Riflettere

di Mikirise
(/viewuser.php?uid=384674)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo questo: Riflettere ***
Capitolo 2: *** Dieci secondi ***
Capitolo 3: *** Tic, bum, tac ***



Capitolo 1
*** Solo questo: Riflettere ***


Il compito di riflettere



1. Gli specchi non parlano



Lo specchio era sempre stato in quel posto.


Magari non sapeva in che paese si trovava, in quale lingua le persone parlassero, non conosceva le città più belle o le capitali del mondo, ma conosceva a memoria la stanza dove si trovava. Non la casa. Solo quella stanza, perché era stato portato lì così tanto tempo prima, che ricordare il suo arrivo sarebbe stato come cercare di ricordare i giorni più remoti della nostra infanzia. Nessuno ricorda i primi anni della propria vita; così nemmeno lo specchio li ricordava, ma non faceva tanto caso a questo.


Lui era uno specchio.


Guardava il mondo e lo rifletteva, solo questo.


Da quanto tempo stava lì, in quell'abitazione, fermo immobile osservando le persone che entravano ed uscivano, vivevano e morivano, amavano ed odiavano?


Da quanto tempo?

La risposta era una sola.

Lui era lì da sempre.

Aveva visto il vecchio proprietario, un uomo dalla lunga barba grigia, andarsene serenamente da questo mondo e lasciare la sua casa ad un ragazzo castano, pieno di vita e di energia. Aveva visto il ragazzo crescere ed avere un figlio.

Aveva visto il figlio crescere, sposarsi ed avere due figli.

Ed adesso stava vedendo quei due figli crescere, in una vita tranquilla, con due caratteri, e quindi comportamenti, opposti.

Lo specchio conosceva a memoria ogni loro singolo gesto ed espressione. Sapeva le loro abitudini e li osservava, in silenzio, pensando tra sé e sé che forse, se avesse potuto parlare, avrebbe dato loro consigli e avrebbe raccontato loro tante cose sul padre, sul nonno, sul bisnonno.

Lo specchio sapeva che ogni mattina, Romano, il maggiore dei due fratelli, entrava in quella stanza, si fermava davanti a lui e si osservava.

Cambiava la sua espressione, osservava da vicino i suoi occhi e li apriva, aiutato dall'indice ed il medio della sua mano, si sistemava i capelli e sospirava.

Lo specchio non sapeva il perché dei gesti di quel ragazzo, ma sapeva che i suoi movimenti, come le sue espressioni, gli ispiravano tenerezza.

Ogni tanto Romano cercava di sorridere. Lo guardava raccontarsi da solo barzellette e ridere in maniera forzata.

Nessuno dei suoi sorrisi era naturale, nessuno era spontaneo e sincero, sembrava non essere mai stato capace di sorridere; quindi lui sospirava, si gettava acqua sul viso ed usciva dalla stanza, di pessimo umore.

"Fratellone, facciamo tardi!" gridava sempre alla stessa ora Feliciano, il più piccolo.

Allora lo specchio, l'ultima cosa che riusciva a sentire, prima di rimanere nella casa vuota, era il portone chiudersi e la voce di Feliciano allontanarsi.

Se lo specchio potesse parlare, racconterebbe a Romano delle storie su suo padre, Vincenzo, come quando si era messo in testa di fare lo skaterboy e tornava a casa pieno di lividi e ferite. Era buffo, con la sua faccetta paffuta e i ricci ribelli che cadevano sul suo viso arrossato e pieno di sudore.

Gli racconterebbe di quando suo nonno, Cesare, aveva fatto una scommessa con uno dei suoi migliori amici e aveva dovuto chiedere a sua nonna di uscire con i soli boxer addosso.

Gli racconterebbe di quando suo fratello Feliciano si era colpito con lo spazzolino mentre si lavava i denti e pensava di essere rimasto cieco.

Gliene racconterebbe di storie; ne ha così tante.

Perché? Perché lui vuole vederlo questo sorriso di Romano. Pensa che debba essere bello, per forza.

Ma gli specchi non parlano.

Gli specchi devono solo guardare il mondo e rifletterlo.



2. Gli specchi non devono sperare.


Lo specchio era in quella stanza da sempre.

Sapeva che Vincenzo e sua moglie se ne andavano di casa presto, la mattina, perché lavoravano lontano e non volevano arrivare in ritardo, sapeva che i fratelli se ne andavano di casa più o meno dieci minuti prima che suonasse la campanella -non sapeva di cosa parlassero Romano e Feliciano dicendo Campanella, ma sapeva che la nominavano spesso, mentre chiudevano il portone, la mattina-, sapeva anche che i due ragazzi non sapevano utilizzare neanche una scopa e che casa la puliva un'estranea.

Lo specchio conosceva anche l'estranea.

Arrivava tutti i martedì e i venerdì, trafelata, a volte coperta dalla testa ai piedi, a volte con appena un vestitino addosso.

Lo specchio non capiva perché. In fondo lui non sentiva né il caldo, né il freddo.

Agiva come un fantasma nella casa: quando uscivano i più piccoli, lei entrava, rifaceva loro il letto, spazzava, lavava i piatti, faceva il bucato, lo stendeva e stirava.

Si chiamava Angelica, era una donna dai bellissimi occhi verdi e la pelle abbronzata.

Lo specchio sapeva che i fratelli e Angelica si erano incontrati, più di una volta, quando saltavano scuola e quando erano in vacanza.

Sapeva anche che una volta, molto tempo fa, Angelica aveva portato suo figlio dentro quella casa.

Era stata una volta, forse molto lontana, forse molto vicina, chissà; gli specchi, non hanno il senso del tempo.

Romano e Feliciano lo avevano conosciuto, ma molto presto l'immagine di quel bambino dagli occhi verdi e i riccioli castani, divenne per loro un ricordo lontano, sepolto da qualche parte, insieme ai ricordi inutili, quelli che non ci servono tutti i giorni, quelli che non sono interessanti a nostro parere.

Nella memoria dello specchio, invece, Antonio, il figlio di Angelica, era rimasto nitido e reale, nella sua forma da bambino di quando era andato al lavoro della mamma, tanto tempo prima; questo probabilmente perché gli specchi non hanno senso dell'utile.

E quando, dopo tanti anni, quel ragazzo tornò in quella casa, lo specchio notò quanto gli esseri umani cambino in così poco tempo, almeno fisicamente.

All'inizio, non capì perché si trovava in quella casa, ma non vedendo Angelica, pensò che forse la donna non poteva venire a lavoro e che Antonio avesse preso temporaneamente il suo posto.

Lo specchio, ogni martedì e venerdì, guardava il ragazzo lavorare, umilmente e forse anche felicemente. Non era raro che Antonio prendesse una scopa e agitandola tra le mani, con le cuffie nelle orecchie, intonasse una canzone triste o felice e saltasse di qua e di là, gesticolando verso gli specchi, per rendere la sua interpretazione più emozionale ed espressiva. Quando poi terminava la canzone rideva di se stesso e, rimettendosi i guanti, ricominciava a pulire, per poi correre via, quando aveva finito.

Lo specchio, rifletteva l'immagine di quel ragazzo e quando sorrideva, ripensava a Romano.

Antonio aveva l'abilità che quel ragazzo tanto anelava.

Sorrideva per tutto quello che lo circondava, un po' come Feliciano, solo che aveva come uno sguardo più maturo del minore dei fratelli, come se avesse già visto tante cose del mondo, sia belle che brutte.

Come la madre, anche Antonio frequentava quella casa come se fosse un fantasma; entrava, usciva e nessuno lo vedeva.

Lui se ne andava prima che Romano e Feliciano tornassero, e loro se ne andavano prima che lui arrivasse. Era un balletto il loro, un balletto fatto per non incontrarsi mai, per non far toccare i loro due mondi, quando forse, entrambi i mondi non vedevano l'ora di entrare uno nell'orbita dell'altro.

Ma la Terra ha mai cambiato la sua orbita? La Luna è mai andata a sbattere contro la Terra? La Terra, per quanto sia attratta dal Sole, si è mai lasciata vincere dalla gravità, creando una collisione?

Così erano Antonio e Romano; non s'incontravano.

Lo specchio si riscopriva molte volte a desiderare di rimanere sporco, cosicché Antonio ci mettesse più tempo a pulirlo e Romano potesse finalmente incontrare quello che, secondo lui, era il Guardiano dei Sorrisi. Molte volte avrebbe voluto chiedere ad Antonio di fermarsi un attimo in più in quella casa, giusto il tempo di dire a Romano come si sorride così come lui faceva.

Ma gli specchi non parlano e non devono sperare.

Gli specchi devono solo guardare il mondo e rifletterlo.



3. Gli specchi non devono farsi domande


Gli specchi, di solito, non pensano. Se ne stanno lì, fermi, immobili, ad annoiarsi. In fondo, cosa potrebbero fare?

Niente.

Non hanno braccia, gambe, mani, non hanno neanche un cervello.

Nonostante questo, lo specchio sapeva quando qualcosa andava bene e quando qualcosa andava male. Non perché sapesse che ci fossero conseguenze, ma riusciva a comprendere le espressioni delle persone che vedeva tutti i giorni da anni, nella sua vita.

Sapeva che Vincenzo, tutte le mattine, si lavava i denti, poi afferrava la moglie dalla vita e le dava un dolcissimo bacio che sapeva di dentifricio. E sapeva che questo era bene, perché Rosa sorrideva, rossa anche dopo tanti anni di amore e convivenza.

Sapeva che Feliciano, tutte le mattine, prima che Romano si vegliasse, sbirciava dalla finestra della stanza dove lo specchio si trovava e sorrideva radiante. E questo doveva essere buono, perché quando si sorride, si sorride per qualcosa di buono, non per qualcosa che fa stare male.

Lo specchio guardava quindi la scena che si trovava di fronte e non capiva se quello che vedeva era buono o cattivo.

La ragazza dai capelli biondi, tappava la bocca a Romano, ridendo. "Zitto" diceva mentre il ragazzo si dimenava "Zitto" disse, questa volta con solo un sorriso sulle labbra.

"Si può sapere che hai?"

"Voglio stare con te" disse la ragazza con uno strano accento "Senza Feli" aggiunse poi vedendo che Romano aveva aperto bocca per ribattere.

Lo specchio pensò che Romano fosse confuso, visto che aveva aggrottato le sopracciglia ed assottigliato lo sguardo. Alice, la ragazza, sorrise teneramente scuotendo la testa, davanti alla sua ingenuità. "Non lo hai capito vero?" chiese dolcemente, mentre si alzava sulle punte dei piedi, finché i loro occhi s'incontrarono a pochissimi centimetri di distanza "Non lo hai davvero ancora capito?" chiese di nuovo, vedendo la perplessità negli occhi di Romano.

"Ho qualcosa in faccia?"

"Stupido" sussurrò lei, lanciandosi sulle labbra del ragazzo.

Fu un bacio rapido, ma lo specchio non vide la stessa pace che si creava quando Rosa e Vincenzo si baciavano e nemmeno quella felicità negli occhi di Feliciano quando guardava fuori dalla finestra. Era strano.

Forse la ragazza non se n'era accorta, ma lo specchio poteva vedere nel viso di Romano confusione, sorpresa, frustrazione anche e tanta tristezza.

Alice non se ne rese nemmeno conto. Sorrise e scappò via.

Lui invece rimase lì, fermo, sfiorandosi le labbra, con gli occhi pieni di lacrime e l'espressione più triste che lo specchio gli aveva visto.

Sospirò, avvicinandosi allo specchio e prendendo la sua testa tra le mani.

"Cazzo" sussurrò con un tono di voce che non era udibile a nessuno, forse neanche a se stesso. I suoi occhi saltavano da una parte della stanza ad un'altra, elaborando ipotesi, parole ed anche soluzioni a quello che era appena successo. Prese una decisione, perché i suoi occhi si puntarono sullo specchio, in realtà semplicemente sul suo riflesso. Sospirò. Si sciacquò il viso, scosse la testa ed uscì dalla stanza gridando "Alice!" con un tono falsamente felice.

Lo specchio non sapeva cos'era buono e cos'era cattivo. Gli specchi non hanno una coscienza e non sanno che ogni decisione presa porta ad una conseguenza, non sanno nemmeno che se gettati a terra si spaccano in mille pezzettini e dividono il loro corpo in altrettanti riflessi, tutti diversi.

Semplicemente non lo sanno.

Se lo specchio avesse potuto parlare avrebbe chiesto a Romano perché non sembrava essere felice. Quando Vincenzo e Rosa si svegliavano e si baciavano di prima mattina, erano contenti, sorridevano raggianti ed illuminavano la loro stanza.

Quello tra Alice e Romano non era stato un bacio?

Allora perché lo specchio non aveva visto finalmente un sorriso sincero sulle labbra del ragazzo?

Vuol dire che quel bacio non era buono? Che faceva stare male?

Che era cattivo?

O voleva dire che Romano non sapeva sorridere, per davvero?

Ma gli specchi non si devono fare domande.

Il loro compito è solo guardare il mondo e rifletterlo.


4. Gli specchi non devono dubitare del destino


Lo specchio ne sapeva di cose; ne aveva viste tante nella sua non-vita.

Era lì da quattro generazioni, immobile controllava le azioni degli uomini e delle donne che avevano vissuto o vivevano in quella casa.

Sapeva che alcune cose erano destino, succedevano perché dovevano succedere, perché così era la vita.

Come la morte. La morte, per gli esseri umani, è destino ed è qualcosa che fa soffrire le persone, giusto?

Ma anche come l'amore. L'amore, quello vero, era destino, secondo gli esseri umani, e questo non portava dolore, portava gioia.

C'erano cose che invece non erano destino: non era destino che Cesare tornasse a casa dopo la Guerra, non era destino che Rosa avesse più altri figli, non era destino che Vincenzo diventasse uno skaterboy.

E sembrava che non fosse destino che Romano e il sorriso si trovassero, neanche per caso.

Le rotte del ragazzo e di Antonio correvano parallele in un foglio di carta scarabocchiato dalle loro vite personali, che li portavano a camminare l'uno accanto all'altro, ma girati di spalle, in modo da non potersi vedere in faccia.

Antonio la mattina, finiva in fretta il lavoro e correva per le strade nello stesso momento in cui Romano camminava lentamente per tornare a casa con lo zaino in spalla.

La prima volta che s'incontrarono, non si notarono, non si videro e quindi non si parlarono. Lo specchio li aveva visti, attraverso le tende non ben chiuse della stanza, aveva visto Antonio correre via con un libro in mano e Romano sbuffare lamentandosi del peso del suo zaino e dei compiti da fare per il giorno dopo.

Non si sono neanche sfiorati, come due treni in due diversi binari.

La seconda volta che si sono incontrati è stato per caso. Romano, appoggiato allo stipite della porta aspettava Feliciano che diceva di avere un'enorme sorpresa per lui, Antonio per una volta non correva, ma leggeva un altro libro, con le sopracciglia aggrottate e il viso di chi non ci stava capendo tanto.

Neanche quella volta si videro.

La terza volta, Romano arrivò a casa prima che Antonio corresse via, ma mentre il ragazzo frugava in cucina alla ricerca di un po' di merendine da sgranocchiare prima dell'arrivo di Feliciano, Antonio, senza neanche rendersi conto della sua presenza, si stava infilando la giacca e con la busta della spazzatura in mano, e se n'era andato.

Della presenza di Antonio, quella volta, Romano sentì solo il portone chiudersi, mentre addentava una merendina e pensava che il rumore fosse dovuto al vento.

La quarta volta che s'incontrarono fu il contrario. Feliciano e Romano si erano rinchiusi in camera, preparandosi per andare a scuola ed Antonio era andato in cucina a preparare l'aspirapolvere e gli stracci per pulire casa e quando i due fratelli chiusero il portone sbattendolo, lo spagnolo aggrottò le sopracciglia, grattandosi con l'indice la guancia destra e dandosi del tonto perché non aveva chiuso bene il portone.

Sembrava che il loro incontro non fosse destino, o almeno così iniziava a pensare lo specchio.

Il loro quinto incontro invece fu diverso.

Feliciano era uscito prima di casa, dicendo che doveva incontrare una persona, che doveva fare in fretta e che quel giorno non sarebbero andati a scuola insieme, e Romano aveva perso il senso del tempo a letto, rimanendo addormentato. Quando si rese conto di essere in un terribile ritardo, si cambiò in fretta, prese un paio di biscotti ed uscì sempre in fretta di casa.

Antonio invece, stava arrivando con molta calma, ripetendo un discorso in un'altra lingua, che però non era lo spagnolo, lo specchio lo sapeva perché i due fratelli avevano studiato spagnolo e quella lingua non era minimamente familiare alla lingua ispanica.

Romano corse fuori dalla casa, con tre biscotti infilati in bocca e lo zaino mezzo aperto.

Antonio camminava tranquillo, con le mani nelle tasche e senza guardare dove stava andando.

Neanche Romano faceva attenzione a dove andava, correva semplicemente, lasciandosi trasportare dalle abitudini.

E si scontrarono, come due treni su un solo binario che viaggiano in senso contrario.

Romano andò a sbattere contro Antonio ed Antonio contro Romano.

Il ragazzo sbuffò ed ingoiando altri due biscotti continuò a correre verso la scuola, mentre lo spagnolo prima biascicava un po' di scuse e poi iniziava a ridere al ricordare il viso infuriato del più piccolo.

Tuttavia, nonostante quel giorno si fossero finalmente guardati negli occhi ed incontrati, sembrò che il loro incontro fosse già stato gettato nel dimenticatoio, quando Alice aveva baciato Romano, e lui invece di continuare a lamentarsi di quello strano ragazzo che aveva riso di lui, pensò alla ragazza ed al bacio, visto che non sapeva più come comportarsi con lei.

Sembrava non essere davvero destino che loro due s'incontrassero e nemmeno che Romano potesse finalmente sorridere, visto che neanche quel bacio era riuscito a far nascere un sorriso sincero sulle labbra del ragazzo.

Poi, arrivò quel giorno.

Romano davanti al portone di casa, sbuffava, avendo dato le chiavi al fratellino, dimenticando che sarebbe uscito da scuola prima di lui.

Antonio, con le cuffie nelle orecchie, controllava di non aver dimenticato di fare niente, girando con lo sguardo da ebete per la casa con uno straccio in mano. All'assicurarsi che niente fosse fuori posto, sorrise contento e iniziò a prepararsi per andare all'odiata università. S'infilò con calma la giacca e prese le chiavi della grande casa.

Aprì lentamente la porta ed incontrò un ragazzo accucciato davanti al portone, che lo guardava con sorpresa.

S'incontrarono come due binari nello stesso binario, che però questa volta si fermano, si guardano in faccia e si dicono E adesso? Cosa facciamo? Perché sei qui, nel mio stesso binario?

Quello fu il loro primo vero incontro e dopo quel giorno, lo specchio non dubitò più del destino e dei suoi stranissimi modi di giocare.

Anche se uno specchio non dovrebbe mai dubitare del destino.

Uno specchio deve solo guardare il mondo e rifletterlo.


5. Gli specchi non devono sapere


Lo specchio non si poteva muovere.

Lo sanno tutti: gli specchi non hanno le gambe, non possono fare quello che vogliono quando vogliono, perché non hanno un corpo come quello degli esseri umani.

Per questo lo specchio non aveva visto niente che non fosse la Stanza Blu e le persone che tutti i giorni entravano ed uscivano da questa.

Poteva tuttavia, nonostante non avesse le orecchie, ascoltare le voci che rimbombavano per casa e che facevano parte di una vita che lui aveva il dovere di riflettere.

Lo specchio, in poche parole, era immobile, incapace di muoversi per una condizione prettamente fisica, perché anche se avesse voluto andarsene dalla Stanza Blu, non lo avrebbe potuto fare.

Feliciano, al contrario, era libero. Si muoveva e viveva intorno ed insieme a tante persone, che invitava, alle quali sorrideva e con le quali faceva progetti per un giorno andarsene via dalla casa paterna e vedere quel mondo che sembrava rivendicare la proprietà del piccolo castano.

Sembrava un piccolo lupo, Feli, che all'inizio ha bisogno della madre e del padre per crescere e vivere ma che ad un certo punto, natura vuole che se ne vada, in cerca di nuovi territori da esplorare e dominare. L'unica differenza col lupo era che questi vengono cacciati dalla tana materna, mentre Feliciano voleva andarsene di sua spontanea volontà.

Un piccolo uccellino che non ha bisogno di essere spinto giù dal nido, perché è lui che si sporge, cade e vola.

Voleva viaggiare, mettersi alla prova e attraverso le sue tante virtù, riuscire a farsi un nome, da solo.

Feliciano non aveva paura delle persone, anzi. Sembrava che lui fosse stato fatto per avere tante persone intorno.

Ed ecco che si spiegava Kiku che educatamente sorrideva, Elizaveta che maternamente gli carezzava la testa, Vash che non lo uccideva, Herakles che dormiva sul suo letto e tante altre persone che lo venivano a trovare, a tutte le ore del giorno, della notte e probabilmente anche mentre lui se ne stava in piedi a pensare a niente in mezzo alla strada.

Romano era, invece, terrorizzato dalle persone, tanto che l'unico che sembrava voler essere suo amico era Matthew, un ragazzo calmo, semplice e per niente appariscente. Un ottimo amico per lui, per carità, chi avrebbe mai potuto anche solo lontanamente sopportare Romano che sbuffava continuamente e borbottava insulti senza senso?

Forse solo lui.

Come era vero che nessuno tranne il castano sembrava riuscire a vedere il poco appariscente biondo, che sembrava essere coperto dal mantello dell'invisibilità di Harry Potter.

Lui e Romano si conoscevano da pochi anni, ma sembravano convivere da sempre, tanto si parlavano e per la loro strana simbiosi.

Lo specchio non sapeva se considerare Matthew effettivamente una persona normale per due ragioni molto semplici.

La prima era che aveva deciso di stare accanto a Romano nonostante tutto, la seconda era che Romano lo avesse accettato quasi senza problemi accanto a sé ed, anzi, gli faceva piacere stare accanto a lui.

A Romano le persone non piacevano.

Gli piacevano le ragazze, amava flirtare e giocarci, ma quando quelle ragazze diventavano più che semplici bei volti, o bei corpi, allora si spaventava e si allontanava da chiunque il più in fretta possibile.

Scappa prima di affezionarti, sembrava essere il suo motto e lo aveva sempre seguito, se non per due persone che considerava i suoi due migliori amici, gli unici che avrebbe sopportato e che lo avrebbero sopportato.

Uno, ovviamente, era Matthew. L'altra persona era Alice.

E adesso, Alice aveva deciso che Romano non era solo suo amico, ma che era di più.

Cosa fare?

Ormai era troppo tardi per scappare, poteva farlo anni prima, adesso no. Non poteva ferire Ali, cioè non voleva.

Era facile scaricare quelle ragazze senza carattere né anima, ma Alice la conosceva da quando erano piccoli, da quando lei faceva torte di fango e se le spalmavano in faccia.

Che fare?

"Non puoi" la voce di Feliciano rimbombava per tutta casa, preoccupata. "Non puoi farlo! Devi chiarire, dire che non ti piace in quel senso. Non devi farlo!"

"E dopo? Ci hai pensato al dopo, brutto deficiente? Dopo cosa succederà? Quanto la ferirò? Quanto soffrirà?"

"Soffrirà per la verità! Non per una bugia che hai deciso egoisticamente di raccontarle!"

"Egoisticamente eh" rise amaro Romano, mentre si sentivano suoni da chissà dove."Questo, tutto mi sembra tranne egoista. " lo specchio avrebbe voluto vedere la scena in quel momento, muoversi dalla Stanza Blu e guardare i due fratelli parlare, uno di fronte all'altro probabilmente, mentre una delle rare espressioni preoccupate di Feliciano veniva mostrata al fratello maggiore, che doveva star per forza ignorando tutto quello che stava succedendo intorno a lui in quel momento, tanto era preso dalla sua situazione con Alice. " Prima o poi, si stancherà di me, no?" chiese con la voce stranamente rotta.

"No" lo specchio sentì una sedia strusciare per terra "stai sbagliando fratello. Sbagli. E io questa volta non sto dalla tua parte."

"Come se lo fossi mai stato" gridò Romano sbattendo una porta.

Poi niente.

Solo silenzio.

Solo vuoto.

Fino al giorno dell'Incontro.

Gli specchi non si muovono. Non hanno questa fortuna. Conoscono a memoria una stanza, una sola, quella che vedono una volta entrati nella loro casa. Possono fare tante fini gli specchi, ma finché sono intatti e quindi in un certo senso vivi, possono andare avanti solo in un modo. Riflettendo.

Perché questo è il loro compito.

Solo questo.

Anche se, se avesse potuto parlare con Romano gli avrebbe detto che non doveva stare accanto ad una persona se quella non lo avrebbe fatto finalmente sorridere come avrebbe voluto.

Romano non provò più a sorridere nella Stanza Blu, davanti allo specchio.

Almeno non fino al giorno dell'Incontro, quando qualcosa lo aveva di nuovo spinto a voler essere felice.

Lo specchio non sapeva cosa, ma non importava.

Gli specchi non devono sapere, devono solo guardare il mondo e rifletterlo.



6. Gli specchi non devono credere


Gli specchi non credono in Dio.

Perché mai dovrebbero farlo? Uno specchio non è creato, è fatto, modellato e non è Dio a farlo, è un uomo in carne ed ossa o una macchina o qualunque altra cosa, non sapeva come si facevano gli specchi. Fatto sta che qualsiasi persona o cosa che lo avesse modellato, non era un essere divino, non era un Dio che creava; il suo disegno, la sua forma, il suo compito tutto quello che delimitava cosa fosse uno specchio, era stato progettato da un essere umano e, lo sanno tutti, gli esseri umani sono tutto, tranne Dio.

Lo specchio li guardava gli umani e sicuramente non li trovava divini, perché se lo fossero stati tante cose non sarebbero successe e tanti sbagli non sarebbero stati commessi.

Guardiamo lo stesso Feliciano.

Se Feliciano fosse Dio, non cadrebbe mai nell'errore e mai farebbe qualcosa di sbagliato. Invece sbagliava continuamente iniziando da alcuni compiti in classe per finire nella vita reale dove non aveva neanche il coraggio di aprire completamente quella finestra e gridare mentre sventolava le braccia, il nome di quella persona che spiava.

O Romano che aveva una paura matta di rimanere da solo e teneva legata a sé Alice fingendo di amarla, quando se le avesse detto tutto subito dopo quel bacio, avrebbe avuto più rispetto per lei, ma sopratutto per se stesso.

Questo era poco divino.

Per questo motivo lo specchio non ha mai creduto in Dio.

Antonio invece ci credeva fermamente.

Lo specchio lo guardava mentre girava per casa, col suo crocifisso appeso al collo e il suo enorme sorriso.

Lui ci credeva sul serio a questo Dio, come sua madre prima di lui.

Lo aveva capito la prima volta che era entrato in quella casa, quando curiosamente era stato attratto dalla vecchia stanza di Cesare, dove c'era un crocifisso ed aveva velocemente abbassato la testa e fatto il segno della croce.

Nonostante questo, la fede di Antonio sembrava essere diversa dalle altre.

Per esempio, anche Romano credeva fermamente in Dio, Feliciano un po' meno, e se ne andava in Chiesa tutte le domeniche, ricordava tutte le lezioni delle catechesi, le preghiere e le formule da dire durante la Messa, anche in latino, e questo perché il latino gli era rimasto in testa dalla prima lezione del ginnasio. Romano aveva una visione della fede molto tradizionalista e puniva se stesso per ogni cosa sbagliata che faceva, perché vedeva il suo Dio come un Dio che punisce, che ti manda all'Inferno se non ti penti. Una volta era arrivato a non mangiare per due giorni interi, un po' per un digiuno religioso, un po' perché la madre aveva comprato solo würstel e patate, cibo a lui estremamente odioso.

Antonio invece credeva in tutt'altro tipo di Dio.

Lo specchio lo sapeva perché ogni tanto Antonio parlava da solo girando per casa, discutendo con se stesso di vari argomenti, iniziando dall'università a decidere cosa cucinare per cena.

Antonio, però, credeva in un Dio buono, un Dio che ha creato gli uomini e li ama con tutto se stesso e forse anche di più, visto che è un essere perfetto.

Dio ha creato gli uomini, li ama ed anche se noi pecchiamo continua ad amarci ed a sperare che anche noi amiamo lui.

Antonio molte volte alzava lo sguardo verso il tetto e diceva "Io ti amo eh, Padre". Era un qualcosa di strano da vedere. Soprattutto sapendo che Angelica non stava bene.

La mamma di Antonio si era ammalata e per questo motivo lui aveva preso il suo posto ed aveva trovato un lavoro notturno come cameriere in un pub.

Lo specchio non sapeva quale malattia Angelica avesse, ma sapeva che si sarebbe ripresa ed allo stesso tempo sapeva che non sarebbe più tornata dentro quella casa.

Intorno agli occhi di Antonio si potevano notare due ombre violacee che venivano un po' coperte dalla carnagione perennemente abbronzata della sua pelle e che non toglievano quella vitalità dall'espressione felice del ragazzo.

Lui sembrava tuttavia felice della sua vita.

Lavorare, studiare e di nuovo lavorare, senza trovare un momento per riposarsi, per stare con la mamma, per vivere la sua gioventù, non era salutare, gli diceva sempre Angelica al telefono.

"Mami, la vida no sólo es eso"

Ma è anche questo.

"Mami…"

Sai cosa vorrei io? gli diceva la mamma, Voglio che tu incontri una brava persona, che ti prenda per mano, che ti cucini o che ti porti fuori a mangiare, una persona che ti faccia ridere e ti ricordi chi sei, che si appoggi a te e sulla quale ti potrai appoggiare. Lo capisci? Capisci quello che ti voglio dire? Voglio che tu incontri una persona da amare e che ti ami. Voglio che tu incontri l'amore.

"Mmm"

Ecco perché prego tutti i giorni.

"Si, mamá, tengo que irme ahora pero"

Spero tu apra gli occhi.

"Sono felice così, non ho tempo per queste cose"

Al Destino piace giocare. Quel giorno s'incontrarono lui e Romano.

Dal giorno dell'Incontro, ad Antonio non importò nulla del tempo, del lavoro, dallo studio.

Da quel giorno in poi qualcosa cambiò dentro di lui ed il suo sorriso divenne più grande del solito.

Dio.

Le preghiere di Angelica erano quindi state ascoltate?

Lo specchio non se lo chiese, mentre Antonio apriva la porta ed esclamava "Oh".

Perché non era suo compito credere, il suo compito era guardare il mondo e rifletterlo.





Note dell'autore


Non so per quale motivo ma è un'idea che mi gira per la testa da troppo tempo.
L'idea dello specchio che riflette. Che poi riflettere ha un doppio significato, giusto?
E le idee rendono di più quando sono condivise.

Avevo pensato a 2 capitoli, forse 3. All'inizio doveva essere solo uno, ma mi sono resa conto che sarebbe diventato qualcosa di troppo lungo, e io già mi perdo dopo le 2000 parole…
Quindi dovrebbe essere un Pre-Incontro il Post-incontro e forse un epilogo con un punto di vista generale, oppure di un personaggio a caso che sceglierò.

Essendo questa una mini-mini senza troppe pretese, anzi, direi che è un qualcosa che ho scritto più per sfizio che per altro, seguirò i tempi della primavera pigra che ultimamente mi ritrovo: aggiornerò casualmente, in pratica, e so che è veramente antipatica come cosa… chiedo scusa…
Penso si veda infatti dalla struttura anche solo di questo capitolo che la scrittura è stata discontinua e penso continuerò a scrivere il continuo in maniera lenta e discontinua…

Va bene, ora di un abbraccione spirituale?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Dieci secondi ***


Il compito di riflettere

Dieci secondi




...sette, otto, nove, dieci...



Uno.

Il suo nome è Italo e vive in quella casa da... -due, il tempo scorre veloce- almeno due secondi. In realtà sono due anni, ma un pesce rosso non sa contare, non riesce a ricordare proprio tutto... tre.

Italo riconosce perfettamente quei due ragazzini dai capelli castani che gli danno da mangiare, anche se il maggiore sbuffa sempre e cerca di ricordare -ricordare, ricordare, ricordare... quattro, non ha tempo di ricordare- a suo fratello minore che sicuramente Italo non riconosce i loro occhi, o le loro parole, dopo dieci secondi. Per questo è inutile che Feliciano gli racconti le sue giornate, tutte le notti, prima di andare a dormire, quando spengono le luci del salotto e se ne vanno, in quella camera laggiù.

Comunque, Feliciano, con un sorriso dolce ed un po' malinconico, racconta lo stesso tutte le sue giornate ad Italo convincendo anche Romano a fare la stessa cosa.

Cinque.

Feliciano inizia a raccontare dicendo "Oggi è successo..."

Romano inzia a parlare dicendo "Mi chiamo Romano". Italo lo trova narcisista, ma anche divertente. Sei.

Sette, otto.

Ultimamente Romano è triste. Italo non sa perché. Sta sospirando, mentre, con le gambe incrociate, seduto sul divano, sbriciola un plumcake, sovrappensiero. Sembra molto triste, non che prima Romano sembrasse sempre così felice. Mica era Feliciano. O Antonio... chi era Antonio? Come? Cosa?

Chissà chi gli racconterà qualcosa questa sera.

Feliciano o Romano?

Nove.

È uguale. In fondo quei due sono la stessa persona, no?
Non sono la stessa persona? Oh, che importa. Italo è solo un pesce rosso, mica un cane, mica li deve ricordare -ricordare, ricordare, ricordare-. Italo sta lì, in salotto, guarda quello che succede ma... ma non può ricordare tutto... no, la sua memoria dura solo dieci secondi... però rimane un testimone, a volte l'unico testimone di quello che succede in salotto, e se solo riuscisse a ricordare -ricordare, ricordare, ricordare-, avrebbe potuto dire certe cose...

Quali cose? Cosa? Salotto? Casa? Romano?

Cosa...?

Dieci.


Il suo nome è Italo.





●●●




Uno.

Il suo nome è Italo ed è stato portato la prima volta in quella casa dopo una fiera d'estate. Forse era la fiera della ciambella. O forse del cioccolato. No! Aspetta! Era la sagra della fettuccina! Si, ecco. Doveva essere quella. Vincenzo lo aveva vinto in uno di quei giochetti che sono fatti apposta per perdere.

Infatti Vincenzo aveva perso, ma aveva fatto così tanta tenerezza al signore dietro il bancone, che lo guardava abbracciare sua moglie mentre il figlio maggiore lo canzonava per la pessima mira, che regalò Italo alla famiglia Vargas, dopo venticinque tentativi a vuoto del padre, pagati, ognuno, un euro.

Italo era costato venticinque euro, più le spese per l'acquario ed il mangime.

Due.

Italo da due anni non batte mai le palpebre -i pesci non battono le palpebre!- e Romano dice che è qualcosa d'inquietante, perché, secondo lui, tutte le volte che gira in mutande per casa, qualcuno lo guarda con interesse. In realtà, ad Italo, non importa niente di Romano a torso nudo, quanto del fatto che il ragazzo si dimentica di dargli il mangime i giorni in cui tocca a lui farlo. E Italo muore di fame.

Tre.

Italo è una femmina, o almeno così crede. Però, per tutta la famiglia Vargas è un comunissimo pesce rosso, che più che rosso sembra arancione, maschio e completamente inutile.

Quattro.

"Dovremmo comprare un altro pesce rosso, o qualsiasi altro tipo di pesce, così gli fa compagnia, non pensi, Roma?" chiede pensieroso Feliciano, mentre osserva Italo, accanto alla finestra.

Cinque, sei.

"Perché?" risponde distratto Romano, alla perenne ricerca del suo cellulare, che scompare ad intervalli regolari.

Sette, otto.

"Magari s'innamora e non sarà più triste. Lo sanno tutti che l'amore rende felici. Forse adesso si sente solo" Anche tu ti senti solo, Feliciano? Si chiede Italo. Per questo guardi fuori da quella finestra?

Nove.

"Non dire cavolate. Anche così, non gli toglierai mai quella stupida espressione da pesce lesso"

È una battuta. Feliciano ride.

Non era una battuta. Romano non cerca più il cellulare. Guarda suo fratello serio e sospira. Feliciano non si rende conto di niente e continua a ridere.

Italo apre la bocca, come se dovesse parlare, dalla sua piccola boccia. Apre la bocca ma poi...

Dieci.

La richiude. Il suo nome è Italo.




●●●




Uno.

Il suo nome è Italo ed ha un'ottima vista. Da sotto l'acqua riesce a delineare i volti che poi scorderà, a causa della sua memoria corta.

Però, come i cani riconoscono i padroni, Italo riconosce chi gli dà da mangiare. Riconosce Feliciano e Romano -anche se a volte li confonde tra loro-, e riconosce anche Antonio, che più di una volta era stata la causa della quasi morte del pesce ed è costato, da quando ha preso il posto di sua madre, molte visite dal veterinario matto di Italo.

Due.

"Chi sei tu?" grida Romano entrando in casa, con lo zaino mezzo aperto sulle spalle.

"Romano?" chiede confuso Antonio.

Tre.

"O mio Dio, uno stalker? Che fai? Prendi le mie mutande e le annusi? Stai aspettando il momento giusto per uccidermi? Cosa...? Chi cazzo sei?"

Quattro, cinque.

"Sono il figlio di Angelica. Lavoro al posto suo da mesi. Io..."

Sei.

Romano ci pensa un po' su "Lei... sta bene?"

Antonio annuisce e quindi anche Romano annuisce.

Sette, otto.

"Va bene, allora" mormora Romano buttandosi sul divano.

Antonio dubita un po', prima di riprendere in mano la busta della spazzatura ed uscire di casa.

Romano lo guarda incuriosito dalla sua posizione. Si morde le labbra, mentre lo guarda camminare.

Nove.

Italo nuota nella sua boccia; niente di strano è successo.

Dieci.

Il suo nome è Italo.




●●●



Uno.

Il suo nome è Italo e la notte sogna di nuotare. Sogna di nuotare nella sua boccia. E sogna anche Feliciano, che cammina.

Due.

Feliciano in pigiama che cammina, verso la finestra.

Tre.

Feliciano che sorride e saluta con la mano fuori dalla finestra.

Quattro.

Romano che spunta dalla loro camera da letto, gli sussurra "Torna qui, se scopro che saluti quel crucco del secondo piano, ti ammazzo"

Cinque.

Feliciano apre la finestra e si sbraccia, poi sorride. Sta sorridendo felice.

Sei.

"Ti amo, Lud! Anche se mio fratello dice che è solo perché sei biondo e io sto sempre dalla parte dei biondi, tipo Jake in Diario di una Nerd Superstar, o Peeta in Hunger Games, o... o Edward Cullen di Twilight, o..."

Sette.

"Edward Cullen era castano e... cavolaccio, Feli! Team Jacob!" si sente la voce di Elizaveta, da fuori dalla finestra,

Otto.

Romano prende dal colletto Feliciano. Il minore deve aver visto qualcosa di stupendo, però, perché sorride come un ebete. Ha l'espressione da pesce lesso.

Nove.

"Io lo amo come tu non ami Alice!" borbotta sorridendo il più piccolo, come se quelle parole non ferissero il maggiore.

Italo sta sognando?

Comunque non importa. Non adesso.

Dieci.

Il suo nome è Italo.



●●●




Uno.

Il suo nome è Italo ed osserva Romano guardare Antonio, che canticchiando, sistema i cuscini del divano.

Due.

"Tu studi?" chiede il maggiore dei Vargas, mentre, con aria indifferente, mangia la solita merendina. È tornato a casa prima, ultimamente lo fa molto spesso. Sembra voler incontrare Antonio, che, comunque, adora poter avere qualcuno intorno, come se prima avesse l'idea di star lavorando come un fantasma e adesso qualcuno accettasse la sua esistenza tra quelle quattro mura.

Tre.

"Studio lingue, all'università" risponde, stiracchiandosi.

"E che ci fai qui?"

Antonio sorride.

Quattro.

"Sono il tuo angelo custode. Ti tengo d'occhio da quando eri piccolo così"

Cinque, sei.

Romano rabbrividisce "Istinti da stalker" dice e Antonio ride.

Antonio ride più spesso, da quando ha rincontrato Romano e lui passa del tempo cercando di conoscerlo, in un modo o nell'altro.

Sette.

"Io diventerei uno stalker per te. Ho un amico che mi ripete sempre quanto la linea tra romanticismo e pazzia sia poco distinguibile" il ragazzo si posiziona davanti al piccoletto "Tu sei quel tipo di persona che rende pazzi"

Otto, nove.

Romano si allontana impercettibilmente da lui "Oddio, smettila di flirtare con me!" ma sorride.

Romano sta sorridendo, imbarazzato.

Dieci.

Il suo nome è Italo.




●●●




Uno.

Il suo nome è Italo e ultimamente Romano sembra molto felice. La mattina si sveglia presto, si prepara la colazione, sveglia Feliciano ed esce quasi saltellando di casa.

Due.

A volte rimane un po' più di tempo a casa, incontra Antonio, lo saluta con uno scorbutico Ciao imbarazzato e scappa a scuola.

Tre, quattro.

Oggi Antonio sorride più del solito, mentre Romano prende il suo zainetto e se lo mette sulle spalle, salutandolo con la mano e muovendosi verso la porta.

Cinque, sei, sette.

Lo ferma per un polso, lo fa girare verso di lui, abbassa la testa fino ad arrivare all'altezza dell'italiano e lo bacia.

Otto.

In un primo momento Romano è sconvolto, rimane fermo a subire quello che sta succedendo, con gli occhi spalancati e i muscoli tesi. Poi li chiude e posa la sua mano sulla guancia di Antonio.

Nove.

E Feliciano apre la porta di casa, per rimanere a guardarli confuso. Romano balza indietro, mentre Antonio rimane stupito, davanti al più piccolo, che, con aria di rimprovero, dice "Oh, adesso tu sì che sei nei guai"

Dieci.

Il suo nome è Italo.





●●●




Uno.

Il suo nome è Italo e, se potesse, riderebbe.

Due.

Feliciano assottiglia lo sguardo, studiando nei minimi particolari Antonio, che, forse, ride imbarazzato, mentre Romano cerca di spiegare che quello che il fratellino ha visto non era reale.

Tre.

"Che lavoro fai?" chiede Feliciano, avvicinandosi alla faccia di Antonio, come farebbe un ispettore di polizia.

"Lavoro qui, come cameriere al Bar Sette Metri e studio Lingue all'università" risponde ridendo Antonio "Chi dei due è il maggiore?"

Quattro.

"Io!" rispondono in coro i fratelli, per poi iniziare a borbottare.

"Tra quanto ti laureerai?"

"Fra qualche mese"

Cinque.

"Cosa ci trovi in Roma?"

Sei, sette, otto, nove.

Il primo silenzio sembra star ferendo Romano, che si morde nervosamente le labbra. Italo pensa sia perché lui non trova niente di buono in sé e se lui non trova niente di buono in se stesso, come potrebbe trovarlo qualcun altro?

Sta già aprendo la bocca per riempire il silenzio, quando Antonio dice "Stai scherzando, spero. Romano, per quel poco che conosco, è la persona più dolce, buona, testarda, vera, che io abbia mai incontrato. Certo, potrebbe essere più gentile, ma..."

"Oh, sta zitto" sbuffa Romano.

Dieci.

Il suo nome è Italo.




●●•




Uno.

Il suo nome è Italo e vorrebbe tanto sapere perché Feliciano sgrida Romano con una voce così alta e quell'aria arrabbiata.

"Se per una volta, una sola maledettissima volta in questa tua vita, hai trovato qualcuno che vorrebbe starti accanto, perché te la devi far sfuggire?"

Due, tre.

"Cosa dovrei fare con Alice?"

"Dirle la verità?"

"Che ideona. Oh, scusa Alice, la verità è che mi piace un ragazzo. Non sei il mio tipo! Grazie per averci provato"

Quattro, cinque, sei.

"Antonio lo sa che hai una ragazza?"

Romano sospira e Feliciano sbatte il piede a terra, alzando gli occhi al cielo. Sembra lui il maggiore. Ultimamente è lui il più maturo.

"Non ce l'avrò ancora per molto, no?"

Sette, otto, nove.

"Sai bene che non puoi giocare su due fronti"

"Non lo farò"

Feliciano non sembra convinto. Torna coi suoi occhi verso la TV e scuote la testa. Romano si siede accanto a lui e si gratta la testa.

Dieci.

Il suo nome è Italo.



●●●



Uno.

Il suo nome è Italo e ha appena scoperto che ama i drammi umani.

Due, tre, quattro, cinque.

Alice apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude subito e si morde le labbra rosa.

Sei, sette.

Romano distoglie lo sguardo e chiude gli occhi, aspettandosi quello che viene in seguito.

Otto.

Alice inizia a piangere "Non me la posso prendere neanche sul personale, immagino" singhiozza.

"Se vuoi lo puoi fare" borbotta Romano senza aprire gli occhi.

Nove.

Alice gli dà uno schiaffo sulla guancia ed arriccia il naso "Idiota" dice e quella parola suona come un addio.

Dieci.

Il suo nome è Italo.


●●●



Uno.

Il suo nome è Italo e non conosce tutta la storia. Conosce quel poco che riesce a ricordare -ricordare, ricordare, ricordare-, solo alcuni flash nella memoria -memoria, memoria, memoria-

Due, tre.

Romano butta il suo cellulare sul divano e sbuffa.

"Che hai?" chiede Feliciano.

Quattro, cinque, sei.

"Non ho niente" ringhia Romano.

"Sicuro? Non hai l'istinto di accendere la radio e cantare insieme a Whitney Houston I will always love you?" ride il più piccolino, immergendo una bustina di tè nella sua tazza "Hai la faccia da pesce lesso"

"Oh, vaffanculo"

Sette, otto, nove.

Il cellulare di Romano squilla. È un messaggio. Il ragazzo lo riprende velocemente in mano, e, leggendo qualsiasi cosa sullo schermo di quello, sorrise.

Ultimamente Romano sorride spesso. È sempre Antonio a farlo sorridere, o almeno così dice Feliciano.

Italo si muove nella sua boccia e si scontra con un altro pesce rosso. È maschio. Romano e Feliciano pensano sia femmina, ma la cosa poco importa.

Il suo nome è Clodia e sta aprendo la bocca per dire qualcosa. Ma non...

Dieci.

Il suo nome è Italo e al suo fianco ha Clodia.










NdA:

Ci ho messo… quanti mesi per continuare la storia?

Taaaanti.

Mi è sembrato molto divertente poter parlare dal punto di vista di un pesce…

Ringrazio tanto chi ha deciso di continuare a leggere questa storia -che troverà la sua fine nel prossimo capitolo, che non so quando pubblicherò. Dio, sono così affidabile-

E voglio lasciare un credit alla miglior betareader in questo mono ed alla più paziente: Fin_chan , per me Mary :3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tic, bum, tac ***


Riflettere

Tre: Tic, bum, tac









Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

Pochi si azzardano a cercare di capire come funziona un orologio. Troppi meccanismi, piccole rotelle, perfezione allo stato puro. Pochi si azzardano a guardare in faccia la perfezione. È per questo che pochi riescono a percepire Dio.

“Il mio orologio va due minuti avanti” si lamenta Romano, mostrando il polso a suo fratello. “E lo rimetto apposto, ma va sempre due minuti più avanti. È rotto.”

L'orologio non è rotto.

Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

L'orologio va a cuore. E questo destabilizza tante persone. Pensavano tutti davvero che un secondo fosse un periodo misurato così, tanto per fare, al di fuori del corpo umano, o della mente umana o di quel che scandisce il ritmo umano?

L'orologio di Romano non è rotto. L'orologio di Romano va a cuore.

“Per due minuti!” Feliciano sorride e fa svolazzare la mano davanti a sé, togliendo importanza alle parole del fratello. “Tieniti due minuti avanti. Almeno sappiamo che non perderemo mai l'autobus.”

Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

Esistono questi strani tipi di orologi che diventano parte del corpo del proprietario. Orologi da polso che sentono il ritmo dell'uomo e lo seguono, scandendo il suo tempo biologico. Il suo battito cardiaco diventa il ritmo dell'orologio. Il suo cuore esce dal suo corpo per trovare espressione nel suo polso.

E allora l'orologio diventa il Cuore di Romano. Ed è forse l'oggetto che più comprende Romano nella sua interezza.

Orologio va due minuti avanti perché il ritmo di Romano ultimamente è cambiato. È più irrequieto. Più imprevedibile. Più personale.

Non c'è qualcosa che non va in Orologio. C'è qualcosa che non va nel Cuore di Romano.

“Che ci fai sveglio prima delle nove di domenica?” chiede Feliciano, infilandosi in bocca un cucchiaio di latte e cereali.

Tictic. Tactic. Tictactic. Tac. Tac. Punto. Tic. Punto.

“Niente che t'importi.”

Feliciano sorride, punta il cucchiaio verso suo fratello, scuote la testa e muove in circolo il piede. “Affari di cuore” canticchia. È irritante.

“Affari di mio-fratello-minore-deve-farsi-gli-affari-suoi.”

“Sei peggiorato con le freddure.”

“Sta zitto.”

“Dev'essere l'amore.”

“Ho detto di stare zitto.”

Feliciano lo fa sempre irritare. Ma il suo cuore è tornato calmo. E così anche Orologio. Va avanti di due minuti e dieci secondi, adesso. Niente, comunque di cui Romano possa rendersi conto. Anche prima di allora si arrabbiava molto spesso, ma la sua vita sedentaria faceva andare il suo corpo e il suo cuore più lentamente -a risparmio energia-, quindi il suo battito più lento, lo faceva tornare nel Tempo Comune, o Tempo Morto.

“Questo problema che inizia per A e finisce per ntonio, sa che la domenica sera abbiamo la cena di famiglia?” chiede Feliciano, dondolando i piedi. “Sono uno geloso, io. Ti rivoglio a casa per le sei.”

“Fatti i cazzi tuoi.”

“Per dirla in maniera gentile: lo sono. Se torni a casa col cuore spezzato o felice come una Pasqua alle, non so, a mezzanotte il risultato è lo stesso: le canzoni dei One Direction a mille.”

“Non sono un directioner boy.”

“Certo…”

Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

In fondo, il Tempo che corrisponde al secondo, al minuto, all'ora sono delle medie prese da tanti cuori. Il che vuol dire che nessuno di noi segue quel secondo, quel minuto. Seguirlo vorrebbe dire non avere un proprio Tempo. Orologio lo sa. Pochi mesi prima, Romano era come se non fosse mai esistito: il suo cuore era un battito anonimo. Adesso, invece…

Suonano alla porta. Din don.

Romano salta sul posto, sgrana gli occhi e guarda Feliciano.

Tictictictictictic. Tac. Tactactactactic. Tictactictactictac. Tic.

“Non sono pronto” squittisce e cerca di scappare in camera, ma viene fermato dalla mano del fratello, che lo tiene dal colletto.

Il cuore non rallenta. Anzi va più veloce. Adesso Orologio va due minuti e trenta secondi avanti rispetto al Tempo Comune.

“Ora tu vai e apri a quella porta. Non ti sei svegliato cinque ore prima solo per andarti a nascondere ora.”

“Farò tardi” protesta il maggiore, tirando il colletto della maglietta.

“Proibisco gli One Direction dopo le nove di sera.”

“Non sono un directioner boy, cazzo.”

“Certo…” Feliciano ruota gli occhi e spinge il fratello verso la porta. Poi corre via, a nascondersi dietro alla sua tazza di latte e cereali, lanciando qualche sguardo incuriosito al fratello.

Romano sospira e avvicina la mano tremante alla porta.

Ogni bum del cuore si fonde con il tic dell'Orologio. Ed entrambi sono forti e ben udibili. Assordanti.

Orologio va avanti di due minuti e quaranta secondi, ormai.

Tictactictacbum. Bumtictacbumtictactacticbum.

Romano deglutisce e apre la porta.

Affascinante il tempo umano. Va avanti a cuore e il cuore può essere un conta-secondi perfetto, come può essere un modificatore del tempo. Tanti esseri umani dicono che il Tempo degli Innamorati è diverso dal Tempo Comune. Dicono che il tempo senza il proprio amato scotti più lentamente. Che col lui il tempo scorra più velocemente. Che quando lo si vede da lontano il tempo si fermi. Forse non si fermano neanche a pensare per quale motivo.

Romano aprì la porta. Antonio sorrise. E Orologio si fermò.

Tuuuuuuuuuuuuuuuuuuuum. Al limite dell'infarto.

Orologio stava andando due minuti e venti secondi avanti.

“Vaffanculo. Stavo dormendo.” Romano ha il broncio. Come riesca a parlare col cuore fermo è un mistero.

Antonio alza le spalle, prende la mano di Romano e continua a sorridere.

Allora succede qualcosa d'incredibile che le rotelle di un orologio non possono capire molto.

Il cuore di Antonio andava a mille, mentre quello di Romano era fermo. Il battito di Antonio si andò a fondere con quello di Romano e quello del più piccolo prese a battere in maniera regolare.

Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

“Lo voglio a casa per le sei!” grida Feliciano dalla cucina. “Dobbiamo preparare la cena! Cinque minuti di ritardo e chiamo la polizia.” Ride. Sta giocando con loro.

Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

Orologio va avanti di soli due minuti. Il battito di Antonio ha il potere di calmare e far accellerare il battito di Romano. La sua mano è ancora ferma sul polso del ragazzo più piccolo e sorride, sorride sempre e quando Romano se ne rende conto Orologio inizia ad andare più veloce. Dio.

Le parole di Feliciano sono rimaste nell'aria ma nessuno le ha sentite. Il mondo degli Innamorati, dicono, è parallelo al mondo reale. E il suo tempo è diverso.

Orologio si era chiesto, un volta in cui Romano viveva senza battito cardiaco, fermo in un quasi infarto, mentre il suo cuore mancava un battito e l'oggetto non doveva pensare a contare i secondi, se il cuore fosse un meccanismo perfetto come lo era lui, in quano orologio.

Se Orologio fosse stato staccato dal polso di Romano e quindi non avesse più percepito il suo battito cardiaco, si sarebbe fermato finché qualcuno non lo avesse indossato di nuovo. Detto questo: il tempo che scandiva Romano era un tempo regolare, a portata d'uomo. Un tempo uguale per tutti. La perfetta espressione di un perfetto meccanismo. Sia di Orologio che del Cuore su cui quello poggiava.

Adesso gli sembra che quel meccanismo cardiaco non sia così sano. Insomma. Si ferma. Va più veloce. Va più piano. Va più forte. È più debole. Le macchine non funzionano in quel modo. Le macchine sono prevedibili e aggiustabili.

“Comunque mi licenzio.” Antonio si abbassa su Romano, appoggiando il polpastrello di alcune dita sulle sue guance. “Non sono tipo da telenovela latinoamericana cameriere-padrone di casa.”

“Non sai neanche lavare i piatti. Dio mio, non è una gran perdita.”

“So baciare però.”

“Mah.”

“Mah?” Anonio sorride. “Non è quello che hai detto ieri. Ieri dicevi qualcosa come…”

“Oh, ma guarda quant'è tardi!” Spinge lo spagnolo verso le scale. Chiude violentemente la porta di casa. Il suo cuore va a mille. Va a mille da mesi ormai. “Non davanti a mio fratello!” grida. Ma quanto potrebbe essere credibile?

Ticbumbum. Tacbumtic. Tictactictac.

Non esattamente il battito cardiaco più regolare. Almeno finché le sue dita non s'intrecciano con quelle di Antonio. Allora di nuovo il ritmo si fece regolare.

Tic. Punto. Tac. Punto. Tic. Punto. Tac. Punto.

Orologio non capisce se il Cuore sia una macchina perfetta o no.






Note:
Dopo aver avuto paura che questa storia, che doveva essere la cosa più semplice in questo mondo, me la sarei portata dietro per tutta la vita, al ritrovare un mio vecchio orologio, regalato da alcuni dei miei migliori amici in assoluto, è arrivato il naturale finale di questa.
Pensare a come raccontare questa storia (molto semplice), un po' mi mancherà. E devo ringraziare un po' tutti.
A Fin-chan (Mary ❤️) che mi betaread-a le storie su questa sezione, a chi mi ha recensito la storia fino ad adesso e a chi mi ha seguito, anche in silenzio. Grazie davvero di cuore e spero di poter tornare presto con altre storie 😁

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2553527