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Vedere Kyrador per la prima volta era stato per Alicia un po’ come
guardare il sole dritto negl’occhi.
Era una città veramente stupenda, traboccante di
vita, caotica ma allo stesso tempo piacevolmente ordinata, tanto da trasmettere
un senso di armonia che ne pervadeva ogni angolo, anche il più anonimo e
lontano.
Al confronto la piccola città in cui era nata e
cresciuta nella provincia di Eldkin era come una
formica al cospetto di un elefante, e quasi la spaventava il pensiero che per i
prossimi tre anni avrebbe vissuto in un posto simile.
Ma ormai, non c’era più tempo per tornare indietro,
e in fin dei conti era stata proprio lei a volere con tutte le sue forze che
quella specie di miracolo potesse accadere.
Per ottenere la borsa di studio che le avrebbe
permesso di frequentare l’Università Aurora aveva dovuto sputare sangue,
spaccandosi la testa sui libri per mesi e mesi mentre aiutando nel contempo i
suoi genitori a mandare avanti il loro piccolo ristorante di fronte alla
stazione, come aveva sempre fatto praticamente dal giorno in cui aveva imparato
a camminare.
La vita non era facile in campagna, ed era anche per
questo che aveva voluto impegnarsi anima e corpo a raggiungere quel traguardo;
con una laurea conseguita presso una delle più grandi università al mondo
poteva spalancare infiniti portoni davanti a sé, e da parte sua aveva fatto
troppi sacrifici per mandare tutto all’aria.
Il convitto si trovava un po’ lontano
dall’università, che invece stava quasi in centro, ma ci si poteva arrivare
agilmente in treno, o anche, se si aveva un po’ di tempo, camminando.
Ad Alicia venne data la stanza 531, e pensò che
fosse di buon auspicio, perché ridistribuendo i numeri veniva fuori la sua data
di nascita. Neanche il tempo di sistemare le sue cose, che una ragazza briosa e
solare, dai capelli biondi e dall’accento marcatamente eybaniano
giunse a farle compagnia.
«Ciao!» disse squillante porgendole la mano «Allora
sei tu la mia nuova coinquilina. Mi chiamo Kathyusha,
e sono di Volgorad. Puoi chiamarmi Kathy, se vuoi. Spero che staremo bene insieme.»
«Lo spero anch’io.» rispose Alicia un po’ spaesata
«Io frequento il corso di stregoneria. E tu?»
«Ingegneria aerospaziale.»
«Accidenti, un campo bello tosto. Ti piacciono le
astronavi?»
«Più o meno. Le Nuove Nazioni Unite hanno in
progetto la costruzione di nuove stazioni spaziali, e anche di una colonia
permanente su Erithium, e mi piacerebbe occuparmene.»
«Allora buona fortuna. A vederti sembri una che non
si tira indietro. Sono sicura che farai faville».
Alicia sospirò, sorridendo divertita.
Almeno la sua sarebbe stata una buona compagnia.
L’anno accademico si aprì ufficialmente la settimana successiva, e
anche per Alicia iniziarono le prime lezioni.
Apprendere non le era molto difficile, anche se
certi corsi si rivelarono capaci di mettere a dura prova il suo desiderio di
apprendere.
Le aule, poi, erano sempre strapiene, e malgrado
tutto c’era sempre chi ci metteva del suo per fare confusione complicandole
ulteriormente le cose, visto che fin dalle scuole elementari aveva manifestato
una difficoltà cronica nel concentrarsi quando vi erano degli elementi di
disturbo a minare la sua attenzione.
Per fortuna la prima tornata di esami fu abbastanza
positiva, il che le dava buone speranze per il futuro.
Inoltre, per un motivo che non le riusciva di
spiegarsi, Kathyusha era solita rientrare in stanza
molto tardi, il che le dava modo di studiare in camera in tutta tranquillità
compensando quello che non riusciva a fare a lezione.
Dapprincipio pensò che la sua nuova amica e compagna
di stanza amasse passare le sue serate godendosi la vita a piena potenza,
tenuto contro che le era parsa subito il genere di persona che non disdegnava
le feste in discoteca o le maratone al karaoke, e il fatto di averla vista rientrare
un paio di volte con addosso odore di alcolici sembrava avvalorare questa tesi.
Questo ovviamente non sminuiva le capacità che Kathyusha indubbiamente possedeva, e i suoi voti erano lì a
dimostrarlo, ma d’altra parte Alicia si era sempre domandata che cosa mai ci
trovassero gli altri ragazzi della sua età di tanto divertente nell’ubriacarsi
fino a stare male frequentando posti talvolta poco raccomandabili.
Lentamente, anche attraverso il contatto con altri
amici conosciuti tra una lezione e l’altra, la ragazza iniziò a scoprire
un’altra faccia di Kyrador, o forse solo una delle tante.
Dopotutto, se la chiamavano la città dei sogni
significava che chiunque poteva trovarvi tutto ciò maggiormente desiderava,
anche i giovani universitari arrapati giunti da fuori alla ricerca più del
divertimento e degli eccessi che solo la grande città poteva offrire più che
della propria realizzazione professionale.
Ma Alicia no.
Alicia era diversa.
Aveva fatto troppi sacrifici per arrivare fino a lì,
e troppi ne restavano da fare per poter raggiungere il traguardo che sognava.
Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di buttare via
quanto restava dei suoi anni accademici rinchiudendosi in uno studiolo,
perennemente sui libri, per non parlare del fatto che l’assenza di svago era il
modo migliore per affossare una carriera universitaria.
Così, quando poteva, usciva, cercando di godersi a
sua volta i piaceri e i divertimenti che Kyrador aveva da offrire.
Al suo corso si era fatta degli amici, stringendo in
particolare un bel rapporto con AlisterKlopp, Samuel Aldovar e sua
sorella gemella Melinda; con loro studiava spesso, e qualche volta andava
talvolta in giro, a volte per locali a volte semplicemente a fare una
passeggiata in centro.
Samuel e Melinda vivevano a Kyrador fin dalla
nascita, e conoscevano la città a menadito, e con l’andare del tempo Alicia
iniziò a prenderci gusto nell’uscire con loro, pur senza trascurare lo studio,
anche perché quei due gemelli erano una forza della natura, briosi ed
estroversi; Alister era un tipo un po’ sulle sue,
forse perché veniva da Amaltea, ma aveva una grande
cultura in materia di storia dell’ingegneria spaziale, e come Alicia ambiva a
godersi la vita senza dimenticare i propri obiettivi.
Ma c’era una grande differenza tra Alicia ed il suo
terzetto di amici, una differenza che la ragazza notò pienamente solo in
seguito: loro erano ricchi.
I genitori di Samuel e Melinda possedevano un
complesso alberghiero di livello medio-alto nei
pressi della sede delle Nazioni Unite molto frequentato da politici e dignitari
in visita in città, mentre Alister era figlio di un
alto prelato della Santa Croce; non nuotavano nell’oro, ma avevano una discreta
copertura economica, senza contare che a loro non era servita la borsa di
studio, né, perlomeno nel caso dei gemelli, dovevano pagare affitti o altro per
l’alloggio.
Una sera, circa tre mesi dopo l’inizio delle
lezioni, Kathyusha tornò al convitto alla solita ora
tarda, labbra e occhiaie colorate, corpetto di pelle, minigonna cortissima,
stivaletti con il tacco e addosso il solito odore di alcolici, trovando la sua
compagna di stanza insolitamente ancora sveglia, seduta alla sua scrivania con
i gomiti sul tavolo e la testa nascosta tra le mani. Mancavano solo le
nuvolette di pioggia a gravitarle sulla testa, e sarebbe stata l’archetipo
della depressione.
«Non ti senti bene?» domandò sedendosi sul letto
«No.» rispose lei con un filo di voce «È che oggi ho
avuto un po’ di problemi. A quanto pare, questo mese sono andata in rosso con
la carta di credito.»
«In rosso? Com’è possibile?»
«Sembra proprio che stavolta abbia ecceduto un po’
troppo nelle spese giornaliere, e come se non bastasse i prezzi sono saliti
leggermente. Così, quando questa mattina sono andati in pagamento i vari
abbonamenti e l’affitto della stanza, è venuto fuori che non c’erano abbastanza
soldi per coprire tutto. Così, la banca si è rifatta sul conto dei miei.»
«Gran brutta storia. Immagino che i tuoi genitori
non te l’abbiano fatta passare.»
«Sono persone molto comprensive. Mi hanno fatto un po’
di ramanzina, e tutto è finito lì. Ma ciò non toglie che mi sia sentita
comunque molto male.
In fin dei conti, avevo promesso che me la sarei
cavata da sola. Era a questo che serviva la borsa di studio.»
«A proposito, a quanto ammonta questa borsa di studio?»
«Novemila kylis all’anno,
tasse d’ammissione escluse. A condizione che i miei voti restino alti.»
«Niente male come borsa. Ma se devi cavarci fuori
l’affitto, la mensa e le spese dei trasporti, non credo rimanga molto.»
«Quello che basta per potermi pagare i libri. Quanto
alla mensa, avevo già pensato di andare a mangiare da qualche parte dove mi
costi un po’ meno.»
«Dì la verità, in quest’ultimo periodo ti sei data
un po’ troppo alla bella vita.»
«Ammetto di essermi lasciata andare. Ma d’altronde Miranda,
Samuel e Alister sono delle forze della natura.
Comunque, non succederà più. Anche perché tenendo conto dei rincari, se vorrò
farmi bastare il mio tetto massimo di spesa di settecentocinquanta kylis al mese dovrò comunque rinunciare a qualcosa».
Alicia sospirò sconfortata, buttandosi sul letto a
faccia in giù.
«A quanto pare dovrò iniziare ad alzarmi presto, ed
uscire prima. Addio treno diretto per l’università.»
«Perché rinunciare?» replicò Kathyusha
ammiccando «C’è una soluzione molto più facile e vantaggiosa.»
«Ovvero?»
«Trovati un lavoro».
La ragazza balzò a sedere, spalancando gli occhi con
evidente sorpresa.
«Un lavoro!?»
«Certo. Molti ragazzi che vivono qui fanno qualche
lavoretto saltuario per tirare al domani. Prendi me, ad esempio.»
«Tu lavori!?»
«Perché credi che mi vesta in questo modo? Lavoro
come barista in un night club qui vicino. La paga non è granché, ma almeno ho
qualcosa in tasca».
Alicia abbassò gli occhi come mortificata; si era
fatta davvero un’impressione sbagliata della sua compagna di stanza, e se ne
vergognava profondamente.
«Il fatto è che, con la borsa di studio non mi è
concesso lavorare.»
«Cavolate. Non lo sapranno mai, fidati. Ne conosco
di ragazzi nella tua situazione che lavorano fin dal primo anno, e nessuno ha
mai detto niente.
Questa è Kyrador. Qui tutto è concesso, anche andare
contro le regole».
Era una buona prospettiva. Del resto Alicia non
aveva mai avuto problemi a trovare il tempo per lavorare e studiare, e il
lavoro in sé non la impensieriva per nulla.
«E come devo fare per trovare un lavoro?»
«Beh, qui sta il problema. Tu puoi andare contro le
regole, ma devi trovare un datore di lavoro che sia disposto a fare
altrettanto. Sulle bacheche e sul forum dell’università ci sono sempre degni
annunci, ma sono lavori saltuari e comunque sottopagati. La cosa migliore da
fare è cercare per conto tuo.
Tu che cosa sai fare? Hai qualche esperienza o
talento particolari?»
«Beh, allora… i miei
genitori hanno un ristorante, e io li ho sempre aiutati. So cucinare, servire
ai tavoli, e altre cose del genere.»
«Capito. Peccato che dove lavoro io non cerchino
altro personale, anche se dubito tu sia fatta per posti simili. Ad ogni modo,
chiederò un po’ in giro, e ti farò sapere.»
«Grazie, Kathy. Sei
un’amica.»
«Ma di che?».
Alicia non aspettò che la sua amica le servisse il lavoro su un piatto
d’argento, e come aveva sempre fatto si adoperò per uscire da quella situazione
contando sulle proprie forze.
Il primo impatto non fu dei più positivi.
Rispondendo alle offerte di lavoro pubblicate sul
forum degli studenti si ritrovò a fare colloqui con dei veri e propri avvoltoi,
che offrivano contratti di lavoro da schiavismo con molte ore giornaliere e una
paga indegna, roba da allertare la polizia.
Così, la domenica successiva, raccolta tutta la sua
intraprendenza si avventurò in prima persona nelle affollate strade di Kyrador,
declinando anche l’invito di Miranda e gli altri ad unirsi a loro per un picnic
approfittando della giornata d’autunno insolitamente mite e soleggiata.
Purtroppo, Kathyusha aveva
ragione: trovare un lavoro era relativamente facile in una grande città come
Kyrador, il difficile era trovarne uno che le garantisse un reddito ponderato
alle ore di lavoro lasciandole contemporaneamente il tempo, se non per
frequentare le lezioni, quantomeno per studiare regolarmente.
Tentò con gelaterie, caffetterie, locali grandi e
piccoli, ma chi le offriva una mano si mostrava sempre pronto ad imbrogliarla
con l’altra, senza contare i numerosi rifiuti; in generale, la ragazza sentiva
una certa diffidenza nei suoi confronti, forse perché straniera, e ciò aveva
sicuramente condizionato molti dei no che ricevette nel corso di quella
mattinata, che probabilmente sarebbero stati dei sì nel caso fosse stata un po’
più grande o nativa di Kyrador.
Verso mezzogiorno, la mancanza significativa di
progressi la spinse a meditare l’idea di avventurarsi oltre i distretti
centrali, nonostante i mille avvertimenti di Miranda e Samuel che l’avevano
esortata più volte a non avventurarsi in quei posti, soprattutto se sola, e nel
dirigersi verso la fermata della monorotaia i suoi occhi furono catturati dalla
vetrina di una pasticceria.
Più che una pasticceria sembrava un negozio di
gioielli, tanto bene era disposta e tali erano le magnificenze dolciarie in vendita,
degne dei migliori ristoranti e caffetterie. Da lì si poteva vedere il bancone,
ed Alicia poté scorgere un distinto gentiluomo di mezza età intento a
conversare amichevolmente con la giovane commessa, restandone colpita.
Aveva un che di austero, quasi regale, e vestiva in
modo molto ricercato, con un paio di calzoni di seta molto scuri, una camicia
bianca a righe nere, un panciotto senza maniche color crema ed un cravattino
fermato da una spilla; sembrava un maggiordomo.
Una vetrina più piccola, praticamente una finestra,
guardava verso le cucine, ed Alicia stette a lungo come rapita ad osservare i
pasticceri mentre con mani veloci e una apparente facilità davano vita a quelle
sculture di zucchero.
Da piccola si era immaginata qualche volta in mezzo
ai fornelli, fino a quando la passione per lo spazio non aveva soppiantato
quella per la cucina, e talvolta un po’ se ne dispiaceva.
«Qualcosa non va, signorina?» sentì dire da un
momento all’altro con fare cortese.
Giratasi alla propria sinistra si ritrovò a tu per
tu con l’elegante signore di poco prima, che la osservava gentilmente con in
mano un contenitore trasparente pieno di pasticcini. I capelli, di un insolito
colore rosso opaco, erano corti e ben pettinati, gli occhi azzurri e
parzialmente nascosti dietro ad un paio di lenti ovali; il volto portava i
segni dell’età matura, ma non si presentava né scavato né eccessivamente
rugoso, risultando anzi piacevole a vedersi.
«Vuole forse imparare come si preparano i dolci?»
domandò ancora
«A dire il vero, credevo di saperlo già fare.»
rispose educatamente Alice «Ma vedere queste persone ha fatto crollare le poche
certezze che mi erano rimaste».
L’attempato signore sorrise.
«Non sembra di queste parti. Viene da fuori città?»
«È così. Studio all’università.»
«E immagino abbia voluto sfruttare questa bella
domenica per concedersi una passeggiata.»
«Più o meno. In realtà, sto cercando un lavoro.»
«Un lavoro?»
«Qualcosa per mantenermi agli studi. La mia borsa di
studio purtroppo non basta».
Quel gentiluomo parve quasi sorpreso, quindi si
sistemò leggermente gli occhiali scivolati sulla punta del naso.
«Se è un lavoro che sta cercando, ho sentito dire
che al CaféCoeurBleu sono alla ricerca di collaboratori part-time.»
«Il CaféCoeurBleu.»
«È un locale molto famoso qui in città. Si trova a Luminous Park, non lontano da qui. Se ti sbrighi, forse
riuscirai a parlare con il direttore».
Alicia si sentì rinascere, e forse perché
elettrizzata da quell’inaspettato colpo di fortuna corse via dopo aver
ringraziato il gentiluomo, il quale, dopo aver cercato vanamente di fermarla
per dirle un’ultima cosa, di nuovo piegò le labbra in uno di quei suoi sorrisi
gentili.
Alicia era così elettrizzata al pensiero di aver ricevuto una buona
pista che dimenticò di chiedere a quel gentile signore di indicarle la giusta
direzione per arrivare a questo CaféCoeurBleu.
Il Luminous Park era un
immenso polmone verde quasi perfettamente quadrangolare nel cuore della città,
il più grande di Kyrador, con parchi, attività ludiche, laghetti, centri
sportivi e persino uno zoo, ma proprio per la sua grandezza la ragazza ci si
perse subito dopo esserci entrata.
Fortunatamente la domenica quel posto era
affollatissimo, e inoltre quel giorno erano in programma alcuni tornei sportivi
nei campi a sud, così le fu possibile chiedere informazioni ad una delle tante
famigliole che bazzicava da quelle parti.
Tra una cosa e l’altra riuscì a raggiungere il
locale solo nel primo pomeriggio, anche perché gli stupendi scorci del parco
costituivano un pericoloso elemento di distrazione che le fecero perdere
ulteriore tempo.
Quando lo vide, rimase un momento perplessa.
Era una costruzione piccola e semplice, a forma di
pagoda, con le pareti quasi completamente trasparenti ed il bianco che regnava
sovrano. Sorgeva al centro di un piccolo piazzale, sulle sponde di uno dei tanti
laghetti del parco, circondato da alberi di ciliegio e salici piangenti. La maggior
parte dei posti a sedere si trovava all’interno, ma su di un piccolo pontile
proteso sull’acqua e prospiciente all’ingresso trovavano posto una decina di
altri tavolini, piccoli capolavori artistici con gambe che sembravano tralci d’uva
annodati su sé stessi posti all’ombra di eleganti ombrelloni a cupola.
Benché fosse domenica mattina non vi era molta
gente, otto o dieci persone al massimo tra singoli avventori, qualche coppia
amoreggiante e una famiglia con due bambini al seguito; ciò nonostante vi erano
comunque parecchi camerieri, tutti all’apparenza piuttosto giovani ed equamente
distribuiti tra maschi e femmine, e nella loro uniforme così elegante e formale
Alicia per un attimo vide qualcosa di famigliare.
Non aveva mai avuto paura di affrontare una sfida, né
di entrare in uno dei tanti esercizi che aveva visitato quel giorno per
chiedere un lavoro, ma in quel momento provò quasi un senso di soggezione.
Sitrattava
senza dubbio di un locale esclusivo, di quelli che in circostanze normali
sarebbero stati oltre le sue possibilità, e questo un po’ la spaventava, ma
alla fine, preso il coraggio a quattro mani, si fece forza ed entrò.
Come varcò la porta a vetri, una sua coetanea dall’aria
simpatica e gioviale, lunghi capelli rosso fuoco e occhi verde smeraldo, le si
fece incontro sorridendo. Anche lei portava un’uniforme simile a quella dei
ragazzi, con la differenza che al posto dei calzoni e delle scarpe da passeggio
indossava una gonna al ginocchio sempre scura e sandaletti
neri.
«Benvenuta al CoeurBleu.» disse facendo un leggero inchino «Vuole accomodarsi
qui o all’aperto?»
«Ecco, veramente» rispose Alicia dopo un attimo di
smarrimento «Ero venuta qui per un colloquio di lavoro».
La ragazza la guardò confusa.
«Un colloquio?»
«Mi hanno detto che cercate personale per lavorare part-time,
e così mi domandavo se ci fosse ancora la possibilità di candidarmi.»
«È strano. Di solito sono io che mi occupo di queste
cose, e per quanto ne so al momento non stiamo assumendo nessuno.
Mi dispiace».
Alicia si sentì crollare il mondo addosso; possibile
che quel signore così gentile si fosse preso gioco di lei? Eppure non le era
sembrato una persona così meschina.
«Capisco.» disse rassegnata «Mi scusi se l’ho
disturbata».
Stava quasi per uscire, quando una voce non estranea
riecheggiò alle sue spalle.
«Che succede?»
«Non è niente.» disse la rossa «Questa ragazza
cercava un impiego part-time, ma le ho risposto che al momento non siamo alla
ricerca di altro personale».
Come avesse avuto la morte ad inseguirla Alicia si
volse fulminea, e nel momento in cui i suoi occhi si posarono su di una opaca
capigliatura color ruggine ed un volto galante impreziosito da un paio di lenti
la colse un moto di stupore.
Sapeva di non essersi sbagliata sul conto di quel
signore, ma a questo punto le veniva da domandarsi il senso di quella specie di
messinscena.
«Lei?!»
«E così, alla fine sei arrivata. Sei corsa via prima
che potessi dirti come arrivare qui, e questo parco è grande.»
«Papà, tu la conosci?»
«È tutto a posto, Marika. Ora ci penso io. Tu puoi
andare».
Seppur apparentemente confusa la ragazza se ne andò
raggiungendo due ospiti pronti ad ordinare; rimasto solo, il gentiluomo si
avvicinò ad Alicia, cui fece un elegante inchino che fece quasi arrossire la
sua interlocutrice.
«Benvenuta al CaféCoeurBleu. Io sono Auguste, il
direttore. Allora, vogliamo iniziare il colloquio?».
Nota dell’Autore
Eccomi di nuovo, con
una nuova storia tratta da “TalesOf
Celestis”.
Nel nostro (mio^_^)
girovagare per la caotica Kyrador, ci siamo infine imbattuti in un posto un po’
particolare.
Nonostante la sua
frenesia e il suo movimento imperituro, Kyrador è malgrado tutto un luogo che
ammira e ricerca il bello e la tranquillità. Tutto ciò può essere trovato al CaféCoeurBleu,
il Florian di Kyrador, dove alla tranquillità di Luminous Park si unisce la raffinata eleganza della sua
architettura ed il garbo elegante di coloro che vi lavorano.
Che farà Alicia?
Riuscirà ad entrare a far parte di questo mondo?
Alicia e il signor Auguste si sedettero ad un tavolino appartato, dove
Marika su ordine del suo principale, che stando alle sue stesse parole era
anche suo padre, venne a portare loro dei biscotti di pastafrolla alla ciliegia,
oltre a due tazze di caffè il cui profumo non rassomigliava a nulla che Alicia
avesse mai sentito.
Persino chiamarlo profumo era un eufemismo; ad ogni
boccata, si aveva l’impressione di entrare in un mondo fatato, e ad alla
ragazza sembrò quasi un delitto doverlo bere.
«Prego.» la sollecitò il padrone «Spero lo troverà
di suo gradimento».
Ma se l’odore era paradisiaco, il sapore era persino
superiore. Solo portandolo alla bocca e sentendolo scorrere sulla lingua,
Alicia pensò di non aver mai assaporato in vita sua qualcosa di più buono.
Persino il caffè dei suoi genitori, che pure erano stimati per come lo sapevano
fare, non reggeva il confronto.
Era… innaturale. Il sapore
era quello del normale caffè, ma aveva un retrogusto come di malva, addolcito
da un piacevole aroma di miele.
«Allora? Le piace?»
«È… stupendo. Non ho mai
bevuto niente di simile.»
«È la nostra ultima creazione. L’Anima di Amaltea. A dire la verità, è una mia invenzione
sperimentale. Utilizza una variante di caffè unica al mondo, che cresce solo
nelle regioni montuose del sud di Amaltea, circondata
da campi di fiori che attirano le api, le quali impollinandoli riversano senza
volerlo parte del nettare sui chicchi. Per questo ha un leggero sapore di
miele».
Auguste sorrise.
«Oh, mi scusi. Mi sto dilungando troppo. Non siamo
qui per parlare del mio caffè, dopotutto.»
«No, si figuri. È un piacere ascoltarla.»
«D’altronde, il CaféCoeurBleu è famoso per questo.»
rispose l’uomo volgendo lo sguardo tutto attorno a sé, imitato ben presto dalla
sua ospite.
Regnava una quiete quasi sconfinata, immersa in un
silenzio pieno di pace; i clienti presenti, tutti visibilmente di estrazione
sociale medio-alta, sembravano in preda ad una sorta
di estasi contemplativa, tanto apparivano rilassati ed in pace con sé stessi.
Un uomo leggeva un libro seduto da solo ad un
tavolino accanto ai vetri che guardavano verso il laghetto; una coppia
assaporava una fetta di torta scambiandosi sguardi romantici; un uomo anziano
gustava un caffè all’ombra di uno degli ombrelloni esterni, gettando di tanto
in tanto uno sguardo alla bambina che gli sedeva di fronte intenta a giocare
con una bambola molto ben fatta, quasi una scultura; un altro cliente,
anch’egli da solo, era intento a conversare amichevolmente e a bassa voce con
un cameriere, un giovane di bellissimo aspetto, alto e magro, capelli neri come
la notte e un paio di occhiali.
«Qui la gente non viene solo per bere il caffè,
quanto per cercare qualcosa assai difficile da trovare al giorno d’oggi,
specialmente in una grande città come questa.»
«E sarebbe?» domandò Alicia quasi confusa
«La pace. Con tutto. Con sé stessi, con il mondo,
con le altre persone. Chi entra al CoeurBleu lo fa per dimenticare tutto ciò che attanaglia la sua
esistenza e riscoprire la grande bellezza della vita e l’infinita armonia di
questo mondo.
Sfortunatamente, assecondare questo desiderio di
quiete non costa poco, quindi mi rincresce dover ammettere che questo caffè non
è esattamente alla portata di chiunque.
Ciò nonostante, siamo su tutte le guide e gli
itinerari turistici di Kyrador, e possiamo vantare una clientela numerosa ed
affezionata. È probabile che venendo a lavorare qui le capiterà di incontrare
sempre le stesse persone.
Se così fosse, il consiglio che mi sento di darle è
di essere sempre naturale. Un’altra ragione per cui molta di questa gente viene
qui, è per trovare qualcuno con cui dialogare.
Ecco, si guardi attorno».
Alicia obbedì, constatando con i suoi occhi come
quasi tutti i clienti del locale si trovassero a proprio agio a conversare
piacevolmente con il personale.
Due giovani camerieri, apparentemente gemelli,
espressione vispa e comportamento un po’ infantile, stavano facendo battere il
cuore ad una signora sulla quarantina; la coppia di fidanzati scambiava
opinioni con quello che sembrava lo chef del locale, anch’egli relativamente
giovane, decantando le meraviglie delle torte appena gustate e ricevendo in
cambio aneddoti e curiosità sulle medesime; Marika era intenta a far divertire
la bambina seduta all’esterno, facendo la ventriloqua con la bambola e
divertendo anche quello che doveva essere il nonno della piccola.
«Capisce cosa intendo dire? Un buon caffè al giorno
d’oggi puoi berlo quasi dappertutto. Il difficile è trovare un luogo che ti
consenta di assaporarlo pienamente.
Lo sapeva? Si dice che le sale da caffè che i nostri
antenati frequentavano sulla Terra fossero pensate proprio per questo scopo. Lì
la gente si incontrava, chiacchierava. La sala del caffè era un luogo d’incontro,
non un semplice punto di sosta dove consumare uno spuntino veloce.
Con il tempo quell’usanza è andata per gran parte
perduta, ma noi stiamo cercando di riportarla alla vita».
Auguste finì il proprio caffè e si portò un biscotto
alla bocca, stando bene attento a non sporcare la tovaglia bianchissima con una
sola briciola.
«Ma ora, mi parli un po’ di lei. Da dove viene?»
«Vengo dalla provincia di Eldkin.»
rispose timidamente Alicia, che subito dopo allungò al direttore una cartellina
ripiegata «Ho qui il mio curriculum».
Auguste lo prese, e sorridendo lo mise da parte
senza smettere di guardare la sua ospite.
«Che esperienze ha avuto nella vita?»
«Esperienze?»
«Per esempio… cosa le
piace? Ha degli hobby, o delle passioni particolari? I nostri clienti vogliono
interlocutori con alle spalle tante storie ed esperienze di vita vissuta, sì da
potersi identificare con loro trovando interessi comuni».
Un po’ presa alle spalle, Alicia si concesse qualche
istante per pensarci.
«Ecco, mi piace leggere. Ho letto molto. E mi
piacciono anche il cinema e la fotografia. Il ristorante dei miei genitori era
proprio accanto ad una sala cinema, e ogni tanto il suo proprietario mi
lasciava sgattaiolare dentro quando gli portavo il pranzo in ufficio.
Ho visto tanti film di tanti generi diversi, ma i
miei preferiti sono le commedie.»
«Perché sono divertenti?»
«Perché sono reali. Trovo che la vita e gli uomini
sia il frutto dell’unione tra il dramma e la gioia, la bellezza e le
difficoltà. I protagonisti delle commedie sono spensierati, e le situazioni in
cui si vengono a trovare mettono in luce il lato piacevole e divertente della
vita. E anche qualora il destino li metta di fronte a dure prove, alla fine
tutto si risolve sempre bene.
Sarebbe bello se anche nella vita reale fosse così».
Di nuovo, il gentiluomo sorrise amichevolmente,
facendo arrossire Alicia, quindi, messa una mano in tasca, ne prese fuori un
bell’orologio d’argento.
«I miei ragazzi hanno lavorato sodo. Forse meritano
una pausa.» e senza aggiungere altro si alzò, rivolgendosi a tutto il locale
«Gentili ospiti. A quanto pare, oggi sarete testimoni di un evento speciale. La
qui presente signorina Alicia ci farà l’onore di farci assaggiare il caffè
della provincia di Eldkin, e siete tutti invitati a
degustarlo.
Offre la casa».
Alicia balzò in piedi.
«Come!? Ma, signor Auguste…»
«Questa è pur sempre una bottega del caffè.» la
intercettò lui «Ci mostri le sue qualità e la sua esperienza in quest’ambito».
Con l’ansia che montava la ragazza fu portata al
cospetto delle macchine da caffè elegantemente allineate l’una accanto
all’altra in un punto apposito del bancone; perché non ve ne era solo una, ma
almeno una decina, la maggior parte delle quali non rassomigliavano a nulla che
Alicia avesse mai visto.
«E queste che cosa sono?» domandò basita
«Non si vede?» obiettò il ragazzo con gli occhiali
che aveva visto poco prima «Sono macchine da caffè».
Sulla sua uniforme, come su quella di tutti gli
altri inservienti, vi era una targhetta d’argento con impresso il nome, ed Alicia
poté leggerlo: Claudio.
«Non ne avevo mai viste di simili.»
«Sono state create grazie a dei progetti provenienti
dalla Terra. Non ce ne sono molte in giro per il mondo. Ognuna di esse serve a
preparare un diverso tipo di caffè, e visto che i nostri clienti hanno dei
gusti molto diversificati e particolari dovrai imparare a maneggiarle tutte se
vorrai sperare di lavorare qui».
Un discorso che non faceva una grinza, e detto in un
modo che fece venire ad Alicia i sudori freddi.
Quel tipo le era parso austero e pragmatico fin dal
primo sguardo, e una volta tanto le sue impressioni non si erano sbagliate.
«Gra… grazie per la
spiegazione.»
«Claudio.» lo chiamò lo chef «Hai finito di metterla
in soggezione?».
Il quattrocchi, come in seguito l’avrebbe
ribattezzato Alicia, si decise finalmente ad andarsene, lasciando la ragazza
sola con i suoi dubbi.
E adesso?
Di certo non poteva starsene lì imbambolata a
fissare quei piccoli capolavori artistici con secoli di storia alle spalle, e
come aveva già fatto nell’atto di entrare lì dentro fece appello a tutto il suo
coraggio mettendosi al lavoro.
Non voleva essere banale, ma neppure fare
l’originale arrampicandosi in qualche ricetta astrusa nella speranza che
risultasse accattivante. Ricordò di aver visto una volta suo pare preparare il
caffè alla nocciola per un cliente dai gusti raffinati, e constatando di avere
tutti gli ingredienti che le servivano si mise subito al lavoro pregando di
ricordare tutto alla perfezione.
Contando anche i camerieri e il signor Auguste, in
tutto c’erano da preparare ventidue caffè. Alicia non ne aveva mai preparati
così tanti tutti insieme, e per tentare di combattere il nervosismo prese a
parlottare a bassa voce scandendo il metodo di preparazione passo passo man mano che lo svolgeva.
Preparò la crema di nocciole, unendo la panna cotta
e semiliquida pasta di nocciola, aggiungendovi anche una punta di cioccolata
fondente precedentemente fusa in un pentolino messo sul fuoco accanto alla
panna, quindi amalgamò bene il tutto sbattendolo con cura.
Mentre il composto si raffreddava in frigo Alicia
preparò il caffè con la classica macchina da bar, ma il fatto che l’apparecchio
in dotazione al CoeurBleu
non avesse assolutamente di elettronico o automatizzato la costrinse a fare
tutto a mano, anche quei passaggi che non aveva mai compiuto personalmente, il
che rallentò di molto il suo lavoro.
«Non essere così in tensione.» la rassicurò Marika
«In qualche modo, sono certa che ce la farai.»
«Ti ringrazio. Ne ho proprio bisogno».
Alla fine, contro i dieci minuti inizialmente
previsti, gliene servirono quasi il doppio per predisporre le prime tazzine,
che furono rapidamente servite agli avventori da tutti i camerieri. Dopo
venticinque minuti tutti i clienti avevano il loro caffè, ed Alicia si incaricò
personalmente di servire quelli del personale, riunitosi per l’occasione
attorno al tavolo più grande a disposizione.
Marika aveva anche apposto momentaneamente il
cartello CHIUSO sulla porta, sì da non avere l’ingombro di nuovi clienti e
poter gustare quell’inaspettato momento di pausa in tutta tranquillità.
«Prego.» disse Alicia porgendo la tazza al signor
Auguste.
Lo chef fu il primo ad annusarlo.
«L’aroma è molto buono.» commentò «È un buon
inizio.»
«Vellutato, ma deciso.» disse un cameriere, un
giovane prestante e molto alto, pelle scura e capelli castani.
Alicia provò un moto di orgoglio nel sentire questi
complimenti, e le espressioni soddisfatte di tutti gli altri clienti che nel
frattempo avevano già gustato il proprio caffè la faceva ben sperare.
Anche i gemelli, Louis ed Hervé,
ebbero parole gentili e di elogio nei suoi confronti, apprezzando sia il
profumo che il sapore, anche se secondo Alicia il loro giudizio in tal senso
poteva risultare sporcato dal troppo zucchero che secondo lei ci avevano messo.
Marika e suo padre non commentarono, non a parole
almeno, ma già nell’espressione enigmatica della ragazza Alicia lesse un primo
segnale d’allarme.
Invece Claudio fu molto più esplicito, sia
nell’espressione che nel giudizio, anche se attese che alcuni clienti se ne
fossero andati per esprimere ad alta voce le sue considerazioni.
«È troppo amaro.»
«Sei sempre così negativo.» protestò Louis «Secondo
me è buonissimo.»
«E soprattutto, non è amaro.» puntualizzò suo
fratello
«Certo, voi ci mettete zucchero come se piovesse.»
quindi Claudio guardò severamente Alicia, mettendola in soggezione «Sei
fortunata che tutti i nostri clienti presenti qui oggi fossero dei cultori
dello zucchero, visto che lo zucchero è ottimo per mascherare i difetti del
caffè.»
«I… difetti?»
«La crema, ad esempio. Non si è amalgamata a
sufficienza. La panna e la nocciola sono ancora troppo distanti. Quanto l’hai
lasciata a raffreddare?»
«Ecco… circa quindici
minuti.»
«Ora è chiaro. La crema di nocciola richiede almeno
una notte per amalgamarsi. Se la metti nel freezer a temperatura polare forse
si raffredda a sufficienza, ma i sapori non si uniscono come dovrebbero, e il
risultato è questa fanghiglia senza identità.
Se avessi guardato meglio ti saresti accorta che
c’era della crema già preparata e pronta all’uso.»
«Adesso stai esagerando, Claudio.» irruppe Marika
«Può aver fatto degli errori, ma non puoi biasimarla. Del resto, non che tu ti
sia impegnato a farla sentire a suo agio.»
«Un cliente insoddisfatto non sta a badare alle
sottigliezze. Lo manifesta e basta. E noi non siamo il genere di locale che può
permettersi di litigare con i propri clienti affezionati, perché perderne uno
spesso significa perdere anche tutti quelli che gli gravitano attorno.
Non ho intenzione di mettere in gioco il prestigio
di questo posto per i pasticci di una matricola che non sa neanche preparare
una crema decente».
Alicia avrebbe voluto sprofondare per la vergogna.
Da una parte sapeva che quella era una predica più
che giustificata, dall’altra la vergogna che provava era tale da farle venire i
capogiri.
Un fallimento su tutta la linea. Non c’era altro
modo per descriverlo.
«Il profumo è avvolgente.» disse d’improvviso il
signor Auguste.
Tutti si zittirono all’istante, volgendo gli sguardi
verso il principale.
«La crema non si è amalgamata in modo uniforme, ma
ciò ha preservato l’aroma di latte e nocciola, e la temperatura non
eccessivamente fredda permette all’odore di salire verso le narici senza che ci
si debba sforzare per sentirlo».
I camerieri spalancarono la bocca, e Claudio in
particolar modo.
«Un buon caffè deve soddisfare tutti e tre i sensi
fondamentali. Il colore chiaro della crema e la sua spumosità la rende bella da
vedersi, e per un caffè il profumo è il miglior biglietto da visita. Se non
alletta ed accende i desideri di chi lo beve attraverso l’olfatto, per quanto
buono possa essere non conquisterà mai davvero una persona.
Quanto al sapore…».
E lì rischiava di cadere l’asino.
«Questo tipo di caffè è ordinato principalmente da
donne sotto i cinquant’anni e giovani di entrambi i sessi, e prendendo a
campione i nostri clienti abituali entro queste due fasce ne emerge che almeno
il settanta percento di loro è solito usare lo zucchero. Pertanto, se ne può
dedurre che su quattro clienti tre sarebbero sicuramente rimasti soddisfatti.
Per quanto riguarda il cliente non avvezzo allo zucchero… per quanto i nostri ospiti siano in maggioranza
dei cultori, solo una percentuale molto ridotta possiede una cultura del caffè
tale da poter scorgere l’imperfezione implicita di questa particolare bevanda.
Tutto ciò senza contare che la nostra giovane amica
si è trovata a dover lavorare sotto pressione ed in fretta, riuscendo malgrado
tutto a creare un caffè diverso dal solito senza tuttavia voler eccedere».
Di nuovo Alicia sentì quel moto di orgoglio, che
andando a mitigare lo sconforto di pochi attimi prima si tramutò in una piccola
fiamma di speranza; lo sguardo amichevole del direttore, poi, la alimentò
ulteriormente.
«In fin dei conti, è con il tempo e la fatica che si
forma l’anima di una persona. La tua è appena germogliata, e non sarebbe giusto
non darle la possibilità di sbocciare».
A quel punto, Alicia non riuscì a non sorridere.
Kathyusha aveva speso la giornata a
procacciare potenziali lavori per la sua compagna di stanza sfruttando le sue
molte conoscenze, e quando si incontrarono quella sera alla mensa universitaria
aveva con sé una lista infinita di nomi, molti più di quelli che lei stessa si
sarebbe aspettata.
Poi, quando sentì la notizia che Alicia sembrava
oltremodo ansiosa di comunicarle, tanto appariva radiosa e fuori di sé dalla
gioia, mancò poco che svenisse.
«Che cosa!? Il CoeurBleu!?»
«Per ora è solo un periodo di prova. Lavorerò da
loro per due settimane, cinque ore al giorno per sei giorni, e se riuscirò a
prendere la giusta direzione allora mi assumeranno part-time.»
«Hai fatto davvero il colpo grosso. Quello è il locale
più famoso della città. Nemmeno io mi sarei mai sognata di andare a cercare
lavoro in un posto simile.»
«Beh. Diciamo che si è trattato di una fortunata
coincidenza.»
«Persino io e Samuel ci siamo stati pochissime
volte.» disse Melinda, presente a sua volta assieme al fratello e ad Alister «È un posto super-esclusivo. Di sicuro ti capiterà
di incontrare molti pezzi grossi.»
«Ci vuole un brindisi!» disse allora Samuel alzando
la sua lattina di birra «Alla nostra Alicia! Che abbia tanta fortuna nella vita
come l’ha avuta nel trovare un lavoro!»
«Guardate che non mi hanno ancora assunta.» replicò
Alicia quasi imbarazzata, ma visibilmente grata per tanto affetto «È solo un
periodo di prova.»
«Sciocchezze! Vedrai che li farai tutti secchi! Alla
salute!»
«Alla salute!».
Alla fine, anche Alicia si unì al coro. Dopotutto,
per una volta, voleva pensare positivo.
Il pomeriggio dopo, alle nove in punto, Alicia si presentò al lavoro,
trovando ad attenderla nello spogliatoio una uniforme personalizzata con tanto
di cartellino d’argento con il suo nome ben inciso in eleganti caratteri.
Il tempo di indossarla, raccogliersi i lunghi
capelli neri dietro la nuca per essere più a suo agio, e pochi minuti prima
dell’apertura la ragazza si presentava formalmente a quelli che sarebbero
stati, per almeno due settimane, i suoi colleghi di lavoro.
Oltre a quelli che aveva già conosciuto il giorno
prima ce n’erano solo altri tre, tutti di un’età apparente compresa tra i
trenta ed i quarant’anni; uno chef un po’ grassottello dagli occhi vagamente a
mandorla, viso rotondo contornato da un taglio a scodella e labbra piccole, e
due camerieri, uno alto e completamente pelato dall’espressione simpatica e una
giovane donna con occhi da leonessa e capelli biondi raccolti in una crocchia
dietro la nuca.
Al suo fianco, Auguste e Claudio; solo in quel
momento Alicia si accorse che quel piantagrane malefico dallo sguardo di
ghiaccio portava una divisa leggermente diversa da quella degli altri
camerieri, simile a quella del principale, il che ne faceva con grande
probabilità il caposala, e si sentì venire freddo al pensiero che d’ora in poi
avrebbe dovuto sottostare ad un tipo così.
Ma cercò di non darlo a vedere; finché si trattava
di ricevere giuste lezioni e doverosi consigli era un conto, ma se solo avesse
provato a fare il gradasso avrebbe conosciuto il suo lato peggiore.
«Mi chiamo Alicia. Alicia Enkor.
Vengo da Eldkin. Spero di imparare molto da tutti
voi, e vi prometto di impegnarmi con tutta me stessa in questo nuovo lavoro.
Piacere di conoscervi».
I più, soprattutto i tre nuovi, restarono in
silenzio, mentre di contro i suoi coetanei, pur non parlando, le rivolsero dei
cenni di benvenuto e di buon augurio che le scaldarono il cuore.
Comunque fosse andata, avrebbe fatto tesoro di
quell’esperienza.
Dopo poco il locale aprì formalmente, e fu proprio
lei a dare il benvenuto ai primi clienti della giornata.
«Buongiorno.» disse con un inchino «Benvenuti al CafèCoeurBleu».
Avendo lavorato in un ristorante praticamente dal
giorno della nascita Alicia credeva di avere buoni numeri per cavarsela anche
nella sua esperienza al CoeurBleu,
ma in realtà già dal giorno della prova pratica aveva iniziato a rendersi conto
di quanto poco ne sapesse in un settore, quello della caffetteria, che di
giorno in giorno si stava rivelando più grande di quanto ci si potesse
aspettare.
C’erano tecniche da assimilare, trucchi da imparare,
e ad ogni minimo errore Claudio era sempre lì, con il suo fare freddo e i
commenti pungenti, pronto a sentenziare su ogni cosa.
Per fortuna non c’era solo lui.
Marika al contrario era una persona molto buona, e
anche Pierre, lo chef, non perdeva occasione per cercare di far sentire la
nuova arrivata a proprio agio, prendendo talvolta le sue difese contro le
ramanzine forse eccessive che Claudio le riservava.
Quando non c’erano clienti da accogliere o servire,
Alicia si metteva di buona lena per imparare tutto quello che c’era da sapere
sul monto della caffetteria d’alta classe, a partire dalle innumerevoli
varianti di caffè che il CoeurBleu
poteva offrire e che, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto imparare a
preparare.
Di intrattenere gli ospiti, per il momento, non se
ne parlava. Non che glielo avessero vietato, ma semplicemente ancora non se la
sentiva.
Un pomeriggio, approfittando di un momento di pausa,
Marika stava spiegandole la preparazione di alcuni cocktail a base di caffè.
«Ecco, vedi? Alcuni nostri clienti prediligono il carajillo, ma la maggior parte preferisce l’irish coffee. In entrambi i casi devi stare molto attenta a
mescolare con attenzione tutti gli ingredienti. Nel caso del irish, ad esempio, se metti troppo caffè la bevanda
risulterà amara, mentre se all’opposto aggiungessi troppo whiskey non si
sentirebbe il sapore del caffè».
Alicia, però, sembrava avere la testa altrove, e
guardando nella direzione in cui i suoi pensieri parevano rivolti Marika ne
capì il motivo; Claudio stava parlando con il solito cliente, una conversazione
amichevole il cui tema era l’urbanistica della città.
«Claudio studia architettura.» disse Marika «E il
signor Lambert lavora nel ramo ingegneria qui a Kyrador. Si dice che molti dei
progetti che il suo studio ha presentato da che ha iniziato a frequentare
questo posto gli siano stati ispirati proprio da Claudio.»
«Figurati se mi interessa cosa pensa
quell’antipatico.» replicò stizzita Alicia, che però subito dopo parve
lasciarsi nuovamente andare «Ma è davvero così facile entrare in sintonia con
queste persone?»
«Tutti quelli che vengono qui bene o male lo fanno
per parlare. Alcuni cercano qualcuno con cui condividere i propri pensieri,
altri persone qualificate con cui scambiare idee ed opinioni senza impegno ed
in totale libertà, altri ancora semplicemente qualcuno a cui raccontare le
proprie storie».
Alicia a quel punto non riuscì a non porle una
domanda.
«E la tua storia qual è?».
La ragazza esitò, anche se non sembrava sorpresa,
lasciandosi sfuggire uno di quei sorrisi così simili a quelli di suo padre.
«Scusa, non volevo.»
«Tranquilla, è tutto a posto. Avevo tredici anni
quando i miei genitori hanno divorziato. Avevano ereditato questo locale dai
genitori di mio padre subito dopo essersi sposati. Ci sono praticamente
cresciuta dentro.
Ho imparato a preparare il caffè prima di imparare a
leggere; anche dopo che la mamma è andata via, è stato mio padre ad insegnarmi
tutto quello che c’era da sapere su questo lavoro, ma soprattutto su come
trattare al meglio tutti quelli che entrano, come mio nonno aveva fatto con lui.»
«Mi dispiace. Immagino sia stato molto difficile per
tutti e due.»
«Non ti preoccupare.
Comunque ho visto tante di quelle persone famose
sedersi a questi tavolini, che se te le elencassi tutte probabilmente non mi
crederesti.
È per questo che non mi sono mai pentita di essere
rimasta qui. Ormai ero troppo legata a questo posto per separarmene, e poi papà
era così solo. A volte ho come l’impressione che stia ancora cercando qui
quello che non è riuscito ad ottenere con mia madre.»
«E gli altri?»
«Gli altri.» rise Marika «Gli altri vanno e vengono.
Ad eccezione di Paulo, Aldo e Meredith che lavorano qui da anni, gli altri sono
tutti di passaggio.
Nessuno si ferma al CoeurBleu per troppo tempo. Due anni, massimo tre, e uno dopo
l’altro tutti se ne vanno, e questo posto ha sempre nuove storie da raccontare.
Tutto questo rende sicuramente il CoeurBleu più accattivante, ma è
triste pensare che anche gli amici più legati prima o poi, finito il loro
tempo, scompariranno, probabilmente per non tornare più».
Alicia notò che gli occhi di Marika si erano fatti
lucidi, e scelse di non indagare oltre.
«Forza.» cambiò discorso «Torniamo al lavoro. Cosa
mi stavi dicendo a proposito dell’Irish?».
I giorni presero a passare, e la prima settimana scivolò via senza
grosse difficoltà.
Di giovedì il locale rimaneva chiuso, ma invece che
andare alle lezioni pomeridiane, avendo constatato di potercela fare da sola,
Alicia preferì spendere un po’ di tempo a mettere in pratica le cose che le
aveva insegnato Marika.
In quei primi mesi si era fatta amica la padrona
della mensa, la signore Dibbels, tanto che riuscì a
convincerla a lasciarle un angolo della cucina per fare un po’ di esercizio;
non erano le macchine variegate e raffinate del CoeurBleu, ma ci si accontentava.
Così, per quel giorno, i ragazzi che passavano per
la mensa trovavano ad attenderli un caffè omaggio, che poteva avere le
caratteristiche più diverse; macchiato, alla nocciola, e persino in frappé
«Ci stai mettendo davvero un grande impegno.»
osservò la padrona vedendo la dedizione che la ragazza metteva nel sfornare
caffè a ripetizione «Deve piacerti proprio tanto lavorare in quel locale.»
«Non è solo per il lavoro, signora Dibbles.» rispose lei senza staccare gli occhi dalla
caffettiera «C’è un che di strano, di magico nel CoeurBleu. Mi trovo bene lì, e c’è così tanto da
imparare».
La signora si fece una risata.
«La tua frase potrebbe suonare un po’ strana.
Dopotutto viviamo in un mondo dove la magia è di casa. Ma sono convinta anch’io
che quello sia un posto parecchio speciale. Ci crederesti che ci ho lavorato
anch’io?»
«Davvero?»
«Solo per qualche mese, quando aveva appena aperto. E
poi tutti quei baldi giovani. Non dirmi che non ci hai fatto neanche un
pensierino.»
«Signora Dibbles, ma cosa
dice?» sorrise Alicia quasi imbarazzata
«Eh, quanti ricordi. Mi fa tornare alla mente la mia
giovinezza. Quelli sì che erano tempi. Non ora, che sono ridotta ad una vecchia
mummia. Il mio Winston, che il cielo l’abbia in gloria, faticherebbe a
riconoscermi».
Alicia sentì uno strano calore.
Non si poteva negare che i ragazzi del CoeurBleu fossero tutti affascinanti
e carismatici. Persino il signor Auguste, nonostante l’età, era stato capace di
scaldarle il cuore, con quella sua eleganza signorile ed i modi raffinati.
Si sforzò di darsi un contegno, ricacciando quei
pensieri. Non stava affannandosi tanto per diventare una cameriera della più
elegante caffetteria della città per essere circondata da bei ragazzi con cui
fare la civetta; altre erano le sue aspirazioni.
E poi, non tutti erano così appetibili ed
ammirevoli; anzi, qualcuno le risultava talmente indigesto che le bastava
pensarlo per sentirsi ribollire il sangue.
«Ma che ha contro di me?» mugugnò ripensando alle
occhiatacce e ai giudizi maligni di Claudio «Sembra quasi che mi abbia preso di
mira».
I suoi pensieri furono interrotti da un olezzo di fumo.
«Alicia, il caffè ti si sta bruciando…»
«Accidenti!».
La sfortuna decise di abbattersi su Alicia all’inizio della settimana
successiva.
Auguste dovette andare fuori città per la morte
improvvisa di un caro amico, e per due giorni la ragazza, ma più in generale
tutti i camerieri, passarono sotto il controllo autocratico del caposala
Claudio, che ancora una volta non perse occasione per torchiare la povera
apprendista.
Per Alicia furono due giorni di puro tormento;
Claudio la faceva correre come una matta, riservandole anche compiti piuttosto
ingrati, ma facendo però in modo che non venisse mai in alcun modo a contatto
diretto con i clienti.
E soprattutto, non la fece avvicinare in alcun modo
alle macchine da caffè.
Gli altri ragazzi non sapevano cosa pensare, ma
ancora di più molti furono colpiti dallo stoicismo con cui Alicia affrontò
quella situazione, sgobbando senza mai lamentarsi, salvo occasionali sfuriate
che però si riservava sempre di sfogare privatamente, lontano da occhi
indiscreti.
A metà pomeriggio del secondo giorno, però, quella
poveretta sembrava sul punto di capitolare, e si reggeva a malapena sulla scopa
che Claudio le aveva messo in mano con l’ordine di spazzare il porticato dalle
foglie che l’autunno stava iniziando a spargere copiosamente in tutto il parco.
«È sempre così.» disse Pierre «Sembra quasi che
Claudio ci provi gusto a torchiare gli apprendisti e spingerli a scappare.»
«Quello è uno schiavista.» mugugnò Louis
«Decisamente.» incalzò suo fratello Hervé «Vedrai che alla fine anche lei cederà. Come tutti
gli altri, del resto».
Marika però sembrava di un altro parere, e ogni
volta che vedeva i due battibeccare non riusciva a non sorridere. Forse voleva
credere che ci fosse un motivo dietro a quell’atteggiamento così freddo di
Claudio, che d’altro canto non era mai stato un campione di galateo nei
rapporti con i colleghi, o forse addirittura ne era convinta, e piuttosto che
manifestare i suoi pensieri preferiva lasciare che le cose evolvessero da sé.
Il terzo giorno, come previsto, il proprietario tornò al negozio.
«Spero che ve la siate cavata in mia assenza.
D’altronde, sapevo di aver lasciato tutto in buone mani».
Non parve stupirlo vedere l’espressione esausta e
allo stesso tempo sollevata della sua giovane apprendista, così come non batté
ciglio quando la figlia, chiedendogli numi circa questo suo viaggio improvviso,
gli fece sapere di aver telefonato a casa del presunto morto, trovandolo
inaspettatamente vivo, vegeto e in ottima salute.
«Forse avrai sbagliato numero.» disse sorridendo
sornione.
Con il ritorno di Auguste Alicia ritrovò un po’ di
serenità, ma ciò nonostante non considerava la sua assunzione ancora sicura,
per il semplice fatto che non aveva ancora avuto l’occasione vera e propria di
fare ciò per cui, teoricamente, era destinata: preparare e servire il caffè.
Riuscì a prepararne alcuni, ma poi erano altri a
servirli, anche se le opinioni soddisfatte che riusciva a capire dai discorsi
dei clienti la facevano ben sperare.
Il problema restava sempre lui, Claudio. Non gli
andava mai bene niente, e quel suo trovare da ridire su tutto stava iniziando a
darle davvero sui nervi; oltretutto, malgrado Auguste fosse tornato, quel
prepotente sembrava ancora avere una forte libertà d’azione nei suoi confronti,
seguitando ad affidarle mansioni ingrate senza che il proprietario aprisse
bocca in alcun modo.
Una volta le fu perfino ordinato di svuotare il
bidone dell’immondizia portandolo al centro di riciclaggio ai confini del
parco; escludendo la fatica di dover portate quasi cinquanta chili di bidone
consolo un piccolo carrello senza poter
contare su qualsivoglia supporto magico, non essendo lei una maga, ciò che
lasciò davvero atterrita fu l’imbarazzo che provò appena si accorse che,
nonostante tutte le sue precauzioni, i clienti l’avevano notata.
Così, quando ritornò al locale esausta e rossa di
vergogna, la solita critica acida di Claudio per averci, a suo dire, messo
troppo, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Ma si può sapere che cosa ti ho fatto? Cosa credi
che sia, una schiava?»
«Una schiava si muoverebbe molto più rapidamente.
Forse sei più una scimmia, che sbraita e si dimena facendo tanto rumore anche
per le cose più piccole.»
«A chi hai dato della scimmia, razza di damerino?»
«Se pensavi che lavorare qui significasse solo
preparare il caffè e sorridere ai clienti, hai decisamente fatto male i tuoi
conti. E sul tuo caffè credo di essermi già pronunciato».
Ormai ad Alicia fumavano le orecchie ogni volta che
i suoi occhi si posavano anche solo per sbaglio su quel quattrocchi
presuntuoso, ma non voleva dargliela vinta; avrebbe resistito fino alla fine, e
se doveva essere cacciata se ne sarebbe andata a testa alta sapendo di avercela
messa tutta.
Ormai era diventata una scommessa: in tutti i sensi.
Constatato che Claudio sembrava aver fatto
dell’allontanamento dell’apprendista una sorta di missione, Pierre, col suo
solito fare a metà tra l’eleganza e l’ironica presa in giro, aveva avviato un
vero e proprio giro di scommesse in cui l’oggetto delle puntate era ciò che sarebbe
successo alla fine di quelle due settimane.
Le ipotesi erano tre: la nuova arrivata non passava
il periodo di prova, lo passava ma sceglieva comunque di andarsene, oppure lo
passava e sceglieva di restare.
Ad ogni nuova voce, imprevisto o minima evoluzione
della situazione le quote venivano immediatamente aggiornate, e al venerdì
pomeriggio, quando ormai mancavano solo due giorni all’ora X, a guardare la
lavagnetta affissa in un angolino della cucina facilmente occultabile la prima
ipotesi era la meno pagata.
Persino Marika aveva iniziato a vedere nero, pur
evitando di pronunciarsi pubblicamente, mentre qualcuno, la cui identità era
ancora un mistero, già dal giorno dell’apertura del concorso aveva segretamente
votato per la terza nell’incredulità generale apponendovi una croce.
La giornata sembrava prossima a scivolare via, ma un
evento improvviso cambiò tutto.
Il locale stava per chiudere, e molti si erano già
cambiati, quando Claudio si presentò in sala avvertendo il principale che
qualcuno lo cercava urgentemente al telefono. Auguste andò nel suo ufficio,
uscendone poco dopo con un’espressione strana.
«Era l’ufficio eventi dell’ambasciata di Eyban. Vogliono organizzare un ricevimento qui da noi.»
«Un ricevimento!?» esclamò qualcuno
Tutti spalancarono gli occhi, guardandosi allibiti
gli uni con gli altri.
«Come sapete, la prossima settimana si svolgerà il
consiglio generale interforze qui a Kyrador. Saranno
presenti alti ufficiali della MAB provenienti da tutto il mondo, oltre a varie
delegazioni politiche di molti Paesi.
Nello specifico, la delegazione di Eyban arriverà in città domenica mattina, e ha chiesto di
poter organizzare un evento speciale per il pomeriggio proprio qui al CoeurBleu.»
«Sarà una cosa mica da poco.» osservò Aldo «Sicuramente
parliamo di più di venti persone.»
«È ovvio che per quel giorno saremo costretti a
tenere chiuso agli altri clienti. Ci faremo perdonare con un’apertura speciale
in un’altra occasione.
Si tratta certamente di una prova importante, ma
nonostante ciò che vi comportiate né più né meno che con qualsiasi altro
ospite.
Confido che ognuno di voi darà il meglio di sé, come
sempre del resto.
Potete andare».
A quel punto molti se ne andarono, ed Alicia, ancora
un po’ frastornata, venne confortata dal direttore.
«Mi dispiace che una cosa simile sia successa
durante il tuo periodo di prova. Spero non sia un impegno troppo gravoso.»
«Non si preoccupi. Ce la metterò tutta».
Mentre se ne andava, non senza una cert’ansia in
corpo, la ragazza ebbe l’impressione di scorgere un’ombra nera, come una punta
di sdegno, nell’espressione di Claudio, che come lei anche dopo il rompete le
righe era rimasto immobile come una statua, pugni stretti e denti serrati.
La domenica mattina il locale venne predisposto per l’occasione.
La sala venne rimessa a nuovo e addobbata con ceste
di fiori e ghirlande, e vennero tirate diverse corde lungo la balconata
superiore cui furono appese diverse bandiere, soprattutto di Eyban.
Venne adottata anche la divisa estiva, da sempre
ritenuta più elegante rispetto a quella di autunno-inverno, con calzoni e gonne
blu scuro sostituiti da altri color azzurro cielo e camice bianche a righette orizzontali, il tutto impreziosito da un
cravattino per gli uomini e da un nastro a fiocco per le donne.
Non erano state fatte prenotazioni né era stato
organizzato un qualche menù, quindi le cose rischiavano di farsi difficili, e
infatti quando verso le quattordici arrivò la delegazione di Eyban i camerieri dovettero subito iniziare a correre.
In tutto c’erano quasi una trentina di persone tra
politici, ufficiali militari e anche alcuni membri dell’agenzia, tutti o quasi
con mogli e figli al seguito; un gran colpo d’occhio di certo, tra tutte quelle
divise scintillanti, con quelle blu oltremare della MAB a svettare in
particolar modo, ma riuscire a stare dietro a tutti era una vera impresa.
Erano stati preparati vari dolci e torte per ogni
evenienza, ma ciò nonostante in cucina Paulo e Pierre facevano gli
straordinari, e così tutti i camerieri, che non smettevano un attimo di servire
ai tavoli o ai divanetti disposti qua e là e di sfornare tutti i tipi di caffè.
Alicia non aveva mai sopportato un simile carico di
lavoro, neanche al ristorante dei suoi genitori, ma seppur con la forza della
disperazione riuscì a mantenere il controllo seguitando a fare il suo lavoro,
che era perlopiù quello di servire assieme a Louis ed Hervé
facendo avanti e indietro dal bancone o dalla cucina, mentre Aldo, Meredith e
Marika lavoravano senza sosta alle caffettiere.
Eppure, c’era qualcosa di molto strano; Alicia non
riusciva a sentire la stessa atmosfera che aveva sempre percepito dal giorno in
cui aveva messo piede per la prima volta al CoeurBleu. E non era solo per via della confusione, di sicuro
anomala, quanto piuttosto per il modo stesso con cui quegli ospiti così
particolari interagivano tanto con il locale quanto con chi vi lavorava.
A loro non importava niente della ricerca del bello,
della semplice quiete che solo un angolo di parco perso nel nulla nella più
grande città del mondo sapeva dare, della piccola grande gioia di avere
qualcuno con cui intrattenere una piacevole e raffinata conversazione in un
silenzio pieno di pace.
Volevano solo fare bella figura con le fidanzate o
le mogli, osservare un po’ il panorama, scattare qualche foto ricordo, bere il
famoso caffè del CoeurBleu,
e poi tutto sarebbe finito.
Anche tutti gli altri sembravano pensarla così, ma
mentre il signor Auguste e gli altri senatori si sforzavano di nascondere i
propri reali pensieri dietro ad un sorriso di circostanza i più giovani non
riuscivano a non storcere il naso di fronte alla superficialità e frivolezza di
quelle persone che con il loro modo di fare stavano completamente stravolgendo
il senso e lo scopo su cui si fondava il CoeurBleu.
«Sono troppo rumorosi.» commentò ad un certo punto
Vincent, il giovane cameriere alto e scuro, che Alicia aveva sentito parlare si
e no una decina di volte in tutte le ore trascorse lì dentro
«Preferirei vedere il locale vuoto, piuttosto che
calpestato da questi pagliacci.» si era sfogato di riflesso Hervé
«Non possiamo farci niente.» sentenziò Marika
«Sopportiamo e andiamo avanti. Presto sarà comunque finita».
Fra tutti, però, il più irritato sembrava proprio
Claudio, che Alicia vide più volte fulminare con gli occhi ora questo ora
quell’avventore, e allora capì come mai alla notizia di quell’evento
apparentemente così di buon auspicio per la fama e il buon nome del locale
avesse suscitato, in lui come forse anche in altri, una vampata di disgusto.
«Non è per questo che esiste il CoeurBleu.» lo sentì dire in un’occasione.
Nei suoi occhi c’era rabbia, ma anche un po’ di
tristezza.
Forse, dopotutto, non era poi una così cattiva
persona, ma solo un giovane raffinato e un po’ troppo serio che teneva
sinceramente al locale e all’atmosfera che lo pervadeva; poteva capirlo, perché
anche lei aveva iniziato a provare la stessa cosa, e anche se non cambiava idea
sul suo carattere impossibile un po’ le dispiaceva averlo giudicato così
duramente, almeno in un primo tempo.
Ma ormai quello che era fatto era fatto; finita
quella giornata, tutto sarebbe tornato come prima. Almeno per lui, perché nel
suo caso l’assunzione era ancora tutto fuorché data per certa.
Ad un certo punto, mentre ancora finiva di pulire un
tavolino, Alicia venne chiamata, seppur in modo abbastanza cortese, ad un
divanetto su cui erano accomodati due uomini; uno, abbastanza anziano,
indossava l’uniforme della MAB, l’altro invece, per quanto giovane, aveva le
fattezze e gli atteggiamenti di un politico navigato.
«Due caffè in ghiaccio, per favore.» disse l’anziano
«Due caffè in ghiaccio, subito signore».
Perché potesse essere gustato appieno il caffè in
ghiaccio andava servito e bevuto velocemente, prima che il ghiaccio potesse
sciogliersi troppo annacquando la bevanda, e anche se al CoeurBleu si usava un particolare ghiaccio secco che
durava più a lungo bisognava comunque fare presto.
Alicia li preparò alla velocità della luce, pur
nella maniera il più perfetta possibile, ma mentre era sul punto di servirli uno
scambio di battute tra i due ospiti catturò la sua attenzione.
«Come sarebbe a dire?» esclamò l’anziano ufficiale
«Vuoi dare una parte di Erithium in concessione alla MonlithIndustry?»
«Perché no? La Monlith
paga bene, e abbiamo già un accordo di base. Restano solo da definire i
dettagli. In base al diritto internazionale ad ogni Nazione Fondatrice spetta
il 3% della superficie sfruttabile di Erithium. La Monlith ci ha offerto di rilevare un terzo del territorio
di proprietà di Eyban, e noi abbiamo accettato.»
«E non hai calcolato che forse qualcun altro, magari
il governo, avrebbe gradito esserne informato?»
«Per quanto riguarda lo sfruttamento e la
commercializzazione del krylium, l’ultima parola
spetta sempre al Ministero per gli Affari Magici. Ti garantisco che è tutto
regolare.
Anche il presidente ha dato un tacito accordo.
Un’ultima speranza per accaparrarsi qualche elettore.»
«E così tu hai piegato la testa e ti sei intascato i
soldi.»
«Guardiamo in faccia alla realtà, Boginski. Le industrie del krylium
sono una delle realtà economiche più potenti del pianeta. Hanno abbastanza
soldi per comprarsi una nazione o due, e soprattutto sono molto potenti. Non
conviene averli contro. Io ho fatto una scelta di coscienza, tutto qui.»
«Una scelta di opportunismo, vorrai dire.»
«Chiamala come ti pare. Rimane il fatto che Eyban al momento ha bisogno di soldi. Stiamo cercando di
realizzare nuovi insediamenti in aree rimaste fino ad oggi deserte, e gli
operai non lavorano a titolo gratuito».
Una voce li interruppe.
«Mi perdoni. Ma credo non sia una buona idea».
I due si zittirono, volgendo gli occhi nella stessa
direzione. Alicia, dal canto suo, si sentì tremare le gambe nel vedersi
piantare addosso quegli sguardi indagatori, domandosi per quale motivo avesse
aperto bocca.
«Come hai detto, scusa?» sibilò il politico.
L’istinto le diceva di fermarsi, e invece continuò.
«Credo… Credo che questo
accordo non porterebbe alcun vantaggio ad Eyban. Al
contrario, forse.»
«Che vuoi dire?» sibilò ancora il giovane come se
avesse voluto incenerirla
«Per quanto ne sappiamo, ad oggi la luna Erithium rappresenta la più vasta fonte di krylium di questo sistema solare. Ma non possiamo
servircene. Alcune prove di trivellazione condotte in anni recenti hanno
dimostrato che il krylium di Erithium
è molto delicato, e tende a deperire rapidamente sia durante la fase di scavo
che quella di trasporto perdendo gran parte della sua purezza.
Attualmente, secondo le previsioni più ottimistiche,
occorreranno almeno altri vent’anni per mettere a punto una tecnologia che
permetta di sfruttare pienamente i giacimenti di Erithium,
ed è implicito che quando ciò sarà possibile il valore dei terreni
eventualmente posseduti sul satellite salirà vertiginosamente, così come il
prezzo che si sarà legittimati a chiedere per elargire le concessioni
minerarie.
Viceversa, vendendo adesso, il valore è
particolarmente basso, visto che come ho già detto quei terreni per ora sono
ancora irraggiungibili. È un investimento per il futuro, e in quanto tale
possono essere pagati meno del loro reale valore».
I due uomini sgranarono gli occhi, e anche molti
altri occupanti della sala, a cominciare dai colleghi di Alicia, rimasero
attoniti e in silenzio. L’unico a non sembrare colpito, come al solito, era il
proprietario.
Alicia si sentiva tremare le gambe, ma quella forza
che l’aveva spinta a parlare non voleva saperne di abbandonarla.
«Naturalmente, ci sono altri fattori da tenere in
conto. Per esempio il valore di mercato del krylium.
L’apertura dei giacimenti su Erithium potrebbe
portare ad una bolla speculativa con alti rischi e probabilità di ricadute
economiche catastrofiche, che comporterebbero il crollo dei prezzi e una
conseguente crisi del settore.
Ma in ogni caso, a mio modesto parere, la Monlith ci guadagnerebbe in ogni caso, perché compenserebbe
eventuali perdite per il futuro rivalendosi sui costi sostenuti per ottenere la
concessione, assai inferiori al valore finale che quei terreni potrebbero
arrivare ad avere».
Tra la gente tutto intorno era piombato il silenzio,
rotto solo da un mormorio indistinto. L’anziano ufficiale guardò il giovane
politico con un sorriso quasi di scherno.
«Questa ragazza ha una mente molto più affinata
della tua. Forse dovresti proporla per il tuo staff».
Il giovane a quel punto non poté far altro che
capitolare, sbuffando imbarazzato per la brutta figura che aveva fatto.
«E va bene, avete vinto. Ridiscuterò l’accordo di
concessione. Con un po’ di fortuna, potrò convincere la Monlith
a spostare la sua attenzione sui giacimenti nella Provincia di Ustinof».
Alicia, tesa come una corda di violino fino ad un
attimo prima, sentì un irrefrenabile desiderio di sorridere.
«E ora, col vostro permesso, gradirei affogare la
mia frustrazione in qualcosa di forte. Dov’è quel caffè che ho ordinato una vita
fa?»
«Temo che la nostra amica qui presente dovrà riprepararlo.» sorrise l’anziano «Quelli che ci stava
portando mi sa che sono perduti».
Solo allora la ragazza si accorse che i due
bicchieri poggiati sul suo vassoio contenevano ormai solo una brodaglia liquida
e chiara; il ghiaccio si era sciolto, annacquando a tal punto il caffè da
renderlo imbevibile.
«Mi dispiace immensamente!» esclamò imbarazzata,
suscitando l’ilarità di qualcuno.
Alicia non l’avrebbe mai saputo, ma le due persone
con cui aveva parlato erano rispettivamente il Generale Ivan Boginski, comandante della Seconda Flotta della MAB e
membro del Consiglio Generale di Sicurezza dell’Agenzia, e il suo connazionale AlexeiKodrof, Ministro degli
Affari Magici di Eyban e futuro candidato alla presidenza.
Dopo poco la riunione ebbe fine, e quegli ospiti così rumorosi
lasciarono un po’ per volta il locale.
Uno degli ultimi ad andarsene fu l’anziano, che
prima di uscire fece l’occhiolino ad Alicia rivolgendole anche un cenno di
saluto.
La ragazza ricambiò, e quando guardò alla propria
destra si avvide di avere accanto il principale.
«Davvero uno spettacolo interessante. In tanti anni
che dirigo questo posto, non avevo mai visto qualcuno prendere così di petto
una conversazione, men che meno con gente così
importante.»
«Io… mi dispiace! Mi sono
lasciata trasportare…»
«Ma dopotutto» proseguì Auguste come se non l’avesse
sentita «È per questo che esiste il CoeurBleu. Per favorire la conversazione».
Ancora una volta, Alicia sentì un torrente di gioia
sgorgarle direttamente dal cuore, che di fronte al sorriso gentile del
direttore divenne ancora più incontenibile.
«Spero ti troverai bene qui da noi.»
«Sì!» rispose d’istinto «Farò del mio meglio!».
Ma la soddisfazione più grande Alicia se la tolse
quando, mentre riportava al bancone l’ennesimo vassoio di tazze e bicchieri
vuoti, Claudio la guardò cercando di sfoggiare i suoi soliti occhi di ghiaccio,
ma finendo invece per arrossire vistosamente.
«Beh…» disse grattandosi
il naso e guardando altrove «Ben fatto…».
Nulla avrebbe potuto renderla più felice.
E non era l’aver finalmente costretto quel
bellimbusto a riconoscere il suo talento e la sua perseveranza a farle tanto
piacere, quanto piuttosto il puro e semplice fatto di aver ricevuto un complimento
proprio da lui; il perché non riusciva a capirlo, ma per il momento era
sufficiente.
«Grazie!» disse al culmine della gioia.
Marika assistette alla scena, ed entrata nello
spogliatoio dove i suoi colleghi sembravano stare aspettando l’esito di una
finale di coppa indicò quasi sghignazzando il lato destro della famosa
lavagnetta, suscitando ora un moto di stupore ora risate divertite.
Da parte sua, Alicia si sentì ad un passo dal
paradiso, dimenticando per un momento che quello era, dopotutto, solo un lavoro
part-time, destinato comunque a durare solo per poco tempo, ma quando infine se
ne ricordò decise che non le importava; il CafèCoeurBleu l’aveva conquistata, e
fino a quando fosse stato possibile avrebbe continuato a bearsi della sua
splendida atmosfera.
Visto che era ancora relativamente presto, fu deciso
di tenere il locale aperto ancora per un po’, e non dovettero passare che pochi
minuti perché i primi, veri clienti della giornata si facessero vivi; ancora
una volta, fu Alicia ad accoglierli, dando loro il benvenuto con un sorriso che
avrebbe scaldato anche il più freddo dei cuori.
Un buon caffè era impossibile da gustare pienamente senza una buona
fetta di torta o un qualunque altro dolce a fare da accompagnamento.
Per questo c’era Pierre, la cui abilità nello
sfornare dessert era pari solo a quella del suo mentore, Paulo. Entrambi erano
due molte facce della bizzarria, talmente agli antipodi che Alicia spesso si domandava
come facessero a condividere la stessa stanza per così tante ore al giorno.
Pierre era simpatico, gioviale, sempre allegro,
dispensatore di battute a destra e a sinistra, ma con un certo fascino galante
che da un momento all’altro sembrava emergere prepotentemente, tramutandolo dal
bianco al nero nello spazio di un batter di ciglia. Paulo era taciturno,
praticamente muto, viso rotondo e labbra piccole, oltre ad una ingombrante
pancetta che lo rendeva buffo nel suo intercedere un po’ esitante.
Ma tutti e due erano accomunati da un talento che
aveva quasi del prodigioso, per i piccoli capolavori dolciari che erano in
grado di sfornare ininterrottamente.
Arrivavano sempre prima di tutti gli altri, di
solito verso le quattro del mattino, oppure si attardavano ben oltre l’orario
di chiusura, per dare vita nel silenzio e nella solitudine alle loro opere
d’arte che poi riponevano in frigo o a cuocere nel forno, pronte ad essere
servite ai clienti; quand’era necessario poi lavoravano sul momento, ad esempio
per i semifreddi o altri dolci che richiedevano una preparazione istantanea, ma
il risultato era sempre lo stesso: la perfezione.
Il fiore all’occhiello di Pierre, come tradizione
suggeriva, era la torta al caffè, in assoluto la più richiesta del menù; tra una
fetta e l’altra ne venivano servite almeno tre o quattro al giorno, e nella sua
semplicità rilasciava un gusto ed un profumo tali da condurre al piacere più
sublime.
Alicia per un po’ si era domandata quale fosse il
segreto che permetteva a Pierre di dare vita a dolci così deliziosi, fino a che
un giorno, arrivando molto presto, non le fu possibile assistere di persona al lavoro
del giovane pasticcere, sbirciando attraverso l’oblò della porta che dava sulla
sala.
Quello che vide la lasciò basita.
Paulo non era ancora arrivato, o forse se n’era già
andato, e Pierre era in piedi davanti al suo bancone, da solo, intento a
preparare la solita torta al caffè, ma invece che toccare l’impasto o gli
utensili li faceva, talvolta, letteralmente danzare; gli bastava muovere le
mani, circondato da un bagliore come ultraterreno, che le uova, la farina, lo
zucchero e persino la caffettiera danzavano nell’aria, fino al momento in cui
il giovane pasticcere interveniva di persona per agire in prima persona,
ponendo il marchio del maestro ad ogni passaggio che rendeva la torta di
qualità superiore, praticamente perfetta.
«Ma tu sei uno stregone.» esclamò Alicia entrando in
cucina.
Lui, colto un po’ di sorpresa, la guardò ammiccando.
«Mi hai scoperto».
Non ce ci fosse in verità qualcosa da scoprire.
Benché non amasse far sfoggio delle sue capacità a
scena aperta, che Pierre fosse uno stregone era risaputo tra i suoi colleghi, e
anche tra alcuni clienti del locale.
Data l’ora, il giovane offrì un caffè alla sua
gradita ospite, lasciando che l’impasto finisse di raffreddarsi prima del tocco
finale.
«Ho studiato alla National Magic
School di Midgral, un liceo speciale per la
formazione degli stregoni, ma fin da bambino ho sempre avuto la passione per i
dolci.
Così, una volta terminati gli studi superiori sono
venuto qui a Kyrador per frequentare l’alta scuola di pasticceria.»
«E com’è andata? Immagino ti sarai laureato col
massimo dei voti».
Pierre rispose con un sorriso ebete.
«Mi hanno buttato fuori.» disse candidamente, e per
poco Alicia non innaffiò il tavolo con il caffè che stava bevendo
«Che significa!? Con questo tuo stile così particolare…»
«Infatti è stato proprio per questo. Secondo i
professori lo era anche troppo, e quando ho cercato di chiarirgli il mio punto
di vista non hanno fatto altro che rendermi la vita impossibile, così me ne
sono andato».
Poi, il giovane si accigliò leggermente.
«In verità, trovo che la magia e la cucina non siano
poi così diverse. Entrambe servono a dare vita a qualcosa di spettacolare. Io
ho cercato di fonderle, ma per quanto mi sforzassi non sono riuscito a far
capire che pur non toccando materialmente le mie creazioni, non vuol dire che
non le percepisca».
Ed era vero.
Le torte che Pierre preparava non erano a tal punto
gradite semplicemente perché erano ben fatte. Alicia stessa, nell’atto di
servirle, si era avveduta di come mangiarle rappresentasse una specie di
catarsi, un ulteriore strumento messo a disposizione dal CoeurBleu per allontanare la mente dal corpo invitandola a
ricercare la serenità e la pace interiore.
Impossibile riuscire ad ottenere un tale risultato
senza mettere il cuore nel proprio lavoro, ma d’altronde Alicia non aveva mai
pensato a Pierre come ad una persona superficiale; d’accordo, a volte poteva
sembrare un po’ immaturo, ma l’amore con cui realizzava i suoi dolci superava
di gran lunga la sua ingenuità solo apparente.
Il tintinnio del timer indicò che ormai la torta era
pronta per il tocco finale.
Giusto il tempo di estrarla ed aggiungerci una
decorazione a base di grani di cioccolato e scorza d’arancia, e il dessert era
pronto per essere esposto, bello e scintillante come una scultura.
«Comunque.» disse il giovane rimettendosi subito a
lavorare su di un altro dolce «Ormai ho smesso di pensarci».
Eppure, Alicia non era del tutto convinta che fosse
vero.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Con questo nuovo
raccontino si apre la seconda parte della storia, che sarà dedicata un po’ per
volta a raccontare le piccole e grandi storie che coinvolgono i molti frequentatori
del CafèCoeurBleu.
Trattandosi di una
storia che partecipa ad un contest, in un primo momento saranno inserite solo
un certo numero di storielle, ma anche dopo la conclusione ci sarà sempre
spazio per nuovi racconti, quindi mi raccomando, restate nei paraggi.
Un grazie sentito a Capricornus, xKikka e Tear per le loro recensioni.
Quasi ogni
settimana, il sabato pomeriggio, si presentava al caffè uno strano tipo, sulla
quarantina, portamento asciutto ma rispettabile, capelli a spazzola marrone
scuro, cappello di tessuto e un paio di lenti rotonde da professore, che
secondo i più effettivamente era.
Ogni
volta si sedeva al solito posto, un tavolino affacciato sul parapetto
prospiciente il lago, mentre nei giorni di pioggia ne sceglieva uno a ridosso
delle vetrate rivolto sempre verso lo specchio d’acqua, ordinava il suo caffè
turco molto speziato, la sua torta d’avena e si metteva a leggere un grosso e
vecchio libro; non parlava mai con nessuno, né invitava i camerieri o chiunque
altro ad intrattenere una conversazione, e visto che pagava sempre in contanti
non era stato possibile scoprire il suo nome neanche attraverso i dati della
carta di credito.
Per
questo, tra il personale del café era stato soprannominato
Uomo che Legge.
Alcuni
erano attratti dalla sua figura, così misteriosa, altri ne erano persino
spaventati, come per esempio Marika, che lo trovava inquietante e quasi
minaccioso.
Alicia
ne sentì parlare per la prima volta un giorno in cui la sua inaspettata, e per
certi versi inspiegabile, assenza dal locale per un’intera settimana aveva
provocato un piccolo dibattito interno.
«Quel
tipo mi fa paura.» disse Marika «Quando mi avvicino a lui anche solo per
prendere la sua ordinazione se va bene vengo ignorata, altre volte invece mi
lancia quasi delle occhiatacce. E poi non parla mai con nessuno.»
«Forse
dimentichi che questo non è un confessionale.» rispose arcigno Claudio «Questa
è una sala da caffè. Qui la gente non viene necessariamente per parlare.»
«E
uno spende quasi quaranta kylis tra caffè e dolce, e
altrettanti per un tavolino di prima fascia, solo per starsene lì immobile e in
silenzio a leggere?» commentò sarcastico Hervé
«Potrebbe farlo benissimo seduto ad una panchina.»
«C’è
tanta gente strana al mondo.» osservò Vincent
«O
forse, sta solo aspettando che siamo noi a fare il primo passo.» ipotizzò
Alicia
«Per
carità, evita.» rispose Claudio «L’ultima volta che hai aperto bocca con un
cliente si è sfiorato l’incidente diplomatico.»
«Se
vuoi essere picchiato, devi solo chiederlo.» ribatté la ragazza con lo stesso
tono.
Uomo che Legge si
ripresentò come previsto la settimana successiva, e dandogli il benvenuto
Alicia notò un naso leggermente arrossato, immaginando subito il perché di
quella lunga ed insolita assenza.
Così
le visite periodiche ripresero, ed ogni volta Alicia lo osservava da lontano,
cercando con una curiosità che non le faceva difetto di scorgere quel piccoli
segni che potessero aiutarla a capire; capire chi era Uomo che Legge, perché
venisse lì, o anche solo per conoscere il suo nome.
Non
le riuscì mai di avvicinarlo, né di provare a parlarci, ma riuscì a notare
alcune cose, a cominciare dal grosso libro che l’uomo leggeva ad ogni sua
visita: un libro di favole. Ed era sempre lo stesso volume, riconoscibile dalla
copertina color vino e dall’angolo spiegazzato, dal che si desumeva che dovesse
essere piuttosto vecchio.
A
forza di osservarlo, e mettendo insieme i vari frammenti, Alicia arrivò a
teorizzare una possibile spiegazione; ora, restava solo da verificarla.
L’occasione
si presentò la visita successiva.
Ormai
l’inverno era alle porte, e oltre al vento freddo proveniente dalle montagne
violenti acquazzoni bagnavano la città ad intervalli regolari.
Anche
quel giorno pioveva, così Uomo che Legge si sedette al solito tavolino interno;
tuttavia arrivò un po’ prima del solito, verso mezzogiorno, quando i ragazzi
del turno di mattina se n’erano già andati e quelli del pomeriggio non erano
ancora per buona parte arrivati.
C’erano
solo Marika ed Alicia, e dal momento che Alicia si stava ancora cambiando
Marika fu costretta a fare gli onori di casa, correndo subito a nascondersi
dietro al bancone dopo aver ricevuto come risposta al suo benvenuto la solita
occhiata obliqua ed il solito silenzio.
«Lo
dico e lo ripeto, quel tipo mi fa paura.» disse emergendo appena da sotto il
ripiano.
Era
la sua occasione. Non andò neanche a prendere l’ordine.
Preso
il mortaio, vi pestò dentro il caffè, lo zucchero e le spezie, infilò il tutto
nel cezve in ottone, aggiunse acqua e fece bollire,
passando il contenuto dalla macchina al contenitore più volte fino ad ottenere
una bevanda densa e scura simile al fango che versò in una tazza bassa e larga
sormontandola con un leggero strato della crema depositatasi sul fondo del cezve.
«Pronto.»
disse soddisfatta, e tagliata anche una fetta di torta d’avena si presentò al
tavolo di Uomo che Legge «La sua ordinazione, signore».
Quello
la guardò come stupito, poi fece un cenno con il capo riprendendo subito a leggere;
Alicia servì, ma invece di tornare al banco stette ad osservare Uomo che Legge
in silenzio mentre questi seguitava a far scorrere gli occhi su quel fiume di
parole e buffi disegni raffiguranti fate, orchi, elfi e folletti.
«Lei
sta aspettando qualcuno, non è vero?».
Questa
volta, gli occhi con cui si Alicia si vide guardare da Uomo che Legge erano
segnati da una piccola ma assolutamente visibile punta di incredulità, resa
ancor più percettibile dal movimento delle sue labbra.
Marika
si sentì svenire.
«Che
stai facendo, Alicia?» mormorò a denti stretti.
Incassato
apparentemente il colpo Uomo che Legge cercò di tornare all’interno del suo
piccolo mondo, ma lei continuò.
«Si
siede sempre nello stesso posto, ordina sempre le stesse cose, e legge sempre
lo stesso libro. Un libro particolare, oltretutto. Come se nutrisse in sé la
speranza di poter essere riconosciuto da qualcuno. Qualcuno che magari non
conosce il suo nome come non lo conosciamo noi, ma che potrà accorgersi di lei
semplicemente guardandola».
Nel
locale sembrò essere scesa di colpo una strana atmosfera; nel mentre erano
arrivati anche Claudio, Aldo e Vincent, i quali a loro volta si ritrovarono
immobili ad osservare la scena assieme ai pochi altri ospiti presenti.
Il
silenzio era tale che si poteva udire il rumore delle gocce di pioggia che
tintinnavano sui vetri.
«È
un libro di favole.» continuò Alicia «Quindi, forse, potrebbe trattarsi di un
bambino».
Uomo
che Legge portò lo sguardo dal volto della ragazza al lago che si stagliava
ancora in lontananza, coperto dall’acqua che incessante cadeva dal cielo.
Toltosi le lenti, si strofinò brevemente gli occhi, sospirando come
soprapensiero.
«Mio
figlio.» mormorò «Si chiama Christofer. Ma a lui
piaceva essere chiamato Chris.»
«È
un bel nome.» sorrise Alicia «Glielo ha dato lei?»
«Era
il nome del mio trisavolo. Il primo membro della mia famiglia a mettere piede
su questo pianeta».
Chiuse
il libro, ma qualcosa sembrava ancora trattenerlo; solo in quel momento Alicia
si accorse che tutto il CoeurBleu
li stava guardando, ma rivolgendo un cenno del capo agli altri clienti e
un’occhiataccia ai suoi colleghi convinse tutti a tornare a farsi i fatti
propri.
«Ho
sposato mia moglie quando avevo diciannove anni. Christofer
è nato meno di un anno dopo.
Eravamo
entrambi benestanti, e anche se avevamo fatto una fesseria i nostri genitori
erano stati molto comprensivi. Così, tutti e due siamo riusciti a completare i
nostri studi e a crearci una solida carriera.
Sono
docente di geologia all’università, e ancor prima di laurearmi avevo pubblicato
dei trattati sullo studio e lo sfruttamento di giacimenti minerari su satelliti
e meteoriti. La mia carriera mi piaceva, ma come la maggior parte degli esseri
umani volevo sempre qualcosa di più.
Un
giorno, mi proposero di entrare a far parte del progetto per lo sfruttamento
dei giacimenti di Erithium. Sapevo bene che questo mi
avrebbe tenuto lontano dalla mia famiglia, ma ciò nonostante non ci pensai due
volte ed accettai.
All’inizio
erano assenze di poche settimane, ma con il tempo divennero mesi, e poi ancora
anni. Io e mia prendemmo a litigare, sempre più veementemente. E un giorno,
tornando dall’ennesimo viaggio, scoprii che se n’era andata, portando Chris con
sé».
Le
mani di Uomo che Legge presero a tremare, e come tutti gli altri Claudio
cercava quando possibile di buttare un occhio per provare a capire come la
situazione stesse evolvendo.
«Da
allora, non ho più visto né mia moglie né mio figlio. Sono andati a vivere ad Alepto.»
«Quanti
anni ha suo figlio?»
«Venticinque.
Non lo vedo da quando ne aveva sei. Subito dopo che il mio matrimonio è finito
mi sono buttato anima e corpo nel lavoro; mia moglie e i suoi genitori hanno
fatto il diavolo a quattro per non farmelo incontrare raccontando un sacco di
storie al giudice, ma ho saputo che da qualche anno è tornato a vivere qui».
La
pioggia nel frattempo era cessata; Uomo che Legge guardò di nuovo verso il
lago, sistemandosi gli occhiali.
«Quando
Chris era piccolo, e io non ero in giro per il mondo o tra le stelle, il sabato
venivamo qui. Lui mangiava la torta d’avena, io bevevo il mio caffè, e poi gli
leggevo una di queste storie.»
«Così»
sorrise Alicia «Ha pensato che se fosse tornato qui tutti i sabati, facendo le
stesse cose che facevate allora, un giorno sarebbe riuscito ad incontrarlo, e
l’avrebbe riconosciuta anche a distanza di molti anni.»
«Mi
illudo.» sorrise rassegnato «Chissà cosa gli avrà raccontato mia moglie sul mio
conto dopo averlo portato via. Magari a quest’ora mi odia a tal punto che non
vorrà neanche più vedermi.»
«Non
si abbatta. Dopotutto non lo sa ancora. Anche se la sua paura che ciò sia vero
è indubbiamente tanta».
Uomo
che Legge la guardò stupito.
«Come
fai a dirlo?»
«Se
avesse davvero voglia di rivedere suo figlio ora che è tornato in città, ci
sarebbero molti altri modi per poterlo fare.
Le
basterebbe fare una ricerca in rete per scoprire dove vive.
Ma
poiché teme che lui la odi, deve aver pensato che solo se lui fosse venuto a
cercarla proprio qui, dove passavate dei pomeriggi felici leggendo e
divertendovi, sarebbe stata la prova che suo figlio le vuole ancora bene».
Negli
occhi dell’uomo comparve una lacrima.
«Forse
è proprio così.»
«Alle
volte, dare tempo al tempo è la soluzione migliore. Ma in questo caso, non
crede sarebbe meglio prendere la cosa di petto? Se riuscirà ad incontrare suo
figlio e lui non vorrà parlarle come lei teme, almeno avrà ottenuto la sua
risposta e non dovrà più avere paura. Altrimenti, vi sarete finalmente
ritrovati».
Di
nuovo, Uomo che Legge sorrise, ma stavolta era un sorriso di speranza.
«Sei
una bella impicciona, lo sai? Prima di te nessuno aveva avuto il coraggio di
pararmi qui dentro.»
«Beh,
effettivamente ho avuto anch’io un po’ di paura.» rise Alicia rompendo la
tensione come un cristallo «Sa com’è, la trovavamo tutti un po’ inquietante».
Marika
e gli altri quasi svennero per lo sconcerto.
«Marika,
ti sembrano cose da dire?» disse Claudio passandosi la mano sulla faccia.
Invece,
Uomo che Legge rispose all’affermazione con un sorriso divertito.
«Forse
un po’ me lo sono meritato.» quindi guardò Alicia «Comunque grazie. Mi ha fatto
piacere parlare con te.» quindi sembrò quasi volerla provocare «Ma se farò come
dici, il tuo locale perderà un cliente. Non sei preoccupata?»
«Al
CoeurBleu si viene per
ritrovare la serenità ed sentirsi in pace con sé stessi. Se Lei riuscirà ad
ottenere tutto questo, allora non avrà motivo per voler venire ancora, e a noi
questo basterà.
Dico
bene?».
Marika
e gli altri annuirono, scaldando il cuore di Uomo che Legge come non gli
capitava da anni.
«Però,
a questo punto mi sembrerebbe ingiusto non ripagare la tua generosità. C’è
qualcosa che posso fare per te?».
Lì
per lì, ad Alicia venne in mente una sola cosa.
«Potrebbe
dirmi il suo nome? Sa, ormai non potremo più chiamarla semplicemente Uomo che
Legge».
Lui
rimase basito, come Marika e gli altri del resto, poi parve quasi ridacchiare.
«Tutto
qui? D’accordo.» quindi le sussurrò all’orecchio «Il mio nome è…».
Poco
dopo se ne andò, e prima ancora di poter realizzare appieno ciò che era
successo Alicia si vide arrivare uno scappellotto da antologia.
«Sei
impazzito, razza di damerino?!»
«Ma
che ti è saltato in mente di dirgli quelle cose!?» sbraitò Claudio «Adesso ti
metti a raccontare che diamo soprannomi ai nostri clienti?»
«Tra
l’altro, quello in particolare l’ho sempre trovato di pessimo gusto.» disse Hervé
«Decisamente.»
disse Louis
«Ma
ora dicci.» disse Marika «Qual è il suo nome? Come si chiama realmente?».
Lei
guardò tutti, ammiccando.
«È
un segreto».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Con stamattina, si chiudono i
due contest a cui partecipa CaféCoeurBleu.
E non posso negare che mi faccia
piuttosto male il pensiero che, salvo clamorosi sviluppi dell’ultim’ora, saranno entrambi annullati per mancanza di
partecipanti (uno di sicuro, per l’altro sono in attesa di notizie).
Pazienza, se mi dice bene la
porterò in altre occasioni.
Intanto, godetevi questo nuovo “raccontino”
(non credo si possa parlare di capitoli), in cui appare uno dei frequentatori
del CoeurBleu.
Ora, però, mi appello ai
lettori.
Dal momento che, come detto,
questa storia partecipava a dei contest, ho dovuto obbligatoriamente scriverne
l’epilogo, ma và da sé che questo tipo di narrazione si presta ad ospitare un
numero incalcolabile di storielle, e persino delle drabble
o delle flashfic.
Quindi, la mia domanda è: volete che rimandi la pubblicazione dell’epilogo,
oppure preferite che lo pubblichi, lasciando tuttavia la storia come Non
Completa, inserendo di quando in quando nuove storie che potrete posizionare
idealmente a prima dell’epilogo in questione?
Fatemi sapere!^_^
Grazie a Capricornus e XKikka per le
loro recensioni, ma anche a Dolok, Numb3rs e Tears per averla
inserita tra le seguite.
Louis e suo fratello
Hervé erano due forze della natura.
Fatica
e tristezza sembravano non esistere per loro, e ogni volta la loro presenza si
faceva sentire.
In
assoluto erano i camerieri più richiesti dai clienti del CoeurBleu, ed in particolare non avevano rivale tanto tra
i bambini, che si divertivano come matti nel vederli recitare in buffe scenette
comiche, quanto soprattutto tra le visitatrici di sesso femminile, fossero esse
giovincelle di buona famiglia ancora inesperte, ricche vedove o conturbanti
quarantenni divorziate a caccia di gigolò.
Una
delle clienti più affezionate del caffè, poi, aveva una vera predilezione per i
due scatenati gemelli, perdendosi ogni volta in lunghe ed intricate commedie
degli equivoci durante le quali risultava molto difficile riuscire a capire chi
giocasse con chi.
La
chiamavano Madame Amethyste, per via del colore
dell’elegante fermaglio con cui legava sempre i suoi lunghi capelli biondi,
anche se il suo vero nome era Rose Olivier, contessa per matrimonio. Suo marito
era, o per meglio dire era stato, il conte di Derlink,
ma da qualche anno la contessa aveva già iniziato a godere delle gioie del
vedovato, oltre che dei cospicui lasciti del consorte, morto di vecchiaia prima
che la sua signora potesse arrivare alla cinquantina.
E
da allora, per madame Amethyste era stata una caccia
continua; le malelingue dicevano avesse soggiogato praticamente ogni
adolescente e quasi adulto della Kyrador dabbene.
Dall’alto
del suo lussuoso attico affacciato sul parco la contessa poteva scorgere
nitidamente il profilo bianco del CoeurBleu che si stagliava sul verde degli alberi tutto attorno,
rimirando allo stesso tempo con fare predatorio la sua personale riserva di
caccia che abbracciava come le spire di un serpente l’intero distretto, ma con
Louise ed Hervé le sue abilità erano messe ogni volta
a dura prova.
Era
indubbiamente una donna di grande fascino, che usava le parole come lame
affilate e sfruttava al meglio il suo invidiabile corpo, che il tempo malgrado
tutto sembrava ostinarsi a migliorare invece che a scalfire, e nei pochi mesi
che aveva trascorso nel locale Alicia l’aveva vista personalmente accalappiare
e sottomettere molti clienti, giocandoci un po’ come una gatta con un bel
topolino, prima di stancarsi e rimettersi in caccia.
Solo
in un secondo tempo le sue attenzioni sembravano essersi concentrate sui due
gemelli, ma vuoi per deontologia professionale vuoi perché inspiegabilmente
immuni al fascino della contessa Louis ed Hervé erano
sempre riusciti ad esserle immuni, seguitando a trattarla forse con un occhio
di riguardo, ma comunque sempre e solo come una cliente.
Ma
più dell’atteggiamento da pantera di madame Amethyste,
erano Louis ed Hervé ad incuriosire maggiormente
Alicia, anche in ragione di una cosa incredibile capitatale poche settimane
dopo la sua assunzione ufficiale al CoeurBleu.
Una
sera, dopo la chiusura, era entrata nello spogliatoio maschile convinta che non
ci fosse nessuno per fare le pulizie, ma si era trovata davanti i due gemelli
mezzi nudi e ancora intenti a cambiarsi, prendendo fuoco per l’imbarazzo.
«Ma
ti pare modo di entrare?» esclamarono in coro i ragazzi ugualmente rossi
«Mi
dispiace!» esclamò lei girandosi.
Tuttavia,
nel farlo, per un solo istante e con la coda dell’occhio le parve di scorgere
uno strano segno sulla schiena di Louis, che non aveva mai visto ma di cui, se
l’istinto le diceva giusto, conosceva bene il significato.
In
un primo momento non aveva voluto credere che potesse essere vero ciò che la
sua mente si era immaginata, ma c’erano stati altri fattori che già prima
l’avevano spinta a convincersi che quei due ragazzi nascondessero qualche
segreto, come la tendenza a glissare e a parlare d’altro quelle volte in cui
qualcuno faceva domande sulla loro infanzia.
Alicia
non sapeva cosa pensare, e d’altro canto nei mesi a seguire non condivise mai i
propri pensieri con qualche altro collega, limitandosi ad osservare Louis ed Hervé da lontano rimuginando in silenzio.
Questo
fino ad un gelido martedì d’inverno.
La
contessa si era presentata in tutto il suo fascino, rinchiusa in un elegante
cappotto di pelliccia color fumo e con un grosso colbacco a proteggerle i
capelli, dando vita al solito gioco della seduzione con i suoi due bambolotti
preferiti.
Era
davvero difficile per Alicia riuscire a capire se Louis ed Hervé
fossero davvero così ingenui da non cogliere la sottile malizia insita in ogni
singola parola, movenza o azione di madame Amethyste,
o se semplicemente si divertissero a loro volta a fare i finti tonti per
prendere un po’ in giro la loro ospite o anche solo al fine di rendere il gioco
più accattivante.
Del
resto, quelle due furie passavano praticamente tutto ilgiorno a catturare gli sguardi rapiti delle
clienti, e sapevano come generare una irresistibile ondata di fascino senza
tuttavia subire quello degli altri, e della contessa in particolar modo.
E
dire però che la signora ce la metteva davvero tutta, sorseggiando ogni volta
il suo caffè corretto all’amaro scambiando con i due ragazzi occhiate fugaci,
conditi qualche volta da una battuta, un ammiccamento o un gesto provocatorio,
tipo accavallare suadente le gambe o puntellarsi sui gomiti piegandosi in
avanti sul tavolino per rendere ben visibile l’incavo tra i seni generosi.
Ma
per quanto ci provasse era tutto inutile, e forse, pensava Alicia ridendo tra
sé ogni volta che la vedeva, era questo che realmente piaceva a madame Amethyste: avere a che fare con qualcuno capace di
resistere al suo fascino, e di non cadere esanime ai suoi piedi.
«Voi
due siete così simili, da sembrare quasi la stessa persona.» disse quando i
gemelli le ebbero portato il solito caffè corretto e la solita fetta di torta
al cioccolato guarnita con ciliegie rosse «Eppure, in qualche modo, sento che
siete allo stesso tempo diversi.» quindi li fissò coi suoi occhi da pantera
«Secondo voi, quale delle due è la più corretta?»
«E
chi può dirlo?» risposero i due, in coro come molte altre volte «Noi in un
certo senso siamo la stessa persona, ma allo stesso tempo siamo diversi.»
«Molto
diversi.» puntualizzò Louis
«Forse
più di quanto immagina, contessa.» concluse Hervé.
Una
frase piuttosto sibillina, ma che Alicia riuscì ad interpretare in un solo
modo, a conferma dei propri sospetti.
E
semmai una parte di lei, dopo quelle parole, avesse avuto ancora dei dubbi, ci
pensò Pierre a fugarli del tutto, seppure a sua volta in modo alquanto ambiguo.
«È
una fortuna che siano fratelli.» disse con uno strano sorriso «Ho sentito dire
che i loro genitori sono entrambi nel campo della diplomazia, e quindi sono
spesso fuori casa. Pensa a come uno di loro si sarebbe potuto sentire se fosse
stato figlio unico, sempre da solo e senza amici. Si sarebbe dovuto inventare
un amico immaginario.» quindi piegò le labbra in un’espressione enigmatica «Oppure
i suoi genitori sarebbero stati costretti a creargliene uno».
Alicia
lo guardò incredula, poi, a sua volta, sorrise.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccomi di nuovo con un altro
capitolo dedicato sia ai clienti che ad alcuni degli attendenti del CoeurBleu.
È ufficiale, questa storia mi
piace moltissimo.
Non solo mi piace scriverla, ma
a giudicare dai pareri che ricevo si direbbe che stia anche riuscendo bene, il
che per essere il mio primo tentativo in questo genere di narrazione può essere
considerato un risultato non da poco.
Ora, dal prossimo capitolo
teoricamente inizierebbe la sequenza di eventi che prelude al finale. Ho
sentito i vostri pareri e riflettuto a lungo, e ho pensato che in fin dei conti
non varrebbe la pena di inserire il finale per poi pubblicare in seguito altre
storie e racconti, quindi ho deciso, per ora, di lasciarlo in sospeso.
Continuerò quando possibile a
pubblicare nuovi racconti e nuove storie, poi quando me la sentirò inserirò
anche l’epilogo, anche se questo non pregiudicherà un eventuale proseguo,
magari una sorta di sequel ambientato successivamente ad esso.
Ringrazio come sempre chi
recensisce o semplicemente legge.
La balconata
protesa sul lago regalava indubbiamente uno scorcio mozzafiato, ma con tutti
gli alberi che aveva attorno, dai peschi ai ciliegi fino all’acero rosso sulla
sinistra, era necessario spazzarla più volte al giorno per evitare che i
clienti si ritrovassero a camminare e a desinare su di un letto di foglie e di
petali.
Non
era raro che tale compito toccasse ad Alicia, il più delle volte poco prima
dell’apertura o nei rari momenti in cui non c’era nessuno a godersi il
panorama.
Con
l’oceano e le sue correnti miti, solo parzialmente arrestate dall’ampia baia in
cui sorgeva, Kyrador era soggetta a cambiamenti
climatici piuttosto repentini, tali da permetterle di passare da mattinate
gelide e nevose a giornate quasi primaverili, regalando così ai più temerari la
possibilità di gustare un caffè all’aperto anche nel bel mezzo della stagione
fredda, senza contare che, avventori o meno, vedere la balconata coperta di
foglie o comunque maltenuta non poteva dirsi una bella cosa per un locale
raffinato ed elegante come il CoeurBleu.
Quella
mattina era particolarmente fredda, e anche se portava la pesante giacca di
lana color vino che faceva da contorno all’uniforme Alicia non si sentiva quasi
più le dita, serrate malamente attorno al manico della scopa.
Alzati
gli occhi verso l’acqua, incrociò alcune barchette e un paio di canoe,
domandandosi cosa ci trovassero tutte quelle coppiette di tanto romantico in
una gita sul lago con un simile freddo.
Eppure,
un po’ sentiva di invidiarli.
Lei
non aveva mai avuto un fidanzato, se si escludeva una cotta infantile per un
compagno di classe in quarta elementare, eppure in qualche modo anche lei voleva
sentirsi corteggiata, viziata, e avere attorno un ragazzo che spasimasse solo
per lei, pronto ad esaudire ogni suo capriccio ricoprendola di attenzioni.
Questo
però non le aveva impedito, soprattutto negli anni del liceo, di allontanare
molti possibili spasimanti, forse perché li considerava troppo immaturi o pieni
di sé per meritarsi la sua fiducia, ma ora che quel treno era passato si
domandava se e quando il destino si sarebbe mostrato disposto a concederle un’altra
occasione.
Un
po’ si stupiva di questi suoi pensieri, visto e considerato come avesse sempre
guardato con una certa sufficienza quelle dimostrazioni d’affetto esagerate di
molte sue amiche nei confronti dei loro ragazzi, però finché si trattava di
qualche coccola così, per sentirsi apprezzati, non doveva essere una così
brutta cosa.
Una
folata di vento gelido le scompigliò i capelli infilandosi nel vestito, ma
mentre ancora stava tremando una morbida sciarpa di lana le si avvolse attorno
al collo, dandole un po’ di sollievo.
Alzato
e voltato lo sguardo, i suoi occhi si incrociarono con quelli di Claudio.
«Basta
così. Qui finisco io. Se aspetti ancora ti verrà un’influenza colossale.»
Claudio
era l’ultima persona da cui Alicia si sarebbe aspettata un gesto di gentilezza
così apparentemente spontaneo. Eppure, andando via, non riuscì a non sentire
uno strano calore, che andava oltre alla piacevole sensazione della sciarpa che
le sfiorava la pelle.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Dopo un colossale periodo di
tempo, ho deciso di riprendere in mano questa storia.
Da adesso in poi però, tranne
eventi occasionali, non si tratterà più di capitoli lunghi ed elaborati, ma
piuttosto di drabble e altri capitoletti
autoconclusivi riguardanti i vari personaggi che gravitano attorno al CoeurBleu.
Inoltre, ho deciso di fare un
piccolo esperimento.
Dal momento che, per l’appunto,
si tratta di storielle autoconclusive, voglio lasciare anche a voi lettori la
possibilità di crearne alcune. Ora che conoscete tutti i personaggi, se ne
avete voglia, date pure vita alle vostre storie, mandatemele e io le inserirò
accreditandovele.