose guardandole le labbra.
Ana drizzò la schiena e lo osservò, attenta.
- Stacco all’una. Credi di riuscire a non addormentarti, nel mentre?
- Assolutamente sì.
Ana gli sorrise e Will si accorse che l’aveva vista sorridere così poche altre volte, in tutti quegli anni in cui l’aveva osservata di nascosto. Ana Reeve gli aveva fatto male tante volte, ma tante altre volte lo aveva colpito dritto dritto al cuore, così forte da fargli girare la testa e annebbiare la vista, in un modo così stupefacente da stordire. E si accorse anche – o semplicemente lo capì in quel momento - che, in fondo, lui era tutto tranne che un bravo ragazzo.
 
 
 
NOTE
  • Le battute finali del dialogo tra Regina e Robin sono la traduzione delle battute originali della serie.
  • John Littleton è il nome del mio personale Little John.
  • Alice Miller invece è proprio Alice de “Alice In Wonderland”.
  • “Mecanics Components” è un nome inventato da me.
  • La citazione iniziale arriva da “Anything Could Happen” di Ellie Goulding, la mia nuova musa.
 
 
 
Eccomi qui con un nuovo aggiornamento di questa mini long! Intanto, ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito e deciso di seguire questa nuova avventura. Grazie di cuore!
Mi trovo qui cercando di consolarmi dopo la palata di feelings della Season Finale. L’avete vista? C’è da restarci secchi, giuro. Quindi, dicevo, cerco di consolarmi scrivendo e pubblicando. Anche perché noi fan dell’Outlaw Queen ne abbiamo proprio bisogno, in questo periodo… sigh…
Detto ciò, vi do appuntamento presto – spero – con un nuovo capitolo. Intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo – che purtroppo è parecchio transitorio, scusate – e della storia in generale.
 
Marti
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** begin again. ***



THE OTHER SIDE OF THE DOOR
capitolo 3
begin again.
 
 
 
“And I want to talk about that
And for the first time 
What's past is past 
[…]
I've been spending the last 8 months
Thinking all love ever does 
Is break and burn and end 
But on a Wednesday in a cafe 
I watched it begin again”.
 
 
 
Quella mattina a Storybrooke aveva deciso di piovere. L’acqua scivolava via sull’asfalto, fedele replica del tranquillo fiume Trent. Sembrava quasi che volesse lavare via tutto lo sporco, come se la città, una volta uscita dalla tempesta, rinascesse a vita nuova. Ma Robin sapeva che niente avrebbe potuto ripulire Storybrooke. Sicuramente non la pioggia. 
Come di consueto, lasciò Roland all’asilo, affidandolo alle cure di Alice Miller, e decise di concedersi un caffè da Granny’s. Il locale era relativamente tranquillo, a quell’ora. In pochi facevano colazione fuori, preferendo la quiete delle proprie abitazioni. Appena entrato, l’attenzione di Robin venne attirata dalla figura solitaria di Regina Mills, seduta ad un tavolo centrale, il giornale aperto di fronte e una tazza di caffè poggiata lì accanto. Automaticamente le si avvicinò, contrariando la vocina interiore che gli intimava di lasciar perdere, che sarebbe stato meglio per lui non immischiarsi, che Regina non era alla sua portata e che, indubbiamente, non gli stava nemmeno simpatico, quindi perché sprecare tempo? Invece, fece tutto il contrario. Si sedette sulla sedia libera di fronte alla donna e, quando lei abbassò il giornale, stupita, lui le rivolse un sorriso aperto. 
- Buongiorno, agente Mills – la salutò candidamente. 
- Locksley – replicò lei seria, il giornale ancora aperto tra le mani. L’Eco di Storybrooke non offriva quelle che potevano essere considerate notizie succulente. Era uno di quei banali giornaletti locali che venivano stampati due volte a settimana e che avevano la presunzione di sapere tutto di tutti, in città. La verità era che anche l’Eco era una creatura dello Sceriffo e pubblicava solo ciò che Guy Gisbourne passava sotto il suo attento veto. Cioè, niente che potesse intaccare l’immagine della centrale e dell’affidabile e irreprensibile Sceriffo Keith.
- Non dovrebbe leggere quella robaccia, sa? – le intimò Robin accennando al giornale.
Regina alzò le spalle. – Sto cercando di capire come viviate qui a Storybrooke e devo dire che questa porcheria rende bene l’idea.
Così dicendo, chiuse il giornale e lo lasciò cadere malamente sul tavolino. Incrociò le dita sul piano in legno e osservò Robin attentamente. Lui sostenne il suo sguardo, serio. Il fatto che Regina avesse capito da sola il grado di degrado del giornale – e della città stessa – lo faceva ben sperare, ma anche vergognare profondamente. Lui lì ci viveva e non faceva niente per cambiare le cose. Se non per lui, almeno per suo figlio. In quel momento, si sentì solo un misero fallito.
Ruby lo salvò dalla repentina intenzione di alzarsi e lasciare Granny’s con la coda tra le gambe, solo per non dover subire lo sguardo severo e carico di giudizi di Regina Mills.
- Cosa ti porto, Robin? – gli chiese. 
Lui alzò gli occhi su di lei e le sorrise. – Un caffè amaro, grazie. E uno di quei muffin ai mirtilli che adoro.
Ruby ricambiò il sorriso. Robin voleva molto bene a Ruby e Theodore Lucas. Erano due ragazzi persi, soli al mondo, che si impegnavano quotidianamente per portare avanti la loro attività al Granny’s, e lui li teneva d’occhio, aiutandoli quando serviva loro una mano.
- Agente Mills, gradisce dell’altro caffè? 
- Volentieri. Faccio compagnia a Robin – replicò Regina distendendo le sue belle labbra in un sorriso dolce che Ruby ricambiò. Vedere Regina – l’inflessibile agente Mills – sorridere a quel modo, fece cambiare immediatamente idea a Robin riguardo la sua fuga repentina. Sarebbe rimasto delle ore, seduto a quel tavolino, a vederla sorridere. Dentro di sé, la sua parte razionale gli diede una manganellata sui denti per tutto quell’oceano di sciocchezze che stava vomitando. Si era per caso ammattito tutto d’un colpo? 
Dopo che Ruby ebbe portato loro i caffè – e addirittura due muffin per Robin, uno omaggio della casa – i due bevvero silenziosi dalle loro tazze per alcuni estenuanti minuti, prima che Regina decidesse di rompere il silenzio.
- Tuck mi ha detto che ha un figlio – disse, il tono di voce meno serio e formale di prima. 
Per poco Robin non le sputò il caffè in faccia per la sorpresa. Diavolo, Tuck non sapeva mai tenere la bocca chiusa. Non che fosse un segreto, ma avrebbe preferito raccontare i fatti suoi spontaneamente.
- Roland – rispose lui dolcemente, sorridendo. Ogni volta che parlava di suo figlio non poteva farne a meno.
- Quanti anni ha?
- Cinque. Il prossimo anno inizierà le elementari. Mi sembra ieri che gli cambiavo i pannolini e strillava come un matto.
Robin rise sommessamente e Regina si unì a lui. Lui la osservò. Aveva una risata bellissima. 
- Credo che Tuck le abbia detto anche di mia moglie.
Regina tornò seria e Robin notò un lampo di qualcosa di molto simile all’imbarazzo, nei suoi occhi scuri. Abbassò lo sguardo sulla sua tazza di caffè.
- Non c’è problema – continuò Robin, intuendo quella che sarebbe stata la risposta di Regina da quei pochi, attenti movimenti. – Va bene così. Tanto sarebbe venuto a saperlo, presto o tardi.
Regina rialzò lo sguardo su di lui. – Mi dispiace tanto. Come è successo?
- Due anni fa – rispose pacatamente lui, che intanto aveva finito il suo primo muffin. – Si è ammalata e nel giro di sei mesi l’ho persa. Tumore al cervello allo stadio avanzato. Non c’è stato niente da fare. L’ho vista spegnersi giorno dopo giorno, abbandonarmi – abbandonarci. Marion è sempre stata una donna solare, energica, attiva. In quei sei mesi, la Marion che conoscevo – la Marion che amavo – scomparve. 
Regina annuì e, inaspettatamente per entrambi, allungò una mano e la poggiò su quella di lui. La sua pelle era calda e Robin osservò per un momento le loro mani unite, spaesato. Si guardarono negli occhi e poi, veloce come l’aveva allungata, Regina ritrasse la mano, forse rendendosi conto all’improvviso dell’avventatezza del suo gesto. 
- Il passato è passato – esclamò lui sorseggiando del caffè. – Mi spiace averla intristita con tali racconti di prima mattina.
Regina scosse la testa. – Mi ha intristita, sì, ma non si faccia problemi. In fondo, le ho chiesto io di suo figlio. Sono stata io ad aprire questo spinoso argomento.
- Non si senta in colpa, adesso – rise Robin poggiando sonoramente la tazza vuota sul tavolo. – Piuttosto, visto che ormai sa praticamente quasi tutto di me, perché non ci diamo del “tu”?
- Più che volentieri – replicò Regina sorridendogli.
 
 
*
 
 
- Vai a chiamarmi l’agente Scarlet, Gisbourne.
- Subito, Sceriffo.
Gideon trovò Will Scarlet seduto alla sua scrivania. Beveva del caffè trovato nel bollitore nell’angolo, sotto la finestra, e leggeva dei vecchi rapporti conservati nell’archivio della centrale. Chiuse in fretta la pagina non appena vide Gisbourne avvicinarsi a lui.
- Capo – lo salutò ironicamente.
- Scarlet, lo Sceriffo vuole parlarti. Nel suo ufficio. Seguimi.
Will posò di mala voglia la sua tazza e seguì Gideon fino all’ufficio in fondo alla stanza, il “regno” dello Sceriffo Keith.
Gideon richiuse la porta dietro di loro e Will si accomodò su una delle due sedie poste di fronte alla caotica scrivania. Keith l’osservò attentamente e in silenzio per qualche minuto, poi si chinò in avanti e parlò.
- Agente Scarlet, a che punto siamo con le indagini sul caso Glass?
- Ad un punto morto, Sceriffo. Almeno per ora – rispose il ragazzo. – Non ci sono tracce del taccuino e del registratore, che costituiscono ancora due importanti prove per saperne qualcosa in più. Inoltre, abbiamo interrogato ancora una volta i ragazzini che hanno rinvenuto il corpo, ma inutilmente. Non sono emersi nuovi dettagli.
Keith si passò una mano sulla corta barba scura che gli ricopriva il mento, pensieroso. O almeno fingeva di pensarci sopra.
Gideon Gisbourne assisteva alla conversazione dalla sua postazione accanto alla porta, dietro le spalle di Will.
- Spero che i tuoi agenti si stiano impegnando attivamente per ritrovare quegli aggeggi – borbottò Keith.
Gideon non era pienamente d’accordo sull’utilizzo del sostantivo “aggeggi”, ma ci pensò due volte prima di esprimere il suo dissenso. Ritrovarli era imperativo, prima che quel dannato agente Mills ci mettesse sopra le sua sporche manacce.
- Una volta ritrovati, sai cosa fare, agente Scarlet – gli intimò Keith. 
– Li porterò qui da lei per prima cosa – rispose Will prontamente. 
Gideon non si fidava di Scarlet. Era sempre stato – e così sarebbe rimasto – un uomo di Locksley. La presenza silenziosa di quell’uomo aleggiava ancora nei corridoi e nelle stanze della loro piccola centrale, e ammorbava i pensieri di Gideon come un’ossessione. Sapeva che Scarlet avrebbe fatto vedere quelle prove prima al suo ex capo che a loro, ma Keith sembrava fidarsi, stranamente. E Gideon, ovviamente, non lo contraddiceva. Mai.
- Puoi andare, Scarlet. 
Will si alzò e, prima di lasciare la stanza, rivolse a Gideon uno strano sguardo. “Siete due poveri babbei”, dicevano quegli occhi. “E io lo so”.
 
 
*
 
 
- Agente Mills!
Regina si voltò, le mani nelle tasche del soprabito scuro a doppiopetto, stretto in vita con un doppio nodo. La borsa a spalla, stava rientrando al bed&breakfast dopo un’improduttiva mattinata passata a gironzolare per Storybrooke con la speranza di sapere qualcosa in più sui suoi abitanti. I tacchi alti risuonavano sonori sul marciapiede.
Un uomo alto dalla barba scura ben rasata e i capelli tagliati corti, quasi militarmente, la raggiunse dall’altra parte della Main Street tranquilla. Indossava l’uniforme della polizia locale e Regina lo identificò come uno dei loschi figuri dai quali Robin l’aveva messa in guardia: Gideon Gisbourne e lo Sceriffo Keith. Regina era pronta a giurare si trattasse di Gisbourne. Lo Sceriffo non si sarebbe di certo scomodato personalmente così presto. 
- Agente Mills – ripeté l’uomo una volta che l’ebbe raggiunta. Le rivolse un sorriso tirato e fintamente cortese. – Gideon Gisbourne, vice-comandante in capo delle forze di polizia di Storybrooke.
Le tese la mano e Regina la strinse, anche se di malavoglia. Aveva indovinato, allora. Stava facendo conoscenza del famoso – e temuto – Guy.
- Regina Mills, Interpol – replicò lei, seria. Non aveva intenzione di dare spago a quell’uomo che, già da una prima occhiata, non le piacque per niente. E non solo perché era prevenuta dalle parole di Locksley.
- Volevo soltanto darle il benvenuto in città, agente Mills – continuò lui. – Finalmente ci incontriamo…
- Non mi dica che nessuno di voi in centrale era informato sulla mia residenza qui a Storybrooke, agente Gisbourne.
Sottolineò la parola “agente” in modo non del tutto positivo, e Gisbourne storse impercettibilmente il naso. I suoi occhi color ghiaccio la sondavano attentamente, in cerca dei suoi punti deboli. 
All’improvviso, l’uomo scoppiò a ridere, battendo le mani. Regina lo guardò come si guarda uno spettacolo miserevole che crede di essere divertente.
- Ha ragione, ha perfettamente ragione. Mea culpa. È che questi sono giorni impegnativi, per la mia squadra. Sa, per via dell’omicidio…
“Colpo basso”, pensò Regina. Si limitò ad annuire.
- Capisco – aggiunse. – In ogni caso, ora che ci siamo presentati, credo che non ci sia bisogno di dirle che, dal momento in cui sono arrivata in città, in qualità di agente dell’Interpol, ho formalmente assunto il controllo delle indagini. Dico bene?
Gisbourne le riservò un sorriso fin troppo unticcio per i suoi gusti. Ogni traccia di finta cortesia era sparita del tutto.
- Si sta mettendo nello schieramento sbagliato in questa battaglia, agente Mills – cominciò lui facendosile più vicino. – Perché non fa un salto al Rabbit Hole, una sera di queste? Lì capirà cosa vuol dire essere dalla parte giusta. Allo Sceriffo non farà particolarmente piacere quando gli riferirò questa nostra conversazione…
Così dicendo, la prese per un braccio, stringendo forte. Le sue dita le penetrarono nella carne tanto da farle cacciare un grido.
- Mi lasci immediatamente! – protestò.
- Hey, Gisbourne!
Regina si voltò. Robin Locksley era già addosso all’uomo, che lasciò andare immediatamente il suo braccio. Robin lo prese per il colletto della divisa nera, sbattendolo contro il muro in mattoni degli edifici lì accanto.
- Non metterle le mani addosso mai più, intesi? – gli sibilò a pochi centimetri dal viso. 
Gisbourne gli scoppiò a ridere in faccia. A quanto pare trovava la cosa piuttosto divertente. Regina si avvicinò ai due uomini. Non voleva che Robin finisse nei guai per colpa sua.
- Potrei schiaffarti dentro per offesa a pubblico ufficiale, nonché per tentata aggressione – rise Gisbourne, mentre Robin continuava a tenerlo inchiodato al muro. – Passare qualche mese al fresco aiuterebbe il tuo caratteraccio, Locksley.
Regina posò una mano sul braccio di Robin proprio mentre lui stringeva ancora di più la presa su Gisbourne, gli occhi sbarrati e la furia nello sguardo.
- Robin, basta così – gli disse lei. – Non ne vale la pena. 
Robin incontrò lo sguardo di lei, che gli fece un cenno di incoraggiamento, e infine lasciò andare l’uomo. Gisbourne espirò, sistemandosi la divisa. 
- Non finisce qui – borbottò rivolto a Robin.
- No, infatti – replicò Regina, le mani sui fianchi, severa. – Nel mio rapporto riferirò anche la mancanza di professionalità e serietà del vice-capo in comando, oltre che le sue minacce ad un agente Interpol inviato dal governo di Sua Maestà. Può contarci, Gisbourne.
Quest’ultimo la guardò malamente e poi, silenzioso, girò sui tacchi e si allontanò. Regina lo osservò ancora per un momento e poi si voltò verso Robin. Lui la osservava attento.
- Tutto bene? – le chiese.
Regina annuì. – Non metterti più in mezzo, per favore. Rischi solo di dar loro dei motivi per sbatterti dentro. 
- Odio quell’uomo – bofonchiò Robin passandosi una mano sul volto. All’improvviso sembrava stanco. Stanchissimo. Come se stesse lottando da tutta una vita, inutilmente.
- Lo so. Non avevo capito cosa intendessi quando mi avevi messo in guardia da Gisbourne e lo Sceriffo. Ora ho capito perfettamente che tipi sono.
- Devi stare attenta, Regina – disse Robin, premuroso, prendendola per le spalle. – Sono privi di scrupoli e passerebbero sopra tutto e tutti pur di fare il loro gioco. Passerebbero persino sopra di te.
Le sue mani le scivolarono lungo le braccia, andando a fermarsi all’altezza dei gomiti. Regina sentiva tutta la pressione e quel contatto, seppur mitigato dalla stoffa del soprabito leggero, la faceva tremare. 
- Posso farcela a stare fuori dai guai – lo rassicurò lei. – E poi posso sempre chiamarti, in caso di bisogno, no?
Regina rise e Robin si unì a lei. Sentirlo ridere le provocava strani movimenti all’altezza dello stomaco. Era bello.
- Certamente. Quando vuoi. 
I due si sorrisero. In quel momento, Robin si accorse delle sue mani ancora sulle braccia di lei, perché le abbassò velocemente, nascondendole nelle tasche della giacca verde. Regina si rilassò.
- Sto tornando da Granny’s per cena… - iniziò lei.
Robin la guardò e le sorrise. – Vengo con te.
 
 
*
 
 
Ruby aprì la porta di camera sua stancamente. Quella era stata una serata piuttosto attiva, giù al ristorante. Sembrava che l’arrivo di Regina Mills avesse attirato ancora più clienti. Avevano lavorato ininterrottamente dalle sette alle due, servendo cena e poi facendo servizio bar nelle ore più tarde. Regina aveva cenato insieme a Robin, Will e il piccolo Roland. Avevano riso e Ruby aveva lanciato loro qualche sguardo interessato. Era troppo impegnata a servire e a mangiarsi Much con gli occhi per dedicare tutta la sua attenzione a Locksley&company
Lei e Much avevano una storia e la loro reciproca attrazione non era facilmente celabile, ma entrambi si impegnavano con tutta l’anima, soprattutto perché nessuno sapeva nulla della loro relazione. Ed era meglio così. In fondo, non era niente di serio e non volevano che le famiglie si facessero strane idee. Nel suo caso, suo fratello Tuck avrebbe messo i manifesti per tutta Storybrooke, portato com’era a tenersi per sé i suoi affari. Da parte di Much, potevano contare sulla discrezione di Alice, ma non di Will, il suo migliore amico, o della signora Miller, che oltretutto nemmeno la sopportava, fin dai tempi del liceo. 
Ruby si buttò sul letto, in attesa che Much la raggiungesse di sopra entrando dalla porta sul retro. Si sporse verso il comodino e aprì il piccolo cassettino. Il registratore era ancora lì. Ruby lo osservò per un momento e fece per prenderlo quando sentì bussare piano alla porta. Much. Richiuse in tutta fretta il cassetto e si precipitò ad aprire. Il ragazzo le si buttò addosso, spogliandola velocemente dei pochi vestiti che Ruby era solita indossare da Granny’s. I due si baciarono con voracità, mentre Ruby trascinava Much sul letto. 
- Cosa stavi facendo? – le chiese lui baciandole la mascella. – Qui tutta sola…
- Ti stavo aspettando… - sussurrò lei. – Sta’ zitto, adesso.
Ripensò ancora per un secondo al registratore, che bruciava sulla sua coscienza, nascosto in quel cassetto, ma accantonò ben presto quel pensiero. Chiuse gli occhi, spinse Much contro il materasso e gli salì sopra. Si avventò sulle sue labbra, dimentica di tutto il resto.
 
 
 
 
NOTE
 
  • Titolo e citazione arrivano dalla bellissima “Begin Again” di Taylor Swift.
  • L’Eco di Storybrooke l’ho inventato io.
  • Vi ricordo che in questa mia storia Ruby è sorella di Theodore “Tuck”.
 
 
Salve salve!
Allora, eccomi qui con un nuovo aggiornamento, come al solito in vergognoso ritardo. Chi segue anche le altre mie long ormai mi conosce XD
Detto ciò, non ho precisazioni da fare su questo capitolo… Spero solo vi sia piaciuto. Regina e Robin cominciano a fidarsi e a fare conoscenza, e devo dire che il modo in cui Robin ha difeso Regina mi ha fatto fangirlare e non poco. E l’ho anche scritto io… ahahhahaha Va be’, non fateci caso. 
E che ne dite di Ruby e Much? Vi ricordo che Much Miller è “interpretato” da Aaron Taylor-Johnson :3 E, a proposito, scopriamo che fine ha fatto il registratore scomparso di Sidney. Come mai ce lo avrà Ruby? Il mistero sarà svelato nel prossimo capitolo, ovviamente.
 
 
Vi ricordo il mio gruppo FB, per chiunque voglia fangirlare in compagnia. 
 
 
A presto!
Marti
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2548120