Una Generazione Mortale

di Darkness_Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sopravvivo ad un altro anno ***
Capitolo 2: *** Partecipiamo ad una rievocazione Storica ***
Capitolo 3: *** Un vecchio amico di mamma e papà viene a farci visita al mare ***
Capitolo 4: *** Due semidei, una Mortale, un Oracolo e un' Impresa ***
Capitolo 5: *** Lilia vuole prendere una scorciatoia per gli Inferi ***
Capitolo 6: *** Tutte le strade portano a (Nuova) Roma ***
Capitolo 7: *** Scopriamo qualcosa, più o meno. ***
Capitolo 8: *** Domande + Dubbi = Aibileen confusa ***
Capitolo 9: *** Incontriamo le parenti della Zia ***
Capitolo 10: *** Case giuste, Inquilini sbagliati ***
Capitolo 11: *** Lucas si reinventa poeta ***
Capitolo 12: *** Il castello crolla ***
Capitolo 13: *** Mamma e Papà ***
Capitolo 14: *** Quello che incomincia bene, finisce male ***
Capitolo 15: *** La matassa si scioglie ***
Capitolo 16: *** Riunione di Famiglia ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Sopravvivo ad un altro anno ***


Salve a tutti, questa è la prima fanfiction su Percy Jackson che scrivo, spero sia venuto un lavoro quanto meno decente :) Come ho detto nella trama non ci sono spoiler sulla fine della saga (anche perchè non è ancora conclusa) ma soltanto qualche piccolo spoiler per chi non abbia ancora letto i libri della saga degli Eroi dell'Olimpo.
Direi che per ora è tutto, non mi resta che augurarvi Buona Lettura :)

Capitolo 1
Sopravvivo ad un altro anno
 
Allora, come potrei incominciare? Forse presentarmi è la cosa migliore.
Salve a tutti, mi chiamo Aibileen Jackson e ho dodici anni, vivo a Manhattan con la mia famiglia e sono una mezzo - mezzosangue.
D’accordo ammetto che questa parola non esiste, ma ora giuro che mi faccio capire.
Per comprendere il mio problema prima di tutto devo presentarvi la mia famiglia a grandi linee e farvi capire che non è affatto facile vivere con la mia famiglia ed essere me, pensandoci, forse è  meglio iniziare dall’inizio…
I miei genitori, Annabeth Chase e Percy Jackson (si, sono proprio quella Annabeth Chase e quel Percy Jackson), si sono sposati circa diciannove anni fa dopo aver fatto scoppiare una specie di guerra tra i miei nonni, Poseidone e Atena, in quanto la mia cara nonna non aveva la minima voglia di lasciare che sua figlia spossasse un figlio di Poseidone, ci volle quasi un anno prima di riuscire a convincerla che il rancore che provava verso Poseidone, non doveva essere riversato anche su mio padre e che ormai erano passati secoli dalla storia di Atene e di Medusa e che di conseguenza, forse, era meglio appianare le discordie.
E se io sono qui che vi parlo, non c’è bisogno di spiegare che Atena, alla fine, si convinse e diede la benedizione a sua figlia per sposarsi.
Così i miei genitori si sposarono e quattro anni dopo nacquero i miei fratelli, Lucas e Lilia.
Lucas e Lilia sono gemelli, Lucas è biodo con gli occhi verdi, ed ha tutte le caratteristiche di un figlio di Atena, mentre Lilia ha i capelli scuri e gli occhi grigi, ed ha tutte le caratteristiche di una figlia di Poseidone.
I miei fratelli sono dei mezzo sangue, hanno scoperto le loro capacità quando avevano sette anni e da allora tutte le estati vanno regolarmente al campo mezzo sangue. Sono adorati dai nostri nonni, sia quelli mortali che quelli Dei, e non si fanno problemi a darsi un po’ di arie in mezzo agli altri mezzo sangue, essendo due dei pochi figli di mezzosangue al campo.
La vita dei miei genitori era perfetta, erano sposati, avevano avuto due bellissimi bambini, cosa poteva rovinare la loro stupenda e perfetta vita insieme?
Io.
Quattro anni dopo Era decise di vendicarsi su mia madre per uno scherzo che le avevano fatto i miei adorati fratellini una volta che erano andati a trovare i nostri nonni sull’Olimpo ( oltre che per le vecchie discordie), e così, durante il mese estivo che i miei fratelli passavano con i nonni mortali, i miei genitori fecero quello che due genitori fanno quando i bambini piccoli non sono a casa, e grazie alla Dea del Matrimonio e delle Nascite capitai io.
Era pensava di punire i miei fratelli facendo avere a mia madre un altro bambino di cui prendersi cura e, di conseguenza, diminuire le attenzioni verso di loro, ma non sapeva quanto si stava sbagliando.
Lucas e Lilia si divertono sempre a raccontarmelo, quando mia madre scoprì di essere incinta di me, mio padre la trovò seduta per terra in bagno con un test di gravidanza positivo in mano che piangeva a dirotto, ma poi si era calmata e avevano detto che ero la quarta cosa più bella che gli fosse capitata.
E io ci avevo creduto, fino a quando, un anno prima, mio padre non si era lasciato scappare che lui  e mia madre, avevano preso entrambi seriamente in considerazione l’interruzione di gravidanza, non volevano un altro figlio, gli bastavano i gemelli che gli davano abbastanza grattacapi.
Poi, mia nonna, aveva avvertito la mamma che era stata Era a farla rimanere incinta e allora io ero dovuta venire al mondo per non incorrere nell’ira della Dea.
Con ciò, non voglio dire che non mi vogliano bene, anzi, me ne vogliono molto, ho sentito dire da mia madre che se non mi avesse tenuta avrebbe fatto un errore enorme, ma in ogni caso non si può dire che io abbia avuto un infanzia facile.
Da neonata, come adesso, le cose non sono cambiate molto a pensarci bene, ero il soggetto preferito dei miei fratelli per i loro scherzi, mi sono ritrovata con scritte di pennarelli colorati addosso, pezzi di lego incollati ai vestiti, incolpata per succhi di frutta caduti a terra e tutte le altre cose che vi possono venire in mente, anche se sono assurde, loro me le hanno di certo fatte.
Crebbi, ma il problema fu che con me crescevano anche i miei fratelli, super iperattivi; ho chiari ricordi di mia madre che li insegue per casa maledicendoli in greco antico, perché non le obbedivano, ed io ero lì, che li guardavo dal mio lettino dietro le sbarre di legno, aspettando che qualcuno si ricordasse della mia presenza e mi venisse anche solo ad accarezzare la testa, di solito era papà che lo faceva, entrava nella mia cameretta sorridendo, e mi prendeva in braccio stringendomi, mentre io mi stringevo a mia volta contro il suo petto sperando che quel momento non finesse mai, poi però mia madre ripassava di corsa davanti alla porta, gli gridava di darle una mano e allora la magia finiva, io venivo rimessa nel lettino, e mentre allungavo le mani verso di lui per essere ripresa in braccio, mi sorrideva triste e mi accarezzava la testolina - Torno presto piccolina - e poi se ne andava, lasciandomi di nuovo da sola.
Le cose migliorarono leggermente dopo il settimo compleanno dei miei fratelli.
Quando scoprirono di avere divisi tra di loro i poteri dei nonni, dal 6 di Giugno, quando finiva la scuola, sino al 10 di settembre, venivano lasciati al Campo mezzo sangue e io potevo passarmi un’intera estate con i miei genitori, come se fossi figlia unica, essere al centro dell’attenzione per tre mesi all’anno.
Naturalmente tutti pensavano che, viste le eccellenti doti dei miei fratelli, anch’io verso i sette anni avrei sviluppato qualche caratteristica dei miei nonni, si accettavano scommesse da chi dei due avrei preso, ma nemmeno la genetica era dalla mia parte.
Avendo due genitori mezzo sangue di prima generazione, cioè nati dall’unione di un Dio e di un umano e non da due mezzo sangue, e seguendo la prima legge dell’ereditarietà dei caratteri di Mendel, i loro figli potevano essere:
25% Dei ( cosa impossibile)
50% Semidei ( i miei adorati fratellini)
25% Umani
Indovinate di che categoria faccio parte?
Esatto, l’unica cosa che ho preso dai miei genitori è la dislessia!
Sono una semplicissima ragazzina dislessica, con gli occhi grigi, per altro l’unica cosa che ho in comune con mia sorella, i capelli mossi ma castano  scuro, quasi neri, e tutt’altro che iperattiva.
I miei genitori e nonni non mi fecero pesare la mia chiamiamola “mancanza”, ma in compenso ci pensarono i miei fratelli e i loro amici.
E così, incominciò la mia vita com’è oggi, sottoposta tutti i santi giorni alle prese in giro dei miei fratelli e lottando contro la dislessia per cercare di superare l’anno scolastico con il minimo dei voti.
Però c’è un'unica cosa di cui non mi posso lamentare e che adoro della mia vita, essendo umana, per tutto il resto della mia vita, avrò sempre quei tre mesi d’estate in cui i miei genitori mi portano a Montauk e io li ho tutti per me, non ci sono Lucas e Lilia a rovinare ogni santo giorno, ci siamo solo noi tre: mamma, papà ed Aibileen.
 
E adesso torniamo a noi, è il 5 di Giugno, ciò vuol dire che manca esattamente solo un giorno alla fine della scuola e alla partenza per il campo mezzo sangue dei gemelli, nonché dell’inizio dei miei tre mesi di libertà.
La sveglia scattò, e iniziò a trillare emettendo un suono acuto che mi penetrò nelle orecchie. Mi girai verso il comodino e allungai una mano verso di esso, a tentoni e tirando manate sul mobile, riuscì a trovare la sveglia e a spegnerla.
Aprì un occhio e guardai l’ora, manca un quarto alle sette, perfetto, avevo ancora circa un quarto d’ora prima che un estenuante giornata iniziasse.
Mi tirai su le coperte e mi misi a fissare la stanza buia che mi circondava, con l’unica luce proveniente dalla tapparella semichiusa, non mi piaceva dormire completamente al buio.
Forse posso aggiungere ancora una cosa, alla corta lista delle cose che mi piacciono della mia vita, ho la mia camera.
Quando Lilia compì dodici anni, i miei genitori proposero ai gemelli di separarsi e usare la camera più grande dove dormivano loro due per me e mia sorella, ma lei si era subito detta contraria, non aveva la minima voglia di passare le sue giornate con me, e dalla mia parte speravo di non dover condividere la camera con lei, o tutte le mattine mi sarei svegliata con uno scherzo nuovo pronto ad attendermi.
Alla fine i gemelli si erano accaparrati la camera più grande e io mi ero tenuta la mia cameretta- sgabuzzino, come la chiamavano amorevolmente i mie fratelli, contenta di poter dormire tranquilla senza il terrore che uno dei due mi aggredisse durante la notte, o almeno non tutte le notti.
Chiusi gli occhi e strinsi al petto l’unico regalo che mi aveva fatto la mia nonna materna. Quando avevano scoperto che non ero una mezzo sangue tutti avevano cercato di consolarmi, pensando che ne sarei rimasta segnata a vita, così i nonni Dei per farmi capire che mi volevano bene lo stesso, mi avevano fatto un regalo per “mortali” come lo avevano definito mentre ne parlavano con i miei genitori. Nonna Atena mi aveva regalato una civetta bianca e grigia di peluche, mentre nonno Poseidone mi aveva regalato una ninfea che non appassiva mai, e su ogni petalo vi era una lettera greca che componeva il mio nome, almeno riuscivo a leggerlo con la mia dislessia.
Sospirai, godendomi il tepore che veniva da sotto le coperte e la morbidezza del peluche vicino al mio viso, e poi la tranquillità svanì.
- Sveglia, sveglia sorellina mortale! Il sole è già alto! - gridò Lilia invadendo la mia camera e correndo a tirare su la tapparella in modo che il sole entrasse e mi ferisse gli occhi.
Emisi un verso di protesta e poi mi tirai su stropicciandomi gli occhi - anche tu sei mortale - le ricordai ancora mezza assonnata -  ma molto meno di te! Quindi alzati e obbediscimi! - mi si avvicinò mi diede un bacio in fronte e poi mi tirò uno scappellotto sulla nuca, per lei è un segno di affetto - ahia… - borbottai sotto voce mentre mi massaggiavo la testa e Lilia correva di nuovo fuori la stanza sbattendo dietro di se’ la porta.
Crollai di nuovo a letto stropicciandomi la faccia con le mani e sospirando esasperata.
Era, ma non dovevi punire i miei fratelli? No, sai perché in realtà ci rimetto sempre e solo io!
Sentì la porta aprirsi piano, e aspettai che Lucas mi saltasse addosso come faceva tutte le mattine per svegliarmi, invece sentì una mano scostarmi le mie dal viso e subito dopo ricevetti un dolce bacio sulla fronte.
Aprì gli occhi e trovai gli occhi grigi di mia madre, gemelli ai miei, che mi sorridevano, io le sorrisi a mia volta, poi alzai le braccia e le abbracciai il collo mentre lei mi tirava su facendomi sedere e mi stringeva. Infilai la testa nei suoi capelli d’orati e inspirai il suo dolce profumo, godendo del calore che emanava il suo corpo, sperai che quel momento non finisse mai.
Mia madre mi allontanò da sé e mi diede ancora un bacio sulla fronte sempre sorridendomi dolcemente -  Buongiorno  - mi disse scostandomi una ciocca di capelli dal viso
-  ‘giorno  - le risposi soltanto.
Lei mi sorrise  e poi si alzò -  dormito bene? - mi chiese mentre si avvicinava alla mia scrivania e prendeva dei vestiti poggiati alla rinfusa sullo schienale della sedia
- abbastanza - le dissi alzandomi e infilandomi le ciabatte
Lei mi sorrise con in braccio la roba sporca - la colazione è quasi pronta, ti aspettiamo di là - mi disse prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.
Sospirai, poi andai all’armadio e tirai fuori dei vestiti da mettermi. Jeans blu scuro, maglietta verde a fiorellini rosa, scarpe da ginnastica e una felpa nera con il cappuccio.
Mi infilai tutto e poi andai in cucina -  Buon giorno  - salutai, come al solito l’unico a rispondere al saluto fu mio padre, che smise di bere il caffè e mi si avvicinò -  Buon giorno piccolina - e mi lasciò anche lui un bacio sulla fronte, sorrisi un po’ rasserenata, poi mi girai verso i miei fratelli che si stavano letteralmente menando per una frittella blu.
- Buongiorno anche a te Aibileen, dormito bene? Noi si, e siamo pronti a rovinare la tua esistenza - sussurrai tra me e me mentre mi andavo a sedere a tavola, il più distante possibile dai due gemelli, e mi assicuravo la mia frittella blu e il mio latte con cioccolato.
E la mattina continuò come tutte le altre, ormai anticipavo le battute. Mia madre entrava in cucina, gridava ai miei fratelli di smetterla di litigare, loro non la ascoltavano, allora lei si avvicinava e sbatteva le mani sul tavolo davanti a loro, io prontamente immobilizzavo il bicchiere col latte in modo che non si rovesciasse, poi lei iniziava a sgridarli, loro si separavano, si dividevano la frittella, abbassavano il capo e dicevano in coro un - scusa mamma - con finta contrizione, lei gli faceva ancora una ramanzina e io nel frattempo finivo di fare colazione e andavo in bagno per finirmi di preparare.
Nonostante il puro caos che regnava in casa nostra la mattina, alle sette e mezzo eravamo tutti e tre pronti e ci ritrovammo davanti alla porta di casa.
I miei fratelli ridevano e scherzavano tra di loro spintonandosi leggermente, già con le tracolle in spalla, Lilia rigorosamente vestita con ogni tonalità di blu possibile addosso, e Lucas con addosso la felpa della scuola, bianca e nera, con ricamato sul taschino il simbolo della scuola.
Io mi ero caricata il mio zaino sulle spalle dopo essermi per bene legata i capelli in un coda alta, mi misi vicino a loro, si girarono all’unisono con sguardo famelico del tipo ora-te-ne-facciamo-una, ma per grazia divina i nostri genitori arrivarono e loro due sfoderarono i loro più innocenti sorrisi.
- Preso tutto? - chiese mia madre, la solita domanda di routine.
- si mamma! - le risposero i gemelli in coro con voce squillante
- si, mamma - le risposi io poco dopo a voce più bassa
- bene, allora andiamo -
Mia madre si fece avanti e aprì la porta, mentre invece mio padre rimaneva dietro di noi. Quando eravamo più piccoli, i miei fratelli avevano la mania di scattare in avanti e gettarsi in strada appena la porta si apriva, così mia madre apriva la porta mentre mio padre li teneva per mano come se fossero al guinzaglio e li portava sino alla macchina mettendoli sui seggiolini, aiutato da mia madre, io aspettavo nell’atrio che lei tornasse indietro a prendermi, allora le davo la mano e toccava a me essere messa nel seggiolino, poi saliva anche lei in macchina e iniziava il viaggio da incubo.
Ora i miei fratelli continuavano a gettarsi in strada, ma con meno foga e aspettavano mio padre alla macchina che usciva insieme a loro aprendola e facendoli salire, e io continuavo ad aspettare mia madre, non le prendevo più la mano, ma quei pochi metri da sole erano un momento per parlare.
Aspettai che chiudesse la porta e iniziasse a chiuderla a chiave -  oggi hai qualche compito? - mi chiese continuando a concentrarsi sulla serratura
- no, hanno detto che non ce ne fanno altri sino a domani, quando avremo gli esami finali - le spiegai mentre incominciavamo ad avvicinarci alla macchina
-  bene, così hai tempo di prepararti per bene, hai bisogno di un aiuto in qualcosa? - mi chiese dolcemente - no, ce la faccio mamma - la rassicurai
Sentimmo il clacson suonare, ci girammo verso l’auto e vedemmo Lilia sporta in avanti che ci faceva segno di avvicinarci perché era tardi, mentre mio fratello era accasciato sul sedile posteriore con le cuffiette nelle orecchie e ci guardava abbastanza scocciato.
Mia madre sospirò, poi accelerò il passo e raggiunse l’auto, dimenticandosi di me, sospirai e raggiunsi anch’io la macchina, come al solito mi toccava il posto esterno che dava sulla strada.
Aggirai la macchina, constatai che non arrivassero macchine e salì in auto chiudendomi dietro la portiera, mi allacciai la cintura e poi mio padre fece manovra per uscire dal parcheggio.
Fortunatamente i viaggi in macchina erano migliorati, Lucas li passava con le cuffiette nelle orecchie, Lilia li passava parlando animatamente con mia madre o mio padre e io  mi concentravo sul mondo che passava fuori dal finestrino della nostra auto.
Sospirai, e scivolai un po’ sul sedile stringendo la borsa poggiata sulle ginocchia con le mani. Mia sorella stava cercando di convincere mia madre a fare una super festa per il loro compleanno, che per altro è a fine Settembre, ma mia sorella ha l’abitudine di portarsi avanti, e come al solito mia madre continuava a ripeterle che ne avrebbero parlato quando sarebbero tornati dal campo e che adesso non era il momento visto che era Giugno, e che il mio compleanno era passato da poco.
Aspetta, cosa centra adesso il mio compleanno? Mi feci attenta.
Dovete sapere che io dovevo nascere a Maggio, ma per colpa di un attacco improvviso di un mostro, mia madre entrò in travaglio due mesi prima e così nacqui a Marzo.
Il mio compleanno era stato tre mesi prima, solita festicciola in casa con la mia famiglia, zio Tyson, zio Grover, anche se non è proprio nostro zio, e i nonni, quelli mortali, quelli divini mi mandano sempre un biglietto di auguri.
Nonna Sally mi aveva fatto la torta, della quale come al solito ero riuscita a prenderne solo una fetta visto la fame famelica dei miei fratelli, poi avevo aperto i regali e con quello la festa era finita.
Ora che ci penso è stato un compleanno piuttosto bello, i gemelli sono stati bravi, mi hanno persino fatto un regalo carino e non mi hanno teso nessuna imboscata, non come al mio settimo compleanno che mentre spegnevo le candeline Lucas mi aveva spinto ed ero finita con l’intera faccia dentro la torta, ma questa è un’altra storia.
Lilia guardò mia madre perplessa - e cosa centra ora il compleanno di Aibi? - chiese
Mia madre mi lanciò un occhiata e io feci finta di essere assorta a guardare fuori dal finestrino, poi si rivolse di nuovo verso mia sorella - sai benissimo cosa centra il compleanno di tua sorella, e ora chiudiamo l’argomento “festa di compleanno” sino a fine Agosto - le disse girandosi di nuovo verso la strada. Lilia sbuffò e si lasciò cadere sul sedile imbronciata e con le braccia strette al petto.
Dopo altri venti minuti di viaggio arrivammo davanti alla scuola, una scuola normale, di ragazzini normali e non per ragazzi “speciali”, con l’unica caratteristica di essere gestita da un figlio di Ermes.
I gemelli si fiondarono subito fuori dalla macchina e raggiunsero i loro gruppetti di amici, Lucas che salutava la sua combriccola con pacche sulle spalle e dandosi il cinque, e Lilia che invece salutava le sue amiche scambiandosi baci sulle guance.
Contro ogni aspettativa dei nostri genitori, i miei  fratelli erano riusciti a rimanere nella stessa scuola per ben cinque anni di fila e l’anno successivo si sarebbero diplomati, dopo di che se ne sarebbero finalmente andati da casa, non mi importava se fossero andati a vivere al campo mezzo sangue o in qualche Università, l’importante è che mi avrebbero lasciato vivere in pace il resto della mia esistenza.
Quello per me, invece, era il mio primo anno e per ora me l’ero cavata abbastanza bene. Avevo tutte le materie, non ho amici e penso che a parte i miei fratelli, nessuno sappia della mia presenza nella scuola, quindi si, me la sto cavando veramente bene.
Sganciai la cintura e mi gettai lo zaino in spalla - Buona giornata - dissi sporgendomi tra i due sedili e lasciando un bacio prima sulla guancia di mio padre e poi su quella di mia madre - anche a te piccola, e fai la brava - mi raccomandò mio padre.
Scesi e li salutai con una mano sorridendo, loro mi salutarono e poi andarono via. Sospirai e cancellai il sorriso dalla faccia, mi voltai e salì le scale che portavano all’entrata superando i gruppetti di ragazzi che parlavano tra di loro, andai dritta all’armadietto e presi i libri e i quaderni per le prime ore.
 
Alle tre in punto la campanella suonò, il professore di Matematica ci diede gli ultimi accorgimenti per poter fare i compiti a casa e poi ci riversammo tutti fuori dall’aula.
Mentre i miei compagni correvano come matti per poter prendere le loro cose e poi scappare via dalla scuola, io me la presi più comoda.
Dopo aver preso tutti i libri, salì come al solito al piano di sopra dove vi era la classe di letteratura, l’ultima ora dei miei fratelli, e li aspettai sull’uscio.
Quando mi videro accelerarono il passo e mi si piazzarono davanti dopo aver chiesto scusa ai loro amici per dover un attimo assentarsi:
- Che c’è? - mi chiesero in coro abbastanza scocciati
-  Torniamo a casa insieme? - chiesi mentre giocherellavo con le cinghie del mio zaino
- No Aibi, oggi io ho allenamento di basket e Lilia di nuoto, quindi non torniamo a casa con te - mi rispose sbrigativo mio fratello
- D’accordo, allora ci vediamo a casa - conclusi, girai sui talloni e mi allontanai mentre li sentivo tornare dai loro amici ridendo e parlandomi alle spalle, non ci feci caso, era normale.
Uscì da scuola e mi diressi alla metropolitana, alla mamma non piaceva molto che andassi in giro da sola a dodici anni, ma io non avevo voglia di rimanere a scuola solo per aspettare i miei fratelli e vederli elogiati dai loro compagni di squadra mentre Lucas faceva un canestro dopo l’altro e Lilia batteva i record in vasca, quindi preferivo tornarmene a casa da sola, chiusa nei miei pensieri.
In mezz’ora arrivai davanti al portone di casa, tirai fuori le chiavi dallo zaino e aprì la porta, tre giri, ero da sola in casa.
Mia madre è un architetto e lavora tutta la settimana a parte il Sabato e la Domenica e il Martedì che lavora solo la mattina, mentre mio padre, invece, lavora nella guardia costiera, torna a casa la sera, e ha il week-end libero.
Mi chiusi la porta alle spalle e andai in camera, gettai lo zaino sul letto e poi mi levai le scarpe buttandole alla rinfusa sul pavimento, mi concessi dieci minuti di televisione insieme a qualche biscotto per fare merenda, dopo di che mi misi a fare i compiti e a studiare.
Finiti i compiti di matematica, un supplizio, ma alla fine erano fatti, presi il libro di scienze e mi sedetti sul letto radunando tutta la buona volontà che possedevo e iniziai a studiare.
Devo premettere che io adoro, e sottolineo, adoro la scienza, se potessi respirerei e mangerei scienza, solo che con la mia dislessia, più vado avanti negli studi più le parole si complicano, di conseguenza meno riesco a leggerle essendo dislessica.
Iniziai a leggere, le prime parole passarono veloci e le lessi senza problemi, l’argomento mi interessava si parlava di cellule Eucariotiche e Procariotiche, divisioni cellullari, insomma roba divertente, ma poi arrivarono le parole lunghe e iniziai ad avere dei seri problemi.
La prima parola che iniziò a muoversi sulla pagina stampata fu “nucleolo”, chiusi e riaprì gli occhi un paio di volte cercando di far smettere di muovere le lettere e poi riuscì a decifrarla.
Continuai a lottare contro il libro, non avrebbe vinto lui avrei finito di leggere quel stramaledettissimo capitolo!
Arrivai ad una parola e mi bloccai, il capitolo parlava della cellula Eucariotica, ero riuscita a superare quasi indenne la descrizione del nucleo, ora proseguiva con la descrizione del citoplasma e degli organuli citoplasmatici, ci misi cinque minuti buoni per capire che vi era scritto “citoplasmatici”, e ora non riuscivo a leggere uno stramaledettissimo nome.
Chiusi e aprì gli occhi per far smettere di far girare le lettere, allontanai e avvicinai il libro, ma niente non riuscivo a leggere la parola perché ero sicura che “sissoiglimo” non fosse la parola giusta.
La mia attenzione fu attirata dal rumore della chiave che girava nella toppa, e poi con mio grande sollievo riconobbi la voce di mia madre - ragazzi sono a casa - disse entrando e chiudendo la porta - ci sono solo io - le risposi lasciando per un attimo stare la lettura.
Mia madre spuntò dalla porta sorridente  -  come mai già a  casa? - le chiesi felice di vederla
-  ho finito prima - mi rispose, io annuì poi lei andò via, andando in camera per cambiarsi mentre io mi focalizzavo di nuovo sulla parola.
Presi una matita rossa e la circondai per  delimitarla e far si che le lettere non si mischiassero con quelle di altre parole e mi concentrai.
Mia madre mi vide con la fronte corrucciata, e lo sguardo fisso in un punto su un foglio, si avvicinò silenziosa e mi si sedette accanto sul letto, io spostai solo un secondo per osservarla  e poi tornai sulla causa della mia pena.
- c’è scritto “gliossisomi”  - mi disse indicando la parola.
Le lettere si ricomposero e finalmente apparve chiaro “gliossisomi”, sospirai e abbassai il libro sconsolata - da quanto ci stavi sopra? - mi chiese guardandomi
- boh, penso mezzora ormai - le dissi abbastanza giù di morale, poi rialzai il libro e ripresi a leggere “ gliossisomi: sono analoghi hai sissomepri”.
No, direi che non ci poteva essere scritto “sissomepri”.
Mi girai verso mia madre e la guardai -  questa riesci a leggerla? - le chiesi indicando la parola
-  Perossisomi - mi rispose senza alcuna difficoltà
Sospirai -  sicura di essere dislessica mamma? dico sul serio - le dissi fissandola
Lei rise e mi abbracciò dandomi un bacio su una tempia - sai che io ho dei problemi quando devo dire le parole, a leggere ci riesco sicuramente meglio di tuo padre - mi ricordò continuandomi a stringere, poggiò la testa sulla mia e poi mi fece abbassare il libro - perché non ti prendi un po’ di pausa? Sai che se ti stanchi gli occhi è peggio - mi ricordò
- lo so’, lo so’… - la rassicurai
- se proprio non vuoi smettere prova con gli occhiali - mi raccomandò.
Scossi la testa e mi poggiai sulla sua spalla lasciandomi stringere, mi lasciai scappare un sospiro
- è successo qualcosa oggi a scuola? - mi chiese accarezzandomi i capelli e dandomi un bacio sulla testa - no, il solito - le risposi
-  sei tornata a casa da sola… - constatò
- avevano allenamento  - le risposi lapidaria e stringendomi di più a lei
-  Aibi…  - mi disse sospirando e stringendomi -  perché non provi a stare un po’ con i tuoi compagni? - mi chiese continuando ad accarezzarmi i capelli
-  perché… mi sento… diversa da loro - le confessai guardandola negli occhi.
Lei mi sorrise  e mi accarezzò un braccio -  e invece sei molto simile a loro, pensa invece ai tuoi fratelli che nonostante tutto sono riusciti ad integrarsi - mi ricordò
Abbassai lo sguardo in modo che non potesse vedere la delusione che mi apparve sul viso, ecco la solita solfa pensa ai tuoi fratelli Aibileen, loro sono semidei e si sono integrati molto bene, anche tu devi farlo, tu sei mortale quindi devi riuscirci, sempre messa a confronto con i gemelli, tutti quelli che ci vedevano mi mettono sul loro stesso piano e appena li conoscono un po’ di più, ecco che io finisco a sorreggere il piedistallo dei miei fratelli.
- si mamma… - le risposi poco convinta, poi mi alzai allontanandomi dal suo abbraccio, sentì mia madre sospirare, poi si alzò e mi venne vicino mentre io facevo finta di mettere apposto il libro, mi strinse le spalle e mi diede un altro bacio sulla testa -  sarai simile agli altri, ma per me rimani sempre unica - mi sussurrò. Mi girai verso di lei per guardarla, davvero aveva veramente detto che per lei ero unica?
- mamma io non sono Lilia… - le dissi, mia madre scoppiò a ridere e scosse la testa
- lo so’ Aibileen, credi che non riesca a distinguere le mie due bambine? - mi ricordò, poi mi prese in braccio e mi scoccò un bacio sul naso - ora la smetti di studiare e vieni con me - mi disse mentre mi portava fuori dalla camera
- ma domani ho gli esami e poi… cosa vuoi fare? - le chiesi guardandola dubbiosa
-  mi aiuti a fare una torta per papà e i tuoi fratelli - mi disse posandomi a terra vicino ai fornelli
- quindi la facciamo blu? - le chiesi
Lei rise - quindi la facciamo blu -
 
La sveglia trilla, e al contrario di ieri scatto in piedi, sveglia.
Oggi è il sei di Giugno, ultimo giorno di scuola, primo giorno di vacanze.
Mi alzo dal letto mi infilo jeans e maglietta, non ho voglia di aspettare che venga qualcuno a svegliarmi, manca poco alla mia libertà.
-  Sveglia, sveglia piccola… - mia sorella invade camera mia come al solito, ma quando mi vede sveglia rimane delusa e non fa niente per mascherarlo - sei sveglia… - l’ho veramente delusa
- Si, sono sveglia, ora andiamo dobbiamo fare colazione - le dissi sorpassandola senza darle il tempo di darmi lo scappellotto e il bacio mattutino.
La sera prima, dopo cena, mamma e papà avevano aiutato i gemelli a preparare i borsoni con le cose per il campo mezzo sangue, ricambi, armi insomma tutto quello che gli sarebbe potuto servire in quei tre mesi, allo stesso modo io preparavo la mia valigia per andare a Montauk.
La torta che avevamo fatto io e la mamma aveva riscosso successo, papà ne era stato entusiasta e aveva passato circa dieci minuti a stritolarmi dicendomi che era la torta migliore che avesse mai mangiato, in quel momento la faccia dei miei fratelli era di pura invidia, e in quel momento avevo sperato ardentemente che avessero capito come mi sentivo io tutti i santi giorni, ma era un sogno impossibile.
In ogni caso adesso mi dirigevo verso la cucina a passo svelto, con un sorriso sulla faccia - siamo allegre sta mattina - mi disse mio padre vedendomi entrare in cucina e sedendomi a tavola sorridente - si, oggi è l’ultimo giorno di scuola - gli ricordai
Mio padre mi mise davanti il sacchetto di biscotti e il bicchiere di latte e cioccolato e mi lasciò un bacio sulla testa - anch’io ero così allegro l’ultimo giorno di scuola da bambino - mi confessò
- perché potevi rivedere la mamma? - gli chiesi, mio padre arrossì sino all’inverosimile e poi scosse la testa - ma no… alla tua età io e la mamma eravamo solo amici - mi ricordò per poi concentrarsi un po’ troppo sul suo caffè.  
Io risi sotto voce e poi continuai a fare colazione tranquilla, dopo qualche minuto arrivarono i miei fratelli che parlavano tra di loro fitto fitto, a volte pensavo che avessero una loro lingua segreta.
Mi guardarono sorpresi e curiosi allo stesso tempo di capire come mai fossi così felice quella mattina, avevo quasi voglia di canticchiare.
- come mai sei così felice Aibi? - mi chiese mio fratello sedendosi alla mia destra mentre Lilia si sedeva alla mia sinistra
- perché è l’ultimo giorno di scuola - gli risposi dando un morso ad un biscotto
- davvero… solo per questo? - mi chiese ancora
- certo! - gli risposi con una sicurezza innaturale per me
-  e smetti l’interrogatorio Lucas! Anche io sono felice che sia l’ultimo giorno di scuola! - gli ricordò la gemella, poi mi prese e mi strinse in un abbraccio che si concluse con una sfregata amorevole della mia testa contro il suo pugno, mi venne da ridere.
Lucas scosse il capo e poi si concentrò sulla sua colazione, mentre anche io e Lilia riprendevamo la nostra colazione.
Anche se era l’ultimo giorno di scuola, come ogni mattina alle sette e mezzo eravamo davanti alla porta, tutti e tre pronti ad uscire, i miei genitori arrivarono parlando tra di loro animatamente come se non si fossero accorti che anche noi eravamo lì.
-  Hai sentito cosa ha detto! -  disse nostro padre a nostra madre sussurrando ma comunque abbastanza irritato -  si, e ti dico che è il posto più sicuro, lo sai benissimo - gli rispose mia madre a tono
-  Annabeth, ragiona! - le disse gesticolando e infervorandosi
Mia madre diventò rossa per la rabbia, mai dire alla figlia della Dea della saggezza di ragionare
- Ora smettila Testa d’Alghe! Ne riparliamo dopo! -
Qualcosa non andava, i nostri genitori si chiamavano con i loro soprannomi solo in due casi:
Il primo, e quello più frequente, era quando erano in vena “amorosa” si abbracciavano e poi seguiva sempre un bacio appassionato che noi ci guardavamo bene dall’osservare.
Il secondo caso, cioè quello appena avvenuto, era quando litigavano, ma non una lite qualunque, una lite di quelle grosse, di cui bisogna preoccuparsi.
Mi girai verso i miei fratelli che a loro volta mi stavano guardando, Lucas mi fissò serio e poi sillabò “ non-una-parola” e fece segno con due dita di chiudere una cerniera immaginaria sulla sua bocca. Io annuì e poi ci girammo sorridenti verso i nostri genitori che adesso erano davanti a noi
-  preso tutto? - chiese nostra madre fingendo un tono allegro e tranquillo
-  si mamma! - le rispondemmo in coro anche noi stampandoci in faccia un sorriso a pieni denti.
Uscimmo di casa tutti e tre insieme, sapevo che se fossi rimasta sola con mia madre, come tutte le mattine, non ce l’avrei fatta a non chiederle cosa ci fosse che non andava, era un mio difetto, io dovevo aiutare tutti.
Salì in macchina, al solito posto verso la strada, nostro padre aveva aperto l’auto ma con il comando a distanza, ed era rimasto sulla porta a parlare animatamente con nostra madre.
Da lì non riuscivamo a sentirli ma doveva essere una cosa davvero molto importante per protrarsi anche fuori da casa e soprattutto davanti a noi
-  secondo voi per cosa litigano? - chiesi all’improvviso senza riuscire a trattenermi oltre
-  non lo so’ Aibi, ma vedrai che risolveranno - mi rassicurò Lilia sorridendomi dolcemente.
D’accordo, possono avermi fatto di tutto, ma rimaniamo pur sempre fratelli, e quando succede qualcosa di grave loro ci sono sempre stati, come quando loro avevano dodici anni ed io otto, i nostri genitori si erano messi ad urlarsi contro in casa perché un mostro aveva attaccato la scuola cercando Lilia e Lucas, e ci era mancato poco che ci finissi di mezzo anche io.
Appena avevano iniziato a litigare, loro si erano seduti di fianco a me, mi avevano messo le mani sulle orecchie e si erano messi a cantare a squarcia gola tutte le canzoni che gli avevano insegnato al campo in quegli anni, all’inizio avevo pensato che fosse un nuovo tipo di gioco inventato per torturarmi, ma poi avevo capito. Ora che ci penso non li ho mai ringraziati.
Io le sorrisi un po’ rassicurata, anche se la mia faccia diceva tutt’altro.
I nostri genitori arrivarono e salirono in macchina, il viaggio fu molto, molto lungo e silenzioso, si poteva vedere la tensione tra i miei genitori.
Arrivati a scuola, stavamo per scendere quando nostro padre ci fermò, lo guardammo sorpresi
-  oggi pomeriggio tornate a casa insieme - ci disse serio
-  ma… ma non venite a prenderci per andare al campo… perché ci andiamo, vero? - chiese Lilia sorpresa e preoccupata.
Facevamo così tutti gli anni, loro tornavano a casa, prendevano le valigie poi ci venivano a prendere a scuola, dopo di che portavamo i gemelli al campo, un saluto veloce e poi partivamo per Montauk, perché invece adesso dovevamo tornare a casa?
Nostro padre stava per parlare quando nostra madre lo fermò, si girò verso di noi e ci sorrise, si vedeva lontano un miglio che era un sorriso finto:
-  certo che ci andrete! Ma io non riesco ad uscire prima dal lavoro, quindi ci vediamo tutti a casa - ci spiegò continuando a sorriderci
-  d’accordo…  - le risposero i gemelli e poi scesero dalla macchina raggiungendo i loro amici.
Mentre stavo per scendere vidi mia madre tirare una gomitata a mio padre e guardarlo con aria truce -  mamma… papà…  - chiesi prima di scendere
Loro si riscossero, probabilmente pensavano che fossi già scesa -  dicci tesoro - mi disse mia madre continuando a tenere quel tono di finta allegria
-  ma… noi ci andiamo a Montauk? - gli chiesi titubante
-  certo che ci andiamo piccolina, ma cosa ti viene in mente! - mi rispose mio padre sorridendo, lui invece era sincero -  d’accordo, allora a dopo - li salutai con il consueto bacio sulla guancia e poi scesi dall’auto ed entrai subito nell’edificio continuando a pensare a tutto quello  che era successo quella mattina.
Scossi il capo con forza, e strinsi gli occhi pensaci dopo Aibi, ora hai cose più importanti a cui pensare! mi ricordò la mia coscienza.
Mi fermai all’improvviso e impallidì leggendo un cartellone colorato appeso alla parete.
Si, avevo cose più importanti a cui pensare, oggi era il giorno degli esami di fine anno, e se non volevo ripetere la prima media, dovevo passarli tutti.
 
La giornata sembrò durare anni invece che le solite sette ore.
La campanella delle tre suonò, tutti i ragazzi uscirono dalla scuola gridando e lanciando fogli per aria. Io non ero in vena di festeggiamenti, gli esami erano andati bene, ma finita quella preoccupazione, era tornata quella della litigata dei miei genitori.
Presi tutta la roba dal mio armadietto e poi uscì sulle scale davanti al portone dell’edificio dove ci eravamo dati appuntamento con i gemelli, li trovai che mi aspettano, Lucas corrucciato e Lilia leggermente preoccupata, ma appena mi vide mi sorrise.
-  Allora piccola mortale, come ti è andata? - mi chiese cingendomi con un braccio per le spalle
- penso di essere riuscita a passare l’anno - le risposi sorridendole mentre scendevamo le scale, Lucas che ci precedeva - brava sorellina! - mi disse dandomi una pacca sulla schiena.
Io le sorrisi, poi raggiungemmo Lucas e andammo a prendere la metropolitana.
Mi sorpresi a parlare con mia sorella per tutto il viaggio verso casa, da quando a Lilia importava qualcosa della sua sorellina?
Lucas ci ascoltava e ci guardava sorridendo, seduto nel sedile davanti a noi e ogni tanto scuoteva la testa.
Mancava una fermata a casa nostra, ad un certo punto Lucas si alzò avvicinandosi a noi e diede un leggero colpo a mia sorella indicandole col capo il fondo del vagone, ci girammo entrambe e vedemmo quello che preoccupava nostro fratello.
Infondo al vagone c’era un uomo che faceva finta di leggere il giornale, dico finta perché si vedeva chiaramente che stava osservando noi, o almeno i miei fratelli.
- quando arriviamo alla fermata, scendete all’ultimo, almeno non rischiamo che ci segua - ci sussurrò.
Il treno si fermò sferragliando sui binari, le persone si assieparono all’uscita, noi rimanemmo seduti, mentre l’uomo ci osservava, poi quando l’ultima persona stava salendo, ci alzammo di scatto e scendemmo tutti e tre insieme, mentre le porte si richiudevano alle nostre spalle e l’uomo alzava lo sguardo dal giornale stordito, mentre il treno ripartiva.
I gemelli risero e si batterono il cinque, era da nove anni che facevano quella vita, io invece non mi ci ero ancora abituata.
Salimmo in superficie e andammo a casa, quando Lilia aprì la porta, girò la chiave solo una volta, e ci accolsero le voci dei nostri genitori - siamo a casa! - gridò Lucas
Vendemmo arrivare nostro padre che ci sorrideva - eccovi finalmente, allora, posate gli zaini che partiamo - ci disse chiudendo la porta alle nostre spalle
- evviva! - i miei fratelli corsero in camera loro a cambiarsi
- allora, com’è andata? - mi chiese mio padre cingendomi le spalle e sorridendomi
- bene, credo di avercela fatta - gli dissi fiera
- brava la mia piccolina - mi diede un bacio sulla fronte e poi mi diede una leggera pacca sul sedere - ora vai a cambiarti così partiamo - mi disse
- e la mamma? - gli chiesi cercandola con lo sguardo
- sta finendo di prendere alcune cose, ma è pronta anche lei - mi rassicurò
Andai in camera mia, posai la cartella e presi la mia borsa, ricontrollai di aver preso tutto e aggiunsi le ultime cose, poi uscì e andai in sala aspettando gli altri.
I miei fratelli mi raggiunsero dieci minuti dopo, con i loro borsoni in spalla, e la loro collana con le nove perle dei nove anni che avevano passato al campo.
I nostri genitori ci raggiunsero sorridendoci, anche mia madre sorrideva sincera, sembrava che la litigata della mattina fosse lontana.
- allora, Lilia Lucas avete preso tutto quello che vi serve per il campo? - chiese guardando i borsoni
- certo mamma, tutto quello che ci hai detto di portare - la rassicurarono sorridenti
Lei annuì e poi guardò me -  tu Aibi? Preso tutto? - mi chiese
Annuì con vigore - bene! Allora andiamo! - concluse nostro padre, tutti e tre corremmo fuori di casa fiondandoci alla macchina, nostro padre ci rincorse per aprire la macchina, noi gettammo le valigie nel bagagliaio, per poi fiondarci sul sedile posteriore.
I nostri genitori fecero ancora un giro della casa chiudendo acqua e corrente elettrica, poi uscirono, mia madre chiuse la porta e salirono in macchina.
Come tutti gli anni, quando finalmente partimmo, i miei fratelli esultarono, nonostante avessero sedici anni non li dimostravano per niente.
I miei genitori risero, io invece mi accasciai sul sedile e mi lasciai sfuggire un lamento, dovevo resistere, mancava meno di un giorno alla mia libertà, o almeno così pensavo.


Ed ecco qui il primo capitolo, cosa ne pensate?
Mi raccomando recensite e ditemi dove posso migliorare e la vostra opinione sulla storia, critiche e consigli sono sempre bene accetti :)
Non so' tra quanto pubblicherò il secondo capitolo, spero presto.
Direi che non c'è altro per ora, spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto
Un bacio e un abbraccio,
Darkness_Angel

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Capitolo 2
*** Partecipiamo ad una rievocazione Storica ***


Buona Pasqua a tutti! Ho deciso di farvi un regalino Pasquale e pubblicare oggi il secondo capitolo :) Vi avverto subito è un capitolo un po' lungo, forse un po' di passaggio, e vi chiedo scusa per questo, ma dovevo far succedere due cosine e non sono riuscita a dividerlo in due capitoli più piccoli. Non uccidetemi, giuro che i prossimi capitoli saranno più corti!
Detto ciò vi lascio alla lettura del capitolo, ci sentiamo in fondo, Buona lettura :)

Capitolo Due
 Partecipiamo ad una rievocazione Storica
 
Il viaggio durò circa due ore, i miei fratelli che parlavano animatamente tra di loro o con i miei genitori sui loro campi passati.
Io avevo preso il mio Ipod, quello dismesso da Lucas, e mi ero concentrata sulla musica, odiavo quella parte del viaggio quasi più di quelle tre ore di permanenza al campo per far sistemate i gemelli, Lucas nella casa di Atena e Lilia in quella di Poseidone.
Arrivammo al bosco che circondava il campo dopo circa due ore, scendemmo dall’auto, io con una calma glaciale mentre i miei fratelli quasi si scavalcarono per scendere e prendere i borsoni
- State buoni! E fate i bravi! - gridò mia madre rimettendoli in riga.
I gemelli si fermarono e ci aspettarono mentre chiudevamo la macchina e poi salivamo la collina sino all’albero di Talia.
Credo di essere l’unica mortale ad essere mai stata ammessa al campo mezzosangue.
Essendo la figlia di Percy Jackson ed Annabeth Chase, mi avevano dato il permesso di superare la barriera, infondo, anche se sono una mortale, riesco a vedere chiaramente i mostri e oltre la foschia, così a tre anni, mi ero ritrovata catapultata in un mondo che non mi apparteneva ma che il resto della mia famiglia adorava.
Arrivammo in cima alla collina e incominciammo ad intravedere il campo -  Ma guarda chi è venuto a trovarci anche quest’anno -
-  Zio Grover! - i gemelli mollarono le borse e saltarono letteralmente addosso al satiro, non servì a nulla che mia madre li riprendesse.
Il satiro abbracciò i miei fratelli  e poi scompigliò i capelli ad entrambi -  E tu non mi vieni a salutare? - mi chiese facendo finta di essere offeso
Io gli andai vicino e lo strinsi, lui mi accarezzò la testa -  Perché intanto non andate?  - ci chiese.
Lilia e Lucas non se lo fecero ripetere due volte, raccattarono i loro borsoni e corsero giù per la collina mentre mia madre sospirava esasperata scuotendo la testa, io, invece, tornai vicino a loro
- Lasciali fare Annabeth - le disse Grover
I miei genitori salutarono il satiro, mia madre lo abbracciò e con mio padre si scambiarono delle pacche amichevoli sulle spalle - Allora, come vanno le cose a casa? - ci chiese mentre iniziavamo a scendere la collina -  Bene, tutto normale - gli rispose mio padre
-  E tu Aibi, come va? - mi chiese sorridendomi, io gli sorrisi a mia volta
- Bene, ho finito la prima media - ma che stupidaggine stavo dicendo? Era logico che avessi finito la prima media!
Grover rise e mi fece una carezza sulla testa -  Brava bambina -.
I miei genitori continuarono a parlare con Grover ed io fui estraniata dalla discussione.
Quando arrivammo davanti alla Casa Grande, trovammo i miei fratelli che stavano già parlando e discutendo con gli altri mezzosangue di quello che gli era successo quell’anno.
Come al solito, quando mia madre si avvicinò ai miei fratelli per riprenderli e dirgli di portare le loro cose nelle case, gli altri ragazzi mezzosangue si zittirono, non so’ perché, ma mia madre incute un certo timore
- Aibi! - qualcuno mi stava chiamando, e quel qualcuno era mia sorella, le andai vicino e mi fece cenno di prendere una maniglia del suo borsone e io la aiutai.
L’accompagnai sino alla casa di Poseidone e poi l’aiutai a sistemare le sue cose nella casa
-  Grazie - mi disse mentre l’aiutavo
- Come mai mi hai chiesto di aiutarti? Di solito ti limiti ad ignorarmi… - decisi di non usare giri di parole
- Aibi… è una cosa complicata…  - iniziò
- Ho capito, lascia stare - la rassicurai.
Quando finimmo di mettere a posto le nostre cose tornammo dai nostri genitori che stavano parlando con Chirone, nostro fratello aspettava di fianco a zio Grover e al gruppetto si erano aggiunti anche Talia, strano pensavo non fosse al campo di solito era con Artemide e le Cacciatrici, e il Signor D -  Ecco le altre due Jackson - commentò Chirone sorridendoci mentre ci avvicinavamo.
Lilia corse di fianco al gemello, mentre io invece mi mettevo vicino alla mamma e le prendevo la mano -  Allora cosa ne pensate? - chiese il Signor D, non tenendo conto del nostro arrivo
- Si, mi sembra un idea carina - commentò mia madre
Cosa era un idea carina, cosa mi ero persa?
-  Non saranno più di un paio di giorni, ma penso che si possa fare - commentò Chirone
-  Che cosa non durerà più di un paio di giorni? - chiese mia sorella contenta
-  Al Signor D è venuto in mente di fare una specie di rimpatriata di vecchi membri del campo - spiegò mio padre.
No.
-  E quindi ci fermeremo per qualche altro giorno qui al campo - concluse mia madre
No! Gridai nella mia mente, poi mi guardai intorno, tutti mi guardavano sgomenti.
Santi Dei, non l’avevo gridato nella mia mente!
Mi prese il panico, fissai i miei genitori che mi guadavano sgomenti e increduli, non riflettei, prima che qualcuno mi potesse dire qualcosa, scappai via di corsa.
- Aibileen! - mi gridò mia madre, non era arrabbiata, ma non ce la facevo ad affrontarla ora
-  Lasciale un attimo  - le disse mio padre prendendola per le spalle e fermandola.
 
Corsi finché non sentì di essere abbastanza lontana, scesi giù dalla collina e arrivai su un piccolo rialzo che dava sul mare, mi ci sedetti sopra poi mi levai le scarpe e immersi i piedi nell’acqua.
Nel frattempo mia madre aveva iniziato a preoccuparsi, lo faceva sempre quando scappavamo per qualcosa che non fosse una litigata tra noi e lei
-  Dobbiamo andarla a cercare Percy -
-  Vado io, ma ora mi prometti di calmarti? - le chiese prendendole il viso tra le mani e sorridendole.
Annabeth gli sorrise poi lo abbracciò e si baciarono -  La potete smettere? Vi guardano tutti - commentò caustico Lucas, Annabeth e Percy risero e si allontanarono
- Vado a recuperare Aibi, voi intanto sistematevi - le disse
Si scambiarono ancora un bacio veloce e poi Percy andò a cercare la figlia; la trovò circa mezz’ora dopo, la vide seduta per terra che muoveva i piedi nell’acqua.
 
Sentì un fruscio e poi vidi mio padre che si sedeva di fianco a me fissando la distesa d’acqua e sospirò - Sono in punizione? – chiesi senza guardarlo
- No, Aibi, non sei in punizione, ma è stato scortese  - mi ricordò in tono serio
-  Mi avete levato l’unico momento in cui mi senta veramente felice, tu come avresti reagito? - gli chiesi fissandomi i piedi
- Non dire sciocchezze Aibi! Passeremo solo un paio di giorni qui al campo e saremo comunque assieme - le ricordò guardandola
- Certo! Mamma con Lucas nella casa di Atena, tu e Lilia in quella di Poseidone e a me dove mi metterete? Dormirò in macchina con le valigie? - gli chiesi arrabbiata
- Non dire sciocchezze! Sono sicuro che a tua nonna o tuo nonno non dispiacerà farti stare in una delle loro case - mi rassicurò
-  E mentre voi fate gli eroi, io cosa dovrei fare? - gli chiesi ancora
-  Quello che vuoi - mi ricordò con un sorriso
- Quello che voglio è stare con te e la mamma! Come una famiglia normale! - gli gridai, senza accorgermene incominciai a piangere -  Hai mai avuto la sensazione di stare in un posto che non ti appartiene? Che non è la tua casa? - gli chiesi guardandolo
-  Si Aibi, ma poi ho trovato questo posto e… -
- Io non ho “questo posto” papà! Io non ho un posto dove mi sento a casa, l’unico posto in cui sto bene è quando sto con voi a Montauk, mi sento speciale, per una volta mi sento unica e non una tra tanti, questo lo riesci a capire?! - gli gridai singhiozzando e tornando a guardare l’acqua stringendomi le ginocchia al petto.
Mio padre sospirò, poi mi prese in braccio e mi strinse facendomi appoggiare la testa sul suo petto e accarezzandomi i capelli mentre continuavo a piangere -  So’ cosa vuol dire Aibi, ma sappi che avrai quel momento, solo posticipato di un po’ - mi sussurrò stringendomi posando la testa sulla mia -  Te lo giuro, staremo insieme e sarai felice - mi strinse forte io feci lo stesso poggiando la testa nell’incavo del suo collo - Sai che io e la mamma ti vogliamo bene? - mi chiese scostandomi leggermente per guardami in viso - Certo che lo so’ - lo rassicurai, almeno su questo ero certa, mi sarebbe piaciuto avere un po’ più di attenzioni, ma sapevo che mi amavano.
Lui mi sorrise rassicurato, poi mi asciugò le guance con una mano e mi diede un bacio sulla fronte
-  Ce la farai a resistere due giorni? - mi chiese
-  Si se voi non vi faceste vedere così entusiasti - commentai caustica
- Aibi… - mi ammonì
- Promettimi che avrete lo stesso entusiasmo anche quando starete con me - gli chiesi guardandolo seria -  Non c’è bisogno che te lo giuri, sai che  sarà così - poi mi diede un altro bacio sulla fronte facendomi sedere sulle sue gambe -  Hai i piedi gelati - mi disse prendendomeli e scuotendo leggermente il capo -  Come mai li hai messi in acqua? - mi chiese
- Mi fa calmare - gli spiegai guardandolo
Mio padre sorrise, poi mi tirò su e mi mise in piedi sull’erba -  Ora torniamo, o tua madre mette a perdere tutto il campo, pensando che mi sono perso anche io - mi disse sospirando
Mi infilai le scarpe ridendo, poi gli presi la mano, lui la lasciò e mi cinse le spalle mentre tornavamo indietro.
Quando ritornammo mia madre mi corse incontro e mi prese in braccio stringendomi senza sapere se mi doveva sgridare oppure chiedermi scusa, alla fine ne uscì fuori un discorso abbastanza sensato che era una via di mezzo tra i due discorsi.
- Ora rimane solo un piccolo problema - mi disse mia madre però guardando mio padre -  In che casa dormirà? -
-  Suppongo che ad Atena o a mio padre non dispiacerà ospitarla - le rispose lui con un alzata di spalle
- Se fossi in voi però gli chiederei comunque il permesso prima di fare qualunque cosa - ricordò Chirone guardando i miei genitori uno alla volta
-  Si, andiamo subito così almeno possiamo finire di sistemarci - concluse mia madre prendendomi per mano.
I miei fratelli erano già spariti, probabilmente erano ad arrampicarsi sulla parete di roccia o a duellare con altri mezzosangue nell’arena.
Noi invece stavamo andando nella casa di Poseidone, grazie alla fontana avremo potuto contattare i nonni. Ci avvicinammo alla fontana e mio padre prese una dracma da dentro l’acqua
- Chi per primo? - chiese girandosi e guardando mia madre
- Prima tuo padre - gli rispose con un sorriso, mio padre annuì poi lanciò la moneta nell’arcobaleno che si era venuto a formare nella condensa -  Oh, Iride, Dea dell’arcobaleno, mostrami Poseidone - la nebbiolina tremolò per un secondo e poi apparve l’immagine di mio nonno, come al solito nel suo completo bermuda e camicia Hawaiana.
- Papà… - lo chiamò mio padre
Poseidone si girò verso il messaggio Iride e gli sorride -  Percy, che sorpresa… e vedo che ci sono anche Annabeth ed Aibileen - mia madre lo salutò con un sorriso, io lo salutai con una mano e lui mi rivolse un sorriso dolce - Allora, come mai questa telefonata? - gli chiese rivolgendosi direttamente a lui -  Vedi, dovremmo fermarci qualche giorno al campo e volevo chiederti il permesso di far rimanere Aibileen a dormire nella tua casa, se vorrà, faremo la stessa cosa con Atena dopo, la piccola deve ancora decidere - gli spiegò
Mio nonno sorrise e poi mi guardò - Ma certo che può, non era nemmeno da chiedere, dopo tutte le volte  che hai fatto venire Annabeth, adesso mi chiedi il permesso per mia nipote? - gli rispose, vidi mio padre rilassarsi e sorridere mentre mia madre arrossiva leggermente e distoglieva lo sguardo  
-  D’accordo allora… ci sentiamo presto papà - lo salutò
-  A presto e salutatemi gli altri miei nipoti - poi passò una mano sulla nebbia e la comunicazione finì.
- Bene, ed ora Atena - disse mio padre prendendo un’altra dracma.
Mia madre sospirò mi lasciò la mano e prese la moneta dalla sua mano -  Faccio io - gli disse
- Dici che è meglio? - le chiese titubante
- Si - mio padre mi venne vicino e mi fece una carezza sulla testa.
Bisogna premettere che mia nonna nutriva ancora qualche remora verso mio padre, ci era voluta tutta la buona volontà di mia madre per farla decidere a lasciarli sposare, era da quando mio padre aveva quattordici anni che mia nonna non lo vedeva di buon occhio, prima non voleva nemmeno che fossero amici, poi aveva lasciato correre quando lo erano diventati ma quando poi avevano deciso di sposarsi… beh, non auguro a nessuno di vedere mia nonna infuriata che litiga con mia madre più infuriata di lei.
Quando poi i gemelli erano stati “annunciati” era successo un altro mezzo finimondo, ma mia madre le aveva fatto capire che era logico che lei e mio padre avrebbero fatto l’amore e che prima o poi avrebbero avuto dei bambini.
Le cose erano nettamente migliorate quando erano nati, mia madre mi aveva raccontato che la nonna era andata da mio padre e gli aveva detto -  Sia chiaro Percy, tu non mi piaci, ma hai acquistato qualche punto adesso che ho conosciuto i miei nipoti - se ci penso mi viene da ridere.
Anche quando nacqui io mio padre acquistò un punto in più, ma in ogni caso i rapporti tra lui e la nonna, sono ancora molto tirati, ed è meglio che ci parli la mamma se sono cose importanti.
Mia madre lanciò la dracma nella nebbiolina e recitò la formula di rito, poco dopo apparve mia nonna, aveva un aria corrucciata - Mamma… posso disturbarti? - le chiese mia madre.
La Dea alzò lo sguardo e le sorrise -  Annabeth, dimmi pure - le disse
-  Vorrei chiederti il permesso di far entrare Aibi nella tua casa qui al campo - le disse, mia nonna mi guardò io le sorrisi e la salutai con la mano come avevo fatto con il nonno, lei mi sorrise ma poi si rivolse a mia madre con uno sguardo serio -  Non ho problemi a darle il permesso, ma sarebbe meglio se stesse nella casa di Poseidone - concluse
Rimanemmo tutti e tre un po’ sorpresi, se non aveva problemi che abitassi in casa sua, perché voleva che andassi in quella del nonno?
-  Perché mamma? - le chiese mia madre
-  Perché, nonostante preferirei che mia nipote stesse con sua madre  - e lanciò un occhiata a mio padre che chinò il capo -  Nella mia casa ci sono molti più ragazzi, e se conosco bene mia nipote, so’ che non le piace stare nella confusione o insieme a degli sconosciuti - le spiegò
-  La nonna ha ragione - la sostenni
- Allora quindi starai qui con me e con Lilia? - mi chiese mio padre, io annuì
Mia madre sospirò -  Comunque grazie mamma - le disse, non riuscivo a capire bene, ma mi sembrava un po’ scocciata, a mia madre non piaceva molto che la nonna interferisse con la sua famiglia -  Non fare quella faccia Annabeth - la ammonì - Ed ora scusatemi ma devo andare, salutatemi Lilia e Lucas - poi passò una mano sulla nebbia e il messaggio scomparve.
Mia madre si girò verso di noi e sospirò -  Scusate - disse
-  No, la nonna ha ragione, alla fine avrei scelto anche io così mamma, ma non perché non voglia stare con te - mi affrettai a spiegare
- Lo so’, stai tranquilla - mi disse abbracciandomi -  Quindi adesso vai a prendere la tua roba, noi ci vediamo dopo - ci disse
- D’accordo, ci vediamo davanti alla casa grande - le disse mio padre sorridendole e afferrandola dolcemente per i fianchi
- D’accordo Testa d’alghe ma non fare tardi - gli raccomandò
Riuscì a distogliere lo sguardo prima che i miei genitori si baciassero molto appassionatamente poi mia madre mi lasciò un bacio sulla fronte ed uscì.
- Bene - sospirò mio padre poggiandosi le mani sui fianchi - Andiamo a prendere le tue cose Aibi, non mi ricordo che la casa di Poseidone sia mai stata così affollata - mi disse mentre mi accompagnava a prendere la borsa.
 
Mi sistemai nel letto sotto quello dove dormiva Lilia, mio padre, invece, avrebbe dormito in un letto di fronte a noi. Sistemai il pupazzo sotto le coperte in modo che Lilia non lo vedesse, era abbastanza gelosa di quel regalo da parte della nonna.
Sistemai il borsone sotto al letto, presi uno dei miei libri e mi infilai nel piccolo rifugio che si era venuto a formare dopo che avevo sistemato un lenzuolo tutto attorno al materasso di sopra, accesi la mia lucina portatile e mi misi a leggere.
Non ho idea di quanto rimasi nascosta lì sotto, so’ solo che quando mio padre mi venne a chiamare per la cena, io non mi ero ancora mossa.
Era stato un pomeriggio abbastanza proficuo, ero riuscita a leggere senza che la mia dislessia prendesse il sopravvento, non stavo leggendo un libro di scienze, come al solito, ma Il Signore degli Anelli, quindi direi che quasi tre ore di lettura erano state un ottimo standard.
- Toc, toc - era la voce di mio padre che faceva finta di bussare sul lenzuolo -  Posso entrare? - mi chiese spostandole un angolo del lenzuolo e facendo entrare la luce della casa
- Vieni  - gli dissi con un sorriso e toccando il letto di fianco a me.
Lui entrò nel mio rifugio e diede un occhiata veloce al libro che stavo leggendo, poi guardò me
- è  l’ora di cena - mi disse facendomi una carezza sulla testa, mi accigliai - Non posso cenare qui, vero? - gli chiesi speranzosa
- No piccolina, sono le regole del campo - mi ricordò con un sorriso comprensivo
Sapevo che la scusa, “ ma io non sono una mezzosangue” non avrebbe funzionato, quindi mi limitai a sospirare e chiudere il libro, lo diedi un attimo a mio padre e poi tirai un colpo secco al lenzuolo che si staccò completamente e tutto in una volta, mio padre rimase un attimo meravigliato, eppure è da quando sono piccola che mi costruisco rifugi in angoli angusti o posti impensabili, forse per me quei rifugi sono il mio “campo mezzosangue”
-  Bene, ora che abbiamo capito che assomigli a tua madre più di quanto pensassi, che ne dici di andare a riempirci la pancia? - mi chiese uscendo dal letto e sorridendomi dopo aver posato il libro sul letto e porgendomi la mano per alzarmi.
Io risi poi accettai la sua mano e uscì fuori da sotto il letto -  La mamma non può mangiare con noi?- gli chiesi mentre uscivamo dalla casa
- No, è un’altra regola quella di dover mangiare con i ragazzi della propria casa - mi spiegò mentre mi accompagnava verso la mensa, rimasi in silenzio, che altro potevo fare?
Arrivammo al padiglione dove tutti gli altri ragazzi si erano riuniti per la cena, mia madre ci aspettava, e quando ci vide ci fece segno con la mano.
- Eccovi, allora Aibi, come stai? - mi chiese accarezzandomi una guancia
- Ho letto  - le risposi caustica.
Notai che mia madre lanciava uno sguardo preoccupato a mio padre, ma lui scuoteva il capo lentamente per rassicurarla, decisi di mettere fine a quel silenzio -  Lilia e Lucas? - le chiesi non vedendo i gemelli, il volto di mia madre si illuminò - Sono già dentro, adesso andiamo, se no’ il Signor D si arrabbia  - mi disse.
Ho dei seri dubbi che il Signor D possa ancora “sgridare” i miei genitori, ma in ogni caso seguì i miei sino al nostro tavolo.
Il tavolo di Atena non era molto lontano da quello di Poseidone, Lucas scherzava già con i suoi amici, mia madre mi lasciò ancora un bacio sulla testa e si andò a sedere di fianco ai suoi fratellastri, intendo ai mezzosangue della sua età, non con gli amici di mio fratello.
Al tavolo di Poseidone c’erano Lilia e Grover, che parlavano tra di loro, quando il satiro ci vide si sbracciò e noi ci avvicinammo e ci sedemmo al tavolo -  Eccovi qui, allora Aibi, come ti trovi al campo? - mi chiese sorridendomi
- Per ora bene - gli risposi con un sorriso mesto
- E tu che ti preoccupavi Percy! - esclamò rivolgendosi a mio padre - Sono sicuro che in questi giorni farai un sacco di amicizie - continuò emozionato
-  Non ci conterei - sussurrai a bassa voce
Non so’ se Grover non mi sentì o decise di ignorare quello che avevo detto, ma in ogni caso cambiò discorso -  Allora, siete pronti tu e Annabeth per domani? - chiese Grover parlando con mio padre
- Pronti per…? - gli chiese dubbioso
- Per la riunione, ci sarà una partita a caccia alla bandiera tra vecchi mezzosangue  - gli spiegò
- Oh bene, non so’ se sarò ancora capace di ricorrere mezzosangue per il bosco, ma non mi dispiace l’idea - gli rispose
Stavano per continuare a parlare quando Chirone richiamò l’attenzione dei presenti:
-  Prima di cenare volevo ricordare che domani ci sarà la partita di caccia alla bandiera tra i vecchi membri del campo, le due squadre saranno capitanate da Annabeth e Clarisse - dai ragazzi si alzarono delle grida di approvazione, Chirone riportò il silenzio -  E nel pomeriggio avremo la corsa delle bighe, dove ogni casa potrà chiedere aiuto al suo membro anziano per prepararsi - di nuovo dai ragazzi si alzarono mormorii di assenso e impazienza -  Bene, ed ora possiamo cenare - concluse, prese il bicchiere e lo levò verso l’alto - Agli Dei! - brindò, e noi lo imitammo subito dopo di lui, dopo di che la cena ci apparve davanti.
Pizza, ecco la prima e unica cosa positiva del campo, il cibo è buono. Sapevo che prima di mangiare bisognava offrire una parte di cibo al proprio genitore divino, o nel caso dei gemelli da quello che avevano preso le caratteristiche, ma io a chi dovevo offrirlo?
Ci mettemmo in coda, come al solito ero stata estraniata dalle discussioni tra mio padre, mia sorella e Grover, però ora avevo un problema da risolvere, tirai la maglia a mio padre e lui si girò
-  Dimmi piccola - mi disse sorridendomi
-  Papà… ho… ho un problema - gli dissi a capo chino, lui si accigliò
-  E quale sarebbe? - mi chiese preoccupato
-  A chi dovrei offrire il mio cibo? Ad Atena o a Poseidone? - gli chiesi tutto d’un fiato, lui mi guardò e mi sorrise -  A chi vuoi tesoro, tu non hai nessun vincolo -  mi ricordò.
Passai il resto del tempo in coda pensando a quale Dio avrei dovuto offrire la mia cena, ma non mi veniva in mente nulla. Arrivò il turno di mio padre, gettò un po’ di cibo nel braciere lo sentì mormorare il nome del nonno e poi toccò a me.
Mi avvicinai al braciere e sospirai, mentre gettavo il cibo sussurrai la prima cosa che mi venne in mente -  Atena e Poseidone, grazie per aver messo al mondo mamma e papà - poi mi allontanai e tornai a sedermi vicino a papà che mi sorrise  -  Hai risolto il tuo piccolo problema? - mi chiese dolcemente -  Credo di si - gli risposi con un sorriso e poi incominciammo a mangiare.
Finita la cena ci riunimmo con la mamma, mentre i miei fratelli se ne stavano con gli altri mezzosangue, mia madre mi propose di raggiungere gli altri ragazzi, ma io le risposi che preferivo rimanere lì con loro.
Così, mentre i ragazzi parlavano e scherzavano tra di loro, io ero rimasta con il gruppetto degli adulti. C’erano i miei genitori, Grover e Juniper, Chirone, Nico che era arrivato dopo la cena e naturalmente Talia, stavano parlando tra di loro quando sentimmo avvicinarsi delle persone
-  Ehi, fate una riunione e non ci avvertite? - chiese Clarisse avvicinandosi con suo marito Chris. Mia madre si alzò e le andò incontro abbracciandola per salutarla, da piccole erano nemiche, ma adesso che erano adulte erano diventate molto amiche -  Erano solo due chiacchiere tra amici - la informò Talia mentre anche loro si aggiungevano al gruppo -  Vedo che c’è anche la piccola Jackson, come mai non sei con i tuoi fratelli? - mi chiese la figlia di Ares.
Chinai il capo e borbottai - Non ne avevo voglia -
Clarisse si accigliò e guardò mia madre -  Deve ancora abituarsi - le sussurrò mentre mi stringeva con un braccio.
La serata fu abbastanza lunga, sarebbe stata anche divertente se non avessi già sentito milioni e milioni di volte le storie delle loro avventure, e così alla fine mi accasciai sulla spalla di mia madre e mi addormentai.
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Annabeth prese in braccio la figlia e la sistemò in modo che continuasse a dormire appoggiata sul suo petto, le scostò i capelli dalla fronte e le accarezzò una guancia -  Pensi che possiamo parlare? - le chiese Chirone guardando la bambina addormentata
- Si, tranquillo, ha preso da suo padre non la svegli nemmeno con le cannonate - lo rassicurò facendo ridere tutti i presenti a parte Percy che fece finta di imbronciarsi.
Chirone sorrise e poi prese a parlare -  Come vi ho già detto, le giornate che abbiamo organizzato per i vecchi membri del campo erano solo un modo per farvi riunire tutti qui - spiegò - Di recente molti mezzosangue sono stati attaccati, Talia ci ha riferito che alcuni mostri sono rinati e che le Cacciatrici insieme ad Artemide si stanno dando da fare per farli sparire di nuovo, ma tutti voi rimanete in pericolo - ricordò
-  E cosa proponi per restare in salvo? - chiese Nico guardandolo
-  Dovreste rimanere qui al campo - concluse Chirone -  Qui sarete tutti molto più al sicuro -
-  Però non siamo ancora tutti qui - constatò Talia
Il centauro annuì -  Gli altri arriveranno tra qualche giorno, ma adesso dovete dirmi voi - ricordò guardando i presenti.
Nico e Talia accettarono, Annabeth guardò il marito e lui fece la stessa cosa con lei, poi guardò la figlia. Quando aveva lasciato Aibileen da sola, quel pomeriggio, aveva riferito tutta la loro chiacchierata alla moglie, e anche lei era d’accordo sull’andare via il prima possibile - Noi non possiamo rimanere - disse infine Percy, tutti i presenti si girarono verso di loro con sguardi increduli
- Cosa vi costa rimanere ancora? Starete con i vostri figli, cosa vi cambia farlo qui o in città? - gli chiese Clarisse
Annabeth sospirò e con un gesto involontario strinse la figlia -  Aibileen sta male qui, l’argomento “mezzosangue” e tutto ciò che ne consegue è all’ordine del giorno in casa nostra, ha bisogno di un po’ di tempo da figlia… diciamo normale - spiegò
- Ma è normale che nella vostra famiglia l’argomento principale siano i mezzosangue! Siete mezzosangue! - le ricordò gesticolando per enfatizzare il discorso
Annabeth le sorrise tristemente -  Lei no  - le ricordò
Clarisse non replicò -  E allora cosa pensate di fare? - chiese Grover
-  Continueremo con il nostro programma, andremo a Montauk, che comunque non è molto lontano da qui, in caso di pericolo potremo tornare - lo rassicurò Percy
- D’accordo, ma mi raccomando, state attenti - gli rammentò Juniper preoccupata
- Ma certo! È da quando abbiamo dodici anni che affrontiamo mostri, ci siamo abituati - la rassicurò ancora.
La riunione si concluse poco dopo con le ultime direttive in caso di un attacco da parte di un mostro, poi si separarono per tornare ognuno nella propria casa, prima che andassero via, Clarisse fermò Annabeth che aveva ancora la figlia che le dormiva in braccio, accasciata su una sua spalla
- Scusami per prima, non ci ho pensato - le disse
Annabeth le sorrise -  Tranquilla Clarisse, può succedere - la rassicurò
-  è che quando l’ho vista qui, ho pensato che finalmente si fossero rivelate le sue capacità da mezzosangue, infondo quello sciroccato di suo padre aveva dodici anni quando le ha scoperte - le spiegò indicando Percy che stava parlando con Nico, Annabeth scoppiò a ridere e si sistemò meglio la figlia tra le braccia, poi sospirò e guardò la sua bambina -  Non ci speriamo più Clarisse, sono passati cinque anni e non da’ alcun segno di cambiamento, i mostri non la fiutano e nemmeno i satiri - le spiegò tornando a guardare la figlia di Ares -  è una mortale, ma non ci trovo nulla di male, lei è la mia piccola mortale - le disse concludendo la frase e dando un bacio sulla testa alla bambina, Clarisse le sorrise capendo cosa intendesse l’amica poi le fece una carezza anche lei
- Dorme ancora? - chiese Percy avvicinandosi alla moglie e lasciandole un bacio
- Si, e credo che lo farà sino a domattina - lo rassicurò
- Avete proprio una bella famigliola, prima ho visto i gemelli, stavano cerando di battere dei miei ragazzi a braccio di ferro - raccontò
Annabeth sospirò esasperata mentre Percy scoppiò a ridere -  E tu invece Clarisse, quando pensi di allargare la tua famiglia? - le chiese
La donna prima diventò rossa per la sorpresa e un po’ di vergogna, ma poi cambiò subito espressione e prese il suo solito cipiglio infuriato -  Domani te la faccio pagare pivello! Guardati le spalle mentre sei nel bosco - lo minacciò puntandogli un dito al petto
Percy alzò le braccia in segno di difesa -  Ehi, stavo scherzando! - la rassicurò -  Comunque, dove avete lasciato Charlie? - le chiese sorridendole.
La ragazza lo fulminò ancora una volta con lo sguardo poi però lo addolcì -  Se ti riferisci al nanetto è dalla nonna, Chris lo va a riprendere dopo domani -  gli spiegò sorridendo
-  Peccato che non lo vedremo, dev’essere cresciuto tantissimo - le disse Annabeth
-  Be’ ormai ha un anno e mezzo - le disse inorgogliendosi, tutte le volte che Clarisse parlava del figlio si riempiva di orgoglio e il viso le si illuminava con un sorriso dolce che le era quasi estraneo.
Rimasero a parlare ancora un po’, mentre le due madri raccontavano i progressi dei figli a vicenda e Percy rimaneva ad osservarle.
Quando li raggiunse Chris si salutarono e andarono ognuno nella propria casa. Percy strinse Annabeth per i fianchi  con un braccio avvicinandola a se’ - Vuoi che la porti un po’ io? - le chiese facendo una carezza sulla testa della figlia
- No, non pesa tanto - lo rassicurò mentre tornavano nelle loro case
- Sembra ieri che facevamo la stessa strada con i gemelli, invece sono passati nove anni - le ricordò, lei annuì, il primo anno al campo dei gemelli era stato un po’ duro per tutti.
I gemelli si erano trovati bene al campo, ma spesso Lilia li aveva chiamati con un messaggio Iride perché gli mancavano e si sentiva un po’ sola, per loro era stata dura lasciare i loro bambini per tutta l’estate, ma in compenso si erano potuti dedicare di più alla piccola di casa.
Arrivarono davanti alla casa di Atena e Percy si fermò -  Dammela, tu sei arrivata - le disse allungando le mani per prendere la figlia - No, la metto a letto io - gli disse e riprese a camminare verso la casa di Poseidone.
Quando entrarono trovarono Lilia che dormiva già nel suo letto, Percy le rimboccò le coperte mentre Annabeth metteva a letto Aibi.
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Mi sentì posare su qualcosa, ero ancora mezza assopita ma sapevo riconoscere le mani di mia madre che, con la solita destrezza nonostante stesse maneggiando una specie di cadavere, mi metteva il pigiama e poi mi metteva a letto.
Aprì gli occhi e la vidi sistemarmi le coperte -  Mamma cosa fai nella casa di Poseidone? - le chiesi ancora mezza assonnata, lei mi sorrise e mi diede un bacio sulla fronte -  Dovevo dare la buona notte alla mia bambina - mi rispose.
Prese la civetta di peluche e me la mise nell’incavo del collo in modo che fosse vicino al mio viso, io lo presi e mi ci accoccolai contro chiudendo gli occhi -  Ora dormi - mi disse, mi lasciò un altro bacio e si allontanò, poco dopo sentì la porta chiudersi e qualche secondo dopo fu mio padre a venirmi a dare un bacio sulla fronte -  Dormi bene piccola mia - mi sussurrò e poi mi addormentai.
Quando aprì gli occhi ero in un posto buio e freddo, sentivo dell’acqua che cadeva ritmicamente in una pozza. Non avevo idea di dove ero, e sentivo di non essere veramente lì, possibile che stessi sognando?
Incominciai ad avanzare cercando di orientarmi nel luogo buio, ma intorno a me sentivo solo rocce umide e fredde, poi incominciai a sentire un rumore, mi avvicinai sempre di più  e finalmente capì cos’era, erano due voci.
Una era una voce maschile, profonda metteva i brividi, l’altra invece era la voce melliflua di una donna, stavano parlando di qualcosa ma quando arrivai erano a metà del discorso
- Quindi dovrei tenerli qui? - chiese la donna
- Esatto, poi io mi occuperò dell’altra questione - rispose l’uomo
- E io cosa ci guadagno? - chiese la voce di donna con una sfumatura maligna
-  La tua vendetta mia cara - le rispose la voce maschile
- D’accordo, portameli e io li terrò qui al sicuro sono sicura che… - la voce di donna smise di parlare  all’improvviso
- Cosa c’è? - chiese l’uomo irritato
- Qualcuno ci spia… - disse la donna.
Anche se non li vedevo sapevo per certo che mi avevano vista, sentì dei passi avvicinarsi seguito da un ticchettio, probabilmente la donna portava i tacchi. Iniziai a correre nell’oscurità inciampando nelle rocce e cadendo, sbucciandomi le ginocchia e facendomi male, ma i passi erano sempre più vicini. Iniziai a correre, ma ad un certo punto il mio piede trovò il vuoto, mi sbilanciai in avanti e caddi nell’oscurità senza fine.
Mi tirai su dal letto di scatto e sbattei la testa contro le doghe del letto di sopra - Ahia… - dissi mentre mi massaggiavo la fronte. Mi guardai intorno, ero nella casa di Poseidone, l’acqua usciva fuori dalla fontana lentamente, gorgogliando, un braccio di Lilia pendeva dal letto di sopra, mio padre russava piano nel letto di fianco al nostro.
Provai a rimettermi giù e a riaddormentarmi, ma appena chiudevo gli occhi l’incubo tornava vivo nella mia mente e il terrore mi stringeva lo stomaco in una morsa.
Mi alzai dal letto e camminai silenziosamente sino a quello di mio padre - Papà… - sussurrai, nessuna risposta - Papà… svegliati… - gli sussurrai scuotendolo leggermente. Lui sussultò e poi si girò verso di me cercando di mettermi a fuoco - Aibi… - mi disse con la voce impastata dal sonno
-  Posso dormire qui con te? Ho fatto un incubo - gli dissi guardandolo e sfoderando i miei occhi da cucciolo, non che servissero con lui -  D’accordo vieni - si scostò e io mi infilai sotto le coperte stringendo il peluche, lui mi strinse  e mi diede un bacio sulla testa -  Ora dormi piccolina, ci sono io a proteggerti - mi disse.
Mi accoccolai contro di lui, e anche se pochi secondi dopo stava di nuovo dormendo della grossa, mi sentì protetta stretta nel suo abbraccio e riuscì ad addormentarmi.
 
Il mattino dopo mio padre mi svegliò dandomi un bacio sulla testa io gli sorrisi e lo abbracciai
- Passata la paura? - mi chiese stringendomi e dandomi ancora un bacio sulla testa
-  Si, grazie - gli dissi, lui mi sorrise poi guardò verso il letto di mia sorella e si accigliò
-  Tua sorella è già in piedi… - commentò
- La prima e unica volta che la vedrò alzarsi prima di te in vacanza - gli dissi scherzando, lui mi guardò e fece finta di imbronciarsi  -  Ma cosa dici! Io mi alzo sempre presto - le ricordò
- Certo, papà, raccontamene un’altra - lo presi in giro
-  Ma che impertinente! - poi mi prese e mi iniziò a fare il solletico, io cominciai a dimenarmi e a ridere come una pazza, se c’è qualcosa che non sopporto è il solletico.
Quando finalmente mi lasciò andare, ci alzammo e ci iniziammo a preparare, fu un incubo. Andai ai bagni e appena entrai tutte le mezzosangue presero a fissarmi e a parlarmi dietro, ci ero abituata a scuola ero l’argomento preferito dalle mie compagne di classe, ma almeno a scuola potevo scappare, lì no.
Feci tutto di fretta, e poi tornai alla casa di corsa, la colazione non fu diversa dalla cena, ringraziai di nuovo sia Atena che Poseidone e poi tornai ancora una volta ai bagni per lavarmi i denti, passai quei dieci minuti con le figlie di Afrodite che mi parlavano dietro raccolte in un gruppetto alle mie spalle, cercai di ignorarle e ci ero quasi riuscita, stavo per andarmene quando le sentii
-  è qui solo perché i suoi genitori sono dei vecchi membri, è una mortale - lo disse con la voce carica di disprezzo -  è vero, non dovrebbe stare qui, dovrebbe starsene con i suoi simili -
Non so’ perché quello che dissero mi ferì così tanto, sapevo di non essere una di loro, ma in ogni caso speravo che da delle persone diverse che vivevano una vita abbastanza complicata potessero capire cosa provavo.
Tornai alla casa di Poseidone, mio padre non c’era, rimontai il mio nascondiglio e mi sdraiai sotto le coperte, strinsi la civetta e piansi.
Non ho idea di quanto rimasi nascosta lì sotto a piangere, so’ solo che ad un certo punto sentì qualcuno che mi si sedeva accanto e poi mi accarezzava la testa da sopra le coperte - Aibi… - mi sentì chiamare, la voce attutita dalle coperte, ma capì lo stesso che non era la voce di mio padre.
Uscì piano fuori dal mio nascondiglio e incontrai gli occhi gemelli ai miei, ma non era mia madre
- Lilia cosa fai qui? - le chiesi asciugandomi gli occhi con il dorso della mano
- Perché piangi? - mi chiese sistemandomi i capelli dietro le orecchie
- Non è niente, papà ti ha mandato a chiamarmi? - le chiesi
- No, ero venuta a prendere una cosa ma… mi vuoi dire perché piangi? - mi richiese prendendomi le mani. La guardai un po’ stupita, sul serio mia sorella stava cercando di intrattenere una discussione con me? Anzi, cercava di aiutarmi?
Alzai le spalle e scossi la testa -  Delle figlie di Afrodite mi prendevano in giro, tutto qui - le rispose decidendo di darle retta.
Lilia mi guardò e scoppiò a ridere - Non dar retta a quelle oche, parlano, parlano ma non sanno quello che dicono - mi rassicurò
Io le sorrise e l’abbracciai lei mi strinse -  volete far nevicare in piena estate? - chiese nostro padre vedendoci, noi scoppiammo a ridere -  No,  va tutto bene, ora io devo andare e la mamma ti aspetta all’arena per le squadre di caccia alla bandiera - disse alzandosi dal letto e avvicinandosi a papà
-  Va bene, ora arrivo - le diede un bacio sulla fronte e poi Lilia corse via.
Mio padre si rivolse a me, si era messo un paio di bermuda e la maglia arancione del campo
- Allora, andiamo? - mi chiese porgendomi la mano
Io gliela presi, non so’ se decise di ignorare i miei occhi rossi per il pianto o non li vide, però mi piacque che non mi fece domande.
 
Arrivammo all’Arena che la maggior parte dei mezzosangue si era già riunita.
Mia madre ci vide arrivare e si sbracciò per farsi vedere, sempre che quella fosse mia madre, e più ci avvicinavamo più non riuscivo a riconoscerla.
Di solito, anche se era a casa oppure in vacanza, si vestiva sempre sportiva, a parte quando andava al lavoro che allora si vestiva in modo più elegante. Ma adesso non la riconoscevo.
Aveva anche lei, come tutti gli altri mezzosangue, la maglia del campo, poi si era messa un paio di pantaloncini di Jeans corti che facevano invidia a quelli che si metteva Lilia e che suscitavano sempre delle sgridate da parte di mio padre, e un paio di converse.
Nella tasca dietro dei pantaloni aveva infilato in berretto degli New York Yankees che le aveva regalato la nonna quando la mamma era piccola, al collo portava la collana con le perle delle sue estati al campo, la porta sempre, però la tiene nascosta sotto la maglia e infine si era legata i capelli in una coda di cavallo.
No, quella non era assolutamente mia madre.
-  Eccovi, ma dove eravate finiti? - ci chiese raggiungendoci
- Ho fatto tardi io… - le dissi fissandola.
Lei guardò me e poi mio padre, dovevamo avere la stessa faccia sorpresa e sgomenta, lei sospirò e scosse la testa -  Vieni Percy, dobbiamo prepararci -  gli disse prendendolo per mano e portandolo dagli altri compagni.
Io cercai di capire cosa fare ma fu inutile, allora optai per andare a sedermi in prima fila e osservare la scena.
Mi sembrava di assistere ad una rievocazione storica dei vecchi tempi del campo, tipo quelle della battaglia di Gettysburg o della guerra di indipendenza.
Mia madre che sistemava l’armatura greca a mio padre come faceva con noi quando ci sistemava i vestiti, Nico, che era in squadra con loro, che si guardava intorno sbuffando leggermente abbastanza scocciato da quella situazione e zio Grover masticava qualcosa, probabilmente una lattina.
Dall’altra parte Clarisse stava già discutendo con Talia sulla strategia da seguire mentre invece Chris aspettava che le due donne finissero di confabulare.
Chirone con di fianco il Signor D che aspettavano che gli altri si finissero di preparare, quando finalmente furono tutti pronti in armatura greca, Chirone iniziò a parlare ricordandogli le regole, come se non le sapessero dopo metà vita passata a fare quel gioco -  La squadra di Clarisse avrà il lato ad Est del fiume, mentre quella di Annabeth avrà il lato Ovest, ora andate -
I miei genitori si girarono verso le gradinate e ci salutarono una volta con la mano, poi mia madre prese la sua bandiera, grigia con sopra una civetta e lei e la sua squadra andarono a posizionare la bandiera nel bosco.
Sospirai, perfetto, ora finché non finiva la partita non avevo niente da fare, così presi il libro dalla mia borsa e mi misi a leggere sugli spalti dell’arena che andavano piano piano svuotandosi, tanto valeva aspettare lì i miei genitori, a partita finita sarebbero tornati qui.
Mi concentrai sul libro, volevo approfittarne prima che, come al solito, la mia dislessia prendesse possesso dei miei occhi.
-  Una mezzosangue che legge invece di allenarsi, questa è nuova - mi girai verso la voce e vidi un ragazzo con una zazzera di capelli rossi che mi osservava coprendomi la luce del sole
-  Non sono una mezzosangue infatti - gli risposi tornando a concentrarmi di nuovo sul mio libro
-  Se sei una mortale allora cosa ci fai qui? - mi chiese sedendosi di fianco a me senza aver avuto il permesso.
Me lo chiedo anch’io -  Ho avuto il permesso dai miei genitori  - gli risposi di nuovo senza dargli veramente ascolto, neanche so’ perché gli stia rispondendo, non sapevo neanche chi fosse!
-  E chi sono i tuoi genitori? - mi chiese guardandomi e sfidandomi con lo sguardo
-  Percy Jackson e Annabeth Chase - gli risposi scocciata e fissandolo, lui mi guardò incredulo
- Scherzi? - mi chiese
Magari! - No, piacere Aibileen Jackson, mortale - mi presentai porgendogli la mano, lui la accettò e la strinse, poi io mi rimisi a leggere
-  Io invece sono Nathaniel Jordan  - si presentò sorridendomi
-  Tu sei Nathaniel Jordan? - gli chiesi sgomenta e fissandolo sorpresa e emozionata
-  Ti hanno parlato di me? - mi chiese sorpreso ma comunque emozionato
- No  - gli risposi ridendo e prendendolo in giro, poi tornai a leggere scuotendo leggermente il capo. Il ragazzo si imbronciò e mi fissò -  Cercavo di essere cortese - mi disse un po’ scocciato
-  E io di leggere - gli risposi a tono
-  Sto cercando di fare conversazione Aibileen Jackson  - mi disse con tono impertinente.
Mi girai verso di lui e chiusi il libro -  Davvero, cosa vuoi? - gli chiesi definitivamente scocciata, lui alzò le braccia in segno di difesa -  Solo fare conoscenza, lo giuro - disse poggiandosi una mano sul cuore, sospirai e mi poggiai con le ginocchia sui gomiti e lo osservai
-  Vuoi sapere un po’ di cose su di me, così andrai a spifferarle agli altri mezzosangue e farete in modo da non farmi più tornare qui? - gli chiesi senza tanti giri di parole
- No, voglio davvero solo fare amicizia… sono qui da questo inverno ma non ho fatto molte amicizie - mi spiegò
-  E allora vuoi farti amica me, una mortale che tornerà solo una volta l’anno per accompagnare i suoi fratelli qui? - aggiunsi guardandolo dubbiosa e alzando un sopracciglio
- Dovrò pur incominciare da qualcuno, no? - mi ricordò sorridendomi.
Sospirai e gli sorrisi -  D’accordo Nathaniel Jordan, ti posso concedere un po’ del mio tempo - scherzai, lui scoppiò a ridere e poi si appoggiò con la schiena allo spalto dietro di noi.
- Quanti anni hai? - mi chiese
- Dodici, tu? - gli chiesi a mia volta
- Tredici, anche se compiuti da poco - mi rispose
-  Sai chi sono i miei genitori, e i tuoi? - gli chiesi, non avevo intenzione di lasciare l’interrogatorio solo a lui
-  Indeterminato, per ora sto nella casa di Ermes - mi raccontò, stavo per replicare ma lui continuò con le domande, com’era possibile che fosse indeterminato? - Tu invece dove stai? -
- Casa di Poseidone, il nonno mi ha dato il permesso di rimanerci - spiegai a mia volta
Lui si fece pensieroso -  Com’è essere figlia di due eroi? - mi chiese, ci pensai per qualche secondo, non c’era una vera risposta -  Penso come essere una figlia normale, solo che un giorno si e l’altro pure i tuoi fratelli tornano a casa con qualche ammaccatura nuova per colpa di qualche mostro - spiegai, detta in questi termini la mia vita non sembrava nemmeno tanto male
-  E invece com’è vivere normalmente? - gli chiesi a mia volta
-  Non saprei dirtelo… sono venuto qui solo questo inverno ma fino ad allora sono cresciuto in un orfanotrofio e poi in un college, non so’ neanche se sono figlio di una Dea o di un Dio - mi disse con un alzata di spalle
Lo guadai e gli sorrisi -  Vedrai che ti riconosceranno - lo rassicurai
- Oh, non mi importa poi gran che, non si sta poi così male nella casa di Ermes - mi rispose con un alzata di spalle, poi si sporse in avanti e mi prese il libro dalle mani
-  Mi sarebbe piaciuto leggerlo, ma con la dislessia è una tortura, non sai quanto sei fortunata -
- Oh, ma io sono dislessica, solo che ci sono momenti in cui mi lascia in pace  - gli spiegai
Il ragazzo mi guardò stupito, poi riprese a farmi domande, mi chiese se vessi mai combattuto, o se un mostro mi avesse mai attaccato.
Parlammo per un po’, poi mi disse che dopo poco avrebbe avuto lezione di tiro con l’arco, e mi chiese di accompagnarlo -  Tanto non ho niente da fare - gli risposi alzando le spalle e seguendolo.
Mentre andavamo verso il campo di tiro con l’arco, vedemmo i ragazzi raccogliersi tutti in un unico punto -  Devono essere tornati - mi disse Nathaniel affrettando il passo.
Raggiungemmo gli altri ragazzi e vedemmo tornare le due squadre, mio padre e Nico portavano mia madre sulle spalle dividendosela, e lei sventolava in aria la bandiera rossa con sopra la testa di un cinghiale della casa di Ares, Grover invece li anticipava.
Dietro veniva la seconda squadra, Clarisse era visibilmente scocciata e soprattutto era fradicia, qualcosa mi diceva che si era scontrata con mio padre, ma comunque tratteneva a stento un sorriso.
Guardai i miei genitori, mia madre aveva ancora in testa l’elmo col pennacchio blu, mentre mio padre lo teneva nell’altra mano, in quel momento riuscì ad immaginarmeli dodicenni.
-  Ha vinto la squadra di Atena - mi disse Nathaniel, come se non l’avessi capito.
Quando capirono che non sarebbero mai arrivati all’arena, Chirone si fece largo tra la folla di mezzosangue esultanti e si avvicinò alle due squadre -  Proclamo vincitrice la squadra di Annabeth - mio padre e Nico avvicinarono mia madre a Chirone, lei si levò l’elmo e il centauro le poggiò sulla testa una corona d’alloro d’orata e tutti i ragazzi scoppiarono di nuovo in grida di esultanza.
Dopo poco i ragazzi si dileguarono tornando alle loro attività, mia madre fu rimessa a terra e lasciò un bacio sulla guancia sporca di mio padre, mi avvicinai e mia madre mi sorrise prendendomi per le spalle -  Avete vinto - le dissi sorridendole
-  Perché dubitavi di noi? - mi chiese mio padre
Vidi arrivare Clarisse, era ancora arrabbiata, ma si vedeva che si tratteneva dal ridere -  Jackson, tieni gli occhi aperti, giuro che te la faccio pagare doppia - lo minacciò
Mio padre la prese per le spalle e la strinse -  Ma se ti ha fatto piacere Clarisse, lo sapevo che avevi caldo - le disse ridendo
-  Certo Jackson, ma tu tieni gli occhi aperti - aveva tutta l’aria di una minaccia ma mentre lo diceva sorrideva -  Vedrai oggi pomeriggio  - gli disse.
Ci separammo, mi guardai intorno ma Nathaniel era sparito, non che mi importasse più di tanto.
Mia madre mi prese per le spalle e  ci incamminammo insieme a mio padre verso le case -  Lilia e Lucas non sono venuti  - notai guardandomi attorno
- Saranno da qualche parte ad allenarsi, non ci fare caso  - mi rassicurò mia madre sorridendomi, la guardai e rimasi un secondo ad osservarla -  Mamma hai un taglio sulla fronte… -  le dissi, mia madre si passò una mano su di essa e si guardò le dita sporche, mio padre si sporse e glielo guardò
-  Non è niente di grave, se ci metti un cerotto si chiude - la rassicurò
Accompagnai mia madre ai bagni, mi aveva detto che le serviva una mano per portare tutto quello che le serviva per farsi la doccia, ma in realtà sapevo che non voleva lasciarmi di nuovo da sola a isolarmi, lei e papà dovevano aver parlato.
Mentre aspettavo che si finisse di vestire, presi in mano la corona d’alloro e mi misi ad osservarla
- Quante ne hai vinte mamma? - le chiesi
- Non moltissime, anzi, poche a dire il vero - mi raccontò mentre si asciugava i capelli con un asciugamano -  Davvero? Dopo tutto quello che avete fatto? - le chiesi osservandola, mia madre mi sorrise e mi diede un bacio sulla fronte -  Non tutte le imprese ti lasciano una corona come ricordo  - mi ricordò mentre si legava di nuovo i capelli
-  Già, alcune ti lasciano delle cicatrici - risposi io ridandole la corona d’alloro
-  Alcune, e altre invece mi hanno dato te - e mi diede un altro bacio sulla testa -  E i tuoi fratelli - mi disse, io risi poi lei mi porse la mano che le presi e ritornammo da mio padre.
A pranzo mangiammo di nuovo divisi, Lilia che era esaltata per la corsa delle bighe del pomeriggio e stava discutendo con mio padre su come sistemare la biga per poter vincere e battere la mamma.
Dopo pranzo tornai nella casa di Poseidone e mi concessi un riposino, anche se non avevo fatto molto ero ancora stanca dall’anno scolastico, e allora ne approfittai, mi sdraiai nel letto e mi addormentai. 
 
Risognai di nuovo quel posto buio e umido, ma sta volta non vi era nessuno che parlava, una pallida luce filtrava nel buio di quella che capì essere una grotta.
Continuai a camminare verso la luce, stando attenta a dove mettevo i piedi, non avevo voglia di ripetere l’esperienza della notte prima, ad un certo punto la feritoia si allargò e iniziai a sentire un profumo dolce, come di fiori e di salmastro.
Accelerai il passo, volevo uscire da quel luogo il prima possibile, ma prima che riuscissi ad uscire iniziai ad essere avvolta da qualcosa di appiccicoso e colloso che mi rallentava. Cercai di levarmelo di dosso ma più ne toglievo più si appiccicava sulle mani, sulla faccia alla fine caddi e mi ci ritrovai avvolta, fui presa dal panico e iniziai a dimenarmi ma peggiorai solo la situazione, quella sostanza vischiosa mi finì sugli occhi, in bocca e poi nella gola soffocandomi.
Mi svegliai di scatto, e come l’altra sera sbattei la testa contro le doghe del materasso di sopra
 - Ahia! - gridai massaggiandomi la testa
-  Aibi che combini? - mi chiese mia madre guardandomi interrogativa
La guardai, cosa ci faceva lì?
Poi vidi arrivare mio padre e si mise a guardarmi anche lui sorridendo -  Ti sei svegliata  - constatò
-  Si, ma ha appena battuto la testa - mia madre si avvicinò e si sedette sul letto mettendosi di fronte a me, corrucciò la fronte e mi controllò la testa -  Non è niente mamma… - la rassicurai scostandole le mani dalla mia testa
-  Fai la brava Aibi - mi ammonì, io sospirai e la lasciai fare, quando però mi passò una mano sul punto in cui avevo preso il colpo gemetti -  Ti fa male - constatò guardandomi
-  Mi verrà un bernoccolo, ma non morirò - la rassicurai ridendo, lei mi guardò dubbiosa ma poi sospirò -  Su Annabeth, ha ragione - le ricordò mio padre
Mia madre si girò e lo fulminò con lo sguardo, io trattenni una risata mentre lui cercava di non incrociare il suo sguardo -  D’accordo, ora però vieni che tra poco inizia la corsa - mi disse prendendomi per mano.
Uscì dal letto e mi stiracchiai poi mi diedi una sistemata veloce ai capelli e seguì i miei genitori sino alla pista, tutto il campo si era già riunito -  Vai sugli spalti con i tuoi fratelli - mi disse mia madre, poi mi diede un bacio sulla fronte, mio padre mi accarezzò la testa e poi cercai di districarmi tra la folla per raggiungere i miei fratelli, ma non era un impresa facile.
Lucas era riunito con i ragazzi della casa di Atena, e io non avevo per niente voglia di stare con loro, e Lilia era con mio padre che stavano sistemando la biga, quindi io non potevo stare con i miei fratelli, possibile che la mamma non si ricordasse che gareggiavano anche loro?
-  Ehi mortale! - mi girai e mi trovai davanti il volto sorridente di Nathaniel
- Ciao - lo salutai sorridendogli -  Tu non gareggi? - gli chiesi
- No, non ci tengo tanto, e tu? - mi chiese
- L’hai detto tu, sono una mortale, ti sembra possibile che possa gareggiare? - gli ricordai accigliandomi, lui scoppiò a ridere, poi ci andammo a sedere sugli spalti mentre le bighe iniziavano a posizionarsi sulla linea di partenza - Per chi tifi? - mi chiese
-  Non ne ho idea, penso che tiferò per entrambi - gli risposi con un alzata di spalle
-  Quindi sia Atena che Poseidone? - annuì, poi mi si avvicinò e si guardò intorno per essere sicuro che nessuno ci stesse ascoltando, come se a qualcuno potesse importare quello che si dicevano due ragazzi -  Tu non dirlo a nessuno - mi sussurrò in un orecchio -  Ma io patteggio per la casa di Efesto  - mi confessò io lo guardai con finto sgomento
-  Oh miei dei! Ma questo è tradimento! - gli dissi portandomi una mano alla bocca e facendo una faccia meravigliata, lui scoppiò a ridere e io lo seguì poco dopo, poi la gara incominciò e ci contrammo su quella.
Alla fine nessuna delle case per cui tifavamo noi vinse, la casa di Atena arrivò seconda, quella di Poseidone terza e quella di Efesto quarta, al primo posto arrivò la casa di Ares, e Clarisse andò subito a rinfacciarlo a mio padre che l’aveva battuto e aveva stravinto.
Il resto del pomeriggio la passammo in famiglia, i nostri genitori ci portarono a tirare con l’arco, Lucas e Lilia non se la cavavano male, e anche la mamma era piuttosto brava, anche se sapevo che se la cavava molto meglio con la spada, o meglio, con il suo pugnale.
Mio padre era una frana, fecero provare anche a me ma io non mi posso definire una sportiva, riuscì comunque a scoccare qualche freccia e, almeno, a centrare il paglione.
Prima di cena ci ritirammo ognuno nella propria casa, dandoci appuntamento per la cena.
Mentre  Lilia e mio Padre si cambiavano io mi rimisi a leggere, mia sorella mi aveva accompagnata ai bagni quando le altre ragazze non c’erano, così ci eravamo fatte la doccia entrambe senza dovermi sentire gli occhi di tutte le ragazze addosso.
Uscimmo dalla casa e incontrammo mio fratello e la mamma che uscivano dalla loro, ci riunimmo e i nostri genitori ne approfittarono per darci una notizia -  Domani partiamo per Montauk - spiegò mia madre guardandoci.
Si! esultai dentro di me, ero al settimo cielo, finalmente incominciavano le mie vere vacanze, però mi trattenni e lasciai che dal mio viso trasparisse solo un sorriso.
-  Di già? Nico e Talia rimangono di più, e poi non sono ancora arrivati ne Rachel, ne Leo, ne Piper- si lamentò mia sorella guardando entrambi i miei genitori
-  Si, ma noi dobbiamo portare Aibi al mare - le ricordò mia madre guardandola con uno sguardo carico di sottintesi, mi accigliai, cosa c’era nascosto dietro quella frase che io non dovevo sapere?
- Ma, solo per un altro giorno, non le… - continuò mia sorella
-  Lascia stare Lili, lasciali andare a Montauk - gli rispose caustico mio fratello interrompendola e fissandola anche lui, mia sorella lo fissò con odio e poi lo insultò pesantemente in greco antico
-  Lilia! - le gridarono i miei genitori all’unisono sgridandola
-  è lui che ha cominciato! - si lamentò indicando il gemello
-  Sei tu che parli troppo! - le gridò a sua volta Lucas, si guardarono entrambi con odio e rabbia crescente, mentre si trattenevano a stento, conoscevo quelli sguardi, di solito a casa si fissavano così e poi si saltavano addosso iniziando a picchiarsi.
Mio padre intercettò la lite e si frappose fra loro due prima che Lilia saltasse al collo di Lucas
-  Ora smettetela - disse in tono duro e serio.
I gemelli si ricomposero un po’ intimoriti, se mio padre si arrabbia, vuol dire che l’hai fatta grossa, finché è la mamma ad incavolarsi puoi stare ancora tranquillo, lei si scalda subito, ma mio padre no, lui sta sempre dalla tua parte quando la mamma ti sgrida ma se è lui il primo a sgridarti… beh, bisogna fare attenzione a non farlo arrabbiare ancora di più.
- Ora fate pace e chiudete questa litigata - continuò spostandosi, i miei fratelli si guardarono, dai  loro sguardi si capiva che non era finita lì e che l’avrebbero risolta dopo, ma adesso misero su la faccia dolce e si abbracciarono - Scusa - si dissero a vicenda.
Mio padre sorrise soddisfatto - Molto bene, ora andiamo a cenare -
Raggiungemmo gli altri mezzosangue e ci dovemmo dividere, quella sera Grover non cenò con noi, così cenammo solo io, papà e Lilia, non fui totalmente estraniata dalla discussione e poi ero felice, finalmente il mattino dopo saremo partiti per Montauk.
Io andai a letto prima degli altri, non mi interessava rimanere al falò con gli altri mezzosangue, e i miei genitori non mi dissero niente, si limitarono a darmi un bacio sulla testa per uno e poi mi incamminai per andare alla casa di Poseidone.
Quando arrivai davanti alla casa, vidi che sui gradini vi era seduta una bambina che si guardava le mani, come se stesse aspettando qualcuno.
Era piccola, doveva avere all’incirca otto anni,  quindi non è Artemide, si ricordò di avvertirmi il mio cervello.
Mi avvicinai e le sorrisi -  Ciao - la salutai, lei alzò lo sguardo e mi sorrise portandosi una ciocca di capelli castani chiari dietro l’orecchio -  Ciao - mi rispose sorridendomi a sua volta
-  Posso aiutarti? - le chiesi guardandomi in giro e sperando di vedere qualcun altro nei paraggi che magari la conosceva - Non lo so’, tu sei Lilia? - mi chiese
Sospirai, possibile che incontrassi tutte le fan di mia sorella?
-  No, lei è al falò con gli altri mezzosangue, io sono Aibileen - le spiegai continuando a sorriderle. La bambina non sembrò per nulla sorpresa, anzi il suo sguardo si accese di una luce nuova, si scostò un po’ dal gradino e mi sorrise -  Ti va di farmi un po’ di compagnia? - mi chiese
Esitai, ma infondo è solo una bambina e io ho la capacità di attirare tutti i bambini piccoli, quindi non è una stranezza - Si - le dissi e poi mi sedetti di fianco a lei sui gradini.
La bambina continuava a sorridermi, e a guardarmi, io non sapevo cosa fare, tutte le volte che incontro dei bambini più piccoli di me mi si appiccicano addosso e vogliono giocare e stare con me e io non so’ mai cosa fare -  Allora, sei una mezzosangue anche tu? - le chiesi per rompere il silenzio, anche se era una domanda veramente stupida, ero io l’unica non-mezzosangue di tutto il campo, lei rise, perfetto facevo ridere una bambina
-  Scusa è una domanda un po’ sciocca - le dissi con un alzata di spalle
-  Non esistono domande sciocche, ma solo risposte scontate -
Ok, quella frase mi sarei aspettata di sentirla da mia madre o da un qualunque altro figlio di Atena, ma non da una bambina di otto anni.
-  Ti piace la tua famiglia? - mi chiese all’improvviso
- Certo  - le disse sorridendole, ero sincera, nonostante tutto quello che mi facevano passare non avrei mai voluto avere una famiglia diversa dalla mia
-  Sono felice di sentirtelo dire  - mi disse guardando di fronte a se’ -  Io credo che la famiglia sia una cosa veramente importante -
-  Si, è bello avere un posto dove tornare e sapere che ci sarà qualcuno ad aspettarti e che non ti deluderà mai - le risposi sospirando e sorridendole, lei mi sorrise e poi si alzò in piedi
-  Devi ricordartelo sempre Aibileen Jackson, mi prometti che lo farai? - io la guardai, ma sul serio quella era una bambina di otto anni?
-  Si… certo… -
Lei mi sorrise, -  Va bene, ora devo andare, a presto Aibileen - mi salutò con la mano e poi corse verso il falò, la guardai che correva via, che strana bambina, mi sembrò quasi che mentre si avvicinava al fuoco questo divenisse più grande e lei vi sparì dentro, ma probabilmente era solo un effetto ottico. Mi alzai dai gradini sospirando e andai a coricarmi, ero felice, finalmente domani saremo andati a Montauk.

Ed eccolo qui :)
Chiedo ancora scusa perchè è un capitolo lungo, spero di non avervi annoiato troppo.
Allora ringrazio tutti quelli che hanno letto, accidenti siete già più di 140 0.0 !
Ringrazio quelle buon anime che hanno recensito, e invito gli altri a farlo, fatemi sapere le vostri opinioni sono importanti per me :) Infine ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite o nelle seguite.
Vi auguro di nuovo Buona Pasqua e Buona Pasquetta, spero che il capitolo non vi abbia deluso :)
Un bacio e un abbraccio,
Darkness_Angel

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Capitolo 3
*** Un vecchio amico di mamma e papà viene a farci visita al mare ***


Ed eccomi tornata con il terzo capitolo!
Giuro che è un caso che abbia pubblicato oggi che è il 1° Maggio, volevo pubblicare ieri sera ma tra una revisione e l'altra si era fatto troppo tardi. Comunque, questo capitolo è più corto del secondo ed avremo un colpo di scena :D
Direi che per ora è tutto, Buona Lettura :)


Capitolo Tre
Un vecchio amico di mamma e papà viene a farci visita al mare
 
-  Sveglia, Sveglia! - saltai sul letto di mio padre e lo scossi, lui fece finta di nulla e si girò lamentandosi perché non voleva alzarsi -  E dai…  - lo scossi ancora un po’ scocciata, ero seduta sulle sue gambe e gli tenevo la mani sulle spalle.
Mio padre continuava ancora a non reagire, così lo scrollai ancora ma con più forza, -  Dai papà!! - gli gridai, lui si mosse fulmineo e mi abbracciò cingendomi con un braccio e abbracciandomi, stringendomi a lui, io tirai un grido sorpreso ma poi scoppiai a ridere, mentre facevo finta di dimenarmi per liberarmi dalla sua stretta, ma in realtà non volevo essere in nessun altro posto in quel momento.
Lui mi strinse e mi diede un bacio sulla fronte io risi felice -  Partiamo dopo colazione - mi ricordò cercando di farmi calmare -  Lo so’, lo so’ - lo rassicurai
Lui mi strinse ancora coprendomi, sapevo che lo faceva per guadagnare ancora qualche minuto visto che l’avevo svegliato bruscamente e lui avrebbe voluto dormire ancora un po’. Io mi girai verso di lui e mi accoccolai contro il suo petto e inspirai il suo profumo, lui mi strinse tenendomi un braccio dietro la schiena -  Hai avuto di nuovo gli incubi? - mi sussurrò piano, io gli annuì piano sul petto, ma non avevo voglia di parlarne, così mi limitai a stringermi ancora di più a lui e rimanemmo così.
Avevo avuto ancora l’incubo, ero di nuovo nella grotta e correvo in mezzo alla sostanza collosa e vischiosa e ci finivo avvorticciolata dentro, e soffocavo.
Senza accorgercene io e mio padre ci eravamo di nuovo riaddormentati, sentì qualcuno che mi accarezzava i capelli, mi girai ma senza sciogliermi dall’abbraccio di mio padre, e mi ritrovai davanti gli occhi di mia madre che mi sorridevano -  Mamma… - le sussurrai
-  Vi siete riaddormentati, ma se vogliamo andare devi alzarti  - mi disse, io annuì, poi mi scostai piano dall’abbraccio di mio padre e scesi dal letto, mentre lui si girava sulla schiena e continuava a dormire -  Su, preparati ora - mi disse spingendomi dolcemente verso la porta.
Andai verso la mia valigia per prendere le cose per prepararmi, ma prima di uscire mi appostai in modo che non mi vedessero e guardai i miei genitori.
Mia madre si chinò su mio padre e gli diede un bacio sulle labbra, lui la tirò a se prolungando il bacio ma poi lasciandola andare per  guardarla negli occhi, lei rise -  Sai Testa d’alghe, sbavi ancora mentre dormi - lui rise e poi si scambiarono ancora un bacio.
Sorrisi e poi uscì dalla casa velocemente, raggiungendo mia sorella ai bagni.
Quella mattina l’euforica della famiglia ero io, mia sorella era un po’ triste quindi durante la colazione non esternai troppo la mia felicità, ma sapevo che riusciva a vederla dietro ai miei occhi.
La mia valigia era già pronta, così mi toccò aspettare i miei genitori che dovettero risistemare le loro, dopo di che ci rivedemmo tutti insieme davanti alla casa grande con i borsoni alla mano.
Grover, Juniper, Talia, Nico e Clarisse vennero a salutare i miei genitori, e poco dopo ci raggiunse anche Chirone.
Mia madre abbracciò i miei fratelli uno per uno per circa un minuto -  Mi raccomando fate i bravi - li raccomandò -  Ricordatevi di chiamarci una volta alla settimana, e con un messaggio Iride non…-
- Non con il cellulare se no’ attiriamo i mostri, mamma abbiamo sedici anni! - le ricordò Lucas completando la frase al posto suo, lei sorrise e poi li abbracciò ancora una volta frettolosamente
-  Su Annabeth, li teniamo d’occhio noi - la rassicurò Clarisse guardando i due ragazzi
I gemelli rimasero un po’ spiazzati, credo che l’idea di essere controllati da una figlia di Ares, per altro quella figlia di Ares, non gli piacesse molto.
-  Non è mica il primo anno che li lasciate qui -  le ricordò Chirone
Mia madre sorrise, poi toccò a mio padre salutarli ed infine li salutai io, come al solito Lilia mi fece il solito saluto con annessa strofinata di testa, Lucas mi scrutò per un secondo e poi mi abbracciò frettolosamente -  Fai la brava - mi raccomandò, mi scostai e mi accigliai, ma decisi di non replicare, nessuno avrebbe rovinato quella giornata!
Salutai velocemente anche gli amici dei miei genitori, poi ci incamminammo sulla collina per tornare a prendere la macchina, io ero davanti ai miei genitori e quasi correvo.
Salimmo in macchina e partimmo, mi ero infilata le cuffie ma vedevo chiaramente che i miei genitori parlavano tra loro tranquillamente, ogni tanto mia madre mi guardava dallo specchietto retrovisore e mi sorrideva.
Dopo circa un ora di viaggio incominciai a intravedere la spiaggia, e il mio cuore iniziò a riempirsi di gioia e iniziai a non riuscire più a stare seduta, ero impaziente e poi finalmente arrivammo.
Prima che nascessero i gemelli, i miei genitori avevano continuato a passare le estati al campo mezzosangue, persino quella in cui mia madre era incinta, c’era mancato poco che ce li avessi partoriti, ma poi, quando erano nati, avevano capito che finché non si fossero presentate le loro capacità, preferivano non tornare al Campo, così, con l’aiuto di tutti e quattro i nonni, avevano comprato una piccola casetta sulla spiaggia di Montauk, che mia madre si era divertita a ristrutturare.
Molte volte ci andavano anche la nonna Sally e nonno Paul, qualche volta ci avevano fatto delle sorprese, e qualche volta se mamma e papà dovevano rimanere a Manhattan, ci portavano loro al mare, mentre gli altri nonni di solito ci portavano a San Francisco, anche se da quando i gemelli avevano scoperto di essere semidei non ci venivano quasi mai, mia madre si era scusata con il nonno e la nonna, ma aveva paura a portarci i gemelli, nonostante ci fosse il Campo Giove nelle vicinanze.
Io invece li andavo a trovare qualche volta d’inverno, mi piaceva stare con il nonno, tutte le volte ci divertivamo un mondo.
Scesi dall’auto di corsa, correndo verso la casa ma mia madre mi fermò -  Ferma lì, prima prendi le tue cose - tornai indietro a capo chino e presi il mio borsone che mio padre mi porgeva sorridendo, con uno sguardo che diceva “ ti-capisco-ma-obbedisci-alla-mamma-così-dopo-sei-libera” seguì mia madre in casa e portai il mio borsone nella camera mia.  
Lo poggiai sul letto singolo di fianco alla parete destra sotto la finestra, sulla parete sinistra c’era il letto a castello dei gemelli, in disuso ormai da anni.
Sistemai i vestiti nell’armadio, poi mi spogliai rimanendo col costume che mi ero messo quella mattina già in prospettiva di quel momento.
Uscì dalla camera cauta, sentendo i miei genitori che parlavano tra loro in cucina ma con serenità, non c’era aria di “litigata”, sgusciai fuori di casa e corsi verso il mare per poi tuffarmi in acqua senza troppi pensieri.
Rimasi sotto finché l’aria non finì e dovetti riemergere per non soffocare, ecco una cosa che invidiavo moltissimo a Lilia, non poter rimanere sott’acqua per tutto il tempo che volevo.
Quando riemersi vidi mio padre che mi stava raggiungendo con poche bracciate, io gli andai incontro e ci incontrammo a metà strada -  Già in acqua? - mi chiese ridendo anche se era una domanda scontata, io annuì e poi lo abbracciai portandogli le mani dietro al collo
-  Vuoi andare sotto? - mi chiese con sguardo complice, io annuì convinta -  Allora trattieni il respiro - presi aria un po’ scenicamente e poi ci immergemmo sott’acqua.
Dopo qualche secondo, mio padre creò una bolla d’aria intono a noi lasciando furi solo le gambe, ma in modo che io potessi respirare.
-  Non possiamo rimanere tanto o la mamma si arrabbia - mi ricordò
-  Non può farci niente finché siamo qui sotto - gli ricordai
Lui non disse nulla e poi iniziammo a nuotare verso il basso, non ci spingevamo mai troppo sul fondo, principalmente perché mia madre aveva paura che, nonostante la presenza di mio padre,  la pressione mi schiacciasse o potesse mancarmi lo stesso il respiro.
Nuotammo finché non toccammo il fondo con i piedi, la sabbia sembrava più morbida, quasi fosse velluto, iniziai a camminare e mio padre mi venne dietro tenendomi sempre una mano su una spalla, poi la mia attenzione fu catturata da qualcosa che sbucava da sotto la sabbia.
Mi accucciai senza pensarci e mio padre mi fermò -  Attenta - mi ammonì serio tirandomi su prima che potessi uscire dalla bolla -  Scusa, è che volevo vedere cos’era quello - gli spiegai indicando l’oggetto della mia curiosità.
Mio padre si accigliò, poi mi guardò e io sfoderai i miei occhioni dolci e lui si sciolse -  D’accordo, ma poi torniamo su - mi raccomandò, io annuì, poi mio padre si concentrò e la bolla d’aria si allargò sino ai nostri piedi inglobando anche il pezzo di sabbia del terreno.
Mi chinai e raccolsi l’oggetto, era una conchiglia grande quanto il palmo della mia mano, bianca e marrone all’esterno e rosata all’interno, aveva una forma allungata e i bordi seghettati, era stupenda.
-  Ora possiamo tornare? - mi chiese dolcemente
Io annuì, andai vicino a lui mentre la bolla tornava a circondarci sino alla vita e poi incominciammo a risalire grazie anche alle correnti che ci spingevano verso l’alto.
Quando riemergemmo ero abbracciata a lui, mentre trattenevo ancora il respiro -  Sapevo che eravate lì - ci ammonì mia madre dalla spiaggia.
Io e mio padre ridemmo poi nuotammo verso di lei, io fui la prima ad uscire e le corsi incontro, e come sempre da ormai dodici anni, mi avvolse in un asciugamano per non farmi prendere freddo nonostante fosse estate -  Guarda cosa ho trovato - le dissi facendole vedere la conchiglia
Mia madre la prese in mano e la osservò -  E’ bellissima Aibi, dove l’hai trovata? - mi  chiese ridandomela e facendomi una carezza sulla testa -  Sul fondale - le dissi
Mia madre alzò uno sguardò ammonitore verso mio padre che si stava avvicinando -  Eravamo qui vicino, tranquilla  - la rassicurò poggiandomi una mano sulle spalle
-  D’accordo, ma ora andate dentro, dobbiamo ancora sistemare un paio di cose e poi c’è il pranzo da preparare - ci ricordò guardando prima me e poi lui
-  Si, signora! - le disse mio padre scherzando,  poi però le sorrise e le si avvicinò per darle un bacio - No, no, stammi lontano Testa d’Alghe, sei tutto bagnato - lo fermò poggiandogli una mano sul petto per allontanarlo scherzosamente, poi risero entrambi, io continuavo a guardarli, mi piace quando fanno così, quando scherzano tra di loro come se fossero ancora ragazzini.
-  Ora andate veramente, non voglio che Aibi prenda freddo - ci disse
-  D’accordo  - poi mi aggrappai alla sua mano tirandola leggermente giù e le lasciai un bacio su una guancia -  Perché lei si? - scherzò mio padre fingendosi offeso, io risi e poi tornai in casa lasciandoli da soli.
Per pranzo aiutai mia madre a cucinare e ad apparecchiare, mentre mio padre sistemava alcune cose della casa.
Dopo pranzo mia madre si mise a lavorare sul suo pc, una copia precisa di quello che le aveva regalato Dedalo anni prima, visto che quello originale era andato perduto nel Tartaro. Mio padre, invece, si mise a sonnecchiare in camera loro e io mi stesi sul mio lettino rigirandomi la conchiglia tra le mani.
Era la prima che trovavo in molti anni che venivamo qui.
Quando eravamo piccoli, un’estate che eravamo venuti tutti e cinque a Montauk, anche se i gemelli sarebbero dovuti andare al campo, Lilia mi aveva sfidato a chi trovava la conchiglia più bella in un ora, il problema era che io le avevo cercate sulla costa mentre lei aveva il permesso di immergersi alla profondità che voleva, quindi a gara finita avevo perso senza margine di errore, un po’ come quando facevamo la gara per chi costruiva il più bel castello di sabbia e mia madre e mio fratello finivano in squadra assieme.
Dopo un po’ che la osservavo presi un blocco e iniziai a disegnarla, ogni tanto mi veniva qualche idea e iniziavo a scarabocchiare.
Senza accorgermene il tempo passò in fretta e arrivò in fretta anche il pomeriggio, verso le sei andai da mia madre e la trovai ancora davanti al pc che leggeva -  Mamma ti va di uscire? - le chiesi restando sull’uscio della porta -  Che ore sono? - mi chiese guardandomi
-  Le sei… ma se hai ancora da fare… - divagai
-  E’ tardi, domani ti prometto che stiamo tutto il giorno insieme  - mi promise con un sorriso dolce ma triste allo stesso tempo, non lo diedi a vedere, ma ero abbastanza delusa -  Però tu puoi stare fuori se vuoi, basta che non ti bagni - mi disse
Alzai lo sguardo e mi avvicinai a lei -  Grazie mamma - le diedi una bacio su una guancia, poi presi una giacchetta di cotone e uscì fuori sulla spiaggia.
Mi andai a sedere sul bagnasciuga, mi levai le scarpe e poggiai i piedi sulla sabbia umida mentre ogni tanto un onda un po’ più lunga me li bagnava.
Strinsi le ginocchia al petto e ci appoggiai il mento inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra della sera, e iniziai a pensare.
Un po’ mi mancavano i miei fratelli, anche se c’erano dei momenti in cui ci odiavamo rimanevano pur sempre la mia famiglia, un po’ mi mancava la mia casetta, certo quella di Montauk era a tutti gli effetti la mia seconda casa, ma a quella di Manhattan ci sono attaccata particolarmente, e tutte le volte mi dispiace non poco andare via.
Rimasi lì a rimuginare, finché mia madre non mi chiamò dalla soglia della casa per avvertirmi che la cena era pronta, quando la sentì chiamare scattai subito e tornai in casa, mia madre mi accarezzò la testa prima di chiudermi la porta alle spalle.
Mi andai a mettere il pigiama e poi raggiunsi i miei genitori in cucina per la cena, mangiammo allegramente mentre scherzavamo tra di noi, mentre aiutavo mio padre a lavare i piatti, Lilia e Lucas ci chiamarono con un messaggio Iride per avvertirci che andava tutto bene.
Quando vidi mia sorella ebbi l’impulso di andare a prendere la conchiglia e fargliela vedere rinfacciandogli che sta volta avrei potuto vincere io se avessimo fatto una gara, poi mi ricordai che mia sorella ormai ha sedici anni, e che i tempi delle gare per le conchiglie o dei castelli di sabbia sono finiti per lei.
Alle dieci e mezza mia madre mi disse di andare a letto e io obbedì come sempre, mi lavai i denti e poi mi infilai a letto aspettando che venisse a darmi la buona notte e lei non si fece aspettare molto. Mi rimboccò la coperta leggera e poi mi diede un bacio sulla fronte -  Mamma - le sussurrai
-  Dimmi Aibi - mi disse sorridendomi dolcemente
-  Mi racconti una storia? - le chiesi d’impulso, non so’ perché ma non mi andava che se ne andasse via così presto, lei mi guardò stupita
-  Davvero Aibi? - mi chiese, io annuì e mi scostai facendole posto di fianco a me in modo che mi si potesse sedere accanto. Lei sospirò e mi si mise vicino cingendomi le spalle con un braccio e io appoggiai la testa sulla sua spalla -  Quale vuoi che ti racconti? - mi chiese mentre giocherellava con un mio ricciolo dei miei capelli -  Quella della nonna e del nonno  - lei mi guardò accigliata facendomi capire che dovevo essere un po’ più esplicita -  Quella della nascita del nome di Atene - le spiegai guardandola. Mia madre mi sorrise e mi diede un bacio sulla fronte, io e miei fratelli eravamo stati cresciuti a pane e miti greci, ma a me non dispiacevano per nulla.
-  Allora  - iniziò stringendomi -  Quando la città, che sarebbe poi divenuta Atene, era stata appena fondata, il Fato aveva stabilito che sarebbe diventata la più ricca, prospera e potente città della Grecia così tua nonna decise di prenderla sotto la sua custodia, tuttavia anche tuo nonno, Poseidone, la voleva sotto la sua, in quanto  la città era vicina al mare.
Così, Atena e Poseidone, entrarono in conflitto, dato che nessuno dei due aveva intenzione di lasciare la giovane città all’altro, neppure Zeus riuscì a farli mettere d’accordo. Alla fine Atena propose di lasciar decidere ai cittadini chi ne avrebbe preso la tutela. Atena e Poseidone riunirono il popolo della città sull'Acropoli e dissero che ciascuno dei due avrebbe concesso un dono: il regalo giudicato migliore avrebbe fatto vincere la rispettiva divinità. Poseidone piantò al suolo il suo tridente e dal foro ne scaturì una sorgente. Questa avrebbe dato loro sia nuove opportunità nel commercio che una fonte d'acqua, ma l'acqua era salmastra e non molto buona da bere, mentre Atena fece nascere dal terreno un ulivo. A quel punto tutti concordarono e scelsero il dono di Atena, che diede infine il suo nome alla città. Sotto la sua protezione  Atene diventò una città fiorente, abile anche nelle guerre, per l'intelligenza e per l'attento uso della tattica dei suoi comandanti. Ma i cittadini non allontanarono Poseidone e gli promisero che avrebbero innalzato un tempio anche per lui e gli avrebbero concesso i sacrifici dovuti, per mantenere il suo favore  - raccontò, mi lasciai sfuggire una risata -  Sarebbe stato da stupidi inimicarsi il Dio del Mare quando sei una città che vi si affaccia - commentai alzando lo sguardo per incrociare quello di mia madre -  Vero, alcuni dicono che tuo nonno invece della sorgente offrì il primo cavallo, ma per questo devi chiedere a tuo padre, in ogni caso la storia non cambia, alla fine gli Ateniesi scelgono Atena,  anche perché pensavano che avesse un carattere migliore di Poseidone - mi spiegò sorridendomi
-  Si sbagliavano a quanto so’ - le dissi lasciandomi scappare un’altra risata
-  Aibileen Jackson, non si dicono queste cose  - mi ammonì seria minacciandomi con un dito e poi dandomi una ditata sul naso  -  In ogni caso chiedi a loro se non ti fidi - mi ricordò dolcemente. Io presi il lenzuolo e mi coprì la faccia -  No, mi vergogno - le risposi, mia madre sospirò e alzò gli occhi al cielo per poi scoprirmi -  Non essere sciocca  -
-  E se.. se la prendono e pensano che patteggi per uno piuttosto che per l’altro? - le spiegai il mio timore, era da quando ero piccola che non sapevo come comportarmi a quel riguardo, adoravo i miti su mia nonna e aveva tutta la mia stima, è la mia eroina, a volte preferisco lei a Poseidone (per favore non fateglielo sapere) ma anche il nonno non è male, e sicuramente è molto più loquace di lei e mi fa ridere più spesso, e poi mi piace stare sott’acqua, e allora in questo caso preferisco lui ( ecco questo, mia nonna, non lo deve proprio sapere). Insomma se dovessi scegliere… Dei, spero di non doverlo mai fare!
Mia madre mi guardò con un sorriso dolce che mi scaldò il cuore e mi strinse -  Secondo me sanno che vuoi bene a tutti a due, quindi io non mi preoccuperei - mi rassicurò.
Io mi accoccolai sul suo petto e la strinsi, lei prese ad accarezzarmi i ricci scuri -  Ora chiudi gli occhi e cerca di addormentarti - mi disse dolcemente, io le annuì sul petto e mi assopii tra le sue braccia, mi lasciò soltanto quando fui completamente addormentata.
Quella notte sognai la disputa tra Atena e Poseidone però le immagini erano  strane.
Sembravano disegni, no erano ricami, la storia si svolgeva come nel racconto di mia madre, Atena e Poseidone che litigavano e poi mia nonna che proponeva la sfida. Mio nonno che conficcava il tridente nel terreno e ne usciva una fonte d’acqua ricamata con tutte le tonalità di azzurro, e poi l’ulivo di mia nonna, le foglie verdi ricamate con del filo lucente.
Fu un sogno tranquillo anche se strano, tutti i personaggi e le scene erano ricamati, sembrava quasi un cartone animato, quando la storia finì il disegno fu strappato come quando finivano quelle vecchie pellicole che si mettevano nelle cineprese, con un cigolio, un lampo di luce e poi tutto divenne buio.
 
Il mattino dopo mi alzai abbastanza presto, erano le otto, l’alba per me.
Andai in cucina ancora assonnata stropicciandomi gli occhi, ma trovai mia madre in piedi vicino al lavandino con in mano una tazza -  Buon giorno Aibi - mi salutò con un sorriso rilassato.
La guardai era avvolta nella vestaglia, i capelli ricci ancora spettinati, lo sguardo trasognato mentre si concentrava sulla sua tazza di caffè, solo altre poche volte l’avevo vista così tranquilla. Sperai che il rancore che Era aveva provato per mia madre in passato fosse svanito, non ho voglia di avere un altro fratello!
Mia madre mi guardò di nuovo strappandomi dalle mie elucubrazioni -  Vuoi fare colazione? - mi chiese, io annuì e mi sedetti a tavola mentre mia madre prendeva le cose per prepararmi la colazione -  Papà? - le chiesi mentre mi metteva davanti il latte al cioccolato e ritornava ai fornelli per cucinare i pancake -  Dovrebbe arrivare, ma se vuoi vai pure  a svegliarlo - mi disse sorridendomi. Stavo per alzarmi, avere il permesso di svegliare mio padre era un occasione imperdibile, ma lui mi rovinò i piani apparendo sulla porta sbadigliando mentre il suo abbigliamento, cioè solo i pantaloni del pigiama, confermava i miei dubbi su quello che avevano combinato i miei genitori quella notte.
-  Chi è che doveva venirmi a svegliare? - chiese avvicinandosi a mia madre e lasciandole un bacio sulle labbra e arricciando sul dito una sua ciocca di capelli mentre mia madre arrossiva.
Io arrossii a mia volta e mi schiarì la voce richiamando i miei genitori alla realtà, queste cose da piccioncini fatele quando non sono in giro, per favore!
-  Allora, dormito bene Aibi? - mi chiese mio padre sedendosi di fianco a me
-  Si, ho sognato il nonno e la nonna quando litigavano per Atene - spiegai afferrando famelicamente un pancake blu ( ricetta regalatale dalla nonna Sally dopo il matrimonio insieme a tutti i trucchi per far diventare qualsiasi cibo blu) che mia madre aveva messo davanti a me e a mio padre. Mio padre si corrucciò e si mise ad osservarmi dubbioso, ma mia madre rispose alla sua domanda inespressa -  L’ha sognata perché gliel’ho raccontata ieri sera - spiegò
-  Mai una favola normale come cappuccetto rosso, vero? - le chiese sarcastico
-  Se ti sembra più educativo la storia di una bambina che viene mangiata da un lupo piuttosto che le storie sui suoi avi, accomodati pure - gli disse tranquilla sedendosi davanti a lui e di fianco a me sfidandolo con lo sguardo
-  E chissà perché le racconti le storie dove tua madre ha la meglio -
-  Me l’ha chiesta lei, e comunque anche tuo padre ha fatto la sua bella figura quella volta -
Sospirai, e continuai a guardarli mentre si sfidavano con lo sguardo, sul serio papà stava sfidando mia madre sulla conoscenza dei miti Greci?
-  Ma se tua madre ha vinto solo perché le donne ad Atene erano in numero maggiore - le rinfacciò
-  E tuo padre pensò bene di inondare i campi e di punirle, è colpa sua se non abbiamo più potuto votare - un punto a mia madre, la situazione iniziava a scaldarsi
-  C’è chi dice che vinse solo perché aveva fatto nascere l’ulivo prima che mio padre potesse agire - le rammentò ancora
-  Ora non dire cose assurde! - lo ammonì mia madre, io mi feci piccola, piccola meglio non mettersi in mezzo
-  Vuoi parlare di assurdità? Lo sai che c’è chi dice che quella lite ebbe luogo anche perché tua madre voleva una rivincita su mio padre perché l’aveva appena mollata? -
Mia madre scattò in piedi sbattendo le mani sul tavolo con aria furente, mio padre la imitò e si fissarono per qualche attimo che sembrò durare ore.
Da piccoli, a turno, per farli smettere di litigare io o uno dei gemelli ci mettevamo a piangere, così capivano di aver esagerato e smettevano, ma adesso mi sembrava una cosa non adatta alla mia età, poi però successe una cosa che credevo impossibile.
Mia madre abbassò la testa e scoppiò a ridere tornando a sedersi, mentre anche mio padre rideva senza controllo -  Mia madre e tuo padre? Ma di che cosa era fatto il tizio che ha detto questa sciocchezza? - gli chiese, a quel punto mi rilassai e mi misi a ridere anche io.
Dopo quello scontro tra i miei genitori la mattinata passò in fretta, mia madre aveva deciso che si sarebbe dedicata al lavoro in un altro giorno e così avevamo deciso di comune accordo che quella giornata l’avremmo passata insieme.
Passammo la mattina sulla spiaggia, mia madre che cercava di riposarsi e io e mio padre che la bagnavamo, lei che continuava a fare la sostenuta ritornando sull’asciugamano a prendere il sole, ma alla fine, con una strategia degna di mia nonna, io la distrassi fingendo di essermi fatta male, lei corse in mio aiuto e mio padre la colse di sorpresa prendendola in braccio e buttandola definitivamente in acqua, mentre lei lo malediceva in greco antico.
Dopo pranzo io mi ritirai a leggere nella mia stanzetta, lasciando i miei genitori che lavavano i piatti, mi ero portata dietro i compiti da fare per prepararmi all’anno successivo, ma mi ero battuta ferocemente contro mia madre dicendole che li avrei iniziati solo dal primo di Luglio, e così avevo intenzione di fare.
Alle quattro andai a cercare i miei genitori, sta volta non mi sarei lasciata cogliere alla sprovvista dal tempo, e li trascinai di nuovo fuori, nonostante le finte proteste, per giocare insieme.
Era da nove lunghissimi mesi che aspettavo questo giorno, e mi ripromisi che questo sarebbe stato solo il primo di uno dei tanti che avremmo passato insieme quell’Estate.
Arrivò la sera che neanche ce ne accorgemmo, cenammo e poi tornammo fuori e accendemmo un falò dove ci mettemmo ad arrostire dei marshmallow blu e bianchi. Io raggomitolata tra le braccia di mia madre e mio padre davanti a noi che ci raccontava aneddoti divertenti, mia madre che rideva e mi stringeva, mio padre concitato nel raccontare una storia, mi godetti quel momento sentendomi veramente felice e tranquilla dopo tanto tempo e sperai che quel momento non finisse mai.
 
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Percy sistemò la giacca appendendola sull’attaccapanni dietro alla porta, era rimasto ancora un momento fuori per assicurarsi che il fuoco si fosse spento a dovere.
Durante la serata gli era quasi parso di vedere Estia, la Dea del focolare, che gli sorrideva tra le fiamme, ma era da quando aveva sedici anni che non la vedeva, probabilmente aveva avuto un allucinazione.
Decise di cercare Annabeth, gli aveva detto che avrebbe messo Aibileen a letto e poi ci sarebbe andata anche lei, quella giornata li aveva sfiancati tutti e tre, anche se avrebbe preferito che con loro ci fossero anche i gemelli.
Andò nella camera dei bambini, ma la trovò buia e soprattutto vuota, si accigliò, dov’era finita Aibileen?
Andò in camera loro per chiedere alla moglie ma non ebbe bisogno di dire nulla.
Annabeth era sdraiata a letto, addormentata, con un braccio cingeva la figlia rannicchiata vicino al suo petto addormentata anche lei che la stringeva a sua volta.
Percy sorrise e ai suoi occhi si sostituì un immagine di circa dodici anni prima, Annabeth sdraiata a letto nella stessa posa, una piccola Aibileen di appena sei mesi rannicchiata vicino al petto della madre che dormiva respirando piano con le manine vicino al viso.
Lei si gira verso di lui e gli sorride dolcemente -  Sta bene, funziona - gli dice facendo una carezza sulla testolina della piccola.
Si riscosse dai ricordi, poi si cambiò velocemente infilandosi il pigiama per poi mettersi a letto di fronte alle moglie. Spense la luce e poi tirò su la coperta leggera in modo da coprire tutti e tre infine si coricò anche lui cingendo con un braccio moglie e figlia.
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Sto sognando, ne sono certa.
So’ che i miei sogni possono essere molto realistici, quindi non mi sorprenderei di sognare un terremoto e di sentire il terreno che vibra sotto di me.
Apro gli occhi all’improvviso, non è un sogno, il terreno sta veramente vibrando sotto di me. I miei genitori sono svegli e allerta, seduti di fianco a me -  Mamma cosa succede? - chiedo, mi accorgo di avere paura e che la mia voce lo ha appena messo in chiaro.
Lei si gira verso di me e mi sorride dolcemente -  Tranquilla tesoro  - chissà perché non riesco comunque a stare calma, mi siedo sul letto anche io e aspetto che loro reagiscano.
Il terreno vibra di nuovo e nell’aria si riverbera una specie di muggito, no, non è una specie, è un muggito.
Mio padre impreca sotto voce, deve essere una cosa davvero grave perché mia madre non lo riprende, si alzano entrambi di scatto dal letto, mia madre afferra il suo berretto degli New York Yankees dalla testiera del letto e il pugnale, mio padre afferra la penna dal comodino, Vortice, e si fiondano entrambi sulla veranda, io li seguo a ruota, senza ragionare.
Dal lato Ovest della spiaggia, da dietro la pineta, sta arrivando qualcosa che io non riesco ad identificare ma che invece i miei genitori sembrano conoscere molto bene.
-  Dobbiamo tornare al campo - dice mio padre rivolgendosi a mia madre
-  Non c’è tempo Percy, è troppo vicino - gli ricorda lei
Non finisce neanche la frase che due alberi cadono e da dietro di essi compare un mostro, è alto almeno cinque metri, il corpo è umano ma la testa è quella di un toro Di immortales, è il Minotauro! Rimango paralizzata sulla veranda di fianco alla porta, non posso credere a quello che sto vedendo.
Mio padre leva il cappuccio a Vortice e si prepara all’attacco, mia madre si gira verso di me -  Vai dentro Aibileen! - mi grida, poi torna a rivolgere le sue attenzioni al mostro.
I miei genitori si scambiano uno sguardo complice, poi mia madre si infila il berretto e sparisce, dopo di che mio padre parte all’attacco.
So’ che dovrei muovermi, nascondermi come ha detto mia madre, sono mortale, il Minotauro potrebbe uccidermi solo sternutendo, ma la paura mi attanaglia le viscere.
Riesco solo a rimanere immobile al mio posto, mentre vedo mio padre che distrae il Minotauro in modo che mia madre si possa avvicinare e colpirlo, ma qualcosa va storto, il mostro percepisce la presenza di mia madre non so’ in che modo e schiva il suo colpo, lei si sposta di lato e torna visibile dopo aver perso il cappello, mio padre attacca così da dare il tempo a mia madre di rialzarsi in piedi, il mostro  para il colpo con il polso che è coperto da una polsiera di cuoio e sposta il braccio all’indietro scaraventando mio padre dietro di lui, si gira per finirlo ma mia madre attacca, il Minotauro si gira e con una manata la scansa di lato.
A quel punto il mostro sembra perdere interesse per loro e continua ad avanzare verso la casa, continuo a fissarlo come una sciocca, quella per me è la morte che cammina ma le mie gambe non ne vogliono sapere di iniziare a correre, per qualche ragione rimango ferma come una statua.
Il Minotauro si avvicina e lancia un altro grido rabbioso, sono concentrata su di lui, su quella bestia enorme che avanza verso di me, quando qualcosa mi prende e mi porta dentro la casa.
Mi dimeno e grido cercando di liberarmi dalla stretta del mio assalitore -  Buona Aibi, sono io! - mia madre si leva il berretto, ritornando visibile, io smetto di scalciare e mi volto verso di lei.
I suoi occhi grigi sembrano un cielo in tempesta, sono carichi di preoccupazione e rabbia, e in qualche modo so’ che quella rabbia è anche, per una parte, causata da me.
-  Mamma scusa… - le dico spaventata
-  Lascia stare Aibi, ora però ubbidiscimi e rimani in casa finché io e tuo padre non rispediamo quel mostro nel Tartaro, capito? - mi chiede seria fissandomi
So’ che non posso replicare -  Si… - le dico con un filo di voce
Il suo guardo si addolcisce -  Brava, ora…  -  un grido strozzato riempie l’aria, vedo mia madre sbiancare, io non devo avere una faccia migliore.
Entrambe scattiamo fuori dalla casa giusto in tempo per vedere il Minotauro che stringe in una mano mio padre impedendogli di muoversi e soffocandolo - Papà! - la voce che mi esce è angosciata, sento le lacrime pungermi gli occhi, mi giro verso mia madre cercando il suo sguardo ma lei sta trattenendo a stento la rabbia e la paura -  Aibileen stai qui - mi intima
- No, io… -  Io voglio aiutarti! Ecco cosa voglio fare!
-  Ho detto stai qui!  - mi grida infuriata, si gira verso di me la guardo terrorizzata, non l’ho mai vista così arrabbiata, scatta inginocchiandosi su di me e mi infila in testa il berretto che le ha regalato la nonna poi, senza lasciarmi il tempo di replicare, scatta verso il Minotauro che tiene ancora imprigionato tra le sue grinfie mio padre, che con mio grande terrore si agita sempre di meno.
Mia madre corre verso di lui, il mostro la vede e cerca di afferrare anche lei, lei schiva la mano del mostro e tenta un affondo con il pugnale che però va a vuoto, il mostro ne approfitta e, prendendola alla sprovvista le tira un manrovescio che la colpisce in pieno e la manda distesa sulla sabbia, non si rialza. Vedo mio padre che la chiama e cerca di liberarsi dalla stretta del mostro divincolandosi, ma è inutile, non ci riesce, a quel punto il mostro raccoglie il corpo di mia madre, che è accasciato nella sua mano e stringe il pugno strappandole un grido.
Io faccio la cosa più stupida che possa fare, corro verso di loro pensando di poter fare qualcosa contro quel mostro alto quanto un palazzo, non posso permettergli di fare del male ai miei genitori.
Ma quando gli arrivo davanti il mostro stringe ancora una volta i pugni, vedo chiaramente i miei genitori che soffocano, a mia madre scappa un altro gemito e poi si dissolvono entrambi in una nuvola d’orata.
Rimango senza fiato come se mi avessero appena tirato un pugno nello stomaco, il mostro torreggia su di me, apre i pugni e poi si strofina le mani come se volesse levarsi da esse della polvere.
Si ferma e annusa l’aria, io sono ancora ferma sotto di lui, mi chiedo come faccia a non vedermi, poi mi ricordo di avere in testa il berretto che mi rende invisibile, continua ad annusare l’aria come se cercasse qualcosa e poi capisco che credeva di trovare anche i gemelli, ma ci sono solo io.
Dopo attimi che sembrano durare un eternità il mostro smette di annusare, si volta e se ne va da dove è venuto abbattendo qualche altra decina di pini.
Lo guardo allontanarsi, le gambe mi cedono e finisco inginocchiata sulla sabbia mentre i singhiozzi mi smuovono. I miei genitori non possono essere morti, insomma, sono Annabeth Chase e Percy Jackson hanno sconfitto Crono e Gea non può averli uccisi uno stupido Minotauro!
Apro gli occhi e davanti a me vedo solo la sabbia l’unico rumore che c’è nell’aria e quello delle onde che si infrangono lente sulla costa, di solito è un suono che mi calma, adesso mi sembra un frastuono.
Sento il cuore mandarmi stilettate di dolore ogni volta che batte, il respiro mi manca per colpa del pianto e ho la vista offuscata dalle lacrime, poi qualcosa cambia, non posso rimanere qui, devo tornare al campo mezzosangue, devo vedere Lilia e Lucas, parlare con Nico, lui è il figlio del Dio dei Morti potrà fare sicuramente qualcosa.
Smetto di piangere e trovo la forza di alzarmi sulle gambe che non tremano più, mi levo il cappello di mia madre dalla testa tornando visibile, lo stringo tra le mani mentre torno verso la casa.
Il mio cervello mi da’ degli ordini secchi e precisi, non posso permettermi di pensare o verrei di nuovo travolta dalla tristezza e non posso farlo.
Mi cambio, mi infilo jeans maglietta e scarpe da ginnastica, sistemo il berretto nella tasca posteriore dei pantaloni, prendo una borsa ci ficco dentro  qualche biscotto, qualche cracker e una bottiglietta d’acqua, dopo di che prendo una giacca, chiudo la porta a chiave dietro di me e mi incammino verso il campo mezzosangue.
Probabilmente sono impazzita, sto andando a piedi da Montauk al Campo Mezzosangue, ma è l’unica cosa che posso fare, non ho tempo per mandare un messaggio iride, è piena notte dove lo trovo un arcobaleno?
Non posso prendere la macchina, ho dodici anni e i miei genitori non mi hanno ancora fatto provare a guidare, cosa che mi sembra normalissima, quindi vado a piedi.
Cammino, mi fermo per mangiare qualcosa, pochi minuti di pausa e riprendo la marcia, ho sonno, tanto, ma ho paura che se mi fermo a dormire non arriverò più e poi tutte le volte che chiudo gli occhi li rivedo.
Scuoto la testa. Non devo pensarci, non pensare a loro Aibileen, non farlo.
Suppongo che Ermes mi stia proteggendo perché a parte il mio corpo che richiede un po’ di riposo, non incontro ostacoli sul mio cammino, il Minotauro sembra sparito e io non attiro mostri essendo una mortale, una forza misteriosa mi spinge ad andare avanti, le gambe si muovono da sole.
Dopo due giorni di cammino iniziò ad intravedere la Collina mezzosangue, senza accorgermene accelero, ce l’ho quasi fatta, manca poco.
Inizio a percorrere la collina che dalla strada porta all’ albero di Talia e poi al Campo, quel leggero dislivello mi sembra una salita immane, come se stessi scalando una montagna.
Continuo a salire, ma metto un piede in fallo e cado faccia in giù sul terreno, tutta la stanchezza mi assale in un secondo, posso fermarmi qui e dormire un po’, arrivo domani al campo, tanto ormai ci sono. Non so’ come ma trovo la forza di rialzarmi in piedi, anche se la stanchezza sembra non volermi abbandonare questa volta, mi porto una mano alla base della  schiena per cerare di stirarmi e ritrovare lucidità, e questa sfiora il berretto, lo prendo in mano e lo stringo forte al petto, mentre sento le lacrime che mi pungono di nuovo gli occhi, li chiudo e cerco di scacciarle scuotendo la testa, mi rimetto a camminare ma sta volta corro come se potessi scappare dalle lacrime che premono per uscire e poi finalmente arrivo dall’albero di Talia.
Il pino è davanti a me, si staglia contro il cielo scuro punteggiato di stelle, il vello d’oro appoggiato ad un ramo, Peleo che ci dorme raggomitolato intorno.
Guardo il drago, è la prima volta che vengo al campo senza i miei genitori, e per la prima volta mi viene in mente che le barriere potrebbero respingermi, cerco di non pensarci e faccio un passo avanti, Peleo si sveglia e mi guarda con un occhio emettendo uno sbuffo dal naso, mi blocco, sarebbe il colmo essere divorata dal drago dopo aver fatto tutta questa strada.
Il drago mi guarda, poi sistema meglio la testa sulle zampe e si rimette a sonnecchiare, tiro un sospiro di sollievo, deve avermi riconosciuta, poi mi faccio coraggio e con una leggera corsa supero la barriera, col terrore di poter essere sbalzata indietro, invece la attraverso indenne.
Sono arrivata, il capo è poco sotto di me.
Inizio a scendere la collina mentre percepisco dei movimenti e dei sussurri di fianco a me, la stanchezza che sembrava avermi abbandonato quando ero in cima alla collina ritorna e inizia a venirmi di nuovo sonno, mi si chiudono gli occhi anche se sto avanzando, stringo forte il berretto e mi faccio forza costringendomi a proseguire.
Ho un momento di cedimento, gli occhi mi si chiudono, le gambe cedono e io cado a terra rotolando per qualche metro, quando mi fermo, però non mi rialzo, ormai sono arrivata, posso dormire adesso e perdo conoscenza.

Ed eccoci a fine capitolo, cosa ve ne pare?
Spero che nessuno di voi abbia voglia di uccidermi dopo quello che ho combinato ad Annabeth e Percy ( sopratutto dopo il trauma del finale del Marchio di Atena...), ma vi posso assicurare che stanno bene (più o meno). Ero in dubbio se mantenere i pezzi in terza persona, ma visto che quello del capitolo precedente non ha avuto critiche ho pensato di lasciarli, naturalente se volete dirmi la vostra le recensioni sono sempre ben accette :)
Ringrazio come sempre quelli che recensiscono, che seguono e che leggono, e un grazie particolare va a Palmetta0708
che mi ha aiutato in alcune fasi della FF ( sopratutto nella scelta del Titolo).
Il quarto capitolo è quasi pronto, ma non so' quando lo potrò pubblicare causa varie verifiche, spero il prima possibile.
Per ora è tutto, un abbraccio,
Darkness_Angel

 

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Capitolo 4
*** Due semidei, una Mortale, un Oracolo e un' Impresa ***


Eccomi tornata con il quarto capitolo! Ho aspettato un po' di più a pubblicarlo perchè ho voluto aspettare ed avere a buon punto il Quinto così da non farvi aspettare molto dopo :)
In questo capitolo si chiariranno un paio di cosette e appariranno un paio di vecchie conoscenze. Ora vi lascio, Buona Lettura :)


Capitolo quattro
Due semidei, una Mortale, un Oracolo e un Impresa

L’unica cosa che so’ è che ho male alla testa e non riesco a svegliarmi.
Dopo poco che sono caduta, ho sentito qualcuno che mi appoggiava in un letto o su qualcosa di soffice e da quel momento ho continuato a dormire.
Ogni tanto il sonno scema leggermente e percepisco dei movimenti intorno a me, gente che sussurra e che si muove. Quando dormo ho gli incubi, sogno di nuovo di ritrovarmi in quella caverna buia impastata in quella sostanza collosa, poi rivedo il Minotauro che uccide i miei genitori, vedo i miei genitori che si tengono per mano e mi sorridono dolcemente, e questo fa ancora più male che rivivere la loro morte, sono sicura che qualche volta li ho chiamati nel sonno.
Il sonno si affievolisce di nuovo e sta volta apro gli occhi, ho la vista ancora annebbiata dalla stanchezza ma mi sento meglio. Mugolo e mi accorgo di stare ancora stringendo tra le mani il berretto della mamma -  Ciao Aibileen - mi giro verso la voce che mi chiama e di fianco a me c’è una donna che ha la stessa età della mamma, con i capelli rossi raccolti in una coda alta, la riconosco, la vedo tutte le estati -  Rachel…  - sussurro.
Mi fa male la gola, ogni parola me la raschia come se fosse carta vetro, Rachel mi fa una carezza sulla fronte e mi sorride dolcemente -  Vuoi un po’ d’acqua? -
Annuisco mentre lei si alza dal mio fianco per prendermi un bicchiere d’acqua, mi guardo intorno devo essere nella casa grande, sicuramente non sono nella casa di Poseidone. Mi siedo sul letto e la testa mi gira, accidenti…
Rachel mi porge il bicchiere e io lo svuoto velocemente, dopo aver bevuto mi sento molto meglio, la testa mi si svuota -  Quanto ho dormito? E dove sono Lilia e Lucas? Io devo dirgli una cosa! - le dico presa dall’agitazione -  Calma, una cosa alla volta piccola - mi dice prendendomi una mano e sorridendomi -  Hai dormito per due giorni e i tuoi fratelli stanno bene, e credo che ti vorranno chiedere qualcosa, o almeno tutti vorremmo chiederti qualcosa - mi spiegò
Io annui, poi abbassai lo sguardo sul cappello di mia madre e il mio cuore mi mandò una fitta.
Ahi, fa ancora male, non che la cosa mi sorprenda -  Posso avere ancora un po’ d’acqua? - le chiedo porgendo il bicchiere vuoto a Rachel -  Certo - e si allontana di nuovo.
La osservo cercando di concentrarmi su qualcosa che non siano i miei genitori  o quello che dovrò dire ai gemelli -  Aibileen! -
Non faccio in tempo a girarmi che Lilia sale sul letto e mi salta addosso stringendomi e facendomi cadere sdraiata, io la abbraccio a mia volta e rimaniamo così per un minuto, poi si tira su e mi si siede davanti -  Aibi cosa è successo? Perché sei qui e dove sono mamma e papà? -
È già preoccupata, come faccio a dirle che i nostri genitori sono morti?
-  Lasciala riprendere  - le consiglia Lucas, è in piedi sulla porta e ci guarda, lui è arrabbiato
-  Ma voglio sapere!  - gli risponde ancora più preoccupata mia sorella
-  Sono sicuro che Aibileen ci spiegherà tutto, ma ora lasciatela riposare  -
Mio fratello e mia sorella si zittiscono quando Chirone arriva sulla soglia, è nella sua forma da centauro, non in quella più umana
-  Sto… sto bene - mi sembra la cosa più logica da dire, mia sorella mi sorride inginocchiata sul letto di fianco a me, lei vuole sapere cosa è successo, se potessi eviterei questa discussione ma sono venuta qui per questo, non posso fermarmi adesso
-  Ci ha attaccato il Minotauro - dico infine, tenendo la notizia peggiore per ultima, ma già quella fa il suo effetto, i miei fratelli sbiancano e Chirone scuote la coda e muove le zampe frustrato
-  E poi? - mi incita mia sorella
Stringo il berretto della mamma e guardo i presenti che mi fissano aspettando che vada avanti nel racconto, faccio un respiro profondo e racconto tutto.
-  Poi… poi la mamma è venuta a nascondermi, ma prima che tornasse, il Minotauro ha afferrato papà, allora lei è andata a salvarlo ma… ma…  - cerco di non rincominciare a piangere ma sto già singhiozzando, nessuno dice nulla mi lasciano continuare -  Ma l’ha colpita e poi l’ha presa, non era cosciente, papà a cercato di liberarsi ma il Minotauro a stretto la presa e poi… e poi… - inizio a piangere e non riesco a finire, non riesco a dire “ e poi sono morti”.
Tutti mi guardano aspettando, poi guardo mia sorella, i nostri occhi gemelli si incrociano e lei capisce tutto, si porta le mani alla bocca sconvolta e singhiozza -  No… Aibi ti prego non dirmelo - singhiozza
Non so’ cosa fare -  Mi.. mi dispiace… - singhiozzo ancora
-  Cosa ti dispiace? - mi chiede Lucas, capisco che mi sta chiedendo una conferma, il tono di voce è duro e arrabbiato -  Io… io… - balbetto
- Allora?! - mi urla
Emetto un singhiozzo e poi piango ancora più forte portandomi le mani al viso e cercando di asciugarmi gli occhi ma è tutto inutile -  Forza Aibileen, parla! - continua
-  Smettila Lucas! - gli rigrida mia sorella anche lei in lacrime
-  Vuoi sentirlo dire Lucas?   - gli chiedo gridando per contrastare i singhiozzi, perché è arrabbiato con me? Non è colpa mia! Non ho attirato io il Minotauro, io sono solo una mortale, cosa potevo fare contro quel mostro?
Lucas mi fissa trattenendo la rabbia, Rachel ci guarda senza parlare, Chirone passa lo sguardo da me, ai miei fratelli ripetutamente.
Inghiotto un groppo che ho in gola e tiro fuori un coraggio che non so’ da dove venga -  Mamma e papà sono morti Lucas! Ora sei contento?! - e rincomincio a piangere e a singhiozzare.
Il silenzio è calato nella stanza, si sentono solo i singhiozzi miei e di mia sorella.
Lucas impreca e se ne va, Chirone non lo ferma e lo lascia uscire, io e Lilia continuiamo a piangere, poi ad un certo punto ci sentiamo stringere, alzo lo sguardo  e vedo Rachel che ci stringe forte cercando di farci calmare un poco, e un po’ funziona. Lilia la abbraccia  a sua volta, mentre io mi lascio stringere, quando poi ci lascia andare ci sorride e noi siamo un po’ più calme.
-  So’ che è dura Aibileen, ma puoi concentrarti ancora un attimo? - mi chiede Chirone avvicinandosi, io annuisco e Lilia guarda lui e poi me -  Quando i tuoi genitori sono… morti, come si sono dissolti? - mi chiese serio
-  Era.. in una specie di nube d’orata - spiegai cercando di tenere il tono di voce più serio possibile, e poi Chirone sospirò passandosi una mano nei capelli, mia sorella smise all’improvviso di piangere e fissò il centauro - Allora… -
Come mai questo cambio repentino di umore? Sembra quasi speranzosa.
-  Forse Lilia, non c’è ancora niente di sicuro  - le rispose
-  Cosa mi sto perdendo? - chiesi confusa.
Mia sorella si girò verso di me e mi prese le mani guardandomi con gli occhi che le luccicavano
-  Te la ricordi la storia di come mamma e papà si sono incontrati? Di quando papà è arrivato al campo con lo zio e la nonna? - mi chiese
-  Si… anche lì erano stati inseguiti dal Minotauro e poi la nonna era stata… - io e mia sorella ci fissammo, mentre anche io capivo quello che stava cercando di dirmi mia sorella.
Anche la nonna era stata presa dal Minotauro e “uccisa” da lui, ma in realtà era stata imprigionata da Ade, e anche lei era sparita in una nube d’orata quando il mostro l’aveva soffocata, quindi i nostri genitori, probabilmente, non erano morti ma imprigionati negli Inferi.
Mia sorella mi strinse una mano, la guardai ed entrambe ci capimmo, scattammo insieme dal letto, sorprendendo Rachel e Chirone che aggirammo abilmente uscendo dalla stanza -  Lilia, Aibileen, tornate qui! - ci gridò il centauro capendo le nostre intenzioni.
Mia sorella continuava a tenermi per mano, tirandomi mentre io le stavo dietro correndo scalza sul pavimento, quando uscimmo di corsa dalla casa grande, trovammo Lucas in piedi di fronte alla porta -  Dove… -
-  Muoviti! Dobbiamo trovare Nico! - gli gridò prendendo anche lui per mano e trascinandolo via.
Corremmo verso la casa di Ade, mia sorella non mi voleva lasciare la mano, mentre invece Lucas le si era messo al fianco e lei lo aveva aggiornato sui nuovi sviluppi.
Arrivammo davanti alla casa e mia sorella bussò sulla porta sperando che Nico fosse dentro e ci aprisse, ma dopo la decima bussata, ci rassegnammo e capimmo che la casa era vuota.
Mia sorella sbuffò esasperata, cercai di sfilare la mano ma lei continuò a tenermela stretta
-  Possiamo cercarlo all’arena  - propose Lucas
-  Ma nel frattempo Chirone potrebbe fermarci - gli ricordò lei
Osservai i miei fratelli che continuavano a discutere, poi spostai lo sguardo e quasi mi venne un colpo, Nico Di Angelo ci stava guardando con le braccia incrociate al petto, cerando di capire cosa fare di noi -  Ehm… ragazzi… - disse infine distogliendo i miei fratelli dalla chiacchierata
-  Nico, ti stavamo cercando  - mia sorella gli andò incontro e si portò dietro anche me, ma perché non voleva lasciarmi quella dannata mano?
-  Beh, vi ho trovati io -
Continuava a osservarci, scrutandoci, cosa avevamo di strano? D’accordo, era la prima volta che collaboravamo tutti e tre assieme, ma infondo c’erano in gioco i nostri genitori.
-  Dovremo chiederti un favore, dovresti parlare con tuo padre - gli disse precipitosa.
Se possibile lui diventò ancora più pallido -  Per quale ragione dovrei parlare con mio padre? - mia sorella stava per spiattellare tutto, quando mio fratello la fermò -  Possiamo parlarne dentro? - chiese Lucas indicando con un cenno la casa dietro di lui, Nico si accigliò -  Preferisco di no, possiamo parlare anche qui fuori - capitolò, così ci sedemmo davanti alla casa e mia sorella iniziò a spiegare tutto.
Mentre raccontava Nico continuava a guardarmi, io cercavo di non incrociare il suo sguardo, mi dava fastidio che continuasse a fissarmi, quando mia sorella finì il racconto lui ci guardava con tristezza e comprensione -  E quindi pensate che mio padre, li tenga prigionieri? - chiese infine
-  Se non è lui, chi altro potrebbe? - gli ricordò Lucas
-  Non saprei… non so’ se lo rifarebbe, adesso è abbastanza in buoni rapporti con gli altri Dei - ci ricordò
-  Ma ti costerebbe tanto provare anche solo a chiederglielo? - gli chiese Lilia, Nico sospirò e non ci rispose continuando a guardarci -  Per favore Nico… è l’unica possibilità che abbiamo… - sussurrai. Giuro che non lo feci apposta, ma la mia voce uscì più lamentosa e triste di quanto pensassi, e quando lo guardai mi accorsi che le lacrime stavano riaffiorando.
Non di nuovo! Mi asciugai velocemente gli occhi prima di rincominciare a piangere di nuovo
-  Vedrò cosa posso fare - ci disse infine in un sospiro
-  Grazie!! - io e mia sorella gli saltammo al collo prendendolo alla sprovvista e facendolo cadere a terra, era letteralmente paralizzato sotto il nostro abbraccio.
-  Nico… tutto bene? -
Ci alzammo e vedemmo Talia che si tratteneva dallo scoppiare a ridere, dietro di lei c’era Chirone che ci guardava serio. Ahi, mi sa’ che ci siamo messi nei guai.
Io e Lilia ci allontanammo lasciando così la possibilità al figlio di Ade di rimettersi seduto
-  Suppongo ti abbiano detto tutto… - commentò Chirone sospirando
-  Si, ma credo che dovremo indire una riunione prima di decidere - lo rassicurò alzandosi in piedi e spolverandosi i pantaloni.
Chirone annuì -  Piper e Leo insieme a Rachel e gli altri ci stanno già aspettando -
Quando finì di parlare lanciò un occhiata ammonitrice a me e mia sorella, entrambe abbassammo la testa, ma non riuscivo a sentirmi in colpa. Mamma e papà erano imprigionati da qualche parte e io volevo fare qualcosa per aiutarli, visto che era colpa della mia incapacità se si trovavano in quella situazione.
Lucas porse una mano a Lilia per alzarsi in piedi, io aspettai un secondo ma non mi sorpresi quando nessuno mi diede una mano ad alzarmi, così mi misi in piedi da sola.
Ci incamminammo verso la Casa Grande, io che ogni tanto zoppicavo quando i miei piedi nudi incontravano un pezzo di legno o un sasso che sporgeva dal terreno facendomi male, in più la corsa mi aveva fiaccata nonostante mi fossi appena svegliata dopo due giorni di sonno ininterrotto.
Feci un altro passo e misi il piede su qualcosa di appuntito, mi lasciai scappare un gemito e rischiai di cadere sbilanciandomi in avanti -  Vieni qui Aibileen  - sospirò Chirone porgendomi una mano.
Arrossì fino alla punta dei capelli e con il suo aiuto gli salì in groppa .
Quando arrivammo alla Casa Grande, gli altri ci stavano aspettando sulla porta, Piper che stava parlando con Leo smise subito e ci guardò con aria preoccupata, Clarisse ci guardava nascondendo molto bene la preoccupazione anche se stringeva con fare protettivo suo figlio, accidenti com’era cresciuto! e Chris le cingeva con un braccio la vita tenendola vicino a se’. Non mi stupì di vederlo lì anche se non era il capogruppo della casa di Ermes, i nostri genitori erano anche suoi amici e poi era normale che volesse rimanere vicino alla moglie.
Ci fermammo davanti agli altri, era calato un silenzio imbarazzante che fu interrotto dallo scalpiccio degli zoccoli di zio Grover seguito da Juniper -  E’ vero?! - chiese preoccupata la driade fermandosi davanti a noi e spostando lo sguardo sui presenti.
Io chinai il capo, non ce la facevo a dirlo un’altra volta, i gemelli si guardarono per un secondo, poi tutti i presenti si girarono verso Chirone, i volti cinerei, volevano tutti una conferma, sentirselo dire ancora una volta -  Si… è vero  - confermò il centauro.
Juniper singhiozzò ma si tappò subito la bocca con la mani mentre Grover la stringeva, se possibile i volti degli altri divennero ancora più cupi e io mi sentì sempre più in colpa, li guardai uno per uno, tutte quelle persone che adesso erano tristi per colpa mia erano la nostra famiglia, la mia famiglia.
Quante volte Leo mi aveva fatto giocare anche quando mia madre era dubbiosa sul fatto che giocassi con il fuoco, ma lei e mio padre dovevano aiutare i gemelli? Per non parlare delle volte in cui avevo chiesto aiuto a Rachel per fare qualche disegno, o quando io e mia sorella venivamo lasciate a Juniper cosi che imparassimo tutte le cose possibili sulla natura e suoi spiriti mentre mio fratello si allenava con Clarisse e gli altri.
Senza accorgermene parlai - Ma… ma non è come sembra… siamo qui per parlare di questo…  - all’improvviso mi ritrovai gli sguardi di tutti addosso e abbassai lo sguardo repentinamente.
-  Aibi, ha ragione, siete qui perché dobbiamo parlare di una cosa importante - mi sostenne Chirone.
I gemelli ci superarono ed entrarono nella Casa Grande per primi subito seguiti insieme agli altri, io smontai dalla groppa di Chirone con la mia incredibile agilità e rischiai di finire stesa per terra
-  Fai attenzione  - mi ammonì Talia prendendomi per un braccio e fermando la mia caduta
-  Scusa… sono un’imbranata  - le risposi rimettendomi in piedi
-  Su Aibileen…  - la guardai e le sorrisi, sapevo che stava cercando di rassicurarmi e aiutarmi, infondo era la migliore amica della mamma, ma in questo momento niente potrebbe farmi stare meglio, forse solo vedere apparire i miei genitori malconci ma sorridenti che ci dicono -  Allora, come mai quei musi lunghi? - ma so’ fin troppo bene che non sarà così.
Sento un groppo salirmi dallo stomaco sino alla gola e serrarmela, il naso inizia a pizzicarmi e gli occhi si riempiono di nuovo di lacrime -  Dai Aibi, si risolverà tutto  - mi rassicura stringendomi in un abbraccio dolce -  Si… lo so’… - le risposi anche se con poca convinzione.
Entrammo nella Casa Grande, gli altri erano già seduti nella sala ricreativa e parlavano tra loro abbastanza animatamente, quando entrammo anche noi abbassarono il tono e ci guardarono, io mi andai a sedere di fianco a Lilia, mi guardai intorno, tutti gli amici dei nostri genitori erano lì, mi accigliai, non avevano convocato i capogruppo delle case.
Ci fu un momento di silenzio, poi Chirone si schiarì la voce -  Allora, abbiamo indetto questa riunione per discutere della sparizione di Annabeth e Percy - incominciò
-  Non aspettiamo zio Tyson? - chiese Lilia guardandosi intorno
-  Lo abbiamo avvertito, ma ha detto che non può raggiungerci ora - spiegò il centauro, mia sorella annuì e poi la riunione riprese
-  Quindi siamo sicuri che non siano morti? - si azzardò a chiedere Leo
-  Abbastanza sicuri o almeno da quello che ci ha raccontato Aibileen - spiegò Chirone
- So’ che non è facile ma… qualcuno potrebbe farci un riassunto veloce di quello che è successo? - chiese Piper guardando nella nostra direzione.
Il groppo in gola ritornò di nuovo e i ricordi ritornarono tutti insieme mentre le immagini di quella dannata notte ritornavano prepotenti davanti ai miei occhi -  Aibi… Aibi te la senti? -
Tornai alla realtà e mi girai verso mia sorella che mi stava guardando dolcemente, mi ero persa nella mia testa e non avevo sentito la domanda -  Io… si  - le risposi annuendo.
Feci un respiro profondo e raccontai di nuovo tutto,  da quando ci eravamo svegliati a quando il Minotauro li aveva fatti scomparire - Pensiamo che siano ancora vivi perché si sono dissolti nella nebbia d’orata  - spiegò infine il centauro
-  e… perché?  - chiese Leo mentre continuava ad armeggiare con degli ingranaggi e delle molle, ma stava mai fermo quel ragazzo?
-  Quando portai Percy al campo sua madre fu rapita dal Minotauro e quando il mostro la prese si dissolse anche lei nella nebbia d’orata, e non era morta era tenuta prigioniera da Ade - spiegò Grover guardando i presenti
-  D’accordo, e quindi ci basta chiamare Ade e chiedergli di rimandarceli indietro? - propose il figlio di Efesto
-  Qualcosa del genere  - ammise Lucas
-  Bene, allora cosa stiamo aspettando a mandare un messaggio Iride? -
-  Non credo sia così facile Leo - gli ricordò Piper
-  Infatti, mio padre non ci parlerebbe mai attraverso un messaggio Iride  - ammise Nico
-  E quindi? Cosa proponi di fare? - gli chiese Clarisse sistemandosi il figlio tra le braccia
-  C’è un'unica soluzione… - iniziò Nico, ma non aveva il coraggio di andare avanti e di finire la frase -  E’ pericoloso…  - si intromise Talia capendo cosa intendesse dire
-  Ma Nico ha ragione, è l’unica soluzione - le ricordò Chirone a sua volta
-  Potete informare anche noi? -  chiese Grover spostando lo sguardo su di noi.
Penso che anche i miei fratelli avessero capito e anche a me sembrava una buona soluzione quella che proponeva Nico ma a tutti non sembrava una buona idea.
-  Dovremo andare negli Inferi, e andare a parlare con mio padre di persona - spiegò Nico
-  Senza farci uccidere prima, anche se questo sarebbe un buon modo per arrivare negli Inferi  - commentò mio fratello funereo
-  Lucas! - lo sgridò Lilia tirandogli un pugno nella spalla
-  E’ pericoloso ma si può fare, ci siamo andati quasi tutti almeno una volta negli Inferi e siamo ancora tutti qui… quindi…  - commentò Piper
-  Andiamo a farci una bella gita negli Inferi! - commentò Leo sarcastico -  A parte te Piper - aggiunse subito dopo, la ragazza sbuffò -  Non sbuffare, sai che neanche Jason te lo permetterebbe - le ricordò guardandola serio
-  La state facendo troppo grossa - sbottò la ragazza
-  Jason mi darebbe ragione -
-  Non abbiamo ancora deciso nulla e poi potreste litigare dopo ragazzi? - chiese Rachel
-  E poi Piper è adulta, può decidere da sola se partecipare o no ad un impresa - la difese Clarisse
-  Grazie  - le disse la figlia di Afrodite sospirando
-  Si, ma è incinta! -
All’improvviso mi interessai di nuovo alla litigata, Piper stava fulminando con lo sguardo Leo dopo essere arrossita sino all’inverosimile, lui cercava di non incrociare il suo sguardo, mentre tutti gli altri lo spostavano su di loro -  E’ vero? - le chiese Talia
Piper sospirò -  Si, ma volevamo aspettare ancora prima di dirvelo, neanche la piccola lo sa’ - e lanciò uno sguardo di fuoco a Leo, che la guardò a capo chino e mimò con le labbra “scusa”.
Chirone si schiarì la voce -  Tornando a noi, dobbiamo decidere chi andrà negli Inferi per recuperare Percy ed Annabeth, so’ che vorreste andare tutti, ma è impossibile - ricordò
-  L’ultima volta eravamo in sette  - gli ricordò Leo
-  Meglio non rischiare e rimanere con un numero basso di componenti  -
Tutti quanti annuirono, guardai tutti i presenti, Nico sarebbe andato di sicuro, Rachel non sarebbe andata e nemmeno Piper, Jason non gliel’avrebbe permesso e nemmeno gli altri, quindi rimanevano in dubbio gli altri presenti, vidi Chris e Clarisse scambiarsi uno sguardo, poi lei sospirò -  Io mi chiamo fuori, Charlie è ancora troppo piccolo - commentò con un po’ di rammarico nella voce e facendo una carezza sulla testolina del bambino che le si era addormentato tra le braccia.
Chirone annuì, poi guardò i presenti, non era una scelta facile, nessuno voleva tirarsi indietro e poi Rachel parlò -  Io credo che non dovremo essere noi ad andare  - incominciò, tutti la guardammo dubbiosi -  Vuoi chiedere aiuto al campo Giove? - le chiese Talia
-  No, infondo Percy e Annabeth sono del nostro campo… io intendevo noi della vecchia generazione -
Mi accigliai ma piano piano iniziai a capire, nessuno di loro sarebbe andato, loro avevano già avuto le loro imprese e la loro grande profezia, girai lo sguardo sui miei fratelli che erano diventati all’improvviso seri e si erano drizzati a sedere, avevano capito anche loro.
-  Sono dei bambini! Non potete mandarli negli Inferi! - saltò su Juniper
-  Quando ci andarono mamma e papà erano molto più piccoli di noi - ricordò Lucas
-  E poi sono i nostri genitori - aggiunse Lilia sorridendo dolcemente
-  Mi sembra la soluzione più ovvia  - concordò Chirone annuendo
Ma certo! Diamo un impresa ai miei fratelli, spediamoli negli Inferi e a salvare i nostri genitori, diamogli un altro motivo per vantarsi!
Mi sorpresi di quello che stavo pensando, forse ero solo invidiosa, sono anche i miei genitori e l’idea di rimanere qui a girarmi le mani mi da’ fastidio.
Iniziarono a discutere tra di loro sul da farsi, su come agire, parlando uno sull’altro, io chiusi un secondo gli occhi e inspirai -  Se loro vanno, vado anche io - annunciai facendomi coraggio
-  Aibileen… è pericoloso…  - mi ricordò Talia sorridendomi
-  Ma sono anche i miei genitori  - ricordai
-  E’ troppo pericoloso per te, sei una mortale - mi ricordò Clarisse
Come se non lo sapessi! -  Anche Rachel era una mortale e ha partecipato alla battaglia contro Crono, io vi sto solo chiedendo di cercare i miei genitori  - continuai
Non mi avrebbero lasciato al campo, se Lilia e Lucas partivano, io andavo con loro. I presenti mi guardarono -  Non ha tutti i torti… - mi difese Rachel
-  Si ritroverebbe catapultata in un impresa, scusami Rachel ma durante la guerra tu non combattevi  - le ricordò Clarisse
-  Ma sono sopravvissuta al Labirinto, quella era un impresa  - le ricordò ancora - Potreste lasciarla provare, infondo rimane comunque figlia di due mezzosangue e sa’ vedere attraverso la foschia, datale una possibilità - continuò a difendermi Rachel
-  Non sa’ combattere… - aggiunse zio Grover
-  Nemmeno io e ho colpito un Titano in occhio con una spazzola - gli ricordò la ragazza.
In quel momento la stavo letteralmente adorando, era l’unica che mi dava manforte, tutti gli altri mi vedevano come la piccola e indifese Aibileen, Rachel cercava di fargli capire che anche se non ero una mezzosangue volevo andare a cercare i miei genitori perché gli voglio bene.
-  Li accompagnerò io sino da mio padre, se la situazione diventerà troppo rischiosa porterò via Aibileen  - annunciò infine Nico per cercare di trovare una soluzione alla situazione
Chirone sospirò -  Mi sembra un buon compromesso  - commentò
-  Sicura di volerlo fare Aibileen? - mi chiese Talia
-  Si, voglio trovare mamma e papà  - le risposi risoluta, non mi importava cosa avessimo dovuto affrontare per ritrovarli, quali strani mostri o esseri della mitologia Greca, quando li avremo ritrovati io sarei stata insieme ai miei fratelli e avrei abbracciato i miei genitori per prima.
-  D’accordo, allora non resta che confermare l’impresa  - concluse Chirone
-  Suppongo che adesso tocchi a me  - disse Rachel sorridendo .
La osservai, non mi era mai capitato di vedere Rachel mentre era sotto il controllo dello spirito di Delfi, ai miei fratelli invece si.
Un estate ci avevano chiamato con un messaggio Iride, tutti emozionati, perché a un semidio loro amico era stata affidata un impresa, niente di impressionante, ma comunque Rachel aveva fatto una delle sue predizioni e loro ne erano rimasti impressionati.
Ed ora toccava a me, ad un certo punto Rachel si accasciò sulla sedia su cui era seduta, poi però si raddrizzò di nuovo, intorno a lei si addensò una nebbia verde che iniziò anche ad uscirle dalla bocca dischiusa, poi aprì gli occhi che erano di un verde acceso e le pupille erano sparite.
Devo ammettere che mi spaventai un po’, Rachel sembrava sparita persa da qualche parte, guardai i miei fratelli ma erano seri concentrati su di lei, per niente intimoriti, così feci come loro.
Quando Rachel incominciò a parlare la voce non era più la sua:
 
Come i genitori i semidei negli Inferi andranno
E alla fine risposte alle loro domande troveranno
Vecchi e nuovi nemici sulla strada dovranno affrontare
Finché con loro non avran la mortale
Una famiglia si riunirà infine
Dolori, pene, sacrifici e rischi, alla vecchia vita metteranno fine.
 
Appena finito di pronunciare la profezia, Rachel si accasciò di nuovo sulla sedia perdendo conoscenza, mentre il silenzio aleggiava nella stanza
-  Beh, almeno è sicuro che dobbiamo andare negli Inferi  - disse Lilia con un sorriso spento
-  E che Aibi deve venire per forza con noi  - commentò Lucas quasi con disprezzo
Lo fissai accigliandomi, ci poteva stare che Lucas ce l’avesse un po’ con me, ma perché sembrava che preferisse vedermi morta piuttosto che con loro in missione?
Lilia invece sembrava preoccupata, ma non sembrava scocciarle l’idea che andassi con loro.
-  Bene, ora che avete la profezia, direi che potete partire  - disse Leo sorridendo
-  Partiremo domattina  - capitolò Nico
-  Troppo stanco per un viaggio nell’ombra? - gli chiese Talia
-  No, non possiamo viaggiare nell’ombra, Aibileen non può, dovremo andare a Los Angeles con mezzi normali  - spiegò
-  Quindi treno o autobus, io… ehm… non mi conviene prendere l’aereo  - si scusò Lilia grattandosi la nuca
-  Allora treno, così non dovremo aspettare troppo  - capitolò Lucas
-  Molto bene, allora preparate le vostre cose, domani mattina Argo vi accompagnerà sino alla stazione, poi Nico vi aiuterà ad orientarvi  - concluse Chirone
-  Ma dimmi te se devo fare la baby-sitter anche ai figli di Jackson oltre che a mio nipote  - sbottò sottovoce Nico.
Gli altri non lo sentirono ma io lo avevo di fianco e quindi lo sentì borbottare, lo guardai alzando un sopracciglio, il figlio di Ade incrociò il mio sguardo e arrossì distogliendolo subito.
Poco dopo la riunione fu sciolta, Rachel si riprese e la informammo sulla profezia che aveva appena detto, Talia si fermò a parlare con Piper del secondo nipote in arrivo, Piper e Jason avevano già una bambina, Reyna, di circa dieci anni, chiamata così in onore di Reyna Avila Ramirez-Arellano, ex pretore del campo Giove, morta durante la guerra contro Gea.
Lucas se ne andò senza dare tante spiegazioni, provai a seguirlo ma Lilia mi fermò -  Vieni Aibi, andiamo a sistemare le cose per la partenza - mi disse prendendomi per mano e incamminandoci verso la casa di Poseidone dopo aver recuperato le mie scarpe e il berretto della mamma.
Lilia mi tenne per mano sino a che non arrivammo alla casa di Poseidone, non ci dicemmo nulla, lei guardava fisso davanti a se’, sorrideva ma dietro il suo sguardo vedevo che era preoccupata, mi fece entrare per prima e mi misi in un angolo mentre lei prendeva uno zaino e iniziava a preparare le cose per la partenza -  Dovresti prepararti anche tu  - mi ricordò dandomi la schiena
-  Le mie cose sono a Montauk…  - le sussurrai rimanendo in un angolo, mia sorella sospirò e mi guardò -  Dovremo andare a riprenderle - mi ricordò sorridendomi dolcemente e avvicinandosi a me, mi si mise di fronte e mi poggiò le mani sulle spalle -  Se te la senti, so’ che è dura tornare lì, però non possiamo partire senza che tu abbia nulla con te - mi ricordò sorridendomi e accarezzandomi una guancia.
Mi scostai, mi dava fastidio come si stava comportando con me, d’accordo ho solo dodici anni e ho visto i miei genitori venir uccisi dal Minotauro, ma non sto crollando, non sono più piccola e indifesa, posso farcela -  Perché mi tratti così? - sbottai allontanandomi
-  In che senso Aibi? - mi chiese alzando un sopracciglio
-  Come se fossi una poppante! Smettila di trattarmi come se ti facessi pena! Non sono un cucciolo ferito! - le gridai arrabbiata.
In realtà non sono arrabbiata con lei, forse solo un po’, ma sono frustrata! Mio fratello sembra volermi morta, i miei genitori non ci sono più e la cosa che mi manda più in bestia è che tutti mi trattano come se fossi un cucciolo di Labrador ferito che uggiola, mia sorella, gli amici dei nostri genitori, basta sono stufa!
-  Aibi… io… volevo solo esserti vicina… - mi spiegò dopo aver fatto un passo indietro
-  Ora, e in questi dodici anni dov’eri?! - le gridai ancora
Lilia mi guardò tristemente, ferita, sentì una fitta trapassarmi il cuore e mi piegai trattenendo un gemito, accidenti che male -  Aibi! - Lilia mi si inginocchiò davanti e mi prese per le spalle, la guardai era terrorizzata -  Sto bene…  - le sussurrai sorpresa di tutta quella apprensione
-  Mi dispiace tanto Aibi… mi dispiace per questi anni, mi sono accorta troppo tardi che è stata una sciocchezza avercela con te, e sto cercando di rimediare…  - mi spiegò guardandomi negli occhi.
Avercela con me? Per gli Dei cosa mai le ho potuto fare? La guardai, aprì la bocca per chiederle spiegazioni ma mi bloccai. No, Aibi, non sforzarla, ragiona, ti sta chiedendo scusa, da quanto volevi che lo facesse?
Esitai ancora un secondo e poi le saltai al collo stringendola, finalmente ho una sorella. Lei mi strinse forte iniziando a piangere piano e stringendomi e accarezzandomi la nuca, io che mi appoggiavo sulla sua spalla godendomi il suo abbraccio.
Dopo qualche minuto  ci allontanammo, una inginocchiata davanti all’altra che sorridevamo ma avevamo le lacrime agli occhi, Lilia mi teneva le mani -  Mi perdoni? - mi chiese
Annui, lei sorrise sollevata e si asciugò le lacrime, io le sorrisi, poi sospirai e chinai il capo
-  Stavo… stavo pensando che dovrei andare a prendere le mie cose… ora  - iniziai titubante -  E… mi potresti accompagnare? - le chiesi guardandola
Lei mi sorrise -  Certo Aibi, andremo con Blackjack faremo veloce  - mi rassicurò.
Si alzò in piedi e mi porse una mano per tirarmi su, che io accettai,  poi mentre mia sorella prendeva due o tre cose, io mi rinfilai le scarpe e mi avvicinai al tavolo dove avevo posato il berretto della mamma iniziando a rigirarmelo tra le mani, accarezzandolo e portandolo istintivamente al petto per stringerlo -  Tienilo tu  - mi disse Lilia guardandomi
-  Dovrei darlo a Lucas, è lui il nipote di Atena - le ricordai girandomi e guardandola
-  Però lo hai tu, la mamma lo ha dato a te  - mi ricordò
-  Per proteggermi…  - le ricordai
-  Un motivo in più per cui dovresti tenerlo tu  -
Forse Lilia aveva ragione, le sorrisi, lei ritrovò un po’ della sua allegria esuberante e sospirò poggiandosi le mani sui fianchi -  Bene, ora andiamo, così non facciamo troppo tardi -
Mia sorella si caricò una piccola borsa in spalla, io infilai il berretto della mamma nella tasca dei pantaloni e uscimmo dalla casa.
Mentre andavamo alla stalla dei pegasi, iniziammo a parlare, Lilia iniziò a raccontarmi dei fatti divertenti che erano successi quando io non ero ancora nata, quando la famiglia Jackson aveva ancora solo quattro membri, nessuno mi raccontava mai che cosa era successo prima che nascessi, qualche volta mi ero fatta raccontare dalla mamma quando si era sposata, ma solo perché avevo trovato l’album con le foto del matrimonio e allora l’avevo praticamente costretta.
All’improvviso mi ritornò in mente che insieme a quell’album di fotografie ne avevo trovati altri in dispensa, ce n’era uno con alcune foto dei miei genitori e dei loro amici da giovani, un altro con le foto di mia madre quando era incinta dei gemelli, e poi non ce n’erano quasi più state, vi era un album, incompleto, con qualche foto di me da piccola con i gemelli che mi guardavano storto o qualche foto con tutta la famiglia, ma erano poche e tristi, e la cosa che mi aveva dato fastidio era che non vi erano foto in cui vi era mia madre sorridente e incinta di me, passai un brutto periodo dopo aver capito che quella mancanza di foto era intenzionale.
Scossi la testa scacciando quei pensieri, ormai eravamo arrivate alle stalle, dentro vi era qualche ragazzo, ma niente di strano, probabilmente Chirone non aveva reso pubblica la notizia della scomparsa dei nostri genitori.
Entrammo nelle stalle e ci dirigemmo in quella dove di solito stava Blackjack quando si fermava al campo, e infatti trovammo il pegaso con il muso immerso nella biada che mangiava tranquillo
-  Ciao Blackjack! - lo salutò mia sorella allegramente
Il pegaso si girò e sembrò sorriderci “ Ciao figlia del capo!”
Trasalì e fece un salto indietro, sgranando gli occhi, sia mia sorella che il pegaso mi guardarono straniti -  Che c’è Aibi? - mi chiese Lilia
- Io… l’ho sentito… - le dissi fissandola sgomenta, mia sorella era meravigliata quanto me, in tutti quegli anni non ero mai riuscita a sentire i pensieri dei cavalli come riuscivano a fare mia sorella e mio papà, certo ci avevo provato, ma di solito cavalli e pegasi cercavano di evitarmi e si irritavano se mi avvicinavo troppo, ma adesso avevo sentito chiaramente che cosa aveva detto Blackjack
-  Sul serio Aibi? - mi chiese Lilia
Annui e fissai il pegaso “ è simpatica l’altra figlia del capo” commentò lui scalpitando
-  Si, possiamo chiederti un aiuto Blackjack? - gli chiese mia sorella sorridendo
“ certo, ma dopo mi porti una ciambella?” le chiese inclinando la testa da un lato
Guardai mia sorella e poi l’animale, da quando i cavalli mangiano ciambelle?
-  Si, te ne porterò una, ora però potresti portare me ed Aibi a Montauk? - gli chiese
“certo! Salite pure figlie del capo!” esclamò impennandosi sulle zampe posteriori e nitrendo
Mia sorella lo fece uscire e lo scortò fuori mentre io li seguivo incapace di capire cosa fare o dire, nonostante tutta la vita che avevo vissuto sino ad adesso,  questa situazione era assurda, stavo seriamente sentendo mia sorella colloquiare con un cavallo?
“ ehi, ma dov’è il capo?” chiese ad un certo punto Blackjack guardandosi intorno
-  Ora te lo spiego  - lo rassicurò Lilia accarezzandogli il muso dolcemente.
Mia sorella gli salì in groppa agilmente, poi mi porse la mano e mi fece salire davanti a lei
-  Tieniti alla criniera, ma non tirare troppo  - mi disse poggiandomi le mani sul collo del pegaso.
Vi feci una carezza, il manto era morbido e sotto il collo potevo sentire il respiro dell’animale che era impaziente di alzarsi in volo.
Lilia mi cinse con le braccia per aggrapparsi anche lei, poi mi sorrise -  Pronta? -mi chiese, io annuì -  Vai Blackjack! - gli disse mia sorella, e lui spiccò il volo.
Mi aggrappai con forza al collo dell’animale, ero terrorizzata dalla paura di cadere, poi però piano piano riaprì gli occhi e quando vidi il mondo che mi circondava rimasi senza fiato.
Stavo volando, ero in cielo, la terra correva sotto di noi a una velocità incredibile, mia sorella mi circondava con le braccia per reggersi e per non farmi cadere, mi girai e la guardai senza riuscire a proferire parola, lei rise contenta e poi indicò davanti a se’ per farmi vedere il paesaggio che si estendeva di fronte a noi.
In quel momento mi sentì libera, tutti i problemi sparirono, c’ero solo io e l’aria che mi sferzava il viso, chiusi gli occhi e mi godetti il momento inspirando a pieni polmoni
“ allora, mi dite cosa è successo al capo?”
Il momento magico finì all’improvviso, e la realtà tornò a pesarci sulle spalle, sospirai, avrei dovuto raccontare tutto un’altra volta, forse potevo farcela.
-  Mamma e Papà sono stati rapiti dal Minotauro - mi girai e guardai mia sorella sorpresa, lei mi sorrise rassicurandomi “ e quindi partirete per riprenderli?” ci chiese il Pegaso
-  Si, domattina  - aggiunse mia sorella
“ allora verrò con voi! Vi accompagnerò a riprendere il capo!” esclamò Blackjack mentre fendeva l’aria con le ali -  Non puoi accompagnarci, dobbiamo andare negli Inferi - gli spiegò mia sorella ridendo. Il Pegaso scosse la testa e si lasciò sfuggire una specie di sbuffo “ gli Inferi non sono un buon posto per i Pegasi” commentò caustico.
Per il resto del viaggio continuarono a discutere di quanto era successo e di quanto fossero pericolosi gli Inferi per i pegasi, io li ascoltavo distrattamente, non era una discussione che mi interessasse molto, poi all’orizzonte apparve la spiaggia e dopo poco arrivammo in vista della nostra casa -  Scendi qui  - ordinò mia sorella chinandosi in avanti e accarezzando il collo dell’animale.
Blackjack iniziò a scendere disegnando grandi cerchi nell’aria, quando i suoi zoccoli toccarono terra, iniziò ad avvicinarsi di passo alla casa. All’improvviso mi si serrò la gola, e mi sembrò che fosse di nuovo notte che sulla veranda ci fossimo io e mia madre che guardavamo terrorizzate mio padre che veniva stretto dal Minotauro, serrai gli occhi e scossi il capo scacciando quei terribili ricordi -  Tutto bene? - mi sussurrò Lilia mentre avanzavamo
-  Si, si  - la rassicurai.
Blackjack si fermò davanti alla casa, per prima smontò Lilia e poi io, mi prese per mano e gliene fui grata, credo che se non mi avesse stretto la mano, non sarei mai riuscita a muovere quei primi passi.
Entrammo in casa, io andai subito nella nostra camera per prendere le mie cose, cercando di non guardarmi in giro con la paura di vedere qualcosa che potesse risvegliare brutti ricordi. Lilia invece iniziò a guardarsi intorno, sembrava quasi nostalgica, ma infondo da quanto tempo era che non veniva qui? Forse otto o nove anni.
Presi uno zaino dall’armadio e iniziai a buttarci dentro un cambio, il mio quaderno dei disegni, il mio libro e il peluche della civetta, bene, quella era tutta la mia vita chiusa in uno zaino, io non ho armi o scudi o chissà quale altra diavoleria da portarmi dietro.
Lilia entrò nella stanza ancora con lo sguardo quasi vitreo, probabilmente persa in ricordi d’infanzia, si avvicinò ai letti a castello e fece una carezza alle coperte di quello di sopra, dove di solito vi dormiva lei, poi si avvicinò alla scrivania e scostò svogliatamente dei disegni spargendoli sul ripiano. Continuai a guardarla, mentre riviveva qualcosa di cui, a quanto pareva, non voleva rendermi partecipe, sembrava quasi smarrita, poi si avvicinò alla libreria e prese la conchiglia che avevo trovato sul fondale insieme a papà -  E’ tua Aibi? - mi chiese girandosi e guardandomi
-  Si, l’ho trovata il primo giorno che siamo venuti qui, ero con papà - le spiegai, lei ne accarezzo la superficie e gli occhi le si riempirono di lacrime, non ero l’unica a cui quella casa risvegliava brutti o dolorosi ricordi -  Sai, mi è venuto in mente quando da piccole facevamo la gara per chi trovava la più grande…  - le dissi cercando di farla distrarre, non volevo che si rimettesse a piangere.
Il mio piano funzionò, perché Lilia si mise a ridere, due lacrime le scesero dagli angoli degli occhi ma solo perché li aveva chiusi mentre rideva -  Vincevo sempre  - mi ricordò
Sbuffai -  Vorrei vedere, le andavi a prendere sul fondale  - la rimbeccai
-  Mi ricorderò sempre la tua faccia quando arrivasti con un secchiello pieno di patelle e conchigliette e io invece arrivai con una conchiglia che era il doppio di questa - mi disse continuando a ridere e rigirandosi la conchiglia tra le mani.
Grazie per avermi ricordato le mie magre figure Lilia, davvero grazie tante!
Lei continuò a ridere vedendo il mio broncio -  Però facemmo delle belle collane con le tue conchiglie  - mi ricordò per tirarmi su il morale
-  La mamma le portò per tutta l’estate… - continuai sospirando
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo mentre rivivevamo entrambe quel momento, uno dei pochi in cui io e mia sorella avevamo collaborato da piccole, quando il silenzio, però, si fece troppo pesante, Lilia parlò -  Allora, hai preso tutto? - mi chiese posando la conchiglia e guardando lo zaino - Si, non ho molto  - le ricordai
-  Va bene, io devo prendere una cosa e poi possiamo tornare al Campo  - mi disse.
Mi caricai lo zaino in spalla e uscimmo dalla camera, Lilia entrò un attimo in quella dei miei genitori e poco dopo ne uscì sorridendo con il computer della mamma in mano -  Penso che Lucas mi ucciderebbe se non glielo portassi  - mi confidò scherzando
Io le sorrisi, poi uscimmo chiudendo la casa come se le vacanze fossero finite e stessimo tornando a Manhattan, Blackjack ci aspettava ancora davanti alla casa, gli salimmo in groppa e dopo poco eravamo di nuovo in cielo dirette al Campo Mezzosangue.

Cosa ne pensate?
In questo capitolo mi sono divertita a rispolverare un po' di personaggi e ha inventare le loro nuove vite, che ne pensate?
Come ho accennato prima il Quinto capitolo è buon punto e, salvo, super impegni, dovrebbe essere pronto in una settimana.
Come al solito ringrazio chi segue, chi legge e chi ha recensito
, spero che la Fanfiction continui a piaciervi,
un abbraccio,
Darkness_Angel

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Capitolo 5
*** Lilia vuole prendere una scorciatoia per gli Inferi ***


Buona Domenica! Eccomi tornata con il quinto capitolo :)
Ne approfitto per fare gli auguri a fantastigliosa, che oggi compie 14 anni, Auguri! Non ho niente da dirvi su questo capitolo, a parte che incomincerà l'impresa :) Buona Lettura.


 
 

Capitolo Cinque
Lilia vuole prendere una scorciatoia per gli Inferi

 
 
Il mattino dopo mi svegliai sperando che tutto ciò che era successo fosse stato solo uno dei miei brutti sogni. Speravo di aprire gli occhi, guardare di fronte a me e vedere mio padre che dormiva nel letto di fianco al nostro, ma quando aprì gli occhi vidi il letto rifatto e soprattutto, dolorosamente, vuoto.
Scesi dal letto ancora un po’ stordita sia dal sonno sia dai ricordi che iniziavano a riaffiorare.
La sera prima Chirone aveva annunciato l’impresa e, di conseguenza, la scomparsa dei nostri genitori. Tutto il Campo era praticamente impazzito, tutti che chiedevano spiegazioni, che erano increduli o che venivano a consolarci e a compatirci.
Quella era stata la parte peggiore.
Quasi tutti i ragazzi erano venuti a dirci almeno un paio di volte che gli dispiaceva e che se potevano fare qualcosa di chiederglielo.
Anche Nathaniel aveva cercato di tirarmi su il morale, di consolarmi, e ora che ci penso a mente lucida forse è stato l’unico a cui abbia creduto veramente, ma in ogni caso ero stufa di tutti quei
“ oh, mi dispiace moltissimo” oppure “poveri bambini” e allora avevo inveito anche contro di lui.
Con tutte queste manfrine il nostro umore era peggiorato ancora di più, Lucas era diventato ancora più irritato, Lilia sempre più triste e io sempre più seccata, alla fine c’eravamo ritirati nelle nostre case dandoci a mala pena la buona notte.
Mi girai verso Lilia che era sdraiata sul letto sopra il mio e mi dava la schiena - Lilia… sei sveglia? - le chiesi alzandomi sulle punte per vederla meglio
Mia sorella non mi rispose, ma si girò verso di me. Aveva le occhiaie e gli occhi rossi, cercò di sorridermi ma capì fin troppo bene quanto le costava, doveva aver pianto per la maggior parte della notte e io non me ne era accorta, sono veramente una sorella terribile.
- Scusami se non ti ho svegliata Aibi - mi disse tirandosi su a sedere e facendo finta di stropicciarsi gli occhi per svegliarsi, ma in realtà lo fece per fermare altre lacrime che cercavano di uscire prepotenti.
Mi arrampicai con la mia grazia da elefante sul letto di sopra e l’abbracciai, la sentì irrigidirsi e le sfuggì un singhiozzo che doveva aver trattenuto da tanto. La strinsi forte mentre lei appoggiava la fronte sulla mia spalla e piangeva sottovoce smossa ogni tanto da un singhiozzo.
Non dissi nulla, restammo lì quasi per due minuti abbracciate, Lilia che piangeva sulla mia spalla io che la tenevo stretta per non farla sentire sola, come mi ero sentita io.
- Grazie  - mi sussurrò staccandosi da me e asciugandosi gli occhi, sta volta mi sorrise sinceramente e io non riuscì a trattenere un sorriso uguale al suo.
- Non devi ringraziarmi…  - la rassicurai prendendole le mani
Lei mi sorrise e fece spallucce - Forza, ora vediamo di andare a riprenderci i nostri genitori - mi disse con rinnovato vigore.
Ecco un’altra cosa che invidio a Lilia, un momento prima è distrutta dal dolore, l’attimo dopo riesce a riprendersi e ad essere di nuovo carica di energia, come se un fuoco di speranza le si accendesse dentro. Le sorrisi e annuì sperando che quel fuoco iniziasse a bruciare anche dentro di me.
Ci eravamo svegliate presto, la sera prima avevamo controllato sul computer della mamma gli orari dei treni e il primo utile era a manca dieci alle undici, così avevamo deciso di prendere quello.
Avevamo passato la prima parte della serata, quella quando ancora nessuno sapeva che i nostri genitori erano scomparsi, a confrontare prezzi e orari dei treni, alla fine era risultato che ci sarebbe costato meno tempo e denaro, andare da New York a Chicago e poi da lì prendere un diretto per Los Angeles.
Quando uscimmo dalla casa per andare ai bagni, il campo era deserto, sia io che mia sorella tirammo un sospiro di sollievo, non eravamo in vena di essere ancora compatite.
Alle otto e mezzo spaccate ci ritrovammo con Lucas per fare colazione prima di partire, non che avessimo molta fame, ma Piper e Clarisse ci obbligarono a ingurgitare qualcosa ricordandoci che “ I sacchi vuoti non stanno in piedi”, come ci diceva sempre nostra mamma e, ora che ci penso anche nonna Sally…
Possibile che sia un prerogativa di tutte le mamme non riuscire a sopportare l’idea che non hai fame, e quindi, farti mangiare anche se non vuoi?
Quando le due semidee furono soddisfatte della nostra colazione, fortunatamente non insistettero troppo, tornammo velocemente alle case per finirci di preparare e poi alle otto spaccate ci ritrovammo davanti alla casa grande.
Lilia non mi stringeva più la mano convulsamente, ma quando vidi la piccola folla che si era radunata davanti alla casa grande, gliela presi io.
Come sospettavamo erano venuti a salutarci tutti i presenti della riunione del giorno prima, più qualche amico dei nostri genitori, come Malcom il fratellastro della mamma, e qualche amico dei gemelli.
Iniziò il giro dei saluti, i gemelli salutarono i loro amici per primi che gli auguravano buona fortuna e gli dicevano che non vedevano l’ora di avere una perla nella collana che ricordasse la loro impresa. Gli adulti parlavano tra di loro, e dagli sguardi corrucciati, persino quello di Leo che in tutta la mia vita non avevo mai visto così concentrato in una discussione, stavano parlando dell’impresa e di cose molto serie. Così io mi ritrovai in un angolo a giocherellare con le cinghie dello zaino, aspettando di partire, sbuffando leggermente.
- Ciao Aibileen Jackson -
Tirai su lo sguardo e mi ritrovai davanti il volto sorridente di Nathaniel, gli sorrisi anche io - Ciao a te Nathaniel Jordan - gli risposi a tono
- Siete di partenza - mi disse guardandosi intorno e scrutando le facce dei presenti
- No, ci stiamo preparando per giocare a un due tre stella  - gli risposi sarcastica, lui scoppiò a ridere e io feci lo stesso, poi sospirai - Mi dispiace per averti trattato male ieri…  - gli dissi tutto d’un fiato - Tranquilla, capisco come ci si sente  - mi rassicurò mettendomi una mano su una spalla e sorridendomi solidale - In ogni caso ero venuto ad augurarti buona fortuna  - continuò scostandosi leggermente e incrociando le braccia sul petto mentre dondolava sui talloni, possibile che si sentisse a disagio? - Me ne servirà molta  - gli risposi sospirando ma con una nota divertita nella voce - Vedi di tornare intera  - mi disse infine con un alzata di spalle
- Ah, questo è sicuro  - lo rassicurai, poi scoppiammo entrambi a ridere.
- Aibi, vieni, dobbiamo andare! - mi gridò Lilia facendomi segno di avvicinarmi
- Arrivo! - le gridai in risposta, com’è che loro avevano avuto mezz’ora per salutare i loro amici e io neanche cinque minuti per salutare il mio?
- Allora conto di rivederti presto Aibileen Jackson  - mi disse Nathaniel porgendomi la mano
- Contaci Nathaniel Jordan  - gli risposi convinta stringendogli con forza la mano per poi raggiungere i miei fratelli e gli adulti.
Ci accompagnarono tutti sino al limitare della protezione magica creata dall’albero di Talia, non volevano che, facendo uscire troppi semidei adulti insieme, attirassero una marea di mostri al campo - Bene, mi raccomando, fate i bravi  - ci raccomandò Talia dopo averci salutato e abbracciato uno per uno
- Ricordatevi sempre della profezia - ci avvertì Rachel
- Non fate arrabbiare Nico  - aggiunse Juniper
- Non fate pazzie, vogliamo che tutti e cinque i Jackson tornino a casa integri - ci rammentò Clarisse
- Fate attenzione negli Inferi e ricordatevi che se avete bisogno il Campo Giove non è lontano - concluse Piper.
Mentre ascoltavamo tutte le loro varie raccomandazioni, mi accorsi che, nonostante la mia mamma adesso non fosse lì per proteggermi o per consigliarmi, ne avevo appena acquistate altre cinque che lo avrebbero fatto finché non fosse tornata.
- Ora però dobbiamo andare…  - interloquì ad un certo punto Nico per interrompere tutti i consigli che ci stavano dando, loro si zittirono un po’ deluse, ma poi annuirono
- Davvero ragazzi, state attenti  - volle concludere Leo.
Abbracciammo tutti ancora una volta, poi io, Lilia, Lucas e Nico ci incamminammo verso la strada infondo alla collina dove Argo ci stava aspettando nel furgone con il motore già acceso.
Nico si sedette davanti al posto del passeggero, mentre io e i miei fratelli ci sedemmo dietro, come sempre, Lilia in mezzo e io e Lucas al suo fianco.
- Quando arriveremo in stazione non allontanatevi troppo da me  - ci raccomandò Nico mentre percorrevamo la strada che ci separava dalla Pennsylvania Station.
- Abbiamo sedici anni Nico, non ci perderemo alla Penn Station, puoi stare tranquillo  - lo rassicurò Lucas con aria un po’ saccente
- Quello che mio fratello intendeva, era che ci siamo già stati quando siamo andati in gita in seconda media, quindi la conosciamo  - spiegò mia sorella più gentilmente
Mi ricordavo di quella gita, mamma e papà avevano litigato per quasi una settimana prima di decidere se lasciarli andare o meno.
Lilia aveva ostentato una delle sue migliori scenate con tanto di grida isteriche e battiti di piedi sul pavimento, quando aveva visto che non funzionava, allora, Lucas aveva preparato un bellissimo e complicato PowerPoint in cui spiegava tutte le ragioni per cui sarebbero dovuti andare in gita, e alla fine, grazie a quello, li avevano convinti (Sia perché la mamma era stata fiera del loro lavoro, sia perché papà era già convinto e la sua attenzione era passata ad altro dopo la terza diapositiva).
- D’accordo, ma in ogni caso, non allontanatevi troppo  - raccomandò di nuovo il figlio di Ade.
Il resto del viaggio continuò in un silenzio pesante, Lucas si era infilato le cuffie e io riuscivo a sentire il ritmo della musica, ciò voleva dire che era molto alta e che non voleva essere disturbato, Lila giocherellava con il fondo della sua felpa (ovviamente blu) e io non avevo idea di cosa fare, così mi lasciai sfuggire un sospiro e mi misi a guardare, come al mio solito, fuori dal finestrino.
Arrivammo alla Penn Station alle dieci, salutammo velocemente Argo, prendemmo i nostri zaini ed entrammo nella Stazione, e capì per quale ragione Nico aveva paura che ci perdessimo.
La Penn Station è impossibile da descrivere a parole, o almeno per me, sono sicura che mia madre o mio fratello riuscirebbero ad intrattenerci per ore spiegandoci tutta la storia dell’edificio e la sua struttura architettonica, ma a me sembrava solo enorme, luminosa e molto dispersiva, così mi affrettai a seguire il nostro gruppetto senza perderli di vista.
Andammo alla biglietteria e facemmo i biglietti, il treno partiva esattamente alle dieci e cinquantadue, sarebbe arrivato a Pittsburgh alle otto di sera e poi avremo dovuto aspettare sino a mezzanotte per prendere il secondo treno che ci avrebbe fatto arrivare a Chicago il mattino dopo a manca un quarto alle nove, insomma ci aspettava un viaggio abbastanza allucinante visto che avremo anche dovuto dormire seduti avendo dovuto risparmiare sul prezzo del biglietto e quindi rinunciare alle cuccette.
Nonostante tutti i nostri stratagemmi per risparmiare i primi 367 dollari e 50 del viaggio furono spesi. Arrivammo sul binario che il treno vi era già, mio fratello salì seguito da Nico mentre invece io e mia sorella rimanemmo un secondo sulla banchina e ci lasciammo sfuggire un sospiro
- tutto bene?  - mi chiese Lilia dolcemente
No, cavolo! Non sono mai andata più in là di Montauk e adesso mi ritrovo ad attraversare mezzi Stati Uniti per andare negli Inferi a cercare i miei genitori, non va “tutto bene”!
Mi limitai ad annuire e a sorriderle - solo un po’ agitata  - mentii
Lei inspirò è sorrise - Il treno è azzurro e grigio, mi ispira simpatia - mi rispose, credo volendo rassicurarmi. Stavo per chiederglielo quando Nico e mio fratello sbucarono dalla porta - Volete salire o venite a Chicago a piedi? - ci chiese Lucas sia scocciato che divertito lanciandomi un’occhiataccia del tipo “sei-ancora-in-tempo-per-tornartene-a-casa-lattante”
Mia sorella sospirò esasperata e fece per rispondergli ma io la anticipai - è pericoloso uscire dalla porta, ti metti in strada e se non dirigi bene i piedi non si sa' dove puoi venir spazzato via * - citai sfidandolo a replicare con lo sguardo.
Nico scoppiò a ridere strappando un sorriso a me e a mia sorella, mentre Lucas ingoiava l’orgoglio ferito - Non so’ quanto gli Inferi possano essere paragonati a Mordor o mio padre a Sauron, Aibileen  - fece una pausa per calmare la risata - Ma ora salite se non volete rimanere nella Contea, cioè a New York  - Io risi e ringraziai Nico per avermi retto il gioco in modo da non darla vinta a Lucas.
Salimmo sul treno e ci sistemammo nei nostri posti, Nico e Lucas davanti a me e Lilia, nonostante la classe economica i sedili non erano tanto scomodi, così mi ci accoccolai sopra e feci un respiro profondo cercando di non pensare che stavo lasciando la mia citta.
Passai il viaggio a leggere e sonnecchiare, dopo un po’ guardare il paesaggio era diventato noioso e così mi ero addormentata - Aibi… Aibi, siamo arrivati -
Mi svegliai stropicciandomi gli occhi e vedendo mia sorella che mi sorrideva - siamo arrivati a Pittsburgh, dobbiamo andare sull’altro binario  - mi disse dolcemente.
Quanto tempo avevo dormito? L’ultima volta che avevo visto l’ora erano le sei ed eravamo a circa metà strada, possibile che fossimo già arrivati?
Decisi di non pensarci, infondo era la prima volta che prendevo il treno. Mi alzai presi lo zaino dallo scomparto sopra il mio posto e seguì Lilia giù dal treno, dove ci stavano aspettando anche Lucas e Nico - Bene, ora abbiamo tre ore prima che parta la coincidenza per Chicago  -
- No, sono quattro ore  - corressi mio fratello, fino a prova contraria dodici meno otto fa quattro, possibile che proprio Lucas mi ceffasse un calcolo così semplice?
Lilia mi sorrise e mi poggiò una mano su una spalla sorridendomi - Tu dormivi, ma abbiamo preso un ora di ritardo, infatti sono le nove  - mi spiegò
- Ah, scusate  - dissi arrossendo
- Non ti preoccupare, ora però andiamo a mangiare qualcosa  - suggerì Nico.
Andammo in una tavola calda della stazione e ci prendemmo qualcosa da mangiare, io ero ancora un po’ assonnata, devo ammettere che ci metto un po’ prima di svegliarmi del tutto, soprattutto quando non dormo in posizioni comode, così presi solo un toast e una spremuta d’arancia, a dire il vero sembrava più una colazione che una cena, ma andava bene così.
Dopo aver cenato andammo a sederci nella sala centrale della stazione, Lucas andò a farsi un giro mentre invece io e Lilia rimanemmo sedute lì in sala d’attesa a rigirarci i pollici.
A dire il vero non mi sarei mai aspettata che un viaggio insieme a tre semidei sarebbe stato così noioso. Dai racconti di mamma e papà sembrava che appena mettevano un piede fuori dal campo, ogni mostro nel giro di due kilometri li fiutava e andava ad ucciderli, invece noi non avevamo ancora avuto visite. Restammo in sala d’attesa ad annoiarci sino alle undici e mezza, poi trovammo il binario, salimmo sul treno e partimmo a mezzanotte precisa.
Avendo dormito sino a tre ore prima non ero veramente stanca, ma la noia era veramente tanta, così alla fine mi accoccolai su mia sorella poggiandole la testa sulla spalla, lei si appoggiò con la sua sulla mia e ci addormentammo.
Mi svegliai che il sole filtrava dalle tendine leggere, Lilia sonnecchiava ancora, così mi mossi lentamente in modo che scivolasse e si poggiasse sulla mia spalla continuando a dormire, non volevo che si svegliasse.
Riuscii nel mio intento, e lei continuò a dormire stringendomi la mano, io ne approfittai e guardai fuori dal finestrino il lago Michigan che si incominciava ad intravedere, l’acqua che luccicava argentea sotto la prima luce dell’alba, non doveva mancare ancora molo a Chicago.
- Un’ora e ci siamo  - mi avvertì Nico rispondendo alla mia domanda inespressa
- Sei già sveglio? - gli chiesi senza pensare a quello che dicevo
Lui mi sorrise - Si, mi bastano meno ore di sonno di una bambina  - mi rassicurò
Io mi accigliai - Non sono una bambina  - gli ricordai,  o almeno non lo ero più da circa tre mesi. Lui alzò le braccia in segno di difesa e sorrise - D’accordo, scusami  - io gli sorrisi e poi tornai a fissare il lago.
I miei fratelli si svegliarono solo mezz’ora prima di arrivare, avemmo circa una ventina di minuti per darci una sistemata e avere un aspetto quanto meno presentabile e poi arrivammo a Chicago alle nove precise.
Il treno si svuotò e noi seguimmo la folla di gente sino nella zona centrale della Union Station e poi andammo tutti e quattro alla biglietteria.
La fortuna iniziò a girarci le spalle in quel momento, quando il primo treno che ci sarebbe venuto comodo prendere esaurì i posti tre persone prima di noi, così fummo costretti a prendere un treno che partiva a manca un quarto alle due e che la prendeva larga facendo una sosta a New Orleans, per poi arrivare (finalmente) a Los Angeles alle cinque e mezza del mattino di due giorni dopo, insomma un altro viaggio allucinante.
- Io non ci resto qui fermo per quasi cinque ore  - sbottò all’improvviso Lucas
- Lucas ha ragione, neanche io ho voglia di rimanere qui ferma  - concordò mia sorella
Nico sospirò - Vi capisco ma cosa pensate di fare? - ci chiese
- Io e Aibi andiamo a fare un giro qui in centro, non ci allontaniamo tanto  - promise Lilia avvinghiandomi all’improvviso per una mano e facendomi fare un salto
- D’accordo, ma vi voglio qui a mezzogiorno e mezza  -  ci impose
- Certo, non tarderemo nemmeno di un minuto - gli rispose annuendo.
Per sicurezza Nico ci diede i nostri biglietti e poi mia sorella mi trascinò fuori dalla stazione.
Ci ritrovammo in una strada enorme che non aveva niente da invidiare ad una del centro di New York - Dove vuoi andare? - chiesi a Lilia che si guardava intorno meravigliata
- Non ne ho idea, non so’ cosa ci sia da vedere, a parte il lago, ma non c’è tempo, quindi pensavo di fare un giro per i negozi che ci sono qui  - suggerì
Io annuì cercando di nascondere un po’ la mia delusione. Andare a fare shopping non è uno dei miei hobby preferiti in generale, e soprattutto non lo è quando ci devo andare con mia sorella alla quale sta bene qualsiasi cosa.
Speriamo che ci sia almeno una libreria sperai.
Uscimmo sul marciapiede e mia sorella si guardò intorno cercando di decidere da che lato iniziare la nostra esplorazione, io mi guardai intorno studiando i palazzi che ci circondavano finché l’occhio non mi cadde su un cartello che indicava il nome della strada, scoppiai a ridere.
- Cosa c’è? - mi chiese Lilia
- Hai visto come si chiama la strada? - le chiesi
-No… perché come si chiama? - mi chiese sorridendomi
- Siamo in Jackson Boulevard  -
A quel punto anche mia sorella scoppiò a ridere, i passanti ci sorpassavano guardandoci male e sospirando scocciati come per dire “Ah! I Turisti”. Quando riuscimmo a darci un contegno e a tornare abbastanza serie, Lilia si asciugò gli occhi - bene, allora Aibileen e Lilia Jackson seguiranno Jackson Boulevard verso Ovest, magari troviamo Chase Avenue  - scherzò.
Iniziammo a camminare sul marciapiede in senso opposto alle macchine, al contrario del solito mia sorella sembrava non aver avuto fortuna nel scegliere il lato di strada da percorrere, a parte qualche bar o negozietto poco interessante non c’era gran che, ma lei non si volle dare per vinta.
All’improvviso decise di attraversare la strada e di imboccarne una secondaria, San Jefferson Street, senza nessun valido motivo per farlo - Lilia… hai idea di dove stiamo andando? - le chiesi alla fine mentre ci inoltravamo in questa strada sconosciuta
- Ho visto un cartello prima, era l’indicazione di un parco cittadino, l’Heritage Green Park, credo, visto che non ci sono negozi da vedere ho pensato che potevamo passare il tempo che ci rimane all’aria aperta  -
In quel momento mia sorella, come me,  non sapeva ancora che “il tempo che ci rimane” di lì a poco lo avremmo inteso in un altro modo, ma io mi limitai ad annuire e la seguì, non aveva avuto una cattiva idea dopo tutto, io avrei potuto leggere e lei prendere il sole, avremo vinto tutte e due senza troppe vittime.
Continuammo a camminare per San Jefferson Street, io continuavo a guardarmi intorno, la zona non mi convinceva moltissimo, i palazzi erano troppo alti e vicini tra loro in questo modo la strada risultava più buia e tetra di quello che non sarebbe stata se i palazzi fossero stati leggermente più distanziati tra loro, in più era una zona industriale, quindi non molto trafficata, e questo mi metteva ancora di più in agitazione.
- Guarda Aibi! - mia sorella mi afferrò per un polso e mi tirò verso un negozio che si trovava all’angolo tra la nostra via e Quincy Street.
Il negozio che aveva attirato l’attenzione di mia sorella era una via di mezzo tra un bar e un negozio di animali. Davvero non sto scherzando, il negozio si chiamava “ Colazione con Lessie” e un cartello rosa pastello appeso alla porta diceva a chiare lettere fucsia:
 
I VOSTRI GENITORI NON VI PERMETTONO DI TENERE UN ANIMELETTO?
VENITE A  MANGIARE DA NOI E SCEGLIETENE UNO!
 
Lilia fissava la vetrina del negozio con gli occhi lucidi e sognanti, mentre vedeva ragazzi e famiglie seduti a tavolini di metallo o a tavolate di legno mentre facevano colazione circondati da svariati animali che andavano dai classici cani e gatti a quelli meno ordinari come iguane e rettili vari.
- Entriamo a fare colazione Aibi? - mi chiese con sguardo supplichevole
La reazione di mia sorella vi può sembrare esagerata, ma in realtà è da quando è piccola che lotta assiduamente per avere un cucciolo.
All’inizio le avevano preso i pesci rossi, ma mia madre li aveva fatti sparire, dopo che avevamo scoperto Lilia a farci delle discussioni serie, e a mia madre era venuta la paura che sviluppasse delle psicosi ( a quel tempo non sapevamo che avesse le capacità di una figlia di Poseidone ), dopo i pesci rossi era bastata la signora O’Leary d’Estate al campo, ma poi a undici anni aveva voluto un cucciolo “annuo” e da allora aveva iniziato a proporre un animale nuovo ad ogni Natale. Ad undici anni voleva un cagnolino, a dodici un gattino, a tredici un porcellino d’India ( mia madre era uscita con un - Oh, chiedi a tuo padre che fine a fatto il porcellino d’India - mentre rideva come una matta, mio padre se l’era presa e da quel giorno pronunciare il nome di quell’animaletto in casa nostra era diventato un tabù), a quattordici un coniglio, a quindici un topolino e lo scorso Natale aveva chiesto  le tartarughe, ma in casa nostra non vi erano mai stati animali e mai ci saranno.
La fissai e poi guardai il negozio al cui interno tutti ridevano, chiacchieravano mentre cameriere vestite in stile Mew Mew caffè facevano avanti e indietro tra i tavoli portando Cupcake o servizi da the colorati ai clienti e agli animaletti adottati per quella colazione. Cosa ci faceva un bar del genere in una zona industriale e così poco trafficata? Provai a dirlo a Lilia ma lei mi interruppe.
- E dai Aibi… è carino e poi a te piacciono le cose in stile giapponese  - cercò di convincermi
- si ma…  - d’accordo sono una patita di manga e anime, ma quel posto non mi convinceva
- A New York non c’è un posto del genere, ti prego  - mi scongiurò congiungendo le mani
 Da quando è Lilia a supplicare me per qualcosa?
Sospirai, cercando di non pensare a tutte quelle stranezze, infondo era, forse, l’unica occasione che avevo di entrare in un mondo che mi piaceva, non ho il coraggio di chiedere ai miei genitori di portarmi ad una fiera del fumetto o al Comic on di Los Angeles.
- Va bene, ma ricordati che alle…  -
- Si, si, ora vieni  - mi afferrò di nuovo per un polso e mi trascinò dentro.
Entrammo nel negozio e un campanello sopra alla porta suonò rivelando a tutti il nostro ingresso.
Il locale era accogliente anche se i colori pastello dei muri, delle porte, dei mobili, dei dolci, delle teiere e dei vestiti delle cameriere risultavano un po’ eccessivi.
- Buon giorno, benvenute da “ Colazione con Lessie”, è la prima volta che vi vedo, posso aiutarvi? - la cameriera era una ragazza che avrà avuto si e no l’età di mia sorella e continuava a sorriderci nel suo abito rosa e bianco
- Vorremo mangiare qualcosa  - rispose mia sorella continuando a rimanere imbambolata e guardandosi in giro
- Certamente, prima però dovete scegliere l’animale con cui condividere la vostra colazione - ci spiegò stringendo al petto il blocco per le ordinazioni, rosa, e la penna con le piume, rosa pure quelle, in cima.
Lilia annuì e sempre tenendomi per mano seguimmo la cameriera sino ad una stanzetta secondaria piena di cucce, gabbie e vari box con dentro ogni tipo di animale. Mi sentì leggermente più tranquilla quando vidi che non eravamo le uniche persone che stavano osservando tutti gli animali presenti nelle gabbie, una bambina prese in braccio un gattino color senape, di una razza che non avevo mai visto, e poi tornò nel locale insieme alla madre stringendolo e accarezzandogli la testa.
Ci passarono al fianco e il cuore mi si strinse un poco, quanto avrei voluto che nostra madre fosse stata lì con noi, guardai il gatto e mi si bloccò il respiro in gola, quello non era un gatto strano, era un leoncino - Lilia…  - le sussurrai tirandole leggermente la mano mentre continuavo a fissare la bambina che se ne andava via felice e contenta stringendo un leoncino!
- Stai buona Aibi, vedrai che troverai qualcosa anche tu  - mi rassicurò, poi mi lasciò la mano e iniziò a guardare tutte le gabbiette e cucce varie.
- E tu? Non vuoi scegliere un amichetto? - mi chiese dolcemente e sorridendo la cameriera
- Forse più tardi…  - le risposi sorridendole a mia volta
- Ma sono sicurissima che ce n’è uno che fa per te - mi rassicurò
- Si, ma…  -
- Forse ti interessano gli insetti? - mi chiese aumentando l’insistenza e avvicinandosi
- No… i cuccioli vanno benissimo  - la rassicurai e raggiunsi mia sorella vicino alla gabbia dei criceti.
C’era qualcosa che mi dava fastidio in quel posto, pensavo mi sarebbe piaciuto entrare in un locale del genere, ma mi sentivo inquieta, come ogni primo giorno di scuola. Presi la mano a mia sorella che però non la strinse mentre fissava un gruppo di criceti che sgranocchiavano annoiati dei semi di girasole - Lilia… mi sembra di aver visto uno Starbucks… non possiamo andare lì? - le sussurrai
- Fai la brava Aibi… sto cercando di decidere  - mi disse allontanandomi
- Dai Lili… per favore…  - continuai tirandola leggermente via
- Smettila Aibileen!  - mi gridò allontanandomi malamente
Rimasi scioccata, d’accordo che Lilia non mi adorava, ma arrivare a trattarmi così…
- Tutto bene? - chiese la cameriera raggiungendoci
- Certo…  - le risposi sorridendole
- E’ che è molto difficile decidere  - spiegò mia sorella tristemente. La guardai accigliandomi, dov’era finita la Lilia che mia aveva appena gridato contro?
- Magari vi interessano gli animali più rari…  - propose la cameriera con uno strano luccichio negli occhi
- Cioè? - chiedemmo all’unisono io e mia sorella
- Venite, vi faccio vedere la zona speciale  - ci disse sorridendoci e dirigendosi a piccoli passi spediti verso una porta azzurrina.
Mia sorella partì in quarta e la mia mano scivolò dalla sua, io mi affrettai a seguirla, non volevo lasciarla. Attraversammo un corridoio che non centrava nulla con l’arredamento delle altre stanze, era asettico, alla nostra destra vi erano degli armadi di metallo, che mi ricordavano vagamente gli armadietti della scuola, sopra di noi dei tubi di metallo percorrevano tutto il soffitto sino alla fine del corridoio che terminava con tre porte rosse antipanico. Guardai Lilia che continuava a fissare la ragazza con sguardo ebete come se non si accorgesse che stavamo attraversando un corridoio di una fabbrica piuttosto che quello di un locale strampalato.
La cameriera aprì la porta rossa al centro e ci fece cenno di entrare - Cosa c’è dietro le altre porte? - le chiesi prima di entrare
- La cucina e le stanze del personale  - mi rispose cordialmente la cameriera mentre mi spingeva dentro e chiudeva la porta rossa dietro di se’ con un po’ troppa fretta. La osservai ancora un secondo e poi mi avvicinai a mia sorella che oramai era persa, continuava a guardarsi intorno con sguardo vacuo e sorridendo come una stupida.
- Qui ci sono i nostri animali più rari  -  spiegò la cameriera indicandoci le gabbie con la mano.
Lilia rincominciò a guardare tutti gli animali e io la seguì, lasciarla sola adesso che non era in se stessa era l’ultima cosa che volevo fare. Iniziai a studiare gli animali, mi sembrarono tutti semplicissimi cani, gatti e rettili vari, poi un cucciolo di bassotto alzò la testa e ne spuntò un’altra che partiva dallo stesso collo mentre scodinzolava contento con le sue quattro code, facendomi le feste. Guardai Lilia ma stava fissando un gatto con la coda da serpente a sonagli, mi guardai intorno e capì che genere di creature “speciali” erano quelle.
Un’iguana si rivelò un drago che dormiva acciambellato su se stesso e ogni tanto si lasciava sfuggire una piccola fiamma dalle narici, una cocorita si rivelò un incrocio tra un pappagallo, con la coda di ratto e le zampe di gallina.
Cercai di calmarmi, feci un respiro profondo e mi avvicinai con calma a Lilia reprimendo la voce dentro la mia testa che mi gridava Corri! Scappa da qui!
Mi avvicinai a mia sorella che stava osservando un gatto bianco e nero, con la coda da cincillà e le orecchie da coniglio, a dire il vero era il cucciolo meno terrificante di tutti quelli presenti
- E’ carino vero Lilia? - le chiesi accucciandomi di fianco a lei.
Dovevo farla tornare in lei, e dovevamo scappare da lì, subito.
- Si, è davvero carino  - ammise continuando a sorridere stupidamente
- Mi piace questo coniglio…  - le dissi
- No, è un gatto  - mi rispose lei
- Ma ha le orecchie da coniglio  - le feci notare indicandole
Lilia si accigliò - Sarà una nuova razza…  - suppose iniziando a riprendere conoscenza anche se solo parzialmente. Dai Lilia, ragiona, so’ che ci sei lì dentro.
- Potrebbe essere un… un Gattiglio  - proposi, non era male come nome.
Lilia si accigliò e si girò verso di me col suo solito cipiglio di quando non capisce qualcosa, o è sorpresa - Gattiglio? Aibi non esiste il Gattiglio  - mi disse scuotendo la testa, sorrisi, era tornata.
- E quello lo vedi che è un drago? - le chiesi indicando la gabbia di fianco a quella del Gattiglio
- Un drago? Oh Aibi, sicura di stare bene? Non possono tenere un…  - si bloccò, quando vide la gabbia sbiancò e sgranò gli occhi - Oh miei Dei… è un… un drago  - mi disse guardando l’animale e poi me - Io te l’avevo detto, comunque, sono contenta che tu sia tornata  - le dissi sorridendole
- Tornata?  - mi chiese senza capire
- Poi ti spiego, ma adesso dobbiamo andare via di qui, questo posto è pieno di creature strane, come il Gattiglio  - le spiegai.
Parlavamo sottovoce, accovacciate vicino alla gabbia come se stessimo discutendo sull’animale, la cameriera per ora continuava a guardarci sorridente come sempre, forse non si era ancora accorta che mia sorella era tornata cosciente.
Lilia diede un occhiata veloce intorno a lei, guardando tutte le altre creature mentre il suo sguardo si induriva, iniziava a ricordarmi la mamma prima che si lanciasse all’attacco contro il Minotauro quella maledetta notte.
- Dobbiamo andare via di qui Aibi… e  subito  - mi disse alzandosi in piedi
- Certo, prima però dobbiamo seminare la cameriera in crinolina  - le ricordai
Lilia annuì lentamente, poi si girò sorridendo e imitando il sorriso ebete di prima - Mi piacerebbe tornare di là, a me e mia sorella piacciono di più gli altri cuccioli  - le disse sorridendole
- Ma vi ho visto molto convinte su quel bel gattino  - ci disse avvicinandosi lentamente
- No, vorremmo tornare di là  - continuò mia sorella continuando a sorridere mentre, lentamente, allungava una mano verso il pugnale che teneva nascosto sotto la felpa
- Oh, ma di solito alle giovani semidee, piacciano di più questi animaletti  - ci spiegò avvicinandosi e abbandonando il sorriso dolce per sostituirne uno ferino e malvagio.
Ebbi quasi voglia di contraddirla e spiegarle che io ero una mortale, ma all’improvviso la cameriera mollò per terra blocco e penna, ci ringhiò contro e in un secondo davanti a noi non c’era più una ragazza. La testa si era trasformata in quella di una leonessa, il corpo era quello di una capra e infine aveva una coda da scorpione - è…è…  - ma le parole mi morirono in gola
- E’ una chimera Aibi  - mi anticipò Lilia sfoderando il pugnale e mettendosi in posizione d’attacco. Io mi allontanai mettendomi leggermente dietro di lei, non avevo armi con me e  sicuramente non so’ combattere. La chimera ci guardò girando il capo e facendo schioccare una lingua serpentina - Peccato che siate tornate coscienti… di solito solo i figli di Atena ci danno problemi, ma credo che riuscirò comunque a mettervi nel menù insieme a quelle altre buone persone - rise continuando a far schioccare la lingua
- Mi dispiace ma abbiamo altri impegni  - le disse mia sorella facendomi segno di mettersi dietro di lei - Beh, dovrete rimandarli  - la Chimera scattò in avanti su di noi, mia sorella mi afferrò il polso e mi strattonò a terra verso l’altro lato della stanza, facendo andare a sbattere il mostro contro le gabbie, al cui interno gli animali incominciarono a emettere i versi più disparati.
La Chimera si rialzò e ci ringhiò contro, Lilia si rimise in posizione d’attacco, ma prima che la Chimera ci si lanciasse di nuovo contro uscimmo di scatto dalla porta antipanico rossa chiudendocela alle spalle, mentre il mostro vi si schiantava contro
- Da che parte? - le chiesi guardando le altre due porte, mentre tenevamo la porta evitando che il mostro uscisse - Sai cosa c’è di là?  - mi chiese
- Mi ha detto cucina e stanze del personale  - le dissi
- Cucina  -
Mollammo la porta e ci gettammo su quella alla nostra destra.
Mi venne in mente, solo quando ormai ci eravamo inoltrate nella cucina, che non era stata una bella idea visto che la chimera-cameriera aveva detto chiaramente di volerci mettere nel menù, ma ormai era troppo tardi. Ci ritrovammo in un enorme cucina da ristorante, solo che hai fornelli c’erano altre quaranta chimere tutte affaccendate a cucinare, probabilmente i clienti, che si girarono all’unisono appena entrammo.
Ci fu un momento di stallo, noi fissavamo loro, loro fissavano noi, poi il momento di calma finì e iniziarono a sibilarci, ringhiarci e grugnirci contro, minacciandoci con padelle e artigli mentre si avvicinavano - Quando te lo dico, inizia a correre  - mi disse Lilia sottovoce
Annui, non mi sembra il momento di stare a chiedere spiegazioni.
Indietreggiammo ancora di un passo, poi ci fermammo, Lilia puntò il pugnale davanti a lei e gridò - Ora! - ci lanciammo in avanti, prendendo alla sprovvista le chimere che rimasero stupite da tanta audacia anzi, da tanta stupidità. Pensai che sarei morta di lì a poco e che il giorno dopo ci sarebbe stato un tramezzino alla “Aibileen”, quando tutte le tubature e i rubinetti della cucina esplosero prendendo in pieno i mostri che caddero per terra come tanti birilli, mentre noi li superavamo calpestandoli e saltandoli, era quasi divertente.
Riuscimmo ad attraversare la cucina, mia sorella mi era passata davanti ( ha le gambe più lunghe ed è, ammettiamolo, molto più atletica di me) ma per non lasciarmi indietro mi aveva afferrato la mano, che io non avevo intenzione di lasciar andare. Prima del nostro passaggio i rubinetti esplodevano prendendo in pieno le chimere e stordendole, Lilia dovette ucciderne solo un paio che ci intralciavano il passaggio prima di riuscire a raggiungere una porta di metallo a doppio battente che si apriva su una scala interna. Ci fermammo un secondo per riprendere fiato, sapevo che Lilia si stancava quando utilizzava i suoi poteri, ma adesso sembrava non volerci fare caso.
Dietro di noi le chimere si stavano rialzando, e dalla porta rossa si fece strada la cameriera-chimera, che appena ci vide al di là della cucina ci ringhiò contro e iniziò a saltare su un bancone e l’altro per raggiungerci incurante se saltava addosso anche a qualche sua simile.
- Forza, Aibi, vieni! -  Lilia mi strattonò il braccio e iniziammo a salire le scale di corsa il più velocemente possibile, mentre sentivamo il mostro che correva dietro di noi, fortunatamente un po’ impedito nel salire le scale per colpa degli zoccoli.
Quando pensavo che avrei sputato i polmoni e che il cuore mi sarebbe saltato via dal petto, arrivammo in cima alle scale e ci buttammo fuori ritrovandoci sul tetto, in trappola.
Lilia si guardò intorno cercando una via di fuga, ma almeno che non ci spuntassero un paio di ali, non ve ne erano. Quindi avevamo due scelte, morire spiaccicate sull’asfalto sotto di noi oppure morire trucidate dalle mandibole della chimera, tra le due, avrei preferito l’asfalto.
Il mostro arrivò sul tetto e ruggì, avvicinandosi mentre sorrideva, ormai sicuro della vittoria. Lilia mi spinse dietro di lei per proteggermi e fu pronta ad attaccare - Credo che vi mangerò subito… i piccoli aspetteranno  - ci disse mentre si avvicinava lentamente e si passava la lingua serpentina sul muso - Mi dispiace, ma non ci piace l’idea di finire sul menù  - le rispose mia sorella per poi attaccarla. La chimera schivò l’affondo di Lilia e la attaccò col pungiglione della coda, Lilia riuscì a schivarlo e a tentare un affondo nel fianco del mostro, ma la bestia riuscì a evitarlo.
Io mi ero allontanata, sapevo per esperienza che quando i miei fratelli combattevano contro un mostro io ero solo d’impiccio, e poi sentivo il petto farmi male come se ci fosse qualcosa che spingeva il costato verso l’esterno. Feci dei respiri profondi e il dolore diminuì leggermente, mia sorella continuava a duellare con la chimera, che non sembrava affatto sfinita al contrario di lei che iniziava ad essere più lenta.
E poi accadde, Lilia scartò di lato per evitare la mandibola della chimera che si chiuse a poco dal suo braccio, ma non riuscì a schivare il pungiglione che le si conficcò nella spalla destra strappandole un grido, mentre il mostro sibilava contento, atterrandola.
No, non ancora. Uscì dal mio nascondiglio e presi un calcinaccio e senza pensarci lo tirai al mostro
- lasciala andare stupido gatto deforme! - gli gridai cercando di non far tremare la voce.
La chimera si girò verso di me e snudò le zanne mentre estraeva con un colpo secco il pungiglione dalla spalla di mia sorella che emise un gemito - se ci tieni tanto a morire…  - sibilò.
Si girò verso di me e mi venne in contro, Ragiona Aibi, come si uccide una chimera?
La prima chimera era stata uccisa da Bellerofonte, l’aveva soffocata con un pezzo di piombo che le si era fuso in gola per il calore delle fiamme che aveva nel petto, ma io, guarda caso, quel giorno non mi ero portata dietro un pezzo di piombo e sembrava che la mia chimera non sapesse sputare fiamme.
Così feci la cosa più intelligente che potessi fare, presi un altro calcinaccio e glielo tirai sul muso, un consiglio, non fatelo MAI. La chimera mi si gettò addosso buttandomi a terra e ruggendo a un soffio dalla mia faccia, chiusi gli occhi e sperai solo che mi ingoiasse tutta intera ma poi il suo peso scomparve all’improvviso e quando riaprì gli occhi, vidi solo Nico con la spada nera sguainata che ansimava leggermente - Tutto bene?  - mi chiese dandomi una mano e aiutandomi a tirarmi su. Io annuì ancora stordita e spaventata, lui mi sorrise e rinfoderò la spada scostandosi e liberandomi la visuale, a quel punto preferì essere morta.
Senza accorgermene corsi verso mio fratello che era accovacciato a terra con Lilia appoggiata contro il petto, pallida e sudata che respirava con affanno stringendosi a lui. Restai lì impalata, mentre Lucas la stringeva e la costringeva a mangiare qualche pezzetto di ambrosia per farla riprendere - Starai bene  - le sussurrò accarezzandole la testa
- Non dargliene ancora, tanto non le farà smaltire il veleno  - gli ricordò Nico mettendosi di fianco a noi - Non la lascerò morire! - gli gridò stringendo Lilia
- E nemmeno io, ma rischi solo di fare peggio se continui a darle l’ambrosia - gli ricordò
- Ora dobbiamo andare in stazione e cambiare i biglietti  - aggiunse mentre aiutava Lucas a far alzare mia sorella che si reggeva a malapena sulle gambe
- No, dobbiamo andare a Los Angeles e… -
-  e poi? Accorciarle il viaggio per l’aldilà? Se vuoi che tua sorella sopravviva dobbiamo muoverci e prendere il primo treno per San Francisco -.
Lucas non replicò e si limitò a caricarsi meglio Lilia sulle spalle. Io non capì subito, perché dovevamo andare a San Francisco? I nonni non avrebbero potuto fare molto… e poi tutto divenne chiaro. A San Francisco non c’erano solo i nonni, c’era anche il Campo Giove.
 
*cit. Bilbo Baggins- Il Signore degli Anelli_ La compagnia dell’anello.


Ed eccolo qui!
 Cosa ne pensate? Per chi interessasse saperlo gli orari dei treni, il nome delle stazioni e delle strade non me li sono inventati, controllate su Google Maps se volete. Vi giuro che esiste davvero una Jackson Boulevard davanti alla stazione di Chicago :) Vi avverto subito che ci vorrà un po' prima che pubblichi il sesto capitolo, perchè è un periodaccio per la scuola e l'ispirazione arriva a sprazzi (Apollo aiutami tu!), in ogni caso non vi abbandonerò, abbiate fede :)
Detto ciò, ringrazio come al solito chi legge, chi recensisce e chi mi segue. Sperando di non farvi aspettare troppo,
un abbraccio,
Darkness_Angel


 

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Capitolo 6
*** Tutte le strade portano a (Nuova) Roma ***


Salve a tutti! Non sapete quanto mi dispiace per avervi fatto aspettare così tanto per il sesto capitolo, ma l'ispirazione è un po' mancata. Allora, questo è un capitoletto di passaggio, rincontreremo qualche vecchio personaggio e spero che non sia venuto fuori un capitolo troppo pesante o noioso :)
Detto ciò, Buona Lettura :D

 

Capitolo Sei
Tutte le strade portano a (Nuova) Roma

Se la vostra intenzione è quella di voler passare inosservati in una stazione centrale, allora non andateci con una ragazza mezza moribonda che si regge in piedi per la pratica e che, come pallore, fa invidia al figlio del Dio dei morti.
Mentre noi aspettavamo seduti in sala d’attesa, Nico era andato a cambiare i nostri biglietti con quelli che ci avrebbero portato a San Francisco, e con nostra grande fortuna, un treno sarebbe partito alle due, cioè  di lì a mezz’ora.
Noi non ce ne eravamo accorte, ma avevamo passato dentro al caffè quasi quattro ore. A mezzogiorno e mezza Nico e Lucas si erano incontrati e, quando avevano visto che non arrivavamo erano venuti a cercarci. Lucas aveva avuto l’intuizione di andare al parco cittadino, e alla fine erano passati davanti al palazzo e avevano visto me e Lilia sul tetto mentre la Chimera avanzava verso di noi. A quel punto avevano trovato delle scale esterne di servizio, che noi non avevamo visto dato che erano nascoste da un ammasso di detriti, e ci avevano salvato per un pelo.
Guardai mia sorella che continuava a fissarsi le mani a occhi spalancati cercando di non tremare, l’ambrosia le aveva fatto guarire la ferita e rallentato l’azione del veleno, ma per guarire completamente aveva bisogno di cure da parte di guaritori o dei figli di Apollo. Le presi una mano e gliela strinsi, era gelata, lei voltò il viso verso di me e mi sorrise stanca, poi Nico ci raggiunse e ci girammo tutti e tre verso di lui - Il treno è già sul binario, possiamo già salire  -
Annuimmo rimanendo tutti e tre in silenzio, Nico prese Lilia aiutandola a camminare mentre io e Lucas portavamo anche i loro zaini.
Salimmo sul treno e ci sedemmo ai nostri posti, io mi misi di nuovo di fianco a Lilia, Nico e Lucas seduti di fronte a noi, sembrava che quei pochi passi l’avessero fatta stancare ancora di più, per qualche ragione mi sentivo in colpa, era colpa mia se Lilia era stata ferita perché io non sono in grado di difendermi da sola. Mi ripromisi che sarebbe stata l’ultima volta che qualcuno si sarebbe sacrificato per me, anche a costo della mia vita, mi sarai arrangiata d’ora in poi.
Nico si avvicinò a mia sorella che si era rannicchiata sul sedile e le mise addosso la sua giacca
- Cerca di dormire un po’, il viaggio ti sembrerà più corto  - le consigliò coprendola e accarezzandole una spalla, lei annuì e poi chiuse gli occhi cercando di prendere sonno.
Il treno iniziò a muoversi poco dopo, ogni tanto lanciavo un occhiata a Lilia che dormiva abbastanza tranquilla, Lucas era seduto di fronte a lei, si era infilato le cuffie e guardava fuori dal finestrino, perso in qualche suo ragionamento, mentre invece Nico alternava lo sguardo tra me, Lilia e  ciò che lo circondava - Tu stai bene, Aibileen? - mi chiese all’improvviso
Io annuì poco convinta, era tutt’altro che vicino alla stare bene - Sono serio, sei sicura di stare bene? - mi richiese quasi con insistenza.
Perché si preoccupava così tanto? Non ero io quella che era stata infilzata da una chimera!
- Si, sto bene sono solo un po’ stanca e… preoccupata  - ammisi infine, tralasciando di dirgli che in realtà il petto mi faceva ancora un po’ male dopo la corsa. Lui sembrò rilassarsi e si sedette meglio sul sedile - Vedrai che starà meglio appena arriveremo al Campo  - mi rassicurò
Se arriva al Campo mi ricordò la mia testa maligna, scossi il capo e cercai di concentrarmi su qualcos’altro.
Fortunatamente il treno che avevamo preso era un diretto, tempo due giorni e saremmo arrivati a Emeryville dove poi ci avrebbe aspettato ancora un ora di autobus prima di arrivare definitivamente. Le ore passavano, Lilia la maggior parte del tempo sonnecchiava, non aveva fame ma freddo e l’unica cosa che riuscivamo a farle mandare giù a intervalli regolari, così da rallentare il veleno, era un po’ di nettare, ma non stava affatto migliorando.
Nico diventava sempre più cupo, probabilmente sapeva meglio di tutti quanto rimaneva a mia sorella prima di diventare l’ennesimo suddito del regno di suo padre, e io cercavo di leggere le sue espressioni per cercare di capire se dovevo iniziare a perdere la speranza oppure no.
Quando mancavano meno di due ore all’arrivo, Nico si alzò all’improvviso facendo sussultare me e Lucas che lo fissammo stupiti e leggermente spaventati - Arrivo subito, non preoccupatevi  - ci rassicurò e poi uscì dal vagone, probabilmente doveva andare in bagno. Io mi girai verso Lilia che non si era più svegliata da circa tre ore prima  e le sistemai meglio la giacca sulle spalle così che non prendesse freddo, quando mi girai trovai Lucas che mi fissava in cagnesco - Che vuoi? - gli chiesi scocciata, ero stufa che continuasse a fissarmi in quel modo e a trattarmi come se fossi solo una scocciatura, lui sbuffò e scosse la testa esasperato tornando a concentrarsi sul paesaggio.
Giuro, che se non fossimo stati su un treno pieno di gente, mi sarei alzata e gli avrei tirato un paio di ceffoni. Stavo pensando di farlo veramente, quando Nico ritornò e decisi di rimandare le mie idee omicide ad un’ altro momento e mi limitai a lanciare un occhiataccia in direzione di Lucas.
Il figli di Ade sospirò sedendosi al suo posto e guardò di nuovo Lilia - Ho mandato un messaggio a mia sorella, ci verrà a prendere alla stazione  - ci informò.
Quella era una bella notizia, se Hazel ci fosse venuta a prendere in stazione saremmo potuti andare direttamente al Campo, senza dover prendere nessun autobus e questo voleva dire più possibilità per Lilia.
Mi concentrai su quel pensiero, saremo arrivati al Campo Giove, Lilia sarebbe stata curata, noi avremo ripreso la nostra missione e saremo tornati tutti e cinque a casa insieme.
- Sempre che qualcuno dall’alto non abbia deciso che Lilia debba terminare qui la missione  - commentò Lucas all’improvviso levandosi le cuffie e tornando al presente.
Mi alzai di scatto trattenendo a stento la rabbia - Cosa stai dicendo?!?! - gli gridai
Molte delle persone nel vagone si girarono verso di noi, Nico si alzò e mi fece risedere rassicurando i curiosi con un sorriso comprensivo, poi si girò verso di me e mi sussurrò - Controllati  - e mi spinse giù in modo che mi risedessi sul sedile.
Riuscì a trattenermi dal gridare anche contro di lui, ma indirizzai la mia rabbia contro Lucas
- Cosa stai dicendo ?!  - scandì a voce più bassa ma che trasudava rabbia
- Ti ricordi la profezia Aibi?  - mi chiese guardandomi con odio - “Dolori, pene, sacrifici e rischi, alla vecchia vita metteranno fine”  - recitò.
Io lo fissai, cercai di rispondergli a tono, di dirgli che non me ne importava un fico secco della profezia, che mia sorella sarebbe sopravvissuta e saremo tornati tutti a casa, ma l’unica cosa che mi uscì dalla bocca fu un singhiozzo strozzato e mi diedi della scema.
- Lucas quello che hai detto è una sciocchezza, le profezie seguono un ordine e quello è l’ultimo verso, ciò vuol dire che ve ne dovrete preoccupare a fine impresa, non ora  - gli rispose Nico fissandolo truce. Lucas probabilmente imprecò sottovoce, si rificcò le cuffie nelle orecchie e tornò immerso nei suoi ragionamenti, io mi sentì solo peggio, non sapevo cosa pensare, Lucas mi stava dando sui nervi, non era mai stato così ostile nei miei confronti e adesso lo sembrava con chiunque a parte che con Lilia. Mi sentì prendere una mano, alzai lo sguardo, era stato Nico a farlo
- Tua sorella starà bene,  non ti preoccupare, ma se avessi bisogno…  -
Io gli sorrisi - No, sto bene, grazie  - lo rassicurai vedendolo un po’ impacciato. Lui mi strinse ancora una volta la mano, poi si risedette sul sedile, io mi accasciai nel mio e voltai  lo sguardo verso mia sorella che si era mossa leggermente ma continuava a dormire, poi lanciai uno sguardo di sbieco a Nico che fissava l’altro lato della carrozza ma si vedeva chiaramente che era immerso nei suoi pensieri, probabilmente sapeva meglio di chiunque altro come mi sentivo in quel momento.
Il treno arrivò alla Stazione di Emeryville alle quattro e mezza di pomeriggio, svegliammo Lilia che si tirò su in piedi a stento e Nico dovette sorreggerla completamente perché le gambe non la reggevano e se provava a camminare cedevano e finiva a terra.
Riuscimmo in qualche modo ad arrivare nella zona centrale della stazione e incominciammo a cercare Hazel tra la folla - Lucas, Aibileen  - io e mio fratello ci girammo e vedemmo la figlia di Plutone che ci veniva incontro, noi accelerammo il passo andandole incontro
- Ciao, dove sono Lilia e Nico? - ci chiese guardandosi intorno e cercandoli con lo sguardo
- Lilia si è dovuta sedere, non ce la faceva a rimanere in piedi  - spiegò mio fratello mentre l’accompagnavamo nella sala d’attesa dove li avevamo lasciati.
Quando ci vide arrivare Nico rivolse un sorriso alla sorella che affrettò il passo e si mise di fianco a Lilia - Ciao Hazel  - la salutò con un filo di voce mia sorella
- Ciao bambina  - le rispose lei sorridendole e accarezzandole la guancia.
Nico si alzò mentre noi ci mettevamo vicino a Lilia – E’ tutto apposto? - le chiese
Lei annuì - Al Campo vi aspettano, ho già parlato con Jason e Frank, non vi faranno problemi - lo rassicurò.
Ascoltai la conversazione e mi accigliai, in che senso li aspettavano?  E noi che cosa avremmo fatto?
- Perfetto  - Nico prese Lilia per un braccio mentre Lucas lo aiutava e la tirarono su in piedi, Lilia si afflosciò in avanti non riuscendo a reggersi sulle gambe - Lasciala  - disse il figlio di Ade prendendo mia sorella in braccio. Lilia emise un lieve sospiro e poi si appoggiò sul suo petto perdendo di nuovo conoscenza - Dobbiamo andare, li lascio a te  - disse Nico rivolto alla sorella
- Certo, non aspettare altro tempo  - Nico annuì, poi si allontanò con mia sorella in braccio e all’improvviso scomparvero in una zona d’ombra.
Quando furono spariti, Hazel si girò verso di noi sorridente - State tranquilli, Lilia starà bene  - ci rassicurò - Ora andiamo, ci aspettano anche a noi  - ci disse facendoci segno di seguirla.
Ci incamminammo fuori dalla stazione, Lucas davanti a me e io leggermente più indietro ma senza perderli di vista.
Nico aveva fatto un viaggio nell’ombra per poter arrivare ancora prima al campo e aveva fatto venire Hazel perché io non potevo viaggiare nell’ombra e non poteva lasciarmi da sola.
Come sempre mi ero rivelata solo di intralcio, scossi la testa e cercai di distrarmi.
Salimmo in macchina, non avevo idea che a Nuova Roma si ci potesse arrivare anche in auto, ma ci sono molte cose che non so’. Sia io che Lucas ci sedemmo dietro, anche se ai rispettivi opposti della macchina, lui continuava ad ignorarci, ma io non avevo intenzione di rimanermene in silenzio per tutto il viaggio - Allora… come stanno Frank e Sammy? - chiesi ad Hazel
Lei mi sorrise dallo specchietto retrovisore - Bene tutti e due, Frank è un po’ preso dai compiti da pretore, ma stiamo tutti bene  - mi raccontò
- Sammy se la cava a scuola? - se non mi ricordavo male suo figlio doveva avere all’incirca sette o otto anni, mamma e papà erano stati i primi a metter su famiglia.
- Si, si benissimo, adesso riesce anche a controllarsi un po’ di più, sai crescendo ha preso più coscienza di quello che è capace di fare  -
Le sorrisi, sin da quando era piccolo Sammy aveva avuto il problema di non riuscire a controllare le sue abilità da parte paterna, e allora ogni tanto gli spuntava una coda o un paio di orecchie, ma niente che non scomparisse dopo una mezz’oretta.
- Deve essere cresciuto molto - era da quasi quattro anni che non li vedevamo, vivendo a Nuova Roma e non andando d’Estate al Campo Mezzosangue era raro che riuscissimo a incontrarli.
- Si, è diventato proprio grande il mio bambino  - commentò piena di orgoglio - Era contento quando gli ho detto che venivate  - continuò.
Continuammo a parlare del più e del meno per tutto il viaggio, mio fratello che ogni tanto sbuffava scocciato dalle nostre chiacchiere ma nessuna delle due gli dava retta.
Non so’ bene quanto tempo passammo in macchina, so’ solo che ad un certo punto Hazel parcheggiò in una piazzola sterrata e ci disse che eravamo arrivati.
Scendemmo dall’auto, eravamo su una specie di collina sotto di noi si estendevano incontaminati prati e alberi,  Hazel ci fece segno di seguirla e si incamminò giù dalla collinetta e noi obbedimmo senza replicare.
Scendemmo di qualche metro, e arrivammo ad una staccionata che delimitava i prati, la attraversammo e all’improvviso davanti a noi apparì Nuova Roma e il Campo Giove.
Hazel ci fece strada, come al solito le strade di Nuova Roma erano affollate, nonostante non lo facessi da un po’, ad un certo punto presi le presi la mano per essere sicura di non perdermi, lei mi sorrise e poi continuammo a camminare - Starete da noi finché Lilia non si riprenderà, d’accordo? - ci chiese mentre arrivavamo davanti a casa sua
- Va bene  - risposi contenta all’idea di non dover vivere insieme a dei completi estranei per un po’ di tempo, Lucas rispose con una specie di grugnito e un cenno del capo.
Arrivammo davanti alla casa, e appena Hazel aprì la porta non avemmo neanche il tempo di entrare che da dentro sentimmo dei passi concitati venirci in contro - Mamma, mamma, mamma! -
- Ciao piccolo mio  - Hazel si accucciò e prese in braccio il figlio lasciandogli un bacio su una guancia mentre entravamo in casa. Li guardai e sorrisi, Sammy era davvero cresciuto molto, aveva la pelle scura e gli occhi d’orati come la madre anche se ricordavano nella forma quelli del padre e poi aveva un ammasso di ricci neri che gli ricadevano scompigliati sul viso.
Sammy strinse la madre abbracciandola e poi rivolse la sua attenzione a noi - Ciao!  - ci salutò
- Ciao Sammy  - lo salutai a mia volta sorridendogli
- Tu sei l’amica della mamma?  - mi chiese mentre Hazel lo rimetteva per terra accarezzandogli la testa - No, lei è Aibileen, non te la ricordi?  - gli chiese dolcemente la madre. Il bambino si accigliò e si fece pensieroso, poi scosse la testa - No… - le rispose deluso
- Beh, allora ci riconosceremo di nuovo  - gli dissi sorridendogli
- Si, io sono Sammy Zhang, piacere  - mi disse porgendomi la mano
- E io sono Aibileen Jackson, piacere mio  - gli risposi stringendogli la manina, Hazel ci guardava e sorrideva - Ora venite, vi faccio vedere dove sistemarvi  - ci disse facendoci strada.
Io e Lucas avremo dormito nella cameretta di Sammy che aveva il letto a castello, Hazel ci aveva spiegato che il piccolo si era imposto perché voleva dormire in alto, e così l’avevano accontentato.
Sammy avrebbe dormito con Hazel e Frank sarebbe stato trasferito a dormire sul divano, a quel punto Lucas si era imposto e aveva insistito perché sul divano ci dormisse lui, e così era finita con mio fratello a dormire sul divano e io a condividere la cameretta con Sammy.
Passai il resto del pomeriggio giocando con Sammy a qualsiasi gioco gli passasse per la mente, ad un certo punto avemmo un piccolo inconveniente quando all’improvviso gli spuntò una coda tigrata e un paio di orecchie in tinta ( che a dire il vero lo rendevano ancora più carino e tenero) e allora ero dovuta correre da Hazel per avvertirla, ma lei mi aveva assicurato che non era niente di grave e, infatti,  un’ora dopo era tornato tutto normale.
Alle otto sentimmo la porta aprirsi, Sammy mollò per terra il pupazzo con cui stavamo giocando e corse alla porta gridando “papà!” come aveva fatto per la madre, ma poi si corresse e gridò - Zio! -
A quel punto mi alzai anche io e li raggiunsi, se Nico era lì voleva dire che portava notizie di Lilia e io dovevo avere assolutamente sue notizie. Quando arrivai Sammy era in braccio a suo padre che lo stava stringendo e dandogli un bacio sulla fronte, per poi passarlo a Nico che lo prese in braccio scompigliandogli i capelli, a quel punto Frank mi vide e mi sorrise.
- Ciao Aibileen  - mi salutò avvicinandosi e facendomi una carezza sul braccio
- Ciao  - gli risposi un po’ sbrigativa sorridendogli, mi dispiacque comportarmi così ma dovevo assolutamente sapere, così mi concentrai su Nico.
Il figlio di Ade mi sorrise capendo la mia domanda inespressa - Sta meglio, le stanno facendo smaltire il veleno, ce la farà, adesso si sta riposando  - mi rassicurò.
Sentì come se un peso enorme mi fosse stato levato di dosso e riuscì di nuovo a respirare, probabilmente quando i miei genitori si erano liberati dal peso del cielo, da ragazzi, si erano sentiti come me adesso.
Andai da Nico e lo abbracciai, lui rimase un po’ interdetto ma poi mi poggiò una mano su una testa - Grazie  - gli sussurrai alzando la testa e allontanandomi
Lui mi sorrise - Non devi ringraziarmi  - mi rassicurò mentre continuava a tenermi la mano sulla testa, io gli sorrisi - Vieni Aibi, parli dopo con lo zio  - mi disse Sammy prendendomi per la mano e rapendomi per poter tornare a giocare.
Dopo qualche minuto si unì a noi anche Nico, e devo ammettere che rimasi veramente stupita, sembrava trasformarsi e diventare un’altra persona quando stava con il nipote, se avesse avuto dei figli sarebbe stato un padre fantastico.
La serata passò velocemente, la famiglia Zhang ricordava molto la famiglia Jackson a parte che non c’era il caos prodotto dai gemelli a sette anni che avevano appena scoperto le loro capacità; con Lilia che combinava qualsiasi cosa le passasse per la testa con l’acqua e Lucas che si interessava al lavoro della mamma ma sempre nei momenti sbagliati, suscitando la sua ira.
Vedere Hazel che scherzava con Frank mentre preparava la cena, o che parlavano tutti assieme mentre mangiavamo, mi fece male al cuore facendomi tornare la malinconia e la tristezza. Guardai Lucas, la nostra famiglia, al contrario della loro, si stava sfasciando, Lilia all’ospedale, Lucas che preferiva starsene per i fatti suoi e i nostri genitori dispersi da qualche parte negli Inferi, per la prima volta dopo tanto, mi sentì di nuovo sola.
Hazel mise a letto Sammy, e io andai a letto con lui visto che condividevamo la stanza. Hazel si alzò sulle punte e diede un bacio al figlio dopo avergli rimboccato per bene le coperte - Dormi bene piccolo mio - gli fece una carezza su una guancia e poi si chinò verso di me sorridendomi
- Hai bisogno di qualcosa? - mi chiese rimboccando le coperte anche a me
- No, sto bene  - la rassicurai sorridendole a mia volta
- D’accordo, allora buona notte  - mi fece una carezza sulla guancia, dopo di che uscì dalla stanza spegnendo la luce.
Mi sistemai sotto le coperte, anche se non era la mia mamma, il fatto che mi avesse dato la buona notte mi aveva fatto sentire meglio. Chiusi gli occhi e cercai di addormentarmi, ma il caso volle che il mio orecchio percepisse un pezzo di conversazione:
- Allora sta meglio? - era la voce di Hazel che parlava, mi alzai cauta dal letto senza fare rumore in modo da non svegliare Sammy e mi appostai alla porta
- Si, è ancora incosciente ma mi hanno detto che ce la farà  - era Nico e parlavano chiaramente di Lilia, capì che forse mi era stata detta solo una parte di verità.
- E  invece Aibileen? - chiese Frank.
Cosa? E io adesso cosa centravo? Di nuovo a preoccuparsi dell’indifesa mortale?
- Quando era qui è stata bene, ha giocato tutto il pomeriggio con Sammy  - gli rispose Hazel
- Anche sul treno mi è sembrato stesse bene, era solo preoccupata per Lilia ma nient’altro - Nico
- Credo che ormai non dovremo più preoccuparci, infondo era veramente piccola… - Frank
- Dici?  - era di nuovo Hazel, preoccupata
- Si, stai tranquilla Hazel, e comunque adesso è qui  - la rassicurò Nico.
Quel discorso non mi quadrava, ero veramente piccola quando era successo cosa? E perché tutta questa apprensione per la mia salute, quando era stata sempre benissimo?
 A quel punto la discussione finì, si salutarono e Nico se ne andò, io tornai a letto cercando di non pensare a quello che avevo sentito e a quanto mi mancassero i miei genitori, ma fu tutto inutile e mi ritrovai a singhiozzare in silenzio sotto le coperte.
 
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Nico andò via e Hazel si lasciò scappare un sospiro - Tutto bene? - le chiese Frank abbracciandola
- Si, tranquillo- lo rassicurò, lui le sorrise e poi le lasciò un bacio che la fece arrossire. Da quando Hazel aveva rischiato di ritornare negli Inferi, dopo che avevano chiuso le porte della morte, Frank era diventato più apprensivo, erano riusciti a trattenerla per un soffio e dopo era come se fosse morta e riportata in vita un’altra volta. Da quel momento Frank non l’aveva più persa di vista,  aveva rischiato di perderla una volta e adesso non voleva che la cosa accadesse di nuovo, nonostante fossero passati molti anni e non ci fossero segni che Hazel dovesse andarsene da un momento all’altro.
Frank la strinse - Qualcuno non sta ancora dormendo  - le sussurrò vicino all’orecchio in modo che lo potesse sentire solo lei.
Hazel si accigliò, di solito se Sammy non riusciva a dormire non si nascondeva o rimaneva nella sua cameretta, andava subito a cercarli.
- Vado a vedere, tu aspettami  - gli lasciò ancora un bacio e poi andò nella camera del figlio.
Sammy dormiva come al solito aggrovigliato nelle coperte, mentre invece Aibileen si era appena rigirata, Hazel sospirò e le si avvicinò.
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- Tutto bene? -
Mi girai e vidi Hazel che era seduta sul letto e mi sorrideva nella penombra della stanza.
- Si, ora dormo  - la rassicurai
- Non devi preoccuparti per Lilia, sta bene  - mi rassicurò
- Lo so’… davvero Hazel scusa, ora dormo, non voglio che Sammy si svegli  - la rassicurai coprendomi meglio e rintanandomi un po’ sotto la coperta
- Aibileen non ti sto sgridando… Ti mancano i tuoi genitori vero? - mi chiese dolcemente
Annuì, era difficile ammetterlo, non mi piaceva farmi vedere piagnucolosa davanti agli adulti.
Lei mi sorrise e mi accarezzò la testa - Vedrai che si sistemerà tutto, appena Lilia starà bene continuerete l’impresa e li ritroverete  - mi rassicurò - Devi solo crederci  -
Mi sedetti sul letto e ci osservammo un secondo, poi Hazel allargò le braccia e io mi ci fiondai dentro senza pensarci due volte.  
Lei mi strinse e mi accarezzò la nuca facendomi appoggiare sulla sua spalla mentre singhiozzavo piano e in silenzio, l’ansia provata che si scioglieva tutta insieme.
- Va tutto bene adesso  - mi rassicurò scostandomi leggermente per potermi asciugare le lacrime con i pollici - Si sistema sempre tutto alla fine, fidati, te lo dice una che ci è finita una decina di volte nelle brutte situazioni, eppure è ancora qui  - mi ricordò senza smettere di abbracciarmi
- Lo so’… però… la mamma e papà… - i singhiozzi mi bloccarono le parole in gola
- Ne hanno passate tante Aibileen, sopravvivranno anche a questo, e poi voi state andando a salvarli no? - mi ricordò sorridendomi
Io annuì poco convinta - E allora non devi preoccuparti  - mi ridisse stringendomi ancora una volta. Sta volta annuì più convinta, lei mi scostò dolcemente e mi fece una carezza sulla guancia
- Ora cerca di dormire un po’, domattina dovete andare a trovare Lilia  - mi ricordò.
Annuì ancora una volta, le parole sembravano non voler più uscire dalla mia bocca, e mi coricai. Hazel mi rimboccò le coperte, poi raccolse dal pavimento la civetta e me la diede, arrossì ma comunque la strinsi al petto sotto le coperte.  Mi fece ancora una carezza su una guancia sorridendomi, io abbassai lo sguardo - Hazel…  - sussurrai
- Dimmi  - mi rispose dolcemente
- Puoi rimanere qui finché non mi addormento? - le chiesi abbastanza imbarazzata, ma sapevo che se mi avesse lasciata sola adesso, non sarei riuscita a chiudere occhio.
- D’accordo, ma ora chiudi gli occhi  - mi disse sorridendomi.
Obbedì e mi sistemai sotto la coperta, senza che gliel’avessi chiesto incominciò ad accarezzarmi dolcemente la nuca, chiusi gli occhi, inspirai per calmarmi e immaginai che quella mano che mi stava accarezzando dolcemente la testa, fosse quella di mia madre.
 
- Ma quindi è lei la figlia di Percy Jackson? -
- Si, quella più piccola -
Mi rigirai nel letto, le voci non mi avevano svegliata perché ero in una specie di dormiveglia già da un po’, però mi diedero fastidio.
- Non ci assomiglia  -
- Ma perché tu l’hai mai visto Percy Jackson? - questo doveva essere Sammy, ma non riuscivo a riconoscere l’altra voce, anche se mi sembrava abbastanza infantile e femminile.
- Una volta  - gli rispose fiera - e poi c’è in qualche foto che ha la mamma  - spiegò la seconda voce. Mi girai verso di loro ma continuando a far finta di dormire e aprì un occhio, come avevo sospettato uno era Sammy, ma nella penombra non riusciva a distinguere l’altra persona.
La porta si aprì del tutto permettendo alla luce di entrare e riconobbi la figura di Hazel
- Bambini, non disturbate Aibileen, venite forza  - gli disse facendogli cenno di uscire, i bambini obbedirono e uscirono dalla stanza,  e Hazel chiuse la porta dietro di loro.
Aprì gli occhi e mi svegliai completamente, ero riuscita ad addormentarmi dopo una decina di minuti, la presenza di Hazel mi aveva aiutata molto, mi sedetti  sul letto stando attenta a non sbattere la testa sulle doghe del letto di sopra e mi stirai.
Era da un paio di notti che non avevo incubi, anzi non sognavo proprio, cadevo in un sonno profondo e mi risvegliavo la mattina senza quasi accorgermi che la notte fosse passata.
Mi alzai e mi infilai un paio di calze per poi uscire dalla camera, la casa era già in pieno fermento, sentivo Sammy e l’altra bambina che stavano ridendo nella stanza affianco poi Frank mi passò davanti.
- Buon Giorno, Aibileen  - mi salutò sorridendomi
- Buon Giorno…  - gli risposi sorridendogli a mia volta
- Dormito bene? - mi chiese mentre andavamo verso il salotto
- Si,  e tanto a quanto vedo  - notai guardando un orologio che segnava le dieci e mezzo
- Non ti preoccupare, tuo fratello si è svegliato anche lui abbastanza tardi, ma dopo il viaggio che avete fatto vi ci voleva  - mi rassicurò.
- Aibileen ti sei svegliata  - mi disse Hazel vedendoci, io annuì e lei si avvicinò - hai fame? - mi chiese
- Posso saltarla la colazione, è tardi  - la rassicurai, non volevo essere d’impiccio e stravolgergli la giornata.
- Assolutamente no, vieni, non mi costa nulla prepararti qualcosa  - mi disse prendendomi per mano e accompagnandomi in cucina.
- Davvero Hazel… non c’è bisogno  - insistetti
- Cosa ti va? - mi chiese ignorandomi deliberatamente
- Basta una tazza di latte e qualche biscotto ma se non…  -
- Va bene, siediti  -
Sospirai e obbedì, era inutile che provassi ad insistere, come ogni altra mamma, non sopportava che un bambino rimanesse a digiuno.
Mi passai le mani sul viso per schiarirmi le idee e svegliarmi del tutto, ma quando levai le mani mi prese un colpo, davanti a me erano apparsi Sammy e una bambina.
- Ciao Aibileen  - mi salutò Sammy
Io gli sorrisi - Ciao, ti sei svegliato presto sta mattina  - gli feci notare
Lui annuì con vigore - Si perché sapevo che sarebbe venuta a trovarmi lei  - spiegò indicando la bambina, che lo fissò truce
- Ehi! Io ho un nome!  - gli ricordò dandogli un leggero spintone
- D’accordo, scusami  - le disse chinando il capo.
La bambina annuì soddisfatta e poi si girò verso di me sorridendomi - Ciao, io sono Reyna Grace - si presentò sporgendosi sul tavolo e allungandomi la mano.
Io le sorrisi e gliela strinsi - E io sono Aibileen Jackson -
Reyna mi sorrise, assomigliava molto a sua madre, avevano la stessa carnagione e gli stessi capelli color mogano della madre, ma gli occhi erano di un azzurro chiarissimo che non lasciavano dubbi su chi fosse suo padre.
- Davvero sei la figlia di Percy Jackson? - mi chiese guardandomi incuriosita
- Certo  - le risposi sorridendole
- Io te l’avevo detto…  - si schernì Sammy sotto voce sbuffando, Reyna gli lanciò un altro sguardo fulminante, aggettivo azzeccato alla perfezione dato che la piccola Grace non aveva ereditato dal padre solo il colore degli occhi, poi si focalizzò di nuovo su di me sorridendo curiosa e dolce, cambiando repentinamente umore - E sai anche tu controllare l’acqua? - mi richiese
- No, quello lo fa mia sorella Lilia  - le spiegai
- Allora sei intelligentissima come la tua mamma?  - continuò
- No, mio fratello assomiglia ai figli di Atena  - le spiegai ancora
- E allora tu cosa sai fare? - insistette
Aspettai un secondo a rispondere, che cosa sapevo fare? Niente, sono una mortale e non penso che cucinare o studiare siano le cose che intende lei.
- Vedi Reyna io sono un mortale  - le rispose optando per la verità
- Ah… e quindi non sai fare niente? - insistette
- Ecco… io…  -
Hazel mi salvò dalla discussione mettendomi davanti la tazza di latte e un paio di biscotti e rivolgendosi dolcemente ai bambini - Sammy, Reyna, perché non andate a giocare di là ? - gli suggerì cercando di convincerli a lasciarmi in pace
-No, no, stiamo bene qui  - le risposero in coro i due bambini.
Hazel mi sorrise, uno di quei sorrisi alla “mi-dispiace-ci-ho-provato” e poi uscì dalla cucina.
- Quindi sei una mortale, però la mia mamma mi ha detto che vai al Campo mezzosangue  - rincominciò Reyna, non perde un colpo la bambina!
- Si, ma non ci passo l’estate  - le spiegai mentre incominciavo a mangiare
- E l’hai vista la mia mamma? - mi chiese
Annuì - Si, era al Campo quando c’ero anche io  - le spiegai
- E ti ha detto quando torna? - mi chiese l’asciando da parte il tono d’inchiesta e prendendone uno più speranzoso mentre si alzava in ginocchio sulla sedia per avvicinarsi a me e guardarmi meglio. Mi sentì stranamente in colpa, quegli occhi azzurri mi mettevano in soggezione, soprattutto adesso che erano carichi di una speranza che lì ha poco avrei distrutto.
-No, ma tornerà presto vedrai  - la rassicurai
Reyna sbuffò e si risedette sulla sedia poggiando i gomiti sul tavolo e poi il mento sulle mani, imbronciandosi - Uffa, non è giusto però  - si lamentò - La mamma è andata al Campo perché ha litigato con papà per il fratellino e loro credono che io non lo sappia, ma lo so’ perché li ho sentiti litigare, e poi non mi ha voluta portare al Campo  perché mi ha detto che mi sarei annoiata visto che Hope non c’era perché è con la sua mamma e non con il suo papà.  Uffa! Quanto la invidio! Il mio papà non me le sa’ fare le treccine e sono costretta a potare il cerchietto o i capelli sciolti che mi danno fastidio, accidenti!  -
Rimasi ad osservarla mentre raccontava tutto senza riprendere fiato e cercando di capire a sommi capi quello che era successo. Piper e Jason dovevano aver litigato per la gravidanza di Piper, probabilmente il nuovo piccolo Grace non era stato programmato, e allora lei era venuta al Campo mezzosangue per sbollire, ma il caso aveva voluto che fosse successo il disastro con i miei genitori; adesso Reyna ce l’aveva con lei perché non l’aveva portata con se’ usando la scusa che al Campo non vi era Hope, cosa vera, dato che Leo era da solo quando lo avevo visto io, doveva aver lasciato la figlia con la madre, Calipso, quando aveva saputo cos’era successo a noi, in più, a quanto pareva, Jason non sapeva farle le treccine e questo è un fatto grave quando si ha dieci anni.
Mi venne in mente una volta in cui nostra madre era andata via per lavoro e noi eravamo rimasti soli a casa con papà. Io avevo otto anni e i miei fratelli dodici, quella mattina casa nostra era sembrata un manicomio più del solito, io che avevo bisogno di aiuto per finirmi di preparare e i miei fratelli che continuavano a “rubarmi” mio padre per mille motivi.
Alla fine era riuscito a venire da me, ma gli si era presentata una grande sfida davanti, io con in mano due elastici che gli dicevo - Me le fai le trecce? -
Alla fine mi aveva fatto una “treccia aragosta”, come l’aveva chiamata lui per farmela piacere, che consisteva in un'unica treccia che alla fine si diramava in due ( le chele dell’aragosta), non era venuta male e tutte le mie compagne di classe me l’avevano invidiata, ma all’inizio era stato un trauma avere quella invece delle due treccine. Quindi si, ha dieci anni è un dramma non avere qualcuno che ti sa’ fare le treccine, capivo molto bene quello che provava Reyna.
- Ma vedrai che la tua mamma torna presto  - la rassicurò Sammy, la bambina sbuffò ancora una volta e iniziò a giocherellare con una ciocca di capelli.
- Se vuoi posso fartele io le trecce  - suggerì quando ebbi finito di bere il latte
- Quelle sei capace a farle? - mi chiese inclinando leggermente la testa a sinistra
- Si, quelle si  -.
Lavai le cose che avevo usato per la colazione, mi vestii e mi feci una treccia in modo da dimostrare le mie doti a Reyna, non ebbi il tempo di andare a cercarla che me la ritrovai davanti sorridente.
- Ora me le puoi fare le trecce? - mi chiese impaziente
- Certo, andiamo di là però  -
Prima Hazel mi aveva intercettato e mi aveva detto che saremo potuti andare a trovare Lilia tra qualche ora, quindi passare un po’ di tempo con i bambini mi avrebbe tenuta occupata.
Ci sedemmo per terra in salotto, Reyna seduta di fronte a me a gambe incrociate e Sammy che ci guardava con le mani poggiate sul viso, leggermente annoiato.
Iniziai a intrecciarle i capelli mentre lei mi raccontava qualsiasi cosa le passasse per la mente e tutte le cose che aveva fatto con Hope Valdez e le sue amichette di Nuova Roma. Probabilmente la propensione al pettegolezzo e la capacità di riuscire a parlare senza riprendere fiato per un minuto buono l’aveva presa dalla nonna materna. Faceva piacere sentire parlare così spensieratamente quei due bambini.
Dopo circa mezz’ora Nico insieme a mio fratello entrarono nella stanza, Sammy corse subito dallo zio e gli saltò al collo mentre invece io rimasi seduta a terra aspettando notizie.
- Andiamo a trovare Lilia, vieni? - mi chiese Lucas sempre mantenendo un tono distaccato
- Certo arrivo subito  - gli risposi.
Salutammo i bambini e Hazel e poi andammo all’Ospedale dov’era ricoverata nostra sorella.
Come al solito le strade di Nuova Roma erano affollate, le persone chiacchieravano e i bambini correvano per le strade schivando i capannelli di persone che si formavano, ma non ci feci caso. Ero persa nella mia testa, non avevo idea di come avrei trovato Lilia. Poteva benissimo essere guarita come no, potevamo entrare nella sua stanza e trovarla incosciente come entrare e trovarla che saltellava in giro, magari non proprio che saltellava, ma comunque sveglia e carica.
Nessuno di noi tre parlò per tutto il tragitto, Lucas continuava a guardarsi intorno mantenendo quel cipiglio che ormai lo caratterizzava da un paio di giorni, Nico spostava lo sguardo da me a lui cercando di capire cosa ci passasse per la testa.
Quando arrivammo davanti all’ospedale ne rimasi sorpresa, pensavo di trovarmi davanti una struttura antica di quelle la cui architettura piaceva tanto alla mamma, ma invece davanti a me vi era un semplicissimo palazzo bianco di forma squadrata che si integrava con il paesaggio solo perché la facciata principale aveva una riga di colonne che sembravano proteggerne l’entrata.
Quando mi accorsi di essermi fermata e gli altri no, accelerai il passo e mi misi al fianco di Nico che sembrava non essersi accorto della mia assenza temporanea.
Entrammo e mi ritrovai in un comunissimo ospedale, simile a quello dove avevamo portato i gemelli quando si erano rotti un braccio per un attacco di un Echidna chissà cosa mi aspettavo poi, infondo anche se eravamo in una città che si ispirava all’antica Roma, non voleva mica dire che fossero rimasti indietro di secoli anche nelle tecnologie e nella scienza medica.
Nico sapeva già la strada così non ci dovemmo fermare a chiedere informazioni alle infermiere, ci infilammo in un lungo e asettico corridoio  che era disseminato di porte bianche con dei numeri in metallo sopra, per poi fermarci davanti alla porta numero 23.
Nico bussò, e qualche secondo dopo una voce ci rispose da dentro – Avanti –
Era la voce di mia sorella, non poteva essere nessun altro.
Nico aprì la porta e, senza indugiare, entrai con tanto slancio che rischiai di inciampare nei miei piedi e di finire a terra, ma in qualche modo riuscì a rimanere su e a correre da Lilia per abbracciarla – Stai bene! – le dissi stringendola mentre lei faceva lo stesso
- Certo che sto bene! Avevi dei dubbi? – mi chiese ridendo.
La lasciai andare e mi sedetti sul letto di fianco a lei mentre Lucas si avvicinava e la stringeva anche lui sussurrandole qualcosa che però io non riuscì a sentire.
Lilia sorrideva e sembrava stare veramente bene, aveva ripreso il suo solito colorito roseo abbandonando quello cadaverico che la faceva assomigliare a Nico, e sembrava sprizzare energia da tutto il corpo. Non si sarebbe mai potuto dire vedendola così che due giorni prima una chimera era quasi riuscita ad ucciderla, se non fossa stata per la vistosa fasciatura che le cingeva la spalla nel punto in cui il pungiglione del mostro l’aveva trafitta.
- Come ti senti?- le chiese Lucas
- Bene, mi hanno detto che entro domani, massimo dopo domani sono libera di uscire – gli spiegò sorridendogli – E voi come state? – ci chiese anche se non fece nulla per nascondere che la domanda era rivolta principalmente a me.
- Bene, Frank e Hazel ci ospitano – le risposi
Lilia sorrise e sospirò – Uffa, anche io volevo stare dagli Zii!- si lamentò imbronciandosi
- Li vedrai prima di ripartire – la rassicurò Lucas
Ecco un’altra differenza tra me e i miei fratelli ( come se non ce ne fossero già abbastanza), a loro viene naturale chiamare Hazel, Frank, Jason, Piper e Leo zii anche se non siamo imparentati ( beh, a parte con Frank, anche se non ho mai capito bene in che modo ), probabilmente ci riescono perché quando erano piccoli, ed io non ero ancora nata, i nostri genitori si vedevano molto più spesso con loro e in ogni caso d’Estate li vedono al campo, a pensarci bene sarebbe stato strano se non li avessero chiamati così.
Restammo con Lilia finché l’ora del passo non finì e un infermiera ci disse che dovevamo andarcene. La salutammo tutti e tre, io rimasi stretta a lei un po’ di più, era una sensazione troppo bella risentire il suo corpo che emanava calore.
- Ora vai Aibi, ci rivediamo presto – mi rassicurò scostandomi leggermente, io le sorrisi e le strinsi la mano, per poi seguire Nico e mio fratello fuori dalla camera e dall’Ospedale dove trovammo ad aspettarci Jason e Frank.


Ed ecco qui il sesto capitolo, pareri?
Spero davvero di non avervi annoiato e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Anche se Rick ha detto che uno dei sette morirà sicuramente, io non me la sono sentita di uccidere nessuno, e quindi ho preferito far succedere quella cosa ad Hazel piuttosto che eliminarla, anche perchè non si sa' a chi potrebbe toccare.
Comunque, ringrazio tutti quelli che leggono, che seguono e che recensiscono, fatevi sentire, la vostra opinione per me è importante! Non so' quando pubblicherò il settimo capitolo, spero presto :)
Direi che è tutto per ora,
Un abbraccio,
Darkness_Angel

 


 

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Capitolo 7
*** Scopriamo qualcosa, più o meno. ***


Pensavate di esservi liberati di me? Ebbene no, sono tornata nonostante tutto questo tempo :) Vi chiedo scusa per aver pubblicato così in ritardo, ma l'ispirazione manca e il tempo è poco, ma alla fine qualcosa è uscito :D
Non ho niente da anticiparvi su questo capitolo, soltanto che l'Impresa riparte,
quindi, Buona Lettura. :)


Capitolo Sette
Scopriamo qualcosa, più o meno.

 
La giornata passò veloce, Jason e Frank erano passati di lì solo per aspettarci e tornare a casa insieme, visto che Jason doveva andare a riprendere la figlia.
Appena tornati a casa, Hazel era venuta subito a chiederci come stava nostra sorella ma poi era stata interrotta dai bambini che erano arrivati di corsa saltando al collo dei rispettivi padri,  Reyna non aveva salutato nemmeno suo padre, gli aveva lasciato un bacio veloce e poi si era presa le trecce e gliele aveva fatte vedere.
- Devi farti insegnare a farmele fare da Aibi – gli aveva detto imbronciata.
Jason era scoppiato a ridere dicendo che avrebbe colmato le sue lacune e poi aveva stretto a se’ la figlia e l’aveva riempita di baci.
Il resto della giornata l’avevo passato a gironzolare per Nuova Roma con le mie due guide ufficiali di sette e dieci anni ( che è un modo carino per dire che mi affibbiarono i due bambini).
La sera, Reyna e Jason, si fermarono a cena, mentre Hazel cucinava si era messa a parlare con Jason e dai pezzi di discussione che ero riuscita a sentire, lui e Piper non avevano ancora fatto pace.
Il mattino dopo mi svegliai abbastanza presto, Sammy dormiva ancora, così uscì dalla camera a passo felpato per non svegliarlo.
- Ciao Aibi, già in piedi oggi? - mi chiese Hazel passando e sorridendomi
- Si, voglio andare a trovare Lilia il prima possibile - le spiegai seguendola
Lei mi sorrise – Prima però, colazione – mi ricordò facendo finta di ammonirmi, decisi di non replicare e lasciai che mi preparasse la colazione. Mentre mangiavo, Hazel mi disse che Lucas si era alzato molto presto e che era già uscito, anche se non sapeva bene dove fosse andato, poi, mentre parlavamo, Frank con in braccio un ancora assonnatissimo Sammy che si stropicciava gli occhi, entrò in cucina.
Hazel prese in braccio il figlio e gli diede un bacio mentre lui l’abbracciava, Frank mi salutò e poi si sedette di fronte a me, mentre Hazel gli faceva sedere in braccio il figlio per far fare colazione anche a lui. Iniziammo a parlare tutti e tre assieme mentre Sammy ne approfittava per assopirsi di nuovo sul petto del padre.
- Reyna viene tutti i giorni? – chiesi dopo un po’ che parlavamo
- Si, la tengo io insieme a Sammy adesso che non vanno a scuola e Piper non c’è – mi spiegò Hazel
- E quindi d’Estate non lavori? – le chiesi
Lei mi sorrise – Faccio parte della legione, se non ci sono guerre imminenti posso prendermi un po’ di tempo da passare con mio figlio – mi spiegò facendo una carezza al bambino che si tirò di nuovo su facendo finta di non essersi mai riaddormentato e iniziando a mangiucchiare un biscotto – Anche Piper fa così, d’Estate chiude lo studio e la passa con la bambina, anche se spesso la porta al vostro Campo – mi continuò a spiegare
- Qualche volta potreste venire anche voi, sono sicura che Sammy si divertirebbe, e poi ci sarebbero anche Reyna e Hope – le ricordai
- Ci abbiamo pensato qualche volta – ammise Frank – Ma io non posso allontanarmi per molto – spiegò un po’ deluso.
Annuì, le poche volte che era capitato di andare a prendere i gemelli al Campo e Piper era ancora lì, sia da sola, che con la piccola, Jason non c’era mai.
Il tempo di finire di chiacchierare e di cambiarmi che arrivarono Jason e Reyna, la bambina andò subito a cercare Sammy, mentre invece il padre aspettò Frank e poi andarono via insieme.
Come il mattino prima dovetti fare le trecce a Reyna ma poi mio fratello ritornò seguito da Nico; il figlio di Ade cercò di nasconderlo appena ci vide, ma notai che stava fissando mia fratello corrucciato e dubbioso. 
Uscimmo di casa e andammo subito all’ospedale, secondo quello che ci aveva detto Lilia il giorno prima avrebbero dovuto dimetterla il giorno dopo, ciò voleva dire che avremo ritardato ancora la partenza.
Non pensiate che non voglia che mia sorella si rimetta del tutto, ma ci sono anche i nostri genitori che sono dispersi da qualche parte, probabilmente negli Inferi,  e, ammettiamolo, non hanno più sedici anni.
Come il giorno prima andammo direttamente in camera di Lilia, e con nostra grande sorpresa la trovammo in piedi che stava prendendo una maglia dal suo zaino che le aveva riportato Lucas lo scorso pomeriggio – Lili… che stai facendo? – le chiese mio fratello mettendosi al suo fianco.
Lei gli sorrise col suo solito sorriso spavaldo – Me ne vado – ci rispose semplicemente
- Cosa?! E dove? – le chiese mio fratello prendendole una mano e bloccandola
- Dagli Zii, mi hanno dimessa – ci spiegò
Lucas sospirò e le spalle gli caddero – Dirlo prima? – le chiese accigliandosi
- Pensavo ci arrivassi fratellino, sei o non sei un nipote di Atena? – gli ricordò aggiungendo una linguaccia alla fine.
Io e Nico eravamo rimasti sull’uscio e guardavamo i miei fratelli parlare tra di loro come se noi non ci fossimo e si fossero dimenticati completamente della nostra presenza, sensazione a me tutt’altro che estranea.
Quando la discussione iniziò a degenerare e i miei fratelli iniziarono ad insultarsi in greco, Nico intervenne separandoli – Cercate di non assalirvi a vicenda – li ammonì tenendoli lontani uno dall’altra mentre Lucas guardava di sottecchi mia sorella e lei gli rifilava un’altra linguaccia.
Ma sul serio questi due anno sedici anni? Mi ritrovai a pensare.
- Ora, Lilia, hai bisogno di una mano per le tue cose? – le chiese Nico cambiando tono di voce
Mia sorella scosse la testa – Voi potete andare, mi può aiutare Aibi se non ha niente di meglio da fare – disse guardandomi e sorridendo.
Io annuì, Lucas e Nico la salutarono e poi rimanemmo noi due sole. Lilia sospirò e si sedette sul letto chinando il capo, per poi rivolgermi un sorriso stanco – Mi daresti una mano a mettermi la maglia? – mi chiese.
- Certo – presi una maglia che era appoggiata sulla borsa e le diedi una mano ad infilarla, quando alzò il braccio ferito sul viso le si disegnò una smorfia di dolore ed emise un basso gemito.
- Non volevi farlo sapere a Lucas? – le chiesi riferendomi al dolore alla spalla, probabilmente non aveva più veleno in corpo, ma una ferita del genere alla spalla non può guarire completamente in due soli giorni.
- Si – mi disse con voce rotta – Di te mi fido Aibi, Lucas si preoccupa troppo – mi spiegò mentre si sistemava la maglia.
- E’ perché siete gemelli – le dissi – Siete molto uniti -  le ricordai mentre le chiudevo lo zaino.
Mia sorella scoppiò a ridere – Eh si, ci siamo conosciuti sedici anni fa nel ventre di nostra madre e non ci siamo più lasciati – scherzò, mi unì a lei a ridere, poi le presi lo zaino e uscimmo dall’Ospedale.
Eravamo solo noi due, probabilmente gli altri ci stavano aspettando a casa, Lilia si guardava in giro sorridente guardando i palazzi e i negozi – Mamma e Papà avevano pensato di trasferirsi qui – mi disse all’improvviso. Mi bloccai e la guardai meravigliata – Quando? – le chiesi incredula
- Quando noi scoprimmo le nostre capacità, avevano paura che cinque semidei potessero attirare troppa attenzione, ma poi… -
- Ma poi io mi rivelai una mortale – conclusi al suo posto riprendendo a camminare, Lilia mi poggiò una mano su una spalla – Non fu colpa tua Aibi, neanche la mamma non volle, aveva paura che prendessero di mira lei e Lucas essendo figli di Atena – mi spiegò per rassicurarmi
- Non devi darmi spiegazioni – la rassicurai sorridendole.
Mentre camminavamo, e Lilia mi raccontava com’erano andate le cose quando mamma e papà avevano deciso di non trasferirsi, iniziai a pensare come sarebbe potuta essere la mia vita se fossi cresciuta lì a Nuova Roma e non a Manhattan.
 
Appena Hazel vide Lilia l’abbracciò per un minuto buono, dicendole che le aveva fatto prendere un colpo e che era contentissima di rivederla in piedi.
Quando Hazel  fu sicura che Lilia stesse veramente bene e che i dottori non avessero fatto una sciocchezza a dimetterla, ci riunimmo in salotto per parlare dell’impresa.
- Quando pensavate di partire? – ci chiese la figlia di Plutone dopo essersi seduta sul divano
- Per me va bene anche domani – rispose subito Lilia senza darci il tempo di replicare, in quei momenti la sua iperattività prendeva il sopravvento.
- Lilia ti hanno dimesso neanche un ora fa – le ricordò Lucas
- E avrò il tempo di recuperare sino a domattina,  mi basta solo ancora un po’ di ambrosia – lo rassicurò
- E la spalla come va? – le chiese Nico
Mia sorella la mosse e riuscì a nascondere molto bene una smorfia di dolore, la invidiai per come riusciva a nascondere il dolore così facilmente – E’ un po’ acciaccata, ma la riesco a muovere bene – continuò rassicurando tutti i presenti.
Il silenziò calò nella stanza, Nico e Hazel si lanciavano occhiate esplicite, sembrava che si stessero parlando solo guardandosi negli occhi, iniziai a guardare i miei fratelli, Lucas aveva di nuovo l’aria corrucciata e Lilia si era appoggiata con la schiena allo schienale del divano e aveva incrociato le mani sul grembo e aspettava paziente, probabilmente stava cercando di calmare il dolore alla spalla – D’accordo, allora partiremo domattina – concluse Nico sorridendoci
– Ma Lilia… - cercò di replicare Lucas
- Vi accompagnerò io sino a Los Angeles, così non dovrete fare un lungo viaggio – aggiunse Hazel
- E come farai con Sammy? – mi venne da chiedere senza riflettere, dannata la mia lingua!
Hazel mi sorrise – Si tratta solo di un giorno, può occuparsi Frank di lui – mi rassicurò.
E così fu deciso, il giorno dopo avremo ripreso la nostra Impresa.
Quella sera io e Lilia condividemmo il letto sotto a quelli di Sammy, mia sorella aveva passato tutta le sera a fargli vedere qualche piccolo trucchetto che sapeva fare con l’acqua, quasi quasi ci rimasi male, all’improvviso non ero più così interessante.
Io e Lilia ci stringemmo nel lettino, Hazel diede la buona notte a Sammy e poi la diede a noi due
- Siete a posto? – ci chiese sorridendoci, annuimmo tutte e due, poi Hazel diede ancora un bacio al figlio e andò via socchiudendo la porta.
Mi girai su un fianco e strinsi il mio peluche – Aibi – sussurrò Lilia
- Dimmi – le risposi sussurrando anche io
- Grazie – e detto questo mi abbracciò.
Non mi scostai, ci addormentammo una stretta all’altra rassicurandoci a vicenda senza dirci una parola.
 
Il mattino dopo ci svegliammo presto, fu Hazel a venire a svegliare noi e Sammy, visto che quando la sera prima aveva saputo che saremo partiti aveva insistito per poterci salutare.
Dovetti aiutare Lilia a prepararsi, non voleva sforzare troppo la spalla adesso che non ne aveva veramente bisogno.
Ci riunimmo tutti in sala dopo circa un ora, con gli zaini già in spalla e una veloce colazione che ci riempiva lo stomaco – Avete preso tutto? – ci chiese Nico guardandoci uno per uno. Noi annuimmo tutti e tre insieme, sembrava che stessimo per uscire di casa per andare a scuola.
- Perfetto, allora andiamo – Hazel salutò Sammy, si strinsero a vicenda e lei gli lasciò un bacio sulla fronte, quando lo rimise a terra il bambino le si mise al fianco continuando a stringerle la vita.
I miei fratelli e Nico uscirono per primi, io uscì per ultima e riuscì a vedere Hazel e Frank che si salutavano, lui la strinse e le sussurrò qualcosa, probabilmente avvertimenti, lei annuì e poi si scambiarono un lungo bacio, che io evitai di guardare abbassando lo sguardo, a quel punto Hazel si scostò e sorrise – Torno presto – promise ad entrambi accarezzando la testa del figlioletto.
Aspettammo Hazel sull’uscio e poi ci incamminammo verso la collinetta dove avevamo parcheggiato la macchina due giorni prima.
Nico e Hazel discuteva su chi dovesse guidare, alla fine decisero che Nico avrebbe guidato all’andata e Hazel al ritorno, così lei sarebbe potuta ritornare a casa il prima possibile anche se in tarda serata. Mi accigliai – Ma quanto c’è da qui a Los Angeles? – mi venne spontaneo chiedere
- Circa sei ore di macchina se non troviamo coda – mi spiegò Hazel mentre superavamo la staccionata-confine e Nuova Roma scompariva alle nostre spalle.
Mi bloccai, sei ore di macchina se non trovavamo coda?! Forzai le mie gambe e salì in auto sedendomi di fianco a Lilia, mi accasciai sul sedile e mi preparai emotivamente.
Passate le prime tre ore di viaggio esaurii le cose da fare, lessi, ascoltai la musica e mi assopì, ma quelle sei ore sembravano non voler passare. Nico e Hazel parlavano tra di loro, Lucas come al solito si era isolato con la sua musica e Lilia si era addormentata, ogni tanto quando si muoveva la sua espressione si scuriva, probabilmente era la spalla che le faceva male, ma non dissi nulla.
All’improvviso, mentre guardavo fuori dal finestrino tanto per fare qualcosa, vidi la mia salvezza, un cartello blu dell’autostrada con scritto “ Benvenuti a West Hollywood!”
- Siamo arrivati? – chiesi forse con un po’ troppa enfasi
- Si, non manca ancora molto agli studi R.I.P. – mi rispose Nico
Neanche mezz’ora dopo, Nico stava posteggiando davanti agli studi di registrazione. Gli studi di registrazione sembravano dei normalissimi studi cinematografici di quelli che si vedono nei film se solo non fossero stati completamente fatti di marmo nero e la scritta “ STUDI DI REGISTRAZIONE R.I.P”  fosse scritta a chiare lettere d’orate. Sotta di essa vi erano delle porte a vetro con delle altre scritte che però non riuscivo a leggere dal marciapiede – Wow – disse mia sorella mettendosi al mio fianco e guardando insieme a me la scritta e il palazzo – Già lo stavo pensando anche io – ammisi.
- Allora io riparto, voglio tornare il prima possibile a casa – ci disse Hazel chiudendo il bagagliaio
- Certo, allora ci vediamo presto sorellina – Nico e Hazel si abbracciarono
- Salutami papà, solo se è di buon umore però –
Salutammo anche noi Hazel e poi quando fu ripartita entrammo negli studi.  L’atrio era pieno di gente qualcuno ero seduto, qualcuno era in piedi, qualcun altro fissava qualcosa fuori dalla finestra. L’arredamento era abbastanza classico, poltroncine di pelle nera, qualche pianta sparsa in giro che faceva capolino dagli angoli o dai divanetti e una musichetta di sottofondo che non si capiva bene da dove provenisse. Guardai le persone che ci circondavano, mamma e papà ci avevano raccontato molte volte di quando loro erano venuti qui a dodici anni, e papà ci aveva spiegato che quelle erano anime. Istintivamente presi la mano a mia sorella e gliela strinsi, l’idea che le persone che mi circondavano fossero morte e aspettassero di raggiungere gli Inferi mi faceva venire i brividi.
Ci avvicinammo al bancone della reception e dalla descrizione di papà riconobbi subito Caronte, chissà se alla fine Ade glielo aveva dato l’aumento. Appena Caronte riconobbe Nico gli si disegnò un sorriso, più gelido di quello che aveva prima, sul viso – Ma guarda chi c’è, come mai oggi passiamo dalla porta principale signorino Di Angelo? – chiese Caronte
- Devo accompagnare questi tre ragazzi da mio padre – gli rispose frettolosamente
- Non sono morti – notò Caronte spostando l’attenzione da Nico a noi
- Esatto – concordò Nico guardandoci
- Io ci sono andata vicina – mi sussurrò Lilia in un orecchio scherzando per allentare la tensione, io mi lasciai sfuggire una piccola risata.
- Sono due semidei e… una mortale? Sul serio volete portare una mortale negli Inferi? Non dovete tenere molto a lei – commentò guardandomi quasi con compassione.
Deglutì e lanciai uno sguardo preoccupato a Nico, mi era passata all’improvviso la voglia di ridere, lui scosse il capo rimandando il discorso a dopo.
- Me ne occuperò io di lei, tu limitati a fare il tuo lavoro – lo rimbeccò Nico.
Caronte emise una specie di grugnito e poi indurì lo sguardo – Non faccio favoritismi – disse all’improvviso – Lo so’ – Nico tirò fuori dalla tasca dei pantaloni tre dracme e le poggiò sul bancone, Caronte le afferrò  e tornò a sorriderci – Molto bene, venite stavo giusto per andare -.
Seguimmo Caronte sino all’ascensore che era ormai quasi pieno, prima di salire Nico mi si mise di fianco – Mi raccomando, non lasciare mai andare la mano di tua sorella e resta vicino a me – mi raccomandò. Annuì, le parole del traghettatore non mi avevano rassicurata per nulla.
Salimmo nell’ascensore e io mi misi tra Nico e Lilia stringendole la mano come se fosse la mia unica ancora al mondo dei vivi. Le porte si chiusero davanti a noi e iniziammo a scendere, intorno a noi le anime sembravano come pietrificate, ad un certo punto l’ascensore ebbe un sussulto e iniziammo ad andare in orizzontale, davanti ai miei occhi l’ascensore mutò e diventò una via di mezzo tra una barca e una chiatta mentre Caronte, dall’uomo di colore corpulento e con il completo di seta, divenne uno scheletro con indosso una lunga tunica nera. Iniziai a fissarlo, lui mi guardò e il suo teschio mi sorrise, abbassai velocemente lo sguardo sullo Stige che era pieno di cose, bambole, diplomi, una culla e qualsiasi cosa si potesse pensare. Chiusi gli occhi e mi strinsi a Lilia, qualcosa mi diceva che se avessi continuato a guardare Caronte o il fiume la mia anima si sarebbe aggiunta a quelle tremolanti e trasparenti vicino a noi – Pensa ai tuoi genitori, ricordati che vuoi stare con loro – mi sussurrò Nico come se capisse che c’era qualcosa che non andava. Annuì, strinsi ancora di più gli occhi e sentì Lilia abbracciarmi, a quel punto nascosi la faccia contro il suo fianco, non mi importava di quanto potessi sembrare patetica, volevo solo scendere e tenermi stretta la mia vita, così seguì il consiglio di Nico e, mentre avanzavamo sul fiume, mi concentrai sul pensiero dei miei genitori che mi sorridevano.
Probabilmente passarono solo pochi minuti, ma a me sembrarono passare ore, quando finalmente sentì la barca fermarsi e attraccare sull’altra riva. Sentì dei fruscii leggeri intorno a me e come se degli spifferi di aria gelata mi si fossero infilati nel collo – Puoi aprire gli occhi ora Aibi – mi rassicurò Lilia accarezzandomi la testa. Le obbedì ma lo feci lentamente, davanti a me vi erano i nostri compagni di attraversata che ci superavano e si incamminavano sulla sponda di sabbia nera.
Nico e Lucas scesero per primi, poi toccò a me, scesi dalla barca traballante e quasi rischiai di cadere nell’acqua, ma per fortuna Nico mi afferrò per un braccio e mi tirò al sicuro sulla riva.
Quando fummo tutti a terra, ci incamminammo verso l’ingresso degli Inferi.
L’ingresso degli Inferi sembrava veramente l’area Check-in di un aeroporto, quando mamma e papà me lo avevano raccontato ( si ho avuto un infanzia bellissima, come favola della buona notte mi raccontavano il loro viaggio negli Inferi e papà era sempre scrupoloso nei dettagli ) non ci avevo voluto credere, gli Inferi non potevano assomigliare a un aeroporto o ad un casello autostradale, nella mia immaginazione gli Inferi dovevano essere tetri, pieni di fiamme, grida, dannati, demoni e tutto quello che si può vedere in una casa dei fantasmi al Luna Park.  Ma ora dovevo ricredermi, era veramente tetro e i demoni c’erano, ma erano dietro dei caselli e controllavano le anime.
Noi saltammo tranquillamente la fila, alcuni demoni ci guardarono, fissando soprattutto me, ma non fecero nulla, da parte mia io cercai di non guardarli, ma ero veramente incuriosita da quello che stava succedendo alle anime che passavano per le tre strade, due “OPERATORE DI SERVIZIO” e una “MORTE FACILE”. Mi ritrovai a pensare cosa avrei scelto io, probabilmente “MORTE FACILE” se avessi scelto di essere giudicata probabilmente mi avrebbero spedito nei campi della pena, dato che ero riuscita a far catturare i miei genitori dal Minotauro e a far quasi uccidere mia sorella da una chimera in meno di una settimana.
Ad un certo punto quattro forti latrati  mi distolsero dai miei pensieri e mi girai nella loro direzione.
Davanti a noi vi erano Cerbero e la Signora O’Leary che ci facevano le feste scodinzolando  e abbaiando ogni tanto come se fossero pronti per giocare – Salve Signora O’Leary – la salutarono i miei fratelli avvicinandosi e accarezzandole il muso mentre lei continuava a scodinzolare contenta. Nico invece stava accarezzando i tre musi di Cerbero che si era accovacciato per terra costringendo le anime ad aggirarlo e a schivare la sua coda che spazzava il terreno.
Io rimasi un po’ da parte, a Cerbero mi ci sarei avvicinata solo da morta e la Signora O’Leary era da quasi quattro anni che non la vedevo, avevo la seria paura che, non riconoscendomi, mi ingoiasse tutta in una volta – Vieni Aibi – mi disse Lilia facendo cenno di avvicinarmi. Io scossi il capo, non mi andava proprio di diventare uno spuntino per cani. Lei sospirò, grattò sotto il muso la signora O’Leary e poi le sussurrò qualcosa, a quel punto il nostro cane si alzò e mi si avvicinò sbavando.
- Lili… - le dissi terrorizzata spostando lo sguardo da mia sorella al segugio infernale
Per tutta risposta Lilia scoppiò a ridere, la maledì nella mia testa – Stai tranquilla, non ti farà del male -. Non capì se lo stesse dicendo a me o alla signora O’Leary, ma alla fine il nostro cane iniziò ad annusarmi, mi sembrava di essere sotto un getto di aria fredda. La guardai, non faceva poi così tanta paura, le sorrisi e allungai una mano e lei strofinò il suo muso contro la mia mano
- Visto non è pericolosa – mi rassicurò mia sorella mentre entrambe la accarezzavamo, io mi limitai a sorriderle.
- Mi dispiace interrompervi, ma dobbiamo andare, a nessuno di voi tre fa bene rimanere qui sotto per troppo tempo – ricordò Nico.
Ci rimettemmo in cammino, Cerbero guaì deluso, la Signora O’Leary abbaiò rispondendogli, molto probabilmente, che ci avrebbe accompagnato e poi sarebbe ritornata a giocare con lui.
Saltammo tutti i Metal-Detector ( insomma, eravamo accompagnati da Nico di Angelo!) e attraversammo le Praterie degli Asfodeli. Le anime ci ignorarono, mi chiesi se lì in mezzo ci fosse qualcuno che conoscevamo, ma da quanto mi ricordavo nessuno era morto nel periodo in cui io ero in vita, e tutti i vecchi amici di mamma e papà che non c’erano più erano nei campi Elisi oppure erano rinati.
Con Nico come guida riuscimmo a superare velocemente le Praterie degli Asfodeli senza perderci tra le anime, la Signora O’Leary che ci trotterellava dietro contenta. Il palazzo di Ade apparve all’improvviso, era un palazzo enorme fatto completamente di ossidiana nera, mentre le porte erano due pezzi squadrati di bronzo con incise sopra scene di varie morti, sia moderne ( Bombe atomiche con tanto di funghi tossici) sia antiche ( Roghi ed impiccagioni). Non c’è bisogno che vi dica che non lasciai nemmeno per un secondo la mano di mia sorella, l’idea di perdermi in quel palazzo dove ad ogni porta a fare la guardia c’era un soldato-scheletro di diversa epoca storica non mi piaceva molto.
Passato l’ingresso ci ritrovammo nel giardino di Persefone, i miei fratelli e Nico continuavano a camminare spediti, ma io rimasi leggermente indietro osservando quel posto incredibile. Tutto sembrava luccicare, anche la frutta che emetteva quel profumo classico dei frutti maturi pronti per essere raccolti che ti fanno venire l’acquolina in bocca a sol vederli. Sapevo però che se qualcuno assaggiava anche solo un pezzo o un seme di quei melograni, così rossi che sembravano rubini, sarebbe stato costretto a rimanere negli inferi per sempre.
A completare l’opera botanica, invece dei fiori, vi era qualunque tipo di pietra preziosa uno potesse immaginare, mi venne da pensare che magari era stata Hazel a farli emergere.
- Aibi non ti incantare – mi ammonì mia sorella tirandomi leggermente la mano come se fossi ancora una bambina di cinque anni. Da parte mia non replicai, chinai il capo e la raggiunsi sentendomi in colpa e assomigliando in tutto e per tutto ad una bambina di cinque anni.
- C’è sempre tutta questa calma qui? – chiese Lucas guardandosi intorno mentre superavamo il giardino ed entravamo nel palazzo principale
- Quando non ci sono Persefone e sua madre si – gli rispose Nico tra il sollevato e lo sconfortato.
Era Estate, di conseguenza Persefone doveva essere con sua madre, Demetra, sulla terra.
- Mamma e Papà ci dicevano che le Furie volavano intorno al bancone del palazzo quando vennero loro, adesso dove sono? – chiese mia sorella scrutando il soffitto scuro della caverna visto che il palazzo era sprovvisto di un tetto
- Mio padre le avrà mandate da qualche parte a controllare i morti, anche se è strano che tutte e tre… -
E all’improvviso apparvero, come se Nico le avesse chiamate. Mi strinsi a mia sorella che si irrigidì pronta a combattere, Lucas ci si avvicinò anche lui pronto all’azione.
Ma le tre ci superarono rifilandoci solo un sibilo e un ringhio per poi entrare in quella che si rivelò la sala del trono di Ade.
Ci rimanemmo tutti un po’ di stucco, da quando le Furie erano così gentili?
Guardai Nico, vidi le sue spalle crollare e un lungo respiro gli uscì dalle labbra, doveva esserci qualcosa che non andava – Nico… tutto bene? – provai a chiedere
- Certo, certo, venite – ci disse sospirando e facendoci cenno di seguirlo nella stanza dov’erano appena entrate le Furie.
- Sicuro che vada tutto bene? – riprovò mia sorella avvicinandosi al figlio di Ade e tirandomi dietro con lei.
- Si, anche se non so’ se è la giornata giusta per parlare con mio padre – ci spiegò
- E perché? – gli chiedemmo io e Lilia
- Lo vedrete – commentò soltanto
Lilia e Lucas si scambiarono sguardi interrogatori e alzarono le spalle a vicenda, comprendendosi senza dire una parola come facevano da quando erano nati, e poi vi stupite se mi sentivo esclusa quando provavamo a giocare insieme da piccoli.
Nico bussò al portone e le porte si aprirono da sole, come spinte dal vento, le cose si facevano sempre più inquietanti, mi aspettavo di vedere Ade nella sua forma divina, alto tre metri con addosso la tunica di seta nera fatta con le anime dei morti seduto sul trono di ossa fuse, ma invece ci si rivelò un’altra scena, sotto certi aspetti, ancora più inquietante di quella che mi immaginavo.
Al centro della sala c’erano i due troni, quello di ossa fuse di Ade e quello a forma di fiore nero bordato d’oro di Persefone, ma i due non vi erano seduti sopra.
 - Non puoi fare così! –
Ci girammo tutti e tre verso la voce che aveva gridato. Era stata Demetra (Che cosa ci faceva lì?) che stava inveendo contro sua figlia. Persefone sbuffò e incrociò le braccia sul petto e inchiodò lo sguardo su sua madre sfidandola, Demetra divenne sempre più furiosa, strinse le i pugni e la braccia lungo i fianchi e il suo abito prese a cambiare colore molto più repentinamente rispetto a prima, a quel punto intervenne Ade
- Per favore, calmatevi tutte e due – disse cercando di riappacificare madre e figlia.
Ad essere sincera mi accorsi di Ade solo in quel momento. Il signore degli Inferi era nella sua versione umana, era un uomo di mezza età, con i capelli neri pettinati all’indietro e vestito con un completo nero di alta sartoria. Peccato, mi sarebbe piaciuto vedere la tunica.
Persefone era sdraiata su una specie di divano  e sembrava starci molto comoda, visto che non aveva intenzione di alzarsi, il vestito che indossava le ricadeva addosso delicatamente sino a toccare il pavimento mentre fioriva.
Ve lo giuro, dal suo abito nascevano di continuo campanelle, margherite e altri fiori molto colorati, che però non conoscevo, si alternavano creando varie sfumature di colore.
Demetra fissò la figlia e sembrò ritrovare un po’ di calma – Tesoro, non puoi rimanere ancora qui – continuò addolcendo il tono di voce – devi venie con me e aiutarmi a portare l’Estate – le ricordò
- Vai avanti tu mamma, io adesso non ne ho voglia – le rispose la figlia
Ci volle tutta la mia buona volontà per non scoppiare a ridere, era una scena che non avrei mai creduto di poter vedere, sul serio una Dea poteva rifiutarsi di fare la Dea?
Nico però decise di mettere fine allo spettacolino di famiglia e si schiarì la voce – Ehm… papà?-
Ade si girò verso di noi e per un secondo parve sorpreso dalla nostra presenza, ma forse fu solo un impressione perché divenne subito mortalmente serio.
- Nico, cosa ci fai qui? – gli chiese accigliandosi
- Avremo bisogno di parlarti – gli spiegò – ma se è un brutto momento… -
- Se è per noi fai pure Nico, tanto il discorso è finito – disse Persefone alzandosi in piedi e sistemandosi le pieghe immaginarie del suo vestito
- No che non è finito, non puoi sottrarti così hai tuoi compiti – le ricordò Demetra seguendola.
Persefone sospirò e si avviò verso il giardino, le tre Furie le andarono dietro come  se fossero le sue ancelle e Demetra le si mise al fianco continuando a farle la paternale, dicendole che era il momento che uscisse un po’ dagli Inferi perché iniziava a diventare pallida, poi però non le sentimmo più perché le porte si chiusero dietro il gruppetto lasciandoci da soli, in un silenzio imbarazzato, nella sala del trono insieme ad Ade.
Nico si girò verso il padre e si accigliò – Di nuovo? – gli chiese
- Purtroppo… - gli rispose lasciandosi sfuggire un sospiro per poi tornare subito serio – comunque, hai detto che volevi parlarmi? – gli chiese mentre andava a sedersi sul suo trono, sperai ardentemente che non gli venisse la bellissima idea di tornare alla sua forma divina ora.
- Non proprio io… a dire il vero i diretti interessati sono loro – e Ade spostò lo sguardo su di noi.
Sorridemmo e trasformammo le nostre facce nelle più angeliche e innocenti possibili.
- Non siete i nipoti di Atena e Poseidone? – ci chiese
- Esattamente, siamo i figli di Percy Jackson e Annabeth Chase – ci presentò Lilia
Ade divenne ancora più serio, forse non era stata una buona idea nominare i nomi dei nostri genitori, soprattutto quello di papà.
- Ebbene, allora cosa dovete chiedermi? Deve essere una cosa davvero importante se vi siete scomodati a venire sin quaggiù. – ci disse incrociando lentamente le dita tra di loro e continuando a fissarci da sopra di esse.
- Ecco… qualche giorno fa i nostri genitori sono stati “uccisi” dal Minotauro, com’era successo con nostra nonna, non è che li ha lei? – chiese Lilia
Era la più spigliata di tutti anche se non faceva dei discorsi elaborati come Lucas riusciva a farsi capire e soprattutto a farsi ascoltare.
Ade ci guardò incredulo – Per quale assurda ragione avrei dovuto rapire i vostri genitori? – ci chiese – E poi in questi giorni io non ci sono stato, ero sulla terra per un dei miei giri annuali – ci spiegò
Sentimmo il mondo crollarci addosso, i nostri genitori non erano negli Inferi.
Non avevamo mai preso in considerazione l’idea che non fossero lì, non ci era mai passato nemmeno per la testa, era tutto troppo ovvio!
Sentì gli occhi bruciarmi per colpa delle lacrime che tornavano a salire, ma le tenni nascoste e le cacciai indietro. Se i nostri genitori non li aveva Ade, allora probabilmente erano si negli Inferi, ma in coda per la fila “OPERATORE DI SERVIZIO” in attesa di essere mandati nell’Elisio.
Nico ci guardò, tutti e tre trattenevamo le lacrime a stento, le nostre facce erano lunghe e grigie.
- Sei sicuro papà di non averli visti? – chiese Nico
- Si, mi avrebbero avvertito se due come loro fossero finiti nel mio Regno -  spiegò
- Quindi… vuole dire che i nostri genitori non sono morti? – gli chiesi titubante
- Non mi hai sentito? Non sono nel mio Regno – ripeté scocciato.
Io e i miei fratelli ci guardammo, non erano nel suo regno, ciò voleva dire che erano ancora vivi!
All’improvviso io e Lilia ci saltammo addosso e iniziammo ad abbracciarci e a saltellare come due stupide mentre Lucas e Nico sorridevano e Ade ci guardava come se fossimo delle pazze.
- Però… mi permetta ancora una domanda… - azzardò Lucas
- Che sia l’ultima però – gli intimò Ade
- Lei dice che i nostri genitori non sono qui però… sono quasi morti ed è solo una sua caratteristica quella specie di sparizione, quindi… è sicuro che non sappia dove siano? – chiese
Ade sembrò alterarsi leggermente e si mise a sedere meglio sul suo trono drizzando la schiena e sporgendosi in avanti artigliando con le dita affusolate i braccioli del trono, per poi puntare i suoi occhi su di noi – Mi sembra di avervi già detto un paio di volte che non lo so’ e soprattutto che non c’ero. Se volete informazioni più certe andate a chiedere a Thanatos – gli rispose scandendo le parole.
Impallidimmo tutti e quattro - Thanatos il dio della morte che sorvegliava le porte della morte che si trovano o nel Tartaro o in Grecia?!? – chiese Lilia incredula
- Lui, almeno che tu non conosca un altro Thanatos – le rispose il Dio degli Inferi deridendola.
- E noi come cavolo facciamo a raggiungere le porte della Morte? – chiese Lilia
- Non è un problema mio, e ora andatevene, mi avete già rubato abbastanza tempo –
Lilia stava per replicare di nuovo e non con parole molto gentili, ma Nico la precedette fermandola prima che scatenasse l’ira del Dio – Grazie mille per averci aiutato papà, ora è meglio se andiamo –
Si girò verso mia sorella e la fulminò con lo sguardo e poi guardò anche noi facendoci capire che era il momento di girare i tacchi e uscire.
Obbedimmo, salutammo il Dio e ci incamminammo verso l’uscita, Nico si fermò ancora un secondo e si rivolse al padre – Ah Papà, ti saluta Hazel –
Ade ebbe un memento di smarrimento come se non sapesse chi fosse Hazel, come se non si ricordasse che era sua figlia. La sua figura tremolò per un istante e poi l’ombra di un sorriso gli apparve sul volto – Se la rivedi, salutamela –
Dopo di che uscimmo e andammo a sederci fuori dal palazzo, nell’unico punto delle Praterie in cui le anime non arrivavano. La Signora O’Leary abbaiò e scodinzolò, felice di vederci  ritornare tutti e tre vivi, io e Lilia ci mettemmo di fianco a lei e le accarezzammo la testa.
-Ripeto la domanda a te adesso.  – incominciò Lilia - Come cavolo facciamo a raggiungere Thanatos? – concluse rivolgendosi a Nico.
Il figlio di Ade si passò una mano nei capelli scompigliandoseli e poi ci guardò a  tutti e tre
- Potremmo arrivare dal lato delle Porte della Morte che da sul Tartaro… Se ci portasse la Signora O’Leary non correremmo rischi – spiegò
Il nostro cane a sol sentir pronunciare la parola “ Tartaro” guaì e si coprì il muso con le zampe davanti – Non credo ne abbia molta voglia – feci notare mentre le accarezzavo un orecchia
- E’ il modo più rapido, e parlare con Thanatos è l’unica opzione che avete se volete ritrovare i vostri genitori – ci ricordò Nico.
Era davvero dispiaciuto, neanche a lui piaceva quell’opzione ma non avevamo alternativa, e io non avevo intenzione di abbandonare le ricerche solo perché dovevamo attraversare un abisso pieno di mostri che al 110% per me si sarebbero rivelati ancora più micidiali di quanto non fossero già.
E poi, anche Nico, mamma e papà lo avevano attraversato e adesso stavano bene; certo, la mamma ogni tanto ha ancora gli incubi la notte, ma non le capita più di svegliarsi di soprassalto nel sonno gridando, come faceva quando ero piccola.
Aggirai mia sorella e mi inginocchiai di fronte alla Signora O’Leary, le sollevi una zampa dal muso (Impresa abbastanza ardua visto la grandezza di una sua zampa) e le sorrisi guardandola nei suoi immensi occhi neri – Signora O’Leary puoi portarci fino alle porte della morte, per favore? Il tuo aiuto sarebbe importantissimo, perché prima ritroviamo mamma e papà, prima possiamo giocare tutti e cinque insieme, e poi io so’ che sei una cagnolona coraggiosa, vero? – le dissi accarezzandole il muso. Lei mi guardò per un istante scrutandomi, poi all’improvviso la sua lingua rosa guizzò fuori e mi leccò tutta la faccia, non c’è bisogno di dire che non feci in tempo ad allontanarmi.
Mi alzai in piedi e lei mi imitò abbaiando come per dire “ certo che sono coraggiosa!”.
Mi girai verso i miei fratelli e Nico mentre cercavo di ripulirmi dalla bava – Credo di averla convinta… - gli dissi scrollandomi la saliva da una mano.
- Lo credo anche io – ammise Nico avvicinandosi al segugio, poi mi sorrise – Se ci riesci datti una ripulita così poi andiamo – mi consigliò.
Lo fissai come per dirgli “c’ero arrivata pure io”, poi Lilia mi diede una mano a ripulirmi usando una marea di fazzolettini di carta che non ho idea di dove li avessi tirati fuori.
Mi ripulì la faccia ricordandomi il modo in cui lo faceva la mamma – Quando saremo alle porte della morte non allontanarti da noi, tieni sempre la mano a qualcuno, non rimanere mai da sola – sorrideva mentre me lo diceva, ma la sua voce era estremamente seria.
Mi limitai ad annuire, lei mi sorrise, stavolta il sorriso coinvolgeva anche gli occhi, e poi si alzò visto che per pulirmi la faccia si era dovuta inginocchiare.
- Bene, Aibi è pulita, possiamo andare –
Io e mie fratelli salimmo sul dorso della Signora O’Leary, io ero seduta al centro, davanti avevo Lucas che si reggeva per il collare, e dietro Lilia che mi avvolgeva con un braccio il fianco.
Nico ci guardò da terra – Ci vediamo là, io viaggerò nell’ombra così farò prima – ci informò.
Annuimmo, poi lui fece qualche passò e sparì nell’oscurità, Lucas strinse la presa sul collare e poi accarezzò la testa del nostro cane – Andiamo bella – le disse, la Signora O’Leary abbaiò e poi partì di scatto verso le porte della morte.
Mi strinsi a Lucas nascondendo il viso dietro la sua schiena, il vento era fortissimo e avevo paura che mi scaraventasse a terra nonostante Lilia mi tenesse stretta a lei.
Come quando ero sulla barca di Caronte, iniziai a pensare ai miei genitori. A quella volta che avevo trovato la mamma che piangeva per un incubo e l’avevo consolata io visto che papà non c’era, a quella volta che papà mi aveva portato con lui in ufficio e mi ero messa a disegnare mentre lui invece lavorava. Cercai di non dar conto a tutti i rumori che sentivo, alle grida e i versi dei vari mostri che ci circondavano, la Signora O’Leary correva velocissima, non voleva rimanere lì ancora per altro tempo.
All’improvviso si fermò e abbaiò un paio di volte, riaprì gli occhi e davanti a noi vidi Nico
- Tutti bene? – ci chiese anche se in realtà guardava me
- Si, tutto bene – gli rispondemmo.
Smontammo dalla Signora O’Leary che continuava a guardarsi intorno in allerta. Lilia mi prese la mano, poi seguimmo Nico su per un leggero pendio sulla cui sommità vi erano due enormi portoni che sembravano fatti di metallo – Come troveremo Thanatos? – chiese Lucas
- Verrà lui da noi – lo rassicurò.
Nico aveva ragione, appena arrivammo davanti alle porte, sentimmo un vento caldo investirci e davanti a noi apparve il Dio della morte.
Rimasi letteralmente senza fiato, Thanatos era il Dio più bello che avessi mai visto. Non saprei come descrivervelo, aveva un aspetto androgino, ci osservava accigliato e quel cipiglio lo rendeva ancora più bello. Un brivido mi percorse la schiena, non era possibile che la morte fosse così attraente.
Guardai mia sorella che stava fissando il Dio a bocca spalancata, si girò verso di me e ci guardammo entrambe meravigliate e incredule; Thanatos era ancora più bello di Apollo ( Non ditegli che io e mia sorella lo pensiamo, però ).
Thanatos inclinò la testa da un lato e ci osservò, a me e mia sorella cedettero le gambe e lei sospirò
- Voi non siete morti – constatò il Dio
- No… - commentò mia sorella con voce trasognata
Nico la guardò alzando un sopracciglio e poi decise che non era il caso di indagare – Thanatos mio padre ci ha mandato a parlare con lei – incominciò Nico
- E per quale ragione? –
- Vede, volevamo chiederle se per caso non ha visto passare i nostri genitori, Annabeth Chase e Percy Jackson – interloquì Lucas visto che mia sorella stava ancora sbavando dietro al Dio.
Thanatos si fece pensieroso – Ora che ci penso… si, sono passati di qui –
La nostra attenzione si focalizzò su di lui, quello era il primo vero indizio che avevamo dopo la profezia – E… sa’ dove sono andati? Se… magari… erano vivi? – continuò mio fratello.
Thanatos lo guardò, poi si mise a fissare me e mia sorella – Si, erano vivi, anche se incoscienti, ma non so’ se lo saranno ancora, erano insieme a Tisifone – ci spiegò.
Non sapevo se era più inquietante il fatto che i nostri genitori erano tenuti prigionieri dall’Erinna dedita all’omicidio o che il Dio della Morte stesse fissando me e Lilia con insistenza.
- Se volete informazioni sui vostri genitori dovete andare a parlare con lei – ci disse
- Sa’ mica dove possiamo trovarla? – azzardò Lucas
- Ti sembro un ufficio informazioni ragazzo? – gli chiese alterandosi leggermente, Lucas scosse il capo e fece un passo indietro allontanandosi.
- So’ io dove si trovano le Erinni, ora possiamo andare – disse Nico in segno di congedo e facendo un leggero inchino al Dio.
- Solo un secondo – ci fermò.
Rimanemmo tutti e quattro bloccati sul posto, il fatto che la morte ci stesse trattenendo non significava niente di buono – Voi siete Lilia e Aibileen Jackson… - commentò
Ecco l’unica persona che non volevo che sapesse il mio nome e quello di mia sorella, invece sembrava conoscerci molto bene.
- Si… siamo noi – rispose Lilia al posto mio
- Voi due mi siete sfuggite un paio di volte, soprattutto tu Aibileen –
Cosa?! C’era stata un’unica occasione in cui avevo rischiato di morire, la sera in cui i miei genitori erano scomparsi, come potevo essergli sfuggita un paio di volte?
- Ci dispiace, ma le prometto che non le daremo altre false speranze – lo rassicurò mia sorella, poi mi prese per mano, lo salutammo frettolosamente e mi trascinò sino dalla Signora O’Leary che ci stava aspettando irrequieta.
Guardai mia sorella, sorrideva e cercava di celare l’ansia che le aveva provocato parlare con Thanatos, sapevo che mi stavano nascondendo qualcosa, e decisi che ormai ero abbastanza grande e avevo visto abbastanza cose per sapere la verità.


Ed eccolo qui, cosa vi sembra?
Vi avverto subito che lo scenario delle Porte della Morte me lo sono inventato, visto che sto leggendo la Casa di Ade, ma non sono ancora arrivata a quel punto, quindi questo capitolo è Spoiler-Free :)
Come sempre ringrazio chi legge, chi segue, chi recensisce e chi ha messo la storia nelle preferite :) Aspetto con ansia le vostre recensioni, ditemi liberamente cosa pensate della FanFiction, non mordo XD Le critiche, come i complimenti, sono sempre ben accetti.
Detto ciò, spero di riuscire a pubblicare l'ottavo capitolo abbastanza presto anche se sarà leggermente più corto rispetto agli altri.
Non mi resta che salutarvi,
un abbraccio,
Darkness_Angel.

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Capitolo 8
*** Domande + Dubbi = Aibileen confusa ***


Salve a tutti! Mi dispiace per l'attesa ma sono tornata con un nuovo capitolo, anche se è un pochino più corto degli altri e ha un titolo pessimo, ma se c'è una cosa che non so' fare è proprio questa: dare i titoli alle storie :)
Direi che non ho nessun accorgimento da darvi quindi,
Buona lettura, ci si sente in fondo :)


Capitolo Otto
Domande + Dubbi = Aibileen confusa

 

Mentre eravamo di nuovo sulla Signora O’Leary, che ci stava portando all’uscita degli Inferi più vicina dove ci eravamo dati appuntamento con Nico, iniziai a riflettere su tutto quello che avevo sentito e che non mi quadrava.
Prima c’erano state le apprensioni esagerate di Nico sul treno, poi la chiacchierata che avevo sentito tra Hazel, Frank e Nico e adesso Thanatos che diceva che avevo rischiato di morire un po’ di volte e non solo una.
Tutti erano preoccupati per la mia salute, per colpa di qualcosa che mi era accaduta quando ero piccola, ma di cui non avevo alcun ricordo.
Chiusi gli occhi e mi concentrai per riportare alla memoria i ricordi della mia infanzia. I gemelli che mi facevano uno scherzo, mia madre che cucinava canticchiando, la scuola, le vacanze, i miei che litigavano, ma quelle erano tutte cose normali, nessuna di quelle avrebbe potuto uccidermi o portarmi vicino alla morte, a parte forse uno scherzo dei gemelli, ma non erano mai arrivati a tanto.
Ci doveva essere qualcos’altro, qualcosa che mi era successa quando ero davvero molto piccola, probabilmente nei primi anni della mia infanzia, in quel periodo di cui nessuno a ricordi.
Sbuffai, se c’è una cosa che proprio non sopporto è non ricordarmi le cose.
Ad un certo punto la Signora O’Leary imboccò un tunnel e all’improvviso la luce esterna ci ferì gli occhi. Eravamo arrivati in una specie di bosco non molto fitto con l’erba bassa di un verde lucido, aveva qualcosa di familiare.
- Nico? – chiese mia sorella guardandosi intorno
- Sono qui – ci disse il figlio di Ade alzando un braccio per farsi vedere mentre sbadigliava.
Smontammo dalla Signora O’Leary che, dopo averci salutato bene tutti e quattro ( con sbavate incluse) ritornò negli Inferi per mantenere la promessa fatta a Cerbero di tornare a giocare.
Noi quattro ci riunimmo per capire cosa fare adesso, Nico doveva informarci  su dove potevamo trovare le Erinni, ma non sembrava in gran forma, visto che continuava a sbadigliare e a stropicciarsi gli occhi. I viaggi nell’ombra dovevano averlo provato molto.
- Dove siamo? – chiese Lucas per rompere il silenzio.
Nico si guardò intorno cercando di trovare un particolare che lo aiutasse a capire dov’eravamo, ma non riusciva a nascondere la stanchezza, i suoi occhi minacciavano di chiudersi da un momento all’altro.
- Dovremo essere… si, dovremmo essere a New York, a Central Park – Ci rispose
A tutti e tre venne un colpo – Vuoi dire che siamo tornati a casa?! – chiesi incredula capendo perché quel posto mi era così familiare. Ora lo riconoscevo, eravamo a Central Park, a nord del laghetto, nonna Sally ci portava spesso d’inverno a giocare qui.
- Si, siamo tornati indietro. L’uscita che ha usato la Signora O’Leary corrisponde alla Porta di Orfeo- ci spiegò il figlio di Ade
- Ma non dovrebbe aprirsi solo con la musica? – chiese Lilia
- Da fuori – le spiegò.
Sospirai, Nico non era l’unico ad essere stanco – E ora cosa facciamo? – chiesi
- Posso proporre una cosa io? – chiese Lilia alzando la mano come si fa a scuola, noi annuimmo.
- Possiamo dormire a casa sta notte? Il posto c’è e almeno saremo al sicuro, così potremmo parlare con calma… - suggerì
- Io ci sto – si aggregò Lucas
- Pure io – aggiunsi alzando a mia volta la mano
Nico sospirò e si passò di nuovo la mano sul viso – Va bene, probabilmente sarà l’ultima notte che potrete dormire comodi – commentò incamminandosi verso casa nostra.
Uscimmo da Central Park e prendemmo la metropolitana, a quell’ora non vi erano controllori, noi per precauzione ci eravamo portati i nostri abbonamenti mentre Nico riuscì a passare i controlli di straforo e prendemmo il primo treno.
Passammo il viaggio in silenzio, l’idea di tornare a casa mi preoccupava un po’, avevo paura che ritornare mi avrebbe risvegliato brutti ricordi, e sta volta non sarei riuscita a riprendermi. Allo stesso tempo volevo tornare a casa e ravanare un po’ nella sgabuzzino per cercare informazioni su quella cosa che mi era successa da piccola e che, a quanto sembrava, poteva compromettere la mia salute.
Arrivammo a casa che erano le dieci di sera, mia sorella rovistò un po’ nel suo zaino e tirò fuori le chiavi di casa, le infilò nella toppa e vi diede un giro, prima di aprire però aspettò un secondo, non era facile per nessuno.
Nico mi superò e le si mise di fianco – Tutto bene? – le chiese
- Si… si… - lo rassicurò e poi aprì la porta.
Entrammo tutti in casa, mio fratello si occupò di riaccendere la luce, il gas e riaprire l’acqua; Lilia andò in cucina per cercare qualcosa di commestibile che diventasse la nostra cena, mentre io mi occupai di mettere a posto gli zaini.
Decisi che era il momento di iniziare le mie ricerche, prima andai in cucina dove c’era Lilia che armeggiava con le pentole, Nico che le dava una mano – Avete bisogno d’aiuto? – chiesi spuntando dalla porta
- No Aibi, tranquilla – mi rassicurò Lilia sorridendomi e riprendendo a cucinare. Cercai Lucas per vedere se aveva bisogno di me, ma si era chiuso dentro la sua camera e non mi sembrava il caso di bussare, così andai nello stanzino dove tenevamo le vecchie cose e iniziai a cercare.
Subito lì davanti c’erano i vecchi album di fotografie, quello con i miei genitori da ragazzi, quello dei gemelli e poi quello mezzo vuoto, lo presi e cercai le foto di quando ero piccola.
La prima foto che trovai era dei miei genitori con  i gemelli, a quattro anni, durante una gita, seguiva qualche foto di mia madre o mio padre con i gemelli, poi senza foto di mezzo, ve ne era una con me seduta sul divano in mezzo ai gemelli ( come al solito imbronciati ), dovevo avere all’incirca un anno e mezzo visto che riuscivo a rimanere seduta eretta e guardavo i miei che scattavano la foto. Possibile che fino a quell’età non mi avessero voluto fare foto? E che nemmeno mia madre avesse voluto farsi fotografare mentre era incinta di me, quando invece vi era un album quasi pieno di foto della gravidanza dei gemelli?
Iniziai a ravanare nelle scatole lì a fianco, vi erano vecchi giocattoli, vecchi vestitini e dei vecchi quaderni, era la prima volta che li vedevo. Presi una cartellina blu ricoperta di polvere e l’aprì, dentro vi era un foglio scritto in bianco e nero, con una croce blu stilizzata all’angolo, era un documento di un ospedale, più specificatamente era il mio certificato di nascita.
Lo lessi velocemente, c’era qualcosa che non quadrava, c’era scritto che ero nata a Marzo, e questo lo sapevo, c’era scritto che ero nata prematura, e sapevo anche questo, ma vi era scritto che ero nata durante il quinto mese di gravidanza e non durante il settimo come tutti mi avevano detto, di conseguenza non sarei dovuta nascere a Maggio ma a Luglio e voleva anche dire che non ero stata concepita in Estate, ma in Inverno. Rilessi la pagina un paio di volte, non ci potevo credere, o il foglio che stavo leggendo era un falso o tutta la mia famiglia mi aveva mentito per dodici anni…
Iniziai ad agitarmi, oltre al certificato di nascita vi erano degli altri fogli, spostai il primo e lessi l’inizio del secondo, vi erano scritte tutte le caratteristiche che avevo quando ero nata: lunghezza e peso, numeri bassi ma se ero nata prematura era normale, quello che mi spaventò fu l’indice di apgar: 3. Anche se non sono nell’ambiente so che 3 su 10 è poco per un bambino appena nato.
Stavo per andare avanti a leggere quando Lilia mi chiamò dalla cucina:
- Aibi vieni che è pronto! – gridò
- Arrivo! – le risposi.
Riposi la cartella rinascondendola e la raggiunsi, ripromettendomi che avrei continuato le ricerche il prima possibile.
Ci sedemmo tutti e quattro a tavola, Nico e Lilia avevano scongelato delle mozzarelle in carrozza, che la mamma aveva comprato per i  “casi di emergenza”, e adesso stavamo mangiando in silenzio, almeno fino a che Lucas non parlò – Nico, quando eravamo da Thanatos, hai detto che sapevi dove si trovavano le Erinni…  che sono le Furie… quindi dobbiamo ritornare da tuo padre… - incominciò buttando lì il discorso
- Si, Erinni e Furie sono la stessa cosa, solo che adesso che Persefone andrà via e mio padre non ha bisogno di loro, andranno nella loro seconda dimora. E mi dispiace dirvi che non è vicina – ci disse
- Beh, ormai abbiamo attraversato l’America per lungo… possiamo attraversarla anche in verticale se serve – commentò Lilia alzando le spalle e prendendo un’altra forchettata di cibo
- Sono felice che lo pensi Lilia, perché le Erinni vivono sui tre vulcani che formano il complesso delle Tres Virgenes, a Nord-Ovest del Messico, nella bassa California del Sud – ci spiegò
Tutti e tre ci bloccammo con le posate a mezz’aria, avremo dovuto veramente percorrere di nuovo mezz’America.
- Bene… ci mancava proprio il Messico! – commentò sarcastica mia sorella
- E suppongo che tu non ci accompagnerai più… - aggiunse Lucas, come se l’idea di dover attraversare ancora una volta tutta l’America non fosse stata abbastanza demoralizzante.
- Esatto – ci rispose annuendo – Io vi lascio qui, potete cavarvela benissimo da soli – commentò
- Non Aibileen – ci tenne a specificare Lucas
- Ehi! Mi sembra di essere ancora viva! – gli feci notare arrabbiandomi
- Certo, ma per proteggere te, Lilia ci ha quasi lasciato la pelle – mi ricordò sorridendomi beffardo
Stavo per replicare ma mi mancarono le parole, era vero, ma non c’era bisogno che me lo ricordasse! Sapevo di essere un peso, ma dovevo rimanere con loro, la profezia per la nostra impresa diceva chiaramente che doveva esserci anche una mortale, e quella mortale dovevo essere io, visto che ero anche io figlia dei sequestrati.
- Non è colpa di Aibi se non sa’ combattere Lucas! Lei non è cresciuta come noi, l’hai capito o no? Eppure sei anche imparentato con Atena, accidenti! – disse Lilia difendendomi a spada tratta e alzando la voce.
Sospirai, mentre i miei fratelli iniziavano a litigare e Nico ed io continuavamo a mangiare tranquilli, ogni tanto alzavamo gli occhi e i nostri sguardi si incrociavano, lui sospirava e sembrava chiedermi:
Continueranno ancora per molto?
Io scuotevo le spalle e chiudevo gli occhi rassegnata Non ne ho idea
Nico guardò i miei fratelli, poi me e si accigliò dubbioso Devo farli smettere?
Alzai le spalle e continuai a mangiare  Se hai voglia.
- Ora smettetela ragazzi, non è il momento di litigare – disse Nico fissando i miei fratelli con uno sguardo che, anche se non era rivolto a me, mi fece gelare il sangue nelle vene. I miei fratelli ammutolirono, si scambiarono ancora un’occhiata e poi si risiedettero ai loro posti silenziosamente
- Meglio… ora, da qui alle Tres Virgenes la strada da fare non è poca, ma se tornate al campo e prendete  i Pegasi… -
- Non faremo prima con la Signora O’Leary? – suggerii interrompendo Nico
- Non puoi fare il viaggio nell’ombra – mi ricordò lui
- Lo so’, ma sicuramente un cane alto cinque metri percorrerebbe molta strada anche sul terreno normale e la foschia ci coprirebbe – ricordai
- Anche un pegaso fa molta strada Aibi… non ti è piaciuto quando siamo andate a Montauk? – mi chiese Lilia sorridendomi comprensiva
- No, tutt’altro… ma è meglio se tu non voli – le ricordai
- Da quello che mi ricordo vostro padre non ha mai avuto problemi con Zeus quando cavalcava Blackjack, quindi non vedo problemi ad usare i Pegasi – mi spiegò Nico
- D’accordo – borbottai.
Non avevo vere ragioni per non cavalcare un pegaso, solo che la Signora O’Leary era molto più morbida, comoda e calda rispetto a un cavallo alato e poi lei era il nostro cane. Inoltre avevo avuto solo un’esperienza positiva con i Pegasi, ed era stato qualche giorno prima con Black Jack, di solito gli altri Pegasi cercavano di mordermi o non mi obbedivano mai, ma se la maggioranza decideva per i Pegasi, allora avrei cavalcato un pegaso. Infondo discendevamo dai creatori della democrazia, chi ero io per oppormi?
Nico sospirò – Bene, allora domattina partirete, adesso è meglio se andate a letto, domattina dovete alzarvi presto – ci ricordò.
Ci dividemmo i compiti; Lucas lavò i piatti mentre invece io e Lilia preparammo il divano letto per Nico, gli avevamo proposto di dormire in camera di mamma e papà ma lui si era categoricamente rifiutato.
Andai nella mia cameretta e mi infilai il pigiama, fuori era buio ma le strade erano pienamente illuminate mentre ogni tanto si sentiva il rumore di una macchina che passava sotto le finestre
- Sei a posto Aibi? – mi chiese mia sorella spuntando dalla porta
- Si, adesso vado – la rassicurai rimanendo ancora un secondo a guardare le luci dei fari delle macchine che passavano in strada lasciando delle lunghe scie luminose che duravano solo per qualche secondo e poi si dissolvevano nell’oscurità. Adesso che eravamo tornati a casa, mamma e papà mi mancavano ancora più di prima, ad ogni angolo c’era qualcosa che me li faceva ricordare, in più mi assalivano ancora mille dubbi sui documenti che avevo trovato prima di cena
– Non devi preoccuparti, siamo sulla buona strada – mi rassicurò Lilia stringendomi per la schiena e facendomi una carezza. Sospirai e mi girai verso di lei, mentre sentivo il nodo di negatività che avevo nel petto sciogliersi e prendere possesso della mia bocca.
- Lilia… e se fossero già morti? – le chiesi – Se noi arrivassimo e non potessimo fare nient’altro che prendere i loro corpi e creare la loro pira funeraria? – le chiesi trattenendo i singhiozzi.
Lei mi sorrise comprensiva e mi prese per le spalle facendomi girare verso di lei – Non devi pensare queste cose Aibi, non possono averli rapiti solo per ucciderli a kilometri da qui, deve esserci un perché, noi lo scopriremo e li salveremo – mi rassicurò
- Ma sono prigionieri delle Erinni! Ti ricordi quali sono vero? – le chiesi.
Non sembravo più io, la Aibileen che sapeva ragionare si era rannicchiata in un angolino per prendersi una pausa e concedersi due lacrime mentre la Aibileen pessimista e negativa aveva preso il sopravvento e sogghignava.
Lilia sospirò – Sono Aletto, che non riposa mai, Megera l’invidiosa e Tisifone, dedita all’omicidio – mi rispose – Bene, e ti ricordi quale delle tre era con  i nostri genitori quando erano negli Inferi? –
- Tisifone – mi rispose
- Esatto! Quella che vive per l’omicidio, e noi pensiamo ancora che siano vivi! – le dissi incredula. La Aibileen ottimista si alzò in piedi e allungò una mano come per prendere la parola e dire la sua, ma la Aibileen pessimista le ringhiò contro rispedendola nel suo angolino.
- Non credi che se fossero già morti i nonni o Ade, sarebbero venuti a saperlo? – mi chiese dolcemente
- Ma se Ade non sa’ nemmeno chi entra ed esce dal suo Regno! – borbottai incrociando le braccia al petto. Mia sorella sorrise – Non dirlo troppo forte, o Nico potrebbe prendersela – mi ricordò cercando di farmi sorridere, ma non ci riuscì. Sospirò poi si inginocchiò davanti a me e mi accarezzò una guancia mentre mi teneva l’altra mano poggiata sulla spalla – Devi stare tranquilla, li ritroveremo, te lo prometto – mi rassicurò stringendomi forte
- Lilia… - sussurrai dopo circa un minuto che mi stringeva – Non fare la mamma… sii solo mia sorella – le sussurrai
Lilia mi lasciò andare – Scusami, volevo solo farti stare meglio non prendere il posto della mamma- mi rassicurò rialzandosi in piedi.
Le sorrisi, Lilia non avrebbe mai dovuto prendere il posto della mamma perché la mamma sarebbe tornata. La Aibileen ottimista mi sorrise facendomi ok con il dito mentre chiudeva dentro una gabbia di metallo la Aibileen pessimista.
Lilia mi sorrise e poi guardò anche lei sul bancone della finestra e si accigliò – Non l’avevi portata con te a Montauk? – mi chiese indicando la ninfea che mi aveva regalato il nonno ( Poseidone )
- No, in valigia si sarebbe sciupata – le ricordai
Lei mi sorrise, poi sfiorò i petali e questi si aprirono rivelando il mio nome scritto in greco, succedeva sempre quando Lilia lo toccava, sembrava che avvertisse le sue capacità.
- Ora vai a letto però, domattina partiamo presto – mi ricordò spingendomi verso il letto dalla schiena. Obbedì e andai ad infilarmi sotto le coperte, Lilia mi passò il peluche e io lo strinsi
- Vuoi… vuoi che rimanga qui finché non ti addormenti? – mi chiese
- Lilia… - l’ammonì
- D’accordo non faccio la mamma! – mi disse ridendo e strofinandomi la testa con vigore per poi darmi un bacio sulla guancia. Ci mettemmo a ridere tutte e due – Notte, notte piccola mortale – mi disse uscendo e spegnendo la luce
- Notte Lili – la salutai, poi mi avvolsi nelle coperte  e mi addormentai.
 
Mi rigirai nel letto, un venticello leggero mi solleticò una guancia dandomi fastidio, probabilmente avevo lasciato la finestra e aperta per il caldo e adesso me ne stavo pentendo.
Allungai una mano per recuperare la coperta ma la mia mano toccò qualcosa di freddo e duro. Mi svegliai all’improvviso, accorgendomi di non sentire il rumore delle macchine che era d’obbligo quando lasciavo la finestra aperta, ed infatti la finestra non era aperta, anzi non ce n’erano visto che mi trovavo in una grotta.
Mi guardai intorno, riuscivo a vedere le pareti di roccia grigia che mi circondavano, la grotta era illuminata da uno squarcio della roccia dalla quale entrava la luce chiara del sole. Mi alzai in piedi, ero scalza e ancora con il pigiama addosso, probabilmente stavo di nuovo sognando, ma non mi era mai capitato un sogno così vivido. Iniziai a camminare verso la fenditura cercando di evitare gli spunzoni di roccia e i sassi che si trovavano sul pavimento, più mi avvicinavo più la luce si faceva intensa e la brezza che mi aveva svegliato prendeva un odore salmastro misto ad un profumo dolce, probabilmente di qualche fiore.
Raggiungo la spaccatura e mi copro la mano con gli occhi, e la prima volta  che mi sveglio così vicina all’uscita della grotta, di solito mi tocca attraversare quelle specie di ragnatele fatte con la super colla per poi soffocarci dentro prima di raggiungere l’uscita.
Davanti a me si estende un prato con qualche roccia che spunta qua e là e in lontananza si intravedono dei tetti di una città, riesco a sentire il rumore delle onde che si infrangono da qualche parte. Scavalco il cordolo di roccia che delimita la spaccatura ed esco, finalmente, alla luce del giorno, i miei piedi si posano su un tappeto di foglie secche che scricchiolano leggermente sotto di essi. L’entrata o l’uscita della grotta ( probabilmente era sia entrata che uscita ) era circondata da piante di edera e rampicanti, che scoprì pochi secondi dopo avere le spine visto che me ne conficcai una in un dito. Imprecai sotto voce e mi portai il dito alla bocca per disinfettare la ferita mentre mi allontanavo leggermente dalla grotta, le foglie secche ricoprivano quasi tutto il prato verde  che degradava in una collina che si gettava alla mia destra nel mare, era da lì che proveniva il rumore delle onde, mentre il profumo di fiori che avevo sentito proveniva da un roseto che si estendeva per diversi metri davanti a me. Le rose erano sia per terra come arbusti, sia arrampicate su dei filari, ci doveva essere voluto molto per creare una cosa del genere, mi ricordava quasi il giardino di Persefone, solo che quei fiori non erano fatti di pietre preziose.
Mi avvicinai ad una rosa rossa e ne sfiorai i petali morbidi, possibile che quello fosse veramente lo stesso sogno della grotta piena di ragnatele?
Mi girai, l’ingresso della grotta quasi non si vedeva da quanto era ben nascosto dalla piante, sembrava non esserci. Sospirai, cosa ci facevo lì? E soprattutto come facevo a tornare indietro nel mio letto? – Aibileen svegliati, ti prego!! – gridai.
Aspettai qualche secondo ma non accadde nulla, eppure con Alice aveva funzionato.
Sentì un fruscio, erano foglie calpestate ma non provenivano dalla grotta; mi girai e quasi mi mancò il fiato. Davanti a me vi era un uomo che era identico a mio padre, stessa zazzera di capelli neri e stessi penetranti occhi verdi, lo fissai sbigottita, incapace di parlare – Papà? – riuscì a dire alla fine in un sussurro strozzato.
L’uomo si girò verso di me solo dopo qualche minuto, lasciando perdere un cespuglio di rose dal quale stava tagliando via le erbacce che le soffocavano. Quando alzò lo sguardo su di me, prima parve sorpreso e poi sgranò gli occhi terrorizzato incominciando a indietreggiare lentamente senza mai darmi la schiena.
Guardandolo più attentamente mi accorsi che non era mio padre anche se erano molto simili, mi accorsi anche che la sua attenzione non era rivolta a me (lui non mi vedeva) ma a qualcosa dietro di me. All’improvviso un ombra superò la mia, mi girai di scatto per vedere cosa fosse o chi fosse a crearla, ma la luce del sole era troppo forte e rendeva la creatura dietro di me solo una chiazza nera indistinta. Mi portai una mano agli occhi per ripararli, ma fu tutto inutile, la luce diventava sempre più forte, finché non mi abbagliò completamente strappandomi un grido e costringendomi a chiuderli.
Caddi su qualcosa di duro mentre avevo ancora gli occhi chiusi per colpa della luce, li riaprì lentamente ma la luce era sparita come la grotta e la collina, ero in un posto completamente diverso che non avevo mai visto prima, ne in sogno ne da sveglia.
Mi alzai e mi pulì dalla terra che mi aveva sporcato il pigiama, ero in una pianura desolata, fatta di terra scura e arida. Dietro di me vi erano delle specie di mura che la chiudevano ad anfiteatro e  si gettavano oltre la linea dell’orizzonte, si levò un leggero vento che alzò la polvere facendomi tossire e costringendomi a socchiudere gli occhi, il vento aumentò finché il paesaggio scomparve e fui circondata solo da mura di aria e terra.
Feci un paio di giri su me stessa per vedere se ci fosse una via d’uscita ma poi all’improvviso, com’era arrivato, il vento calò di colpo facendo ritornare tutto nitido. Ero ancora nell’anfiteatro, ma il terreno non era più desolato, adesso era cosparso di corpi di soldati Greci ( lo capì perché erano vestiti come mamma e papà durante la caccia alla bandiera), capì che la terra era rossa perché era mischiata al sangue che quei corpi avevano perso.
Riuscì a distogliere lo sguardo mentre sentivo le gambe tremare e il panico serrarmi la gola, alzai lo sguardo e davanti a me vidi una donna.
Era girata di tre quarti verso sinistra, in modo che il suo volto rimanesse nascosto, aveva una lunga veste nera sorretta sulle spalle da due cerchi d’oro, sul capo aveva una corona di alloro le cui foglie erano fatte di onice, i capelli lunghi e neri le arrivavano a metà schiena, e un paio di ali enormi formate da piume nero pece erano chiuse su di essa come se fossero un mantello.
Doveva essere una Dea, per forza.
La donna si girò verso di me, la pelle era chiara e gli occhi erano completamente neri, senza distinzione tra pupilla, iride o cornea, erano due pozzi neri che portavano all’oblio, ma brillavano di una luce sinistra. Abbassai lo sguardo per non incrociare il suo, le guardai le mani che stringevano dei pezzi di stoffa intrisi di sangue come se fossero appena stati levati da una ferita fresca.
Sentì lo stomaco contrarsi e decisi che forse era meglio tornare a guardarla in faccia, quando lo feci la donna mi sorrise e con mio grande dispiacere mi accorsi che lei, al contrario dell’uomo, poteva vedermi.
Continuò a sorridermi mostrando una chiostra di denti bianchi, poi spostò lo sguardo sul campo ricoperto di morti e scoppiò in una fragorosa risata, come se invece di cadaveri stesse vedendo un scena comica. Iniziai ad indietreggiare lentamente, senza distogliere lo sguardo dalla donna che rideva, poi all’improvviso si girò verso di me e mi rivolse un sorriso ferino – Ci rivedremo – mi disse e poi tutto fu avvolto da una densa nube nera e grigia.
 
Aprì gli occhi ansimando, mi guardai intorno ma ero ancora in camera mia, nel mio letto. Mi misi a sedere e mi strofinai la faccia cercando di capire i sogni che avevo fatto, soprattutto il secondo.
Se quella donna era una Dea, e doveva esserlo visto che non credo esistano persone con gli occhi completamente neri o le ali, ce l’aveva con me e non è mai una buona cosa avere un Dio contro.
Mi girai sul comodino e guardai l’ora, le sei del mattino, almeno avevo dormito sino all’ora della sveglia, anche perché non sarei riuscita a riaddormentarmi neanche se mi avessero dato una dose di tranquillante.
La porta si aprì all’improvviso facendomi sfuggire un sussurro e facendomi fare un salto sul letto, avevo ancora i nervi tesi. Quando Lilia mi vide decise di lasciar stare quello che voleva dire prima di entrare e si appoggiò allo stipite della porta fissandomi nella penombra
- Tutto bene Aibi? – mi chiese accigliata
Io annuì – Si, ho fatto solo un incubo – la rassicurai alzandomi dal letto.
Qualcosa mi frenava dal raccontarle quello che avevo visto, così decisi di lasciar cadere il discorso e Lilia non insistette, si limitò ad alzare le spalle e a raggiungermi.
- Comunque, vieni che tra un po’ dobbiamo partire – mi disse facendomi un cenno con la testa e indicandomi la cucina – Si, tranquilla, arrivo – le risposi facendole segno che poteva andare via.
Mi strofinai la faccia con le mani cercando di svegliarmi del tutto, mentre la risata di quella donna mi risuonava ancora nelle orecchie.
 

Ed eccolo qui :) Cosa ne dite?
Purtroppo vi devo dare una brutta notizia, tra un paio di giorni parto, quindi non ho idea tra quanto riuscirò a pubblicare di nuovo, spero che non passi troppo tempo, ma non perdete la speranza, mi farò sentire ( magari l'aria di mare mi ispira XD )
Comunque, ringrazio come sempre quelli che leggono, quelli che seguono, quelli che hanno messo la storia nelle preferite e naturalmente tutti quelli che recensiscono :)
Vi esorto come al solito a recensire, mi fa piacere sentire cosa pensate della storia e anche ricevere critiche o consigli,
Direi che per adesso è tutto,
un abbraccio,
Darkness_Angel

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Capitolo 9
*** Incontriamo le parenti della Zia ***


Ed eccomi di nuovo qui con un'altro capitolo. So' che è passato un po' più tempo dall'ultimo capitolo pubblicato ma ero in vacanza e non ho avuto il tempo di scrivere. Adesso sono a casa, piove, quindi dovrei riuscire a non farvi aspettare moltissimo per l'altro capitolo.
Ci vediamo in fondo, Buona Lettura :)


Capitolo Nove
Incontriamo le parenti della Zia
 

Prima di raggiungere gli altri decisi di farmi una doccia, la sera prima non c’ero riuscita e mi sentivo ancora la faccia appiccicosa dopo la manifestazione d’affetto della Signora O’Leary, in più mi sembrava che quella terra rossa mi si fosse infilata ovunque e non fosse stata solo parte di un sogno.
Mi feci una doccia bollente cercando di riflettere a mente lucida sul sogno e su quello che avevo scoperto la sera prima sulla mia nascita.  Il sogno doveva per forza centrare qualcosa con l’impresa che stavamo portando a termine, o non avrei sognato quella grotta per così tante volte, l’unica cosa che non mi quadrava era che avevo iniziato a sognarlo prima che i miei genitori venissero rapiti.
Poi c’era quella Dea che sembrava avere una voglia matta di incontrarmi, emozione che io non condividevo per nulla, e che se la rideva davanti ad una strage di soldati Greci.
Possibile che sia una Dea romana e che ce l’abbia ancora con noi? pensai, ma non era possibile. Da quando Gea era stata sconfitta e i due campi si erano riappacificati, gli dei erano riusciti a conciliare le loro parti Greche e Romane, o almeno ci riuscivano quel tanto che gli permetteva di non avere attacchi psicotici e di non lottare contro loro stessi ogni minuto. 
Quindi no, doveva essere una dea Greca che per qualche assurda ragione aveva deciso di apparirmi in sogno, forse mi conveniva descriverla a qualcuno e vedere se sapeva dirmi chi fosse, il problema era a chi. Se avessi iniziato a dire ai miei fratelli quello che sognavo mi avrebbero lasciato a casa, chiusa a chiave in camera mia finché non avessero portato a termine la missione oppure mi avrebbero portato in un ospedale psichiatrico visto che, essendo una mortale e non essendo stata scelta per diventare il nuovo Oracolo, non avrei dovuto avere visioni di alcun tipo.
Decisi di mantenere il silenzio, avrei cercato informazioni sulla presunta Dea se mi fosse capitato a portata di mano il portatile della mamma che adesso aveva Lucas, è l’unico computer che, anche se si connette in rete, non attira i mostri.
Ora rimaneva solo una questione da risolvere, dovevo capire se quei documenti dicevano la verità oppure me l’avevano detta i miei genitori, e per sapere chi mentiva avrei dovuto chiedere ai miei fratelli, Lucas mi odiava così tanto che non mi avrebbe mentito e Lilia stava cercando di riavvicinarsi a me, quindi non avrebbe fatto nulla che avrebbe potuto rompere il legame che si stava creando.
- Aibileen sbrigati! – gridò Lucas sbattendo il pugno sulla porta del bagno
- Ho finito! – gli gridai in risposta abbastanza scocciata.
Uscì dalla doccia e mi vestì infilandomi jeans e maglietta puliti, poi mi raccolsi i capelli ancora bagnati sulla nuca in un muccio improvvisato e raggiunsi gli altri in cucina.
Quando mi vide entrare mia sorella mi sorrise, mentre Lucas sembrava molto concentrato sulla sua tazza di caffelatte, Nico non c’era.
- E’ già andato via? – chiesi a Lilia mentre mi preparavo il latte con il cioccolato
- Chi? Nico? – mi chiese mentre mangiucchiava dei biscotti
Annuì, forse avrei potuto chiedere a lui per le notizie sulla dea, non mi sembrava uno che andasse a spifferare le cose ai quattro venti se gli chiedevi di tenersele per se’.
- No, a dire il vero non so’ dove sia andato, quando mi sono alzata io era già in piedi però. – mi spiegò.
Neanche a dirlo, due minuti dopo Nico apparve sulla soglia della cucina, lanciò uno sguardo di sbieco a Lucas e poi si rivolse a noi – Quanto tempo pensate di avere, ancora, prima di partire? -
Mia sorella diede un occhiata all’orologio, erano le sette e qualche minuto – Mezz’ora più o meno, il tempo di sistemare un paio di provviste e prendere dei vestiti puliti – gli spiegò
Nico le rivolse un lieve sorriso e un cenno del capo – Meno male che ci sei tu ad organizzare tutto, se dessimo credito al nipote di Atena, saremo ancora tutti a letto a dormire – disse rivolgendosi a mio fratello,
Lucas alzò lo sguardo dalla sua colazione e lanciò un occhiata carica di odio verso il figlio di Ade, se avesse potuto probabilmente gli sarebbe saltato al collo, ma riuscì in qualche modo a trattenersi e a sforzare un sorriso – Non do mai sfoggio della mia intelligenza – gli rispose
Lilia scoppiò a ridere – Ma senti com’è modesto! Ora però diamoci tutti una mossa – ci disse senza abbandonare il sorriso.
Mentre finivo di bere il latte, guardai di sottecchi mio fratello, sembrava che il commento di Nico lo avesse ferito più di quanto desse a vedere e poi era strano per Lucas rispondere in quel modo, dicendo così aveva chiaramente fatto intuire a tutti che lui era superiore a noi.
Ci preparammo e alle otto e un quarto eravamo di nuovo pronti con gli zaini in spalla, avevamo già fatto il giro per chiudere acqua, luce e gas ed eravamo pronti per riandare al campo a prendere tre Pegasi.
- Bene, andiamo, ci vorrà un po’ per arrivare al campo – disse Lucas mentre apriva la porta di casa per uscire in strada.
- Non dovrete andare al campo, prima sono uscito e ho mandato un messaggio Iride, viene Piper con tre Pegasi, dobbiamo solo andare sul tetto – ci spiegò Nico
- Ah be’, così è molto meglio – commentò mia sorella avviandosi verso la finestra del salotto dalla quale si potevano raggiungere le scale antincendio senza dover per forza uscire di casa.
Io la seguì mentre mio fratello chiudeva la porta di casa a chiave e ci raggiungeva alla finestra.
Per la prima volta in da quando era incominciata l’impresa riuscì a non cadere mentre scavalcavo la finestra e raggiungevo la scala di metallo, era la prima prova di prestanza fisica che riuscivo a superare senza intoppi.
Salimmo sino al tetto del palazzo, c’ero salita solo una volta da piccola quando eravamo andati incontro a mamma e papà che erano dovuti andare al Campo Giove per una presunta impresa ( che poi non era avvenuta)  ed erano andati e tornati con Blackjack mentre noi eravamo rimasti con la nonna Sally e nonno Paul per tutta la serata.
Il tetto era ancora deserto, Nico non ci aveva detto a che ora sarebbe arrivata Piper, ma se aveva insistito per essere pronti verso le otto,  non avremmo dovuto aspettare ancora molto. Dopo una ventina di minuti, vedemmo avvicinarsi tre puntini che si avvicinavano velocemente, e lentamente diventavano più chiari, pochi minuti dopo, Piper atterrava sul tetto a cavallo di Blackjack seguita da altri due Pegasi, uno bianco e uno grigio chiazzato di nero.
Ci avvicinammo, mentre Piper smontava da Blackjack e Lilia andava ad accarezzarlo sul muso
“ E’ bello rivederti tutta intera dopo gli Inferi, figlia del capo “ nitrì Blackjack strofinando il muso contro la mano di mia sorella.
Perfetto, continuavo a capire quello che diceva Blackjack, non era stata solo un allucinazione uditiva.
Piper sospirò – Quando mi ha visto e gli ho detto che dovevo aiutarvi e non c’erano di mezzo gli Inferi si è offerto volontario – spiegò la figlia di Afrodite quando ci raggiunse.
Lilia si avvicinò con i tre Pegasi, che quando fiutarono Nico iniziarono a scalpitare infastiditi
- Allora, Nico mi ha detto che avete avuto dei buoni indizi – ci disse Piper
- Si, siamo su una buona strada – Annuì Lilia mentre calmava i Pegasi
Piper ci sorrise dolcemente – Bene, però adesso è meglio se andiamo – ci disse Lucas avvicinandosi al Pegaso bianco, sia Nico che Piper annuirono.
Io mi avvicinai a Lilia che continuava ad accarezzare la criniera di Blackjack – Lo capisci ancora? – mi chiese incuriosita – Si, come prima –
“ Ciao seconda figlia del capo” mi salutò anche a me Blackjack scalpitando
- Ciao Blackjack – lo salutai accarezzandogli il muso
- Forse è meglio se lo cavalchi tu Blackjack, visto che è la prima volta – mi consigliò mia sorella
“ No, è meglio che con me venga la prima figlia del capo” si intromise Blackjack, mi accigliai “Non per fare preferenze, ma io sono troppo grande per la seconda figlia del capo” spiegò.
Effettivamente Blackjack era alto per me, per montargli in groppa avrei dovuto farmi aiutare e poi Blackjack sembrava guidare il gruppo e io non ero la persona più adatta per fare la guida.
- D’accordo, allora… - Lilia scambiò uno sguardo eloquente con Lucas, che era vicino al Pegaso bianco e sembrava non volersi allontanare da lui, quindi a me sarebbe andato il Pegaso pezzato.
Mi avvicinai un po’ titubane, non ero sicura di poter capire anche lui – Ciao… Io sono Aibileen – lo salutai. Meglio non andare a dire troppo in giro che parlavo con i cavalli, questo sarebbe stato veramente da ricovero immediato all’ospedale psichiatrico.
“ Ciao Aibileen, io sono Ally”  perfetto, riuscivo a capire non solo Blackjack ma anche gli altri Pegasi, magari non era così male avere questa capacità.
- Ti dispiace se sono io a montarti? – gli chiesi
“ Certo che no” mi rispose nitrendo forte, era davvero contento di avermi come cavaliere.
- Allora, possiamo andare o devi prendere ancora confidenza con il Pegaso, Aibi? – mi chiese Lucas. Potrebbe sembrare un gesto gentile, ma in realtà lo disse deridendomi e sogghignando
- No, possiamo andare – gli risposi imbronciata.
Salimmo sui Pegasi, Piper mi diede una mano a montare e mi passò le redini – Ci sei?- mi chiese controllando che fossi montata correttamente, infondo era la prima volta che cavalcavo.
- Si, tutto bene  - mi tornò in mente una cosa, esitai un secondo ma poi decisi che potevo azzardarmi a parlare – Piper – la chiamai sotto voce
Lei si girò e mi sorrise – Dimmi –
- Quando… quando siamo andati a Nuova Roma… ho visto Reyna… - iniziai, il sorriso di Piper da dolce divenne malinconico, forse un po’ triste – e… le manchi tanto… - le spiegai ancora indecisa se avevo fatto bene o no a dirglielo, si era incupita all’improvviso, probabilmente le pesava moltissimo aver lasciato la bambina a Nuova Roma – Sai, Jason non le sa fare le trecce ed è un grosso problema… - le dissi sorridendo per sdrammatizzare, lei rise e scosse la testa
- Stai tranquilla, non ho intenzione di rimanere via ancora per molto – mi rassicurò
Io le sorrisi, poi Lilia si avvicinò a noi a cavallo di Blackjack – Possiamo andare?-
- Certo – le risposi sorridendole.
Piper si allontanò  e si mise vicino a Nico – Vi aspetteremo al campo, tutti e cinque – ci disse la figlia di Afrodite
- Contaci! – le rispose Lilia
- Ora andate però, il viaggio è lungo – ci ricordò Nico
- Voi come tornerete al campo? – chiesi mentre cercavo di comandare Ally
- Faremo il viaggio nell’ombra – ci spiegò Nico – Ma ora andate, forza – ci disse.
Li salutammo ancora una volta con la mano, poi girammo i Pegasi, Lilia e Lucas si alzarono subito in volo, io mi chinai verso l’orecchio di Ally – Non ho mai cavalcato prima – gli sussurrai
“ Ci penso io!” mi rispose, quando si alzò da terra mi mancò il respiro e lo stomaco mi si chiuse ma poi, dopo qualche secondo, ero in aria che volavo dietro ai miei fratelli mentre New York scorreva veloce sotto di noi.
 
Eravamo in viaggio da quattordici ore, ne mancavano ancora due all’arrivo, quando le Arpie ci assalirono.
Il viaggio era andato piuttosto bene, verso Little Rock avevamo beccato un temporale coi fiocchi con tanto di fulmini e acqua a secchiate ( Grazie mille Zeus per la doccia mi ci voleva proprio), che ci aveva costretto a fermarci per un paio d’ore ma ne avevamo approfittato per mangiare qualcosa e far riposare i Pegasi che venivano visti dalle altre persone come normalissimi cavalli.
Ally, che scoprì essere un pegaso femmina, era simpatica e io non dovevo quasi governarla perché seguiva da sola Blackjack senza che io la dovessi direzionare.
Mia sorella mi si affiancò – Abbiamo appena sconfinato, siamo ufficialmente in Messico – mi disse con tono di voce abbastanza alto da poter sovrastare il rumore del vento.
Mi sporsi leggermente da Ally e guardai la terra che scorreva sotto di me; erano praticamente tutte brughiere di un beige chiaro cosparse ogni tanto da qualche chiazza verde che da lassù non sapevo distinguere se era erba oppure alberi.
- Non manca ancora molto vero? – le chiesi
- No, poche ore e ci siamo – mi rispose sorridendomi.
Quando ci eravamo fermati per la pausa obbligata dalla pioggia, Lucas aveva avuto la brillante idea ( la prima da un po’ di tempo a questa parte) di comprare una cartina e vedere precisamente dove si trovasse il complesso vulcanico delle Tres Virgenes. Avevamo scoperto che si trattavano di tre vulcani, El Viejo, El Azufre  e El Virgen, e che si trovavano in un posto chiamato Guerrero Negro vicino a Santa Rosalía nella parte di Messico che confinava con la California del sud. Avevamo fatto vedere la cartina a Blackjack e Lilia gli aveva chiesto se sapesse come arrivarci, lui le aveva risposto di si nitrendo con vigore.
Quando poi aveva smesso di piovere eravamo ripartiti e adesso stavamo sorvolando il Messico, ci mancava solo da superare il Golfo della California e poi saremmo arrivati alle pendici dei tre vulcani nel giro di una ventina di minuti.
- Lili! Vieni qui! – gridò Lucas girandosi verso di noi, mia sorella sospirò, poi spronò Blackjack e raggiunse Lucas davanti a me lasciandomi indietro. Li vidi parlare fitto, fitto, ma poi lasciai stare e mi concentrai sull’immensità azzurra che mi circondava. All’inizio del viaggio mi ero divertita con Ally a salire in alto sino a sfiorare le nuvole e poi a riscendere, ma Lilia mi aveva sgridato dicendomi che c’era il rischio che un aereo mi vedesse, o che peggio, Zeus pensasse ad un’invasione nel suo territorio, così alla fine eravamo scese e avevamo seguito gli altri due Pegasi tenendoci sulla loro scia.
Guardai il cielo immenso intorno a me, per un secondo feci finta di essere io che volavo da sola in quell’immensità, ma poi tornai alla realtà quando in lontananza vidi dei puntini neri che si avvicinavano. Dal modo in cui volavano sembravano quasi dei rapaci, anche se sbattevano un po’ troppo le ali, ma appena si furono avvicinati di qualche metro riconobbi corpi umani con piedi artigliati e le ali attaccate alle braccia, quelli non erano uccelli erano Arpie.
Spronai Ally finché non fummo vicine ai miei fratelli e poi li guardai sorpresa – Le avete viste? – gli chiesi con un tono che non tradiva affatto il mio stupore
- Certo che le abbiamo viste, e non è normale che volino così in alto, qualcuno deve avercele mandate contro – spiegò Lucas senza distogliere lo sguardo dai mostri
- E cosa pensate di fare? Andarci addosso? – chiesi
Lilia tirò le redini e si fermò, noi facemmo lo stesso rimanendo vicino a lei – Non è sicuro che siano qui per noi – ricordò a Lucas
Lucas sospirò – Lilia le Arpie attaccano i semidei solo al fine di ricavarci qualcosa, lo sai benissimo- le ricordò con aria saccente
- Lo so’ Lucas, ce lo ripeteva sempre papà quando vedevamo zia Ella per non farci spaventare – gli rispose mia sorella scocciata, le da’ abbastanza fastidio quando Lucas fa il sapientone con lei, la irrita.
- E allora mi spieghi perché quelle appena ci hanno visto hanno accelerato? – le chiese sfidandola a dire che aveva torto.
Mia sorella diventò paonazza e mi sembrò che l’acqua poco lontana da noi iniziasse a bollire, dovevo riuscire a calmarla in qualche modo o un geyser sarebbe esploso di lì a poco.
- Non litigate! – gridai distraendoli dalla loro lite, quando entrambi mi fissarono aspettando qualcos’altro avvampai – N-non è il momento delle vostre litigate, abbiamo capito che quelle Arpie non ci racconteranno storie strane come zia Ella, quindi, come facciamo a spedirle nel Tartaro? – chiesi.
- Come per tutti i mostri bisogna ucciderle, solo che sono cinque arpie contro due semidei – mi ricordò Lucas – E’ impossibile che io e Lilia riusciamo a liberarcene mentre cerchiamo di difendere anche te! – mi ricordò accollandomi tutte le colpe e i possibili problemi che sarebbero potuti capitare da lì a dieci minuti.
Il mio cervello iniziò a lavorare come quando ero a scuola e dovevo risolvere un problema di matematica – Se le Arpie fossero solo tre, ce la fareste a ucciderle? – gli chiesi
- Se fossero due sarebbe meglio ma… Si, con tre ce la possiamo fare – mi disse Lilia
- Ma si da’ il caso che le Arpie siano cinque – puntualizzò Lucas.
Se fossi stata nipote di Zeus come Reyna in quel momento un fulmine avrebbe incenerito mio fratello, ma decisi di ignorarlo – Ally, sei pronta a far vedere a tutti come voli veloce? – le chiesi sporgendomi per farmi vedere da lei “ Certo! Sono il Pegaso più veloce di tutto il Campo!” si vantò nitrendo forte.
Perfetto pensai sorridendo.
- Aibi, non farlo – mi disse Lilia che aveva sentito cosa mi aveva detto Ally e aveva intuito il mio piano. Era spaventata, e quasi mi venne voglia di lasciar perdere, ma quello che mi era venuto in mente era l’idea migliore, nel peggiore dei casi sarei morta solo io.
- So’ quello che faccio, voi pensate ad uccidere le altre tre Arpie, quando saranno nel Tartaro Lilia devi fischiare e Ally volerà da te, io vi porterò le altre due, pensate di farcela? – gli chiesi mentre ormai sentivamo le Arpie che gracchiavano a pochi metri da noi.
- Certo, ma vedi di non farti uccidere, non sapremo come spiegarlo a mamma e papà – mi rispose Lucas con un sorriso da muori-pure-mi-fai-un-favore.
Mia sorella lo fulminò con lo sguardo ma capì anche lei che non era il momento di replicare, ormai le Arpie ci erano di fronte.
- Ma guarda che bei uccellini… - disse Lucas fissando le cinque donne-corvo, quella al centro emise un verso acuto che ricordava molto il verso di una cornacchia – Sono loro? – chiese con voce gracchiante una delle Arpie a sinistra – Si, la puzza di semidio è la loro e… e lei è l’altra – gracchiò quella al centro. So’ che non serve spiegare ma “ l’altra” ero io.
- Bene, allora fatevi avanti – le incitò Lilia mentre sguainava la spada che teneva al fianco e come lei faceva anche Lucas.
Io strinsi le redini di Ally e le poggiai una mano sul collo, sentì i suoi nervi tesi e pronti a scattare, era l’ora di mettere in azione il mio piano. Le cinque Arpie si gettarono sui miei fratelli, io e Ally ci scostammo, per ora mi stavano lasciando in pace ed era quello che volevo. Mi levai lo zaino dalle spalle e iniziai a rovistarci dentro, sapevo per certo che me ne erano rimaste ancora…
Dopo nemmeno un minuto, tirai fuori dalla zaino due merendine che avevo trafugato da casa e infilato nello zaino, erano le mie preferite alle mele e, cosa più importante, alla cannella, e guarda caso erano anche le preferite di mia zia Ella ( Dopo uno zio Ciclope, avere una zia Arpia è stata solo un’altra delle stranezze della mia vita).
Le scartai, poi mi avvicinai all’orecchio di Ally – Appena si lanciano su di noi, tu allontanati il più veloce che puoi da qui – le sussurrai
“ Contaci amica” mi rispose scalpitando nell’aria.
Presi un respiro profondo Ora o mai più, mi infilai due dita in bocca e fischiai, purtroppo però invece che solo due Arpie se ne girarono tre, ingoiai la paura – Ehi! Uccellini, la volete una merendina alla cannella? – gli chiesi sventolando le due merendine in aria, tutte e tre le Arpie puntarono i loro occhietti sulle merendine.
Posso farcela anche se sono tre, posso farcela.
Le tre Arpie si guardarono, probabilmente i loro cervellini stavano capendo che uno di loro sarebbe rimasta a bocca asciutta – Meglio la carne di semidio per le Arpie – commentò una per poi gettarsi su Lucas. Il mio cuore fece un piccolo salto di gioia, ma poi si bloccò di nuovo dalla paura quando le due Arpie si gettarono su di me in picchiata, afferrai le redini un secondo prima che Ally scartasse di lato e si gettasse in picchiata verso terra con i due mostri che ci inseguivano.
Ally iniziò a volare verso la California, mentre sentivo le due arpie che ci inseguivano strepitando per cercare di impossessarsi delle merendine e, penso, anche di me.
Ally sfrecciava su e giù, facendo brusche curve e girando intorno alle due creature per infastidirle e disorientarle, e sembravamo riuscirci visto che le strida di frustrazione aumentavano di frequenza e intensità, quando vedevo che perdevano interesse per le merendine alla cannella iniziavo a insultarle chiamandole “cervelli di gallina” o “oche spennate” e come insulti sembravano funzionare, quelle Arpie non assomigliavano per niente ad Ella, erano scontrose, spiumate e non avevano un odore molto buono mentre invece nostra zia sapeva sempre di fiori o di cannella ( probabilmente perché non fa altro che mangiarne).
Ally rallentò leggermente e lasciò che un Arpia si avvicinasse per poi scansarla all’ultimo minuto e lasciarla precipitare, le arpie non virano velocemente, l’altra creatura si gettò su di noi sul lato opposto di dove era precipitata l’altra, riuscimmo a scansarla ma non abbastanza velocemente, perché l’artiglio di una sua zampa mi prese di striscio il braccio.
Emisi un leggero grido più di sorpresa che di dolore, non sto dicendo che non facesse male, lo faceva e anche molto, ma non era il momento di mettersi a piangere.
“ Amica stai bene?!” mi chiese preoccupata Ally riprendendo a volare rapida mentre le creature ci inseguivano – Tutto bene, è solo un graffio – la rassicurai
Un graffio che sta sanguinando e non ha intenzioni di fermarsi, ma si, è solo un graffio. Zittì la mia testa e mi imposi di rimanere attaccata saldamente alle redini nonostante il dolore.
Ally si fermò all’improvviso e io rischiai di sbattere sul suo collo – Ally che fai ci inseguono! – le gridai vedendo le due Arpie che ridevano e si stavano gettando su di noi.
“ La sorella dell’amica mi sta chiamando” mi rispose
- E allora vai! – le gridai.
Ally scattò in avanti mentre le Arpie ci mancavano di nuovo per un soffio, sapevo che non me lo avrebbe mai detto, ma iniziava a faticare, era pur sempre un pegaso giovane. Finalmente iniziammo a vedere Lilia e Lucas che si sbracciavano – Ally, passa in mezzo a loro due e all’ultimo vai verso l’alto – le dissi, lei non mi rispose ma con un ultimo sforzo accelerò.
Io mi girai di tre quarti reggendomi con il braccio sano alle briglie, alzai il braccio ferito che mi mandò una fitta che mi attraversò tutto il braccio finché non mi strinse il cuore in una morsa, gemetti – Forza! Venite a prendervi le merendine! – gridai facendogliele vedere.
Le due Arpie tirarono un grido frustrato e accelerarono anche loro, Ally si gettò tra Blackjack e l’altro pegaso, mollai le merendine e poi lei virò verso l’alto fermandosi a qualche metro di distanza dai miei fratelli.
Ci fermammo a mezzaria, Ally che respirava affannosamente e si librava galleggiando nell’aria, mentre i miei fratelli si erano divisi le arpie e vi stavano combattendo. Mi sdraiai su Ally appoggiando la testa sulla sua criniera e sospirando, il braccio mi bruciava e mi mandava delle fitte, lo guardai, continuava ad uscire sangue, il taglio era più profondo di quanto pensassi, ci misi la mano sopra  e strinsi, magari riuscivo a fermare un po’ l’emorragia.
“ Tutto bene Amica?” mi chiese Ally, sembrava quasi che avesse il fiatone
- Sto bene Ally, sono solo stanca –
L’ultima cosa che ricordo furono due stridii e un unico pensiero mi passò nella testa  Posso dormire cinque minuti, non cambia nulla se lo faccio.
 
 
Aprì gli occhi, intorno a me era tutto nero, ma riuscivo a vedermi chiaramente, mi guardai intorno non vi era niente, ma poi all’improvviso apparve mia nonna.
- Atena? – chiesi, la Dea si girò verso di me e mi sorrise ma sembrava non riconoscermi, anche se non era il tipo da esternare troppo evidentemente le sue emozioni le rare volte che ci eravamo viste, per salutarmi, mi faceva sempre una carezza sulla testa.
Cercai di avvicinarmi ma mi accorsi che era come se stessi levitando senza gravità, poi com’era apparsa mia nonna apparve Era.
Non so’ bene cosa provai, so’ solo che qualcosa infondo al mio petto si mosse e mi venne da accigliarmi ma poi, per ultima, apparve tra le altre due dee la madre di Piper, Afrodite.
Ecco questo era strano, capivo cosa c’entravano Era e Atena con me, ma Afrodite non l’avevo mai vista e tanto meno conosciuta, cosa c’entrava lei?
All’improvviso la figura di mia nonna vibrò e, al contrario delle altre due dee che sembravano statue di pietra a colori, si mosse e sembrò riconoscermi – Fai attenzione Aibi, vecchi nemici si stanno ridestando – mi disse col solito sguardo severo ma che in qualche modo mi dava un senso di protezione – Chi sono? – le chiesi
Mia nonna stava per aprire bocca, ma all’improvviso sopra le tre dee apparvero due stelle luminose che viravano verso il rosso, una risata riecheggiò da tutti i lati e l’oscurità divenne sempre più fitta e densa ingoiando tutto.
- Nonna! – mi svegliai tirandomi su di scatto presa dal panico, ma non ero più nel buio concentrato e non c’era traccia delle tre dee.
- Aibi, tranquilla – mi sussurrò Lilia.
Mi girai, era seduta dietro di me e mi sorrideva rassicurante, probabilmente sino a quel momento avevo dormito usandola come cuscino.
- D-dove siamo? – le chiesi guardandomi intorno. Eravamo in una stanza con una carta da pareti tutta mangiata sul fondo di un colore tra il senape e il rosso, le finestre erano coperte da delle tende leggere di un azzurrino sbiadito. Io e Lilia eravamo sdraiate su un letto matrimoniale al centro della stanza, a sinistra dietro di noi c’era una porta, probabilmente quella del bagno.
- Siamo in un motel a Santa Rosalía, non ti preoccupare, appena torna Lucas ti raccontiamo tutto – mi rassicurò sorridendomi.
Rimasi spaesata ancora per qualche minuto, frastornata dal sogno e dal fatto di essermi addormentata su un pegaso e svegliata a letto.
Ally! Il pensiero mi attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno – Dov’è Ally? Sta bene? E le Arpie sono morte? – chiesi a Lilia girandomi verso di lei
Lei mi sorrise – Ally sta bene e le Arpie sono morte, hai avuto un idea fantastica – mi rassicurò. Mi sentì rassicurata e poi lo sguardo mi cadde sul braccio ferito, che adesso era fasciato con delle bende bianche – La ferita era profonda Aibi, Lucas ha dovuto metterti dei punti – mi spiegò
Rabbrividii – Da quant’è che sono incosciente? – le chiesi preoccupata, a me sembrava di aver dormito al massimo un paio d’ore.
- Di preciso non lo so’, sei svenuta ieri alle.. saranno state le otto e mezza di sera… e adesso sono le due di pomeriggio… quindi direi un po’ – mi spiegò
La guardai per un secondo, poi guardai il braccio e lo sfiorai, mi mandò una leggera fitta – Penso che sta sera Lucas ti potrà levare i punti, li abbiamo messi solo perché il sangue non smetteva di uscire – mi spiegò per rassicurarmi.
Annuì, Lucas aveva imparato a ricucire una ferita cinque anni prima, d’Estate al Campo, era stato il figlio di Will Solace a insegnarglielo. Quando eravamo andati a prenderli, mia sorella si era fatta male apposta per far vedere a mamma e papà che Lucas sapeva mettere i punti, sia mia madre che mio padre si erano arrabbiati moltissimo, non li avevano messi in castigo ma gli avevano detto che li avevano delusi profondamente, ci era voluto un mese perché Lilia e Lucas fossero “riabilitati”.
Stava per dirmi qualcos’altro, ma in quel momento la porta si aprì ed entrò Lucas – Oh, Aibi sei sveglia – Mio fratello era veramente deluso che mi fossi già ripresa.
- Si, si  è svegliata poco fa, pensi che potrai levarle già i punti? – gli chiese Lilia
- Penso di si – le rispose con un alzata di spalle e avvicinandosi al letto. Si sedette di fianco a me e mi prese il braccio con poca grazia appoggiandolo sulle sue ginocchia, lo fissai ma decisi di non replicare, farlo arrabbiare non sarebbe servito a nulla. Iniziò a sfasciarmi velocemente il braccio, la benda più vicina alla ferita era leggermente sporca di sangue, ma la ferita in se stessa era pulita, i lembi ormai allineati e senza bisogno che fossero i punti a tenerli insieme, a ricordare che lì c’era stata una ferita vi era rimasta solo una lunga e sottile linea rosa.
- Si, posso levarti i punti, sempre che tu riesca a stare ferma – mi schernì alzandosi dal letto e andando a rovistare nel suo zaino.
Gli feci il verso mentre era girato di spalle e mia sorella sospirò, era la prima volta che lo faceva lei e non io. Lucas si risedette sul letto, aveva  preso le forbicine, quelle da unghie, delle pinzette e un fazzoletto, poggiò quest’ultimo sulle sue gambe e poi mi prese il braccio sfasciato
- Non sarebbe meglio anestetizzarglielo con un po’ di ghiaccio? – chiese Lilia guardando la ferita e poi Lucas
- Se sai dove trovare del ghiaccio… - le disse con un alzata di spalle
- Ho quello secco… Me ne porto sempre una busta dietro da quando mi sono slogata la caviglia l’inverno scorso – gli spiegò alzandosi e andando a ravanare nel suo zaino.
Lucas emise uno sbuffo e aspettò che Lilia tornasse dopo aver rotto il ghiaccio secco nel sacchetto e averlo poggiato sulla ferita – Così ti farà meno male – mi spiegò.
La guardai accigliata ma non dissi nulla, erano loro gli esperti di ferite, io al massimo mi ero sbucciata i gomiti e le ginocchia cadendo dai pattini.
Dopo circa cinque minuti Lucas levò il ghiaccio, sistemò meglio il mio braccio, poi prese le pinzette e tirò su il filo che poi tagliò con le forbicine e sfilò, sembrava di guardare un sarto che scuciva un lavoro venuto male.
Per i primi punti non fece male, sentivo solo un lieve pizzico quando sfilava il filo, però quando l’anestesia dovuta al freddo del ghiaccio finì, iniziò a farmi più male. Ad essere sincera non saprei come spiegarvi la sensazione che provavo, quando alzava il filo sentivo le pelle tirare e bruciare, quando invece lo sfilava sentivo il filo che scivolava attraverso la pelle ed era quello che mi dava più fastidio. Lilia mi poggiò una mano sulla spalla dopo che fui trasalita all’ennesimo filo che lasciava il mio braccio – Tranquilla, ne mancano pochi – mi rassicurò accarezzandomi la spalla.
Dieci minuti dopo avevo un paio di grossi cerotti che coprivano quello che rimaneva della ferita e il ghiaccio appoggiato di nuovo sopra così da diminuire il dolore sordo che sentivo.
- Ti va di mangiare qualcosa? – mi chiese alla sprovvista Lilia
La guardai mettendoci un secondo a capire cosa mi aveva chiesto, fino a quel momento non ci avevo neanche pensato alla fame, ma appena il mio stomaco sentì parlare di cibo, emise un basso brontolio e mi mandò un leggero crampo – Si – le risposi annuendo.
Lilia si alzò e andò a prendere i nostri zaini, Lucas stava guardando dalla finestra – Vado un po’ fuori – disse all’improvviso prendendo la porta senza aspettare una risposta.
Lilia lo osservò e poi si lasciò cadere sul letto con un sospiro soddisfatto – Allora, non che ci sia molta scelta, ma ci sono ancora le cose che abbiamo portato da casa – mi disse dandomi un panino con dentro della carne secca e del formaggio che sfasciai subito e azzannai come se non mangiassi da giorni – ma direi che non ti fai problemi – commentò Lilia ridendo.
Mentre mangiavo Lilia mi raccontò di come eravamo arrivati lì. Dopo aver ucciso le Arpie Lilia era venuta da me per congratularsi per la buona riuscita del piano, ma mi aveva trovato svenuta sulla groppa di Ally mentre mi tenevo ancora il braccio ferito.
A quel punto mi aveva presa e caricata su Blackjack ed eravamo volati sino a Santa Rosalía dove avevano trovato un motel che costava poco, avevano pagato il soggiorno per due notti poi ci eravamo sistemati in stanza e Lucas mi aveva sistemato il braccio, da quel momento in poi  non era accaduto niente di particolare.
Finì di mangiare il panino e poi bevvi un sorso d’acqua – Hai avuto davvero una bella idea Aibi, mi dispiace solo che ti abbiano ferito – mi disse guardando il braccio
- Ma non è niente Lili! E’ già guarito - le ricordai, non mi andava che mia sorella iniziasse di nuovo a preoccuparsi per me, ormai mi ero ripromessa che non sarei più dipesa da loro per difendermi.
- Pensi che possiamo andare a vedere Ally? Vorrei rassicurarla che sto bene… - dissi a Lilia così da distrarla dal mio braccio ferito, il suo volto si illuminò:
- Certo, vieni, ti ci porto –
La seguì fuori dalla stanza, Lucas era sparito, probabilmente era nei dintorni a scervellarsi su quella cosa che lo tormentava da quando erano iniziate le vacanze  e che lo rendeva così schivo con tutti e, soprattutto, con me.
La nostra camera si trovava al piano superiore dell’edificio, sotto di noi si estendeva un enorme piazzale in cemento dove vi era incastonata una piscina e di fianco vi era il parcheggio delle macchine che con mia sorpresa erano quasi una decina.
Scendemmo la scaletta e aggirammo l’edificio spuntando in un pianoro quasi deserto se non fosse stato per qualche cespuglio di erba brulla e qualche chiazza d’erba. I tre Pegasi stavano pascolando lì, le teste chine a brucare quella poca erba, ci avvicinammo e i primi a vederci furono Ally e Blackjack che ci corsero incontro nitrendo.
“ Sei viva amica!” mi disse Ally avvicinandosi e strofinando il muso contro la mia guancia, io glielo accarezzai – Certo, c’è un impresa da finire non potevo andarmene proprio adesso – le ricordai ridendo “ Sono contento che la seconda figlia del capo stia bene” mi disse Blackjack contento.
Lilia gli accarezzò la criniera “Quindi tra non molto ripartiamo?” chiese Ally emozionata
- Ripartiamo domattina Ally – le spiegò Lilia
Ally nitrì e si impennò sulle zampe posteriori, per la prima volta il suo nitrito era solo quello, l’unico pegaso iperattivo lo avevo trovato io.
- Stai calma Ally – le dissi accarezzandole il muso
“ Sai amica mi sono divertita tanto a seminare gli uccellacci, quando lo rifacciamo?” mi chiese
- Il più tardi possibile – commentò Lilia estremamente seria.
Passammo quasi due ore con i Pegasi, Lilia aveva deciso di punto in bianco d’insegnarmi a cavalcare, così ero salita di nuovo in groppa ad Ally e avevo seguito la lezione a terra visto che, alzandoci in aria, correvamo il rischio che qualcuno ci vedesse.
Il resto del pomeriggio lo passammo a ispezionare il motel e a schizzarci con l’acqua della piscina
( Tanto nessuno ci stava facendo il bagno), era il primo vero pomeriggio di giochi in cui mi divertivo anche io oltre che mia sorella, ci accorgemmo che era l’ora di rientrare solo quando il sole iniziò a tramontare. Quando rientrammo, mentre stavamo ancora ridendo, trovammo Lucas seduto ad un tavolino da giardino che aveva trafugato da fuori con di fianco altre due sedie di plastica bianca, aveva tirato fuori un po’ delle nostre provviste e le aveva messe sul tavolo.
- Che fai Luc? – gli chiese Lilia accigliandosi e avvicinandosi, mia sorella non chiamava quasi mai Lucas Luc, soprattutto quando poteva sentirla la mamma, a lei non piace quel soprannome.
- Sto razionando le provviste, non sappiamo ancora quanto staremo via – le spiegò
- E dopo le tue elucubrazioni sulle nostre provviste, si può sapere cosa si mangia sta sera? – gli chiese Lilia guardando i mucchietti di cibo che rappresentavano tutti un pasto diverso.
- C’è la carne in scatola, del pane e della frutta che non possiamo tenere ancora per tanto perché se no vanno a male – le disse indicando un mucchietto alla sua sinistra.
- Perfetto, ora metti tutto apposto così possiamo mangiare su questo tavolo e non sul letto visto che dovremo dormirci – gli disse ridendo
Lucas però non rise, sembrava quasi offeso che Lilia gli avesse dato un ordine, in ogni caso si alzò e mise una dose uguale di provviste in ognuno dei tre zaini mentre Lilia sistemava le cose che avremmo dovuto mangiare quella sera.
Ci sedemmo tutti e tre a tavola e iniziammo a mangiare la nostra porzione, il silenzio era calato sulla camera e l’unico rumore che si sentiva era il frinire delle cicale all’esterno, avevamo tutti la testa china sul cibo, poi Lucas alzò la testa e mi fissò, come al solito, truce.
- Ho visto che nel tuo zaino c’è il berretto della mamma – mi disse facendo finta di buttare lì l’argomento solo per parlare.
- Si, me lo aveva dato quando mi ha nascosto dal Minotauro – insieme a quella affermazione arrivò anche una stretta al cuore.
- Stavo pensando, che essendo il figlio più simile alla progenie di Atena, forse dovrei tenerlo io –
 Lo sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto!
- Hai già il computer della mamma, perché vuoi anche quello? – gli chiese Lilia prima che potessi rispondere io.
- Te l’ho detto, perché sono quello che assomiglia di più ad un figlio di Atena – le ricordò
- E allora io dovrei rubare la spada a papà solo perché assomiglio ad una figlia di Poseidone? – gli chiese accigliandosi.
- Stavo solo dicendo che rispetto ad Aibileen, io avrei più diritto a tenere il cappello – le spiegò calcando la voce sull’ “Io”.
- La mamma lo ha dato ad Aibileen e… –
- Se vuoi prenditelo Lucas, hai ragione, io sono solo una mortale – dissi interrompendo Lilia e lasciandola a metà della frase, anche se era l’unica cosa che mi legava alla mamma non avevo voglia di alimentare altro rancore nei miei confronti da parte di Lucas, che si prendesse pure il cappello della nonna, per ora non mi era servito e sarei riuscita a cavarmela anche senza.
- Grazie Aibi – mi disse sorridendomi soddisfatto e riprendendo a mangiare, Lilia si girò verso di me e mimò con le labbra Perché? Io scossi le spalle e tornai alla mia carne in scatola.
Dopo aver mangiato la mia porzione e una merendina mele e cannella ( Lilia mi disse che era il premio per essere sopravvissuta alle Arpie) iniziai a sentire le palpebre farsi pesanti e la ferita al braccio pulsare leggermente, sbadigliai e mi stropicciai gli occhi.
- Concordo con Aibi, me ne vado a letto pure io – disse Lilia alzandosi
Lucas annuì – Io vado a buttare la spazzatura e a controllare i Pegasi – ci disse e sparì di nuovo.
Io e Lilia ci alternammo per il turno in bagno, mentre mi lavavo i denti guardai il piccolo bagno che comprendeva un gabinetto, un lavandino con uno specchio ingiallito e una doccia nella quale viveva una bellissima famigliola di ragni “gamba lunga” e in cui non mi sarei lavata nemmeno se mi avessero pagato. Iniziai a ridere come una scema con lo spazzolino in bocca sputacchiando un po’ pensando alla reazione di Lucas di fronte a quell’allegra famigliola.
Quando tornai di là trovai Lilia che si stava infilando sotto il lenzuolo, faceva troppo caldo per tirare su anche il copriletto, io feci lo stesso sdraiandomi di fianco a lei, ci sorridemmo.
- Ti fa tanto male? – mi chiese indicando con un cenno del capo il braccio
- No, brucia solo un po’ – la rassicurai
Lilia mi sorrise e poi mi diede il pupazzo della civetta – Speriamo che Lucas non voglia anche questo – scherzò.
Lo presi e lo abbracciai mentre ridevo, Lucas aveva provato un paio di volte a rubarmelo quando ero più piccola, ma la mamma era sempre riuscita a intercettarlo prima che lo nascondesse nel caos della sua camera. La mamma riusciva sempre a risolvere tutto…
Strinsi forte il peluche e chiusi gli occhi, non era il momento di rimettersi a piangere perché tanto piangere non mi avrebbe fatto passare il male al braccio e non avrebbe fatto riapparire i nostri genitori, però poi mi sentì stringere – Posso usarti come peluche? – mi chiese Lilia scherzando mentre mi stringeva – Basta che non mi sbavi addosso – le dissi ridendo
- Non è colpa mia se ho preso questo bellissimo tratto da papà – mi ricordò.
Ridemmo entrambe e poi mi accoccolai vicino a lei mentre mi stringeva – Ora cerca di dormire, e pensa che forse domani li rivedremo – mi sussurrò prima di addormentarsi.
Non ci avevo pensato, il giorno dopo saremmo andati a trovare le Erinni e a chiedergli gentilmente per quale assurdo motivo avevano rapito i nostri genitori, e forse, pregando gli dei, soprattutto Tiche, li avremo trovati lì e saremmo potuti ritornare tutti e cinque a casa.
Mi addormentai con quel pensiero in testa, l’ultima immagine che vidi prima di entrare nel sonno profondo fummo noi tre stretti tra le braccia dei nostri genitori; sorrisi, forse l’indomani quel sogno si sarebbe avverato, ma non sapevo ancora quanto mi stavo sbagliando.

Ed ecco il nono capitolo un po' più movimentato rispetto agli altri ma che non sarà l'unico.
Vi avverto già che, mentre buttavo giù la scaletta per il proseguo della storia, sono venuti fuori un paio di spoiler dalla Casa di Ade, in ogni caso all'inizio di quei capitoli vi avvertirò anche se vi posso assicurare che sono spoiler davvero minimi.
Come sempre ringrazio chi segue, chi legge e chi recensisce anche se è Estate e sono sicura che avrete di meglio da fare che leggere la mia Fanfiction XD Ricordo che sono sempre felice di ricevere nuove recensioni, positive o negative che siano.
Direi che per adesso è tutto, sperando di avere Apollo e le Muse dalla mia parte per continuare a scrivere,
un abbracio,
Darkness_Angel

 

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Capitolo 10
*** Case giuste, Inquilini sbagliati ***


Salve a tutti, eccomi tornata con il decimo capitolo! E chi l'avrebbe mai detto che ne avrei scritti così tanti?
Spero di non annoiarvi, ma prima o poi finirà questa tortura XD.
Dopo essermi presa in giro da sola, vi lascio alla lettura :)

 

Capitolo Dieci
Case giuste, Inquilini sbagliati

 
 
Voci soffuse che sussurrano, che bello un altro incubo! Pensai, sembrava che per quella notte non ne avessi avuto abbastanza.
Aprì lentamente gli occhi e mi accorsi che non stavo affatto sognando, le voci che sussurravano erano quelle di Lilia e Lucas e sembrava che stessero litigando animatamente.
- Io non ti capisco, perché fai così? – questa era Lilia e sembrava abbastanza arrabbiata
- Lo sai perché, per lo stesso motivo per cui lo facevi tu – questo era Lucas e anche lui non sembrava molto calmo.
- Lucas, adesso abbiamo sedici anni per gli Dei! Se ci ragioni bene, capirai che è un motivo stupido avercela ancora con lei! –
- Ci ha portato via mamma e papà per quasi due anni Lilia! A me sembra un ottimo motivo – Ma quando gli avevo portato via i nostri genitori, se mai era stato il contrario!
- Non per volere suo! Sei strano Lucas, mi vuoi dire che cos’hai? – gli chiese addolcendo leggermente il tono di voce.
- Io strano? Lilia sei tu che la spalleggi e le dai manforte come se foste amiche  da anni! – evitò di rispondere alla domanda di Lilia
- Siamo sorelle Lucas! Se non ci proteggiamo noi uno con l’altro, mi dici che fine faremo? – gli chiese di nuovo arrabbiata
- Lei è una mortale! Non potrà mai difendere te o me –
- L’ha fatto l’altro ieri, se non fosse stato per lei saremmo cibo per Arpie adesso – gli ricordò
- Avrei trovato una soluzione… Sai che –
- Atena ha sempre un piano? Si, lo so’, ma sta volta ce lo ha avuto prima la mortale – gli disse interrompendolo – Ingoia il rospo Luc, e falla finita – gli consigliò Lilia
- D’accordo ha avuto fortuna – ammise – ma stai pur certa che al prossimo scontro andrà a nascondersi in qualche angolino a frignare –
- Ma la vuoi smettere? Mi dici cosa ti prende? – gli richiese insistente
- Ti ho detto niente Lili, ni-en-te – scandì – Sono sempre io, sei tu che stando in sua compagnia mi vedi in modo diverso – le rinfacciò
- Ah si? Sei sempre lo stesso? E allora dimmi, dove sei stato sta notte? Perché so’ per certo che non hai dormito con noi – gli disse
- Ho dormito fuori, perché volevo farvi la gentilezza di lasciarvi il letto – le rispose in tono strafottente.
- E invece la scenata per il cappello? Quella come me la spieghi? – gli chiese
- Te l’ho detto ieri sera, quel cappello mi spetta di diritto! – le gridò
- La mamma glielo ha dato per proteggerla! Tu sei un semidio allenato e in forma Lucas, non ti serve un cappello che ti rende invisibile per combattere contro un mostro, mentre a lei si. Lei non sa’ combattere, quel cappello potrebbe salvarle la vita come ha già fatto una volta. Vuoi dirmi che dubiti del giudizio della mamma adesso? – gli chiese. Lilia stava per piangere, la voce le si stava incrinando sempre di più.
- No, non dico questo, ma non mi importa se quel cappello potrebbe salvarle la vita, se è destino che muoia, che muoia pure! Avremo un peso in meno mentre –
Lucas non riuscì a finire la frase perché nella stanza si sentì il sonoro ciaf dello schiaffo che Lilia gli aveva dato sulla guancia.
Calò il silenzio, Lilia singhiozzò e poi gridò – Bravo! Vattene di nuovo! Tanto è quello che ti riesce meglio in questo periodo! – e la porta si chiuse sbattendo.
Lilia aveva incominciato a piangere, però non potevo farle capire che ero sveglia, non volevo che sapesse che avevo ascoltato tutto il loro litigio.  Una cosa mi era chiara però, il motivo per cui Lucas mi odiava così tanto, e per cui Lilia mi aveva odiato per quegli anni, coincideva con quella cosa che mi era successa da piccola e per la quale tutti mi vedevano vulnerabile.
Mi rigirai nel letto e chiusi gli occhi, cercando di riportare alla mente quella cosa, ma non ci riuscì e mi venne solo un forte mal di testa.
Mi tirai su e mi sedetti sul letto, non sentivo più Lilia singhiozzare, mi guardai intorno ma non la vidi. Mi alzai infilandomi un paio di calze (l’idea di camminare su quella moquette mi faceva venire da vomitare) e bussai alla porta del bagno – Si? –
- Sono Aibi e… dovrei fare pipì –
Ma quanto sei stupida? Era troppo facile dire “ Sono Aibi, va tutto bene? Posso entrare?”
Zittì la mia testa e aspettai la risposta – Vieni pure –
Entrai, Lilia mi sorrise con uno dei suoi classici sorrisi raggianti che avrebbero allontanato un dissennatore meglio di un patronus e mi scompigliò i capelli in testa – Dormito bene piccola mortale? – mi chiese mentre continuavo la sceneggiata e facevo quello che avevo usato come scusa per entrare – Benissimo, e tu? – le chiesi sperando che mi parlasse da sola del diverbio con Lucas
- Altrettanto bene – mi rispose per poi girarsi verso il lavandino per sciacquarsi il viso.
Una ventina di minuti dopo ci eravamo lavate e vestite, mentre stavamo cercando di capire quale fosse la “razione” per la colazione di quella mattina la porta si aprì ed entrò Lucas con in mano tre brik di quelli che ti danno nei bar quando prendi il caffè da portar via.
- I soldi bastavano, così ho preso un aggiunta per la colazione – ci spiegò posandoli sul tavolo - Lilia ti ho preso il cappuccino e Aibi a te ho preso la cioccolata perché il latte col cacao non lo facevano – lo disse gentilmente, sul serio quando pronunciò il mio nome non sembrò che stesse sputando veleno e quando si rivolse ad entrambe sorrise, ero sconvolta, sembrava un altro Lucas.
Lilia gli si avvicinò e lo abbracciò, sentì che si sussurravano qualcosa che assomigliava molto ad uno “ scusami” e ad un “ non ti preoccupare” e poi Lilia agguantò il suo cappuccino
- Io e Aibi stavamo giusto cercando di capire quale fosse la porzione di sta mattina – gli disse Lilia sedendosi su una delle sedie da giardino – Ci sono i biscotti – le spiegò avvicinandosi al suo zaino e tirando fuori un pacchetto di biscotti ancora completamente chiuso.
Ci sedemmo tutti e tre al tavolo e mangiammo qualche biscotto con il caffelatte per Lucas, il cappuccino per Lilia e la cioccolata per me ( che per altro non era nemmeno tanto male), poi ci andammo a lavare i denti mentre risistemavamo le ultime cose prima di partire.
Lucas ci spiegò come aveva diviso le scorte per i tre zaini, in modo che se lui non fosse stato a portato d’orecchio avremo comunque potuto arrangiarci – Bene possiamo andare? – chiese Lucas
- Dovete di nuovo andare in bagno? – aggiunse guardandoci
- Lucas! – gli rispondemmo io e Lilia in coro abbastanza offese, non avevamo mica più sei anni
- Scusate, domanda lecita, andiamo –
Ci avviammo tutti e tre verso il prato dove avevamo lasciato i Pegasi, erano ancora lì, tutti e tre che si rifocillavano prima di partire. Appena ci videro ci raggiunsero sulla strada che delimitava il confine del motel con lo sterrato e nitrirono tutti e tre.
- Non manca molto ai tre vulcani – ci informò Lilia dopo essersi consultato con Blackjack – Loro ci lasceranno alle pendici, perché non sanno quali dei tre sia la dimora di Tisifone – ci spiegò
“ e poi le Erinni non sono amiche dei Pegasi” aggiunse Ally nitrendo infastidita e scuotendo il capo.
Salimmo in sella ( ebbene si, ci riuscì da sola ), Lilia si alzò in volo per prima subito dopo andò Lucas e io ed Ally lo seguimmo poco dopo, stavolta il decollo non mi prese alla sprovvista e quasi mi fece piacere quella piccola stretta allo stomaco quando gli zoccoli di Ally si staccarono da terra.
 Volammo sotto le nuvole per meno di un ora mentre le piccole cittadine del Messico scorrevano sotto di noi, poi all’improvviso apparvero tre montagne che svettavano sulle pianure circostanti, Lilia si girò verso di me e mi avvertì che stavamo per scendere, io annuì.
Un minuto dopo i pegasi stavano scendendo in circolo verso il terreno che si estendeva alle pendici dei tre vulcani; Ally atterrò vicino agli altri due pegasi scuotendo la testa e sbuffando
- Ve la sentite di aspettarci qui? – chiese Lilia mentre smontavamo dai Pegasi
Blackjack scosse il capo e pestò gli zoccoli per terra “ Non mi piace questo posto, noi giriamo qui intorno, quando ha bisogno la figlia del capo fischia e noi arriviamo” le disse
Ally annuì, mi scappò una risata, era davvero buffa.
- D’accordo, allora a dopo – li salutammo e poi si rialzarono in aria diventando dei puntini sempre più piccoli man mano che si allontanavano.
- Bene, ora non ci rimane che arrampicarci sui tre vulcani e trovare Tisifone – commentò Lilia guardando le tre montagne che si stagliavano davanti a noi
- Bene, e da quale incominciamo? – le chiese Lucas
- Iniziamo da quello? – chiese indicando il vulcano alla nostra sinistra
- D’accordo –
Così ci incamminammo per un sentiero che si inerpicava per la montagna sperando di aver azzeccato la montagna giusta, ma quando arrivammo a metà strada non trovammo ne Aletto, ne Tisifone e neanche Megera.
Prima della cima trovammo uno slargo con una caverna che sembrava entrare direttamente nel vulcano; all’entrata, seduta su una roccia, vi era una ragazza che avrà avuto poco meno di vent’anni che accarezzava qualcosa febbrilmente.
- E quella chi è? – chiese Lilia fissando la ragazza
- Non è certamente una Furia… - commentò Lucas mentre ci tenevamo in disparte, sembrava non averci ancora visto.
- Non sembra cattiva… - commentò Lilia mentre la ragazza parlava e faceva le smorfie alla creatura che teneva in mano.
- Vuoi chiederle informazioni? – gli chiese sarcastico Lucas
- Se prova ad attaccarci possiamo farcela, è una sola… - Mio fratello sospirò ma non disse nulla, e così era fatta, saremmo andati a parlare con la sconosciuta.
Ci avvicinammo cauti, Lilia e Lucas già pronti a sguainare le spade in caso di necessità, la ragazza ci vide e tirò su il capo. Era una ragazza normalissima la carnagione abbronzata, i capelli lunghi e neri raccolti in una treccia e un paio di chiari occhi blu, che erano spalancati su di noi.
Quando fummo poco distanti si alzò in piedi di scatto e si ci avvicinò con un enorme sorriso sul volto – Salve! – ci gridò inclinando la testa da un lato
- Salve… - la salutò Lilia
Le guardai le mani, quello che stringeva tra le mani era una cornacchia. L’uccello si dibatteva tra le sue mani cercando di scappare, ma la ragazza lo stava tenendo troppo stretto.
- Sono la prima o la seconda? – ci chiese la ragazza continuando a sorridere
-Ehm… la prima o la seconda di cosa? – chiese Lucas
- Che incontrate no? Allora, sono la prima o la seconda? – ci richiese continuando a mostrare un sorriso che mostrava una schiera di denti bianchissimi
- La prima… -  le rispose Lucas
La ragazza emise un gridolino di gioia e fece un piccolo salto senza lasciar andare la cornacchia
- E’ da tanto che non ero la prima! Di solito sono la seconda e mi tocca la parte più noiosa… - ci spiegò imbronciandosi – Ma oggi sono la prima! – e tornò a sorridere.
Eravamo tutti e tre interdetti, io non sono quel tipo di persona che da’ retta alla prima impressione, ma in questo caso la prima impressione si rivelò giusta, quella ragazza aveva perso molti Venerdì.
- Allora possiamo chiederti un informazione? Non è che sapresti dirci dove… -
La ragazza scosse la testa con vigore – No, no, le domande dovete farle alla sorella giusta, non a me e neanche all’altra – ci spiegò come se fosse la cosa più chiara del mondo.
- Ah… e allora a chi dobbiamo chiedere? – le chiese dolcemente Lilia
- Alla sorella giusta – ci rispose annuendo
Lucas sospirò pesantemente e si passò una mano sul viso, Lilia si girò e alzò le braccia come per dire Non so’ che farci – Proviamo in un altro modo… - ci sussurrò Lucas, poi si stampò un sorriso in viso e si rivolse alla ragazza – Allora… puoi aiutarci a trovare la sorella giusta... ehm… -
- Pandroso… così mi chiamano – ci rispose annuendo e sorridendo
- Allora ci poi aiutare Pandroso? – gli chiese Lucas
- Posso dirvi quello che dico a tutti, quando sono io la prima – ci disse emozionata
- Certo – le rispose Lucas cercando di mostrare almeno la metà del suo entusiasmo
La ragazza si schiarì la gola e ci guardò diventando seria all’improvviso – Io sono Pandroso, figlia di Cecrope e principessa di Atene – incominciò continuando a stringere davanti a se’ la cornacchia
- A chi mi fa domande io gli rispondo che per avere le soluzioni deve trovare Agraulo, la sorella che tradì la fiducia della Dea per pima. La strada che sceglierete non potrete cambiare e sarà questa la vostra sorte a giudicare. Ma un monito giunge infine, se invece di Agraulo Herse troverete nel buio eterno finirete – finì riprendendo di nuovo il sorriso smagliante, noi tre eravamo tutti a bocche spalancate.
- Allora? Sono stata brava vero? – chiese saltellando allegramente
- Sei stata bravissima ma… dove la possiamo trovare Agraulo? – le chiese Lilia sorridendole
- Su uno degli altri due vulcani, e dove sennò ? – le rispose allegramente
- E… quale? Non ci puoi dare ancora un aiutino? – le chiese
- Uno piccolino si – disse annuendo con vigore – Ora siamo sul El Viejo, Agraulo si trova o su El Azufre  o su El Virgen – ci disse tenendo la cornacchia con una sola mano e indicandoci le cime degli altri due vulcani con la mano libera.
La cornacchia iniziò a muoversi frenetica finché, dopo aver morso la mano a Pandroso riuscì a liberare le ali e a volare via – No!! – gridò la ragazza mentre il volto le si trasfigurava in una maschera di furore – Resta qui! Tu essere ignobile! Ci rovinasti già una volta brutta – e poi disse una parola che non sto a ripetere, ma posso assicurarvi che non era affatto carina.
Pandroso iniziò a gettare contro l’uccello qualsiasi insulto le venisse in mente sia in greco che in Inglese, Lilia mi fece cenno di indietreggiare e io lo feci mentre loro avanzavano verso di me a piccoli passi – Allora, noi andiamo a cercare Agraulo, Ciao Pandroso – la salutò Lilia mentre ce ne stavamo andando – Ciao ragazzini! – Pandroso si era girata di nuovo con un altro dei suoi sorrisi smaglianti ed eccitatissima come prima, poi si girò di nuovo nella direzione in cui era sparita la cornacchia e rincominciò ad imprecarle dietro.
Noi ci girammo e corremmo giù per il sentiero ritrovandoci di nuovo al bivio iniziale dopo partivano gli altri due sentieri che portavano ai vulcani, però c’era qualcosa di diverso, la strada che portava verso Guerrero Negro era sparita, eravamo bloccati, o azzeccavamo il vulcano oppure saremo finiti nel buio eterno, sempre cercando di capire che cosa fosse.
- E adesso? – chiese Lilia guardando le altre due strade
- Dobbiamo ragionarci – le disse Lucas sedendosi al centro del bivio e fissando le due strade come se una delle due avesse potuto prendere vita e dirgli “ Ehi! Sono io la strada giusta!” e poi fece una cosa che non mi sarei mai aspettata facesse, iniziò a sussurrargli.
Oh perfetto! Dopo Pandroso ora mi è impazzito anche il fratello! Pensai sospirando e girandomi verso la strada sparita – Hai qualche idea Aibi? – mi chiese Lilia guardando nella mia stessa direzione. La guardai e le sorrisi, avevo preferito lasciar parlare loro con la ragazza, avevo avuto un buon piano contro le Arpie, ma adesso non mi sarei spinta a fare la diplomatica con qualsiasi mostro o ragazza stramba che avremmo incontrato.
- No… e tu? – le chiesi
- Niente – Ci sedemmo per terra una di fianco all’altra con le mani poggiate sotto il mento e sospirammo all’unisono mentre Lucas continuava a sussurrare alle due strade.
Guardai verso il vulcano di Pandroso… Pandroso… non mi era nuovo quel nome e poi cos’è che aveva detto? Io sono Pandroso, figlia di Cecrope e principessa di Atene.
D’accordo, era una principessa di Atene… e aveva anche detto che sua sorella aveva tradito per prima la Dea, e la Dea principale di Atene era la nonna ma questo cosa…
- Ma certo! – gridai tirandomi su in piedi di scatto e sbattendo la mano sul pugno aperto
- Che cosa Aibi? – mi chiese Lilia alzando lo sguardo per alzarmi
- Agraulo, Herse e Pandroso, ma certo! Perché non mi è venuto in mente prima? C’era anche la cornacchia accidenti! – mi dissi
- Aibi, sembri la mamma quando capisce un mio problema di fisica prima di me… potresti spiegarti invece di continuare a parlare con te stessa? – mi chiese
Mi risedetti davanti a lei, anche se fu difficile visto che, per la prima volta nella mia vita, mi sentivo iperattiva – Agraulo, Herse e Pandroso sono tre sorelle e disubbidirono alla nonna, non ti ricordi il loro mito? – le chiesi. Lilia si fece dubbiosa – Ehm.. dovrei? – mi chiese grattandosi la nuca imbarazzata, io le sorrisi – E’ un mito non tanto conosciuto, perché non si sa’ se è vero o no e anche perché alla nonna non piace parlarne – le spiegai.
- Sai che io non sono esperta sui miti di Atena – mi ricordò. Questo lo sapevo, Lucas sapeva tutti i miti sulla nonna ( o almeno si vantava di saperli), Lilia sapeva i miti più importanti su Poseidone mentre io mi ero interessata ad entrambi e soprattutto a quelli più strani.
- La nonna affidò alle tre sorelle una cesta e gli disse che non dovevano aprirla per nessun motivo, ma Agraulo la aprì lo stesso, pensando che lei non lo sarebbe mai venuta a sapere, ma non fu così – le raccontai brevemente.
- Beh, la nonna è una Dea… sa’ sempre tutto –
Scossi il capo – Fu Coronide, trasformata in cornacchia, che andò ad avvertire la nonna – le spiegai, il viso di Lilia sembrò illuminarsi – Ecco perché Pandroso ne aveva una in mano –
Le sorrisi, Brava Lili, lo vedi che se vuoi ci arrivi.
- Però sapere questo come ci aiuta a trovare Agraulo? – mi chiese dubbiosa
Presi fiato per parlare ma poi mi accorsi di non sapere la risposta – Non lo so’ – ammisi.
Lilia si fece pensierosa – Pandroso non sembrava stare molto bene… - mi disse sospirando, anche se non centrava niente con quello che stavamo dicendo
- Già, dopo che videro cosa c’era nella cesta impazzirono – le risposi non curante.
Lilia si irrigidì e mi guardò terrorizzata – Perché cosa c’era nella cesta? – mi chiese spaventata
Mi girai e ci fissammo un secondo, sapevamo entrambe che si ci poteva aspettare qualsiasi cosa dalla nonna – Un bambino… - la vidi rilassare le spalle – Figlio di Atena e… - esitai
- E? Era un mezzosangue ? – mi chiese
- No… - le risposi
- Su Aibi, il bambino era figlio di Atena e di ? – mi incitò
- Efesto – le risposi
Lilia sbiancò – Ma la nonna di solito si innamora di studiosi e… e la mamma ci ha spiegato come nascono e vengono concepiti i figli di Atena – mi ricordò anche se di nuovo non centrava nulla
- Be’ diciamo che la nonna non era stata molto consenziente… -
- Vuoi dire che… - gesticolò
- Erittonio -  le dissi
- Bene, Erittonio è stato concepito come noi? – mi chiese bianca in viso e incredula
Annuì – La nonna era andata da Efesto per vedere delle armi ma poi… - sta volta gesticolai io
- Capisco perché la nonna non ne voglia parlare – mi disse guardando verso il vulcano di fronte a noi – Però non capisco… era solo un bambino perché impazzirono quando lo videro? – mi chiese
- Erittonio al posto delle gambe ha due serpenti – le spiegai
- Ah… - fu la sua laconica risposta.
Rimanemmo qualche secondo in silenzio, fissando i vulcani mentre Lilia assimilava la notizia, probabilmente non sapeva se ridere all’idea di Efesto e la nonna, oppure se essere triste per lei visto che si trattava in tutto e per tutto di uno stupro.
- Credi che Lucas o la mamma lo sappiano? – mi chiese
- Di avere un fratello imparentato con Leo e Hope? Non credo oppure credono alla teoria che lui sia figlio di Gea e non della nonna – le dissi
- Non dire quel nome- mi ammonì Lilia, in famiglia Gea era la più odiata, anche più di Crono o di Era. Poi mi sorrise – Però… wow so’ qualcosa in più di Lucas – mi disse e ci mettemmo tutte e due a ridere poi, all’improvviso, sentimmo gracchiare qualcosa, era un suono roco ma naturale, non era prodotto da qualcosa di meccanico. Sia io che Lilia ci guardammo intorno, Lucas continuava a sussurrare alle strade che lo circondavano e quindi sembrava non sentirlo. Ci alzammo in piedi e facemmo un paio di giri su noi stesse per capire da dove venisse il suono e poi vedemmo la cornacchia che fino a pochi minuti prima era imprigionata nella mani di Pandroso, che gracchiava da sopra una roccia che impediva il passaggio sulla strada che avrebbe portato alla città
- Quella è la cornacchia che le ha tradite? – mi sussurrò Lilia mentre fissavamo la cornacchia che aveva smesso di gracchiare dopo aver attirato la nostra attenzione.
- Si, è Coronide –
- Ed è una nostra alleata oppure no? – mi chiese senza distogliere lo sguardo
- Non ne ho idea… vediamo – le sussurrai. Mi avvicinai alla cornacchia lentamente così da non farla spaventare e volare via, poteva essere l’unica che avrebbe potuto aiutarci per capire il dilemma di Pandroso – Tu sei Coronide, vero? – le chiesi.
Vai Aibi! Dopo i Pegasi adesso parli anche con le Cornacchie! Vai così che il posto in manicomio non te lo leva più nessuno!
Da quando la mia mente faceva sarcasmo così spesso?
La zittì e tornai a concentrarmi sulla cornacchia che aveva annuito dopo la mi domanda – So’ quello che ti è successo ma… sei arrabbiata con Atena? – Era la domanda più ovvia e semplice che mi fosse venuta in mente. La cornacchia, con mio grande sollievo, scosse la testa, probabilmente era venuta lì per aiutarci – Ma ce l’hai con le Cecropidi? –
Annuì di nuovo con vigore e mi sembrò quasi che i suoi occhietti neri luccicassero di rabbia, io le sorrisi come per rassicurarla – E… Credi di poterci aiutare a trovare Agraulo? – le chiesi
La cornacchia annuì di nuovo e poi si alzò in volo per andarsi a poggiare su due rocce una di fronte all’altra che creavano un insenatura.
Mi bloccai, e se quella fosse stata l’insenatura del mio sogno? Se li dietro ci fosse stato il mare di ragnatele di super-colla? – Andiamo Aibi? – mi chiese Lilia spingendomi in avanti per raggiungere l’apertura. Annuì, sperando che lì dietro non si annidasse il mio incubo.
Ci sporgemmo per vedere cosa ci fosse dentro l’insenatura ma con nostra sorpresa, e mio grande sollievo, vi era un pannello di legno grezzo che bloccava l’ingresso, la cornacchia gracchiò.
- Cosa facciamo? Bussiamo? – mi chiese Lilia
- Non saprei… - le risposi titubante
- Nel mito si parla mica di dove andò a vivere Erittonio dopo che le sorelle lo videro? – mi chiese
- Si, diventò Re di Atene – le spiegai
- Ah… - mi rispose di nuovo, quel mito sembrava averla sconvolta.
La cornacchia gracchiò di nuovo e poi picchiettò sulla porta di legno col becco, voleva che bussassimo. Mi girai verso Lilia guardandola interrogativa, lei alzò le spalle non sapendo cosa rispondermi, allora mi feci coraggio e bussai tre volte sul pezzo di legno allontanandomi subito per paura che potesse succedere qualcosa ma passarono diversi minuti prima che la porta si aprisse.
- Si? –
L’intuizione di Lilia era giusta, Erittonio sarà anche stato il re di Atene, ma adesso viveva in una grotta sotto tre vulcani. Io e mia sorella rimanemmo per un attimo sorprese con le bocche dischiuse mentre osservavamo l’uomo che aveva appena aperto la porta.
Erittonio era un uomo di mezza età, alto, biondo cenere con gli occhi grigio scuro ( gli stessi occhi che avevamo io, Lilia e la mamma) e un corpo che mostrava i segni di un allenamento costante, l’unica cosa strana erano la gambe che sbucavano da sotto un paio di pantaloni alti sin sotto al ginocchio che mostravano due serpenti, di ragguardevoli dimensioni, le cui teste erano i piedi dell’uomo; non ho idea di come riuscisse a rimanere in piedi.
- Allora? Siete voi ad aver bussato? – ci chiese passando lo sguardo da me a mia sorella
- Ehm… Si, signore ma… ci ha detto la cornacchia di farlo… - gli spiegò Lilia mentre mi prendeva la mano e mi faceva avvicinare a lei.
Erittonio si girò verso la cornacchia che era ancora appollaiata sulla roccia – Cos’hanno queste qui di interessante? Spiegami perché dovrei aiutarle – le chiese accigliandosi.
La cornacchia si alzò e volò sopra la mia testa e mi beccò – Ehi! Pensavo fossimo amiche! – le dissi scacciandola via dalla mia testa. La cornacchia gracchiò arrabbiata e andò ad appoggiarsi sulla spalla di Erittonio, lui ci fissò alzando un sopracciglio.
- Conosci Atena in qualche modo? – mi chiese
Annuì – si, è mia nonna, cioè, nostra nonna – mi corressi indicando Lilia mentre mi massaggiavo la testa nel punto in cui mi aveva beccato Coronide.
Gli occhi dell’uomo si illuminarono – Beh, allora posso aiutarvi, ditemi, cosa posso fare per voi? – ci chiese gentilmente.
Davvero era così facile?
- Stiamo cercando Agraulo… sa mica indicarci il suo vulcano?- gli chiese Lilia
Erittonio si rabbuiò – No... ma posso aiutarvi – ci disse
- Se è un’altra filastrocca come quella di Pandroso, no grazie – gli rispose mia sorella
- Ah, avete incontrato lei… è la più mal messa delle tre – ci spiegò scuotendo leggermente il capo compatendola – comunque no, sono aiuti concreti – ci rassicurò, entrambe sospirammo tranquillizzate.
- Pensa… pensa di poter venire laggiù? Sa’ c’è nostro fratello… magari ci aiuterebbe con i suoi indizi, lui assomiglia molto ad un figlio di Atena – gli spiegai.
- D’accordo, fatemi strada –
Tornammo indietro, Lucas stava ancora parlando alle strade e non ci vide, Lilia andò ad avvertirlo mentre io ed Erittonio ci andammo a sedere su dei massi. Lilia e Lucas ci raggiunsero e si sedettero di fianco a me, Lilia doveva aver aggiornato nostro fratello su quello che era successo, perché lanciò solo uno sguardo rapido al nuovo arrivato e non proferì parola.
- Allora, mi avete detto che state cercando Agraulo, posso sapere perché? – ci chiese
E gli raccontammo tutto, ognuno raccontò un pezzo di storia fino all’informazione che ci aveva portato lì, Erittonio sospirò – E’ vero, ho visto Tisifone, ma non è la prima volta che viene, è un paio di mesi che lei o le sue sorelle, fanno avanti e indietro per parlare con Agraulo – ci spiegò
- E l’ultima volta che l’hai vista, hai mica notato se aveva con se’ due corpi? – gli chiese speranzosa Lilia. Lui scosse il capo – L’ho solo vista tornare indietro, mi dispiace –
Sembrò come se un velo nero ci fosse caduto addosso – Sai perché le Erinni girano qui intorno? – gli chiese Lucas – Penso che la loro padrona abbia assoldato le tre sorelle per sorvegliare qualcosa, e potrebbero perfettamente essere i vostri genitori – ci spiegò.
La padrona delle Erinni aveva assodato le Cecropidi per tenere nascosti i nostri genitori, ma chi era la padrona delle Erinni? Non poteva essere Persefone, non aveva niente contro i nostri genitori! ( a dire il vero era una delle poche dee che non ce l’aveva con loro).
- Per scoprirlo però dobbiamo trovare Agraulo e chiederle informazioni, sempre che non sia troppo pazza per risponderci – ammise Lilia
- Tranquilli, Pandroso è quella ridotta peggio, Herse ogni tanto si incanta e straparla ma Agraulo è quella con la testa sulle spalle, da quando è successo quello che è successo lei è diventata… malvagia – ci spiegò
- Perfetto! Allora, come la troviamo la sorella malvagia? Tanto per non finire nel buio eterno – commentò sarcastica Lilia.
Sembrò quasi che Erittonio sorridesse, poi unì le mani e iniziò a parlare – I nomi degli altri due vulcani possono aiutarvi a capire dove si trova Agraulo – ci spiegò
- Pandroso ha detto che il suo vulcano era El Viejo – disse Lucas
- Esatto, perché lei era la sorella maggiore – ci spiegò Erittonio – Herse era quella di mezzo e Agraulo era la più giovane –
- La più vecchia sul vulcano più vecchio, ha senso, ma gli altri due vulcani si chiamano lo Zolfo e la Vergine. – ricordò Lilia delusa
- Mi ricordo che quando vidi Herse aveva indosso un abito giallo e dai racconti che sentì dopo, la gente diceva che era la più delicata e leggera delle tre principesse – ci spiegò.
Lilia e Lucas gli risposero con dei “Ah, ah” molto poco interessati, io mi feci pensierosa.
La vergine e Lo zolfo… La più giovane e la mezzana… Herse portava sempre un abito giallo ed era la più delicata e leggera delle tre principesse… un pensiero iniziò a formarsi nella mia mente, però non ne ero ancora certa – Erittonio, Agraulo era già sposata o promessa in sposa quando ti videro? -  gli chiesi accigliata – No- mi rispose con un sorriso e annuendo impercettibilmente.
Le informazioni si srotolarono in testa e ognuna si mise al suo posto creando l’unica frase che mi serviva sapere – Agraulo vive sul El Virgen – dissi infine
- E perché? – mi chiese Lucas ritrovando il suo tono scocciato
- Herse portava un vestito giallo ed era delicata e leggera, sono tutte e tre caratteristiche dello zolfo- gli spiegai – beh anche se lo zolfo è morbido e non delicato, ma le parole sono sinonimi – continuai – e poi Agraulo era la più giovane, non era ancora sposata e quindi era la vergine delle tre sorelle – conclusi.
- Cosa ne sai? Avrebbe potuto avere un amante, la mitologia greca e piena di amanti! – mi ricordò Lucas stizzito, probabilmente perché non ci era arrivato lui per primo – e sei sicura che quelle siano caratteristiche dello zolfo? – mi chiese di nuovo
- Lo sono Lucas, lo abbiamo studiato anche noi in prima media – gli ricordò Lilia
Lucas inspirò bruscamente avvampando ma poi si girò verso Erittonio – Bene, allora qual è El Virgen? – chiese brusco
- Il terzo, la strada è l’ultima – ci disse indicandocela- ricordatevi che se prendete quella strada non potete più tornare indietro – ci ricordò
- Lo sappiamo, ma io mi fido di Aibi – mi disse mia sorella mettendomi la mano sulla spalla e sorridendomi.
- Molto bene, allora andate e salutatemi Atena se la vedete – ci disse, si alzò anche lui per tornare nella sua “casa” e nello stesso momento Coronide si alzò in volo e sparì quando si trovò nel bivio
- Suppongo che la troveremo con Agraulo – dissi a Lilia
- Aibi, tu sei sicura che sia quello il vulcano? – mi chiese ignorando la mia affermazione
- Si, non c’è nessun motivo per cui non debba essere così – le ricordai
Lilia guardò me, poi lanciò uno sguardo a Lucas che era ritornato scontroso, - D’accordo allora, andiamo a parlare con la sorella malvagia – disse sorridendo mentre imboccavamo il sentiero.

Ecco a voi il Decimo capitolo, cosa vi pare?
Per ora niente spoiler dalla Casa di Ade, vi anticipo però, tanto per invogliarvi, che il prossimo capitolo sarà un po' più movimentato :)
Non so' quando potrò pubblicare il prossimo capitolo spero, volontà divina permettendo, la prossima settimana, perchè poi parto per la Valle D'Aosta e starò via una settimana quindi Internet=0 e tempo per scrivere ancora meno.
Ringrazio come sempre chi legge, chi segue, chi ha messo la storia tra le preferite o mi ha messa tra gli autori preferiti e naturalmente chi recensisce. Come al solito vi invito a recensire, fatemi sapere cosa ne pensate sia in positivo che in negativo :)
Mentre scrivevo questa Fanfiction, mi è venuto in mente di scriverne una (di cui ho buttato giù una bozza) sui sette qualche anno dopo la vittoria contro Gea, non quasi vent'anni dopo, ma solo qualche anno quindi prima dei figli e tutto il resto... insomma raccontare un po' le loro vite e come proseguono (matrimoni e prole inclusi XD ). Per ora è solo un idea, si vedrà alla fine di questa Ff :). Direi che per ora è tutto,
Un abbraccio,
Darkness_Angel

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Capitolo 11
*** Lucas si reinventa poeta ***


Eccomi tornata con l'undicesimo capitolo!
Capitolo un po' movimentato ma sempre senza spoiler. Ci sentiamo in fondo,
Buona lettura :)


Capitolo Undici
Lucas si reinventa poeta

 
Appena imboccammo il sentiero mi girai, volevo vedere cosa ci avrebbe impedito di tonare indietro, ma quando guardai riuscì solo a vedere il mio riflesso che ricambiava il mio sguardo sorpreso e miei fratelli che avanzavano dandomi la schiena.
- Uno specchio… - sussurrai toccandolo
- Oh, se fosse solo uno specchio potresti romperlo e tornare indietro non credi Aibileen? – tirai su lo sguardo di scatto, il mio riflesso mi sorrideva perfido No, non può essere stata lei a parlare…
Però quella che avevo sentito era stata la mia voce – Si, Aibileen, sono io che ho parlato – rispose il mio riflesso – Dai, prova a spaccare lo specchio e a vedere cosa succede, al massimo sono sette anni di sfortuna no? – mi ricordò alzando le spalle.
Esitai, per una strana ragione avevo una voglia matta di rompere lo specchio e vedere cosa sarebbe successo, ma allo stesso tempo sentivo una vocina gridare nella mia testa di non farlo.
- Aibi! Lascia stare! –
Sta volta era stata Lilia a gridare, mi riscossi e mi girai verso di lei che stava tornando indietro abbastanza allarmata – Cosa… - mi girai di nuovo verso lo specchio e vidi la mia mano chiusa a pugno alzata, pronta a colpire il mio riflesso, indietreggiai e la allontanai.
Il mio riflesso mi sorrise ferino e si mise ad applaudire – Vieni Aibi, stai attenta per favore, questo posto è pericoloso – mi disse Lilia prendendomi per mano e portandomi via
- Dimmi che l’hai sentita e vista anche tu, dimmi che non sto impazzendo del tutto – le chiesi quasi supplicando, Lilia si accigliò – No… l’ho vista anche io – mi rassicurò – però cerca di non dare troppa retta a quello che vedi qui – mi consigliò.
Annuì, le lasciai la mano e continuammo a camminare in silenzio.
Al contrario di quando ci eravamo arrampicati sul vulcano di Pandroso, la salita, non si rivelò così facile. Dopo i primi cinquecento metri, in cui la strada aveva mantenuto solo una pendenza leggera, iniziò a diventare sempre più ripida e scoscesa, il sentiero che prima era battuto adesso era quasi sparito completamente e davanti a noi si stagliava un percorso che si arrampicava per le rocce, un terreno ideale per zio Grover, ma non per me.
Ci fermammo davanti alla parete quasi verticale e alzammo lo sguardo, se c’era una cima da lì non si vedeva – E’ meglio se ci aspetti qui Aibileen, non puoi farcela – mi disse simpaticamente Lucas
- Io credo di si, vorrei ricordarti che sono brava ad arrampicarmi sugli alberi – gli ricordai fissandolo. Era l’unica cosa che sapevo fare decentemente senza cadere e farmi del male, ed era una di quelle poche cose per cui la mamma mi aveva gridato di tutto quando mi aveva visto in cima ad una quercia.
- Questa è roccia Aibi, non un albero – mi fece notare
- E ci voleva un figlio di Atena per capirlo – gli risposi tornando a guardare la cima, se Lucas fosse stato imparentato con Efesto e non con Atena, probabilmente adesso sarebbe stato in fiamme.
- Davvero Aibi, questa è più alta di un albero – mi ricordò Lilia accigliandosi
- Posso farcela – la rassicurai
- Promettimi solo che… che se sei troppo stanca e ti senti mancare il fiato ti fermi – mi chiese.
Ecco che di nuovo si preoccupava per me, ecco che di nuovo mi chiedevano se fossi troppo stanca, doveva centrare il problema che avevo avuto da piccola – Perché dovrebbe mancarmi il fiato? – le chiesi, era un azzardo, ma magari Lilia si sarebbe lasciata sfuggire qualcosa.
La vidi lanciare uno sguardo a Lucas, era in preda al panico, non sapeva quale bugia rifilarmi
- Perché non sei allenata – rispose mio fratello al suo posto, lanciando uno sguardo ammonitore a Lilia – Certo, noi ci alleniamo tutto l’anno, abbiamo il fiato più lungo – continuò Lilia.
Sospirai delusa – D’accordo – risposi ad entrambi.
La discussione finì lì, Lilia e Lucas si scambiarono ancora degli sguardi che io non riuscì a decifrare e poi iniziammo ad arrampicarci. I punti di vera scalata non erano molti, più che altro seguimmo un sentiero molto piccolo che costeggiava il fianco della montagna, dovevamo solo stare attenti a non mettere un piede in fallo e a non cadere giù di sotto, e poi il gioco era fatto.
Non ho idea per quanto tempo ci arrampicammo, ogni tanto facevamo delle pause con la scusa di bere o di mangiare qualcosa, ma sapevo che lo facevano per far riprendere fiato a me, e verso la fine ne avevo veramente bisogno, sentivo i polmoni che sforzavano a stare al passo con il cuore che batteva forte nel mio petto, ma non mi sarei arresa, sarei arrivata in cima, non mi sarei fermata.
Poi all’improvviso ci arrampicammo sull’ultimo spunzone di roccia e ci accorgemmo che era più largo degli altri, mi tirai su e mi accorsi che ci trovavamo in uno slargo.
Davanti a noi vi era uno spazio circolare contornato da un muraglione di roccia che digradava leggermente solo per creare l’entrata da dove eravamo arrivati noi; alzai lo sguardo, sopra di me c’era solo il cielo azzurro con qualche nuvola di passaggio, avevamo raggiunto la cima del vulcano.
- Tutti bene? – chiese Lilia mentre riprendevamo fiato lontano dall’orlo del precipizio, sia io che Lucas annuimmo – Bel posticino – commentò Lucas guardandosi intorno – Meno male che questi vulcani sono inattivi da un po’ o la superficie non sarebbe abbastanza solida da sostenerci – spiegò provando il terreno di fronte a noi con il piede.
- Rassicurante Lucas, davvero – commentò Lilia raggiungendolo.
Io feci dei respiri profondi cercando di far entrare di nuovo regolarmente l’aria nei polmoni ma senza farmi vedere troppo stanca dai miei fratelli.
-  Bene… qui in cima non dovrebbe esserci Agraulo?  - chiese Lilia guardandosi intorno.
-  Qui in cima c’è Agraulo  -
Dal fondo del vulcano si avvicinò una ragazza, aveva i capelli neri raccolti in una lunga treccia e due piccoli occhi verde scuro che ci fissavano luccicando malefici. Tra le mani stringeva una cornacchia, Coronide, che gracchiava beccando a sangue le mani della sua carceriera che però non aveva intenzione di lasciarla andare.
-  Io sono Agraulo, vedo che siete riusciti a capire dove mi hanno imprigionata… - disse osservandoci tutti e tre
-  Già, ma non è stato facile capirlo… l’indovinello era davvero difficile… ha avuto davvero una bellissima idea  - si congratulò Lilia cercando di ingraziarsela.
La ragazza gridò infuriata e scagliò la cornacchia via, questa si alzò in volo gracchiando e sparendo dietro il vulcano -  Avete incontrato Erittonio vero? Quella… quella piaga di bambino… quel… ah! Lui e il suo indovinello!  - gridò infuriata gesticolando e camminando frenetica
-  Sapevo che non dovevamo accettare! Sapevo che sarebbe finita così! Ma se uno ti propone di tornare in vita, tu cosa fai, rifiuti? E no che non rifiuti! Non ti importa se ti segregheranno in un vulcano sperduto a fare da tramite per due prigionieri, no che non ti importa finché ti dicono che ritornerai in vita e con il tuo aspetto migliore!  - gridò imprecando contro il cielo
Agraulo era sul serio pazza, stava farneticando cose senza senso, però una cosa interessante l’aveva detta, aveva dovuto fare da tramite per due prigionieri, e si dava il caso che i nostri genitori fossero in due.
-  Già è davvero una disdetta ma… insomma, se ti hanno eletta come carceriera per ben due prigionieri, vuol dire che le Erinni hanno una grande fiducia in te  - le ricordò Lilia
-  Ma non mi hai sentito ragazzina?! Io sono stata solo il tramite, quei due semidei sono stati portati da…  -
-  Agraulo!  -
Io e mia sorella ci girammo verso Lucas, era stato lui a gridare e ad interrompere la donna quando stava per dirci il posto dove erano stati portati i nostri genitori, eravamo entrambe sconvolte e senza parole -  Lucas…  - sussurrò Lilia
-  Non dovresti rispondere solo alle domande dirette? - chiese Lucas marcando la voce sul “solo” e ignorando bellamente Lilia
-  Io… ma certo, è quello che faccio  - gli rispose Agraulo fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure, fissò ancora un secondo Lucas e poi ci guardò a tutti e tre -  Allora, visto che siete stati così bravi a risolvere l’enigma, avete il diritto di pormi una domanda  - disse gonfiando il petto e mostrando l’indice della mano per enfatizzare il concetto di “una domanda”.
Guardai Lilia, continuava a fissare nostro fratello senza riuscire a proferir parola, aveva una mano stretta a pugno che tremava leggermente, le labbra serrate e il respiro accelerato. Molto probabilmente non aveva sentito una parola di quello che aveva detto Agraulo, la sua attenzione era rivolta solo a Lucas e a quel gesto che aveva appena fatto.
-  Lilia dobbiamo fare la domanda…  - provai a smuoverla prendendole la mano, ma stavolta fui io ad essere completamente ignorata.
-  Lucas perché prima l’hai interrotta?  - gli chiese mia sorella
-  Falle la domanda Lilia, ti ha appena detto che ti risponderà  - le disse lui
-  Perché l’hai interrotta Lucas?! Ce lo stava già dicendo da sola dov’erano mamma e papà!  - gli gridò infuriata
-  Cosa importa? Ora falle quella domanda e lascia perdere Lilia, non fare la sciocca!  - le gridò a sua volta arrabbiato anche lui
Agraulo scoppiò a ridere tenendosi la pancia da quanto lo stava facendo forte -  Aveva proprio ragione…  - sussurrò -  Sei tu vero?  - chiese alla fine quando riuscì a calmare le risate.
Ci girammo tutti e tre verso di lei, a chi si stava riferendo con quel “sei tu”?
Lucas alzò le spalle e sorrise -  Tanto vale smettere di fingere  - disse tranquillamente.
A me e Lilia il fiato si bloccò in gola, lei emise un verso molto simile ad un singhiozzo trattenuto
-  Cosa… cosa stai dicendo? - gli chiesi visto che Lilia era pietrificata sul posto e le sue gambe tremavano leggermente.
-  Lo vedrai presto Aibileen  - mi rassicurò sorridendomi e poi tornando a rivolgere la sua attenzione di nuovo ad Agraulo e diventando serio all’improvviso -  Allora, dobbiamo ancora farla aspettare per molto? - le chiese aggrottando la fronte in un cipiglio tutt’altro che amichevole.
-  Non mi avete ancora fatto la domanda…  - gli ricordò lei
-  Chi se ne importa della tua domanda! Sai benissimo perché lei ti ha messo qui! Smettila di fingere e fai il tuo lavoro Agraulo o quando arriverà ne pagherai le conseguenze  - le gridò
Fissai mio fratello inveire contro la donna che all’improvviso aveva perso tutta la sua spavalderia e si era ritrovata a tremare fissandolo mentre continuava a nominare quella “lei” che sembrava incuterle timore. Non riuscivo a capire se Lucas stesse fingendo per farci prendere tempo, in un folle piano da figlio di Atena, o se ci avesse veramente tradite, nonostante tra di noi non scorresse buon sangue, non potevo pensare che la seconda ipotesi fosse quella vera.
Sentì un tonfo attutito di fianco a me seguito da un clangore metallico di qualcosa che cadeva a terra, mi voltai e vidi Lilia in ginocchio al mio fianco col capo chino poggiato sul petto che piangeva silenziosamente mentre la spada le era scivolata via dalla mano. Non ci pensai due volte e mi misi al suo fianco passandole una mano dietro alle spalle -  Lili… ti prego… non lasciarti andare  - le dissi cercando di scuoterla per farla riprendere dallo stato in cui era caduta
-  Lasciala perdere, non ha mai combinato nulla di buono, è sempre solo riuscita a vivere attaccata a me come se fosse un parassita, non mi sorprende che, adesso che ha capito chi sono veramente, non riesca a continuare a vivere  - disse Lucas sprezzante.
Sentì la rabbia montare e una furia ceca annebbiarmi il cervello -  Stai zitto Lucas! Sei solo un infame che non distingue il giusto dallo sbagliato! Tu sei il parassita! Tu vivi solo per fare del male agli altri! Prima me, adesso Lilia e poi a chi toccherà, a mamma e papà?! Tu non sei degno di appartenere a questa famiglia, tu…  -
-  Io non sono degno di appartenere a questa famiglia?!  - mi chiese furioso interrompendomi e girandosi verso di me di scatto -  Tu Aibileen questa famiglia l’hai distrutta!  - mi gridò incominciando ad avanzare verso di me mentre io invece incominciavo ad indietreggiare, non mi piaceva lo sguardo omicida che mi stava lanciando -  Tu hai distrutto una famiglia che era perfetta, quando tu non c’eri si viveva meglio. Mamma e papà non avevano preoccupazioni, noi eravamo al centro dell’attenzione e il loro amore era diviso in parti uguali tra me e Lilia  - incominciò
-  Ma poi sei arrivata tu, con i tuoi problemi, con i tuoi pianti, con i tuoi bisogni! Ce li hai portati via e ad un tratto sei diventata la loro preferita, la piccola e indifesa Aibileen che faceva pena a tutti! Almeno avresti potuto essere una semidea, e invece no! Hai dovuto richiamare l’attenzione ancora una volta su di te ed essere una mortale distruggendo per l’ennesima volta la famiglia.  -
Il tono di voce si era abbassato ma continuava a trasudare odio -  Se qui c’è qualcuno che non è degno di far parte della nostra famiglia, quella sei tu Aibileen!  -
-  Ora smettila Lucas!  -
Ci girammo entrambi e vedemmo Lilia rialzarsi, recuperare la spada e asciugarsi le lacrime mentre gli occhi le fiammeggiavano per la rabbia, si era ripresa al momento opportuno, proprio quando il cratere era finito, la roccia si era rialzata in verticale e la mia schiena ci aveva sbattuto contro.
-  Non so’ quale assurdo lavaggio del cervello ti abbiano fatto Lucas e spero vivamente che sia così, ma non posso lasciare che l’impresa vada a rotoli solo perché hai preso una decisione sbagliata - gli disse avvicinandosi e alzando la spada pronta a fronteggiarlo.
Lucas mi lasciò perdere e tornò a rivolgersi a Lilia -  Non voglio combattere contro di te  -
-  Ma dovrai farlo  - gli fece notare lei mentre si preparava per assalirlo
-  No Lilia, non lo farò…  - le sussurrò sfoderando un altro dei suoi sorrisi perfidi -  e tu non riuscirai nemmeno ad avvicinarti… Agraulo!  -
La donna che, sino a quel momento era rimasta in piedi immobile gustandosi lo spettacolo della famiglia Jackson senza perdersi una battuta, si riscosse e guardò Lucas interdetta senza capire perché l’avesse nominata, Lucas la fissò ancora più truce e la donna sembrò capire all’improvviso
-  Ah! Certo!  -
Frugò nella veste e tirò fuori da una delle pieghe una scatola di legno con intarsi neri e la spalancò. Subito non sembrò succedere niente, ma poi qualcosa afferrò me e Lilia per la vita e ci scaraventò contro la parete infondo del cratere facendoci cadere a terra mentre dal terreno uscivano fuori delle sbarre di roccia che ci imprigionarono in gabbie separate.
-  Aibi stai bene?  - mi chiese Lilia
Io rimasi sdraiata a terra con la faccia nella polvere, ero ancora stordita dal colpo e la schiena mi mandava fitte dolorose ma ero viva, e l’unico pensiero che mi attraversava la mente era per quale assurda ragione Lilia non aveva attaccato Lucas o Agraulo in quel momento di esitazione prima di venire scaraventate contro la roccia.
In qualche modo riuscì a rotolare sulla schiena rassicurando Lilia che stavo bene, o almeno, che ero ancora viva.
-  Bene, adesso che voi due siete a posto possiamo proseguire  - commentò Lucas parlando tra se’
-  Agraulo, fagli la guardia e vedi di non fare altri disastri  - le disse mentre si avvicinava al centro del vulcano e superava la donna fulminandola con lo sguardo
-  Certo…  - gli rispose anche se dal tono di voce si capiva chiaramente che avrebbe preferito fare qualunque altra cosa piuttosto che fare la guardia a noi, forse questo avrebbe potuto darci un leggero aiuto.
Mi sedetti per terra e mi massaggiai la schiena, Lilia stava cercando di rompere le sbarre di roccia ma dopo che si staccava il primo pezzo di roccia vulcanica, subito sotto ve ne era uno strato nero e spesso -  Credo sia ferro dello Stige Lilia… non so’ quanto possa fare il bronzo celeste  - le dissi guardando la sbarra, Lilia sospirò pesantemente e si sedette anche lei nella sua cella
-  Mi dispiace tanto Aibi…  - mi disse
Scrollai le spalle, non si doveva scusare per niente, ne per quello che aveva detto Lucas, ne per la sua reazione e neanche perché non riusciva a farci uscire di lì.
Agraulo arrivò e si sedette su una roccia davanti a noi borbottando a bassa voce, anche se riuscì a cogliere qualche parola oltre alle imprecazioni, Lucas si era messo al centro del vulcano e stava tracciando per terra dei simboli con un pezzo di legno. Sembrava assorto nel suo compito, quindi forse non avrebbe badato a noi e ciò voleva dire che forse saremmo riuscite a migliorare un po’ la situazione.
-  Però non è giusto  - iniziai rivolgendomi a Lilia
Lei si accigliò -  Che cosa? - mi chiese senza capire
-  Che Agraulo faccia sempre il lavoro sporco  - le spiegai -  insomma, è anche lei una cattiva giusto? Non mi sembra democratico che ha lei tocchi fare sempre la guardia ai prigionieri mentre invece tutti gli altri stanno al centro dell’azione  - continuai
Lilia mi fissò per un secondo mentre io la guardavo con sguardo eloquente, lei mi sorrise e annuì impercettibilmente -  E’ vero, le assegnano sempre i compiti più noiosi, almeno Pandroso si è divertita a darci l’ultimatum, mentre invece lei non può nemmeno parlare liberamente che subito viene aggredita!  - continuò reggendomi il gioco
-  Guardate che è un compito molto importante quello che mi hanno affidato, io devo rispondere alle domande che mi fanno i mal capitati che arrivano fin quassù  - ci disse scocciata
-  Però per ora ti hanno solo fatto fare la carceriera da quello che ho capito… beh, almeno con i prigionieri puoi parlare  - commentai incrociando lo sguardo di mia sorella che annuì vistosamente
Agraulo si lasciò scappare una risata stizzita -  Con voi forse, ma quei due semidei che mi avevano portato erano sotto un incantesimo di Ipno che li teneva addormentati, sai che divertimento sentirli russare! E uno dei due sbavava anche!  - ci disse disgustata.
Io e Lilia ci scambiammo un occhiata e sorridemmo, non  c’erano dubbi, quello era papà
-  Hai ragione, beh però con noi adesso puoi parlare  - le fece notare Lilia
-  E di cosa dovrei parlare con voi? Del piano della Signora o del modo per evadere dalle vostre gabbie? - ci chiese scrutandoci entrambe da capo a piedi
Il piano della Signora… doveva essere la stessa Lei che prima era stata nominata tante volte da Lucas. Lilia mi guardò esitante, non sapeva come andare avanti, il piano era venuto in mente a me in fondo; lanciai un occhiata a Lucas ma era ancora intento a fare gli scarabocchi per terra.
-  Ma figurati! Perché non ci parli degli altri prigionieri che avevi? - le chiesi
-  Già, siamo proprio curiose di sapere di più su questi due semidei  - mi assecondò Lilia
-  Non c’è molto da dire, me li ha portati Tisifone circa tre giorni fa e due giorni dopo se li è venuta a riprendere una strana tizia accompagnata dalla Signora.  - ci spiegò
-  Una strana tizia?  - le chiedemmo in coro, ecco che le cose sembravano semplificarsi e invece entrava in gioco un’altra pedina nella partita.
-  Si, non era affatto bella come me o le mie sorelle  - si vantò accarezzandosi la treccia
-  Beh, questo è sicuro… e poi tu sei la più bella tra le tue sorelle… questa persona non poteva rivaleggiarti  - la idolatrò Lilia
-  Vorrei ben vedere! Certo, aveva dei bei capelli neri, acconciati benissimo, ma poi era cieca con dei brutti fregi sulla faccia e… aveva uno strano vestito nero che le stava malissimo… ma la cosa peggiore… - si guardò intorno come se dovesse assicurarsi che nessun altro la sentisse, poi si avvicinò alle sbarre e sussurrò -  era che aveva otto gambe… cioè zampe, ma ci credete?  - ci disse inorridendo ancora di più di quando aveva parlato dell’abitudine di papà di sbavare nel sonno.
Sentì Lilia soffocare un gemito -  e… e ti ricordi come si chiamava? Tanto per evitarla visto che era così orribile…  - gli disse Lilia trattenendo l’ansia nella voce.
Agraulo si fece pensierosa -  Era… Ariadne… No! Aracne! Si, il secondo è il nome giusto  -
Mi girai di scatto verso Lilia sgranando gli occhi mentre lei mi guardava con la stessa faccia stupita, Aracne era uno di quei mostri sconfitti da mamma e papà di cui in casa non si voleva parlare molto, era stata colpa sua se i nostri genitori erano finiti nel Tartaro e adesso era tornata.
-  Beh, ripensandoci forse una cosa buona l’aveva… anche lei odia Atena e tutti i suoi figli, questa è una cosa che abbiamo in comune  - ci confidò Agraulo contenta -  Voi non siete figlie di Atena vero? - ci chiese fissandoci con gli occhi a fessura
-  Noi? Ma scherzi? Io non sono nemmeno una semidea!  - le dissi mentre io e Lilia ridevamo istericamente dopo la notizia appena ricevuta
-  Oh, molto bene, sai anche io ero una mortale  - continuò sorridendomi come se fossimo amiche da tempo immemore e condividessimo un grosso fardello.
-  Senti Agraulo, non è che sai dirci dove vive questa… Aracne? Sempre per evitarla naturalmente -.
La donna non rispose subito, forse Lilia aveva esagerato quella era una domanda troppo diretta e rischiosa da fare. Agraulo ci fissò una per una, poi guardò Lucas e poi ritornò di nuovo a guardarci
-  Questa la prenderò come la domanda che vi spetta  - ci disse indicandoci e minacciandoci con un dito -  Ma certo! Almeno potremmo evitare quel posto, vero Aibi? - mi disse mia sorella, io annuì con vigore.
-  Aracne vive sull’Angel Island, non chiedetemi dove sia però, io questi nuovi posti non li ho mai sentiti nominare  - ci disse gesticolando come se volesse allontanare un insetto fastidioso.
-  Mah, nemmeno io l’ho mai sentita nominare  - la rassicurò Lilia mentre invece stava annuendo impercettibilmente verso di me.
Sentì il cuore riempirsi di gioia e un immenso calore inondarmi il petto, dopo mostri, morti, informazioni sbagliate e pazzi, finalmente sapevamo per certo dove fossero i nostri genitori e chi li stesse tenendo prigionieri.
Ma non sai ancora chi è la Signora… mi ricordò maligna la mia mente, scossi il capo zittendola, ora ero troppo felice per pensare anche alla Signora o a mio fratello che parlava al cielo.
Mi bloccai e mi girai verso Lucas, aveva smesso di tracciare i segni per terra e adesso stava recitando una specie di litania in Greco.
Agraulo emise un leggero gemito e si allontanò da noi -  Cosa sta succedendo? - le chiesi preoccupata
-  E’ lei… la sta evocando!  - ci disse allontanandosi probabilmente per mettersi al sicuro.
Io e Lilia continuammo a guardare Lucas che continuava a parlare a voce sempre più alta in mezzo al disegno che aveva fatto, le parole che ripeteva erano sempre le stesse io non riuscivo a capirle ma sembrava che Lilia ci riuscisse -  Lilia cosa sta dicendo?  - le chiesi quando la litania rincominciò di nuovo ad un tono più alto della voce -  Sta… sta evocando…  -
Ma non ci fu bisogno che mi rispondesse, Lucas finì un’altra volta la litania e sta volta la ripeté in Inglese:
Ascoltami Eris, ti sto invocando
Figlia della notte, dea della discordia.
Tu genio alato ti sto chiamando, accorri ti prego
Madre di Ate, Ponos, Lethe, Limos, Algos e Horkos.
Infondi discordia tra gli uomini

Allontanali l’uno dall’altro,
La Discordia regni tra loro
Come io ripeto questa parola
Aiutami ti supplico e onorami della tua presenza.

 
Le nuvole che prima erano bianche e si muovevano placide sul vulcano iniziarono a vorticare velocemente diventando sempre più scure, per poi addensarsi in volute di fumo nero e viola che si condensarono in una figura umanoide che stava battendo le mani.
Dalla nube era uscita una donna con addosso un lunga tunica nera sorretta sulle spalle da due cerchi d’orati, lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso dalla pelle diafana sul quale risaltavano un paio di occhi completamente neri che però brillavano come la corona di alloro fatta di onice che portava sul capo.
La donna si guardò intorno sorridendo, in qualche modo riuscivo a vedere i suoi occhi che guizzavano da una parte all’altra del vulcano scrutando dappertutto, sospirò rilassata e dalla sua schiena, da quello che sembrava un prolungamento della veste, si spalancarono un paio di enormi ali neri color pece.
Il mio cuore mi saltò in gola e il fiato si mozzò, il tempo sembrò rallentare. Quella era la Dea del mio sogno, quella che mi aveva detto che ci saremo riviste presto quella che per qualche ragione ce l’aveva con me.
Eris posò di nuovo il suo sguardo su Lucas e sorrise incrociando le dita delle mani mentre avanzava elegantemente verso di lui -  Ma guarda che bravo questo ragazzo…  - sussurrò -  Sei riuscito a portarmela… e anche velocemente! Sono proprio fiera di te  - gli disse facendogli una carezza su una guancia. Vidi Lucas rabbrividire ma non batté ciglio, anzi si inchinò sussurrandole qualcosa, probabilmente un adulazione perché la Dea sorrise di nuovo e gli accarezzò la testa
-  Siamo molto contenti di te  - lo rassicurò.
Detto ciò si girò verso di me e Lilia, mia sorella sguainò la spada e si tenne pronta all’attacco mentre la Dea si avvicinava con l’orlo della veste che le fluttuava intorno.
-  Bene, bene, bene ed eccoci qui finalmente  - disse sorridendomi e fermandosi davanti alle due gabbie -  vi piacciono le vostre nuove dimore?  - ci chiese guardando anche mia sorella
-  Pensavo che quando le Dee venissero nel mondo dei mortali cercassero di assomigliargli  - le disse Lilia ignorando la sua domanda.
Eris sembrò non scomporsi -  Perché dovrei cambiare il mio aspetto? Io sono una Dea e non ho intenzione di mischiarvi a voi  - le rispose continuando a sorridere -  Preferisco farmi vedere come sono normalmente, fa più effetto  - le spiegò
-  E a cosa dobbiamo la vostra presenza, divina Eris?  - le chiese Lilia sprezzante
-  Il tuo caro fratellino mi ha evocato, è da un po’ che io e lui ci frequentiamo  - disse rivolgendosi a nostro fratello che continuava a rimanere immobile dove l’aveva lasciato -  Ed ora, il piano della nostra Signora potrà realizzarsi, vero Luc?  - gli chiese alzando la voce
-  Certo mia Signora  - le rispose Lucas chinando il capo.
Cercai di calmarmi, Eris era di fronte a noi, il fumo del suo abito che si insinuava tra le sbarre, qualcosa mi diceva di stargli il più possibile lontano. Lucas sembrava sotto ipnosi, sembrava che anche quell’ultimo briciolo di ragione lo avesse abbandonato del tutto.
Un filo di fumo si allungò verso di me ma io mi ritrassi in tempo e questo tornò a creare una spirale intorno alla Dea, tanto era stato bello il vestito di Persefone che fioriva tanto era orribile quello, che sembrava vivo e allungava i suoi tentacoli verso l’esterno.
Mi concentrai su uno di essi, fino a quel momento mi era sembrato solo un ombra, ma in realtà era una parte del vestito che si allungava sino a raggiungere e a fondersi con l’ombra nera di Lucas.
Possibile che lo stia controllando con quello?
Se era così non rimaneva che spezzare quella voluta di fumo e riportare Lucas dalla nostra parte, ma non sarebbe stato facile, visto che l’unica spada l’aveva Lilia ed Eris era troppo lontana da lei.
-  Molto bene, direi che adesso io e la mia ospite possiamo andarcene  - disse infine Eris guardandomi e sorridendomi complice.
-  Noi non andiamo da nessuna parte!  - le gridò Lilia pensando che “l’ospite” era lei e non io.
La Dea la ignorò e ci diede la schiena -  Agraulo!  - gridò
La donna uscì dal suo nascondiglio cercando di sembrare più coraggiosa di quanto non fosse:
-  Sono a vostra disposizione  - le disse inchinandosi profondamente
-  Tranquilla Agraulo, la tua parte l’hai fatta, è l’ora della tua ricompensa  - la rassicurò -  Il ragazzo è tutto tuo  - le disse sorridendo e mostrando una chiostra di denti bianchi.
La mia intuizione era giusta, l’ombra che usciva dal suo abito sparì e Lucas sembrò ritornare a se stesso -  Eris… cosa stai dicendo?  - le chiese guardandosi spaesato mentre Agraulo si era girata verso di lui e gli sorrideva famelica.
-  Hai fatto il tuo dovere mio caro Luc, adesso non mi servi più  - gli spiegò con un alzata di spalle
-  Ma… mi avevi promesso che mi avresti ridato i miei genitori!  - le gridò
-  Non ho mai giurato nulla, preferisco mantenere il patto che ho fatto con Agraulo  - gli rispose sorridendogli, poi si rivolse di nuovo alla donna -  Il ragazzo è figlio di Atena, come ti avevo promesso potrai avere la tua vedetta - le disse in tono risoluto
-  Grazie  - le sussurrò Agraulo e poi tornò a concentrarsi solo su Lucas.
E adesso eravamo nei guai.
Lucas sembrava rinsavito e continuava a lanciare occhiate a Lilia cercando di capire cosa conveniva fare o se poteva aiutarlo; Lilia guardava Eris, poi me e infine Agraulo e Lucas incapace di decidere cosa fare, io invece non potevo fare nulla a parte scappare da una parte all’altra della gabbia evitando il vestito della Dea che voleva possedermi.
-  Agraulo io non sono un figlio di Atena  - le gridò Lucas cercando di prendere tempo
-  Certo, come no  - gli rispose deridendolo
-  Davvero, posso giurartelo sullo Stige - a quelle parole Agraulo si fermò, nemmeno mio fratello poteva essere così pazzo da giurare il falso sullo Stige.
Agraulo si girò verso Eris -  Mi hai ingannato…  - le disse
Ti prego, fai che si mettano uno contro l’altra! Supplicai
-  Stupida donna! Lui è il figlio di una figlia di Atena, ti basta?  - le chiese Eris scocciata spalancando le ali.
Agraulo perse tutto il coraggio che aveva racimolato e si fece piccola -  Certo, l’importante è vendicarsi di quell’insulsa Dea  - le rispose sorridendo.
-  Mi sa’ che questo non piacerà alla nonna…  - sussurrai
-  Non mi importa niente di quello che pensa Atena! E non mi importa niente di quello che pensano anche tutti gli altri Dei, infondo a loro non interesso, la Dea della discordia non è la miglior invitata a un matrimonio dicevano  - mi disse Eris girandosi verso di me e facendo fremere le ali.
Sapevamo tutti benissimo che Eris era stata l’unica a non essere stata invitata alle nozze di Teti e Peleo e che, per vendetta, aveva gettato il pomo della discordia che era destinato alla più bella tra le invitate divine e che alla fine Paride aveva scelto Afrodite invece che Atena o Era…
Ed ecco che si spiegava l’altro sogno che avevo fatto, quello dove erano apparse la nonna e le altre due dee, in quell’occasione, prima di venire ingoiata dall’oscurità, Atena mi aveva detto di stare attenta perché vecchi nemici si stavano risvegliando. Mi diedi della stupida, se solo avessi parlato di quegli incubi a Lilia forse adesso non ci saremo ritrovate a fronteggiare una Dea, come al solito il guaio lo avevo fatto io quindi adesso dovevo risolverlo io.
Cercai di ignorare Lucas che continuava a parlare ad Agraulo per distrarla e farle perdere tempo, ma stava indietreggiando e presto il cratere sarebbe finito; Lilia cercava di nuovo di rompere le sbarre con la spada di bronzo celeste ma l’unica cosa che riuscì a fare fu di far innervosire ancora di più Eris. Cercai di ragionare, Lucas era troppo preso a salvarsi la pelle per pensare anche ad un piano di fuga, eravamo su un vulcano, ma visto che nessuno dei presenti era un semidio figlio di Efesto l’idea di farlo eruttare era assurda eppure qualcosa mi diceva che era l’unica soluzione possibile.
-  Adesso basta!  - la voce di Eris rimbombò ovunque facendo tremare la terra, Lilia smise di accanirsi contro le sbarre, ed Agraulo e Lucas smisero di fronteggiarsi. La Dea cercò di darsi un contegno mentre ripiegava le ali e tornava a fissarmi -  Sono stufa di questi giochetti  -.
Fece un gesto con la mano e le sbarre della gabbia di ferro dello Stige saltarono come se fossero fatte di cartone, la Dea sorrise soddisfatta e mi si avvicinò.
Ero in trappola, dietro di me avevo solo un muro impossibile da scalare, ai miei fianchi ciò che rimaneva della gabbia, avevamo perso, chiusi gli occhi e aspettai.
-  Non provarci nemmeno!  - gridò Lilia, sentì un fruscio e poi un grido che era più di frustrazione che di dolore, aprì gli occhi -  Tu… piccola insulsa semidea…  - sibilò Eris.
Lilia aveva lanciato la sua spada che si era andata a conficcare nella spalla della Dea dal quale iniziava a colare dell’icore d’orato. Non ci pensai due volte, mentre Eris era distratta e si levava la spada dalla spalla, io la superai uscendo dalla gabbia e passandole alle spalle.
La mia fuga non fece molto piacere alla Dea che gridò frustrata facendo tremare di nuovo la terra
-  Peccato, ora mi toccherà uccidere anche te!  - ringhiò contro Lilia.
Con un altro movimento repentino gettò la spada di mia sorella fuori dalla gabbia e con la stessa mano fece esplodere anche le sue sbarre, strappando un grido di sorpresa a Lilia mentre le schegge le volavano addosso. La stessa forza che prima ci aveva trascinato dentro alla gabbia agguantò Lilia e la scaraventò sul cratere facendola scivolare per qualche metro lontano da tutti.  
Eris si girò verso di me e mi sorrise contenta, adesso nessuno avrebbe più potuto intralciarla, mi guardai intorno cercando un’ultima via d’uscita,  l’ultima speranza di salvarmi. Scattai di corsa verso il lato opposto del cratere, Eris rise -  Dove credi di andare?  - mi chiese.
Mi gettai a terra scivolando e rifacendomi nuove ginocchia e braccia, un filamento di fumo si allungò fulmineo dal vestito di Eris nella mia direzione, ma un secondo prima che mi avvinghiasse mi girai di scatto e mossi a casaccio davanti a me la spada di Lilia che ero riuscita a recuperare.
La Dea emise una specie di sibilo e il vestito si ritirò, dovevo averla colpita. Mia sorella era di nuovo in piedi anche se mal concia, Lucas era riuscito in qualche modo a gettare a terra Agraulo che però si stava già rialzando, io avevo avuto fortuna ma qualcosa mi diceva che era finita lì, ma poi Lucas gridò:
-  Lilia! L’acqua! Fai come papà!  - le gridò per poi allontanare da se’ Agraulo che gli si era gettata di nuovo addosso.
-  Cosa?!?  - gli chiese senza capire
Mantenni lo sguardo fisso su Eris che continuava ad avanzare verso di me mentre cercavo di tenere la spada davanti a me stretta  tra le mani che tremavano.
L’acqua… Papà… Il vulcano…
Il ricordò arrivò improvviso e mi riscosse -  Lilia! La prima volta che mamma e papà si sono baciati!!  - le gridai decidendo di interrompere il contatto visivo con Eris per incrociare lo sguardo di mia sorella.
Con mio grande sollievo Lilia capì subito e un sorriso furbo le si disegnò sul volto, ora dovevamo solo darle qualche secondo, dovevo resistere solo qualche secondo.
-  Qualunque cosa sia, non avrà il tempo di aiutarti. Te l’avevo detto che ci saremo riviste presto - mi ricordò Eris ormai sopra di me, a divederci solo la spada di Lilia che mi tremava in mano. La Dea allungò una mano e la spada volò via, poi allungò la mano verso di me e una voluta di fumo mi circondò imprigionandomi -  Ora vedremo chi è la sua preferita  - disse allegra.
Il fumo si fece più denso e solido e iniziò a chiudersi intorno a me, arrivò ad una mia mano e questa perse la presa sul terreno cadendo nel nulla. Mi scappò un grido e mi prese il panico, fissai la Dea supplicandola con lo sguardo, lei mi rispose ridendo sguaiatamente.
E’ stato bello conoscerti mi disse la mia coscienza mentre entrambe guardavamo impotenti la nostra fine -  Lascia stare mia sorella Dea di seconda categoria!  - e un sasso prese in pieno la Dea in testa distraendola, il cerchio di nulla smise di chiudersi e a me rimase solo un minuscolo spazio per rimanere seduta -  Dopo tutto quello che ho fatto per te!  - gridò Eris a Lucas che si avvicinava raccogliendo tutti i sassi che trovava e lanciandoglieli addosso.
Lucas stava per risponderle ma all’improvviso il vulcano iniziò a tremare e sta volta non per la voce di Eris -  Cosa…  - sussurrò la Dea guardandosi intorno.
Lucas approfittò del suo attimo di esitazione, corse verso di me e mi allungò la mano -  Forza Aibi!  - mi disse mettendosi sull’orlo del precipizio.
Decisi di fidarmi, mi alzai in piedi cercando di non sbilanciarmi all’indietro per colpa delle scosse di terremoto e riuscì ad afferrare la mano di Lucas che mi tirò in salvo sulla roccia solida.
Corremmo verso Lilia che aveva il viso contratto in una smorfia tra il concentrato e il sofferente, Eris iniziò a gridarci contro e le volute del suo vestito iniziarono a inseguirci, mancandoci.
Un secondo prima che raggiungessimo Lilia il cratere esplose ed ettolitri d’acqua salata si riversarono sopra di noi ingoiandoci.
L’ultima cosa che sentì e che vidi fu Eris che si dissolveva in una nuvola di fumo nero maledicendoci, poi l’acqua ci avvolse completamente, la sentì entrarmi in gola e bruciarmi i polmoni, tutto si fece nero.

Ecco il capitolo Undici, cosa vi pare?
Ho una notizia buona e una cattiva: la buona è che ho avuto molta ispirazione e sono riuscita a scrivere anche più della metà del capitolo 12, la cattiva è che parto per la Valle d'Aosta e starò via una settimana, quindi non potrò aggiornare per un po' :)
Come sempre ringrazio che legge, chi ha messo la storia nelle ricordate o nelle preferite e chi recensisce. Vi invito come sempre a recensire e a farmi sapere cosa ne pensate della storia :)
Direi che per ora è tutto, ci vediamo al prossimo capitolo,
Un abbraccio,
Darkness_Angel.



 

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Capitolo 12
*** Il castello crolla ***


Sono riuscita a finre il dodicesimo capitolo in un tempo decente... evviva!
Non anticipo nulla, però vi avverto che nel capitolo c'è uno SPOILER dalla Casa di Ade, non vi dico il punto, leggete e fate finta di niente. Ora vi lascio alla lettura, ci vediamo in fondo :D

 

Capitolo Dodici
Il castello crolla

 
Sentì dell’aria fresca sfiorarmi in viso, rabbrividì ma iniziai ad aprire lentamente gli occhi anche se per ora riuscivo solo a vedere un enorme chiazza di luce e a sentire delle onde che si infrangevano poco lontano da me.
-  Lucas! Si sta riprendendo!  -
Riconobbi dei passi affrettati e poi qualcosa che cadeva con un tonfo sordo al mio fianco -  Aibi… Aibi apri gli occhi sono io Lilia  - mi sentì scuotere leggermente, mi feci forza e riuscì ad aprire gli occhi del tutto, mentre la luce si affievoliva fino a mostrare il viso preoccupato ma sorridente di mia sorella. Sbattei le palpebre un paio di volte e poi mi cercai di mettere a sedere, ma la testa mi vorticò e le braccia mi cedettero -  Fai piano Aibi  - mi disse Lilia tenendomi sollevata
-  Che… che è successo?  - le chiesi portandomi una mano alla fronte
-  Ehm… diciamo che hai ingoiato un po’ d’acqua prima che riuscissi a creare la bolla d’aria intorno a noi… ma adesso stai meglio, sono riuscita a fartela uscire tutta dai polmoni  - mi rassicurò anche se era arrossita
Bene, ora posso spuntare l’annegamento dalla mia lista di modi per morire.
-  Quindi siamo riusciti a scappare?  - le chiesi decidendo di sorvolare sul fatto che ero quasi annegata
-  Si, ho fatto saltare il vulcano usando l’acqua di mare come mi avete suggerito tu e Lucas  - mi spiegò. Lucas.
Mi guardai intorno cercando mio fratello, lo vidi seduto sulla sabbia che stava strizzando la maglietta fradicia d’acqua -  Lilia… sei sicura che possiamo fidarci adesso?  - le sussurrai
Lei annuì -  Ha detto che mi avrebbe spiegato meglio quando ti saresti svegliata, ma in poche parole Eris lo teneva sotto controllo  - mi spiegò
-  E come sai che non stava mentendo?  - le chiesi mentre riuscivo a ritrovare l’equilibrio
-  Gli ho fatto giurare sullo Stige che tutto quello che avrebbe detto sarebbe stata la verità  - mi spiegò sorridendomi.
Non potevo replicare, se Lucas aveva deciso di giurare tutto sullo Stige allora voleva dire che qualcosa era successo veramente, e che forse il fratello con cui ero vissuta sino a quel momento in realtà era un’altra persona.
Lucas si avvicinò cauto sorridendomi -  Come stai Aibileen? - mi chiese per la prima volta in dodici anni veramente interessato al mio stato di salute
-  Un po’ frastornata tutto qui… e tu?  - gli chiesi
-  Contento di poter pensare solo con la mia testa  - mi rispose sorridendomi.
Si, quello non era lo stesso Lucas con cui avevo iniziato l’impresa.
-  Sentite, io direi che potremo cercare un posto per la notte visto che ormai non manca molto, così potremo anche parlare  - propose Lilia guardando sia me che Lucas
-  Mi sembra un ottima idea ma… si può sapere dove siamo?  -  le chiesi, intorno a me vedevo solo spiaggia e acqua.
-  Diciamo che quando ho fatto saltare il vulcano poi non ho controllato molto bene in deflusso dell’acqua visto che ero già concentrata sulla bolla d’aria e a non far annegare te, quindi siamo finiti sulla Punta Eugenia  - mi spiegò.
Pensavo peggio, almeno non eravamo tanto lontani dalla civiltà e i Pegasi forse ci avrebbero ritrovato.
Recuperammo gli zaini, che Lilia aveva avuto la brillante idea di recuperare dall’acqua, il cibo si era salvato quasi tutto visto che si trovava in cima allo zaino, ma i vestiti di ricambio erano quasi tutti bagnati.
Ci incamminammo un po’ di più nell’entroterra, non volevamo trovare una casa o un motel ci bastava un posto asciutto dove accendere il fuoco e poter passare la notte prima di cercare di chiamare i Pegasi.
Trovammo una radura vicino alla spiaggia sulla quale cresceva uno strato erboso, ci accampammo lì mentre il sole iniziava a tramontare. Lilia e Lucas prepararono il fuoco e stesero i tre sacchi a pelo che mia sorella cercò di asciugare alla belle e meglio. Io tirai fuori le provviste che c’erano rimaste e controllai quali erano ancora commestibili e quali invece erano da buttare.
Alla fine riuscì a tirare fuori qualcosa per la cena e per altri due pranzi, non era molto ma potevamo farcelo bastare se eravamo parsimoniosi.
Ci sedemmo intorno al fuoco, che era stato acceso più che altro per cercare di asciugare qualche vestito e i sacchi a pelo e incominciammo a mangiare.
-  Potresti iniziarci a raccontare qualcosa, che ne pensi Lucas? - gli chiese Lilia tirando fuori l’argomento come se stesse parlando del tempo.
Mio fratello ingoiò un grosso boccone e poi annuì -  Certo, voglio chiarire tutto  - ci rassicurò, finì la sua porzione e poi fece un respiro profondo -  Giuro sullo Stige che tutto quello racconterò sino a domattina sarà solo la verità, dico domattina solo per non essere vincolato per l’eternità  - specificò.
Io e Lilia annuimmo tutte e due e poi aspettammo che iniziasse il racconto -  Eris mi controllava, era riuscita a farmi avvicinare a lei quando ero piccolo e influenzabile, quando poi sono cresciuto e ho iniziato a ragionare ha stretto la morsa su di me, inculcandomi in testa i suoi pensieri e sostituendosi alla mia coscienza, convincendomi così che quello che facevo era giusto. In questo modo è riuscita a manipolarmi e a portarvi dritte nella trappola che aveva preparato  - ci spiegò
Io e Lilia rimanemmo in silenzio, Eris aveva controllato Lucas per molto tempo, lo aveva manipolato completamente senza lasciargli via di uscita. Ciò voleva dire che il suo comportamento perfido e cattivo verso di me era stato tutto opera di Eris e non suo.
-  Luc, ma da quanto continuava questa storia?  - gli chiese Lilia
-  Da quando avevo quattro anni, da quando è nata Aibileen  -
Ed ecco che all’improvviso tornavo al centro dell’attenzione -  Eris riuscì ad avvicinarmi perché da piccolo ti ho odiata veramente Aibi, ma penso che sia normale, tutti i fratelli più grandi non sono molto contenti quando ne arriva uno più piccolo in casa che ti ruba i genitori  - mi spiegò
-  Quando compì quindici anni, però, iniziai a pensare che era un’assurdità odiarti solo perché mamma e papà ti volevano bene quanto ne volevano a me e Lilia, provai a smettere di odiarti di andare d’accordo con te, ma Eris mi si infilò ancora di più in testa e mi convinse che invece era giusto odiarti  - continuò a raccontare
-  Però anche tu Lilia mi odiavi quando ero piccola…  - le ricordai
-  E’ vero, per i primi anni ti odiai anch’io, poi però seguì Lucas, eravamo gemelli e pensavo che se a lui non piaceva una cosa non doveva piacere neanche a me, così gli ho dato retta fino a qualche mese fa quando ho capito quale assurdità stessi facendo. Non avendo una Dea in testa è stato più facile chiederti scusa e starti vicina  - mi spiegò
-  Quindi tutte le cose che mi hai fatto in questi anni, erano solo per colpa di Eris?  - chiesi a Lucas.
Lui si accigliò e si grattò la nuca imbarazzato -  Diciamo metà per uno  - mi corresse.
Sentì il cuore alleggerirsi, in quegli anni non ci avevo mai voluto pensare, ma forse mi era mancato non avere un fratello maggiore. Molto probabilmente il peso che sentì levarmi dal petto era quello che, se adesso Lucas fosse tornato in se’, io non avrei più avuto un nemico con cui combattere 24 su 24.
-  E adesso come fai ad essere sicuro che Eris non ti possa più controllare?  - gli chiese Lilia
-  Perché non le servo più a nulla, il suo piano è fallito, anche se credo che non si darà per vinta così presto  - le spiegò
-  Quale piano?  -  gli chiedemmo in coro
-  Voleva Aibileen, non ho idea del perché, ma mi ha detto che se gliela portavo, lei ti avrebbe lasciata andare e mi avrebbe detto dove potevamo trovare mamma e papà  - le spiegò
-  Quindi c’è lei dietro il loro rapimento?  -
-  In parte, anche se credo che lei, come Agraulo, sia solo una marionetta mossa da qualcuno più in alto  - le spiegò
-  Intendi dire dalla “Signora” ?  - gli chiesi
Lucas annuì, -  Ti prego dimmi che non è di nuovo Gea  - lo implorò Lilia
-  Lilia non può essere Gea, mamma, papà e gli zii l’hanno sconfitta definitivamente, ma li hai mai ascoltati una delle milioni di volte che ce l’hanno raccontato?  - le chiese Lucas
-  E’ vero Lili, me lo ricordo anche io  -
Dopo la storia di come avevano sconfitto Crono, la storia di come avevano sconfitto Gea era la mia preferita.
-  Scusate è che pensando alla Signora mi è venuta subito in mente lei  - si scusò Lilia
Restammo per un secondo tutti e tre in silenzio, poi Lucas is fece coraggio e parlò -  Allora mi perdonate? Soprattutto tu Aibi, mi dispiace per quello che ti ho fatto passare…  -
Io gli sorrisi e poi lo abbracciai per la prima volta in dodici anni, Lucas mi strinse -  Ma certo che ti perdono Lucas, però la prossima volta se proprio vuoi farti controllare da una Dea o da Dio, trovane uno più simpatico che la Dea della discordia  - scherzai
-  Si, sarebbe bello se ti facessi controllare da Apollo  - scherzò Lilia
-  No che poi inizia a girare per casa parlando in rima  - le dissi
-  Beh, la filastrocca che hai usato per evocare Eris non era male  - commentò Lilia
Scoppiammo tutti e tre a ridere, io rimasi abbracciata a Lucas che sembrava non aver voglia di lasciarmi andare tanto velocemente, Lilia ci venne vicino e strinse il gemello, coinvolgendo anche me e stritolandoci in un abbraccio mozzafiato ( nel vero senso della parola, mia sorella non ha idea di quanto possa essere forte ) e rimanemmo abbracciati così per qualche minuto, felici e per la prima volta nella nostra vita veramente uniti come deve essere una famiglia.
Quando ci sciogliemmo dall’abbraccio sorridevamo ancora, un pensiero fugace mi attraverso la mente. Forse, adesso che eravamo in vena di confessioni, mi avrebbero potuto risolvere quei dubbi che avevo sulla mia infanzia… forse non si sarebbero rifiutati di rispondere.
Decisi di provare.
-  Lilia, Lucas posso chiedervi una cosa?  - mi buttai
-  Certo Aibi  - mi risposero
-  Perché vi preoccupate così tanto per me?  - gli chiesi
-  Perché sei la nostra sorellina e non sei una semidea  - mi rispose Lucas
Capì di aver posto male la domanda -  Intendevo, perché tutti sono preoccupati che possa risuccedermi quello che mi è successo da piccola?  -
Sta volta capì che avevano capito perché smisero di sorridere e sbiancarono all’improvviso -  Ma cosa dici? Da piccola non ti è mai successo niente  - mi rassicurò Lilia, mentre Lucas annuiva.
Sembravano me e Lilia mentre cercavamo di convincere Agraulo che eravamo dalla sua parte
-  Non mentite, ho sentito Hazel, Frank e Nico che ne parlavano quando eravamo da loro  - insistetti, possibile che continuassero a voler mantenere il segreto?
-  Avrai sentito male…  - tentò Lilia
Sbuffai  -  Quando eravamo a casa ho trovato il mio certificato di nascita, era in una cartellina vicino agli album senza le mie fotografie  - continuai, ora volevo proprio vedere quale scusa si sarebbero inventati.
Lilia guardò Lucas chiedendogli aiuto -  Aibi non ho idea di cosa parli  - persino un ceco si sarebbe accorto che stava mentendo
-  Lucas… non regge  - gli disse Lilia arrendendosi
-  Sai cosa ci hanno detto mamma e papà  - le ricordò Lucas escludendomi dalla discussione
-  Ma adesso è grande, può sapere. Anzi, forse è meglio che sappia  - gli ricordò
-  Hanno detto che gliene avrebbero parlato loro  -
-  Si ma ormai a visto i documenti  -
Mi sembrava di guardare una partita di tennis dove i miei fratelli si scambiavano la parola di continuo mentre Lucas riusciva sempre a trovare una nuova scusa per cui sarebbero dovuti essere mamma e papà a dirmi la verità e non loro, alla fine però Lucas cedette.
-  Però se poi mamma e papà ci sgridano, dirò che è stata un’idea tua  - le disse
-  D’accordo  - si strinsero la mano e suggellarono il patto.
Questo voleva dire che mi avrebbero detto tutto? Che finalmente avrei saputo cosa preoccupava così tanto gli altri? Sembrava di si, non avrei mai pensato che sarebbe bastato chiedere.
Lilia sospirò e mi guardò, il viso illuminato dal fuoco che scoppiettava -  Cosa hai letto sul certificato?  - mi chiese con molta calma
-  Sono riuscita a leggere che invece che al settimo mese sono nata al quinto e che ero messa molto male  - le risposi -  poi mi hai chiamato per la cena e non sono riuscita a vedere altro  - conclusi
Lilia sospirò e guardò di nuovo Lucas -  Da cosa inizio?  - gli chiese
-  Non saprei…  - le rispose sconsolato
Non doveva essere una cosa facile da raccontare, mi sentì in colpa per averli messi così in difficoltà e cercai di aiutarli -  Potete incominciare col dirmi come mai non ci sono mie foto, o di quando la mamma mi aspettava  - suggerì
Lilia annuì e mi sorrise dolcemente -  Va bene, così ci arriviamo con calma  - la seconda parte la disse guardando Lucas che annuì essendo d’accordo con lei.
-  Come sai, il tuo arrivo non era stato programmato, fu per colpa di Era, e in parte nostra, che tu arrivasti  - incominciò.
Questo lo sapevo, me lo rinfacciavano da dodici anni -  Quando la mamma scoprì di essere incinta non sapeva ancora che eri arrivata per volere divino, così ne aveva parlato con papà e avevano deciso di abortire  - mi spiegò
Sapevo pure questo, l’unico dubbio che avevo era come facessero a ricordarsi così bene tutte queste cose i gemelli visto che avevano solo quattro anni.
-  Il giorno prima che la mamma andasse in ospedale, papà sognò la nonna e così si venne a sapere del coinvolgimento di Era. Mamma e papà litigarono di brutto, perché papà sosteneva che se la mamma non se la sentiva di averti potevano infischiarsene di Era, ma lei diceva che non potevano andare contro il suo volere o avrebbe potuto vendicarsi in un altro modo, magari su di noi invece che su di lei, e questo non lo poteva permettere - continuò -  così ti tenne, solo che durante la gravidanza stette molto male, ha passato i primi tre mesi a letto, non mangiava quasi ed era sempre debole per colpa delle nausee, è stata la nonna Sally a farla, diciamo, rinsavire  - mi spiegò
-  In che senso?  -  perché mia madre aveva dovuto rinsavire? Può succedere di avere le nausee durante la gravidanza, a lei erano solo venute più forti.
-  Perché… ecco…  - Lilia guardò Lucas, era qualcosa che non riusciva a dire
-  La mamma lo faceva apposta Aibi, non mangiava e non cercava di stare meglio perché voleva perderti, pensava che se avesse abortito spontaneamente e non per sua decisione, Era non se la sarebbe presa e lei non avrebbe avuto il bambino che non voleva  - concluse Lucas.
Sentì il cuore spezzarsi, mia mamma non mi aveva voluto, mia mamma aveva cercato di perdermi in qualunque modo, mia madre non mi voleva bene.
-  E’… è per questo che non ci sono mie foto?  - singhiozzai, non mi ero nemmeno accorta di aver incominciato a piangere.
-  No Aibi, fammi finire prima giungere a conclusioni affrettate  - mi disse Lilia alzandosi e sedendosi di fianco a me per poi abbracciarmi stringendomi forte e accarezzandomi la testa.
-  Questo, insieme al fatto che sei nata di cinque mesi, ti spiega perché non ci sono foto della mamma incinta  - mi spiegò Lucas -  vedi, la mamma si era impuntata sul fatto che non ti avrebbe potuto crescere al meglio visto che lavorava e c’eravamo già noi, era per questo che non ti voleva, aveva paura di non potercela fare con tutti gli impegni che aveva già  - continuò mio fratello
-  Come faccio a sapere che non me lo dici solo per farmi stare meglio?  - gli chiesi asciugandomi le lacrime mentre Lilia continuava a stringermi
-  Ho giurato sullo Stige che per sta notte avrei detto solo la verità  - mi ricordò
Quindi era vero, annuì e mi asciugai un’ultima volta le lacrime decisa a smettere di piangere -  Te la senti di sentire il resto?  - mi chiese Lilia
-  Si  - le dissi risoluta annuendo
-  Dopo che la mamma si fu ripresa, iniziò, diciamo, a godersi la gravidanza, tu avevi incominciato a muoverti e lei aveva iniziato a dirlo ai quattro venti, passava ore al telefono con la zia Piper, chiediglielo se non mi credi  - continuò Lilia -  Un giorno durante il quinto mese, però, due Echidne ci attaccarono mentre eravamo al Parco. Papà se ne doveva occupare mentre noi e la mamma tornavamo a casa, solo che la seconda ci seguì e prima che riuscissimo ad arrivare alla macchina attaccò. La mamma per difenderci cercò di respingerla, ma il mostro la scaraventò a terra; fortunatamente, prima che la potesse colpire di nuovo, papà arrivò e uccise il mostro. L’unico problema fu che cadendo a terra il colpo l’aveva fatta entrare in travaglio  - fece una pausa per farmi assimilare bene il racconto, se non fosse stato per il fatto che era successo quando mia madre era di cinque mesi, la storia era molto simile a quella che mi avevano raccontato.
-  Corremmo subito in Ospedale, portarono via la mamma, noi eravamo terrorizzati, papà non voleva farlo vedere ma lo era anche lui, chiamò la nonna con la scusa di venirci a tenere ma in realtà aveva bisogno lui di lei. Aspettammo due ore…  -
-  Furono tre ore e mezza Lilia  - la corresse Lucas, dovevano aver avuto molta paura entrambi perché mentre raccontavano i volti gli erano diventati color cenere.
-  E’ vero, comunque, dopo tre ore e mezza che eravamo in sala d’aspetto arrivò il dottore che parlò con papà. Quando tornò dai nonni era sconvolto, e gli raccontò tutto quello che il dottore gli aveva detto  -  raccontò
-  Noi sentimmo soltanto perché facevamo finta di dormire in braccio ai nonni, o non saremmo mai venuti a saperle queste cose  - specificò Lucas
-  Papà disse che la mamma aveva avuto un distacco della placenta e avevano dovuto operarla ma che adesso stava bene, tu invece no.  -
Se possibile mi feci ancora più attenta di prima, tutto quello che mi avevano detto mi sembrava incredibile, anzi impossibile.
-  Papà disse che eri viva per un soffio, eri in terapia intensiva neonatale in un’incubatrice, non riuscivi a respirare da sola ed eri bradicardica…  -
-  Ciò il tuo cuore batteva troppo lentamente e faticava  - mi spiegò Lucas, sapevo cos’era la bradicardia, l’avevo studiato a scuola, ma non mi andò di farglielo notare.
-  In poche parole eri più morta che viva Aibi, il dottore aveva detto che non sapeva se saresti riuscita a superare la notte, ma in qualche modo ce la facesti.  - continuò Lilia -  Tennero la mamma in Ospedale una settimana, mentre tu peggioravi e miglioravi di continuo, un giorno vedevamo mamma e papà distrutti, l’altro non la smettevano di sorridere. Sei rimasta in ospedale per quattro mesi quando i dottori hanno ritenuto che fossi abbastanza stabile per venire a casa  -
-  e da quel momento ho iniziato ad odiarti  - esordì Lucas prendendo lui la parola -  quando si seppe che saresti tornata a casa i nonni e gli zii prepararono una festa per il tuo rientro, vennero persino Atena e Poseidone, come capirai in quel momento tutti erano concentrati su di te e noi rimanemmo in disparte  - mi spiegò
-  Quindi mi avete odiato per tutti questi anni perché mi fecero una festa quando tornai a casa dopo essere riuscita a sopravvivere?  - gli chiesi stupita
-  Quello fu l’inizio, eri viva ma non stavi bene, spesso soffrivi di apnee e smettevi di respirare all’improvviso, e all’inizio il tuo cuore perdeva ancora qualche colpo ogni tanto, mamma e papà facevano avanti e indietro dall’Ospedale, noi praticamente vivevamo dai nonni. Poi compiesti un anno e ti stabilizzasti del tutto, non successe all’improvviso eri incominciata a migliorare già prima ma ad un anno finì tutto  - concluse Lucas
-  E questo ti spiega perché non ci sono tue foto sino ad un anno e mezzo, mamma e papà erano terrorizzati dall’idea di perderti e il poco tempo in cui stavi bene volevano viverlo appieno, nel caso non fosse durato, non avevano tempo di farti una foto  - mi spiegò Lilia.
Calò il silenzio sulla radura, non sapevo cosa dire, la mia mente non riusciva a formulare un pensiero concreto, però ora tutti i pezzi andavano a posto, ecco perché Thanatos aveva detto che gli ero sfuggita più volte e perché quando ero più piccola i miei genitori si allarmavano anche solo se prendevo il raffreddore, però c’era ancora una cosa che non capivo:
-  Ma perché vi preoccupate ancora? Insomma l’avete detto voi non ho più niente  - gli feci notare.
Lilia e Lucas si parlarono di nuovo soltanto guardandosi, iniziava a darmi un po’ sui nervi quel loro modo di fare -  E’ per questo che volevano dirtelo mamma e papà  - mi spiegò Lilia
-  Noi sappiamo tutto quello che è successo perché un giorno, mentre tu eri a San Francisco dai nonni, gli abbiamo chiesto di chiarirci completamente i fatti visto che ce li ricordavamo ma solo a pezzi  - continuò Lucas
-  Alla fine del racconto ci dissero che non dovevamo parlartene perché… perché il dottore aveva detto che spesso i problemi presentati dai prematuri, anche se spariscono, possono ripresentarsi dopo anni. Ci chiesero di stare attenti se avessimo notato che respiravi a fatica o ti faceva male il petto, quando scoprirono che non eri una semidea, e quindi non ti saresti dovuta allenare, fu quasi un sollievo per loro  - concluse Lilia
Questo voleva dire che se avessi fatto degli sforzi eccessivi avrei rischiato di ammalarmi di nuovo. Ripensai a tutto quello che avevo passato da quando i miei genitori erano stati rapiti sino a quel momento, e quasi mi venne da ridere.
Lilia e Lucas aspettarono che dicessi qualcosa ma ero troppo presa ad assimilare una parte della mia vita che non conoscevo per fargli anche capire che non ero sotto shock.
-  Però mamma e papà non ci hanno più detto niente… quindi secondo me non devi preoccuparti - mi rassicurò Lila stringendomi con un braccio le spalle. Quel gesto mi risvegliò dallo stato di trans in cui ero caduta a forza di rimuginare su tutte quelle informazioni.
-  Quindi lo sapevano tutti… e voi mi odiavate perché per più di un anno vi ho portato via mamma e papà  - conclusi, loro annuirono -  beh, mi sarei odiata anch’io se qualcuno mi avesse portato via i miei genitori  - borbottai.
Lilia mi abbracciò stretta, Lucas invece sospirò e guardò il cielo dove brillavano tantissime stelle (tra cui una vecchia amica di mamma e papà) e un quarto di luna.
-  Cosa ne pensate se andiamo a dormire?  - ci chiese -  Domattina dobbiamo chiamare i pegasi e rincominciare da capo la ricerca, mi dispiace davvero tanto per aver interrotto Agraulo, ma non ero in me  - si scusò
-  Non ti preoccupare, mentre tu scarabocchiavi per terra noi abbiamo fatto una chiacchierata con Agraulo che ci ha detto che una certa Aracne, che vive sull’Angel Island,  è stata nominata carceriera di due semidei, uno dei quali sbavava nel sonno  - lo aggiornò Lilia con aria saccente mentre faceva finta di controllarsi le unghie
-  Vuoi dire che…  - le disse incredulo
-  Domani chiamiamo i Pegasi e andiamo a riprenderci mamma e papà  - gli disse euforica, Lucas però non sembrava condividere nello stesso modo la sua gioia -  che c’è Lucas? - gli chiesi
-  Beh… ecco… dovremo trovare il covo di Aracne… dove ci sono i ragni…  -
-  Che ti terrorizzano?  - lo anticipò Lilia, lui annuì con vigore -  Non pensarci adesso, ad Aracne ci penserò io  - lo rassicurò.
Dopo questo ci sistemammo per la notte, spegnemmo il fuoco e ci infilammo nei sacchi a pelo che ormai si erano asciugati. Dopo qualche minuto che ci eravamo coricati sentì Lilia che iniziava a russare, io strinsi il peluche e cercai di addormentarmi.
Ora sapevo tutto, tutto quello che mi era successo, il perché non c’erano mie foto o perché i miei fratelli mi avevano odiato. Sapevo anche che la mamma per un certo periodo non mi aveva voluta, forse questo avrei preferito non saperlo, ma per capire il resto era stato meglio così, i miei fratelli erano stati sinceri e per questo gliene ero grata.
Decisi di non preoccuparmi per quello che mi sarebbe potuto accadere, se mi fossi ammalata di nuovo me ne sarei accorta e sarei guarita, anche perché adesso non ero più piccola e indifesa. Chiusi gli occhi, le cose si stavano sistemando, l’indomani avremo ritrovato i nostri genitori ( sta volta per davvero ), io sapevo la verità sul mio passato ed ero certa che adesso i miei genitori mi amavo.
Sorrisi, e dopo qualche minuto mi addormentai.
 
Mi svegliai, intorno a me era di nuovo tutto buio come nel sogno delle tre dee però adesso non riuscivo a vedermi. Mi toccai il viso con una mano e mi accorsi che stavo tenendo gli occhi chiusi, per qualche ragione a me sconosciuta, decisi che non avrei dovuto aprirli per nessuna ragione. Mossi l’altra mano ma sentì che era stretta ad un’altra che non aveva intenzione di lasciarla, era la stessa cosa che aveva fatto Lucas quando eravamo finiti ingoiati dall’acqua richiamata da Lilia.
All’improvviso sentì varie voci e grida di frustrazione, ma non riuscì a capire cosa dicessero, nello stesso momento la persona che mi teneva la mano iniziò a correre e io gli andai indietro senza esitare, come se sapessi già che lo avremmo fatto.
Corremmo nel buio per un tempo che parve infinito mentre le voci ci circondavano assomigliando quasi a dei sibili, poi all’improvviso la presa sulla mia mano svanì e mi ritrovai da sola in mezzo all’oscurità.
Sentì il terrore montare e il panico serrarmi la gola, aprì gli occhi per cercare di capire dove fossi e orientarmi ma il buio continuava a circondarmi. Mi portai le mani al viso e mi toccai gli occhi erano aperti, spalancati, intorno a me iniziai a sentire delle voci di sottofondo, delle risa e il clangore di una spada, voleva dire che chi stava combattendo ci vedeva, che i suoi nemici lo vedevano, questo voleva dire che l’unica a non riuscire a vedere niente ero io. Ero cieca.
Sentì il panico salire ancora più forte, iniziai a camminare con le mani davanti a me per cercare qualcosa di solido che potesse darmi la certezza di non trovarmi nel nulla, ma continuavo a camminare e non trovavo niente.
Mi fermai terrorizzata, ero sul punto di piangere, aprì la bocca per chiedere aiuto ma invece di quello che avevo pensato dalle mie labbra uscì dell’altro -  Percy dove sei? Perché mi hai abbandonata?  - quella però non era nemmeno la mia voce, era quella disperata di mia madre.
 
Mi svegliai all’improvviso gridando e portandomi una mano al petto ancora ansante per colpa del sogno -  Aibi stai bene?  - mi chiese Lucas mettendosi subito al mio fianco
Annuì mentre riprendevo fiato -  Era solo un incubo  - riuscì a dirgli alla fine
-  Cosa hai sognato?  - mi chiese mentre mi accarezzava una spalla per farmi calmare
-  Sognavo che smettevo di respirare… la storia deve avermi influenzato  - non volevo raccontargli cosa avevo sognato, d’accordo, qualche mio sogno si era rivelato un indizio su quello che stava per succedere ma questo prima che smascherassimo Eris, questo non voleva dire che adesso qualsiasi sogno facessi era premonitore di qualcosa.
Lucas sembrò farsi bastare la bugia e mi sorrise -  Se vuoi provare a dormire ancora un po’ rimettiti giù, Lilia è andata a chiamare i Pegasi, ti avrei svegliato tra un po’  - mi spiegò.
Mi accorsi in quel momento che il sogno era durato tutta la notte, una luce aranciata aveva ormai iniziato a rischiarare il cielo mattutino e l’aria iniziava a scaldarsi.
-  No, preferisco alzarmi  - lo rassicurai.
Mi alzai dal sacco a pelo e lo rimisi a posto insieme al peluche, mentre Lucas mi dava qualche biscotto che si era salvato dall’acqua per fare colazione, Lilia ritornò tutta sorridente.
-  Sono riuscita a chiamare Blackjack, sono già in volo, tra poco arriveranno sulla spiaggia, mi ha anche detto che sa’ dove si trova Angel Island  - ci raccontò mentre anche lei prendeva qualche biscotto non alluvionato.
-  Allora non ci resta che aspettarli  - commentai.
Disfacemmo il piccolo accampamento che avevamo creato controllando che le ceneri del fuoco fossero spente per bene e poi andammo sulla spiaggia in modo che i tre pegasi ci potessero avvistare. Dieci minuti dopo, tre figure arrivarono cavalcando nell’aria, iniziammo a sbracciarci per farci vedere e poco dopo atterrarono vicino a noi.
- Ally!  - corsi incontro al Pegaso e l’abbracciai, lei si strofinò contro la mia guancia “E’ bello rivederti amica” mi disse contenta
“ Quindi adesso andiamo a recuperare il capo?” chiese Blackjack mentre Lilia gli accarezzava la criniera -  Esatto, il prossimo viaggio che faremo lo faremo anche con loro  -
“ Allora forse è meglio se, mentre voi sconfiggete la donna ragno, noi andiamo a chiamare altri due nostri amici” la informò Blackjack
-  Ma certo  - lo rassicurò Lilia.
Ci sistemammo gli zaini in spalla e poi montammo ognuno sul rispettivo Pegaso, pochi secondi dopo eravamo di nuovo in aria.
Il viaggio andò bene, nessun Arpia ci venne a fare visite indesiderate e Zeus decise che non avevamo bisogno di una doccia.
Angel Island si trova esattamente di fronte a San Francisco, alla fine eravamo tornati al punto di partenza. I Pegasi iniziarono a planare, l’isola è un parco nazionale, quindi non ci vive nessuno, ma in ogni caso tre ragazzi che planano giù dal cielo in groppa a dei cavalli alati non è una cosa che capita di vedere tutti i giorni.
Atterrammo in una boscaglia abbastanza fitta e smontammo -  Allora, andate al Campo mezzosangue e reclutate altri due Pegasi, quando saremo pronti per tornare indietro sarò io o mio padre a chiamarvi  - spiegò Lilia
“ D’accordo, aspettiamo che il capo o la figlia del capo ci chiamino prima di venire con gli amici ” riassunse Blackjack
-  Bravo  - gli disse facendogli una carezza sul muso.
Mi avvicinai ad Ally e l’accarezzai “ Torna indietro tutta intera amica” mi disse emettendo un basso nitrito -  Certo, te lo prometto  - la rassicurai, l’abbracciai e poi la lasciai andare, qualche minuto dopo erano già spariti nel cielo.
-  Bene, adesso non ci resta che trovare Aracne  - disse Lucas poco convinto
-  Dovremo chiedere se qualcuno ha visto qualcosa di sospetto in giro, non credo che si sia stabilita nel palazzo centrale  - gli ricordò Lilia
-  Mi sembra la cosa migliore da fare e, mi raccomando, stiamo attenti ad Eris, non credo che le abbia fatto piacere il bagno da parte tua  - aggiunse Lucas prima di metterci in marcia.
Per la prima volta in tutta l’impresa, scoprimmo di aver avuto un po’ di fortuna al primo colpo. Eravamo arrivati a poca distanza dalla casa principale dell’Isola, che adesso era adibita a museo, e nel momento in cui arrivammo, arrivò anche un gruppo di turisti.
Ci infilammo in mezzo a loro confondendoci tra le persone di diversa etnia ed età:
-  Guarda mamma! Quella ragazza si porta dietro una spada!  - esclamò un bambino che dava la mano alla madre al nostro fianco.
Sua madre si girò verso Lilia e la osservò arricciando il naso, bisogna ammettere che il nostro aspetto non era dei migliori. Mia sorella le sorrise cordiale e poi continuammo a camminare come se niente fosse -  Ma non dire assurdità, quella non è una spada tesoro, è una racchetta per camminare in montagna  - gli disse la madre
-  Ma no… quella era una spada!  - insistette
La madre doveva aver deciso che era meglio smettere di litigare, e lasciare che il figlio pensasse che Lilia portasse al fianco una spada (che in realtà era vero ) e non una racchetta.
-  Era da un po’ che non incontravamo un bambino che vedeva attraverso la foschia  - commentò Lilia mentre il gruppo si metteva in coda per fare i biglietti
-  Lili, tutti i bambini vedono attraverso la foschia,  se mai era da un po’ che non giravamo con le spade al fianco  - la corresse
Lilia sospirò esasperata -  Come sei pignolo!  -
Quando le persone si misero in fila per fare il biglietto e poter visitare tutta l’Isola noi ci spostammo di lato cercando qualcuno a cui chiedere informazioni.
Ci guardammo un po’ intorno e poi vedemmo una guardia appostata vicino alla porta che controllava che nessuno facesse il furbo e saltasse il suo turno nella fila. Ci avvicinammo con la faccia più innocente possibile, come se fossimo degli scout che erano venuti lì per una semplice gita. -  Salve  - salutò Lucas
La guardia portò la sua attenzione su di noi senza sorriderci e scrutandoci da dietro gli occhiali scuri. Era una donna che doveva avere all’incirca una quarantina d’anni, con i capelli scuri raccolti in una coda alta -  Buon Giorno  - ci rispose laconica, non sembrava avere molta voglia di parlare con noi -  Potremmo chiederle un informazione?  - continuò Lucas
-  Sono qui per questo  - ci rispose azzardando un mezzo sorriso
-  Siamo qui per visitare l’Isola, però non sappiamo bene cosa ci sia da vedere, sa’ abbiamo sentito delle voci che dicevano che c’è una zona chiusa al pubblico e non vorremmo finirci per sbaglio  - spiegò Lucas.
La guardia ci guardò per un secondo, pensai che sarebbe stata più educata se si fosse levata gli occhiali da sole, ma sembrava non averne intenzione.
-  E’ vero, le grotte in cima alla collina non sono visitabili perché di recente vi sono state alcune frane e smottamenti, ma per il resto si può vedere tutto  - ci spiegò
-  E queste grotte sono segnate sulla cartina dell’Isola?  - azzardò Lilia
-  Certamente, ma come vi ho detto sono impraticabili per cause di forze maggiori  - continuò
Per qualche ragione quella voce mi ricordava qualcuno, ero sicura di averla già sentita almeno una volta in tutta la mia vita, ma probabilmente era solo una mia impressione, esistono molte voci simili al mondo.
La guardia prese una cartina da un tavolinetto basso vicino all’entrata e ce la consegnò -  Vedete, queste sono le grotte, e questa è quella più pericolosa  - ci spiegò indicandocele.
Noi le sorridemmo -  Grazie mille, è stata davvero d’aiuto  -
La guardia ci sorrise e ci fece un leggero cenno del capo, noi la salutammo e poi ci allontanammo.
-  E’ stato facile  - commentò Lilia srotolando la cartina
-  Abbiamo trovato una persona gentile  - commentò Lucas
-  Quindi adesso che si fa? Facciamo il biglietto e poi andiamo ad ispezionare le grotte?  - chiese Lilia mentre guardava la via più breve per arrivare alla grotta segnalataci come la più pericolosa
-  Mi dici con quali soldi dovremmo pagarli i biglietti? Ci sono rimasti se va bene una ventina di dollari e dobbiamo sopravviverci ancora per un po’, preferirei usarli per comprare da mangiare  - le ricordò Lucas
-  Ma se ci beccano senza biglietto ci mettono sul primo traghetto e ci rispediscono a San Francisco  - gli ricordò Lilia
-  Io… io credo che i biglietti potremmo prenderli comunque  - azzardai mentre un pensiero mi si insinuava in testa
-  E come?  - chiese Lucas incuriosito
-  Potresti metterti in fila con gli altri, quando sei dentro ti infili il berretto della mamma ed entri nella biglietteria, prendi tre biglietti già stampati e corri fuori  - gli risposi
-  Sarebbe un ottimo piano se non ti fossi dimenticata della guardia con cui abbiamo appena parlato che è appostata all’entrata e che si accorgerebbe della vostra mancanza  - mi fece notare Lucas.
Aveva ragione, bisognava trovare un modo per superare anche la guardia senza dare nell’occhio. Ripensai a quella donna e alla sua voce che mi sembrava conosciuta, sapevo di averla già sentita da qualche parte. La risposta arrivò improvvisa portando quella sensazione di gioia di quando finalmente ti torna in mente una cosa che avevi dimenticato, ma appena realizzai quello che avevo capito mi venne un colpo.
Senza pensarci due volte scostai i miei fratelli e guardai nel punto in cui prima vi era la guardia
-  Credo che non ci dovremmo più preoccupare della guardia  - gli dissi mentre anche loro si giravano nella mia stessa direzione
-  Perché se n’è andata? - mi chiese Lilia
-  No, perché era la nonna  - le risposi
Passò un minuto di silenzio in cui i miei fratelli realizzarono quello che avevo detto e poi mi gridarono in coro -  Che cosa?!  -
Feci un salto spaventata visto che mi avevano preso alla sprovvista -  Era la nonna ma non voleva farsi riconoscere. Teneva gli occhiali per non farci vedere gli occhi, ma la voce era la sua, me la sono ricordata adesso  - gli spiegai
-  Ne sei sicura Aibi?  - mi chiese Lucas
-  Te lo posso giurare, era lei  - insistetti
-  Beh, potrebbe essere, non sarebbe nemmeno la prima volta che si traveste da guardia  - gli ricordò Lilia
Guardammo tutti e tre nella direzione in cui prima vi era la guardia, a me era sembrata veramente la nonna, ma anche se non lo fosse stata adesso avremmo potuto mettere in atto il piano per procurarci i biglietti.
Ci accampammo sul retro della casa, Lucas si mise in fila con soltanto il berretto degli New York Yankees allacciato ai pantaloni; io e Lilia lo guardammo entrare nell’atrio della casa e poi sparire. Da quel momento non potevamo fare nient’altro che aspettare, Lucas se la sarebbe dovuta cavare da solo, non che fossimo preoccupate, se c’era una persona che sapeva cavarsela in quel tipo di situazioni in cui non si vede via d’uscita era proprio nostro fratello.
Passò mezz’ora e di Lucas non si vedeva ancora traccia, io e Lilia avevamo sgranocchiato l’ultima parte di biscotti che ci spettava ( il nostro pranzo) all’ombra della casa, poi all’improvviso ci apparve davanti Lucas. Sia io che Lilia sobbalzammo e ci scappò un leggero grido -  Ho preso i biglietti  - ci disse infilandosi il berretto nella tasca posteriore dei pantaloni e mostrandoci i tre pezzettini di carta bianchi e verdi. Io e Lilia prendemmo il nostro e il mio lo infilai nella tasca della felpa chiudendo per bene la cerniera -  Ora cosa si fa?  - chiese Lucas sedendosi davanti a noi e prendendo la sua razione di biscotti.
-  Avevo pensato che potremmo posticipare la “liberazione” a domattina, adesso siamo stanchi e non sappiamo cosa ci aspetta. In più domani avremo più ore di luce a disposizione per cercare di sconfiggere Aracne e, sperando di no, anche Eris  - propose Lilia
-  Mi sembra l’idea migliore  - concordò Lucas
-  Credete che mamma e papà stiano bene?  - quelle parole mi uscirono dalla bocca senza che avessi veramente voluto.
Mi sorrisero rassicuranti tutti e due -  Ma certo, al massimo saranno un po’ ammaccati  - mi rassicurò Lilia, io le sorrisi sentendomi un po’ meglio.
Passammo la giornata oziando sui prati e spendendo i nostri ultimi venti dollari per comprarci qualcosa di sostanzioso per la cena. Quando il sole iniziò a tramontare e le guardie ( quelle vere) iniziarono a girare per dire alle persone che gli ultimi traghetti per San Francisco stavano partendo raccogliemmo gli zaini e andammo a rifugiarci nel bosco in cui eravamo atterrati la mattina con i pegasi. Non potemmo accendere un fuoco per paura che qualcuno ci scoprisse, non che facesse freddo, più passavano le ore, però e più sentivo la paura stringermi lo stomaco.
C’eravamo, ormai mancavano poche ore e poi avremmo affrontato Aracne e liberato i nostri genitori. Decisi di essere ottimista, eravamo quattro semidei e una mortale contro un mostro tornato in vita per la seconda volta dal Tartaro, ce l’avremmo fatta!
Passammo un po’ di tempo a chiacchierare tra di noi per cercare di far alleggerire la tensione, ma nessuno aveva veramente voglia di parlare. Lilia e Lucas erano agitati ma dovevano essere abituati all’ansia pre-battaglia, io invece sentivo tutto il mio apparato digerente contorcersi e annodarsi su se stesso, non riuscì più a parlare perché sentivo che la cena ( Toast al prosciutto e formaggio, qualche patatina fritta e un bel gelato ) stava prendendo la strada sbagliata, quella per tornare su, e ad un certo punto iniziarono anche a tremarmi le mani.
-  Aibi vuoi dormire con me sta notte?  - mi chiese Lilia dando un occhiata fugace alle mie mani strette a pugno ma che continuavano a tremare.
Non riuscì a dire niente così mi limitai ad annuire e portare il mio sacco a pelo vicino al suo. Ci coricammo, Lilia mi abbracciò  mentre io stringevo il mio peluche -  So’ che fa paura la prima volta, ma non devi preoccuparti. Noi staremo bene e anche mamma e papà, domani sera staremo dormendo tutti e cinque insieme  - mi sussurrò in orecchio prima di addormentarsi.
Mi sistemai in modo da starle più vicina, lei mi strinse, probabilmente credeva di star stringendo un peluche, io però mi sentì rassicurata e riuscì ad addormentarmi.
 
Buio. Ancora una volta mi trovo nell’oscurità più profonda, spero solo che non sia di nuovo il sogno di mia madre che cerca papà. Non vedo niente ma so’ di non essere ceca è solo che non c’è nulla da vedere. Sento un rumore, come quello di una vecchia radio che gracchia prima di riuscire a sintonizzarsi sulla stazione giusta, poi due voci rompono il silenzio, non le riesco a riconoscere hanno un suono troppo metallico e inumano.
-  Devi farlo fratello  -
-  Non me ne verrebbe niente in tasca  -
-  Faresti felice lei, sai che ci tiene  -
-  Non la sento da anni! E non ho intenzione di prendere ordini da lei  -
-  Ma è nostra madre! E poi tu l’avresti  -
Silenzio -  Dov’è la fregatura?  -
-  Non c’è, dovrai solo fare questo favore alla mamma e poi potrai tornare a fare il portinaio  -
-  Non faccio il portinaio!  -
Fu l’ultima cosa che sentì, poi il sonno mi avvolse completamente e non sognai più.


Ed eccolo qui, come avete potuto notare molte cose sono venute a galla, cosa ne pensate? :)
Se siete curiosi e volete sapere qual'è lo Spoiler dalla Casa di Ade scrivetemelo nella recensione, però è a vostro rischio e pericolo.
Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono e che hanno messo la storia tra le preferite o le ricordate. Aspetto le vostre recensioni con piacere, se avete dei consigli, domande o critiche fatemele pure.
Spero che l'ispirazione per il tredicesimo capitolo arrivi, visto che è un periodo in cui, al mio confronto, Nico è un ragazzino spensierato e felice, ma state tranquilli, questo mio malumore non si riverserà sui personaggi... credo.
Direi che per ora è tutto,
Un abbraccio,
Darkness_Angel

p.s: Oggi è il compleanno di Suzanne Collins, tanti auguri alla nostra assas... cioè scrittrice preferita! XD

 

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Capitolo 13
*** Mamma e Papà ***


Buon compleanno Testa d'Alghe!
Va bene, lo ammetto, ho finito il capitolo due giorni fa ma ho aspettato il compleanno di Percy per pubblicare :D In questo capitolo non ci sono spoiler dalla Casa di Ade, spero vi piaccia, ci sentiamo in fondo, Buona Lettura :)


Capitolo Tredici
Mamma e Papà

 
Gli faceva male la testa.
Ecco l’unica cosa di cui era sicuro, la testa gli doleva come se vi avesse avuto dentro Leo che batteva con il suo martello su un incudine.
Aprì gli occhi lentamente e iniziò a mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava, erano in una grotta, il soffitto era coperto di muschio e di strane stalattiti dalla forma arrotondata che ricordavano molto dei massi, ve ne erano alcune che sembravano persino dei sassolini… No, quelli erano sassolini e quello che vedeva non era il soffitto, ma il pavimento.
Percy scosse il capo più volte cercando di scrollarsi di dosso quel senso di torpore che gli annebbiava la testa, gli sembrava di aver dormito per giorni.
Con un po’ di fatica tirò su la testa e riuscì a vedere che i suoi piedi e le mani erano stretti in delle specie di corde bianche che lo tenevano attaccato al soffitto della caverna. Si lasciò andare ritornando appeso e dondolando ( si sentiva molto un pesce appena pescato) poi il suo sguardo incrociò una figura costretta nella sua stessa situazione affianco a lui.
-  Annabeth, Annabeth svegliati  - la chiamò abbastanza forte in modo che lo potesse sentire ma non troppo da richiamare l’attenzione del loro carceriere.
Annabeth era appesa anche lei a testa in giù, i capelli spettinati che erano scappati dalla coda di cavallo, un graffio rosso con del sangue appena rappreso le segnava la fronte sopra il sopracciglio destro -  Annie!  - la chiamò di nuovo un po’ più forte, lei non rispose.
Percy imprecò in silenzio, alzò lo sguardo e iniziò a tirare con forza il tessuto che gli teneva legate le mani, gli bastava liberarne una, non chiedeva tanto, una sola.
Tirò con forza una mano, il tessuto gli segava leggermente i polsi, ma non gli sembrava corda ne stoffa, era qualcosa che non aveva mai visto. Diede un altro strattone e una mano si liberò ricadendogli vicino alla testa, si guardò il polso vi era una linea rossa nel punto in cui la corda aveva sfregato, ma non vi era sangue, non era una ferita grave.
Allungò una mano e se la infilò nella tasca dei pantaloni, come pensava Anaklusmos era lì, sotto forma di penna, nonostante tutto quel tempo non aveva smesso di riapparirgli in tasca.
La prese in mano e avvicinò la punta all’altra mano così da riuscire a levargli il cappuccio. La spada apparve all’improvviso, senza pensarci due volte tirò un fendente al tessuto che lo teneva legato al soffitto e cadde a terra con un sonoro tonfo sbattendo la schiena.
Sei un genio Percy, sul serio, un vero genio! Si disse mentre si levava dai piedi e dall’altra mano quella specie di tessuto colloso che si invischiava dappertutto.
Appena fu libero si alzò e si andò ad inginocchiare davanti ad Annabeth -  Annie, apri gli occhi  - le sussurrò prendendole il viso tra le mani -  Ti prego svegliati, so’ che ce la fai  - le disse  dandole dei leggeri colpi su una guancia con una mano.
Annabeth emise un leggero gemito e strinse gli occhi per poi aprirli lentamente -  Percy…  - sussurrò stringendo gli occhi per metterlo meglio a fuoco.
-  Non sai quanto sono felice di vederti sveglia Sapientona  - le disse, poi le prese il viso tra le mani e la baciò appassionatamente come se non lo facesse da secoli.
Annabeth lo assecondò ma poi si allontanò leggermente accigliandosi -  Sono felice anch’io Testa d’Alghe ma… sono appesa a testa in giù, non potresti baciarmi dopo?  - gli chiese
-  Certo, scusa  - le disse.
Raccolse la spada da terra e le liberò le mani, si accucciò in modo che gli  si aggrappasse al collo per non farla cadere e poi le liberò anche le gambe, dandole poi una mano a rimettersi in piedi.
Annabeth si portò una mano alla tempia e scosse piano il capo -  Tutto bene?  - le chiese facendole alzare il viso e guardandola negli occhi grigi che tanto amava
-  Si… mi fa solo un po’ male la testa ma…  - Annabeth si interruppe e si girò a fissarlo terrorizzata -  Aibileen e… e i bambini! Percy siamo stati attaccati dal Minotauro!  - gli disse prendendolo per le spalle e scrollandolo, dimenticandosi del suo mal di testa.
Percy la prese a sua volta per le spalle per farla calmare -  Lo so’, me lo ricordo anche io Annie, ma come puoi vedere non mi sembra più di essere sulla spiaggia di Montauk  - le fece notare.
Annabeth si guardò intorno analizzando l’ambiente dove si trovavano -  Non ho mai visto un posto del genere  - gli confessò infine mentre si guardava ancora intorno
-  Se è per questo nemmeno io… la cosa con cui ci hanno legato è terribile, più cerchi di levartela e più ti si appiccica ovunque  - le disse cambiando discorso mentre cercava di pulirsi le mani sui pantaloni.
Annabeth si guardò i polsi dove sopra vi era ancora un residuo del materiale con cui li avevano legati, il cuore le saltò un battito, sapeva cos’erano quelle, ci si era svegliata ricoperta per metà della sua infanzia -  Percy queste sono ragnatele…  - gli disse in un sussurro con gli occhi sgranati guardandolo.  Lui ne prese un pezzo e se lo passò tra le dita  -  Ne sei certa?  - le chiese
-  Certo che ne sono sicura! Sono una figlia di Atena terrorizzata dai ragni che è stata trascinata nel Tartaro da una ragnatela. Si, Percy ne sono sicura  - gli rispose scocciata.
Percy le prese le mani e la guardò negli occhi che, al contrario del suo comportamento che minacciava tempesta, mostravano la paura che le stava nascendo nel petto.
-  Questo non vuol dire niente, siamo in una grotta chissà dove è normale che ci siano delle ragnatele  - le ricordò
-  Si, ma noi ci eravamo stati legati  - gli fece notare marcando la voce su “legati”
-  Lo so’ ma non raggiungiamo conclusioni affrettate… potrebbe non essere lei  - le ricordò
-  E se lo fosse?  - lo rimbeccò Annabeth
-  La uccideremo un’altra volta, ora però non pensiamoci e cerchiamo di uscire da qui  - le disse prendendola per mano.
La grotta non era completamente buia, questo voleva dire che da qualche parte vi era una uno sbocco verso l’esterno che permetteva il passaggio della luce.
Decisero di incamminarsi nel corridoio di roccia davanti a loro, sembrava quello più luminoso.
Percy teneva Anaklusmos sguainata davanti a se’ nel caso il loro carceriere o qualche mostro, fossero  apparsi all’improvviso. Annabeth gli camminava accanto tenendogli la mano, l’ultima cosa che volevano era dividersi.
Ad un certo punto il corridoio si biforcò in due, si fermarono all’incrocio indecisi su che strada prendere -  Destra o Sinistra?  - chiese Percy
Annabeth guardò entrambi i tunnel per qualche minuto -  Sinistra, arriva dell’aria fresca da lì  - gli spiegò prima di imboccare quel tunnel.
Continuarono a camminare incontrando sempre più diramazioni. Imboccavano sempre il tunnel che sembrava portarli verso l’alto o quello più luminoso, ma alla fine si rivelavano quasi sempre vicoli ciechi oppure, quando arrivavano in fondo, vi era un’altra diramazione.
Non avevano idea da quanto stessero camminando, sapevano solo che quel posto era infinito, che i tunnel era tutti uguali e che quelli che imboccavano loro, alla fine, non portavano da nessuna parte.
Annabeth sospirò e si fermò -  Credi che potremmo farla una pausa?  - chiese a Percy che guardava il tunnel ricoperto di muschio che li circondava.
-  Direi di si  - le disse
Annabeth si sedette a terra sospirando pesantemente, Percy le si mise al fianco. Camminare senza una meta precisa era ancora più faticoso che camminare sapendo dove si stava andando, e poi iniziavano ad avere sete e fame ma, almeno che non si mettessero a mangiare il muschio che cresceva sulle pareti, non avevano nulla per soddisfare i loro bisogni.
Percy guardò Annabeth che giocherellava con un braccialetto fatto con fili colorati intrecciati che portava al polso, se non si ricordava male glielo aveva fatto Aibileen, sotto direttive di Piper, sei anni prima quando i gemelli aveva comprato il primo vero regalo alla madre per il compleanno. Aibileen non aveva voluto fare brutta figura e allora si era andata a rintanare con Piper per tutto il  pomeriggio e la sera aveva dato il regalo ad Annie, avevano l’abitudine di tornare al Campo per i loro compleanni, così almeno potevano festeggiarli in famiglia.
-  Vedrai che troveremo l’uscita, insomma, non sarà mica peggio del Labirinto di Dedalo  - le ricordò cercando di rassicurarla
Ma Annabeth non era preoccupata per quello -  Quanto pensi che sia passato da quando siamo spariti?  - gli chiese
Percy ci pensò su qualche momento -  Sicuramente più di due giorni, ho già un po’ di barba e mi ero rasato prima di partire  - le spiegò
Annabeth annuì ma rimase pensierosa -  Credi che Aibileen stia bene?  -
Percy le sorrise -  Credo proprio di si, lei non è una semidea, non c’era ragione per cui il Minotauro dovesse attaccarla  - le ricordò
-  Si, ma era da sola a Montauk e non credo che al Campo siano venuti a sapere di quello che è accaduto. E se il Minotauro l’avesse ferita per sbaglio?  - instette
-  Aibi non è stupida, non si sarebbe avvicinata soprattutto sapendo che poteva vederla  -
-  Le avevo dato il mio cappello, e se le fosse venuta la pazza idea di cercare di liberarci approfittando del fatto che fosse invisibile?  - instette ancora
-  Annabeth, nostra figlia non è stupida. Conosce i suoi limiti, sono sicuro che sta benissimo  - la rassicurò ancora sorridendole
-  Ma se…  -
-  Annie, smetti di pensare che sia andato tutto storto, dalle fiducia  -
-  Ma io mi fido di lei, però è così piccola…  - gli ricordò incupendosi
Percy sospirò, Annabeth era una bravissima madre, ma aveva sempre avuto l’abitudine di preoccuparsi eccessivamente per i loro figli quando stava per troppo tempo senza avere loro notizie, in più la sua mente sempre attiva da figlia di Atena la portava a immaginare tutte le cose che sarebbero potute succedere, anche quelle più catastrofiche e impossibili. Doveva riportarla al presente e far uscire fuori la Annabeth che era sopravvissuta al Tartaro, adesso gli serviva lei.
-  Annie quanti anni ha nostra figlia?  - le chiese serio
-  Dodici  -
-  Esatto, ricordami un attimo cosa abbiamo fatto noi a dodici anni?  -
-  Girato per mezza America, sconfitto Medusa, mangiato un Hamburger con Ares, fatto un viaggio negli Inferi e riportato la folgore a Zeus  - riassunse
-  Esatto  - aggiunse
-  E questo cosa centra? Aibi non è una semidea, o te lo sei dimenticato?  - gli ricordò a sua volta
-  Lo so’, ma tu ti sei dimenticata che io ho ucciso il Minotauro prima di scoprire che ero un semidio e che tu hai ferito un Ciclope quando avevi sette anni, e non venirmi a dire che eri già allenata perché so’ che non è vero  - la anticipò mentre Annabeth stava aprendo bocca per replicare -  Quindi, credo che nostra figlia abbia tutte le capacità per cavarsela, e in ogni caso appena ci avrà visto sparire avrà avvertito Lilia e Lucas, quindi non ti preoccupare per loro  - concluse.
Annabeth lo fissò per qualche secondo, nonostante tutti quegli anni che avevano passato insieme, Percy non riusciva, a volte, ancora a decifrare il suo sguardo -  E va bene Testa d’Alghe, smetterò di preoccuparmi  - cedette infine sospirando ma sorridendo più rilassata, molto probabilmente il suo cervello le aveva fatto capire che quella era l’ipotesi più sensata.
-  Ora, cosa credi sia meglio fare?  - le chiese, ora che aveva la mente sgombra da altri pensieri le sarebbe venuto più facile concentrarsi per ideare un piano di fuga.
-  Dovremo cercare di segnare in qualche modo i tunnel in cui siamo già passati… così da non finirci di nuovo  - propose
-  Ottima idea, ma come li segniamo?  - le chiese guardandosi intorno e cercando qualcosa che potesse essere utile.
-  Potresti scalfire le pareti con la spada. Potresti farlo in un punto preciso in ogni tunnel così sapremo dove guardare prima di prenderne uno  - gli spiegò
-  Molto bene, te la senti di riprendere?  - le chiese
-  Si, ma prima non mi dispiacerebbe un sorso d’acqua  - gli rispose mentre si alzavano in piedi
-  Beh, almeno che tu non abbia una bottiglietta d’acqua nascosta da qualche parte, non so’ come aiutarti  - le rispose alzando le spalle
Annabeth sospirò esasperata, Percy riconobbe quel sospiro come uno di quelli da “ma proprio non ci arrivi Testa d’Alghe?”
-  Le pareti sono coperte di muschio, il muschio cresce solo in zone molto umide, questo vuol dire che la roccia è intrisa d’acqua, credi di poter riuscire a farne uscire un po’ ?  - gli chiese. Ma certo la roccia intrisa d’acqua e chi non ci sarebbe arrivato?
Percy si avvicinò ad una parete e vi staccò il muschio gettandolo a terra, poi vi appoggiò una mano. Annabeth aveva ragione ( e quando mai non l’aveva? ) dentro la roccia percepiva l’acqua, non era moltissima ma forse sarebbe bastata per qualche sorsata. Prese Anaklusmos e tirò dei colpi sulla roccia con il pomo rompendola e creando un piccolo avvallamento -  Cerco di farla uscire da lì  -
Annabeth si mise di fianco al piccolo foro e vi mise sotto le mani a conchetta, Percy si concentrò e dopo qualche secondo un piccolo rivoletto d’acqua iniziò ad uscire riempiendo le mani della moglie. Annabeth fece riempire le mani due volte e bevve avida -  Ce la fai a farla uscire e intanto bere? - gli chiese alzandosi in piedi mentre Percy smetteva di far uscire l’acqua.
-  Direi di si  - riappoggiò una mano sul muro mentre metteva l’altra sotto il foro, quando l’acqua iniziò a riuscire, si accucciò e bevve anche a lui.
Percy si rialzò e le sorrise -  Bene, ora possiamo andare  -
Annabeth lo riprese per mano e fecero per rimettersi in cammino quando sentirono dei ticchettii, molti ticchettii, provenienti dalle loro spalle.
Percy si girò tenendo pronta Anaklusmos mentre, con un gesto involontario, portava Annabeth alle sue spalle per proteggerla. Aspettarono mentre il rumore si faceva sempre più vicino, era a pochi passi da loro ormai avrebbero dovuto vedere chi era a provocarlo, ma quando il rumore era così vicino da sembrare a qualche centimetro dalle loro orecchie, cessò. Percy fece qualche passo cauto verso la parte del tunnel da cui erano arrivati illuminandolo con Anaklusmos ma non c’era niente -  Sarà meglio che andiamo prima che ci ripensi, qualunque cosa fosse  - disse sotto voce per farsi sentire solo da Annabeth che però non gli rispose e si limitò a stringergli la mano con forza.
Si girò ma Annabeth era immobile davanti a lui e fissava un punto sopra la sua testa ad occhi sgranati, Percy aprì la bocca per parlare ma lei lo anticipò -  A-Alza la testa, molto lentamente  - gli disse abbassando lo sguardo e incrociando i suoi occhi verdi.
Percy si girò mettendosi di fianco alla moglie senza lasciarle la mano e guardò nel suo stesso punto. Il soffitto era costellato di minuscoli occhietti rossi che li fissavano indagatori, Percy alzò leggermente Anaklusmos per illuminarli rivelando milioni di piccoli ragni neri, grassocci e pelosi, il ticchettio che avevano sentito prima era stato provocato dalle loro zampette. Tutti gli occhi si girarono verso la spada e sembrarono fissarla truce -  Abbassala, non voglio che pensino che vogliamo attaccarli  - gli sussurrò Annabeth stringendogli così tanto la mano che Percy iniziò a non sentire più le punte delle dita.
Come se l’avessero sentita gli occhietti rossi si girarono di nuovo verso di loro, Annabeth emise una specie di pigolio -  Credo che sia meglio se ce ne andiamo…  - gli sussurrò tirandogli leggermente la mano nella direzione opposta di dove era venuta la marea nera.
-  Si, credo anch’io  - concordò Percy
Iniziarono ad indietreggiare lentamente mentre i ragnetti li guardavano perfidi, appena non furono più sotto di loro si girarono e iniziarono a correre, mentre il ticchettio riprendeva.
I ragni avevano iniziato l’inseguimento.
 
Continuavano a correre cercando solo di mettere più strada possibile tra loro e i ragni ma sembrava un’impresa impossibile. Dovunque andassero il ticchettio continuava a seguirli, per i primi metri Annabeth aveva cercato di seguire una logica nei tunnel che imboccava, ma aveva sempre il terrore di finire in un vicolo cieco e, quindi, di diventare una facile preda.
Percy la seguiva senza fare domande, illuminando la strada con il riverbero della spada; si fidava di lei, come aveva sempre fatto, ma in questo momento non riusciva a ragionare, appena cercava di elaborare un piano per far disperdere i ragni o depistarli sentiva il rumore delle loro zampette che battevano sulla roccia dei tunnel e la paura le chiudeva la mente, quel rumore le ricordava troppo di quando, da piccola, veniva attaccata dai ragni la notte.
Ad un certo punto si trovarono davanti ad un bivio con tre tunnel, uno dei quali era tappezzato di ragnatele bianche e spesse come tessuto -  Da che parte?  - le chiese Percy escludendo a priori il terzo tunnel. Annabeth  si fermò e guardò i due tunnel, poi decise -  Il primo  - e corse in quella direzione, ma appena vi mise piede dentro Percy le strattonò la mano tirandola indietro e facendola sbattere contro di lui. Annabeth si girò verso di lui guardandolo dubbiosa, lui la guardò serio:
-  Non ve bene nemmeno questo come tunnel  - le disse indicandoglielo con un cenno del capo.
Annabeth si girò e vide che gli occhietti rossi adesso erano all’altezza della sua faccia, i ragni si erano calati giù con un filo trasparente che lei non aveva visto. Sentì il cuore farle una capriola, se Percy non l’avesse tirata indietro lei ci sarebbe finita in mezzo e adesso sarebbe stata ricoperta di ragni, rabbrividì.
-  Andiamo  - le disse Percy riprendendole la mano e, sta volta, tirandola lui nel tunnel di mezzo. Da quel momento in poi le cose si semplificarono, ad ogni diramazione che trovavano, erano i ragni a decidere dove farli andare ostruendogli l’altra via di fuga.
Avevano provato a tornare indietro, ma dopo qualche metro trovavano i ragni che tessevano una spessa ragnatela bloccando il passaggio; provarono a passare sotto i ragni che scendeva dal soffitto, ma questi, appena li vedevano, scendevano sino alla loro altezza decisi a ricoprirli, passare nel tunnel con le ragnatele spesse era impossibile, riuscivano solo a incollarcisi sopra, così non rimaneva che fare il gioco dei ragni.
Imboccarono un altro tunnel, ormai era da più di un ora che correvano e iniziavano a non avere più fiato e ad accusare la stanchezza poi, all’improvviso, il tunnel iniziò a schiarirsi e a diventare sempre più luminoso mentre un venticello che sapeva di salmastro gli accarezzava il viso:
-  E’ l’uscita!  - gridò Percy girandosi per un secondo verso la moglie che gli sorrise.
Accelerarono con le ultime forze che gli rimanevano finché il tunnel terminò e si ritrovarono in un’altra grotta.
Si fermarono a riprendere fiato e per vedere dov’erano finiti. Come per tutto il labirinto sulle pareti vi era un leggero strato di muschio che però era di un verde più chiaro, sembrava quasi secco. La caverna era fatta a cupola e in fondo, leggermente in salita, vi era una fessura abbastanza larga da farci passare un uomo. Non dovettero dirsi nulla, scattarono in avanti spinti soltanto dalla gioia di poter finalmente vedere la luce del giorno, ma non riuscirono a raggiungerla.
Dai due angoli in ombra vicino alla fessura spuntarono due ragni grandi quanto una moto che gli andarono incontro, avevano un corpo ovale e beige dal quale partivano otto lunghe e sottili zampe e spiccavano quattro minuscoli occhietti neri.
Riuscirono a fermarsi in tempo prima di finirci addosso, Percy prese Annabeth e la strinse mentre lei soffocava un grido portandosi le mani alla bocca.
Incominciarono ad indietreggiare mentre i due ragni avanzavano, Annabeth era terrorizzata, si stringeva a Percy cercando di rimanere in piedi, le sembrava di essere dentro uno dei suoi incubi peggiori.
Percy si girò e si fermò, cercare di tornare indietro non era una scelta possibile, i ragni che li avevano inseguiti sino a lì avevano iniziato a chiudere l’entrata tessendo ad una velocità inumana, erano in trappola.
-  Annie, devi lasciarmi andare, così faccio fuori questi due ragni da guardia e ce ne andiamo  - le sussurrò vicino all’orecchio, Annabeth annuì senza levare lo sguardo dai due ragni che si erano fermati a due metri di distanza da loro.
Si fece coraggio e lasciò andare Percy che si mise al suo fianco protendendo Anaklusmos verso i due ragni da guardia, lasciò la mano alla moglie e attaccò il primo ragno davanti a lui, ma prima che la sua spada riuscisse anche solo a sfiorarlo, sentì qualcosa pizzicargli il collo e un immenso calore diffondersi da quel punto in tutto il corpo.
Si portò la mano sul collo nel punto in cui aveva sentito dolore e sentì che vi era qualcosa, lo levò e lo guardò, sulla sua mano c’era un ragnetto rosso a striature nere che schioccava soddisfatto due piccole tenaglie -  Cosa…  - non ebbe il tempo di finire la frase che una fitta dolorosa allo stomaco lo fece gemere e inginocchiare a terra.
-  Percy!  - Annabeth gli si inginocchiò vicino e lo strinse con un braccio per le spalle
-  Cos’hai?  - gli chiese cercando di farlo rimettere eretto.
Lui la guardò era pallido e un sottile strato di sudore gli imperlava la fronte, si stringeva lo stomaco con entrambe le braccia e gemeva -  Mi… mi ha punto quel ragno  - le disse in un sussurrò indicando con un cenno del capo il piccolo ragnetto rosso davanti a lui.
Annabeth, non ci pensò due volte si alzò in piedi e lo calpestò uccidendolo con sguardo truce, Percy si sarebbe anche messo a ridere se non si fosse sentito come se avesse appena bevuto due litri di sangue di Gorgone.
Ebbe un’altra fitta e un gelo improvviso iniziò ad invadergli le membra facendolo incominciare a tremare, sentiva le forze abbandonarlo, si accasciò a terra -  Percy, resisti ti prego  - lo supplicò Annabeth di nuovo inginocchiata al suo fianco, lui non le rispose e gemette  di nuovo.
-  Io posso aiutarlo  -
Annabeth scattò in piedi raccogliendo da terra Anaklusmos pronta ad attaccare e a difendere Percy, riconosceva sin troppo bene quella voce.
-  Vedo che non hai perso colpi, figlia di Atena  -
Era una voce femminile ma che non aveva nulla di umano, era dolce ma acida allo stesso tempo ed era la voce narrante dei suoi incubi.
-  Fatti vedere! Esci fuori!  - gridò Annabeth contrastando il terrore che le gelava il sangue nelle vene. La voce non rispose più ma si sentì una risata roca poi, da quella che ad Annabeth era sembrata fino a pochi secondi prima solo una zona d’ombra, uscì fuori la padrona della voce.
-  E’ un piacere rivederti  - la salutò Aracne uscendo dall’ombra
Annabeth la fissò con odio e con una punta di stupore, quella non era la stessa Aracne di cui si ricordava, lo stesso mostro che aveva sognato per notti intere dopo il Tartaro, sembrava… sembrava più umana.
-  Posso assicurarti che il piacere è tutto tuo  - la rassicurò tirando fuori tutto il coraggio che aveva. Aracne rise di nuovo -  Non credo, sono sicura che presto cambierai idea  - la rassicurò a sua volta il mostro mentre si avvicinava ai due ragni da guardia e si metteva in mezzo a loro.
-  E’ un piacere rivedere anche te  - aggiunse sporgendosi leggermente e guardando Percy che gemeva dietro ad Annabeth tremando convulsamente, poi si rivolse ad Annabeth e le sorrise
-  Allora, figlia di Atena, cosa ne dici se facciamo un patto? - le chiese
-  Io non vengo a patti con te!  - le rinfacciò puntandole contro la spada
- Davvero? Nemmeno se io avessi questo?  - le chiese tirando fuori dal nulla una fiala oblunga piena di un liquido trasparente.
Annabeth esitò; no, non poteva essere quello che pensava.
-  Invece è proprio quello  - le rispose Aracne come se le avesse letto nella mente -  Sangue di una Gorgone preso direttamente dal suo fianco destro  - le disse
Annabeth la fissò torva, se il mostro diceva la verità quel sangue avrebbe salvato Percy, sempre che la puntura di quel ragnetto non desse solo degli effetti temporanei. Dietro di lei suo marito emise un leggero grido, forse gli effetti non erano temporanei.
-  Come faccio a sapere che invece non è sangue del fianco Sinistro? - le chiese cercando di non dar retta ai gemiti di Percy che aumentavano di intensità
-  Posso giurartelo sullo Stige, ma tu devi sbrigarti a decidere, non gli rimane molto tempo  - le disse lanciando ancora un’occhiata alle sue spalle.
Il cervello di Annabeth si mise in movimento, l’idea che il veleno non fosse mortale era da scartare, quindi non le rimaneva altra scelta che accettare, se Aracne diceva il vero Percy si sarebbe salvato, nel peggiore dei casi… scosse il capo e fissò Aracne -  D’accordo, giura sullo Stige che quello è sangue proveniente dal fianco destro di una Gorgone  - le disse risoluta
-  Prima giura tu sullo Stige che, se io ti consegnerò la fiala, tu farai tutto quello che ti dirò  - la rimbeccò il mostro.
Poteva farlo, avrebbe trovato un modo per scamparsela anche quella volta -  Non farlo…  -
Annabeth si girò di scatto e guardò Percy che ormai assomigliava a un cadavere e la guardava con gli occhi ridotti a due fessure per il dolore -  Morirai…  - gli fece notare con la voce roca
Percy le sorrise e poi perse conoscenza, Annabeth si sentì morire e le sembrò che il mondo le crollasse addosso.
-  Giuro sullo Stige che dopo che mi avrai dato la fiala e l’avrò salvato farò tutto quello che vorrai - disse rivolta ad Aracne mentre tratteneva a stento le lacrime.
-  Bene e io giuro sullo Stige che questo è sangue preso dal fianco destro di una Gorgone  - giurò, poi allungò una mano dalle dita affusolate ( che sembravano dei veri e propri artigli ) verso Annabeth porgendole la fiala. Lei si avvicinò cauta e prese la fiala, non accadde nulla, tornò di corsa da Percy inginocchiandosi vicino a lui e tirandogli su la testa per poi fargliela appoggiare sulle proprie gambe, respirava appena. Stappò la fiala con i denti gettando via il tappo di sughero e poi ne avvicinò la sommità alla bocca del marito -  Foza Testa d’Alghe, bevi  - gli sussurrò versandogli il liquido trasparente in gola facendo attenzione a non sprecarne nemmeno uno goccia.
Quando la fialetta fu vuota aspettò, sentiva il suo cuore batterle all’impazzata nel petto, non le importava di essere circondata dai ragni, lei voleva che il suo Testa d’Alghe si riprendesse, voleva vedere aperti i suoi meravigliosi occhi verdi.
Gli fece una carezza sulla fronte accarezzandogli poi anche i capelli -  Forza…  - sussurrò anche per dare forza a se’ stessa, poi Percy si mosse ebbe uno spasmo ed inspirò bruscamente aria aprendo gli occhi. Annabeth rise mentre due lacrime le solcavano le guance si chinò su di lui e lo baciò:
-  Non dovevi accettare  - le sussurrò con un filo di voce
-  Non potevo perderti  - gli rispose semplicemente accarezzandogli una guancia ispida
- I patti sono patti figlia di Atena  - esordì Aracne mettendo fine a quel momento
Annabeth si asciugò le guance e fissò il mostro -  Lo so’, e adesso farò tutto quello che vorrai  - la rassicurò mentre aiutava Percy a mettersi seduto.
Percy guardò nella direzione del mostro e sbatté le palpebre un paio di volte per metterlo a fuoco
-  Quella è Aracne?  - chiese ad Annabeth meravigliato
-  Si, sono io piccolo semidio  - gli rispose il mostro prima che la moglie potesse rispondergli
Percy si accigliò e si rivolse ad Annabeth -  Non era così l’ultima volta che l’ho vista io  - le disse -  E’ migliorata parecchio  - continuò.
Annabeth non sapeva perché ma si sentì offesa -  Quando la Signora mi ha fatto ritornare, ha anche migliorato il mio aspetto  - spiegò Aracne con una nota di superiorità nella voce
-  Si vede che nemmeno la Signora riusciva a  guardarla da quanto era brutta  - commentò Percy sottovoce vicino all’orecchio di Annabeth, alla quale scappò una risatina, ora si ricordava un altro motivo per cui amava così tanto Percy.
-  Adesso basta! Figlia di Atena io e te abbiamo un patto  - disse scocciata
-  Dimmi cosa devo fare  - le chiese alzandosi in piedi e aiutando Percy a fare lo stesso, Aracne sorrise maligna -  Allontanati da lui senza prendere la spada e vieni qui vicino a me  -
Annabeth esitò un secondo ma poi obbedì, Percy cercò di trattenerla, ma lei gli lanciò uno sguardo di fuoco e la lasciò andare. Quando passò davanti ad uno dei ragni da guardia le sembrò di avere piombo nelle vene al posto del sangue, sforzò le gambe e si mise di fianco ad Aracne che emanava un odore dolciastro -  Voi, imprigionatelo  -
I due ragni da guardia si mossero e si avvicinarono a Percy che raccolse la spada ma barcollò ancora provato dal veleno -  Ti prego non ucciderlo  - la supplicò Annabeth
Aracne rise piano -  Sarebbe troppo facile ucciderlo  - la rassicurò -  se non proverà ad uccidere i miei servitori, lo lascerò vivere, ma deve lasciare la spada  - le disse
-  Se mai la prossima volta, d’accordo?  - le disse Percy preparandosi a difendersi
-  Percy fai come ti dice  - gli disse Annabeth, lui la guardò dubbioso e lei gli rispose con lo sguardo da ho-un-piano-fidati-di-me.
Percy esitò, ma poi poggiò la spada a terra e la allontanò con un calcio alzando le mani per far vedere che era disarmato -  Braccia lungo i fianchi  - ordinò il mostro, Percy obbedì.
I due ragni da guardia gli si avvicinarono e iniziarono a tessergli intono finché tutto il suo busto non fu bloccato dalle ragnatele, poi i due ragni lo spinsero con le zampe e Percy si sedette per terra a gambe incrociate fissando in cagnesco Aracne.
-  Molto bene, e ora veniamo a te, Figlia di Atena  - le disse con un sorriso complice
-  Cosa vuoi? Che mi uccida? Che lo uccida?  - gli chiese Annabeth sprezzante
-  Oh no, voglio che  tu tessa un arazzo per me  - le rispose allontanandosi da lei e avvicinandosi ad una roccia dove vi erano accatastati dei pezzi di legno, Annabeth non capiva.
-  E cosa vuoi che tessa?  - le chiese
-  La tua morte  -
Ecco, ora le cose quadravano -  Non ho idea di come morirò  - le rispose tranquillamente
-  Ma io si  - le rispose mostrandole i denti bianchi e aguzzi.
Aracne si mosse velocemente intorno all’ammasso di pezzi di legno, Annabeth ne approfittò per lanciare uno sguardo a Percy che era seduto in mezzo ai due ragni da guardia e la guardava dubbioso, lei gli fece un leggere cenno con la mano di stare tranquillo.
-  Accomodati pure Figlia di Atena  - le disse Aracne allontanandosi dalla catasta di pezzi di legno che adesso erano diventati un telaio.
Annabeth si avvicinò e si sedette, il mostro le porse la spoletta e lei lo prese in mano -  Allora dimmi, come sarebbe la mia morte?  - le chiese
-  Immagina te a terra, indifesa e ricoperta dai miei figli che banchettano con te mentre il tuo amico ti guarda morire  - le rispose
Annabeth strinse la presa sulla spoletta e indurì lo sguardo -  Tutto qui?  - sibilò
-  Esatto, quando avrai finito poi vedremo quanto il tuo lavoro rispecchierà la realtà  - la derise. Annabeth rimase ancora per un secondo immobile cercando di controllare la rabbia che le invadeva le membra, poi però prese la spoletta di filo e iniziò a tessere.
Non avrebbe avuto molto tempo, ma almeno, mentre tesseva avrebbe potuto ragionare con calma e creare un piano per scappare da lì e uscirne vivi. Sapeva che sta volta non sarebbe riuscita a salvarsi adulando e ingannando Aracne a parole, non ci sarebbe ricascata, serviva un’altra strategia.
Continuò a tessere mentre il suo cervello vagliava tutte le vie di fuga possibili, ma nessuna sembrava concreta, probabilmente, l’unica cosa che li avrebbe veramente potuti salvare da quella situazione, sarebbe stato solo un intervento divino, di cui, però, dubitava fortemente l’arrivo.

Sorpresa!
Il capitolo non è raccontato da Aibi :D
Cosa ne pensate? Non odiatemi per quello che ho fatto succedere a Percy ma ad Annabeth serviva una "spinta":D
Mi scuso per aver pubblicato a quest'ora ma oggi pomeriggio mi ero messa a fare i CupCake Blu per il compleanno di Percy e il tempo è volato :D
Comunque, come al solito ringrazio chi segue, chi legge, chi ha messo la storia nelle preferite e chi recensisce :)
Secondo una mia stima approssimativa ci dovrebero ancora essere tre capitoli prima che la Fanfiction si concluda, ma non pensiamoci.
Direi che per adesso è tutto, ancora Tantissimi Auguri al nostro amato Testa d'Alghe,
un abbraccio,
Darkness_Angel



 

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Capitolo 14
*** Quello che incomincia bene, finisce male ***


Salve a tutti, sono ritornata con il Quattordicesimo capitolo :D
Come potete immaginare questo sarà un capitolo un po' movimentato e con uno SPOILER dalla Casa di Ade, come l'altra volta voi leggete la Fanfiction come se non sapeste delle Spoiler, anche se sta volta, lo ammetto, è più evidente :)
Bene, ci vediamo in fondo,
Buona Lettura :D

 

Capitolo Quattordici
Quello che incomincia bene, finisce male

 
Il sole mi ferì gli occhi, mi rigirai nel sacco a pelo mentre Lilia mi stringeva ancora e decisi che era il momento di svegliarmi. Aprì gli occhi e vidi dei pezzi di cielo contornati dalle foglie verdi degli alberi della foresta. Più mi svegliavo e più sentivo la consapevolezza invadermi il petto: oggi era il giorno fatidico.
Scostai il braccio di Lilia che si girò sull’altro fianco a dormire e guardai Lucas che stava controllando la cartina delle grotte, probabilmente per la centesima volta. Quando vide che ero sveglia mi sorrise: -  Dormito bene?  - mi chiese
-  Un po’ agitata  - ammisi alzandomi e stiracchiandomi
-  E’ normale, oggi sarà la tua prima battaglia… noi ci siamo abituati  - mi spiegò
-  Lo vedo  - ammisi guardando Lilia che continuava a dormirsela della grossa
Lucas rise, poi si alzò avvicinandosi a lei e la scosse leggermente -  Lili, è l’ora di andare  - le sussurrò. Mia sorella si svegliò subito e si stropicciò gli occhi -  Ho fame - e poco dopo aggiunse -  ah, e Buon Giorno  -.
Ripiegammo i sacchi a pelo e poi demmo fondo alle nostre provviste mangiando qualche barretta ai cereali che era rimasta sepolta infondo agli zaini.
Sentì l’ansia iniziare di nuovo a crescere, fortunatamente il sogno che avevo fatto non c’entrava nulla con i nostri genitori, ciò voleva dire che il nostro piano, cioè il piano di Lucas, avrebbe funzionato e quella sera saremmo tornati tutti e cinque a casa.
-  Allora, sta mattina ho studiato la pianta delle grotte e credo di aver trovato un modo per portare via mamma e papà  - iniziò Lucas poggiando la cartina sul terreno e illustrandoci il posto.
-  Questa è la grotta peggiore  - disse indicandola -  quindi Aracne sarà qui e con lei ci saranno anche i nostri genitori  - spiegò
-  Come fai ad esserne certo?  - gli chiese Lilia
-  Semplicemente perché è la loro carceriera e non deve perderli d’occhio neanche per un minuto - le spiegò
Lilia sembrò poco convinta ma annuì lo stesso -  Comunque, la grotta ha un’unica grande entrata qui, e alcuni sbocchi sul soffitto che danno su questa collinetta. Io farò da esca per Aracne, assomiglio ad un figlio di Atena, non perderà l’occasione di venirmi dietro, nel frattempo voi due ne approfitterete per liberare mamma e papà entrando dagli sbocchi sulla sommità, sono abbastanza grandi e dovreste riuscire a passarci  - spiegò indicando tutto sulla cartina.
Molto probabilmente sulle mappe per i visitatori le grotte non erano così descritte nel dettaglio, ma visto che era stata la nonna a darcela, probabilmente l’aveva modificata lei.
-  Depisterò Aracne il più possibile, quando mamma e papà saranno liberi e pronti per aiutarci, Lilia devi avvertirmi facendo il verso del gufo per tre volte  - l’avvertì.
Lilia annuì, era stata Juniper ad insegnare ai gemelli ad imitare i versi dei rapaci, io non c’ero mai riuscita, quando provavo uscivano sempre dei versi striduli che assomigliavano ad un gufo con la raucedine -  Se invece mamma e papà non saranno in grado di combattere, portateli fuori al sicuro, dopo di che Lilia mi avverti fischiando tre volte  - le disse.
Sperai ardentemente che andasse a buon fine il primo piano, insomma io non sarei stata molto d’aiuto in caso di un attacco in massa da parte dei mostri.
-  Dopo che sarò arrivato il piano è uguale in ogni caso; uccidiamo Aracne e ce ne torniamo al Campo dopo aver richiamato i pegasi  - concluse con un sorriso trionfante
-  Mi sembra un ottimo piano Lucas  - gli disse mia sorella sorridendogli e battendogli una mano su una spalla.
-  Quindi ci siamo?  - chiesi
-  Ci siamo  - mi risposero annuendo.
Ci caricammo gli zaini in spalla e ci mettemmo in cammino verso le colline. Lucas aveva veramente pensato a tutto, aveva trovato una strada che costeggiava il bosco in modo che saremmo potuti rimanere nascosti e lontani dalle vere guardie, sarebbe stata veramente una presa in giro essere presi in consegna da delle guardie mortali.
Ma sentiti, ti ricordi che tu sei una di loro? O adesso, solo perché hai avuto un po’ di avventure, ti credi una semidea?
Iniziai ad odiare sul serio la mia mente, da quando tifava contro di me? La lasciai stare e continuai a seguire i miei fratelli che stavano confabulando per il piano di attacco, Lucas era un po’ spaventato dall’idea di incontrare Aracne, infondo, a lui, i ragni facevano paura, una volta avevamo trovato lui e la mamma rintanati in un angolo mentre fissavano un ragno che si stava costruendo casa in un angolo del soffitto. Io li guardavo senza capire, all’epoca avevo tre anni, poi era arrivata Lilia sospirando e aveva preso una sedia, si ci era arrampicata sopra, aveva preso il ragnetto in mano ( a mia madre era sfuggito un grido strozzato come se Lilia avesse appena preso in mano uno scorpione ) e l’aveva messo fuori dalla finestra, salutandolo.
Sorrisi a quel ricordo -  Tutto bene Aibi?  - mi chiese Lucas vedendomi ridere
-  Si, si scusa  - gli dissi accelerando il passo e mettendomi di fianco a lui.
Camminammo per una ventina di minuti e poi ci trovammo sulla collinetta che faceva da copertura alla grotta.  Sotto di noi si estendeva il mare, la terra digradava per qualche metro e poi finiva a strapiombo su una scogliera dove le onde si infrangevano rumorosamente, nell’aria c’era odore di salsedine e di fiori…
Il cuore si fermò per un secondo, girai lo sguardo febbrilmente cercando, e sperando di non trovare quel particolare che avrebbe confermato o smentito i miei dubbi, purtroppo lo vidi.
Infondo alla collinetta, su uno slargo, vi era un arco di rose, appena sbocciate, che sembrava essere messo lì per caso, ma che invece sapevo che faceva da veranda ad un’uscita secondaria della grotta.
Sbiancai e mi tremarono le mani mentre la verità si mostrava ai miei occhi, io sapevo già tutto.
Avevo sognato tutto sin da prima che i miei genitori venissero rapiti, se solo avessi parlato di quell’incubo a mamma e papà forse loro non sarebbero stati rapiti, o almeno, sarebbero stati messi in guardia su quello che sarebbe potuto succedere.
Alla fine era veramente colpa mia se i nostri genitori erano stati rapiti, perché, nonostante tutto, avrei potuto avvertirli.
Sei una stupida Aibi, solo una stupida! Mi dissi furiosa con me stessa.
-  Aibi... Aibileen Jackson ci sei?  - mi chiese Lucas poggiandomi una mano su una spalla
Mi ripresi e cercai di sorridergli nonostante la rabbia che sentivo rodermi le viscere come se fosse acido -  Si, scusa ero sovra pensiero  - lo rassicurai.
Lui mi sorrise -  Vorrei parlarti un minuto prima di iniziare  - mi disse.
Rimasi sorpresa, lanciai uno sguardo a Lilia che però era girata di schiena e stava scrutando il paesaggio intorno a noi, probabilmente per capire come usare i suoi poteri al meglio in caso di bisogno -  D’accordo  - gli risposi incerta.
Lucas mi sorrise poi si levò lo zaino dalle spalle, lo aprì e iniziò a ravanarci dentro, dopo un minuto scarso sorrise e mi consegnò il berretto della mamma, la mia bocca si aprì per lo stupore senza volerlo, lui scoppiò a ridere -  Servirà più a te che a me oggi  - mi disse sorridendomi
-  Ma… Lucas tu devi portare via Aracne e... -
-  E deve vedermi o non mi seguirà mai, tienilo tu, so’ che non mi sto sbagliando  - mi rassicurò.
Non sapevo cosa dire, stringevo tra le mani il berretto blu e spostavo lo sguardo da quello a mio fratello, alla fine feci l’unica cosa che poteva esprimere tutto quello che la mia bocca non riusciva a dire, lo abbracciai di slancio prendendolo di sorpresa e facendolo sedere a terra, visto che era in ginocchio, mentre mi abbracciava.
-  Però non ti mettere a piangere perché se no’ non saprei cosa fare  - mi disse scherzando
Scoppiammo tutte e due a ridere e poi, prima di staccarmi, gli diedi un bacio su una guancia - Grazie Lucas  - gli sussurrai
-  Dovere di fratello, non voglio che la mia sorellina muoia  - mi ricordò alzandosi in piedi e poggiandomi una mano di piatto sulla testa.
Lucas era veramente cambiato, il Lucas che conoscevo io si sarebbe tenuto il cappello e mi avrebbe detto “ Se muori mi fai un favore”, ma mi ricordai che quello non era mio fratello.
-  Allora, diamo inizio al piano “Salva la pelle a mamma e papà”?  - chiese Lilia
-  Lili, sei pessima a dare i nomi ai piani  - le disse Lucas raccogliendo lo zaino mentre ci avvicinavamo a lei
Lilia sbuffò  -  Va be’, comunque, iniziamo?  - ci chiese
Lucas si fece serio e annuì, mentre i suoi occhi verdi diventavano duri come smeraldi -  Allora, prima dobbiamo vedere come sono tenuti prigionieri mamma e papà e dopo agire  - ci spiegò.
Io e Lilia annuimmo, posammo gli zaini in un punto della collina Lucas si allacciò la spada alla cintura ( preferisce tenerla nello zaino piuttosto che appesa al fianco tutto il tempo) mentre Lilia invece la sistemava nel fodero -  Forse è meglio se quando siamo vicino alle prese d’aria ti metti il cappello Aibi  - mi consigliò Lucas, annuì.
Se fossero stati scoperti almeno io sarei rimasta come piano b, e avremmo avuto ancora un passibilità di salvare i nostri genitori -  Però dammi la mano, non voglio perderti  - mi disse Lilia porgendomi la mano.
Sospirai ma l’accettai, ci avvicinammo alla grotta, il terreno digradava sino all’entrata principale davanti alla quale vi era una striscia di terra e poi solo il vuoto e il mare.  Sulla sommità, come vi era disegnato sulla mappa, vi erano dei fori di misure diverse che servivano da prese d’aria per la grotta e anche come lucernai.
Ci avvicinammo cauti, io presi la mano a Lilia e poi mi infilai il berretto diventando invisibile, lei mi strinse la mano per assicurarsi che fossi ancora lì e poi ci affacciammo alle prese d’aria.
Sotto di noi si apriva una grotta abbastanza grande, vi era un’entrata completamente bloccata dalle ragnatele, l’entrata principale e poi una piccola rientranza buia.
Sentì Lilia stringermi la mano e le vidi un enorme sorriso allargarsi sul suo volto, il mio non doveva essere da meno visto che il mio cuore stava letteralmente facendo le capriole.
Nostro padre era seduto sotto di noi, legato e controllato a vista da due enormi ragni; la mamma, invece, era seduta poco più avanti china su un telaio che lavorava con calma, mentre quella che doveva essere Aracne la osservava attentamente senza perdere nessuna sua mossa.
Ad essere sincera, dai pochi racconti di mamma e papà, Aracne me l’ero immaginata molto diversa, me la immaginavo più “ragnesca” (so’ che questa parola non esiste, ma è per farvi capire il concetto). Se si pensa ad una donna ragno, si può pensare ad un normalissimo ragno grosso come un alano, con otto zampe e il busto leggermente più lungo a ricordare quello umano, una testa da insetto con tanto di quattro occhi e tenaglie vicino alla bocca, ma certamente non si pensa a quella creatura che avevo davanti agli occhi.
Non è facile descrivervi Aracne, ma cercherò di farvela immaginare. Immaginate un centauro però donna, ora sostituite la parte equina con quella di un grosso ragno nero con dei ricami grigi sulla schiena e avrete com’era Aracne. Sul petto portava drappeggiato un pezzo di tessuto nero e consunto mono spalla che le nascondeva il seno lasciando però in mostra il punto in cui il ventre umano diventava quello nero di un ragno dal quale partivano otto lunghe e sottili zampe.
Come aveva detto Agraulo aveva i capelli neri acconciati sulla nuca a formare una specie di cono decorato con nastri argentei (probabilmente ragnatele), il viso era affilato e giovane, come se Aracne avesse appena vent’anni e non millenni sulle spalle.
Gli occhi erano chiusi e tutta quella parte del viso era sfregiata da cicatrici e graffi rossi, doveva essere cieca oppure percepire soltanto delle ombre, ma sicuramente non doveva vederci molto bene.
La donna ragno si girò verso l’arazzo che stava tessendo la mamma e sembrò scrutarlo e valutarlo, si portò una mano al viso, le dita sembravano cinque aghi spessi e aguzzi, e annuì lentamente, soddisfatta.
Avremmo potuto rimanere lì ad osservare quella scena per sempre come se il tempo si fosse fermato, come se la mamma potesse tessere per sempre e quindi non poter essere attaccata da quel mostro. Lucas fu il primo a riscuotersi, fece un cenno a Lilia e ci alzammo allontanandoci dalle feritoie.
Quando fummo abbastanza lontani Lilia si azzardò a parlare -  Sono vivi  - disse euforica ma con un filo ci voce, eravamo tutti e tre euforici però sapevamo di non poterci mettere a saltare e a gridare dalla gioia perché se no’ il nostro piano sarebbe finito prima di iniziare, così ci accontentavamo di gioire dentro di noi, anche se mi sembrava che il petto stesse per scoppiare da quanto ero felice di aver rivisto i miei genitori.
Mi levai il cappello e ritornai visibile, Lilia mi teneva ancora la mano, ma Lucas aveva iniziato a cercarmi in giro con lo sguardo, quando mi vide riapparire mi sorrise.
-  Aracne non è come me l’ha descritta la mamma  - sentenziò Lucas
Lilia si accigliò, a noi la mamma non ci aveva mai descritto per filo e per segno come fosse Aracne -  Suppongo che quella che incontrarono loro a Roma non assomigliasse ad una bella ventenne  - concordò Lilia
-  Questo però non cambia il nostro piano  - le ricordò Lucas
-  Ma i due ragni che fanno la guardia a papà si  - gli feci notare io
Lucas si fece pensieroso -  Non credo, suppongo che quando io farò allontanare Aracne loro le andranno dietro per aiutarla  - ci spiegò.
Sia io che mia sorella eravamo dubbiose, in quel piano c’erano tante di quelle cose che potevano non andare come aveva previsto Lucas che ci si sarebbe potuto riempire una pagina.
Nella più rosea delle ipotesi Aracne e i ragni avrebbero seguito Lucas e noi avremmo liberato mamma e papà, però poteva anche succedere che Aracne mandasse solo i ragni dietro a Lucas, o che solo Aracne lo inseguisse oppure, nel peggiore dei casi, se ne sarebbero infischiati tutti e tre di Lucas e avrebbero ucciso mamma e papà visto che sapevano di essere stati scoperti.
Decisi di non condividere le mie idee con i miei fratelli, dovevamo essere ottimisti! E se qualcosa non fosse andata secondo il piano di Lucas avremmo improvvisato.
-  Quindi non cambia nulla?  - chiese Lilia per sicurezza
-  Esatto, tutto uguale  - concordò Lucas
-  Perfetto, direi che è il momento di andare allora  - disse Lilia gli occhi grigi che luccicavano sinistri mentre si scrocchiava le nocche delle mani, per qualche strana ragione mi ricordò Clarisse.
Ci dividemmo, io e Lilia ci appostammo agli sbocchi sul soffitto mentre invece Lucas scese il leggero dislivello che lo separava dall’entrata principale delle caverna.
Lilia e Lucas si guardarono parlandosi con gli occhi, poi mio fratello annuì con vigore e sparì dietro la collinetta.
Il piano “salva la pelle a mamma e papà” era appena incominciato.
Qualche secondo dopo che Lucas era sparito dietro la collina sentimmo un gran fracasso come di roccia che si stacca dalla montagna e poi lo vedemmo apparire con la spada sguainata all’entrata della grotta  -  Ehi stupido ragno!  - gridò.
Aracne, i due ragni e i nostri genitori si girarono verso di lui, alla mamma cadde la spoletta del telaio di mano, Aracne sembrò annusare l’aria e poi si girò verso di lui emettendo un suono che assomigliava lontanamente ad un sibilo -  Un altro figlio di Atena…  - ringhiò
-  Esatto, e sono qui per ucciderti  - le disse serio, mi sorpresi di come riuscisse a nascondere la paura, ero fiera di mio fratello
-  Ma davvero…  - ghignò il mostro -  Prendetelo!  - gridò ai due ragni che si allontanarono da papà. Perfetto, neanche un minuto e il piano stava già prendendo una delle pieghe peggiori.
-  Fai fare il lavoro sporco ai tuoi compari perché tu non ne sei in grado, lo sapevo  - le disse
Aracne alzò un braccio e i due ragni si fermarono prima di attaccare Lucas -  Ti potrei uccidere anche senza mani, figlio di Atena!  - gli disse Aracne ferita nell’orgoglio
-  Certo, anche perchè visto le schifezze che fai con le mani, non credo riusciresti ad uccidermi  - la schernì ancora sfidandola con lo sguardo
Aracne gridò frustrata -  Tu non hai idea dei capolavori che possono fare le mie mani!  - gli gridò
-  Bene, allora fai un capolavoro con me  -
Aracne scattò in avanti, era veloce anche se camminava con otto zampe, Lucas la schivò e poi corse via, lei lo inseguì ma non prima di gridare -  Voi controllate i prigionieri!  -.
Bene, Aracne se n’era andata, ma adesso i due ragni erano tornati a guardia di mamma e papà e Lilia non avrebbe potuto ucciderli da sola.
La mamma si era girata verso papà spaventata per quello che aveva appena fatto Lucas, papà aveva fatto un cenno col capo per rassicurarla.
-  Aibi, imprestami il cappello  - mi disse Lilia, me lo levai dalla testa e glielo passai -  Distrarrò i ragni, tu libera mamma e papà  - mi disse mentre se lo stava per infilare in testa, ma le bloccai il polso -  E come? Non ce la faccio da sola!  - le ricordai presa dal panico
-  Si invece, allontanerò i ragni poi sparirò e tornerò indietro, tu nel frattempo falli uscire  - mi spiegò, poi mi sorrise -  So’ che puoi farcela  piccola mortale  - mi scompigliò i capelli poi, prima che potessi replicare, scattò in piedi e discese la collina.
-  Ehi! Ragnetti!  - Mia sorella apparve stringendo in mano il berretto ma senza sfoderare la spada, i due ragni si girarono verso di lei e loro occhietti la fissarono perfidi
-  Scommetto che se corro raggiungo la vostra mammina e la uccido a mani nude prima che voi possiate sputare una ragnatela  - gli disse ridendo
I due ragni piegarono le zampe davanti e saltarono, Lilia rotolò di lato scansandoli e mettendosi a correre mentre i due insetti la inseguirono, devo ammettere che pensavo che i ragni fossero più intelligenti.
Adesso mamma e papà erano rimasti da soli nella grotta, ancora inebetiti dalle scene che si erano appena susseguite, ora toccava a me.
Feci un respiro profondo e mi legai velocemente i capelli in modo che non mi finissero in faccia,
Tremate ragni, arriva Aibi la mortale!
Con questo grido di guerra mi infilai nella fessura scivolando e atterrando malamente col sedere sul pavimento duro della grotta -  Vlacas  - sussurrai
-  Aibileen!  -
Non capì mai se mia madre mi avesse richiamato per la parola non tanto carina che avevo detto o perché era contenta di vedermi, fatto sta che il mio tonfo e la mia imprecazione l’avevano riscossa.
Si alzò dal telaio e mi venne incontro mentre io mi rialzavo e mi massaggiavo la schiena dolorante, mi si inginocchiò davanti e mi strinse con forza Ecco da chi ha preso Lilia la mania degli abbraccia spezza costole pensai.
Mia madre si scostò e mi guardò il viso accarezzandomelo per controllare che fossi tutta intera e fossi vera -  Cosa ci fai qui?  - mi chiese poi accigliandosi.
Mi sei mancata anche tu mamma pensai -  Vi salvo  - le risposi invece sorridendo contenta
-  Come ci… va be’, forza dammi una mano che liberiamo papà  - mi disse alzandosi e prendendomi per mano mentre ci avvicinavamo a mio padre.
-  Ciao papà!  - lo salutai sorridendogli come una scema da quanto ero felice, non mi sembrava vero che fossi di nuovo con loro e gli stessi veramente parlando.
-  Ciao piccolina  - mi sorrise felice anche lui, sembrava non importargli che fosse ancora legato come un salame.
-  Aibi, hai qualcosa per tagliare le ragnatele?  - mi chiese mia madre già entrata in modalità “battaglia”
-  Io no, ma papà si  - mi avvicinai a lui e gli frugai in tasca tirando fuori Anaklusmos sotto forma di penna -  Brava bambina  - mi disse mia madre prendendo la penna, stappandola e poi usandola per tagliare le corde che tenevano papà legato -  Tutto bene?  - gli chiese, mio padre annuì anche se era più pallido di Nico.
Mia madre si girò verso di me per dirmi qualcosa ma poi sentimmo dei passi concitati e si girò pronta ad attaccare ma dietro di lei non vi era nessuno -  Mamma!  - qualcosa, ovvero mia sorella, avvinghiò nostra madre per la vita e la strinse, lei sorrise e, andando a tentoni, le sfilò di testa il cappello facendola tornare visibile -  Ciao Lilia  - la salutò accarezzandole la testa.
Mia sorella le sorrise con gli occhi lucidi, poi si scostò e vide papà -  Papà!  - e abbracciò anche lui rischiando di farlo finire a terra, lui scoppiò a ridere e la strinse -  Fai piano Lilia  - la ammonì mia madre guardando papà un po’ apprensiva -  Tuo padre non si è ancora ripreso del tutto  - le spiegò. Lilia si allontanò leggermente e spostò lo sguardo da uno all’altro dei miei genitori preoccupata, sembrava una bambina di dieci anni.
-  Perché? Cosa è successo?  - gli chiese, mi avvicinai alla mamma, ero curiosa anch’io
-  Niente le solite cose, papà ha rischiato di morire  - la rassicurò nostro padre scherzando per sdrammatizzare la situazione -  Certo Percy, le solite cose  - lo rimbeccò mia madre sospirando e lanciando occhiate preoccupate all’entrata, probabilmente era in pensiero per Lucas
-  Si, il solito, anche se credo di aver provato il dolore peggiore a memoria d’uomo  - continuò mio padre fregandosi il collo
Mia madre sbuffò -  Prova a partorire due gemelli senza epidurale dopo tre ore di travaglio, e poi vediamo qual è il dolore peggiore a memoria d’uomo  -
Mio padre si zittì, uno a zero per la mamma.
-  Potete continuare a litigare dopo?  - chiese Lilia poi si allontanò da noi, uscì dalla caverna e, dopo essersi portata le mani chiuse alla bocca, vi soffiò dentro emettendo per tre volte un suono identico al verso di un gufo. 
-  Lucas arriverà tra poco  - informai mamma e papà -  però dovrete darci una mano  - gli spiegai.
Mia madre si accigliò -  Aibi, tu devi metterti al sicuro, solo perché i tuoi fratelli ti hanno incastrato in questi impresa…  -
-  Ha deciso lei di venire ed era nella profezia mamma  - si difese Lilia interrompendola
-  Non mi importa Lilia! Tua sorella non ha addestramento e…  -
-  Annabeth, la sgridiamo dopo va bene?  - le disse mio padre poggiandole una mano su una spalla -  adesso abbiamo visite  - le fece notare.
A mia madre non andò molto giù il fatto di essere stata interrotta per due volte di seguito, ma lasciò stare e consegnò la spada a papà -  Mamma prendi la mia  - le disse Lilia dandole la spada
-  E tu?  - le chiese preoccupata
-  Io mi occupo di Aibi, voi cercate di portarli verso l’uscita della grotta, così posso usare i miei poteri  - le disse mettendosi di fianco a me
-  D’accordo  - le disse annuendo.
Sentimmo dei passi affrettati e pochi secondi dopo Lucas arrivò di corsa col fiato grosso dentro la grotta fermandosi solo quando fu davanti a noi -  Ciao mamma, ciao papà  - li salutò sorridendogli.
Mia madre lo abbracciò frettolosamente mentre invece mio padre gli faceva una carezza sulla testa, a Lucas bastò, il tempo degli abbracci sarebbe venuto dopo, quando saremo stati al sicuro.
In quel momento entrò Aracne seguita dai suoi due compari ragni, il mostro era furente ma non tradì la sorpresa quando ci vide -  Chi siete?!  - ci ringhiò contro.
I nostri genitori fecero un passo avanti e si misero di fronte a noi  in un gesto protettivo -  Diciamo che non sei l’unica che ha messo su famiglia  - le disse papà che sembrava aver ripreso vigore.
Aracne girò lo sguardo su noi tre e sorrise -  Molto bene, allora sarà tutto più semplice  - disse ridendo.
I miei genitori si scambiarono delle occhiate dubbiose, mentre invece io e miei fratelli ci scambiammo occhiate complici, avevamo paura ad ammetterlo ma forse avevamo fatto un favore ad una certa Dea andando a salvare i nostri genitori.
Aracne sorrise e poi con un gesto delle mani, aizzò i due ragni enormi verso di noi. I miei genitori scattarono in avanti superando i ragni e distraendoli, Lucas si gettò verso il  ragno più vicino alla mamma e con un colpo di spada gli tranciò le zampe, mentre la mamma dopo aver fatto un mezzo giro su se stessa lo infilzava dall’alto.
Il ragno emise un grido stridulo e poi rimase a terra, morto, e il suo corpo iniziò a sgretolarsi. Nello stesso momento papà si era concentrato sull’altro ragno gigante e dopo una finta lo aveva tagliato a metà. Lilia mi afferrò la mano e attraversammo lo spazio lasciato dai due mostri e raggiungemmo i nostri genitori, ci girammo tutti e cinque indietro, pronti a fronteggiare Aracne, ma lei era sparita.
Aveva approfittato della confusione per scappare dall’altra entrata della grotta, le ragnatele che prima la chiudevano adesso erano strappate.
-  Dobbiamo inseguirla!  - disse Lucas
-  No, qui sotto è un labirinto è impossibile orientarsi  - spiegò nostro padre
-  E quindi la lasciamo andare? E’ già finita?  - chiese Lilia delusa
-  Sembrerebbe di si  - commentò mia madre sorridendo
Strinsi la mano a Lilia -  Mamma, daresti in escandescenze se ti dicessi che il pavimento è ricoperto di ragni?  - le chiesi alzando lo sguardo.
Vidi mia madre impallidire e poi guardare per terra, i due cadaveri dei ragni giganti erano spariti, ma quella che era sembrata polvere adesso si rivelavano milioni di piccoli ragnetti verdi e marroni che ci venivano incontro.
Mia madre era terrorizzata e paralizzata dalla paura, era la prima volta che la vedevo ridotta così, Lucas non era da meno, aveva afferrato la mano di Lilia e la stringeva convulsamente.
-  Tutti fuori, adesso!  - ci gridò nostro padre prendendo la mamma per mano e trascinandola via mentre noi ubbidivamo senza batter ciglio.
Uscimmo dalla grotta mentre i ragni ci inseguivano, arrivammo sulla collinetta e un’onda di ragnetti arrivò con noi, li avevamo a meno di un metro di distanza, era inutile minacciarli con la spada, erano tanto piccoli che non avremmo potuto fargli niente.
-  Non possiamo calpestarli?  - proposi
-  Ho paura che siano carnivori Aibi  - mi rispose mio padre mentre indietreggiavamo e stringeva la mano della mamma che cercava di controllare i tremori della paura.
Mi venne in mente di chiedergli come facesse a sapere che i ragni erano carnivori ma decisi che avrei lasciato le domande a dopo -  Ci penso io  - disse Lilia lasciandomi la mano e facendo un passò avanti.
Si concentrò, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. Si sentì un rombo come se si stesse per scatenare una tempesta, ma invece di fulmini dalla scogliera risalì un’onda d’acqua salata alta tre metri che oscurò per un attimo il sole prima di riversarsi sulla collina e su di noi.
Un attimo prima che l’acqua ci schiacciasse, una bolla d’aria ci avvolse e l’acqua ci fluì intorno trascinandosi dietro tutti i ragnetti.
Quando l’acqua si fu ritirata, Lilia riaprì gli occhi e barcollò, mia madre scattò subito in avanti e la sorresse -  Brava la mia bambina  - le disse dandole un bacio sulla fronte.
Io mi girai verso papà che mi sorrise e mi fece l’occhiolino, era stato lui a creare la bolla intorno a noi -  Adesso che ci siamo liberati dei ragnetti, possiamo inseguire Aracne?  - chiese Lilia che si era ripresa
-  Rischiamo di perderci dentro le grotte e inoltre sono piene di altri ragni  - le spiegò mia madre
-  Ma non possiamo lasciarla andare! Potrebbe avvertire Eris!  - le disse Lucas
-  Eris? E adesso cosa centra la Dea della discordia?  - chiese mio padre
-  Centra! E’… è tutto complicato e…  - farfugliò Lilia
-  Si, Eris ci ha quasi ucciso e poi…  - continuò Lucas
-  Cosa?!  - chiese nostra madre sgomenta
-  Si, perché…  -
-  So’ dov’è diretta Aracne  - dissi all’improvviso interrompendo la diatriba tra i gemelli e la mamma, tutti e quattro mi guardarono stupiti.
-  Come fai a saperlo?  - mi chiese mio padre sorridendomi
-  Io… io l’ho sognato. C’è un’altra entrata, so’ dov’è  - gli spiegai
-  In che senso l’hai sognato?  - mi chiese Lucas curioso
-  Giuro che ve lo spiegherò dopo, però adesso dobbiamo sbrigarci se vogliamo intercettarla  - gli dissi, non era il momento di raccontargli tutti i miei sogni, mi ripromisi di farlo dopo la sconfitta di Aracne.
-  D’accordo, facci strada  - mi disse mia madre sorridendomi.
Ci prendemmo soltanto un minuto per recuperare un pugnale dallo zaino di Lucas, che prese la mamma riconsegnando la spada a Lilia, e poi iniziammo a discendere la collina.
Il roseto era più in basso di quello che mi era sembrato, in alcuni punti il terreno era ripido e ci toccò scivolare, la mamma mi stava sempre accanto mentre papà era rimasto in fondo chiudendo la fila.
Alla fine scivolammo per una piccola discesa e ci ritrovammo davanti all’arco di rose, dietro di noi si scorgeva la casa principale dell’isola mentre, a pochi metri da noi sulla sinistra, vi era lo strapiombo che si gettava in mare.
-  Qual è l’uscita? - mi chiese mia madre
Io indicai la fine del roseto -  Sembra una fessura ma ci passa attraverso sia lei che un uomo  - spiegai.
Ci avvicinammo cauti, io finì infondo mentre i gemelli e i nostri genitori avanzavano con le armi sguainate, e alla fine la vedemmo: la fessura c’era per davvero, contornata dall’edera e dalle rose, con mio sollievo, però, Aracne non vi era ancora.
Mia madre si guardò intorno, nessuno fiatava, sapevamo perfettamente che stava sfruttando il nostro vantaggio per preparare un piano d’attacco.
-  Percy, nasconditi a sinistra dell’entrata, Lilia mettiti il mio cappello e vai a destra, io e Lucas faremo da esche per farla uscire. Quando sarà completamente fuori bloccatele il passaggio, dopo di che  ce ne occuperemo tutti e quattro  - spiegò seria mia madre
-  E io?  - le chiesi
Lei mi sorrise dolcemente e mi accarezzò la testa -  Tu trovi un buon posto per nasconderti e aspetti che ti chiami per tornare  - mi disse
Sbuffai e ti pareva?
-  Ma è grazie a me se siamo qui  - le ricordai
-  Esatto, la tua parte l’hai fatta, ma ora lascia fare a noi  - mi ricordò mia madre
-  Ma…  -
-  Niente ma, obbediscimi e vai a nasconderti Aibileen Jackson  - mi disse indurendo lo sguardo. Annuì sconfitta, se c’è una cosa che si impara presto se si vuol vivere bene con mia madre è che se ti chiama con nome e cognome è meglio non replicare e obbedire.
Mi allontanai arrampicandomi di nuovo sulla collina, mi appostai dietro ad un masso non troppo lontano; ero proprio sopra l’arco di rose, non avevo intenzione di perdermi la battaglia.
Aracne non ci fece aspettare molto, qualche minuto dopo una sagoma nera sbucò dalla fessura mentre il sole illuminava la sua schiena coriacea.
Il mostro si bloccò e per un secondo un espressione di puro stupore le si disegnò sul volto alla vista di mia madre e mio fratello -  Sorpresa  - le disse mia madre sorridendole beffarda
-  Vuoi proprio che ti finisca una volta per tutte figlia di Atena?  - le chiese anche lei deridendola
-  E tu vuoi proprio essere uccisa un’altra volta?  - le chiese mio padre spuntando dal suo nascondiglio e tirandole un fendente con Anaklusmos.
Ma Aracne fu più veloce di lui, schivò il colpo saltando e appendendosi con le zampe alla struttura del roseto e ghignò, mio padre provò a colpirla di nuovo ma lei si spostò velocemente rimanendo appesa a testa in giù.
Lucas si lanciò in avanti approfittando che Aracne fosse girata verso nostro padre per colpirla, ma il mostro si girò velocemente e sputò una palla di ragnatele che prese in piena faccia mio fratello, facendolo cadere a terra.
Mia madre gli corse al fianco e lo tirò indietro, mentre Lucas cercava di levarsi dagli occhi le ragnatele ma inutilmente, più ci provava e più le mani vi rimanevano invischiate, dovevano essere le ragnatele di super colla.
Aracne scoppiò a ridere mentre mia madre fermava Lucas che stava iniziando ad impazzire mentre cercava in vano di levarsi le ragnatele -  Provaci quanto vuoi a levarle, ma non ce la farai così presto  - gli disse ridendo.
Mia madre la guardò truce mentre stringeva Lucas che era terrorizzato, poi lanciò uno sguardo a Percy e gli fece un cenno del capo verso destra, dove vi era ancora nascosta Lilia, lui annuì.
-  Pensi che ci impedirai di ucciderti ferendo i nostri figli?  - chiese mio padre attirando l’attenzione del mostro verso di lui
-  Certo che no, però sarete più cauti sapendo cosa posso fare  - gli ricordò sorridendogli, era sicura che fosse in vantaggio, che la sorte fosse dalla sua parte
-  Sei un ragno, è normale che sputi ragnatele, mi sorprenderei del contrario  - le disse per nulla impressionato
Aracne sorrise mostrando i denti bianchi e aguzzi -  Certo, ma quelle non sono ragnatele normali, più provi a levarle e più diventano appiccicose e si incollano. Tuo figlio è stato fortunato, ma la prossima volta vedrò di prendere meglio la mira e bloccargli naso e bocca  - gli disse ridendo
-  Sarebbe divertente vedere in quanto in tempo soffoca  - concluse.
Papà la guardò con odio, non lo avevo mai visto così arrabbiato e, forse, allo stesso tempo preoccupato. Guardai verso la mamma che aveva portato Lucas in un punto sicuro e adesso gli stava sussurrando qualcosa, probabilmente lo stava rassicurando, mio fratello non sembrava affatto tranquillo, tremava e continuava a portarsi le mani agli occhi cercando di liberarli.
La mia attenzione fu richiamata verso papà ed Aracne dal rumore di pietre che cadevano, Lilia si era dovuta spostare per riuscire a colpire Aracne solo che nel farlo si era dovuta arrampicare sulla collina facendo rotolare dei sassi.
-  E’ da vigliacchi soffocare i propri avversari  - continuò papà per non farle notare i movimenti dietro di lei -  Combatti come si deve  - la sfidò puntandole contro Anaklusmos
-  Ognuno usa le armi che possiede semidio, ed io sono un ragno, tendo trappole e non agisco quasi mai direttamente  - gli spiegò -  ma penso che ora farò un eccezione  - si girò di scatto rimanendo appesa per le braccia mentre con il corpo da ragno colpiva il vuoto al suo fianco per poi tornare ad appendersi emettendo un basso sibilo e guardandosi la schiena.
Peccato che di fianco a lei non ci fosse il vuoto, ma mia sorella che aveva cercato di colpirla, Lilia fu presa in pieno dal corpo di Aracne e fu sbalzata a terra, cadendo sul terreno e picchiando la testa con forza, la spada le cadde di fianco e il cappello le sfuggì facendola tornare visibile, non si rialzò -  Lilia!  - la chiamò mia madre spaventata, alzandosi in piedi di scatto.
Aracne rise ancora, avevo una voglia matta di farla smettere -  Sono cieca non sorda, a voi semidei non insegnano a fare silenzio?  - chiese spostando lo sguardo da mia madre a mio padre.
Papà strinse la presa sull’elsa della spada e lanciò un’occhiata a Lilia che emise un gemito e si mosse piano -  Prova ad avvicinarti a lei e sarà la prima a scoprire quanto ci mette a soffocare  - lo minacciò.
Mia madre sussurrò qualcosa a Lucas, che annuì, raccolse la sua spada lasciandogli il pugnale e si avvicinò ad Aracne, adesso se la sarebbero vista solo loro tre, il problema era che, finché Aracne fosse rimasta appesa ai tralci del roseto, sarebbe stata in vantaggio sui miei genitori che erano a terra. Dovevano trovare un modo per farla scendere o non sarebbero mai riusciti anche solo a ferirla, Lilia ci era riuscita ma le aveva soltanto ferito di striscio la schiena.
Mi sedetti con la schiena appoggiata al masso riflettendo, ma quasi mi venne un colpo quando lo sentì traballare, con tutti i nascondigli che c’erano avevo trovato l’unico masso non ancorato a terra.
La soluzione mi attraversò la mente come una scarica elettrica, il masso non era ancorato a terra.
Mi alzai e gettai un occhiata alla scena sotto stante, mamma e papà erano ai lati di Aracne entrambi pronti a colpirla, anche se esitavano per paura che potesse ferire Lilia o soffocarla, il mostro era appeso sotto di me, anche se un po’ più avanti.
Tornai a nascondermi dietro il masso, vi appoggiai una spalla e spinsi, il masso si mosse ma non si svelse dal terreno. Se fossi riuscita a farlo cadere avrebbe distrutto la struttura in legno del roseto e Aracne sarebbe finita a terra semplificando il lavoro di mamma e papà. Spinsi di nuovo ma il masso non cedeva, mi allontanai un po’ e inizia a scavare il terreno intorno al masso con le mani finché non ne sentì la fine. Vi misi una mano sotto e cercai di sollevarlo mentre con l’altra e con la spalla lo spingevo, dopo tre tentativi il masso si staccò dal terreno e rotolò giù, il problema fu che io gli andai dietro perché, per cercare di smuoverlo, vi avevo gettato sopra tutto il mio peso.
Io e il masso rotolammo giù per la piccola discesa finendo addosso al roseto che emise un funesto crack prima di spaccarsi e far terminare la nostra caduta sul terreno.
Quando aprì gli occhi scoprì che il mio piano aveva funzionato meglio di quanto avevo sperato, grazie alla pendenza della collina il masso aveva preso un po’ di slancio ed era finito proprio sopra Aracne che adesso era riversa a terra sulla schiena con un masso sull’addome e io le ero sdraiata al fianco.
Il mostro si girò verso di me -  Tu…  - ringhiò.
La vidi prepararsi per sputare di nuovo le ragnatele, l’unica cosa che riuscì a fare fu portarmi le mani sulla faccia per lenire i danni, sapevo che sta volta non avrebbe sbagliato mira.
Prima che le ragnatele mi colpissero mi sentì afferrare per le ascelle e sollevare -  Non ci provare! - gridò mia madre imbestialita.
Aprì gli occhi, ero in braccio a mio padre che mi stringeva -  Tutto bene?  - mi chiese sorridendomi, mi limitai ad annuire ancora scossa.
Mi mise a terra e mi allontanò da lui, mia madre era di fronte ad Aracne la spada puntata alla gola, il mostro ancora bloccato a terra dal masso, che la fissava truce, consapevole che aveva perso ma con un leggero sorriso perfido che gli segnava le labbra.
Mio padre andò di fianco alla mamma e le poggiò uno mano su una spalla -  Vedi di tornartene nel Tartaro  - disse rivolto ad Aracne, gli occhi che esprimevano solo puro odio -  sta volta senza di noi, e vedi di rimanerci  - concluse mia madre prima di trapassare con la spada la gola del mostro.
Aracne si irrigidì ancora sorridendo e poi si dissolse in polvere che fu spazzata via dal vento, i miei genitori si sorrisero, poi la mamma corse da Lilia mentre papà tornava verso di me.
-  Stai bene Aibi? Hai male da qualche parte?  - mi chiese accucciandosi davanti a me e controllandomi il corpo dopo aver lasciato la spada per terra.
Io rimasi per qualche secondo imbambolata ancora incredula per quello che era appena successo e per quello che avevo fatto, ero riuscita a bloccare Aracne, i miei genitori erano salvi, era finita.
Scoppiai in lacrime e mi gettai al collo di mio padre, non me ne importava nulla se sembravo una bambina piccola, in quel momento avevo bisogno di piangere, sentivo il bisogno di sfogare tutta l’ansia e tutte le preoccupazioni che avevo accumulato durante l’impresa e quello era il modo migliore per farlo.
-  Ehi, va tutto bene piccolina  - mi rassicurò stringendomi e accarezzandomi la testa -  stiamo tutti bene non c’è bisogno di piangere  - mi rassicurò scostandomi leggermente per potermi guardare in faccia.
Singhiozzai ancora un po’ mentre cercavo di asciugarmi gli occhi con le mani -  Te la senti di andare da Lucas?  - mi chiese facendomi una carezza sulla fronte e poi lasciandoci un bacio.
Annuì, per qualche ragione riprendere a parlare mi sembrava ancora una cosa difficile.
Ci alzammo in piedi, papà raccolse Anaklusmos e le rimise il cappuccio per poi rinfilarsela in tasca, quando ebbe le mani libere gliene presi una, mi sorrise e poi raggiungemmo Lucas.
La mamma era già andata da lui, Lilia gli era seduta al fianco ancora un po’ frastornata per la caduta e si massaggiava la testa, Lucas era immobile e le teneva una mano -  Come stai?  - chiese Papà facendogli una carezza sulla testa mentre io mi sedevo al suo fianco, sul lato opposto a Lilia
-  Non ci vedo…  - disse con aria abbattuta
-  Ci deve essere un modo per levarle  - disse Lilia abbastanza allarmata
-  Probabilmente se si seccano poi vanno via da sole  - azzardò papà
Lucas si irrigidì, l’idea di dover continuare ad avere in faccia quei cosi ancora per tanto tempo non gli piaceva. Mia madre lanciò un occhiata ammonitrice a mio padre che abbassò la testa in segno di scuse, lei sospirò e tornò a guardare Lucas, poi le si accese lo sguardo -  Lilia, avete ancora dell’acqua negli zaini?  - le chiese
-  Certo  - le disse mia sorella, il cibo era finito ma di acqua ne avevamo ancora una borraccia per uno -  Bene, Percy puoi andare a prendere gli zaini dei bambini?  - chiese a papà
-  Certo, arrivo subito  - la rassicurò si alzò e andò a recuperare gli zaini risalendo la collina
Mia madre prese le mani a Lucas e vi diede un bacio -  Probabilmente riusciremo a scioglierle  - lo rassicurò.
Il piano della mamma funzionò, quando papà tornò con l’acqua vi imbevve un fazzoletto e lentamente iniziò a pulirci le ragnatele che gradualmente si staccarono, Lucas ritrovò il sorriso.
-  Aibi, prima hai detto che avevi sognato la seconda entrata  - disse mio padre lasciando aleggiare l’argomento, annuì e sentì la voce ritornare -  Si, e non è l’unica cosa che ho sognato  -.
Raccontai dei primi sogni che avevo fatto sulla grotta, sulle due voci che parlavano di cui poi, una si era rivelata quella di Aracne, degli altri sogni sulla grotta in cui soffocavo nelle ragnatele di super colla, di quando avevo sognato la lotta per il predominio di Atene tra i nonni e l’avevo vista in versione arazzo.
-  Poi quei sogni si sono interrotti, per riprendere quando abbiamo rincominciato l’impresa  - spiegai -  A casa ho sognato questo posto e dopo ho sognato Eris che mi diceva che ci saremmo incontrate presto - continuai
-  E infatti Eris ci ha teso un agguato e ha cercato di rapirci  - spiegò velocemente Lilia
-  Solo che i sogni non si sono fermati lì, dopo ho sognato Era, Afrodite e la nonna che mi ha detto di stare attenta perché vecchi nemici si stavano risvegliando però non è riuscita a dirmi chi erano perché sono apparse due luci rosse, qualcuno si è messo a ridere e poi siamo stati ingoiati dal buio - continuai a spiegare
-  Beh, loro tre centrano con Eris  - mi ricordò Lucas che ormai non aveva quasi più ragnatele in faccia -  Si, ma poi ho sognato di correre ad occhi chiusi e quando mi sono fermata ero cieca, ho chiesto aiuto ma invece che la mia voce è uscita la tua mamma e chiamavi papà disperata chiedendogli perché ti avesse abbandonata  -
I miei genitori impallidirono e si lanciarono uno sguardo d’intesa -  e poi nell’ultimo sogno che ho fatto c’erano due che parlavano, erano fratello e sorella, e lei diceva a lui che doveva fare un favore alla loro madre e che poi poteva tornare a fare il portinaio  - conclusi riprendendo fiato.
Nessuno parlò i miei genitori si guardavano, erano impalliditi e si vedeva chiaramente che avevano capito qualcosa a noi ancora ignota.
-  E’ successo veramente quello che ha sognato Aibi?  - chiese Lilia rivolta ai nostri genitori
Mia madre annuì seria -  Si, quando eravamo nel Tartaro  - spiegò, io e i miei fratelli trattenemmo il fiato.
-  C’è stato un unico momento in cui abbiamo corso ad occhi chiusi  - ricordò papà alla mamma
-  Già, dopo essere fuggiti da Nyx…  - concluse la mamma.
Un tuono rimbombò nel cielo, come per quando era arrivata Eris le nuvole iniziarono a vorticare e il cielo divenne nero, il sole sparì come se fosse stato ingoiato dal catrame, nell’aria riecheggiò una risata a me non nuova. Ci alzammo tutti in piedi, i miei fratelli e i nostri genitori sguainarono di nuovo spade e pugnali pronti all’attacco, davanti a noi le nuvole si condensarono prendendo forma umana anche se la figura era alta quanto una montagna. Apparvero le due luci rosse e abbaglianti che si rivelarono i due occhi di una donna in piedi su una biga nera che teneva a freno due cavalli scuri fatti di fumo corvino come il suo abito, era lei a ridere ed era lei che aveva ingoiato le tre dee nel mio sogno.
La figura ormai solida ci sorrise con i suoi occhi fiammeggianti:
-  Sono felice che ti ricordi di me, semidea  -.


Ebbene si, la battaglia finale sarà nel prossimo capitolo :D
Allora, io Aracne me la sono immaginata così http://i61.tinypic.com/zswtc0.jpg ( copiate il link in una nuova pagina e si aprirà:) )è la versione disegnata da Paolo Barbieri :)
Il prossimo capitolo è quasi pronto però credo che passerà comunque una settimana prima della pubblicazione perchè sono un po' impegnata e non è un periodo buono in tutti sensi...
Comunque, come al solito ringrazio chi legge, chi segue, chi recensisce e chi ha messo la storia nelle preferite :) Aspetto con ansia le vostre recensioni!
Direi che per ora è tutto,
un abbraccio,
Darkness_Angel.

 

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Capitolo 15
*** La matassa si scioglie ***


Ed eccomi tornata con un nuovo capitolo pubblicato in un tempo decente :D
Allora in questo capitolo non ci sono spoiler e avverrà lo scontro finale ;D
Vi lascio alla lettura, ci vediamo in fondo :)

 

Capitolo Quindici
La matassa si scioglie

 
 
Nyx.
Davanti a noi avevamo la personificazione della notte e probabilmente anche la causa di tutti i nostri guai.
-  Vedo che siete riusciti ad uscire dal Tartaro illesi… che peccato  - commentò la Dea fissandoci con i suoi occhi vermigli.
I nostri genitori si portarono di nuovo davanti a noi per proteggerci  -  Tu invece cosa fai fuori dal Tartaro?  - le chiese papà
La Dea sorrise effimera -  Sono venuta a prendere il mio premio  - e indicò nella nostra direzione. La mamma si mise davanti al dito come se, solo indicandoci, la Dea potesse portarci via.
-  Cosa vuoi dai nostri figli?!  - gli chiese arrabbiata
-  I due semidei non mi interessano, è lei il mio premio  - e indicò me.
Da quando richiamavo così tanto l’attenzione degli Dei? Da quando una mortale poteva interessare così tanto alle divinità?
-  E poi sono qui anche per prendermi la mia vendetta  - continuò la Dea tornando a fissare mamma e papà.
I miei genitori si guardarono e poi li vidi lanciarmi un occhiata con la coda dell’occhio non volendo farsi vedere, al contrario, i miei fratelli mi fissavano increduli senza farsi tanti problemi:
-  Cosa vuole da te, Aibi?  - mi chiese Lilia dando voce alla domanda comune
-  Non ne ho idea! Io non ho niente di speciale!  - le ricordai.
Ad essere sincera ero abbastanza terrorizzata all’idea che una delle Dee primordiali mi volesse, anche se non avevo la minima idea del perché.
-  Se credi che te li lasceremo portare via, ti sbagli di grosso  - disse all’improvviso papà puntando la spada contro la Dea
-  Ne sono sicura, come sono altrettanto sicura che non potrete fare niente per impedirmelo  - li schernì.
-  Lo vedremo  - sussurrò con odio papà.
Qualche secondo dopo, un’onda anomala alta quanto la Dea le si abbatté contro ma, purtroppo, senza risultato, con un gesto della mano le tenebre che l’avvolgevano si fecero solide e fermarono l’acqua prima che potesse colpirla.
-  Bel tentavo, complimenti, ora lasciate provare me  -
I cavalli di tenebra nitrirono e dalle tenebre che ci avvolgevano si allungarono dei lunghi tentacoli che ci vennero incontro per afferrarci, gli stessi che aveva usato Eris -  Colpiteli  - disse Lucas quando i tentacoli furono a portata di spada.
I miei genitori e i miei fratelli si erano messi intorno a me creando un cerchio per proteggermi, tutte le volte che un tentacolo veniva colpito dal bronzo celeste sfrigolava e si ritirava ma veniva subito sostituito da altri due, era impossibile sconfiggerli.
-  Ora basta, non ho tutto questo tempo da perdere  - dichiarò Nyx  dopo svariati minuti che i suoi tentacoli venivano fatti retrocedere dalle spade della mia famiglia.
All’improvviso la tenebra attorno a noi sembrò contrarsi e milioni di braccia nere ci vennero addosso, i miei genitori e i miei fratelli riuscirono a colpirne qualcheduna prima che le altre li afferrassero per la vita trasportandoli in aria con un grido tra il sorpreso e l’irritato.
Furono portati tutti e quattro di fianco alla Dea, provarono un ultimo disperato attacco cercando di colpirla o colpendo la tenebra solida che li circondava con le spade ma presto i tentacoli gli corsero incontro strappandogli le spade di mano e lanciandole lontano nell’oscurità, si sentì soltanto un leggero tintinnio quando toccarono il terreno.
Adesso ero sola, sola e avvolta nelle tenebre come nel peggiore dei miei incubi, riuscivo solo a distinguere le figure dei miei genitori e dei miei fratelli che si dibattevano cercando di liberarsi dalle grinfie della Dea, ma è superfluo dire che era tutto inutile.
Come loro, anche la figura della Dea e del suo cocchio erano chiare, lei mi guardava con un sorriso soddisfatto e vittorioso, per qualche ragione a me sconosciuta, non mi aveva ancora afferrato, forse perché pensava che fossi inoffensiva.
Sei inoffensiva mi ricordò la mia testa e non potei darle torto, cosa poteva fare una mortale contro una delle Dee primordiali? Come al solito ero inutile e come sempre la mia famiglia era in pericolo per colpa mia,  per aver cercato di difendermi per l’ennesima volta.
-  Ora , verrai con me e io lascerò andare i tuoi fratelli  - mi disse porgendomi una mano
-  No! Nyx, ti parlo da madre a madre, ti prego non portarmela via  - le disse mia madre quasi supplicandola, io la guardai, aveva le lacrime agli occhi -  Ti prego, pensa a cosa proveresti tu se ti portassero via uno dei tuoi figli  - le disse con un filo di voce
-  Vuoi dire come sono quasi riusciti a farlo i tuoi figli?  - le chiese Nyx puntando i suoi occhi di fuoco verso di lei e guardandola con aria truce, la mamma non disse nulla, lei non sapeva, avevano lasciato che parlassi dei miei sogni ma non avevano chiesto nulla di quello che era successo mentre stavamo andando a salvarli.
-  E comunque hai altri due figli, e posso assicurarti che è stato loro desiderio per molto tempo tornare ad essere figli unici  - le disse ridendo.
Mia madre non disse nulla, lanciò un occhiata ai gemelli che chinarono il capo, poi si girò verso di me e mi guardò con uno sguardo carico di apprensione e dispiacere perché non sapeva cos’altro fare per aiutarmi.
La mamma non ragiona mai troppo bene quando ci sono in gioco le nostre vite.
Non la guardai e tornai a fissare Nyx che stava aspettando che le andassi incontro e mi consegnassi a lei, ma davvero mi credeva così sciocca?
-  Se non vieni di tua spontanea volontà, allora ti farò venire io  - mi disse ridendo, appena ebbe finito la frase vidi un tentacolo nero allungarsi verso di me per afferrarmi.
-  Aspetta!  - gridai allungando le mani davanti a me per fermarlo
-  Cosa?  - mi chiese scocciata
Non ne avevo idea nemmeno io, avevo gridato solo per guadagnare un po’ di tempo ma adesso non sapevo come guadagnarne dell’altro per poter elaborare un piano che ci permettesse di scappare.
Falla parlare mi consigliò la mia testa.
Potevo provarci, infondo cosa avevo da perdere?
-  Tu sei la madre di Eris  - iniziai
-  Certo, anche se non ci voleva molto ad arrivarci  - mi fece notare
-  Tu sei la Signora che ha ideato tutto questo piano vero?  - le chiesi fingendo molto bene curiosità anche se l’unica emozione che provavo era la paura
Nyx mi sorrise -  Esatto, sono io la Signora è partito tutto da me, o credevi che la piccola Discordia avesse ideato tutto da sola?  -
Oh che carina, da’ i soprannomi ai figli -  Certo che no, si vedeva molto bene che dietro a tutto questo piano c’era una mente più geniale  - continuai
La tenebra che ci avvolgeva vorticò mentre Nyx sorrideva orgogliosa -  Si è vero, non è stato facile coordinare tutte quelle forze  - ammise vantandosi
-  Ne sono sicura, e poi l’idea di porre come custodi le Cecropidi? Davvero geniale. Scommetto che “ il buio eterno” eri tu  -
-  Non proprio io, era il mio palazzo. Vedi, se aveste sbagliato strada si sarebbe aperta una voragine che vi avrebbe portato direttamente nel Tartaro, il lavoro si sarebbe semplificato  - mi spiegò sospirando e sedendosi sul bordo della biga mettendosi comoda -  però non avevo tenuto conto che riportando in vita le Cecropidi sarebbe ritornato anche quel ficcanaso di Erittonio  -
-  Si, lui deve essere stato proprio di intoppo  - commentai concorde
-  Già, sai ho chiesto aiuto a mio figlio per farli ritornare in vita, solo che mi ha avvertito troppo tardi che sarebbe ritornato anche Erittonio, se mi avesse avvertito prima avrei cambiato custodi  - mi raccontò gesticolando per enfatizzare il discorso.
-  Ne sono certa, ma poi avevi dalla tua parte anche Aracne e mio fratello…  - continuai
-  No, loro sono stati un idea di Discordia, sin da quando era piccolo quel semidio è sempre piaciuto a mia figlia  - mi spiegò
-  Non si può negare che mio fratello abbia un certo fascino  -
-  Oh, ma a lei piaceva solo per l’odio che provava verso di te  - mi rassicurò con un sorriso
Io le sorrisi a mia volta mentre stavo sudando freddo, non sapevo per quanto ancora sarei riuscita a distrarla dai suoi piani e a rinviare il mio viaggio di sola andata per il suo palazzo nel Tartaro.
-  Davvero mi sorprendo come tu sia riuscita a ideare un piano così geniale, tutto questo trambusto solo per rapirmi  - commentai sperando che Nyx cadesse nel mio tranello
-  A dire il vero all’inizio volevo solo rapire i tuoi genitori e mettere fine alle loro insulse vite dopo quello che mi avevano fatto, ma mentre stavo organizzando il tutto sono venute a trovarmi Cloto, Lachesi e Atropo che mi hanno detto che avrei fatto bene anche ad interessarmi a te, visto che avevano visto cose interessanti sul tuo conto nel tuo futuro  - mi spiegò
Deglutii a fatica, non sapevo se prenderlo come un buono o cattivo segno -  E… posso sapere cosa avevano visto?  - le chiesi titubante
La Dea mi guardò accigliata -  Mi sembra ovvio no? Quello che saresti stata capace di fare, sai ne nascono molto pochi come te  - mi spiegò
-  Aibileen è mortale e di mortali ne è pieno il mondo, ti stai sbagliando!  - le gridò papà
-  Tua figlia è mortale quanto lo sono io  - gli rispose acida Nyx
Nyx stava dicendo che io non ero una mortale, ma se non lo ero, allora cosa sono? Le idee iniziarono ad attorcigliarsi in testa mandandomi in confusione non riuscivo a trovare un filo logico a tutte quelle informazioni, probabilmente perché non c’era o perché l’ipotesi che il mio cervello mi forniva era fin troppo assurda per essere vera.
-  Ormai dovresti essertene accorta no? Mi dissero che sarebbe avvenuto tutto dopo il tuo dodicesimo compleanno e allora aspettai ad agire, ma ormai è giunto il momento  -
-  Ma io sono una mortale, non sono mica una semidea  - le dissi quasi arrabbiata
Nyx mi sorrise -  oh si che lo sei, anche se sei più Dea che umana  -
Sta scherzando, Nyx è completamente impazzita e io quasi le ho creduto.
-  Eppure le capacità di Atena si sono già manifestate quando hai affrontato mia figlia, non te ne sei accorta?  - mi chiese deridendomi
-  Sono solo molto intelligente  - le risposi
-  Riesci a capire i Pegasi  - continuò Nyx
-  Non c’entra nulla, sarà stata la vicinanza con mia sorella a farmeli capire  - sbottai.
No, io sono una mortale, non sono una semidea e non ho nulla si speciale!
Nyx fece un gesto svogliato con la mano -  Non credermi, sarà meglio per me quando ti avrò nel mio palazzo, te ne starai buona e agirai soltanto quando mi servirai  - continuò
-  Allora è questo che vuoi? Una serva?  - le chiesi -  Mi sembra un po’ sprecato un piano del genere per avere soltanto una nuova ancella  - le ricordai
-  Beh, bisogna vedere a che tipo di ancella stai pensando tu, sicuramente non è la stessa a cui penso io - mi rassicurò
Ero a corto di idee, la Dea si stava iniziando a stancare di parlare, il suo tono di voce era sempre più scocciato, se volevo trovare un modo per cavarmela dovevo inventare qualcos’altro, ma sembrava che Nyx non volesse darmi altro tempo.
-  Ora che hai finito le domande puoi venire con me  - disse e uno dei suoi tentacoli si avvicinò di nuovo
-  No, aspetta  - le chiesi guardandomi intorno per cercare di vedere da che parte sarebbe spuntato il prolungamento di tenebra.
Gli occhi di Nyx fiammeggiarono -  Cosa vuoi ancora? - mi chiese irritata
-  Prima che tu mi rapisca… posso farti ancora una domanda? E’ il mio ultimo desiderio  - la implorai sperando che la sua bramosia fosse così grande da concedermi quell’ultima richiesta.
-  D’accordo, ma è l’ultima  - concesse scocciata -   Emera inizia a darmi sui nervi, ci manchi solo tu con le tue domande  -
Certo Emera, cioè il Giorno, logico che le desse fastidio visto che lei era la notte e le tenebre mentre sua figlia era il giorno e la luce.
Ma certo la Luce!
-  Allora, quest’ultima domanda? - sbottò Nyx.
Uscì fuori dai miei ragionamenti, li avrei ripresi mentre la Dea era occupata a parlare -  Mi piacerebbe sapere il resto del piano, insomma arrivano le parche, ti dicono di agire solo quando avrò compiuto dodici anni, e poi?  -
Con quella domanda Nyx avrebbe avuto da parlare per un bel po’ e io avrei avuto un bel po’ di tempo per riflettere.
La Dea sospirò e si ripoggiò di nuovo sulla balaustra della sua biga nera -  Sempre a cercare risposte voi figli di Atena vero?  - era una domanda retorica -  D’accordo, posso accontentarti - concesse infine incrociando le braccia sul petto.
-  Per mettere in atto il mio piano avrei avuto bisogno d’aiuto, se fossi intervenuta subito io, gli altri Dei se ne sarebbero accorti e così sarebbe andato tutto in fumo. Così chiesi a mia figlia, Eris, di aiutarmi, lei naturalmente accettò avrebbe rapito i tuoi genitori e poi mi avrebbe portato te.
Decidemmo che per rapire i tuoi genitori avremmo usato il Minotauro e, con l’aiuto delle Erinni, li avremmo fatti passare per l’Ade e portati qui dove sarebbero stati tenuti prigionieri da Aracne.
Però tutto questo era complicato, quella boriosa di Persefone non voleva andarsene e quindi le Erinni sarebbero dovute rimanere lì con lei, così Eris chiese a suo fratello di farle un paio di favori: riportare in vita le Cecropidi oltre ad Aracne.
Lui ha ubbidito, anche se non siamo molto in buoni rapporti, le Cecropidi ed Erittonio sono ritornati in vita e abbiamo messo le tre sorelle a guardia dei tre vulcani come guardiane temporanee dei tuoi genitori mentre aspettavamo per riportare in vita Aracne, se avessimo usato le Porte della Morte troppo di frequente forse Ade se ne sarebbe accorto.
Così dopo tre giorni abbiamo fatto ritornare in vita Aracne, dopo averla un po’ migliorata, sai, anche la mia foschia funziona bene, e poi Eris l’ha portata qui.
Tisifone ha portato i tuoi genitori ad Agraulo, Eris con Aracne sono andate a prenderli e li hanno portati nel nuovo nascondiglio, a me non importava che fine avrebbero fatto, con i tuoi genitori in mano ad Aracne che già si pregustava la sua vendetta, io potevo occuparmi di te.  - spiegò
-  Mia figlia vi ha aspettato sul vulcano ed  arrivata quando il suo prediletto l’ha evocata, solo che non si aspettava di venir sconfitta così facilmente, mi ha proposto di riprovare ma ormai ero stufa, quando ho visto che avevate anche battuto Aracne ho deciso di intervenire io in prima persona  - concluse.
Pensai che il tempo per pensare fosse finito ma Nyx iniziò a raccontarmi ti quanto ci avesse messo per convincere suo figlio a collaborare o quanto aveva litigato con i suoi altri figli che se l’erano presa perché non li aveva scelti per partecipare.
Quella parte non mi interessava, ora dovevo solo concentrarmi sul da farsi.
A Nyx la luce dava fastidio, quindi per indebolirla avrei dovuto creare abbastanza luce per poterla abbagliare e farla sparire, e l’unico modo per avere un’intensità simile di luce era convincere Emera ad aiutarmi o convincere Apollo.
Però non ero convinta, le tenebre che aveva evocato Nyx ci circondavano completamente come una cupola, Emera era lì fuori e sicuramente non era d’accordo che sua madre invadesse il suo territorio, e allora perché non era ancora intervenuta?
Semplice, perché non riusciva a superare la cupola, poteva darle fastidio dall’esterno ma non entrare e se non ci riusciva lei che era una Dea primordiale ( oltre che sua figlia ), come poteva farlo un dio giovane come Apollo?
No, mi serviva un altro tipo di luce e che possibilmente fosse fornita da un dio o una dea abbastanza antichi da poter competere con Nyx ma senza avere strette parentele con lei.
Cercai di pensare a tutte le divinità possibili che avessero a che fare con la luce o con il fuoco, c’era Estia, ma lei era la Dea che proteggeva la casa, Efesto, ma non ero sicura che mi avrebbe aiutato sempre che mi avesse sentito dalle sue Fucine forse Zeus, si brava, fulmina la notte! Ma secondo te il re degli Dei ti darebbe ascolto quando non lo fa nemmeno con i suoi figli?
D’accordo, Zeus non era papabile, che mi ricordassi c’era ancora una Dea che sarebbe potuta andare ma che ero restia ad evocare, Ecate, lei era raffigurata con delle torce in mano però era anche la dea degli incroci ed era risaputo che non dava mai niente per niente.
Però era una Dea che discendeva direttamente dai Titani, il suo fuoco era magico e sarebbe riuscita a raggiungermi passando da sotto terra visto che aveva il via libera per passare dagli Inferi.
Era la mia unica possibilità, Nyx stava iniziando ad esaurire le lamentele sui figli e le storie di famiglia ( probabilmente nel Tartaro non c’è molta gente con cui fare due chiacchiere ) e il tempo a mia disposizione era agli sgoccioli.
Va bene, avrei evocato Ecate, ora non mi rimaneva che inventarmi un evocazione e sperare che la Dea mi degnasse di un occhiata anche se non la recitavo in greco.
Fissai un punto davanti a me e mi estraniai completamente dalle parole di Nyx:

Dea della magia accedi alla mia sorte
Tu che l’arte delle streghe presiedi
Concedimi questa grazia e farò ciò che mi chiedi

Vieni avanti adinfera
Spalancatevi abissi stellati
Ecate, dea della magia e degli incroci, io t'invoco.
Tu che cammini nei tre regni: cielo, terra e mondo degli spiriti.
Luce guida dei vivi nel mondo dei morti,

Ti chiamo invocando i tuoi nomi segreti:
Ctonia; Phosphoros, portatrice di luce;
Propolos, colei che conduce;
Guida di Persefone, protettrice delle donne, patrona dell'antica Roma.
Vieni oh, immensa Ecate
E ascolta la mia parola!
Imploro qui la tua presenza, ora!

 
Sperai ardentemente di non essere stata troppo imperiosa, non avevo nemmeno idea da dove mi fossero uscite quelle parole, però sembrava non aver funzionato, Ecate non si vedeva e Nyx sorrideva:
-  E ora andiamocene  - concluse la Dea.
Il braccio di tenebra scaturì dal suo cocchio e si gettò verso di me, sospirai, ci avevo provato. Vidi la tenebra arrivare ad un passo da me e poi fermarsi avvolgendosi intorno a della nebbia grigia
-  Cosa… Mi hai mentito!  - urlò Nyx rivolta verso di me, mentre le sue tenebre cercavano di stringere e avvolgere del fumo grigio che aveva preso le mie sembianze.
Mi guardai intorno stupita, la nebbia sembrava essere uscita dal terreno stava avvolgendo i miei piedi e una buona dose di spazio intorno a me.
-  Sentiamo, cosa ha spinto Aibileen Jackson ad evocarmi?  -
Feci un salto e mi girai, dietro di me vi era una donna, non doveva avere più di vent’anni con addosso una tunica nera senza maniche che sembrava fatta d’inchiostro da quanto era scuro il tessuto e i capelli biondi raccolti in una coda alta.
Era bella, ma la carnagione era lattea mentre gli occhi erano completamente neri, mi osservava con un sorriso furbo -  Sei… sei Ecate?  - le chiesi dubbiosa ed incredula allo stesso tempo
La Dea annuì alzò le braccia e nelle sue mani apparvero due torce accese -  Così è meglio? - mi chiese sarcastica, poi dal terreno apparvero due sostegni di metallo e lei vi mise dentro le torce.
-  Io… si, cioè l’avevo già riconosciuta, insomma…  - mi facevo pena da sola
-  Non serve adularmi, so’ cosa vuoi  - mi interruppe
Non mi sentì affatto più sicura -  e… vuole aiutarmi?  - le chiesi titubante
-  Lo sto già facendo  - mi fece notare indicando la figura fumosa. Notai che il fumo che la creava nasceva direttamente da lei, quella era la Foschia ed Ecate stava creando dei miei copioni per distrarre Nyx e darci il tempo di parlare.
-  Questo però è un… chiamiamolo regalo, mi interessi Aibileen e voglio stringere un patto con te - mi disse
Mi feci attenta, era quello che volevo, ma dovevo riuscire a stringere un patto che non favorisse solo lei -  Sentiamolo  - le dissi
-  Io ti aiuterò ad indebolire Nyx, a patto che quando morirai diventerai la mia ancella  -
Perché tutte le Dee mi volevano come ancella? Almeno Ecate aveva detto “quando morirai” ciò voleva dire che non mi avrebbe trascinato negli Inferi, o dove viveva, in quel momento. Almeno che tu non muoia adesso.
-  E cosa dovrei fare come vostra ancella?  - chiesi
-  Mi aiuterai ad accompagnare i vivi nel regno dei morti, controllerai che le mie torce siano sempre accese e ti prenderai cura dei miei animali  - mi spiegò
Non sembrava così male, però c’era ancora un punto da chiarire -  Hai detto che indebolirai Nyx, a me serve che tu la uccida  - le ricordai
Ecate scoppiò a ridere -  Nyx è immortale, è una Dea  - mi ricordò
-  Lo so’, ma mi serve che se ne ritorni nel Tartaro e ci resti per un po’ a leccarsi le ferite  - le spiegai un po’ offesa
-  Questo potrai farlo solo tu, io posso indebolirla in modo che tu riesca più facilmente, ma sarà la tua scelta a decidere il destino tuo e della tua famiglia  -
Perfetto, ma infondo me l’ero cercata, ero andata a chiedere aiuto alla Dea degli incroci, era logico che mi avrebbe messo davanti ad una scelta e, per fortuna, c’erano solo due opzioni.
-  Tra cosa dovrei decidere?  - le chiesi
-  Devi scegliere se credere alle parole di Nyx, oppure rimanere quella che sei ora  - mi spiegò.
Erano solo due scelte ma entrambe difficili, io mi trovavo bene com’ero adesso, non avevo una vita emozionante ma per una che il suo più grande sogno era quello di trovare un lavoro e metter su famiglia andava benissimo e poi le parole di Nyx erano assurde.
Il problema era che se avessi scelto male la mia famiglia sarebbe morta e io avrei fatto una fine peggiore, chiusi gli occhi e inspirai.
-  Ho deciso  - dissi mentre la consapevolezza mi riempiva l’anima.
Ecate sorrise e annuì -  Bene, allora possiamo stringere il nostro patto?  - mi chiese
-  Non vuoi sapere cosa ho scelto prima? - le chiesi
-  No, a me non importa cosa sceglierai. In ognuno dei due casi, prima o dopo, diventerai la mia ancella, quindi è irrilevante  - mi spiegò scrollando le spalle
Annuì, tanto ormai avevo deciso e non avrei cambiato idea -  Bene, giura sullo Stige che dopo aver ricevuto il mio aiuto, donerai la tua anima a me dopo che sarai morta  - mi disse la Dea
-  Lo giuro  - lei mi sorrise e poi mi porse la mano, gliela strinsi per suggellare il patto e sentì uno strano calore avvolgermi il petto.
-  Bene, attira pure Nyx  - e detto ciò sparì in una voluta di fumo insieme alle fiaccole e la voce furibonda di Nyx tornò chiara.
-  Adesso smettila con questi insulsi trucchi con la foschia! Non ti salveranno  - mi gridò mentre i suoi occhi diventavano ancora più luminosi
-  Sono qui Nyx! Vieni a prendermi!  - le gridai sbracciandomi, la Dea si girò verso di me, le tenebre intorno a lei vorticarono addensandosi verso di me.
Le braccia che tenevano la mia famiglia si sciolsero e loro caddero a terra
-  Aibi! Smettila, no!  - gridò mia madre con la voce rotta dai singhiozzi.
Non la ascoltai, sapevo cosa stavo facendo.
Quando l’immensa mole di Nyx fu sopra di me, all’improvviso delle fiamme alte quanto lei divamparono tutte intorno a me creando una luce accecante, io chiusi gli occhi mentre sentivo Nyx inveire.
Puoi farcela Aibi, lo sai, c’è sempre stato non ti abbandonerà ora.
Feci un respiro profondo, dovevo concentrarmi soltanto su cose belle; pensai a quando ero piccola e giocavo con la mamma, a quando papà mi aveva insegnato a nuotare buttandomi in acqua di colpo e rischiando di farmi annegare ( quella volta la mamma lo aveva strigliato per bene ), a quando Lilia mi aveva insegnato a cavalcare e a quando io e Lucas ci eravamo abbracciati.
Aprì gli occhi e sorrisi sicura, ce l’avrei fatta, li avrei salvati tutti.
Le fiamme si spenserò all’improvviso Nyx era accasciata a terra che si copriva gli occhi con una mano, i due cavalli nitrivano infastiditi dalla luce del sole che ormai li colpiva visto che la cupola di tenebre si era dissolta.
Gli occhi fiammeggianti di Nyx incrociarono i miei che dovevano assomigliare a pietre, sapevo cosa dovevo fare, non avevo nessun dubbio. La Dea gridò infuriata, le tenebre iniziarono di nuovo ad espandersi in ogni direzione, ma prima che potessero anche solo avvicinarsi ad uno di noi, agì.
Mi concentrai, percepii la forza delle onde che si infrangevano sugli scogli sotto di noi e le richiamai. Sentì lo stomaco contrarsi e mandarmi una fitta dolorosa, il cuore accelerò i battiti e i polmoni iniziarono a richiedere più aria di quella che potevo dargli.
Chiusi gli occhi e mi concentrai solo sulla forza che mi serviva per alzare l’acqua, bastava solo dare la spinta giusta alle onde che si infrangevano già da sole sulla costa, bastava trovare il momento giusto…
All’improvviso si sentì un rombo e dallo strapiombo si alzò un’onda gigantesca alta almeno cinque metri; aprì gli occhi e vidi l’acqua che iniziava a ridiscendere in verticale -  No, di là!  - gridai alzando una mano e abbassandola verso la Dea.
L’acqua ubbidì, si riversò sulla Dea con tutta la sua forza sommergendo lei, il suo cocchio e la mia famiglia, ma con loro c’era papà non dovevo preoccuparmi.
Sentì Nyx inveire e poi sparire in una nuvola di fumo nero come se fosse stata spenta dall’acqua, ce l’avevo fatta però non era ancora finita; continuai a rimanere concentrata e, aiutandomi con il movimento delle mani, feci rigirare l’acqua per farla scendere dalla montagna. Il mal di stomaco era sparito, ci fu un momento in cui credetti che tutto sarebbe andato per il meglio; ero in piedi e stavo facendo scivolare via ettolitri d’acqua solo con il movimento delle mani, ero compiaciuta di me stesa e speravo che il nonno mi stesse guardando e fosse fiero di me, ma proprio in quel momento le cose precipitarono.
Una fitta improvvisa mi strinse il cuore e il petto in morsa, mi mancò il fiato e caddi a terra in ginocchio, l’acqua iniziò ad allargarsi e ad espandersi per tutta la collina.
No, non potevo permettere che quell’acqua colasse dal lato sbagliato del colle, avrebbe ucciso troppe persone e sarebbe stato troppo strano.
Mi rialzai in piedi ignorando il dolore costante e indescrivibile che mi stringeva il petto, sembrava che il costato si stesse richiudendo su se stesso stringendo in una morsa ferrea cuore e polmoni, alzai in qualche modo le braccia doloranti, il dolore si stava riverberando anche lì, le gambe mi tremavano, non avrei resistito ancora per molto.
Gridai con tutto il fiato che avevo in gola e con un gesto repentino delle mani spostai tutta l’acqua sul mare, le braccia mi ricaddero lungo i fianchi e l’acqua ritornò di nuovo nell’oceano.
Sorrisi, ce l’avevo fatta, stavano tutti bene.
Le gambe mi cedettero e caddi in ginocchio, l’aria entrava piano nei miei polmoni, il cuore batteva molto lentamente, il dolore era sparito, i rumori intorno a me erano ovattati.
Chiusi gli occhi e fui consapevole solo del mio corpo che cadeva a terra stremato, della voce di mia madre che gridava il mio nome, del cuore che emetteva un ultimo battito e di come il buio dietro le palpebre si facesse denso e definitivo.
Ebbi solo un unico rimpianto, non ero riuscita a salutare la mia famiglia, forse Ecate me lo avrebbe permesso mentre lavoravo per lei.
Sorrisi e poi lasciai che tutto sparisse.
 
 
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- Aibileen!!  -
L’urlo straziante di Annabeth riempì il silenzio che era calato sulla collina.
Percy guardò impotente il corpo di sua figlia cadere a terra con un leggero tonfo.
La sua piccola, la sua bambina li aveva appena salvati tutti da una Dea primordiale sollevando una quantità d’acqua che anche lui avrebbe avuto problemi ad alzare.
La sua figlia mortale aveva appena usato dei poteri che solo un discendente di Poseidone poteva usare, Nyx aveva ragione.
Aibileen rimase a terra, immobile, Annabeth si alzò di scatto e corse verso di lei continuando a chiamarla, le scivolò accanto e la prese in braccio, il capo della loro bambina ricadde molle all’indietro. Annabeth si affrettò a tirarlo verso di lei, stringendo la piccola e accarezzandole i capelli, lasciandole qualche bacio sulla fronte.
-  Papà…  - Percy si girò e guardò gli altri due suoi figli che lo guardavano con gli occhi pieni di terrore. Si alzò e loro fecero lo stesso andandogli vicino, li cinse entrambi per le spalle, ormai erano grandi e abbracciarli tutti e due insieme era molto difficile.
Si avvicinarono tutti e tre ad Annabeth, quando Percy la vide si sentì male.
Sua moglie stringeva la loro bambina al petto e piangeva disperata, sussurrandole di svegliarsi e di non lasciarla.
Lilia lo abbracciò e la sentì singhiozzare sul suo petto, Percy le accarezzò la testa dolcemente mentre continuava a stringere Lucas con l’altro braccio, lui era rimasto pietrificato.
-  Annie…  - le sussurrò lasciando un secondo i due figli che si abbracciarono subito uno con l’altro guardando i loro genitori chini sulla sorella.
Percy si chinò di fianco alla moglie e fece una carezza sulla fronte della figlia, era ancora calda, la guardò sentendo le lacrime pungergli gli occhi e seppe che non sarebbe stato in grado di trattenerle ancora per molto, ma poi lo vide, il petto di Aibi si alzò impercettibilmente.
-  Annabeth è viva!  - gridò incredulo
Annabeth lo guardò col viso rigato dalle lacrime -  Percy…  - gli disse sconsolata
-  No, respira Annie, te lo giuro  - le disse con sicurezza.
Annabeth si accigliò poggiò Aibileen per terra sdraiandola, le tirò leggermente indietro il capo facendole dischiudere la bocca e avvicinandoci l’orecchio mentre le guardava il petto, passò un secondo e poi scattò di nuovo in ginocchio portandole due dita sul collo -  Mamma…  - sussurrò Lucas che ancora stringeva Lilia
-  Dobbiamo tornare al Campo, è ancora viva ma non lo sarà ancora per molto - disse Annabeth fermando le lacrime e ritrovando la forza
-  Non è meglio portarla in ospedale? - suggerì Lilia ripresasi anche lei
-  No, al Campo c’è il vello, la potrà curare più velocemente  - la rassicurò sua madre.
Percy non riusciva a smettere di sorridere, la sua piccola era ancora lì con loro, ora rimaneva solo il problema di come arrivare al Campo
-  Chiamo i Pegasi  - disse all’improvviso alzandosi in piedi
-  No, ci metteremmo troppo tempo e Aibi non ne ha così tanto. Mandate un messaggio Iride al Campo, chiederemo a Nico  se ci può venire a prendere  - continuò Annabeth mentre riprendeva in braccio la figlia e le scostava un ciuffo di capelli dalla fronte.
Lucas si alzò e corse a recuperare i loro zaini, si ricordava di essersi portato dietro qualche dracma in caso di bisogno; Percy stava facendo zampillare un po’ d’acqua dal terreno e Lilia lo aiutava ad indirizzare il getto in modo che i raggi del sole lo colpissero e creassero un arcobaleno chiaro e nitido.
Annabeth si era seduta a terra a gambe incrociate e stringeva Aibileen in braccio come quando era appena nata, sperando che la magia che era avvenuta quando era ancora in fasce si avverasse di nuovo, ma così non fu, i loro cuori e il loro respiro non si sincronizzarono.
-  Fermo papà! Così va bene  - lo fermò Lilia quando nell’aria si creò un piccolo arcobaleno mozzafiato
-  Lucas, la dracma?  - gridò Percy al figlio che stava ritornando di corsa con i tre zaini sulle spalle -  Ce l’ho!  -
Lucas mollò in malo modo gli zaini per terra e poi si mise al fianco del padre e della sorella, Percy si girò verso la moglie -  Mandatelo direttamente a Nico, non è detto che sia al Campo  - gli disse spostando solo per qualche secondo l’attenzione dalla figlia.
Percy annuì -  Va bene  -.
Lucas, Lilia e Percy si posizionarono davanti all’arcobaleno, poi Lucas lanciò la dracma -  Oh, Iride, Dea dell’arcobaleno, mostrami Nico di Angelo  -
La dracma scomparve nell’arcobaleno e pochi secondi dopo apparve Nico seduto per terra a gambe incrociate con davanti un bambino ricciuto con cui stava giocando a morra cinese, fu il bambino ad accorgersi per primo del messaggio Iride -  Zio! Ci sono Lilia e Lucas!  - gli disse indicando il messaggio, Nico si girò e li guardò sorpreso mentre il bambino li salutava con la mano.
-  Percy!  - esclamò incredulo
-  Ciao Nico, sono felice anch’io di vederti, ma ora ci servirebbe il tuo aiuto  - il figlio di Ade si fece serio -  Certo, dimmi  -
-  Devi venirci a prendere, Aibileen non sta bene e rischia di raggiungere tuo padre  - gli spiegò
-  Non posso portarvi tutti insieme  - gli ricordò
-  Lo so’, basterà che porti Annabeth e la piccola, poi noi ci arrangeremo  - lo rassicurò.
Nico si accigliò e si fece pensieroso, poi si alzò di scatto -  Aspetta solo un secondo, Sammy stai un attimo qui  - gli disse prima di correre via.
Percy non riuscì a fermarlo -  Tu sei Percy Jackson? - chiese Sammy sorridendo
-  Si, piccolino  - gli rispose lui sorridendo
-  Reyna! C’è Percy Jackson!  - gridò il bambino girandosi alla sua sinistra e prendendo alla sprovvista Percy che sobbalzò; qualche secondo dopo nel messaggio apparve una bambina con le trecce e due chiarissimi occhi azzurri
-  Ciao Lilia, ciao Lucas! Dov’è Aibi?  - chiese la bambina ignorando Percy e Sammy
-  Non sta tanto bene ma…  - le iniziò a spiegare Lilia prima di venir interrotta
-  Reyna Cleia Augusta Grace, cosa non ti è chiaro della frase “ dimmi dove stai andando?”!  - gridò Piper apparendo nel messaggio Iride mentre la figlia incassava la testa nelle spalle pronta alla sgridata -  Piper, sei tornata a Nuova Roma?  - le chiese Lilia sorpresa
Piper si girò verso di loro e si portò le mani al viso mentre gli occhi le si riempivano di lacrime
-  Siete tutti vivi! Percy e… ma dove sono Annabeth e Aibileen?  - chiese cercandole
-  Sono qui, tranquilla  - la rassicurò Percy
Piper stava per parlare di nuovo ma si sentì un rumore di passi affrettati seguiti da un “ papà non mi tirare” e poi apparve Nico di ritorno insieme a Leo.
-  Allora è vero che sei vivo  - esclamò Leo sorridendo dopo aver visto Percy
-  Si, ma parleremo dopo, adesso ci serve un modo veloce per arrivare al Campo  - gli ricordò Percy facendo morire sul nascere qualunque altra discussione.
-  Si, Nico vi raggiungerà col viaggio Ombra io verrò a prendervi con Festus  - spiegò Leo
-  D’accordo  - acconsentì Percy annuendo
-  Sapete dirci dove siete?  - chiese Nico
-  Angel Island, davanti a San Francisco  - intervenne subito Lucas
-  Perfetto arriviamo subito  - gli disse sorridendo Leo
-  Ma papà, la mamma ha detto…  - interloquì una bambina di cinque anni con i capelli neri riccioluti raccolti in due codini e la carnagione chiara tirando la manica a Leo
-  Lo so’ cosa ha detto la mamma Hope, ma ti lascio con la zia Piper, va bene?  - le chiese Leo
-  Va bene  - sospirò la bambina.
-  Ora però andate, ci penso io a loro  - disse Piper prendendo tutti e tre i bambini
-  Va bene, ci vediamo tra poco Jackson  - concluse Nico e poi il messaggio Iride  sparì.
Appena furono di nuovo solo loro tre, Percy tornò da Annabeth e l’avvertì che presto sarebbero arrivati sia Nico che Leo a prenderli, che non doveva preoccuparsi, che la loro piccola era forte e che ce l’avrebbe fatta anche questa volta.
Mentre aspettavano, Lilia tirò fuori dagli zaini le borracce con l’acqua e le diede ai genitori che bevvero uccidendo la sete che li aveva tormentati sin dalla mattina, purtroppo però non avevano più cibo.
Mezz’ora dopo l’ombra di un albero vibrò e ne uscì Nico, che appena li vide gli corse incontro
-  Leo sta arrivando  - gli disse dopo aver salutato Percy con un frettoloso abbraccio e delle pacche sulle spalle.
-  Nel frattempo però noi possiamo andare  - disse Annabeth alzandosi in piedi, grazie all’aiuto di Percy, con la figlia ancora in braccio
-  No, Aibileen sta troppo male per fare il viaggio nell’ombra. Non so’ cosa sia successo, ma negli Inferi c’è un certo fermento, non vorrei mai che decidessero di tenersela mentre passiamo  - le spiegò.
Annabeth strinse Aibileen con fare protettivo e scosse la testa -  D’accordo  -.
Preferivano rischiare e metterci qualche minuto in più piuttosto che correre il rischio di perderla per sempre.
Neanche cinque minuti dopo sentirono un ruggito e in cielo si stagliò l’enorme figura di Festus che iniziò a volteggiare sopra di loro per poi atterrargli di fianco.
Leo smontò e si avvicinò al gruppetto, salutò velocemente tutti e poi si mise di fianco ad Annabeth:
-  Allora andiamo?  - le chiese facendo una carezza sulla testa della bambina
-  Certo, chi viene con noi?  - chiese Annabeth
-  Solo voi due, faremo prima con meno peso  - spiegò il figlio di Efesto
Annabeth ebbe una stretta al cuore, l’idea di abbandonare di nuovo i suoi figli e soprattutto Percy non le piaceva per nulla, ma se voleva salvare la sua bambina doveva farlo.
-  D’accordo, allora andiamo  - disse risoluta
Percy fermò un secondo la moglie e le lasciò un bacio -  Ci vediamo lì  -.
Annabeth annuì e poi seguì Leo sopra il drago, il figlio di Efesto salì davanti e lei dietro mettendo Aibileen al centro e tenendola stretta per non farla cadere.
-  Andiamo  - sussurrò Leo e Festus si alzò in volo alzando una nube di polvere per poi inoltrarsi tra le nuvole. Annabeth si concesse solo un secondo per guardare giù e vedere Nico che prendeva per mano Lilia e Lucas che tenevano per mano loro padre, per poi essere inglobati nella loro ombra.
Annabeth si aggrappò con una mano al dorso del drago mentre con l’altra reggeva la figlia che iniziava a respirare sempre più lentamente e il cui cuore batteva sempre più piano.

Spero non mi odiate per questo finale, ma se facevo concludere tutto in questo capitolo veniva troppo lungo :)
Aibileen si salverà? Rimanete sintonizzati e lo saprete ;)
Allora, intanto vorrei augurarvi un buon inizio scolastico :) Purtroppo questo è il mio ultimo anno ad Hogwarts; mi mancheranno i miei compagni Serpeverde e le partite di Quidditch, spero solo che i M.A.G.O non siano troppo difficili :D
Bene, dopo questa divagazione torniamo al capitolo :D Spero che vi sia piaciuto e credo (ma non sperateci troppo) che riuscirò a pubblicare il sedicesimo capitolo un po' prima del solito :)
Per il resto ringrazio chi segue, chi recensisce, chi ha messo la storia tra le preferite e anche chi legge soltanto. Aspetto volentieri le vostra recensioni :)
Direi che per ora è tutto,
Un abbraccio,
Darkness_Angel

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Capitolo 16
*** Riunione di Famiglia ***


Ed eccomi ritornata con il Sedicesimo Capitolo! E con ben un giorno d'anticipo :D
Direi che non ho molto da dire su questo capitolo, solo una cosa: Leggete la mia nota infondo, è importate ;)
Ci sentiamo in fondo,
Buona Lettura :)

Capitolo Sedici
Riunione di famiglia

 
Il viaggio non durò più di mezz’ora ma ad Annabeth sembrò un infinità di tempo.
Quando Leo aveva riaggiustato Festus, dopo la sconfitta di Gea, gli aveva fatto anche qualche altra modifica, e adesso, il drago volava molto più veloce di prima.
Annabeth continuava a stringere Aibi che sembrava diventare sempre più fredda e sempre più lontana, le sembrava quasi di vedere l’anima della figlia che la lasciava.
Quando arrivarono in vista di Long Beach, Annabeth iniziò a sentirsi leggermente meglio e la speranza le riempì il cuore, ce l’avrebbero fatta, non era tutto perduto.
Quando arrivarono sopra al campo Leo le disse di reggersi e iniziarono a scendere descrivendo degli ampi cerchi per moderare la discesa, Annabeth era impaziente fosse stato per lei sarebbe scesa in picchiata, quella le sembrava solo una perdita di tempo, ma in quel modo avrebbero rischiato di finire tutti e tre dentro il laghetto, o peggio, di schiantarsi contro il terreno.
Appena le zampe del drago di bronzo toccarono terra, Annabeth scese il più velocemente possibile senza far cadere Aibileen
-  Annabeth!  -
Chirone le corse incontro e si fermò di fianco a lei -  Gli altri ci aspettano alla Casa Grande, dalla a me, faremo prima  - Annabeth gli passò la figlia e poi corsero alla casa grande.
Percy la stava aspettando sulla soglia con in mano il vello nella sua forma originale e non in quella di giacca del college, Lilia e Lucas erano vicino a Juniper che li stringeva come se volesse proteggerli, Nico era in un angolo insieme a Jason che tenevano buoni i tre bambini.
Annabeth scorse dietro un albero l’immagine di un ragazzo che fissava la scena preoccupato ma senza uscire allo scoperto, le sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma adesso non aveva tempo per pensarci.
Percy gli corse incontro, Annabeth riprese in braccio Aibi e lui le mise sopra il vello coprendola, aspettarono un minuto ma non accadde nulla.
Annabeth si sentì sopraffare dal panico, si sedette sui gradini della veranda davanti alla Casa Grande e avvolse completamente la figlia nel vello, ma continuò a non accadere nulla.
Annabeth e Percy si girarono di scatto all’unisono verso Nico che stava guardando la bambina con aria scoraggiata, quando vide che i due amici lo stavano fissando, sorrise tristemente e scosse il capo.
Annabeth scoppiò a piangere e strinse la bambina, che ormai non respirava quasi più, Percy strinse i pugni -  Perché non funziona?!  - gridò guardando tutti i presenti, arrabbiato.
Nessuno gli rispose, sul Campo sembrava essere calato un sudario, non si sentiva nessun rumore a parte quello del vento tra gli alberi e i singhiozzi di Lilia ed Annabeth, persino gli uccelli avevano smesso di cantare.
Percy si avvicinò ad Annabeth e gli si sedette accanto facendole una carezza sulla testa, cercando di farla calmare, ma era impossibile. Percy era arrabbiato, non era giusto, perché proprio sua figlia?
Cosa aveva fatto di male per meritarsi questo? E poi perché il vello non la curava? Aveva dimostrato di essere una semidea, forse lo era più di loro, ma quella stupida pelle aveva deciso di smettere di funzionare proprio adesso che gli serviva.
Non poteva permettere che gli portassero via sua figlia così facilmente, non poteva starsene lì con le mani in mano mentre Thanatos richiamava la sua anima; il dio sembrava anche volerli prendere in giro non portandola subito via ma prolungando la sua, e la loro, agonia.
Si alzò e si avvicinò a Nico -  Non puoi fare nulla? Non puoi chiedere a tuo padre di lasciarla qui? - gli chiese tra la supplica e l’ira.
-  Percy, sai che mio padre non può fare niente…  - Percy sentì tutte le speranze crollare e le lacrime che era riuscito a fermare quando erano sull’isola tornare prepotenti; odiava essere impotente e non poter fare nulla.
-  Forse noi possiamo fare qualcosa  -
Tutti i presenti si girarono levando lo sguardo da Annabeth e rimasero pietrificati dallo stupore.
Chi aveva parlato era stata una donna sulla trentina vestita con una semplice camicia e un paio di pantaloni neri, i capelli castani raccolti in una coda alta e gli occhi grigi che sembravano minacciar tempesta che risaltavano sul viso dalla pelle chiara.
Di fianco a lei vi era una uomo che doveva avere solo qualche anno più di lei, i capelli neri, gli occhi verdi che risaltavano sulla carnagione abbronzata.
A Percy mancò il fiato, di solito quando quei due si incontravano c’era sempre da preoccuparsi
-  Papà… Atena… ma cosa… come potreste?  -
La Dea gli sorrise con sufficienza, forse sorpresa dal fatto che l’avesse riconosciuta
-  Le spiegazioni a dopo figliolo, a nostra nipote non rimane molto tempo  - gli disse Poseidone diventando serio.
I presenti si spostarono facendo passare le due divinità, Atena si chinò vicino alla figlia e le poggiò una mano su una spalla, Annabeth trasalì e gli occhi pieni di lacrime si sgranarono per la sorpresa quando riconobbe la madre.
Era stata troppo sconvolta all’idea di perdere sua figlia e tra i suoi singhiozzi e il dolore che le devastava il petto non si era accorta del loro arrivo -  Mamma…  - le sussurrò incredula
-  Potresti lasciarci la bambina?  - le chiese Atena sorridendola, mentre Poseidone si metteva al suo fianco e sorrideva ad Annabeth
-  Certo…  - gli disse stordita, non riusciva più a capirci nulla; l’unica cosa sicura era che la sua bambina la stava per abbandonare. Le levò il vello dalle spalle e la mise seduta sulla sue gambe facendole appoggiare la testa sulla sua spalla, Atena annuì e si girò verso Poseidone.
-  Visto che è stata la tua discendenza a creare più problemi credo che debba farlo tu per primo  - gli disse gelida e fissandolo con due occhi di pietra
Poseidone sospirò, poi si inginocchiò vicino ad Annabeth rispondendo con un sorriso al suo sguardo perplesso, poi poggiò una mano sul petto della nipote all’altezza del cuore.
-  Aibileen Jackson io, Poseidone, Signore dei cavalli, scuotitore della terra e delle lande marine, ti do la mia benedizione e il permesso di usare le tue capacità nonostante tu non sia mia figlia  - disse in tono serio.
Da sotto la mano del Dio spuntò una leggera luminescenza azzurra che avvolse la bambina e sopra la sua testa apparve un tridente azzurro e luminescente.
Poseidone si alzò e fece cenno ad Atena di avvicinarsi, Annabeth non credeva a quello che stava accadendo.
Come aveva fatto prima di lei suo zio, Atena si inginocchiò davanti alla nipote e le poggiò una mano sul petto -  Aibileen Jackson io, Atena, dea della saggezza e della strategia militare, ti do la mia benedizione e con essa il permesso di utilizzare le tue capacità anche non essendo mia figlia  -
A quel punto Aibileen fu circondata da un’altra luce, stavolta giallo scuro dalla quale nacque una civetta dello stesso colore che si andò ad appollaiare al centro del tridente emettendo un lieve stridio.
Quando anche Atena si fu allontanata, le due luci si sommarono formandone un’unica verde che si raccolse intorno al tridente e alla civetta, i quali divennero anche loro verdi  prima di diventare un’unica sfera di luce che si spostò dalla testa di Aibi e andò a finire sul suo petto dove venne assorbita.
Passò un minuto in cui il silenzio fu totale, poi Aibileen ebbe uno spasmo ed emise un lungo respiro stringendo con la mano la maglia della madre.
Annabeth emise un grido sorpreso e strinse la figlia che rincominciava a respirare normalmente mentre il battito del suo cuore riprendeva vigore, Aibi era viva.
Percy le corse accanto, adesso Annabeth stava piangendo per la gioia mentre accarezzava il viso della figlia che riprendeva pian piano colore
-  Io vi suggerirei di metterglielo comunque addosso il vello  - disse Atena.
Annabeth non se lo fece ripetere due volte, prese il vello e vi avvolse la figlia, sta volta il vello si illuminò di una luce d’orata incominciando a fare la sua magia, Aibileen si mosse rannicchiandosi contro il petto della madre e addormentandosi tranquilla.
-  Adesso è solo stanca si sveglierà presto  - li rassicurò la Dea
-  Ma si può sapere cosa è successo?  - chiese Percy mentre si alzava per permettere ai figli di andare dalla madre e vedere con i loro occhi che la sorella stava solo dormendo.
-  Lascio l’onore della spiegazione a mia nipote  - disse Poseidone ridendo mentre Atena gli lanciava uno sguardo di ghiaccio.
Era un record, Percy non si ricordava che quei due avessero mai collaborato, o fossero rimasti insieme senza litigare, per così tanto tempo.
-  E’ una cosa abbastanza complicata, ci vorrà un po’ per spiegarla e non vorrei che orecchie indiscrete sentissero  - disse la Dea lanciando uno sguardo verso Jason.
Nonostante i due campi si fossero riappacificati, e con essi gli Dei, Atena era rimasta una delle poche dee ad avercela ancora con i romani, forse perché a lei era stato fatto più torto che agli altri.
-  Mamma, qui non ci sono orecchie indiscrete  - sentenziò Annabeth, madre e figlia si lanciarono degli sguardi di fuoco, tutti trattennero il fiato col terrore che la Dea mostrasse la parte peggiore si se’ ma invece sospirò e si arrese -  Molto bene, ma almeno sediamoci  - concluse, fece un gesto con la mano e apparve una sedia per tutti per tutti i presenti.
Tutti i semidei si sedettero, Nico con in braccio Sammy, Leo, che era arrivato, recuperò la figlia da Piper mentre Jason prese in braccio Reyna facendola sedere sulle sue gambe.
Tutti fissavano Annabeth e Percy con sguardi dubbiosi, non avevano idea di quello che era successo e nessuno di loro aveva visto cos’era riuscita a fare Aibi, quindi l’apparizione delle due divinità e il rito che avevano compiuto sembravano inspiegabili.
Rimasero tutti in attesa mentre anche i due dei si accomodavano, Poseidone sempre sorridente mentre Atena rimaneva seria e impassibile.
-  Le persone come Aibileen nascono molto raramente  - incominciò Atena -  le loro capacità si sviluppano più tardi rispetto ai semidei normali e, per far si che possano usarle, gli Dei di cui sono discendenti devono dare la loro benedizione, cioè il loro permesso, per farglieli usare.  - spiegò
-  Scusate, ma Aibileen non era una mortale?  - chiese Piper intromettendosi
-  Lo credevamo… prima che sconfiggesse Nyx evocando uno tsunami  - spiegò Percy sorridendo, Piper lo guardò come per dire “Cosa??”
-  Si, se non fosse stato per lei probabilmente saremmo tutti morti o prigionieri di Nyx nel Tartaro, ad un certo punto ha evocato anche delle fiamme…  - spiegò Annabeth pensierosa
-  Quella era opera di Ecate, la evocata per farsi dare una mano  - spiegò Poseidone prima che anche Efesto o Leo fossero portati al centro della discussione
-  Quindi volete dire che Aibileen ha sia i poteri di una figlia di Poseidone che le caratteristiche di una figlia di Minerva… cioè Atena?  - chiese Jason
Atena gli lanciò uno sguardo furente, odiava la sua controparte romana -  Esatto  - intervenne Poseidone prima che la Dea potesse parlare -  Aibileen ha in se’ tre quarti di Dio e un quarto umano e adesso che ha avuto entrambe le nostre benedizioni potrà usare i poteri e vivere tranquilla senza paura che la uccidano  - spiegò
-  Voi da quanto lo sapevate?  - chiese Annabeth
-  Ho iniziato a sospettarlo quando è incominciata l’impresa, è stato lì che ha incominciato a sviluppare le prime doti da figlia di Atena  - spiegò la Dea -  E quando scoprì che Nyx aveva incominciato a tirare i fili del suo piano, devo ammettere molto ingegnoso, i miei sospetti si sono rivelati fondati.  - concluse
-  Nonna, sapevi tutto ciò che Nyx che stava per fare, e non ci hai detto nulla?  - le chiese Lilia arrabbiata e incredula
-  Al contrario, ho avvertito Aibileen in sogno che qualcosa si stava risvegliando, ma poi la Dea mi ha scoperta e ha intercettato il mio messaggio  - spiegò Atena -  Però  mi sembra di avervi dato un bell’aiuto sull’isola  - aggiunse puntigliosa
-  Allora eri davvero tu  - dissero in coro i gemelli fissandola sorpresi
Atena sospirò esasperata -  Eppure voi mi avete visto tante volte nella mia forma mortale, possibile che ancora non riusciate a riconoscermi?  - chiese, i gemelli chinarono il capo sentendosi leggermente in colpa.
-  Tu papà, invece?  - chiese Percy
-  Io non sapevo nulla, certo mi sono accorto che qualcuno aveva per due volte controllato il mare oggi, però pensavo fossi stato tu o Lilia  - spiegò
-  Beh, la prima volta sono stata io  - ammise la ragazza -  ma la seconda è stata Aibi  -
Poseidone sorrise -  Già, è per quello che è stata male, come prima volta è stata una bella mole d’acqua da sollevare.  - spiegò sorridente, Percy vedeva che suo padre era fiero della nipotina, mentre ne parlava la sua voce trasudava orgoglio -  Poi Atena è stata così gentile da venirmi ad avvertire nel mio palazzo  - mentre lo diceva diede una leggera pacca sulla spalla della Dea come se fossero amici da anni, lei lo guardò male aggrottando le sopracciglia -  Cosa che, stai pur certo, non rifarò mai più – lo rassicurò Atena
-  E siamo venuti qui, giusto in tempo oserei dire  - continuò Poseidone come se la dea non avesse parlato.
-  Quindi se voi non foste intervenuti Aibi sarebbe morta?  - chiese Annabeth
-  Molto probabilmente, Thanatos ha sempre dei problemi a prendere i semidei come lei  - spiegò Atena. Lucas si accigliò e poi alzò di scatto la testa -  L’ultimo sogno di Aibi! Thanatos non è il fratello di Eris? E poi lui fa il “portinaio” alle porte della Morte  - ricordò
-  Si, Nyx voleva provarle tutte, se anche Aibi l’avesse sconfitta suo figlio avrebbe potuto riportargliela quando fosse morta, ma per fortuna non è stato così  - concluse Atena
-  C’è ancora una cosa che non capisco…  - iniziò Percy
Atena sospirò e lo guardò come dire “fosse solo una cosa che non capisci”, Percy la lasciò perdere, ormai aveva fatto l’abitudine alle frecciate della nuora.
-  Perché Nyx voleva così tanto Aibi? Insomma non le andava bene un normalissimo semidio?  - chiese
-  Si dice che il Dio che avrà come servo un semidio con doppi poteri ancora vivo, sarà capace di fare qualunque cosa con lui al fianco  - spiegò Atena
-  Allora era inutile che la volesse da morta  - continuò Percy
-  Forse pensava che la sua presenza l’avrebbe aiutata comunque  - spiegò Atena
-  Ma…  - cercò di dire Percy
-  Tesoro, basta  - lo fermò Annabeth poggiandogli una mano sul polso.
Percy decise di darle retta -  Bene, ora che tutto è sistemato, devo tornare ai miei compiti  - disse Poseidone alzandosi e sorridendo ai presenti.
Atena annuì e fece lo stesso -  Anche io devo andare  -
-  Non volete aspettare che si svegli Aibi? Sono sicura che vorrà ringraziarvi  - disse Annabeth.
Atena le sorrise -  Potrà ringraziarci tra qualche giorno, ormai può venire anche lei sull’Olimpo a trovarci durante il solstizio  - gli ricordò.
-  Bene, allora vi aspettiamo. Ah, Jason, Nico salutatemi i vostri padre quando li vedete  - disse Poseidone, poi fece un cenno di saluto verso gli altri e scomparve in una nuvola di vapore che fu portata via da una leggera brezza marina.
Atena sospirò alzando gli occhi al cielo e sussurrò qualcosa molto simile ad un “esibizionista” per poi salutare con un cenno i presenti, trasformarsi in una civetta bianca e volare via verso le nuvole.
Tutti i presenti si girarono verso Percy e Annabeth, il primo a rompere il silenzio fu Leo
-  Simpatica tua madre Annabeth  - commentò sarcastico
Annabeth stava per rispondergli, ma poi Aibileen si mosse stiracchiandosi e strofinandosi gli occhi.
 
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Mi sentivo come se avessi dormito per mesi, avevo tutto il corpo indolenzito però non mi faceva più male il petto, lo presi come un buon segno.
Mi stirai e cercai di tirarmi su mentre mi stropicciavo gli occhi, sentì qualcuno che mi aiutava a mettermi seduta e poi mi svegliai completamente.
-  Mamma…  - sussurrai vedendola, mi stava tenendo in braccio e mi sorrideva trattenendo le lacrime, senza una spiegazione mi strinse forte scoppiando a piangere e dopo poco mi ritrovai abbracciata da tutta la famiglia -  Ehi… ma si può sapere cosa è successo?  - chiesi scostandomi mentre la mamma si asciugava gli occhi -  Come ci siamo finiti al Campo Mezzosangue? E Nyx che fine ha fatto? Ed io non dovrei essere morta?  - incominciai a chiedere guardandomi intorno.
L’ultima cosa che mi ricordavo era di essere caduta a terra dopo aver gettato di nuovo l’acqua che avevo evocato in mare, mi ricordavo il dolore e di aver creduto che sarei morta.
-  Una domanda alla volta Aibi, ne abbiamo di tempo  - mi rassicurò mia madre dandomi un bacio sulla fronte.
Ci alzammo in piedi e con mio grande stupore mi accorsi che non eravamo soli ma che c’era anche tutta la famiglia Grace al completo, Leo con Hope, Nico con Sammy, Zia Juniper e Zio Grover e naturalmente Chirone -  Ben tornata Aibi  - mi disse Piper sorridendomi
Ben tornata? Ma perché dov’ero andata?
Mi devo essere persa qualcosa…
-  Non ci sto capendo più niente…  - ammisi guardando tutti
-  Mi sorprenderebbe il contrario  - mi disse papà poggiandomi una mano su una spalla -  prima però ci sistemiamo e poi chiariremo questa faccenda una volta per tutte  - concluse.
Papà mi prese per mano e ci dirigemmo alle case insieme ai gemelli e alla mamma, mentre anche gli altri si misero a parlare tra di loro e i bambini tornarono a rincorrersi, notai che quando si furono alzati, le sedie su cui erano seduti, sparirono.
Andammo tutti ai bagni e ci facemmo una bella doccia, dopo aver passato due giorni accampata nei boschi mi ci voleva proprio.
Quando ebbi finito chiusi l’acqua e mi infilai l’accappatoio, l’acqua si era radunata in un punto sul pavimento e defluiva lentamente giù per lo scarico, mi guardai un attimo intorno anche se, a parte mia sorella e mia madre, in giro non c’era nessuno, poi mi concentrai sull’acqua, feci un leggero movimento con la mano e questa si alzò per poi ricadere ad un mio gesto.
Allora era vero, non era stato solo un sogno, avevo veramente sollevato l’acqua dell’Oceano, ero veramente una semidea; per qualche assurda ragione rimasi un po’ delusa.
Mentre ci cambiavamo la mamma e Lilia parlavano tranquille, ridendo e scherzando, io mi unì a loro però avevo ancora troppi dubbi che mi affollavano la testa e non riuscivo a concentrarmi sul buon umore che ormai aleggiava in famiglia.
Ci rincontrammo con papà e Lucas davanti alla casa di Poseidone -  Ora posso avere le mie risposte?  - chiesi guardando uno ad uno i membri della mia famiglia
-  Certo  - mi rispose la mamma -  Però andiamo dentro  - ci disse.
Entrammo nella casa di Poseidone e ci sedemmo mamma e papà su un letto e noi tre difronte a loro -  Allora Aibi, devi sapere che tu sei una semidea e che hai preso sia da Atena che da Poseidone - mi spiegò papà
-  Questo lo avevo capito  - gli dissi interrompendolo e lasciandolo di sasso -  Ecate mi ha chiesto di scegliere se accettare questo o non crederci, solo capendo chi ero veramente avrei potuto aiutarvi e salvarvi  - spiegai
-  Si, il nonno ci ha detto che hai evocato Ecate  - mi disse Lucas
-  Il nonno?  - chiesi senza capire
Mia madre iniziò a spiegarmi che, dopo aver usato i miei poteri, ero svenuta ed ero stata in fin di vita; a quel punto avevano chiamato Leo e Nico ed eravamo tornati al Campo.
Mi dispiacque molto aver volato per la prima volta su Festus mentre ero incosciente.
Arrivati al Campo mi avevano messo addosso il vello, sperando che mi guarisse, ma non aveva funzionato, mi avevano ormai dato per persa, quando erano apparsi i nonni che mi avevano salvato dandomi la loro benedizione; dopo di che mi avevano rimesso il vello ed io mi ero addormentata.
-  Peccato avrei voluto vederli collaborare  - commentai
-  Aibi, c’è una cosa che mi turba, cosa ti ha chiesto Ecate in cambio del suo aiuto?  - mi chiese la mamma chinandosi in avanti per vedermi meglio
-  Mi ha chiesto di diventare la sua ancella dopo la mia morte  - le spiegai -  dovrò aiutarla a scortare i vivi nel regno dei morti e badare ai suoi animali  - conclusi – Spero solo di non trasformarmi in un Empusa… - aggiunsi riflettendo
La mamma rise e sembrò rassicurarsi -  Che ne dite invece di raccontarci voi cosa avete combinato per venirci a salvare?  - chiese papà curioso
Io e miei fratelli ci guardammo e poi incominciammo a raccontare, iniziammo da quando io ero arrivata a piedi al campo, gli raccontammo della profezia e di come eravamo partiti insieme a Nico per andare a Los Angeles ma che a metà strada avevamo deviato per San Francisco visto che Lilia stava quasi per morire dopo esser stata ferita dalla chimera ( la mamma era sbiancata a quella notizia).
Gli raccontammo del soggiorno che avevamo avuto a Nuova Roma, di Sammy, di Reyna, di Hazel, Frank e della lite che avevano avuto Piper e Jason perché lei era di nuovo incinta.
Gli raccontammo dell’incontro avuto con Ade, di quello con le Arpie e poi gli raccontammo dei tre vulcani, dove Lucas si soffermò a spiegare cos’era successo e di Eris che lo controllava.
Infine gli raccontammo di come avevamo scoperto l’isola e di come ci era venuto in mente di salvarli -  Beh, non c’è che dire, ne avete passate di belle  - commentò papà ridendo, la mamma invece era seria, non le andava a genio che avessimo rischiato così tante volte la pelle e, soprattutto, che non si fosse mai accorta della possessione di Lucas.
-  Sai, credo che l’ultimo verso della profezia si riferisse a te Aibi  - commentò Lucas
-  “Dolori, pene, sacrifici e rischi, alla vecchia vita metteranno fine.”  - recitò Lilia -  penso che la tua vecchia vita sia finita, ormai sei una di noi  - commentò Lilia abbracciandomi e stringendomi.
I nostri genitori sorridevano felici di vederci uniti come dovevano essere dei fratelli, senza che litigassimo o mi facessero uno scherzo ogni dieci minuti.
-  C’è ancora una cosa però  - incominciò Lucas titubante lanciando uno sguardo a Lilia
-  E cosa?  - chiese la mamma abbastanza in ansia
-  Aibi sa’ tutto, le abbiamo raccontato tutto quello che è successo quando è nata e anche quello che è successo prima  - spiegò Lilia
Io miei genitori chinarono il capo sentendosi colpevoli e si guardarono -  Beh, prima o poi avremo dovuto dirtelo piccola  - disse papà sorridendomi -  Hai qualche domanda?  - mi chiese dolcemente la mamma
Ci pensai un attimo, a dire il vero il discorso di Lilia e Lucas era stato molto esauriente, c’era un'unica cosa che ancora mi  turbava -  Lilia e Lucas mi hanno detto che c’è il rischio che stia di nuovo male…  - incominciai
La mamma mi sorrise e mi prese una mano -  Non devi preoccuparti, ti teniamo sotto controllo e comunque è molto raro che succeda  - mi spiegò
-  E poi, quello che hai passato oggi, penso sia la prova che puoi superare qualsiasi cosa  - continuò papà sorridendo.
Rimanemmo a chiacchierare ancora un po’ insieme, mamma e papà ci raccontarono di quando si erano risvegliati a testa in giù nel covo di Aracne; capì che andava tutto bene perché, mentre raccontavano, si prendevano in giro a vicenda.
Tra una storia e l’altra arrivò l’ora di andare a cena, sentimmo il suono della conchiglia e andammo tutti alla mensa. Per quella sera decidemmo di fare uno strappo alla regola, Chirone non disse nulla,  il Signor D non c’era così ci sedemmo tutti ad un unico tavolo; ci eravamo appena ritrovati, non ci andava di separarci di nuovo.
Mentre stavamo andando alla mensa mi sentì chiamare -  Aibi! Aibileen!  - mi girai nella direzione di chi mi aveva chiamato e vidi Reyna che correva verso di me tenendo per mano Sammy e Hope ( accidenti, anche lei era cresciuta un bel po’! ), o meglio, tirandoseli dietro -  Ciao bambini  - li salutai accucciandomi in modo che mi potessero abbracciare
-  Adesso stai bene?  - mi chiese Sammy
-  Certo  - lo rassicurai
-  Guarda Aibi, la mamma mi ha fatto le treccine  - mi disse Reyna facendomele vedere -  E questa è Hope  - mi disse tirando avanti la terza bambina
-  Ciao, io sono Hope Valdez  - mi disse timida porgendomi la mano
-  E io sono Aibileen Jackson  - le dissi sorridendole e stringendole la mano, lei arrossì, era troppo tenera con quei due codini che cercavano di trattenerle i ricci inutilmente.
-  Come mai siete tutti qui?  - chiesi
-  Papà ha deciso di venirsi a riprendere la mamma e allora io sono voluta venire con lui perché ho sentito che c’era anche Hope, e poi Sammy ha chiesto a suo zio se poteva venire con lui visto che c’eravamo anche noi due, ed eccoci qui  - mi spiegò Reyna con la sua solita parlantina
-  Reyna, l’hai detto alla mamma che venivi a salutarci?  - le chiese, ad un certo punto, mia madre con voce calma e tranquilla anche se conosceva già la risposta.
La bambina impallidì e sgranò gli occhi -  Forse… me lo sono dimenticata - ammise.
Dieci minuti dopo Piper seguita da Jason, Leo e Nico arrivarono a riprendersi i bambini, Reyna si beccò un’altra sgridata dalla madre ma poi le cose si sistemarono.
-  Vi andrebbe di cenare tutti insieme?  - propose papà dopo che i bambini furono ritornati in riga
-  Si! Possiamo zio?  - Sammy sembrava entusiasta di poter cenare con papà
-  E’ mamma, possiamo?  - chiese Reyna saltellando su e giù
Piper sospirò e guardò Jason -  E’ una bella idea, penso che a Chirone non dispiacerà  - disse infine. Hope non ebbe bisogno di convincere Leo, il figlio di Efesto si era già convinto da solo.
Quando entrammo nella mensa praticamente tutto il Campo ci venne a salutare, Rachel e Clarisse salutarono la mamma, poi papà venne minacciato da Clarisse che gli consigliò di non farsi più rapire se no poi se la sarebbe dovuta vedere con lei.
Cenammo tutti assieme, io mi sedetti vicino ai bambini che mi chiesero di raccontargli l’impresa; al momento di donare una parte della nostra cena, io la offrì sia al nonno che alla nonna, ormai erano ufficialmente loro i miei parenti divini.
Quando tutti ebbero finito di mangiare, Chirone chiese silenzio -  Oggi si è conclusa l’impresa dei fratelli Jackson, e come avete tutti potuto constatare sono ritornati sani e salvi  - dalla folla di semidei si alzò un boato di approvazione e battiti di mani.
-  Ho parlato con il Signor D e abbiamo deciso di dare in anticipo la perla per quest’anno  - disse Chirone.
Quando finì di parlare, davanti ad ogni semidio presente al campo apparve una piccola perlina dipinta. La presi in mano e la guardai era una perla verde chiaro con disegnato sopra un tridente azzurro con appollaiata sopra una civetta arancione stilizzata, quello era il simbolo che mi era apparso sulla testa dopo la benedizione da parte dei nonni, stava a rappresentare la loro collaborazione.
-  Non so’ quanto sarà contenta mia madre  - commentò la mamma dopo essersi levata la sua collana e averci aggiunto quella perlina; scoppiammo tutti a ridere mentre mi rigiravo la perlina tra le mani, quella era la mia prima perla e rappresentava la mia prima impresa.
-  Tieni Aibi  - Leo mi passò un pezzo di nastrino nero che aveva tirato fuori dalla sua cintura, lo presi e vi infilai la perlina, poi la mamma me la annodò al collo.
-  Ecco, adesso sei ufficialmente una semidea  - mi disse Nico sorridendo.
Passammo la serata tutti insieme, avvertimmo Hazel, Frank, Calipso ( che era rimasta a casa ) e zio Tyson che stavamo tutti bene, poi la mamma, Clarisse e Piper si misero in un angolo a discutere sul futuro piccolo Grace ( che poi si riveleranno essere due piccoli Grace, ma questa è tutta un’altra storia).
Arrivò l’ora di andare a letto, i bambini si erano addormentati in braccio ai rispettivi genitori, noi eravamo sfiniti, dovevo ammettere che era stata una giornata impegnativa.
Andammo a dormire tutti nella casa di Poseidone, io e Lilia condividemmo il letto di sotto mentre Lucas dormiva in quello di sopra e mamma e papà dormivano in quello di fronte a noi.
-  Buona notte  - ci dissero dopo aver dato il bacio della buona notte a tutti e tre -  cercate di dormire anche se siete agitati  - ci disse la mamma
-  Non ti preoccupare mamma, non sarà difficile  - disse Lilia sbadigliando e abbracciandomi, risi.
Ci sorrisero e poi spensero la luce, dopo qualche minuto Lilia e Lucas dormivano già della grossa, io mi stavo addormentando quando sentì mamma e papà bisbigliare.
-  Io te l’avevo detto che non dovevi chiamarlo Lucas  - sussurrò papà
-  No, tu mi avevi detto che non dovevo chiamarlo Luke  - gli ricordò la mamma
-  Hai scelto un sinonimo, non fa molta differenza  - continuò papà
-  Sai Testa d’Alghe, non vuol dire che se qualcuno si chiama Luca dovrà per forza essere posseduto e fare il doppio gioco  - gli ricordò la mamma esasperata
-  D’accordo Sapientona, d’accordo  - poi li sentì ridere e la mamma che sussurrava -  No, ci sono i bambini Testa d’Alghe  -
Chiusi gli occhi e sorrisi, quella non era una litigata di cui preoccuparsi.
 
 
Il mattino dopo ci alzammo tutti presto, mamma e papà dovettero parlare con Chirone del piano di Nyx, così da poter informare gli altri dei, Lilia e Lucas invece non persero tempo e andarono subito dai loro amici, mi chiesero se volessi unirmi a loro, ma non mi andava, dovevo ancora abituarmi alla mia nuova vita.
Così mi ritrovai a camminare da sola per il bosco che fiancheggiava il mare immersa nei miei pensieri. Ripensai alla profezia, avevamo pensato che la mortale citata fossi io, ma alla fine mi ero rivelata una semidea, possibile che la profezia intendesse qualcun altro?
Decisi che era inutile starci a pensare, ormai l’impresa era finita e noi stavamo tutti bene.
All’improvviso mi tornarono in mente le parole che mi aveva detto quella bambina la prima sera che eravamo arrivati al Campo, mi aveva detto di ricordarmi che la mia famiglia non mi avrebbe mai deluso e che mi avrebbero sempre voluto bene; scossi il capo, molto probabilmente quella bambina era Estia, avevo incontrato più Dei io in meno di un mese che i miei genitori in un intera vita!
-  Ciao Aibileen Jackson  -
Alzai lo sguardo, davanti a me, appoggiato ad un tronco di un albero, c’era un ragazzo con una zazzera di capelli rossi e gli occhi scuri che mi sorrideva.
-  Ciao a te Nathaniel Jordan  - gli risposi ridendo e avvicinandomi -  Credi di essere figo in quella posa?  - gli chiesi alzando un sopracciglio
Lui scoppiò a ridere e poi divenne serio -  No, stavo solo sorreggendo l’albero  - ci fu un momento di silenzio in cui ci osservammo e poi scoppiammo a ridere entrambi, lui mi si avvicinò e mi diede una pacca sulla spalla -  Sono felice che tu sia tornata  - mi disse
-  Te l’avevo promesso o no, che sarei tornata tutta intera?  - gli ricordai
-  E’ vero, però parti che sei una mortale e torni che sei una super semidea con già un impresa sulle spalle. Se continui con questo ritmo tra qualche anno ti faranno diventare immortale  - mi disse
Io continuavo a ridere -  Punto a sottrarre il trono a Zeus prima dei trent’anni  - gli spiegai e poi aggiunsi gridando vero il cielo -  Sto scherzando!  - Nathaniel scoppiò di nuovo a ridere
-  Tu invece?  - gli chiesi sorridendogli
-  Determinato  - mi disse fiero
-  Ah davvero? Scommetto che sei o figlio di Ermes o di Afrodite visto tutte le arie che ti dai  -
-  Mi dispiace deluderti Aibileen Jackson, ma sono figlio di Ecate - mi disse
Mi bloccai e smisi di camminare “mi interessi Aibileen…” le parole della dea mi risuonarono nella testa Ci credo che ti interesso! Sono amica di tuo figlio!
-  Tutto bene Aibi?  - mi chiese preoccupato -  Hai qualche problema con i figli di Ecate?  - mi chiese visibilmente deluso
Io gli sorrisi e gli poggiai una mano sulle spalle, non mi importava se sua madre fosse la Dea che avrebbe preso la mia anima quando sarei morta, c’era ancora tempo e Nathaniel era il primo vero amico che avevo da un infinità di tempo, non lo avrei perso per colpa di sua madre
-  No, non ho nessun problema con i figli di Ecate, ma diciamo pure che io e tua madre ci conosciamo bene  - gli dissi.
Nathaniel mi sorrise e mi mise anche lui un braccio sulle spalle.
Ci allontanammo ridendo e chiacchierando, quello era l’inizio della mia nuova vita e avevo appena deciso che non ne avrei sprecato nemmeno un giorno.


Ta-Dan! Ecco il Sedicesimo Capitolo che, udite udite, non è l'ultimo ;P
Ebbene si, ci sarà un Epilogo che spero di poter pubblicare in settimana scanso impegni felini e simili :D
Tornando al Capitolo, cosa ne pensate?
Spero che vi sia piaciuto :) Come sempre ringrazio chi segue, chi legge, chi ha messo me, o la storia, nelle preferite e chi recensice. Aspetto le vostre rencensioni con piacere :D
Nonostante io non sia un artista, questo è il simbolo che appare sopra Aibi:
http://i57.tinypic.com/2iag9q0.jpg
Direi che per ora è tutto; Spero di poter pubblicare presto l'Epilogo,
Un abbraccio,
Darkness_Angel.

 

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Come promesso ecco l'Epilogo, e pubblicato entro Venerdì nonostante le mille cose che ho avuto da fare :D Voglio un applauso!... Scherzo :P
Allora, con questo la storia si concluderà, spero che vi piaccia, ci sentiamo in fondo per gli ultimi saluti e una piccola notizia :)
Mi scuso in anticipo per eventuali errori nei tempi verbali, ma devo ancora un po' impratichirmi :)
Buona Lettura.

 

Epilogo


 Esco dal portone del piccolo palazzo nel quale vivo con altre tre ragazze che vanno tutte alla mia Università, il sole autunnale che brilla su New York mi scalda il viso.
Mi stringo nel cappotto blu scuro, che sembra quasi nero, e mi incammino per il viale alberato. L’autunno è arrivato da tre settimane, gli alberi sono tutti rossi, gialli e arancioni, le persone iniziano ad indossare i primi cappotti ma il caos che regna per le strade di New York è sempre lo stesso. Tiro fuori l’Ipod dalla borsa e mi infilo le cuffiette, scorro velocemente le playlist stando attenta a non scontrare le altre persone che camminano sul mio stesso marciapiede ma in direzione opposta alla mia, trovo la playlist che cerco, tutti gli album degli Imagine Dragons raccolti in un'unica playlist e ordinati per anno e ordine alfabetico, è quello che ci serve per incominciare una bella giornata.
Gli Imagine Dragons erano il mio gruppo preferito di quando ero ragazzina e lo rimangano tutt’ora, non mi importa se la loro fama è svanita leggermente, loro hanno debuttato nel 2012 e sono passati molti da allora, ma erano uno dei gruppi che papà ascoltava sempre quando eravamo in casa, ci sono dei bei ricordi legati alle loro canzoni.
Seguo la massa di gente che si inoltra nella metropolitana e mi dirigo a prendere il treno che va verso il centro di New York e poi verso Manhattan, oggi non ci sono lezioni all’Università e così ho deciso di andare a trovare i miei genitori.
Il treno arriva dopo pochi minuti, le porte si aprono con un leggero dling, che sento a malapena con le cuffie nelle orecchie.
Salgo sul vagone pieno di gente e riesco a trovare un posto libero per sedermi vicino ad una donna anziana che tiene in grembo una grande borsa a fiori fatta ai ferri e guarda male due ragazzi che stanno amoreggiando, fregandosene degli altri passeggeri, in un angolo del treno.
Mi siedo e tiro fuori il libro di Diritto Romano, tanto vale approfittarne e ripassare un pochino prima dell’esame di Giovedì, non credete che giri sempre con il libro di Diritto in borsa, ma sapendo che mi aspettava un viaggio un po’ lungo e, avendo un esame a meno di una settimana, ho pensato che era meglio “cogliere l’attimo”.
Sorrido come una sciocca pensando alla mia stupida battuta e mi rituffo nel libro che è metà in latino e metà in Inglese, naturalmente ho più problemi con l’Inglese che col latino, ma con gli anni la mia dislessia è migliorata di molto, o non avrei mai deciso di fare giurisprudenza.
Mamma e papà rimasero sconvolti quando gli dissi che avrei scelto legge invece di qualche Università più leggera che mi avrebbe garantito un lavoro senza troppo studio.
Circa ogni due fermate controllo a che punto sono del tragitto, la lucina verde che illumina i pannelli con le fermate avanza lentamente informandomi che mi mancano ancora una decina di fermate prima di quella più vicina alla mia vecchia casa.
La metro si riempie sempre di più man mano che ci avviciniamo al centro, quando mi mancano solo tre fermate alla mia, ripongo il libro e lascio il posto ad una signora con un bambino di due anni addormentato in braccio, la donna mi ringrazia e poi si siede sistemando il berretto di cotone sulla testolina del bambino.
La lucina verde e la voce elettronica, che si espande per il vagone, mi avvertono che la prossima fermata è la mia, mi faccio largo tra le persone e quando gli sportelli si aprono seguo l’onda di gente che si riversa fuori.
Salgo velocemente le scale e mi ritrovo nell’aria fumosa di Manhattan, la strada sempre sveglia alle mie spalle e davanti a me una sfilza di palazzi non tanto alti di un beige sporco.
Percorro il marciapiede guardando i numeri dei portoni, anche se in realtà non mi servirebbe, conosco quella strada a memoria, l’ho percorsa per ben diciotto anni della mia vita.
Quando arrivo davanti al portone spengo l’Ipod e mi levo le cuffie, alla mamma non piace se arrivo con le cuffie nelle orecchie, mi sembra già di sentirla “Non hai più sedici anni, ora sei adulta!”
Sospiro e ripongo tutto nella borsa, la macchina dei miei è parcheggiata davanti a casa, quindi loro ci sono, salgo i cinque scalini che mi separano dalla porta e poi suono il campanello tre volte, due minuti dopo la porta si apre -  Ma guarda chi è venuta a trovarci  - mi sorride mio papà scostandosi per farmi entrare -  Ciao papà, come stai?  - gli chiedo abbracciandolo e lasciandogli un bacio sulla guancia -  Come al solito, non mi lamento  - mi risponde con un alzata di spalle mentre chiude la porta, io rido e mi levo la sciarpa e il cappotto appendendoli, in casa fa caldo.
-  La nostra avvocatessa è venuta a trovarci?  - mi accoglie mia mamma sorridendomi
-  Quasi avvocatessa  - la correggo andandole incontro e abbracciandola.
Mia madre si scosta, mi sorride e mi lancia una rapida occhiata per controllare come sono conciata: Capelli corti a caschetto, camicia a quadri azzurra e blu, un paio di jeans blu scuro e ai piedi un paio di converse nere, mia madre annuisce quasi impercettibilmente e torna a fissarmi negli occhi.
-  Allora, come vanno le cose? E’ da un po’ che non ti fai sentire  - mi ricorda mentre andiamo tutti e tre in cucina.
Sospiro, lo sapevo che mi avrebbe fatto sentire in colpa per non averla chiamata prima -  Ho avuto molto da fare mamma  - le spiego mentre ci sediamo al tavolo
-  Lo so’, lo so’, sempre di fretta voi giovani  - scherza sorridendomi -  raccontami; all’Università tutto bene? E con Jess?  -
Ed ecco che inizia l’interrogatorio, prima che inizi a raccontare papà mi chiede se mi va qualcosa da bere -  Ve bene del The  - gli rispondo sorridendo, la mamma dice che va bene anche per lei e poi papà prepara il bollitore.
La mamma è seduta di fronte a me e mi sorride impaziente di sapere -  All’Università tutto bene, Giovedì prossimo ho un esame di Diritto Romano, ma non mi preoccupa  - inizio
-  Sai che se hai problemi puoi sempre chiedere a Jason, Frank o ad Hazel - mi ricorda
-  Lo so’ mamma, ma non ne ho  - la rassicurò
-  E invece con Jess? Va ancora tutto bene?  -
Arrossisco leggermente e annuisco, io e Jess siamo fidanzati da quasi quattro anni ormai, lui è un anno più grande di me e lavora già per uno studio legale -  Si, ci siamo visti l’altro giorno  - le dico -  Mi ha fatto una sorpresa ed è venuto a prendermi al campus per poi portarmi fuori a cena -
A mia madre luccicano gli occhi, Jess le piace tanto è un bravo ragazzo ed è gentile sia con me che con loro, non è un mezzosangue però l’ha presa bene quando gliel’ho detto, anzi, sembrava eccitato.
-  E’ un ragazzo d’oro  - commenta annuendo -  proprio da sposare  - arrossisco al suo commento.
Mio papà scoppia a ridere e ci serve il the per poi sedersi tra me e la mamma -  Non dar retta a tua madre, te lo sta dicendo solo perché vuole avere presto dei nipoti da viziare  - la punzecchia, mia madre gli da’ un leggero colpo sul braccio e ride.
-  Certo, perché sono l’unica che li vuole, vero Testa d’Alghe?  - gli chiede inarcando un sopracciglio, papà non risponde e si rifugia nel suo the.
Nonostante ormai abbiano più di cinquant’anni continuano a trattarsi come se fossero ancora ragazzini, però non sono più l’Annabeth Chase e il Percy Jackson che sconfissero Gea.
La mamma si vede che è invecchiata, porta sempre i capelli lunghi raccolti in una coda ma adesso non sono più biondi, iniziano a sbiadire verso il bianco, qualche ruga le è iniziata a venire sugli zigomi quando sorride e adesso porta gli occhiali.
Anche papà è invecchiato, i capelli una volta neri adesso sono sale e pepe, incomincia ad avere delle rughe agli angoli degli occhi e tiene sempre una leggera barba, anche quella più grigia che nera, che quasi non si vede ma che gli conferisce un aspetto più saggio, anche lui ha gli occhiali.
Beviamo il the e nel frattempo la mamma e papà mi aggiornano su quello che si dice in giro; Sammy e Reyna sono entrati ormai da un paio di anni nella legione e lei punta a prendere il posto del padre come pretore, i suoi due fratelli più piccoli, invece, stanno ancora studiando: uno per diventare psicologo e l’altro per diventare professore.
Hope ha aiutato per un po’ i suoi genitori all’officina ma poi è partita per la Germania per iniziare un corso di lingue straniere; l’ultima volta che lo vista parlava già Greco, Latino, Spagnolo e un po’ di Tedesco.
Charlie, il primo figlio di Clarisse, studia economia, mentre invece sua sorella più piccola, Silena, ha deciso che, raggiunta l’età giusta, si arruolerà.
-  E Nico?  - le chiedo, è l’unico di cui non mi abbia ancora parlato
-  Sta bene, vive a Nuova Roma con Maria  - mi risponde
Annuisco, mi ricordo di quando Nico è sparito per tre anni per poi riapparire con una bambina, Maria Bianca di Angelo, che aveva un anno; nessuno sa’ chi sia sua madre e lui non apre bocca su quello che è accaduto in quei tre anni di assenza.
-  In conclusione stiamo tutti bene  - dice papà sospirando
-  Vero, quest’Estate pensi di venire al Campo?  - mi chiede mia madre speranzosa
-  Non lo so’, devo parlarne con Jess  - le rispondo, mi piacerebbe che il mio ragazzo conoscesse appieno il mio mondo, ma non vorrei spaventarlo.
-  E Lucas, sta bene?  - mi chiede la mamma con un po’ di ansia
Annuisco, Lucas è peggio di me, non chiama quasi mai a casa e lui abita a Seattle non a venti fermate di metro da mamma e papà -  Sta bene, l’ho sentito un paio di giorni fa  - la rassicuro.
C’è un momento di silenzio e poi papà mi sorride -  Che programmi hai per oggi? -
Lo guardo, sa’ che programmi ho per oggi, ma so’ che gli fa piacere sentirmelo dire -  Volevo approfittarne per andare a trovare Aibi  - gli spiego con un sorriso triste
La mamma annuisce -  Noi ci siamo andati una settimana fa  - aggiunge la mamma prendendo una sorsata di the.
Parliamo ancora un po’ del più e del meno, la mamma mi fa vedere qualche foto degli altri ragazzi e poi viene l’ora di andare -  Mi raccomando Lilia, ricordati di telefonare ai nonni  - mi ricorda mia madre mentre mi sto infilando il cappotto -  Lo faccio sta sera appena torno a casa  - la rassicuro. Mia madre mi mette la sciarpa al collo e mi fissa -  Tutti i nonni  - sottolinea seria
Rido -  Ho capito mamma, mortali e immortali  - lei mi sorride e poi mi da’ un bacio sulla fronte.
-  Allora io vado  - dico mettendomi la borsa a tracolla
-  Va bene, stai attenta e salutaci Aibi  - mi raccomanda mia madre stringendomi e lasciandomi un altro bacio -  Si mamma  - la tranquillizzo, poi mi avvicino a papà che mi stringe e mi da’ un bacio sulla testa -  E stai lontana da tutti quelli che ti possono sembrare mostri  - mi ricorda ammonendomi con un dito, scoppio a ridere e poi gli rispondo -  Va bene  -.
Ci abbracciamo ancora una volta, poi la mamma mi apre la porta e io esco in strada, mi fa uno strano effetto vederli tutti e due sulla soglia che mi salutano, li saluto con la mano e poi mi avvio per la strada, so’ che la porta si richiude solo quando non sono più in vista.
Per arrivare da Aibileen mi conviene prendere l’autobus che mi lascia subito lì davanti, invece della metro che mi lascia un isolato più avanti costringendomi a fare della strada a piedi.
L’autobus è pieno di gente, passo tutto il viaggio in piedi ma è questione di una ventina di minuti e poi sono arrivata, non mi sono nemmeno rimessa le cuffiette.
L’autobus si ferma ed io, insieme ad un paio di altre persone, scendiamo davanti agli imponenti cancelli di ferro battuto nero, che a quell’ora sono aperti.
Entro dentro e percorro il sentierino acciottolato finché non la vedo, come sempre vicino alla quercia circondata da qualche foglia secca.
Accelero il passo e attraverso il prato sino a raggiungerla e mi metto di fronte a lei, le sorrido e mi stringo nel cappotto mentre sento il cuore mandarmi una leggera fitta -  Ciao Aibi  -
La pietra grigia e fredda non mi risponde, però lei è lì che mi sorride come sempre, spazzò un po’ di foglie dal terreno e poi mi siedo davanti alla lapide -  Ho novità  - le dicco sorridendo.
Aibileen è morta sei anni fa, dopo più di un anno di malattia.
Aveva incominciato a stare male nell’autunno dei suoi tredici anni, prima è diventata asmatica e dopo sei mesi il cuore aveva iniziato ad indebolirsi.
Per i primi tempi aveva tirato avanti, certo, non poteva più fare allenamenti intensivi o sforzi eccessivi però non era un problema per lei, aveva continuato a venire al Campo come se niente fosse; poi però si è aggravata, le visite all’Ospedale si sono fatte sempre più frequenti e il dottore le aveva prescritto una terapia che serviva per rafforzarle il cuore e i polmoni.
Sembrava funzionare, le sue condizioni erano migliorate tanto che mamma e papà le diedero il permesso di andare al Campo anche l’estate dopo, lei era entusiasta, però la mattina della partenza si sentì male, iniziò ad avere dei dolori al petto e a non riuscire a respirare, corremmo in Ospedale e la riportarono indietro per un pelo, per un momento pensammo che ci avrebbe lasciato in quel momento.
La diagnosi era chiara, cuore e polmoni erano “consumati”, prima di arrivare al trapianto, però, si poteva cercare di rinforzarli un po’ e magari vedere se riuscivano a riprendersi da soli, così Aibi tornò a casa con un’altra terapia da fare e l’assoluto divieto di fare qualsiasi sforzo che non fosse camminare.
Capimmo in seguito che la colpa delle sue condizioni di salute era dovuta all’uso dei poteri da figlia di Poseidone, quando li usava la stancavano molto, una persona normale che non aveva mai avuto niente, come papà, si sarebbe ripreso nel giro di qualche ora, ma visto quello che aveva avuto da piccola, il cuore e i polmoni già precari, non avevano retto.
La mamma e papà dissero a me e Lucas che se volevamo potevamo andare al Campo, sarebbero rimasti loro con Aibi, ma noi non volevamo lasciarla, avevamo il terrore che avrebbe potuto lasciarci da un momento all’altro.
Una mattina però Aibi era venuta e ci aveva ordinato di andare al Campo, tanto non cambiava nulla se rimanevamo lì con lei a tenerle la mano oppure no, e così partimmo.
Aibileen superò l’Estate, però continuava a non migliorare e lei iniziava a stufarsi di rimanere chiusa in casa, voleva tornare a scuola e riprendere a studiare, quell’anno avrebbe compiuto quindici anni e lei voleva continuare la sua vita.
Tra mamma, papà e i nonni riuscimmo a districarci e organizzarci in modo da andarla a portare e riprendere da scuola, nel frattempo io e Lucas ci iscrivemmo al college, due diversi, visto che io ero intenzionata a fare legge e lui medicina, Aibileen disse a Lucas che presto lo avrebbe raggiunto perché anche lei voleva diventare medico.
Continuammo con la nostra vita, noi a fare avanti e indietro dal College ed Aibileen che studiava per poter chiudere in bellezza l’anno.
Quel giorno ero appena uscita dal Campus per tornare nella mia camera, quando ricevetti la chiamata della mamma che mi diceva che avevano portato Aibi a fare un controllo e che il dottore aveva deciso di ricoverarla.
Presi subito un taxi e dopo un’ora li raggiunsi in Ospedale, trovai Aibi che rideva con papà, mia sorella non ha mai perso il sorriso, mi disse ridendo che finalmente avevano deciso di cambiarle i pezzi rotti.
Rimasi un attimo spaesata, la mamma mi spiegò che il dottore aveva visto che la cura non funzionava e che quindi era meglio intervenire e fare i trapianti; prima quello del cuore, che era quello più mal messo, e in un successivo momento quello dei polmoni che per ora reggevano.
Passò in Ospedale otto mesi, andavamo a trovarla a turno, compì quindici anni e si fece portare dalla mamma la domanda di iscrizione per l’anno successivo. Io e mio fratello facevamo a turno per andarla a trovare il più possibile, le portai a conoscere Jess e lei mi diede la sua approvazione, forse è anche per questo che mi sento così sicura su di noi, Aibi non sbagliava mai.
Una volta che eravamo sole mi disse che si sentiva un po’ come Festus, adesso era rotta e non funzionava bene, ma appena le avrebbero trovato i pezzi di ricambio sarebbe stata bene e avrebbe volato ancora più veloce di prima.
Me lo ricordo come se fosse ieri, il tre Aprile ci dissero che avevano trovato il cuore compatibile e che due giorni dopo l’avrebbero operata.
Mamma e papà si rilassarono un po’, da quando Aibi si era ammalata vivevano costantemente nell’ansia, penso che sia stato in quel periodo che sono invecchiati di botto.
Il giorno prima dell’operazione eravamo tutti e quattro in ospedale, Aibi era un po’ agitata ma allo stesso tempo non vedeva l’ora che fosse finita, noi eravamo tranquilli e felici, quel patimento sarebbe finito presto e Aibi sarebbe ritornata la bella ragazza che era, riprendendo colore e facendo sparire le occhiaie che le cerchiavano gli occhi, oltre che a riprendere un po’ di peso.
All’ora di pranzo la salutammo tutti per andare a prendere qualcosa da mangiare alla mensa dell’Ospedale, lei ci salutò con un sorriso.
Pensavamo che ormai il peggio fosse passato, che la salita fosse finita che ormai sarebbe stato tutto in discesa o almeno pianeggiante, ma le tragedie ti colgono proprio quando pensi che vada tutto bene.
Eravamo seduti ad un tavolino che finivamo di mangiare quando arrivò il dottore che seguiva Aibileen e ci chiamò.
Aveva una faccia scura e ci sorrideva comprensivo, pensammo che ci fosse stato un disguido, che il cuore non sarebbe arrivato, ma nessuno pensò a quello che ci disse dopo.
Ci portò nel suo studio, ci chiese se volevamo sederci ma la mamma gli urlò contro di dirci cos’era successo, lui sospirò e ce lo disse.
Aibileen aveva avuto un collasso, il cuore aveva smesso di battere all’improvviso e subito dopo avevano iniziato a smettere di funzionare anche i polmoni, avevano provato a rianimarla ma non era servito a nulla, se n’era andata, Aibileen era morta.
La mamma si era portata le mani al viso ed era caduta a terra in ginocchio iniziando a piangere disperata ripetendosi che non poteva essere vero, che doveva essere tutto un incubo, papà le si era messo di fianco e l’aveva stretta mentre lei piangeva e lui con lei, anche se più silenziosamente.
Io e Lucas eravamo rimasti immobili, pietrificati dalla notizia, ci mettemmo un minuto buono per assimilare la cosa, la nostra sorellina non c’era più.
Ci abbracciammo e incominciammo a piangere anche noi, dopo qualche minuto ci sentimmo abbracciare, mamma e papà si erano alzati e ci avevano stretto, adesso piangevamo tutti e quattro insieme, dovevamo rimanere uniti adesso più che mai.
I giorni seguenti passarono veloci, tutti ci stettero molto vicini come per altro avevano fatto per tutto il tempo in cui Aibi era stata male.
Passammo delle giornate d’inferno, dovemmo svuotare la sua camera, mamma e papà che non piangevano solo perché c’eravamo noi, ma di notte sentivo la mamma che piangeva e papà che cercava di calmarla, invano.
I giorni passarono, ci fu il funerale a cui parteciparono tutti, anche Atena e Poseidone si presentarono, sembravano anche loro distrutti.
Decidemmo di fare la cerimonia al Campo quell’Estate, prepararono un bellissimo drappo verde con ricamato sopra un tridente con una civetta appollaiata sopra e noi lo bruciammo, dopo la cerimonia Nico ci si avvicinò con la piccola Maria che camminava a malapena e ci disse che suo padre ci aveva concesso di vedere Aibileen, ma che serviva ancora il permesso di Ecate.
Parlammo con Nathaniel, il migliore amico di Aibi e credo non solo migliore amico, non che figlio della Dea, ci disse che per sua madre non c’erano problemi e ci raccomandò di salutarla da parte sua.
Quello stesso pomeriggio Nico ci accompagnò sulle rive dello Stige e lì la vedemmo, era molto più umana di quello che mi aspettavo, era a colori e non un fantasma bianco, rideva.
Mi ricordo che provai una rabbia incredibile e le gridai -  Perché ridi?! Aibi sei morta!  -
Lei era scoppiata a ridere ancora di più,  mi aveva asciugato le lacrime di rabbia e mi aveva detto -  Non provare pietà per i morti, Lilia, prova pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore  -
La rabbia si era trasformata piano piano ed ero scoppiata a ridere, l’avevo abbracciata, era fredda.
Ci disse che stava bene, che per qualche ragione l’avevano mandata nei Campi Elisi ma che ci passava poco tempo perché girava per tutto l’Ade facendo commissioni per Ecate; la Dea era gentile con lei ed era anche merito suo se aveva quella forma più umana. Rassicurò la mamma che se la cavava e che, comunque, nei Campi Elisi aveva incontrato Charlie e Silena, che non avevano deciso di rinascere ma vivevano tranquilli insieme, li salutavano.
La mamma sembrava rassicurata e anche papà, ora sapevano che la loro bambina stava bene, era solo come se si fosse trasferita e fosse andata ad abitare vicino a dei loro amici.
Parlammo ancora un po’ del più e del meno, lei ci disse che probabilmente non ci saremmo più rivisti perché  aveva da fare e, anche se Nico l’avesse evocata, lei non sarebbe venuta.
Ci disse però che, essendo ancella di Ecate, poteva muoversi abbastanza liberamente tra gli inferi e i cimiteri e che quindi, se fossimo andati a trovarla alla sua tomba, lei sarebbe stata lì.
Arrivò il momento dei saluti, ma in qualche modo non fu un addio. In quel momento non lo sapevamo, ma l’avremo rivista presto anche se in circostanze tutt’altro che belle.
Eravamo felici e il nostro cuore era in pace, lei stava bene ed era contenta.
Prima di sparire la abbracciammo a turno, le dicemmo che Nathaniel la salutava, lei ci disse di risalutarlo, poi si era girata verso Nico, sorridendo, e gli aveva detto -  Lei sta bene  -
Il figlio di Ade aveva annuito e sorriso, poi Aibi aveva sospirato ci aveva salutato dicendo che doveva andare e portare a spasso Ecuba ed era sparita.
Noi eravamo tornati a casa, Aibi ci mancava e continua a mancarci, ma adesso sappiamo che sta bene e questo ci basta.
Lucas si è trasferito a Seattle dopo il college, mi ha confessato che studierà medicina per impedire che altre persone muoiano come è successo ad Aibi, penso che lui sia quello che ha sofferto di più per la sua morte, ha sperato per sedici anni che se ne andasse e credo che si incolpi un po’, però a Seattle ha la sua vita e, fortunatamente, noi ne facciamo ancora parte.
Seduta davanti alla lapide aggiorno Aibi su tutte le novità, non la vedo ma me la immagino seduta sulla pietra a gambe incrociate che ride e mi sorride.
Non è difficile immaginarmela, la sua immagine è ancora viva nella mia mente, principalmente perché mi manca tantissimo ma, soprattutto, per quello che è successo qualche anno fa.
Il cellulare mi vibra nella tasca del cappotto -  Scusa un secondo  - le dico guardando il display, è un messaggio da Jess, mi dice se a pranzo sono libera, mi deve dire una cosa importante, gli rispondo di si e poi ripongo il cellulare.
-  Era Jess, dice di volermi dire una cosa importante…. Appena so’ ti dico  - la rassicuro.
Guardo l’ora, è meglio che vada se voglio darmi una sistemata prima di incontrare Jess.
Sorrido e accarezzo la collana con le perle del campo e mi soffermo su quella dell’Estate in cui abbiamo salvato i nostri genitori -  Ci vediamo presto piccola mortale  -
Accarezzo la ninfea davanti alla lapide e questa si schiude rivelando il suo nome, so’ che le piace vederla aperta. Mi alzo e, prima di andare via, do ancora un occhiata alla lapide e le sorrido, ed è come se Aibi fosse lì e mi stesse sorridendo ancora una volta.
 
 
Fine
 
Ed eccoci qui, giunti alla fine della FanFiction.
Spero che l'Epilogo vi sia piaciuto e spero che nessuno mi odi per come ho deciso di concludere la storia XD
All'inizio questo Epilogo era nato per concludere tutto del tutto ma, dopo che qualcuno di voi mi ha detto che gli sarebbe piaciuto leggere un Sequel ( cosa che mi ha mandato in estasi, non pensavo che questa Ff potesse piacere così tanto), allora l'ho dovuto modificare un pochino ;D
Non so' quando pubblicherò un supposto sequel ma, se mai lo farò, sarà ambientato dopo la morte di Aibi ma prima di questo Epilogo e forse sarà un Crossover... ma non c'è ancora niente di deciso :D
Per il resto ringrazio tutti quelli che mi hanno accompagnato in questa avventura, leggendo e recensendo. Spero di ricevere presto le vostre recensioni su questo capitolo e il vostro parere riguardo ad un sequel.
Direi che per ora è tutto; Non sparirò, sentirete ancora parlare di me Muahaha :D
Un abbraccio,
Darkness_Angel.

p.s: se vi va di fare un salto questa è la mia pagina su Fb :)
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