Prenditi cura di me

di _Trilly_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Buenos Aires ***
Capitolo 2: *** La decisione di German ***
Capitolo 3: *** L'inizio dei giochi ***
Capitolo 4: *** Segreti e paure ***
Capitolo 5: *** Approcci e lacrime ***
Capitolo 6: *** Lena, Marco & Diego ***
Capitolo 7: *** E penso a te ***
Capitolo 8: *** Un gioco pericoloso ***
Capitolo 9: *** Seguire il cuore ***
Capitolo 10: *** Nulla da perdere ***
Capitolo 11: *** Carte quasi scoperte ***
Capitolo 12: *** Equilibrio precario ***
Capitolo 13: *** Alta tensione ***
Capitolo 14: *** La disperazione di Violetta ***
Capitolo 15: *** Il gioco di Diego ***
Capitolo 16: *** Filo invisibile ***
Capitolo 17: *** Luci ed ombre ***
Capitolo 18: *** Nuestro Camino ***
Capitolo 19: *** Legami indistruttibili ***
Capitolo 20: *** Chi è Joaquin Fernandez? ***
Capitolo 21: *** Buon Natale! ***
Capitolo 22: *** Confrontarsi con la realtà ***
Capitolo 23: *** La furia di Gregorio ***
Capitolo 24: *** Una sconvolgente scoperta ***
Capitolo 25: *** Inatteso e doloroso confronto ***
Capitolo 26: *** Dove sei Diego? ***
Capitolo 27: *** Scheletri nell'armadio ***
Capitolo 28: *** Ludmilla superstar ***
Capitolo 29: *** L'ultimo tassello ***
Capitolo 30: *** Gesti d'amore ***
Capitolo 31: *** Pulci nelle orecchie ***
Capitolo 32: *** Il coraggio di un vero uomo ***
Capitolo 33: *** Importanti decisioni ***
Capitolo 34: *** Una nuova opportunità ***
Capitolo 35: *** Ascolta il mio cuore ***
Capitolo 36: *** Sorprese dolci-amare ***
Capitolo 37: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 38: *** Noi due ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Buenos Aires ***





Cara mamma,
io e papà siamo in aereo, stiamo tornando a Buenos Aires dopo questa lunga vacanza in Spagna. Ora lui è al telefono, ha trascorso quasi tutto il viaggio al telefono. Dice che è per questioni di lavoro, ma credo che in realtà cerchi di tenersi impegnato per non pensare.
Sai, fino ad alcuni mesi fa sembrava che papà e zia Angie fossero destinati a stare insieme, ma poi lei ha ammesso di provare dei sentimenti anche per Pablo e le cose si sono complicate ulteriormente. Lui già non riusciva ad accettare ciò che provava dato che Angie è tua sorella, immagina adesso. Di punto in bianco ha accettato un incarico di lavoro di tre mesi in Spagna e io non ho potuto fare altro che partire con lui. Madrid è una bella città, è moderna e molto animata. Proprio lì abbiamo conosciuto Esmeralda, una donna simpatica e intelligente che si occupa di cose noiose esattamente come papà. Grazie a lei abbiamo visitato i posti più belli della città e poi mi ha accompagnato a fare shopping o abbiamo semplicemente passato del tempo insieme mentre papà era occupato in qualche riunione di lavoro. Mi è dispiaciuto doverle dire addio prima della partenza e anche papà è dispiaciuto credo. Mi è sembrato molto colpito da lei e la guardava come fino ad adesso aveva guardato solo Angie. Mi chiedo cosa succederà una volta tornati a casa. Angie ed io ci siamo sentite quasi tutti i giorni e anche se lei ha chiesto di papà, lui non le ha mai voluto parlare. Sono molto confusa mamma, da una parte vorrei che chiarissero ma dall’altra inizio a pensare che forse non sono fatti per stare insieme e………….
 





“Violetta, tesoro.”
La ragazza sollevò lo sguardo di scatto, incrociando quello decisamente nervoso del padre. Quando aveva finito di parlare al telefono? Non se ne era proprio accorta. “Siamo quasi arrivati.”
Era chiaro dalla sua espressione cupa che German Castillo non facesse i salti di gioia all’idea di tornare a casa. Violetta in ogni caso decise di non fare domande e si affrettò a riporre il diario nella borsa, per poi tornare a guardarlo. “Ne approfitto per andare un attimo in bagno allora.”
A quelle parole German si guardò intorno, poi scattò in piedi. “Ti accompagno.”                                                          La ragazza sgranò gli occhi. “Stai scherzando? Non ho dieci anni papà”
“E va bene,” concesse alla fine, tornando a sedersi. “Ma torna presto.”                                                                       Violetta corse verso il bagno con un solo pensiero in testa: suo padre non sarebbe mai cambiato, mai, nemmeno tra un milione di anni e onestamente non sapeva proprio se sarebbe riuscita a sopportarlo ancora a lungo. Non era lui in fondo che diceva che la fiducia e la sincerità erano tutto? Perché allora non gliela dava un po’ di quella maledetta fiducia?
Dopo essersi sciacquata energicamente il viso con dell’acqua fredda, guardò il proprio riflesso nel piccolo specchio. Stava tornando a casa e la cosa un po’ la spaventava. In quei tre mesi aveva pensato molto sia a Thomas che a Leon e si era resa conto di una cosa molto importante, ossia che uno dei due le mancava più dell’altro. C’era rimasta male quando aveva saputo che Thomas sarebbe tornato in Spagna e che quindi non lo avrebbe più visto, eppure in quel periodo di vacanza il suo chiodo fisso era stato Leon. Non faceva che pensare ai suoi occhi verdi, al suo dolce sorriso, alla sua voce e poi al calore e alla protezione che le trasmetteva lo stare tra le sue braccia. Le mancava ogni cosa di Leon, persino la sua gelosia ossessiva. Più di una volta era stata sul punto di chiamarlo, ma poi le era sempre mancato il coraggio. Cos’avrebbe mai potuto dirgli? Il suo maggior timore però, era scoprire che lui fosse riuscito a dimenticarla e che magari si fosse innamorato di un’altra ragazza e proprio per questo non lo aveva mai chiamato. Cosa sarebbe successo quando lo avrebbe rivisto allo Studio? Aveva paura Violetta, era una codarda esattamente come suo padre e con il tempo le cose non erano cambiate. Leon poi era in grado di confonderla e farla sentire un idiota come mai nessuno c’era riuscito. Leon era speciale, per lei c’era sempre stato e solo quando lo aveva perso lo aveva capito. Era solo una stupida.
Si tamponò il viso, poi si affrettò ad uscire dal bagno ma nel farlo si scontrò con qualcuno e sarebbe finita a terra se due forti braccia non l’avessero sostenuta. Imbarazzata, incrociò lo sguardo divertito di un bel ragazzo moro con gli occhi scuri. “Scusami, io…..” balbettò, “Io non ti ho visto”
Lui sorrise, continuando a stringerla a se. “Non preoccuparti, non capita tutti i giorni di essere investiti da una bella ragazza” aggiunse, indugiando sul suo corpo e facendola arrossire di botto.
“Bè, io……devo andare” disse, sfuggendo alla sua presa e scappando via. Se suo padre l’avesse vista con quel ragazzo gli sarebbe venuto un infarto, o più semplicemente lo avrebbe strangolato e non ci teneva per niente ad essere messa in imbarazzo anche in aereo. Il ragazzo nel frattempo la seguì con lo sguardo, con un sorrisetto arrogante stampato in faccia. Forse la sua avventura a Buenos Aires sarebbe stata più interessante di quanto pensava.
                                                                                                 
 



 
Pablo si sbatté la porta di casa alle spalle, lasciando nell’ingresso un grosso borsone e tamponandosi la fronte sudata con un fazzoletto. Casa sua era sempre la stessa, anche se puzzava di chiuso e di abbandonato. Tre mesi lontano da lì gli avevano permesso di poter finalmente pensare con lucidità senza essere condizionato in alcun modo e poteva sicuramente definirsi soddisfatto. Non che avesse dimenticato Angie, lei purtroppo sembrava aver messo le radici nel suo cuore e non aveva intenzione di andarsene. Ogni volta che chiudeva gli occhi la sentiva al suo fianco, sentiva la sua risata, il suo profumo e si lasciava cullare da essi fino a crollare nel sonno. L’amava e non poteva far nulla per cambiare ciò, nemmeno mettere chilometri di distanza tra di loro era servito. Una parte di Angie lo aveva seguito, ricordandogli che non poteva dimenticarla……..come se non lo sapesse tra l’altro. Scosse la testa, recandosi in cucina e iniziando a preparare il caffè. Doveva togliersela dalla testa, lei non ricambiava i suoi sentimenti, lei amava German. Dio solo sapeva quanto aveva odiato e invidiato quell’uomo che poteva avere tutto ciò che lui aveva sempre desiderato. Stupidamente si era illuso di aver conquistato il cuore della sua migliore amica e solo quando era ormai troppo tardi aveva capito che i sentimenti di lei non erano intensi e devastanti come i suoi, che lei non lo aveva mai guardato come guardava German. Proprio per questo aveva deciso di prendere tutte le sue cose e andare dai suoi genitori per le vacanze estive. Gli impegni lavorativi non gli consentivano di andarli a trovare spesso, così approfittando anche del suo bisogno di staccare la spina era partito. L’aria di montagna lo aveva aiutato molto, tanto da fargli prendere una decisione che normalmente non avrebbe mai preso, una decisione che sapeva essere la migliore per se stesso.
Si era appena riempito una tazza di caffè, quando il suo telefono di casa iniziò a squillare. Fu seriamente tentato di non rispondere, ma quando riconobbe il numero di Antonio ci ripensò. – Antonio –
- Pablo, finalmente! Ti ho chiamato un sacco di volte al cellulare, ma risultava sempre spento –
- è scarico – mentì. Non poteva di certo dirgli che lo teneva spento per evitare Angie. – Come stai Antonio, hai passato delle buone vacanze? –
- Abbastanza piacevoli, tu? –
- Lo stesso. Volevi dirmi qualcosa? –
-In realtà si. Volevo chiederti di passare allo Studio oggi pomeriggio. Ci sono delle importanti novità che vorrei comunicare a tutti gli insegnanti –
Pablo s’irrigidì a quelle parole. Avrebbe rivisto Angie. Pensava avrebbe avuto ancora qualche giorno per accettare la cosa e invece Antonio aveva convocato quella riunione straordinaria.
- Pablo? Ci sei ancora? –
- Si, ehm……ci sarò –
- Perfetto. A più tardi allora –
Dopo aver cancellato la miriade di messaggi di Angie dalla segreteria, Pablo corse a farsi una doccia gelata. Doveva essere forte, doveva mantenere la promessa che si era fatto in montagna.
 
 



L’aeroporto di Buenos Aires era strapieno di persone che si trascinavano dietro pesanti bagagli, tra essi c’era un ragazzo moro che procedeva con fare arrogante. Finalmente dopo aver fatto tanti progetti era potuto sbarcare nella città argentina e iniziare così le sue ricerche. Si sistemò per l’ennesima volta la giacca di pelle nera che indossava, interrompendo quell’azione al suono del cellulare.
- Si, chi parla? – mormorò con voce annoiata.
- Diego, sono io Miguel. Sei arrivato? – disse una voce bassa e allo stesso tempo preoccupata.
- Si, sono atterrato proprio adesso. Lì come va? – si sforzava di apparire calmo e disinvolto, ma in realtà era decisamente nervoso. – Miguel, dimmi la verità – aggiunse, quando dall’altro lato il silenzio si protrasse troppo a lungo.
- Tranquillo, va tutto bene………qui ci penso io, tu preoccupati solo della missione –
- Va bene……..ah Miguel? Ti voglio bene – non credeva lo avrebbe mai detto, eppure attraverso un cellulare si era dimostrato notevolmente più facile.
- Anch’io Diego. In bocca al lupo –
- Crepi –
Dopodiché chiuse la conversazione e si incamminò verso un ragazzo magrolino con folti capelli neri che subito gli corse incontro.
“Diego!” esclamò felice, stringendolo in un forte abbraccio.
“Ehi Marco” lo salutò, ricambiando l’abbraccio.
Lui e Marco erano amici sin da piccoli, poi il ragazzo si era trasferito a Buenos Aires e finalmente ora era potuto andare a trovarlo, o almeno quella era la scusa che aveva rifilato all’amico. Non era ancora pronto per dirgli la verità.
“Com’è andato il viaggio?” chiese Marco allegramente, aiutandolo con i bagagli. Diego fece per rispondere, quando qualcosa o meglio qualcuno attirò la sua attenzione. Poco distante da loro c’era la ragazza carina con cui si era scontrato in aereo e insieme a lei c’era un uomo alto e ben vestito che suppose essere suo padre. Un sorrisetto soddisfatto si formò sul suo volto. La ragazza era di Buenos Aires esattamente come pensava allora e chissà magari non era lì solo per una visita. Doveva assolutamente scoprire qualcosa su di lei, dove abitava, i suoi interessi, qualsiasi cosa.
“Cosa guardi?” chiese Marco, nel momento in cui alla ragazza e al padre si avvicinò un uomo alto con gli occhiali che li abbracciò per poi aiutarli con i bagagli.
Diego distolse lo sguardo, continuando a sorridere. “La conosci quella ragazza?”
Lui si accigliò, poi però annuì. “Frequenta lo Studio 21 se non mi sbaglio. Presto farò le audizioni per entrarci” aggiunse entusiasta.
“Lo Studio 21” mormorò Diego, pensieroso. Non c’era niente di male a combinare dovere e piacere in fondo. Quella ragazza gli piaceva e in un modo o nell’altro l’avrebbe conquistata, nessuno resisteva al suo fascino.
 



 
Ludmilla si abbandonò sul grande letto della sua lussuosissima camera, sorridendo tra se e se. Era appena tornata da una lunga crociera sulle coste del Mediterraneo, dove aveva passato un’estate da regina e dove aveva avuto modo di mettere a punto uno dei suoi infallibili piani.
Con la partenza di Thomas e il successivo litigio con Nata, la bionda si era ritrovata senza il ragazzo che le piaceva e senza la sua amica o schiava, a seconda dei punti di vista. In ogni caso Ludmilla era rimasta sola e doveva risolvere la cosa al più presto.
Tutti si aspettavano una vendetta crudele da parte sua, ma lei aveva in mente qualcosa che li avrebbe sconvolti e lasciati senza parole, qualcosa che le avrebbe consentito di abbassare le loro difese per poi colpirli senza pietà. Si sarebbe vendicata di tutti quelli che le erano andati contro, Violetta in primis. Quella ragazza apparentemente ingenua e buona era stata la sua spina nel fianco fin dall’inizio e meritava una lezione che si sarebbe ricordata tutta la vita. Il suo piano avrebbe funzionato ne era sicura, doveva solo trovare il modo di attuarlo e poi Violetta Castillo sarebbe stata schiacciata come un inutile moscerino e lei sarebbe tornata l’indiscussa regina dello Studio 21. Lei era la bellissima e futura star Ludmilla Ferro e nessuno poteva essere migliore di lei.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da un leggero bussare alla porta della sua stanza. “Avanti!” esclamò, mettendosi seduta. La porta si aprì, rivelando una ragazza magrolina con dei lunghi e lisci capelli scuri. Ludmilla sorrise malefica. “Andrea cara, ti stavo aspettando.”
“Ciao Ludmilla.” Andrea prese posto sulla sedia accanto alla scrivania, guardandosi nervosamente intorno. Quella camera era grande quanto casa sua, sulle pareti c’erano poster e foto che raffiguravano la Ferro con vestiti sempre diversi e se non l’avesse avuta davanti agli occhi avrebbe scambiato quel luogo per un santuario. Rabbrividì al solo pensiero, ma si sforzò di non darlo a vedere. “Perché hai voluto vedermi?” Le chiese, sollevando lo sguardo su di lei.
La bionda accentuò il suo sorriso. Ovviamente aveva percepito il disagio della ragazza e ciò la fece sentire soddisfatta. Amava incutere disagio o addirittura timore in coloro che aveva di fronte. Si sedette più comodamente sul letto, ammirandosi la manicure che si era fatta fare quella stessa mattina. “Esci ancora con Andres?” Chiese, fingendosi incurante.
Andrea si accigliò. Si aspettava qualsiasi ordine o domanda, ma di certo non quella. Perché mai Ludmilla Ferro avrebbe dovuto essere interessata alla sua vita sentimentale? “Ovviamente non mi importa niente di chi frequenti,” proseguì la Ferro quasi le avesse letto nel pensiero. “A meno che ciò non può sortirmi dei vantaggi”
“Che significa?” Chiese la mora. “In che modo la mia vita sentimentale può esserti vantaggiosa?”
Ludmilla scattò in piedi e le si avvicinò, girandole intorno come un ghepardo fa con la sua preda. La ragazza rabbrividì. Quando voleva, lei era in grado di incuterle terrore fin nelle viscere. “Fai come ti dico e andrà tutto bene,” sibilò con quel filo di minaccia che aveva sempre usato con la povera Nata. Andrea deglutì, stringendo forte le mani al legno della sedia su cui era seduta. Ora aveva davvero paura. “Cosa devo fare?”
L’altra sorrise soddisfatta, arricciandosi una ciocca dei lunghi capelli intorno al dito. “Brava formichina, vedo che inizi a capire. Quello che devi fare è molto semplice. Devi rimetterti con il caro Andres e fare in modo che i suoi amici sfigati ti accettino nel gruppo.”
“Perché?” Chiese la mora, confusa.
La bionda rise incredula. Non credeva che potessero esistere persone più stupide di Nata, ma a quanto pareva Andrea lo era. La ragazza perfetta per Andres a parer suo. “Ho bisogno di una spia all’interno del gruppo e rimetterti con Andres è il modo giusto per ingannarli con una buona fede che non hai. Ora ti è chiaro?”
Andrea ci pensò per qualche istante, poi annuì. “Ci sto, ma voglio chiarire una cosa. Io non sono Nata e non mi farò manipolare da te.” Ludmilla la fissò a bocca aperta, mentre lei era quasi nella medesima situazione. Aveva davvero detto una cosa simile alla persona che più temeva e ammirava allo stesso tempo?
“Io…..io…..non permetto a nessuno di parlarmi così…..” balbettò la bionda, indignata.
“Non volevo mancarti di rispetto Ludmilla,” si affrettò a spiegare Andrea. “Ma semplicemente dirti che voglio essere trattata come tua pari e ovviamente avere qualcosa in cambio per i miei servigi.” Ora si sentiva davvero più sicura rispetto a quando era arrivata e proprio non riusciva a spiegarsi il perché, in ogni caso poteva definirsi soddisfatta visto che stava affrontando la ragazza a testa alta.
Ludmilla la fissò, indecisa se strangolarla o gettarla dalla finestra. Chi si credeva di essere per venire a dettare regole in casa sua? Lei era Ludmilla Ferro e non prendeva ordini da nessuno. “Bene,” disse alla fine, sforzandosi di non urlarle contro. “Tu non deludermi ed io saprò come ripagarti.”
“Perfetto,” ribatté Andrea, alzandosi in piedi e porgendole la mano. L’altra la strinse seppur riluttante. “Ciao Ludmilla.”
La Ferro la guardò allontanarsi e solo dopo che si fu chiusa la porta alle spalle digrignò i denti. Quella ragazza aveva una sfacciataggine che la indisponeva a dir poco. “Prova a fregarmi e giuro che ti distruggo stupida formichina molesta.”
 






Ciao a tutti!! :)
Questa è la prima fan fiction che scrivo su questo fandom, perciò non so cosa ne uscirà fuori. XD Quando ho iniziato a scriverla ero a conoscenza di molti spoiler sulla seconda stagione, perciò alcune cose le ho lasciate uguali, mentre molte altre le ho modificate e lo capirete mano a mano che si va avanti con i capitoli. Come si è capito già da questo primo capitolo una delle coppie principali sarà la Leonetta, mentre l’altra sarà la Pangie che DulceVoz mi ha fatto tanto amare :D Per il resto non faccio spoiler, sarà una sorpresa XD Spero che la storia vi piaccia! Un bacio, trilly <3

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Capitolo 2
*** La decisione di German ***





Appena Roberto parcheggiò fuori villa Castillo, tre donne vennero loro incontro. La prima era l’eccentrica e simpatica Olga, poi c’era la nonna Angelica e infine Angie.
Violetta si lasciò abbracciare e baciare dalle tre, felice di vederle. Quando poi fu il turno di German, l’uomo abbracciò rigidamente Olga e salutò educatamente Angelica, ignorando completamente Angie. Quest’ultima ci rimase molto male, ma si sforzò di non darlo a vedere concentrandosi sulla nipote.
“Sei diventata ancora più bella Vilu,” le disse dolcemente. Angelica annuì, abbracciandola nuovamente. “Ogni giorno che passa somigli sempre di più a tua madre.”
Violetta sorrise. “Grazie, mi siete mancate così tanto!”
“Anche tu a noi tesoro! Per un attimo ho temuto che tuo padre avesse deciso di non tornare più,” ammise Angelica. “Per fortuna poi non ha fatto nessuna sciocchezza,” aggiunse, guardando la figlia che arrossì imbarazzata. Era chiaro che la donna si stesse ancora chiedendo come avesse fatto Angie a provare dei sentimenti per suo cognato German.
“Di sopra c’è una sorpresa per te,” disse Angie all’improvviso, sperando che sua madre la smettesse con quello sguardo accusatorio.
“Davvero?” Chiese Violetta entusiasta, ignara della conversazione di soli sguardi che le due donne stavano sostenendo. “Che cos’è?”
“Perché non vai a vedere?”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Attraversò l’ingresso di corsa e si fiondò al piano di sopra. Appena aprì la porta della sua camera, si trovò davanti i volti sorridenti dei suoi migliori amici Francesca, Camilla e Maxi. Sentirli al telefono o vederli in webcam non era di certo lo stesso di averli lì davanti a lei. “Vilu!” esclamarono i tre, stringendola in un forte abbraccio. “Oh ragazzi! È così bello vedervi! Cosa mi raccontate?” Aggiunse, mentre prendevano posto sul letto.
Francesca rise. “Casomai dobbiamo chiederlo noi a te visto che sei appena tornata.”
“Com’è la Spagna? Hai fatto qualche foto?” Chiese Camilla curiosa.
“E le ragazze spagnole come sono?” Aggiunse Maxi. “Sono davvero carine come dicono?”
“Come vuoi che siano Maxi, sono spagnole,” ribatté Fran divertita, facendoli scoppiare a ridere. Tra le risate Vilu recuperò la sua fotocamera dalla borsa. “Ho fatto un sacco di foto tutte per voi.”
Si misero a guardare le foto ridendo e scherzando, finché non comparve una dove c’era anche Esmeralda. “Lei chi è?” Chiese Maxi curioso.
“Esmeralda, l’abbiamo conosciuta in un ristorante. Era lì per un progetto di lavoro come mio padre.”
“Lei e tuo padre stanno insieme?” Chiese Camilla, che come al solito non fu in grado di tenere a freno la lingua e per questo si beccò un’occhiataccia da parte di Fran.
Violetta scosse la testa. “Lo sapete com’è mio padre, fa sempre finta di niente e reprime qualsiasi sentimento.”
“Già.”
Trascorsero alcuni istanti di silenzio in cui Violetta fu più volte sul punto di porgere loro la domanda che la tormentava, ma all’ultimo le mancava sempre il coraggio. Doveva togliersi quel dubbio e subito. “Sapete qualcosa di Leon?” Il suo fu un debole sussurro, ma dagli sguardi imbarazzati che gli amici si scambiarono, capì che l’avevano sentita e che probabilmente non c’erano notizie positive. “Ehm…sta bene,” disse Fran, evitando di guardarla. “è in forma,” aggiunse Maxi, per poi cambiare subito argomento. “Che altro ci racconti sulla Spagna?”
“Già,” convennero Fran e Cami. “Perché non...?”
“Cosa mi state nascondendo?” Le interruppe Violetta seria. “Ditemi la verità. È successo qualcosa a Leon?”
“No,ma…”
“Ma cosa?” I tre si scambiarono un’occhiata, poi finalmente Fran parlò. “Si è allontanato un po’ da tutti e…”
“Ma sta bene,” si affrettò a rassicurarla Maxi.
“è stato Andres a dirci che a inizio estate ha comunicato ad Antonio che lasciava lo Studio,” aggiunse Camilla, beccandosi un’occhiataccia dagli altri due.
“Che cosa?!” Esclamò Violetta, sconvolta. “Perché?” Loro scrollarono le spalle, ma la ragazza in fondo al suo cuore conosceva la risposta. Lo aveva fatto per lei, Leon non voleva più vederla e l’unico modo era lasciare lo Studio, il luogo dove si erano conosciuti. Doveva parlargli, spiegargli che ora non aveva più dubbi e che nel suo cuore ormai c’era solo lui. “Voi che mi raccontate?” Chiese, sforzandosi di cambiare argomento, anche se la sua mente si ostinava a pensare a Leon e al fatto che se non avesse fatto qualcosa rischiava seriamente di perderlo, o forse lo aveva già perso. Il solo pensiero le provocò un forte dolore alla base del cuore. Come avrebbe fatto senza il suo Leon? Poteva ancora definirlo suo? Cosa stava facendo ora che aveva rinunciato al suo sogno? E se si fosse innamorato di un’altra ragazza?
“Violetta, ci sei?” Francesca la riscosse dai suoi pensieri, sventolandole una mano davanti agli occhi. “Stai pensando a Leon vero?” Annuì tristemente, fissandosi le scarpe con sguardo assente. “Mi manca così tanto, ma ho paura che per lui non sia così.”
“Andrà tutto bene vedrai,” la rassicurò l’italiana, abbracciandola. “Già,” convenne Camilla, abbracciandola a sua volta. “Leon è sempre stato pazzo di te.” “E se è andato via dallo Studio probabilmente è proprio per quello,” aggiunse Maxi. “Sono sicuro che se insistiamo un po’ con Andres ci dirà dove possiamo trovarlo.” A quelle parole il volto di Violetta s’illuminò. Andres era il migliore amico di Leon, di sicuro sapeva tutto di lui. Non vedeva l’ora di rivedere il suo Vargas e di confessargli il suo amore e stavolta avrebbe lottato con le unghie e con i denti per proteggere il loro rapporto. Nessuna persona o dubbio si sarebbe messo tra loro, non più.
 

 




 
Chiuso nel garage di casa sua con lo stereo a tutto volume c’era Leon. Il ragazzo, con addosso un vecchio paio di jeans scoloriti e una canotta nera, era piegato davanti una grossa motocicletta rosso fiammante. Accanto a lui c’era un barattolo di vernice, con cui stava riverniciando il mezzo. Erano ore che era rinchiuso lì e il caldo si faceva sempre più insopportabile, i capelli gli si erano attaccati sulla fronte sudata e sentiva quelle fastidiose goccioline scendere lungo la schiena, ma non poteva fermarsi. La sua moto doveva essere pronta il prima possibile.
“Ehi Leon!”
Si voltò di scatto, trovandosi di fronte il volto euforico di Andres. “Andres, non ti ho sentito entrare,” ammise, scostandosi i capelli sudati dalla fronte.
“è ovvio, con tutto questo baccano,” ribatté il ragazzo, saltellando da una parte all’altra del garage. Leon si affrettò a spegnere lo stereo, per poi tornare a guardarlo accigliato. “Cos’è tutto questo entusiasmo?”
 “Oh Leon, sono così felice!” Esclamò Andres, stringendolo in un abbraccio spezza costole che lo lasciò basito. Sapeva che il suo amico era un tantino folle, eppure ogni volta lo lasciava senza parole. “Ti ricordi di Andrea?”
“La tua storia di tre giorni che ti ha fatto deprimere per settimane?” Chiese scettico.
Andres annuì. “Abbiamo deciso di provare di nuovo a stare insieme. Non è fantastico?”
“Certo,” ribatté Leon, sorridendo forzatamente. Andrea non gli piaceva molto, in passato si era presa gioco del suo ingenuo amico e temeva che potesse rifarlo, ma d’altronde sapeva che se avesse espresso i suoi dubbi ad Andres, lui l’avrebbe presa male e per questo decise di tacere. “Sono contento per te. Ti va qualcosa da bere?” Fece per avviarsi verso la porta che portava direttamente in casa sua, ma il ragazzo lo fermò. “Mi piacerebbe, ma non posso. Devo vedermi con Andrea.”
“Va bene, sarà per la prossima volta,” mormorò Leon, guardando l’amico saltellare verso l’uscita, urtando le mazze da baseball di suo padre e facendole rotolare sul pavimento, rischiando poi di inciamparci sopra. Ruotò gli occhi, divertito. Forse solo Beto era più imbranato di Andres.
“Ah Leon,” disse Andres, voltandosi all’improvviso verso di lui. “Lei è tornata.” Dopo aver sganciato quella bomba il ragazzo scappò via, consapevole che Leon avesse capito. Difatti, il giovane Vargas s’irrigidì, ma poi tornò a concentrarsi sulla sua moto. Sapeva che presto sarebbe tornata, eppure lo stesso si sentiva spiazzato. Prima di Violetta non aveva idea di cosa fosse l’amore, era convinto che tutto si basasse su una lotta di potere dove i più forti, ossia lui e Ludmilla, occupavano una posizione di assoluto prestigio. In quel periodo era arrogante, presuntuoso, crudele, pieno di pregiudizi e poi era arrivata lei. Ricordava che aveva iniziato a corteggiarla per fare un affronto a Thomas, si trattava di un gioco quindi che ben presto gli si era ritorto contro. Violetta lo aveva colpito, sconvolto, ammaliato e in poco tempo si era innamorato perdutamente. Per tanto, troppo tempo l’aveva considerata la sua dolce e ingenua principessa da proteggere e sostenere, non rendendosi conto che in realtà lei non aveva bisogno di protezione, lei sapeva esattamente come cavarsela. Violetta sgusciava da lui a Thomas così velocemente, così semplicemente e il più delle volte si ritrovava confuso e deluso. Con lei non c’erano certezze, ogni cosa poteva cambiare da un momento all’altro e le sue parole e i suoi gesti spesso non erano sinceri. Si sforzava di capirla, di giustificarla e anche di perdonarla, ma lei continuava a giocare con il suo cuore lacerandolo e martoriandolo come se fosse stato spazzatura. La sua giustificazione era sempre la stessa: la confusione. Dio solo sapeva quanto aveva odiato e temuto quella parola. Bastava poco, veramente poco per vederla avvicinarsi a Thomas per poi tornare da lui per essere consolata. Quante lacrime le aveva asciugato, a quante sue bugie aveva finto di credere, quanti suoi abbracci e sorrisi aveva scambiato per gesti d’amore, quante le volte che aveva finto di non vedere gli sguardi che scambiava con Thomas. Aveva subito e incassato fin troppi colpi, era diventato il suo zerbino, il suo cane ammaestrato. Solo quando lei aveva detto a lui e a Thomas che preferiva non scegliere nessuno dei due, la benda che fino a quel momento gli aveva coperto gli occhi e le orecchie era caduta e finalmente aveva capito. A Violetta piaceva averli entrambi ai suoi piedi e per quello si era sempre rifiutata di scegliere. Non era altro che una persona viziata ed egoista che dopo averlo fatto innamorare, aveva ridotto il suo cuore a brandelli. Aveva fatto tutto questo a lui che pensava di essere forte e sicuro e invece era caduto nella sua trappola. Quando era partita per la Spagna aveva lasciato un Leon ferito, umiliato, ma soprattutto furioso e proprio quell’ultimo sentimento lo aveva aiutato ad andare avanti, a ricominciare a vivere. Ora non era più il ragazzo stupido e innamorato di un tempo, ora era davvero forte, ora era davvero in grado di tenere Violetta fuori dalla sua vita.
“Non giocherai più con i miei sentimenti, non te lo permetterò,” mormorò tra se e se, alzandosi e osservando la sua moto ormai ultimata. Aveva fatto un ottimo lavoro e quella notte avrebbe completato l’opera, sarebbe tornato ad essere un vincente, sarebbe tornato il vecchio Leon. Si avvicinò a una delle mensole in fondo al garage e da essa recuperò un vecchio barattolo di vernice arrugginito. Quasi meccanicamente iniziò a contare le banconote che vi teneva nascoste all’interno, sbuffando. Erano una bella somma, ma non bastavano e proprio per quello quella notte stessa doveva vincere a tutti i costi. Alle orecchie gli giunse il rumore della macchina di suo padre e rapidamente si affrettò a nascondere i soldi. Se l’uomo avesse anche solo sospettato quello che stava combinando lo avrebbe ammazzato. Lui non capiva, non aveva mai capito nulla di suo figlio e forse proprio per quello nel corso degli anni si erano allontanati sempre di più. Ormai tutto ciò che legava Leon e Fernando Vargas era solo il sangue.
“Cosa stai facendo chiuso qui dentro?” Il volto autoritario di Fernando Vargas sbucò dalla porta del garage, lo sguardo che vagava sospettoso in ogni angolo. Leon scrollò le spalle, impassibile. “Stavo riverniciando la mia moto. Bella eh?” Nella sua voce c’era una chiara traccia di ironia, che l’uomo volutamente ignorò, probabilmente ci aveva fatto l’abitudine. “Stasera non torno per cena,” proseguì, continuando a guardarsi intorno quasi sapesse che il figlio nascondesse qualcosa lì dentro. Il giovane Vargas incrociò le braccia al petto e lo fissò con espressione annoiata. “Fai come ti pare, tanto stasera non ci sono.” Si avviò poi verso la porta, considerando quella conversazione conclusa, peccato che suo padre non la pensasse allo stesso modo. “Esci?” Chiese infatti. “E dove vai?” Leon si voltò verso di lui, con un sorriso ironico stampato in faccia. “Quando mai ti è interessato dove vado? Di punto in bianco hai deciso che vuoi comportarti da buon padre? Lascia perdere, davvero.” Detto ciò lo mollò solo e spiazzato all’interno del garage,continuando a sorridere tra se e se.
 
 




 
German era nel suo ufficio impegnato in una fitta conversazione telefonica con un’importante cliente, quando Angie spalancò la porta ed entrò. Voleva delle spiegazioni e lui volente o no gliele avrebbe date. Alla sua vista l’uomo s’irrigidì, poi decise di interrompere la chiamata promettendo al cliente che lo avrebbe richiamato. “Cosa ci fa qui Angie?” Le chiese freddamente.
“Lei mi sta evitando,” ribattè la bionda sedendosi di fronte a lui. “Non risponde alle mie chiamate e ha pure smesso di salutarmi,” aggiunse riferendosi all’episodio di quella mattina.
German scrollò le spalle, incurante. “Se non le ho risposto evidentemente non avevo nulla da dirle.”
“Ce l’ha con me per quello che ho detto non è così?” Insistette lei, alludendo alla conversazione in cui gli aveva detto che non sapeva chi amava davvero tra lui e Pablo. German s’irrigidì, poi iniziò a fingere interesse per alcuni documenti posti sulla scrivania. “Non so di che parla.” Borbottò, evitando di guardarla.
Angie ruotò gli occhi, stizzita. “Bene,” sbottò, scattando in piedi. “Quando deciderà di comportarsi da uomo maturo me lo faccia sapere.” Aveva quasi raggiunto la porta, quando lui la richiamò. “Angie.”
La bionda si voltò di scatto, fulminandolo con lo sguardo. “Cosa vuole adesso?” Ignorando il suo tono per niente educato, German proseguì. “Volevo informarla che non è più necessario che svolga il ruolo di istitutrice di Violetta. Qui le ho preparato delle ottime referenze” aggiunse, porgendole una cartellina. Angie sgranò gli occhi, incredula. “Sta scherzando?”
“Non scherzo mai quando si tratta di mia figlia,” disse lui con una calma glaciale che la indispettì non poco. Nessuno era mai riuscito a farle saltare i nervi come quell’uomo, se poi si aggiungeva che lei aveva un caratterino parecchio vivace era inevitabile che presto o tardi sarebbe scoppiata.
“Non può dire sul serio! Vuole farmela pagare non è così? Non le sembra che il suo sia un atteggiamento infantile?” Esclamò, agitando le braccia. German scosse la testa. “La mia decisione non c’entra nulla con le questioni personali, altrimenti non le avrei compilato delle referenze.”
“Lei è solo un immaturo!” Sbottò Angie. “E non le voglio le sue stupide referenze!” Gliele gettò sulla scrivania con una tale rabbia che rimbalzarono e finirono sul pavimento.
Lui non si scompose minimamente, al contrario era freddo come il ghiaccio. “Gradirei che liberasse la stanza già oggi. Arrivederci.”
“Al diavolo!” Ribattè la bionda andando via come una furia, sorpassando uno stupito Roberto. “Cos’è successo German?”
“Angie se ne va,” disse lui, con lo sguardo fisso sul malloppo di documenti. “Cosa? Perché? Sarà stato un malinteso, me ne occupo io.” Fece per correre fuori, ma German lo richiamò. “Roberto, sono stato io a mandarla via.”
“Perché?” Chiese l’uomo confuso. “Angie è un’ottima istitutrice e poi pensavo che tra voi due…”
“Stai zitto e smettila di impicciarti della mia vita,” lo interruppe Castillo duramente. “Ho deciso così e basta e ora lasciami solo.” Anche se poco convinto Roberto annuì. Non c’era niente da fare, quando German si metteva in testa una cosa era impossibile fargli cambiare idea e lui lo sapeva meglio di chiunque altro.
Rimasto solo, German raccolse la cartellina da terra, poi tornò a sedersi. Senza poterlo evitare, lo sguardo gli cadde sulla cornice d’argento che teneva sulla scrivania. Essa raffigurava lui e sua moglie Maria con in braccio una piccola Violetta. Tanto, troppo tempo era passato da allora. Quel German così felice, tranquillo, vivo ormai non esisteva più, era morto insieme alla sua Maria. Aveva fatto tutto il possibile per prendersi cura di sua figlia e per renderla felice, ma l’assenza di sua moglie continuava a pesargli come un macigno. Lei sapeva sempre qual’era la cosa giusta da fare, lei sapeva tranquillizzarlo, lei sapeva capirlo. Chissà cos’avrebbe pensato di lui se avesse saputo della sua passata relazione con una donna sciocca, egocentrica e superficiale come Jade. Chissà se come Roberto lo avrebbe spinto verso Angie o se invece avrebbe considerato quella cosa assurda. In fondo loro due erano cognati, tante cose li separavano e non si trattava solo della differenza di età. Angie era una bella donna che per un po’ gli aveva regalato l’illusione di un possibile futuro per loro, ma poi aveva guardato in faccia la realtà e aveva capito che si stava aggrappando a qualcosa che non esisteva. Angie non era Maria e non lo sarebbe mai stata, nonostante fossero sorelle non avrebbero potuto essere più diverse. Se Maria era calma, sicura,controllata e razionale, Angie era fin troppo istintiva, isterica, insicura e tant’altro. La bionda era l’opposto non solo di sua moglie, ma anche di se stesso e proprio per quello l’aveva allontanata. Lui cercava sicurezza e stabilità, cose che con Angie non avrebbe mai avuto e quindi doveva a tutti i costi dimenticarla. Sorrise amaramente alla foto della moglie. “So che mi odierai per come ho trattato tua sorella, ma era l’unica cosa da fare. Io e lei non siamo fatti per stare insieme ed è ora che lo accettiamo. Devo pensare al meglio per me e per Violetta, un giorno mi capirai Amore Mio, ne sono sicuro.”
 



 

 
 
Ciao a tutti! Eccomi qui con questo secondo capitolo :)
Vilu per fortuna continua ad essere decisa a riprendersi Leon <3 e qui esulto!! Dfxbdfcnxb :3 era ora che mettesse un po’ di cervello! XD
E poi finalmente si vede Leon, un Leon un po’ diverso e parecchio arrabbiato e deluso. Pensa davvero tutte quelle cose di Vilu? Vorrà mai tornare con lei? Cosa nasconde a suo padre?
E German che caccia Angie in quella maniera? È stato parecchio duro, ma da fan Pangie non mi dispiace per niente e poi al posto di German penso che avrei fatto lo stesso, con la sua isteria e le sue indecisioni la bionda ha stancato quasi peggio della nipote XD
Ovviamente il giudizio finale spetta a voi, fatemi sapere cosa ne pensate ;)
A presto baci,
trilly <3 

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Capitolo 3
*** L'inizio dei giochi ***





Quando Angie giunse allo Studio 21 quel pomeriggio era di pessimo umore. Ancora non riusciva a credere che German l’avesse cacciata di casa e tutto perché aveva ammesso di avere dei dubbi circa i suoi sentimenti. Non meritava un trattamento simile, non meritava di essere trattata come un rifiuto. Proprio non riusciva a capire quell’uomo, prima la allontanava perché erano cognati, poi si infuriava se lei provava dei sentimenti anche per Pablo. Voleva forse averla per sempre ai suoi piedi cotta a puntino per poi ferirla con i suoi assurdi e codardi comportamenti? No, quella volta non sarebbe andata così, aveva deciso, non sarebbe più tornata in quella casa nemmeno se glielo avesse chiesto in ginocchio. Aveva chiuso con German Castillo, ora e per sempre. Come avrebbe fatto però a dirlo a Violetta? Non voleva perderla, non poteva immaginare la sua vita senza di lei. Scosse la testa. Sua nipote era una ragazza matura, era sicura che avrebbe capito, doveva solo spiegarglielo con calma.
Appena mise a fuoco la figura di Pablo chino su alcuni fogli in sala professori, il volto di Angie s’illuminò. Quanto le era mancato, quei tre mesi di silenzio erano stati terribili e ora non desiderava altro che chiarire le cose con lui. “Pablo.”
Al suono della sua voce l’uomo s’irrigidì, ma poi continuò la sua attività come se nulla fosse. “Lo so che sei arrabbiato con me e mi dispiace,” riprovò lei avvicinandosi. “Scusa se ti ho ferito, ti giuro che non volevo.”
Finalmente Pablo la guardò, anche se non nel modo che Angie avrebbe voluto. La sua espressione era impassibile, fredda come il ghiaccio. “Cosa vuoi Angie?”
“Come cosa voglio? Voglio che facciamo pace e torniamo ad essere amici.” A quelle parole Pablo rise incredulo. “Stai scherzando vero? Io non sono il tuo burattino Angie! Lasciami in pace!”
La donna accusò il colpo, ma non demorse. “So che le mie indecisioni ti hanno ferito e credimi quando ti dico che mai avrei voluto farlo. Mi manchi Pablo, non hai idea quanto.” Lui ruotò gli occhi, dandole poi le spalle. Ne aveva abbastanza di lei e delle sue scuse, quante volte si era scusata per poi tornare a ferirlo? “Senti Angie,” iniziò, affacciandosi alla finestra così da non doverla guardare negli occhi, se lo avesse fatto infatti temeva di non riuscire poi a dirle ciò che si era ripromesso. “Io non so e non mi interessa se hai litigato con German, perché so benissimo che se sei qui a scusarti è perché hai litigato con lui, ma non ripeterò gli sbagli dell’anno scorso. Basta ascoltare le tue lamentele su quell’uomo, basta soffrire perché non ricambi i miei sentimenti. Voglio essere lasciato in pace Angie, lo vuoi capire o no?”
Angie, profondamente colpita dalle sue parole fece per ribattere, ma proprio in quel momento sopraggiunsero Beto e Antonio. “Ah, vedo che ci siamo tutti,” disse Antonio, inconsapevole di aver interrotto quel duro confronto.
“Pablo! Angie!” Esclamò Beto felice, correndo ad abbracciarli. Nella corsa però urtò una sedia che cadde provocando un forte trambusto. “Ops,” mormorò a disagio, affrettandosi ad alzare la sedia, ma nel farlo gli sfuggì la cartellina di spartiti che aveva in mano. Impegnato a raccogliere i fogli, non vide l’arrivo di un’altra persona, l’ultima che gli insegnanti si aspettavano di vedere.
“Che ci fa lui qui?” Chiese Pablo sconvolto, indicando l’uomo fermo sul ciglio della porta che altri non era che Gregorio. Quest’ultimo sorrise perfidamente. “è un piacere rivederti Pablito.”
“Cosa significa tutto questo Antonio?” Intervenne Angie, mentre Galindo fulminava Casal con lo sguardo.
L’uomo sospirò. “Vedete, Gregorio si è scusato e ha promesso che non farà più un simile errore, così…”
Pablo scosse la testa. “Ti prego Antonio, dimmi che stai scherzando.” Se lui ed Angie sembravano sconvolti, Gregorio era piuttosto soddisfatto, mentre Beto era come al solito in un mondo tutto suo. “Lo sai com’è fatto Gregorio,” insistette Angie. “Non puoi fidarti.”
“Ha fatto di tutto per ostacolarci e continuerà a farlo,” aggiunse Pablo.
“Non è vero, sono cambiato e Antonio lo sa. Vero?” Disse Gregorio, guardando l’uomo.
Antonio annuì, guardando i due insegnanti che apparivano visibilmente scettici. “Avete ragione, proprio per questo ho preso una decisione che soddisferà tutti. Gregorio tornerà ad insegnare qui, ma per assicurarmi che non combini altri disastri gli affiancherò un supervisore che lo aiuterà anche nella gestione delle lezioni.”
“CHE COSA?” Urlò Gregorio incredulo, sotto lo sguardo divertito di Angie e Pablo. “Non ho bisogno di un supervisore! Non ho bisogno di nessuno!”
“Questo lascialo decidere a me,” ribatté il preside zittendolo. “Lo scorso anno hai combinato non pochi guai, perciò o accetti il supervisore o…”
“Va bene. Va bene,” sbottò l’insegnante, anche se poco convinto. “Bene,” disse Antonio, avviandosi verso la porta. “Il supervisore che ho scelto è una persona che conosco molto bene e che ha già dimostrato di essere un’ottima insegnante di danza.” Aprì la porta, facendo accomodare una giovane donna bionda e di bell’aspetto. “Vi presento mia nipote Jackie.”
“è un piacere essere qui,” disse lei sorridendo. Appena la vide Beto, si fece rosso come un peperone e lasciò cadere sul pavimento tutti gli spartiti che a fatica aveva raccolto. Gregorio era una maschera di rabbia, non solo doveva avere un supervisore, ma esso per giunta era una donna! Pablo invece sorrideva. “Jackie,” mormorò, facendosi avanti. La donna lo guardò un attimo sorpresa, poi sorrise gettandosi tra le sue braccia. “Da quanto tempo, non sei cambiato per niente.” “Nemmeno tu,” disse lui, ricambiando l’abbraccio. “Anzi, sei ancora più bella.” Jackie arrossì, continuando a guardarlo. Angie fissava il tutto con uno sguardo piuttosto infastidito. Perché Pablo e la nipote di Antonio si conoscevano?
“Jackie,” intervenne Antonio, interrompendo lo scambio di sguardi tra il direttore e l’ultima arrivata. “Lui è il famoso Gregorio, lavorerete insieme,” spiegò indicandole l’insegnante. Jackie sorrise e gli porse la mano, ma lui la ignorò girando la faccia dall’altro lato, offeso. Accigliata la donna guardò lo zio, che si affrettò a presentarle anche Beto. “Lui è Beto, l’insegnante di musica.” Il buffo insegnante arrossì ancora di più di fronte al sorriso di lei e dopo averle stretto goffamente la mano scappò via. Jackie era sempre più confusa, perché erano tutti così strani? “Lei è Angie, l’insegnante di canto,” proseguì Antonio. Le due si strinsero la mano, anche se i loro sguardi emanavano scintille. Non sapevano dire perché, ma avevano avvertito un’antipatia a pelle l’una per l’altra.
“Pablo,” disse Jackie all’improvviso sbattendo le ciglia. “Perché non mi mostri lo Studio? Ero una semplice alunna l’ultima volta che l’ho visto.” Seppur sorpreso, il direttore annuì. “Certo, vieni.”
Felice, la donna si aggrappò al suo braccio, mentre Angie li guardò allontanarsi con i nervi a fior di pelle. Perché la cosa le dava tanto fastidio?

 



 
Violetta era al Restò Band insieme a Francesca, Camilla e Maxi, anche se da più di mezz’ora Camilla si era allontanata per parlare al cellulare con Broadway.
“Broadway è dovuto tornare in Brasile, quindi lui e Camilla stanno intrattenendo questa specie di relazione a distanza,” spiegò Francesca,bevendo un sorso di frullato. Violetta annuì distrattamente. Da quando erano arrivati non faceva che guardarsi intorno, quasi sperasse di vederlo apparire da un momento all’altro, di lui però non c’era nessuna traccia.
“Non verrà,” le disse Maxi, intuendo i suoi pensieri. “è come sparito dalla circolazione.”
La ragazza iniziò a torturarsi nervosamente il labbro. “E Andres? Lo avete visto?”
Fran scosse la testa, mentre Maxi non la stava più ascoltando. Il suo sguardo era fisso sull’entrata del locale, dove Nata stava facendo il suo ingresso. I due si erano avvicinati molto da quando lei aveva preso le distanze da Ludmilla, eppure erano sempre troppo timidi per andare oltre uno scambio di sguardi. Quando Nata notò Maxi infatti, arrossì vistosamente e sorrise. Il ragazzo non fu da meno, nei suoi occhi e nella sua mente in quel momento c’era solo Nata. Francesca e Violetta sorrisero divertite, finché quest’ultima non individuò Andres e Andrea a un tavolo appartato. Sorrise, forse finalmente il destino era a suo favore. Senza pensarci due volte scattò in piedi. “Vado a parlare con Andres,” disse a Fran, prima di avviarsi verso la coppia.
“Scusate se vi interrompo. Andres posso parlarti?”
“Violetta,” disse lui sorpreso. “Dimmi pure, io e Andrea non abbiamo segreti,” aggiunse rivolgendo alla sua ragazza un dolce sorriso che lei ricambiò.
Anche se non convinta al cento per cento, la Castillo gli pose la fatidica domanda. “Sai dove posso trovare Leon? Ho bisogno di parlargli.”
Andres annuì. “A quest’ora sarà di sicuro alla pista di motocross, ormai sta sempre lì.”
Motocross? Violetta non sapeva che Leon praticasse il motocross, quante cose non sapeva di lui. Forse se l’anno scorso non lo avesse passato a lamentarsi e si fosse impegnata a conoscerlo meglio ora lo avrebbe saputo. “Sai dov’è la pista? Se vuoi ti accompagno,” aggiunse il ragazzo, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Lei sorrise. “Grazie Andres, non preoccuparti so dov’è.” Nel frattempo, fingendo di controllare l’ora, Andrea si affrettò a mandare un messaggio con il suo cellulare, cosa che né Violetta né Andres notarono.
Pochi minuti dopo la ragazza era già in strada, destinazione pista di motocross. Non c’era mai stata prima, però più di una volta l’aveva vista da lontano e quindi sapeva quale direzione intraprendere. Man mano che si avvicinava le giungevano alle orecchie il rombo dei motori e tante voci che si sovrapponevano le une sulle altre. Senza pensarci ulteriormente varcò l’ingresso, guardandosi intorno. Tra i tanti ragazzi e ragazze non vedeva però il volto del suo Leon. Dov’era?
“Ehi Leon!”
Violetta si voltò di scatto al suono di quella voce. Apparteneva a una ragazza con la coda di cavallo e la tuta da motociclista, che stava correndo verso un ragazzo alto anche lui in tuta. Quando si tolse il casco lo riconobbe. Leon. Il cuore iniziò a batterle a mille. Aveva i capelli più corti e un look più ribelle ma era lui, avrebbe riconosciuto quello sguardo e quel sorriso dovunque. Sorrise, facendo per avvicinarsi. La motociclista però lo raggiunse prima di lei e gli gettò le braccia al collo, avvinghiando poi le gambe intorno alla sua vita come un koala. A quella vista il sorriso scomparve dal volto di Violetta, che rimase a fissarli per lunghi minuti impietrita per poi scappare via, inconsapevole che qualcuno la stesse spiando da dietro un albero con un sorriso soddisfatto. La persona misteriosa era Ludmilla Ferro, che aveva ancora in mano il cellulare dove lampeggiava il messaggio di Andrea. –Violetta sta andando alla pista-  “Povera Vilu,” sussurrò crudele. “Non te lo aspettavi eh?”
Violetta nel frattempo correva per le strade più veloce che poteva, mentre gli occhi le bruciavano minacciando la fuoriuscita delle lacrime. Ma che si aspettava? Prima delle vacanze gli aveva detto chiaramente che rinunciava sia a lui che a Thomas, era normale che si fosse rifatto una vita e si fosse trovato un’altra ragazza, eppure non poteva fare a meno di starci male. Nella corsa si scontrò con qualcuno, che la sostenne prontamente evitandole una brutta caduta. “Scusa,” balbettò, per poi bloccarsi di colpo quando mise a fuoco il volto divertito del ragazzo, un volto stranamente familiare. “Dobbiamo smetterla di incontrarci così tu ed io,” le disse con un sorrisetto impertinente. Lei arrossì di botto. Ora  ricordava, era il ragazzo con cui si era scontrata in aereo. “Io sono Diego,” continuò, scrutandola con interesse.
“Ehm...io sono Violetta.”
“Hai un bel nome,” sussurrò Diego con un tono suadente che la mise a disagio. “Ehm...grazie, ora devo andare.” Fece per sorpassarlo, ma lui le afferrò il polso. “Aspetta, ci vieni con me a prendere un caffè?” Propose sorridendo.
Lei si accigliò. “Io non ci vengo con te, non ti conosco nemmeno.” A quelle parole il sorrisetto di Diego si accentuò. “D’accordo...e un gelato?” Con un cenno indicò il camioncino dei gelati che in quel momento stava attraversando il parco della città a pochi metri da loro. “Dai, non mordo mica.” Violetta ci pensò qualche istante, giungendo alla conclusione che non c’era nulla di male a prendere un gelato con quel ragazzo e poi aveva bisogno di distrarsi dopo la brutta sorpresa alla pista di motocross. “Va bene,” disse alla fine, affiancando un soddisfatto Diego fino al furgoncino dei gelati. “Che gusto vuoi Principessa?” Le chiese dolcemente, facendola arrossire. “Mmm...pistacchio.”  “Due coni al pistacchio,” disse allora Diego al gelataio, pagando per entrambi nonostante le proteste di lei. “Le ragazze che escono con me non pagano.”
Violetta si accigliò. “Non stiamo uscendo insieme, è solo un gelato.”
“Allora diciamo che sono un gentiluomo,” ribatté il moro con un sorriso seducente, accostando poi le labbra al suo orecchio. “Andiamo a sederci.”
Decisamente imbarazzata, Violetta lo seguì. Quel ragazzo era il tipo più strano che avesse mai incontrato, era arrogante e sfacciato come nessuno e la metteva terribilmente a disagio. Si sedettero su una panchina del parco e lei subito iniziò a mangiare il suo gelato, Diego invece non le toglieva gli occhi di dosso. “Hai gli occhi lucidi, hai pianto?” Il suo tono non era scherzoso o provocante, ma stranamente serio, preoccupato forse. La giovane abbassò lo sguardo, mordendosi nervosamente il labbro. Era davvero così evidente che avesse pianto o Diego era un fin troppo attento osservatore? “Ehi Principessa,” riprese lui dolcemente, posandole una mano sul braccio. “Non volevo impicciarmi o intristirti, solo che non posso sopportare che una così bella ragazza soffra. Tu dovresti sempre sorridere,” dicendo ciò, spostò la mano verso il suo volto portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Violetta rabbrividì, continuando ad evitare il suo sguardo. Quella dolcezza, quelle parole. Tutto le rievocava dei ricordi ormai passati, ricordi suoi e di Leon. Quante volte lui le aveva detto quelle stesse parole? Ricordava i suoi abbracci e i suoi sorrisi e poi il dolce suono della sua voce. A quei ricordi però si aggiunse anche quello più recente, Leon e quella ragazza avvinghiati l’uno all’altra. Il solo pensiero le faceva venire una gran voglia di piangere. Lo aveva perso, il peggiore dei suoi timori si era realizzato. Quasi senza rendersene conto, poggiò il capo sulla spalla di Diego e lasciò che la abbracciasse. Chiuse gli occhi, immaginando che ci fosse Leon al posto del moro. Immaginò il suo calore, il suo profumo. Alcune lacrime sfuggirono al suo controllo, mentre quella maledetta scena non faceva altro che ripetersi nella sua mente. “Ehi,” sussurrò Diego, accarezzandole la schiena. “Va tutto bene, ci sono io con te.” Il calore del ragazzo in un certo senso la rilassò e per alcuni folli attimi il dolore sembrò sparire, quando però le giunse alle narici il suo profumo, così diverso da quello di Leon si ridestò. “Scusami Diego,” sussurrò imbarazzata, asciugandosi le lacrime e allontanandosi da lui. “Tranquilla,” la rassicurò sorridendole. “Se ti va di parlarne o hai bisogno di un altro abbraccio io ci sono.” Violetta annuì, torturandosi il labbro inferiore. “Me lo ricorderò. Ora però devo andare,” fece per alzarsi, ma ancora una volta lui le impedì di andarsene prendendole il polso. “Aspetta Principessa, non abbiamo ancora finito il gelato,” le disse divertito. Difatti entrambi reggevano ancora il cono. La ragazza allora si risedette e riprese a mangiare il gelato e lo stesso fece Diego, senza però distogliere lo sguardo da lei. “Chiunque sia che ti ha fa piangere così non ti merita,” mormorò all’improvviso, spostandosi ancora più vicino a lei e guardandola intensamente. Violetta avvampò, allontanandosi da lui. Quel ragazzo si stava prendendo troppe libertà a suo parere, ma forse la colpa era anche sua che gli aveva dato corda, mai che facesse una cosa buona. “Senti Diego,” lo guardò fisso negli occhi, cercando di apparire tranquilla e di non lasciar trapelare il suo nervosismo. “Non mi va di parlare delle mie cose personali e comunque non ne parlerei con una persona che conosco appena.” Diego non si scompose minimamente, limitandosi ad annuire, poi cambiò radicalmente argomento. “Il mio amico mi ha detto che frequenti lo Studio 21.” Violetta lo guardò, confusa. “Il tuo amico?”
Lui annuì. “Marco, non so se lo conosci. Presto farà l’esame di ammissione e anch’io vorrei farlo. Sono un ottimo cantante,”aggiunse pavoneggiandosi. In quel momento le ricordò tanto Ludmilla. “Tu canti?”  Continuò Diego, guardandola attentamente. “Si,” ammise lei. “Cantare fa parte di me.” Un sorrisetto si fece strada sul volto del ragazzo. “Mi piacerebbe sentirti cantare e magari fare un bel duetto.”
Si guardarono per lunghi istanti durante i quali Violetta era sicura di essere diventata viola per l’imbarazzo e il suo cuore batteva a un ritmo forsennato. C’era qualcosa in quegli occhi scuri, qualcosa che l’ammaliava e la confondeva e allo stesso tempo la spaventava.
Fu il suono del cellulare a riportarla alla realtà. Era una chiamata di Angie. – Angie, tutto bene?-
-Si, tranquilla Vilu. Dove sei?-
Lanciò un’occhiata a Diego, che sorrise beffardo. –Al parco, perché?-
-Devo parlarti. Va bene se ti raggiungo lì?-
-Ehm... si va bene-
Appena chiuse la chiamata tornò a guardare il ragazzo ansiosa. “Te ne devi andare.”
Lui si accigliò, sicuro di aver capito male. “Come?”
“Sta venendo mia zia e non deve vederti.”
Diego scrollò le spalle divertito. “E che c’è di male se ti vede con il tuo ragazzo?”
Violetta sgranò gli occhi. “Tu non sei il mio ragazzo e ora vattene,” aggiunse, spingendolo via. Lui la lasciò fare, continuando a sorridere. “Va bene, me ne vado.” Accostò poi le labbra al suo orecchio e sussurrò: “Ci vediamo presto Principessa.”
Imbarazzata, la ragazza continuò a spingerlo finché non fu a debita distanza, poi tornò a sedersi sulla panchina in attesa di Angie.
Diego nel frattempo era sempre più soddisfatto. Ben presto quella ragazza che ora sapeva chiamarsi Violetta, sarebbe stata sua. Era chiaro che stesse soffrendo per amore e non doveva fare altro che utilizzare la sua vulnerabilità a suo vantaggio, forse conquistarla sarebbe stato ancora più semplice di quanto aveva previsto. Un altro po’ di occhi dolci e frasi mielose e lei avrebbe ceduto, ne era sicuro. Ora doveva solo trovare il modo di superare l’esame di ammissione allo Studio 21, anche se la cosa non lo preoccupava molto. Nessuna persona sana di mente avrebbe detto di no a un affascinante e talentuoso ragazzo come lui, perché lui era il migliore.
 
 
 
So di essere un po’ in ritardo con l’aggiornamento, ma questo capitolo pieno di personaggi è stato un po’ complicato da gestire e in aggiunta ho avuto pochissimo tempo XD Non ammazzatemi per la comparsa di Jackie e Lara e per l’intraprendenza di Diego, non è colpa mia se loro si divertono a creare scompiglio, più tento di cacciarli e più sono presenti! XD
La povera Angie dopo aver litigato con German litiga pure con Pablo, che però a differenza del primo le dice in faccia come stanno le cose e ora ha pure trovato una spasimante! Andrea e Ludmilla iniziano a giocare con il cuore di Vilu, che alla vista di Leon e Lara abbracciati scappa via in lacrime e incontra Diego che ovviamente ci prova. Fortuna che arriva la chiamata di Angie XD
Prima di salutarvi volevo ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi avete lasciato lo scorso capitolo!! Grazie!! Spero che la mia storia sarà all’altezza :)
A presto, trilly <3
 

 

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Capitolo 4
*** Segreti e paure ***





“Va meglio?” Sussurrò Federico, affrettandosi ad abbottonarsi i jeans. Francesca, con addosso solo la biancheria, sospirò appoggiandosi alla porta del magazzino del Restò Band. Il suo sguardo era vuoto, spento e lui non sapeva proprio cosa fare per farle tornare il sorriso.
“Fran,” provò ancora, avvicinandosi. Le sfiorò una guancia con una dolce carezza. “è ora di andare avanti.”
Lei annuì, poggiando la mano sulla sua. “Non so cosa farei senza di te.” Dopodiché lo abbracciò, scoppiando a piangere e Federico la consolò ancora una volta. Da quando Thomas era partito, Francesca aveva smesso di vivere, piangeva e si disperava e lui non aveva potuto fare altro appunto che consolarla, tanto che la ragazza aveva iniziato a cercarlo ogni volta che stava male, aggrappandosi a lui con disperazione. Ricordava ancora quando gli aveva fatto quell’assurda proposta: “Ho bisogno di dimenticare Thomas e l’unico modo è curarmi, aiutami,” lo aveva poi baciato e Federico non aveva capito più nulla. Cosa significavano quell’ “aiutami” e quel bacio? Quando la ragazza aveva iniziato a spogliarsi, aveva capito e inizialmente si era rifiutato. Mai si sarebbe abbassato a una cosa così squallida, tra l’altro con la consapevolezza della profonda vulnerabilità di Francesca, ma la vista delle sue lacrime lo aveva destabilizzato. Perché tutto questo? Perché quel tempo trascorso insieme a lei a consolarla lo aveva portato a commettere la più grande delle sciocchezze, si era innamorato, perdutamente innamorato. Per quel motivo non aveva potuto sopportare di essere la causa di quelle lacrime e senza riflettere ulteriormente, aveva ceduto. Lei lo chiamava a qualsiasi ora del giorno, si incontravano nel magazzino del Restò Band, in un bagno pubblico o in qualsiasi altro luogo scelto da Francesca e facevano sesso. Federico sapeva che si trattava solo di quello, lei non lo aveva mai guardato come guardava Thomas, lei non lo amava. Ciò gli faceva male e si sentiva come un burattino nelle mani della ragazza che amava, ma non riusciva ad opporsi perché aveva paura di perderla, mentre così poteva starle accanto e anche se solo per pochi attimi, vedere il suo sorriso e illudersi che fosse tutto per lui. Dopo il sesso c’erano inevitabilmente le lacrime della ragazza, che lui pazientemente asciugava. Era una situazione assurda, ingestibile, che a poco a poco gli stava sfuggendo di mano. Sapeva che il suo comportamento era sciocco, patetico quasi, ma la forza per mettere fine a quella follia gli mancava e la speranza che un giorno lei potesse ricambiarlo era ancora lì come un salvagente a cui aggrapparsi. Per quanto avrebbe potuto continuare così? Tra l’altro non poteva nemmeno confidarsi con qualcuno, poteva essere più sfigato?
“Federico...baciami.”
E lui lo fece, la baciò con passione avvertendo il sapore salato delle sue lacrime, mentre il cuore gli batteva a mille. Le mani di Francesca scesero al bottone dei suoi jeans, facendolo rabbrividire. “Ti voglio...di nuovo.”
Probabilmente di nuovo avrebbe ceduto, se non avessero sentito la voce di Luca che cercava la sorella. Lei sbiancò di colpo, poi si affrettò a rivestirsi. “Devo andare.”
Federico si limitò ad annuire, profondamente turbato. Pensava che con il passare del tempo gli avrebbe fatto meno male e invece il dolore cresceva ogni giorno di più. L’amore per Francesca lo stava divorando dall’interno come una malattia letale e lui anche se conosceva l’antidoto non era in grado di utilizzarlo, o semplicemente non voleva. Preferiva lasciare le cose così, lasciarsi usare e consumare fino a ridursi un involucro vuoto, un involucro che poi lei avrebbe di sicuro gettato via e a quel punto cosa ne sarebbe stato di lui?
Finì di vestirsi, poi uscì a sua volta dal magazzino cercando di passare inosservato. Non osava pensare a quello che sarebbe potuto succedere se si fosse saputo di quello che facevano lui e Francesca. Luca probabilmente lo avrebbe ucciso e Maxi, Camilla e Violetta lo avrebbero appoggiato, accusando lui di approfittare della vulnerabilità della loro amica. Ma Francesca era davvero la vittima?
“Ehi Federico!”
Sussultò, voltandosi di scatto verso Maxi che seduto a un tavolo agitava la mano, invitandolo ad avvicinarsi. Sorrideva, perciò era chiaro che non sapesse nulla e la cosa lo rassicurò. Fece per avvicinarsi, ma quando vide anche Luca, Camilla e Francesca e incrociò lo sguardo di quest’ultima, cambiò idea e scappò via lasciandoli basiti.
“Ma dove va?” Chiese Maxi confuso.
“Non ne ho idea,” ribatté Camilla incurante, mentre Luca scrollò le spalle e Francesca tirò un sospiro di sollievo. Da quando lei e Federico avevano stabilito quella sorta di accordo, si sentiva in imbarazzo quando si trovava insieme agli altri e c’era anche lui, perciò preferiva di gran lunga averlo a distanza, fino alla prossima crisi ovviamente, quando avrebbe bramato il suo aiuto più che mai. Lui era l’unico che sapeva la verità, l’unico in grado di farla stare meglio.
 
 

 



 
Nonostante  Angie l’avesse supplicata un centinaio di volte di non dire a German della loro conversazione e di comportarsi come se nulla fosse, Violetta si precipitò come una furia nello studio del padre. “Perché lo hai fatto?” Gli chiese, sul punto di piangere.
German alzò lo sguardo dal plico di fogli che stava leggendo, confuso. “Violetta, non capisco.”
“Come hai potuto cacciare Angie?”
A quelle parole l’uomo s’irrigidì, comprendendo che la bionda Saramego dovesse aver informato la figlia e che probabilmente avesse fatto di tutto per mettergliela contro. “Non abbiamo più bisogno dei suoi servigi,” ribatté con calma glaciale, lasciandola a bocca aperta.
“Stai scherzando? Come faccio ora con lo studio?” Violetta era sicura di toccare un punto debole del padre con quelle parole, ma lui non si scompose minimamente.
“Per domani ho organizzato dei colloqui con delle aspiranti istitutrici, alcune hanno dei curriculum molto vasti e..”
“Non me ne frega niente!” Lo interruppe la ragazza, ormai in lacrime. “Come puoi essere così egoista? Angie è importante per me, lei è mia zia, lei è la mia famiglia.”
German scosse la testa, esasperato. “Violetta, smettila. Stai esagerando.” Quelle parole non fecero altro che aumentare la rabbia della giovane, che per la prima volta gli urlò contro quello che pensava davvero del suo comportamento dell’ultimo periodo. “Solo perché non vuole stare con te, non significa che la devo perdere anch’io!”
Era stata crudele, lo sapeva e la faccia sconvolta del padre glielo confermò. “Qui l’unica egoista sei tu Violetta. Puoi vedere tua zia ogni giorno allo Studio e puoi anche andarla a trovare non te lo proibisco, ma non puoi pretendere che me la trovi di fronte ogni singolo momento della giornata dopo quello che mi ha fatto.” La voce di German era stata calma e pacata, ma nei suoi occhi c’era dolore, il tipico dolore di chi aveva una ferita ancora aperta e per questo Violetta si sentì malissimo. Come aveva potuto essere così egoista? Come aveva potuto dimenticare che anche suo padre stesse soffrendo? In fondo lei si era comportata con Leon e Thomas esattamente come aveva fatto Angie con suo padre e Pablo, quei quattro avevano sofferto molto più di loro e non meritavano di certo che si gettasse sale sulle loro ferite.
“Scusa papà,” mormorò, scoppiando a piangere tra le sue braccia. German ricambiò l’abbraccio, accarezzandole il capo. “Va tutto bene tesoro, per me è acqua passata.”
Lei scosse la testa. “Tu stai soffrendo e non avrei dovuto dirti quelle cose, sono stata un’egoista.” German sorrise, stringendola ancora a se. “Anche tu stai soffrendo Violetta e non si tratta solo di Angie, non negarlo.”
“Papà, io …” balbettò, imbarazzata.
“Si tratta di Leon o di quel Thomas?” Chiese l’uomo, sforzandosi di apparire calmo e disinvolto quando in realtà era terribilmente geloso.
Violetta arrossì di botto e abbassò lo sguardo. “è una storia lunga.”
“Ho tutto il tempo.”
Lei si morse il labbro e lo guardò. “Papà, credo che io e Angie ci assomigliamo fin troppo.” Dopo quella frase scappò via, lasciando il padre a bocca aperta. Cos’aveva voluto dirgli con quella frase? Possibile che …? Istintivamente si portò una mano al cuore. Non voleva nemmeno pensarci, non avrebbe retto a una cosa simile. Violetta era la sua bambina, la sua principessa, era troppo piccola e poi … Scosse la testa, doveva tornare a lavoro e scacciare quei pensieri, era la cosa migliore che potesse fare per salvaguardare la sua salute mentale.
Violetta nel frattempo era tornata in camera sua e si era gettata sul letto. Senza Angie casa sua non sarebbe più stata la stessa, tutto sarebbe cambiato. Grazie a lei aveva conosciuto lo Studio 21, aveva ottenuto più libertà, era cresciuta, maturata, ma soprattutto aveva scoperto di avere altri familiari oltre suo padre, ma ora cosa sarebbe successo? Lei e suo padre erano abbastanza forti per andare avanti da soli? Angie le aveva assicurato che nulla sarebbe cambiato e che avrebbe sempre fatto parte della sua vita, poteva andarla a trovare e vederla tutti i giorni allo Studio, poteva stare tranquilla, lo poteva fare davvero. Inevitabilmente il suo pensiero si spostò su Leon e una lacrima iniziò a scorrerle lungo la guancia. Da quando aveva assistito a quel maledetto abbraccio alla pista di motocross, la scena si ripeteva continuamente come una pellicola nella sua testa e ciò le provocava un dolore terribile alla base del cuore. Ora capiva cosa doveva aver provato Leon quando la vedeva in compagnia di Thomas e ancora una volta si sentì un imbecille. Come aveva potuto essere così stupida e cattiva da ferire un ragazzo dolcissimo come Leon, non rendendosi conto di quanto fosse importante per lei? Era lui l’unico in grado di farla sorridere, di farla stare bene, quando era in sua compagnia dimenticava ogni cosa o problema e tutto ciò che vedeva era lui. Perché allora aveva continuato a cercare Thomas? Le piaceva soffrire forse?
-O forse semplicemente ti piaceva che due ragazzi litigassero per te- sussurrò una voce nella sua testa.
Era così? Le piaceva che entrambi le girassero intorno? Probabilmente si e la consapevolezza di ciò la fece sentire ancora peggio. Aveva scoperto di amare Leon troppo tardi e meritava tutto il dolore che stava provando dalla prima all’ultima goccia. Quando si giocava con il fuoco era inevitabile che prima o poi ci si sarebbe scottati e ora era il suo turno.
 

 




Angie girava tra i negozi del grande centro commerciale della città, travolta da una miriade di pensieri. E se Violetta fosse andare a fare una scenata a German? Lui già la odiava, probabilmente avrebbe chiuso la figlia in camera impedendole ogni contatto con l’esterno. Quel pensiero la fece rabbrividire, perciò si affrettò a scacciarlo. German non poteva impedirle di vedere sua nipote, non poteva e basta. C’era inoltre la possibilità che Violetta non parlasse o che addirittura riuscisse a far ragionare il padre, così che lui la facesse tornare a casa. In quel caso, lei sarebbe tornata? Le mancava casa Castillo, c’era vissuta così tanto che ormai la considerava casa sua. Più volte sua madre Angelica le aveva chiesto se stesse in quella casa solo per la nipote e se si rendesse conto dell’assurdità dei suoi sentimenti. Ella infatti, non riusciva proprio a concepire come sua figlia minore potesse provare dei sentimenti per il marito della defunta sorella e si era fermamente opposta. Angie aveva però continuato a seguire il suo cuore, finché una pesante verità non l’aveva colpita, ossia intensità di ciò che provava per Pablo. Pensava che lui fosse semplicemente il suo migliore amico, eppure quando aveva avuto bisogno l’uomo c’era sempre stato e l’aveva consolata e sostenuta come nessuno. Pablo la capiva meglio di chiunque altro, era la sua forza, la sua roccia. Questa consapevolezza l’aveva mandata in confusione, tanto che era stata costretta a dire ai due che era indecisa e loro di tutta risposta avevano deciso di chiudere ogni rapporto con lei. Aveva trascorso l’estate a soffrire, interrogandosi più volte su quali fossero i suoi reali sentimenti e ancora non era riuscita a capirlo. La loro freddezza di certo non aveva migliorato il suo umore, ma era anche vero che non poteva dargli torto, li aveva feriti e meritava di essere ferita a sua volta.
Proprio mentre pensava a ciò, la vista di un volto familiare la fece bloccare sul posto. Capelli neri. Occhi scuri. Dolce e rassicurante sorriso. in una parola, Pablo. L’uomo non era però solo, ma in compagnia di una donna che riconobbe essere Jackie, la nipote di Antonio. I due si guardavano e si sorridevano complici, mentre con in mano due tazze di caffè si sedevano a un tavolo del piccolo bar del centro commerciale. Angie non seppe dire per quanto tempo rimase lì al centro della strada a fissarli. La gente le passava accanto parlottando allegramente, ma lei aveva occhi solo per Pablo e Jackie. Lui le teneva la mano, le sorrideva e la guardava con una strana luce negli occhi, una luce che aveva visto solo quando si rivolgeva a lei. Possibile che Pablo provasse qualcosa per Jackie? Possibile che l’avesse dimenticata? Angie avvertì come una morsa stringerle lo stomaco, le gambe le tremavano e gli occhi le bruciavano. Doveva andarsene e subito. Perché allora non riusciva a muoversi?  Perché non riusciva nemmeno a distogliere lo sguardo?
Quando Jackie sfiorò la guancia di Pablo con una dolce carezza, qualcosa scattò in Angie che finalmente riuscì a scappare con il cuore che le batteva a mille, provocandole un forte dolore. Voleva solo andare via, non poteva sopportare di vedere altro. Il motivo era un qualcosa che non riusciva a spiegarsi, o che semplicemente non voleva spiegarsi. La verità era troppo difficile da affrontare e codarda com’era finiva sempre per scegliere la strada più facile, anche se inevitabilmente meno gratificante e soffriva, soffriva più che mai.
 

 





Un forte mal di testa lo tormentava, ciononostante Leon si costrinse ad aprire gli occhi. Si trovava in quello che riconobbe essere il garage di casa sua, sdraiato tra un vecchio ammasso di coperte in compagnia di una ragazza mora, Lara, la ragazza che aveva conosciuto alla pista di motocross durante l’estate e che da allora gli faceva da meccanico. Lara era un maschiaccio, una che non aveva paura di nulla e proprio per questo avevano legato subito. Insieme ridevano e scherzavano e poi...e poi non avrebbe potuto essere più diversa da Violetta e lui aveva più che mai bisogno di una ventata d’aria fresca. Quasi senza rendersene conto aveva iniziato a frequentarla anche fuori dalla pista e tra risate, baci e carezze erano finiti a letto insieme, anche se lui non ricordava molto di quella notte dato che era ubriaco fradicio, in compenso aveva apprezzato molto le successive. Lo aveva fatto già con Ludmilla ai tempi della loro storia, eppure con Lara aveva sentito qualcosa di diverso. Lei lo coinvolgeva, lo metteva al centro di tutto e guardava solo lui. Ludmilla era sempre così egocentrica e poi aveva la dannata passione di mentirgli e Violetta, la prima e l’unica di cui si fosse davvero innamorato lo aveva solo illuso, mettendolo costantemente al secondo posto e riuscendo nell’impresa di mentirgli più della bionda Ferro.
Facendo attenzione a non svegliare Lara, sgusciò da sotto le coperte e indossò i boxer e i jeans. Dalla tasca di questi ultimi recuperò una busta bianca, al cui interno c’erano un gran numero di banconote, la sua vincita. Li ricontò un paio di volte e poi li nascose nel suo prezioso barattolo di vernice. Lanciò un’occhiata a Lara, che dormiva raggomitolata in posizione fetale e sospirò. Lei era la prima ragazza che frequentava che  fosse palesemente innamorata di lui, se le avesse chiesto di buttarsi da un ponte lo avrebbe fatto, ne era sicuro, eppure ciò non aveva per nulla ammorbidito il suo cuore di pietra. Per quanto ci avesse provato, lui non l’amava, la considerava un passatempo e basta. Da sopra una delle mensole, recuperò il pacchetto di sigarette e se ne accese una. Aveva iniziato a fumare quell’estate, in realtà quell’estate aveva fatto tante cose che prima di quel momento mai si sarebbe sognato da fare, era cambiato tanto e lo sapeva. Da quanto tempo non vedeva più i suoi amici allo Studio? Da quanto tempo non cantava, non suonava e non ballava? Tutto quello che piaceva al vecchio Leon lo aveva abbandonato, l’unico legame rimasto era Andres, suo amico storico e l’unico di cui si fidasse. Inspirò una boccata di fumo, passandosi poi una mano nei capelli. Nelle orecchie gli rimbombavano ancora le parole di Andres.

Violetta è venuta alla pista? Mi ha detto che doveva parlarti e le ho detto che avrebbe potuto trovarti lì.

Violetta era davvero venuta? Cosa voleva da lui? Onestamente gli importava? Scosse la testa. Solo perché Thomas era tornato in Spagna, non significava che sarebbe tornato a fare il suo cane bastonato. Aveva chiuso con quella ragazzina viziata e con le sue perenni indecisioni. Ora voleva solo pensare a se stesso e divertirsi.

-Sei un illuso Leon, se sei andato a cercare Lara è perché le parole di Andres ti hanno colpito. Non hai dimenticato Violetta e lo sai- sussurrò una voce nella sua testa, ma si costrinse a scacciarla con un gesto di stizza.

Tra lui e Violetta era finita prima delle vacanze estive, prima che la sua vita cambiasse radicalmente e tornare con lei avrebbe significato fare un passo indietro, rinnegare tutto ciò che si era ripromesso e soprattutto tornare ad essere vulnerabile e Leon non voleva. Avere il pieno controllo di se era la cosa più bella che tutti quei cambiamenti gli avevano portato. Da quanto tempo non provava più dolore? Certo, con la sua indifferenza e la sua freddezza feriva gli altri, ma almeno lui non soffriva e quella era la cosa più importante. Terminata la sigaretta, se ne fumò un’altra, poi andò a svegliare Lara. Tutto quel pensare gli aveva fatto venire di nuovo voglia e la consapevolezza che farlo con lei non comportava alcun tipo di legame, lo elettrizzava ancora di più. Lara avrebbe potuto avere sicuramente da ridire su quel punto visto che lo amava, ma a lui cosa importava quello che pensava? In fondo non le aveva mai fatto credere di ricambiarla, perciò aveva la coscienza pulita.
 

 




Eccomi, sono tornata! XD
Questo capitolo è abbastanza sconvolgente, sono usciti fuori alcuni segreti dei personaggi, segreti che era meglio restassero tali XD
Non so nemmeno io come mi è venuta in mente l’idea di Federico e Francesca, mi piacevano come coppia, però volevo complicare un po’ le cose e così ecco qui! Povero Fede però, è proprio innamorato e depresso... tenero :(
German poi merita una statua d’oro per quello che ha detto a Vilu, era ora che tirasse fuori quello che prova! Bravo German e brava Vilu che subito si scusa e ancora una volta riconosce di essere innamorata di Leon!! :3
Angie fa la conoscenza con la gelosia, per la prima volta nei confronti di Pablo e poi c’è Leon. Lui e Lara stanno insieme a modo loro per così dire, lei è innamorata, mentre lui la vede solo come una distrazione. Il suo cuore per quanto lo neghi appartiene ancora a Vilu! <3
Prima di salutarvi ci tenevo a ringraziare le 8 persone che hanno recensito lo scorso capitolo! Grazie, siete troppo buonii!! <3
A presto,
trilly <3
 

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Capitolo 5
*** Approcci e lacrime ***


 



“E se va male? E se mi blocco e faccio la figura dell’idiota?” Marco camminava nervosamente avanti e indietro nel cortile dello Studio, mentre Diego seduto pigramente su un muretto, lo fissava divertito. Di lì a poco i due avrebbero dovuto sostenere le audizioni per entrare nella scuola e se il primo era nervoso e spaventato, il secondo era abbastanza tranquillo e sicuro di se. Diego sapeva di avere talento, sapeva di essere una promessa, solo un pazzo non lo avrebbe riconosciuto.
“Tu non sei preoccupato?” Chiese Marco, passandosi nervosamente le mani nei folti capelli. L’altro scrollò le spalle, incurante. “Perché dovrei? Sono il migliore e ben presto lo dovranno ammettere.” Qualcun altro avrebbe pensato che si trattasse di una battuta o di un modo per sdrammatizzare, ma Marco che lo conosceva troppo bene, sapeva che Diego non scherzava affatto, lui pensava davvero ciò che aveva appena detto.
Proprio in quel momento sopraggiunsero gli studenti dello Studio e subito gli occhi di Diego saettarono su Violetta, che camminava tranquilla tra Francesca e Camilla. Quest’ultima fu catturata dal fascino del bello spagnolo, che però aveva occhi solo per la Castillo. Nel frattempo anche Marco aveva notato le tre, in particolare Francesca, che resasi conto di ciò gli rivolse un timido sorriso.
Senza pensarci due volte, Diego si avvicinò alle ragazze con un sorrisetto spavaldo. “Buongiorno Principessa.”
Violetta sussultò, poi sorrise imbarazzata. “Diego, cosa ci fai qui?”
Il sorriso del moro si accentuò, mentre la scrutava con quello sguardo che la metteva a disagio. “Sono qui per le audizioni. Ti avevo detto che le avrei fatte,” aggiunse divertito, sotto lo sguardo sorpreso di Francesca, Camilla e Marco, che si era avvicinato in quel momento.
La ragazza annuì. “Ah si, è vero... loro sono Francesca e Camilla,” proseguì, indicando le due amiche che sorrisero. Diego le guardò a malapena, tornando poi a concentrarsi esclusivamente su Violetta. Marco invece si fece coraggio e si presentò alle due, che subito lo sommersero di consigli per l’imminente esame.
Approfittando di ciò, Diego circondò le spalle di Violetta e la tirò in disparte. “Ti ho pensata in questi giorni,” sussurrò con voce seducente e con uno sguardo penetrante.
Lei s’irrigidì e arrossì paurosamente. “Ehm, bè...” Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si morse nervosamente il labbro, gesti che non sfuggirono agli occhi attenti e ammaliati del moro.
“Sei ancora più carina quando sei a disagio.” La voce di Diego era bassa, roca e aveva un qualcosa che le fece venire i brividi e la cosa peggiore era che quei brividi erano piacevoli. Lui non solo era bello, lui aveva fascino, un fascino che l’ammaliava.
“Diego,” sussurrò. Il ragazzo sorrise, sollevandole il mento con due dita. Gli occhi nocciola di Violetta si fusero in quelli neri di lui e nonostante il brivido che avvertì, la ragazza si rese conto che avrebbe voluto incrociare altri occhi. Quegli occhi verdi, dolci e protettivi che altri non erano che gli occhi di Leon. Dio, quanto le mancava il suo Leon, peccato che ormai non potesse più definirlo suo, lui apparteneva a un’altra. Quel pensiero le procurò un dolore atroce alla base del cuore e la spinse a distogliere lo sguardo dal moro.
“Io devo andare,” mormorò, scappando via prima che Diego potesse dire qualsiasi cosa. Lui in ogni caso la seguì con lo sguardo, mentre un sorrisetto arrogante gli si dipingeva sul volto. Violetta stava scappando e ciò significava che avesse paura di farsi coinvolgere, fortuna che lui fosse paziente e soprattutto determinato. La dolce e ingenua Violetta presto sarebbe stata sua, in un modo o nell’altro ciò sarebbe accaduto, ne era sicuro.
A pochi metri di distanza, Camilla continuava a fissare con interesse un inconsapevole Diego. “Secondo te dove l’ha conosciuto Violetta un ragazzo così carino?”
Francesca incrociò le braccia al petto e si accigliò, divertita. “Ma tu non hai un ragazzo? Ti ricordi di Broadway, quel ragazzo con cui parli tanto al telefono e che ora si trova in Brasile?”
La rossa sbiancò e si indispettì non poco alla risata che seguì. “Certo che mi ricordo di Broadway!” Ribattè. “La mia era semplice curiosità!”
“Si, certo,” commentò l’italiana, scuotendo il capo. Conosceva troppo bene Camilla Torres per sapere che stesse mentendo. Diego le interessava e non poco.
 

 




 
“Ehi Federico, ci sei?” Erano circa dieci minuti che Maxi sventolava una mano davanti agli occhi dell’amico, che appoggiato al suo armadietto fissava insistentemente Francesca e Marco, che chiacchieravano poco distanti da lui. Nei suoi occhi era piuttosto evidente il fastidio che provava a quelle chiacchiere, a quegli sguardi e a quei sorrisi. Federico era geloso marcio, cosa che Maxi non poteva nemmeno immaginare dato che non sapeva nulla dei sentimenti dell’amico o del suo rapporto particolare con Francesca.
“Federico,” ripetè Maxi, riuscendo finalmente ad attirare la sua attenzione. L’italiano infatti si era voltato verso di lui, confuso. “Maxi, quando sei arrivato?”
Il ragazzo rise, guardando l’orologio. “Circa dieci minuti fa, ma tu eri in un altro mondo.”
Federico distolse lo sguardo, imbarazzato. Se solo Maxi avesse saputo chi fissava e perché, dopo un attimo di stupore avrebbe sicuramente sorriso, ma se avesse saputo del loro accordo lo  avrebbe ucciso e non poteva dargli torto. Quello che facevano lui e Fran era sbagliato e Maxi da amico protettivo avrebbe sicuramente pensato che se ne stesse approfittando, peccato che lui non stesse facendo nulla di tutto ciò. La sua unica colpa era quella di essersi innamorato. 
“Scusa Maxi,” disse alla fine, cercando di apparire più naturale possibile. “Stavo solo pensando che oggi ricominciano le lezioni e bè.. avremo sicuramente molto da lavorare.”
“Già,” convenne Maxi, anche se poco convinto. Federico non gliela raccontava giusta, ne era sicuro. Si stavano avviando verso l’aula di ballo, quando il cellulare dell’italiano squillò per l’arrivo di un messaggio.

-Raggiungimi nello stanzino delle scope. Ho bisogno di te-

Solo dopo aver letto il messaggio, Federico si rese conto che Francesca fosse sparita. Dov’era andata così all’improvviso? E perché dopo essere stata impegnata in quella confidenziale chiacchierata con quel ragazzo, ora chiedeva di lui?
Lasciandosi guidare solo dal cuore, ripose il cellulare e corse via nonostante i richiami di un confuso Maxi. Doveva andare dalla ragazza che amava, lei aveva bisogno di lui, il resto non contava.
Lo stanzino delle scope era umido e silenzioso e quando si chiuse la porta alle spalle, divenne anche buio. Si era quasi convinto che Fran avesse cambiato idea, quando si ritrovò stritolato in un forte abbraccio e dei deboli singhiozzi gli giunsero alle orecchie. Senza pensarci troppo ricambiò l’abbraccio, inspirando il profumo dei suoi capelli. “Fran.”
Lei scosse la testa, seppellendo il volto cosparso di lacrime contro il suo petto. “Lui, somiglia t..tanto a Thomas, m..ma non n..non è lui.. aiutami ti p..prego.”
Federico le prese il volto tra le mani e le asciugò le lacrime con i pollici. Odiava vederla piangere, odiava che lei soffrisse e avrebbe fatto di tutto per evitarlo.
“Cosa vuoi che faccia?” Sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra. “Lo sai che farei qualsiasi cosa per te.”
Francesca gli accarezzò una guancia e quel semplice gesto gli fece battere il cuore a mille. “Fran.” “Stt..” sussurrò lei, poggiandogli un dito sulle labbra. “Fai l’amore con me, ho bisogno di te.”
Il ragazzo la strinse a se, poi l’allontanò dolcemente per sfilarsi la t-shirt e i jeans e la ragazza fece lo stesso con i suoi vestiti. “Sei sicura?” Le chiese ancora, quasi sperasse che gli dicesse di no.
Di tutta risposta lei lo baciò con passione e fece scivolare la mano oltre il bordo dei suoi boxer. A quel punto quel po’ di lucidità che aveva, lo abbandonò e si ritrovò a spingerla spalle al muro, ricambiando il bacio. Fare l’amore con Francesca fu come al solito passionale, con la presenza costante delle sue lacrime e come al solito Federico si chiese se non fosse più sesso che amore e se non stesse sbagliando tutto. Poteva negarlo quanto voleva, ma la ragazza che amava non era altro che un egoista che sfruttava le sue debolezze per manipolarlo, certo magari non se ne rendeva conto, ma era così. La sua mente sembrava lavorare più del solito durante i momenti di intimità con l’italiana, tanto che si estraniava completamente dalla realtà e quasi non si rendeva conto di quello che faceva. Pensare tanto lo aiutava a distrarsi e a non lasciarsi troppo andare alla depressione, perché ormai era convinto che la sua fosse una sorta di depressione, quella dove vedi tutto buio e ti senti invaso da un senso di pessimismo cosmico al pari di quello di Giacomo Leopardi. In un certo senso si sentiva molto simile al poeta, come lui era sfigato in amore e come lui non sembrava avere la forza necessaria per cambiare le cose e dire che prima di arrivare a Buenos Aires era così forte e pieno di vita. Poteva l’amore annullare e consumare una persona in quella maniera? Dov’era il suo orgoglio? Dov’era la sua dignità? Il vecchio Federico non si sarebbe mai fatto schiacciare come uno zerbino, avrebbe reagito e lo avrebbe fatto con le unghie e con i denti.
Riaprì gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto socchiusi e si rese conto che Francesca non fosse più tra le sue braccia, ma che si stesse rivestendo. Come poteva non essersi nemmeno reso conto che avevano raggiunto l’apice? Stava perdendo la testa, non c’erano altre spiegazioni, o semplicemente lui non lo aveva raggiunto affatto. Iniziò a vestirsi, convincendosi sempre di più che si stesse trasformando in un corpo senza vita, senza alcun tipo di emozione se non il dolore.
“Grazie Fede,” sussurrò Francesca all’improvviso, dandogli un bacio sulla guancia che lo fece rabbrividire. “Ti voglio bene.”
Ti voglio bene. Ti voglio bene. Ti voglio bene. La ragazza aveva pronunciato quelle tre parole con una dolcezza infinita, ma per lui furono come una pugnalata in pieno petto. Cosa se ne faceva di quel “ti voglio bene” se lui l’amava? Fu quasi tentato di dirglielo, ma poi desistette. Se lo avesse fatto, lei non avrebbe più voluto vederlo e la parte di se più sottomessa e innamorata, non poteva nemmeno immaginare una cosa simile.
Anche se a malincuore, perciò sussurrò: “Ti voglio bene anch’io.” Poche parole, false tra l’altro, che gli costarono tanto, ma che erano necessarie per non perderla. Mai come in quel periodo, stava capendo come doveva essersi sentito Leon quando stava con Violetta e soffriva continuamente a causa sua. Anche Leon come lui, era stato troppo innamorato e aveva lasciato correre un sacco di cose, finendo inevitabilmente per soffrire. Ricordava che da quando lo aveva conosciuto, fino al suo momentaneo ritorno in Italia, il giovane messicano era cambiato, si era quasi annullato e dipendeva completamente da uno sguardo o da un sorriso di Violetta. Allora aveva pensato che fosse solo una sua impressione, ma ora iniziava seriamente a pensare di averci preso e non solo, a lui stava accadendo la stessa cosa con Francesca. Forse proprio per liberarsi di quell’amore masochista Leon aveva chiuso con tutto e tutti, chissà se c’era riuscito, chissà se ci sarebbe mai riuscito anche lui. Ma se non ci provava nemmeno, come poteva avere qualche speranza?
 
 




 
Raggomitolata ai piedi di uno dei bagni femminili dello Studio, Violetta piangeva disperata. Per giorni si era trattenuta, cercando di farsi forza, ma poi incrociando lo sguardo di Diego era crollata. Il moro era un bel ragazzo e le sue attenzioni l’avevano lusingata, ma non era lui che amava. Il suo cuore apparteneva a Leon e Diego non poteva far nulla per cambiare ciò. Violetta bramava quei bellissimi occhi verdi, quel sorriso, quelle braccia che l’avevano sempre fatta sentire al sicuro e poi c’era la sua voce così dolce e rassicurante.
Leon era il centro dei suoi pensieri e il più delle volte la sua mente le rimembrava la scena di lui e quella ragazza che si abbracciavano e ciò le provocava un dolore atroce alla base del cuore. Leon non l’amava più, Leon amava un’altra. Il solo pensiero la fece singhiozzare più forte con il volto schiacciato tra le braccia. Lo aveva perso, lo aveva perso per sempre.
“Violetta!” Esclamò una voce all’improvviso, seguita dal bussare alla porta. “So che sei qui. Apri ,ti prego.”
Dopo alcuni istanti in cui si sforzò di frenare le lacrime e di asciugare il volto bagnato, Violetta aprì la porta. Di fronte a lei una preoccupata Camilla.
“Santo Cielo Vilu!” Esclamò, stringendola in un forte abbraccio. “Perché piangevi? Cos’è successo?”
La ragazza si lasciò andare ad una nuova crisi di pianto tra le braccia dell’amica. “Leon..lui..lui sta c..con un’altra rag..ragazza..” singhiozzò.
Camilla la consolò pazientemente, sussurrandole dolci parole. “Su Vilu, sfogati..fa male tenersi tutto dentro. Le cose si risolveranno, vedrai.”
Violetta scosse la testa. “Mi manca Cami, mi manca così tanto,” mormorò disperata.
“Sei sicura che sta con un’altra?” Chiese Camilla, asciugandole premurosamente le lacrime con un fazzoletto.
Lei annuì, tirando su col naso. “Li ho visti abbracciarsi alla pista di motocross.”
“Oh Vilu!” Leon e un’altra ragazza che si abbracciavano? Pista di motocross? Quante cose erano cambiate in una sola estate e quante lei non le aveva proprio notate. Possibile che tra Leon e Violetta fosse davvero finita? E se lui non provava più nulla, perché continuava lo stesso ad evitarla?
“Non è che lui ha abbracciato quella ragazza perché ti ha vista? Magari voleva farti ingelosire.”
Violetta scosse la testa. “No, non mi ha visto e poi tutto è partito da lei. È stata lei a saltargli addosso, ma lui non l’ha respinta,” aggiunse, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Lui non mi ama più, capisci?” La giovane Castillo piangeva così disperatamente da apparire irriconoscibile agli occhi dell’amica. Non l’aveva mai vista in quello stato e non sapeva proprio che fare per aiutarla. Aveva sempre sostenuto fermamente l’amore che legava Leon e Violetta, lui era stato il primo ragazzo a farla sorridere, il suo primo bacio, il primo che avesse davvero amato e anche se lo aveva capito tardi, non poteva davvero essere tutto finito, doveva esserci un modo per rimediare. La strinse forte a se, lasciandola sfogare contro la sua spalla.
“Andrà tutto bene, ti prometto che ti aiuterò a fare chiarezza su questa faccenda. Tra te e Leon non può essere finita così.”
Violetta si asciugò le lacrime, poi sollevò il capo confusa. “Tu pensi davvero che potrei aver frainteso? Nessuno dei due mi ha vista, si sono abbracciati perché lo volevano,” aggiunse con tristezza. “Devo dimenticarmi di lui Camilla, non c’è un’altra strada.” Detto ciò, fece per uscire dal bagno, ma Camilla la costrinse a voltarsi. “Se lo ami davvero devi lottare, non puoi arrenderti così. Hai dimenticato quanto lui ha lottato per te? Ora sei tu quella che lo deve fare.”
La Torres poi la sorpassò per andare a lezione, Violetta invece rimase impietrita, colpita da quelle parole. La sua amica aveva ragione, non poteva arrendersi, doveva lottare. Non poteva rinunciare senza avere la certezza che Leon avesse smesso di amarla. Doveva affrontarlo, mettersi nelle sue mani e lasciare che fosse lui a scegliere. In amore vinceva chi correva il rischio ed era ora che lei lo corresse.
 
 




 
“è così bello essere di nuovo allo Studio!” Esclamò Jackie allegramente, legandosi i capelli in uno  stretto chignon. Pablo, seduto al grande tavolo della sala professori, immerso nella lettura di alcuni fogli, sorrise. “Dovresti vederti, sembri una ragazzina davanti a un nuovo gioco.”
La donna ammiccò, sedendosi accanto a lui. “Non credevo che ci sarei tornata da insegnante. Ero solo una ragazzina l’ultima volta che sono stata qui. Ti ricordi quando eravamo studenti?” Aggiunse con uno sguardo penetrante, poggiando la mano sulla sua.
Pablo sorrise, imbarazzato dalla situazione. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che Jackie lo aveva guardato in quel modo? L’ultima volta era solo un ragazzino che sognava di diventare ballerino, ora invece era un uomo, direttore e coreografo della scuola che lo aveva visto crescere. Anche Jackie era cresciuta, non era più la dolce e ingenua ragazzina di un tempo, era più determinata e più..
“è passato tanto tempo Jackie, tante cose sono cambiate.”
Lei annuì. “Forse, ma noi siamo sempre noi e quello che ci lega..”
“Quello che ci legava,” la corresse lui serio. “Non siamo più quei ragazzi, ora siamo cresciuti. La nostra è stata solo un’illusione.”
Jackie incassò il colpo, ma non si scompose. Non era di certo il tipo che si scoraggiava lei. “Dimostrami che lo pensi davvero allora,” lo sfidò.
Le labbra della donna in un attimo si fecero vicinissime alle sue e Pablo non sapeva proprio come comportarsi. Avrebbe voluto allontanarla, ma allo stesso tempo sentiva che lasciarsi andare non gli avrebbe fatto male, aveva bisogno di dimenticare Angie e quale modo migliore del vecchio chiodo scaccia chiodo? Era crudele e per niente da lui, ma ormai aveva il cuore a pezzi e ben poca lucidità. L’unica cosa che riusciva a pensare era che voleva stare meglio e forse Jackie poteva davvero aiutarlo in ciò. Con lentezza dimezzò ancora di più la distanza tra loro, le labbra ormai si sfioravano e a Pablo tornò alla mente un ricordo sbiadito, un ricordo che pensava aver dimenticato. Lui e Jackie appena quattordicenni nel cortile dello Studio, che si scambiavano il loro primo bacio. Sembrava passata una vita da allora, quasi non si riconosceva se ci ripensava. Le loro labbra continuarono a sfiorarsi e Galindo fu sul punto di approfondire il bacio, quando qualcuno spalancò la porta, facendoli sussultare.
 

 
 




Che dire? Questo capitolo tra Federico e Violetta è una depressione proprio XD Lui continua a lasciarsi usare da Francesca e si aggiunge pure Marco che ci prova con l’italiana, poverino peròòòòòòòò quest’ultimo incontro però sarà decisivo per lui, infatti tra poco prenderà un’importante decisione. Violetta nel frattempo è affascinata da Diego, ma nemmeno lui riesce a farle dimenticare Leon, tanto che si lascia andare a un pianto disperato tra le braccia di Camilla. Quest’ultima è il mio idolo in questo capitolo! È una Leonetta convinta e più che determinata ad aiutarli a chiarire. Vai Cami!! :)
Diego continua a dar fastidio, senza notare che c’è una Camilla molto interessata a lui. Lascia in pace Vilu, sciò! XD
Un altro sciò se lo merita Jackie! Lei e Pablo in passato sono stati insieme e ora spera di riprendere da lì. Non ci pensare nemmeno! Viaaaaaaaa!! XD Fortuna che il bacio Packie viene interrotto, chissà da chi XD
Vi ringrazio per le bellissime recensioni e vi saluto!! <3 Fatemi sapere che ne pensate!
Trilly <3

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Capitolo 6
*** Lena, Marco & Diego ***





Pablo scattò in piedi quasi avesse preso la scossa ed era visibilmente imbarazzato, mentre Jackie aveva stampato in faccia un sorriso soddisfatto. Tutto questo di fronte alle facce stupite di Antonio, Beto, Gregorio e Angie. Ben presto sul volto di Casal lo stupore fu sostituito dal disgusto, Benvenuto appariva stranamente triste e la Saramego, bè lei era ancora più spenta di quel giorno al centro commerciale. Sapeva che Jackie fosse interessata a Pablo, ma non credeva che lui la ricambiasse, non credeva che l’avrebbe dimenticata così presto.
“I ragazzi sono arrivati. Le audizioni iniziano tra dieci minuti,” annunciò Antonio, comportandosi come se nulla fosse. Era chiaro che lui come tutti avesse assistito a quella scena, ma aveva deciso di far finta di nulla per evitare ulteriori imbarazzi e Pablo colse l’occasione al volo per svignarsela. “Bene, vado a preparare l’attrezzatura.”
Subito dopo di lui anche Beto lasciò l’aula, investendo una sedia e di seguito anche un’euforica Jackie. Gregorio nel frattempo sghignazzava guardando Angie di sottecchi, mentre quest’ultima si sforzava di apparire indifferente.
“Tutto bene?” Chiese Antonio, preoccupato alla bionda. “Angie?”
Lei sussultò, voltandosi a guardarlo. “Eh? Hai detto qualcosa Antonio?”
“Sei pallida, sei sicura di stare bene?” Ripeté l’anziano preside, mentre Gregorio continuava a sorridere malvagio. Era più forte di lui, non poteva fare a meno di godere delle sofferenze altrui e proprio per questo si era conquistato l’antipatia di coloro che lo circondavano, ma onestamente non gliene fregava più di tanto dell’odio di quelle nullità.
“Sto bene Antonio, tranquillo,” si affrettò a mormorare Angie, per poi scappare via. Mai, nemmeno sotto tortura avrebbe ammesso che vedere Pablo e Jackie insieme l’avesse sconvolta. Nella sua mente c’era ancora tanta confusione, i suoi sentimenti per Pablo e German non le erano per niente chiari e il fatto che vedere quei due insieme l’avesse ferita, non significava che fosse innamorata di Pablo, ma solo che teneva a lui senza saper dire con certezza quanto.
Nulla nella mente di Angela Saramego insomma era chiaro e forse solo il tempo poteva aiutarla a fare chiarezza, o almeno lo sperava.
 





 
“Mi raccomando, fai il tifo per me!” Esclamò un’euforica Helena Alvarez, saltellando nel corridoio d’ingresso dello Studio, dove c’era già una lunga fila di studenti in attesa di dare gli esami di ammissione. Nata, che era lì per sostenere la sorella minore, sorrise a quelle parole.
“Tu sei brava Lena, sono sicura che andrai benissimo.”
La bionda sorrise a sua volta, abbracciandola. “Non mi sembra vero che finalmente potrò fare l’esame. Chissà, magari stavolta potrò frequentare con merito,” aggiunse con una traccia di amarezza, ricordando il periodo in cui era stata ammessa allo Studio a causa di uno dei malefici piani di Gregorio.
“Io scommetto che tutto andrà bene Darling.”
Nata e Lena si voltarono di scatto, riconoscendo quella fastidiosa e familiare voce. Di fronte a loro una sorridente Ludmilla Ferro. Il suo sorriso di solito arrogante o crudele, per la prima volta appariva sincero e quasi dolce, ma la cosa che le colpì di più fu il suo abbigliamento costituito da una semplice tuta blu elettrico, lontana anni luce dal suo stile modaiolo e luccicante. In aggiunta poi aveva i capelli legati in una coda di cavallo e il suo volto era privo di trucco. Se non avessero riconosciuto la sua voce, non avrebbero mai detto che fosse lei.
“Sono contenta che anche tu farai l’esame,” proseguì Ludmilla con un dolce sorriso, rivolgendosi a Lena, che storse il naso.
“Non so cosa stai tramando, ma stai pur certa che lo scoprirò,” sbottò, allontanandosi a grandi falcate.
“Cos’ho detto di male?” Chiese la Ferro, confusa.
Nata la guardò, accigliata. Conosceva Ludmilla meglio di chiunque altro, conosceva i suoi giochetti e sapeva che fosse un’ottima attrice e se in passato si era fatta manipolare, ora era più forte e soprattutto più sicura.
“Continua così e rimarrai sola,” le disse, affrettandosi a raggiungere la sorella.
Ludmilla la seguì con lo sguardo, divertita. Nonostante il modo in cui l’avevano trattata, era sicura di averle colpite e quello era solo l’inizio.
“Ludmilla, non sembri nemmeno tu,” sussurrò Andrea, comparendo alle spalle della bionda, che le sorrise.
“è necessario per il mio piano,” le spiegò sottovoce,aprendo il suo armadietto e guardando con disgusto il proprio riflesso in un piccolo specchietto da borsa. “Devono credere che sono veramente pentita e soprattutto cambiata. La vera Ludmilla non si sarebbe mai conciata in questa maniera così squallida e mai, ripeto mai, sarebbe stata gentile con quella mocciosa irritante di Helena Alvarez. Ci vorrà un po’ di tempo, ma riuscirò a far abbassare le loro difese e poi le colpirò senza pietà,” aggiunse, mentre un lampo di malvagità le attraversava lo sguardo.  
Andrea annuì, ammirata. “Tu sei un genio.”
“Si e presto lo capiranno anche quel branco di inutili formichine.” Sul volto di Ludmilla comparve ora quello che era il suo famoso e perfido sorriso e ciò non presagiva assolutamente nulla di buono.
 






 
A poco a poco tutti gli studenti presero posto nella sala teatro in seguito alla convocazione di Antonio, che a quanto pareva aveva un annuncio da fare.
Maxi, Luca e Andres si sedettero subito in prima fila, seguiti da Andrea che di certo non poteva farsi vedere in pubblico con Ludmilla per non destare sospetti. Fu poi il turno di Federico e Francesca che si sedettero lontanissimi l’uno dall’altro, evitando persino di guardarsi. Accadeva ogni volta dopo quei momenti di intimità, ma  ancora una volta nessuno vi prestò molto caso. Ludmilla prese strategicamente posto nell’ultima fila, indossando una maschera di finta tristezza e per ultime entrarono Violetta e Camilla. La prima aveva passato più di un’ora a sfogarsi tra le braccia dell’amica e ora si stava sforzando di apparire serena, mentre la mente di Camilla stava già elaborando un modo per far riappacificare Vilu e Leon. Era infatti convinta che i due fossero fatti l’uno per l’altra e che l’altra ragazza, ammesso che ci fosse, contasse meno di zero per il giovane Vargas.
Quando anche Nata si fu seduta timidamente accanto a Maxi, Antonio salì sul palco armato di microfono. Un grande sorriso illuminava il suo volto, mentre guardava uno ad uno i suoi studenti.
“Prima di tutto ci tenevo a salutarvi e a darvi il bentornato,” iniziò l’anziano preside, ascoltato attentamente dalla platea, curiosa di sapere quale fosse l’annuncio che doveva fare. “Quest’anno ho deciso di modificare le modalità con cui avvengono le ammissioni allo Studio, ma ciò ve lo spiegherà Pablo dopo nei particolari. Quello che invece  volevo dirvi io, è che ci sono delle importanti novità, la prima riguarda il nome dello Studio, che d’ora in avanti si chiamerà Studio On Beat.” Solo quando gli applausi si interruppero, lui proseguì. “Le novità riguardano anche il corpo insegnanti, che oltre a Pablo, Angie e Beto, presenterà dei nuovi volti.” I tre insegnanti nominati, salirono sul palco. Pablo fu il primo ad arrivare accolto da un boato, fu poi il turno di Angie che ricevette a sua volta un’ottima accoglienza, ma la vera bolgia fu dedicata a Beto, che dopo essere inciampato su uno scalino, raggiunse i colleghi allegro come al solito.
“Come insegnante di danza, torna invece Gregorio.” L’ingresso dell’uomo fu seguito da stupore e poi da fischi e proteste, messe subito a tacere da un’occhiataccia del preside. Gregorio, anziché offendersi, sorrise maligno, rivolgendo a tutti linguacce e pernacchie.
Pablo lo guardò scuotendo il capo. Quell’uomo era un folle, crudele e immaturo e avrebbe continuato a pensarlo anche se Antonio aveva deciso di perdonarlo. Quest’ultimo, dopo aver fulminato Gregorio con lo sguardo per quegli atteggiamenti immaturi, si rivolse agli sconvolti studenti. “So cosa state pensando, Gregorio ha sabotato molti dei nostri progetti e ci ha causato non pochi problemi e se ho deciso di dargli un’altra possibilità è perché l’ho visto davvero pentito, ma questo non significa che tutto tornerà come prima. Ho infatti deciso di affiancargli un’altra insegnante, ossia mia nipote Jackie.”
La bionda salì sul palco con un sorriso sicuro, accompagnata da un leggero applauso. “è un onore per me essere qui,” disse, abbracciando lo zio e sorridendo poi agli studenti. “Non vedo l’ora di lavorare con voi.”
“Sembra simpatica,” commentò Francesca, sovrastando gli applausi.
“Già,” convenne Maxi allegramente. “E poi è anche bella.”
A quelle parole Nata si intristì, ma stette in silenzio. Cosa poteva mai dire? Lei e Maxi non stavano insieme e quindi lui era libero di guardare chiunque, persino un’insegnante.
“Bene,” disse Antonio, interrompendo quel ricco vociare. “Ora lascio la parola a Pablo.” Il direttore prese il microfono che il preside gli porgeva e sorrise agli studenti. “Da quest’anno abbiamo deciso che tutti voi potrete assistere alle audizioni, così che i nuovi potranno abituarsi sin da subito ad esibirsi in pubblico.”
Solo quando gli applausi e i commenti entusiasti si affievolirono, Pablo invitò sul palco il primo studente e seguirono poi tutti gli altri. Ognuno di loro si esibì in una canzone a piacere e poi in una coreografia improvvisata. Antonio, Pablo, Angie, Beto, Gregorio e Jackie nel frattempo, seduti dietro dei banchi alla destra del palco, annotavano qualcosa su dei fogli e ogni tanto facevano qualche richiesta per valutare le capacità degli aspiranti alunni.
Quando fu il turno di Lena, ella evitò accuratamente di guardare Gregorio, che alla sua sola vista ghignò. Ricordava perfettamente quell’impertinente ragazzina  ed era determinato più che mai ad ostacolarla.
“Ciao Helena, sei la sorella di Nata giusto?” Le chiese Pablo con un sorriso, avendola riconosciuta.
Lei annuì. “Si, sono io.”
“Cosa ci canti?” Le chiese allora Angie, sorridendo anche lei con fare materno.
“En mi mundo,” annunciò Lena, rivolgendo un sorriso riconoscente a Violetta, che era stata così gentile da prestarle la sua canzone. Dopo un’ottima performance che confermò il suo grande talento come cantante, Beto le fece suonare qualche accordo alla chitarra e poi fu la volta della prova di ballo. Se Jackie si accontentò di qualche piroetta, Gregorio fece sempre più richieste, avendo da ridire su tutto, tanto che a un certo punto Antonio lo zittì e congedò la giovane Alvarez.
“Marco Navas,” chiamò Pablo, dopo un’altra sfilza di studenti. Il moro raggiunse il palco più agitato che mai e con il cuore che gli batteva a mille.
“Tranquillo, andrà tutto bene,” lo rassicurò Angie con un dolce sorriso. “Dimentica le persone che sono intorno a te e pensa solo alla tua passione per la musica.”
Quelle parole ebbero il potere di calmare il nervosismo del ragazzo, che riuscì ad esibirsi in una perfetta interpretazione di Entre tu y yo, canzone scritta da Thomas l’anno prima. Francesca lo ascoltò come rapita, Federico invece storse il naso, schifato. Sembrava quasi che quel ragazzo lo facesse apposta per assomigliare a Thomas e ciò lo rendeva ancora più odioso ai suoi occhi.
Normalmente Pablo avrebbe sorriso ad Angie per il modo in cui aveva tranquillizzato Marco, perciò dovette fare un duro sforzo per ignorarla e concentrarsi solo su Jackie, che aveva appena chiesto al ragazzo di improvvisare una coreografia. Dopo aver suonato anche lui degli accordi alla chitarra, fu la volta di Gregorio che lo tempestò di richieste, fino a mandarlo via poco convinto. Fosse stato per lui avrebbe cacciato tutti, nessuno di loro rispondeva alla sua idea di talento.
Quando furono rimasti solo pochi studenti, fu il turno di Diego. “Diego Ramirez.”
Con passo sicuro e con un sorrisetto arrogante stampato in faccia, il moro raggiunse il centro del palco.
“Allora Diego,” iniziò Pablo, guardandolo con curiosità. Mai nella sua carriera si era imbattuto in uno studente così tranquillo e sicuro durante un’audizione. “Che canzone hai preparato?”
Diego scrollò le spalle, mentre un sorrisetto arrogante non abbandonava il suo volto. “Una canzone scritta da me, non canto mica cose di seconda mano,” aggiunse con uno sguardo provocatorio verso gli altri studenti che si erano esibiti prima di lui e per questo beccandosi delle occhiatacce, che lo fecero sorridere ancora di più. “Si intitola Yo soy asì.”
Durante tutta l’esibizione tenne lo sguardo fisso su Violetta e la ragazza arrossì, capendo che gliela stesse praticamente dedicando. Diego non era bravo, era bravissimo e ne era perfettamente consapevole. Il testo della canzone, la base, la sua stessa voce e la sua grinta conquistarono tutti, in primis Violetta e Camilla, che però si sforzavano di non darlo a vedere. La prima non voleva dargli soddisfazioni o rischiare di fargli credere che le piacesse e la seconda lo considerava troppo arrogante e pieno di se e poi ovviamente il suo cuore apparteneva a Broadway e così sarebbe stato per sempre.
Nel frattempo anche gli insegnanti erano rimasti colpiti dal talento di Diego, che si mostrò molto capace anche con la chitarra e la tastiera e poi finì addirittura per superare alla perfezione tutte le prove a cui lo sottopose Gregorio e seppur stizzito, l’uomo dovette arrendersi. Fu poi il turno di Jackie, che troppo concentrata a guardare il ragazzo con stupore, non se ne accorse nemmeno.
“Jackie,” la richiamò Pablo, sventolandole una mano davanti agli occhi.
Jackie sussultò, svegliandosi dal trans in cui era caduta. “Eh?” Chiese confusa.
“è il suo turno professoressa,” mormorò Diego con un sorrisetto, prima che qualcun altro potesse parlare. “Cosa vuole che faccia?” Aggiunse con una traccia di malizia che non sfuggì alla donna, che arrossì di botto.
Diego era arrogante e presuntuoso in maniera assurda e nemmeno l’autorità di un docente sembrava intimidirlo, ma la bionda non era di certo una qualsiasi. Anche se profondamente colpita da lui, non gliel’avrebbe data vinta né in quel momento né mai. “Improvvisa un mix di classico-moderno e non fermarti finché non finisce la musica,” gli ordinò, indossando una maschera di fredda indifferenza che lo fece sorridere.
Jackie fece di tutto per metterlo in difficoltà, ma lui mantenne il pieno controllo fino alla fine e se ne andò con un sorriso soddisfatto. Lui era il migliore e niente e nessuno poteva ostacolarlo. Con fare arrogante raggiunse il posto dov’erano sedute Violetta e Camilla e si fece spazio tra di loro.
“Piaciuta la canzone?” Sussurrò all’orecchio della giovane Castillo. “L’ho scritta pensando a te Principessa.”
Violetta arrossì di botto, mordendosi nervosamente il labbro. Le attenzioni di Diego la lusingavano e anche tanto, ma quando era Leon a dedicarle delle canzoni ciò che provava era molto più forte, intenso e devastante, questo perché Vargas era il ragazzo che le aveva rubato il cuore, mentre il moro appariva ai suoi occhi come un semplice spasimante, nulla di più.
“Sei ancora più bella quando arrossisci,” continuò il ragazzo, avvicinando pericolosamente il volto al suo. Pochi centimetri separavano le loro labbra. Violetta lo fissava sconvolta e intimidita. Cosa voleva fare Diego? Istintivamente indietreggiò con la schiena. “No Diego, non farlo.”
 “Perché?” Si accigliò lui, facendo per avvicinarsi di nuovo, ma Camilla lo strattonò per un braccio, facendole tirare un sospiro di sollievo.
“In che lingua deve dirtelo che non le interessi?” Sbottò la Torres, stizzita.
Diego la guardò con un cipiglio divertito. “E tu chi saresti, il suo avvocato?”
“Sono sua amica e so con certezza che non è interessata a te. Levati di torno.”
Il moro, per niente intimorito, sfiorò la guancia di Violetta con un lieve bacio e poi scattò in piedi. A un passo da Camilla sussurrò: “Violetta ed io staremo insieme e né tu né nessun altro potete far nulla per evitarlo.” Nella sua voce c’era così tanta arroganza e presunzione che Camilla lo fissò allontanarsi a bocca aperta. Non credeva che esistesse qualcuno più odioso di Ludmilla, ma a quanto pareva al peggio non c’era limite.
“Tutto bene?” Chiese a Violetta, che rossa come un pomodoro si toccava la guancia dove Diego l’aveva baciata.
“La guancia di Leon,” sussurrò all’improvviso, facendola accigliare. Quello che Camilla non sapeva, era che lei stesse ripensando a tutte le volte che Leon aveva sfiorato quella stessa guancia con le sue labbra e per questo ormai tendeva a considerarla la sua guancia. Un sorriso malinconico faceva bella mostra di se sul suo volto. Quanto avrebbe voluto che quel bacio glielo avesse dato Leon. Era lui il ragazzo che amava, l’unico che avrebbe voluto accanto a se in ogni momento. Perché tutto doveva essere così complicato? Perché aveva dovuto capire i suoi sentimenti per Vargas solo dopo averlo perso? C’era ancora una possibilità per loro due? Voleva crederci, lo voleva davvero.
 Ovviamente Violetta non aveva sentito l’ultima frase pronunciata da Diego, quindi non aveva idea dei livelli assurdi che la sua presunzione poteva raggiungere. Lei era troppo buona, troppo ingenua e proprio per questo una preda facile per tipi come lui. Camilla era più che mai determinata ad aiutarla, mai si sarebbe perdonata se l’avesse lasciata sola in quel momento di profonda vulnerabilità. L’avrebbe aiutata a tenere lontano Diego e soprattutto a tornare con Leon, parola di Camilla Torres.
 

 




Eccomi, sono tornata! Capitolo di audizioni!! Lena, Marco e Diego fanno i loro provini e lasciano il segno! XD Antonio e gli altri prof ci salvano dall’oscenità del bacio Packie! Olèèèèèèèèèè grazie al cielo XD Angie irrita con i suoi eterni dubbi, anche se sembra infastidita.. e poi Diego! Odiosooooo, fortuna che Camilla lo ha cacciato! XD
A presto, baci
Trilly <3
Ps. Mi è stato chiesto più volte quando si rincontreranno Vilu e Leon e visto che sono a buon punto nella scrittura, mi manca poco alla fine, vi posso dare una risposta certa. Il primo incontro Leonetta ci sarà nel capitolo 13, ma anche prima di arrivarci si noterà che tra di loro c’è una sorta di connessione, un legame che non si è mai spezzato e nemmeno l’orgoglio di Leon può riuscire a farlo, ve lo assicuro! ;)

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Capitolo 7
*** E penso a te ***





Cara mamma,
sono da poco passate le due del mattino, eppure io sono ancora perfettamente sveglia. Ci ho provato in tutti i modi ad addormentarmi, ma è stato inutile. Il fatto è che non riesco a smettere di pensare a Leon. Una parte di me vorrebbe andare da lui, tentare di parlargli, ma poi la paura prende il sopravvento. Ho paura di scoprire che mi ha dimenticata, che ora il suo cuore appartiene a quella ragazza con cui l’ho visto abbracciarsi. Camilla pensa che non dovrei arrendermi e che magari ho frainteso tutto e ti giuro che vorrei crederle con tutta me stessa, peccato che non ci riesco.
Leon non userebbe mai una ragazza per dimenticarmi, lui è uno onesto che ha rispetto per gli altri e proprio per questo penso che la ami davvero e che io sono semplicemente il suo passato.
Mi manchi tanto mamma! Non sai cosa darei per averti qui e accoccolarmi tra le tue braccia come quando ero bambina. Allora era tutto più facile, sentivo che nulla poteva andar male, mentre adesso mi sento smarrita e non so proprio che fare.
Devo rischiare e andare a parlargli, oppure devo tentare di andare avanti? A ciò si aggiunge Diego. Si è da poco trasferito a Buenos Aires e ha fatto le audizioni per entrare allo Studio. Lui è arrogante, presuntuoso e sicuro di se e credo di piacergli. È carino e in qualche modo mi affascina, ma lui non è Leon e questo mi frena. In passato ho avuto il cuore diviso in due, ora invece non ho dubbi. Sono innamorata di Leon e..
 


Violetta lasciò andare la penna e il diario e scattò in piedi. Se non si sbagliava di grosso, aveva sentito la porta di casa sbattere. Ma chi poteva essere a quell’ora?
In punta di piedi, raggiunse la porta della sua camera e l’aprì. In lontananza avvertì dei passi e delle voci, erano un uomo e una donna. Lentamente e con il cuore che le batteva a mille, attraversò il lungo e buio corridoio fino alle scale. Solo allora riconobbe la voce di suo padre, sembrava imbarazzato ma allo stesso tempo divertito. Possibile che fosse uscito con una donna? E perché non le aveva detto nulla?
“è meglio che vada, si è fatto tardi.”
Violetta era sicura di aver già sentito quella voce, anche se era da tanto che non la sentiva. Possibile che..?
“Ti accompagno,” disse prontamente German. “Non potrei dormire tranquillo sapendoti sola in macchina nel cuore della notte.”
“German,” provò a protestare lei.
“Esmeralda,” ribatté lui, confermando i dubbi della giovane. Quella donna era davvero Esmeralda.
“Va bene, hai vinto.”
Solo quando i due varcarono l’uscita, Violetta scese in salotto. Era sorpresa, felicemente sorpresa. Sin da quando l’aveva conosciuta, aveva pensato che Esmeralda fosse la donna perfetta per suo padre e il fatto che si fossero rivisti la rendeva euforica.
Facendo meno rumore possibile per non svegliare Olga e Roberto, andò in cucina e si riempì un bicchiere d’acqua. Quanto avrebbe voluto che anche lei e Leon potessero stare insieme come loro.
Quasi senza rendersene conto, prese il cordless e dopo aver inserito il cancelletto, compose il numero del ragazzo e chiamò.
Il telefono squillò a vuoto per quella che le parve un’eternità, mentre il suo cuore batteva a un ritmo forsennato.
-Pronto?-
Il cuore per poco non le uscì dal petto. Era lui, era la sua voce. Dio solo sapeva quanto le fosse mancato sentirla.
Prese fiato, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Perché non riusciva a parlare?
-Pronto? Chi parla? Non è divertente!- Sbottò Leon con voce assonnata e infastidita.
Violetta però rimase in silenzio, troppo spaventata per fare altro.
-Vuoi dirmi chi sei?- Ripeté il ragazzo. –Dopo avermi svegliato nel cuore della notte me lo devi, non credi?-
Forse fu il suo tono decisamente più divertito e meno accusatorio, forse fu il suo cuore a prendere il sopravvento, stava di fatto che la Castillo si ritrovò a sussurrare: -Leon..-
Seguì un lungo silenzio, che le fece dubitare che lui l’avesse sentita, poi però Vargas mormorò  con voce quasi tremante. –Violetta.. sei tu?-
Lei non rispose. Leon aveva riconosciuto la sua voce? E ora che doveva fare? Provò a parlare, ma ancora una volta non riuscì a dire nulla. Che le stava succedendo?
Ad interrompere quel silenzio ci pensò ancora una volta Leon. –Non hai proprio intenzione di darmi una risposta eh? Hai paura che possa riconoscere la tua voce?-
Violetta deglutì, stringendo più forte il cordless all’orecchio. Avrebbe voluto dirgli tante cose, soprattutto quanto lo amasse, ma tutti i muscoli del suo corpo sembravano essersi pietrificati, solo il suo cuore continuava a battere sempre più forte.
-Facciamo così allora- propose il ragazzo all’improvviso. –Visto che non vuoi parlare, parlerò io. Tu fai un colpo di tosse per il no e due per il si, ok?-
Lei tossì due volte. Almeno così poteva continuare a parlare con lui.
-Non riesci a dormire?- Dopo che la ragazza ebbe fatto due colpi di tosse, proseguì. - Anch’io soffro spesso di insonnia, di solito quando mi frullano tante cose per la testa. Ultimamente però non mi posso lamentare, appena mi metto a letto crollo. C’è un motivo particolare per cui non vuoi dirmi chi sei? Sai, è strana questa conversazione, mi sento come se stessi parlando da solo-
A quel punto Violetta chiuse la conversazione e si accasciò ai piedi del frigorifero, prendendosi la testa tra le mani. Perché non era riuscita a dirgli nulla? Perché non riusciva a lottare per il loro amore?
Alcune lacrime iniziarono a scorrere sul suo volto e lei non fece nulla per cancellarle. Era solo una stupida. Leon c’era sempre stato e ora che non c’era più si rendeva conto di quanto fosse fondamentale. Se solo lo avesse capito prima, ora loro sarebbero felici insieme e non ci sarebbe stata nessuna ragazza a dividerli e invece erano distanti anni luce.
Quanto avrebbe voluto sentire ancora le sue braccia stringerla, la sua voce rassicurarla e il suo profumo inondarle le narici. Tutto quello però non c’era più, l’unica cosa che le restava erano i ricordi, quei maledetti ricordi che non facevano altro che accrescere il suo dolore.
Ancora profondamente provata, tornò il salotto e si sedette al piano. Le sue dita si mossero da sole, componendo la melodia di Podemos, la canzone sua e di Leon. Iniziò a cantare le prime strofe, mentre le lacrime scorrevano a fiumi sul suo volto. Con la vista annebbiata, le sembrò quasi di scorgere la figura di Leon, che da dietro al piano le sorrideva e intonava il ritornello insieme a lei. Beandosi di quell’illusione, sorrise e cantò con maggiore entusiasmo.
Alle sue spalle nel frattempo, Roberto e Olga in pigiama e vestaglia la osservavano tristemente.
“Povera la mia piccola che soffre d’amore,” sospirò la donna, che fece per abbracciarlo, ma lui indietreggiò e borbottò qualcosa che suonava molto come “spazio vitale”.
“Già.. e dire che German la vede ancora come una bambina.”
Olga si accigliò, ancora offesa per il mancato abbraccio. “Il signor German non lo deve assolutamente sapere, intesi?”
Roberto ruotò gli occhi, poi fece gesto di lavarsi le mani. “Se lo viene a sapere te la vedrai tu con lui però, non voglio essere coinvolto.”
Dopodiché se ne tornò a dormire e solo allora Olga si permise di fargli il verso. “Non voglio essere coinvolto. Codardo,” aggiunse, recandosi a sua volta in camera.
 





 
Il giorno dopo al Restò Band, un tavolo in particolare era animato da un forte vociare. Tra Maxi, Camilla, Francesca, Federico, Luca, Lena e Nata non si riusciva a capire chi fosse il più furioso e il motivo era uno solo, il ritorno di Gregorio allo Studio.
“Antonio deve essersi ammattito, non c’è dubbio,” commentò Maxi, bevendo un sorso del suo frappé.
“Come può davvero credere che Gregorio sia cambiato?” Aggiunse Camilla, scettica. “Quelli come lui non cambiano.”
Federico, seduto alla sinistra di Maxi, scrollò le spalle. “Secondo me non si fida al 100%, altrimenti non gli avrebbe affiancato sua nipote Jackie.”
“Non gli conveniva assumere Jackie e basta?” Ribatté Francesca, evitando di guardarlo, cosa che a lui non sfuggì, ma decise di far finta di nulla.
“Non vorrei essere crudele, ma credo che Antonio non sia più lucido come un tempo,” disse Luca, intrecciando le mani sul tavolo. “Forse dovrebbe farsi da parte.”
“Antonio non è stupido,” intervenne Lena seria. “Sa quello che fa, ne sono sicura.”
“Sono d’accordo,” convenne timidamente Nata. “Dovremmo dargli fiducia.”
I ragazzi continuarono il loro sfogo, finché nel locale non entrò Andres. Appena lo vide, Camilla si defilò dal gruppo e corse verso di lui.
“Andres!” Esclamò, facendolo sobbalzare.
“C..Camilla,” balbettò, rischiando di cadere e per questo aggrappandosi a lei.
“Dobbiamo parlare,” gli disse, trascinandoselo a un tavolo isolato, spingendolo su una sedia e sedendosi di fronte a lui.
“Stiamo già parlando no?” Chiese Andres stupidamente.
Camilla sollevò gli occhi al cielo, ma decise di sorvolare. La cosa fondamentale era aiutare Violetta e l’unica soluzione era Andres.
“Allora,” iniziò. “Stai vedendo Leon? Come sta?”
Andres si accigliò. “Leon è qui? Non lo vedo.” Prese a guardarsi intorno, mentre la ragazza scuoteva la testa incredula. Proprio non riusciva a capire come si potesse essere così tonti, ma dato che era l’unico con cui Leon parlava, non aveva scelta.
“Leon non è qui!” Sbottò stizzita. “Quello che voglio sapere è se siete ancora amici.”
“Si, certo.”
“Bene, quello che devi fare è molto semplice. Digli di tornare allo Studio perché abbiamo bisogno di lui, ma non dirgli che ti ho mandato io, chiaro?”
“Perché?” Chiese lui, confuso.
“Perché cosa?”
“Perché gli devo dire queste cose?”
Camilla sospirò, esasperata dalla stupidità dell’amico. “Lo Studio è la sua vita e se lo ha mollato è per dimenticare Vilu. Devi convincerlo a tornare Andres e devi farlo al più presto.”
Lui annuì. “Quindi gli devo dire che tu lo rivuoi allo Studio?”
“NO!” Urlò lei, battendo la mano sul tavolo e spaventandolo. “Non devi assolutamente dirgli che te l’ho detto io.”
“Oh, ehm.. va bene.”
Andres scattò in piedi, pronto ad andarsene, ma Camilla non era per niente tranquilla. Sarebbe riuscito a portare a termine la missione?
I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di Diego. Come al solito camminava tronfio e sicuro con l’immancabile giacca di pelle. Camilla gli si parò prontamente di fronte con le braccia incrociate. “Violetta non è qui.”
Diego si accigliò, poi sorrise. “Ciao anche a te, tesoro.”
“Non chiamarmi tesoro e ora vattene,” sbottò lei, facendolo ridere ancora di più.
“E perché dovrei? Non mi sembra che questo posto sia tuo,” la provocò, divertito.
Camilla lo fulminò con lo sguardo. “Sei così odioso e irritante e..”
Il sorriso del ragazzo si accentuò. “Oggi sei un tantino acida eh? Non sarà che ti devono venire?” Aggiunse con una chiara traccia di malizia che la fece diventare rossa dalla rabbia.
“Non azzardarti, brutto... io ti ammazzo!” Fece per colpirlo, ma lui le bloccò il polso, ghignando divertito. “Aggressiva, sexy,” sussurrò al suo orecchio, ottenendo l’effetto di farla infuriare ulteriormente, tanto che lo spinse lontano da se.
“Stai lontano da me e da Violetta, sono stata chiara?”
Diego sorrise, attirandola a se e accostando il volto al suo. “Forse sei tu che dovresti stare lontana  da me e smetterla di pensarmi, non credi Camilla?” Sussurrò con un sorrisetto arrogante.
“Sei disgustoso!” Sbottò lei, spingendolo nuovamente. “Non penserei a te nemmeno se fossi l’ultimo ragazzo su un’isola deserta e l’alternativa a te fosse uno scarafaggio.”
Lui non si scompose, continuando a sorridere. “Stai mentendo Camilla e presto cadrai ai miei piedi, confermando le mie parole.”
Camilla si accigliò. “Se, nei tuoi sogni.” Gli voltò poi le spalle tornando dai suoi amici, che troppo occupati a imprecare contro Gregorio, non avevano notato nulla. Diego la seguì con lo sguardo, più divertito che mai. In un solo colpo aveva ammaliato sia Violetta che Camilla, doveva ammettere che non aveva perso il suo tocco infallibile. Con quel pensiero si affrettò ad ordinare un frullato, mentre altri pensieri decisamente più seri affollavano la sua mente.
 




 

Quella mattina Leon si svegliò alla buon’ora stranamente riposato e rilassato e si gettò sotto la doccia. Alla mente gli tornò la strana chiamata che aveva ricevuto quella notte. Chi era quella ragazza? Perché non aveva parlato? Quei pochi istanti in cui aveva sentito la sua voce, gli era sembrato di conoscerla, gli era sembrata la voce di Violetta e non poteva negare di aver avuto paura. Poteva essere lei? In aggiunta, quando si era rimesso a letto aveva sognato la voce sua e quella di Violetta che fuse insieme cantavano Podemos. Quando aveva scritto quella canzone era perdutamente innamorato di lei e convinto di essere ricambiato, nonostante tutto. Da quanto tempo non cantava più quella canzone? Da quanto aveva smesso di credere in loro due?
Con addosso l’accappatoio, si fermò a fissarsi attraverso lo specchio. All’apparenza sembrava il solito Leon, con i capelli un po’ più corti, eppure ciò non poteva essere più sbagliato. Quando aveva deciso di lasciare lo Studio era sicuro, convinto, ora però sentiva che quel sogno e quella chiamata soprattutto, avevano risvegliato qualcosa in lui, qualcosa che pensava sopito per sempre. La musica era la sua passione, lo era sempre stata e iniziava davvero a mancargli. La paura di rivedere Violetta e di incrociare di nuovo i suoi occhi era però più forte e proprio per questo scacciò quel pensiero. Dopo essersi vestito e aver fatto colazione, si gettò a peso morto sul divano del salotto con la sigaretta alle labbra. Sapeva che era un brutto vizio, ma era in grado di rilassarlo come nulla. Era nel pieno dello zapping davanti alla T.V. quando qualcuno bussò alla porta.
Sbuffando sonoramente, andò ad aprire, trovandosi di fronte la figura sorridente di Andres. “Ciao Leon.”
“Andres,” mormorò, facendosi da parte per farlo entrare. “Che ci fai qui?”
“Cos’è questa puzza?” Chiese invece Andres, entrando in salotto e ritrovandosi colpito dal fumo della sigaretta che l’amico aveva da poco finito di fumare e che aveva inondato la stanza.
Leon si affrettò a far sparire il posacenere, poi aprì la finestra e spense la T.V., invitandolo a sedersi. “Mio padre deve aver fumato qui dentro,” mentì, sedendosi accanto a lui.
Andres annuì, abboccando alla sua bugia. “Senti Leon, devi tornare allo Studio. Ci manchi e so che lo Studio manca a te, tu ami cantare.”
Quelle parole colpirono il giovane messicano. Proprio quella mattina si era svegliato con quel pensiero, che fosse un segno del destino?
“Torna Leon, manchi a tutti e non è stata Camilla a mandarmi.”
Leon si accigliò. “Ti ha mandato Camilla?”
“Cosa? No! Come fai a saperlo?” Balbettò il moro, imbarazzato.
Lui ruotò gli occhi e scosse la testa. “Io non torno, fine della storia.” Fece per alzarsi, ma il braccio di Andres lo fermò. “è per Violetta vero? Hai paura che se la rivedi i tuoi sentimenti per lei si risvegliano.”
Leon sgranò gli occhi e spalancò la bocca, stupefatto. Il suo amico sempre così tonto, era stato l’unico a sbattergli in faccia la verità e lo aveva fatto con una tranquillità tale, quasi come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Cosa ne era stato di Andres il sempliciotto?
 “Torna Leon, fallo per te stesso.”
Andres lo guardò un’ultima volta per poi andarsene e lui lo lasciò fare, ancora profondamente turbato. Voleva davvero tornare allo Studio? Lo sguardo gli cadde sul pianoforte a coda al centro della stanza ed ebbe un tuffo al cuore. Era solo un ragazzino quando aveva iniziato a suonare i primi tasti, ricordava quella sensazione di felicità, entusiasmo, sicurezza, sensazione che non provava da tempo. Il motocross era il suo mondo, la sua passione, ma non bastava, sentiva che mancava qualcosa e quel qualcosa era la musica.
Con lentezza si avvicinò al piano e sfiorò alcuni tasti con la punta delle dita. Quando fu sul punto di suonare davvero, il cellulare iniziò a squillargli. Sul display lampeggiava il nome di Lara. Istintivamente rifiutò la chiamata. Non aveva voglia di parlare con lei, voleva semplicemente stare da solo e pensare.
Quella dannata e strana chiamata continuava a tormentarlo. Tutto gli faceva pensare che quella ragazza potesse essere Violetta, soprattutto dopo che alla sua ennesima richiesta di rivelargli la sua identità aveva messo fine alla chiamata. Se era davvero lei, cosa voleva?
Scosse la testa, stizzito. Doveva smettere di dare a quella ragazza tutta quell’importanza, lei doveva restare un ricordo passato. Si accese un’altra sigaretta e recuperò le chiavi della motocicletta. Basta pensieri, basta assurde ipotesi, aveva assolutamente bisogno di distrarsi.  
 
 




Questo capitolo è uno di quelli che mi piace di più fino ad ora, forse perché Leon e Vilu finalmente hanno un contatto, anche se indirettamente. L’orgoglio del nostro Vargas poi inizia seriamente a scricchiolare e tutto grazie alla chiamata di Vilu e al sogno di loro due che cantano Podemos. In aggiunta Camilla manda Andres a convincere l’amico a tornare allo Studio e incredibilmente proprio Andres capisce qual è la paura di Leon, ossia quella di rivedere Vilu e rendersi conto di amarla ancora. Proprio quando Leon stava finalmente per riprendere a suonare, ecco che arriva la chiamata della scocciatrice! Ma non ha niente da fare? -.-
Se ho fatto qualche errore chiedo scusa. Ieri sono stata tutto il giorno con il mal di stomaco, perciò ho corretto il capitolo solo stamattina e con la tv nelle orecchie potrebbe essermi sfuggito qualcosa. Sorryyy!!  

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Capitolo 8
*** Un gioco pericoloso ***






La Castro’s International, ossia il vasto e prestigioso edificio dove German lavorava come architetto, come ogni inizio settimana era affollatissimo di persone ricche e importanti quali avvocati, ingegneri, imprenditori e appunto architetti.
German si fece strada tra la folla, reggendo con la mano destra una valigetta contenente l’ultimo importante progetto per combattere il problema dell’inquinamento e con la sinistra il cellulare, con il quale parlava con Roberto, il suo fido collaboratore.
-Organizza la riunione per oggi pomeriggio- disse Castillo, fermo davanti a due doppie porte in attesa dell’ascensore. -Stamattina ho due appuntamenti con dei clienti e il primo è tra mezz’ora esatta-
-Va bene German, ti farò sapere l’orario e il luogo appena mi sarà possibile-
-Perfetto, a dopo-
Chiuse la chiamata e si affrettò ad entrare in ascensore, peccato che qualcun altro fece il movimento opposto e finirono per scontrarsi. Essendo molto possente, German non subì alcuna conseguenza nell’impatto, ma l’altra persona che capì quasi subito essere una donna, finì stesa sul pavimento e la sua valigetta volò poco più là.
“Sta bene?” Chiese subito l’uomo preoccupato, avvicinandosi per aiutarla ad alzarsi. Appena incrociò i suoi occhi verdi, rimase a bocca aperta. “Esmeralda?”
Dopo un attimo di stupore, la donna sorrise. “Ciao German.”
“Cosa ci fai qui?” Le chiese, prendendola tra le braccia e aiutandola a rimettersi in piedi.
“Sono qui per un progetto su dei generatori,” spiegò Esmeralda, ancora visibilmente in imbarazzo per la caduta, ma soprattutto per trovarsi tra le braccia dell’uomo di cui era segretamente innamorata. Sin dalla prima volta che lo aveva visto non aveva smesso un istante di pensare a lui, ma sapeva che usciva da una storia che lo aveva fatto soffrire molto e poi era convinta che non lo avrebbe più rivisto. Quando le era stato assegnato quel progetto a Buenos Aires, si era accesa in lei la speranza di rivederlo e il destino quella mattina l’aveva accontentata.
German era lì che la teneva tra le braccia e le sorrideva e ciò fece accelerare di tre volte i suoi battiti. Non credeva che potesse provare ancora le stesse emozioni che aveva provato da ragazza. Lui era in grado di farla sentire bene con un solo sguardo ed esattamente come durante l’estate, non poteva fare a meno di chiedersi come facesse quell’uomo ad avere un simile effetto su di lei.
German nel frattempo la guardava a sua volta ammirato. Aveva dimenticato quanto Esmeralda fosse bella e quanto gli ricordasse la sua Maria. Con quel taulier grigio, i tacchi vertiginosi e i capelli scuri che le ricadevano sulle spalle, aveva un’aria seria, matura, ma allo stesso tempo affascinante. La sua sola presenza gli trasmetteva sicurezza, benessere, un qualcosa che prima aveva sentito sempre e solo con sua moglie. In un certo sento si sentiva intimidito da lei, ma allo stessi tempo incuriosito, affascinato.
“Mi consenti di offrirti un caffè per farmi perdonare?”Propose lui con un grande sorriso, raccogliendole la valigetta e porgendogliela.
Esmeralda sorrise e annuì. “Va bene, anche se non hai nulla da farti perdonare.”
Castillo sorrise a sua volta, offrendole il braccio. “Concedimi allora la tua compagnia.”
“Con molto piacere.”
 




 
 
 
Un vento gelido sferzava oltre le fessure del casco, pungendolo. Leon c’era però abituato e addirittura accelerò in sella alla sua motocicletta rosso fiammante. Intorno a lui, un’altra decina di moto sfrecciavano a massima velocità sulla pista, sostenuti dal pubblico in festa. Il giovane Vargas assottigliò lo sguardo, poi con un perfetto e rischioso slalom superò due moto e si piazzò dietro il Tmax grigio del campione in carica. Nella sua mente un unico pensiero, vincere.
Era sempre stato un tipo ambizioso, per lui tutto era una gara, persino le cose veramente importanti come l’amore. Aveva fatto di tutto per battere Thomas nella conquista del cuore di Violetta, tanto che era riuscito a darle il suo primo bacio, a fidanzarsi con lei e prima ancora le aveva insegnato ad andare in bicicletta ed era stato l’unico a ridarle il sorriso nei momenti più bui. Anche se alla fine Vilu aveva rinunciato a entrambi, Leon era convinto di aver vinto, era convinto di aver sconfitto alla grande il suo rivale, in campo sentimentale almeno. Thomas infatti era riuscito a mettergli contro quasi tutti i ragazzi dello Studio, aveva conquistato la sua ex Ludmilla e flirtava anche con Fran e Vilu e poi ovviamente i professori lo avevano sempre scelto come protagonista negli spettacoli, mentre lui si ritrovava puntualmente a fargli da sostituto.
Per tanto, troppo tempo, aveva incassato colpi su colpi senza mai protestare e proprio per questo all’ennesima cosa che aveva visto andare male, aveva ripreso le redini della sua vita ed era cambiato. Aveva smesso di essere gentile e accomodante, aveva smesso di starsene zitto e soprattutto aveva smesso di accontentarsi delle briciole. Era stato così semplice lasciare lo Studio e chiudere ogni rapporto con Maxi e Broadway, gli unici con cui avesse veramente legato durante l’ultimo periodo allo Studio e poi c’era Andres, quello che considerava il suo migliore amico e che per questo aveva deciso di continuare a frequentare. Andres non gli avrebbe mai teso alcun tranello per costringerlo a vedere Violetta, ne era sicuro, lui avrebbe sempre rispettato le sue scelte. Ora il suo mondo era il motocross, legale o meno che fosse.
Con quel pensiero, accelerò ancora, mentre nelle orecchie gli risuonavano urla e fischi. Mancava poco, veramente poco. Provò alcune finte, approfittando anche delle curve per recuperare metri, finché non affiancò il Tmax. Ora sfrecciavano uno accanto all’altro, la tensione era alle stelle, qualsiasi errore anche se lieve avrebbe potuto essere fatale per entrambi. Consapevole di ciò, Leon schiacciò sull’acceleratore e per alcuni istanti chiuse gli occhi. Stava rischiando grosso a correre a quella velocità, le possibilità di vincere erano congruenti a quelle di morire schiantandosi al suolo, ma non gli importava. In quel momento si sentiva libero, vivo come mai in vita sua, ogni pensiero lo aveva abbandonato e l’adrenalina scorreva a fiumi nelle sue vene. Le urla del pubblico gli giunsero in lontananza come una sorta di eco, la brezza notturna lo pungeva con la forza di mille aghi. Voleva vincere, solo quello contava per lui.
Aveva tenuto gli occhi chiusi per poco tempo, eppure gli parve un’eternità. Solo quando li riaprì, si rese conto che intorno a lui era calato il silenzio. Non ci mise molto a capire perché. Frenò bruscamente e nemmeno il tempo di scendere dalla moto che Lara lo strinse in un forte abbraccio. Aveva vinto, aveva battuto il campione. Nessuno avrebbe scommesso un soldo su un ragazzino emergente alla sua prima gara importante e probabilmente proprio per questo ora lo fissavano tutti a bocca aperta.
“Hai vinto! Hai vinto!” Urlò Lara, euforica.
Non riusciva ancora a crederci, aveva davvero vinto?
“Congratulazioni Vargas.” Con stupore si rese conto che Sebastian Louis, il campione in carica, era lì di fronte a lui e si stava congratulando. Incredibile, allora aveva davvero vinto.
“Grazie,” mormorò, stringendogli la mano, per poi abbracciare e baciare Lara con trasporto. C’era riuscito, aveva raggiunto il suo obiettivo.
Euforico e già mezzo ubriaco a causa delle bottiglie di birra che i suoi amici avevano preparato prima della gara, si recò con loro e la meccanica in un locale già di per se affollatissimo. Era notte fonda, eppure lì dentro sembrava pieno giorno. Bevve e ballò così tanto tra una ragazza e l’altra, una somigliava così tanto a Violetta da lasciarlo basito come un imbecille e forse fu proprio a causa della somiglianza con la Castillo che le consentì di baciarlo, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, stava di fatto che a un certo punto perse quasi tutta la lucidità. Ricordava di essersi scatenato come mai in vita sua e di aver ingerito così tanto alcool da scoppiare e a peggiorare la situazione ci pensò uno dei suoi amici, che procurò loro una manciata di spinelli. Leon non aveva mai fumato quella roba, al massimo una sigaretta, ma in quel momento non si rendeva conto nemmeno di quello che faceva e proprio per questo si portò lo spinello alle labbra. Subito il fumo lo invase e lo stonò e la sua euforia crebbe.
A loro si unì un altro gruppo di ragazzi, tra cui uno moro che a quanto pareva aveva anche lui da festeggiare. Il fumo gli aveva annebbiato la vista, perciò non riuscì a metterlo bene a fuoco, a occhio e croce doveva però avere quasi la sua stessa età.
“Io sono Diego,” si presentò il ragazzo, porgendogli la mano.
“Leon,” ribatté lui, passandogli uno spinello.
Dopo un attimo di stupore, Diego lo prese e fece un tiro. Quel Leon era un tipo strano, non aveva nemmeno voluto stringergli la mano, ma almeno era stato gentile ad offrirgli qualcosa da fumare. Si sedette più comodamente sullo sgabello e appoggiò il gomito destro sul bancone, così da voltarsi meglio verso il giovane Vargas, che nel frattempo si era fatto servire l’ennesimo bicchiere di chissà quale liquore.
“Cosa festeggi?” Buttò lì il moro, fissandolo con curiosità.
Leon sollevò lo sguardo, facendogli chiaramente capire di essere completamente fatto e ubriaco. “Ho partecipato a una gara clandestina di motocross e ho vinto,” annunciò euforico, confermando le supposizioni di Diego circa le sue condizioni. “Ho guadagnato un sacco di soldi,” proseguì con voce stridula e per niente lucida.
Quelle ultime parole incuriosirono non poco il giovane spagnolo. “Davvero? Quindi se vinci hai dei soldi?”
L’altro annuì, ridendo stupidamente e spruzzandolo con l’alcool che stava bevendo. Diego fece una smorfia schifata, pulendosi con un fazzoletto. “Come funzionano queste gare?”
Leon si passò una mano nei capelli scompigliandoli, poi bevve un altro sorso e inspirò un po’ di fumo. Solo allora tornò a guardarlo serio. “Tutto dipende da quanto le gare sono pericolose e dai tempi che impieghi per raggiungere il traguardo. Più pericoli corri e più veloce vai e se ovviamente vinci, maggiori saranno i guadagni. Il rischio di incidenti o addirittura di morte fanno parte del pacchetto e per questo le gare non sono autorizzate e si guadagna tanto.”
Diego annuì interessato. Andava in moto da una vita e amava il rischio, ma soprattutto aveva bisogno di soldi e forse quel metodo non era così male.
“Sai andare in moto?” Chiese il giovane Vargas, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
“Si, certo,” confermò con un ghigno. “Potrei guidare una moto ad occhi chiusi.”
“Mmm..” mormorò Leon pensieroso, per poi sogghignare. “Credimi amico, questo non ha niente a che fare con le passeggiate in moto a cui sei abituato. Si rischia la vita e l’arresto costantemente, non è un gioco.”
Diego ruotò gli occhi e sbuffò. “Lo so, non sono mica un idiota? Non ho paura di nulla, posso affrontare qualsiasi cosa,” aggiunse stizzito.
Il ragazzo fece per ribattere, quando Lara gli sorrise e gli fece segno di raggiungerla.
“è la tua ragazza?” Chiese il moro, seguendo il suo sguardo. “è carina.”
Leon rise, scolandosi l’ennesimo bicchiere. “Io non ho una ragazza, lei è solo un’amica, se capisci cosa intendo,” proseguì con un sorrisetto complice.
Diego ghignò, dandogli una pacca sulla spalla. “Vai a divertirti con la tua “amica” allora.”
Il giovane Vargas si alzò barcollando, rivolgendogli un’occhiata divertita. “Se sei davvero interessato mi trovi da Waine, è un bar poco distante dal comune della città.”
“Ci penserò,” annuì, guardandolo allontanarsi verso la ragazza e un gruppo di giovani messi ancora peggio di lui.
Aveva bisogno di soldi per le ricerche che stava facendo e poi doveva contribuire dato che i genitori di Marco gli offrivano vitto e alloggio, ma valeva la pena rischiare tanto? Ovviamente si, lui era Diego Ramirez e non aveva paura di nulla, figuriamoci di alcune stupide gare di motocross. Ormai aveva deciso, presto sarebbe andato da quel Leon e lo avrebbe informato della sua decisione. Con quel pensiero, un sorriso si fece strada sul suo volto, mentre ordinava un bel bicchiere di whisky.
 

 



 
Jackie sbattè la porta dell’aula di danza, sedendosi su una sedia pieghevole che di solito veniva usata per le coreografie e si prese il volto tra le mani. Ancora non riusciva a credere che quel ragazzino arrogante l’avesse umiliata di fronte a tutti. Nessuno si era mai permesso di parlarle in quel modo, chi si credeva di essere? Le risate dei ragazzi e il sogghigno che aveva visto sul volto di quel malato di mente di Gregorio le affollavano la mente, facendola innervosire ancora di più. Avrebbe fatto di tutto per non farlo ammettere, non aveva proprio intenzione di ritrovarselo di fronte ogni giorno.
“Jackie, tutto bene?”
Lei sussultò, sollevando lo sguardo. Fermo sul ciglio della porta, c’era un preoccupato Pablo. “Ti ho vista sovrappensiero durante le audizioni e bè.. volevo sapere se stavi bene,” le disse, avvicinandosi a piccoli passi e poggiandole una mano sulla spalla.
Jackie sorrise. Pablo era sempre così dolce e altruista, l’uomo che qualunque donna avrebbe voluto avere al suo fianco e lei non era da meno. “Si tranquillo, avevo solo un po’ di mal di testa.”
Lui annuì, aprendo una delle ante della grande finestra, così che una ventata d’aria fresca invase l’aula. “Mi sei sembrata molto colpita da quel ragazzo, Diego.”
La bionda s’irrigidì, rimembrando il modo in cui quel ragazzo l’avesse umiliata di fronte a tutti. “Ha talento, ma è un gran maleducato.”
“Si,” confermò il direttore. “Tra l’altro è troppo sicuro di se e questo non va per niente bene nel lavoro di squadra.”
“Forse, ma è anche vero che la sicurezza dei propri mezzi è fondamentale se si vuole avere successo. Se non ci credi tu, come puoi pretendere che ci credano gli altri?” Gli fece notare giustamente, alzandosi e raggiungendolo accanto alla finestra. “È proprio questo che inizialmente mi ha colpito di lui, ma dopo che si è dimostrato così indisponente..”
Pablo sorrise, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “E tu credi nei tuoi mezzi esattamente come lui non è così? Eri pronta a puntare su di lui, ma il suo caratteraccio ti ha spiazzata.”
Jackie annuì. “Credo di si, ma non sono l’unica a porre tanta determinazione per raggiungere un obiettivo,” proseguì con un sorrisetto complice. “Ti ricordo parecchio testardo Pablo Galindo.”
Fece poi per avvicinarsi ulteriormente, probabilmente con l’intenzione di riprendere quel bacio che Antonio e gli altri professori avevano interrotto, ma all’ultimo Pablo l’abbracciò, lasciandola non poco delusa. Lei voleva un bacio, non di certo un’amichevole abbraccio.
Passando di lì, Angie li vide abbracciati e per lei quel gesto fu tutto tranne che un gesto di amicizia. Da che lo conosceva, Galindo non aveva mai guardato, né flirtato con nessuna donna, aveva sempre avuto occhi solo per lei. Dopo un attimo di stupore, avvertì un dolore sordo alla base del cuore, un dolore atroce simile a quello al centro commerciale e a quello della mattina delle audizioni. Ciò le ricordava tanto le sensazioni che provava quando German stava con Jade, un qualcosa che prendeva il nome di gelosia. Poteva negarlo all’infinito, ma alla fine lo sapeva benissimo che si trattava di quello. Era gelosa del rapporto tra Pablo e Jackie e questo perché prima di allora lui non era mai stato tanto vicino a un’altra donna, o almeno questo era quello che credeva. E se invece si sbagliasse e quella gelosia non derivasse solo dall’egoismo? E se ciò che provava per il suo migliore amico fosse più forte di quanto aveva sempre pensato?
Avrebbe solo voluto rifugiarsi in un angolo e piangere, ma il suo corpo non ne voleva sapere di muoversi. Era forse masochista?
“Ma che bella coppia felice,” mormorò una voce ironica e crudele alle sue spalle. Non aveva bisogno di voltarsi per capire chi fosse, ma lo fece in ogni caso, incrociando lo sguardo di Gregorio che appariva visibilmente divertito. “A quanto pare a Pablito piacciono le bionde,” continuò fissandola attentamente.
Angie s’irrigidì. “Si può sapere che vuoi?”
Il sorriso di Gregorio si accentuò a quelle parole. “Non sarai forse gelosa Anchie?”
La bionda lo fulminò con lo sguardo, per poi tentare di spingerlo di lato, ma lui si scansò quasi fosse terrorizzato all’idea che lei lo toccasse. “Primo, il mio nome è Angie e non Anchie. Secondo, non ho alcuna intenzione di stare qui a sentire le tue stupidaggini.”
Se ne andò a grandi falcate, seguita dallo sguardo crudele dell’uomo che già pregustava quel nuovo e divertente passatempo, tormentare la povera Angie.
 
 





 
Ed ecco la famosa sorpresa per German di cui parlavo, Esmeralda!! Ovviamente non è una truffatrice come quella della serie, ma una donna che lavora nel suo stesso settore.
Si è scoperto poi il segreto di Leon, guadagna soldi tramite delle pericolose corse clandestine! Da notare che si lascia baciare da una perfetta estranea perché somiglia a Violetta. Puoi negarlo  quanto vuoi Vargas, ma è evidente che non l’hai dimenticata! <3
Dopo che German ha incontrato Esmeralda, Leon incontra il suo inconsapevole rivale, Diego! Per ora sono abbastanza pacifici tra di loro, ma durerà?
E Jackie che approfitta di ogni occasione per flirtare con Pablo? Fortuna che lui ha evitato il bacio!! Fa schifo anche l’abbraccio, però lo preferisco al bacio XD
Che Angie inizi ad usare il cervello? Sembra di si e le frecciatine di Gregorio sicuramente aiutano. Speriamo bene! ;)
Ciaooooo e grazie per le bellissime recensioni allo scorso capitolo!!!! :D

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Capitolo 9
*** Seguire il cuore ***





“Non poteva andare diversamente,” commentò Diego con il solito sorrisetto arrogante stampato in faccia. Lui e Marco erano allo Studio davanti alla bacheca degli avvisi, dov’erano stati esposti i risultati delle audizioni. Accanto ai nomi Diego Ramirez e Marco Navas era incisa la parola “ammesso”. Se il primo non aveva mai nutrito alcun dubbio sulla sua ammissione, il secondo era euforico e aveva iniziato a saltellare e a urlare, abbracciando chiunque gli capitasse a tiro. Tra questi gli capitò Francesca, che ricambiò l’abbraccio con entusiasmo.
Quando Federico giunse davanti alla bacheca insieme a Maxi, Camilla e Violetta e vide i due avvinghiati come cozze, s’irrigidì e strinse forte i pugni, mentre i suoi occhi emanavano scintille.
Diego nel frattempo aveva immediatamente spostato le sue attenzioni su Violetta, sorridendole soddisfatto. “Ce l’ho fatta, sono stato ammesso.”
Un timido sorriso si distese sul volto della ragazza, che lo abbracciò. “Congratulazioni.”
Il ragazzo ricambiò l’abbraccio, continuando a sorridere. Il suo sguardo cercò e trovò quello di Camilla, comunicandole un semplice messaggio: presto lei sarà mia. La Torres gli rivolse un’occhiataccia, poi corse verso Nata e Lena, che avevano appena visto la bacheca e festeggiavano per l’ammissione di quest’ultima. Subito anche Maxi e Luca si diressero verso le due spagnole, congratulandosi con grande entusiasmo con la più giovane. Federico fissò Marco e Francesca che parlavano a stretto contatto e si sorridevano ancora per alcuni istanti, poi ostentando un sorriso forzato andò a sua volta a congratularsi con Lena, che appena lui l’abbracciò si fece tutta rossa come mai le era accaduto.
“Lo sapevo che saresti stato ammesso,” sorrise Violetta, sciogliendo l’abbraccio. “Hai fatto un esame perfetto.”
Diego sorrise, guardandola intensamente. “Il merito è tuo, sei tu che mi hai ispirato per la canzone e poi sapendo che mi guardavi ho sentito di dover dare il meglio di me,” aggiunse, sfiorandole una guancia con una leggera carezza e facendola arrossire.
“Bè, allora sono contenta di averti ispirato. Mi piace molto la tua canzone,” proseguì con un sorriso.
Un lampo attraversò lo sguardo del ragazzo. “E a me piaci tu,” ammise con voce roca. “Non hai idea quanto.” I suoi occhi erano fissi in quelli della giovane e le trasmettevano un’intensità tale che Violetta si sentì a disagio. Se lo sguardo di Leon e di Thomas era sempre stato prima di tutto dolce, quello di Diego era deciso e allo stesso tempo ardente. Provò a indietreggiare, ma più lo faceva e più lui si avvicinava, tanto che a un certo punto si ritrovò schiacciata tra lui e il muro.
“Diego,” sussurrò, mentre lui accostava le labbra a un soffio dalle sue. Aveva caldo, un caldo afoso, insopportabile e il cuore le batteva a mille e quando Diego accorciò ancora le distanze, tali sensazioni si amplificarono.
Senza pensarci troppo, lo spinse lontano da se. “Scusa, ma non posso,” sussurrò a disagio.
“Perché no?” Chiese il moro, facendosi di colpo serio. Non riusciva a capire perché si ostinasse a tirarsi indietro, in fondo sembrava coinvolta, sembrava che le sue attenzioni non la lasciassero indifferente.
Violetta lo fissò per alcuni istanti, indecisa se essere sincera o meno, poi alla fine mormorò: “Sono innamorata di un altro.”
A quelle parole Diego irrigidì la mascella, impietrito e allo stesso tempo furioso. Non poteva essere vero, non poteva. “Ah si? E lui chi è? Ma soprattutto dov’è?”
Quegli occhi neri la scrutavano desiderosi di avere risposte, peccato che lei non avesse intenzione di dargliele. “Devo andare a lezione.”
Fece per scappare, ma il ragazzo le prese prontamente il polso, costringendola a voltarsi di nuovo verso di lui. “Tu e questo tipo state insieme? Non mi hai mai accennato di stare con qualcuno.”
Violetta avvampò, ma si costrinse a reggere il suo sguardo. “Diego, senti..”
Lui però scosse la testa. “Mi merito una risposta e lo sai. Non puoi scappare e lasciarmi come un imbecille ogni volta,” ribatté con un tono carico di risentimento, che prima di allora non aveva mai usato per rivolgersi a lei.
“Hai ragione,” ammise lei, colpita dalla schiettezza del ragazzo. In fondo sapeva di dovergli una risposta, non poteva continuare a lasciarlo nel dubbio. “Mentirei se ti dicessi che non mi piaci,” mormorò, facendo nascere un sorrisetto sul suo volto. “Sei un ragazzo determinato, forte che sa cosa vuole e mi hai dimostrato più volte di interessarti. La canzone che mi hai dedicato poi, è stato un gesto dolcissimo e...” Mentre parlava, sentiva che Diego pendeva completamente dalle sue labbra e che ormai sorrideva apertamente, convinto che lei si stesse dichiarando. Le strinse le mani con le sue e Violetta arrossì paurosamente. E ora come glielo diceva? “Tu mi piaci, ma è lui ad avermi rapito il cuore,” riuscì finalmente ad ammettere, lasciandolo impietrito.
Diego le lasciò di botto le mani, mentre molteplici emozioni gli attraversavano lo sguardo e Violetta si sentì in colpa per quella delusione che lui faceva fatica a nascondere. “Diego, io.. mi dispiace,” sussurrò, dispiaciuta. “Il fatto è che io non riesco ad immaginarmi con nessuno che non sia lui, ma non è colpa tua e..”
“Ho capito,” la interruppe lui, amareggiato. “Non potevi essere più chiara di così.”
Detto ciò se ne andò, mollandola da sola nel corridoio. Violetta lo guardò allontanarsi, dispiaciuta ma anche sicura di aver fatto la cosa giusta. Non poteva continuare a illuderlo, lui meritava una ragazza che lo amasse davvero, perché nonostante il carattere arrogante e presuntuoso, Diego la meritava eccome. Se non ci fosse stato Leon probabilmente gli avrebbe dato un’opportunità, ma Leon c’era e lei lo amava come mai aveva amato in vita sua. Lui era il suo mondo, lui era la sua felicità e sarebbe stato così anche se fossero stati a chilometri di distanza, perché l’amore era così, esso non aveva limiti né confini e trionfava su tutto.
 
 





“Buongiorno a tutti,” salutò Angie allegramente, entrando nell’aula e accogliendo i suoi studenti.
“Buongiorno!”
“Buongiorno Angie!”
“Vedo che quest’anno abbiamo una classe più numerosa,” constatò la bionda, sedendosi alla cattedra e consultando il registro. “Due studenti tra i migliori dello Studio ci hanno abbandonato.” Qui il pensiero andò a Thomas, ormai trasferitasi in Spagna e a Leon, che di punto in bianco aveva deciso di rinunciare al sogno della sua vita. “In compenso ne abbiamo guadagnati tre di grandi prospettive,” continuò, guardando Diego, Marco e Lena. Il primo appariva per la prima volta distante, quasi la sua mente fosse altrove, mentre gli altri due erano emozionati e allo stesso tempo nervosi per quella nuova avventura che stava per iniziare.
“Per prima cosa direi di fare degli esercizi per riscaldare la voce e poi vi assegnerò un compito.”
Trascorsero così la prima mezz’ora tra vocalizzi ed altri esercizi per la voce e intonarono alcune strofe delle canzoni che avevano ottenuto tanto successo agli spettacoli dell’anno precedente. Dopo di ciò, Angie decise di dividerli in coppie con il compito di comporre una canzone e una coreografia su un sentimento in particolare.
“Sei coppie e sei sentimenti da trasmettere. La scelta ovviamente sarà mia,” precisò, quando notò che alcuni stavano per parlare. “Ho deciso di mischiare un po’ le carte, così da permettervi di confrontarvi con caratteristiche diverse dalle vostre.”
La bionda prese un foglio da una cartellina, poi tornò a guardarli. “ Le coppie saranno composte da: Maxi e Nata che interpreteranno la speranza,” i due ragazzi si sorrisero imbarazzati, ma felici di dover lavorare insieme. “Marco e Francesca, la gelosia.” Lui era euforico e la guardava con insistenza, mentre lei si limitò a un timido sorriso. “Luca e Ludmilla, la rabbia.”
“Che cosa?” Esclamò Luca, sconvolto. “Io e Ludmilla? Stai scherzando vero?” Aggiunse, quasi sperasse di vedere la Saramego iniziare a suonare una trombetta, per poi rivelargli che si trattava di un pesce d’aprile in ritardo.
La reazione di Ludmilla invece lasciò tutti a bocca aperta. Ella infatti si limitò a scrollare le spalle e a sorridere. “Sarà un lavoro interessante,” commentò, scioccando l’italiano, che la fissava come se fosse stata un fantasma. “In fondo noi due non abbiamo mai lavorato insieme.”
“Ecco, proprio per questo ho pensato a voi due,” convenne Angie con un grande sorriso. “Avete uno stile molto diverso e mi piacerebbe vedervi e sentirvi a confronto.”
Luca fece ancora per protestare, ma Ludmilla lo anticipò. “Per me non c’è problema, insieme possiamo fare un buon lavoro. Giusto Luca?” Aggiunse con un sorriso innocente che poco le si addiceva. Lui la fissò scettico, non credeva per nulla alla buona fede della ragazza, di sicuro stava tramando qualcosa, ma Angie sembrava non voler cambiare idea e forse lavorare con Ludmilla gli avrebbe consentito di tenerla d’occhio più da vicino. Annuì, rassegnato. “Va bene, lavorerò con lei.”
“Perfetto,” disse la Saramego,mentre la Ferro sorrideva ad un accigliato Luca. “Le altre coppie sono composte da Diego e Violetta che interpreteranno la passione, Federico e Lena l’amore e dato che siete dispari, Andrea, Andres e Camilla formeranno un trio che rappresenterà l’indifferenza...”
Angie non riuscì a dire altro perché molteplici proteste si sovrapposero le une sulle altre, su tutte quelle di Camilla, Violetta e Andrea. Federico e Lena erano gli unici a non lamentarsi, lei era felicissima e non faceva altro che stringersi al suo braccio, mentre lui sorrideva, stringendola a se, tutto questo sotto lo sguardo incredulo di Francesca. Da quando tra quei due c’era tanta confidenza? Andres sembrava non aver capito nulla come al solito e Diego si limitava a fissare la Castillo in silenzio. Dal suo volto non trapelava alcuna emozione.
“Io non collaboro con quella dittatrice!” Esclamò la Torres, additando Andrea che storse il naso. “Dittatrice io? E tu allora? Stai sempre a dare ordini e..”
“Basta! Smettetela!” Le zittì Angie, sbattendo il registro sulla cattedra. “Dovete imparare a mettere da parte le divergenze e a lavorare come un gruppo. La collaborazione è tutto e lo sapete, è una cosa che dovete imparare a fare.”
Violetta guardò lei e poi Diego, che seduto pigramente su una sedia in un angolo dell’aula, ricambiò il suo sguardo e alla fine annuì. Angie aveva ragione, non poteva comportarsi come una bambina. Diceva di essere cresciuta, bè.. era ora di dimostrarlo. Prese una sedia e andò a sedersi accanto al giovane, che la fissò perplesso. “Lavorerò con Diego,” annunciò e la Saramego le sorrise, orgogliosa che sua nipote avesse capito cosa intendesse. A quel punto anche Camilla e Andrea si arresero e tornarono al loro posto in silenzio, continuando però a lanciarsi occhiatacce.
A fine lezione Violetta si avvicinò alla zia, impegnata a sistemare le sue cose. “Perché lo hai fatto?”
Angie sussultò, accorgendosi solo in quel momento della sua presenza. “Fatto cosa?”
“Io e Diego, come ti è venuto in mente?” Le chiese, sedendosi sulla cattedra e osservandola attentamente.
L’altra si limitò a scrollare le spalle. “Dovete mettere da parte le vostre divergenze e collaborare, te l’ho detto. Hai dimenticato qual è il nostro motto? Insieme siamo migliori,” aggiunse con un sorriso malinconico, rimembrando che proprio Pablo fosse l’ideatore di quel motto, un Pablo che ormai aveva pure smesso di guardarla oltre ovviamente di parlarle.
Violetta sospirò, scendendo dalla cattedra con uno slancio e avvicinandosi alla finestra, per poi guardare tristemente la strada oltre di essa. “Io non so se ci credo ancora.”
Preoccupata, Angie la raggiunse. “Vilu, cosa succede? Confidati con me.”
La ragazza si voltò a guardarla con le lacrime agli occhi. “Ho fatto una stupidaggine, la peggiore della mia vita e ora… mi manca e mi sembra che ogni cosa abbia perso il suo senso.”
La donna la strinse forte a se, consentendole di dare sfogo al suo dolore. “Immagino non si tratti di Diego,” disse, intuendo perfettamente dov’era indirizzato il cuore della nipote.
“è colpa mia se ha lasciato lo Studio,” continuò la Castillo, confermando i sospetti della bionda. “L’ho ferito e ora mi odia..ma io..io lo amo e non so che fare. Lui mi rendeva davvero felice, lui mi amava davvero. Come ho potuto essere così stupida da non rendermene conto prima?”
Angie continuò ad abbracciarla e a coccolarla, asciugandole poi le lacrime che ormai scorrevano a fiumi sul suo volto. “Le cose si risolveranno vedrai. Non arrenderti, lotta per ciò in cui credi.”
Violetta tirò su col naso, guardandola confusa. “Secondo te quindi..?”
“Glielo devi dire,” confermò lei con un dolce sorriso. “Mettiti in gioco al 100% e vedi come va, bisogna correre dei rischi se si vuole raggiungere la felicità.”
“Grazie Angie!” Esclamò la ragazza, abbracciandola. “Non so cosa farei senza di te!”
“Io per te ci sarò sempre, ricordalo.”
“A te come va?” Chiese Violetta, asciugandosi le ultime lacrime. “Hai capito chi ami tra papà e Pablo?”
Angie avvampò e distolse lo sguardo. “La mia vita sentimentale è un disastro.”
L’altra annuì. “Senti Angie,” iniziò a disagio. “C’è una cosa che devi sapere ed è meglio se la sai da me.”
“Vilu così mi spaventi. Cos’è successo?” Chiese allarmata.
“Si tratta di papà, ti ricordi di Esmeralda, quella che abbiamo conosciuto in Spagna? Credo che tra di loro stia nascendo qualcosa,” disse tutto d’un fiato, osservando attentamente la reazione della zia. La notizia difatti non piacque molto ad Angie che di per sé era già abbastanza confusa, ma non poteva negare che in fondo se lo aspettava. German era sempre stato famoso per l’utilizzo della tecnica del chiodo scaccia chiodo, lui odiava soffrire e faceva di tutto per evitarlo, la fuga era solo uno dei suoi tanti trucchi. Era scappato per sfuggire al dolore della morte di Maria e sempre per dimenticarla si era fidanzato con Jade e addirittura era stato sul punto di sposarla quando aveva appreso della relazione tra la più giovane delle Saramego e Pablo. Esmeralda era solo l’ennesima pedina del suo folle piano anti-dolore, o almeno Angie la pensava così. Ma d’altronde chi era lei per giudicarlo? Quante scelte sbagliate aveva preso a causa della sua codardia? Tante, troppe.
“Angie? Dì qualcosa ti prego.” Sul volto della ragazza traspariva il nervosismo e la preoccupazione per quella mancata reazione e iniziava seriamente a pensare che forse aveva sbagliato a dirglielo. “Bè, ecco.. lui è libero di frequentare chi vuole,” mormorò alla fine Angie, scrollando le spalle. “E poi tu stessa mi hai parlato abbastanza bene di lei, no?”
Violetta annuì. “Esmeralda mi piace e sono convinta che sia perfetta per papà, ma non posso dimenticare che tra voi due c’è stato qualcosa e bè.. se tu lo ami devi lottare come hai consigliato a me.”
Lei amava German? Angie si pose quella domanda più e più volte, rendendosi conto che i suoi sentimenti per l’uomo non erano forti come un tempo e che al contrario la sua mente sembrava aver smesso di pensare a lui in quel senso. Possibile che non provasse più nulla per German?
“Sei in ritardo per la lezione di ballo, su corri,” disse, tornando a guardare la nipote e spingendola verso l’uscita. Seppur confusa, la ragazza decise di non protestare e di lasciarla sola.
Angie si ricompose in fretta e a sua volta uscì dall’aula, incamminandosi nel lungo corridoio deserto. Ben presto però, vide sopraggiungere dall’altra parte del corridoio le figure di Pablo e Jackie che parlavano sottovoce e si sorridevano. Tale visione la innervosì non poco e la sua mente fu investita dal travolgente desiderio di strappare a quella donna ogni singolo capello.
“Buongiorno Angie!” Esclamò Jackie allegramente, aggrappandosi al braccio di Pablo quasi volesse marcare il territorio. Quest’ultimo invece evitò accuratamente di guardarla.
“Ciao Jackie,” la salutò Angie, sforzandosi di sorridere e di ignorare il fastidio che la vista di loro due insieme le provocava.
“Come stai?” Continuò l’insegnante di danza, stringendosi maggiormente al direttore, che invece era rigido come uno stoccafisso.
“Mmm.. bene,” ribatté la bionda, spostandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ora devo andare, scusatemi.” Li superò a passo svelto, mentre il dolore che avvertiva alla base del cuore non accennava a placarsi. Le gambe la guidarono fino alla sala professori e una volta sedutasi al grande tavolo, si rese conto di non essere più in grado di trattenere le lacrime, che calde e salate iniziarono a sgorgarle lungo le guance. Perché vedere Pablo felice con un’altra le faceva così male? Sapere di German ed Esmeralda non l’aveva sconvolta tanto. Cosa le stava succedendo? Continuò a piangere per quelle che le parvero ore, mentre la scena di Pablo e Jackie che si baciavano, parlavano o semplicemente se ne stavano abbracciati ossessionava la sua mente. Si strofinò il volto umido, sforzandosi di calmarsi e di allontanare quegli assurdi pensieri. Stava male, male da morire. Avrebbe solo voluto gettarsi sul divano del suo salotto davanti a un film strappalacrime e mangiare un’intera vaschetta di gelato.
“Angie?”
La bionda sussultò, asciugandosi le lacrime e sollevando lo sguardo. Ferma sul ciglio della porta con un’espressione chiaramente preoccupata c’era Angelica, sua madre.
“Angie, tesoro, cos’è successo?” Chiese, precipitandosi al suo capezzale e stringendola in un forte abbraccio. Angie si lasciò andare a un nuovo pianto disperato, per poi ammettere tra un singhiozzo e l’altro ciò che la tormentava.
Angelica l’ascoltò in silenzio, abbracciandola e coccolandola come faceva quando era solo una bambina.
“Che cosa mi sta succedendo mamma? Perché sto così male?” Singhiozzò la giovane Saramego. La donna sorrise, accarezzandole dolcemente il capo. “Lo sai benissimo perché tesoro. Prima il tuo cuore lo accetterà e prima potrai stare bene.”
“Mamma,” sussurrò Angie tra le lacrime, ma lei la interruppe. “In fondo al tuo cuore sai qual è la verità, ma devi arrivarci da sola. Io non ti farò alcuna pressione.”
Angelica le asciugò poi le lacrime e le sorrise. “Segui il tuo cuore, lui sa cos’è meglio per te.” Fece per alzarsi, ma la voce della figlia la bloccò. “Mamma? Come mai sei venuta?”
“Avevo notato che nell’ultimo periodo non stavi bene e avevo deciso di lasciarti i tuoi spazi, ma poi non ho resistito più e sono venuta a parlarti e..”
“E mi hai trovata qui a piangere,” concluse per lei con un sorriso amaro.
“Già.”
“Mamma?”
“Dimmi tesoro.”
“Grazie,” sussurrò sorridendo. La donna sorrise a sua volta. “Non mi devi ringraziare, sto facendo solo quello che ogni madre farebbe per la propria figlia. Voglio la tua felicità e farò qualsiasi cosa affinché tu la possa raggiungere.”
Si abbracciarono ancora una volta, poi insieme lasciarono la sala.  
 



 

Ciao a tutti!! :)
Violetta ha detto a Diego che è innamorata di Leon!! Io ho adorato quella scena!! :3 ma lo spagnolo si arrenderà? O il fatto che Angie li faccia lavorare insieme causerà ancora dei problemi? A parte la Naxi, la donna ha mischiato tutte le carte e se non le prende adesso  non le prende più! XD tra l’altro in questo capitolo crolla e si lascia andare a un pianto disperato, possibile che continua a non capire perché vedere Pablo e Jackie insieme la fa stare così male? Ma diglielo una buona volta Angelica! Non vedi che tua figlia è ottusa? XD
Che altro dire? Vi ringrazio per il sostegno che mi state dimostrando, è molto importante per me! :D
A presto, baci
Trilly <3

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Capitolo 10
*** Nulla da perdere ***





Federico si lasciò cadere su una sedia di un tavolo del Restò Band e si scolò il suo frullato quasi tutto d’un sorso. Crudele, la sua mente rievocava l’abbraccio e i sorrisi che Francesca e il ragazzo nuovo si erano scambiati e ciò non faceva altro che accrescere la sua rabbia. Sapeva che lei non lo amava e che lo usava solo per dimenticare Thomas, ma vederla con un altro lo faceva comunque impazzire di gelosia. Marco somigliava molto a Thomas e forse per questo lo temeva tanto, temeva che lei se ne potesse innamorare e smettere di cercarlo. Ma cosa gli prendeva? Ciò che legava lui e Fran non era normale e di conseguenza non poteva durare, come aveva potuto quindi illudersi del contrario? E soprattutto come poteva temere di perdere qualcosa che non aveva mai avuto?
“Eccoti qua finalmente.”
Sussultò, mentre Maxi e Luca prendevano posto di fronte a lui. Entrambi lo fissavano con una certa preoccupazione. “Ci dici cosa ti succede?” Iniziò il rapper, mentre Luca chiedeva ai suoi genitori che ormai lavoravano lì al suo posto, da quando lui aveva iniziato a frequentare lo Studio, dei frullati per se e per i suoi amici.
“Federico, noi siamo tuoi amici, sai che puoi fidarti,” concordò l’italiano, porgendo loro i frullati appena arrivati.
Federico annuì. “Lo so, ma..”
“Ma cosa?” Lo incitarono loro, avvicinandosi ancora e abbassando la voce per non farsi sentire da orecchie indiscrete.
Il ragazzo li guardò, indeciso sul da farsi. Da una parte sentiva il disperato bisogno di sfogarsi, di tirar fuori ciò che lo affliggeva, ma dall’altra se ne vergognava terribilmente e temeva di deludere la fiducia di Luca, che era sempre stato un grande amico per lui. Con quale coraggio poteva dirgli ciò che era accaduto tra lui e la sorella? Che razza di amico era?
“Ragazzi, io.. sto bene, davvero.”
Maxi e Luca si scambiarono un’occhiata, poi scossero la testa. “Stai mentendo.”
“Di cos’hai paura? Di cosa ti vergogni?” Insistette Luca. “Noi siamo tuoi amici, non ti giudicheremmo mai,” aggiunse Maxi.
Federico prese un profondo respiro. Aveva paura, ma il bisogno di sfogarsi era troppo forte. “Mi sono innamorato,” ammise alla fine. “Ma a lei non importa nulla di me.”
“Davvero?” Esclamò Maxi, stupito. “La conosciamo?”
“Te lo ha detto lei che non le interessi o lo pensi tu?” Chiese invece Luca, che aveva intuito che l’amico non volesse fare il nome della ragazza.
Lui scrollò le spalle. “Un paio di mesi fa mi ha chiesto aiuto per dimenticare un ragazzo e.. non so com’è successo.. mi sono innamorato e bè... sono un idiota.”
“Toglimi una curiosità,” iniziò l’italiano, accigliato. “In che modo l’avresti “aiutata”?”
Quelle due paia di occhi puntati addosso, lo fecero sentire ancora di più sotto esame. Come poteva dir loro una cosa simile?
“L’avrà consolata, che vuoi che abbia fatto?” Disse il rapper sicuro, ma Luca continuava a fissare Federico e quest’ultimo era sicuro che lui avesse capito tutto, ma che aspettasse di sentirselo dire.
“Noi... bè noi.. abbiamo iniziato una sorta di relazione e..”
Maxi sgranò gli occhi, avendo finalmente capito, troppo sconvolto per dire qualsiasi cosa. Luca invece non sembrava per niente colpito e ciò confermò i sospetti di Federico, lui aveva capito tutto sin dall’inizio.
“Ora proverete disgusto per me, pena, schifo e..”
“L’hai “curata” con il sesso?” Lo interruppe Maxi, stupefatto.
Imbarazzato, Federico annuì. “Non riuscivo a sopportare di vederla soffrire e bè.. era l’unico modo che avevo per starle vicino... è masochista, lo so...”
“La vedi ancora?” Chiese Luca, serio.
Lui sospirò. “Ultimamente sembra soffrire di meno e bè.. mi cerca di meno e poi.. e poi c’è un altro che credo le ricordi quell’amore che cercava di dimenticare... la sto perdendo e non so che fare.”
“Dimenticala,” disse saggiamente l’italiano, dandogli una pacca sulla spalla. “Non ha mai provato nulla per te, ti ha solo usato per l’alleggerire il suo dolore. La vittima sei tu e non lei.”
“Quindi dovrei..?”
“Prendere le distanze si. Avete sbagliato sin dall’inizio, ma ora che te ne sei addirittura innamorato è anche peggio. Metti fine a questa follia, fallo per te, hai sofferto già abbastanza.”
“Si,” convenne Maxi sorridendo. “Ti aiuteremo noi. Stasera io e Nata usciamo e..”
“Tu e Nata?” Lo interruppe Federico, sorpreso. “Voi due state insieme? Non lo sapevo.”
“Nemmeno io,” aggiunse Luca con uno sguardo accusatorio. “Credevo che gli amici si dicessero tutto.”
“Bè... ehm..io..noi,” balbettò il rapper, rosso come un pomodoro. “In realtà non stiamo insieme, ci stiamo frequentando e.. e potrei chiederle di portare un’amica per te,” aggiunse, cambiando rapidamente argomento.
Federico sospirò. “Non so, io non mi sento ancora pronto e..”
“Pensaci,” intervenne Luca. “è il trucco più antico del mondo, ma il vecchio chiodo scaccia chiodo funziona sempre.”
“E poi non ti ci devi mica fidanzare,” aggiunse Maxi. “Si tratta solo di andare al cinema o in un locale, di distrarti insomma.”
“Non vorrai continuare a farti usare spero,” proseguì l’italiano, sollevando un sopracciglio, quasi volesse sfidarlo a dire il contrario.
Maxi annuì, battendo le mani, entusiasta. “Ci divertiremo vedrai e se questa amica di Nata non ti farà battere il cuore, ne troveremo un’altra.”
Il ragazzo ci pensò ancora qualche istante, poi lentamente annuì sotto lo sguardo soddisfatto degli amici. “Vale la pena provare.” In fondo non aveva nulla da perdere.
“EVVAI!” Urlarono i due, stritolandolo in un forte abbraccio, che rischiò seriamente di rompergli qualche costola, ma che lo fece in ogni caso sorridere. Parlare con Maxi e Luca gli aveva fatto più che bene e ora si sentiva decisamente meglio. Chissà, magari grazie a loro avrebbe anche trovato una ragazza che gli avrebbe fatto dimenticare Francesca. La vita era imprevedibile in fondo.
 

 



 
Nonostante fosse ormai settembre inoltrato, le temperature erano ancora afose e insopportabili. Diego cercava di far fronte a ciò, tenendo le ante del balcone della camera che divideva con Marco spalancate e con il ventilatore al massimo puntato contro. Lui nel frattempo se ne stava stravaccato sul letto con le cuffie nelle orecchie e con addosso solo un paio di boxer. Aveva gli occhi semichiusi, segno che stesse per cadere nel mondo dei sogni, mentre nella mente gli rimbombavano le note delle canzoni che ascoltava.

Flashback

Camminava lungo un corridoio freddo e buio, intorno a lui solo imbarazzante e tetro silenzio. Affrettò il passo, finché non giunse davanti a due doppie porte. Da una piccola fessura, riuscì ad individuare un fascio di luce e poi alle orecchie gli giunsero due voci maschili. La prima la riconobbe immediatamente come quella di Juan Ramirez, il suo padre adottivo, l’altra invece non l’aveva mai sentita prima di quel momento. A chi apparteneva?
“Perché è venuto qui?” Chiese Ramirez. Dal rumore che seguì, dedusse che stesse riempiendo un bicchiere per se e per il suo ospite.
“Volevo accertarmi che continuassi a rispettare quelli che sono i nostri piani.”
Diego rabbrividì al suono di quella voce così fredda e inquietante, ma non si mosse dal suo nascondiglio.
“Naturalmente,” confermò l’altro. “Il moccioso non sa nulla e mai lo saprà.”
“Bene,” borbottò il tipo dalla voce inquietante, alzandosi e facendo scricchiolare la sedia. “Voglio fidarmi di te e ricorda che il ragazzino deve stare lontano da Buenos Aires a qualsiasi costo.”
“Sarà fatto signor Fernandez.”
Seguirono poi dei passi e proprio per questo il piccolo Diego si affrettò a correre in direzione della sua camera.


Fine flashback
 
“Diego! Diego svegliati!”
Il giovane spagnolo aprì gli occhi, rendendosi conto che Marco lo stesse scuotendo con decisione. “Mmm,” borbottò, togliendosi le cuffie e strofinandosi gli occhi. “Che succede?”
“Il tuo cellulare,” spiegò l’amico, porgendoglielo. “Sono dieci minuti che sta squillando.”
Diego lo prese, notando che fosse un numero sconosciuto. –Pronto?- Rispose con voce assonnata.
- Diego Ramirez? Sono l’avvocato Cruz-
A quel nome scattò immediatamente in piedi, afferrando e indossando i suoi jeans. –Avvocato, mi dica. Cos’ha scoperto?- Chiese ansiosamente.
-Ecco.. preferirei che ne parlassimo di persona. Puoi venire nel mio ufficio tra un’ora?-
-Ci sarò-
Il tono dell’avvocato lo aveva spaventato a dir poco e il fatto che un attimo prima stesse facendo un sogno proprio sul suo passato, non faceva altro che accrescere la sua preoccupazione.
“Diego?” Lo richiamò Marco, mentre lui indossava velocemente una t-shirt e si allacciava le scarpe. “Dove stai andando? Perché un avvocato ti chiama? È successo qualcosa?”
Diego lo guardò, sorpreso. Si era completamente dimenticato che l’amico fosse lì con lui. “Ora non posso spiegarti, vado di fretta.”
“Ma..”
“Ci vediamo più tardi.” Afferrò le chiavi della sua moto e veloce come un fulmine uscì di casa e salì in sella al suo mezzo. Incurante delle norme stradali accelerò sempre di più, mentre il cuore gli batteva a mille. Presto avrebbe avuto tutte le risposte su ciò che lo tormentava da anni e se da una parte non aspettava altro, non poteva fare a meno di sentirsi spaventato da quello che l’avvocato avrebbe potuto dirgli. E se la verità fosse stata più terribile di quello che avesse sempre pensato? In quel caso sarebbe stato in grado di affrontarla?
Parcheggiò davanti a un grosso edificio in vetro, fermandosi poi a fissare l’ingresso per lunghi minuti. “Forza Diego, ora o mai più,” pensò tra se e se, varcando la grande e pesante porta di vetro. S’intrufolò tra i tanti uomini ben vestiti, dirigendosi verso gli ascensori. Qualcuno lo guardò con sospetto, qualcun altro con curiosità, ma Diego non si lasciò intimidire e ostentò la solita andatura tronfia e sicura. La persona in grado di farlo sentire a disagio ancora non era nata, su questo non aveva dubbi.
Esitò ancora qualche istante davanti alla porta dell’ufficio dell’avvocato, poi bussò. “Avanti.”
L’avvocato Cruz era un uomo di mezza età basso e sovrappeso e con due grandi baffi bianchi. Il sorriso che gli rivolse appena lo vide fu piuttosto amichevole e quasi paterno. “Buonasera Diego,  accomodati,” aggiunse, indicandogli una delle grandi poltrone di pelle davanti alla sua scrivania.
Diego chiuse la porta e si sedette, guardandolo attentamente. L’uomo nel frattempo aveva recuperato il documento che lui gli aveva chiesto di interpretare e se lo stava rileggendo attraverso un vecchio paio di occhiali squadrati.
“Diego,” mormorò dopo lunghi minuti di silenzio, guardandolo serio. “Dove hai preso questo documento?”
Lui si accigliò. “A casa mia tra le cose di mio padre, perché?”
Cruz si tolse gli occhiali e si strofinò il volto tra le mani. Sembrava nervoso, spaventato all’idea di parlargli e ciò aumentò il nervosismo del giovane.
“Cosa dice quel foglio?” Chiese infatti, passandosi ansiosamente una mano tra i capelli.
L’uomo annuì. “Tu sai di essere stato adottato vero?”
“Si,” confermò Diego, impassibile. “L’ho capito sin da quando ero ragazzino e poi loro me lo hanno confermato quando ho compiuto quindici anni. È da allora che mi sono posto l’obiettivo di cercare i miei veri genitori e quel documento... credo riguardi loro.”
“è così,” disse Cruz, rileggendo il documento ancora una volta. “I tuoi veri genitori sono chiaramente nativi di qui e il documento lo conferma, peccato che non sia quello che ci aspettavamo.”
“Che vuol dire?” Chiese il moro, confuso.
“Vedi Diego,” iniziò, guardandolo con espressione grave. “Questo non è un documento di adozione, ma di vendita.”
“Vendita? Quindi non riguarda me, sono arrivato fin qui convinto di avere una prova per trovare la mia famiglia e invece è solo uno stupido atto di vendita!” Sbottò, scuotendo la testa.
Cruz sospirò. “Credimi ragazzo, se fosse così sarebbe stato il minore dei mali.”
Il giovane corrugò le sopracciglia, confuso. “Non capisco.”
“Questo atto ti riguarda eccome. Con esso un tale Joaquin Fernandez, che suppongo essere il tuo vero padre, ti ha..lui ti ha..” L’avvocato, palesemente disgustato, non riuscì a concludere la frase, ma Diego era un ragazzo intelligente e non ci mise molto a capire.
“Quanto?”
“Eh?”
“Quanto valevo per mio padre e per i miei genitori adottivi?” Ripeté con un filo di voce.
“Faccio questo lavoro da quarant’anni, ma questa è la prima volta che mi imbatto in una cosa così disgustosa,” sbottò l’avvocato, lasciando andare il foglio quasi avesse preso la scossa. “Queste persone meriterebbero il carcere a vita e..”
Cruz continuava a parlare, ma Diego non lo stava più ascoltando. Era preparato a tutto, ma non a quello. Era stato venduto come un oggetto da coloro che lo avevano messo al mondo, a un’altra famiglia che non gli aveva mai dato un minimo di affetto e che aveva sempre preteso tanto da lui e dal suo fratellastro Miguel, mettendoli continuamente in competizione. In quel clima di ostilità e solitudine si era formato il carattere strafottente, freddo ed egoista di Diego, che ora si rendeva conto che la sua vita era ancora più squallida di ciò che aveva sempre creduto. Non c’era nessuna famiglia in Argentina pronta ad abbracciarlo e a spiegargli i motivi dell’abbandono, era solo.. solo al mondo.
“Diego?” Lo richiamò Cruz. “Dimentica questa storia, non vale la pena starci male e.. FERMO! DOVE VAI?” Urlò poi, quando il ragazzo scattò in piedi e corse via. “DIEGO! FERMATI!”
Diego però lo ignorò, correndo più veloce che poteva. Saltò in sella alla sua moto e s’infilò nel traffico a una velocità inaudita. Non potendo più resistere, si lasciò andare a un pianto liberatorio. Da quanto tempo non piangeva? L’ultima volta che lo aveva fatto era solo un bambino, poi aveva giurato a se stesso di non farlo più e si era costruito un muro che lo separava dagli altri, su cui aveva versato tutto il suo dolore e la sua frustrazione. Con quella notizia tutte le sue difese erano crollate e Diego era vulnerabile come mai in vita sua.
“Perché? Perché?” Singhiozzò, aumentando ancora la velocità, mentre la vista gli si faceva sempre più appannata. Superò il traffico con una serie di pericolosi slalom, finché non frenò bruscamente davanti al bar Waine. Si asciugò le lacrime, poi si fiondò nel bar, guardandosi nervosamente intorno.
“Mi dia due bicchieri del liquore più forte che ha,” disse al barista, che lo guardò sospettoso. “Sono maggiorenne idiota!” Sbottò allora con acidità, sedendosi su uno sgabello.
Il barista gli rivolse un’occhiataccia, poi si affrettò a servigli uno strano liquido scuro. Stava bevendo il secondo bicchiere, quando qualcuno si sedette al suo fianco. “Sapevo che saresti venuto.”
Diego sollevò lo sguardo, incontrando quello divertito di Leon. “Sei qui per le corse giusto?”
Lui annuì. “Voglio mettermi in gioco, rischiare fino in fondo.”
Forse furono le sue parole o forse il suo tono così deciso o il suo sguardo quasi sfuggente, in ogni caso il giovane Vargas si ritrovò a fissarlo accigliato. “Stai scappando da qualcosa vero?” Buttò lì con noncuranza, sicuro di aver centrato il problema ancora prima che lui parlasse. Difatti non si sorprese quando lo vide irrigidirsi. “è così evidente?” Chiese il moro con una mezza risata amara.
Leon sogghignò. “Diciamo che di queste cose me ne intendo e anche troppo,” mentre diceva ciò, fece cenno al barista di servigli lo stesso bicchiere del ragazzo al suo fianco, che nel frattempo aveva iniziato a fissarlo divertito. “Ci avevo visto giusto allora. Sapevo che lo stato pietoso in cui eri l’altra sera non era dovuto solo ai festeggiamenti. Delusione amorosa?”
Lui si scolò prima un lungo sorso, poi si decise a rispondere. “Tra le altre cose.”
Il moro ghignò. “Sei un tipo problematico allora Vargas, magari sei uno di quei depressi che si tagliano le vene,” aggiunge, facendolo scoppiare a ridere. “Io non sono depresso, mi godo semplicemente la vita. Ma forse lo sei tu,” ribatté, scrutandolo con un sorrisetto.
“Cosa ti fa pensare che io sia depresso?” Chiese Diego, curioso. “Non mi sembra di aver mostrato segni di instabilità.”
Leon scrollò le spalle. “Quando una persona decide di mettersi in gioco fino a rischiare la vita, significa che pensa di non avere più nulla da perdere.”
“E tu lo pensi? Pensi di non avere più nulla da perdere?” Lo spagnolo aveva quasi dimenticato di avere ancora il bicchiere pieno per metà, tutta la sua attenzione era per quel ragazzo che sembrava somigliargli più che mai, nei suoi occhi c’era la stessa ombra, la stessa perdizione. Chissà da cosa scappava, chissà se come lui si sentiva solo e incompreso.
Il giovane Vargas si prese alcuni istanti per riflettere su quelle parole, poi scosse la testa. “Qualcosa per cui combattere ce l’ho ancora e le corse mi servono proprio per questo. Tu invece?”
Diego si passò nervosamente una mano nei capelli, sorridendo amaramente. “Non so a cosa ti riferisci, ma ti consiglio di aggrapparti a questo qualcosa più che puoi, non hai idea di cosa si prova quando ti rendi conto che l’unica cosa che ti resta è te stesso.”
Leon annuì, profondamente colpito da quelle parole. A quanto pareva c’era qualcuno conciato peggio di lui. Tra di loro cadde un pesante silenzio, un campanello d’allarme per chi come lui voleva tenere lontano qualsiasi pensiero spiacevole e proprio per questo scattò il piedi. “Basta con questa depressione. Ti porto a vedere la pista, ti va?”
L’altro sollevò lo sguardo, sorpreso e forse anche grato per averlo distolto dai suoi pensieri alquanto deprimenti. “Si, ho proprio bisogno di una bella distrazione,” convenne, affrettandosi a seguirlo fuori dal bar.

 
 



Un capitolo un po’ malinconico, soprattutto per Leon e Diego, ma a me piace molto. :)
 Per quanto riguarda Diego, si è finalmente capito il motivo del suo arrivo a Buenos Aires, sta cercando i suoi veri genitori, ma come abbiamo appreso tramite l’avvocato Cruz, essi lo hanno venduto come se fosse stato un oggetto. È uno shock per lo spagnolo apprendere una cosa simile e tutte le difese che aveva costruito nel corso degli anni iniziano a scricchiolare. Leon sembra capirlo anche troppo, lui stesso ammette di avere una serie di problemi da cui sta scappando e in un certo senso i due si riconoscono l’uno nell’altro, sono più simili di quanto pensavano e ciò li lega inevitabilmente. Ma cosa succederà quando uscirà fuori il nome di Violetta? Come la prenderà Leon?
Nel frattempo Federico si confida finalmente con Luca e Maxi, senza ovviamente fare il nome di Francesca e i due gli consigliano il vecchio chiodo scaccia chiodo. Funzionerà?
Prima di salutarvi ci tenevo a ringraziarvi anche qui per le meravigliose recensioni che mi lasciate! Grazie di cuore!! <3
Besos,
trilly <3
 

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Capitolo 11
*** Carte quasi scoperte ***





“Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro.”
Gregorio camminava con un avvoltoio tra gli studenti, storcendo il naso di tanto in tanto. Nonostante i loro sforzi, nonostante il sudore che scorreva a fiumi sui loro volti dato che era più di un’ora che non si fermavano, l’uomo non sembrava ancora soddisfatto.
“Stop!” Gridò, mentre lanciava la sua famosa pallina da tennis per spegnere lo stereo. Jackie che non era abituata a ciò, lo guardò a bocca aperta.
“Non ci siamo! Non ci siamo! Siete un branco di stupidi idioti! Cosa c’è di difficile nel fare questo?” Aggiunse, eseguendo lui stesso la coreografia con fare stizzito.
Diego ruotò gli occhi, appoggiandosi pigramente alla parete, mentre il resto degli studenti fissava Gregorio, cercando di riprendere fiato ed energie.
“Sai Gregorio,” intervenne Jackie. “Mi sa che quello che non ha capito la coreografia sei tu.” Detto ciò, la eseguì a sua volta, innervosendo a dir poco Casal.
“Io l’ho capita benissimo, infatti si fa così.”
“Stai sbagliando tutto e con il tuo modo d’insegnare non fai altro che confondere gli studenti.”
“Non ti permetto di giudicare i miei metodi! Io sono qui da prima di te e..”
“E infatti ti hanno cacciato dopo che hai sabotato gli spettacoli della tua stessa scuola!”
“Stai zitta! Tu non sai niente!”
Gregorio e Jackie continuarono a battibeccare, ma ormai i ragazzi avevano smesso di ascoltarli e si erano rifugiati in un angolo dell’aula.
“A quanto pare Gregorio si è fatto un’altra nemica,” constatò Maxi, divertito.
“Non ci vuole molto, lo odiano tutti,” aggiunse Luca.
Nel frattempo Marco aveva affiancato Francesca e le stava dicendo qualcosa all’orecchio, facendola sorridere. Tutto questo sotto gli occhi del fratello della ragazza, che ora stava incenerendo il moro con un’occhiataccia. Federico assisteva a sua volta alla scena, ma si sforzava di far finta di niente, finché non gli si avvicinò Lena. “Ehi Fede! Nata mi ha detto dell’appuntamento e.. stasera faremo un’uscita a quattro!”
L’italiano la guardò a bocca aperta, poi guardò Maxi che annuì. “Lena era disponibile, perciò..”
“Chissà, forse è destino per noi due,” disse la giovane spagnola, aggrappandosi al braccio di Federico. “Prima Angie ci mette in coppia insieme, poi Nata e Maxi ci propongono di uscire con loro. È fantastico!”
“Già,” Federico sorrise forzatamente, mentre Maxi e Luca ridevano sotto i baffi e Nata sembrava in imbarazzo per l’audacia della sorella.
La voce di Lena in ogni caso attirò l’attenzione di Francesca, che appena notò la ragazza a chi fosse abbracciata s’irrigidì e distolse lo sguardo, allontanando poi Marco con una scusa. Poco distanti, Andrea e Andres si sbaciucchiavano e Violetta e Camilla parlavano sottovoce. “Secondo me l’unica che può convincere Leon a tornare sei tu.”
Violetta sospirò. “Lui mi odia, perché mai dovrebbe ascoltarmi?”
“Sta scappando da te Vilu, è evidente,” insistette la Torres. “Non lo farebbe se non provasse nulla per te.”
“Ho paura di illudermi Cami,” sussurrò la ragazza tristemente. “Con che coraggio mi presento da lui?”
“Tranquilla,” la rassicurò, abbracciandola. “Ti accompagno io.”
“Grazie Cami, sei una grande amica!”
“Che scena sdolcinata.”
Le due si staccarono di colpo al suono di quella voce ironica e divertita. Sempre appoggiato al muro, Diego le fissava con un sorrisetto arrogante stampato in faccia.
“Si può sapere che vuoi?” Sbottò Camilla acida.
Lui si staccò dal muro, avvicinandosi lentamente a loro e continuando a sorridere. “Sai Camilla, stai diventando noiosa. Ogni volta che mi vedi mi dici la stessa cosa.” Quando poi spostò lo sguardo su Violetta, la sua espressione si addolcì. “Sei triste Principessa,” constatò, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “E questo non mi piace.”
La Castillo annuì, scostando però la sua mano dal suo volto. “Non mi va di parlarne.”
“Io non ti farei soffrire,” insistette lui, guardandola intensamente. “Quel tipo che dici di amare invece sembra saper fare solo questo.”
Lei scosse la testa. “Ti sbagli, nemmeno lui lo ha fatto. Al contrario ha fatto di tutto per rendermi felice ma io sono stata così cretina da non rendermene conto e ora l’ho perso.” Detto ciò corse via con le lacrime agli occhi. Diego fece per seguirla, ma Camilla lo bloccò per il polso.
“Vilu ha già abbastanza problemi senza che ti impicci tu.”
Il ragazzo la guardò, divertito. “Sei più impicciona di una suocera, o forse dovrei dire di una fidanzata gelosa.”
Camilla si accigliò. “Che vorresti dire con questo?”
Lui le si avvicinò, fino ad accostare le labbra al suo orecchio. “La mia vicinanza ti fa battere il cuore, un brivido ti scorre lungo la schiena, le gambe ti tremano e hai caldo, molto caldo,” sussurrò con voce seducente, facendola rabbrividire e allo stesso tempo trattenere il fiato. “Sei attratta da me come una calamita e non riesci a far nulla per evitarlo.”
Quelle ultime parole risvegliarono la ragazza dal trans in cui era caduta, tanto che lo spinse lontano da se con decisione. “Tu sei pazzo. Io amo Broadway.”
Diego rise. “Chi? Il tuo amico telefonico? Ammetterai che la cosa è un tantino patetica.”
Camilla si indispettì, puntandogli un dito contro e fulminandolo con lo sguardo. “Tu non sai nulla di ciò che ci lega. Noi ci amiamo davvero e insieme possiamo superare qualsiasi ostacolo.”
Il ragazzo sollevò un sopracciglio, ancora profondamente divertito. “Mi sembra di assistere a un episodio di Kim Possible. Hai carattere mia dolce Kim e questo mi piace,” aggiunse maliziosamente.
Lei arrossì di botto, ma orgogliosa com’era mai e poi mai avrebbe ceduto. “Stai lontano da me.” Si intrufolò poi tra il gruppo di amici, seguita dallo sguardo interessato di Diego.
“Non capisco, ti piace Violetta o Camilla?”
Di fronte a lui con le braccia conserte e un sorrisetto stampato in faccia, c’era una ragazza bionda un tantino trascurata, ma comunque molto carina. Aveva un volto familiare e il guizzo che vide nei suoi occhi scuri glielo confermò. L’aveva già vista alla t.v. esibirsi in numerosi spettacoli dello Studio e ovviamente alle precedenti lezioni, ma non si erano mai parlati. Gli tornò poi in mente una campagna pubblicitaria dov’era vestita da maiale. Era famosa per il suo egocentrismo, la sua arroganza e per il look che di certo non passava inosservato, eppure in lei ora sembrava rimasto solo quel guizzo, nient’altro.
“Ludmilla Ferro, è un onore essere notato da te,” mormorò alla fine con tono ironico.
Lei sorrise, ignorando volutamente il suo tono. “Sai Diego Ramirez, noi due ci somigliamo più di quanto pensi.”
“Ah si?” Ribatté lui, corrugando le sopracciglia. “Non mi pare che la gente mi odi o che mi associ ad un maiale.”
Il sorriso scomparve di colpo dal volto della ragazza. Normalmente gli avrebbe urlato contro, accusandolo di non sapere chi fosse lei e che avrebbe dovuto portargli rispetto, ma non poteva permetterselo, aveva un piano da portare avanti. Si sforzò quindi di sorridere, imbarazzata. “In passato ho fatto tanti errori e scelte sbagliate, ma ora sto provando a rimediare.”
Diego la fissò, accigliato. Se c’era una cosa che aveva imparato nella sua breve vita era che le persone non cambiavano e soprattutto non lo facevano in così poco tempo. Tra l’altro c’era quel guizzo nei suoi occhi che gli comunicava l’opposto delle sue parole e un tipo attento come lui non poteva non notarlo. Le si avvicinò, scrutandola con interesse. “Dovresti impegnarti di più Dolcezza,” sussurrò al suo orecchio. “La tua sceneggiata non mi ha convinto per niente.”
La bionda sgranò gli occhi, poi gli sventolò in faccia la lunga chioma e se ne andò indignata, facendolo ghignare.
“Che le hai detto per farla andare via così?” Chiese Federico, avvicinandosi allo spagnolo con un sorriso stampato in faccia.
Lui scrollò le spalle, incurante. “Stavamo parlando dello spot che ha fatto vestita da maiale.”
A quelle parole tutti scoppiarono a ridere. “Amico, sei tremendo!” Esclamò Marco, dandogli una pacca sulla spalla.
“Sta ancora facendo la finta santa?” Chiese Francesca, guardando divertita la porta da cui la Ferro era uscita infuriata.
“Ho l’impressione che Ludmilla ci consideri degli idioti,” commentò Maxi e Nata annuì. “Ha sempre pensato di essere un gradino sopra gli altri.”
“Su questo non c’è dubbio,” convenne Lena, scambiando un’occhiata con Federico, cosa che non sfuggì a un’infastidita Francesca.
Proprio in quel momento la porta dell’aula si aprì ed entrò Pablo. “Si può sapere cos’è tutto questo trambusto?” Esclamò, zittendo persino Jackie e Gregorio che fino a quel momento stavano ancora discutendo animatamente. “Le vostre voci si sentono in tutto l’edificio,” continuò il direttore, agitando le braccia.
“è colpa sua,” si giustificò prontamente Casal, indicando la bionda. “Non fa altro che contestare il mio modo di insegnare.”
“Non provare a dare la colpa a me,” ribatté quest’ultima. “Tu sei malato, sembri un uccello del malaugurio.”
“Io almeno non ho un nido in testa.”
Jackie fece per ribattere, ma Pablo l’anticipò. “Basta! Questa è un’aula di danza, non un mercato! Non voglio più vedervi discutere davanti agli studenti, mi sono spiegato?”
“Ma..” provò a protestare Gregorio, ma il direttore lo zittì con una sola occhiata. Era evidente che quel giorno il suo umore fosse pessimo e che il litigio tra i due professori non avesse fatto altro che peggiorarlo. “Voi andate,” continuò, rivolgendosi ai ragazzi, che non se lo fecero ripetere due volte. Rimasto solo con Jackie e Gregorio, Pablo si sforzò di calmarsi. “Vi siete comportati come due bambini, vi rendete conto?”
Jackie annuì, aggrappandosi al suo braccio. “Hai ragione Pablo, scusa. Ti prometto che eviterò di fare altre questioni con questo troglodita.”
“Troglodita a chi?” Sbottò Casal con la sua solita espressione da folle. “Qui era tutto perfetto finché Antonio non ha avuto la geniale idea di assumerti!” Se ne andò poi sbattendo la porta e facendo cadere una cornice di un premio sul pavimento.
“Effetto Gregorio,” borbottò Pablo tra se e se, passandosi nervosamente le mani nei capelli.
“Brutta giornata?” Chiese Jackie, fissandolo attentamente. “Non vorrei che fosse per causa mia e di Gregorio.”
Lui scosse la testa. “No, tranquilla. Si tratta solo di alcune questioni finanziarie che riguardano lo Studio, nulla di cui preoccuparsi,” aggiunse con un sorriso rassicurante.
La donna sorrise a sua volta, stringendogli le mani con le sue. “So io come rendere questa giornata migliore. Che ne dici di andare a cena stasera?”
“Bè.. ehm..”
“Dai,” insistette lei. “Hai bisogno di distrarti un po’ e poi chissà, potremmo rievocare i vecchi tempi,” sorrise maliziosamente, mentre lui impallidì. “Jackie.”
“Ti aspetto per le sette. A più tardi.”
Pablo la guardò allontanarsi, confuso. Quella donna lo aveva incastrato, sembrava che tutte le donne avessero la tendenza a incastrarlo, possibile che non gliene andasse bene una? Forse quell’estate anziché andare dai suoi, sarebbe dovuto andare a farsi una benedizione in qualche luogo di pellegrinaggio, ne aveva assolutamente bisogno visto che la sfiga lo perseguitava.
 




 
“Lara smettila!” Esclamò Leon infastidito, spingendola lontano da se. Entrambi erano stravaccati sugli spalti deserti della pista di motocross e la ragazza non faceva altro che sbaciucchiarlo, cosa che ora aveva iniziato a dagli sui nervi. Odiava le coccole post-sesso, o forse le odiava se era Lara a farle. Finché si trattava di un rapporto fisico non c’erano problemi, ma quando lei cercava di rendere le cose serie ecco che puntualmente l’allontanava. Non voleva alcun impegno, lui voleva solo divertirsi.
Lara sbuffò, alzandosi e abbottonandosi la camicetta. “Si può sapere che ti prende? Sembrava andasse tutto bene tra di noi.”
Il giovane Vargas si limitò a scrollare le spalle, alzandosi a sua volta. Subito la luce del sole si proiettò sui suoi addominali scolpiti e Lara ne rimase abbagliata. Leon era bello, eppure sembrava non rendersene conto, mentre prendeva una bottiglia di birra da un borsone poco distante da loro e si scolava un lungo sorso. “Oggi fa proprio caldo,” commentò, abbottonandosi i jeans che fino a quel momento aveva tenuto sbottonati. La sua t-shirt nel frattempo era abbandonata sugli spalti dove prima era seduto.
“Bere birra di certo non aiuta,” ribatté Lara accigliata. 
Leon ghignò, squadrandola da capo a piedi. “Se per questo nemmeno il sesso.”
Lei ammiccò, gettandogli le braccia al collo. “Quello però ci piace,” sussurrò a un soffio dalle sue labbra. Dopodiché lo baciò e lui si ritrovò a stringerla a se e a ricambiare con trasporto, anche se la sua mente era altrove. Per quanto Lara fosse una ragazza molto carina e fosse palesemente innamorata di lui, baciare quelle labbra non suscitava in lui alcun tipo di sentimento che non fosse l’attrazione fisica. All’inizio pensava che ciò fosse dovuto al fatto che fosse ancora innamorato di Violetta e che la delusione lo avesse portato a rifiutare ogni tipo di legame, eppure negli ultimi tempi aveva un po’ abbassato le sue difese e davvero aveva tentato di comportarsi meglio con la meccanica, ma nulla, l’amore continuava ad essere un qualcosa di utopico se si trattava di Lara. Ma che gli importava dell’amore poi? Quel sentimento rendeva deboli e lo sapeva, perché allora di punto in bianco si ritrovava a pensarci? Non avere legami e fregarsene di tutto e di tutti era più facile, no? Forse, ma era anche vero che ciò lo faceva sentire così vuoto, così solo.
Lara fece per spingerlo di nuovo sugli spalti, probabilmente per un nuovo round, quando il suo cellulare iniziò a suonare. “Ignoralo,” gli sussurrò, dandogli un bacio sul collo.
Leon però scosse la testa. “Devo rispondere,” disse, recuperando il cellulare dalla tasca e allontanandosi di qualche passo. –Pronto?... si, sono io … ieri sera …. Certo, non si preoccupi. Oggi pomeriggio vengo e ci occupiamo di tutto … perfetto, arrivederci-
Chiuse poi la conversazione, rendendosi conto che Lara fosse proprio alle sue spalle. “Con chi parlavi?”
“Non sono affari tuoi!” Ribatté, scolandosi un altro sorso di birra. Tale risposta però non bastò alla ragazza, che gli si piazzò di fronte a braccia conserte. “ Lo sono eccome, io sono la tua ragazza e merito una risposta.”
A quelle parole Leon scoppiò a ridere, una risata fredda e incolore. “Ma davvero? E quando ci saremmo fidanzati? Io non me lo ricordo.”
Lara abbassò lo sguardo, intimidita e umiliata da quella risata e da quelle dure parole. Lui nel frattempo, indossò la t-shirt e gettò a terra la bottiglia di birra ormai vuota.
La ragazza gli si avvicinò quasi con timore. “Leon? Non faccio più domande, lo giuro.”
Lui si voltò a guardarla, serio. “Lo so,” e la baciò con passione.
“Ti amo Leon,” sussurrò lei, quando si staccarono.
Leon si limitò a fissarla in silenzio. Sapeva perfettamente quanto Lara lo amasse, glielo leggeva negli occhi e lei glielo ricordava in ogni occasione, ma lui non rispondeva mai, limitandosi a guardarla. Solo una ragazza era stata in grado di farlo innamorare per poi ridurlo uno straccio e proprio per questo si era ripromesso di non cedere mai più a quel maledettissimo sentimento. Senza che potesse evitarlo, il volto di Violetta gli attraversò la mente. Quegli occhi nocciola così dolci e apparentemente ingenui, quel sorriso che lo aveva sempre reso vulnerabile, quei lineamenti delicati. Scacciò quel pensiero con un gesto di stizza. Doveva togliersi quella dannata ragazza dalla testa e doveva farlo subito. Convinto di ciò, riprese a baciare Lara. Sapeva che stava sbagliando ad usarla in quella maniera, non meritava di essere considerata un oggetto dove sfogare le sue frustrazioni, ma era l’unico modo che conosceva per difendersi e per non soffrire. Crudele? Probabilmente si.
Poco dopo la ragazza recuperò le sue cose e andò via. Ormai lo conosceva, sapeva di non doversi aspettare nulla da lui e lo aveva accettato. Nonostante tutto, Leon era sempre stato chiaro, nessun coinvolgimento sentimentale e se Lara era comunque rimasta al suo fianco, voleva appunto dice che le andava bene così e perciò non doveva farsi alcuno scrupolo di coscienza. Con quella convinzione si risedette sugli spalti, avvertendo quasi subito dei passi alle sue spalle.
“Ehi Vargas,” lo salutò Diego, sedendosi accanto a lui. Nonostante il solito sorrisetto, Leon notò un’ombra in quegli occhi scuri, la stessa di quando gli aveva chiesto di partecipare alle gare. Una parte di lui avrebbe voluto chiedergli cosa lo facesse star male, ma l’altra si rendeva conto che si conoscevano ancora poco e che probabilmente sarebbe apparso come un impiccione e perciò si limitò a rivolgergli un cenno del capo.
“Ramirez, ti avevo dato per disperso stamattina,” gli disse Vargas, divertito. “Pensavo te la fossi fatta sotto.”
L’altro ghignò. “Per chi mi hai preso per una femminuccia? Io non ho paura di nulla.”
Leon si sdraiò più comodamente, poggiando le gambe sul sedile davanti e fissandolo con curiosità. “Perché allora non sei venuto?”
Diego scrollò le spalle. “Frequento una scuola di musica, lo Studio On Beat. Di mattina quindi non posso venire qui.”
Alle parole “Studio On Beat” il giovane Vargas sgranò gli occhi. Aveva capito bene? Diego frequentava lo Studio? Da quando? Si schiarì la voce, cercando di apparire disinvolto e non scosso come invece era. “Tu sai chi sono io?”
Il moro corrugò le sopracciglia, fissandolo come si fa con i pazzi. “Eh? Che razza di domanda è mai questa? Cosa ti sei fumato?”
Leon tolse le gambe dal sedile e tornò di nuovo a sedersi normalmente, per poi sospirare. “Leon Vargas non ti dice nulla? Sono sicuro che hai sentito parlare di me allo Studio e poi mi avrai visto agli spettacoli.”
Diego lo fissò, stupefatto. Come aveva fatto a non riconoscerlo? Lui era quello bravo alla tastiera, quello che a “Talenti 21” aveva ceduto il suo posto a.. Violetta! Leon e Violetta si conoscevano! Se non si sbagliava di grosso aveva sentito delle voci secondo cui fossero stati insieme! E poi Vargas aveva anche accennato a una delusione amorosa, che fosse proprio la Castillo? Incredibile, quanto era piccolo il mondo. “Cavolo Vargas, perché non vai più allo Studio?”
Leon scattò in piedi, dandogli le spalle. “Non mi interessa più,” sussurrò, sapendo in cuor suo che fosse una grossa bugia.
Il moro lo affiancò, sollevando un sopracciglio. “Eri bravo, anche se un po’ presuntuoso.”
“Senti chi parla, Mr modestia,” rise l’altro, facendogli sollevare le mani in segno di resa.
“Forse, ma in fondo me lo posso permettere, in tutti i campi.”
Un guizzo attraversò lo sguardo di Leon. “In tutti i campi eh? Che ne dici di una bella corsa di motocross?”
Diego, che era competitivo quasi quanto lui, accettò prontamente. “Chi perde, offre da bere.”
“Ci sto.” Si strinsero la mano, poi tra risate e prese in giro si avviarono verso le loro motociclette.
 

 



Eccomi qui! :)
Ora si gioca quasi a carte scoperte, Leon ha saputo che Diego frequenta lo Studio e quest’ultimo inizia a sospettare di un passato Leonetta! Sorvoliamo sulla scena Leon-Lara che mi venire il voltastomaco ogni volta che la leggo e concentriamoci di più su Leon, che finalmente si consente di pensare a Violetta! Che tenerooo!! :3 
Tenete a mente la chiamata che ha ricevuto Leon, perchè dietro di essa si nasconde uno dei principali motivi del suo cambiamento! ;)
Fede e Lena come molti di voi avevano pensato, usciranno insieme e solo vederli uno accanto all’altra fa ingelosire Francesca! Ben le sta! XD
Camilla spinge ancora per l’incontro Leonetta e ormai siamo sempre più vicini! Diego lo scocciatore viene di nuovo snobbato, ma forse su Cami ha fatto davvero colpo e in un certo senso anche su Ludmilla, che proprio non riesce a ingannare nessuno! XD
Il povero Pablo dopo aver dovuto mettere fine alla lite tra Gregorio e Jackie è anche rimasto incastrato da quest’ultima per una cena! Ma povero!! Non so proprio chi è più appiccicosa tra lei e Lara! Ma basta, toglietevi dalle scatole! Prrrrr
Non ho altro da dire, se non ringraziarvi come sempre per il sostegno e sperare che il capitolo vi piaccia! :)
Besos,
trilly <3

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Capitolo 12
*** Equilibrio precario ***





Cara mamma,
ti ricordi quando ti avevo detto che avevo visto papà ed Esmeralda insieme? Stamattina papà mi ha confermato che lei è qui a Buenos Aires per un progetto di lavoro e tra poco andremo tutti e tre a cena fuori. Sai, lui sembra felice come non accadeva da tempo e credo che il merito sia tutto suo. Quando stava con Jade era sempre spento, distratto.. con Angie poi... credo che gli piacesse solo perché gli ricordava te, mentre lei sentiva il bisogno di rimediare a quegli anni di assenza da me e prendere il tuo posto pensava fosse la scelta migliore. Magari mi sbaglio, magari si sono amati davvero, almeno finché non abbiamo saputo che Angie fosse mia zia e ciò ha portato papà ad allontanarsi da lei e in effetti anch’io ho smesso di volerli insieme. È mia zia, è tua sorella, è sua cognata, ora che lo so mi fa strano immaginarmeli insieme. Sarò egoista, però sono contenta che papà abbia conosciuto Esmeralda e spero che anche Angie trovi la persona giusta, magari proprio Pablo, chissà..
Per quanto riguarda me, le cose non sono cambiate molto. Diego continua a corteggiarmi insistentemente, mentre il pensiero di Leon non abbandona la mia mente. Mi ricordo quando mi dicevi che un giorno avrei incontrato colui che avrei considerato il mio principe, l’unico che avrei amato più di papà. Dicevi che lo avrei capito e da allora l’ho cercato, senza farmene accorgere da papà ovviamente. Alla fine però, credo di averlo trovato. L’ho avuto davanti agli occhi per un sacco di tempo, ma solo da poco l’ho capito. È Leon il mio principe. Lo amo mamma, lo amo come non ho mai amato nessuno prima d’ora. Non faccio altro che pensarlo e sognarlo. Dov’è il problema dirai tu.. il fatto è che ho paura che lui mi abbia dimenticata e così rimando sempre il momento per affrontarlo. Sono solo una codarda, proprio nulla ho ereditato dal tuo carattere forte e deciso.. su questo sono identica a papà. Quanto vorrei essere più sicura di me e..



“Vilu, è ora di andare.”
Violetta ripose il diario in un cassetto della scrivania e si sistemò il vestito rosa confetto che aveva deciso di indossare per la cena. “Arrivo papà.”
Dopo essersi guardata un’ultima volta allo specchio, corse al piano di sotto. German, vestito di tutto punto, l’aspettava seduto sul divano. “Sei bellissima,” sorrise appena la vide.
La giovane sorrise a sua volta, abbracciandolo. “Anche tu papà.”
Insieme entrarono nella grande e costosa macchina dell’uomo, che si affrettò ad accendere il condizionatore. Il clima argentino era ancora eccessivamente torrido e il fatto che indossasse la giacca di certo non aiutava, ma d’altronde non poteva fare a meno di essere impeccabile in ogni occasione.
“Ho pensato di lasciare la serata libera a Roberto e Olga visto che ceniamo fuori,” le disse lui sorridendo, mentre metteva in moto. “Esmeralda vive in un appartamento in centro, mi ha detto che lì ci sono tanti negozi e che qualche volta le piacerebbe fare spese con te.”
“Sarebbe fantastico!” Esclamò Violetta felice. “Mi sono mancati i pomeriggi insieme a lei.”
German sorrise. “E tu sei mancata a lei tesoro.” Negli occhi dell’uomo c’era una strana luce, sembrava emozionato, vivo. Da quanto tempo non vedeva suo padre così felice?
Parcheggiarono davanti a un grande palazzo, poi Violetta si offrì di andare a suonare il citofono. Non vedeva l’ora di abbracciare Esmeralda. Castillo accettò, tenendola però d’occhio attraverso lo specchietto retrovisore. Era più forte di lui, era sempre così apprensivo con la sua bambina.
La ragazza stava per schiacciare il piccolo tasto accanto al nome della donna, quando la vista di qualcosa o meglio di qualcuno la fece paralizzare sul posto. A pochi metri dal palazzo c’era un bar e proprio da quel bar era appena uscito un ragazzo, Leon. Era in tenuta sportiva e stava parlando al cellulare. Portava i capelli più corti e se non si sbagliava di grosso era anche più magro. Violetta non riusciva a fare altro che fissarlo, ogni cellula del suo corpo sembrava spingerla verso di lui, il cuore minacciava seriamente di uscirle fuori dal petto. Improvvisamente Leon si fermò al centro del marciapiede e mantenendo il cellulare all’orecchio con la spalla, estrasse dalla tasca della felpa quello che la giovane riconobbe essere un pacchetto di sigarette. Leon fumava? Stupita, lo vide accendersi una sigaretta e portarsela alle labbra. Non se lo aspettava proprio. Quasi si fosse accorto di essere osservato, il ragazzo lanciò un’occhiata alla sua sinistra e quando incrociò lo sguardo di Violetta, sbiancò paurosamente. Era lei, ne era sicuro. Era più alta, i capelli castani le ricadevano sulle spalle in morbidi boccoli e indossava un vestito molto carino che risaltava il suo corpo. Era bella Violetta, molto di più di quanto ricordasse. Anche se li separavano diversi metri, quegli occhi castani fissi nei suoi avevano la testa identica capacità di stordirlo, di farlo sentire confuso e dipendente da essi. Il suo cervello sembrava essersi annullato e l’unica cosa che riusciva a fare era fissarla. La voce di Lara che gli stava parlando di chissà quale sponsor, appariva ora lontana, nonostante avesse sempre il cellulare all’orecchio. Perché vedere Violetta gli faceva ancora quel maledetto effetto? Doveva distogliere lo sguardo e scappare finché poteva, non doveva permetterle di avvicinarsi, altrimenti sarebbe stato finito. Con terrore la vide fare un passo verso di lui e istintivamente indietreggiò. La conosceva, sapeva che se si fosse permesso di abbassare le difese con lei, poi non sarebbe più riuscito a pensare con lucidità e lei sarebbe tornata a manipolarlo e non lo voleva. Odiava essere vulnerabile, lo odiava e allo stesso tempo lo temeva. Sul volto di Violetta nel frattempo si fece strada la confusione, che avesse capito che la sua presenza lo terrorizzava?
“Leon.” La sua voce. Quella voce che lo aveva tormentato per notti intere ancora peggio dei suoi penetranti e dolci occhi. Avrebbe voluto urlarle di non parlare, di lasciarlo in pace, ma non ci riusciva. Perché quel traditore del suo corpo non si muoveva e lo costringeva a stare fermo in mezzo al marciapiede come una statua di cera? Dov’erano tutte quelle persone che l’anno prima erano sempre state pronte ad interrompere i momenti suoi e di Violetta? Possibile che ora che volesse che qualcuno intervenisse ciò non accadeva? Il destino si stava prendendo gioco di lui, non c’erano dubbi. Violetta fece un altro passo e sorrise timidamente, torturandosi al contempo le pieghe del vestito. Era in imbarazzo, un leggero rossore le colorava le guancie, ma ciò non le impedì di continuare ad avanzare verso di lui. Leon era terrorizzato. Quei maledetti occhi erano sempre stati il suo punto debole, quando si specchiava in essi dimenticava ogni cosa e forse proprio per questo non riusciva a muoversi, era come se avesse dimenticato come si facesse. Violetta si faceva sempre più vicina e lui sempre più vulnerabile. Gli sembrava quasi di avvertire il suo calore o il suo profumo, non riusciva a pensare ad altro se non a lei. Quel sorriso si fece ancora più luminoso, meno di cinque metri li separavano. Chiuse gli occhi, quasi sperasse così di farla sparire e poi…
“Violetta! Dove stai andando?”
La voce ansiosa di German infranse il silenzio che li circondava, interrompendo quella particolare connessione che si era instaurata tra i due giovani. Violetta si voltò di scatto verso l’uomo, che era uscito come una furia dalla macchina. “Che urli a fare papà? Stavo salutando Leon, lui..” quando però fece per indicare il ragazzo, si rese conto che fosse sparito, quasi si fosse vaporizzato. Lo cercò con lo sguardo, ma nulla, non lo vedeva nemmeno da lontano. Perché era scappato in quel modo? Finalmente aveva avuto la possibilità di incontrarlo, lo aveva quasi raggiunto, stavano per parlare e.. se solo suo padre non si fosse intromesso. Aveva visto Leon dallo specchietto retrovisore e per questo era intervenuto, ne era sicura. Quella consapevolezza fece nascere in lei una rabbia che non riuscì a controllare e che esplose lì, in mezzo alla strada.
“Perché lo hai fatto? Sono settimane che desidero parlargli, che ti costava concederci cinque minuti? Hai rovinato tutto!” Urlò, con le lacrime agli occhi.
German la fissò stupito. Non si aspettava una reazione simile, in fondo era solo preoccupato per la sua bambina, cosa c’era di sbagliato? “Violetta, stai esagerando.”
“Io non sto esagerando!” Esplose la ragazza, agitando le braccia. “Devi smetterla di trattarmi come una mocciosa e accettare che sto crescendo! Io non mi intrometto nella tua vita, perciò vedi di fare lo stesso con la mia per una volta! E poi non lamentarti se litighiamo sempre!”
Quando Esmeralda uscì dal palazzo, li trovò uno di fronte all’altro. Violetta era furiosa, mentre German era decisamente sconvolto. “Tutto bene?” Chiese, preoccupata.
Castillo distolse a fatica lo sguardo dalla figlia per posarlo sulla donna e le sorrise. “Sei bellissima,” mormorò, osservandola nel suo elegante vestito blu notte.
Lei sorrise imbarazzata. “Grazie German, anche tu e Vilu siete stupendi.” La giovane nonostante il nervosismo, abbozzò un sorriso e l’abbracciò. “Sono felice di rivederti.”
“Anch’io Vilu, anch’io.”
Arrivati alla macchina, Violetta prese posto sul sedile posteriore evitando di guardare il padre, mentre lui ed Esmeralda si sedettero davanti. Stavano parlando di questioni di lavoro, ma la giovane aveva la testa altrove. Rivedere Leon l’aveva scossa più di quanto avrebbe mai immaginato. Sapeva che si era allontanato da tutti e che fosse cambiato, ma non credeva così tanto. Prima quando si specchiava nei suoi occhi avvertiva calore, dolcezza, protezione, cose che poco prima non aveva visto, al contrario c’era il vuoto più assoluto, quasi in lui non ci fossero più emozioni. Non era quindi tanto il fatto che ora fumasse ad averla sconvolta, ma quel vuoto e quella paura... di cos’aveva paura Leon? Era lei a spaventarlo e se si, perché? Quel ragazzo non era il suo Leon, gli somigliava tanto, ma non era lui e quella consapevolezza la destabilizzava. Cos’era diventato il ragazzo che amava? Era colpa sua? In cuor suo sentiva di si e per questo si odiò, si odiò con ogni fibra del suo essere. Era con se stessa che ce l’aveva, non con suo padre e per questo quando giunsero al ristorante, si sforzò di comportarsi normalmente e soprattutto di smetterla di maltrattare l’uomo. Solo un paio d’ore, poi sarebbe tornata a casa e avrebbe potuto ripensare a quell’incontro con calma, ce la poteva fare.
Il ristorante scelto da German era probabilmente il più lussuoso di Buenos Aires. Si estendeva nella zona balneare e presentava sia una sala interna che una esterna, quest’ultima affacciava direttamente sul mare. Fortunatamente lì la temperatura era più gradevole, così decisero di prendere un tavolo all’esterno. “Wow,” commentò la giovane, prendendo posto alla sinistra del padre e quindi alla destra di Esmeralda.
“Già,” convenne quest’ultima. “Nemmeno per i numerosi convegni a cui ho partecipato ho mai cenato in un ristorante così bello.”
German sorrise soddisfatto. “Sono contento che vi piaccia e non avete ancora assaggiato il cibo,” proseguì, rivolgendo alla figlia uno sguardo sorpreso per quell’improvviso cambio d’umore, che lei ricambiò con una scrollata di spalle.
Nel frattempo a pochi tavoli di distanza, una coppia stava prendendo posto. Lei era euforica ed elegantissima, mentre lui appariva visibilmente nervoso.
“Questo posto è stupendo!” Esclamò Jackie, poggiando una mano sulla sua. Pablo si sforzò di sorridere. Fosse stato per lui sarebbe rimasto a casa, ma Jackie era stata tanto insistente e non gli aveva nemmeno permesso di fiatare. “Si, è vero.”
“E poi è così romantico,” continuò lei con uno strano guizzo negli occhi. “Ti ricordi la prima volta che siamo andati a cena? Eravamo così giovani e così innamorati.”
“Ehm.. si..” balbettò, imbarazzato. Voleva bene a Jackie, era stata il suo primo amore, colei con cui era cresciuto e maturato, ma era passato troppo tempo ormai. Lui era cambiato, era cambiata ogni cosa e poi quando la donna aveva deciso di trasferirsi per seguire il suo sogno di diventare una ballerina famosa, aveva in un certo senso messo la parola fine alla loro relazione e ora bè.. non riusciva più a guardarla in quel senso. Non si poteva decidere chi amare e nessuno lo sapeva meglio di lui. Per evitare altri discorsi imbarazzanti, si affrettò a chiamare il cameriere. Prima mangiavano e prima poteva tornarsene a casa.
 
“So che non sei dell’umore adatto,” iniziò Angelica, facendo strada alla figlia nella sala esterna del ristorante. “Ma sono convinta che una bella cena con tua madre ti farà bene.”
Angie sospirò. “Forse, ma non capisco perché dobbiamo cenare in un ristorante per coppie.”
“Non è un ristorante per coppie.”
“Ah no? E la vista sul mare e le candele a centro tavola come le giustifichi?” Ribatté la bionda, indicandole con un cenno. Angelica non seppe che dire e proprio per questo si limitò a guidarla a un tavolo.
Angie si sedette, socchiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro. Avrebbe tanto voluto starsene a casa davanti a un film strappalacrime e una buona pizza, ma sua madre l’aveva tormentata per così tanto tempo che alla fine non aveva potuto fare altro che acconsentire a quella cena.
“Cosa ordini tesoro?” Le chiese Angelica, sfogliando il menù e distogliendola dai suoi pensieri.
“Ehm.. non so..” disse, prendendo a sua volta un menù. “Potrei...” si bloccò però di colpo, riconoscendo dei volti familiari. A pochi tavoli di distanza c’erano infatti German e Violetta in compagnia di una donna che suppose essere Esmeralda.
“è la nuova fidanzata di German?” Angie sussultò alla domanda della madre, non si era accorta che anche lei avesse notato i tre. “Non lo so, so solo che si sono conosciuti in Spagna.”
Angelica annuì. “Ti da fastidio che frequenti un’altra?” La bionda la guardò a bocca aperta. Dove voleva arrivare sua madre con quella domanda? Fece per rispondere, ma qualcos’altro attirò la sua attenzione. Il distino si stava accanendo contro di lei, non c’era altra spiegazione. Non solo German doveva capitare nello stesso ristorante, pure Pablo e in compagnia di Jackie tra l’altro. Odiava vederli insieme e più cercava di evitarli e più se li ritrovava davanti.
“Angie?” La richiamò Angelica, ma lei non la sentì, troppo occupata a fissare i due. Stavano parlando, o almeno lei parlava e sorrideva in maniera fastidiosa. Sin dalla prima volta che l’aveva vista, aveva provato una profonda antipatia per quella donna e con il passare del tempo le cose erano anche peggiorate. La detestava con ogni fibra del suo essere, detestava il modo in cui flirtava con Pablo, il modo in cui lo guardava. Proprio in quel momento Jackie si accorse di lei e dopo un attimo di stupore sorrise. Si sporse poi verso Pablo e dopo avergli preso il volto tra le mani lo baciò. A quella vista il cuore di Angie per poco non si fermò e avvertì un dolore sordo alla base di esso. Non riusciva a sopportare quella visione, le faceva troppo male. Si alzò in piedi di scatto, facendo cigolare la sedia e per questo attirò l’attenzione di tutti, conoscenti o meno. Chi la conosceva la fissava ora con stupore, tranne Angelica che non sembrava per niente sorpresa.
“Angie!” Esclamò Violetta, sorridendole. German le rivolse un breve cenno, mentre Esmeralda avendo capito chi fosse, sorrise. Il sorriso più luminoso era però quello di Jackie, avvinghiata a Pablo come una cozza. Quest’ultimo appariva sorpreso ma soprattutto in imbarazzo.
“Angie,” sussurrò Angelica preoccupata, notando che la figlia si fosse come paralizzata sul posto. Lei la guardò e nei suoi occhi verdi l’anziana vi lesse profondo dolore e ciò la rattristò. “Mi dispiace tesoro, non pensavo che..”
Angie annuì. “Scusa mamma, ma mi è passata la fame.” Fece per andare via, ma fu prontamente raggiunta da Violetta. “Angie, stai bene? Sei pallida.”
Lei si sforzò di sorridere. “Tranquilla, sono solo stanca.”
“E vai via senza mangiare?” Insistette la giovane, convinta che sotto ci fosse dell’altro.
“Mi gira la testa,” mentì, portandosi una mano sul capo. “Preferisco andare a casa e farmi una buona dormita.”
Violetta annuì, sconfitta. “Ne parliamo domani allo Studio allora.”
“Non preoccuparti Vilu,” la rassicurò Angelica, avvicinandosi e abbracciando la nipote. “L’accompagno io a casa e vedrai che domani starà benissimo.”
“Va bene,” sorrise, salutandole. Tornò poi al tavolo dove spiegò la situazione a German ed Esmeralda, che si mostrarono molto preoccupati per la salute della bionda Saramego. Jackie nel frattempo sghignazzava per quella piccola vittoria contro la rivale, Pablo invece era preoccupato per Angie a cui teneva sempre tantissimo e allo stesso tempo era sconvolto per quel bacio con la ballerina. Possibile che lo avesse fatto solo per colpire Angie? La considerava davvero un pericolo? E lui cosa pensava di tutto questo? Di una cosa era sicuro, non aveva più voglia di continuare quella serata. Si alzò, sotto lo sguardo confuso della donna. “Cosa fai?”
“Ti accompagno a casa, non sono dell’umore adatto per continuare la serata.”
“Che cosa?” Esclamò incredula. “Stai scherzando?”
Lui sospirò. “Per favore Jackie, sono stanco e non ho voglia di discutere.”
Jackie sbuffò, poi stizzita lo seguì. “Ti conviene iniziare a pensare a qualcosa per farti perdonare perché sono profondamente ferita.”
“Si, certo,” ribatté Pablo distrattamente. Onestamente in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri.”
 
 


La luna era alta nel cielo, ma essendo coperta da grossi nuvoloni neri la serata appariva ancora più buia e desolata. Madrid era di norma una città viva, luminosa, rumorosa, ma c’era anche un’altra zona della città che era più solitaria e silenziosa. Proprio lì si estendeva un’imponente palazzo in vetro, al cui ultimo piano si poteva notare una luce accesa. Un uomo, fermo davanti alla vetrata, si sforzava di mantenere la calma, ma di tanto in tanto lanciava occhiatacce a un ragazzino di appena quindici anni seduto sul divano con uno sguardo basso.
“Juan,” mormorò una donna dai lunghi capelli corvini, avvicinandosi all’uomo. “Sono sicura che Miguel non volesse disobbedirti, è solo un ragazzino e..”
“TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE HA FATTO?” Sbottò lui, voltandosi di scatto. “Quando Fernandez lo verrà a sapere, mi ucciderà e tutto perché quell’imbecille di tuo figlio ha coperto la fuga di Diego.”
La donna si zittì, mentre il ragazzo sussultò per poi alzare lo sguardo. “Lui è mio fratello, non potevo non aiutarlo.” Non lo avesse mai detto. Juan lo raggiunse a grandi falcate e lo afferrò per il colletto della maglia, sollevandolo mezzo metro da terra. “Saresti dovuto venire da me subito, quando ti ha detto che voleva scappare! Come diavolo ti è saltato in mente di appoggiare quella follia?” Fece per schiaffeggiarlo, ma la moglie gli bloccò il polso, consentendo al ragazzo di rifugiarsi tremante in un angolo. “Non osare Juan, altrimenti ti ammazzo.”
Lui storse il naso, indispettito. “Smettila di difenderlo Dora! Ti rendi conto della gravità del suo gesto?”
Lei annuì, sicura. “Non corriamo alcun rischio, ha solo un misero documento tra le mani. Non scoprirà mai la verità.”
“Come fai a dirlo? Lì sopra c’è il nome di Joaquin Fernandez e soprattutto c’è scritto che lo abbiamo comprato! Basta quello per sbatterci in carcere a vita!”
Dora chiuse gli occhi e sospirò. “Ascoltami Juan, il ragazzo è scappato per un solo motivo, trovare la sua vera famiglia, gli interessa solo quello. Non ci denuncerà, ne sono sicura. Non è così Miguel?” Aggiunse rivolgendosi al figlio.
Quest’ultimo annuì. “Diego vuole trovare i suoi genitori e chiedergli perché lo hanno abbandonato,  tutto qui. Vi prego, non ditelo a quell’uomo... gli farà del male se lo scoprirà.” Nei suoi occhi c’era una muta preghiera unita alla disperazione, ma Juan scosse la testa. “è a Buenos Aires vero?”
“Papà, ti prego.. non permettergli di fargli del male,” lo supplicò.
“Dimmi la verità, è lì non è così?” Insistette l’uomo, furioso. Miguel annuì. “Papà, ti supplico. Non dire a quell’uomo dov’è Diego. È mio fratello e non voglio perderlo,” il ragazzino iniziò poi a singhiozzare, ma Juan lo ignorò, rivolgendosi alla moglie. “Portalo in camera sua e chiudi a chiave.”
“NO! NO! NO!” Urlò Miguel, tentando di divincolarsi dalla presa della madre.
“FUORI! ADESSO!” L’uomo rivolse loro un’occhiataccia, indicandogli la porta. Solo quando fu sicuro che fossero abbastanza lontani e le urla del figlio furono cessate, Juan prese il cellulare e compose un numero.
-Ramirez- rispose una voce fredda. –A cosa devo la tua chiamata?-
Lui deglutì. Se avesse potuto scegliere non glielo avrebbe detto, ma d’altronde non poteva fare altro se non voleva ritrovarsi morto o dietro le sbarre. –Il ragazzo, lui.. è scappato-
Seguirono istanti di puro silenzio, poi.. –CHE COSA? Stai scherzando spero!-
-Signor Fernandez io, io non ne avevo idea e..-
-COME DIAVOLO è SUCCESSO? Dov’è andato? Da quanto?- Joaquin Fernandez si sforzava di mantenersi calmo, ma non ci voleva un genio per capire che fosse livido di rabbia.
-Ha trovato l’atto di vendita e mi ha pure rubato dei soldi- spiegò Juan, stringendo forte il pugno della mano sinistra. –Ha detto che andava a fare un giro e non è più tornato. Non sapevo dove cercarlo e poi.. mio figlio Miguel è solo un ragazzino e pensava di fare la cosa giusta coprendolo e..-
-TUO FIGLIO LO HA AIUTATO A SCAPPARE? SEI UN IDIOTA! NON SAI NEMMENO BADARE AI TUOI FIGLI!-
-Signor Fernandez-
-Ti avviso Ramirez, se il ragazzo scopre qualcosa io ammazzo te e la tua famiglia. Un compito avevi, tenerlo lontano da Buenos Aires e hai fallito-
-Lo so e mi dispiace-
-Prega che non abbia ancora scoperto nulla quando lo troverò, altrimenti la morte ti sembrerà una liberazione rispetto a quello che potrei farti-
-Signor Fernandez- rabbrividì l’uomo –io non credevo che il ragazzo avesse così tante prove e che fosse così determinato e.. mi dispiace-
-Non me ne faccio nulla delle tue scuse!- sbottò lui furioso. –Ti rendi conto di quello che potrebbe succedere se il ragazzo scoprisse la verità? CHE DIAVO ASPETTAVI A DIRMELO POI? A quest’ora potrebbe aver già scoperto qualcosa, compreso il contenuto di quel documento!-
-Signore, anche con quel documento il ragazzo non ha comunque alcun indizio e..-
-Stai zitto e ringrazia di essere a chilometri di distanza! D’ora in avanti me ne occupo io!-
Juan chiuse la conversazione, seriamente preoccupato. Cosa sarebbe successo se il ragazzo avesse scoperto la verità prima che Fernandez lo avesse trovato? Rabbrividì, non voleva nemmeno pensarci. Forse gli conveniva davvero chiudere gli occhi e pregare che non fosse già arrivato il momento di scontare la pena per tutto il male, che insieme a quell’uomo aveva provocato.
 




 
Il mio ritardo è imperdonabile! Scusatemi!! Ho fatto più veloce che potevo e per farmi perdonare ho postato a un orario insolito per me, ma mi dispiaceva farvi aspettare a domani! Tra l’altro ho aggiunto anche una parte all’ultimo minuto che è una sorta di regalo per farmi perdonare, ovviamente parlo dell’incontro Leonetta! :3 Spero che vi sia piaciuta com’è piaciuta a me! Nel prossimo poi finalmente parleranno!! <3 Avrei voluto ammazzare German quando ha interrotto i due, non poteva starsene in macchina e farsi gli affari suoi? XD
Povera Angie, se sapesse quello che le sto facendo passare mi ucciderebbe! Una serata orribile per lei! Il bacio tra Jackie e Pablo, che schifo!!
E si scoprono altri particolari sul passato di Diego! È scappato di casa con l’aiuto del fratellastro e ora lo sa anche Fernandez e la sua reazione non promette nulla di buono! Diego è in pericolo?
Per il resto lascio commentare a voi e spero di essermi fatta perdonare con la sorpresa! :)
Besos,
trilly <3

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Capitolo 13
*** Alta tensione ***





Il sole pungeva la pelle di Angie con la forza di mille aghi, ma lei vestita con un lungo abito bianco e con i capelli legati in un elegante chignon, percorreva un sentiero erboso, una sorta di giardino. Intorno a lei c’era solo silenzio e questo accrebbe la sua agitazione. Strinse più forte il bouquet che aveva tra le mani e affrettò il passo. A un certo punto si rese conto che il sentiero terminava di fronte un grande cancello in ferro battuto, chiuso con un catenaccio arrugginito e a prima vista parecchio pesante.
“Angie.” Si voltò di scatto, vedendo avanzare verso di lei la figura di Angelica. Ella era vestita completamente di bianco e dalle sue spalle spuntavano delle grandi e vaporose ali candide. “è arrivato il momento di aprire gli occhi Angie.” La voce dell’anziana risuonò come un’eco in quello strano luogo, sembrava quasi la musica che ascoltava nel suo MP3, alta e sovrastante, tanto da coprire qualsiasi altro rumore, compreso il battito del suo cuore. “Non avere paura, segui solo il tuo cuore,” proseguì, indicandole il cancello.
Angie spostò lo sguardo dalla donna al cancello e viceversa, confusa. “Mamma, ma che sta succedendo? Perché sono vestita da sposa? E perché hai delle ali?”
Angelica le rivolse un sorriso bonario, poi con un semplice schiocco di dita fece scattare il catenaccio e il cancello si spalancò con un forte cigolio. “Vai Angie, lui ti sta aspettando.”
“Lui chi?” Sussurrò la bionda, accigliata. “Rispondimi mamma, questa cosa non mi piace per niente.” L’anziana però si limitò a sorridere, per poi dissolversi in un battito di ciglia. “Mamma! Dove sei?” Ripeté preoccupata, avanzando di qualche passo. Quasi senza rendersene conto varcò il cancello, ritrovandosi in un immenso spiazzato circondato dal verde. I vertiginosi decolté bianchi che indossava, a contatto con il terreno erboso le resero il tutto non poco faticoso e più volte fu tentata di toglierseli, finché non giunse nei pressi di un grazioso gazebo. Proprio ai piedi di esso con addosso un elegantissimo smoking, c’era lui, Pablo. Le sorrise e il cuore di Angie accelerò i battiti. “Pablo,” sussurrò, incamminandosi verso di lui e reggendo al contempo il bouquet e i lembi del lungo vestito. Incredibilmente lui si era già voltato e incamminato lungo un sentiero pieno di erbacce. “Pablo, aspettami!”
Pablo si fermò solo quando giunse alla fine del sentiero e lei sorrise, avvicinandosi. “Pablo.”
Lui però non la stava guardando, la sua attenzione era per qualcuno alle sue spalle. Si voltò e per poco non le venne un colpo. Vestita in un abito da sposa uguale al suo, c’era Jackie con un luminoso sorriso. Pian piano si avvicinò a Pablo, che la fissava incantato. Si presero per mano, guardandosi con occhi pieni d’amore.
“Pablo,” ripeté Angie con un filo di voce. L’uomo però era troppo occupato a stringere Jackie tra le braccia e a infonderle quel calore che aveva sempre dato solo a lei. Lo vide poi sollevarle il mento, avvicinando il volto al suo.
La Saramego sapeva cosa stava per succedere, aveva assistito a quella scena e l’aveva sognata fin troppe volte. “Pablo, ti prego non farlo,” singhiozzò, ma loro la ignorarono, o semplicemente non la sentirono. In ogni caso un attimo dopo si stavano baciando con passione e Angie ebbe la sensazione che il suo cuore si fosse spaccato in mille pezzi. “Pablo,” sussurrò disperata, cadendo sulle ginocchia. Le lacrime ora scorrevano a fiumi sul suo volto. Pablo e Jackie nel frattempo continuavano a baciarsi. “Basta! Smettetela vi prego! Pablo!”

 


“Angie! Angie svegliati!”
La bionda aprì gli occhi di scatto, trovando seduta accanto a lei una preoccupatissima Angelica. “Santo cielo Angie, mi hai spaventata a morte,” ammise, portandosi una mano al petto. “Ho temuto ti stessi sentendo male.”
Lei annuì, ancora profondamente turbata. Era a casa sua, nel suo letto, quindi si era trattato solo di uno stupidissimo e maledettissimo incubo.
“Come ti senti?” Le chiese Angelica, scostandole una ciocca sudata dalla fronte. “Sei così pallida.”
“Tranquilla mamma,” la rassicurò, poggiando una mano sulla sua. “è stato solo un incubo, sto bene.” La donna però non sembrava molto convinta o forse semplicemente la conosceva troppo bene. “Aspettami qui,” le disse, avviandosi verso la porta.
Angie annuì distrattamente, strofinandosi il volto con decisione. Ancora non riusciva a credere a quanto quel sogno fosse stato nitido, le era sembrato così reale. Pablo e Jackie in abito da sposa e lei lì come un imbecille a piangere. Tentò di scacciare quel pensiero, ma quello non ne voleva sapere di lasciarla in pace. Seppellì il volto nel cuscino, lasciandosi andare a un pianto silenzioso. Ormai non aveva più dubbi e capiva cosa intendesse sua madre quando le aveva detto che il suo cuore aveva già deciso, peccato che fosse ormai troppo tardi.
Quando Angelica tornò in camera con una camomilla, la trovò raggomitolata e singhiozzante e si sentì addolorata. Povera la sua bambina. Posò la tazza sul comodino e si sedette accanto a lei, stringendola tra le sue braccia. “Parlami Angie, dimmi cosa ti fa stare male.”
Angie sollevò il volto ormai grondante di lacrime e la guardò. “Mamma… io.. io credo di amarlo.. forse è sempre stato così, ma non me ne rendevo conto e ora… ora è troppo tardi,” aggiunse disperata.
Angelica non ci mise molto a fare due più due, aveva notato quale evento avesse scosso tanto sua figlia e non poté fare altro che stringerla più forte. Aveva sempre saputo in quale direzione andasse il cuore di Angie, ma non voleva farle pressioni o confonderla ancora di più e proprio per questo aveva taciuto. Doveva arrivarci da sola e ora che era accaduto, Angie vedeva tutto nero e Angelica non sapeva proprio cosa fare per aiutarla, soprattutto dopo ciò che aveva visto al ristorante. Era davvero troppo tardi?
“Prendi la camomilla,” disse la donna dolcemente, porgendole la tazza. “Ti farà bene.”
Angie la prese con mani tremanti, sforzandosi di calmarsi. Iniziò a bere piccoli sorsi, sotto lo sguardo preoccupato della madre. “Ti va di parlarmi dell’incubo che hai fatto?”
Lei sospirò, socchiudendo gli occhi, poi le raccontò tutto d’un fiato. “Hai sempre avuto ragione,” concluse amaramente. “Il mio cuore aveva già deciso.”
Angelica annuì, stringendole le mani con le sue. “Non è colpa tua, i sentimenti non sono razionali e per questo non è per niente facile relazionarsi con essi. Hai dimenticato quante volte siamo state sul punto di fare di testa nostra quando German portò via Violetta? Abbiamo rischiato di commettere qualche sciocchezza solo perché volevamo incontrarla, dimenticando che così avremmo potuto ferirla. In amore è ancora più complicato e questo perché presenta così tante sfaccettature che il rischio di confonderle è altissimo. È facile scambiare l’amicizia con l’amore e viceversa, così come lo è scambiare i sensi di colpa con l’amore.” Qui era evidente il riferimento a German, per cui Angie aveva pensato di provare qualcosa di più profondo, quando in realtà si sentiva solo in colpa per non esserci stata nella vita della nipote e quello le era sembrato un modo per rimediare, un modo per restituire loro un qualcosa che somigliasse vagamente a Maria.
Angie singhiozzò. “Perché è tutto così difficile?”
La donna scrollò le spalle, posando la tazza ormai vuota e abbracciandola. “Non abbatterti Angie, reagisci. Hai superato ostacoli peggiori, puoi superare anche questo.”
“Tu dici?”
Lei annuì, asciugandole le lacrime. “Pablo ti ama, ne sono sicura. Dagli un po’ di tempo per fare chiarezza e soprattutto digli che ormai non hai più dubbi. Glielo devi dire prima che le cose tra lui e quella donna diventano più serie e poi tutto dipenderà da lui, ma sono sicura che tornerà da te.”
Angie sorrise, abbracciandola. “Grazie mamma. Sono felice che sei venuta a stare da me.”
“Anch’io tesoro, anch’io.”
       




 
Leon. Leon. Leon. Per quanto si sforzasse, Violetta non riusciva a smettere di pensare a lui e al loro incontro del giorno prima. Se solo suo padre non li avesse interrotti. Quasi senza rendersene conto, anziché annotare sullo spartito le note che Beto stava suonando al piano, si ritrovò a disegnare una lunga serie di cuoricini con al centro il nome di Leon. “Violetta.” Quasi le sembrava di udire la sua voce che le sussurrava dolcemente all’orecchio. “Tutto ciò che desidero è vederti felice.” Sorrise sognante, socchiudendo gli occhi.
“Violetta!” Una forte gomitata la riscosse dai suoi pensieri. Si trovava nell’aula di Beto, quest’ultimo era inginocchiato a raccogliere una serie di spartiti e Camilla e Francesca, sedute ai suoi lati, la fissavano divertite. “Bentornata sulla terra.”
“Cos’è successo?” Chiese confusa. Loro risero. “Ti eri incantata con un sorriso idiota stampato in faccia,” disse Camilla.
“Incantata nel pianeta Leon,” aggiunse Francesca, lanciando un’occhiata sullo spartito della giovane Castillo. Lei arrossì, affrettandosi ad accartocciare il foglio.
“In ogni caso io e Francesca abbiamo un piano,” continuò la rossa, scambiando un’occhiata d’intesa con l’italiana.
“Ascolta Vilu.” Francesca le strinse le mani con le sue, mentre Violetta fissava entrambe, confusa. “Oggi pomeriggio tu, io e Camilla andremo alla pista di motocross e finalmente parlerai con lui.”
La giovane sgranò gli occhi, improvvisamente spaventata. “Che cosa? No!” Lasciò le mani dell’amica, fingendo di concentrarsi sulla lezione, ma loro non avevano intenzione di arrendersi. “è ora di affrontarlo, non puoi continuare così.”
“Te lo vuoi togliere il dubbio su quella ragazza o no?”
A fine lezione Violetta corse a parlare con Angie per sapere come stava dopo la serata al ristorante, mentre Francesca e Camilla si unirono a Maxi e Nata che camminavano mano nella mano e a Luca e Federico che confabulavano sottovoce. Quest’ultimo lanciava di tanto in tanto delle occhiate a Fran, che rossa in viso fingeva di non notarlo. Al gruppo si unirono poi Marco che affiancò l’italiana e Lena che invece si aggrappò al braccio di Federico. Erano diversi giorni che questi ultimi si frequentavano, sempre in compagnia di Maxi e Nata ovviamente. Lui non se la sentiva ancora di uscire da solo con lei o addirittura di rendere pubblica quella frequentazione. La compagnia di Lena lo faceva stare bene e ciò per ora gli bastava, poi se fosse riuscita a fargli dimenticare l’italiana sarebbe andata ancora meglio.
Marco, su consiglio di Diego, aveva deciso che era arrivato il momento di fare qualcosa di concreto con Francesca, così di punto in bianco le circondò le spalle con un braccio e l’attirò a se. Lei arrossì, ma non si divincolò. “Fran, stavo pensando.. ti andrebbe di uscire con me qualche volta?”
La ragazza fece per rispondere, ma.. “Scordatelo!” Di fronte a loro con le braccia conserte e uno sguardo furioso c’era Luca. Quando era tornato indietro? Loro proprio non lo avevano notato.
“Togli le tue manacce da mia sorella,” continuò il ragazzo minaccioso e Marco, spaventato, non poté fare altro che ubbidire. “Lei è offlimits per qualunque individuo di sesso maschile e prima lo capisci e prima potrai vivere serenamente qui allo Studio. Mi sono spiegato?”
Marco deglutì e Federico, fermo alle spalle di Luca, non era di certo più tranquillo. Se il ragazzo stava reagendo così per un abbraccio e un invito, non osava pensare a quello che avrebbe fatto a lui.
“Smettila Luca!” Sbottò Francesca, anticipando Marco. “Non puoi fare queste scenate davanti a tutti!”
“E invece si! È mio dovere proteggerti dagli ormoni impazziti dei maschi!”
“Ormoni impazziti? Stavamo solo parlando, non vorrai prendertela con tutti quelli che mi rivolgono la parola?” Francesca era furiosa, ma mai quanto suo fratello.
“Se hanno cattive intenzioni si! Pensavo che fosse un bravo ragazzo, ma ora ne ho davvero abbastanza. Stai lontano da lei!” Aggiunse rivolto a Marco.
“Non puoi decidere per lei, tu non sei suo padre!” Esplose il moro all’improvviso, acquistando coraggio. Non lo avesse mai detto. Luca gli si avvicinò con fare minaccioso, afferrandolo per il colletto della camicia. “Non ti conviene giocare con il fuoco, potrebbe essere l’ultima cosa che farai.”
Probabilmente lo avrebbe colpito se Federico e Diego, che era arrivato in quel momento, non si fossero messi tra di loro. “Luca,” mormorò Federico, prendendolo per le spalle. “Calmati, ci stanno guardando tutti.”
“Non dirmi cosa devo fare!” Sbottò questi, fumante di rabbia, mentre Marco gli lanciava occhiatacce dalle spalle di Diego. “Se Francesca vuole uscire con me non glielo puoi impedire.” Luca tentò nuovamente di avventarsi su di lui, ma Federico e Maxi, con un grande aiuto da parte di Andres, lo bloccarono.
Diego nel frattempo scuoteva il capo divertito. “Se hai voglia di prenderle, basta che lo dici.”
Marco sbuffò. “Oh andiamo Diego, ti rendi conto dell’assurdità di questa situazione? Lui non è nessuno per..”
“Sono suo fratello e questo è più che sufficiente!” Lo interruppe Luca, cercando di divincolarsi dalla presa degli amici.
“Si, ma non puoi decidere per me,” intervenne nuovamente Francesca, fuori di se. “Ti stai comportando come un bambino e per giunta mi stai facendo fare la figura dell’idiota.”
“Zitta tu! È colpa tua questa situazione e..”
“Si può sapere che succede qui?” Angie era appena uscita dall’aula di canto in compagnia della nipote e subito le erano giunte alle orecchie le urla dei litiganti. Diverse voci iniziarono a frapporsi le une sulle altre, cercando di spiegarsi, ma non si capiva assolutamente nulla, così lei li zittì. “Silenzio! Filate tutti in classe, tranne voi tre,” disse, indicando Luca, Marco e Francesca. I tre la seguirono in silenzio fino alla sala professori, dove proprio in quel momento stava uscendo Pablo. Alla vista della bionda s’irrigidì, ma appena notò i ragazzi si avvicinò. “Cosa succede?”
“Stavano litigando in corridoio, intorno a loro si era creata una piccola folla,” spiegò la Saramego, rendendosi conto che dopo tanto tempo lui la stesse finalmente guardando di nuovo negli occhi. “Te ne occupi tu?”
Lui annuì, ancora abbagliato dai suoi grandi occhi verdi. Ecco perché aveva smesso di incrociare il suo sguardo, lei aveva sempre avuto il potere di farlo sentire un idiota.
“Perfetto,” disse Angie, scappando via. Decisamente non era ancora pronta per affrontarlo e poi lui ora doveva pensare ai tre ragazzi, ma sapeva che la sua era solo l’ennesima scusa per giustificare quella codardia che ormai faceva parte di lei.
 

 



Era ormai pomeriggio inoltrato quando Violetta e Camilla si fecero strada sugli spalti della pista di motocross. Con loro sarebbe dovuta venire anche Francesca, ma la ragazza era stata trattenuta allo Studio a causa della lite di quella mattina.
“Ho paura,” ammise Violetta, scansando alcuni ragazzi che erano venuti a vedere gli allenamenti. Camilla le strinse la mano, cercando di infonderle sicurezza. “Andrà tutto bene, pensa solo a dirgli tutto quello che senti. Io non ti lascio sola.”
“Grazie Cami.” Continuarono a guardarsi intorno, ma non riconobbero alcun volto familiare. “E se diamo un’occhiata alla zona degli spogliatoi?” Propose la Torres.
Lei annuì seguendola, mentre il cuore le batteva a mille. Man mano che si avvicinavano agli spogliatoi, si diffondeva intorno a loro sempre più silenzio, finché...
“Cosa ci fate qui dolcezze?” Sussultarono, voltandosi di scatto. Conoscevano quella voce, difatti si trovarono di fronte Diego che le fissava divertito. A sorprenderle fu il fatto che indossava una tuta da motociclista.
“Diego,” iniziò Violetta, avvicinandosi a lui. “Tu frequenti questo posto?”
Lui ghignò. “Quante cose non sai di me Principessa.”
“Leon è qui?” Intervenne Camilla, costringendo Diego a distogliere lo sguardo dalla Castillo. “Come?” Chiese confuso.
Proprio in quel momento però si avvicinarono altre due persone. La prima era una ragazza con una coda di cavallo e accanto a lei con una tuta simile a quella di Diego c’era...
“Leon,” sussurrò Violetta, mentre il cuore le batteva a un ritmo forsennato. Gli occhi verdi del ragazzo la scrutarono da capo a piedi dapprima sorpresi, poi si fece di colpo serio.
“Cosa ci fai qui?” La sua voce era così fredda, così vuota. Violetta rabbrividì, ma la stretta di Camilla le diede il coraggio necessario per non distogliere lo sguardo. “Ho bisogno di parlarti.”
Diego e Lara nel frattempo spostavano lo sguardo dall’uno all’altra confusi. Senza pensarci troppo, lei si aggrappò al braccio del messicano. “Lui non ha niente da dirti.”
“Stai zitta e non impicciarti!” Sbottò Camilla, prendendo le difese dell’amica.
Lara la fulminò con lo sguardo. “Mi impiccio e come visto che è il mio ragazzo.”
Il mio ragazzo. Quelle parole rimbombarono nelle orecchie di Violetta, che perse di colpo tutto il suo coraggio. Aveva quasi deciso di andarsene, quando notò Leon allontanare Lara da se. “Non ho bisogno di un avvocato, so parlare da solo,” le disse duramente, poi guardò Diego. “Immagino che le conosci.”
Lo spagnolo sorrise. “Ma naturalmente. Queste due bamboline sono le mie spasimanti.”
Camilla e Violetta gli rivolsero un’occhiataccia, mentre Leon sbiancò di colpo. “Le tue cosa?”
“Non dargli retta,” disse la Torres, storcendo il naso. “è solo un buffone arrogante.”
Diego ghignò. “Un buffone arrogante che però non ti lascia indifferente.” Fece per avvicinarsi con passo sicuro, ma lei indietreggiò. “Stammi lontano idiota.”
Lui allora si voltò verso Violetta. “Ti piace il motocross Principessa? Ti faccio fare un giro sulla mia moto e..”
“Hai finito Ramirez?” Sbottò Leon acido, facendolo sorridere. Indugiò ancora qualche istante sulla ragazza, poi sollevò le mani in segno di resa. “Ora si, è tutta tua.”
Leon gli lanciò l’ennesima occhiataccia, poi tornò a guardare Violetta che ricambiò timidamente. “Perché sei venuta? Non mi risulta che abbiamo qualcosa da dirci.”
Lei deglutì, cercando di prendere coraggio. “Possiamo parlare in privato?”
“Assolutamente no!” Sbottò Lara, ma Leon la zittì con un’occhiataccia che la fece indietreggiare. Guardò poi la Castillo e annuì, facendole strada verso gli spogliatoi maschili. Seppur a disagio, Violetta lo seguì all’interno di essi. Lo spogliatoio presentava una stanza dove c’era una fila di armadietti verniciati blu elettrico e di fronte ad essi una panca del medesimo colore. Leon si sedette su di essa, invitandola con un cenno a fare lo stesso. Intorno a loro si diffuse un silenzio imbarazzante. Il cuore della ragazza non ne voleva sapere di rallentare i suoi battiti e le mani e le  gambe le tremavano. Leon sembrava all’apparenza sempre lo stesso solo con i capelli più corti e la passione per il motocross, ma più lo fissava e più si rendeva conto che non fosse così. I suoi bellissimi occhi verdi erano freddi, distanti, il suo stesso corpo appariva rigido, insofferente.
“Leon,” sussurrò, rompendo quell’insostenibile silenzio. Lui non rispose, continuando a fissare il vuoto. Perché era così distante? Perché non la guardava?
“Cosa dovevi dirmi?” Parlò finalmente lui, quando ormai non ci sperava più.
“Ecco io..” socchiuse gli occhi, cercando di farsi coraggio. “Io.. volevo chiederti scusa per quello che ti ho fatto passare... mi dispiace davvero.”
Leon sollevò lo sguardo, continuando però ad evitare di incrociare il suo, in esso spiccava un lampo di ironia. “La tua presunzione non ha proprio limiti a quanto pare. Pensi davvero di essere così importante da riuscire a farmi soffrire per te anche dopo mesi in cui non ci siamo né visti né sentiti? Patetica.” Seguì una risata fredda e priva di allegria, che la lasciò basita.
“Io.. io non intendevo dire questo,” balbettò imbarazzata.
Lui rise. “Ah no? Allora non capisco il senso di questa conversazione.” Si alzò in piedi, avviandosi verso la porta, ma la voce di Violetta lo bloccò. “Mi manchi.”
Si voltò verso di lei, sollevando un sopracciglio. “E questo quando lo hai capito? Dopo che Thomas è partito o quando ti sei resa conto di essere rimasta sola?” Ribatté crudele.
“Leon..,” provò, ma il ragazzo la interruppe. “Io non me le bevo più le tue bugie. Ti piace stare al centro dell’attenzione e quando qualcuno te lo fa notare hai pure il coraggio di fare la vittima. La verità è che sei una maledetta egoista incurante dei sentimenti altrui e io ne ho veramente abbastanza. E non guardarmi con quella faccia triste, non ci casco più ai tuoi lamenti da bambina viziata,” aggiunse, notando i suoi occhi lucidi e restando completamente impassibile.
Violetta incassò il colpo, consapevole di meritarselo. Lo aveva ferito fin troppe volte ed era normale che ora ce l’avesse con lei. “Hai ragione, con i miei dubbi ho solo causato problemi e capisco il tuo astio.”
Leon rise incredulo. “Si, all’inizio ti ho odiata, ma ora mi sei completamente indifferente e sai perché?”
“Io..” balbettò la ragazza, sicura di non volerlo sapere. Aveva le sensazione che ciò che le avrebbe detto non le sarebbe piaciuto.
“Io non sono più innamorato di te.” Lo disse guardandola fisso negli occhi, freddo come un iceberg.
Quelle parole ebbero il potere di ferirla peggio di un cazzotto e il gelo che lesse nei suoi occhi le diede il colpo di grazia. Il suo cuore ormai si era spaccato in mille pezzi. Avrebbe voluto piangere, urlargli il suo amore, ma sarebbe stato inutile, umiliante. Lui non l’amava più. Distolse lo sguardo dal suo, poi corse verso la porta. Spalancandola, si ritrovò di fronte Camilla, Diego e Lara. Quest’ultima aveva un sorriso maligno stampato in faccia, mentre gli altri due erano seri, preoccupati, o almeno Camilla lo era, Diego non sapeva dire che espressione avesse. In ogni caso li superò, venendo subito rincorsa dall’amica. “Vilu, aspetta!” Lara continuò a sorridere, poi andò via più che mai soddisfatta.
Leon nel frattempo aveva lo sguardo fisso nel vuoto, mentre riviveva la conversazione con Violetta, il suo sguardo ferito, quegli occhi lucidi. Una rabbia feroce lo travolse, tanto che assestò un violento pugno contro il muro, facendo tremare tutta la parete. Con l’altra mano si massaggiò le nocche indolenzite, pronto a un secondo colpo, ma si bloccò rendendosi conto di sentirsi osservato. Si voltò, incrociando lo sguardo di Diego, che se ne stava immobile accanto alla porta con le braccia conserte e l’espressione seria. “Ti va di parlarne?”
“NO!” Ribatté il messicano duro, riprendendo a colpire il muro con forza sempre maggiore. Probabilmente si sarebbe rotto qualche osso se Diego non gli avesse bloccato le braccia e non lo avesse spinto sulla panca. Sbuffò sonoramente, rendendosi conto che le mani gli bruciavano e che stava perdendo sangue.
“Ti sei calmato?” Gli chiese il moro, girandogli intorno come un avvoltoio. “Dovresti fare degli esercizi per il controllo della rabbia, per poco non buttavi giù la parete,” aggiunse divertito.
Leon lo fulminò con lo sguardo. “Sei divertente quanto una mola cariata.”
Diego non si scompose, continuando a sorridere. “Almeno io non sono acido come del pesce andato a male.”
“Stai zitto Ramirez, mi stai innervosendo!”
Il moro dovette mordersi la lingua per non ribattere con una frecciatina, poi sospirò, passandosi una mano nei capelli. “E così tu e Violetta siete stati insieme.” Leon s’irrigidì, ma non disse una parola. Diego lo interpretò come un consenso a continuare. “Provi ancora qualcosa per lei?”
Leon si alzò così di scatto da farlo sussultare. “Non ho voglia di parlare, voglio stare solo.”
Diego annuì, facendosi da parte. Capiva quando qualcuno aveva bisogno di stare da solo con se stesso, a lui era capitato tante volte. Quel giorno in ogni caso aveva scoperto una cosa molto importante, non solo Leon e Violetta erano stati insieme, ma si amavano ancora ed era solo l’orgoglio del messicano a tenerli lontani, un orgoglio che chissà quanto avrebbe retto. Leon era rimasto fin troppo colpito da quella conversazione e se non faceva qualcosa c’era davvero il rischio che potesse tornare con Violetta e allora si che avrebbe perso. Doveva trovare una soluzione e subito, era quello che voleva in fondo no?
 




 

Ciao a tutti!!
Ecco qui il famoso capitolo 13! Vi avevo avvertito che non sarebbero state rose e fiori, ma immagino che lo stesso vogliate ammazzarmi per le parole che Leon ha detto a Vilu, ma la sua è stata una sorta di difesa, ferisce per non essere ferito. La reazione che ha dopo ne è la conferma, non pensa davvero ciò che ha detto, la vuole solo allontanare perché ha paura di soffrire ancora e così Vilu se ne va via disperata, poverinaaa :(
Dopo 13 capitoli Angie ha capito di essere innamorata di Pablo! Era ora, non ci speravo più ormai!! XD
Per poco Marco non le prende da un furioso Luca! Rissa!! E menomale che gli altri ragazzi li dividono, sennò chissà cosa sarebbe successo! XD
Avrei voluto farvi una dedica, ma visto che per ora Leon e Vilu sono ancora distanti, me la conserverò per quando faranno pace, quello si che è un capitolo dove si può sclerare!! *-*
In ogni caso vi ringrazio per il vostro continuo sostegno e per continuare a seguire la mia folle storia! <3
A presto, baci
Trilly <3

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Capitolo 14
*** La disperazione di Violetta ***




“Non possiamo continuare così, non possiamo!”
German camminava nervosamente avanti e indietro intorno al divano del salotto, agitando le braccia. Era da poco tornato da lavoro e dopo essersi liberato della giacca che aveva gettato su una sedia, si era arrotolato le maniche della camicia fino al gomito e aveva ripreso quella che ormai era diventata la sua routine. Tutto questo era iniziato quando una settimana prima Violetta era tornata in lacrime e si era chiusa in camera sua, rifiutando ogni contatto con l’esterno. German su tutti, poi anche Esmeralda, Angie, Angelica, Olga, Roberto, Francesca e Camilla avevano tentato di parlarle, ma lei si era rifiutata di vederli preferendo chiudersi in se stessa. Una settimana dopo, Violetta era ancora chiusa in camera e a malapena mangiava una fetta di pane e German non sapeva più cosa fare. “Se solo sapessimo cos’ha.”
Esmeralda, seduta sul bordo del divano, sospirò tristemente. “Forse una delusione d’amore.”
“CHE COSA? Violetta è solo una bambina, lei non è pronta e…” La donna non sapeva dire se fosse più sconvolto o spaventato all’idea che la figlia potesse avere un ragazzo. “German, Vilu ha diciassette anni. A quell’età è normale prendersi una cotta o…”
Lui scosse la testa, agitando le mani quasi stesse scacciando un insetto. “Quel Thomas ora è in Spagna, quindi… Leon!” Esclamò all’improvviso. “Forse ha ripreso a girare intorno a mia figlia. Devo saperlo.” Fece per correre verso le scale, ma Esmeralda gli bloccò il polso.
“Aspetta, l’ultima cosa di cui Vilu ha bisogno è una scenata. Ha bisogno dei suoi spazi e vedrai che poi sarà lei stessa a cercare una persona con cui sfogarsi.”
German la guardò, sorpreso. “Anche Maria l’avrebbe pensata così,” sussurrò, sedendosi stancamente sul divano, lasciando la donna basita. Aveva sentito bene? L’aveva davvero paragonata alla sua amata moglie? Sorrise stupidamente, sedendosi accanto a lui. Era felice che l’avesse subito chiamata quando si era trovato in difficoltà con la figlia, voleva dire che si fidava di lei, che la considerava all’altezza di quella che era stata la donna della sua vita. Forse c’era davvero una speranza per loro due.
Il suono del campanello li riscosse. “Vado io,” disse Olga, uscendo dalla cucina e correndo verso la porta. Un attimo dopo tornò seguita da Angie e Angelica, entrambe molto preoccupate per la nipote. “Come sta? Chiese subito quest’ultima.
“È ancora chiusa in camera sua,” spiegò Esmeralda, quando si rese conto che German fosse caduto in un mutismo profondo.
“Provo a parlarle.” Angie non fece nemmeno in tempo a fare due passi che Castillo le si stagliò di fronte. “Lei ha già causato abbastanza problemi.”
“Come scusi?” Ribatté la bionda, incrociando le braccia al petto.
“Violetta non aveva alcun tipo di problema prima che lei entrasse nella sua vita e le mettesse in testa assurde idee,” disse lui serio, lasciandola basita.
“Io le avrei messo in testa assurde idee? E lei che la teneva rinchiusa come una suora?”
“Non le permetto di mettere bocca sul mio modo di fare il genitore.”
“Un modo alquanto discutibile visto che tratta sua figlia come una bambola di porcellana, imponendole solo divieti. Lei è un troglodita.”
“Almeno io non sono un irresponsabile folle perennemente indeciso su tutto.” Il riferimento ai suoi dubbi sentimentali era più che evidente e normalmente Angie se la sarebbe presa, ma in quel momento trovò la cosa quasi divertente.
“Si dia il caso che io non abbia più alcun dubbio carissimo cognato.” Sorrise ironica, mentre lui contrasse la mascella stizzito.
“In ogni caso sono convinto che lei c’entri qualcosa con il malessere di mia figlia.”
Angie fece per ribattere, ma Angelica l’anticipò. “Smettila di accusare mia figlia! Violetta è un adolescente, è normale che cerchi una sua indipendenza, così come sono normali i problemi di cuore.”
“PROBLEMI DI CUORE?” Sbottò German fuori di se. “È una settimana che è chiusa in camera e non mangia! Come dovrei reagire secondo voi?”
“Di certo non dando la colpa ad Angie!” Ribatté Angelica. “Ormai sembra che le attribuisci la colpa di qualsiasi cosa vada male nella tua vita!”
Angie applaudì alle parole della madre. “Finalmente qualcuno glielo ha detto, sia ringraziato il cielo.”
German fulminò con lo sguardo le due donne e sembrava pronto a scatenare una lite, quando…
“Calmatevi, litigare non risolverà i problemi di Violetta. Dobbiamo avere pazienza e soprattutto mantenere la calma. Se ci facciamo prendere dal panico peggioriamo solo la situazione.”
Le parole di Esmeralda e la sua tranquillità, lasciarono tutti a bocca aperta, stupefatti. Solo una persona era in grado di mantenere il controllo anche nelle situazioni più critiche, ma quella persona non c’era più ed Esmeralda gliela ricordava così tanto da mettere i brividi. Solo German, ormai abituatasi, non rimase tanto sorpreso, sorridendo però affascinato. Quella donna gli piaceva ogni giorno di più.

 
 



“Non ci siamo,” disse Ludmilla, con la solita voce irritante, stoppando la musica. “Devi ascoltarmi quando parlo, altrimenti non finiremo nemmeno per l’anno prossimo.”
Luca ruotò gli occhi e sbuffò, sedendosi su un pouf. “Se magari la smettessi di dare ordini sarebbe più facile.” Maledetta Angie e il giorno in cui lo aveva messo in coppia con quella tarantola.
“Non lo farei se non fossi un incapace che non sa nemmeno fare due passi di danza,” sbottò stizzita la bionda.
L’italiano scosse la testa, scattando in piedi. “Ascolta Ludmilla, Angie ha detto che è un lavoro di coppia, ma qui stai decidendo tutto tu.” Sotto il suo sguardo stupito, si sedette al piano, facendole cenno di affiancarlo. Quando lei lo fece con fare scocciato, iniziò a suonare alcuni tasti. “Io sono bravo nel canto e tu sei un’ottima ballerina, uniamo le nostre capacità e vediamo cosa ne esce fuori.”
Seppur scettica, Ludmilla iniziò a suonare con lui e pian piano riuscirono a mettere appunto la base della loro canzone sulla rabbia. Luca sorrise soddisfatto. “È fantastica.”
“Si, lo è,” ammise la ragazza, abbracciandolo di slancio. Ci misero solo pochi istanti per rendersi conto di quello che stavano facendo e si staccarono, imbarazzati. “Ehm… per oggi abbiamo lavorato abbastanza. Ci si vede barista.”
Normalmente quel “barista” sarebbe suonato come un insulto, ma il sorriso che gli rivolse Ludmilla era tutt’altro che crudele, era quasi amichevole e Luca non poté fare altro che ricambiarlo, anche se forzatamente. Tutta quella gentilezza non lo convinceva per niente, stava tramando qualcosa ne era sicuro e in un modo o nell’altro lo avrebbe scoperto.
 

 


-Cosa stai facendo? Dopo ci vediamo? F.-
Federico lesse più e più volte il messaggio, sicuro di aver capito male. Il mittente era davvero Francesca? Erano giorni che non lo cercava.
“Fede, mi stai ascoltando?” Chiese Lena, riportandolo sulla terra. Erano nell’aula di danza per lavorare all’esercizio che gli aveva assegnato Angie, lui però si era incantato da quasi dieci minuti a fissare il cellulare su cui era ancora presente il messaggio che gli aveva mandato Francesca.
“Ehm… no, scusami.” Spense il cellulare e lo ripose in tasca senza rispondere. Maxi e Luca avevano ragione, era ora di prendere le distanze da Francesca, solo così avrebbe potuto avere la possibilità di dimenticarla. Sorrise a Lena, affiancandola. “Allora? A quali passi stava pensando?”
La ragazza ricambiò il sorriso, mostrandogli la coreografia, che subito lui imitò. “Mi piace, magari possiamo sostituire questo passo con quest’altro e poi… e poi concludere così.”
Lena interpretò i passi suggeriti da lui, entusiasta. “Siamo una grande squadra tu ed io.” Lo abbracciò, venendo timidamente ricambiata. “Basterà provarla e riprovarla e sono sicuro che sarà perfetta. Che dici, la rifacciamo?” Sorrise Federico, scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Lei annuì, posando una mano sulla sua. “Sai, mi piace molto trascorrere del tempo con te.” Gli depositò poi un bacio sulla guancia, sorridendo dolcemente.
Quel gesto lo aveva imbarazzato, ma allo stesso tempo gli aveva trasmesso maggiore sicurezza e determinazione su quello che stava facendo. Lena era una brava ragazza e aveva una cotta per lui, cosa c’era di male nel darle una possibilità?
 



 
Marco stava parlando o forse cantando, Francesca non sapeva dirlo con certezza e questo perché era troppo occupata a fissare il cellulare, in attesa della risposta di Federico al suo messaggio. Perché non le rispondeva? Possibile che non avesse sentito il messaggio?
“Francesca.” Marco le sventolò una mano davanti agli occhi, guardandola serio. “Siamo qui per le prove, ma se non mi consideri proprio mi dici come facciamo?”
 Nella sua voce c’era del risentimento e forse anche del fastidio e lei non poté non sentirsi in colpa. “Scusa Marco, io…”
Lui sospirò, allontanandosi di qualche passo. “C’è un altro non è vero?”
Francesca lo guardò, confusa. “Non capisco.”
“Oh andiamo!” Ribatté lui incredulo. “Tu mi piaci, non dirmi che non l’avevi capito.”
La ragazza impallidì di colpo. “Marco, io… scusa ma io non provo quello che provi tu.”
Marco incassò il colpo, osservandola scappare via. In fondo al cuore lo sapeva già, ma sentirselo dire lo ferì in ogni caso.
Francesca nel frattempo stava percorrendo i corridoi deserti a passo svelto, alla ricerca di nemmeno lei sapeva cosa. Si fermò solo quando giunse davanti all’aula di danza. Dalla piccola fessura lasciata dalla porta socchiusa, poté vedere chiaramente Federico e Lena che provavano una coreografia. Sembravano felici e a proprio agio e si scambiavano sguardi di intesa. Ciò lasciò Francesca impietrita. Cosa c’era tra di loro? Il solo pensiero di loro due insieme le dava fastidio, Federico era suo. Scosse la testa, allontanandosi dall’aula. Loro non stavano insieme e lei non aveva alcun diritto su di lui, era libero di fare ciò che voleva. Perché allora non poteva fare a meno di starci male?
 




 
La voce timida e imbarazzata di Nata risuonava nell’aula silenziosa, mentre Maxi la fissava rapito. Gli piaceva ogni cosa di lei, i suoi occhi scuri, quel timido sorriso che gli rivolgeva e poi quel rossore che le colorava le guance ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. La sua voce poi era in grado di annebbiarlo come la più potente delle droghe e sarebbe rimasto delle ore a sentirla cantare. Notando il suo sguardo, Nata arrossì di botto e si zittì.
“Perché hai smesso?” Le chiese Maxi, scendendo dal banco e raggiungendola al centro dell’aula.
“Ehm… io… bè…” balbettò lei, facendolo sorridere. “Adoro sentirti cantare.”
Nata arrossì ancora di più, rifugiandosi tra le sue braccia. “E io adoro quando mi abbracci, mi fa sentire protetta.”
I loro sguardi si incrociarono e si fusero gli uni negli altri, mentre i loro cuori battevano a mille. Con lentezza quasi esasperante ridussero le distanze, finché le loro labbra non iniziarono a sfiorarsi. All’inizio fu un bacio leggero, carico d’imbarazzo, poi si fece a poco a poco sempre più passionale coinvolgendo anche le loro lingue. Lei gli circondò il collo con le braccia, mentre quelle di lui finirono intorno alla sua vita. Si erano già baciati prima di quel momento, ma mai in maniera così profonda e consapevole.
“Nata, io...” sussurrò Maxi, imbarazzato. Lei annuì. “Anch’io Maxi.” Erano ancora troppo timidi e impacciati per ammetterlo, ma entrambi lo sapevano e quella era la cosa più importante, il resto non contava.

 
 


Camilla sbuffò, esasperata. Era più di mezz’ora che lei, Andrea e Andres stavano lavorando all’esercizio assegnatagli da Angie, o almeno le intenzioni loro era quelle. Andrea infatti si ostinava a volere che si facesse tutto a modo suo e Andres che cadeva dalle nuvole o che semplicemente combinava disastri di certo non aiutava. Camilla era stanca, stanca di litigare per uno stupido esercizio. La sua mente andava inevitabilmente a Violetta, che da una settimana si era chiusa in camera e si rifiutava di avere a che fare con il mondo esterno. Aveva provato a chiamarla, a lasciarle messaggi, ma nulla… nessuna risposta. Quando era uscita dagli spogliatoi, aveva notato che fosse a un passo dalle lacrime e che probabilmente avesse litigato piuttosto pesantemente con Leon e nonostante avesse provato a seguirla, non aveva ottenuto alcuna risposta. Tentare di contattare Leon aveva sortito un altro buco nell’acqua. Il ragazzo infatti era risultato irrintracciabile, a casa non c’era mai e alla pista di motocross non sapevano che fine avesse fatto. Proprio non sapeva che altro fare per trovarlo, nemmeno Andres che era un suo amico storico sapeva nulla, come poteva fare allora? All’improvviso nella sua mente si accese una lampadina, come aveva fatto a non pensarci prima? Scattò in piedi, sgattaiolando fuori dall’aula. Andrea e Andres, troppo occupati a discutere, nemmeno se ne accorsero.
Fece di corsa tutti i corridoi dello Studio, ma nulla. Possibile che se lo trovasse sempre davanti ai piedi quando non le serviva e quando aveva bisogno di lui non riuscisse a trovarlo?
Nella corsa si scontrò con qualcosa di duro e sollevando lo sguardo incrociò finalmente quell’odioso sorrisetto. “So di essere affascinante, ma non puoi saltarmi addosso ogni volta che mi vedi.”
Normalmente Camilla avrebbe colto l’occasione al volo per litigare, ma in quel momento c’erano questioni ben più importanti. Con tutta la calma del mondo perciò, lo prese per il polso e lo trascinò in un angolo più appartato, mentre lui ghignava. “Cos’è vuoi baciarmi?” Sussurrò divertito.
La ragazza s’irrigidì, fulminandolo con lo sguardo. “Nemmeno morta. Una volta nella tua vita non potresti essere serio?”
Diego si finse pensieroso, appoggiandosi pigramente alla parete alle sue spalle. “Mmm… no,” disse alla fine con un sorrisetto, prendendo tra le dita una ciocca dei suoi capelli.
Lei seguì quel gesto quasi con stupore, poi scostò la sua mano. “Devo parlare con Leon, sai dove posso trovarlo? Mi era sembrato che vi conosceste abbastanza bene.”
Il moro si accigliò, facendosi di colpo serio. “Perché lo cerchi?”
“Non è affare tuo. Sai dov’è sì o no?” Sbottò la rossa, incrociando le braccia al petto.
Lui ghignò. “E perché dovrei aiutarti? Non mi pare che sei mai stata gentile con me.”
Camilla rise, incredula. “Certo perché tu sei un dolcissimo ragazzo gentile con tutti, scusami tanto se non me ne ero accorta.” Nella sua voce c’era una chiara traccia di ironia, che lo fece sogghignare ancora di più.
“Mi piace il tuo temperamento dolcezza,” sussurrò, sfiorandole una guancia con la punta delle dita, ma lei lo allontanò subito, stizzita. “Con te non si può parlare, sei un imbecille.” Fece per sorpassarlo, ma lui le prese il polso, riportandola esattamente dov’era.
“È per Violetta vero? Stai ancora tentando di fare da consulente matrimoniale a lei e a Leon?” Buttò lì, serio, lasciandola basita. “Ascolta il mio consiglio, lascia perdere. Come hai detto, io e Leon siamo amici e mi ha chiaramente detto che non è più innamorato di Violetta e che finalmente è felice dopo tanto tempo.”
Camilla si liberò dalla sua stretta, sollevando poi un sopracciglio. “E perché mai dovrei crederti? Dopotutto a te va bene che non chiariscano così puoi provarci con lei.”
Diego scrollò le spalle. “Forse, ma è anche vero che Violetta mi ha detto che non le interesso, a che servirebbe insistere? Mi umilierei e Diego Ramirez non si umilia per nessuno.”
“Quindi dovrei credere alla tua buona fede? Ma per favore, hai un piano ne sono sicura. Tu e Leon non siete così amici come vuoi far credere.”
Lo spagnolo sorrise divertito. “Allora perché nessuno sa dov’è mentre io sì? Mi ha detto che non vuole vedere Violetta e di dirle di smetterla di infastidirlo, la informi tu?”
Camilla digrignò i denti, rivolgendogli un’occhiata omicida. “Gli hai raccontato qualche frottola delle tue. Stai approfittando della sua vulnerabilità per manipolarlo, è tipico tuo.”
Diego sorrise. “Non ti nascondo che la cosa mi fa piacere, ma io non c’entro nulla con le decisioni di Leon, lui non è il tipo che si fa manipolare da qualcuno e tu dovresti saperlo meglio di me.”
“Sei un bastardo! Non è vero che hai rinunciato a Vilu, aspetti solo l’occasione buona per colpire.”
Il moro le si avvicinò di un passo, accostando poi le labbra al suo orecchio. “Hai centrato il soggetto dolcezza, sono il tipo che coglie l’attimo, sempre e comunque. Meno Violetta e Leon si parlano e più sono le mie possibilità di conquistarla,” sussurrò con un sorrisetto beffardo.
Probabilmente lo avrebbe preso a pugni se in quel momento non fosse sopraggiunta Angie, seguita da una piccola folla. La donna aveva trascorso tutta la mattinata a casa Castillo e ora i ragazzi erano ansiosi di sapere qualcosa sulle condizioni di Violetta.
“Come sta?” Chiese subito Francesca, venendo poi affiancata da un’ancora delusissima Camilla. Non sapeva dire se l’avesse ferita di più il fatto che Diego si fosse confermato una mela marcia o che provasse dei sentimenti tanto profondi per Violetta e il fatto che Broadway fosse a chilometri di distanza di certo non aiutava.
Angie scrollò le spalle. “È ancora chiusa in camera, ma almeno ha mangiato la colazione che Olga le aveva lasciato fuori alla porta.”
“Già è un passo no?” Chiese Camilla.
 Lei annuì. “Direi di sì, anche se la strada è ancora lunga.”
“Dobbiamo trovare il modo di farla uscire da quella stanza,” disse l’italiana, trovando il sostegno degli amici. “Non può continuare così,” convenne Maxi.
“E se andassimo sotto casa sua a cantarle una canzone?” Propose Federico. “Sarebbe un’idea fantastica!” Esclamò Camilla. “Cantare è la sua vita, non può tirarsi indietro,” aggiunse Luca.
“Cosa stiamo aspettando? Andiamo a scrivere una canzone per lei,” disse Nata e tutti la seguirono entusiasti.
Angie li guardò, sorridendo. Era così bello vedere i ragazzi uniti e sperava davvero che potessero aiutare Vilu.
A diversi metri da lei, nascosto dietro una parete c’era Pablo. Aveva ascoltato ogni cosa e avrebbe tanto voluto consolarla, ma il suo orgoglio ferito lo fermava. Angie non si era fatta scrupoli a schiacciarlo sotto le sue scarpe e andare da lei equivaleva a darle il permesso di ricominciare a farlo e non poteva permetterselo. Anche lui aveva una dignità no? Si, e doveva fare il possibile per mantenerla integra. Con quel pensiero si incamminò il più lontano possibile da lei, anche se il suo cuore gli urlava il contrario.
 


 

Leon calpestava la sabbia con i piedi nudi, le scarpe abbandonate a pochi metri di distanza.  Una leggera brezza gli scompigliava i capelli, ma lui continuava a passeggiare imperterrito. La sua mente non aveva mai lavorato tanto come quel giorno. La conversazione tra lui e Violetta alla pista di motocross si ripeteva nella sua testa come una pellicola e più tentava di scacciarla più essa lo tormentava. Ricordava quegli occhi nocciola che per tanto tempo aveva sognato e amato, così tristi e feriti dalle sue parole, ricordava le sue piccole mani che torturavano la sua gonna rosa, ricordava il modo in cui si mordeva il labbro inferiore per trattenere le lacrime. Aveva distrutto il cuore di Violetta quel giorno, un po’ come aveva fatto per tanto tempo lei con il suo.  Perché allora non si sentiva soddisfatto e libero come avrebbe dovuto? Perché aveva la sensazione che un grosso masso gli stesse distruggendo lo stomaco?
“Sei un imbecille Leon Vargas,” mormorò tra se e se, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola con vigore. Lui non stava bene perché la vendetta non serviva a niente e avrebbe dovuto immaginarlo, possibile che non avesse imparato nulla da Ludmilla? La Ferro passava le giornate a complottare e anche quando i suoi piani andavano a segno, dopo l’iniziale euforia tornava a sentirsi vuota e così era anche per lui. Aveva fantasticato tante volte di sputare a Violetta tutto il disprezzo che provava, convinto che poi si sarebbe sentito meglio, ma come Ludmilla si era sbagliato, Leon ora stava peggio di prima. Si voltò a guardare le onde che si infrangevano sugli scogli con sguardo assente. In fondo al suo cuore sapeva che il vero motivo per cui stava così male e sfuggiva al mondo esterno era un altro, si sentiva in colpa, in colpa per quelle parole che alla fine non pensava davvero. Violetta lo aveva ferito, ma non meritava tutte le cattiverie che le aveva detto. Era venuta a chiedergli scusa in fondo, avrebbe potuto accettare quelle scuse e poi arrivederci e grazie e invece aveva infierito, guidato solo dall’orgoglio e dalla paura che lei potesse ferirlo di nuovo. Mai nessuna ragazza gli aveva fatto provare ciò che invece gli scatenava la sua sola presenza. A volte si sentiva come sotto un incantesimo e se all’inizio la cosa gli piaceva, ora gli faceva paura. Non voleva che si ripetesse il triangolo dell’anno prima con Diego al posto di Thomas, non era stupido aveva notato come il moro la guardasse e anche se la cosa gli dava fastidio, non sarebbe stato così stupido da salire di nuovo sulle montagne russe di Violetta Castillo, dove un attimo prima eri in alto e quello dopo che più in basso non si poteva. L’amore a volte non bastava e Leon lo aveva imparato a sue spese, per questo aveva chiesto a Diego di non dire a nessuno dove fosse e di dire alla Castillo di lasciarlo in pace, doveva mettere quanta più distanza possibile tra loro due e farle credere che non l’amasse era la soluzione migliore. Solo lui in fondo al suo cuore avrebbe saputo che si trattasse di una bugia e che purtroppo Violetta continuava a possedere una parte di se, ma chissà magari un giorno avrebbe incontrato la ragazza che gliel’avrebbe fatta dimenticare, nel frattempo si godeva la sua vita sregolata e si costringeva a scacciare Violetta dalla sua mente. Poteva farcela.
Si arrampicò sugli scogli, fino a raggiungere quello più alto, dove si sedette. Lasciò che l’odore del mare gli invadesse le narici, poi recuperò il cellulare dalla testa dei jeans e lo accese. Come si aspettava c’erano un sacco di chiamate di Andres, Lara, Diego e… Camilla? Perché mai la Torres lo aveva chiamato? Doveva c’entrarci Violetta e il solo pensiero lo spinse ad ignorare quelle chiamate per concentrarsi su quelle di Diego, che chiamò immediatamente.
-Ehi Vargas, è da più di un’ora che tento di chiamarti- esordì il moro, prima che lui potesse dire qualsiasi cosa.
-Hai fatto ciò che ti ho chiesto? - Ribatté, ignorando il suo commento.
Diego rise. –Sono stato davvero bravo, dovresti ringraziarmi. Camilla vuole intercedere per te e Violetta, ma le ho detto che tu non la ami più e che ti deve stare alla larga-
Camilla? Ora gli era tutto chiaro. –Grazie,- borbottò alla fine. –Spero che abbia recepito il messaggio-
-Figurati, ora mi dici dove sei? Lara mi sta tartassando-
Ruotò gli occhi, esasperato. Quella ragazza era peggio di una piovra. –Non ho voglia di vedere nessuno, né tantomeno lei-
Detto ciò chiuse la conversazione e riprese a fissare il mare. Chissà se Camilla aveva già parlato con Violetta, il pensiero di ferirla ulteriormente lo distruggeva, ma era il solo modo che conosceva per proteggere se stesso. “Perdonami Violetta, perdonami cuore, ma non ho altra scelta,” soffiò, strofinandosi il volto con vigore, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo e gli scorreva lungo la guancia. Sarebbe mai riuscito a smettere di amare quella maledetta ragazza? 
 

 




Ehilà!! Aggiornamento a tempo di record, ce l’ho fatta!! Sarà stato questo perenne maltempo o il fatto che finalmente ho un pc decente, ma sono riuscita a copiare il capitolo sul pc in meno di un giorno! :)
In questo capitolo Vilu non c’è, ma in compenso abbiamo le reazioni degli altri, quella folle di German che accuserebbe anche i muri e ovviamente la preoccupazione degli amici. Tra l’altro Francesca mette in chiaro che non prova nulla per Marco e si mostra gelosa di Fede e Lena. Ludmilla continua il suo strano gioco. Maxi e Nata si baciano <3  Che tenero Pablo che si preoccupa per Angie ma ha paura di avvicinarsi! <3
Leon ammette finalmente a se stesso di essere innamorato di Vilu, ma non vuole soffrire e così manda Diego a dirle di stargli lontano e lo spagnolo coglie l’attimo, dicendolo a Camilla. Una strana alleanza quella tra Leon e Diego, ma quanto durerà? Tutto sarà chiaro nel prossimo capitolo, che si chiamerà proprio “Il gioco di Diego” e poi ci sarà anche il punto di vista della disperata Vilu!
Nel frattempo spero che questo capitolo vi sia piaciuto e prometto che tenterò di andare veloce anche con il prossimo capitolo! ;)
A presto baci,
trilly <3 

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Capitolo 15
*** Il gioco di Diego ***





Tic. Toc. Tic. Toc. Il grande orologio sulla parete della camera scandiva i minuti che scorrevano lenti e inesorabili, mentre Violetta raggomitolata nel suo letto in posizione fetale, piangeva silenziosamente. Ormai era notte fonda, anche se da quando aveva deciso di chiudersi in camera, che fosse notte o giorno non faceva alcuna differenza. Non credeva che i suoi occhi potessero contenere tante lacrime, così come non credeva che potesse provare tanto dolore e disgusto per se stessa. Meritava ogni singola parola che Leon le aveva rivolto, lo aveva ferito e umiliato più e più volte, eppure non poteva fare a meno di soffrire. Quelle parole le rimbombavano nelle orecchie, ricordandole che per colpa del suo egoismo lo aveva perso. Leon la odiava. Leon non l’amava più. Se prima travolta dai dubbi aveva sofferto, ora che ne aveva la certezza il dolore si era triplicato e non era più in grado di gestirlo. Era passata una settimana e lei stava peggio che mai. Un brontolio alla bocca dello stomaco le ricordò che quel giorno aveva fatto solo colazione, saltando gli altri due pasti. Provò ad ignorare quel bisogno, ma dopo un’ora i crampi della fame si erano triplicati. Doveva mangiare qualcosa e doveva farlo subito.
Si alzò in piedi, venendo colpita da un forte capogiro. Era debole, debole più che mai. Da troppi giorni non mangiava e non dormiva regolarmente. Poco alla volta, raggiunse la porta della sua camera e in punta di piedi attraversò il corridoio buio e poi le scale, fino a giungere in cucina. Aprì il frigorifero alla ricerca degli avanzi della cena e trovò dello spezzatino e della minestra, che seduta al buio divorò come una morta di fame, anche se freddi. Bevve poi del succo d’arancia e prese dal congelatore una vaschetta di gelato all’amarena. Si stava portando alle labbra il terzo cucchiaio di gelato, quando…
“Posso prenderne un po’ anch’io?” Ferma di fronte a lei con un dolce sorriso, c’era Esmeralda.
La sua mente fu attraversata subito dal pensiero di scappare via e la donna dovette capirlo, perché mormorò: “Voglio solo farti compagnia, giuro che non ti costringerò a dire nulla.”
Violetta ci pensò per alcuni istanti, poi alla fine decise di fidarsi e annuì.
 Esmeralda allora prese un cucchiaio e si sedette accanto a lei. Inizialmente mangiarono il gelato in silenzio, poi la donna prese coraggio e la guardò. La giovane era pallida, sciupata e aveva profonde occhiaie sotto gli occhi. Stava male, si vedeva lontano un miglio. “Vilu, voglio che tu sappia che se ti va di parlare io sono qui e…”
A quel punto la ragazza non resse più e si gettò tra le sue braccia, lasciandosi andare all’ennesimo pianto. “Oh Vilu.” La strinse a se, consolandola come avrebbe fatto se fosse stata sua figlia.
“Esme, io…” iniziò Violetta, sollevando lo sguardo ormai grondante di lacrime. Poi lentamente le raccontò ogni cosa, dei dubbi che aveva avuto tra Leon e Thomas, di come li avesse feriti e illusi, della sua scelta di rinunciare a entrambi, di come avesse capito troppo tardi di amare Leon e infine di quella conversazione tra di loro che l’aveva portata a chiudersi in camera. Esmeralda l’ascoltò in silenzio tutto il tempo, poi alla fine del racconto l’abbracciò teneramente.
“Lui non mi ama più… mi odia… so di meritarlo, ma io… io lo amo…” singhiozzò la giovane.
La donna annuì, asciugandole le lacrime. “Tu sei davvero sicura che questo ragazzo non ti ami più?”
Violetta la guardò, confusa. “Che vuoi dire? Me lo ha detto e poi…”
“E poi hai detto che ti odia,” continuò Esmeralda sorridendo e lasciandola per questo basita.
“Mi ha trattata malissimo e i suoi occhi gridavano quanto mi odiasse, non capisco che dubbi ci potrebbero mai essere.”
“Vedi Vilu,” iniziò la donna, stringendole le mani con le sue. “Gli uomini hanno una psicologia un po’ particolare. Non sempre ciò che dicono corrisponde a verità e poi se non prova nulla per te, perché la tua presenza gli dà così fastidio? Perché ha lasciato lo Studio? Non ti eviterebbe se non provasse nulla.”
Violetta si morse nervosamente il labbro. “Lo credi davvero? Credi davvero che ci potrebbe essere ancora una speranza per me e Leon?”
Esmeralda le sorrise dolcemente. “Io credo che non devi arrenderti, se lo ami davvero devi metterti in gioco e correre il rischio.”
“Si, ma…”
“Ma nulla, lui ha sofferto e con quelle parole che ti ha detto si è sfogato e in un certo senso, vendicato. Come ti ho detto però, sono convinta che non devi rinunciare a lui, né tantomeno alla tua passione. Devi fare un esercizio con un tuo amico, giusto?”
“Come fai a saperlo?” Chiese Violetta, sorpresa.
“Me lo ha detto tua zia Angie, sai sono tutti preoccupati per te.”
La ragazza annuì. “Ho fatto un casino e… mi dispiace.”
Esmeralda l’abbracciò. “Tranquilla piccolina, ti vogliamo bene e non potremmo mai prendercela con te.”
Violetta sorrise, mostrando un umore decisamente migliore. “Grazie Esme, avevo bisogno di parlare con qualcuno.”
“Potrai sempre contare su di me.”
Continuarono a parlare, inconsapevoli di essere spiate da un emozionato German. Esmeralda lo sorprendeva ogni giorno di più e vederla così legata alla sua bambina, la rendeva ancora più stupenda ai suoi occhi. Solo la sua amata Maria era stata in grado di garantire armonia in casa e da quando non c’era più, tutto era crollato, ora Esmeralda l’aveva riportata e German si sentiva tranquillo e rilassato esattamente come quando la moglie era viva. Che fosse un segno del destino?
 
 




Vestita di tutto punto, Violetta camminava nervosamente per il salotto. Da quando aveva parlato con Esmeralda, aveva finalmente ripreso a frequentare il resto della casa e dopo un’intera mattinata passata a rassicurare il padre, Angie e Angelica, era rimasta da sola con Esmeralda, che complice l’aveva spinta a chiamare Diego per lavorare all’esercizio assegnato da Angie. “Hai bisogno di riprendere in mano la tua vita e quale modo migliore che iniziare con la tua grande passione? È meglio che tuo padre non sappia che un ragazzo verrà qui, io sarò al piano di sopra e per qualsiasi cosa, chiamami.”
Così ora Violetta era lì, in attesa di Diego. L’idea che mettesse piede in casa sua non le piaceva molto, lui era così presuntuoso e poi non faceva altro che provarci e ciò la metteva a disagio. Più volte gli aveva fatto capire che il suo cuore era impegnato, ma questo non lo aveva scoraggiato minimamente. Sperava solo che non interpretasse quell’invito a modo suo. Lo aveva fatto solo per l’esercizio, nel suo cuore c’era solo Leon.
Proprio in quel momento bussarono alla porta e quando andò ad aprire, si trovò di fronte il ragazzo con il solito sorriso stampato in faccia. “Buon pomeriggio Principessa,” mormorò, dandole un bacio sulla guancia. “Come stai?” Proseguì, scrutandola preoccupato.
“Bene,” balbettò, imbarazzata da quello sguardo insistente.
“Hai una bella casa,” continuò Diego, entrando senza aspettare di essere invitato.
Violetta sospirò, chiudendo la porta e seguendolo. “Ehm… grazie. Hai pensato a qualcosa per l’esercizio?”
Il ragazzo però non la stava ascoltando, si stava infatti guardando intorno con curiosità, poi come se nulla fosse si sedette comodamente sul divano, guardandola attentamente. “Ho saputo che hai trascorso tutta la settimana in camera, suppongo sia a causa di Leon.”
Lei impallidì, sconvolta dalla sua sfacciataggine. “Vogliamo iniziare?” Si sedette al piano, decisa ad iniziare e finire il più velocemente possibile.
Diego la seguì con lo sguardo, divertito. Lentamente poi la raggiunse e si sedette accanto a lei. Iniziarono a suonare e più volte le loro dita finirono con lo sfiorarsi, mettendola in imbarazzo. Consapevole di ciò, il ragazzo ghignò e sbagliò di proposito, facendo sfiorare le loro dita ancora di più. Violetta, che però non era stupida, lo capì e si fermò di botto. “Smettila!”
Lui sorrise, accostando poi le labbra al suo orecchio. “Di fare cosa?” Tutta quella vicinanza e quel tono sfacciato la fecero rabbrividire. “Sei ancora più sexy quando mi tieni testa,” sussurrò ancora, facendo scorrere un dito lungo il suo braccio.
Violetta sgranò gli occhi e scattò in piedi, come se avesse preso la scossa. “Smettila di provarci! Non hai nemmeno un po’ di rispetto per Leon?”
Diego sollevò un sopracciglio, poi lentamente annuì. “Camilla non te lo ha detto vero?”
“Cosa avrebbe dovuto dirmi?” Chiese confusa. “Non ho ancora richiamato né lei né Francesca e… cos’è successo?” Aggiunse, con una certa ansia nella voce.
“Principessa.” Il ragazzo si alzò e la raggiunse, ostentando un’espressione triste. “Non avrei voluto essere io a dirtelo, l’ultima cosa che vorrei è farti soffrire.”
A quelle parole Violetta impallidì, non era più sicura di volerlo sapere. Da che lo conosceva, non aveva mai visto Diego così dispiaciuto e allo stesso tempo combattuto. “Ti prego Diego, dimmelo.”
Lui la fissò per alcuni istanti, ancora indeciso sul da farsi, poi annuì. “Si tratta di Leon, lui mi ha chiesto di dirti una cosa, ma dato che non venivi allo Studio, l’ho detto a Camilla e pensavo te lo avesse detto.”
“Leon?” Chiese lei, aggrappandosi al braccio del ragazzo, improvvisamente agitata. “Cosa ti ha detto?” Sapeva già dalla faccia di Diego che non fosse una buona notizia, ma qualsiasi cosa riguardasse Leon la doveva sapere, assolutamente. “Dimmelo.”
“Lui mi ha detto di dirti di non cercarlo più e che non prova più nulla per te.”
Lo spagnolo lo disse in sussurro, ma per Violetta fu come se glielo avesse urlato più e più volte in un orecchio. Un dolore lancinante la colpì alla bocca dello stomaco e le sembrò quasi di sentire il rumore del suo cuore che si frantumava in tanti piccoli pezzi. Gli occhi nel frattempo le bruciavano e minacciavano la fuoriuscita delle lacrime. Si prese il volto tra le mani e si girò, non voleva che Diego la vedesse piangere. Lui però la fece voltare e cogliendola di sorpresa, l’abbracciò. Lei rimase inizialmente rigida, ma poi scoppiò a piangere, stringendolo forte in vita.
“Scusami, non avrei voluto farti piangere,” sussurrò il ragazzo, accarezzandole dolcemente il capo. “Non ce la faccio a vederti così e…”
Violetta scosse il capo, sciogliendo l’abbraccio e incrociando il suo sguardo. “Non devi scusarti, non è colpa tua.”
Diego annuì, asciugandole le lacrime con i pollici. “Lo so, ma sei già stata male in questi giorni e forse non avrei dovuto dirtelo.”
“Hai fatto bene invece, dovevo saperlo,” mormorò lei, iniziando poi a camminare nervosamente per il salotto, mentre la sua mente tentava di dare un senso a tutto il dolore che Leon le stava provocando. Perché aveva mandato Diego a dirle quelle cose orribili, che tra l’altro le aveva già detto lui alla pista di motocross? Perché faceva di tutto per farla stare male?
“Io non ti farei soffrire,” sussurrò il moro all’improvviso, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Violetta sollevò lo sguardo di scatto, specchiandosi negli occhi neri e dolci di Diego. Era strano attribuire la dolcezza a lui, eppure era così, tra l’altro sembrava anche sincero. Lui non l’avrebbe ferita, lui ci teneva davvero a lei. Sarebbe stato così semplice amarlo. Gli si avvicinò di qualche passo, continuando a tenere lo sguardo intrecciato con il suo. “Diego.”
Lui annuì, sorridendole teneramente. “Sai quanto mi piaci e farei qualsiasi cosa per vederti sorridere.” Le sfiorò una guancia con l’indice, facendola rabbrividire. E se avesse provato ad amarlo? Magari con Diego sarebbe stata bene. Gli sorrise e accorciò ancora le distanze tra di loro, poi senza pensarci troppo, si sollevò sulle punte e lo baciò. Dopo un attimo di stupore, lui ricambiò con trasporto, rendendo il bacio più appassionato. Violetta gli intrecciò le dita dietro al collo, mentre il ragazzo lasciava scorrere le mani lungo la sua schiena.
La Castillo continuava a baciare Diego, aspettandosi di avvertire da un momento all’altro le famose farfalle nello stomaco, i brividi, l’euforia, eppure ciò non accadeva, non sentiva praticamente nulla. Quando poi percepì la mano di lui posarsi sul suo fondoschiena, aprì di scatto gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto chiusi. “Mio Dio!” Esclamò, spingendolo lontano e portandosi una mano sulla bocca. Aveva baciato Diego! Come le era saltato in mente? Pensava davvero che così facendo avrebbe potuto dimenticare Leon? Che stupida illusa, eppure lo sapeva che non si poteva decidere chi amare e né tantomeno poteva costringersi a provare sentimenti che non esistevano.
Diego nel frattempo la fissava soddisfatto, leccandosi le labbra. “Wow! Non credevo fossi così intraprendente Principessa.” Fece per avvicinarsi di nuovo, ma lei ancora profondamente provata, indietreggiò.
“Io non so cosa mi è preso… è stato un errore, scusami,” mormorò, imbarazzata.
“Un errore?” Chiese il ragazzo, accigliato. “Io invece credo che lo volessimo entrambi e anche da parecchio.” Le si avvicinò, fino a farla indietreggiare spalle al muro, il suo sguardo ardente la percorse da capo a piedi. “Non hai idea di quanto lo desiderassi,” sussurrò maliziosamente, a un soffio dalle sue labbra.
Violetta però lo spinse di nuovo lontano. “Scusa Diego, ma io… io sono innamorata di Leon e quel bacio… per alcuni folli istanti ho pensato che potessi aiutarmi a dimenticarlo, ma non sarebbe giusto… scusami…” imbarazzata, corse al piano di sopra, lasciandolo lì solo e deluso. Mai in tutta la sua vita Diego Ramirez era stato rifiutato dopo un bacio e onestamente non sapeva proprio come comportarsi. Alla fine non poté fare altro che andarsene.
 





 
Diego spinse la porta ed entrò, venendo subito travolto da urla e pianti. A fatica scansò due bambini che si rincorrevano, poi iniziò a guardarsi intorno. Niente, solo famigliole con mocciosi petulanti. Diede un’occhiata all’orologio, l’orario era quello, perciò… improvvisamente notò una figura da spalle, seduta a un tavolo isolato. Si avvicinò e gli si sedette di fronte. L’incappucciato si calò il cappuccio della felpa, rivelando il volto di Leon. Sembrava stanco e come al solito era di pessimo umore. Stava sorseggiando una coca-cola e al contempo spinse verso di lui l’altra che aveva ordinato.
Diego si accigliò. “Mi spieghi perché hai voluto che ci incontrassimo in questo posto per mocciosi? E poi che ci dovrei fare con questa roba?” Aggiunse, accennando al bicchiere di coca-cola che il messicano gli aveva messo sotto il naso.
Leon bevve un sorso della bibita, poi sorrise. “Io invece credo che sia proprio il posto adatto a te. Sei peggio di un moccioso, non ti va bene nulla.”
Il moro gli face il verso, poi bevve anche lui. “Come mai hai voluto vedermi? Si tratta di Violetta?”
Il giovane Vargas s’irrigidì, ma si sforzò di non darlo a vedere. “Da quanto ho capito, ti piace,” buttò lì, studiando attentamente la reazione di Diego.
Quest’ultimo annuì. “Si, non lo nascondo. Pensa che oggi ci siamo persino baciati,” ammise, ghignando.
Leon strabuzzò gli occhi e sputò tutta la coca-cola che stava bevendo, schizzando la preziosa giacca di pelle di Diego, che fece per dire qualcosa, ma si zittì notando la mano del messicano stritolare il bicchiere di cartone, cosicché la bibita schizzò dovunque, fino a bagnare anche il pavimento e qualcuno dei tavoli vicini e beccandosi per questo una lunga serie di occhiatacce da clienti e commessi del McDonald’s.
“Cazzo ridi?” Sbottò Leon, mollando finalmente il povero bicchiere e rivolgendo al ragazzo, che aveva iniziato a sghignazzare, uno sguardo di fuoco.
L’altro scrollò le spalle, continuando a sorridere. “Stai reagendo esattamente come mi aspettavo.”
Vargas rise incredulo, sedendosi più comodamente sulla sedia. “Sei fortunato che siamo in un McDonald’s, altrimenti non ci avrei pensato due volte a spaccarti il naso.”
A quelle parole il moro scoppiò a ridere. “Non avevo dubbi Vargas.”
“Toglimi una curiosità Ramirez,” riprese il ragazzo dagli occhi verdi, scrutandolo con un cipiglio serio. “A che gioco stai giocando? Ovviamente sai che io e Violetta siamo stati insieme, eppure vieni a dirmi che ti piace e che vi siete baciati e poi sembra che vuoi fare l’amico. Qual è il tuo gioco?”
L’altro scrollò le spalle. “Io non sto giocando, sto solo dando una dimostrazione.”
“Prego?”
Diego sospirò, passandosi una mano nei capelli. “Violetta mi piace e non lo nego, a differenza tua.” Qui Leon contrasse la mascella ma non disse nulla, allora lui proseguì. “Normalmente sono uno determinato, che non si arrende finché non ottiene ciò che vuole, ma ora non so se vale la pena continuare visto che Violetta mi ha detto di amare te, nonostante il messaggio che mi hai chiesto di riferirle.”
Il messicano rise, per niente sorpreso. “Te lo ha detto prima o dopo che vi siete baciati?”
“Eh?”
“Credimi Diego, nessuno conosce Violetta meglio di me. A lei piace stare al centro dell’attenzione e un solo ragazzo che le viene dietro è poco, due è il numero perfetto. Se ti ha baciato vuol dire che ti ha attribuito il posto di Thomas Heredia. Fossi in te, mi farei indietro prima che sia troppo tardi,” concluse serio, lasciandolo confuso.
“Di che parli? Chi è questo Thomas Heredia?”
Leon sorrise amaramente. “Potrei scrivere un libro su quello che ho dovuto passare a causa di Violetta e Thomas.” Di punto in bianco iniziò poi a raccontargli gli episodi più significativi, fino a quando lei aveva deciso di lasciare entrambi. “Ormai non credo più a nulla che esce dalla sua bocca ed è per questo che cerco di tenermici il più lontano possibile.”
“Wow,” commentò Diego, sorpreso. “Ora capisco perché eri così arrabbiato quando è venuta alla pista, anch’io al tuo posto avrei reagito così, anche se mi sarei tolto lo sfizio di suonarle a quel Thomas,” aggiunse divertito, facendo ridere anche Leon.
“L’ho fatto finire a terra con uno spintone però. In ogni caso la vera colpevole era lei, che illudeva entrambi senza mai fare una scelta.”
Il moro annuì. “Hai capito la principessina! Ed io che pensavo fosse un’ingenua.”
“E ora che farai? Con Violetta intendo,” chiese Leon, curioso, ma anche infastidito dalla possibilità che Diego potesse decidere di insistere con la Castillo
“Dopo il bacio, mi ha detto che è stato un errore e che è innamorata di te ed io non sono il tipo che si fa umiliare da qualcuno, né tantomeno da una ragazzina,” ribatté Diego, incurante. “Tu però non le credi, non è così? Tu non credi che ti ama.”
Il messicano incrociò il suo sguardo, poi annuì. “Onestamente ho smesso di fidarmi della gente. Violetta vuole giocare come suo solito, ma io mi chiamo fuori. Tu fai come ti pare.”
Diego rise. “Amico, io la mia scelta l’ho fatta quando mi sono seduto a questo tavolo.”
“Che vuoi dire?” Chiese confuso.
Nel frattempo il McDonald’s si era riempito ancora di più e molte persone iniziarono a girare tra i tavoli, alla ricerca di un posto libero. Tra essi una ragazzina dai lunghi capelli biondi e un vestito a fiori, che passò più volte accanto al tavolo dei due ragazzi, fissandoli con insistenza. Leon non se ne era nemmeno accorto, troppo occupato a pulire con i fazzoletti il disastro che aveva combinato sul tavolo, Diego invece sì e iniziava ad innervosirsi. Già non era facile ciò che stava per dire, ci mancava solo quella mocciosa che sembrava volesse cacciarli con il solo sguardo.
“Te l’ho detto,” iniziò, guardando il ragazzo di fronte a lui. “Sono un tipo determinato, sleale ed egoista. Avrei potuto approfittare della vulnerabilità di Violetta, del fatto che l’unico rivale che potrei avere la odi, ma poi mi sono chiesto se ne valeva la pena.” Sotto lo sguardo stupito di Leon, continuò. “Tra la possibilità di avere una ragazza e quella di avere un amico, ho scelto quest’ultima… non ho mai conosciuto qualcuno che mi assomigliasse così tanto e…” Diego appariva a disagio, come mai in vita sua e ciò fece sorridere il messicano.
“Dovresti vedere la tua faccia… in ogni caso, anche per me è lo stesso. Sin dalla prima volta che ci siamo parlati, ho avuto l’impressione che mi capissi con il solo sguardo.”
Il moro sorrise a sua volta. “Lo stesso vale per me, sento che siamo simili in qualche modo, lo stesso vuoto, lo stesso orgoglio.”
Continuarono a parlare allegramente, finché la ragazzina con il vestito a fiori non ripassò per l’ennesima volta e Diego ruotò gli occhi. “Ora ti sistemo io, mocciosa.” Prima che Leon potesse dire o fare qualsiasi cosa, il moro incrociò le braccia al petto, girandosi completamente verso destra. Appena la ragazzina ripassò, se lo ritrovò girato verso di lei con uno sguardo insistente. “Che c’è mocciosa? Vuoi un autografo?” Le chiese, divertito. Lei si fece tutta rossa e scappò via, sotto lo sguardo sconvolto di Leon e le risate dello spagnolo. “Hai visto che faccia? Ahahahaha mi aveva proprio scocciato.”
L’altro scosse la testa, incredulo. “E hai pure il coraggio di dire che siamo simili? Io non avrei mai fatto una cosa del genere, al massimo me l’aspetterei da Gregorio che ce l’ha con il mondo intero.”
“Fammi capire, mi stai paragonando a quel sociopatico? Porta rispetto.”
Leon scoppiò a ridere, seguito a ruota dall’altro. “Contaci.”
“Leon,” riprese Diego, facendosi di colpo serio. “Sei davvero sicuro di aver chiuso con lo Studio? Quello è il tuo mondo e non è giusto che ci rinunci per colpa di Violetta. Vuoi darle questa soddisfazione?”
Vargas lo fissò, sorpreso. “Diego,” iniziò, ma lui lo interruppe, scuotendo il capo. “Pensaci, sei un’artista. Tornare non significa tornare con lei, semplicemente che vuoi riprendere a lottare per il tuo sogno. Non gettare tutto al vento, non permettere a Violetta di avere tutto questo potere su di te.”
Leon lo ascoltò in silenzio, poi lentamente annuì. Quelle parole lo avevano colpito più di quanto avrebbe mai ammesso. Quello che pensava un rivale, si stava rivelando un amico, che aveva sì baciato Violetta, ma glielo aveva detto sinceramente e poi se stesse tramando qualcosa non gli avrebbe mai consigliato di tornare allo Studio, lui al suo posto avrebbe fatto di tutto per tenerlo lontano da qualunque luogo avesse avuto a che fare con la Castillo, ciò quindi rendeva Diego sincero? Fino a quel momento in fondo lo era stato, perché allora non dargli il beneficio del dubbio? “Va bene, ci penserò, ma non garantisco nulla.” In fondo il moro aveva ragione, lo Studio gli mancava e anche tanto.
Diego sorrise. “È già qualcosa.”

 




 
Ce l’ho fatta, sono stata di nuovo veloce!! :)
Anche se Leon e Vilu non si incontrano e sono ancora distanti anni luce, questo capitolo mi piace un sacco! Finalmente sappiamo come Vilu ha passato questa settimana di sofferenza, poverinaaaa!!!! :( Ed ecco comparire Esmeralda, che come la migliore delle madri, l’ascolta e la consola, suggerendole di non rinunciare a Leon! Grande Esme!!! :D peccato che poi la convince anche ad invitare Diego per lavorare all’esercizio di Angie, convinta che la musica possa darle un’ulteriore spinta per riprendersi. Dieguccio arriva e che fa? Ci prova naturalmente, giocandosi fino all’ultima carta e rimedia pure un bacio! 0.0 furbo e calcolatore, peccato che non ha messo in conto l’intensità dei sentimenti di Vilu per Leon e quindi nulla di ciò che dice o fa, riesce a scalfire quel grande amore! Sciò Diego! XD
Diego allora incontra Leon e gli racconta del bacio e lui s’ingelosisce eccome! Leon geloso è tornato!! :3 purtroppo però l’orgoglio continua a prevalere, tanto che racconta a Diego le caratteristiche peggiori della ragazza e sembra quasi che si alleino. Leon inizia a fidarsi e forse Diego se lo merita, è stato sincero e in più sta spingendo seriamente per farlo tornare allo Studio, non lo farebbe se puntasse ancora a Vilu no? Voi che ne pensate?
Prima di salutarvi, approfitto di questo spazio per ringraziarvi ancora per il sostegno che continuate a dimostrarmi! Grazie!!! :3
Besos,
Trilly <3

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Capitolo 16
*** Filo invisibile ***





Violetta lasciava scorrere le dita sui tasti del pianoforte, riempiendo il salotto con una dolce melodia. Quella notte, tanto per cambiare, aveva sognato Leon e tutto ciò che avevano vissuto insieme e di punto in bianco, nella sua mente si era fatta strada quella melodia e di conseguenza erano arrivate le parole. Era tutto così facile quando pensava a lui, nulla a che vedere con i dubbi che aveva avuto in passato, ora nel suo cuore non c’era nessun Thomas e nessun Diego… c’era solo Leon.
Socchiuse gli occhi, poi alla base accompagnò la sua voce.



Tanto tiempo caminando 
junto a tì 
Aun recuerdo el dìa 
en que te conoci 
El amor en mi nacio 
Tu sonrisa me enseno 
Tras las nubes siempre 
va a estar el sol 



Sorrise, riaprendo gli occhi. Di fronte a lei, con un sorriso radioso, c’era Angie. “Oh Vilu, mi ricordi tanto tua madre. Hai la sua stessa luce negli occhi quando canti.”
“Grazie Angie, che te ne pare della canzone? So che è solo una strofa, pensa che l’ho sognata e…”
“È stupenda!” Esclamò la bionda, stringendola in un forte abbraccio. “Hai lo stesso talento di tua madre, sarebbe fiera di te.”
Violetta sorrise, emozionata. Sua madre era un modello per lei e sentirsi dire che le assomigliava almeno un po’, la rendeva estremamente felice.
“Quelle parole,” riprese Angie, sciogliendo l’abbraccio. “Sono per Leon, vero?”
La giovane sospirò, annotando alcune note su uno spartito. “Mi crederesti, se ti dicessi di no?”
Capendo che si stesse intristendo solo a parlarne, la bionda si affrettò a cambiare argomento. “Esmeralda mi ha detto che hai iniziato a lavorare all’esercizio con Diego. Come vanno le cose tra di voi?”
Violetta si alzò, riponendo lo spartito nella borsa. Al nome di Diego, un’ombra aveva attraversato il suo sguardo. “Quel ragazzo mi mette a disagio, è sfacciato come nessuno.”
Angie annuì, sorridendo. “Su questo non c’è dubbio. È spagnolo come Thomas, ma non potrebbero essere più diversi.”
La ragazza non disse nulla, poi però guardò la zia con un po’ di disagio. “Credo di piacergli… a Diego, intendo.”
“E a te lui piace?” Chiese lei, guardandola attentamente.
Senza pensarci troppo, Violetta scosse il capo. “È affascinante e ha un modo di fare che… bè mi piace, ma io… Angie, io ci ho provato a farmelo piacere, ma più ci provavo e più pensavo a Leon. Io amo lui e non posso fare nulla per cambiare ciò.”
“Già,” convenne la zia. “Non si può decidere chi amare, soprattutto se il nostro cuore una scelta l’ha già fatta.”
Violetta sorrise, abbracciandola. “E tu, quando lo dirai a Pablo che lo ami?”
A quelle parole, Angie si fece rossa come un pomodoro e iniziò a balbettare. “Tu… come…?”
“È così evidente, solo voi siete così tonti da non vederlo.” Sotto lo sguardo sconvolto della donna, aggiunse: “Allora? Andiamo al parco?”
“Io… ehm… si,” farfugliò, cercando di riprendersi. Era davvero così evidente che fosse innamorata di Pablo? Scosse la testa, doveva smetterla di farsi inutili paranoie… prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo, ora però doveva sbrigarsi e portare Violetta allo Studio. Sperava solo che una volta capito che il parco fosse una bugia, avrebbe comunque accettato di seguirla. Avevano preparato una sorpresa per lei, una sorta di bentornato, che era sicura le sarebbe piaciuto. Prese un profondo respiro e la guidò in strada. Sarebbe andato tutto bene, l’importante era crederci.
 
 




“Ragazzi, rifacciamola un’ultima volta e poi non ci resterà che aspettare.”
Tutti i ragazzi, insegnanti compresi, erano radunati in sala teatro a provare la canzone e la coreografia che avevano preparato per il ritorno di Violetta. Pablo era davvero orgoglioso dei suoi studenti, avevano fatto un lavoro straordinario e man mano che provavano, il risultato era sempre migliore. Beto era euforico e saltellava di qua e di là, travolgendo sedie e persone. Jackie faceva ogni tanto qualche correzione, ma tutto sommato sembrava soddisfatta. L’unico neo era Gregorio, che contestava ogni cosa. “La coreografia è banale” “Non andate a tempo” “Non capisco perché fare tutto questo per convincere una studentessa a tornare, è patetico” Queste e molte altre frasi, erano ripetute da Casal in continuazione, ma ormai nessuno lo ascoltava e ciò lo mandava ancora di più in bestia.
I ragazzi erano arrivati a metà coreografia, quando nella sala sopraggiunse una sorridente Ludmilla. “Super surprise! Non vorrete fare la sorpresa a Vilu senza di me, spero.” Tutta ancheggiante, salì sul palco, sotto gli sguardi sorpresi dei presenti.
“Nessuno ti ha invitata, mi pare,” sbottò Francesca.
“Non ti permetteremo di sabotare la sorpresa,” aggiunse Camilla.
Seguirono poi una serie di proteste più o meno offensive contro la bionda, messe a tacere da Pablo. “Smettetela! Ludmilla,” proseguì, rivolgendosi a lei. “Vuoi davvero partecipare alla sorpresa, oppure stai architettando qualche scherzo di cattivo gusto?”
La ragazza si portò una mano al petto, assumendo un’espressione oltraggiata. “Ma certo che voglio partecipare, come potete pensare una cosa del genere?”
“Non sarebbe la prima volta,” intervenne Beto, beccandosi un’occhiataccia da Pablo, che si sforzava sempre di evitare ogni tipo di contrasto o rivalità. “Mi voglio fidare, ma non deludermi.”
Ludmilla si unì al gruppo tutta felice, mentre i ragazzi guardavano ancora il direttore, sconvolti. “Pablo, non…” “Ti prego…”
Lui però scosse il capo. “Ragazzi, ora non c’è tempo, Violetta sarà qui a momenti. Non vi costa nulla darle una possibilità, no?”
Seppur poco convinti, i ragazzi ripresero a provare insieme a Ludmilla, che invece era felice come una pasqua. Che stesse tramando qualcosa?
In ogni caso non ci fu il tempo di pensarci, infatti di lì a pochi minuti, Angie comparve nella sala teatro, seguita da una nervosa Violetta. Probabilmente avevano avuto una discussione a causa dell’ennesima bugia della bionda, anche se quella volta era stato per un motivo meno grave dei precedenti.
Al segnale di Pablo, i ragazzi diedero subito inizio alla coreografia sulle note di Ser Mejor, che insieme agli insegnanti avevano rivisto e modificato, rendendo il tutto ancora più bello di quanto già non fosse.
Violetta rimase incantata ad osservarli, mentre un sorriso sorgeva spontaneo sul suo volto. Quanto le era mancata la musica e soprattutto i suoi amici. Guardò Angie, quasi cercasse un’approvazione, poi corse sul palco e si unì ai ragazzi. Ora tutto era quasi perfetto e prendendo coraggio, la Saramego si avvicinò a Pablo. Era il momento giusto per parlargli e dirgli finalmente la verità. Lo aveva quasi raggiunto, quando il cellulare dell’uomo iniziò a squillare.
“Voi continuate,” disse agli insegnanti. “Torno subito.” Dopodiché lasciò la sala con il cellulare all’orecchio, sotto lo sguardo deluso di Angie. Era possibile essere più sfortunata? Decisamente aveva un tempismo per niente perfetto, che unito alla sua costante codardia, la rendeva un caso disperato. Doveva fare qualcosa e doveva farlo al più presto.
 




 
Leon fermò la motocicletta nel cortile dello Studio e si tolse il casco. Il suo sguardo saettò su quel luogo così familiare e il cuore iniziò a battergli a un ritmo forsennato. Quanto gli era mancato lo Studio, sembrava ieri quando si era presentato per la prima volta alle audizioni. Allora era solo un ragazzino ambizioso che sognava di diventare il nuovo Michael Jackson, la musica era la sua passione, la sua vita. Cos’era cambiato da allora? Semplice, nella sua vita era entrata prima Violetta e poi il motocross. Era al massimo della felicità, ma di punto in bianco aveva perso la ragazza che amava e altri problemi si erano aggiunti… gli era rimasto solo il motocross, la rabbia e un orgoglio di dimensioni catastrofiche. Ciò aveva fatto in modo che uno strato sempre più spesso di roccia avvolgesse il suo cuore, tanto da renderlo un mostro. Si, era diventato un mostro. Non gli importava di nulla che non fosse se stesso e sfogava sugli altri le sue frustrazioni, Lara era solo una delle tante vittime. Sapeva che con il suo atteggiamento stava ferendo chi lo circondava, ma era più forte di lui… aveva sofferto troppo quando aveva abbassato le difese e non voleva che ciò accadesse di nuovo. Rivedere Violetta alla pista, lo aveva destabilizzato e chissà come, era riuscito a mantenere il controllo. Le aveva detto delle cose orribili, di cui continuava tutt’ora a sentirsi in colpa, nonostante fosse consapevole che lo avesse fatto per proteggere se stesso. A confonderlo ancora di più, era stato il legame che si stava formando tra lui e Diego. Nella sua vita non aveva mai avuto un vero e proprio amico, l’unico era Andres che anche se leale e onesto, viveva in un mondo tutto suo e non era mai riuscito a capirlo come ci riusciva Diego. Quel ragazzo lo aveva sorpreso, dimostrandogli una lealtà e una sincerità a cui non era abituato. Si conoscevano da poco, ma già sentiva di poterlo considerare un amico. Lui era stato l’unico a capire che la ferita inflittagli da Violetta, ancora non si fosse rimarginata e quanto in realtà gli mancasse lo Studio. Andres gli aveva messo la pulce nell’orecchio, ma poi con varie e insistenti frecciatine, Diego gli aveva dato il colpo di grazia, capendo in pieno il motivo del suo addio alla musica.
Non permettere a Violetta di avere tutto questo potere su di te. Proprio quelle parole, lo avevano spinto a ragionare e a decidere di tornare allo Studio, sperava solo di non pentirsene. Lui era più forte ora, no?
“Sapevo che saresti venuto.” Appoggiato pigramente a un albero, c’era Diego che lo fissava con un sopracciglio inarcato.
Leon sorrise, rimembrando che tempo addietro era stato lui a rivolgergli quella stessa frase. “Spero di non pentirmene.”
Il moro gli si avvicinò, circondandogli le spalle con un braccio e guidandolo verso l’ingresso dello Studio. “Dai bambino, se mi fai un bel sorriso, dopo ti do un regalino,” mormorò divertito, beccandosi una gomitata dal messicano. “Smettila di fare l’idiota.”
Diego abbassò lo sguardo, fingendosi offeso. “Con te è impossibile, sei sempre così antipatico e poi dicevo sul serio,” aggiunse, accarezzandosi la tasca della giacca.
Ovviamente Leon capì subito che lì dovesse esserci qualcosa di interessante e probabilmente l’amico gliel’avrebbe pure mostrato, se entrambi non avessero notato Pablo uscire in cortile proprio in quel momento. L’uomo era al telefono e dalla sua espressione, non sembrava nulla di buono. Si avvicinarono lentamente e appena lui li vide, rimase a bocca aperta. In un attimo aveva chiuso la telefonata e li aveva raggiunti.
“Leon!” Esclamò, abbracciandolo. “È così bello rivederti qui. Hai intenzione di rimanere, vero?”
Il ragazzo sorrise, ricambiando l’abbraccio. “Si, voglio restare.”
“È fantastico! Cosa ti ha fatto cambiare idea?” Proseguì il direttore, fissandolo, emozionato.
“Chi, piuttosto,” spiegò Vargas, indicando Diego con cenno. “La musica mi mancava, ma avevo bisogno che qualcuno me lo facesse notare.”
Pablo sorrise, abbracciando anche Diego. “Lo sapevo che eri un bravo ragazzo Diego, sono felice che sei uno di noi.”
Lo spagnolo ghignò, gonfiando il petto, lusingato. “Ed io sono orgoglioso di esserlo.”
I due ragazzi, seguirono poi l’uomo all’interno dello Studio, rendendosi conto quasi subito che i corridoi fossero deserti.
“Dove sono tutti?” Chiese Leon, guardandosi intorno. Diego, al suo fianco, sembrava altrettanto confuso, forse si era perso qualcosa.
Il direttore sorrise. “Sono nell’aula teatro, abbiamo preparato una sorpresa per il ritorno di Violetta.”
Il sorriso scomparve immediatamente dal volto del messicano. Sorpresa? Ritorno? Violetta? Decisamente c’era qualcosa che Diego non gli aveva detto. Lo guardò interrogativo e dopo un attimo di confusione, il moro si colpì la fronte. “Ma certo! Come ho fatto a dimenticarlo?”
“Dimenticare cosa?” Lo incalzò Leon, fissandolo attentamente. “È successo qualcosa a Violetta?” Aggiunse, tentando di mascherare il nervosismo, al pensiero che le terribili parole che le aveva detto, potessero averle provocato qualche male.
“Tranquillo, sta bene,” intervenne Pablo, dandogli una pacca sulla spalla. “Ha avuto dei problemi di salute, ma ora è sul palco e ti assicuro che è in forma smagliante.”
Il giovane Vargas si bloccò di colpo nel bel mezzo del corridoio, ma Pablo e Diego che camminavano davanti a lui, non se ne accorsero e proseguirono. Nella sua mente frullavano una serie di pensieri. Da quanto Violetta stava male? Era un caso, che combaciasse con il periodo successivo alla loro discussione alla pista di motocross? Senza pensarci troppo, prese Diego per un braccio e lo strascinò in disparte. “Perché non me lo hai detto?”
Il moro scrollò le spalle, avendo capito perfettamente a cosa si riferisse. “Pensavo non volessi più sapere nulla di lei.”
Leon annuì. In effetti era stato proprio lui a chiedere a Diego di non parlare più della ragazza, ma sapere di poter essere stato la causa del suo malessere non poteva non toccarlo, d’accordo che nell’ultimo periodo si era incattivito, ma un minimo di umanità l’aveva ancora.
“Leon,” mormorò Diego, serio. “Non sapevo che la sorpresa per Violetta sarebbe stata oggi, devono averlo deciso quando ero al telefono con te e…”
“Se vuoi, possiamo andare adesso nel mio ufficio a firmare le carte per la riammissione, così salti la festa,” gli propose Pablo, con un sorriso comprensivo. Conosceva Leon, sapeva quello che aveva passato a causa di Violetta, in fondo non era molto diverso da quello che aveva passato lui con Angie, perciò lo capiva benissimo se non voleva partecipare a quella festa.
Il messicano scosse la testa. “Grazie Pablo, ma non preoccuparti, sono pronto.”
L’uomo sorrise e guidò i due verso la sala teatro. Aperta la porta, subito giunsero alle loro orecchie le note di Ven y Canta. Sul palco c’erano proprio tutti, che cantavano e ballavano. Francesca, Camilla, Maxi, Federico, Andres, Luca, Nata, Lena, Ludmilla, Andrea, un altro ragazzo che doveva essere Marco, l’amico di Diego e poi ovviamente c’era Violetta. Tutto il resto della scuola, era seduto e assisteva allo spettacolo tra applausi e fischi. Alla destra del palco, Leon riconobbe Beto, Angie, Gregorio e una donna bionda che suppose essere Jackie, la nipote di Antonio, se non si sbagliava di grosso, Diego gli aveva accennato che facesse da supervisore per Casal, dopo i casini dell’anno prima.
“I ragazzi sono bravissimi, ma la tua assenza si è sentita,” gli disse Pablo, circondando le spalle sue e quelle di Diego con le braccia. “Sono sicuro che il vostro apporto, renderebbe il tutto un vero capolavoro.”
“Ovviamente,” concordò lo spagnolo con un sorrisetto. “Io sono il migliore e Leon… bè, lui non è male, o almeno credo.”
“Ehi!” Ribatté Leon, colpendolo con uno scappellotto oltre le spalle di Pablo.
Nel frattempo, dall’altra parte della sala, Gregorio aveva notato i tre tutti sorridenti e li fissava disgustato. Leon era sempre stato uno dei suoi preferiti e Diego gli aveva fatto subito una buona impressione, ma vederli così legati all’odiato rivale li poneva sicuramente nella sua lista nera.
Fu solo al termine della canzone, seguita da forti applausi, che anche i ragazzi sul palco notarono Leon. Il primo fu Federico, che subito si aprì in un grande sorriso. “Ragazzi, c’è Leon.”
“Leon!” Esclamò Andres euforico, correndo giù dal palco, rischiando di cadere e fiondandosi tra le braccia dell’amico.
Felicissimi, anche gli altri corsero da lui… tutti tranne Violetta. La ragazza era pietrificata al centro del palco, gli occhi fissi su Leon. Il suo Leon era tornato, quasi non le sembrava vero. Avrebbe tanto voluto andare ad abbracciarlo, ma sapeva che non poteva. Lui la odiava, lui non voleva avere nulla a che fare con lei.
Leon abbracciò tutti, persino Ludmilla, rendendosi conto ogni secondo di più, quanto gli fosse mancato lo Studio. Sollevando lo sguardo, si ritrovò ad incrociare quello di Violetta, ferma al centro del palco. Subito il suo cuore iniziò a battere come un tamburo e qualcosa si agitò nel suo stomaco. Quello che non sapeva, era che alla ragazza stava accadendo la stessa identica cosa. Nonostante gli eventi e le scelte li avessero divisi, un filo invisibile li aveva sempre tenuti legati, quasi sapesse che un giorno si sarebbero ritrovati. Alla pista di motocross, avevano già avvertito qualcosa che li spingeva l’uno verso l’altro e ora che il nocciola degli occhi di lei, si stava fondendo con il verde degli occhi di lui, si rendevano conto che quella sensazione si fosse triplicata. Ogni cosa era sparita, ogni persona, ogni voce, ogni luogo… c’erano solo loro due e i loro cuori che battevano allo stesso identico ritmo. Non riuscivano a muoversi né a parlare, così non potevano fare altro che guardarsi, mentre le loro menti venivano attraversate da una serie di immagini e ricordi del loro amore. La prima volta che si erano parlati, il primo abbraccio, la volta in cui lui le aveva insegnato ad andare in bicicletta, poi quando l’aveva aiutata a superare la paura di cantare in pubblico, la prima canzone che avevano cantato insieme, ossia Voy por ti, il primo bacio, la prima cena come coppia a casa di German, le passeggiate, gli sguardi, le risate e poi Podemos, la loro canzone… in quel momento tutte le liti e le incomprensioni erano rilegate in un angolo, c’erano solo quei momenti indimenticabili e quell’amore che non era mai finito.
Violetta abbozzò un timido sorriso e Leon fu sul punto di ricambiarlo, quando altri ricordi affollarono la sua mente. Violetta e Thomas. Violetta e i suoi dubbi. Violetta e le sue bugie. Un dolore sordo alla base del cuore. La pietra che iniziava a sgretolarsi. Gli occhi che pungevano. Non seppe dire nemmeno lui come accadde, stava di fatto che distolse lo sguardo e si ritrovò di punto in bianco, catapultato nel mondo reale. Tutti erano ancora lì ad abbracciarlo e sembravano non aver notato nulla. Quanto tempo lui e Violetta erano rimasti a fissarsi? Una mano si posò sulla sua spalla e sollevando lo sguardo, incrociò quello di Diego. Lui aveva capito tutto, ne era sicuro.
“Vieni a cantare con noi Leon,” disse Maxi, tirandolo per un braccio. “Si, vieni,” convenne Federico, afferrandogli l’altro braccio. “Spero non ti sei arrugginito,” lo prese in giro Luca. “Sono proprio curioso di sentir cantare il famoso Leon,” intervenne Marco. “Leon è sensazionale!” Esclamò Andres, saltellando di qua e di là.
Leon sorrise sicuro. “Sono ancora il migliore e ve lo dimostrerò.” Corse poi sul palco insieme agli amici, mentre Violetta aveva raggiunto le ragazze in prima fila… lo sguardo fisso su Leon.
“Vai Lyon!” Esclamò Ludmilla, ancheggiando come una cheerleader. “Fai vedere a tutti quanto vali!”
Francesca e Violetta si guardarono, poi incrociarono lo sguardo di Nata e Lena, ricevendo la medesima occhiata. Ludmilla non sarebbe mai cambiata.
Camilla nel frattempo, era rimasta in disparte, incapace di non sorridere. Credeva di conoscere Diego, credeva che avrebbe fatto di tutto per tenere separati Leon e Violetta, eppure anche se glielo aveva confermato, aveva fatto tutto il contrario. Aveva convinto Leon a tornare, lo aveva fatto davvero. Lo cercò con lo sguardo e quando se lo ritrovò accanto, sussultò, imbarazzata. Lui la stava fissando e sorrideva. “Diego,” sussurrò, ma lui scosse la testa. “Di niente.” Le strizzò poi l’occhio e salì sul palco insieme ai ragazzi, mentre Camilla continuava a fissarlo sorridendo come un ebete. Ma cosa le stava succedendo? Perché il cuore le batteva così tanto? E le gambe che le tremavano? E l’improvviso caldo che avvertiva?
“Camilla.” Per lo spavento fece un salto di mezzo metro, lasciando Francesca a bocca aperta. “Che ti prende Camilla? Che facevi impalata qui in mezzo?”
“Io? Niente!” Mentì, raggiungendo le altre ragazze. L’italiana la seguì, anche se poco convinta.
 
 




La festa era da poco finita e Violetta si stava incamminando lungo uno dei corridoi dello Studio, alla ricerca di Leon. Quello che aveva provato quando i loro sguardi si erano incrociati, era stato un qualcosa di forte e di intenso ed era sicura che anche lui l’avesse sentito, non si poteva negare né fingere una cosa simile. Per alcuni folli istanti, aveva visto il suo Leon, quello dolce e premuroso che l’aveva fatta innamorare e proprio quello, le aveva dato la spinta in più per cercare un confronto con lui. Fortuna volle, che lo trovasse proprio accanto al suo armadietto e che fosse solo, loro due erano le uniche forme di vita in quel corridoio deserto. Socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, ora o mai più. Con pochi passi lo raggiunse, mentre il suo cuore batteva forsennato.
“Ciao,” mormorò con un filo di voce, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue per il nervosismo.
Leon, che stava riponendo nell’armadietto alcuni spartiti, si bloccò al suono di quella voce. L’avrebbe riconosciuta tra mille, era la voce di Violetta. Le lanciò una mezza occhiata, poi tornò a fissare l’interno del suo armadietto. “Ciao,” ribatté con voce incolore.
“Sei tornato,” insistette la Castillo, seguendo con lo sguardo ogni suo movimento. Il ragazzo infatti, sfogliava una serie di spartiti così velocemente da farle venire il mal di testa e al contempo, batteva il piede destro sul pavimento con una frequenza spaventosa. Era nervoso, lei lo rendeva nervoso. “Si, sono tornato.” La voce di Leon le giunse così all’improvviso da farla sussultare. Si era incantata a guardarlo, tanto da aver dimenticato di avergli detto qualcosa. Ancora una volta le aveva risposto a monosillabi e con un tono così privo di emozioni da mettere i brividi. Tra l’altro continuava a non guardarla negli occhi. Mai era stato così apatico con lei in passato, nemmeno quando si erano lasciati. Possibile che il suo cambiamento fosse stato così radicale? Poteva lei averlo ferito così tanto? Certo, riconosceva di essere stata terribile con lui, ma era convinta che ci fosse dell’altro, aveva visto un’ombra nel suo sguardo sia alla pista che nella sala teatro, un’ombra che l’aveva fatta rabbrividire e che anche adesso che non la guardava, le sembrava di scorgere. Cos’era successo al suo Leon? Non riusciva a vederlo così, preferiva che le urlasse contro, ma non che si chiudesse in se stesso in quella maniera.
“Perché hai mandato Diego a dirmi cose che mi avevi già detto tu?” Buttò lì, sperando di scatenare qualcosa in lui, qualsiasi cosa le andava bene. “Ti diverte rigirare il coltello nella piaga?”
Lo vide irrigidirsi paurosamente e allora capì di averlo colpito, difatti non si sorprese di vederlo girarsi con uno scatto fulmineo verso di lei. “Tu sei l’ultima persona che può parlare, soprattutto dopo quello che mi hai fatto passare.” Il suo tono, fu così freddo e allo stesso tempo controllato da lasciarla basita, nonostante i suoi occhi emanassero scintille.
Violetta si accigliò, incrociando le braccia al petto. “Lo so e mi sono scusata un sacco di volte, per quanto ancora hai intenzione di rinfacciarmelo? Vuoi che mi inginocchi qui terra e mi scusi ancora?” Sbottò, stupita da se stessa. Non credeva che sarebbe scoppiata in quella maniera e nemmeno Leon, visto il modo in cui la guardava.
“No,” disse infatti il ragazzo, chiedendo l’armadietto e appoggiandosi contro di esso. “È vero,” ammise. “Sono stato duro con te e il messaggio che ti ho fatto avere me lo sarei potuto risparmiare, mi dispiace.”
La Castillo annuì. “Anche a me dispiace, ma come siamo arrivati fino a questo punto?”
Leon la fissò per alcuni istanti, poi scrollò le spalle. “Siamo cresciuti, non siamo più quelli di un anno fa.”
“Tu sei cambiato, non io,” ribatté lei, avanzando di un passo. “C’è un’ombra nei tuoi occhi e non sparisce mai, nemmeno quando sorridi. Cosa ti è successo Leon?”
A quelle parole, lui sbiancò di colpo e istintivamente indietreggiò. Possibile che con Violetta non fosse capace di fingere, o semplicemente quella ragazza lo conosceva troppo bene? Scosse la testa, sforzandosi di apparire tranquillo, quando in realtà in se si stava agitando una tempesta. “È vero, sono cambiato, ma ciò non significa che sto male. Sono finiti i tempi in cui farmi soffrire era così facile,” aggiunse con durezza e Violetta capì che stesse mentendo, ma decise di non insistere e così restò in silenzio. Si guardarono per lunghi istanti, poi lui fece una cosa che la sorprese a dir poco, le tese la mano destra. “Ora che sono tornato, dovremo vederci tutti i giorni, perciò cerchiamo di avere un rapporto civile, ok?”
Violetta fissò quella mano tesa verso di lei, confusa. Leon le stava proponendo una tregua? Senza pensarci troppo, gli strinse la mano e subito avvertì una scarica elettrica partire dalle dita e diffondersi lungo tutto il braccio. Da quanto tempo lei e Leon non avevano un minimo di contatto fisico? Stringergli la mano non le bastava, voleva rifugiarsi tra le sue braccia come faceva un tempo e inebriarsi del suo calore e del suo profumo, ma non poteva.
“Siamo amici, giusto?” Chiese Leon con un debole sorriso, una volta sciolta la stretta.
“Amici,” confermò lei, guardandolo poi allontanarsi con un grande sorriso stampato in faccia. Pensare a loro due come amici era assurdo, soprattutto considerando quanto lo amasse, ma come inizio era decisamente buono a suo parere, almeno non la odiava. Da amica poteva stargli vicino, gli poteva parlare e soprattutto, tentare di conquistarlo. Avrebbe lottato per lui e non si sarebbe arresa finché non ci fosse riuscita, era una promessa.
“Voy por ti Leon.”
 



 
 
So di aver promesso di fare presto, però ho avuto una serie di problemi e quindi pochissimo tempo per scrivere. Spero di essere riuscita a farmi perdonare con questo capitolo molto Leonettoso! :3
Vilu inizia a comporre Nuestro Camino <3 questa canzone sarà fondamentale per farli tornare insieme, ormai siamo a un passo!! :3
Mentre i ragazzi preparano la sorpresa per la Castillo, ecco il colpo di scena, Leon ha deciso di tornare allo Studio!! E per questo dobbiamo ringraziare incredibilmente Diego!
A proposito dello spagnolo, Cami è sempre più cotta! <3 Povera Angie peròòòò, proprio quando sembrava decisa a parlare, squilla quel maledetto telefono!! grrrrrr
Ma che teneri Leon e Vilu che si guardano da lontano! Awwwwwww <3 e lei si dimostra ancora una volta decisissima, cercando e trovando un confronto con lui. Leon può fingere con gli altri, ma Vilu lo conosce troppo bene, ha capito che c’è qualcosa che lo tormenta, ma alla fine si accontenta di questa sorta di tregua sancita da una stretta di mano. È assurdo immaginarli amici, visto quanto si amano, però già il fatto che si siano chiariti è un buon segno e non dimentichiamo la promessa che Vilu fa a fine capitolo, “Voy por ti Leon” e noi non aspettiamo altro!! <3
Questo capitolo è per tutti voi che mi seguite con tanto affetto! Grazie! :3
Besos,
Trilly <3  

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Capitolo 17
*** Luci ed ombre ***





“Allora, cosa ne pensi?”
Pablo e Jackie stavano cenando a casa di lui e la donna, aveva portato come dessert una torta al cioccolato fatta in casa, una torta deliziosa tra l’altro e lui non poté che lodare le sue doti culinarie. “Non ho mai mangiato una torta così buona, sei bravissima,” le sorrise dolcemente e lei tutta emozionata, gli strinse una mano con la sua. “Sono contenta, ci tenevo tanto al tuo parere.”
“Ah sì?”
Jackie annuì. “Il parere del mio fidanzato è molto importante per me.”
Il mio fidanzato? Pablo per poco non si soffocò con le briciole della torta, a quelle parole. D’accordo che alcune volte avevano cenato insieme e c’era stato qualche bacio, cercato sempre da lei tra l’altro, ma da qui a considerarsi il suo fidanzato ce ne passava.
Jackie era bella e intelligente e poi lo metteva sempre al centro del suo mondo, cosa a cui non era abituato e che non poteva negare gli piacesse molto. Lei lo amava totalmente e incondizionatamente, non aveva dubbi, non c’era un altro uomo. Per troppo tempo aveva dovuto competere con German per il cuore di Angie, trovandosi ogni volta con un pugno di mosche, cosa che con Jackie non accadeva. Lei era un porto sicuro e lui aveva bisogno proprio di quello, di sicurezza. Le sorrise, accostando il volto al suo. La baciò dolcemente, intrecciando le dita nei suoi capelli. Per quanto si sforzasse però, non riusciva a provare per lei ciò che provava per Angie, la Saramego infatti occupava ancora un posto fondamentale nel suo cuore e probabilmente sarebbe stato sempre così, ma doveva costringersi ad andare avanti, doveva rifarsi una vita. Angie non lo amava, non lo aveva mai fatto, lei sapeva solo ferirlo. Approfondì il bacio, venendo immediatamente corrisposto da Jackie. I suoi lunghi capelli biondi gli solleticavano il collo e per un intenso folle istante, a Pablo sembrò di vedere il volto di Angie, di baciare le sue labbra, di accarezzare i suoi capelli. Perché la sua mente si divertiva a torturarlo in quella maniera?
Ad interrompere quel momento, ci pensò l’incessante suono del campanello. Chi poteva essere a quell’ora? Si staccarono, lui sorpreso e forse anche grato, lei piuttosto di malavoglia.
“Vado a vedere,” le disse, andando poi alla porta. Quando l’aprì, si ritrovò di fronte un’ansiosa Angie. Che ci faceva lì? Non le bastava tormentare la sua mente, ora doveva farlo anche di persona?
“Ciao Pablo, scusami per l’ora, ma ho bisogno di parlarti,” gli disse lei tutto d’un fiato.
Lui annuì, facendola entrare. “Cosa succede?” Normalmente l’avrebbe mandata via, in fondo non aveva dimenticato quanto lo avesse fatto soffrire, ma vederla così nervosa e agitata lo preoccupava non poco.
Angie si morse il labbro e al contempo iniziò a torturarsi le mani. “Ecco, vedi… io…”
In cucina nel frattempo, Jackie aveva sentito tutto ed era furiosa. Che voleva quella Angie? Non le avrebbe permesso di soffiarle l’uomo, mai. La sua mente si impegnò per elaborare una soluzione e quando la trovò, un sorriso crudele si dipinse sul suo volto. Si scompigliò i capelli e con le dita fece in modo di farsi colare il rossetto sul mento, infine si sbottonò alcuni bottoni della camicetta, così che fosse in bella mostra il reggiseno di pizzo nero.
“Pablo, amore!” Esclamò poi, recandosi nell’ingresso. “Non ti sarai dimenticato di me,” aggiunse con fare malizioso, sotto lo sguardo sconvolto di Pablo e Angie, che nel vederla conciata in quel modo, sbiancarono paurosamente.
“Jackie,” balbettò l’uomo, mentre la Saramego aveva l’espressione di chi avesse preso un cazzotto nello stomaco. Jackie era mezza spogliata e lo aveva chiamato amore, loro stavano insieme completamente. Gli occhi iniziarono a pungerle e un dolore sordo la colpì alla base del cuore. Lo aveva perso, lo aveva perso per sempre.
“Io…io…devo andare.” Aprì la porta e corse via, sforzandosi di trattenere le lacrime, almeno finché non fosse entrata in macchina. Solo lì, avrebbe dato sfogo al suo immenso e devastante dolore.
“MA TI è DATO DI VOLTA IL CERVELLO?” Urlò Pablo, una volta che furono rimasti soli. La scena a cui aveva appena assistito era assurda, inconcepibile.
Lei si limitò a scrollare le spalle, riabbottonandosi la camicetta e ciò lo fece infuriare ancora di più. “RISPONDIMI, DANNAZIONE! CHE VOLEVI OTTENERE CON QUELLA SCENEGGIATA?”
Jackie rise, incredula. “Pensi che io sia scema? Pensi che non sappia che sei ancora innamorato di lei?”
Lui sgranò gli occhi, per poi abbassare lo sguardo e ciò valse per lei come un’ammissione. “Io ti amo e ho voluto credere che un giorno potessi amarmi anche tu, ma se lei continua a mettersi tra di noi…”
“Jackie,” la interruppe, tornando a guardarla. “Il tuo è stato un comportamento stupido e infantile, stavamo solo parlando e comunque tra me e Angie è finita da un pezzo.”
“E allora perché ti sei infuriato tanto? Noi due ci stiamo frequentando ed è normale che ci sia complicità e tutto il resto,” ribatté la bionda, togliendosi il rossetto con un fazzoletto e lanciandogli delle attente occhiate.
Pablo sospirò, lanciandosi cadere su una sedia. “Questo non giustifica quel teatrino che hai fatto.”
“Dimmi la verità Pablo.” Jackie gli si piazzò praticamente di fronte con le braccia conserte. “Ti dà davvero fastidio quello che ho fatto, o che lo abbia fatto di fronte ad Angie?”
Lui incassò il colpo, consapevole che la donna purtroppo avesse capito tutto. Aveva capito che ciò che lo legava ad Angie non si fosse ancora spezzato e chissà se sarebbe mai accaduto.
Lei lo fissò ancora per alcuni istanti, poi recuperò la sua borsa. “Come pensavo,” mormorò, prima di andarsene e lasciarlo lì da solo. Onestamente Pablo non riusciva a capire cos’avesse fatto di male per ritrovarsi in una situazione così complicata. Come avrebbe fatto ora ad uscirne?
 
 





Federico rincasò con un sorriso che si estendeva su tutto il suo volto. Dopo un periodo nerissimo, sembrava che per lui le cose stessero migliorando. Erano settimane ormai che usciva con Lena, lei lo faceva sentire bene come non gli accadeva da tempo. Non era innamorato, ma almeno non soffriva e per il momento gli andava bene così. Chissà, magari con il passare del tempo sarebbe riuscito a ricambiarla.
Dopo essersi fatto una doccia, salì in camera sua. Era tutto al buio, eppure c’era qualcosa di strano. C’era una strana ombra sul suo letto. Accese la luce e per poco non gli venne un colpo. Seduta ai piedi del suo letto con le braccia conserte e l’espressione corrucciata, c’era Francesca. Indossava un vestito rosso con i pois bianchi e tra i lunghi capelli neri aveva un fermacapelli con un fiocco rosso. Era bella, ma anche arrabbiata.
“Che ci fai a casa mia?” Le chiese, riponendo la giacca nell’armadio e le chiavi e il cellulare sul comodino.
“Dove sei stato?” Ribatté invece lei, seguendolo con lo sguardo.
“Come?” Corrugò le sopracciglia, sicuro di aver capito male.
Francesca si alzò e lo raggiunse con pochi passi. “Non rispondi alle mie chiamate e ai miei messaggi, mi eviti e fai il cretino con Lena. Mi dici che diavolo significa?”
Federico la fissò a bocca aperta. Proprio non riusciva a capire dove volesse andare a parare. “Francesca, non sono in vena di discutere di cose senza senso, perciò…”
“Perciò niente!” Sbottò la mora, spingendolo contro l’armadio, mentre i suoi occhi emanavano scintille. “Ti stai vedendo con Lena, non è vero?”
L’italiano scosse la testa, incredulo. “Ma sei impazzita? Calmati.”
“State insieme?” Insistette la ragazza, ignorando le sue parole. “Dimmelo Federico!”
Lui sospirò, allontanandosi di qualche passo. “Non sono affari tuoi! Noi due non siamo una coppia, o sbaglio?”
Francesca si zittì di colpo, non sapendo proprio come ribattere. Perché gli stava facendo quella scenata? Lui aveva ragione, loro non erano una coppia. “Federico…”
Il ragazzo la interruppe, scuotendo il capo. “Vai via Francesca.” La voce gli tremava, lo sguardo rivolto il più lontano possibile da lei.
La giovane annuì, recandosi verso la porta, ma all’ultimo si voltò. “La ami?”
Federico la guardò confuso, allora lei si affrettò a spiegarsi. “Sei innamorato di Lena?” Negli occhi della ragazza non c’era più traccia di rabbia, ma solo di una grande tristezza e di timore, timore per quella risposta che non era più sicura di voler avere.
Lui la fissò per lunghi istanti, indeciso sul da farsi. Valeva la pena dirle la verità, nonostante tutto?
“No,” sussurrò alla fine, gli occhi ancora fissi nei suoi.
Francesca gli si avvicinò lentamente, mentre un sorriso si formava a poco a poco sul suo volto. “Sai, questa tua distanza mi ha fatto pensare e… io credo di non amare più Thomas…”
Il giovane rise amaramente. “Sono felice per te.” Fece per allontanarsi, ma lei gli si piazzò di fronte. “Non vuoi sapere perché?”
“Francesca…”
“No, ora mi ascolti,” lo interruppe, stringendogli le mani con le sue. A quel contatto, entrambi avvertirono una scossa elettrica e il cuore accelerare i suoi battiti. “Sono stata un mostro con te, non avrei dovuto proporti quello strano rapporto… scusami.” Francesca aveva ora le lacrime agli occhi e lui, rigido come un palo, non sapeva proprio che dire. Non gliene importava nulla di quelle scuse, lui l’aveva perdonata da un pezzo, lui non le aveva mai attribuito alcuna colpa.
“Tu sei l’unico che mi abbia capita e sostenuta, ci sei sempre stato per me e io finalmente l’ho capito…”
“Francesca, cosa stai cercando di dirmi?” Riuscì finalmente a chiederle.
Lei sorrise, mentre una lacrima scorreva lungo la sua guancia. “Non era il sesso a farmi stare meglio, eri tu con la tua sola presenza… non so da quanto tempo provo questo, l’unica cosa che so è che io… io ti amo. Vederti felice con Lena mi distruggeva e poi io… mi mancavi e…”
Federico le sfiorò una guancia con una leggera carezza, catturando una lacrima. Era incredulo, stupefatto. Se era un sogno, non voleva essere svegliato.
“Dimmi qualcosa,” sussurrò lei ansiosa. “Dimmi qualsiasi cosa.”
Un enorme sorriso si formò sul volto del ragazzo, che senza pensarci troppo la baciò. Francesca ricambiò prontamente, aggrappandosi alle sue spalle. “Questo significa che…?” Gli chiese, sorridendo.
Lui annuì, ricambiando il sorriso. “Si Fran, ti amo anch’io. È così da tanto, ma pensavo che tu non mi ricambiassi e…”
Francesca annuì tristemente. “Non finirò mai di scusarmi per quello che ti ho fatto passare. Sei un ragazzo straordinario e non lo meritavi.”
“Basta scusarti, va bene così,” iniziò lui, ma la ragazza lo interruppe. “Scusami se ho capito solo adesso quanto sei importante per me,” proseguì, prendendogli il volto tra le mani. “Come ho potuto piangere per Thomas, quando avevo al mio fianco un ragazzo come te?”
“Evidentemente sei un po’ tonta,” rise il ragazzo, facendo sfiorare i loro nasi. Prima che lei potesse ribattere, la baciò con passione, stringendola forte a se.
“Allora tu ed io stiamo insieme adesso?” Sorrise Francesca, accostando la fronte contro la sua e intrecciando le braccia dietro al suo collo.
Federico sorrise euforico, prendendola in braccio e iniziando a saltellare come un bambino. “Assolutamente sì.” La baciò ancora e ancora e lei ricambiò, sorridendo divertita. “Sei un pazzo.”
Di tutta risposta, lui iniziò anche a girare su se stesso, tenendola sempre in braccio. “Si, sono pazzo, ma di felicità.”
“Anch’io,” sorrise Fran, poggiando dolcemente le labbra sulle sue.
 

 




Le prime settimane allo Studio, furono per Leon abbastanza strane. Non era più abituato a quell’atmosfera sempre allegra e festosa e soprattutto a tutto quell’affetto, tanto che il più delle volte si dileguava con una scusa e si rintanava da solo in un angolo. Si rendeva conto che si stesse comportando come un’asociale, i suoi amici gli volevano bene in fondo e volevano solo farlo sentire a casa, eppure era più forte di lui, tutte quelle attenzioni lo mettevano a disagio. Già prima non era mai stato un tipo molto loquace, poi durante l’estate il suo carattere se possibile si era chiuso ancora di più. L’unico a cui permetteva di avvicinarsi era Diego, forse proprio perché non gli faceva domande, limitandosi a passargli una sigaretta e a rifilargli un mucchio di discorsi idioti. Probabilmente era il suo modo di distrarlo e farlo ridere e doveva ammettere che ci riusciva alla grande. Inizialmente era scettico sullo spagnolo, gli sembrava strano che avesse rinunciato a Violetta così in fretta. Certo, più volte lo aveva visto guardare la ragazza, ma ormai non l’avvicinava più, a malapena si salutavano e in un certo senso era contento di questo. Era sicuro di voler tenere Violetta lontano, ma il pensiero di lei e Diego come coppia non gli piaceva molto, al contrario lo infastidiva terribilmente. In fondo al suo cuore sapeva perché la cosa lo infastidisse, ma preferiva illudersi che la sua fosse solo una questione di orgoglio e che se Violetta avesse frequentato chiunque altro, la cosa lo avrebbe lasciato indifferente e quindi il problema era che si trattasse di un suo amico. Diego però gli aveva assicurato che non ci avrebbe più provato con lei, “Lei mi piace, mentirei se ti dicessi di no. Come ti ho detto però, mi ha rifiutato un sacco di volte, persino quando era più vulnerabile e poi c’è il fatto che tu e io stiamo legando molto e… non sono bravo con le parole e nemmeno a farmi degli amici, molti mi considerano uno stronzo arrogante e forse è anche vero, ma non sono cattivo.” Quel giorno Leon gli aveva creduto, anche perché il ragazzo ogni giorno che passava gli dimostrava sempre di più la sua buona fede e la sua amicizia. Diego gli aveva raccontato di non aver mai conosciuto i suoi veri genitori e di essere cresciuto con quelli adottivi, che però non gli avevano mai dimostrato un minimo di affetto. “Io non so cosa significa amare o essere amato e nemmeno cosa sia l’amicizia, ogni rapporto che ho avuto era per convenienza. Sono abituato a prendermi ciò che voglio senza considerare le conseguenze, ma tu mi sei stato amico sin da subito e hai accettato il mio caratteraccio come mai nessuno ha fatto e bè… io ti rispetto.”
Quella conversazione gli aveva fatto capire molte cose del ragazzo e in un certo senso ciò aveva rafforzato il loro rapporto, tanto che lo aveva portato ad aprirsi con lui come mai aveva fatto con nessuno. Diego lo aveva capito e lo aveva consigliato, alleggerendolo almeno un po’ di quel peso che lo opprimeva. Altre due persone con cui aveva legato molto erano Andres e Marco. Il primo era un suo amico storico, un bravo ragazzo un po’ con la testa tra le nuvole, ma aveva un grande cuore ed era sincero e leale come pochi. Il secondo invece era un tipo tranquillo e pacato, sotto certi aspetti poteva somigliare a Thomas, ma poco tempo in sua compagnia aveva fatto capire a Leon che in realtà era differente per sincerità e lealtà. A Thomas non era mai importato che lui stesse con Violetta, aveva continuato a girarle intorno, cosa che Marco non avrebbe mai fatto. Il ragazzo infatti, aveva raccontato loro della sua cotta non corrisposta per Francesca, che invece sembrava essere innamorata di un altro. “Da quando me lo ha detto, mi sono tirato indietro. Che senso ha insistere se non le interesso?”
Marco era intelligente e leale e questo piaceva molto a Leon. La lealtà purtroppo era un pregio poco diffuso e lui aveva avuto la sfortuna di incontrare parecchie persone ben poco affidabili. Non che si considerasse un santo, lui per primo aveva spesso giocato sporco o ferito chi lo circondava, ma la sua era una forma di difesa, mentre c’erano persone che si comportavano in quel modo senza alcun motivo, bastava pensare a Ludmilla che era sempre pronta a tramare contro qualcuno e a Violetta, che non si rendeva conto di quanto ferisse le persone con i suoi dubbi. Troppe volte gli aveva mentito o lo aveva lasciato come un allocco per correre dietro a Thomas, incurante dei suoi sentimenti. Spesso si era chiesto se per caso lei lo considerasse di pietra, oppure così imbecille da bersi ogni menzogna e da accoglierla tra le sue braccia senza battere ciglio.
Da quando le aveva proposto di essere amici, lui e Violetta non si erano più parlati e questo perché aveva fatto di tutto per evitarla, facendosi trovare sempre in compagnia di qualcuno. Sapeva che il suo era un comportamento codardo e incoerente, soprattutto dopo che lui stesso aveva sancito una tregua, ma lei lo rendeva vulnerabile e la cosa gli faceva troppa paura. Inevitabilmente, la sua mente andò a un paio di giorni prima.


Flashback

Le lezioni erano già iniziate da più di mezz’ora e Leon, mentre correva come un pazzo lungo i corridoi, lo sapeva bene. Per colpa di una corsa di motocross che aveva dovuto disputare, era andato a dormire quasi all’alba e di conseguenza, si era svegliato tardissimo. Per la fretta aveva indossato le prime cose che aveva preso dall’armadio e recuperato una mela, che aveva mangiato lungo il tragitto fino allo Studio. Era sicuro che quel giorno Gregorio lo avrebbe ucciso, mai uno studente aveva tardato così tanto ad una sua lezione. Troppo perso nei suoi pensieri, non si accorse di una piccola figura che veniva dal senso opposto e la investì come un treno. Lo scontro fu così forte che lo sbalzò con la schiena contro una parete, provocandogli un dolore atroce. Poco distante da lui, la persona che aveva investito era a terra e altrettanto dolorante. Imbarazzato e allo stesso tempo preoccupato, si rimise in piedi a fatica e si avvicinò per aiutare la ragazza e solo allora, si rese conto che fosse Violetta.
“Violetta, stai bene?” Le chiese mortificato, sforzandosi di controllare il tono di voce. Lei annuì, accettando la mano che lui le porgeva. “Scusami, avrei dovuto guardare dove andavo e… sei sicura di stare bene?”
Violetta sorrise, imbarazzata, massaggiandosi il braccio. “Si, tranquillo. Anch’io ero distratta.”
Seguì poi un imbarazzante silenzio, in cui si fissarono, dimentichi di qualsiasi altra cosa, poi lei prese la parola. “Leon, posso chiederti una cosa?”
Lui annuì. “Si, certo, dimmi.”
“Ecco, vedi,” iniziò la giovane, mordendosi nervosamente il labbro. “Si tratta di Diego, lui dice che siete amici, è così?”
Leon si accigliò, confuso. Tutto si aspettava, tranne che volesse parlargli di Diego. “Perché me lo chiedi?”
“Sei sicuro che puoi fidarti di lui? A volte ho la sensazione che bè… ci trovi gusto a comparire ogni volta che tento di parlarti,” ammise lei, scrutandolo seria. Era da un po’ che aveva iniziato a pensare una cosa simile e non aspettava altro che esporgli quel dubbio.
Il giovane Vargas dal canto suo era sempre più stupito, dove voleva arrivare? “Non so di che parli, ma di una cosa sono sicuro, Diego è mio amico e mi fido di lui,” sbottò alla fine, facendo per sorpassarla, ma lei gli prese il polso, costringendolo a voltarsi.
“Non puoi fidarti di lui, ti sta usando per vendicarsi di me.”
A quelle parole Leon scoppiò a ridere, una risata fredda e ironica, che la lasciò a bocca aperta. “Vendicarsi di te? Scendi dal piedistallo, il mondo non gira intorno a te.”
“Diego ed io ci siamo baciati, ma io l’ho rifiutato! Te lo ha detto questo?” Insistette Violetta, convinta di colpirlo e invece lui non si scompose minimamente.
“Lo so,” disse infatti il ragazzo, notando solo in quel momento la borsa di lei a terra e porgendogliela. “Lui è sempre stato sincero, a differenza di qualcun altro,” aggiunse, lanciandole un’occhiata eloquente.
Violetta ruotò gli occhi, esasperata. “Diego è stato rifiutato diverse volte da me, non ti sembra strano che di punto in bianco sia diventato il tuo amico del cuore e che si presti ai tuoi assurdi piani di tenermi lontana senza battere ciglio? Se ti racconta tutto come dici, allora ti avrà detto anche perché l’ho rifiutato, si sta vendicando.”
“Smettila Violetta, smettila!” Esplose Leon, agitando le braccia. “Sono io che voglio tenere le distanze da te, lui non c’entra nulla. Mi conosci,” proseguì, prendendola per le spalle e specchiandosi nei suoi occhi nocciola. “Pensi davvero che mi farei manipolare da qualcuno? Se mi fido di Diego, è perché mi ha dimostrato che posso farlo.”
La giovane annuì. Leon non era stupido, sicuramente doveva sapere qualcosa che lei ignorava, non c’era altra spiegazione. “Hai ragione, scusami. Non sono nessuno per dirti ciò che devi fare.” Stavolta fu lei quella che tentò di andarsene e lui quello che la fermò.
“Violetta,” sussurrò, la mano ancora stretta intorno al suo polso, gli sguardi fusi l’uno nell’altro. In quel momento il ragazzo avrebbe voluto dire tante cose e probabilmente nemmeno così negative, ma ancora una volta l’orgoglio lo spinse a tacere. “Devo andare.” Aveva fatto solo pochi metri, quando…
“Leon, aspetta!” Esclamò Violetta all’improvviso, raggiungendolo con pochi passi. “Devo dirti una cosa. Ecco, vedi… io…”
“Leon! È in ritardo e per giunta sta pure perdendo tempo!” La voce infastidita di Gregorio, fece sussultare i due giovani, che si voltarono a guardarlo, stupiti. “Non è nemmeno tornato e già si permette di fare tardi?” Continuò l’uomo, inconsapevole che Violetta lo stesse fulminando con lo sguardo. Proprio in quel momento doveva arrivare quello scocciatore di Casal?
Leon dal canto suo, era più che felice di quell’interruzione. Sapeva già cosa gli voleva dire la ragazza e non voleva farsi fregare di nuovo da quegli occhi. Non era tanto convinto di riuscire a rimanere indifferente se lei gli avesse detto quella cosa.
“Mi scusi Gregorio,” disse, avviandosi in classe a grandi falcate, il pensiero di Violetta ancora fisso nella sua mente.


Fine flashback

“Leon.”
Una voce calda e maliziosa al suo orecchio sinistro, lo riportò alla realtà. Erano da poco passate le undici di sera e lui era in spiaggia, seduto su una barca rovesciata. Accanto a lui c’era Diego, impegnato a baciare una ragazza bionda con un certo trasporto. La testa gli girava come una trottola impazzita e aveva la vista parecchio annebbiata, non ricordava nemmeno come fosse arrivato in spiaggia. Sollevando lo sguardo, incrociò quello di Lara, che dopo aver recuperato una bottiglia di birra, gli si sedette sulle gambe e prese a lasciargli piccoli baci sul collo. “Quanto mi piace il sapore della tua pelle Leon,” sussurrò lei con voce seducente.
Leon non seppe dire se furono quelle parole, quei baci o i troppi spinelli che aveva fumato, in ogni caso avvertì nascere in lui un forte senso di nausea. Quando poi si rese conto che Lara stesse tentando di sbottonargli i pantaloni, non ci pensò due volte a togliersela di dosso e ad alzarsi con fare barcollante. Non aveva voglia di fare sesso con Lara, al contrario voleva che quella ragazza gli stesse a chilometri di distanza.
“Leon, che ti prende?” Gli chiese la meccanica, confusa. “Pensavo fossi venuto a cercarmi per questo,” aggiunse, tentando di baciarlo, ma lui si scansò, rischiando anche di cadere, tanto era annebbiato dal fumo.
“Lasciami in pace,” biascicò, togliendole di mano la bottiglia di birra e incamminandosi verso la riva con passo incerto e piuttosto precario.
Diego, ancora impegnato con la bionda, notò Vargas con la coda dell’occhio e si preoccupò. Lo aveva visto fumare più del solito e se beveva anche un solo sorso, rischiava di sentirsi male.
“Scusami bambolina, ma dobbiamo fermarci,” disse alla ragazza, togliendosela di dosso e facendola sedere sulla barca, per poi alzarsi.
“Perché?” Balbettò lei, con un sorriso ammiccante. “Pensavo ci stessimo divertendo.”
Il moro ghignò, sfiorandole una guancia. “È così, ma devo andare a recuperare il mio amico, è molto instabile. Noi due però ci rivedremo, tranquilla,” aggiunse, baciandola con trasporto. “Riceverai la mia chiamata ancora prima di quanto pensi, bellezza.” Dopo un’ultima occhiata maliziosa, Diego si affrettò ad intraprendere la stessa strada fatta da Leon. Per fortuna lo trovò quasi subito, seduto su una piccola montagna di sabbia. Sembrava perso in chissà quali pensieri, ma di tanto in tanto sorrideva amaramente tra se e se. Se non fosse stato sicuro che avesse fumato, lo avrebbe scambiato per un pazzo.
“Leon,” mormorò, raggiungendolo e inginocchiandosi di fronte a lui. Il messicano lo guardò e solo allora, Diego si rese conto che stesse piangendo. “Ehi amico, che ti prende?” Gli chiese, poggiandogli una mano sulla spalla.
Leon non rispose, tentando di portarsi la bottiglia di birra alle labbra, ma lui gliela strappò di mano. “Vuoi morire per caso? Quanti cavolo di spinelli ti sei fumato?” Aggiunse, incredulo. “Puzzi in una maniera spaventosa.”
Vargas ridacchiò, gettando il capo all’indietro. “Dammi la bottiglia Ramirez.”
“Non ci penso nemmeno!” Ribatté Diego, gettando la bottiglia da qualche parte alle sue spalle. “Come stai?” Proseguì, scrutandolo con preoccupazione.
Leon rise amaramente. “Come vuoi che stia? La mia vita fa schifo in tutti i campi e in più non riesco a smettere di pensare a quella maledetta ragazza… lo sapevo che non dovevo tornare allo Studio…” continuò poi a mormorare una serie di parole senza senso, che si conclusero con una nuova crisi di pianto. “Non ce la faccio più!” Esclamò, prendendosi la testa tra le mani.
Il moro lo fissò per alcuni istanti, incapace sul da farsi, poi gli diede un’imbarazzata pacca sulla spalla. “Leon, guardami.” Quando il messicano lo fece, proseguì. “Se hai bisogno di soldi, basta che me lo dici.”
Lui scosse la testa, asciugandosi le lacrime. “Non ti chiederei mai dei soldi.”
“Infatti sono io che voglio darteli. Tra quelli che do ai genitori di Marco e le spese della motocicletta, mi avanza qualcosa. Prendili Leon, lascia che ti aiuti.”
“No,” ribatté Leon, alzandosi in piedi, ma venendo subito fermato dal moro.
“Non fare l’imbecille e fatti aiutare. Domani ti do i miei risparmi e tu li prendi senza battere ciglio, altrimenti te li faccio ingoiare, mi sono spiegato?”
Il giovane Vargas scoppiò a ridere. “Tu non ti arrendi mai, eh?”
“Mai,” confermò Diego, ghignando divertito, per poi abbracciarlo. “Quando ho avuto bisogno di parlare dei miei veri genitori e del fatto che non si fossero mai interessati a me, tu ci sei stato. Lasciami fare lo stesso.”
Leon sollevò gli occhi al cielo, gesto gli provocò un leggero capogiro, ma per fortuna il moro lo sorresse prontamente. “È diverso e lo sai. È un problema mio e non posso coinvolgerti, non sarebbe giusto.”
“Sono già convolto,” ribatté lo spagnolo, conducendolo verso le loro motociclette. “Come puoi pretendere che faccia finta di niente dopo quello che mi hai raccontato? Nemmeno la persona più egoista del mondo ci riuscirebbe.”
Il giovane Vargas abbozzò un sorriso, ormai rassegnato. “Appena potrò, te li restituirò.”
Diego si limitò ad annuire, piuttosto pensieroso. Non credeva che la situazione di Leon fosse così grave e per questo doveva fare il possibile per aiutarlo, era il minimo che potesse fare.
 

 




Capitolo tra luci ed ombre quello che precede il 18! Già mi immagino le imprecazioni contro Jackie e contro l’autrice che si inventa queste crudeli follie! XD in effetti entrambe abbiamo superato noi stesse e anche se detesto la bionda con tutta me stessa, non ho potuto fare a meno di ridere, immaginando le facce di Angie e Pablo! Poveriniiiiii, che hanno fatto di male per avere a che fare con quella lì? Certo che Pablo se voleva dimenticare la Saramego, se ne poteva trovare una migliore, Jackie è senza vergogna! 0.0 però bisogna ammettere che è intelligente, ha capito che i Pangie sono ancora molto legati e la cosa la manda in bestia! Ben le sta XD
Finalmente è arrivato l’atteso faccia a faccia tra Fede e Fran, cercato da lei tra l’altro. Vederlo con Lena, l’ha ingelosita e le ha fatto capire quanto ci tenesse a lui! Thomas ormai è un ricordo lontano!! Olèèèèèèèèè dolcissimo Fede che quasi non ci credeva e che poi esulta come un bambino! Almeno loro si sono ritrovati!! <3
Su Leon potrei scrivere un libro, lo adoro troppo!! <3 nonostante la tregua, evita Vilu come la peste perché teme l’effetto che gli provoca, effetto che nel flashback si vede eccome!! E qui partiranno altre imprecazioni contro Gregorio, Lara e contro di me! XD state tranquilli però, siamo al 17 e ciò significa -1!! <3
Tornando a Leon, in questo capitolo ci si rende conto che il suo problema è parecchio grave, tanto che ha costantemente bisogno di soldi e Diego, con cui sta legando sempre di più, si è proposto di aiutarlo. Di che si tratterà? Per fortuna che siamo a -1, così almeno il nostro Vargas si riprenderà almeno un po’, non lo posso vedere così! :(
Che altro dirvi, vi ringrazio di cuore per il vostro affetto e prometto che mi metterò al più presto a copiare sul pc il capitolo 18! <3
-1! :3
Besos,
Trilly <3
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Nuestro Camino ***





Violetta guardò per l’ennesima volta l’orologio che aveva al polso e sbuffò. Era circa mezz’ora che in piedi davanti all’ingresso dello Studio, attendeva l’arrivo di Leon. Lui e i suoi soci, ossia Diego, Marco e Andres, avevano fatto di tutto per evitare un loro confronto in quelle settimane e iniziava ad averne abbastanza. Doveva per forza passare di lì, non poteva cavarsela per sempre.
Proprio in quel momento, una grossa motocicletta parcheggiò nel cortile, peccato che chi la guidasse non fosse Leon, bensì Diego. Il ragazzo salutò Marco e Andres, poi con il solito passo tronfio, si incamminò verso l’ingresso.
“Diego,” lo bloccò, piazzandosi di fronte a lui.
“Principessa, buongiorno,” sorrise il moro, facendo come al solito scorrere lo sguardo lungo tutto il suo corpo. Lei fece finta di niente, porgendogli subito la domanda che l’assillava. “Dov’è Leon?”
Diego ghignò. “Ed io che pensavo volessi parlare del nostro bacio.”
“Non mi pare ci sia qualcosa da dire,” ribatté con calma. “È stato un errore, io amo Leon.”
Lui rise. “Già, non so quante volte me lo hai rinfacciato. Ti piace umiliare la gente eh?” Sembrava divertito, ma nella sua voce c’era una traccia di risentimento che a Violetta non sfuggì.
“Senti Diego, a parte quel bacio, io non ti ho mai illuso. Sapevi i miei sentimenti per Leon già prima… scusami,” aggiunse e il ragazzo annuì. “Hai ragione, sono io che ho voluto illudermi di poter cambiare le cose. Ciao.”
Fece solo alcuni passi, ma la ragazza lo raggiunse prontamente. “A che gioco stai giocando?”
Diego si voltò a guardarla, confuso. “Di che stai parlando?”
“Di Leon, ovviamente. Lui si fida di te, dice che siete amici, ma io ho i miei dubbi,” ammise, incrociando le braccia al petto e fissandolo attentamente.
“Bè,” ribatté lui, per nulla sorpreso. “Ammetto di aver pensato di usare Leon contro di te, ma non l’ho fatto. Non sono così subdolo e vendicativo, quello lo lascio a Ludmilla.”
Violetta rise, incredula. “Dimostralo allora, dimostra che sei davvero amico di Leon e che vuoi il suo bene.”
Un lampo attraversò lo sguardo di Diego, che si appoggiò alla parete, con un sorrisetto stampato in faccia. “Fammi capire, perché dovrei dimostrare qualcosa a te? Non sei tu quella che devo convincere, no?”
“Smettila di metterti tra me e lui!” Sbottò la ragazza, esasperata. “Da quando è tornato, non ho avuto nemmeno un attimo per parlargli, ci sei sempre tu di mezzo, oppure scappa come un coniglio appena mi vede arrivare!”
Il moro annuì distrattamente, fissando qualcosa alle spalle della ragazza. “Non ci credo.” Erano giorni ormai che aveva notato un Audi nera, parcheggiata fuori allo Studio, un auto di lusso che non poteva passare inosservata. Spesso gli era sembrato di scorgerla anche sotto casa di Marco, dove appunto lui viveva. Inizialmente aveva pensato a un caso, ma poi vedendo che con il passare dei giorni la scena si ripetesse e che la targa fosse la stessa, iniziava ad avere dei dubbi. Possibile che quella macchina fosse lì per lui? Alla mente gli tornò la chiamata di Miguel di alcuni giorni prima.

-Diego, sono io. Ho poco tempo, perciò andrò dritto al punto. Mio padre sa dove sei e ha avvisato quel Fernandez-
-Miguel, sei sicuro? Tu stai bene? –
-Si, tranquillo. Promettimi che starai attento, quell’uomo non mi piace per niente-
-Te lo prometto. Ti voglio bene fratellino-
-Anch’io Diego, anch’io-

Poteva essere un caso? Era sicuro di no, in quella macchina c’era qualcuno che lo stesse spiando, forse Fernandez in persona. Ma perché si limitava a seguirlo? Cosa voleva da lui? Le sue intenzioni erano buone o cattive?
“Diego? Va tutto bene?” Violetta lo stava scuotendo per le spalle e sembrava molto preoccupata. Annuì, distogliendo lo sguardo dall’Audi. “Si, sto bene. Vado a lezione.”
La ragazza lo seguì, anche se poco convinta. Diego nascondeva qualcosa, ma d’altronde non poteva pretendere che glielo dicesse, non erano così legati, a malapena si parlavano. Camminarono in silenzio per un lungo tratto di corridoio, poi il moro la prese per il polso e la condusse in un’aula vuota. “Diego… cosa…?” Iniziò confusa, ma lui la interruppe, posandole un dito sulle labbra.
“Provi davvero qualcosa per Leon? Lui mi ha raccontato di quel Thomas e dei tuoi dubbi. Non vorrei che la storia si ripetesse,” continuò, lasciandola basita. Sapeva tutto, Leon gli aveva raccontato tutto. Allora erano davvero così amici, così tanto da difendersi l’un l’altro. In aggiunta sembrava che Diego avesse smesso di venirle dietro. Lo faceva per Leon o perché era stato rifiutato? Sperava che il ragazzo ci tenesse davvero a Vargas, di persone che tramavano ce ne erano già troppe.
“In passato ho avuto dei dubbi, ma ora non ne ho nemmeno uno. Voglio stare con lui e con nessun altro.”
Diego la fissò per alcuni istanti, poi annuì. “Leon ne ha passate tante, ma tu sembri davvero innamorata e…”
“Non lo sembro, io lo sono,” lo interruppe lei, infastidita. “Non faccio altro che pensare a lui e… ti prego, aiutami ad incontrarlo… fa di tutto per evitarmi, ma io devo parlargli, devo fargli capire quanto è importante per me…per favore,” aggiunse, mordendosi nervosamente il labbro. I suoi occhi nocciola erano imploranti, disperati e a Diego parvero anche così sinceri.
Socchiuse gli occhi e sospirò. “Cosa devo fare?”
“Oh Diego, grazie!” Esclamò euforica, stritolandolo in un forte abbraccio. “Ho già parlato con Luca e Francesca, fallo venire oggi pomeriggio al Restò Band, al resto ci penso io.”
Passando di là e vedendoli in atteggiamenti così intimi, Camilla s’incupì. Sapeva che a Diego piacesse Violetta, ma pensava che lei amasse Leon. Cosa stava succedendo? Possibile che la storia si stesse ripetendo, solo che al posto di Thomas ora ci fosse Diego? E a lei perché quella possibilità faceva così male? Amava Broadway, o no?
Si allontanò con un umore decisamente giù. Ormai non aveva più alcuna certezza, ma solo tanti e tanti dubbi e doveva trovare il modo di risolverli.
 




 

“Tranquilla Violetta, andrà tutto bene,” sussurrò la ragazza tra se e se. Era nella sala prove del Restò Band, che insieme a Francesca, Federico e Luca aveva messo in ordine con tanto impegno. Diego le aveva assicurato che avrebbe mandato lì Leon con una scusa e Violetta non stava più nella pelle. Era nervosa come mai in vita sua, le tremavano le mani e le gambe, il cuore rischiava di uscirle fuori dal petto. Chiuse gli occhi, facendo dei profondi respiri. Si avvicinò poi alla tastiera, sfiorando i tasti con delicatezza. Proprio in quel momento le arrivò un messaggio di Diego.

Diego: Sta arrivando. In bocca al lupo! ;)

Sorrise, affrettandosi a comporre la melodia.
Leon nel frattempo, stava entrando al Restò Band per la prima volta dopo tanto tempo. Diego infatti, gli aveva detto che Camilla lo aspettava lì per provare la canzone per l’esercizio di Angie. Ricordava ancora l’euforia della Torres quando aveva saputo che non avrebbe più dovuto lavorare con Andrea e Andres. “Per fortuna che sei tornato Leon. Mi hai salvata.”
Appena aprì la porta della sala prove, una dolce melodia gli giunse alle orecchie, seguita da quella voce che conosceva fin troppo bene, dato che la sognava ogni notte.


Tanto tiempo caminando 
junto a tì 
Aun recuerdo el dìa 
en que te conoci 
El amor en mi nacio 
Tu sonrisa me enseno 
Tras las nubes siempre 
va a estar el sol 


Violetta cantava con dolcezza e con passione e Leon la fissava estasiato. Quant’era bella e la sua voce… ah, la sua voce. Quasi senza rendersene conto, avanzò di qualche passo e le parole gli vennero da sole.

Te confieso que sin 
ti no se seguir. 
Luz en el camino tu eres para mi 
Desde que mi alma te vio. 
Tu dulsura me envolvio 
Si estoy contigo se detiene el reloj 


I loro sguardi si incrociarono e si sorrisero come non accadeva da tempo. Leon si avvicinò ancora, affiancandola alla tastiera, poi continuando a guardarsi, intonarono:

Lo sentimos los dos 
El corazon nos hablo 
Y al ido suave nos susurro 

Quiero mirarte 
Quiero sonarte 
Vivir contigo cada instante 
Quiero abrazarte 
Quiero basarte 
Quiero tenerte junto a mì 
Pues amor es lo que siento 
Eres todo para mi 

Quiero mirarte 
Quiero sonarte 
Vivir contigo cada instante 
Quiero abrazarte 
Quiero basarte 
Quiero tenerte junto a mì 
Tu eres lo que necesito 
Pues lo que siento es 
AMOR 


Le loro mani si sfioravano, le voci si combinavano alla perfezione e gli sguardi erano praticamente fusi l’uno nell’altro.
Violetta tremava, completamente abbagliata da quei bellissimi occhi verdi. Il suo Leon era lì con lei e stavano cantando una canzone d’amore, la loro canzone d’amore. Aveva scritto la prima strofa ripensando alla loro storia e poi lui era entrato e aveva cantato la seconda. Un semplice scambio di sguardi aveva dato vita al ritornello. Non poteva essere un caso, un filo invisibile li aveva tenuti legati e ora che finalmente si erano ritrovati, ecco che il loro amore si era riacceso, travolgendoli completamente. Ne era sicura, tutta quella sorta di magia che li avvolgeva e che la faceva sentire come su una nuvola, era dovuta alla magia dell’amore, quell’intenso e devastante amore che provava per il suo Leon.
Dio, quanto le era mancato perdersi nei suoi occhi, lasciarsi cullare dalla sua voce, inebriarsi con il suo profumo… si, riusciva a sentirlo già da lì. Sarebbe stato così semplice e allo stesso tempo così giusto, rifugiarsi tra le sue braccia, ma aveva paura, paura che poi la magia si spezzasse e lui sparisse. Non voleva che Leon sparisse, voleva che lui le restasse sempre accanto, che le sorridesse e le infondesse calore e sicurezza con le sue parole e con i suoi abbracci.
A poco a poco, la musica si affievolì, così come le loro voci… era calato il silenzio. Continuavano però a guardarsi, quasi non se ne fossero accorti.
Leon sorrise, quel bellissimo sorriso che era sempre riuscito a stordirla e a renderla un idiota. Con lentezza avvicinò una mano alla sua guancia e l’accarezzò, facendola diventare più rossa di un peperone. “Violetta,” sussurrò. I loro volti erano sempre più vicini, ormai le fronti si sfioravano, poi anche i nasi. Il respiro del ragazzo le solleticava il volto e il collo e Violetta credette di svenire. Quasi le avesse letto nel pensiero, Leon le circondò la vita con un braccio, facendo combaciare i loro corpi. Sentire quel calore, prodotto da tutta quella vicinanza a cui non era per niente abituata, se possibile la destabilizzò ancora di più. Si aggrappò alle sue forti braccia, gli occhi sempre fissi nei suoi.
Leon accorciò ancora le distanze, le loro labbra erano ora a un soffio. Lentamente iniziarono a sfiorarsi e a poco a poco si unirono, dando vita a quel bacio che entrambi avevano bramato per tanto tempo. Il primo e unico che si erano dati infatti, sembrava quasi un ricordo sbiadito, lontano ed era ora di ricreare quella stessa magia. Violetta intrecciò le dita dietro al suo collo, attirandolo maggiormente a se e approfondendo così il bacio. Leon fece scorrere una mano lungo la sua schiena, mentre l’altra le accarezzava il volto, per poi intrecciarsi nei suoi capelli. Con la lingua fece pressione contro le sue labbra e Violetta capì. Lui voleva un vero bacio, un bacio come mai se lo erano dato. Non aveva mai baciato con la lingua e anche se desiderava farlo con tutta se stessa, aveva paura. E se si fosse rivelata una pessima baciatrice? Scacciò quel fastidioso pensiero e schiuse le labbra. In un attimo si ritrovò la lingua di Leon in bocca, che stuzzicava la sua. Cosa doveva fare? Iniziò ad imitare i suoi movimenti e ben presto capì cosa doveva fare, così che il loro bacio si fece sempre più passionale e coinvolgente. Era così bello baciare Leon in quella maniera, si era sempre chiesta come sarebbe stato e poi qual era il suo sapore, un sapore che le piaceva da impazzire. Si baciarono e si ribaciarono per quelle che parvero ore e si staccarono solo per mancanza di fiato. Violetta si sentiva come dopo una lunga corsa e Leon non era da meno.
Il ragazzo si scompigliò i capelli con un gesto nervoso, poi la guardò. Sembrava confuso, spaventato quasi. “Violetta.”
“Oh Leon!” Esclamò lei euforica, gettandogli le braccia al collo. “È stato meraviglioso!”
Lui però restò rigido come un palo e la cosa non sfuggì alla ragazza, che si staccò e lo guardò, confusa. “Leon.”
“È stato un errore,” disse il ragazzo, scuotendo il capo. “Un momento di debolezza e non succederà più.”
“Cosa?” Violetta era confusa, ferita. “Non puoi dire sul serio. Ci è bastato guardarci per comporre una canzone e poi il nostro bacio… tu lo volevi esattamente come lo volevo io.”
Leon la fissò. Fosse stato per lui, si sarebbe fregato di tutto e di tutti e l’avrebbe baciata ancora e ancora, ma la paura lo frenava, la paura di essere di nuovo ferito, ingannato, umiliato. Violetta lo rendeva debole e vulnerabile e non se lo poteva permettere, anche se lo aveva fatto sentire vivo e felice come non gli accadeva da tempo. Non sarebbe caduto di nuovo nella sua trappola.
“Devo andare.”
Quando però tentò di aprire la porta, la trovò chiusa. “Ma cosa…?”
Violetta gli si avvicinò. “Leon ti prego, ascoltami,” lo supplicò, aggrappandosi al suo braccio. “Non ho scusanti per quello che ti ho fatto passare, ma ti giuro che ora non ho più alcun dubbio. Non mi importa niente né di Thomas né di nessun altro. Quei tre mesi a Madrid mi hanno permesso di fare chiarezza, di capire quanto sei importante per me e…”
Leon scosse la testa, prendendosela tra le mani. Non voleva che lei continuasse quella maledetta frase, il solo pensiero lo terrorizzava. Aveva fatto tanto per evitarla e una volta Gregorio lo aveva persino salvato in calcio d’angolo, ma ora non vedeva vie di fuga, era chiuso in quella stanza con la persona che con un solo sguardo era in grado di renderlo debole e vulnerabile e non sapeva proprio cosa fare. “Ti prego Violetta, non dirlo,” si ritrovò a supplicarla, stupendo se stesso ancora di più di lei.
La ragazza infatti si accigliò, poi però un lampo di comprensione attraversò il suo sguardo. “Non vuoi che ti dica i miei sentimenti,” mormorò, stupefatta. “Il solo pensiero ti terrorizza.”
“Basta! Smettila!” Esplose il giovane, tentando ancora di aprire la porta. “Fammi uscire da qui!”
Sembrava smarrito, spaventato, per niente lucido e Violetta sapeva cosa doveva fare, era ora di mettersi in gioco, era ora di rischiare. Prese un profondo respiro e lo guardò. “Non mi importa se non vuoi sentirlo, io te lo dico lo stesso. Ti amo Leon, ti amo.”
Lui si bloccò di colpo, mentre quelle parole gli rimbombavano nella testa più e più volte. Violetta lo amava, amava solo lui. La guardò e in quegli occhi lucidi e disperati, lesse un qualcosa di potente e devastante, un qualcosa che non vi aveva mai letto prima. Era amore, amore per lui. Quell’amore era solo suo, non doveva dividerlo con nessuno. Ma era davvero così, o era il suo amore per lei a fargli vedere ciò?
“Non ho mai provato niente di più forte,” continuò lei, stringendogli le mani con le sue. “Tu hai stravolto la mia vita e tutte le mie certezze… mi hai insegnato ad amare e io… io non credevo si potesse provare un sentimento del genere… il tuo solo sguardo mi stordisce e mi ammalia come una droga… ti amo Leon, ti amo da impazzire.”
A quel punto, tutte le difese di Leon crollarono come un castello di carte e si ritrovò a baciarla con passione, spingendola spalle al muro. “Ti. Amo. Anch’io. Non. Hai. Idea. Quanto,” le disse tra un bacio e l’altro.
“Leon,” sussurrò lei con occhi innamorati. “Mi sei mancato così tanto.”
Lui sorrise, prendendole il volto tra le mani. “E tu sei mancata a me. Ho provato a dimenticarti, ma più tentavo di farlo e più mi tornavi in mente.”
“Oh Leon!” La ragazza si rifugiò tra le sue braccia, lasciandosi andare a un pianto disperato.
“Violetta,” sussurrò il giovane, confuso, stringendola a se. “Perché piangi?”
Lei tirò su col naso, per poi incrociare il suo sguardo. “Ecco io, ancora non mi sembra vero.” Iniziò ad accarezzargli il volto e poi i capelli, mentre le lacrime le scorrevano ancora lungo le guance. “Leon, io…”
Leon sorrise dolcemente, asciugandole le lacrime con i pollici. “Va tutto bene Vilu.”
Stretta tra le sue braccia, con il capo posato sul suo petto, Violetta si sentì finalmente bene e lentamente si calmò. Il battito del suo cuore la cullò come una ninna nanna, trasmettendole quella protezione e quella sicurezza che tanto le erano mancate lontano dal suo Leon.
“Ti amo Leon.”
“Ti amo anch’io Vilu,” sussurrò lui tra i suoi capelli.
 



 

Diego uscì dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano intorno alla vita. Pulì lo specchio dall’appannamento e osservando il proprio riflesso, si rese conto di quanto fosse stanco. La sua non era però una stanchezza fisica, bensì mentale. Da quando era arrivato a Buenos Aires, sembrava che le cose anziché migliorare stessero peggiorando ancora di più e non sapeva proprio che fare. La persona che stava cercando, l’unico legame che avesse con il suo passato, probabilmente lo stava pedinando, evitando però di mostrarsi. Perché tutto questo? Perché non lo affrontava?
A ciò si aggiungeva l’ennesima delusione. La ragazza che gli piaceva, non solo non lo ricambiava, ma gli preferiva Leon… il suo migliore amico. Nonostante provasse a negarlo e avesse contribuito a farli riavvicinare, non poteva cancellare i suoi sentimenti. Violetta occupava un posto importante nel suo cuore e se si era tirato indietro, era stato solo per Leon, quell’amico che considerava quasi un fratello. Leon e Violetta si amavano e sarebbe stato un gesto egoistico da parte sua tentare di ostacolarli, ecco perché aveva aiutato la ragazza a parlare con il messicano. L’amicizia di Vargas era troppo importante per lui, era un qualcosa a cui non era abituato e non voleva perderla a causa di una ragazza. Aveva questioni più importanti a cui pensare, questioni che riguardavano lui e il signor Fernandez. Quell’uomo aveva sicuramente a che fare con il suo passato, dato che lo aveva venduto come una bestia e Diego voleva delle spiegazioni, le voleva a tutti i costi. Fernandez era suo padre? Se si, come aveva potuto fare una cosa così orribile? Aveva problemi economici?
Quasi senza rendersene conto, si ritrovò nella sua stanza accanto alla finestra. Oltre la vetrata, ferma di fronte casa di Marco, c’era un Audi con i vetri oscurati… quell’Audi. Diego rimase a fissarla così a lungo da non rendersi conto che qualcuno fosse entrato nella camera.
“Vestiti Ramirez, sei disgustoso,” disse una voce divertita, poi gli arrivò in testa quella che riconobbe essere una maglia. Se la tolse dalla testa, scoppiando a ridere.
“Puoi negarlo quanto ti pare, ma lo sai anche tu che sono un bel vedere,” sogghignò, voltandosi verso Leon, che lo fissava disgustato. “Guarda che muscoli Vargas,” gli disse, mostrandogli delle pose in stile Braccio di Ferro.
Il giovane Vargas ruotò gli occhi, divertito. “Hai finito di fare l’idiota?”
Diego rise, recuperando un paio di boxer dal cassetto della biancheria. Dopo aver indossato un paio di jeans e la maglia che l’amico gli aveva precedentemente lanciato, si sedette sul letto accanto a lui.
“Perché lo hai fatto?” Gli chiese Leon, facendogli sollevale un sopracciglio, confuso. “Non fare il finto tonto, mi hai chiuso nella sala prove del Restò Band con Violetta! Che diavolo ti è saltato in mente?” Sbottò, scattando in piedi e camminando nervosamente per la camera. “Da quando complottate alle mie spalle? Pensavo fossimo amici!”
“Non ti facevi tanti problemi mentre la baciavi o la fissavi come un ebete,” ribatté il moro con un sorrisetto beffardo.
Leon si bloccò, incrociando le braccia al petto. “Dove vuoi arrivare?”
“Leon.” Diego lo raggiunse, posando le mani sulle sue spalle. “Lei ti ama e tu ami lei, che senso aveva continuare a guardarvi da lontano?”
“Non avresti dovuto impicciarti!” Ribatté lui, spingendolo lontano da se. “Sai quello che ho dovuto passare a causa sua!”
“Dannazione Vargas!” Esplose lo spagnolo, agitando le braccia. “Io vi ho chiuso nella stanza, ma non ti ho costretto a cantare con lei o a baciarla! Avete fatto tutto voi perché vi amate!”
Leon sospirò, prendendosi il volto tra le mani. “Hai ragione, io la amo e questo è il problema. La sua sola presenza mi manda il cervello in stand by e… non voglio cadere di nuovo nella sua trappola, pensavo di essere stato chiaro su questo.”
Il moro sbuffò, esasperato. “Ho parlato con lei e mi è sembrata sincera. Devi averlo pensato anche tu, visto che l’hai baciata, no?”
“Ma…”
“Niente ma! Corri il rischio, viviti quest’amore e se va male pazienza, almeno non avrai il rimpianto di non averci provato. Violetta ti ama e stavolta non è un amore a metà. Basta avere paura, lotta per uscire dal tunnel, tu puoi farlo.”
Le ultime parole le disse con una traccia di amarezza e Leon sgranò gli occhi, avvicinandosi all’amico. “È successo qualcosa? Fernandez si è fatto vivo? Diego, rispondimi!” Aggiunse, scuotendolo per le spalle.
Diego lo guardò, poi lentamente annuì. “Credo sia qui giù.”
Senza pensarci troppo, il messicano corse alla finestra e dopo alcuni istanti, mise a fuoco l’Audi.
“Mi segue dovunque,” sussurrò Ramirez alla sua destra, facendolo sussultare. “Una volta sono stato sul punto di avvicinarmi, ma appena l’ho fatto, ha messo in moto e se ne è andato.”
Leon annuì. “Tu credi ci sia Fernandez in quella macchina?”
L’altro scrollò le spalle. “Non lo so, forse… devo trovare il modo di parlargli, mi deve delle risposte.”
“Puoi contare su di me,” gli promise il giovane Vargas, dandogli una pacca sulla spalla.
Lui sorrise. “Grazie Leon, sei un amico.”
“Anche tu lo sei e devo chiederti scusa per quello che ho detto prima, tu volevi solo aiutarmi.”
Diego annuì. “Lo capisco, anch’io avrei reagito così. Comunque sappi che lei ti ama davvero, perciò scaccia le tue paure e segui solo il cuore.”
Leon sorrise, abbracciando l’amico. “Ci proverò, grazie.”
“Ok, ora basta smancerie,” disse il moro, divertito, sciogliendo l’abbraccio. “Devo andare ad asciugarmi i capelli, non vuoi avermi sulla coscienza, vero?”
Si avviò verso la porta, ma a metà strada Leon lo richiamò. “Diego, ti aiuterò a scoprire la verità, te lo prometto.”
“Lo so.”
 





 
Eccomi qui con il capitolo che tutti aspettavate!! Finalmente le difese di Leon crollano e con il contributo prima di Diego e poi di Nuestro Camino, arriva il bacio che tutti stavamo aspettando e poi… mamma miaaaaa io amo troppo quella scena!! *-* nonostante tutto, Leon continua a tentennare e cede solo dopo la dichiarazione!! <3 non so voi, ma io sto sclerando ancora! Non so quante volte mi sono riletta quel pezzo!! Awwwwww <3 spero che sia valsa la pena attendere 18 capitoli e che non abbia deluso le vostre aspettative ;)
In tutto questo, il misterioso Fernandez procede a passi di Leonetta, tanto che Diego si rende conto di essere pedinato e ne parla con Leon. Perché l’uomo non si mostra? E Leon ascolterà le parole di Diego, si lascerà completamente andare ai sentimenti che prova per Vilu? Certo che lo farà, non può fare altrimenti, il suo orgoglio è già andato a farsi benedire! XD l’autrice Leonetta vuole così e così sarà! Prrrrrr
Povera Cami però, chissà cosa penserà adesso XD
Vorrei dedicare questo capitolo tanto atteso a tutti voi che mi seguite con tanto affetto, in particolare a DulceVoz, Syontai, Rio, Morgana1994, Leonettissimapersempre e Ary_6400 che mi seguono e mi sopportano sin dal primo capitolo. Grazieeeee!!! Questo capitolo è tutto per voi!! <3
Baci,
Trilly <3

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Capitolo 19
*** Legami indistruttibili ***





Pablo sospirò. Era la terza volta che leggeva i bilanci che riguardavano le spese dello Studio e ancora non era riuscito a capirci una parola. La sua mente era altrove, a quella famosa sera a casa sua. Angie si era presentata nel bel mezzo della cena con Jackie e gli aveva detto che doveva dirgli una cosa importante. L’aveva vista agitata, nervosa e proprio per questo l’aveva fatta entrare in casa. Nonostante tutto, non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei, l’amava e sarebbe sempre stato così. Tutto si aspettava in quel momento, ma di certo non Jackie che li raggiungeva mezza svestita. Non si era mai sentito tanto in imbarazzo in vita sua e poi il volto di Angie… gli era sembrato che i suoi occhi fossero diventati lucidi e forse in essi c’era anche tristezza e…
Si prese la testa tra le mani, scuotendola. Proprio non riusciva a sopportare che lei soffrisse e se la causa era lui, era ancora peggio. Era successo qualcosa di grave quella sera, nei suoi occhi aveva letto una paura e un’insicurezza che lo avevano destabilizzato. Cos’era successo alla sua Angie? Perché non sorrideva più?
Sbuffò, scattando in piedi. Non c’era niente da fare, più tentava di dimenticarla e più si ritrovava a pensarla. Senza pensarci troppo, lasciò la sala professori e iniziò a cercarla nelle varie aule. La trovò affacciata a una finestra, accanto al bagno delle donne. Gli dava le spalle, ma riuscì in ogni caso a rendersi conto che stesse piangendo. “Angie.”
Lei sussultò, affrettandosi ad asciugarsi le lacrime. “Pablo.”
Quegli occhi verdi, sempre pieni di vita, oltre ad essere rossi e gonfi, erano anche vuoti, spenti e Pablo se ne rattristò. “Angie, perché stavi piangendo?”
“Non stavo piangendo, ho un po’ di raffreddore.” Fece poi per scappare, ma lui le prese il polso, costringendola a voltarsi. “Lasciami Pablo.”
Lui scosse la testa. “Cosa volevi dirmi l’altra sera?”
Angie sospirò. “Ora non ha importanza.”
Pablo le sollevò il mento, così che i loro sguardi s’incrociarono. “Tu non stai bene Angie, ti conosco troppo bene, so quando menti.”
La bionda non rispose, si limitò a fissarlo e lui credette d’impazzire. Perché doveva essere tutto così dannatamente difficile? Da quando lui e Angie avevano smesso di parlarsi e di fidarsi l’uno dell’altro? Cosa ne era stato di ciò che li legava? Erano passati pochi mesi, eppure sembrava passata una vita intera dall’ultima volta in cui si erano parlati o semplicemente guardati. Poteva un amore non ricambiato o un indecisione, fare a pezzi un legame che sembrava tanto solido? Pablo non lo sapeva, ma era sicuro di una cosa, lei gli era mancata come l’aria e i suoi sentimenti non si erano per niente affievoliti. Nonostante il cuore a pezzi e l’orgoglio ferito, l’amava ancora come il primo giorno e avrebbe fatto di tutto per vederla felice. Per questo si era fatto da parte, non lo aveva fatto solo per se stesso ma anche per lei, per facilitarle le cose. Senza di lui sarebbe stata libera di andare da German, di essere felice. Perché allora gli occhi di Angie erano così spenti? Perché vedere Jackie in quello stato l’aveva portata a scappare via?
“Angie,” sussurrò tristemente. “Che ti succede? Non sopporto di vederti così.”
“Ti prego Pablo, lasciami andare,” singhiozzò lei. “Sono stata fin troppo egoista con te.” Si rifugiò poi in bagno, prima che lui potesse dire o fare qualsiasi cosa.
Pablo fissò quella porta chiusa per un tempo che gli parve infinito, poi appoggiò la guancia contro di essa e chiuse gli occhi. La sua Angie era lì, a pochi metri, che soffriva e lui si sentiva smarrito come mai in vita sua. Avrebbe voluto tanto stringerla tra le sue braccia, asciugarle le lacrime e ridarle il sorriso, quel sorriso che amava più di se stesso. Quasi senza rendersene conto, una lacrima sfuggì al suo controllo e iniziò a scorrergli lungo la guancia. “Ti amo Angie, non hai idea quanto,” sussurrò, poi dopo aver guardato ancora quella porta chiusa andò via, via da quell’amore che lo stava consumando ogni giorno di più e che purtroppo era senza futuro. Esso esisteva nella sua testa, nei suoi sogni… la realtà era un’altra cosa e doveva farsene una ragione.  
Quello che Pablo non sapeva, era che in quello stesso momento e contro quella stessa porta, solo che dal lato opposto, era appoggiata anche Angie con la schiena. Non resistendo più, ella si lasciò scivolare sul pavimento, prendendosi il volto tra le mani. Le lacrime scorrevano ormai a fiumi sul suo volto. Per alcuni folli istanti, aveva quasi pensato di confessargli i suoi sentimenti, ma poi si era resa conto dell’assurdità di ciò che stava per fare. Pablo le voleva bene, su questo non aveva dubbi, peccato che ora stesse con Jackie e che le cose fossero più serie di quanto avesse sempre pensato. Davanti agli occhi. aveva ancora la scena della donna mezza svestita che lo invitava a non dimenticarsi di lei. Non aveva bisogno di altre prove, Pablo amava Jackie ormai e lei faceva semplicemente parte di un passato che voleva dimenticare.
“Oh Pablo,” singhiozzò, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. Se la stupidità avesse avuto un nome, era sicura che si sarebbe chiamata Angela Saramego. Come aveva fatto a non rendersi conto di quanto Pablo fosse importante per lei? Come aveva fatto a non notare che lui fosse l’unico in grado di capirla e di farla sorridere anche nei momenti più bui? Eppure tante volte le aveva detto che avrebbe fatto di tutto per lei, il suo amore era completo, assoluto e senza scappatoie, era un qualcosa di così forte e allo stesso tempo distruttivo e lei lo sapeva, ma anziché accettarlo e prendersene cura, lo aveva solo usato e fatto a pezzi. La sua non era stata quindi solo stupidità, ma anche cattiveria… si, lei era stata cattiva, crudele, spietata e per questo non poteva biasimare Pablo per aver deciso di rifarsi una vita senza di lei. Con che coraggio poteva pretendere il contrario? Aveva avuto la sua possibilità di donare amore a quell’uomo straordinario e aveva preferito lasciare la porta aperta anche a quello strano sentimento che provava per German, un sentimento che poi si era rivelato solo una pallida imitazione rispetto a quello che sentiva per Pablo, peccato che quando lo aveva capito avesse già inflitto una ferita troppo profonda nel cuore del suo ormai ex migliore amico. Pablo era ferito, umiliato, con il cuore a pezzi e non se lo meritava. Lui era sempre stato così buono, dolce, altruista, comprensivo, non pensava mai a se, metteva sempre gli altri al primo posto e ciò gli si era ritorto contro, annientandolo in tanti piccoli pezzi. Come poteva quindi permettersi di piangere dopo quello che gli aveva fatto passare? Meritava ogni singolo colpo al cuore che la vista di lui e Jackie le aveva provocato. “Scusami Pablo… scusami…,” singhiozzò. “Scusami se ho capito di amarti solo dopo averti ferito… sono un mostro… io non ti merito… spero che almeno Jackie sarà in grado di renderti felice… nessuno lo merita più di te…”
Se solo avesse trovato il coraggio di dirgliele quelle cose, anziché sussurrarle al nulla, era solo una crudele codarda.
 
 





“Non puoi dire sul serio,” mormorò Lara, facendo fatica a trattenere le lacrime. Lei e Leon erano seduti su una panchina al parco e il ragazzo le aveva appena comunicato di voler mettere fine alla loro relazione. “Non puoi farmi questo Leon! Io ti amo!”
Fece per stringergli le mani, ma lui si sottrasse. “Lara, ti prego…”
“Dimmi almeno perché,” lo supplicò. “Cos’è successo per portarti a decidere di distruggere il nostro amore?”
Leon chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, poi li riaprì e la guardò. “Tra di noi non c’è mai stato amore e lo sai. È sempre stato solo sesso.” Aveva provato ad avere più tatto possibile, ma era chiaro che non esistesse alcuna parola o tono di voce, in grado di rendere più sopportabile ciò che voleva dire.
Lara infatti, scoppiò a piangere. “Come puoi dire una cosa simile? Eppure lo sai quanto ti amo!” Esplose, iniziando a colpirlo con una serie di pugni.
Lui inizialmente la lasciò sfogare, poi le bloccò i polsi. “Sono sempre stato chiaro con te, non puoi negarlo.”
La ragazza tirò su col naso e lo guardò. “È per colpa sua, vero? Quella Violetta… ti rivuole e tu le ritorni dietro come un cagnolino. Ti ferirà di nuovo, sai che lo rifarà.”
“Questo è affare mio!” Sbottò Leon stizzito, scattando in piedi. “Quello che ti dovevo dire te l’ho detto.”
“Sei uno stupido Leon Vargas,” disse Lara, raggiungendolo. “Basta che lei schiocchi le dita e tu corri, ma non sarete mai felici. Lei non ti ama e poi non sarà mai abbastanza per te.”
Il messicano rise, incredulo. “Smettila Lara, sei patetica. Tu non sai nulla di ciò che lega me e Violetta.”
“Forse, ma conosco te e so che non sei più quello che eri fino a pochi mesi fa. I bacini e gli abbracci potevano bastarti allora, ma il nuovo Leon ha bisogno d’altro. Pensi davvero che lei accetterà il tuo lato oscuro come ho fatto io? È una santarellina che ha paura persino della sua ombra, come pensi di parlarle del nuovo te? Scapperà appena saprà tutto, sai che lo farà.”
Leon incassò il colpo, senza dire nulla. Era vero, lui non era più lo stesso di un tempo e probabilmente ciò lo rendeva anche la persona più sbagliata per Violetta, ma lui l’amava davvero ed era sicuro di poter cambiare per lei. Era pronto a rinunciare all’alcool, al fumo e al sesso occasionale, voleva davvero mettere la testa a posto, voleva davvero diventare degno di una brava ragazza come lei. Sperava solo non gli chiedesse di rinunciare al motocross perché non poteva, era la sua più grande passione insieme alla musica… ormai faceva parte di lui. C’era poi la questione dei soldi che vinceva tramite le gare clandestine, ma in effetti poteva dirle del motocross senza menzionare il resto, non era necessario che Violetta conoscesse il suo lato più oscuro, preferiva non coinvolgerla.
“Violetta mi ama e capirà,” disse alla fine. “Le dirò ogni cosa, non permetterò più che tra di noi ci siano dei segreti.”
Lara rise freddamente. “Se poi non vorrà più vederti, non venire a strisciare da me.”
“Tranquilla, non lo farò,” ribatté, indossando il casco e salendo in sella alla sua motocicletta. La ragazza lo guardò allontanarsi con un sorriso crudele stampato in faccia. “Non finisce qui, tornerai da me Leon, te lo giuro.”
 

 



Santo cielo mamma, non riesco a smettere di sorridere, saltare e cantare per la casa e sai perché? Io e il mio Leon siamo tornati insieme! Lui mi ama, mamma! Mi ama ancora nonostante tutto e io non potrei essere più felice! Non sono mai stata più sicura dei miei sentimenti, io lo amo. Ti ricordi quella canzone che avevo iniziato a scrivere pensando a lui? Avevo scritto solo la prima strofa e poi è arrivato lui e sentendomi cantare, ha cantato a sua volta. Gli è bastato guardarmi per comporre la seconda strofa e poi il ritornello… credo sia una delle canzoni più belle che abbia mai composto, forse perché è nata insieme al ragazzo che amo, non lo so. So solo che ci siamo guardati per tutto il tempo e io ho avvertito un brivido scorrermi lungo la schiena, il cuore rischiava di uscirmi fuori dal petto e… non ho mai provato niente di simile prima, mamma. Quando era indecisa tra lui e Thomas, mi piacevano e anche molto, ma non li amavo. Credo che quello che provavo per Leon sia cresciuto un po’ alla volta e quando abbiamo cantato Podemos, ha superato ciò che provavo per Thomas, ma dato che sono inesperta in amore, non l’ho capito e ho preferito rinunciare a entrambi. Mi sono pentita spesso per quella decisione, ma se non l’avessi presa, non avrei capito il mio amore per Leon, perciò ne è valsa la pena. Staccare la spina è stata la cura migliore, anche se avrei preferito evitare al mio Leon tutte quelle sofferenze. Sono stata un mostro e voglio fare tutto il possibile per rimediare e dimostrargli che ora non ho più dubbi, che ora amo solo lui. Non bastano le parole, devo passare ai fatti. Oh mamma! È stato così bello baciarlo. Il primo bacio che ci siamo dati era dolce e tenero, questo invece è stato intenso e passionale e soprattutto consapevole. Quando lo baciavo, sapevo di amarlo, non avevo alcun dubbio. Sono così felice che vorrei urlarlo ai quattro venti e…

Violetta lasciò la penna e il diario sulla scrivania e corse sul suo letto per prendere il cellulare che lampeggiava. Le era arrivato un messaggio.

-Puoi venire a fare una passeggiata con me? Ho voglia di vederti. Leon-

-Anch’io ho voglia di vederti. Ti aspetto. Violetta-

Iniziò poi a saltare sul letto, euforica. Leon l’aveva invitata al loro primo appuntamento da quando erano tornati insieme e doveva essere tutto perfetto. Gettò sul letto quasi tutto il suo guardaroba, prima di scegliere cosa indossare. Alla fine optò per una gonna bianca e la maglietta rosa a mono spalla che aveva durante il loro primo bacio. Fortuna che le andasse ancora e anche se non fosse stato così, se la sarebbe infilata con la forza. Quella maglietta era collegata a uno dei ricordi più belli che aveva di lei e Leon e mai l’avrebbe buttata, l’avrebbe conservata per sempre. Si truccò con cura e lasciò i capelli sciolti, poi una spruzzata di profumo. Era pronta.
Scese le scale di corsa, per poi rallentare una volta in salotto. Se suo padre l’avesse vista uscire, l’avrebbe tartassata di domande e poi addirittura c’era il rischio che la costringesse a tornare in camera e doveva evitarlo a tutti i costi. Nulla doveva rovinare il suo appuntamento con Leon.
Aprì lentamente la porta di casa e subito se la chiuse alle spalle. Fermo accanto al cancello d’ingresso, appoggiato a una motocicletta rosso fiammante, c’era Leon.
Violetta sorrise, gettandosi tra le sue braccia. “Ciao.”
“Ciao,” ripeté lui, lasciandole un bacio nei capelli. “Sei bellissima.”
La ragazza arrossì, mordendosi il labbro e Leon la fissò rapito. “Andiamo?” Le porse il casco, che lei prontamente indossò e lui fece lo stesso.
“Dove mi porti?” Gli chiese, salendo dietro di lui.
“È una sorpresa, tu pensa solo a reggerti forte a me.”
Leon mise poi in moto e sfrecciò in strada, costringendola ad avvinghiarsi a lui come un koala. Non era mai salita su una motocicletta prima di allora e doveva ammettere di avere un po’ paura. Chiuse gli occhi, poggiando la testa contro la sua schiena. Alle orecchie le giungeva il rumore del motore e poi il vento freddo e pungente data la velocità, ma stretta a Leon qualsiasi paura e insicurezza veniva scacciata, con lui era al sicuro.
“Violetta, siamo arrivati.”
Violetta aprì lentamente gli occhi, rendendosi conto che Leon si fosse fermato. Si trovavano in quello che sembrava un bosco fitto di alberi. Ai loro piedi erba e fiori di tutti i colori.
“Wow,” mormorò sorpresa, mentre lui l’aiutava a scendere dalla moto e le toglieva il casco. “Ti piace?” Le chiese, sorridendo dolcemente.
Lei annuì, prendendolo per mano. “Andiamo? Voglio fare esplorazione.”
Violetta era felice, euforica. Correva e saltava come una bambina e costringeva lui a fare lo stesso, dato che non gli lasciava la mano. Leon però non poteva lamentarsi, il suono della sua risata era la più dolce delle melodie.
“Uh, guarda!” Esclamò all’improvviso la giovane, indicando un piccolo scoiattolo ai piedi di un albero. “Non li avevo mai visti dal vivo, devo immortalarlo!” Prese la fotocamera dalla borsa, poi si avvicinò di soppiatto.
Leon la seguì, divertito. “Togli il flash piccola, sennò scappa,” le sussurrò all’orecchio.
Lei lo fece, rivolgendogli un dolce sorriso. Scattò la foto allo scoiattolo, anche se venne un po’ mossa, dato che l’animale avvertita la loro presenza scappò via, poi immortalò gli alberi, i fiori e il paesaggio in generale. “Posso farti una foto?” Chiese all’improvviso, voltandosi verso di lui. Sul volto aveva un sorriso così dolce e spensierato che Leon non riuscì a dirle di no. Sembrava una bambina davanti a un nuovo gioco ed era così bella. Violetta iniziò così a tempestarlo di foto, rischiando di fargli venire il mal di testa. “Menomale che doveva essere una, eh?” Sorrise e lei ricambiò, aggrappandosi al suo braccio. “Non posso farci nulla se la mia fotocamera ti ama e poi…” si zittì, poiché Leon le aveva circondato la vita e l’aveva attirata a se.
“Mi piace vederti così felice,” sussurrò, accarezzandole i capelli. Lei arrossì. “È merito tuo.” Intrecciò le dita dietro al suo collo, avvicinando il volto al suo. Si fissarono per alcuni istanti, poi si scambiarono un dolce bacio a fior di labbra. “Non ho fatto altro che pensarti in questi mesi, mi sono mancati i tuoi abbracci.”
Lui sorrise, strofinando il naso contro il suo. “Non hai idea di quanto sono mancati a me. Ero convinto di odiarti, ma in cuor mio sapevo che non fosse così.” La prese poi in braccio e la fece girare in tondo. La risata cristallina di Violetta, gli risuonò nelle orecchie e Leon si sentì finalmente a casa. “Vilu.” Lei gli accarezzò il volto, continuando a sorridere, poi gli depositò un piccolo bacio sulla guancia. Di tutta risposta, lui la baciò con passione, facendo aderire i loro corpi. A poco a poco, le loro lingue si intrecciarono in una danza sensuale, dando vita a un bacio pieno di trasporto. Violetta non seppe dire come, ma si ritrovò ben presto schiacciata tra il tronco di un albero e il corpo di Leon. Continuarono a baciarsi, facendo solo delle piccole pause per prendere fiato e poi ricominciavano. Leon fece scorrere una mano lungo la sua coscia e la sollevò, portandola intorno alla sua vita e a quel gesto la ragazza arrossì di botto. Loro non si erano mai spinti a tanto. Fece per dire qualcosa, ma in quel momento iniziò a squillarle il cellulare. Si allontanò da Leon, imbarazzata, guardando il display, su cui lampeggiava il nome di Esmeralda.
-Esmeralda-
-Vilu, dove sei? Ti ho cercata dovunque. Tuo padre mi ha chiesto di te-
La ragazza sbiancò di colpo. Leon se ne accorse e subito le fu vicino, stringendole la mano libera.
-Sono con Leon. Ti prego Esme, coprimi. Digli che sono da Francesca o qualsiasi cosa ti viene in mente-
-Sei con Leon? Avete fatto pace, allora. Sono così felice! - La voce euforica della donna, giunse pure alle orecchie del ragazzo, che sorrise sotto i baffi, mentre lei avvampò.
-Ehm…si, scusa se non ti ho avvisata-
-Tranquilla, ci penso io a tuo padre. Ti chiedo solo di tornare per cena-
-Grazie Esme. Ti voglio bene-
-Ti voglio bene anch’io e salutami Leon-
Violetta chiuse la conversazione, sollevando poi lo sguardo verso Leon, che le sorrise. “È una mia impressione, o sei tutta rossa?” Sussurrò maliziosamente, accostando le labbra al suo orecchio. “Sei ancora più bella quando sei in imbarazzo e…” Fece scorrere l’indice contro la sua guancia, facendola rabbrividire. “E non posso non immortalare questo momento.” Le soffiò la fotocamera dalla borsa e prima che lei potesse dire o fare qualsiasi cosa, le scattò una foto. “Sorridi piccola, voglio un bel book fotografico su di te.”
Tra baci e risate, Leon le scattò foto a raffica, finché lei non ne volle anche qualcuna di loro due insieme. “Vieni accanto a me Leon.”
Lui sorrise e l’abbracciò, immortalando quel momento. Poi un sorriso e un bacio. “Sono delle foto stupende!” Esclamò Violetta, saltandogli al collo. Colto di sorpresa, Leon perse l’equilibrio e cadde sull’erba con la ragazza sopra di lui.
“Ahia,” borbottò il giovane, massaggiandosi la schiena dolorante. “Tu sei pazza.”
Di tutta risposta, lei scoppiò a ridere. “Dovresti vederti, sei pieno di fiori nei capelli.”
Leon rise, scompigliandosi i capelli e liberando una pioggia di petali. “Tu non sei da meno, piccola indisponente.” Invertì poi le posizioni e iniziò a farle il solletico dovunque. “L...Leon… basta…” mormorò lei tra una risata e l’altra. “Chiedi scusa,” sussurrò lui divertito, solleticandole i fianchi. “Ahahahahahaha… mai…”
Leon continuò allora a farle il solletico sempre più velocemente, finché lei ormai senza fiato e con le lacrime agli occhi per le troppe risate, sussurrò: “Mi arrendo… scusa.”
Il giovane Vargas si fermò e affondò il viso tra i suoi capelli, continuando a ridere. “Brava bambina.” Il respiro del ragazzo sul volto, la fece rabbrividire e normalmente avrebbe provato imbarazzo per tutta quella vicinanza e per la posizione per niente casta in cui si trovavano, ma in quel momento l’unico pensiero che attraversò la sua mente, era che avrebbe voluto stare così per sempre. Proprio per questo lo abbracciò, inspirando a pieni polmoni il suo profumo.
Leon sorrise, lasciandole un delicato bacio sull’orecchio. “Nessuno mi fa stare bene come ci riesci tu.” Scese poi a baciarle tutto l’orecchio fino al lobo, che prese a mordicchiare. Quel gesto così intimo, fece nascere nella ragazza una sensazione di calore che mai aveva avvertito prima. Il suo orecchio ormai ardeva come se fosse stato sui carboni ardenti e la cosa le piaceva e la imbarazzava allo stesso tempo. “Leon,” mugugnò, socchiudendo gli occhi.
Lui le sfiorò la guancia e poi lentamente poggiò le labbra sulle sue. Si scambiarono un dolce e delicato bacio, alternato da piccoli morsi.
“Leon,” sussurrò Violetta, posando il capo sul suo petto. Da alcuni minuti se ne stavano in silenzio, abbracciati l’uno all’altra e lei pensò che fosse arrivato il momento giusto per chiederglielo. “Com’è andata con Lara? Dov’essere stata dura lasciare una persona che comunque è stata importante e…”
Leon s’irrigidì, mentre il sorriso spariva dal suo volto. Era arrivato il momento, il momento di essere sincero con lei e raccontarle tutto, o almeno quello che poteva dirle. Si mise seduto, costringendo lei a fare lo stesso. “Violetta, ci sono delle cose che devo dirti,” iniziò, stringendole le mani con le sue e guardandola fisso negli occhi.
“Leon, così mi spaventi. Che succede?”
Lui prese un profondo respiro e proseguì. “Quando ci siamo lasciati, decidere di abbandonare lo Studio è stata la decisione meno grave, almeno rispetto alle altre. Ho iniziato ad appassionarmi al motocross e a frequentare compagnie non molto raccomandabili, tra di loro c’era anche Lara. Io ero ferito, deluso e vulnerabile e poi pieno di rabbia. Il motocross mi aiutava a distrarmi e poi c’erano le serate in discoteca, l’alcool, gli spinelli e Lara… non so com’è successo, ma ho iniziato a vederla come lo strumento perfetto per dimenticarti e… so di essere stato egoista e di aver approfittato dei suoi sentimenti per me, ma mai nemmeno per un attimo le ho fatto credere di ricambiarli, tra di noi c’è sempre stato solo sesso. La mia era una vita sregolata, ribelle e pericolosa, il più delle volte ero ubriaco o completamente fatto e tutto questo per sfuggire a una realtà che non mi soddisfava. Il rapporto con mio padre, che già normalmente non è mai stato eccezionale, è peggiorato e non facciamo altro che litigare e… quello era il mio modo di scappare, di dimenticare almeno per un po’. Il tuo ritorno nella mia vita ha cambiato tutto, sento di avere di nuovo un motivo per combattere. Violetta, io non sono più il bravo ragazzo che ero un tempo, ma voglio cambiare, voglio smettere di assumere quella robaccia e per riuscirci ho bisogno di te e… dovevo dirtelo anche se mi vergognavo, non voglio che ci siano più segreti tra di noi e se non vorrai più avere a che fare con me, capirò.”
Violetta lo ascoltò in silenzio tutto il tempo e ora che lui la fissava, in attesa della sua reazione, non sapeva proprio che dire. Non se lo aspettava, Leon sempre così controllato e dolce, tra alcool, spinelli e sesso. Tutto questo per colpa sua, lei con la sua indecisione e il suo egoismo lo aveva ridotto in quello stato. “Oh Leon!” Scoppiò a piangere, gettandogli le braccia al collo e facendogli posare il capo contro il suo petto. Leon era basito. Lei piangeva, eppure allo steso tempo lo stringeva a se come un bambino.
“Perdonami Leon, perdonami,” singhiozzò e a quel punto lui capì. Piangeva perché si sentiva in colpa. Si staccò da lei, prendendole il volto tra le mani. “Guardami Vilu.” Quando lei lo fece, proseguì. “Non te l’ho detto per farti sentire in colpa, volevo solo che conoscessi anche la parte più oscura di me, quella che voglio cambiare e posso riuscirci solo insieme a te.” Le asciugò le lacrime con i pollici e poggiò la fronte contro la sua. “Ti prenderai cura di me?”
Violetta sorrise e lo abbracciò. “Non ti lascerò Leon, né ora né mai. Di sciocchezze ne ho già fatte troppe.”
Leon sorrise a sua volta, stringendola a se. “Temevo mi avresti lasciato dopo aver saputo del mio passato, che tra l’altro è molto recente.”
“Scherzi? Ti ho ferito ed è naturale che cercassi un modo per superare la cosa. Ti aiuterò io d’ora in avanti, te lo giuro,” gli promise, prima di baciarlo.
“Grazie,” mormorò lui, rendendo poi il bacio più appassionato. Insieme alla sua Violetta ce l’avrebbe fatta ad uscire dal tunnel, ne era sicuro. Il loro amore era molto più forte del resto e poteva superare qualsiasi ostacolo.
La giovane dal canto suo, continuava a baciarlo, ma la sua mente era in piena attività. Scoprire quelle cose di Leon l’aveva sorpresa e forse anche un po’ sconvolta, il suo senso di colpa era più vivido che mai, così come la sua determinazione nel rimediare, ma c’era anche dell’altro. Specchiandosi nei suoi occhi, aveva avuto la sensazione che avesse omesso qualcosa e anche se era durata solo pochi istanti, quel dubbio non l’abbandonava. Possibile che Leon non le avesse detto tutta la verità? Una parte di lei avrebbe voluto chiederglielo, ma vederlo così felice tra le sue braccia la frenava. Forse non era pronto a parlarne, forse ciò che le nascondeva gli faceva male. Si, doveva essere così e lei non voleva di certo vederlo soffrire, proprio per questo gli avrebbe lasciato il suo spazio. Quando fosse stato pronto, Violetta sarebbe stata lì ad ascoltarlo e a sostenerlo, mai più lo avrebbe abbandonato. Mai più.
 

 



 
Ciao a tutti!!! :)
Prima di commentare questo capitolo, che sono sicura avrete amato almeno quanto me, ci tenevo a ringraziarvi ancora per le bellissime recensioni che mi avete lasciato per il capitolo 18. So che vi ho già ringraziato nelle risposte, però mi sono commossa un sacco e quindi ancora grazie!! <3
Allora, per la gioia di Dulcevoz sono tornati i nostri Pangie con una scena strappalacrime, ogni volta che la leggo mi commuovo!! :( Sono troppo dolci <3 peccato siano anche così ottusi e che quel nido di corvi causi problemi anche senza comparire di persona -.-
E finalmente Leon si libera di quella palla al piede di Lara olèèèèèèèèèè ve l’avevo detto che presto ce ne saremmo liberati! Sciò Laruccia, sciò XD la sua minaccia però non è da sottovalutare, ma non aggiungo altro.
Sulla scena Leonetta faccio fatica a commentare, ormai sapete quanto amo questi due e che su di loro scriverei manoscritti XD mi sono riletta quel pezzo non so quante volte e sto ancora sclerando! Sono troppo pucciosiiiiiii awwwwwww <3
Tra l’altro Leon vuota finalmente il sacco e chiede a Vilu di prendersi cura di lui e qui la famosa frase che dà il titolo alla storia e che Morgana1994 attendeva con ansia, eccola qui! <3  Leon però omette la questione dei soldi e delle corse clandestine, ma Vilu non è stupida e ha intuito che c’è dell’altro. Lascio a voi le possibili supposizioni XD
Besos,
Trilly <3

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Capitolo 20
*** Chi è Joaquin Fernandez? ***





“Leon ed io siamo tornati insieme,” annunciò Violetta euforica, raggiungendo Francesca e Camilla a un tavolo al Restò Band. “Sono così felice!”
“È fantastico! Sono contenta per te!” Esclamò Fran, stringendola in un forte abbraccio.
Camilla invece non si mosse. A che gioco stava giocando Violetta? Prima abbracciava Diego, poi si rimetteva con Leon. Che volesse ripetere gli eventi dell’anno prima? Iniziò ad applaudire, tanto che l’italiana e Vilu si voltarono a guardarla, perplesse. “Che ti prende Camilla?”
Lei rise ironicamente. “Complimenti, davvero. Anno nuovo, sempre la solita Violetta. Non ci hai messo molto a trovare il sostituto di Thomas.”
Violetta la fissò, confusa. “Che vuoi dire?”
“L’anno scorso passavi da Leon a Thomas e viceversa. Quest’anno fai lo stesso con Leon e Diego. Ti piace così tanto giocare con i sentimenti delle persone? Forse Ludmilla ha sempre avuto ragione su di te e…”
Sbam! La Castillo, ormai con le lacrime agli occhi, colpì l’amica con un ceffone sulla guancia sinistra, zittendola di colpo. “Non ti permettere mai più.” Lasciò poi il locale di corsa, mentre intorno a loro si era radunata una piccola folla.
Camilla si toccò la guancia colpita, ma non disse nulla. Era convinta al cento per cento di ciò che aveva detto e non se ne pentiva.
“Proprio non capisco che ti prende,” mormorò Francesca, scuotendo il capo. “E voi che avete da guardare? Andatevene!” Aggiunse, rivolgendosi alla folla di curiosi, che si affrettò a dileguarsi. “Mi dici cosa ti è preso?”
“Smettila di difenderla e guarda in faccia la realtà, Francesca! Il lupo perde il pelo ma non il vizio,” sbottò la Torres furiosa, prima di voltarle le spalle e andarsene.
Proprio in quel momento, arrivarono Maxi e Nata che si tenevano per mano e dietro di loro Luca, Lena e Federico. Quest’ultimo rivolse un dolce sorriso a Francesca da dietro le spalle di Luca e lei ricambiò. Ormai stavano insieme, ma ancora non avevano avuto il coraggio di dirlo al gelosissimo fratello della ragazza, in compenso però lo avevano detto a Lena, che dopo l’iniziale delusione, si stava ora sforzando di accettarlo.
“Cos’è successo con Camilla?” Chiese Maxi, confuso.
Francesca scrollò le spalle. “Non ne ho idea. Ha saputo che Violetta e Leon sono tornati insieme e anziché essere felice, l’ha accusata di giocare con i sentimenti di Leon e quelli di Diego.”
“È impazzita,” concluse Luca, Lena invece scosse la testa. “Secondo me le piace uno dei due ed è gelosa perché sono entrambi cotti di Violetta.”
Tutti la fissarono allibiti, poi Federico annuì. “Ora che mi ci fate pensare, l’ho vista diverse volte parlare con Diego.”
“Si,” convenne Nata. “Li ho visti anch’io. Vi ricordate il giorno in cui Gregorio e Jackie stavano per azzuffarsi? Credo che Ludmilla abbia chiesto a Diego se gli piacesse Violetta o Camilla.”
“Fatemi capire,” intervenne Maxi. “State dicendo che a Camilla piace Diego?”
Francesca sospirò. “Questo spiegherebbe perché premeva per far incontrare Leon e Violetta, ma Broadway?”
“Sono a chilometri di distanza e lui non è di certo famoso per essere un fidanzato attento e premuroso. Magari le attenzioni di Diego l’hanno lusingata e…” ipotizzò Lena e gli altri annuirono. “Già, può darsi.”
 
 




Nel frattempo Violetta aveva raggiunto lo Studio. Stava cercando Leon, aveva bisogno di un suo abbraccio. Lui era l’unico in grado di risollevarle il morale. Ben presto, lo trovò accanto agli armadietti in compagnia di Diego, Marco e Andres. Parlavano allegramente e appena la vide, Leon le rivolse un dolce sorriso. Senza pensarci troppo, Violetta corse a gettarsi tra le sue braccia.
“Ehi piccola, tutto bene?” Sussurrò lui, guidandola in un angolo appartato. Lei scosse la testa, seppellendo il volto contro il suo petto. “Ho litigato con Camilla.”
“Perché?” Chiese Leon, accarezzandole i capelli.
La ragazza sollevò lo sguardo, incrociandolo con il suo. “Mi ha vista abbracciare Diego e ora pensa che sia indecisa tra te e lui come in passato lo sono stata con Thomas, ma non è così, io…” s’interruppe, notando che Leon non la stesse più ascoltando. Il ragazzo infatti, si stava avviando verso Diego, che essendo di spalle non se ne era accorto. Preoccupata, Violetta si affrettò a seguirlo.
“Ehi Ramirez, mi spieghi perché hai abbracciato la mia ragazza?” Sbottò Leon, lasciando il moro a bocca aperta. “Prima mi spingi a farci pace e poi ci provi? Lo trovi corretto?”
Diego scosse la testa. “Ma che ti salta in mente? Come puoi pensare che possa provarci con la tua ragazza?”
“E allora perché l’hai abbracciata?” Insistette, fulminandolo con lo sguardo.
“Non è stato lui, sono stata io,” intervenne Violetta, frapponendosi tra i due. “Tu non volevi parlarmi, allora ho chiesto a Diego di aiutarmi e lui ha accettato. Ero su di giri all’idea di poterti finalmente dire ciò che provavo e l’ho abbracciato. Tra di noi non c’è niente, devi credermi.”
Il moro annuì. “Mi stava semplicemente ringraziando, non sai quante volte mi ha detto che ti ama. Sei un imbecille se pensi che io potrei tradirti Vargas,” aggiunse con uno sguardo deluso.
Leon sospirò, prendendosi la testa tra le mani. “Scusatemi, non avrei dovuto dubitare, sono un idiota.”
“No, non è così,” disse Violetta, abbracciandolo. “Sono io che ti ho fatto diventare così sospettoso e sono io quella che deve scusarsi, avrei dovuto dirtelo.”
Il ragazzo la strinse forte a se e al contempo guardò Diego. “Scusami amico, scusa se…”
L’altro annuì. “Tranquillo, lo capisco. Anch’io mi sarei insospettito al tuo posto. A proposito, come lo hai saputo? Voglio dire, eravamo soli e…”
“Camilla,” spiegò Violetta. “Ci ha visti e per questo mi ha accusata di illudere sia te che Leon.”
Diego guardò prima lei e poi Leon, mentre un sorrisetto si faceva strada sul suo volto. “A quanto pare ci avevo visto giusto.” Con quella frase sibillina si allontanò, lasciandoli basiti. “Che avrà voluto dire?”
Leon scosse la testa. “Non ne ho idea. Ho un amico un po’ strambo,” aggiunse divertito.
Lei sorrise, intrecciando le dita dietro al suo collo. “Anche il mio ragazzo lo è,” sussurrò, facendo sfiorare le labbra con le sue. “Ah sì?” Il giovane Vargas sogghignò, baciandola dolcemente. “Oh sì,” disse lei, approfondendo il bacio.
 

 




“Eccomi,” mormorò Leon, raggiungendo Diego dietro un grosso cespuglio nel cortile dello Studio. Nella mano destra stringeva un mazzo di chiavi, tra cui erano piuttosto evidenti dei portachiavi dai colori sgargianti. “Sono della macchina di mia madre,” spiegò, notando lo sguardo divertito dell’amico. “Non si è ancora mosso, vero?”
Diego scosse la testa. “Credo si stia guardando intorno in attesa che esca.” La famosa Audi nera infatti, era ancora parcheggiata davanti all’ingresso dello Studio.
“Qual è il piano?” Chiese Leon, continuando a sbirciare tra le foglie.
“Prima o poi se ne andrà e appena lo farà, lo seguiremo con la macchina di tua madre. Devo scoprire dove vive e che luoghi o persone frequenta.” Diego sembrava tranquillo e controllato, ma il modo in cui le sue unghie artigliavano il terreno lo tradiva. Il moro era preoccupato, ansioso e forse aveva persino paura. Il suo passato e il suo futuro erano legati a quell’uomo, la verità gli avrebbe inevitabilmente cambiato la vita, restava da capire se in bene o in male. Istintivamente, Leon gli poggiò una mano sulla spalla. “Tranquillo, andrà tutto bene.”
Il moro sospirò, lo sguardo ancora fisso nel vuoto. “Una parte di me vuole conoscere la verità, ma l’altra… mi ha venduto e… probabilmente non mi vuole.” La sua voce, sempre così altezzosa e prepotente, ora era tremante, insicura e Leon se ne dispiacque, non lo aveva mai visto così vulnerabile. “Se non gli importasse nulla, non ti starebbe sempre alle costole, no?”
“Leon! Diego! Cosa state facendo?”
I due ragazzi si voltarono di scatto, mentre Violetta correva verso di loro. Pallido come un fantasma, Leon la tirò accanto a lui, tentando di nasconderla il più possibile dietro al cespuglio. “Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di tornare a casa subito dopo le lezioni,” bisbigliò furioso.
“Io non prendo ordini da te e poi ci eravamo promessi che tra di noi non ci sarebbero stati segreti. Che state combinando? Aggiunse, stizzita.
“Stt,” la zittì lui. “Questa cosa non ti riguarda e ora vai a casa.”
Il suo tono era freddo e incolore, ma Violetta non si scompose. “Io non mi muovo finché non mi dici la verità.”  
Leon fece per ribattere, ma Diego lo anticipò. “La vedi quell’Audi? Lì dentro dovrebbe esserci il mio vero padre, che appena nato mi ha venduto a una famiglia in Spagna. Sono giorni che mi segue e ora saremo noi a seguire lui. Voglio delle risposte.”
Violetta si portò una mano alla bocca, sconvolta. “Oh mio Dio, Diego. Tutto questo è orribile e… voglio aiutarti.”
“No!” Sbottò Vargas. “Tu devi starne fuori!”
“Non se ne parla! Non posso far finta di nulla dopo aver saputo una cosa del genere!”
“Vattene, ora! Non permetterò che tu corra alcun rischio!”
“Io non mi muovo da qui!”
Probabilmente avrebbero continuato a litigare se Diego non si fosse intromesso. “Smettetela, maledizione! Se ci scopre, siamo finiti! Restate entrambi, ma state zitti!”
I due annuirono imbarazzati, non aggiungendo più nulla. Trascorse così più di mezz’ora, finché l’Audi non mise in moto e partì.
“Ora!” Diego, Leon e Violetta corsero alla macchina della madre del messicano e si misero all’inseguimento. Leon guidava, mentre Diego teneva d’occhio l’Audi e gli diceva dove andare e Violetta se ne stava allerta sul sedile posteriore. L’adrenalina nel frattempo, scorreva a fiumi nelle loro vene. Mai avrebbero pensato di ritrovarsi a fare un inseguimento, si sentivano tanto i personaggi principali di un thriller.
“GIRA A DESTRA LEON! A DESTRA!” Urlò Diego, gesticolando freneticamente.
Leon lo fece, inserendo la quarta e schiacciando sull’acceleratore. Tra sorpassi e brusche frenate, i ragazzi riuscirono a stare dietro all’Audi, che nel frattempo non accennava a rallentare.
“Ma cosa…?” Borbottò il messicano, imboccando l’autostrada. “Dove diavolo sta andando?”
“Accelera Leon,” disse Violetta. “Si è spostato nella corsia di sinistra.”
Continuarono l’inseguimento con i due fidanzati che si scambiavano la parola di tanto in tanto, mentre Diego era silenzioso e immobile come una statua di cera. Perché l’uomo aveva imboccato l’autostrada? Stava tornando a casa, o la sua destinazione era un’altra?
Dopo una decina di chilometri, l’Audi lasciò l’autostrada e Leon la seguì. Si ritrovarono in un piccolo e desolato quartiere, illuminato solo da qualche lampione, la maggior parte infatti erano fulminati. La strada oltre ad essere buia, era quasi deserta e ai suoi lati si alternavano una serie di palazzine che sembravano reggersi in piedi per miracolo, la vernice era scrostata e le crepe erano piuttosto evidenti.
“Questo posto è orribile,” commentò Violetta, rabbrividendo e gli altri due annuirono. “Mi ricorda i quartieri nei film di Dracula,” aggiunse Diego. “Manca solo lui che ci stacca un’arteria.”
“Non sei divertente Diego,” sbottò Leon, fulminandolo con lo sguardo. Guardò poi Violetta dallo specchietto retrovisore e proseguì. “Se ti succede qualcosa, giuro che ti riporto in vita e poi ti ammazzo. Dovevi stare al sicuro a casa tua.”
Lei sorrise dolcemente. “Non mi succederà nulla finché sarò con te.”  
“Non ci provare, non abbocco a questi trucchetti.” Non poté però evitare di sorridere, proprio non ci riusciva ad avercela con lei, l’amava troppo.
Man mano che avanzavano nel quartiere, esso si faceva sempre più squallido e inquietante. Sui marciapiedi le uniche forme di vita erano i barboni ubriachi e le donne di facili costumi. Queste ultime assumevano pose sconce appena passavano loro accanto. Se Leon e Diego si sforzavano di mantenere il controllo, Violetta non poteva fare a meno di guardarsi intorno e tremare come una foglia. Mai in vita sua aveva avuto più paura.
Ben presto, i palazzi furono sostituiti dagli alberi e davanti ai loro occhi, si estese quella che sembrava una locanda d’altri tempi. Un’insegna scolorita e pericolante, portava incisa la sigla J.D.F. L’Audi parcheggiò nel piccolo parcheggio e Leon fece lo stesso, tenendosi però a debita distanza. Da essa uscì un uomo alto e possente, vestito completamente di nero, che dopo essersi guardato intorno con circospezione, entrò nella locanda.
“Che facciamo adesso?” Chiese Violetta, guardando i due.
“Io entro,” disse prontamente Diego. “Se non torno entro mezz’ora, andatevene.” Fece per aprire la portiera, ma con uno scatto, Leon bloccò le sicure. “Sei pazzo se pensi che ti faccio entrare lì da solo.”
Il moro ruotò gli occhi e sbuffò. “Tu devi stare qui con Violetta, dovete starne fuori. Se vi dovesse succedere qualcosa, non me lo potrei mai perdonare.”
Leon e Violetta si guardarono e annuirono concordi, ormai avevano deciso. Il ragazzo aprì le sicure, poi entrambi uscirono dalla macchina.
“Che fate?” Chiese Diego confuso, imitandoli. “Entrate subito!”
“No,” disse Violetta, stringendo la mano del fidanzato. “Noi veniamo con te.”
“Siamo venuti insieme fin qui e insieme entreremo,” aggiunse Leon, sicuro.
Lo spagnolo li guardò a lungo, quasi sperasse di riuscire solo con lo sguardo a fargli cambiare idea, poi scosse la testa, rassegnato. “Accidenti a voi,” borbottò, così tutti e tre si incamminarono verso la locanda. La porta in legno cigolò rumorosamente quando Diego l’aprì, segno che i cardini ben presto avrebbero ceduto. L’interno era ancora più squallido. Il pavimento era scheggiato in più punti e ricoperto da ben tre strati di polvere. Una decina di tavoli rotondi in ferro battuto, erano disposti nella piccola sala, a cui erano accostate delle sedie anch’esse in ferro e apparentemente instabili. I clienti erano per lo più uomini e dalla puzza che emanavano e dalle risate che sembravano dei latrati, dedussero che dovessero essere ubriachi fradici.
“Andatevene,” sussurrò Diego, guardandosi nervosamente intorno, alla ricerca dell’uomo dell’Audi. “Questo posto non mi piace per niente.”
“Non ce ne andiamo senza di te,” disse Violetta, stringendo più forte la mano di Leon, che annuì. “È inutile che…” Il ragazzo si interruppe di colpo, mentre il suo sguardo si posava sul bancone in fondo alla sala. Esso era ridotto in stato pietoso come tutto il resto e il locandiere vecchio e decrepito, si sposava perfettamente con l’insieme. In ogni caso, la sua attenzione era stata attirata dai due uomini, che sorseggiavano qualcosa da due grossi boccali. Il primo era senza dubbio l’uomo dell’Audi e con la flebile luce all’interno del locale, poté notare che indossasse un completo nero e che avesse la testa completamente rasata. L’uomo accanto a lui era però di spalle, quindi non riusciva a vederlo in volto. Spostò lo sguardo su Diego e Violetta e notò che anche loro guardassero nella medesima direzione.
“Chi diavolo è quell’altro uomo?” Sussurrò Diego pensieroso. “Devo scoprirlo.” Fece solo un passo, poi Leon gli bloccò il polso. “Non puoi andare, ti conoscono e se ti vedono è la fine. Dobbiamo verificare che tipo di persone sono, prima di mostrarti.”
Il moro ruotò gli occhi, liberandosi dalla sua stretta. “E come faccio a verificarlo senza avvicinarmi?”
Il giovane Vargas si guardò intorno, poi trascinò lui e Violetta a un tavolo isolato. “Non ho detto che non ci avvicineremo, ma che non sarai tu a farlo.” Sotto lo sguardò confuso dei due, proseguì. “Ora vado ad ordinare qualcosa e cerco di ascoltare qualche pezzo di conversazione. Voi non muovetevi da qui.”
Diego e Violetta però gli afferrarono i polsi, impedendogli di alzarsi. “No Leon, riguarda me e sono io che devo rischiare, non tu.”
Leon sospirò, colpendo il tavolo con un pugno. “Loro non mi conoscono e quindi non corro alcun rischio. Mi limiterò semplicemente ad ascoltare.”
Diego sbuffò, prendendosi la testa tra le mani, mentre Violetta gli strinse la mano. “Vengo con te.”
“Non se ne parla, tu resti qui con Diego. Niente ma, Violetta,” aggiunse quando lei fece per protestare.
“Leon,” intervenne Diego. “Voi due non c’entrate con tutto questo. Tiratevene fuori finché siete in tempo.”
Leon scosse la testa, prendendo la mano di Violetta e stringendola con quella di Diego. “Ti affido la cosa a cui tengo di più, proteggila finché non torno.” Si alzò, ma prima di proseguire aggiunse: “Sei il mio migliore amico, perciò c’entro eccome.”
Violetta lo guardò allontanarsi, mordendosi nervosamente il labbro. “Accidenti alla sua testardaggine, perché non ha voluto che lo accompagnassi?”
“Tranquilla principessa,” la rassicurò Diego, poggiando la mano sulla sua. “Da qui ho una vista perfetta e se le cose si complicano, sarò pronto ad intervenire. Andrà tutto bene.”
Lei annuì, tirando su col naso. “Lo spero Diego, lo spero.”
Nel frattempo Leon si fece strada tra i tavoli, fino a raggiungere il bancone. Il vecchio e decrepito locandiere, gli venne subito incontro. “Cosa posso servirti ragazzo?”
“Ehm…” iniziò, guardandosi intorno. Cosa poteva ordinare che potesse tenerlo occupato a sufficienza? “Un cocktail bello forte, grazie.”
“So cosa fa per te ragazzo.” Appena si allontanò, Leon fece cadere lo sguardo sui due uomini alla sua destra. Da quella posizione, l’uomo dell’Audi gli dava le spalle, mentre l’altro poteva vederlo perfettamente. Era un uomo sulla sessantina, piuttosto mingherlino. A colpirlo furono i suoi occhi piccoli e neri come il carbone. In essi c’era un senso di sicurezza e fierezza, tipico di quelle persone che si sentono al di sopra delle altre. I suoi capelli erano bianchi con striate di grigio e aveva due grossi baffi del medesimo colore. Indossava un elegante e raffinato completo gessato e sul taschino aveva appuntata una grossa “F” d’oro. Sembrava uno di quei ricchi signorotti d’altri tempi e stonava decisamente in quel luogo squallido e dimenticato da Dio.
“… lo Studio On Beat e la pista di motocross…” stava dicendo l’uomo dell’Audi, mostrando all’altro alcuni fogli. “Vive a casa di un certo Marco Navas, un suo amico allo Studio. Qui c’è l’indirizzo.”
L’anziano uomo annuì, facendo gesto al locandiere di riempigli il bicchiere. Solo allora, Leon notò che avesse al dito un grosso anello d’oro, con incisa la stessa lettera “F”.
“Con chi ha legato oltre che con questo Navas?” La voce del vecchio era bassa e fredda come il ghiaccio e il giovane rabbrividì, mentre fingeva profondo interesse per il bancone sporco e polveroso.
L’altro recuperò un foglio da una cartellina rossa e glielo porse. “Marco Navas, Andres Calipxo, Leon Vargas…” Leon continuò a fare finta di nulla, ma dentro di se avvertiva l’ansia e la paura. Non credeva che avessero informazioni anche su di loro. “Perché il nome di Leon Vargas compare così spesso?” Gracchiò il vecchio.
“A quanto pare sono molto amici, signor Fernandez.”
Il giovane Vargas sbiancò di colpo. Allora ci aveva visto giusto, Fernandez era il vecchio. L’uomo dell’Audi doveva quindi essere una sorta di collaboratore.
Fernandez si toccò pensierosamente i baffi, poi si scolò un sorso del liquido che aveva ordinato. “Procurami la lista degli insegnanti, collaboratori o chiunque altro frequenti lo Studio e continua a tenere d’occhio il ragazzo, non deve scoprire nulla.”
“Sarà fatto signore. A proposito, che mi dice di sua figlia?” Aggiunse l’uomo, guardandolo con una certa ansia.
“Non sa niente e mai lo saprà,” sbottò acidamente Fernandez. “E comunque dovresti pensare al tuo lavoro, anziché fare inutili domande.”
“Lei ha ragione, mi scusi,” balbettò l’altro, che anche se grande e grosso, appariva parecchio intimidito. “Ma ecco… scusi se glielo chiedo, ma cosa vuole farne del ragazzo?”
Fernandez fece per rispondere, ma…
“Ecco qui giovanotto.” Leon sussultò, mentre il locandiere gli metteva sotto il naso il famoso cocktail che aveva ordinato. I due uomini smisero di colpo di parlottare, notando solo in quel momento la sua presenza. Il giovane, comprendendo che ormai non c’era più nulla da fare, pagò il cocktail e si avviò a passo svelto verso il tavolo dove si trovavano dei pallidissimi Diego e Violetta. Prima che potessero chiedergli qualsiasi cosa, sussurrò. “Andiamo via, subito.” Posò il cocktail sul tavolo e i due si affrettarono a seguirlo fuori dalla locanda, senza proferire parola. Evidentemente la sua espressione sconvolta doveva averli portati ad obbedirgli, senza pensare minimamente di protestare.
Quando però giunsero accanto alla macchina, Diego bloccò l’amico per il polso, costringendolo a voltarsi. “Chi dei due è Fernandez? Cosa si sono detti?” Era maledettamente serio e pallido come un cadavere e istintivamente Leon deglutì. “Il vecchio, quello che vedevi di spalle. L’altro è il suo detective o qualcosa di simile. A casa mia ti spiego il resto, me ne voglio andare prima che si faccia troppo buio,” aggiunse, indicando con un cenno Violetta, che li fissava in silenzio, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore.
Il moro annuì, anche se non sembrava molto tranquillo. Fremeva dalla voglia di sapere il resto, tuttavia riconosceva che nemmeno lui ci tenesse a restare in quel posto un secondo di più e per questo entrò in macchina. Leon fece per fare lo stesso, quando notò con la coda dell’occhio che la Castillo fosse ancora immobile accanto alla portiera e che facesse fatica a trattenere l’agitazione. “Ehi,” mormorò, stringendole la mano e sorridendole dolcemente. “Va tutto bene.”
Violetta annuì, abbozzando un sorriso. “Ho bisogno di un tuo abbraccio.”
Leon sorrise, stringendola a se e accarezzandole i capelli. “È finita Vilu, è finita. Ora ce ne andiamo a casa.”
La giovane poggiò la fronte contro la sua e sospirò, guardando poi verso la macchina, più precisamente verso Diego, che sembrava una statua di cera, tanto era rigido. “Quello che devi dirgli non è una cosa positiva, vero?”
Lui si limitò a scrollare le spalle, per poi abbracciarla. “La situazione è più complicata di quanto pensassimo,” le sussurrò all’orecchio. “Devo trovare le parole giuste per dirglielo, il viaggio fino a casa mi serve per questo.”
Violetta annuì comprensiva, poi dopo essersi scambiati un bacio a fior di labbra, raggiunsero lo spagnolo in macchina e si misero in viaggio.
 
 






Dopo due capitoli Leonettosi, eccone uno ad alta tensione! Che ansia mi ha fatto venire il blocco di Fernandez, che finalmente appare di persona. Il fatto che sia avanti con gli anni, fa nascere dei dubbi su quale sia il suo ruolo nella vita di Diego e non solo… l’uomo conosce ogni suo spostamento e sembra parecchio interessato allo Studio e a coloro che ci lavorano, inoltre viene accennata una figlia di Fernandez, che non deve sapere nulla. Le cose si fanno sempre più confuse e inquietanti e per le ipotesi dei personaggi dovremo aspettare il capitolo 21, dove saranno spiegate meglio alcune cose. In tutto questo, una Camilla gelosa accusa Vilu e si becca un ceffone e assistiamo a una scenata di gelosia di Leon, che anche nei momenti di alta tensione, non può nascondere l’amore per la ragazza! Awwwww <3
Mi era stato chiesto di pubblicare un altro capitolo prima delle feste e perciò eccolo qui! Spero che vi sia piaciuto! :) Sono proprio curiosa di conoscere le vostre ipotesi su Fernandez XD
A presto, baci
Trilly <3
 

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Capitolo 21
*** Buon Natale! ***


Ciao a tutti!!
approfitto di questo spazio per augurarvi un felice Natale e di ingozzarvi come tacchini! io l'ho fatto e se continuo così, mi sa che scoppio XD 
Tanti, ma tanti auguri di cuore! Vi voglio bene miei amati lettori!! 
Un bacio,
Trilly <3

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Capitolo 22
*** Confrontarsi con la realtà ***





“Allora?” Chiese Diego, nervoso e agitato come non mai.
Leon chiuse la porta della sua camera, poi si sedette sul letto accanto a Violetta. “Siediti Diego.”
Lui però scosse la testa. Era stato seduto già troppo a lungo nella locanda e poi in macchina, non avrebbe retto un altro minuto. Si appoggiò pigramente alla parete, su cui capeggiavano poster e foto di motociclette e socchiuse gli occhi.
Leon strinse la mano di Violetta, poi iniziò a raccontare per filo e per segno la conversazione che aveva origliato alla locanda. Le parole del ragazzo rimbombavano nelle orecchie di Diego, accompagnate da stralci di conversazioni che aveva udito sin da bambino. Quel quartiere triste e desolato, quella locanda ridotta in stato pietoso e poi quell’uomo di spalle, Joaquin Fernandez. Lui era la chiave di tutto, lo era sempre stato. In fondo al cuore lo aveva sentito che quell’uomo rasato non fosse Fernandez, gli era bastato guardarlo mentre entrava nella locanda per capirlo.
L’uomo che lo aveva venduto come una bestia era lì di spalle, vestito come un signore e interessato a conoscere ogni singolo spostamento e persona che frequentava, ma mai nemmeno per un istante aveva accennato a volerlo incontrare. Cosa voleva davvero da lui allora? I suoi piedi lo guidarono verso il letto, dove si lasciò cadere a peso morto, strofinandosi nervosamente il volto. Qualcuno gli poggiò una mano sul ginocchio, ma lui non si mosse di un centimetro.
Quando aveva deciso di andare a Buenos Aires, sapeva di dover cercare una verità che avrebbe potuto essere scomoda o addirittura ferirlo irrimediabilmente, eppure solo in quel momento si rendeva conto di quanto il suo passato fosse oscuro e ricco di misteri. Alle orecchie gli giunse il tipico suono di quando si accende il computer, poi la voce di Violetta molto vicina a lui. “Cosa fai Leon?”
Leon doveva essersi seduto, perché avvertì il materasso abbassarsi sotto un peso. “Devo togliermi un dubbio.”
Diego aprì un occhio e se lo ritrovò seduto alla sua sinistra, mentre Violetta era alla sua destra e teneva ancora la mano sul suo ginocchio, come se volesse rassicurarlo o consolarlo in qualche maniera. Appena si accorse del suo sguardo, la ragazza gli sorrise dolcemente e lui avvertì l’irrefrenabile desiderio di gettarsi tra le sue braccia e lasciarsi accarezzare come un gatto, ma si affrettò a scacciare quel ridicolo pensiero, concentrando la sua attenzione su Leon.
Quest’ultimo stava scrivendo qualcosa sul portatile, sembrava assorto in un mondo tutto suo. “Leon,” sussurrò lo spagnolo e finalmente l’amico lo guardò. Nei suoi occhi verdi c’era però un lampo che non gli piacque per niente. Senza dire nulla, Leon gli porse il portatile, che lui prese, confuso. La prima cosa che notò, fu che avesse fatto una ricerca su quella famosa locanda, poi la sua attenzione si focalizzò sulla sigla J.D.F. e gli tornò in mente l’insegna scolorita e pericolante. Andando avanti nella lettura, veniva spiegato che la locanda fosse stata fondata più di un secolo prima e che avesse cambiato nome molte volte, finché il nuovo proprietario, una trentina di anni prima, non gli aveva attribuito la sigla del suo nome, che non era altro che Joaquin Diego Fernandez.
Diego si bloccò di colpo, incapace di proseguire. Fernandez era il proprietario di quella locanda e soprattutto aveva il suo stesso nome. Possibile che…?
Leon gli tolse il computer dalle mani, poi senza dire nulla, lo abbracciò. Diego si lasciò andare a quell’abbraccio, di cui aveva un disperato bisogno e chiuse gli occhi. Era abituato a cavarsela da solo ed era convinto che non avrebbe mai avuto bisogno di nessuno, eppure in quel momento si rendeva conto che quel semplice abbraccio, fosse un qualcosa che non aveva mai avuto e che gli fosse sempre mancato. Tutti avevano bisogno di qualcuno che li volesse bene e che gli stesse accanto, persino lui. E Leon era lì, silenzioso e discreto come sempre e Diego gli era infinitamente grato. Non gli aveva chiesto né detto nulla, si era limitato ad abbracciarlo, consapevole che in quel momento avesse bisogno proprio di quello. Mai una persona lo aveva capito così bene e si era preoccupato tanto per lui. Sentiva che Leon fosse più di un amico, era come un fratello. Miguel, per quanto gli volesse bene, era solo un ragazzino e non poteva capire cosa significasse essere rifiutato da tutti, Leon invece lo capiva con un solo sguardo. Probabilmente perché anche lui aveva un passato buio che non riusciva ad accettare, ma se lui lo stava affrontando, Leon continuava a rifiutarsi di parlarne e per questo Diego doveva aiutarlo. Gli amici, anzi i fratelli, si aiutavano a vicenda, dopotutto.
Sciolse l’abbraccio e gli sorrise debolmente e poi fece lo stesso con Violetta, che era rimasta in silenzio ad osservarli. La ragazza ricambiò il sorriso, abbracciandolo a sua volta. Il suo profumo gli invase le narici e qualcosa si agitò nel suo stomaco, ma si costrinse ad ignorarlo. Dopo pochi istanti, si separarono e a quel punto la mente di Diego fu di nuovo invasa dagli eventi di quella giornata.
Joaquin Diego Fernandez. Quel nome lo tormentava e allo stesso tempo gli faceva nascere sempre più dubbi. Si prese la testa tra le mani, scompigliandosi nervosamente i capelli. Non sapeva perché, ma era sempre stato convinto che quell’uomo fosse il suo vero padre, forse perché era stato lui a venderlo alla famiglia Ramirez, ora però non sapeva che pensare. Leon gli aveva detto che Fernandez era grande d’età e che probabilmente avesse anche una figlia adulta, eppure aveva il suo steso nome. Grande d’età. Una figlia adulta. Sollevò lo sguardo, guardando prima Leon e poi Violetta. “Ho una sorella,” sussurrò. Dirlo gli risuonava ancora più assurdo di averlo pensato, ma d’altronde gli sembrava l’unica spiegazione plausibile. Fernandez era suo padre, un padre che però non lo aveva mai voluto, forse perché era un figlio illegittimo, mentre la figlia, che in quel caso era sua sorella, doveva essere all’oscuro di tutto. Le sue parole in ogni caso non scomposero minimamente i suoi amici, segno che probabilmente anche loro lo avessero pensato. Gli strinsero uno la mano sinistra e l’altra la mano destra, poi Leon sussurrò: “Se Fernandez è tuo padre, perché non ti affronta?” Il ragazzo sembrava a disagio nell’esprimere un dubbio così personale e delicato, ma allo stesso tempo sentiva di doverlo fare.
Diego incrociò il suo sguardo e scrollò le spalle. “Perché non mi vuole,” mormorò, lo sguardo perso nel vuoto. “Devo essere stato uno sbaglio, uno scheletro nell’armadio e lui vuole che resti tale. Probabilmente teme che se sua figlia lo sapesse, lo odierebbe.”
“Ma se è così,” intervenne Violetta, confusa. “Perché vuole la lista delle persone che lavorano allo Studio? Insomma, sembra chiaro che la figlia non si trovi lì, non lo avrebbe già saputo altrimenti? Se io avessi una figlia, saprei dove lavora, a meno che non ci abbia litigato per qualche motivo.”
“A meno che non stia cercando qualcun altro,” ipotizzò Leon, pensieroso. “Se la locanda è sua, deve essere nativo di qui. Forse allo Studio c’è qualcuno che potrebbe conoscerlo e sapere del suo passato. Un amico, un conoscente, chiunque.”
“E se non fosse mio padre?” Buttò lì Diego, afferrandosi il ciuffo e tirandolo con fare nervoso. “Ho sempre creduto che lo fosse, sono persino arrivato a pensare di essere frutto di una relazione extramatrimoniale, ma in tutto questo mia madre che ruolo avrebbe avuto? Possibile che abbia accettato che lui mi vendesse? E la moglie di Fernandez dove diavolo è? C’è qualcosa che non mi torna,” aggiunse, scuotendo il capo con decisione.
Leon e Violetta si scambiarono un’occhiata, nemmeno loro riuscivano a dare un senso a quelle poche informazioni che avevano e non sapevano se fosse giusto continuare ad esprimere pareri su una situazione così delicata. “Diego,” sussurrò il primo, poggiandogli una mano sul braccio. “Non prendere male ciò che sto per dire, ma se un figlio si può nascondere a un padre, lo stesso non si può fare con una madre. Chiunque sia, lei sa che esisti. Magari ti ha cercato o…”
“O magari non lo ha fatto per niente,” concluse il moro con amarezza. “Forse era d’accordo con la vendita… ero solo un peso,” aggiunse, incupendosi di colpo.
“Non lo puoi sapere,” intervenne Violetta, stringendogli la mano. “Fernandez è un tipo losco, potrebbe averla raggirata, averle fatto credere qualcos’altro e poi c’è questa tua sorella che non sa nulla… sono sicura che per lei non saresti un peso,” gli sorrise incoraggiante e lui si sforzò di ricambiare, ma ne venne fuori un sorriso tirato. “Sei troppo ottimista principessa.” Alla parola principessa, Leon sollevò un sopracciglio, quasi volesse sfidarlo a ripeterlo e lui, rendendosene conto, sogghignò, per poi aggiungere: “la realtà non è una favola, non sempre c’è il lieto fine.”
“Su questo non c’è dubbio,” concordò il giovane Vargas, serio. “Ma se chiami di nuovo la mia ragazza in quel modo, il lieto fine non lo avrai nemmeno tu.”
A quelle parole, Violetta avvampò, mentre Diego scoppiò a ridere. “Cavolo Vargas, quanto sei geloso. È un soprannome affettuoso,” aggiunse, guardando la ragazza. “Ti dà fastidio?”
Sotto lo sguardo dei due, lei arrossì ancora di più. “Onestamente in questo momento il modo in cui mi chiami è l’ultimo dei miei pensieri, ma se al mio ragazzo dà fastidio,” guardò Leon e gli sorrise dolcemente. “Penso che dovresti evitarlo.”
Leon sorrise soddisfatto all’indirizzo dell’amico. “Uno a zero per me. Ora però torniamo seri,” proseguì, mentre il sorriso spariva dal suo volto. “Violetta ha ragione, non abbiamo alcuna certezza e poi… e poi ho ancora un sacco di dubbi. Fernandez è collegato a te, sicuramente avete un vincolo di sangue, ma non è detto che sia così… stretto.”
Diego si accigliò. “Fammi capire, stai dicendo che potrebbe non essere mio padre? E chi è allora?”
“Suo nonno,” intuì Violetta, guardando il fidanzato, che annuì. “In effetti potrebbe essere. Questa sua figlia potrebbe essere rimasta incinta giovane e…”
“E lui ha risolto il problema,” concluse Leon. “E questo spiegherebbe anche chi cerca allo Studio, l’unico che potrebbe scoprire il suo segreto.”
“Mio padre,” disse Diego, sicuro. Da quando l’amico aveva avanzato quella nuova ipotesi, un numero infinito di dubbi si era fatto strada nella sua mente. Fernandez era suo padre, o addirittura era suo nonno? Chi cercava allo Studio? “Non so se quell’uomo è mio padre o mio nonno,” mormorò alla fine. “Ma di una cosa sono sicuro, allo Studio c’è qualcuno che è collegato al mio passato e devo scoprire chi è e cosa sa.”
“Diego.” Leon e Violetta lo guardarono comprensivi e allo stesso tempo impotenti e lui sorrise, rassicurandoli. “Se il vecchio vuole la guerra, la guerra avrà.” Si alzò poi in piedi, decisamente più sicuro e determinato. “Dovessi mettermi contro il mondo intero, scoprirò la verità, lo giuro.”  
 

 
 



Un leggero venticello scosse Leon e Violetta, che mano nella mano, camminavano verso casa della ragazza. La motocicletta di lui era stata fermata a un paio di isolati, per evitare che il rumore del motore potesse attirare l’attenzione del sempre apprensivo German. Le loro menti erano affollate da numerosi pensieri, frutto di quella giornata alquanto pesante.
“Chi credi che sia quel Fernandez?” Chiese Violetta, interrompendo quell’opprimente silenzio. “Suo padre o suo nonno?”
Leon scrollò le spalle. “Non lo so. Certe cose mi fanno pensare una cosa, altre me ne fanno pensare ancora un’altra. L’unica cosa di cui sono sicuro è che la persona che è allo Studio, il vecchio la teme parecchio e per questo cerca informazioni.”
La ragazza annuì. “Anch’io l’ho pensato. Quel tipo è inquietante, non so quanto ci conviene indagare su di lui,” aggiunse con un filo di voce, bloccandosi al centro del marciapiede. Aveva mantenuto il controllo fino a quel momento, ma ora non ce la faceva davvero più. Strinse forte i pugni e abbassò lo sguardo. “Violetta,” sussurrò Leon, preoccupato, stringendola tra le sue braccia. “Finché ci sono io, non ti accadrà nulla, te lo giuro.”
Lei annuì, aggrappandosi forte a lui. “Giurami che non accadrà nulla nemmeno a te, giuramelo,” proseguì, sollevando il capo così da incrociare il suo sguardo.
Il giovane sorrise dolcemente. “Te lo giuro, niente e nessuno mi separerà da te.” Le stampò un bacio a fior di labbra, poi la prese per mano e con un po’ più di spensieratezza, svoltarono l’ultimo isolato che li portò davanti casa Castillo.
“Mi chiami domani mattina, vero?” Chiese la ragazza, fermandosi a pochi passi dalla porta di casa, tenendo ancora intrecciate le loro mani.
Leon la strinse forte tra le sue braccia, stampandole un bacio nei capelli. “Appena mi sveglio ti chiamo, ma stai tranquilla, ci penso io a Diego.”
Violetta annuì, sciogliendo l’abbraccio e poggiando la fronte contro la sua. “Sei un grande amico Leon,” sussurrò, intrecciando le dita dietro al suo collo e sorridendogli dolcemente. “Diego è fortunato ad averti al suo fianco.”
Leon sorrise, circondandole la vita con un braccio, mentre l’altro lo piegò così da poterle accarezzare la guancia. “Anche io sono fortunato ad avere te,” mormorò a un soffio dalle sue labbra.
Lei arrossì, sollevandosi poi sulle punte e poggiando le labbra sulle sue. Si scambiarono un bacio appassionato, che si protrasse così a lungo da lasciarli senza fiato e quando si staccarono, la ragazza si morse il labbro, imbarazzata. “Scusa per oggi, mi sono comportata come una bambina viziata.”
Sembrava così dispiaciuta e a disagio che a Leon venne da ridere. “Sei una sciocca,” sussurrò, baciandole la fronte e poi la punta del naso. “Ma ti ho già perdonata. Pensavo che quel bacio di poco fa, fosse una prova più che sufficiente,” aggiunse con un sorrisetto malizioso, che la fece ammiccare. “Mmm…” iniziò pensierosa, intrecciando le dita nei suoi capelli e scompigliandoglieli. “Credo di non aver capito molto bene allora.” Si morse ancora il labbro inferiore, mentre i suoi occhi nocciola mostravano un velo di finta innocenza. Leon la fissava rapito. Quella era una provocazione bella e buona e lui non era di certo il tipo che si tirava indietro. L’attirò a se e la baciò con passione, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena. Violetta ricambiò con trasporto, accarezzandogli i capelli e poi il collo e le spalle. Le lingue s’incontrarono e si intrecciarono, le labbra si mordicchiarono con ardore. Probabilmente avrebbero continuato per delle ore, se non avessero sentito dei passi avvicinarsi oltre la porta.
“Oh mio Dio, è mio padre!” Esclamò la ragazza spaventata, facendo un salto all’indietro che per poco non le fece perdere l’equilibrio. “Te ne devi andare Leon, subito,” aggiunse, spingendolo verso il cancello.
Leon però, oppose resistenza. “Sarebbe l’occasione per dirgli di noi.”
Violetta impallidì, poi scosse la testa. “Glielo dirò, ma con calma. Sai com’è fatto, gli verrebbe un infarto se ci vedesse da soli qui fuori.” Gli strinse le mani e lo supplicò con lo sguardo, allora lui non poté fare altro che arrendersi. “Va bene, hai vinto,” sussurrò, dandole un bacio sulla guancia. “Buonanotte e sogni d’oro piccola.” Le strizzò l’occhio e si allontanò, continuando però a guardarla e facendola arrossire e sorridere allo stesso tempo. “Buonanotte Leon.” Gli lanciò un bacio e poi un altro, finché la porta di casa alle sue spalle si aprì di scatto, facendola sussultare.
“Violetta, cosa fai qui fuori?” Fermo sulla soglia, c’era un sospettoso German Castillo, che al suono di un motore di una motocicletta, aveva immediatamente aperto la porta e ora si guardava intorno alla ricerca di qualsiasi cosa non andasse. “Dov’eri? E con chi soprattutto?”
La ragazza sgattaiolò in casa, ma se pensava di evitare le domande del padre, si sbagliava di grosso. Egli infatti, la seguì come un’ombra e poi la trascinò con se sul divano. “Dove sei stata?” Sibilò, guardandola attentamente con i suoi piccoli occhi indagatori. “Nessuno sapeva dov’eri e il tuo cellulare risultava spento. Voglio una spiegazione e la voglio ora!”
“Papà, io…” Prese il cellulare dalla borsa, trovandolo difatti spento. “Deve essersi scaricato,” sussurrò. “Non l’ho fatto di proposito.”
German ruotò gli occhi, spazientito. “Quante volte ti ho detto di portarti il carica batterie dovunque vai? Violetta, io devo conoscere ogni tuo spostamento, devo saperti al sicuro.”
Lei annuì. “Lo so papà, ma è un po’ difficile caricare il cellulare all’aperto, non credi?”
“Non osare contraddirmi! Sono tuo padre e devi fare quello che dico! Devo poterti chiamare in qualsiasi momento e sapere dove sei e con chi sei!” Urlò l’uomo fuori di se. “Sono stato chiaro?”
Violetta lo lasciò sfogare, poi però non resse più. “Piazzami una telecamera addosso visto che ci sei!” Sbottò, lasciandolo basito. “Non sono un pupazzo che metti in una scatola e stai sicuro che resti lì. Non sono più una bambina e nemmeno una stupida. Potresti darmi un po’ di fiducia ogni tanto.”
German sospirò, agitando le braccia. “Io mi fido di te, è degli altri che non mi fido. La strada è piena di pericoli e se ti succedesse qualcosa… devo proteggerti. Perciò sii sincera sempre.”
La ragazza annuì, torturandosi nervosamente le mani. Era arrivato il momento di mettere alla prova la fiducia di suo padre e concludere così con le bugie. Incrociò il suo sguardo e prese un profondo respiro. “Vuoi sapere la verità papà? Ero con Leon, siamo tornati insieme.”
Non lo avesse mai detto. German sbiancò di colpo e si portò una mano al cuore. Probabilmente avrebbe preferito che la figlia fosse stata una ladra o un’assassina, piuttosto che fidanzata. Dio, non riusciva nemmeno a pensarla quella parola. La sua bambina, il suo piccolo raggio di sole. Non poteva negare di preferire Leon a Thomas, in fondo conosceva anche la sua famiglia, ma proprio non riusciva ad accettare che la sua piccola potesse essere anche la piccola di qualcun altro. “Tu…tu e Leon… insieme?” Balbettò, sotto lo sguardo sconvolto della figlia. “Papà, ti senti bene?”
Lui annuì, tenendo ancora la mano ben salda al cuore. “Non eri… a casa sua…da soli…” Nei suoi occhi c’era un lampo di terrore e quando Violetta capì cosa intendesse con quelle parole, arrossì di colpo. “No, cosa vai pensando…noi, no…” balbettò e German tirò un sospiro di sollievo. “Sia ringraziato il cielo.” L’abbracciò poi di slancio, euforico e lei ricambiò, ancora visibilmente sconvolta. “Quindi, a te va bene che noi…?”
Dio solo sapeva quanto German avrebbe voluto dire di no, ma il sorriso speranzoso di sua figlia e poi le occhiate ammonitrici di Angie, Esmeralda, Roberto e Olga, attraversarono la sua mente. Doveva pensare alla felicità di Violetta, solo quello contava. Con uno sforzo immane, annuì e le urla di gioia della ragazza risuonarono in tutto il salotto. “Grazie papà, sei il migliore!” Lo stritolò in un forte abbraccio, che lo commosse. Amava vederla felice. “Ti prometto che d’ora in avanti ti dirò tutto.” Lui sorrise, accarezzando il volto della sua bambina. “Voglio solo che tu sia felice. Ti voglio bene.”
“Ti voglio bene anch’io papà,” sussurrò lei, abbracciandolo nuovamente.
“Ah, Violetta? Dì a Leon che voglio parlare con lui.”
La ragazza si accigliò. “Perché? Ti prego papà, abbiamo appena chiarito… non mettermi in imbarazzo. Leon è un bravo ragazzo e mi rispetta, non mi farebbe mai del male.”
“Questo lo so,” concordò l’uomo. “Ma ci sono delle cose che vorrei mettere in chiaro, fidati di tuo padre,” aggiunse con un dolce sorriso, che non convinse molto la giovane.
“Non lo farai scappare via a gambe levate, vero?” Gli chiese, preoccupata. Non aveva ancora dimenticato quell’imbarazzante cena dell’anno prima, dove aveva fatto di tutto per far sentire Leon fuori posto. “Giuramelo papà.”
“Va bene, va bene.” Sollevò le mani in segno di resa. “Mi comporterò bene, ma lui deve fare lo stesso, altrimenti gli taglio le mani. Intesi?”
Violetta sorrise. “Intesi.”
Quando la ragazza salì le scale per andare in camera sua, dalla cucina uscì una sorridente Esmeralda, che raggiunse German sul divano. “Ciao.”
Lui la guardò, sorpreso. “Esmeralda, pensavo che fossi andata a casa. Perché non sei uscita prima dalla cucina? Violetta sarebbe stata contenta di vederti.”
La donna scrollò le spalle e sorrise. “Stavate parlando e non volevo interrompervi. Sembrava una cosa importante,” aggiunse, guardandolo preoccupata.
German annuì, prendendosi il volto tra le mani. “La mia bambina sta crescendo e io… tutti questi cambiamenti…ho paura di non riuscire a gestirli.”
Esmeralda sorrise, poggiando una mano sul suo ginocchio. “Ci riuscirai, ne sono sicura. Sei un padre eccezionale.”
“Tu credi?” Chiese, intrecciando la mano con la sua. “Assolutamente sì, hai cresciuto Violetta da solo e hai fatto un ottimo lavoro, molti non ci sarebbero riusciti. Tu e Vilu, siete sempre stati solo voi due ed è normale avere un po’ di difficoltà ad accettare che lei abbia degli spazi, ma vedrai che pian piano le cose si semplificheranno. Tua figlia ti vuole bene e non smetterà mai di farlo, fidati di lei.”
German la fissò imbambolato tutto il tempo. Lei era così dolce, comprensiva, lei lo capiva. Pensava che dopo Maria non ci sarebbe più stata una donna in grado di capirlo così bene e invece quando aveva ormai smesso di credere nell’amore, era arrivata lei. Per un periodo aveva creduto di amare Angie e la sua indecisione lo aveva ferito a tal punto da dare una chance ad Esmeralda, sperando così di dimenticarla. Quando la situazione gli era sfuggita di mano? Onestamente non lo sapeva, stava di fatto che si era riscoperto più volte a pensare ad Esmeralda e non solo perché somigliasse a Maria, ma soprattutto perché rispecchiava il suo ideale di donna. Lei era una donna intelligente, razionale e poi appunto dolce e comprensiva e sapeva persino risollevargli l’umore dopo una dura giornata di lavoro. Esmeralda lo faceva sentire felice, vivo. Lei sapeva sempre dire la cosa giusta per tranquillizzarlo, lei c’era sempre. Che si stesse innamorando?
“Sai German,” riprese Esmeralda, rompendo il silenzio. “Ti ho sentito parlare con Vilu prima, non era mia intenzione origliare, ma… mi è piaciuto molto ciò che vi siete detti. So che non è stato facile per te accettare che si sia fidanzata e bè… sei un bravo padre e Violetta è fortunata ad averti,” aggiunse con una nota d’imbarazzo, abbassando lo sguardo.
German le posò due dita sotto il mento e lo sollevò, così che i loro occhi si fusero gli uni negli altri. “Esmeralda,” sorrise, sfiorandole il volto con una leggera carezza. “Tutti noi siamo fortunati ad averti nella nostra vita, da quando ci sei si respira un’atmosfera che bè… non sentivo da tempo… perciò grazie di esserci per la mia famiglia… e per me.”
Continuarono a guardarsi per quelle che parvero ore, mentre i loro cuori battevano all’unisono. Entrambi lo desideravano da tanto, troppo tempo. Socchiusero gli occhi e pian piano accorciarono le distanze. I loro respiri si fusero l’uno con l’altro, poi finalmente le labbra iniziarono a sfiorarsi. Dapprima con così tanto imbarazzo da sentirsi due ragazzini di fronte al primo bacio, ben presto però la paura fu superata e si baciarono con maggiore trasporto, mentre un religioso silenzio li accompagnava e la luna che si intravedeva oltre la finestra, assisteva come unica spettatrice.
 






 
Eccomi qui con l’ultimo capitolo di questo 2013!! :)
Prima di commentare il capitolo, ci tenevo a ringraziarvi per i messaggi di Natale che mi avete lasciato! Sono stati dolcissimi e mi hanno emozionato un sacco! Grazieeee!!! <3
Ed ecco che si iniziano a fare le prime considerazioni su Fernandez e i dubbi anziché diminuire aumentano. Sarà il padre o il nonno di Diego? Chi c’è allo Studio che potrebbe sapere qualcosa? E Leon e Vilu che sono sempre più legati? Quanto li adoro quei due, se non li aggiungo dovunque non sono io! Awwwww <3 Che teneri sono e ora lo sa pure German, che povero ha rischiato l’infarto, ma almeno sembra averlo accettato e non solo, c’è anche il primo bacio tra lui ed Esmeralda. Che cariniiii <3
Che altro dirvi, spero che il capitolo vi sia piaciuto! ;)
Se non ci sentiamo, vi faccio tanti auguri di buon anno! <3
Baci,
Trilly <3

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Capitolo 23
*** La furia di Gregorio ***





“Jackie.”
La donna stava per entrare nell'aula di danza, quando un trafelato Pablo le venne incontro. “Possiamo parlare?” Lei lo fissò, sorpresa, poi lentamente annuì. I due insegnanti si recarono così al Restò Band e dopo aver ordinato due caffè, si sedettero a un tavolo isolato.
Pablo era nervoso e agitato, non sapeva nemmeno da dove iniziare, mentre Jackie lo fissava, curiosa. Il fatto che l'avesse cercata, a parer suo era un buon segno, perciò si sarebbe giocata bene le sue carte. Bevve un sorso di caffè, poi si aprì in un grande sorriso. “Di cosa volevi parlarmi?”
Pablo prese un profondo respiro e la guardò. “Mi sono preso del tempo per riflettere e bè...quello che è successo quella sera a casa mia, con Angie...”
“Lo so,” lo interruppe la bionda, posando una mano sulla sua. “Il mio è stato un gesto avventato e infantile e... voi due siete stati insieme e so che ci tieni ancora a lei...scusami,” aggiunse dispiaciuta. “Il fatto è che temo che lei possa portarti via da me e... mi dispiace, non avrei dovuto fare quella sciocchezza.”
Jackie sembrava così pentita, così dispiaciuta e allo stesso tempo così sincera e Pablo non poté fare a meno di crederle. Lei lo amava senza riserve e dai suoi occhi era più che evidente. Se aveva agito in quel modo, lo aveva fatto per gelosia, quel folle sentimento che rendeva paranoici e che portava a commettere sciocchezze di cui puntualmente ci si pentiva. Anche lui era stato soggetto a quel sentimento e lo era ancora, soprattutto se si parlava di Angie, la donna che amava con tutto se stesso, nonostante le loro strade si fossero divise. “Non avresti dovuto e lo sai. Dovevi fidarti di me.”
Lei annuì, seria. “Hai ragione, sono stata una stupida. La gelosia mi ha annebbiato la mente. Scusami.” Gli strinse la mano e dopo alcuni istanti, lui ricambiò la stretta. “Me lo giuri, mi giuri che non farai più gesti così avventati?”
“E tu?” Ribatté la bionda. “Mi giuri che non devo preoccuparmi di Angie? Mi giuri che vuoi davvero dare una possibilità a noi due?”
Il volto di Angie attraversò la mente di Pablo a quelle parole, ma si costrinse a scacciarlo. Basta pensare al passato, basta soffrire per un amore a senso unico. “Te lo giuro,” sussurrò alla fine. “Voglio stare con te Jackie.”
Lei sorrise, sorpresa ed emozionata e Pablo pensò che fosse necessario passare dalle parole ai fatti, così avvicinò il volto al suo, pronto a baciarla. Era a un soffio dalle sue labbra, quando Angie e Beto fecero il loro ingresso nel locale. Alla loro vista, la Saramego si bloccò lì immobile, incapace di fare altro. Beto invece, era impallidito di colpo ed entro pochi istanti, svenne. Molte persone si avvicinarono, preoccupate per l'uomo, Angie però sembrava non essersene proprio accorta, lo sguardo fisso sui due a un passo dal baciarsi, o almeno Jackie voleva farlo. Pablo infatti, si era di colpo tirato indietro e si grattava nervosamente la nuca. Come avrebbe mai potuto baciare la donna, di fronte a colei che amava davvero? Era assurdo, inconcepibile.
Quando anche Jackie si rese conto delle persone alle sue spalle, in particolare della sua rivale, si fece livida di rabbia. “è per questo che non mi hai baciata, vero? Perché c'è lei!”
Galindo non rispose, limitandosi a fissarla, in silenzio. Per quanto ci provasse, non riusciva ad amare un'altra, se la confrontava con Angie poi, era ancora peggio. “Pablo,” lo richiamò la bionda.
“Hai ragione,” la interruppe, ormai stanco di tacere. “Ci ho provato Jackie, davvero, ma non ci riesco. Scusa se ti ho illuso.”
Un lampo di puro odio, attraversò lo sguardo della donna. “Non sarai mai felice Pablo, mai. Per lei sarai sempre la seconda scelta.” Detto ciò, scattò in piedi e se ne andò, più infuriata che mai.
Angie nel frattempo, aveva seguito tutta la scena e da ciò che aveva capito, dovevano aver discusso. Come mai, se un attimo prima sembravano sul punto di baciarsi?
“Angie, tutto bene?” Solo allora, la donna notò Francesca, che la guardava preoccupata. Dietro di lei, Luca, Andres e Federico avevano appena aiutato Beto a sedersi su una sedia e gli stavano dando un bicchiere d'acqua. Annuì a fatica. “Si, tranquilla. Piuttosto, come sta Beto?” Si avvicinò poi a quest'ultimo, cosa che fece anche Pablo, dato che a sua volta doveva aver assistito allo svenimento del buffo insegnante, che continuava a borbottare qualcosa tra se e se, visibilmente sotto shock. “Lei...lui...loro...”
“Beto,” iniziò Pablo, preoccupato. “Stai bene? Vuoi dell'altra acqua?”
Benvenuto lo guardò come se avesse visto un fantasma, poi facendo frantumare al suolo diversi bicchieri, scattò in piedi e scappò via, seguito dagli sguardi sconvolti dei presenti.
“Ma dove va?” Chiese Andres, confuso.
“Non ne ho idea,” ribatté Luca, alzando tutti i residui di vetro con la scopa e la paletta, per poi andarli a buttare nel cestino dietro al bancone. Francesca e Federico nel frattempo, si scambiarono un'occhiata divertita, mentre Angie faceva di tutto per evitare lo sguardo di Pablo, non voleva che lui la vedesse turbata.
“Bè...devo andare,” disse, ma l'uomo le afferrò prontamente il polso. “Angie, aspetta. Possiamo parlare?” Lei lo fissò, mordendosi nervosamente il labbro. “Non accetto un no come risposta,” aggiunse, consapevole che avrebbe di sicuro provato a rifiutare.
A quel punto, Angie non poté fare altro che seguirlo al tavolo, dove fino a poco prima era con Jackie.
“Cosa ti sta succedendo Angie?” Esordì l'uomo, fissandola attentamente. “L'altra sera volevi dirmi qualcosa d'importante e non provare a negarlo,” proseguì, prima che lei potesse ribattere. “Ti ho vista piangere e nessuno piange senza motivo.”
Angie sospirò, torturandosi nervosamente le mani. “C'entra German?” Le venne in aiuto Pablo, afferrandole la mano destra e stringendola con la sua. A quel contatto, lei avvertì un brivido attraversarle il braccio in tutta la sua lunghezza. “No,” sussurrò. “Lui non c'entra nulla.”
“Allora cosa ti succede?” Insistette lui, preoccupato. “So che ci siamo allontanati, ma io ci tengo a te, Angie e vederti soffrire non mi piace.”
Lei annuì. “Lo so e lo stesso vale per me, ma davvero, sto bene.” Fece per alzarsi, ma Pablo le trattenne la mano. “Da quando tu ed io abbiamo smesso di parlare? Cosa ne è stato della nostra amicizia?” Gli occhi verdi di Angie si specchiarono in quelli neri dell'uomo e restarono così per un tempo che parve infinito, mentre le loro menti e i loro cuori bramavano che quel momento non finisse mai, perché quando stavano insieme stavano bene, ogni incomprensione, ogni problema non esisteva. Entrambi avrebbero voluto ammetterlo, confessare all'altro quanto lo considerassero importante, ma se ne stavano in silenzio. Lui perché temeva ci fosse ancora German di mezzo e che quindi la donna soffrisse per causa sua e lei, perché continuava a pensare che il moro amasse Jackie, in fondo li aveva trovati a casa di lui e poi poco prima stavano per baciarsi.
“Mi manchi Angie, mi manca il nostro rapporto,” ammise Pablo, interrompendo quel lungo e teso silenzio.
Un grande sorriso si distese sul volto della bionda, mentre il cuore accelerava i suoi battiti e qualcosa si agitava nel suo stomaco. “Anche tu mi manchi Pablo.” Si sorrisero ancora, poi lui si alzò e l'attirò a se, stringendola in un forte abbraccio. Angie si aggrappò alle sue spalle, lasciando che il suo profumo le invadesse le narici. Dio solo sapeva quando avrebbe voluto uno di quei telecomandi provvisti del tasto pausa e del replay, così avrebbe potuto fermare e rivivere un centinaio di volte quel momento che per lei era così speciale. La realtà però, non era un film e nel giro di pochi secondi, Pablo sciolse l'abbraccio.
Vedere Angie sorridere in maniera così luminosa, gli riscaldò il cuore. Da quanto tempo non sorrideva così? E dire che era così bella quando lo faceva, sembrava un angelo. Le portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, sorridendole dolcemente. “Quando avrai voglia di parlare, sappi che io ci sono.”
Lei sorrise, un po' rossa nella zona guance. “Grazie Pablo, grazie per esserci sempre.”
“Non mi dirai cosa ti succede?” La incalzò ancora il moro, ma la bionda scrollò le spalle. “E tu? Non mi sembri felice come dovresti e...” s'interruppe, incapace di proseguire. Stava per fare il nome di Jackie, ma per fortuna si era fermata, non era tanto sicura di reggere se Pablo avesse iniziato a parlarle di quella donna. In ogni caso, Galindo doveva aver capito dove volesse andare a parare, infatti annuì. “Le cose tra me e Jackie sono un po' complicate, ci sono delle incomprensioni e non so se riusciremo a risolverle.” Pablo era a disagio, afflitto nel dover raccontare proprio a lei il disastro della sua vita sentimentale, inconsapevole della tempesta di emozioni che aveva iniziato ad agitarsi in Angie. Ella sapeva che era egoista, ma non poteva fare a meno di gioire nel sapere che lui e Jackie avessero dei problemi. Forse la loro storia non era così forte come pensava, forse quella che la ballerina le aveva mostrato era loro una facciata per liberarsi di lei. Possibile che la donna avesse capito che lei era innamorata di Pablo e che per questo avesse tentato di marcare il territorio? E Galindo, lui cosa provava per Jackie? Stava quasi per chiederglielo, quando...
“Ah Pablo, finalmente ti ho trovato.”
Antonio era appena entrato nel locale e subito aveva raggiunto i due. “Scusate se vi interrompo, ma Pablo, devo parlarti di alcune questioni dello Studio.”
Il moro distolse a fatica lo sguardo da Angie, per posarlo sull'ultimo arrivato. “Ehm... certo.” Dopo averla salutata, i due se ne andarono, mentre lei li seguiva con lo sguardo e con un accenno di sorriso. Se Pablo e Jackie avevano dei problemi, allora non era tutto perduto, forse per lei c'era ancora una possibilità. Dopo tanto tempo loro due avevano ripreso a parlare, si erano abbracciati e poi quegli sguardi che si erano scambiati... non poteva aver frainteso, sentiva che c'era ancora qualcosa che li teneva legati, un qualcosa che nemmeno Jackie con le sue macchinazioni poteva spezzare. Doveva crederci e lottare, lo doveva fare a tutti i costi.









“Dividetevi in due gruppi,” ordinò Jackie, appena entrò nell'aula di danza. Era impeccabile e glaciale come al solito e nei suoi occhi scuri, si poteva notare che fosse anche di pessimo umore. “Forza, svelti! I ragazzi a destra e le ragazze a sinistra!” Tutti obbedirono in silenzio, non ci tenevano a subire la sua ira. “Violetta e Ludmilla in prima fila. Lena, Camilla e Andrea, dietro di loro. Francesca e Nata, in fondo... bene, così e ora fate quello che faccio io.”
La bionda accese lo stereo e iniziò a ballare, subito imitata dalle ragazze. Era severa e autoritaria, ma nessuno di loro poteva negare che fosse una grande ballerina e un'ottima insegnante. Senza Gregorio era sicuramente una legione più gradevole, fortuna che egli fosse stato mandato da Antonio a sbrigare delle commissioni per lo Studio.
“Ora i ragazzi.” Jackie si voltò verso di loro e solo allora si rese conto che mancasse qualcuno. “Dove sono quegli altri due ragazzi, Diego e Leon?”
Loro scossero la testa. “Non li abbiamo proprio visti oggi,” spiegò Maxi.
La donna annui, pensierosa. “Maxi e Marco in prima fila. Federico al centro, dietro di loro e Andres e Luca in fondo. Proviamo così e vediamo come va... 5,6,7,8. si, così ragazzi.”
Riprovarono la coreografia più e più volte, prima divisi e poi tutti insieme. Camilla cercò più volte lo sguardo di Violetta, ma ella sembrava persa in un mondo tutto suo, tanto che si beccò parecchi richiami, o perché sbagliava i passi o perché non andava a tempo. Non poteva farci nulla, non faceva che pensare a Leon. Perché quella mattina non l'aveva chiamata? Perché non rispondeva al telefono? Dov'erano lui e Diego? Dopo tutto quello che era successo il giorno prima, non poteva fare a meno di essere preoccupata. E se gli fosse accaduto qualcosa? Non era da lui sparire così e...
“Violetta!” La ragazza sussultò, rendendosi conto che Jackie fosse di fronte a lei con le braccia conserte. La musica era spenta e tutti la fissavano. “Cos'hai? Normalmente sei una ragazza precisa, ma oggi sei scoordinata, lenta e macchinosa. Quando entrate in quest'aula, dovete chiudere i problemi fuori, quante volte ve l'ho detto?”
La ragazza annuì. “Ha ragione, mi scusi.”
Jackie le rivolse un'altra breve occhiata, poi riaccese lo stereo. “Ricominciamo e stavolta vi voglio tutti concentrati.”
A fine lezione, Violetta fuggì letteralmente dall'aula, con l'intenzione di riprovare a chiamare Leon e Francesca la seguì. “Vilu, che succede?” Le chiese l'italiana preoccupata, trascinandola nel bagno delle ragazze. “Qualche problema con Leon?”
La ragazza scrollò le spalle. “Non lo so, è da ieri sera che non ho sue notizie e sono preoccupata.” Scorse freneticamente il suo numero in rubrica e provò a chiamarlo, ma come tutte le volte precedenti, il cellulare squillò a vuoto. “Perché non mi risponde?” Esplose, lanciando l'aggeggio, che prontamente, Francesca prese a volo. “Non è da Leon sparire così, deve essere successo qualcosa.” Iniziò a camminare avanti e indietro per il bagno, cosa che rischiò di far venire il torcicollo alla povera italiana, che per questo la bloccò, prendendola per le spalle. “Vilu, calmati. Leon sta bene, ne sono sicura. Magari è andato alla pista e non sente il cellulare. Vedrai che appena potrà, ti chiamerà.” La Castillo socchiuse gli occhi e sospirò, abbracciando l'amica di slancio. “Hai ragione Fran, sto diventando più apprensiva di mio padre,” mormorò, anche se dentro di lei, era ancora in corso un vortice di pensieri ed emozioni. Francesca non sapeva nulla della storia di Fernandez, era normale che fosse così tranquilla, lei invece non poteva fare a meno di immaginarsi le peggiori tragedie. E se si fossero messi a seguire di nuovo quell'uomo e lui li avesse sorpresi? E se gli avesse fatto qualcosa? Il solo pensiero la fece rabbrividire. “Vilu,” riprese Francesca, sciogliendo l'abbraccio. “Ho parlato con Camilla e...”
Violetta annuì. “Lo so, non avrei dovuto darle quello schiaffo, ma lei non avrebbe dovuto darmi della poco di buono. Hai idea di come mi sono sentita?” Aggiunse, agitando le braccia per enfatizzare il concetto. Tra Fernandez e le parole di Camilla, quella notte non aveva proprio chiuso occhio, c'era rimasta troppo male.
“Infatti gliel'ho detto,” spiegò la mora, comprensiva. “Non avrebbe dovuto insinuare quelle cose, soprattutto se si considera tua amica e ora è davvero pentita. Dico sul serio,” aggiunse, quando la ragazza restò impassibile. “Lo so,” disse Violetta, alla fine. “è solo che le sue parole mi hanno ferita e non ci riesco a comportarmi come se nulla fosse.”
“Lo capisco, è normale,” sorrise Francesca, stringendola in un nuovo abbraccio.
“Vado a provare qualche canzone nell'aula di canto, almeno mi distraggo,” mormorò la Castillo, sforzandosi di sorridere. “Ci vediamo dopo, ok?”
“Ok, a dopo e stai tranquilla. Leon sarà qui prima di quanto pensi.”
“Grazie Fran, sei un'amica.”
Francesca la guardò allontanarsi, sorridendo, poi si incamminò verso l'aula di Beto e quando vide chi ci fosse all'interno, ci si fiondò, chiudendo bene la porta.
Federico era di spalle e per giunta aveva le cuffie alle orecchie, perciò non aveva proprio notato la ragazza che avanzava verso di lui con un grande sorriso. Difatti, sussultò quando lei gli tolse una cuffia e gli poggiò le mani sugli occhi. “Chi sono?”
Al suono di quella voce, lui sorrise. “La ragazza più bella dello Studio.” Si voltò poi verso di lei, accogliendola tra le sue braccia. “Mmm,” mugugnò la giovane, strofinando il naso contro il suo collo. “Ma quanto sei dolce oggi.”
Federico rise, prendendole il volto tra le mani. “Io sono sempre dolce.” Lei si accigliò e fece per ribattere qualcosa, ma lui le chiuse la bocca con un bacio. Si baciarono dolcemente e a lungo, tanto che diverse volte dovettero fermarsi per riprendere fiato. Ora non c'era più l'imbarazzo che c'era all'inizio, quando temevano che ogni gesto potesse rovinare quell'idillio che avevano fatto tanta fatica a costruire ed erano più spontanei, più veri. Anche se Luca non sapeva nulla, con la scusa delle lezioni allo Studio o dei pomeriggi con gli amici, i due riuscivano a vedersi con una certa frequenza, tuttavia si rendevano conto che non potevano continuare così, prima o poi il fratello della ragazza andava informato.
“A cosa pensi?” Chiese Federico, sfiorandole dolcemente la guancia.
Francesca scrollò le spalle, intrecciando poi le dita dietro al suo collo. “A Camilla e a Violetta, ancora non si parlano.”
Lui corrugò le sopracciglia, confuso. “Tutto questo per via di Diego? Non che mi stia antipatico o che voglia fare l'uccello del malaugurio, ma non è colpa di Vilu se Diego non la fila. A quel tipo non interessa una sola ragazza, flirta con entrambe da quando è arrivato.”
La mora annuì. “è quello che ho detto a Camilla, ricordandole poi che Vilu ha occhi solo per Leon, dovresti sentirla, parla solo di lui ultimamente. Se quella non è una ragazza innamorata, allora non so cos'è.”
“Sono d'accordo, Vilu non è interessata a Diego e in teoria nemmeno Camilla dovrebbe esserlo. Sta con Broadway, no? Quella scenata che ha fatto è assurda, non può pretendere che nessuno si avvicini a lui, solo perché lei è troppo orgogliosa per ammettere che nonostante sia fidanzata, le interessa e non poco. Non la prendere male,” si affrettò ad aggiungere, rendendosi conto che probabilmente aveva espresso un parere troppo duro su colei che comunque era la migliore amica della sua ragazza. “Ho esagerato con le parole e...”
Francesca però lo interruppe, scuotendo il capo. “Tranquillo, so cosa volevi dire e anche lei a modo suo ha ammesso di aver sbagliato. Ora spero che ne parlerà con Vilu, mi fa male che non si parlino.”
“Tranquilla,” la rassicurò lui, stringendola forte a se. “Le cose si sistemeranno, vedrai. Camilla e Violetta si chiariranno, si vogliono troppo bene per distruggere la loro amicizia per una sciocchezza.”
Lei annuì. “Spero che tu abbia ragione.”
“Fidati di me,” sorrise Federico, facendo sfiorare i loro nasi. “Dai loro un po' di tempo per fare chiarezza, a volte abbiamo bisogno di pensare a fondo prima di capire e nessuno lo sa meglio di noi,” proseguì con uno sguardo eloquente, che la fece sorridere. “Sei unico, sai sempre cosa dire per farmi stare meglio.” Accorciò poi le distanze, stampandogli un bacio sulle labbra. “Ti amo.”
“Ti amo anch'io,” mormorò lui, coinvolgendola in un nuovo bacio.









“Se ci beccano, siamo finiti,” sussurrò Leon, mentre seguiva Diego in punta di piedi verso l'entrata secondaria dello Studio. “Smettila di fare l'uccello del malaugurio Vargas e aiutami ad aprire questa porta,” ribatté il moro, dando una forte spallata contro la porta, che tremò ma non si aprì. Quando però iniziarono a spingere in due, finalmente si aprì di qualche centimetro e con dei calci ben piazzati, riuscirono a creare lo spazio necessario per intrufolarsi all'interno. L'entrata secondaria dava nella cantina, perciò dovettero scansare vecchi tavoli, strumenti ormai rotti, ragnatele e strati di polvere prima di una lunga scalinata, che li portò in uno dei tanti corridoi dello Studio, a quell'ora deserto.
“Andiamo,” disse Diego, affrettando il passo. “Dobbiamo approfittare che sono tutti a lezione.”
Svoltarono l'angolo, poi come due avvoltoi si fiondarono nella sala professori. Leon rimase accanto alla porta a fare da palo, mentre Diego iniziò a frugare negli armadi e nei cassetti, gettando tutto per aria. Il giovane Vargas lo fissava di tanto in tanto, preoccupato. Probabilmente anche lui al suo posto si sarebbe intrufolato lì come un ladro, dopotutto c'erano grandi possibilità di trovare qualcosa di concreto per le sue ricerche, qualsiasi cosa che potesse accomunare la persona misteriosa con Fernandez. Per questo ora era lì insieme a lui, per aiutarlo e sostenerlo. Diego era il suo migliore amico, colui che c'era sempre stato da quando lo conosceva e che lo aveva aiutato ad affrontare finalmente i suoi sentimenti per Violetta. Ah, Violetta... aveva dimenticato di chiamarla! Prese il cellulare dalla tasca con l'intenzione di mandarle un messaggio, quando notò non solo di avere il silenzioso, ma anche una ventina di chiamate perse... tutte di Violetta. Doveva averla fatta preoccupare molto. Come aveva fatto a dimenticarsi di lei? Forse la colpa era del fatto che quella notte si fosse ritirato alle cinque, dato che lui e Diego avevano partecipato a una gara clandestina, sia per far distrarre l'amico dopo ciò che era successo, sia ovviamente per i soldi di cui aveva un disperato bisogno. “Accidenti,” borbottò tra se e se. Violetta non doveva sapere delle gare e nemmeno doveva essere trascurata a causa di esse, lei doveva essere sempre al primo posto.


Leon: Piccola, scusami se non ti ho chiamato, né ti ho risposto. Mi sono svegliato solo adesso. Dopo ti chiamo e parliamo. Perdonami.

Dopo pochi istanti, arrivò la risposta di Violetta.


Violetta: Hai idea di quanto mi hai fatto preoccupare? Ora capisco cosa prova mio padre quando non riesce a rintracciarmi. Dopo vieni allo Studio? Fammi sapere. Ti amo <3

Leon lesse quel messaggio più volte, lo sguardo fisso su quelle ultime due parole. Ti amo. Da quando avevano fatto pace non se lo erano più detti. Forse perché tacitamente avevano deciso di andarci piano e ora lei glielo aveva scritto in un messaggio, mentre lui continuava a non rivelarle una parte importante della sua vita. Come poteva tacere ed amarla allo stesso tempo?
“Ehi, bello addormentato?” Lo richiamò Diego con un ghigno ironico. “Mi aiuti ad aprire questo cassetto, o devo inviarti un messaggino romantico per essere considerato?”
Leon ruotò gli occhi e sorrise, riponendo il cellulare. “Ahah, divertente. Fammi vedere questo cassetto.”
Il cassetto in questione, era quello incorporato al grande tavolo blu al centro della sala e più che chiuso a chiave, sembrava incastrato. “Ok, al mio tre tiriamo...uno,due...”
“Che state facendo voi due?” Leon e Diego scattarono in piedi, sgranando gli occhi. Fermo sul ciglio della porta, con un sorriso maligno, c'era l'ultima persona che speravano li beccasse: Gregorio Casal. L'uomo si avvicinò lentamente con le braccia dietro la schiena, quasi stesse facendo una passeggiata. “Leon e... Diego, giusto? È una mia impressione, o stavate tentando di scassinare quel cassetto?” Proseguì, indicandolo con un cenno e continuando a sorridere.
“Gregorio.” Leon si fece avanti, sollevando le mani. “Non stavamo facendo niente e...”
“Stia zitto lei!” Lo rimbeccò Gregorio, puntandogli il dito contro. “è stato riammesso solo grazie alla benevolenza di Antonio e quella di Pablo, che ha un'assurda passione per voi mocciosi. Fosse stato per me, non sarebbe mai accaduto. Quanto a lei,” aggiunse, guardando Diego. “Quel suo sorrisino insolente inizia a darmi sui nervi. Vi farò sbattere fuori di qui, è una promessa.”
Fece per voltarsi, ma Leon gli si piazzò di fronte. “Per favore Gregorio, sia ragionevole. Stavamo solo cercando uno spartito.”
Lui rise incredulo. “Non ci credo! Vado a chiamare Antonio.”
“Per dirgli cosa?” Intervenne Diego, con le braccia conserte e un sorrisetto arrogante. “Stavamo cercando uno spartito, non può farci espellere per questo.”
“LEI!” Gridò Gregorio, voltandosi di scatto. “Sempre maleducato e sfacciato! Non ha nemmeno un po' di rispetto per il migliore insegnante e direttore che questo Studio abbia mai avuto? La farò cacciare, fosse l'ultima cosa che faccio!”
Voltandosi, si ritrovò faccia a faccia con Pablo, che stava entrando in quel momento con una serie di fascicoli. “Che succede qui?” Chiese il direttore, notando i tre.
“Questi due!” Sbottò Gregorio, indicandoli. “Li ho beccati a tentare di scassinare quel cassetto. Li farò espellere e stavolta nessuno me lo impedirà.”
“Gregorio, calmati.” Pablo fece per poggiare una mano sul suo braccio, ma l'uomo si scansò, disgustato. “Leon, Diego.” Il direttore posò i fascicoli sul tavolo, poi si rivolse a loro. “è vero quello che dice Gregorio? Stavate cercando di aprire quel cassetto? Perché?”
“Volevano rubare, mi sembra ovvio!” Intervenne Casal, maligno.
Leon e Diego si scambiarono un'occhiata, poi risero. “E secondo lei se avevamo bisogno di soldi, li venivamo a cercare proprio nella nostra scuola?” Il moro sorrideva beffardo e ciò, unito alle sue parole, fece infuriare l'insegnante ancora di più. “Adesso basta! Lei mi ha stancato e...”
“Che stavate cercando?” Lo interruppe Pablo, guardandoli attentamente. “Uno spartito,” dissero prontamente.
“Uno spartito? Per quello bastava chiedere a Beto, no?” Jackie entrò nella sala con la solita calma glaciale, scrutando i presenti. “Perché non eravate a lezione, a proposito?”
Diego rise, incredulo. “A questo punto non manca più nessuno,” borbottò, beccandosi una gomitata dal messicano. “Zitto, non peggiorare la situazione.”
“Allora? Vi decidete a parlare?” Pablo spostava lo sguardo dall'uno all'altro, in attesa. Gli sembrava assurdo che quei due ragazzi volessero davvero aprire quel cassetto. Jackie fingeva di prendere qualcosa dal suo armadietto, ma era chiaramente in ascolto. Gregorio invece ghignava apertamente, sicuro che nulla li avrebbe potuti salvare dall'espulsione.
“Andiamo da Antonio,” disse Leon, alla fine. “Abbiamo sbagliato ed è giusto che paghiamo.”
Gregorio applaudì soddisfatto. “Sante parole.” Pablo lo fulminò con lo sguardo, piazzandosi poi davanti alla porta per impedire ai due ragazzi di uscire. “Leon,” iniziò, poggiandogli le mani sulle spalle. “Tu sei un bravo ragazzo, non ti abbasseresti mai a una cosa simile. È successo qualcosa?” L'uomo era così preoccupato e paterno, che Leon non potè fare a meno di sentirsi in colpa. Non meritava una simile delusione, ma non poteva tradire Diego, perciò era meglio che pensasse che stessero rubando e...
“è colpa mia.” Tutti si voltarono verso Diego, che sollevò le braccia in segno di resa. “Mi servivano i soldi per la retta scolastica e non potevo chiederli ai genitori di Marco. Leon ha tentato di fermarmi, lui non c'entra nulla... mi dispiace.”
“Diego, ma che dici?” Leon era incredulo, sconvolto. Come gli saltava in mente di dire una cosa simile?
Pablo era senza parole, Jackie era a bocca aperta per lo stupore e Gregorio, bè lui rideva con la sua solita crudeltà. “Lo sapevo! Oltre che maleducato, è anche un ladro! Raccolga le sue cose, si consideri espulso.”
“La smetta!” Intervenne Leon, fuori di se. “Diego non è un ladro! Lei non lo conosce, non sa quello che sta passando! Nessuno di voi lo sa!”
“Come osa parlarmi così?” Come un furia, Gregorio afferrò il ragazzo per il colletto della camicia. “Io la faccio espellere e farò in modo che nessuna scuola l'accetti! Lo...”
Diego fece per mettersi in mezzo, ma Pablo lo anticipò. “Lascialo andare Gregorio, ora. Si può sapere cosa prende a tutti voi? Diego,” guardò il moro, che ora aveva circondato le spalle di Leon con un braccio e scambiava sguardi di fuoco con Casal. “Se avevi problemi con la retta, avresti potuto parlarmene. L'anno scorso Thomas aveva lo stesso problema e gli è stata concessa una borsa di studio. Non c'è niente di male nell'ammettere di avere bisogno di aiuto.” Spostò poi lo sguardo su Leon. “Capisco che volevi aiutare il tuo amico, ma non puoi alzare la voce con un insegnante come hai fatto poco fa. Avete sbagliato ragazzi e dovete essere puniti. Seguitemi in presidenza. Quanto a te,” aggiunse, voltandosi verso Gregorio. “Metti di nuovo le mani addosso a uno dei miei ragazzi e giuro che non risponderò più di me.” Sbattè la porta con una forza inaudita, facendo tremare tutte le pareti. Casal non si scompose, al contrario storse il naso e gli fece il verso. “Non risponderò più di me...bleah... se pensa di spaventarmi, si sbaglia di grosso.”
Jackie chiuse l'armadietto e lo fissò, accigliata. “Pablo ha ragione, non avresti dovuto mettere le mani addosso a Leon e datti un contegno, sembri un malato di mente.”
“Tu non impicciarti!” Sbottò l'uomo, agitandole un dito davanti agli occhi. “Leon e quel Diego hanno passato il limite e Pablo non può continuare a difenderli. Quell'altro è persino un ladro, non mi è mai piaciuto. Ora però li sistemo entrambi,” aggiunse, lasciando la sala come una furia.
“Cosa succede?” Chiese Angie confusa, scansandosi di lato per evitare che Casal la investisse.
Jackie ruotò gli occhi, sbattendo l'anta del suo armadietto con stizza. “Marcava solo che dovessi imbattermi in te, Saramego.”
L'altra si accigliò. “Stai calma Jackie, ti ho fatto solo una domanda. Ho sentito Gregorio urlare e ho pensato fosse successo qualcosa di grave.”
La ballerina sbuffò con disappunto, segno evidente che le costasse molto informarla e che se avesse potuto, l'avrebbe strangolata. “Leon e Diego stavano tentando di rubare dei soldi. Gregorio li ha visti. Pablo li ha portati in presidenza,” sintetizzò con una fastidiosa ironia.
Angie in ogni caso decise di sorvolare e corse verso la porta, ma la voce della collega la fermò. “Non cantare vittoria troppo presto.”
“Come?” Chiese, sicura di aver capito male.
Jackie sorrise maligna. “Hai capito benissimo Angie cara. Pablo starà con me e tu non potrai fare nulla per evitarlo. Sono troppo furba per te.”
La Saramego la fissò, basita. Allora ci aveva visto giusto, lei sapeva che era innamorata di Pablo. Sorrise, cercando di mostrare una sicurezza e una disinvoltura che in realtà non le appartenevano. “Che vuoi che ti dica, l'importante è crederci. Ciao Jackie,” aggiunse, mollandola lì da sola.
L'altra strinse i pugni, fulminando con lo sguardo la porta da dove la rivale era appena uscita. “Non è finita qui, te lo giuro.”









Buon pomeriggio!!
In questo capitolo è successo davvero di tutto, non so nemmeno da dove iniziare XD
La “relazione” tra Pablo e Jackie inizia seriamente a scricchiolare e lui sembra in qualche modo aver messo la parola fine, mentre per i Pangie c'è finalmente un avvicinamento e le speranze della Saramego tornano a riaccendersi <3
In tutto questo, Vilu non riceve notizie di Leon ed è seriamente preoccupata, tanto che Francesca lo nota e si affretta a rassicurarla, per poi essere rassicurata a sua volta da Federico, a cui manifesta la preoccupazione per il litigio tra le due amiche e poi c'è anche un dolce momento per loro due <3
Leon e Diego si intrufolano in sala professori per cercare notizie sulla persona misteriosa allo Studio e mentre il secondo cerca dovunque, Vargas riceve il primo “ti amo” da quando lui e Vilu sono tornati insieme (awwwwwwww) e non può fare a meno di sentirsi in colpa, dato che ancora non è riuscito a rivelarle il suo segreto.
I due vengono beccati da quel pazzo di Gregorio e dopo una serie di tentativi di giustificarsi, si ritrovano ad essere convocati nell'ufficio di Antonio.
Per concludere, per la prima volta il re degli sfigati, alias Pablo, si ritrova inconsapevolmente ad essere conteso tra Angie e Jackie, entrambe determinate a conquistarlo! XD
Prima di salutarvi, vi faccio ancora tanti auguri di buon anno e vi ringrazio per il sostegno che continuate a darmi!!! <3
besos,
Trilly <3

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Capitolo 24
*** Una sconvolgente scoperta ***






Camilla passeggiava per il cortile dello Studio, torturandosi il labbro inferiore quasi a sangue. Non faceva altro che pensare alla sua lite con Violetta e alle terribili parole che le aveva detto. Cosa le era preso? Non aveva mai nemmeno pensato quelle cose di Vilu, al contrario aveva sempre compreso i suoi dubbi e l'aveva aiutata a fare chiarezza. Lei su tutti si era esposta in prima persona per aiutarla a chiarire con Leon. Quando poi l'aveva vista abbracciata a Diego, era però scattato qualcosa in lei, una sorta di rabbia e di fastidio l'aveva travolta, accompagnata da un forte e intenso dolore alla base del cuore. Non lo aveva capito subito o forse non voleva capirlo, ma ormai non poteva più negarlo. Tutte quelle strane sensazioni erano dovute al sentimento più antico del mondo, la gelosia. Sin dalla prima volta che lo aveva visto, era rimasta affascinata da Diego. Lui aveva il tipico fascino del ragazzo tenebroso, ma era anche arrogante, saccente, presuntuoso e per questo lo aveva trovato antipatico e odioso e ogni occasione era buona per scontrarsi con lui. Il giovane aveva una sfacciataggine senza eguali e l'abitudine di comparire sempre nel momento meno opportuno e quindi era impossibile non litigare con lui. Pensava quindi di odiare Diego, nemmeno per un'istante aveva pensato che si trattasse di gelosia, che il vero problema fossero i sentimenti di lui per Violetta. Da quando le piaceva Diego? Da quando aveva smesso di amare Broadway? Non lo sapeva dire con certezza, l'unica cosa che sapeva, era che la sua gelosia aveva raggiunto un livello tale da spingerla ad aggredire la sua migliore amica davanti a tutti. Era sempre stata istintiva e spesso parlava a sproposito, ma mai aveva detto delle cose così orribili a una persona, soprattutto se si trattava di Violetta, che si era sempre comportata bene con lei. Cosa le era preso? Doveva parlare con la sua amica, scusarsi per quelle parole. Convinta di ciò, si affrettò a rientrare nella scuola e a cercarla. Passando accanto alla sala teatro, intravide la chioma bionda di Ludmilla. Stava parlando con una ragazza mora con una coda di cavallo, che indossava una salopette di jeans e le scarpe da ginnastica. La tipica persona con cui la Ferro non si sarebbe mai fermata a parlare, se non per prenderla in giro, eppure sembravano molto in confidenza. Osservandole più attentamente, Camilla si rese conto che quella ragazza avesse un volto familiare. Dove l'aveva già vista? Ma certo, la pista di motocross! Quella ragazza era Lara, la ex di Leon. Come conosceva Ludmilla? Proprio mentre pensava a ciò, vide Violetta provenire dal corridoio opposto. Era sola e stranamente pensierosa, cosa che non succedeva da quando si era rimessa con Leon.
Prendendo un profondo respiro, si affrettò a raggiungerla accanto a una finestra. “Violetta.”
La Castillo sussultò, voltandosi verso di lei, sorpresa. “Camilla.”
“Senti Vilu,” iniziò la rossa, torturandosi nervosamente le mani. “Ti ho detto delle cose orribili e tu non le meritavi...scusami,” aggiunse, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Perdonami Vilu.”
Violetta l'abbracciò di slancio ed entrambe scoppiarono a piangere. “Oh Cami! Scusami per quello schiaffo.”
Camilla tirò su col naso. “Me lo meritavo, sono stata un mostro e...mi dispiace...”
L'altra annuì, sorridendole dolcemente. “Ora non ha importanza, per me è tutto dimenticato.”
“Grazie Vilu!” La Torres l'abbracciò nuovamente, aprendosi in un grande sorriso oltre le lacrime. “Non dubiterò mai più di te, te lo prometto.”
Continuarono ad abbracciarsi e a scambiarsi piccole confidenze, finché Violetta non decise di esporle un dubbio che l'assillava. “Camilla, non è che ti piace Diego?” Le chiese, curiosa.
“C..Cosa?” Balbettò la rossa, avvampando di colpo. “Come t..ti viene in m..mente? È assurdo e...” Violetta le prese i polsi, impedendole di gesticolare ulteriormente per l'agitazione. “Camilla, calmati, era solo una curiosità.”
Lei rise nervosamente. “Una curiosità assurda...come potrebbe mai piacermi un tipo così odioso, maleducato, p...”
Lo sproloquio incomprensibile di Camilla fu interrotto da Maxi, che le raggiunse di corsa, sembrava molto preoccupato. “Violetta, Camilla! Finalmente vi ho trovato,” mormorò, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. “Leon e Diego sono stati convocati nell'ufficio di Antonio. È più di un'ora che sono dentro.”
“Che cosa? Perché?” Preoccupatissima, Violetta iniziò a correre verso l'ufficio, seguita a ruota da Maxi e Camilla. Cos'era successo? Nel messaggio, Leon le aveva scritto di essersi svegliato da poco, come aveva fatto quindi ad arrivare così presto e addirittura ad essere convocato in presidenza? Giunta davanti all'ufficio di Antonio, vi trovò radunata una piccola folla, composta da Francesca, Federico, Luca, Andres, Andrea, Ludmilla, Lena, Marco e Nata.
“Cos'è successo? Sono ancora dentro?”
Francesca annuì. “Li abbiamo visti entrare di sfuggita insieme a Pablo, anche se lui più che arrabbiato sembrava deluso.”
“Poco dopo, è entrato anche Gregorio e lui si, che dava i brividi,” aggiunse Marco, camminando nervosamente per il corridoio.
Violetta iniziò a mordersi il labbro inferiore e al contempo a torturarsi una ciocca di capelli. Dire che fosse preoccupata, era dire poco. “Non si sa il motivo di questa convocazione?”
“Ehi Vilu.” Federico le si avvicinò, poggiandole le mani sulle spalle, tentando di calmarla. “Stai tranquilla, sarà di sicuro un malinteso. Leon è un bravo ragazzo.” La ragazza annuì, lasciandosi stringere dalle braccia dell'amico. “Io non capisco, cosa può essere accaduto?”,
Gli altri scossero la testa, amareggiati. Solo Ludmilla incurante dei loro discorsi, armeggiava con il suo cellulare con un sorrisetto stampato in faccia.
Nel frattempo, un pesante silenzio era calato tra di loro e a quel punto avvertirono diverse voci provenienti dall'ufficio, su tutte quelle di Gregorio e Pablo, che sembravano parecchio alterate. Questo aumentò di parecchio la preoccupazione di Violetta, che si strinse più forte a Federico.
In quel momento, la porta si aprì e ne uscì una furiosa Angie. Subito tutti corsero verso di lei. “Angie? Cosa succede?”
La bionda si sbatté la porta alle spalle, mentre la sua rabbia non accennava a placarsi. “Quell'uomo è malato, io l'ho sempre detto. Non capisco perché Antonio si ostina a volerlo tenere.” Quando poi lesse la preoccupazione negli occhi della nipote, si affrettò a sorriderle rassicurante. “Non preoccuparti, Gregorio può dire quello che gli pare, ma alla fine la decisione spetta ad Antonio.”
“Che significa?” Intervenne Camilla. “Gregorio vuole espellerli?”
“E Antonio che ne pensa di tutto questo? Chiese Luca.
“Si,” confermò Angie. “Gregorio ha preso in antipatia loro quest'anno, è più folle e agguerrito che mai, ma Antonio non si lascerà manipolare, ne sono sicura.”
“Antonio conosce Gregorio, sa di cosa è capace,” convenne Lena.
Stavano ancora parlando, quando finalmente le figure di Leon e Diego uscirono dall'ufficio. Entrambi avevano un sorrisetto vittorioso stampato in faccia. Appena li vide, Violetta si fiondò tra le braccia del suo ragazzo. Non fecero in tempo a chiedere nulla, che uscì anche un furioso Gregorio. Egli fulminò tutti con lo sguardo, poi borbottò qualcosa che suonava molto come “la prossima volta non sarete così fortunati” e andò via. A quel punto partirono le domande assillanti dei ragazzi, che volevano sapere cosa fosse successo in quell'ufficio, ma Violetta non li stava ascoltando. Continuava a restare abbracciata a Leon, con gli occhi socchiusi. Lui era lì con lei, stava bene, solo quello contava.
“Ehi piccola,” sussurrò Leon dolcemente al suo orecchio. “Andiamo a fare una passeggiata?” Lentamente, lei annuì. Il ragazzo le doveva dire qualcosa d'importante, glielo leggeva negli occhi. Si presero così per mano e si allontanarono, lasciando a Diego il compito di spiegare la situazione agli altri.
Dire che i ragazzi fossero rimasti sconvolti, era dire poco. Si erano radunati tutti nell'aula di canto, dove lo spagnolo si era prodigato a soddisfare la loro curiosità, circa il motivo della convocazione da Antonio e ciò che era poi accaduto in quell'ufficio. “Dovevo pagare la retta scolastica e non avevo soldi, è stata una fortuna che Antonio abbia provato pena per me e non mi abbia cacciato con l'accusa di tentato furto,” concluse con un ghigno ironico, dovuto soprattutto per far apparire più vera la grossa bugia che aveva appena rifilato ai suoi amici.
“Perché diavolo non me lo hai detto?” Sbottò Marco, incredulo. “Se avevi bisogno di soldi, bastava che me lo dicessi. L'avrei pagata io la tua retta.”
Diego scosse la testa. “Tu e la tua famiglia fate già abbastanza per me, non volevo gravarvi ulteriormente.”
“Sei un idiota Diego,” concluse il messicano, sospirando, rassegnato. Sapeva perfettamente quanto l'amico fosse testardo e insistere sarebbe stato inutile.
“Immagino che tu già sappia che hai fatto una sciocchezza,” intervenne Lena. “Il tuo gesto è stato orribile e irrispettoso, verso delle persone che si sono sempre comportate bene con te.”
Gli altri concordarono e Diego non poté fare altro che scrollare le spalle. Si era preso una colpa che non aveva ed era naturale che dovesse pagarne anche le conseguenze, comprese le accuse dei ragazzi. Si sedette su uno sgabello con la sua amata chitarra tra le mani, lasciando che accuse e commenti gli scivolassero addosso. Non gli importava cosa pensassero di lui, né tantomeno di ribattere, il suo unico pensiero andava a quel maledetto cassetto che non era riuscito ad aprire e se dentro ci fosse davvero qualcosa di utile per le sue ricerche. Quasi non si accorse degli amici che se ne andavano pian piano, fino a lasciarlo solo, o almeno così credeva.
“Quindi oltre ad essere odioso e pieno di te, sei anche un ladro.”
Diego sussultò, voltandosi verso quella voce fastidiosamente ironica. Ferma a pochi metri da lui con le braccia conserte e l'espressione accigliata, c'era lei, Camilla. Che ci faceva lì? Era convinto che fosse andata da qualche parte a commentare il suo atteggiamento e invece glielo stava dicendo in faccia senza alcun timore. “Non hai nulla da dire a tua discolpa?”
Il moro scosse la testa, divertito. “Non ho soldi, ma volevo continuare ad inseguire il mio sogno. Ho sbagliato, però il fine giustifica i mezzi, no?”
“Che cosa?” Sbottò la Torres, incredula, iniziando a girargli intorno come un avvoltoio. “Ma ti ascolti quando parli? Lo sai che hai rischiato grosso? Altro che espellerti, Antonio poteva esporre denuncia. Sei un imbecille, istintivo, irresponsabile e...”
Esasperato, Diego ripose la chitarra e scattò in piedi, ammutolendola di colpo. “Mi spieghi una cosa, dolcezza?” Mormorò, prendendola per le spalle e guardandola con un sopracciglio inarcato. “A cos'è dovuta questa lavata di capo? Che ti importa se Antonio mi sbatte fuori? È quello che vuoi in fondo, liberarti me,” aggiunse con un sorrisetto che la sapeva lunga.
Camilla ruotò gli occhi, stizzita, spingendolo poi lontano da se. Averlo troppo vicino le provocava delle strane sensazioni. “Sto solo cercando di farti ragionare e comunque non è vero che voglio liberarmi di te, semplicemente preferisco averti a chilometri di distanza.”
“Ma davvero?” Ghignò il moro. “Non sarà che temi di non riuscire a reprimere il desiderio di saltarmi addosso?”
La ragazza avvampò di colpo, poi iniziò a colpirlo con i suoi piccoli pugni, furiosa, mentre lui sogghignava. “Saltarti addosso? Ma per chi mi hai preso? L'unico sentimento che provo quando ti vedo è la repulsione. Il desiderio che invece reprimo, è quello di strangolarti!”
Diego scoppiò a ridere, bloccandole poi i polsi e facendola indietreggiare spalle al muro. I loro sguardi erano come incatenati. Gli occhi di lei erano sgranati per lo stupore, quelli di lui invece mostravano una certa presunzione. “Smettila di negarlo dolcezza,” le sussurrò all'orecchio con voce calda, facendola rabbrividire. “Ormai è chiaro che sei pazza di me. Non fai altro che pensarmi e fai persino delle esilaranti scenate di gelosia. Peccato che quel giorno non fossi al Restò Band a vederti litigare con Violetta per me,” aggiunse, scrutandola divertito, mentre lei assumeva tutte le tonalità possibili ed immaginabili.
“Lasciami!” Sbottò stizzita, tentando di liberare le braccia, che lui le teneva ancora strette sopra la testa e che non sembrava intenzionato a lasciare. “Te l'ho già detto, tu non mi interessi, sei disgustoso, odioso, fastidioso e molesto. Ti ho detto di lasciarmi!”
Diego sorrise, facendo sfiorare il naso con il suo. “Lo sai che sei carina quando mi arrabbi? Mi sono sempre piaciute le ragazze con un temperamento, come dire...focoso?” Il suo sguardo la percorse da capo a piedi e inorridita e alquanto imbarazzata, lei gli tirò una ginocchiata, che lo costrinse a mollare la presa e a piegarsi in due per il dolore.
Finalmente libera, Camilla gli girò intorno, sorridendo soddisfatta. “Io non sono una di quelle che ti cade ai piedi, al contrario mi disgusti. Sei solo un buffone e un pervertito.”
A quelle parole, Diego si ricompose e scoppiò a ridere, lasciandola basita. “Non ti rendi conto che più mi insulti e più confermi il mio pensiero? Se pensassi davvero quelle cose, non saresti qui, ma con gli altri a parlar male di me. Io ti piaccio Camilla e non ti nascondo che questo tuo temperamento nevrotico e aggressivo mi incuriosisce parecchio,” continuò, con un sorrisetto malizioso.
La rossa storse il naso, disgustata. “Sei sfacciato come nessuno. Solo una poco di buono potrebbe cedere a dei commenti così...non so nemmeno come definirli, bleah!” Se ne andò poi sbattendo la porta, seguita dallo sguardo divertito del ragazzo. “Ah Camilla, non sai mentire,” commentò, scuotendo il capo. Quella ragazza era incredibile, era riuscita a risollevargli il morale, tenendogli testa e tempestandolo di insulti tra l'altro e la cosa gli era piaciuta e non poco. C'era qualcosa in lei, qualcosa che mai aveva visto in una ragazza e proprio per questo sentiva come il bisogno di conoscerla più a fondo, capire se quel qualcosa esistesse davvero e poi...e poi non lo sapeva nemmeno lui. Camilla gli interessava perché voleva portarsela a letto, o c'era qualcosa di più? Pensava gli piacesse Violetta, lei era la prima ragazza a cui si era interessato senza pensare ai suoi bisogni, ma ora c'era anche Camilla, che tra l'altro con il suo caratterino era persino riuscita a zittirlo e ad avere l'ultima parola. Poteva la Torres riuscire a fargli dimenticare la ragazza del suo migliore amico? E lui era pronto ad accettare quella possibilità e quindi a ricambiarla? Onestamente non sapeva dirlo, troppi erano i pensieri che affollavano la sua mente e poi c'era da dire che lui non avesse mai avuto una relazione seria in vita sua, non sapeva cosa significasse amare e quindi come poteva capire se lo provasse? Scosse la testa, esasperato. Doveva smetterla di farsi tutti quei problemi, altrimenti rischiava di impazzire e non poteva permetterselo. Aveva una missione da portare avanti e per farlo doveva restare lucido.








Giunti nel cortile dello Studio, lontano da orecchie indiscrete, Leon si affrettò a spiegarle perché lui e Diego fossero nell'ufficio di Antonio e poi tutto quello che era successo sia prima che dopo. Violetta sgranò gli occhi, sorpresa. “Quindi Gregorio vi ha visti cercare qualcosa in sala professori e ha pensato che steste rubando?”
Lui annuì. “Gli abbiamo fatto credere che Diego avesse bisogno di soldi per pagare la retta scolastica e che io stessi tentando di fermarlo. Pablo e Antonio erano arrabbiati, ma Gregorio voleva espellerci a tutti i costi. Poi è arrivata anche Angie, che ci ha difesi e a quel punto la situazione è degenerata. Alla fine Antonio si è limitato a punirci. Dobbiamo pulire lo Studio per un mese.”
Violetta gli strinse forte la mano, tirando un sospiro di sollievo. “Grazie al cielo non hanno capito niente e Antonio non ha dato retta a Gregorio.”
“Già,” convenne Leon, passandosi nervosamente una mano nei capelli. Non era per niente tranquillo, quel sorriso che aveva ostentato appena uscito dall'ufficio era solo momentaneo e lei lo aveva capito. Lo condusse così dietro un grosso albero e si sedette sull'erba, poggiando la schiena contro il tronco e invitandolo a sedersi accanto a lei, facendogli poggiare la testa sulle sue gambe e iniziando ad accarezzargli dolcemente i capelli.
Leon chiuse gli occhi, godendosi quelle dolci e rilassanti attenzioni. Stettero così in silenzio per lunghi minuti, poi di punto in bianco, lui iniziò a parlare. “Uno tra Antonio, Pablo, Gregorio, Beto, Angie e Jackie è coinvolto con la storia di Diego... molti li conosco da tanto tempo e tutto sembra così assurdo... volevo aiutarlo a scoprire la verità, ma ogni passo che facciamo, sembra che ne facciamo anche tre indietro e...mi sento così inutile.”
La sua voce era stanca, rassegnata e Violetta non riusciva proprio a sopportarlo. Il suo Leon non era così, lui era sempre forte e determinato, lui non si arrendeva mai. Lo strinse a se, abbracciandolo e accarezzandolo come si faceva con i bambini. “Tu non sei inutile Leon,” sussurrò, stampandogli un bacio sulla tempia. “Sei un grande sostegno per Diego e poi solo perché è andata male la prima volta, non vuol dire che le ricerche siano finite. La verità uscirà fuori, vedrai.”
Leon sorrise, prendendole una mano e lasciandovi un leggero bacio, gesto che la fece arrossire nella zona guance. “Mi fa bene parlare con te, mi sento già meglio...grazie, piccola mia.”
Violetta sorrise a sua volta, chinandosi così da poggiare la fronte contro la sua. “Tu lo hai sempre fatto per me, quando ho avuto bisogno ci sei stato e ora voglio fare lo stesso con te.”
Si sorrisero, dolci e innamorati, facendo sfiorare i loro nasi. Le mani si intrecciarono le une con le altre, i loro respiri si fusero e i cuori battevano allo stesso identico ritmo. “Leon.”
Lui scosse la testa, riducendo ancora le distanze tra loro. La baciò dolcemente e Violetta non poté fare altro che ricambiare con trasporto. Quando però il ragazzo si mise in posizione seduta e fece per approfondire il bacio, lei lo fermò, facendolo accigliare. “Violetta? Cosa succede?”
Sembrava confuso, preoccupato e se ne sentì un po' in colpa, ma non poteva fare finta di niente, non ci riusciva. “Nel messaggio mi hai detto che ti eri appena svegliato, ma in realtà eri già allo Studio. Come hai fatto allora a non esserti accorto delle mie chiamate?”
Leon sbiancò di colpo. Non poteva di certo dirle che avesse partecipato a una corsa clandestina e che per questo avesse impostato il silenzioso al cellulare, per poi dimenticare di toglierlo. Violetta lo aveva incastrato e ora non sapeva che dirle. Lei lo conosceva troppo bene, era impossibile mentirle. Si specchiò nei suoi occhi nocciola e quel senso di colpa che da troppo lo opprimeva, si presentò più vivido che mai. Una parte di lui non desiderava altro che dirle la verità, ma l'altra era terrorizzata dall'idea di perderla. Aveva già provato a vivere senza di lei ed era stato come se una parte di se lo avesse abbandonato, come se lui fosse solo un involucro vuoto, perché senza Violetta lui non era nulla.
“Leon.” La ragazza interruppe il flusso dei suoi pensieri, stringendogli forte le mani. “Mi stai spaventando, ti rendi conto? Parlami, dimmi qualsiasi cosa,” aggiunse preoccupata.
Leon annuì, poi la strinse forte tra le sue braccia. “Va tutto bene, davvero,” le sussurrò all'orecchio, tentando di tranquillizzarla. “Per sbaglio ho messo il silenzioso sul cellulare e me ne sono accorto solo quando ti ho mandato il messaggio. Io e Diego abbiamo parlato un sacco e...”
“E ti sei dimenticato di chiamarmi,” concluse lei seria, sciogliendo l'abbraccio così da poterlo guardare negli occhi. “Non mi stai mentendo, vero? Per caso eri con Lara?” Sussurrò quasi con timore e Leon per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. “Ma come ti viene in mente una cosa simile? Pensi che potrei tradirti?”
“Non intendevo dire questo,” si affrettò a spiegare lei, notando un'ombra di delusione nel suo sguardo. “Pensavo semplicemente che lei avesse cercato di parlarti. C'è qualcosa che non va e credevo che lei potesse averti turbato in qualche maniera, tutto qui.”
Lui annuì, sorridendo debolmente. “Puoi stare tranquilla, non parlo con Lara da quando ci siamo lasciati, sono solo preoccupato per Diego. Chissà come deve sentirsi e... vorrei fare di più, ma non so come e...”
Violetta gli sorrise dolcemente. “Ti capisco, è tuo amico ed è normale che vorresti fare di tutto per aiutarlo e lo stai facendo. Sono sicura che sei molto importante per lui, lo sei per tutti,” aggiunse, sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. Lui sorrise a sua volta, intrecciando la mano con la sua. “Violetta, io...io non so cosa farei senza di te. Sento che il nostro rapporto si fa sempre più forte e...e mi sento ogni giorno più dipendente da te.” Lo sussurrò con una tale dolcezza, che la ragazza si commosse fino alle lacrime. “Oh Leon! Lo stesso vale per me. Quando non ci sei, mi sembra che mi manchi l'aria e... ti amo così tanto.” Seppellì il volto contro il suo petto, inspirando a pieni polmoni il suo profumo e Leon la cullò, sorridendo malinconicamente. Sentirle dire che lo amasse gli riscaldava il cuore, ma c'era ancora quel maledetto segreto che non riusciva a dirle, che gli impediva di gioire fino in fondo. “Ti amo anch'io Vilu,” sussurrò, lasciandole un bacio sul capo. Ed era vero, l'amava con ogni fibra del suo essere e proprio per questo doveva trovare il modo di superare la sua maledettissima paura. Lui e Vilu si erano ripromessi di non avere più segreti e non poteva tradire quella promessa, non poteva deluderla. Le prese il volto tra le mani e la baciò. Al momento giusto le avrebbe detto tutto e stavolta lo avrebbe fatto davvero.
Violetta gli gettò le braccia al collo, approfondendo il bacio. Anche se sapeva che le nascondesse ancora qualcosa, che per fortuna non riguardava Lara, non poteva fare a meno di pensare che l'unica cosa più bella degli abbracci di Leon erano sicuramente i suoi baci e ogni volta che si trovava accanto a lui, era inevitabile desiderarli con ogni fibra del suo essere.
Si baciarono ancora e ancora, per poi stringersi forte l'uno all'altra. Stavano così bene loro due insieme circondati dal silenzio, che avrebbero voluto che quel momento non finisse mai e così chiusero gli occhi, pronti a goderselo fino all'ultimo istante. Ogni domanda e ogni spiegazione era rimandata, ora c'erano solo loro due.









Quanta polvere e sporcizia potevano procurare degli studenti, soprattutto quando erano impegnati a cantare e a ballare? Leon e Diego, che quel pomeriggio stavano scontando il loro primo giorno di punizione, se lo stavano ancora domandando.
Mentre il primo stava spazzando lungo il corridoio, Diego era andato nella sala teatro, trovando a terra l'inimmaginabile. Carte, lattine e bottiglie vuote, involucri di merendine, spartiti accartocciati, penne, matite e chi più ne ha più ne metta. Arricciando il naso, spazzò il tutto e lo gettò in uno dei grandi sacchetti della spazzatura. Si poteva essere più animali? Anche a lui era capitato di gettare una carta a terra per strada, ma non addirittura bottiglie o lattine.
Il momento peggiore per lui, fu però quando una delle sue scarpe da ginnastica nuove di zecca, schiacciò una gomma da masticare. Tirare non servì a nulla, anche perché si liberarono una serie di filamenti bianchi che odoravano di menta e che gli provocarono uno sforzo di vomito. Si tolse allora la scarpa e iniziò a cercare un fazzoletto, per poi tentare di staccare quella gomma disgustosa. “Se scopro chi l'ha buttata a terra, giuro che gliela faccio ingoiare e poi lo prendo a calci nel sedere fino all'ingresso,” borbottò tra se e se.
Dopo aver ripulito la scarpa, se la rimise e armato di scopa e paletta, uscì dalla sala per andare a spazzare l'aula di musica. In fondo al corridoio intravide Leon, che spazzava e al contempo parlava al cellulare. Dal tono di voce e dal sorriso idiota stampato in faccia, dedusse che stesse parlando con Violetta e scosse la testa, divertito. L'amore rendeva davvero tonti. Chissà se lui lo avrebbe mai provato. Riconosceva che gli piacesse Violetta e che anche Camilla avesse qualcosa che lo incuriosisse, ma parlare di amore era eccessivo. Quando si guardava allo specchio, non vedeva la stessa luce che vedeva negli occhi di Leon o di Violetta, vedeva semplicemente il buio...quel buio che lo perseguitava da tutta la vita. Non aveva mai ricevuto amore da Juan e Dora, spesso si era sentito quasi un peso, fino a scoprire che per loro era addirittura un oggetto e che il pensiero di Fernandez non fosse tanto diverso. Ricordava ancora quando all'alba dei suoi dodici anni, si era ripromesso che un giorno sarebbe scappato da quella casa tanto ricca quanto vuota di sentimenti, per cercare i suoi veri genitori. Loro erano lì a Buenos Aires e aveva sempre pensato che in qualche modo avessero sofferto, o forse aveva semplicemente preferito illudersi che al mondo ci fosse qualcuno che lo potesse amare. Suo padre, se non era Fernandez ovviamente, poteva non sapere della sua esistenza, ma non sua madre che lo aveva partorito. Perché quindi la donna aveva permesso all'uomo di venderlo come si faceva con gli schiavi tanti secoli prima? Non lo amava? Lo considerava un errore?
Entrando nell'aula di musica, si imbatté in Beto, che aveva il compito di fare da supervisore. L'uomo come al solito era vestito in maniera eccentrica e stava addentando con gusto una grande brioche alla crema.
“Ah, Diego,” lo salutò allegramente, poi inciampò nel filo della tastiera e franò a terra, trascinando con se lo strumento e il povero ragazzo, che si ritrovò schiacciato al suolo con l'insegnante addosso e una macchia di crema sulla maglia.
“Oh cielo, scusami!” Dispiaciuto, Beto si alzò e gli porse la mano, ma Diego, temendo un'altra azione del maldestro insegnante, si alzò da solo, raccogliendo la brioche da terra e porgendogliela.
“Grazie Diego!” Esclamò Benvenuto, felice, dando un grande morso al dolce. “E scusami ancora.”
“Si figuri,” borbottò il moro, arricciando il naso, disgustato. Probabilmente su quella brioche c'erano diverse nuvole di polvere e capelli, come diavolo gli era saltato in mente di continuare a mangiarla? Tra l'altro, con quella stupida brioche gli aveva sporcato la maglia e cosa peggiore, con la sua sbadataggine aveva rischiato di rompergli l'osso sacro. Si massaggiò il didietro indolenzito, facendo una smorfia di dolore. “Accidenti a lui.”
Iniziò a spazzare e al contempo ripensò agli eventi di quella mattina. Se ora era ridotto a bidello, era perché stava cercando informazioni per scoprire l'identità della persona collegata a Fernandez, una persona che probabilmente aveva davanti ogni giorno. Gli tornò in mente la lite con Gregorio, poi il giorno in cui Pablo aveva accolto lui e Leon davanti all'ingresso dello Studio, il colloquio con Antonio di poche ore prima e infine il recente scontro con Beto. C'erano poi Angie e Jackie, che chissà perché si sentiva di escludere, forse perché nella sua mente si era formata l'idea che la persona collegata a Fernandez fosse un uomo. Il fatto che l'anziano avesse ordinato delle ricerche poi, gli faceva pensare che questa persona sapesse qualcosa, ma che non fosse a conoscenza di tutti i suoi piani. Chi poteva mai essere?
Gregorio era un malato di mente, ma era anche intelligente, furbo e calcolatore. Pablo era la classica brava persona che si preoccupava di tutto e di tutti, dimenticando che di tanto in tanto avrebbe dovuto pensare anche a se stesso. Beto era strambo, imbranato, ma anche simpatico e di buon cuore, un brav'uomo insomma. Antonio era un grande professionista, uno che aveva ancora l'entusiasmo di un ragazzino quando parlava del suo amato studio, era una persona intelligente, comprensiva, saggia. Nonostante si sforzasse, non riusciva a trovare qualcuno da accomunare a Fernandez. Tutti e quattro erano troppo diversi da lui, forse l'unico che gli assomigliasse un po'
caratterialmente era Gregorio, anche lui era furbo e alquanto ambizioso, ma non ce lo vedeva a partecipare alla vendita di un bambino, nemmeno lui era così meschino. Ma allora qual'era la verità?
Guidato solo dall'istinto, mollò la scopa e la paletta e corse in sala professori. Basta, ora doveva sapere. Si chiuse la porta della sala alle spalle e subito si avvicinò al famoso cassetto, che lui e Leon non erano riusciti ad aprire quella mattina.
Tirò più forte che poteva, servendosi anche di un paio di forbici e di un cacciavite trovati sul tavolo, ma niente... il cassetto non ne voleva sapere di aprirsi. Stava quasi per arrendersi, quando notò qualcosa di luccicante sopra una delle mensole sotto il grande orologio. Avvicinandosi, si rese conto che si trattasse di una piccola chiave arrugginita. Senza pensarci troppo, salì su una sedia e la prese. Tanto valeva provare.
Infilò la chiave nella piccola fessura del cassetto e quando la sentì scattare, mentalmente esultò. Ce l'aveva fatta. Quando ebbe girato anche l'ultima mandata, poté finalmente vedere il contenuto del cassetto. All'interno c'erano una lunga serie di buste bianche, che probabilmente contenevano i soldi per conti e bollette, poi due grandi fascicoli. Il primo riguardava le rette degli studenti con relative certificazioni d'identità, mentre il secondo interessava i professori. Iniziò a sfogliare quest'ultimo, alla ricerca di qualsiasi indizio, anche il più banale poteva essere fondamentale per scoprire almeno uno sprazzo di verità.
Solo dopo dieci minuti trovò qualcosa di interessante, qualcosa che lo lasciò tanto sconvolto da immobilizzarlo di colpo e fargli saltare almeno tre battiti cardiaci. Non era quello che cercava, ma soprattutto che si aspettava. Fissava quel foglio come ipnotizzato. Non poteva essere vero, non poteva. Forse era un caso, non doveva tirare conclusioni affrettate...o forse si?
Con mani tremanti, strappò il foglio e dopo averlo piegato, se lo mise in tasca. Rimise tutto al suo posto, poi corse via. Quello che aveva scoperto era così assurdo e forse per questo così giusto. Aveva bisogno di stare da solo, aveva bisogno di pensare.









Ok, sono consapevole che vorrete ammazzarmi per aver concluso il capitolo così e non posso darvi torto. Purtroppo però la parte di dopo è molto lunga e aveva bisogno di un capitolo a parte, un capitolo dove appunto si scoprirà un'importante tassello sul mistero Fernandez. Il prossimo sarà quindi un capitolo di fuoco, molte cose verranno a galla e si inizierà a fare un po' di luce su questa storia! ;)
Come vi avevo anticipato, Cami e Vilu hanno fatto pace e la Torres inizia a prendere consapevolezza dei suoi sentimenti per Diego, con cui poi c'è un confronto ricco di frecciatine e allusioni, che ci fa capire che nemmeno lui è tanto indifferente, anche se parecchio confuso vista la situazione che sta affrontando.
Nel frattempo Leon esprime a Vilu la sua paura di non poter aiutare Diego come vorrebbe e lei prontamente lo sostiene, rendendosi però conto che c'è anche qualcos'altro che lo tormenta e che non riesce a dirle. La paura che lei potrebbe lasciarlo ossessiona Leon, così come il senso di colpa e per questo promette a se stesso che le parlerà e lei stessa, decide di farsi bastare quella spiegazione e di godersi il loro momento insieme! <3
Ed ecco in cosa consiste la punizione dei due ragazzi, pulizie dello Studio per un mese! Nessun momento poteva essere più adatto di questo per tornare ad indagare sul famoso cassetto, dove appunto Diego trova qualcosa d'interessante. Che ci sarà scritto su quel foglio?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi scuso per eventuali errori, a casa mia c'è un casino terribile e anche se ho riletto il capitolo diverse volte, non so se mi è sfuggito qualcosa! XD
Vi mando tanti baci!!
Trilly <3




 

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Capitolo 25
*** Inatteso e doloroso confronto ***






“Ehi Ramirez.”
Leon entrò nell'aula di musica, reggendo due grandi secchi d'acqua. “Ti ho riempito il secchio. Lavi tu l'ingresso? Io...” S'interruppe, rendendosi conto che l'aula fosse vuota. Confuso, lasciò i secchi lì e andò alla ricerca dell'amico. “Diego? Diego dove sei?”
Controllò in ogni aula, corridoio o bagno, non incontrando anima viva, se non Beto che mangiava dei pasticcini. Senza alcuna convinzione, andò a dare un'occhiata anche in sala professori, trovandola prevedibilmente vuota. Stava per uscire, quando notò un cellulare sotto il tavolo. Corse a raccoglierlo, riconoscendo il cellulare di Diego. Cosa ci faceva lì? Di sicuro non lo aveva perso quella mattina, lo avrebbero visto, quindi doveva per forza averlo perso in un secondo momento, magari proprio mentre pensava stesse pulendo.
“Ma certo!” Esclamò, colpendosi la fronte. Come aveva fatto ad essere così stupido? Era chiaro che Diego avrebbe fatto un altro tentativo per scoprire chi fosse quella misteriosa persona, chi non lo avrebbe fatto al suo posto? Forse ora che non c'era nessuno aveva trovato qualcosa, forse...
“Diego! Diego!” Attraversò di corsa tutto il corridoio fino all'ingresso, da cui poté notare che accanto alla sua motocicletta, non ci fosse quella del moro. Dov'era andato? Cos'aveva scoperto di così sconvolgente da farlo sparire in quella maniera?
Guardò il cellulare dell'amico, che stringeva ancora nella mano destra e sospirò. Se non poteva nemmeno chiamarlo, come avrebbe fatto a trovarlo? Diego doveva aver scoperto qualcosa di pesante e non poteva stare da solo, aveva bisogno di un sostegno, aveva bisogno di lui.
Non fece in tempo a raggiungere la sua motocicletta, che vide arrivare dal lato opposto della strada Pablo, Angie, Jackie e Gregorio. Uno sguardo verso Beto, fermo davanti all'ingresso, gli bastò per capire che fosse stato lui a chiamarli.
“Leon.” Pablo gli si piazzò di fronte, sembrava piuttosto alterato. “Dov'è andato Diego? Beto mi ha detto che è scappato dalla punizione.”
Lui scrollò le spalle. “Non lo so.”
“Sta mentendo!” Intervenne Gregorio, puntandogli un dito contro. “è impossibile che non sappia dov'è il suo socio. Ce lo dica, adesso!”
“Ho detto che non lo so, lo sto cercando anch'io!” Ribatté, esasperato.
Gli stavano facendo perdere tempo prezioso che avrebbe potuto utilizzare per cercare Diego.
Gregorio fece per ribattere, ma Angie lo anticipò. “Cos'è successo a Diego? Sono giorni che lo vedo strano,” mormorò la bionda, preoccupata.
“Leon,” aggiunse Pablo, affiancando Angie e rivolgendole una timida occhiata. “Il problema di Diego non è la retta scolastica, non è così?”
“L'ho sempre detto che quel ragazzo fosse disturbato,” borbottò Gregorio, beccandosi un'occhiataccia dai suoi colleghi.
“Sai qual'è il suo problema, si o no?” Chiese Jackie, parlando per la prima volta.
Leon la guardò, poi il suo sguardo si spostò su Angie e Pablo e alla fine annuì. “Si, lo so...lui però non ne vuole parlare con nessuno, se non con me. Posso andare a cercarlo?”
Prima che qualcuno di loro potesse dire qualsiasi cosa, sopraggiunse una preoccupata Violetta. “Cosa sta succedendo? Perché siete tutti qui fuori?” Spostò poi lo sguardo su Leon e sorrise. “Hai già finito? Allora ho fatto bene a venire prima...Leon? Cos'è quella faccia?” Chiese, rendendosi conto solo in quel momento del nervosismo del ragazzo.
“Diego è sparito,” spiegò lui. “Devo trovarlo.”
“Lei non va da nessuna parte!” Lo bloccò Gregorio, prendendolo per il polso. “Dopo questa bravata, il suo amico sarà espulso e lei lo seguirà a ruota per averlo coperto.”
“Smettila Gregorio, accidenti!” Sbottò Pablo, esasperato. “Sono io il direttore, perciò io risolverò la situazione.”
L'altro rise, incredulo. “Ma per favore, tu sei un buono a nulla. È per colpa tua se ci sono sempre problemi! Vado a chiamare Antonio e poi vedremo chi ha ragione!” Detto ciò, si avviò verso lo Studio, continuando a straparlare su quanto, secondo lui, Galindo fosse incapace di svolgere il suo lavoro. Poco dopo Jackie lo seguì e vedendola, anche Beto rientrò nella struttura.
“Cosa sta succedendo?” Chiese Pablo, una volta che fu rimasto da solo con Angie, Leon e Violetta, prendendo il giovane Vargas per la spalle. “Dimmi la verità.”
Leon sospirò, rassegnato. “Pablo, ti prego, non far espellere Diego, prendi tempo,” lo supplicò. “Lo vado a cercare e te lo riporto qui.”
“Dacci un paio d'ore,” intervenne Violetta, affiancando il suo ragazzo. “Deve essere successo qualcosa di grave per farlo sparire così, normalmente non lo avrebbe mai fatto.”
Pablo si passò nervosamente una mano sul volto, pensieroso. Cosa doveva fare? Guardò Angie, chiedendole tacitamente aiuto e lei annuì, poggiandogli una mano sulla spalla. “Permettigli di andarlo a cercare. Leon è un ragazzo intelligente, non difenderebbe Diego se non avesse le prove della sua innocenza.”
“Hai ragione,” concordò l'uomo, facendo tirare ai tre un sospiro di sollievo. “Vai a cercare Diego,” aggiunse, rivolto a Leon. “Ha tempo fino a domani mattina per venirmi a dare una spiegazione.”
Leon sorrise, abbracciando Pablo di slancio. “Grazie Pablo, ti prometto che non te ne pentirai.” Si avvicinò poi alla motocicletta e si mise il casco.
“Vengo con te,” disse prontamente Violetta, ma Angie le bloccò il polso. “Non puoi andare Vilu, se lo sapesse tuo padre.”
La giovane però si liberò dalla sua stretta e l'abbracciò. “Ti prego Angie,” la implorò. “Diego è mio amico e Leon...lui ha bisogno di me,” dicendo ciò, si avvicinò al ragazzo, che le sorrise e le strinse la mano. Vedendo i due così uniti e allo stesso tempo preoccupati, la Saramengo non poté fare altro che annuire, rassegnata. “Va bene, ma state attenti.”
“Grazie Angie!” Esclamò la giovane, felice, abbracciandola nuovamente.
“Mi prenderò io cura di lei,” promise Leon, passando l'altro casco alla fidanzata, che a quelle parole si aprì in un grande e dolce sorriso.
Pablo annuì. “Qualsiasi cosa, teneteci informati.” Insieme ad Angie, guardò la motocicletta rosso fiammante sparire dalla loro vista, poi si avviarono verso lo Studio.
“Secondo te, cosa sarà successo a Diego di così grave da farlo scappare?” Chiese la bionda, guardandolo con la coda dell'occhio.
Lui scrollò le spalle. “Avevo capito che la retta non c'entrasse nulla, ma non riesco proprio a spiegarmi cosa cercasse in sala professori e perché è scappato.”
“Spero non si sia cacciato in nessun guaio,” continuò lei, mentre varcavano l'ingresso.
Notando la sua preoccupazione, Pablo le sorrise rassicurante, stringendola poi in un forte abbraccio. “Hai fatto bene a consentire a Vilu di andare con Leon, non sono stupidi, sanno quello che fanno.”
“Tu dici?” Insistette, dubbiosa, sciogliendo l'abbraccio. Il direttore annuì. “Fidati di me. Torneranno prima di quanto pensiamo.”
E Angie si fidò. Pablo non aveva mai sbagliato, tutto quello che diceva si era sempre avverato, sembrava quasi avesse un sesto senso e poi c'erano i suoi sorrisi e i suoi abbracci, che avevano su di lei il più terapeutico dei poteri. Gli sorrise dolcemente, prendendolo sotto braccio. “Mi fido.” Quelle due parole, accompagnate da quel dolce sorriso,bastarono per riscaldare il cuore già di per sé cotto del moro, che varcò la sala dei professori insieme a lei, non notando nemmeno l'occhiataccia di Jackie o la smorfia di disgusto di Gregorio. Angie invece li notò eccome e il suo sorriso si accentuò, mentre sfidava la rivale con lo sguardo, quasi a volerle dire che avrebbe avuto pane per i suoi denti ed in effetti era proprio così. Nell'ultimo periodo aveva acquistato una gran dose di sicurezza e perciò era più che mai determinata a conquistare Pablo, anche a costo di ricambiare Jackie con la stessa moneta. La guerra era appena iniziata.








Violetta si morse nervosamente il labbro, mentre insieme a Leon si faceva strada tra un numero spropositato di motociclisti. Non credeva lo avrebbe fatto, eppure era di nuovo lì alla pista di motocross. C'era stata solo due volte, nella prima aveva visto Vargas e Lara abbracciarsi, nella seconda invece lei e il ragazzo avevano avuto un terribile litigio. Sembrava passata una vita da allora, ora loro due stavano insieme ed erano lì a cercare Diego. Ricordava ancora l'ansia che aveva quando c'era venuta insieme a Camilla, lo stupore nel rendersi conto di quanto il ragazzo fosse cambiato e ciò ora sembrava così lontano, così stupido.
Diversi ragazzi si fermarono a salutare Leon, qualcun altro per lanciarle delle occhiate ammiccanti, cosa che innervosì Vargas, tanto che le strinse forte la mano e la trascinò lontano. “Porci,” borbottò tra se e se, contraendo la mascella. “Se ne becco un altro, giuro che gli rompo tutti i denti.”
Anche se non avrebbe dovuto, Violetta non poté fare a meno di sorridere. Vedere Leon così geloso, era la chiara dimostrazione di quanto ci tenesse a lei e la cosa le riscaldava il cuore. “Leon, rallenta,” mormorò, però la ragazza. Le piaceva che fosse geloso, ma se continuava a camminare a quella velocità non ce l'avrebbe fatta a stargli dietro. “Leon!”
Il ragazzo finalmente sembrò riscuotersi, voltandosi verso di lei, a disagio. “Sono insopportabile, vero?”
Lei scosse la testa, divertita. “Non sei insopportabile, ci tieni a me e questo mi piace tanto,” sussurrò, scompigliandogli teneramente i capelli.
Leon sorrise, stringendola a se e lasciandole un bacio tra i capelli. “Il solo pensiero che qualcuno ti guardi mi manda in bestia.”
“Di questo non devi preoccuparti,” mormorò lei, intrecciando le loro mani e facendole oscillare avanti e indietro a un tempo quasi calcolato. “Ho imparato dai miei errori, non permetterò più a nulla di dividerci.” Gli sorrise dolcemente e Leon non poté fare a meno di fare lo stesso, accarezzandole poi una guancia. “Lo stesso vale per me, ho chiuso con il passato.” Il riferimento a ciò che le aveva raccontato quel giorno nel bosco, era piuttosto evidente e Violetta si ritrovò a sospirare, pensierosa. Il ragazzo le aveva assicurato di non toccare né alcool e né fumo da quando erano tornati insieme, ma nonostante tutto c'era un pensiero che non abbandonava la sua mente e questo riguardava la convinzione che le nascondesse qualcosa. Poteva trattarsi di Lara? In fondo la vedeva quasi ogni giorno alla pista. Scosse la testa, stringendosi forte a lui. Leon non l'avrebbe mai tradita, su questo poteva metterci la mano sul fuoco. Mai tra di loro le cose erano andate così bene come in quel periodo.
“Andiamo,” disse Leon, prendendola per mano e guidandola verso gli spogliatoi, gli stessi dove tempo prima avevano litigato. Fu strano rimetterci piede, ma si costrinse a scacciare quei pensieri, concentrandosi su ciò che si stavano dicendo Vargas e quei due ragazzi che a quanto pareva, conosceva molto bene. A prima vista sembravano avere solo qualche anno in più di lui, anche se erano imponenti come due armadi.
“Quindi Diego oggi non è venuto?” Chiese Leon, spostando lo sguardo dall'uno all'altro. Loro scossero la testa. “L'ultima volta che lo abbiamo visto è stato ieri,” spiegò il primo. “Però puoi chiedere a Lara, è lei che si occupa della sua moto.”
Leon fece per parlare, ma...
“Leon, non sapevo saresti venuto oggi.”
I due si voltarono di scatto al suono di quella voce. Una ragazza molto graziosa con una tenuta sportiva e i capelli raccolti in una coda, li fissava appoggiata allo stipite della porta. Anche se non l'aveva mai vista così da vicino, Violetta sapeva chi fosse, era lei, Lara. Non era solo il modo di vestire a rendere la sua rivale così diversa da lei, Lara aveva una voce e un atteggiamento che emanavano sicurezza e disinvoltura, le stesse che vedeva anche nei suoi occhi. Quando poi avanzò verso di loro e guardò Leon in quel modo, si sentì ancora più inferiore a quella ragazza. La meccanica sapeva ancheggiare e ammaliare senza fare nulla di particolare e forse per questo molti ragazzi si fermarono a fissarla. La consapevolezza che in passato anche Leon fosse stato tra di loro, che fossero stati insieme e che potesse avere ancora un certo effetto su di lui, la terrorizzò. Lei non era come Lara, lei non sapeva ammaliare in quella maniera.
Il giovane Vargas in ogni caso, restò impassibile di fronte alle movenze di Lara. Erano passati i tempi in cui si lasciava incantare da lei. “Sono venuto a cercare Diego,” spiegò. “Lo hai visto?”
La meccanica passò lo sguardo da lui a Violetta e viceversa, per poi scuotere la testa. “Mi ha chiamato un paio d'ore fa, ha detto che non sarebbe venuto a causa di una punizione.”
Leon annuì. “Bene, allora noi ce ne andiamo.”
Lara però bloccò loro ogni possibile via d'uscita, piazzandosi di fronte alla porta e incrociando le braccia al petto. “Non mi presenti la tua amichetta?”
Lui rise, incredulo. “Sai perfettamente chi è lei, perciò dacci un taglio con questo teatrino.”
La ragazza però non si mosse di un centimetro. “Violetta, finalmente ci conosciamo,” esordì, rivolgendosi alla Castillo. “Io sono Lara, ma penso che tu lo sappia già.”
Leon fece per dire qualcosa, ma Violetta gli fece gesto di tacere. “Si, io so chi sei.”
“Bene,” sorrise beffarda la meccanica. “Allora sai anche che le cose tra me e Leon andavano a meraviglia, prima che tu ti mettessi tra di noi. Io non l'ho mai fatto soffrire, a differenza tua.”
Violetta incassò il colpo, consapevole che in fondo lei avesse ragione, troppe volte aveva ferito Leon, ora però le cose erano cambiate, ora aveva imparato dai suoi errori. “Capisco che tu ci stia male,” iniziò, prima che il suo ragazzo potesse anche solo tentare di ribattere. “Ma non è colpa mia, se Leon preferisce me a te.”
“Ma per favore!” Ribatté l'altra, ruotando gli occhi. “Fai tanto la santarellina, ma in realtà sei la peggiore. Non lo sai che non si va dietro ai ragazzi delle altre?”
“Ti rendi conto di quanto sei ridicola?” Sbottò Leon, esasperato. “Ne abbiamo già parlato, vuoi davvero che lo ripeta qui davanti a tutti?”
Lara strinse forte i pugni, rivolgendogli poi un'occhiata raggelante. “Sei malvagio Leon. Sapevi che io fossi qui e che avrei potuto starci male e lo stesso l'hai portata. Cos'è, volevi farmi vedere quanto fossi felice con la tua bambolina?”
Leon ruotò gli occhi e sbuffò. “Siamo venuti a cercare Diego, non me ne può fregar di meno se ci vedi insieme o no. La mia coscienza è pulita.” La spostò poi di lato e spalancò la porta, facendo gesto a Violetta da seguirlo, ma Lara non demorse. “Lo credi davvero? Sei così sicuro di avere la coscienza pulita? Non ti sei fatto scrupoli a portarla qui e nemmeno a farti vedere con lei davanti a Diego, eppure lo sai che gli piace. Che razza di persona sei se non hai rispetto nemmeno per il tuo amico?”
Un'ombra attraversò lo sguardo del giovane a quelle parole. Era davvero un amico così pessimo?
“Diego lo sa perfettamente che ciò che lega me e Leon è indissolubile,” intervenne Violetta, fronteggiando la rivale. “Sei tu quella che non riesce ad accettarlo e che per questo sputa cattiverie gratuite, ma devi fartene una ragione. Nulla di quello che dirai potrà separarci, abbiamo superato ostacoli peggiori. Andiamo Leon,” aggiunse, porgendogli la mano.
Leon fissò Lara per alcuni istanti, poi sorrise, affrettandosi a stringere la mano della sua ragazza. “Sarà sempre lei,” mormorò, prima di lasciare gli spogliatoi insieme alla Castillo, sotto lo sguardo divertito di tutto presenti e quello furioso della meccanica. “Me la pagherete, tutti e due,” digrignò tra i denti.
“Sei stata meravigliosa!” Esclamò Leon, quando raggiunsero la sua motocicletta, stringendo forte a se la ragazza e facendola girare in tondo. La risata di Violetta si fuse con la sua, creando quella che a loro parve la più dolce e stupenda delle melodie. “Non ho detto niente di che.”
“Scherzi?” Ribatté lui, rimettendola a terra e circondandole la vita con un braccio. “Quelle cose che hai detto sono così dolci e... non hai idea di quanto ti amo.”
Violetta sorrise, sollevandosi sulle punte e stampandogli un bacio sulle labbra. “Anch'io ti amo e non permetterò più a nessuno di mettersi tra di noi.”
“A nessuno,” concordò lui, poi salirono in sella alla moto, pronti a riprendere le loro ricerche, consapevoli che nonostante tutto, quell'incontro con Lara fosse stata la loro prima grande prova come coppia e che l'avessero superata a meraviglia.









Su Buenos Aires era appena calata la notte, una luna quasi piena costeggiava in cielo, circondata da tante piccole stelle. Era una bella serata insomma, ma non di certo per Diego. Il ragazzo aveva passato il pomeriggio a percorrere quasi tutte le strade della città in sella alla sua motocicletta, andando a una velocità spaventosa. Era un miracolo che non avesse investito qualcuno o provocato un incidente, considerato poi che la sua mente era stata ed era tutt'ora in piena attività. Quale mente non lo sarebbe stata d'altronde? Aveva finalmente tra le mani qualcosa di concreto, ma lo stupore e lo shock lo avevano portato a scappare via, a volersi prendere del tempo per riflettere. Ora però era pronto, pronto ad affrontare il suo passato a testa alta.
Fermò la motocicletta davanti a una piccola e graziosa villetta, poi facendo uso di tutto il coraggio che aveva, percorse il vialetto in pietra fino a raggiungere la porta d'ingresso. Era da poco passata l'ora di cena, non di certo l'orario adatto per una visita di cortesia, anche se poi la sua si poteva definire in tutti i modi tranne che cortese. Lì, oltre quella porta, c'era un tassello fondamentale del suo passato, un tassello che nemmeno per un'istante aveva pensato avrebbe potuto avere quel nome, eppure gli indizi portavano là. Poteva essere un caso? Scosse la testa. Lui non aveva mai creduto alle coincidenze.
Prese un profondo respiro e bussò. Il cuore batteva così forte da fargli male e le gambe sembravano reggerlo a fatica. Lui, Diego Ramirez, per la prima volta in vita sua era terrorizzato e il suono di quei passi che si avvicinavano sempre di più, non lo aiutava di certo a calmarsi. Ora stava persino sudando freddo. Fu quasi tentato di scappare via, poi però aveva desistito. Era andato in Argentina per un motivo e non poteva tirarsi indietro proprio quando era così vicino alla verità.
All'improvviso, avvertì una chiave girare nella serratura. Uno, due, tre scatti. Il suo cuore accelerò i battiti, il respiro gli si era quasi fermato.
Lentamente la porta si aprì, rivelando la figura slanciata di una donna. Aveva lunghi e mossi capelli biondi e due grandi occhi scuri, sgranati per lo stupore. Indossava quella che riconobbe essere una tuta e tra le mani reggeva un vasetto di yogurt, che probabilmente stava mangiando. Se ne stava sul ciglio della porta, troppo sconvolta per dire o fare qualsiasi cosa e Diego non era da meno. La fissava come ipnotizzato. In lui si affollavano così tante emozioni che faceva fatica a distinguerle, per non parlare dei pensieri. Mai come in quel momento, avrebbe desiderato il famoso Pensatoio di Albus Silente.
“Diego,” sussurrò la donna, riprendendosi dallo shock. “Ti stanno cercando tutti.”
Nei suoi occhi ora c'era una strana paura e Diego era sicuro che anche i suoi esprimessero il medesimo sentimento. Prese un profondo respiro, poi mormoro: “Ho bisogno di risposte, Jackie Fernandez.”
Jackie sgranò gli occhi, sconvolta. Come faceva il ragazzo a conoscere il suo cognome? Perché era lì? Possibile che...?
Quasi le avesse letto nel pensiero, lui le mostrò il foglio che aveva preso dal fascicolo dello Studio. Lì si leggeva chiaramente il cognome della donna, i suoi dati personali e del suo precedente lavoro di insegnante di danza proprio in Spagna.
“C'è un collegamento con Joaquin Fernandez? Anche lui viveva in Spagna, se non sbaglio,” proseguì, sforzandosi di mantenere la calma ed evitando di guardarla troppo a lungo negli occhi, doveva restare lucido.
Jackie, nervosa come mai l'aveva vista, si fece da parte, consentendogli di entrare. All'interno la villetta era ancora più graziosa ed elegante. Le pareti erano di un tenue color lilla, un parquet in ciliegio rivestiva il pavimento e mobili lucidi e ricchi di ghirigori completavano l'opera. In cucina, luogo dove la donna lo condusse, i colori oscillavano dal giallo all'arancione, ma ciò che attirò l'attenzione del ragazzo fu il tavolo, cosparso di fogli di ogni tipo. Avvicinandosi, scorse su molti di essi il suo nome e poi addirittura il suo fascicolo di iscrizione allo Studio con relativa foto. Cosa significava?
Guardò Jackie, che scrollò le spalle, evitando accuratamente il suo sguardo. “Non sei l'unico che sta facendo ricerche,” spiegò, indicando i fogli con un cenno. Si avvicinò poi al lavello, prendendo la caffettiera. “Posso offrirti un caffè?”
“No!” Sbottò il giovane, acido. “Non sono qui per una visita di cortesia. Voglio delle risposte!”
Jackie annuì, sedendosi e invitandolo a fare lo stesso. Socchiuse gli occhi e strinse forte i pugni, quasi sperasse che quei gesti potessero fornirle la forza e il coraggio che le mancava. “Cosa vuoi sapere?” Sussurrò, guardando il tavolo.
Diego, che le si era seduto di fronte, spostava continuamente lo sguardo da lei a quei fogli sparsi sul tavolo e viceversa, poi prendendo coraggio le pose la domanda che avrebbe voluto farle sin dall'inizio. “Sei mia madre?”
La voce gli tremava ed era così acuta da non sembrare nemmeno la sua e Jackie fu quasi tentata di abbracciarlo, ma alla fine si limitò ad annuire, evitando ancora di guardarlo. Se lo avesse fatto infatti, era sicura che sarebbe scoppiata a piangere.
Il ragazzo incassò il colpo e prima che se ne rendesse conto, una lacrima sfuggì al suo controllo. Jackie era sua madre, la sua vera madre ed era lì di fronte a lui...ma perché evitava di guardarlo? Aveva paura? Si sentiva in colpa?
“Perchè lo hai fatto?”
Jackie finalmente sollevò lo sguardo e vedendolo in quello stato, triste e smarrito come un cucciolo, si sentì malissimo. Gli occhi le si fecero lucidi e un familiare dolore la colpì alla base del cuore. “Io...io non so che dire...”
Diego deglutì, poi si prese il volto tra le mani. Le lacrime ormai avevano preso il sopravvento, ma non voleva che lei lo vedesse. Aveva paura e allo stesso tempo stava così male e poi...e poi era confuso e...
“Ero solo una ragazzina quando ho scoperto di essere incinta,” soffiò finalmente la donna, facendo una fatica immane a non piangere. “Avevo paura e...ero così sola...” singhiozzò, colpendo il tavolo con un pugno. “Non...non avrei mai voluto...te lo giuro...scusami...”
A quel punto Jackie scoppiò a piangere e rendendosene conto, Diego si asciugò le lacrime e la guardò. “è...è stato lui a...a costringerti, vero?”
I loro sguardi lucidi s'incrociarono e quello bastò per far capire al giovane che fosse così, Fernandez l'aveva costretta. “Lui...era così arrabbiato e mi faceva paura e...ho partorito in Spagna e...ho sentito il tuo pianto, ma non ho potuto vederti, né abbracciarti...lui ti ha portato via da me...” singhiozzò, facendo per stringergli la mano, ma lui la ritrasse.
“Perché non mi hai mai cercato? Perché gli hai permesso di vendermi come una bestia a quella famiglia?” Esplose Diego, con il volto ormai grondante di lacrime. “Sai quante volte ho sognato che mi venissi a prendere e mi portassi via da lì? Tu però non sei mai venuta e...”
Con rabbia, le gettò sotto gli occhi il famoso atto di vendita e ciò fece aumentare il pianto della donna. “Te lo giuro, io non lo sapevo...pensavo si trattasse solo di...di un'adozione....oh Diego!” Aggiunse disperata. “Avrei dovuto essere più forte e...perdonami.”
Ancora una volta cercò le sue mani, ma lui si scansò, scattando in piedi. “Capisco che eri giovane allora, ma dopo... in questi diciotto anni, nemmeno una volta hai pensato di cercarmi? io...ti ho aspettata e...” Non riuscì a continuare, poiché le gambe gli cedettero e dovette per forza sedersi. Il dolore al cuore nel frattempo non accennava a placarsi. Mai nella sua vita si era sentito così vulnerabile, così smarrito.
Prima che se ne rendesse conto, Jackie si alzò e lo strinse in un forte abbraccio. “Scusami Diego... scusami...”
Entrambi ora singhiozzavano disperati e si aggrappavano l'uno all'altra, quasi ne dipendesse la loro vita. Fu solo quando la sua mente riprese a funzionare con regolarità, che Diego la spinse lontano da se, asciugandosi le lacrime.
“Hai ragione,” soffiò la donna, lasciandosi cadere di nuovo sulla sedia. “Io...io non ti ho cercato... avevo paura e poi c'era mio padre...lui è abituato a controllare ogni cosa...mai avrei pensato di trovarti proprio qui dove tutto è iniziato...gli somigli così tanto e poi...e poi questi fogli hanno trasformato i miei dubbi in certezze.”
La voce di Jackie andò a poco a poco scemando, sostituita da un nuovo e forte singhiozzo. Diego nel frattempo la fissava, mentre la sua mente assimilava quelle frasi sconnesse. Una parte in particolare lo aveva incuriosito: -gli somigli così tanto-. Di chi parlava? Poteva trattarsi di suo padre?
“Solo stasera ne ho avuto la certezza,” riprese Jackie, cercando di controllare il tono di voce. “Troppe cose non mi tornavano e così ho preso il tuo fascicolo allo Studio e... la data di nascita coincide e non può essere un caso...”
Diego annuì. “Sono venuto in questa città per cercare la mia vera famiglia e l'unico indizio che avevo, era quell'atto di vendita e stralci di conversazioni sentite per caso.”
La donna sgranò gli occhi, sconvolta. “Mio padre è stato a casa tua? Sapeva dov'eri?” Non sapeva dire quale sentimento dominasse di più in lei, lo shock, la delusione, il disgusto, il dolore. Suo padre aveva venduto il suo bambino, sapeva dov'era e non glielo aveva mai detto. Non aveva fatto altro che mentirle e gestirla come il suo burattino. Che razza di genitore faceva una cosa simile?
“Diego...io...”
Il ragazzo sospirò, lo sguardo ora rivolto nel vuoto. Davvero lei non sapeva nulla? Davvero la colpa era tutta di Joaquin Fernandez? “E mio padre?” Chiese alla fine. “Che ruolo ha in tutto questo?”
Jackie impallidì di colpo, ma dalla sua bocca non uscì una parola e ciò per il giovane fu veramente troppo. “Chi è mio padre? DIMMELO, MALEDIZIONE!” Esplose, battendo i pugni sul tavolo e facendola sussultare. “Ma certo,” concluse, sorridendo amaramente. “Siete tutti coinvolti.”
“Diego,” provò la donna, ma lui scosse la testa, alzandosi in piedi. “Io ero semplicemente un'errore di cui dovevate liberarvi... wow... complimenti per l'originalità.”
Con il cuore a pezzi si incamminò verso l'uscita, ma Jackie lo seguì, afferrandogli il polso. “Aspetta, ti prego.”
Diego si liberò della sua stretta con stizza. “Ma che razza di persone siete, eh? Vi siete liberati di me nel peggior modo possibile e ora hai pure il coraggio di fare queste sceneggiate? Mi fai schifo!” Sputò, ferito, deluso, umiliato.
“Diego.”
Jackie era fuori di se, disperata e tentava di aggrapparsi al suo braccio, piangendo come una fontana. “Io...non lo sapevo...non sapevo nulla...te lo giuro,” sussurrò tra le lacrime.
Lui scosse la testa, freddo e impenetrabile come una statua di cera. “Vorrei crederci, ma non ci riesco.” Mise una mano sulla maniglia della porta, ma ancora una volta la voce di Jackie lo fermò.
“Non ho mai smesso di pensare a te, mai...nemmeno per un'istante.” Piangeva ancora, ma ora era immobile al centro del corridoio e lo fissava implorante.
Dio solo sapeva quanto Diego avrebbe voluto crederle, ma come poteva farlo? Non lo aveva mai cercato, non aveva mai lottato per lui. “Sai qual è la differenza tra me e te?” Mormorò con un soffio di voce. “Io non ho mai avuto paura di lottare per ciò a cui tenevo. Sono venuto in un posto che non conoscevo, guidato dalla speranza di trovare la mia vera famiglia. Ero solo, senza nessuno a cui aggrapparmi. Tu invece non hai mai mosso un dito per il sangue del tuo sangue e sai perché? Perché non solo sei una grandissima codarda, ma in aggiunta non te ne è mai fregato nulla di me.”
“Non è vero...io...ti prego Diego, resta.” Gli si avvicinò, stringendogli le mani con le sue. “Non voglio perderti.”
Diego spostò lo sguardo dalle loro mani intrecciate al suo volto segnato dalle lacrime e dai sensi di colpa, ma tutto ciò che riuscì a provare fu il disgusto.
“Mi dispiace,” sussurrò il ragazzo, sottraendosi dalla sua stretta. “Non ci riesco. Io non posso dimenticare.”
“Diego,” lo supplicò ancora lei, ma lui aveva già aperto la porta di casa e stava correndo verso la sua motocicletta. “Diego! Non lasciarmi, ti prego! Diego!”
Il moro però la ignorò e mise in moto. Le sue urla e i suoi pianti gli rimbombarono nelle orecchie per chissà quanti metri, ma lui non faceva altro che accelerare, mentre nuove e dolorose lacrime scorrevano lungo le sue guance.











Ciao a tutti! :D
Oggi pubblico a un orario insolito e questo perché ho passato tutto il pomeriggio sul libro di chimica, perciò se trovate qualche errore mi scuso. Ho riletto varie volte, ma ho la mente un po' fusa XD
Come avevo anticipato, in questo capitolo si scopre finalmente qualcosa di molto importante, cioè che Jackie è la madre di Diego! Qualcuno di voi lo aveva già ipotizzato, in particolare Syontai me lo ha detto già da parecchio, perciò bravo!! ;)
Jackie è rimasta incinta da giovane e Fernandez ha deciso di portarla in Spagna, dove lei ha partorito e dove ha vissuto per diversi anni, convinta che il suo bambino fosse stato dato in adozione. L'uomo invece lo ha venduto e lei non ha mai saputo dove fosse, anche perché le ha impedito di cercarlo. Sul padre di Diego invece non si sa ancora nulla, se non il terrore che si è visto negli occhi della donna. Spero che quest'ultimo blocco si sia capito, ne caso chiedete pure ;)
Nel frattempo Leon e Vilu vanno a cercare Diego alla pista di motocross e chi incontrano? Ma Lara ovviamente, che non può perdere occasione per dare fastidio. I nostri Leonetta però se la cavano a meraviglia, mollandola con l'amaro in bocca! XD
E poi ovviamente ci sono i Pangie, che si avvicinano sempre di più, così come cresce la sicurezza e la determinazione della Saramego <3
Ora non mi resta che salutarvi e ringraziarvi come sempre per il vostro sostegno! :3
baci,
Trilly <3

 

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Capitolo 26
*** Dove sei Diego? ***






Leon addentò la pizza che aveva ordinato e a fatica la mandò giù. Amava la pizza, era uno dei suoi pasti preferiti, ma in quel momento gli sembrava di mangiare letame. Il suo stomaco era stretto in una morsa e si opponeva al rifornimento di cibo con le unghie e con i denti, ma d'altronde non poteva saltare un altro pasto, visto che a pranzo non aveva toccato cibo.
Tutto questo, perché non riusciva a smettere di pensare a Diego. Lui e Violetta lo avevano cercato dovunque, ma non erano riusciti a trovarlo. Dov'era? Stava bene? Alla pista di motocross non si era fatto vedere e Marco gli aveva detto che non era nemmeno tornato a casa e onestamente, Leon era preoccupato. Diego aveva di sicuro trovato qualcosa di importante sul proprio passato e per questo era sparito, un qualcosa che doveva essere sconvolgente e forse per niente piacevole, o almeno questo era il suo pensiero.
Conosceva Diego, loro due si dicevano tutto e se quella volta non lo aveva fatto, era perché non era pronto, o perché nemmeno lui era ancora riuscito a razionalizzare pienamente la cosa. Non si sarebbe preoccupato se non fosse stato a conoscenza dell'impulsività dell'amico, che spesso lo aveva portato a commettere sciocchezze. Quasi si immaginava Diego che prendeva a pugni Joaquin Fernandez, o che saliva in sella alla sua motocicletta, completamente ubriaco.
Rabbrividì al solo pensiero. Il ragazzo era come un fratello per lui e sentiva per questo l'istinto di volerlo proteggere e sostenere, ma come poteva farlo, se lui non si faceva trovare?
Gettò nella spazzatura quello che era rimasto della pizza e solo allora notò il post-it sul frigorifero.


Ceno fuori. Torno tardi.


Nessuna firma, ma non ce ne era bisogno. Suo padre aveva uno stile e un calore tutto suo. Accartocciò il post-it e lo gettò nella spazzatura. Che suo padre cenasse o meno con lui era la stessa cosa, non avevano mai avuto un buon rapporto e nell'ultimo periodo le cose erano persino peggiorate.
Scacciò quel pensiero e andò a chiudersi in camera sua. Stravaccato sul letto, iniziò a navigare in rete con il suo portatile, alla ricerca di nemmeno lui sapeva cosa. Forse il suo era solo un disperato tentativo di distrarsi e non pensare a dove potesse essersi cacciato Diego.
Appena entrò su Facebook, fu subito contattato da due persone: Violetta e Lara.


Vilu: Leon, come stai? Hai notizie di Diego?
Lara: Sono a letto, ma sento che manchi tu accanto a me. Perché non vieni?


Ruotò gli occhi, leggendo le parole di Lara. Quando l'avrebbe smessa di tormentarlo? Non le era bastato ciò che si erano detti quel pomeriggio? Era stato chiaro, non l'amava e mai lo aveva fatto e lo stesso glielo aveva detto Violetta. Tra l'altro l'aveva cancellata dagli amici di Facebook, ma non era servito a farla desistere dalla sua insistenza. Che altro doveva fare per togliersi di torno quella piaga? Ignorando completamente il suo messaggio, si concentrò invece su quello di Violetta.


Leon: No, Diego non si è fatto vedere né sentire. A te come va?
Vilu: Tutto bene, ho da poco finito di cenare. Vorrei essere lì con te a sostenerti.
Leon: Anch'io vorrei che tu fossi qui. Mi manchi.
Vilu: Vuoi venire a casa mia? Ti faccio entrare dal retro e stiamo un po' insieme.
Leon: Verrei di corsa, ma ho paura che Diego possa farsi vivo e che non mi trovi.
Vilu: Va bene, allora non fa niente.


Ma Leon sapeva che non fosse così, Violetta c'era rimasta male. Prese allora il cellulare e compose il suo numero. -Leon-
-Ciao piccola. Scusa se non vengo, avrei voluto eccome. Sono passate solo poche ore e già mi manchi-
-Anche tu mi manchi Leon, ma ti capisco. Diego potrebbe decidere di venire da te e in quel caso, dovrai aiutarlo e sostenerlo-
-Già. Tuo padre vuole ancora parlarmi a quattrocchi?- Aggiunse divertito.
Violetta scoppiò a ridere. -Fosse per lui, rimarrei zitella fino ai quarant'anni, ma tutto sommato credo che tu gli piaccia-
-Un punto a mio favore allora. È importante e soprattutto difficile conquistare i suoceri-
-E i tuoi genitori? Gli hai detto di noi?-
Leon s'irrigidì, al pensiero di suo padre. All'uomo non era mai importato nulla di quello che facesse, sapeva solo dargli ordini e rinfacciargli che non fosse il figlio che aveva sempre voluto e tutto questo, perché non aveva mai manifestato l'interesse a seguire le sue orme. Se aveva resistito in quella casa che odiava con tutto se stesso, era stato per sua madre, colei che prima di conoscere Violetta, aveva considerato l'unica donna della sua vita. Ricordava ancora quando le aveva presentato Ludmilla e lei l'aveva subito definita troppo capricciosa e superficiale, ma la Castillo era sicuro che le sarebbe piaciuta, dopotutto entrambe erano molto dolci e forti allo stesso tempo. Poteva presentarle solo sua madre ed evitare quel dispotico di suo padre?
-Diciamo che mio padre ha una buona stima del tuo, perciò dovrebbe approvare e mia madre... lei vuole solo che io sia felice- buttò lì la prima cosa che gli venne in mente. Se avesse detto a suo padre che voleva fargli conoscere la sua ragazza, era sicuro che avrebbe storto il naso e che gli avrebbe rinfacciato, per l'ennesima volta, di star rincorrendo dei sogni stupidi e utopici anziché pensare a costruirsi un futuro, ma questo non poteva dirlo a Violetta.
-Voglio trascorrere del tempo da solo con te, è da molto che non ce lo concediamo- Aggiunse, spostando subito la conversazione il più lontano possibile dall'argomento genitori. Non era infatti sicuro, di riuscire a mentire se la ragazza gli avesse fatto qualche altra domanda su suo padre. Che poi odiava mentire e se lo faceva, era solo perché di problemi ce ne erano già troppi e inserirci Fernando Vargas e il suo egoismo, non lo allettava granché.
-Anche io, ultimamente non abbiamo avuto nemmeno cinque minuti-
-Perché non andiamo al cinema domani? Ovviamente il film lo scegli tu, ma nessuna commedia strappalacrime, non potrei reggerla-
Violetta rise. -Ora cerco su Google che film ci sono, ma per la commedia strappalacrime non assicuro nulla-
-Ti mollo lì da sola, quindi non ti conviene-
-Non lo faresti mai, tu sei un cavaliere. Il mio cavaliere-
-Non approfittartene piccola, potrei tirar fuori un lato oscuro-
-Sono sicura che mi piacerebbe anche quello... ti amerei anche se fossi un serial killer-
A quelle parole, Leon sbiancò paurosamente e il sorriso sparì dal suo volto. Diego aveva ragione, doveva dire la verità a Violetta, non poteva continuare a nasconderle un segreto così grande.
Lei gli stava parlando con il cuore in mano e con così tanta semplicità e dolcezza, che lo sconvolsero e allo stesso tempo gli fecero però abbozzare un nuovo sorriso. Chissà, forse era vero, forse anche quando avrebbe saputo tutto, gli sarebbe rimasta accanto. Non si diceva in fondo, che l'amore facesse miracoli? Non li poteva fare quindi anche nel suo caso? Ovviamente non poteva dirglielo per telefono, era tutto troppo complesso e poi doveva guardarla negli occhi mentre glielo diceva. Essi, era sicuro, non gli avrebbero mentito, gli avrebbero fatto capire subito cosa pensasse la ragazza di lui. Si affrettò perciò a mormorare:
-E se tento di ammazzarti, tu che fai?- Scherzò, scatenando la sua ilarità.
-Non è che per caso hai una cantina piena di cadaveri?-
-Chi può dirlo. Fossi in te, terrei gli occhi aperti-
Continuarono a parlare ancora per un po', poi dopo essersi augurati la buonanotte, andarono a dormire.







Buio, freddo...poi una luce improvvisa. Urla disperate. Un forte schianto. Di nuovo il buio.


Leon aprì gli occhi di scatto e si mise seduto, asciugandosi la fronte madida di sudore. A svegliarlo, l'incessante bussare alla porta. Chi poteva essere a quell'ora?
“Diego,” sussurrò, scattando in piedi e attraversando tutta la casa di corsa fino alla porta.
Magari si stava solo illudendo che fosse il suo amico, ma d'altronde chi altro poteva venirlo a trovare in piena notte, se non una persona disperata come lui?
Difatti, quando aprì la porta si ritrovò di fronte proprio Diego, peccato che non fosse come se lo aspettava. Egli infatti sembrava reggersi in piedi per miracolo, aveva un sorriso cretino stampato in faccia e puzzava di alcool e fumo in una maniera spaventosa.
“Ciao Leon,” mormorò il moro, ridendo sguaiatamente. I suoi occhi erano rossi, gonfi e soprattutto spenti. Doveva aver pianto e anche parecchio.
“Diego, cosa ti è successo? Ero...”
Si interruppe di colpo, quando lo vide barcollare pericolosamente e lo prese per le ascelle, prima che franasse sul pavimento, svenuto.
“Diego! Diego!” Esclamò spaventato, trascinandoselo a fatica dentro casa. Il ragazzo però era ormai privo di sensi e solo il battito del suo cuore gli dava la certezza che fosse vivo.
Lo fece sdraiare sul suo letto e dopo avergli tolto le scarpe e la giacca di pelle, lo coprì con la coperta.
“Accidenti a te Diego,” borbottò sottovoce. Cos'aveva scoperto di così grave da spingerlo a ridursi in quello stato? Per fortuna che almeno fosse andato da lui, non osava pensare a cosa sarebbe potuto succedere se non lo avesse fatto.
Lo fissò per alcuni istanti, l'istinto di prenderlo a pugni era fortissimo. “Ho rischiato di farmela sotto a causa tua Ramirez. Mi hai spaventato a morte, lo sai? Non farmi mai più uno scherzo del genere, altrimenti la sfuriata di Gregorio ti sembrerà una barzelletta rispetto a quello che potrei farti io.”
Nonostante tutto, non poté fare a meno di sorridere. Diego era così ubriaco e probabilmente fatto da essere svenuto, ma almeno era tutto intero e al sicuro nel suo letto.
Dopo aver mandato un messaggio a Violetta e Marco per avvisarli, se li avesse chiamati in piena notte probabilmente lo avrebbero ucciso, Leon si preparò una camomilla e si sedette su una sedia accanto al letto, dove Diego era ormai crollato in un sonno agitato. Ora che l'amico era lì, si sentiva decisamente più tranquillo, ma inevitabilmente la sua mente si era concentrata sul sogno che stava facendo, prima che il campanello lo svegliasse. Era stato un sogno confuso, ma non di certo il primo che faceva. Da troppi mesi il suo sonno era disturbato da simili episodi, che lo costringevano a restare sveglio per ore intere e per questo la sera beveva almeno tre bicchieri di camomilla. Quella sera aveva dimenticato di prepararseli e il risultato era che ora era lì ad occhi sbarrati. Sarebbe bastata quella camomilla per fargli venire sonno, oppure gli incubi sarebbero tornati a tormentarlo? Per quanto tempo poteva continuare così? Non seppe dire per quanto tempo rimase a guardare Diego dormire, probabilmente per lunghe ed interminabili ore, sapeva solo che a un certo punto le palpebre gli si erano fatte pesanti ed era crollato nel sonno più profondo, stavolta per fortuna privo di qualsiasi incubo.







“Leon,” sussurrò una voce maliziosa al suo orecchio. Lui sorrise, inconsapevolmente. “Violetta.”
Seguì una forte e fragorosa risata, che di sicuro non apparteneva alla Castillo. “Hai un che di intrigante di prima mattina, sai?”
Leon spalancò gli occhi di colpo, al suono di quella voce. Era ancora seduto su quella scomodissima sedia, doveva essersi addormentato e ora aveva inevitabilmente dolore dappertutto. Di fronte a lui, piegato sul letto in preda alle risate, c'era Diego. Era ancora pallido e aveva delle profonde occhiaie violacee sotto gli occhi, ma il fatto che fosse in grado di fare l'imbecille, voleva sicuramente dire che stesse meglio.
“Avresti dovuto vedere la tua faccia Vargas!” Esclamò il moro, divertito. “Le mie doti da seduttore stavano conquistando anche te, ammettilo.”
Leon rise, scuotendo la testa. “Ma certo, non lo sai che sono pazzo di te? Non avrei passato la notte su questa sedia, se non fosse stato così.”
Si alzò poi in piedi, sgranchendo le gambe e soprattutto la schiena. Se fosse stato investito, sarebbe stato di sicuro meno indolenzito.
“Ma che carino, mi sento tanto come la bella addormentata nel bosco, anche se la tua vista è stato più un incubo che un bel risveglio,” aggiunse il moro con un sorrisetto provocatorio, che lo indispettì.
“Che vorresti dire, eh?”
“Bè, non è che tu sei esattamente una bella bionda con le gambe chilometriche. Non farti illusioni Leon, non sei il mio tipo.”
Leon ruotò gli occhi, poi prese un cuscino e glielo lanciò addosso. Ciò non fece altro che aumentare l'ilarità di Diego. “Non ti sarai offeso?”
Si guardarono, poi scoppiarono entrambi a ridere. “Ti è passata la sbornia?”
L'altro annuì, “Ho mal di testa e mi sento come se fossi stato investito da un treno, ma tutto sommato sto bene.”
“Hai fame? Preparo qualcosa per colazione mentre ti fai una doccia e...” iniziò Leon, ma Diego lo interruppe, alzandosi a sua volta e abbracciandolo.
“Grazie Vargas.” Prima che potesse dire qualsiasi cosa, il ragazzo si era già chiuso in bagno e lui non poté fare altro che scendere in cucina, con un sorriso stampato in faccia.
Preparò la colazione per se e per Diego e quando l'amico lo raggiunse, iniziarono a mangiare.
“Diego,” sussurrò, all'improvviso prendendo coraggio. Glielo voleva chiedere sin da quando si era svegliato, ma non gli era sembrato il momento, non voleva essere indelicato. Ora però non poteva più rimandare.
Diego dal canto suo, aveva già capito cosa volesse chiedergli e anche se avrebbe preferito non parlarne, sapeva che sfogarsi con qualcuno gli avrebbe sicuramente fatto bene. Smise così di mangiare e guardò l'amico, serio.
“Hai presente la persona che cercavamo allo Studio, quella che pensavamo fosse collegata a Fernandez?” Quando Leon annuì, proseguì. “Avevamo ragione, ma solo in parte. Si trattava di mia madre.”
“Che cosa?” Esclamò il ragazzo, sconvolto. “Ma le donne sono solo due, Angie e...oh mio Dio, Jackie è tua madre?”
Diego annuì, poi continuò a raccontargli della conversazione a casa della donna. “Erano tutti d'accordo, sono stato un idiota a pensare di venire qui e trovare una famiglia desiderosa di riabbracciarmi.”
Nella sua voce c'era rabbia allo stato puro, ma anche amarezza e forse delusione e Leon non poté starsene in silenzio. “Come puoi esserne sicuro? Lei non lo ha confermato e poi non credo avrebbe pianto in quella maniera se...”
“Sveglia Leon!” Lo interruppe il moro, battendo il pugno sul tavolo. “Le sue lacrime erano dovute al senso di colpa, nient'altro. Non mi ha mai cercato, non si è mai opposta a suo padre. È solo una lurida codarda e io non so che farmene di una madre simile,” aggiunse, con una crudeltà che lasciò il giovane Vargas basito.
“Diego, lei credeva che fossi stato adottato e si sa che in quei casi i genitori naturali non possono avvicinarsi al bambino, in un certo senso non le spettava più. È normale se adesso non ti senti pronto a perdonarla, hai bisogno di tempo e... non ti ha detto nulla di tuo padre?”
Diego scosse la testa. “Non ha voluto dirmi chi è. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando l'ho nominato, era terrorizzata. Allo stesso tempo però, credo che mi abbia detto che gli somiglio, ma alla fine il suo nome non me lo ha fatto comunque e non è così difficile capire perché. Lui non solo non vuole conoscermi, ma forse era pure d'accordo con Fernandez e a questo punto nemmeno io voglio avere nulla a che fare con lui.”
“Ma cosa dici? È tuo padre e...”
“E niente! Lo capisci o no che quello che dovrebbe essere mio nonno, mi ha venduto come una bestia e che probabilmente mio padre lo sapeva?” Esplose Diego, fumante di rabbia. “Mia madre poi, è stata troppo codarda per cercarmi! Capisco quando ero piccolo, ma una volta maggiorenne, nessuna legge avrebbe potuto impedirle di mettersi in contatto con me. Forse mi converrebbe tornare in Spagna, non ho più alcun motivo di restare qui.”
Fece per alzarsi, ma Leon gli afferrò il polso. “Tu non vai da nessuna parte. Non sei per niente lucido, ti stai facendo guidare dall'istinto e non va bene. Permetti a Jackie di spiegarti come sono andate le cose prima di prendere una decisione, non condannare basandosi solo su delle supposizioni e mi riferisco anche a tuo padre. Non dimenticarti che Jackie era una ragazzina quando è rimasta incinta, magari anche questo padre era giovane e spaventato ed è stato manipolato da Fernandez. Non puoi saperlo, se scappi dalla verità.”
Diego lo ascoltò in silenzio, poi però si divincolò dalla sua presa e gli rivolse uno sguardo che mai gli aveva visto prima. “Smettila di dirmi cosa devo fare, io non prendo ordini da nessuno! Tu non hai idea di quello che sto passando, perciò non ti permettere di giudicarmi!”
Leon ruotò gli occhi, esasperato. “Non ti sto giudicando, né ti sto dicendo cosa devi fare. Voglio solo farti ragionare, dannazione! Non puoi tornare in quella famiglia. Hai dimenticato cosa ti hanno fatto passare?” Aggiunse, prendendolo per le spalle.
Il moro sospirò, poi però annuì. “E cosa dovrei fare, secondo te? Sono venuto a cercare una famiglia che invece si è rivelata solo una delusione, che senso ha rimanere?”
“è inutile continuare ad insistere nel dirti di parlare con Jackie, immagino.”
“Sai come la penso.”
“Va bene,” si arrese Leon. Per quanto non fosse d'accordo, doveva essere Diego a decidere e lui doveva rispettare la sua scelta. Al più presto però sarebbe tornato alla carica, gli avrebbe lasciato giusto il tempo necessario per schiarirsi le idee. “In ogni caso non puoi andartene, cosa facciamo io, Violetta, Marco e tutti gli altri senza di te? Sei il mio migliore amico Diego.”
Diego sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Lo stesso vale per me, se non ci fossi stato tu, non so cosa avrei fatto.”
“Quindi resterai?” Gli chiese Leon, ricambiando il sorriso.
“Diciamo che per ora non mi muovo,” promise il moro, portandosi una mano al cuore a mo di giuramento e facendolo ridere. “Ora però tocca a te fare la cosa giusta. Sai cosa intendo,” aggiunse, sotto lo sguardo confuso dell'amico. “Devi dire la verità a Violetta.”
Il giovane Vargas annuì. Proprio il giorno prima aveva pensato la stessa cosa, Violetta doveva sapere tutto. Non poteva negare di avere un po' di paura. Lei avrebbe ancora voluto stare con lui, una volta aver saputo il suo segreto? E se lo avesse guardato con delusione? E se lo avesse lasciato?
Quasi lo avesse letto nel pensiero, Diego mormorò: “Non è colpa tua Leon, ti sei semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Violetta ti ama e capirà.”
Leon annuì, passandosi nervosamente le mani nei capelli e camminando avanti e indietro per la cucina. “Forse, ma se io...”
“Se tu, niente,” lo interruppe il moro, esasperato. “Te l'ho detto e te lo ripeto, non è colpa tua e ora tira fuori le palle e getta la maschera con la ragazza che dici di amare. Le sue bugie e i suoi dubbi vi avevano allontanati, non vorrai fare il suo stesso errore?”
Quelle parole lo colpirono e allo stesso tempo fecero nascere in lui una nuova determinazione. Era ora di tirar fuori il vero Leon. “Hai ragione, le dirò tutto. Spero solo che capirà.”









A villa Castillo quella mattina, regnava sicuramente il buon umore. German ed Esmeralda facevano colazione e al contempo parlavano di questioni di lavoro, lo scambio di sguardi tra di loro era piuttosto evidente. Violetta però non lo aveva notato, la sua mente infatti era concentrata su altri pensieri, la felicità per il fatto che Diego si fosse fatto vivo e poi soprattutto su Leon. Sentiva il suo ragazzo sempre più vicino dopo il confronto con Lara e dopo ciò che si erano detti per telefono, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che li divideva e che era costituito da quella verità che ancora non le aveva detto. Sperava che dicendogli che avrebbe amato anche il suo lato oscuro, qualcosa si sarebbe smosso in lui e invece Leon continuava a tacere. Perché?
“Vilu, tesoro, puoi venire in cucina ad aiutarmi?”
La voce di Olga la riportò alla realtà, facendola sobbalzare. “Vilu, vieni?” Ripeté la donna, con uno strano entusiasmo che insospettì il fin troppo apprensivo German. “Cosa succede?”
“Niente signor German, ho solo bisogno dell'aiuto della mia piccolina per la decorazione dei biscotti,” si affrettò a spiegare la domestica, agitando freneticamente le braccia e facendo al contempo degli strani gesti verso la Castillo.
Violetta, comprendendo che Olga tentasse di farle capire qualcosa, si affrettò a seguirla in cucina.
“C'è una sorpresa per te, piccola mia.”
A conferma di ciò, trovò seduto al tavolo della cucina un bel ragazzo con una camicia a quadri verde come i suoi occhi. Appena la vide, lui si aprì in un dolce sorriso.
“Leon.” Prima che Olga potesse fermarla, si era già gettata tra le braccia del suo ragazzo. “Cosa ci fai qui? Pensavo ci saremmo visti allo Studio.”
Leon sorrise, accarezzandole il volto e scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Probabilmente Olga avrebbe avuto da ridire, se Roberto non l'avesse portata via con una scusa. Era sempre stata così protettiva con la giovane, tanto da rischiare seriamente di fare concorrenza a German.
“Volevo farti una sorpresa,” sussurrò il giovane all'orecchio della fidanzata, mentre lei gli allacciava le braccia al collo.
“Sappi allora che è una sorpresa molto gradita.” Quelle parole, Violetta le disse accostando la fronte alla sua e specchiandosi in quei bellissimi occhi verdi.
Lentamente accorciarono le distanze e si scambiarono un dolce bacio. “Vieni.” La ragazza lo prese per mano e lo condusse verso il salotto. “Voglio che fai colazione con noi e poi devo presentarti una persona.”
Giunti in salotto però, i due si bloccarono sul posto. German ed Esmeralda erano ancora lì, ma non stavano parlando...si stavano baciando con un certo trasporto. Leon e Violetta li fissarono per alcuni istanti, imbarazzati, finché lei non trascinò il ragazzo fino in camera sua, ovviamente facendo il più piano possibile.
Una volta aver chiuso la porta alle loro spalle, Violetta iniziò a saltellare e a ballare felice, sotto lo sguardo sconvolto di Leon. “Ti rendi conto? Si stavano baciando!” Esclamò, gettandogli le braccia al collo.
Lui annuì, confuso. “Non lo sapevi? Che stavano insieme, intendo.”
“No,” ammise lei. “Ma sono felicissima per loro! Sono una coppia stupenda, proprio come noi due,” aggiunse, coinvolgendolo in un nuovo bacio.
Leon ricambiò con trasporto, mentre la sua mente gli rimandava la scena di loro due che si rotolavano su quel letto alle sue spalle. Scacciò quel pensiero con stizza. Violetta non era pronta e poi lui era venuto lì per un motivo ben diverso.
“Violetta,” sussurrò, interrompendo il bacio. “Ci sono delle cose su di me che devi sapere.”
Si aspettava di vederla stupita, confusa o preoccupata, lei invece si limitò ad annuire e si sedette sul letto, invitandolo a fare lo stesso. “Lo so,” disse con voce incolore.
“Cosa?”
Violetta sospirò, stringendogli la mano e guardandolo, seria. “Sin da quando abbiamo fatto pace, so che mi nascondi qualcosa e man mano che il tempo è passato, ne ho avuto sempre più la certezza.”
“Violetta,” iniziò, a disagio. “Quello che sto per dirti...non è facile e magari dopo non ne vorrai più sapere di me. C'è una parte oscura e...”
Lei però lo interruppe, posandogli un dito sulle labbra. “Io ti amo Leon e nessun lato oscuro cambierà quello che provo per te. Io non voglio un principe azzurro, non voglio la perfezione o la favola felice, io voglio te così come sei. Quello che mi dirai non mi porterà a smettere di amarti, su questo non ho alcun dubbio.”
Leon non fece in tempo a ribattere che Violetta lo baciò con passione, facendo subito incontrare le loro lingue. Colpito ed emozionato da quelle parole, il giovane rese quel bacio ancora più appassionato, iniziando a lambirle e mordicchiarle le labbra. Dapprima sorpresa, lei compì la medesima azione, facendogli perdere completamente la testa. Se non si fossero fermati subito, non sarebbe stato più padrone delle sue azioni e il fatto che fossero seduti su un letto di certo non aiutava. Violetta dal canto suo, era sorpresa da se stessa. Era la prima volta che prendeva l'iniziativa e lo baciava in quella maniera, e pensare che quel giorno nel magazzino del Restò Band, aveva avuto paura di non saper baciare. Sembrava passata una vita da allora, ora non aveva più paura. Se voleva baciare il suo Leon, lo faceva senza problemi, con un po' di imbarazzo, ma anche con una certa decisione. Fu perciò spontaneo per lei intrecciare le dita nei suoi capelli, così come lo fu per lui far scorrere le mani lungo la sua schiena, anche se il suo tocco fu alquanto tremante. Leon infatti, si rendeva conto che quel bacio fosse troppo appassionato e che quel letto sotto di loro, di certo non contribuisse a tranquillizzarlo. Tutti i suoi sensi erano tesi come le corde di un violino, dato che stava facendo uno sforzo sovrumano per tenere a bada i suoi ormoni. I pantaloni iniziavano a stargli decisamente stretti e nemmeno quello era un buon segno.
Si affrettò allora ad interrompere il bacio, rendendosi conto che oltre ad essere a corto di fiato, stesse sudando freddo. Accanto a lui, Violetta stava a sua volta recuperando ossigeno e sembrava non essersi accorta dell'effetto che aveva avuto su di lui. Con i capelli in disordine e quel rossore che le colorava le guance, appariva così dolce e ingenua, nulla a che vedere con la ragazza che fino a poco prima lo stava baciando in quella maniera. Quello era uno dei motivi che lo aveva fatto innamorare di lei, Violetta sapeva essere passionale, mantenendo però quel velo di innocenza che l'aveva sempre contraddistinta. Come ipnotizzato, la osservò mentre si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio e si mordeva il labbro inferiore. Quell'ultimo gesto, apparentemente innocuo, accese però un fuoco in lui, quel fuoco che una volta interrotto il bacio pensava di aver spento. Possibile che ogni cosa che lei facesse, gli provocasse quell'effetto? Aveva caldo, dannatamente caldo. Scattò in piedi come una molla, facendo avanti e indietro per la stanza e strofinandosi il volto con vigore.
Violetta lo seguì con lo sguardo, confusa. “Leon, che stai facendo? Non sarai ancora convinto che ciò che devi dirmi, mi porterà a lasciarti?”
Lui si fermò di botto e la guardò, stupefatto. Possibile che non avesse notato nulla, oppure fingeva per evitare una conversazione imbarazzante? Le sue guance erano ancora rosse ed evitava di guardarlo negli occhi, tra l'altro si torturava le pieghe della gonna con troppa insistenza e allora Leon capì. Violetta aveva compreso eccome cosa fosse successo, ma aveva deciso di cambiare repentinamente argomento, troppo imbarazzata. In effetti nemmeno lui si sentiva a suo agio, la Castillo non era Lara, lei era la ragazza che amava e non sapeva proprio come comportarsi. Lei era l'unica che avesse mai amato e non voleva farle pressioni o apparire come un pervertito. Sapeva che non fosse pronta e per questo doveva darle il suo tempo e non terrorizzarla, al contrario doveva tranquillizzarla. Tornò allora a sedersi accanto a lei e le staccò una delle mani dalla gonna, stringendola con la sua. “Violetta, guardami,” sussurrò, a un soffio dal suo volto. Quando lei lo fece, aggiunse: “Va tutto bene.”
Violetta sorrise e annuì. “Lo so Leon, tranquillo. Sei venuto per raccontarmi qualcosa, no?”
“Si, è così,” confermò lui, mentre la ragazza allungava la mano libera e gli sfiorava una guancia, lasciandolo sorpreso. Forse non era rimasta così scossa come pensava, forse la cosa alla fine, anche se l'aveva colta di sorpresa, non le era dispiaciuta. Le sorrise dolcemente, un sorriso che sparì quasi subito quando si ricordò cosa doveva dirle. Era ora di mettere se stesso nelle mani della ragazza che amava, non poteva più tirarsi indietro.









Buon pomeriggio!! :)
So che concludere il capitolo a un soffio dal racconto di Leon mi costerà un sicuro linciaggio, ma state tranquilli, nel prossimo si saprà tutto e non solo su di lui ;) questo e il successivo li considero i capitoli di Leon, fino ad ora è stato concentrato sui problemi di Diego, qui invece si scopre qualcos'altro su di lui. Del rapporto pessimo con il padre già si sapeva, ma ora si accenna anche a quello piuttosto buono con la madre e a certi incubi, che da troppo tempo lo tormentano e che appunto avranno una spiegazione nel prossimo capitolo. Nel frattempo Diego ricompare in stato pietoso e sembra aver già deciso di rinunciare ai suoi genitori, ma per fortuna Leon riesce ad impedirgli di andarsene e su consiglio dell'amico, va da Vilu per dirle finalmente la verità. Quest'ultima parte è una delle mie preferite :3 non solo lei gli dice che non avrebbe mai smesso di amarlo, ma la loro intimità inizia a fare piccoli passi in avanti <3
spero che questo capitolo, anche se è stato per lo più introspettivo, vi sia piaciuto! :)
un bacio e un forte abbraccio,
Trilly <3

 

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Capitolo 27
*** Scheletri nell'armadio ***







Leon era nervoso, agitato, sudava freddo. Socchiuse gli occhi, cercando di farsi coraggio. Le parole di Violetta, gli avevano trasmesso sicurezza e lo avevano fatto sentire amato come mai gli era accaduto, lui che era sempre stato la seconda scelta per tutti. Suo padre avrebbe preferito un figlio che seguisse la sua stessa carriera, allo Studio amici e professori gli avevano preferito Thomas, ora invece aveva l'amore di Violetta e l'amicizia di Diego, ma lo stesso aveva difficoltà ad aprirsi e questo non solo perché temeva di essere a quel punto abbandonato, ma anche perché era travolto dai sensi di colpa. Diego gli ripeteva continuamente che non fosse colpa sua e che dovesse smetterla di tormentarsi in quella maniera. “Ora non sei più da solo, ci sono io e ovviamente Violetta, permettile di starti accanto.”
E Leon lo fece, nonostante gli procurasse tanto dolore, rievocò il ricordo di quella maledettissima sera che gli aveva cambiato la vita.



Flashback


Era da poco iniziata l'estate e tutti erano fuori a godersela, tutti tranne Leon. Chiuso in camera sua davanti alla tastiera, suonava e cantava sempre la stessa canzone, Podemos e inevitabilmente pensava a Violetta e a tutto ciò che avevano passato insieme. Lei era partita, rinunciando sia a lui che a Thomas, ma non riusciva a rassegnarsi, non riusciva a dimenticarla. Violetta gli aveva cambiato la vita, lo aveva fatto innamorare perdutamente e senza di lei, nulla sembrava avere più senso.
Leon.” Suo padre, Fernando Vargas, spalancò la porta all'improvviso, costringendolo a tornare alla realtà. Era vestito di tutto punto e come al solito, sembrava di fretta. “Tra un'ora ho un importante riunione di lavoro, una cosa dell'ultimo minuto, perciò non posso andare a prendere tua madre da casa dei tuoi nonni. Ti lascio le chiavi della macchina di riserva, vai a prenderla alle cinque.”
Fece poi per uscire, ma Leon lo bloccò. “Non posso, ho da fare.”
Cosa? Deprimerti qui dentro? Mi pare ci passi fin troppo tempo ormai. Renditi utile per una volta.”
Dopo quelle parole che lo ferirono peggio di una pugnalata, Fernando lo lasciò solo.
Leon si gettò sul letto a pancia in su, chiudendo gli occhi. Un tempo avrebbe pianto per la crudeltà di suo padre, ora invece incassava il colpo in silenzio. Odiava suo padre, odiava quell'uomo che lo aveva sempre fatto sentire inutile. Strinse i pugni con rabbia, mentre quel sentimento non faceva altro che crescere dentro di lui.
Nonostante ciò, alle cinque in punto era sotto casa dei suoi nonni. Odiava suo padre, ma quell'odio non era nemmeno lontanamente paragonabile all'amore che invece nutriva per sua madre. Sarebbe andato a prenderla anche sulla luna se glielo avesse chiesto, il punto era stato che glielo avesse chiesto suo padre con quel dannatissimo tono e la sua freddezza glaciale, era stato istintivo per lui quindi, dirgli di no ed ecco che l'uomo gli aveva rinfacciato quello che pensava di lui. In macchina con sua madre, continuava a ripensare a suo padre, chiedendosi come fossero arrivati fino a quel punto e forse fu proprio per quello, che notò troppo tardi quella macchina che usciva da uno svincolo a tutta velocità e con i fari spenti. Fece per frenare, fece per deviare a sinistra, ma fu tutto inutile. Urla disperate. Un forte schianto e poi il buio.



Fine flashback




Leon ormai piangeva disperato e Violetta lo stringeva forte a se, accarezzandogli la schiena. Povero il suo Leon, mai avrebbe pensato che ciò che le nascondesse fosse così terribile.
“Io sono svenuto, ma sono uscito illeso, a parte qualche livido...mia madre invece...lei è in coma da allora e... è tutta colpa mia...” singhiozzò, contro il suo collo. “Se non fossi stato così distratto a pensare a mio padre...lei ora sarebbe qui e...”
Violetta scosse la testa, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo così a guardarla. “Ascoltami Leon,” sussurrò, poggiando la fronte contro la sua. “Quello che mi hai raccontato è terribile, ma non è colpa tua.” Gli passò i pollici sotto gli occhi, asciugandogli le lacrime. “Il rapporto tra te e tuo padre, non ha nulla a che fare con ciò che è successo quella sera. È stato un incidente, uno sfortunato e terribile incidente. Devi credermi.”
“Tu non c'eri, non sai...” provò a protestare lui, ma lei lo interruppe. “Non c'ero, ma conosco te. Anche ferito e con mille pensieri per la testa, tu non sei un incosciente né un irresponsabile. Hai sempre mantenuto la tua lucidità e lo hai fatto anche allora, ne sono sicura.”
Leon sospirò, posando le mani sulle sue. “Hai troppa fiducia in me, magari mi sono distratto.”
Violetta si morse il labbro, nervosamente. Un dubbio assillava la sua mente. “Toglimi una curiosità Leon, è stato tuo padre a metterti in testa queste cose? Rispondimi,” aggiunse, quando lui non rispose. “Leon, è stato lui?”
Il ragazzo finalmente la guardò e quello che vide, valse per lei più di mille parole. Era tutta colpa di suo padre, probabilmente lo tormentava accusandolo dell'incidente della madre e a furia di sentirselo dire, lui aveva finito col crederci. In quel momento, Violetta odiò quell'uomo. Capiva il suo dolore, ma non poteva riversarlo sul figlio, non era giusto.
Gli gettò le braccia al collo, facendogli poggiare la testa contro il suo petto. “Non è colpa tua Amore,” sussurrò, accarezzandogli i capelli. “Tuo padre sta soffrendo e sta disperatamente cercando un capo espiatorio. Questa è l'unica verità.”
Leon sembrò essersi calmato, poi improvvisamente sollevò lo sguardo. “Mi hai chiamato Amore,” disse, sorpreso.
Lei annuì, imbarazzata. “Ti dispiace?”
“Scherzi?” Il volto del ragazzo si aprì in un bellissimo sorriso, oltre le lacrime. “Non sai quanto ho desiderato sentirtelo dire,” sussurrò, lasciandole un dolce bacio sulla fronte.
Violetta sorrise,addentandosi nervosamente il labbro inferiore. “è così Leon, da tanto ormai e questo non ha cambiato le cose, al contrario le ha rafforzate. Nonostante quello che hai passato, ti sei rialzato e...io voglio starti accanto.”
Lui scosse la testa e sospirò, stringendole le mani con le sue. “Mi sopravvaluti, non sono così perfetto come dici. Mia madre è in quel letto per colpa mia e quello che ho fatto dopo...”
La Castillo lo interruppe, poggiandogli un dito sulle labbra. “Devi smetterla di darti colpe che non hai. Quell'auto vi è venuta addosso, sai che è andata così. Ignora tuo padre, non sa cosa dice.”
“Violetta,” provò ancora a protestare lui. “Non sai cos'ho fatto.”
“Raccontamelo allora, fidati di me,” sorrise la giovane, rafforzando la stretta delle loro mani. Leon annuì, prendendo un profondo respiro, mentre il cuore gli batteva a mille. “Nell'impatto, si è azionato l'airbag. L'altra macchina però, si è schiantata sul lato destro della nostra... dov'era mia madre,” spiegò con un soffio di voce, guardandosi le scarpe. Sembrava distratto, lontano e per questo Violetta intrecciò di nuovo le loro mani. Voleva infondergli coraggio e tanto sostegno, lui ne aveva bisogno e anche lei. In un certo senso si sentiva in colpa, in passato lo aveva fatto soffrire non poco e un ragazzo dolce come lui non lo meritava. Ora voleva rimediare, ora voleva esserci.
“Mio padre era furioso,” proseguì Leon, lo sguardo quasi rivolto nel vuoto. “Abbiamo litigato duramente quel giorno...ci siamo detti delle cose orribili e poi solo silenzio. Ha iniziato a sparire per giorni interi e quando tornava, era sempre ubriaco e...me lo ripeteva sempre, ogni singolo istante.” La sua voce si spezzò e un singhiozzo sfuggì al suo controllo. “è colpa tua. Hai distrutto questa famiglia. Quelle parole mi tormentavano giorno e notte. All'inizio ci soffrivo e piangevo, poi un giorno ho conosciuto Lara. Lei mi ha fatto scoprire la passione per il motocross... sulla moto dimenticavo ogni cosa, mi sentivo libero... non c'era mio padre, né mia madre, c'era solo Leon. Nel frattempo, le cose tra me e mio padre peggioravano sempre di più. Non lavorava più, trascorreva le giornate a bere e a sputare accuse. A poco a poco, ci ritrovammo senza un soldo e non sapevo che fare. Fu allora che Lara mi parlò di certe gare illegali che disputavano gli altri ragazzi.” Guardò Violetta, ma lei non disse nulla, era semplicemente triste, non disapprovava, non giudicava. “Erano gare pericolose, ma la vittoria permetteva di guadagnare molti soldi e mi servivano. C'erano le spese mediche di mia madre, le bollette, la spesa... e così sono entrato nel giro. All'inizio mi spaventai, non era ciò a cui ero abituato. Le gare presentavano insidie sempre peggiori, non c'erano regole, non c'era rispetto. Una volta ho rischiato di rompermi un braccio, poi però ho iniziato ad impegnarmi anima e corpo e... l'alcool, gli spinelli e cattive compagnie mi hanno cambiato... stavo sempre meno a casa, non ero mai lucido e mettevo a rischio la mia vita. A ciò si aggiungeva lo strano rapporto con Lara. La prima volta che siamo stati insieme, eravamo ubriachi e poi è diventata un'abitudine. Gli unici momenti in cui ero me stesso, era quando andavo all'ospedale a trovare mia madre. Passavo e passo tutt'ora delle ore a parlarle, a chiederle di perdonarmi. Avevo ormai toccato il fondo, quando conobbi Diego e credo di averlo trascinato nel buio con me. Gare clandestine, alcool, droga, sesso... entrambi ci sentivamo soli e senza speranza e forse questo ci ha unito tanto.” S'interruppe, perso in chissà quali pensieri.
Violetta allora gli prese il volto tra le mani e per un attimo, le sembrò di scorgere nei suoi occhi la stessa perdizione e oscurità che vi aveva visto quel giorno alla pista di motocross, poi il suo sguardo si fece di nuovo spento. “Leon,” sussurrò. “Quando abbiamo scoperto di Joaquin Fernandez e poi non hai risposto alle mie chiamate, non è vero che stavi dormendo.” La sua non era una domanda, ma un'affermazione. Entrambi sapevano che lei avesse capito. Quella stessa notte, lui e Diego avevano partecipato a una gara. “Volevo farlo distrarre e poi... d'istinto abbiamo deciso di andare a cercare informazioni in sala professori. Non ti ho risposto, perché prima della gara avevo impostato il silenzioso.”
Ora Leon la fissava dispiaciuto, ma anche preoccupato. A quel punto lei sapeva tutto, conosceva il suo lato più oscuro. Cos'avrebbe fatto? Cosa ne pensava? Lei infatti continuava ad accarezzargli il volto, ma aveva lo sguardo basso e pensieroso. Evidentemente la sua mente stava ancora assimilando tutte quelle informazioni.
Restarono così per lunghi minuti, poi la giovane tornò a guardarlo. I suoi occhi nocciola non erano però accusatori o disgustati come si aspettava, piuttosto erano tristi e...comprensivi. Non disse nulla, semplicemente lo abbracciò. Leon si lasciò andare a quell'abbraccio che valeva più di qualsiasi frase e senza rendersene conto riprese a piangere, piangere con rabbia, tutta quella rabbia e quella frustrazione che si era tenuto dentro fino a quel momento e Violetta accolse tutto questo, trasmettendogli amore e sostegno e disinfettando con le lacrime le sue ferite... si, anche lei piangeva, piangeva per quel ragazzo che tanto aveva sofferto tutto solo e per quel senso di colpa che avvertiva ancora in fondo al cuore.
Leon c'era stato quando era stata lei a soffrire, quando poi era stato il suo turno, lei non c'era e se ne pentiva immensamente. Se solo durante l'estate non fosse stata una codarda e lo avesse chiamato, forse lui non sarebbe sprofondato nel baratro, forse le sue parole avrebbero potuto aiutarlo a sopportare quella situazione così difficile.
“Scusa se non ci sono stata,” sussurrò contro il suo petto. “Ti ho solo fatto soffrire.”
Leon le sollevò il mento, facendo incontrare i loro occhi umidi. “Non dirlo nemmeno,” soffiò, sorridendole dolcemente. “Avevi tutto il diritto di lasciarmi, non c'entri nulla con ciò che è accaduto dopo. Sono state le mie scelte a farmi sprofondare.”
“Si, ma se ti avessi dato il mio sostegno.”
Lui scosse la testa, continuando a sorridere. “Non sarebbe cambiato nulla, sai come sono fatto, mi sarei tenuto tutto dentro in ogni caso. Se Diego lo sa, è perché gliene ho parlato da ubriaco.”
“Oh Leon!” Singhiozzò lei, stritolandolo in un nuovo e forte abbraccio. Poi però si staccò e lo colpì alla spalla.
“Ahia!” Esclamò lui, stupito. “Perché lo hai fatto?”
Violetta incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio. “Non mentirmi mai più, Leon Vargas.” Dopodiché gli diede le spalle, raggomitolandosi sul letto in posizione fetale. Era chiaramente offesa, un'offesa improvvisa visto che fino a un secondo prima lo stava abbracciando.
Confuso, Leon si sdraiò accanto a lei, fissandole la schiena. Lentamente accostò le labbra al suo orecchio. “Avrei dovuto parlarti prima, lo so, ma... non è una cosa di cui mi piace parlare e poi... temevo non avresti più voluto stare con me.”
Violetta non rispose né si mosse, allora prendendo coraggio, iniziò a lasciarle piccoli baci dietro al collo. Sorridendo, continuò la sua opera fino al lobo dell'orecchio, che prese a mordicchiare.
Lei ansimò, ma ancora una volta non lo allontanò. Che stesse facendo solo finta di essere offesa? Leon fece scorrere le mani lungo i suoi fianchi e al contempo le baciava e le mordeva il collo.
“Leon,” sospirò lei all'improvviso, voltandosi finalmente verso di lui. Un sorrisetto malandrino increspava le sue labbra. “Vai via, sono offesa.”
“Ah si?” Ribatté lui, maliziosamente. “Non mi pare che quello che stavo facendo ti dispiacesse così tanto.” Le circondò la vita con un braccio e l'attirò a se, facendo poi sfiorare i loro nasi. “Vuoi ancora che me ne vada?” Sussurrò, mordicchiandole il mento e facendola avvampare. “Ecco...io...ehm...”
Leon sorrise soddisfatto. “Come pensavo.” La baciò poi con passione, facendo aderire ancora di più i loro corpi. Continuando a baciarlo, Violetta si avvinghiò a lui come un koala e ben presto, si ritrovò schiacciata tra il suo corpo e il materasso. Il ragazzo scese a baciarle il collo, poi scostò un po' la maglietta così da poter raggiungere anche le spalle. Lei nel frattempo ansimava e allo stesso tempo, sentiva di stare andando a fuoco per l'imbarazzo. Mai si era trovata in una situazione simile con un ragazzo e aveva paura. Tuttavia, non poteva negare che quei baci le piacessero. Fece scorrere le mani lungo le sue spalle e quando lo sentì sussultare, le ritrasse di colpo.
Leon però le prese le mani e le riportò dov'erano prima, sorridendo. “Mi piace se mi tocchi Amore.” Lo sussurrò con una tale dolcezza che Violetta si commosse e riprese ad accarezzarlo, stavolta con più sicurezza. Si baciarono poi con trasporto, rotolandosi sul letto proprio come la mente del giovane gli aveva suggerito appena entrato in quella camera. Leon le accarezzò la pancia e la schiena al di sotto della maglietta e lei rabbrividì. Con mani tremanti, gli sbottonò i primi bottoni della camicia, poi strofinò il volto contro il suo collo e rendendosi conto che lui stesse gemendo, iniziò a lasciarvi anche dei piccoli baci. “Violetta,” soffiò il ragazzo, cercando e trovando le sue labbra. La fece sdraiare sotto di lui, continuando a baciarla. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto andare oltre, ma non poteva. Entrambi erano troppo scossi dopo il suo racconto e non voleva che la loro prima volta avvenisse in un momento di così poca lucidità e con German al piano di sotto, tra l'altro. Proprio per questo, alla fine del bacio si sdraiò accanto a lei e le fece poggiare il capo sul suo petto, accarezzandole dolcemente i capelli. Doveva ammetterlo, ora si sentiva decisamente meglio, come se si fosse liberato di un peso. Certo, il dolore era ancora lì, ma sentire Violetta così vicina e comprensiva, gli trasmetteva una forza che credeva aver smarrito, quella della speranza. Lei nonostante tutto, continuava ad amarlo. Poteva esistere qualcosa di più forte dell'amore? Probabilmente no. Quella era la loro seconda prova, forse la più difficile e l'avevano superata, lui l'aveva superata.
All'inizio Violetta apparve confusa, poi sorpresa, ma alla fine si rilassò tra le sue braccia e chiuse gli occhi. Leon era così dolce e comprensivo con lei, la capiva e la rispettava come nessuno e non poteva fare a meno di sentirsi protetta e completa quando era con lui. Quale ragazzo al suo posto avrebbe accettato di fermarsi, rendendosi conto che fossero vulnerabili e ben poco lucidi? Nessuno, Leon era unico e per questo straordinario. Era felice, anzi felicissima che lui fosse suo, suo e di nessun'altra e avrebbe fatto in modo che le cose restassero sempre così.







“Signor Fernandez.”
L'uomo, che era seduto comodamente su una poltrona di pelle nera, nel grande salone di casa sua mentre fumava una pipa, sollevò lo sguardo, incontrando quello del suo maggiordomo. Quest'ultimo sembrava molto agitato e quasi intimorito. “C'è una persona che vuole vederla.”
Joaquin si raddrizzò sulla poltrona, posando poi la pipa nel posacenere. Non aspettava visite, chi poteva mai essere? “Ha detto chi è?”
“Sua figlia, signore. Ha detto che è urgente.”
“Falla passare,” annuì, congedando il maggiordomo con un gesto della mano. Nella sua mente nel frattempo, si fecero strada una serie di pensieri. Da quando lui e Jackie erano tornati a Buenos Aires, la bionda non aveva mai voluto mettere piede a villa Fernandez, sostenendo che lì ci fossero troppi ricordi dolorosi relativi a sua madre e gli sembrava strano perciò, che quel giorno fosse venuta. La villa era il luogo dove avevano vissuto tutti e tre per anni, da quando dopo il matrimonio con la ricca moglie, l'avevano ereditata. Ricordava ancora, quando da ragazzino aveva visto Amelia, così ricca e allo stesso tempo così fragile e aveva pensato che fosse la donna perfetta da sposare, se voleva condurre una vita da signore. Per uno come lui, cresciuto nella miseria, l'unico obbiettivo era sempre stato quello di trovare una miliardaria da sposare e Amelia si era rivelata subito quella perfetta. Era una brava donna e sinceramente innamorata e non ci aveva impiegato molto a irretirla e a farle fare tutto ciò che voleva, compreso farsi intestare le sue eredità dopo il matrimonio. A distruggere il suo piano perfetto, ci aveva pensato Esteban, padre di Amelia e Antonio, che al momento di scegliere un successore alla guida dello Studio, aveva preferito appunto il maggiore dei suoi figli, considerandolo più capace e motivato nel gestire un simile incarico. Inutile dire che se l'era presa non poco con la moglie, accusandola di essere una debole e un'inutile donna. Egli infatti aveva messo gli occhi sullo Studio ancora prima di sposarsi, vedendolo come una grande fonte di guadagno. Quell'episodio fu decisivo per la fine del loro matrimonio e quando Jackie fu ammessa allo Studio per il suo grande talento come ballerina, da un'entusiasta Antonio, Amelia era già morta in seguito a un attacco di cuore. Qualcuno sostenne che dietro la morte della donna ci fosse proprio Joaquin, che a quel punto la considerava inutile, dato che non aveva più nulla da toglierle, ma non essendoci prove certe, il caso fu archiviato e la morte di Amelia fu motivata da un infarto improvviso e folgorante. Fernandez in ogni caso, aveva continuato la vita di sempre, ma la sua mania di grandezza, se possibile, si moltiplicò. La bravura della giovane Jackie infatti, lo aveva portato a ricevere numerose offerte di lavoro e l'uomo aveva iniziato a vedere sua figlia come lo strumento perfetto per arricchirsi. Jackie però non era sembrata intenzionata a lasciare lo Studio, lì era cresciuta e c'erano i suoi amici, ma egli era convinto che presto sarebbe riuscito a dissuaderla.
Fu proprio quando Joaquin era riuscito ormai a far ammettere la figlia nella più prestigiosa accademia di ballo statunitense, che aveva appreso quella terribile notizia... Jackie era incinta. Ciò aveva rovinato inevitabilmente i suoi piani di arricchirsi, perciò dovette correre ai ripari con il trasferimento in Spagna e la successiva vendita del bambino a una facoltosa famiglia spagnola, che gli aveva fruttato una somma abbastanza consistente. Nonostante avesse detto alla figlia che il bambino fosse stato adottato, lei era lo stesso caduta in uno stato depressivo e l'unica nota positiva, era stata che fosse abbastanza vulnerabile da essere manipolata e tenuta buona. Di tanto in tanto si informava della vita del ragazzino, soprattutto per essere sicuro che fosse a chilometri di distanza da Jackie. Quest'ultima, pian piano si era ripresa e aveva iniziato ad insegnare danza, per la carriera di ballerina era ormai tardi, ma almeno aveva evitato quello scandalo.
Esattamente un anno prima, aveva poi scoperto che lo Studio stesse affrontando un periodo di crisi e pensò che non potesse non approfittare della situazione, così quando Antonio aveva proposto a Jackie di insegnare alla scuola, l'aveva spinta ad accettare. In quel modo, avrebbe avuto una spia dall'interno che lo informasse sulla situazione e avrebbe potuto mettere appunto un piano per impossessarsi dello Studio, a cui non aveva mai veramente rinunciato. Quello che non aveva previsto, era che Jackie si rifiutasse di collaborare e che quel maledetto ragazzino iniziasse a giocare a fare il detective e scappasse di casa. Quanto avrebbero impiegato sua figlia e il ragazzo a scoprire la verità?
“A quanto pare, continui a trattarti bene.”
Ferma sul ciglio della porta, c'era lei, Jackie. Sembrava pallida, stanca, ma anche furiosa. Con pochi passi lo raggiunse, piegandosi e poggiando le mani sui braccioli della sua poltrona. I suoi occhi scuri lo trafiggevano come le lame di un coltello, ma lui non si scompose minimamente.
“Sei un maledetto! Lo sapevo che eri un bastardo, ma non pensavo potessi cadere così in basso!” Esclamò la bionda, conficcando le unghie nei braccioli della poltrona. “Te la farò pagare, fosse l'ultima cosa che faccio,” aggiunse, raddrizzandosi e avviandosi verso la porta, considerando la conversazione conclusa, peccato che l'uomo non fosse dello stesso avviso. Egli infatti, scattò in piedi e con un'espressione confusa che non avrebbe potuto essere più falsa, mormorò: “Di che stai parlando?”
Che fosse stata colpa di quello sguardo da finto innocente o le sue parole, Jackie non seppe dirlo, sapeva solo che una rabbia immensa e incontrollabile la travolse, tanto da spingerla a rivolgergli un'occhiataccia, che avrebbe fatto prendere fuoco anche a un iceberg. “So tutto, so quello che hai fatto al mio bambino!” Urlò, lasciandolo stupefatto. Possibile che lei davvero sapesse?
“Jackie,” provò, ma la bionda lo interruppe. “Stai zitto! Non le voglio sentire le tue stupidaggini! Non sono più la ragazzina che puoi manipolare a tuo piacimento!”
Joaquin non si scompose minimamente. Certo, non era abituato ad essere aggredito in quella maniera, sua moglie e sua figlia erano sempre state sottomesse a lui, ma era sicuro di avere la situazione sotto controllo, lui era sempre un passo avanti a tutti. Un sorrisetto maligno increspò le sue labbra, sapeva che prima o poi avrebbero dovuto affrontare quella conversazione. “Di cosa mi stai accusando di preciso?” Esordì, lisciandosi distrattamente i baffi, quasi stessero parlando del tempo, cosa che indispettì ancora di più la ballerina. “Sai perfettamente di cosa parlo. Hai venduto mio figlio, mio figlio! Per anni mi hai fatto credere che fosse stato adottato da una brava famiglia, quando invece non avrebbe potuto condurre una vita più infelice! Ma come accidenti fai a guardarti allo specchio senza vergognarti di te stesso? Sei un malato, un disturbato, uno che dovrebbe essere rinchiuso in un manicomio!”
Jackie continuò a sproloquiare su di lui per ancora una decina di minuti, ma l'uomo l'ascoltava a malapena. Quello che doveva sapere lo aveva saputo, ossia che sua figlia e il ragazzo si fossero incontrati, il resto contava poco o nulla.
“E così hai conosciuto tuo figlio,” ghignò, quando lei si interruppe per riprendere fiato. “Un ragazzo dalle abitudini particolari, non c'è che dire.”
La bionda lo fulminò con lo sguardo. “Che vorresti insinuare, eh? È un bravo ragazzo, pieno di talento e molto forte, nonostante quello che ha passato.”
Joaquin sorrise divertito. “Voi madri avete il difetto di vedere solo quello che volete vedere, anche tua madre lo faceva e guarda dove ciò l'ha por...”
“Non nominare mia madre!” Lo interruppe lei. “Non ne hai i diritto, così come non devi azzardarti a parlare di mio figlio. Non ti permetterò di fargli ancora del male.”
Lui rise, scettico. “Sei sicura che sia io quello a fargli del male? Io credo che se ne faccia di più da solo, o che ci pensi sua madre. Non è forse per questo che sei qui? Lui non ti ha voluta perdonare e sei venuta a scaricare la colpa su di me.”
Jackie deglutì, incassando il colpo, mentre Fernandez se la rideva sotto i baffi. “Ho centrato il punto, a quanto pare. Lui ti odia, ammettilo,” aggiunse, iniziando a girarle intorno come un avvoltoio e scrutandola con i suoi piccoli e maligni occhi neri.
“Mi odia perché è convinto che fossi d'accordo con la vendita!” Sbottò, esasperata. “E smettila di guardarmi così,” proseguì, facendolo sogghignare. “Quindi il ragazzo pensa che fossi d'accordo con me, interessante.”
La bionda scosse la testa, incredula. “Tu ovviamente non puoi fare a meno di godere del dolore altrui, anche se si tratta di quello di tua figlia. Alcune cose cambiano, altre restano sempre le stesse.” Gli voltò le spalle, pronta ad andarsene. Ormai non c'era più nulla da dire, quell'uomo non sarebbe mai cambiato e sperava davvero che per colpa sua non perdesse per sempre la possibilità di farsi perdonare da suo figlio, altrimenti era sicura che si sarebbe portata quel peso fin nella tomba.
“Che mi dici del padre?” Chiese Joaquin, facendola gelare sul posto. “Ti ha chiesto di lui?”
Lentamente tornò a guardarlo, rendendosi conto che si fosse fatto improvvisamente serio, nemmeno un'ombra dei sorrisetto di poco prima. “Si,” ammise con un filo di voce. “Ma non gliel'ho detto. Non sono pronta e nemmeno lui lo è.”
L'uomo annuì. “Probabilmente questa è l'unica cosa sensata che hai fatto. La situazione è già precaria, se poi avesse saputo di lui...”
Jackie scoppiò a ridere, una risata fredda, amara, priva di allegria. “Fammi capire, stai tentando di farmi credere che ti importi di me e del mio rapporto con Diego? Hai fatto di tutto per impedirmi di avere a che fare con lui, perciò non fingerti quello che non sei.”
Lui ruotò gli occhi, recuperando la pipa e portandosela alle labbra. “Possibile che ancora non hai capito che l'ho fatto anche per te? Con quella gravidanza, hai distrutto ancora prima di iniziare la tua carriera di ballerina. È grazie a me, se hai potuto almeno fare l'insegnante e non ritrovarti a cambiare pannolini nel cuore della tua giovinezza. Io ti ho salvata, figlia mia, e dovresti ringraziarmi.”
La bionda si accigliò, sicura di aver capito male. Lui non poteva davvero aver detto una cosa del genere e con così tanta noncuranza, ma che razza di persona era? Possibile che diventasse spietato ogni giorno di più? Scosse la testa, disgustata. “Io non sono come te. Il lavoro è importante e avrei fatto di tutto per ottenerlo, ma non per guadagnare soldi e vantarmene, bensì per crescere mio figlio. Io quel figlio lo volevo, anche a costo di crescerlo da sola, ma tu questo non puoi capirlo. A te non importa di nessuno che non sia te stesso, è sempre stato così. Addio.” Stavolta Joaquin non la fermò, lasciò che se ne andasse sbattendo la porta e con un velo di delusione e risentimento nello sguardo. Per quanto avesse provato a cambiarla, Jackie continuava a somigliare ad Amelia, anche se a differenza sua aveva carattere e determinazione, che la sofferenza per la perdita del figlio doveva aver rafforzato. Da ragazzina infatti non era così, era molto più debole, più sottomessa e forse per questo era riuscito a manipolarla, ma ora non poteva più farlo e questo complicava sicuramente il suo piano. Doveva fare qualcosa e subito, non poteva permettere che andasse tutto in fumo e soprattutto, doveva fare in modo che né sua figlia e né quel ragazzo avessero delle prove sufficienti per farlo finire in carcere. C'erano fin troppi scheletri nell'armadio nel suo passato, cose che sarebbero bastate per incastrarlo definitivamente.
Ad interrompere il flusso dei suoi pensieri, ci pensò l'arrivo del suo detective, che appariva piuttosto trafelato e con il fiato corto.
Joaquin gli rivolse una mezza occhiata, invitandolo poi a parlare con un gesto della mano. “Ho fatto quello che mi ha chiesto, signore,” spiegò lui, tirando fuori dalla valigetta un plico di fogli. “Non è stato facile, ho dovuto convincere diverse persone, ma alla fine mi sono procurato le informazioni giuste e anche di più.” Posò sul tavolinetto di cristallo davanti alla poltrona, dove appunto era seduto un attento padrone di casa, il plico di fogli, che egli iniziò subito ad analizzare minuziosamente, inforcando un paio di piccoli occhiali da vista.
“Mmm,” mormorò pensierosamente, sfogliando quella serie di documenti dall'aria ufficiale. Il detective nel frattempo, lo fissava grattandosi nervosamente il capo. Sperava davvero che quello che avesse scoperto si rivelasse utile, altrimenti chi lo avrebbe sentito Fernandez? Il solo pensiero di doversi confrontare con la furia di quell'uomo lo fece rabbrividire, sapeva quanto potesse essere crudele quando qualcosa non andava come avrebbe voluto.
L'espressione dell'uomo, mentre leggeva quei fogli, restò impassibile per un lungo lasso di tempo, quasi considerasse quelle informazioni nulle e l'altro, in piedi accanto alla poltrona, iniziò a deglutire e a sentire decisamente caldo. Poi però, di punto in bianco, Joaquin ghignò e il detective si sentì come se avesse ripreso a respirare dopo lunghi minuti di apnea.
“Ora so cosa devo fare,” mormorò soddisfatto il padrone di casa, scattando in piedi. “è arrivato il momento di giocarci veramente tutto.”









Ciaooooo!!!
Nello scorso capitolo mi sono sentita troppo in colpa a lasciarvi tutta quella suspance e per questo, mi sono messa anima e corpo per concludere questo capitolo al più presto! Confesso che è uno dei miei preferiti, quello dove ci si rende conto di quanto sia forte il legame tra Leon e Vilu. Avevano detto che insieme potevano superare qualsiasi ostacolo e così è stato! :3
Il segreto di Leon, che poi riguardava un incidente, come molti avevano ipotizzato, non ha messo in crisi il rapporto tra i due, al contrario lo ha rafforzato. La vittima, che è finita in coma, è la madre del giovane ed ecco spiegato perché fino ad ora non è apparsa e il carissimo Fernando, ha pensato di gettare tutte le colpe sul figlio, che di conseguenza è caduto disperatamente in brutti giri. I famosi soldi, che raccoglieva con le gare, servivano per le spese, dato che il padre aveva smesso di lavorare. Spero che tutto il racconto, con relativo flashback, si sia capito e che ogni interrogativo abbia trovato una risposta ;) che poi, dopo un momento così drammatico e struggente, ci voleva un momento infuocato per i nostri Leonetta! Che teneri sono!! awwwwwww <3
conosciamo poi meglio il personaggio di Fernandez, che se prima era apparso crudele, ora ci si rende conto che è anche peggio. È stato maligno anche con la moglie, che ha sposato per interesse e con la figlia, con cui ha avuto un confronto molto acceso, che si è concluso decisamente male. Povera Jackie, era partita così maligna e invece è solo una vittima di quel maligno del padre, che chissà ora cos'ha in mente XD
Questo capitolo ve lo dedico di tutto cuore! Ve lo meritate! :3
baci,
Trilly <3


 

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Capitolo 28
*** Ludmilla superstar ***






“Violetta, tesoro, puoi scendere un secondo?”
La giovane, che si stava preparando per andare allo Studio, al richiamo del padre si preoccupò. Che fosse accaduto qualcosa? Quando però lo raggiunse in salotto, notò che l'uomo fosse un po' in imbarazzo, ma sorridente. “C'è una cosa che devo dirti. Ci sediamo un attimo?”
Violetta annuì, sedendosi accanto a lui.
“Quando mi hai detto di te e...bè, sai a cosa mi riferisco,” iniziò German, a disagio, facendola ridere. Chissà se sarebbe mai riuscito ad inserire il suo nome e quello di Leon nella stessa frase. “Allora ci siamo anche ripromessi di essere sempre sinceri l'uno con l'altro,” proseguì e lei si accigliò. “Cosa stai cercando di dirmi papà?” Gli strinse la mano e lo guardò, preoccupata.
Notando l'agitazione della figlia, egli si affrettò a sorridere.”Tranquilla, nessuna brutta notizia, si tratta di me ed Esmeralda, noi... stiamo insieme e volevo sapere cosa ne pensassi,” ammise finalmente, ritrovandosi poi stritolato tra le braccia di Violetta.
“Oh papà! È fantastico! Sono felicissima per voi!” Esclamò entusiasta.
Lui la fissò, speranzoso. “Davvero?”
“Assolutamente si!” Annuì la giovane. “Lei mi piace molto e poi ti rende felice, perciò approvo in pieno.”
Felice, German l'abbracciò nuovamente. “Grazie tesoro.”
“Ho un'idea,” riprese Violetta, sciogliendo l'abbraccio. “Perché stasera non facciamo una cena con Esmeralda e Leon? Sarebbe l'occasione per ritrovarci tutti e...”
L'uomo però sbiancò di colpo, mentre la sua solita gelosia ossessiva prendeva il sopravvento. “Non penso che sia il caso, siamo solo agli inizi e poi sei piccola per rendere le cose così ufficiali.”
La giovane ruotò gli occhi. Era inutile discutere, quello che aveva ottenuto era già troppo e se non voleva che gli venisse un infarto, faceva bene a non insistere. “Va bene, aspetterò ancora un po' prima di invitare a cena il mio fidanzato.” Calcò l'ultima parola, sapendo di indispettirlo e infatti lui non deluse le sue aspettative. “Non usare queste parole in casa mia Violetta, chiaro?”
Continuando a ridere, la giovane uscì di casa. Suo padre era davvero unico, ma chissà, magari l'amore di Esmeralda un po' alla volta avrebbe potuto ammorbidirlo. L'importante era crederci, no? Aveva quasi raggiunto lo Studio, quando vide una ragazza venire dalla direzione opposta, una ragazza che purtroppo conosceva e che sperava di non vedere più.
“Violetta, giusto?” Mormorò ella, che altri non era che Lara, la ex di Leon, tagliandole la strada. Come al solito era in salopette e scarpe da ginnastica e aveva uno strano sorriso stampato in faccia.
“Si, sono io. Ciao.” Fece per superarla, ma lei glielo impedì, piazzandolesi di fronte.
“Dobbiamo parlare, carina.” Le prese il polso, trascinandola all'ombra di un grande albero poco distante. “Per prima cosa, non farti stupide illusioni. La tua felicità è solo momentanea.”
Violetta la guardò, confusa. “Cosa vuoi da me?”
Lara sorrise divertita. “Non capisco cosa ci trovi Leon in una principessina come te.” La spinse contro l'albero, squadrandola da capo a piedi. “Così ingenua e casta, così diversa dal tipo di ragazza che piace a lui.”
La Castillo tentò di spingerla lontano da se, ma Lara non si mosse di un centimetro. “Leon si stancherà presto di te, nullità,” le soffiò all'orecchio, continuando a sorridere. “Lui non è il tipo che si accontenta di qualche bacetto, o di qualche incontro breve alle spalle del papino apprensivo. Sei una mocciosa insicura, complessata e piena di dubbi, lui ha bisogno di una vera donna, una che sappia soddisfare tutti i suoi bisogni e una suora come te, finirà per stancarlo.”
Violetta ruotò gli occhi, esasperata. “Lasciami in pace. Tu non sai nulla di ciò che lega me e Leon.”
“Ah no?” Ribatté l'altra, fingendosi pensierosa. “Non sei tu quella che lo ha ferito continuamente a causa della sua indecisione e che gli ha concesso solo un misero bacio in tutta la durata della vostra storia? Lui non è un pupazzo, ha bisogno d'altro, cosa che con te non avrà mai. Non ci metterà molto a tornare da me, sa che gli darò sempre tutto ciò di cui ha bisogno e che una bambina non può dargli. Buona giornata tesoro.”
Con un sorrisetto crudele, Lara si allontanò ancheggiando, mentre Violetta la fissava incapace di fare altro. Non poteva negarlo, quelle parole l'avevano colpita, avevano centrato quello che per lei era un tasto dolente. Leon le aveva detto sin dall'inizio che tipo di rapporto lo avesse legato a Lara e spesso, si era chiesta se per caso tutto ciò un giorno avesse potuto mancargli. Con le sue dolci parole e con l'amore che aveva letto nei suoi occhi, era riuscita a rassicurarsi in qualche maniera, ma ora la sua sicurezza iniziava a vacillare. E se davvero Leon si fosse stancato di lei e fosse tornato da Lara? Il solo pensiero la terrorizzava, non riusciva proprio ad immaginarsi senza di lui. Cosa doveva fare allora? In fondo al suo cuore lo sapeva, era ora di mettere da parte le sue paure e fare il passo decisivo, non poteva permettere che Lara glielo portasse via.
“Ehi Vilu!” Il flusso dei suoi pensieri, fu interrotto dall'arrivo di Francesca e Camilla, che avevano due grandi sorrisi stampati in faccia.
“Ho appena finito di parlare con Broadway,” annunciò quest'ultima, entusiasta. “Viene a trascorrere il week-end qui! Vi rendete conto? Finalmente lo riabbraccerò!”
Strinse le due amiche in un forte abbraccio, rischiando seriamente di strangolarle, talmente era felice.
“Piano Cami, non vorrai averci sulla coscienza?” Scherzò Fran.
“Scusate, è che mi manca così tanto.” Le due sorrisero, o almeno l'italiana lo fece, dato che Vilu era ancora piuttosto pensierosa per il precedente confronto con Lara. Sapeva che lui non amasse la meccanica, bensì lei, tuttavia c'era quel fattore sessuale che secondo la sua rivale, prima o poi a Vargas sarebbe mancato e che perciò sarebbe tornato da lei. Violetta era convinta che Leon mai l'avrebbe tradita, era troppo onesto e trasparente per farlo e poi l'amava, ma si rendeva conto che già diverse volte loro due si fossero trovati in una certa intimità e che lui si fosse fermato per rispetto nei suoi confronti; per quanto poteva resistere? Lara era davvero una minaccia? Leon l'avrebbe mai lasciata per lei? Scosse la testa. Lui aveva iniziato a frequentare la meccanica nel periodo più buio della sua vita, non l'aveva mai amata. Le sue parole e i suoi occhi glielo avevano comunicato fin troppe volte, perciò ormai non temeva più quella possibilità, piuttosto che lui potesse sentirsi in qualche modo limitato e non completamente felice e lei non voleva, voleva che lui stesse bene e se per ottenere ciò doveva fare il passo successivo, lo avrebbe fatto. Tra l'altro doveva riconoscere che anche se l'idea la imbarazzasse, quando si erano ritrovati sul suo letto, nemmeno per un attimo aveva pensato di allontanarlo, le sue attenzioni le erano piaciute e non poco. Ciò significava che fosse pronta? Onestamente non sapeva dirlo, forse doveva prendersi del tempo per rifletterci su.
“Violetta!” Camilla e Francesca le schioccarono le dita davanti agli occhi, facendola sobbalzare e riportandola alla realtà.
“A cosa pensi?” Continuò la mora, divertita. “E poi perché sei tutta rossa?”
La Torres scoppiò a ridere, dando una gomitata eloquente a Francesca. “Te lo dico io Fran, Vilu faceva pensieri poco casti su Leon.”
Se l'italiana rise, Violetta assunse tutte le tonalità del rosso e del viola. “Camilla, ma cosa dici? Non è vero!” Esclamò con una voce stridula, che fece sghignazzare le due amiche.
“Dai Vilu,” riprese Camilla, circondandole le spalle con fare comprensivo. “Non c'è niente di male, tutti fanno pensieri del genere.”
La Castillo arrossì ancora di più, Francesca invece scosse la testa, divertita. “Parla per te, io mi considero un tipo riservato e anche Violetta lo è, giusto?”
“Certo!” Concordò la diretta interessata, sforzandosi di mostrare una disinvoltura che non aveva. Si fidava ciecamente delle sue amiche, ma come poteva parlare loro di un qualcosa su cui nemmeno lei avesse un'idea chiara? “E comunque non pensavo a Leon, anche se in effetti non potremmo essere più felici in questo periodo,” proseguì, con un grande sorriso. Ed era vero, ora che anche l'ultimo ostacolo che li separava, ossia il segreto del giovane Vargas riguardante sua madre, era stato abbattuto, sentiva che loro due fossero ancora più forti, ancora più uniti.
“è fantastico!” Esclamarono le due, entusiaste. “Dopo tutto quello che avete passato tu e Leon, ve lo meritate.”
“Si,” sorrise la ragazza, stringendo le mani delle amiche. “Non sono mai stata più sicura di qualcosa come del mio amore per Leon. Lui è sempre stato quello giusto, un po' come Broadway per te, no?” Aggiunse, guardando Camilla, che annuì. “E sta per venire a trovarti.”
“Sono così emozionata,” ammise la rossa, stritolando nuovamente le due. “Mi è mancato tantissimo, non è lo stesso parlarci al telefono.”
Violetta annuì. “Ti capisco,è normale. Anch'io starei su di giri, se Leon abitasse lontano e stesse venendo a trovarmi. Anche se poi non so quanto riuscirei a resistere, sapendolo a chilometri di distanza da me.”
“Già,” convenne l'italiana. “L'amore a distanza è complicato, io che poi sono gelosissima, penso che impazzirei. A proposito di questo, devo dirvi una cosa. Sto uscendo con un ragazzo e...”
Proprio quando stava per confessare alle amiche della sua storia con Federico, il cellulare di Camilla squillò per l'arrivo di un messaggio. “Scusate un attimo.” Bastò una mezza occhiata al cellulare, per far sparire il sorriso dal volto della Torres. “Camilla, che succede?”
“Camilla?” Finalmente la ragazza guardò le amiche. I suoi occhi erano lucidi, spenti. Violetta prese il cellulare dalle sue mani. A chiare lettere, lampeggiava un messaggio provocatorio.



Cosa starà facendo il tuo ragazzo in Brasile? Ecco qui la risposta :)


Seguiva poi la foto di una ragazza bionda, in compagnia di...Broadway. I due si stavano baciando con un certo trasporto.
Violetta e Francesca si guardarono sconvolte, poi si affrettarono a correre dietro ad una disperata Camilla.
Nel frattempo, nascoste dietro a un albero, due ragazze sorridevano maligne. Erano Ludmilla e Andrea. Tutto stava andando esattamente come avevano previsto. Lara aveva umiliato la problematica e insicura Vilu e Cami aveva appena ricevuto il loro regalino, poteva andare meglio?
“Ahahahahaha povere formichine!” Sghignazzò la bionda. “La mia vendetta sta andando meglio di quanto mi aspettassi.”
“Già,” concordò Andrea, divertita. “Hai visto che facce? Povere care.”
“Questo è solo l'inizio, aspetta di vedere cos'ho in mente per Francesca. Quello che hai scoperto ci ritornerà molto utile.” Con un sorriso che non prometteva nulla di buono, Ludmilla ancheggiò verso lo Studio, mentre Andrea andò a cercare Andres. Era fondamentale mantenere le apparenze, soprattutto in quel momento.







Nell'aula di musica, Luca, Federico, Maxi e Marco erano radunati intorno a Beto, che stava facendo vedere loro come regolare degli accordi. Ormai mancava veramente poco all'esibizione dei duetti, ma c'erano ancora alcuni aspetti da mettere a punto.
“Con chi hai detto che devi esibirti, Luca?” Chiese il buffo insegnante, addentando al contempo un grosso biscotto all'amarena.
L'italiano ruotò gli occhi e sospirò. “Con Ludmilla. Dire che quella ragazza è capricciosa, è dire poco. Mi sta facendo impazzire, non le va bene nulla.”
Gli altri, Beto compreso, scoppiarono a ridere. “Povero Luca, non vorrei mai essere al tuo posto,” commentò Federico.
“Nemmeno io,” convenne Maxi. “Mi sono esibito una sola volta con lei ed è stata insopportabile tutto il tempo. Tu la conosci poco, ma penso che ti sei fatto un'idea,” aggiunse rivolgendosi a Marco, che rise. “Ludmilla non passa di certo inosservata.”
Quasi l'avessero chiamata, la Ferro entrò nell'aula con la solita camminata da diva. Anche se ora si vestiva in maniera più sobria ed era più tranquilla, non aveva smesso di considerarsi al di sopra degli altri.
“Luca, tesoro, eccoti qui,” trillò, aggrappandosi al suo braccio. “Ludmilla la Supernova, vuole scambiare due chiacchiere con te.”
Luca se la scrollò di dosso con stizza, mentre gli altri ridevano sotto i baffi. “Dì a Ludmilla la Supernova, che ora sono occupato. Ciao.”
Ludmilla sgranò gli occhi e si portò una mano al petto, oltraggiata. “Come osi trattarmi così? E voi smettetela di ridere, perdenti!” Si avvicinò nuovamente a Luca e lo tirò per un braccio. “Andiamo sweety, non fare il prezioso. Dobbiamo parlare, adesso.”
Il ragazzo sbuffò, poi annuì, rassegnato. “Dopo di te, Ludmilla.”
Ludmilla lo condusse in un'aula vuota e solo dopo aver chiuso la porta, gli lasciò il braccio. “Cosa vuoi?” Chiese il moro, sedendosi pigramente su un banco.
Lei assunse un'espressione offesa. “Perché sei così duro con me? Tutti a darmi della cattiva, ma io...”
“Smettila di piagnucolare e dimmi che vuoi!” Sbottò Luca, ancora una volta con un tono duro, ma la bionda decise di far finta di nulla. Gli si piazzò di fronte, poggiando le mani sulle sue ginocchia e fissandolo dritto negli occhi. “Anche se sei sempre così antipatico, devi ammettere che insieme facciamo una bella squadra. Siamo amici in un certo senso e io sono sincera con i miei amici.”
L'italiano si piegò in avanti, così da avvicinare il volto al suo. “Dove vuoi arrivare?” Soffiò, ora con un tono vagamente curioso.
Ludmilla sorrise, arricciandosi una ciocca di capelli intorno all'indice, lo sguardo sempre fisso nel suo. “In fondo non sei male, hai talento e un bel caratterino. Non meriti le bugie delle persone a cui tieni di più,” aggiunse, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Luca deglutì, tornando a sedersi normalmente. Quell'improvvisa vicinanza lo aveva messo decisamente a disagio, impedendogli di pensare lucidamente e non poteva permetterselo quando aveva di fronte una persona come Ludmilla. “Non so di che parli,” ammise alla fine e ciò portò la ragazza ad indossare una maschera di finto dispiacere. “Povero Luca,” mormorò, poggiando una mano sulla sua spalla. “Non vorrei farti soffrire, ma lo devi sapere, non è giusto che loro continuino a nasconderti le cose.” Sotto lo sguardo confuso di Luca, proseguì: “Lo sapevi che tua sorella e Federico hanno un rapporto, come dire... intimo? Da quando Tommy è tornato in Spagna, la povera Fran aveva bisogno di essere consolata e così lei e Fede sono diventati...amici di letto.”
“Che?” Gli sembrava tutto così assurdo, inconcepibile. A che gioco stava giocando Ludmilla?
“Non ti credo!” Sbottò, scendendo dal banco e avviandosi verso la porta.
“Perché non glielo chiedi allora?” Ribatté la Ferro, afferrandogli il polso. “Se non hanno nulla da nascondere, ti risponderanno, no?”
Luca si liberò con uno strattone, poi uscì dall'aula sbattendo la porta. Un sorriso soddisfatto si disegnò sul volto della ragazza. “Povera Francesca, ora si che sei spacciata. Ed io che ti credevo una santa, probabilmente hai la coscienza più sporca di tutti.”







-Non insistere Leon, non tornerò allo Studio. Per me è una storia chiusa-
-Va bene, allora ci vediamo nel pomeriggio. Ciao Diego-
Leon chiuse la conversazione, scuotendo il capo. Aveva appena fatto una lunga chiacchierata con lo spagnolo e lui, non aveva fatto altro che ribadirgli la sua decisione di lasciare lo Studio. Non che si aspettasse qualcosa di diverso, chi poteva biasimarlo dopo ciò che aveva scoperto su Jackie? Diego la odiava, non voleva avere più nulla a che fare con lei e al suo posto era sicuro che avrebbe fatto lo stesso, soprattutto se era davvero a conoscenza di quell'atto di vendita. Ma Jackie era colpevole? E il padre di Diego? Perché la donna non aveva voluto dirgli la sua identità?
“Leon?”
Il ragazzo sussultò, voltandosi di scatto. Alle sue spalle, nervosa e pallida come un cadavere, c'era Jackie. “Buongiorno,” la salutò educatamente. Stava per allontanarsi, ma...
“So che tu e Diego siete amici,” sussurrò lei, con una voce stranamente tremante. “Come mai non è venuto? Dovevamo parlare di una coreografia e...”
“è inutile girarci intorno,” la interruppe Vargas, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans e appoggiandosi alla parete, con fare incurante. “So tutto, so cosa vi lega.”
La donna divenne, se possibile, ancora più pallida e dovette sorreggersi contro il muro per non svenire. “Tu lo sai?”
Leon annuì. “Come ha detto lei, io e Diego siamo amici. A proposito, simpatico suo padre. Joaquin Fernandez, giusto?” Aggiunse, con un tono chiaramente ironico.
Jackie accusò il colpo, non credeva che Diego e persino Leon, avessero incontrato suo padre. Come aveva fatto tutto quel tempo a restare all'oscuro di ogni cosa? Forse suo figlio aveva ragione, lei era davvero una codarda.
“Perché non ha voluto dire a Diego chi è suo padre?” Riprese il giovane Vargas, scrutandola attentamente. “Quest'uomo è pericoloso? Era d'accordo con l'atto di vendita e quindi non vuole sapere nulla di suo figlio? Insomma, qual è il suo ruolo in tutto questo?”
Jackie abbassò lo sguardo e deglutì. Non poteva dirgli la verità, non poteva. “Non sono affari che ti riguardano!” Sbottò alla fine, tirando fuori un orgoglio e una rabbia che sembravano fino ad un attimo prima mancarle. “Non osare mai più parlarmi così, chiaro? Sono prima di tutto un insegnante, ricordalo.” Indignata, la donna se ne andò e Leon la seguì con lo sguardo, divertito. Se pensava di spaventarlo, si sbagliava di grosso. Anche se Diego diceva di non voler sapere chi fosse suo padre, era sicuro che non fosse così e in un modo o nell'altro lo avrebbe scoperto, con o senza la confessione di Jackie.
Il flusso dei suoi pensieri, fu interrotto da forti ed improvvise urla. Senza pensarci troppo, corse verso l'ingresso dello Studio, trovandosi di fronte una vasta folla di curiosi. Si fece strada tra di loro e quello che vide, lo lasciò basito. Luca e Federico si stavano rotolando sul pavimento e se le stavano dando di santa ragione. Pugni, schiaffi, calci. Francesca, Violetta e Camilla urlavano, chiedendogli di fermarsi. L'italiana aveva le lacrime agli occhi. Maxi, Andres e Marco tentavano di staccare Luca da Federico, ma il risultato fu che si beccarono diverse gomitate. Leon subito corse in loro aiuto e così tutti e quattro, riuscirono finalmente a separare i litiganti.
“LASCIATEMI!” Urlò Luca, tentando di divincolarsi dalla presa di Leon e Andres, che lo tenevano fermo spalle al muro.
Federico nel frattempo, si era rimesso in piedi grazie all'aiuto di Marco e Maxi e si stava tamponando con la manica della giacca il naso sanguinante. Sotto il suo occhio destro, faceva bella mostra di se un livido violaceo.
“Ma che diavolo sta succedendo qui?” Chiese Leon, confuso. Quei due erano sempre stati grandi amici, era inconcepibile che facessero a pugni in quella maniera. Nemmeno lui con Thomas era mai arrivato a tanto e visto il modo in cui lo spagnolo aveva ronzato intorno alla sua ragazza, era tutto dire.
“Chiedilo a quel lurido traditore!” Ringhiò Luca, continuando a dibattersi. Nei suoi occhi si leggeva rabbia allo stato puro. “è tutta colpa sua!”
Tutti guardarono Federico, che con una smorfia di dolore, si appoggiò alla parete. In un attimo, una piangente Francesca gli fu accanto. “Come ti senti?” Fece per abbracciarlo, ma la risata fredda di Luca, le gelò il sangue. “Dovresti chiederlo a me che sono tuo fratello, non a quell'essere disgustoso! O forse devo pensare che fossi consenziente mentre ti molestava?”
A quelle parole, tutti sgranarono gli occhi, sconvolti. Cosa si erano persi? Francesca si voltò verso il fratello e quando lo raggiunse, gli mollò un sonoro ceffone, a cui lui non poté ribattere poiché ancora tenuto fermo dagli amici. Se nei suoi occhi c'era ora odio puro, in quelli umidi della ragazza c'era solo delusione. “Non hai capito proprio niente.”
Lui rise. “E cosa c'è da capire? Da quando sei la sua amica di letto?” Aggiunse, crudele.
A quel punto, Fran scoppiò a piangere e Federico non ci vide più. Come una furia si avventò su Luca e gli altri, colti di sorpresa, non riuscirono a fermarlo.
“Non. Osare. Parlare. Di. Nuovo. Così. Di. Lei.” sbottò Federico, tra un pugno e l'altro. Ormai aveva perso il controllo e colpiva Luca con sempre più violenza. A nulla servirono le urla degli amici che gli imploravano di fermarsi, lui non ascoltava nessuno. Nella sua mente un solo pensiero, farla pagare a colui che aveva osato ferire la sua Francesca.
Appoggiata a una parete poco distante, con un sorriso soddisfatto, c'era Ludmilla. Le cose stavano andando ancora meglio di quanto avesse previsto, addirittura una rissa tra quelli che fino a quella mattina erano amici per la pelle.
Dopo un pò, Luca iniziò a ribattere colpo su colpo e vittime, ne furono anche coloro che tentarono di fermarli. “Basta, smettetela!”
“Vi prego, basta,” singhiozzò Francesca, sorretta da Cami e Vilu, anche loro molto provate per ciò a cui stavano assistendo.
Fu in quel momento, che a Leon venne un'idea. Corse nel ripostiglio delle scope e vi uscì con due scope, una delle quali la cedette a Marco. Andres rischiava di combinare un disastro e Maxi non incuteva molto timore, perciò Marco era l'unico adatto, anche se lo guardò come se fosse stato pazzo, ma come dargli torto?
“LUCA! FEDERICO!” Urlò il giovane Vargas, brandendo la scopa. “Smettetela, adesso, altrimenti io e Marco vi colpiamo con queste.”
“Possiamo diventare molto cattivi, non vi conviene sperimentarlo sulle vostre pelli,” aggiunse Marco, ora divertito, avendo capito finalmente quale fosse il piano di Leon. Alla vista delle scope, i due smisero di picchiarsi e tentarono di alzarsi, ma proprio in quel momento...
“Cosa sta succedendo?”
Pablo aveva appena varcato l'ingresso con un cappuccino tra le mani, probabilmente preso al Restò Band e fissava uno ad uno in cerca di risposte. Quando il suo sguardo si posò su Luca e Federico, capì. “Avete fatto a botte, non è così?”
“Pablo,” provò Luca, ma l'uomo lo zittì. “è la seconda volta che scateni una rissa con un tuo compagno, a quanto pare la punizione dell'altra volta non ti ha insegnato nulla. Credevo fossi un bravo ragazzo,” aggiunse, deluso e l'italiano abbassò lo sguardo.
“è colpa mia,” intervenne Federico, facendosi avanti. Il sangue ormai gli aveva sporcato sia la t-shirt che la giacca, ma appariva abbastanza lucido. “Avrei dovuto dirgli di me e Francesca.”
Pablo guardò prima l'uno e poi l'altro, confuso e infine la diretta interessata, che annuì. “Non è colpa nostra se ci siamo innamorati. Non glielo abbiamo detto, perché sapevamo che avrebbe reagito così.”
Luca rise, amaramente. “Amore? Hai anche il coraggio di definire amore una cosa così squallida? Vanno a letto insieme per consolare le ferite di mia sorella. Ti sembra normale?” Aggiunse, guardando Pablo, che sembrava troppo sconvolto per dire qualsiasi cosa. “E io che pensavo che la mia vita fosse complicata,” commentò poi tra se e se.
“Ragazzi, cosa fate tutti qui fuori?” Proprio alle spalle del direttore, sbucarono Angie e Beto. La Saramego e Galindo si guardarono per alcuni istanti, sorridendosi dolcemente, poi imbarazzati, distolsero lo sguardo.
“Una rissa, di nuovo,” spiegò Pablo, ancora a disagio per la presenza di Angie, che guardava dovunque tranne che verso di lui e si torturava nervosamente i merletti del suo vestito.
“Immagino tra Luca e Federico,” disse Beto, che avendo notato il modo in cui si guardassero i due insegnanti, sghignazzava. Forse era egoistico da parte sua, ma era felice che Pablo e Jackie si fossero lasciati, così lei era libera e poi l'amico poteva provare a stare con Angie. Se non si sbagliasse di grosso infatti, da un po' di tempo a quella parte, la bionda guardava Galindo in maniera diversa, mai lo aveva guardato così, nemmeno nel periodo in cui erano stati insieme. Che provasse qualcosa per lui? Beto lo sperava, i suoi amici meritavano di essere felici e a parer suo potevano esserlo solo insieme.
“Si,” confermò Galindo, facendo sobbalzare lo strambo collega, che per poco non gli rovesciò addosso il bicchiere fumante di cappuccino. “E il movente è di nuovo Francesca,” aggiunse, mettendo diversi passi tra lui e Beto. Non ci teneva a subire sulla sua pelle gli effetti della goffaggine di Benvenuto, soprattutto se si trattava di un cappuccino bollente.
“Cosa fate voi due con quelle scope?” Chiese Angie, rivolgendosi a Leon e Marco, ma al contempo sorridendo sotto i baffi per il modo in cui Pablo se la fosse svignata da vicino a Beto.
Il giovane Vargas scrollò le spalle. “Era l'unico modo per convincerli a smetterla.”
“Ma non le abbiamo usate,” precisò Marco, scatenando l'ilarità generale.
Pablo annuì. “Posate quelle scope e tornate in classe. Quanto a voi due,” aggiunse, guardando Luca e Federico. “Nell'ufficio di Antonio e anche tu Francesca.”
I tre ragazzi, Luca tenendosi a debita distanza dagli altri due,si affrettarono a seguire il direttore e lo stesso fece Angie, mentre Beto si incamminò verso l'aula di musica, aveva una lezione di lì a pochi minuti.
“Francesca e Federico?”
Camilla aveva trascinato Violetta in fondo alla fila, desiderosa di commentare ciò a cui avevano assistito. “Secondo te, è vero ciò che dice Luca?” Chiese, aggrappandosi così forte al braccio dell'amica, tanto da rischiare di svitarglielo. “Cami, calmati,” disse infatti la Castillo, liberandosi dalla sua stretta e massaggiandosi poi il braccio indolenzito.
La Torres scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi boccoli ramati. “Come faccio a calmarmi? Ti rendi conto che Francesca...”
“Stava per dircelo,” la interruppe Violetta, prendendola per le spalle e tentando di tranquillizzarla, così da evitare uno dei suoi soliti ed interminabili sproloqui. “Prima che arrivassimo allo Studio, lei ha detto che stava frequentando un ragazzo.”
Camilla sospirò, ora finalmente più calma. “Prima che ricevessi quella foto di Broadway.” Il solo nominare il brasiliano, un'ombra le attraversò lo sguardo e per questo Violetta la strinse in un forte abbraccio. “Non è detto che sia vera, in fondo non sappiamo chi te l'ha mandata, potrebbe essere uno scherzo.”
“Forse, o forse no. Broadway non è mai stato famoso per la sua serietà,” ribatté la Torres, sciogliendo l'abbraccio. “Le amiche della capoeira ne sono una chiara dimostrazione.” Se ne andò poi in classe, alquanto abbattuta e la Castillo se ne dispiacque. Prima Lara le faceva nascere tutti quei dubbi, poi Camilla riceveva quella foto e infine Luca veniva a sapere di Francesca e Federico, il destino si era forse accanito contro di loro? C'era qualcosa che non andava, ma non riusciva a spiegarsi cosa.
Fece per avviarsi a sua volta in classe, quando avvertì due forti braccia circondarle la vita e una guancia accostarsi alla sua. Sorrise, facendo aderire la schiena contro il suo petto. Quelle mani e quel profumo erano inconfondibili.
“Sei pensierosa,” sussurrò Leon al suo orecchio. “Cosa ti succede?”
Violetta scrollò le spalle, poggiando le mani sulle sue. “Pensavo a Francesca e a Camilla. Chissà cosa avrebbero fatto Luca e Federico se non li aveste fermati e poi c'è Broadway, che pare abbia baciato un'altra e...”
Leon annuì distrattamente. “Non so se mi hanno sconvolto di più le parole di Luca o la consapevolezza che qualcuno gliele avesse riportate per ferirli. Certe persone sono davvero squallide,” aggiunse, disgustato.
“Stai pensando quello che penso io?” Chiese la ragazza, avvicinandosi a una finestra e guardando la strada oltre di essa, mentre Leon avanzava con lei, continuando a circondarle la vita da dietro. “Intendi su chi possa aver riportato tutto a Luca?”
Violetta incrociò lo sguardo del ragazzo attraverso il vetro della finestra e annuì, poi all'unisono sussurrarono un solo nome: “Ludmilla.”
“Credo c'entri anche con la foto che ha ricevuto Camilla, il messaggino sembrava una cosa tipica sua,” proseguì lei e Leon non poté che concordare. “Sono giorni che mi sembrava fin troppo silenziosa. Se non macchina qualcosa, non è lei.”
“Come si può essere così cattivi?” Mormorò la Castillo, pensierosamente. “è tutto così assurdo e...”
Leon la fissò attraverso il vetro per alcuni istanti, poi però la fece voltare verso di lui. “Violetta,” iniziò, facendo aderire la fronte alla sua. “C'è qualcos'altro che non va?”
Violetta deglutì, specchiandosi nei suoi occhi preoccupati. Lui la conosceva troppo bene, gli era bastato guardarla per capire. Scosse la testa, sforzandosi di sorridere. Non voleva preoccuparlo con le sue assurde paure, in quel momento l'unica cosa che voleva era stringersi tra le sue braccia. Quasi l'avesse letta nel pensiero, Leon l'abbracciò, facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Mi puoi dire qualsiasi cosa, lo sai,” le sussurrò tra i capelli, facendola sorridere. Come poteva anche solo aver pensato che lui potesse lasciarla per Lara? Leon l'amava, non faceva altro che dimostrarglielo, le sue paure erano insensate. “Si Leon, lo so.”
Lui sorrise, sciogliendo l'abbraccio e prendendole il volto tra le mani. “Non dimenticarlo mai,” soffiò, prima di congiungere le loro labbra in un dolce bacio. “Mai,” promise lei, riprendendo a baciarlo, stavolta con maggiore trasporto. Nessuno, nemmeno Lara con le sue frecciatine crudeli, poteva separarli. A tutti i costi doveva resistere e non farsi intimorire e con Leon al suo fianco, poteva riuscirci. Insieme a lui, poteva qualsiasi cosa.









Ciaoooooo!!
Dopo i racconti drammatici dello scorso capitolo, torna un po' di azione e finalmente Luca viene a sapere di Fede e Fran, anche se in effetti poteva scoprirlo in maniera diversa e non tramite Ludmilla. A proposito di lei, il suo piano e quello delle sue socie Andrea e Lara è ufficialmente iniziato, un piano che prevedeva ferire le tre ragazze che tanto disprezza. Lara affronta Vilu e tenta di farle nascere dei dubbi, Cami riceve la famosa foto di Broadway e poi Luca viene a sapere di Fran e Fede e da lì il caos XD in tutto questo c'è un dolce momento per i Leonetta *-* e viene fatto il nome della Ferro. Per la gioia di Dulcevoz poi, c'è uno scambio di sguardi e sorrisi per i nostri Pangie :3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! :)
baci <3

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Capitolo 29
*** L'ultimo tassello ***






La piazza principale di Buenos Aires era popolata da bambini che giocavano a pallone, si rincorrevano o andavano in bicicletta, mentre genitori e anziani, vigilavano il tutto. Seduto su un muretto con la sigaretta alle labbra, Diego li fissava con sguardo assente. Erano giorni che se ne stava chiuso in camera o sulla pista di motocross, quella era la prima volta che cambiava destinazione. La limousine di Fernandez, che un tempo lo aveva seguito come un'ombra, sembrava essersi dimenticata di lui e in un certo senso gli fu grato, mai come in quel momento, desiderava essere lasciato solo. Ne aveva abbastanza di tutto e di tutti e se non aveva ancora lasciato la città, era perché non sapeva dove andare. Mai sarebbe tornato in Spagna da Juan e Dora, sarebbe stato come ammettere il suo fallimento, perché alla fin fine lui aveva fallito davvero. Era partito con la convinzione che ci fossero dei genitori che lo amassero da trovare, invece aveva scoperto che l'unica cosa vicina a una famiglia che avesse, erano proprio i Ramirez, che seppur per niente amorevoli, gli avevano sempre garantito un tetto dove vivere, a differenza dei suoi veri genitori, che lo avevano venduto e poi erano praticamente spariti dalla sua vita. Nonostante le lacrime di Jackie, i suoi tentativi di giustificarsi e le pressioni di Leon, affinché permettesse alla sua vera madre di raccontargli la sua versione, lui restava della sua idea. Forse a guidare le sue azioni era la paura, la paura di avere altri dispiaceri e perciò preferiva concludere così il capitolo del suo passato, o forse era il suo istinto a frenarlo, mettendolo in guardia su delle persone di cui non avrebbe dovuto fidarsi. Diego non sapeva dirlo con certezza, troppe erano le emozioni che si agitavano dentro di lui e tanti erano anche i pensieri. Si sentiva come un palloncino di plastica riempito d'acqua fino all'inverosimile, sarebbe bastato davvero poco per farlo esplodere e non se lo poteva permettere, doveva proteggere se stesso come aveva sempre fatto sin da piccolo. Non doveva dimenticarlo, solo lui avrebbe potuto proteggersi, perché solo lui sapeva cosa significasse soffrire e non avere nessuno a cui aggrapparsi. Certo, a differenza del passato ora aveva degli amici, ma non sarebbe stato giusto riversare su di loro il suo dolore, era una questione che doveva risolvere lui e nessun altro e l'unico modo, era costringersi a cancellare il passato ed andare avanti, era ora di pensare al suo futuro. Per prima cosa doveva trovare un posto dove vivere, non poteva stare per sempre a casa di Marco, ma come poteva fare?
Poco distante da lui, seduta su una panchina, c'era Camilla. La giovane non faceva altro che fissare il cellulare, dove si poteva notare la foto del bacio tra Broadway e una misteriosa ragazza, quella foto, che più che ferirla, l'aveva indispettita. Perché Broadway lo aveva fatto? Pensava che lui la amasse, pensava che nonostante la distanza, la loro relazione fosse forte e duratura. Strinse forte i pugni, mentre alcune lacrime sfuggivano al suo controllo, ma non fece nulla per scacciarle. Stava male, si sentiva ferita, ingannata, umiliata. Una rabbia feroce e incontrollabile si agitava in lei, nemmeno urlare e distruggere tutto ciò che il ragazzo le aveva regalato, era servito a calmarla. Il suo bisogno di prendere a schiaffi il brasiliano, se possibile, si era persino amplificato. Perché Broadway l'aveva tradita in quella maniera così squallida? Se non l'amava più, non sarebbe stato più semplice e corretto lasciarla? E lei, stava male perché lo amava, o perché si sentiva colpita nell'orgoglio? Riconosceva di provare qualcosa per Diego sin dalla prima volta che lo aveva visto, ma ciò era più forte di quello che provava per Broadway? Quando aveva saputo che sarebbe venuto per il week-end, si era sentita felice, peccato che non fosse stata quella felicità intensa che pensava avrebbe provato e per questo si era anche sentita in colpa. Forse era la distanza, forse l'arrivo di Diego, o forse semplicemente era cambiata, stava di fatto, che i suoi sentimenti per Broadway fossero mutati, sentiva che ciò che la legasse a lui, non era più così forte e forse proprio per questo, il suo tradimento non l'aveva ferita quanto si aspettasse. Si sentiva tradita e presa in giro, ma questo semplicemente perché in teoria stavano ancora insieme. Se le cose stavano così, allora non lo amava più? Camilla non sapeva dirlo, però era sicura che quella foto, chiunque gliel'avesse crudelmente inviata, avesse messo fine alla loro storia. Tra lei e Broadway era finita, stavolta per sempre.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e proprio in quel momento, un fastidioso odore di fumo le giunse alle narici. Sollevò lo sguardo, confusa, specchiandosi in quello divertito di Diego e il suo cuore iniziò immediatamente a battere a un ritmo forsennato.
“Ciao Dolcezza,” soffiò lui al suo orecchio, facendola rabbrividire.
“Diego, allontanati. Puzzi come un posacenere,” ribatté lei, sforzandosi di apparire il più possibile infastidita. Non sapeva dare un nome a ciò che provava per lui e di certo non ci teneva a fargli capire il suo turbamento, sarebbe stato un suicidio e lei non era così stupida da rischiare di diventare il suo zimbello.
Lui ghignò, sedendolesi accanto e accendendosi un'altra sigaretta. “Cosa fai qui tutta sola, bambolina?”
Camilla ruotò gli occhi, disgustata, allontanando il fumo con un gesto della mano. “Già normalmente sei fastidioso, ora puzzi persino.”
Diego rise, avvicinando il volto al suo e soffiandole poi il fumo in piena faccia, facendola tossire.
“Maledetto!” Fece per colpirlo, ma lui le bloccò il polso, continuando a sghignazzare. “Mmm... oltre che isterica e acida, sei anche manesca. Mi piace,” aggiunse, percorrendola da capo a piedi con uno sguardo malizioso.
La Torres si liberò dalla sua stretta, con stizza. “Smettila di guardarmi in quel modo disgustoso e vedi di starmi lontano.” Detto ciò, si alzò e si incamminò, peccato che lui non avesse intenzione di demordere e la seguì. In un attimo l'affiancò e le circondò le spalle con un braccio.
“Non capisco perché sei sempre così antipatica con me,” mormorò, con un'improvvisa serietà, che la fece accigliare.
“Tu non sei da meno e poi per noi è normale litigare, è il nostro modo di comunicare, credo.”
Diego annuì distrattamente, facendo un ultimo tiro di sigaretta, prima di gettarla e spegnerla con il piede. “Tu credi che potremmo mai comunicare in un'altra maniera?”
A quelle parole, Camilla si fermò di botto e si voltò a guardarlo, confusa. “Perché? Che differenza ti fa, se litighiamo o no?”
Lui scrollò le spalle, incurante. “Nessuna, ma a volte mi piacerebbe anche vederti ridere in mia presenza, non solo farti arrabbiare.”
Sembrava sincero, mai lo aveva visto così e non sapeva proprio che dire. Lei e Diego che parlavano senza litigare? Sembrava quasi assurdo, ma forse non così orribile. Lui non le era tanto indifferente in fondo, no? Quasi senza rendersene conto, sorrise e Diego la fissò, rapito. “è un buon inizio, direi.”
Camilla annuì. “Si, lo penso anch'io.”
Continuarono a camminare uno accanto all'altro, mentre un imbarazzante silenzio li accompagnava. Di tanto in tanto si lanciavano un'occhiata, ma nessuno dei due sembrava avere il coraggio di parlare, troppi erano i pensieri che affollavano le loro menti e forse troppo, era anche il timore di dire qualcosa di sbagliato che potesse distruggere quell'idillo, che a fatica erano riusciti a stabilire. Era una cosa nuova per entrambi, Camilla era abituata a straparlare senza nemmeno fermarsi a pensare e Diego, bè lui era sempre stato un tipo diretto, diceva quello che pensava sempre e comunque. Perché quando si trovavano insieme riuscivano solo ad attaccarsi o a stare in silenzio? Era forse colpa della presenza dell'altro che tirava fuori il lato peggiore, o c'era di più?
“Prima ho avuto la sensazione che stessi piangendo,” buttò lì Diego, di punto in bianco, lo sguardo ora rivolto esplicitamente verso di lei e senza alcuna malizia, piuttosto con un velo di preoccupazione.
Camilla si irrigidì paurosamente, iniziando a torturarsi nervosamente una ciocca di capelli. Era così evidente? “Bè, la tua sensazione è sbagliata!” Sbottò, con voce esageratamene stridula, che fece sghignazzare il giovane. “Ho capito, devo farmi gli affari miei.”
La rossa ruotò gli occhi. “Vedo che hai capito. Piuttosto, sei strano oggi,” aggiunse, scrutandolo attentamente. “Qualche problema?”
A quelle parole, Diego si fermò di botto e dato che le circondava ancora le spalle, anche lei fu costretta a fermarsi e a guardarlo, accigliata. Inizialmente lui rimase serio, poi scoppiò a ridere, lasciandola basita, ma anche sorpresa. Le piaceva la risata del ragazzo, in qualche modo l'affascinava. Era così imbambolata a fissarlo, che solo dopo una manciata di secondi, capì che stesse ridendo di lei e per questo gli diede uno spintone che per poco non lo fece ruzzolare al suolo. “Smettila di ridere di me!” Sbottò, fumante di rabbia, mentre lui chissà come, riuscì a mantenere l'equilibrio, continuando però a sorridere. “Tu sei stramba e anche parecchio nevrotica, non c'è che dire,” commentò, innervosendola ancora di più. “Ti detesto, sei così odioso e...smettila di ridere,” aggiunse, notando che si fosse piegato in due dalle risate. Diego ritornò in posizione composta, ma un accenno di sorriso gli piegava ancora le labbra. “Hai una bella faccia tosta. Io non posso farti domande, ma tu si? Fortuna che almeno mi fai sbellicare, te lo hanno mai detto che sei comica?”
Camilla lo fulminò con lo sguardo, poi fece ondeggiare la testa, sbattendogli in faccia i lunghi boccoli ramati a mo di frusta. “Questo è per quando mi hai alitato in faccia e per aver riso di me, addio!” Se ne andò via più furiosa che mai, sotto lo sguardo divertito del moro. La Torres aveva carattere, gli teneva testa come mai nessuna aveva fatto e la cosa lo aveva stregato. Quasi bramava di poter litigare di nuovo con lei, era così divertente, così appagante. Sgranò gli occhi, sconvolto dai suoi stessi pensieri. Ma che andava pensando? Si era forse bevuto il cervello? Profondamente turbato, scosse la testa, avviandosi a sua volta verso casa. Quella passeggiata, anziché aiutarlo a fare chiarezza, gli aveva fatto nascere ancora più dubbi e non andava bene per niente.







“Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro.”
Ludmilla era nell'aula di danza in compagnia di Andrea e stavano provando una nuova coreografia da proporre a Gregorio o a Jackie, ovviamente la bionda ordinava e l'altra eseguiva.
“Non ci siamo Andrea, non ci siamo.” Dopodiché, ripeté la coreografia e poi la guardò. “Così si fa, vedi?”
Andrea ruotò gli occhi, ma alla fine si limitò a ripetere la coreografia per l'ennesima volta, nonostante fosse stanca morta.
Ludmilla stava nuovamente per criticarla, quando sul ciglio della porta comparve Luca. La sua espressione era impenetrabile, era impossibile dire quale fosse il suo umore. Visto però ciò che era successo con Francesca e Federico, era facile immaginarlo. Appena la bionda si rese conto della sua presenza e del suo sguardo fisso su di lei, si affrettò a spegnere lo stereo.
“Ok, basta. Per oggi va bene.”
Andrea tirò un sospiro di sollievo. “Continuiamo domani, allora?”
“Si, ora vattene,” ribatté la Ferro, osservando il proprio riflesso attraverso il grande specchio che ricopriva una parete dell'aula, per poi raccogliere la lunga criniera dorata in una coda alta.
Luca si fece da parte, consentendo alla mora di uscire e poi chiuse la porta.
Ludmilla seguì i suoi movimenti attraverso lo specchio e sorrise. “Luca, tesoro, come stai? Federico ha avuto persino il coraggio di ribattere, che razza di amico è?”
Lui scrollò le spalle, raggiungendola di fronte allo specchio. “Da quanto tempo lo sai? Da quanto sai di mia sorella e di quel traditore?” Le chiese, scrutandola attentamente.
La ragazza però era un'ottima attrice e non ci mise molto ad assumere un'espressione di finto dispiacere. “Oh Luca, appena l'ho scoperto, sono corsa a dirtelo. Non credevo che delle persone come loro potessero farti una cosa così orribile.” Dopodiché lo abbracciò, nascondendo un sorriso crudele contro il suo petto. “Immagino il tuo dolore, ma non potevo tacere, meritavi di saperlo.”
Lui annuì, ricambiando goffamente l'abbraccio, per poi sedersi su uno dei pouf al centro della sala, probabilmente lasciati lì da Gregorio per una delle sue coreografie.
Ludmilla gli si sedette accanto, poggiandogli una mano sul braccio.”A cosa pensi?” Il ragazzo infatti, era caduto in una sorta di mutismo, lo sguardo fisso sulle sue scarpe. “Luca,” ripeté la bionda. “Non vale la pena stare male per loro, non se lo meritano.”
Luca non rispose. La sua mente non faceva altro che rimandargli la lite con Federico e poi quella con Francesca nell'ufficio di Antonio. Quando Ludmilla glielo aveva detto, aveva pensato che fosse un'assurdità, sua sorella non si sarebbe mai prestata ad oggetto per il suo migliore amico, eppure negli occhi di Federico aveva letto tutto ancora prima che parlasse. Lui e sua sorella avevano una tresca alle sue spalle, arrivando addirittura a definirla amore. Lo avevano preso in giro, gli avevano mentito, loro... le persone di cui si fidava di più. Si sentiva così ferito, umiliato, solo. Tutti avevano giudicato la sua reazione eccessiva, tutti si erano schierati con Federico e Francesca, tutti tranne Ludmilla. Sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi scuri. “Sei l'unica che la pensa così.”
La ragazza sollevò la mano, poggiandola sulla sua guancia. “Evidentemente non hanno mai capito niente di te,” sussurrò dolcemente. “Lo sanno anche i muri che sei un bravo ragazzo e chi si definisce tuo amico, avrebbe dovuto difenderti e non attaccarti.”
Luca poggiò la mano sulla sua, ancora sulla sua guancia. “Non credevo pensassi queste cose di me.”
Ludmilla sorrise. “Non me lo hai mai chiesto, ti sei fatto condizionare dai pregiudizi su di me e non mi hai mai permesso di farmi conoscere.”
“Hai ragione,” ammise lui, intrecciando l'altra mano con la sua. “Avrei dovuto darti una possibilità, avrei dovuto verificare io stesso, anziché lasciarmi condizionare dagli altri.”
“Ora non ha importanza, ci stiamo conoscendo adesso, no?”
Luca sorrise, avvicinando il volto al suo. “Sei l'unica che mi capisce.”
Si sorrisero, poi prima che lei potesse ribattere, il ragazzo poggiò le labbra sulle sue. Ludmilla sgranò gli occhi, sorpresa. Non si aspettava proprio quel bacio, ma ciò non significava che le dispiacesse e infatti iniziò a ricambiare con sempre maggior trasporto. Mai prima di quel momento, avrebbe pensato che lei e Luca si sarebbero baciati, si era avvicinata a lui con il solo obiettivo di metterlo contro i suoi amici e invece erano arrivati a tanto. Ciò cambiava qualcosa? No, non faceva altro che rendere il suo piano ancora più semplice. Quel bacio non significava nulla se non un modo per manipolare ancora di più Luca, ne era sicura, o almeno così credeva.











Pablo lasciò l'ufficio di Antonio, privo di qualsiasi forza. Per più di due ore, insieme al preside, aveva discusso con Luca, Federico e Francesca e tentato di mettere pace tra di loro e ora aveva un'emicrania spaventosa. Non desiderava altro che raggiungere casa sua e gettarsi sul letto, per poi restarci per giorni. Poteva una singola persona essere tanto stressata? Forse avrebbe dovuto prendersi una vacanza, era da tempo che non lo faceva. Proprio mentre pensava a ciò, vide un uomo passeggiare nel cortile dello Studio, un uomo che credeva di conoscere, anche se i ricordi di lui sembravano sbiaditi, tanto erano remoti. Facendosi coraggio, lo raggiunse ad ampie falcate. Via il dente e via il dolore, diceva un vecchio detto. “Salve,” mormorò Pablo, fermandosi a pochi metri dal misterioso individuo, che sollevò lo sguardo, mostrando due piccoli occhi neri e un sorriso arrogante. A occhio e croce, doveva aver avuto circa una sessantina d'anni. I suoi capelli erano bianchi con striate di grigio e aveva due grossi baffi del medesimo colore. Era vestito molto elegantemente e di tanto in tanto, si portava alle labbra un puzzolente sigaro. Erano passati tanti anni dall'ultima volta che si erano trovati uno di fronte all'altro, allora Pablo era solo un ragazzino che sognava di diventare un artista, mentre ora era un uomo realizzato e soddisfatto. Tutto ciò che riguardava quell'uomo, sembrava appartenere a un'altra vita, eppure lui era lì davanti ai suoi occhi come se il tempo non fosse mai passato.
“Pablo Galindo,” scandì il vecchio, iniziando a girargli intorno e analizzandolo con interesse. “è passato tanto tempo.”
Il direttore annuì, incrociando le braccia al petto. “Posso chiederle che ci fa qui?”
Il sorriso dell'altro si accentuò. “Sono qui per vedere mia figlia, ovviamente. Perché non mi accompagni da lei?”
Pablo ruotò gli occhi, poi però gli fece gesto di seguirlo fino in sala professori. “Può aspettarla qui, tra dieci minuti la lezione di danza sarà finita.”
Fece poi per andarsene, ma la voce dell'uomo lo bloccò. “Non ti fermi a scambiare due chiacchiere con un vecchio amico?”
Galindo lo fissò, con un sopracciglio inarcato. “Mi perdoni signor Fernandez, ma lei era amico di mio padre, non mio.”
Joaquin non si scompose, al contrario sembrava soddisfatto di quella risposta così diretta. Scostò una sedia da sotto il tavolo e si sedette, per poi tornare a guardarlo. “Io non ti sono mai andato a genio, non è così? Se non sbaglio, tu e tua madre mi avete sempre visto come un'influenza negativa.”
Pablo prese un profondo respiro, poi si affrettò a chiudere la porta. Conosceva Joaquin Fernandez da una vita e sapeva che non dicesse mai nulla per caso, così come sapeva che non fosse il tipo che si scomponesse per una semplice visita di cortesia. “Ha ragione,” convenne, sedendosi di fronte a lui. “è colpa sua, se mio padre ha iniziato a frequentare luoghi squallidi come quella locanda in quel paese sperduto, mi pare si chiami J.D.F. e che sia anche una sua proprietà, no?”
Joaquin ghignò. “In effetti è l'eredità che mi ha lasciato la mia famiglia, un'eredità misera.”
“Soprattutto se confrontata con quella che ha ottenuto sposando la sorella di Antonio,” concluse Pablo, con un sorriso di scherno. “Ha sempre avuto una certa passione per... come dire... apparire. Questa sua mania, ha portato quasi mio padre sul lastrico. Quanti soldi le ha prestato e non glieli ha mai restituiti?”
Il vecchio congiunse le mani, poggiandovi poi sopra il mento e guardandolo con improvviso astio. “Quindi hai pensato bene di farmela pagare, non è così? Quale modo migliore, se non usare mia figlia?”
Pablo si accigliò. “Non capisco di che parla. Cosa c'entra Jackie adesso?”
“Avevo investito tutto su di lei e sul suo grande talento come ballerina e tu hai pensato bene di rovinare i miei piani. Ammetto che ti avevo sottovalutato, Pablo Galindo, per poco non hai mandato tutto a monte,” aggiunse, divertito.
Galindo non ci stava capendo più nulla. Si riferiva alla sua storia adolescenziale con Jackie? E perché mentre gli parlava, cambiava continuamente umore? Era quasi più inquietante di Gregorio e non era di certo una cosa di cui vantarsi. “Parli chiaro, di cosa mi sta accusando?”
Un lampo di finta sorpresa attraversò lo sguardo di Joaquin. “Non dirmi che non sapessi che quando mia figlia ti ha lasciato era incinta. Davvero non te lo ha detto? Oh povero, solo tu non lo sapevi,” aggiunse con un tono crudele e allo stesso tempo derisorio.
Pablo nel frattempo, era caduto in una sorta di trans. Quelle parole si ripetevano più e più volte nella sua mente, ma ancora non era riuscito a darci un senso, o forse non voleva.
“Esattamente otto mesi dopo, sei diventato padre di un bel bambino,” proseguì Joaquin, con un sorrisetto. “Ora ha diciotto anni e lo vedi tutti i giorni allo Studio. Non vuoi sapere chi è?”
Pablo aveva ormai gli occhi sgranati e la mano sul cuore, che batteva a un ritmo assurdo, incontrollabile. Quelle parole, quel sorriso, la stessa presenza del padre di Jackie...gli sembrava tutto così assurdo. Non poteva essere vero, non poteva. Joaquin lo odiava e stava solo cercando di ferirlo, non c'era altra spiegazione.
Prima che uno dei due potesse dire qualsiasi cosa, la porta si aprì per mano di Jackie, che ora li fissava, impietrita.
“Ah tesoro,” la salutò Joaquin, sorridendo. “Stavamo proprio parlando di te e del vostro bambino.”
La donna lo guardò come se avesse visto un fantasma e sembrava sul serio sul punto di svenire. Era paralizzata sul posto, senza riuscire ad emettere alcun suono. Difficile dire chi stesse peggio tra lei e Pablo. L'uomo infatti, era ancora nella medesima posizione e sembrava quasi non si fosse accorto dell'arrivo di Jackie.
Tutto ciò, ovviamente, divertiva Fernandez, che non faceva altro che spostare lo sguardo dall'uno all'altra. “Perché siete così sconvolti? In fondo, sto solo dicendo la verità.” A quel punto, scoppiò a ridere e ciò sembrò risvegliare Pablo, che senza degnarlo di uno sguardo, si alzò e si diresse verso Jackie. La sua espressione era seria, impenetrabile. “è vero quello che dice?”
La bionda fissò lui e poi Joaquin, che continuava a ghignare e infine abbassò lo sguardo.
“Rispondimi, dannazione! È vero, o no?” Esplose Galindo, scuotendola per le spalle. “Dimmi che è uno scherzo, ti prego,” aggiunse, lasciando trapelare una traccia di disperazione.
Jackie deglutì, poi sussurrò: “Non volevo ferirti.”
Quelle parole, quegli occhi lucidi e veritieri...una confessione, era una confessione. Pablo era sicuro che se gli avessero dato una coltellata o lo avessero investito, avrebbe sentito meno dolore. Da diciotto anni era padre senza saperlo, da diciotto anni suo figlio respirava e magari si chiedeva dove fosse suo padre, da diciotto anni vivevano con le conseguenze di quella bugia. Quante volte si era chiesto perché Jackie avesse preferito la carriera alla loro storia, quante volte aveva sperato di vederla tornare. Lei nel frattempo era incinta di suo figlio e non glielo aveva mai detto, quel figlio che Joaquin diceva essere allo Studio. Eppure era sicuro di non aver mai visto uno dei suoi ragazzi particolarmente legato a Jackie.
“Perché non me lo hai detto?” Singhiozzò. Ormai non si sforzava più di nascondere la sua vulnerabilità, ormai la lucidità lo aveva abbandonato. “Cosa ne hai fatto di lui? Chi è? Sa di avere un padre che non sapeva nemmeno della sua esistenza?”
Jackie fece per dire qualcosa, ma Joaquin l'anticipò. “Questa è la parte migliore, caro Pablo. Devi sapere che...”
“STAI ZITTO!” Urlò la donna, lasciandolo basito. “Hai già detto abbastanza, ora tocca a me. Vattene!” Aggiunse, aprendo la porta.
Fernandez si alzò e si avvicinò alla porta, ma poi si voltò nuovamente, ostentando il solito ghigno. “A proposito, dovreste tenere d'occhi vostro figlio. Ha seguito il mio detective privato fino al J.D.F. è un ragazzo parecchio determinato, non c'è che dire.”
“Vattene,” ripeté Jackie, apparentemente rimasta impassibile a quelle parole.
Lui rise, guardando Pablo, che invece aveva lo sguardo fisso sulla bionda. “Bene,” disse Joaquin alla fine. “è stato un piacere.”
Solo dopo avergli sbattuto la porta alle spalle, la donna tornò a guardare il suo interlocutore. “è vero,” confermò. “Ero incinta. Ho partorito in Spagna.”
L'uomo annuì, strofinandosi nervosamente il volto. “E poi? Lo hai cresciuto da sola?”
Jackie scosse la testa, avvicinandosi alla finestra e affacciandosi oltre di essa. “Per anni ho pensato che mio padre lo avesse dato in adozione e invece...” La sua voce andò scemando e tra di loro calò il silenzio, ma Pablo non lo poteva sopportare.
La raggiunse, afferrandola per il polso e costringendola a voltarsi verso di lui. “E invece? Che cos'è successo a mio figlio? DIMMELO!”
“Lo ha...lo ha venduto a...a una famiglia in Spagna...l'ho scoperto pochi giorni fa,” ammise lei, tra un singhiozzo e l'altro.
Quello che fino a poco prima Pablo pensava fosse il peggiore dei dolori, in quel momento si triplicò e se non avesse mantenuto almeno un po' della sua sanità mentale, era sicuro che l'avrebbe schiaffeggiata. “Venduto? NO!NO! NO! CHE DIAVOLO HAI FATTO IN QUESTI ANNI, ANZICHè CERCARE NOSTRO FIGLIO? TE NE SEI FREGATA! LO HAI LASCIATO CON QUELLE BESTIE! CHE RAZZA DI MADRE SEI?” Urlò, fuori di se. Tutta la rabbia e la frustrazione che erano cresciute in lui da quando aveva visto Joaquin nel cortile, erano esplose come una bomba letale e non riusciva più a gestirle. “HAI PERMESSO A QUEL BASTARDO DI TUO PADRE DI FARE UNA COSA COSì ORRIBILE A MIO FIGLIO E NEMMENO TI SEI PRESA LA BRIGA DI INFORMARMI DELLA SUA ESISTENZA! MA COME FAI A GUARDARTI ALLO SPECCHIO? COME HAI FATTO A COMPORTARTI CON ME COME SE NULLA FOSSE PER TUTTO QUESTO TEMPO? COME?” Scosse le spalle di Jackie con violenza e lei non protestò, sembrava quasi una bambola rotta.
“Mi dispiace,” sussurrò, ormai in lacrime. “Mi sono sempre lasciata sottomettere da lui, sono una codarda.”
Fece per abbracciarlo, ma Pablo la scansò. “Non toccarmi! Dimmi chi è, dimmi chi è mio figlio. Dimmelo, Jackie!”
Lei tirò su col naso, poi sospirò. Sapeva che era ora di dire la verità, non poteva più mentire.
“Dimmi il suo nome,” ripeté l'uomo duramente e finalmente la donna lo guardò negli occhi.
“Non avevo idea che fosse lui, l'ho scoperto da poco. Ho notato la somiglianza con te e poi la data di nascita coincide e... è stato lui a trovare me e... è venuto a Buenos Aires proprio per cercarci, aveva pochi indizi ed è arrivato a me solo perché il mio cognome combacia con quello di mio padre, che appunto aveva stipulato quell'atto di vendita, che lui ha trovato a casa dei genitori adottivi,” spiegò Jackie, ma Pablo sembrava quasi non ascoltarla, la rabbia dentro di lui stava crescendo di nuovo. “E QUANDO AVEVI INTENZIONE DI DIRMELO, EH? MERITAVO ANCH'IO DI CONOSCERLO, DI SPIEGARGLI PERCHè NON CI SONO STATO NELLA SUA VITA!”
“Pablo...io...”
“STAI ZITTA!” La interruppe, colpendo il muro con un violento pugno e facendola sussultare. “NON LE VOGLIO SENTIRE LE TUE PATETICHE SCUSE! L'UNICA COSA CHE VOGLIO, è CHE MI DICI IL NOME DI MIO FIGLIO! MI INTERESSA SOLO DI LUI!” Pablo la prese per il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. “Dimmi il nome di mio figlio,” sibilò rabbiosamente.
Jackie si lasciò sfuggire un singhiozzo, poi finalmente sussurrò: “Diego...è Diego.”
L'uomo la lasciò e le voltò le spalle, sconvolto. Le mani gli tremavano, la testa gli pulsava, il cuore gli batteva così forte da fargli male, ogni cellula del suo corpo sembrava spingerlo a piangere e a urlare più forte che poteva.
“Pablo.” Jackie gli poggiò una mano sul braccio e quel semplice tocco, lo mandò in bestia.
“TI HO DETTO CHE NON DEVI TOCCARMI!” Urlò, facendola indietreggiare, spaventata. “Tuo padre è una bestia, ma tu che non hai fatto niente, sei anche peggio. Stai lontana da me e da mio figlio, chiaro?”
“Pablo.” Lei provò a fermarlo, ma lui aveva già spalancato la porta ed era corso via. Fece per seguirlo, ritrovandosi però di fronte una disgustata Angie. Da dove era saltata fuori?
“Sapevo che fossi una persona subdola,” iniziò la Saramego, scrutandola con disprezzo. “Ma non credevo potessi spingerti a tanto.” Dopodiché la colpì con un violento ceffone, il cui rumore risuonò nelle loro orecchie come un eco. “Non ti permetterò di ferirlo ancora,” mormorò, prima di intraprendere la stessa direzione presa precedentemente da Galindo.
Jackie non poté fare altro che lasciarsi andare a un pianto disperato, toccandosi la guancia colpita. Proprio in quel momento, passò Beto e vedendola in quello stato, si avvicinò. “Jackie, perché piangi?” Le chiese, preoccupato.
Lei non rispose, si limitò a gettarsi tra le sue braccia, continuando a piangere e lui pazientemente la consolò. Aveva una cotta per Jackie sin dalla prima volta che l'aveva vista e non poteva sopportare di vederla piangere. “Va tutto bene, Jackie,” sussurrò, accarezzandole dolcemente il capo.







Eccomi qui!! Si era parlato tanto del padre di Diego e ora “grazie” al caro Fernandez, ha un nome, ossia quello di PABLO! Ebbene si, Diego è il figlio di Jackie e Pablo. Lui poverino, è sotto shock e anche parecchio furioso e chi può dargli torto? Ora lo sa persino Angie, resta solo da informare il ragazzo. Nel frattempo, Diego e Camilla si rincontrano e anche se volano scintille, entrambi iniziano a rendersi conto di provare qualcosa l'uno per l'altro. E poi Ludmilla e Luca si baciano! È scioccante, lo so e per questo mi sono divertita ancora di più a scriverlo XD
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e di non aver fatto nessun errore, ho riletto diverse volte, ma avevo la tv accesa, perciò nel caso mi sia sfuggito qualcosa mi scuso ;)
Prima di salutarvi vi ringrazio per le bellissime recensioni che mi lasciate, grazie!! :3
Trilly <3

 

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Capitolo 30
*** Gesti d'amore ***





Il percorso fino a casa Galindo, ad Angie sembrò infinito. Tra il traffico e le persone che attraversavano, infatti, non era nemmeno a metà strada. Sbuffò, stizzita, suonando il clacson per l'ennesima volta. Pablo aveva al massimo cinque minuti di vantaggio su di lei, che si era fermata un attimo a schiaffeggiare Jackie, cosa che desiderava fare da tempo tra l'altro, ora però quel maledetto vantaggio si era triplicato e sperava con tutta se stessa che l'uomo fosse davvero andato a casa sua. Ancora non riusciva a credere che Pablo fosse il padre di Diego e che Jackie glielo avesse tenuto nascosto per tanto tempo. Aveva capito che ci fosse qualcosa che non andasse, così aveva seguito Galindo e quello che supponeva essere il padre della donna, fino in sala professori. Poco dopo, era arrivata Jackie e per questo si era nascosta per poi tornare ad origliare. Mai avrebbe pensato che si sarebbe trovata ad ascoltare una conversazione simile e che potesse provare una rabbia così grande. Dalle urla di Pablo aveva capito che fosse ferito, deluso, smarrito e lei stessa si era ritrovata a provare le medesime emozioni. Povero il suo Pablo, sempre così buono e altruista, non se lo meritava. Doveva stargli vicino, sapeva che ne avesse bisogno lui e anche lei, loro due avevano sempre riso e sofferto insieme dopotutto ed era ora che fosse lei a
curare le sue ferite.
Parcheggiò la macchina sotto casa dell'uomo, poi si fiondò nel palazzo, facendo le scale quasi di corsa. La porta su cui era incisa la targhetta “Galindo”, era socchiusa e quando Angie la spinse, si trovò di fronte uno spettacolo che aveva dell'incredibile. La giacca e il marsupio di Pablo erano gettati alla rinfusa sul pavimento, lo stesso valeva per le chiavi e per il vaso degli ombrelli. Scansando quegli oggetti, raggiunse il salotto e lì la situazione era, se possibile, ancora peggio. Il tavolino di cristallo era stato rivoltato e i piccoli oggetti che prima erano posti su di esso, erano ora dovunque sul pavimento. Cercò Pablo con lo sguardo e lo trovò di spalle, accanto alla finestra. Era rigido come un palo, tranne che per le mani, che tremavano a un ritmo incontrollato.
“Pablo,” sussurrò, ma lui non si mosse di un centimetro. Quasi di punto in bianco poi, iniziò a camminare avanti e indietro per il salotto, gettando al contempo a terra ogni cosa in cui si imbattesse. Sedie, vasi, soprammobili, finirono sul pavimento, provocando un gran frastuono. Quando arrivò addirittura a tentare di sollevare la televisione, Angie glielo impedì, frapponendosi tra lui e l'elettrodomestico. “Pablo,” ripeté, prendendolo per le spalle e guardandolo negli occhi. Questi ultimi però, erano spenti, vuoti, irriconoscibili. Ormai non era più arrabbiato come poco prima con Jackie, al contrario appariva disperato e perduto come mai lo aveva visto prima. “Pablo.”
Lui si liberò della sua stretta, riprendendo l'opera di demolizione del salotto, come se lei non lo avesse proprio interrotto. Prese il vaso di cristallo dal mobile e lo lanciò contro il muro, i pezzi di vetro rimbalzarono dovunque. Angie non sapeva proprio che fare, mai Pablo aveva perso il controllo in quella maniera e poi doveva ammettere, che in fondo lui avesse bisogno di sfogarsi dopo quello che era successo e sarebbe stato egoista da parte sua fermarlo. Aveva appena scoperto di avere un figlio, che non aveva avuto una vita facile e che era venuto a Buenos Aires per cercarlo, tra l'altro la madre in questione sapeva tutto e aveva taciuto. Chi non avrebbe perso la testa al suo posto?
Lasciò così che Pablo rendesse il salotto una miniera, rifugiandosi in un angolo per evitare di essere colpita, poi quando finalmente lo vide fermarsi al centro della stanza, lo raggiunse. L'uomo ora si teneva la testa tra le mani e tremava. Angie avrebbe voluto abbracciarlo, ma non sapeva se lui lo avesse voluto. E se l'avesse respinta? E se non avesse voluto aprirsi con lei?
Ad interrompere i suoi sproloqui mentali, ci pensò un forte ed improvviso singhiozzo, che sfuggì dalle labbra di Pablo. Con stupore lo vide cadere sulle ginocchia e lasciarsi andare a un pianto disperato. Senza pensarci troppo, si inginocchiò di fronte a lui e lo abbracciò. Lo sentì aggrapparsi a lei come se ne dipendesse la sua vita, mentre il suo pianto veniva accompagnato da forti singhiozzi e quasi senza rendersene conto, Angie iniziò a piangere a sua volta.
Restarono così abbracciati per quelle che parvero ore, finché il loro pianto andò a poco a poco scemando. Solo allora Pablo iniziò a parlare, ma lo fece in maniera confusa e incomprensibile. “Diego...mio figlio...venduto...ha sofferto e...io non lo sapevo,” singhiozzò, con voce tremante.
Angie continuò a stringerlo a se, accarezzandogli i capelli. “Va tutto bene Pablo, va tutto bene,” gli sussurrò dolcemente.
Di tutta risposta, lui singhiozzò ancora e ancora, balbettando qualcosa che suonava come 'solo e abbandonato', probabilmente riferito a Diego. Ancora una volta l'uomo stava anteponendo gli altri a se, stava male per quello che aveva dovuto passare il figlio, senza considerare nemmeno per un attimo quello che invece stesse provando lui.
“Probabilmente pensa che non mi importa nulla di lui... chissà come ha sofferto e come soffre tutt'ora,” continuò, con voce rotta.
Angie sciolse l'abbraccio, prendendogli il volto tra le mani. “Non è colpa tua, non potevi immaginarlo. Pablo ascoltami,” aggiunse, facendo si che lui la guardasse negli occhi.
“Angie,” sussurrò lui, sorpreso. Sembrava che solo in quel momento si fosse accorto della sua presenza e infatti proseguì. “Cosa ci fai qui?” Ora non piangeva più e a poco a poco, stava rivedendo, nei suoi occhi rossi e gonfi, il vecchio Pablo.
“Ecco io... Pablo, io so tutto. Ho sentito le tue urla e... ti ho seguito.”
Pablo la fissò per alcuni istanti, ma alla fine non si arrabbiò, limitandosi ad annuire. “Non oso pensare a quello che Diego ha dovuto passare e poi Jackie e Fernandez... perché Angie, perché?”
“Non lo so,” sussurrò lei, continuando ad accarezzargli il volto. “è tutto così assurdo e...”
Di punto in bianco l'uomo riprese a piangere, lasciandosi andare tra le braccia di Angie. In quel momento non gli importava che lei lo vedesse in quello stato, aveva un disperato bisogno di aggrapparsi a qualcuno e lei restava comunque la persona che lo conoscesse meglio di chiunque altro, l'unica che voleva al suo fianco. “è per questo che non sta venendo più allo Studio... lui pensa che tutti siano coinvolti nei giochi sporchi di Joaquin e... Oh Dio, se ha lasciato la città o...” aggiunse, terrorizzato al solo pensiero. Fece per alzarsi, dopotutto era parecchio che erano inginocchiati lì terra e gli era venuto di nuovo il bisogno di sfogarsi. Leggendoglielo negli occhi, Angie lo fermò, bloccandogli i polsi. “Abita a casa di Marco,” sussurrò, lasciandolo a bocca aperta. “Lui e Leon sono molto amici, perciò sono sicura che Violetta potrà dirmi dove puoi trovarlo, nel caso non lo trovassi a casa.”
Pablo però, scosse la testa. “Non voglio coinvolgerti Angie, solo perché hai assistito a tutto questo, non devi sentirti in dovere di aiutarmi e...”
“Ma io non mi sento in dovere di aiutarti,” lo interruppe la bionda, sorridendo. “Io voglio farlo, ho bisogno di starti accanto. Non lo dico perché tu ci sei sempre stato per me, ma perché è più forte di me... non riesco a starti lontana,” aggiunse con un filo di voce, lasciando Pablo troppo sconvolto per dire qualsiasi cosa. Il mondo si stava capovolgendo? Stava sognando? Prima che potesse rendersene conto, la Saramego accorciò le distanze tra di loro, tanto che ormai l'unica cosa che vedeva erano i suoi grandi occhi verdi. “Angie...” Lei però lo zittì, poggiando le labbra sulle sue. Fu un semplice bacio a stampo, eppure i loro cuori sembravano scoppiare e un brivido li aveva percorsi da capo a piedi.
“Devo andare,” sussurrò Angie, interrompendo quella magia e scattando in piedi. Velocemente raggiunse il corridoio, ma arrivata a metà di esso, la presa di Pablo intorno al suo polso, la costrinse a voltarsi. Nei suoi occhi lampeggiava la confusione assoluta. “Perché lo hai fatto?”
Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Volevo farlo e...scusa.”
Ancora una volta tentò di andarsene e ancora una volta, lui glielo impedì. “Non te ne vai, finché non mi avrai dato una spiegazione. Cosa significa quel bacio, pena o ripicca?” Mormorò, spingendola spalle al muro, così che non potesse fuggire. “Me lo hai dato perché provi pena per me dopo quello che ho scoperto, o perché German ti ha ferita e vuoi fargliela pagare?” Sincero e diretto come al solito e ciò convinse ancora di più Angie che lui fosse quello giusto, colui che lottava con le unghie e con i denti e che non aveva paura di nulla. Pablo era un vero uomo. Sollevò lo sguardo, specchiandosi nei suoi occhi neri. “Nessuna delle due. Non potrei mai provare pena per te e per quanto riguarda German, in passato ho sbagliato e sarei un idiota se commettessi lo stesso errore.”
“E allora perché? Perché Angie?”
Lei sorrise alla sua espressione confusa. “Davvero non l'hai capito? Mi deludi, Pablo Galindo.”
Si fissarono per lunghi istanti, lei con un grande sorriso stampato in faccia, lui incredulo, stupefatto. Un'idea frullava nella sua mente, ma gli sembrava così assurda, troppo bella per essere vera.
“Voglio aiutarti a recuperare il rapporto con Diego e... voglio stare con te,” sussurrò Angie, con gli occhi lucidi e con un timido sorriso.
L'uomo sgranò gli occhi, sicuro di aver capito male. Angie voleva davvero stare con lui? E German? Lo aveva dimenticato? Quegli occhi verdi che tanto amava, sembravano così sinceri, così... Angie non lo aveva mai guardato in quel modo, di solito quel tipo di sguardo era rivolto a German. Stava sognando o...? Al diavolo tutto. Prese il volto di Angie tra le mani e la baciò. Fu un bacio lento, quasi avessero paura di svegliarsi e rendersi conto che non fosse reale, poi però a poco a poco, si fece sempre più appassionato, tanto che si ritrovarono schiacciati al muro e avvinghiati come due ventose. Fu la cosa più naturale del mondo per Angie schiudere le labbra e consentire alla lingua di Pablo di intrecciarsi con la sua. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentiva di essere nel posto giusto con la persona giusta e non poteva essere più felice e convinta delle proprie scelte.







Din don. Din don. Din don. Francesca si dondolava sempre più forte sull'altalena del parco, mentre il piccolo campanellino che aveva legato al polso con un nastro rosso, diffondeva il suo dolce suono. Ricordava ancora quando suo fratello Luca le aveva regalato quel piccolo oggetto per il suo compleanno. Allora lei aveva solo quattro di anni e Luca, ancora ragazzino, aveva pensato di regalarle quel campanellino trovato per strada, mentre giocava a pallone con gli altri bambini. Era stato il regalo più bello per la giovane e da quel giorno, lo aveva portato con se dovunque andasse. Lei e Luca erano sempre stati molto legati, tra di loro nonostante i litigi, non c'erano mai stati segreti, questo finché non aveva deciso di fare a Federico quell'assurda proposta. Thomas era partito da alcuni giorni e lei stava sempre peggio. Federico le era stato accanto, ascoltandola e asciugandole le lacrime. L'aveva portata in giro, l'aveva fatta distrarre e poi nemmeno lei sapeva come, nella sua mente si fosse formata quell'idea per combattere il suo dolore. A mente lucida, riconosceva che fosse stata una follia e la stessa reazione di Federico a quella proposta ne era stata la conferma, ma allora era disperata, vulnerabile e per niente lucida. Quasi come un gioco, avevano iniziato ad andare a letto insieme ogni volta che l'assenza di Thomas la tormentasse e con il tempo, era iniziato ad accadere sempre più spesso. L'improvviso allontanamento di Federico, l'aveva destabilizzata e si era ritrovata a sentirsi sola e abbandonata. Quando poi lo aveva visto avvicinarsi a Lena, si era resa conto di quanto la cosa le desse fastidio. Thomas sembrava ormai un ricordo lontano, il suo chiodo fisso era Federico. Non sapeva dire da quanto tempo lo amasse, sapeva solo che quando lo aveva capito, era subito corsa a casa sua ad affrontarlo. Ricordava ancora ogni singola cosa che si fossero detti e poi i sorrisi, gli abbracci e i baci e ciò la fece inevitabilmente sorridere, emozionata. Tuttavia, il suo pensiero andava anche a Luca, che aveva tenuto all'oscuro di tutto per timore di una sua reazione e che ora che lo aveva scoperto, la odiava. Aveva letto la delusione nei suoi occhi e poi la crudeltà delle sue parole e tutto il resto. Alcune lacrime iniziarono a scorrerle lungo il volto. Le cose non sarebbero dovute andare in quel modo, Luca avrebbe dovuto saperlo da loro, non tramite la soffiata di qualcuno.
“Francesca.”
Una mano si posò sulla sua spalla e lei chiuse gli occhi, continuando a piangere silenziosamente. Federico si sedette sull'altalena accanto alla sua e fece intrecciare le loro mani, senza aggiungere altro. Ancora una volta le stava dando il suo sostegno, ancora una volta lui era lì quando ne aveva bisogno.
Iniziarono a dondolarsi lentamente, continuando a tenersi per mano, mentre il suono del campanellino risuonava nelle loro orecchie. Era tutto così magico, rilassante, sembrava che non ci fossero più problemi né lacrime da versare e per alcuni folli istanti, Francesca si concesse un sorriso, per poi tornare nuovamente a spegnersi.
“Sei riuscito a parlare con Luca?” Sussurrò, mettendo fine a quel dolce e magico silenzio e tornando così con i piedi per terra.
“Non risponde al telefono,” disse Federico, con voce inclinata, quasi sofferta.
La mora si voltò a guardarlo e solo allora, si rese conto delle conseguenze della sua rissa con Luca. Il suo naso era ancora notevolmente arrossato e medicato e sotto al suo occhio destro, il livido era ancora violaceo. C'era poi qualche graffio qua e là e probabilmente qualche livido sul suo corpo, visto che a ogni piccolo movimento, sul suo volto si formasse una smorfia di dolore. Nonostante tutto, continuava a rivolgerle quel dolce e rassicurante sorriso e lei si sentì inevitabilmente in colpa. “è colpa mia. Se non ti avessi fatto quella proposta, Luca non se la sarebbe presa con te.”
Lui scosse la testa, poggiandole un dito sulle labbra. “Avrei potuto dirti di no e non l'ho fatto.”
“Si, ma...”
“Fran,” la interruppe, guardandola intensamente. “Io non sono pentito di aver accettato quella proposta e sai perché? Perché mi ha permesso di raggiungere il tuo cuore e se potessi tornare indietro, ti direi ancora si.”
Commossa da quelle dolci parole, Francesca scese dall'altalena e si gettò tra le sue braccia. “Scusami,” disse poi, quando lui si lasciò sfuggire un verso di dolore. Fece per allontanarsi, venendo immediatamente fermata. “Non ho detto che non voglio un tuo abbraccio,” sussurrò l'italiano, con voce roca al suo orecchio. La fece poi sedere sulle sue gambe e mentre con il braccio sinistro le circondava la vita, quello destro era piegato così da poterle accarezzare i capelli.
La ragazza chiuse gli occhi e posò il capo contro il suo petto, godendosi quelle dolci attenzioni. Le dita di Federico nel frattempo, scorrevano lungo il suo collo per poi risalire, provocandole un brivido di piacere. Mai si era sentita così bene e al sicuro tra le braccia di qualcuno, lui era in grado di farle dimenticare tutto e farla sentire leggera e in pace come se si trattasse di un sogno. Forse era quello l'effetto dell'amore, forse quello che aveva provato per Thomas era solo un illusione, lui non le aveva mai fatto provare quelle sensazioni.
“Fede,” mormorò, sorridendo con gli occhi chiusi. Di tutta risposta, lui le posò un delicato bacio sulla fronte e poi iniziò a sussurrarle quella che sembrava una ninna nanna, ma altri non era che una canzone d'amore in italiano, che lei stessa conosceva e amava. Cantata da Federico poi, sembrava ancora più magica e proprio per questo, era sicura che da quel giorno l'avrebbe considerata la loro canzone, la canzone di quell'amore nato nel modo sbagliato, ma che non avrebbe potuto essere più forte e sincero e presto lo avrebbero capito anche gli altri.







Cara mamma,
sono fuori alla fermata dell'autobus, sto andando a casa di Leon. Questo perché ho preso una decisione, una delle più importanti della mia vita... ho deciso di fare l'amore con lui. Potrai pensare che sto correndo troppo e che dovrei pensarci ancora, ma ti assicuro che non potrei essere più convinta. Lo amo mamma, lo amo come non ho mai amato nessuno e se penso alla mia prima volta, penso inevitabilmente a lui. Non ti nascondo che le parole di Lara mi hanno colpita e hanno destabilizzato le mie convinzioni, però ti assicuro che in realtà non ha fatto altro che esprimere quello che in cuor mio pensavo anch'io. Leon aveva un tipo di rapporto con quella ragazza, completamente diverso da quello che si può quasi definire infantile, che abbiamo avuto in passato io e lui e inevitabilmente, ho subito pensato che potesse presto stancarsi di me, così diversa da Lara e qualche volta ho anche pianto per questo. Leon ha sempre un grande rispetto per me, quando avrebbe potuto spingersi oltre, si è fermato e nei suoi occhi leggo l'amore che prova, ma la paura che si stia in un certo senso accontentando e che in realtà vorrebbe di più, continua a tormentarmi.
Ci ho pensato a lungo prima di decidere e ora mi sento davvero pronta per diventare finalmente sua. Ho un po' paura mamma, ma sono anche emozionata perché so che questa decisione cambierà molte cose e credo che rafforzerà il nostro rapporto, unendoci più di quanto già siamo e non potrei desiderare altro. Sai, credo che lui sia l'amore della mia vita. Se papà lo sapesse o solo mi vedesse, credo che gli verrebbe un infarto, pensa che sono dovuta uscire con una scusa e...



Giunta alla sua fermata, Violetta ripose il diario nella borsa e si affrettò a scendere dall'autobus. In meno di cinque minuti, giunse davanti casa Vargas, con il cuore che le batteva a mille. Di lì a poco, avrebbe visto Leon e gli avrebbe comunicato la sua decisione. Come l'avrebbe presa? E lei, sarebbe riuscita a dirglielo senza diventare rossa per la vergogna? Proprio quando stava per suonare il campanello, la porta si aprì, rivelando la figura di Leon. Il ragazzo la guardò con curiosità, poi sorrise. “Ehi piccola, cosa ci fai qui?” Aggiunse, mentre il suo sguardo la percorreva da capo a piedi, incantato. Violetta era bella quel giorno, ancora più del solito e nei suoi occhi c'era una luce diversa, la luce di chi fosse convinta di ciò che stava facendo.
“Sono venuta a trovarti,” ammise, mordendosi nervosamente il labbro. “Stavi uscendo?”
Lui infatti indossava la giacca e aveva il casco sotto il braccio. “Si,” confermò, avvicinandosi e accarezzandole la guancia. “Mi dispiace se sei venuta fin qui, ma stavo andando in ospedale a trovare mia madre. Ti riaccompagno a casa e poi dopo passiamo un po' di tempo insieme, ok?” L'ultima frase la sussurrò a un soffio dalle sue labbra. Probabilmente l'avrebbe baciata, se lei non avesse balbettato: “Leon, io...ehm... mi chiedevo se...ecco, posso venire con te? Ovviamente, se non vuoi... torno a casa e...”
Lui sgranò gli occhi, sorpreso. “Vuoi venire in ospedale? Non devi sentirti in dovere e poi non è un bel posto da visitare e...”
“Lo so,” lo interruppe Violetta, stringendogli la mano. “Ma voglio farlo, voglio starti accanto e... Leon, voglio essere la tua forza come tu sei sempre stato la mia. Cosa c'è di male in questo?”
Leon la fissò, rapito. Nessuna ragazza prima gli aveva detto una frase così bella e dolce allo stesso tempo e ogni giorno che passava, si rendeva conto sempre di più di quanto lei fosse speciale e di quanto fosse intenso l'amore che provava nei suoi confronti. “Sei sicura?”
Lei annuì, sorridendo dolcemente e lui non poté fare altro che ricambiare quel sorriso. “Grazie.”
Violetta si sollevò sulle punte, gettandogli le braccia al collo. “Ti amo Leon.” Dopodiché lo baciò, venendo immediatamente corrisposta con il solito trasporto che lo contraddistingueva.
“Vado a prendere l'altro casco.” Fece solo due passi, poi tornò a voltarsi verso di lei. “Ah Vilu? Ti amo anch'io.” Le rivolse quel sorriso che adorava e lei praticamente gli saltò addosso, tempestandogli il volto di baci. “Ancora non riesco a capire come ho potuto avere dei dubbi.”
Lui sorrise, divertito. “Bè, Amore mio, devi ammettere che spesso sei un po' ottusa.”
“Ehi!” Esclamò lei offesa, poi però si ritrovarono entrambi a ridere di gusto.
Come ogni ospedale, anche quello dove si trovava la madre di Leon era un luogo alquanto tetro. Tutto intorno a loro andava dal bianco al giallo sporco, medici e infermiere li sorpassavano continuamente, urla e lamenti dei pazienti giungevano alle loro orecchie. In ascensore poi, si ritrovarono quasi schiacciati contro la parete, tante erano le persone all'interno di esso.
La camera dove si trovava la madre di Leon era la 102, l'ultima in fondo al corridoio del terzo piano. Prima di entrare, il giovane cercò la mano della ragazza e la strinse. Il suo sguardo appariva ora spento e per questo Violetta si affrettò a sussurrargli: “Stai tranquillo, ci sono io con te.”
Leon sorrise, poi la guidò all'interno della camera.
Due erano i letti presenti, però l'unico occupato era quello alla loro sinistra, dove c'era una bella donna con dei lunghi capelli castano dorato, lo stesso colore di quelli di Leon. Una benda le avvolgeva la testa, aveva dei lavaggi ad entrambi i bracci e poi una mascherina per l'ossigeno. Accanto al letto, c'era infine un monitor che indicava la sua frequenza cardiaca.
Il ritmo cardiaco della donna, riprodotto dalla macchina, risuonava nelle loro orecchie, unico suono in quella camera silenziosa, mentre prendevano posto sulle due sedie accanto al letto. Leon strinse più forte la mano di Violetta, l'altra invece la posò su quella della madre. Non era la prima volta ovviamente che si ritrovava in quella maledetta stanza, eppure ogni volta si sentiva triste e impotente. La sua mamma era lì, in quel letto apparentemente addormentata, chissà se avvertisse la sua presenza, chissà se sentisse ciò che le diceva.
“Ciao mamma,” sussurrò, sforzandosi di sorridere, quando in realtà avrebbe voluto solo piangere. “Ti ho portato a conoscere una persona, ti ricordi quando ti ho parlato di lei? È grazie a Violetta se ho finalmente trovato la forza di lottare e... mamma, devi svegliarti, la devi conoscere...”
S'interruppe, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. Gli mancava così tanto sua madre, quei dolci sorrisi, la sua voce, tutto ora sembrava così lontano e lui si sentiva così solo e perso senza di lei. Violetta, resasi conto del suo stato d'animo, poggiò la guancia contro la sua spalla, tentando di infondergli tutto il suo sostegno. Leon le circondò le spalle con un braccio, continuando a guardare sua madre, quasi sperasse che ciò potesse bastare per farla finalmente risvegliare.
“Mi manchi mamma, mi manchi così tanto.” Il ragazzo voleva crederci, voleva credere davvero che lei potesse svegliarsi, ma più il tempo passava e più sentiva la speranza abbandonarlo. E se fosse rimasta per sempre così? E se non avesse più visto i suoi occhi e il suo sorriso? Alcune lacrime iniziarono a scorrergli lungo il volto, provocando in Violetta un colpo al cuore. Si strinse maggiormente a lui, sussurrandogli dolci parole. “Tua madre si sveglierà, vedrai. Non ti abbandonerà, non lo farà mai.”
Leon annuì, tra le lacrime. “Spero che tu abbia ragione, lo spero davvero.” Prima che lei potesse fermarlo, si alzò e andò accanto alla finestra, dando le spalle alla camera. Violetta osservò la sua schiena, scossa probabilmente da un pianto silenzioso e per quanto avrebbe voluto andare da lui e abbracciarlo, non lo fece. Sapeva che se si fosse allontanato, era perché voleva stare un po' da solo e sarebbe stato invadente da parte sua non rispettare quel suo bisogno. Prendendo coraggio allora, guardò la signora Vargas e le strinse la mano. “Leon mi ha parlato molto di lei,” iniziò, sorridendo. “Dice che è una donna straordinaria, forte e con un gran cuore e io... mi piacerebbe tanto somigliarle, conoscerla, confrontarmi con lei. Deve essere orgogliosa di Leon, le somiglia molto. È un ragazzo forte, deciso, determinato e... sono felice che lui abbia scelto me, anche se a volte ho la sensazione di non meritarlo, o di non essere in grado di dargli tutto ciò di cui ha bisogno. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa e se mi considera la ragazza adatta per il suo meraviglioso figlio. Noi la stiamo aspettando, perciò faccia presto a tornare.”
Solo allora, Violetta si rese conto che Leon si fosse voltato e che la stesse guardando. Aveva smesso di piangere, anche se aveva ancora gli occhi arrossati e in essi c'era un qualcosa che non riusciva ad interpretare. Era orgoglio, o amore? Oppure erano entrambi?
“Leon.”
Lui le si avvicinò, sul volto ancora quella strana espressione. “è ora di andare.” Diede un bacio sulla guancia alla madre e le sussurrò qualcosa, poi prese per mano Violetta e insieme uscirono dalla stanza. La giovane tentò più volte di farlo fermare, di fare quantomeno conversazione, ma lui si limitò a trascinarla fino all'uscita dell'ospedale, per poi porgerle il casco. Il suo sguardo nel frattempo era vuoto, assente, distante anni luce da dove si trovassero. A cosa pensava? Perché non si apriva con lei? Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?
Tutto il viaggio di ritorno, Leon non disse una parola, completamente perso nei suoi pensieri, mentre lei continuava a tormentarsi. Alla mente rievocò ogni singola parola che avesse detto alla signora Vargas, alla ricerca di quel qualcosa che potesse aver turbato il suo ragazzo, ma non le venne in mente nulla e se possibile, si sentì ancora peggio. Non sopportava che Leon stesse male, voleva vederlo felice, voleva che sua madre si svegliasse. Il ragazzo aveva bisogno di sentirsi dire da lei che quel maledetto incidente non fosse stato colpa sua, solo così avrebbe tirato un sospiro di sollievo. Ma era il senso di colpa ad aver fatto reagire Leon in quella maniera, o erano state le sue parole? Onestamente Violetta non ci stava capendo più nulla e non poteva restare nel dubbio. Proprio per questo, quando giunsero di fronte casa Castillo, la ragazza non resistette più e lo abbracciò. Sperava con quell'abbraccio di infondergli tutto il suo amore e il suo sostegno, così da fargli capire che non fosse solo, lei ci sarebbe sempre stata.
Dopo alcuni istanti, lui finalmente si sciolse e la strinse a se. “Grazie,” sussurrò, tra i suoi capelli. “Quello che hai fatto, conta molto per me e... le tue parole, mi hanno commosso e...” Le prese il volto tra le mani, specchiandosi nei suoi occhi nocciola. “Non pensare mai più di non meritarmi o di non essere abbastanza per me, tu sei tutto ciò di cui ho bisogno.” Le sussurrò, con una dolcezza tale da farla sciogliere. Tutti i suoi dubbi e le sue paure crollarono come un castello di carte, lasciando il posto solo al suo cuore, che batteva pompando sangue e amore per il suo Leon.
“Oh Leon!” Lo abbracciò forte, inspirando a pieni polmoni il suo profumo. “Lo stesso vale per me, sei la mia forza, la mia felicità.”
Si guardarono intensamente, facendo sfiorare i loro nasi e a poco a poco, accorciarono le distanze, scambiandosi un bacio appassionato. Leon le mordicchiò le labbra, così che lei le schiudesse, consentendo alle loro lingue d'incontrarsi. Continuarono a baciarsi con sempre maggior trasporto, fino a restare senza fiato e mai come in quel momento, Violetta si sentì più convinta della decisione che avesse preso. La visita alla signora Vargas aveva rafforzato ancora di più il loro rapporto e le aveva confermato che l'amore tra lei e Leon fosse puro, sincero, totale e proprio per questo, sentiva di essere pronta a donargli se stessa. Lui non l'avrebbe usata, né ferita, lui l'avrebbe resa felice e viva come aveva sempre fatto, perché era fatto così, lui era una ragazzo straordinario, il suo ragazzo straordinario. Il suo unico desiderio a quel punto, era di essere per lui almeno la metà di ciò che lui fosse per lei. Leon era il suo mondo, la sua vita, tutto.






Questo capitolo un po' malinconico e un po' zuccheroso tra quelle che sono le mie coppie preferite (Quanto amo i Pangie, i Fedencesca e ovviamente i Leonetta!! awwwwww), lo dedico a Dulcevoz, che essendo un'accanitissima fan dei Pangie, lo attende da parecchio, perciò eccolo qui :3 spero che vi sia piaciuto!
Trilly <3

 

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Capitolo 31
*** Pulci nelle orecchie ***





Quella mattina a villa Castillo, German, Esmeralda e Violetta stavano facendo colazione, parlando allegramente. Era da un paio di giorni, che la donna si era trasferita lì su proposta di German e, ora stavano seriamente gettando i presupposti per dare vita alla famiglia perfetta. Erano ormai lontani infatti, i giorni dei litigi e delle tensioni di quando c'era Jade, sostituiti dal buon umore e soprattutto dal dialogo, cose che prima erano sempre mancati. Violetta parlava con i due e al contempo messaggiava con Leon al cellulare, beccandosi di tanto in tanto delle occhiatacce da parte del padre, che come al solito era gelosissimo della sua bambina.
Fu quello il clima che Angie trovò quando si presentò a villa Castillo. “Buongiorno a tutti,” salutò, accompagnata da Olga in salotto. “Salve Angie.” “Ciao Angie.” Sorrisero German ed Esmeralda.
“Angie.” La giovane corse invece ad abbracciarla, entusiasta, “Che bello che sei venuta a trovarmi.”
Angie sorrise, ricambiando l'abbraccio. “Non potrei dimenticarmi della mia nipote preferita.”
Violetta guidò poi la donna in camera sua, dove recuperò la borsa. Prima però che uscisse, Angie mormorò: “Senti Vilu, devo chiederti una cosa.”
La ragazza annuì, invitandola a sedersi sul suo letto. “Cosa succede Angie?” Chiese, preoccupata.
Lei prese un profondo respiro. “Ecco, vedi...si tratta di Diego. Sono giorni che non viene allo Studio e...Pablo vorrebbe parlargli di quella borsa di studio. È per questo che non sta più venendo, vero? Non può permettersi la retta.”
Violetta la fissò in silenzio tutto il tempo, mentre nella sua mente si affollavano diversi pensieri. “Perché lo chiedi a me?” Chiese alla fine, confusa.
“Diego e Leon sono amici, no? Visto che tu e Leon state insieme, magari sai dove può trovarlo Pablo,” spiegò Angie, sforzandosi di apparire tranquilla, quando in realtà era agitatissima. “Pablo vuole dargli il modulo da compilare per ottenere la borsa di studio, sai quanto ci tiene ad intervenire in prima persona per aiutare voi ragazzi,” aggiunse, sperando di convincerla a credere a quella bugia.
Alla fine Violetta dovette crederle, perché annuì e disse: “Si, è vero, lui e Leon sono amici. Vive a casa di Marco al momento e...ora ha dei problemi personali ed è per questo che non sta venendo allo Studio, ma non so di che si tratta,” spiegò la ragazza e Angie annuì. “Sei sicura di non sapere nient'altro? Ha dei problemi gravi? C'è un luogo che frequenta regolarmente? Sai, Pablo vorrebbe parlargli in privato.”
Ancora una volta, Violetta parve scettica e ci mise un po' prima di rispondere. “Il pomeriggio di solito va ad allenarsi alla pista di motocross, ma potevi chiederlo direttamente a Leon, no?”
Angie avvampò e si affrettò a sorridere, imbarazzata. “Bè si, ma è lo stesso, no? Tanto mi avrebbe dato le stesse risposte. Allora, come stai? Come vanno le cose con Leon?” Chiese poi, cambiando repentinamente argomento. Non voleva insospettire Violetta, anche se avrebbe voluto dirle la verità non poteva, almeno finché Pablo e Diego non avessero parlato. Parlarono del più e del meno, poi la Saramego se ne andò con la scusa di aver dimenticato chissà cosa a casa.
Violetta attese qualche minuto e senza pensarci troppo, mandò un messaggio a Leon.



-Leon, devo parlarti-


La risposta del ragazzo non ci mise molto ad arrivare, quasi sapesse che quel messaggio appena arrivato fosse di notevole importanza.


-Vengo sotto casa tua e parliamo-




Violetta recuperò velocemente le sue cose e dopo aver salutato German ed Esmeralda, si fiondò fuori casa. Leon era lì, accanto al cancello, l'espressione seria. Doveva averlo preoccupato molto con quel messaggio.
“Ciao,” mormorò la giovane, raggiungendolo con pochi passi.
“Ciao,” ripeté lui, rivolgendole un dolce sorriso, per poi darle un bacio a fior di labbra. “Andiamo?” Le tese la mano, che lei prontamente strinse e insieme si incamminarono verso lo Studio. “Di cosa mi volevi parlare?” Chiese Leon, dopo lunghi minuti di silenzio.
Violetta si morse nervosamente il labbro, poi di punto in bianco gli raccontò ogni minimo particolare della conversazione con Angie. Non poteva tacere, lui doveva sapere e insieme dovevano decidere come agire. Il giovane l'ascoltò attentamente, mentre sul suo volto si susseguivano diverse emozioni, confusione, stupore, incredulità.
“Secondo te, che significa?” Chiese lei, alla fine. “Pensi che davvero ci sia di mezzo la retta, oppure è una scusa? Angie mi è sembrata fin troppo insistente e poi ha cambiato argomento all'improvviso.”
Leon corrugò le sopracciglia, confuso. “è venuta a casa tua e di prima mattina, solo per chiederti di Diego? Perché non te lo ha chiesto direttamente allo Studio? Perché non lo ha chiesto a me? C'è qualcosa che non mi torna.”
Violetta annuì, concorde. “Avresti dovuto vedere quanto fosse ansiosa, si sforzava di restare calma, ma gli occhi l'hanno tradita.”
A quelle parole, il ragazzo si fermò così di botto, che lei per poco non gli finì addosso. “Violetta,” esordì, prendendola per le spalle e specchiandosi nei suoi occhi nocciola. Un lampo illuminava il suo sguardo, quasi avesse avuto un'illuminazione e forse era davvero così. “Credo che Angie fosse lì per conto di qualcuno.”
“Bè, certo,” annuì, accigliata. “L'ha mandata Pablo e... aspetta un attimo!” Esclamò all'improvviso, capendo dove volesse andare a parare. “Tu pensi c'entri Jackie? Pensi che Angie e Pablo vogliano tentare di mediare per lei?”
Leon scrollò le spalle. “Non lo so, lei potrebbe aver chiesto aiuto. Mettiamoci nei suoi panni, non sa dov'è suo figlio. Chiunque al suo posto cercherebbe un appoggio.”
Violetta scosse la testa. “Chiunque, ma non Jackie. Lei e Angie non vanno per niente d'accordo, non le chiederebbe mai aiuto.”
“Che mi dici di Pablo?” Insistette il giovane, riprendendo a camminare, seguito prontamente da lei. “Che rapporto hanno lui e Jackie? Potrebbe aver accettato di aiutarla?”
La Castillo si perse a fissare la vetrina di un negozio di abbigliamento, pensierosa. Poteva Pablo mediare per Jackie? All'improvviso le tornò in mente una conversazione avuta con Francesca diverse settimane prima. Allora le era sembrato un particolare privo di importanza, ma ora si rendeva conto che al contrario potesse essere la chiave di quel dilemma. “Leon.” Lo prese per il polso, costringendolo a voltarsi. “Credo di sapere cosa sta succedendo.”
Sotto il suo sguardo sorpreso, si affrettò ad aggiungere: “Un po' di tempo fa, Francesca mi ha detto di aver visto Pablo e Jackie al Restò Band e le erano sembrati molto in confidenza. Lei li ha definiti quasi...intimi.”
Leon sgranò gli occhi, poi si prese il volto tra le mani, strofinandolo con vigore. “Pablo è una brava persona, è sempre disposto ad aiutare chi ne ha bisogno,” sussurrò, quasi si stesse rivolgendo a se stesso. “Ma tutta questa urgenza di sapere e poi...perché ha mandato Angie?” Guardò Violetta, che scrollò le spalle. “Mi sto chiedendo la stessa cosa, sembrava quasi che Angie sapesse, ma che allo stesso tempo volesse una conferma da me. Lei desiderava sapere a tutti i costi e non solo dove si trovasse Diego, ma anche se stesse bene, quale fosse il suo problema, quali luoghi frequentasse. Tutte cose che c'entrano poco o nulla con la borsa di studio che Pablo voleva offrirgli,” concluse, scettica.
Quel discorso che per lei era stato un semplice sfogo, aveva però acceso una lampadina nella mente di Leon. Un dubbio, seppur assurdo, stava acquisendo sempre più forma e anche senso. “Ma certo! Tutto combacerebbe!” Esclamò, facendo sobbalzare la giovane. “Come ho fatto a non pensarci prima? Ascolta,” aggiunse, prendendola per mano e conducendola verso il parco poco distante dallo Studio, dove spesso si erano fermati a passeggiare. Si sedettero su una panchina, quella del loro primo bacio, ma in quel momento l'atmosfera era decisamente diversa. Leon sembrava euforico per l'intuizione appena avuta, ma allo stesso tempo anche così stupefatto. “E se la verità fosse più semplice di quanto abbiamo sempre pensato? Pablo e Jackie erano una coppia, poi di punto in bianco lui sparisce e lei sembra un'anima in pena. Pensaci, Amore, tutto torna,” proseguì, stringendole le mani con le sue. “Ci chiedevamo perché Jackie fosse tanto restia a fare il nome del padre di Diego, quando avevano la risposta sotto il naso.”
Violetta lo fissò per alcuni istanti, confusa, poi però sembrò capire, perché sbiancò di colpo. “Leon, tu pensi che il padre di Diego sia... Pablo?” Soffiò, sbigottita. “Pensi che lui potrebbe abbandonare suo figlio?”
“Ovviamente no,” si affrettò a spiegare il ragazzo. “Pablo non farebbe mai una cosa simile, piuttosto credo che Jackie potrebbe avergli nascosto la paternità e che solo da poco lo sappia. Questo spiegherebbe la sparizione di Pablo, l'apatia di Jackie e anche l'agitazione di Angie. Pablo vuole parlare con Diego e ha mandato Angie a fare domande, o almeno questa è la mia ipotesi,” aggiunse, scrollando le spalle.
Violetta ci rifletté per alcuni istanti, poi non poté fare altro che concordare. Il ragionamento di Leon non faceva una piega. “Cosa facciamo?”
Leon sospirò, battendo nervosamente le unghie sul freddo metallo della panchina, sembrava un ritmo quasi calcolato e avrebbe pensato che lo fosse, se non fosse stata sicura che lui stesse pensando a tutt'altro. “Devo parlare con Diego,” disse alla fine, scattando in piedi. “Devo prepararlo psicologicamente, Pablo andrà alla pista, sono pronto a scommetterci.”
Violetta annuì, alzandosi a sua volta. “Gli dirai dei tuoi sospetti? Diego è molto vulnerabile adesso, devi andarci piano,” proseguì, poggiandogli le mani sulle spalle. “Non sai come potrebbe reagire.”
Il giovane le sorrise rassicurante, accostando la fronte alla sua. “Tranquilla, gli dirò solo che Pablo vuole parlargli della borsa di studio, lascerò che ci arrivi da solo, così da decidere come comportarsi. Avviati allo Studio, ti raggiungerò.”
“Aspetta,” disse la ragazza, afferrandogli il polso prima che potesse allontanarsi. “Vuoi andare adesso? Oggi abbiamo la presentazione dei duetti, non puoi mancare.”
“Arriverò in tempo,” promise lui, stringendole forte le mani. “Devo parlare con Diego di persona.”
“Va bene,” sorrise lei, sollevandosi sulle punte e stampandogli un bacio sulle labbra. “A dopo.”






Quando furono rimasti solo pochi studenti, fu il turno di Diego. “Diego Ramirez.”
Con passo sicuro e con un sorrisetto arrogante stampato in faccia, il moro raggiunse il centro del palco.
Allora Diego,” iniziò Pablo, guardandolo con curiosità. Mai nella sua carriera si era imbattuto in uno studente così tranquillo e sicuro durante un’audizione. “Che canzone hai preparato?”
Diego scrollò le spalle, mentre un sorrisetto arrogante non abbandonava il suo volto. “Una canzone scritta da me, non canto mica cose di seconda mano,” aggiunse, con uno sguardo provocatorio verso gli altri studenti che si erano esibiti prima di lui e per questo beccandosi delle occhiatacce, che lo fecero sorridere ancora di più. “Si intitola Yo soy asì.”



Fu poi il turno di Jackie, che troppo concentrata a guardare il ragazzo con stupore, non se ne accorse nemmeno.
Jackie,” la richiamò Pablo, sventolandole una mano davanti agli occhi.
Jackie sussultò, svegliandosi dal trans in cui era caduta. “Eh?” Chiese confusa.
è il suo turno professoressa,” mormorò Diego con un sorrisetto, prima che qualcun altro potesse parlare. “Cosa vuole che faccia?” Aggiunse con una traccia di malizia che non sfuggì alla donna, che arrossì di botto.


Mi sei sembrata molto colpita da quel ragazzo, Diego.”
La bionda s’irrigidì, rimembrando il modo in cui quel ragazzo l’avesse umiliata di fronte a tutti. “Ha talento, ma è un gran maleducato.”
Si,” confermò il direttore. “Tra l’altro è troppo sicuro di se e questo non va per niente bene nel lavoro di squadra.”
Forse, ma è anche vero che la sicurezza dei propri mezzi è fondamentale se si vuole avere successo. Se non ci credi tu, come puoi pretendere che ci credano gli altri?” Gli fece notare giustamente, alzandosi e raggiungendolo accanto alla finestra. “È proprio questo che inizialmente mi ha colpito di lui, ma dopo che si è dimostrato così indisponente..”


Chi, piuttosto,” spiegò Vargas, indicando Diego con cenno. “La musica mi mancava, ma avevo bisogno che qualcuno me lo facesse notare.”
Pablo sorrise, abbracciando anche Diego. “Lo sapevo che eri un bravo ragazzo Diego, sono felice che sei uno di noi.”
Lo spagnolo ghignò, gonfiando il petto, lusingato. “Ed io sono orgoglioso di esserlo.”


I ragazzi sono bravissimi, ma la tua assenza si è sentita,” gli disse Pablo, circondando le spalle sue e quelle di Diego con le braccia. “Sono sicuro che il vostro apporto, renderebbe il tutto un vero capolavoro.”
Ovviamente,” concordò lo spagnolo con un sorrisetto. “Io sono il migliore e Leon… bè, lui non è male, o almeno credo.”
Ehi!” Ribatté Leon, colpendolo con uno scappellotto oltre le spalle di Pablo.


La smetta!” Intervenne Leon, fuori di se. “Diego non è un ladro! Lei non lo conosce, non sa quello che sta passando! Nessuno di voi lo sa!”


Leon.” Pablo gli si piazzò di fronte, sembrava piuttosto alterato. “Dov'è andato Diego? Beto mi ha detto che è scappato dalla punizione.”


Cos'è successo a Diego? Sono giorni che lo vedo strano,” mormorò la bionda, preoccupata.
Leon,” aggiunse Pablo, affiancando Angie e rivolgendole una timida occhiata. “Il problema di Diego non è la retta scolastica, non è così?”


Sai qual'è il suo problema, si o no?” Chiese Jackie, parlando per la prima volta.
Leon la guardò, poi il suo sguardo si spostò su Angie e Pablo e alla fine annuì. “Si, lo so...lui però non ne vuole parlare con nessuno, se non con me. Posso andare a cercarlo?”


Leon sospirò, rassegnato. “Pablo, ti prego, non far espellere Diego, prendi tempo,” lo supplicò. “Lo vado a cercare e te lo riporto qui.”
Dacci un paio d'ore,” intervenne Violetta, affiancando il suo ragazzo. “Deve essere successo qualcosa di grave per farlo sparire così, normalmente non lo avrebbe mai fatto.”
Pablo si passò nervosamente una mano sul volto, pensieroso. Cosa doveva fare? Guardò Angie, chiedendole tacitamente aiuto e lei annuì, poggiandogli una mano sulla spalla. “Permettigli di andarlo a cercare. Leon è un ragazzo intelligente, non difenderebbe Diego se non avesse le prove della sua innocenza.”
Hai ragione,” concordò l'uomo, facendo tirare ai tre un sospiro di sollievo. “Vai a cercare Diego,”


Secondo te, cosa sarà successo a Diego di così grave da farlo scappare?” Chiese la bionda, guardandolo con la coda dell'occhio.
Lui scrollò le spalle. “Avevo capito che la retta non c'entrasse nulla, ma non riesco proprio a spiegarmi cosa cercasse in sala professori e perché è scappato.”




Pablo si girava e si rigirava tra le lenzuola, mentre una serie di immagini e frasi riguardanti Diego, gli affollavano la mente. Erano frammenti di ricordi, piccoli indizi a cui allora non aveva fatto molto caso, ma che ora si rendeva conto fossero di notevole importanza. Diego era suo figlio e nemmeno lo sapeva, fino al giorno prima persino lui non lo sapeva e ora...
Aveva sempre sognato un giorno di costruire una famiglia sua, magari proprio con Angie e scoprire di avere un figlio di diciotto anni, lo aveva sconvolto e poi infuriato e ora... ora aveva paura. Diego lo avrebbe voluto come padre? Gli avrebbe perdonato quegli anni di assenza? E lui, sarebbe stato un padre all'altezza?
Il rumore di una chiave che girava nella serratura, lo fece svegliare di soprassalto. Si mise seduto, cercando disperatamente qualche oggetto per difendersi. Nel frattempo, la sua porta di casa sbatté e dei passi risuonarono nel corridoio. Chi poteva mai essere? Non ricordava di aver dato a qualcuno la sua chiave di casa.
“Pablo.”
Una sorridente Angie, comparve sul ciglio della sua camera da letto, con in mano un piccolo sacchetto di carta. “Cos'è quella faccia? Sembra che tu abbia visto un fantasma,” aggiunse, divertita, avvicinandosi a lui e stampandogli un bacio sulle labbra.
“Angie,” mormorò lui, confuso. “Che ore sono e...Oh Dio, dovrei già essere allo Studio.” Fece per alzarsi, poi però si bloccò. “Come hai fatto ad entrare?”
Angie scoppiò a ridere, lasciandolo basito. “Ho usato le tue chiavi, le ho trovate a terra nel corridoio,” spiegò, mostrandogliele. “Per quanto riguarda lo Studio, non preoccuparti. Ho già parlato con Antonio, oggi te lo prendi di riposo.”
“Ma...” provò a protestare, ma lei lo zittì, poggiandogli un dito sulle labbra. “Niente lamentele Galindo, ora ci gustiamo i cornetti che ho comprato per noi,” sorrise, recuperando dal sacchetto di carta due grandi cornetti a crema e porgendogliene uno.
Lui lo prese, sorridendo, imbarazzato. “Angie, grazie per essere qui, per avermi ascoltato, per tutto.”
“Non devi ringraziarmi.”
“E invece si,” insistette Pablo, poggiando una mano sulla sua. “Non mi sono comportato benissimo con te quest'anno, diciamo pure che sono stato intrattabile.”
Angie sorrise, divertita. “Su questo ci puoi giurare, però è anche vero che me la sono cercata. Alla fine siamo pari, no?”
Il moro ricambiò il suo sorriso, poi si spostò più a sinistra e sollevò le coperte. Non ci fu bisogno di aggiungere nulla, lei aveva già capito. Difatti, si tolse le scarpe e si sistemò sotto le coperte accanto a lui e insieme iniziarono a mangiare i loro cornetti, tra sguardi complici e dolci sorrisi.
“Angie,” sussurrò Pablo all'improvviso, circondandole le spalle con un braccio e facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Ancora non mi sembra vero che tu sia qui,” ammise, intrecciando le dita in quei lunghi fili dorati che tanto amava.
Angie annuì, stringendosi maggiormente a lui. “Soprattutto se pensiamo a tutto quello che abbiamo passato. Credevo che non ci sarebbe mai stato un futuro per noi,” continuò l'uomo, con sguardo assente. “E ora la mia vita è stata completamente stravolta e sento che nulla sarà più come prima.”
Angie sollevò il capo, per poterlo guardare negli occhi, le dita intrecciate dietro al suo collo. “Io credo che questi cambiamenti, anche se improvvisi e sconvolgenti, siano positivi. L'anno scorso ho trovato mia nipote e non avrei potuto essere più felice, ora tu hai la stessa opportunità con Diego e, io ti aiuterò a costruire un rapporto con lui. Sai che puoi contare su di me, vero?” Aggiunse, a un soffio dalle sue labbra.
Pablo si specchiò nei suoi grandi occhi verdi e sorrise, accorciando le distanze. La baciò dolcemente, sentendola immediatamente corrispondere con trasporto. “Sai, forse l'arrivo di Jackie non è stato così negativo, dopotutto,” sussurrò lei, lasciandolo stupefatto. “Voglio dire, hai saputo di avere un figlio e poi ha permesso a me di capire quanto fossero profondi i sentimenti che provo per te. Credo di non essere mai stata tanto gelosa di qualcuno.”
Lui rise, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Ma davvero? Forse dovrei inviarle un mazzo di fiori allora.”
“Ma sentitelo!” Sbottò Angie, fingendosi offesa.
Pablo la strinse a se, inspirando il profumo dei suoi capelli. “Oh Angie.” Cercò e trovò le sue labbra, baciandola ancora e ancora e sentendosi felice, completo. Quanto lo aveva desiderato? Tanto, troppo. Quando smisero di baciarsi, lei sorrise, accostando la fronte alla sua. “Lo sai dove sono stata stamattina? Sono andata a parlare con Violetta. Non mi chiedi perché?” Aggiunse, facendolo accigliare. “Mi devo preoccupare?”
“No, tranquillo,” lo rassicurò lei, continuando a sorridere. “Le ho chiesto di Diego, mi ha confermato che vive da Marco e che non sta venendo allo Studio per questioni personali. Il pomeriggio va ad allenarsi alla pista di motocross e lì è il posto giusto per parlargli, no?”
Pablo assimilò le sue parole, fissandola a bocca aperta. “Hai fatto questo per me? E lei, pensi abbia capito qualcosa?”
“Si, l'ho fatto per te, ti ho detto che ti avrei aiutato. Non so cosa sa Vilu, però mi è sembrata sospettosa e per questo ho cambiato subito argomento.”
Pablo annuì, abbracciandola. “Devo parlare con Diego, ma devo farlo con il dovuto tatto, posso solo immaginare com'è stata la sua vita e quanto sia spaventato in questo momento. Grazie Angie, davvero.”
Lei sorrise, scompigliandogli teneramente i capelli. “Andrà tutto bene, vedrai.”
“Lo spero,” sussurrò lui, prima di baciarla.
“Ora devo andare allo Studio, ma dopo ci sentiamo, ok?” Disse Angie, lanciando un'occhiata all'orologio, per poi affrettarsi a rimettere le scarpe.
“Mi lasci solo allora?” Chiese lui, guardandola con gli occhi da cane bastonato. Lei sorrise, stampandogli un bacio a fior di labbra. “Purtroppo il dovere mi chiama, ma poi sarò tutta tua e potremo parlare con calma su quale approccio sia migliore per affrontare Diego. Sei pronto papà?”
Pablo sospirò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Sono terrorizzato, ma allo stesso tempo non vedo l'ora di abbracciarlo.”
“Sono sicura che per lui sarà lo stesso, chi non vorrebbe un padre come te?” Sussurrò lei, prima di scappare allo Studio, mentre l'uomo la fissava, rapito. Avrebbe mai potuto essere più felice? Ora mancava solo costruire un rapporto con Diego, ma poi era sicuro che tutto sarebbe stato perfetto con suo figlio e Angie, le due persone più importanti della sua vita.






Quando Violetta giunse allo Studio, si recò nell'aula di canto per un'ultima disperata prova della canzone che avrebbe dovuto cantare con Diego, ma che viste le circostanze, ora doveva cantare da sola. Dopo più di mezz'ora, pensierosamente, si incamminò verso la sala teatro, rendendosi conto che mancasse solo lei, a parte Francesca, Luca e Federico, che però erano stati sospesi. Si affrettò a raggiungere i suoi amici, quando si sentì circondare la vita da dietro. “Eccomi qui, Amore,” sussurrò una calda voce maschile al suo orecchio. Violetta sorrise, mentre lui le lasciava una scia di baci sul collo. “Ce l'hai fatta. Hai parlato con Diego?”
Lui annuì. “Credo abbia il mio stesso sospetto, ma non si è esposto molto e non ho voluto fargli pressioni.”
Violetta sorrise, allacciandogli le braccia al collo e sollevandosi sulle punte, poggiando le labbra sulle sue. Si scambiarono un dolce e appassionato bacio, poi mano nella mano raggiunsero gli altri. Leon si avvicinò a Marco, Andres e Maxi, mentre Violetta fece lo stesso con Camilla, Nata e Lena.
“Dov'è Pablo?” Chiese curiosa la Castillo, guardandosi intorno e rendendosi conto che tra gli insegnanti non ci fosse il direttore. Le altre scrollarono le spalle.
“Se è per questo, manca anche Jackie e poi tra la sospensione di Fran, Federico e Luca e l'improvvisa sparizione di Diego, non so proprio come riusciremo a fare la presentazione,” commentò Camilla, agitando le braccia.
A quelle parole, Violetta cercò lo sguardo di Leon, rendendosi conto che lui stesse pensando la stessa cosa. Potevano le assenze di Pablo e Jackie essere collegate? Potevano i loro sospetti essere fondati? Se lo stavano ancora chiedendo,quando la voce di Nata, li scosse dai loro pensieri.
“Eccola che arriva, poveri noi.” Anche senza voltarsi, sapevano a chi si riferisse, perciò non si sorpresero quando Ludmilla si avvicinò ancheggiando.
“Ciao ragazzi, come state? Dov'è Fran?” Aggiunse la Ferro, con un'espressione di finta preoccupazione. “Ah giusto, è stata sospesa come il mio ragazzo,” proseguì con un sorriso crudele.
“Il tuo ragazzo?” Esclamò Camilla, incredula. “Ma di che parli?”
La bionda rise, arricciandosi una ciocca di capelli intorno all'indice. “Di Luca ovviamente, stiamo insieme e non potremmo essere più felici.”
“Stai mentendo,” la interruppe Lena. “Luca non starebbe mai con una come te.”
Il sorriso di Ludmilla si accentuò. “Ah Lenuccia cara, perché non provi a chiederglielo? Sono sicura che Luca non ti negherebbe una risposta.”
“Io invece sono sicura che Lena abbia ragione,” intervenne Violetta. “Luca sa che sei un'arpia.”
“Eppure non sono io quella che gli ha mentito e che lo ha fatto passare per idiota di fronte a tutti, non credi Vilu?”
“Che vorresti dire con questo?” L'aggredì Camilla. Se Vilu e Lena non l'avessero trattenuta, probabilmente le sarebbe saltata addosso.
La bionda non si scompose, al contrario sembrava ancora più divertita. “Fran è una diavoletta, mia cara Cami e ora lo hanno capito tutti, persino Luca. Salutatemi mia cognata. Ludmilla se ne va, bye.”
“Io giuro che l'ammazzo!” Camilla tentò di divincolarsi, i suoi occhi emanavano scintille.
“Lasciala perdere,” le disse saggiamente Nata. “Sai com'è fatta, più ti arrabbi e più la rendi felice.”
“Ludmilla e Luca?” Chiese Maxi incredulo, unendosi al gruppo delle ragazze. “è uno scherzo, vero?”
“Secondo me se l'è inventato, lo sappiamo tutti che è una bugiarda cronica,” commentò Lena.
“Non sono d'accordo,” disse invece Leon, circondando le spalle di Violetta. “Conosco Ludmilla e se ha detto che sta con Luca, è perché è vero, non è così stupida da inventarsi una cosa simile, per poi rischiare di essere contraddetta e di conseguenza umiliata.”
Nata annuì. “Leon ha ragione, lei deve averlo manipolato in qualche maniera.”
“Si, soprattutto adesso che è furioso, per lei sarà stato un gioco da ragazzi,” convenne Maxi, stringendo timidamente la mano di Nata, che sorrise e arrossì.
Marco scosse la testa, incredulo. “La gelosia di Luca deve avergli fatto perdere la testa, solo questo poteva portarlo a lasciarsi abbindolare da Ludmilla.”
“Luca ha perso la testa?” Chiese Andres, prendendosi la sua tra le mani, sconvolto. “Dobbiamo aiutarlo a trovarla allora. Io ce l'ho ancora, vero?”
Tutti lo fissarono senza parole, tranne Leon che sghignazzò sotto i baffi. “Calmati Andres.”
“Come faccio a calmarmi? Ti rendi conto che Luca va in giro senza testa?” Ribatté Andres, agitandosi sul posto e per questo finendo per urtare Gregorio alle sue spalle. “Stia fermo Andres e non mi tocchi,” urlò l'uomo, allontanandolo quasi avesse la scabbia e scatenando le risate degli altri. Tutto quel baccano fu messo a tacere da Antonio, che invitò i ragazzi a sedersi. “Oggi è il giorno, il giorno della presentazione dei duetti che avete messo appunto con Angie, giusto?”
“Si, esatto,” confermò Angie, affiancandolo. “Partono Maxi e Nata, poi Leon e Camilla, Andres e Andrea e data l'assenza di quattro studenti, ho mischiato un po' le carte. Marco, tu duetterai con Lena e per ultime Violetta e Ludmilla.”
“Che cosa?” Esclamarono le due ragazze, per la prima volta d'accordo su qualcosa. “Io non canto con quella nullità!” “Ti prego Angie, chiunque tranne lei.”
Ludmilla e Violetta continuarono a protestare, finché Marco e Lena non si fecero avanti. “Canto io con Ludmilla,” propose il ragazzo.
“E io canto con Vilu,” aggiunse la spagnola. “In questo modo risolviamo il problema, no?”
Angie guardò Antonio e Beto, che annuirono concordi. “Perfetto, per noi va bene.”
Ludmilla storse il naso, ma non disse nulla. Preferiva di gran lunga Marco a Violetta. Quest'ultima esultò, stringendo Lena in un forte abbraccio. “Grazie, mi hai salvata! E anche tu Marco,” aggiunse, abbracciando anche lui.
Maxi e Nata furono i primi ad esibirsi e Camilla, approfittò di quel momento per avvicinarsi a Leon. “Allora,” iniziò, fingendosi incurante. “Quell'arrogante del tuo amico ha deciso di mollare?”
Il giovane la fissò, sollevando un sopracciglio. “Stai parlando di Diego? Perché ti interessa tanto?” Aggiunse, divertito.
“Non mi interessa affatto!” Sbottò lei, infiammandosi. “Non potrebbe mai interessarmi un essere così arrogante, buffone, presuntuoso, irritante... si sta molto meglio senza di lui. Che hai da ridere?”
Leon infatti rideva così tanto da avere le lacrime agli occhi. “Se vuoi vederlo, vai alla pista di motocross oggi pomeriggio,” le disse, tentando di contenere le risate.
“Ma io non voglio vederlo!” Esclamò Camilla, agitando le braccia. “Come ti salta in mente una cosa simile?”
Lui scosse la testa, continuando a sorridere. “Stai tentando di convincere me o te stessa?” Senza attendere risposta, la mollò lì da sola per andare a sedersi accanto a Violetta. Camilla gli lanciò un'occhiataccia, anche se in fondo al suo cuore sentiva che forse Leon avesse ragione, lei voleva vederlo, ma perché? Era assurdo, impensabile, che potesse sentire la mancanza di un tipo come Diego, o forse no?







Anche se non appare fisicamente, il protagonista assoluto è sicuramente Diego. Angie va da Vilu a chiedere di lui con una scusa, ma la giovane dubbiosa, ne parla con Leon, che a sua volta avanza l'ipotesi che possa esserci un legame tra Pablo, Jackie e Diego. C'è poi un dolce momento per i Pangie, dove la Saramego gli conferma ancora una volta il suo appoggio :3 infine c'è spazio anche per Ludmilla, che ci tiene ad informare tutti di lei e Luca, poi Camilla continua a fare domande su Diego, ormai i suoi sentimenti sono palesi anche a Leon XD
Bè, che dire, spero che questo capitolo vi sia piaciuto ;)
baci,
Trilly <3


 

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Capitolo 32
*** Il coraggio di un vero uomo ***





“Leon non viene?” Lara era piegata davanti alla motocicletta di Diego, per cercare di capire il perché di uno strano difetto dei freni e inevitabilmente, aveva finito per chiedergli del messicano, che proprio non ne voleva sapere di dimenticare.
Diego, seduto pigramente su un secchio rovesciato, scrollò le spalle. “E che ne so, tra le lezioni allo Studio e tutto il resto, i suoi orari sono tutti sballati.”
La ragazza annuì distrattamente, pulendosi una macchia di grasso dalla guancia con il dorso della mano. “Sta ancora con quella Violetta? Non mi sembra il suo tipo, ce la vedevo di più con te.”
A quelle parole, il moro ghignò, inginocchiandosi accanto a lei e sollevandole il mento con due dita. “Sento puzza di qualcosa, non sarà forse gelosia?” Sussurrò divertito, a un soffio dalle sue labbra.
Lara lo spinse lontano, con stizza. “Smettila di fare l'idiota! Io non sono gelosa.”
“Ah no?” La scimmiottò lui. “Che strano, hai proprio la tipica reazione di chi sta ardendo dentro.” Scoppiò poi a ridere, quando lei gli lanciò una bomboletta spray, che afferrò con uno slancio come il migliore dei portieri. “Non prendertela, bambolina isterica, se hai bisogno di compagnia, ci sono sempre io. Sai che non mi dispiacerebbe,” aggiunse, con un sorriso malizioso.
Lara lo fulminò con lo sguardo. “Sei disgustoso, Diego Ramirez.”
Diego ghignò. “Scommettiamo che se mi tolgo la maglia, inizi a sbavare?” Fece davvero per togliersela, ma lei lo fermò. “Non ci provare nemmeno, altrimenti stavolta la mia mira sarà perfetta,” sbottò, minacciandolo con una chiave inglese, ottenendo di farlo ridere ancora di più.
“Quando lo faceva Leon, però non ti dispiaceva, o sbaglio?” La provocò, con il solito sorrisetto.
Lara si infiammò di colpo e sollevò la mano, pronta a schiaffeggiarlo, ma lui le bloccò il polso. “La verità fa male, eh?”
“Sei un bastardo!” Si liberò della sua stretta con stizza e se ne andò, lasciando il lavoro della sua moto a metà.
Diego la seguì con uno sguardo divertito, poi si inginocchiò lui stesso davanti alla moto per cercare di risolvere il problema. Non era un meccanico, però certe cose le sapeva fare, magari aggiustare i freni non era così difficile. Se solo non avesse fatto arrabbiare Lara in quel modo, ma che ci poteva fare se lei avesse una faccia da 'avanti, fammi innervosire'?
Stava ridacchiando tre se e se, quando sentì dei passi alle sue spalle. “Ah, sei tornata, bambolina, ti è passata l'isteria?”
“Primo, non chiamarmi bambolina, secondo, io non ho nessuna isteria.”
Diego si bloccò di colpo, mentre il sorriso sul suo volto si accentuava. “Camilla,” mormorò, voltandosi verso di lei con uno sguardo malizioso. “Sei venuta a trovarmi.”
La ragazza sbuffò, incrociando le braccia al petto. “Non sono venuta a trovarti. I ragazzi si chiedevano perché non venissi più allo Studio e hanno mandato me a verificare.”
Lui si alzò in piedi e la raggiunse, scrutandola con un sopracciglio inarcato. “Ma davvero? E perché non chiederlo direttamente a Leon, che è il mio migliore amico?” Camilla avvampò, mentre il ragazzo sorrideva, soddisfatto. “Ammettilo che sei pazza di me.”
“Assolutamente no!” Sbottò lei, agitata più del dovuto. “Non potrebbe mai piacermi uno come te, sei così odioso e arrogante e...”
Diego ghignò, accostando le labbra al suo orecchio. “Eppure tutto questo ti piace, tesoro, e lo sai.” Con l'indice iniziò ad accarezzarle una guancia, mentre lei lo fissava impietrita e rossa come un pomodoro. Quegli occhi neri la scrutavano con malizia, ma anche con desiderio e Camilla non poteva fare a meno di guardarli, completamente in balia di lui. Diego accorciò le distanze, ma quando lei si rese conto di ciò che stava per fare, lo spinse lontano e gli assestò uno schiaffo in pieno viso. “Non provarci mai più.”
Il moro si toccò la guancia colpita, non potendo fare a meno di sorridere. Camilla era un fuoco ardente e ciò lo attirava come una calamita. La guardò andare via, infuriata, ma era sicuro che anche lei provasse qualcosa, altrimenti perché era venuta a cercarlo? Tra di loro c'era qualcosa, un'intesa e Camilla non poteva negarlo per sempre. La guancia gli ardeva ed era sicuro che gli avesse anche lasciato il segno, cosa che non poteva negarlo, gli piacesse parecchio. La Torres era nevrotica, isterica, parlava più del dovuto, ma era anche forte, decisa, testarda, una vera e propria predatrice. Era convinto che fosse la tipica ragazza che non si facesse mettere i piedi in testa, al contrario era quella che aggrediva e che si faceva rispettare, una caratteristica che lo affascinava. Le sue vecchie fiamme le aveva scelte sempre in base all'aspetto fisico e magari anche senza cervello, così da essere perfettamente in grado di gestirle. Aveva poi conosciuto Violetta e subito gli era piaciuta, era carina e lo rifiutava, rendendo il tutto una sfida e lui amava le sfide. L'amicizia di Leon lo aveva portato a rinunciare alla ragazza e per la prima volta aveva preso in considerazione Camilla. Non che prima non l'avesse mai guardata, il suo caratterino lo aveva colpito sin da subito e poi non poteva negare che fosse carina, aveva un sorriso in grado di abbagliare anche le giornate più grigie e poi c'erano i suoi vivacissimi occhi castani, nei quali non poteva fare a meno di specchiarsi. Camilla insomma gli piaceva, a poco a poco si era conquistata un posto nel suo cuore e ciò lo confondeva, ma allo stesso tempo lo portava a pensare che non dovesse arrendersi con lei. Convinto di ciò, fece per inginocchiarsi di nuovo davanti alla moto, quando...
“Diego.”
Il giovane si voltò di scatto, sorpreso. Camilla era tornata indietro e respirava affannosamente, doveva aver fatto una lunga corsa. “Io...ti detesto. Sei insopportabile e mi fai arrabbiare più di Ludmilla, ma...” La sua voce si affievolì a poco a poco e non poté fare altro che fissare Diego, che in un attimo le fu di fronte con il suo odioso sorrisetto. “Ma non puoi fare altro che sentirti attratta da me,” sussurrò, maliziosamente. “Ammettilo, tesoro.”
Camilla ruotò gli occhi e sbuffò. “Te l'hanno mai detto che sei pesante? Stai zitto una buona volta, sei...”
Cogliendola completamente di sorpresa, Diego la zittì con un bacio. Per Camilla, sentire le sue labbra sulle sue, fu un qualcosa di indescrivibile, avvertì un brivido lungo la schiena e poi caldo, tanto caldo. Senza pensarci troppo, gli gettò le braccia al collo e ricambiò il bacio. Iniziarono a baciarsi con sempre maggior trasporto, le loro lingue si cercavano e s'intrecciavano, inscenando una danza sensuale. Sempre continuando a baciarla, Diego la sollevò di peso e la fece sedere sul tavolo degli attrezzi, facendole poi avvinghiare le gambe intorno alla sua vita. Camilla ammiccò, intrecciando le dita nei suoi capelli neri e attirandolo ancora di più a se. Il ragazzo scese poi a baciarle il collo, facendola sospirare. “Diego.” Lui ghignò, coinvolgendola in un nuovo e appassionato bacio.
Probabilmente avrebbero continuato a baciarsi, se la voce di Lara non li avesse interrotti. “Diego! È il tuo turno, muoviti!”
Diego ruotò gli occhi, facendo sorridere la Torres. “Arrivo, Lara!” Tornò poi a guardare la ragazza, ammiccando. “Lo sapevo che in te ci fosse un fuoco, spero mi consentirai di vederlo ancora.”
Camilla sorrise, scendendo dal tavolo. “Questo dipenderà da te.”
“Ah si?” Sussurrò lui, attirandola a se. “Quindi, immagino che dovrò fare il bravo.”
“Bè, ne saresti in grado?” Lo sfidò lei con un sorrisetto, che il moro ricambiò prontamente. “Si, se mi darai un motivo per farlo.”
La ragazza allora lo baciò con passione, addentandogli il labbro inferiore. “Questo motivo ti basta?” Sussurrò, con un sorriso malizioso.
Un lampo attraversò lo sguardo di Diego. “Direi proprio di si.” Dopodiché la baciò ancora, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena.






Le motociclette sfrecciavano dovunque, il rombo dei motori gli risuonava nelle orecchie. Pablo si fece strada tra le persone che erano venute ad assistere alle prove, imbattendosi anche in addetti ai lavori con sgargianti tute arancioni, che scrivevano tempi e giri da compiere su delle piccole lavagnette. Non era mai stato prima di allora in un luogo simile e tutto quel casino gli faceva venire mal di testa. A fatica, raggiunse la transenna che lo separava dalla pista e poté vedere più da vicino una decina di motociclette che sfrecciavano a una velocità assurda, superando alla perfezione ogni ostacolo. Doveva ammettere che fossero molto bravi e poi aveva sempre sognato di vedere il motocross dal vivo, anche se si trattava di semplici prove e poi... e poi tra quei dieci c'era suo figlio e anche se ancora non lo sapeva, lui già era tanto orgoglioso. Chissà qual era di loro. Lo cercò con lo sguardo, ma con quel grosso casco in testa, sembravano tutti uguali. Si gustò allora le acrobazie dei motociclisti, sorridendo, ma allo stesso tempo avvertendo il nervosismo crescere sempre di più. Di lì a poco, avrebbe visto Diego per la prima volta da quando aveva saputo che fosse suo figlio e sentiva che la sicurezza che aveva all'inizio, si stesse riducendo. Aveva paura, paura di deluderlo e di non essere all'altezza, paura che lui lo rifiutasse.
Nel giro di mezz'ora i motociclisti terminarono le loro prove e si fermarono. Pablo li osservò attentamente, mentre scendevano dai mezzi e si toglievano i caschi, poi finalmente riconobbe un volto familiare uscire da un casco nero. Era lui, era Diego. Il ragazzo sorrideva e si stava scambiando il cinque con un altro, che altri non era che Leon. Il cuore di Pablo accelerò i suoi battiti. Come aveva fatto a non notare prima quanto si somigliassero? Avevano gli stessi capelli neri, la stessa fisionomia. Socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, poi si diresse verso i motociclisti che si stavano recando ai box. Fortuna volle che l'ultimo fosse proprio Diego, che si era intrattenuto con uno sponsor, che si stava congratulando con lui.
“Ottimi tempi Diego, davvero ottimi.”
Diego sorrise, stringendo la mano all'uomo. “La ringrazio, anche se ho fatto di meglio,” aggiunse, con un filo di arroganza, che fece sorridere entrambi.
“Diego,” mormorò Pablo, quando lo sponsor si fu allontanato.
Il ragazzo si voltò verso di lui, sorpreso. “Pablo, ammetto che è l'ultimo luogo in cui mi aspettavo di vederti.” Un ghigno si disegnò sul suo volto e l'uomo non poté fare altro che sorridere a sua volta, anche se con un certo nervosismo. “Infatti non è il tipo di luogo che di solito frequento.”
Diego annuì, divertito, fermando uno degli uomini dalle tute sgargianti e facendosi dare una sigaretta. “Ti dispiace se fumo?” Chiese, rendendosi conto che Pablo non si fosse perso nessuno dei suoi movimenti.
Galindo scosse la testa. “No, ma non dovresti farlo. Il fumo fa male, Diego,” gli disse con un tono paterno, che lo fece accigliare.
“Ti preoccupi sempre per tutti? Voglio dire, io non mi sono comportato benissimo con te, ho anche provato a derubarti.” Era chiaro che si riferisse a quando insieme a Leon, era stato beccato a tentare di aprire un cassetto in sala professori.
Pablo annuì. “è proprio per questo che sono qui.” Dalla sua valigetta tirò fuori una cartellina, che gli mostrò. “Ti ho portato questi da compilare per la domanda per la borsa di studio. Diego, tu sei un grande talento e non puoi rinunciare al tuo sogno.”
Diego incrociò le braccia al petto, scettico. “E tu che ne sai di quali sono i miei sogni? Non mi conosci, io non sono Leon.”
Il direttore sorrise, spiazzandolo. Si aspettava di tutto, ma non di certo un sorriso. “Hai ragione, io non ti conosco, ma so quello che ho visto. Quando canti o balli, c'è una luce nei tuoi occhi, la luce di chi sta facendo qualcosa che ama e io quella luce la vedo in tutti i miei studenti, perciò so di cosa parlo.”
Diego rise, accendendosi la sigaretta e facendo un tiro. “Io non sono uno studente qualsiasi,” borbottò, con fare arrogante. Si avvicinò alla transenna e vi si appoggiò con la schiena, guardando Pablo con il solito ghigno stampato in faccia.
Galindo non si scompose. Aveva capito sin dall'inizio che tipo fosse Diego, arrogante, sfrontato e sicuro di se e tutto questo per nascondere la fragilità che il crescere senza genitori gli aveva provocato. Chissà che tipi fossero i suoi genitori adottivi, se gli avessero voluto almeno un po' di bene, anche se lo avevano acquistato come si faceva con la spesa al supermercato. Chissà se fosse stato anche se lontanamente, felice.
“Hai ragione,” mormorò, raggiungendolo. “Tu hai un'ombra nello sguardo, un qualcosa che ti tormenta e io voglio aiutarti,” proseguì, porgendogli nuovamente la cartellina.
Diego lo fissò per quelli che parvero lunghi minuti, senza accennare minimamente a prendere la cartellina. Nella sua mente frullavano tanti pensieri, tanti ricordi, tante ipotesi. Fece un lungo tiro di sigaretta, poi la spense e con un gesto della mano, fece cadere la cartellina a terra, sotto lo sguardo confuso di Pablo. “Perché fai così?”
Il giovane spagnolo rise, freddamente. “Perché non la smetti di girarci intorno e non mi dici perché sei qui?”
Pablo si piegò per raccogliere la cartellina, poi tornò a guardarlo, anche se la sua sicurezza iniziava a vacillare. “Te l'ho detto, volevo parlarti della borsa di studio. Ti ...”
“Stai mentendo!” Sbottò Diego, freddo come non lo aveva mai visto. La sua espressione appariva impassibile, ma i suoi occhi lo tradivano. In essi c'era una vera e propria fiamma di rabbia e qualcosa che somigliava vagamente al dolore. “Dimmi la verità, Pablo,” sussurrò, stavolta con voce più incerta. “Tu sei mio padre, vero?” Quell'ultima frase la disse con un filo di voce e senza guardarlo negli occhi, ma a Pablo arrivò forte e chiara come se gliela avesse urlata contro attraverso un megafono.
“Diego.” Il ragazzo però continuava ad evitare il suo sguardo e stringeva i pugni sempre più forte. “Ti giuro che non lo sapevo, l'ho scoperto solo ieri,” singhiozzò, facendo un passo verso di lui, che però indietreggiò. “Diego,” riprovò Pablo, con le lacrime agli occhi. “Ti prego, guardami, guardami.” Non riusciva a sopportare quella situazione, non riusciva a sopportare che non lo guardasse. Aveva bisogno di vedere i suoi occhi, così da capire ciò che provasse e poi voleva rimediare, lo voleva davvero. “Permettimi di spiegarti.” Tentò di toccarlo, ma il ragazzo si scansò e poi di punto in bianco, iniziò a correre.
Senza pensarci troppo, l'uomo lo seguì. “Diego, aspetta! Diego!” Urlò, mentre avevano ormai attraversato la strada, rischiando tra l'altro di essere investiti. Diego però non accennava a fermarsi e al contrario, aumentò la velocità della corsa. Pablo riuscì a stargli dietro per diversi isolati, ma poi sfinito e con il fiato corto, dovette per forza fermarsi.
“Diego!” Urlò ancora, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. “Diego, fammi spiegare...ti prego.” Il giovane era ormai sparito dalla sua vista e Pablo si sentiva inutile e impotente come mai gli era accaduto. Capiva perfettamente che per lui dovesse essere stato uno shock e che avesse bisogno di stare da solo per assimilare la cosa, gli era accaduto lo stesso dopo aver parlato con Jackie, ma gli era comunque impossibile restare impassibile. Aveva finalmente rivisto Diego sapendo che fosse suo figlio, aveva conosciuto almeno un po' il suo carattere e ora anche lui sapeva la verità. Chissà dov'era in quel momento e se stesse soffrendo, se avesse qualcuno con cui confidarsi, d'altronde chi sarebbe riuscito a mantenere la lucidità in una situazione simile?
“Pablo.”
Angie, che era rimasta in macchina ad aspettarlo, appena lo aveva visto correre dietro a Diego, si era affrettata a seguirli e finalmente aveva raggiunto l'uomo. “Cos'è successo? Glielo hai detto?” Chiese, preoccupata.
Pablo non rispose, gettandosi tra le sue braccia e lasciandosi andare a un pianto liberatorio.
Angie lo strinse forte a se. “Dagli tempo, ha bisogno di stare da solo. Vedrai che poi sarà lui stesso a cercarti.”
Il moro sospirò, sciogliendo l'abbraccio e asciugandosi le lacrime. “Angie, non hai idea di quello che ho provato quando l'ho visto. Nei suoi occhi c'era dolore, sofferenza e li maschera con quegli atteggiamenti arroganti e sfrontati. Chissà com'è stata la sua vita e... mi sento così in colpa.”
“Non devi,” gli disse lei, abbracciandolo nuovamente. “L'unico colpevole è quel Fernandez che ha manipolato la vita tua, di Diego e ahimè... anche di Jackie. Voi siete solo delle vittime. Le cose si sistemeranno, lasciagli un po' di tempo per assimilare la notizia, non deve essere facile per lui. Io sono qui con te, non ti lascerò un attimo” aggiunse, stampandogli un bacio sulla guancia.
Lui sorrise. “Sei un angelo Angie, il mio angelo.” Si sorrisero e si scambiarono un dolce bacio, inconsapevoli che qualcuno li stesse osservando e che soprattutto, avesse sentito ogni cosa.






Luca sbuffò, mettendosi le mani nei pantaloni e affrettando il passo. Da quando era stato sospeso, cercava di stare in casa il meno possibile e questo perché era un maledetto codardo. Non riusciva a sopportare di incrociare lo sguardo di Francesca e leggervi dolore, consapevole che fosse tutta colpa sua. Quando aveva scoperto di lei e Federico, le aveva detto delle cose orribili, che mai avrebbe pensato di dire a qualcuno, soprattutto alla sua dolce sorellina. Per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa, i suoi sorrisi gli illuminavano le giornate, ma ora non avrebbero potuto essere più distanti. Francesca passava la mattinata chiusa in camera e il pomeriggio supponeva si vedesse con Federico o con le sue amiche, ma non era felice, lei stava soffrendo. Il fatto che sua sorella soffrisse per colpa sua, lo tormentava giorno e notte e proprio per questo faceva il possibile per evadere dalla realtà. Pensava che camminare lo avrebbe aiutato a stare meglio, peccato che in quel modo la sua mente lavorasse in maniera ancora più frenetica, ricordandogli crudelmente i suoi gesti e le sue parole nell'ultimo periodo. Aveva sbagliato, era stato troppo duro sia con Francesca che con Federico, forse avrebbe dovuto provare a farsi spiegare bene la situazione da loro, dopotutto avevano parlato d'amore e non potevano esserselo inventato. Ultimamente aveva visto sua sorella fin troppo radiosa e con la testa tra le nuvole, cosa che non accadeva da quando Thomas, il suo primo amore, era partito. Avrebbe dovuto capire che Francesca si fosse innamorata, i segnali c'erano tutti, ma aveva preferito appellarsi a quel modo assurdo con cui lei e Federico si erano avvicinati e di conseguenza aveva tirato fuori il peggio di se. Per quanto riguardava Federico, già da parecchio sapeva che avesse dei problemi con una ragazza, ma mai avrebbe immaginato si trattasse di sua sorella e poi aveva iniziato ad uscire con Lena. Luca insomma, non aveva mai preso in considerazione la possibilità che Francesca potesse innamorarsi del suo migliore amico, aveva capito che le piacesse Marco. Possibile che fosse così imbranato nelle questioni sentimentali? Ma d'altronde non riusciva a capire i suoi di sentimenti, figurarsi quelli degli altri. Nemmeno si era reso conto di essersi affezionato sempre di più a Ludmilla, di ritrovarsi più volte a pensarla. Mai avrebbe pensato che potesse piacergli una ragazza come lei, così diversa dal suo ideale, ma forse era proprio vero che l'amore fosse imprevedibile. La Ferro era capricciosa, viziata, intrattabile, ma era anche stata l'unica ad essergli rimasta accanto dopo il disastro che aveva combinato con Federico e Francesca. In un certo senso sembrava capirlo e sapeva come distrarlo, quando c'era lei si sentiva bene. Che se ne stesse innamorando?
“Luca, tesoro, dove vai tutto solo?”
Il ragazzo sobbalzò, notando solo in quel momento Ludmilla Ferro avanzare verso di lui, con un grande sorriso stampato in faccia. E dire che proprio in quel momento stesse pensando a lei, era un segno del destino?
“Ciao Ludmilla,” borbottò, mentre lei lo affiancava.
“Ti vedo giù sweety e questo a Ludmilla non piace,” esordì la bionda, dopo diversi minuti in cui predominò il silenzio assoluto.
Luca la guardò con la coda dell'occhio e notò che in effetti fosse parecchio preoccupata e se ne dispiacque. La sua ragazza era venuta a cercarlo per stare un po' con lui e aveva trovato solo un musone pieno di dubbi e sensi di colpa, lei che più di tutti gli era stata accanto, meritava molto di più. “Scusami,” mormorò, sforzandosi di sorridere. “Oggi sono proprio una pessima compagnia.”
Ludmilla annuì, piazzandosi poi davanti a lui e costringendolo quindi a fermarsi. “Forse so di cos'hai bisogno per stare meglio,” sorrise ammiccante, sollevandosi sulle punte e prendendogli il volto tra le mani. Un attimo dopo gli stava stampando un bacio sulle labbra, gesto che lo colse decisamente di sorpresa, ma che non lo infastidì di certo, i suoi baci gli piacevano fin troppo. La strinse perciò a se e approfondì il bacio. Il profumo dei suoi capelli e del probabilmente costosissimo profumo che aveva, gli invasero le narici, ma ancora di più furono le sue piccole mani che teneva ancora poggiate sul suo volto e la passionalità con cui lo baciava, a fargli perdere la testa. Nessuna ragazza gli aveva mai fatto un simile effetto.
“Va meglio?” Sorrise la Ferro, sbattendo le lunghe ciglia.
Lui annuì, ricambiando il sorriso. “Mai stato meglio.” Le circondò poi le spalle con un braccio, ascoltandola parlare di un negozio di abbigliamento molto in voga che aveva appena aperto. Non che la cosa lo interessasse particolarmente, lui non era il tipo che facesse shopping regolarmente o che abbinasse i vestiti, al contrario indossava la prima cosa che trovasse nell'armadio, ma non poteva dirglielo, altrimenti lo avrebbe ucciso e poi andare in giro per negozi gli avrebbe sicuramente fatto bene, aveva bisogno di distrarsi e chi più della regina dello shopping poteva aiutarlo?





Una leggera pioggerella aveva iniziato a colpire la città argentina, ma Diego sembrava quasi non sentirla. Camminava per le strade sempre più trafficate a causa del maltempo e quasi non sapeva dove andasse. Nella sua mente si affollavano pensieri contrastanti, emozioni forti e insostenibili. Da quando aveva scoperto che Jackie fosse sua madre, si era in un certo senso isolato dal mondo, troppo ferito e deluso da una realtà che mai avrebbe creduto essere più crudele. Per uno stupido folle istante si era illuso che davvero Jackie fosse una vittima di Joaquin, ma poi lei aveva ammesso di non averlo mai cercato e il suo mondo era crollato in mille pezzi. Su suo padre non aveva scommesso per niente, convinto che come la donna, se ne fosse fregato di lui e poi le parole di Leon... Pablo voleva parlargli della borsa di studio, subito aveva capito che fosse una scusa, troppe erano le coincidenze. Lo aveva mandato Jackie per mettere pace? Diego all'inizio lo aveva pensato, ma poi quando lo aveva guardato negli occhi e aveva visto la sua agitazione e il suo nervosismo, un dubbio aveva iniziato ad assalire la sua mente. Leon gli aveva detto che Pablo e Jackie avessero avuto una relazione e poi ricordava l'espressione della donna quando le aveva chiesto chi fosse suo padre, era spaventata e forse si sentiva addirittura in colpa. Era stato per quello, che prendendo il coraggio a due mani, gli aveva posto quella domanda. Tu sei mio padre, vero? La voce gli tremava, il cuore gli batteva forte e tutto in lui sembrava gridargli di scappare. Pablo appariva a sua volta distrutto ed era sicuro che stesse facendo uno sforzo sovrumano per non piangere. Forse davvero lo aveva scoperto da poco, forse era stato sincero, ma in quel momento la sua razionalità era ridotta allo zero e le emozioni avevano preso il sopravvento, portandolo a scappare via. Le urla disperate di Pablo gli rimbombarono nelle orecchie, così come tutte le conversazioni che aveva avuto con lui. E poi scene, ricordi frammentati e un abbraccio, quell'abbraccio che gli aveva dato quando aveva convinto Leon a tornare allo Studio. Senza saperlo, allora aveva abbracciato suo padre, così come aveva abbracciato sua madre quella famosa sera di lacrime e disperazione. Alla fine li aveva trovati ed entrambi sembravano in qualche modo desiderosi di avere un rapporto con lui, ma lui lo voleva? Era venuto a Buenos Aires proprio per quello, perché allora si ostinava a scappare da loro? Jackie era solo una ragazzina sottomessa a suo padre e per questo non lo aveva cercato, Pablo non sapeva nemmeno della sua esistenza, ma ora soffrivano...aveva visto e sentito le loro lacrime.
Senza rendersene conto, era giunto sul lungomare della città, popolato solo da qualcuno che portava a passeggio il cane. La pioggia nel frattempo, continuava imperterrita e ormai il giovane era bagnato fradicio. Si affacciò oltre il muretto, ritrovandosi a fissare il mare con sguardo assente. Probabilmente non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma aveva paura, paura di fidarsi. Chi gli assicurava che i suoi genitori non lo avrebbero di nuovo abbandonato? Chi gli assicurava che ci tenessero davvero a lui e non si trattasse di semplice pena? Troppe volte era rimasto deluso, troppe volte la vita era stata crudele con lui, poteva davvero essere felice? C'era una possibilità anche per lui? Onestamente non lo sapeva, non ricordava un momento in cui fosse stato davvero felice. Aveva sempre indossato una maschera per difendersi dagli altri, era stato cattivo, si era fatto odiare. Leon era l'unico che lo conoscesse, l'unico a cui aveva permesso di vedere oltre la maschera. Era pronto a consentirlo anche a Pablo e a Jackie? E a Camilla? La Torres gli era entrata sotto pelle quasi subito e con il tempo si era ritrovato sempre più spesso a cercarla, a confrontarsi con lei. Era presto per dire che fossero innamorati, ma tra di loro c'era un legame e quando si erano baciati, lo aveva sentito più forte che mai. Voleva che lei vedesse oltre la maschera, che conoscesse il vero Diego, lo voleva davvero. Perché allora non ci riusciva, perché gli era così difficile fidarsi di qualcuno? Aveva permesso persino a Violetta di vederlo vulnerabile, certo in quel caso non aveva avuto scelta, visto che si era auto invitata alla gita per trovare Joaquin, ma valeva lo stesso, no?
La verità era che aveva paura di deludere Camilla, che ciò che avrebbe visto non le sarebbe piaciuto e lo stesso valeva per i suoi genitori. Mostrarsi vulnerabile avrebbe permesso loro di arrivare a lui, di confondere le sue sempre controllate emozioni e poi anche di ferirlo se avessero voluto e Diego non voleva soffrire, non lo voleva e basta. Ma si poteva evitare di soffrire, in fondo? Probabilmente no e se voleva davvero tentare di essere felice, doveva mettersi in gioco e rischiare, quella era l'unica possibilità che avesse, l'unica che un vero uomo avrebbe considerato.
Si scostò dalla fronte i capelli bagnati e finalmente si decise a riaccendere il cellulare. Sia Leon che Camilla lo avevano chiamato diverse volte, ma non li richiamò. Seguendo solo l'istinto, intraprese la strada che lo avrebbe portato a casa di Marco. Troppe erano state le emozioni di quella giornata e di quel periodo in generale e aveva bisogno di una dormita decente, poi a mente lucida avrebbe preso quella che avrebbe considerato la decisione migliore per se stesso.
Giunto sotto casa di Marco, trovò però ben quattro persone ad attenderlo. Leon, Violetta, Camilla e lo stesso Marco, appena lo videro, gli vennero incontro, preoccupati.
“Diego, ma cos'hai fatto? Sei tutto bagnato!” Esclamò la Torres, agitata.
Lui scrollò le spalle, facendo per superarli, ma Leon gli si piazzò di fronte. “Togliti Vargas, devo passare.”
Il ragazzo scosse la testa, prendendolo poi per le spalle. “Guardami Diego. Ho detto guardami,” aggiunse, quando lui non lo fece.
Diego sbuffò, poi si decise a guardarlo negli occhi e quello che Leon vide, fu un ragazzo smarrito e spaventato. “Diego,” mormorò, abbracciandolo e lasciandolo basito. Possibile che con un solo semplice sguardo lui lo avesse capito? Si lasciò andare a quell'abbraccio, rendendosi conto ogni istante di più quanto ne avesse avuto bisogno. Era abituato a cavarsela da solo, nessuno si era mai preso cura di lui, nessuno lo aveva mai abbracciato. Forse proprio per quello aprirsi con qualcuno gli risultava così difficile, lo aveva fatto così poche volte e solo con Leon e una volta con Violetta.
Subito dopo Leon, lo abbracciarono anche la Castillo e Marco, mentre Camilla appariva per la prima volta intimidita e non poteva darle torto, in fondo dopo che si erano baciati non avevano proprio parlato di che tipo di rapporto ci fosse tra di loro. Voleva chiarire le cose, non voleva che ci fossero dei dubbi o altro.
“Camilla,” si avvicinò a lei, sorridendo. “Tu non mi abbracci?”
Lei si morse il labbro, avvampando paurosamente. “Vuoi che lo faccia?” Gli chiese, imbarazzata. Mai Leon e Violetta avevano visto Camilla così a disagio.
Diego ghignò, poi senza pensarci troppo, la strinse tra le sue braccia. “Dopo parliamo con calma di quello che è successo alla pista,” le sussurrò all'orecchio e lei annuì.
Quando sciolsero l'abbraccio, Leon gli si avvicinò, serio. “Ti va di parlare?”
“Se volete, vi lasciamo soli, non c'è problema,” aggiunse Marco, indicando se stesso, Violetta e Camilla. Il giovane spagnolo li guardò uno ad uno, poi lentamente scosse il capo. Basta avere paura, basta chiudersi in se stesso, era ora di dare fiducia a tutti i suoi amici e non solo a Leon. Loro gli volevano bene ed erano lì per lui, meritavano la sua fiducia. “Andiamo a parlare a casa tua, Marco?”
Tutti lo guardarono, sorpresi, di certo quella era l'ultima cosa che si aspettassero da lui.
“Si, certo,” disse Marco, accennando un sorriso, poi guidò i quattro ragazzi verso casa sua, felice che Diego avesse finalmente deciso di aprirsi con loro.
Il ragazzo, dal canto suo, avvertiva un certo nervosismo, non era per niente abituato a parlare delle sue cose personali, per di più davanti a più di una persona, ma un vero uomo se aveva paura di qualcosa l'affrontava e Diego era seriamente determinato d'ora in avanti a farlo, costi quel che costi.






Eccomi, sono tornata, stavolta anche con un po' di anticipo! XD Da dove comincio? Allora, finalmente c'è stato il faccia a faccia tra Pablo e Diego e il ragazzo che saputo la verità, o meglio, c'è arrivato da solo e troppo sconvolto, non ha permesso all'uomo di spiegargli bene come sono andate le cose, preferendo scappare. Pablo c'è rimasto malissimo, ma grazie ad Angie, che ormai è il suo angelo custode, ha capito che Diego ha bisogno di tempo per assimilare la cosa. In tutto questo, Diego e Camilla hanno fatto un passo decisivo nel loro rapporto e si sono baciati :3 e Luca inizia a sentirsi in colpa per come ha trattato Francesca e Federico. Tra l'altro, Diego ha anche superato la sua paura di fidarsi delle persone, accettando di aprirsi non solo con Leon e con Violetta, ma anche con Marco e ovviamente con Camilla.
Prima di salutarvi, ci tenevo a ringraziarvi per le recensioni dello scorso capitolo, che sono state semplicemente meravigliose e mi hanno emozionato un sacco! Grazie!! :3
A presto!
Trilly <3


 

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Capitolo 33
*** Importanti decisioni ***






“Che cosa?” Esclamò Francesca, sconvolta, camminando nervosamente avanti e indietro nella sala del Restò Band, che in passato avevano usato come sala prove, quando Gregorio era direttore. Maxi, Nata e Lena, avevano appena finito di raccontare a lei e a Federico ciò che era successo allo Studio in loro assenza, in particolare riguardo Ludmilla. “Non è possibile! Mio fratello non può essersi davvero fidanzato con quella tarantola.”
Federico scosse la testa, incredulo. Ormai stava decisamente meglio, il suo naso era ancora arrossato e il livido sotto l'occhio era diventato verdastro, ma per il resto si stava riprendendo. “Quella ragazza gli ha fatto il lavaggio del cervello. Sono sicuro che è stata lei a dirgli di noi due,” aggiunse, guardando Francesca, che annuì. “In qualche maniera deve averlo scoperto.”
“Anche noi lo abbiamo pensato,” convenne Lena. “è troppo strano che si siano messi insieme subito dopo che Luca ha scoperto di voi.”
“Aggiungeteci poi che lo stesso giorno Camilla ha ricevuto quella foto di Broadway con relativo messaggino,” continuò Maxi.
“è stata Ludmilla,” disse Nata. “La conosco e so di cosa è capace.”
“Ma che accidenti vuole da noi?” Esplose Francesca, continuando ad agitarsi. “Dopo tutto quello che ha combinato l'anno scorso, dovremmo essere noi a vendicarci di lei e non il contrario. Giuro che l'ammazzo!” Si avviò verso la porta, ma un attimo prima che la varcasse, Federico le prese il polso e la riportò al centro della stanza. “La pagherà, Fran,” sussurrò, stringendola forte a se. “Ti giuro che la pagherà.”
La mora annuì, seppellendo il volto nel suo petto. “Non possiamo andare da Ludmilla e accusarla senza uno straccio di prova.” Lena aveva iniziato a camminare avanti e indietro, come fino a poco prima stava facendo l'italiana, toccandosi pensierosamente il mento. “Dobbiamo trovare il modo di smascherarla.”
Nata annuì. “Credo si sia trovata un altro alleato, non può aver fatto tutto da sola, per quanto sia perfida. Mi ha fatto fare il lavoro sporco al posto suo fin troppe volte.” Rabbrividì al solo pensiero e Maxi le strinse subito la mano, sorridendole dolcemente.
“Si, ma chi potrebbe aiutarla?” Chiese Federico, confuso. “Gli unici nomi che mi vengono in mente e solo perché sono gli ultimi arrivati e potrebbero essersi fatti abbindolare, sono quelli di Marco e Diego.”
“Marco non lo farebbe mai,” ribatté prontamente Lena. “è un bravo ragazzo.”
“Si,” convenne Maxi. “Escludilo a priori, Marco è uno di noi. Su Diego non posso garantire.”
“Non penserai mica che Diego si sia messo a spiare me e Federico?” Chiese Francesca, incredula. “A me sembrava più occupato a parlottare con Leon o a flirtare con qualche ragazza.”
“Forse, ma a volte l'apparenza inganna,” commentò Federico. “In fondo cosa sappiamo di lui, a parte che è amico di Marco?”
“è amico anche di Leon,” disse Nata, sicura. “E sappiamo che Leon non è stupido, non sarebbe mai stato amico suo se avesse notato qualcosa di strano in lui.”
“Anch'io penso che Diego non c'entri nulla,” intervenne Lena, appoggiando la sorella. “Credo che il misterioso alleato di Ludmilla sia ancora più ovvio di quello che pensiamo.”
Maxi rise, incredulo. “Non dirmi che sospetti di Andres.”
La giovane spagnola scosse la testa. “In realtà stavo pensando alla sua dolce metà.”
“Andrea?” Chiesero gli altri in coro, sorpresi. Chissà perché, ma non avevano proprio preso in considerazione quella possibilità, Andrea sembrava un tipo a posto.
“Si, ma certo!” Esclamò Maxi, colpendosi la fronte. “Come ho potuto dimenticare che in passato si è messa con Andres solo per farmela pagare? È subdola, non come Ludmilla certo, ma lo è.”
“Mmm...e se usassimo lei per arrivare a Ludmilla?” Propose Federico, con fare cospiratore.
“Cos'hai in mente?” Chiese Francesca, con un sorriso complice. “Ludmilla non parlerà mai, ma magari possiamo riuscire a far parlare lei.”
“Soprattutto se la Supernova mostra la sua vera natura,” aggiunse Lena, sorridendo sicura. “Il suo caratteraccio porterà sicuramente Andrea a ribellarsi e noi dobbiamo essere pronti ad approfittarne.”
Quello che i ragazzi non sapevano, era che proprio in quel momento a Villa Ferro, tre ragazze fossero riunite nella grande camera di Ludmilla per discutere sul loro crudele piano.
“Allora?” Chiese la bionda, passandosi l'ennesimo strato di rossetto sulle labbra e ammirando il risultato nel grande specchio.
Andrea, che era seduta sul letto e si stava svogliatamente limando le unghie, sospirò. “Camilla ha lasciato Broadway, ma non ha sofferto molto.”
“Si è consolata molto in fretta,” convenne l'altra ragazza, che altri non era che Lara. “è venuta alla pista di motocross a fare la cretina con Diego.”
Ludmilla annuì, pensierosa. “Che mi dite di Vilu? Se non sbaglio, lei e Lyon stanno ancora insieme,” dicendo ciò, rivolse un'occhiataccia a Lara, che ruotò gli occhi. “Le mie parole l'hanno colpita, te lo assicuro, e comunque non ho finito di giocare con lei. Mi riprenderò Leon, fosse l'ultima cosa che faccio,” aggiunse, sicura. “Quella bambolina di porcellana non è la ragazza adatta a lui e presto se ne renderà conto. Con Luca come vanno le cose?”
La bionda sorrise soddisfatta. “A meraviglia, ormai è cotto di me. Non perdonerà mai Francesca, lui fa tutto quello che dico io.” Nei suoi occhi c'era una sicurezza e un'arroganza tali da far scuotere la testa alle altre due. “Andrea cara,” riprese, puntandole addosso il suo sguardo pungente. “Tu hai pensato a cosa fare con Camilla?”
Andrea annuì, distrattamente. “So quello che faccio, Ludmilla, di questo non devi preoccuparti. Tu piuttosto, stai pensando a come ricompensare me e Lara?”
A quelle parole, anche la meccanica puntò lo sguardo su Ludmilla, che appariva spazientita da quella sfacciataggine. “Voi pensate a fare il vostro dovere, che fino ad ora Cami e Vilu mi sembrano parecchio felici, o sbaglio? Se non ottenete dei risultati migliori, non avrete un bel niente!” Sbottò acida, facendo ondeggiare la lunga chioma. “E ora andatevene, ho un appuntamento con Luca e a proposito, Fran sta soffrendo,” aggiunse, con un sorrisetto crudele. “Voi quando avete intenzione di far soffrire le altre due?”
Andrea sbuffò, borbottando qualcosa tra i denti. Iniziava seriamente ad averne abbastanza di quella ragazza. Lara invece scattò in piedi, fronteggiandola. “Ascoltami bene, cara Ludmilla, se ho iniziato a collaborare con te, l'ho fatto solo per riprendermi il mio Leon, per il resto non me ne frega un accidenti, perciò attenta a come ti comporti con me.” La ragazza era parecchio minacciosa, ma Ludmilla non si scompose, rivolgendole un sorriso di sfida. “Lo stesso vale per te, posso schiacciarti quando voglio.”
La meccanica rise, incredula. “Tu non hai idea di cosa sono capace, non sei l'unica ad essere subdola. Lara se ne va,” aggiunse, schioccando le dita e ancheggiando in una perfetta imitazione della bionda.
Ludmilla la fulminò con lo sguardo e storse il naso. “Sei tu che non hai idea di chi sono io, cara Laruccia,” sussurrò con un sorriso maligno, facendo accigliare Andrea, che a sua volta, si stava avviando verso la porta. “Noi non siamo come Nata, Ludmilla,” mormorò, ripetendo quello che le aveva detto quando avevano deciso di allearsi. “Non ci faremo manipolare da te, né ci lasceremo schiacciare.” Senza attendere risposta, se ne andò, facendo indispettire non poco la Ferro, che per la prima volta sentiva di non avere la situazione sotto controllo. Andrea e Lara erano troppo ribelli, troppo indisponenti e proprio non riusciva ad incutere loro timore come invece ci riusciva con Nata. Doveva trovare una soluzione e doveva farlo subito, prima che fosse stato troppo tardi.
Il suono del suo cellulare la fece sussultare. Lo recuperò tra un numero spropositato di smalti dai colori sgargianti. “Uh guarda, mi è arrivato un messaggino,” trillò divertita, notando che il mittente fosse Luca.


Sono quasi arrivato sotto casa tua. Ho una sorpresa. Luca.


Rilesse quel messaggio diverse volte, mentre il sorriso sul suo volto si allargava e uno strano calore si propagava nella zona guance. Pensava che vedere Luca così cotto di lei l'avrebbe resa euforica, eppure l'unica cosa che riusciva a provare era una forte e intensa emozione, un qualcosa che somigliava vagamente e ciò che le scatenava Thomas, solo che era molto più forte e la cosa la terrorizzava. Heredia era stato il suo grande amore, un amore che mai lui aveva corrisposto e per questo, anche se lo aveva mascherato alla perfezione, aveva sofferto parecchio. Quanto aveva odiato Violetta, che poteva avere il suo amore, che poteva avere l'amore di tutti. Con Luca però era diverso, l'italiano non aveva occhi che per lei, era dolce, premuroso, sincero, lui a differenza di Thomas non fingeva di provare qualcosa che non esistesse.
Ludmilla lanciò il cellulare sul letto, per poi sdraiarsi a sua volta, massaggiandosi nervosamente le tempie. Aveva passato tutta l'estate a progettare il suo piano di vendetta, ma quando incrociava gli occhi verdi di Luca, dimenticava ogni cosa e si lasciava guidare solo dal cuore, che batteva come un forsennato. Cosa le stava accadendo? Ludmilla Ferro non era una stupida sentimentale, lei era manipolatrice, perfida, calcolatrice, scorretta, tutte caratteristiche che Luca Cauviglia era in grado di annullare con un semplice sorriso. D'accordo che le piacessero i bravi ragazzi, era sempre stato così, ma non poteva provare qualcosa per lui, non poteva e basta. Aveva un piano da portare a termine, i suoi ridicoli sentimenti non potevano rovinare tutto. “Maledetto!” Urlò, colpendo il materasso con una serie di pugni. “Per colpa tua, rischio di mandare a rotoli la mia vendetta! Cosa mi stai facendo?” Aggiunse, con un filo di voce, rendendosi conto di essere a un passo dalle lacrime. Era stato facile fare la dura con Andrea e Lara, loro non la conoscevano bene come Nata, non sapevano quando mentisse. Quanto le mancava avere la mora al suo fianco, nonostante tutte le incomprensioni, lei era sempre stata l'unica che la capisse davvero. “Basta Ludmilla, smettila con questi pensieri patetici,” mormorò tra se e se, rimettendosi seduta. Doveva smetterla di piangersi addosso, aveva un piano da portare a termine e niente e nessuno glielo doveva rovinare, né tantomeno il suo stupido cuore.






“Ciao mamma.” Leon prese posto sulla sedia accanto al letto della madre, sorridendo tristemente. Andava a trovarla quasi tutti i giorni e nonostante i numerosi tentativi dei medici, non vedeva alcun cambiamento. Certo, la donna era fuori pericolo e le ferite provocate dall'incidente si erano ormai rimarginate, ma lei continuava a non svegliarsi. Con la punta delle dita, sfiorò le bende che aveva alla testa e che proteggevano la grossa cicatrice rimasta in seguito all'operazione. Era tutta colpa sua se sua madre fosse in quello stato, se solo non si fosse distratto. Una lacrima iniziò a scorrere lungo la sua guancia, ma la scacciò con un gesto di stizza. Strinse forte la mano della donna, sospirando e socchiudendo gli occhi. “Mamma, ti ricordi quando mi hai insegnato ad andare in bicicletta? Io ero così pestifero e capriccioso, ma tu non ti sei mai arresa. Anche quando cadevo e mi sbucciavo le ginocchia, tu mi aiutavi a rialzarmi, mi consolavi e poi mi convincevi a riprovarci. Te lo ricordi, mamma? Dicevi che non dovevo arrendermi, anche quando le cose andavano male, non dovevo perdere fiducia né determinazione e ora sono qui a dirti la stessa cosa. Lotta mamma, lotta come hai sempre fatto, fallo per me, non potrei sopportare di perderti senza essermi scusato per quello che ti ho fatto. Torna da me e perdonami, ti prego,” aggiunse, tirando su col naso. Lentamente si sedette sul letto e poggiò il capo contro il petto della madre. Nelle orecchie gli risuonò il battito del suo cuore e si lasciò cullare da esso, come faceva quando era bambino. Quanto gli mancavano gli abbracci di sua madre e poi le canzoni che gli cantava ogni sera per farlo addormentare. Sembrava passata una vita da allora, lui non era più quel bambino, ma lo stesso sentiva il bisogno di averla al suo fianco, di chiederle consiglio. Chissà cosa avrebbe pensato delle sue scelte, chissà se le sarebbe piaciuta la sua Violetta.
“Ti voglio bene, mamma,” sussurrò, lasciandole un bacio sulla fronte. Tornò poi a sedersi sulla sedia e proprio in quel momento, qualcuno entrò nella stanza. Si voltò di scatto, incrociando lo sguardo di Lara. La ragazza era molto carina nel suo abito a fiori e con i capelli sciolti e lisci. Mai l'aveva vista con un abbigliamento così femminile. Tra le mani reggeva un mazzo di fiori.
“Ciao Leon.” Gli sorrise ammiccante, avvicinandosi e riponendo i fiori nel vaso sul comodino, proprio accanto al ragazzo, che prontamente le bloccò il polso. “Cosa ci fai qui?” Le sibilò minacciosamente all'orecchio.
Lei sorrise, innocentemente. “Sono venuta a trovare tua madre, non è la prima volta che vengo.” Si liberò poi della sua stretta e si sedette accanto a lui, accavallando le gambe. “è molto bella tua madre, le somigli.” Fece per stringergli la mano, ma lui si scansò, scattando in piedi.
“Vattene!” Sbottò, aprendole la porta.
Lara lo fissò a bocca aperta, sicura di aver capito male. “Cosa? Ma perché sei così cattivo con me?”
Leon ruotò gli occhi, stizzito. “Quando ci frequentavamo, non hai mai messo piede in questa stanza, pensi che io sia scemo? Vattene, ora!” Ripeté, indicandole l'uscita con un cenno.
La ragazza annuì, ma anziché andarsene, si fermò di fronte a lui. “Hai ragione,” mormorò, abbassando lo sguardo. “La verità è che ho capito quanto ci tengo a te solo quando ci siamo lasciati. Mi manchi, Leon,” aggiunse, con gli occhi lucidi. Gli strinse le mani con le sue, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Noi stavamo bene insieme e lo sai. Lei non ti darà mai quello che ti davo io, lei non ti conosce, lei non sa cosa significa perdere tutto. È abituata alla vita perfetta. Io invece ti capisco, io c'ero quando avevi bisogno di un sostegno.”
Leon annuì. “Non lo nego, tu c'eri, ma il sostegno che mi hai dato non era quello di cui avevo bisogno. Lara, tra di noi non c'è mai stato amore e lo sai.”
La ragazza scosse la testa. “Non è vero,” singhiozzò. “Io ti amo, ti amo sin da quando ti ho conosciuto.” Si gettò tra le sue braccia, ma lui prontamente la scostò. “Lara, ti prego.”
“Ma...non farmi questo, amore.” Scoppiò a piangere, lasciando il giovane basito. Si prese il volto tra le mani, strofinandolo con vigore. Perché era tutto così complicato? Sapeva di essere stato crudele con Lara, di aver approfittato del suo amore, ma mai le aveva fatto credere di ricambiarlo. Era stato chiaro sin dall'inizio, lo era sempre stato. “Smettila, Lara. Dov'è la tua dignità?”
Di tutta risposta, lei singhiozzò più forte. “Ho bisogno di te...non lasciarmi, ti p..prego...” Provò ancora ad abbracciarlo e ancora lui l'allontanò. “Io non ti amo Lara, non ti ho mai amato, non so più in che lingua dirtelo,” sbottò, esasperato. Lanciò un'ultima occhiata alla madre, poi lasciò la camera a passo svelto. Gli dispiaceva aver trattato Lara in quella maniera e ancora di più di averlo fatto davanti a sua madre, ma non aveva avuto scelta, era l'unico modo per farglielo capire visto che si ostinava a non farlo. Solo quando le porte dell'ascensore si chiusero, si rese conto che Lara lo avesse seguito. Ora non piangeva più, ma i suoi occhi erano rossi e gonfi. Si sforzò di ignorarla, ma lei si aggrappò al suo braccio proprio nel momento in cui si aprivano le porte.
Violetta che era rimasta nell'atrio ad aspettarlo, per dargli un po' di privacy con sua madre, li vide così abbracciati e il sorriso sparì dal suo volto. Si avvicinò però rapidamente ai due, rendendosi conto che Leon fosse piuttosto alterato. “Staccati, Lara!” Esclamò infatti, spingendola lontano da se.
“Cosa ci fa lei qui?” Chiese Violetta, infastidita, mentre l'altra sorrideva. “Sono venuta a trovare la mia futura suocera.”
Sia la Castillo che Vargas la fissarono, stupefatti. “Che cosa? Mio Dio,” commentò Leon, scuotendo la testa, rassegnato.
Violetta invece, una volta ripresosi dallo shock, fronteggiò la rivale. “Ascoltami bene, Lara. Leon sta con me, perciò vedi di stargli alla larga,” Sbottò, fulminandola con lo sguardo.
La meccanica non si scompose, al contrario sorrise crudele. “Per ora, ma le cose possono cambiare. Lui si stancherà di stare con una mocciosa.” Rivolse poi a Leon uno sguardo malizioso e ciò fece scattare qualcosa nella giovane Castillo. Ancora quelle allusioni, ancora quei colpi bassi. Basta, ne aveva abbastanza. Leon fece per dire qualcosa, probabilmente un'imprecazione, ma Violetta lo anticipò, ostentando un sorriso provocatorio, che poco le si addiceva. “Ti assicuro che Leon ed io non abbiamo alcun tipo di problema, al contrario siamo molto complici...in tutti i sensi,” aggiunse, ammiccando al suo fidanzato, che la fissava a bocca aperta.
Lara le rivolse uno sguardo di puro odio e stizzita, si allontanò senza aggiungere altro, mentre Violetta sorrideva soddisfatta. Ce l'aveva fatta, aveva tenuto testa a Lara, l'aveva sconfitta e umiliata in un solo colpo.
“Dobbiamo parlare.” La voce di Leon la riportò alla realtà. Lui era lì al suo fianco con le braccia conserte e l'espressione seria. Violetta arrossì di colpo, sapeva già cosa volesse dirle e mai in vita sua si era sentita così in imbarazzo. Leon però non disse nulla, limitandosi a prenderla per mano e a guidarla fuori dall'ospedale. In silenzio montarono sulla sua motocicletta, sfrecciando per le strade della città. Solo quando raggiunsero il parco, il ragazzo si fermò e l'aiutò a scendere dalla moto. “Leon,” provò, ma lui scosse la testa, invitandola a prendere posto su una panchina isolata. La guardò allora negli occhi e le strinse le mani con le sue. “Perché hai fatto credere a Lara che noi due... bè, che lo facciamo?” Le chiese, guardandola fisso negli occhi, serio.
Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Ecco, io...non è così, è lei che lo pensa e...” S'interruppe, incapace di aggiungere altro. Leon allora le sollevò il mento con due dita, costringendola a guardarlo negli occhi. Ciò che vide non la sorprese, era arrabbiato, arrabbiato con lei. “Non è la prima volta che Lara ti fa quelle allusioni, non è così?” Mormorò, spiazzandola però completamente. “Come?”
“Perché diavolo non me lo hai detto?” Proseguì lui, alzando il tono di voce. “Se me ne avessi parlato, l'avrei zittita e...”
“Mi vergognavo, va bene?” Lo interruppe la ragazza, rossa in viso. Un lampo di confusione attraversò lo sguardo di Leon. “Ti vergognavi? E di cosa?”
Violetta si morse nervosamente il labbro, ma si costrinse lo stesso a guardarlo. “Bè, noi non...non abbiamo mai parlato di...di quella cosa,” balbettò, con un filo di voce.
A quelle parole, Leon scoppiò a ridere, lasciandola basita. “Sei così tenera tutta rossa e in imbarazzo,” sussurrò, sfiorandole dolcemente una guancia. “Non ti sto prendendo in giro,” aggiunse, quando lei lo fulminò con lo sguardo. “Non devi vergognarti di me, puoi dirmi tutto, lo sai.”
Lei annuì. “Hai ragione, ma non è facile parlarne e... Lara mi ha fermata una mattina,” riuscì finalmente ad ammettere, raccontandogli poi tutto quello che si erano dette. Leon l'ascoltò in silenzio, stringendole forte le mani con le sue e a quel contatto, anche se a disagio, lei alzò lo sguardo, incrociando il suo. “Avrei dovuto dirtelo, perdonami.”
Il ragazzo sorrise dolcemente. “Non potrei non perdonarti, ma promettimi che non ti vergognerai più di me. Se hai paura, freddo, caldo, qualsiasi cosa, dimmelo, ok?”
“Si,” sorrise Violetta. “Te lo prometto.” Si lasciò poi stringere tra le sue braccia, poggiando il capo sul suo petto. Il suo profumo e il suo calore la invasero completamente, facendola sentire viva e protetta. Sarebbe rimasta abbracciata a lui tutta la vita, lì aveva tutto ciò di cui aveva bisogno e che aveva sempre voluto. “Ti amo, Leon.”
Lui sorrise, dandole un bacio nei capelli. “Ti amo anch'io, amore.” Le prese poi il volto tra le mani, accarezzandoglielo. I suoi occhi verdi nel frattempo, si specchiavano nei suoi nocciola. “Ascoltami, mai devi dubitare del mio amore per te. Lara ha tentato di ferirti, di allontanarci con le sue menzogne, sono menzogne Vilu.”
La ragazza annuì, anche se non molto convinta. “Lei c'era quando avevi bisogno e ha saputo sostenerti e...” Leon scosse la testa. “Quando stavo con lei non ero in me, stavo affrontando un periodo buio e lei lo sapeva. Non le ho mai parlato d'amore, al contrario la cercavo per i miei interessi e la cosa le stava bene. Ho ripreso a vivere quando tu ed io ci siamo riappacificati, devi credermi.”
Violetta si morse nervosamente il labbro inferiore, poi annuì. “Lo so che mi ami, ma la mia paura è un'altra. Ho paura che possa mancarti quello che ti dava Lara e in un certo senso sentirti limitato da me e io voglio che tu sia felice.”
Un lampo di comprensione attraversò lo guardo di Leon, ora gli era tutto chiaro. Violetta temeva che potesse mancargli il sesso e per questo tornare da Lara, temeva di non riuscire a renderlo felice. Sorrise, sfiorando ancora il volto della ragazza. “Ma io sono felice, tu mi rendi felice. Lara non c'è mai riuscita,” sussurrò, a un soffio dalle sue labbra.
La ragazza sorrise a sua volta, intrecciando le dita dietro al suo collo. “Anche tu mi rendi felice e...non credevo si potesse amare così.” Si scambiarono un dolce bacio, poi Violetta sussurrò. “Io sono pronta.”
Leon si accigliò, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e facendola per questo rabbrividire. “Pronta per cosa?” Chiese, confuso.
Lei ruotò gli occhi, divertita. “Ah Leon, a furia di frequentare Andres stai diventando tonto come lui. Sono pronta,” proseguì, imbarazzata e con un filo di voce. “Sono pronta a fare l'amore con te.”
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, stupefatto. Ma cosa stava prendendo alla sua Violetta quel giorno? Prima si comportava in quella maniera con Lara, poi gli diceva che fosse pronta a donarsi a lui, era tutto così assurdo e...
“Ci stavi già pensando, vero?” Non c'era altra spiegazione che gli venisse in mente, lei doveva aver preso quella decisione già da un po', non poteva essere impazzita così all'improvviso.
Come aveva supposto, lei annuì, rossa in viso. “Le parole di Lara mi hanno fatto pensare e ho capito che lo voglio anch'io. Voglio essere tua, Leon,” sussurrò, evitando di guardarlo, troppo era il disagio che provava. Leon scosse la testa. “Non sei pronta, è troppo presto.”
Violetta sollevò lo sguardo di scatto, stizzita. “Non trattarmi come una mocciosa, so quello che voglio. È così sbagliato?”
“No, ma...”
“Non mi vuoi? Non ti senti attratto da me, è questo il punto?” Insistette lei, facendolo ridere, incredulo. “Come ti viene in mente una cosa simile? Certo che sono attratto da te, fosse stato per me, avrei fatto l'amore con te già nel magazzino del Restò Band quando siamo tornati insieme. Ti desidero, non hai idea quanto,” aggiunse, a sua volta con un filo di imbarazzo. Non credeva le avrebbe mai espresso quei pensieri e così presto, credeva che avrebbero aspettato, che lei non fosse pronta.
Un grande sorriso illuminò il volto di Violetta a quelle parole. “Che stiamo aspettando allora? Io sono pronta ad essere tua, amore, non desidero altro.”
Leon sospirò, prendendosi il volto tra le mani. La desiderava così tanto, ma allo stesso tempo si sentiva frenato, non voleva che le sue paure la portassero a fare qualcosa di cui non fosse sicura, voleva che la loro prima volta fosse speciale. Le sorrise, poi la strinse a se. “Aspettiamo ancora un po'.” “Ma...”
“Stt...” la zittì lui, strofinando il volto nei suoi capelli. “Non ti sto dicendo di no, solo di aspettare. Godiamoci questo momento, ok?”
La ragazza sbuffò, poi annuì, rassegnata. “Va bene, hai vinto.”
Leon sorrise, sfiorandole una guancia con alcuni piccoli baci. “Io vinco sempre,” soffiò, con un tono arrogante che le ricordò tanto Diego. “Ma sentitelo!” Ruotò gli occhi, divertita, poi poggiò le labbra sulle sue, coinvolgendolo in un bacio appassionato. Anche se le cose non erano andate come si aspettasse, Violetta era sicura che quel giorno avesse vinto un importante battaglia contro la sua rivale e aveva persino rivelato a Leon il suo timore e il suo voler rafforzare ancora di più il loro legame, perciò poteva sicuramente definirsi soddisfatta.






“Ancora non riesco a credere che Pablo e Jackie sono i tuoi genitori,” commentò Camilla, sedendosi sul bordo del letto. Diego che invece era in piedi accanto alla finestra, annuì. Leon, Violetta e Marco se ne erano ormai andati, dopo che il ragazzo si era confidato con loro, ed era rimasta solo la Torres, parecchio sorpresa dalle sue rivelazioni. “Cosa pensi di fare adesso?”
Lui scrollò le spalle, continuando a guardare fuori dalla finestra. “Credevo di saperlo, ma ora non lo so più.”
Camilla annuì, poi lentamente gli si avvicinò. “Diego,” mormorò, poggiandogli una mano sul braccio. “Sei venuto qui per conoscerli, perché allora non lo fai?”
Diego finalmente la guardò, colpito dalle sue parole. “Dovrei farlo, secondo te? E se quello che mi diranno non dovesse piacermi?”
La ragazza si accigliò. “Non dirmi che non lo avevi preso in considerazione quando hai deciso di venire qui.”
“Tu non capisci,” sbottò lui, recuperando il pacchetto di sigarette dal comodino. Camilla glielo strappò di mano con un gesto di stizza. “Devi toglierti questo maledetto vizio! Fumare fa male e non ti è per niente di aiuto, lo vuoi capire o no?”
Diego contrasse la mascella e ridusse gli occhi a due fessure. “Dammi quel pacchetto.” Tentò di prenderlo, ma prontamente lei allontanò il braccio. “Non ti permetterò di continuare a farti del male,” mormorò, indietreggiando.
“Ti ho detto di darmi quel pacchetto,” sibilò il ragazzo, minaccioso. Le si avvicinò sempre di più, tanto che a furia di indietreggiare, Camilla si ritrovò spalle al muro. A quel punto, Diego le bloccò i polsi e le strappò il pacchetto di mano. “Io faccio quello che mi pare, mi sono spiegato?” Sbottò, con la solita minaccia nella voce, che però non la scompose minimamente.
“Se pensi di farmi paura, ti sbagli,” mormorò infatti, con le braccia conserte e un sopracciglio inarcato. “Sei solo un codardo,” aggiunse, per poi pentirsene immediatamente. Un lampo di rabbia infatti attraversò lo sguardo del ragazzo, che senza tante cerimonie, la prese per le spalle. “Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere, io non sono un codardo.”
“Eppure ti comporti come tale,” ribatté prontamente lei, spingendolo lontano da se. “Che ti aspettavi di trovare a Buenos Aires, la favola perfetta? Lo sapevi che ci sarebbe stata qualche brutta sorpresa, altrimenti non saresti cresciuto senza di loro. Di cos'hai paura?”
Lui la fulminò con lo sguardo. “Io non ho paura, smettila di dire queste stupidaggini e ora vattene.”
Camilla non si mosse però di un centimetro, non lo avrebbe abbandonato, non ora che aveva bisogno di lei. “E allora dimostralo, ma non a me, a te stesso.” Lo guardò fisso negli occhi, pronta a qualsiasi reazione. Diego nel frattempo, si era bloccato al centro della stanza, lo sguardo fisso nel vuoto. La ragazza gli si avvicinò, scuotendolo con vigore. “Fatti raccontare come sono andate le cose e poi decidi di conseguenza, non agire d'istinto perché hai paura di rimanere deluso o di deludere loro, mettiti in gioco. Lo hai fatto sin da quando ci siamo conosciuti, perché ora ti risulta così difficile? Dov'è il vero Diego? Dov'è il ragazzo che mi ha fatto dimenticare Broadway?” Aggiunse l'ultima frase con un filo di voce, ma fu proprio quella a risvegliare qualcosa in Diego. Il ragazzo infatti aveva iniziato a fissarla, poi di punto in bianco l'aveva attirata a se, facendo combaciare i loro petti. “Camilla,” sussurrò maliziosamente al suo orecchio. “Mi stai facendo una dichiarazione?” Un ghigno divertito si formò sul suo volto, facendola indispettire. “Perché fai sempre così? Io ti faccio un discorso importante e tu o ti arrabbi o ti prendi gioco di me, è mai...?”
Lui le poggiò un dito sulle labbra. “Stai zitta per una volta, tesoro.” Dopodiché la baciò con passione, venendo subito corrisposto dalla ragazza. Continuando a baciarla, la fece aderire spalle al muro, le mani che scorrevano lungo la sua schiena. Camilla invece gli accarezzava i capelli e poi il collo. Erano passate solo alcune ore, eppure le erano mancate così tanto le labbra di Diego e ora che finalmente le riassaporava, non voleva più lasciarle. Lui doveva pensarla allo stesso modo, perché la baciava con sempre maggior trasporto, tanto che ormai erano quasi senza fiato. Le morse il labbro inferiore e lei sospirò, facendo scorrere le dita sul suo volto. “Diego,” sussurrò, mentre lui scendeva a baciarle il collo, provocandole un brivido di piacere. Quando però il ragazzo le infilò le mani sotto la maglietta pronto a sfilargliela, Camilla lo fermò, facendolo accigliare. “Non ci pensare nemmeno. Ti ho concesso di baciarmi, ma questo non significa che puoi spingerti oltre e poi non siamo nemmeno fidanzati.”
Diego ghignò. “Vuoi prima una proposta di fidanzamento?” Di tutta risposta, la rossa lo spinse lontano da se, ferita. “Sei un idiota.” Si avviò verso la porta, ma non ci arrivò mai, dato che il ragazzo le prese il polso, costringendola a voltarsi. Non stava ridendo come si aspettava, al contrario sembrava confuso. “Ho detto qualcosa di sbagliato?” Le chiese, scrutandola attentamente.
Lei scosse la testa. “Io non sto scherzando Diego, per me è una cosa seria e se per te non lo è, lasciami andare.”
“Nemmeno io sto scherzando,” ribatté con calma lui. “Mi piaci Camilla, ma non sono capace di fare quelle cose mielose che fa Leon.”
Camilla sorrise, stringendogli le mani con le sue. “E io non te le sto chiedendo, voglio solo che tu non mi prenda in giro, non voglio essere una delle tue tante conquiste.”
“Non lo sei,” sussurrò Diego, accennando un sorriso. “Quello che sento per te, non l'ho mai sentito per nessuna. Tu mi sorprendi, mi tieni testa, mi mandi al diavolo e... cavolo, mi piace.”
A quelle parole, la ragazza si gettò tra le sue braccia, emozionata. “Anche tu mi piaci, persino quando ti comporti da stronzo.”
Si sorrisero, poi si scambiarono un bacio appassionato. “Ora so cosa devo fare, grazie.”
“Tu lo sapevi già,” disse invece lei, ma Diego scosse la testa. “Forse, ma avevo bisogno che qualcuno me lo dicesse e sono felice che quel qualcuno sia tu.”
“Anch'io Diego, anch'io,” sorrise Camilla, prima di baciarlo nuovamente.








Ciao a tutti! Mai ho fatto così tardi, ma mi farò perdonare, promesso! ;)
Allora, i ragazzi iniziano a sospettare non solo di Ludmilla, ma anche di Andrea e progettano di incastrarle. Nel frattempo le due più Lara, continuano a complottare ai danni di Vilu, Fran e Cami, ma se Lara e Andrea iniziano a ribellarsi, Ludmilla mostra i primi segnali di debolezza, Luca infatti inizia a piacerle. Il momento tanto dolce di Leon e sua madre viene interrotto da quella sanguisuga di Lara, che davvero non ha dignità. Ci pensa però una gelosissima Vilu a liberarci di lei, facendo capire al contempo a Leon, quelle che da un po' sono le sue intenzioni. Povero Leon, è rimasto sconvolto e almeno per ora rimanda, convinto che lei si stia facendo condizionare da Lara. Diego nel frattempo parla con Camilla e decide finalmente di voler ascoltare le versioni di Pablo e Jackie e allo stesso tempo, i due mettono in chiaro i loro sentimenti.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :)
A presto, baci
Trilly <3


 

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Capitolo 34
*** Una nuova opportunità ***





“Cos'è questo profumino?” Chiese Angie, curiosa, entrando in cucina. Il rumore di pentole l'aveva svegliata dal lungo e profondo sonno sui morbidi guanciali del lettone di Galindo ed era andata a controllare, passando però prima per il bagno, dove aveva fatto una doccia e indossato gli abiti del giorno prima. Sorrise, ripensando alla cenetta romantica che il moro aveva organizzato per loro e a come riuscisse ogni volta a sorprenderla. Pablo, impegnato davanti ai fornelli, le sorrise dolcemente. “Buongiorno, dormito bene?”
Lei annuì, ostentando ancora il luminoso sorriso con cui si era svegliata, abbracciandolo e lasciandogli un bacio sulle labbra. “Splendidamente.” Lo sguardo della bionda si posò poi su ciò che lui stava cucinando. “Crèpes?”
“Mi sono ricordato che le adori e così ho pensato di farti una sorpresa,” sussurrò Pablo, circondandole la vita con un braccio e attirandola a se. Angie gli gettò le braccia al collo e sorridendo, poggiò la fronte contro la sua. “Te lo hanno mai detto che sei il fidanzato più dolce del mondo?”
Pablo avvampò. “Quindi noi due...stiamo insieme?” Balbettò, imbarazzato, facendole scuotere la testa, divertita. “Per me si, ma non so per te.”
“Oh, ma anche per me si,” si affrettò a dire il moro. “Volevo solo esserne sicuro.”
Si sorrisero, lui impacciato e lei un po' imbarazzata. “Ce l'hai la nutella?” Chiese Angie, all'improvviso, voltandogli le spalle per nascondere la sua agitazione. Era la prima volta che ammettevano di essere fidanzati e ora che lei aveva la certezza di amarlo, non poteva fare a meno di avvertire del disagio. Erano stati amici per anni e ritrovarsi in quella stessa cucina come fidanzati era così strano, ma anche così bello e onestamente non sapeva come avesse fatto a vivere senza. “Nel mobile alla tua destra,” le disse Pablo, indicandoglielo con un cenno, mentre metteva in un piatto una crèpe ormai pronta. Angie prese il grosso barattolo e munita di coltello, iniziò a spalmare la nutella sulla crèpe, nel frattempo canticchiava tra se e se. Quasi senza rendersene conto, il moro si ritrovò a guardarla, rapito. Era così bella la sua Angie e la sua voce, era la melodia più dolce che avesse mai sentito.
“Pablo?” Lo richiamò Angie, schioccandogli le dita davanti agli occhi. “La tua crèpe, rischi di bruciarla,” aggiunse, divertita. Lui si riscosse, grattandosi nervosamente il capo. “Cosa? Ah, si.” Velocemente, spense il fuoco e rischiando di farla cadere a terra più volte, mise la crèpe nel piatto e si sedette accanto a lei.
La bionda nel frattempo, aveva iniziato a mangiare, ma al contempo non gli aveva staccato gli occhi di dosso, era così buffo e tenero allo stesso tempo il suo Pablo. Le faceva ancora strano definire Pablo 'suo', eppure era così. Loro stavano insieme ed erano felici, il pensiero di German era ormai lontano.
“Cosa c'è, Angie?” Le chiese lui, rendendosi conto che lo stesse fissando e intrecciando una mano con la sua. Il suo sorriso era così dolce, così premuroso e Angie si sentì amata come mai nessuno l'aveva fatta sentire. Ricambiò il suo sorriso, accarezzandogli la mano. “Stavo pensando a noi, riesci a credere che ora stiamo insieme?”
Pablo sorrise, inclinando il capo. “Se me lo avessero detto l'anno scorso in questo stesso periodo, penso che li avrei presi per pazzi, per te sono sempre stato solo un amico e quando è arrivato German, le mie possibilità si sono ridotte ancora di più sotto zero.”
“Così credevi e credevo anch'io, probabilmente,” ammise lei. “L'amore però è così imprevedibile, così complicato.”
“Puoi. Dirlo. Forte,” sussurrò lui, assottigliando la distanza tra di loro ad ogni parola, finché le loro labbra non si trovarono a un soffio. I suoi occhi scuri erano ormai persi nei grandi occhi verdi di lei, i loro cuori battevano a un ritmo forsennato e i respiri si fondevano l'uno con l'altro. Con lentezza Pablo posò la mano sulla sua guancia e finalmente fece congiungere le loro labbra. Si baciarono dolcemente, poi in maniera sempre più appassionata. Le mani di Angie scorrevano nei suoi capelli neri, quelle di lui invece, le accarezzavano il volto e i lunghi capelli biondi.
“Pablo, io,” sussurrò, ma lui la interruppe, poggiandole un dito sulle labbra. “Aspetta.” Prima che lei se ne rendesse conto, era già corso fuori dalla cucina. Tornò quasi subito, nascondendo qualcosa dietro la schiena.
“Cosa nascondi?” Chiese Angie, curiosa, tentando di sbirciare.
Pablo sorrise sibillino, tornando a sedersi e allo stesso tempo, continuando a non mostrarle quello che nascondesse.
“Allora?” Insistette la bionda, emozionata come una bambina. “Non tenermi sulle spine, non resisto più.”
“Angie,” iniziò lui, stringendole una mano, mentre l'altra restava dietro la schiena. “Da quando sei venuta qui a consolarmi, dopo quello che mi ha detto Jackie, sento che il vuoto dentro di me si è ridotto e... quando avrò ottenuto anche il perdono di Diego, credo che raggiungerò il massimo della felicità. Io ti amo, Angie,” aggiunse con gli occhi lucidi. “E proprio per questo, voglio darti una cosa che per me è molto importante.” Dicendo ciò, portò sul tavolo anche l'altra mano, nella quale stringeva una scatolina di velluto blu. Angie la prese con mani tremanti e l'aprì. All'interno c'era una sola piccola chiave d'argento.
“è la chiave di casa mia,” spiegò lui, con un filo di voce. “Voglio che vieni a vivere con me e che questa casa diventi anche tua.”
La bionda fissò la chiave e poi lui, commuovendosi fino alle lacrime. “Oh Pablo!” Esclamò, scoppiando a piangere tra le sue braccia. Pablo la strinse a se, accarezzandole il capo.
“Questo è un si?” Chiese, sorridendo. Angie sollevò lo sguardo, incrociando il suo. Oltre le lacrime, un grande e bellissimo sorriso illuminava il suo volto. “Ti amo anch'io, Pablo e si, voglio vivere con te.”
A quelle parole, anche Pablo si lasciò andare a un pianto di felicità e la baciò con passione. Si baciarono ancora e ancora e probabilmente avrebbero continuato a farlo, se non fosse suonato il campanello. “E ora chi è?” Sbuffò la Saramego, facendolo sorridere.
“Andiamo a vedere,” disse Pablo e insieme andarono alla porta. Tutti si aspettavano di trovare, ma non di certo Jackie. La bionda non avrebbe potuto essere più pallida e il modo in cui si torturava le mani, fece capire loro che fosse anche nervosa. Alla vista di Angie, un lampo attraversò il suo sguardo, poi però la ignorò, rivolgendosi a Pablo. “Devo parlarti.”
L'uomo annuì, invitandola ad entrare. “Si, penso proprio che dobbiamo parlare.” Dopotutto non potevano rimandare per sempre la questione 'Diego'. L'ultima volta era così sconvolto che aveva preferito aggredirla per poi andarsene, ma ora aveva bisogno di risposte. In silenzio raggiunsero il salotto, ormai rimesso a posto dopo la furia di Pablo di pochi giorni prima. Jackie si sedette su una delle poltrone, mentre Angie e Pablo si sedettero sul divano.
“Ho detto che voglio parlare con lui, non con te!” Sbottò Jackie, fulminando la Saramego con lo sguardo. Quest'ultima si accigliò, per nulla intimorita. “Io vivo qui, Jackie e me ne vado solo se me lo chiede Pablo.” Dicendo ciò, strinse la mano dell'uomo, che le sorrise dolcemente.
La Fernandez si indispettì e dopo aver lanciato un'altra occhiataccia ad Angie, guardò Pablo. “So che hai parlato con Diego.”
Lui annuì. “Te lo ha detto lui?” Jackie rise, amaramente. “Da quando mi ha affrontato quella sera, mi evita, ma sapevo che tu lo avresti trovato e così ti ho pedinato.”
Pablo strabuzzò gli occhi, sicuro di aver capito male. “Mi hai pedinato?”
L'insegnante di danza annuì. “Te l'ho detto, lui è arrabbiato con me e non si fa trovare. Volevo vederlo.”
“Evita anche me,” ammise Galindo. “Ha capito ancora prima che glielo dicessi ed è scappato via, sconvolto.”




“Non mi sembra vero che sono davvero qui,” mormorò Diego, camminando avanti e indietro sul marciapiede a pochi metri da casa Galindo, portandosi nervosamente la sigaretta alle labbra. Camilla e Violetta lo seguivano con lo sguardo, indecise sul da farsi, mai lo avevano visto così nervoso e non potevano dargli torto visto che di lì a poco avrebbe finalmente parlato con Pablo, suo padre. Leon, dal canto suo, tentava in tutti i modi di rassicurare l'amico, raccontandogli una serie di aneddoti riguardanti il direttore dello Studio. “Non poteva capitarti un padre migliore, te lo assicuro,” gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla. “Lo conosco da tanto tempo, è stato come un padre per ogni singolo ragazzo con cui ha avuto a che fare. Quando ho avuto bisogno, c'è stato.”
Lo spagnolo annuì distrattamente, perso in chissà quali pensieri. Era terrorizzato, era più che evidente e proprio per questo, Leon gli gettò la sigaretta a terra, beccandosi un'occhiataccia, che però ignorò, prendendolo per le spalle. “Guardami.” Diego sbuffò, poi però obbedì. “Stai tranquillo, Pablo già ti adora. Darebbe la vita per ogni suo studente, figuriamoci per suo figlio.”
“Leon ha ragione,” convenne Camilla, prendendo coraggio e avvicinandosi ai due. “Sai quante volte Pablo avrebbe potuto mandarmi via a causa delle mie insicurezze o delle liti con Ludmilla? Eppure sono ancora qui, segno che ha un gran cuore e sono sicura che non vede l'ora di offrirti il suo amore.”
“Nessuno ti capisce più di me,” aggiunse Violetta, con un sorriso rassicurante. “Quando ho scoperto che Angie fosse mia zia, avevo paura esattamente come te. Non facevo altro che chiedermi perché non me lo avesse detto prima e soprattutto, temevo che se avessi imparato a volerle bene lei avrebbe potuto abbandonarmi di nuovo.” Leon le strinse forte la mano e lo stesso fece Camilla, mentre Diego la guardava, insicuro. “E poi? Cosa ti ha portato a cambiare idea?”
La Castillo sorrise, rimembrando quel famoso giorno in camera sua quando lei e Angie avevano parlato e l'aveva accettata come zia. “Ho capito che lei non avesse colpa, sono state le paure di mio padre a tenerci lontane e poi...e poi non potevo perderla di nuovo, avevo bisogno di lei. Angie non è solo mia zia, è la mia famiglia, colei che per me ci sarà sempre.”
“Pablo può essere lo stesso per te,” sorrise Leon, stringendo forte a se Violetta, che poggiò la guancia contro il suo petto. “E anche Jackie. Fernandez ha rovinato le vostre vite, vi ha messi l'uno contro l'altro, vi ha fatto dubitare di voi stessi e... non potete continuare a permetterglielo.”
“Mettiti in gioco, corri il rischio.” Camilla strinse il polso del moro, sorridendogli rassicurante. “Puoi farlo, sai che ne sei capace. Sei la persona più forte che abbia mai conosciuto,” aggiunse, facendo nascere un mezzo sorriso sul volto del ragazzo. “Io al tuo posto non so se avrei trovato il coraggio di partire per una città sconosciuta, alla ricerca di due estranei. Questo dimostra quanto fegato tu abbia.”
“E non è una cosa da tutti,” sorrise Leon, dandogli una pacca sulla spalla.
Diego scosse la testa, divertito. “Ho potuto contare su amici fidati come voi e come Miguel, altrimenti non ce l'avrei fatta.”
“Ma smettila!” Sbottò Violetta, ruotando gli occhi. “Da quando tu sei modesto? Sei poco credibile.”
Leon scoppiò a ridere. “La mia ragazza ha ragione, tu e la modestia appartenete a due mondi diversi.”
“Diciamo pure che nel suo vocabolario non esista quella parola,” aggiunse Camilla, ridendo a sua volta. Diego spostò lo sguardo dall'uno all'altro, offeso. “Ma quanta cattiveria gratuita, grazie, davvero.” Si guardarono ancora, poi anche lui si unì alle risate, decisamente più leggero rispetto a poco prima. “Grazie,” mormorò alla fine, sorridendo agli amici e facendo scivolare la mano in quella di Camilla, che sobbalzò a quell'improvviso contatto, poi però sorrise, ricambiando la stretta. “Ne avevo bisogno.”
I tre sorrisero. “Vai tranquillo, io per te ci sarò sempre,” promise Leon. Quelle semplici parole portarono Diego a sorridere e a prendere per la prima volta l'iniziativa, stringendo l'amico in un forte abbraccio. “Sei un amico, Vargas, un vero amico.”
Sorpreso, il messicano contraccambiò l'abbraccio. “Anche tu lo sei, non ho dimenticato cos'hai fatto per me.” Entrambi sapevano che si riferisse a quando gli era stato accanto nel suo periodo buio, a quando aveva rinunciato a Violetta per la loro amicizia e infine addirittura li aveva aiutati a chiarire. Non c'era bisogno di parole, uno sguardo valeva molto di più.
“Grazie anche a te.” Sciolto l'abbraccio con il fido amico, Diego si rivolse a Violetta. “Non eri costretta a venire, non eri costretta ad aiutarmi.”
“E perché mai?” Ribatté, incredula lei. “Diego, tu mi hai aiutata a chiarire con Leon e...dopo tutto quello che abbiamo passato, ormai siamo amici.”
Lui sorrise. “Hai ragione, siamo amici.” L'abbracciò, rendendosi conto che i brividi che aveva avvertito un tempo, fossero spariti. Quasi non si era reso conto di aver smesso di provare qualcosa per Violetta, forse alla fin fine era stata davvero solo una semplice cotta.
Leon e la Castillo, dopo avergli fatto promettere di raccontare loro tutto dopo aver parlato con Pablo, se ne andarono mano nella mano, probabilmente diretti a fare una passeggiata romantica, lasciando strategicamente da soli Diego e Camilla, avevano capito che tra di loro ci fosse qualcosa.
“E a me non mi ringrazi?” La Torres gli allacciò le braccia al collo, ostentando un sorrisetto malandrino, che lui prontamente ricambiò, circondandole la vita e attirandola a se. “Grazie,” soffiò, a pochi centimetri dalle sue labbra, per poi baciarla. “Così va meglio, ma puoi provare ad essere più convincente,” lo provocò, passandosi la lingua sulle labbra.
Un lampo attraversò lo sguardo del ragazzo a quel gesto. “Non mi provocare, non ti conviene,” sghignazzò, facendo congiungere nuovamente le loro labbra.
“Ora vai,” disse Camilla alla fine, stringendogli forte le mani. “Avete tanto di cui parlare tu e Pablo.”
Diego annuì. “Dopo ti chiamo,” promise, abbracciandola. “Ovvio, io devo sapere tutto.”
“Sei una pettegola,” ghignò il ragazzo, beccandosi una pernacchia. “Antipatico.”
Si sorrisero e dopo essersi scambiati un ultimo bacio, Diego si incamminò verso il palazzo di casa Galindo, con il cuore che gli batteva a mille.




Pablo e Jackie avevano da poco iniziato a parlare, quando suonò nuovamente il campanello. “Vado io,” disse Angie, lasciandoli da soli in salotto e correndo verso la porta. Quando l'aprì, si ritrovò di fronte un agitato Diego e probabilmente, sarebbe rimasta a fissarlo impietrita per ore, se il ragazzo non avesse parlato.
“Ciao Angie, c'è Pablo?”
Lei sbiancò, poi annuì, nervosamente. “è in salotto e...”
“Diego.” Pablo e Jackie comparvero all'improvviso in fondo al corridoio e ora fissavano il giovane, sorpresi.
Lui deglutì, passandosi ansiosamente una mano nei capelli. Non aveva previsto che ci fosse anche Jackie, ma non poteva di certo tirarsi indietro e poi chissà, avrebbe potuto tentare di farsi spiegare alcune cose che ancora non gli erano chiare. Prendendo coraggio allora, li guardò fisso negli occhi. “Sono qui per parlare con te, Pablo, ma visto che ci sei anche tu, Jackie, parlerò con entrambi.”
Un sorriso illuminò i volti di Pablo e Jackie , mentre tutti e quattro andavano in salotto. Fino a pochi minuti prima, stavano parlando proprio di lui e ritrovarselo lì, disposto a parlare con loro, era la sorpresa più bella e inaspettata che potessero chiedere.
Diego si sedette proprio sulla poltrona che prima era occupata da Jackie e non faceva altro che torturarsi le mani e mordersi l'interno della guancia. Mai in vita sua si era sentito tanto nervoso. Quando era arrivato in quella città era più sicuro e determinato, convinto di ciò che facesse, ma man mano che aveva messo insieme i pezzi di quel complicatissimo puzzle, aveva iniziato ad avere paura e l'istinto di mollare tutto, era stato parecchio forte. Spesso si era chiesto chi potessero essere i suoi genitori, aveva ipotizzato i motivi che potevano averli spinti ad abbandonarlo, ma la realtà era stata più sorprendente di qualsiasi ipotesi. Il destino lo aveva portato ad iscriversi proprio nella scuola dove insegnavano, quante volte aveva parlato con loro, quante volte erano stati a stretto contatto. La verità era lì, davanti ai suoi occhi e forse per paura e per insicurezza, era stato sul punto di rinunciare a conoscerli. L'idea che potessero essere stati d'accordo con Joaquin, lo aveva tormentato giorno e notte, poi Jackie aveva ammesso di non sapere della vendita e di non averlo cercato e ancora, Pablo gli aveva assicurato di non sapere nemmeno della sua esistenza fino a poco tempo prima. Tutte quelle informazioni, quegli sguardi, quelle lacrime,lo avevano confuso e portato ad allontanarsi da entrambi. Come poteva essere sicuro che fossero sinceri e che soprattutto, non lo avrebbero abbandonato di nuovo? Le parole dei suoi amici, quelle di Leon su tutte e poi ovviamente quelle di Camilla e Violetta, gli avevano aperto gli occhi. Nella vita non c'erano certezze e bisognava correre il rischio se si voleva ottenere qualcosa. Proprio per quello, ora era lì, su quella poltrona. Basta fare stupide ipotesi, voleva la verità.
Guardò Pablo e Jackie, seduti sul divano a distanza di sicurezza e notò che lo stessero guardando a loro volta. Come lui erano nervosi e agitati, ma allo stesso tempo, sembravano scrutarlo per memorizzare ogni suo dettaglio. In fondo lo avevano finalmente di fronte consapevoli che fosse il loro figlio, anche per loro non doveva essere facile.
“Voglio sapere tutta la verità,” mormorò, prendendo un profondo respiro. “Conosco solo alcuni pezzi e non bastano per farmi fare chiarezza.”
Pablo e Jackie annuirono, poi fu proprio quest'ultima a prendere la parola. “Io credo di dovere delle spiegazioni ad entrambi, non permetterò a mio padre di ottenere quello che vuole, cioè, farmi odiare da voi.” Sotto lo sguardo attento dei due, proseguì. “Mio padre, Joaquin Fernandez, è nato e cresciuto nei bassifondi, ma ha sempre avuto l'ambizione di arricchirsi e tra una manipolazione e l'altra, è riuscito a convincere mio nonno a cedergli la locanda di famiglia, che lui stesso ha poi chiamato 'J.D.F.' che altro non è, che la sigla del suo nome. Quella locanda però, era un postaccio situato in un quartiere ancora più orribile. La gente che lo frequentava e che lo frequenta tutt'ora, è la peggiore specie in assoluto e il più delle volte gli chiedevano credito. Fu per questo che mio padre, quasi sul lastrico, iniziò a cercare una donna ricca da sposarsi e che gli consentisse di vivere come desiderava. La sua scelta ricadde su mia madre, Amelia, sorella minore di Antonio e futura ereditiera di un sostanzioso patrimonio. Il matrimonio dei miei genitori è stato un affare per mio padre e la coronazione di un sogno d'amore per mia madre. Sono cresciuta tra i litigi, le urla e le imposizioni di mio padre. Lui decideva, lui comandava, lui minacciava e mia madre, troppo debole e innamorata, obbediva. Man mano che crescevo, ha iniziato a fare lo stesso con me. La situazione è peggiorata quando mio nonno ha ceduto lo Studio ad Antonio e non a mia madre, credo che sin dall'inizio puntasse a metterci le sue manacce sopra. Le liti tra i miei sono state sempre più accese, sempre più violente e poi...” Jackie si interruppe, prendendosi il volto tra le mani e tirando su col naso. Un attimo dopo tornò a guardarli, i suoi occhi scuri erano visibilmente lucidi. “Da un giorno all'altro lei è andata via, stroncata da un attacco di cuore. Lei era così debole e cagionevole, ma ho sempre pensato che la colpa fosse di mio padre, lui la faceva sentire inutile, la maltrattava, la feriva, la umiliava. L'ho odiato con tutta me stessa e quando potevo, lasciavo quella prigione che casa mia era diventata e andavo in palestra. È lì che ho scoperto la passione per la danza e quando mio zio Antonio mi ha proposto di entrare allo Studio, ero euforica. Diventare una ballerina professionista era il sogno della mia vita, insieme a quello di farmi una famiglia tutta mia. Solo anni dopo, ho scoperto che mio padre avesse accettato che facessi le audizioni, perché sperava di utilizzare il mio talento per fare soldi. Allo Studio sono cresciuta molto, sia come ballerina che come persona e...”
“è stato proprio Antonio a farci lavorare insieme per la prima volta,” sussurrò Pablo, interrompendo l'improvviso silenzio lasciato da Jackie. “Io ero il classico figlio d'arte, mio padre era un musicista e mia madre cantava nei cori della chiesa. La musica era nel mio DNA, insomma. All'inizio io e Jackie non avevamo un buon rapporto, litigavamo per ogni cosa e lo stesso accadeva con il suo ragazzo. Ci siamo avvicinati lentamente e non so nemmeno io come, ci siamo innamorati, ma abbiamo tenuto la nostra storia segreta perché i nostri genitori si odiavano...o meglio, mio padre odiava Fernandez per questioni di soldi e...hai capito che tipo è, no?” Guardò Diego, che annuì. “Quindi vi vedevate di nascosto.”
“Si,” confermò Jackie. “Tutto è proseguito più o meno bene, finché non ho scoperto di essere incinta.” A quel punto la voce della donna iniziò a tentennare, consapevole di essere giunta alla questione più spinosa. Sia Pablo che Diego erano ancora più attenti, più ansiosi. Spostò lo sguardo sul pavimento, mentre artigliava le mani tremanti alle ginocchia. Il senso di colpa che l'aveva perseguitata per anni, era più vivido che mai. Una parte di lei avrebbe voluto scappare, ma non poteva, doveva essere forte, lo doveva fare per suo figlio. Per alcuni istanti, incrociò lo sguardo di Diego, così simile a Pablo, ma anche a lei. Chissà quanto avesse sofferto per la sua codardia, doveva rimediare o almeno doveva provarci. Guardò poi Pablo e comprese quanto a sua volta avesse sofferto a causa sua. Prima lo aveva lasciato senza una vera spiegazione, poi dopo anni usciva fuori che fosse padre senza saperlo. Chissà quanto lo avesse ferito e quanto ora la odiasse. Socchiuse gli occhi per alcuni istanti, poi iniziò a raccontare ciò che non aveva mai detto a nessuno. “Lui era così arrabbiato, voleva che abortissi, che gli dicessi chi fosse il padre. Avevo distrutto il suo piano di fare soldi e non me lo perdonava. Ero sola contro di lui e a nulla sono servite le mie parole. Gli avevo detto che volevo il bambino e che mi sarei sposata, ma non gli importava... voleva che diventassi una ballerina famosa così da farlo arricchire, la gravidanza era solo un ostacolo. Mi minacciò,” riuscì finalmente ad ammettere, guardando i due. “O accettavo di partire per la Spagna dove avrei partorito in segreto, per poi dare il bambino in adozione, o mi avrebbe costretta ad abortire.”
“Avresti potuto parlarmene!” Sbottò Pablo, passandosi nervosamente le mani nei capelli. “Avremmo potuto trovare una soluzione.”
Jackie rise, amaramente. “Che soluzione potevano trovare due ragazzini? Eravamo entrambi minorenni e senza un soldo.”
Lui sbuffò, poi non poté fare altro che annuire. “E quindi hai fatto credere a me e a tutti gli altri, che andassi in Spagna per lavoro per nascondere la gravidanza.”
“Preferivo che mio figlio venisse adottato, piuttosto che morisse,” annuì la donna.
Diego ci pensò qualche istante, poi decise di porgerle di nuovo la domanda che le aveva fatto la prima volta che avevano parlato, stavolta però in maniera più diretta. “Davvero non sapevi dell'atto di vendita?”
A quella domanda, anche Pablo guardò Jackie, interessato. “No,” ammise lei. “Non lo sapevo finché non me lo hai detto quella sera. Credevo ti avesse dato in adozione a una famiglia che desiderasse tanto un figlio e che ti volesse un gran bene. Più volte gli ho chiesto dove abitassi e se potevo vederti, ma lui mi ha detto che la tua nuova famiglia preferiva di no, perché non voleva confonderti e che tu eri felice.”
“Non è vero,” mormorò il giovane, scuotendo il capo. “Juan e Dora volevano un figlio, ma non avevano idea di cosa significasse prendersene cura. Una volta Dora mi dimenticò nella vasca da bagno per quasi tre ore, un'altra volta Juan mi perse nel supermercato e non dimentichiamo di quando mi fecero mangiare i piselli, senza verificare prima che non ne fossi allergico. Ho rischiato di avere uno shock anafilattico. Diciamo che sono state più le volte in cui ho rischiato di morire che quelle in cui sono stato bene,” concluse Diego, con una traccia di amarezza, non sapendo che quelle sue parole avessero accresciuto i sensi di colpa di Jackie e la rabbia di Pablo. “Fernandez è venuto spesso a verificare che stessi il più lontano possibile dalla verità, peccato che io abbia sentito alcune conversazioni e cercato qualche indizio qua e là, sono sempre stato un tipo curioso,” aggiunse, con un mezzo sorriso. “Comunque, ho capito che Juan e Dora non fossero la mia vera famiglia. Volevo scoprire chi fossero e con le poche informazioni che avevo e grazie all'aiuto del mio fratellastro Miguel, sono venuto qui a Buenos Aires. Tramite un avvocato ho saputo che il documento che avevo rubato a Juan, fosse un atto di vendita a nome di Fernandez ed è proprio da lui che sono partite le mie ricerche. Il resto già lo sapete, volevo conoscervi e capire perché mi avevate lasciato nelle mani di quei malati di mente.”
Diego proseguì, raccontando loro delle ricerche che insieme a Leon e Violetta aveva fatto, poi anche i due gli rivelarono di come Joaquin avesse fatto di tutto per metterli uno contro l'altro.
Angie nel frattempo, li osservava appoggiata allo stipite della porta. Nella mano stringeva ancora la piccola chiave d'argento, che Pablo le aveva regalato e istintivamente la strinse più forte. Era così felice di trasferirsi lì con l'uomo che amava e che a sua volta l'amava intensamente. Pablo era un uomo straordinario e ora che lo vedeva così agitato e allo stesso tempo così vivo, mentre parlava con quello che aveva scoperto essere suo figlio, lo era ancora di più. Anche se non aveva colpe, Angie era sicura che in fondo al suo cuore si sentisse ancora responsabile per la vita che aveva dovuto passare Diego, perché lui era fatto così, pensava prima agli altri e poi a se. Ascoltare le parole di Jackie, le aveva fatto comprendere quanto fosse stata sottomessa dal padre e quindi il perché di molti suoi comportamenti, tuttavia era convinta che la Fernandez avrebbe dovuto dire la verità a Pablo appena era giunta a Buenos Aires. Se non lo avesse fatto Joaquin per primo, Jackie avrebbe parlato? Certo, lei era l'ultima persona che poteva giudicare, visto che aveva aspettato un video di Ludmilla per dire a Violetta che fosse sua zia, però lo aveva fatto in buona fede, temeva di ferirla, temeva che German la riportasse via. Ma lei era davvero migliore di Jackie? In fondo anche lei aveva ferito Pablo. Scosse la testa, guardando la chiave stretta nella sua mano. Aveva sbagliato, ma aveva rimediato e ora anche Jackie lo stava facendo e se Pablo e Diego volevano perdonarla, lei lo avrebbe accettato, per amore di Pablo lo avrebbe fatto.
Solo in quel momento, si rese conto che nella stanza fosse calato il silenzio. Tutti e tre erano nervosi, a disagio quasi e sembravano non sapere cosa fare. Angie avrebbe voluto urlare loro di abbracciarsi, di fare finalmente pace, ma restava ad osservarli in silenzio, sicura che almeno uno di loro avrebbe fatto la cosa giusta. I minuti però scorrevano lenti ed inesorabili e le cose non cambiavano. Pablo si torturava le mani sempre più freneticamente, lo sguardo rivolto al pavimento. Jackie singhiozzava silenziosamente e a sua volta guardava a terra. Diego era quasi più nervoso di loro, si passava continuamente una mano nei capelli e il suo sguardo si alternava da Pablo a Jackie, aspettando forse un loro passo verso di lui. Ad interrompere quella sequenza ci pensò proprio Pablo, che scattò in piedi all'improvviso. Era ancora agitato, ma nei suoi occhi scuri ora lampeggiava una certa determinazione. Lentamente si avvicinò al giovane e sussurrò: “Diego.” Quando lui sollevò lo sguardo, incrociando il suo, proseguì. “Posso abbracciarti?”
Diego lo fissò per alcuni istanti e guidato solo dal cuore, si alzò. “Pablo.”
L'uomo sorrise timidamente e senza pensarci troppo, lo strinse in un forte abbraccio. Il ragazzo inizialmente restò rigido, poi a sorpresa ricambiò l'abbraccio.
“Non sarai più solo, te lo giuro,” sussurrò Pablo, stringendolo sempre più forte. “Sono disposto a tutto per recuperare questi diciotto anni di assenza, figlio mio.”
Diego non disse nulla, lasciandosi però sfuggire un singhiozzo. Stava abbracciando suo padre, lo stava facendo davvero. Scoppiò a piangere e Galindo fece lo stesso, continuando ad abbracciarlo. “D'ora in avanti potrai c..contare su di me,” singhiozzò ancora Pablo, accarezzandogli la schiena e i capelli. Il giovane annuì contro la sua spalla, mentre le lacrime scorrevano a fiumi sul suo volto. “Pablo,” riprovò, ma lui scosse la testa. “Non dire niente, figlio mio, non dire niente.”
I due continuarono ad abbracciarsi e a sussurrarsi parole all'orecchio, sotto lo sguardo di Angie e Jackie. Quest'ultima si era ormai asciugata le lacrime e guardava loro con invidia, si perché anche lei avrebbe voluto unirsi a quell'abbraccio, ma aveva paura. E se l'avessero respinta? Prese coraggio e si avvicinò a loro. Il primo a notarla fu Pablo, che sciolse l'abbraccio con il figlio e gli indicò la donna con un cenno. Diego si voltò verso di lei. “Jackie.”
“Ti prego, Diego, perdonami, perdona la mia codardia,” singhiozzò. “L'ultima cosa che avrei voluto è che tu soffrissi e...” S'interruppe di colpo, quando a sorpresa il giovane l'abbracciò. “Oh Diego!” Esclamò lei, ricambiando l'abbraccio e riprendendo a piangere. “Ho sempre sognato di riabbracciarti e ora...ora tu sei qui.” Gli prese il volto tra le mani, sfiorandolo più e più volte, quasi temesse si trattasse di un sogno. “Sei così bello e...Oh, piccolo mio!” Lo abbracciò ancora e lui fece lo stesso, lasciandosi sfuggire altre lacrime. Dopo aver abbracciato suo padre, ora stava abbracciando sua madre e tutto in lui era un turbinio di emozioni. Ancora non riusciva a credere di aver ritrovato la sua famiglia e che tutti e tre si stessero dando una nuova opportunità, nemmeno nei suoi sogni più rosei aveva previsto una conclusione così perfetta, così bella. Abbracciò Jackie e Pablo più volte, tante furono le cose che si raccontarono e le promesse che si fecero e a loro si unì anche Angie, che a quanto pareva era la fidanzata dell'uomo. Diego ne rimase inizialmente spiazzato, aveva capito che i suoi stessero insieme, ma quando poi aveva visto il modo in cui Pablo e Angie si guardassero, aveva capito che la Saramego fosse la donna della sua vita, lei lo rendeva felice, lo rendeva vivo. Probabilmente nessuna donna veniva guardata come Pablo guardava Angie, tra di loro c'era un legame, una connessione soprattutto mentale, un po' come accadeva a lui con Camilla. Violetta gli era piaciuta sin da subito, ma era stata Camilla a fargli perdere la testa. L'amore non era solo attrazione, era sconvolgimento, passione, brividi, rabbia, fiducia, rispetto, era comprendersi con un solo sguardo, era mettersi in discussione, cambiare e lui per Camilla e per Pablo e Jackie era disposto a farlo, perché nonostante tutto ciò che era accaduto, era pronto a voler bene alla sua famiglia e sentiva che loro già gliene volessero tanto. E poi c'era lei, Camilla...voleva davvero far funzionare le cose tra di loro, lei gli faceva provare delle sensazioni che non aveva mai provato prima e non se la sarebbe lasciata scappare per nessun motivo al mondo. Diego d'ora in avanti voleva vivere e rischiare senza mai tirarsi indietro, perché solo quando lo aveva fatto aveva raggiunto il massimo della felicità e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi, mai più.










Lo so, pubblico di nuovo in un giorno insolito, ma non è colpa mia, Dulcevoz e Syontai hanno insistito tanto, perciò eccomi qui!! :) Questo capitolo è tutto per voi due, che mi sostenete sempre con tanto affetto! Spero che vi sia piaciuto! :3
La scena Pangie si commenta da sola, è di una dolcezza infinita!! awwwwwww ma quanto possono essere dolci? :3
Jackie non poteva interrompere in un momento peggiore, però almeno lo ha fatto per un motivo serio, Diego. A proposito di lui, finalmente ha deciso di affrontare Pablo e Leon, Vilu e Cami sono lì a sostenerlo! :3
Ora si sa davvero tutto per quanto riguarda il passato di Jackie e Pablo, come si sono conosciuti e tutto il resto e poi anche come ha vissuto Diego :'( dopo l'iniziale imbarazzo, finalmente genitori e figlio si ritrovano!! *______*
Prima di salutarvi, vi ringrazio per l'affetto che continuate a dimostrarmi, grazieeeee!!! :3
Trilly <3


 

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Capitolo 35
*** Ascolta il mio cuore ***





Ciao a tutti!
Questa volta commenterò all'inizio e questo perché siamo arrivati al “capitolo” dei Leonetta! :3 prima di lasciarvi al capitolo, ci tenevo a dedicarlo a tutti coloro che mi seguono e mi sostengono con tanto affetto, in particolare Dulcevoz, Syontai, Ary_6400, Rio e Leonettapersempre!! spero che il capitolo vi piaccia!
ps. d'ora in avanti, anche perché ho il resto dei capitoli pronti, cercherò di aggiornare sempre di martedì! ;)
Baci, Trilly <3






“Ma cos’è successo qui dentro?” Esclamò Olga, entrando in cucina ancora visibilmente assonnata. Difatti erano appena le sei del mattino, ma il rumore di piatti e di pentole l’aveva fatta saltare giù dal letto. Inizialmente aveva temuto si trattasse di un ladro, ma la realtà si era rivelata ben altra. La cucina, la sua amata cucina, era conciata peggio di un campo di battaglia. Il tavolo era tutto sporco di farina, gusci d’uovo, cioccolata, panna, burro e zucchero. Davanti al lavello, impegnata a lavare insalatiere, teglie, posate e frustini, c’era Violetta. La giovane era ancora in pigiama, aveva i capelli raccolti con un mollettone e tracce di farina le macchiavano il volto, nonostante ciò, un radioso sorriso faceva bella mostra di se. “Buongiorno Olga,” la salutò allegramente, voltandosi verso di lei quando ebbe finito di lavare tutto, asciugandosi poi le mani con un tovagliolo. La domestica le sorrise. “Buongiorno piccolina, cosa ci fai sveglia così presto? E cosa stai facendo?” Aggiunse indicando con un gesto della mano il disordine che regnava sovrano sul tavolo. “Oh.” Violetta arrossì, recuperando i gusci d’uovo e gettandoli nell’immondizia. “Scusa Olga, ti prometto che metto tutto apposto.” Olga scosse la testa. “Non è questo il problema, è il mio lavoro occuparmi delle faccende. Piuttosto, ero curiosa.” Ancora una volta la ragazza arrossì, ma poi sorrise. “Sto preparando una torta e… speriamo che venga bene,” aggiunse avvicinandosi al forno. “Sulla ricetta dice che deve cuocere per trenta minuti.” La donna si avvicinò a sua volta al forno per dare un’occhiata e vide che il tutto era stato preparato in uno stampino a forma di cuore. “è per Leon, vero?” Violetta annuì, imbarazzata. “Oggi è il suo compleanno e volevo fargli una sorpresa oltre al regalo.” Olga sorrise, stritolandola in un forte abbraccio. “Che tenera la mia piccolina che sta crescendo. Sembrava ieri che ti dovevo medicare le ginocchia e ora sei qui a preparare una torta per il tuo ragazzo.” “Abbassa la voce, Olga,” sussurrò la ragazza, cercando di contenere il suo entusiasmo. “Se ti sente mio padre, mi chiude in camera per tutta la vita. Può accettare che stia con Leon, ma non credo digerirebbe che gli faccia delle sorprese.” A quelle parole, la donna le sorrise complice, portandosi l’indice al naso. “Tranquilla piccolina, sarò muta come una tomba.” “Grazie Olga,” disse la giovane, stampandole un bacio sulla guancia. “Ho preparato la panna e la crema al cioccolato e poi ho comprato questi,” le mostrò due tubetti di glassa uno rosso e l’altro verde. “Io però non sono brava a scriverci, mi aiuti?” Congiunse le mani a mo di preghiera, ma fu un gesto inutile visto che la donna l’aveva già abbracciata e mormorato un “mettiamoci a lavoro.” Cercando di fare meno rumore possibile, le due misero tutto a posto e spostarono la torta, ormai cotta, nel frigorifero. “Ora vai a rinfrescarti,” le disse Olga con fare materno. “Appena è pronta, ci cospargiamo la panna e la cioccolata.” Violetta annuì, poi corse al piano di sopra, euforica. Erano giorni che progettava la sorpresa per il compleanno di Leon, tanto che quella notte non aveva chiuso occhio e prima dell’alba era già in cucina a preparare la torta. Quel giorno doveva essere tutto perfetto. Si gettò sotto la doccia con un enorme sorriso stampato in faccia. Aveva un buon presentimento per quella giornata, sentiva che nulla sarebbe andato storto. Dopo essersi lavata e aver asciugato i capelli, andò in camera sua per indossare i vestiti che aveva comprato il giorno prima insieme a Camilla e a Francesca. Avevano visto così tanti negozi e provato così tanti vestiti che sfinite, si erano quasi addormentate sull’autobus per il ritorno, ma tutto sommato ne era valsa la pena. Indossò una graziosa minigonna di jeans e una camicetta color pesca, poi si sedette alla specchiera per truccarsi con cura. Era emozionatissima, ma allo stesso tempo, anche così nervosa. Quel giorno tutto sarebbe cambiato, il legame tra lei e Leon su tutto. Ci aveva pensato e ripensato, ne aveva parlato anche con Francesca e Camilla e alla fine aveva preso la sua decisione. “Penso che ormai lo avete capito che io e Federico lo facciamo,” aveva confessato loro un’imbarazzata Francesca. “Com’è stata la prima volta?” Le aveva chiesto Violetta, con il volto in fiamme. “è vero che fa male?” Aveva aggiunto Camilla, interessata. L’italiana si era fatta tutta rossa e aveva balbettato un “Non credevo che sarei mai stata io la prima a farlo tra di noi... bè ehm, ero imbarazzata e rigida come un palo, ma lui mi ha tranquillizzata e fatta sentire a mio agio e poi... non vi dico quando abbiamo iniziato a spogliarci, non mi sono mai vergognata tanto in vita mia e così all’inizio lo costringevo a farlo sempre al buio e... si, fa un po’ male ma credo dipenda dalle persone e poi fa male solo la prima volta. Tu e Leon ci state pensando?” Aveva aggiunto, guardando la Castillo. “Ehm...io in realtà, lui vuole aspettare,” aveva ammesso, evitando il suo sguardo. Francesca era sbiancata, era l’ultima risposta che si aspettava. “è per via di quella Lara, vero?” Aveva chiesto invece Camilla. “Ti ha messo in testa che finché non lo fai, può riprenderselo quando vuole! Non devi crederle Vilu, Leon ti ama e ti aspetterà. Se voleva quella cosa là, restava con lei e invece ha scelto te.” “Camilla ha ragione,” aveva concordato la mora. “Se il motivo è questo, non devi farlo, cambierà tutto e poi non potrai tornare indietro. Sai quante volte me ne sono pentita io? Ora amo Federico, ma allora volevo solo essere consolata e ho scelto la maniera peggiore. Vilu, pensaci bene, Leon è un bravo ragazzo ma se non sei pronta potresti pentirtene.” E Violetta lo aveva fatto, ci aveva pensato. All’inizio erano state le parole di Lara a spingerla a mettersi in discussione, ma poi i momenti trascorsi con il ragazzo, soprattutto quello nel bosco e poi quello in camera sua quando le aveva raccontato di sua madre, le avevano fatto capire quanto desiderasse essere completamente sua. Quando pensava alla sua prima volta pensava a Leon, a lui e a nessun altro. Ciò inizialmente la imbarazzava e scacciava il pensiero quasi disgustata da se stessa, ma ora non era più così, ora si sentiva più sicura di se, più consapevole dei suoi sentimenti. Accese la piastra e tornando davanti allo specchio, indossò un paio di orecchini di sua madre, quelli che le erano sempre piaciuti e che aveva conservato per le occasioni speciali e quel giorno lo era eccome. Solo quando sentì la porta di casa sbattere, segnale che suo padre fosse uscito per andare al lavoro, la giovane scese al piano di sotto per aiutare Olga a terminare la torta. “Sei bellissima, tesoro mio!” Esclamò la donna, stritolandola in uno dei suoi abbracci. Lei sorrise. “Grazie Olga, ma ancora non sono pronta. Sono senza scarpe e devo stirare i capelli.” “Per me sei già stupenda così,” commentò Olga, iniziando a tagliare la torta in due parti, mentre Violetta prendeva un cucchiaio per versare la cioccolata. “Fai piano, se no ti sporchi.”




-Quindi d’ora in avanti non devo chiamarti più Ramirez, ma Galindo- Leon si era svegliato di buon ora quella mattina, forse perché era il suo compleanno, o forse perché sentiva un buon presentimento per quel giorno. Stava di fatto che dopo una doccia veloce, aveva ricevuto la chiamata di Diego, che gli aveva fatto gli auguri e gli aveva raccontato della cena con Pablo e Jackie della sera prima.
-Naaa, io ho un nome Vargas, magari potresti chiamarmi così- ribatté divertito il moro.
Leon rise. –Senti chi parla, quello che mi chiama Vargas. Allora, com’è stato cenare con i tuoi genitori?-
-Non sono male, pensa che mi hanno detto di ordinare tutto ciò che volevo e sono sicuro che se gli avessi chiesto la luna, me l’avrebbero comprata. Più tardi io e Pablo andiamo a fare jogging- aggiunse Diego.
-è fantastico, no? Vi state conoscendo e poi Pablo è una brava persona, per me è sempre stato come un padre, figurati per te che sei suo figlio. Jackie non la conosco bene, però da quanto mi hai raccontato sembra tenerci a te, no?-
-Si, credo di si e anch’io tengo a loro e mi rendo conto che li intristisce il fatto che li chiamo con i loro nomi, ma non ci riesco a fare diversamente, non ora-
-Non devi fartene una colpa, è normale. Pensa che io vivo con mio padre da tutta la vita e lo stesso non riesco a chiamarlo papà, pensa tu che li conosci solo da un paio di giorni-
A quelle parole, Diego scoppiò a ridere. –Senza offesa, ma tuo padre è un decerebrato Vargas, quale persona sana di mente lo chiamerebbe papà?-
-In effetti- concordò, lanciando un’occhiata al misero post-it che l’uomo gli aveva lasciato sul frigorifero. Ormai aveva una passione per quegli stupidi bigliettini. Un impersonale e freddo 'Auguri Leon' recitava il biglietto. Tipico di suo padre. –Non mi ha nemmeno chiamato, si è limitato a un messaggio e che messaggio, pieno di amore e sentimento- aggiunse con una chiara traccia di ironia.
-Non ci restare male, non ne vale la pena. Pensa alla festa che abbiamo organizzato per te stasera e pensa a Violetta, che sicuramente avrà preparato qualcosa di speciale. Quel decerebrato non merita nemmeno uno dei tuoi pensieri-
Un sorriso comparve sul volto di Leon. –Grazie Diego, sei un amico-
-E lo sarò sempre Leon, ricordatelo-
Aveva appena chiuso la conversazione con Diego, quando sentì suonare il campanello. Chi poteva essere così presto? Quando andò ad aprire, si trovò di fronte il volto sorridente di Violetta. “Buon compleanno, Amore mio.” Leon rimase a fissarla a bocca aperta. La sua ragazza era bellissima, ma quel giorno lo era ancora di più. Deglutì, notando solo in quel momento che reggesse due grandi buste. “Violetta,” sussurrò, continuando a guardarla, rapito. La ragazza si morse il labbro, imbarazzata. “Non mi fai entrare?” A quelle parole, Leon si riscosse e le si avvicinò, accarezzandole dolcemente una guancia. “Non potevi farmi una sorpresa più bella,” sussurrò, prima di stamparle un bacio sulle labbra. Violetta sorrise. “Non hai ancora visto cosa ti ho regalato, come fai a dire che ti piace?” “Bè,” iniziò lui, accostando le labbra al suo orecchio. “Sei tu il regalo più bello che potrei chiedere, ora non ho bisogno d’altro.” “Oh Leon!” Esclamò lei, poggiando le buste a terra e avvolgendo le braccia intorno al suo collo, per poi baciarlo con passione. Leon ricambiò con trasporto, sollevandola di peso e facendola volteggiare. “Cosa mi hai regalato?” Chiese curioso, una volta averla messa giù. Violetta recuperò prontamente le buste, sorridendo sibillina e fiondandosi dentro casa del ragazzo. Lui la seguì, confuso. “Vilu, dove sei?” Nessuna risposta. Dove si era cacciata quella pazza? La trovò in cucina, seduta al bancone con le due buste ai suoi lati. Un grande sorriso illuminava il suo volto. “Violetta.”
“Aspetta,” disse invece lei, recuperando qualcosa da una delle buste. Era una scatola di cartone che mise sul bancone, per poi invitarlo ad aprirla. Quando Leon lo fece, si ritrovò ad osservare una torta a forma di cuore, cosparsa di panna, cioccolata e glassa rossa e verde. Al centro di essa capeggiava una frase, la stessa che gli aveva detto quando aveva aperto la porta. Buon compleanno, Amore mio. Emozionato, guardò la ragazza e l’attirò a se. “Grazie Amore, è bellissima,” sussurrò, stringendola in un forte abbraccio. Il suo sguardo ancora fisso su quella torta. Nessuno a parte sua madre gli aveva mai fatto una torta e quel gesto, apparentemente così semplice, gli riscaldava il cuore. Le prese il volto tra le mani e le depositò un bacio sulla fronte, poi uno sul naso e infine uno sulle labbra. “Ti amo, Violetta,” sussurrò con un dolce sorriso. Lei gli accarezzò il volto, sorridendo a sua volta. “Ti amo anch’io, Leon.” Si scambiarono un altro bacio, poi dopo essersi fatti delle foto con la torta, su insistenza di un'elettrizzata Castillo, che non la smetteva un attimo di armeggiare con la sua fotocamera, la giovane iniziò a tagliare la torta. Leon la osservava con un sorriso imbambolato, mentre metteva la prima fetta in un piatto. Com’era bella la sua Violetta. “Ecco a te, festeggiato.” Il ragazzo sussultò, affrettandosi a prendere il piatto che lei gli porgeva, per poi servirsi a sua volta. “Non ho mai mangiato una torta così buona,” mormorò Leon, abbuffandosi con una seconda fetta. Violetta lo fissò, prima stupita poi divertita. Non lo aveva mai visto abbandonare il suo contegno per fare l’ingordo e poi era così buffo con la bocca sporca di panna. Lentamente avvicinò l’indice al suo mento, raccogliendo un po’ di panna e portandoselo poi alle labbra. Leon seguì ogni suo movimento ad occhi sgranati. Non se lo aspettava proprio un gesto così malizioso da parte sua, ma questo non significava che gli dispiacesse. Avvicinò la sedia alla sua e senza pensarci troppo, aggredì le sue labbra con un bacio appassionato. Quasi senza rendersene conto, Violetta si ritrovò seduta a cavalcioni su di lui, mentre le loro lingue continuavano a intrecciarsi, inscenando una danza sensuale. Le sue mani le percorrevano la schiena in tutta la sua lunghezza e lei sospirò, immergendo le dita nei suoi capelli. Lentamente Leon scese a baciarle il collo, tanti piccoli e infuocati baci che la portarono a gettare la testa all’indietro e a socchiudere gli occhi. Lasciò che le sbottonasse i primi bottoni della camicetta, così che le sue labbra potessero raggiungere anche le spalle. Si morse il labbro, stringendolo ancora di più a se, ma inevitabilmente le sfuggì un sospiro. “Leon.” Il ragazzo risalì con una scia di baci fino al suo orecchio, che iniziò a mordicchiare. Una sensazione di calore avvolse Violetta, che gli prese il volto tra le mani e lo baciò, addentandogli il labbro inferiore. Si baciarono con sempre maggior trasporto, poi sorprendendo persino se stessa, la ragazza prese a baciargli il collo prima timidamente, sfiorandolo appena, ma quando lo sentì sospirare, prese coraggio e i suoi baci si fecero più marcati, più decisi. Le piaceva il sapore della pelle di Leon, era calda, profumata e sapeva di lui. Quel solo pensiero la fece avvampare, ma si costrinse ad ignorarlo, continuando a baciare la pelle del ragazzo, che nel frattempo sospirava senza alcun pudore. Non aveva mai sentito Leon emettere quel suono e doveva ammettere che la cosa le piacesse e non poco, voleva sentirlo ancora e ancora. Gli lasciò piccoli baci sulla mascella e poi sul mento, risalendo fino alle labbra. Lui la coinvolse in un nuovo e appassionato bacio, mentre le sue mani si infilarono sotto la sua camicetta, accarezzandole la pelle nuda sotto di essa. Violetta rabbrividì a quel contatto, ma non lo allontanò, al contrario prese a sbottonargli la camicia, facendogli strabuzzare gli occhi. “Cosa stiamo facendo?” Mormorò, bloccandosi di colpo, come se si fosse reso conto solo in quel momento che si fossero spinti già oltre i baci. La prese in braccio e la fece risedere sulla sedia dov’era prima, poi iniziò a camminare avanti e indietro per la cucina, scompigliandosi nervosamente i capelli. Ma cosa stava facendo? Non poteva permettere alla forte attrazione che sentiva per lei di fargli perdere il controllo in quella maniera. Doveva restare lucido, lo doveva fare per lei.
“Si può sapere che ti prende?” Sbottò Violetta all’improvviso, con un tono stizzito che lo lasciò a bocca aperta. “Era tutto perfetto e poi di punto in bianco mi hai allontanata come se avessi una malattia infettiva.”
Leon la fissò basito, poi però un lampo attraversò il suo sguardo. “Oh mio Dio, Violetta!” Esclamò esasperato. “è per questo che ti sei vestita così provocante e la sorpresa...Oh mio Dio!” Ripeté, scuotendo il capo.
Violetta ruotò gli occhi. “La smetti di fare il padre apprensivo? Uno mi basta e mi avanza!” Con passo deciso, lo raggiunse. “Con Lara non ti facevi problemi, perché con me si? Proprio non ti capisco.” Senza attendere risposta, lo mollò lì da solo andandosi a rifugiare in camera sua. Si gettò sul letto, avvolgendosi tra le coperte e lasciando che l’odore di Leon le inebriasse le narici. Perché Leon continuava a rifiutarla? Possibile che si fosse stancato di lei o che non la trovasse per niente attraente? Aveva ragione Lara quando la definiva una mocciosa?
“Violetta.” La voce di Leon, così vicina al suo orecchio, la fece sussultare. Non lo aveva proprio sentito arrivare. “Non voglio litigare, soprattutto non lo voglio fare per un motivo così stupido il giorno del mio compleanno,” proseguì, sedendosi sul letto e togliendole le coperte dalla testa. Violetta lo lasciò fare, mettendosi seduta e incrociando le braccia al petto. “Forse per te è stupido, ma non per me. Cosa proveresti se ti dicessi che ho fatto l’amore con Thomas e non volessi farlo con te? Tu puoi essere geloso e io no?” Fece per alzarsi, ma Leon le ostruì ogni possibile via di fuga. “Credevo avessimo già parlato di questo,” iniziò, irrigidendosi al solo sentire il nome di Heredia. “Se non voglio farlo, non è perché non lo voglio, ma perché voglio aspettare che tu sia pronta. La mia è una forma di rispetto verso la ragazza che amo, non è un rifiuto. ”
Lei annuì. “Lo so che mi rispetti, Leon, ed è uno dei motivi per cui mi sono innamorata di te, ma il punto non è questo. Sono giorni che ti ripeto che sono pronta, perché non mi ascolti? Perché non ascolti il mio cuore?” Gli prese la mano, portandosela al cuore. “Lo senti? Non è la gelosia a farmi parlare in questo momento, ma è lui, il mio cuore. Ti amo Leon e voglio essere tua, lo vuoi capire, o no?”
Leon si perse nei suoi occhi nocciola e vi lesse gli stessi sentimenti che esprimeva a parole. Violetta era pronta, lo era davvero. E lui lo era? Guardò ancora quella ragazza così dolce e determinata, che gli aveva fatto perdere la testa, e sorrise. Si, lui era pronto da un pezzo, non aspettava altro. Seguendo solo l’istinto, la baciò, facendola poi sdraiare sotto di lui. La ragazza gli intrecciò le braccia al collo, approfondendo il bacio. Dopo aver fatto cadere le scarpe ai piedi del letto, si sistemarono più comodamente su di esso, continuando a baciarsi con sempre maggior trasporto. Leon fece scorrere le labbra sul suo collo, mentre con le dita sfiorava i bottoni della sua camicetta. Violetta socchiuse gli occhi, intrecciando le dita dei suoi capelli. “Leon.” Lui di tutta risposta, le lasciò una scia di baci fino alla spalla, sbottonando al contempo tutti i bottoni della sua camicetta. La giovane avvampò, notando lo sguardo famelico del ragazzo soffermarsi sul suo reggiseno rosa e ovviamente sul seno che si intravedeva da esso. “Violetta,” soffiò lui, poi iniziò a fare una cosa che la imbarazzò ancora di più, i suoi baci dal collo scesero fino al seno. Nemmeno lei sapeva spiegare cosa le stesse succedendo, stava di fatto che si ritrovò a desiderare che Leon non si fermasse e che al contrario fosse ancora più deciso. Quasi le avesse letto nel pensiero, il giovane prese ad armeggiare con l’abbottonatura del suo reggiseno, anche se invano. Divertita, Violetta se lo tolse da sola, coprendosi subito dopo con le braccia, rendendosi conto di ciò che avesse fatto. Il suo volto assunse la tonalità di un pomodoro e Leon sorrise dolcemente, sfiorandole la guancia con una carezza. “Non devi vergognarti, sei bellissima,” sussurrò al suo orecchio, poi lentamente le scostò le braccia e lei lo lasciò fare, sorridendo timidamente. “Sei la cosa più bella che abbia mai visto,” ripeté, prima di baciarla con passione. Violetta lo attirò ancora di più a se, iniziando al contempo a sbottonargli la camicia. Con un rapido gesto, Leon si liberò dell’indumento e lo gettò da qualche parte ai piedi del letto, per poi tornare a baciarla. Era la prima volta che la ragazza lo vedeva a petto nudo e anche se ancora un po’ in imbarazzo, non poteva negare che il suo Leon fosse stupendo. Timidamente gli sfiorò le spalle e la schiena, sentendolo sospirare. “Violetta,” gemette. Ancora quel suono. Violetta socchiuse gli occhi, poi iniziò ad accarezzarlo con più decisione, mentre lui faceva lo stesso con lei. Tra baci, morsi e carezze audaci, si liberarono di tutti gli indumenti e si ritrovarono pelle contro pelle. Si fissarono dritto negli occhi, entrambi in imbarazzo. Per lei era la prima volta, quasi non riusciva a guardare il corpo di Leon e lui, bè anche se non era la prima volta che faceva l’amore con una ragazza, sentiva che quella volta ci fosse qualcosa di diverso, quella era una prima volta anche per lui in un certo senso, prima di allora lo aveva fatto senza sentimento, prima di allora si era trattato solo di una necessità. “Leon,” sussurrò la giovane, posando le mani sulle sue spalle. Era tutta rossa, eppure non distoglieva lo sguardo dal suo e sorrideva, quel dolce e tenero sorriso che sin dalla prima volta che lo aveva visto, lo aveva stregato. Le sorrise a sua volta, accarezzandole il volto. “Ti prometto che non ti farò male.”
“Lo so,” disse lei, baciandolo dolcemente. “Tu non mi faresti mai del male.”
Leon annuì, poggiando la fronte contro la sua. “Se vorrai fermarti adesso o anche dopo, in qualsiasi momento, basta che me lo dici e io mi fermo, ok? Senza paura né vergogna, tu mi dici –Leon fermati- e io lo faccio senza problemi.”
Nelle sue parole e nei suoi occhi verdi, Violetta leggeva così tanto amore e dolcezza che non poté fare a meno di sorridere, emozionata. “Va bene, ti prometto che se avrò qualche problema te lo dirò, ma ora va tutto bene, davvero.” Senza attendere oltre lo baciò, venendo immediatamente corrisposta da un passionale Vargas.





Violetta aprì lentamente gli occhi e sorrise. Era nel letto di Leon, con il capo poggiato sul suo petto e le gambe intrecciate con le sue. Un lenzuolo candido copriva i loro corpi, altrimenti nudi. L’odore della sua pelle, unito a quello del suo profumo, le invadeva le narici e lei lo inspirava a pieni polmoni, mentre il battito del suo cuore la cullava come la più dolce delle ninnananna. Mai si era sentita così bene, così protetta, così al sicuro. Sarebbe rimasta tra le sue braccia tutta la vita perché se c’era Leon, non aveva bisogno di nient’altro. Quel giorno era accaduto, aveva fatto l’amore con il ragazzo che amava ed era stato stupendo, al di sopra di qualsiasi pensiero o aspettativa. In qualche modo sentiva che il loro rapporto si fosse rafforzato e che ora fosse ancora di più sua. Sollevò di poco il capo per poterlo guardare in volto e quando vide che si fosse addormentato, il suo sorriso si accentuò. Leon che dormiva con i capelli scompigliati e a petto nudo, era la visione più bella a cui avesse mai assistito. Gli sfiorò una guancia con la punta delle dita, sostituendole poi con le labbra. Uno, due, tre baci.
“Violetta.” Leon aveva ancora gli occhi chiusi, ma il sorriso che si era formato sul suo volto le fece capire che fosse sveglio. Difatti non si sorprese quando la strinse a se e la fece sdraiare sotto di lui, per poi baciarla con trasporto. Le loro lingue tornarono a intrecciarsi, esplorando i palati, i denti e tutto ciò che riuscivano a raggiungere. “Come stai?” Sussurrò poi al suo orecchio con dolcezza. “Bene, un po’ indolenzita, ma sto bene,” sorrise timidamente lei, facendo sfiorare il naso con il suo. “Vorrei dire che è stata la notte più bella della mia vita, ma non è nemmeno notte e...” la sua voce andò a poco a poco affievolendosi, mentre le guance le si facevano tutte rosse. Ciò fece sorridere Leon, che prese ad accarezzarle il volto così delicatamente quasi temesse di romperla. “Io invece posso dire che vorrei fosse il mio compleanno tutti i giorni,” soffiò con voce roca al suo orecchio, prima di mordicchiarglielo.
“Ah si?” Cogliendolo di sorpresa, Violetta capovolse le posizioni, sedendosi a cavalcioni su di lui. Lo tempestò di baci su tutto il volto, per poi unire le labbra con le sue. “è stato stupendo Leon, io..” Gli allacciò le braccia al collo, strofinando il naso contro il suo. “Io vorrei stare qui con te per sempre,” aggiunse, mordendosi il labbro, imbarazzata. Leon seguì quel gesto con uno sguardo di fuoco, poi addentò a sua volta il labbro della ragazza. “Rischio di prenderle se ti propongo un secondo round?” Sussurrò con un sorrisetto. “Ho voglia di te Amore, ancora.” Spostò le labbra sul suo collo e Violetta gettò la testa all’indietro, consentendogli maggiore accesso. “Leon,” sospirò, mentre i baci del giovane si facevano sempre più infuocati. Ben presto si ritrovarono a rotolarsi tra le lenzuola e tra baci e carezze fecero l’amore una seconda volta, con decisamente meno imbarazzo e più passione. Erano ancora avvinghiati l’uno all’altra, quando il cellulare del ragazzo iniziò a squillare. Leon sbuffò sonoramente, poi dopo averla baciata a fior di labbra, recuperò il telefonino dalla tasca dei jeans, gettati sul pavimento alla destra del letto.
-Pronto?... si, sono io... sto arrivando-
Chiuse poi la conversazione. Il suo volto era diventato stranamente pallido e serio e ciò fece preoccupare la giovane. “Leon, Amore, cos’è successo?”
Lui, che già si era affrettato ad indossare i boxer e i jeans, si voltò a guardarla. “Devo andare in ospedale, si tratta di mia madre.”
“Le è successo qualcosa?” Chiese Violetta, mettendosi seduta e recuperando la biancheria dai piedi del letto. Leon si sedette accanto a lei, infilandosi le scarpe. “Non lo so,” ammise con un filo di voce. “Mi hanno solo detto di venire in ospedale e che fosse molto importante.”
La Castillo annuì, sfiorandogli il volto con una leggera carezza. “Andrà tutto bene, vedrai.” Il giovane abbozzò un sorriso, stringendole forte la mano. “Se ci sei tu, ci credo davvero.”
“E allora fallo,” ribatté lei, ricambiando il suo sorriso. “Perché io ci sarò sempre per te, sarò la tua forza, la tua roccia, il tuo tutto.” A quelle parole, Leon la strinse forte a se, accarezzandole dolcemente il capo. “Non hai idea di quanto ti amo, Violetta Castillo.”
“E tu non hai idea di quanto amo te, Leon Vargas,” soffiò lei al suo orecchio, per poi sciogliere l'abbraccio. “Ora però devo vestirmi.”
“Come?” Chiese lui, confuso, vedendola affrettarsi ad indossare la gonna e la camicetta. Violetta sorrise, raggiungendolo con pochi passi e allacciandogli le braccia al collo. “Vengo con te, non ti lascio da solo in un momento così importante."
Il volto di Leon si illuminò, mentre faceva combaciare la fronte contro la sua. “Conta molto per me.” Le diede un dolce bacio a fior di labbra e dopo aver recuperato le ultime cose, si fiondarono fuori casa, destinazione l'ospedale di Buenos Aires, sperando che quel giorno così speciale per entrambi, portasse un'altra buona notizia, ne avevano disperatamente bisogno.


 

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Capitolo 36
*** Sorprese dolci-amare ***






“Sei proprio una lumaca, Pablo!” Esclamò Diego divertito, accelerando l’andatura della sua corsa. I due erano sul lungomare della capitale argentina per fare un po’ di jogging, o almeno Diego lo stava facendo, visto che Pablo dopo un paio di metri aveva iniziato a limitarsi a una camminata a passo svelto. Anche Angie aveva più volte tentato di trascinarselo a fare attività fisica, ma lui puntualmente mollava dopo pochi metri e quella mattinata in compagnia del ritrovato figlio, non faceva eccezione.
“Possiamo fermarci?” Chiese Pablo, respirando affannosamente e sedendosi su un muretto.
Diego, che aveva ormai raggiunto la fine del lungomare ed era tornato indietro, ghignò alla vista dell’uomo stravaccato sul muretto, sfinito. Gli si avvicinò, asciugandosi la fronte sudata con un asciugamano. “Ma che razza di ballerino sei se non riesci nemmeno a fare un chilometro di corsa?” Lo derise, sedendosi accanto a lui.
Galindo incrociò le braccia al petto, offeso. “Mi basta Angie che mi prende in giro, non ti ci mettere anche tu e comunque sei giovane, è normale che hai più energie.”
Il giovane sogghignò, sedendosi a cavallo del muretto e poggiando la schiena su di esso. “Ti rendi conto che parli come un ottantenne? Figuriamoci se fumassi come me,” aggiunse, chiudendo gli occhi e coprendoli con il braccio destro.
Pablo, che stava bevendo un sorso d’acqua, rischiò di sputare tutto alle parole del figlio. “Devi toglierti quel vizio Diego, fa male alla salute e poi può davvero limitare la tua carriera di artista, tutta quella roba ostruisce i polmoni e...”
“Si, lo so,” confermò Diego con voce annoiata. “Me lo ha detto anche Camilla. Ieri abbiamo litigato perché mi ha buttato il pacchetto nella spazzatura.”
L’uomo scoppiò a ridere. “Ha fatto benissimo! Quella ragazza ha carattere e dovresti darle retta.”
Lui sbuffò, rimettendosi di colpo seduto. “Lei vuole decidere per me e la cosa non mi sta bene, io non prendo ordini da nessuno!” Sbottò stizzito. “Se voglio fumare, se mi voglio drogare, se voglio rubare o qualsiasi cosa voglio fare, è affar mio, mio e basta!”
Pablo ascoltò in silenzio il suo sfogo, poi sospirò, poggiando una mano sulla sua spalla. “Ascoltami Diego, quando si decide di dividere la vita con qualcuno, che sia una moglie o una fidanzata, non si può più decidere da soli ma in due, non conta il singolo ma la coppia. Tu e Camilla state insieme, no? Dovete decidere insieme.”
Diego ruotò gli occhi, per nulla convinto. “Questo lo so, ma lei non ha cercato di convincermi a non fumare, lei me lo ha imposto manco fosse mia madre! Tu che diresti se Angie iniziasse a darti degli ordini? Io voglio una ragazza, non un sergente, è così difficile da capire?”
“Hai ragione,” convenne l’uomo alla fine. “Camilla spesso è istintiva, è invadente e non se ne rende conto, ma sono sicuro che ci tiene a te. Prova a parlarle.”
Il giovane rise, incredulo. “Quella ragazza è isterica, appena provo a parlarle, urla o mi ignora e la cosa inizia a spazientirmi. Forse non è quella giusta,” concluse, scattando in piedi e mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Si incamminò verso la strada del ritorno, subito affiancato da un Pablo visibilmente interessato a quella conversazione. “Ma tu cosa provi per lei?” Gli chiese, guardandolo attentamente. “Accetteresti di vederla con un altro?”
Diego scrollò le spalle, fermandosi e incrociando lo sguardo del padre. “Quando non è isterica, stiamo bene insieme,” ammise, con un sorriso stranamente imbarazzato. “Quello che provo per lei non l’ho mai provato per nessuna e.. lei non può uscire con un altro, lei è mia,” aggiunse stizzito, facendo sorridere Galindo. “E allora lotta per il vostro rapporto,” mormorò, circondando le spalle del giovane con un braccio. “Non lasciare che l’orgoglio o la codardia ti frenino.”
Il moro non disse nulla, però lo abbracciò e ciò fece emozionare non poco Pablo. Era così bello che suo figlio si confidasse con lui, era così bello dargli dei consigli e ancora di più lo era abbracciarlo. Per diciotto anni non aveva potuto farlo e ora era più che mai determinato a recuperare quella mancanza. “Ti voglio bene Diego e quando vorrai parlare, sappi che io sarò sempre qui ad ascoltarti.”
Diego sorrise, sciogliendo l’abbraccio. “Grazie Pablo, per la chiacchierata, per questa mattinata insieme, per tutto.”
“Sono io che devo ringraziare te,” mormorò Galindo con un grande sorriso. “Da quando sei entrato nella mia vita, essa ha assunto un nuovo significato.”
Si abbracciarono ancora, poi si incamminarono tra chiacchiere e risate. Stavano per attraversare, quando Pablo notò un uomo fuori dall’edicola poco distante da loro. Il sorriso scomparve di colpo dal suo volto. Diego guardò nella stessa direzione di Pablo, curioso e anche il suo sorriso si dissolse.
“Ma guarda un po’ chi c’è!” Esclamò ad alta voce, facendo voltare diversi passanti, compreso l’uomo accanto all’edicola, che si avvicinò con un sorriso maligno. “Nonno carissimo, buongiorno.”
“Ah, vedo che la famigliola felice si è riunita,” ghignò Joaquin Fernandez. Come al solito era vestito in maniera impeccabile nel suo completo di alta sartoria. Tra l’indice e il medio della mano destra, reggeva un grosso e puzzolente sigaro che fece storcere il naso ai due Galindo, mentre nella sinistra aveva una rivista di immobili.
“Sta cercando casa?” Buttò lì Pablo, ignorando quel tentativo di provocazione. Lo sguardo fisso sulla rivista e il braccio sinistro sempre a circondare le spalle del figlio, quasi volesse mettere le cose in chiaro all’uomo che aveva tentato di distruggere le loro vite.
Joaquin, che ovviamente non si era perso un movimento dell’ex genero, continuò a sorridere, mostrandogli la rivista. “In effetti vorrei trasferirmi in una casa dove non aleggi l’ombra della mia defunta moglie, magari vicino a mio nipote,” aggiunse con un ghigno, che fece indispettire non poco Galindo. “Non ci pensi nemmeno! Lei deve stare lontano da mio figlio!” Sbottò, avanzando di qualche passo fino a trovarsi a una spanna da lui. I suoi occhi emanavano scintille. “Ha già causato abbastanza problemi e io ne ho abbastanza di lei! Faccia le valigie e sparisca, altrimenti cambio idea e la denuncio per vendita di esseri umani.” L’ultima frase la sussurrò, così che Diego non potesse sentirla e non vi potesse ancora soffrire, ma lasciò lo stesso trasparire un velo di minaccia, che fece irrigidire Fernandez. La sua spavalderia sembrava averlo abbandonato, forse aveva davvero toccato un tasto dolente.
L’anziano uomo indietreggiò, continuando però a guardarlo con odio, poi di punto in bianco posò lo sguardo sul giovane e sorrise, un sorriso freddo, privo di qualsiasi sentimento. “Sei identico a lui, ma solo fisicamente, per il resto sei uguale a me. Hai la mia stessa determinazione, la stessa sfacciataggine, la stessa arroganza, la stessa ambizione. Le mie porte sono sempre aperte per te, nipote.”
Un ghigno divertito si distese sul volto di Diego. “Forse si, siamo simili, ma non siamo uguali. Io so pormi dei limiti, io so amare, io sono umano e soprattutto non sono solo. Ho mio padre, mia madre, la mia ragazza e il mio migliore amico. Tu, caro nonno, cos’hai? Niente, sei solo e sempre lo sarai,” concluse con fredda crudeltà, la stessa che spesso Joaquin aveva usato per ferire gli altri e ora gli si era ritorta contro.
In silenzio incassò quel colpo, senza abbassare lo sguardo nemmeno per un attimo, mai avrebbe ammesso o fatto notare che quelle parole lo avessero colpito. Fece per voltarsi, ma si sentì trattenere il polso. Non seppe dire quando o come fosse partito, stava di fatto che un forte pugno lo centrò in pieno naso e dovette aggrapparsi al bidone dell’immondizia alle sue spalle per non cadere. Pablo nel frattempo si massaggiava le nocche, che gli avevano permesso di soddisfare una voglia che aveva da parecchio.
“Questo è per tutto il dolore che hai causato a me, a Jackie e a mio figlio!” Esclamò furioso, prendendolo poi per la giacca. “Stai lontano da noi, altrimenti ti giuro che conoscerai un lato di me che non ti piacerebbe. Non permetto a nessuno di ferire le persone a cui tengo.”
Joaquin si liberò dalla sua presa con stizza, tamponandosi poi il naso sanguinante. “Non è finita qui, me la pagherete.”
“Mandaci il conto,” ghignò Diego, circondando le spalle del padre, che gli sorrise.
Dopo un ultimo sguardo furioso, Fernandez se ne andò affrettando il passo, anche se era un po’ barcollante a causa del naso che continuava a sanguinare.
“Hai un bel destro,” commentò il giovane, ammirato. “Dammi il cinque.”
Pablo sorrise imbarazzato, poi scambiò il cinque con il figlio. Non era proprio una cosa da lui alzare le mani, nemmeno Gregorio e German lo avevano mai fatto arrabbiare tanto, eppure solo sentir parlare quell’uomo aveva fatto scattare qualcosa in lui ed era sicuro che se avesse potuto tornare indietro, lo avrebbe rifatto. Era il minimo dopo tutto il male che aveva causato. Era colpa sua se non aveva visto nascere suo figlio, se non c’era al suo primo compleanno, se non lo aveva accompagnato a scuola, se non gli aveva insegnato ad andare in bicicletta e se non era stato presente quando aveva scoperto la sua passione per la musica. Si era perso tante cose a causa di quell’uomo e lo stesso valeva per Jackie, che probabilmente aveva sofferto ancora più di lui e poi c’era Diego, convinto di essere stato abbandonato e di non contare nulla.
“Ti voglio bene, Diego.”
Diego sorrise. “Ti voglio bene anch’io, Pablo.”
E quelle parole per Pablo Galindo furono il più dolce dei regali, un Natale in anticipo quasi. Poteva definirsi fortunato di non essere ancora svenuto. Aveva conquistato il cuore di Angie, aveva scoperto di essere padre e aveva preso a pugni Joaquin, tutto andava troppo bene per trattarsi della realtà. Forse avrebbe dovuto darsi un pizzicotto e verificare. Quando mai il destino era stato buono con lui? Sorrise, forse era arrivato finalmente il suo momento di essere felice e aveva intenzione di goderselo fino in fondo.





-Ho accompagnato Leon in ospedale papà, ma stai tranquillo-
-CHE COSA?- Esclamò uno sconvolto German Castillo, rischiando di romperle un timpano. Lei e Leon erano arrivati in ospedale solo da pochi minuti e mentre il giovane camminava avanti e indietro per il corridoio in attesa di notizie, Violetta si era affrettata ad avvisare il padre prima che gli venisse un infarto.
-Non urlare papà, ci sento. È per la madre di Leon, io sto bene-
-Sei sicura che stai bene? E poi che ci facevi con Leon? Perché non mi hai detto che lo avresti visto?-
La ragazza ruotò gli occhi, mentre German continuava a tempestarla di assillanti domande. –Papà, vuoi smetterla e ascoltarmi? Ti ho avvisato, ora sono a posto con la coscienza. Devo andare,- aggiunse, notando un medico avvicinarsi a Leon. Corse poi accanto al ragazzo e gli strinse la mano. Lui le sorrise, ricambiando la stretta.
“Tu sei il figlio?” Chiese il medico, un uomo tarchiato sulla cinquantina. Leon annuì. “Si, sono io. Come sta mia madre?” Mai Violetta lo aveva visto così nervoso e agitato. Sperò con tutto il cuore che non fosse nulla di grave, il suo Leon aveva già sofferto troppo.
A sorpresa il medico si aprì in un sorriso. “Si è svegliata.” Non fece in tempo ad aggiungere altro, che Leon lo sorpassò, facendo per fiondarsi nella camera, ma lui lo afferrò prontamente per il polso.
“Aspetta, ragazzo,” gli disse, cercando di farlo calmare. “è molto debole e non sappiamo ancora se è pienamente cosciente. Non bisogna farla agitare per nessun motivo.”
“Almeno è fuori pericolo?” Una voce maschile alle spalle di Violetta la fece voltare, confusa. La voce apparteneva a un uomo così simile al suo Leon da far paura. Aveva i suoi stessi occhi verdi, gli stessi lineamenti, tutto in lui richiamava però freddezza, cosa che mai aveva visto in Leon, nemmeno quando all’inizio non voleva parlarle. Quell’uomo era suo padre, non c’erano dubbi.
“Sono Fernando Vargas, sono suo marito,” disse, confermando il pensiero della giovane. Egli lanciò una mezza occhiata al figlio e alla ragazza, poi tornò a rivolgersi al medico. “Allora? Come sta mia moglie?”
“Stia tranquillo, sua moglie è fuori pericolo. Come stavo dicendo a suo figlio, bisogna però andarci cauti. È ancora molto debole e disorientata.”
“Posso vederla?” Chiese Leon, ignorando volutamente il padre.
Il medico annuì. “Una persona alla volta e non più di dieci minuti e soprattutto, non fatela agitare per nessuna ragione.”
Leon era pronto ad entrare, ma Fernando lo spostò di lato. “Entro prima io.”
Il giovane lo fulminò con lo sguardo e borbottò qualcosa sottovoce, poi andò ad affacciarsi alla finestra, stringendo il marmo così forte da far diventare le nocche bianche. Violetta lo raggiunse, poggiandogli una mano sul braccio. Restarono in silenzio per quella che parve un’eternità, finché Leon non l’abbracciò, seppellendo il volto nei suoi capelli.
“Andrà tutto bene, vedrai,” lo rassicurò, accarezzandogli dolcemente il capo. “Tua madre si riprenderà ancora prima di quanto pensi.”
Lui annuì, accostando poi la fronte contro la sua, così da poterla guardare negli occhi. Era ancora un po’ nervoso, ma stava decisamente meglio rispetto a poco prima. Le sorrise e lei si sciolse completamente. “Non so cosa farei senza di te.”
Violetta sorrise a sua volta, stringendogli le mani con le sue. “Non dovrai mai preoccuparti di questo, te l'ho detto, io mi prenderò sempre cura di te esattamente come tu fai con me.”
Leon l’attirò a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. Come al solito, quella familiare e bellissima sensazione di pace e sicurezza l’avvolse e accompagnata dal battito del suo cuore e da quel profumo che aveva ormai imparato ad associare a lui, le fecero desiderare di restare così per sempre. Fu il suono di alcuni passi a farli voltare. Fernando Vargas era appena uscito dalla stanza della moglie e stancamente, si sedette su una delle sedie di plastica della sala d’aspetto. Nemmeno per un attimo il suo sguardo saettò verso Leon, al contrario lo ignorò quasi non esistesse.
Il giovane non si sorprese minimamente, ormai c’era abituato. Sfiorò la fronte di Violetta con le labbra e lei lo strinse ancora a se. “Vai da lei, ti sta aspettando.”
Si scambiarono un ultimo sguardo, poi Leon varcò quella porta, l’unica cosa che lo divideva da sua madre. Avrebbe mentito se avesse detto di essere tranquillo, la verità era che aveva paura, paura di leggere l’accusa negli occhi della madre. Chissà cosa le avesse detto Fernando, chissà cosa lei ricordava. La luce del sole lì era ancora più accecante e dovette socchiudere gli occhi per riuscire a vedere meglio. Tutto in quella stanza era uguale all’ultima volta che c’era stato, eppure lui sapeva che non fosse così. Sua madre ora era sveglia, ora avrebbe finalmente rivisto i suoi occhi. Se lo desiderava tanto, perché allora guardava dovunque tranne che verso di lei? Le continue accuse di suo padre erano davvero riuscite a convincerlo della sua colpevolezza?
“L..Leon.”
Un basso e flebile sussurro, interruppe il flusso dei pensieri del giovane, che quasi con terrore guardò verso il letto. Sua madre era lì, seduta, legata ancora al respiratore, ma i suoi occhi erano aperti e fissi su di lui. Un debole sorriso increspava le sue labbra.
Prese un profondo respiro, poi le si avvicinò, mentre il cuore batteva a un ritmo forsennato. Si sedette accanto al letto e subito strinse la sua mano. Sentirla ricambiare quella stretta dopo tanto tempo in cui non lo aveva fatto, fu per lui un’emozione unica e indescrivibile.
“Come stai, mamma?” Le chiese con voce bassa e tremante.
Lei sorrise dolcemente, accarezzandogli la mano. “Ora che finalmente rivedo il mio bellissimo uomo, sto molto meglio. Perché non mi guardi negli occhi?” Aggiunse confusa. “Cosa ti preoccupa?”
Leon si costrinse a guardarla, abbozzando un sorriso. Non c’era niente da fare, nonostante fingesse di stare bene, sua madre capiva sempre quando mentiva, anche quando era in un letto di ospedale. “Mamma, mi dispiace,” ammise con un filo di voce. “è tutta colpa mia, se non mi fossi distratto, io..” senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò a piangere silenziosamente, il senso di colpa più vivido che mai.
“Leon.” La donna gli strinse più forte la mano e tentò di tirarlo verso di se, ma ovviamente non aveva abbastanza forze per riuscirci, perciò fu il giovane stesso a sedersi sul letto. Le braccia della madre subito lo attirarono contro il suo petto, quelle mani così morbide e delicate iniziarono ad accarezzargli il volto e i capelli, esattamente come facevano quando era bambino e lui socchiuse gli occhi, godendosi quelle carezze. Quanto gli erano mancati gli abbracci di sua madre. Tirò su col naso, stringendosi maggiormente a lei, mentre il battito del suo cuore gli risuonava nelle orecchie. “Mamma,” sussurrò, ma la donna scosse la testa, facendogli capire che non fosse necessario che dicesse altro.
“Tuo padre è un imbecille,” esordì Miranda Vargas, intrecciando le dita nei capelli del figlio. “Quando potrò alzarmi da questo letto è meglio che non si faccia vedere, altrimenti lo spedisco all’altro mondo,” aggiunse con una rabbia tale da far accigliare il giovane. “è stato lui a metterti in testa di essere la causa del nostro incidente, immagino.”
Leon sollevò il capo, così da poterla guardare negli occhi, amareggiato. “è così, no? Mi sono distratto e.. scusa mamma, mai avrei voluto farti del male.”
“Smettila,” lo zittì la donna, abbracciandolo ancora. “Quella macchina ci è venuta addosso e non c’era modo di evitarlo, aveva i fari spenti e andava a una velocità spaventosa e poi..” continuò a parlare, ma il giovane Vargas non la stava più ascoltando, nella orecchie gli rimbombavano ancora quelle sue prime parole. “Ti ricordi?” Le chiese, sorpreso. “Ti ricordi dell’incidente?”
Miranda si accigliò. “Non dovrei? Quella macchina ci ha centrato proprio dal mio lato, non potrei mai dimenticarlo. Non è stata colpa tua, chiaro?” Proseguì, prendendogli il volto tra le mani. “Tuo padre ti ha addossato la colpa solo perché voleva alleggerirsi la coscienza e me la pagherà per questo, lo sa che per me tu conti più di qualsiasi altra cosa e lo stesso lo ha fatto.” Strinse i pugni con rabbia e al contempo rafforzò l’abbraccio. “Giuro che se ne pentirà amaramente, fosse l’ultima cosa che farò nella vita.”
Alleggerirsi la coscienza? Cosa significava che Fernando Vargas volesse alleggerirsi la coscienza? Leon non riusciva a spiegarselo, sentiva che ci fosse qualcosa che non sapeva, qualcosa di importante e che poteva sicuramente dare un senso a tutta quella situazione. “C’è qualcosa che non so, mamma?”
Lei sbiancò di colpo, poi scosse la testa. “No, tranquillo.” Eppure si era irrigidita, standole ancora abbracciato lo aveva avvertito e non poteva essere un caso. Sua madre gli stava nascondendo qualcosa. Sciolse l’abbraccio e la guardò, serio. “Dimmi la verità, c’è qualcosa che dovrei sapere su mio padre? Ti prego, dimmelo,” aggiunse quando la donna tentò nuovamente di negare.
A quel punto Miranda non poté fare altro che sospirare, rassegnata. “Cambierai per sempre la tua opinione su di lui quando lo saprai,” mormorò, stringendogli le mani. Leon rise, incredulo. “Non potrà essere peggiore di quella che già ho.”
“Ti ricordi la famosa riunione di lavoro che aveva quel giorno, quando ti ha detto di venirmi a prendere?” Lui annuì. “Era una bugia... doveva vedere una persona.”
“Chi? Chi doveva vedere?”
“Monica,” ammise finalmente la donna con un filo di voce. “Monica Ferro, la madre di Ludmilla.”
Leon corrugò le sopracciglia, confuso. Monica Ferro? Perché mai suo padre avrebbe dovuto incontrare la madre della sua ex ragazza? “Non capisco, quei due si conoscono?”
Miranda annuì. “Hanno una relazione, da un paio d’anni più o meno. Volevo lasciarlo, ma tu ti eri da poco lasciato con la tua ragazza e stavi male, così ho pensato di far finta di nulla almeno per un po’, giusto per darti il tempo necessario di riprenderti. Non volevo darti un altro dolore e.. dove vai?” Aggiunse preoccupata.
Il ragazzo infatti era scattato in piedi e si stava avviando verso la porta. Sul suo volto nulla lasciava presagire quale umore dominasse, sembrava completamente impassibile e ciò non avrebbe portato a nulla di buono, ne era sicura. Cosa voleva fare suo figlio? “Leon, fermati ti prego.”






Ciao a tutti!! :)
L'odioso Fernandez è tornato, ma stavolta Pablo e Diego, che ormai sono sempre più uniti *____* non si fanno trovare impreparati e gli restituiscono pan per focaccia! ;)
Nel frattempo Leon e Vilu e poi anche Fernando Vargas, apprendono che la madre del giovane si è svegliata! Un dolcissimo momento tra madre e figlio termina con una rivelazione sconvolgente, che se possibile peggiora la già precaria posizione di Vargas senior. Cosa vorrà fare ora Leon?
Prima di salutarvi ci tenevo a ringraziarvi per il vostro supporto, che non manca mai, grazie!! :3
A martedì, un bacio <3


 

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Capitolo 37
*** Faccia a faccia ***





“Violetta, tesoro!”
La ragazza, che era affacciata alla stessa finestra dove prima stava insieme a Leon, sussultò al suono di quella voce familiare. German Castillo era appena uscito dall’ascensore in fondo al corridoio dell’ospedale e aveva il fiato corto, segno che avesse sostenuto una lunga corsa, dietro di lui c’era una preoccupata Esmeralda.
“Papà,” mormorò Violetta sorpresa, avvicinandosi ai due. “Cosa ci fai qui?”
“Come che ci faccio qui?” Ribatté German, stringendola in un forte abbraccio. “Ho saputo che la mia bambina era in ospedale da sola con il suo amico,” sussurrò quell’ultima parola quasi con timore, cosa che non sfuggì né alla ragazza né alla donna. “Come potevi pensare che non sarei corso qui?”
“Tentare di far ragionare tuo padre in situazioni come queste, è quasi impossibile,” aggiunse Esmeralda, sorridendole, mentre la giovane abbracciava anche lei.
“Non preoccuparti, avrei dovuto aspettarmelo.”
“Aspettarti cosa?” Chiese German confuso, non avendo sentito le battute che le due si fossero scambiate. Loro scossero la testa, divertite. “Lascia perdere.”
Proprio in quel momento l’uomo notò Fernando Vargas, seduto esattamente dov’era prima che Leon entrasse nella stanza della madre. Aveva lo sguardo posato sulle sue mani, apparentemente ignaro delle persone intorno a lui. Gli si avvicinò con passo nervoso. Conosceva Vargas da tanti anni, erano amici e colleghi eppure lui non gli aveva mai accennato alle condizioni della moglie, difatti lo aveva scoperto solo dopo la chiamata di Violetta e la cosa lo aveva spiazzato e confuso non poco.
“Fernando,” mormorò, poggiando una mano sulla sua spalla. Quest’ultimo sollevò improvvisamente il capo e lo guardò, quasi lo vedesse per la prima volta. “Come sta tua moglie? Mia figlia mi ha detto che siete stati chiamati.”
Egli annuì, distrattamente. “Si è svegliata, i medici dicono che sta reagendo meglio di quanto credevano..un miracolo, lo hanno definito. Leon può considerarsi fortunato.”
German si accigliò, confuso da quell’ultima frase. “Non capisco,” mormorò, sedendosi accanto a lui. “Cosa c’entra Leon?”
Fermando rise amaramente. “Vedi German,” iniziò, guardandolo serio. “è stato Leon con la sua irresponsabilità a causare l’incidente di Miranda, è colpa sua se è stata in coma per tutto questo tempo.”
Il moro era così sconvolto da non riuscire a dire una parola. Come poteva dare davvero la colpa a suo figlio? Stava per parlare, quando la voce di Violetta, così vicina a loro, ruppe il silenzio. “Lei non dovrebbe dire né pensare queste cose.” Lo disse con una calma glaciale e un tono basso, eppure gli occhi dei due uomini, in particolare quelli di Vargas, furono subito su di lei, che non si lasciò per niente intimidire. “La deve smettere di dare la colpa a Leon, gli fa male così, come fa a non rendersene conto?”
“Tu non sai nulla ragazzina, parli da mocciosa innamorata che farebbe di tutto per proteggere il suo amato,” ribatté l’uomo freddamente, mentre German ed Esmeralda lo fissavano a bocca aperta e probabilmente avrebbero detto qualcosa, se Violetta non li avesse anticipati.
“Ha ragione,” ammise, mordendosi nervosamente il labbro. “Io amo suo figlio.” A quelle parole Castillo si portò una mano al petto ed Esmeralda subito lo sorresse, preoccupata. “Ma questo non significa che sono una stupida, conosco Leon e so che è una persona matura e responsabile. Lei me lo sta consumando con le sue assurde accuse,” proseguì, alzando il tono di voce e rivolgendogli uno sguardo di fuoco, il tipico sguardo di chi vuole proteggere la persona a cui tiene con le unghie e con i denti. “Lo lasci in pace, la smetta di scaricare su di lui le sue frustrazioni e..”
Fernando l’ascoltò tutto il tempo con stupore, di certo non si aspettava tanta sfacciataggine da quella bambolina innocua, ma ora doveva riconoscere che avesse lo stesso caratteraccio arrogante di suo figlio e probabilmente proprio per quello l’aveva scelta come fidanzata. Lui però non era il tipo che si faceva umiliare in quella maniera e proprio per questo si alzò improvvisamente in piedi, minacciandola con uno sguardo fulminante. “Adesso basta ragazzina, non…”
Non riuscì però a continuare la frase perché German lo prese per il colletto della camicia, sollevandolo mezzo metro da terra. Nei suoi occhi c’era una vera e propria fiamma di rabbia. “Non osare minacciare mia figlia Fernando, altrimenti ti prometto che sarà l’ultima cosa che farai nella vita,” sibilò minacciosamente al suo orecchio. “Né Violetta né Leon hanno alcuna colpa di quello che stai passando e prima lo capirai, prima tornerò ad avere un minimo di rispetto per te, perché ora quello che vedo è solo un piccolo uomo frustrato, solo e pieno di odio.”
Detto ciò lo lasciò, conducendo Esmeralda e Violetta il più lontano possibile da Vargas. Le due nel frattempo lo fissavano ammirate, erano così orgogliose di lui. “Oh papà!” Esclamò infatti la giovane, gettandosi tra le sue braccia. “Sei il mio eroe!”
“Oh bè, grazie tesoro,” balbettò imbarazzato l’uomo, ricambiando l’abbraccio. Temeva che minacciando Fernando avesse fatto l’ennesimo errore, che sua figlia lo avrebbe accusato di impicciarsi come al solito, lei invece era felice, orgogliosa. Forse stava finalmente imparando dai suoi errori. Il dolce sorriso che gli rivolse Esmeralda gli fece capire che si, aveva fatto la cosa giusta e che le due donne più importanti della sua vita fossero orgogliose di lui, anche Maria lo sarebbe stata ne era sicuro, lei avrebbe apprezzato come avesse ripreso in mano la sua vita e come lottasse per proteggere le persone a cui teneva. –Non dimenticarti mai chi sei, German- gli diceva sempre sua moglie e se per molto tempo non aveva dato ascolto a quelle parole, lasciandosi guidare solo dalla paura e dalle insicurezze, ora stava pian piano riprendendo a farlo e il merito era tutto di quella donna straordinaria, che la sua Maria gli aveva mandato per aiutarlo a reagire, perché era sicuro che da lassù sua moglie lo vedesse e avendo capito che avesse bisogno di aiuto, era intervenuta. Maria voleva che fossero felici e finalmente German sentiva di potersi riuscire, si sentiva più forte, più sicuro, stava tornando ad essere il vecchio German, quello che era prima della sua morte. Sorrise alle due, stringendole forte a se, pensando che mai come in quel momento sapeva chi fosse ed era orgoglioso di esserlo.
Un rumore improvviso li fece voltare di scatto. Leon aveva spalancato la porta della camera della madre con rabbia e in un lampo si fiondò verso il padre. Fernando, in piedi al centro del corridoio, lo fissò accigliato, ma quando provò a dire qualcosa, il giovane lo colpì con un violento pugno che lo fece ruzzolare sul pavimento con un labbro spaccato e un’espressione sconvolta. Probabilmente avrebbe continuato a colpirlo se German non fosse corso ad anteporsi tra i due.
“Leon,” mormorò, prendendolo per le spalle, mentre lui tentava di divincolarsi. “Leon, calmati.”
Nei suoi occhi verdi Castillo vi lesse così tanta rabbia e odio da restare spiazzato. Certo, Vargas si era comportato malissimo addossandogli la colpa dell’incidente, però era sicuro che il ragazzo fosse uscito dalla camera già con l’intenzione di colpirlo e che quindi ci dovesse essere un’altra spiegazione. Fernando nel frattempo si era rimesso in piedi e guardava il figlio con odio, mentre Violetta ed Esmeralda si erano a loro volta avvicinate al piccolo gruppo, preoccupate.
“Come hai osato, moccioso?” Urlò Fernando furioso. “Come osi mancarmi di rispetto in questa maniera? Io ti ammazzo!”
“Provaci,” lo provocò Leon, tentando ancora di liberarsi dalla stretta ferrea di German. “Io non ho paura di te, ipocrita che non sei altro. Perché non racconti a tutti dov’eri mentre io e mia madre rischiavamo la vita?” Aggiunse con fredda ironia, sfidandolo con lo sguardo.
L’uomo impallidì, ma si costrinse a non darlo a vedere. Leon non poteva sapere, era impossibile che Miranda glielo avesse detto. Eppure ciò che disse dopo, lo colpì con la stessa violenza e la stessa imprevedibilità con cui lo aveva colpito il suo precedente pugno.
“Eri con la tua amichetta, Monica mi pare si chiami. Ammettilo, bastardo! Ammettilo!” Il giovane lo urlò con quanto fiato aveva in corpo e agitandosi come un pazzo, tanto da costringere diversi medici ad intervenire, ordinando al gruppo di andarsene, altrimenti avrebbero chiamato la sicurezza.
“Non ce ne è bisogno, è lui quello che deve andarsene.”
Una voce sovrastò tutte le altre, lasciando i presenti a bocca aperta. Il medico che teneva in cura Miranda Vargas, uscì dallo stesso ascensore preso prima da German ed Esmeralda, seguito a poca distanza da Pablo, Angie, Diego e Camilla.
“Ha già dato abbastanza spettacolo, signor Vargas,” proseguì il medico, fulminando l’uomo con lo sguardo. “Se ne vada e tu ragazzo,” aggiunse rivolgendosi a Leon. “Datti una calmata, altrimenti caccio anche te.”
Il giovane abbassò lo sguardo, poi si trascinò su una sedia in fondo al corridoio, raggiunto subito da Violetta, Diego e Camilla.
“Ehi amico,” sussurrò il moro, poggiandogli una mano sulla spalla. “Glielo hai spaccato tu il labbro?” Chiese divertito, beccandosi un’occhiataccia da Camilla.
Sorprendendo tutti, Leon ridacchiò. “Mi sono tolto una voglia che avevo da parecchio.” Subito Diego si unì alle risate e dopo anche le due ragazze.
“Allora,” riprese lo spagnolo, sedendosi accanto a lui e circondandogli le spalle con un braccio. “L’hai vista tua madre? Come sta?” Camilla prese posto alla sinistra di Diego, intrecciando una mano con la sua e Violetta vicino a Leon, che la strinse prontamente a se.
“Si,” mormorò con un grande e luminoso sorriso. “è pallida e stanca, ma sta bene. A un certo punto pensate che è stata lei a consolare me, mi è mancata mia madre,” aggiunse tristemente, mentre la sua mente rievocava tutto il dolore e la sofferenza che aveva provato nel periodo in cui la donna era stata bloccata in un letto d’ospedale, apparentemente addormentata.
“Non pensarci, Vargas,” gli disse Diego, dandogli una pacca sulla spalla. “Ora lei è tornata da te, perciò pensa solo a goderti i vostri momenti insieme.”
“Diego ha ragione,” convenne Violetta, sorridendogli dolcemente. “è inutile pensare al passato, voi due siete qui e avete bisogno di recuperare tutto il tempo perso. Lei ha bisogno di te e tu di lei più che mai.”
Leon sorrise, stringendola a se. “Grazie di essere qui,” mormorò, rivolgendosi anche agli altri due. “è molto importante per me avere il vostro sostegno.”
“Noi ci saremo sempre,” gli disse Camilla, facendo annuire anche Diego. “Gli amici fanno così, no?”
“Non dimenticarti che una volta mi hai detto che siamo come fratelli, perciò non ti liberai tanto facilmente di me,” aggiunse il moro, facendolo sorridere.
Poco distanti da loro nel frattempo, German ed Esmeralda stavano raccontando a Pablo e Angie tutto quello che era successo. I dissapori tra i due cognati sembravano ormai lontani e ora erano perfettamente in grado di sostenere una conversazione civile, cosa che fino a pochi mesi prima sembrava solo un’utopia, perciò potevano definirsi soddisfatti.
“Non riesco a credere che il padre di Leon gli abbia attribuito la colpa per tutto questo tempo,” commentò Pablo, scuotendo il capo. “Come ho potuto non rendermi conto che qualcosa lo affliggesse?” Aggiunse sconsolato.
“Come potevi immaginarlo?” Sussurrò Angie, abbracciandolo. “Non puoi controllare tutto Amore, è normale che qualcosa ci sfugga e poi Leon è sempre stato bravo a mascherare le sue emozioni.” Solo dopo aver concluso la frase, la bionda si rese conto di avere tre paia di occhi puntati addosso. Quelli sconvolti di German, quelli complici di Esmeralda e soprattutto quelli emozionati del suo Pablo. “Ho detto qualcosa di sbagliato?” Chiese confusa.
“Mi hai chiamato Amore,” sussurrò Galindo, sorridendo felice come un bambino. “è la prima volta che lo fai.”
Lei sorrise, imbarazzata. Quasi non se ne era resa conto, era stata la cosa più naturale del mondo chiamarlo con quel dolce appellativo. Certo, non credeva le sarebbe mai scappato di fronte a German ed Esmeralda, ma in fondo non aveva nulla di cui vergognarsi. “Si,” confermò, con un grande sorriso. “L’ho detto perché lo penso.”
Pablo avvampò, tanta era l’emozione che provava in quel momento. “Ti bacerei se non ci fossero tutte queste persone.” Le strinse le mani con le sue e si ritrovarono a guardarsi con occhi innamorati.
“Vieni, German,” disse Esmeralda, trascinandosi l’uomo lontano dai due. Dopotutto avevano bisogno di un momento tutto loro.
“Perché non lo fai?” Sussurrò Angie con un sorrisetto, a pochi centimetri dalle labbra dell’uomo. “Io non aspetto altro.”
A quel punto Pablo dimenticò tutto, il luogo e le persone che lo circondavano e la baciò. Un bacio dolce che lei rese più appassionato, gettandogli le braccia al collo. Fischi e applausi si levarono nell’aria, facendoli separare di colpo, imbarazzati.
“Ehm..” balbettò Galindo, ormai paonazzo, stringendo poi la mano alla fidanzata e avvicinandosi a Leon, che ancora palesemente divertito, abbracciò entrambi. “Sono contento che siete venuti.”
“Non saremmo mai potuti mancare,” gli disse Angie con un dolce sorriso.






“Leon!”
Anche gli altri ragazzi dello Studio vennero in ospedale e subito Andres si fiondò tra le braccia dell’amico, stritolandolo così tanto da rischiare di rompergli qualche costola.
Poco distante, appoggiato pigramente a una parete, Diego osservava prima Francesca e Federico, poi Maxi e Nata e Marco e Lena, che si tenevano incredibilmente per mano, abbracciare il giovane Vargas. Mancava qualcuno però, mancava Luca. Da quando aveva iniziato a frequentare quell’arpia di Ludmilla, si era allontanato da tutti e non si era fatto vedere nemmeno in quel giorno così importante per Leon. Quando poi vide Andrea comparire dal nulla e abbracciare il suo amico, Diego s’irrigidì e incrociando lo sguardo di Camilla, vi lesse le sue stesse identiche emozioni.
“Dobbiamo fare qualcosa,” sussurrò la Torres al suo orecchio, continuando al contempo a lanciare occhiatacce alla fidanzata di Andres.
Diego ghignò. “è ora di fare quattro chiacchiere con la signorina.”
“Cos’hai in mente?” Chiese lei con un sorrisetto complice. “Niente di rischioso, spero.”
Il moro le circondò le spalle con un braccio, sfiorandole poi l’orecchio con le labbra, facendola piacevolmente rabbrividire. “Ti fidi di me?” Sussurrò, addentandole il lobo.
Camilla avvampò, il cuore le batteva a mille e la sua mente si era completamente svuotata, le accadeva sempre quando il ragazzo faceva così. “Si,” mormorò, facendo scorrere le dita lungo la sua guancia con un sorrisetto. “Mi fido di te.”
Prima che potesse rendersene conto, Diego l’attirò a se e la baciò con trasporto. “Portiamola in disparte e interroghiamola,” le sussurrò poi a fior di labbra e lei annuì, sorridendo complice.
Avvicinarsi ad Andrea, con tutta quella folla di persone, non fu difficile per i due, anche perché la ragazza se ne stava un po’ in disparte e così riuscirono ad afferrarla facilmente per le braccia e il moro ebbe anche l’accortezza di tapparle la bocca. Veloci, si fiondarono in ascensore, anche se Camilla fu quasi sicura che Violetta li avesse visti ma che avesse fatto finta di nulla.
“Che state facendo?!” Esclamò Andrea furiosa, quando le porte dell’ascensore si chiusero e Diego le tolse la mano dalla bocca. “Fatemi uscire di qui, subito!”
Fece per scansare Camilla, ma la ragazza la respinse indietro, incrociando poi le braccia al petto. “Non hai niente da dirci, Andrea?”
Lei scosse la testa, fiondandosi verso i tasti alla destra dell’ascensore, con l’intenzione di premere il tasto di allarme, ma Diego fu più veloce di lei, schiacciando quello di arresto, cosicché l’ascensore si bloccò di scatto.
“Non uscirai da qui finché non avrai parlato, dolcezza,” ghignò il moro, divertito.
Andrea indietreggiò, fulminando entrambi con lo sguardo. “Non so di che parli,” sibilò, sforzandosi di apparire calma e sicura, quando in realtà il modo in cui si torturava le mani evidenziava il suo nervosismo.
“Sei una maledetta bugiarda!” Sbottò Camilla furiosa, scuotendola per le spalle. “Che diavolo state complottando tu e quella strega di Ludmilla? Dimmelo, ora!”
“Ti conviene parlare,” intervenne Diego, appoggiandosi pigramente a una delle porte dell’ascensore e guardandola con un sopracciglio inarcato. “La mia ragazza è una folle manesca e se non ci dirai quello che vogliamo sapere, potrei lasciare che te ne dia di santa ragione. A te la scelta.”
La mora deglutì, conoscendo fin troppo bene la vena irosa della Torres, mentre quest’ultima si voltò verso il ragazzo, fulminandolo con lo sguardo. “Folle manesca a chi, eh?” Gli mostrò il dito medio e lui ghignò. “Ecco perché mi piaci tanto, tesoro.” L’attirò a se e la baciò, venendo immediatamente corrisposto dalla ragazza.
“La volete smettere?” Esclamò Andrea, disgustata.
I due si staccarono, divertiti. “Parlaci del piano tuo e di Ludmilla,” propose Diego con un ghigno, circondando le spalle della Torres. “Oppure vuoi che ci baciamo ancora davanti a te?”
La ragazza digrignò i denti, poi sbuffò rassegnata. “Voi non vi arrenderete, vero?”
Quando loro scossero la testa, non poté fare altro che confessare, ammettendo che non solo lei, ma anche Lara avesse partecipato al piano di Ludmilla. “Quando Violetta è andata alla pista di motocross per la prima volta, ho mandato un messaggio a Ludmilla per avvisarla e lei a sua volta lo ha detto a Lara, che per questo è corsa ad abbracciare Leon con tanto trasporto. Il nostro piano doveva portare alla sofferenza della Castillo, di Francesca e della tua, Camilla,” aggiunse, guardando la rossa con un sorrisetto maligno che le fece venire una gran voglia di strangolarla. “Tu l’hai vista Lara con Ludmilla e non hai capito nulla, ti ricordi quel famoso giorno? Subito dopo hai chiarito con Vilu, senza sapere che poco prima io e Lara avessimo visto Francesca e Federico insieme nello stanzino delle scope e che la meccanica fosse corsa a riportarglielo. Ludmilla ha detto a Luca di quei due,” proseguì, lasciandoli basiti. Lo avevano sospettato, eppure sentirselo dire li aveva lo stesso sconvolti. “è stato così facile per lei manipolarlo e nel frattempo ci siamo divertite anche con te, Camilla. Ti ricordi la foto che hai ricevuto di Broadway e di quella ragazza?” Quando lei annuì, aggiunse. “Lui non ti ha mai tradita, era solo un semplice fotomontaggio a cui hai creduto come una stupida. Ci aspettavamo che soffrissi e invece ti eri già consolata con lui,” indicò Diego con un cenno. “Volevamo rovinarvi, ma ci avete pensato tu e Francesca a rovinarvi da sole. Violetta è stata l’unica che nonostante le macchinazioni di Lara, non ha commesso un passo falso. Ironia della sorte, lei che avrebbe dovuto soffrire più di tutti, ci ha fregate alla grande. La cosa positiva è che tu e Francesca a causa dei vostri errori, lei che ha iniziato quel gioco perverso con Federico e tu che hai tradito Broadway, soffrite. Due su tre, non male.” Scoppiò poi a ridere in maniera forte e sguaiata, mentre Camilla la fissava impietrita e Diego spostava lo sguardo dall’una all’altra, contraendo la mascella. Di quale foto parlava Andrea? Perché Camilla non glielo aveva mai detto? Possibile che si fosse avvicinata a lui solo perché pensava di essere stata tradita? Per lei era solo un ripiego?
Se lo stava ancora chiedendo, quando Andrea, approfittando dello shock di entrambi sbloccò l’ascensore. “A proposito,” sorrise, guardandoli. “Ho una sorpresa per voi.”
Le porte si aprirono e solo allora Diego e Camilla capirono a quale sorpresa si riferisse. Un ragazzo di colore alto e possente, si avvicinò con un espressione seria.
“Broadway?” Esclamò la Torres, sconvolta.






Non ammazzatemi per come ho concluso il capitolo, quando leggerete il prossimo, capirete perché XD a poco a poco, tutto sta venendo alla luce, anche perché siamo ormai agli sgoccioli di questa storia, manca un capitolo più l'epilogo. Mi fa uno strano effetto, sembra ieri quando ho pubblicato il primo, ma ora non pensiamoci e torniamo a questo 37. German ed Esmeralda arrivano in ospedale, Castillo agitato come suo solito, anche se poi ne dice quattro a Fernando, quando quest'ultimo risponde male a Vilu. A proposito di lei, quanto è tenera quando difende Leon awwwwww :3
Ahahahahahaha tutti avevate ipotizzato che Leon avrebbe aggredito suo padre e così è stato, ce lo vedevo. Awwwww dolce momento per i Pangie e poi tocca a Diego e Cami, che si dedicano all'interrogatorio di Andrea! Spero che si sia capito bene tutto, anche perché ho tuttora dei dubbi, nel caso fatemi sapere ;) Ah e poi è tornato Broadway! Il suo arrivo sarà un problema?
Prima di salutarvi, ci tenevo a ringraziare le ben 10 persone che hanno recensito lo scorso capitolo!! grazieeeee, siete dolcissimi!! Mi avete emozionato un sacco!! *_______*
Trilly <3


 

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Capitolo 38
*** Noi due ***





Diversamente dal solito la nota dell'autrice la faccio all'inizio e questo perché si tratta di un capitolo un po' particolare e non solo perché è l'ultimo prima dell'epilogo, ma anche perché ho lasciato molto spazio al sentimento e perciò bè... io ci ho sclerato molto, infatti ancora devo riprendermi. Vi avviso così poi non potete dire che non l'ho fatto e accusarmi di aver provocato troppi scleri ahahahahahahahaha spero che vi piaccia, è tutto per voi! :3





“Ecco il tuo caffè,” sorrise la graziosa barista, porgendo a Diego una tazza fumante. Il giovane la prese e dopo aver ringraziato la ragazza, andò a sedersi a un tavolo del piccolo bar che si trovava proprio di fronte all’ospedale. Prendendo la bustina dello zucchero, si rese conto che sotto di essa ci fosse un bigliettino con un numero di cellulare. Guardò la barista e la vide ammiccare nella sua direzione, mentre serviva una coppia di mezza età e scosse la testa, divertito. Senza volerlo aveva fatto colpo a quanto pareva. Normalmente non ci avrebbe pensato due volte e avrebbe iniziato a flirtare con lei, ma ormai era cambiato, non era più il vecchio Diego che ci provava con qualunque ragazza respirasse e poi ora nella sua vita c’era Camilla.. già, Camilla. Chissà se avrebbe potuto considerarla ancora la sua ragazza. Lei ora era da qualche parte a parlare con Broadway, il suo ex ragazzo. Aveva insistito per andare con loro, l’ultima cosa che voleva era che stessero da soli, ma non c’era stato nulla da fare, la Torres riteneva che dovesse parlare con il brasiliano da sola e lui non aveva potuto fare altro che lasciar perdere. Se quel Broadway era però convinto di aver vinto si sbagliava di grosso, Camilla era sua e avrebbe lottato con le unghie e con i denti per lei. La persona in grado di fregarlo ancora non era nata e gli avrebbe rotto qualche costola se fosse stato necessario.
“Pablo mi ha detto che ti avrei trovato qui.”
Diego si riscosse dai suoi pensieri, rendendosi conto solo in quel momento di Jackie, che con una tazza fumante prendeva posto di fronte a lui. Indossava ancora la tuta, segno che venisse dallo Studio, mentre i capelli biondi le ricadevano morbidamente sulle spalle. Un dolce sorriso che non le si addiceva per nulla e che fino a quel momento aveva rivolto solo a lui, le illuminava il volto. “Sembri pensieroso,” mormorò, poggiando una mano sulla sua. “La madre di Leon sta bene, non devi preoccuparti.”
Il ragazzo annuì. “Lo so, infatti non è a questo che pensavo,” ammise con un sorriso pieno di amarezza.
“Si tratta di Camilla, vero?” Intuì Jackie, guardandolo attentamente. “Quel ragazzo che è venuto in ospedale è il suo ex, giusto?” Di fronte alla sua espressione confusa, si affrettò a spiegare. “Me lo hanno detto Pablo e la sua amica,” soffiò l’ultima parola con astio e Diego capì che si riferisse ad Angie.
“Si,” confermò, contraendo la mascella. “A quanto pare avevano molto da dirsi, visto che la foto che li aveva fatti lasciare era solo un fotomontaggio. Ironico, non trovi?” Aggiunse acidamente.
La bionda sospirò. “Credimi Diego, nessuno sa meglio di me le conseguenze a cui possono portare i malintesi. Non permettere a quel ragazzo di soffiarti la fidanzata, lei è tua e di nessun altro.”
Diego la guardò sorpreso. La donna era animata da una determinazione e una convinzione che non gli erano nuove, le aveva già viste e percepite in se stesso. Ecco da chi avesse ereditato quella possessività e quell’orgoglio, li aveva ereditati da lei. Sorrise, intrecciando le dita con le sue. “Stai tranquilla, quel tipo avrà pane per i suoi denti. Aspetto altri cinque minuti, ma poi li vado a cercare e se lo vedo troppo vicino alla mia ragazza, lo riduco a una massa informe.”
Jackie sorrise divertita. “Sei il degno figlio di tua madre, con più coraggio sicuramente. Se ne avessi avuto un po’ anch’io, probabilmente sarei sposata con Pablo e ora avresti anche dei fratelli,” aggiunse con una traccia di amarezza. “Invece sta con quella lì che fa di tutto per tenerci lontani, ma non le permetterò di fare lo stesso con te.”
Il ragazzo si accigliò. “Pensi davvero che Angie voglia allontanare me e Pablo da te?”
“Non è palese?” Ribatte lei, indispettita. “è sempre stata gelosa di quello che avevo io e me lo ha portato via.”
Diego sorrise, divertito. “Angie è una brava persona e che Pablo fosse innamorato di lei lo si sapeva, devi ammettere che sono una bella coppia, ma se pensi che io potrei preferire lei a te, sei pazza.”
Jackie incrociò le braccia al petto, scettica. “E perché dovresti preferire me alla santa e perfetta Saramego?”
“Mmm,” iniziò lui, fingendosi pensieroso. “Forse perché sei mia madre? Possono esserci tante incomprensioni e tanti litigi, ma questo tipo di legame è più forte di tutto, no?”
Quelle parole le riscaldarono il cuore, tanto che lo abbracciò di slancio da sopra il tavolo e sorpreso, lui ricambiò la stretta. “Non hai idea di quanto queste parole siano importanti per me,” gli sussurrò dolcemente all’orecchio. “Tu sei la cosa più importante della mia vita, più importante di tutto il resto.”
Diego deglutì. Si sarebbe mai abituato ad essere tanto importante per qualcuno? Chissà, forse un giorno si. Sorrise, stringendo più forte la donna a se. “Ti voglio bene, Jackie.”
Una lacrima sfuggì sulla guancia della bionda, mentre se ne stava ancora stretta tra le braccia di suo figlio. “Ti voglio bene anch’io, non hai idea quanto.”
Tornarono poi a sedersi, sorridendosi imbarazzati. Era tutto nuovo per entrambi, mai erano stati così espansivi e quasi non si riconoscevano. Poteva l’amore cambiare così tanto le persone? Probabilmente si.
“Stavo pensando una cosa, se a te va ovviamente,” iniziò Jackie, con una strana luce negli occhi. “Ormai non hai più motivo di vivere a casa di Marco e.. ti andrebbe di venire a stare da me?”
Un debole sorriso si formò sul volto di Diego, che tutto si aspettava tranne quella proposta. Quante volte aveva sognato di vivere con la sua famiglia? Tante, troppe. Stava per rispondere, quando..
“Diego.”
Camilla si era appena avvicinata al loro tavolo e dopo aver salutato Jackie, aveva puntato lo sguardo sul ragazzo, uno sguardo serio che non presagiva assolutamente nulla di buono. L’unica cosa positiva era che Broadway non fosse lì accanto a lei.
La Fernandez, capendo che i due avessero bisogno di parlare, si congedò con un sorriso. “Pensaci,” sussurrò al figlio.
Diego guardò Camilla, poi il suo sguardo si spostò su Jackie che aveva quasi raggiunto l’uscita e senza pensarci troppo la richiamò, facendola voltare, sorpresa. “Non ho bisogno di pensarci, la mia risposta è si,” le strizzò l’occhio e lei si aprì in un grande sorriso. Alla fine nonostante il male che avesse fatto e le tante decisioni sbagliate, anche lei aveva avuto il suo lieto fine, un lieto fine inaspettato e forse per questo ancora più bello. Poteva Jackie Fernandez chiedere di più? Assolutamente no, Diego era tutto ciò che aveva sempre desiderato e si sarebbe presa cura di lui come in tutti quegli anni, a causa della sua codardia, non aveva fatto. Era una promessa.
Appena Jackie se ne fu andata, il giovane si fece di colpo serio e invitò Camilla a sedersi di fronte a lui con un cenno. La Torres ubbidì, continuando a guardarlo insistentemente. “Per cosa le hai detto di si?” Chiese, riferendosi a Jackie e alle frasi che si erano scambiati.
“Dov’è il tuo amichetto?” Ribatté invece lui gelido, ignorando la sua domanda. “Avete avuto molto da dirvi, a quanto pare.” Il suo sguardo infastidito la percorse da capo a piedi, facendola sentire a disagio e sotto esame come mai in vita sua. Sapeva di averlo ferito dicendogli che volesse parlare con Broadway da sola, ma era una cosa che avrebbe dovuto fare da un bel po’ di tempo e senza nessun altro a parte loro.
“è con Leon e gli altri,” ammise, facendo per allungare una mano sulla sua, ma Diego la portò subito sotto al tavolo.
“Che vi siete detti?” Buttò lì, con un’espressione così gelida da farla rabbrividire. Mai prima di allora aveva assistito a una reazione di gelosia da parte di Diego e doveva ammettere che la cosa le facesse non poco piacere.
“Abbiamo parlato di tante cose,” iniziò, scrutandolo attentamente, cercando nei suoi occhi una qualsiasi reazione diversa da quella che si ostinava a mostrarle. “Tra di noi è iniziata per caso e altrettanto per caso ci siamo allontanati. La distanza è un ostacolo che abbiamo sempre sottovalutato, ma è stato proprio esso a cambiarci e a farci vedere le cose in maniera diversa.” A quelle parole, un lampo attraversò lo sguardo del giovane, ma non disse nulla, allora lei proseguì. “è vero, quella foto era un fotomontaggio, un crudele tentativo per distruggere il rapporto tra me e Broadway e ammetto che inizialmente ho sofferto alla vista di quella foto e.. e mi è anche passata per la testa l’idea che forse tra di noi non fosse finita, ma...”
“Ma cosa?” Chiese Diego, confuso. “Lui non ti ha tradita, ti è rimasto fedele, tu invece no..è questo che..”
“No,” lo interruppe la Torres, seria. “Il presunto tradimento di Broadway mi ha ferito, ma mi ha anche fatto capire che non sono più innamorata di lui. Io non sono più la ragazza di prima, ho altre esigenze e.. il mio cuore non cerca più lui. È per questo che gli ho voluto parlare da sola, glielo dovevo dire... gli dovevo dire che...” incrociò il suo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Era ora, ora di dirglielo, ora di essere sincera e rischiare. “Io credo che.. Diego, io... io mi sto innamorando di te, ma ho paura e per questo voglio che tu sia sincero con me... sei pronto ad accettare il mio amore e a ricambiarlo?”
Camilla ora lo fissava con il volto in fiamme e il cuore che le batteva a mille, mentre al contempo si torturava nervosamente le mani. Diego invece era rimasto a bocca aperta. Sicuramente quello che provava per lei non lo aveva mai provato per nessuna e sapere che lo amasse gli riscaldava il cuore, ma lui la ricambiava? Come faceva lui che non si era mai innamorato in vita sua a capire se ora lo fosse? Incrociò gli occhi scuri e lucidi della ragazza e vi lesse un qualcosa di forte, intenso, devastante, un qualcosa che sembrava renderla più viva, più bella, quello era l’amore? Anche nei suoi occhi c’era la stessa luce? Diego non sapeva dirlo, ma di una cosa era sicuro, voleva stare con Camilla, voleva stare con lei e con nessun’altra. Voleva specchiarsi nei suoi occhi, lasciarsi abbagliare dal suo sorriso, stringerla tra le sue braccia, gli andava bene anche litigare con lei, l’importante era averla al suo fianco. Se non era amore quello, non aveva idea di quale avrebbe potuto essere. Prese la mano di Camilla e la strinse con la sua. Una scarica elettrica attraversò entrambi a quel contatto e a quel punto il moro non ebbe più alcun dubbio. Lui l’amava, l’amava davvero, non si trattava più di una semplice attrazione. Si sedette sulla sedia accanto alla sua, continuando a stringerle la mano e a tenere lo sguardo intrecciato con il suo. “Si,” sussurrò sorridendo. “Io sono pronto, anzi prontissimo.” Accostò il volto al suo, lasciandosi abbagliare dal luminoso sorriso di lei. “Io ti amo, Camilla.”
La Torres avvampò, sorridendogli dolcemente. “Forse avrei dovuto dire a Broadway di venire prima,” scherzò, facendo aderire la fronte con la sua. “Senza volerlo ti ha fatto ingelosire e capire quanto ci tenessi a me.”
Diego sollevò un sopracciglio, divertito. “E così io sarei quello geloso? Tu non sei da meno tesoro, lo devi ammettere,” proseguì con un ghigno, riferendosi alla sua passata gelosia a causa del rapporto tra lui e Violetta.
Lei sorrise. “Lo ammetto se lo ammetti tu.” Di tutta risposta lui la baciò, venendo immediatamente corrisposto. “Ti amo.”
“Ti amo anch’io, Diego,” sussurrò, rendendo poi il loro bacio ancora più appassionato.







“Te confieso que sin ti no sé seguir
Luz en el camino tú eres para mí
Desde que mi alma te vio
Tu dulzura me envolvió

Si estoy contigo se detiene el reloj.”

Deboli raggi di sole si riflettevano sul suo volto, mentre Violetta sdraiata ad occhi socchiusi su un asciugamano, si godeva quel calore e la dolce e rilassante voce di Leon, che seduto accanto a lei con la sua fidata chitarra intonava Nuestro Camino, la canzone che li aveva fatti ritrovare.

“Lo sentimos los dos
El corazón nos habló
Y al oído suave nos susurró.”


Leon aveva accostato le labbra al suo orecchio e sussurrato quella strofa, facendo nascere sul suo volto un grande sorriso. Gli sfiorò una guancia con la punta delle dita, poi insieme intonarono:

“Quiero mirarte, quiero soñarte
Vivir contigo cada instante
Quiero abrazarte, quiero besarte
Quiero tenerte junto a mí
Pues amor es lo que siento
Eres todo para mí


Quiero mirarte, quiero soñarte
Vivir contigo cada instante
Quiero abrazarte, quiero besarte
Quiero tenerte junto a mí
Tú eres lo que necesito
Pues lo que siento es amor.”


Mentre cantavano si perdevano nei loro sguardi, un brivido gli percorreva la schiena e i cuori battevano a mille. Lentamente Leon ridusse la distanza tra di loro, facendo combaciare le labbra. Si baciarono con dolcezza, addentandosi poi le labbra e rendendo così il bacio più appassionato. Il ragazzo la fece sedere sulle sue gambe, continuando a baciarla, mentre lei intrecciò le dita nei suoi capelli.
Nelle loro orecchie giungeva il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli e che portava con se una leggera brezza e l’odore del mare. Ciò rendeva l’atmosfera ancora più romantica per i due innamorati, che si scambiavano dolci baci e carezze.
“Non sono mai stata così felice,” sussurrò la Castillo, poggiando la fronte contro la sua. “Soprattutto se ripenso a come stavo dopo l’estate.”
Leon sorrise, intrecciando un dito nei suoi capelli. “Ne abbiamo passate tante io e te, Ludmilla, Thomas, Diego, Lara. Mai avrei pensato che Andrea e soprattutto Lara, potessero collaborare con quella folle.”
“Già,” convenne Violetta, sospirando. “Incredibile quello che hanno combinato quelle tre, hanno seriamente rischiato di distruggere il rapporto di Fran e Fede con Luca e non solo..”
“L’ultimo colpo basso è stato il ritorno di Broadway per separare Diego e Camilla,” proseguì Vargas, pensieroso. “Quando Diego me lo ha detto, stentavo a crederci e poi Lara.. non credevo potesse arrivare a tanto.”
La ragazza fece sfiorare i loro nasi, sorridendogli dolcemente. “Noi due però siamo stati più forti di tutto, i tranelli e gli inganni nonostante tutto non sono riusciti a separarci.”
Leon sorrise, lasciandole un dolce bacio sul naso. “Io direi quasi che hanno rafforzato il nostro legame. Mai come adesso sono stato più convinto di noi due.” Dopodiché la baciò con trasporto, venendo immediatamente corrisposto. La fece adagiare sull’asciugamano e si sdraiò sopra di lei, rendendo il loro bacio più appassionato con il coinvolgimento delle lingue. Violetta gli allacciò le gambe intorno alla vita ed immerse le dita nei suoi capelli, mentre lui fece scorrere le mani sotto la sua maglietta, accarezzandole la schiena nuda. “Ti mangerei tutta,” sussurrò Leon maliziosamente, raggiungendo il suo orecchio con una scia di baci e mordicchiandoglielo. Un sospiro sfuggì dalle labbra della giovane, che lo strinse ancora di più a se, accarezzandogli il collo. Il ragazzo scese poi a baciarle la linea del collo, facendola sospirare. “Leon.” Violetta gli prese il volto tra le mani e lo coinvolse in un nuovo e appassionato bacio. Si baciarono ancora e ancora, poi Vargas la prese in braccio e si sollevò in piedi. Un braccio le circondava la schiena, mentre l’altro le sollevava le gambe. “Cosa fai?” Chiese lei confusa, allacciandogli le braccia al collo. Leon sorrise sibillino, incamminandosi sulla sabbia con lei in braccio. Pochi passi e raggiunse la riva, tanto che ormai le onde si infrangevano sui suoi piedi nudi. Violetta guardò il mare e poi lui, preoccupata. “Leon Vargas, cos’hai in mente?” Il giovane non rispose, continuando a camminare finché l’acqua non gli giunse fino alle ginocchia, bagnandogli i jeans. A quel punto lei non ebbe più dubbi sulle sue intenzioni e sgranò gli occhi. “Non osare,” sibilò al suo orecchio con un tono minaccioso, che lo fece sogghignare. “Persi davvero di farmi paura con questo faccino?” La derise, sfiorandole una guancia con una leggera carezza e lei di tutta risposta gli fece una linguaccia. “Non ti conviene sfidarmi, posso diventare molto cattiva,” sbuffò indispettita, mentre lui continuava a ridere. “Sai, Amore,” sussurrò con voce roca al suo orecchio. “Sei ancora più sexy quando ti arrabbi.” Violetta ammiccò, accostando il volto al suo. “Dimostralo allora, Vargas,” lo sfidò con un sorrisetto malizioso.
Leon sorrise, riducendo ancora le distanze tra di loro, ma all’ultimo quando le loro labbra stavano già per sfiorarsi, la lasciò cadere in acqua come un sacco di patate. La ragazza riemerse dopo alcuni istanti, sputacchiando e schizzando acqua. Nelle orecchie nel frattempo le risuonava la risata di Vargas, che la additava divertito. Si scostò dal volto i capelli bagnati, rivolgendogli un’occhiata fulminante. “Io ti ammazzo!” Esclamò, iniziando a rincorrerlo, anche se l’acqua e i vestiti bagnati limitavano di parecchio i suoi movimenti. Leon era già molto distante e continuava a sghignazzare, ma lei gliel’avrebbe fatta pagare, mai avrebbe accettato un simile affronto. “Ahia!” Urlò all’improvviso, massaggiandosi il polpaccio destro e fingendo una smorfia di dolore. A quell’esclamazione, Leon si voltò preoccupato. “Amore, va tutto bene?”
“Mi fa male la gamba Leon, credo sia un crampo,” disse, continuando a mostrarsi dolorante.
Il giovane Vargas abboccò con tutte le scarpe e corse subito verso di lei, ma appena fu abbastanza vicino Violetta gli saltò addosso, facendo finire entrambi in acqua.
“Ahahahahahaha fregato!” Esclamò, saltellando e ridendo come una bambina. “Sei troppo ingenuo, Vargas! Il mio faccino è riuscito ad abbindolarti!” Gli fece poi una pernacchia, inscenando una sorta di danza con la sua risata come sottofondo.
Leon, ormai completamente bagnato, la fissava incantato. Quella ragazza era incredibile, non se lo aspettava un gesto simile da parte sua. Un attimo prima sembrava una bambolina innocua, poi si trasformava in una ragazza terribilmente sexy e ora rideva e si divertiva come una bambina. La sua Violetta era unica e imprevedibile e forse proprio per questo se ne era innamorato perdutamente. La sua risata era il suono più dolce del mondo e il suo sorriso la visione più bella. Le si avvicinò, circondandole la vita da dietro. “Lo ammetto,” sussurrò al suo orecchio. “Mi hai fregato.” Le spostò poi i capelli sulla spalla sinistra e iniziò a baciarle il collo scoperto. Violetta rabbrividì e girò la testa di lato, così da esporre maggiormente il collo verso di lui. Adorava quando Leon le baciava il collo, adorava sentirlo così vicino. Quando poi le sue mani presero ad accarezzarle i fianchi, si lasciò sfuggire un sospiro. “Leon.”
“Mmm,” mugugnò lui, scostandole la maglietta e arrivando a baciarle la spalla destra in tutta la sua lunghezza. “Ho una gran voglia di fare l’amore con te,” ammise all’improvviso, con una schiettezza tale che la lasciò basita. Leon era sempre stato fin troppo sincero, ma ripensando a quanto aveva dovuto insistere per la loro prima volta, sembrava incredibile che quella frase fosse uscita proprio dalle sue labbra. Si voltò verso di lui con il volto in fiamme, poggiandogli le mani sulle spalle. “Anch’io, ma non possiamo qui e...”
“Perché no?” Sogghignò il ragazzo, attirandola a se così da far aderire i loro corpi. “Qui non ci vede nessuno,” aggiunse, lasciandole piccoli baci sulle labbra. Violetta sorrise e probabilmente si sarebbe anche lasciata andare, se non avesse visto diverse persone affacciate al muretto sopra di loro. “Certo, non ci vede nessuno tranne chi passeggia sul lungomare,” ironizzò. Leon si voltò e solo allora notò le persone e sorrise. “Ci conviene salire se non vogliamo essere denunciati per atti osceni in luogo pubblico.” La prese per mano e si incamminarono verso la riva, mentre un lieve venticello li colpiva, facendo rabbrividire la giovane, prontamente abbracciata dal premuroso fidanzato. Una volta giunti sul bagnasciuga, Violetta corse ad avvolgersi in uno degli asciugamani che si erano portati, mentre Leon si era bloccato al centro della spiaggia. Un’idea folle e che per nulla si addiceva a un bravo ragazzo gli balenava per la testa.
“Leon!” Lo richiamò la Castillo, accigliata. “Che fai lì in mezzo? Vieni ad asciugarti.”
Lui però si era già avviato verso la lunga fila di cabine disposte sul lato destro della spiaggia. Si scostò i capelli bagnati dalla fronte, poi tentò di forzare una delle porte di quelle piccole casette di legno. Con una spallata abbastanza decisa che probabilmente gli avrebbe riportato un bel livido, riuscì ad aprire la porta. All’interno c’era una fastidiosa puzza di chiuso e di salsedine, una serie di secchi e scope erano disposte in un angolo e poi c’era anche una piccola panca e delle corde tutte attorcigliate. Non era una camera d’albergo, ma meglio di niente.
“Leon.” La mano di Violetta sulla sua spalla lo fece sussultare, non l’aveva sentita avvicinarsi. Si voltò a guardarla, sorridendo maliziosamente. “Mi ammazzi se ti faccio una proposta?”
Lo sguardo della ragazza passò la cabina da cima a fondo, poi tornò a posarsi su di lui. “Tu sei pazzo,” disse alla fine, scuotendo il capo. “Frequentare Diego ti fa male. Camilla mi ha detto che voleva spingersi oltre senza che nemmeno si fossero fidanzati, lui non è di certo qualcuno a cui ispirarsi.”
Leon ridacchiò. “Si, me lo ha detto. Noi due però siamo già fidanzati,” aggiunse attirandola a se. “Nessuno ci vedrà qui dentro. So che lo vuoi anche tu.” Le sue labbra così vicine al suo orecchio la fecero rabbrividire e quella poca lucidità che aveva l’abbandonò. Quando Leon le parlava con quel tono proprio non riusciva a dirgli di no. Portarono così tutte le loro cose, chitarra compresa, all’interno della cabina e dopo averla chiusa con cura iniziarono a liberarsi degli abiti bagnati. Leon sistemò gli asciugamani a terra a mo di coperta, poi vi fece adagiare la ragazza, lasciandole al contempo una serie di baci sulle labbra. Lì dentro era umido e freddo, ma la vicinanza del corpo del ragazzo le fornì una gran dose di calore e lasciandosi guidare solo dall’amore che provava per lui, si lasciò andare baciandolo con passione e allacciando le gambe intorno alla sua vita. Tra baci e dolci carezze fecero l’amore e Violetta si rese conto quasi subito che quella volta fosse diversa dalle precedenti. Prima Leon era sempre stato fin troppo delicato, quasi temesse di romperla, ora invece era più deciso, non che le facesse male ovviamente, era più che altro più appassionato e doveva ammettere che la cosa le piacesse molto. Le faceva ancora così strano vedere lei e Leon in una veste così intima, ma era una stranezza che la faceva sentire elettrizzata, viva. Intrecciò le dita nei suoi setosi capelli e lo coinvolse in un bacio carico di passione. Si baciarono ancora e ancora, mentre le mani scorrevano dovunque. Quando raggiunsero il massimo piacere, Leon si sdraiò sull’asciugamano e le fece poggiare il capo sul suo petto, stringendola dolcemente a se.
Il giovane Vargas fu il primo a svegliarsi e quando notò stretta a lui la sua Violetta, con tutti i capelli arruffati e coperta solo da un asciugamano, un sorriso sorse spontaneo sul suo volto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per svegliarsi sempre con lei accanto, era la visione più bella che un ragazzo innamorato potesse desiderare. Con delicatezza le scostò una ciocca di capelli dal volto, poi le sfiorò le labbra con la punta delle dita. “Leon,” mugugnò Violetta, ancora con gli occhi chiusi. Lui sorrise, strofinando il naso contro il suo. “Ciao dormigliona.” Lei stirò le braccia, poi aprì lentamente gli occhi e sorrise, accarezzandogli una guancia. Possibile che anche appena sveglio fosse così bello? Chissà invece lei com’era orribile! Non ebbe però il tempo di farsi altri complessi, perché Leon l’attirò a se e la baciò con passione. “Ho una sorpresa per te,” le sussurrò poi all’orecchio.
“Che sorpresa?” Chiese curiosa, osservandolo mentre prendeva qualcosa dalla tasca della giacca, gettata sulla piccola panca poco distante da loro. Vederlo completamente nudo la fece avvampare, ma allo stesso tempo si ritrovò a pensare che fosse stupendo e soprattutto suo, si Leon era suo, suo e di nessun’altra. Quando tornò a sdraiarsi accanto a lei, la guardò accigliato, che avesse capito che lo stava fissando? Si morse nervosamente il labbro, gesto che lo portò ad aggredirla con un bacio appassionato che la lasciò senza fiato. “Quando ti mordi il labbro io perdo la testa,” ammise con voce affannata a causa del bacio. “Ogni cosa di te mi fa perdere la testa,” proseguì, scendendo a baciarle il collo. Violetta socchiuse gli occhi, godendosi quelle dolci attenzioni e facendo scorrere le mani lungo la sua schiena. “Avevi detto di avere una sorpresa,” sussurrò all’orecchio del giovane, lasciandovi poi dei piccoli baci.
“Si,” confermò Leon con un dolce sorriso, porgendole una piccola scatolina di velluto. La ragazza la prese ad occhi sgranati, mentre una serie di ipotesi affollava la sua mente. “Leon..”
“Aprila,” sorrise lui, accarezzandole i capelli. “Appena l’ho vista, ho pensato a noi.”
Violetta aprì la scatolina con mani tremanti, ritrovandosi ad osservare due catenine d’argento da cui pendevano due pezzi di puzzle, anch’essi d’argento, incastonati tra di loro, su cui erano incise una “L” e una “V” e poi un cuore che si spezzava in due se i pezzi di puzzle si staccavano.
“Hanno senso solo se sono uniti, un po’ come noi e... non è niente di che lo so, magari ti aspettavi un anello e ci ho pensato anch’io all’inizio, però poi ho visto queste e mi hanno ispirato... un qualcosa di simbolico e..” Mai Leon Vargas si era ritrovato a balbettare, mai era apparso così in imbarazzo e il sorriso sul volto di Violetta crebbe. Sfiorava quelle catenine più e più volte senza dire una parola, consapevole che in quel modo confondeva ancora di più il ragazzo. Magari si stava convincendo che il regalo non le piacesse e si pentiva di non averle preso un anello, non poteva immaginare che invece alla ragazza quella sorpresa fosse piaciuta parecchio. “Leon..”
Lui la guardò e solo allora notò che avesse gli occhi lucidi. “Io... io non so che dire..” singhiozzò, gettandosi tra le sue braccia. “Mi piace tantissimo! Grazie Amore, grazie!” Lo strinse così forte da rischiare di soffocarlo e quella per Leon fu una risposta più che sufficiente, il suo regalo le era piaciuto e ciò lo fece inevitabilmente sorridere. “è un pensiero dolcissimo,” aggiunse lei, tempestandogli il volto di baci. “Già le adoro queste catenine,” gli agitò la scatolina davanti agli occhi, gioendo come una bambina. Estrasse poi quella con la “L” e gliela porse. “Me la metti?” Si mise di spalle e spostò i capelli da un lato, cosicché il giovane poté agganciarle la catenina al collo. “Come mi sta?” Un grande sorriso illuminava il volto di Violetta e vederla così felice lo fece sentire bene, in pace con se stesso come mai gli fosse accaduto. Sentiva che il loro legame stesse crescendo sempre di più, sentiva sempre di più quanto quella ragazza fosse sua, solo sua.
“Sei stupenda,” soffiò al suo orecchio, per poi stringerla a se. Lei arrossì, poggiando il capo sulla sua spalla. “Non la toglierò mai più.”
Quelle parole lo fecero sorridere teneramente. “Nemmeno io,” mormorò, prendendo la catenina con la “V” e allacciandosela al collo. “Ecco, ora è tutto perfetto.”
“Si,” confermò lei, facendo sfiorare i loro nasi. “Nulla potrebbe essere più perfetto di così. Ti amo, Leon.”
Il giovane Vargas sorrise, accarezzandole il volto. “Ti amo anch’io, piccola mia.”


 

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Capitolo 39
*** Epilogo ***





“Su diavoletti, fate i bravi,” mormorò Diego divertito, trascinando all’interno della chiesa due bambini, un maschietto e una femminuccia di circa quattro anni, che sarebbero volentieri rimasti all’aperto a giocare. “Martin, Sol, se non la smettete di opporre resistenza dico al mostro che vive nell’armadio di rapirvi.” I piccoli sobbalzarono di colpo, aggrappandosi alle sue gambe e facendolo sogghignare. Adorava spaventarli, anche perché poi bastava veramente poco. Martin e Sol erano i gemellini di Pablo e Angie, nati pochi mesi dopo il loro matrimonio. Entrambi avevano ereditato gli occhi verdi della madre, solo che Sol era la fotocopia di Pablo e Martin era biondo come Angie. Diego si divertiva un sacco a giocare con i suoi fratellini e insieme a Miguel, l’altro suo fratello ormai maggiorenne, organizzava un sacco di scherzi per spaventarli, tanto che Pablo e Angie erano il più delle volte costretti ad intervenire, accusandoli di essere infantili. Il moro in effetti non lo negava, era molto infantile, soprattutto quando non aveva nulla da fare o quando litigava con Camilla e si ritrovava a trascorrere le serate in casa, cosa che con i loro caratterini accadeva molto spesso e così tormentava i suoi impressionabili fratellini. Quel giorno però Pablo e Angie glieli avevano affidati, dato che era il giorno del battesimo di Jorge, il loro terzo figlio. Quanti mocciosi avevano ancora intenzione di sfornare Diego non sapeva dirlo, ma se continuavano così poi avrebbero dovuto andare a vivere in una reggia.
“Hai finito di terrorizzare quei poveri bambini?” Un divertito Leon lo raggiunse accanto alla panca, dove aveva fatto sedere i piccoli. “Leon!” Esclamarono felici, abbracciandolo, mentre Diego li fissò con un sopracciglio inarcato. “Non sono innocenti come sembrano, sono dei diavoli.”
“Chissà da chi avranno preso,” ribatté Vargas, ironico, sedendosi accanto ai piccoli Galindo. “Dov’è Camilla?” Aggiunse, guardandosi intorno.
Diego scrollò le spalle, sedendosi a sua volta. “È con Angie insieme a Francesca, quel povero bambino lo stanno riempiendo di baci e coccole.”
Leon scoppiò a ridere. “Anche Vilu è andata da loro, povero Jorgito, mi fa quasi pena.”
Continuarono a sghignazzare, raggiunti poi dagli amici tutti eleganti e raggianti. C’erano Miguel e la sua fidanzata, Maxi e Nata, Federico, Marco e Lena, Andres e Libi e Luca e Ludmilla. In quei quattro anni erano cambiate tante cose, dopo aver scoperto il piano della Ferro, Andrea e Lara, infatti, Andres aveva messo fine alla relazione con la sua ragazza di allora e circa due anni prima, aveva conosciuto Libi, colei che gli aveva fatto perdere la testa e che soprattutto lo amava davvero. Per quanto riguardava Luca e Ludmilla, l’italiano aveva reagito malissimo nello scoprire di essere stato manipolato dalla bionda e sembrava che per loro due non ci potesse essere futuro, nonostante le lacrime di Ludmilla che implorava il suo perdono, dato che alla fine si era davvero innamorata del ragazzo. Luca era però riuscito a chiarirsi quasi subito con Francesca e Federico, ammettendo che la sua reazione fosse stata eccessiva e promettendo che non si sarebbe mai più messo tra loro. Proprio Fran e Fede avevano poi fatto da cupido tra lui e Ludmilla, intuendo che fossero ancora innamorati, ma ciò solo dopo che la Ferro avesse ampiamente dato dimostrazione di essere pentita delle sue azioni. All’inizio Luca non ne aveva voluto sapere, era troppo deluso, ma poi alla fine l’amore aveva trionfato e la stessa Ludmilla era cambiata davvero tanto, ora era una persona completamente diversa rispetto a quella subdola e crudele che era prima ed era riuscita a farsi accettare da tutti coloro che un tempo l’avevano odiata.
Ben presto giunsero in chiesa anche German ed Esmeralda, che si erano sposati poco dopo Pablo e Angie, insieme alla piccola Melanie, la loro bimba di due anni e presero posto in una delle prime file, con la bambina che stringeva forte le braccine intorno al collo del padre.
“Questa camicia mi stringe,” si lamentò Gregorio, entrando in chiesa alle spalle di Antonio, Beto e Jackie. Questi ultimi si tenevano a distanza di sicurezza, anche se ormai girava voce che stessero insieme.
“Smettila di lamentarti Gregorio, oggi è un giorno importante,” ribatté Antonio, ostentando un grande sorriso. “È il battesimo del mio figlioccio,” aggiunse, raggiungendo una raggiante Angelica, che intratteneva gli invitati e il sacerdote con aneddoti sul suo nipotino.
Gregorio borbottò qualcosa tra i denti, poi andò a sedersi in fondo alla chiesa e Beto lo seguì, mentre Jackie andò a salutare Diego. “Ehi mamma,” ghignò il giovane, abbracciandola. Solo da poco aveva iniziato a chiamare lei e Pablo mamma e papà e la bionda era così felice che non si stancava mai di sentirglielo dire. “Ma quanto sei elegante, non sono abituata a vederti così.” Diego sorrise, scrutandola ammirato. “Mai quanto te mamma, sei uno schianto.”
“Stanno arrivando.” Violetta, Francesca e Camilla si affrettarono a prendere posto accanto ai loro fidanzati, mentre Pablo e Angie facevano il loro ingresso in chiesa, tenendo tra le braccia un piccolo fagottino vestito di bianco, Jorge Galindo. I due consorti sorridendo agli invitati, raggiunsero il parroco, che subito diede inizio al sacramento del battesimo, con Angelica e i genitori di Pablo che nonostante avessero assistito già a quello dei gemelli, si commossero lo stesso fino alle lacrime.
Alla fine del battesimo, tutti si recarono nel grande ristorante prenotato dai Galindo e mentre il piccolo Jorge passava tra le braccia di un numero spropositato di amici e parenti, Pablo e Angie si concessero un momento per sedersi e recuperare energie. “È una mia impressione o è stato ancora più stancante di quello dei gemelli?” Sussurrò la bionda, guardando di tanto in tanto Martin e Sol che giocavano allegramente con Melanie e che venivano tenuti d’occhio da Francesca e Camilla. Pablo scrollò le spalle, poggiando una mano sulla sua. “Se non avessi la mania della perfezione ora non saresti così stanca, mia dolce perfezionista.”
Angie sorrise, sollevando un sopracciglio. “Mi hai detto in maniera gentile che sono una maniaca del controllo come mio cognato? Ti sembra una cosa carina da dire a tua moglie?” Aggiunse, fingendosi offesa.
Galindo scoppiò a ridere, intrecciando le loro dita. “Almeno sono stato gentile, lo devi ammettere. Ahia...” soffiò, quando lei lo colpì con uno scappellotto dietro al capo. “Sei manesca.”
“Lo sapevi anche quando mi hai chiesto di sposarti, caro il mio Galindo, perciò non lamentarti.”
“Infatti non mi lamento,” sorrise Pablo, sfiorandole una guancia con una dolce carezza. “Sei manesca, nevrotica, lunatica e… e tante altre cose, ma non potrei vivere un singolo istante senza te e i nostri angeli.” Quelle parole commossero Angie, che subito lo strinse in un forte abbraccio, lasciandosi andare a un pianto silenzioso. “Oh Pablo, un giorno di questi mi farai sciogliere come neve al sole. Ti amo così tanto!”
Un grande sorriso si formò sul volto di Pablo, che strinse teneramente a se la donna della sua vita. Dirle “ti amo anch’io” gli sembrava così banale, lui non solo l’amava, ma la considerava insieme ai suoi figli ciò che dava un senso alla sua vita, erano loro che gli permettevano di svegliarsi ogni giorno, di respirare, di vivere, loro erano tutto ciò che contava, il resto non aveva importanza. Prese il volto di Angie tra le mani e le lasciò un dolce bacio sulle labbra. “Tu non hai idea di quanto ti amo, Angie Saramego.”
“Ehi genitori sdolcinati,” li richiamò un divertito Diego, facendoli sussultare. “Jorgito richiama le attenzioni della sua mamma.” Angie scattò immediatamente in piedi, andando nella direzione indicata dal ragazzo, dove il piccolo Jorge piangeva disperato tra le braccia di Angelica.
“Come stai?” Sorrise Pablo, facendo cenno al moro di sedersi accanto a lui.
“Semmai dovrei chiederlo io a te, papà,” ribatté divertito. “Sono sempre i festeggiati che si stancano di più, no?”
Galindo annuì, fissandolo emozionato. Si sarebbe mai abituato al fatto che il figlio che aveva scoperto di avere più di quattro anni prima avesse iniziato a chiamarlo papà? Onestamente non sapeva dirlo. Era così bello passare del tempo con lui, vederlo finalmente felice, cosa che quando viveva con i Ramirez non era. Ora i suoi genitori adottivi e lo stesso Joaquin erano in carcere e incredibilmente le testimonianze determinanti erano state proprio quelle di Diego, Miguel e Jackie, coloro che a prima vista sembravano quelli che non avrebbero mai parlato, il primo perché non sembrava voler cercare vendetta, il secondo perché si trattava comunque dei suoi genitori e la terza perché era appunto la figlia spesso sottomessa di Joaquin. Pablo che nutriva una grande rabbia verso quei tre individui, era stato quindi anticipato e la sua testimonianza si era rivelata solo una conferma a quelle degli altri. Tutto sommato non poteva lamentarsi, anche se era convinto che nulla potesse cancellare le sofferenze che Diego e Miguel erano stati costretti a sopportare, si poteva andare avanti, ma non si poteva dimenticare.
“A cosa pensi?” Chiese Diego, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Pablo sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Penso che sono felice, ho avuto tutto ciò che ho sempre desiderato. Tu sei felice, Diego?”
Il giovane sorrise a sua volta e annuì. “Si papà, ora dopo tanto tempo lo sono davvero,” mormorò, guardando Camilla, che parlava allegramente con Francesca e Ludmilla.
“Siete una bella coppia,” commentò Galindo, guardando nella sua stessa direzione. “Perché non vai ad invitarla a ballare?”
“Papà,” provò a protestare Diego, ma lui praticamente lo spinse verso la Torres e così il giovane non poté fare altro che condurla sulla pista con il solito sorrisetto stampato in faccia, mentre lei gli rivolgeva un grande e luminoso sorriso. “Per fortuna che Pablo ti ha spinto, se no chissà quando ti saresti deciso,” lo punzecchiò Camilla, mentre ballavano un lento stretti l’uno tra le braccia dell’altra.
Lo spagnolo sogghignò, accostando le labbra al suo orecchio. “Ma come siamo polemiche, se ci appartiamo da qualche parte te lo faccio tornare io il buon umore,” aggiunse maliziosamente.
Di tutta risposta Camilla avvampò di colpo e gli pestò un piede, facendogli fare una smorfia di dolore. “Ma quanto sei volgare, non hai nemmeno un po’ di tatto. A cosa pensavo quando ti ho preferito a Broadway non lo so.”
Diego sorrise, stringendola ancora di più a se. “Te lo dico io tesoro, il fatto che sono uno stronzo ti piace un sacco e non negarlo,” proseguì con voce calda, accostando le labbra a un soffio dalle sue. “Sei pazza di me come io lo sono di te, bambolina.” Si sorrisero, poi si scambiarono uno di quei baci che di solito erano privati, quelli carichi di passione che erano capaci di imbarazzare chi vi assisteva, ma in quel momento ai due non importava e continuarono ancora e ancora. Seguendo il loro esempio, anche Maxi e Nata e Federico e Francesca scesero in pista, seguiti poi da Marco e Lena, Luca e Ludmilla, Andres e Libi, German ed Esmeralda, Pablo e Angie e ovviamente Leon e Violetta. Questi ultimi non aspettavano altro che stringersi l’uno all’altra, anche se lo sguardo vigile di German li seguiva perennemente. In ogni caso si sforzarono di ignorarlo, sorridendosi e sussurrandosi dolci parole. “Ti ho già detto che sei stupenda?” Mormorò Leon dolcemente, facendola arrossire. “Tante volte, ma mi piace sentirtelo dire,” ammise con un filo di voce. “E io ti ho detto che anche tu lo sei?”
Il messicano sorrise, accostando la fronte alla sua e specchiandosi nei dolcissimi occhi nocciola della ragazza che amava. “Un giorno questo sarà il battesimo del nostro bambino.”
Violetta avvampò, imbarazzata. “Se ti sente mio padre, ti ammazza e poi muore.” Nella sua mente si era però già fatta strada la scena di loro due con una creaturina stupenda dagli occhi verdi e non poté fare a meno di sorridere sognante. “Sarebbe stupendo,” ammise, mentre Leon faceva sfiorare i loro nasi e al contempo continuava a condurla in un romanticissimo lento.
“Un giorno accadrà Amore, vedrai.” La baciò dolcemente, venendo immediatamente corrisposto dalla giovane, che gli intrecciò le dita dietro al collo. In lontananza avvertirono la voce di German borbottare qualcosa e proprio per questo, Violetta prese per mano il fidanzato e lo condusse fuori al piccolo terrazzo del ristorante. Pochi metri e già si stavano di nuovo baciando, stavolta con maggiore trasporto. Leon la fece indietreggiare spalle al muro, continuando a baciarla. Con una leggera pressione della lingua, le fece schiudere le labbra, così che le loro lingue s’intrecciarono, dando vita a una danza sensuale e appassionata. Le sue mani nel frattempo le percorrevano la schiena, mentre quelle della ragazza s’intrecciavano nei suoi capelli.
“Amore,” sussurrò Leon, quando si staccarono per mancanza di fiato. “Sono stato sul punto di chiamare mio padre,” ammise, facendola fare di colpo seria. Dopo che il ragazzo aveva scoperto che Fernando tradiva Miranda con la madre di Ludmilla, il rapporto già precario tra di loro si era definitivamente spezzato e quando la madre era stata dimessa dall’ospedale, era rimasto a vivere con lei nella loro casa, mentre l’uomo aveva fatto le valigie. Violetta allora non rimase sorpresa, Fernando si era comportato malissimo con il figlio, attribuendogli la colpa dell’incidente di Miranda e mettendo quindi a rischio il suo equilibrio mentale. Ricordava ancora l’ombra che vedeva nei suoi occhi verdi, gli incubi che lo tenevano sveglio per notti intere. Pensava che Leon non si sarebbe mai ripreso, soprattutto perché chi lo tormentava psicologicamente era il suo stesso padre, che mai si era comportato come tale e la sua amata madre era bloccata in un letto d’ospedale in stato di incoscienza. Sapere che avesse pensato di chiamarlo l’aveva colta di sorpresa, anche perché era tanto che non sentiva né vedeva l’uomo.
“Davvero?” Riuscì a sussurrare. “Come mai?”
Leon scrollò le spalle, avvicinandosi alla ringhiera del piccolo terrazzino e guardando distrattamente il panorama oltre di essa. “Nessun motivo in particolare,” iniziò, mentre con pochi passi la ragazza lo raggiungeva e gli poggiava una mano sul braccio. “Oggi è il suo compleanno e bè… anche se non gli ho risposto, lui mi ha chiamato per il mio e pensavo che se non avessi ricambiato mi sarei dimostrato peggio di lui.”
Violetta annuì, poggiando la guancia contro la sua spalla. “Sei migliore di lui in ogni caso e lo sai.”
Il giovane Vargas le circondò la vita con un braccio, attirandola maggiormente a se, lo sguardo ancora perso nel vuoto. “So che non hai mai voluto mettere voce nelle mie decisioni e questa è una delle cose che amo di te, ma… secondo te è sbagliato se non riesco a perdonarlo? Non voglio vederlo, non voglio sentirlo… lo odio ancora. Tu non pensi che questo mi renda come lui e…”
La mora scosse la testa con decisione. “Tu non sei come lui, tu sei migliore.” Gli prese il volto tra le mani, accarezzandoglielo dolcemente. “Guardami Leon,” quando lui lo fece, proseguì. “Siamo persone, non santi. Nemmeno io al tuo posto lo perdonerei, lo odio per tutto il male che ha fatto a te e a tua madre,” aggiunse, con una traccia di risentimento. Forse sbagliava a parlare così di quello che comunque restava il padre del suo ragazzo, ma era anche vero che si era ripromessa di essere sempre sincera e perciò non se ne pentiva.
Leon annuì. “Anche io la penso così, è mia madre che nell’ultimo periodo si è messa in testa che dovremmo parlare.”
“Tu vuoi farlo?” Insistette Violetta. “Vuoi parlare con lui?”
“Per niente,” sbottò il messicano, storcendo il naso. “Da quando non ho più a che fare con lui, sto finalmente bene.”
La Castillo si specchiò nei suoi occhi verdi e quando vi lesse le stesse identiche emozioni che le aveva espresso a parole, sorrise e annuì. “Allora non farlo.”
Leon sorrise, prendendole la mano sinistra, dove faceva bella mostra di se un anello con un piccolo brillante e lasciandole un bacio sul dorso. Tale gesto, così dolce e romantico, la fece diventare rossa come un peperone. “Cosa ne pensano le tue amiche del tuo anello di fidanzamento?”
Violetta si aprì in un grande sorriso, intrecciandogli le braccia al collo. “Lo adorano e dicono che i loro ragazzi dovrebbero prendere spunto da te, ma io gliel’ho detto,” aggiunse a un soffio dalle sue labbra. “Il mio ragazzo è unico e per questo straordinario.” Si sollevò poi sulle punte e gli diede un bacio a fior di labbra. “Ti amo, Leon.”
Il giovane le sfiorò una guancia con una leggera carezza, scendendo poi a lasciarle piccoli baci sotto l’orecchio. “Anche la mia ragazza è straordinaria, è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita”, soffiò con voce roca, per poi risalire con le labbra fino a raggiungere le sue. “Ti amo tanto, Amore.” Dopodiché la baciò con passione, facendo aderire i loro corpi, consapevole che sarebbe stato sempre così, lui e Violetta insieme, per sempre. Lei era il suo passato, il suo presente e il suo futuro, il destino aveva deciso così e lui non era di certo uno che si opponeva al destino, soprattutto se lo rendeva tanto felice. “Mi prenderò cura di te, per sempre.”
“Ed io farò lo stesso con te Leon, sempre,” sorrise lei, coinvolgendolo in un nuovo e appassionato bacio.







Ciao a tutti!
Ancora non mi sembra vero che questo è l'epilogo, ogni volta che lo rileggo mi viene da piangere, sembra ieri che ho postato il primo capitolo e invece è già passato tanto tempo. Insieme abbiamo riso, scherzato, imprecato contro gli scocciatori (Si Lara, parlo di te XD) e tante volte, leggendo le vostre meravigliose recensioni con le quali mi avete sostenuta e incoraggiata in questo lungo cammino, mi sono emozionata e per questo volevo ringraziarvi. Se ho portato a termine questa storia con entusiasmo e buon umore, è soprattutto grazie a voi e per questo vi voglio ancora una volta ringraziare e dirvi che mi avete fatto provare delle emozioni uniche *_______*
In particolare volevo ringraziare DulceVoz, Syontai, Ary_6400, Rio50, Shinebright e Leonettapersempre, che mi hanno sostenuta sin dal primo capitolo e con cui ho condiviso tanti scleri e risate :3 senza dimenticare ChibiRoby, JorgistaForever, Leonetta99, DWHO, Storieleonette, Morgana1994, Leonettissimapersempre, Fra_piano for ever, Dola_Kiss, DaniLeonetta, Kacy13, Vilu23, Arturina, Directioner_Niall4ever, Giuly sapientona 2000, Federica_2209, Simonuccia_98__, Leonetta4ever, JortinosamenteLeonetta.
Grazie di cuore, in questo fandom mi avete fatto sentire come a casa, siete dolcissimi!! :3
Un bacio e un forte abbraccio!
Trilly <3

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