Stelle sulla Terra di Mezzo

di LaGrace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui ci aiuterà o ci ucciderà! ***
Capitolo 2: *** Tauriel ***
Capitolo 3: *** La freccia maledetta ***
Capitolo 4: *** L'arrivo a Pontelagolungo ***
Capitolo 5: *** Una luce nell'oscurità ***
Capitolo 6: *** Fuoco di Drago e rovina ***
Capitolo 7: *** Amare sotto le stelle ***



Capitolo 1
*** Lui ci aiuterà o ci ucciderà! ***


Capitolo 1

<< Lui ci aiuterà o ci ucciderà! >>

Ero ancora un piccolo nano quando lo zio Thorin raccontava a me e a mio fratello la storia della grande montagna solitaria, la nostra terra natia che ci era stata portata via da Smaug, enorme drago proveniente dal nord . Attratto dalle enormi ricchezze del nostro popolo, il drago assalì Erebor e ridusse in fiamme la città di Dale. Da allora Smaug vive indisturbato sotto la montagna, assopito tra oro e pietre preziose.

Per anni immaginai la Montagna Solitaria e le imponenti sale di Erebor riposte sotto di essa. Per anni io e mio fratello Fili ci preparammo ad affrontare il viaggio alla riconquista della nostra patria.
Eravamo appena scesi dal dorso delle grandi aquile e riuscivamo a scorgerla in lontananza: la nostra montagna, la nostra casa.
 
Continuammo ad avanzare silenziosamente.  Gli orchi e i mannari erano vicini. Mandammo il nostro Hobbit in avanscoperta e attendemmo nascosti  tra le rocce.  Un momento dopo eccolo tornare in preda all’ansia.
“Quant’è vicino il branco?” domandò Thorin.
“Troppo vicino, un paio di leghe, non di più, ma questa non è la parte peggiore” rispose Bilbo ansimando.
“Ti hanno visto?” chiese Gandalf.
“no, non è questo. Sto cercando di dirvi che c’è qualcos’altro là fuori” affermò Bilbo spazientito.
Ci guardammo cercando di capire a cosa si riferisse, ma Gandalf riprese la parola e domandò: “quale forma ha assunto? Quella di un orso?”.
Bilbo esitò per una attimo, ma poi confermò: “si, ma molto più grosso”.
“Tu sapevi di questa bestia?” chiese Bofur sconcertato.
Il panico prese piede nella compagnia e Bofur continuava dicendoci di fare dietro fronte.
“C’è una casa” interruppe lo stregone “non è molto lontana da qui e potremo trovare rifugio”.
“Di chi è la casa? Amico o nemico” chiese Thorin.
“Nessuno dei due. Lui ci aiuterà o ci ucciderà!” affermò Gandalf.
Non avendo scelta iniziammo a seguire rapidamente la strada indicata da Gandalf, un ruggito spaventoso irruppe sempre più vicino alla nostra posizione. Accelerammo e finalmente, uscendo dal sentiero che attraversa il bosco, riuscimmo a scorgere una casa di proporzioni insolite.
Giungemmo al portone ed entrammo appena in tempo. La grossa bestia nera colpì un paio di volte l’entrata sbarrata e poi si allontanò.
“Quello cos’è?” domandò Ori sconvolto.
“Il nostro anfitrione. Il suo nome è Beorn ed è un mutatore di pelle” spiegò Gandalf. “Bene, ora mettetevi a dormire. Saremo più al sicuro qui stanotte”.
Non mi sarei fatto ripetere due volte quelle parole, tale era la stanchezza che mi pervase che dimenticai all’istante le enormi zanne di quella bestia e del fatto che ci eravamo chiusi proprio nella sua dimora. Sistemai un po’ di fieno nel pavimento e mi abbandonai immediatamente al riposo.
 
“Ti ringraziamo per averci accolti in casa tua”.
Era la voce di Gandalf. Aprii gli occhi e vidi il sole entrare dalle grandi finestre. Il mattino era giunto e alcuni di noi già si erano alzati. Mi voltai verso Fili e notai che stava ancora dormendo abbracciato alle sue armi, lo scossi per svegliarlo ,ma si limitò a mugugnare.
Raggiunsi parte della compagnia nell’immensa cucina. Sul grande tavolo vi erano una grande ciotola di miele, del formaggio e delle noci.  Un’alta figura stava servendo del latte fresco in grandi boccali e scambiava qualche parola con Thorin e Gandalf riguardo la nostra missione. Beorn mi guardò per un attimo, feci un breve cenno di saluto, poi sedetti a tavola come il resto della compagnia.
“Dovete raggiungere la montagna prima degli ultimi giorni d’Autunno” raccomandò Beorn con la sua voce cavernosa.
“Prima che il dì di Durin venga” precisò  Gandalf.
“Non avete molto tempo” disse Beorn.
“Perciò dobbiamo attraversare Bosco Atro”ribatté  Gandalf.
Beorn fissò lo stregone cercando di capire le sue intenzioni “un’oscurità grava su quella foresta, creature malvagie strisciano sotto quegli alberi”.
“Prenderemo la strada Elfica, la zona è ancora sicura” Gandalf, però, sembrava dubbioso delle sue stesse parole.
“Sicura?” chiese Beorn.  “Gli elfi silvani di Bosco Atro non sono come i loro parenti. Sono meno saggi e più pericolosi. Ad ogni modo queste terre brulicano di orchi e voi siete a piedi. Non raggiungerete mai la foresta da vivi. ”
Silenzio, riflettemmo sulle parole del possente uomo. Poi egli riprese: “Non mi piacciono i nani, sono avidi e ciechi verso la vita di quelli che loro ritengono più miseri di loro”.
Un senso di offesa e di vuoto riempì l’aria. Poi Beorn concluse dicendo: “Ma gli orchi li odio di più. Cosa vi serve?”.
Ci diede quattordici dei suoi poni e un cavallo per Gandalf e ci rifornì di provviste per il viaggio.
Partimmo verso la tarda mattinata e nel tardo pomeriggio giungemmo al limitare di Bosco Atro.  L’aspetto del bosco era inquietante, come se una malattia lo avvolgesse e contagiasse chiunque vi si addentri. Gandalf diceva di attraversarlo seguendo la via Elfica.
 Ricordo quando Thorin mi parlava degli elfi e la sua voce era piena di risentimento. Anche io, crescendo sotto la sua istruzione avrei dovuto risentirne, ma al contrario ne ero affascinato.
“Liberate i poni, che tornino dal suo padrone” ci raccomandò Gandalf a gran voce prima di scomparire per un attimo tra i primi alberi che limitavano la soglia del bosco. Quando riapparse aveva un’espressione preoccupata.
“Non il mio cavallo, mi occorre” Gandalf riprese Nori che stava per liberare il cavallo.
“Gandalf non vorrai lasciarci?” chiese Bilbo con espressione accigliata.
“Non lo farei se non fosse necessario” spiegò lo stregone dirigendosi verso il suo cavallo. “Vi aspetterò allo spiazzo prima delle pendici di Erebor, tenete la chiave e la mappa al sicuro” poi si fermò un attimo e ci guardò con sguardo pieno di raccomandazione “non entrate in quella montagna senza di me”.
Prima di andare Gandalf  ci avvertì riguardo all’oscuro potere del bosco.
“Tenterà di entrarvi nella mente e sviarvi dalla strada” diceva “dovete restare sul sentiero”.
 
La pioggia iniziò a cadere e nessuno di noi era impaziente di addentrarsi in un tale luogo, ma era nostro dovere farlo. Così abbandonammo il verde spiazzo luminoso e ci inoltrammo nell’oscurità.

 

 

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Capitolo 2
*** Tauriel ***


Capitolo 2

<< Tauriel >>

Camminavamo in fila indiana seguendo lo stretto sentiero che serpeggiava in mezzo ai tronchi. La luce filtrava a fatica tra le fitte foglie dei grandi alberi e così anche l’aria. Sembrava di soffocare .
“Aria, ho bisogno di aria”.
Tutti stavamo lentamente cadendo sotto l’influenza del bosco e della sua aria malsana. Ad ogni passo il mio respiro si fece sempre più affannoso, la testa mi girava e la vista mi appariva sfocata.
“Nori, perché ci siamo fermati?” chiese Thorin.
“Il sentiero. E’ sparito.” Rispose Nori che era a capo della fila.
Un senso di panico e di smarrimento ci avvolse.
Riprendemmo a camminare,ma ci volle poco per renderci conto che stavamo girando in tondo. Molti di noi iniziarono ad avere allucinazioni, altri a dire frasi prive di senso,poi iniziammo ad irritarci e ad azzuffarci tra di noi.
 Intravidi lo Hobbit che si arrampicava su un albero, ma in quel momento nulla era certo.
“Ora basta. Silenzio” urlò Thorin “siamo osservati”.
Calò il silenzio e iniziammo a guardarci attorno.
Mi parse di sentire uno strano verso alle mie spalle, mi voltai e vidi un enorme ragno che si gettava a gran velocità nella nostra direzione, ma non era l’unico, ce n’erano molti altri . Tentammo di difenderci, ma quelle mostruose creature erano troppe. Un ragno mi intrappolò nella sua ampia e appiccicosa ragnatela e iniziò a rigirarmi su di essa con le sue ripugnanti zampe. Non respiravo e iniziai a perdere i sensi, poi il buio più totale si impadronì di me.
Un forte colpo alla schiena mi fece rinvenire e mi ritrovai steso a terra.
 A giudicare dalla testa appesantita, devo essere rimasto appeso a testa in giù per un po’. Cercai di liberarmi in fretta, mi rimisi in piedi ed estrassi la spada. Quegli esseri erano nuovamente tutti intorno a noi e si apprestavano ad attaccarci.
Ne abbattei uno, poi un altro si fiondò alle mie spalle, ma Fili lo colpì e il ragno si ritrasse permettendomi di colpirlo a mia volta uccidendolo.
Tentammo di ricongiungerci al resto della compagnia ma,mentre stavo per raggiungere gli altri, mi sentii afferrare la gamba e venni strascinato via.
“Kili”
Sentivo la preoccupazione nella voce di mio fratello mentre mi chiamava dopo aver udito le mie grida.
Altri ragni incombevano su di me e cercai di liberarmi dimenandomi, ma vani erano i miei tentativi.
Una freccia sibilò sopra la mia testa e prese in pieno la creatura facendola arretrare fino ad accasciarsi al suolo priva di vita.
Mi voltai un attimo e vidi un’abile figura che mi dava le spalle. Ora affrontava altri ragni destreggiandosi con due pugnali. Sembrava danzare.
Un altro ragno stava avanzando verso di me.
“Lanciami un pugnale” urlai all’elfo.
Il ragno era sempre più vicino ed ero disarmato.
“Se pensi che ti dia un arma nano, ti sbagli di grosso” rispose l’elfo che di scatto si girò lanciando il pugnale nella mia direzione colpendolo. Poi i nostri sguardi si incontrarono.
Due occhi fieri mi fissavano, lineamenti dolci e lunghi capelli ramati.
 Mai mi capitò di vedere creatura più bella.  
Gli elfi scacciarono le laide creature, ma presero noi come prigionieri e iniziarono a perquisirci togliendoci ogni tipo di arma. Ci condussero al Reame Boscoso per poi scortarci verso le segrete.
Anche dopo essere stato sbattuto in cella, continuavo a fissare quella graziosa creatura, come se un incantesimo mi attirasse.
 
Le ore passavano e vedevo la nostra missione sfumare lentamente.
Iniziai a giocherellare con la pietra runica che mia madre mi diede poco prima della partenza, come se, in qualche modo, potesse scacciare le mie inquietudini. D’un tratto mi accorsi che qualcuno si fermò di fronte alle sbarre della mia cella. Era lei.
“La pietra che hai in mano, che cos’è?”mi chiese.
“E’ un talismano” risposi un po’ teso, poi continuai: “un potente incantesimo lo avvolge. Se qualcun altro oltre ai nani leggesse queste rune, sarebbe eternamente dannato!”
Lei guardò la pietra e arretrò sconcertata, poi fece per allontanarsi.
“O no!” dissi di colpo. Non volevo che se ne andasse.
“Dipende se credi a quel tipo di cose, è solo un ricordo”poi sorrisi cercando di attirare la sua attenzione e lei ricambiò il mio sorriso.
“E’ una pietra runica”ripresi “me l’ha data mia madre perché ricordarsi la mia promessa”
“Quale promessa?” mi chiese incuriosita.
“Che sarei tornato da lei. Si preoccupa e mi ritiene spericolato” affermai.
“E lo sei?”domandò accennando un lieve sorriso.
“No” ma dal tono che avevo adoperato si intuiva che non era proprio vero.
“Sembra che stiate facendo una gran festa lassù” dissi rivolgendole lo sguardo.
“E’ la festa della luce stellare, tutta la luce è sacra per gli Eldar, ma gli elfi silvani adorano la luce delle stelle”.
 I suoi occhi brillavano al solo nominare le stelle.
“L’ho sempre trovata una luce fredda, remota e molto lontana”risposi .
“Essa è memoria, preziosa e pura”ribatté. Ci guardammo per un attimo e poi disse: “come la tua promessa”.
Mi sorrise e ricambiai imbarazzato.
“Sono andata lì qualche volta,oltre le foreste, sulle montagne di notte. Ho visto il mondo cadere via e la luce dell’eternità riempire l’aria”.
Parlava come se fosse di nuovo lì e camminasse avvolta dalla luce delle stelle.
“Ho visto una luna di fuoco una volta” dissi, rapendo nuovamente la sua attenzione.
Continuammo a parlare e si sedette accanto alla mia cella fino alla fine del suo turno di guardia. Lei era diversa dagli elfi che avevo incontrato sin’ora, il suo animo è dolce e puro e i suoi occhi colmi di curiosità e meraviglia.
 Prima che andasse via le chiesi qual’era il suo nome. Ci scambiammo un ultimo sguardo e mi rispose: “Tauriel”.

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Capitolo 3
*** La freccia maledetta ***


Capitolo 3

<< La freccia maledetta >>

 
“Scommetto che il sole sta sorgendo, deve essere quasi l’alba”.
La voce di Bofur echeggiò nelle segrete e mi fece rinvenire dal mio leggero sonnecchiare.
“Non raggiungeremo mai la montagna”
Questa sembrava la voce di Ori, poi udii un tintinnio come se qualcuno si fosse messo a scuotere un mazzo di chiavi.
“Bilbo”disse Balin con voce festosa.
Mi lanciai tra le sbarre tentando di vedere il nostro Hobbit che era venuto a liberarci. Continuavo a chiedermi come avesse fatto ad illudere la sorveglianza, ma la cosa era irrilevante, dovevamo uscire subito.
Una volta liberi, Bilbo cominciò a farci strada e iniziammo a scendere, in fila e cercando di fare più silenzio possibile.
“Da questa parte” richiamò Bilbo.
Mi guardai attorno, poi realizzai dove fossimo.
“Non ci credo, siamo nelle cantine” dissi irritato.
Bofur mi sorpasso e si avvicinò a Bilbo dicendo: “dovevi portarci fuori non ancora più all’interno”.
Due guardie stavano dormendo, accasciate su di un tavolo con bicchieri e caraffe sporchi di vino. Decisamente ubriache. Poi alzai lo sguardo e notai dei barili vuoti disposti in fila.
“Entrate tutti nei barili” ordinò Bilbo, poi aggiunse: “dovete fidarvi di me”.
Sembrava uno scherzo. Tutti esponemmo la nostra disapprovazione, ma Thorin ci zittì: “Fate come dice!”.
Entrammo nei barili.
“Ora trattenete il fiato” disse, poi Bilbo afferrò una leva e iniziammo a rotolare verso il basso, finendo in acqua.
Con le mani cercavamo di avanzare, ma la corrente iniziò a trascinarci velocemente lungo il fiume. Gli elfi dettero l’allarme e proprio quando stavamo per raggiungere il cancello che ci permetteva di uscire dal confine del Reame Boscoso, due guardie abbassarono la leva e lo spesso cancello si chiuse. Eravamo nuovamente in trappola, le due guardie sguainarono le spade, ma una si blocco e ci cadde addosso trafitta da una freccia annerita. Orchi.
Un branco numeroso iniziò ad attaccarci approfittando della situazione.
Lasciai il mio barile e mi arrampicai sulle rocce, alcuni orchi mi si pararono davanti, tuttavia riuscii a colpirli e li spinsi in acqua.  Raggiunsi la leva, ma una dolorosa fitta alla gamba mi arrestò di colpo.
“Kili” urlò Fili.
Tentai comunque di afferrarla senza verificare la fonte del mio dolore, ma non ne fui in grado.
Una freccia mi si era conficcata nella coscia.
Un altro orco si avvicinava pronto a colpirmi, poi cadde trafitto da una freccia. Mi voltai e vidi Tauriel con l’arco ancora teso, un velo di preoccupazione le attraversava il volto e i sui occhi erano rivolti a me.
Riprese a dare la caccia agli orchi e io cercai di rialzarmi per aprire il maledetto cancello che ci aveva sbarrato la strada.
Riuscii nell’impresa dopodiché mi lasciai cadere sofferente . Fili mi chiamava di sotto tenendo stretto il barile che avevo lasciato.
Mi lanciai all’interno del barile e una seconda e ancor più dolorosa fitta mi immobilizzò togliendomi il respiro.
Riprendemmo a scorrere lungo il fiume trascinati dalla forte corrente, gli orchi ci seguirono e nonostante l’assalto degli elfi, continuavano ad attaccarci. Tuttavia riuscimmo a seminarli.

Giungemmo fino alla sponda rocciosa del fiume e uscimmo tutti dai barili. Provai a camminare, ma le fitte riprendevano e crollai a terra a denti stretti. Bofur mi guardava con aria preoccupata.
“Sto bene non è niente!” dissi tentando di celare le smorfie di dolore.
“In piedi” ordinò Thorin.
“Kili è ferito” lo informò Bofur.
“Dobbiamo fasciargli la gamba” continuò Fili.
“Abbiamo un branco di orchi alle calcagna, dobbiamo muoverci da qui. Fasciategli la gamba, presto! ” disse Thorin.
Ad un tratto ci accorgemmo di un alto uomo che reggeva semiteso un grande arco e ci teneva sotto tiro.
Tentai di lanciargli una pietra, ma questi me la fece schizzare via dalla mano con una delle sue frecce.
“Fatelo di nuovo e siete morti” disse lo sconosciuto.
“Scusami , sei di Ponte Lago Lungo?”chiese Balin, poi continuò: “Quella tua chiatta, sarebbe possibile noleggiarla?”.
L’uomo ci fissò, poi ripose l’arco e iniziò a caricare i barili sulla sua chiatta.
“Cosa vi fa pensare che vi aiuterò?”chiese.
“Quegli stivali hanno visto giorni migliori, come quel cappotto”disse Balin riferendosi ai suoi abiti, poi riprese: “sospetto che tu abbia delle bocche da sfamare, quanti bambini?”domandò.
“Un maschio e due femmine” affermò il chiattaiolo mentre caricava gli ultimi barili.
Dwalin iniziò a spazientirsi: “ora basta, bando alle ciance”.
“Perché tanta fretta?” chiese l’uomo.
“Perché ti interessa?” ribatté Dwalin.
“Vorrei sapere chi siete e che cosa ci fate in queste terre!”disse .
“Siamo dei semplici mercanti provenienti dalle Montagne Blu, in viaggio per vedere i nostri parenti sui Colli Ferrosi” intervenne Balin.
“Semplici mercanti, tu dici?” domandò sospettoso.
“Ci occorrono cibo, provviste, armi. Puoi aiutarci?”chiese Thorin.
L’uomo iniziò a strofinare i barili poi disse: “so da dove sono arrivati questi barili” poi ci guardò e continuò: “non so che affari aveste con gli elfi, ma non credo sia finita bene. Si entra a Ponte Lago Lungo solo col permesso del Governatore, tutte le sue ricchezze derivano dagli scambi col Reame Boscoso. Vi metterebbe ai ferri prima di rischiare l’ira di Re Thranduil!”.
“Scommetto che ci sono altri modi per entrare non visti”disse Balin.
“Certo, ma per quello vi occorrerebbe un contrabbandiere” dichiarò.
“Per il quale pagheremo il doppio” affermò Balin.
Il nostro Balin riuscì a convincere l’uomo. Rientrammo nei barili per nasconderci, poi ci allontanammo dalla sponda a bordo della chiatta.
 
Una serie di brividi mi attraversò il corpo, sentii le forze abbandonarmi e la vista oscurarsi lentamente.
Mi appisolai e nella mia testa iniziai ad intravedere miliardi di piccole luci lontane simili a stelle. Non capivo dove fossi, ma di sicuro era un sogno perché non ero solo. Con me c’era Tauriel, mi guardava e sorrideva, ma il suo sorriso e il suo sguardo erano diversi da quella notte passata a parlare nelle segrete.
Feci per prenderle la mano, ma non vi riuscii. Stava scomparendo e con lei anche la luce delle stelle.
Il buio e il freddo piombarono su di me e rimasi solo, con la mia sofferenza.

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Capitolo 4
*** L'arrivo a Pontelagolungo ***


Capitolo 4


<<
L’arrivo a Pontelagolungo >>
 

Mi sentii scuotere e tornai alla realtà.
Balin stava raccogliendo dieci monete per ognuno di noi, in modo da poter pagare il chiattaiolo e le armi che ci avrebbe fornito in seguito.
La ferita doleva, ma il dolore era sopportabile. Afferrai il bordo del barile, mi alzai e diedi la mia parte, poi il mio sguardo si levò verso l’orizzonte celato da un velo di nebbia e riuscii ad intravedere la sagoma di una grande montagna. Rimasi immobile, gli occhi e la bocca spalancati, tanta era la gioia da farmi scordare la ferita. La nostra meta era vicina e finalmente avrei potuto vedere Erebor nel suo enorme splendore.
“Il denaro, presto!” irruppe Bard, udii Bilbo chiamarlo per nome un momento fa.
 “Ti pagheremo quando avremo le nostre provviste, non prima” disse Thorin.
“Se apprezzate la libertà farete come vi dico, ci sono guardie più avanti!” rispose.
Ci infilammo nuovamente negli scomodi barili e attendemmo.
La chiatta si fermò e Bard scese. Bilbo, che era nella posizione tale da tenere sott’occhio l’uomo, ci informava delle sue azioni.
 “Parla con qualcuno, sta puntando il dito verso di noi. Ora si stringono la mano!” disse.
Che avesse in mente di tradirci? Poi qualcosa di viscido mi cadde in testa, pesci appena pescati. Bard stava facendo riempire i  barili di pesce, davvero un bel modo per nasconderci.
Passati cinque minuti già iniziavo ad avere la nausea, tra il pesce puzzolente e la gamba dolorante, non ne potevo davvero più, avevo bisogno di aria fresca. Non riuscii a trattenermi, un gemito provenne dalla mia gola, a quel punto sentii qualcosa colpire il mio barile.
“Silenzio. Siamo alla barriera per il pedaggio” rimproverò Bard.
Poi la chiatta iniziò a rallentare fino a fermarsi.
“Halt. Ispezione merci, documenti per favore!”
Eravamo giunti alle porte della città.
Rimanemmo fermi per un po’, non ne capivo il motivo, dall’interno del barile non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. All’improvviso il mio barile si inclinò e capii che stavano svuotando i barili in acqua.
“Fermi” ordinò un’altra voce.
Tornai dritto, ancora qualche pesce buttato in acqua e mi avrebbero scoperto.
“Alza la chiusa!”
Iniziammo a muoverci, ma dopo un po’ ci fermammo di nuovo. Bard ci fece uscire ribaltando i barili.  Non era stato piacevole, cadendo sbattei la testa e un pesce mi finì in bocca. Aveva un gusto orribile.
Seguimmo Bard, poi un ragazzino gli corse incontro.
“Papà, la nostra casa è sorvegliata” disse il giovane.
L’uomo ci guardò, dopodiché ci fece fare un'altra strada per raggiungere la sua casa.
La cosa divenne imbarazzante quando ci espose il suo piano, ma non c’erano alternative. Pochi minuti dopo cominciammo a spuntare uno dopo l’altro fuori dal suo gabinetto.
Bard e i suoi tre figli ci accolsero in casa e ci diedero dei capi asciutti, poi andò a recuperare le armi promesseci.
Nel frattempo ci radunammo.
“Domani comincia l’ultimo giorno d’autunno”disse Thorin.
“Il dì di Durin comincia dopodomani, dobbiamo raggiungere la montagna prima di allora ”precisò Balin.
“E se non ci riusciamo? Se falliamo nel trovare la porta prima di quel momento allora …” chiesi preoccupato.
“L’impresa sarà stata inutile!” concluse Fili.
Bard tornò con le armi avvolte in un telo nero, le appoggiò al tavolo e ce le mostrò.
Ero confuso, quelle non erano vere armi, presi in mano una specie di martello.
“Cos’è questo?” chiese Thorin  tenendo qualcosa simile ad un arpione.
“Una gaffa ” rispose Bard.
“E questo?” chiesi riferendomi all’oggetto che ancora tenevo in mano con aria perplessa.
“Mazzapicchio lo chiamiamo, forgiato dal martello di un fabbro”rispose, poi disse: “ pesanti da maneggiare, lo ammetto, ma per difendere la vostra vita sono meglio di niente”.
“Ti abbiamo pagato per delle armi, spade e asce forgiate in ferro” disse Gloin rabbioso.
Molti di noi rifiutarono le cosiddette armi.
“Di migliori ne troverete solo nell’armeria della città, tutte le armi forgiate in ferro sono lì sotto chiave”ribatté Bard.
“Thorin, prendiamo quanto ci viene offerto e andiamo, ci siamo arrangiati con meno ” disse Balin nel tentativo di evitare problemi, poi aggiunse: “io dico di andarcene ora!”.
“Non andrete da nessuna parte, spie sorvegliano questa casa e forse ogni molo e banchina della città. Attenderete il calare della notte!”ordinò Bard.
 
Iniziai a sentirmi debole, brividi percorrevano il mio corpo, sintomo che annunciava la febbre. Mi sedetti e guardai la fasciatura che avvolgeva la mia ferita. Ero preoccupato. Non volevo che questo imprevisto mandasse a monte la missione, ho fatto tutta questa strada per entrare in quella montagna e non sarà un graffio e un po’ di febbre ad impedirmelo.
Non passò molto tempo da quando Bard uscì di casa, che Thorin e Dwalin iniziarono ad organizzare un piano per recuperare le armi di cui parlava l’uomo. Uscimmo di casa, nonostante il divieto del figlio, il sole stava tramontando e con attenzione ci dirigemmo verso l’armeria.
A fatica tenevo il passo e il respiro si faceva sempre più affannato, ma tentai di nascondere il mio mal stare.
Riuscimmo ad entrare attraverso un’alta finestrella. Alcuni di noi facevano da scala per permetterci di raggiungerla. Feci una rincorsa e alla fine mi detti lo slancio piantando i piedi sulle schiene dei tre compagni che formavano la scala.
Giunsi nella stanza. Thorin e Nori mi passavano le armi, poi una smorfia di dolore tradì il mio volto.
“Stai bene?”mi chiese Thorin. A lui non sfuggiva nulla, era preoccupato come uno zio si preoccupa per il proprio nipote.
“Ce la faccio, andiamocene via!” tentai di essere convincente, ma fallii miseramente quando ebbi un mancamento e tutte le armi che tenevo in mano caddero rumorosamente giù per le scale insieme a me.
Le guardie accorsero immediatamente puntandoci le spade contro.
Rivolsi il mio sguardo accigliato verso Thorin, che mi fissava a sua volta. Avevo combinato un bel guaio.
Venimmo scortati alla dimora del Governatore il quale uscì irritato e in vestaglia da notte.
“Che cosa significa questo?” chiese.
“Li abbiamo sorpresi a rubare armi, signore” rispose la guardia.
“Ah, nemici dello stato?”disse il Governatore.
“Un disperato gruppo di mercenari come mai nella vita, signore”.
Presumo fosse un suo consigliere a parlare.
“Frena quella lingua, tu non sai con chi parli, lui non è un criminale qualunque. Lui è Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror ” disse Dwalin.
“Noi siamo i nani di Erebor e siamo venuti a reclamare la nostra terra natia”affermò Thorin con fierezza.
La gente iniziò a radunarsi intorno a noi incuriosita, Thorin parlava dello splendore che un tempo questa città possedeva.
“Io garantirei il ritorno di quei giorni, riaccenderei le grandi fornaci dei nani e farei fluire benessere e ricchezza di nuovo dalle sale di Erebor”.
La folla esultò alle parole di Thorin, ma una voce gridò smorzando questo entusiasmo: “Morte, ecco cosa ci porterai. Fuoco di drago e rovina!”.
Bard si fece strada tra la gente rivolgendosi a Thorin, il quale rispose: “potete dare ascolto a questo oppositore, ma io vi prometto una cosa. Se riusciremo, tutti condivideranno le ricchezze della montagna!”
“Tutti voi, avete dimenticato quello che è successo a Dale? Avete dimenticato quelli che sono morti nella tempesta di fuoco? E per quale motivo, la cieca ambizione di un Re della montagna, così preso dall’avidità da non riuscire a vedere oltre il proprio desiderio”.
Le parole di Bard si fecero strada tra la folla.
“Suvvia, non dobbiamo, nessuno di noi, essere così frettolosi a dare la colpa. Non dimentichiamo che è stato Girion, signore di Dale, tuo antenato, che fallì nell’uccidere la bestia” intervenne il Governatore puntando il dito verso Bard.
“Non hai alcun diritto ad entrare in quella montagna” disse Bard rivolgendosi a Thorin.
“Io sono l’unico ad averlo” ribatté Thorin, poi riprese: “mi rivolgo al governatore degli uomini del lago. Vuoi vedere la profezia realizzata? Vuoi condividere la grande ricchezza del nostro popolo?”.
Seguì un momento di silenzio, poi il Governatore parlò: “E io dico a te: benvenuto Re sotto la montagna!”
La gente esultò a gran voce dopo aver udito quelle parole, riponevano le loro speranze in noi e nella nostra impresa.

 Il governatore ci offrì alloggio, alcuni di noi iniziarono a festeggiare, mangiando e bevendo. Io, però, mi sentivo debole e stanco, avevo bisogno di riposo per non rischiare di fare ulteriori danni a causa delle mie condizioni.
Mi abbandonai tra le coperte, non curandomi del baccano che Bofur stava facendo e mi addormentai, emozionato all’idea che il giorno seguente sarei entrato nella famosa Montagna Solitaria.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Una luce nell'oscurità ***


Capitolo 5

<< Una luce nell’oscurità >>

“Non voglio lasciarli andare”
Una voce familiare colse la mia attenzione, mi alzai ed esaminai la stanza buia in cui mi trovavo. Nel letto accanto al mio dormiva Fili, sul tavolo davanti a me c’erano le nostre armi e gli abiti che indossammo il giorno della partenza. Realizzai di trovarmi a casa, nelle Montagne Blu.
“Capisco la tua angoscia, ma loro hanno fatto una scelta e sono consapevoli dei rischi che essa comporta!”
Era la voce dello zio Thorin. Mi avviai verso la porta socchiusa della mia stanza e dalla fessura vidi mia madre, in lacrime, che parlava con Thorin. Era addolorata per la nostra partenza.
“Promettimi che tornerete” disse lei singhiozzando con gli occhi fissi su mio zio.
“Dis, sai che non posso farlo!” rispose Thorin dispiaciuto.
Mi si strinse il cuore nel rivedere quell’immagine, nostra madre teneva a noi più di ogni altra cosa, ma non bastò a cambiare la mia decisione.  Come allora ero fermamente convinto che stessi facendo la cosa giusta. La Montagna Solitaria era la nostra unica e vera casa e riavendola avremo potuto condurre una vita migliore.
Avrei voluto rassicurarla e dirle che saremo tornati, ma Thorin aveva ragione, come lei aveva ragione di preoccuparsi. Nessuno di noi poteva sapere cosa sarebbe potuto accadere durante il viaggio, non ci rimaneva che sperare.
 
Quando aprii gli occhi non era ancora l’alba e tutti dormivano profondamente.
 Faticavo a respirare, come se delle pietre mi schiacciassero il petto, quindi mi misi seduto. La febbre non era diminuita durante la notte, i brividi non si fermavano e continuavo a sudare. Mi alzai a fatica, aggrappandomi qua e là, riuscii a raggiungere il tavolo e bevetti grandi sorsi d’acqua fresca, poi me ne versai un po’ sulla fronte accaldata.
Tornai a sedermi ancora per qualche momento, poi il sole iniziò a sorgere e uno dopo l’altro ci alzammo per prepararci.
Ci dirigemmo verso la barca che ci avrebbe permesso di passare alla sponda opposta del lago. La gente esultò non appena ci vide arrivare, applaudiva e ci augurava buona fortuna.
Uno a uno salimmo sulla barca, ma quando toccò a me Thorin mi fermò.
“Tu no! Dobbiamo andare veloci, ci rallenteresti” mi disse.
Lo fissai, privo di ogni reazione. Non riuscivo a rendermi conto di ciò che mi aveva appena detto.
“Ma di che parli? io vengo con voi!” risposi cercando di celare la mia sofferenza con un sorriso.
“Non ora!” sembrava deciso a lasciarmi indietro.
“Io ci sarò quando quella porta sarà aperta, quando scorgeremo le sale dei nostri padri …”
“Kili, resta qui, riposa. Ci raggiungi quando guarisci”ordinò.
No, non poteva essere vero, mi stavano lasciando indietro. Mi voltai, allontanandomi dalla barca che stava per salpare con mio zio, mio fratello e gli altri miei compagni.
“Io resto con il ragazzo, il mio dovere e restare con i feriti!”
Oin scese dalla barca e mi raggiunse.
“Sei molto pallido ragazzo mio. Senti freddo?” mi chiese.
“No” scossi la testa, gli occhi fissi sulla compagnia in partenza. Vidi Fili che parlava con Thorin, poi anche lui scese voltando le spalle a nostro zio e gli rispose: “il mio posto è con mio fratello”.
Per colpa mia anche Fili rinunciò, la barca iniziò ad allontanarsi, le trombe suonavano e la gente salutava gioiosa.
I rumori iniziarono a farsi confusi e la mia vista cominciò ad offuscarsi, stavo quasi per cadere, ma Fili mi afferrò in tempo.
“Dobbiamo trovare un posto per curarlo” disse Oin.
“Proviamo a tornare da Bard”
Era Bofur, aveva perso la barca e ci aveva raggiunti.
Giungemmo all’abitazione, Bofur bussò e Bard si presentò alla porta.
“No, ho chiuso con i nani. Andate via!” ci disse, poi fece per chiudere la porta.
“No, ti prego. Nessuno ci darà una mano, Kili sta male” implorò Bofur.
Bard riaprì la porta, mi fissò e si arrese facendoci entrare.
Mi fecero stendere su un letto, i dolori aumentavano e di nuovo ebbi la sensazione di avere delle grosse pietre schiacciarmi il petto. Respirare era sempre più difficile e delle forti fitte alla gamba mi strapparono via urla di dolore.
“Non puoi fare proprio niente?” chiese Fili rivolto a Oin.
“Mi servono erbe, qualcosa per fargli calare la febbre”disse Oin.
“Io ho erba morella, matricale …” disse Bard.
“Non mi servono a nulla. Non hai qualche foglia di re?”gli chiese Oin.
“No è un erbaccia, la diamo ai maiali!” affermò Bard.
“Maiali, erbaccia, bene!” disse Bofur, poi si rivolse a me: “Non ti muovere!” e scappò via.
Lo guardai e scossi la testa, dove sarei potuto andare?
Guardai attraverso la finestra e mi accorsi che si stava facendo buio. Da quanto tempo ero su quel letto agonizzante?
In casa erano rimaste le due figlie di Bard, oltre a Fili e Oin che continuavano ad assistermi.
Un urlo ruppe il silenzio, era la figlia maggiore. Tentò di chiudere la porta, ma un orco entrò e la spinse via. Cercai di tirarmi su, mentre Fili si gettò sull’orco. Uno dopo l’altro entrarono sfondando le pareti.
Mi sentii afferrare la gamba e per me era impossibile non gridare, poi un pugnale lo colpì facendogli lasciare la presa su di me. Provai nuovamente ad alzarmi, ma caddi dal letto. Vidi un elfo dai capelli biondi affrontare gli orchi, poi lunghe ciocche di capelli color rame catturarono il mio sguardo. Era Tauriel dall’altro lato della stanza, un orco si stava preparando a colpirla alle spalle. D’istinto mi lanciai su di lui e affondai un coltello nella sua carne e cademmo tutti e due. Sbattei la schiena sul pavimento e per un momento i miei polmoni smisero di funzionare. Iniziai a vedere tutto buio, le voci si allontanavano da me.
“Lo stiamo perdendo”
A quanto pare la mia avventura stava ormai per terminare. Avrei voluto poter dire addio a mia madre e che mi dispiace di non poterle più stare accanto.
Mi sentii afferrare e spostarmi su di un tavolo, la voce mi uscì straziata, ogni parte del mio corpo era invasa dal dolore e mi sentivo soffocare sempre di più. Iniziai a dimenarmi cercando di scacciare via quella sofferenza che mi opprimeva, ma gli altri mi bloccarono. Non capivo, ne sentivo quello che dicevano, ero caduto in una profonda crisi e l’unica cosa di cui potevo rendermi conto era che la morte mi stava prendendo.
Un bruciore improvviso provenne dalla ferita e catturò la mia attenzione. Urlai con le poche forze che mi erano rimaste.
Una voce iniziò a farsi strada nella mia testa suonando sempre più violenta e poco alla volta cominciai ad intravvedere una luce. Non capivo se stavo tornando alla vita o se stavo andando incontro alla morte.
Poi la vidi. Tauriel era lì, in piedi, le mani portate alla mia ferita, la sua voce risuonava, ora più dolce e i suoi occhi erano persi nei miei.
Smisi di dimenarmi e mi fermai a scrutare il suo viso concentrato.
Mi tornò in mente il sogno che feci quando mi addormentai nel barile dopo essere stato ferito. Lei era lì, avvolta dalla luce delle stelle, ma scomparve lasciando calare l’oscurità su di me.
“Tauriel” sussurrai.
Parlare era faticoso in quel momento, ma temevo svanisse di nuovo. Non ero sicuro che quella fosse la realtà, poteva essere un sogno o un’allucinazione. In ogni caso volevo la sua attenzione.
Lei si voltò, mi guardò dolcemente e disse: “Sta fermo!”mi sorrise.
La fissai per un attimo confuso, poi ripresi: “Tu non puoi essere lei. Lei è molt …” mi accorsi che il mio respiro era irregolare, ma presi fiato e ricominciai l’ultima frase: “Lei è molto, molto lontana da me. Lei cammina nella luce delle stelle in un altro mondo. È stato un sogno e basta!”.
Rimase accanto a me con lo sguardo perso nel vuoto, tentai di prenderle la mano e sta volta ci riuscii. Sfiorai la sua mano lentamente, le sue dita si incastrarono delicatamente tra le mie.
Ancora intento a capire se tutto questo era davvero un sogno e senza spostare lo sguardo su di lei, le chiesi:
“Credi che avrebbe potuto amarmi?”.
 

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Capitolo 6
*** Fuoco di Drago e rovina ***


Capitolo 6

<< Fuoco di Drago e rovina >>

Quella domanda rimase in sospeso. Tauriel mi guardò confusa, lasciò la mia mano e fece per parlare, ma un rumore simile a un tuono ci fece trasalire.
Un forte vento soffiò tra le case di legno della Città del Lago , le porte sbattevano e la gente iniziò ad uscire di casa. Fili uscì dalla porta per controllare la situazione, mentre Tauriel restò in mobile, gli occhi fissi nel vuoto e le mani strette a pugno.
“Il drago!” sussurrò con voce tremante.
Il suo sguardo,che prima era fiero e poi confuso, ora era inondato da puro terrore.
Fili rientrò di corsa dicendo: “Dobbiamo allontanarci da qui, sta arrivando il drago!”.
Mi alzai a fatica, il peggio era passato, ma ero ancora molto debole e la testa continuava a girarmi. Oin e Bofur badarono alle due giovani, Fili mi aiutò a camminare e Tauriel iniziò a farci strada.
Usciti dalla casa vedemmo il figlio di Bard correrci incontro, agitato e spaventato.
“Le guardie hanno preso nostro padre, dobbiamo liberarlo” ci disse.
“Dov’è ora?” chiese Fili.
“Immagino sia nelle prigioni!” rispose il ragazzo. “Mi ha ordinato di tenere nascosta la freccia nera!”.
“La freccia nera?” chiesi a fatica.
“L’unica freccia in grado di trafiggere Smaug” precisò Oin, poi indicò un’alta torre su cui era posta una struttura insolita, ma che avevo già visto in passato, probabilmente su qualche libro. “Dobbiamo prendere la freccia e scagliarla con la lancia del vento posta su quell’edificio”.
Il vento soffiò sempre più forte e il drago si avvicinava diventando sempre più visibile.
“Dove si trova la freccia ora?” chiese Bofur.
“L’ho nascosta nella chiatta, seguitemi!” rispose il giovane.
Iniziammo a correre, ma ovviamente per me era impossibile tenere il passo, anche con l’aiuto di Fili.
Mi lasciai cadere a terra.
“Kili?”
Mio fratello fece per aiutarmi, ma la mia risposta fu: “Lasciami qui e aiuta gli altri, me la caverò!”.
Entrambi sapevamo bene che era difficile, quasi impossibile scampare alla tempesta di fuoco che stava per abbattersi su di noi.
Nonostante le mie parole, Fili fece per tirarmi su, ma lo spinsi via.
“Vai!” gli urlai. “Sono solo d’intralcio”.
Mi guardò e con difficoltà mi rispose: “D’accordo, farò come vuoi. Cerca di restare vivo!”.
Gli sorrisi cercando di rassicurarlo, ma lui non riuscì a ricambiare e si allontanò raggiungendo gli altri.
In lontananza vidi Tauriel voltarsi indietro ed esitare, ma fortunatamente tornò sui suoi passi. Sarei sicuramente stato un peso per loro.
 Non potendo far altro, tentai di raggiungere la torre che ospitava la lancia del vento, una volta lì avrei atteso il loro arrivo. Goffamente cercai di attraversare il ponte di legno che precedeva l’alta struttura, poi una raffica di vento mi investì facendomi rotolare a terra. L’enorme drago planò sopra la mia testa e si diresse verso il Municipio, dalle sue fauci sprigionò fiamme che illuminarono le acque scure del lago.
 “Io sono fuoco, io sono morte!” ripeteva il drago con ferocia.
Una sferzata della coda e il tetto del Municipio si sgretolò rovinando al suolo. Una casa dopo l’altra veniva distrutta dalle fiamme, la gente correva cercando di mettersi al riparo, poi mi accorsi che il drago si stava avvicinando ed era pronto a sputare fiamme su di me. Ero incapace di muovermi, ma prima che il fuoco mi raggiungesse venni spinto in acqua violentemente. Non ebbi neanche il tempo di prendere fiato. Qualcuno mi tratteneva sott’acqua, mentre le fiamme si scontravano con la superficie.
Il fuoco continuava a bruciare a circa un metro dalla mia testa, non avevo più ossigeno, ma non c’erano alternative. Rimanere immerso nell’acqua e affogare o riemergere e morire bruciato. Iniziai a dimenarmi, agitato per la mancanza d’aria, quando le mani che mi trattenevano giù mi afferrarono il volto. La luce delle fiamme mi permise di distinguere la figura davanti a me, nonostante le scure e gelide acque. Le sue labbra si attaccarono alle mie trasferendomi l’ossigeno necessario per permettermi di resistere qualche secondo in più. Per l’ennesima volta Tauriel mi salvò la vita.
Il fuoco cessò e il drago volò in un altro punto della città, a quel punto riemersi dall’acqua e con me anche lei. Facemmo lunghi respiri per riempire nuovamente i nostri polmoni d’aria. Le sue mani, che prima mi prendevano il volto, erano scivolate sulle mie spalle, mentre io mi resi conto di essermi aggrappato alle sue vesti. Lasciai subito la presa e lei fece lo stesso abbassando lo sguardo.
“Grazie!” le dissi, la mia voce aveva un cenno di imbarazzo. Tauriel alzò lo sguardo per un attimo e accennò un sorriso.
Il ponte non esisteva più, il drago lasciò dietro di sé distruzione e rovina, ma fortunatamente la torre era ancora in piedi e la lancia non sembrava essersi danneggiata.  
Afferrandoci alle macerie uscimmo dall’acqua, tremanti di freddo.
Fili, Bofur, Oin e i figli di Bard ci raggiunsero.
“State bene?” chiese Fili.
“Congelati, ma vivi” gli risposi, poi mi accorsi che Bard non c’era. “Dov’è Bard?” chiesi.
Tutti si voltarono a guardare la torre.
“Ha preso la freccia nera ed è probabile che ora sia li sopra, pronto a prendere la mira!” rispose Bofur.
“Papà riuscirà a uccidere il drago, non è vero?” chiese la figlia più piccola, stretta alla sorella, aveva gli occhi gonfi di lacrime.
Nessuno ebbe cuore di risponderle, forse perché nessuno sapeva cosa dire. Eravamo tutti col fiato sospeso, ma il suo viso era talmente impaurito che d’istinto le presi la mano e le dissi dolcemente: “Il tuo papà è un bravo arciere, anzi, il migliore in tutta la Terra di Mezzo, vedrai che non fallirà!”e le sorrisi.
Non ero per nulla convinto delle parole che gli dissi, ma l’importante era averla tranquillizzata almeno un po’.
Il vento soffiava forte e Smaug continuava a seminare morte e distruzione. La gente correva, urlava disperata e molte case erano avvolte dalle fiamme. Il drago tornò nella nostra direzione e stavolta mirava alla torre, mi voltai e vidi Bard pronto a colpire. La freccia schizzò via, diretta come un fulmine verso il drago, il quale emanò un grido assordante. Incredibile, la freccia nera era andata a segno.
Il drago volteggiò un’ultima volta per poi cadere rovinosamente su buona parte della città che cedette facendolo affondare nelle scure acque del lago.  
Smaug era vinto.
 
Molta gente si salvò quella notte. Il lago era ora punteggiato da barche che sostenevano gli abitanti di Pontelagolungo e che piangevano la perdita della città, dei beni e delle case.
Fortunatamente riuscimmo a trovare una barca in buone condizioni e ci allontanammo dal punto in cui cadde il drago. 
“Cosa può essere successo in quella montagna?” chiese Bofur con tono preoccupato.
Non volevo pensarci, per quello che ne sapevamo potevano essere già tutti morti.
“Non credo sia successo nulla di buono!” intervenne Bard.
Giungemmo alla spoda opposta del lago, nessuno si sarebbe più avvicinato alle rovine della città sapendo che in quelle acque giaceva Smaug.
La notte era fredda e avvolta dalla nebbia, tentammo di sistemarci con quel che avevamo e a fatica accendemmo un fuoco per scaldarci.
“Meglio se riposi o avrai una ricaduta” mi disse Oin.
“Non riuscirei comunque a dormire. Nostro zio e i nostri amici erano in quella montagna e ora non sappiamo se siano vivi o morti!”.
Chinai la testa infilandomi tra le ginocchia e rimasi immobile, assalito da mille pensieri.
“Se fossero davvero caduti, cosa molto probabile, significa che l’immenso tesoro del Re sotto la Montagna giace ora incustodito. Nel giro di poco tempo potrebbero nascere delle battaglie per la conquista di Erebor!” disse Bard.
“Noi siamo gli unici, dopo Thorin, che hanno il diritto di regnare sotto la montagna” disse Fili rivolgendosi a me.
Alzai la testa e lo fissai.
“Hai ragione, se è vero che nostro zio è caduto andremo a riprenderci Erebor e così onoreremo la sua memoria!”.

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Capitolo 7
*** Amare sotto le stelle ***


Capitolo 7

<< Amare sotto le stelle >>

Erano passati tre giorni dalla caduta di Smaug e la gente del lago si accampò nella riva opposta, lontana dalle macerie della città.
Grazie al lungo riposo che Oin mi impose, riuscii a ristabilirmi  abbastanza in fretta, anche se la gamba era ancora un po’ dolorante.
Nel pomeriggio decisi di muovermi, non ne potevo più di oziare, così presi l’arco che Fili era riuscito a procurarmi e decisi di andare a caccia per ricambiare le gentilezze da parte di Bard e i suoi figli.
Mi avviai verso un bosco non molto distante dall’accampamento, incoccai la prima freccia e attesi pronto a colpire. Intorno a me c’era il silenzio più totale, non si udiva nemmeno il cinguettare degli uccelli. Dopo un ora mi resi conto che non avrei trovato nessun animale, forse la presenza del drago, anche se morto, li disturbava.
Stavo per rassegnarmi quando udii un leggero fruscio tra le foglie, tesi l’arco e mi voltai di scatto, ma trattenni la freccia. All’improvviso mi trovai Tauriel davanti.
“Tauriel, pensavo ci fosse un animale!” le dissi abbassando l’arco e senza guardarla direttamente negli occhi.
Da quando il drago è morto non abbiamo avuto molte occasioni per parlare degli avvenimenti precedenti e in tutta onestà pensavo fosse meglio così. Non volevo crearmi false speranze. Lei era un elfo e io un nano, tra noi non c’era futuro, ma ora che mi aveva raggiunto mi sentivo felice.
“Mi dispiace, non intendevo spaventarti!” rispose lei.
Notai che anche lei impugnava il suo arco.
“Anche tu vai a caccia?” le chiesi.
“Non ho mai amato cacciare gli animali, stavo semplicemente facendo un giro e ho pensato di tirare un po’ con l’arco, mi aiuta a non pensare!” disse lei, come se qualcosa la tormentasse.
“Posso farti compagnia”
Che diamine mi era saltato in mente? Le parole mi uscirono dalla bocca senza neanche sfiorare il cervello.
“Ma se non vuoi mi sposto in un altro punto del bosco!” dissi subito dopo, già mi stavo allontanando.
“Accetto volentieri la tua compagnia!”
Inchiodai e mi voltai verso Tauriel. Lei prese una freccia, la incoccò e tese l’arco fino alla guancia. Scoccò la freccia, che andò a conficcarsi su un piccolo tronco spezzato a circa otto metri di distanza dalla nostra posizione.
“Tocca a te!” mi disse facendomi cenno con la mano.
“S-si!” balbettai.
Focalizzai il mio bersaglio e tesi l’arco. Lasciai andare la freccia, ma questa mancò il tronco di qualche centimetro.
“Accidenti!” esclamai.
Lei rise. “Non male. Se avessi raddrizzato la testa e regolato il respiro l’avresti centrato. Riprova!” mi disse.
“Voi elfi, come fate a non sbagliare mai un colpo?” chiesi.
“Abbiamo una vista molto sviluppata!”rispose mentre si avvicinava.
Tesi di nuovo l’arco e cercai di regolare il respiro, poi le sue dita mi sfiorarono il viso.
“Inclina meno la testa” mi sussurrò.
Un brivido mi percosse e mi tornò in mente l’attimo in cui mi salvò la vita mentre eravamo sottacqua. Sentii il mio viso accaldarsi. Quello poteva essere considerato un bacio?
Tentai di scacciare quel pensiero e mi concentrai sul tronco. Scoccai la freccia e stavolta centrai il bersaglio.
“Centrato, grazie per i consigli!” le dissi.
“Figurati” mi rispose mentre si sedeva su una roccia.
Ci guardammo per qualche secondo e notai in lei un’espressione dolce .
Dove stava scritto che nani ed elfi debbano odiarsi? Dopotutto le eccezioni possono capitare.
Feci per avvicinarmi a lei, mi sentivo attratto come da una calamita, ma un forte suono rapì la nostra attenzione.
Tornammo all’accampamento e vedemmo gli elfi di Bosco Atro che avanzavano. Feci per raggiungere gli altri, poi vidi Tauriel indugiare.
“Cosa c’è?” le chiesi.
“Io ormai non sono più un capitano delle guardie, non sono più una di loro!”
Abbassò lo sguardo.
“Per quale motivo dici questo?” mi addolorava vederla così.
“Ho disubbidito al mio Re, ho trascinato suo figlio in una battaglia perdendone le tracce e tutto questo solo …” si interruppe.
“Solo?” chiesi incitandola a continuare.
“Volevo fermare gli orchi!” rispose brusca e senza guardarmi negli occhi. Qualcosa mi diceva che non era la verità, poi si mosse. “E’ giunta l’ora che io affronti Re Thranduil, su andiamo!” e andò a passo spedito verso l’esercito elfico.
 
Non la vidi per qualche ora. Nel frattempo noi nani, Bard, il Governatore e il Re degli elfi tenemmo una conversazione non molto felice. Thranduil, appena ebbe notizia della caduta del drago, si adoperò immediatamente nel radunare un esercito, ma prima di dirigersi alla montagna deviò per offrire aiuto alla gente del lago.
Avevo sottovalutato il suo buonsenso.
“La ricchezza di Thror è leggendaria, non ci vorrà molto prima che la notizia della caduta del drago vada oltre le Montagne Nebbiose. Un esercito di orchi potrebbe già essere in marcia verso Esgaroth!” disse Thranduil.
“Domani raggiungeremo la montagna, raduneremo tutti gli uomini possibili!” disse Bard.
Fissammo la nostra partenza, l’indomani mattina ci saremo diretti a nord verso la Montagna Solitaria.
Nessuno di noi poteva dirsi soddisfatto di questa alleanza, soprattutto dopo il trattamento che ci era stato riservato nel Reame Boscoso. Tuttavia, se davvero stava per incombere una guerra c’era poco di cui lamentarsi.
In poco tempo si fece sera. Le giornate si accorciavano sempre di più, segno che annunciava l’inverno ormai imminente.
Dopo 2 giorni offuscati dalla nebbia, il cielo si fece ben visibile riempiendosi poco a poco di stelle luminose.
Decisi di allontanarmi dall’accampamento, che era illuminato da vari falò, per andare verso una collina e poter vedere al meglio lo spettacolo che tanto amava Tauriel. Portai con me una spessa coperta nel caso decidessi di passare la notte sotto il cielo stellato e lontano dal baccano di Bofur.
Avevo quasi raggiunto la collina, quando tra i rami degli alberi scorsi una figura seduta sull’erba.
Mi avvicinai lentamente, ma non abbastanza silenzioso perché d’un tratto mi ritrovai una freccia puntata su di me.
“Kili?”
“Tauriel?”
Abbassò l’arco, poi disse: “mi hai spaventata, che ci fai qui?”.
“Volevo osservare bene le stelle!”risposi.
“Ma non la ritenevi una luce fredda e lontana?” rise.
“Si, ma ho cambiato idea!”dissi.
Mi dette una rapida occhiata poi si sedette di nuovo sul punto in cui era prima.
“Ti dispiace se mi siedo anch’io?”
Lei si voltò a guardarmi . “No, affatto!” rispose sorridendomi.
Mi sedetti accanto a lei. Per qualche minuto nessuno parlò,ogni tanto mi voltavo a guardarla e il mio cuore batteva sempre più forte. In un attimo capii cosa mi bloccava.
Non erano i problemi tra le nostre razze a trattenermi, ma il fatto che, per la prima volta mi ero innamorato. Più la guardavo, più capivo l’importanza che lei aveva per me. Non volevo, in nessun modo, farla soffrire.
Ero ancora incantato a guardarla, quando si voltò anche lei. Non sapevo se distogliere lo sguardo o se prendere in mano la situazione, ma alla fine successe qualcosa di inaspettato.
I nostri occhi rimasero incollati l’uno sull’altra e senza aver bisogno di giri di parole capii che lei ricambiava i miei sentimenti, non so come ne perché.
Le presi la mano, quella mano che tentai di afferrare nel mio sogno e che svanì ora stringeva la mia.  Avvicinai il mio volto al suo e in quell’istante potevo sentire il suo respiro. Fu lei ad anticipare il contatto. Le sue labbra premevano sulle mie ed io,abbandonato dalla ragione, non potevo far altro che ricambiare, poi staccò portandosi al mio orecchio.
“Il motivo per qui ho disubbidito a Thranduil eri tu Kili!” mi sussurro.
La guardai confuso e lei proseguì: “catturammo un orco subito dopo la vostra fuga e da lui venni a sapere che la freccia che ti aveva colpito era una freccia Morgul”.
“Ti sei ribellata agli ordini del tuo Re per salvarmi la vita?” le chiesi sorpreso.
Dal suo sguardo intuii subito la risposta.
Con la mano mi accarezzò il volto e da quel momento non capii più nulla.
La strinsi a me, mentre lei mi portava le braccia al collo. L’inverno non mi era mai sembrato tanto caldo.
Ci stendemmo sulla coperta che avevo portato con me e sotto il cielo stellato consumammo il nostro amore.
 

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