Il mio angelo custode

di eos75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


SILENZIO

Galoppo…Trotto… si spengono le ultime note della musica… Alt
Abbasso lentamente la mano destra e chino il capo per il saluto alla giuria.
Sorrido appena, col cuore che batte veloce ed un groppo alla gola, conscia di aver dato il massimo. 
Il pubblico esplode in un applauso lunghissimo, tutto per noi...
“Ce l’abbiamo fatta, amico! Siamo qui, davanti a tutti a dimostrare finalmente a noi stessi cosa valiamo!” lo penso soltanto, ma so che il mio compagno di avventure mi ha sentita.
Allungo le redini  sul collo sudato, con  una mano accarezzo il pelo morbido e la criniera intrecciata mentre ci dirigiamo al passo verso l’uscita.
Accanto alla porta, Kristine ci aspetta con un sorriso compiaciuto.
Al suo fianco, tre persone care che non vediamo da quasi un anno…



Nebbia, quella nebbia leggera che ti avvolge la mattina presto; profumo d’ erba e di cuoio, di fieno e sudore.
Il tonfo regolare del trotto di un cavallo sul prato...
E il silenzio…
Ho sempre amato correre la mattina presto, fin da ragazzino, da quando iniziai giocare a calcio.
Da solo.
Con i miei pensieri.
Con in miei guai.
Con la mia solitudine.
Poi, un fredda mattina di febbraio, il suono degli zoccoli sull’erba.
All’improvviso un grosso cavallo nero comparve alle mie spalle. L’ aria si mosse leggermente mentre mi sorpassava rapidamente e così com’era apparso sparì davanti a me, come un fantasma.
Mi fermai come al solito al limite di un grande prato a fare stretching.
Ed eccoli di nuovo, il cavallo e la sua amazzone, non si curavano di me, tutti presi dai loro esercizi.
Rimasi mezz’ora, e per mezz’ora la ragazza non mi rivolse un’occhiata, un saluto, nulla.
Esisteva solo il suo stallone, che  dirigeva con delicatezza e decisione in complicate evoluzioni per poi ringraziarlo sussurrandogli parole dolci.
Semplicemente, non esistevo…
Terminammo insieme il nostro allenamento.
Allungò le redini sul collo sudato dell’animale, accarezzandolo.
Tra noi il silenzio...
Ognuno nel suo mondo, coi sui pensieri, con la propria passione.
La mattina seguente ancora così, ed il giorno seguente ancora....

Ed ora quel silenzio mi manca.

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


Un mercoledì sera come tanti: cena veloce, televisione accesa e piatti da lavare.
La vita di due ragazze single che condividono un piccolo appartamentino in una zona tranquilla di Monaco di Baviera può essere, a seconda, molto tranquilla o molto movimentata. E a volte, basta una partita di coppa a renderla a dir poco rovente...
“Dio, quanto sei FIGO!”
“Marjorie!!!”
“Ok, ok, lo so... Però è TROPPO BELLO!”
Ormai ci ho fatto il callo... In questa casa non si vive in pace quando gioca il Bayern...
“Siii!!!!” all'urlo di gioia,strappo il piatto gocciolante dalle mani della mia biondissima coinquilina, che ha cominciato a saltellare per il salotto, estasiata dalle prodezze del suo idolo.
Scuoto la testa e sorrido rassegnata mentre i suoi occhioni azzurri luccicano beati, fissi allo schermo sul quale appare, per la gioia delle fans, una bella inquadratura in primo piano di un giovane asiatico che, con molta flemma, si sistema la tesa del cappellino volatogli via dopo il balzo felino col quale è agilmente arrivato sul pallone, salvando per l'ennesima volta la porta del Bayern ed il suo meritatissimo titolo: Super Great Goal Keeper.
Il pallone viene rimesso in gioco con un rinvio millimetrico al regista della squadra, lo svedese Stefan Levin, e Marj si appoggia pesantemente coi gomiti alla spalliera del divano, il viso tra le mani e lo sguardo trasognato, totalmente dimentica dei piatti da lavare...
Inutile dire che quell'uomo è il mio incubo... A  quasi trent'anni mi trovo a convivere con la mia più cara amica che è totalmente strapersa per colui il quale viene considerato uno dei migliori portieri in circolazione in campo mondiale, tale Benjiamin Price. Posters appesi alle pareti di camera, foto all'interno dell'anta dell'armadio e, ovviamente, abbonamento televisivo a tutte le partite del Bayern. A volte mi pare di abitare con una quindicenne!
Me ne torno in cucina, lasciandola a bearsi e sospirare, tanto lo so che neppure se scoppiasse un incendio riuscirei a smuoverla di lì. A volte, quando fa così, un pochino non la sopporto, ma è grazie a lei ed al suo carattere schietto e vivace che sono qui, lontana dai miei guai, a costriurmi una nuova vita.
Mentre affondo le mani nella schiuma, sorridendo all'ennesimo grido di esultanza proveniente dall'altra stanza, ripenso a quella mattina di tre mesi fà, quando Marj si catapultò letteralmente a casa mia nella nebbiosa Milano, mi fece i bagagli, caricò me ed il mio stallone su di un van e ci portò qui a Monaco.
“Bada! Lo faccio più per me che per te! Ne ho strapiene le scatole di leggere mail disperate e di raccoglierti col cucchiaino via telefono! E’ ora di cambiare vita, signorina!”   disse senza lasciarmi il tempo di replicare.
Ed ora, eccomi qua: convivo con una pazza scatenata, monto a cavallo sognando un giorno di partecipare ad un Grand Prix di dressage ed ho ripreso con successo il mio lavoro di fotografo sportivo free-lance.
La vita sentimentale... beh, lasciamo perdere... Per quella ci sarà tempo...
Un sussulto ad alta voce mi strappa nuovamente un sorriso: Marj, che di problemi non ne avrebbe proprio a trovarsi un ragazzo, carina com'è, alta, bionda platino, occhi azzurrissimi da gatto ed un fisico da favola, ad altri non pensa che a lui, l'uomo della sua vita...
“SEI TROPPO FIGOOO!”
Già... lui, il suo sogno impossibile...
“Dai Marj, finiamo qui che poi il secondo tempo ce lo guardiamo dal divano!”  supplico, senza speranza di essere ascoltata.
“Si... si... un attimo...”
Appunto...

“Marjorie, più andatura, forza! Ele, mani più ferme! E più flessione interna!”
Così cominciano, più o meno, tutte le nostre mattine: sotto la frusta inflessibile della nostra istruttrice, Kristine Schneider. Ex amazzone di dressage di fama internazionale, ha dovuto lasciare l’agonismo a causa del calcio di un cavallo ad un ginocchio ed ora si dedica solamente all’istruzione.
“Ele, più trotto! Marj, anche tu! Allora, ma che avete oggi?!”
“Piano sorellina, così le massacri! A volte ringrazio il cielo che tu non faccia l’allenatore di calcio!” l'Adone biondo che ha appena pronunciato queste parole, appoggiandosi alla cavallerizza accanto a Kris, è Karl Heinz Schneider... Già, quel Karl Heinz Schneider: capitano del Bayern Monaco, della Nazionale tedesca  e, naturalmente, compagno di squadra di Price, nonchè fratello minore della nostra maestra. La quale ha avuto una non bella esperienza sentimentale col bel portiere, tanto da arrivare ad interdirgli l'ingresso in scuderia, con grande disperazione di Marjorie.
“Benjiamin è peggio della droga: dà dipendenza, lo ami, lo odi ma non puoi più fare a meno di lui. Ma lui non si innamora... mai.” ripete continuamente alla mia socia quando la sente sospirare sconsolata, assicurandole che è anche per il suo bene se il giovane giapponese non deve neppure osare mettere la punta del naso al club, pena la fucilazione.
Poi un giorno...
“Ele, quando hai finito di fare le fasce, vieni in club house per favore!”
“Sissignora!" risposi scattando allegramente sull'attenti. Non sapevo cosa mi aspettava.Era una bella mattina dei primi di maggio e Kristine stava per dare una svolta alla mia vita .
“Ieri sera è venuto qui a cena il patron del Monaco.” esordì sedendosi su un divanetto e distendendo le gambe ancora fasciate dagli stivali, guardandomi sorniona.
“Wow! E che ci faceva qui Stephen Lauber?” mi sedetti cavalcioni ad una sedia di fronte a lei, incuriosita.
“E’ uno dei soci di maggioranza del club ed ogni tanto viene a dare un occhio. Sai, è rimasto affascinato dalle tue foto...”
In quei pochi mesi avevo dato sfogo alla mia fantasia ed il risultato era che la club house ed il ristorante del centro erano letteralmente tappezzati di immagini di cavalli in gara, salti, particolari di occhi e narici sbuffanti.
“Sai, Stephen è un maniaco dell’immagine” continuò “stava giusto cercando un fotografo in grado di realizzare delle immagini “alternative” dei giocatori da inserire sui siti ufficiali e da dare alle riviste. Vorrebbe te!”  mi annunciò Kris con un sorriso.
“ Coosa? Ma io non ne capisco un accidenti di calcio! Mai visto una partita dal vero in vita mia! E non ho l’attrezzatura adeguata, e...”
“OOOh basta! Domani ti presenti alla sede del Bayern (ti ci porto io) e non ti preoccupare! Lauber non vuole foto di gioco, di quelle ne è strapieno! Vuole quelle cose strane che sai fare tu...”  disse indicando il particolare dell’occhio del suo cavallo, stampato formato poster e appeso alle sue spalle  “Capito?”  mi fece l'occhiolino, incoraggiante.
“Grazie, capo...  Ma non è c’è dietro il tuo zampino?”
“Mah, può essere...”   mi sorrise complice.

Così dovevo a Kristine la mia nuova collaborazione come fotografo al Bayern Monaco.
“Gli farai tante belle foto, vero?” Marj era al settimo cielo e saltellava per la stanza come una bimbetta alla quale avessero appena regalato una bambola nuova. La sua migliore amica avrebbe visto tutti i giorni dal vivo il suo amore impossibile!
“Marj, ti prego!Kri mi ha detto che ha un carattere terribile, scontroso, arrogante, pieno di sé e...”
“Figo!”  sospirò, lo sguardo sognante perso nel vuoto. Ormai ero rassegnata...
“Ok, ok, non è che me ne importi molto.” tentai di riportarla alla realtà " Basta che non mi venga a rompere le scatole!”
“Sei sempre le solita!” disse fissandomi corrucciata “ Per te chi è dall’alta parte dell’obbiettivo è solo un soggetto da manipolare a tuo piacimento!”
“Più o meno...  Ma ti ricordo anche quello che dico sempre: quando il soggetto ha  dentro qualcosa, in foto viene fuori  ed allora si che si ottengono delle immagini fantastiche!”
“Vedrai come verranno belle le foto del mio amore!” e si lanciò a pancia all'aria sul letto, sorridendo beata.
No, non c'era assolutamente speranza...

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Capitolo 3
*** 2 ***


ac02a

Maggio ci stava regalando delle bellissime giornate. Un bel sole caldo inondava il campo di allenamento del Bayern sul cui tappeto erboso perfettamente curato si stava disputando una partitella che, a dire il vero, non aveva nulla di amichevole.
Ero l’unico fotografo presente, in quanto i miei colleghi si occupavano per lo più delle partite ufficiali. La cosa non mi dispiaceva perché avevo così la possibilità di muovermi a mio piacimento ma era anche un problema in quanto di calcio allora ne capivo proprio poco!
"Amen!" mi dissi, sistemando l'attrezzatura  e guardandomi attorno "Vorrà dire che per questa settimana il mio compito sarà quello di capire come vanno le cose qui. Lauber  mi ha detto di non avere fretta per cui mi posso studiare con calma il lavoro, tanto il campionato è agli sgoccioli e la finale di Champions è settimana prossima..."
Stephan Lauber era stato così gentile da ricevermi personalmente. Era rimasto entusiasta dei miei scatti  e voleva che realizzassi qualcosa di simile anche per la sua squadra.
"Sono stufo delle solite cose, delle solite inquadrature!" mi aveva detto "e inizio a non sopportare anche le immagini da fotomodelli che ogni tanto i tuoi colleghi rifilano ai nostri webmaster! Vorrei degli scatti che rendessero umani i ragazzi, che li rappresentassero nella vita della squadra di tutti i giorni ma che fossero anche delle belle foto, particolari e, perchè no, un po’ artistiche!"
"Oh, mamma! Sui cavalli è una parola ma con dei calciatori… Mi sa che Herr Lauber mi ha un po’ sopravvalutata… o è Kristine che ha esagerato?" pensai tra me, piuttosto preoccupata dalla responsabilità che mi si poneva di fronte.
Tentai di dissuadere il patron del Monaco: non me la sentivo, mi pareva che volesse un lavoro molto al di sopra delle mie capacità. Inoltre io ed il calcio non eravamo mai andati molto d’accordo. Non ci fu nulla da fare, anzi, il fatto che il calcio non fosse il mio sport a parer suo era un vantaggio "Meglio così! Non conoscendo i giocatori, non sarai inflenzata dalla loro notorietà e tratterai tutti alla stessa stregua!" e ci fece su una bella risata.
Così, eccomi sola soletta a bordo campo.
Per questioni di luce mi posizionai alle spalle della porta assegnata ai titolari, sorridendo tra me al pensiero di tutto quello che avrebbe detto Marj sapendo che avevo passato quasi quarantacinque minuti a meno di dieci metri dal suo sogno impossibile. Mi resi subito conto che la mia scelta non era stata poi tanto felice: Price non faceva passare un pallone e quelli che non tratteneva, deviandoli, finivano puntualmente a pochi millimetri dalle mie ottiche, con mio grande disappunto.
Al quarto d'ora dall'inizio l’azione si fece interessante: Schuster si smarcò e passò la palla a Brennan, il quale la ricevette e, liberatosi di due avversari con bel dribbling sciolto, eseguì un splendido cross per Karl che, guarda caso, era nel posto giusto al momento giusto. Il secondo portiere del Bayern neanche vide la palla che, come un fulmine, si infilò nell’angolo in alto a sinistra della sua rete.
Da questa parte del campo, l 'SGGK aveva seguito attentamente l’azione con le braccia incrociate al petto e lo sguardo celato da un cappellino rosso. Solo le labbra si erano increspate in un lieve sorriso soddisfatto al gol del Kaiser.
Il lavoro (palloni a parte!) mi piaceva parecchio: le azioni, la stanchezza, la concentrazione, lo spirito cameratesco che teneva unita la squadra, il divertimento e l'amore per il calcio. Mi piaceva andare a cogliere questi piccoli particolari, sviscerando le emozioni genuine di quei ragazzi i quali, normalmente, apparivano tanto distanti dal mondo reale.
Perfino Karl, che pure conoscevo, anche se soltanto di sfuggita, mi parve più vero, forse proprio perchè per la prima volta lo vedevo nel suo ambiente naturale.
Solo uno di loro non mi diede alcuna soddisfazione: Benjiamin Price.
Nessuna emozione scomponeva i suoi tratti; l'unico motivo  per lui di alterarsi era se un difensore non aveva eseguito alla lettera i suoi ordini o se per caso qualcuno davanti era disattento o pasticciava durante l'azione. Freddo, controllato, distaccato. Sempre.
Mi chiesi come Kristine potesse essere ancora tanto presa da un uomo simile. Price l’aveva letteralmente ammaliata, cosa incredibile conoscendola bene  come la conoscevamo io e Marj. Seria, tutta d’un pezzo ma anche molto sensibile, proprio non capivo come potesse essere ancora così innamorata di quel Dongiovanni (perché tale era Benjiamin fuori dal campo) che le aveva spezzato il cuore l’estate precedente il mio arrivo in Germania. E dopo di lei ,come anche prima,  il bel portiere aveva continuato a lasciare dietro di se una scia interminabile di donne sedotte ed abbandonate.
Mai amore, mai sentimento o coinvolgimento. Era sconvolgente...
Alla fine dell’allenamento i ragazzi si lasciano andare rilassandosi finalmente un poco; risuonarono risate, pacche sulle spalle e anche qualche battutaccia pesante buttata amichevolmente sullo scherzo.
"Ehi, capitano! Ieri Roxane ti ha mandato in bianco, eh?"
"Già, pare abbia preferito gli occhioni neri del nostro portiere!"
"Non solo gli occhi, direi..!"
"Non gli hai fatto goal neanche stavolta!"
Karl rispose qualcosa fingendosi arrabbiato con Brennan che lo prendeva in giro mentre sulle labbra di Price aleggiava  un sorrisetto sarcastico e nulla più.
Quando tornai a casa non feci a tempo ad aprire la porta che Marj mi saltò addosso, subissandomi di domande con gli occhioni che luccicavano. Voleva sapere tutto, nei minimi dettagli e non mi lasciò fare la doccia fino a che non mi ebbe spremuta come un limone.
Sospirai, pensando che non avrei retto molto quel trattamento.
Il giorno seguente il programma d'allenamento prevedeva esclusivamente esercizi: scatti, palleggi, e... rigori!
Ero entusiasta.
Detesto i rigori in partita, ma ammetto che sono un momento emozionantissimo da immortalare. Mi apprestai a riprendere i ragazzi che dovevano tirare, ottenendo degli scatti tutto sommato non malvagi: Karlz teso, Brennan concentrato, Shuster forse un pò troppo rilassato.
E Karl.
Per lui segnare, in allenamento o no era questione di principio. Solo che quando tra i pali c'era l' SGGK l'impresa si prospettava ardua. E Karl, a quanto mi parve di capire, era un problema anche per Benjiamin. Il portiere, prima quasi  noncurante di chi  fosse ad occupare il cerchietto degli undici metri, ora era  concentrato su Schneider, lo sguardo bruciante direttamente in quello gelido del tedesco. Che caricò il tiro e… parata! Benji si rialzò recuperando il cappellino che era volato via nel salto e si voltò con un sorrisetto sprezzante verso Karl, il quale, per il disappunto aveva stretto i pugni.
Altri quattro tiri, altre quattro parate. Ogni volta gli stessi sguardi tra i due. Tanto amici fuori dal campo, tanto rivali quando si trovavano l’uno di fronte all’altro. Il giorno e la notte...Così diversi eppure così simili…
"Attenzione là dietro!!" Mi abbassai appena in tempo per schivare un bolide che sfiorò la mia macchina ancora sul cavalletto e si infilò dritta nella siepe alle mie spalle.
"Accidenti! Ero distratta!"
"Palla!"
L’allenamento era ufficialmente finito ed i raccattapalle erano già tutti a cambiarsi, ma i due nemiciamici avevano deciso di fare ancora qualche tiro.
"Ehi, fotografo, ho detto palla!"
Avevo i capelli raccolti sotto un cappellino, gli occhiali scuri, maglietta larga e pantaloni sportivi a "centotasche" (ovvero come diceva sempre Marj: "Non sei una donna, sei un fotografo!").
Ora: mica perché non avevo gonna corta e tacchi a spillo uno stupido asino che gioca a calcio ( in porta, per giunta, e che quindi, per definizione, non fa un tubo per quasi 90 minuti!) mi poteva trattare a quel modo!
"Come hai appena tenuto a puntualizzare tu, sono un fotografo e non un raccattapalle. Quello che gioca a calcio sei tu, quindi riprenditela !"
 Non era affatto abituato a farsi trattare a quel modo. Lo sguardo gelido del portiere prese fuoco  ma non mi feci intimidire.
"Come ti permetti?! Ehi, tu, dico a te! Non sai con chi stai parlando, ragazzino!?"
Intanto stavo riordinando la mia attrezzatura, piuttosto scocciata da quella discussione che rischiava di farmi arrivare tardi alla lezione con Kristine.
"Senti un po’: visto che lavoro per questa squadra so benissimo chi sei, e me ne infischio! State giocando dopo l’orario di allenamento, i raccattapalle non ci sono più, io faccio il fotografo quindi arrangiatevi!"
Non la prese bene. Portò le braccia al petto, serrando le labbra e la mascella con fare risoluto, mentre gli occhi scuri lampeggiavano con il chiaro intento di volermi incenerire. Era nero, decisamente.
Sentii alle sue spalle la voce del biondo capitano venirmi in soccorso e sospirai "Ehi, Elena non esagerare! Benjiamin potrebbe perdere la pazienza!"
"Elena?"  Price si voltò di scatto verso Schneider per poi squadrarmi da capo a piedi, allibito.
Non gli diedi il tempo di replicare "Scusa Karl ma della sua pazienza me ne frego! E poi se arrivo tardi tua sorella mi scuoia viva!" dissi, caricandomi il tele in spalla ed andandomene lasciando il giapponese di stucco e la palla nella siepe.

"Elena?!" mi girai piuttosto sorpreso che Karl conoscesse quel rospetto arrogante.
"Già, Elena! E’ un’allieva di mia sorella ed un ottimo fotografo. Ed ha anche un bel caratterino... direi che ti ha dato proprio una bella lezione!" ridendo mi diede una pacca sulla spalla.
"Ma vaffanculo, Schneider!" gli ringhiai, rinviandogli senza troppa gentilezza il pallone che avevo recuperato nel frattempo dall'intrico di rami dove si era incastrato, e che il Kaiser stoppò con un sorrisetto ironico stampato sulle labbra.


"Coosa? Cos’hai fatto?"
"Tranquilla ciccia, mica te l’ho sciupato! Gli ho solo dato una lezioncina di educazione!"
"Già, e da domani ti renderà la vita impossibile!"
"Karl!"
"Ciao fratellino!" lo salutò Kristine, andongli incontro per poi sedersi sulla staccionata accanto a lui.
Il capitano non indossava più la divisa da allenamento ma un paio di jeans che gli fasciavano le gambe muscolose ed una polo bianca che disegnava il torace scolpito. I capelli erano ancora un poco bagnati e gli occhi azzurro-ghiaccio sorridevano mentre il bomber rievocava la scenetta di un’ora prima. Bello da lasciare senza fiato...
"Benjiamin è andato avanti almeno dieci minuti ad inveire contro di te! Vi conoscete da mezza giornata neanche, e sei già riuscita a mandarlo in bestia, complimenti! "
"Mmm, già, grazie! Comunque di cosa pensa Mr Sontuttoio me ne infischio! Tra l’altro come soggetto è pure deludente!"
"Deludente l’uomo più ambito di Monaco? Colui per il quale ci sono le file di ragazzine urlanti fuori dai locali? Ma dai!"
"Cos’è fratellino, parli per invidia?" lo schernì Kristine con un sorrisetto ironico "Un uccellino mi ha detto che ti ha soffiato la ragazza l’altra sera…"
"Gli uccellini della mia squadra parlano un po’ troppo e non ti raccontano mai quando sono io a soffiarle a lui!" e così dicendo prese scherzosamente la sorella da dietro e la strinse con forza, ridendo.
"Ahi stupido! Lo so, cosa credi, che tu e lui andate in giro insieme a caccia!" si ribellò Kris.
 "Povera sorellina ferita! Non ti è ancora passata, eh?"
Io e Marj ci scambiammo uno sguardo preoccupato e decidemmo di intervenire: Karl adorava la sorella ma alle volte faceva il fratellino insensibile, proprio come in quel caso...
"Certo che fotografare il capitano del Monaco è tutta un’altra cosa… mica quel ghiacciolo giapponese!" (lo sguardo infuriato di Marj diceva: "Vabbè salvare la situazione ma vorrai mica mettere…!" Cercai di trattenermi dal ridere... )
Karl raccolse il complimento  "Vedo che te ne sei accorta!" e mi sorrise malizioso.
"Beh" continuai "tu in campo sei autoritario ma umano. Lui è terrificante! Freddo come un iceberg! Ma respira?"
"Respira , respira!" rispose, rivolgendo un un sorrisetto acido rivolto alla sorella "altroché se respira! Se tu lo conoscessi in privato te ne accorgeresti!"
"Karl! Tieni Benjiamin lontano dalle mie ragazze!"
"Sorellina, hai mandato tu quest’agnellina tra i lupi!" replicò con aria innocente.
"Mi sembra di non avervi mandato esattamente un’agnellina… o sbaglio? Non è stramazzata ai piedi di Benji, o no? Elena si sa difendere da certi tipi! Non come qualcun’altra…" disse, rivolgendo a Marj un’occhiata eloquente.
"Tu ci sei cascata, però!" rispose la mia socia senza pensare. L'avrei strozzata volentieri...
Per fortuna Kristine sembrava aver ormai assorbito il colpo. La guardò sospirando e scuotendo il capo "E' per questo che voglio che vi stia lontano, e vi assicuro che non è per gelosia!" e poi, rivolgendosi minacciosa al fratello "Tieni Benji molto, molto lontano da Elena o giuro che i prossimi Mondiali non li giochi!"
"Ma non è quella che si sa difendere da sé? Comunque,tranquilla, Elena non se l’è certo fatto amico!Anzi, temo che da domani le darà del filo da torcere!"
Infatti il giorno seguente fu guerra aperta.
Per mia fortuna Price fu troppo preso dall'allenamento intensivo a cui l'allenatore dei portieri aveva deciso di sottoporre i sui pupilli per potersi sfogare, ma le occhiatacce che mi lanciava erano più che eloquenti. In un momento di pausa, Karl mi si avvicinò, confermandomi che il nipponico me l'aveva proprio giurata! Non me l'avrebbe assolutamente fatta passare liscia, non poteva permettersi di farsi trattare a quel modo da una ragazzina!
Il pomeriggio passò comunque tranquillo, e fui costretta ad ammettere che seppure il giapponese aveva un carattere detestabile, il suo lavoro lo sapeva fare, eccome. Non si fece sfuggire un pallone e dimostrò una dedizione quasi maniacale alla preparazione atletica. Davvero un campione.
Erano gli ultimi tiri, di nuovo si ripeteva la sfida tra il Kaiser e l'SGGK. Pensavo di poter stare tranquilla, posizionata com'ero quasi dietro la bandierina del calcio d'angolo. Invece mi sbagliavo.
Il bastardo si fece infilare un gol da Karl (si era visto lontano un kilometro che non aveva fatto il minimo sforzo per andare a prendere quella palla... ) e con falso disappunto colse l’occasione per scagliare violentemente il pallone sul prato dietro di se in modo che mi rimbalzasse quasi addosso.
Non ci vidi più…
"Stronzo!" sibilai in modo che mi sentisse.
"Coosa?" si voltò, gli occhi lampeggiarono promettendo nulla di buono.
L’avevo fatto di nuovo, l’avevo sfidato ancora davanti ai suoi compagni! E ché credeva, che mi sarei fatta prendere a pallonate?
"Senti bello! Ti ho già detto che non me ne frega un accidenti di chi sei! Sono qui a lavorare anche per te, purtroppo! Se il tuo muso appare sulle riviste più bello di quello che è tanto da attirarti intorno le ragazzine come le mosche il miele, beh, spiacente ma è anche merito mio!"
Aveva proprio perso la pazienza. Mi si avvicinò sovrastandomi con tutta la sua mole, ma sono testarda e non mollai: troppi sbruffoni come lui mi avevano messo i piedi in testa, era questione di principio!
"Tu sei solo una ragazzina sfrontata che non si può permettere di dire certe cose al portiere titolare del Bayern! Pretendo le tue scuse "fotografo"!"
Aveva decisamente superato il limite…
"Senti un po’, Benjiamin Price! Sono stata assunta per eseguire un compito spiacevole: seguirvi nei vostri dannati allenamenti e nelle vostre dannatissime partite per farvi delle foto in cui si veda che siete umani e non extraterrestri! Herr Lauber ha davvero delle belle pretese! E se già prima non mi stavi simpatico per nulla, ora è pure peggio! Perché quella palla ha più espressione della tua faccia!" un sopracciglio scattò verso l’alto. Era veramente nero.
"Almeno, vedi di non rompere e fa il tuo lavoro come se io non ci fossi!" continuai e, abbassando il tono della voce, cosicché mi potesse udire solo lui, aggiunsi "come tutte le mattine nel parco, non sei d’accordo?"
Lo avevo spiazzato. Mi fissò e mi accorsi che l'ira aveva lasciato posto allo sgomento.
A Marj non l’avevo detto altrimenti sarebbe venuto fuori il finimondo!
Già, il tipo che correva e si allenava con me e Zingaro tutte le mattine era lui, l’odiato portiere…
Non che non l’avessi già riconosciuto, faccio il fotografo, mica sono cieca! Solo che non c’era nulla da dire. Io nel mio mondo, lui nel suo. E che vuoi dire all’uomo che ha spezzato il cuore di una delle tue migliori amiche?
Così, ognuno nei suoi pensieri, nei suoi problemi, a dedicarsi alla propria passione. In silenzio.

"No, non ci credo, non è possibile! Certo che il mondo è piccolo! Così questo ragnetto strafottente è l'amazzone silenziosa che si allena con me la mattina! Che assurda coincidenza! Mmmm, e adesso?" ero allibito, ma non avevo nessuna intenzione di dargliela vinta. Lei era lì, piazzata dinnanzi a me a braccia conserte e mi guardava dritto negli occhi. Che sfrontata!
"Ok ragazzina, io il mio lavoro, tu il tuo. Ma vedi di portare un po’ più di rispetto!"
La ragazza mi guardò con aria di sufficienza, fece spallucce e girò sui tacchi senza proferire altra parola.
"Accidenti che tipo! Almeno fosse una bella ragazza!" pensai spazientito.
Aveva davvero il dono di farmi saltare i nervi.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


ac03a

Era l’ultima di campionato, già per altro in mano al Monaco da almeno due giornate. Ma la partita è la partita, nulla a che vedere con l’allenamento.
L'atteggiamento dei ragazzi era completamente differente: la tensione era palpabile, l'adrenalina alle stelle, i sorrisi tesi.
Compresi davvero allora perchè Karl fosse soprannominato "Il Kaiser". In campo non vidi scendere il solito ragazzo ironico e pronto a ribattere alle battute degli amici, ma un dio indiscusso dai propri compagni. Impassibile, controllo del gioco invidiabile, sempre nel posto giusto al momento giusto, pronto a ricevere la palla ma anche a passarla a chi era in posizione migliore della sua. Un vero leader.
Anche in porta tirava un’altra aria: Price era se possibile ancora più puntiglioso con la difesa che non in allenamento, ed è tutto dire... Seguiva il gioco con attenzione, non si faceva sfuggire nulla, neanche il minimo dettaglio e interagiva alla grande anche col centrocampo. Il tono della voce perentorio, deciso. Nello sguardo la stessa voglia di vincere di Karl, gli occhi scuri in fiamme, mentre quelli azzurri del tedesco avevano assunto il colore dell’acciaio.
Difesa e attacco… complementari, indispensabili l’uno all’altro. Ragionavano come una cosa sola e gli altri non ribattevano mai. Era come se il ruolo del capitano fosse sdoppiato ma la squadra non ne risentiva, anzi! La loro forza era quella di essere "squadra". Certo, erano tutti campioni, militavano praticamente tutti nelle rispettive nazionali, ma la loro vera forza era che sapevano giocare insieme e si fidavano ciecamente di quei due che lavoravano come un unico cervello.
Monaco–Stoccarda 3-0! I nostri avversari le provarono tutte ma già dopo tre minuti erano sotto di un goal.
L'idolo di Marjorie dimostrò per l'ennesima volta di meritare pienamente il titolo di SGGK: non fece passare un pallone, diresse magistralmente la difesa ma, soprattutto, non sottovalutò mai l'avversario, prevedendone le mosse con intuito e senso del gioco da vero fuoriclasse.
Dal canto suo Karl era un martello: non perdeva occasione di portare in avanti la squadra, palla al piede, determinato a segnare.
I colleghi che mi circondavano mi canzonavano amichevolmente, comprendendo benissimo che il calcio non era proprio il mio sport. Uno di loro, tale Paul, anch'egli assunto dal Bayern, mi diede una mano e rimase di stucco quando capì quale era effettivamente il mio compito.
"Ti hanno assunta per fare un bel lavoretto!" sorrise "Con alcuni giocatori... beh... non ci sarà molto da dire... ma altri ti daranno sicuramente parecchia soddisfazione!" e mi strizzò un occhio, facendo cenno col capo in direzione della nostra porta.
Lo guardai ad occhi spalancati "Lui?! Sarà pure un bell'uomo, ma fino ad ora non è che mi abbia poi entusiasmato tanto..."
Paul allargò il sorriso bonario e mi dette una pacca su una spalla "Lo conosci da troppo poco, eppure ti assicuro che Price si dimostrerà un osso duro ma un soggetto molto interessante..."

"Però, Ben!Non male questa foto sul tiro di Bauer!" esclamò Karlz, evidentemente sorpreso da quello che stava osservando sul monitor del pc acceso.
La foto che appariva nell’ home page del sito della squadra mi ritraeva a terra, il pallone tra le braccia e l’attaccante dello Stoccarda, che per poco non mi aveva travolto, che mi guardava da dentro la rete, furioso.
"Non male, effettivamente…"
La fissai per diversi minuti, quasi ipnotizzato: in quella immagine c’era tutto quello che avevo provato nei brevi istanti dell’azione. Era come se chi l’aveva scattata mi avesse inspiegabilmente letto dentro...

"Belle! Proprio proprio belle!"  Marj stava ancora pensando alle foto della partita che le avevo mostrato poc’anzi. Eravamo in maneggio dopo l’ultima lezione della giornata  e stavamo passeggiando l’una accanto all’altra mentre aspettavamo che il sudore dei nostri cavalli si asciugasse un po’.
"Ok, ammetto che la partita è mooolto più divertente degli allenamenti. Niente a che vedere però con una bella gara di equitazione, meglio ancora se di dressage!" dissi facendole l'occhiolino e sistemando una ciocca ribelle della criniera del mio stallone.
"Niente a che vedere coi nostri bimbi, certo!" anche Marj accarezzò con affetto il suo grigio "Ma vedrai mercoledì in finale! Ci saranno i fuochi d’artificio!"
"Addirittura?!" la guardai un po’ interdetta (per un momento l’avevo presa in senso letterale e la mia socia mi guardò con compassione).
"Cretina! Volevo dire che mercoledì si ripeterà la sfida Hutton-Price!"
"Hutton?" chiesi, cadendo dalle nuvole mentre la bionda scuoteva il capo disperata per la mia totale ignoranza in campo calcistico.
"Sei una frana! Oliver Hutton, capitano della squadra giapponese, è l’avversario che Benji teme di più! Fu il primo a segnargli un goal ancora quand’ erano ragazzini! E’ la sua bestia nera! Eppure è anche il suo più grande amico!"
"Wow, che telenovela!" esclamai e Marj di nuovo dette un sospiro rassegnato.

"Sera, lo stadio è in delirio.
Eccoti lì, incurante di quello che ti accade intorno, il piede destro sul pallone in attesa che l’arbitro dia il via alla partita…
L’ultima volta che ci scontrammo, ormai due anni fa, vincesti tu.
Come sempre...
Ma stasera no, non sarà così, non violerai la mia rete.
Vincerò io… devo… l’ho promesso…"
Osservavo Oliver dal centro della porta, come ormai avevo fatto decine di volte. Ma qualla partita era diversa, dovevo prendermi ben più di una rivincita.
E forse sarebbe stata la mia ultima occasione.

Dovetti dare ragione a Marjorie: la finale di Champions era tutta un'altra cosa rispetto al campionato! L'atmosfera era densa di aspettative, tensione e, sì, anche un pò di paura. La voglia di vincere era come un fluido palpabile che avvolgeva i giocatori.
Karl metteva quasi soggezione e Price... ne rimasi colpita. Non l'avevo mai visto così. I tratti del viso severi, glaciali, ma gli occhi  erano tizzoni ardenti. Quella sera era impossibile reggere il suo sguardo, bruciante e magnetico. Hutton, pensai, doveva essere davvero un avversario temibile.
Oliver si dimostrò veramente una brutta gatta da pelare. Lui e Karl si dettero battaglia a centro campo con risultati alterni. L'SGGK dovette sfoggiare tutta la sua bravura, fece miracoli e non permise al compatriota di segnare. Ne stava facendo più che una questione di principio.
Novanta minuti. Novanta lunghi minuti di battaglia estenuante.
Causa la troppa tensione uno dei nostri, Schieffer, si fece buttare fuori lasciandoci in dieci. Schneider era furioso ma reagì immediatamente mentre Price mantenne una calma glaciale e si riorganizzò la difesa. Allo scadere del secondo tempo supplementare dovette nuovamente dar sfoggio di tutta la sua tecnica, salvando la situazione in extremis. Hutton aveva infilato un tunnel a Coleman, dribblato agilmente due dei nostri difensori e fatto scivolare con precisione la palla sui piedi di Gonzales. Il quale si trovò praticamente solo davanti al portiere, che non aveva mollato l’azione un istante ma nonostante tutto non si era ancora sbilanciato. Un cambio di equilibrio sbagliato o frettoloso e la palla sarebbe stata dentro! E lui di Hutton non si fidava… Difatti Gonzales fintò il tiro, che si rivelò uno splendido assist per il giapponesino, il quale si gettò sulla palla di testa e… parata! Benjiamin aveva aspettato fino all’ultimo, cogliendo l'intuizione giusta. Il suo sguardo aveva seguito il centravanti del Barcellona ma il suo istinto gli aveva detto che il portoghese non avrebbe concluso l’azione.
Era stata una partita stupenda, carica di emozioni. Era davvero un piacere vedere degli atleti impegnarsi così a fondo.
Andammo ai rigori e di nuovo si ripetè l'eterno duello tra i due campioni.

"Eccoci di nuovo qui, l’uno di fronte all’altro. Come è successo tante volte che non le conto più.
Lo sai, Holly, che sono quasi vent’anni che ci conosciamo?
E’ da tutto questo tempo che giochiamo insieme, come compagni o come avversari.
Fosti tu, in quel campetto a Fujisawa il primo a segnarmi un goal…
Fosti tu il mio primo, vero amico.
Ma sei anche il mio peggior nemico.
Stasera non ti lascerò segnare, stasera mi prenderò la rivincita di quella sfida a Fujisawa.
Non mi farò scappare quest’occasione, anche perché sai, amico, potrebbe essere l’ultima volta che ci affrontiamo in campo ufficiale...
E poi ho fatto una promessa… ho giurato che avrei vinto la Champions e che ti avrei finalmente battuto… e poi i Mondiali l’anno prossimo…"


"Siamo ancora qui Benji, vecchio amico. Quante volte… Quanto tempo… Eravamo bambini quando ci sfidammo la prima volta… ora siamo uomini, ma non è cambiato nulla. L’amicizia, l’amore per il calcio. Siamo sempre rimasti legati anche se ci trovavamo ai capi opposti del mondo. Mi mancava una bella sfida con te… Sei l’unico portiere che mi mette veramente in difficoltà… perché mi conosci bene, troppo bene.
L’ultima volta ho vinto io, ma tu non c’eri con la testa, lo so, non eri il solito Benji e ne avevi tutte le ragioni… Oggi vedo nei tuoi occhi la solita determinazione, la solita freddezza, il vecchio fuoco ardente della voglia di vincere. E’ questo il Benjiamin Price che conosco, quello che amo sfidare... e battere!"

Ero affascinata da quello strano rapporto tra i due giocatori. Era profondo, molto più profondo dell’intesa quasi fraterna tra il portiere ed il capitano tedesco. Era amore-odio allo stato puro.
Mi concentrai su Price, provando una sensazione strana, come una certezza assoluta che lui non poteva sbagliare. Non in quel momento, almeno...
Fotografare un portiere non è cosa poi tanto facile: bisogna cogliere quel leggero sbilanciamento che precede il salto per precederlo ed ottenere l'inquadratura perfetta. Può essere la foto di un trionfo o di una sonora sconfitta.
Ma in quell'istante avevo piena fiducia in lui.
Hutton caricò il tiro, lo sguardo dritto in quello di Price…

LA SFIDA HUTTO-PRICE E’ SEMPRE EMOZIONANTE! I DUE NIPPONICI SI STANNO OSSERVANDO IN ATTESA DEL FISCHIO DELL’ARBITRO…HUTTON CARICA IL TIRO… PARATA!!!! PRICE L’HA PRESA! GRANDE PRESTAZIONE DEL PORTIERE DEL BAYERN CHE, QUESTA VOLTA, NON SI E’ LASCIATO TRARRE IN INGANNO DAL CONNAZIONALE! UNA PARATA CHE VALE LA VITTORIA DELLA CHAMPIONS ALLA SQUADRA DI MONACO DI BAVIERA!

Esultai guardando il monitor della mia reflex.
Ce l'avevo fatta! Avevo una foto spettacolare del momento in cui Price afferrava saldamente il pallone tirato da Hutton ed un'altra stupenda in cui levava gli occhi e la sfera al cielo. Bellissime!
Più tardi riguardai le immagini della partita e sussultai soffermandomi su quell'ultimo scatto: gli occhi neri, sempre freddi ed inespressivi erano colmi di lacrime. E non erano lacrime di gioia. Rimasi ad osservarla per un poco mentre una sensazione di pena mi stringeva lo stomaco. Alla fine la celata si era sollevata, mostrando sotto quella spessa corazza un cuore umano.
Il giorno seguente consegnai il lavoro a Sonya Ferrari, la giovane italo-americana responsabile dell'immagine della squadra, con la quale avevo subito fatto amicizia.
Tra le altre, misi anche quella foto.
Non avevo avuto cuore di cancellarla ma la pregai di non pubblicarla, se non dopo aver chiesto il permesso al diretto interessato.
Sonya mi guardò con un sorrisetto malizioso, lanciando una frecciatina cattiva "Ma non eri tu quella che non lo sopportava? Vuoi vedere che il nostro bel portiere ha fatto colpo pure su di te?"
Dovetti assumere un'espressione davvero inorridita, poichè la manager scoppiò in una sonora risata alla quale risposi con una boccaccia stizzita.

Campionato e Champions finito, io e le mie amiche ci concedemmo alcuni giorni nella mia adorata Toscana.
Al nostro rientro, spettava a Sonya un compito per lei poco piacevole: l'organizzazione di una festa semi ufficiale durante la quale due nuovi elementi sarebbero stati presentati al resto della squadra. Uno di loro era il suo ex fidanzato, il francese Louis Martinì.
Ci chiese perciò di essere presenti: aveva bisogno di un sostegno morale anche se ormai era storia vecchia.
Andammo e Marj rimase a casa…
"Ma uffa!" pestò i piedi come una bimba capricciosa, gli occhioni azzurri carichi di lacrime.
" Marj"  le dissi mentre mi cambiavo "Non è che io sia proprio contenta, e neppure Kris lo è!"
"E allora perché ci andate? E, soprattutto, perché MI LASCIATE A CASA?!"
"Perché stasera ci sarà anche Lupo dè Lupis e con te sarebbe un problema… No, tesoro, quell’ uomo è un pericolo pubblico e tu saresti facile preda. Già non mi piace che Kris lo debba rivedere ma Sonya ha detto che stasera non se la sente di affrontarli da sola. Tanto più che quel francese è un suo ex…"
"Dì la verità, tu ci vai per Karl!"
Colpito e affondato…
"Ok, anche… Non è che mi dispiaccia l’idea, ma Karl e Price non sono molto diversi, sotto quell’aspetto. No, cara, me lo vado a mangiare con gli occhi ma non mi faccio prendere all’amo!"
"Anche perché giuro che stavolta non ti raccolgo! Capito?" disse imbronciata.
Sapevo che la sua era tutta una finta… Marj era preoccupa per me, perchè sapeva benissimo che io, ragazza normale e fondamentalmente terribilmente timida, in quel mondo di vip proprio non mi ci trovavo, al contrario di lei che ci era cresciuta, figlia di una modella canadese e di un direttore d'orchestra tedesco, ora purtroppo separati.
"Tieni a bada la lingua e sii gentile con il mio fratellino adottivo! Dai, dai che Kris mi ha riferito che la tua abbronzatura ha fatto colpo sull’Imperatore!" e mi fissò socchiudendo gli occhioni, maliziosa.
"Vipera!"  le urlai, lanciandole un cuscino e facendole la linguaccia
.
Beh, quella sera l’abbronzatura non l’avevo nascosta...  Sonya mi aveva costretto a mettermi in tiro indossando il mio completo preferito: bolero bianco senza spalle, corto, pantaloni anch'essi bianchi, larghi a dissimulare le forme un pò troppo prosperose, a vita bassa, che lasciavano intravvedere il tatuaggio in fondo alla schiena.
Fece il suo effetto.
Io e Kristine arrivammo che Sonya stava discutendo animatamente con due giornalisti. Ci raggiunse quasi subito, rincuorata dalla nostra presenza, e cominciammo a chiacchierare un po’ in attesa dell’arrivo dei giocatori e degli altri invitati.
"Eccolì lì, Mimì e Cocò!" esclamò indicando alle nostre spalle i du
e campioni.
Price e Schneider avevano fatto "l’ingresso in campo". Me ne ero accorta: lo sguardo delle ragazze intorno a noi si era improvvisamente puntato sulla porta della hall!

"Kristine è sempre bellissima! Quell’abito azzurro le è sempre stato molto bene.  A volte penso proprio di aver fatto un'idiozia, con lei…"
La sorella di Schineider indossava un abito di seta blu cangiante, aderente al corpo cesellato dallo sport. Molto fine e molto sensuale. 
"Chi diavolo è la ragazza con lei e Sonya? Mai vista, non male!" notai automaticamente.
"Se ti stai chiedendo chi è il tipino con mia sorella, preparati perché sarà uno schok!" Karl doveva aver intercettato il mio sguardo e mi sorrideva con aria furba.
"Non ci crederai mai ma la conosci, ci hai già parlato almeno due volte..." era molto, molto divertito!
"Ciao sorellina! Buona sera Elena, non pensavo che Sonya sarebbe riuscita a convincerti!" sorrise alla morettina e girò uno sguardo complice verso di me.
La ragazza si voltò: capelli mogano, occhi nocciola poco truccati, viso leggermente ovale, labbra piccole ma carnose con un filo di rossetto chiaro. Semplice ma carina.  Non mi era nuovo quel viso, ma dove?... Mi guardò negli dritto occhi, sorprendendomi: quasi nessuna aveva il coraggio di farlo così direttamente, a parte… No! Lei?! La dimostrazione che la fiaba del brutto anatroccolo non è una balla!

"Sorpreso, eh Price?" la sua espressione diceva tutto e non c’era il cappellino a poter celare la sorpresa che lessi nei suoi occhi. 1-0 per me. La partita cominciava alla grande!
"Bene bene!" riprese istantaneamente il controllo della situazione "Karl mi aveva detto che eri una ragazza ma quasi non gli credevo!" e mi lanciò un'occhiata sarcastica. Stavo per rispondere in maniera non molto ortodossa ma Kristine mi precedette "Dai Benji, sei sempre il solito! Tu le donne le guardi sole se hanno gonna e tacchi alti! Come sei maschilista!" lo canzonò.
Price stette al gioco. Aveva molta confidenza con Kri, e non solo per la loro storia finita male: prima di quello erano stati in qualche modo amici.
"Diciamo che preferisco gli abiti aderenti e scollati a magliette larghe e tute da ginnastica!"  le sorrise accennando un occhiolino, ed in quel momento vidi la corazza di Kristine andare in frantumi
Per fortuna Karl quella sera fu clemente con la sorella e ci portò via il portiere con una scusa.
Peccato, io la compagnia del biondino l’avrei gradita! Meglio però salvare il cuore in cocci della mia amica.

"Non male la nostra fotografa. Peccato che abbia proprio un brutto carattere!" constatai.
"Molla l’osso, amico!"  disse Karl fintandomi un pugno sulla spalla  "Quella è la mia preda personale!"
Lo guardai stupito  "Schneider, mi sorprendi! Non pensavo ti piacessero i brutti anatroccoli!"
"Devi ammettere che la trasformazione in cigno ha lasciato piacevolmente sorpreso anche te… o sbaglio? Elena non è male, ma per quel che CI riguarda " e così dicendo mi rivolse uno sguardo d’intesa  "è terreno tabù! Dopo quello è successo con mia sorella anche io devo stare attento con le sue allieve! Ma con lei, a tempo debito, penso che ci proverò…"
"Contento tu…" dissi scuotendo il capo e lanciando un'ultima occhiata alle due ragazze.
"Si" pensai " effetivamente la trasformazione in cigno non è male per nulla..."

La mia serata continuava meglio del previsto: anche gli altri ragazzi della squadra avevano apprezzato la mia "mise" da sera, qualcuno azzardando la battutina che se mi fossi presentata così in campo il giorno dopo di certo non avrebbero pensato a giocare!
Però Sonya aveva ragione, un po’ di complimenti stavano facendo bene al mio ego ormai inesistente e calpestato...
Verso le dieci e mezza arrivarono i due nuovi elementi della squadra. Io e Kristine fummo prontamente al fianco di Sonya ma, per fortuna, la nostra amica resse il colpo meglio di quanto lei stessa si sarebbe aspettata. Il bel francese, tra l'altro, si comportò da vero cavaliere, fugando definitivamente ogni nostra preoccupazione.
Chi mi colpì piacevolmente fu  l’altro giocatore nuovo, lo scozzese Jacob Mc Comick. Riccioli rossi, occhi castano – verdi, qualche lentiggine sparsa ed un corpo eccezionale, messo in risalto da una maglia nera aderente a manica lunga e jeans firmati anch’essi aderenti alle gambe muscolose. Non male, no niente male davvero…
Era quasi mezzanotte e mi sentivo soffocare.
Non ne potevo più di vip, modelle, calciatori e bel mondo.
Uscii sulla terrazza a prendere un pò d'aria, sperando di potermene stare tranquilla, quando mi trovai d'improvviso il rosso scozzese accanto, bicchiere in mano ed un sorriso seducente sulle labbra.
Fui subito all'erta. Con tutte le splendide ragazze che affollavano la sala, proprio ME doveva venire a cercare? Non mi fidavo.
"Sai, non è che ami più di tanto tutto quel trambusto. Dei giornalisti poi proprio non ne parliamo! Sempre in cerca della scaldaletto da infilare in prima pagina! Anche quando sei innocente vorrebbero metterti in gattabuia!" mi sorrise cercando complicità.
"Già, certo che alcuni tuoi colleghi non è che non li cerchino i guai!" puntai lo sguardo su Price, il quale si trovava alle sue spalle in compagnia dell’ennesima super modella. Anche Jacob si voltò.
"Già, qualcuno di guai a Sonya ne procura proprio tanti… Ma alla fine, finchè si tratta di donne non è poi tanto grave! Ce chi ne combina di peggio!" così ci mettemmo a chiacchierare di giocatori disonesti, partite, campionati… calcio! Di solito non era il mio argomento preferito, ma quella sera e quella compagnia lo fecero diventare interessante.

"Allora, non è andata male la serata di ieri, eh?"
Marj ed io avevamo finito di montare ed ci stavamo concedendo una passeggiata rilassante nel parco in sella ai due cavalli di Kristine .
"No, non male… Jacob non sembra il solito calciatoretestavuota." risposi sorridendo.
"Neanche Karl lo è! E neanche Benjiamin!" replicò stizzita.
"Sul secondo evito di pronunciarmi…"  le feci una smorfia e continuai  "Karl non ha di certo la testa vuota ma è troppo pericoloso, troppo Dongiovanni e, soprattutto, è il fratello di Kristine nonché tuo amico d’infanzia! Scusa, troppe complicazioni!" sorrisi, scuotendo il capo.
"Forse hai ragione, ma vacci coi piedi di piombo con lo scozzese,ok?"
"Tranquilla, tesoro! Sono stufa pure io di farmi raccogliere in cocci da te!"
Sospirai, assaporando deliziata l'aria frizzante del tardo pomeriggio.
Mi sentivo bene.
Finalmente mi sentivo bene.

 

 

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Capitolo 5
*** 4 ***


Salii rapidamente le scale e mi fermai sulla soglia dell'ufficio di Sonya, bussando sulla porta aperta.
“Buon pomeriggio, bellezza!” esordii con un sorriso.
Seduta ad una delle scrivanie che occupavano l'ampia stanza affollata di monitor e pc perennemente accesi, la nostra affascinante manager era concentrata nella lettura di un qualche fascicolo che teneva elegantemente posato sulle lunghe gambe accavallate. 
Non potei fare a meno di ammirare ancora una volta quella splendida donna che avevamo l'onore di avere come manager della squadra: alta, mora, fisico perfetto, lunghi capelli neri tra i quali spiccava una ciocca bianca su un lato della fronte, Sonya era sempre impeccabilmente elegante.
Peccato che Lauber la ritenesse praticamente una figlia...
Non mi andava di rischiare il posto in squadra per una donna.
“Toh, chi si vede!  E che ci fai qui su nel mio regno?” rispose sollevando lo sguardo verde acqua su di me e sorridendo a sua volta.
“Burocrazia… Una delle tue assistenti mi ha detto che ci sono degli autografi da fare…”
Quando sei l’SGGK devi scendere a qualche compromesso coi tuoi fans...
“Mmm, è vero, me ne stavo dimenticando”  mentre mi rispondeva, la ragazza si voltò a prendere da una scrivania un pacchettino di foto da firmare, porgendomele  “Ecco qui, buon lavoro!”
“Grazie!” risposi sedendomi. Cominciando a scrivere, sfiorai il mouse del pc, riaccendendo il monitor. Volsi automaticamente lo sguardo e rimasi gelato, senza fiato.
“E questa cos’è?”
Lo vedevo benissimo cos’era: una mia foto scattata durante la finale di Champions, una foto di cui non conoscevo l'esistenza.
“Ah,si... stavo cercando delle immagini per un lavoro che stiamo preparando io ed Elena…”
“Questa non l’ho mai vista…” continuavo a fissarla, ipnotizzato. Potevo sentire il battito del cuore profondo nel mio petto, travolto nuovamente da quell'emozione, misto di gioia e dolore, che avevo provato la sera della finale...
“Già, Elena mi ha proibito di pubblicarla.” rispose la ragazza, stringendosi nelle spalle e scuotendo il capo.
“Ti ha proibito di pubblicarla?”  mi voltai di scatto verso di lei, sconcertato dalle sue parole.
“Già, mi ha detto che in quella foto sei triste e che la tristezza della gente non si sbatte in prima pagina. Così non l’ho messa in circolazione, ma se a te piace…”
“No, va bene così.” replicai secco.
Il monitor era andato nuovamente in stand by, nascondendomi quell’immagine.
Si, preferivo che non andasse in giro, preferivo non vederla… 
Ricominciai il mio lavoro, stando ben attento a non toccare più il mouse.

Il campionato era ripreso da un paio di settimane.
Quella sera me ne andai da solo in un locale in centro. Karl non c’era causa un’amichevole della nazionale tedesca, e comunque avevo voglia di starmene per i fatti miei.
Quella ragazzina aveva il dono di mandarmi in bestia!
Quell'immagine era lì, continuamente, nella mia mente e davanti ai miei occhi. Una tortura.
Per il dolore al quale era legata, per quei ricordi che avevo cercato si seppellire immergendomi in una vita forse non mia, ma che in un certo senso mi stordiva e distraeva. Per quel sentimento che avevo cercato di cancellare, ma che la sera della finale era tornato prepotente, e non ero riuscito a nasconderlo neppure a me stesso.
Quella foto era lì, a testimoniare tutto questo, e l’autrice aveva proibito di pubblicarla…
Le dovevo un favore.
“Tutto solo stasera, campione?”
La voce sensuale di Lyv mi risvegliò dai miei pensieri  “Karl è via per un’amichevole della nazionale..”
“Mmmm, e  tu sei qui da quasi venti minuti e non ha ancora avvicinato una ragazza… Dì, non sarai mica innamorato?!”  mi si appoggiò ad una spalla, portando il  viso molto vicino al mio. Conoscevo Lyv molto bene, e lei conosceva molto bene me… Nell’ultimo anno era stata una delle frequentatrici più assidue del mio letto. Avevamo un rapporto solo ed esclusivamente fisico, privo di coinvolgimento a livello sentimentale.
Andava bene così. 
L’amore provoca solo guai e dolore.
Ma quella sera non ero in vena, volevo semplicemente starmene per conto mio.
“No, tesoro, sai bene che non mi innamoro mai” le sfiorai le labbra con un bacio e l’allontanai un poco  “soltanto, stasera non ho voglia di compagnia…”
“Vecchi ricordi?”
“Già…”
“Mmmm, allora, se vuoi startene nel tuo mondo, è meglio se cambi aria, caro! Tra poco potresti non essere l'unico giocatore del Bayern qui dentro!”
Fui sorpreso da quella affermazione. Io e Karl non avevamo mai trovato nessuno dei nostri in quel locale, ed era forse una dei motivi per cui ci andavamo così spesso, oltre al numero notevole di belle donne che lo frequentavano.
“E chi ha scoperto il rifugio mio e del Kaiser?” chiesi appoggiandomi al bancone, incuriosito.
“Quel nuovo scozzese… Mc Cormick?” rispose la bionda
Rimasi di stucco: il rosso scozzese ci provava con la nostra fotografa fin dalla sera della festa. Il loro non era ancora un rapporto stabile, ma Jacob pareva comportarsi da vero cavaliere con lei...
“E cosa ci viene a fare al Fashion?” chiesi alla bionda, la quale nel frattempo si era seduta accanto a me accavallando le lunghe gambe in una posa piuttosto sexy.
“Che domande, Price! La stessa cosa che ci vieni a fare tu quando non sei di umore nero come stasera! E non è neanche tanto male, ti dirò….”  ammiccò un sorriso che diceva tutto… Non che mi desse fastidio che Lyv fosse andata a letto con Mc Cormick, non me ne importava assolutamente nulla, ma stava prendendo forma in me un timore che riguardava il nostro brutto anatroccolo.
“Lyv, dimmi, ma Jacob non ti ha per caso parlato di una ragazza con cui sta uscendo?”  non era da me farmi gli affari degli altri, ma non riuscivo a mettere a tacere quel maledetto campanello d’allarme che trillava in fondo al mio cervello.
“Chi? Quella che sta cercando di portarsi a letto da un mese? La ragazza non sa cosa si perde...” Lyv  sorrise sempre più provocante ma non le feci caso, il campanello squillava più forte...
“Allora non sei l’unica ad aver apprezzato le sue attenzioni?” continuai.
“Cos’è, sei geloso?” gli occhi ambrati da gatta si socchiusero maliziosi. Sospirai: se volevo saper di più dovevo stare al suo gioco. Alla fine poteva anche essere piacevole. Le presi il mento con delicatezza e la baciai di nuovo “Lo so che sono la tua preda preferita…  Jacob non si accontenta solo di te allora?”
“Curioso?” un  altro bacio
“Un po’…” dissi carezzandole il viso con un dito.
“E va bene, amore, hai vinto! Ma per queste informazioni paghi dazio!” scese dall’alto sgabello del bar e mi buttò le braccia al collo, parlando con le labbra quasi a sfiorare le mie.
“Il signorino si è passato tutte le ragazze del locale e quasi tutte le frequentatrici occasionali… La tua  amichetta, se è una brava ragazza, fa bene a non dargliela, e farebbe ancora meglio a stargli alla larga! Jacob l’ha presa di mira, ha fatto una scommessa con dei suoi amici che si sarebbe fatto la piccola prima di Natale! Solo per il gusto di giocare con un’anima innocente!”
Ora il campanello era un allarme rosso…  Jacob era un vero bastardo! Io non ero un santo con le donne, ma non avevo mai ne illuso ne ingannato nessuna delle ragazze con cui ero stato. Neanche Kristine, che, pur conoscendomi bene, si era innamorata di me. E per questo avevo troncato subito.
“Grazie della soffiata, tesoro...”
“Adesso pretendo il pagamento…”
“Certo.” risposi, ricambiando il bacio. La serata prese una piega piacevole. La mattina, quando mi svegliai per la solita corsa, mi trovai avvolto dai lunghi capelli biondi e dall’intenso profumo della ragazza. Al mio ritorno, solo la dolce fragranza sarebbe rimasta tra le lenzuola.  
Lo stallone mi superò come tutte le mattine e lo ritrovai con la sua amazzone a fare esercizio nel prato in fondo al parco. Non sapevo casa fare. La ragazza non mi avrebbe creduto, probabilmente, anzi, conoscendo la mia fama di donnaiolo, avrebbe pensato che ci stavo provando. No, era inutile parlare direttamente con lei.
Ci allontanammo dalla radura come ogni giorno, lei coccolando il suo cavallo, io immerso nei miei pensieri. Le lanciai un ultimo sguardo prima che sparisse dietro agli alberi: l’allarme continuava a martellarmi il cervello.
Karl la conosceva abbastanza bene, avrei potuto parlarne con lui, ma poi ci sarebbero stati sicuramente guai in squadra, meglio evitare. Ed inoltre quello che l’Imperatore mi aveva detto la sera della festa mi suggeriva di tenerlo fuori il più possibile da quella storia, non volevo che il mio amico si cacciasse in una brutta situazione.
Kris era l’unica via di uscita. Dopo gli allenamenti sarei andato a parlarle in scuderia. Avevo l’interdizione all’ingresso nel suo regno, certo, ma sapevo bene quanto tenesse alle sue allieve. Poi quel pomeriggio Elena aveva del lavoro da fare con Sonya, lo sapevo da lei, e quindi non sarebbe stata nei paraggi.
Era più di un anno che non entravo in quelle scuderie.
Gli stessi odori, gli stessi suoni, un tuffo nel passato.
Mi trovai la strada sbarrata da uno stallone grigio legato nel mezzo del corridoio, vestito con i paracolpi da viaggio. Dalla selleria lì accanto giunse un’imprecazione seguita da  un tonfo e quindi ne uscì una splendida bionda dai grandi occhi azzurri ed un fisico da favola, letteralmente sepolta da un' enorme sella da dressage.
“Hai  bisogno di una mano?”  chiesi.
“N-no grazie…”  un boccolo biondo platino cadde davanti agli occhi che mi fissavano come se la ragazza avesse visto il diavolo in persona. Peccato, pensai, Kri aveva fatto un bel lavoretto con le sue ragazze…
“Kristine è in scuderia?”  le tolsi la sella dalle braccia, posandola sul cavalletto lì accanto.
“S-si, nell’altro corridoio…” balbettò, fissandomi senza quasi respirare.
“Ok, grazie”   risposi, voltandomi ed andandomene.
La sentii sospirare e sorrisi tra me.
Un vero peccato, davvero...
Trovai Kris intenta a preparare finimenti e coperte per la gara del fine settimana.
“Siete in partenza?” esordii con un sorriso.
La risposta non fu amichevole “TU! Che diavolo ci fai qui?!”  era furiosa.
“Calma, Kris, calma! Lo sai che non vengo meno alle promesse se non per le emergenze!”
“E di che si tratta? Invece che lasciare sei stato tu ad essere lasciato dall’ennesima puttana?” si voltò di scatto fulminandomi con lo sguardo, inviperita.
Ok, convenni, con lei avevo decisamente fatto un'idiozia enorme, forse perché mi ero illuso anche io di poter trovare  in lei finalmente la soluzione ai miei problemi.
Decisi di prendere l’argomento di petto per stroncare subito la sua ostilità  “Sono qui per la tua allieva fotografa, si sta cacciando in un bel guaio…” 
Kris mi conosceva, sapeva che non amavo farmi gli affari degli altri. Si levò in piedi, incrociando le braccia al seno, fissandomi seria.
“Ti ascolto.”
Le raccontai quello che mi aveva riferito Lyv, spiegandole perché avevo preferito non dir nulla a Karl ne, tantomeno, alla diretta interessata.
“Mmmm, Ele è specializzata a trovarsi dei bastardi di prima categoria! E’ un bel guaio.” sospirò, molto preoccupata per l’amica  “Proprio oggi me lo dici! Accidenti! Io e Marj partiamo per quattro giorni per una gara nazionale, e francamente vorrei parlarne a quattrocchi con Elena!”
“Non credo che quattro giorni possano fare tanta differenza, sai?” mi appoggiai al muro accanto a lei con le braccia conserte “Hai detto che lei non ha intenzione di lanciarsi in storie importanti e Lyv parlava di una scommessa che ha il suo termine a Natale… Se anche le parli lunedì non dovrebbe essere la fine del mondo! E poi in questi giorni so che Sonya le ha dato parecchio lavoro da fare per il sito ufficiale della squadra, non credo avranno molto tempo di vedersi quei due!”
“Già, infatti oggi Zingaro se l’è smazzato Marj… Mmmm, hai ragione, quattro giorni non fanno molta differenza, le parlerò lunedì! E tu” mi disse semiseria  “vedi di non farti più vedere da queste parti!”
“Bel ringraziamento!” replicai ridendo.
“Ok…”  allungò una mano a calarmi il cappello sugli occhi  “Grazie!”

 

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Capitolo 6
*** 5 ***


ac05a

 

Erano le cinque del pomeriggio di un piovoso venerdì di agosto.
Di solito guidare mi rilassa, ma il traffico congestionato della città mandata in tilt dalla pioggia non faceva che acuire il mal di testa che mi martellava da almeno un’ora.
Avevo dedicato gran parte della giornata ad una riunione con alcuni membri del consiglio di amministrazione dell’azienda di mio padre. Erano ormai due anni che, come promessogli, mi occupavo degli affari della Price Corporation.
Non vedevo l’ora di liberarmi di giacca e cravatta e di farmi una doccia: per quella riunione avevo dovuto rinunciare agli allenamenti del pomeriggio e fuggire da quelli del mattino.
Parcheggiai nel garage e cercai rapidamente le chiavi di casa. All’interno sentivo il telefono squillare insistentemente e nessuno rispondeva.
Sollevai il ricevitore al volo  “Pronto!” risposi trafelato.
“Finalmente! Ma dove cavolo eri finito!? E’ da due ore che ti chiamo sul cellulare!”
Portai automaticamente la mano alla tasca della giacca “Accidenti, Karl! Nella fretta stamattina devo averlo lasciato in spogliatoio!”
“Maledizione a te e alle tue riunioni, stavo quasi per preoccuparmi! Comunque, io e Kalz siamo tornati e stavamo organizzando una cena da me stasera, ci sei? Non ci crederai ma ho convinto anche Sonya!”
“Infatti non ci credo!” sorrisi al pensiero del nostro “cane da guardia in minigonna” che partecipava ad una cena con noi.
“Già, forse ha accettato perché le ho detto che sarebbe venuta anche Elena...”
“Karl! Quella ragazza stà con un tuo compagno di squadra e…”
“Tranquillo, amico! E poi quei due non sono insieme e comunque non intenzione di provarci! Il fatto è che Elena stasera è a casa da sola perché Jacob è fuori con dei suoi amici mentre mia sorella e la sua amica Marjorie sono via per una gara.”
"Beh, una sera di meno col bastardo" pensai.
“A proposito, visto che devi tornare in sede, vai a recuperarla e portacela! Ha staccato il telefono per non essere disturbata e non sono ancora riuscito ad avvisarla!”
Sospirai, appoggiandomi al muro con la schiena e massaggiandomi gli occhi. Doccia rimandata. La riunione mi aveva sfinito più di un allenamento intensivo e se mi fossi rilassato probabilmente mi sarei svegliato la mattina seguente.
“Ok, ok, vado a prenderla! Però se arriva inviperita perché sono andato io a disturbarla, non prendetevela!”
“Tranquillo socio! Alle otto e mezza a casa mia!” rispose allegro il mio capitano, chiudendo la conversazione. 
Risalii in auto piuttosto scocciato e mi diressi il più velocemente possibile verso la sede della squadra, litigando nuovamente con il traffico.
Sebastian, la guardia, in un primo momento non mi riconobbe e mi bloccò all'ingresso.
“Accidenti, Benji! Mi pareva che questo mostro fosse il tuo, ma in giacca e cravatta stentavo a riconoscerti!” mi sorrise allegro, lanciando un'occhiata di ammirazione al mio coupet.
“Non ti preoccupare, Sebastian, così faccio fatica pure io a riconoscermi! Dì, la fotografa è ancora qui?”
“Chi, Elena? Si, dev’essere ancora al lavoro… Jacob e due suoi amici sono stati qui a trovarla, sono appena andati via! Avevi bisogno di lei?”
Non sapevo perché, ma il campanello aveva ricominciato a trillare…
“No, stamane ho lasciato il cellulare negli spogliatoi. Vado a riprenderlo.”
“Prego. Le luci di sotto sono spente però…”
“Non importa, conosco la sede a memoria.”  ed entrai, portando l’auto direttamente davanti all’ingresso della palazzina centrale. Al piano superiore una luce era accesa nell’ufficio di Sonya. Elena stava ancora lavorando. Sarei andato da lei dopo aver ripreso il telefono.
L’atrio era illuminato solo da pochi neon di emergenza ed il corridoio che portava agli spogliatoi, a quell’ora e con il buio del temporale fuori, aveva un aspetto piuttosto tetro.
Lo percorsi fino alla porta dello spogliatoio della squadra. La trovai socchiusa e mi parve strano, in quanto non avrebbe dovuto esserci nessuno a quell'ora.
“Ma cos’è?” pensai  “Stai diventando vecchio? Ti lasci intimidire da un corridoio buio!?” sorrisi tra me, ricacciando quella strana sensazione di paura che mi aveva chiuso lo stomaco quando avevo toccato la fredda maniglia di plastica. Non aveva senso...
Passai la prima fila di armadietti ed arrivai al mio. Stavo componendo la combinazione del lucchetto, quando percepii un suono sommesso, come di pianto. Rimasi immobile, l'orecchio teso all'ascolto ed il respiro corto.
“Cretino!”  mi dissi, scuotendo il capo ma di nuovo provando un'inspiegabile ansia che non era da me.
Il suono si ripetè, flebile tra il rombo dei tuoni che veniva dall'esterno.
“Non è possibile, mi sto facendo influenzare da un corridoio buio! Le riunioni mi fanno male…” sdrammatizzai, facendo scattare il lucchetto, ma...
Ancora quel suono...
“No, non me lo sono sognato!” decisi, dando retta al mio istinto e tendendo i sensi “C’è qualcuno?” chiesi ad alta voce.
Silenzio.
Solo la pioggia sui vetri.
“C’è nessuno?” la mia voce si perse nell'ampia stanza deserta.
Un sospiro, quasi un singhiozzo, mi rispose.
Avvertii il sangue gelarsi nelle vene, il respiro accorciarsi ed un timore profondo impadronirsi del mio cervello, spingendomi a muovermi in direzione di quel suono. 
Il pianto veniva dalle docce.
Superai velocemente una fila di armadietti e poi la successiva, lanciando rapidi sguardio a destra e sinistra. Colsi con la coda dell’occhio dei particolari che mi fecero ancor più allungare il passo: su di una panca tra gli armadi, una maglietta e dei jeans.
Ancora un singhiozzo.
Il campanello nella mia testa squillava con violenza.
Non volevo pensare…
Rabbia furiosa.
E preoccupazione.
L’ultima fila e poi le docce.
Altri indumenti, intimi, sparsi a terra. 
Una pozza d’acqua e… quello che non avrei mai e poi mai voluto vedere.


“Ma perché in Germania, d’estate, deve fare così maledettamente freddo?!”
Ero gelata, nel corpo e nell’anima.
Non riuscivo a pensare, a fare nulla. Solo a piangere e stringermi le gambe il più forte possibile al corpo per recuperare un poco di calore.
Un rumore.
La porta degli spogliatoi che si apriva...
“No, fa che non mi trovino così, ti prego! Adesso mi alzo, mi sistemo, vado a casa e non è successo nulla...” sragionavo, sconvolta e terrorizzata, la testa vuota, per tenere il più lontano possibile il ricordo, il dolore, l'umiliazione...
Mi sfuggì un singhiozzo.
“C’è qualcuno?” udii chiedere.
“Quella voce… no, non lui!” mi assalì il panico, mi rannicchiai ancor più su me stessa, ricominciando a piangere con la testa tuffata tra le braccia.
“C’è nessuno?” chiese nuovamente.
“No, ti prego, non voglio che mi veda!” urlai silenziosamente nella mia testa, supplicando.
Passi…
“Elena…” la sua voce bassa, spezzata... E il suo sguardo su di me...
“VATTENE!”

 

Quasi mi spaventò.
No! Se lo poteva scordare, non l’avrei lasciata in quelle condizioni!
Nuda, bagnata fradicia e…
Il solo pensiero scatenò in me una furia quasi omicida. Strinsi i pugni fino a sbiancarne le nocche. Si, avrei potuto uccidere...
Tornai rapidamente all’armadietto, lo aprii e ne presi un grande asciugamano pulito.
In quell’istante il cellulare si mise a suonare.
“Karl…”  soppesai se rispondere ed alla fine spensi il telefono.
Troppe complicazioni, dovevo occuparmi di lei... 


Se ne andò.
Era quello che volevo...
“No, eccolo di nuovo, ma cosa?...” si era avvicinato piano, silenziosamente, inginocchiandosi quasi di fronte a me e parlando adagio.
Non riuscivo a credere che fosse la persona che conoscevo, ruvida ed insensibile. Il suo tono era gentile, sinceramente preoccupato.
“Elena… guardami…ti prego…”
Non ce la facevo, l'umiliazione era una lama sottile e dolorosa.
“Per favore…” supplicò, coprendomi nel frattempo con un grande telo asciutto.
“Lasciami stare, ti supplico, vattene!”
“Scordatelo, io di qui non me ne vado senza di te! Guardami, per favore…”
La voce calda, dolce, sommessa…
Non mi capacitavo del fatto che lui, proprio lui, normalmente burbero ed arrogante, potesse trasmettermi tanta serenità in quegli istanti così terribili...
Sollevai lo sguardo appena al di sopra delle braccia ed incontrai il suo.
Quegli occhi, di solito freddi come il ghiaccio e duri come l’acciaio erano come due profonde pozze di acqua calda, accoglienti, avvolgenti come velluto. Mi sentii più tranquilla, protetta…
Allungò un mano a sfiorarmi delicatamente il viso. Sobbalzai per dolore che mi provocò l’ematoma che dovevo avere intorno all’occhi sinistro e per un istante, un solo istante, un lampo rabbia violenta illuminò suoi occhi.
“Meglio?” mi sorrise. Non il solito sorriso sardonico… era un’altra persona. O forse era semplicemente se stesso.
“Meglio… grazie...” risposi senza staccarmi da quegli occhi che, in quel momento, erano come un'ancora di salvezza in un oceano di lacrime.
“Non mi sembra di aver fatto nulla, non ti pare?” la sua espressione si addolcì ulteriormente  “ Ora, se vuoi, stai qui ancora un poco a calmarti, poi ti vesti e ti porto in ospedale… Ok?”
“Ma…” in un istante pensai a Sonya, a Lauber, alla squadra.
Mi lesse nel pensiero.
“A Stephan e Sonya ci penso io. Tu vieni con me in ospedale.” perentorio.
Non si poteva discutere. Non volevo discutere.
“Non mi chiedi chi è stato…” dissi a bassa voce.
Lo sguardo si incupì. Fece per sistemarmi meglio il telo addosso, come per proteggermi ulteriormente.
“Temo di saperlo...” sorrise triste “Te la senti di andare? Vorrei portarti in pronto soccorso il prima possibile...”
“Così?...”
Capì e si alzò.
“Vado a recuperarti i vestiti ed esco dallo spogliatoio. Intanto chiamo Stephan.”
Andò a prendere i miei abiti, che dovevano essere sparsi per la stanza, li piegò il più ordinatamente possibile, posandoli sulla panca di fronte e si inginocchiò nuovamente accanto a me.
“Fatti una doccia calda… sei gelata!”  era un sorriso dolce e triste quello che mi rivolse “Io sarò qui fuori ad aspettarti, ok?”
“Ok. Grazie…”
Non rispose, allungò semplicemente una mano a sfiorarmi delicatamente l’occhio pesto ed uscì.
Quando uscii dallo spogliatoio, Benjiamin aveva appena chiuso il cellulare.
“Meglio?” chiese sorridendomi.
“Un po’…”  risposi stringendomi le braccia intorno dal freddo. Si accorse del mio gesto. Tolse la giacca e me la mise in spalla. Era calda. Quel calore mi ridiede un poco di energie.
Mi accorsi solo allora del suo abbigliamento  “Mmmm, ti ho rotto le uova nel paniere? Stavi andando ad una festa?”
“Se fai queste battutine acide vuol dire che stai meglio! No, sono tornato da una riunione con mio padre….” lasciò la frase in sospeso, lo sguardo serio per un istante.
“Andiamo?”
“Si.”
Non pensavo a quello che sarebbe successo all’ospedale: le visite, le domande, l’interrogatorio…
Benjiamin rimase sempre con me. Fuori dall’ambulatorio, accanto quando il medico mi fece le prime domande e nella stanzina con il commissario che mi dovette chiedere… tutto.
Sempre vicino.
Come un angelo custode.


“Purtroppo  si risulta che l’elemento in questione non sia del tutto nuovo a cose del genere… Solo che le altre vittime hanno sempre ritrattato tutto ed i fattacci son stati messi a tacere grazie ad un bel po’ di soldi…”  il commissario Moss, mia vecchia conoscenza, guardò Elena appoggiando i gomiti sul tavolo ed intrecciando le dita. Jacob, quella volta, non l’avrebbe passata liscia, pensai.
“Moss, la signorina non ritratterà e per quel che riguarda l’insabbiamento della faccenda… beh, l’unica cosa che non dovrà apparire sui giornali è il suo nome. Mc Cormick non deve poter ripetere una cosa simile!”
“Il tuo collega ha ottimi avvocati e parecchi soldi… Certo, freuilein Elena ha dalla sua parte Herr Lauber, però…”
“Non sono un problema né gli avvocati, né i soldi.”  presi il telefono e chiamai Rudolph  Berger, braccio destro di mio padre in Germania.
“Signor Price, cosa vuole?”  il suo tono non era né amichevole né accondiscendente. D’altronde sapevo di non essere molto amato dai collaboratori di Richard Price, che mi ritenevano un incapace. Anche quel conto a tempo debito…
“Un avvocato, ho una situazione delicata tra le mani.”  prima che potesse saltarmi in testa gli spiegai a grandi linee l'accaduto.
“L’avvocato Fuchs fa al nostro caso” bene, pensai  “Domattina la farò chiamare.”
“Benjiamin, io non posso permettermi uno dei tuoi avvocati!”  stava meglio, lo sguardo era decisamente agguerrito.
“Tu no, io si!”
“Ma… io non voglio la carità!”
“Nessuna carità! Non ti preoccupare, a Jacob ci penso io. Domani mi metterò d’accordo con Stephan… va bene così e basta!”

Come prima, non potei discutere!
E perché discutere con qualcuno che ti vuole aiutare a tutti i costi?
Certo, mai e poi mai mi sarei aspettata di ricevere aiuto e sostegno proprio da lui! E non era finita!
“Signorina, ora torni a casa. Domattina la richiameremo… Price, agli allenamenti di domani probabilmente ci sarà un po’ di trambusto…”
“Sarò felice di vederla!” rispose, e rivolgendosi a me “Tu ti scordi di dormire a casa da sola. Da me ci sono almeno tre stanze vuote. Passiamo da casa tua, prendi dei vestiti e qualcosa per la notte e vieni da me! E non è un invito galante, è un ordine!”  sorrideva ma non c’era nulla da obbiettare, dovevo ubbidire. Comunque non avevo molta voglia di stare a casa da sola.
“Sissignore!” cercai di sorridergli di rimando ma la faccia mi fece troppo male.
Arrivammo all’appartamentino che dividevo con Marj.
“Belle...”  stava guardando due particolari dei musi dei nostri cavalli formato poster sul muro in sala. “Grazie… Zingaro e Gitano... che fantasia, eh? Nero e bianco. Zingaro lo conosci già…”
“E l’altro devo averlo visto in scuderia…”
Gli resi la giacca. “Grazie… non solo della giacca!”
“E cos’altro avrei dovuto fare, signorina? Lasciarti lì fino a domattina? Ringrazia il cielo che avevo scordato il telefono negli spogliatoi!”
“Si,ok. Ma Lauber , l’avvocato, il commissario…”
“Non ti preoccupare… Andiamo?” mi sorrise, indicandomi con un cenno del capo ed una strizzata d'occhio la porta.
Uscimmo di casa. Mi sentivo come in un limbo. Era come se avessi improvvisamente cancellato le ore precedenti e fossi in compagnia di un caro, vecchio amico.
Amico.
Chi se lo sarebbe immaginato che un giorno avrei chiamato quell’arrogante borioso “amico”. Eppure…
“Wow, fantastica! Non ne hanno vendute molte!”  mi riferivo alla Porche Carrera GT nera sulla quale stavo salendo.
“Te ne accorgi solo ora?”  per un secondo il solito Benji… “Scusa, non volevo… Stai tornando alla realtà?”  buffo che mi chiedesse scusa. Buffo che fosse imbarazzato per una reazione per lui del tutto normale.
“Niente… Beh, in effetti me ne accorgo solo ora. Cerco di distrarmi… “ cambiai di nuovo argomento “E’ forse la mia macchina preferita! Io che sono sempre stata un’accanita ferrarista…”
“Italiana…”
“Già…”
Ci scambiammo un sorriso ed quel mentre squillò il telefono “Karl! Mi ero del tutto scordato di lui!”
“Dove cavolo sei!? Ma oggi cosa c’è? Prima non rispondi, poi riappari, poi mi chiudi il telefono… Che diamine c’è?! E Elena? Non la si trova da nessuna parte…”
”E’ qui con me… Non è stata bene..”  mi guardò con sguardo d’intesa “Non vi preoccupate, me ne occupo io.”
“TU?! Ascolta, Sonya ha appena ricevuto una strana telefonata dal boss… non c’entrerà con Elena…?”
“Karl, ne parliamo domani mattina prima dell’allenamento. La porto a casa mia, non se la sente di stare a casa da sola. Se ti chiama Kris non allarmarla. E non ti preoccupare, ora sta bene.”.
“Benjiamin...”
“Karl, fidati…”
Sentii il Kaiser sospirare, vinto dalla determinazione dell’amico “Ok, a domattina. Mi fido di te, socio.”
“Grazie.”
Nel frattempo eravamo arrivati alla villa di Benji: cavoli se si guadagna bene giocando a calcio!
“Entra. Avviso Marie che ci sei anche tu a cena e di preparati una stanza.”
“Grazie, non volevo portare tanto disturbo...”
Mi guardò come per rimproverarmi e poi sorrise “Piantala! Vado a togliermi questa roba e a farmi una doccia. Aspettami in sala e fa come fossi a casa tua!” e se ne andò sfilandosi finalmente la cravatta.
Fare come fossi a casa mia, una parola! Quella villa era veramente fantastica! Non enorme, arredata con gusto in maniera moderna ma non troppo. In sala un bel camino, un divano in alcantara blu, dipinti giapponesi alle pareti e... foto! Decine di foto di partite, squadre, amici.
“Guarda guarda! Questa è mia!” era la foto della parata della prima partita che avevo seguito.
Li accanto un’immagine molto vecchia, un Benji giovanissimo, la squadra raccolta intorno al capitano (Holly?) che teneva sollevato un trofeo. Un' altra mi colpì e mi lasciò perplessa. Finale di Champions, mi pareva… La squadra che esultava intorno a Karl, insieme ai ragazzi anche fidanzate, gente dello staff… Abbracciata al SGGK, che la teneva stretta, una ragazza dai capelli rossi, ricci, occhi verdissimi, uno sguardo… incredibile, da perdercisi dentro! L’altra cosa che mi colpì fu la magrezza di quella ragazza…e l’affetto con il quale Benjiamin la stingeva a sé.
“Il frutto di una lunga carriera...” sobbalzai. Non l’avevo sentito arrivare. Si era cambiato, polo rossa, che gli stava piuttosto aderente, jeans e capelli ancora bagnati. Mi sorse spontaneo “Ma voi calciatori siete allergici al phon?” mi guardò e scoppiò a ridere! Giuro che mi lasciò di stucco. Non avrei mai immaginato di sentirlo ridere, non a quel modo. Una risata calda e serena, accompagnata da un luccichio malizioso degli occhi scuri.
“Effettivamente credo di non averlo mai usato…” replicò, scuotendo allegro il capo.
“E sì che non è una grande spesa...”
“No, non credo. Vuoi mangiare o no?”
“Non sarebbe una cattiva idea.” risposi.
La governante aveva preparato una splendida cena per due… giapponese.
Mi accorsi della sua titubanza “Le bacchette le so usare e adoro il sushi.” dissi, sedendomi a tavola.
“Tu mangi giapponese?!”  l’avevo sorpreso.
“Tu mangi italiano?” risposi di rimando.
“Beh, si… non è esattamente la stessa cosa!”
Continuammo la conversazione sullo stesso tono, parlando dell’Italia, della Germania, del Giappone.
Solo otto ore prima non avrei pensato di cenare e, soprattutto, divertirmi, con Benjiamin Price.


Quasi non ci credevo… se qualcuno mi avesse detto che sarei diventato amico del brutto anatroccolo gli avrei riso in faccia! Invece eravamo lì, a casa mia, davanti a una cena giapponese  a chiacchierare del più e del meno come vecchi amici. E la situazione mi piaceva. La compagnia di quella ragazza era… rilassante. Non stavo così bene con una persona da tanto tempo. Neanche con Karl sentivo di avere quel feeling. Solo due altre persone mi mettevano così a mio agio: Holly e... Kim.
“Stanca?” era una domanda stupida, con quello che aveva passato quel giorno doveva essere distrutta! Ma sembrava voler stare in piedi a tutti i costi. Mi rivolse uno sguardo un poco atterrito.
“A dirti la verità sono stanchissima, ma…”
“Ma?”
“Temo di avere una specie di attacco di panico… non me la sento di starmene da sola al buio…” si interruppe sorridendo “E non è un invito galante!”
“Da te non è che mi aspettassi un invito galante!” sorrise, ma era evidentemente molto stanca “Vieni, vediamo se riesco a farti dormire...”
La portai sul divano e siccome vedevo che aveva ancora freddo (donne!) le diedi un piccolo plaid.
“Mmmm, si vede che questa casa è frequentata da donne…”
Incassai la frecciata, e risposi  “Spiacente, signorina! Mai portata una donna qualsiasi in questa sala!” un punto per me, l’avevo sorpresa “Il plaid è per mia madre che, ogni tanto, mi viene a trovare!”
“Oh, scusa…” mi guardò contrita ma si riprese subito “ Quante foto! C’e n’è pure una mia!”
“Già…” guardai anch’io quelle immagini che conoscevo a memoria  “Una vita dedicata al calcio…”  intanto si era raggomitolata come una gatto sul divano.
“Ancora freddo?”
“Un po’… non ho smaltito quello di oggi pomeriggio...” ed un brivido, non solo di gelo, la scosse da capo a piedi. 
“Posso?”  d'istinto mi sedetti accanto a lei e l’abbracciai, come avevo fatto tante volte con Kim… anche lei aveva bisogno della mia protezione… Per un attimo sentii il suo corpo irrigidirsi e pensai che forse la vicinanza di un uomo, dopo quello che le era successo poche ore prima, poteva non essere piacevole per lei...“Ti dò fastidio?” le chiesi. 
Stette in silenzio un attimo, e poi rispose, espirando “No... Grazie”  e finalmente si rilassò, lasciando che il capo si appoggiasse alla mia spalla.
“Posso chiederti un piacere?”
“Certo!"
“Se domattina vai ad allenarti, puoi portarmi da Zingaro?”
“Te la senti di montare?”
“Tu te la sentiresti di giocare? Montare e fotografare sono le uniche cose che mi fanno sentire veramente bene.”
“Ti capisco. Ok, quando mi sveglio vengo a buttarti giù dal letto e ti porto dal tuo stallone!”
Andammo avanti a parlare ancora un’oretta, poi, finalmente, crollò. La portai in braccio nella sua stanza e l’indomani mattina presto andai a svegliarla.


Mi svegliai in un caldo letto ad una piazza e mezza. Ero vestita come la sera precedente… Benji doveva avermi portata lì dopo che mi ero addormentata. Sentii che bussava alla porta.
“Allora? Colazione prima di montare o no?” di nuovo quel sorriso che non poteva essere del  SGGK…
“A meno che tu non mangi, io andrei direttamente in scuderia.”
“Ok, ci vediamo giù.”
Scesi. Mi aspettava nel grande atrio già in tuta ed immancabile cappellino.
“Ma tu di solito te la fai di corsa…”
“Stamattina farò uno strappo alla regola! Non pretendo che tu mi venga dietro correndo, non credo reggeresti!” mi fece l’occhiolino e di nuovo quasi non riuscii a credere che fosse lui.
“No, penso che stramazzerei dopo trecento metri!” risposi, e così ci avviammo camminando e chiacchierando verso le scuderie.
“Ehi, di qui!” lo richiamai.
“Ma... il maneggio è là in fondo!”  era perplesso.
“Ragazzo, io mica sono ricca come te! Kri mi fa lezione, ma Zingaro lo tengo in cascina! Pago molto meno, devo sistemare io il box e pulirmi il cavallo, ma non mi pesa.”
Mi seguì fino in scuderia.
“Vuoi una mano?”
“Direi che hai fatto abbastanza e che ti ho anche sufficientemente rovinato l’allenamento mattutino, no?” si vedeva che era titubante a lasciarmi sola “Non ti preoccupare, c’è Zingaro a proteggermi! Ci vediamo al prato…”
Sospirò e si lasciò cacciare  “Ok, ma quando hai finito vengo a riprenderti!”
Ci trovammo al prato grande. Non parlammo, come sempre, ma l’atmosfera era diversa. Ora ci conoscevamo e sapevamo quanto fosse importante quel silenzio, quel chiudersi ognuno nel proprio mondo.
Mi venne a riprendere in cascina.
“Finito?” chiese, entrando in scuderia. Si avvicinò ed accarezzò Zingaro sul collo  “Come sei bello!”
Il mio stallone è sempre stato un gran coccolone e gli diede una musata di approvazione.
Tornammo a casa. La governante ci preparò una bella colazione.
Guardai Benjiamin e gli chiesi  “E ora?...”  sapeva cosa intendevo.
“Stephen e Moss avranno già avvisato Sonya di quello che sta per succedere. Tra poco chiamerò Karl per vederlo prima degli allenamenti in modo da spiegargli con calma cosa è successo. Se l’avessi fatto ieri sarebbe corso a casa di Jacob e l’avrebbe ammazzato… gli avrei dato volentieri una mano, ma non era la cosa giusta da fare.”

Mi trovai mezz’ora prima dell’allenamento con Karl. Gli raccontai tutto. Era una furia ma capì perché non lo avevo informato la sera precedente.
Arrivammo prima degli altri in sede. Moss era già lì ed aveva posto sotto temporaneo sequestro gli spogliatoi. Quando arrivò il resto della squadra spiegammo l’accaduto. Jacob non c’era ancora. I ragazzi gli avrebbero fatto volentieri la pelle. Lo scozzese si presentò con mezz’ora di ritardo sull’orario dell’allenamento e fu sorpreso di trovarci ad attenderlo nell’atrio. Fu ancora più sorpreso quando vide Moss. Si fece portare via con un sorrisetto sardonico sulle labbra 
“Tanto quella puttanella ritratterà, vedrete!” no, quella volta non l’avrebbe passata liscia.
Nel pomeriggio i telegiornali già davano la notizia del suo arresto. Sonya diresse magistralmente la situazione: la società rimase estranea al fataccio e l'identità della nostra fotografa tenuta gelosamente nascosta, mentre la vita privata di Mc Cormick venne data in pasto ai giornalisti che se la divisero come le iene con una succulenta carcassa...
Elena rimase a casa mia anche quella sera.
La sua compagnia era piacevole. Era da tanto, troppo tempo che non parlavo così con qualcuno.
In salotto si avvicinò alla foto che mi aveva fatta in Bayern-Stoccarda “Mmmm” soppesò guardandosi attorno  “no, belle come questa nessun’altra…”
Mi venne da sorridere “Mi ricordi vagamente qualcuno…”
“Già già, sai chi va con lo zoppo impara a zoppicare!”  e mi sorrise di rimando.
“Ok, è bella, ma in finale di Champions ne hai fatta una molto più bella. E hai proibito a Sonya di pubblicarla…”  lo ammetto, ero curioso di sapere. Mi guardò sorpresa.
“E tu come sai?…”
“L’ho vista per puro caso… Perché?”

Lo osservai, incuriosita da quell’ interesse per una semplice foto.
Oppure... no,avevo fatto centro…
Gli risposi, pesando le parole  “Io non so cosa ti sia preso quella sera in quell’istante ma… non eri lì… eri da un’altra parte e stavi male. Io l’ho colto. D’istinto. Ma la tristezza non si sbatte in prima pagina… Anche se allora mi stavi sulle scatole… Io cercavo la gioia per la vittoria di un campionato, ho trovato cose che non erano di mia competenza.”
“Ti devo un favore…”
“Scherzi?! Con tutto quello che hai fatto per me in questi giorni… “ mi interruppe, scuotendo il capo “ Un giorno te ne parlerò...” prese la foto di quand’era ragazzino. Cambiai argomento.
“Il calcio è una malattia per te e Oliver, vero?”
“Già… e pensare che il primo pallone me lo regalò mio padre…”
“Appassionato anche lui?”
“Una volta… si. Non molto negli ultimi, diciamo… vent’anni?” ero interdetta!
“Scherzi!? Con figlio campione come te, ha smesso di seguire il calcio!?”  la mia reazione lo fece sorridere, ma, ancora una volta quella sera, non era un sorriso felice.
“Vedi… mio padre non tollera che il calcio mi abbia portato tanto lontano da lui e dai suoi affari.”  stavo cominciando a capire…
“E io non l’ho mai perdonato per avermi mollato a dieci anni da solo in Giappone. Il calcio è diventato la mia vita, la mia famiglia.” non mi guardava, continuava a fissare quella vecchia foto. I suoi compagni di una vita.
“Mi spiace… ma tu lavori con tuo padre, no?”
“Già, ma quella è un’altra storia…  “  sospirò e per un istante non fu in quella stanza.
Si riprese quasi subito, posò la foto al suo posto e mi chiese se volevo un caffè.
“Vedo che apprezzi le buone abitudini italiane!” e poi, guardandolo ad occhi stretti  “mica d’orzo, vero?”
Trattenne una risata  “ No, no, non mi permetterei mai! Vieni…”  e si diresse in cucina dove prese una moka (?) ed un barattolo del caffè.
“Lo… prepari… TU?”  ero interdetta e si doveva vedere. Questa volta rise di gusto.
“Cos’è? Hai paura di morire avvelenata?”
“In un certo senso…”  mi guardò divertito, aspettando che finissi la frase  “Beh, è un po’ strano vedere un calciatore ricchissimo che prepara il caffè da solo, no?...”
“Vedi”  disse voltandomi le spalle e armeggiando alla caffettiera  “ come ti ho detto non è che io vada proprio d’accordo con mio padre… “ una pausa. Era evidentissimo che non parlava volentieri di se.
Lo interruppi  “Mi conosci da due giorni e non mi sembri tipo da confessioni…”
Si voltò e sorrise “No, non sono tipo da confessioni ma…”  mi soppesò con lo sguardo  “tu sei una persona a cui si possono raccontare certe cose...”  ero a dir poco sconvolta.
“Grazie...” dissi continuando a fissarlo e sedendomi al tavolo della cucina.
Non mi rispose e riprese a parlare  “La mia non è una confessione… A diciott’anni litigai furiosamente con mio padre. Erano già circa tre anni che giocavo nella prima squadra dell’Amburgo e mi ero messo via denaro sufficiente a vivere da solo. Lui continuava a rimproverarmi del fatto che vivevo a sue spese e che se avessi continuato a quel modo col calcio sicuramente non sarei stato in grado di occuparmi dell’azienda di famiglia. E così andai a vivere da solo. Mi presi un piccolo appartamento in centro città e per un certo periodo rinunciai volontariamente agli agi di cui avevo goduto fino ad allora.”
“Perché?”
Fece spallucce  “Ero furioso… con mio padre, con il lavoro che me l’aveva portato lontano per tanto tempo, non solo come distanza fisica… Per un pò non andai neppure a scuola…”  sorrise tra se “ proprio io, tanto orgoglioso, che pretendevo di essere primo in tutto...”
Fece una pausa.
Ero… allibita? Interdetta? Sorpresa? Perché ne stava parlando con ME?
“Benjiamin… perché mi hai voluto raccontare tutte queste cose su di te?”
Si voltò con due tazzine in mano. Le posò in silenzio sul tavolo e versò il caffè. Si sedette di fronte a me, appoggiando il mento sul dorso delle mani e guardandomi dritta negli ochhi. Era il solito Benjiamin, di nuovo duro e sicuro di sé.
“Io mi fido ciecamente del mio istinto… è così che sono diventato quello che sono.”
“Non capisco...” 
Sorrise appena “Era da tanto tempo che non incontravo una persona come te, che non ha paura di sfidarmi, che mi guarda dritto in faccia e mi dice a chiare lettere quello che pensa. Era un secolo che non trovavo qualcuno che potessi definire "amico" ” mi guardò ancora più intensamente, quasi trafiggendomi con quel suo sguardo scuro.
Reagii, ironica come sempre, come prevedeva, altrimenti non saremmo stati lì a parlare “Wow, allora mi devo ritenere un’ “eletta”!”  se lo aspettava e il sorriso si allargò  “Già, più o meno…”  e mi sorrise appena da sopra la tazzina da cui stava bevendo il caffè.
Che non era poi male…
Mi ero fatta un amico. Mica un’amico qualsiasi, no! Uno di quelli che darebbero un braccio per te, di quelli che ci sono veramente. Solo che ci sono a modo loro, magari solo per te e per pochi altri. Perché il resto del mondo vede solo una corazza impenetrabile.
Quella fu la prima di una lunga serie di cene a quattrocchi con Benjiamin Price. E l’inizio di una splendida amicizia. Con colui che avevo soprannominato il mio “angelo custode”.


La domenica scendemmo in campo in uno stadio colmo forse più di curiosi che di tifosi. Ma la squadra si fece valere e la vittoria fu nuovamente nostra.
Quando tornai a casa Elena non c’era. Kristine e la sua allieva erano di ritorno dalla gara e lei voleva andare di persona a raccontare l’accaduto.
Ero tornato da circa un’ora dalla partita quando udii una macchina fermarsi davanti casa.
Il campanello ed il maggiordomo che andava a rispondere. Mi avviai verso l’ingresso  “Hermann, chi è?”
“Sono io!”  la voce di mia madre. La cui presenza improvvisa a casa mia significava solo una cosa: guai!
Ci incontrammo a metà dell’atrio. Aveva le braccia conserte ed uno sguardo furioso. Cosa diavolo avevo combinato?
“Si può sapere cos’è questa storia?”  la mia espressione interrogativa la fece arrabbiare ancor di più  “Hai chiamato Berger per assumere Fuschs a causa di una ragazza… e oggi cosa sento? Che una giovane dello staff del Monaco è stata violentata da un giocatore! Io…”
Mille cose, mille sensazioni mi si affollarono nel cervello. Ma come poteva credere che c’entrassi qualcosa!? Lei che era sempre stata dalla mia!
“Cos’è, ora mi credi un delinquente come lo crede Richard?”  avevo smesso da anni di chiamare mio padre “papà”  “Pensi veramente che sarei capace di una cosa simile?”
Stette in silenzio un attimo. Vidi che sospirava e che si rilassava, pentita, forse, di avermi aggredito in quel modo. “Cosa è successo, figlio?”  ora andava meglio.
“Vieni, accomodati. Ti spiego...”
Mi ascoltò in silenzio.
“Scusa… forse passo troppo tempo con tuo padre…”  sorrise ironica ed in quell'istante realizzai che le assomigliavo veramente molto “Non gli ho detto nulla… ma credo che gli farò sapere quanto cavaliere è suo figlio!”
“Avrà sicuramente da ridire…”
“Mmmm, probabile…” ci scambiammo una sguardo d’intesa. Sapevamo entrambi che se anche avessi salvato il mondo mio padre non ci avrebbe trovato nulla di buono.
Suonarono nuovamente alla porta. Guardai l’ora. “Probabilmente è Elena che è venuta a riprendere le sue cose.”  infatti...
“I phon costano poco, gli ombrelli meno ancora!”  la canzonai vedendola entrare bagnata di pioggia e coperta solo dal cappuccio della felpa. Mi rispose con una smorfia  “Ho messo la macchina qui davanti. E poi sai quant’acqua avrei preso se fossi stata alla partita?”
“Esattamente la stessa che ho preso io!”  le ricordai, facendola entrare in casa.


Quella domenica non ero scesa in campo con la squadra. Anche se, a dire il vero, nonostante pioggia e freddo avrei lavorato volentieri. Ne avevo approfittato per andare in scuderia ad aiutare Kri e Marj che tornavano dalla gara.
La mia dolce bionda si fiondò letteralmente giù dal van e  mi venne incontro  “Amore, cosa ti è successo?”  mi abbracciò scostandomi i capelli dall’occhio pesto.
“L’ennesimo bastardo… questo decisamente più degli altri…”
Marj mi guardò e si mise a piangere.
“Piangere serve a poco! Elena, che diavolo è successo? Chi cavolo ha osato conciarti a quel modo?”   Kri sembrava un carro Leopard pronto a sparare.
“Vi aiuto a scaricare e vi racconto.”
Scaricammo i cavalli ed intanto raccontai l’accaduto, più o meno tutto.
Quando dissi di come si era comportato Benjiamin, soprattutto a casa (tralasciai, naturalmente, la “confessione” della sera precedente), Marj per poco svenne. Invece Kri mi guardò, sorrise, e se ne uscì con un  “Non cambierà mai!”
“Tu lo sapevi che è Dr. Jackyl e Mr. Hyde, vero?”
“Già…” con lo sguardo perso nel vuoto ed un sorriso sognante.
Si riprese  “ Lo so… due anni fa sono accadute delle cose… di cui molto probabilmente ti parlerà. Allora scoprii il suo lato buono. E fu la fine!” il rubacuori aveva mietuto, allora, l’ennesima vittima!
Mi rivolsi a Marj, che era evidentemente tra l’arrabbiato e l’invidioso.
“Beh, almeno, stavolta, non mi hai raccolta tu col cucchiaino…”
Mi fissò ancora un po’ corrucciata, poi si sciolse in un sorriso “Guarda che ce l’ho con te anche un po’ per quello…”  ci scambiammo un'occhiata d'intesa e ci mettemmo a ridere.
Tornai a casa di Benji per riprendermi i vestiti.
Non sapevo come sdebitarmi con lui.
Trovai una grossa Mercedes argento davanti alla villa. Suonai e mi aprì Benji stesso, il quale mi prese in giro per la mia allergia agli ombrelli.
Alle sue spalle una splendida donna sulla cinquantina, alta, capelli rosso scuri raccolti in una crocchia e occhi nerissimi di chiara origine orientale. Che fosse?…
“Elena, ti presento mia madre, Evelyn Price. Mamma, questa è Elena, fotografo ufficiale del Bayern Monaco!”  sorrise e mi strizzò un occhio.
La signora Price era una donna squisita, oltre che davvero molto bella. Non accennò minimamente all’accaduto e fu molto cordiale. Anche se, pensai, Benjiamin aveva preso molto da lei. Si vedeva chiaramente che aveva una personalità fortissima e, probabilmente, un carattere non proprio facile.
“Monti a cavallo? Che meraviglia! Non so quanti anni sono che non tocco una sella!”
“Beh, Zingaro è sempre a disposizione...”  Benji mi guardò incuriosito “Ha un carattere molto docile. A volte Kristine lo usa con i bimbi!”
“Penso che un giorno o l’altro accetterò l’invito.” disse la donna, alzandosi  “Ora, però, devo andare.”
“Non resti a cena?”
“No, caro, ho una relazione da stendere!”  e sorrise complice al figlio.
“Mi abbandoni anche tu?”  era un invito?
“Cos’è? Sei a corto di donne?”  lo canzonai.
“Ragazzine con cui uscire ne ho una fila, donne con cui parlare… beh, una ha appena detto che ha da fare, dall’altra aspetto una risposta.”
“Wow, un complimento! Domani nevica!”  mi guardò fintamente spazientito, incrociando le braccia e sbuffando a fior di labbra.
“Ok, resto… Tanto Marj sarà gia andata a letto, era stravolta! Solo…”
“Solo?”
“Chi la sente domattina! E’ una tua fan sfegatata e venderebbe l’anima al diavolo per una cena con te!” risi, pensando alla reazione della mia amica.
“Si può sempre rimediare…” e socchiuse gli occhi con fare malizioso. 
“Dovresti passare sul cadavere di Kris…”
“Ok, rinuncio…” replicò alzando lo sguardo al cielo con allegra rassegnazione “Ma stasera ti porto fuori!”
Sospirai, sorridendo e scuotendo la testa: quando prendeva una decisione, era impossibile fermarlo!

 

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Capitolo 7
*** 6 ***


Passarono giorni, settimane, mesi.
Arrivò Novembre e con esso l'inverno e le nevicate sempre più frequenti.
Uscire a cena col SGGK era diventata un'abitudine, quasi quanto l'allenamento mattutino, con la differenza che nelle lunghe serate le parole tra noi correvano a fiumi e il silenzio certo non regnava sovrano. Il mio amico era un ascoltatore paziente ma in quei mesi si lasciò anche andare a qualche confidenza che certo da lui mai mi sarei aspettata: mi parlò della sua famiglia, la sua vera famiglia, di quei compagni lontani coi quali non si vedeva più tanto spesso, dei suoi sogni di gloria e si, anche delle sue (molte) donne.
Altro argomento che non mancava mai nelle nostre chiacchierate: Karl Heinz Schneider.
Già...
Benjiamin aveva intuito che il suo capitano proprio proprio non mi era indifferente e cercava di rifilarmelo in tutti i modi, quasi come fosse un cavallo alla fiera! E solo perchè secondo il suo "modestissimo" parere, Karl era l'uomo col quale sarei stata felice ed al sicuro... Aveva la mania di proteggermi!
"Ma la pianti?!"  era una fredda sera di fine Novembre, nevicava forte ed eravamo usciti a cena nel nostro ristorante giapponese preferito  "TI- HO- DETTO – NO! Accidenti, Karl non mi interessa!"
"Come no…" replicò col solito sorrisetto furbo.
"Price, piantala!" lo fulminai con lo  sguardo, ottenendo soltanto che il sorriso si allargasse ancora di più. Lo divertiva provocarmi, senza nè malizia nè cattiveria. Solo per farmi tirar fuori un pò di grinta quando ero evidentemente in serata no e cominciavo a fare la vittima.
"E comunque, signor Cupido da quattro soldi" lo guardai scherzosa" per qualsiasi freccia tu voglia scoccare temo dovrai aspettare dopo l'8 di Dicembre!"
"Ah si? E come mai?"
"Il 7 a Milano è festa, e siccome, grazie a questo tempaccio infame, i vostri allenamenti sono fermi, mi son presa un paio di giorni per tornare a casa."
"Il 7 è festa? Ma pensa..." non mi sfuggì il tono leggermente ironico.
"Si, è festa, perchè ti sorprende?"
"Perchè il 7 è il mio compleanno..."
"Accidenti, e io sono via..." ero sinceramente dispiaciuta. Mi sentivo in debito perenne con lui e mi spiaceva non esserci proprio il giorno del suo compleanno. Mi capì al volo e, scrollando le spalle bevve d'un fiato il suo sakè "Non ti preoccupare, sono anni che non lo festeggio. Non è importante..."
Per lui forse non era importante, ma per me si!
E così partii come al mio solito, stile carroarmato...
"Beh, visto che sei alla soglia dei trent’anni si potrebbe anche ricominciare…"
"Primo, non sono trenta ma ventinove. E poi, sarò io a decidere, o no?!" replicò con un sopracciglio che scattava verso l'alto, con quell'aria tipicamente un pò scocciata che gli si dipingeva sul volto quando voleva fare il duro.
Ma con me non attaccava.
"Hai da fare il 7?" continuai.
Fece di nuovo spallucce e scosse il capo ma non gli diedi il tempo di parlare "Perfetto! Allora vieni con me!"
Mi guardò esterrefatto e trattenne una risata "Ma tu non volevi andare da tuo padre?"
Stava evidentemente cercando una scusa per scappare, ma non mi feci cogliere impreparata "Ho tutte le vacanze di Natale per stare con lui, e comunque da quando è in pensione è sempre in giro, quindi dubito di riuscire a vederlo molto in quei due giorni! Stai tranquillo" gli sorrisi maliziosa "non ho nessuna intenzione di presentartelo!"
"Non avevo dubbi..."
Ci pensò ancora  un po’ su, cercando di accampare blande scuse ed infine accettò.
"Ok, vengo. Milano l’ho già vista, qualche tempo fa, ma senza cicerone! Vorrà dire che lavorerai un po’ per me!" sorrise strizzandomi un occhio  "ma bada che non voglio feste di compleanno!"


Era sempre la solita, quando partiva, nulla poteva fermarla! Non poteva sapere dei ricordi che mi suscitava la sua città, non le avevo ancora raccontato niente…
Ancora? Stavo pensando, forse, di parlarle di cose che non avevo voluto confidare neppure al mio migliore amico?
Forse si… forse era giunto il momento di liberarsi di quel peso.
"Ne approfitterò per passere da un paio di persone che non vedo da un po’…" mi guardò incuriosita.
"Warner e Lenders…" continuai mentre lei faceva tanto d'occhi  
"Ma quei due…"
"Giocano a Torino, e allora?"
Scosse il capo, sospirò e si arrese. Sapeva che non si poteva discutere. Alla fine avevo avuto la mia piccola rivincita sulla sua tirannia...


Qualche giorno dopo ero in ufficio con Sonya a selezionare  foto e video per creare dei montaggi con musica incentrati sulle singole carriere dei nostri giocatori.
Avevo finito con Karl e avevo cominciato con le immagini più recenti di Benji, in quanto tutte facenti parte del nostro archivio e mi venne in mano la stessa foto che avevo visto a casa sua.
"Sonya, e questa?" pensai che la mia amica potesse darmi delle delucidazioni a riguardo. Ero curiosa...
"Uhm?"  si girò verso lo schermo del mio pc ma quando vide la foto s’incupì. Rimase un attimo in silenzio, poi chiese "Benji non ti ha ancora detto nulla, vero?"
No, mi aveva raccontato moltissimo della sua vita, ma nulla che avesse a che vedere con quell’immagine.
Sonya mi guardò molto seriamente, le braccia conserte, appoggiata in posa rigida allo schienale della sedia "Non te ne posso parlare, Ele, mi spiace… Se vuole te ne parlerà lui, io non posso…"
Non mi piacque il tono quasi drammatico che usò, mi trasmise una sensazione di angoscia che, associata al mio amico, mi fece preoccupare un poco per lui.
"Ok, visto che riguarda qualcosa di brutto, che ne faccio? E’ quella che avevate usato quell’anno per la vittoria della Champions. Ed è l’unica che ritrae Benjiamin in maniera decente in quella occasione! Che, direi, è un punto importantissimo della sua carriera…" non volevo curiosare nella vita del SGGK senza il suo consenso, ma quello era un piccolo, grande problema per quel che riguardava il  mio lavoro.
Sonya sospirò, comprendendo il mio dilemma "Chiedilo a lui. E’ l’unico che ti può dare una risposta. Io, stavolta, la responsabilità non posso prendermela. Mi dispiace, davvero..."  e riprese a lavorare, lasciandomi una brutta gatta da pelare.


Arrivò Dicembre. Con esso il giorno del mio compleanno…
"Ok, niente festa e niente regalo. Gli auguri posso farteli o mi mandi a quel paese?"  stavamo salendo in macchina, dopo il solito allenamento mattutino, alla volta dell’Italia.
"Accettati."
"Wow! Grazie, maestà!"  mi rivolse un sorrisetto ironico e cambiò argomento. Ormai mi conosceva bene, sapeva di aver ottenuto già molto costringendomi ad accompagnarla.
La lasciai davanti al portone di casa. Quando le dissi che ci saremmo visti la mattina dopo diede il solito sospiro di rassegnazione "Tanto con te non si discute, no?"
No, infatti.
Arrivai a Torino che gli allenamenti del pomeriggio erano appena cominciati.
Mark e Ed giocavano in quella città da quasi dieci anni…
Mi presentai al campo di allenamento ed al ct per poco venne un colpo  "Cos’è Price? Sei venuto a far da riserva a Warner?"
"Al massimo sarebbe lui a dover passare a fare la mia riserva!"
De Carli si mise a ridere  "Non cambierai mai! Volevi parlare con Ed e Mark? Te li vado a chiamare…"
"No, lasci stare. Aspetterò che finiscano. Grazie."
Rimasi in disparte a guardare l’allenamento.
"Ed è diventato veramente bravo… No, Ed è sempre stato molto bravo. Non è il primo portiere del Giappone solo perché ci sono io… Se mi sentisse Elena!"  sorrisi tra me al pensiero della ragazza che mi rimbrottava come al solito per il mio egocentrismo.
Mark aveva affinato parecchio il suo stile, in quegli anni in Italia, sarebbe stato un bel avversario nella Champions di quell’anno.
"Ma non mi segnerai da fuori area, amico! Scordatelo!"  guardai i miei compagni di Nazionale terminare l’allenamento e dirigersi verso gli spogliatoi. Mi avvicinai alla squadra e mi rivolsi loro in giapponese  "Noto con piacere che gli allenamenti in vista dell’ incontro con noi sono piuttosto duri. Paura di perdere?"
Si voltarono istantaneamente, Ed sorpreso ma calmo, Mark, come sempre quando c'ero di mezzo io, furioso.
"Price"  pronunciò il mio nome quasi con odio. Non eravamo mai andati d’accordo.  "Che diavolo vuoi qui?"
Mi strinsi nelle spalle “Sono sceso in Italia per affari personali e ho pensato di venirvi a trovare…”  il tono che avevo usato lo fece infuriare ancora di più, ma Ed lo anticipò "Non raccontare balle, cosa vuoi?”
"Ti devo parlare."
"Parla."  si piantò di fronte a me a braccia conserte. Il mio sguardo passò da lui a Mark e poi nuovamente a lui. Il portiere acrobata corrugò la fronte  "Cos’è, vuoi parlarmi a quattrocchi?"
Mark si fece avanti  "Ancora la storia del posto in Nazionale? Sei preoccupato Price? Non sei in forma e vieni a chiedere a Ed di farti giocare titolare comunque?"
Stavo per perdere la pazienza. "Lenders"  risposi a denti stretti  "fatti gli affari tuoi e sloggia!"
Ed lo fermò un istante prima che mi saltasse alla gola "Mark! Piantala! Vattene in spogliatoio. Voglio sapere cos’ha da dirmi il damerino."
Gli occhi della Tigre mandavano lampi, ma si lasciò convincere.
Restai solo con Warner.
"Allora? Non sei certo venuto qui per chiedermi il posto in Nazionale."
Mi appoggiai con le spalle alla recinzione e per un attimo non gli risposi.
"Questo sarà il mio ultimo Mondiale." 
Mi fissò in silenzio.
"Perché?" 
"Sarà così e basta. Volevo che lo sapessi. Hai giocato per anni come riserva. Non credere"  lo guardai fisso negli occhi  "sarai il mio secondo anche stavolta."
"Credi?"  replicò con un sorriso ironico, sicuro.
"Ci giocheremo il posto in Nazionale nelle partite di Champions, lo sai. Con questi Modiali si chiuderà la mia carriera e li giocherò da titolare, costi quel che costi!"  non avevo distolto lo sguardo un solo istante dal suo. Volevo che capisse che quella volta non ci sarebbero stati né dubbi né discussioni. Per quel che mi riguardava c’era troppo in gioco.
"Voglio che lo sappia anche Mark."
"Perché?"
Mi allontanai dalla rete e gli passai accanto "Diglielo. E basta. Ci rivedremo alla partita"
Stette in silenzio un attimo, poi si voltò a chiedermi  "Marshall lo sa?"
Mi fermai  "No."
Ancora silenzio.
"Ci vedremo alla partita." non gli diedi modo di replicare e me ne andai.
Sapevo di aver raggiunto il mio scopo.

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Capitolo 8
*** 7 ***


Arrivò puntuale come il suo solito alle nove sotto casa mia.
Salii in macchina senza far domande, anche se mi spiaceva non poco non aver potuto festeggiare il suo compleanno, ma d'altronde lo sapevo bene: lui era fatto così, quando prendeva una decisione non c'era verso di fargli cambiare idea.
"Allora, signorina, dove avresti intenzione di portarmi?" chiese col suo solito sorrisetto sulle labbra.
"Mmmm" affondai nel sedile con gli occhi al cielo per poi riportarli su di lui "Allo stadio credi di saperci arrivare?"
Scosse il capo e avviò l'auto con una risatina sommessa.
Milano il giorno dell'Immacolata è un inferno: il caos provocato dalle bancarelle, dai mercatini che spuntano nelle piazze, davanti alle chiese, si sovrappone a quello quotidiano, amplificato dalla  frenesia per le feste natalizie che si avvicinano. Eppure è proprio in quel periodo che è ancora più bella da visitare, forse proprio perchè un poco si spoglia di quella sua veste di città seriosa che indossa durante tutto l'anno.
Costrinsi il mio amico ad un bel tour de force e, se non lo colpì allora la sindrome di Stendhal, credo non gli verrà più!
Apprezzò il giro turistico tra le bellezze della mia città e non fece domande notando che mi ero tenuta il più lontana possibile dalla piazza del Duomo.
Avevo i miei perchè...
La sera lo condussi ad un ristorante al quale ero molto affezionata, e mi sorprese il suo atteggiamento.
"Qui?" chiese immobilizzandosi davanti all'ingresso, restando per un lungo attimo a fissare la porta.
"Si, perchè?" lo guardai un poco preoccupata, ma si riscosse quasi subito, scuotendo il capo e chiudendo gli occhi, come a cancellare vecchi ricordi.
"Avanti, signorina! Con tutto quello che mi hai fatto camminare, ora ho fame!" e mi spinse all’ interno sorridendo allegro, come se nulla fosse successo.


Che coincidenza incredibile!
Lo stesso locale di qualche anno prima...
Proprio la sera che avevo deciso di parlarle.
"Ehi, ci sei?"  non la stavo ascoltando e mi richiamò all'ordine passandomi una mano davanti agli occhi.
Sospirò "Ok, portiere, ma che diavolo hai?"
La fissai per un attimo in silenzio.
"Questa non è la prima volta che visito la tua città… E non è neppure la prima volta che vengo qui… Hai una bella mira, signorina!"
Restò stupefatta, e anche un poco amareggiata.
"Mi spiace… Ecco, lo sapevo! Parto sempre come un carroarmato e…"
"E hai fatto bene! Era tanto che ci volevo tornare. E comunque la prima volta non avevo una guida brava come te!"
"Mmmm… grazie... però..."
"Però mi manca un pezzo importante di città, o sbaglio? E' tutto il giono che ci giriamo attorno..."


Intrecciò le dita sotto il mento e mi guardò dritto negli occhi con quella espressione un pò ironica ed un pò maliziosa che mesi addietro mi avrebbe mandata in bestia.
Sospirai e risposi "Il Duomo è bello di giorno, però… Di sera è stupendo! E, soprattutto, non c’è la calca che c’è di giorno."
"E a te la calca non piace…"
"No. E il Duomo mi piace di più di sera. Ok?"
Finimmo la cena e si lasciò trascinare in piazza.
L’effetto fu quello desiderato: di sera, illuminato, il sagrato quasi completamente sgombro dalla folla che la occupa di giorno, il cielo limpido di una bella sera d’inverno che risplendeva tra le guglie, il Duomo si presentava come uno spettacolo affascinante.
Non voleva essere una serata romantica, era solo una cosa bella che desideravo condividere con una persona cara, alla quale dovevo un favore enorme e che non voleva in alcun modo farsi ripagare.
Usciti dalla metro, la facciata della cattedrale occupò la nostra visuale.
A me fa sempre un certo effetto e lo fece anche a lui.
"Avevi ragione." disse cingendomi appena le spalle "molto, molto più bello di notte che di giorno!"
"Ovviamente, tu c’eri stato di giorno…" non volevo essere curiosa. Mi era venuta spontanea, ma avevo evidentemente toccato un brutto tasto. S’incupì all’improvviso, distolse lo sguardo per concentrarsi sulla chiesa.
Mise le mani in tasca. Rimase in silenzio per un minuto e poi, sempre senza guardarmi, disse "Vieni" e si avviò verso le scale della cattedrale.
Lo seguii senza fiatare.
Fece due scalini, alzò il viso ad osservare le grandi vetrate che campeggiano sulla facciata, sorrise e si sedette, inviandomi con un cenno del capo a mettermi accanto a lui. Rimase ancora in silenzio. Lo sguardo perso in avanti a fissare nel vuoto, le braccia sulle ginocchia.

"Ce l’hai fatta, piccola rompiscatole! mi hai messo in buca!
Anche se, per la verità, forse un po’ me la sono cercata..
Ora  però sono qui ed il peso che ho dentro è diventato troppo opprimente. Questo posto suscita fa riaffiorare così tanti ricordi..."
Sapevo cosa dovevo fare ed in fondo mi ero fatto trascinare in Italia proprio per quello.
Ma non era facile. Erano anni che non ne parlavo con nessuno.
E, comunque, a nessuno avevo mai detto l’intera verità.
Guardai con la coda dell’occhio la ragazza che mi stava accanto. Si stava godendo la vista di quel luogo che le era tanto caro. Non mi chiedeva nulla. Aspettava e basta.
"Incredibile" pensai "E’ la prima donna da almeno due anni con la quale non ci provo… E non è da dire che sia una brutta ragazza! Solo… " non lo trovavo giusto. Un po’ per quello che le era capitato, un po’ perché, mi resi conto in quell’ istante, mi ero affezionato molto a lei. Fu come un fulmine a ciel sereno. Sorrisi tra me. Già, mi aveva conquistato con quel modo di fare che era un po’ anche il mio. Mi guardava sempre dritto negli occhi, non mi risparmiava né sarcasmo, né rimbrotti. E mi ascoltava senza chiedere niente.
"Ok, Price, coraggio! E’ ora di vuotare il sacco!"  mi dissi, e mille ricordi affollarono la mia mente…
Avevo seguito il mio istinto, avevo dato ragione a Karl ed alla mia voglia di vincere.
E avevo perso.
Non solo! Mi ero pure giocato il posto in squadra.
Ero furioso col mister che ci aveva costretti a giocare un gioco inutile ed insulso, al quale mi ero ribellato, tentando di portare la squadra alla vittoria. Ma la fortuna quel giorno non era stata dalla mia.
Uscii dallo stadio in silenzio, gli sguardi dispiaciuti dei miei compagni sulle mie spalle e le parole di alcuni tifosi amareggiati nelle orecchie.
Il cellulare squillò e lo spensi.
Tornare ad Amburgo non sarebbe stato un problema e comunque avevo bisogno di starmene per i fatti miei.
Girai per le vie di Monaco senza meta. Allora non la conoscevo come la conosco oggi, e mi imbattei in un pub ancora aperto nonostante l'ora tarda.
Entrai. Era deserto. Meglio così, pensai. Dietro il banco un uomo grosso, pochi capelli rossi e ricci ed un viso cordiale.
"E’ aperto?" chiesi.
"Prego! Si accomodi! Stiamo per chiudere, ma una birra non si nega a nessuno!" dall’accento compresi che non era tedesco. Inglese, forse. Con un vocione allegro richiamò l’attenzione della figlia, che mi dava le spalle mentre sistemava le bottiglie su un ripiano.
"Kim, una birra per il signore! Sembra averne bisogno!"
Non avevo chiesto nulla, ma andava bene così.
"Ok, papà! " rispose allegra la ragazza. La osservai meglio. Piccola di statura, non magra ma… sottile. Quest’impressione accentuata dall’enorme massa di capelli ricci rosso rame che le scendevano sulla schiena.
Quando si voltò per spillarmi la birra rimasi esterrefatto. Non era bellissima, no. Un viso tutto sommato abbastanza comune, carico di lentiggini su una pelle chiarissima ed un fisico niente di chè, però… Occhi verdi enormi, ben disegnati, limpidi come un lago di montagna. E che non lasciavano scampo. Non per altro, ma ti guardavano dentro senza fare troppi complimenti.
Mi sottrassi da quello sguardo calando il cappello sugli occhi ma mi riconobbe comunque.
"Guarda guarda chi abbiamo l'onore di avere qui! Il portiere che si lancia all'attacco del Bayern Monaco!"
Mi voltai di scatto verso di lei. Ma come osava trattarmi a quel modo! Mi guardava tranquilla, dopo aver fatto quell’osservazione, mentre mi preparava la birra.
"Deve ammettere, Herr Price, che quell'azione è stata piuttosto sfortunata..."
Non avevo voglia di parlare della partita, mi ero allontanato dagli altri proprio per quello. Le ferite al mio orgoglio facevano ancora troppo male...
"E lei che ne sa?..."
Fece spallucce e mi servì senza abbassare lo sguardo "Non ci vuole un genio, no?"
Mi alzai fissandola e feci per andarmene.
"E la birra?"
"Tranquilla che gliela pago.”
"Non mi interessa che la paghi, la offro io."
Mi voltai nuovamente verso di lei  "Non ho bisogno della tua carità." era già una brutta serata e quella ragazza mi stava dando sui nervi. Pensare che ero entrato lì dentro per starmene per i fatti miei!
"E' stata un'azione disperata. Ti è andata male ed in un certo senso hai regalato la vittoria alla mia squadra. Cos'è, pensavi di essere un superuomo invicibile, costantemente baciato dalla fortuna?"
Tornai verso il bancone e, appoggiandomi ad esso, mi sporsi e le parlai col viso molto vicino al suo "Sai chi sono, vero?"
Non si spostò. Mi rispose inclinando la testa da un lato "Si."
"Sai quanti goal ho subito nell’ultima stagione?"
"Price" strinse leggermente gli occhi "sei la bestia nera di tutti gli attaccanti della Bundesliga, e non solo…  Ma stasera sei stato costretto a giocare d'azzardo nel tentativo di portare la tua squadra alla vittoria. E ti è andata male. Quindi, visto che ho l’onore di averti qui, ti offro una birra, ok?"
Rimasi a guardarla. Non volevo dargliela vinta. Ma quel suo modo di fare schietto  mi piaceva.
"Ok." e mi risedetti al mio posto  "In fondo, me la sono meritata!"
"Si, decisamente!" e mi sorrise da dietro il bancone.
Bevvi con calma mentre la ragazza e suo padre riordinavano il locale. Parlavano tra di loro, in inglese…
Dopo una mezz’ora  si sedette accanto a me, appoggiandosi con un gomito al banco e guardandomi di nuovo dritto negli occhi.
"Tu e tuo padre non siete tedeschi. Inglesi?"
Mi guardò inorridita  "No! Irlandesi!"
Sorrisi per la foga con la quale mi aveva risposto.
"Ma non hai letto il nome del locale?" mi riprese quasi stizzita.
"No. Avevo altro per la testa." distolsi lo sguardo dal suo. Era come essere continuamente sotto esame.
"L’irlandese volante."
"Come?"  era un  modo come un altro per cambiare argomento.
"Mio padre è venuto in Germania dopo che mia madre morì, circa otto anni fa."
Rimasi spiazzato da quella confidenza tanto personale. Se ne accorse e mi sorrise  "Acqua passata! Ora siamo qui, e continuiamo il suo sogno! Questo è l’importante!"
Era  piena di allegria e voglia di vivere. Saltò giù dallo sgabello e girò dietro la spina della birra per riempirsi un piccolo boccale.
Quindi tornò a sedere accanto a me.
"In fondo per stasera un po’ mi dispiace…"
"Ah, si? Non mi pareva…."
"E' stato spiacevole vedere l'Amburgo giocare a quel modo, difendersi senza attaccare. La tua azione è stata un bel piglio d'orgoglio, ed è un vero peccato che sia finita così... L'allenatore non l'ha presa bene, vero?"
Puntai lo sguardo sul boccale ormai vuoto nel quale un rivolo di schiuma stava lentamente raccogliendosi sul fondo "No, non l'ha presa bene... Temo che per un pò sarò fuori squadra."
"Ma non è giusto! Si gioca per vincere altrimenti dov'è il divertimento? Dov'è lo scopo del giocare a calcio? La tua è stata l'unica azione decente dell' Amburgo di tutta la partita!" aveva pronunciato quelle parole con enfasi, ricordandomi, in un lampo, quelle dette dal Kaiser sul campo solo poche ore prima.
"Grazie." le dissi alzandomi.
"E di chè?" chiese, spalancando sorpresa gli enormi occhi verdi.
"Di aver dato la risposta alle mie domande. Mi chiedevo se avevo fatto la cosa giusta, stasera. E la risposta è si. Perchè se non si gioca per vincere non c'è divertimento. Ed io continuo a divertirmi quando gioco a calcio, nonostante tutto!"
Scesi dallo sgabello e feci per portare la mano al portafogli.
"Ti ho detto che offro io, campione!" disse sottolineando l’ultima parola con un sorriso  "Ma pretendo che la prossima volta che passerai di qui, avrai giocato in porta tutti e novanta i minuti della partita!"
"Vuoi veder perdere la tua squadra?" le sorrisi di rimando.
"Scherzi? E’solo che non c’è gusto a vincere se in porta non c’è il SGGK!" mi strizzò un occhio mentre uscivo dal locale.
Tornai…
Quei mesi erano stati veramente tutti in salita.
Avevo dovuto faticare, lottare per riconquistare il mio posto in squadra. Non fu facile, ma alla fine il mister dovette cedere, anche se, purtropo per noi, ormai le speranze di entrare in Champions erano completamente perdute.
Quando si tenne il ritorno col  Bayern  giocai tra i pali tutti e novanta i minuti. Vincemmo la partita. Karl dette fondo ad ogni astuzia ma non lo feci passare ed i ragazzi in attacco rimediarono un fortunoso ma provvidenziale goal.
Tornai  a Monaco, nel bar di Kim. Mi accolse con un gran sorriso e un boccale di birra. Irlandese…
"Spiacente… avete perso!”
Fece un finto broncio corrucciando le labbra "Mmmm, quasi quasi ti preferivo in panchina!" disse, risfoderando il suo solito, limpido sorriso.
In quei mesi c’erano state diverse ragazze, ma nessuna importante e più di una volta avevo ripensato a quella conversazione con la piccola irlandese.
Rimasi fino all’ora di chiusura per poter parlare di nuovo con lei con calma.
Tornai altre volte a Monaco e non solo in occasione delle partite…
E le ragazze nella mia vita diminuirono, fino a sparire.
Poi, un giorno, finalmente accettai la proposta che Karl mi aveva fatto più volte per conto della sua squadra.
"Buonasera! Ehi, ma mica c’è aria di partita!" gli occhi  verdi erano luminosi come non mai.
"Veramente, d’ora in avanti, non dovrai più temere per la tua squadra…" mi appoggiai con le braccia al bancone, sporgendomi verso di lei.
Si appoggiò a sua volta coi gomiti, tenendosi il viso tra le mani  "Ah si? E come mai? Non sei abbastanza vecchio per andare in pensione!"
Sorrisi al suo sarcasmo e annunciai  "Avete appena acquistato il miglio portiere della Bundesliga ed oltre!"
"Waaaaa! Grande!"
Volò letteralmente  fuori dal banco e mi saltò al collo abbracciandomi.
La invitai a cena.
"Posso, papà?"
Shaun Ryan ci guardò sorridendo, passando lo sguardo dalla figlia a me. Annuì piano più volte e, alla fine, disse "Come no, figlia! Certo…" e puntò i piccoli occhi verde scuro nei miei. Era l’avvertimento di un padre premuroso.
Fu la serata più bella da quando ero giunto in Germania. Kim era bellissima.
Fu anche la prima volta che mi trovai in difficoltà con una donna.
Perché, quella volta, ero innamorato.
Come al solito fu lei a togliermi dagli impicci.
Fuori dal ristorante ci avviammo a piedi verso il centro, abbracciati e in silenzio.
Giungemmo in piazza. Kim si fermò all'improvviso e mi guardò, piuttosto spazientita. Fissò quel suo sguardo verde smeraldo su di me, squadrandomi e sospirando "Allora?" chiese.
Al momento non capii  "Allora, cosa?"  o forse ero troppo spaventato da quel sentimento per capire.
Chiuse gli occhi, sospirò profondamente, mi buttò le braccia al collo e premette le sue labbra sulle mie.
Era la prima volta che non ero io a prendere l’iniziativa. Mi sentivo un’idiota perché quella avrebbe dovuto essere l’unica volta in cui avrei proprio dovuto farlo… ma fu meglio così.
Ricambiai quel bacio… ed i successivi.
Il mio soggiorno a Monaco cominciò così: una nuova vita e un nuovo sentimento. Proprio io, che avevo sempre rifiutato l’amore.
Kim era eccezionale. I miei compagni mi prendevano in giro perché, dicevano, non era possibile che una ragazza dolce ed adorabile come lei si fosse innamorata di un tipo duro ed arrogante come me. Quando li sentiva rispondeva semplicemente che a lei piacevo così e che non avrebbe cambiato una virgola del mio pessimo carattere.
Ero l’uomo più felice del  mondo!
Purtroppo, un giorno, la nostra felicità venne turbata da un evento terribile.
Era aprile. Un piovosissimo aprile. Eravamo più o meno a metà dell’allenamento pomeridiano quando il mister mi chiamò fuori dal campo.
Non capivo chi potesse essere a quell'ora. Arrivai nell’atrio della sede cercando di asciugare almeno i capelli fradici d'acqua e vi trovai Kim che mi dava le spalle.
"Amore, che succede?"
Si voltò di scatto, il viso stravolto, le lacrime che scendevano copiose dai grandi occhi arrossati. Mi si buttò tra le braccia ed iniziò a singhiozzare violentemente.
Lasciai cadere a terra l’asciugamano e l'abbracciai.
"Calma, tesoro, calma…" la stringevo senza capire, accarezzandole e baciandole i riccioli rossi zuppi di pioggia.
"Benjiamin, papà…"
"Cos’è successo?"
Singhiozzò ancora. Poi rivolse il viso verso di me, e con un filo di voce disse  "E’ morto…"
Mi colpì come un pugno allo stomaco. Com’era possibile? Quel grosso uomo gioviale e pieno di vita? Col quale avevamo discusso e riso solo che poche ore prima, la sera precedente, nel suo pub…
"Infarto…"  seppe solo spiegarmi, prima di riprendere a piangere. Da quel momento, mi resi conto, nella sua vita ero rimasto solo io.
La portai a casa mia. La feci calmare. Insieme decidemmo il daffarsi. Il funerale. La gestione del pub. La sua laurea.
"Tu vieni ad abitare qui."
"Cosa?" sembrava non credere alle mie parole  " ma…"  cercò di opporsi debolmente.
"Niente ma! Tu non vivrai da sola in una casa piena di ricordi che ti fanno stare male.Volevo già chiedertelo, in realtà… Ne avevo anche parlato con Shaun.”
La guardai. Le lacrime non solcavano più il suo viso. "Cosa ti ha detto?"
Le parole di suo padre erano legge per lei, per quello mi ero rivolto prima a lui. Chi avrebbe mai pensato che gli eventi si sarebbero svolti a quel modo…
"Aveva detto si…" mi sedetti accanto a lei e la strinsi. Sentii nuovamente il suo corpo venire scosso dal pianto.
Passò il funerale. Passò la laurea. Kim venne ad abitare con me.
Eravamo felici, veramente felici!
Il dolore per la perdita del padre era una presenza costante, ma lei reagiva con forza. Andava avanti. Come avrebbe voluto lui
Kim si era laureata in scienza della comunicazione, e per un caso fortuito il predecessore di Sonya era rimasto senza assistente.
Non volle raccomandazioni ma non furono necessarie, era bravissima, zelante e competente e venne assunta subito. 
Erano passati almeno sei mesi da chè era venuta ad abitare con me, che mi venne a trovare mia madre.
Da quando avevo litigato con mio padre la vedevo ancor meno di prima.
Fu sorpresa, molto sorpresa della presenza di Kim.
Ma la mia piccola irlandese l’ammaliò, esattamente come aveva fatto con me.
Non pensai minimamente alle conseguenze di quella visita. Era da tempo che non pensavo ai guai con mio padre.
Pochi giorni dopo, al rientro dagli allenamenti, trovai una grossa Mercedes nera davanti a casa.
Sapevo cosa voleva dire. Non appena mi avvicinai al portone, l’autista scese ad aprire la portiera a mio padre.
Continuai a dare le spalle all’auto e ai suoi occupanti.
"Benjiamin!" mi sentii chiamare.
Strinsi i denti. Non volevo né vederlo né parlargli.
"Ti sembra il modo di trattare tuo padre?"
Respirai forte, trattenendomi. Mi voltai e l’affrontai  "Cosa diavolo vuoi da me?"
"Ti devo parlare."
"Parla."  non avevo alcuna intenzione di farlo entrare in casa mia.
"Non pretendo di essere invitato, ma non sono cose di cui discutere in mezzo ad una strada."
Mi arresi, anche perché diverse persone si erano soffermate a curiosare.
"Ok, sali." gli voltai le spalle e salii le scale.
Giunti nel mio appartamento, chiusi la porta e mi preparai ad affrontare l’ennesima battaglia.
Richard Price, mio padre, era in piedi di fronte a me. Sicuro di se, determinato. La sua solita espressione sprezzante.
"Tua madre mi ha portato notizie della tua nuova vita. Sembra che tu abbia trovato una ragazza decisa a sopportarti."
Non capivo cosa volesse da Kim, e la cosa non mi piaceva.
"Forse, però ti sei dimenticato di un piccolo particolare." continuò, fissando il suo sguardo  nel mio. Non mi piaceva per nulla il suo tono.
"Cosa vuoi? Cosa vuoi da me e da Kim?"
"Volere da voi? Nulla! Sono solo qui a ricordarti i tuoi doveri."
"Non ho doveri verso di te. Ti ricordo che ormai è già qualche annetto che non mi mantieni più."  mi piazzai davanti a lui, a braccia conserte, lo sguardo dritto nel suo.
"Lo so. Ma sei comunque mio figlio. Il mio unico figlio. E sarai comunque l’erede del mio patrimonio." cercò come il suo solito di farmi pesare quelle parole.
"E allora?"
"Forse la vita da calciatore ti ha fatto dimenticare il mondo dal quale provieni."
"Non mi pare di essere un marziano!" gli risposi ironico.
"Poco sarcasmo, figlio! Ti ricordo che la nostra è una delle famiglie più importanti del Giappone! Ed è solo perché te l’ho concesso che sei ancora in giro per il mondo a divertirti col calcio, invece che essere a prenderti le tue responsabilità!"
Il solito discorso…
"Ascolta, sai benissimo perché sono quello che sono. E’ solo colpa tua. O merito tuo! Il calcio è divento la mia ragione di vita, la squadra la mia famiglia, semplicemente perché TU mi hai mollato a dieci anni da solo in Giappone! Cosa diavolo vuoi ancora da ME!?"
Mi fissò un momento e poi esordì "Quella ragazza non fa per te!"
Caddi letteralmente delle nuvole! Come poteva dire una cosa del genere! Di Kim! Che neppure conosceva!
La rabbia prese il sopravvento "Fuori di qui!"
Non si mosse, anzi la sua figura perve farsi ancor più inamovibile dinnanzi a me "Scaldati quanto vuoi. Sai benissimo come funzionano le cose…"
Certo, matrimoni combinati e via dicendo... Non ne avevamo mai parlato, ma c’era da aspettarselo! Tanto, per lui, ero solo un burattino da manipolare per i suoi interessi.
"Scordatelo!" ringhiai minaccioso.
Se ne andò. Passandomi accanto mi sibilò un : "Ne riparleremo."
Quando uscì dalla porta , chiusi gli occhi tentai di calmarmi.
Poi mi sedetti pesantemente sul divano tenendomi la testa fra le mani. Sapevo che non sarebbe stata la sua ultima visita. Sapevo che da quel momento sarebbe stata una lotta continua e senza quartiere.

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Capitolo 9
*** 8 ***


I ricordi lo avevano travolto. 
Non stava parlando con me… stava solo ricordando. Fatti, persone, emozioni, sentimenti sepolti da tanto, troppo tempo.
Fissai per un po’ quel bel profilo regolare e quegli occhi neri che avevo tante volte visto ardere come carboni ardenti. Ora erano persi in un lontano passato, fissi a guardare scene già viste.
"Sei sicuro di voler continuare?" chiesi sottovoce.
Chiuse un secondo le palpebre e sospirò  "Si, devo… E’ troppo tempo che devo alleggerirmi di questo peso." si voltò verso di me "Tu, piuttosto, sei certa di volermi ascoltare?"
Gli sorrisi  "E, secondo te, gli amici a cosa servono, scusa?"
"Grazie." e volse nuovamente lo sguardo alla piazza, continuando il suo racconto.

Non so quanto dopo che mio padre era uscito dall’ appartamento, Kim rientrò a casa. Mi trovò seduto sul divano, totalmente immerso nei miei pensieri. Comprese al volo che c’era qualcosa che non andava.
Le raccontai dell’incontro con Richard, della sua velata minaccia. Non capiva. Ma come avrebbe mai potuto capire una situazione del genere, lei, amata e adorata dai genitori che erano sempre stati al suo fianco! Buffo, no? Quanto fossimo complementari in tutto, io e lei! Kim aveva sempre avuto l’appoggio incondizionato di due genitori amorevoli che, disgraziatamente, erano venuti a mancare troppo presto. Io, nonostante li avessi ancora entrambi, li consideravo poco più che estranei ed erano praticamente sempre stati assenti per tutta la mia vita.
"Non posso credere che ti abbia detto una cosa del genere!" non avevo mai visto quei bei occhi verdi tanto infiammati d’ira "Ma come può!"
Le sorrisi stancamente  "Amore, sono almeno vent’anni che va avanti questa storia… Te l’ho già detto: mio padre non condivide la mia vita, non condivide il fatto che mi sia allontanato da lui, dalla famiglia, dagli affari..."
"Ma se l’è cercata lui! Ti ha mollato da solo a dieci anni in Giappone! E cosa pretendeva? Non può prendersela con te, con le tue scelte, con la tua vita, col calcio! Ma che ragionamenti!" si era seduta accanto a me e mi abbracciava tenendo la testa appoggiata alla mia.
"Mi ha lasciato fuori dalla sua vita per anni, per poi pretendere che corressi da lui. Se penso…" ricordi lontanissimi, di quando ero piccolo e mio padre era a casa, accanto a me…
"A cosa pensi?"
Mi alzai e la presi per mano "Vieni, ti mostro uno dei motivi per cui mio padre ce l’ha tanto con me!" mi guardò incuriosita ma non fece domande e mi seguì.
La portai in camera ed aprii l’anta dell’armadio dove tenevo le mie divise. Ne spostai alcune, presi un vecchissimo pallone e glielo porsi. Lo tenne tra le mani, non comprendendo.
"E’ stato uno dei primi regali che mi fece mio padre... Ero piccolissimo, e l’ho sempre tenuto e portato con me..."
Rimase un attimo in silenzio, fissando quella vecchia palla di cuoio, consunta dal tempo e dall’uso. Poi fissò di nuovo il suo sguardo verde smeraldo non mio  "Tu non lo odi… O meglio: tu gli ha sempre voluto bene, ma non gli perdoni di averti lasciato, giusto?"
Ripresi il pallone e lo rimisi al suo posto  "Già… Mi regalò questo pallone, perché anche lui amava il calcio. Freddy, il mio allenatore, era un suo amico di vecchia data. Mi affidò a lui proprio per quello, non solo perché è un ottimo trainer. Ma se ne andò per troppo tempo. Non tornava se non per impegni di lavoro. Quasi mai per me. All’inizio della mia carriera era entusiasta dei miei successi… poi, quando venni in Germania, si accorse che ormai questa era la mia vita. Ed iniziò a mettermi i bastoni fra le ruote… A diciott’anni decisi che non mi sarei più fatto tiranneggiare e mi presi un appartamento per conto mio…"
"Ti ha lasciato in buone mani… ma la situazione è sfuggita al suo controllo… E quando ha cercato di riprenderlo, era troppo tardi." mi abbracciò  "Io non penso che tu odi veramente tuo padre."
"Ah no? E allora, signorina, perché mi viene da spaccargli la faccia ogni volta che lo vedo?"
Mi guardò facendomi una smorfia  "Perché hai un caratteraccio, Benji Price!"  e poi, seriamente "Perché ti senti tradito, e vorresti che ti apprezzasse per quello che sei… E non credo, alla fine, che anche lui ti disprezzi, sai? Se ti disprezzasse, non farebbe di tutto per farti mollare tutto per averti con sé, al suo fianco. Non credi?"
Non ci avevo mai pensato… Non avevo mai pensato che, effettivamente, se mio padre mi avesse disprezzato, di certo non mi avrebbe voluto come suo successore… Certo, sono figlio unico, ma Richard Price ha almeno tre nipoti, figli dei miei zii, che lavoravano già allora nell’azienda… Perché incaponirsi con me? Solo perché ero suo figlio? Solo per orgoglio? Forse…
"Kim…"
"Voi due dovreste parlare. Da soli e tranquillamente."
"Non è possibile, sono vent’anni che ci proviamo! E adesso, con questa storia che non sei la donna adatta a me..." le parole di mio padre mi tornavano alla mente, facendomi rimontare in rabbia.
Kim sospirò paziente  "Anche quello… Forse per te vuole una donna del tuo rango, in grado di aiutarti nell’azienda..."
Non la feci finire  "Tu vai benissimo! E non parlarmi di ranghi, per favore!"
Il suo sguardo fu compassionevole "Il solito Benji… Ahaaa che palle! Io di certo non ti mollo, solo perché lo dice tuo padre!" detto questo, mi strinse ancora più forte e mi dette un lungo bacio, per poi staccarsi all’improvviso e guardarmi pensierosa.
"Che hai?" chiesi.
"Mmmmm… dì un po’, ma il matrimonio dei tuoi era combinato?"
Mi prese del tutto alla sprovvista. "N-non… non lo so! Francamente non mi è mai venuto in mente di chiederlo!"
"Ok, informati!" e mi dette un bacio sulla guancia, liberandosi dal mio abbraccio  "Io, tanto che ci pensi, vado a preparare la cena!"  e se ne andò allegramente in cucina, lasciandomi perplesso ed imbambolato nel mezzo della camera da letto.
Il giorno seguente andai agli allenamenti con la testa in subbuglio. Lavorai distrattamente e se ne accorsero tutti, ma nessuno fece domande.
Ripensavo alla sera precedente, a mio padre, ai nostri litigi, a quello che mi aveva detto Kim… E, soprattutto, alla sua domanda.
Solo una persona poteva rispondermi. Lo chiamai quella sera stessa, subito dopo gli allenamenti del pomeriggio.
"Benji! Ciao! Tutto bene? Dimmi, è successo qualcosa?"
Era stato come un secondo padre… E mi aveva sempre trattato come un figlio.
"Ciao Freddy! Tutto bene, grazie! No, non è successo nulla in particolare, solo, avevo una domanda da farti..."
"Dev’essere ben importante per chiamarmi alle otto del mattino!"
Presi un respiro, non era facile parlargli dei miei…
"Ascolta, Freddy, tu conosci i miei genitori da una vita… Da prima che si sposassero?"
"Ma… che domande?! Benji, che succede?"
"Per favore, rispondi!"
"Si, da prima che si sposassero. Ma mi vuoi spiegare..."
"No, non posso… è meglio di no! Per favore, rispondimi senza far domande! Il loro è stato un matrimonio combinato?"
Silenzio…
Aveva capito. Anni di litigi tra me e mio padre, tra il suo pupillo ed il suo migliore amico… Lo sentii sospirare "No, il loro non è stato un matrimonio combinato… Si conobbero al liceo, si innamorarono e si sposarono."
"Grazie."
Silenzio.
"Forse è meglio che faccia una chiacchierata con Richard..."
"No, lascia perdere! Me la cavo da solo! Non ho più dieci anni, Freddy!"
Un altro sospiro "Ok, come vuoi... Ricordati che se hai bisogno di una mano con tuo padre…"
"Grazie. Lo so. A presto!"
Tornai a casa e riferii a Kim della telefonata. Il suo viso s’illuminò di un gran sorriso, mentre mi riempiva il piatto  "Ok, signorino Price! Ora hai la tua carta da giocare! Vediamo se te la cavi bene in attacco quanto in porta!" e mi fece l’occhiolino.
Passarono le settimane.
Mio padre non si fece risentire.
Io non lo chiamai.
Vivevo serenamente la mia vita con Kim, giorno per giorno, aspettando la bomba…
Che non tardò a scoppiare.
Arrivò per raccomandata. La ricevette Kim. Non la aprì fino al mio arrivo.
Era di uno degli avvocati giapponesi di mio padre. Ed era decisamente una minaccia. Il consiglio della famiglia Price mi metteva alle strette: se non avessi rinunciato alla mia carriera entro un anno, mi avrebbero diseredato ed il posto di mio padre, a tempo debito, sarebbe stato preso da mo cugino Kevin. Per non perdere i miei diritti, inoltre, avrei dovuto accettare il matrimonio con tale Melody Krone, già, per altro, stabilito in precedenza, e di cui io non sapevo assolutamente nulla.
Ero un furia!
"Ma che vadano al diavolo! Loro, la loro azienda ed i loro loschi affari!" appallottolai la lettera e la scagliai con violenza contro una finestra.
"Calmati!"
"Ma come puoi dirmi di calmarmi! Potrei pure capire la richiesta di abbandonare il calcio! E’ impensabile, ma, tutto sommato, logica! Ma chiedermi di lasciare TE! Sono pazzi!"
Ero in piedi, nel mezzo del salotto. Kim seduta sul divano, i gomiti sulle ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani, Lo sguardo sereno… Ma come faceva a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno?!
"Calmati e siediti!"  mi sorrise… e mi disarmò. Come sempre. Cedetti e mi misi accanto a lei.
Cominciò a parlare piano, con calma "Cos’ hai studiato?"
La guardai sorpreso… Stavo finendo di laurearmi in ingegneria gestionale. Non era facile, tra partite, allenamenti, ritiri.Ma non mi interessava finire nei tempi canonici. Non avevo fretta.
"Lo sai… perché me lo chiedi?"
"Benji, un campione come te potrebbe pure fare a meno di una laurea… per di più di una laurea del genere! Senza contare che, ogni tanto, segui pure i corsi di lingue!" mi rivolse uno sguardo di rimprovero.
"Quello perché mi piacciono... e, magari, mi servono pure, col lavoro che faccio!"
"Ingegneria gestionale non c’entra molto col calcio… Mica ti aiuta a gestire la difesa del Bayern!" stavo per ridere… poi capii dove voleva andare a parare… Aveva fatto centro.
Come al solito…
Riprese seria  "Tu stai studiando perché sai che un giorno dovrai prendere il posto di tuo padre. Perché non è vero che non te ne frega niente! Perché, in fondo (me lo hai detto tu stesso diverse volte) tuo padre ha sacrificato tutto, te compreso, per rimettere i sesto un’azienda che stava andando a rotoli! Ed è stato grande… E, nonostante tutto, tu lo ammiri per questo."
Il su sguardo era pesante da sopportare. Le sue parole verissime.
"Non voglio perderti… Il calcio… è la mia vita. Hai ragione quando dici che al posto del cuore e del cervello ho un pallone! Ma non si può giocare in eterno… Le carriere finiscono… Ho sempre pensato che avrei preso ad affiancare mio padre a fine carriera. E’ vero: ho studiato perché sapevo che avrei lavorato con lui. Ma negli ultimi anni è diventato insopportabile… La storia del matrimonio poi!"
"Kevin è in grado di prendere quel posto?"
Ci pensai… forse… "No." risposi scuotendo ilo capo "Lavora con loro da un paio di anni, ma è soprattutto un ragazzino viziato!"
"Ok. E, secondo te, tuo padre è tanto fesso da lasciare che tutte le sue fatiche ed i suoi sacrifici vengano vanificati da un ragazzino viziato?"
No.
"Parlagli. Con Calma. Anche di me. Se vuoi, verrò anch’io. Non mi faccio mica sostituire da una Melody qualsiasi, sai?!"
La guardai. Era più bella del solito. No, non l’averi mai lasciata!
Non risposi a quella lettera. Continuai a giocare a calcio ed a vivere con Kim.
Quell’anno vincemmo la Champions. La mia prima Coppa dei Campioni con il Bayern. La vittoria della foto a casa mia…
Finì il campionato. Secondi dietro il Brema. Un pareggio di troppo. La mia porta sempre salva…
Era un giugno terribilmente caldo.
Kim era tornata a casa prima di me perché non si era sentita bene. Un giramento di testa.
"Non ti preoccupare!" mi rassicurò "E’ la solita storia della pressione bassa! Vado a casa al fresco, mangio qualcosa, e stasera sono come nuova! Tu non ti preoccupare e finisci l’allenamento! A dopo!"
Ero preoccupato, naturalmente, ma con lei non si discuteva!
Volai a casa, ma quando arrivai, vi trovai l’auto di mio padre.
Salii velocemente le scale, col cuore che batteva a mille. Spalancai la porta e quello che vidi mi lasciò di sasso.
Richard Price seduto su divano, un bicchiere di the freddo in mano e Kim sulla poltrona accanto che mi sorrideva facendomi l’occhiolino. Per un istante non respirai.
"Stai meglio?" chiesi, ignorando mio padre.
"Si, molto meglio! Ti stavamo aspettando!" inclinò la testa verso Richard e mi strizzò nuovamente l’occhio. Ripresi fiato ma rimasi in guardia.
"Non hai risposto alla lettera…"
Lo fissai. Era tranquillo. E, per una volta, non c’era sul suo volto il solito sorriso sprezzante.
"Non ce n’era bisogno. Non ho nessuna intenzione di mollare la mia carriera adesso. E non ho intenzione di sposare la signorina Vattelapesca! Ho già preso le mie decisioni in proposito!"  rivolsi il mio sguardo su Kim, che arrossì visibilmente.
Mio padre non reagì come avevo pensato "Bene. Me l’aspettavo." fece una pausa. Posò il bicchiere sul tavolino davanti a lui e si alzò, mettendomisi di fronte. Ero pronto  all’ennesimo litigio.
Invece…
"Kevin è un buono a nulla. E lo sai pure tu!" esordì, guardandomi dritto negli occhi e cogliendo la mia sorpresa  "Non ho nessuna, ripeto, nessuna intenzione di lasciargli rovinare il mio lavoro di vent’anni! Tu prenderai il mio posto, volente o nolente!" era un ordine.
"E se non volessi?"
"Allora, spiegami perché stai studiando, e pure con profitto!"
Volsi per un attimo lo sguardo a Kim, che allargò il sorriso. Non sapevo se strozzarla o cos’altro!
Sospirai e gli risposi ironico "Lo sai che do sempre il meglio in tutto quello che faccio… amo essere il primo della classe… Non leggi i giornali?"
"Li leggo… buon per te! Quando sarà il momento ti verrà utile! Per il momento..."
"Si?... Hai altre richieste assurde? Come farmi lasciare la donna che amo per venire a dirigere la tua stupida azienda!"
Si trattenne.
"No. Voglio solo che ti prenda le tue responsabilità."
"Ah si?"
"Benjiamin, non mi provocare! Ne riparleremo più avanti!" mi passò accanto ed uscendo salutò Kim.
La guardai, chiedendole dubbioso  "Cosa gli hai detto?"
"Ho giocato la nostra carta!" e mi sorrise.
"Come?!"
"E’ entrato in  tromba, attaccandomi e dicendomi che non ci saremmo mai potuti sposare perché il tuo matrimonio era già combinato da anni, che faceva parte di un accordo tra famiglie e che io non sono la donna adatta a te! Fermo, non ti agitare!"  mi aveva preceduto.
"Io, con molta calma gli ho solo chiesto una cosa." mi rivolse uno sguardo malizioso.
"Beh?"
"Gli ho chiesto cos’avrebbe fatto se tua madre, invece che essere una ricca aristocratica giapponese, fosse stata una normale donna, magari non nipponica. Più ho meno ha fatto la tua stessa faccia di ora!"
Mi aveva spiazzato "Cos’ha risposto?"
Si strinse nelle spalle  "Non ha risposto."

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Capitolo 10
*** 9 ***


Le pretese del consiglio di amministrazione della famiglia Price divennero pressanti.
Arrivarono perfino a convocarmi.
Mio padre non fu presente a quell’incontro.
Non mi feci minimamente intimidire.
Non avrei mai lasciato Kim.
E non avrei abbandonato una brillante carriera calcistica, non ancora al suo apice!
Tornai casa, sfinito da tre ore di lunga ed inconcludente discussione.
Kim aprì la porta e mi sorrise.
A quella vista la stanchezza passò di colpo "Mmmm, accidenti!" disse "Quasi quasi ti convinco io a mollare il calcio per il lavoro d’ufficio! Sei bellissimo in giacca e cravatta!" e mi saltò al collo baciandomi con passione.
Quando riuscii a liberarmi, rimasi un poco ad osservarla: le lentiggini sulla pelle chiara, il viso leggermente ovale, le labbra morbide,  i lunghi capelli rosso fuoco. Era piccola, leggera, si perdeva tra le mie braccia, la sollevavo senza quasi accorgermene! Mi accorsi meccanicamente in quell’istante, che ultimamente pareva ancora più leggera.
"Ti sei incantato?" mi chiese con un sorrisetto furbo.
“Si, a guardare te!”
Erano già diversi mesi che stavamo insieme.
Quella storia del matrimonio combinato mi aveva irritato e preoccupato non poco, ma ora… al diavolo mio padre, l’azienda e la famiglia!
"Ehi, Price, ci sei?"
"Settimana prossima sono a giocare una partita in Italia, vieni anche tu?"
"Come?" era esterrefatta "Di solito non mi vuoi in giro quando giochi!  Cosa succede?" mi guardò strizzando gli occhi, con il suo solito fare scherzoso, inclinando la testa da un lato.
"Ti va di venire, si o no?"
"Ho scelta?"
"Tu che dici?" le detti un bacio, dal quale si staccò sospirando "No. Come sempre, mio signore!"
Arrivammo a Milano il giovedì mattina. Era una partita di triangolare, quasi più un divertimento che lavoro serio, ma avremmo incontrato la squadra di Mark…
Era molto che non giocavo contro di lui, ero curioso di vedere come se la sarebbe cavata. Le sfide con Lenders mi mettevano sempre parecchia adrenalina addosso.
Lui e Karl si fronteggiarono a centrocampo. Mark sbruffone come sempre, il Kaiser freddo e sprezzante. Tecnicamente non c’era e non c’era mai stato paragone. Ma il mio connazionale ha sempre avuto dalla sua una risolutezza ed una forza d’animo veramente invidiabili, che lo rendono un rivale temibile, non solo per me!
La palla toccò agli avversari. Lenders partì con la solita grinta, riuscendo, in un primo momento, ad eludere il contrattacco di Karl. Shuster riuscì a fermarlo con una bella scivolata ed a passare la palla in avanti. I primi venti minuti furono abbastanza equilibrati. La difesa riuscì a contenere le avanzate della Tigre, che però arrivò mai ad essere pericoloso.  Poi Mark si riscosse. Riuscì ad intercettare un bel passaggio di Brennan a Karl, e partì verso la mia porta. Mi lasciò sorpreso: non tenne la palla per se, ma creò un bel gioco, passando a Vivier, il quale si smarcò abilmente dall’onnipresente Shuster, fece un passaggio raso terra all’indietro per Di Lisa, il quale, saltando Muller, passò a Mark che, abilmente, aveva evitato di trovarsi in fuori gioco ed attendeva il pallone. Era solo davanti a me. Il suo sguardo violento, infuocato di voglia di vincere. Era al limite dell’area. Era la sfida di sempre. Il Tiger Shot arrivò violentissimo, alla mia sinistra. Era un tiro prevedibile, ma di una forza incredibile. L’unico ad eguagliare una tale potenza era Karl. Saltai ed afferrai il pallone, stringendolo per non dare possibilità agli avversari di essere nuovamente pericolosi. Lo rimisi in gioco, scambiandomi un’occhiataccia con Lenders. Ci avrebbe riprovato.
Karl ricevette il rinvio, si portò in avanti, determinato a segnare. E segnò. Da fuori area. Mark non la prese bene. Tornò all’attacco, la sua squadra, a quel punto, martellò la nostra difesa. Tirò in porta almeno tre volte ancora. Ma non passò.
Vincemmo il triangolare.
Quella sera ero euforico.
Portai Kim a cena. Proprio nel posto dove mi hai portato tu… Già, per quello sono rimasto imbambolato a guardare la porta. Passai una serata splendida in quel locale. Kim era bellissima, sprizzava gioia da tutti i pori.  Non riuscivamo a prenderci molte vacanze, era un’occasione speciale! E lei non sapeva ancora quanto speciale.
La mattina seguente ci alzammo di buon’ora. La squadra sarebbe ripartita nel primo pomeriggio e volevamo goderci un po’ di quella vacanza.
Venimmo in centro.
Hai ragione, di sera è più tranquillo.
Girammo qui in torno e poi giungemmo in piazza. Kim rimase estasiata. Restò per un bel pezzo col naso all’insù, rimirando la tua bella cattedrale. Nel frattempo pensavo a come dirle quello che dovevo.
"E’ stupendo! Bellissimo! Ma sai una cosa, sono proprio un po’ stanca!"
Aveva un sorriso radioso ma si vedeva che era affaticata; il viaggio, l’euforia della partita, la cena, la lunga passeggiata. Mi guardai intorno e vidi un gruppetto di ragazzi seduti sugli scalini.
"Vieni." la portai qui, esattamente qui, e la feci sedere. Poteva continuare a guardarsi attorno e, nel frattempo, riposare. Ed io potevo, finalmente, parlarle in tranquillità.
"Kim..."
"Mmm?" aveva gli occhi che splendevano. Presi fiato. Era davvero l’unica donna ad avermi messo in serie difficoltà. E non era facile quello che stavo per dirle.
"Mi vuoi sposare?" avevo parlato tutto d’un fiato, cercando di non staccare i miei occhi dai suoi. Per un attimo non respirò. E non parlò. Mi parve un’eternità.
"Si."
Probabilmente non avevo respirato neppure io per quel lasso di tempo.
"Ti amo, Benjiamin Price!" mi buttò le braccia al collo e mi baciò.
Ora capisci, perché questo posto è tanto importante per me?
Tornammo in Germania.
Kim iniziò ad occuparsi dei preparativi, cercando però di tenere la cosa più privata possibile.
Lo seppero i miei compagni di squadra, naturalmente, poi Tom, Ed, Mark, Julian, tutta la Nazionale giapponese e, in testa a tutti, Oliver, che volevo come testimone, insieme a Karl.
Lo dissi anche ad un’altra persona: mia madre. Le ho sempre voluto bene, e l’ho anche sempre ritenuta vittima come me del lavoro di mio padre.
Sospirò alla notizia, temeva le conseguenze, ma disse che, per quello che la riguardava, era felicissima che avessi trovato una ragazza dolce come Kim.
Qualche giorno dopo, mio padre si presentò al campo del Bayern. Non osò interrompere il mio allenamento, rimase al limite del campo ad osservarmi. Provai una vecchia sensazione: erano anni che Richard non assisteva ad un mio allenamento, né, tanto meno, ad una partita..
Quando ebbi terminato, mi si avvicinò con calma "Benjiamin, dovrei parlarti."
"Parla." mi piazzai davanti a lui a braccia conserte.
"Ho una proposta da farti.Una proposta che, penso, potrebbe interessarti."
Era di fronte a me, una mano in tasca, l’altra appoggiata a quel bastone che era ormai compagno fedele dopo l’incidente d’auto di alcuni anni prima, lo sguardo freddo e tranquillo.
"Sentiamo."
"Nel 2010 ci saranno  i Mondiali. Quell’anno compirai trent’anni..."
"E allora?" non capivo dove voleva andare a parare.
Respirò profondamente, socchiudendo gli occhi. Si stava evidentemente trattenendo "Diciamo così. Non ho intenzione di troncare ora la tua carriera. Comunque, non ritengo di avere bisogno di te adesso in azienda. Più avanti, sì."
Ero esterrefatto, ma non lo diedi a vedere.
"Continua."
"Ti propongo questo: al compimento del tuo trentesimo anno di età, prenderai il tuo posto, prima accanto a me, poi, più avanti, sostituendomi alla guida della Price Corporation. Avrai così il tempo di finire la tua carriera in bellezza, credo, da come stai andando in questi anni, senza alcun rimpianto."
Mi prese alla sprovvista. Poteva anche essere, tutto sommato, una proposta ragionevole. Ma…
"Per quel che riguarda Kim?"
"Vi state per sposare, no?" lo disse tranquillamente, come se per lui fosse un dato di fatto assolutamente appurato.
"Si. Qualcosa da ridire?"
"No."  non potevo crederci!
"Ma non più tardi dell’anno scorso..."
Il suo sguardo si addolcì, accennò perfino un sorriso  "La tua fidanzata mi ha fatto riflettere. Su un piccolo particolare al quale non avevo mai pensato. Mi chiese cos’avrei fatto se tua madre non fosse stata una ricca giapponese. Ebbene, avrei fatto esattamente quello che stai facendo tu ora: l’avrei sposata, pur contro il parere della famiglia!"
Lo fissai per un lungo momento. Quello era mio padre. Il Richard Price che ricordavo.
"Hai la mia benedizione figlio, che tu la voglia o no! Sposati, sii felice, ma ti prego di prenderti le tue responsabilità  quando sarà il momento. Accetti la proposta?"
Non risposi subito  "Fammici pensare."
Tornai a casa con i pensieri in subbuglio.
Descrissi a Kim la conversazione avuta con mio padre.
Mi guardò seria  "Cosa vuoi fare?"
Ricambiai il suo sguardo  "Tu cosa dici?"
Eravamo nuovamente sul divano, l’uno accanto all’altra. Il suo sguardo sereno ma preoccupato. Non che la lasciassi, no. Ma che facessi qualche follia per lei di cui mi sarei pentito in seguito. Ad un certo punto prese le mie mani fra le sue e si sedette in terra davanti a me, fissandomi con quegli occhi verdi smeraldo nei quali amavo perdermi.
"Tra non molto ci sarà la Coppa d’Asia. Tu, Oliver e gli altri vi state seriamente preparando per vincerla. E ce la potete fare. Tra tre anni il Mondiale in Sud Africa. E anche in quello sarete protagonisti di certo. La carriera di un portiere può andare ben oltre i trent’anni, e tu lo sai bene. Col Bayern stai giocando una stagione più bella dell’altra. Il calcio è la tua vita. Non voglio che tu abbia rimpianti per colpa mia!"
Il calcio è la mia vita… forse era vero fino a qualche anno prima. Ma da quando c’era lei… No, non era più tutto!
Non avrei rinunciato alla carriera, no. Ma l’avrei conclusa in bellezza, per poi dedicarmi appieno a quella donna. E anche ai doveri verso mio padre.
Continuò a fissarmi seria "Ma non dimenticare tuo padre…"
"Kim, io…"
"Lasciami finire! Ci sta dando un’opportunità. Ma sta anche cercando di far vivere il suo sogno. Ha lavorato anni, sacrificando i suoi affetti, per recuperare un’azienda che, tu mi dici, era praticamente collassata. Il suo sacrificio, il suo lavoro, ha aiutato molte persone. Tutte quelle che lavorano per lui. Pensa anche a questo, facendo la tua scelta."
Le sue mani strinsero forte le mie "Non sei uno stupido. Non hai la testa vuota come tanti tuoi colleghi! Altrimenti non ti amerei! Ho fiducia che tu faccia la scelta giusta, senza poi pentirtene in futuro…"
Avevo già preso la mia decisione.
"Accetterò la proposta di mio padre. E’ vero, trent’anni sono pochi per un portiere, ma da qui ad allora ho molto da dare. Campionati, Champions, Coppa d’Asia, i Mondiali… Se devo ritirami, allora farò in modo che il mondo del calcio non dimentichi facilmente il nome di Benjiamin Price!" mi alzai e le cinsi la vita  "E per quello che riguarda la Price Corporation, beh… tra qualche anno mio padre si dovrà ricredere sulle mie capacità di dirigente!"
Mi sorrise dolcemente "Non vedo l’ora di assaporare le tue vittorie, SGGK!"
Il giorno dopo mi recai da mio padre e gli comunicai la mia decisione.
Non dissi nulla ai ragazzi della squadra, e neppure a Tom, il quale giocava già da anni in Francia e saltuariamente, veniva a trovarmi.
La coppa d’Asia si avvicinava. Fui convocato come portiere titolare. Iniziarono i ritiri con i miei vecchi amici. E le partite di qualificazione. I nostri avversari, in quegli anni, erano cresciuti molto, tecnicamente e tatticamente. Mi impegnai a fondo per portare la mia nazionale alla vittoria. Nessuno violò la mia rete e il Giappone fu l’unica squadra a portare a termine il torneo senza aver subito alcun goal. Neppure in finale, contro la fortissima Corea. Fu una partita combattutissima, ma prima Mark e poi Oliver segnarono le reti della vittoria. Al termine della partita mi sentii come quando avevamo vinto il Word Youth. Eravamo di nuovo sulla vetta.
Quando rientrammo negli spogliatoi, euforici, Freddy mi prese da parte. Aveva un’espressione grave, il viso tirato.
"Freddy, che succede? La partita…"
"La partita non c’entra Benji…"
"E allora?"  fui colto da un’angoscia inspiegabile, ora che ci ripenso, quasi profetica.
"Al termine del secondo tempo, Patty mi ha avvisato che ti avevano cercato dalla Germania…"
Avvertii un tuffo al cuore  "Kim..."
"Era a sbrigare del lavoro alla sede della squadra ed è svenuta. E’ successo prima dell’inizio della partita, ma quando, poco dopo il risveglio, le hanno detto che ti volevano avvisare, li ha fermati. Ha voluto a tutti i costi farti giocare tranquillo."
Mentre Marshall mi parlava, mi ero appoggiato alla parete, la fronte contro il pugno chiuso.
"Freddy, io parto stasera. Scusami coi ragazzi. Vado in albergo e poi cerco una coincidenza per Monaco." sentii la sua mano sulla spalla.
"Ci penso io. Vai." e andò dagli altri. Mi conosceva meglio di mio padre. Sapeva che non c’era altro da dire.
Tornai a Monaco col primo volo e mi precipitai al Policlinico, dov’era ricoverata Kim.
Quando arrivai e chiesi di vederla venni intercettato dal primario.
"Signor Price! Avrei urgente bisogno di parlarle." Era un uomo alto, brizzolato, sulla quarantina.
"Mi scusi dottore, vorrei vedere la mia fidanzata prima…"
"Mi spiace, ma sarebbe meglio se prima scambiassimo quattro chiacchiere. Prego, venga con me."
Il suo tono era gentile ma perentorio. Lo seguii nel suo ufficio.
"Prego si sieda."
Ubbidii.
"Signor Price, suppongo che per telefono non le abbiano detto tutto..."
"Tutto cosa? Si spieghi, dottore!" la paura mi attanagliava lo stomaco.Volevo correre da Kim,  capivo che quello che il medico stava per dirmi non erano buone notizie…
"La signorina Ryan ha disgraziatamente subito un aborto naturale…"
Mi colpì come una pallonata in pieno petto. Aborto? Ma allora?...
"La vedo sorpreso. Si, la signorina era in stato interessante. Probabilmente non gliel’ aveva detto perché non era del tutto sicura. Era solo al secondo mese…"
"Oddio" pensai "Stavo per diventare padre!" mi sentii scivolare in un baratro. Mio figlio, non c’era più…
"Signor Price, mi dispiace doverle dare un’altra brutta notizia..."
Quelle parole mi riportarono alla realtà. Quale altra brutta notizia?
"Kim..." lo guardai con apprensione.
"In realtà l’aborto è stato scatenato da qualcosa di più grave. Mi spiace doverglielo dire così, ma freuilein Ryan è affetta da linfoma."
Smisi di respirare per un attimo e chiusi gli occhi. E mi apparvero quelli di lei. Verdi, immensi. Il suo sorriso. La nostra vita insieme.
"Cosa…"
"In parole povere si tratterebbe di un tumore linfatico. Non colpisce un organo in particolare, ma la linfa ed il sangue..."
Avevo smesso di ascoltarlo "Lei lo sa?"
"Si."
Andai da lei. Era piccola, minuscola in quel letto bianco.Stava dormendo. Mi sedetti accanto a lei, in silenzio, prendendole la mano. Si svegliò, voltandosi verso di me. I suoi occhi sembravano ancora più grandi. Sorrise "Ehi, SGGK, complimenti!"
Era sempre la stessa. "Grazie..."
"Cos’è quel sorriso triste, campione?"
Il suo coraggio, la sua sconsideratezza, mi fecero quasi arrabbiare "Smettila, Kim, ti prego!"
Puntò il suo sguardo su di me. Quando voleva poteva essere molto dura, a volte perfino più di me!
"Siamo qui, amore. Temevo che avrebbe potuto succedere. E’ la stessa malattia che mi ha portato via mia madre. Si può solo affrontare. Così." e mi fece un sorriso dolce, inclinando il capo da una parte.
Il dolore mi sopraffece. Le strisi forte la mano, portandola alle labbra "Nostro figlio…"
La sentii sospirare "I primi tre mesi di una gravidanza sono i più difficili. Avrebbe potuto accadere comunque. Sto solo cercando di farmene una ragione…" disse, incrociando il mio sguardo disperato "Non ero sicura di essere incinta. Lo desideravo tanto. E adesso…" gli enormi occhi verdi si riempirono di lacrime. L’abbracciai, beandomi ancora una volta del suo profumo, del suo calore.
Da li in avanti sarebbe cominciato l’inferno.
Ma non avevo nessuna intenzione di arrendermi. Non l’avrei mai abbandonata.
Iniziarono, gli esami, le terapie.
Dovetti rinunciare a parte degli allenamenti, per portarla in ospedale, per stare accanto a lei nelle lunghe ore durante e dopo la chemio.
Non volevo mollare, se c’era una pur minima possibilità di salvarla, l’avrei trovata.
Abbandonammo anche, temporaneamente, pensai io, i preparativi per il matrimonio.
Poi, un giorno, mi fece una richiesta inaspettata.
"Mi piacerebbe tanto tornare in Irlanda! Lassù c’è mia zia Karol che manda avanti una piccola pensioncina. Vicino al paesino dove abitavo una volta, e dove è sepolta mia madre…" si voltò a guardarmi con lo sguardo terso e sereno che ormai la caratterizzava in quegli ultimi mesi. Era incredibilmente tranquilla, mentre io non facevo che lottare con me stesso e maledire il destino che ci aveva colpiti.
La pensione di Karol  White era molto semplice e molto accogliente.
Kim volle andare subito da sua madre. Erano ormai sei anni che non l’andava a visitare. Le si inginocchiò accanto e cominciò a pregare sottovoce. Rimasi in piedi, alle sue spalle. Il dolore mi stava attanagliando l’animo. Non sopportavo l’idea di perderla. Non sopportavo l’idea che potesse essere vittima dello stesso destino di sua madre.
Si alzò e si votò verso di me. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Si avvicinò e si appoggio al mio petto col viso e con le mani. La cinsi piano ed ascoltai il suo respiro.
"Ti amo." disse.
"Lo so. Anch’io ti amo. Tantissimo." avvertii il suo sorriso.
"Lo sai che sei un inguaribile testardo?"
"Sbaglio o è una delle cose che ami di me?"
"Anche terribilmente egocentrico…"
"Idem."
Sospirò  "Le saresti piaciuto. Molto."
Guardai quella semplice croce in mezzo ad un prato verde, come gli occhi di Kim. Mi aveva parlato molto di sua madre. Della sua malattia. Del dolore che aveva sconvolto il padre, portandolo prima all’esaurimento e poi alla decisione di allontanarsi dall’Irlanda per farsi una nuova vita.
"Avrei voluto conoscerla."
Sollevò il viso, sorridendomi. "Ti sarebbe piaciuta. Anche se, conoscendovi, vi sareste scontrati più volte. Non aveva un carattere tanto facile, sai?"
La strinsi forte. Era esile, leggera, quasi trasparente. Eppure forte. Lei mi dava la forza di andare avanti. Lei mi infondeva coraggio. Ero furioso, avrebbe dovuto essere il contrario!
Mi guardò di nuovo, sorridendo appena. Mi diede un bacio leggero e ripetè  "Ti amo."
Tre giorni dopo tornai in Germania. Da solo.
Karl era venuto in aeroporto a prenderci.
Quando mi vide arrivare solo, colsi il panico nei suoi occhi.
"Kim?..."
Credo di avergli risposto in tono assolutamente incolore… non avevo forza, non ero in me.
"Se n’è andata… per sempre."

Il suo sguardo era sempre fisso sulla piazza, quella piazza dove aveva chiesto di sposarlo alla donna più importante della sua vita.
Gli occhi neri, tristi, profondi, lontani….
Eppure erano gli stessi occhi che, gelidi e duri, mettevano in soggezione i più forti bomber del campionato tedesco ogni settimana.
Rimase in silenzio per un po’.
Ripensai alla sua storia, al dolore che doveva aver provato. Al fatto che non si era mai sfogato con nessuno, che si era sempre tenuto tutto dentro. Alla corazza che si era costruito tutt’intorno, tanto spessa ed impenetrabile da far pensare a tutti che nel suo petto non battesse un cuore umano.
Pensieri. Emozioni. Tristezza. Per quell’amico che aveva deciso di confidarsi con me. Perché, poi, lo sapeva solo lui… Perché l’istinto non l’aveva mai tradito, mi aveva detto una volta…
Sempre così severo, con gli altri e, soprattutto, con sé stesso…
All’improvviso, un’idea… un’idea assolutamente folle ( ma cosa non era pazzesco quella sera?) mi balenò per la mente…
"Benjiamin…. Kim non è morta, vero?"
Chiuse gli occhi abbassando leggermente il capo. Poi lo sollevò, sorridendo appena.
"Lo vedi? Il mio istinto non sbaglia mai!"

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Capitolo 11
*** 10 ***


“Ciao campione.
Sono un’egoista perché so che, in fondo, quello che sto facendo lo faccio più per me che per te.
Ma non sopporto più di vederti combattere e soffrire per me, non sopporto di vedere che stai rovinando la tua vita, la tua carriera, il tuo sogno a causa mia.
Già alcuni mesi fa compisti una scelta difficile: accettare la proposta di tuo padre pur di continuare la nostra vita insieme a scapito del tuo sogno.
Non lo sopporto, non voglio!
Sei testardo, caparbio, non ti dai mai per vinto. Leggo nei tuoi occhi, tutti i giorni, che se potessi sconfiggere la mia malattia a mani nude, lo faresti.
Ma non puoi e non vuoi rendertene conto.
E non ti dai pace.
Ho già visto mio padre soffrire e quasi morire con mia madre, struggersi fino a ridursi l’ombra di sé stesso. Non sopporto l’idea che tu debba soffrire altrettanto.
Detesti le sconfitte, non le tolleri. Ma questa è una battaglia persa, amore. Non mi sto dando per vinta, ma so di cosa parlo. Le cure, nel mio caso, come in quello di mia madre, sono solo un modo per vivere qualche mese in più.
Questo, lo vedo, non l’hai accettato e quando la verità ti si para davanti agli occhi, ogni volta che usciamo da un ospedale, avverto il dolore che provi.
Voglio che tu continui a vivere, a realizzare il tuo sogno.
Anche per me.
Quando accettasti di lasciare il calcio, mi promettesti che prima di chiudere la carriera avresti battuto Oliver vincendo la vostra vecchia sfida ed avresti portato il Giappone alla conquista del Mondiale.
Credo in te. Ti prego, realizza il tuo sogno anche per me!
Se ti rimanessi accanto, non potresti farlo. Saresti intento a seguirmi passo passo, giorno dopo giorno in una sofferenza che ti annullerebbe l'animo e giunti all’inevitabile conclusione della mia malattia, le vite spezzate sarebbero due e non una sola.
Ti amo, voglio che tu viva!
Ovunque io sia, sarò sempre al tuo fianco, a gioire delle tue vittorie.
Ti amo.
Kim”


Mi aveva dato quella lettera che portava sempre con se. Era scritta in inglese, con una calligrafia limpida e sottile.
Mentre leggevo, Benjiamin era rimasto immobile, le braccia appoggiate mollemente sulle ginocchia, lo sguardo perso in punto lontano del suo passato.
Quando finii di leggere lo osservai un istante. Quanto dolore aveva forgiato quella dura corazza!
Presi coraggio e gli parlai “Di questa, non ne sa nulla nessuno, vero?”
Sospirò, chiudendo gli occhi  “No”
“Perché?” 
Aprì gli occhi: erano freddi, duri come quando aveva davanti un avversario  “Mi ha lasciato.” Rispose.
Sentii la rabbia montarmi dentro. "Stupido, egocentrico testone!" pensai "Ma manco a scrivertele le cose le capisci!" Ripiegai con cura la lettera e presi fiato,frenando l'istinto omicida che mi aveva assalita e parlai. Non me ne fregava niente se si fosse infuriato  “Non ti ha lasciato. E, comunque, non l’ha fatto nel modo che pensi tu! E se non lo hai capito da questa lettera, beh, davvero non so cosa aggiungere!”
Si voltò, fulminandomi con lo sguardo “Cosa vuoi dire?”  sibilò a denti stretti.
Kim aveva ragione. Testardo, caparbio, orgoglioso. Ma non stupido, quello no! Possibile che non l’avesse capita? Sospirai, cercando di calmarmi e di spiegarmi meglio “L’hai letta?” chiesi con voce più pacata.
“Un milione di volte! Mi ha lasciato! Non ha avuto fiducia in me! Non ha creduto che potessi rimanerle accanto!” si era alzato di scatto, senza distogliere lo sguardo dal mio, affondando le mani nelle tasche del giaccone e parlando tutto d’un fiato. Non era rabbia. Era dolore.
Rimasi dov’ero. Lasciai che sbollisse un attimo e quando riprese a respirare, continuai “E’ per questo che non hai voluto che i tuoi amici ne sapessero nulla? Certo, quando Karl in aeroporto ti ha visto arrivare da solo e tu gli hai detto che lei se n’era andata per sempre lui, conoscendo la sua malattia, ha pensato fosse morta. E tu sei stato al gioco. Perché, pensavi, mi ha lasciato. Non mi ha ritenuto degno di starle vicino fino in fondo!”  presi fiato e lo guardai dritto in faccia  “Ma lo sai che sei proprio cretino?”
Di nuovo lo sguardo di ghiaccio dell’ SGGK. Cosa potevo aspettarmi? L’avevo volutamente provocato! Ripresi a parlare prima che mi riempisse d’invettive  “ Non si è allontanata per quello che dici tu! Non ti ha tradito, se è questo che pensi! Ti ha amato, e ti ama tutt’ora, ovunque sia! Semplicemente si era resa conto che stavi dando il cento per cento per lei, lasciando da parte il resto! Perché quando il destino ti mette davanti a una sfida, Benjiamin Price, tu parti a testa bassa, deciso a vincere, qualunque sia il prezzo da pagare! Ma per lei quel prezzo era troppo alto! Sapeva che, in quel modo, la sua malattia avrebbe portato via anche te, non fisicamente, ma psicologicamente sì! Non voleva che dopo la sua morte a te non rimanesse neppure il tuo sogno, la tua vita da calciatore che stavi mettendo a serio repentaglio!
Ha preferito allontanarsi, lasciarti vivere. Ti conosceva, sapeva che avresti sofferto ma che avresti reagito. Facendo l’unica cosa che ti ha sempre salvato da tutti i tuoi guai: giocare a calcio. Al massimo.” Mi fermai un attimo, vedendo che le mie parole avevano sortito l’effetto voluto.
Sollevò lo sguardo alla cattedrale e parlò ad occhi chiusi, quasi sottovoce “ Ho sempre pensato di aver sbagliato qualcosa, allora. Temevo di non esserle stato sufficientemente accanto, di non essere abbastanza per lei. Quando Karl venne tratto in inganno dalle mie parole, lasciai che credesse così. Mi chiusi in me stesso e pregai tutti quanti di non parlare mai più né di Kim, né della malattia. Misi tutto a tacere, attaccando con violenza chiunque osasse tornare sull’argomento. I primi mesi senza di lei furono un inferno. A maggio, come quest’anno, andammo in finale di Champions, più per merito di Mejer che mio. Barcellona. I miei compagni vollero che fossi io a giocare quella partita. Anche Mejer fu d’accordo "Meglio un Price fuori forma contro Hutton, che un Mejer in formissima!"."   lo vidi sogghignare, di sé stesso.
Abbassò il viso verso di me  “Lo sai com’è finita quella partita, non è vero?”
“Si… Sonya mi ha detto che due ragazzi sbagliarono delle punizioni che erano goal fatti e che Oliver ti spiazzò con un tiro in area formidabile, vincendo la partita.”
Un altro sorriso triste  “Sonya è stata troppo buona…”  sollevò il viso e respirò profondamente  “Se fossi stato al cento per cento l’avrei preso, quel tiro. Ma ero stanco. Non riuscivo ad essere freddo e concentrato come al solito. Oliver giocò contro di noi come sempre, dando il massimo. Arrivò ad essere pericoloso più di una volta. I ragazzi della difesa fecero muro per gran parte della partita e, in effetti, gli impedirono di tirare in più di un’occasione. Ma quando, alla metà del secondo tempo, riuscì ad entrare in area per la seconda volta in pochi minuti, e a tirare. Non ci arrivai. Nessuno me ne fece una colpa. Holly mi si avvicinò mentre mi rialzavo, mi tese la mano. Aveva un’espressione triste sul viso “Mi dispiace. Oggi non sei in te, amico…”  mi disse. Alcuni giorni dopo tornò in Germania per parlarmi. Venne a casa mia.Non me la sentii di dirgli tutta la verità… Il mio stupido orgoglio... O forse, per me allora Kim era veramente morta. Preferivo pensare che non fosse più, solo perché il pensiero che fosse viva e non accanto a me era ancora più doloroso. Holly mi aiutò a ricordare i miei sogni di una volta, il nostro incontro da ragazzini, l’amore per il calcio. Il calcio… la mia vita e la  mia famiglia… Devo a Oliver  se sono tornato a giocare con la stessa grinta di una volta. Se sono  tornato a giocare per realizzare il mio sogno e…”  si interruppe, guardando il cielo sopra la cattedrale.
“E...?”
“E il sogno di Kim.”  mi guardò sorridendo  “Quello non l’ho mai dimenticato, non credere.”
“Ma poi, la tua vita è cambiata…”
Si risedette accanto a me  “Se parli delle donne… Beh, tornai alla vita che conducevo prima di conoscere lei. Mai più amore. Non mi interessava. La mia unica passione è il calcio. L’amore per una donna provoca troppa sofferenza. Ne ho avuta abbastanza.”
Il suo sguardo era d’acciaio, ma ormai sapevo cosa nascondeva. Lasciai perdere. Per quella sera era abbastanza. Un’unica cosa m’incuriosiva ancora. Una cosa che, bene o male, mi riguardava indirettamente  “E Kristine ?”
Sospirò serrando leggermente le labbra  “Un errore. Un grandissimo errore. Mai mettersi con la sorella del tuo migliore amico!”
“Stupido il tuo amico che lascia che sua sorella si metta con te che, dichiaratamente, hai dichiarato guerra all’amore! O no?”
Scosse il capo, sorridendo appena  “Vedi, io Karl e Kris eravamo amici già da diverso tempo. Li consideravo, e li considero, come i fratelli che non ho mai avuto. Due estati fa… beh, Kris è decisamente una bella donna e io non le ero mai rimasto indifferente. Mi conosceva bene, sapeva cosa avevo passato. Come forse sai, andammo in vacanza tutti e tre insieme. Vuoi che sia sincero? Forse sperai di potermi innamorare di lei. Forse confusi l’amicizia e il gran bene che provavo per lei, con l’amore. Kris, invece, si innamorò sinceramente. Quando me ne accorsi, la lasciai. Perché mi ero reso conto dell’enorme sbaglio che stavo facendo. Perché non volevo farle più male di quello che le avrei fatto lasciandola. Perché non l’amavo. Perché, in realtà, amavo ancora Kim. Parlai con Karl. Mi capì e non se la prese, anzi. E mi capì anche Kristine. Lo so, ci sta ancora male. E mi ha interdetto l’accesso alle scuderie perché non vuole che le sue “protette” rischino di fare la sua fine. Mi spiace sinceramente, è una donna fantastica, sarebbe stata una compagna meravigliosa. Contenta?”  si voltò a guardarmi, gli occhi scuri come la notte, finalmente limpidi come un cielo senza nuvole.
“Che il mio angioletto custode abbia una vita tanto tormentata? No! Ma se parlare con me ti ha fatto bene, allora sì, sono molto contenta! Tu, piuttosto, come stai?”
“Meglio…  molto meglio.”  mi rivolse un sorriso, un sorriso vero  “Grazie.”
“E di chè?”
Si alzò, tendendomi una mano “Di essere quello che sei!”
Allungai la mano a prendere la sua  “Il tuo istinto non sbaglia mai, giusto?”
“Giusto.”
Mi tirò in piedi. Rimasi per un secondo a due millimetri da lui. Alzai il viso. Mi lesse negli occhi la domanda che non osavo fare  “No, non l’ho mai più cercata. Ho smesso di chiedermi se sia morta. Ho smesso di sperare che sia viva. So solo che ogni vittoria la dedico a lei.Tu lo sai…”
Non sapevo cosa rispondergli. Mi venne solo istintivo di abbracciarlo. Ricambiò stringendomi piano e sussurrando ancora “Grazie”
“E ora?”  il viso era tornato sereno, più disteso di quando eravamo arrivati.
“E ora, a piedi!” risposi allegra.
“A piedi?”  sollevò un sopracciglio, sorpreso.
“Caro mio, siamo in Italia! I mezzi pubblici finiscono i turni a mezzanotte e mezza!”
Tirò un sospiro, sorridendo  “Ok, allora in marcia, signorina!”  mi prese sottobraccio e ci avviammo così, chiacchierando e ridendo, verso l’auto.
La notte dei ricordi era finita

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Capitolo 12
*** 11 ***


"Allora?"  avevamo finito gli allenamenti del mattino e stavo riordinando la borsa. Karl era appoggiato con la schiena all’armadietto  a braccia conserte e mi guardava con un sorrisetto furbo. Sapevo a cosa alludeva.
"Allora cosa?"  risposi, facendo finta di niente.
Sbuffò spazientito ed attaccò "Price, non fare il finto tonto! Passi due giorni da solo con una ragazza e io cosa ti dovrei chiedere?"
"Karl… è un’amica!" mi sollevai, buttandomi il borsone sulle spalle e feci per uscire.
"Dai Benji, piantala! Non dirmi che non ti sei accorto che è pure una ragazza!" riattaccò "E una ragazza decisamente carina, quando vuole!"
Mi voltai verso il capitano che mi stava fissando con  disappunto. Sospirai scuotendo la testa e replicai: "Schneider, Elena non mi interessa. E non fraintendermi!"  Lo bloccai prima che ricominciasse con la paternale “Mi sono accorto che è una bella ragazza, non sono cieco! Ma è soprattutto un’amica e con lei non ci proverei mai!"
Un sopracciglio scattò verso l’alto, mentre un’espressione piuttosto meravigliata si dipingeva sul suo volto.
La lunga notte italiana era stata molto importante per me. Ero di nuovo in debito con Elena: mi aveva aiutato ad affrontare una verità che era troppo dura da digerire per il mio stupido orgoglio e le dovevo davvero molto. Il mio cuore era più leggero, mi sentivo finalmente in pace con me stesso.
Il capitano dette un sospiro di rassegnazione, scuotendomi dalle mie riflessioni.
"Ok, allora, visto che è solo un’amica, sarà il caso che ti dica un paio di cosette..."
Lo guardai incuriosito mentre ci avviavamo fuori dagli spogliatoi  “Che ti piace ancora e che, visto che mi è solo amica, vuoi continuare a provarci?"
"Quello sicuro!”  gli occhi azzurri mandarono un lampo. No, il Kaiser non mollava tanto facilmente le sue prede, pensai.
"Ma non solo quello… Vedi, mia sorella e Marjorie, l’amica che convive con Elena, sono un po' preoccupate per lei…"
"Ti ho appena detto..."
"Non c’entri tu amico! L’abbiamo capito che  tu sei tutto meno che un pericolo per lei!” disse sorridendo e scuotendo la testa  "No, il problema è altro…"
"Karl, non farla lunga, che c’è?"  Stavo per perdere la pazienza. Lo guardai socchiudendo gli occhi e lasciando che facesse qualche passo avanti a me.
Si fermò, tirando un sospiro e mi guardò fisso, chiedendomi : “Non ti ha più parlato di quello che è successo, vero?”
Effettivamente… no. Avevo provato, in verità,  ad accennare l’argomento, ma mi si era rivoltata contro come un gatto furioso. Speravo che ne avesse parlato con le sue amiche. Tra donne, forse….
"No, ho rinunciato a parlare dell’accaduto." risposi, scuotendo il capo  "Cosa preoccupa Kristine?"
"Sono almeno due mesi che Elena non esce con nessuno. Solo con te…”  lo guardai sorpreso. Riprese prima che potessi interromperlo  "Non con Kris, non con Sonya, non con Marj. Ho provato anche io a tirala fuori di casa. Nulla. Si sta chiudendo nel suo mondo. Non è colpa tua" mi aveva preceduto di nuovo "tu le stai vicino e ringrazio il cielo che abbia trovato conforto in un amico come te. Ma per il resto, non va…"
Ci scambiammo un’occhiata. Sapevo cosa dovevo fare e Karl aveva fiducia che lo facessi.
"Ci penso io. Non assicuro nulla... E’ quasi più testarda di me!"
Sorrise e mi dette una pacca sulla spalla "Scherzi?! Più cocciuto dell’SGGK non esiste nessuno!"
Concludemmo il discorso con una risata e ci avviammo a casa.


Allenamento finito, meno male! Che freddo!
Ero volata dal mio stallone che non vedevo da tre giorni. Lo avevo riempito di coccole e mi ero fatta un’oretta in sella sotto la frusta di Kristine.
Che bello tornare a montare!
Erano state due splendide giornate. La prima, tutta dedicata a mio padre, la seconda, tutta dedicata al mio amico.
Benjiamin…
Pensavo a lui, ai suoi guai, a quanto aveva sofferto, a come aveva reagito e al muro di ghiaccio che si era costruito intorno. Per non soffrire più, o comunque, il meno possibile.
Com’era diverso dalla persona che avevo conosciuto quella primavera!
Marjorie mi riscosse dai miei pensieri  “Ehi, ci sei o sei ancora a Milano?”  Beccata. Con tono pure un poco geloso.
“Non è successo nulla di quello che pensi, invidiosa!” le risposi mentre continuava a guardarmi male  “Ni-en-te!”  le sorrisi  “Primo: uno come lui, una come me manco se la fila. Secondo: siamo solo amici. Terzo: non voglio storie. Punto”
Mi guardò ancora più seria e decisamente arrabbiata  “Proprio di questo vorrei parlarti!” Mi attaccò.
Stavamo per litigare, lo sentivo.
“Senti un po’, tu!" continuò "Capisco che con quello che ti è successo non voglia trovarti una storiella tanto per, che non mi sembra proprio il caso… Non riesco neppure ad immaginare come sei stata male, ma…”
“Ma?”  mi voltai piuttosto seccata verso la bionda che si era piantata accanto a me a braccia conserte.
“Ma non posso neppure immaginarlo, perché l’unico col quale ti confidi è Price! Dimmi che non devo essere gelosa!”
Capivo: era di me che era gelosa! Accidenti alle amiche...
Sospirai  “Se può farti piacere, non ne ho parlato neppure con lui.”  Così dicendo mi rimisi a fare le fasce a Zingaro.
“No che non sono contenta!”  Marj aveva praticamente urlato, costringendomi a rialzarmi.
“E perché? Sono fatti miei!”  Replicai furiosa. Stavo cominciando a stare male. Non volevo pensare né ricordare.
“Ti stai chiudendo nel tuo mondo. Non esci con nessuno. Solo con lui. Capisco, ti dà conforto e ti senti protetta. Ma visto che è solo un amico, non pensi che sia il caso di uscire dal guscio e ricominciare a farti una vita sociale?”  La bionda aveva buttato fuori il discorso tutto d’un fiato, parlando a pochi centimetri dal mio viso, i grandi occhi azzurri spalancati dalla frustrazione.
Aveva ragione. Sapevo che aveva ragione. Ma non ce la facevo. Era stato troppo per i miei nervi già provati.
Ricordare il dolore, la vergogna, mi fecero stare tanto male che le risposi con rabbia. Anche se non lo meritava affatto. Lei che mi era sempre stata vicina e che, quella volta, avevo escluso dalla mia vita.
“Fatti gli affari tuoi Marj!" risposi alzando la voce "Uscirò con gli altri quando e se ne avrò voglia! Sempre che abbia voglia di ricominciare a uscire con voi!”  Detto questo presi i finimenti e me ne andai in selleria, lasciandola in piedi, sconsolata, accanto a Zingaro.
Quando tornai se n’era andata a casa. Portai lo stallone nel box e proprio in quel mentre arrivò un sms.
“Non molla! Ah no! Benji... Chè vorrà?”  Aprii il messaggio, diceva: “Dobbiamo parlare. Vengo a prenderti alle nove.”
Neanche ciao! Ma cos’avevano tutti?!
Tornai a casa anch’io. Marj non c’era. Mangiai qualcosa al volo e mi cambiai per uscire. In verità non è che ne avessi proprio voglia, ma non avevo neppure voglia di discutere con Benjiamin! Quando si metteva in testa una cosa era praticamente impossibile fargli cambiare idea e sentivo di non avere energie sufficienti a tenergli testa. Tanto valeva cedere...
Alle nove in punto  il rombo della Porche sotto casa annunciò il suo arrivo. Scesi ed aprii la portiera.
“Cioccolata?”  mi chiese senza guardarmi.
“Ho scelta?”
“No.”
Entrammo in un locale tranquillo appena fuori città. Ordinammo due cioccolate. Fino a quel momento non avevamo parlato di nulla d’importante. Partite, allenamenti, lavoro.
Iniziai a preoccuparmi quando appoggiò i gomiti al tavolo, intrecciando le dita davanti alla bocca. Sentivo il suo sguardo penetrante su di me mentre fissavo la bevanda fumante. Dopo almeno cinque minuti di silenzio, sospirai:  “Ok, cosa diavolo vuoi anche tu oggi?!”
Lo guardai ma non ressi il confronto con quelle pozze scure che erano i suoi occhi. Mi sentivo un tantino in trappola.
“Elena,”  cominciò a parlare adagio, con quella voce bassa e profonda che a volte  mi faceva venire la pelle d’oca  “quello che ho da chiederti non ti piacerà. Ma pretendo una risposta. E non ce ne andremo di qui finchè non l'avrò ottenuta!”
Come al solito, non si poteva discutere! Temevo la domanda e dove voleva andare a parare.
“Ho già litigato con Marj, non ho voglia di litigare pure con te!”  Questa volta lo guardai dritto in viso.
“Spiacente, sono qui per litigare!”  rispose, sorridendo appena.
Sapevo che avrebbe vinto, ma sono testarda come un mulo e non mollai. Non subito, almeno.
“Sono quasi tre mesi che non esci con nessun altro al di fuori di me… La cosa mi lusinga, ma non va bene per te.”
“E tu sei convinto di sapere cosa va bene per me?” risposi piccata. Non era facile reggere i suoi occhi neri dritti in faccia. Mi trapassavano, mi guardavano dentro anche se tentavo di oppormi a quella intrusione nei miei pensieri. Quei pensieri che facevano male, troppo male. 
“Immagino che non sia facile parlare di quello che ti è successo. Soprattutto parlarne con un uomo. E infatti non voglio che ne parli per forza con me, ma con le tue amiche, che ti conoscono da una vita, sì!”
“Cos’è? Ti sei messo in combutta con Marjorie?!” Ringhiai e feci per alzarmi.
“Tu non te ne vai di qui!”  Il suo tono non ammetteva replica. Mi risedetti.
“Ti prego, lasciami in pace!” Lo supplicai con un filo di voce.
“No, mi spiace.”  Non riuscivo a reggere il suo sguardo, era una tortura eppure non riusci a staccarmene.
“Non ci riesco. Né con te, né, peggio, con Marj!”  Ripresi. Stavo per mettermi a piangere ed era l' ultima cosa che volevo in quel momento.
“Perché?" chiese "Capisco con me, alla fine mi conosci da poco, ma Karl mi dice che tu e lei siete come sorelle! Non ti capisco!”  Dette un respiro profondo “Vorrei  poterti essere d’aiuto...”  Ancora quel sorriso caldo e dolce, impensabile sul suo viso se lo si conosceva solo superficialmente.
“Direi che hai già fatto troppo e che sono fin troppo in debito con te! Ti pare?”  Non lo guardavo più, fissavo la tazza semivuota che tenevo tra le mani.
“No.” 
Mi sollevò leggermente il mento, costringendomi a mostrargli le lacrime che ormai avevano deciso di rigarmi il viso. Le asciugò con un dito, carezzandomi la guancia in un gesto protettivo “Non ci sono né debiti né crediti tra amici. Ci si aiuta e basta!”
Mi venne da sorridere  “Questa non è tua, Benjiamin Price!” lo punzecchiai.
Sorrise pure lui  “No, infatti l’ho rubata ad uno dei miei  migliori amici! Che mi disse queste parole quando anch’io stavo facendo come te…”
“Oliver.” Ricordai.
“Già.” Rispose, accennando col capo.
“Ma tu stesso hai detto che, dopo quel discorso, tu tornasti sì a vivere ma, in un certo senso, nascondendoti, rinunciando ai sentimenti più profondi...”
“Ma, almeno, sono tornato a vivere. Che poi mi sia volutamente precluso certe cose… beh, è stata comunque una scelta voluta.”
Riprese  “Perché non riesci a parlarne con Marjorie?”
Non mollava. Tipico!
“Ok, mi arrendo! Sei un martello!” Sospirai, lasciandomi andare contro lo schienale e socchiudendo gli occhi.
“Ne ero certo!”  Il solito sorrisetto soddisfatto si dipinse sulle sue labbra. Era a dir poco stremante trovarsi davanti uno ostinato come lui!
“Fammi parlare e non interrompermi. Ora o mai più!”
Tirai un lungo sospiro e parlai. Lui era la persona giusta. Avrebbe capito. Aiutarmi… beh, c’era poco da aiutare!
Non era esattamente vero che Marj non sapeva nulla di quel giorno. In realtà era l’unica persona alla quale avevo raccontato qualcosa dell’accaduto, abbastanza nei dettagli. Non tutto. A parte il dolore e la vergogna che provavo rievocando quel maledetto pomeriggio, era inutile dirle cosa mi aveva fatto veramente male. Non l’avrebbe capito. Non perché fosse stupida o un’oca come molti la consideravano, no! Solo che lei, bella, estroversa, ammirata dagli uomini, certe cose non se le era mai sentite dire.
Io si. Tante volte. Troppe.
Ma quel giorno, sommato a quello che stava accadendo… Sentirti dire da un uomo (uomo?) che ti ha presa di mira perché sei la bruttina di turno, che è stato con te solo per scommessa, che per scommessa doveva venire a letto con te perché eri quella che aveva la fama di essere una santarellina, che non vali neanche la metà di quelle con le quali va di solito…
Quello era il peggio. Quelle parole aveva fatto crollare definitivamente il mio mondo.
Quel mondo ovattato nel quale il brutto anatroccolo che sono, si era rifugiato, scansando le battutine amare dei ragazzi che mi prendevano in giro. Facendo finta di nulla se nei locali e nella vita di tutti i giorni l’attenzione maschile era tutta meno che per me, che vivevo normalmente all’ombra delle mie amiche, belle, perfette, sicure di sè stesse. 
Jacob mi era parso un sogno impossibile… infatti si era rivelato un incubo!
Non ero scottata, ero ustionata! E non avevo voglia di rientrare in quella vita che non faceva altro che farmi male. Avevo paura. E non mi fidavo di nessuno, neppure di Karl, che pure sapevo mi voleva bene ed in quei mesi aveva fatto di tutto per farmi uscire.
No, di un uomo mi fidavo. Ce l’avevo davanti.
Ma lui non era un uomo.
Era un amico.
Marj mi avrebbe preso per pazza a sentirmi dire una cosa del genere!
Allungò nuovamente una mano ad asciugarmi gli occhi dalle lacrime che li riempivano. Mi sollevò il mento con un dito costringendomi a guardarlo. Mi persi per un attimo in quelle pozze scure, mi lasciai cullare dal loro immoto mare scuro che riportò la tranquillità nelle acque agitate della mia mente.
Sorrise. Un sorriso caldo, di quelli che ti fanno capire quanto bene ti voglia una persona.
“Mi dispiace.” Disse semplicemente.
“Benjiamin, io...”
“Tra una settimana c’è la festa di Natale della squadra. Tu ci vieni.”
Categorico.
“Non voglio se. Non accetto ma. Ti ci porto io. Se sarà necessario, di peso.” Aveva preso la sua decisione e nulla l'avrebbe fermato.
Scossi la testa, opponendo una debole resistenza  “Non me la sento… Non… Non reggerei lo sguardo dei ragazzi. Non sopporterei altri giudizi…”
Mi costrinse di nuovo a guardarlo e in quel momento non invidiai chi lo doveva sfidare in durante le partite. Alabastro nero lucido e penetrante, tanto da togliere il fiato.
“Quella che si giudica sei tu e non sei molto buona con te stessa!” Sentenziò.
“Ma…”
“Niente ma! Negli spogliatoi ci sono io coi miei compagni! E, ti assicuro, stamattina  prima di sorbirmi Karl  mi sono beccato una fila di frecciatine perché sono venuto in Italia con te! Non certo perché ti giudicano una brutta ragazza, anzi! E ognuno di loro spaccherebbe volentieri il muso a Jacob, per come si è comportato! Quindi...” disse tirandosi dritto contro lo schienale della sedia ed incrociando le braccia  “ farò il sacrificio di venire con te alla festa di Natale, per poi fare lo sforzo immane di parare  le bordate malefiche dei miei maliziosissimi compagni di squadra!  “ Un sorrisetto tra il furbo e l’arrogante comparve sulle sue labbra mentre un lampo allegro ne illuminava lo sguardo. Sapeva di avere vinto.
Sospirai, scuotendo il capo e mi arresi.

Era passata circa una settimana dalla mia chiacchierata con Elena. Quella sera ci sarebbe stata la  festa natalizia.
Ci eravamo incrociati come tutte le mattine al parco e mentre mi allenavo, la osservavo con la coda dell’occhio.
Guidava con gentile fermezza il grosso stallone nero, che le ubbidiva docilmente. Era uno spettacolo rasserenante: armonia, eleganza, passione. Sorrisi tra me: improvvisamente l’avevo associata ad Oliver. L’amore e la dedizione per il proprio sport erano gli stessi. Solo, lei non partecipava mai a gare o competizioni, montava a cavallo per il puro piacere di farlo.
Mi riscossi dalle mie considerazioni: la mezz’ora di allenamento al prato era finita. L’amazzone aveva allungato le redini sul collo del cavallo, dal cui corpo emanava un leggero vapore dovuto al contrasto col freddo pungente della mattina. Zingaro sbuffò forte, soffiando dalle narici come un piccolo drago e vidi Elena ridere ed abbracciarlo cingendogli il collo. Mi resi conto che non l’avevo mai vista sorridere in quel modo se non quando era in sella. Avvertii una stretta al cuore: mi dispiaceva che la sua vera felicità fosse legata esclusivamente a quei pochi attimi che concedeva alla sua passione. Non era stato facile ascoltare quello che lo turbava, giorni prima. Aveva ragione: mi era difficile comprendere il suo dolore. Ero sempre stato il primo della classe, ammirato ed invidiato. Il mio carattere deciso e orgoglioso mi aveva portato ad essere quello che ero, facendo sì che mi imponessi su chi mi stava attorno. Per lei non era così. Forte, decisa, determinata ma anche timida, forse troppo timida. E sfortunata. Di certo la sua vita sentimentale passata non l'aveva aiutata, anzi. E così il cigno si era richiuso sotto le piume confortevoli e rassicuranti del brutto anatroccolo... 
Decisi di seguirla in scuderia, giusto per ricordarle che quella sera aveva un appuntamento. Testarda com’era sarebbe stata capace di far finta di nulla!
Arrivai alla cascina e trovai Zingaro legato nel mezzo del corridoi della scuderia, senza sella e con in dosso una coperta bordeaux, solo.
“Buon giorno!” dissi.
“Buon dì! Cosa ci fai da queste parti?”  la sua voce proveniva da una selleria in fondo al corridoio. Dopo un istante si affacciò con aria sorpresa  “Allora?” chiese.
Le sorrisi passando sotto alla longhina che teneva legato il cavallo e fermandomi accanto ad esso accarezzandogli il collo sudato  “Sono venuto a controllare che la mia dama di stasera non tenti la fuga!”
Sospirò, roteando gli occhi al cielo e sparendo nuovamente in selleria  “Sei insopportabile, quando ti ci metti! Lo sai?”
Non le risposi. Abbassai la visiera del cappello e tornai all’aperto, ricominciando a fare qualche esercizio leggero, tanto per non raffreddarmi del tutto, rimanendo davanti alla scuderia e a pochi passi da Zingaro che mi guardò borbottando.
“Pensavo te ne fossi andato!” Esclamò, riapparendo alle mie spalle.
“Dò fastidio?” Chiesi ironico.
La sentii sospirare rumorosamente “Mamma quanto sei permaloso! No, nessun fastidio, anzi!”  Tolse la testiera al cavallo e gli infilò una capezza rossa.
“Natale?”  Mi chiese all’improvviso.
“Spagna.” Risposi.
“Spagna? E che ci vai a fare?”  Si era messa accanto a me, arrotolando una fascia, rossa anche quella.
“Oliver ha invitato me ed alcuni ragazzi della Nazionale a casa sua. Se non ti ricordi, quest’anno ha vinto il Pallone d’Oro. Cogliamo l’occasione ed andiamo a festeggiarlo!”
“Ahaaa! Ma se non mi sbaglio anche qualcun’ altro era nelle nomination… Aspetta, stà fermo e renditi utile, tanto che sei qui!”  e così dicendo mi piazzò in mano un capo della morbida stoffa vermiglia, iniziando ad arrotolarla dall’altro.
“Non è la prima volta che entro nelle nomine per il Pallone d’Oro. Se è per questo sono nuovamente anche in quelle per il Migliore giocatore dell’Anno. Ma non mi faccio molte illusioni…”
Le dita veloci si fermarono e mi guardò allibita  “Cooosa? Tu che non ti fai illusioni? No, non ci credo!”  Aveva sgranato gli occhi nocciola sollevando entrambe le sopracciglia.
“Ho smesso di sperarci già parecchio tempo fa! E non fare quella faccia! Non sono impazzito! Solo, mi sono dovuto arrendere all’evidenza che giocando nel ruolo in cui gioco, non sono riconoscimenti che mi verranno assegnati tanto facilmente! Solo un portiere, nella storia del calcio, ha ricevuto il Pallone d’Oro…”
“Yashin, detto “Il ragno nero”. Dinamo Mosca. Nel Giurassico, più o meno! E non guardarmi così! Mica vivo su Marte! Qualcosina di calcio la so pure io!”
Effettivamente stavo per scoppiare a ridere! Elena, che era per l’odio per il calcio per antonomasia, sapeva chi fosse Yashin? Pazzesco! Lesse l’ilarità nei miei occhi, ma venni salvato dalla scarica di invettive di cui stava per ricoprirmi dal suono insistente del suo telefono. Sbuffò, guardandomi storto e togliendomi dalle mani la fascia ormai arrotolata  “Salvo in corner!” e rientrò in scuderia. Ripresi a fare qualche piegamento, soffocando una risata.


“Pronto! Ciao capo! Come va?”  Era stranissimo che Sonya mi chiamasse a quell’ora, soprattutto a campionato fermo.
“Ciao bella. Benissimo, direi! Ascolta, sai mica dove potrebbe essere Price? Il suo telefono suona, ma lui non risponde.”
Mi affacciai al corridoio. Benjiamin aveva ripreso a fare dei piegamenti nel cortile davanti ai box.
“E’ qui, a farmi compagnia." risposi "Sta finendo il suo allenamento mattutino. Perché? E’ accaduto qualcosa?”  Ero un pochino preoccupata da quella stana telefonata.
“Siediti!” Ordinò con tono scherzoso.
“Sonya! Sono in scuderia! Mica ci sono sedie qui!”
“Ok… A pensarci bene, sei la persona più adatta a dirglielo! Reggiti forte!”
“Sono appoggiata al muro, è sufficiente?”  dissi spazientita.
“Ok, ok…” tirò un sospiro e continuò “Ti leggo la comunicazione che mi è arrivata stamane via mail dalla FIFA: “Con la presente siamo lieti di comunicare allo staff del Bayern Monaco F.C. la nomina come Miglior Giocatore dell’Anno 2009 al portiere Benjiamin R. Price!” Fece una pausa “ Ele?... Ci sei?”
Mi ero appoggiata con la schiena al muro, senza fiato ed incapace di parlare. Aveva appena detto che non ci sperava, che aveva smesso di crederci da anni… E quello, lo sapevo, sarebbe stato il suo ultimo campionato. Dopo i Mondiali si sarebbe ritirato per prendere posto accanto al padre.
“Ele!”  la voce di Sonya mi riscosse dai miei pensieri “Eccomi capo! Scusa…”
“Ascolta: l’assegnazione avverrà il 20 a Zurigo. Gli altri non sanno nulla, glielo diremo stasera. Penso che sarà un bel regalo per tutti! A più tardi!”
“A stasera.”  Ripresi fiato e mi riaffacciai a guardarlo oltre il mio cavallo. Era intento nei suoi esercizi. Tranquillo e distaccato come sempre. Sarebbe stato un bel regalo, sì!


Il Pallone d’Oro e il premio come Miglior giocatore dell’anno.Quante volte ero entrato nei primi dieci? Sette? Otto? Non lo ricordavo più. La prima volta ci avevo creduto. Anche la seconda. Ma poi avevo dovuto arrendermi all’evidenza. Il ruolo del portiere difficilmente è considerato come quello di un  attaccante. Anche Kim ci aveva creduto. Ricordai quando lesse della mia nomina tra i candidati il primo anno che stavamo insieme. Era al settimo cielo! Poi  l’espressione amareggiata del suo viso quando il premio fu assegnato a Karl…
Venni riscosso dai ricordi dalla voce di Elena in fondo alla scuderia. Ero piegato sulla gamba destra, le mani sul ginocchio e la fronte a sfiorarle, tenendo la posizione. La sentivo inveire contro la FIFA, il calcio e certi asini ignoranti. Trattenni una risata per non perdere concentrazione. Vidi la sua ombra accanto a me.
“Cavoli! Non è possibile che assegnino i premi con tanta leggerezza! Con tanti giocatori bravi che ci sono, proprio certi asini devono venir premiati! Ma io non lo so! Non è veramente possibile! E’ a dir poco inammissibile! E io che mi lamento dei giudici di dressage!”
Sorrisi. A volte, effettivamente, i giudizi della Federazione avevano sconcertato un poco pure me.
“Capisco che ti hanno comunicato il vincitore del Miglior giocatore, è così?" interruppi il fiume di parole "E chi sarebbe, quest’incapace che ha scatenato le tue ire?” chiesi.
Si piegò su un fianco accanto a me, i lunghi capelli mogano sfiorarono il terreno mentre portava il viso all’altezza del mio.
“Tu.”
Per un attimo non respirai. Gli occhi nocciola mi guardavano a pochi centimetri di distanza, illuminati di felicità. Un sorriso si allargò sul viso della ragazza. Tale e quale a quello che le avevo visto poco prima mentre montava.
“Pronto!? Ci sei?”  Allungò una mano a scompigliarmi i capelli. Mi alzai piano.
“Mi prendi in giro?”
Si risollevò anche lei ed un lampo malizioso le passò sul viso.
“E bravo il mio portiere!”  Mi saltò al collo, abbracciandomi. D’istinto la presi al volo per la vita e rimasi immobile per qualche secondo. La riposai a terra, ma non mollai la presa.”Non stai scherzando, vero?”
Sorrise, socchiudendo gli occhi e scuotendo leggermente il capo  “ Non potrei mai.”
La fissai ancora un istante. Chinò il capo da una parte, dicendomi : “Alla fine non sono mica tanto sorpresa, sai? Te lo meritavi!”  lessi una fiducia indiscutibile negli occhi color dell’autunno. E mi resi conto della portata delle sue parole.
“Baaastaaa! Mettimi giù! Soffro di vertigini e odio volare!”  L’avevo sollevata, iniziando a ruotare su me stesso velocemente, ridendo. Erano anni che non mi sentivo così al settimo cielo! Mi fermai tenendola a qualche centimetro da terra, il viso poco più in alto del mio. Aveva le mani sulle mie spalle, le gote un poco arrossate e lo sguardo rovente “Potrei tornare coi piedi per terra? Sai, non sono abituata a stare con la testa fra le nuvole!”  La posai delicatamente, scoppiando nuovamente a ridere.
“E ora, se non ti dispiace, se mi lasci andare, dovrei finire di sistemare il mio povero stallone!”
Effettivamente la stavo ancora tenendo per i fianchi, mentre mi guardava tra l’ironico e l’indispettito. Le diedi un bacio leggero sulla fronte “Grazie.” le dissi.
Si scostò guardandomi perplessa. Scosse la testa, socchiudendo gli occhi sorniona e fece per slacciarsi dal mio abbraccio.
“Ehi! Tre quarti delle donne di Monaco darebbero non so cosa  per essere abbracciate da me e tu te ne vai scocciata?”
Mi si piazzò davanti a braccia conserte “Ma tu!? Non cambi proprio mai, eh, signorino?”
Raccolse il cappellino che avevo lasciato lì accanto e me lo mise in testa, calandomi la visiera sugli occhi.
“Vedi di non far tardi stasera, capito?” e se ne andò in scuderia, legandosi i capelli con un elastico che aveva al polso.
Passando accanto a Zingaro, lo abbracciò stampandogli un bacio sul muso e gli parlò sorridendo. Stava raccontandogli la felicità per un amico e lo stallone ascoltava paziente la cascata di parole.

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Capitolo 13
*** 12 ***


ac09

 

"Cos'ha detto Sonya?" chiese per la milionesima volta in un'ora la mia dolce coinquilina.
"Festa infomale, abbigliamento informale." Sospirai, sollevando un sopracciglio e rispondendo con tono piatto.
Erano le sei di sera ed io e Marj ormai da più di mezz'ora cercavamo di risolvere uno dei problemi che dai tempi dei tempi affligge le donne: la scelta dell'abito indossare per la serata!
Probabilmente chi ci avesse viste avrebbe trovato il quadretto che si presentava in camera da letto piuttosto ridicolo: due ragazze, una un poco più alta dell'altra, vestite solo di morbidi accappatoi bianchi, i capelli bagnati raccolti sopra la testa da ascigamani pure bianchi, appoggiate spalla contro spalla e testa contro testa davanti alle ante dell'armadio spalancate.
D'un tratto, il suo improvviso del citofono ci riscosse.
"Oddio! Kris! E' già qui!" Un'espressione ridicola di terrore si dipinse sul viso della bionda che schizzò in direzione della porta mentre io mi lasciavo andare sconsolata sul bordo del letto, lanciando un'occhiata dubbiosa ai vestiti che straripavano da mensole e cassetti.
"Ma non siete ancora minimamente pronte?!" Tuonò la nostra istruttrice, squadrandoci da capo a piedi.
Ci scambiammo uno sguardo contrito e poi, a voce bassa e con tono piagnucoloso, protestai: "E' tutta colpa sua! E' da stamattina che litighiamo! Pretende che metta la gonna, ma io non voglio morire di freddo!"
Kristine assunse la sua tipica posa da caporalmaggiore: braccia conserte, mento alto, gambe semidivaricate, sorriso furbo e occhi azzurri socchiusi "Non fare storie, signorina! Tu stasera gonna e tacchi!" ordinò "E non pensare al freddo! Immagina piuttosto la faccia che farà il mio adorato fratellino vedendoti arrivare a braccetto col suo caro amichetto!" sogghignò divertita mentre io sgranavo gli occhi e balzavo in piedi, inviperita "Ehi no! Un attimo! Non scherziamo, io non..."
"Ma smettila!" mi interruppe, allungando una mano e zittendomi con un dito "Sto scherzando! Anche se..." e  mi squadrò con aria furba.
"Anche se, cosa?" la fissai ad occhi stretti, aspettandomi l'ennesima frecciatina.
Il sorriso sulle labbra sottili si aprì civettuolo ed un sopracciglio biondo scattò malizioso verso l'alto "Anche se credo farà piacere ad entrambi vederti un po' le gambe..."
Evitò agile il cuscino che le lanciai e Marj scoppiò in una sonora risata, esclamando "Ehi, tesoro! Lasciami almeno uno dei due, stasera!"
Kristine ed io ci lanciammo un'occhiata a quelle parole e smettemmo di ridere, guardando serie Marj, che sospirò e sedette sul letto pesantemente "Ok, sono pronta" mugolò "Fatemi la ramanzina anche stasera! Tanto me l'aspettavo..."
Sorridemmo, scuotendo il capo e sedendoci una per parte, stringendoci accanto a lei.
"Marj" cominciò Kris "Sappiamo tutte che bella cotta hai per Price."
"Ma ricordati che è un uomo pericoloso!" cantilenò la bionda, scimmiottando l'altra quando le parlava di Benji.
"Sì" intervenni io, beccandomi un'occhiataccia "E non guardarmi così! Benjiamin è fondamentalmente un bravo ragazzo, ma ha anche un ascendente molto forte sulle donne. Peccato che non sia  in grado, per il momento, di costruire un rapporto stabile. Quindi..." dissi guardandola negli occhi "stai attenta! Non ho voglia di raccattarti col cucchiaino! Una storia con uno come lui può essere davvero devastante, te lo dice una che ne sa qualcosa!"
Per tutta risposta ricevetti un abbraccio ed un bacio schioccante su una guancia "Ok, ok! Però vi ricordo che mi avete promesso che almeno me l'avreste presentato..."
Sospirai sconsolata e sorrisi vedendo Kris che volgeva gli occhi al soffitto.


Arrivai sotto casa di Elena puntuale alle otto e le feci uno squillo sul cellulare per avvisarla.
Dopo pochi minuti la portiera si aprì e mi costrinsi a soffocare una risata nel vederla imbaccuccata da capo a piedi.
"Guarda che non c'è proprio nulla da ridere!" sibilò attraverso la stoffa della sciarpa fucsia che le avvolgeva la parte bassa del viso "Tu non hai amiche tiranniche che ti costringono a mettere la gonna quando fuori c'è meno venti!"
"No, in effetti..." risposi  ridendo "non ho amiche che mi costringono a mettere la gonna!" la canzonai " E comunque fuori non fa meno venti, anche se tu sembri pronta per una spedizione polare!"
"Price..." ringhiò con gli occhi nocciola che mandavano lampi.
Mi voltai ed avviai l'auto, soffocando nuovamente una risata che, ne ero certo, mi sarebbe costata la vita!
Arrivammo tra gli ultimi alla sede. Fuori dal grande edificio moderno campeggiava un enorme albero di Natale, scintillante di luci e decorazioni e l'ingresso era addobbato con festoni e ghirlande.
Una grande festa in famiglia, questo era ciò che intendeva Herr Lauber per la festa di Natale. Per lui la squadra doveva essere come un'unica, grande, affiatata famiglia ed effettivamente fin dal primo giorno a Monaco quella era la sensazione che avevo provato entrando a far parte del Bayern. Ero stato accolto a braccia aperte e quella squadra mi aveva dato quella sicurezza, quella atmosfera di "casa" che provavo solo con i miei compagni di Nazionale.
Mi soffermai davanti alle porte a vetro, tornando per un istante al passato e calcolando mentalmente che ormai erano più di due anni che non partecipavo a quell'evento. L'ultima volta c'ero stato con Kim...
Elena mi dovette leggere nel pensiero.
Una volta di più.
Abbassò con un dito il bordo della sciarpa, scoprendo un sorriso triste "Mi dispiace, quasta sera ti dovrai accontentare..."
"Ma chè accontentarmi!" risposi allegro, scacciando a forza la malinconia, cingendole le spalle e trascinandola all'interno "I ragazzi moriranno di invidia vedendomi arrivare con te!"
In effetti...
Accidenti, a volte quella ragazza era sorprendente! Sotto quel piumino nero, lungo fino ai piedi, davvero adatto a una spedizione al Polo, il brutto anatroccolo aveva nuovamente lasciato il posto al cigno: stivali scamosciati con tacco a spillo, gonna corta, nera e maglione bianco col collo risvoltato, tanto ampio da scoprire leggermente le spalle. Una volta tanto, truccata. L'effetto, dovevo ammetterlo, era nel complesso piuttosto seducente. Si accorse della mia analisi accurata, seguita da un sorriso di approvazione.
"Allora?" chiese, le mani ai fianchi in posa militare ed un lampo negli occhi nocciola.
"Mejer ha ragione, se ti presentassi così agli allenamenti, passerei tutto il tempo a dire ai ragazzi di guardare avanti e non alle spalle della porta!"
"Non ti ammazzo giusto perché è Natale..." ringhiò minacciosa  ma con un sorrisetto evidentemente compiaciuto sulle labbra.
"Oh, grazie!" risposi ridendo e dandole il braccio "E ora: vogliamo andare, signorina?"


La serata era fredda e quelle arpie mi avevano costretta a mettermi in gonna. Meditavo le torture a cui le avrei sottoposte cercando di distrarmi da quello che i miei occhi si rifiutavano di smettere di fissare.
Erano settimane che dicevo la stessa cosa a Marj, e ora ci stavo cascando io...
Consideravo Benjiamin un amico, un amico speciale, però lo dovevo ammettere, era difficile restare totalmente insensibile al suo fascino. Inoltre quella sera, vestito di semplici jeans che fasciavano le gambe lunghe e con un maglioncino nero a dolce vita, aderente, che certo non nascondeva i pettorali perfetti e gli addominali scolpiti, era davvero più bello del solito. Quando mi porse il braccio da vero cavaliere ma con un sorriso scherzoso, di quelli che non riservava ai comuni mortali ma agli "eletti" che riteneva amici, mi sentii avvampare e distolsi lo sguardo. No, non era facile restare del tutto indifferenti.
Appena entrati in sala, la mia visuale fu totalmente occupata da quella montagna umana che è il secondo portiere, Leo Mejer.
"Accidenti a te, Benji!" esclamò con il suo solito sorriso bonario "Ti aggiudichi sempre le ragazze più carine!" poi, facendomi l'occhiolino "Spero, gentile fotografa, che almeno un ballo vorrai concedermelo stasera!"
"Certo, molto volentieri, Leo!" risposi ridacchiando.
"Vorrà dire che per stasera mi farai giocare titolare!" canzonò il gigante, dando una sonora pacca sulla spalla al mio cavaliere.
"Dovrai conquistartela, Leo!" replicò, restituendo il colpo. Leo ci lasciò, non prima di avermi sorriso ed aver rivolto gli occhi al cielo e poi in direzione di Benjiamin, scrollando il capo divertito.
Mi divincolai dalla presa del SGGK e lo guardai piccata  "Ma cos'è? Li hai addestrati per l'occasione?"
Strinse gli occhi con fare felino, spazientito, ma una voce alle mie spalle bloccò la ramanzina che, ero certa, mi sarei dovuta sorbire.
"Bene, bene! A quanto pare il nostro Benji ce l'ha fatta! Sei di nuovo dei nostri!"
Mi voltai di scatto e per un istante non respirai. I profondi occhi azzurri di Karl mi stavano letteralmente scannerizzando da capo a piedi, mentre un sorrisetto compiaciuto aleggiava sulle sue labbra. 
Bello.
Forse troppo. No. Decisamente troppo.
Giacca e pantaloni bianchi, che manco a dirlo mettevano in risalto la muscolatura eccezionale delle gambe e una maglia sottile, nera dal collo tondo, aderente che sottolineava il busto scolpito di quel dio greco vivente.
Mi mancò il fiato, sentendomi come presa tra due fuochi.
Un movimento alle spalle di Karl, che mi sovrastava tenendo in mano un calice di champagne e continuava ad analizzarmi con quegli occhi azzurri da incantatore, mi riportò alla realtà.
"Scusate!" esclamai decisa, abbandonando ai loro discorsi i due Adoni che, lo sentivo, non avevano smesso di fissarmi un secondo.
"Ok!" dissi, piantandomi a braccia conserte davanti alle mie amiche sogghignanti "Ditemi un po' cosa avete da ridere!"
Marj soffocò una risatina e Sonya cominciò a parlare "Oh beh, Miss A-me-certi-uomini-non-fanno-nessun-effetto, avresti dovuto vedere la tua faccia!" e trattenne una risatina mentre Marj mi si avvicinava e mi dava un bacetto di scuse "Perdonami, cara! Ma davvero dovevi vederti!"
Le squadrai ad una ad una "Dite la verità... Siete invidiose!"
"Ok, lo ammetto, sono invidiosa!" disse la mia coinquilina "Ma davvero, avevi una faccia!"
"Avrei voluto vedere te!" replicai.
"Beh, tesoro, mi ci vedrai tra poco!" si imbambolò improvvisamente ed immaginai di chi potesse essere la colpa.
"Buona sera!" la voce profonda le dette il colpo di grazia. Arrossì violentemente e, contrariamente al suo solito, rimase zitta per un minuto intero.
Io e Kris ci guardammo, intendendoci al volo, e con un sospiro decisi che dovevo correre in soccorso della mia bionda amica. Mi voltai e, lanciando un'occhiata omicida al portiere, feci le presentazioni. Benjiamin mi sorrise appena, accennando di avere capito. Avevamo parlato dell'argomento Marj e l'avevo avvisato: un solo passo, un solo gesto che non fosse volto come minimo ad una promessa seria di matrimonio e l'avrei seviziato con le mie mani. Aveva riso delle mie minaccie ma aveva anche giurato di fare il bravo. Mi fidavo di lui. Dell'autocontrollo di Marj, no...
"Price, ti presento la mia famosa coinquilina, nonché migliore amica, Marjorie."
"Molto piacere!" salutò tendendo la mano che la bionda strinse automaticamente, quasi in trance "Elena mi ha detto che ho l'onore di averti tra le mie fans più accanite..."
"Già, credo che Marj sia a conoscenza di cose della tua vita sportiva ignote perfino a me!" intervenne ironico il Kaiser, spezzando la tensione e prendendo un po' un giro la bionda che si risvegliò dal torpore  e lo fulminò con gli occhioni da gatta.
Perfetto, pensai, se Karl la riportava con le sue battutine acide coi piedi per terra potevo stare abbastanza tranquilla.
D'un tratto mi sentii stringere un braccio e mi voltai. Sonya aveva richiamato la mia attenzione, facendo un cenno col capo. Il momento dell'annuncio era arrivato ed avvertii il cuore cominciare a battere veloce. I ragazzi della squadra stavano per ricevere un bel regalo di Natale!
La mora accompagnò Lauber al piccolo palco dove il gruppo musicale che doveva allietare la serata aveva smesso di suonare, richiamando l'attenzione degli astanti. Ci voltammo tutti in quella direzione, qualcuno con espressione sorpresa, qualcuno preoccupato da quella strana interruzione, io personalmente con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra.
Herr Lauber chiese un attimo di silenzio e quando l’ebbe ottenuto, Sonya lesse il comunicato ufficiale che aveva letto a me la mattina stessa. La sala si riempi degli applausi, degli "Urrah!", dei fischi e delle esclamazioni di gioia dei compagni di squadra. Sul viso del patron del Bayern un sorriso soddisfatto: Benjiamin era uno dei suoi pupilli, uno di quei ragazzi che considerava quasi come un figlio proprio. Vidi gli occhi di Karl riempirsi di sorpresa e di gioia per l’amico e dargli un pugno amichevole, che l’SGGK  bloccò sorridendo con la mano destra. Gli furono tutti in torno a complimentarsi. Herr Stefan gli si avvicinò, stringendogli la mano e posandogli l'altra sulla spalla.
Benjiamin ricevette tutto questo senza scomporsi, serio e pacato come il suo solito. Schneider propose un brindisi per lui e una sessantina di calici si levarono in onore del primo portiere del Bayern.
La serata trascorse piacevole. I ragazzi della squadra furono adorabili. In verità si comportavano un po’ tutti come guardie del corpo! Soprattutto i due campioni pareva proprio non volessero mollarmi un istante, me li trovavo ogni momento tra i piedi! Non che la cosa mi dispiacesse, certo, ma mi metteva piuttosto in imbarazzo. Avevo da sempre un certo debole per Karl e avevo notato che quella sera si stava comportando in maniera più galante del solito. Le occhiate, i sorrisi maliziosi e le frecciatine che mi lanciava non erano esattamente solo di quelle che si fanno tra amici, no. Però io non ero pronta. Non ero assolutamente pronta. Lui lo sapeva e si limitò a fare il perfetto cavaliere, guadagnando un punto in più sui mille che aveva già nella mia stima
Benjiamin era il vero problema. Ormai mi ero resa del tutto conto che restare indifferenti al suo fascino non era facile, anzi, era quasi impossibile. Ma ritenevo l'amicizia che ci legava un bene troppo prezioso, unico, che sarebbe stato da veri idioti rovinare per della banale attrazione fisica. Eppure quella sera l'avevo scoperto più di una volta a fissarmi intensamente. Colto sul fatto, accennava un sorriso, portando l'attenzione altrove.


Lauber, Schneider, Karlz, Mejer... Erano felici per me, perché dopo anni di sacrifici  avevo finalmente conquistato uno dei premi più ambiti per un portiere.  Hermann, battendomi una sonora manata tra le spalle e masticando come il suo solito uno stuzzicadenti, mi disse tutto sorridente che quello era uno dei più bei regali di Natale che gli avrei potuto fare.
Anche per me era la stessa cosa. Quello sarebbe stato  l’ultimo anno della mia carriera. Avevo conquistato il Premio come Miglior giocatore dell’anno, la squadra era già in ottima posizione in classifica e la Coppa dei Campioni sarebbe stata nostra, a tutti i costi. E poi i Mondiali…
Mi ritrovai, per l’ennesima volta quella sera, a cercare con lo sguardo la mia amica.
Perché?
Non lo so.
Me lo chiedevo anch’io.
Quegli ultimi mesi in sua compagnia erano stati il periodo migliore della mia vita da due anni a quella parte. Mi aveva aiutato ad uscire da quel vortice d'oblio dove mi ero rifugiato, tentando di fuggire dal dolore e dai ricordi. Le dovevo ben più di un favore. 
La vidi che era accanto a Karl. Di nuovo. Sorrisi, constatando che il Kaiser aveva deciso di marcarla stretta e mi sorpresi a provare una sensazione che mi era sconosciuta da tempo: gelosia. Una breve, intensa fitta mi contrasse la bocca dello stomaco mentre serravo la mascella, fulminando il mio capitano con un'occhiata omicida. Il buon senso, per fortuna, prese il sopravvento e mi diedi dello stupido. Perché diavolo avrei dovuto essere geloso se Karl ci provava con Elena? Sapevo che sarebbe stato così, io e lui ne avevamo perfino parlato quel pomeriggio stesso! Poi Karl è uno dei miei migliori amici e sapevo benissimo che la mia compagna di allenamenti mattutini aveva un debole per lui… E allora perché?
Una voce di donna alle mie spalle mi riportò alla realtà. Voltandomi incrociai gli enormi occhi azzurri della coinquilina di Elena e in un lampo realizzai dove l'avevo già vista "Ma certo, ora ricordo! Tu sei la proprietaria dello stallone grigio! Ci siamo incrociati in scuderia!"
Le labbra carnose a cuore si incurvarono appena mentre lo sguardo celeste si illuminava.
Splendida, a dir poco splendida.
Sospirai, maledicendo per un attimo Kris, Elena e la promessa che avevo fatto. Ma Benjiamin Price tiene sempre fede alla parola data.
"Già già, proprio io..." rispose quasi sottovoce, il briciolo di coraggio racimolato per venire a parlarmi evidentemente andato in fumo.
"Allora, cosa posso fare per la mia fan più accanita?" ripresi, cercando di rendere la situazione meno imbarazzante.
Mi regalò uno splendido sorriso, caldo e solare. Bella, non potei fare a meno di pensare, davvero splendida.
"Veramente hai già fatto qualcosa per me!" rispose, e vedendo il mio stupore continuò "Sei stato vicino ad Elena, l'hai aiutata quel giorno terribile e poi non l'hai mollata un istante. E' grazie a te se stasera è qui con noi."
Fui colpito da una dimostrazione di amicizia tanto profonda "Veramente non credo di aver fatto nulla di più di quello che avrebbe fatto chiunque altro..."
I boccoli biondi dondolarono ed uno di essi, ribelle, sfuggì da dietro l'orecchio ed andò a sfiorare il viso della ragazza, che con un gesto lo rimise al suo posto, sorridendo "Non è vero. Tu hai fatto molto di più di quello che avrebbe fatto chiunque altro. Hai fatto anche molto più di me, che proprio in questa occasione non sono stata gran ché utile." Non sapevo cosa risponderle, e se ne accorse. Mi tolse d'impaccio cambiando argomento "E mi spiace che domattina te la dovrò portare via, per cui dovrai allenarti da solo!”
“Come mai? Una gara così sotto Natale?” chiesi stupefatto. Scosse il capo, scompigliando di nuovo la massa di boccoli biondi  “No, non lo sai che Ele non esce in gara? No, mi accompagna all’aereoporto. Parto per il Canada per festeggiare con mia madre che vive laggiù!”
Ricordavo qualcosa in proposito: Elena mi aveva accennato al fatto che la sua amica era figlia di una ex fotomodella canadese e di un direttore d’orchestra tedesco.
“Natale in famiglia, quindi...”  Nel pronunciare quelle parole avvertii una stretta al petto. Quanti anni erano passati da quando avevo trascorso una festa con i miei? Dieci? No, probabilmente di più...
“Non esattamente.” rispose, portando alle labbra il calice di champagne che teneva tra le dita.
Notò la mia sorpresa e sorrise un po’ triste  “Vedo che non ti ha detto tutto di me. I miei si separarono quando avevo cinque anni. Da allora, sei mesi qui, sei mesi in Canada. Un anno Natale e Capodanno qui, l’anno dopo da mia madre. E’ l’unico sistema che ho per avere una parvenza di famiglia...” si strinse nelle spalle, sorseggiando il liquido biondo come se ormai tutto ciò fosse una realtà che non faceva più male.
Considerai come sotto certi aspetti io e lei fossimo simili e quanta tristezza e quanto dolore erano celati dietro quel bel viso d'angelo. Kristine richiamò l'attenzione della bionda, portandomela via. Mi dispiacque. Molto.


Si era fatta l'una ed io e Marj dovevamo assolutamente andare. L'indomani mattina l'aereo era ad un'ora impossibile e ci dovevamo svegliare prestissimo. Prima di scappare avevo però un'ultima cosa da fare. Cercai il mio amico in tutta la sala, ma non lo trovai. Mi diressi allora verso l'ingresso e lo trovai che studiava la grande vetrina nella quale erano costuditi alcuni dei premi vinti dalla squadra.
"Ciao, campione! Io dovrei andare..."
Si voltò, regalandomi uno dei suoi sorrisi speciali caldi e avvolgenti come coperte di soffice lana "Vai già, signorina?" chiese.
Accennai di sì col capo "Domani, anzi, stamattina, sveglia prestissimo! Però avevo questo da darti." Estrassi da dietro la schiena una pacchettino avvolto in una carta rossa. "E mi raccomando!" sentenziai con voce burbera "guai a te se lo apri prima di Natale!" Scoppiò a ridere, scrollando il capo e cingendomi le spalle.
"Beh, veramente avrei anche io qualcosa per te!" disse facendomi l'occhiolino e trascinandomi verso il parcheggio, non prima di aver recuperato la giacca di pelle dal guardaroba.
Aprì la portiera lato passeggero ed estrasse dal cassettino un pacchetto stretto e lungo, pure incartato di rosso. "Mi pareva che fosse il tuo colore preferito." disse consegnandomelo "E dopodomani non avrei avuto il tempo di dartelo, visto che finita la cerimonia partirò direttamente con Oliver per la Spagna. Tu ci sarai, vero?" Non suonava come una domanda, no. Suonava come un ordine. Trattenni una risata, mi sollevai in punta di piedi e gli schioccai un bacio su una guancia, canzonandolo "Lo so che vorresti liberarti di me, ma non è mica così facile, sai?"
Tre giorni dopo ero a Zurigo in compagnia di Sonya. Serata elegante ed ufficialissima. Lauber mi aveva praticamente proibito di lavorare, dicendomi che dell'evento si sarebbe occupato Paul e che io mi dovevo godere la festa. Mi aveva preso sotto la sua ala protettrice ed era del tutto inutile discutere.
Come era stato inutile discutere con Sonya, che due giorni prima mi aveva trascinata a viva forza a far compere. Il risultato era l'abito in seta blu notte che indossavo. Sbracciato all' americana, una piccola scollatura a goccia sul seno, lasciava spalle e schiena scoperti mentre uno spacco profondo (un po' troppo profondo...) si apriva sul lato sinistro. Quando Kris me l'aveva visto addosso, il commento era stato: "Assolutamente da urlo. Scordati di schiodarti mio fratello di dosso per tutta la sera!" Ecco. Appunto. Con delle premesse del genere di certo non riuscivo ad essere serena e rilassata! 
Karl, come previsto dalla sorella, non sembrava intenzionato a smettere di fissarmi con quel suo sguardo ammaliatore col risultato che Sonya ridacchiava, soddisfatta del suo operato.
Mi accorsi dell'arrivo del festeggiato del cenno che mi fece Paul. In una frazione di secondo la hall dell'albergo si riempì di fotografi e giornalisti che assediarono il SGGK. In quel momento ero in piedi accanto alla mia amica e ci voltammo entrambe, cercando di scorgere il campione nel mezzo di quella piccola folla.
Price sovrastava i fotografi di tutta la testa. Vicino a lui Kaltz, col quale aveva fatto il viaggio per Zurigo. Il drappello di gente si avvicinò a noi e Benjiamin ne emerse facendosi largo con gentile fermezza.
Rimasi un istante senza fiato. L’unica altra volta che l’avevo visto in abito formale non ero assolutamente in grado di godermi lo spettacolo. Il taglio della giacca metteva in risalto le spalle larghe, la vita stretta , il corpo ben proporzionato se pur molto muscoloso. Non era semplicemente elegante, aveva qualcosa di finanche aristocratico. Portamento importante, signorile, pacato. In effetti, considerai, non molto diverso dal solito, ma quella sera era diverso. Intorno a lui aleggiava una sensazione accentuata  di magnetismo e mascolinità.  Sonya si accorse della mia reazione e mi dette un pizzicotto. Tornai coi piedi per terra e mi trovai  lo sguardo scuro e ardente del bel portiere fisso su di me. Gli sorrisi meccanicamente e lui ricambiò. Per un istante scorsi sul suo viso, nei suoi occhi, quel lampo malizioso che aveva mietuto decine di vittime. Presi fiato, cercando di convincermi che era tutto frutto della mia immaginazione.  

Io ed Hermann arrivammo che il resto della squadra era già lì ad aspettarci. Venni attorniato in un istante da decine di giornalisti e fotografi, dai quali mi liberai con non poca difficoltà.
Cercai con lo sguardo gli altri ragazzi e notai subito il capitano, che mi sorrise e fece un cenno con la mano in segno di saluto, indicandomi col capo l’uomo che gli era accanto. Oliver. Andai in contro al mio vecchio amico, che mi strinse la mano con il suo solito sorriso aperto e cordiale.
“Quest’anno il Giappone comincia bene la sua stagione!”  disse  “E la finirà al meglio, vincendo il Mondiale! Che ne dici amico?”
“Dico che hai perfettamente ragione!" risposi, ricambiando la stretta "Non credo ci sarà storia per nessun’altro!”  ci scambiammo uno sguardo d’intesa mentre Schneider ci guardava con fare sprezzante.
“Allora ci vedremo in finale...”  disse, sollevando il calice che teneva in mano verso di noi.
“Ovviamente.” Holly accennò di sì col capo, sereno e sicuro come sempre.
“Puoi contarci, capitano!” dissi e i nostri sguardi si incrociarono mandando scintille. Era tempo che aspettavamo di scontrarci in una sfida ufficiale. Mancava ad entrambi!
Uno dei responsabili dell’organizzazione della serata ci fece segno di avviarci verso la sala congressi, dove mi sarebbe stato conferito ufficialmente il premio. In quell’istante, alle spalle di Karl, notai finalmente la persona che cercavo. Non l’avevo ancora vista e temevo non fosse venuta. Invece eccola lì, accanto a Sonya. Non sfigurava affatto accanto alla nostra manager, anzi… L’abito da sera blu notte, lungo, si modellava perfettamente sulle sue curve morbide ed un’ampia scollatura scopriva la schiena, rendendo l’effetto decisamente seducente. Mi trovai a fissarla dandomi dell’idiota. Stavo lasciando una bella preda nelle mani del mio capitano!
Ma forse era meglio così... Non si meritava che la facessi soffrire come avevo fatto con Kristine, e la nostra amicizia era veramente un bene prezioso da costudire con cura. Inoltre, pensai, Elena era veramente l’unica donna, oltre forse a Sonya, a non aver mai dimostrato di cedere al mio fascino. Mi considerava unicamente un amico.
Peccato, in fondo, ma meglio così.
Incrociai il suo sguardo, mi sorrise di rimando ma non potei fare a meno di ammirarla ancora un istante. Il brutto anatroccolo, quando voleva, sapeva trasformarsi in uno splendido cigno.


Grazie al cielo, pensai, l'avevano trascinato via! Il suo sguardo aveva avuto l'effetto di una scossa elettrica e non ero ancora riuscita a riprendermi. Decisi che l'avrei evitato il più possibile, quella sera. Comunque, tra vecchi e nuovi amici intervenuti a quell'evento, avrebbe avuto parecchio da fare.
D'un tratto una mano calda si posò sulla mia schiena, facendomi tasalire. Mi voltai di scatto e immediatamente affondai nel cielo azzurro degli occhi del capitano. Non ci fosse stato il suo braccio a sostenermi, probabilmente sarei franata a terra.
"Visto che Benjiamin sarà piuttosto occupato stasera, spero mi consentirai di farti da cavaliere..."
Dalla padella nella brace...
Comunque, in effetti il mio amico fu attorniato per tutta la sera dai vecchi compagni di squadra, piuttosto che dagli amici venuti dal Giappone o dai giornalisti che lo tormentavano.
Al momento della consegna del premio, ci scambiammo un sorriso. Ero felice per lui, ero felice che proprio quell'anno si fosse realizzato uno dei suoi sogni. Se lo meritava.
Cominciarono le danze.
Lo evitai molto accuratamente e comunque tra Karl e Leo non ebbi praticamente tregua! Non potei però fare a meno di una cosa: Benjiamin non si era intrattenuto per più di due minuti con ognuna delle ragazze che gli ronzavano costantemente intorno. Stava facendo il bravo ragazzo. Danzò con Frau Lauber, con Sonya, con Patty, la moglie di Oliver. Sapevo che non era un ragazzaccio grossolano come molti suoi colleghi, ma mi stupì vedere quanto fosse  perfettamente a suo agio in quella situazione. L'erede di una delle più ricche famiglie del Giappone stava tirando fuori il suo lato aristocratico. Perfino Julian Ross, detto “Il Principe del calcio” per la sua naturale eleganza ed signorilità dentro e fuori dal campo, era  messo in ombra dalla presenza imponente del mio amico.
La mia serata passò splendidamente. Karl fu un cavaliere fantastico, ovviamente, perfetto sotto ogni aspetto. Non mi ero mai sentita così coccolata da un uomo, la cosa mi lusingava moltissimo, ridandomi coraggio e rafforzando un poco la stima che avevo di me stessa.


Era mezzanotte e mezza. Mi aveva accuratamente evitato per tutta le sera e non capivo perché. Un sorriso, una strizzata d’occhio ed un bacio lanciato con un dito erano stati il suo modo per complimentarsi con me dopo l’assegnazione del premio. Non ci eravamo neppure salutati. Aveva passato tutta la serata chiacchierando con i ragazzi della squadra (Leo era assillante!) ed in particolare con Karl. Quando l’avevo vista ballare tra le braccia del mio capitano, avevo avvertito di nuovo una fitta di gelosia. E di nuovo mi ero dato dell’idiota.
Mi allontanai dalla sala. Non sopportavo di stare troppo tempo al chiuso e sotto assedio. La popolarità e l’ammirazione hanno sempre alimentato il mio spiccato egocentrismo, ma sono fondamentalmente un lupo solitario.
L’ingresso dell’hotel era riparato da una tettoia le cui volute stile liberty erano state ricoperte da splendenti decorazioni natalizie. Respirai a pieni polmoni l’aria gelida e mi beai del freddo pungente che aggrediva il mio volto, osservando il primo fiocco di neve scendere dal cielo. Chiusi gli occhi. Pensai a Kim e, ancora una volta, le dedicai la vittoria. L’immagine del mio primo amore venne affiancata da quella della donna che aveva reso più dolce quel ricordo. Se non fosse stato per le parole di Elena, il ricordo di lei, avrebbe avuto un sapore molto, molto più amaro.
Rientrai. La hall era deserta. Erano tutti nel salone principale, intenti in danze o chiacchiere. Era un vecchio albergo ottocentesco, di gran classe e accuratamente restaurato. Lungo il corridoio che portava alla sala si aprivano alcune porte decorate che davano su salottini arredati con gusto. Una di queste porte era aperta. Diedi un’occhiata distratta all’interno e mi bloccai all’istante. Una figura ben nota era in piedi davanti alla finestra, la mano destra a scostare il tendaggio pesante. La luce era spenta, penetrava solo quella dei lampioni del giardino, resa lattiginosa dalla neve che, ormai, scendeva abbondante.

Nel salone l'aria era calda e quasi opprimente. Con una scusa mi allontanai da Karl e dagli altri. Avevo bisogno di starmene un pochino sola con me stessa. Quella serata stava prendendo una piega molto piacevole, ma mi stava anche scombussolando un po’. Troppe sensazioni, troppe emozioni. Non c’ero più abituata. La festa di Natale era stato solo un assaggio, avevo bisogno di un attimo di tregua. All’arrivo avevo notato dei salotti aperti lungo il corridoio. Entrai in uno di essi e scostai la pesante tenda in broccato blu. Il freddo pungente che filtrava dal vetro mi diede un brivido piacevole dopo il caldo soffocante del salone. Notai con sommo piacere che aveva cominciato a nevicare. Mi lasciai cullare dalla vista dei fiocchi che scendevano placidi, rinunciando a mettere ordine nelle mie emozioni e svuotando la mente.
Non sapevo da quanto ero lì. Non lo sentii entrare. Sussultai quando posò la mano grande e calda sopra la mia che reggeva la tenda e con l’altra mi cingeva delicatamente, ma con fermezza, la vita. Il calore del suo corpo, in netto contrasto con quello che proveniva dal vetro, fece moltiplicare il battito del mio cuore, stroncandomi il respiro.
“Stavo chiedendomi come mai la mia dama preferita questa sera abbia deciso di evitarmi con tanta cura…”  sussurrò, sfiorandomi il collo con l'alito tiepido. Il tono basso e profondo mi fece correre un brivido nella schiena.
Ripresi fiato e, più o meno, il controllo di me. Mi voltai piano, trovandomi veramente troppo vicina a lui.  Al buio i suoi occhi neri erano due tizzoni ardenti, pozzi profondi nei quali cadere per non emergere più.
“Figurati se ti ho evitato!" risposi, tentando inutilmente di fingere "Solo, ti ho visto molto preso dai tuoi amici che non vedevi da tanto tempo!”
Ovviamente, non mi credette.
“Non mi pare di aver ballato con nessuno di loro…" ironizzò "Ma stasera non  mi hai concesso neppure una danza… O sei troppo presa dal nostro capitano da dimenticarti degli amici?”
Il solito sorrisetto sarcastico e seducente si disegnò sulle sue labbra, mentre un lampo di…gelosia? passò negli occhi scuri come la pece.
Sospirai. “Ok, hai vinto. Vorrà dire che ti concederò l’ultimo ballo della serata, va bene?”
“Molto bene.”
Giusto in quell’istante la musica riattaccò con un motivo moderno ma lento, insinuandosi dalla porta del salottino.
“Madamigella…”  si allontanò un poco, accennando un leggero inchino e tendendomi la mano. Sospirai, scuotendo la testa e roteando gli occhi, e accettai l’invito.
Mi ritrovai con le mani sulle sue spalle, tenuta delicatamente stretta per la vita, le sue mani troppo pericolosamente vicine alla scollatura sulla schiena. Maledissi mentalmente Sonya...

Bugiarda. E non ne capivo il perché! La costrinsi letteralmente a danzare con me l’unico lento della serata, in quel salotto dal sapore antico.
Avvertii il suo profumo, leggermente amaro, non dolce e nauseabondo come quello di molte donne con le quali ero stato. Discreto. Come lei. Mi trovai ad osservarla e sì, anche a giudicarla. Da uomo e non da amico. Carina. No, anche bella. Non una bellezza sfrontata, volgare o appariscente. Semplice. Anche in quell’abito cercava di non farsi notare, di far scivolare via gli sguardi che si posavano su di lei. Eppure, soffermandosi a guardarla, la sua semplicità aveva un qualcosa di sottilmente sensuale, intrigante. Capii Karl e lo invidiai non poco. Sapevo bene che Elena aveva da sempre un debole per lui.
Reggeva il mio sguardo con un sorriso quasi canzonatorio, come a dire: “Ok, hai tra le braccia la tua ennesima preda! Contento?”
Sì.
Decisamente.
Era molto, molto tempo che non stavo così bene con una donna.
Non ricordavo più cosa fosse l’amore, ma il solo pensiero mi terrorizzò e lo scacciai all’istante. Ma lei non era come le altre. L’avevo rispettata fino a quel momento proprio per quello. Perché non era come loro. Non le avrei mai e poi mai fatto del male. Ma…
Per un istante, un solo maledetto istante mi persi in quegli occhi nocciola. Le mie mani scorsero fino alla scollatura sulla schiena ed accarezzarono la pelle serica, morbida e quasi bollente. Fu un momento. La strinsi un poco di più e, non avvertendo alcuna resistenza da parte sua, portai una mano fra i lunghi capelli mogano, fin sotto la nuca. Tra le nostre labbra neppure un centimetro, quando avvertii le sue dita sulla mia bocca, a dividerci.
Sospirò, senza allontanarsi, gli occhi socchiusi. Solo le sue dita ad impedire quel bacio al quale mancavano pochi millimetri.
“Sei certo di voler mettere a repentaglio la nostra amicizia così?”


Il pomeriggio seguente ero in maneggio.
Avevo finito di montare e mi stavo dando ad uno dei lavori più odiosi che ci possano essere: ingrassare sella e finimenti.
Kristine era in piedi accanto a me, appoggiata al muro con braccia e gambe incrociate, gli occhi chiusi.
“Dimmi, ti supplico dimmi che non ti stai innamorando di lui!”
Le avevo raccontato tutto, nei minimi dettagli.
Finii di passare una redine con lo straccio intriso d’olio e fissai il lavoro che stavo facendo stringendo le labbra e sospirando.
“Non lo so. Mi sento presa tra due fuochi! Tuo fratello da una parte, il mio sogno fin da quando sono arrivata qui, irraggiungibile fino a pochi giorni fa...”
“Irraggiungibile perché lo volevi tu! E molto meno pericoloso…”
Non la lasciai terminare, fulminandola con lo sguardo “E Benjiamin, con il quale ho stretto un’amicizia davvero speciale e che non voglio assolutamente rovinare!”  sospirai chiudendo gli occhi e rievocando la notte precedente. Il cuore perse un battito  “Ma che ha un fascino al quale è impossibile resistere…”
“Ele…”  mi stava guardando preoccupata. Sapeva quanto fosse pericoloso innamorasi di Benjiamin Price! “Maledizione a me e a quando ti ho mandata a lavorare per il Bayer!”
 “No, Kris, tranquilla. Benji è un caro, carissimo amico. E ieri sera questa cosa l’abbiamo messa ben in chiaro. Mi ha chiesto scusa e si è limitato a darmi un innocentissimo bacio sulla fronte.”
“Si, ma…”
La zittii con un cenno della mano “Niente ma. Non ci vedremo per almeno quindici giorni. Tempo di decompressione. Tranquilla tesoro. Non ho voglia di farmi male! E poi, ti ricordo che il tuo dolce fratellino mi stringe d’assedio!”  le sorrisi incoraggiante, facendole l’occhiolino.
“Tesoro, ma cosa mi combini?!”



Angolino dei ringraziamenti^^
A tutte/i coloro che hanno recensito questa mia storia, grazie di cuore!
Come alcuni di voi sanno, la sto riscrivendo daccapo cercando di allineare lo stile più acerbo dei primi capitoli della vecchia versione, a quello un po' più maturo degli ultimi. A volte la cosa mi riesce facile, a volte no (vedi questo capitolo^^)  Spero comunque che continui a piacervi e di non deludervi.

Akuma: sì, effettivamente c'è molto di "casa" in "Angelo", credo soprattutto perché c'è molto di mio. Per quanto non creda che sia la ff meglio riuscita, è sicuramente quella in cui ci ho messo più cuore.

Kitiara: grazie ancora per aver letto anche questo mio lavoro. Come vedi, ho cercato di aggiornare entro fine mese ^^. Immagino di averti quasi accontentata con Benji ed Ele. Quasi... XD

Valentina78: felicissima di aver emozionato anche te^^ Se vedi che non aggiorno, non perdere le speranze. La storia è già tutta scritta, devo solo trovare il tempo di risistemarla :)

Sanae78: grazie di avermi seguita. Sono contenta che apprezzi il fatto che la sto sistemando :) E sono felice che continui a piacerti.

Lynn: come vedi sono qui. Ci ho messo più tempo del previsto, ma "Angelo" va avanti. Felice che il mio SGGK ti piaccia e che la ff sia tra le tue preferite^^

Minigo: grazie anche a te. Anche tu conosci già tutta la storia e sono contenta che apprezzi il restile^^

Ok, credo di avere finito...
Lo so, sono una bestiaccia, fino ad ora non avevo ringraziato nessuno pubblicamente, ma mi è sembrato giusto farlo.
Grazie, ovviamente, anche a chi legge e non recensisce.
Spero davvero che la mia storia continui a piacervi.
Alla prossima
Eos75

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Capitolo 14
*** 13 ***


Ero in ritardo!
Ero stramaledattemente in ritardo! E, per l’ennesima volta, a causa di una delle riunioni di mio padre.
Avevo appuntamento con Karl in scuderia per le quattro, gli avevo promesso che l’avrei accompagnato a ritirare l’auto nuova ed erano le quattro e mezza.
Lasciai la macchina nel parcheggio sterrato e mi avviai quasi correndo verso la club house.
“Andiamo di fretta, portiere?” udii una voce squillante che mi chiamava e mi voltai verso il campo.
Marjiorie era in sella ad uno stalloncino grigio ferro dall’espressione  furba. I grandi occhi da gatto della bionda splendevano nel viso arrossato dalla fatica, illuminato da un bellissimo sorriso. Mi fermai un istante, appoggiandomi alla staccionata.  “Buon giorno e ben tornata! Sì, sono molto di fretta! Hai per caso visto Karl?”
Rispose venendo verso di me, le redini lunghe sul collo mentre scendeva ad accarezzare la spalla dell’animale  “Sì, è in club house con Kris…”
Non fece in tempo a terminare la frase che il mio cellulare squillò.
Fu un attimo. Lo stallone stava aspettando solo una scusa. Abbassò il collo, sgranando gli occhi e facendo un breve stop tendendo tutte e quattro le gambe. Quindi scartò violentemente a destra, iniziando a smontonare come un cavallo selvatico, la testa tra gli anteriori e i posteriori che calciavano. L’amazzone, colta sbilanciata in avanti, non fece in tempo a rientrare in sella e venne sbalzata a terra, mentre il puledro correva via sgroppando. Senza pensarci due volte scavalcai la recinzione e corsi verso la ragazza, che era rimasta a terra immobile e mi inginocchiai accanto a lei. 
“Marjiorie!” quasi gridai vedendo che non accennava a muoversi.
Gli occhi erano chiusi ma un leggero sorriso le increspò le labbra mentre li  riapriva, seguito da una sonora risata. Mi fece prendere un colpo.
“Ma che cretina che sono!”  poi, vedendo la mia espressione di disappunto “Tranquillo, è tutto a posto! Nulla di rotto!Anzi, mi daresti una mano ad alzarmi?” disse tendendomi, sorridendo, la sottile mano guantata, che afferrai non molto convinto  “Ma sei sicura di stare bene?” chiesi preoccupato.
Mi sorrise nuovamente, mentre faceva forza per sollevarsi  “Sì sì, tranquillo! L’unica cosa ferita è il mio orgoglio! Ma che cretina che sono! Non avrei dovuto abbassare così la guardia con Sebastian! Ha solo quattro anni…”  Intanto si era rimessa in piedi e stava tentando di togliere la sabbia dai vestiti. Considerai quanto strano fosse che una ragazza come lei, dall’aspetto fragile e delicato, si fosse rialzata come un calciatore atterrato dopo un brutto fallo.
“A proposito... Mi spiace di averlo fatto spaventare!”  mi scusai.
Si voltò verso di me, mettendosi le mani ai fianchi e tirando la schiena “Scherzi? Non è colpa tua! Seby non aspettava altro che abbassassi la guardia per tirami uno dei suoi scherzetti! Guardalo lì, lo stupido!”  disse, indicandomi il cavallo che scosso, correva allegro per il campo. La osservai un momento e vidi lo stesso amore e la stessa passione che tante volte avevo visto sul viso di Elena.
“Tombola!”  mi voltai di scatto in direzione di quella voce scherzosa, ed ecco la mia compagna di allenamenti. Era appoggiata alla cavallerizza, in mano una longhina alla quale era legato Zingaro che osservava con disapprovazione il collega scorrazzare libero per il campo. Elena sorrideva divertita, negli occhi un lampo d’allegria e,  finalmente, serena… Capodanno, pensai, le aveva fatto bene!


Trattenni una risata scuotendo il capo: Marj era stata proprio avventata a voler salire subito in sella dopo un viaggio di dieci ore d' aereo! Ma la capivo, la capivo benissimo. Non ne poteva più di non montare a cavallo! La nostra non era una semplice passione, era una malattia.
“Però…" mi dissi "Guarda guarda quei due come stanno bene insieme...”  Osservavo i miei  amici, in piedi l’uno accanto all’altra, constatando che facevano proprio una bella coppia. Tirai un sospiro, stringendo le labbra: se solo Benji avesse avuto le idee un po' più chiare riguardo all'amore...
In un flash ripensai a Zurigo, a quello che avevo provato, a quello che ci eravamo detti… E a come aveva reagito alla mia telefonata di Capodanno.
Capodanno.
Alcuni ragazzi della squadra ed altri amici avevano organizzato una festa  in uno chalet di montagna. Ero andata anch’io, letteralmente trascinata da  Kristine e Karl.
Invece dei fuochi d’artificio  avevamo pensato a preparare un bel falò. Guardavo i ragazzi che sistemavano la catasta di legna stringendomi le braccia intorno al corpo e saltellando nel tentativo di non congelare. Amo la neve ma detesto il freddo. Qualcuno lo sapeva e pensò bene di porre rimedio a questo mio piccolo problema. Era quasi mezzanotte ed all’improvviso mi sentii cingere da dietro “Non starai per caso morendo di freddo? Come faremo noi senza la nostra fotografa, il prossimo anno!?” Karl mi aveva abbracciata, tenendomi stretta nell’intento di scongelarmi. Fui piacevolmente sorpresa, sia dal tepore del suo corpo che dal suo atteggiamento e mi lasciai affondare tra le sue braccia, rispondendogli a tono  “Sei tu il capitano. Tu ti devi occupare della cura della tua squadra…”
Lo sentii sogghignare  “Come vedi lo sto facendo… Sempre che ti faccia piacere…” L'abbraccio si fece più stretto, sentivo il suo fiato caldo solleticarmi piacevolmente il viso. Sospirai, creando una nuvoletta che si perse subito nell'aria tersa, e per tutta risposta mi accomodai meglio sul suo petto, rilassandomi e chiudendo un istante gli occhi.
Scoccò la mezzanotte e venne dato fuoco alla pira. Karl non mi lasciò andare un istante e quando i ragazzi, sfoderate le chitarre, cominciarono a suonare e cantare, mi costrinse dolcemente a ballare con lui in mezzo alla neve. Non riuscivo a vederlo bene in viso, scorgevo solo lo scintillio azzurro cielo dei suoi occhi ed un sorriso leggero che piegava le labbra sottili. Vinti dal freddo, gli altri rientrarono. Mi voltai per seguirli, certa che il capitano avrebbe fatto lo stesso ma mi sentii trattenere e in un istante mi trovai nuovamente tra le sue braccia, la sua bocca sulla mia.
Il giorno seguente, devo essere sincera, non fu facile chiamare Benjiamin per  fargli gli auguri..
Tergiversai un poco e poi glielo dissi. Rimase zitto un istante che mi parve un eternità. Non sapevo come avrebbe reagito. Lo intuii sorridere  all’altro capo del telefono  e poi scoppiare in un'allegra risata “Sei arrivata tardi! Lo sapevo già!”
“Cosa?”  rimasi di sasso, gli occhi spalancati e la cornetta a mezz'aria,  immaginando quasi il sorrisetto divertito e strafottente sulla sua faccia.
“Karl mi ha chiamato stamattina, dormigliona! La prima cosa che mi ha detto era che pretendeva la mia benedizione! E così, alla fine, la sua pazienza è stata premiata.” concluse serafico.
Respirai e ricordai la notte precedente. Karl mi aveva trattenuta fuori al freddo, baciandomi con tenera passione. Quando si era staccato da me, gli avevo fatto la domanda che già dalla festa di Natale mi ronzava in testa  “Perché io?”  lo avevo guardato dritto negli occhi. Ferite ne avevo abbastanza. Lessi sorpresa nel suo sguardo  “Come, perché tu?” chiese.
“Perché io e non una delle splendide ragazze che ti ronzano intorno?!” continuai, mille dubbi e stupide angosce che mi ronzavano nella testa.
Appoggiò la sua fronte alla mia, parlando piano  “Splendida ragazza, tu non sei uno scherzo…”  e mi sorrise dolce, riavvicinando le sue labbra alle mie.
“E poi, “  riprese, sorridendo divertito quando ci slacciammo da quel bacio  “ricordati che per quello che ho appena fatto, rischio la vita! La tua specialissima guardia del corpo non ci penserebbe due secondi a spezzarmi la schiena se solo sospettasse che le mie intenzioni non sono più che serie!”  mi strinse più forte, con un lampo divertito negli occhi. Era vero, era assolutamente vero. Benjiamin non avrebbe mai permesso che qualcuno mi facesse di nuovo male, tantomeno il suo migliore amico.
“Ehi! Terra chiama Elena! Ci sei?”  la voce di Karl mi riscosse dai ricordi e me lo trovai accanto, lo sguardo azzurro splendente come il cielo a primavera.  Era meraviglioso. Dolce, protettivo, paziente... 
“Mhmmm…sì, più o meno…” risposi, riportando la mia attenzione sulla coppia in piedi nel mezzo del campo. Il Kaiser intercettò il mio sguardo, annuendo pensoso  “Non stanno per nulla male insieme…”

La domenica dopo, finalmente, scendemmo nuovamente in campo.  Il Colonia non era un avversario molto impegnativo, ma quando si gioca fuori casa, meglio non prendere le partite sottogamba. Schneider e Levin, rientrato dopo una lunga assenza dovuta ad infortunio sottovalutato, dettero spettacolo in attacco. Gli avversari non entrarono che due o tre volte nella nostra area, senza peraltro essere mai veramente pericolosi. Si era ormai alla fine di Gennaio, ma il freddo non accennava a diminuire. I ragazzi, bene o male correndo si scaldano. Rimanendo pressochè fermo in porta, tra l’altro in una partita per nulla impegnativa, mi eroquasi congelato. Feci una lunga doccia bollente per sciogliere i muscoli indolenziti dal freddo. Quando ne uscii ero solo col capitano, che mi aveva evidentemente aspettato, mentre riordinava molto con calma le sue cose. Colsi l’occasione per togliermi quel peso che mi gravava ormai da prima di Natale. Lo presi di petto, era inutile tergiversare “Karl, a Zurigo ho commesso un’idiozia...”  mi guardò corrugando la fronte, sorpreso  “Pensi di non aver meritato il premio e vorresti concederlo al tuo capitano?”  sorrise ironico.
Sospirai, incassando e mettendo in conto. ”No, molto peggio.” continuai, e vidi comparire sul suo volto un’espressione interrogativa  “Ho tentato di baciare Elena.”  negli occhi azzurri passò  un lampo d’acciaio. Sapevo cosa voleva dire e a cosa andavo in contro. Si sollevò dalla panca, incrociando le braccia al petto, fissandomi irato.
Ripresi “Mi ha bloccato lei. Sono stato un vero stupido. Elena è solo un’amica. Un’amica particolare ma solo un’amica. Soprattutto ora che è la tua ragazza.”  Eravamo l’uno di fronte all’altro, Karl mi stava squadrando da capo a piedi. Avvertivo la sua furia e lo capivo. Dopo un minuto che mi parve eterno, espirò profondamente, espellendo fiato e rabbia. Lo sguardo d’acciaio riprese il solito color azzurro cielo. La tempesta era passata.  “Ti credo." riprese  "E so che lei non potrebbe avere guardia del corpo migliore di te.”  sorrise, chiuse la borsa e mi voltò le spalle per uscire ma si fermò un istante, girato verso la porta la mano sulla maniglia “Benjiamin.”
“Dimmi, Karl”
Silenzio.
Pochi secondi che nuovamente sembrarono anni.
“Grazie per essere stato sincero con me.”
Sospirai, sollevato.
“Ho chiesto io ad Elena di non dirti nulla. Era compito mio. L’idiozia l’ho fatta io.”
Vidi che serrava con forza la maniglia della porta  “Non ne sei innamorato, vero?”
Non me l’aspettavo. Quella domanda mi colse come una pallonata nello stomaco. Sentii la testa svuotarsi da ogni pensiero, come incapace di trovare una risposta.
“No. Karl. E’ solo un’amica” 
Si girò a guardarmi, un sorriso accennato  “Grazie” disse ed uscì.
Finii di cambiarmi con calma. La domanda di Karl e la mia risposta continuavano a vorticarmi per la testa. Riconsiderai quello che avevo appena detto al mio capitano “Non è vero… La verità è che non lo so neppure io…”  scossi il capo, scacciando quel pensiero e l’immagine di un paio di allegri occhi nocciola dalla mente.

Quella sera invitammo Benji e Karl al ristorante del maneggio. Non per altro, dopo la partita mi ero fiondata a montare, mentre Kris e Marj erano rientrate piuttosto tardi da una gara e nessuna di noi avrebbe avuto la forza di uscire. Fu una serata molto piacevole, e notai con gioia che Marj reggeva molto bene la presenza del mio amico portiere. Il quale, ogni tanto, mi sorrideva  appena per rassicurarmi che avrebbe fatto il bravo. Comunque, dovetti ammettere di nuovo, quei due stavano proprio bene insieme. Chiacchierarono tutta la sera di calcio e, a volte, di cavalli. Karl li osservava, tenendo d’occhio il compagno di squadra. Se Benji era la mia personalissima guardia del corpo, lui lo era di Marj. Si conoscevano fin da piccoli e lui la considerava una sorellina minore. Più di una volta la mia biondissima amica si era rifugiata a casa Schneider, piangente perché il padre era partito per l’ennesima tournè lasciandola improvvisamente sola o perché i suoi avevano litigato per lei. E Karl l’aveva presa sotto protezione. In effetti, vedendoli tutti e tre insieme si sarebbero detti veramente fratelli!
Ora, in quella situazione, il Kaiser si sentiva probabilmente in difficoltà: da una parte io, la “protetta” dell’SGGK, dall’altra lo stesso che stava instaurando un bel rapporto con la sua “pupilla”.
“Vado a dare un’occhio a Zingaro” mi alzai da tavola e gli occhi azzurro cielo mi guardarono divertiti  “Penso che dovrei essere geloso…” disse con un un bellissimo sorriso leggermente di sbieco.
“Guarda che, prima viene Zingaro, poi tutto il resto! E non dirmi che col calcio non siam messi nelle stesso modo”  risposi, strizzandogli un occhio. Il sorriso si allargò, gli occhi si illuminarono e pensai di essere la donna più fortunata del mondo. Mi seguì in scuderia. Arrivai al box del mio cavallo e mi assicurai che stesse bene. Mi voltai e, me l’aspettavo, venni cinta in un abbraccio stretto e le mie labbra catturate in un bacio tenero ed urgente. Quando mi liberò da quella dolce prigionia ercai, buio com’era, di scrutarlo in viso  “Smettila di preoccuparti per lei!" lo rimproverai scherzosa "Ho smesso pure io! Benjiamin farà il bravo, vedrai!”
Avvertii il suo sorriso. Poi ”Mi ha detto di Zurigo...” e una pausa lunga un secolo  “L’hai rifiutato. Perché?”
Non me l’aspettavo. Mille risposte si affollarono nella mente. Tutte vere. Tranne l’ultima, che fu quella che diedi  “Perché non volevo gettare al vento la nostra amicizia e capivo che si era solo fatto trascinare dalla situazione. Non mi farebbe mai del male.E non voleva assolutamente farmene.”
“Ne sei innamorata?”  respirava piano, potevo vedere la luce riflessa nei suoi occhi.
“No. E’ solo un amico” risposi d'un fiato.
Storie, pensai mentre pronunciavo quelle parole.
Era un amico.
Vero.
Non mi avrebbe mai fatto male?
Vero.
Ma la realtà dei fatti era che ero dannatamente attratta da lui ma ne ero pure spaventata a morte!
Troppo bello, troppo importante, troppo complesso, troppo coinvolgente. No!
Ero innamorata?
Non lo sapevo…
Volevo considerarlo solo un amico, dimenticando tutto il resto.
Karl mi piaceva, mi era sempre piaciuto e si era dimostrato più rasserenate di quanto credessi. Stavo bene con lui, ero felice, ero al settimo cielo! Ed ero certa di potermi fidare al cento percento. Amarlo? Non ancora. Neppure lui mi amava ancora. Era un rapporto che doveva crescere e stabilizzarsi.
Una settimana e mezza circa dopo quella serata, la partita di ritorno degli ottavi della Champions. Bayern  – Stoccarda. Nelle file avversarie, una vecchia conoscenza dei miei amici. Il centrocampista Sho, ex del Monaco da una stagione. La squadra di Dieter Muller aveva perso all’andata per 2-0, doppietta di Levin su assist di Schneider. Brutto colpo per il miglior portiere tedesco Avrebbero dovuto segnare tre reti per passare. Con Price in porta era pressoché impossibile!
Il primo tempo passò in un lampo. Le due squadre si diedero battaglia senza esclusione di colpi. Lo Stoccarda  era perennemente in avanti, trascinato da uno Sho in piena forma. Il Bayern non rimaneva certo inattivo. Karlz e Shuster, diretti magistralmente da Price, formavano un muro impenetrabile e, non appena s’impossessavano della palla, a turno scattavano in avanti, portando il gioco agli attaccanti. Levin era temporaneamente in panca. Il mister aveva deciso di non sforzarlo subito. Quattro mesi di stop non sono uno scherzo da recuperare e Stefan sarebbe stato molto prezioso in semifinale e finale. Karl  si dimostrò un regista d’eccezione; portò la squadra più volte in area avversaria, senza però forzare troppo. Conosceva bene sia Yi che Sho: fare un goal nel primo tempo voleva sì dire mettere al sicuro il risultato, ma anche trovarsi davanti undici belve feroci nel secondo. E il Kaiser non voleva correre rischi. Attaccava, certo, lui non si tirava mai indietro, ma senza foga, come un leone che gioca con la preda. Sapeva di avere le spalle coperte in porta, non dubitava minimamente dell’SGGK però conosceva bene il cinismo e la fredda determinazione di Sho, che erano costati cari al suo amico anni prima.
I primi quarantacinque minuti si conclusero con un sofferto 0-0. Mentre i ragazzi entravano in campo per la ripresa, sentii Karl  incitarli all’attacco e vidi l’occhiata d’intesa che si scambiava con Price. Il Bayern ricominciava a fare sul serio.
Accanto al capitano, finalmente il biondo svedese.
Ero più o meno in linea con la nostra porta. Volevo fare un paio di scatti ancora sui difensori ed il portiere per poi spostarmi verso l’area avversaria a riprendere l’attacco. La furia dello Stoccarda non si fece attendere. Karl e gli altri se lo aspettavano ma comunque la difesa venne elusa da una serie di passaggi veloci e molto precisi. Soprattutto il cinese evitò accuratamente il confronto diretto col nostro capitano, sapendo che con ogni probabilità ne sarebbe uscito sconfitto. Il terzetto Sho-Richter – Yi entrò in profondità nella nostra metà campo. Karlz , Strauss e Shuster non arrivarono a rubare il pallone agli avversari, nonostante Price avesse previsto con precisione i loro  movimenti. Se li trovò praticamente tutti e tre in area. Shuster tentò di blindare Yi ma l’agile attaccante coreano lo fregò con una finta magistrale al termine di un duello tecnicamente eccezionale. Yi si girò a passare a Sho, il quale era a pochi passi da Price. Si sfidarono. E Sho capì che con la forza non sarebbe passato. Fintò un tiro in porta ma Benji non si fece ingannare: aveva visto Richter con la coda dell’occhio. Uscì dalla porta, contando sulla sua eccezionale elevazione, sapendo che sarebbe arrivato sul pallone prima del tedesco.
Avevo l’obiettivo puntato su di lui. Mi aspettavo di stare per scattare l’ennesima foto su parata spettacolare. Ma quello che intravidi con l’occhio sinistro, libero dall’oculare della macchina, mi fece gelare. Richter era saltato comunque, in rovesciata alla sinistra di Price. Lo scontro in aria era inevitabile. Benjiamin arrivò sul pallone, afferrandolo saldamente, e una frazione di secondo dopo ci arrivò pure il piede sinistro del tedesco, che però colpì con violenza il polso di Benji. Crollarono entrambi a terra, Richter letteralmente addosso a Price che, nonostante tutto, non aveva lasciato il pallone e lo stringeva sotto di se col braccio destro. Lo vidi serrare i denti dal dolore. Gli occhi infuocati di rabbia. Poi si voltò verso l’attaccante avversario, che gli aveva detto qualcosa. Sul viso del tedesco un sorriso sadico e soddisfatto. Lo avrei ammazzato!
Si beccò un cartellino rosso per gioco pericoloso.



“E così sei fuori gioco, caro il mio SGGK!”
Mi voltai verso Richter: ero furioso ed il dolore al polso era lancinante, ma non riuscivo a credere alle mie orecchie. Si rialzò, un sorriso soddisfatto, per nulla dispiaciuto di quello che aveva fatto, anzi, era pienamente consapevole delle sue azioni, il bastardo!
“Price, tutto a posto?”  la voce del capitano mi riportò alla realtà. Vidi la sua mano tesa verso di me, ma quando mi appoggiai sul braccio sinistro per afferrarla con la destra, crollai a terra. Il polso non reggeva. Karl e Shuster si chinarono accanto a me.  
“Tu esci.”
“No.”
“Piantala Benji! Mi servi sano per la finale! E Leo non è in grado di fermare Holly! A questi qui ci pensiamo noi! Tu esci!”  mi ritrovai con gli occhi di ghiaccio del Kaiser a poca distanza dai miei. I suoi ordini non si discutevano. Era vendetta quella che ardeva in quello sguardo. E comunque aveva ragione.
Uscii dal campo tra gli applausi del pubblico. Mi voltai un istante e scorsi la mia piccola fotografa che mi osservava preoccupata. Le sorrisi, cercando di rassicurarla. Sorrise appena di rimando, portando due dita alla fronte, come un saluto militare.
“Non è rotto. Solo una brutta lussazione. Meglio se te ne stai a riposo per un po’, Benjiamin. La squadra avrà bisogno di te in partite molto più importanti di questa!” Il medico aveva intuito la mia angoscia. Mi ero già rotto i polsi ed ero stato fermo troppo tempo per quell ’infortunio. Quell’anno non potevo assolutamente permettermelo!
All’improvviso, udii un boato dagli spalti e l’inno della squadra urlato a squarciagola. La vendetta del Kaiser non aveva tardato a venire.
Tornammo a casa. 2-1. Mejer è un ottimo portiere, ma  Sho è un avversario temibile anche per me, mentre Dieter  è un avversario eccezionale per Karl e Stefan.
Sentii il telefono vibrare. Un messaggio che diceva : ”Cena per la meritata vittoria e dolce per un povero ferito di guerra. Il tutto offerto dalla Premiata Ditta Ele-Marj & Kris. Venite?”  Guardai Karl che, evidentemente, aveva ricevuto lo stesso sms. Si voltò, sorridendomi e strizzandomi un occhio “Direi che ce la siamo meritata, che dici, socio?”
Ci ritrovammo nuovamente al riding club, questa volta non al raffinato ristorante ma nella più semplice club house. Le tre amiche avevano deciso di cucinare in nostro onore. Eravamo solo noi cinque. Chiacchierammo tutta la sera, rilassandoci finalmente un poco. Ad un certo punto vidi lo sguardo di disappunto di Marjorie fisso sulla fasciatura che avevo al polso.
“Così non serve a niente!”
“Come?”  ero interdetto.
Scosse i boccoli biondi per poi raccoglierli in una coda alta con un elastico, lanciandomi una sguardo spazientito  “Aspetta un po’.”  disse e vidi Elena osservarci e sorridere divertita. Non capivo. In effetti la fasciatura si era allentata un poco dopo la doccia, ma l’indomani mattina dovevo recarmi in ambulatorio comunque. Marj rientrò nella piccola sala armata di benda, fascia elastica e forbici. “Avanti, dammi quel polso, altrimenti messo così guarisci tra cent’anni e il Bayern non se lo può permettere!”
Guardai dubbioso Elena, che ora sorrideva apertamente. Lesse la mia sorpresa e negli occhi nocciola passò un lampo birichino  “Lo sai che Marj è il nostro veterinario, no? Specializzata in grandi animali!! Per cui…”  fece una pausa, guardandomi maliziosa  “che differenza vuoi che facciano per lei cavalli o… asini!?”  Si trattenne dal ridere senza smettere di fissarmi. Karl osservò prima lei e poi me. Poi scosse la testa e sorrise sconcertato. Mi conosceva bene e sapeva che chiunque altro avesse fatto una battuta del genere nei miei confronti sarebbe finito male. Con lei non era così.
Marj finì di medicarmi. Per essere un veterinario se la cavava bene con gli esseri umani.

Eravamo a casa. Marj era stesa sul letto, i boccoli sparsi disordinatamente sul cuscino, le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo perso nel vuoto. Mi domandai se avevo fatto bene a lasciarla per un po’ da sola con  Benjiamin. Forse Kris aveva ragione, forse era troppo persa, era troppo rischioso farla uscire in compagnia con lui.
La stavo fissando da almeno mezz’ora, quando mi sfuggì un sospiro.
“Che hai?” chiese.
“Lo sai…” risposi atona.
“Avevi ragione sai?” riprese, e cominciai a preoccuparmi.
“Mmm?” mugugnai, sforzandomi di far finta di nulla.
“Non è solo uno splendido ragazzo, è anche una bella persona.”
“Lo so” e la cosa mi preoccupava non poco.
Chiuse gli occhi sospirando “Hai ragione.”
“Io ho sempre ragione!” ridacchiai nervosa.
Sorrise, sempre ad occhi chiusi  “Sono innamorata persa!”
“Tombola!” esclamai, buttandomi sul letto a pancia in su, espirando profondamente e chiudendo a mia volta gli occhi.
Rimasi in silenzio qualche minuto, riordinando le idee.
“Marj…" ripresi.
“Lo so cos’hai da dirmi.” mi interruppe stizzita.
“E invece no!” alzai la voce e si voltò verso di me, guardandomi sorpresa. Continuai, pregando dentro di me di non stare commettendo un'enorme sciocchezza  “Ascolta e non interrompermi. Voi due state piuttosto bene insieme. Interessi in comune, gusti musicali, tante cose...”
“Anche per te è così…” sussurrò.
“Ti ho detto di non interrompere! E poi per me è diverso! Benjiamin è mio amico, stop!” dissi, cercando di convincere più me stessa che lei.
“E Zurigo?” La domanda che non volevo sentire...
Mi stava fissando. Smisi un attimo di respirare, ripensando a quella cascata di emozioni, ai suoi occhi, al suo calore... Al mio terrore. E  chiusi istantaneamente tutto dietro una porta a doppia mandata, gettando via la chiave.
“A Zurigo non è successo nulla Marj. Lo sai che l’amicizia tra uomo e donna non è sempre facile, ma le cose sono state messe in chiaro. Siamo amici. Punto.”
“Solo amici?” insistette.
Sospirai, spazientita “Marj! Solo amici! Ti ricordo che sto con il tuo (e suo) migliore amico! E’ vero, lo ammetto: Benjiamin è terribilmente affascinante e non è che ogni tanto non mi incanti pure io a guardarlo! Sono di carne ed ossa anch’io!” la strizzai un ochhio e mi sorrise comprensiva.
“Ascolta e senza svenire! Sarei molto, molto felice se le cose fra voi due andassero bene, ma “  la fissai dritta in viso, perché capisse che non stavo assolutamente scherzando  “ Benji non è solo quello che vedi. E’ molto, molto di più. Non è solo forza, decisione, fascino, magnetismo, freddezza. Quella è  una corazza che nasconde una splendida personalità molto complessa e dagli equilibri piuttosto fragili…” Sgranò gli occhioni da gatta, trattenendo il respiro. L’avevo sconcertata. Non le avevo mai parlato di Benjiamin in quei termini ma ormai lo ritenevo necessario. Continuai  “Price non è solo il grande SGGK del quale leggi sulle riviste. E quello che ti ha mostrato di sé è un decimo di quello che è… Tu ami un’immagine che ti sei fatta di lui da quindici anni a questa parte. Non è detto che tutto quello che hai sognato sia corrispondente alla verità. Sarei felicissima se lui ti concedesse di scoprirlo, e tu potessi imparare ad amarlo per la persona che è. Ma non sarà facile. Ha chiuso il suo cuore all’amore per ragioni che non posso spiegarti e per questo potrebbe farti soffrire parecchio.”  Mi ascoltava respirando piano, stringendo il copriletto tra le dita, conscia che quello che le stavo mettendo su un piatto d'argento era il sogno della sua vita 
“Marj. Sei una ragazza fantastica. Non voglio assolutamente crearti illusioni, ma non credo che il cuore di Benjiamin potrà stare chiuso a chiave a vita. Se ci tieni tanto a lui, provaci, semplicemente essendo te stessa! Non prometto che funzionerà. E ti avviso che potresti rimanerne scottata. Molto.”
Le labbra a forma di cuore si piegarono in un dolce sorriso, mentre una lacrima le solcava la guancia “Grazie” sussurrò e mi strinse forte.
Mentre l’abbracciavo, una morsa gelida mi attanagliava lo stomaco. Avevo fatto la cosa giusta?

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Capitolo 15
*** 14 ***


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Erano passate due settimane dalla partita durante la quale mi ero infortunato. Il polso andava meglio ma il mister non voleva comunque rischiare, e neanche io.
Brema - Bayern fuori casa, però, non è uno scherzo. Il terzetto Margas, Victorino, Schester è una brutta gatta da pelare ma avevo molta fiducia in Leo. Nonostante l’aspetto bonario ed il sorriso aperto, Mejer in campo non lascia spazio ad indecisioni e prende tutto molto sul serio. La sua regia della difesa è leggermente diversa dalla mia: tende a bloccare l’avversario al limite dell’area ma è meno organizzata quando questi si avvicina alla porta. Con quei tre dall’altra parte poteva essere un grosso problema.
Karl lo sapeva, e prese le sue precauzioni. Si sistemò in posizione leggermente più arretrata del solito, con l’intenzione di occuparsi personalmente, per almeno tutto il primo tempo, di Victorino. Levin era in campo. Il mister aveva messo nelle sue mani la responsabilità dell’attacco nei primi quarantacinque minuti, con l’ordine di sfondare il blocco serrato di Schester.
Fischio d’inizio e palla agli avversari. Mi sentivo un leone in gabbia.
L’uruguayano ed il tedesco partirono all’attacco senza esitazione. Stefan s’incollò a Margas, mentre Karl non perdeva d’occhio Victorino, il quale fu costretto ad un retropassaggio dalla marcatura strettissima del  mio capitano. L’intenzione era per Shester, ma il solito Karlz si spostò rapido in avanti, riconquistando il pallone per passarlo a Levin. Cominciavamo bene, la tattica di Karl funzionava. Manfred e Ramon erano neutralizzati. Ora stava a Stefan trovare il sistema di liberarsi di Schester. Intorno al venticinquesimo parve avercela fatta. L’ennesimo attacco del Brema era stato si era infranto contro la nostra difesa. Shuster aveva rilanciato lungo per Karl il quale, affiancato dallo svedese, era partito in un contropiede travolgente. Il Kaiser voleva mettere il risultato subito al sicuro. Levin si era liberato di Schester, aveva ricevuto un bel passaggio da Karl, verso il quale effettuò, triangolando, uno splendido assist. Il capitano  insaccò la palla in rete nell’angolo a destra. Preciso. Come sempre.
La reazione del Brema non si fece attendere. L’attaccante uruguaiano riuscì ad eludere la marcatura di Schneider, avvicinandosi pericolosamente alla nostra area. Leo diresse con precisione la difesa, prevedendo correttamente l’azione messa in atto dagli avversari. Karlz riprese la palla e fece per allontanarla dall’area. Melvin, centrocampista del Werder, si era però portato avanti inosservato dai nostri. Una distrazione che ci costò cara. S’inserì sul rinvio di Karlz, prima che arrivasse a Schneider, e fece un lungo passaggio per Margas, il quale si girò ad effettuare uno splendido tiro al volo. Mejer non lo vide, coperto com’era da uno dei nostri difensori. Intuì la direzione del pallone, ma era tardi. 1-1.
Scattai in piedi.
“Siedi e stà calmo, Price. Possono farcela anche senza di te, per oggi. Il tuo polso non è ancora a posto e non voglio rischiare che peggiori.”  Strinsi i pugni ed obbedii.
Karl richiamò i ragazzi alla calma. La partita era tutta da giocare e un gol non era poi la fine del mondo. In effetti i nostri avversari, se pur euforici per il punto segnato, non crearono più azioni di rilievo fino al termine del primo tempo. Anche l’inizio della ripresa fu, tutto sommato, piuttosto equilibrato. Ma quello che non mi convinceva era il fatto che il terzetto del Brema non si stava impegnando più di tanto. 
Un pareggio non è una tragedia. Karl, quando si trovava in possesso di palla, avanzava con la solita tenacia, ma il nostro attacco non era sufficientemente incisivo.
E al quarantesimo del secondo tempo, scattò la trappola del Brema. Approfittando di un istante di distrazione della difesa, Ramon e Margas penetrarono in area. Shuster era lì, entrò in scivolata sul tedesco, il quale però lo scavalcò agilmente, passando al volo a Victorino. Mejer uscì dalla porta. E si fece fregare. Ramon colpì di testa, ma non verso la porta, leggermente indietro verso Schester, smarcato. 2-1 per il Brema.
Era la prima volta che eravamo sotto di un goal.
Vidi Leo picchiare un pugno a terra. Lo sguardo di Karl rivolto a Schester non prometteva nulla di buono.
Ma accadde l’incredibile. Forse la tensione, forse il non essere abituati ad essere in svantaggio, fecero sì che la nostra difesa non rispondesse con tempestività agli ordini del mister. Mejer  è bravo ma non freddo. E questo lo portò a subire il terzo goal.
“Price! In porta! Lester, sostituisci Karlz che non ce la fa più!”
Erano le ultime due sostituzioni a nostra disposizione.
Leo mi passò accanto con una faccia da cane bastonato.
“Ci penso io. Tranquillo”
Mi rispose con un sorriso triste.
Scambiai uno sguardo d’intesa col Kaiser. Non sarebbero più passati ma lui doveva segnare. Il capitano  si diresse fulmineo verso la porta avversaria, affiancato da Levin. Schester alle calcagna. Non c’era molto tempo. I due erano già in area avversaria, la palla ai piedi di Karl, che travolse la difesa del Werder Brema. Fintò la tattica utilizzata in precedenza con lo Stoccarda: cross lungo e preciso in direzione di Levin. Il portiere si sbilanciò, convinto che lo svedese avrebbe tirato. Stefan dribblò l’ultimo avversario e alzò il pallone per Karl, che con una spettacolare rovesciata mise in rete. 3-2.
Due minuti più due di recupero. C’era tempo perfino per vincere.
Rimessa lunga, gli avversari che caracollano verso la nostra area, più che mai intenzionati a segnare. Nuovamente la coppia Margas – Victorino. Il sudamericano stentò a liberarsi di Karl, ma con un passaggio fortunoso la palla finì a Simms, che non perse tempo e la rigirò a Margas. Il tedesco era una furia: travolse Lester che gli si era parato davanti e ci trovammo faccia a faccia. Tendenzialmente tirava alla destra del portiere, ma sapendo dell’infortunio?
Aspettai.
Infatti, contrariamente al solito, Manfred tirò una bordata pazzesca alla mia sinistra. Ci arrivai, ma il poso mi fece male e non trattenni. Per fortuna Shuster era lì e sparò la palla lontano ma non abbastanza. Schester era risalito, aveva intercettato il rinvio e ripreso l’azione offensiva. Supportato dalle due punte, riportò il Brema in area dopo pochi secondi. Lester, Shuster, Muller si fiondarono sugli avversari ma ebbero nuovamente la peggio. Questa volta fu Victorino a sfidarmi. Un tiro potentissimo alla mia sinistra. Lo bloccai ma non sentivo più la mano. Rinviai lungo, direttamente su Levin. Ricevette la palla, si voltò e travolse i due difensori che aveva davanti. Il suo assist a Karl vene vanificato dall’onnipresente Schester. Il quale, nel voltarsi verso la nostra metà campo, dovette ingaggiare un bel duello con Shuster, che si era portato decisamente in avanti. Albert ce la mise tutta e, con un miracolo, riprese la palla e la diresse su Karl.
Il capitano vide una spiraglio.
Mancava poco. 
Tirò. Uno splendido tiro al volo, preciso e potente, da fuori area. Goddard non potè farci nulla. Tre pari.
Il Bayer si era svegliato, tardi, ma si era svegliato. E in un’azione fulminante, come solo il Kaiser e Levin sapevano fare, si riportò in vantaggio al quarantaseiesimo, senza neppure dare il tempo al Brema di rendersene conto. Goal di Schneider.
Un minuto. Schester non si dava per vinto.Portò avanti la sua squadra con foga.  Ramon ricevette un bel pallone, la difesa si chiuse, ma Lester lasciò un piccolo spiraglio. Sempre a sinistra… Victorino lo vide e non esitò. Era appena dentro l’area. Intuii la sua mossa.


Ero dalla parte della metà campo del Brema. La foto sul goal di Karl era spettacolare! E pure quella della gioia composta del mio adorato capitano.
Le ottiche che avevo  non erano sufficientemente lunghe per riprendere la nostra area. Vidi la furia di Schester. L’azione veloce del Brema. Mi accorsi dello spiraglio nella nostra difesa, e mi resi conto che pure Victorino l’aveva notato. Un tiro dal limite di una potenza inudita, dettato più dalla disperazione che altro.
Chiusi gli occhi.
Udii il boato.
Quando li riaprii, l’SGGK si stava rialzando da terra, rimettendosi il fedele cappellino, il pallone saldamente nella destra. Sulle labbra, il solito sorriso strafottente, gli occhi celati dalla tesa rossa.
Mi accorsi che avevo smesso di respirare. Poi notai un gran baccano provenire dagli spalti. Una voce squillante soverchiava e altre: la mia dolce Marjorie che, per una volta, era riuscita a venire allo stadio, inneggiava al suo campione. L’arbitrò fischiò. Fine della partita e della tortura.


L’avevo presa. Era stato un bello sforzo. Parare il tiro di Victorino praticamente con una sola mano non è uno scherzo ma ce l’avevo fatta. Fine della partita. Alla mia destra una voce squillante sulle altre. Mi voltai, focalizzando nel mezzo della calca un paio di occhi splendidamente azzurri. Marjorie era venuta alla partita e, persa nel mezzo della nostra tifoseria, stava inneggiando il mio nome. Mi venne da sorridere, tornando ai vecchi ricordi di una ragazzina undicenne, piuttosto maschiaccio, che seguiva la mia squadra urlando a squarciagola il nome di Holly. Come cambiano le persone col tempo, pensai: Patty era una bella donna, felicemente sposata, madre di due bellissimi bimbi e con una promettente carriera di medico davanti a sé.
Quando entra negli spogliatoi l’atmosfera era tutto meno che accogliente. I ragazzi stavano mettendo in ordine le loro cose a testa bassa. Karl, ancora sotto la doccia, doveva averli strigliati per bene. Leo fece per uscire e caricandosi il borsone sulle spalle incrociò il mio sguardo. Abbassò gli occhi, scuotendo il capo e soffermandosi sulla vistosa fasciatura che avevo al polso sinistro “Mi spiace, Benji.”
“Lascia perdere Leo. “  Gli misi una mano sulla spalla e lo oltrepassai.
Mi buttai sotto la doccia. Karl era lì accanto e, si vedeva chiaramente, non aveva ancora smaltito l’arrabbiatura. Lo lasciai perdere e mi rilassai. I miei pensieri corsero immediatamente alla bionda amica di Elena che era venuta allo stadio. Sorrisi tra me. Marjorie era una ragazza molto piacevole. Mi era capitato più di una volta di restare solo con lei per dare un po’ di spazio e privacy alla nuova coppia di piccioncini e mi ero trovato molto bene. Non era solo una bella ragazza, era dotata di un’ intelligenza viva e brillante. Mi faceva piacere pensare che fosse venuta allo stadio per me…
Uscii dalla doccia. Il capitano stava finendo di cambiarsi.  
“Mi spiace, amico” disse e si voltò appena, sul viso un’espressione costernata. Cercai di tranquillizzarlo. Alzai le spalle e scossi la testa  “Non ti preoccupare, Karl. Le partite storte capitano. Il polso andrà a posto." Uscimmo insieme dagli spogliatoi, senza più parlare della partita. Ci aspettava una serata tranquilla. O almeno così credevo…


Il cielo sopra Monaco era terso e il rosa dell'alba cominciava a volgere all'azzurro intenso.
Benjiamin stava terminando il suo allenamento, concentrato, distaccato, apparentemente incurante del mondo. Era sempre così che lo vedevo quando ci incrociavamo durante i nostri silenziosi allenamenti mattutini.
Eppure qualcosa, forse, stava finalmente cambiando nella sua vita…
Era già ormai quasi un mese che usciva con Marjorie.
Ripensai a quella domenica: che giornata incredibile! La partita era stata veramente al cardiopalma, con Leo che si era fatto infilare tre goal, costringendo il mister a mettere in campo un Price non esattamente in forma. E il mio amico aveva fatto la differenza. Incredibilmente avevamo vinto una partita praticamente persa!
La sera avevamo festeggiato al club. Cena tranquilla. Karl mi aveva riportata a casa molto presto perché dopo la partita mi era salita la febbre (solita, maledetta influenza!) e anche Kris era a casa malata.
Avevamo lasciato Benji e Marj  soli in scuderia perché la bionda veterinaria, rientrata dallo stadio, aveva trovato una brutta sorpresa: Konstantin, il cavallo più vecchio di Kristine, era andato in colica. Non sembrava nulla di grave, ma Marj non era tranquilla. L’animale, è vero, si era ripreso nel giro di un paio d’ore, ma continuava ad avere la febbre, e la giovane veterinaria preferiva monitorarlo per un po’. Konstantin aveva pur sempre ventitré anni!
A Benji l’idea di lasciare sola Marj in scuderia non andava, così rimase a farle compagnia.
Fu una lunga notte.
La mattina seguente mi svegliai ancora frastornata dall’influenza. Marj era nel letto accanto al mio. Sveglia. I grandi occhi azzurri contornati da vistosissime occhiaie.
“Che hai? Sembra che non hai dormito!”  In effetti, notai in quell’istante, la mia amica aveva ancora in dosso gli abiti della sera prima.
Non mi rispose.
“Marj! Cosa c’è?!” Scansai le lenzuola e la guardai preoccupata con un brutto presentimento.
Chiuse gli occhi e cominciò a piangere silenziosa. Mi avvicinai adagio “Marj… Konstantin?”
“Non ci ho potuto fare nulla…”  iniziò a singhiozzare. La vista mi si annebbiò, le lacrime iniziarono a scendere. Konstantin era il cavallo più vecchio della scuola, gli volevamo tutti un gran bene. Potevo immaginare il dolore di Marj per aver perso un paziente tanto caro.
“Eravamo andati a controllarlo un quarto d’ora prima. Poi, a mezzanotte, abbiamo sentito dei rumori dalla scuderia. Moon, lì vicino, raspava e nitriva. Il vecchietto si era sdraiato e si rotolava per la colica… Ho chiamato al volo Doc Kloster e ho cercato di rimettere in piedi Konstantin. Benjiamin è stato adorabile. Anche se di cavalli non ne sa nulla, ha fatto di tutto per aiutarmi! Lo ha perfino passeggiato fuori al freddo mentre preparavo le iniezioni. Ma non è servito a nulla. Con Doc avevamo appena chiamato Kris a casa per dirle che portavamo il cavallo in clinica, che il cuore gli ha ceduto… così…all’improvviso… Sono rimasta per un po’ ad accarezzarlo… il mio dolce vecchietto… Lo sai vero, che era stato il primo cavallo col quale ero uscita in gara?” Non smetteva di parlare e piangere, aveva bisogno di sfogarsi. Andai ad abbracciarla sul suo letto. 
Continuò  “Benjiamin mi è stato accanto tutto il tempo. Mi ha allontanata con dolcezza quando Kloster ha fatto portare via Konstantin. Mi ha abbracciata…”  Si strinse un po’ a me. Il mio abbraccio non è certo quello di Benji, so bene quanto sia confortante…
“Sai? Mi ha dato una gran tranquillità. Stavo così bene tra le sue braccia ! Era come…”
“Stare tra le braccia del tuo angelo custode...” Sospirai carezzandole i boccoli scomposti.
Sollevò il viso, sorridendo appena  “Tu ne sai qualcosa…”
“Già…”
“Ele…”  mi guardò seria.
“Mmmm?”
“Giurami che non ti arrabbi!” mugolò stringendomi.
Una mano artigliata mi attanagliò lo stomaco. Sapevo cosa stava per dirmi, ed egoisticamente non volevo udirlo. Ma non potevo. Scossi appena il  capo, per rassicurala. Appoggiò il capo alla mia spalla  “Mi ha riportata in club house. E’ stato tanto caro da prepararmi un the. Abbiamo ricominciato a parlare… no! Io ho ricominciato a parlare…di Konstantin…di quando ho conosciuto Kris, di quando ho iniziato ad andare in gara…E ho ricominciato a piangere… Mi ha abbracciata di nuovo e…”
“Ti ha baciata.” Mormorai.
Sospirò  “Già…”


Era adorabile. Resistente eppure fragile, determinata ma sensibile.
Avevo imparato di più a conoscerla in quelle poche ore che non in tutte le sere precedenti. E poi… Me l’ero trovata tra le braccia. I boccoli biondo platino scarmigliati profumavano di fieno, addosso a lei ancora l’odore pungente del povero animale che, purtroppo, non era riuscita a salvare. Eppure era così bella quella sera… forse più bella della sera della festa! Perché era nel suo mondo, quella era veramente la sua vita.  Posai le mie labbra delicatamente sulle sue, e non si ritrasse da quel bacio, vi si rifugiò…
Il pomeriggio seguente andai a trovare Elena.
Sapeva perché ero da lei.
“Cosa vuoi fare?" mi aggredì ancor prima che avessi finito di varcare la soglia di casa "Non rispondere: “Non lo so!” perché altrimenti puoi anche uscire da quella porta!”
Sorrisi vedendo l'espressione seria e determinata sul viso smunto a causa della febbre e una volta di più ebbi la certezza che, se c'era una persona su cui potevo fare cieco affidamento, era Elena. Semplice, diretta, non me le mandava mai a dire.
Mi misi sul divano, accanto a lei e cominciai a parlare adagio, guardandola serio “Non voglio illudere Marj. Ieri sera non mi pareva il caso di parlargliene. Ma non voglio illuderla. E non voglio illudere neppure me stesso! Marj mi piace, ma non so se mi innamorerò di lei. E questo ho intenzione di dirglielo. So che  ha una bella cotta per me, anche se, in realtà, non mi conosce neppure. Farò di tutto per non farle del male, ma non voglio precludermi quella che penso possa essere un’opportunità di avere un rapporto nuovamente vero con una donna…”

Lo ammetto, quelle parole mi facevano male.
E’ stupido, me ne rendo conto! Stavo con Karl e, tutto sommato, stavamo abbastanza bene insieme. Eppure il nostro rapporto non decollava. Non era ancora giunto il momento di dire “Ti amo”. Né per me, né per lui. Anche se, capivo, non era facile costruire qualcosa con me… Quel maledetto pomeriggio di fine agosto mi aveva lasciato segni più profondi di quello che pensavo.
Rimasi un poco in silenzio, poi risposi a Benjiamin “So che non vuoi farle male. Spero che riuscirai a non illuderla. Ma soprattutto, ti prego di una cosa” lo guardai fisso negli occhi  “Non confondere l’amicizia con l’amore. Non pretendere di provare un sentimento se questo non è nato.”
“No, non ti preoccupare… Né per lei. Né per me!” e mi sorrise dolce. Sapevo che mi avrebbe ascoltato. 
E così era passato un mese da quella sera…
Stavano imparando a conoscersi, a capirsi, a scoprirsi e, sì, anche a litigare!
Benjiamin a volte è insopportabile: testardo, borioso, sicuro di sé ed egocentrico in maniera veramente irritante!
Anche Marj, comunque, non è sempre facile: scoppiettante, allegra, travolgente. A volte troppo. E quest’esuberanza non ci aveva messo molto ad entrare in conflitto col carattere fondamentalmente riservato del SGGK. Con il risultato che i due avevano già fatto scintille.
Io e Karl ci eravamo trovati a far da pacieri.
Aveva funzionato. Reggevano.
E reggevamo pure noi. Con molta, molta pazienza da parte sua.
Sapevo che avevano parlato, lui e Benjiamin come io, ovviamente, con Marj. Ma non era facile.
Leo organizzò una piccola festa per il suo compleanno e ci ritrovammo per la prima volta dopo più di un mese ad uscire tutti e quattro insieme.
Fu una bella serata. Leo e la sua compagna Isabel avevano organizzato una cena in piedi a casa loro, seguita da un po’di musica.
Era la prima volta che vedevo Marj ballare tra le braccia di Benjiamin. Provai una sensazione strana e mi sforzai di augurar loro mentalmente tanta felicità. Mi voltai verso il mio bel cavaliere; anche il suo sguardo era puntato sulla nuova coppietta, indecifrabile. Lo svegliai dandogli un leggero bacio sulle labbra e per tutta risposta venni trascinata in mezzo alla fortunosa pista da ballo. Non era tardi ma non era neppure prestissimo, tenendo conto che la mattina seguente dovevo essere da Zingaro alle sette. Abbracciai Karl, che mi avvicinò a sé con dolcezza  “Sarebbe meglio andare…” gli sussurrai in un orecchio.
Sospirò, stringendomi di più  “Va bene, piccola Cenerentola!”  e mi diede un bacio leggero sulla fronte. All’improvviso lo sentii irrigidirsi. Mi voltai, seguendo la direzione del suo sguardo. I nostri amici erano avvinghiati in un bacio tutto meno che casto. In una frazione di secondo mi resi conto che quella notte la mia coinquilina non sarebbe tornata a casa… Mi appoggiai al capitano, che mi cinse nuovamente più forte. Il nostro bacio non fu meno bollente di quello al quale avevamo assistito e, per la prima volta da Capodanno, neppure la notte fu tanto fredda…
La mattina seguente mi svegliai tra le braccia di Karl. Le sette erano passate da un pezzo…  Il biondo capitano aveva finalmente scacciato i fantasmi che infestavano le mie notti. Osservai il contrasto della  pelle più scura della mia mano con quella chiara del suo petto, che si alzava ed abbassava regolare. Mi strinsi un poco a lui, ascoltando il battito del cuore e chiudendo gli occhi.
“Sei sveglia?”
“Si.”
Un attimo di silenzio, poi  “Come stai?”
Sorrisi appena, premendo il viso al suo torace “Bene.”
Sì, finalmente bene.

Ero andato a correre.
Ma quella mattina rimasi solo. Me lo aspettavo.
Mi ero svegliato immerso nei lunghi capelli di Marjorie. Era stata una notte splendida. Mi ero alzato senza svegliarla, e la consapevolezza che l’avrei trovata al mio ritorno mi aveva dato una piacevole sensazione di serenità.
Correre la mattina non era più solo un’abitudine, era un rito. Nel quale Elena e Zingaro si erano inseriti silenziosamente.
Ero uscito per cercare di convincermi che quell’incontro mattutino, divenuto una costante, non era realmente così fondamentale. Allontanai la sensazione di vuoto che mi assalì mentre ero fermo in un canto del prato grande e rinunciai a lanciare occhiate apprensive al sentiero che avevo appena percorso, tendendo l'orecchio al suono ritmico degli zoccoli sul terreno.
Tornai a casa. Marjorie aveva finito di farsi la doccia ed era seduta su letto con in dosso un mio accappatoio, spazzolandosi i boccoli biondi. Era veramente bella. Scacciai ogni altro pensiero e mi concentrai su quella visione, richiamando alla mente la notte trascorsa insieme. Mi avvicinai silenziosamente e l'abbracciai, sorridendo nel sentirla sussultare dalla sorpresa ma zittendola con un bacio.
Non avevo nessuna intenzione di illuderla, e tantomeno di illudere me stesso. Eppure avvertivo una nota stonata in quella mattina assolutamente perfetta.

Rientrai a casa. Marj, come previsto, non c’era. Dopo poco, il rombo della Porsche, le chiavi nella toppa.
“Ciao.” Non mi guardò negli occhi e neanche io ci provai.
“Ciao.” Risposi atona.
Passammo una mezz’ora in un silenzio imbarazzato, sistemando le nostre cose. Poi, contrariamente al solito, prese lei la parola  “Ele, come stai?”
Mi venne da sorridere: era preoccupata per me.
Mi voltai a guardarla e le sorri rassicurante, scostandole un ricciolo ribelle dal viso “Io bene. Tu?”
Arrossì un poco, sorridendo appena e mi abbracciò “Bene.”
Abbandonammo l’argomento. Entrambe sapevamo che non era il caso di parlarne. I rapporti “incrociati” con i nostri rispettivi ragazzi ci impedivano di parlare liberamente di certe cose. Ma il sapere che l’altra era finalmente felice ci bastava.

L’allenamento parve volare. Non ebbi occasione di parlare con Elena, che scappò a montare non appena uscimmo dal campo, e fu meglio così.
In spogliatoio i ragazzi non capivano perché io e Karl non ci eravamo ancora rivolti la parola.
“Capitano. Benjiamin. A domani!” Hermann ci salutò guardandoci dubbioso.
“Ciao Karlz!” “A domani!” Rispondemmo quasi simultaneamente. 
Finalmente soli.
Ci fu un minuto di silenzio imbarazzato. Mi sedetti pesantemente sulla panca, fissando per alcuni istanti il profilo del mio amico, per poi chiedere d'un fiato: “Elena?”
Chiuse piano l’armadietto e si voltò piano, sorridendo appena “Sta bene.”
“Ne sono felice.” Era assolutamente vero. Anche se, mi resi conto, per un attimo il cuore aveva perso un battito.
“Anche io.” Rispose, sedendomisi accanto. Lo capivo: quei mesi non erano stati facili per loro. Lei non aveva superato lo choc di quel pomeriggio d' Agosto e Karl non poteva avvicinarla più di tanto. Era stata una tortura per entrambi.
“Marjorie?” Mi chiese d'improvviso lui, svegliandomi dai miei pensieri.
Sorrisi  “Bene.” Risposi. “Le ho parlato chiaramente: non ho intenzione di usarla, ferirla, illuderla. Desidero che il nostro rapporto vada avanti, ma non prometto di innamorarmi di lei. E lo sa. Ho nuovamente la tua benedizione?”
Mi sorrise, mettendomi una mano sulla spalla  “Ovvio! Io ho la tua?”
Non c’era neanche da chiederlo. Stava facendo rinascere il mio brutto anatroccolo, come non esserne felice?
Certo, il rapporto con Marjorie non era sempre facile… La bionda coinquilina della mia amica ha decisamente un carattere tutto suo. Vivace, allegra, brillante, determinata ma, a volte per non dire spesso, troppo esuberante.  E questo lato della sua personalità si veniva a scontrare facilmente con la mia, che tende ad essere piuttosto schiva e riservata. Se in quei mesi non ci fosse stata Elena, non credo ci saremmo sopportati a lungo. Mi trovai spesso davanti alle scuderie dove teneva Zingaro, di mattina, dopo l’allenamento.
La prima volta mi guardò sospirando, le braccia conserte mentre scuoteva sconsolata il capo “Pazienza ci vuole con voi due! Pazienza!”
Ero una furia e lei riuscì a calmarmi.
Come al solito.
“Senti un po’! Piantala di fare i tuoi dannati esercizi e ascoltami!”  Si piazzò a pochi centimetri da me, mani ai fianchi e posa da generale.
Per il primo quarto d’ora litigammo come cane e gatto.
“Ok, ora che ti sei sfogato, si può anche parlare di Marj!” Sorrise soddisfatta. Mi aveva provocato consapevolmente per darmi modo di scaricare l'arrabbiatura e vedere poi le cose con calma. Ennesima dimostrazione che mi conosceva meglio di quanto mi conosca io stesso.

“Ma perché è così!? Perché deve essere sempre così duro?! Così severo! Lui non è così!”
Eravamo a casa a rifare i letti.
Era la prima di una lunga serie di discussioni. Argomento: Benjiamin.
La capivo: a volte Benji è troppo severo, troppo intransigente e per nulla accondiscendente.
E questo la mandava in bestia. Ma, per la prima volta, non riuscivo a farla ragionare. La mattina mi ero sorbita il suo bel portiere, e con lui, alla fine, l’avevo spuntata. Con Marj stava diventando un problema. Non per altro: mi accusava di difenderlo.
Non è facile trovarsi nel mezzo di una storia tra i tuoi due più cari amici.
“Senti tesoro!" sbottai innervosita "Io non lo stò difendendo e neanche voglio difenderlo! Và in maneggio, rilassati e poi se ne riparla, ok?”  E la cacciai letteralmente fuori di casa.
Due ore più tardi Karl me la riportò. Più tranquilla.
Li spedimmo fuori a cena e fecero pace.
“Si può sapere cosa le hai fatto?” chiesi al mio bel capitano mentre ci godevamo una bella cenetta a lume di candela, finalmente soli e sereni.
“La stessa cosa che hai fatto tu stamane con Benjiamin.” mi sorrise prendendomi una mano e baciando piano la punta delle dita.
Conosceva Marj da sempre. Era la sua “sorellina”, le aveva sempre fatto da spalla, da custode e da consigliere. Più che Kris. Era la persona giusta per darle una calmata in quelle situazioni.
Mi sporsi sul tavolo e gli diedi un bacio sulle labbra, dal quale non mi consentì di staccarmi se non dopo un lunghissimo istante.
Ero felice: tutto sembrava andare finalmente per il verso giusto.









Eccomi qui^^ Finalmente un po' di tempo per sistemare la mia vecchia ff dopo la baraonda del lavoro pre natalizio.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte coloro stanno seguendo "Angelo", chi mi ha recensita in pubblico, in privato, chi la sta semplicemente leggendo e chi è stata così carina da metterla tra le sue storie preferite. A tutte: grazie di cuore!
Stilisticamente, lo so, non è perfetta, ma ho voluto rimaneggiarla senza modificarla troppo dall'originale perché proprio non ne avevo cuore. La amo così com'è. Abbiate pazienza^^ Infatti nella fase di riscrittura di questo capitolo avevo avuto il dubbio se togliere o meno la parte sportiva, ma ho preferito tenerla e, vi avviso, ce ne saranno altre intercalate alle parti romantiche anche in seguito. Questo perchè amo "Holly e Benji" così come l'ho conosciuto da piccola e il calcio è, ovviamente, parte fondamentale ed essenziale di quest'anime ed in questa mia prima storia ricopre comunque un ruolo importante. Donne che non amate il calcio, perdonatemi! XD Spero che la storia continui in ogni caso a piacervi ^^
Grazie ancora e al prossimo capitolo!

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Capitolo 16
*** 15 ***


Mancavano due giorni all’inizio del ritiro per le semifinali di Coppa.
Io e Karl stavamo approfittando di quella ultime ore per goderci un poco di intimità. Certo, come fotografo della squadra l’avrei visto comunque anche durante gli allenamenti, ma di stare insieme non se ne sarebbe parlato per almeno una settimana.
Stavo godendomi il suo caldo abbraccio, aspettando che il suono della sveglia mi riportasse alla realtà. Avevo il capo sulla sua spalla e ascoltavo il battito calmo del cuore.
Lo strinsi un poco, lasciandomi sfuggire un sospiro.
“Già sveglia?” chiese, sfiorandomi una spalla e coprendomi col lenzuolo in un gesto protettivo.
“Anche tu.”  Mi allungai un poco a sfiorargli le labbra con un bacio, che ricambiò accarezzandomi una guancia.
“Ehi, cos’hai? Sembri preoccupato! La Champions?” L’azzurro dei suoi occhi era cupo, come un cielo in tempesta. Mi guardò serio, poi: “Sì, sono preoccupato. Ma non per la Coppa. Sarà dura ma ce la faremo anche quest’anno. No, sono preoccupato per Benjiamin.”
C’era da aspettarselo. Sospirai, fingendo disappunto e  cercai di coprire il mio amico “E perché mai?” chiesi con finta sorpresa.
“Si sta buttando su allenamenti e partite con una foga ed una determinazione che non vedevo da anni. Esattamente come quando arrivò in Germania. Ma ora non deve più dimostrare nulla a nessuno! Elena”  mi fissò intensamente  “cosa ha?”
“Ma perché lo chiedi a me? Per me è tutto normale! Perché non lo chiedi a Marjorie!?”
Sospirò, cingendomi con un braccio e spostandomi sopra di sé, guardandomi con aria corrucciata “Perché lei è la sua ragazza e tu sei la sua confidente.”
Già, pensai...
“Non c’è nulla Karl. E’ solo molto preso anche per i Mondiali. Tutto qui!”
“Sicura?”
“Sicura!”
Non era vero, naturalmente. Ma non potevo rivelare quali pensieri passassero realmente per la testa di Benjiamin. Il mio amico stava dando il centodieci percento di sé perché sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima stagione, i suoi ultimi Mondiali. E stava facendo di tutto per arrivarci al massimo.
Non aveva detto nulla né a Karl né a Marjorie perché temeva che avrebbero fatto di tutto per convincerlo a trovare un modo di continuare a giocare e mi aveva pregata di coprirlo.
“Marjorie è preoccupata, Ele. Molto. Non sa da che verso prenderlo.”  Sorrise dolce baciandomi la fronte. Adorava la sua “sorellina” e sapeva quanto potesse essere difficile un rapporto con l’SGGK.
“Lo immagino… Ti ha chiesto lei di interrogarmi, vero?”
“Sì…”   mi sfiorò le labbra con un bacio, stringendomi dolcemente.
Io ero la confidente di Benji, lui la spalla di Marj. Non ero gelosa del fatto, ci ero abituata. Da quando conoscevo la mia bionda amica, Karl era sempre stato il suo sostegno. Anche quando lei era stata costretta a venire a vivere in Italia (dove ci eravamo conosciute), lui era sempre stato presente con telefonate o lettere. Quando Marjorie aveva un problema grosso, di solito generato dai suoi genitori, prima chiamava Karl e poi si rifugiava da me. E ora, con questa storia, stava facendo lo stesso. In più, certo, c’era il problema che un pochino, in effetti, era gelosa del mio rapporto col portiere del Bayern. Se io ero ormai abituata alla strettissima amicizia che la legava al Kaiser, lei faceva fatica ad abituarsi a quella che mi legava al SGGK. Capivo e sopportavo.



Mi sarebbe mancata in quei giorni. La strinsi un poco a me e udii un sospiro di piacere. Era veramente adorabile. Non sempre… mi venne da sorridere e le accarezzai la spalla nuda con un dito. No, non era sempre adorabile. A volte era insopportabile. Adorabilmente insopportabile. Se non ci fosse stata Elena ad accorrere in soccorso, ci saremmo saltati accapigliati più di una volta.
La sentii stiracchiarsi contro di me.
“Buon giorno!” dissi con un sorriso.
“Buon giorno!" rispose, sfiorandomi con un bacio "Da quant’è che sei sveglio?”
“Un po’.”  le accarezzai il viso. Era davvero bella.
Sarebbe stato fantastico innamorarsi di una ragazza così.
Ma non era ancora accaduto.
Si alzò su un gomito, accarezzandomi il viso ma guardandomi seria  “Cos’hai?” chiese all'improvviso.
Ero sorpreso  “Scusa?”
Fermò la mano sul mio torace, fissandomi a labbra strette “Sono tre settimane che ti massacri agli allenamenti e che giochi ogni partita, perfino quelle d’allenamento, come se fossero l’ultima! Cos’hai?”
Era vero. Quella era la mia ultima stagione, la mia ultima Champions, il mio ultimo Mondiale. Ma non potevo dirglielo. Se l’avessi fatto, l’avrebbe riferito a Karl, e allora sarebbe stato tutto più difficile…
Le sorrisi e, a malincuore, mentii  “Non c’è nulla. Voglio solo arrivare preparato ai Mondiali. E poi quest’anno in Coppa incontrerò probabilmente sia Tom che Holly.Voglio arrivarci al cento per cento! Tutto qui."  La baciai piano, dolcemente, ma l'espressione corrucciata mi fece capire che non era convinta.
“Anche Karl è preoccupato.”  Continuò decisa e un poco imbronciata.
Sviai la conversazione, fingendo gelosia  “ Karl? E così parli di me col capitano, eh?”
Socchiuse gli occhi da gatta, incrociando le mani sul mio petto ed appoggiandovi il mento “Piantala! Lo sai che è come un fratello per me!”
L’abbracciai, avvicinando la fronte alla sua, sorridendo “Lo so, lo so. Ma mi sono sempre chiesto una cosa: com’è che in tutti questi anni non ti ho mai vista?”
“Semplice: i miei allenamenti sono contemporanei ai vostri, inoltre,quando voi giocavate ad Amburgo io ero a qui Monaco, e poi ho passato qualche anno in Italia, dove ho conosciuto Elena… In realtà sono venuta a vedere parecchie partite per ammirare i miei campioni!”
“I tuoi campioni?!" Trattenni una risata mentre cercava inutilmente di divicolarsi dalla mia stretta "Ma se non mi conoscevi neppure!”
“Karl mi parlava di te!" Il broncio sul suo viso arrossato era adorabile mentre replicava piccata "Di un ragazzino giapponese ostinato e dannatamente bravo, unico portiere a metterlo veramente in difficoltà che aveva conquistato la sua piena ammirazione! Devi ringraziare lui se sono diventata la tua fan numero uno!”  e mi sorrise con un’espressione adorante sul viso.
Non volevo deluderla e tantomeno ferirla.
Era dolce, piena di vita, assolutamente meravigliosa, ma...


“Ultimo allenamento prima del ritiro?” La voce di Sonya mi raggiunse da dietro la porta.
“Sì, capo!” Risposi affacciandomi. Ero passata a sistemare delle cose nel suo ufficio prima di tuffarmi in campo. Notai che la mia amica era intenta nella lettura di una rivista scandalistica, compito che faceva, purtroppo per lei, parte del suo lavoro “Roba interessante? Ti vedo concentrata…”
“Guai…” rispose seria.
“Cosa?” Il suo tono cupo mi aveva fatto preoccupare.
Alzò lo sguardo verde smeraldo dal giornale e me lo porse. In copertina un bel ragazzo moro, orientale, cingeva la vita ad una modella  mozzafiato. Non lessi il titolo e constatai stupita “Ma non è uno dei nostri…”
Sorrise, scrollando la frangia corvina “Non è neppure un calciatore, se è per questo! Leggi! Il signorino è tale Kevin Price...”
Il nome mi ricordava qualcosa. Ci arrivai una frazione di secondo più tardi ed esclamai: “Il cugino di Benjiamin?!” ero interdetta “E che ci fa su una rivista del genere?”
Sonya si raddrizzò sulla sedia, sospirando “Si è messo con Pamela Klein, ex, diciamo così, “compagna” di Benji…” La sua espressione era piuttosto eloquente su quanto fosse stata importante miss Klein nella vita del mio amico.
“Compagna? Scaldaletto, vorrai dire!” rincarai la dose abbandonando con un gesto quasi teatrale la rivista sul tavolo. 
Scrollò il capo, ridacchiando ironica “Chiedilo a lei! Quando smisero di frequentarsi la signorina dichiarò ai quattro venti di essere l’unica donna ad aver mollato Benji Price invece che essere stata lasciata!”
“E lui?” Sogghignai, immaginando la risposta ed il sorrisetto beffardo stampigliato sulla faccia del portiere.
"Fece spallucce." la mora manager rise affondando nella sedia "Cito testualmente: “Bisognerebbe esser stati insieme per poter dire di aver lasciato…”
“Tipico… E allora, perché dici guai?” chiesi nuovamente, indicando il giornale aperto sul sorriso smagliante della modella.
“Perché il cuginetto si sta pavoneggiando di aver conquistato la donna che ha mollato il famoso SGGK… E, per di più, verrà qui oggi pomeriggio a discutere con Lauber un’eventuale partecipazione nelle azioni del Bayern…”
“Oh cavoli…”  Sospettavo la reazione del mio amico.
“Sì, Benji lo sa e non è per nulla contento. Temo che salterà parte degli allenamenti di oggi per questa storia…”
Alle tre di quel pomeriggio stavo tornando in sede per sistemare il lavoro del mattino. La Porsche nera era li. Salii in ufficio e trovai la porta aperta. Un uomo alto, moro, vestito di un completo bianco-panna, stava osservando degli ingrandimenti di foto sul mio tavolo, dandomi le spalle.
“Prego?” esordii schiarendomi la voce.
Si voltò. La somiglianza col mio amico mi fece capire subito di chi si trattava. Bel fisico, meno atletico di quello di Benjiamin, capelli lunghi pettinati all’indietro col gel, abbronzatura da lampada, occhi neri dalla forma leggermente allungata.Carino… Ma no, non c’era paragone!
Un sorriso ammaliatore piegò le labbra sottili  “Suppongo sia lei l’autrice di queste meravigliose immagini!”
Odioso, pensai, terribilmente viscido. Insopportabile.
Risposi con uno dei miei sorrisi più fasulli, avvicinandomi alla scrivania reggendo il suo sguardo “Esattamente! Onorata che siano di suo gradimento!”
“Suppongo che sappia chi sono io?”  Si stava gonfiando come un pallone ma gli non diedi soddisfazione  “No." replicai semplicemente e un ghigno malefico si disegnò nella mia mente nel vedere il suo ego scalfito "Solo mi fa piacere quando qualcuno apprezza il mio lavoro!"
Un’espressione scocciata si dipinse sul suo volto. Abbandonò con stizza le foto e riprese a parlare con tono altero “Mi chiamo Kevin Price. Già… parente del suo “soggetto preferito” evidentemente…”   mi rivolse un sorrisetto sarcastico. In effetti tutte le immagini che aveva in mano erano del SGGK. 
“Un ottimo soggetto, direi..." ripresi con aria concentrata "Miglior giocatore dell’anno, imbattuto anche in questa stagione. E poi fotogenico, ammirato dalle donne…”  dissi mentre sfogliavo a mia volta le foto.
“Ammirato dalle donne!" sbottò il giovane alle mie spalle "Guarda caso una sembra gli sia sfuggita, però!”
“Ah sì?” mi voltai con aria innocente.
“Non legge i giornali, signorina? Pare che Pamela Klein, dopo averlo mollato, abbia trovato una nuova fiamma nella famiglia Price…” mi squadrò dall’alto in basso, con aria superiore.
Non resistetti  e sbottai “Oh, ma è meraviglioso!" esclamai euforica "Ma lo sa che lei mi sta dando una notizia veramente fantastica!? Stento a crederlo! Sono entusiasta!”
Era esterrefatto dalla mia reazione e balbettò confuso “Davvero?”
“Certo!" risposi, annuendo convinta "Pare che Freuilain Klein abbia finalmente imparato una cosa importante!”
“E sarebbe?”  aggrottò la fronte, evidentemente disorientato.
Sfoderai la mia miglior faccia da schiaffi ed un sorriso smagliante  “Ad accontentarsi! E ora scusi ma il lavoro mi aspetta!”
Lo superai uscendo, lasciandolo di stucco. Sulla porta era apparso Benjiamin. Bellissimo come sempre in completo marroncino e cravatta regimental in tinta. No, non c’era assolutamente paragone, pensai.
Doveva aver ascoltato almeno l’ultima parte della conversazione e stava trattenendo una risata, gli occhi neri brillavano divertiti.
“Perdonami”  sussurrai nel passargli accanto “è il mio massimo in diplomazia!”
Mi rispose con un lampo nello sguardo ed un sorriso che diceva tutto.
Archiviai il fatto e non ci pensai più. Tre giorni dopo, semifinale!
Parigi. Stadio in delirio.
Paris St. Germain – Bayern Monaco.
Altri vecchi ricordi per il mio amico….
Tom Becker era un’altra brutta gatta da pelare. In accoppiata con Napoleon, la stella del Paris poi!
Tom non ha un gioco potente come quello di Victorino, non è imprevedibile come Oliver, ma ha una tecnica ed un senso del gioco eccezionali e crea continuamente occasioni imperdibili per il suo capitano.
Benjiamin era seriamente impensierito, anche se non dava a vederlo..
La partita fu  molto tesa fin dal principio, con i nostri avversari sostenuti, tra l’altro, da una tifoseria veramente indiavolata. Ma il Bayern non è squadra da farsi intimidire. Karl e Stefan portarono il Monaco in attacco e vennero subito a scontrarsi con Tom. Il giapponesino ci sapeva fare! I passaggi di Levin a Schneider vennero intercettati più di una volta, mentre Becker marcava stretto il capitano. Benjiamin scalpitava. Riusciva a prevedere le mosse del compagno di nazionale, la sua difesa non lo lasciava passare e gli impediva quasi ogni contatto col centravanti francese. Alla fine del primo tempo uno zero a  zero veramente sofferto. Karl uscì dal campo bene o male soddisfatto. Stava già rimuginando sui prossimi quarantacinque minuti. Negli occhi neri dell’SGGK
un’espressione indecifrabile.
Il secondo tempo iniziò con un Bayern tutto in attacco. Rapidi e precisi passaggi tra Levin, Schneider e Muller. Napoleon ed il Kaiser ebbero un bello scontro a centro campo. Non ci fu storia, la classe del tedesco venne fuori ed il francese dovette arrendersi. Triangolazione velocissima con Levin, Schneider in area e Backer in scivolata! Ma Karl non si fece cogliere di sorpresa: rinunciò al tiro in porta, passando lateralmente al biondo svedese che insaccò in rete con uno splendido tiro al volo.
0-1 per noi.
Il gioco riprese con Napoleon che, palla al piede, si diresse con fredda determinazione verso l’area del Bayern. Venne bloccato da un Karlz in piena forma, ma il Paris tornò quasi subito in possesso di palla. Tom venne avanti, portando con se Napoleon. Nonostante le indicazioni precisissime di Price, i due penetrarono nella nostra area. Cross telecomandato di Backer e bordata di Napoleon. Ovviamente parata. Benjiamin effettuò un lunghissimo rinvio, direttamente su Karl. Il quale ricevette la palla e fece per girarsi ma si ritrovò a terra. L’intervento sconsiderato di Durand era costato il cartellino rosso al francese ma il nostro capitano era steso e si teneva la gamba destra. Il medico accorse. Non sembrava nulla di grave ma lo vidi medicare Schneider per togliergli del sangue che usciva da un taglio sotto il ginocchio. Rientrò. Figurarsi se mollava per così poco! La partita era agli sgoccioli. I francesi si fecero nuovamente pericolosi, trascinati dal giapponesino. Price era un muro di cemento. Levin scattò su rinvio del portiere, affiancato da un Karl affaticato ma che non demordeva. L’azione fu, come sempre, devastante.
0-2. Tornavamo a casa contenti.
Marj e io aspettavamo fuori dagli spogliatoi. La mia amica era felice ma si vedeva lontano un miglio che era preoccupata.
“Karl!” esclamò, assalendolo letteralmente.
“Ciao sorellina!”
Il nostro biondo capitano era finalmente uscito, seguito da Karlz e Muller. Marjorie gli saltò al collo come una sorella premurosa e Karl mi guardò da sopra la sua spalla mentre l’abbracciava per rassicurarla. Non ero gelosa. Ci ero abituata. Qualcun altro no… “Ehi, potrei essere geloso!” Benjiamin comparve alle spalle del Kaiser, un sorrisetto sbieco e un lampo furbo negli occhi.
“Oh, sei sempre il solito! Non sei tu ad essere infortunato, no? Devi sentirti sempre al centro dell'attenzione!" lo canzonai ridendo. Karl e Marjorie ci guardavano  divertiti. Era la nostra solita scenetta. Io lo provocavo, lui rispondeva scocciato, continuavamo pizzicandoci con battutine e frecciate finchè Price, spazientito, mi prendeva alle spalle e, sollevandomi, mi faceva roteare al punto che chiedevo pietà….
Li lasciammo davanti al pullman.
“E tu! Vedi di riguardarti!” gridò ancora la mia bionda amica al mio fidanzato.
“Sì, signorina!” rispose questi e, voltandosi verso Price “ Ma tu, come fai a sopportarla?”
“Ho un’arma segreta!” e accennò verso di me col capo.
Dormimmo a Parigi. L’aereo era il mattino seguente. Marj era stesa sul letto, le mani intrecciate dietro la nuca.
“Ok”  sospirai  “cosa ti prende?”
“Perché è così con te?”
“Scusa?” sgranai gli occhi, sorpresa.
Si voltò verso di me, fissandomi seria  “Con te ride… Con me è dolce, gentile, protettivo, un amante fantastico ma… non ride mai. Perché con me non si lascia andare?”
I grandi occhi felini erano tristi.
Lo sapevo. Ne avevo parlato con lui e la risposta era stata che sì, Marj gli piaceva, e molto, ma…
Non riusciva ad aprirle il suo cuore, non riusciva ad essere se stesso.
E soprattutto, non era innamorato. Non ancora…
Non sapevo più cosa dire.
Né a lui.
Né a lei.
Non volevo veder soffrire Marj ma sapevo che per Benjiamin la situazione non era facile.

 

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Capitolo 17
*** 16 ***


ac14

“Allora! Ci sei?”  Marj scalpitava davanti alla porta della scuderie.
“Arrivo!Arrivo” di lì a mezz'ora sarebbe iniziata l’altra semifinale di Coppa e non volevamo perdercela.
Barcellona – Juventus, ovvero Oliver Hutton e Mark Lenders a confronto.
Benjiamin mi aveva parlato moltissimo di loro, e anche del portiere, Ed Warner, il suo eterno secondo in nazionale.
Benji era quasi certo che anche quell’anno in finale avrebbe incontrato Oliver. Ma….
La partita fu veramente entusiasmante! Holly si dimostrò veramente un fenomeno: regia perfetta, gran trascinatore, sempre presente, pronto a passare quando non c’era gioco per lui. Eppure… Zero a zero! Warner fu davvero fantastico, veramente al pari di Price. Riuscì perfino a bloccare per due volte il famoso Drive Shot di Hutton, cosa, mi insegnava il mio guru in materia, estremamente difficile. Lenders, dal canto suo, fu un martello. Non riuscì a segnare solo perché si trovava Oliver tra i piedi ogni tre per due, ma si dimostrò un avversario temibile. Comunque, un pareggio fuori casa in Champions vale parecchio.
La mattina seguente tornai da Zingaro. Montai in campo, senza andare fino al prato. In assenza di Benjiamin  mi sentivo sola.
Terminato il breve allenamento, mi fermai a chiacchierare con Kristine, mattiniera pure lei.
“Cavoli che spettacolo!” esclamai riferendomi ad uno splendido castrone sauro, alto, ben proporzionato, il muso con un poco di arabo e l’espressione intelligente.
“Già… stupendo…”  sospirò la mia istruttrice appoggiandosi alle inferriate del box e carezzando il muso che si era fatto vicino in cerca di coccole.
“Beh? Che hai?”
Scrollò il capo con un sorriso triste  “Lo sai quanto detesto che bei cavalli finiscano nelle mani sbagliate… E questo è proprio il caso! Rouge è un animale splendido: ottimi movimenti, buon carattere, addestramento perfetto… Peccato che sia stato acquistato da una modellina senza cervello che non è minimamente in grado di montarlo! O, comunque, non come si dovrebbe…”
La capivo. Era una situazione che tutti gli amanti dei cavalli detestavano: chi ha il pane non hai denti eccetera eccetera…
“E di chi sarebbe questa meraviglia?” chiesi sfiorando la pelle rosea e morbida del naso del cavallo.
“Pamela Klein…”
“Cosa?!” La guardai sgranando gli occhi: ero interdetta! La ex scaldaletto di Benji e nuova fidanzatina del cuginetto borioso…
“Lascia perdere…Secondo me l’ha fatto di proposito a portare qui il cavallo…”  Beh, pensai, visto come si era comportato Kevin… Probabilmente i due si stavano muovendo in vista del fatto che il mio amico presto avrebbe affiancato il padre alla guida dell’azienda di famiglia. Avevo il sospetto che volessero, in qualche modo, mettergli i bastoni fra le ruote.
Qualche ora più tardi ero al bordo campo. Dopo la partita della sera prima avevo sentito sia Benji che, ovviamente, Karl. Il capitano era tranquillo, Warner non lo impensieriva e tantomeno Lenders. Benjiamin era di altro avviso. Conosceva bene i suoi compagni, e Mark gli dava da pensare. Warner… ottimo portiere, migliorato parecchio negli ultimi anni. Quelle due parate sul Drive Shot poi… Poteva essere che quell’anno la finale si giocasse con loro, sì.
Evitai di dire a Price di Pamela, non aveva senso dargli altri pensieri. Comunque mi aveva assicurato che Lauber non aveva voluto trattare con Kevin riguardo alle azioni del Bayern ma solo con lui, in attesa di discutere con Richard Price. Il cugino non riscontrava molti favori.
Il mercoledì successivo: Bayern – Paris Saint Germain!
Che bello giocare in casa! Stadio pieno, il tifo tutto per noi.
La finale era praticamente in mano nostra, con Benjiamin in porta poi, neanche a parlarne di perdere con chicchessia! Li vidi scambiarsi un sorriso ed una stretta di mano, lui e il suo vecchio amico.
Tom. Lo avevo conosciuto di persona qualche mese prima. Gentile, pacato, lo sguardo sincero. Ma in campo… Un giocatore correttissimo ma una dannazione per gli avversari. Preciso, gran senso del gioco, altruista e, all’occorrenza, tiratore eccezionale.
Il calcio d’inizio fu nostro. La solita accoppiata Karl-Stefan avanzò imperterrita. Come la volta precedente, Tom si fece loro incontro, interrompendo il gioco del Bayern. I risultati a centro campo furono alterni e per trenta minuti circa non ci furono azioni di rilievo nelle due aree. Benji stava tenendo il connazionale ben lontano dalla sua porta. Al quarantesimo, l’inammissibile: Stefan entrò in scivolata  su Leroy. Il francese, è vero, fece un bel volo, per quanto l’intervento fosse assolutamente sul pallone ma l’arbitro dette il giallo a Levin. Fischi e strepiti dagli spalti ma il giudizio arbitrale non si discute.
Il gioco continuò nervoso e il primo tempo terminò in parità. Al rientro scrutai l’espressione del capitano e dell’SGGK: imperscrutabili e piuttosto tesi. Il gioco riprese. Paris all’attacco. Difesa del Bayern chiusa, Karlz che riprende la palla. Passaggio lungo per Levin, il quale girò a Karl. Due giocatori su di lui. Il solito, splendido dribbling dell’Imperatore. E poi… di nuovo un intervento falloso su di lui. Nuovamente la gamba destra. Sarebbe stato un rosso e invece fu solo giallo!  Il Kaiser era furioso, glielo si leggeva negli occhi. Calcio di punizione per noi, verso Schieffer. Il Bayern partì alla carica ma venne fermato dall’onnipresente Becker. Stefan lo inseguì, ingaggiando con lui un bel duello a centro campo. Alcuni, brevi secondi di gioco intenso tra i due poi Tom trovò uno spiraglio nel muro di Levin e fece per passare alla sua destra. In quell’istante il biondo svedese, leggermente sbilanciato, nel cadere si allungò per togliere la palla all’avversario. Tom finì a terra e nuovamente la decisione arbitrale fu tutto meno che equa: di nuovo giallo. Eravamo in dieci. I ragazzi erano impietriti. Se c’era uno che non si meritava di essere sbattuto fuori era proprio Stefan! Karl era una furia. Benjiamin guardava il centrocampo a braccia conserte, lo sguardo in fiamme. I francesi, ringalluzziti dagli eventi, si fecero sotto. Karl faticava a muoversi. Schieffer ce la mise tutta ma, praticamente solo, non riusciva a contenere Napoleon e Becker. Il quale trascinò il Paris nella nostra area. L’ultimo passaggio era per lui. Si trovarono di fronte. Mancava una manciata di minuti e la finale era comunque nostra. Tom era solo davanti al portiere, appena fuori dall’area. Ma non tirò. Lo sguardo puntato in quello dell’SGGK, il portiere più forte al mondo sui tiri da fuori. E infatti Becker fece un ultimo sforzo. Karlz era tornato indietro ad affrontarlo. Tom lo superò con un’agilità impressionante. C’era solo Benji davanti a lui. Tiro. Una botta incredibile e ad effetto.
Non saprò mai come ci arrivò… Mi ero resa conto che era sbilanciato troppo a destra per prenderlo. Eppure ci arrivò. Gli bastò sfiorare quella palla per modificarne la traiettoria e farla sbattere contro la traversa. Napoleon recuperò e tirò di nuovo. Ma di fretta. Era un tiro facile e  Benji era in gran forma. Con un bel colpo di reni si rimise in piedi ed afferrò il pallone con sicurezza.
Fischio dell’arbitro. Zero a zero.
Eravamo in finale!
Il giorno dopo per i nostri campioni meritato riposo.
Erano le sei di sera e avevo appena finito di muovere una dei cavalli di Kris, mentre Marj era a fare delle visite fuori città. Più tardi saremmo andati tutti insieme a vedere la partita a casa di Karl
“Buona sera! Serve aiuto?”
Mi voltai, semisommersa da sella e finimenti, trovandomi di fronte gli occhi neri del portiere del Bayern. Sorrideva allegro e decisamente rilassato, lo sguardo finalmente luminoso e sereno. Non aspettava altro che la finale.
“Non sarebbe una cattiva idea…” dissi porgendogli la sella, che mi tolse dalle braccia. Camminammo l’uno accanto all’altra, chiacchierando.
“Cosa ne pensi della partita di ieri, signorina?”  un sorrisetto malizioso gli increspò le labbra.
“Mmmmm… carina… sì. Potevate fare meglio… Tu, poi…” punzecchiai ricambiando il sorriso.
“Ah sì? E chi avrebbe salvato la situazione all’ultimo minuto?”  Aveva posato la sella sul suo supporto e mi guardava a braccia conserte, negli occhi un lampo d’allegria e un sorriso furbo sulle labbra.
“Tutta fortuna!”  risposi a tono, facendo spallucce e avviandomi verso l’uscita della scuderia  “Sei il solito egocentrico!”  gli urlai.
“Piantalaa!! Maledetto, mettimi giù! Subito!”  come al solito... Mi aveva rincorsa, presa per la vita da dietro e mi faceva roteare come un burattino, ridendo di gusto. Mi rimise a terra, senza mollarmi – Accidenti che fatica! Dico! Mi pari un po’ più pesante del solito!”
Mi voltai di scatto verso di lui, inviperita. Mi guardava con la sua solita espressione ironica, ma gli occhi erano illuminati d’allegria.
“Ahia!”  Gli avevo inflitto una leggera gomitata nelle costole che non era servita allo scopo di liberarmi.
“Ma che damerino che sei!” lo conzonai. Per tutta risposta mi fece fare un altro giro.
“Ma la pianti di maltrattarmi la socia?!”  Marj era arrivata a salvarmi. Ci guardava a braccia conserte, scuotendo la testa  “Sembrate bimbi delle elementari!” disse e si mise a ridere.
Benji finalmente mi lasciò andare  “La vittoria ti mette allegria, eh portiere?”  gli chiesi.
“E a chi non la metterebbe, scusa?”  mi sorrise.
Marj lo stava fissando, mi accorsi. In effetti Benjiamin era tutta un’altra persona quando si lasciava andare. Peccato lo facesse praticamente solo in mia presenza.
La vidi sospirare e poi sorridere scrollando i boccoli biondi.
In quel momento non lo sapevo, ma qualcun altro ci stava osservando. Qualcuno che aveva interpretato in maniera tutta sua quell’allegro scambio di scherzi tra me e l’SGGK.
Io, dal canto mio, avevo cercato di calmare i battiti del mio cuore, dicendomi che erano dovuti solo all’euforia del gioco.


Con lei stavo bene.
Sempre. Mi sentivo a mio agio, non avevo bisogno di nascondere quello che provavo.
Era l’unica che mi potesse canzonare a quel modo, l’unica dalla quale accettavo certi scherzi…
Ormai quel gioco era diventato un’abitudine. Con lei avevo un rapporto che non avevo mai avuto con nessun’altra donna. Un’amica, un’amica vera, un’amica molto particolare. E allora, perché quel desiderio di stringerla, di potermi godere ancora un poco il suo profumo lievemente amaro, mischiato a quello dolce del fieno e a quello acre dei cavalli?
Arrivò Marjorie. Elena non si accorse del mio sospiro, intenta com’era a ribattere all’amica.
Perché con Marjorie non poteva essere così?
Quella sera ero felice. La semifinale era andata bene, arbitraggio a parte, e la finale l’avrei giocata sicuramente contro uno dei miei vecchi amici.
Ci avviammo a casa di Karl. Avremmo visto da lui Juventus-Barcellona. Ero curioso di sapere contro quale dei due avrei giocato la mia ultima finale di Champions.
Il Kaiser era uscito un po’ ammaccato dalla partita col Paris, ma cercava di non farci caso.
Cenammo tutti insieme nella sua veranda.
Cominciò la partita. Lenders e Hutton incrociarono lo sguardo a centro campo. Il gioco si fece subito interessante: il Barcellona avanzava con scambi rapidi ma gli avversari erano eccezionali nell’intercettarli. Notai come Mark fosse migliorato tantissimo, non solo tecnicamente, quanto tatticamente. Oliver però è un osso duro, un uomo capace di fare una squadra. Vinse l’ennesima sfida col nostro connazionale e si avviò con decisione verso la porta di Warner. Di nuovo il Drive Shot. Ed si mosse con sicurezza, non bloccò ma la palla non entrò in rete. Vidi Karl accanto a me tendersi, incrociando le braccia al petto, il viso corrucciato. Sì, sarebbe stato un problema….
Le azioni si susseguirono velocissime. La squadra torinese stava tenendo testa alla grande agli spagnoli, anche se questi, effettivamente, creavano molte più occasioni da gol. Ma Warner era un muro. Eccezionale.
Sorrisi. Quell’anno mi sarei dovuto conquistare il posto in Nazionale.
Primo tempo, zero a zero.
Vidi Mark uscire dal campo per nulla soddisfatto. Tipico… Infatti, nel secondo tempo, la sua furia non si fece attendere. Partì verso la porta avversaria con fredda determinazione, come il suo solito. Holly tentò di fermarlo ma non vi riuscì. Il Tiger Shot partì, preciso, potente. Non è un tiro difficile, ma la sua potenza è pari se non a volte superiore a quella del Fire Shot. Non un bel regalo per un portiere! Mendez non ci arrivò. Karl dette un sospiro. Per il Barca si metteva male. Oliver è nettamente superiore a Mark, tecnicamente e tatticamente, ma Lenders aveva il vantaggio, in quell’occasione, di essere attorniato da una squadra in ottima forma, mentre gli spagnoli mancavano di qualche pezzo forte. Inoltre Warner in porta era una garanzia… Hutton, ovviamente, non si arrese, anzi! Ripartì col suo solito contropiede fulminante, ma la sfortuna sembrava  perseguitarlo. Per due volte i difensori bianconeri riuscirono ad intercettare i suoi tiri, vanificando le azioni. Mancava poco. Il capitano della mia nazionale non è tipo da cedere. La sua regia del gioco è perfetta. Fece i nuovo in modo da trovarsi faccia a faccia con il portiere. Era solo. Impostò il tiro come per un Drive Shot. Ed uscì. Ma Holly si era solo alzato la palla, da maestro qual è, fintando il tiro. Warner era troppo sbilanciato in avanti. Hutton si portò con un passo dentro l’area e tirò. Ma anche Mark non si arrende mai. Lenders era tornato indietro, aggirando Hutton e si era lanciato di testa sulla palla. A portiere sconfitto, l’attaccante nipponico aveva battuto il suo capitano.
Fischio dell’arbitro. Partita chiusa. 
Vidi Oliver tendere la mano a Mark e il sorriso tra i due.
Mi appoggiai allo schienale della sedia, fissando quelle immagini.
Il mese seguente i miei avversari sarebbero stati due.





Eccomi qui^^
Scusate il ritardo dell'aggiornamento ma tra il poco tempo per scrivere, le trecentomila idee che mi frullano per la testa e un paio di ff in preparazione per dei contest, ho decisamente trascurato "Angelo". Chiedo perdono e prometto che cercherò di essere un po' più veloce^^
Intanto ringrazio chi mi ha recensita in pubblico e in privato e chi, pur senza scrivermi nulla, ha inserito la storia tra i preferiti.
Grazie, grazie di cuore!
Amo molto questa storia e sono felice che faccia emozionare un poco anche voi!
Grazie! Spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto, nonostante la parte calcistica^^
Ciao a tutte e alla prossima!
Eos75




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Capitolo 18
*** 17 ***


ac15

 

Era stata una mattina pesante, avevo finalmente spostato Zingaro nelle scuderie di Kristine (il lavoro al Bayern rendeva piuttosto bene!) e avevo finito di sistemare sella, finimenti, cassone da viaggio, tutto insomma! Per di più il mio dolce stallone aveva stabilito che rotolarsi nel fango era proprio un bel gioco. Ne ero uscita un disastro!
Lo stavo riportando nel box dopo averlo accuratamente strigliato, quando mi trovai la strada sbarrata da una ragazza alta, mora, le gambe lunghe e ben tornite fasciate da candidissimi pantaloni da equitazione. Una maglietta rossa attillata metteva in risalto il seno piccolo e la vita stretta. Era perfettamente truccata, i lunghi e serici capelli neri raccolti in un’elegante crocchia appena sotto la nuca. Mi squadrò da capo a piedi  facendomi sentire, se possibile, ancora più intimidita: la maglietta bianca che indossavo, larga e un po' sformata, era macchiata e coperta di peli di cavallo mentre alcune ciocche erano sfuggite dal mollettone che stentava a raccogliere la massa ribelle dei miei capelli. Inoltre ho sempre avuto la vita stretta, ma le gambe non sono e non saranno mai perfettamente modellate…
Abbassai lo sguardo chiedendo permesso.
“Ma prego!”esclamò e si profuse in un inchino tanto cerimonioso quanto fasullo “E così tu saresti l’ amichetta di Benji Price…”
Il tono ed il significato delle parole mi fecero  infuriare. Alzai gli occhi ad incontrare i suoi  “Io non sono l’amichetta di Benjiamin! Sono sua amica. Punto!”
Un sopracciglio scattò in alto con fare altezzoso “Già… L’amica del cuore che monta lo stalloncino salvato dal macello nella speranza di portarlo nei Grand Prix…”
Misi Zingaro nel box, chiudendo piano la porta e mi preparai ad affrontare l’arpia. Non l’avevo mai vista prima d’allora di persona ma sapevo di chi si trattava: Pamela Klein.
“Ma chi sei? Solo perché ti fai suo cugino e ti vanti di aver mollato tu Benjiamin, chi diavolo ti credi di essere?!”
Mi si avvicinò, tanto da sovrastarmi di tutta la testa, gli occhi stetti come un gatto furioso “Chi ti credi di essere tu! Guardati! Pari uscita da una fattoria! Ma sai cosa vuol dire essere la compagna di un Price? Ti rendi minimamente conto di cosa significhi? Sai chi è Benjiamin Price? Non  solo un giocatore di fama internazionale, no! E’ anche l’erede di una delle più importanti multinazionali nipponiche! Sai cosa vuole dire essere la sua donna?”
Mi sentii morire. Quelli, anche quelli, erano i motivi per cui avevo rifuggito il bacio a Zurigo.
“Non capisco perché tu stia facendo questo discorso a me!”  Mi piantai davanti a lei a braccia conserte, lo sguardo dritto nel suo.
Gli occhi castano verdi mandarono un lampo malizioso “Vi ho visti giocare tre settimane fa, sai? Giocare… Sì, certo! Ho visto come ti stringeva, ho visto come vi sorridevate, ho visto come si comporta con te! Lo conosco, sai…”
La interruppi. Non volevo sentire. Non volevo che dicesse la frase che temevo "Piantala!" urlai furibonda "Ma se anche fossi la sua ragazza, a te che cosa importa?! Saranno affari suoi!”
Mi si accostò di più, sul viso perfetto cattiveria e alterigia  “Ti sbagli, ragazzina! Sono eccome affari miei! Kevin sarà a capo di un’importante sezione della Price ed è intollerabile che il suo diretto superiore possa avere accanto a sé una ragazzetta scialba ed inadeguata, assolutamente impreparata ed inadatta a quel ruolo! La Price non si può permette di accogliere una Cenerentola qualunque!”
“E’ inutile che ne parli con me! Io non sono la ragazza di Benjiamin!” Di nuovo, avevo quasi urlato.
Sbuffò allontanandosi  ma continuando a fissarmi “Bene. Spero sia per me che per te che la situazione resti tale…”
Si avviò verso l’uscita delle scuderie, fermandosi accanto al box di Rouge e voltandosi mi lanciò l'ennesima occhiata altera “Ah, scordavo! Se hai intenzione di darti sul serio al dressage, sarà il caso che ti compri un cavallo vero! Dubito che con quel coso tu possa mai partecipare ad un Gran Prix!”
Mi aveva stesa moralmente ma a quell’insulto rivolto a Zingaro sapevo come rispondere “Io, almeno, il mio cavallo sono in grado di montarlo. Tu, il tuo?”
Si voltò con un sorrisetto strafottente  “Rouge è un investimento. Per mio conto, lo monta Alan Letterman. Sai chi è, non è vero? Con lui in sella vincerà certamente sia il Gran Prix di Lucerna che quello di Colonia. Tu, piuttosto: non mi pare di averti mai vista in gara, o sbaglio?”  e così dicendo si voltò, andandosene senza darmi occasione di ribattere.
Rimasi immobile, aggrappata con una mano all’inferriata del box, incapace di muovermi. Incapace di pensare. Solo dopo parecchi minuti mi accorsi che stavo piangendo. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione.
A Zurigo l’avevo rifiutato soprattutto per quello. Per quello l’avevo scaraventato tra le braccia di Marjorie. Lei, così bella, così aristocratica, così adatta al bel mondo. Poi dolce, intelligente, sensibile. Stavano tanto bene insieme!
Io mi ero rifugiata nelle braccia di Karl. Lui non mi spaventava. Ne ero sempre stata attratta, mi piaceva.
Ma il nostro rapporto stentava a decollare, e non solo a causa delle mie indecisioni; anche il capitano era vittima di paure che non voleva ammettere. Né con me, né con sé stesso. 
C’era un motivo per cui quello splendido ragazzo non aveva mai avuto una storia vera in quasi trent’anni di vita. Ma non lo ammetteva e io, ormai, l’avevo capito. Ci crogiolavamo a vicenda in un bel rapporto di amicizia e complicità, mascherato da storia d'amore, per fuggire dalle nostre realtà, dalle nostre paure.
Stavamo bene così.
Apparentemente.



“Eccolo lì, a centro campo, fiero come sempre. E l’altro? Esattamente di fronte a me, lo sguardo sereno e impassibile da karateka. Ma so bene quale fuoco arda in quel petto.
L’ho voluto io. Sapere che questa sarà la mia ultima Champions, l’ultima occasione per sfidarmi e battermi, ha acceso in quei due il sacro fuoco della vendetta. E’ esattamente quello che volevo!”
La finale stava per cominciare. Ironia della sorte, proprio in quella città che mi suscitava tanti ricordi. Era destino che dovessi giocare la finalissima della mia ultima Champions proprio al Meazza di Milano. Elena era euforica. Adorava quel posto, per lei era lo stadio più bello del mondo.
Sorrisi. Avrei vinto anche per lei quella sera, glielo dovevo…
Karl e Lenders si fronteggiavano. Levin, purtroppo, ci seguiva dagli spalti. Accanto al capitano il francese Martinì, poca esperienza ma parecchia grinta. Al fischio dell’arbitro Mark partì come una furia. Aveva trovato un ottimo sostituto di Mellow nell’italiano Salvini. I due si diressero decisi verso la nostra area. Karl li lasciò alle cure di Kalz e Shuster, i quali non lo delusero. Hermann soffiò la palla alla coppia d’oro avversaria rilanciandola direttamente sul capitano. Non era al massimo della forma, l’infortunio col Paris non era andato del tutto a posto ma la sua regia fu perfetta. Rapidi scambi con Schieffer e Martinì ed il Kaiser si trovò in area, di fronte a Warner.
Caricò il tiro.
Vidi Ed spostarsi. L'avrebbe presa. Infatti, come prevedevo, il Fire Shot finì tra le braccia del mio rivale che, rialzandosi, incrociò lo sguardo col mio. Per tutta risposta gli sorrisi, abbassando la tesa del cappello. Dopo pochi minuti Schneider gli era nuovamente di fronte. Di nuovo Warner non venne colto impreparato. Vidi Karl complimentarsi con lui. Negli occhi di Lenders passò un lampo furbo e l'istinto mi disse che dovevo aspettarmi qualche sorpresa.
Al trentaduesimo finalmente Mark arrivò a sfidarmi direttamente. Precedentemente avevo vanificato tre suoi splendidi assist per i compagni Salvini e Gregari. In quegli anni aveva imparato cosa significa gioco di squadra.
Negli occhi aveva lo sguardo della Tigre. Voleva battermi, a tutti i costi. Lo osservai muoversi. Non era un Tiger Shot, era troppo prevedibile e lo sapeva! Il piede strisciò sull’erba, quasi bruciandola. La palla schizzò roteando verso di me, potente e velocissima. Se mi fossi lanciato su di essa non l’avrei potuta bloccare e sarebbe quasi sicuramente finita in rete. Feci mezzo passo all’interno della linea. Il Raiju Shot effettua un’impennata appena prima di entrare in porta, perdendo velocità e potenza. Giusto quel poco che mi avrebbe consentiti di prenderla. E infatti la bloccai. Solo un millesimo di ritardo e la sfera si sarebbe impennata, sfondando la rete alle mie spalle. 
Avevo utilizzato la tecnica che già aveva neutralizzato il tiro di Levin per annientare la veloce rotazione di quello di Lenders. 
Mark mi guardò furioso mentre Ed era esterrefatto. Per lui il Raiju Shot era quasi imprendibile. Feci per rimandare lungo, ma Karl e Martinì erano marcati. Mi affidai a Kalz. Il mio vecchio amico capì l’intenzione e partì a razzo. Quando voleva era anche un ottimo attaccante. Si liberò agilmente di un paio di avversari ma evitò lo scontro con Lenders, disimpegnandosi verso il francese. Louis creò una bellissima azione, riscendo a trascinare in area sia Karl che Schieffer. Warner si trovò una notevole ressa davanti, ma ne uscì abilmente rinviando in angolo un tiro al volo improvvisato dal francese, il quale si apprestò a battere il corner. Chiunque avrebbe pensato che quello era un passaggio perfetto per Karl, invece la palla effettuò un arco perfetto in aria, veloce, preciso anche se non potentissimo, diretto all’incrocio opposto dei pali. L’avevamo perfezionato in quei mesi ma Ed ci arrivò comunque. Non si fece ingannare dal movimento dei giocatori in area e con un colpo di reni magistrale, da maestro di arti marziali quale è, deviò la palla per uno dei suoi difensori. Dovetti ammettere che era migliorato moltissimo, forse più di quanto mi aspettavo.
Mancava una manciata di secondi alla fine del primo tempo. Vidi Mark avventarsi sulla palla con la grinta di sempre. Il suo vecchio modo di giocare, violento e solitario. I miei ragazzi non lo fermarono. Era impossibile.
Di nuovo gli occhi della Tigre.
Di nuovo il Raiju Shot.
Warner ne blocca uno su tre.
E di nuovo lo fermai.
“Tira quanto vuoi, Lenders! Tanto di qui non passi!” dissi, rinviando per Louis, mentre Mark mi fulminava con gli occhi. Il fischio dell’arbitro ci mandò in spogliatoio carichi come non mai, anche se sapevo che i successivi quarantacinque minuti sarebbero stati un inferno.
Nel secondo tempo Lenders e la sua squadra non ce le mandarono a dire. Attaccarono come ossessi, martellando la nostra area.
Ma anche noi non eravamo da meno. Ogni rilancio di Kalz era un invito a nozze per Schneider e Martinì che ingaggiarono battaglie serrate con la difesa bianconera. Karl e Ed si fronteggiarono tre volte direttamente. Due Fire Shot ed una rovesciata da manuale. Niente da fare. Anche io e Mark avemmo i nostri bei duelli. Il mio connazionale riprovò col suo tiro ad effetto e con la mia vecchia conoscenza, il Tiger Shot. Mi tolse il fiato. Per bloccarlo in sicurezza lo presi in pieno petto e non fu piacevole, ma lo fu meno per lui.
Il risultato languiva su uno zero a zero sofferto. Eravamo a più di metà del secondo tempo. Salvini era penetrato in area ma il suo cross era stato deviato in angolo da Shuster. Davanti a me c’era ressa. Mark mi controllava con la coda dell’occhio. Salvini battè il corner, Lenders saltò ed io bloccai, rinviando fulmineamente ad Hermann. Il quale si vide portar via la palla da Warner! Ed non era nuovo a queste cose. Il suo tiro si diresse potente verso la porta. Lo ribattei ma lo intercettò Gregari per Mark, di testa. Saltai, una frazione di secondo dopo che aveva effettuato il tiro, impedendogli di segnare. Mi rovinò addosso, facendomi sbattere violentemente con la spalla destra contro il palo.
“Tutto ok, portiere?”  chiese mentre tendeva la mano abbronzata verso di me.
“Price, tutto a posto?”  l’arbitro si era avvicinato, soppesando il gioco pericoloso.
“Tutto a posto! Nulla di rotto!”  mi allungai ad afferrare la mano del mio compagno di nazionale. Mark mi sorrise  “Voglio batterti sano…”
“Non mi batteresti neanche se fossi infortunato…”  gli risposi di rimando.
Il gioco riprese. La spalla mi faceva piuttosto male ma non ci feci caso. Mi preoccupava l’atteggiamento assolutamente calmo del mio avversario. Lenders macchinava qualcosa. Quattro minuti dopo le sorprese vennero a galla. Nuovamente una giocata veloce di Salvini, la difesa di Kalz e Shuster che andava a farsi benedire, di nuovo Mark in area.
Quell'atteggiamento e quella posa particolare mi gelarono il sangue: mille volte avevo visto quel tiro, e non era un bel regalo davvero. Nei tiri dall’area, solo due giocatori avevano una media di successo contro di me superiore al cinquanta percento: Karl e Oliver.
E quello era un Drive Shot, l'arma quasi infallibile del capitano della mia nazionale.
Mi spostai meccanicamente. Conoscevo quella tecnica. Oliver mi aveva giocato più di una volta a quel modo.
Sentii il sudore gelarmisi addosso e la paura, per un istante, attanagliarmi lo stomaco.
Ma fu solo un istante.
Kim.
Elena.
Marjorie.
Karl.
La mia carriera, la mia vita e i miei sogni…
Sapevo parare quel tiro, ne ero in grado! Anche se calciato da Mark sarebbe stato mille volte più potente e veloce di quello di Oliver.
La sfera partì, rapida, alta, effettuando la sua bella traiettoria ad arco verso il cielo. 
Feci un passo indietro e caricai il salto, aspettando che la palla iniziasse la parabola discendente, quindi mi avventai su di essa con tutta la mia forza ed il mio peso, afferrandola stretta e ruotando, rotolando a terra per vanificare l’effetto. La spalla urlò, ma l’avevo presa! Lessi ira negli occhi di Lenders. 
Spettava a noi in quel momento sorprendere gli avversari. Scambiai un cenno d’intesa con Karl, che annuì. Mark non era l’unico ad aver affinato tiri non suoi. Mi portai col pallone al limite dell’area rinviai con un lancio potentissimo, direttamente sul Kaiser il quale corse a raggiungere la palla nella area avversaria. Ed lo stava aspettando. Ma non poteva sapere cosa aveva in serbo per lui il capitano. Schneider non stoppò il mio rinvio, dal limite dell’area si limitò ad uno splendido tiro al volo. Warner uscì ma la palla colpì la traversa e tornò direttamente al Kaiser.
Warner era sbilanciato. Karl fece un passo in area, preparò il tiro e Ed gli si parò davanti pronto per un Fire Shot. Invece la palla partì velocissima con una traiettoria ad arco ampio, assolutamente imprendibile dalla posizione in cui si trovava il portiere avversario. 
Warner battè il pugno a terra, furioso.
Un minuto. 
Di nuovo lotta a centro campo e subito Lenders e Schneider a confronto. Il capitano ne uscì vincitore ma il suo passaggio a Martinì fu vanificato da una scivolata di Salvini. Quindi Lenders, di nuovo a  pochi secondi dalla fine.
Era al limite dell’area. Di  tentò nuovo il tiro di Oliver. Sapevo che non sarei riuscito a bloccarlo, la spalla era indolenzita ed il pallone mi sarebbe sfuggito di certo. Così rischiai. Mi lanciai a pugni uniti. Sentii la pelle delle nocche spaccarsi nonostante i guanti, ma la sfera non entrò.
Il fischio dell'arbitro sovrastò per un attimo il boato del pubblico.
Era finita, avevo vinto la mia ultima Champions.


Vidi Karl esultare, il pugno destro a cielo mentre Kalz  gli saltava al collo. Warner scoteva il capo, le braccia conserte e le labbra strette. Lenders teneva i pugni serrati lungo i fianchi e lo sguardo diretto in quello del mio amico.
Lo vidi rialzarsi.
Lo vidi esultare.
Lo vidi rivolgere gli occhi al cielo per poi chiuderli e chiamare piano quel nome che teneva nel cuore. Quando li riaprì, mi cercò con lo sguardo e mi sorrise.
Poi di nuovo la gioia, la festa, l’abbraccio con i compagni di squadra e con gli amici di sempre.
E con gli avversari di sempre.
Lo stadio era esploso: luci, colori, coriandoli, fumogeni. I ragazzi si dispersero un attimo a salutare e ringraziare pubblico, allenatore, la gente del team.
Mi trovai accanto Karl. Mi abbracciò, tenendomi stretta. Dopo poco anche qualcun altro aveva scavalcato gli striscioni di bordo campo. Mi guardava, le braccia spalancate, il viso illuminato da uno splendido sorriso, gli occhi neri splendenti come non mai  “Posso?”
Sospirai  appoggiandomi con un braccio alla macchina sul cavalletto  “Va beh, visto che hai vinto…te lo concedo!” Mi ritrovai in aria, stretta per la vita dalle sue grandi mani. Mi fece fare quattro giri velocissimi, tenendomi sopra la sua testa tra le risate dei ragazzi Nella foga il cappellino era volato via, rivelando la felicità nei suoi occhi. Quando si fermò, mi tenne ancora un poco sollevata, il viso non distante dal mio.
“Ok”  gli dissi trafelata  “nel caso remoto che tu vinca i Mondiali, vedrò di trovarmi un rifugio post partita!”
Il sorriso si allargò ancora di più  “Allora comincia a cercarlo, signorina! E comunque stà certa che ti troverò ugualmente!”
I festeggiamenti continuarono. Venne portata la Coppa, i giocatori vennero premiati nello stadio in delirio.Tutto quel chiasso mi attirò. Presi in mano il mio tele e scarrellai  sugli spalti di fronte a me, così, giusto per curiosità. C’era di tutto: adolescenti, ragazze, uomini di mezza età, famiglie. Ad un tratto il mio cuore si fermò, gelato. Nelle file in basso, nei posti dedicati ai disabili, un paio di occhi verde smeraldo fissavano il campo.
“Ehi, tutto ok?”  Paul, accanto a me, si era reso conto della mia reazione.
“S-si, tutto bene”   mi riscossi e per un istante non seppi cosa fare.
Poi presi una decisione, lì, su due piedi, dettata dalla speranza, dall'amicizia o forse da qualcos'altro “Paul, prenditi cura della mia attrezzatura per favore! Portamela in albergo da Sonya! Io…devo fare una cosa importante!”  e mi allontanai.
“Ma ai ragazzi cosa dico?”  mi urlò dietro.
“Dì loro che ho visto un mio vecchissimo amico e che gli sono andata in contro!”  e fuggii via.
Attraversai lo stadio in un lampo.
Dovevo sapere. Magari era solo un’allucinazione, magari solo una coincidenza, ma dovevo sapere. Mi affacciai alla tribuna dove avevo visto la ragazza. Nulla. Mi voltai e vidi un giovane che spingeva una carrozzina. La ragazza che la occupava si voltò a parlargli. Era lei. Corsi loro dietro.
“Kim!” gridai mentre ancora correvo.
L’uomo si voltò, e così pure l’occupante della carrozzella. Era magra, quasi trasparente. Il viso glabro ed il capo coperto da un bandana rosso rubino. Ma gli occhi erano gli stessi che avevo visto in quella foto mesi prima.
“Come fai a sapere chi sono?” mi chiese con un filo di voce.
“Mi ha parlato di te…”
Vidi lo sguardo smeraldo velarsi di lacrime mentre accennava al giovane di voltare la carrozzina verso di me.
Mi avvicinai e lei mi osservò sorridendo gentile  “Sei la ragazza che ha sollevato e abbracciato prima, vero? Sei la sua ragazza?”
Scossi il capo.
La tristezza le velò il viso  “E’ solo a causa mia?”
“No!”  la rassicurai “No, non è solo… Ma ti ha sempre nel cuore.”
“Anche io…” sospirò  “Ti andrebbe di parlare un poco?”
Ci ritrovammo in uno dei bar dello stadio, ormai semivuoto.
“Come sta?”
“Bene…”
“E’ innamorato della donna che gli sta accanto?”  Benjiamin aveva ragione: Kim andava sempre diretta al sodo!
“No.”
Sospirò, sollevando gli occhi al cielo “Perché?”
Le dissi la verità, non avevo motivo per mentirle  “Perché sei stata un amore troppo grande per lui. Perché non è facile infrangere quella corazza e conquistare il suo cuore. Perché ha paura di amare. Esattamente come l’aveva prima di conoscere te!”
“Vorrei che fosse felice…”
“Anche io. Ma non è triste ed è già qualcosa!”
La feci sorridere  “Vedi sempre le cose così rosee, tu?”
Mi strinsi nelle spalle  “Cerco solo di non vederle nere. Benjiamin non è innamorato ma sta bene con Marjorie. E’ già un grande  passo avanti. Ha deciso finalmente che può pensare di riaprire il suo cuore a qualcuno…”
“Hai detto che ti ha parlato di me: cosa ti ha detto?”
“Mi ha raccontato la vostra storia: quando vi siete conosciuti, quando ti ha chiesto di sposarlo, quando ti sei ammalata e…quando l’hai lasciato.” Ripensai a quella notte, alla sofferenza nelle parole di Benjiamin  “Era furioso con sé stesso...”
Alle mie parole la vidi tendersi sulla sedia “Perché?” chiese.
“Perché diceva di non esserti stato sufficientemente accanto. Mi ha fatto leggere la lettera. Ti ho capita. Ne abbiamo parlato con calma e il suo dannatissimo orgoglio ha ceduto. Sa che non l’hai tradito, ha compreso perché te ne sei andata. Forse lo ha sempre saputo, ma era troppo doloroso ammetterlo.”
“Non ne ha parlato con nessuno, vero? Mi ha fatto credere morta…”
“Solo perché non sopportava di saperti viva e lontana da lui! E comunque non ti hai mai dimenticata, non ha mai scordato le promesse che ti fece. La vittoria di oggi era per te…”
“Lo so…”  il suo volto era triste, lo sguardo perso nella tazza di the che aveva davanti, nel ricordo di anni perduti.
“Ha molta fiducia in te, vero?”  di nuovo una domanda diretta, dritta dritta al punto.
“Sì. Direi di sì.”
Un sorriso, dolce, splendido, le illuminò il viso  “Se lui ha fiducia in te, ne devo avere pure io.” Prese fiato, come a cominciare un discorso vitale  “Io non so veramente più quanto mi resti. In questi due anni ho sofferto le pene dell’inferno in Irlanda, passando da un ospedale all’altro, da una cura all’altra. Non mi sono arresa. Ma una vita del genere avrebbe stroncato sia la carriera che l’esistenza di Benjiamin. Lo amo. L’ho sempre amato e l’amerò per sempre! Per questo stasera sono qui: sono uscita in via speciale dalla clinica dove sono ricoverata. Ho ragione di credere che sarà il mio ultimo viaggio da viva fuori di là. Volevo vederlo vincere. Volevo vederlo trionfare. Sapevo che ce l’avrebbe fatta. Questo è il suo ultimo anno, vero?” 
Annuii in risposta e lei continuò accennando un sorriso “Immaginavo che non avrebbe abbandonato suo padre. Non  dirgli che ci siamo incontrate, non voglio che mi cerchi. Lasciami il tuo indirizzo. Quando mancherò, farò in modo che qualcuno ti avvisi. Se e quando lo riterrai necessario lo porterai da me. Non devo essere il fantasma che infesta la sua vita per sempre! Deve essere libero di amare serenamente. Lascio a te questo compito. Mi fido come si fida lui.” 
Benjiamin aveva ragione: era piccola, debole, indifesa eppure forte, decisa, sprigionava un'energia alla quale non si poteva restare indifferenti. Era una donna davvero fantastica e non fu difficile capire per me, in quella mezz'ora in cui parlammo, come la scorza ghiacciata del cuore del SGGK si fosse sciolta come neve al sole davanti a quel sorriso.
“Farò come vuoi." risposi assentendo seria "Ma…”
“Ma?”
“I Mondiali? Ti promise anche quelli!”  La mia fu una reazione stupida, dettata più dall'istinto che dalla ragione. O dal desiderio che lei potesse avere abbastanza tempo per vedere il trionfo del suo grande amore.
Scosse il capo, comprensiva e mi sorrise “Li vedrò, non ti preoccupare. Non da qui, ma li vedrò! E gioirò della sua vittoria!”
Le lacrime mi salirono agli occhi. Perché dovevano accadere cose del genere? Perché un  amore tanto bello doveva essere spezzato in modo tanto tragico?
Ci salutammo. Mentre mi avviavo lungo il corridoio udii la sua voce chiamarmi  “Elena!”
“Dimmi...”
Mi squadrò con occhio critico da capo a piedi e mi sorrise inclinando il capo da un lato “Mi spiace molto che non sia tu la sua compagna…”

 

 

 

E' di dovere l'angolino dei ringraziamenti^^
A Kitiara, Akuma, Valentina78, Ammy e a tutte coloro le quali hanno messo "Angelo" tra i preferiti, grazie di cuore!
E grazie anche a chi legge, anche senza commentare. Spero che comunque la storia vi stia piacendo almeno un po' ^^
Siamo ormai a pochi capitoli dalla fine, spero di non essere né troppo melensa, né troppo calcistica.
Questo Benjiamin è quello che ha fatto da "base" per la caratterizzazione nelle altre ff da me scritte, sia etero che yaoi. E' cresciuto con me e, per quanto mi renda conto essere piuttosto imperfetto, lo adoro proprio per questo. 
Grazie ancora a tutte,
Eos75

 

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Capitolo 19
*** 18 ***


ac16

Il mio ufficio era immerso nella penombra del tardo pomeriggio. Vi entrai, allungai una mano e feci scattare l'interruttore. I neon bianchi lampeggiarono e s'accesero mentre mi sedevo pesantemente davanti al monitor spento del mio pc ed in quel momento il cellulare che tenevo stretto in mano iniziò a squillare insistentemente. Lo guardai un istante, scrollando il capo con un sorriso sconsolato sulle labbra e risposi dando un sospiro, lasciandomi andare mollemente sullo schienale della sedia.
“Pronto! Ciao! Cos'è successo che mi chiami a quest'ora e alla vigila di un ritiro?” chiesi sforzandomi di essere il più allegra possibile.
“Volevo solo fare quattro chiacchiere…” la calda voce baritonale dall'altra parte vibrò di un tono amaro e un poco triste.
Immaginavo una richiesta del genere, nonostante il giorno seguente dovesse iniziare il ritiro ufficiale della squadra Giapponese in Germania, in preparazione di alcune amichevoli pre-Mondiale.
Marjorie mi aveva mantato un messaggio non più di un'ora prima, dicendomi che non sarebbe tornata a casa per cena e che sarebbe andata da Karl...
"Sono in ufficio, sei autorizzato a venirmi a disturbare!" continuai sullo stesso tono, e lo sentii ridacchiare dall'altro capo dell'apparecchio.
Mezz'ora più tardi  un breve bussare precette l'aprirsi della porta laccata di nero. 
“Buona sera.”
“Buona sera! Com’è andata la rimpatriata con i tuoi compagni?” chiesi senza sollevare lo sguardo dal pc, totalmente immersa com'ero nello sbrogliare la matassa intricata del mio archivio.
Con la coda dell'occhio lo vidi sogghignare e scuotere la testa con fare canzonatorio. Prese una sedia, la portò accanto alla mia e vi si mise a cavallo, le braccia conserte sullo schienale  “Bene, direi. A parte i ragazzi che giocano in Europa, gli altri erano abbastanza stanchi per il viaggio. Domani l’allenamento è per le quattro…”
Il giorno successivo avrei dovuto esserci anche io, a bordo campo come il solito ma con tutt'altri soggetti: la sua squadra nazionale. Era stata una richiesta esplicita di Lauber: aveva dato in prestito i campi del Bayern per gli allenamenti della squadra nipponica e voleva delle immagini dei compagni di Benjiamin.
"Ah ah…" assentii continuando a fissare il monitor "Altro?" gli lanciai un'occhiata di sottecchi e lo vidi chinare il capo, nascondendolo tra le braccia, sconsolato  “Lo immagini…”
“Marj è fuori con Karl. Cos’è successo esattamente?”  mi voltai  finalmente verso di lui e mi misi anch'io a cavalcioni della sedia col mento poggiato sulle mani chiuse a pugno.
“Alla fine l’ha detto…”  lo sentii respirare profondamente e potei solo immaginare la mascella stretta dalla rabbia  “Lo sapevo, no? Sono io che non dovevo aspettare! Sono io che ho sbagliato!”  era amareggiato, addolorato, deluso. Deluso da sé stesso e dalla propria apparente incapacità d'amare.
Ed in fine le cose erano precipitate: Marjorie non aveva resistito più e gli aveva detto "ti amo".
Ma era poi vero? mi chiesi.
“Piantala!" mi rizzai sulla sedia con uno scatto "Non hai sbagliato solo tu! Lei sapeva bene che non sarebbe stato facile! Marj è innamorata di quel Benjiamin Price che ha idealizzato in tutti questi anni in cui ha seguito la tua carriera, ma che non sei realmente tu! Forse avete preteso troppo l’uno dall’altra. Marjiorie ha desiderato fino all’ultimo che ti innamorassi di lei, e tu hai fatto lo stesso. E temo che in gran parte sia anche colpa mia… e non puoi capire come mi dispiace!”
Si girò a guardarmi, sorridendo appena  e accennando "no" col capo “Noi piuttosto ti abbiamo causato un sacco di guai…”
Mi appoggiai alla sua spalla e sospirai  “Non solo a me. Ma non importa. Gli amici a cosa servono, altrimenti?”
Benjiamin tirò un sospiro e strinse le labbra passandosi una mano tra i corti capelli scuri "Karl... Anche il capitano ha avuto fin troppa pazienza con noi." disse ridacchiando di sé stesso, ironico.
"Come va con lui?" mi chiese d'un tratto, fissandomi negli occhi tra le ciglia socchiuse.
Scossi la testa e mi allontanai, tornando a fissare le immagini sul monitor. Il suo sguardo profondo aveva la capacità di mettere a nudo i miei pensieri ma quella sera essi erano troppo confusi, mi rendevano fragile ed io non volevo esserlo.
"Ci abbiamo provato." risposi alzando un poco le spalle con rassegnazione "Noi due, almeno, non ci eravamo fatti illusioni. E’ stata una bella storia, che resterà una bella amicizia. Abbiamo entrambi bisogno di mettere un po’ d’ordine nelle nostre teste…”
Allungò una mano a sfiorarmi una guancia  “Mi spiace.”
Mi sforzai di sorridere “Comunque è stata una bella cosa, ha fatto bene tutti e due...”
Mi voltai, nuovamente incrociando il suo sguardo e mi persi un istante in quei pozzi profondi che ogni volta mi regalavano la serenità che vi cercavo. Gli sorrisi, sincera quella volta, e mi appoggiai con la testa sulla sua spalla. Chiusi gli occhi e mi sentii circondare da un braccio forte che mi tenne stretta. Mi lasciai coccolare finché non sentii il suo respiro sfiorarmi le guance e le labbra. Un brivido mi percorse la schiena e spalancai le palpebre di scatto, liberandomi dal suo abbraccio e saltando letteralmente in piedi, quasi fuggendo.
"Ti spiace se metto della musica?" chiesi con voce fin troppo allegra "Qui ne avrò almeno per un’altra ora!" Quel contatto prolungato, troppo prolungato, troppo dolce, troppo intimo aveva per un istante fatto vacillare le mie barriere. Dovevo allontanarmi, estraniare la mente tuffandola nel lavoro e annegandola nella musica che per me è come una droga soporifera e rilassante.
“Prego!” mi rispose ridacchiando e s'alzò a sua volta.
Gli diedi le spalle e senza pensare alle conseguenze, cambiai il cd che avevo nel lettore.
“Niente rock? Strano!”  si era soffermato a curiosare tra le foto sparse sul tavolo di Sonya e mi osservava con aria divertita e un po' stupita.
"No!" risposi allegra iniziando a battere il tempo con un'unghia sulla superficie di legno lucido  "Stasera latino-americano! Perché?" chiesi senza guardarlo in viso ma scorrendo velocemente le immagini posate alla rinfusa sulla scrivania.
“Mai sentito nulla di diverso dal rock entrando qua dentro, da quando ci sei tu!”  mi rivolse un sorrisetto furbo.
“Oggi non sono in vena... E poi lo sai che adoro ballare, no?”  non voleva essere una provocazione, era l'ultima delle mie intenzioni! Eppure sapevo che quella era l'ennesima passione che avevamo in comune. Decine di volte mi aveva fatto da cavaliere dopo quella sera a Zurigo...
“Sembra un invito!” disse ridendo e mi prese con decisione per la vita, accennando qualche passo di danza. Risi anch'io a quel suo gioco ma l'assecondai, cercando di non far caso al mio cuore che aveva ricominciato a battere forte. Un lampo malizioso passò negli occhi neri e quel sorriso seducente che mi aveva rivolto solo quella sera di mesi prima si dipinse nuovamente sulle sue labbra. Mi fece volteggiare, una, due tre volte. Alla terza mi trovai stretta tra le sue braccia.
“Stanno meglio sciolti…” mormorò piano, sfilando intanto delicatamente in un gesto, lo spillone fermacapelli d’argento che era stato il suo regalo di Natale.
“E allora perché me lo avresti regalato?” chiesi con un filo di voce, totalmente incapace di liberarmi dal suo sguardo incantatore.
Mi strinse più forte, portando il viso ancor più vicino al mio  “Per il piacere di toglierlo…” sussurrò appena, prima che le sue labbra si posassero sulle mie.
Non opposi resistenza.
Non volevo.
Lo desideravo da troppo tempo.
Per troppo tempo avevo negato l’evidenza.
Lo abbracciai, accarezzando il corpo muscoloso, godendo del suo calore, del sapore dolce dei suoi baci, della sensazione inebriante delle sue mani che erano scivolate sotto la maglietta e scorrevano lungo la mia schiena.
Lo amavo.
Lo avevo ammesso, finalmente.
Mi lasciai trasportare da quel fiume di emozioni che mi dava, avvertivo il suo desiderio, avevo il cuore che batteva all’impazzata. Mi  baciò sul collo, delicatamente ma con passione, facendo scivolare la spallina della maglia, carezzandomi con dolcezza e passione, accendendo i miei sensi come mai mi era accaduto. Neppure con Karl.
Poi, all'improvviso  "Ti voglio."  il cuore si fermò. L'aveva sussurrato piano, un soffio sul mio orecchio, la voce bassa, roca, profonda, carica di desiderio.
Avvertii un brivido correre lungo la spina dorsale e togliermi  il respiro mentre il mio corpo andava a fuoco sotto quelle labbra e quelle mani che mi avevano fatto perdere totalmente il controllo e la ragione.
Volevo dire "sì", con tutta me stessa.
Ma un briciolo di senno era timasto e me l'impedì.
Benjiamin era ancora il ragazzo di Marjorie, con lei le cose non erano state chiarite. E io, mi resi finalmente conto, mi sentivo un verme per quello che stavo facendo.
Lo desideravo, più di ogni altra cosa al mondo! Non avevo mai desiderato tanto un uomo in tutta la mia vita! E sapevo che non mi stava ingannando, che non mi avrebbe mai fatto del male.
Ma non potevo fare un torto simile a Marjorie.
Gli sfiorai le labbra con un ultimo bacio, posando le mani sul suo petto ed allontanandolo un poco. Sentivo il battito del suo cuore sotto le mie dita, accelerato, possente. Mi stingeva ancora delicatamente ma con fermezza, negli occhi neri un fuoco ardente che mi attirava e faceva bruciare il sangue nelle vene.
Ma resistetti. Mi si spezzò il cuore, ma non potevo fare altrimenti.
Posai le dita sulle labbra carnose e bollenti, accarezzandole piano. Le baciò dolcemente ed io trattenni il fiato mentre il mio cuore perdeva un battito "Vattene."  dissi, facendo forza per allontanarmi.
Per un istante vidi un lampo di disperazione in quegli occhi, seguito da comprensione e resa.
Allentò la presa ma non mi liberò.
"Ti prego...Vattene!" lo supplicai, e una lacrima mi rigò il viso "Siamo già andati troppo oltre. Sei ancora il ragazzo della mia migliore amica..."  rimisi a posto la spallina.
Chiuse gli occhi, sospirando. Sfiorò ancora con le labbra le dita che avevano bloccato i suoi baci ardenti e mi guardò con un sorriso triste mentre con delicatezza asciugava le lacrime sulle mie guancie e sulla mia bocca  "Elena..." sussurrò piano.
"Taci... Ti prego... Non dire nulla finchè non sarai ben certo di aver messo ordine nei tuoi sentimenti. Ti prego..." ancora una lacrima e ancora una carezza a portarla via.
Stavo rinunciando, forse, alla persona che più avevo amato in tutta la mia vita. Ma era l'unica scelta che avevo in quel momento.
Benjiamin non disse più nulla, prese il mio volto tra le mani e posò un bacio leggero sulla mia fronte.
"A domani."  salutò accennando un sorriso.
"A domani..." risposi.
Quando uscì dalla porta, mi appoggiai ad essa con la schiena e, lasciandomi scivolare, finii a terra, le braccia strette intorno alle ginocchia, piangendo silenziosamente.
Lo amavo ma mi terrorizzava. Non era solo per Marj che lo avevo respinto. Sapevo che la storia con lei era praticamente finita da un pezzo. Era perchè avevo paura di lui! Era troppo bello, troppo forte, troppo coinvolgente! Non mi sentivo alla sua altezza, non credevo di essere la donna adatta a lui.
Amica, sì certo, sufficiente per essere un'amica. Ma compagna? Di un famosissimo calciatore? Che sarebbe presto diventato un potente magnate della finanza? Uomo agognato da donne stupende come Pamela? No, quell'arpia aveva ragione: non ero abbastanza per lui!
Musica allegra continuava a riempire la stanza mentre le lacrime mi rigavano il volto e io non riuscivo a non pensare all'onda travolgente di emozioni che l'uomo al quale avevo rinunciato era riuscito a regalarmi in pochi, intensi momenti di passione.

 

Andai all'albergo dove era ospitata la Nazionale. Avevo la testa in subbuglio. Ero andato da Elena per parlare di Marjorie e me l'ero ritrovata tra le braccia. E questa volta non si era sottratta ai miei baci, anzi... Al ricordo del suo sapore, del contatto con la sua pelle sentii nuovamente ribollirmi il sangue. Era da tanto, tanto tempo che non desideravo a quel modo una donna.
Per quanto avevo negato l'evidenza?
Mi piaceva. Molto.
Forse...
Sì, ne ero innamorato. 
Lo avevo ammesso finalmente.
A Zurigo non avevo capito, avevo temuto di essermi fatto trascinare dagli eventi, dalla situazione, come con Kristine. Di aver scambiato  l'affetto che provavo per lei per qualcos'altro anche se, certo, mi ero reso conto da un pezzo di provare dell'attrazione fisica per lei.
Ma non era solo quello, no. L'amavo già allora ma temevo di ammetterlo.
E con Marjorie? mi chiesi.
Elena me l'aveva letterelmente buttata tra le braccia, sperando che potessi amarla, sperando che lei potesse innamorarsi veramente di me. Ma non era stato così, non poteva esserlo.
L'acqua gelida della doccia ci mise non poco a calmare i miei ardori. Non riuscivo a non pensare a lei. Il pomeriggio seguente l'avrei rivista a bordo campo poiché Lauber voleva delle immagini della mia Nazionale. Lei avrebbe seguito il Giappone e Paul si sarebbe occupato della squadra tedesca.
Mi vestii e scesi a mangiare con i pochi compagni che non avevano da smaltire il fuso.
"Tutto bene, Benji?" la voce di Oliver mi colse alla sprovvista ma se c'era una persona in squadra che mi capiva sempre al volo era lui. In fondo, non c'era motivo per mentirgli.
"No. purtroppo no..." risposi posando le bacchette.
"Karl?..." 
Sorrisi divertito alla sua domanda. Ovvio! Per lui veniva sempre prima il calcio! Normalmente anche per me... Ma non quella sera. Scossi il capo e il suo viso si rabbuiò.
"Donne?"
"Sì." ammisi con un sospiro, lasciandomi andare contro lo schienale della sedia.
"Ti va di fare quattro passi?" mi alzai da tavola e lo seguii. Ci fermammo al bordo della piscina dell'hotel.
"Allora?" chiese col suo solito sorriso aperto.
Presi fiato e risposi, cercando nel frattempo di mettere ordine nelle mie idee "Sono un'idiota. Ho illuso una ragazza fantastica e sono fuggito da quella che amo."
Mi guardò sollevando un sopracciglio e chiese fissandomi  "Sei sicuro di amarla?"
Scossi il capo "Dopo Kim non sono più sicuro di nulla, lo sai. Sto bene con lei, mi rende sereno, mi fa sentire me stesso e, come se non bastasse, la desidero come non mi capitava da tempo immemore con una donna, ma..."
"Ma?"
Mi voltai a guardarlo "Mi prenderai per folle."
Scosse il capo sorridendo e mi posò una mano sulla spalla "Parla."
"Mi spaventa."
Sgranò gli occhi e credo che per un istante mi ritenne davvero pazzo. Tutto si sarebbe aspettato, tranne quello  "Come? Ma... Perché?"
Mi voltai a fissare l'acqua  sulla quale si specchiava una luminosa mezza luna d'argento "E' forte, quanto e a volte più di me, eppure è anche terribilmente fragile, sensibile. Mi legge dentro come neppure Kim riusciva a fare. Mi ha fatto riscoprire lati del mio carattere che pensavo scomparsi da anni. L'adoro, Oliver, ma mi spaventa. Forse sono fuggito da lei finora perché temevo di deluderla. Perchè ho il terrore di amarla, di deluderla, di ferirla come ho fatto con Kristine..."
"Cos'è successo oggi perchè tu l'abbia finalmente ammesso?"
"L'ho baciata."
"Mmmm..." annuì  pensieroso "E poi?"
Chiusi gli occhi per un istante ed avvertii il profumo di lei stordirmi di nuovo i sensi, il calore del suo corpo accendere il mio di desiderio. Mi appoggiai pesantemente alla scaletta  "La desideravo, Oliver. Come mai nessun'altra ma..." sospirai, ripensando alle sue dita sulla mia bocca  "Mi ha fermato."
"E' stato meglio così."
Mi voltai a guardarlo, esterrefatto  "Perché?" la domanda mi sfuggì prima ancora che potessi pensare di formularla.
"Forse, ora che avete ammesso entrambi che la vostra non è solo amicizia, avete bisogno di tempo per riordinare le idee." Mi sorrise di nuovo, annuendo ed affacciandosi al bordo accanto a me.
"Ma... Tu come fai a sapere di chi sto parlando?" avevo capito che sapeva chi fosse la donna in questione, eppure, mi dissi, l'aveva vista solo a Zurigo e probabilmente per non più di dieci minuti! Com'era possibile?
Il suo sorriso si allargò ancor più e mi diede una pacca amichevole su un braccio "Patty mi ha fatto notare come a Natale uscisse abbastanza spesso il nome di una certa tua amica, alla quale, evidentemente, tieni molto... Ho semplicemente fatto due più due!"
Sorrisi di rimando e lui continuò  "Sai, Patricia sospettava qualcosa. Quando sei ripartito mi ha detto che pensava che tu fossi innamorato ma che non lo volevi ammettere con te stesso! Ci ha azzeccato!" mi strizzò un occhio e scoppiammo a ridere insieme.
Patty, l'unica persona che poteva arrivare ad una conclusione del genere! No, certo Oliver da solo non ce l'avrebbe mai fatta! Sorrisi a quel pensiero.
"Cosa mi consigli, amico?"
Si avvicinò guardandomi dritto negli occhi, con quello sguardo deciso e carismatico che tante volte aveva ridato coraggio ai nostri nelle partite difficili  "Adesso abbiamo i Mondiali a cui pensare. Concentrati su quelli, sfoga la tua tensione in partita e negli allenamenti. Ha sempre funzionato, no? Se continui a rimuginarci sopra, non ne caverai un ragno dal buco!
Vedrai che affrontando le cose con calma, le tessere del mosaico andranno a posto. Ci sono passato anch'io, ricordi?"
Era vero, pensai. Il mio capitano ci aveva messo parecchio a capire cosa provava per Patty e a trovare il coraggio per dichiararsi.
La mattina seguente mi alzai presto ed andai a correre.
Sapevo che l'avrei vista ma quando non mi vidi superare da Zingaro a metà percorso, mi preoccupai. 
Giunsi al prato grande e sentii il cuore farsi leggero alla vista del grande stallone che si stagliava sulla distesa verde.
L'ansia sparì, e mi preparai a godermi il solito spettacolo. Rimasi sorpreso quando vidi Zingaro dirigere verso di me al trotto deciso.
"Buon dì!"
"Ciao..."
Mi regalò un bellissimo, timido sorriso. Era la prima volta che ci rivolgevamo la parola in quel prato.
"Faresti una cosa per me?" mi chiese chinando la testa da un lato.
"Certo!" risposi un poco sconcertato.
"Allora seguimi." disse e voltò il cavallo nella direzione in cui era venuta. La seguii. Si fermarono accanto al troco di un albero che veniva usato come panchina sul quale era posato un lettore cd.
"Quando ti faccio segno, accendi la musica, d'accordo?"  e si allontanò.
Mi accorsi solo allora che sull'erba erano state disposte le lettere di riferimento per un rettangolo da dressage.
Arrivò accanto alla metà campo e mi fece segno con la mano destra. Accesi il lettore.
Avevo una vaga idea di quello che aveva in mente.
Mi aspettavo musica classica, invece... 
Rimasi a dir poco allibito! Quasi tutte le kur sono normalmente montate su musica classica. Non quella di Elena e Zingaro. Il grosso cavallo morello si muoveva agilmente, seguendo il ritmo scoppiettante ed inusuale di un brano di musico pop.
Eppure, per quanto bizzarro potesse sembrare, erano sempre in armonia, eleganti, belli da vedere. C'era allegria, c'era passione in quello che stavo vedendo. Il trotto di Zingaro passava fluidamente dal ritmo incalzante delle allungate a quello più morbido del passage o del piaffe, per poi entrare nel movimento del galoppo con eleganza e senza sforzo. Non sono un esperto, ma sapevo che quell'esercizio era perfetto. Mai un'incertezza, mai un intervento brusco, mai un'incomprensione. Sempre insieme. Erano perfetti.
La musica si spense. In quel momento il binomio si fermò in un alt piazzato e l'amazzone salutò un'immaginaria giuria di fronte a lei, per poi allungare le redini e ringraziare il suo adorato stallone.
Lo diresse al passo verso di me, continuando ad accarezzarlo, gli occhi splendenti come non li avevo mai visti  "Solo per te..." mi sorrise.
"Perché?"
"Perché sì..." fece spallucce timidamente e distolse lo sguardo dal mio.
"Perché non esci in gara? Siete eccezionali! Non ho mai visto neppure Marj montare come ha fatto tu ora! Mi aveva detto che non hai mai montato una kur, e invece..."
"Lei non lo sa, altrimenti mi costringerebbe ad uscire. E io non voglio."
"Perché?" chiesi nuovamente, esasperato dalla sua cocciutaggine.
"Perché ho paura!" esclamò con un gesto quasi stizzito, le labbra serrate e lo sguardo lontano. 
"Siete bravissimi. " le sussurrai avvicinandomi adagio e posando una mano sulle sue che erano chiuse sulle redini "Non hai nulla da temere!"
Non mi guardava, fissava la criniera dello stallone, risistemandola.
"Quando sono davanti al pubblico... mi prende il panico! Ho paura. Di sbagliare, di essere giudicata. Mi sento addosso lo sguardo di tutti e ho paura!"
Ridacchiai "E io cosa dovrei dire?"  mi guardò, finalmente, con un sorriso contrito "Allo stadio c'è un po' più di gente che a vedere un dressage, lo sai?"
"Lo so... e non sai quanto invidio il tuo sangue freddo!"
"Per me il pubblico non esiste."
"Come?"
Mi misi ad accarezzare il muso di Zingaro, che apprezzò e si appoggiò pesantemente alla mia spalla "Io non sento nulla, non vedo nulla di quello che c'è intorno. Solo la partita, i compagni, il pallone. Quando poi ho un avversario in area, non c'è veramente niente altro che la palla. Non importa chi sta tirando. Esiste solo lei. Il mondo esterno semplicemente non esiste più.  Non mi interessa... E' così da sempre."
"Non credo di essere in grado di fare una cosa del genere..." affermò convinta, scuotendo il capo.
"Io credo di sì, invece." Ne ero assolutamente certo. Se avesse voluto ce l'avrebbe fatta.
Quel pomeriggio gli allenamenti cominciarono puntuali alle quattro.
Notai con la coda dell'occhio la sua figura esile a bordo campo armeggiare con macchine ed obiettivi che parevano più grandi di lei. Ormai era un'abitudine vederla alle mie spalle o a metà campo.
Freddy ci mise subito sotto. La nostra Nazionale non gioca insieme quanto quelle europee e ogni volta ricreare un gioco di squadra armonico è il primo lavoro da fare.
Oliver trascinava il gruppo come sempre. A qualcuno parve strano che io e Mark non ci fossimo ancora scannati. Nessuno aveva notato lo sguardo d'intesa e l'accenno di sorriso che mi aveva rivolto. In fondo, eravamo sempre stati amici ed inoltre, lui sapeva...
La prima parte del pomeriggio volò via. Ero felice di giocare nuovamente con i miei compagni.
Ad un certo punto, qualcosa attirò la mia attenzione. Vidi Elena rispondere al telefono tramite l'auricolare. Nulla di strano, mi dissi, capitava spessissimo. Quello che mi stupì e preoccupò fu quello che accadde poi. La vidi avvicinarsi a Lukas, l'altro fotografo del Bayern, affidargli l'attrezzatura e correre via. Terminai gli allenamenti con una sensazione di angoscia che mi stringeva lo stomaco. In spogliatoio non proferii parola, ed Oliver se ne accorse. Mi guardò preoccupato, ma non chiese nulla. Riaccesi il telefono e subito arrivò un messaggio.
"Le ragazze non ti danno tregua, eh Benji?!" mi canzonò il solito Bruce.
"Karl..."
"Karl?" Holly mi lanciò un'occhiata impensierita. In quell'istante il cellulare si mise a squillare.
"Dimmi Schneider!"
"Benjiamin..." la voce del capitano del Monaco era a dir poco angosciata.
"Che hai Karl?"
"Zingaro..."
"Cosa!?" sentii un baratro aprirmisi sotto i piedi: quel cavallo era la vita di Elena! Non poteva, non doveva essergli accaduto nulla! "Una colica?" chiesi subito, ricordandomi di Konstantin.
"No, peggio! Pare che abbia litigato con un altro stallone e ne sia uscito malridotto! E' in clinica veterinaria."
Per un istante rimasi immobile, un unico pensiero che mi torturava l'animo.
"Vai da lei." la voce del Kaiser mi riportò alla realtà.
"Karl..."
"Muoviti! Ha bisogno di te."
Mollai tutti davanti all'albergo. Diedi una spiegazione sommaria al mister e volai alla clinica Kloster.
Mi accolse Kristine, in lacrime.
"Karl è arrivato due minuti fa..." mi disse.
"Cos'è successo?" l'abbracciai, lasciando che sfogasse le ultime lacrime sulla mia spalla.
"Verso le cinque sono andata a riprendere i cavalli al paddok. Ho trovato Zingaro in una pozza di sangue, il posteriore squarciato dalla groppa fin quasi al garretto.."
"Ma com'è possibile!?Chi..."
"Sebastian..."
"Sebastian? Il puledro di Marjorie? Ma come?"
Scosse il capo "Colpa mia... Pensavo fosse ancora giovane per mettersi a litigare con uno stallone più anziano. Invece ha saltato il recinto ed è andato a sfidare Zingaro. Ha una brutta botta nel costato e un paio di morsi ben assestati sul collo, ma deve aver ferito Zingaro con un ferro..."
"Come sta?" chiesi con la voce che tremava.
Scosse di nuovo la testa  "Ha perso molto sangue..."
"Elena?" non riuscivo neanche immaginare quanto stesse male.
"Vieni." disse e mi portò davanti alla porta di quella che doveva essere una specie di sala per la terapia intensiva. Lì fuori Marjorie in lacrime, vestita col camice operatorio, piangeva stretta tra le braccia di Karl, il quale mi fece cenno col capo di entrare.
Zingaro era disteso a terra, su un letto di soffice paglia. Sul posteriore destro spiccava una lunga ferita appena ricucita e una grossa fiala di sangue era collegata al suo anteriore. Respirava appena, ad occhi chiusi.
Elena era seduta a terra accanto a lui e lo accarezzava piano sul collo. Piangeva.
Restai per qualche minuto alle sue spalle, in silenzio.
"Elena..."
Si voltò. Gli occhi color dell'autunno colmi di lacrime, cerchiati di rosso. Il viso pallido, lo sguardo vacuo. Si alzò improvvisamente in piedi e me la ritrovai tra le braccia. La tenni stretta, senza dirle nulla.


Era passata una settimana, i Mondiali si avvicinavano. Paul e Lukas mi avevano sostituito a bordo campo seguendo gli allenamenti e le partite di Giappone e Germania in programma in Europa.
I nipponici avevano giocato un'amichevole contro la Svizzera, stravincendo.
Non sarei andata in Sud Africa. Lauber fu molto comprensivo, Zingaro era messo male, molto male ed io non me la sentivo di lasciarlo solo. Non avevo più rivisto Benjiamin da quel giorno.
Mi davo la colpa di quello che era successo, mi pareva di essere  vittima della pena del contrappasso! Il giorno prima avevo baciato il ragazzo della mia migliore amica, il pomeriggio seguente il suo cavallo aveva quasi ammazzato il mio stallone. Me l'ero meritato! Marjorie amava Benjiamin da una vita, non avevo alcun diritto di fare quello che avevo fatto! Anche se le cose tra loro non andavano come dovevano, non avevo alcun diritto.
Quel pomeriggio tornai a casa dalla clinica che Marj era già rientrata. Sapevo che si sentiva in colpa per Sebastian, ma io avevo un peso sulla coscienza.
Presi il coraggio a due mani e cminciai a parlare, appoggiandomi pesantemente al muretto che divideva il cucinino dal salotto e guardandola con aria seria mentre finiva di preparasi un thé.
"Marj..."
"Mmmm?" mugugnò col cucchiaino tra le labbra
"Ho da dirti una cosa..."
"Zingaro?" chiese, subito preoccupata.
Scossi il capo  e l'abbassai, fuggendo il suo sguardo "No, Benjiamin..."
Si sedette sul divano  e mi fissò severa, trafiggendomi con quegli occhi azzurro cielo che s'eran fatti cupi in un istante "Mi pareva..."
"Come?" rimasi sorpresa dal suo tono piuttosto scocciato.
"Beh, l'altro giorno si è catapultato da te. Siete stati da soli in rianimazione almeno mezz'ora. Quando è uscito non mi ha degnata quasi di uno sguardo..."
"Marj..." mi sentii morire, mi mancò il pavimento sotto ai piedi e l'aria nei polmoni. Era vero, Benjiamin non l'aveva degnata di uno sguardo... Era tutto così palese. Tutto così dannatamente sbagliato...
"Piantala!" mi urlò contro "Se eri innamorata di lui potevi evitare di buttarmi fra le sue braccia! E di prendere per il naso anche Karl! Non mi ama, non mi ha mai amato e non mi amerà mai!"
Piangevamentre mi gridava contro la sua rabbia.
Accennai un passo verso di lei  "Marj, ti avevo detto..."
"Cosa!? Che non lo amavi? Che non ti interessava? Bugiarda! Sono quindici anni che sogno quell'uomo, non ho mai avuto una storia vera perché ho sempre desiderato solo lui! Così vicino eppure così distante!
Karl me lo ha fatto conoscere! Lui me l'ha fatto amare! Tu me l'hai solo portato via!"
Quelle parole mi fecero male, lei non sapeva quanto...
Avevo sbagliato. Avevo sbagliato tutto!
Avevo mentito a lei, a Karl, a me stessa. E tutto perché non avevo avuto un briciolo di coraggio, per l'ennesima volta, nell'affrontare la vita.
 Mi sentii schiacciata dagli eventi, che mi scorsero rapidi e dolorosi nella testa.
E d'un tratto mi resi conto che un tassello non quadrava...
"Tu non ami Benjiamin... Tu neppure lo conosci!"
"Cosa?! Come ti permetti!"  puntò il suo sguardo azzurrissimo su di me, con tutta l'intenzione di folgorarmi.
"Tu sei innamorata di un'immagine che ti sei fatta di lui. Un sogno che ti sei costruita basandoti su quel che ti raccontava Karl. Che non ti parlava poi così tanto di Price, quanto di se stesso, della vita della squadra e, sì, anche del suo migliore amico...
Tu ami il tuo uomo perfetto Marj, e lo hai dentificato con Benji. Ma da chi sei corsa l'altra sera?"
Nei suoi occhi, d'improvviso, un'espressione smarrita. 
Sapeva che avevo ragione. 
Il primo a sapere dell'incidente non era stato l'SGGK ma Karl. La prima persona che Marj aveva chiamato era stato lui. Non colui il quale era, fino a prova contraria, il suo ragazzo, ma il suo amico di sempre...
"Ele, io..." disse con un fil di voce, crollando tra i cuscini del divano.
Mi sedetti di fronte a lei e raccolsi tutto il mio coraggio.
Dovevo dirglielo.
"Io sono imperdonabile, Marjorie. L'altra sera ho baciato Benjiamin."
"Come?"  la rabbia ritornò  repentina sul suo viso. Non potevo darle torto
"Come hai potuto?!" urlò nuovamente, alzandosi di scatto e cominciando a camminare infuriata per la stanza, stando ben attenta a starmi il più lontana possibile.
"Ho sbagliato. So che non mi perdonerai facilmente... Non lo pretendo. Hai ragione. Lo amo. E l'ho messo tra le tue braccia perchè sono una vigliacca, perchè ho paura di amarlo. E perchè speravo che voi due sareste stati felici insieme..."
"Tu..." sibilò furiosa  "Lo sapevo! Fino da Zurigo! Altro che tentare di farci andare d'accordo! Cercavi di farlo innamorare di te!La povera piccola, innocente Elena!"  La rabbia la stava facendo sragionare, ne ero consapevole, ma non ressi quell'insulto. Non da lei che mi conosceva da una vita!
"Lo sapevi?" mi alzai dal tappeto sul quale ero rimasta inginocchiata e l'affrontai  "Fin dall'inizio? E allora perchè non hai tentato di aprirmi gli occhi, eh? Certo, perché Benjiamin era solo tuo! Se sapevi che in realtà amavo lui, perché mi spingevi tra le braccia di Karl? Perchè continuavi a dirmi: "Vi innamorerete, vedrai?"  Non pensavi a quanto ci stavo male, in fondo, a cercare di tenervi uniti? Non pensavi che avrebbe sofferto anche Karl?"
"Oddio... Karl..." si fermò, voltandosi di scatto tanto che due boccoli dorati le s'incastrarono nell'angolo della bocca.
"Già. E non pensi a quanto ha sofferto per te?"
Di quello avevamo parlato io e lui la sera prima che partisse per il ritiro della Nazionale, la sera che avevamo deciso che il nostro rapporto, da quel momento, sarebbe stato di sola amicizia. Era inutile continuare a mentire, continuare a fingere. Non eravamo fatti l'uno per l'altra.
"Ma..."
"Marjorie" dissi, riprendendo un tono più calmo  "abbiamo bisogno tutti quanti di una bella pausa. Ma loro due, ora più che mai, se ne devono stare tranquilli. Hanno altro a cui pensare! Dopo i Mondiali..."
Si sedette sul divano a gambe incrociate, lo sguardo basso, vuoto "Ho rovinato tutto..."
"Come?..." Stupita da quell'affermazione, mi sedetti cautamente accanto a lei e le scostai delicatamente i capelli dal viso.
Chiuse gli occhi e iniziò a piangere  "Avevamo fatto l'amore. Era stato bellissimo, come sempre. L'avevo abbracciato. Era stupendo, un sogno... Gli ho detto "ti amo". Mi ha stretto a sé... E non ha risposto. Mi sono sentita morire...
Non mi ama. Lo sapevo. Mi sono arrabbiata, l'ho insultato e di nuovo è rimasto in silenzio. Ha incassato e basta. Ma si vedeva che era triste. Se fossi stata zitta... sarebbe ancora con me..."
"Marj... Lo sai che non è vero."
Sollevò gli occhi da gatta, lucidi di lacrime  "Ele..."
"Sarebbe stata una bugia, tutta una bugia! E il primo ad andarsene sarebbe stato lui." le dissi mentre le lacrime cominciavano a rotolare lungo le mie guance.
"Allora perché non mi ha lasciata prima?!"
Le sorrisi  e scossi triste il capo  "Perché l'ho convinto io... E ho sbagliato..."
"E' innamorato di te?" mi chiese sussurrando tra un singhiozzo ed un altro.
 "Non lo so..." sospirai.  E avevo paura di saperlo, pensai. Sarei stata solo una delusione per lui.
Marjorie mi abbracciò stretta e piangemmo insieme come era capitato mille altre volte.
Eppure io sapevo che qualcuno avrebbe raccolto con cura il cuore in cocci della mia amica, per poi ricomporlo con amore. Un amore tenuto in serbo per tanti, troppi anni...



 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** 19 ***


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La luce rosata dell’alba stava abbandonando le piste dell’aeroporto di Monaco. Mi lasciai cullare dal rollio dell’aereo e trattenni il fiato quando la potenza dei motori lo scaraventò in aria. Sentii i ragazzi rilassarsi e ricominciare a chiacchierare e ridere non appena arrivammo in quota e si spense il segnale rosso.
“E naturalmente, chi è stato l’unico fortunato ad essere salutato da una bella damigella alla partenza?”  Bruce rivolse ad alta voce quella domanda  e gli altri risposero con risatine e commenti ironici, lanciandomi occhiate divertite. L’unico a tacere fu il capitano, seduto accanto a me.
Chiusi gli occhi ed incrociai le braccia sul petto, abbassando la visiera del cappello senza reagire alle provocazioni. L’ultima cosa che udii fu Oliver che diceva ai ragazzi di lasciarmi in pace, prima di sprofondare nel sonno e nei ricordi.
Quella mattina dovevamo finalmente partire alla volta del Sud Africa. Eravamo praticamente tutti pronti e ci stavamo accingendo a salire sul pullman quando un’auto sportiva rossa entrò nel parcheggio dell’hotel attirando la mia attenzione. Stavo parlando con Holly e Tom e m'interruppi all'istante, basito. Era l’auto di Elena. Rimasi a fissarla imbambolato mentre una testolina bionda faceva capolino dallo sportello che s'apriva. Mai e poi mai mi sarei aspettato che Marjorie venisse a salutarmi, non dopo tutto quello che era successo.
“Scusate un attimo” dissi e mi allontanai dagli altri, dirigendomi verso l’automobile. Non feci caso alle risatine dei miei compagni e malapena mi accorsi del mio capitano che mi sfiorava un braccio, incoraggiante.
Marjorie  era a pochi passi dalla macchia, le labbra strette e gli occhi luccicanti di lacrime.
“Perdonami…” la udii sussurrare.
Scossi il capo, sorridendole amaramente mentre le asciugavo la guancia col dorso delle dita  “Direi che sono io a dover chiedere perdono. Ti avevo promesso che non ti avrei né illusa né ingannata. Non ho tenuto fede alle mie parole e ti ho fatto soffrire. Non te lo meriti, assolutamente.”
Due lacrime le solcarono nuovamente il viso, i riccioli biondi dondolarono in segno di diniego “Sbagli: io mi sono illusa. Io mi sono ingannata. Elena aveva ragione. Come sempre. Sono innamorata del mio “uomo perfetto” e l’ho identificato in te… Volevo, pretendevo che tu fossi come ti ho sempre immaginato, ma non può essere così!”
“Marjorie, io…”
“Aspetta! Fammi finire! Abbiamo sbagliato, abbiamo cercato tutti  le soluzioni alle nostre paure dove sapevamo che non le avremmo trovate! Tu eri solo un sogno e tale dovevi rimanere! Elena aveva sperato che io fossi la soluzione ai tuoi problemi, solo perché…” mi guardò, affondando lo sguardo azzurro nel mio. Sapevo dove voleva arrivare e avvertii una morsa serrarmi la bocca dello stomaco “perché sa benissimo di essere lei la soluzione, e ne è terrorizzata! Sono stata un’egoista! Non ho voluto accettare che la vostra non era più solo amicizia già da tempo solo perché lei mi ha gettata tra le tue braccia! Ed io ero convinta di amarti...”
Mi sentii improvvisamente leggero, come se il peso di quelle verità mi fosse scivolato di dosso semplicemente per il fatto di averle finalmente ammesse.
Era vero. Era maledettamente vero! Avevamo passato mesi a fuggire l’una dall’altro solo perché temevamo di innamorarci, quando ormai, in realtà, era già accaduto.
Elena si era aggrappata a Karl, io a Marjorie, e viceversa.
“Benjiamin…” la voce sommessa  mi riscosse dai miei pensieri  “ tu la ami. E lei ama te. E non so chi dei due abbia più paura ad ammetterlo!”
Sorrisi, sincero e sereno “Hai ragione Marjorie, e ti chiedo ancora di perdonarmi. Sono stato uno stupido. Sono fuggito davanti ad un sentimento che, lo ammetto, mi spaventa e così facendo vi ho fatte soffrire entrambe. Sono davvero imperdonabile!”
La mia ormai ex ragazza mi si avvicinò ed alzandosi un poco in punta di piedi, mi dette un bacio leggero sulla guancia per poi restare a fissarmi da vicino, sorridendo appena  con uno sguardo serio negli occhi “Quando tornerai non sarà facile con lei. La conosci, forse ormai meglio di me! E’ forte ma terribilmente insicura di sé stessa.
Non è stato coraggio quello che le ha impedito di cedere alle tue avance, è stata paura! Dovrai essere molto bravo e molto paziente con lei, ma sono sicura che tu sei l’unica persona che possa farla veramente felice!”
“Grazie.” Le risposi semplicemente. Non mi aspettavo quelle parole e mi avevano fatto bene “E tu?” chiesi andando immediatamente col pensiero a Karl.
Si allontanò, sorridendo  “Mmmm, sai… Credo che dovrò risolvere un problemino simile al vostro. C’è un certo capitano che è una vita che mi fa da balia e credo di averlo sempre escluso dai miei pensieri proprio perché tengo talmente tanto a lui da avere il terrore di perderlo!”
“Non lo perderai mai, Marj.” 
Il suo viso si illuminò “Credi anche tu? E’ la stessa cosa che mi ha assicurato la mia migliore amica! Ma ora và, altrimenti i Mondiali non li giochi!”
Le sfiorai la fronte con un bacio e corsi dai miei compagni che mi stavano chiamando a gran voce.
Avevo il cuore più leggero e la mente finalmente sgombra.
Ero pronto a giocare il mio ultimo Mondiale dando davvero il meglio del meglio di me.

 

Zingaro era tornato in scuderia. La ferita gli doleva, il pelo era meno lustro del solito ma i grandi occhioni scuri dicevano che non aveva nessuna intenzione di mollare.
Lo stavo strigliando e intanto ripensavo ai giorni appena trascorsi e a tutto ciò che avevano lasciato e portato via, rotolando nella mia vita come le onde sulla battigia.
Pensavo a Karl.
Ci eravamo lasciati, senza rimpianti né rancori. Avevamo parlato molto, moltissimo, anche, sì, di quello che era accaduto tra me e Benjiamin.
E di quello che non era mai successo tra lui e Marj.
Che situazione assurda! mi trovai a pensare. Quattro persone adulte, all’apparenza sicure di sé, affermate professionalmente e stimate nei rispetivi ambienti di lavoro, in realtà rose dalle stesse paure, dalle stesse insicurezze che le rendevano fragili e incapaci di instaurare rapporti sentimentali veri e stabili.
Pensavo a Benjiamin, e mi rendevo conto di non poter fare a meno di avvampare, ricordando le sue mani su di me, la sua bocca sulla mia e la sua voce che sussurava suadente facendomi accendere il sangue nelle vene.
Pensavo al suo abbraccio, ai suoi rari e preziosi sorrisi e a quanto stavo bene con lui...
“Heilà! Ci sei o sei in Sud Africa?”  la voce di Kris mi riscosse, riportandomi al presente e strappandomi ai miei sogni ad occhi aperti.
“Ci sono, ci sono capo!” risposi allegra, dando un'ultima vigorosa bruscata al mantello del mio stallone.
“E invece non ci sei…” Kristine scrollò la frangia biondo cenere, sogghignando maliziosa “Muoviti! Tra poco iniziano!”
Riportai Zingaro nel box e mi avviai con lei in club house, dove ci aspettava Marjorie davanti al televisore. La mia biondissima amica mi sorrise, facendomi posto sul divanetto accanto a lei, e io ricambiai. I nostri attriti si erano sciolti. Ci siamo sempre volute bene, ci siamo sempre capite. Avevamo parlato ed eravamo giunte ad una conclusione: dopo i Mondiali avremmo finalmente preso il coraggio a due mani dando una svolta alle nostre vite.
Seguimmo tutte le partite delle eliminatorie di Germania e Giappone in quella saletta, soffrendo ad ogni Fire Shot non andato a segno, coprendoci gli occhi ogni volta che un avversario entrava nell’area nipponica.
Ma passarono entrambi...
Agli ottavi: Germania – Argentina, Giappone – Svezia.
Il Kaiser fu spettacolare, i suoi compagni, eccezionali. Dieter Muller contendeva a Benjiamin il titolo di miglior portiere dei Mondiali. La classe e la fantasia argentine vennero travolte dall’armata teutonica. Il gioco della squadra tedesca non lasciò spazio né ad errori, né ad incertezze.  Due a zero. Marcatori Schneider e Margas.
Temevo molto l’altra partita: Stefan è un ottimo compagno di squadra ma anche un avversario notevole. Certo, il suo gioco non era più violento come quello di un tempo, ma il Levin Shot non è un bel regalo. I polsi di Price ne avevano un brutto ricordo.
Oliver si dimostrò nuovamente un eccellente regista. Affiancato da Tom era veramente imbattibile, mentre Mark era nel pieno della forma. Erano una squadra.
Avevo seguito solo un loro allenamento, solo una volta li avevo visti giocare dal vivo, da vicino, e mi avevano dato esattamente quella sensazione. Erano una squadra. Legati dall’amicizia, dall’amore per il calcio, dalla voglia di vincere. Forse perché venivano da quel Paese lontano dove si ha una concezione tanto diversa, forse più vera, di onore e di amicizia.
E poi c’era lui: Oliver Hutton! Un trascinatore, una forza della natura! Sereno, calmo, un’ancora di salvezza per i suoi compagni, un generale in mezzo ai soldati. Benjiamin ne aveva un rispetto quasi reverenziale e questa cosa mi aveva portato a guardare con attenzione quel ragazzo un poco più piccolo degli altri, ma con un carisma eccezionale.
Fu una partita dura. Levin è un regista d’eccezione e ha ben poco da invidiare ad Hutton, ma la Svezia dovette soccombere. Le bordate violentissime del suo capitano non infransero la barriera dell’ SGGK mentre un Drive Shot preciso e potente sfondò la rete della squadra venuta dal freddo.
L’ultima azione fu per gli svedesi: Stefan, dopo un’abilissima e splendida triangolazione con Hegger, si trovò solo davanti alla porta. Il tiro fu potente ma non ne vidi la conclusione, avvertii solo la mano di Marj che stritolava la mia.
“Ragazze, potete ricominciare a respirare!” sentii Kristine ridacchiare e sospirai di gioia vedendo Benjiamin che si rialzava da terra, accingendosi ad effettuare un lunghissimo rinvio per Diamond..
Io e Marj ci guardammo sorridendo, abbracciandoci. Due minuti dopo aveva termine la partita.
Ai quarti Spagna – Germania e Francia – Giappone
I compagni di campionato di Holly non diedero vita facile al Kaiser ed ai suoi. Dopo novanta estenuanti minuti di partita e mezz’ora di supplementari, si andò ai rigori. Muller diede il meglio di sé. Era bravo, molto molto bravo. Era l’unico portiere della Bundesliga ad avere una media pari a quella di Price su Schneider.
E la  Germania passò.
La partita si era giocata sotto un’acqua battente. D’altronde, in Sud Africa, era praticamente inverno.
Il giorno seguente ancora pioggia.
Una volta, ricordai, avevo chiesto a Benjiamin cosa ne pensasse del freddo tedesco e degli improvvisi temporali che scuotevano il fine estate in Germania. Mi aveva risposto sorridendo e scrollando le spalle “Ormai non ci faccio più caso, sai? Mi sono abituato a giocare in qualsiasi situazione, anche con la neve. Un po’ d’acqua non mi spaventa.”
La Francia era una brutta gatta da pelare e di certo la pioggia battente che rendeva insidioso il campo e viscide ed insicure le prese faceva sì che tutto fosse più difficile.
Tom conosceva bene i francesi ed Oliver gli lasciò la regia, facendogli da spalla e puntando tutto l’attacco su Lenders.
Da parte sua Price organizzò magistralmente la difesa, facendo sì di tenere gli avversari il più fuori possibile dall’area, costringendoli a tirare dal limite e facendo della pioggia un’alleata importante, ben sapendo che Napoleon e Le Blanc non hanno la potenza di Levin o Schneider.
Mark segnò due splendidi goal e realizzò uno spettacolare assist per il suo capitano, dandogli l’occasione di siglare la terza rete.
Marj ed io avevamo guardato la partita da casa, strette su quel divano che aveva dovuto sopportare tante volte le acrobazie della mia coinquilina quando seguiva il suo eroe durante le partite del Bayern.
Giappone si qualificò e l'avversaria successiva sarebbe stata l'Italia.
“Oh accidenti! E adesso?! Per chi tifo?”  Mi chiesi ad alta voce, osservando gli accoppiamenti delle squadre sul monitor.
"Ahi!" un cuscino, lanciato con vigore e mira, mi aveva centrato una spalla e sbilanciata, facendomi crollare sul divano. Marj s'era alzata e mi guardava con una buffa smorfia di disappunto sul viso, le mani strette a pugno puntate ai fianchi e lo sguardo corrucciato
“Cretina! Per lui, no? Ma ti pare!?”
La ramanzina che doveva seguire venne interrotta fortunatamente dal mio cellulare che squillava.
“Pronto! Ciao capo!” esclamai allegra ma preoccupata, mentre nel frattempo rilanciavo il cuscino alla bionda, facendole la linguaccia.
“Ele! Un disastro! Lo so che avevi chiesto di non andare ai Mondiali, ma siamo nei guai!” la voce di Sonya era tesissima.
“Che è successo di tanto grave?” le chiesi sistemandomi a sedere composta  e facendo cenno a Marj di ascoltare.
“Lukas tra ieri e oggi alla partita ha preso parecchio freddo ed ora ha la schiena bloccata! E Paul non può fare tutto da solo…”
Sapevo perfettamente cosa voleva dire.
Io non avevo nessun obbligo, il mio lavoro col Bayern era una collaborazione da libero professionista, non ero assunta, non ero una dipendente.
Ma non potevo dar loro picche, Lauber aveva fiducia in me e nel mio lavoro, era stato sempre gentilissimo. Quando poi era accaduto il fattaccio si era prodigato in ogni modo per me.
Inoltre aveva accettato il mio diniego ad andare in Sud Africa dopo che era stato informato dell'incidente di Zingaro. Il mio stallone però stava meglio e Sonya mi aveva pregata più di una volta di andare ad unirmi ai miei colleghi, soprattutto per avere qualche scatto in più di Benjiamin.
La società, ovviamente, era al corrente delle sue decisioni ed era già in progetto un'uscita di scena in pompa magna per il SGGK.

 

Le ruote dell’aereo percossero violentemente l’asfalto della pista mentre un paesaggio quasi lunare sfrecciava tutt’intorno. Avevamo vinto.
Eravamo in semifinale.
Il mio sogno si avvicinava.
Scendemmo la scaletta, ci avviammo al terminal e dopo qualche minuto un altro veivolo toccò terra.
Stavamo tornando al villaggio creato appositamente per ospitare giocatori, staff medici e tecnici, giornalisti e fotografi, situato alla periferia di Cape Town.
Ci attardammo un poco all’ingresso dell’aeroporto: Harper, in uno dei suoi soliti eccessi d'allegria, mentre scherzava coi fratelli Derrik aveva aperto il suo bagaglio, rovesciandolo.
“Ehi, Price! Se quello è lo standard dello staff tecnico del Bayern, giuro che cambio squadra!”
“Bruce, piantala o Evelyn ti ammazza!” Crocker e Diamond ripresero, canzonandolo, il nostro difensore.
Mi voltai, seguendo lo sguardo di Herper, non capendo a cosa alludesse.
E rimasi senza parole.
Mi dava le spalle ma la riconobbi: tacchi alti, abito nero giacca e pantaloni, quando si voltò notai sul risvolto il ricamo dello stemma della squadra. Lo scollo ampio della camicetta candida fece intravedere appena la curva del seno quando si chinò a raccogliere la tracolla dell’ottica che aveva accanto. Scostò la massa ribelle di capelli castani dal viso ed incrociò lo sguardo col mio. Restammo immobili un attimo. Poi mi sorrise, portando due dita alla fronte, come uno scherzoso saluto militare.
Le risposi toccando la tesa del cappello e sorridendole a mia volta. I suoi occhi cambiarono traiettoria, puntandosi alle mie spalle. Dall’aereo atterrato dopo il nostro era scesa la nazionale tedesca.
Karl mi venne incontro. Ci scambiammo una stretta di mano ed una pacca sulla spalla.
“Ora la squadra è proprio al completo…” disse ed accennò col capo verso Elena.
“Già, a quanto pare sì.”
Il pomeriggio seguente una figurina ben nota armeggiava con macchine fotografiche ed ottiche più grandi di lei a bordo campo.
Era una sensazione strana. Mi dava tranquillità.
Quei giorni erano stati difficili, molto difficili. La squadra stava andando forte, contro ogni pronostico. L’umore era alle stelle ma eravamo tutti tesi, concentrati allo spasmo.
Vederla lì, al suo posto alle mie spalle, mi faceva sentire a casa.
I ragazzi si accorsero del mio cambiamento di umore ma pensarono derivasse dal fatto che eravamo in semifinale. Tutti, tranne Oliver. Al termine dell’allenamento richiamò la mia attenzione e mi sorrise strizzandomi un occhio, accennando col capo a bordo campo.
Mi avvicinai a lei togliendomi i guanti. I lunghi capelli mogano erano raccolti sotto un cappellino e l’ampia pettorina numerata nascondeva le curve del corpo.
“Zingaro?” le chiesi.
“Meglio. Molto meglio. Lukas un po’ meno…” rispose mettendo in ordine l’attrezzatura.
“Ho saputo. Sei qui a sostituirlo…”
“Già…” parlava senza guardarmi in viso, concentrata sul suo lavoro.
“Allora…buona giornata!”  me ne andai col cuore pesante.
“Domani farò uno strappo alla regola!” mi gridò dietro, costringendomi a voltarmi.
"Ovvero?" chiesi sorpreso da quel cambio repentino d'atteggiamento.
Mi sorrise, togliendo gli occhiali scuri e fissandomi finalmente con gli occhi color dell’autunno “Credo che sarà la prima volta in trent’anni che pregherò che la mia Nazionale non segni!”
“Perché? Hai dubbi, per caso?”
Socchiuse gli occhi, sorridendo appena e scotendo il capo “No. Ma non si sa mai…”
Gli altri stavano andando in spogliatoio, qualcuno si era seduto sull’erba a rinfrescarsi e chiacchierare.
“Ehi, SGGK! Da quand’è che ti abbassi a parlare con i fotografi?”  normalmente il tono strafottente di Mark mi avrebbe mandato in bestia, invece gli risposi con tono quasi allegro, passandogli oltre senza degnarlo di uno sguardo “Da quando il fotografo è una splendida ragazza, Lenders!”
Scorsi un sopracciglio scattare verso l’alto mentre il mio vecchio rivale si sporgeva oltre Danny, seduto accanto a lui, quasi sdraiandosi sull’erba per guardare meglio il soggetto della nostra discussione.
In quell’istante Elena tolse il cappello, sciogliendo la massa ribelle dei capelli castani. La pettorina era stata appoggiata su un cavalletto e le  forme morbide a clessidra strapparono un fischio a Mark. I jeans a vita bassa lasciavano scoperto il tatuaggio in fondo alla schiena mente una maglia rossa a maniche lunghe, attillata e scollata a V chiudeva l’effetto rendendo il tutto piuttosto sensuale. Sorrisi sarcastico vedendo gli sguardi imbambolati dei miei compagni.
"Cos'è, Lenders? Anche tu all'improvviso vorrai entrare nel Bayern l’anno prossimo?”  lo canzonai, dando un’ ultimo sguardo al mio brutto anatroccolo ed avviandomi negli spogliatoi.
Non si accorgeva di come la guardavano gli uomini. Non sapeva quanto l’ammirassero. Si era sempre chiusa in se stessa, timida e spaventata come un gattino per poi andare a cacciarsi tra le braccia di lupi travestiti da agnelli.
Ma non quella volta.

  


 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** 20 ***


ac18

Le fiamme del camino danzano pigre nel tentativo di spegnersi, riempiendo di bizzarri riflessi il bicchiere semivuoto che reggo in mano ormai da ore, perso nei miei pensieri.

Fuori piove.

E’ stata una primavera fredda, questa che sta volgendo al termine.

Quasi un anno…

Porto il calice alle labbra e subito l’aroma intenso del brandy invecchiato mi assale le narici, mentre il gusto violento dell’alcool mi riporta alla realtà.

Una fotografia in più tra le tante…

Una medaglia in più, ma questa e quella hanno posti d’onore tra le decine che affollano quell’angolo di sala.

Mi soffermo a fissarle.

Il fuoco si riflette sull’oggetto dorato rendendolo vivo, facendone confondere la superficie cesellata con mille calde sfumature.

Abbandono il bicchiere sul tavolo accanto a me e mi  levo in piedi, attirato da quel bagliore. Il contatto col freddo metallo risveglia altri ricordi.

Sogni.

Desideri realizzati.

Amici.

Amori…

Lo sguardo corre all’immagine lì accanto. Il compimento di un sogno.

“La fine di una vita e l’inizio di un’altra. Sarai sempre un campione, qualunque cosa tu faccia.” E una firma. Non ho bisogno di avvicinarmi per leggere, conosco quella dedica a memoria.

Stasera, decido,  ho voglia di farmi del male.

Sfioro con le dita le copertine dei dvd che affollano la mia libreria. Eccolo: una custodia bianca; sulla costa, il mio nome, il simbolo del sol levate e la bandiera tedesca.

Soppeso un attimo se torturarmi ancora un poco, prima di decidermi a sfilarla dal suo posto.

Un regalo di Natale.

Sorrido ripensando alla faccia che fece Oliver quando scartai quel pacchettino rosso, sotto l’albero a casa sua ormai più di un anno fa.

Tutta la mia carriera, tutta la mia vita...

Le immagini iniziano a susseguirsi lente seguendo il crescere di quel brano di musica metal che è tra i miei preferiti.

Goditi il silenzio, dice.

Il silenzio.

Mi manca.

Mi concentro sul video che avanza ora incalzante davanti ai miei occhi.

Oliver, Tom, Mark, Ed, Bruce…

E poi ancora Karl, Hermann, Dieter, Napoleon, Sho, Stefan….

Sono tutti lì. Raccolti in pochi minuti di musica e immagini.

L’ultima, l’assegnazione del Fifa World Player. Le ultime note si spengono, lo schermo diventa buio per pochi secondi. Poi lo sfondo nero viene improvvisamente graffiato da una calligrafia tagliente, che scrive in bianco una sola parola: “Continua…”

Socchiudo gli occhi, fissando ancora una volta lo sguardo su quella foto, su quei volti.

Come fosse ieri.

La partenza per Cape Town, le prime partite, la pioggia violenta sui quarti di finale…

Il suo arrivo improvviso.

E la semifinale, contro la Nazionaledel suo Paese.

Eravamo euforici, ma anche molto tesi. L’Italia di quei Mondiali era una gran squadra, migliore, sotto molti aspetti, di quella che aveva vinto la Coppa del Mondo quattro anni prima.

Il tempo sembrava voler essere clemente. Non pioveva più da due giorni e un pallido sole fece capolino sul campo.

Il sorteggio diede la palla ai nostri avversari che non si fecero attendere. Passaggi brevi, veloci, precisi. Oliver e Tom accettarono immediatamente la sfida degli attaccanti azzurri. L’ebbero vinta ma la loro progressione venne fermata sul nascere dall’onnipresente Gentile. Mark, che stava per ricevere il pallone, dovette rientrare. Cominciammo subito a ritmo sostenuto. Dopo pochi minuti Julian e Clifford si trovarono in area il trio di punta avversario. Gli italiani sfondarono la difesa di Peterson ed Everett ma dovettero soccombere alla classe di Ross e alla grinta di Yuma, il quale rinviò lungo per il nostro capitano. Oliver non perse tempo, si diresse verso l’area avversaria trascinandosi Lenders e Denton. Hutton passò a Rob che si trovò marcato stretto. Per poco il suo passaggio per Mark non venne vanificato dall’intervento di  Gentile, che non lasciava respirare Lenders un solo secondo. Oliver era scattato verso l’area, gli italiani si apprestavano a mettere in atto il fuorigioco ma la Tigre fu più svelta di loro. Il capitano ricevette ed il Drive Shot partì con l’usuale potenza, finendo tra le braccia di Hernandez.
Non ero l’unico in grado di bloccare quel tiro. 
Il rinvio lungo arrivò direttamente nella nostra area ma la classe del Principe dal cuore di cristallo non fallì. Giocammo così per tre quarti del primo tempo. Due conclusioni per l’Italia e la palla che terminava sempre fermamente nelle mie mani, ma neppure noi riuscivamo a segnare. Hernandez era un muro. Il Tiger Shot per lui non era uno sconosciuto e pure il tiro di Oliver, inoltre la loro difesa era quasi impenetrabile. Così le occasioni di tiro venivano a mancare ed il gioco era incentrato tutto a centrocampo, in una battaglia sfiancante.
Poi la tensione ebbe la meglio. L’ultimo rinvio di Clifford diede il via ad un’azione scombinata, disordinata. Tom ricevette il pallone e iniziò un’avanzata disperata in accoppiata con Oliver. Fu assurdo quello che accadde: Mark chiamò la palla, Becker la passò ma la Tigre si trovò stretto tra due avversari. Nonostante la posizione sfavorevole, tirò. Il Tiger Shot s’infranse sul palo destro, Hernandez non si era neppure mosso. Il pallone rimbalzò verso Gentile ma Holly fu lesto a soffiarglielo. Udii distintamente il mio rivale che sfidava il capitano: “Tira pure, Hutton! Tanto di qui non passi! Io sono l’unico in grado di fermarti sempre, qualunque trucchetto tu usi!”  Vidi Oliver caricare il tiro ed il portiere italiano in posizione per pararlo.
Gridai ad Holly di non farlo, di passarla a Philip che era in posizione migliore della sua.
Ma non mi udì, o non volle ed il Drive Shot si spense tra le braccia di uno sprezzante Hernandez. Il rinvio fu, al solito, lunghissimo, direttamente sui piedi di Sandri. La nostra difesa si sciolse come neve al sole, sbigottita e frastornata. Julian non riuscì a mettere ordine mentre Patrick non mi diede retta e si fece fregare da Rossi.
Un assist preciso e Levati appena dentro l’area. Il tiro fu potente ma non imprendibile. In una frazione di secondo mi avvidi di un’ ombra alla mia destra ed il mio istinto che mi disse di aspettare. Gregari era passato inosservato e si era lanciato di testa a modificare quella traiettoria che avrei sicuramente preso. Ma non aveva fatto i conti con l’SGGK.  Spostai velocemente il peso a sinistra ed arrivai al pallone in extremis. Yuma recuperò prontamente ma, nella fretta, scaraventò verso Gentile che era salito ed effettuò un passaggio precisissimo per Rossi che, ancora in area e smarcato, si girò effettuando uno splendido tiro al volo. Avevo appena fatto in tempo a rialzarmi ma mi lanciai verso quella palla, afferrandola saldamente.
In quell’istante finì il primo tempo. Marshall era furioso. Riprese Mark, Patrik, Clifford ed, in ultimo, anche il nostro capitano.

“Da te, Oliver, non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere!” Conoscevo molto bene quel tono, fermo e pacato ma che feriva come una lama affilata. L'avevo provato molte volte nel corso della mia carriera...

Un silenzio teso e drammatico calò in spogliatoio. Vidi lo scoramento sui volti dei miei amici, vidi la tensione averla vinta sul coraggio e la determinazione ed in quell'istante sentii la rabbia montarmi dentro.

Non poteva finire così.
Non potevamo crollare a quel modo!

“Si stanno prendendo gioco di noi.” Dissi a voce bassa ma ferma ed i ragazzi si voltarono, come se quella mia affermazione li avesse ridestati dal sonno.

Ero seduto su una panca, non li guardavo, tenevo il viso coperto dalla visiera del cappello. Alzai gli occhi e li fissai uno ad uno. Erano i miei amici, erano stati per tanto tempo la mia famiglia. Per anni avevamo dato il tutto per tutto gli uni per gli altri. Decisi che toccava a me dare loro un motivo di più per vincere.

Mi alzai e cominciai a parlare scandendo le parole “Sanno quanto sia importate per noi questa partita e giocano di nervi. Gino ti ha volutamente provocato, Oliver! Rendendoti prevedibile in un momento in cui la squadra ha ceduto. Siamo arrivati qui per vincere! Abbiamo giocato come una squadra affiatata fino ad ora, non possiamo cedere ai protagonismi proprio adesso!”

“Benjiamin…”

“Hai ragione….”

Il capitano mi si avvicinò, tendendomi una mano e sorridendo, col suo solito sorriso aperto, negli occhi di nuovo la ferma determinazione che lo avevano reso quello che era  “Sei sempre tu a rimetterci in riga in queste situazioni, fino dai tempi dalle elementari!”

“Non ci faremo battere! Arriveremo in finale!”

Un “Sì!” corale riempì la stanza, mentre Marshall ci guardavo soddisfatto a braccia conserte.

“Ragazzi, devo dirvi una cosa importante…” Era il momento giusto, pensai, l'affetto che, sapevo, provavano per me avrebbe dato loro un motivo in più di riscossa. Infatti si immobilizzarono e mi fissarono stupiti, preoccupati dal mio tono serio.

“Qualcosa non va, Benji?”  mi chiese il solito, gentile Tom. Incrociai lo sguardo con Lenders e Warner. Ed mi fece cenno di "sì" col capo, Mark si limitò a fissarmi, incrociando le braccia.

“Questo sarà il mio ultimo Mondiale.”

Un silenzio ancora più profondo del precedente gelò il piccolo ambiente. Oliver lo spezzò, parlando adagio “Cosa stai dicendo, Benjiamin?!”

“La mia carriera finisce qui, capitano. La finale sarà la mia ultima partita ufficiale. Quindi…”  li guardai nuovamente tutti  “vi prego di fare di tutto per vincere questa semifinale!”

“E’ una scelta definitiva la tua?” vidi la tristezza velare il volto del mio vecchio amico e rivale.

Feci cenno col capo e gli posai una mano sulla spalla, rivolgendomi con lo sguardo agli altri "Non c'è tempo per darvi spiegazioni. E' così, e vi sto chiedendo di vincere anche per me!"

“Allora…” Holly si voltò verso la squadra, il pugno destro stretto “ visto che  è il tuo ultimo Mondiale, abbiamo una ragione di più per vincerlo assolutamente! Giusto, ragazzi?”

Di nuovo il coro dei miei compagni riempì l'aria, unito al fischio che ci richiamava per il secondo tempo.

Scendemmo in campo decisi e determinati. Mentre rientravamo ricevetti pacche sulle spalle e sorrisi tristi ma incoraggianti. Sapevo di poter contare su di loro.

Ricominciammo. Di nuovo l’Italia in avanti, ma il loro attacco si frantumò contro la difesa ferrea di Philip e Julian. Oliver, Tom, Mark e Rob si catapultarono verso l’area avversaria. Né Gentile né gli altri difensori riuscirono nell’intento di fermare Oliver e Tom, che si trovarono in area in un baleno. Oliver fintò il tiro, passando invece a Mark. Hernandez era pronto ma Lenders passò inaspettatamente a Denton in arrivo sulla destra. Gino dimostrò di essere un fuoriclasse: anticipò l’intervento di Rob e bloccò con sicurezza la palla.
In quel momento una goccia mi bagnò il viso: stava ricominciando a piovere. Nel giro di pochi minuti il campo fu letteralmente fradicio. Il gioco divenne difficile, le traiettorie imprevedibili. L’Italia salì con impeto, decisa a batterci ad ogni costo. Rossi e Levati travolsero Callaghan e Yuma. Il tiro di Rossi fu non molto potente ma carico d’effetto. Arrivai a malapena all’ incrocio dei pali prima che s’infilasse in rete. Peterson allontanò ma venne intercettato da Morandi. Di nuovo l’Italia nella nostra area e di nuovo un tiro in porta che bloccai  in sicurezza e rinviai direttamente su Mark che partì alla carica. Fu nuovamente una bella dimostrazione di gioco di squadra ma la sfortuna era con noi. La Tigre si trovò davanti all’estremo difensore italiano. Il Raju Shot partì  violento ma un’entrata in scivolata di Gentile ne deviò la traiettoria, spedendolo sulla traversa. Recupero del pallone e nuova azione  di Becker per Denton ma conclusione inspiegabilmente fuori.
Vidi un ghigno beffardo disegnarsi sulle labbra di Hernadez. Tornarono alla carica, la nostra difesa li fermò una, due, tre volte… Poi passarono. Ci fu ressa davanti alla porta e la palla andò alta, altissima. Rossi saltò al di sopra del mucchio.
Saltai anch’io.
E la presi. Per un soffio.
Nuovamente il nostro assalto alla loro area, di nuovo la sfortuna: Oliver costretto a tirare da fuori, il Drive Shot che si spegneva tra le braccia di Hernandez.

Tornarono, attaccarono e li respinsi. Sempre. Ma non riuscivamo a segnare. A due minuti alla fine la pioggia  non cessava, anzi, rinforzava. Vidi lo sguardo irato di Oliver e quello un poco smarrito degli altri. Di tutti, tranne uno.

“Avanti ragazzi!" udii tuonare da oltre la metà campo "Ci facciamo abbattere da un po’ di sfortuna?! Abbiamo un Mondiale da vincere!” e così dicendo Mark si voltò verso la mia porta, un sorriso sicuro sulle labbra e il sacro fuoco della Tigre nello sguardo. Sapevo di potermi fidare di lui.

Lo vidi parlare con Oliver e scambiarsi gesti di assenso. Erano intenzionati a segnare.

Il gioco riprese, mancava un minuto. Gino effettuò un rinvio lunghissimo, per Morandi che si era portato a centro campo. La triangolazione con Rossi vanificata da Julian. Becker, Hutton e Lenders partirono all’attacco. Per gli avversari non ci fu nulla da fare, la difesa italiana non resse. Cross di Tom per Mark. Un tiro veloce, potente, da fuori, diretto nell’angolo in alto a sinistra. Hernandez si tuffò ma la palla rimbalzò violenta all’incrocio dei pali. Gino era a terra e Oliver non aspettava altro. Saltò a prendere la palla al volo, effettuando il tiro da mezz’aria. In quell’attimo il triplice fischio dell’arbitro. La palla che si insaccò in rete, alle spalle di un Hernandez battuto.

“Goal!”  decretò l’arbitro.

Era finita, finalmente. Eravamo in finale!

La pioggia continuava a colpirci imperterrita, ma ormai non ci facevamo più caso.

Restammo immobili per alcuni secondi, tutti e undici. Poi un grido di vittoria dagli spalti e lo stadio in delirio.

Il giorno seguente lo vivemmo tutti quanti come in un limbo, eravamo ad un passo dal Paradiso ma la sua conquista richiedeva ancora uno sforzo. E che sforzo! Karl e i suoi avevano superato il Brasile di Naturezza e Santana.
Il Kaiser era più forte che mai.

Quella sera camminavo solo per i vialetti alberati del villaggio sportivo. Non avevo voglia di dormire, volevo godermi il più possibile ancora quell’atmosfera inebriante che permea le occasioni importanti.
Qualcun altro la pensava come me. Lo riconobbi da lontano, e lui riconobbe me.

“Cos’è, SGGK, il pensiero di batterti finalmente con me non ti fa dormire?” Vidi un lampo divertito passare negli occhi di ghiaccio. Mi sarebbe mancato. Lo consideravo più di un amico, praticamente un fratello. Lui era stato il primo, l'unico a darmi fiducia quando ero arrivato in Germania. E sì, pensai in quel momento sorridendo tra me, se ero diventato il SGGK per molta parte lo dovevo a lui.

"Senti chi parla!" replicai ironico "Mi pare che il nostro Kaiser non sia molto tranquillo al pensiero di affrontarmi!” gli sorrisi malizioso, incrociando il mio sguardo col suo.

Ci mettemmo a camminare in silenzio, l’uno accanto all’altro.
All’intersezione di due vialetti una piccola fontana  illuminata doveva servire a portare ristoro agli atleti che si ritrovavano in quel luogo nella calda estate africana. Mi fermai al bordo, fissando lo zampillio dell’acqua.
Non c’era più motivo di tacere.

“Karl...”

“Mhm?” si voltò a guardarmi con aria interrogativa, dando la schiena alla fontana, appoggiato al muretto di marmo candido.

 “Quella di dopodomani sarà la mia ultima partita.” dissi d'un fiato, quasi sottovoce ma abbastanza forte perché mi potesse udire chiaramente.

Silenzio. Per un attimo, mi accorsi, aveva smesso di respirare mentre sentivo il suo sguardo fisso su di me.

“Stai scherzando, vero?” chiese d'un tratto, anch'egli quasi sussurrando.

“No.”

Chiuse gli occhi e sospirò  “Lo sapevo che c’era sotto qualcosa. Ti conosco troppo bene. Ora si spiegano molte cose.”  Li riaprì e puntò le iridi di ghiaccio nuovamente su di me “Perché?” mi chiese semplicemente.
Non ricambiai il suo sguardo, semplicemente continuai ad osservare le gocce che allegre si spegnevano nello specchio limpido che rifletteva la mia immagine distorcendola leggermente.

“Oramai più di tre anni fa, prima che Kim se ne andasse, promisi a mio padre che quest’anno, dopo i Mondiali, avrei abbandonato il calcio. Stavo scendendo ad un compromesso: avrei terminato la mia carriera all’apice della gloria per poi vivere il resto della mia vita accanto alla donna che amavo e sostenendo mio padre che chiedeva il mio aiuto. Una volta ogni tanto senza pretenderlo.”

“Kim non c’è più, Benjiamin…”

Chiusi gli occhi, cercando di ricacciare quel dolore che mi portavo dentro. Avvertii il suo profumo, vidi il suo sorriso, il verde immenso del suo sguardo nel quale amavo perdermi e che a volte ancora pervadeva i miei sogni.

“Lo so, Karl. " risposi trattenendo un sospiro amaro "Io e lei parlammo anche di questo, quando si ammalò. Ho fuggito le responsabilità verso mio padre per molto tempo, rinunciando a capire le sue ragioni, accusandolo di avermi abbandonato. Ma, in fondo, devo anche a lui di essere quello che sono. E ora ha bisogno di me. Allora feci una promessa, ho intenzione di mantenerla. Non ho rimpianti, te lo giuro. La mia carriera è al culmine, Karl e ho tutta l’intenzione di portarla a termine in trionfo!”  mi voltai verso di lui, incrociando finalmente il suo sguardo. Un sorriso deciso gli piegò le labbra, mentre l’azzurro degli occhi si faceva d’acciaio.

“Sarà la partita più dura che tu abbia mai giocato, SGGK. E finirà sicuramente in un trionfo. Anche se mi spiacerà vederti concludere la carriera con una sconfitta!”

Avevo ottenuto quello che desideravo: Karl avrebbe fatto di tutto per rendere quegli ultimi novanta minuti indimenticabili.

  



Lo so, lo so...
Vi aspettavate qualcosina di più romantico XD
Mi dispiace, "Angelo", come vi dissi ai tempi, è una storia che vuole cogliere anche l'animo calcistico di Capitan Tsubasa e, a parer mio, il rapporto di Benjiamin coi suoi compagni è fondamentale per delineare il suo personaggio. 
E' nata così e, nonostante la stia risistemando, non riesco ad eliminarne parti che, forse, la rendono noiosa. Ma la amo così com'è perché è la prima storia che ho scritto, per cui abbiate pazienza^^
Grazie a tutte di cuore per le recensioni, per aver messo la storia tra i preferiti, per averla anche solo letta.
Grazie.
Manca poco, pochissimo alla fine, giuro che non vi tedierò ancora per molto e che il prossimo aggiornamento sarà più rapido.
Per chi ha voglia di seguirmi, alla prossima!
 

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Capitolo 22
*** 21 ***


ac22

La scuderia pare essere deserta.
E’ mattina presto e l’alba tinge di un rosa delicato la nebbiolina che sale dai campi.
Il profumo del fieno impregna l’aria, tra i box corre qualche nitrito soffocato ed il raspare degli zoccoli sulle porte rompe definitivamente il silenzio.
Tra un’ora dovrei essere in ufficio, ma mi fermo ugualmente.
Non ho perso l’abitudine di correre nel parco prima di andare al lavoro.
Entro e mi accosto al secondo box, quello di Zingaro…
Un paio di assurdi occhi azzurri mi fissano mentre un borbottio fa vibrare morbide narici. Uno splendido stalloncino color dell’acciaio, criniera e coda d’argento, mi viene incontro, allungando il muso sottile perché lo possa accarezzare.
“Il suo puledro preferito…”
“Già...” rispondo atono. La voce di Kristine alle mie spalle non mi ha sorpreso. Si avvicina e porge una mano all’animale, che l’annusa curioso.
“Cosa ci fai qui, SGGK?”  Sorrido a quel vecchio soprannome  “Malinconia?”
Scrollo il capo, allungo a mia volta la mano che l puledro, incuriosito, mi annusa sbuffando e brontolando piano  “Un poco." sussurro "Ieri sera ho ripensato al Mondiale…”
Le labbra della sorella del Kaiser si piegano un  sorriso triste e comprensivo.
“Mi manca…”  ammetto, appoggiando la fronte alle sbarre del box e chiudendo gli occhi.
Sento il tocco di Kristine sul mio braccio “In fondo questa lontananza forzata sta facendo bene anche a te…”
Sorrido senza guardarla  “Già…”

Finalmente ha smesso di piovere! Eravamo veramente stufi di montare al coperto! La primavera quest'anno si stava davvero facendo desiderare.

Guardo soddisfatta il pelo lucido del mio stallone: in controluce appaiono lievi la riga di mulo e le pomellature della salute. Finisco di strigliarlo, passando con delicatezza la brusca sulla cicatrice che ormai rappresenta solo un brutto ricordo.

E’ passato quasi un anno da allora…

Il caldo sole italiano illumina il prato accanto alle scuderie e mi rammenta l’immagine di un campo da calcio. L’azzurro del cielo sudafricano mi riempie la mente e vedo dinnanzi a me ventidue campioni pronti alla sfida.

Quante emozioni in quella finale!

I ragazzi del Giappone erano seriamente intenzionati a vincere, a tutti i costi. Per la gloria, per l’amore per il calcio e per quel loro amico che non avrebbe più giocato con loro.

Karl e i suoi non erano da meno. Inoltre il capitano era a conoscenza della decisione del portiere ed era determinato a vincere quell’ultima sfida.

I nipponici attaccarono da subito, Becker e Hutton in combinazione, Lenders in avanti, pronto a ricevere. Il Kaiser si fece sotto, interrompendo l’azione fulminea della coppia d’oro giapponese e portando i suoi nella metà campo avversaria, Margas al suo fianco.
Ross, Callaghan e Yuma, seguendo le istruzioni precise di Price, si lanciarono nel tentativo di arginare l’attacco teutonico e vennero travolti. Dopo neppure due minuti di gioco Karl e Benjiamin erano l’uno di fronte all’altro. Il Fire Shot partì violento e implacabile. 
Sentii il fiato bloccarmisi in gola. Media del cinquanta percento, pensai...
Con un balzo degno di un gatto Price andò a bloccare la palla, ricevendola in pieno petto e compiendo una breve capriola sulla spalla destra, ad annullarne la potenza.

Vidi Karl sorridere. La sfida aveva inizio.

L'azione nipponica ripartì direttamente dal portiere, con Oliver e Tom che, dopo una sequenza di passaggi millimetrici servirono uno splendido pallone a Mark, ancora fuori area. Muller non aspettava altro, anche lui aveva un conto in sospeso con Benjiamin. Una voce dalle retrovie giapponesi gridò un ordine. Non sapevo cosa Benji avesse detto a Mark, ma vidi il cannoniere rinunciare al tiro, fare ancora qualche passo dentro l’area avversaria e poi sparare una bordata pazzesca verso la porta di Dieter. Il portiere aveva intuito la traiettoria ma un’ombra  s’inserì  nella mia visuale. Tom si era lanciato di testa, spostando la palla alla sinistra di Dieter, ormai sbilanciato. Quasi gol: Karl era arrivato fulmineo, allontanando il pallone un istante prima che entrasse in rete. Incitò i suoi all’attacco mentre i giapponesi, sconcertati, ripiegavano alla rinfusa.

Passaggi velocissimi, precisi, che lasciarono di sasso la difesa nipponica. Ross sfidò il Kaiser in uno splendido dribbling, avendo la meglio per un istante ma Karl si riprese il pallone, tornando a confrontarsi con Benjiamin. Il tiro di Schneider fu potente e violento, ma privo di effetto e finì direttamente tra le braccia del portiere. 
Schneider non si scompose, fissò negli occhi l’amico, sorrise e gli voltò le spalle, rientrando nella sua metà campo. Dal canto suo Benjiamin ricambiò lo sguardo, impassibile, i profondi occhi neri erano freddi, determinati. Sapeva cosa lo aspettava ed era pronto a ricevere qualsiasi attacco dell’Imperatore.
La lotta a centrocampo si fece sempre più serrata. La difesa del Giappone, magistralmente diretta da Price e Ross, rese vano ogni tentativo dell’attacco teutonico di penetrare in area. Benjiamin conosceva molto bene i suoi avversari e ne prevedeva abilmente ogni mossa. Aveva studiato quella partita nei minimi dettagli, dando precise indicazioni ai compagni di squadra esattamente come aveva fatto quindici anni prima, al Torneo di Parigi. Ma quel giorno come allora, la Germania non aveva ancora cominciato a giocare e l’SGGK ne era perfettamente conscio.
Il primo tempo si concluse così in parità. Notai parecchia stanchezza nelle file giapponesi, mentre i tedeschi uscivano dal campo quasi rilassati. Il continuo cambiamento di schema aveva costretto la difesa dei rappresentanti del Sol Levante a sforzi extra. Certo, Price li dirigeva con precisione ed efficienza, ma gli attacchi tedeschi erano stati un lento stillicidio volto a sfiancare gli avversari. La ripresa vide tra le fila della Germania un nuovo entrato, una vecchia conoscenza di Benjiamin: Klaus Richter. Già, quel Richter. Il simpaticone che per poco non aveva spezzato un polso a Price qualche mese prima. Sapevo cosa pensasse di  lui Karl ma d’altronde Klaus, carattere a parte, era un ottima punta e a fianco del Kaiser poteva risultare molto pericoloso.
Ricominciarono e la Germania iniziò a fare sul serio. Lenders venne letteralmente spazzato via con malagrazia dal nuovo entrato, che passò istantaneamente la palla al capitano, evitando lo scontro diretto con Hutton. Schneider non trattenne, evitando a sua volta Tom e lasciando il gioco nelle mani di Schester. Il biondo regista si liberò agilmente di due avversari ed eseguì una splendida triangolazione con Margas, mentre le due punte si portavano sempre più vicine all’area nipponica. Julian ebbe il suo daffare nel tentare di fermare Stefan, che riuscì a rimanere in possesso di palla passandola poi Richter, al limite dell’area. Una finta e un passaggio lungo spiazzarono i giapponesi. Tutti tranne uno. Benjiamin non s'era mosso, aveva visto Karl avanzare in direzione del pallone, pronto a tirare. Non il solito Fire Shot, ma quel particolare tiro ad effetto visto nella finale di Champions.
L’avevano ideato insieme per perforare la difesa di Warner e si trovava doverlo affrontare in partita.
Ricordavo le lunghe sessioni di allenamento extra e ricordavo anche gli ultimi dannatissimi cinque tiri in porta prima di quella partita. Cinque reti.
Vidi la sfera schizzare violenta e carica d’effetto, con quella strana traiettoria ad arco teso che rendeva il tiro inarrestabile dai difensori e quasi imprendibile per il portiere. Quasi. Benjiamin saltò a pugni chiusi, impedendo al pallone di infilarsi poco sotto la traversa. Becker intercettò il rinvio e riprese ad avanzare, mettendo di nuovo Lenders in condizione di affrontare Muller. Il quale, ancora una volta, si dimostrò degno avversario di Price.
Non ci fu un attimo di tregua. Le due squadre continuavano ad attaccare imperterrite senza che ci fosse una vera predominanza sul possesso di palla. Era un continuo, sfiancante difendersi ed attaccare. Benjiamin e Dieter dettero fondo alla loro bravura, facendo miracoli. Dal canto Schneider, Margas, Hutton e Lenders sfoderarono classe e tecnica da vendere, dando filo da torcere ai rispettivi avversari.
Al quarantesimo la partita s'era trasformata in una vera e propria guerra di nervi e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Margas partì a razzo dopo l’ennesima azione nipponica andata a vuoto, Schester al suo fianco. Superarono Callaghan ed Everet effettuando un cross per Richter. Price respinse ma la sfera tornò a Margas che superò di un soffio Ross. Di nuovo Benjiamin non trattenne e la palla finì direttamente sui piedi di Karl.
Il Fire Shot non è un bel regalo, no... Soprattutto da meno di dieci metri.
Ma la prese ugualmente. Un balzo felino, disperato, il linea diretta col pallone, giusto a riceverlo in pieno petto per non dare l’ennesima possibilità di tirare in porta. Lo vidi inspirare piano e dolorosamente prima che si rimettesse in piedi.  Un sorriso soddisfatto gli increspò le labbra mentre il suo sguardo incrociava quello gelido del Kaiser.
Non compresi cosa disse ai compagni ma li vidi rianimarsi, decisi a non mollare. Il pallone fu per Hutton. Ripartirono, lui, Tom e Rob. L’azione fu una copia perfetta di quella appena vista in area nipponica ma Dieter non fu da meno del suo rivale. Il Tiger Shot di Lenders ed il Drive Shot di Oliver vanificati l’uno dietro l’altro. Il rinvio del portiere tedesco per il suo capitano fu però intercettato da Callaghan, che anticipò di un soffio Schneider e venne avanti trascinandosi dietro parte dei difensori, come una valanga. I giapponesi travolsero la difesa tedesca frastornata. Philip passò ad Oliver, che si liberò di due avversari e girò il pallone ad un Lender più determinato che mai. Il suo tiro fu di una potenza inaudita, tale che Muller rinunciò alla presa, preferendo ribatterlo coi pugni chiusi. La palla finì sui piedi di Tom, che tirò. Dieter fece appena in tempo a rialzarsi e deviare. Hutton fu sul pallone in un attimo. Era appena fuori dall’area, il portiere si stava rialzando. Il Drive Shot partì, preciso e implacabile. Da dov’era Muller non potè fare nulla.
Uno a zero. Giappone in vantaggio.
Lo stadio esplose in delirio. La partita riprese da centrocampo con i due capitani a confronto: lo stile perfetto del Kaiser contro la tecnica raffinata del giapponese. Ebbe la meglio quest’ultimo, ma per poco. Il solito, poco ortodosso Richter gli fu addosso, rubandogli la palla. Con un contropiede fulminante, la Germania fu in area avversaria e di nuovo la difesa perfetta dell’SGGK non diede scampo ai tedeschi. L’azione giapponese ripartì dalla porta, la palla  per Lenders e tutta la squadra andò in attacco mentre la Germania era allo sbaraglio. Il cross di Becker fu per Hutton, Muller respinse e Mark raccolse. Dieter era praticamente battuto. Poteva essere il gol del due a zero ma il goal kepper tedesco fu graziato da un miracolo: il Tiger Shot s’infranse contro un palo e lui fu lesto a rialzarsi e bloccare il pallone prima che finisse nuovamente in gioco.

Mancavano una manciata di secondi alla fine.

“Dieter!”  da centro campo udii la voce imperiosa del Kaiser. Muller  rinviò lunghissimo, Karl agganciò la palla, voltandosi verso l’area giapponese. Ross, Callaghan, Yuma, Everett vennero spazzati via dalla furia disperata dell’Imperatore.

Si trovarono nuovamente l’uno di fronte all’altro.
Si confrontarono.
Si sfidarono ancora.
Per l'ultima volta.
Karl era quasi al limite dell’area, stava caricando il tiro...
E l’arbitro fischiò tre volte.

Il Fire Shot si spense in rete. Benjiamin non si era mosso dal centro della porta. La sfera l'aveva sfiorato ma lui non aveva fatto nulla per afferrarla.
Il goal non era valido, il Giappone aveva vinto il Mondiale.

Prima lo sgomento poi la gioia si dipinsero sui visi dei compagni di squadra del mio amico, mentre Karl restava in ginocchio, appena fuori area, il capo chino e gli occhi serrati.

Benjiamin, fermo tra i pali, chiuse gli occhi e li riaprì rivolgendoli al cielo. Era la prima volta che lo vedevo piangere dopo mesi, ma fu solo un attimo.
Riportò lo sguardo davanti a sé, asciugando le lacrime che gli rigavano le guance e si avviò lentamente verso il suo amico, compagno e capitano. Gli tese la mano, sorridendo ed aiutandolo ad alzarsi. Si scambiarono un lungo, caloroso abbraccio, quasi un addio. Non ci sarebbero state altre sfide, nessuna rivincita.

I due vennero travolti dai compagni. Molti dei ragazzi piangevano e anche quelli che riuscivano a trattenersi, non potevano nascondere il luccichio degli occhi quando si complimentavano con l’SGGK. Perfino Lenders non si limitò ad una stretta di mano ma gli cinse le spalle in un abbraccio fraterno.

Gli avversari, vecchi amici, finirono di complimentarsi. I capitani si salutarono con un sorriso poi la squadra tedesca lasciò definitivamente la scena ai nuovi Campioni del Mondo.

Lo stadio era esploso, in delirio. 
Paul, accanto a me, non sapeva se ridere o piangere mentre continuava ad immortalare quegli attimi di gloria. Io continuavo a scattare, incurante delle lacrime che a tratti mi annebbiavano la vista. Sentii la mano del mio collega stringermi una spalla, il viso rubizzo illuminato d’ allegria. Mi trovai stretta, quasi stritolata, dal mio compagno di avventure.

“Asciugati quei lacrimosi, testona!”  mi disse, asciugando i suoi e ci mettemmo a ridere.

“Qualcuno non aveva detto che avrebbe trovato un rifugio sicuro, nel recondito caso avessi vinto il Mondiale?”

Mi voltai.

Il suo sorriso era bello come non mai. Allargò le braccia e gli saltai al collo. Per l’ennesima volta fu fatta roteare in aria come un burattino, veloce sempre più veloce. Risi di gusto a quel gioco, anche se le lacrime avevano ricominciato a riempirmi gli occhi. Si arrestò bruscamente, tenendomi stretta e baciandomi con tenera passione, lì, davanti a tutti.

“Non piangere.”  lo sentii sussurrare piano.

“Non posso…”  risposi, affondando il viso contro il suo torace, ascoltando il battito profondo e veloce del suo cuore e del mio mentre mi stringeva ancora di più.

“Benjiamin!”  lo chiamò il suo capitano. Mi lasciò, posandomi un leggero bacio sulle labbra e tornando dai sui compagni.  Oliver lo accolse con una pacca sulla spalla, mentre gli altri lo canzonavano allegramente. Vidi Holly voltarsi e sorridermi, facendo un leggero cenno di assenso col capo e poi correre nuovamente in campo.

Venne portatala Coppa. Agli atleti furono consegnate le medaglie ed in ultimo, ad Oliver, l’ambito trofeo. Il capitano giapponese sollevò verso il cielo la realizzazione del suo sogno e di quello di tutti i suoi compagni. Esultarono, tra coriandoli argentati, fuochi d’artificio, urla e grida festanti. 

Vidi Hutton avvicinarsi a Benjiamin e porgergli quel simbolo di gloria che avevano rincorso insieme per una vita.

Non cedette alle lacrime, non di nuovo, anche se nei suoi occhi lessi una gratitudine e una gioia infinite. Il suo sguardo si soffermò un istante sull’oggetto dorato, quasi ad assaporare meglio quella vittoria. Poi un urlo di gioia liberatorio, la Coppa alzata, scintillante alla luce dei mille flash. La squadra, la sua famiglia, tutt’intorno a gioire con lui.

I festeggiamenti continuarono anche se, pian piano, lo stadio cominciava a svuotarsi, mentre l’allegria e l’euforia dell’evento si riversavano nella città intorno.

I ragazzi rientrarono al villaggio sportivo.

Scambiai solo che un sorriso col mio campione.

Il giorno dopo tornai al volo a Monaco e non potei salutarlo. Il lavoro andava scaricato ed elaborato immediatamente, non c’era tempo da perdere! Il nostro portiere era campione del Mondo e tre quarti della squadra, comunque ,vice campioni! E poi c’era una brutta notizia da comunicare ai tifosi del Bayern.
Sonya mi aveva comunicato che voleva un’uscita di scena in pompa magna per l’SGGK, per quel campione che aveva dato così tanto alla nostra squadra.

Il pomeriggio seguente al ritorno, mi concessi di andare un’oretta in scuderia dove trovai il mio stalloncino ad accogliermi felice.

“Avevi ragione, sai? Ha proprio un carattere dolcissimo!”

Mi voltai di scatto, presa di sorpresa. Non mi sarei mai aspettata di vederla lì.

La figura alta ed elegante di Evelyn Price si stagliava all’entrata delle scuderie. Mi sorrise ed in quel momento mi accorsi di quanto suo figlio le somigliasse.

“Dovrei parlarti…”  disse accostandosi allo stallone e carezzandolo sul muso. Percepii nella sua voce una nota triste che mi fece preoccupare.

Un’ora dopo ero abbracciata a Zingaro, il quale si godeva con piacere quella dose di coccole extra.

Carezzavo il pelo lucido e morbido, giocherellando con la lunga criniera crespa.

Asciugai una lacrima, lasciando il collo del cavallo e passandogli una mano sul mantello, dal garrese fino alla groppa, fermandomi sulla cicatrice che sfiorai delicatamente per tutta la lunghezza. Zingaro, infastidito, fece tremare un poco la pelle come per scacciare una mosca.

Mi avvicinai al muso, glielo presi tra le mani e lo guardai nei grandi occhi buoni. Le narici vibrarono appena in un borbottio complice.

Sorrisi e presi la mia decisione.

Frau Price  mi aveva detto che Pamela e Kevin stavano facendo di tutto per rendere la vita impossibile a Benjiamin, avevano intenzione di attaccarsi ad ogni cosa pur di screditarlo e relegarlo ad un ruolo minore nell'azienda. Pamela aveva già sguinzagliato paparazzi e giornalisti alle calcagna del SGGK, pronti a cogliere qualsiasi piccolo fatto potesse essere trasformato in scandalo. E certo quel bacio dato in mondovisione non era passato inosservato...
Se Richard Price aveva imparato la lezione, rendendosi perfettamente conto che fare la felicità del figlio avrebbe sicuramente fatto anche la sua, da ottimo uomo d'affari qual'era aveva annusato l'odore dei guai. La Klein era benissimo in grado di demolire l'immagine pubblica di Benjiamin. Io ero l'anello debole della catena, attaccabile sotto molti punti di vista. Troppi. Collaboratrice del Bayern e amica della sua ex ragazza... I giornali scandalistici sarebbero stati capaci di montare una telenovela infinita, e non volevo sapere fino a che punto si sarebbero spinti sia nella mia che nella sua vita privata.
La signora Price mi stava chiedendo tempo. Tempo per neutralizzare Pamela ed i suoi scagnozzi. Tempo perché Benjiamin potesse dimostrare al direttivo dell'azienda che non era solo capace di giocare a calcio.

Sospirai. Non sarebbe stato facile ma avrei approfittato di quella pausa forzata per rivedere la mia vita in sospeso.

Il lavoro,  le gare...
Avevo deciso: avrei ricominciato a montare per uscire in concorso e avrei portato Zingaro a partecipare ad un Gran Premio! Dovevo dimostrarmi che valevo qualcosa, altrimenti quel senso di inadeguatezza che mi perseguitava ogni volta che ero in presenza dell'uomo che amavo avrebbe sicuramente, prima o poi, minato il nostro rapporto.
E lui credeva in me.

Non temere di non essere adatta a lui. Ti ama, e questo deve bastarti per annullare ogni tua insicurezza.”

Le parole di sua madre continuavano a tornarmi in mente.

“E’ vero." mi dissi  "Ma è giunto il momento che anche io dimostri finalmente chi sono a me stessa.” Asciugai l'ultima lacrima e mi apprestai a preparare i miei piani per i mesi successivi.

Quando, tre mesi dopo il Mondiale, Benjiamin rientrò in Germania dal Giappone, trovò solo un box vuoto.

Kristine aveva capito, aiutandomi per il rimpatrio dello stallone e stilando un programma di allenamento intensivo che avrebbe messo me e Zingaro in piena forma per la stagione successiva. Lei stessa sarebbe scesa in Italia almeno una volta al mese per tenermi d'occhio. 
Marjorie aveva incassato il colpo. Soprattutto aveva lanciato invettive furiose contro Pamela e mi aveva giurato che avrebbe stracciato lei ed il suo castrone sauro ogni volta che li avesse trovati in gara. L'aveva buttata sul ridere, ma sapevo benissimo quanto stesse male, lo leggevo in quegli occhioni azzurri velati di lacrime a stento non versate.

Con Benjiamin fu molto più difficile.

Il giorno della partenza ci sentimmo al telefono. Preso alla sprovvista dalla mia decisione, che gli avevo taciuto fino all'ultimo, s'infuriò e minacciò di correre a dirne quattro all'esimio genitore. Per fortuna, se lui è testardo, io lo sono molto di più. Lo feci ragionare, a stento ma ci riuscii. E si arrese. Sapevo ormai bene che quella che pareva furia cieca altro non era che dolore. Era lo stesso che provavo io. Ma avevo fiducia in lui, nelle sue capacità e sapevo che ben presto avrebbe dimostrato alla famiglia Price che il SGGK non era un campione solo sui verdi prati da calcio. E finalmente avremmo potuto vivere quella storia dalla quale eravamo fuggiti per mesi. 
Ci sentiamo tutti i giorni, per quanto lo consentano i nostri impegni. Le sue giornate, poi, sono diventate terribilmente lunghe.

Kristine mi tiene aggiornata su tutto quello che lui cerca di tenermi nascosto, in primis i pettegolezzi che ogni tanto fanno capolino sulle riviste scandalistiche tedesche, puntualmente smentiti e messi a tacere. I due fidanzatini ne stanno combinando di tutti i colori pur di rendergli la vita impossibile ma lui si sta dimostrando un campione anche alle prese con contratti e scartoffie.
Non avevo dubbi a riguardo.

Mi manca. Da morire.

Finisco di montare e allungo le redini sul collo sudato di Zingaro che distende i muscoli rilassato.

“Ele! Telefono!”  Marco, il nostro groom, mi viene in contro tenendo in mano il mio cellulare che squilla.

“Pronto?” rispondo aggrottando la fronte nel vedere il numero della mia istruttrice sul display.

“Guten Tag!" esordisce col suo solito tono da caporalmaggiore "Siete iscritti all’ Internazionale di Colonia. Scendo domani che rivediamo la kur.”

Sgrano gli occhi e serro istintivamente le ginocchia, bloccando Zingaro, che aveva continuato tranquillamente al passo, in un alt perfetto “Kris, ma…” riesco solo a dire.

“Niente ma! Siete pronti! Punto. Biss Morgen!”

Sento il cuore battere profondo come un tamburo, assordante.

Accarezzo Zingaro con un nodo allo stomaco e la testa che sembra piena di ovatta.

Poi una scarica di adrenalina mi percorre la schiena, l'eccitazione della gara si impadronisce di me e sorrido sicura “Da domani si lavora sodo, amico! Abbiamo un Gran Premio da vincere!” Abbraccio il collo muscoloso, affondando il viso nella criniera e Zingaro mi risponde con un borbottio compiaciuto.
E' giunta l'ora di dimostrarmi quel che valgo.

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Capitolo 23
*** 22 ***


ac23

Il cielo sopra Monaco è ormai di un blu intenso e gli ultimi raggi del tramonto infuocano gli edifici della città che si stende sotto di noi.
Mi rilasso finalmente sulla sedia mentre mio padre continua ad ammirare lo spettacolo del giorno che si spegne, in piedi dinnanzi alla vetrata che fa da perimetro a gran parte della sala riunioni ormai deserta appoggiato pesantemente al suo fedele bastone.
Chiudo gli occhi e rivedo le espressioni di quei ventidue uomini che fino a pochi minuti fa erano qui di fronte a me. Erano entrati qui dentro, quattro ore e mezza fa, pienamente intenzionati a farmi a pezzi. Sono usciti da quella porta lanciandomi ognuno uno sguardo d’approvazione. Anche Kevin. Al pensiero sogghigno. Alla fine si è dovuto arrendere anche lui. Finalmente.
Riapro gli occhi. Richard Price mi sta fissando. E quello che vedo, per la prima volta dopo tanti anni, è uno sguardo d’orgoglio.
Accenna un sorriso sincero. E questa, forse, è la vittoria più grande che io abbia mai conquistato negli ultimi vent’anni.
“Ho sempre saputo che non mi avresti mai deluso, Benjiamin.”
Sento la gola chiudermisi mentre il peso di tutti gli anni passati a litigare scivola via, come un brutto sogno al risveglio.
“Papà…”

 

Campo prova.
Siamo nervosi.
Sia io che Zingaro.
E Kristine è visibilmente preoccupata.
Cominciamo il riscaldamento. I movimenti sono legati, rigidi. Lo stallone non mi risponde, o forse, più probabilmente, sono io che non mi faccio capire.
Kris non si scompone, cerca di farmi rientrare in me dandomi ordini precisi, secchi, senza urlarmi la rabbia che le vedo negli occhi.
Ha ragione. Ma la mia solita, dannata paura sta di nuovo prendendo il sopravvento.
Le avevo chiesto di avvisare Benjiamin solo all'ultimo, per scaramanzia o più probabilmente per paura. Non so se ora sia qui ed ho il terrore di saperlo.
Marjorie e Gitano preparano il loro ingresso in campo. Sono belli, perfetti.
Continuo ad eseguire circoli, volte, passage... Il trotto è affrettato, il cavallo rigido, le allungate rompono in galoppi scomposti…
Decido di fermarmi a guardare da lontano la mia amica ed il suo stallone eseguire il loro esercizio. Mi fermo in un canto del campo, preparandomi ad ammirare il loro splendido lavoro. Scorgo nelle file a metà della tribuna un paio di occhi di ghiaccio che seguono intenti l’esercizio della mia bionda amica. Sorrido. Finalmente insieme, quei due.
Uno scroscio di applausi accompagna l’uscita di Marj e del grigio. Il suo sorriso è radioso quando Karl, sceso al volo dagli spalti, le si avvicina per farle i complimenti. Esecuzione perfetta, impeccabile.
Ricomincio a lavorare cercando di estraniarmi, rilassarmi. Se mi rilasso io, si rilassa pure Zingaro. Lo sento, in questo momento non mi sopporta. Avverte tutta la mia tensione e non ne capisce la causa. Mi fermo al passo e incrocio il mio sguardo con quello di Kris. Mi sorride comprensiva, facendomi cenno di calmarmi.
Un’ombra rossa mi sorpassa al trotto sostenuto, accompagnata da una scia di profumo dolce, quasi nauseabondo. Rouge è uno spettacolo, tanto bravo da parere telecomandato. Tanto che perfino Pamela lo riesce a montare. Potenza dell’addestramento e del buon carattere dei cavalli.
Mi ripassa accanto e vedo un ghigno cattivo sulle labbra perfettamente truccate.
La rabbia mi monta dentro e sento le lacrime che stanno per riempirmi gli occhi, ma le ricaccio indietro con decisione.
La chiamano in campo.
Fa apposta a passare accanto a noi per poi stopparsi in un alt perfetto  “ E tu pensi di essere in grado di partecipare a questo Gran Premio? Per evitare figuracce, sarebbe meglio se ti ritirassi!”
Amaro in bocca, sapore di sconfitta.
In un lampo spero che lui non sia qui…
Accarezzo la criniera intrecciata e guardo i miei amici.
Marj mi sorride incoraggiante.
Mancano due cavalli al nostro ingresso.
Ricomincio a lavorare, senza troppa convinzione.
Una voce mi chiama. Mi volto. Karl mi fa cenno.
Mi accosto alla cavallerizza e gli sorrido triste mentre mi si avvicina, alzando una mano ed andando a stringere le mie appoggiate sul garrese e chiuse sulle redini.
Cielo limpido negli occhi del Kaiser.
“Noi abbiamo fiducia in te. Vuoi, per una volta, averne pure tu?”
Un sorriso.
Il mio nome e quello di Zingaro chiamati alla porta.
Respiro.
Raccolgo le redini, tiro la schiena e mi avvio all’ingresso.
“Sono un idiota! E’ un anno che gareggiamo in vista di questo Grand Prix! Proprio ora vado in crisi!”
Dirigo Zingaro al trotto alla destra del rettangolo e saluto i giudici.
Alt a metà del lato lungo.
Mi sistemo in sella aspettando il suono della campana.
Sollevo lo sguardo in direzione dei miei amici che mi osservano dalla porta.
E un paio di occhi neri, profondi, magnetici rapiscono tutta la mia attenzione, trascinandomi in un profondo pozzo di tranquillità.
Fiducia.
Piena, assoluta fiducia.
Il mondo intorno non c’è più.
La paura non c’è più.
Lui me l’aveva insegnato, sapeva che ci sarei riuscita.
Un sorriso, un cenno del capo.
Mi rilasso e sento che pure Zingaro si rilassa, quasi tirando un sospiro di sollievo.
“Ok, amico… andiamo!”
Alzo la mano destra per far partire la musica della kur.
Esistiamo solo io, il mio stallone e la musica.
Trotti morbidi, galoppi potenti, figure precise, cambi eleganti.
Una cosa sola, una mente sola, è come se fosse un prolungamento naturale del mio corpo. Io penso, lui esegue, senza la minima esitazione, danzando in armonia con quel ritmo inusuale per una kur.
Galoppo… trotto… alt.
Felicità, soddisfazione, applausi.
Ci dirigiamo sereni verso la porta, consci di aver dato tutto quello che potevamo.
Incrocio il mio sguardo con quello scuro dell’ SGGK e sorrido.
Non faccio in tempo a scendere di sella che un paio di braccia forti mi sollevano per poi farmi roteare in aria per l’ennesima volta come un burattino.
Un abbraccio stretto, protettivo. Un bacio lungo, tenero ed appassionato, che vorrei non finisse mai.
Un lampo malizioso negli occhi neri e un sorriso dolce sulle labbra “Adesso non hai più scuse per scappare…”

                                                                                                                                 

                                                                     EPILOGO 

Fuori nevica.
Monaco è ricoperta da una spessa e soffice coltre bianca. Nessun  rumore dall’esterno, solo lo scoppiettio della legna nel camino rompe il silenzio.
Raccolgo le gambe sotto di me, accovacciandomi contro il suo corpo caldo e ascolto il battito calmo e regolare del suo cuore, mentre un braccio mi avvolge delicatamente in un gesto protettivo. Poso piano la mia mano su quella grande che mi stringe piano e ammiro per un istante i riflessi delle fiamme giocare su quelle due sottili vere d’oro che differiscono solo per dimensione.
Carezzo piano la sua. Non ha mai portato anelli, troppo pericoloso per il suo lavoro, ma questo si è costretto a tenerlo.
Intreccia le dita con le mie, stringendomi ancora un poco e posando un bacio sui capelli.
Sorrido e mi ritrovo a fissare il ritratto di Zingaro che campeggia accanto al ricordo dei Mondiali. Ad ognuna delle foto è legata una medaglia: una d’oro e una d’argento.
Capisco che intercetta il mio sguardo. Mi solleva piano il mento, fissandomi da vicino. Il suo respiro mi accarezza il viso mentre un bacio dolce mi sfiora le labbra.
“Perché non torni in gara?”
Sorrido e ricambio il bacio  “A me basta montare. Non mi interessano le gare, ho già avuto la mia soddisfazione, so di cosa siamo capaci. Ma io monto a cavallo per il piace di farlo. Mi basta. E poi ora Zingaro ha altro a cui pensare!”
Avvicina la fronte alla mia, quasi ridendo  “Dimenticavo! Sai già come chiamerai il puledro?”
“Mmmm… no. Ma quando vedrò il ragnetto a quattro zampe penso che un’idea mi verrà.”
“In questo periodo non puoi montarlo, però…”
“Diciamo che è stata una scelta dettata dalle condizioni…”  mi appoggio alla sua spalla, sorridendo furba e continuando a fissarlo.
Mi guarda perplesso. Non ha capito. O forse, come il suo solito, quando ha a che fare con certe cose, non vuole capire. Non cambierà mai.
Guido la sua mano sul mio ventre ed avvicino le labbra alle sue “Diciamo che per i prossimi mesi è sconsigliabile che monti…”
Un bacio a fior di labbra, il suo respiro che si spezza mentre sento il cuore che accelera.
In una frazione i secondo mi ritrovo in aria mentre la sua risata riempie il silenzio della casa.
Quando stacca la bocca dalla mia posso finalmente vedere gli occhi neri splendere di felicità.
Riprendo fiato e lo canzono “Ringrazio il cielo che tra qualche mese saremo troppo pesanti perché tu ci strapazzi a questo modo!”
Malizia divertita e un sorriso furbo  “Vorrà dire che ne approfitterò ora.”
Un altro giro.
Un altro bacio.
Le braccia forti che mi stringono con delicata fermezza.
Una certezza che si riconferma.
Se gli angeli custodi esistono, io ho trovato il mio.




E così, eccoci giunti alla fine di questa ff. 
Dopo due anni dalla sua prima stesura, finalmente sono riuscita a postarla tutta e mi sembra quasi un miracolo. Un pochino, lo ammetto, mi mancherà^^
Grazie a chi ha avuto la pazienza di seguirla e recensirla. Grazie a chi l'ha messa tra i preferiti e a chi l'ha anche soltanto letta.
Grazie a chi mi è stata vicina e mi ha spronata a continuare a scrivere, a chi mi ha dato le botte in testa che meritavo e che mi tiravano fuori regolarmente dai momenti di sconforto nei quali mi caccio periodicamente.
La "Elena" di questa storia ha molti, moltissimo di me e del mio carattere, a volte pure troppo. Spero che l'aver messo un pezzettino del mio cuore in questo lavoro abbia contribuito ad emozionarvi almeno un po'. Tecnicamente non è il mio lavoro migliore, di certo è quello a cui tengo di più in assoluto.
Grazie di cuore a tutti
eos75

 

 

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