Mi devi una vodka.

di Anna Wanderer Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi devi una vodka. ***
Capitolo 2: *** Mi devi un ballo ***
Capitolo 3: *** Mi devi me stessa ***
Capitolo 4: *** Me lo devi ***



Capitolo 1
*** Mi devi una vodka. ***


Veloce angolo delle ciambelle carnivore blu:
Salve a tutti! ^^ Questa StevexNat è completamente inventata, può contenere SPOILER di The Winter Soldier, anhe se non molti.
I personaggi non mi appartengono ma li uso solo per divertirmi, appartengono alla Marvel e a chi li ha creati.
Ho ritratto la nostra Nat in un suo momento di debolezza, ma non penso sia OOC, o almeno, non più di tanto.
Per chi volesse: sto scrivendo una long sempre StevexNat, si chiama I'm not a monster ed è nella sezione The Avenges (sempre post The Winter Soldier)
Buona lettura!
Anna Love

 

Mi Devi Una Vodka.



Natasha non stava bene, se ne era accorta. Si sentiva in grado di prendere a pugni Fury, Loki o qualunque altro stronzo le avesse mentito o avesse manie di grandezza che l'avrebbero presto messa nei guai, ma psicologicamente si sentiva distrutta. E non ne sapeva nemmeno il motivo. Era passata una settimana da quando aveva detto a Rogers che se ne andava per costruire nuove coperture che forse le sarebbero presto servite in altre missioni, ma dopo appena sette giorni era di nuovo lì.
Be', adesso in realtà Natasha aveva un po' paura.
Non sapeva come spiegare la sua presenza sul suo divano, nel suo salotto, nella sua casa.
Se lo conosceva bene, non ne sarebbe stato proprio entusiasta, ma non l'avrebbe nemmeno cacciata via. Però Nat aveva bevuto un po'. Sì, okay. Forse un po' più di un po', però non era ancora ubriaca. Purtroppo per lei.
Negli ultimi giorni le era capitato spesso di svegliarsi in preda al solito, maledettissimo incubo. Sognava di partecipare alle ricerche di Cap, come aveva effettivamente fatto, ma di trovarlo sdraiato sulla riva e di precipitarsi da lui. Dopo essersi inginocchiata vedeva sempre i meravigliosi occhi azzurri del suo amico -era suo amico? O no?- agonizzanti di dolore che l'accusavano di non essere intervenuta. E poi Steve moriva e lei moriva di dolore.
Ogni volta che si svegliava da quel maledetto incubo si ritrovava sudata e col cuore a mille.
Natasha strinse le mani attorno al bicchiere bombato che conteneva la sua vodka preferita, non quella cosa annacquata che facevano gli americani, ma la vodka vera. Quella russa. Aveva imparato ad apprezzarla quando era nel KGB.
Bevve un generoso sorso, svuotando il bicchiere e sentendo con piacere i primi effetti della sbronza imminente. Si riempì di nuovo il bicchiere, annegando nell'alcool il ricordo di quelle iridi vuote e vitree.
Non dovette attendere molto.
Sentì fuori dalla porta la voce di Steve che parlava con qualcuno -con una donna. Si sentì male pensando che avrebbe molto probabilmente interrotto la loro serata, ma non aveva la minima forza necessaria per alzarsi e sparire, così si rassegnò a fare una figura di merda.
Tanto per prepararsi bevve un altro sorso della bevanda, sentendo il primo velo di nebbia stordirle la mente.
Quando le chiavi girarono nella serratura Natasha chiuse gli occhi, ma avvertì soltanto un paio di passi ben conosciuti entrare nell'appartamento prima che si chiudesse la porta.
Cazzo. È da solo, porca puttana.
Chissà per quale strano motivo ora Natasha avrebbe preferito che ci fosse qualcun'altro con lui. Anche quella donna. Non voleva restare da sola con lui, cosa strana, visto che era andata lì proprio per quello.
Quando Steve accese la luce la spia russa socchiuse le palpebre e sentì una morsa allo stomaco quando lui parlò.
-Che cosa ci fai qui?
Natasha riaprì gli occhi. Osservò per bene il suo collega, esaminando il suo viso liscio e serio,  i capelli biondi stranamente spettinati e la gradevole vista che l'aderente maglia bianca le offriva.
-Non lo so- riuscì ad articolare, mentre i penetranti occhi color fiordaliso di Steve la osservavano in lungo e in largo. Natasha aveva i capelli ricci, stavolta, e i suoi grandi occhi azzurri erano decisamente ubriachi.
Con uno sguardo pieno di disapprovazione Steve guardò la bottiglia di vodka e il bicchiere mezzo pieno che la donna teneva in mano.
-Perché sei qui?- Le chiese, andandosi lentamente a sedere al suo fianco e guardandola portarsi il bicchiere alle labbra.
Lei bevve un altro sorso,  facendo un ampio cenno con la mano che impugnava la bottiglia.
-Che cazzo ne so.
Perfetto. È completamente sbronza.
-Uhm. A proposito. Chi era la ragazza?- Biascicò Nat, cercando di bere ancora dell'altra vodka.
Steve glielo impedì appropriandosi della bottiglia. Mentre si dirigeva in cucina, tra le proteste della russa, le rispose con assoluta calma.
-La mia nuova vicina.
Natasha borbottò qualcosa di indistinto sulle sue vicine di casa che si perse nella strada tra il salotto e il lavandino dove Steve stava versando la vodka.
-Se me la butti ti uccido- gli gridò dietro Natasha, e Steve alzò gli occhi al cielo.
-Sei già abbastanza ubriaca- la riprese posando la bottiglia vuota sul piano da cucina e tornando ad affacciarsi nel salotto. Si appoggiò allo stipite della porta e osservò Natasha mentre si strofinava gli occhi. Indossava pantaloni neri aderenti e una camicia di un bell'azzurro chiaro che le faceva risaltare gli occhi.
-Cos'hai, Natasha? Non dovevi mica sparire per un po'?
La spia sbuffò e reclinò la testa all'indietro. Steve notò con preoccupante prontezza la sua camicetta tendersi sul suo seno. Osservò per qualche istante la gola tesa e bianca della ragazza prima di dedicare un'occhiata sfuggente alla cascata di ricci rossi che si era riversata sulle spalle della sua collega.
-Già- bofonchiò Nat, massaggiandosi il collo con le dita. Cinque ore di aereo avevano i loro effetti.
-E allora perché sei qui?- La incalzò Steve, incrociando le braccia muscolose al petto.
Lei socchiuse gli occhi.
-Non lo so- gemette. -Non mi ricordo.
Steve inarcò un sopracciglio e con un sospiro si smosse dalla sua immobilità, avvicinandosi a lei.
-Natasha, quante bottiglie hai bevuto prima di questa?
-Due- sospirò lei, e Steve la guardò incredulo.
-Dai, Cap, non guardarmi in quel modo! Anche tu avresti voluto sbronzarti se ogni sacrosanta notte avessi fatto quel cazzo di incubo.
-Quale incubo?- Steve si sedette con cautela al suo fianco.
Natasha fece un vago gesto svolazzante con la mano, passandosi una mano sulla fronte.
-Lascia perdere- mormorò,  ma Steve scosse la testa.
-Dimmelo- insisté.
Lei fece una curiosa smorfia arricciando l'angolo della bocca, ma si arrese.
-Ogni notte ti sogno morto.
Il Capitano aggrottò le sopracciglia, perplesso.
-E questo ti disturba?- Chiese a voce bassa.
Natasha aprì finalmente gli occhi e si voltò a guardarlo, fissandolo con uno sguardo fiammeggiante. Gli puntò un dito al petto, ed entrambi rabbrividirono al contatto, anche se non lo diedero a vedere.
-Mettiamola così, Rogers- disse Natasha con un tono vagamente strascicato -potrei considerarti una di quelle cazzo di persone di cui mi fido di più e di cui m'importa di più. E di cui ho paura di più, ma questo non c'entra nulla.
Steve alzò la mano e afferrò il dito della donna, abbassandolo e fissandola in quegli occhi ubriachi.
-Di cosa hai paura, esattamente?- Chiese cauto, e lei ridacchiò.
-Di te e della tua fissazione maledetta.
-Quale fissazione?
-Sei convinto di non poterti più innamorare. Mettila così, Cap. Io ho visto l'uomo che amavo venire trafitto da dieci proiettili a un metro da me. Aveva ventotto anni e tutta la vita davanti. Tu hai salvato il mondo e lo fai tuttora. Hai novantacinque anni e sei dannatamente bello e attraente come uno di venti. La donna che amavi ha vissuto una vita piena e abbastanza felice. Io sono un'assassina e sono stata a lungo dalla parte sbagliata. Io mi sono innamorata di qualcuno che non mi vede neppure, almeno in quel senso. Perciò fidati se ti dico che puoi tranquillamente uscire e baciare qualche bella ragazza.
Steve la fissò in silenzio mentre lei evitava accuratamente il suo sguardo.
Se era vero che poteva capire le sue emozioni con un solo sguardo Nat non era poi così sicura che non fosse lo stesso per lui.
Da parte sua Steve cominciava a capire il motivo per cui la russa era lì, oltre a volersi ubriacare. Ingenuamente, il Capitano pensava -e poi lei gliel'aveva anche confermato- che si fosse innamorata di un uomo e che non avesse il coraggio di farsi avanti.
-Quindi... di chi ti sei innamorata?- Chiese con cautela.
Natasha ridacchiò, ma il Capitano avvertì una punta di nervosismo nella sua voce.
-Non mi sono innamorata... oh cazzo. Te l'ho detto prima- sospirò portandosi le mani alla fronte.
-La vodka. Ho bisogno di vodka- Steve, preso in contropiede, non riuscì a fermarla. Era ubriaca ma non aveva perso la velocità dei suoi movimenti aggraziati.
Frettolosamente, Nat si diresse in cucina, seguita dal Capitano, che aveva rinunciato a fermarla e ora la fissava imperscrutabile.
-No. No. NO- Strillò Nat. Si voltò verso di lui con gli occhi che esprimevano un palese senso di tradimento.
-Hai buttato la MIA vodka! Ma sei scemo?! Sai quando dovrò tornare in Russia? No? Be', nemmeno io!- Strillò la russa.
Steve alzò gli occhi al cielo. Non riusciva a decidere se fosse peggio il sarcasmo della Natasha sobria o l'isterismo di quella sbronza. Forse erano peggio le urla isteriche.
Natasha, con un'ombra omicida nei grandi occhi azzurri, si avvicinò all'amico e fece per tirargli un pugno colpendogli il torace, ma Steve le afferrò prima un polso e poi l'altro quando cercò di mollargli uno schiaffo poco convinto.
Velocemente le torse le braccia dietro alla schiena, mentre lei gemeva inarcando il busto. Rimasero a fissarsi per qualche istante; Steve osservava il viso stravolto della donna e lei guardava i severi occhi azzurri dell'uomo.
-Se ti lascio la smetti di provare a picchiarmi?- Sussurrò il Capitano.
Natasha abbassò lo sguardo, puntandolo sul suo petto.
Annuì semplicemente e si ritrovò a barcollare senza essere più sostenuta dalla presa gentile del Capitano.
Allungò la mano a caso, verso destra, e si aggrappò al piano liscio e freddo della cucina. Le girava la testa.
Steve fece un passo indietro mentre Natasha si appoggiava al mobile dietro di lei.
-Di chi ti sei innamorata?- Steve si rendeva conto che quella non era la domanda più adatta da fare, in quel momento, ma non poteva farci nulla. Era curioso... e non riusciva a capire che cosa fosse quel sentimento amaro che gli stringeva la bocca dello stomaco.
Natasha si voltò e aprì il rubinetto, facendo scorrere l'acqua. Immerse le mani nell'acqua limpida e gelida e rabbrividì. Steve si rese conto di fissare poco galantemente il fondoschiena dell'amica e si affrettò a distogliere lo sguardo prima che lei si voltasse e lo mandasse al tappeto, sperando di non arrossire.
-Non importa- mormorò  Natasha, passandosi le mani grondanti d'acqua sul collo.
Subito la spia sentì una mano chiudersi con forza sul proprio braccio e trasalì. Le dita di Steve sembravano passarle una scarica di scintille d'elettricità che partiva dal punto in cui la stringeva.
Fu costretta a voltarsi e per un attimo le mancò il fiato, mentre si rendeva conto della distanza minima che separava i loro corpi.
-Ti ho trovato ubriaca in casa mia a mezzanotte e mezza in piena crisi isterica. Adesso mi dici chi ti ha ridotta in questo modo- Steve non ammetteva repliche; i suoi occhi azzurri erano stranamente intensi e infuriati.
Vedendo che lei non si decideva a parlare provò a indovinare.
-È Barton?
Natasha sgranò gli occhi, sinceramente sorpresa.
-Che c'entra Barton? No, certo che no!
Il nervosismo nei muscoli di Steve si sciolse all'improvviso, così come quello nella sua voce e nei suoi lineamenti.
-Natasha.
La spia sospirò, alzando gli occhi al cielo per scampare alla vista di quei glaciali occhi color fiordaliso. Storse di nuovo le sue belle labbra rosse, attirando lo sguardo del ragazzo su di esse.
-E va bene- mormorò, così piano che se Steve non fosse stato praticamente appiccicato a lei non l’avrebbe nemmeno sentita.
-Lo conosci, sai? È biondo... ha degli occhi azzurri, stupendi. È alto 1 e 84... ha salvato milioni di persone, più di una volta, compresa me. Ha novantacinque anni e ha una stramaledetta paura di amare... e soprattutto di essere amato.
Natasha tacque, aspettando una reazione che non arrivò. Steve era come congelato, con lo sguardo assente e fisso sopra alla sua testa. Vedova Nera chiuse per un attimo gli occhi, trattenendo le lacrime che le offuscavano la vista.
Si alzò in punta di piedi, sempre tenendo gli occhi chiusi, e appoggiò le mani sul petto del Capitano, che trasalì, ma non si spostò. Baciò la sua guancia, trattenendo le labbra sulla sua pelle liscia e morbida per qualche secondo.
-Grazie, Steve- mormorò -ma ricorda che mi devi una vodka.
Steve non reagì neanche a quello. Rimase immobile, senza osare neppure respirare.
Dentro di lui stavano combattendo ferocemente due parti: una che si aggrappava disperatamente al ricordo di Peggy e alla convinzione che Nat fosse solo ubriaca e non dicesse sul serio, mentre l’altra, che gli stava facendo un male assurdo al petto, scavando nel suo cuore, urlava di andare da lei e prenderla lì, baciarla, dare sfogo a tutta la rabbia e la voglia di amore rimasta serbata in lui per troppo tempo.
Il Capitano si mosse solo sentendo le chiavi girare nella serratura. Scattò.
Natasha si aspettava di tutto tranne che essere afferrata con violenza e sbattuta contro il muro senza nessuna delicatezza. Trattenne un urlo e un pugno -dovuto al suo maledetto istinto di autoconservazione che le aveva impedito di morire, allora- e aprì le palpebre, per poi richiuderle in preda alle vertigini.
Stava baciando Steve. E non per finta, no.

Chi cazzo pensava che baciasse così divinamente.
Natasha si aggrappò alle spalle ampie del ragazzo -che sembrava essere in preda agli ormoni; come lei, del resto. E sì che aveva trent’anni- e rabbrividì violentemente sentendo le sue mani grandi afferrarle i fianchi per sollevarla.
Tra i respiri affannosi e i gemiti di protesta quando uno dei due si scostava per riprendere fiato, Natasha si rese conto di una cosa.
Non si sentiva più sola.

 

-Cazzo. Cazzo cazzo cazzo.
Steve si rese subito conto quando Nat si svegliò. Una serie di improperi giunse alle sue orecchie dal salotto mentre preparava il caffé. Cinque secondi dopo, una scarmigliata e bellissima più che mai Natasha Romanoff versione assassina si precipitò verso di lui per tirargli un pugno così forte che Steve barcollò.
-DEFICIENTE!- Urlò a pieni polmoni la ragazza, mentre lui indietreggiava con una smorfia di dolore.
-Perché cazzo non mi hai svegliata?! Dovevo andare da Fury tre ore fa, cazzo!
Il povero Steve fece per replicare quando un trillo giunse dal tavolo. Natasha gli fece cenno di tacere e si voltò, afferrando il cellulare e portandoselo all’orecchio.
Steve si appoggiò al piano della cucina e bevve un sorso di caffé, osservando la schiena nuda dell’amica con aria concentrata.
Non è mia amica, pensò all’improvviso, colto da un fulmine. È la mia amante.
-Romanoff.
Steve sentì la voce potente di Fury arrivare fino alle sue orecchie.
“Dovevi essere nel mio ufficio tre ore fa, Romanoff! Vedi di sbrigarti, o sarà peggio per te! e già che ci sei, va’ a prendere anche Rogers, non riesco a contattarlo.”
-Sì signore.
Natasha sussultò sentendo il braccio di Steve cingerle la vita, e parlò senza riflettere.
-Sta’ fermo, Steve!
Poi si tappò la bocca, sgranando gli occhi, mentre dall’altro capo del telefono calava il silenzio.

“MUOVETEVI!!” Sbraitò Fury, prima di chiuderle in faccia.
Natasha posò con apparente calma il cellulare sul tavolo. Poi si voltò e afferrò il fianco dell'amico conficcandogli le unghie nella pelle. Lui fece una smorfia ma non protestò.
-Sei impazzito?- Sibilò, gli occhi azzurri scintillanti di ansia.
-Perché dovrei?- Replicò Steve con calma, accarezzandole la schiena morbida e sorridendo nel sentirla inarcarsi sotto al suo tocco.
Natasha sospirò, passandosi una mano tra i lunghi ricci rossi.
Steve seguì quel movimento e le afferrò una ciocca, osservandone i riflessi cangianti alla luce del sole.
-Mi piacciono- rifletté a voce alta, e lei sorrise.
-Lo pensavo- sussurrò, prima di alzare il volto verso di lui e accogliere con piacere il suo bacio caldo, passionale.
 

Intanto...
 

Tony Stark giocherellò con la matita, fissando la sagoma scura del Colonnello.
-Muovetevi?- Domandò con un sorrisetto.
Fury gli gettò un'occhiata che valeva più di mille parole, ma Stark fu quasi certo di vedere una scintilla divertita nei suoi occhi.
-Esatto, Stark.  Muovetevi. Oh, Barton. Benvenuto- disse al nuovo arrivato.
Stark, che intanto stava bevendo un sorso d'acqua, quasi si strozzò.
Se Barton era lì allora con chi...
Oh cazzo. Capitan Ghiacciolo si è svegliato pensò sbalordito.



 

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Capitolo 2
*** Mi devi un ballo ***


Mi devi un ballo



NA:
Jemima è un personaggio che ho inventato io. Agente dello SHIELD che ha una relazione con Bucky; perdonatemi ma l'ho scritta tempo fa e non mi andava di cambiarla.

Natasha percorreva sicura i corridoi della base segreta. Era più o meno l'una di notte, e tutti erano andati a dormire. Tutti tranne uno. La russa sapeva esattamente dove trovare la persona che stava cercando. Il rumore dei tacchi dei suoi stivali era l'unico rumore che animava i larghi corridoi metallici decorati con qualche poster scolorito che ritraeva spiagge o paesaggi di foreste. Era tornata da poche decine di minuti da una missione sotto copertura, dove si era finta un'avvocatessa molto avvenente in una riunione tra ministri e capi di stato. La missione -proteggere uno dei pochi politici rimasti integri dall'influenza dell'HYDRA- era andata a buon fine, ma Natasha si sentiva irrequieta. Il motivo lo sapeva bene.Quando non aveva trovato Jemima nella sua stanza si era rassicurata dicendosi che probabilmente era da qualche parte a parlare -o più probabilmente a non parlare- con James da qualche parte. Dopotutto aveva una relazione con l'ex Soldato d'Inverno, era normale che si imbucassero ogni tanto. Steve aveva accettato che ormai del suo migliore amico non rimaneva quasi nulla, se non l'aspetto. James era un'altra persona, molto gradevole una volta scalfita la sua corazza di silenzio, e il Capitano l'aveva capito, anche se non riusciva a smettere di chiamarlo Bucky. 
Natasha scorse la luce della palestra che filtrava da uno spiraglio della porta, illuminando debolmente il corridoio. Sorrise, complimentandosi silenziosamente con se stessa. Spinse la porta, sbucando nella grande sala che Fury aveva adibito a "cavia dell'irritazione di Rogers" negli ultimi giorni. Steve era al centro, a petto nudo, girato di spalle. I suoi colpi erano così veloci che gli occhi di ghiaccio di Natasha non riuscivano quasi a percepirli. Sentiva bene i tonfi, però. Si diresse lentamente verso la panca, coperta da cuscini in feltro di varie sfumature di rosso, dove Steve aveva gettato guantoni e maglia. Posò la bottiglia di vodka che aveva in mano sul pavimento, accomodandosi sulla panca, e accavallando le gambe in un gesto elegante. Fissò Steve a lungo, finché il Capitano non sfondò il sacco. Mentre Steve si fermava a prendere fiato, sorrise. La sua voce risuonò ironica nell'aria, facendolo voltare di scatto. - Pensavo avessi abbandonato questa pessima abitudine.
- E io pensavo avessi smesso di bere - ribatté Steve, dirigendosi verso di lei. Il petto glabro e muscoloso era in bella vista, coperto di una leggera patina di sudore. Gli addominali di Steve erano niente male, ma Nat riuscì a non prestarvi attenzione. Osservò il volto serio dell'amico. - Era una brutta serata.
- Conclusa bene, mi pare - ribatté acidamente Steve. Natasha arrossì appena per quell'insinuazione, mentre lui si lasciava cadere a terra, un braccio sul ginocchio. - Sei irritato, per caso? Di solito non sei così acido - replicò lei, afferrando la bottiglia e avvolgendo le dita attorno al collo della bottiglia. - Forse dovrei.
Natasha inarcò un sopracciglio rosso, spostando la schiena in avanti. Sciolse le gambe e puntellò i gomiti sulle cosce, incurante di spiegazzare lo splendido tubino nero che le fasciava il corpo, modellando le sue curve e rendendola ancora più bella. - Dimmi un po', Steve. Sei geloso?
- Di chi dovrei essere geloso?
Steve si afferrò il polso con la mano appoggiata alla gamba, guardando gli occhi chiari della collega. - Magari di Jemima. Oppure di James.
- Non vedo perché dovrei essere geloso di uno di loro due. Sono solo amici.
Un sorrisetto prese possesso delle labbra perfettamente truccate di Natasha.
- Steve. Sono amanti. O fidanzati, come preferisci.
Stranamente, lui non reagì. - Intendevo che sono miei amici. So bene qual'è il loro rapporto.
Natasha inclinò la testa, aggrottando le sopracciglia, il sorriso scomparso dalle sue labbra. C'era qualcosa di strano nel modo in cui Steve si stava comportando. Fare accenni sessuali di solito lo metteva a disagio; stavolta, invece, il suo volto era una maschera di granito. - Stai perdendo colpi, Natasha - disse il Capitano, asciutto. Natasha serrò la bocca. Si spostò indietro, afferrando nuovamente la bottiglia e stappandola. Steve osservò i suoi movimenti senza dire nulla. La donna bevve un generoso sorso di vodka, sotto il suo sguardo di disapprovazione. - Allora - disse poi, alzandosi. Steve si spostò di scatto quando le sue gambe slanciate furono a pochi centimetri da lui. Natasha non ci fece caso e continuò a camminare verso il centro della palestra, dove riposava un sacco da boxe scampato alla furia del Capitano. Steve sospirò, prendendosi la testa tra le mani, prima di guardarla. Fu un grave errore. Avrebbe dovuto continuare a fissare il pavimento, visto che il suo sguardo scivolò sull'ampia scollatura del tubino per poi scivolare sulla parte bassa -molto bassa- della schiena di Natasha. Steve distolse lo sguardo, arrossendo appena, e deglutì.
- Non mi chiedi com'è andata la mia missione?
- Di sicuro è andata bene - rispose, alzandosi lentamente. Natasha ridacchiò. - Dai, Steve. Non fare l'asociale.
Il Capitano alzò gli occhi al soffitto, sbuffando. - Com'è andata la missione?
Si girò verso di lei, scoprendola intenta ad osservare da vicino un manichino con una faccia disegnata a pennarello. - Bene - rispose - questo mi sa proprio che l'ha disegnato Jemima. È stato noioso. Il segretario continuava a parlare con un avvocato dai dubbi gusti. C'era un sottosegretario che ha provato ad allungare le mani.
- Si sveglierà all'ospedale, molto probabilmente - commentò Steve, stendendosi a terra. Si piegò sulle braccia e cominciò a fare alcune flessioni. Natasha si voltò verso di lui, inarcando un sopracciglio. I muscoli della schiena dell'uomo si gonfiavano e si contraevano ritmicamente. - Dubiti così di me, Steve? - chiese drammaticamente. Lui le rivolse un'occhiata azzurra perplessa, sentendo le ultime tracce di acidità svanire dalla sua voce. - Si sveglierà in un cassonetto della spazzatura con dolori in qualche parte in particolare. Non so se capisci - ammiccò all'amico. Steve sorrise, suo malgrado. Natasha poteva anche essere una stronza acida, ma se si comportava così aveva sempre le sue ragioni. E qualche volta poteva essere perfino divertente. - Povero sottosegretario - lo compatì, ma sorridendo. Nat si lasciò andare a un risolino sincero. La tensione che c'era nell'aria pochi minuti prima era quasi del tutto svanita. Natasha prese un altro sorso di vodka, dirigendosi verso l'amico. - Mmh. Ti piace il vestito? L'ha scelto Jemima. Non mi entusiasma.
Steve girò la testa, e fece del suo meglio per non cadere a terra. Natasha aveva spostato i capelli, di nuovo lunghi e ricci, dietro alle spalle nude. La scollatura del tubino era molto ma molto profonda, e accarezzava le sue curve in una maniera vertiginosa. Il vestito le arrivava poco sotto a metà coscia. Gli stivali la rendevano più alta, e accarezzavano morbidi le sue gambe fin sotto al ginocchio. Gli occhi azzurri di Natasha lo perforavano in attesa di una risposta. Steve cercò di riprendere il controllo della propria voce. - È bello. 
Natasha alzò un angolo della bocca in un sorriso sghembo, sinceramente contenta del complimento. Steve tornò a guardare il pavimento, col respiro pesante, mentre il ticchettio dei suoi tacchi gli passava accanto. Una scollatura del genere era troppo per lui. Aveva accettato minigonne e gambe scoperte da un po', ma quella era davvero troppo profonda. Cosa diamine ti prende? È un vestito, Steve.
Addosso a lei.
Non fa differenza addosso a chi sta.
- Mi è venuto un dubbio - mormorò Natasha, sedendosi di nuovo sulla panca. 
- Cioè?
- Jemima e James. Pensi sia... una buona idea? - chiese incerta. Steve si fermò per un attimo, poi riprese a fare le flessioni. - Lei gli fa bene - disse - si amano. Penso di sì.
Nat storse le labbra, prendendo in mano un boccolo rosso e rimirandolo. Prese un sorso di vodka, ormai a un quarto della bottiglia. - Beati loro - mormorò, abbandonando la testa sui cuscini, sdraiandosi. Steve si voltò, e sgranò gli occhi, avvampando. Tornò precipitosamente a fissare il pavimento di legno sotto di sè, prendendo respiri profondi. Natasha lo faceva apposta?
- Come? - chiese con voce strozzata.Natasha non fece caso al tono dell'amico, e si sollevò quel tanto che bastava a bere l'ultimo sorso. Il liquido le bruciò la gola, riscaldandole lo stomaco. - Si amano. Vorrei amare qualcuno anche io, prima o poi.
- Non avevi detto di essere innamorata, a casa mia? - Steve avrebbe voluto mangiarsi la lingua. Natasha girò la testa e lo fissò. Continuava a sollevarsi e abbassarsi sulle braccia. - Sì - disse lentamente. - Ma quella era un'infatuazione, più che un innamoramento vero e proprio. Non scordarti che ero ubriaca. 
- Non sembravi tanto ubriaca quando siamo finiti a letto - ribatté Steve, sputando finalmente la frase che gli bruciava dentro da tre mesi. Natasha si irrigidì. - Ti ho già detto che è stato un errore.
La russa trasalì quando Steve schiantò il pugno sul legno del pavimento, che si infossò con uno scricchiolio orribile. 
- L'hai ripetuto abbastanza da farmelo imparare a memoria- ringhiò Steve, girandosi verso di lei. Si alzò in piedi, tutta la rabbia improvvisamente riemersa. Natasha si raddrizzò, suo malgrado spaventata. Non aveva mai visto Steve così. I suoi occhi ardevano di rabbia. Ogni singolo muscolo del suo corpo era gonfio e in tensione. La sua espressione trasudava irritazione da ogni singola linea del suo viso, solitamente così calmo e controllato. Era ferito. Natasha trasalì nel sentire la parete della palestra contro la schiena. Aveva continuato a indietreggiare senza rendersi conto di star andando contro il muro. Il corpo sudato di Steve fu contro il suo, la schiacciava contro i pannelli di legno. - Me l'hai detto mentre andavamo da Fury, come se per te fosse stata una stupida notte a giocare a carte - ringhiò Steve - mi hai detto di essere innamorata di me e mi hai scaricato il giorno dopo come se nulla fosse. "Mi dispiace, è stato un errore". Sai quante avrebbero voluto essere al tuo posto? Eppure ho aspettato quella giusta. Pensavo fossi tu, e invece... invece... per te è stato solo sesso. Be', scusami Natasha, ma per me non è stato così - sputò il Capitano. Prese un respiro profondo, ancora tremante di rabbia. Natasha sapeva che avrebbe potuto mandarlo al tappeto entro mezzo secondo -o forse no- ma rimase a fissare quel volto che aveva baciato, accarezzato e amato ora contratto dal dolore delle ferite che lei stessa gli aveva inferto dopo la notte più bella della sua vita. Steve respirava affannosamente, con l'improvvisa voglia di farle provare tutto il dolore che aveva provato lui quel giorno. Le iridi di ghiaccio di Natasha lo fissavano senza pietà. Indietreggiò, scuotendo la testa, e le voltò le spalle. Si passò una mano tra i capelli, riuscendo a calmarsi. - Steve - la voce di Natasha tremava. Steve si bloccò. Nonostante fosse ancora arrabbiato, non riuscì a fare a meno di ascoltare la sfumatura di dolore nella sua voce.
- Steve.
Il Capitano si voltò. Si gelò quando vide gli occhi pieni di lacrime dell'amica. Natasha si accasciò a terra, sorretta dal muro. Le parole di Steve l'avevano marchiata a fuoco e, colpa dell'alcool, colpa del rimpianto, non era riuscita a mantenere sotto controllo i propri sentimenti. Proprio come quella notte. E come quella notte Steve non riuscì a voltarle le spalle. Si avvicinò esitante, inginocchiandosi davanti a lei, una nuova dolcezza nelle iridi chiare.
- Hai mai ballato, Steve?
La voce di Natasha le uscì in un sussurro tremante. Passò del tempo prima che lui le rispondesse.
- No.
- Vitali è stato ucciso a un ballo - mormorò Natasha, respirando a fondo per ricacciare indietro le lacrime. Alcune gocce le rotolarono lungo le guance, ma il trucco, a prova d'acqua, resistette. - Era uno di quei balli di gala, per le persone importanti. Era un avvocato. Stavamo ballando un lento quando suo cugino mi rubò a lui. Dieci secondi dopo, Vitali era steso sul pavimento, il cuore perforato da due proiettili. Sovietici, senza rigatura.
Steve rimase in silenzio, mentre Natasha batteva le palpebre per cercare di riprendere il ferreo controllo che la distingueva da un altro, comune agente dello S.H.I.E.L.D.
- Oggi è l'anniversario della sua morte - sussurrò, passandosi una mano tremante tra i ricci color fuoco. Steve decise in un attimo. Si alzò, e le porse una mano. Natasha lo guardò sorpresa, le lacrime che le imperlavano le lunghe ciglia nere sembravano piccoli frammenti di diamanti. Forse altrettanto preziosi.
- Vieni - il calore nella voce di Steve riuscì a calmarla. Allungò la mano, e il Capitano la tirò su di peso. Ma, sorprendentemente, una volta in piedi, non la lasciò andare. Continuò a camminare all'indietro, tenendola per mano. - Steve, cosa fai? - chiese Natasha, confusa. Non aveva voglia di scherzare. Voleva andare in camera sua e bere fino a svenire.
- Vieni.
Steve si fermò al centro dello spazio. Tirò a sè l'amica, circondandole la vita con un braccio muscoloso. I suoi occhi azzurri erano colmi di dolcezza.
- Steve - la voce di Natasha tremava più delle sue gambe. 
- Dammi la mano.
Steve la prese da solo, l'altra mano, e con delicatezza la posò sulla propria spalla. Natasha tremava come se ci fossero stati zero gradi. Con delicatezza, intrecciò le dita a quelle di lei e le passò il braccio attorno alla vita, stringendola a sè. Natasha chiuse gli occhi, lasciandosi avvicinare a lui. - Fa' finta che sia lui - mormorò Steve al suo orecchio, muovendo un passo indietro. Natasha lo seguì. Anche se non aveva mai ballato prima, Steve sapeva cosa fare. Bucky gliel'aveva fatto vedere, una volta, usandolo come compagno. Era uno dei ricordi più belli che aveva. Natasha appoggiò la fronte alla spalla di Steve, mentre lacrime dolorose cominciavano a solcarle le guance. Le sembrava quasi di risentire quella musica dolce in sottofondo, le chiacchiere e i tintinnii dei bicchieri di cristallo. Steve si muoveva come Vitali, tenendola come se fosse stata la rosa più delicata al mondo. Poco importava che fossero in una palestra, che Vitali fosse morto, o che Steve non indossasse nulla se non i pantaloni e le scarpe. Il calore del suo corpo era uguale a quello di Vitali. In quel momento, per lei Steve era Vitali. - Mi dispiace - mormorò, con la voce rotta. - Mi dispiace tanto, amore mio. Avrei dovuto proteggerti. Era a questo che servivo. Avrei dovuto morire io al posto tuo. Ti amo, Vitali. Ti amo tanto, ti amo ancora.
Steve sentì una sensazione calda farsi strada nella sua trachea e gli occhi inumidirsi. Natasha era fragile come un bocciolo di rosa sbocciato per sbaglio in inverno. Il pianto sommesso di Natasha gli strinse il cuore. Le sue lacrime gli rotolarono sulla pelle, scendendo lungo il petto. - Mi dispiace tanto, Vitali - Steve la strinse più forte, baciandole la fronte. Natasha si strinse a lui in cerca di calore, mentre, nella sua mente, la melodia si faceva più intensa.
Steve la lasciò quasi andare, facendola volteggiare per una piroetta. Natasha avvertì ogni singolo istante in cui le loro dita si sfiorarono, si allontanarono, allentando la presa. Nel passato, un uomo l'aveva colta al volo, rubandola all'amore di Vitali, e le sue dita l'avevano lasciata, l'avevano sfiorata per l'ultima volta. Nel presente, un uomo l'accolse tra le proprie braccia, tornando a stringerla delicatamente, scaldandola con il proprio calore, tornando a sorreggerla con il proprio corpo. Natasha scoppiò a piangere, fermandosi. Le gambe le cedettero, lei si accasciò a terra, mentre le braccia di Steve le impedivano di picchiare il pavimento con il proprio corpo. Si aggrappò alle spalle di Steve, affondando le unghie nella sua schiena e tracciando dei solchi rossi nella sua pelle. - Se n'è andato - gemette contro il petto dell'amico - se n'è andato, Steve.
- Ssh. Sono qui, Natasha. 
- Te ne andrai anche tu - mormorò lei, tremando.
- No. Io resterò con te - le sussurrò lui, abbracciandola come se fosse una bambina, affondando una mano nei suoi capelli dai riflessi cangianti, stringendola a sè. Si abbassò assieme a lei, mentre Natasha alzava il bel viso devastato dal dolore dei rimpianti e dei ricordi, e il sapore delle sue lacrime e delle sue labbra si mescolava assieme a quelle di Steve. Lo baciò, un ultimo addio all'uomo che aveva amato con tutta se stessa per un tempo indefinito, e il cui ricordo l'aveva tormentata per anni e per secondi, e Steve si lasciò baciare, consapevole che quel bacio non era per lui, ma per un uomo la cui vita era finita all'improvviso, inaspettatamente, come quando una rosa che avrebbe dovuto vivere per molto altro tempo ancora viene colta, morendo così nel pieno della sua bellezza. Con un respiro tremante, dopo un tempo indefinito, Natasha si scostò, tornando consapevole di essere aggrappata a Steve, sul pavimento della palestra, nella base segreta. Le sue labbra sfiorarono di nuovo e involontariamente quelle di Steve, che però stavolta reagì. Natasha voleva che la odiasse per quello che aveva appena fatto, ma Steve non poteva esaudire la sua richiesta silenziosa. Il Capitano premette le labbra su quelle di lei, senza sapere quel che stava facendo. Natasha si sciolse. Schiuse la bocca, mentre le sue labbra si fondevano con quelle di Steve. Si strinse a lui, cosciente di quello che stava succedendo. Steve la spinse sul pavimento, lentamente, baciandola e continuando a baciarla, finché non fu sopra di lei. - Questo vestito - boccheggiò Natasha, mentre le labbra di Steve scendevano lentamente sul profilo della sua mascella - assomiglia molto - serrò le labbra per trattenere un gemito, mentre la gamba di Steve si insinuava tra le sue, allargandole - a quello della festa.
- È bellissimo - sospirò Steve, mordendole delicatamente la pelle morbida della spalla.
- Davvero?
- Lo amo.
Poi non ci fu più un vestito, ma della stoffa lucida a brandelli. Natasha trasalì, mentre le mani di Steve facevano scivolare i resti del tubino lungo i suoi fianchi. - Steve - lo rimproverò, ma la voce le si strozzò in gola nel sentire il corpo del Capitano adagiarsi sul proprio.
- Sì? - le dita di Steve le fecero voltare la testa, così da avere libero accesso alla pelle candida del suo collo.
- Cosa metterò quando usciremo?
- Ti troverò qualcosa - sussurrò lui. Nat chiuse gli occhi, alzando le mani su di lui, ma Steve la bloccò.
- Cosa c'è?
Gli occhi di Steve bruciavano. - Stanotte faccio io.
Natasha non riuscì a opporsi.

Erano finiti distesi sulla panca. Meglio quella che il pavimento. Almeno c'erano i cuscini. Natasha aveva freddo, anche se le braccia di Steve la tenevano stretta. - Sono così terribile? - le sussurrò all'orecchio in quel momento, scostandole una ciocca di ricci dal collo sudato.
- Altroché - ghignò lei. Invece no. Steve era il sogno di qualunque donna. L'aveva fatta sentire come non era mai riuscito nessuno. - Non ti credo - mormorò lui, sorridendo. Fece per alzarsi, e lei si aggrappò a lui.
- Dove vai?
- Devo vestirmi e prenderti un paio di cose da metterti addosso. 
Lo lasciò andare, piano. - Sai perché non ti credo? - chiese Steve, voltato verso di lei. Natasha inarcò un sopracciglio, osservando senza pudore quel corpo nudo che fino a poco prima era intrecciato al suo. - Perché?
Con un sorrisetto, Steve si voltò, mettendo in mostra la risposta. La sua schiena era solcata da graffi che Natasha stessa gli aveva inferto poco prima, mentre facevano l'amore. La spia russa fece una smorfia scontenta, alzandosi e recuperando la biancheria. Avrebbe dovuto avere più controllo.
- Cosa mi metto adesso per uscire? E se incontrassimo Fury? - si lamentò, guardando i pezzi del vestito. - Ci sono delle tute nello spogliatoio. Basteranno per arrivare in camera tua.
Natasha sgranò gli occhi, suo malgrado stupita. Si voltò di scatto verso Steve.
- Steve!
- Cosa? E-ehi, ma che hai capito? - protestò lui, arrossendo impercettibilmente. Natasha sorrise, quel suo raro sorriso che le illuminava anche gli occhi, e il Capitano dovette fare un grosso sforzo per non saltarle di nuovo addosso e rifare tutto da capo. Datti una calmata.
Si infilò negli spogliatoi maschili -Fury aveva rigorosamente diviso lo spazio- e riuscì a trovare una felpa e dei pantaloni grigi abbastanza piccoli. Richiuse l'armadietto dove li aveva trovati e girò i tacchi. Solo per trovarsi Natasha a cinque millimetri da lui. Fece istintivamente un passo indietro, mentre la spia lo fissava improvvisamente gelida. - Natasha? Che ti prende?
- Perché l'hai fatto? Per compassione, Steve? Non voglio la tua pietà.
Steve rimase per qualche secondo senza parole.
- Non l'ho fatto per pietà, Natasha - ribatté tagliente. Avanzò verso di lei, e stavolta fu la russa a indietreggiare. - L'ho fatto perché... perché volevo farlo - disse con sincerità.
Natasha lo guardò per qualche secondo, prima di alzare una mano e accarezzargli la fronte, scostandogli una ciocca di capelli, in silenzio. La mano del Capitano l'afferrò per il fianco, trovando la cicatrice sulla sua vita, appena sopra il bacino. La russa trasalì appena, mentre le sue dita accarezzavano la pelle sensibile.- Non staresti così male in bikini - mormorò Steve. Nat alzò la testa verso di lui, socchiudendo gli occhi in un pigro sorriso da gatta, gli occhi chiari che scintillavano languidi.
- È un invito, Capitano Rogers?
Un debole sorriso s'impossessò delle labbra dell'uomo.
- Potrebbe esserlo.

Un'ora più tardi, sdraiata nel proprio letto e accoccolata al fianco di Steve, la testa posata sulla sua spalla, Natasha respirava regolarmente mentre la mano del Capitano percorreva la sua schiena su e giù, in una dolce carezza. Per la prima volta, dopo aver fatto l'amore con un uomo, la mente di Natasha non pensava a Vitali, ma solo ai brillanti occhi azzurri di Steve. Le dita del Capitano premettero in un punto alla base del collo, e Natasha sospirò, stringendosi meglio il lenzuolo al petto nudo per allungarsi e sfiorare le labbra del Capitano con un bacio. - Mi devi un ballo, ricordalo - mormorò Steve. Natasha sorrise.








Angolo dell'autrice: 
Vi ringrazio, nel caso siate arrivati/e a leggere fino alla fine.
Ho scritto questa OS molti anni fa, aggiungendola su Wattpad alla prima che avete trovato a introdurre questa serie, mi devi una vodka. Ho deciso di postare questa OS e anche le altre due successive scritte su Wattpad anche sul mio profilo in questo sito, così da avere la raccolta completa anche su EFP. 
Spero che la OS vi sia piaciuta, e spero possano piacervi le prossime che pubblicherò in questa raccolta, se avrete voglia e tempo di leggerle. 
Un bacio, 
Anna

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Capitolo 3
*** Mi devi me stessa ***


Mi devi me stessa




Post Infinity War
! AU in cui tutto è uguale, tranne che non c'è mai stato nulla tra Hulk e Natasha. !
Ci ho messo un'eternità. Ma ecco qui. 

Le stelle emanavano una fioca luce in cielo, mentre il manto trapuntato della notte vegliava sulle terre devastate dal sangue e dal dolore. Il silenzio era rotto dai lamenti dei wakandiani che avevano perso i familiari nella battaglia contro Thanos, e dai pensieri tetri di coloro che erano sopravvissuti. La natura stessa sembrava in lutto, mentre il vento fischiava con un cupo brontolio tra le fronde degli alberi, non minacciosa né misteriosa nell'oscurità della notte, ma quieta, quasi rispettosa dell'enorme cordoglio attorno a lei. 
Metà degli Avengers erano morti, dissolti in un battito di ciglia, come se le loro vite, le azioni eroiche compiute fino a quel momento, le lotte, gli sforzi per salvare il mondo dalla catastrofe fossero stati della più labile importanza.  
Peter Parker, Bucky Barnes, Wanda, Visione, Sam Wilson, persino il re di Wakanda... nessuno di loro era stato risparmiato dalla crudele casualità che aveva posto fine alle loro vite.
Perché era successo per caso. La loro morte non era predestinata. Non era premeditata. L'irrazionale scelta di Thanos di uccidere metà della popolazione li aveva travolti, designati come vittime, a dispetto dei loro meriti, delle loro scelte.
Gli occhi di Natasha pizzicarono. Il suo volto non era impassibile, gli occhi erano colmi di un'attonita angoscia. 
Si era già chiesta perché non me, perché doveva andare così, perché non sono stata in grado di fare di più? 
Ma non c'era alcuna risposta a queste domande. La verità era che non c'era alcun motivo dietro alla sua sopravvivenza, e che lei non avrebbe potuto fare nient'altro ormai. Ed era questo che la spaventava. 
Per la prima volta, non era stata in grado di fare abbastanza. Non era stata abbastanza
Trasse un respiro tremante, dondolando le gambe sopra l'acqua cristallina, placida, increspata da piccole onde sotto di lei. Era fuggita da corte perché non riusciva a sopportare la cupa atmosfera di lutto, di rabbia sorda, di incredulità. Preferiva affrontare il suo dolore da sola, senza testimoni. Senza dover assistere a quello degli altri. Alle grida dei wakandiani, al dolore profondo negli occhi di Okoye, alle lacrime e all'immobilità della regina Ramonda che da quando aveva saputo della morte dei figli non aveva più proferito parola.
Strinse le dita contro la ruvida corteccia del tronco su cui era seduta, mentre il suo sguardo si perdeva tra gli alberi di fronte a lei, al di là della sponda del lago.
Per la prima volta, non sapeva cosa fare. Lei, che anche nelle situazioni più drastiche era sempre riuscita a mantenere il controllo e cavarsela, ora era spaventata. Forse avrebbe dovuto aver già pensato a una soluzione, alla prossima mossa da mettere in atto, alla strategia da adottare per sbarazzarsi di Thanos.
Ma la sua mente era vuota. Non sapeva cosa fare,  non sapeva come si sentiva. 
Trasse un respiro tremante, prendendosi il volto tra le mani. L'unica prospettiva che era in grado di immaginare in quel momento era la fine. Era tutto finito ormai. Il piano di Thanos era compiuto. Tutto sarebbe rimasto così com'era? Innocenti ed eroi morti, i suoi amici disintegrati? Avrebbe dovuto imparare a vivere così, senza di loro, incapace di vendicarli, a metà? Come se non fossero mai esistiti? O avrebbe dovuto tentare qualcosa? Ma in quel caso, cosa poteva fare -cosa potevano fare loro che erano rimasti, dato che già avevano perso nonostante avessero schierato in campo tutte le forze possibili? Cosa potevano fare, loro che erano la metà di quelli che erano stati? Dove avrebbero potuto trovare aiuto? 
Natasha si alzò, ma era così scossa e instabile che non vide la fronda d'edera avvolta attorno al tronco finché il suo piede vi si impigliò. 
Barcollò, ma non provò nemmeno a rimanere in piedi, stabile. Si lasciò scivolare, cadendo nell'acqua gelida, con un sordo, doloroso vuoto dentro che nemmeno la temperatura del lago riuscì a scalfire. La superficie del fiume si schiantò contro la sua schiena, le fece bruciare la pelle, ma non era nulla in confronto al bruciore che sentiva dentro. Al dolore sordo, alla rassegnazione, alla confusione che le infettavano le vene. 
Riemerse battendo i piedi, inspirando l'aria fredda e scostandosi i capelli ormai biondi dal volto. Cominciò a tremare e ponderò se rimanere lì, nell'acqua, muovendo lentamente le braccia per tenersi a galla. L'acqua era limpida, riusciva a vedere il fondale costellato di rocce dai colori vivaci. Rosso screziato di grigio, azzurro, viola persino, qualche venatura verde. Il freddo la stava aiutando a riacquisire la lucidità che si era concessa il lusso di abbandonare. Alzò lo sguardo verso le stelle, verso la notte buia che copriva il tormento dei sopravvissuti come un sudario rassicurante, e lasciò che lacrime bollenti le scorressero sulle guance. Non aveva mai perso il controllo in quel modo, ma era troppo provata e spossata e confusa per aggrapparsi alla fredda razionalità di sempre.  
- Natasha - il sussurro la prese alla sprovvista, e si voltò. Il suo volto era una maschera di sorpresa, con le guance arrossate dal freddo e le labbra leggermente schiuse. Le sue iridi chiare si posarono sul volto dell'uomo, analizzando ogni suo tratto. 
Era in piedi sulla sponda, e le tendeva una mano, gli occhi colmi di malinconia e dolore come mai li aveva visti. Non si era rasato la barba, né si era tagliato i capelli, probabilmente non ne aveva avuto le forze. Probabilmente, come lei, era rimasto a fissare il vuoto per ore. 
Ma il volto di Steve aveva un'espressione diversa. Era più deciso. Natasha capì che si era sì concesso del tempo per elaborare il lutto, ma aveva deciso che era giunto il momento di aiutare gli altri, quelli che avevano più bisogno di lui e del suo aiuto, che non se stesso.
Ed era andato a cercare lei.
Natasha nuotò più vicina a lui, lentamente, tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi caldi, mentre il respiro le usciva affaticato dalle labbra schiuse, afferrando la mano tesa verso di lei. Si lasciò sollevare da Steve, che la rimise in piedi senza alcuno sforzo, sostenendola con le sue braccia forti e stringendole la vita, sottraendola al gelo dell'acqua e riportandola con i piedi sul terriccio umido e scivoloso, costellato di foglie cadute. Rimasero in piedi uno accanto all'altra, guardandosi in un intreccio profondo di sguardi, mentre la mano di lui si soffermava esitante sulla sua schiena, scaldandole la pelle infreddolita. I loro respiri erano l'unico rumore percepibile, tutto ciò che era attorno a loro era sparito. 
- Steve - mormorò. 
Lui la guardava, ed era palese che cercasse di rimanere composto e di non far trapelare troppe emozioni sul proprio volto. Non ci riusciva granché, lei lo conosceva troppo bene per non notare il modo in cui il suo sguardo la accarezzava, il calore nei suoi occhi castani, i lineamenti tesi che suggerivano quanto si sforzasse di sembrare sicuro, mentre dentro provava solo stordimento e confusione. Non disse nulla. Rimasero a guardarsi per quella che sembrò un'eternità, almeno finché lei trasse un respiro tremante, chinando la testa.
- Non possiamo farcela - le si incrinò la voce, mentre un brivido di freddo le scuoteva il corpo fradicio. Steve chiuse gli occhi per un secondo di troppo, mentre si sfilava la felpa che aveva infilato in fretta e furia prima di uscire. Lei evitò di guardare. Si sentiva a pezzi, troppo debole persino per reggere il confronto con lui e la sua compostezza. 
- Non so più cosa sia possibile e cosa no, ormai, Natasha - mormorò Steve. Fece un passo avanti, circondano il suo corpo snello con le braccia e posando con delicatezza la felpa sulle sue spalle tremanti. Natasha abbassò lo sguardo, afferrando il tessuto e allontanandolo da sé. - La infradicerei tutta - disse, più a se stessa che altro.
Lui scosse la testa con un lieve sospiro. - Dovresti toglierti i vestiti bagnati - si rese conto di ciò che aveva detto solo dopo aver pronunciato la frase, e si zittì guardandola con lo stesso sguardo che aveva avuto molte, troppe volte. Non intendevo quello. Ma non disse nulla. Lasciò che fossero i suoi occhi a parlare. Natasha strinse la mascella, mentre un brivido le percorreva la schiena, distogliendo lo sguardo da lui. Non disse nulla, si avvicinò solo di un passo, tanto da arrivare a sfiorare il suo corpo massiccio con il proprio, a sentire il suo profumo maschile inebriarle i polmoni e avvertire il calore del suo corpo contro il suo. Posò la fronte sulla sua spalla, appoggiandosi lentamente a lui, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal suo profumo e stringere dalle sue braccia. Steve la abbracciò, tenendola stretta a sé, con una mano posata sulla sua nuca e il mento appoggiato alla sua testa, lo sguardo perso nei placidi solchi che muovevano l'acqua. Rimasero così a lungo, mentre Natasha tremava dal freddo e lui la confortava in silenzio, finché lei indebolì la presa sui suoi fianchi.
- Andiamo - mormorò, alzando lo sguardo verso di lui.
Steve abbassò la testa, osservando i suoi lineamenti affaticati, gli occhi privi di quella luce ostinata e sicura che mai prima di allora li aveva abbandonati. Le sfiorò la fronte con le labbra, avvicinandosi piano e stringendo i suoi fianchi tra le dita, in una lieve carezza. 
- Andiamo - sussurrò. 

Arrivarono al palazzo con le gambe indebolite, oltre che i cuori stanchi, mentre Natasha aveva perso la sensibilità alla pelle da tempo.  Erano rimasti in silenzio per l'intero viaggio, percorrendo lentamente i sentieri nel bosco, scavalcando tronchi e facendo attenzione a non sbagliare strada, senza aver alcun dubbio sull'impossibilità di orientarsi nei meandri della foresta nel caso avessero preso la direzione sbagliata. Non si erano guardati, non si erano parlati, ma la loro presenza, uno accanto all'altra, su quel sentiero battuto, nel buio della notte intervallata da suoni e fruscii, era l'unica cosa che li spingeva ad andare avanti e a compiere un passo dopo l'altro.
Natasha sapeva di essere fortunata. Non tutti avevano il lusso di avere qualcuno che li sostenesse al momento giusto, che sapesse cosa fare e cosa dire per alleviare il dolore, che pur rimanendo in silenzio era capace di far riacquistare lucidità. Ma lei aveva Steve, Steve capace di tutto ciò e molto di più.
Nell'ascensore puntò lo sguardo sul suo volto e lui ricambiò. Erano uno di fronte all'altra, le loro immagine stanche riflesse e moltiplicate nelle pareti a specchio. Lei osservò la piega delle sopracciglia, le lunghe ciglia che rafforzavano lo sguardo intenso e caldo nelle sue iridi, la sua espressione leggermente incerta. Sapeva cosa dire.
- Rimani con me stanotte.
La voce le uscì più fragile ed esitante di quanto avrebbe voluto. Ma lui annuì impercettibilmente, e in quel momento l'ascensore si fermò. Le porte si aprirono, e loro indugiarono un secondo in più del necessario prima di muoversi, continuando a immergersi negli occhi dell'altro prima di distogliere lo sguardo, voltarsi, e trovarsi davanti al corridoio vuoto. 
Natasha sentiva il cuore batterle molto, troppo forte nel petto. La sua testa era vuota, mentre si avvicinava lentamente alla porta della sua stanza. Appoggiò la mano alla maniglia della porta, il freddo del metallo contro la pelle calda la fece rabbrividire. Aprì la porta, rivelando un'ampia stanza dalle pareti scure decorate da dipinti dorati. 
- Permesso - la voce ferma di Steve la risvegliò dalla trance in cui era sprofondata, nel fissare i pochi mobili eleganti di fronte a lei. Si voltò verso di lui, incrociando il suo sguardo pacato. 
- Ho bisogno di una doccia - mormorò. - Tu stenditi. 

Posò il telo di soffice seta bianca accanto al lavandino, dopo aver strofinato i capelli per asciugare le piccole tracce di umidità rimaste. Si passò una mano tra i capelli, per poi infilarsi nella camicia da notte che usava per dormire. Il tessuto le accarezzò morbidamente la pelle, e Natasha tirò un sospiro di stanchezza. Sentiva gli arti bruciare, i lividi che le increspavano il corpo dolevano come non mai, dopo che l'acqua bollente aveva portato via ogni rigidità.
Aprì la porta del bagno, il marmo freddo sotto ai suoi piedi. In pochi passi felpati arrivò all'estremità della stanza dove si trovava il grande letto. E lì era Steve, seduto su un lato, che fissava le figure intrecciate con linee d'oro e d'argento dei dipinti alle pareti. Natasha si ricordò che anche lui disegnava. Una volta le aveva mostrato alcuni schizzi di piccoli quadretti di città, di parchi, di fiori. Mai un volto, una figura umana. 
- Sono bellissimi - mormorò lei. Lui trasalì, posando il suo sguardo su di lei, che accennò un piccolo sorriso, alzando un angolo della bocca. 
- Non ti avevo nemmeno sentita. Scusami, vado sul divano - lei afferrò il suo braccio, sentendo i suoi muscoli guizzare sotto la pelle, mentre lui le passava accanto. Si immobilizzarono, l'unico suono nella stanza, vicino alle lenzuola di seta, erano i loro respiri timorosi. Natasha lo fissò, fissò il suo volto incerto, spaesato, esitante. 
- Rimani con me. Per favore - la voce le si spezzò, e solo allora Steve si girò e la guardò dritta negli occhi, azzurro nell'azzurro. - Non voglio rimanere da sola - era fragile, Natasha. Si sentiva così fragile da sentire che il cuore le stava esplodendo in petto, le gambe le mancavano, il timore le stringeva lo stomaco. Steve le prese il volto tra le mani, esitante, con un tocco gentile, posando le mani sulle sue guance arrossate. Si chinò su di lei, infinitamente più bassa di lui, più piccola, meno forte, meno sicura.
La baciò. Sulla fronte. Natasha chiuse gli occhi, respirando a fondo il suo profumo, aggrappandosi alla sua maglia con una mano e accarezzandogli lentamente la schiena con l'altra. - Non lasciarmi - mormorò, alzando il viso, cercando le sue labbra. Si strinse a lui, aveva bisogno di lui, delle sue braccia attorno a sè. E lui la strinse, strinse quel minuto corpo fragile, attirandola a sè e godendo del suo calore, mentre le loro labbra si incontravano, ma dolcemente, sfiorandosi appena. La baciò piano, modellando le sue labbra con le proprie, cercando di confortarla e tenere assieme quel poco della vecchia, sicura Natasha era rimasto quella notte. - Non ti lascio - sussurrò, con il respiro affannato - non ti lascerò, stanotte. Né domani. Finché avrai bisogno di me - le baciò la pelle candida della gola, morbida, mentre lei schiudeva le labbra nel sentire le sue mani scivolare dolcemente lungo il suo corpo. La sollevò, prendendola in braccio, tornando sulle sue labbra, ma accanendosi su di esse, in un'esplosione di passione e di sentimenti. Natasha si ritrovò sul letto, sopra di lui, con il corpo in fiamme, la mente finalmente in pace. Lo baciò a lungo, accarezzandogli i capelli, il petto, reggendosi al suo corpo possente. 
- Mi devi me stessa - gli sussurrò all'orecchio - non sono più la stessa, da quando ti amo. 

Tempo dopo, mentre erano abbracciati tra le coperte aggrovigliate, coperti per metà, con le braccia di Steve a circondare il suo corpo esausto, lui le baciò la guancia e sorrise. 
- Io non ti devo nulla. Sei tu, che ti devi te stessa. Sei tu, che devi lasciarti andare ed essere così come sei, ascoltare il tuo cuore, il tuo istinto, qualsiasi cosa ti dica. Lascia da parte l'addestramento, lascia da parte la guerriera. Ascolta la te profonda, quella vera. 
Natasha sorrise, mentre i suoi occhi si illuminavano. - Sì, mio capitano - lo baciò ancora, e poi posò la testa sul suo petto, accarezzando la sua guancia. - Siamo pari allora. 
Lui la strinse ancora più forte. - Siamo pari. 

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Capitolo 4
*** Me lo devi ***


Me lo devi

 


Il cielo uggioso sembrava fare da specchio alle sue emozioni. Mentre il vento delicato serpeggiava tra le foglie degli alberi, le nuvole grigie andavano ad addensarsi, filtrando la luce del sole. I suoi occhi erano bagnati di lacrime, feriti non solo da quel chiarore riflesso sulla superficie dell'acqua. Steve era seduto sul bordo del pontile, rannicchiato sul legno umido. L'aria fresca gli solleticava il collo, facendolo rabbrividire mentre cercava di combattere il freddo e il pianto che non riusciva a ricacciare in gola. Le sue iridi appannate, di un azzurro spento, senza vitalità, fissavano un punto indefinito dell'acqua, perse nel vuoto. 
Dove è Nat?
Ferita. Persa. Scomparsa. Catturata. Rimasta nel passato. Avrebbe preferito sentire di tutto, forse persino passata al lato di Thanos, ma non quel silenzio agghiacciante che aveva risposto alla sua domanda. Non avrebbe voluto vedere il dolore profondo negli occhi di Clint, muto, impenetrabile, sconvolto. Non dopo che lei gli aveva sorriso, ci vediamo tra un minuto, gli aveva detto. E gli aveva sorriso. Fiduciosa. Convinta che dopo tutti gli sforzi, il dolore, gli anni passati a trovare un rimedio, un'alternativa, un modo per riuscire a recuperare i morti, sarebbe andata finalmente così, dopo cinque interminabili anni sola a farsi carico del ruolo a cui gli altri avengers rimasti avevano ormai rinunciato. E Steve le aveva creduto, guardandola negli occhi, sentendosi finalmente sereno mentre i loro sguardi indugiavano uno nell'altro, esprimendo quelle parole silenziose che non potevano essere dette ad alta voce, almeno non davanti a tutti gli altri. Le aveva sorriso, pensando a come lei meritasse quella seconda chance, dopo tutto ciò che aveva fatto in quei cinque anni. Felice di vederla finalmente sicura di sè, pronta alla vittoria. Nemmeno gli aveva sfiorato la mente l'idea che potesse non andare così. Che il suo corpo senza vita sarebbe rimasto su un pianeta nello spazio, solo, freddo, senza nemmeno poter essere sepolto nella casa di colei che l'aveva animato, a guardare con occhi ormai vuoti un cielo stellato sconosciuto. 
Ma la cosa peggiore non era che lei gli mancasse. Sapeva che prima o poi il dolore si sarebbe attenuato, che non l'avrebbe dimenticata ma che avrebbe, alla fine, accettato la sua morte. 
La cosa peggiore era ciò che gli aveva mormorato Clint, una volta tornato, passandogli accanto per sfuggire agli sguardi di tutti e piangere la morte dell'amica, da solo. Clint si era girato verso di lui, e guardandolo negli occhi gli aveva sussurrato, con gli occhi pieni di lacrime, che lei aveva sorriso, mentre pendevano nel vuoto, mentre stava per lasciare la presa, mentre lui la implorava di non farlo. Clint sapeva che tra lui e Natasha stava nascendo qualcosa, era palese. Aveva notato i loro sguardi appena prima della partenza, mentre tutti erano troppo impegnati a prestare attenzione ai commenti impertinenti di Rocket sul discorso del capitano. Clint aveva visto la mano di Steve sfiorare la schiena di lei, i loro occhi e i loro timidi sorrisi. Aveva notato quello di Nat, sereno come il sorriso che gli aveva rivolto prima di lasciarsi cadere nel vuoto.
Aveva sorriso.
In un impeto di rabbia, senza pensare, Steve tirò un pugno al legno accanto a lui, mentre cieca collera gli esplodeva in petto, una vampata di calore gli affluiva alle guance. Le assi si creparono, lui si alzò con un balzo per evitare di cadere nell'acqua. Si girò, passandosi le mani tra i capelli, camminando con gli occhi fissi sul pontile, annebbiati dal dolore, con le guance rigate da lacrime bollenti. 
Natasha si era sacrificata per loro senza rimpianti. Ed era serena, mentre stava per morire. Aveva scelto di proteggere Clint e tutti loro, salvando il suo prezioso amico così che ritornasse dalla sua famiglia, permettendogli di prendere la gemma. 
Era questa la cosa peggiore. 
Non avrebbe dovuto sacrificarsi lei. Era il suo compito proteggerla, quello che si era imposto in una delle rare notti in cui avevano ceduto e si erano concessi di rimanere assieme, spesso rimanendo semplicemente immobili e in silenzio uno tra le braccia dell'altra, ascoltando i loro respiri e sentendosi finalmente un po' più completi. Gliel'aveva anche mormorato, baciandole la fronte mentre il profumo di lei gli riempiva i polmoni e Natashagli sfiorava la guancia con le dita, in una timida carezza. Ti proteggerò, le aveva detto, e lei in risposta aveva sorriso con una scintilla di ironia nel buio che li avvolgeva. Non preoccuparti, Rogers, sarò io a farlo per te, aveva risposto, provocando un suo sbuffo irritato, per poi ridere piano e baciarlo dolcemente sulle labbra.
Steve gliel'aveva promesso. E aveva fallito.
Si passò una mano sul viso, respirando a fondo in un vano tentativo di calmarsi. Chissà cosa avrebbe detto lei, se l'avesse visto in quelle condizioni, senza alcun controllo. 
Ma d'altra parte, anche lui l'aveva vista in lacrime quella sera quando, prima di scoprire la soluzione a tutto, era andato a trovarla, dopo la riunione di gruppo. Lei aveva ceduto alle lacrime, mentre Steve le suggeriva dolcemente che bisognava andare avanti, trovare un lato positivo in ciò che era successo. Ma non era ciò che lei voleva. Lei voleva salvare tutti, come sempre.
Il ricordo lacerante di quella sera gli provocò una fitta al petto. Chiuse gli occhi, ricordando come mentre lei fissava il vuoto si era alzato, le era andato accanto e le aveva accarezzato i capelli, chinandosi e poggiando la fronte contro la sua. Lei si era tesa in avanti, sfiorando le sue labbra con le proprie, aggrappandosi alle sue spalle. Steve l'aveva baciata, stringendo forte a sè il suo corpo minuto, cercando di sostenere lei e un po' del peso che la opprimeva dentro. L'aveva sollevata, prendendola in braccio e andando a sedersi sul divano, dove erano rimasti per una manciata di minuti,  abbracciati, godendo del calore dei loro corpi e di quella effimera tranquillità, con le mani intrecciate e i respiri in sincronia, la testa di lei poggiata sul suo petto. Natasha aveva alzato lo sguardo, dopo quei minuti che erano sembrati fin troppo pochi, cercando il suo. L'aveva baciato ancora, dolcemente, accarezzando la sua guancia e sospirando, poi, mentre si scioglieva dal suo abbraccio. Steve avrebbe voluto ricominciare con lei, e lei lo sapeva; ma non aveva potuto concederselo, nonostante il cuore le dicesse di lasciarsi andare. Nella sua mente, rivedeva la polvere svanire nell'aria, dopo lo schiocco delle dita di Thanos. Doveva riportarli indietro. Tutti.
- Ti amo, Steve - aveva sussurrato, chiedendogli perdono con gli occhi. Perdono per non riuscire ad andare avanti. Per non riuscire a renderlo pienamente felice. - Anche io, Nat - le aveva sorriso con tenerezza. Fiducioso che in qualche modo prima o poi sarebbero riusciti a risolvere tutto.
Era stata l'ultima volta che le aveva detto che l'amava. 
Steve alzò lo sguardo al cielo, riempiendo i polmoni di aria, mentre il cuore gli provocava fitte acute di dolore ad ogni battito. Da qualche parte, oltre quelle nubi, lontano chilometri e chilometri, c'era Natasha. Sola. Morta.  
- Ti amo, Natasha - mormorò. - Il mio cuore è rimasto lì con te. Me lo devi. 














Angolino dell'autrice:
Grazie di cuore a chiunque sia arrivato a leggere fino a questo breve capitolo.
Grazie di cuore a chiunque abbia lasciato un pensiero, un commento, una riflessione.
Grazie di cuore a chiunque abbia deciso di mettere tra i preferiti, seguiti o da ricordare.
Grazie a chiunque abbia condiviso questi brevi momenti con me e la mia scrittura, è un onore <3
Anna

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