A quel punto... mi sarei fermato

di Iaiasdream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il passato in un sogno ***
Capitolo 2: *** Il passato in una lettera ***
Capitolo 3: *** Sfogliando le pagine del passato ***
Capitolo 4: *** Rosso rubino, Giallo oro e Occhi di ghiaccio ***
Capitolo 5: *** Le conseguenze di una caduta ***
Capitolo 6: *** Allora lo fai apposta ***
Capitolo 7: *** Effetto... speciale? ***
Capitolo 8: *** Voci ingannevoli ***
Capitolo 9: *** La verità ***
Capitolo 10: *** Il Codice... Castiel ***
Capitolo 11: *** Segni indelebili ***
Capitolo 12: *** Sorpresa al buio ***
Capitolo 13: *** Era il mio primo bacio ***
Capitolo 14: *** Una domanda per cambiare tutto ***
Capitolo 15: *** Appuntamento inconsapevole ***
Capitolo 16: *** Piccolo momento di serietà ***
Capitolo 17: *** Scatti di gelosia ***
Capitolo 18: *** Sentimenti che si svegliano ***
Capitolo 19: *** Lo stalcker ***
Capitolo 20: *** Il furto ***
Capitolo 21: *** La fortuna dalla mia parte ***
Capitolo 22: *** Segreti da nascondere ***
Capitolo 23: *** Cosa sono per te? ***
Capitolo 24: *** I segreti aumentano ***
Capitolo 25: *** L'incidente ***
Capitolo 26: *** Rivelazione ***
Capitolo 27: *** Cosa si nasconde dietro la sua armatura? ***
Capitolo 28: *** Un segreto in meno ***
Capitolo 29: *** In vacanza ***
Capitolo 30: *** Cambierà qualcosa? ***
Capitolo 31: *** Sua... per sempre ***
Capitolo 32: *** L'astio tra Nath e Cass ***
Capitolo 33: *** Ritorno al presente ***
Capitolo 34: *** Sto piangendo ***
Capitolo 35: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 36: *** Non provo ciò che lui prova per me ***
Capitolo 37: *** il segreto di Castiel ***
Capitolo 38: *** Addio Castiel ***
Capitolo 39: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 40: *** Festa da urlo ***
Capitolo 41: *** Il rosso per ricordare ***
Capitolo 42: *** Incomprensibili avvertimenti ***
Capitolo 43: *** Sotto la pioggia ***
Capitolo 44: *** Il bambino ***
Capitolo 45: *** Dopo la pioggia... ***
Capitolo 46: *** Un bambino misterioso ***
Capitolo 47: *** Con me sei al sicuro ***
Capitolo 48: *** La pioggia nel cuore ***
Capitolo 49: *** Mancato amore ***



Capitolo 1
*** Il passato in un sogno ***


1.
IL PASSATO IN UN SOGNO

La mia pelle brucia.
No, non è fuoco. Non sono le rosse fiamme a bruciarmi, sono i suoi tocchi che la fanno ardere. Li sento vividi, espandersi su tutto il mio corpo, dolci e travolgenti allo stesso tempo.
Ho la mente troppo offuscata dall’estasi per poter capire che cosa mi sta succedendo.
Ma chi voglio prendere in giro? So bene cos’è, è come un déjà-vu. So che quella mano, che adesso mi sta accarezzando veemente i fianchi, in pochi secondi salirà lungo il torace e si posizionerà su uno dei seni afferrandolo con grande impeto, poi vi poggerà umide labbra che bruceranno più delle mani. A quel punto gemerò piegando la testa all’indietro e mostrandogli in primo piano il collo, lui si staccherà, con passo felino si metterà sopra di me, come un ghepardo dopo aver catturato la sua preda, mi rivelerà un sorriso vittorioso e avvicinandosi al mio orecchio destro sussurrerà «Ti farò mia… per sempre!», poi il buio e un lieve suono che si intensificherà man mano che i miei sensi inizieranno a destarsi.
Sbuffo infastidita voltandomi a un lato, mi inoltro nella rossa trapunta per liberare il braccio intenta a raggiungere la sveglia sul comodino. Non ho gli occhiali e la penombra, grande alleata della miopia, mi rende le cose ancora più difficili.
Decido di andare a tentoni facendo attenzione, però, a non spingere involontariamente di sotto il mio piccolo cherubino di Swarovski.  “Se lo rompi, giuro che ti torco il collo” dico a me stessa chiudendo gli occhi e cercando di avere una specie di collegamento psichico tra questi e il braccio. Finalmente dopo tanti tentativi, decido con malavoglia di alzarmi e accendere l’abat jour per prendere quella maledetta sveglia analogica e spegnerla. Mentre faccio quel gesto mi viene spontaneo dire, come ogni mattina, «Possibile che non accontentiate mai le mie aspettative?».
Come può una persona, che dopo una serata passata al computer, intenta a portare a termine il lavoro ossessivamente e autoritariamente preteso dal proprio paffutello editore, ridestarsi il giorno dopo con vivacità e voglia di alzarsi, spalancare le finestre e augurare il buon giorno agli uccelli e tutti gli esseri del Creato, come succede in televisione? Odio quelle pubblicità, ti fanno rendere conto che non riuscirai mai a raggiungere i tuoi sogni perché sono solamente frutto della tua fantasia, e io che vivo solo di questi, mi sento scaraventata in una realtà che non accetto, in cui non voglio esserci.
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona e anche se per molti non hanno alcuna importanza, loro sono inevitabili.
Ecco! INEVITABILE… questa è la parola che cercavo! Sono inevitabili proprio come il sogno che, da tempo immemore, assilla il mio sonno.
Sono passati tre anni, pensavo di aver finalmente sepolto l’arco dell’età “ribelle” e quella pagina del libro del mio destino che cambiarono la mia vita quasi insignificante. Adesso invece, rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, il tutto disegnato su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché sta ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Ho appena spalancato la persiana, e guardando l’azzurro cielo primaverile, mi son resa conto che non si tratta di lui, ma di me. Sono io quella che, come il mondo necessita di calore dopo un lungo e pungente inverno, ho inevitabilmente bisogno di tutto ciò che lui rappresenta.
Lui. Sorrido al modo con cui lo nomino, da quando è ricomparso. Per il momento non ha un nome, non voglio chiamarlo con il suo, perché so già che ogni singola lettera che lo compone, mi trafiggerà il cuore. Sorrido beffarda al pensiero, «Cos’altro può farmi male?» sussurro toccandomi gli occhi con le dita che cercano ansiose di raccogliere qualche lacrima che non c’è. Mi guardo la mano quasi divertita “vi siete dimenticate che i miei occhi sono come l’arido deserto?” ormai sono tre anni che non hanno più il piacere di bagnarsi di quelle amare e dolorose lacrime. Sono tre anni che non so più cosa significhi piangere.
Mi accingo a prendere dal cassetto del comodino la lingerie e cerco di dimenticare i miei pensieri, ma so che da sola non posso riuscirci e come ogni mattina, ad aiutarmi è la mia affezionatissima co-inquilina Violet che bussa alla porta e mi avvisa che il bagno è libero.
<< Ti ringrazio Vil! >>
<< Di niente Rea! >> esclama lei con la sua timida vocina. Vil o Villy, come ormai sono abituata a chiamarla, è una delle amiche che mi sono state sempre accanto. Anche se molto timida e introversa mi trovo bene con lei. Dopo il diploma ci siamo trasferite nella mia città natale per necessità lavorative e condividiamo la stessa casa, che una volta apparteneva a mia nonna.
Vil insegna comunicazione visiva a una scuola elementare ed io invento e disegno manga per il mio editore che somiglia molto ad Happosai, il vecchietto pervertito e maniaco dell’anime Ranma, l’unica cosa che li distingue è che l’editore, di manie, ha solo i manga, del resto è un omino simpatico ma allo stesso tempo autoritario. Quando lo vidi la prima volta… be, lo vidi si fa per dire, è talmente piccolo che sulla poltrona dietro la scrivania non riuscii neanche a notarlo e me ne fui quasi andata, quando lui, con la sua voce da cartone animato mi chiamò puntando i piedi sulla sedia, mi girai e trattenni a stento quella che sarebbe potuta sembrare una risata da imbecille.
«Happosai?» mormorai incredula.
«Come scusi?» chiese lui ingenuamente. Mi resi conto che la situazione si stava facendo alquanto imbarazzante, non per me, ma quanto per lui, però, se volevo veramente esaudire il mio più grande sogno, dovevo mettere in standby il mio umorismo da Otaku e far lavorare la Rea seria e composta. Per mia fortuna, il piccoletto si innamorò dei miei disegni e della mia fantasia creare storie e così potei iniziare il mio attuale lavoro.
 
 
Dopo essermi lavata, rientro in camera mia ricordandomi di prendere la pen-drive con un intero lavoro notturno al suo interno. Dopo un po’, mi accorgo che Vil è entrata con un lieve sorriso sulle labbra.
«Rea la colazione è pronta» mi dice quasi con un sibilo.
«Sì Vil, mi vesto e arrivo»
«Devi andare a lavoro?»
«Devo consegnare il manga ad Happosai» rispondo dicendo quel nome con indifferenza.
«Oggi è il mio giorno libero» continua lei abbassando lo sguardo imbarazzata. Guardandola, capisco che vuole chiedermi qualcosa ma non ha il coraggio di parlare. La conosco e so che fa sempre così, allora, come da copione, la sprono chiedendole cosa le serve e lei, arrossendo ancora di più, mi dice che le piacerebbe andare a fare shopping.
«Va bene, puoi venire con me se ti va, e poi da lì andremo al negozio di abbigliamento che si è aperto qui vicino», la guardo con un sorriso aspettando una sua risposta e lei annuisce schiarendosi il viso. Dopo essermi abbottonata il pantalone, prendo veloce la giacca di rasatello blu scuro e usciamo dalla stanza, ma in quel momento, prima di chiudere la porta, mi accorgo che mi è sfuggito qualcosa, non ho voglia di scervellarmi, così, vado in cucina e inizio la mia abbondante colazione.
«Scommetto che Kim ha dormito di nuovo fuori» sospiro mentre spalmo delicatamente il burro sulla fetta biscottata.
«Penso di sì» risponde Violet sorseggiando il suo spumoso cappuccino «ieri non la vidi rientrare» ad un tratto, sentiamo aprire la porta di entrata, ci voltiamo simultaneamente, io con la fetta di pan biscottato tra le labbra e Violet mentre appoggia la tazza sul apposito piattino. Vediamo entrare, ormai abituate, la nostra amica dalla pelle color cioccolato, vestita in modo eccentrico che si avvicina mogia, fra le mani le sue converse, il piede destro intento a strofinare la pianta contro la gamba sinistra, la guardo in volto e scorgo due mostruose occhiaie, gli occhi con venature rosse agli angoli, più giù la bocca che si distorce in smorfie che dovrebbero somigliare a degli sbadigli.
«Passata bene la nottata?» le mormoro divertita.
«Non puoi immaginare quanto» mi risponde sbadigliando e sprofondando sul divano adiacente al piano bar dove sto consumando la colazione in compagnia di una Violet che rimane indifferente ai nostri ragionamenti.
«È inutile chiederti dove sei stata, so che tanto non mi risponderesti»
«Perspicace la ragazzina» esclama accennando un sorriso e chiudendo gli occhi «lasciatemi dormire, dire che sono stanca morta è troppo poco».
Le sorrido vedendola addormentarsi spensierata.
Anche Kim si è trasferita con noi dopo il diploma. Il motivo? Non è preciso, almeno conoscendola so che quando si parla di lei, la sua vita privata è un tabù, si sa soltanto che lavora part time come barista in una discoteca, ma non è solo per il suo lavoro che ritorna a casa, quasi sempre, il giorno dopo.
So, anche se mi comporto discretamente, che lei ha molte “avventure piacevoli”. Con Violet non l’abbiamo mai giudicata e non ci passa neanche per la mente farlo. Kim per noi è molto importante, soprattutto per me, perché è stata l’unica che mi ha sorretto nel momento della mia sofferenza e volere o no, so che il suo trasferimento è dipeso anche da questo: dal non volermi lasciare sola. Perciò, le sarò grata per tutta la vita.
Maledizione, lo sto facendo ancora! Sto di nuovo pensando a lui!
Senza farmi accorgere da Violet, mi tiro un pugnetto sulla tempia destra.
Eh basta! Esclamo nella mia mente. Diventerai una rincoglionita se continui a fissarti! Sono già le otto e quindici, sbrigati, altrimenti Happosai, chi lo sente? A proposito, ricordati di chiamarlo signor Baldini, non appena gli sei di fronte!
Seguita da Violet mi dirigo verso la porta, esco in giardino e nel farlo una vocina mi dice che sto dimenticando qualcosa. Ma cosa?
 

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Capitolo 2
*** Il passato in una lettera ***


2.
IL PASSATO IN UNA LETTERA

Happosai… pardon, il signor Baldini, non appena ricevuta la pen-drive, è voluto rimanere solo congedandomi gentilmente. Prima di chiudermi la porta alle spalle, gli ho dato un’ultima occhiata e mi è sembrato che stesse amoreggiando con il piccolo oggetto. Ho sorriso e sono ritornata nella hall dove Violet mi sta aspettando.
«Tutto fatto, possiamo andare» le dico con un sorriso soddisfatto. Lei si alza e, mettendosi al mio fianco, afferra timidamente il mio braccio e usciamo.
Nel momento in cui metto piede fuori, il pensiero che non mi lascia stare da questa mattina colpisce i miei occhi come un fulmine a ciel sereno: una ragazzina gesticola nervosamente mentre parla al telefono.
Ecco cosa mi sono dimenticata! Il cellulare! Ma può avere importanza una cosa del genere? Dimenticarsi un cellulare. Pff… non è una cosa grave, anzi è come una liberazione dopo giorni di prigionia. Così non avrò rotture di scatole.
Posso rasserenarmi quanto voglio, ma conosco i miei pensieri come il palmo della mia mano e so che tutto quel imprecare e rimuginare nella vana speranza di sapere cosa avessi dimenticato, alla fine mi porterà a qualcosa di inaspettato.
Sono sicura che non succede soltanto a me. Quando pensi che non hai bisogno di quella cosa, quest’ultima trova il modo per sbalordirti.
«Cos’hai, Rea?» mi chiede Violet guardandomi preoccupata, riportandomi alla realtà. Le rispondo facendo spallucce, «ti vedo strana, ultimamente» continua abbassando lo sguardo.
Oh cavolo, si vede? Pensavo che fossi riuscita a nasconderlo bene! «Non ho niente Violet» mento cercando di sorridere, non devo farla preoccupare.
«Bugiarda» ribatte timidamente.
Trasalisco nel guardarla, non mi aveva mai detto una cosa del genere prima d’ora.
«Hai qualcosa che non va - continua arrossendo - altrimenti non mi avresti chiamata Violet»
Wow, che intuito! Io non me n’ero neanche accorta, «Ho solo dimenticato il cellulare a casa» rispondo tra sorrisi imbarazzanti «e mi chiedevo per quale motivo ci rimuginassi intensamente»
«Devi ricevere qualche telefonata?»
«L-la mamma?» ma che diavolo sto dicendo? La mamma! Figurati! Come se la mamma avesse tempo da dedicarti, anche se potrebbe farlo. Sì, e sentiamo… cosa ti dovrebbe dire? Ti sei svegliata? Ti sei lavata i denti? Scuoto la testa disapprovando i miei pensieri idioti.
Stiamo per metterci in macchina, quando veniamo attratte dal copioso trillare dell’i-phone di Vil che, prima di rispondere, mi guarda con aria interrogativa.
«Kim?» sibila dopo aver appoggiato il cellulare all’orecchio, poi ritorna a guardarmi e mi porge l’oggetto facendomi segno di rispondere. Lo afferro alquanto incuriosita.
«Pronto?»
«Pronto, un cavolo!» risuona stridula la voce famigliare dall’altro capo.
«K-Kim?»
«Ma dove diavolo ti sei ficcata il telefono? Sono ore che provo a contattarti!»
«È successo qualcosa?» le chiedo addolcendo la voce.
«Certo! E se vuoi sapere cosa, ti conviene ritornare a casa!»
«Ma Kim, almeno accennami di che si tratta? Il tuo tono mi preoccupa.»
«Ed è quello che devi fare! Preoccuparti! Almeno così impari a dimenticarti le cose», chiude la chiamata senza aggiungere neanche un saluto. Tipico di Kim, quando è arrabbiata. Restituisco confusa il cellulare a Vil, cercando di ideare nella mia mente il motivo di quella chiamata. Vil mi guarda preoccupata, l’unica cosa che posso fare per tranquillizzarla è sorriderle.
 
 
Sono solo passate quattro ore dacché ho aperto gli occhi e mi sono già rotta attributi che non possiedo.
Prima il sogno, poi la preoccupazione di aver dimenticato il cellulare che, come avevo previsto, si è rivelato portatore di notizie. Ma… cattive o buone?
Maledizione, Kim! Tu e il tuo modo di esprimerti con la mania di mantenere segreti!
Guardando la strada e i palazzi scorrere velocemente ai miei occhi, mi rendo conto che sto guidando più veloce del previsto. Rivolgo lo sguardo alla mia destra verso Vil che sembra avere gli occhi sbarrati dalla paura, a quel punto rallento.
«Scusami Vil, non mi ero accorta di aver accelerato… è che Kim mi ha messo un’ansia in corpo, e non riesco a non pensare alla notizia che deve darmi»
«Sarà uno dei suoi soliti scherzi per farti tornare a casa presto» mormora lei timidamente.
Non penso. Se fosse stato così, si sarebbe inventata una storiella come ad esempio “Ho acceso il tuo computer e senza volerlo ho cancellato i tuoi lavori”. No, dev’essere successo davvero qualcosa.
Mentre cerco di darmi delle risposte, scorgo all’angolo della strada la nostra villetta, parcheggio la macchina davanti al cancelletto e senza perdere tempo mi dirigo velocemente in casa. Trovo Kim seduta sul divano con le braccia conserte e le gambe accavallate mentre guarda infastidita il televisore.
«Che succede?» chiedo affannata attirando la sua attenzione. Lei mi guarda seria e, sciogliendo la sua posizione, si alza mettendosi di fronte a me. È qualche centimetro più alta, così sollevo il capo per guardarla negli occhi.
«Succede che devi preparare le valige» mi risponde con fare autoritario.
«Cosa? E per quale motivo?» chiedo allibita.
«Dobbiamo far ritorno al paesello» dice indifferente allontanandosi e raggiungendo il frigo. Senza capirne il motivo, inizio a tremare. Provo a ribattere, ma senza successo. Sento qualcosa di molto duro e tagliente opprimere la mia gola. Kim si volta e mi risponde a una domanda non fatta.
«Può sembrare un’idiozia, ma ti annuncio che è tutto vero, guarda lì» mi indica il tavolo occupato da un foglio bianco spiegato. Mi avvicino lentamente esitando, sbuffo afferrandolo con fare brusco. È una lettera scritta al computer e dall’intestazione capisco che si tratta di uno studio notarile. Scorrendo velocemente gli occhi cerco di arrivare al dunque e lì, la massa vitrea che si era formata nella mia gola, inizia a crescere, dandomi senso di soffocamento. Guardo Kim cercando di dare un senso alle mie emozioni, ma non capisco neanch’io cosa stia veramente provando. Kim mi guarda come a volermi dire “Non preoccuparti, qualunque cosa succeda io sono al tuo fianco”. Niente, neanche quelle immaginate parole potranno aiutarmi a non ricadere nella sofferenza.
Il passato è rientrato nella mia vita, beffardo e strafottente e io, io non posso farci niente, nessuno può. Anche se volessi o potessi trovare una scusa, sarei obbligata dalle circostanze.
 
 
La mia prozia, nonché la preside del Liceo Dolce Amoris, scuola in cui Kim, Violet e io ci siamo diplomate tre anni fa, il mercoledì scorso ha avuto un incidente stradale, le condizioni non sono gravi, ma ha comunque deciso di lasciare il suo lavoro, richiamando all’appello tutti i ragazzi diplomati nel 2011 con i voti al di sopra dell’ottanta, per assegnare loro il compito di dirigere l’intero liceo.
Il bello è che al mio voto manca un punto per raggiungere ottanta, quindi non posso presentarmi. Invece il fato vuole che, essendo la pronipote della preside, il mio nome è il primo della lista, con l’obbligo di esercitare il mio dovere senza rifiutarlo.
Ma che cavolo! Ho solo ventun anni! Non mi ci vedo per niente dietro una scrivania in stile antico. Che ne sarà del mio lavoro, non voglio abbandonare Happosai!
Che idiota che sono! Sto cercando scuse per non esprimere il mio vero disapprovo. In quella lista, anche se letto apposta di sfuggito, c’è il suo nome. È questo l’unico motivo per il quale il mio cuore sta avendo un inizio di tachicardia.
Anche se a vederlo non sembra, lui è stato l’alunno più bravo della mia classe. Il tipico bulletto che a scuola fa i comodacci suoi: non studia, non ascolta le lezioni, disturba i suoi compagni, ma che nel momento dei compiti in classe e degli esami, batte la settanta! Tutte le ragazze a scuola cadevano ai suoi piedi, dicevano che era irresistibilmente affascinante, per me invece era un bastardo!
Era… per quale caspita di motivo l’ho pensato al passato? Lui è un bastardo! Non dimenticherò mai ciò che mi ha fatto passare! Il destino vuole sfidarmi? Ok, va bene, accetto la sfida. Rea ha subìto tutto ciò che c’era da subire, la mia mente, il mio corpo e i miei sentimenti si sono da tempo costruiti un’armatura indistruttibile. Niente e nessuno potrà sopprimermi. O almeno spero.
Ritorno a guardare impassibile Kim, intenta a bere una lattina di coca cola, poi volgo lo sguardo verso la porta e vedo Vil come un fantasma appoggiata all'infisso e mi guarda con aria interrogativa.
«Ok! - esclamo decisa sbattendo il foglio sul tavolo - Quando partiamo?». Kim mi guarda incredula cercando di ingoiare la bevanda, facendo attenzione però a non soffocare.
«Oh, no!» esclama infastidita lasciando la lattina sul tavolo.
«Che c’è?» chiedo allibita dalla sua reazione.
«Stai davvero deludendo le mie aspettative!»
«Come?»
«E io che mi stavo preparando per un abbraccio consolatore! Ero disposta anche a fare un discorso che ti avrebbe risollevato il morale!»
«Kim - la interrompo sorridendo - lo so che mi starai vicina». Kim mi guarda ricambiando il sorriso, poi si avvicina e mi cinge le spalle sussurrandomi «Non permetterò che il passato ti ferisca un’altra volta. Dovrà prima passare sul mio corpo».
Quella frase è stata molto più confortante di quanto lei potesse pensare. So che per non essere ferita dal passato, devo affrontarlo, rammentandolo attentamente per non sbagliare nel futuro che repentinamente sta giungendo.
 

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Capitolo 3
*** Sfogliando le pagine del passato ***


3.
SFOGLIANDO LE PAGINE DEL PASSATO
 
Fu un lunedì di marzo quando, ritornando a casa da scuola, ricevetti la tanto attesa notizia che avrebbe cambiato la mia insignificante vita da studentessa diciassettenne e che i miei, da tempo, avevano suscitato in me dubbi, poiché si comportavano in maniera strana.
Erano giorni che li vedevo discutere in silenzio e cambiare argomento ogni qualvolta mi vedevano comparire. Quella situazione mi stava sui nervi, facendoglielo notare più di una volta, ma loro continuavano a comportarsi noncuranti e indifferenti alle mie domande.
Con loro non ho mai avuto un rapporto molto legato come lo avevano le mie compagne di classe con i rispettivi genitori. Non c’erano quasi mai a causa del loro lavoro. Mio padre lavorava all’estero come sceneggiatore di Drama e mia madre dirigeva un’industria di cosmetici. Le poche volte che ci riunivamo come una vera famiglia, non sembravamo neanche tale. Mio padre riposava fino a tardi, mia madre ne approfittava per incontrare qualche sua amica e io mi chiudevo in camera sfogando la mia solitudine nel disegnare o inventare storie manga.
Non avevo un’amica, le mie compagne di classe non comprendevano la mia passione e alle volte, quasi facendolo apposta, mi escludevano dal gruppo. Questo però non mi faceva sentire sola. Non ho mai percepito la solitudine come un brutto momento.
Io non ero sola, a farmi compagnia c’erano i miei sogni e le mie fantasie e poi, una volta a settimana, veniva a trovarmi la sorella di mio padre, zia Agata, che possedeva un negozio di cosplay in un paesino a me sconosciuto. Mi divertivo un mondo con lei, era il mio punto di riferimento quando dovevo inventare un personaggio. Agata non si tirava mai indietro quando le chiedevo di vestirsi da fata e posare per i miei disegni, al contrario: dava vita ad una vera e propria sfilata di vestiti che avevano fatto la storia degli anime giapponesi.
Zia Agata era l’unica su cui potevo confidare. Era l’unica vera amica mai avuta in tutti i miei diciassette anni.
Quel lunedì, come appunto dicevo, quando tornai a casa, con mia più grande sorpresa, la trovai in cucina, mentre parlava con papà e mamma. Salutai per attirare l’attenzione. Me la vidi piombare fra le braccia e chiedermi quasi con foga «Rea! Sei contenta?»
<< Di vederti? Certo! >> risposi cercando delicatamente di liberarmi da quella forte stretta.
<< Ma che dici? Lo so che sei contenta di vedermi! Intendevo un’altra cosa! >>
Si allontanò mettendosi al mio fianco e avvolgendomi le spalle con un solo braccio. Guardai smarrita i miei genitori, aspettando una risposta che giunse dalle parole di papà.
<< Vedi Rea, abbiamo deciso di farti trasferire >> disse un po’ imbarazzato. Lo guardai con incomprensione.
<< Il fatto è che… >> continuò mamma << noi siamo sempre via, e tu qui vivi sola >>
Ah! Ve ne accorgete solo adesso? Mi dissi incredula. Che acuto intuito possedete!
<< Tuo padre dovrà assentarsi per quasi un anno e io non posso lasciare l’industria a mani estranee, lo capisci questo, vero? >>
<< Quindi? >> chiesi impassibile. Mio padre e mia madre si guardarono non comprendendo il mio atteggiamento freddo e inespugnabile.
<< Al-allora… >> balbettò mio padre.
<< Ti trasferirai nel mio paese e verrai a vivere a casa mia! >> esclamò con vivacità zia Agata.
Non ebbi alcuna reazione, mi allontanai da mia zia e mi diressi verso le scale, prima di salire dissi << Vado a preparare le valige >>, poi me ne andai. Salendo sentii un mormorio che diceva << L’ha presa bene non preoccupatevi… >>.
Certo che l’avevo presa bene. Ma non ero abituata a esprimere i miei sentimenti di fronte a loro. Mi chiusi in camera e mi tuffai sul letto sorridendo, volsi lo sguardo verso il cherubino di Swarovski regalato da mia nonna e dissi a me stessa “finalmente la mia vita cambierà”. Mi alzai di scatto sentendo bussare alla porta, andai ad aprire e vidi mia zia scaraventarsi fra le mie braccia. Ridemmo e saltellammo come due idiote. Quando poi ci accorgemmo che la cosa stava diventando alquanto imbarazzante ci distaccammo cambiando tutt’ad un tratto espressione seguita da brevi colpi di tosse, come se non fosse successo nulla mi recai all’armadio e presi dallo scaffale più alto la valigia. Mia zia mi aiutò a prepararla.
 
 
Il viaggio non fu lungo e neanche stancante, la villetta della zia si trovava nei pressi di un lago che quel giorno mi diede il benvenuto riflettendo sulla sua superfice sfumature del cielo al tramonto. Ero estasiata e finalmente potevo darlo a vedere, finalmente potevo esprimere i miei sentimenti, finalmente la vera Rea stava uscendo alla luce del sole.
La camera che mi affidò Agata aveva una piccola veranda che si affacciava sul lago, era una stanza molto spaziosa e tipica dei gusti di mia zia.
La prima cosa che feci quando vi entrai fu lanciarmi sul letto e sospirare rumorosamente. Non riuscivo a credere che la mia vita stesse cambiando e come inizio non era male. Mi ero subito innamorata di quel paese, era totalmente diverso dalla città. Qui potevo sentire la natura. In città, invece, la mia finestra si affacciava su strade affollate e l’odore dello smog si sentiva fin giù in cantina.
Mi alzai dal letto curiosa di vedere quel sublime panorama. L’aria della sera era fresca, il cielo illuminato da stelle e in quel momento mi resi conto di non conoscerlo veramente ‘ché non l’avevo mai visto così luminoso, e poi il lago… non trovavo parole per descriverlo. Mi appoggiai alla ringhiera e affacciai lo sguardo verso il basso. Venni attratta da un fischio e dei mormorii lontani. Strinsi gli occhi cercando di mettere bene a fuoco la situazione. C’era un ragazzo, del quale potevo vedere solo la sua silhouette che, lungo la riva del lago, lanciava qualcosa a un cane e questo da bravo amico la rincorreva per riportarla al padrone.
Fu un attimo, non mi volli sbagliare, ma credetti che il giovane dopo aver lanciato l’oggetto, si fosse girato verso di me guardandomi. Prima che potessi scoprire se fosse realtà o pura semplice fantasia, mia zia mi chiamò avvisandomi che la cena era pronta. Feci per andarmene, ma una voce attirò di nuovo la mia attenzione.
<< Demon, torna qui!! >>. Mi voltai di scatto e lo vidi mentre rincorreva il cane allontanandosi dalla mia vista.
 
 
La cena fu molto movimentata. Zia Agata faceva progetti per il nostro futuro e io l’ascoltavo divertita. Poi ritornando seria, mi disse:
<< Ho una notizia a proposito della scuola che dovrai frequentare da domani >>
<< Cos’è? >> chiesi guardandola sottocchio.
<< Il liceo Dolce Amoris, ha come preside la zia mia e di tuo padre >>
<< Cooosa?!? >> esclamai alzandomi di scatto e guardandola con occhi sgranati << stai scherzando, spero?! >>
Invece di rispondermi, Agata scosse lentamente la testa. Sprofondai sulla sedia tanto afflitta quanto sconfitta.
Zia Camille, detestavo quella donna. Quando la conobbi la prima volta avevo sette anni, fu nel periodo Natalizio, mio padre e mia madre la invitarono al cenone, poi come al solito loro se ne andarono lasciandomi da sola, ma quella volta Camille si candidò per farmi da babysitter. All’apparenza sembrava una nonnina dolce e paffutella, ma in realtà… bastò un giorno passato in sua compagnia, e a sette anni scoprii che la Befana, Babbo Natale e il coniglio di Pasqua, non erano altro che invenzioni per far sognare i bambini.
Come fece? Stavo piangendo perché il suo fastidioso cagnaccio aveva mangiato tutti i cioccolatini che, come credevo, aveva portati Babbo Natale. << Cattivo! >> gli urlai. Lei infastidita dal mio atteggiamento che ebbi nei confronti del cane mi disse in modo sprezzante << È inutile piangere! Pensi davvero che te li abbia portati Babbo Natale? Beh, sappi che non esiste! >>.  Fu un duro colpo per me sapere certe verità così spudoratamente. In poche parole zia Camille, era una strega travestita da nonnina di Cappuccetto Rosso.
Quel dolore lancinante che sentii in petto a sette anni ritornò a flagellarmi il cuore ora che ne avevo diciassette. Dopo dieci anni, mi ero liberata dall’assurda condizione della mia famiglia e adesso venivo a sapere che la direttrice del mio nuovo liceo non era altri che la strega di Hansel e Gretel? No, cavolo! Zia Agata stava di sicuro scherzando! A malincuore dovetti accettare la dura realtà.
<< Zia Camille ha saputo che tuo padre e tua madre volevano farti trasferire e, quando ha scoperto che saresti stata ospitata da me, ha insistito tanto per farti iscrivere al suo liceo. >>
<< E allora, prepara il coltello più affilato che hai! Questa volta non la passerà liscia! >>
Agata sbottò in una risata contagiosa. Risi anche io, rendendomi conto che mi ero rassegnata alla notizia.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Rosso rubino, Giallo oro e Occhi di ghiaccio ***


4.
ROSSO RUBINO, GIALLO ORO E OCCHI DI GHIACCIO
 
Un fischio, un altro, un altro ancora. Quel rumore stava diventando tanto famigliare quanto fastidioso. Mi rigirai nel letto, ma ormai il sonno mi aveva abbandonata. Scocciata, mi misi a sedere, con fare mogio presi gli occhiali dal comodino e dopo averli messi guardai l’orologio.
Le sei e trenta? Porcaccia la miseria! Ma può un cristiano che sta spensierato fra le braccia di Morfeo, essere destato da un fischio alle sei e trenta del mattino? Mi chiesi strofinandomi energicamente la testa.
Raccolsi le ginocchia al petto e vi appoggiai la fronte chiudendo gli occhi. Cercai per un attimo di liberare la mente e riaddormentarmi, ma quel fischio ritornò a disturbare il mio udito. Alzai la testa e guardai la finestra aperta. Anche se era marzo, quella stanza emanava il tipico caldo afoso di luglio. Guardando i raggi del sole accarezzare il cristallino velo del lago, decisi di andare fuori. Indossavo una maglia a maniche corte, che arrivava a metà coscia.
Non appena misi piede sulla veranda, un leggero e gelido venticello accarezzò le mie gambe e baciò il mio viso, rabbrividii lievemente, chiusi gli occhi e mi riempii i polmoni di quell’aria così fresca e pulita, portai i miei lunghi capelli castani all’indietro e riaprii gli occhi. La prima cosa che percepirono fu la stessa scena della sera scorsa. Quei fischi provenivano da quel ragazzo che faceva giocare il suo cane. In quel momento però, potei riuscire a vederlo meglio e la cosa che mi attirò di più fu il colore dei suoi capelli. Oltre agli anime, non avevo mai visto quel colore sulla testa dei ragazzi reali: rosso fuoco. I raggi che li illuminava li faceva sembrare fili di rubini. Mi sporsi di più nel vano tentativo di vederlo in faccia << Voltati >> mormorai senza accorgermene. Il ragazzo continuava a darmi le spalle. A lui si avvicinò ancora quel cane dall'aria spaventosa. A un tratto mi accorsi che la bestia mi stava guardando e lo sentii ringhiare. Fu a quel punto che il ragazzo si voltò verso di me e mi guardò. Sobbalzando feci due passi indietro e, cercando di fare l’indifferente, mi voltai da un’altra parte facendo finta di fare stretching.
Ma che cavolo stai facendo? Mi dissi sentendomi il volto avvampare, così ti prenderà per un’idiota! Cercai con la coda dell’occhio e senza farmene accorgere di guardarlo in volto, per un po’ ci riuscii e mi accorsi che stava sorridendo. Mi sentii avvampare ancora di più e mi ritrovai inconsapevolmente nella mia camera appoggiata di spalle al muro al lato della finestra. L’unico rumore che percepii in quell’istante fu il battito frenetico del mio cuore. Mi diedi due pugnetti sul petto con la speranza di calmarmi. Non riuscii a concepire il motivo di quell’atteggiamento. Non capivo se fosse dovuto alla figuraccia che avevo fatto o se fosse stato quel sorriso così affascinante. Lentamente spiai verso l’esterno curiosa di vedere cosa stava facendo. Per mia solita sfortuna, non c’era più. Ad un tratto trasalii sentendo bussare alla porta.
<< Chi… chi è? >> balbettai con il cuore in gola.
<< Come chi è? Chi dev’essere? >> esclamò mia zia aprendo e, non appena mi vide, si interruppe guardandomi sottocchio << Che ci fai spiaccicata al muro come una mosca? >>
<< Ehm… faccio, stretching? >> balbettai abbozzando qualche mossa con le braccia.
<< Che strano modo di fare ginnastica >>
<< Serve qualcosa? >> chiesi allontanandomi finalmente dal muro.
<< Ero venuta solo a svegliarti, ma per fortuna vedo che sei una nipote modello. Sono le sette hai un’ora di tempo prima di andare a scuola >>
<< Ok, mi do una mossa >>.
Mia zia uscì regalandomi un sorriso. Prima di seguirla, diedi un’ultima occhiata fuori e vedendo il cielo azzurro sospirai un tantino malinconica.
 
 
Zia Agata, come c’era d’aspettarselo, insistette per accompagnarmi a scuola. Dopo vari tentativi da parte mia di convincerla a rimanere a casa, mi arresi esasperata e accettai il suo passaggio. Non appena arrivammo davanti al cancello dell'istituto, scesi dalla macchina e prima di salutarmi disse ironica: << Salutami zia Camille! >>
Le lanciai un’occhiata tagliente, purtroppo quel mio sguardo minaccioso non la scalfì, mi sorrise e rimettendo in moto l’auto, se ne andò. Rimasi davanti al portone d’entrata guardando quel colosso di palazzo che rappresentava il liceo. Mi accinsi ad entrare e non appena spalancai la porta fui catapultata in un mondo mai visto: in torno a me c’erano ragazzi vestiti in modo strano, con capelli tinti da colori inimmaginabili. Abbassai lo sguardo cercando di guardare il mio corpo. Partendo dai piedi, indossavo un paio di ballerine ocra, un pantalone a sigaretta nero e una camicetta sfiancata, dello stesso colore delle ballerine. Feci una smorfia, sentendomi un pesce fuor d’acqua.
<< Sei nuova? Non ti ho mai vista! >> sentii dire alle mie spalle, mi voltai timidamente e davanti a me vidi una ragazza dai capelli color carota che mi sorrideva.
<< S-sì, sono nuova >> balbettai un po’ imbarazzata.
<< Piacere, io mi chiamo Iris >> disse porgendomi la mano. La guardai prima di darle la mia.
<< Io sono Rea >>
<< Ti ho vista un po’ smarrita, ti serve qualcosa? >>
<< Veramente, sto cercando l’ufficio della preside, sai per caso dirmi dove si trova? >>
<< Certo, in fondo al corridoio, la prima porta a destra, non puoi sbagliare >>
<< Grazie >> mi congedai sorridendole. Mi incamminai verso la via indicata e non appena arrivai davanti alla porta, qualcosa, o per meglio dire qualcuno alla mia sinistra, attirò la mia attenzione. Mi voltai e vidi una lunga chioma bionda che parlava a… uno sportello dell’armadietto? Mi sporsi più in avanti, ma l’unica cosa che riuscii a vedere, furono due pantaloni neri che sporgevano da sotto il metallo.
<< Castiel, perché ti comporti così? >> esclamò la bionda pregandolo << Mi avevi promesso che ci saremmo visti. Invece mi hai dato buca! Non è bello da parte tua! >>
<< Hai detto bene, Ambra, ti avevo promesso… >> disse la voce da dietro l’armadietto. La bionda pestò il pavimento offesa da quelle parole, poi si volse incrociando i miei occhi, la vidi cambiare sguardo, mi lanciò un’occhiataccia e mi disse << E tu che diavolo guardi? >>.
Trasalii cercando di cambiare la destinazione del mio sguardo, ma non riuscii a trovare dove posare i miei occhi. A un tratto mi accorsi che il ragazzo che stava dietro allo sportello dell’armadietto, faceva movimenti strani, e dalle orizzontali fessure del metallo incrociai due scuri occhi, stava guardando me. Mi voltai di scatto verso la porta che avevo di fronte e bussai velocemente, dopo pochi secondi, la porta si aprì, diedi un’ultima occhiata alla biondona che mi guardava con aria di sfida ed entrai velocemente nella stanza, ma qualcosa si oppose ai miei passi, mi voltai incontrando davanti ai miei occhi un tessuto bianco ornato da una cravatta azzurra.
<< Ti sei fatta male? >> chiese una voce angelica.
<< N-no >> balbettai e alzando lo sguardo incrociai due occhi color dell’oro e un volto che mi ricordava quello del cherubino di swarovski. Il ragazzo mi sorrise e si mise a un lato per farmi entrare, poi uscì chiudendo la porta alle mie spalle.
Rimasi frastornata per qualche secondo, mi guardai attorno smarrita, poi finalmente i miei occhi si poggiarono sulla scrivania con dietro la poltrona in controluce. In quel momento mi sembrò di stare in uno di quei film mafiosi, dove il “picciotto” entra nello studio del suo “Don” in attesta del compito da svolgere, e il gangster si trovava proprio lì, seduta su quella poltrona rivestita in pelle nera.
Tossii non sapendo come annunciarmi e non ricevendo una minima risposta, mi feci avanti dicendo: << S-sono io, zia Camille, sono Rea >>. Vidi la sedia muoversi, e una figura bassa e cicciottella alzarsi e allontanarsi dalla scrivania. Finalmente la luce illuminò il suo viso che lo vidi molto invecchiato dall’ultima volta. Mi sta sorridendo? Mi chiesi allibita, poi la vidi avvicinarsi più a me.
<< Rea! Finalmente! Oh, ma guarda come sei cresciuta! Fatti abbracciare >> esclamò stringendomi forte e stampandomi un viscido bacio sulle guance. Ma che diavolo fa? Continuai a chiedermi. Non è così che doveva andare! Lei mi detesta, e il fatto è categoricamente reciproco! Perché fa così?
<< Com’è andato il viaggio? Hai visto la mia scuola? Ti piace? E tuo padre come sta? Tua madre? >>.
Non risposi a nessuna delle domande. Cavolo, non mi diede neanche il tempo di farlo! Dopo tante parole inutili, si decise di arrivare al dunque, dicendomi che dovevo recarmi in sala delegati e chiedere al segretario delegato Nathaniel di compilare tutte le carte che dovevano rappresentare la mia iscrizione.  Mi recai alla porta velocemente congedandomi, non volevo assistere a un altro falso abbraccio affettuoso e, prima di aprire, sperai con tutto il cuore di non incontrare di nuovo quell’affascinante bionda indiavolata con il suo presunto ragazzo.
Per mia fortuna, il corridoio che all’inizio era affollato, in quel momento sembrava deserto. Mi incamminai soffermandomi davanti a ogni porta per leggere l’etichetta con la speranza di trovare la sala delegati. Stavo per fare un passo in avanti, quando mi vidi scaraventata a terra. Strinsi gli occhi dal dolore che il pavimento provocò ai miei glutei, poi mi accorsi di avere una presenza sopra di me, e quest’ultima si fece sentire.
<< Non ti sei fatta male, vero? >>
Era la seconda volta, nell’arco di pochi minuti, che mi sentivo dire una cosa del genere. Aprii gli occhi e la prima cosa che vidi di fronte a me fu un atletico torace coperto da una maglia e un gilet, alzando lo sguardo vidi un collo coperto da un foulard che cadeva dritto appoggiandosi sul mio petto. D’istinto sollevai di più lo sguardo curiosa di vedere a chi appartenesse quel corpo perfetto.
Il mio fiato si placò quando incrociai quelle due sfere glaciali che facevano da contrasto con il nero corvino dei capelli.
Il ragazzo mi sorrideva, poi vidi che stava facendo qualcosa con il braccio, mi sentii un lieve tocco al mento. Mi accorsi che era la sua mano. Oh mio Dio! Pensai, che intenzioni ha? 
 

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Capitolo 5
*** Le conseguenze di una caduta ***


5.
LE CONSEGUENZE DI UNA CADUTA

 
Nell’istante in cui la mano si era poggiata sul mio mento, sentii tutto intorno svuotarsi. Non riuscivo a muovere neanche un dito. Gli avambracci che poggiavo sul pavimento, intenti a sorreggere in posizione seduta il mio busto, iniziarono ad intorpidirsi.
Occhi di ghiaccio continuava a guardarmi con quel sorriso affascinante. Un brivido, dalla sensazione sconosciuta, mi percorse per tutta la spina dorsale e un formicolio divulgarsi al basso ventre. Poi sentii finalmente qualcosa alla mia bocca: la dentatura inferiore toccava delicatamente quella superiore e le labbra le imitarono.
Nessun bacio, nessun incastro di labbra estranee. Quel ragazzo rimaneva con il viso molto vicino al mio ma senza sfiorarmi. A un tratto le sue labbra si dischiusero e lo sentii dire << è meglio chiuderla, non si addice alla tua espressione >>, poi si alzò e mi porse la mano per aiutarmi a imitarlo. Che cosa voleva dire con quella frase? Mi chiesi mentre accettavo il suo aiuto. Quando fui in piedi vidi dietro di lui una sua copia, solo che questo aveva capelli azzurri e occhi ametisti. Li guardai attonita.
Ci vuole molto a capire che sono gemelli? Mi dissi.
<< Armin non sai per niente trattare le donne! >> disse quest’ultimo mettendosi le mani dietro la nuca << c’era bisogno di farglielo notare? >> continuò guardando sottocchio il fratello.
<< Mi dispiace >> rispose Occhi di ghiaccio lasciandomi gentilmente la mano << è che era un po’ imbarazzante >>.
“Notare, imbarazzante? Ma che diavolo stanno dicendo?”.
<< Non ti preoccupare bella >> mi disse l’azzurro avvicinandosi e mettendo una mano sulla mia spalla << non era poi così imbarazzante, avresti dovuto vederti, sembrava avessi visto un’apparizione >>.
In quel momento concepii che quel gesto di poco fa, era dovuto alla mia bocca spalancata nel vedere quella piacevole immagine. Occhi di ghiaccio me l’aveva soltanto richiusa.
<< … chiami? >> percepii ad un tratto.
<< Ehi mi stai ascoltando? >> chiese ancora il moro.
<< C-cosa? >> balbettai smarrita.
<< Ho chiesto: come ti chiami? Sei nuova, non ti ho mai visto prima >>
<< Mi chiamo Rea e sono… >> “Non azzardarti a dire che sei la nipote dell’arpia travestita da nonnina”, l’immagine di me stessa che avevo nella mente fece un gesto con il pollice che passava da un’estremità all’altra del collo come una lama << … sono… sì sono nuova >> risposi sorridendo e accarezzandomi il collo per scacciare via quel dolore immaginario.
Anche i due si presentarono, Occhi di ghiaccio si chiamava Armin e il suo gemello Alexie. Il primo si scusò per essermi piombato addosso. Il secondo ne spiegò il motivo, dicendo che stavano correndo per il ritardo. Questo guardò il suo cellulare e lanciando un’occhiata a suo fratello disse << Ci conviene entrare alla seconda ora, di nuovo! >>
<< Perché mi guardi così? >> chiese Armin.
<< Indovina di chi è la colpa? Tu e la tua stupida mania dei videogiochi! >>
<< Era l’ultimo livello, non potevo non completarlo! E poi, chi è che ha insistito nel volersi fermare al negozio di abbigliamento? >>. Parlando, si dimenticarono di me e si allontanarono spingendosi a vicenda. Scossi la testa un po’ divertita poi, ricordandomi ciò che aveva detto la strega, continuai a cercare la sala delegati. Dopo qualche minuto riuscii a trovarla. Era socchiusa, bussai lo stesso -per educazione-, quando sentii una voce darmi il permesso, entrai. La stanza era occupata da due persone: c’era una ragazza dai lunghi capelli castani e con un’aria timida, vestiva come mia nonna e il ragazzo che avevo incontrato prima, quello dagli occhi e dai capelli color dell’oro.
<< Buongiorno, potreste dirmi dove posso trovare il signor Nathaniel? >>
<< Sono io! >> rispose il ragazzo, con mia grande sorpresa.
<< Ah! >> sibilai come un’imbecille.
<< Serve qualcosa? >> chiese ancora lui << Ah, tu devi essere la nuova arrivata, la nipote della preside? >>
“No per quale caspita di motivo lo sa, e perché deve ricordarmelo?” << S-sì, s-sono io >>
<< Se hai bisogno del modulo di iscrizione ti avviso che è già stato fatto tutto >>
<< Va bene, grazie >> risposi accennando un sorriso << Avrei una richiesta… >>
<< Dimmi >>
<< Vorrei sapere dove posso trovare la mia classe? >>
<< Ma certo, ti accompagno io! >> rispose alzandosi di scatto e, allontanandosi dalla sua scrivania, si volse verso la ragazza taciturna e disse << Melody, continua tu, io torno subito >>. La giovane non rispose, accennò solo un sorriso e annuì lievemente.
 
 
Prima di accompagnarmi in classe, il segretario mi fece visitare tutta la scuola. Guardando l’orologio centrale mi accorsi che avevo saltato ben tre lezioni, ma sembrava che a lui questo non importasse e non capivo il motivo per il quale non importava neanche a me. Dopo la biblioteca, ci fermammo in corridoio e Nathaniel mi indicò l’aula che era a pochi passi da noi. Si scusò dicendo che doveva finire il suo lavoro e mi lasciò sola. La porta della mia classe era aperta e, prima di entrare, cercai di spiare da un angolino, per vedere chi erano i miei compagni.
La prima fila era occupata da una ragazza asiatica e… oh no! C’era la bionda che parlava con l’armadietto! “Ma perché la sfortuna mi perseguita anche qui?”. Vidi l’indiavolata parlare con le sue due amiche. Sospirai esasperata, poi allungai il capo per vedere il resto degli alunni.
Fu un attimo, le mie iridi si riempirono di rosso, rimasi incanta a guardarlo. Era il ragazzo del lago! In quel momento lo vedevo molto più da vicino, e potei definire i suoi lineamenti. Aveva due occhi taglienti dal profondo colore grigio, indossava una maglietta rossa con un teschio, coperta da un giacchettino nero in pelle, le sue mani erano occupate a giocherellare con una penna e i suoi occhi seguivano quei movimenti. Giudicando la sua espressione, sembrava annoiato, ma ero troppo attratta dai suoi occhi e andai a riposare lo sguardo su di essi. Li vidi mentre si allontanavano dalle mani, si giravano intorno quasi infastiditi, poi di scatto si posarono su di me e non si mossero più.
“M-mi sta guardando?
Si, lo sta facendo!
Che cosa faccio?
E che cosa vuoi fare?”. Mi accorsi di trasalire e cercare un modo per fare l’indifferente. Mi sentivo l’imbarazzo strapparmi la pelle, ma successe qualcosa di inaspettato. Il rosso, riabbassò lo sguardo e sbottò lievemente in un sorriso quasi beffardo.
“Per quale motivo sta ridendo?” mi chiesi rimanendoci male. “Forse ho fatto qualche cosa di divertente e non me ne sono accorta?”. Prima che la me stessa potesse darmi una risposta plausibile, sentii suonare la campanella, mi girai velocemente verso l’orologio e mi accorsi che erano le undici e mezza. Mormorii e strilli invasero l’aria. In un battibaleno il corridoio si riempì di giovani che correvano come impazziti.
Mi rannicchiai verso il muro con la speranza di non essere notata, ma fu vana. Mi sentii afferrare il braccio e per fortuna si trattava di una sorridente Iris.
<< Che cosa ci fai qui? >> mi chiese.
<< Be, veramente, io… >>
<< Vieni con me, c'è la ricreazione adesso e abbiamo venti minuti di pausa >>. Senza ribattere la seguii, ci recammo fuori in giardino e lì la rossa mi fece conoscere altre sue due amiche. Si chiamavano Kim e Violet. Feci facilmente amicizia con quel terzetto, ci riuscii perché erano totalmente differenti dalle compagne della mia vecchia scuola, per fortuna, anche loro due erano in classe con me. Questo fu un sollievo. Potevo rassicurarmi. “Menomale, il primo giorno è andato bene” mi dissi, convinta che veramente le cose sarebbero andate a gonfie vele. Ma come al solito, mi stavo sbagliando. Qualcosa mi diceva che il peggio doveva ancora arrivare, e il peggio indossava tacchi a spillo e in cima alla testa una chioma dorata che le arrivava fin sopra i fianchi.
Mentre parlavo con le mie nuove amiche sentii a pochi passi da me dei piagnistei, mi voltai incuriosita e fui testimone di un’azione che avevo sempre odiato: la biondona strattonava un ragazzo occhialuto e gli ordinava di darle i soldi. D’istinto, mi allontanai dal gruppetto e raggiunsi quell’indemoniata che stava per sferrare uno schiaffo all’indifeso. Fortunatamente ebbi dei riflessi pronti e riuscii a fermarla, afferrandole bruscamente l’avambraccio. Lei si girò lentamente lanciandomi un’occhiata fulminante.
<< Che diavolo stai facendo? >> chiese con voce tremante di rabbia << lasciami immediatamente il braccio >>.
Non le diedi retta e continuai a stringere la presa.
<< Non hai sentito ciò che ti ho detto? >> continuò alzando la voce.
<< Non ti vergogni, maltrattare una persona indifesa? >> chiesi con il suo stesso tono. Lei si liberò dalla mia presa con fare nervoso, poi portandosi le ciocche dorate all’indietro, guardò le sue due amiche e scoppiò in una rumorosa e fastidiosa risata.
<< Ma dico, l’avete sentita? Chi diavolo sei tu? Chi ti credi di essere per contraddire la grande e favolosa Ambra? >>
<< Una persona intelligente che detesta le ingiustizie, soprattutto se vengono fatte da una come te! >> risposi sprezzante, non accorgendomi di aver attirato l’attenzione di molti studenti. Continuai a guardare quella strega con occhi di sfida, la vidi illividirsi di rabbia, si avvicinò con aria minacciosa pronta per colpirmi ma qualcosa da dietro la fermò. Fu Kim a farlo e con mia sorpresa notai che la super donna dai tacchi a spillo tremava alla sua vista.
<< Hai fatto già abbastanza Ambra, adesso basta >> Kim la lasciò, Ambra mi guardò per un’ultima volta e mi sussurrò con voce tagliente << Non finisce qui, non catare vittoria! >> poi seguita dai suoi due segugi se ne andò.
<< Ehi signorina? >> esclamò Kim rivolgendosi a me << Non sarai mica il tipo di donzella in pericolo? Ti ricordo che io non sono maschio né tanto meno un principe azzurro! >>
<< Potevo cavarmela anche da sola >> dissi fiera di me stessa.
<< Ti consiglio di stare alla larga da Ambra >> intervenne Iris << quella ragazza porta solo guai >>. Dopo quella frase, suonò la campanella e gli alunni iniziarono ad incamminarsi verso l’entrata della scuola, stavo per farlo anche io, quando mi sentii tirare il lembo della camicia, mi voltai incuriosita, trovandomi davanti due enormi fondi di bottiglia che ornavano un viso bagnato dalle lacrime. Era il ragazzo che la bionda aveva maltrattato.
<< C-che c’è? >> chiesi balbettando.
<< Snif! Snif! >> fu la sua prima risposta << G-grazie! Snif! Sei la prima e l’unica persona che ha preso le mie difese >>
<< Be, non c’è niente di male, io sono fatta così, non sopporto le ingiustizie >> risposi guardandolo bene. Ma cos’è? Un fungo? Mi chiesi.
Il fungo sbottò in un pianto lagnoso e la situazione iniziò a farsi più complicata quando cercò di farsi più vicino a me con una goccia di muco che gli penzolava da una narice. “Bleeak! Ti prego non farlo!”. D’istinto iniziai a correre cercando di seminarlo. Quel senso di disgusto mi aveva fatto perdere il senso dell’orientamento. “Dove caspita sono finita?” mi guardai intorno smarrita, mi trovavo in una specie di giardino colmo di fiori di tutti i tipi. Continuai a camminare cercando di scorgere una via che potesse portarmi all’entrata della scuola, ma per la seconda volta, quel giorno, mi ritrovai scaraventata a terra e questa volta col viso spiaccicato sull’erba.
“Ma in che cavolo sono inciampata?”. Mi faceva male il naso me lo toccai cercando di capire se stavo sanguinando, per fortuna no. Mi misi in ginocchio e me lo strofinai delicatamente.
<< Stai attenta a dove metti i piedi! >> esclamò una voce dietro di me, mi voltai di scatto e sgranai gli occhi quando vidi che ero inciampata sulle gambe del ragazzo dai capelli rubino che stava sdraiato sul prato con le braccia rivolte all’indietro intente a reggere la sua testa.  Mi alzai velocemente scusandomi, ma da lui non ebbi nessuna risposta, si limitò soltanto a chiudere gli occhi.
Mi sentii imbarazzata, cosa dovevo fare? Lasciarlo lì e andarmene? Ma mi ero persa e non conoscevo la via del ritorno. Quindi raccolsi tutto il mio coraggio e cercai di trovare una soluzione.
<< Sai… è suonata la campanella, non ritorni in classe? >> chiesi convinta che si sarebbe alzato dicendomi di seguirlo per far ritorno. “Il tuo cervello non è fatto di materia grigia, ma di una nuvola di fantasia”, infatti il rosso né si alzò né tantomeno si interessò alla mia domanda.
<< E tu perché non lo fai? >> chiese schiudendo gli occhi.
<< Be, ecco, io… >>
<< Cos’è? >> continuò mettendosi a sedere e facendo scorrere il suo sguardo da felino lungo le linee del mio corpo << il segretario, il maniaco dei videogiochi e quattrocchi non ti hanno soddisfatta e adesso vuoi provarci anche con me? >>
“Ma che cazzo sta dicendo? Io non ci sto provando con nessuno!
Un momento, come fa a sapere…?”
Guardandolo sottocchio mi accorsi che il suo sguardo si era fermato sul mio basso ventre e sorrideva. Quel sorriso sembrava tanto malizioso quanto beffardo. Mi voltai dandogli le spalle, sentendomi il viso avvampare e il colpo che avevo subito al naso pulsare.
<< Ho capito, me ne vado! >> esclamai facendo un passo in avanti.
Ad un tratto venni fermata da qualcosa che non mi sarei mai e poi mai aspettata in vita mia. Dico MAI! Mi sentii tirare e poi abbassare leggermente l’orlo del pantalone. Il mio cuore emanò un colpo secco e rumoroso, rimasi impietrita cercando di girare la testa, lo feci lentamente, e incrociai i suoi occhi grigi, affascinanti e beffardi, le sue labbra si erano dischiuse per rivelare un sorriso malizioso. Le sue dita continuavano a tirare di più verso il basso il lembo del mio pantalone.
Non potevo crederci! Stava guardando le mie mutande!
<< Che… >> cercai di parlare, ma qualcosa bloccò le mie parole.
<< Avevo visto bene, allora… >> mormorò lui con voce profonda e quasi sensuale << usi il pizzo >>.
 

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Capitolo 6
*** Allora lo fai apposta ***


6.
ALLORA, LO FAI APPOSTA!
 
Quello che mi stava capitando era un atto di perversione! Certe cose le avevo viste soltanto sui manga e mai avrei immaginato di ritrovarmi vittima di queste. Avevo il corpo irrigidito e sentivo qualcosa distaccarsi da quest’ultimo, intenta a reagire.
Che cosa voleva significare quel “Avevo visto bene”? che intenzioni aveva quel pervertito?
Continuava a mantenermi il lembo e non staccava gli occhi dal mio tessuto intimo.
Dopo un po’, si decise a mollare la presa, tipo fionda e il ritorno dell’orlo sulla mia pelle mi fece sussultare. Iniziai a tremare di rabbia e in tale modo dissi << Che… diavolo… stai… facendo? >> non gli diedi neanche il tempo di rispondere che mi accinsi a sferrargli uno schiaffo, ma lui fu abile e mi afferrò il polso prima ancora che la mano potesse poggiarsi violentemente sul suo bel faccino. Mi guardò con quel sorriso beffardo e, alzandosi senza lasciarmi il braccio, si avvicinò al mio viso e mormorò << Non farlo, non ti conviene >>.
I battiti del mio cuore iniziarono ad aumentare talmente forte come se volessero fuoriuscire dal mio corpo. Mi sentii gli occhi bruciare da lacrime che facevano fatica a sgorgare e iniziai a vedere sfocato. Questo mi fece capire che dopo la caduta, mi erano scivolati gli occhiali e, come mi succedeva tante volte, non mi ero accorta di non averli. Il rosso mi guardava e non accennava a voler cambiare espressione, poi tutt’a un tratto, mollò la presa e si allontanò dandomi le spalle. A quel punto, come un automa, dalla mia bocca uscirono parole non comandate dal mio volere.
<< Per chi caspita mi hai presa?! Come ti sei permesso?! Che cazzo sei? Un maniaco, un pervertito? >>
<< Perché ti scaldi tanto? >> chiese lui voltandosi. Non potevo vedere il mio volto, ma sapevo già che la mia epidermide si era arrossata, perché mi sentivo avvampare dalla rabbia e i miei occhi due pozze di acqua cristallina ché le lacrime ne uscivano copiose. Lui divenne serio, poi ancora quel sorriso << … non dirmi che… >> scoppiò in una risata fastidiosa alle mie orecchie. “E adesso perché ride?”
<< Cosa c’è di tanto divertente? >> chiesi con rabbia.
<< Ah-ah-ah-ah… sei… sei vergine? >>.
A quelle parole, le mie lacrime si prosciugarono, dando il posto a un fastidioso palpito sulla tempia destra. Non solo era un maniaco pervertito, ma il suo senso dell’umorismo era alquanto suino.
<< Non c’è niente da ridere! >> esclamai indiavolata << sono affari che non ti riguardano >> continuai voltandomi e mettendo le mani conserte. La sua strafottente risata si placò. Sentii due passi farsi vicini e una ciocca dei miei capelli sollevarsi.
<< Questo… significa che, il primo ragazzo che ha visto il tuo bel sederino… sono io >> mormorò con voce sensuale.
<< Hai visto, cosa? >> chiesi voltandomi e ritrovandomi di fronte il suo petto. Era talmente vicino che potei sentire il suo irresistibile profumo. Non volli farmi incantare da questo, così sollevai la testa guardandolo negli occhi con sfida. << Tu non hai visto un bel niente! >> esclamai << Se vedere un pezzo di stoffa intima, per te significa aver visto l’intera parte del corpo… >>
<< Oh, mia cara >> m’interruppe allontanandosi un’altra volta e incrociando le braccia al suo petto << ho visto più di quanto tu potessi immaginare! >>
<< Ma che caspita stai dicendo? >> mi avvicinai a lui minacciosa << Non mi conosci nemmeno! Cos’hai potuto vedere? >>
<< Perché ti scaldi tanto? Non sono mica io quello che alle sei e trenta del mattino si mette sulla veranda a fare stretching senza pantaloni, noncurante di chi sta intorno >>
La lama di una di quelle tante spade leggendarie narrate nelle fiabe medievali mi trafisse inesorabilmente la mente. “Ecco perché mi stava sorridendo quella mattina, e poi anche in classe, ed ecco spiegato il motivo di quel gesto perverso”.
Avevo esaurito la mia artiglieria, non sapevo più come ribattere. L’unica cosa sensata, era fare l’indifferente e andarsene, allontanandosi il più lontano possibile dalla sua vista. Feci come mi ero ripromessa, ma venni fermata dalla sua voce.
<< Ehi! >>
<< Che altro vuoi? >>
<< Sbaglio o questi sono i tuoi? >> chiese facendo dondolare tra le dita i miei occhiali.
“Perché? Maledizione a me e alla mia sbadataggine!”
<< Ridammeli >> dissi bruscamente avvicinandomi per prenderli, lui alzò il braccio per non farmeli afferrare, sorrideva, poi avvicinò le mani e me li porse delicatamente sul viso, mi aggiustò le stecche dietro le orecchie, e con le dita sfiorò gli zigomi e con una mano scese lungo il mento, lo sollevò e avvicinò il suo viso, chinandolo a un lato.
<< Scommetto che sono anche il primo ragazzo ad averti vista senza occhiali >> disse accarezzandomi la parte bassa del labbro inferiore, con il pollice << la cosa inizia davvero a piacermi >>.
“Ancora enigmi?! Che cosa, sta iniziando a piacergli?”, << Sei… davvero… >> balbettai irritata scostando il suo braccio dal mio mento, poi mi voltai e iniziai ad allontanarmi sentendolo ridere.
Quel rosso non era affatto il ragazzo che avevo visto vicino al lago mentre giocava con il suo cane. Non poteva essere così!
Invece lo era e come. Era irritante, volgare e anche… maledettamente affascinante. “Ma che stai dicendo?” mi chiesi scuotendo energicamente la testa, come potevo essere attratta da uno così? “No, mai! Questo non accadrà mai! Io odio quel ragazzo, lo detesto!”.
 
 
Dopo vari tentativi per ricordarmi la via del ritorno, finalmente mi ritrovai d’avanti la porta di quella che doveva essere la mia classe. Bussai dopo aver sospirato profondamente. Nessuno rispose, così dischiusi lentamente la porta e mi affacciai all’interno. La classe era vuota. Riguardai l’etichetta per essere sicura di non aver sbagliato. No, era proprio quella. Ma allora dov’erano andati a finire tutti?
<< Che ci fai ancora qui? >> mi chiese una voce alle mie spalle. Mi voltai sobbalzando.
<< Ah, Nathaniel! Come mai non c’è nessuno in classe? >>
<< Ma come, non lo sapevi? Oggi la tua classe usciva presto, perché manca il professore >>
<< Non me l’aveva detto nessuno >> “già, neanche quel pervertito! Ecco perché è rimasto in giardino!”. Vidi Nathaniel massaggiarsi la nuca un po’ imbarazzato distogliendo lo sguardo da me. << Cosa c’è? >> gli chiesi incuriosita.
<< Be, ecco… visto che sei ancora qui, devi recarti nello studio della preside… voleva parlarti >>
“No! Dio! Anche lei, no!” << E, c-che cosa vuole? >>
<< Non me l’ha detto, ma dai suoi atteggiamenti deve essere qualcosa di serio, era alquanto nervosa >>
“Perché?” mi chiesi afflitta “cos’è che ho fatto di male per meritare tutto questo?”.
<< Ci vado subito, allora >>. Salutai Nathaniel e mi recai mogia verso lo studio del gangster. La trovai dietro la scrivania intenta a scrivere qualcosa su un blocco di fogli. Gli occhiali le si erano scesi sulla punta del naso, e gli occhi erano concentrati sul suo lavoro.
<< Z-zia Camille? >> mormorai attirando la sua attenzione. Senza fermare la penna, alzò lo sguardo e mi guardò seria. << Mi cercavi? È successo qualcosa? >>
<< Sono andata nella tua classe per presentarti agli alunni come mia nipote, e il professore Faraize, mi ha detto che eri assente. Che significa? >>
<< Be, vedi zia… il fatto è che dopo la ricreazione… mi sono persa e ho… >> “Sì, continua così! Aggiungi anche che hai avuto una discussione sulla tua purezza con il pervertito pittato di rosso!"
<< Non importa! >> intervenne l’arpia.
“Cosa? Ho sentito bene? Ha detto che non le importa? ma che sta succedendo? Devo essere stata catapultata a mia insaputa in un mondo parallelo a quello in cui vivevo.
<< Puoi andare a casa >> continuò << e mi raccomando domani non fare ritardo >>
<< Va- va bene zia… allora a domani >>. Me ne andai allibita. Con il mio trasferimento era davvero cambiato tutto? Se le cose stavano così, allora dovevo abituarmi. Mi chiesi quanto tempo, questo sarebbe dovuto durare.
 
 
Zia Agata non venne a prendermi, questo significava che stava ancora al negozio. Volevo ritornare a casa per sprofondare nella vasca piena di acqua bollente, ma senza le chiavi non potevo andare da nessuna parte. Così, chiedendo informazioni ai passanti, mi feci dire dove si trovava il negozio di Cosplay. Lo trovai dopo una mezzoretta, e mi resi conto che era molto vicino alla scuola. “Come diavolo potevo saperlo? Sono solo passate ventiquattro ore da ché sono giunta in questo strano paese”.
Il negozio di Agata, si divideva in due parti: c’era il reparto abbigliamento e quello di Cosplay. Non appena entrai, ad accogliermi ci fu un ragazzo, di qualche anno più grande di me, che vestiva come il Conte di Montecristo.
Che strani gusti. Pensai.
<< Serve qualcosa? >> chiese lui sorridendomi.
<< Sono la nipote di… >>
<< Leigh falla entrare! >> esclamò mia zia da dietro un bancone colmo di abiti << è mia nipote >>
<< Ah, allora sei tu la famosa Rea >>
<< Sì >> risposi sorridendo.
<< Piacere di conoscerti, io mi chiamo Leigh e sono il collega di tua zia >>. Ci stringemmo la mano.
<< Com’è andata a scuola? >> chiese Agata avvicinandosi.
<< Devo proprio risponderti? >> chiesi guardandola sottocchio. Lei fece spallucce intuendo la situazione.
La zia chiudeva il negozio all’una, così decisi di rimanere con lei. Nel frattempo conobbi Rosalya, la fidanzata di Leigh, una ragazza molto bella e sexy, aveva lunghi capelli argentati e gli occhi che sembravano due raggi di sole. Con mia sorpresa, scoprii che anche lei frequentava il mio stesso liceo, ma una classe diversa.
<< Allora tu sei la nipote della Preside? >> chiese quasi affermando.
<< Come fai a saperlo? >> ribattei irritata.
<< Semplicemente perché la nonnina l’ha annunciato tramite radio >>
Quella risposta fu una scudisciata per il mio orgoglio. Quella maledetta! Cosa le costava tenere la bocca chiusa? I miei afflitti pensieri, furono interrotti dallo strano sguardo che mi lanciò la bambolina dai capelli argentati.
<< Per… perché mi guardi così? >>
<< Sorella mia! Ma tu non hai proprio gusti nel vestirti! >> esclamò storcendo la bocca. “Perché forse i tuoi sono gusti? Sembri uscita da un’opera teatrale!”.
<< C-che vuoi dire? >> chiesi incuriosita.
<< Hai delle belle forme, ma non le sfrutti a dovere… vieni con me! >> mi afferrò il braccio costringendomi a seguirla << Leigh, portami qualcosa che potrebbe andar bene a questa ragazzina… mi fido di te >>
<< Certo dolcezza! >> rispose il ragazzo. Senza che me ne potessi rendere conto, mi ritrovai in un camerino. Rosalya chiuse la tenda dicendomi << Inizia a spogliarti, io arrivo subito >>
<< Ma Ros… >> mi fermai, non poteva più sentirmi. Mi guardai allo specchio, sconfitta, iniziai a squadrarmi il corpo “ha detto che ho delle belle forme. Bah, se lo dice lei”. Iniziai a sbottonarmi il pantalone e sentii delle voci nuove.
<< Castiel, Lysandro, che ci fate qui? >> era la voce di Leigh.
<< Eravamo da queste parti e allora… >> rispose una voce sconosciuta.
<< Ehi Castiel >> intervenne mia zia << sono arrivate quelle maglie che ti piacciono tanto, vieni da questa parte >>.
Castiel. Quel nome non mi era nuovo, ma dove l’avevo sentito? Boh. Ascoltai dei passi avvicinarsi << Rosalya sei tu? >> chiesi mentre mi abbassavo i pantaloni << Cosa vuoi farmi pro… >> le ultime lettere mi si pietrificarono in gola, guardando lo specchio vidi che alle mie spalle c’era qualcuno con lo sguardo rivolto verso la parte bassa del mio corpo e aveva un sorrisetto stampato sulle labbra. Quel qualcuno era il pervertito della ricreazione. Mi voltai di scatto verso di lui cercando di coprire la mia semi nudità.
<< Che… che ci fai qui? >> chiesi sbalordita e imbarazzata.
<< Allora, lo fai apposta! >> sussurrò lui senza togliermi lo sguardo di dosso.
Irritata, afferrai la tenda facendola scorrere velocemente davanti ai suoi occhi << E smettila di guardarmi in quel modo! >> esclamai avvampando per l’imbarazzo.
<< Non fare così >> disse lui beffardo << In fin dei conti ti ho visto solo io >>. Non so perché, ma quelle ultime parole le sentii un po’ troppo enfatizzate.
<< Che diavolo vuoi dire? >> chiesi bruscamente spalancando la tenda e trovandomi Rosalya di fronte che mi guardava allibita. Del rosso non c’era più traccia.
<< Che c’è? >> chiese Rosalya.
<< N-niente, non ce l’avevo con te >>
<< E con chi allora? >> insistette lei.
<< Con il pervertito dai capelli rossi >> risposi.
<< Ma chi, Castiel? >>, mormorò Rosalya osservando un abito da farmi indossare. “Allora si chiama Castiel? Un momento, ora che mi ricordo, questo nome è uscito dalla bocca della biondona! Questo significa che stamattina quella racchia ce l’aveva con lui. Sono fidanzati?”. Decisi di chiederlo a Rosalya senza però farle venire delle strane idee sul mio interesse, che era già dubbio per me stessa. Lei mi rispose che non erano fidanzati.
<< Ambra gli corre dietro, ma per Castiel è la tipica donna da una botta e via. Figurati che lei non ha mai provato a nascondere le sue tresche con quel Playboy. All’inizio sembrava che a Castiel non importasse, ma poi ha iniziato a dargli fastidio l’atteggiamento di Ambra. >>
<< Che atteggiamento? >> chiesi ancora più curiosa.
<< Se uscivano una sera, il giorno dopo tutta la scuola sapeva per filo e per segno ciò che avevano fatto insieme. E anche se Castiel è un Playboy, odia parlare della sua vita privata >>.
“Deve aver avuto proprio un bel coraggio a farlo con quella stronza” mi dissi mentre cercavo di infilarmi un vestitino molto sexy, scelto da Rosalya. Vedendomelo addosso, lei sorrise compiaciuta. Mi guardai attentamente allo specchio e, vedendomi quell’affare coprirmi di poco la pelle, mi fece immaginare gli sguardi maliziosi di Castiel che si poggiavano sul mio corpo e non si staccavano più.
Non capii per quale motivo, ma quella peccaminosa immaginazione, non si allontanò dai miei pensieri molto facilmente, e io non mi sforzai di farlo.  
 

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Capitolo 7
*** Effetto... speciale? ***


7.
EFFETTO… SPECIALE?
 
Durante il pranzo, zia Agata non mi tolse gli occhi di dosso e sapevo perché. Tagliavo la carne maneggiando il coltello tipo sega elettrica. Dovevo sfogarmi, mi sentivo ancora addosso gli sguardi maliziosi del pervertito maniaco di mutande e per me, avere sottomessa quella fetta di carne, era come avere il suo faccino da bello e dannato per poterlo torturare a mio piacimento. Ad un tratto, come un fulmine, Agata mi tolse il piatto da sotto la mia presa.
<< No! Che fai? >> esclamai contrariata.
<< Hai intenzione di rompermi la porcellana? >> chiese guardandomi sottocchio.
<< Stavo mangiando! >> risposi gettando le posate sul tavolo.
<< No, non stavi mangiando. Stavi esercitando su quella povera fetta un’autopsia alquanto brusca! Si può sapere che cos’hai? >>
<< Ti prego zia, non ti ci mettere anche tu! È stata una giornata proprio di mer… >>
<< Non dire parolacce! >> mi interruppe poggiandomi la mano sulle labbra << non è da te! >>
<< Mhm… mhm >> mugugnai sotto la sua mano.
<< Cosa? >>
<< È da me, nel momento in cui il mio umore viene alterato >> dissi liberandomi dalla sua presa.
<< Non dirmi che stai ancora pensando all’evento nel negozio con Castiel? >>
<< E tu quello lo chiami evento? Non è un evento! È stato un tragico, disgustoso incidente! È la colpa è anche tua >>
<< Oh, non te la prendere! Castiel pensava che il camerino fosse libero! >>
<< Non è andata così! L’ha detto anche Rosalya, che lui ha aperto la tenda dopo aver sentito la mia voce! >>
<< Quante storie per un’occhiatina al sedere! Figuriamoci se fossi stata nuda! >>
Quelle parole diedero l’input alla mia irritazione, mi alzai, e velocemente mi recai verso le scale << Possibile che in questo paese la parola pudore non esiste? >> esclamai salendo in camera mia. “L’esagerata adesso sono io, perché lei non sa quello che è successo da questa mattina!”.
Mi sdraiai sul letto togliendomi gli occhiali e massaggiandomi dolcemente, con il palmo delle mani, gli occhi e poi con le dita le tempie. Mi resi conto che era la prima volta in vita mia che mi irritavo in quella maniera, soprattutto con i ragazzi. Nell’altra scuola, nella classe in cui andavo, i ragazzi erano solo tre o quattro, e tutti si guardavano bene dal trattarmi, per la solita storia che, essendo una ragazza che all’età di diciassette anni, guardava ancora i cartoni animati, venivo considerata strana e quindi loro preferivano di più trattare le ragazze che a una minima parola li accoglievano fra le loro cosce. Io ero la tipica “eterna verginella”, ma non mi importava, e quel menefreghismo mi faceva stare bene, perché vedevo la differenza fra me e le mie compagne. Io ridevo alla vita e loro piangevano per l’essere state scaricate dopo una notte passata con ragazzi ai quali non importava un ciufolo dei loro sentimenti.
Quella mattina, aver vissuto certe emozioni tutte insieme nell’arco di poco tempo, per me fu come imparare a scrivere per la prima volta.
Anche se in maniera perversa, Castiel stava destando una Rea che neanche io conoscevo. E in quel momento mi venne in mente la parola che aveva ripetuto più di una volta “Il primo”, e io non avevo declinato. “E cosa avresti dovuto declinare? Qualcun altro ha mai guardato il tuo sedere coperto da brasiliane di pizzo nero? “. Non riuscii a capire per quale motivo, in fondo, gli sguardi di Castiel non mi infastidivano tanto. Mi irritava, questo era vero, ma in realtà non mi dava fastidio.
Sospirai gettando all’aria la prima vocale, mi girai a un lato, ritrovandomi davanti il panorama riflesso nei vetri della finestra. Mi piaceva tanto guardare quel lago, metteva in corpo una sensazione di benessere. Mi alzai e uscii in veranda. Non avevo gli occhiali e, guardare il paesaggio con quella leggera sfocatura che mi donavano gli occhi, parve di essere circondata da mille pietre preziose illuminate dal sole pomeridiano. Per questo motivo alle volte dimenticavo di mettermi gli occhiali, perché quest’altro tipo di visione che avevo del mondo aiutava la mia mente ad aprirsi ad esso.
Ritornai alla realtà quando Agata mi avvisò che si recava al negozio, invitandomi ad andare con lei. Rifiutai categoricamente. Ne avevo abbastanza di abiti sexy e di sorprese dietro le tende dei camerini. Aggiunsi anche che dovevo disfare ancora la mia valigia, dato che non ne avevo avuto tempo il giorno prima. Zia Agata non insistette e se ne andò. Finalmente ero sola! Presi la valigia, l’aprii, affondai le mani in quella foresta di maglie e pantaloni e finalmente lo trovai. L’ultimo volume del mio manga preferito, baciai la copertina mormorando << Finalmente, tu e io soli! >>, mi misi gli occhiali, mi gettai sul letto, accavallai le gambe e diedi inizio alla lettura.
Se fino a quel momento mi ero convinta che, fin quando non mi fossi gettata fra le braccia della mia divinità greca preferita, avrei passato una serata come tutte le altre. Beh, mi sbagliavo di grosso.
Verso la fine di un capitolo e l’inizio di un altro, squillò il cellulare. Ero convinta fosse mia zia e invece mi sbagliavo. Sul grande schermo del mio Smartphone, stampato in cifre grandi, un numero mai visto in vita mia, avvisava la chiamata. Risposi curiosa e dall'altro capo del telefono, una voce femminile mi disse: << Rea, sono Rosalya! Ho avuto il tuo numero da Agata >>
“Non che mi dava fastidio essere pensata e ricevere una chiamata da Rosalya, però… io detestavo quando mia zia faceva di testa sua senza chiedermi il permesso”
<< Ah ciao Rosalya, hai bisogno di qualcosa? >> chiesi con voce gentile.
<< Sì, e ti prego non dirmi di no! Alla villa vicino il lago faranno il concerto di primavera, è una band che frequenta la nostra scuola. Leigh non può venire e siccome nella band c’è anche suo fratello, gli ho promesso che sarei andata a vederlo, ma non voglio andarci da sola. Ti prego, vuoi accompagnarmi? >>
<< Che tipo di musica è? >> chiesi incuriosita.
<< Rock! >>
<< Solo perché insisti accetto, anche se devo dirti che il Rock non è il mio genere >>
<< Grazie mille tesoro, allora ci troviamo al lago tra un’ora esatta... ah, mi raccomando. Indossa qualcosa di sexy. Ciao! >>
<< Ciao Rosalya >> chiusi la chiamata guardando afflitta il mio manga. Ritornai a rovistare nella mia valigia intenta a scegliere gli abiti adatti.
“Indossa qualcosa di sexy”, aveva detto Rosalya, non ci pensavo nemmeno! Non ero mai andata ad un concerto, e non sapevo cosa indossassero i ragazzi, quindi dovevo farle capire che quella situazione per me era nuova.
Presi una canotta rossa, un cardigan nero, un jeans a sigaretta scuro e… oh no! Non riuscivo a trovare le mie Timberland rosse. “Non è possibile! Sono sicura di averle messe in valigia, dove cavolo sono finite?” guardai dappertutto, non c’erano. “E adesso che mi metto?”, rassegnata, dalla seconda valigia uscii le Converse nere. Guardai l’orologio e mi accorsi che mancava mezzora. Corsi in bagno per lavarmi. Quando fui finalmente pronta, mi guardai allo specchio, raccolsi i miei lunghi capelli e decisi di farci una treccia; poi finalmente uscii di casa.
Verso il lago in lontananza c’era un piccolo palco con delle luci, e un gruppetto di persone che lo circondavano, mi avvicinai lentamente cercando di scorgere tra quella massa di sapiens, la sexy bambolina dai capelli argentati. Non c’era. Decisi di sedermi ad una panchina lì vicino. Accavallai le gambe e misi le mani nelle tasche del mio cardigan. Nell’aria soffiava un fresco venticello che mi fece rabbrividire di poco. Guardai il gruppetto, e tra un ragazzo e l’altro scorsi dei capelli color azzurro. Lo riconobbi subito, era uno dei gemelli che avevo conosciuto a scuola. Questo mi volse lo sguardo e chiamando qualcuno mi indicò. Quel qualcuno era Occhi di ghiaccio. Li vidi dirigersi verso di me, mi sentii qualcosa sussultare in petto, mi accorsi che si trattava del mio cuore, nel momento in cui avevo incrociato lo sguardo di Armin.
Mamma quanto era bello.
Feci finta di niente girando la testa da un’altra parte, e subito gliela rivolsi non appena sentii Alexie esclamare << Ciao Rea, ci incontriamo di nuovo! >>
<< C-ciao ragazzi, anche voi qui? >>
<< Sì, oggi si esibisce la band del nostro liceo >> rispose Alexie.
<< Oggi non ti ho vista arrivare in classe >> aggiunse Armin sfoggiando il suo sguardo tanto glaciale quanto penetrante << Pensavo che dopo l’esserti piombata addosso ci avresti seguiti, dato che sapevamo della tua venuta >>
<< S-Siete in classe con me? >> balbettai cercando di mantenere ferma la voce.
<< Solo Armin >> rispose l’azzurro.
Il moro si sedette accanto a me mettendo le mani sul freddo marmo della panchina e vi si appoggiò. Una delle sue dita, mi sfiorava di poco la coscia, non volli spostarmi per non fargli fraintendere. Tossii imbarazzata, con la coda dell’occhio lo vidi chinarsi a un lato verso di me e sorridermi.
<< Allora? Perché non ti sei presentata a lezione? >> mi chiese abbassando la voce.
<< E-ecco, è un po’ lungo da spiegare… >>, non potevo raccontargli la mia perversa avventura, per fortuna, la venuta di Rosalya, mi salvò dal rispondergli.
<< Rea, ti ho trova… mamma mia! >> esclamò squadrandomi dalla testa ai piedi << ma che diavolo ti sei messa addosso? >>.
Mi guardai, poi fissai lei: indossava un vestitino lilla cortissimo, un copri-spalle dello stesso colore con la parte posteriore più lunga (sembrava avere addosso le ali di Cell), e dei Cuissard Boot, ornati da lacci e merletti. “E tu invece cos’hai indossato?” le chiesi nella mia mente.
<< Ma tesoro, ti avevo detto di indossare qualcosa di sexy >> continuò afferrandomi le mani, facendomi alzare e fissandomi da tutte le parti.
<< Rosa ha ragione! >> esclamò una voce dietro di noi << Era meglio se non indossavi il pantalone >>. Quell’irritante voce. Sapevo già a chi apparteneva, mi girai preparando lo sguardo più minaccioso che possedevo nella mia artiglieria. Lo vidi avvicinarsi, aveva legato due ciocche di capelli, rivelando il suo attraente volto. Indossava una canotta aderente che rivelava la forma dei suoi muscoli. La minacciosità del mio sguardo venne abbattuta da quella visione. Continuava a guardarmi con quegli occhi beffardi, e io non riuscivo a distaccargli di dosso i miei.
<< Castiel! >> esclamò Rosalya << che ci fai qui? Non vai a prepararti? >>
<< Sono pronto, tra un po’ iniziamo... >> rispose lui senza distogliermi lo sguardo.
Guardai Rosalya, incuriosita: cosa voleva dire? Che lui faceva parte della band?
<< Che ci fai qui? >> chiese lui avvicinandosi di più a me << Sei venuta a vedermi? >>
<< Non ti fare strane idee! >> risposi con voce brusca << non sapevo neanche che tu fossi qui >>
<< E adesso che lo sai, cos’hai intenzione di fare? >> ribatté quasi con un sibilo. Non sapevo cosa rispondergli, possibile che doveva mettermi sempre in uno stato di soggezione? Per fortuna qualcun altro fermò il suo tentato approccio perverso.
<< Cass! Eccoti qui! >>. Castiel si girò e io lo imitai curiosa di vedere di chi si trattava.
<< Lys, arrivo! >> rispose Castiel.
Questo Lys era un ragazzo davvero fuori dal comune. Aveva capelli argentati con le punte delle ciocche tinte di nero, il viso sembrava quasi angelico, vestiva Vittoriano, ma la cosa che mi colpì di più e che avevo visto soltanto negli Husky, furono i suoi occhi eterocromatici: uno oro e l’altro smeraldo.
<< Ma che sei venuto a fare qui? >> chiese ancora questo.
<< Avevo scorto da questa parte un tessuto di pizzo nero… >> rispose guardandomi sottocchio. Lo imitai lanciandogli dei fulmini immaginari << e preso dalla curiosità ero venuto a dare un’occhiata >> continuò strafottente.
<< Pizzo nero? >> chiese l’aristocratico non comprendendo.
<< Smettila Castiel! >> intervenne Rosalya afferrando per un braccio il nuovo arrivato e dirigendolo verso di me << Lys, questa è la nuova arrivata… Rea. E questo è Lysandro, il fratello di Leigh >>.
“Ecco spiegato lo stile Vittoriano”.
<< Piacere di conoscerti, Rea >>
<< Il piacere e mio >> risposi stringendogli la mano e fissandolo intensamente negli occhi. Mi ero quasi persa in quello sguardo ma ci pensò qualcuno a dirigermi sui miei passi.
<< Ehi Lys, taglia corto, dobbiamo iniziare il concerto >>. “Non lo sopporto, davvero”. Lysandro mi lasciò la mano e si allontanò con Castiel. Rosalya, i due gemelli ed io, li seguimmo, cercando di posizionarci in prima fila.
Il concerto iniziò. La musica era molto forte e molto fastidiosa per le mie orecchie. Guardandomi intorno, mi resi conto che ero l’unica a pensarla in quella maniera. Alla mia destra c’era un gruppetto di ragazze che esclamavano eccitate il nome di Castiel, vidi quest’ultimo, lanciarle uno sguardo sensuale, e loro sentirsi svenire. Alzai le sopracciglia e storsi il labbro in una smorfia, “Patetiche” sussurrai. Ad un certo punto mi sentii afferrare la mano sinistra, mi voltai di scatto e con mio piacere, vidi che a reggermela era Armin. Mi sorrideva alzandomi il braccio e facendomi segno di imitarlo a battere le mani. Acconsentii la sua richiesta, ma appena incrociai lo sguardo del rosso che mi sorrideva strafottente, abbassai le mani e mi volsi da un’altra parte.
Venni spinta, strattonata, pestata ai piedi e stordita da quelle urla. Guardai Rosalya che saltava e incitava suo cognato, e mentalmente dissi “Mai più!”.
La bambolina era un po’ lontana da me e anche se avessi provato a chiamarla lei non mi avrebbe sentita, così tirai il lembo della maglietta di Armin attirando la sua attenzione. Il ragazzo fermò i suoi movimenti e mi guardò curioso, gli feci segno di avvicinarsi con l’orecchio, lui si chinò verso di me e quasi gli urali << Io mi allontano, mi sento mancare l’aria! >>
<< Vuoi che venga con te? >> mi chiese guardandomi. Scossi la testa e me ne andai inoltrandomi in quella fitta foresta assediata da un uragano.
Riuscii ad arrivare alla panchina sana e salva, mi sedetti esausta e sospirai rumorosamente. Avevo le gambe indolenzite e le orecchie che non riuscivano a percepire alcun suono. Mi girava la testa e iniziai a tremare, mi accorsi di sudare freddo e la gola seccarsi. Il respiro si fece più profondo e il battito iniziò ad accelerare. La vista iniziò ad annebbiarsi, poi il buio.    
 

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Capitolo 8
*** Voci ingannevoli ***


8.
VOCI INGANNEVOLI
 
<< … enti? Ea… senti… mi senti, Rea? >> continuavano le voci che riuscivo a malapena a distinguere. Avevo una nebbia fitta davanti ai miei occhi e nelle orecchie tappi d’acqua. Quando iniziai a sentire un formicolio espandersi nel mio corpo, i sensi iniziarono a riprendersi. La nebbia stava scomparendo e vidi la colorata chioma di mia zia in primo piano. L’acqua nelle orecchie scivolò via e i suoni si fecero più acuti.
<< Si è ripresa, menomale! >> era la voce di Rosalya. Mi accorsi di muovere le labbra, ma non sentivo la mia voce.
<< Ma cosa ti è successo Rea? >> chiese mia zia tremante, aveva gli occhi lucidi.
<< Ch’è s-successo? D-dove sono? >> chiesi sibilando.
<< Sei a casa, nella tua camera >> mi rispose.
<< Per l’amor di Dio, Rea! >> esclamò Rosalya << per quale motivo non mi hai detto che non sei mai stata ad un concerto? Se avessi saputo non avrei insistito! >>
<< Non importa, Rosalya >> risposi cercando di mettermi a sedere, ci riuscii a fatica sentendomi ancora la testa frastornata. Vidi Rosalya uscire dalla camera ed esclamare << Ragazzi, non preoccupatevi, si è ripresa! >>.
<< Chi c’è? >> chiesi incuriosita a mia zia.
<< I gemelli e Lysandro, ti hanno accompagnato loro >>
<< Cosa?!? >> chiesi trasalendo << questo vuol dire che hanno interrotto il concerto? >>
<< Non preoccuparti >> mi rispose Lysandro entrando in camera << domani ci sarà l’altro >>
<< Oh, ragazzi non sapete quanto mi dispiace. Mi sento in colpa >>
<< Non devi farlo! >> m’interruppe Armin inginocchiandosi vicino il letto e afferrandomi una mano << è molto più importante la tua salute >>
<< Ha ragione mio fratello >> intervenne l’azzurro sorridendomi.
La mano di Armin era liscia e calda, guardando i sui occhi sorridenti, mi sentii rincuorata e senza accorgermene strinsi la presa del moro, ricambiando il suo sorriso.
Ero ancora frastornata dall’evento che non mi ero accorta dell’assenza di una persona. C’erano i due gemelli, c’era Lysandro e Rosalya, ma del pervertito neanche l’ombra. “Che ti aspettavi? Di trovartelo ai piedi del tuo capezzale a pregare con un rosario in mano? Pff… figurati… avrà sicuramente accalappiato qualche pollastrella, e in questo momento chissà dietro quale cespuglio si sarà nascosto?
Ma che pensieri del cavolo hai? Non ti vergogni? E poi, che t’importa se non è qui? Meglio, altrimenti avrai dovuto sopportare le sue beffe del cavolo!”. Già cosa mi importava? Però, nel mio cuore sentivo la mancanza delle sue frecciatine e ci rimasi male.
 
 
Il giorno dopo, il mio sesto senso mi incitava a rimanere a letto, ma non ci feci caso.
“Che diamine! Non sono un animale, non posseggo il sesto senso, a meno che, non fu proprio un animale ieri a farmi svenire a mia insaputa, per trasmettermi i suoi poteri… ma Rea! Si può iniziare una giornata con questi strani pensieri nella testa?”.
Tirai un lungo respiro e spinsi il portone centrale per entrare nell’androne della scuola. Non appena vi misi piede, venni scambiata per un tirassegno, poiché le occhiate lanciate dai ragazzi intorno a me sembravano freccette dalla punta molto appuntita. Mi strinsi nelle spalle cercando di capire che cavolo stava succedendo.
I mormorii iniziarono a invadere il mio udito e tra questi percepii una frase che diceva << È lei? Non sembra proprio un tipo del genere >>, e ancora un’altra << invece è così, è svenuta interrompendo il concerto! Tutte mosse per far attirare l’attenzione su di se >>.
“Ma cosa sta succedendo? Va bene, ho interrotto il concerto, ma non vi sembra di stare esagerando?”. Alzai il passo per raggiungere la sala delegati e farmi dire da Nathaniel dove si trovava il mio armadietto. Vidi il biondo venirmi di fronte, lo fermai chiedendo l’informazione.
<< In fondo al corridoio l’ultima fila a sinistra >> mi rispose sfuggente. Cosa gli era preso? Perché aveva reagito in quel modo? Sospirai rassegnata e mi diressi verso l’indicazione data. Per fortuna trovai subito il mio posto e, spalancando lo sportello, mi nascosi dietro di esso cercando di non farmi notare. “Ti prego, fa almeno che il secondo giorno non sia peggiore del primo” pensai unendo le mani a mo’ di preghiera.
<< Non provi alcuna vergogna? >> chiese una voce dietro lo sportello. Guardai in basso, e vidi due gambe di lato vestite da jeans scuri. Lo riconobbi dalla voce.
<< Di cosa dovrei vergognarmi? >> chiesi indurendo la voce.
<< Pff… come si può svenire a un concerto? >>
<< Perché non lo chiedi alla tua musica? >>. Lo sentii sbattere qualcosa nel suo armadietto. Trasalii. Mi accorsi che lo sportello del mio armadietto si muoveva, mi voltai e lo vidi spostarsi per rivelare il solito sguardo del rosso.
<< Che vuoi? >> chiesi con una smorfia. Lui fece scorrere i suoi occhi lungo in mio busto e li fermò sulla vita.
<< Sono curioso di sapere che tipo di intimo hai oggi… posso darci un’occhiata? >>
Bruscamente, afferrai lo sportello e lo rimisi nella posizione di prima dividendo la nostra visuale << prova a toccarmi, e ti strappo le dita con i denti! >> mormorai minacciosa. Lo sentii ridere e vedendolo allontanarsi, tirai un respiro di sollievo. Chiusi l’armadietto e mi ritrovai circondata da sguardi e mormorii fastidiosi. “Ma cos’hanno tutti in questa scuola?”, cercai di non pensarli e mi diressi verso la mia classe, per mia fortuna di fronte la porta, trovai Kim che rideva con Armin, mi avvicinai a loro mostrando un sorriso.
<< Ciao ragazzi >>
<< Ehi, Rea! >> esclamò Kim, << Ho saputo di ieri, ti senti bene? >>
<< Certo, non preoccuparti, sono un osso duro >> risposi accennando un lieve sorriso. Mi accorsi che Armin mi stava guardando e sorrideva.
<< Che c’è? >> chiesi incuriosita.
<< Stavo pensando… >> rispose lui << che somigli molto alla Dea del mio nuovo videogioco >>
<< In che senso? >>
<< Anche se viene attaccata, lei rimane in piedi e continua a combattere fino alla morte >>
Ma che stava dicendo?
<< Ah, Armin, non iniziare con i tuoi paragoni! >> lo interruppe Kim << entriamo la campanella è suonata >>.
Entrammo in classe. Armin e Kim si diressero ai loro posti, e io cercai di trovarne uno libero, fu Armin a indicarmelo, era vicino il suo e dietro di me, con mia instancabile sorpresa, c’era Castiel, intensamente immerso nei suoi pensieri.
Mi andai a sedere, la cosa buona però era la vicinanza ad Occhi di ghiaccio. Non appena mi fui seduta, entrò il professore e mi chiamò alla cattedra per lasciarmi presentare. Detestavo quelle cose, non sapevo cosa dire. Iniziai la presentazione, ma fui subito interrotta dai bisbigli che invasero l’intera stanza. Mi guardai attorno smarrita, poi volsi lo sguardo verso il professore Faraize.
<< Che cosa succede? >> chiese lui dando due rumorosi schiaffi sulla cattedra per attirare l’attenzione degli alunni, che si zittirono subito. Continuai la mia presentazione, e quando mi accinsi a ritornare al mio posto, passando di fianco ad Ambra la sentii dire << Che schifezza! >>. “Ce l’ha con me? Credo proprio di sì… e cos’avrà voluto dire? Boh!”.
<< Bella presentazione >> mormorò beffardo Castiel, non appena mi sedetti.
<< Idiota >> sussurrai tagliente.
<< E allora dimmi… >> continuò accarezzandomi la schiena con una penna << se sono un idiota, per quale motivo non mi hai tolto gli occhi di dosso neanche per un attimo? >>
Mi girai irritata << Non dire idiozie! Non ti stavo guardando >> risposi bruscamente rigirandomi. Da dietro sentii una ciocca di capelli sollevarsi e lui ridere. Stava giocherellando indisturbato. Quei lievi movimenti mi fecero rabbrividire e forse lui l’aveva notato perché lo sentii sbuffare leggermente.
Quando suonò la campanella per annunciare l’ora di ricreazione, mi unii a Violet, Kim e Iris e ci dirigemmo in giardino. Intanto gli sguardi e i bisbigli continuarono a infastidire il mio udito. Allora cercai di trovare una risposta, chiedendo alle mie nuove amiche se sapessero qualcosa. A rispondermi non fu nessuna di loro, bensì Ambra che si avvicinò pavoneggiandosi e portando i capelli dietro la spalla.
<< E lo chiedi anche? Fai tanto l’eroina e poi sotto sotto… >>
<< Sotto sotto, cosa? >> chiesi innervosendomi.
<< Ma come, adesso fai la finta tonta? Sappiamo il motivo per cui sei svenuta al concerto, Castiel ce l’ha detto! >>
<< E che cosa vi avrebbe detto, Castiel? >> ribattei alzando la voce.
Quello che uscii dalle labbra della stronza fu più doloroso di quanto avessi mai potuto immaginare. Rimasi impietrita a guardare Ambra e le sue civette. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Perché? Continuavo a chiedermi nella mente. Che razza di calunnia aveva inventato quel bastardo e perché l’aveva fatto? Forse per vendicarsi dell’interruzione del concerto? Ma si può arrivare a tanto?
Ambra continuava a sghignazzare, a fare smorfie disgustate e ad offendermi. Ma tutto questo non mi scalfì. Volevo solo una cosa: captare l’immagine di Castiel per sfogare su di lui tutta la mia frustrazione.
Senza dire niente, mi allontanai dal gruppetto ignorando i richiami di Kim.
Entrai nell’androne e iniziai a guardarmi intorno nel tentativo di scorgere quel maledetto. Purtroppo le mie ricerche furono interrotte da una comunicazione data alla radio da parte della preside, che mi diceva di recarmi nel suo studio.
“Maledetta arpia che diavolo vuoi? Non ti ci mettere anche tu!
E se ha scoperto la calunnia che Castiel ha messo in giro?”. Non volevo neanche pensarci, mi diressi velocemente nel suo studio, e cercai di mantenere la calma.
<< Cosa c’è, zia Camille? >> chiesi quasi tremando.
<< Dopo la scuola non ritornare a casa >>
<< Perché? >> ribattei ansiosa.
<< Be, semplicemente devi scontare la punizione di ieri, per non esserti presentata a lezione >>.
Rimasi allibita. Eccolo il mostro a due teste ridestarsi dall’oltretomba. La vera Camille stava risorgendo dalle acque del Cocito.
<< E… che punizione dovrei scontare? >>
Prima di rispondere sorrise beffarda, poi disse << Dovrai badare al mio adorato Kiki fino a quando non sarà finita la riunione… ah e mi raccomando, alle tre devi preparargli la pappa… >>
“Nonna, ma come hai fatto a tenere una sorella così… grrr… che rabbia!”. Dopo la lunga lista delle cose da fare per curare al meglio Kiki, ritornai in classe, decidendo di dissipare, per quel momento, la rabbia cresciuta repentinamente contro Castiel. Quando entrai lo vidi giocherellare con la penna, e quando volse lo sguardo verso di me, lo ricambiai con uno minaccioso.
Mi sedetti e lo sentii sussurrare << Perché sei in ritardo? Ti sei persa di nuovo o mi stavi cercando? >> non gli risposi, e mentre finiva la frase, rivolsi lo sguardo ad Armin chiedendogli di che cosa stava parlando il professore. Lui non contento, mi afferrò di nuovo la ciocca dei capelli, e io prontamente, gliela strappai di mano facendo attenzione a non farmi male, e raccogliendo i capelli me li portai ad un lato, poi per fargli capire meglio che doveva lasciarmi in pace, mi feci avanti con la sedia. Né lo sentii né lo vidi reagire. Se l’era capito?
 
 
All’uscita da scuola, Armin si offrì di accompagnarmi a casa, ma risposi che per mia sfortuna dovevo badare al cane della preside. Scorsi uno sguardo di disapprovazione nei suoi occhi, ma lui disse solo << Sarà per un’altra volta >> e se ne andò.
Mogia, mi incamminai verso il mio armadietto e prima di arrivarci mi trovai di fronte Castiel, con la cartella appoggiata a un lato della spalla, intento ad andarsene, lo sorpassai facendo finta di niente e mi recai all’armadietto. Non appena misi mano alla maniglia per aprirla, una mano bloccò il mio gesto fermando lo sportello. Era Castiel. Lo guardai sottocchio.
<< Togli quella mano >> mormorai fredda.
<< Mi stai evitando? >>
<< Ho detto togli quella mano! >> ripetei alzando la voce.
<< Dimmi perché mi stai evitando? >>
<< Hai anche il coraggio di chiedermelo? Spostati, o accanto a me rischierai di farti male >>
<< Ma che diavolo stai dicendo? >>
<< Io… io mi chiedo perché… >> continuai dando anche spazio alle lacrime che bruciavano per essere state trattenute da ore << Perché l’hai fatto? Mi ero anche scusata… non l’ho fatto apposta a svenire, non era mia intenzione interrompere il vostro concerto! >>
<< Cazzo, ti vuoi spiegare?! >> esclamò lui innervosito, afferrandomi le spalle.
<< Non mi toccare! >> urlai divincolandomi bruscamente. Lui non si arrese, mi afferrò il braccio stringendolo e ordinandomi di spiegargli.
<< Sei un bastardo Castiel! Perché hai detto a tutti quanti che sono svenuta perché avevo assunto stupefacenti? Perché mi hai calunniato in questo modo? >>
<< Che cosa?!? >> chiese lui allibito mollandomi il braccio << Cosa avrei detto io agli altri? >>
<< Adesso fai anche il finto tonto? Mi fai schifo! >> gli urlai spingendolo, e cercando di colpirlo sul petto, ma lui fermò le mie gesta bloccandomi i polsi con una forte stretta. Mi guardò con occhi che non avevo mai visto in quei pochi giorni che l’avevo conosciuto.
<< Sei patetica! >> mi disse mollando bruscamente la presa e andandosene.
Rimasi di ghiaccio. Perché quella reazione, ero io la vittima non lui, cosa voleva significare il suo sguardo? Non mi ero immaginata la sua reazione in questo modo. Forse mi era sfuggito qualcosa?
 

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Capitolo 9
*** La verità ***


9.
LA VERITA’
 
Il materasso sobbalzò un paio di volte, non appena il mio corpo vi cadde sopra. Ero stanca morta. Ciò che aveva passato Ulisse nell’Odissea, non era niente in confronto a quello che quel dannato cane aveva fatto a me. Ero già confusa di mio per quello che era successo con Castiel, ma Kiki mi aveva spappolato l’ultimo lembo di cervello che era rimasto fedele alla ragione. Quella non era stata altro che una delle torture più abominevoli che quell’arpia maledetta avesse potuto esercitare sulla mia persona. Sapeva che odiavo il suo cane, per questo l’aveva sfruttato come escamotage per rovinarmi la giornata. E in quel momento mi trovavo lì, sul mio letto, come uno scheletro preistorico, dissotterrato dagli archeologi e pronto per essere ricomposto osso per osso, per dare un significato alla mia passata natura.
“Che fantasia! E pensare che avevi detto di essere confusa!”.
A parte gli scherzi, lo ero veramente. Continuavo a ripetermi nella mente l’ultima frase che Castiel mi aveva detto con freddezza: “Sei patetica”.
Perché? Che cosa voleva insinuare con quelle parole? Non ci capivo niente, avevo voglia di gridare, ma anche la mia voce era andata in sciopero, per via delle urla che avevo lanciato a quel “dolce” cagnolino, naturalmente, complice anche lui del gangster. Kiki era il fedelissimo picciotto mafioso e la preside era il suo padrino.
Chiusi gli occhi cercando di liberare la mente per prepararla ad addormentarsi, ma quando finalmente, dopo alcuni minuti ci riuscii, venni interrotta dalla fragorosa entrata di zia Agata. Mi spaventai, ma non riuscii neanche a trasalire.
<< Rea!!! Ma che fai dormi? >>
<< Stavo… zia… >> sibilai con fatica.
<< Ma che cos’hai? Non ti senti ancora bene? >>
<< Perché non lo chiedi alla tua amata zia Camille? Ahi! >> esclamai cercando di cambiare posizione << Ah! >> sospirai rumorosamente << Perché dovevano solo inventarlo Light Yagami, con il suo utilissimo Death Note? Perché non esiste per davvero? Perché?! >>
<< Ma che stai dicendo? >> chiese Agata indifferente.
<< Niente zia, niente… ho il corpo tutto indolenzito! >>
<< Vuoi un massaggio? >>
<< Magari… >> mormorai girandomi faticosamente di pancia sotto.
L’altra cosa che amavo di zia Agata, erano le sue mani. Delicate, lisce piume che facevano miracoli. Non volli esagerare, ma quel massaggio fu un toccasana per il mio povero corpo, iniziai a sentirmi meglio, ringraziai l’artefice baciandole le mani e mi misi a sedere sul letto.
<< Ora vuoi dirmi che cosa è successo? >>
<< Di che stai parlando? >> chiesi facendo finta di non capire.
<< Avanti, non mentire, e poi Rosalya mi ha detto di averti vista litigare con Castiel >>
<< Con il bastardo, vorrai dire! >> intervenni esclamando e alzandomi dal letto. Zia Agata mi guardò esterrefatta dalla mia precoce guarigione. << Guarda non mi va neanche di nominarlo con aggettivi che meriterebbe di sicuro! >> continuai camminando avanti e indietro, poi fermandomi aggiunsi << Sai che cosa ha fatto? Per vendicarsi della mia interruzione del concerto, mi ha diffamata in tutta la scuola, raccontando in giro che sono svenuta perché mi ero drogata! >>
<< E quale droga avresti preso? >>
<< Non lo… zia! Ma che cavolo dici? E io che le rispondo pure! >> esclamai scuotendo la testa e avvicinandomi alla finestra << ma che è oggi? Vi siete coalizzati tutti contro di me? Da quando ho messo piede in questo benedetto paese, non ho avuto altra compagna che la sfiga maledetta! >>, poi girandomi verso di lei le rimproverai << E tu che dovresti consolarmi, fai anche battutine di spirito! >>
<< Beh, se è questo che ti aspetti da me… >> rispose lei guardandosi vanitosa le unghie << ti annuncio che puoi sognartelo >>
<< Ché?! >> chiesi irritata.
<< E non fare quella faccia da ebete! Non ti consolerò semplicemente perché non voglio andare contro Castiel >>
<< Ah! Adesso te lo difendi pure? Tzé! Non riesco a crederci. Se fossi stata di fronte alla Corte Marziale, mia zia mi avrebbe facilmente mandato a morire. A che serve la parola “vittima” se poi non viene presa in considerazione? >>  
<< La smetti? >> mi chiese seria facendomi tacere << se mi dai il tempo ti spiego perché >>
<< E sarebbe? >> chiesi incrociando le braccia al petto e facendo una smorfia.
<< Castiel non ha detto un bel niente! È stato lui a interrompere il concerto, non tu. Se è per questo nessuno aveva fatto case a te! >>. A quelle parole sciolsi lentamente le braccia, facendole cadere lungo i fianchi. Zia Agata continuò con lo stesso tono.
<< È stato Castiel ad accorgersi del tuo mancamento. Mentre suonava ha visto da lontano che ti accasciavi a terra, prontamente ha lasciato cadere la sua chitarra e ti ha soccorsa, attirando l’attenzione degli altri e interrompendo così il concerto. È stato Castiel a portarti qui. Non l’hai visto solo perché gli avevo chiesto di andare di sotto a chiamare un’ambulanza nel caso non riuscivamo a svegliarti, ma fortunatamente non ce n’è stato bisogno. Ti sei svegliata pochi minuti dopo >>.
L’Urlo di Munch messo a confronto della mia espressione è solo uno sbadiglio. Mi sentii i dolori ritornare a soccombere il corpo. “Ma perché il mio quoziente intellettivo doveva essere al di sotto dello zero, ogni volta che si trattava di comprendere una situazione?”.
“Ma secondo te…” disse il mio avatar mentale “se Castiel ti avesse diffamato, saresti stata tanto convinta che nelle sue frecciatine non ti avrebbe fatto cenno a questo? Non ricordi che quando ha visto le tue belle mutandine di pizzo, non ha fatto altro che farci dei paragoni?”.
In quel momento tutto diventava chiaro nella mia mente.
<< E- e allora, chi è stato? >> chiesi a zia Agata.
<< Ah, non chiederlo a me! Certo non Castiel. Ti assicuro che non è il tipo. L’ho visto crescere e lo conosco molto bene. Può sembrare un bastardo come dici tu, ma non arriva a tanto… che so? Forse a tua insaputa, ti sei fatta un nemico >>
<< Non c’è altra spiegazione >> affermai guardando il vuoto. Di scatto mi diressi all’armadio e presi qualche indumento.
<< E adesso che fai? >> chiese Agata, curiosa.
Vestendomi le risposi << Devo andare a chiedergli scusa, altrimenti so che stanotte i rimorsi mi divoreranno l’anima, impedendomi di incontrare il mio amante >>
<< Il tuo amante? >> chiese scioccata.
<< Non fare quella faccia! >> risposi pettinandomi velocemente i capelli << è anche il tuo… Morfeo >>. Prima di andarmene, la vidi scuotere la testa scoppiando in una rumorosa risata.
Come aveva detto Lysandro, anche quella sera ci fu il concerto. Era iniziato da ore, non volli avvicinarmi a quel casino per non ricadere di nuovo nella tentazione di svenire e attirare attenzioni, anche perché ero ancora un po’ indolenzita. Rimasi seduta sulla panchina, testimone di quello che mi era successo la sera precedente.
Guardai attentamente il palco, cercando di trovare Castiel. Da quella posizione era impossibile distinguere le figure, ma lo trovai subito giacché era l’unico musicista a suonare la chitarra. Mi scusai nei pensieri, e mi diedi della stupida per tutta la durata del concerto.
Dopo qualche ora, il caos si placò e, quando vidi che le persone iniziavano a dissolversi, mi alzai dalla panchina e raggiunsi a passo lento il palco. A metà strada venni bloccata da tre pali della luce, per come erano vestite e per i tacchi che indossavano. Erano Ambra e le sue scagnozze.
<< E tu che ci fai qui? >> chiese la barbie uscita male.
<< Spostati Ambra, non ho voglia né di essere infastidita né di infastidire >> risposi seccata.
<< Abbassa le arie, poco di buono! >> esclamò lei << sei tu che devi spostarti, anzi, che dovresti ritornartene dalla fogna da cui vieni! Una come te non è degna di stare nel nostro paese! >>
<< Ambra, ti avviso… non ho mai perso la pazienza con nessuno, in maniera brusca, ma se non la smetti… >>
<< Sì, cosa farai? >> mi chiese beffarda avvicinandosi minacciosamente.
<< Ho detto spostati Ambra, devo vedere Castiel! >>
<< Che sfacciata! >> esclamò livida di rabbia << tu a Castiel lo devi lasciar perdere! Castiel è mio! >>
<< Non ho intenzione di toglierlo a nessuno! >> le risposi a tono iniziandomi a chiedere per quale motivo continuavo quella patetica discussione.
<< E poi Castiel non vuole vederti! Ieri, quando Lysandro ti soccorse, lui si arrabbiò molto per il tuo atto così depravato! >>
“È stata lei!” mi suggerì l’avatar mentale “Lei ha diffuso quella menzogna!”. Infatti, come mi aveva detto zia Agata, fu Castiel a soccorrermi, ed era ovvio che avrei creduto a mia zia e non a quella stronza.
<< Sei stata tu! >> mormorai guardandola male. La vidi trasalire e poi avvicinarsi di più intenta a tirarmi uno schiaffo, dicendo << Come ti permetti!? >>. Le sue gesta furono interrotte da qualcuno che le afferrò l’arma pronta per essere scagliata sul mio viso. Era Castiel.
<< Castiel >> mormorai, non capendo per quale motivo mi sentivo sollevata nel vederlo.
<< Castiel! Lasciami! >> esclamò Ambra cercando di liberarsi dalla presa.
<< Vieni con me! >> disse il rosso tirandola a sé e volgendomi lo stesso sguardo freddo che aveva rivelato far parte del suo “io”, quella mattina. Lo guardai non comprendendo le sue intenzioni.
<< Lasciami, Castiel! >> continuò Ambra, tramutando la sua voce in strilli eccitati.
Me ne accorsi perché la vidi arrossire dopo essere stata avvicinata dal ragazzo << lasciami, devo darle una lezione. Deve paga… >>. Ambra venne interrotta da un gesto che ebbe Castiel, lasciandomi sbalordita.
Mentre la biondona si dimenava, lui l’aveva afferrata dalle spalle, unendo spudoratamente le sue labbra a quelle di lei la quale, approfittando della situazione, si abbandonò a quel bacio.
Tutto intorno a me si svuotò, guardai quella scena con il cuore che palpitava tagliente in gola, impedendomi di ingoiare e di respirare. I miei occhi cercavano invano le lacrime che non uscirono, perché fu il mio orgoglio a impedirlo, e io gli fui grata, ché se solo una goccia fosse fuoriuscita, avrebbe dato solo fraintendimenti. “Non mi importa, non mi importa!”.
Stupida, e allora se non mi importava, perché mi ritrovai davanti al cancello di casa, con il fiatone e le labbra che sostituirono le lacrime, tremando?
 

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Capitolo 10
*** Il Codice... Castiel ***


10.
IL CODICE CASTIEL
 
Cosa significava quel bacio, perché glielo aveva dato di fronte a me?
Forse era un modo per farmi intendere che Ambra aveva ragione e cioè che lui era suo?
E allora? Cosa poteva importarmi? Per quanto mi riguardava, Castiel poteva baciare chi voleva, a me non importava niente. E allora perché mi ero allontanata in quella maniera dopo aver visto quell'assurda scena?
Rimasi con la testa appoggiata alle sbarre del cancello di casa, e con lo sguardo rivolto verso il vuoto. Irritata tirai un calcio provocando un fastidioso rumore. << Al diavolo Castiel e quella sciacquetta >> sibilai a denti stretti, spingendo il cancello per entrare. Non appena fui in giardino un'ombra alla mia destra mi fece sobbalzare dalla paura.
<< Zia! Così mi fai prendere un infarto! >> esclamai stringendomi la mano in petto e cercando di calmare il respiro.
<< Ti ho chiamata e non mi hai sentita... Cos'è successo? Ti ho vista appoggiata al cancello come un'anima in pena >>
<< È solo un modo per ricordarmi che la prossima volta prima di reagire, devo contare fino a dieci >> risposi cercando di non dare importanza al mio stato d'animo << Almeno così avrò il piacere di risparmiarmi certe viste >>.
<< Quali? >>
Il verso che diedi come risposta, fu incomprensibile anche per me che ne fui l'artefice. Corsi dentro casa e salii velocemente le scale recandomi in bagno. Girai la valvola della doccia, mi spogliai e mi inoltrai in quella fitta pioggia bollente. Adoravo l'acqua a quella temperatura, riusciva ad allontanarmi dai mal pensieri.
Purtroppo quel giorno non ebbe quell'effetto. La disgustosa immagine di due labbra incrociate in un incomprensibile bacio non accennava a voler lasciare la mia mente. Rigirai la valvola e uscii dalla doccia, mi avvolsi in un candido asciugamano ed entrai in camera mia.
Prendendo il mio adorato manga da sopra il comodino, sperai che almeno questo fosse dalla mia parte, distogliendomi da quei spudorati pensieri. Mi stesi sul letto iniziando a leggere. Ad un tratto mi accorsi che un rivolo sul viso mi rendeva la pelle fredda, vi passai le dita.
Erano lacrime?
Stavo piangendo e non me n'ero accorta?
Ma poteva essere possibile che le lacrime si fossero ribellate all'armatura del mio orgoglio e avessero deciso di agire autonomamente?
"Perché state uscendo? Non ce n'è bisogno, questo non mi riguarda. Lui può fare ciò che vuole e con chi vuole".
Chiusi il libro sbuffando e togliendomi nervosamente gli occhiali per asciugarmi gli occhi. Potevo dare una definizione al mio comportamento: detestavo ciò che aveva fatto Ambra, e vedere Castiel baciarla, era come se lui stesso avesse approvato quella malignità, invece di rimproverarle di aver diffamato anche lui. Mi girai su un lato e guardando il panorama notturno mi addormentai.
 
 
<< Etciù! >> fu il mio buongiorno non appena mi sedetti a tavola per fare colazione. Zia Agata mi guardava sottocchio mentre spalmava il burro su una fetta di pane tostato. Mi accinsi a versare il latte in un tazzone, ma l’ennesimo starnuto di quella mattina mi colse alla sprovvista e mi fece rovesciare la bevanda.
<< Maledizione! >> esclamai spostandomi velocemente per non sporcarmi il pantalone.
<< Iniziamo bene… >> sentenziò Agata afferrando due tovaglioli per fermare la dispersione del latte sulla tovaglia.
<< Scusami zia >>
<< Scusami un corno! Ma si può essere tanto irresponsabili da addormentarsi con i capelli bagnati e con addosso solo un asciugamano? >>
<< Non me n’ero accorta… ieri ero sovrappensiero >> risposi inspirando a tratti per prepararmi ad un altro starnuto. Lo fermai in tempo prendendo un tovagliolo e appoggiandomelo sul naso.
<< Intanto prendi un’aspirina >> aggiunse zia Agata recandosi ad un mobiletto << almeno ti sentirai meglio a scuola >>.
“Sì? Credimi, non basterà una semplice aspirina a farmi sentire meglio a scuola!”
Senza ribattere, bevvi in fretta la medicina e me ne andai.
Nei pressi del cancello della scuola trovai Kim e la sua presenza fu un sollievo per la mia mente incasinata. Ci dirigemmo insieme nell’edificio e lei mi parlò delle voci che quella bella donna di Ambra aveva messo in giro, disonorando la mia persona.
<< Sapevo che non era vero e che non era stato neanche Castiel >> diceva Kim << quella Ambra è fatta così. Sicuramente ti avrà visto parlare con Cass e si sarà ingelosita >>
<< Ma si può arrivare a tanto per gelosia? >> chiesi respirando a fatica con la bocca, ché il naso era ben lungi dal voler funzionare.
<< Bellezza! >> sospirò Kim << Non hai ancora visto niente. Per ottenere ciò che vuole, Ambra sarebbe disposta anche a vendere sua madre >>
Feci una smorfia, non sapendo come continuare la discussione.
Non seppi mai se fu un miracolo o un incantesimo mandato da qualche fata madrina, ma la mia entrata a scuola, immaginata nella mia mente di doverla passare come il giorno prima, fu totalmente diversa… cioè, era inspiegabilmente tornato tutto alla normalità.
Quegli occhi che fino al giorno prima mi osservavano come frecce pronte per essere scoccate su di me, in quel momento se ne sbattevano della mia presenza.
Un lungo sospiro di sollievo si impossessò dell’ansia che mi stava scorticando il cuore fino a quel momento. Bene, mi dissi, ora non resta che ignorare il rosso e la sua bella bambolina bionda.
Ma ero sicura di riuscirci? Qualcosa me lo impediva di certo e il primo era l’armadietto… il suo era proprio accanto al mio e poi c’era il suo posto di banco, situato proprio alle mie spalle. Maledissi l’inventore della mia vita, che sicuramente, in quel momento, mentre stava scrivendo le pagine del mio destino, se la rideva, facendosi beffe di me.
Dovetti dividermi da Kim e raggiunsi velocemente l’armadietto, aprendo lo sportello e nascondendomi come una ladra. Mi diedi dell’idiota per tutto il tempo. Per mia fortuna Castiel non si presentò, così, sollevata, mi diressi in classe.
Finalmente la tanto sperata fortuna era dalla mia parte. Mancava la biondona e anche Castiel non c’era. Prima di sospirare per l’ennesima volta, il mio cervello, contagiato dalla perversione del rosso, iniziò a rielaborare alcune opzioni riguardo all’assenza dei due.
Una di queste? Vediamo… forse il lungo bacio appassionato aveva destato in loro desideri assopiti da tempo regalandogli mille e una notte di sesso?
Mi disgustai al solo pensiero. Dovetti deframmentare subito quell’opzione, perché dopo qualche minuto, il playboy tinto di fuoco, si presentò in classe, con il suo solito sguardo da spaccone.
Imprecai sul raffreddore, perché non mi fece sbuffare come si deve. Girai la testa facendo finta di non averlo visto e la scusa la trovai su Armin, intento a sconfiggere un mostro che stava opprimendo inesorabile il suo eroe digitale. Gli chiesi che gioco era, lui mugugnò qualcosa che non sentii perché ero concentrata a percepire i rumorosi movimenti di Castiel il quale si sedette al suo posto senza parlare e né fare qualcosa.
Entrò il professore che conquistò la nostra attenzione, dicendo che quello era il giorno dedicato ai club scolastici.
Armin mi spiegò che la preside, con questi club permetteva ai giovani di avere basi su ciò che intendevano fare dopo il diploma. L’unica cosa buona che l’arpia aveva fatto in vita sua.
Naturalmente scelsi il club di disegno e per fortuna Armin era con me. Ci alzammo tutti per recarci ai rispettivi corsi. Presi la borsa e, quando mi allontanai dal banco, venni colpita da una spallata che Castiel mi diede sorpassandomi e andandosene senza dire niente. Volgendogli uno sguardo di incredulità, scorsi nella sua espressione uno di quei sorrisetti beffardi.
Scrollai le spalle sussurrando << Che tipo >>.
 
 
Armin mi rivelò che, oltre ad essere amante dei videogiochi, amava crearli, e per farlo, si faceva aiutare da Violet che disegnava i personaggi per lui.
<< Dopo la scuola, ho intenzione di portare avanti questo mio sogno >> disse facendo risplendere il glaciale colore dei suoi occhi << voglio diventare il più grande creatore di videogiochi di tutto il mondo! >> finì quella frase con la stessa euforia di un bambino quando scopre qualcosa di fantastico per la prima volta.
Lo guardai con attrazione: era veramente bello quando rideva, e oltre a questo, era totalmente diverso da Castiel. Armin sognava proprio come me, mentre Castiel era bravo solo a stuzzicare la gente con le sue perverse frecciatine.
In ricreazione mi diressi in giardino con Occhi di Ghiaccio, continuando a parlare dei nostri sogni e aspettative future. Armin si sedette sul verde e profumato prato, prendendo la sua psp e avviando la continua del suo gioco. Gli stavo di fronte e mi chinai leggermente verso la piccola consolle per vedere di che gioco si trattava. Lo vidi guardarmi sottocchio, poi mi sentii afferrare il braccio e tirare. Mi ritrovai inginocchiata fra le sue gambe con il viso a pochi centimetri dal suo. Lo guardai con occhi sgranati, lui mi rivolse un sensuale sorriso che fece interrompere il mio respiro. Rimasi pietrificata non sapendo che cosa fare e cosa aspettarmi da quella reazione. Forse lui si accorse del mio imbarazzo e dopo un po’ mi fece sedere davanti a lui, avvolgendomi con le sue lunghe braccia unendole alla psp.
<< Così vedrai meglio >> mi sussurrò in un orecchio.
La mia schiena era totalmente attaccata al suo corpo, più in basso potevo sentire la presenza della sua virilità. Il profumo invase ermeticamente le mie nari.
Quel lieve sibilo che aveva sensualmente incontrato il mio udito, fece vibrare il mio corpo dandomi una sensazione mai provata in vita mia. Sicuramente ero arrossita. Guardavo lo schermo di quell’affare senza prestare attenzione al contenuto e a quello che vi stava succedendo. Senza muovere la testa, volsi gli occhi per vedere se avevamo attirato sguardi estranei, ma ciò che vidi furono coppiette che erano un passo avanti alla nostra situazione: si baciavano non curanti di chi stava intorno. Poi qualcosa attirò la mia concentrazione: a qualche metro di distanza da noi, Lysandro e Castiel parlavano e ridevano e mi sembrò che il rosso avesse rivolto gli occhi su di me, per poi spostarli non appena aveva incontrato i miei.  Fui troppo eccitata da quella situazione per dar peso a questo.
Indifferente, ritornai a guardare il proseguimento del gioco. La campanella suonò poco dopo e dovemmo sciogliere quel momento di romanticismo per tornare ai nostri doveri. Nell’androne ci dividemmo recandoci ai nostri armadietti. Vicino al mio, trovai Castiel, con le spalle appoggiate al suo e le braccia conserte, fissava il vuoto e sembrava stesse aspettando qualcuno. Caso volle che sapevo bene chi. Esitai, poi tirando un lungo respiro, mi avvicinai e, indifferentemente aprii l’armadietto, mettendogli lo sportello davanti.
<< Hai intenzione di continuare all’infinito? >> chiese secco. Non risposi facendo finta di non aver sentito. “Che intende dire?” mi chiesi. << Sto parlando con te! >> esclamò tirando una leggera pedata al metallo facendomi sobbalzare, nonostante questo continuai a ignortarlo. A quel punto lo vidi allontanarsi dall’armadietto e mettersi alla mia destra appoggiando una spalla all’altro lato, accavallando la gamba sinistra a quella destra e incrociando le braccia.
Non lo guardai.
<< È soltanto questo che sai fare? Scappare? Perché lo facesti ieri sera? >>
“E tu perché baciasti quella smorfiosa?”. No, non glielo dissi. Non glielo potevo e dovevo dire. Se quelle parole fossero uscite ben scandite dalla mia bocca, gli avrei fatto capire che ero gelosa. E io non lo ero! Così mi limitai a non fiatare.
<< Vuoi rispondermi? >> continuò lui indurendo la voce << odio quando le persone fanno così, mi stai innervosendo con il tuo atteggiamento da ottusa e viziata! >>
<< Ok, adesso basta! >> dissi secca sbattendo lo sportello dell’armadietto per chiuderlo. Rimasi con la mano appoggiata e mi voltai verso di lui << Cosa cavolo vuoi sentirti dire? Che mi dispiace? Era quello che intendevo dirti ieri sera. Nonostante i dolori che avevo in tutto il corpo, non appena seppi la verità da mia zia, venni subito a cercarti per chiederti umilmente scusa. Scusa! S-c-u-s-a! Contento?! >>
<< Perché ti stai scaldando tanto? >> mi chiese lui facendo comparire il suo sorrisetto strafottente.
<< Perché è colpa tua! Sei tu che mi fai incavolare! Tu e i tuoi modi di fare! Per non parlare di quell’altra… mhm!! Chi cavolo si crede di essere? Uno si prostra per chiedere scusa e cosa ne ricava? >>
“Mayday, mayday, l’idiota sta perdendo il controllo! Ma che cavolo stai dicendo? gli stai facendo capire cose che neanche tu dovresti capire” urlava invano il mio avatar mentale.
Tacqui non appena mi resi conto di aver fatto il passo più lungo della gamba. Castiel rideva, e quel sorriso lo percepii come un senso di vittoria. Gli lanciai un’occhiataccia e aggiunsi << Che altro vuoi sapere Castiel? >>
Senza dire niente, lui si distaccò dall’armadietto, si avvicinò mettendosi di lato a me, e chinandosi verso il mio orecchio sussurrò beffardo << non preoccuparti ho già trovato ciò che cercavo. Per il momento, diciamo che mi accontento… >> sbuffò ridendo e poi se ne andò, fermandosi qualche metro più in là per parlare con Lysandro. Lo guardai sbalordita. “Ecco!” mi dissi “cosa ne hai ricavato? Altri codici da decifrare per mettere alla prova il tuo cervello! Idiota!”.
Feci per allontanarmi ma venni fermata da Armin, che mi raggiunse passando di fianco al rosso.
<< Cosa c’è Armin? >>
<< Ehi Rea, ci ho pensato a lungo… Ho visto i tuoi disegni e mi chiedevo se volessi disegnare per me? >>
<< Ma… >> quella domanda mi prese alla sprovvista << non era Violet quella che disegnava i tuoi personaggi? >>
<< Be, vedi… la storia è lunga da raccontare >> disse lui massaggiandosi la nuca << se accetti ti racconterò tutto! >>
Passai davanti a Castiel, e quale modo migliore per rispondere alle sue parole in codice? << Certo Armin, nessun problema… ci vediamo a casa tua, allora? >> in quell’ultima frase vi calcai la voce per farla arrivare dritta alle orecchie del pervertito.
 

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Capitolo 11
*** Segni indelebili ***


11.
SEGNI INDELEBILI
 
 All’epoca on sapevo se per una ragazza fosse più doloroso essere beffata da un bulletto da strapazzo o sapere che la persona di cui eri innamorata fin dal primo superiore avesse tendenze sessuali opposte.
Intendiamoci, non si trattava di me, bensì di Violet.
Mentre con Armin stavo tornando a casa, questo mi raccontò il motivo per il quale aveva chiesto a me di fare il lavoro che fino a qualche tempo fa era toccato a Violet.
<< Quando finalmente dopo quattro anni, trovò il coraggio di esprimere i suoi sentimenti verso mio fratello, lui le rivelò di essere gay >> raccontò quasi dispiaciuto.
<< Povera Violet deve aver sofferto molto >> mormorai triste.
<< Ed è per questo che non vuole più collaborare con me… dice che, il solo pensiero di entrare in casa mia, la fa stare male >>
“Eh ci credo! Non posso immaginare il dolore che stia provando quella poverina. Essere rifiutata è un conto, ma esserlo per questi motivi… caspita, quattro anni!” .
Arrivati al cancello di casa mia, salutai Armin che mi diede appuntamento alle sedici e trenta al parco. Entrai in casa e sprofondai sul divano immersa nei miei pensieri.
Chissà cosa si prova ad essere rifiutati per quel motivo? Mi chiesi, e subito le mie infettate immaginazioni mi portarono a Castiel. “E se anche lui rivelasse di essere gay, io come dovrei prenderla? Ma che ragionamenti!? E cosa ti importerebbe se Castiel fosse gay?”
<< Tzé! Castiel, gay… >> risi, prima piano poi più forte in base alle ridicole immagini che si disegnavano nella mia mente.
Quando zia Agata tornò, mi trovò accartocciata sul divano, mentre sbattevo i piedi contro il cuscino e con gli avambracci che stringevano lo stomaco, pressato dalle fragorose risate che uscivano senza pudore dalla mia bocca.
<< Ma che hai? >> mi chiese allibita << ti senti fin nelle profondità del lago >>
<< Cia-ah ah ah, zia-ah ah ah!!! >> sbottai cercando di alzarmi dal divano e asciugarmi le lacrime.
Quando mi calmai, mi rimase solo l’affanno, mi doleva un po’ lo stomaco e riuscivo a malapena a muovere le mascelle.
<< Potrei sapere, adesso, il motivo del tuo divertimento? >>
<< Non farmici ripensare, altrimenti ricomincerei a ridere e non saprei quando fermarmi. Comunque, oggi pomeriggio andrò a casa di un mio compagno di classe >>
<< Come? >> esclamò zia Agata appoggiando la spesa sul tavolo << Hai detto “o”? >>
<< Sì, è Armin, perché che problema c’è? >>
<< Ah, no, niente. Pensavo si trattasse di Castiel >>
<< E hai pensato male! >> risposi cancellando dall’espressione il sorriso che avevo.
<< Perché ti svolti così? Anche Castiel è un tuo compagno di classe >>
<< C’è bisogno di ricordarmelo? Bastano il suo banco e il suo armadietto a farlo! >> continuai avvicinandomi a lei e aiutandola a disfare le buste della spesa.
Le sedici arrivarono in fretta a con loro l'ansia di rivedere Armin. Ripensando alla situazione romantica che avevamo generato in ricreazione, il mio cuore non riusciva a smettere di palpitare con forza, e il mio corpo era tutto in fermento.
Alle sedici e dieci, non resistetti più e spinta dall'ansia mi recai al parco aspettando impaziente l'arrivo di Occhi di ghiaccio.
Le quattro cifre che segnavano l'ora sul mio telefono, solo quelle dei minuti, si susseguirono velocemente, e le sedici e trenta erano già passate, ma del bel moro neanche l'ombra. Sbuffai annoiata, guardandomi intorno per scorgere la sua presenza. A quell'ora il parco non era movimentato, c'erano solo due bambini che si scambiavano le figurine. Sentii abbaiare e dopo qualche secondo mi ritrovai davanti un bestione con le orecchie a punta e i denti lunghi e affilati, più che un cane sembrava un demone. Mi guardava con aria minacciosa e iniziò a ringhiare. La paura bussò alla porta del mio corpo, mi strinsi nelle spalle cercando di mantenere la calma.
<< Buono, bello… stai buono… >> mormorai con voce tremante, ma quello non volle stare affatto buono. Abbaiò facendomi trasalire, inconsapevolmente mi ritrovai in piedi sulla panchina cercando di trovare una via di salvezza, perché, per come mi stava guardando quella bestiaccia, dovevo proprio sembrare un bel bocconcino.
<< Armin, ti prego, vieni a salvarmi >> sibilai tremando e chiudendo gli occhi.
Il cane non si avvicinò mai e al posto dei versi minacciosi, ci fu una risata rumorosa. Aprii lentamente gli occhi e davanti a me chi c’era? Nientemeno che il bulletto pervertito. Rideva lasciandosi leccare dal bestione.
<< Ah, ah, ah! Scappi anche dai cani adesso? >>
<< Avrei voluto vedere te! >> esclamai scendendo dalla panchina con un balzo e sedendomi, tranquillizzata dalla sua presenza << Scommetto ch’è il tuo >>
<< Si chiama Demon >>
“Ma va? Che sorpresa!”
<< Demon… tzé! Chi altri se non un maniaco pervertito, poteva chiamare un cane con quel nome? >>
<< Demon mordila! >> esclamò lui indicandomi al cane che ritornò a ringhiare.
<< Ti è andato di volta il cervello?! >> urlai sobbalzando dalla panchina mettendovi sopra anche le gambe << ti detesto quando fai così! >>
<< Ah sì? >> mormorò sorridendo << questo significa che le altre volte ti piaccio >>
<< Non farti passare strane idee per quella mente malata che ti ritrovi >> risposi prontamente << non ho detto niente del genere >>
<< Lo so, tu non dici mai niente, ma fai capire molte cose… >> aggiunse guardandomi sottocchio.
<< Oh! >> sbuffai mettendomi in piedi e facendo qualche passo lontano da lui << Ma perché Armin non viene >>
<< Avete un appuntamento? >> chiese indifferente.
<< Sì! >> risposi vanitosa << Dobbiamo andare a casa sua >>
<< Allora perché non vieni con me? >>
<< Cosa? >> chiesi scettica. Che voleva dire?
<< Non fare quella faccia… io lo dico per te >>
<< Maledizione Castiel! Vuoi, per una volta nella tua vita, parlare chiaramente? >> chiesi innervosita.
<< Sicuramente, il caro Armin si sarà dimenticato del vostro appuntamento, e starà ancora su internet a completare qualche gioco >>.
No, sicuramente Castiel lo stava facendo apposta, forse era infastidito dal fatto che dovevo andare a casa del moro. Doveva essere per forza così, altrimenti a che scopo invitarmi ad andare con lui?
<< Mi dispiace per te, carino. Ma hai fatto i conti senza l’oste >>. Lui mi guardò allibito. << Io non sono Ambra, o una di quelle sciacquette che ti sbavano dietro. Non verrò mai a casa tua. Te lo puoi scordare. >>
<< Guarda che casa mia è anche casa dei gemelli >>.
Un macigno grosso dieci quintali, senza pietà, piombò dal cielo dritto sulla mia testa, facendomi pentire di aver aperto bocca.
Con chi potevo prendermela? Come potevo sapere che il pervertito possedeva una villa da urlo e avendo i genitori eternamente in viaggio per lavoro, aveva tramutato casa sua in una pensione dove ospitava i gemelli, Lysandro e Leigh, i quali venivano da un altro paese? Naturalmente neanche la mia immaginazione poteva riuscire a concepire una cosa del genere, dato che la sfortuna mi aveva baciata da tempo ormai immemore.
“Hai voglia, a provocarlo con quella frase detta oggi a scuola! Non l’avrà scalfito neanche di un millimetro!” esclamai nella mia mente, avvilita.
<< Allora? Cos’hai intenzione di fare? >> mi chiese con il suo solito sorrisetto. Prima di rispondergli lo guardai sottocchio, poi abbassando la testa in segno di sconfitta acconsentii aggiungendo << D’accordo, ma tu e il tuo cane dovrete starmi lontano due metri di distanza >>.
Castiel sbuffò scuotendo la testa. Quando arrivammo alla casa… beh, casa… casa si fa per dire. La Reggia di Versailles faceva un baffo a quella di Castiel, e non sto a descriverla altrimenti non basterebbe un capitolo. Dicevo, quando arrivammo, lui mi fece accomodare e come aveva detto, Armin era occupato con il suo videogioco, immerso nella lotta tra il bene e il male. Quando il ragazzo mi vide, fece cadere il joystick esclamando << Miseriaccia! È vero… Rea, perdonami me ne sono dimenticato! >>
<< Non preoccuparti Armin >> risposi sorridendo, ma imprecando nella mente.
<< Come hai potuto dimenticartene? >> chiese Lysandro seduto a un tavolino intento a bere un te, con un’eleganza unica nel suo genere << Sono quattro volte che te lo fai ripetere… ciao Rea >>
<< Ciao Lysandro >>. Mentre i due discutevano, io mi girai intorno ammirando estasiata quella meraviglia che si specchiava ai miei occhi. I muri erano affrescati da paesaggi autunnali e uno in particolare che mi colpì, fu quello dietro Lysandro, rappresentante un lago immerso nella notte incorniciato da lunghe foglie di salici piangenti. Non avevo mai visto una meraviglia del genere. Nessuno mai avrebbe potuto immaginare che una casa così appartenesse a un cafone, troglodita, come Castiel. Chiunque avrebbe potuto pensare che fosse stata di un tipo come Lysandro, e invece… il padrone di casa si era messo su un divano a penisola in pelle bianca e ascoltava della musica con gli auricolari. Certo non si trattava di musica da camera. In quella reggia, l’unica cosa che stonava era lui.
Fu Armin a presentarmi la maestosa abitazione, e dopo, ci recammo nel grande salone, dove c’erano tutti gli altri, per metterci a lavoro.
Mi divertii molto con lui. Si rivelò essere un ragazzo molto solare e simpatico. E fortunatamente, con i miei disegni riuscii a colpirlo, ricevendo in cambio degli elogi e un bacio sulla guancia destra che mi lasciò tanto esterrefatta quanto imbarazzata. Non capii se fu per scorgere qualche reazione gelosa o per pura semplice coincidenza, fatto sta che, dopo quella scena, i miei occhi si andarono a poggiare su Castiel il quale, accordando la sua chitarra, sbuffò strafottente. Feci una smorfia infastidita, dicendomi che avrei dovuto aspettarmelo.
Quando la luna annunciò la sua salita in cielo, Armin e io avevamo già terminato il nostro lavoro, e il ragazzo mi invitò a cenare con loro.
<< E cosa mangiamo, stasera? >> chiese Lysandro aggiustandosi il colletto della camicia << Ricordatevi che verrà anche Rosalya >>
<< Prendiamo delle pizze >> propose Alexie.
<< Per me va bene >> rispose Armin.
<< Ok, ma andate voi a comprarle >> mormorò Castiel accarezzando dolcemente le corde della sua chitarra e liberando dolci note nell’aria.
A comprare le pizze vi andarono i due gemelli. Lysandro, da buon nobiluomo, andò a cambiarsi d’abito per la cena e io rimasi seduta sul divano accanto al rosso che continuava a maneggiare dolcemente il suo strumento.
Lo guardai sottocchio senza farmene accorgere, con lo sguardo scesi sulle sue dita che pizzicavano le corde in modo sensuale. Sembrava che invece della chitarra, Castiel avesse fra le sue braccia una donna, per la maniera con cui maneggiava quell’arnese. Un dolce suono riecheggiò nell’aria facendomi rabbrividire di piacere. Potevo appropriargli tutti gli aggettivi dispregiativi del mondo, ma non potevo negare che Castiel aveva un fascino tutto suo, completamente misterioso, e irresistibile. Quando lo vedevo così, mi sentivo a mio agio accanto a lui.
<< Non sei mai stata baciata prima, vero? >> chiese ad un tratto interrompendo e rovinando l’atmosfera che si era venuta a creare in quei pochi istanti.
<< Non sono affari che ti riguardano! >> risposi arrossendo e girando la testa per non farglielo notare.
<< È così >> disse ridendo.
<< E anche se fosse? >> chiesi volgendogli lo sguardo infastidita.     
<< La cosa mi alletta molto… >> rispose abbassando la voce e lasciando la chitarra sul tavolino adiacente al divano. Si alzò avvicinandosi con passo felino e d’istinto indietreggiai contro la spalliera, ritrovandomelo di fronte.
<< C-che vuoi dire? >> balbettai iniziando a tremare.
<< Mi è sempre piaciuto essere il primo >> rispose chinandosi su di me e appoggiando una mano sulla spalliera alla mia destra. Con l’altra mano si diresse sul mio viso e con le dita sfiorò la guancia sinistra, disegnò leggermente le labbra e sussurrò con voce sensuale << … pensare che queste labbra, non sono mai state toccate da nessuno… >>.
<< Cast… >> cercai di dire, ma le sue dita si poggiarono sulla mia bocca smuovendola. Sentivo il cuore in gola, i muscoli tirati, e la pelle ricoperta da brividi di un’estranea sensazione. Avevo le labbra socchiuse e i suoi occhi lussuriosi inchiodati su di me. Poi di scatto mi afferrò un braccio tirandomi a sé. Chiusi gli occhi non capendo le sue intenzioni, poi li riaprii simultaneamente al suo gesto inaspettato. La sua lingua si era posata sulla mia guancia dando una piccola e ardente leccata.
<< Che stai facendo? >> chiesi con voce tremante.
Prima di rispondermi mi guardò con occhi felini, poi sussurrò << Mi dispiace, ma sono costretto a lasciare un segno >>.
Nel momento in cui cercai di capire il significato di quella frase, mi sentii catturata dalle spalle tirata verso l’alto, ritrovandomi la bocca di Castiel sul mio collo, che fece un rumore secco, tipo risucchio. Infatti, mi sentii un lembo della pelle tirare; poi lo sentii mollare la presa, lo vidi allontanarsi dal mio collo, guardarmi divertito e ritornare con fare indifferente sul divano, prendendo la chitarra e continuando indisturbato la sua melodia.
Non riuscii a capire le sensazioni che stavo provando, il mio respiro e il battito del mio cuore erano gli unici rumori che invadevano le mie orecchie. La guancia destra e la parte del collo le sentivo ancora umide e pulsanti.
Perché? Fu l’unica cosa che mi chiesi. 
 

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Capitolo 12
*** Sorpresa al buio ***


12.
SORPRESA AL BUIO
 
Tremante di rabbia, sbattei il bicchiere sulla tavola apparecchiata, nel momento in cui una bocca alquanto indiscreta mi ricordò di avere un segno sul collo.
Tutti i miei tentativi di coprirlo, erano andati in fumo a causa anche della mia maglietta scollata.
<< Ma cos’è? >> chiese Alexie << un morso di qualche insetto? >>
<< Ma, no! >> rispose Armin << dev’essere qualche reazione allergica >>
“Sì, allergica a Castiel”, risposi nella mia mente. Mentre i due fratelli discutevano sul presunto morso di insetto per trovare la giusta definizione, i miei nervi iniziarono a pulsare brutalmente dopo aver sentito quella fastidiosissima risatina alle mie spalle. Mi girai verso il rosso lanciandogli un’occhiata minacciosa.
“Ti diverte, eh? Spero che te ne pentirai amaramente!” esclamarono i miei occhi. Lui mi guardò e disse, rivolto ai gemelli << Dev’essere stato un insetto molto grosso… >>.
“Maledetto! Ti ammazzo!”.
<< Dici, Castiel? >> chiese ingenuo Armin.
Prima che potessi scoppiare, l’arrivo di Rosalya, vestita sempre in modo “impeccabile”, mi salvò.
<< Ehi, Rea! Allora aveva ragione Lysandro, anche tu qui? >>
Non le risposi, annuii soltanto, poi la vidi avvicinarsi come una furia, afferrarmi per un braccio, costringendomi a seguirla in cucina.
<< C-cosa succede? >> chiesi balbettando. Lei mi si piazzò difronte, mi guardò con occhi scrutatori poi mi afferrò le spalle, mi fissò dritta in faccia e sorrise dicendo << Siete già arrivati a questo punto? >>
<< C-osa?! >>
<< Tu e Castiel! >> rispose indicandomi con lo sguardo il collo.
“È proprio vero, la donna è molo più intelligente dell’uomo”. Fra tutta i presenti, Rosalya fu l’unica a capire che quel segno stampato sul mio collo non era altri che il perverso atto del rosso.
Non sembrava, ma, quanto a persuasione, Rosalya era il massimo. Dopo tanto insistere, mi decisi a raccontarle l’accaduto.
<< Yhaa! >> urlò eccitata.
Prontamente feci segno di abbassare la voce, lei mi afferrò le mani chiudendomele nelle sue. << Oh, Rea, non sai quanto sono invidiosa! Non si è mai comportato così. Pensa che con me, al primo anno di liceo, volle subito arrivare al dunque >>
Quella rivelazione mi lasciò scioccata. Castiel e Rosalya
“Ma è possibile che debba scoprire certe cose sempre in maniera indifferente?”.
<< Ma non riesco a spiegarmi il motivo della leccata e delle sue parole prima di stamparti quel succhiotto >> rivelò ritornando seria. << Dimmi cosa è successo dall’inizio, da quando hai messo piede qui. >>
Raccontai tutto, senza tralasciare il minimo dettaglio e quando rivelai il bacio sulla guancia datomi da Armin, la vidi sobbalzare, far svolazzare le mani intenta a raccogliere aria e poi sussurrare << Ma certo! Ho capito tutto… lui ha detto che gli è sempre piaciuto essere il primo, no? Con la leccata sulla guancia ha voluto cancellare il bacio di Armin. >>
“Che genio! Fin lì c’ero arrivata anche io… quello che non riesco a capire è il motivo del succhiotto”. Purtroppo neanche lei vi arrivò. Ritornando seria, disse soltanto << Secondo me gli piaci >>.
<< Sì, e a me piace il fungo con gli occhiali! >> risposi beffarda.
<< Non sto scherzando. >> continuò Rosalya e dal tono della sua voce mi resi conto che stava parlando sul serio. << Ecco spiegato il motivo delle sue minacce verso tutti i ragazzi del liceo >>
<< Cosa?! >> chiesi drizzandomi, attratta dalla curiosità.
<< Perché quella faccia? Non lo sai? Me l’ha detto Lysandro, la sera del secondo concerto, Cass venne a sapere che quella smorfiosa di Ambra aveva messo in giro quell’assurda voce sul motivo del tuo mancamento. Lui si arrabbiò e l’affrontò in tal modo da farle passare la voglia di venire a scuola. Poi esibendo il suo carattere da bulletto, convinse i ragazzi del liceo a terminare quelle stupide voci. >>
“Ma davvero? Castiel ha fatto una cosa del genere? Questo però non giustifica il fatto che ha baciato quella stronza!”. A un tratto venimmo interrotte dal rumore che fece la porta quando venne aperta da Leigh, che ci guardò curioso.
<< Ah, siete qui? >>
<< Cosa c’è tesoro? >> chiese Rosalya.
<< Vi stavamo cercando… le pizze si stanno raffreddando >>
<< Arriviamo! >> esclamò la bambola d’argento avvicinandosi al fidanzato e attaccandosi al suo braccio come un polipo.
Io, dietro di loro, li seguii pensierosa, poi come d’istinto, la mia mano si andò a posare sul collo e iniziai a massaggiarlo.
Mi sedetti fra Rosalya e Lysandro e di fronte a me avevo il bel faccino di Castiel seduto fra i due gemelli. Per tutta la durata della cena cercai di non guardarlo, ma il suo volto era come una potente calamita.
Le ore volarono in fretta e mancavano cinque minuti alle undici. Leigh avvisò che Rosalya dormiva lì, io chiamai zia Agata per farmi venire a prendere.
<< Scusami Rea, ma sto dormendo >>
<< Come fai a rispondermi allora, se stai dormendo? >> chiesi innervosita.
<< Se vuoi, puoi anche rimanere da Castiel >>
<< Non ci penso nemmeno… un momento, come fai a sapere che c’è… zia, pronto? >> “mi ha chiuso la chiamata?”. Sbuffai avvilita, ciondolando le braccia ai fianchi.
<< Sei rimasta senza autista? >> chiese Castiel dietro di me.
Non risposi e non gli rivolsi neanche lo sguardo. Lui si avvicinò mettendosi al mio fianco. << Se ammetti che ti piaccio, posso darti una camera per stanotte >>
<< Preferirei dormire sotto i ponti >> risposi allontanandomi.
<< Dove vai? >>
<< Me ne ritorno a casa, a piedi e da sola! >> risposi facendogli capire che non avevo voglia di essere infastidita.
<< Fa come vuoi… >> rispose << però ti avviso che la sera lascio Damon slegato e mi sono anche dimenticato di dargli da mangiare >>
<< Ti ho già detto che ti odio? >> chiesi guardandolo male. Lui sorrise, si avvicinò a me e sussurrò << Vieni con me >>, mi afferrò la mano e non feci niente per impedirglielo. Salimmo una larga scalinata di granito nero. Quando arrivammo al primo piano, mi indicò quella che doveva essere la mia stanza per quella notte.
<< È vicino alla mia >> disse aprendo la porta e facendomi entrare. “Ma va? Che coincidenza!”. << Se hai bisogno di qualcosa… >>
<< Non ho bisogno di niente. Te ne puoi andare, adesso >> risposi bruscamente spingendolo verso la porta. Invece di andarsene, si appoggiò all’angolo dell’entrata e incrociando le braccia al petto mi guardò sorridendo.
<< Che c’è? >> chiesi corrugando la fronte.
<< Lo sai che sono io il padrone di casa? >>
<< Che novità. E allora? >>
<< E allora decido io, se andarmene e quando >>
<< Cosa vuoi fare? Dormire con me? >> feci una battuta.
<< Sarebbe un’idea… >> e a lui sembrò non esserlo.
<< Smettila Castiel, esci, sto morendo di sonno >>
<< Non stai dimenticando qualcosa? >>
<< Cosa? >>.
Castiel non mi rispose, sbuffò una corta risata e se ne andò, lasciandomi immersa nel suo mistero. Cos’avrà voluto dire? Mi chiesi. Feci spallucce, poi mi guardai intorno. Più che una camera, sembrava un appartamento. Cavoli, era più grande di casa mia. Cercai di trovare il bagno, uscii nel corridoio e incontrai Rosalya.
<< Che fai? >> mi chiese.
<< Cerco il bagno >> risposi secca.
<< Vieni con me, mi stavo dirigendo anche io, per lavarmi. Devi lavarti anche tu? >>
<< Non ho il cambio >> dissi toccandomi la maglietta e imbronciando le labbra.
<< Non preoccuparti, ti presto io qualcosa >> disse guardandomi il petto << dovremmo avere la stessa taglia anche di seno >>.
È inutile descrivere ciò che mi prestò la bambola dai capelli argentati. Un intimo dorato con merletti blu. Avendo, io, una taglia in più di petto, il reggiseno mostrava più del dovuto, e non parliamo della vestaglia. Altro che Chanel numero cinque usato da Marylin Monroe quando andava a letto. Mi vergognai ad uscire in corridoio. Lei mi assicurò che non sarebbe uscito nessuno, dato che, ogni volta che rimaneva a dormire lì, lo faceva sempre. Ma ne dubitavo. Potevo immaginare facilmente che cosa mi avrebbe riservato il destino da un momento all’altro.
<< Almeno, fammi prendere un accappatoio >> scongiurai trattenendomi dall’uscire.
<< Oh! Muoviti! >> esclamò lei spingendomi in corridoio.
Mi salutò recandosi nella sua camera. Rimasi sola nella penombra, immobile. Cercando di non fare rumore, iniziai ad incamminarmi a passo lento verso la mia camera.
Come da copione, non indossavo gli occhiali e al buio non vedevo niente. Mi affidai al tatto. Accarezzai il muro poi, quando finalmente toccai il freddo legno, afferrai la maniglia e aprii la porta, entrai in camera, chiusi lentamente senza far rumore e sospirai sollevata. Per fortuna nessuno mi aveva visto. La luce della luna rifletteva il bianco delle tende illuminando di un blu-nero la stanza, che a primo impatto mi parve diversa da prima. Non ci volli pensare. Avevo sonno, anche se, vestita in quel modo mi vergognavo a chiudere gli occhi e addormentarmi, immaginando il viso di Morfeo alla vista del mio corpo più nudo che coperto.
Risi al pensiero, mi avvicinai al letto, raccolsi i lunghi capelli portandomeli indietro, mi sedetti per poi stendermi. Il materasso, essendo matrimoniale era comodo e spazioso e poi le coperte, di pura seta, profumavano di colonia. Mi girai facendomi più al centro e cercando una posizione adatta per addormentarmi comodamente. Piegai la gamba verso l’alto e non appena lo feci, il mio ginocchio toccò qualcosa di morbido e caldo. Allungai la mano cercando di capire di che cosa si trattava, sembrava epidermide. Non mi sbagliavo, era un corpo e quello che avevo in mano era un braccio.
Sobbalzai dal letto, allontanandomi dalla presenza a me vicina, precipitai di sotto scontrando il sedere con il freddo marmo. Mi tappai la bocca per non far uscire mugugni di dolore. Ma perché non riuscivo a fidarmi del mio sesto senso? La stanza mi era sembrata estranea, ed avevo avuto ragione. Non era la mia!
Lentamente, attenta a non far rumore, gattonai verso la porta, pregando Iddio di non far svegliare il tizio addormentato sul letto. Non cercai neanche di chiedermi di chi poteva trattarsi, ero ansiosa di raggiungere l’uscita, e sempre a gattoni, allungai la mano verso la maniglia, l’afferrai e la tirai verso il basso. Purtroppo quell’atto fu subito fermato. La porta venne richiusa, alzai la testa per vedere che cosa fosse successo e un’ombra sopra di me bloccava con una mano l’uscita.
<< Che stai facendo? >> chiese la famigliarissima voce del rosso.
Velocemente cambiai posizione, mettendomi di spalle alla porta e cercando di alzarmi appiccicata ad essa.
<< I-io… ho sbagliato stanza >> balbettai standogli di fronte. Lo vidi muoversi nel buio e allungare un braccio verso il muro. Capii al volo che intenzioni aveva.
<< No! >> esclamai accennando qualche passo avanti << Non accendere… >> troppo tardi. La bianca luce, invase la stanza facendo repentinamente stringere le mie iridi. Abbagliata, mi coprii gli occhi con una mano, aspettando che questi potessero abituarsi alla luminosità. Tra le fessure delle dita, scorsi il suo volto, stava ridendo. Pian piano allontanai la mano dal mio viso e guardai Castiel intento a squadrare il mio corpo semi nudo. Riportai subito le mani agli occhi e mi voltai di spalle, accorgendomi che anche lui non era tutto vestito, indossava solo un pantalone di tuta e il suo busto ben curato attirava la luce su di sé.
<< Che bella vista >> sussurrò.
Mi voltai, accorgendomi che mi stava guardando il sedere.
<< Non capita tutte le notti di essere svegliato da una piacevole apparizione >> continuò beffardo.
<< Toglimi immediatamente lo sguardo di dosso! >> sussurrai a denti stretti. Lui si avvicinò, mentre io indietreggiai riappiccicandomi alla porta. << Che fai? >> chiesi tremante.
Castiel usò i suoi occhi tipo ascensore sul mio corpo e la prima fermata fu il petto.
<< All’apparenza non sembrano…  >> mormorò. Abbassai lo sguardo verso il seno e subito lo coprii con le braccia. << Che sei venuta a fare qui? >> mi chiese appoggiando un braccio sul muro alla mia destra e avvicinando il suo volto al mio.
<< Ho detto che mi sono sbagliata… sono senza occhiali e al buio non vedevo niente… >>
<< Ma tu ti rendi conto che hai difronte un uomo? >>
<< C-che vuoi dire? >> balbettai stringendomi il petto e sentendomi avvampare il volto.
<< Entri nella mia camera, vestita in questo modo… >>
<< Non farti strane idee! >> dissi mettendomi di lato e affondando il viso nelle spalle. Lui si rizzò allontanando il braccio dal muro, sorrise, poi si voltò dandomi le spalle. Lo guardai rilassando i muscoli e preparandomi ad uscire, ma appena misi mano alla maniglia, lo sentii dire << Se ti azzardi ad aprire la porta, mi metto ad urlare >>
<< Ma ti si è…! >> esclamai a voce alta, poi ripresi abbassandola << ti si è storto il cervello? Sono l’una e mezzo, io ho sonno! Domani dovremmo andare a scuola >>
<< Dormi qui, allora >> disse lui volgendosi verso di me. Quel sorrisetto iniziava a darmi sui nervi.
<< Non sono Ambra >> dissi sfidandolo << non dormirai comodo con me… >>. Non mi diede neanche il tempo di finire la frase, che mi afferrò una mano facendomi fare un giro largo e scaraventandomi sul letto. Chiusi gli occhi sobbalzando fra le bianche lenzuola, quando li riaprii, la prima cosa che vidi furono i suo ben disegnati pettorali che si stendevano sopra di me.
 

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Capitolo 13
*** Era il mio primo bacio ***


13.
ERA IL MIO PRIMO BACIO
 
<< Castiel… il gioco è bello quando dura poco… >> sussurrai con l’affanno << se stai scherzando, finiscila >>
Il rosso sembrava essere sordo. Appoggiandosi sul materasso con un braccio destro, usò l’altro per catturare la mia pelle. Lo sentii mentre mi sollevava il velo dell’indumento che indossavo. Strinsi gli occhi, portandomi le mani al petto.
<< Castiel, smettila… ho paura! >> esclamai con voce di pianto. Le lacrime iniziarono a scorrere copiose sul mio volto arrossato.
A un tratto si fermò, sentii il letto muoversi, aprii gli occhi e lo vidi mentre si recava al tavolino intento a prendere una sigaretta dall’apposito pacchetto. Mi misi a sedere, non capendo la situazione.
Lui mi rivolse lo sguardo, appoggiò la sigaretta fra le labbra, per poi sputarla scoppiando in una rumorosa risata. Le mie lacrime si bloccarono, e i miei occhi lo seguirono calamitati dai suoi movimenti.
<< Ah, ah, ah… avresti dovuto vederti! Ah, ah, ah! >>
Mi sentii il sangue ribollire in tutto il corpo arrivando fin sopra la testa. Iniziai a fumare di rabbia. Era proprio incorreggibile. Lo detestavo fino al midollo. Mi alzai dal letto, presi un cuscino e glielo scaraventai contro.
<< Ti odio! Sei un maledetto bastardo! Ti stai divertendo? >>
<< Guarda che io stavo solo giocando >> mormorò lui fra le risate.
<< E ti sembra il modo di giocare? Mi hai fatto pigliare un accidente! Ti detesto! >> esclamai recandomi alla porta.
<< Ehi? >>
<< Che altro vuoi?! >> chiesi bruscamente voltandomi verso di lui il quale mi lanciò una maglietta che si poggiò sulla mia faccia.
<< Metti questa… di sicuro avrai svegliato tutti. Non vorrai mica farti vedere in queste condizioni? >>.
Indossai la maglia imprecando, poi aprii violentemente la porta e uscii richiudendola allo stesso modo.
Il corridoio era acceso, e sentii delle voci in lontananza.
<< Ma chi è che disturba alle due di notte? >> sembrava la voce di Alexie.
Velocemente entrai nella mia camera per non incontrare nessuno. Questa volta accesi la luce, per essere sicura di non aver sbagliato un’altra volta. Quando ne ebbi la certezza, spensi e mi gettai sul letto sospirando rumorosamente.
<< Maledetto… non capisci un bel niente! >> sussurrai a denti stretti << Se volevi farti odiare, ci sei riuscito a meraviglia >>. Mi misi a un lato cercando di chiudere gli occhi, ma tutto quel scombussolarmi, mi fece perdere anche l’unica consolazione che avevo. Non riuscii a dormire e per la prima volta in vita mia, fui spettatrice dell’aurora.
Nonostante i continui tentativi, da parte di Rosalya, di farmi restare a colazione, decisi di ritornare a casa, prima che il pervertito potesse scendere. Non volevo vederlo. Era tutta colpa sua se non avevo chiuso occhio la notte passata e il sonno mi stava divorando la mente.
<< Fa’ come vuoi >> disse Rosalya imbronciando le labbra.
<< Ci vediamo a scuola >>. Salutai e me ne andai. Erano le sette, e l’aria era fresca. Il cielo era pittato di azzurro senza alcune sfumature che rappresentassero nuvole. Raggiunsi casa a passo lento. Arrivata, entrai chiamando zia Agata che mi rispose dal piano superiore avvertendomi che scendeva.
Andai in cucina, aprii il frigorifero e presi una lattina di coca cola. Quando Agata scese, mi lanciò uno sguardo contrariato << Non bere coca cola a quest’ora, e per giunta a stomaco vuoto, ti farà male la pancia >>
<< Non mi importa, ho bisogno di tutto l’acido possibile, per affrontare quest’altra giornata >>
<< Cos’altro è successo? >>
<< E me lo chiedi pure? >> chiesi alzando la voce e sbattendo la lattina sul mobile << perché devo sempre venire a sapere le cose per ultima? >>
<< Che intendi? >>
<< Tu sapevi che Armin abita a casa di Castiel? >>
<< Certo >>
<< E perché non me l’hai detto prima? >>
<< Be, perché avevo visto la tua contentezza nell’incontrarti con quel ragazzo, così non ho voluto rovinarti la serata >>
<< Bene, allora ti annuncio che è stata una disastrosa serata! E non solo quella >>
<< Ma si può sapere dov’è finita la Rea di qualche giorno fa? >>
<< Perché non glielo chiedi a quel pervertito del rosso? Da quando l’ho conosciuto, non mi riconosco più neanch’io >> dissi recandomi alle scale.
<< A me piace come ti sta cambiando >> rivelò lei sorseggiando una tazza di caffè.
Mi fermai rivolgendole lo sguardo e a denti stretti mormorai << Non provare più a ripeterlo >>.
 
 
A scuola, in compenso, non riuscii a seguire le lezioni, fu un miracolo se non mi addormentai. Aspettavo ansiosa l’ora di ricreazione, almeno, mi dissi, avrei potuto chiudere gli occhi per venti minuti. Ma poteva andarmi qualcosa nel verso giusto?
“Aspetta e spera cara mia”.
Quando suonò la campanella, la preside mi chiamò nel suo ufficio ordinandomi di ripulire la sua scrivania, occupata da blocchi di scartoffie per portarli a Nathaniel, in sala delegati. Uscii dal suo studio con una pila di fogli. Mi accorsi di barcollare e per fortuna, durante il mio cammino incontrai Kim, che da buon amica mi diede una mano.
<< Grazie, non ce l’avrei mai fatta da sola >>
<< Figurati. Ma è stata la preside a ordinartelo? >> chiese incuriosita. Annuii sospirando << ma non è tua zia? >> chiese ancora lei.
<< Non ricordarmelo, per favore. >> mormorai esausta.
Arrivate davanti l’aula delegati, la porta si aprì di scatto e Nathaniel mi venne contro facendomi mandare all’aria le scartoffie che non persero tempo a disperdersi sul pavimento.
<< Oh, scusami tanto Rea >> esclamò il biondo chinandosi e aiutandomi a raccogliere le carte.
<< Non ti preoccupare >> risposi io incrociando la mia mano con la sua nel tentativo di prendere un foglio. Lo vidi arrossire e gli sorrisi. Quando il pavimento fu ripulito, ci rialzammo e mi chiese se avessi bisogno di qualcosa.
<< Veramente, la preside mi ha detto di portarti questi fogli >> risposi.
<< Già Nathaniel >> intervenne Kim, porgendogli anche la sua fila << Scusatemi, ma prima che risuoni la campanella, devo occuparmi di una cosa. Ciao >>. Kim se ne andò. Rimasi da sola con Nathaniel aspettando che finisse di leggere uno dei fogli.
<< Ok, vieni con me, per favore. Oggi manca Melody e mi servirebbe una mano. >>
<< Va bene >> risposi accingendomi ad entrare e prima di farlo fui catturata dalla presenza di Castiel, che se ne stava appoggiato agli armadietti insieme a Lysandro. Mi stava guardando e io, facendo una smorfia, distolsi lo sguardo ed entrai nella sala delegati.
Quelle carte contenevano alcune opzioni sulle visite guidate e Nathaniel mi disse che quell’anno le classi avrebbero fatto una gita ecologica verso la fine di aprile. Indaffarata ad aiutarlo, nel tentativo di riordinare i documenti, la voglia di sonno si placò e la mia mente si riprese. La campanella era suonata da un pezzo, ma Nathaniel mi disse che non dovevo preoccuparmi, giacché era stato un ordine della preside.
Purtroppo non ne fui tanto convinta. Ci si poteva aspettare di tutto da quel gangster.
A lavoro terminato, lo salutai uscendo dalla sala per recarmi in classe. Con mia sorpresa, mi ritrovai di fronte la biondona con i tacchi a spillo che mi sbarrò la strada.
<< Che fai? Adesso te la intendi anche con mio fratello? >>
<< Dovresti smetterla di far uscire scempiaggini da quella bella bocca pittata! Io non me la sto intendendo con nessuno! E poi chi sarebbe tuo fratello? >>
<< Nathaniel, chi altri, se non lui? Dove hai gli occhi, non vedi che è bello come me? >>
Fu un duro colpo per me quella rivelazione. Come poteva un cherubino essere fratello di un’arpia? Decisi di ignorarla, per non avere impicci, così la scansai e mi diressi verso la mia classe.
Vidi i miei compagni uscire uno alla volta e incontrando Armin chiesi dove si stessero dirigendo.
<< Andiamo nel laboratorio di chimica, vieni con noi? >>
<< Certo >> risposi con un sorriso. Prima di seguirlo, mi recai all’armadietto per prendere l’occorrente adatto a quella materia, vi incontrai Castiel intento a prendere la sua cartella. Mi avvicinai ignorandolo e aprii lo sportello. Lo sentii fare rumori, cercai di guardare dalle fessure cosa stesse facendo, ma mi fu impossibile capirlo. Feci spallucce e ritornai alle mie faccende.
<< Cos’è? >> chiese ad un tratto << quando ti vedi in difficoltà, scappi? >>
Di sicuro ce l’aveva con me. Decisi di non rispondere. Ma fu più forte di me e la mia voce iniziò ad agire per conto proprio.
<< Di che diavolo stai parlando? Se ti riferisci a stamattina… ti avverto che… >>
<< Non si tratta solo di questo! >> m’interruppe lui, chiudendo con forza il suo armadietto posizionandosi alle mie spalle.
Mi girai mettendomi in allerta.
<< Siccome sei la nipote della preside, pensi di poter fare liberamente i tuoi comodi? >>
“Ma che cavolo sta dicendo, da dove se n’è uscito fuori?”
<< Che vuoi dire con questo? Che sono più agevolata? >>
<< Vedo con piacere che il sonno ti è passato stando in sala delegati >>
“Ok… adesso non riesco più a seguirlo… che diavolo sta dicendo? Questo discorso non ha senso”
<< Oh, basta Castiel! >> esclamai scansandolo e allontanandomi << sono già confusa di mio e non ho voglia di sforzare ciò che mi rimane del mio amato cervello, per decifrare le tue cazzate! >>.
Mentre camminavo, vidi che di fronte a me si stava avvicinando la barbie uscita male. “Ci manca anche questa!”.
<< Quante volte devo dirti che non devi parlare con il mio Castiel >> disse sbarrandomi un’altra volta la strada.
Sentivo che quella era la volta buona. Quella era la volta in cui Ambra avrebbe scoperto cosa significava il proverbio “Non stuzzicare il can che dorme”. E non solo lo avrebbe scoperto, ma glielo avrei fatto assaporare come antipasto.
Mentre, ansiosa, aspettavo il momento in cui la famosa goccia, cadendo nel vaso bello pieno, lo avrebbe fatto traboccare, mi sentii afferrare per un gomito.
<< Castiel, che fai? >> sentii dire da Ambra. Mi voltai e vidi il rosso, scuro in volto, mentre mi tirava a sé, dicendo << Vieni con me, non abbiamo ancora finito! >>
<< Che cosa? >> chiesi ma la mia voce fu sopraffatta dalle urla della biondona che diceva << Castiel, lasciala! Dove diamine la stai portando? >>
Castiel si fermò, e dovetti farlo anche io, lo vidi girarsi e lanciare un’occhiata fulminea a Ambra.
<< Non azzardarti a seguirci! >> disse quasi minaccioso.
Ambra si fermò di colpo. Guardavo quella scena allibita, cercando di capire che cosa stesse succedendo. Mi sentii di nuovo tirare dalla presa del pervertito che sembrava alquanto sicuro di sé. Ci trovammo al lato delle scale. Qui c’era una porticina di metallo, che venne brutalmente spalancata da Castiel.
<< Che stai facendo? >> chiesi iniziando a preoccuparmi << Dove mi porti? >>
<< Sta’ zitta, ed entra >>. Entrammo, lui accese la luce e subito davanti a me vidi un sacco di pacchi e pedane. Quel posto era molto umido e sembrava un ipogeo. Mi guardai intorno tanto incuriosita, quanto spaventata.
<< Perché mi hai portata qui? >> chiesi volgendomi a lui, seria.
<< Il nostro discorso non è ancora finito. Quindi non te ne andare! >>
<< Che cosa vuoi ancora? >> chiesi sbuffando.
<< Allora, ti sei divertita con quel coglione? >> chiese avvicinandosi lentamente.
Indietreggiai, cercando qualcosa che poteva dividerci, ma venni bloccata subito da una pila di pedane, mi appoggiai con le spalle ad esse non distogliendo gli occhi dal rosso.
<< C-che centra adesso Nathaniel? E poi fammi uscire, non ho intenzione di avere una discussione con te, almeno per oggi! >> esclamai incrociando le braccia al petto e volgendo lo sguardo da un’altra parte.
Trasalii non appena sentii lo spaventoso rumore che provocò Castiel, tirando un pugno contro le pedane dietro di me. Lo guardai, era molto vicino. Sentii di tremare, ma non era paura. Non seppi spiegare bene cos’era. L’unica cosa che albergava nella mia mente era un piccolo presentimento e cioè, che da un momento all’altro, quella situazione potesse tramutarsi in qualcosa di grosso.
<< Ma che ti prende? Ti si è storta quella piccola nocella che hai al posto del cervello? >> chiesi cercando di sdrammatizzare la situazione, che si rivelò solo una perdita di tempo, infatti, da lui non ricevetti le solite frecciatine, bensì uno sguardo incomprensibile da descrivere: sembrava arrabbiato, ma allo stesso tempo, desideroso di qualcosa.
<< Fai la difficile con me, ma vedo che con il coglione in cravatta, stai a tuo agio. Non sei altro che una gatta morta travestita da verginella >>.
 Rieccolo comparire quel sorriso beffardo. La maschera teatrale che si era costruito istanti fa, si disintegrò repentinamente sul suo stesso viso, facendo ritornare in scena il vero Castiel.   
Sapevo che andava a finire così. Quel pervertito convinto non faceva altro che beffarsi di me. E io lo avrei ripagato con la stessa moneta. Oltre anche al fatto che quelle parole mi offesero nell’anima.
Cieca di rabbia gli tirai uno schiaffo, facendogli piegare la testa a un lato. Il suo sorriso di colpo scomparve e i suoi occhi iniziarono a luccicare rendendo più profondo e penetrante il suo sguardo.
<< Non azzardarti più a dirmi una cosa del genere! Non stai parlando con quella stronza! Se volevi farti odiare, ti annuncio che ci sei riuscito a meraviglia! Ti detesto dal profondo del mio cuore! >> esclamai tremante di rabbia e cercando di indurire lo sguardo non appena lui mi rivolse il suo.
“Ah, è così? Le mie offese non ti scalfiscono? Ok Castiel, l’hai voluto tu!”
<< Volevi sentire la mia risposta? >> ripresi sfidandolo << Ok… certo che mi trovo a mio agio con Nathaniel! E sai perché? Perché lui è cento volte migliore di te! >>.
Se in quel preciso istante avessi potuto dare un’occhiata al futuro, sarei ritornata nel passato appositamente per stroncare quella frase nel momento in cui ero in procinto di tirarla fuori.
Vidi Castiel tramutare faccia, e questa volta, ciò che iniziai a provare fu timore.
Si fece ancora più vicino, allungò gli avambracci appoggiandoli bruscamente sulle pedane, intrappolandomi poi sussurrò a denti stretti << Apri bene le orecchie, Rea, perché non ho intenzione di ripetere ciò che sto per dirti. Tentare me è come giocare col fuoco, prima o poi ti bruci. Da quando ti ho vista e conosciuta non hai fatto altro che tentarmi. Quindi tieniti pronta, perché ho intenzione di prendermi tutte le tue prime volte. Ho iniziato con il segno sul collo e non ho intenzione di fermarmi. Farò in modo che il tuo cuore palpiti solo per me e per nessun altro, fino al momento in cui mi supplicherai di farti mia… >> la sua voce si stava facendo pian piano più sensuale e il mio cuore sembrava acconsentire alle sue parole.
<< N-non succederai mai >> balbettai con un sibilo non riuscendo però a concepire quella frase con sincerità. Lui sbuffò un sorrisetto, poi afferratomi il viso con una mano sibilò << Sta tutto da vedere >>.
La saliva che cercai faticosamente di mandare giù, si bloccò a metà strada nella gola. Le labbra di Castiel si erano poggiate sulle mie.
Rimasi pietrificata e con gli occhi sgranati sentendo quel lieve bacio farsi più intenso. Con la mano che manteneva il mio viso, Castiel cercò di farmi socchiudere le labbra pronto per insinuare la sua lingua e glielo permisi con facilità dato che non riuscii a resistere alla sua forza, ma non vi trovò nulla.
Cercai di dimenarmi, ma inutilmente, lui afferrò le mie braccia bloccandomele contro le pedane. Avendo il viso libero, scansai quell’ardente bacio girando la testa a un lato. << Ah, Castiel… perché…  >> balbettai con il fiatone. Lui dolcemente, liberò le mie braccia, mi accarezzò il viso riportandolo di nuovo verso di sé e accarezzandomi le labbra con il pollice, mi alzò il mento, mi indusse a dischiudere il labbro inferiore e, guardandomi con quel sensuale sorriso, ripoggiò la sua bocca che ardeva, contagiandomi di piacere. La sua lingua si intrufolò ancora e questa volta incontrò la mia che non si oppose al suo bruciante tocco.
Non lo avrei mai voluto ammettere, forse potevo ingannare gli altri, ma non me stessa. Giocare con il fuoco non era affatto spaventoso. Castiel ardeva come le rosse fiamme e mi piaceva.
Dopo poco, ci allontanammo, io abbassai lo sguardo, lui, mantenendomi dalla nuca rivelò un leggero affanno.
<< Era il mio… primo bacio >> sibilai piangendo. E quelle lacrime erano tutto fuorché di tristezza.
 

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Capitolo 14
*** Una domanda per cambiare tutto ***


14.
UNA DOMANDA PER CAMBIARE TUTTO

Semmai avessi raccontato la mia vita a qualcuno, sicuramente, questi avrebbe frainteso tutto. Dopo tutte quelle parole, più che romantiche, avrei potuto nominarle: minacciose.
E dopo quel bacio: il primo bacio ardente della mia vita, io stessa avrei potuto pensare “Sono fidanzata”.
“Ah, ah, ah!”. Questa fu la reazione che ebbe la mia mente al solo pensiero.
“Figurati! Sei stata avvertita che da un momento all’altro potrai perdere le tue prime volte e secondo te questa è una dichiarazione d’amore o una richiesta di fidanzamento?
 Lo so! Non farmici pensare, l’ho capito nel momento in cui, lui si è distaccato da me, ha abbozzato un sorriso quando ho sibilato – era il mio primo bacio - e se n’è andato lasciandomi sola in questa specie di sepolcro… Ah, ah, ah! Che idiota che sei! Credi ancora nelle fiabe? Non si può certo dire che Castiel sia il principe azzurro, ha anche i capelli rossi, ma andiamo!
No, non va bene! Mi sto prendendo in giro da sola. Ho proprio toccato il fondo”.
Sorrisi sarcastica, sbattendo velocemente le palpebre per scacciar via le ultime lacrime. Rimasi appoggiata alla pedana e portai l’indice della mano sinistra sulle mie labbra che pulsavano ancora dal suo veemente tocco, le sfiorai con le unghie.
Fissavo il vuoto pensando al motivo di quella reazione. Perché Castiel mi aveva detto quelle parole? Se non mi amava, e di sicuro non era innamorato di me, perché dirmi questo? Che cosa avevo fatto di male per indurlo a un atteggiamento del genere? L’odio che aveva per Nathaniel era così profondo, da fargli perdere la ragione?
Quelle mille domande mi scombussolarono la mia, di ragione. Per non impazzire, mi diedi un’unica risposta: Castiel era un insensibile pervertito maniaco, amava beffarsi di me e quello era stato solo un modo strafottente per farmelo capire.
“E non preoccuparti Castiel, l’ho capito a meraviglia. Per te sono un gioco? Ok, però sta’ attento a non romperlo il gioco, perché non ne avrai un altro, te lo posso assicurare”. In quel momento cosa avrei dovuto fare? Uscire da quella tomba, recarmi nel laboratorio di chimica e fare finta che non era successo niente? “Cavoli, come posso fare l’indifferente? Era il mio primo bacio, cazzo!”.
 
 
Non appena misi piede nel laboratorio, dovetti iniziare a difendermi, soprattutto dagli sguardi minacciosi che mi lanciò Ambra.
<< Signorina Rea, come mai è in ritardo? Vada al suo posto >> disse il professore senza darmi neanche il tempo di rispondere e fu meglio così, anche perché non sapevo cosa dire.
Sfortunatamente, essendo arrivata tardi, dovetti andare a sedermi in fondo all’aula accanto a Castiel, che era giunto minuti prima. Esitai, poi tirando un lungo respiro, mi diressi al mio posto, ma non potei sedermi poiché, i piedi del rosso giacevano accavallati e indisturbati sulla sedia.
Il mio piano per non calcolarlo, andò letteralmente in fumo, senza degnarlo di uno sguardo mormorai di spostare le gambe. Lui non si mosse.
<< Castiel, non ho voglia di sentire la voce del professore! Sposta le gambe! >> sbuffai innervosita. Lui accontentò la mia richiesta senza ribattere.
Mi sedetti allontanandomi di qualche passo. Lui rise.
<< Perché scappi? >> chiese con un sussurro << Ti stai preoccupando per ciò che ti ho detto? >>
<< Figurati! >> risposi senza guardarlo.
Si avvicinò, appoggiò il gomito sul tavolo e sulla mano la testa rivolta verso di me. Con l’altra mano, mi accarezzò il braccio facendomi rabbrividire la pelle. << Non preoccuparti, non ho intenzione di far niente contro il tuo volere. Sarai tu a venire da me. >>
<< Sei un grande sognatore, sai? >> dissi sarcastica. Lui sbuffò una risata. << Non succederà mai, Castiel >> continuai indurendo la voce << e sai perché? Perché i tuoi maledetti comportamenti, hanno fatto accrescere in me un fastidio e un’irritazione. Mi dai fastidio! Ti detesto >>
Le sue risa, mi fecero capire che non l’avevo scalfito per niente.
<< Non sai mentire >> rivelò.
<< Non sto mentendo! >>
<< I tuoi atteggiamenti dicono il contrario >> si chinò verso il mio orecchio e mi sussurrò << ti ho sentita fremere sotto il mio bacio >>
<< Non è vero! >> esclamai alzandomi in piedi, attirando l’attenzione della classe e soprattutto quella del professore che si tolse gli occhiali e disse.
<< Se non è vero, signorina, mi dica lei la vera formula dell’acqua >>
<< Oh, mi scusi, avevo capito male >> risposi imbarazzata. L’intera classe scoppiò a ridere fragorosamente. Mi sedetti affondando la testa nella spalle, dalla vergogna. Naturalmente anche il pervertito tinto di rosso rideva, lo guardai con tutta la mia ira, lui mi ricambiò facendomi un occhiolino.
<< Maledetto! >> sussurrai a denti stretti << era il mio primo bacio >>
<< E non sarà l’ultimo >> rispose incrociando le mani dietro la nuca. Prima che potessi ribattere, suonò la campanella e il primo ad alzarsi e a uscire fu lui.
Mi accinsi anch’io ma Ambra me lo vietò, mettendosi di fronte a me e piazzando ai lati le due guardia-spalla.
“Ci risiamo!”
<< Che altro vuoi, Ambra? >>
<< Non fare l’infastidita! >> gracchiò << devi dirmi subito cosa vi siete detti tu e Castiel! >>
<< Niente di importante >> rivelai indifferente, raccogliendo la borsa e mettendomela sulla spalla. Lei me l’afferrò con fare brusco, strappandomela dalle spalle e la gettò per terra e tutto questo sotto i miei occhi allibiti.
Le pulsazioni ai nervi, che percorrevano le tempie, iniziarono a pulsare freneticamente. L’irritazione annebbiò la mia vista. Il tremito prese il posto della calma. Come un automa alzai il braccio e lo scaraventai violentemente contro il banco facendovi sobbalzare le ampolle. La guardai con occhi infuocati, la vidi trasalire e indietreggiare. Le sue compagne si ripararono dietro di lei.
<< Sparisci dalla mia vista!! >> urlai con una voce che non era la mia, ma quella di un orco.
<< È… è impazzita!? >> esclamò balbettando. Ringhiai facendo un passo avanti. Lei tremò ancora di più e se ne andò correndo. La mia ira si placò all’istante, mi chinai per raccogliere la borsa, incrociando la mano di Armin che mi guardava con un sorriso.
Allontanai la mano e ci pensò lui a prendere la borsa.
<< Grazie, Armin >> dissi arrossendo.
Lui me la porse, poi scoppiò a ridere. Lo guardai incuriosita
<< Che c’è? >>
<< Sei davvero forte, Rea >>
<< Non capisco >>
<< Sei riuscita a far scappare Ambra a gambe levate, sono fiero di te >> esclamò divertito avvolgendomi le spalle con un braccio. Uscimmo così in corridoio, recandoci all’uscita.
<< Torni a casa? >> mi chiese ad un tratto.
<< Sì, oggi tocca a me preparare il pranzo >>
<< Allora ti accompagno. Mio fratello esce tardi >>
<< Va bene >>. Ci incamminammo verso casa mia, durante il tragitto, Armin mi chiese il motivo per il quale non ero rimasta a colazione da loro quella mattina.
<< E-ecco, dovevo cambiarmi prima di venire a scuola >>
<< Ma potevi farti prestare qualcosa da Rosalya, quella ragazza, anche se non abita con noi, ha un armadio tutto suo in camera di Leigh >>
“Sì, mi farei prestare qualcosa da Rosalya, nel momento in cui il liceo diventasse un istituto per nudisti”
<< Non importa >> risposi sorridendo.
Arrivati davanti al cancello di casa mia, lo invitai ad entrare a prendere qualcosa da bere. Lui accettò.
Aprii il frigorifero chiedendogli che cosa preferiva tra succo d’ananas e aranciata. Scelse il succo. Presi due bicchieri riempiendoli. Poi mi ricordai che in uno scaffale c’era seppellita da tempo una busta di patatine, la presi vedendo prima la scadenza, per fortuna erano ancora buone. Portai tutto al tavolino. Armin stava guardando la sua psp, e imprecava sibilando. Quando vide le patatine i suoi occhi si illuminarono, allungò la mano e ne raccolse una manciata.
<< Come sapevi che adoro le chips? >>
<< Non, non lo sapevo >> risposi illuminando la mia mente.
<< Le adoro >> disse a bocca piena.
Passammo qualche ora a parlare del videogioco che aveva intenzione di creare. Poi, al ritorno di zia Agata, si alzò per congedarsi, ma prima di andarsene, mi chiese se potevo accompagnarlo fino al lago. Accettai e scorgendo un lieve rossore sulle sue guance, mi incuriosii.
Camminava avanti e sembrava essere nervoso; poi lo vidi fermarsi e voltarsi verso di me.
<< Ehi, Rea… >>
<< Dimmi? >> chiesi sorpresa. Lui distolse gli occhi dal mio viso << è… è successo qualcosa? >> aggiunsi incuriosita.
<< Ecco, io volevo… >>, l’abbaiare di un cane lo interruppe, si volse e ridendo, accolse fra le sue braccia Damon, mi girai intorno per scorgere il padrone, lo vidi in lontananza mentre si incamminava verso di noi.
<< Ehi, Damon, che ci fai qui, bello? >> diceva Armin accarezzandolo, e lasciandosi leccare. Non appena mi vide, il cane iniziò a ringhiare e, spaventata, feci due passi indietro.
<< Ehi, Armin, sarà meglio che vada… >>
<< No aspetta… >> disse il moro.
<< Sì, aspetta! >> esclamò la fastidiosa voce del pervertito che era ormai vicino. Mi girai verso di lui seria.
<< Cass, perché sei qui? >> chiese Armin.
<< Mi ci ha trascinato Demon, deve aver sentito profumo di carne vergine >> rispose beffardo guardandomi.
“Maledetto!” esclamai con gli occhi.
Decisi di non calcolarlo, rivolsi un sorriso al moro e chiesi con una vocina << Allora Armin, che cosa volevi dirmi? >>
<< Ah, ecco… è un po’ imbarazzante per me… >> rispose mettendosi la mano dietro la nuca e avvicinandosi << Volevo chiederti se… volessi uscire con me? >>
Il mio cuore diede un colpo secco che la natura percepì come uno sparo di fucile, perché molti uccelli si innalzarono in cielo, allontanandosi da quel posto.
Era la prima volta che un ragazzo mi chiedeva un appuntamento. L’imbarazzo mi stuzzicò il volto, facendomi arrossire. Istintivamente, i miei occhi si posarono su Castiel che mi guardava con un’aria indifferente.
In un baleno, mi vidi rivivere per la seconda volta le situazioni di quella giornata. Le cose stavano cambiando come la notte che dà vita al giorno. Fissando Castiel, mi chiesi, cosa avrei risposto ad Armin.
 

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Capitolo 15
*** Appuntamento inconsapevole ***


15.
APPUNTAMENTO INCONSAPEVOLE
 
I raggi del sole pomeridiano si immersero nel glaciale sguardo di Armin che mi sorrideva aspettando una mia risposta. Ero troppo occupata a cercare di scorgere qualche atteggiamento strano da parte di Castiel e, come mi aspettavo, non ci fu. Non sapevo cosa rispondere, certo, un appuntamento con Armin mi allettava molto, però…
“Un momento. Se accetto, questo sarà il mio primo appuntamento, e non sarà Castiel il primo, quindi non si avvererà ciò che si è ossessivamente progettato di fare! Ah, ah! Ben gli sta, così impara a fare il presuntuoso! Volevi essere il primo? Volevi fregarti le mie prime volte? Prova a farlo adesso!”.
<< Certo che accetto Armin >> risposi esibendo il sorriso più radioso che possedevo. Non vidi la reazione di Castiel, perché il moro mi si piazzò davanti esclamando la sua contentezza.
<< Allora ti andrebbe bene stasera? >>
<< Certo, a che ora? >>
<< Verso le venti? Ci possiamo incontrare qui, se vuoi. >>
Annuii reggendo il sorriso. Ci salutammo e me ne tornai a casa.
In cucina, zia Agata aspettava al tavolo, apparecchiato. Andai al rubinetto a lavarmi le mani e poi presi posto di fronte a lei.
<< Se continui a ridere ti verranno le rughe >>
<< Sono troppo contenta e soddisfatta per far sparire questa mia espressione dal viso >>
<< Cos’è successo di tanto meraviglioso? >> chiese guardandomi sottocchio. Dato che con mia zia avevo un rapporto come tra sorelle, le raccontai tutto quello che era successo quella mattina.
<< Cosa?! >> esclamò facendo cadere le posate sul piatto << Castiel ti ha baciata? >>
Annuii indifferente, portando il bicchiere colmo d’acqua alle labbra.
<< Perché quella faccia? >> chiesi dopo aver inghiottito la bevanda.
<< Ma questo vuol dire… state insieme? >>
<< Assolutamente no! >> risposi sbattendo il bicchiere sul tavolo << è categoricamente impossibile, che ciò avvenga! Castiel ed io siamo come l’acqua e l’olio, la notte e il giorno. Capisci ciò che intendo? >>
<< Ma allora perché gli hai permesso di baciarti? >>
“Già! Perché? Bella domanda… “. Non risposi, mi alzai e iniziando a sparecchiare aggiunsi << E poi stasera esco con Armin, quindi, per me quello che è successo con Castiel… non ha alcuna importanza. >>
<< Ma io non ti capisco! Perché non gli hai chiesto il motivo del suo atteggiamento? Ogni azione ha una spiegazione >>
<< Come se lui mi avrebbe risposto! >> esclamai irritata << se è vero che lo conosci, dovresti sapere che è solo un pervertito maniaco e con l’aggiunta di insensibile! Ascolta, cambiamo discorso, non ho voglia di irritarmi per lui… vado a riposarmi, voglio essere lucida e libera da cattivi pensieri, almeno per stasera >>.
Mi diressi in camera, mi appoggiai sul letto, tolsi gli occhiali e abbassai le palpebre cercando di addormentarmi.
Il sogno che mi visitò fu talmente sfuggente che mi fu difficile ricordarlo al risveglio.
La prima cosa che guardai fu il cielo, aveva poche sfumature di tramonto, poi volsi lo sguardo all’orologio e mi accorsi che erano le diciannove. Avevo dormito per quattro ore? “Ovvio, sei talmente incasinata di mente che appena chiudi gli occhi cadi in coma”. Mi alzai, presi il cambio dell’intimo e mi andai a fare una doccia.
Rimasi più di un quarto d’ora piantata davanti l’armadio spalancato per scegliere cosa indossare. Non volevo apparire né troppo elegante, né troppo casual. Cosa potevo indossare? La scelta ricadde su un paio di bermuda blu, una maglia bianca stampata Paris, un giubbottino in pelle blu notte, un paio di thigh-highs nere, e le amate ballerine blu. Mi vestii in fretta, diedi un’occhiata allo specchio e decisi di lasciare i capelli sciolti. Indossai gli occhiali e scesi al piano di sotto.  Zia Agata era al negozio. Ricordai di prendere le chiavi, e uscii. 
Arrivata nei pressi del lago, diedi un’occhiata all’orario, mancavano cinque minuti alle otto e di Armin neanche l’ombra. Iniziai ad avere qualche dubbio.
“Non è che non mi fido… ma, ecco… è vero, non mi fido!”. E come potevo? Dopo la scena del giorno prima che si era dimenticato dell’appuntamento per andare a casa sua, ebbi il cattivo presentimento che se ne fosse dimenticato un’altra volta.
 Ad un tratto sentii squillare il cellulare, diedi un’occhiata allo schermo prima di rispondere, era lui. Tossii, poi accettai la chiamata.
<< Armin, dove sei? >> chiesi gentilmente.
<< Rea, scusami, sono ancora a casa… >>
“Lo sapevo”
<< Senti, perdonami, ma ti dispiace se rimandiamo l’appuntamento? >>
<< Pe-perché? >> balbettai nel tentativo di mantenere la calma.
<< Non volermene, ma mi hanno regalato l’ultima uscita di Assassin’s Creed e lo aspettavo da tanto tempo, capisci? >>
“Ma vaffan… No che non capisco, porca miseria! Tu devi uscire con me! Non sai per niente trattare le donne!”.
<< Non ti preoccupare Armin >> risposi mal celando una voce tremante di rabbia << Anche perché, avevo già in mente di fare qualche altra cosa. Ciao >>
“Sentiamo, genio. Cos’avevi intenzione di fare? Sei proprio una sfigata.”
Mi guardai intorno, il cielo ormai si era scurito e, guardando le luci del paesello, decisi di andare al negozio di Agata. Almeno lì, sapevo che nessuno mi avrebbe rotto le scatole.
Mi sbagliavo. In negozio c’era Rosalya che dava una mano a Leigh e, con mia infastidita sorpresa vi trovai anche il rosso, seduto al bancone occupato a parlare con mia zia.
Entrai mogia. Salutai con un sibilo.
<< Rea, perché sei qui? >> chiese Agata, interrompendo la conversazione con il rosso e avvicinandosi a me.
<< Per favore, un bicchiere d’acqua >>, dissi per non rispondere alla domanda davanti al pervertito.
<< Vieni, te lo do subito >> disse lei allontanandosi. Mi avvicinai al bancone guardandomi bene dal tenermi alcuni metri di distanza da Castiel che, in compenso, iniziò a squadrarmi dalla testa ai piedi.
<< Perché non mi fai una foto? Così ti togli il pensiero! >> dissi annoiata.
<< Perché accontentarmi di una foto, quando posso avere l’originale? >> ribatté lui beffardo << Cos’è, sei uscita alle otto e alle otto e un quarto hai il coprifuoco? >>
<< Fatti gli affari tuoi >> risposi a denti stretti.
<< Scommetto che ti ha bidonata >> continuò con lo stesso tono. Cercai di non dargli la soddisfazione di ricevere una risposta, iniziando a battere nervosamente le unghie sul piano in legno.
Zia Agata si avvicinò porgendomi il bicchiere d’acqua. Lo afferrai velocemente e in tal modo ingoiai il liquido trasparente
<< No, non ci posso credere! Ti ha bidonata, per uno stupido videogioco? >>
A quella reazione, sempre molto indiscreta, da parte di mia zia, l’acqua mi andò di traverso. Iniziai a tossire, sentendomi soffocare. Rosalya mi aiutò dandomi dei colpetti dietro la spalla. Quando mi ripresi, guardai mia zia con occhi lucidi dallo sforzo << Come diavolo…? >> chiesi soffocata.
Lei mi mostrò il cellulare e rispose << sapevo che non mi avresti detto il motivo, così l’ho chiamato… non riesco a credere a quello che ho sentito! >>
“Zia, ti ammazzo!!!”.
A completare l’opera ci furono le strafottenti risate di Castiel, lo vidi contorcersi, avvolgendosi lo stomaco con le braccia.
“Anche questo no, non posso sopportarlo!” anche le lacrime si arresero a quella sfiga, decidendo di non sprecarsi invano.
<< Hai finito? >> chiesi minacciosa.
<< Ah, ah, ah… lo sapevo… Ah, ah, ah >>
<< Smettila Castiel! Mi stai facendo perdere la pazienza >>
Il rosso ci mise un bel po’ a calmarsi. Ero stanca, non volevo vedere né sentire più niente. Quello che doveva essere il mio primo appuntamento si era trasformato nel mio primo bidone. Peggio di così non poteva andare, o forse sì?
A quel punto mi alzai allontanandomi dalla sedia.
<< Ne ho abbastanza >> mormorai mogia << me ne ritorno a casa >>, salutai tutti e uscii. L’aria si era raffreddata e il venticello che vi svolazzava colpì delicatamente il mio corpo facendomi rabbrividire. Istintivamente, portai le mani alle braccia strofinandomele. Ad un tratto sentii qualcosa di leggero appoggiarsi su di me, trasalii guardandomi le spalle, era un giubbotto, ne riconobbi il profumo, mi voltai incrociando lo sguardo stranamente serio di Castiel.
<< La sera qui fa freddo >> sussurrò << avresti dovuto metterti una giacca più pesante >>.
Non avevo né la voglia né la forza di arrabbiarmi con lui e fu soprattutto il suo tono di voce a tenermi tranquilla << Grazie >> mormorai stringendomi nel suo giubbotto.
<< Allora… il tuo sperato appuntamento… >>
“Eccolo che ricomincia”
<< Castiel non iniziare… >>
<< Te ne ritorni a casa? >> chiese ancora una volta serio.
Annuii senza rispondere. Proseguimmo il cammino in silenzio. Ad un tratto scorgemmo delle luci in lontananza e della musica.
<< Cos’è? >> chiesi cercando di focalizzare il posto.
<< È la fiera di primavera. La fanno ogni anno >> rispose lui << vuoi darci un’occhiata? >>
Feci spallucce, lui sorrise e camminò avanti e lo seguii.
Il posto era stracolmo di gente. Castiel e io c ‘inoltrammo in quella foresta. Detestavo le parti affollate, ma ero anche curiosa di vedere quel posto. Camminavo dietro al rosso e istintivamente, forse per non allontanarmi da lui, gli afferrai un lembo della maglia tirandogliela. Lui si girò e mi guardò incuriosito, poi sorrise, mi afferrò la mano e continuò a camminare. Ci fermammo davanti alla bancarella dei cd musicali e potete immaginare la sua contentezza nel rimanere ad osservarli. Io lo guardavo curiosa. Sembrava un’altra persona, non era il solito Castiel dai modi perversi.
Sentendosi osservato si voltò verso di me << che c’è? >> mi chiese. Alzai le spalle volgendo lo sguardo da un’altra parte, poi passammo davanti alla bancarella del tiro a segno e, vedendo un peluche di tigrotto, la passione per quel animale mi invogliò a cercare di vincerlo. Fermai il chitarrista dicendogli che volevo giocare. Lui mi guardò divertito, accettò e si mise al mio fianco.
Decisi di usare il fucile. Presi la mira e la battuta di Castiel uscì fuori, invitando il proprietario della bancarella ad allontanarsi se ci teneva alla vita. Gli lanciai uno sguardo fulmineo, poi ritornai a concentrarmi per colpire il bersaglio. Sparai, ma mancai la presa. Castiel non perse tempo a ridere, irritata gli puntai la canna del fucile, minacciandolo, per farlo smettere. Lui alzò le mani in segno di resa e come feci per abbassare l'arma, si mise dietro di me, mi toccò la mano prendendo il fucile al posto mio, lo mise in posizione di mira e sempre attaccato alle mie spalle, iniziò a colpire tutti i bersagli.
Non ne mancò uno.
Il peluche era mio.
Guardandolo sorrisi contenta e accarezzai il musino del tigrotto, ma me lo vidi strappare dalle mani. L’aveva preso Castiel.
<< Ridammelo! >> esclamai.
<< Cosa ti ha fatto credere che te l'avrei dato? Ho sparato io, quindi l'ho vinto io >>
<< E cosa te ne fai tu di un peluche? >>
<< Penso che lo darò a Demon >>
<< Non farmi arrabbiare Castiel, ridammelo! >> esclamai avvicinandomi per prendere il pupazzo. Lui si scansò alzando il braccio impendendomi di raggiungere il tigrotto.
<< E tu cosa mi dai in cambio? >>
Sapevo che quella domanda non avrebbe portato a nulla di serio. << Cosa, vorresti? >> chiesi comunque.
<< Molte cose >> rispose sarcastico << vediamo... Inizia con l'ammettere che ti piaccio! >>
"E ti pareva!". << Te lo puoi tenere! >> esclamai voltandomi e iniziando ad incamminarmi.
<< Ehi, Rea? >> esclamò ridendo. Mi voltai infastidita, lui mi lanciò il peluche che afferrai abilmente.
<< Che significa? >> chiesi non comprendendo la ragione di quel gesto. Lui si avvicinò standomi di fronte.
<< Tienilo come ricordo, del nostro primo appuntamento >>
Quella frase trafisse i miei timpani, lasciandomi esterrefatta. Guardai Castiel, sorrideva vittorioso e anche se non aggiunse altro, sapevo ciò che intendeva.
Immaginai quelle mancate parole << Ho vinto io >> avrebbe voluto dirmi.
Ed era vero.
Inconsapevolmente, il mio "primo appuntamento" fu con Castiel.
 

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Capitolo 16
*** Piccolo momento di serietà ***


 16.
PICCOLO MOMENTO DI SERIETA’
 
In quei pochi giorni passati nel paese in cui mi ero trasferita per scelta dei miei genitori che, dopo diciassette anni della mia vita passata nella solitudine, si erano decisi ad interessarsi alla mia esistenza, alcune situazioni stavano radicalmente cambiando la mia vita.
Questo paese era stato testimone del mio primo bacio e del mio primo appuntamento, avvenuti, senza preavviso, con la stessa persona che si era ripromessa, dopo una discussione tagliente nei suoi confronti, di prendersi tutte le mie prime volte.
Fino a quel momento, ci era riuscito. Mi resi conto che se non avessi preso al più presto provvedimenti per evitarlo, questo avrebbe sicuramente portato a termine il suo minaccioso avvertimento.
Ma cos'è che potevo fare? Le situazioni, prima di crearsi, studiavano per filo e per segno ciò che poteva diventare futuro. Se, nel caso avessi potuto pensare ad un modo per non avere collegamenti con il pervertito pittato di rosso, il fato non perdeva tempo a schierarsi dalla sua parte, regalandogli innumerevoli chance.
L'unica cosa che potevo e che mi ero ripromessa di fare era così semplice: non dovevo assolutamente innamorarmi di lui, almeno così, avrei potuto salvare una parte delle mie prime volte, quella che ritenevo la più sacra. Ed ero sicura che in quel modo lui non sarebbe andato oltre, anche perché l'aveva già detto che non avrebbe fatto nulla contro il mio volere.
"Non innamorarmi di lui... Tzé, che ci vuole? Anche se ammetto di avere un'attrazione per quel maniaco, farlo diventare amore, questo non succederà mai!". Questo era ciò che pensavo fino a quel giorno... ma avrei mai potuto immaginare che lo scorrere irrefrenabile del tempo mi avrebbe portato a situazioni alquanto... pazzesche?
Con il passare dei giorni e la venuta di aprile il rapporto, di "amicizia" con Castiel cresceva ancora di più. Le sue beffe, i suoi modi di fare perversi, le sue frasi in codice, erano ormai all'ordine del giorno.
Evitarlo? Difficile;
Ribattere? Non ne valeva la pena;
Odiarlo? Era impossibile!
Non esisteva modo per neutralizzarlo. L'unica cosa che mantenni vivida, fu fargli capire che lo detestavo, e mostrarmi sempre irritata dopo le sue battutine. Ma come potevo comportarmi quando ci ritrovavamo in situazioni come quella che capitò verso la fine del mese?
Era l'ora di educazione fisica, ci trovavamo in palestra e stavamo giocando a pallavolo. Maschi contro femmine. Non maledissi chi scelse la divisione delle squadre, per non scombussolare la mia povera mente già provata.
Nel mio gruppo, soltanto Kim ed io sapevamo giocare. Iris aveva dei riflessi da invidiare a quelli dei bradipi; Violet trattava la palla come veleno, si scansava ogni qualvolta gliela lanciavano; per non parlare delle tre caravelle di Cristoforo Colombo, dopo la prima battuta, uscirono dal campo per non rischiare di spezzarsi le unghie pittate.
I maschi se ne approfittarono, dirigendo le loro battute sempre sulle più indifese.
Kim e io, a quel punto, decidemmo di cercare una tattica. Dovevamo piombarci nelle posizioni delle altre per cercare di mantenere la palla in aria e aggiudicarci almeno un set. Kim era sempre determinata a vincere quando si trattava di sfide, soprattutto se erano contro i maschi. Era un suo modo per fargli capire che la donna, soprattutto lei, poteva essere alla loro altezza.
Demmo vita ad una vera e propria guerra tra sessi e solo dopo aver segnato per la quarta volta, mi resi conto che stavamo esagerando, quando, per scansare Iris dalla micidiale schiacciata di Castiel, sbagliai posizione prendendo in pieno volto la pallonata. Sentii la cartilagine e il setto nasale frantumarsi pezzo per pezzo, gli occhiali dividersi in due e scivolarmi dal viso e per completare, il pavimento mi accolse bruscamente. La palla scivolò a un lato e si allontanò saltellando indifferente, le orecchie percepivano soltanto voci confuse, solo una risata gracchiante fu ben udibile, la visuale mi si era annebbiata e le ombre che si stendevano su di essa furono indistinguibili.
Quando riacquistai lucidità, mi ritrovai con il volto appoggiato ad una stoffa rossa, l'odore che emanava, era molto forte e travolgente, sentii che mi stavo muovendo ma non erano le mie gambe a farlo perché me le vidi sospese, afferrate dalla parte posteriore. Alzai lo sguardo per vedere chi mi stava reggendo. Mi bastò guardare il suo collo con ciuffi rossi che vi si appoggiavano.
Mi allontanai dal suo petto e lo fissai in volto.
<< Mettimi giù >> ordinai con voce rauca, << Dove mi stai portando? >>
<< Smettila di agitarti! >> esclamò lui stringendo la presa alle gambe e dietro la schiena << Ti sto portando in infermeria, me l’ha ordinato il professore >>
<< E perché l’ha ordinato a te? >>
<< Indovina da chi l’hai presa la pallonata? >> chiese sarcastico.
Mi doleva troppo la testa per ribattere, inconsciamente la riappoggiai sul suo petto e chiusi gli occhi.
<< Dove sono i miei occhiali? >>
<< Nella spazzatura >>
Sospirai arresa. Arrivati in infermeria, Castiel mi adagiò gentilmente sul letto, ma mi alzai subito, dicendo che stavo meglio.
<< Non me ne frega niente se stai bene >> disse lui stendendosi sull’altro lettino, appoggiando le mani dietro la nuca, accavallando le gambe e chiudendo gli occhi << rimaniamo qui, non ho voglia di ritornare in palestra, giocare contro voi femmine è così noioso >>
<< Non farti sentire da Kim >> dissi con un sorriso.
<< Avvisami se arriva l’infermiera >> mormorò.
“Si sta addormentando per davvero? Non ci posso credere! Non si sta interessando per niente a come sto… è davvero insensibile”.
Mi alzai sbuffando, mi avvicinai allo specchio, l’immagine che vidi riflessa faceva invidia alla bambina di The Ring. Avevo tutta la piramide nasale arrossata e gonfia, per fortuna non era uscito sangue, provai a toccarmi gli zigomi, ma dovetti subito ripensarci, che il dolore era atroce. Mi voltai verso Castiel che si era girato su un fianco e dormiva beatamente. Feci una smorfia “Che stronzo! Era lui che doveva medicarmi la ferita, invece, sta dormendo… “.
Mi guardai intorno per cercare qualcosa adatta per la botta. Aprii una credenza e presi una busta di ghiaccio istantaneo, lo poggiai su un tavolino, diedi un colpo secco al centro e l’agitai velocemente, quando sentii che la busta si fu congelata del tutto, me la poggiai delicatamente sul naso. Trovai un minimo di sollievo, la parte colpita non pulsava più dal dolore.
Ad un tratto suonò la campanella, rivolsi lo sguardo a Castiel e lo chiamai avvisandolo. Non si mosse. Mi avvicinai continuando a chiamarlo, ma qualcosa su di lui catturò la mia attenzione. Fu la sua espressione stampata sul volto. Mi sedetti sulla sedia di fronte a lui e lo guardai concentrata. Quando dormiva sembrava diverso, quasi spensierato. Scesi con lo sguardo fermandomi sulle sue labbra dischiuse. Le fissai intensamente, non accorgendomi che mi ci stavo avvicinando.
Le ricordai ardenti e travolgenti sulle mie, morbide e allo stesso tempo voraci. Rammentai il forte sapore della sua lingua autoritaria, che quel giorno cercò irrefrenabile la mia.
Mi accorsi di aver intensificato il respiro, una forte ansia iniziò ad invadere il mio corpo e anche un formicolio al basso ventre si fece sentire. Quando mi accorsi che mi ero avvicinata troppo a lui, indietreggiai, e tirando un lungo respiro, mi alzai, ma subito fui bloccata per un braccio, trasalii guardando verso il basso. Castiel mi teneva il polso, guardandomi con lo stesso sguardo di quando mi aveva dato il primo bacio.
<< C-che c’è? >> chiesi balbettando con un sibilo.
Non ricevetti risposta, mi tirò a sé afferrandomi la nuca, libera da capelli che avevo raccolto in uno chignon deforme e avvicinò il suo viso al mio.
Ero bloccata e non riuscivo a muovermi. Ci guardammo negli occhi, poi sussurrò << Possibile che debba sempre iniziare io? >>
Non ebbi neanche il tempo di comprendere quella frase che lo vidi piombare sulle mie labbra. La sua mano lasciò lentamente il mio polso e in tal modo salì lungo il braccio regalandomi un brivido, poi mi accarezzò la spalla e scese lungo il petto. Non appena il suo palmo toccò il mio seno, gli afferrai la mano e cercai di divincolarmi.
Castiel si sollevò dal lettino, reggendomi la nuca, mi guardò sorridendo, poi mi tirò facendomi stendere al posto suo e mettendosi a gattoni su di me. Mi bloccò le braccia con le sue e con lo sguardo scese sul mio petto.
<< C-che vuoi fare Castiel? >> balbettai tremante.
<< Dovrei dare più fiducia al mio intuito >> rispose ridendo e continuando a fissare il mio seno.
<< C-cosa? >> chiesi allibita.
Mi lasciò, si alzò mettendosi di spalle, << che cavolo stai dicendo? >> ribattei innervosita.
Si rigirò e con un dito mi indicò il petto. Mi guardai non comprendendo.
<< Porti una quinta, vero? >>
“Non posso crederci! È veramente impossibile!”. Strinsi i pugni dalla rabbia, mi alzai dal letto e mi recai alla porta. Era l’unica cosa da fare, se non volevo peggiorare la situazione, ma fui bloccata un’altra volta dalla sua presa, mi girai di scatto guardandolo male, lui mi poggiò un fazzoletto sul naso. Strinsi gli occhi dal dolore che mi provocò il suo tocco.
<< Ti sta sanguinando e non te ne sei accorta >> mormorò. Afferrai il fazzoletto scansandogli la mano, mi diressi al lavandino aprii il rubinetto, bagnai un lembo e mi pulii delicatamente il naso facendo attenzione a non farmi male. Il sangue si fermò subito. Mi guardai allo specchio e lì vidi riflessa la sua immagine, gli feci una smorfia, mentre lui sorrise.
<< Perché non te ne vai in classe? >> chiesi duramente.
<< Perché ti agiti? Ci sei rimasta male perché ti aspettavi qualcosa di più? >>
<< Neanche per sogno! >> esclamai voltandomi per averlo difronte.
<< Ahi! >>, il naso era ritornato a farmi male.
Lo sentii sbuffare un sorriso poi si recò alla credenza, prese una scatolina lunga, vi tolse il contenitore della pomata e si avvicinò a me. Guardava serio i suoi movimenti, poi volse gli occhi verso di me e allungò la mano sul mio naso.
Indietreggiai, ma lui mi afferrò l’avambraccio.
<< Sta’ ferma! >> esclamò << devo metterti la pomata >>
<< Che ne sai tu che pomata serve? >> chiesi beffarda.
<< Vivendo da solo impari molte cose >> rispose secco.
<< Lo so… >> dissi dopo un po’.
Castiel mi guardò incuriosito mentre mi spalmava delicatamente la pomata sul naso << anche io ho sempre vissuto da sola, prima di venire qui da mia zia >>
<< Non hai i genitori? >> chiese serio.
<< Sono eternamente occupati con il loro lavoro. E i tuoi? >>
<< Mio padre possiede un’industria di costruzione di veicoli aerei e mia madre è hostess >>
“Un momento… stiamo parlando? Non ci credo! Sto avendo una discussione seria con Castiel? Non può essere uno scherzo, il primo aprile è già passato da un pezzo! Dovrò segnare questa giornata negli eventi del mio cellulare”.
Ero rimasta esterrefatta da quel comportamento. Guardai intensamente la sua espressione. Come potevo odiarlo? Era impossibile. Poteva essere perverso, scontroso e anche presuntuoso, ma conoscendolo bene, tutti potevano accorgersi del suo lato dolce e gentile.
Scorsi un lieve sorriso sulle sue labbra.
<< Perché ridi? >>
<< Di’ la verità… ti stai eccitando? >>
<< Cosa?! >> “Rimangio immediatamente tutto quello che ho appena detto! Castiel è solo un bastardo pervertito!”
<< Sei arrossita in volto e hai anche gli occhi lucidi, per non parlare del tuo respiro… >>
Irritata, gli strappai dalla mano il barattolo della pomata e mi allontanai da lui, continuando a massaggiarmi nervosamente il naso.
<< Fa’ piano, altrimenti farai uscire un’altra volta il sangue >> disse ridendo.
Imprecai dal dolore, ma continuai dandogli le spalle. Dopo pochi secondi lo sentii avvicinarsi, mi toccò lo chignon e la stretta che quest’ultimo mi dava, si allentò piano piano, sentii i capelli scivolarmi lungo la spalla e fermarsi sulla schiena.
<< Che fai? >> chiesi infastidita e incuriosita voltandomi verso di lui che si mise la molla al polso e rispose << Questa la tengo io… >>
<< Perché? >>
A quella domanda si avvicinò un’altra volta, allungò la mano verso i miei capelli, e con le dita accompagnò una ciocca dietro l’orecchio, per poi scorrere la mano lungo la lunghezza del ciuffo e portatolo alle sue nari rispose << Copriti, quando non ci sono >>
<< C-che vuoi dire? >> balbettai.
Non mi rispose, accennò solo un sorriso e se ne andò lasciandomi sola in infermeria.
“Che intendeva?” mi chiesi mentre inconsciamente mi accarezzavo la ciocca che pochi secondi prima, aveva toccato lui.
Era davvero un mistero quel ragazzo.
Anche quel giorno il Fato era stato dalla sua parte, donandogli il privilegio di avere un altro mio bacio. Ormai come ogni giorno, anche in quello mi chiesi cos’altro sarebbe potuto accadere in futuro.
 

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Capitolo 17
*** Scatti di gelosia ***


17.
SCATTI DI GELOSIA
 
Dritta davanti allo specchio e con lo sguardo rivolto all’indice della mano destra, guardavo la piccola e trasparente lente a contatto, come arma da suicidio. I miei occhi avevano visto di tutto durante la mia vita… beh, tutto si fa per dire… diciamo che avevano visto lo stretto necessario, ma mai delle lenti a contatto e metterle su di essi, mi dava una sensazione alquanto impressionante.
Esitavo, cercando di prendere tutto il coraggio per appoggiarla sull’iride.
L’ottico mi aveva fatto vedere come fare, ma il problema non era l’incapacità, il problema era la disgustosa sensazione che mi dava, il dover solo sfiorare l’occhio con qualcosa.
Ad ogni tentativo, cercavo un modo per interrompere il mio atto. Così, però, non potevo continuare, se volevo ritornare a vedere bene, dovevo decidermi al più presto, anche perché, le otto si stavano avvicinando e dovevo correre a scuola.
“Che palle, Rea! Quante storie per una cosa così banale! Sfidi il pervertito pittato di rosso, riesci a mettere al silenzio la barbie uscita male, e poi ti spaventi davanti a una piccola lente trasparente? Che diamine!”
Alla fine, dopo innumerevoli tentativi, ci pensò mia zia. Piombò nel bagno e quasi alla velocità della luce mi mise le lenti a contatto. Fu talmente veloce che bastò solo un battito di ciglia per farmi ritornare la visuale buona.
<< Sono le otto meno un quarto! >> esclamò Agata guardandomi male.
<< Ma come hai… >>
<< Muoviti! >> mi interruppe spingendomi verso la porta. Mi ritrovai nel corridoio e sentii la porta del bagno chiudersi bruscamente alle mie spalle. Sobbalzai dal rumore, poi mi girai ed esclamai << Non c’è bisogno di avere una reazione simile! Avrei voluto vedere te! >> diedi un leggero pugno alla porta e me ne andai.
Mi sentivo strana con le lenti, non potevo strofinarmi gli occhi e questo mi innervosiva, ma mi calmai nel momento in cui, arrivata a scuola, ebbi una montagna di complimenti dai miei compagni che avevano notato subito una certa bellezza senza gli occhiali. L’unico che si comportò da menefreghista e contrariato fu Castiel.
Da quando mi aveva vista quella mattina, aveva messo il broncio, non rivolgendomi la parola per ben tre ore consecutive. All’inizio mi sentii sollevata e contenta delle sue mancate frecciatine, ma alla quarta ora, dopo che per l’ennesima volta mi aveva evitata senza alcun motivo, iniziai a sentirmi vuota.
Non riuscivo a credere che mi mancavano le sue battute e le sue attenzioni. Al cambio dell’ora decisi di parlargli, non sapendo, però, cosa dire. Lo trovai davanti al suo armadietto, mi avvicinai lentamente e tossii per attirare la sua attenzione.
<< C-ciao… >> balbettai, pensando che quella parolina fosse buona come inizio.
Macché! Non mi calcolò e continuò le sue faccende.
Non sapevo cos’altro aggiungere, “cosa posso dirgli? Che fai? Idiota, ti risponderebbe subito: Non lo vedi? E come al solito, presa dall’irritazione, gli risponderesti male”. Dovevo subito inventare qualcosa, perché sentii, senza capirne il motivo, il forte desiderio di ascoltare la sua voce.
Prima che la mia lampadina potesse accendersi, il rosso mi aiutò.
<< Devono passere ore, prima che ti decida a spostarti? >> chiese senza rivolgermi lo sguardo e rimanendo verso il suo armadietto.
Catturai quell’attimo come fosse la prima stella cadente, prima di rispondergli in malo modo, lasciai le mie orecchie inebriarsi della sua voce, poi mi appoggiai all’armadietto di fianco a lui e mormorai << Sempre molto garbato… >>
<< Che vuoi? >> chiese ancora.
<< Nulla >> risposi secca.
<< E allora se non vuoi nulla, perché ti sei messa qui? Sbaglio o il tuo armadietto si trova a destra? >>. Non risposi, abbassai solo la testa guardando il vuoto e richiedendomi che cosa potessi dirgli.
<< Ah, ho capito! >> esclamò ad un tratto chiudendo lo sportello e guardandomi. Ricambiai lo sguardo incuriosita. << Vuoi sentire anche da me che stai bene senza occhiali? >>
Sentendo quell’affermazione, tutto mi fu chiaro: volevo sentire la sua opinione o almeno, doveva essere solo questo. “Cavolo! Come l’ha fatto a capire prima di me?”  << Ma… ma, c-che ti salta in mente? >> chiesi sentendomi avvampare il volto. Lo vidi sorridere.
<< Ammettilo per una volta >> sussurrò.
Il calore alle guance, continuava ad espandersi e, sentendomi troppo imbarazzata, e essendo accorta di risposte, mi allontanai recandomi a passo svelto in classe.
Prima di iniziare la lezione, il professore ci annunciò che nella seconda settimana di maggio ci sarebbe stata la fatidica gita di tre giorni, spiegando che si trattava di una visita guidata, al fine di lottare contro l’inquinamento, anche se un dubbio mi rimase lo stesso: “Che cazzarola avremo potuto fare in soli tre giorni, e per giunta una classe di quindici ragazzi?”. Sicuramente era opera del gangster che dirigeva il liceo. Quanto a fantasia e organizzazione era proprio…
Mille mormorii riecheggiarono nell’aria. Tra “finalmente!”, “non vedevo l’ora” e “dobbiamo fare i preparativi”, un “Che palle!” risuonò dietro di me. Mi girai incuriosita e vidi Castiel con le braccia incrociate dietro la nuca.
<< Perché? >> chiesi.
<< Perché tu pensi che tutti quanti se ne freghino qualcosa dell’ambiente? L’unica cosa buona per loro è organizzarsi per ritrovarsi in camera e scopare >> rispose indifferente.
<< Possibile che devi essere sempre così volgare? >> chiesi disgustata.
<< Avanti Cass, non lamentarti! >> intervenne Armin << Per te è sempre una buona cosa! Ad ogni gita la parte migliore l’hai sempre avuta tu! >>
“La parte migliore? Di che diavolo stanno parlando?”
<< Sì >> rispose il rosso << ma è monotono, specialmente se non ci sono nuovi gusti da assaggiare! >> continuò rivolgendomi lo sguardo.
“Non ci sto capendo niente! Spiegatevi, maledizione! E tu perché mi guardi in quel modo? Sembra volermi spogliare con gli occhi!”
<< Allora vuoi dire che non verrai? >> chiese ancora Armin.
<< Sarebbe un’idea… >> rispose Castiel.
Le parole del professore attirarono un’altra volta la nostra attenzione.
<< Risparmiate la vostra esultazione… perché dopo la gita, dovrete mettervi a capofitto sullo studio! A metà giugno ci saranno gli esami >>
Quella rivelazione fu molto straziante per me. Come potevo passare gli esami se avevo iniziato a frequentare il liceo a metà marzo? Cosa avevo imparato in un mese e mezzo? Non potevo neanche chiedere il permesso di non dare l’esame a zia Camille, perché ero convinta che sarebbe successo il finimondo. L’unica cosa da fare era studiare e accantonare altri pensieri inutili dalla mente. Però una domanda mi assillò: ci sarei mai riuscita? Ogni volta che mi proponevo di fare una cosa, subito si intromettevano i maledetti imprevisti.
Dopo le lezioni, decisi di non tornare a casa, mi recai in sala delegati e chiesi a Nathaniel il programma di quell’anno. Passò un quarto d’ora e il cherubino dagli occhi dorati me lo diede, dopo averlo cercato in tutti gli angoli dello studio.
Lo ringraziai e mi recai in biblioteca. Mi sedetti vicino la finestra che dava sul cortile e, presi dalla borsa i libri, diedi un’occhiata al foglio per vedere da dove iniziare. Mi chiesi per quale motivo mettevano sempre al primo posto la matematica. La odiavo! Decisi di tenerla per ultima e cercai la mia materia preferita: storia. Presi il libro e iniziai a sfogliare le pagine.
Dopo aver letto buona parte della Rivoluzione industriale e iniziato la Rivoluzione francese, la mia attenzione fu interrotta e attratta da voci che provenivano dall’esterno. Volsi lo sguardo verso la finestra e allungai il capo per vedere verso il basso. C’erano Castiel e Lysandro e a loro si era avvicinata la biondona.
Vidi Lysandro allontanarsi lasciandogli soli e Ambra approfittarsi della situazione per iniziare a fare la gatta morta con Castiel.
Feci una smorfia ritornando a guardare il libro. Subito però i miei occhi si posarono ancora sulle due irritanti figure.
Ambra aveva poggiato gli avambracci sulle spalle di Castiel, incrociando le mani dietro la sua nuca, mentre lui sorrideva.
<< Non sorriderle >> sussurrai senza accorgermene.
Castiel, che fino a quel momento aveva le braccia incrociate al petto, sciolse la sua posizione per afferrare delicatamente i fianchi di Ambra e avvicinarsi al suo viso. Strinsi i pugni, allungando di più il capo per vedere meglio << Non farlo >> sussurrai un’altra volta.
I loro visi si avvicinarono di più e in quel momento, non volli vedere il seguito, così poggiai la fronte sul libro stringendo gli occhi, li riaprii subito dopo, sentendo le lenti premere sul bulbo oculare. Fissai le lettere del libro senza darle importanza. La mia mente era annebbiata solo da un pensiero.
Più che un pensiero, era un’immagine: le labbra di Castiel, che fino a qualche giorno fa, avevano, per la seconda volta, toccato le mie, in quel preciso istante stavano, forse, sfiorando quelle della pazza.
Mi sentii come una bambina gelosa delle sue cose. Ripensai intensamente a quelle parole: “gelosa” e “sue”. Questo significava che quella straziante fitta al cuore, quel tremito di rabbia e quell’angoscia, non erano altri che gelosia nei confronti di Castiel?
“No, non può essere! Per quel pervertito io non provo niente”, cercai qualche spiegazione sull’aggettivo possessivo “sue”.
Castiel era mio? No! L’avevo detto perché le sue labbra erano state le prime a toccare con veemenza le mie, quindi sentivo di possederle. Ma perché quella sensazione?
Tra quei pensieri mi addormentai o forse no. Sentivo di dormire, ma riuscivo anche a captare ciò che succedeva intorno a me, il problema era che non riuscivo a muovermi. Capii quindi di trovarmi in uno stato di dormiveglia. Questo era certo, perché, in quel momento sentii qualcosa di leggero poggiarsi sulle mie spalle, una voce irriconoscibile che mi sussurrava in un orecchio << Sei davvero carina >> e in fine un dolce calore sulle labbra.
Che stessi sognando?
Mi svegliai di soprassalto, guardandomi intorno, accorgendomi dalla finestra l’ombra del palazzo ricoprire tutto il cortile, mi resi conto che dovevano essere passate alcune ore.
Presi il cellulare dalla tasca del mio cardigan e guardai l’ora: erano le quattro passate, e c’erano anche delle chiamate perse da parte di mia zia.
“Quanto tempo ho dormito?”, chiusi velocemente il libro, lo misi in borsa e mi alzai, ma appena lo feci, qualcosa scivolò dalle mie spalle, guardai incuriosita il pavimento: una copertina in plaid azzurra. La raccolsi curiosa.
“Allora non stavo sognando! Qualcuno deve essere entrato in biblioteca e mi ha coperta, dandomi anche un bacio”. Ma chi poteva essere stato? Mi accorsi che stavo accarezzandomi le labbra con l’indice, mentre guardavo intensamente quella coperta, come se aspettassi da parte sua una rivelazione, che, logicamente non ci fu.
Feci spallucce, la piegai mettendola in borsa e uscii dalla biblioteca.
L’aria pomeridiana era molto calda e piacevole, durante il tragitto sentii odore di salsedine. Era il lago. Prima di ritornare a casa, decisi di fermarmi un po’ sulla riva. Mi sedetti, raccogliendo le gambe al petto e avvolgendole con le braccia, appoggiai il mento sulle ginocchia e fissai intensamente l’orizzonte. Per un attimo dimenticai tutto, anche di stare lì, chiusi gli occhi concentrandomi soltanto sull’odore dell’aria e sul rumore dell’acqua. Non ne capii il motivo, ma quella sensazione mi invase di sonnolenza, fu più forte di me, presi la borsa, l’aggiustai e mi stesi appoggiandovi sopra la testa. Mi misi comoda, poi, accavallate le gambe, cercai di addormentarmi. A metà strada tra la veglia e il sonno, qualcosa distrusse quest’ultimo impedendomi di raggiungerlo. Sentii la faccia bagnarsi da qualcosa di freddo, trasalii non riuscendo a respirare, mi misi a sedere agitando le mani davanti al mio viso.
Imprecai.
<< Allora non eri morta >> disse una voce alle mie spalle. Mi voltai lentamente incrociando lo sguardo sorridente e dispettoso di Castiel il quale manteneva una bottiglietta d’acqua.
<< Ma che cavolo hai al posto del cervello? Una pigna secca? Mi hai spaventata a morte! >>
<< Non esagerare >> disse ridendo << Ti sembra il posto per schiacciare un pisolino? >>
<< Fatti gli affaracci tuoi! >> esclamai alzandomi e raccogliendo la borsa. Ad un tratto mi accorsi che a sinistra vedevo sfocato, rendendomi conto che avevo perso una lente.
<< Maledette lenti >> mormorai.
<< Stupida, avresti fatto meglio a comprarti altri occhiali! >>
<< Stupida a chi? >> esclamai guardandolo negli occhi e subito distogliendo lo sguardo dopo essermi ricordata quello che avevo visto in biblioteca.
<< Che c’è? >> chiese ad un tratto avvicinandosi.
<< Niente! >> risposi sgarbatamente e iniziando ad incamminarmi.
Ma Castiel non demorse, mi afferrò per un braccio facendomi voltare ancora una volta. << Dove sei stata tutto questo tempo? >> chiese con voce dura
<< E a te cosa importa? >> ribattei sentendomi qualcosa di piacevole in corpo.
“È preoccupato per me?”
<< A me niente. Tua zia mi ha chiamato chiedendomi se eri con me. L’hai fatta preoccupare! Dove cavolo hai il telefono? >>
Quelle dure frasi mi colpirono il cuore a martellate. Sentii l’esofago indurirsi impedendomi di ingoiare.
Iniziai a tremare di rabbia.
<< Lasciami! >> esclamai cercando di fargli mollare la presa sul braccio << perché sei venuto a cercarmi? Soltanto perché te l’ha chiesto mia zia? Beh, potevi risparmiartelo! Potevi rimanere con quella sciacquetta, visto che ti piace tanto stare con lei! >>
<< Di che diavolo stai parlando? >> chiese allibito.
<< Smettila di fare sempre quello che non ne sa niente! >> risposi bruscamente << ti ho visto mentre ti baciavi con Ambra! Sei un bastardo! Prima baci me, poi mi minacci, poi mi ribaci ancora… ma per chi cazzo mi hai presa? >> dissi tutto d’un fiato.
Quelle parole che uscirono dalla mia bocca mi fecero capire che io per Castiel ero solo un gioco, che con il passare del tempo mi avrebbe messa a un cantone dopo essersi stancato di avermi fra i piedi.
No! Non dovevo assolutamente tramutare i miei sentimenti in amore, altrimenti da quella storia sarei uscita soltanto sconfitta e ferita.
<< Ma quale bacio? Che cazzo stai dicendo? >> ribatté incazzato << Io non ho baciato Ambra! >>
<< Basta, non voglio più sentirti! E non azzardarti a pensare che io sia gelosa! Perché per me tu sei niente! >> esclamai dandogli le spalle << Ah, un’altra cosa! >> continuai rigirandomi e avvicinandomi a lui << Ti avverto io, adesso! Oggi è stata l’ultima volta che le tue strafottenti labbra si sono poggiate sulle mie. Non azzardarti mai più a toccarmi. Intesi? >> poi aprendo la borsa con fare nervoso, estrassi la coperta e aggiunsi << Riprenditela >> gliela scaraventai contro. Lui mi guardò allibito, non gli diedi peso e feci per andarmene.
<< Ehi, Rea! >> lo sentì esclamare.
Lo ignorai e continuai a camminare << Fermati maledizione >> aggiunse riafferrandomi il braccio e voltandomi bruscamente verso di sé.
<< Lasciami, Castiel! >> urlai dimenandomi.
<< Chi ti ha baciata? >> mi chiese fulminandomi con gli occhi. Lo guardai esitante, poi risposi << Sei davvero impossibile, adesso fai anche finta di niente! >>
<< Da chi ti sei fatta baciare?! >> mi interruppe alzando la voce.
Lo guardai sconcertata da quella reazione, e un’angoscia iniziò a penetrarmi il cuore. << S-sei, stato tu… chi altr… >>
Venni interrotta dalla sua violenta presa. In un lampo le sue labbra si attaccarono alle mie e la sua lingua premette costringendomi a socchiudere la bocca per accoglierla.
Mi sentii smarrita, poi cercò di farmi capire il ritmo del bacio, lo accolsi seguendo la sua andatura. “Perché lo sto facendo? Perché lo sto accettando?”.
Ad un tratto si distaccò, mi guardò serio negli occhi e con il fiatone disse tremante di rabbia << Era così, quel bacio? >>
<< C-che vuoi dire? >> balbettai non capendo.
<< Rispondimi! >> esclamò scuotendomi.
<< N-no… io dormivo… ho sentito dirmi che ero carina… e, e poi… mi sono sentita solo sfiorare le labbra >>
Lui mollò la presa, senza cambiare espressione.
<< Ti sei addormentata in biblioteca? Ma che cazzo hai in quella testa? E ti sei lasciata baciare! >>
<< Ero tra il dormi veglia, come potevo… >>
<< Avresti dovuto svegliarti! >> esclamò.
<< Ma… >> “Un momento… questa è gelosia? Castiel è geloso? Perché?” << ah, ah, ah! >>
<< Che cavolo ridi? >>
<< Sei, ah-ah, sei geloso? >>
Lui invece di rispondermi, mi riafferrò scaraventandomi a terra e mettendosi sopra di me. Sentii un dolore lancinante al sedere, ma non ebbi il tempo di lamentarmi.
<< Stammi bene a sentire! >> mi sussurrò a denti stretti afferrandomi con una mano le guance << non mi piace essere incolpato di cose che non ho fatto né tantomeno di cose che avrei voluto fare. Primo: comprati un paio di occhiali, perché io non ho baciato quella pazza, secondo… >> disse avvicinandosi al mio viso << non ho intenzione di dar peso ai tuoi avvertimenti. Ho sempre fatto ciò che voglio e mai nessuno mi ha contraddetto. Se voglio baciarti lo faccio… >> detto questo, mi strinse le guance facendomi dischiudere le labbra e diede inizio ad un altro ardente bacio. Strinsi gli occhi cercando di capire per quale motivo non lo respingevo e perché gli permettevo di farmi questo.
Prima di allontanarsi, mi morse il labbro inferiore facendomi emanare un gridolino. Riaprii gli occhi e incrociai i suoi, sorridenti.
<< Ricordateli bene i mei baci… perché io sono e sarò l’unico! >>. Detto questo, si alzò e si allontanò lasciandomi distesa e con quella sconosciuta sensazione che voleva prendere il sopravvento su di me ed esplodere. Mi accorsi di respirare a fatica, mi alzai guardando verso la parte da dove Castiel si stava allontanando. Lo vidi scomparire.
Ripensai a quei discorsi. Castiel era davvero un pervertito, presuntuoso e anche arrogante. Come poteva trattarmi cosi? Non stavamo mica insieme! Chi caspita si credeva di essere?
“Ma, allora, se non è stato lui a baciarmi… no. Non era un sogno, la coperta ne è la prova, ma, allora… allora chi è stato?”

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Capitolo 18
*** Sentimenti che si svegliano ***


18.
SENTIMENTI CHE SI SVEGLIANO
 
Erano le diciotto e un quarto, quando ritornai a casa e fui accolta da fastidiose urla da parte di mia zia, che nel vedermi rientrate, era saltata dalla sedia precipitandosi verso di me.
<< Dove diavolo sei stata?! >>
<< A fare un giro… >>
<< E hai per caso perso il cellulare? >>
<< No, avevo la vibrazione e non l’ho sentito >>
<< Rea, stavi per farmi venire un infarto! Quando ho chiamato Castiel e mi ha detto che non eri insieme a lui, mi sono sentita strappare il cuore dal petto! >>
<< E… e lui che ti ha risposto? >> chiesi incuriosita.
<< Si è preoccupato, e si è messo a disposizione per cercarti >>
Rimasi incantata nel sentire quelle parole, “Castiel era preoccupato?”, mi chiesi non riuscendo a crederci. Quella reazione che aveva avuto, quando sentì che qualcuno mi aveva baciata, le sue parole, i suoi baci e il loro sapore, non lasciarono tregua ai miei pensieri.
Zia Agata, ormai tranquillizzata, ritornò al negozio, avvisandomi che la cena era già pronta. Salii in camera dicendo che non avevo fame. Mi avvicinai allo specchio e dopo pochi minuti, riuscii a togliere la lente a contatto. Mi sdraiai sul letto con gli occhi rivolti verso il soffitto e con le dita mi sfiorai le labbra.
Immaginai su di me Castiel, mentre appoggiava la sua bocca disegnata, sulla mia. Cercai di ricordarne il sapore, chiusi gli occhi sentendo dentro di me quella ormai famigliare sensazione prendere vita. Tirai un lungo respiro per poi ansimare ripetutamente. Poggiai la mano sul petto ricordando quel lieve tocco, sicuramente desideroso di qualcosa di più. Portai le mani agli occhi e me li strofinai.
Che cosa mi stava succedendo? Perché ad un tratto l’immagine di Castiel mi rendeva così, così… desiderosa di nuove sensazioni? << Che cosa mi stai facendo, Castiel? >> sibilai allargando le braccia e appoggiandole sul materasso, guardai il fascio di luce proiettato sul soffitto, riflesso dalle luci esterne e che contrastava con il buio della stanza. Rimasi così e in tal modo mi addormentai.
Ad un tratto sentii squillare il telefono, lo presi scocciata e risposi senza guardare il numero.
<< Pronto? >> chiesi con voce annoiata.
<< Vieni in giardino >>
<< Castiel, sei tu? >> chiesi cambiando tono di voce e mettendomi a sedere sul letto.
<< Vieni, non farmi aspettare! Devo dirti una cosa >>
<< Arrivo! >> chiusi la chiamata e velocemente mi precipitai in giardino. Lo vidi dietro il cancelletto e mi sorrideva, esitai prima di avvicinarmi, ma poi mi chiamò e mi feci coraggio. Uscii dal giardino rimanendogli difronte.
<< C-cosa devi dirmi? >>
<< Non puoi farmi entrare? C’è tua zia? >>
<< N-no, è al negozio >> risposi balbettando.
<< E allora entriamo, sto morendo di freddo. >> disse prendendomi per mano e aprendo il cancello. Sembrava come se conoscesse tutti gli angoli di casa mia, era lui che mi accompagnava e io lo guardavo incuriosita e esterrefatta.
<< C-Castiel, ma… cosa devi dirmi? >> chiesi, lui non mi rispose. Salimmo le scale e ci ritrovammo in camera mia. Mi lasciò la mano, si volse lentamente verso di me e iniziò a guardarmi dalla testa ai piedi.
<< Allora? >> chiesi ancora << Aspetta, accendo la luce >> continuai passandogli di fianco per recarmi all’interruttore. Castiel mi afferrò il polso e mi fermò mettendomi difronte a lui, << Al buio e più romantico >> sussurrò togliendosi la giacca di pelle. Lo guardai esterrefatta. “Che… sta facendo?”, poi con un solo movimento si tolse anche la maglietta rivelando i suoi pettorali ben fatti e gettata la maglia per terra, portò le mani alla cinta dei pantaloni “Oh, mio Dio!”.
<< Castiel, che fai? >> chiesi mettendomi di spalle e coprendomi il volto con le mani. Mi sentii percorrere la schiena da un brivido mai provato prima. Scoprii gli occhi dopo aver sentito dentro di me un colpo secco al cuore. Castiel mi afferrò i fianchi e premette il suo membro contro il mio fondoschiena. Trasalii sentendomi ardere il collo, da baci presuntuosi.
<< C-Castiel… >>
<< Non parlare >> sussurrò ansimando e girandomi verso di lui.
Con le mani, che fino a quel momento mantenevano i fianchi, salì afferrando i lembi della maglia intrufolandole sotto. Anche il suo tatto ardeva, mi strinse i fianchi, poi continuò lentamente il suo cammino, con le dita sfiorò la schiena raggiungendo il gancio del reggiseno. Un “Tic!” riecheggiò nell’aria mescolandosi agli ansimi che erano diventati il doppio.
Tremante, avevo poggiato le mani sulle sue braccia scolpite, stringendogliele, non capendo per quale motivo glielo stavo permettendo.
Le sue mani si divisero: una rimase sulla schiena e l’altra accompagnando la molla dell’indumento, spostò la coppa e afferrò il mio seno con desiderio. Un gemito non controllato uscì dalla mia bocca. Alzai il capo incrociando i suoi occhi penetranti e sensuali, socchiusi le labbra e lui lo percepì come segno di desiderio. Mi baciò bloccando i mei e i suoi ansimi, poi pian piano mi fece stendere sul letto, mettendosi su di me. Mi sollevò la maglia e il reggiseno, mi accarezzò il petto e poi con le dita scese giù fin sotto la pancia, sbottonandomi il pantalone e intrufolando la mano all’interno.
In quel momento, potei finalmente dare un nome a quello che stavo intensamente provando: piacere.
Gemetti ancora, sentendomi premere nell’intimo. Castiel mise un ginocchio fra le mie gambe dividendomele per unire le sue fra le mie.
<< C-Castiel… perché lo stai facendo? >> chiesi quasi con un sibilo soffocato dal piacere.
<< Che domande idiote >> rispose lui facendo giocare la sua lingua sui miei seni. << te l’ho già detto, no? Ti farò mia >>
<< Ma, ma io non sono pronta… >>
<< Non m’importa, non farmi aspettare ancora >> mi interruppe poggiando il suo membro sul mio intimo.
Driiiiin!!!
<< Cazzo, Castiel! Mia zia! >> esclamai alzandomi di scatto.
Sbattei le palpebre lentamente cercando di capire la situazione. Mi guardai intorno smarrita… dove cavolo era finito Castiel?
Quel “Drin” continuava ad infastidire le mie orecchie, guardai il comodino e mi accorsi che era la sveglia. La presi spegnendola e abbassai il capo assonnata. Il pigiama che indossavo, mi diede la conferma che quella piacevole situazione non era stata altro che un sogno.
“Ma come diavolo mi è saltato in mente di sognare una cosa del genere? Devo essere stata infettata di perversione da quel maniaco! Però… però, cosa? Torna in te, pervertita che non sei altro!”.
Mi alzai mogia dal letto e mi guardai allo specchio prima di aprire l’armadio << Sembrava vero >> mormorai quasi dispiaciuta.
 
 
“Si dice che: se prima di addormentarti, stai pensando intensamente a una cosa che desideri, quando il sonno ti cattura, diventi padrona e conducente del tuo sogno”
“Allora significa che io desidero Castiel?”.
Questi furono gli unici pensieri che ebbi durante il tragitto casa-scuola.
Quel sogno stava cambiando qualcosa dentro di me e non me ne stavo rendendo conto, anzi, non me ne volevo rendere conto.
E sempre in tal modo, mi ritrovai in classe seduta con le braccia appoggiate sul banco e gli occhi concentrati a guardare il vuoto. Qualcosa però mi fece subito ritornare alla realtà. Vidi davanti a me una cartella nera con le cuciture rosse, volsi lo sguardo alla mia sinistra e vidi Castiel al mio fianco con le braccia incrociate al petto.
<< C-che c’è? >> chiesi sentendo il cuore accelerare i battiti, non appena incrociai il suo sguardo serio e penetrante.
<< E lo chiedi anche? Sei ubriaca per caso? >>
<< Ma che stai dicendo? >>
<< Sei tutta rossa >>
Istintivamente mi portai le mani alle guance sentendole bollenti.
<< Allora, dobbiamo far notte? >> chiese lui spazientito.
<< Ma che vuoi? >> ribattei mantenendomi il viso.
<< Hai davvero bisogno degli occhiali! Le lenti a contatto non ti aiutano affatto >>
<< Castiel, va al tuo posto e smettila! >>
<< Lo farei con piacere, ma purtroppo il mio posto è occupato da un’idiota cieca come una talpa! >>
“Ma cosa vuole da me?”. Mi guardai in torno e vedendo di fronte a me Armin, mi accorsi che ero seduta al posto del rosso e che quindi, l’idiota cieca come una talpa ero io.
Arrossii sentendomi imbarazzata fino al midollo. Come un automa mi alzai e sgattaiolai verso il mio banco, mi sedetti affondando la testa nelle spalle “Che figuraccia! Come ho fatto a sedermi lì? Idiota! Idiota! Idiota!!! Sei proprio un caso disperato! Nemmeno il migliore psichiatra accetterebbe di prenderti in cura!”.
<< Ehi, Rea? >> mi sentii dire, mi voltai piano e con lo sguardo chiesi cosa volesse, ancora.
Mi porse la borsa. Allungai la mano esitante per afferrarla. Nel farlo sfiorai involontariamente la sua. Sentii un battito in gola, mi accorsi che il respiro si era fermato per pochi istanti. Quel lieve tocco stava invadendo il mio corpo, scatenando in me quella sensazione provata per la prima volta nel sogno passato. Iniziai ad ansimare, inghiottendo faticosamente. Lui mi guardava incuriosito, lasciò la borsa e mi afferrò la mano.
<< Che… che… che fai? >> chiesi balbettando sentendomi avvampare.
<< Non hai febbre >> rispose lui << sei sicura di non aver bevuto? >>
Ritrassi la mano imbarazzata << Smettila di dire scemenze! >> esclamai. Prendendo la borsa e dandogli le spalle. “Rea, si può sapere che diavolo ti prende?”. Iniziai a tremare e il respiro diventare sempre più faticoso. Ebbi il bisogno di aria fresca. Alzai la mano chiedendo al professore se potevo uscire.
Velocemente mi recai in bagno, aprii il rubinetto e mettendovi sotto le mani a conca raccolsi l’acqua e me la gettai sul viso. Le gocce a contatto con la pelle che bruciava, evaporizzarono. Mi guardai allo specchio. << Cosa mi sta succedendo? >> sibilai. “Porca miseria! Era solo un sogno! Ma sembrava così reale… possibile che io mi sia… mi sia… >>
Suonò la campanella, sospirai cercando di riprendere il ritmo giusto del mio respiro, poi presi due tovaglioli di carta e mi asciugai il viso che ardeva ancora. Uscii dal bagno e mi recai verso l’armadietto per cambiare libri. Vi trovai Castiel che dava le spalle ad Ambra e quest’ultima gli parlava quasi supplicandolo. Esitai prima di avvicinarmi, non avevo assolutamente voglia di sentire quella pazzoide, purtroppo dovevo muovermi se non volevo arrivare in ritardo alla lezione. Mi avvicinai al mio armadietto come una ladra, ma quella maledetta di Ambra mi vide e iniziò con le sue deliranti frecciatine.
<< Impicciona! Che ci fai qui? Stavi ascoltando i nostri discorsi? >>. Facendo finta di non averla sentita, continuai le mie faccende.
<< Castiel, dille anche tu qualcosa! >>
<< Ambra, smettila! >> esclamò Castiel innervosito << sparisci! Non abbiamo niente da dirci! >>
“Ben ti sta!”. Ambra se ne andò facendo finta di singhiozzare, poi mi accorsi che il rosso mi stava guardando. Cercai di non imitarlo, dato che il mio cuore aveva ricominciato ad impazzire.
<< Hai proprio messo in ferie il tuo cellulare? >> chiese beffardo.
<< P-perché? >> chiesi senza voltarmi.
<< Ieri sera ti stavo chiamando >>
“A-allora, il suono del cellulare non era un sogno… “
<< C-come h-hai fatto ad avere il mio numero? >> chiesi tremante di un’inspiegabile sensazione.
<< Me l’ha dato Rosalya >>
“È proprio vizio del paese, allora!” << Che, che volevi? >>
<< Dovevo dirti una cosa >>
“Oh, mio Dio, è proprio come il sogno!” mi girai per guardarlo e la sua espressione era come quella che avevo sognato.
<< C-cosa, d-dovevi d-dirmi? >>
<< Ma sei sicura di sentirti bene? >> chiese chinando il capo a un lato e guardandomi sottocchio.
<< Sì, perché? >>
<< è da questa mattina che tremi e balbetti, per non parlare del tuo rossore sulle guance… hai per caso dormito male? >>
“E lo chiedi pure? Ti intrufoli senza pudore anche nei miei sogni” << Non, non ho dormito molto… ma… cosa dovevi dirmi? >>
<< Più che dirti, dovevo darti una cosa >> disse volgendosi verso l’armadietto e prendendo un pacco rettangolare. << Tieni >> disse secco porgendomelo.
<< Cos’è? >> chiesi incuriosita.
<< Sono occhiali. Tua zia mi ha dato la gradazione e io sono andato a comprarli >>
Presi il fodero esitante, ero rimasta alquanto esterrefatta. Castiel aveva fatto questo per me? Non riuscivo a crederci. “Perché l’ha fatto?” Glielo chiesi.
<< Non farti strane idee. Mi sono solo sentito in colpa per averteli rotti… riprenditi idiota! >> esclamò togliendomi dalle mani il fodero, lo aprì e prese la montatura poggiandomela sugli occhi. Vedevo il doppio, ma non ci feci neanche caso. Ero concentrata a seguire il suo tocco che mi fece fremere di piacere. Non volli farmene accorgere, così mi scansai afferrando gli occhiali e dicendo che dovevo prima togliermi le lenti.
<< E allora muoviti! >> disse voltandosi pronto per andarsene.
<< C-Castiel? >>
<< Cosa? >>
<< G-grazie… non dovevi >>
Si volse con un sorriso quasi malizioso << Certo che dovevo! Visto che sei tanto incosciente e sbadata da farti baciare dal primo che passa, mi sono detto che almeno con gli occhiali i ragazzi si sarebbero resi conto che non hai tutta questa bellezza, così prima di agire… >>
<< Castiel… sei… davvero… >> dissi tremante di rabbia. Lui alzò un braccio accennando un saluto e se ne andò.
Quella sensazione piacevole che fino a quel momento mi aveva fatto provare, si era repentinamente trasformata in irritazione. Tirai un pugno all’armadietto e la vibrazione che ne ebbe, fece scivolare dall’intero una carta. La guardai incuriosita, sembrava una lettera, la raccolsi e la girai. Mi allibii dopo aver guardato la scritta: Per Rea.
Alzai lo sguardo sentendomi osservata e di sfuggito vidi qualcosa sparire dietro il corridoio adiacente quello dove mi trovavo.
 

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Capitolo 19
*** Lo stalcker ***


19.
LO STALCKER
 
Seduta sul verde prato nel giardino del liceo, guardavo emozionata quella lettera che era caduta dal mio armadietto.
“Non ci credo! Mi hanno dato una lettera d’amore? La mia prima lettera d’amore! Questo deve essere un altro sogno”, mi tirai un pizzicotto sulla guancia e il debole dolore affermò che ero sveglia. Velocemente aprii la lettera e iniziai a leggere.
“Cara Rea, dalla prima volta che ti ho vista, il mio cuore ha iniziato a battere più forte, dandomi segnali di nuovi sentimenti mai provati prima. Non sapevo come dirtelo, non ne avevo neanche il coraggio, allora ho deciso di scriverti questa lettera per dirti che: TI AMO!!
Sei il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera. Ti sogno ogni notte e non riesco a distoglierti lo sguardo quando ti vedo venire a scuola. Ti seguo sempre cercando di non farmene accorgere. Ieri, andasti in biblioteca, ti seguii inconsapevolmente. Quando vidi che poggiasti la testa sul banco, mi spaventai, pensando che ti fossi sentita male, così entrai ma mi accorsi che stavi solo dormendo. Sembravi un angelo caduto dal cielo, ti coprii e non riuscii a trattenere la voglia di baciarti. Perdonami se per te quel bacio è stata un’offesa. Tuo…”.
Non ebbi il tempo di guardare il nome del mittente, che mi vidi strappare la lettera dalle mani, volsi lo sguardo verso l’alto. Castiel dritto davanti a me, leggeva la lettera con una smorfia.
<< Come ti sei permesso? >> esclamai alzandomi << Ridammela Castiel >> continuai balzando in avanti intenta a prendere il foglio, lui si scansò e continuò a leggere.
<< Questo ragazzo dev’essere proprio un idiota >> disse accartocciando la lettera.
<< Che fai? >> chiesi dispiaciuta cercando di fermarlo << Era la mia prima lettera d’amore! >>
<< Più che lettera d’amore mi sembra la lettera di uno stalcker! >>
<< Qui l’unico stalcker sei tu! >> “che mi segui anche nei sogni!” << Perché l’hai rovinata? Non ho avuto neanche il tempo di leggere il mittente! >>
<< Non ha importanza! >> rispose quasi irritato.
“Non ha importanza? Questo ragazzo è davvero un presuntuoso e arrogante bastardo!”. Mi avvicinai a lui minacciosamente, cercando di fargli mollare la palla di carta.
<< Ridammela immediatamente! Devi smetterla di fare il padrone su tutte le mie cose! Che t’importa della lettera? >>
Lui per fermarmi mi afferrò i polsi e mi sbatté contro il muro rimanendo di fronte a me. << Ti importerebbe qualcosa scoprire chi ti ha baciata mentre dormivi? >> chiese duramente.
<< Certo! Ho il diritto di saperlo! >>
<< Ti assicuro che rimarrai scioccata… quindi perché non lasci perdere, e non inizi ad interessarti a me? >>
<< Perché dovrei farlo? >> chiesi tremante iniziando ad arrossire e risentendo di nuovo quelle sensazioni piacevoli.
<< Avanti Rea…  >> sussurrò appoggiandosi su di me e avvicinando la bocca alla mia << non mentire ancora, non sei brava a nascondere i tuoi sentimenti. Gli atteggiamenti che hai, parlano da soli >>
<< C-che stai dicendo? >> balbettai ansimando. Il suo respiro si poggiava sul mio collo facendomi rabbrividire e il suo forte profumo invase le mie nari travolgendomi la mente.
<< Accetti le mie labbra così facilmente, ti sento tremare ogni volta che ti bacio, anche adesso stai tremando, e non dirmi che è paura. Dillo… dillo che mi vuoi >>
“Sì, sì! Ti voglio! Non voglio più indagare il mio cuore nella speranza di trovare qualche altra spiegazione. Ti voglio, ti desidero, io ti… io ti… no! Rea! che diavolo stai dicendo? Riprenditi, non può assolutamente succedere! Ciò che stai provando tu non lo sta provando lui… fermalo non permetterglielo ancora!”
<< Lasciami Castiel! >>
Il rosso non mi ascoltò iniziò a palparmi i fianchi per poi salire lentamente. Sentii la sua lingua poggiarsi sul collo, lasciando quel lembo di pelle umida, appoggiò le labbra sull’orecchio e sussurrò sensualmente << Ammettilo, non farmi aspettare ancora >>
Spalancai gli occhi avendo come una sensazione di déjà-vu. Quella frase, l’aveva detta nel sogno. Com’era possibile?
Piombò sulle mie labbra, attuando quel bacio ormai famigliare. Gli misi le mani sul petto cercando di spingerlo per allontanarlo da me. Dovetti combattere contro le sensazioni che stavo provando in quel momento. Più mi dimenavo, più io stessa rifiutavo di fermarlo.
Fu il copioso suono della campanella ad aiutarmi. Lui si fermò ansimando, appoggiando la sua fronte sulla mia spalla. Il mio petto si muoveva a ritmo del respiro frenetico, poggiai la testa sul muro alzando lo sguardo al cielo e chiudendo gli occhi presa dalla mancata estasi. Lui si alzò e allontanandosi, mi diede le spalle.
<< Se non mi ami, perché mi fai questo? >> chiesi con l’affanno tenendo gli occhi chiusi e trattenendo qualche lacrima.
<< Tu che pensi? >> chiese senza voltarsi.
Aprii gli occhi e una lacrima sfuggente disegnò un freddo rivolo sulla mia guancia sinistra. << Tieni >> continuò lanciandomi la lettera accartocciata << … ripensa a ciò che ti ho detto >> se ne andò.
Raccolsi la carta stropicciata e poi rivolsi lo sguardo verso di lui, che era sparito dietro l’angolo. Qualcosa attirò di nuovo la mia attenzione. Un’ombra che non riuscii a distinguere si dileguò tra gli alberi.  
 
 
<< Cosa?! >> esclamò allibita Kim non appena rivelai il nome del mittente della lettera << Davvero non sai chi sia? >>
<< No, ecco perché lo chiedo a te >>
<< Ma mia cara, prima lo aiuti e poi non sai di chi si tratti? >>
A quelle parole, un fulmine illuminò la mia mente. “Aiuto? No, non può essere vero? Ecco spiegata la frase di Castiel quando mi ha detto che sarei rimasta scioccata… il mittente è il fungo! Oh, mio, Dio!”
<< Ecco perché nessuno lo ha mai aiutato >> continuò Kim << Se qualcuno fa il gentile con lui, Kentin diventa appiccicoso >>
“Vai per far grazia…”
<< Comunque le parole che sono scritte qui, mi sembrano quelle di uno stalcker >> intervenne Violet reggendo la lettera. “No, anche lei la pensa così?”.
<< Ragazze, che cosa mi consigliate di fare per chiudere la faccenda in maniera cauta? >>
<< Non chiederlo a me >> rispose Violet.
<< Perché non lo prendi a pugni? >> propose Kim indifferente.
Rimasi di pietra. Come potevo prenderlo a pugni? Prima lo salvavo da una bulletta da quattro soldi per poi prendere il suo posto?
Ritornammo a casa insieme, lasciammo prima Violet, poi a metà strada, Kim mi lasciò dicendo che doveva andare ad un appuntamento “Top-secret”. La salutai e continuai il mio cammino.
La sensazione di essere seguita, si fece più intensa durante i miei passi. Mi voltai più di una volta cercando di capire chi fosse, ma non trovavo nessuno alle mie spalle. All’ennesima volta mi spazientii, mi fermai ed esclamai << Si può sapere chi diavolo sei e che vuoi? Lo so che mi stai seguendo, esci! >>
Da dietro il tronco di un albero spuntò un caschetto castano e un paio di binocoli al posto degli occhiali. Come avevo sospettato, era il fungo.
<< Kentin, ti chiami così, vero? >> chiesi cercando di essere il più gentile possibile. Lui annuì avvicinandosi. << Senti, Ken, ho letto la tua lettera e sono molto contenta che tu me l’abbia scritta, però, ecco, vedi… >>
<< Sniff, sniff! >>
<< E- e adesso perché piangi? >> chiesi guardandolo incuriosita. Lo vidi sprofondare in ginocchio e unendo le mani in preghiera diede sfogo ad una fontana di pianto.
<< Ti- ti prego! >> balbettò tremante << ti scongiuro, non lo farò più! Giuro che ti lascerò in pace e che non ti seguirò più! Ma ti prego non farmi del male! >>
<< Ma che- che cosa stai dicendo? >>
<< Ti darò tutto quello che vuoi e che desideri. Diventerò il tuo schiavo, ma non farmi del male! >>
“Ma che gli è preso? Sbaglio o non è tanto normale?”. Mi avvicinai a lui per tranquillizzarlo, ma non appena lo feci, lui scattò spaventato in piedi e corse a gambe levate gridando << Nooo!! Mammaaa!! >>
<< Ma che cavolo sta succedendo? >> feci spallucce pensando che la cosa, anche se non in modo garbato, si era risolta ugualmente.
Ritornai a casa e mentre aprivo il cancello sentii l’abbaiare di un cane, mi voltai, e vidi correre verso di me la bestiaccia del pervertito. Spaventata, spalancai velocemente il cancello chiudendomelo alle spalle. Il cane rallentò la sua andatura e rimase ad abbaiare nervoso davanti a me.
Facendogli una smorfia, portai la mano sinistra alla piegatura del braccio destro, ottenendo così il famoso gesto “Prendila in quel posto!”.
<< Ti consiglio di non rifarlo! Gli ho insegnato a scavalcare i cancelli >> esclamò una voce non troppo lontana. Scorsi tra le sbarre del cancello, per vedere da dove provenisse. << Lo sai? >> continuò Castiel avvicinandosi a Demon << Sei davvero una ragazzaccia! >>
<< Smettila, è il tuo cane che è pericoloso! >>
<< Demon non è pericoloso >> disse lanciandomi un occhiata torva << Perché non provi ad ottenere la sua amicizia? >>
<< Sì! Ogni volta che mi avvicino, mi vede come una bistecca al sangue, figuriamoci se devo farmelo amico >> risposi incrociando le braccia al petto.
<< Che cosa ti hanno fatto i cani? >> chiese lui piegandosi accanto a Demon e accarezzandolo.
<< Tutti, niente. Uno lo detesto in particolare… Kiki, il cane della preside >>
<< E cosa ti ha fatto quella scheggia? >>
“Ecco, lo stiamo rifacendo, stiamo di nuovo parlando seriamente. Devo stare attenta a non dare doppi sensi alle mie parole”
<< È un po’ imbarazzante… a sette anni, quella scheggia, come dici tu, fece in modo di non farmi più credere nei sogni dei bambini. Aiutato sempre da quel gangster della preside >>.
Castiel accennò un sorriso, poi disse << A proposito di gangster… certo che è proprio vizio di famiglia >>
<< C-cosa? >> chiesi balbettando, sentendo che la situazione stava cambiando in fretta.
<< Povero Ken, si è spaventato a morte >> disse tutto d’un fiato per poi scoppiare a ridere.
“Maledetto! Avrei dovuto immaginarmelo!” << Se-sei stato tu? >> chiesi incredula afferrando le sbarre del cancello e stringendole irritata << Che diavolo gli hai detto? >> esclamai con la voglia di sradicare il cancello dagli infissi e lanciarglielo addosso.
Castiel continuava a ridere a crepapelle.
Non ci vidi più dalla rabbia, aprii il cancello e mi avvicinai minacciosa a lui. Demon iniziò a ringhiare, mi bastò fulminarlo con gli occhi per metterlo alla cuccia, poi mi diressi verso il suo padrone accendendomi di fuoco.
<< Che cosa hai fatto? >> esclami con voce profonda.
<< Andiamo, non fare così >> rispose lui ridendo e indietreggiando << in fin dei conti ti ho tolto un fastidio di torno >>
<< Dimmi subito che cosa hai detto per averlo spaventato in quel modo! >>
<< Niente di che, gli ho soltanto detto di tenersi alla larga da te perché fai parte di una cosca mafiosa >>
“Niente di che? Essere paragonata a un boss mafioso è niente di che?” << Un momento… Ken se l’è bevuta? Quel ragazzo non è davvero normale >> rivelai scuotendo la testa.
Castiel sbottò in un’altra risata. Lo rincorsi per tutto il quartiere, << Fermati Castiel! Non ho ancora finito con te! Come ti sei permesso di dire una cosa del genere? Sei veramente… >>
<< Non essere arrabbiata, dovresti ringraziarmi >> disse fermandosi e accogliendomi fra le sue braccia per fermare anche me. Non riuscii a rallentare e sbattei contro il suo petto, mi sentii avvolgere dalle sue braccia imprigionandomi.
Provai a distaccarmi, ma inutilmente. Demon abbaiava girandoci intorno, eravamo concentrati a guardarci negli occhi. La famosa sensazione iniziò a pervadermi e sentendomi arrossire, abbassai la testa per non farmene accorgere.
<< C-Castiel, ti prego… >>
Castiel stinse la presa attaccandomi di più al suo corpo. Riuscii a sentire i suoi battiti, non volli sbagliarmi, ma li sentii frenetici. Con la mano che poggiavo sul suo petto, afferrai la maglia e la strinsi in pugno, chiusi gli occhi e vi appoggiali anche la fronte. Lui non si mosse, non disse niente, non seppi mai cosa stesse pensando né che espressione avesse in quel momento. Non volli farmi domande, non in quel momento che mi parve unico e passeggero, non volli rovinare tutto con i miei dubbi.
Rimanemmo così, aspettando, forse tutti e due, uno la  reazione dell’altro.
Fu la suoneria del mio cellulare che interruppe quel momento romantico.
Castiel lasciò la presa permettendomi di rispondere. Era zia Agata.
<< Zia, cosa c’è? >>
<< Rea, dove sei? >> chiese con voce abbattuta.
<< Nei pressi del lago. Cos’hai, è successo qualcosa? >>
<< Rea, sarebbe meglio se facessi ritorno… c’è zia Camille qui, ed è alquanto irritata. Sembra che sia successo un guaio a scuola e lei insinua che tu sappia qualcosa >>
“Ora sì che sto iniziando a preoccuparmi” mi dissi volgendo uno sguardo impietrito verso Castiel che aveva un’aria incuriosita e allo stesso tempo preoccupata per la mia espressione.
 

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Capitolo 20
*** Il furto ***


20.
IL FURTO
 
Anche se di malavoglia, mi precipitai a casa, per scoprire che cosa voleva quella maledetta della preside. "Se ha interrotto quel momento così romantico con Castiel, per dirmi qualche stronzata, giuro che questa volta le faccio pentire di essere mia parente", pensai aprendo la porta e esclamando un << Sono arrivata >>. Mi affacciai nel soggiorno e le vidi sedute sul divano. Zia Agata era assorta nei suoi pensieri, mentre la vacca in rosa fumava dalla testa.
<< Allora, cos'è successo? >> chiesi spazientita. Il confetto andato a male mi lanciò una di quelle occhiate da far rabbrividire il diavolo in persona. Si alzò avvicinandosi con un balzo.
<< Hai anche il coraggio di chiederlo? >> stridulò.
Guardai zia Agata chiedendole con gli occhi cosa volesse il gangster davanti a me la quale continuava ad urlare camminando avanti e indietro per la stanza. << Sei davvero una delusione! Ah, ma questa volta non mi limiterò ad una punizione leggera... >>
<< Ok, adesso basta! >> la interruppi alzando la voce << Si può sapere che diavolo stai dicendo? >>.
Zia Agata, dietro la preside, trasalì facendomi segno di no, con la mano.
<< Come ti permetti di parlarmi con questi toni? Dopo quello che hai combinato, ti prendi la libertà di fare la spavalda? >>
<< Zia Agata, per favore puoi dirmi tu cosa sta succedendo? >>
Agata si alzò dalla poltrona e aggiustandosi la maglia disse cercando di calmare la voce. << Vedi Rea, a scuola è sparita una busta contenente le risposte degli esami di fine anno e... >>
<< E... Cosa? Io che c'entro in questa storia? >>
<< Che c'entri? >> intervenne la vecchiaccia << sei stata tu a rubarla! >>
<< Che cosa avrei fatto io?! >> chiesi esterrefatta.
<< Non provare a mentire, ti hanno vista mentre giravi attorno al mio studio >>
<< E sentiamo, chi mi avrebbe vista? >> ribattei tremante di rabbia.
<< Non ha importanza chi è stato! Ridammi la busta, adesso, e io farò finta di niente e nessuno verrà a sapere di questo spiacevole accaduto >>
"Ma dico: è impazzita?", avevo perso la pazienza e non riuscii più a controllarmi << Io non devo dare niente, perché non ho preso niente >>
Sentivo il sangue ribollirmi nel cervello << Non mi sono mai avvicinata al tuo studio né tanto meno mi sono permessa di prendere quella busta. E non ti permetto di incolparmi di questa cosa… Non mi hai mai potuta digerire, e ti annuncio che il fatto è categoricamente reciproco. Fino a ora ho fatto la brava ragazza per non avere problemi con il caratteraccio che ti ritrovi, ma arrivata a questo punto me ne sbatto di quello che vorrai farmi! Io non ho preso nulla e se non ci credi rovista tutta la casa >>
<< Rea, Rea, ti prego adesso calmati >> intervenne Agata afferrandomi dalle spalle per allontanarmi dalla preside, che dai suoi occhi rifletteva rabbia e umiliazione.
<< Zia Camille non intendeva incolparti >> continuò la donna cercando di calmare le acque con un sorriso.
<< L’ha appena fatto! >> esclamai continuando a guardare con ferocia il gangster.
<< Ma no… >> ribatté Agata << lei intendeva che forse tu, sentendoti in difficoltà con gli esami, hai avuto quella reazione >>
Voltai di scatto lo sguardo verso la sorella di mio padre, guardandola sbalordita “Non è possibile!” << Lo stai dicendo come se ci credessi >>.
Quest’ultima esitò, poi abbassò lo sguardo e mi lasciò le spalle.
<< Non ci posso credere >> mormorai a denti stretti e sentendomi la rabbia dissolversi per dar posto all’angoscia. << Credi davvero che io sia capace di fare una cosa del genere? >>. Nessuno mi rispose, istintivamente feci due passi indietro e mi girai per andarmene.
<< Rea… Rea, aspetta… >> esclamò mia zia seguendomi << Non è come pensi… >>
<< E allora dimmi com’è? >> chiesi cercando di fermare le lacrime << Dimmelo tu zia, perché io non ho più immaginazione >>
<< Quando zia Camille è arrabbiata, non la si può contraddire >> rispose supplichevole.
<< Me ne fotto! Non mi ha mai potuta vedere. Fino adesso ho scherzato su questa cosa, ora basta! Anni fa si è fatta detestare per una sciocchezza, ora la odio per una cosa più grave >> detto questo, uscii sbattendo la porta. Aprii il cancello e senza richiuderlo corsi il più veloce possibile senza preoccuparmi della meta.
Piangevo di rabbia. Succedeva sempre così: ogni volta che venivo incompresa e non avevo modo di sfogarmi come si deve, scappavo scoppiando in lacrime. Le facevo uscire in gran quantità, perché ognuna di loro era un sollievo per me.
Mi ritrovai davanti alla riva del lago, avevo il respiro affannoso, misi le mani sui fianchi cercando di riprendere fiato e di calmarmi. L’irritazione aveva il sopravvento, istintivamente mi portai le mani dietro la testa alzandola al cielo ed emanando un grido, mi piegai verso il basso appoggiando le mani sopra le ginocchia, ansiami sentendo gli occhi bruciare. Mi sedetti, raccolsi tra le mani un po’ di breccia e la lanciai nervosamente in avanti. << Maledetta! >> esclamai a denti stretti << Spero che te ne pentirai amaramente >>
Incrociai le braccia sulle ginocchia e vi appoggiai la testa << che rabbia! >>.
In quel momento sentii il bisogno di essere stretta da braccia forti e calde, sentii il bisogno di ritrovarmi tra le braccia di Castiel, di chiedergli apertamente di stringermi a sé per aiutarmi a ritrovare quel sollievo che poche ore prima aveva invaso il mio corpo.
<< Castiel, dove sei? >> mormorai piangendo.
Rimasi lì con la speranza di vederlo arrivare. Fu una speranza vana. Lui non venne, era quasi giunto il tramonto, e decisi di ritornare a casa. Per fortuna non c’era nessuno, di sicuro zia Agata era ritornata al negozio, corsi in bagno, mi spogliai e feci la solita doccia bollente che mi aiutò a distrarmi poi andai in camera e chiusa la porta a chiave, indossai il pigiama per poi stendermi sul letto. Presi il cellulare e vidi che c’erano due messaggi e quattro chiamate perse. I messaggi erano uno di zia Agata e l’altro di… Castiel? Lessi prima il suo.
“Ehi, gangster! Che voleva la preside?”; quello di mia zia diceva “Rea, ti prego rispondi alle chiamate. Ammetto di aver sbagliato”.
Naturalmente, le quattro chiamate erano tutte di mia zia. Scaraventai il telefono sul letto e sbuffai infastidita. Avevo voglia di gridare, ma non lo feci, l’unica cosa che mi accinsi a fare fu addormentarmi.
Mi destai un quarto d’ora prima del suono della sveglia. Mi alzai dal letto mogia e uscii sulla veranda. Il cielo era nuvoloso e cupo, mi passò la voglia respirare quell’aria, ritornai dentro e mi vestii.
Scesi in cucina e, passando per il soggiorno, trovai zia Agata che dormiva sul divano. La ignorai continuando le mie faccende, aprii il frigorifero e presi la scatola del latte, poi da un mobile presi un pentolino e dando un occhiata verso il soggiorno sorrisi beffarda, facendolo cadere apposta. Il rumore che riecheggiò nell’aria fece trasalire mia zia che si alzò di scatto guardandosi intorno smarrita.
<< Alzati, poltrona! >> esclamai accennando un sorriso.
<< Ma, vuoi farmi prendere un infarto? >> chiese balbettando raggiungendomi in cucina.
<< Sarebbe troppo poco! >> risposi strafottente.
<< Perché non mi rispondesti alle chiamate? E perché chiudesti la porta della tua camera a chiave? >>
<< Se dovessi rispondere a tutti i perché, non basterebbe una giornata… polvere di cacao o caffè? >> chiesi mostrandole il tazzone del latte. Lei lo prese e si versò un goccio di caffè. Andammo insieme al tavolo sedendoci una di fronte all’altra.
<< Ti sei calmata? >> mi chiese.
<< Tu come mi vedi? >> ribattei senza guardarla.
<< Bene, perché devo dirti una cosa… non voglio riprendere il fatto di ieri, ma purtroppo devo farlo >>
<< Fa’ in fretta, perché devo andare a scuola >> risposi facendo l’indifferente.
<< Quando ieri te ne andasti, zia Camille scoppiò di rabbia, volle vedere la tua camera e come avevi detto non trovò nulla >>
“Vorrei ben dire! Cosa avrebbe dovuto trovare?”
<< Se ne andò con un diavolo per capello e disse che avrebbe di sicuro scoperto qualcosa a scuola >>
<< Falle fare ciò che vuole! >> esclamai irritata << Non troverà un cazzo! >>
<< Rea! >> esclamò guardandomi contrariata.
<< Mi dispiace zia! Ma è da ieri che lo trattengo! >> risposi alzandomi e mettendo il mio tazzone nella lavastoviglie. << Vado a scuola e se vuole fare la guerra, io sarò in prima linea con un bazuca! >>.
Zia Agata sbottò in una lieve risata, la salutai e me ne andai.
Non appena arrivai davanti al portone della scuola, la bassa e cicciottella figura della vecchiaccia comparve davanti ai miei occhi, aveva un sorriso maligno e da come mi guardava sembrava posseduta. Indurii il mio sguardo facendole capire che non avevo assolutamente paura. Entrai passandole di fianco e ignorandola.
<< Signorina Rea, si fermi immediatamente! >> esclamò attirando l’attenzione degli altri ragazzi che si voltarono tutti verso di me. Mi girai lentamente fulminandola con gli occhi.
<< Dica, signora preside! >> risposi rude.
<< Può essere così gentile da accompagnarmi al suo armadietto? >>
“Puttana! Che cos’hai in mente?” << Nessun problema “preside” >> dissi accennando un sorriso forzato. Mi voltai continuando a camminare seguita dalla vecchiaccia e da alcuni ragazzi che si erano incuriositi, dando inizio a bisbigli.
Arrivata agli armadietti, incontrai Castiel che non appena mi vide, mi scossò uno sguardo allibito, sembrava chiedermi << Che sta succedendo? >>.
Mi voltai un’altra volta verso la preside e chiesi << Devo aprirlo? >>
<< Sì! >> rispose secca.
Aprii sicura lo sportello e lo spalancai guardando la preside con aria di sfida “Prova a trovare qualcosa?”.
Il confettone rosa fece due passi avanti e subito si bloccò non appena vide qualcosa scivolare da sopra i miei libri e cadere per terra. Tutti guardarono il pavimento, io no, perché non volli scoprire ciò che era caduto. Rimasi impietrita a fissare i movimenti della preside, che si era avvicinata raccogliendo l’oggetto che, come aveva sperato, si trattava della busta gialla. Alzò lo sguardo ghignando vittoriosa.
Tutti i miei sensi erano bloccati. Non riuscivo a respirare, non ce la facevo ad ingoiare, non sentii più il mio corpo. L’unica cosa che era ancora vivida in me era la mente che continuava a pensare “non può essere vero”.
Percepii una voce che chiese alla vecchiaccia che cosa stava succedendo. Mi accorsi che era Nathaniel.
<< Questa è la busta contenente le risposte degli esami… non l’avevi presa tu, e? >>
Iniziai a vedere appannato accorgendomi che gli occhi erano colmi di lacrime pronte per traboccare sul viso arrossato di umiliazione e di rabbia. “Maledetta, si sta vendicando per ciò che le ho detto ieri”
<< Io non ne so niente >> sibilai soffocata, nessuno mi sentì, poiché la mia voce venne sopraffatta da mormorii di disapprovazione.
<< La prego di seguirmi nel mio studio >> continuò la preside, allontanandosi, seguita da Nathaniel.
Rimasi lì, cercando di chiudermi nel mio mondo di solitudine, ma non era possibile, perché l’evidenza era schiacciante, non ero sola, intorno a me c’erano sguardi taglienti e voci accusatorie che cercavano parole adatte per offendermi.
“Non devo piangere! Dov’è finita la Rea fredda e menefreghista di un tempo? Che cosa sto diventando? Che cosa sto facendo? Muoviti Rea, affronta la realtà come hai sempre fatto… ma io, non ce la faccio… aiutami Castiel”
Quell’ultima frase me la sentii quasi uscire dalla bocca e forse non mi sbagliai perché ad un tratto la scontrosa voce del rosso riecheggiò nell’aria zittendo e allontanando i curiosi. Me lo vidi mettersi davanti e afferrarmi le spalle, mi scosse lentamente.
<< Che cazzo sta succedendo, Rea? Che significa questo? >>
<< No-non lo so… >> dissi dando sfogo al mio pianto << Non l’ho rubata io, io non ne so niente… >> continuai tra i singhiozzi.
L’arrivo di Nathaniel ci interruppe. << Rea, scusami, ma devi andare nell’ufficio della preside >>.
Annuii con il capo, mi allontanai dall’armadietto e mi incamminai lasciando Castiel solo.
Esitai prima di entrare nell’ufficio, perché cercavo di asciugarmi le lacrime.
“No, non deve vedermi così! Non le permetterò di cantar vittoria! Questa storia dovrà finire come voglio io e no come dice lei!”. Mi pizzicai gli zigomi e tirai un lungo respiro, poi bussai. Non aspettai il suo permesso, entrai subito, mi chiusi la porta alle spalle e rimasi lì, senza muovermi.
La vecchiaccia se ne stava seduta dietro la scrivania e mi guardava con un ghigno.
<< Allora, come la mettiamo adesso? >> chiese strafottente. Io non risposi continuai a guardarla con aria di sfida. << Se non ammetti che sei stata tu a rubarla, sarò costretta ad espellerti e questo significa che dovrai ripetere l’anno >>
Silenzio.
<< A questo punto, chiamerò anche tuo padre e lo informerò della tua pietosa condotta >>
<< Chiamalo allora! >> esclamai tremante di rabbia << Voglio proprio vedere se ti risponderà e se lo farà, cosa dirà! >>
<< Fai ancora la spavalda? >>
<< Forse non hai ancora capito chi è Rea >> risposi avvicinandomi alla scrivania e mettendomi di fronte a lei, sbattei le mani sul piano appoggiandomi e chinandomi in avanti.
<< Te ne stai approfittando perché siamo parenti! >> disse lei aggiustandosi gli occhiali sul naso.
<< Me ne frego di ciò che mi lega a te! Se ho ragione perché dovrei sottomettermi alle tue ingiuste accuse? Fa’ quello che vuoi: espellimi, bocciami, ma io ti ripeto che non ho rubato quella cazzo di busta! >>
<< Rea, modera i termini! >>
<< Zia Camille! >> esclamai interrompendola << io non sono mio padre o zia Agata che tacciono davanti ai tuoi soprusi. Io sono Rea, e ti dico una cosa… puoi detestarmi, umiliarmi, sfruttare la tua superiorità per vendicarti su di me, ma ricordati che la sottoscritta si rialzerà sempre, con fatica, ma lo farà! Intesi? >>
<< Adesso basta! >> urlò infastidita << Nathaniel! Nathaniel! >>
A quelle urla, il cherubino dagli occhi d’oro entrò velocemente nell’ufficio, chiedendo gentilmente in che cosa poteva servire.
<< Prepara le carte per l’espulsione di questa sfacciata! >> ordinò bruscamente e con fare autoritario. Nathaniel mi guardò smarrito ed io lo ricambiai con sguardo impassibile.
 Ad un tratto, qualcosa o per meglio dire qualcuno entrò, interrompendo l’indiavolata e rivelando essere l’autore del furto.
Se fino a quel momento il mio corpo si era costruito una fortezza inespugnabile per affrontare la vecchiaccia, quella rivelazione me la disintegrò in un istante.
 

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Capitolo 21
*** La fortuna dalla mia parte ***


21.
LA FORTUNA DALLA MIA PARTE
 
“Dio mio! Dimmi che tutto questo è un terribile incubo!”, continuai a ripetere senza distogliere lo sguardo dalla spavalda figura di Castiel che era entrato nella stanza dicendo che la busta l’aveva rubata lui e che per non essere sospettato l’aveva nascosta nel mio armadietto.
“Castiel ti prego! Che stai facendo? Perché?” esclamarono i miei occhi. Lui si volse verso di me e mi sorrise facendomi un occhiolino.
Scossi la testa lentamente quasi supplicandolo. “Non farlo, non farlo!”.
<< Signorino Castiel, sta dicendo la verità? >>
<< È per caso sorda? >> chiese beffardo << Ho detto che sono stato io, Rea non ne sa niente >>
La preside, allibita, non riuscì più a continuare. Mi guardò alzando un sopracciglio << E per quale motivo dovrei credere a una cosa del genere? >> chiese rivolgendo lo sguardo al rosso << Se non sbaglio, anche se molto irrispettoso e negligente, lei è il primo della sua classe. Per quale motivo avrebbe dovuto rubare la busta delle risposte? >>
<< Diciamo che tutt’ad un tratto mi è passata la voglia di studiare e volevo fare gli esami con più facilità >>
<< Quindi mi sta dicendo che mia nipote è innocente? >> chiese ancora la vecchiaccia, speranzosa di sentirsi dire il contrario.
<< Dobbiamo far notte? Ho detto che Rea non ne sa niente! >> rispose lui indurendo la voce.
Se fosse stata una cosa facile da fare, in quel preciso istante mi sarei sputata in faccia da sola. Mi feci schifo soltanto al pensiero di indossare i miei stessi panni. Perché non mi muovevo e non lo difendevo? Ero certa che Castiel fosse innocente, che stava solo prendendo le mie difese per non farmi espellere. Ma così facendo, la strega confettata, avrebbe espulso lui al posto mio e questo non lo avrei mai accettato.
Quella situazione era troppo ingiusta e più ingiusta fui io, che tacevo maledettamente.
<< A questo punto l’espulsione verrà cambiata a carico suo, Castiel >> riprese la vecchiaccia.
<< No! >> esclamai volgendomi verso mia zia.
<< Avviserà i miei genitori? >> m’interruppe Castiel alzando la voce.
<< È la prassi, Castiel >> rispose indifferente la preside << potete andare >>
Usciti nel corridoio tirai per un braccio il chitarrista, costringendolo a girarsi verso di me.
<< Si può sapere che cazzo stai facendo? >> chiesi irritata.
<< E si può sapere perché non mi ringrazi mai? >> ribatté lui ridendo.
<< Non ridere, Castiel. Non posso ringraziarti per una cosa ingiusta. Non sei stato tu a rubare quella maledetta busta >>
<< E tu che ne sai? >> chiese diventando serio.
<< Smettila. Lo so e basta. Una cazzata del genere se la poteva bere solo quella vecchiaccia maledetta! Non studi mai, ma sei il primo della classe. Quella busta agli esami non ti sarebbe servita a niente! Perché stai facendo questo? Sei un irresponsabile! >>
A quelle parole, si liberò dalla mia presa, mi afferrò le spalle e mi spinse contro il muro. Strinsi gli occhi dal dolore, poi li riaprii velocemente e lo guardai dritto nei suoi.
<< Possibile che in quanto a comprensione sei meno di zero? >> esclamò bruscamente.
<< E cosa dovrei capire? Che sei un menefreghista irresponsabile? Che siccome vivi senza i tuoi genitori ti proponi per fare tutti i comodacci tuoi?! >> ribattei a tono.
Castiel sbuffò una risata lasciandomi per poi darmi le spalle. << Finiamola qui. Fatti gli affari tuoi e tornatene in classe come se non fosse successo niente >>
<< No! Non dirmi adesso cosa devo fare! Se te ne sbatti di questa situazione io non lo faccio! Devo scoprire il vero responsabile del dannato furto… se poi desideri tanto farti espellere, fa’ veramente qualcosa per meritarlo! >> detto questo me ne andai lasciandolo solo. Entrai nella sala delegati, c’era Melody, iniziai a indagare chiedendo se per caso sapesse qualcosa a proposito della busta gialla.
<< La busta gialla l’aveva la preside, nel suo ufficio >> rispose << e Nathaniel possiede le chiavi del cassetto della scrivania… non starai mica sospettando di Nathaniel? >>
<< No, non preoccuparti Melody, sto solo cercando il vero colpevole. Ma mi servirebbero più prove >>
A quel punto, la monaca di Monza, non sapendo cos’altro aggiungere, fece spallucce.
La salutai e uscii.
Decisi di non andare al club di disegno e passai tutte le ore scolastiche a cercare le benedette prove, senza risultati.
Al termine delle lezioni, ero sfinita. Mi ero girata tutto il liceo inutilmente.
Fuori dal cancello incontrai Castiel appoggiato al muretto con le braccia incrociate al petto e con una sigaretta accesa in bocca. Gli passai davanti ignorandolo.
<< Ehi Sherlock! >> esclamò.
<< Che c’è? >> chiesi guardandolo sottocchio.
<< Armin mi ha detto che non ti sei presentata al club. Perché non ti fai gli affari tuoi e non lasci perdere? In fin dei conti è stato un modo come un altro per avere un po’ di ferie! >>
<< Sono anche affari miei! E poi non ti fare strane idee, non lo faccio per te, lo sto facendo perché quella stronza mi ha umiliata davanti a tutti! >>
<< Buon per te >> rispose lui togliendosi la sigaretta dalla bocca e sbuffando il fumo. Si allontanò dal muretto e mi sorpassò alzando una mano per salutarmi ed aggiunse << Ci vediamo fra due settimane! >>
Quando faceva così non lo sopportavo. “Ti assicuro che ci rivedremo presto!”
Tornai a casa stanca e per fortuna trovai zia Agata ai fornelli occupata a preparare il pranzo. Potei sfogarmi come volevo. Mi lanciai sul divano e presi a pugni il cuscino. Zia Agata si precipitò subito verso di me strappandomelo dalle mani ed esclamando << Idiota, vuoi rovinarmi la tappezzeria?! >>
<< Devo sfogarmi, maledizione! >>
<< Si può sapere che diavolo ti prende? >>
<< Quella preside del cazzo… >> le raccontai tutto l’accaduto. Lei rimase allibita.
<< È peggio di quanto pensassi! >> esclamò irritata << Ma adesso basta… ora l’aggiusto io! >>
<< Che stai dicendo zia? >> chiesi allibita alzandomi dal divano.
Agata ritornò in cucina e iniziò a rovistare tra i cassetti. La seguii non riuscendo a capire che cos’avesse in mente. Ritornò nel soggiorno avvicinandosi verso la parete attrezzata. Si muoveva velocemente.
<< Zia, cosa cerchi? >>
<< Le prove! >> rispose indaffarata.
<< Le prove, di cosa? >>
<< Se le trovo, ti dirò cos’ho in mente >>
Feci spallucce incrociando le braccia al petto e aspettando ansiosa di scoprire le sue intenzioni. Dopo qualche minuto, finalmente, Agata si fermò esclamando << Trovate! >>. Sciolsi la mia posizione cercando di capire che cosa avesse in mano. Era una cartellina di plastica. Si avvicinò porgendomela. Esitai prima di prenderla, sembrava una cosa alquanto scottante. La guardai chiedendole cosa fosse, lei rispose con un ghigno << Se non riesci a trovare il vero colpevole, potrai sempre minacciare zia Camille >>
<< Con questa? >> chiesi indicando la cartella. << Ma che cos’è? >> aggiunsi aprendola.
<< Devi sapere una cosa, Rea… anni fa, la nostra cara preside, come ogni scuola privata che si rispetti, ricevette dai genitori di tutti gli alunni i fondi per le spese ordinarie e quelle straordinarie. Prova un po’ ad indovinare che fine fecero? >>
<< Non dirmi che… >> chiesi allibita.
<< Giorni dopo, ci fu un furto a scuola e lei ne approfittò per dire che nel furto erano compresi anche i fondi, invece, se li tenette lei e guarda un po’ in cosa li sfruttò? >>
Guardai quei fogli leggendo velocemente l’intestazione, da quello che potei constatare si trattava di fatture e ricevute con troppi zeri successivi a un due. Più sotto lessi che appartenevano a un centro benessere per… “No! Non ci posso credere!” guardai sbalordita mia zia che mi sorrideva come per dire “che ti dicevo?”.
<< Non è possibile! Ma come caspita si fa a spendere duemila euro in un centro benessere per… per cani?! Questo non è neanche un latrocinio! Quella donna è veramente una depravata! Ma come facevi ad avere tu queste cose? >>
<< Beh, prima di venire ad abitare da sola, stavo con lei e durante il trasloco, diciamo che presi più del dovuto >>
<< Ti ho mai detto che sei un genio? >> esclamai gettandole le braccia al collo e stampandole un rumoroso bacio sulla guancia.
<< Sì, sì, lo so >> rispose maliziosa condividendo l’abbraccio. Quelle prove erano l’arma di distruzione che cercavo. Non vedevo l’ora di tornare a scuola l’indomani, perché ciò che sarebbe avvenuto, avrebbe preso il primo posto nella storia del ventunesimo secolo.
Salii in camera mia e mi rilessi tutte le carte, eccitata al pensiero di fargliela pagare. << Ti aggiusto io, preside dei miei stivali… ti farò passare la voglia di rompermi le palle! >>
Ad un tratto sentii vibrare il cellulare, risposi senza guardare chi fosse, anche perché sapevo già che senza il mio permesso, quelli che conoscevo si erano passati il mio numero.
<< Pronto? >>
<< Ciao Rea, sono Rosalya >>
<< Ciao Rosa. Dimmi tutto >>
<< Stasera ordiniamo le pizze, ci chiedevamo se volessi unirti a noi >>
“Ci chiedevamo, chi?” << Ok, dove mangeremo? >>
<< Ma a casa di Castiel, naturalmente >>
“Sarà meglio che mi porti un pigiama allora” << Va bene Rosalya >>
<< Allora ci incontriamo al negozio di tua zia, ti va bene alle venti? >>
Accettai, chiusi la chiamata, nascosi la cartellina nel cassetto del comodino e scesi giù per il pranzo. Nel pomeriggio, decisi di andare con zia Agata al negozio. Rosalya fu talmente puntuale che non mi stupii affatto.
Salutammo mia zia e ce ne andammo accompagnate da Leigh.
La casa di Castiel era tutta in subbuglio. Armin e suo fratello stavano giocando all’x-box, Castiel e Lysandro provavano le loro canzoni senza mai fermarsi. Rosalya iniziò a urlare e a ballare a ritmo della musica, io mi appoggiai all’angolo della porta con le braccia conserte, guardandola divertita. Volsi lo sguardo verso Castiel e mi sembrò tranquillo. Sembrava che non fosse successo niente nell’arco di quella mattinata.
Malgrado tutto, sorrisi sollevata, ma dovetti ritirare subito quell’espressione accorgendomi che anche lui mi stava guardando e con il suo solito sorriso beffardo. Poi vidi avvicinarsi a me la pupa argentata che mi afferrò le mani trascinandomi al centro della stanza e invitandomi a ballare << No, Rosa… mi vergogno >> dissi, ma la musica era talmente alta che non riuscii nemmeno a sentire la mia voce. Rosa mi tirava le braccia incitandomi.
“Ma sì, chi se ne frega! E poi è anche un modo per divertirmi alla faccia della vecchiaccia”. Iniziai a ballare non rendendomi conto che avevo attirato troppe attenzioni, in particolare una, quella di Castiel. Lo guardai, gli sorrisi aumentando i miei movimenti. Con quel gesto cercai di fargli capire che andava tutto bene e che presto il pericolo sarebbe scampato. Lui ricambiò il mio sorriso.
La canzone terminò dopo qualche minuto. Mi stavo dirigendo in cucina accompagnata da Rosalya, quando Castiel mi fermò, chiedendomi di raggiungerlo.
<< Cosa c’è? >> chiesi con voce serena.
<< Ti sei calmata? >> ribatté guardandomi sottocchio.
<< Certo >>
<< E come mai? Hai deciso di abbandonare cappello e lente di ingrandimento? >>
<< Elementare Watson! >> esclamai portando la mano vicino la bocca e facendo finta di avere una pipa.
<< Tse! Per caso, hai bevuto? >>
<< Io non bevo! >> risposi fissandolo male << Sono solo contenta che la fortuna finalmente è dalla mia parte >>
<< Non dirmi che hai trovato il vero colpevole? >>
<< No… ma ho scoperto qualcosa di più scottante… non ti preoccupare scoprirai tutto a scuola domani! >>
<< Ricorda che io non devo mettere piede a scuola per ben due settimane >>
<< Oh, certo che lo metterai >> conclusi allontanandomi con passo svelto.
La serata passò tranquilla e piena di risate e come avevo ben sospettato Rosalya mi invitò a dormire da loro annunciandomi che mi aveva preparato una super sexy vestaglia.
Vidi Castiel sorridere
<< No, non c’è n’è bisogno Rosa ho tutto l’occorrente >>risposi decisa. Salimmo al piano di sopra, Castiel mi riaccompagnò in quella camera che avevo occupato giorni prima e rimase sull’uscio della porta.
<< Che c’è? >> chiesi guardandolo incuriosita.
<< Che significa che hai tutto l’occorrente? >> chiese beffardo.
<< Dovevo dire pur qualcosa, altrimenti non so che cosa mi avrebbe fatto indossare quella pazza dai gusti sconci >>
<< Qualunque cosa ti avesse dato, io sarei stato pronto per sfilartela >>
<< Smettila Castiel, non essere il solito pervertito maniaco! >> esclamai, girandomi. Lo sentii avvicinarsi e un profondo calore invase le mie spalle. Appoggiò la sua bocca sui miei capelli e ne aspirò il profumo, poi con le mani mi accarezzò le braccia facendomi rabbrividire. Chiusi gli occhi assaporando quella piacevole sensazione. Poi lo sentii sussurrare << Non scappare come l’altro giorno >>, mollò la presa e se ne andò.
Mi voltai guardando la porta chiudersi << Non ho più intenzione di farlo, Castiel >> sussurrai rivelando un sorriso.
 La mattina seguente, le nuvole del giorno prima erano raddoppiate e sotto quel piumone, luci a intermittenza annunciarono l’arrivo di un temporale. Andai a scuola insieme con Rosalya, Lysandro e i gemelli, dei quali uno, guardando il cielo, si stava lamentando dicendo che odiava la pioggia. A me non importava, anzi mi faceva comodo quel rumore che donava il cielo, creava suspence a ciò che stava per accadere. Arrivati a scuola, non volli perdere altro tempo. L’unica cosa che volevo fare era togliere dai pasticci Castiel e l’avrei fatto, fosse stata l’ultima cosa che facevo nella mia breve vita. Mi recai all’ufficio della preside, bussai e quando ebbi il permesso di entrare, lo feci chiudendomi la porta alle spalle. Preparai il mio sguardo più duro e mi avvicinai alla scrivania.
La vecchiaccia era indaffarata a scrivere qualcosa e ad avvisare la mia entrata ci pensò quella peste di Kiki che iniziò a ringhiare. Zia Camille alzò lo sguardo e si sorprese nel vedermi
“Sì, sorprenditi pure… perché alla fine ci rimarrai secca!”
<< Che cosa vuoi? >> chiese bruscamente.
<< Sono venuta per chiederti la sospensione della punizione a Castiel! >> risposi duramente.
<< Chi ti dà il diritto di pretendere una cosa del genere? >>
<< Castiel è innocente! Ha voluto incolparsi per difendere me… >>
<< Questo significa che sei stata tu? >>
<< No! Qualcuno ha voluto incastrarmi! >> risposi alzando la voce.
<< Abbassa i toni Rea! Anche se sei mia nipote, non ti do il diritto di parlare in questo modo! >>.
Iniziai a spazientirmi, ma con calma, mi sedetti sulla sedia e accavallai le gambe, appoggiai i comiti ai braccioli e iniziai a far roteare la sedia a destra e a sinistra.
<< Bene… >> sospirai << Allora vediamo se riesco a convincerti in questa maniera… ti dicono niente queste frasi: fondi da duemila euro e centro benessere per animali? >>
La vidi tremare e far cadere la penna, mi guardò impietrita, tossì smarrita e balbettò << C-come… >>
Mi alzai di scatto sbattendo le mani sulla scrivania. << Adesso ti avviso io… ieri mi hai umiliata dinnanzi tutti i ragazzi del liceo. Ti sei divertita abbastanza! Adesso… o fai come ti dico, oppure… ritieniti sputtanata per tutta la scuola e inizia a trovare il modo per reggere ancora in piedi il tuo titolo di preside! >>
<< Mi stai minacciando? >>
<< Ti sto avvisando! >>
<< Non hai le prove di ciò che hai appena detto >>
<< Certo che le ho. Fatture con ricevute comprese. Altrimenti come pensi che sappia dei tuoi imbrogli? >> risposi incrociando le braccia al petto e guardandola dall’alto << Ho provato a cercare il colpevole, ma non ci sono riuscita. Quindi annulla la punizione di Castiel e io insabbierò il tuo imbroglio >>. Mi complimentai da sola, ero stata alquanto convincente, infatti, la strega annullò tutto richiamando Castiel a seguire le lezioni. Lui giunse alla fine della seconda ora e lo incontrai agli armadietti. Non appena mi vide, mi lanciò un’occhiataccia di quelle truci. << Come diavolo hai fatto a convincerla? >> chiese alquanto incavolato.
<< Un grazie basterebbe >>
<< Rea, non dirmi che ti sei presa un’altra volta la colpa? >>
<< Non preoccuparti >> risposi con un sorriso << diciamo che mi sono messa a spolverare l’armadio della mia “cara zia” e vi ho trovato alcuni scheletri >>
<< L’hai minacciata? >> chiese allibito.
Non gli diedi risposta, mi limitai solo a sorridere.
Ad un tratto fummo interrotti dalle urla impazzite di Ambra che si avvicinò al rosso quasi volendosi inginocchiare << Castiel! Amore mio! No, non posso permetterlo! >> esclamò dando vita ad una tragedia greca. Castiel si allontanò sussurrando a denti stretti << Ambra smettila, stai dando un pietoso spettacolo >>.
Guardavo la scena, divertita e molti ragazzi si avvicinarono incuriositi.
<< Chiamate la preside! Lì, Charlotte, io non sapevo che doveva andare a finire in questa maniera! La punizione doveva averla quella lì! >> esclamò indicandomi.
“Ora è tutto chiaro! È stata questa pazzoide ad architettare tutto quanto!”.
Fortunatamente, la preside passava di lì e sentì tutto.
Ambra, con mia più grande felicità, ebbe in dono la punizione riservata prima a me e poi a Castiel. Finalmente potevo tirare un sospiro di sollievo. Era tutto finito, ma come al solito cantai vittoria troppo presto. Alla fine della ricreazione venni attratta da un gruppo di ragazzi che circondava qualcuno. Sentii il rumore di colpi violenti che riecheggiavano nell’aria. Mi feci spazio tra la folla per vedere che cosa stava succedendo.
Non appena i miei occhi incontrarono la scena, capii che tutti i miei sforzi non erano valsi a niente.   
 

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Capitolo 22
*** Segreti da nascondere ***


22.
SEGRETI DA NASCONDERE
 
C'era una cosa che non riuscivo ancora a concepire del carattere di Castiel: o era uno di quei sadici a cui piaceva sfidare la sorte, oppure era un modo come un altro per constatare i limiti della mia pazienza.
Dopo tutto quello che avevo fatto per salvargli il fondoschiena, dopo essere caduta in basso a fare cose che non mi erano mai passate per la testa, come minacciare la preside, lui che stava facendo per ringraziarmi? Modellava a via di cazzotti la faccia del cherubino dagli occhi d'oro? Ma la cosa più assurda era il menefreghismo e l'incitamento a continuare dei ragazzi che li circondavano.
"Miseriaccia!" mi dissi, mentre cercavo di farmi largo tra la folla "ma perché devo trovarmi sempre in situazioni di..."
<< Castiel! Fermati, così lo ammazzi! >> esclamai afferrandogli il braccio destro che faceva da arma. Essendo più forte di me, avvolsi il suo braccio fra le mie, stringendomelo in petto.
<< Tu stanne fuori! >>i urlò strattonandomi. Finii per terra sentendo un forte dolore al fondoschiena. Castiel stampò un altro pugno sul viso angelico di Nathaniel il quale, raccogliendo tutte le sue forze, lo ricambiò con una ginocchiata che, non volli sbagliare, perché il rosso mi dava le spalle e non potevo vedere, ma, dalla sua reazione, il colpo lo prese dritto dritto tra gli attributi.
Sentii un << Ahia! >> detto in coro. Cercai di rialzarmi per farli smettere, ma Lysandro e Armin, lo fecero al posto mio.
 Sospirai sollevata, mi avvicinai ai due ormai divisi e rivolgendomi al rosso urlai << Si può sapere che diavolo stai facendo? È questo il ringraziamento dopo averti salvato dalla sospensione? >>
<< Nessuno ha chiesto il tuo aiuto! E lasciami Lys! >> esclamò dimenandosi. Lysandro lo mollò dicendogli di stare calmo. Castiel si avvicinò ancora a Nathaniel e con un sibilo disse << Con te non ho finito! Ti farò rimangiare tutto a via di pugni! >>
<< Non ci sarà bisogno, perché avviserò la preside e ti farò sospendere >> ribatté il biondo cercando di mettersi dritto, aiutato da Armin.
Cos’era successo?
Vidi Nathaniel allontanarsi barcollando, i curiosi fecero altrettanto, lasciando Lysandro, Castiel e me da soli.
<< Calmati Castiel >> disse Lysandro picchiettandogli la spalla.
<< Quel pezzo di merda! >> esclamò il chitarrista tirando un calcio all’armadietto << Non ha ancora capito con chi ha a che fare! >>
Ad un tratto, si udì il gracchiare della radio e la voce della preside chiamare Castiel nel suo ufficio.
Lo vidi sorridere beffardo. “Questo ragazzo non è normale! Le cose si metto male e lui che fa, se la ride?”. Si allontanò lasciando Lysandro e me da soli, intenti a fissarlo.
<< Ma perché c’è tanto astio fra quei due? >> chiesi al “nobiluomo” senza rivolgergli lo sguardo.
<< È sempre stato così, da quando erano bambini, solo che a quei tempi, erano tutti e due l’opposto di come sono adesso. >> rispose Lysandro con un sorriso.
<< E cioè? >> chiesi ancora.
<< Beh, diciamo che com’è Castiel adesso, lo era Nathaniel prima e viceversa. >>
<< Aspetta… mi stai dicendo che Castiel da piccolo era la reincarnazione della gentilezza? >> chiesi allibita guardandolo. Lysandro annuì sospirando. Mi raccontò anche in che modo, il rosso, aveva fatto innamorare Ambra di sé.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie, non poteva essere vero! Per quale motivo allora, era diventato così? Provai a chiederlo.
<< Castiel, non vuole che lo racconti, mi dispiace Rea, ma dovrai assopire la tua curiosità >> disse con una smorfia dispiaciuta.
<< Però così mi fai diventare ancora più curiosa >>
Lui fece spallucce e se ne andò. Ritornai a guardare la via che aveva ripercorso Castiel e incantandomi, i miei occhi immaginarono cose che solo la mia mente poteva concepire in quel momento.
Castiel bello come un angelo, con un paio di ali dorate che contrastavano con il rosso dei suoi capelli. Me lo immaginai come il personaggio dell’anime Aquarion ( Ali del Sole ) e per una situazione misteriosa, era caduto dal cielo, diventando l’opposto di ciò che era alleandosi con gli altri angeli caduti. “Ok, lo ammetto, questo mistero mi sta stuzzicando la curiosità”.
Non mi accorsi di essere stata a lungo nel corridoio, pensando anche a cosa la preside stava dicendo al rosso. Dopo un po’ lo vidi comparire. Dalla sua espressione, capii che era andato tutto bene, ma trattandosi di Castiel, ritrassi subito quel pensiero. “Cavolo! Quel ragazzo quanto a sentimenti è un vegetale. Quel sorrisetto beffardo, può racchiudere tanti significati”.
<< Cosa ti ha detto? >> chiesi avvicinandomi.
<< Sei ancora qui? Vedo con piacere che il tuo chiodo fisso sono io >>
<< Non dire stupidaggini… allora? >>
<< Non te lo dico >>
<< E perché? >> chiesi irritata.
<< Perché altrimenti, saresti capace di andare da tua zia e minacciarla un’altra volta per ritirare la punizione… a proposito, sei davvero una ragazzaccia. Non è che per caso fai davvero parte di una cosca? >>
<< Idiota! >> esclamai tirandogli un pugno sulla spalla, lui si ritrasse dolorante stringendosi il punto colpito. Lo ignorai, sicura che stava scherzando, ma vedendo la sua mano insanguinata e gonfia, istintivamente mi avvicinai e scrutai anche il suo volto, cercando di scorgere qualche ferita.
<< Vieni con me >> dissi seria. Lo presi per mano e lo condussi in infermeria. Come al solito la dottoressa non c’era. Gli ordinai di sedersi sul lettino e mi recai alla credenza per prendere tutto l’occorrente per disinfettare le ferite. Lui non si mosse. Imbevvi la candida ovatta di disinfettante e con fare sicuro, presi la sua mano, iniziando a tamponarla delicatamente. Lo vidi flettere i muscoli, ma non fiatò. Capii che bruciava, feci più lentamente soffiandoci sopra. Poi lo guardai in volto. Aveva il labbro tagliato. Esitai, prima di poggiargli l’ovatta.
Castiel mi guardava serio, tamponai lentamente, seguendo con gli occhi le linee della sua deliziosa bocca. Sfiorai con le dita il suo mento e ad un tratto mi sentii pervadere da un formicolio al basso ventre.
I suoi occhi, penetravano maliziosi i miei, il suo respiro si fece più intenso accorgendomi che eravamo troppo vicini, giacché quel calore accarezzava sensualmente il mio collo. Cercai di scacciare via l’imbarazzo chiedendo che punizione gli avesse inflitto la vecchiaccia. Mi fermai per farlo parlare. Lui non mi rispose, continuando a guardarmi negli occhi, allungò la sua mano e afferrò dolcemente la mia. Lo lasciai fare, curiosa di scoprire le sue intenzioni, anche se avrei dovuto aspettarmele. Mise delicatamente le mie dita sulle sue labbra, provai a ritrarmi, ma si oppose stringendo la presa. D’istinto, toccai leggermente il suo labbro inferiore, lui socchiuse la bocca, accogliendo il mio indice e leccando il polpastrello. Quel lieve tocco mi diede un intenso brivido che percorse il braccio colpendo la mia spina dorsale, istigando i miei polmoni a farmi ansimare.
Mi guardava, i suoi occhi grigi, come il cielo nuvoloso, nascondevano una parvenza di quello che percepii voleva essere desiderio. Dal polpastrello passò all’intera falange, poi il palmo della mano. Sentii l’intimo palpitare, il respiro farsi più pesante e la gola oppressa da gemiti di piacere che volevano uscire presuntuosi.
Tremai e quel tremito mi fece ritirare la mano d’istinto. Mi allontanai da lui, dandogli le spalle e massaggiandomi la mano sottomessa alle sue arroganti voglie.
<< Castiel, rispondi alla domanda che ti ho fatto >> balbettai, cercando di sottomettere al mio volere quelle sensazioni peccaminose.
Invece di rispondermi, mi tirò un lembo di maglia, costringendomi ad indietreggiare e ritrovandomi un’altra volta vicino a lui, ma di spalle. Le sue mani si posarono sui miei fianchi e strinsero la presa, poi lentamente si diressero verso il basso, sollevando la maglia e insinuandosi all’intero. Aveva i polpastrelli freddi e quel toccò mi fece rabbrividire. Lentamente salì fino a toccare la stoffa del reggiseno. Gli afferrai le braccia di scatto, cercando di fermarlo. << Cas-Castiel, che… >> balbettai intenta ad allontanarmi, lui mi ritrasse, facendomi sedere sulla sua “accesa” virilità. Trattenni il respiro, rimasi con gli occhi sgranati sentendo quella cosa viva e imponente toccare senza pudore il mio sedere. È inutile dire che quella era la prima volta che il mio corpo aveva un contatto con “esseri del terzo tipo”. Non riuscii neanche più a tremare, resa smarrita da ciò che mi stava facendo.
Con una mano che toccava veemente il mio seno al di sotto della maglia e l’altra che spostava i capelli a un lato per permettere a quelle labbra di poggiarsi, padrone, sulla mia nuca, il forte piacere che s’impadronì del mio corpo mi fece perdere i sensi, e non in senso figurato.
 
 
Un forte odore che somigliava molto all’aceto destò, violento, i miei sensi. Mossi la testa cercando di allontanare quel fastidioso odore dalle nari, aprii lentamente gli occhi cercando di regolare la focalità. Vidi una donna occhialuta con un camice bianco che mi sorrideva dicendo qualcosa non percepita all’istante.
<< …ene… ata… >>
<< C-cosa? >> chiesi accorgendomi di avere la voce rauca.
<< Ho detto: bene ti sei svegliata >>
<< Cos’è successo? >> chiesi cercando di mettermi a sedere sul lettino.
<< Castiel ha detto di averti vista perdere i sensi nel corridoio e ti ha portata >>
Quelle bugie rimisero in moto i miei ricordi “Che grandissimo stronzo! Svenuta nel corridoio, eh?”. Voltai la testa verso il bugiardo. Se ne stava tranquillamente appoggiato agli infissi della porta e mi guardava divertito. Lo fulminai con un solo sguardo, poi la voce della dottoressa attirò la mia attenzione, mi voltai verso di lei cambiando espressione.
<< Rea, sei svenuta perché hai avuto un calo di zuccheri. Mangi? >>
<< Sì >> mormorai annuendo anche con il capo.
<< Hai passato un periodo di stress? >>
“Perché non lo chiedi a quel play boy lì in fondo e al tuo superiore?” << Beh, diciamo di sì >>
<< Allora dovrai prendere delle vitamine e riposare, star lontana da situazioni stressanti… >>
<< Ci vorrebbe una gabbia, allora… >> “Il primo da rinchiudere sarebbe il pervertito”
<< Come? >> chiese non avendo capito.
<< Niente, niente… >> risposi sorridendo.
Dopo le raccomandazioni, uscii dall’infermeria, ignorando il rosso che mi seguiva standomi dietro. Lo sentii ridacchiare, mi voltai irritata lanciando fiamme dagli occhi.
<< Idiota di un maniaco sessuale! >>
<< Ah-ah-ah-ah… >> sbottò reggendosi lo stomaco.
<< Smettila Castiel! >>
<< Ah-ah… ma come cavolo si fa a svenire dopo una palpatina? Ah-ah! >>
<< Palpatina, un corno! >> esclamai avvicinandomi a lui << quella la chiami palpatina? Mi hai istigato mentalmente ad assorbire la tua perversione! E poi non sono svenuta per quello! Non hai sentito la dottoressa? La mia mente è provata dallo stress! >>
<< Sì, e io non mi chiamo Castiel… >> rispose. Poi accorciò la nostra distanza, afferrando dolcemente una ciocca di capelli << Ti faccio quest’effetto allora? >>
<< Q-quale effetto? >> chiesi togliendogli i capelli dalla mano << Non mi fai nessun effetto >> dissi dandogli le spalle e incrociando le braccia al petto.
<< Tzé… >> sbottò mettendosi di lato e avvicinandosi al mio orecchio << ammettilo, l’ora x si sta avvicinando >> sussurrò aspirando l’odore dei miei capelli, afferrandone una ciocca e allontanandosi facendola scorrere tra le sue dita. Lo guardai. Non seppi il perché ma la situazione passata e quelle parole non mi avevano irritata per davvero.
Mi diressi verso la classe e nel corridoio vidi Kim che parlava con Rosalya. Mi avvicinai a loro chiedendo che cosa ci facevano lì.
<< Ehi Rea, hai sentito? >> chiese Kim.
<< Cosa? >>
<< Castiel non parteciperà alla gita dei tre giorni >> rispose.
<< La preside lo ha punito in questa maniera per aver picchiato Nathaniel >> continuò Rosalya.
“L’ha dovuto fare, la stronza! Mi conosce, sapeva che non potevo minacciarla un’altra volta, soprattutto se la cosa non era giusta da fare”
<< Mi chiedo per quale motivo lo ha picchiato? >> chiesi in generale.
<< Di sicuro c’entra quella sciacquetta di Ambra >> rispose Kim appoggiandosi di spalle all’armadietto.
<< Ma perché Castiel e Nathaniel non si sopportano? >> chiesi cogliendo l’attimo per scoprire qualcosa.
<< Al secondo anno delle superiori, Castiel si portò a letto Ambra e quando il giorno dopo le fece capire che fra loro non ci poteva essere niente, la strega si offese a morte mettendo in mezzo suo fratello >> rispose Kim.
<< Ma non fu solo quello >> intervenne Rosalya.
<< In che senso? >> chiesi ancor più incuriosita.
<< C’è stato qualcosa nel passato che Castiel e Nathaniel custodiscono con attenzione e che non vogliono far uscire allo scoperto… posso solo dirti che dipende anche dai loro genitori. Infatti la famiglia di Cass e quella di Nath sono come i Montecchi e i Capuleti… Lys mi ha detto che oggi hanno litigato per una frase di troppo detta da Nathaniel >>
“Si sta davvero rivelando un mistero…”. Non avrei mai potuto immaginare che anche uno come Castiel potesse avere dei segreti. E questi, ben presto, avrebbero cambiato tutto, anche la mia vita.
 

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Capitolo 23
*** Cosa sono per te? ***


23.
CHE COSA SONO PER TE?
 
 
Un rivolo di acqua si disegnò sulla finestra del club di disegno, avvertendo l’inizio della pioggia che non fece aspettare la sua entrata in scena.
Guardavo l’esterno un po’ malinconica. Quando pioveva mi sentivo sempre così, senza alcun motivo. Armin di fronte a me mi guardava incuriosito cercando di capire cos’avessi senza però chiedermelo. Mi voltai verso di lui regalandogli un sorriso.
<< C’è qualcosa che non va? >> mi chiese.
<< Quando piove mi annoio >> risposi sbuffando.
<< A chi piace la pioggia? >> ribatté lui.
<< A me >> rispose timidamente Violet senza distogliere lo sguardo dal suo foglio da lavoro. Armin e io la guardammo stupefatti non per la sua risposta ma, stupiti di averla sentita parlare.
<< Che ne dici se stasera andassimo da qualche parte? >> mi propose Occhi di ghiaccio.
“Sì, almeno un altro videogioco ti istigherebbe a darmi buca un’altra volta” << È un appuntamento? >> chiesi incuriosita. Lo vidi arrossire leggermente.
<< Accetterei volentieri >> continuai << ma sei sicuro che poi non avrai imprevisti con i tuoi videogiochi? >>
<< Non preoccuparti. Quel giorno fu un’eccezione. Castiel mi fece una sorpresa, lo aspettavo da tempo quel gioco… >>
Di scatto mi rizzai in piedi dopo aver sentito il nome del rosso << Castiel?! >> esclamai sentendo l’irritazione sovrastare la mia calma << Che c’entra Castiel? >>
<< Beh, fu lui a regalarmi il videogioco di Assassin’s Creed >> rispose ingenuamente.
“Questo è troppo! Avrei dovuto aspettarmelo quella sera… è stato tutto un suo piano per prendersi il mio primo appuntamento… Come al solito, quanto a comprensione, sono peggio di un computer pieno di virus!”
<< Ma perché ti allarmi tanto? >> chiese ancora il moro, un po’ preoccupato.
<< N-niente, Armin >> balbettai tremante di rabbia e risedendomi. Afferrai una matita e iniziai a calcare la punta su un foglio bianco, strappandolo con una sola linea. Attorno a me si formò un’aura che avrebbe sorpassato l’ultimo stato di un super sayan incazzato nero. Mi accorsi che Violet e Armin si allontanarono da me e sentii quest’ultimo sibilare << Forse avrei dovuto rinunciare a invitarla >>
“Lo sai cosa avresti dovuto fare dall’inizio?” gli chiesi nella mia mente “avresti dovuto sbattertene del videogioco e uscire con me! Evitando a quel dannato pervertito di prendersi il mio primo appuntamento! Ma questa volta non la passa liscia! Altro che ora x… si sta avvicinando un’ora, l’ora della tua morte, Castiel!”.
Ritornai subito seria, fermando i miei bruschi movimenti con la matita. “Si sta solo divertendo. Per lui, non sono altro che un giocattolo. Ma ormai è troppo tardi. Posso nasconderglielo, anche se è difficile riuscirci, ma non posso più tornare indietro…”.
Suonò la campanella, uscii dall’aula seguita da Armin che continuò ad insistere sull’appuntamento.
<< Va bene Armin >> risposi sorridendo << ma ti avverto, se mi darai buca anche questa volta, ritieniti morto al posto di Castiel >>
<< Sì… un momento che c’entra Castiel? >> chiese allibito.
Non risposi, lo salutai soltanto e me ne ritornai a casa. Durante il tragitto, zia Agata mi chiamò dicendomi che avrebbe fatto ritardo, dato che oggi aveva delle consegne molto importanti per l’estero e aggiungendo che sarei dovuta andare a fare la spesa >>
“Meraviglioso! Stai lontana dallo stress! Tzé… i dottori la fanno facile”
Andai al supermercato e con mia sorpresa vi trovai Lysandro e Castiel. Salutai solo il nobiluomo, mentre al suo amico riservai una smorfia.
<< Che ci fai da queste parti? >> chiese Lysandro.
<< Spese, zia Agata ha da fare in negozio >> risposi indifferente cercando di decidermi se prendere le banane o le fragole.
<< Ti consiglio di prendere le fragole >> sussurrò il rosso avvicinandosi a me << le banane ti fanno un brutto effetto >>
<< Che ne sai tu?! A me piacciono le banane! >> esclamai attirando l’attenzione di alcuni clienti che risero cercando di non farsene accorgere. Mi guardai intorno non riuscendo a capire.
<< Questo è da vedere >> continuò Castiel ridendo.
<< Ma che… >> in quel momento “Sempre troppo tardi” capii il doppio senso della parola. Diventai rossa d’imbarazzo e mi strinsi nelle spalle vergognandomi di me stessa. << Sei davvero un… >> ringhiai afferrando una mela pronta per colpirlo.
<< Questa dalla a me >> intervenne Lysandro, togliendomi il frutto dalla mano e portandoselo alla bocca tirandogli un morso << le mele sono fatte per mangiarle, non per lanciarle >>.
Sospirai, mi allontanai cercando di ignorare il pervertito. Mi recai alla cassa, seguita dai due, pagai e uscii. Non appena fuori, Castiel mi prese la busta e vi infilò le banane, poi allontanandosi disse << Mi raccomando fanne buon uso! >>
<< Prima o poi, giuro che ti ammazzo! >> esclamai irritata. Tirai un lungo respiro e me ne ritornai a casa. Lasciai le buste sul tavolo, mi sentii tutt’ad un tratto stanca, non volevo mangiare, volevo solo unirmi al letto. Salii le scale mogia, entrai nella mia stanza e sprofondai sul materasso. Mi addormentai all’istante.
A svegliarmi fu mia zia che mi scosse dolcemente chiamandomi.
<< Che c’è? >> chiesi assonnata.
<< Svegliati Rea. Armin è giù che ti aspetta! >>
Scattai in piedi dirigendomi verso l’armadio << Mannaggia! Ma quanto ho dormito? >>
<< Sono ritornata due ore fa e stavi ancora dormendo, sono le otto >>
<< Sei ore di sonno?! >> esclamai sbalordita << Veramente, non devo stare tanto bene >>.
Mi lavai e vestii in fretta scesi facendomi sentire dalle scale con un << Scusami tanto Armin! >>.
Il moro se ne stava tranquillamente seduto sul divano con la sua psp. “No!” mi dissi non appena lo vidi “anche lei no!”. Guardando quella situazione, mi parve di stare in quel film bianco e nero, napoletano dove, fra i due fidanzati c’era sempre dietro la mamma, in questo caso, fra me e Armin: la psp. Accennai un sorriso forzato, lui la rimise in tasca e uscimmo salutando mia zia.
<< Dove andiamo di bello >>
<< In un posto che ti piacerà di sicuro. È un pub, noi lo frequentiamo molto spesso durante l’inverno e la primavera, dato che l’estate, il padrone lo chiude per aprire un chiosco vicino al lago >> rispose Armin tutto d’un fiato.
Rimasi in silenzio e mi accorsi che senza guardarmi, Armin, allungava la mano per afferrare la mia. Concessi quella presa dopo qualche secondo di esitazione. Ad un tratto iniziai a chiedermi per quale motivo Armin volesse uscire con me… diciamo che avevo qualche dubbio, ma la curiosità di sapere fu la mia padrona.
<< Senti, Armin… >> esordii sicura.
<< D-dimmi? >> balbettò lui con voce fioca.
<< Mi chiedevo… c’è per caso qualche ragione per cui hai insistito tanto per uscire con me? >>
Lui si fermò e lo feci anche io, gli fissai le spalle e aspettai con impazienza una sua risposta. Si volse lentamente, i suoi occhi brillavano e il suo volto sembrava scottare al solo vederlo.
<< Rea, io… >> balbettò passandosi una mano dietro la nuca << Non sono esperto in queste cose… ecco, tu mi… tu mi piaci molto… >>
Trasalii a quelle parole, era la prima volta che sentivo dirmi una cosa del genere. Finalmente, dopo tanti paragoni sconci, le mie orecchie poterono inebriarsi di frasi caste. Arrossii, non sapendo cosa rispondere.
<< Non ti chiederò di diventare la mia ragazza, perché so che mi risponderesti che è ancora presto. Per questo voglio iniziare come amico… per te va bene? >>
<< Se per te la risposta equivale a: trattiamoci da amici, dico di sì >> risposi sorridendo. Armin ricambiò il mio sorriso e continuammo a camminare dirigendoci verso il pub.
Ci sedemmo a un tavolino. L’ambiente era adatto per i giovani, al centro c’era una piccola pista da ballo, illuminata da luci azzurre che si dissolvevano dando il posto a quelle lilla e viceversa. In sotto fondo, le note di un pianoforte riecheggiavano dolci nell’aria. C’erano poche persone, mi guardai intorno, ammirando curiosa il posto.
<< Nell’altra stanza c’è una sala giochi >> intervenne Armin << Dopo se vuoi possiamo andarci a dare un’occhiata >>
Annuii sorridendo “Ha proprio una fissa, questo!”.
Ad un tratto la musica in sottofondo si placò, dando spazio a una pop. La sala si riempì di ragazzi e ragazze pronte per ballare.
<< Vuoi ballare?! >> esclamò Armin cercando di farsi sentire.
<< Mi vergogno >> risposi facendogli leggere il labiale. Lui mi prese per il polso e mi costrinse a seguirlo sulla pista. Ci mescolammo in mezzo a quella foresta di sapiens. Fregandomene della vergogna, iniziai a ballare, muovendomi a ritmo di musica, e sotto gli occhi stupiti di Armin. Nei miei movimenti scontrai un sedere e voltandomi per chiedere scusa, incrociai gli occhi di Rosalya, che non appena mi vide mi abbracciò contenta della mia presenza.
<< Perché sei qui? >> esclamò in un orecchio.
<< Sono con Armin. E tu? >>
<< Castiel e Lysandro, sono a quel tavolino lì in fondo >> disse indicandomeli. Seguii il suo indice e tra la folla riuscii a vedere Lysandro e di fronte a lui Castiel. Mi accorsi che non erano soli, c’era qualcuno con loro. Dopo un po’ riuscii a vedere bene di chi si trattava. Castiel era seduto accanto a una ragazza esageratamente truccata. A primo impatto parve una cubista. Non mi accorsi di aver fermato i miei movimenti. Gli occhi erano poggiati sulla scena: Castiel aveva passato un braccio fra le spalle della ragazza e lei si era accoccolata sul suo petto infilando la mano sotto la sua giacca.
La musica terminò e fu Armin ad avvisarmi, lo guardai smarrita.
<< Che c’è, Rea, non ti senti bene? >> mi chiese preoccupato. Scossi la testa facendogli capire che andava tutto a meraviglia. Ritornammo al nostro tavolino. Dal mio posto, potevo vedere esattamente quello che succedeva al tavolino di Rosalya e compagnia bella.
Fissavo intensamente i movimenti della cubista: la sua mano era scesa, ma il tavolino non permetteva la visuale, non ebbi bisogni di tempo per capire che lo stava toccando nella sua parte virile. Guardai lui, captando la sua reazione. Gli piacevano quei gesti, lo capii subito, perché dopo un po’, insinuò la sua mano sotto la corta magliettina.
Mi sentii sprofondare in baratro pieno di dolore. Gli occhi iniziarono a bruciare e le labbra tremare. Sapevo cosa voleva il mio corpo, ma non potevo permetterglielo, non davanti ad Armin e nemmeno in quel locale. Distolsi lo sguardo tirando un lungo respiro e cercai di fermare quel fastidioso tremito.
<< Rea, ma cos’hai? >>
Scossi il capo sorridendo, non volevo parlare, non potevo, giacché mi sentivo tremare anche dentro.
<< Andiamo in sala giochi? >>
<< V-va tu, io ho bisogno di un po’ d’aria, sai che non son abituata alla folla, ti raggiungo presto >> balbettai con voce rauca. Lui acconsentì e se ne andò. Mi alzai barcollante e lentamente mi diressi verso l’uscita.
L’aria tiepida non mi diede sollievo. Ritornai dentro sentendo il forte bisogno di riempirmi la gola di acqua fresca, mi diressi al piano bar e ne ordinai un bicchiere. La deglutii in un sol sorso, ma non mi bastò. L’aridità che dominava la gola era tanta. Ordinai qualcosa di più forte.
Il barista mi guardò sottocchio. Compresi che voleva sapere la mia età. Dovevo compiere diciotto anni in pochi mesi, me ne fregavo. Valeva l’anno non il mese. Sicura di me risposi a quella domanda non fatta << Sono maggiorenne, vuole vedere? >> chiesi mettendo la mano alla borsa a tracolla. Fu strabiliante come il barista si fidò solo della mia parola. “Idiota” pensai.
<< Allora, cosa desideri? >> mi chiese preparando il bicchiere.
Non esageravo nel berla, ma la birra mi bastava. L’uomo mi riempì un boccale e iniziai a berlo tutto d’un sorso. Dopo un po’ mi voltai per vedere quel pervertito del rosso che continuava a palpare quella donnaccia. Sentii i nervi pulsare e la gola seccare, mi voltai verso il barista ordinando un altro bicchiere. Anche questo passò nella mia bocca in un sol sorso.
Iniziai ad avere caldo, il respirò si appesantì e i suoni iniziarono a non essere più chiari. Mi girava un po’ la testa, l’appoggiai sul braccio.
“Che stai facendo?” mi chiesi “Sei patetica, ma lo vuoi capire che ti sta solo usando? Cosa ti aspettavi da uno come lui? E poi ripensa a ciò che ti ha detto Armin, mettilo a confronto con il bastardo… c’è una grandissima differenza… oh, sta zitta! Io non voglio Armin!”. Mi voltai un’altra volta incrociando quella spudorata scena. Rivelai un ghigno. Chiesi al barista una brocca d’acqua con ghiaccio, lui me la diede senza esitare e senza chiedere cosa dovevo farne. La presi reggendola con due mani. Mi alzai, barcollante e mi avvicinai al tavolino.
<< Ehi, Rea! >> esclamò Rosalya con un sorriso. Castiel fermò i suoi atti osceni per guardarmi rivelando il suo solito sorriso. Feci finta di ignorarlo. << Allora, ragazzi… >> biascicai reggendomi a stento in piedi << Vi state divertendo? >>.
<< Ehm, Rea… >> mi interruppe Lysandro << Hai per caso bevuto? >>
<< Io, bevuto? >> esclamai gesticolando come un’idiota << mhm… un po’… si vede? >>
<< Castiel, chi è questa ragazzina >> intervenne la cubista.
<< Già! >> la interruppi rivolgendomi al rosso << Sentiamo Castiel… chi è questa ragazzina? Non rispondi? Non vuoi presentarmi? Ok… >> dissi poggiando la brocca sul tavolino e sedendomi sulle gambe di Lysandro che mi guardò allibito << sono costretta a presentarmi da sola… io sono… la ragazza che Castiel vuole disperatamente portarsi a letto >>
Castiel sbottò in una lieve risata. La cubista si distaccò da lui guardandomi storto. << ma non ti preoccupare >> continuai agitando le mani << Questo non succederà >> dissi girandomi verso Lysandro e avvolgendogli la nuca con gli avambracci << Lys, me lo fai un piacere? >> chiesi facendo le mosse di una bambina.
<< Dimmi Rea… >> chiese lui ingenuamente.
<< Fammi venire a letto con te… Questo bastardo pittato di rosso mi ha minacciato dicendo che vuole farmi sua, ma io non voglio… me lo fai questo piacere? >>.
Lysandro mi guardava smarrito, poi volse lo sguardo verso Castiel come per chiedergli cosa dovesse fare.
<< Rea, smettila! Stai esagerando! >> sentii la voce di Castiel alquanto incazzata. Scoppiai a ridere alzandomi dalle gambe di Lysandro e barcollando cercai di mettermi in piedi << Ah-ah-ah! Stavo scherzando. Chi mai penserebbe di farlo con una che sviene provando un po’ di piacere? Ah-ah-ah >>
<< Oh, cavoli >> mormorò Rosalya << è proprio ubriaca >>
<< Che c’è Castiel? >> continuai guardandolo con occhi di sfida << ti sto rovinando la serata? Ben ti sta fottuto maniaco! Ora siamo pari >>
Tutti del gruppo tacevano e li guardai incuriosita << che vi prende… Ehilà! Pfiu! Ragazzi, sbaglio o qui si muore di caldo? >> chiesi afferrando la brocca dell’acqua, poi rivolgendomi alla cubista esclamai << Ehi, tu! Questo non è un bordello! Dovresti calmare i tuoi bollenti spiriti… aspetta, ti do una mano io >> scaraventai l’acqua addosso alla ragazza che rimase a bocca aperta. Castiel, che aveva capito le mie intenzioni, si spostò in tempo; Lysandro e Rosalya scoppiarono a ridere.
Riappoggiai la brocca sul tavolino e scuotendo le mani dissi << Ora va meglio… buon proseguimento ragazzi! >> me ne ritornai al bancone, ordinando un’altra birra per lottare contro l’aridità della mia gola. Il barista me la preparò subito. Presi il boccale, guardai la schiuma e con una smorfia sibilai << Al diavolo Castiel! >>, me lo avvicinai alla bocca pronta per bere, ma mi venne strappato dalle mani. Seguii contrariata la sua direzione, incrociando gli occhi di un Castiel alquanto incazzato.
<< Ridammelo subito! >>
<< Hai bevuto abbastanza! Che cazzo ti sta passando per quella mente ristretta che ti ritrovi? >>
<< Perché non ti fai tu stesso questa domanda? >> chiesi ritornando a guardare davanti a me.
<< Che stai dicendo? >>
<< Mi baci, annulli il mio appuntamento con Armin regalandogli un cazzo di videogioco, cerchi di far sesso con me in infermeria e poi ti ritrovo qui con una… donnaccia a fare cose oscene? Ma si può sapere che cazzo vuoi da me? Cosa diavolo sono io per te? >> esclamai cercando di superare il suono della musica che era ricominciata. << Lasciami stare Castiel, Rea non fa per te! >>
<< Questo, vuol dire che posso ritornare da quella donnaccia? >> chiese beffardo.
<< Fa’ quello che vuoi! >>.
Senza esitare, si allontanò e qualcosa in me si oppose a quella decisione, lo fermai tirandolo per un braccio << Aspetta un minuto! Non ho ancora finito con te! >> lo girai con forza e afferratolo dal colletto lo tirai verso il basso alzandomi in punta di piedi e appoggiando le mie labbra alle sue. Chiusi gli occhi cercando di assaporare da lucida quel bacio. Poi mi distaccai sentendomi la testa girare, appoggiai la fronte al suo petto e sussurrai chiudendo gli occhi << portami a casa, Castiel >>.
Quando riaprii gli occhi intravidi che mi stavo muovendo, ero appoggiata alla schiena di Castiel, e lui mi reggeva.
<< Che stai facendo? >> chiesi lagnosa.
<< Rea, giuro che questa me la paghi >> esclamò lui facendomi sobbalzare per afferrarmi meglio, e imprecando.
<< Non urlare! Mi sta scoppiando la testa! Castiel? >> chiesi lamentandomi.
<< Che vuoi? >> ribatté con il fiatone.
<< Mi viene da vomitare >>
<< Non azzardarti a farlo sulla mia spalla, o giuro che ti lascio qui! >> esclamò fermandosi, pronto per farmi scendere.
<< Falso allarme >> dissi dopo un po’.
Sicuro delle mie parole, riprese a camminare. << Sei davvero una ragazza impossibile! >> sussurrò dopo un po’.
<< Parli proprio tu! Solo perché sei dannatamente bello, pensi di poter avere tutto ciò che vuoi? >>
Castiel sbuffò una lieve risata << Lo sapevo >>
<< Cosa? >> chiesi tra il sonno e la veglia.
<< Che ti piaccio >>
<< Perché mi fai questo? >> chiesi chiudendo gli occhi e appoggiando il viso sulla sua spalla << Si può sapere che cosa sono per te? >>.
Per mia sfortuna, non seppi cosa mi rispose Castiel, poiché il sonno m’invase all’istante.
 

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Capitolo 24
*** I segreti aumentano ***


NOTE: ciao a tutti!!... inizio col dire che ammetto di aver fatto Castiel troppo “Bastardo”, nel capitolo precedente… ma vi assicuro che non l’ho scritto tanto per… vi consiglio di stare bene attenti agli atteggiamenti del “pervertito pittato di rosso”, perché il suo modo di fare ha una logica e uno scopo, che verranno rivelati con lo scorrere dei capitoli... scusate se annoto di rado, ma in verità, anche se non si vede, sono una persona di poche parole, e come dico sempre: queste ultime, le uso solo per dar sfogo alla mia fantasia! (infatti, potete anche non crederci, ma ho messo più tempo a scrivere questa nota, che a inventare questo capitolo) :-P ... Buna lettura a tutti e grazie di leggere! ^ x ^  
 
 
 
 
 
 
 
24° capitolo: I SEGRETI AUMENTANO
 
 


Dopo una sbornia come quella, avrei dovuto aspettarmi che il risveglio non sarebbe stato uno dei migliori. Se non fosse stato a causa di fastidiosi rumori che martellavano la mia mente, forse avrei continuato il mio profondo sonno e non mi sarei destata con una terribile emicrania.
“Mai più!! Giuro su chi ho più caro al mondo, che mai, mai, mai più, mi azzarderò a toccare una bottiglia di birra o una sua parente!”
Afferrai i lati del cuscino spingendomeli verso le orecchie e voltandomi di faccia a terra. “Ma che diavolo sta succedendo in questa casa?”. Ormai ero sveglia, mi voltai per mettermi a sedere sul letto, avevo gli occhi appannati, la luce del sole mi dava fastidio, allungai la mano a un lato per prendere gli occhiali, ma ciò che trovai fu il vuoto. “Ehi, un momento, non facciamo scherzi… dov’è finito il mio comodino. Mi strofinai gli occhi cercando di scacciare via la pesantezza del sonno, girai la testa per vedere la finestra ma anche questa non c’era. Da quella parte, c’era solo un muro affrescato di un paesaggio autunnale. “Ma che diavolo…”, pensai mentre mi liberai dalle coperte, scoprendo che le mie gambe erano nude, e che il mio corpo era coperto solo da reggiseno e mutande. “Oh, mio Dio! Dove diavolo mi trovo?... che cavolo è successo ieri sera?”. Balzai come una furia dal letto e iniziai a guardarmi intorno. “Un momento… ma questo posto io lo conosco” certo che lo conoscevo! Come potevo dimenticare quella sera in cui Castiel mi gettò sul suo letto intento a fare qualcosa di sconcio. “No… no… no… nooo!!! Che cazzarola significa questo? Non posso essermi concessa a lui, non così! Non può essere vero, è impossibile. Maledetto il mio cervello! Sforzati di ricordare qualcosa! Porca miseria!”, mi strofinai la testa energicamente, più mi sforzavo di ricordare, più me la sentivo pulsare dal dolore. Ad un tratto sentii dei passi dietro la porta, corsi veloce per chiudere a chiave, vidi la maniglia abbassarsi, e la porta bloccarsi subito.
<< Ma che… >> sentii dire da dietro, e mi accorsi che era Castiel. Sentii bussare violentemente << Ehi, Rea apri! Perché hai chiuso a chiave? >>
<< Va via! >> urlai sedendomi sul letto.
<< Cosa?!... va via?!... >> esclamò tirando un pugno secco che fece vibrare la porta << Tu, va via, a me non lo dici! Apri immediatamente la porta. Questa è casa mia! >>
<< Non sono vestita! >>
<< E con ciò? >>
“Già, e con ciò? Ormai quel che è fatto, è fatto. Che ti frega se ti vede nuda, non è la prima volta dopo tutto… ma che cazzo stai dicendo? Non mi ricordo niente di ciò ch’è successo! Se è vero che l’abbiamo fatto, io “di sicuro”, non ero consenziente e neanche cosciente!”. La porta continuò a rumoreggiare. Afferrai velocemente la coperta e me l’avvolsi attorno al corpo, poi andai ad aprire esitante. La figura di Castiel comparve subito dopo, aveva un’aria imbronciata, e i suoi occhi sembravano volermi dar fuoco.
<< Che vuoi? >> chiesi un po’ arrabbiata.
<< Hai pure il coraggio di chiedermelo?... perché hai chiuso la porta a chiave? Dopo quello che hai fatto stanotte… >>
<< Che cos’ho fatto? >> lo interruppi ansiosa e preoccupata.
<< Perché non spremi il tuo bel cervellino e cerchi di ricordare da sola?... dice bene il proverbio: L’abito non fa il monaco! >>
“Allora è vero. L’ho fatto con Castiel?... che tristezza… perché non riesco a ricordarmi niente! Non doveva finire così!”. Mi scappò una lacrima.
<< E adesso perché piangi? >>
<< Era la mia prima volta… >> balbettai abbassando lo sguardo afflitta e stringendomi la coperta in petto.
<< Come? >> chiese Castiel non comprendendo.
<< Perché l’hai accettato? Ero ubriaca… >>
<< E cosa avrei dovuto fare? >>
<< Avresti dovuto resistere! >> gli urlai in faccia.
<< Ma che… un momento ma cosa stai dicendo? sbaglio o stiamo discutendo su due cose diverse? >>
<< Sei un cinico calcolatore e anche bastardo! >> continuai uscendo dalla camera e dirigendomi in bagno. Chiusi a chiave, scivolai sul pavimento piangendo sulle ginocchia. Sentii bussare, non risposi.
<< Rea apri, dobbiamo parlare >>
<< Non abbiamo più niente da dirci! >> risposi esclamando tra i singhiozzi << ormai hai avuto ciò che volevi anche se in modo meschino! >>
<< Rea, non farmi incazzare! Apri la porta… ok adesso basta! >>
Sentii i suoi passi allontanarsi, dopo qualche secondo, un rumore che proveniva dalla finestra, vidi la figura di Castiel, mi alzai di scatto e andai ad aprire timorosa per la sua incolumità.
<< Ma ti sei bevuto il cervello? >> chiesi irritato facendolo entrare.
<< Non ti preoccupare lo facevo sempre quando tornavo a casa tardi e i miei genitori dormivano >>
<< Che cosa vuoi? >> chiesi spazientita.
<< Si può sapere che razza di film osceno ti sei proiettata in quella mente ristretta? >> chiese guardandomi sottocchio.
<< Non mentire ancora… >> risposi io dandogli le spalle.
<< Guarda che tu con me non hai fatto un bel niente, e tanto meno io mi sono approfittato di te! >>.
Rimasi allibita nel sentire quelle parole uscite tutto d’un fiato e senza esitazione. Mi girai guardandolo negli occhi speranzosa che stesse dicendo la verità.
<< Non, non l’abbiamo… >>
<< Ma per chi cavolo mi hai preso? Posso essere un grandissimo bastardo, ma non arrivo a tanto! E poi se avrei dovuto farlo, avrei preferito una Rea cosciente e consenziente >>
<< Ma allora… >>
<< Allora, ieri sera ti spiego subito cos’hai fatto: ti portai qui perché era più vicino e il mio corpo era tutto intorpidito. Non appena entrammo ti svegliasti, iniziando a dare i numeri, volevi spogliarti perché avevi caldo, cercai di dissuaderti, ma senza successo. Volesti salire le scale da sola. Io ti lasciai andare. Quando mi ritirai in camera, ti vidi padrona del mio letto e con addosso solo la roba intima. Ero stanco e avevo sonno, così andai a dormire in un’altra stanza… contenta adesso? >>
Rimasi allibita sentendomi l’imbarazzo scorticarmi le ossa “Che idiota!” mi dissi. “È proprio vero, è stata l’ultima volta che il mio corpo ha subito un’umiliazione del genere. Non berrò mai più se non acqua o cose gassate”. Sollevata, sorrisi a Castiel e gli chiesi la mia roba.
Quando scesi giù nel salone, trovai Armin eternamente immerso nel suo mondo digitale, Lysandro che potava una pianta e Alexie che guardava fisso quest’ultimo quasi innamorato. Non appena mi vide, Armin lasciò il suo Joystick e si avvicinò.
<< Rea, ma si può sapere che cosa è successo ieri? Sono uscito dalla sala giochi e ho visto che Castiel ti portava fuori sulla sua schiena >>
<< Ho avuto un mancamento, per fortuna Castiel era lì vicino… >> mentii spudoratamente.
Essendo domenica, fui invitata a mangiare da loro. Mi sorpresi dal menefreghismo che regnava nella mente di zia Michelle. Non ero tornata a casa la sera prima, rimanevo a casa di Castiel a mangiare e questo non le faceva una piega. Arrivai a dubitare che Michelle e Castiel, nascondevano qualcosa.
 
 
Il giorno dopo tornata a scuola, la prima persona che i miei occhi videro, fu Nathaniel. Aveva lividi stampati su tutto il viso, e si portava le ciocche dei capelli in avanti per nascondere l’occhio nero. Osservandolo, mi ritornò in mente il segreto che lo legava a Castiel, e presa dalla curiosità, mi avvicinai a lui chiedendogli come stava.
<< Ora, meglio. >>
<< Ma per quale motivo vi picchiaste >> chiesi curiosa, con la speranza di scoprire qualcosa su quel tanto protetto segreto.
<< Diciamo solo che io e Castiel siamo come l’acqua e il fuoco. Non andiamo d’accordo >>
“Che scoperta mondiale!... stupido! Dimmi il motivo! Voglio sapere il vostro segreto!”
<< Castiel ha per caso offeso tua sorella? >> tentai, girandoci intorno.
Lui non rispose. Esitò, e arrossì volgendo lo sguardo da un’altra parte, poi dicendo che aveva da fare se ne andò lasciandomi sola a imprecare sulla mia curiosità. Detestavo a morte i misteri, perché volevo subito arrivare alla verità, senza girarci intorno. Quel segreto mi stava divorando la curiosità, e volevo scoprirlo a tutti i costi. Cosa avrei potuto fare? I due protagonisti, era logico, non avrebbero parlato neanche sotto tortura, Rosalya e le altre non ne sapevano granché, l’unico era Lysandro. Ma come potevo convincerlo a parlare? Non volli pensarci, volevo solo trovarlo. Andai nella sua classe, ma non vi trovai nessuno, Nathaniel che passava di lì, disse che erano in palestra. Corsi immediatamente verso la parte indicata. Stavano giocando a basket, ma del nobiluomo neanche una traccia. Chiesi a una ragazza se l’aveva visto ma lei rispose solo che si era allontanato. Ritornai fuori e iniziai a cecarlo per tutto il liceo, ma di Lysandro nessuna traccia. Mi ritrovai, nel giardino che faceva anche da club di giardinaggio, mi sedetti stanca sull’erba e sbuffai annoiata.
<< Dove ti sei cacciato Lys? >> mormorai facendo una smorfia.
<< E poi dicono che il ragazzaccio sono io! >> esclamò una voce dietro di me, mi girai. Era Castiel.
<< Che intendi? >> chiesi fissandolo sottocchio.
<< Te la stai prendendo comoda, ti ricordo che tra un mese ci saranno gli esami >>
<< Pensa per te >> risposi irritata.
<< Che stai facendo qui? >> chiese ancora.
<< Potrei fartela anche io questa domanda, hai per caso un appuntamento con qualche cubista o spogliarellista? >>
<< Dì la verità, ieri bevesti perché eri gelosa? >>
“Sì, maledetto!” << Assolutamente no! >>
<< Non ci credo >> rispose lui portandosi le mani dietro la nuca << ieri facesti un primo passo >>. Lo guardai incuriosita non capendo cosa stava dicendo.
<< Ammettesti che ti piaccio… com’era?... ah, sì… “sei dannatamente bello” >>
<< Non esultare >> risposi fiera << Non ero lucida in quel momento >>
<< infatti, non è nella lucidità che si dice il vero >> ribatté lui sfidandomi.
<< Pensala come vuoi. Ma ricordati che non accontenterò mai le tue aspettative >>
<< Io direi il contrario >> sbuffò solo una risata. Io, arrabbiata, mi alzai e iniziai ad incamminarmi verso l’entrata dello stabile, lo ignorai, e lui fece altrettanto. Non appena svoltai l’angolo, sentii delle voci, che somigliavano molto a gemiti, mi fermai appiccicandomi al muro e allungando il capo verso la finestra del laboratorio di chimica, vidi due ombre. Curiosa, mi sporsi di più, cercando di non farmi notare, per vedere meglio la situazione.
Quello che i miei occhi scoprirono, non me lo sarei mai aspettato, tirai un respiro soffocato dalla costernazione che mi affogò in un istante. Rimasi di bocca aperta e con gli occhi sgranati. Se solo potevo riuscire a vedermi, mi sarei data subito della lucertola, nel modo in cui stavo appiccicata al muro.
Ad un tratto, mi sentii avvolgere le spalle e tappare la bocca da forti prese. Mi ritrovai a guardare il paesaggio, seduta sul prato. Dietro di me c’era qualcuno che mi stringeva forte a se. Spostai gli occhi a un lato per vedere di chi si trattava. Mi sentii soffocare da quella presa. Provai a muovermi facendogli capire che non riuscivo a respirare. Poi una frase quasi sussurrata invase il mio orecchio destro << Non devi dire a nessuno ciò che hai appena visto, intesi? >> era Castiel.
Gli afferrai il braccio intenta a scostarlo dalle mie labbra, lui strinse ancora di più la presa << Intesi? >> sussurrò quasi con un’esclamazione. Annuii con il capo, e lui allentò la presa.
Certo che non l’avrei detto a nessuno, perché, essendo rimasta di ghiaccio, io ero la prima che non avrebbe dovuto vedere quella scena.  
 

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Capitolo 25
*** L'incidente ***


25° capitolo: L’INCIDENTE
 
 
 
Dire che ero rimasta allibita, era troppo poco. Erano ormai due mesi che vivevo in quel paese, e questi erano bastati per far diventare la mia vita una telenovela piena di misteri e intrighi. Stavo ancora appoggiata, di spalle a Castiel, seduta sull’erba, a rimuginare su quanto avevo visto. Restammo in silenzio, ascoltando quei flebili gemiti di piacere, che raggiungevano di poco l’esterno.
Mi sentii una guardona “ma che ci faccio ancora qui?”. Avevo provato ad allontanarmi, ma Castiel mi aveva trattenuta, dicendo che ci avrebbero sentiti. Mi arresi imbarazzata, e aspettai con impazienza che i due, nell’aula di chimica finivano i loro porci comodi. Dopo un po’ un gemito più intenso riecheggiò nell’aria, facendomi trasalire e sgranare gli occhi “Che tristezza, la mia vita deve sopportare anche questo”. Non sentimmo più niente. Esitai, ma volli andare a vedere se quel silenzio significava che se n’erano andati. Per fortuna fu come pensai. Tirai un respiro di sollievo, poi mi volsi a Castiel guardandolo sottocchio, e chiedendogli spiegazioni.
<< Che significa tutto questo? >>
<< Fatti gli affari tuoi! >> esclamò lui appoggiando la testa al muro, stendendo le gambe in avanti e accavallandole, per poi incrociare le braccia al petto.
<< E allora se devo farmi i fatti miei, per quale caspita di motivo non mi hai fatto allontanare dall’inizio, risparmiandomi certe scene e certi rumori? >>
<< Smettila di fare la preziosa >> rispose sbuffando un sorriso. Mi sedetti accanto a lui e guardai il cielo.
<< Però… >> ripresi << Non me lo sarei mai aspettata. Sembrava che stessero bene insieme >>
<< Non è tutto oro quello che luccica >> rispose Castiel sciogliendo le braccia per prendere un pacchetto di sigarette e accenderne una. Aspirò una boccata e dopo pochi secondi gettò fuori la nuvola di fumo.
<< Che significa? >> chiesi incuriosita.
<< Leigh,  è totalmente diverso da Lysandro, e questo Rosalya l’ha capito troppo tardi >>
<< E allora perché sta insieme? >>
<< Ha paura di spezzargli il cuore >>
<< Ma che scempiaggini! Non era meglio dire dall’inizio: Leigh, la nostra storia è finita, invece di tradirlo con il fratello? Al suo posto mi sarei sentita i rimorsi succhiarmi l’anima. Se Leigh viene a sapere… >>
<< Non lo saprà mai! >> esclamò Castiel volgendomi uno sguardo minaccioso che mi fece zittire all’istante << Fa uscire una sola vocale dalla tua bocca e ti faccio pentire di essere donna >>
Quelle parole mi fecero paura. Non avevo mai visto Castiel in quell’atteggiamento. Sembrava determinato a tutto pur di proteggere il segreto del suo amico.
<< Scusami >> disse ad un tratto distogliendomi lo sguardo e riportandosi la sigaretta alle labbra << ma ero così sicuro che quello stupido l’avrebbe nascosto bene, invece, da incosciente lo fa a scuola >>
<< Che vuoi dire? >> chiesi raddolcendo la voce.
<< Che non ho fatto in tempo a fermarti. Se ero qui, è perché gli stavo facendo da palo, nel caso in cui sarebbe venuto qualcuno. Facciamo sempre così >>
<< Anche il primo giorno che ci incontrammo eri qui, per loro? >>
Castiel annuì sbuffando un’altra nuvola di fumo.
<< E… >> ripresi. Ero imbarazzata, ma la curiosità si fece mia padrona e fui costretta a chiederglielo << Ed è per questo che facesti quel gesto ai miei pantaloni? >> balbettai. Lui non rispose sbuffò soltanto un sorriso.
<< Come al solito, in fatto di comprensione sei più lenta di una lumaca >> sentenziò ridendo.
<< Allora visto che sono lenta come una lumaca, ti vorresti degnare di spiegare, il più semplice possibile, le tue parole, invece di attuare codici indecifrabili? >>
<< Rea, Rea… sono passati due mesi e non l’hai ancora capito? >>
<< Cosa c’è da capire? Ogni volta che cerco di farlo, tu mi rendi smarrita con i tuoi atteggiamenti da pervertito! >>
<< Ok >> rispose alzandosi e scopettandosi il retro del pantalone << Ti darò solo un indizio. Tu mi hai fatto capire molto, di te stessa, adesso tocca a me farti capire qualcosa… e ti assicuro che lo capirai molto presto >>. Detto questo se ne andò.
“Si è per caso capito qualcosa di ciò che ha detto?... boh!... certo, l’unica cosa che ho capito, è che lui ha inteso i miei sentimenti. Su questo, ormai non ci piove… ma io cos’è che avrei dovuto capire molto presto?”. Scossi la testa per cacciare quel imbroglio di pensieri, mi alzai e mi incamminai verso l’entrata. Vi trovai Lysandro, e non appena i miei occhi incrociarono i suoi, arrossii imbarazzata. Lui si avvicinò sorridendo.
<< Ehi, Rea… una mia compagna di classe ha detto che mi cercavi, hai bisogno di qualcosa? >>
“è vero, dovevo parlargli del segreto che unisce Castiel a Nathaniel”, ma l’unico segreto che mi interessava era quello suo e di Rosalya. Non avevo più voglia di scoprire nient’altro, la mia persona aveva già scoperto troppo quel giorno e l’unica cosa che volevo veramente fu il bisogno irrefrenabile di sottomettere la mia testa allo scroscio dell’acqua bollente.
<< N-no, niente Lysandro… beh, ecco… volevo solo chiederti scusa per l’altra sera, visto che non l’ho ancora fatto. Forse ti sono sembrata una ragazza facile e frivola… >>
<< Non devi preoccuparti, in fin dei conti non eri lucida, e non ti giudico neanche su questo… d'altronde è stato Castiel ad esagerare, chiamando quella ragazza e mettendo in atto quella scena. Sicuramente l’avrà fatto per farti ingelosire dopo averti vista al tavolino con Armin… >>
“Ma sta pensando a voce alta senza rendersene conto, o lo sta semplicemente sputtanando?… che bell’amico! Castiel protegge il suo segreto, abbassandosi a fare il guardone, e lui in cambio racconta… un momento! Ho sentito bene?... Castiel ha inscenato quella farsa, semplicemente per costatare la mia gelosia?... allora era questo che avrei dovuto capire? O c’è dell’altro… grrr! Che nervi!”.
Il nobiluomo continuava a parlare, ma essendo troppo confusa, mi congedai, ritornando velocemente in classe, per assorbirmi un’ora di noiosissima matematica.
Semmai sarei morta per ragioni misteriose, e mi avrebbero dovuto fare l’autopsia, avrebbero capito al volo la causa, senza aprirmi da nessuna parte, ché il cervello, mi usciva da tutti i buchi del cranio, dando così una definizione al nuovo tipo di morte: dilatamento con scoppio del cervello causato da sovraffollamento di dati inutili e indecifrabili, e chissà, forse avrei fatto vincere il premio Nobel a qualche mediconzolo.
Ritornai a casa sfinita. Zia Michelle come al solito non c’era e in compenso, mi aveva lasciato anche un biglietto con su scritto di prepararmi il pranzo. Anche se adoravo cucinare, non ne avevo voglia in quel momento. Aprii il frigorifero per vedere se c’era qualcosa di semplice da sganocchiare. Optai subito per un panino. Me lo preparai, e poi andai in soggiorno accendendo la televisione e sprofondando sul divano, cambiai canali velocemente, non trovando il programma che poteva interessarmi, decisi di vedermi un dvd. Come c’era d’aspettarselo da una come me, scelsi un anime: Marmalade Boy. Adoravo quel cartone animato, avevo letto anche la versione manga. Lo vidi per la prima volta all’età di quattordici anni, mi innamorai subito del protagonista maschile, era il mio ragazzo ideale. Subito lo misi a confronto con Castiel. “Naah! È una cosa impossibile da pensare!”. Diedi un morso violento al panino immaginandomi di masticare il braccio del rosso.
Dopo un po’, mi sentii gli occhi appesantirsi, senza pensare più a niente, mi stesi sul divano e mi addormentai. Quando mi destai, sentii dei rumori in cucina, era Michelle, la raggiunsi salutandola.
<< Quando sei tornata? >> chiesi strofinandomi un occhio.
<< Pochi minuti fa, ti ho svegliata? >>
<< Non sei stata tu >> mormorai aprendo il frigorifero e prendendo una bottiglia d’acqua << Perché hai fatto tardi anche oggi? Ancora consegne? >>
<< No, ho dovuto prendere il posto di Leigh >> rispose lei quasi dispiaciuta.
<< Perché, cosa è successo? >> chiesi incuriosita concependo qualche dubbio.
<< Ieri sera ha litigato con Rosalya… >> “Oh, cazzo!” << e oggi è voluto andare a prenderla all’uscita per cercare di aggiustare le cose >>
<< E-e com’è andata? >> balbettai ansiosa.
<< Come faccio a saperlo? Sono stata rinchiusa in quel negozio fino ad ora! >> esclamò raggiungendo le scale. Rimasi come un ebete, con la bottiglia in mano a fissare intensamente il vuoto “Che situazione… non vorrei mai trovarmi nei loro panni, ne come traditrice ne tantomeno come cornuta”. Uscii in giardino. L’aria era profumata e calda, aprii il cancello e mi recai vicino il lago. Sentii il desiderio matto di bagnarmi i piedi, mi tolsi le scarpe e i calzini, arrotolai il pantalone fin sopra il polpaccio, e immersi i piedi nell’acqua. Rabbrividii dal freddo, ma non lo sentii fastidioso. Scalciai alzando piccoli schizzi, poi vidi qualcosa nell’acqua che luccicava, mi abbassai per vedere meglio alzai le maniche e immersi la mano, raccogliendo con le dita l’oggetto, e facendolo fuoriuscire dall’acqua. Era un pezzo di vetro, e la levigazione che gli aveva donato l’acqua con il passare del tempo, gli aveva dato la forma di un cuore. Lo alzai verso il sole tenendolo fra l’indice e il pollice, era meraviglioso. Mi venne subito in mente di farci una collana, uscii dall’acqua, aspettai che il miei piedi si fossero asciutti, poi mi rimisi i calzini e le scarpe e tornai velocemente a casa per prendere il portafogli e andare in paese a comprare il necessario per fare una collana.
Chiesi a zia Michelle se conosceva qualche merceria. Lei me la indicò, e mi recai senza esitare un attimo. La padrona del negozio non era altri che la madre di Rosalya, e non appena mi vide iniziò a farmi complimenti e a chiedere qualcosa sulla figlia.
“Beh, vede signora, sua figlia ha un fidanzato, ma se la intende pure con il cognato… del resto è una ragazza molto gentile e simpatica” << è un’amica straordinaria >> mi limitai a dire con un sorriso, e non mentii. La madre di Rosalya ricambiò, e lì mi accorsi che a parte il colore dei capelli, era uguale alla figlia. Stessi occhi, stesse labbra, stesso sorriso. Fu lei a volermi trasformare quel pezzo di vetro in un ciondolo. Io acconsentii e dopo qualche minuto potei indossarlo.
<< Ti sta a meraviglia, cara >> esclamò la signora. La ringraziai. Lei non si volle far pagare, dicendo che le bastava la mia amicizia con Rosalya, la ringraziai un’altra volta e uscii. Afferrai il ciondolo guardandolo e sorrisi. Non volli ritornare subito a casa, decisi quindi di fare una passeggiata. I negozi avevano da poco riaperto, e subito mi recai alla vetrina di un negozio di scarpe. Notai molti modelli bellissimi, rimasi incantata a guardarli.
Ero assorta in quella meravigliosa vista, quando sentii dietro di me qualcuno che disse gracchiando: << Che ci fa qui una poco di buono come te? >>.
Era passato molto tempo da che non l’avevo più vista, dopo la sua espulsione, ma mai avrei potuto dimenticare quella fastidiosissima voce. Mi voltai, preparando uno dei miei sguardi minacciosi.
<< Ambra… qual buon vento ti porta da queste parti? >> chiesi accennando un sorriso forzato << hai finito le ferie? Ti sei ritirata dalle isole “Expulsion”? >> continuai beffarda.
<< Scherza quanto vuoi! È stata tutta colpa tua! Se non avessi ficcato il naso, a quest’ora… >>
<< A quest’ora cosa?! >> la interruppi bruscamente << Se vuoi saperlo, non sarei stata incolpata ugualmente, perché fu Castiel a prendersi la colpa!... ma come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere? >>
<< Sta zitta! >> urlò impettita << io ti avevo avvisata di stare lontano da Castiel, ma tu hai fatto orecchio da mercante! >>
<< Sei davvero meschina, Ambra! >> rivelai con una smorfia di disgusto.
<< Cos’hai detto? >> esclamò lei afferrandomi la maglia dal petto. In quella presa, sentii anche tirarmi la collana << Ripetilo se hai il coraggio! >> continuò minacciosa.
<< Lasciami Ambra! >> Ribattei strattonandola per farle mollare la presa. Furono Castiel e Lysandro a dividerci, io mi ritrovai stretta fra le braccia del primo e Ambra, sorretta dal secondo.
<< Lasciala Castiel, non toccarla! >> urlava la pazza.
<< Si può sapere che cosa vi prende? >> chiese innervosito Castiel.
<< La conosci, no? >> mormorai.
<< Ambra sta calma! >> esclamò Lysandro cercando di farla stare ferma. Quando la vide calmarsi, lasciò la presa. La biondona, si avvicinò a me e ringhiò a denti stretti:
<< Non ti avvertirò in eterno!... lascia in pace Castiel! >>
<< Ambra, vedi di finirla! >> intervenne incazzato il rosso << mettitelo bene in testa che io non sono di tua proprietà! >>
La barbie uscita male, s’infuriò ancora di più, sbatté i piedi a terra e poi la vidi fare un gesto con la mano. Istintivamente mi toccai il petto, rendendomi conto che nel dimenarsi, mi aveva strappato il ciondolo, e adesso, lo stava lanciando in mezzo alla strada.
<< No! Sta ferma! >> esclamai. Troppo tardi. Il pezzo di vetro levigato, sobbalzò due tre volte sul asfalto. Lo guardai impietrita, poi sentendola ridere mi voltai fissandola male << Questa me la paghi, maledetta arpia! >> sussurrai a denti stretti.
Mi distaccai da Castiel, e attraversai la strada fermandomi al centro, sentii Lysandro urlare << Spostati, non è rosso! >>.
Fu solo e soltanto un attimo, guardai la strada, vedendo che davanti a me, una macchina si avvicinava velocemente e minacciosa, poi le immagini scorrere velocemente alla mia vista, chiusi istintivamente gli occhi coprendomeli con gli avambracci. Un forte dolore al fianco, e le mani che toccavano il ruvido asfalto. Non sentii altri dolori, soltanto un rumore di gomme che frenavano violente, un botto secco e delle grida. Riaprii gli occhi, alzai lo sguardo e vedendomi salva, girai lentamente la testa verso dietro.
Rimasi terrorizzata nel vedere la scena. Castiel disteso su un lato, esanime, con il volto coperto dai sui capelli rubino. Gattonai lentamente e tremante verso di lui << C-Cas-Castiel? >>. Nessuna risposta. Gli sfiorai con le dita la testa, le ritrassi immediatamente sentendo di aver toccato qualcosa di viscido e caldo. Mi guardai tremante le dita. Era sangue. << Castieeeel!! >> urlai con tutto il fiato che avevo in gola, volgendo la testa al cielo.

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Capitolo 26
*** Rivelazione ***


26° capitolo: RIVELAZIONE
 
 
Con gli occhi impietriti dal terrore e i tremiti che invasero il mio corpo, guardavo la barella che ospitava il corpo ancora esanime di Castiel, manovrata da persone in divisa intenti a farla entrare nell’ambulanza. Le braccia di Lysandro, cercavano di reggermi, ché più di una volta avevo rischiato di venir meno. Mi tremavano le labbra, sibilavo qualcosa che non riuscii a sentire. Le lacrime tagliavano le mie guance, brucianti. Ansimai tra i singhiozzi. Lysandro mi strofinava le braccia mormorandomi qualcosa che non sentii. Gli sportelli posteriori dell’ambulanza si chiusero, la sirena iniziò a rumoreggiare nell’aria, e il mezzo partì a grande velocità dissolvendosi in lontananza. Mi guardai smarrita per cercare qualcosa che poteva darmi un po’ di sollievo… ma cosa?
Lysandro mi afferrò la mano invitandomi a seguirlo. Lo sentii nominare l’ospedale, annuii immediatamente, e ci dirigemmo verso la moto di Castiel. Partimmo senza esitare.
Arrivati in ospedale, iniziai a sudare freddo, non riuscivo a parlare, ché il tremito me lo impediva. Lysandro, andò alla reception, poi ritornò da me, e avvolgendomi le spalle con un braccio mi aiutò a camminare verso il pronto soccorso. Un infermiere disse che dopo aver visitato il paziente, lo avevano portato in sala rianimazione, Lys si fece indicare il posto e poi ci incamminammo. Scorgemmo subito delle vetrate, io sfiorai leggermente il davanzale e guardai all’interno per scorgere la figura di Castiel, lo trovai subito. Gli avevano fasciato la testa partendo dalle tempie, alla bocca aveva la maschera dell’ossigeno, e un collarino cervicale avvolgeva il suo collo. Sullo zigomo destro gli avevano attaccato delle steri strip. E il braccio ospitava un ago collegato al lungo tubo di una flebo. Lysandro cercò il medico per chiedere le condizioni di Castiel. Io rimasi lì, appoggiai la fronte sul freddo vetro, e lo fissai a lungo con occhi spenti. << è tutta colpa mia… è tutta colpa mia… >> sibilai con voce soffocata dal pianto.
Ad un tratto mi sentii toccare le spalle, trasalii, voltandomi e incrociando quei rari occhi del nobiluomo, che sorrise lievemente sussurrando << Non preoccuparti, il dottore ha detto che non ha subito lesioni gravi, a parte qualche costola rotta, si riprenderà presto >>
Quelle parole non ebbero neanche il tempo di riecheggiare nell’aria, che un tremendo imprevisto si annunciò bruscamente, in quel momento.
La macchina che segnava i battiti del cuore, aveva cominciato a suonare con un lungo bip, che penetrò inesorabile nelle mie orecchie, insinuando nel mio cuore un forte senso di angoscia. Mi attaccai al vetro guardando impietrita Castiel, e i miei pensieri, iniziarono a captare il peggio. Due medici entrarono di corsa, uno dei due, strappò la maglia del rosso facendo rivelare la pelle nuda, l’altro afferrò il defibrillatore, e poggiandoglielo sui pettorali gli fece fare un balzo secco.
Io strinsi i pugni guardando quella scena impressionata, poi volsi gli occhi alla macchina, nessun segno, solo il continuo e fastidioso bip. Il medico azionò nuovamente la sua mossa con il benedetto aggeggio.
<< Dai, Castiel… >> sussurrai sentendomi il pianto soffocarmi la gola << Lotta >>. Un balzo. << Resisti >>. Un altro. << Ti prego… non puoi lasciarmi >>. Un altro ancora. << Castiel, io ti amoo!! >> urlai stringendo gli occhi, abbassando la testa e tirando un pugno laterale al vetro.
Bip… bip… bip…
Riaprii gli occhi e alzai subito lo sguardo. Era  salvo. Sospirai un singhiozzo. Piansi di felicità. Le mani di Lysandro, si poggiarono un’altra volta sulle mie spalle, scuotendomi dolcemente.
<< Ce l’ha fatta >> mormorò sollevato.
A tarda sera, con il permesso del dottore, decisi di vegliare Castiel, anche se non potevo entrare in sala rianimazione, mi bastò guardarlo da quella vetrata. Ore prima, avevo chiamato mia zia, raccontandogli l’accaduto, lei si era precipitata subito accompagnata da Rosalya, la quale si gettò su di me stringendomi forte fra le sue braccia, mia zia mi guardò con gli occhi allagati dal pianto, Rosa mi mollò, permettendomi di abbracciare Michelle.
<< è stata colpa mia zia! >> esclamai tra il pianto << Sono una deficiente, un idiota! >>
<< Ssshhh! È tutto a posto, Rea >> sibilò lei accarezzandomi i capelli, nel tentativo di tranquillizzarmi.
<< Non incolparti, Rea >> intervenne Lysandro << L’unica colpevole è Ambra >>
<< Già! >> acconsentì Rosalya << Dice che senza Castiel non può vivere, e dov’è adesso? Sicuramente è scappata a gambe levate dopo l’accaduto >>
“Credimi Rosa, quella maledetta non è degna neanche di essere l’ultima tra i miei pensieri” mi dissi rivolgendo la sguardo verso Castiel.
 
 
A notte fonda, il corridoio dell’ospedale era totalmente deserto. In una camera non tanto lontana da dove mi trovavo, degli infermieri che facevano il turno di notte, mormoravano, con in sottofondo le voci della televisione. Da ciò che dicevano, stavano a giocare a carte. Decisi di approfittarne, per entrare nella sala rianimazione, desiderosa di toccare Castiel e di sentire la sua pelle calda e viva. Camminai in punta di piedi, afferrai la maniglia e lentamente, attenta a non far rumore, l’abbassai spingendo la porta. Mi guardai intorno, poi, sicura che nessuno mi avesse vista, entrai. Fissai per pochi secondi il lettino, mi avvicinai e allungai lentamente la mano sul braccio nudo di Castiel. Subito una lacrima scese lungo la mia guancia, e le labbra iniziarono a tremare. Tirai un lungo respiro. Gli avevano tolto la maschera dell’ossigeno, ché il suo organismo aveva cominciato a funzionare regolarmente. A parte quella benda e quelle steri strip sullo zigomo, Castiel era bellissimo. Aveva un volto che non mi sarei mai aspettata di giudicarlo: angelico. Sorrisi leggermente. Gli afferrai la mano e lentamente me la portai alle mie labbra stampandogli un bacio affettuoso, poi me la poggiai sul petto. Il mio cuore batteva forte. << Grazie, Castiel >> sussurrai << grazie per avermi salvata, e grazie per non avermi abbandonata… non saprei cosa fare senza di te >>. Ripoggiai il braccio sul materasso, gli spostai le ciocche rosse dalla fronte, e mi piegai su di lui. Prima di sfiorare le sue labbra mormorai << Ti amo >>. Mi rialzai sentendo la macchina emettere un bip in eccesso. Sorrisi e rivolgendomi di nuovo verso di lui sibilai << Lo prendo come un’approvazione >>.
Uscii nel modo in cui ero entrata. Mi sedetti sulla sedia di fronte la vetrata e appoggiando la testa al muro alzai lo sguardo al soffitto e chiusi gli occhi. Mi addormentai. Quando li riaprii, sentii tutto un lato del corpo intorpidito, ritrovandomi stesa su un fianco, sulla fila di sedie e con una coperta in plaid sulle spalle. Mi alzai lentamente e piena di dolori. La prima cosa che volli vedere fu Castiel, trasalii non vedendolo sul lettino. Mi rizzai in piedi spaventata e mi guardai intorno, speranzosa di incontrare qualche infermiere, ma l’unica persona che vidi venire verso di me, fu Lysandro, che reggeva in mano due bicchieri di plastica fumanti. Mi sorrise, ma io non feci altrettanto, mi avvicinai chiedendo se sapeva qualcosa.
<< Un buongiorno come inizio andrebbe bene >>
<< Scusami Lys, ma mi sono svegliata, e non vedendolo, ho iniziato a sudare freddo >>
<< Non ti preoccupare >> disse porgendomi un bicchiere contenente del caffè macchiato. Lo presi ringraziandolo. << Si è svegliato, e dopo averlo visitato, lo hanno portato in un’altra stanza >>
<< E dov’è? >> chiesi sprizzando gioia da tutti i pori.
<< L’ultima porta in fondo al corridoio >> rispose indicandomela. Mi accinsi a incamminarmi, prima piano, poi più velocemente in base all’aumento dell’ansia, per rivederlo << Aspetta Rea, devi prima sapere… >>
Non gli diedi retta, corsi il più veloce possibile per raggiungere quella porta, e quando gli fui vicina, esitai. Tossii nel tentativo di regolare la mia voce, poi bussai. Un flebile “avanti” si udì da dietro la porta, afferrai emozionata la maniglia, e spinsi entrando << Castiel! Come ti senti? >> chiesi sorridendogli.
Castiel stava seduto sul letto con la schiena appoggiata alla spalliera. Aveva ancora il collarino e non appena mi vide, corrugò la fronte. Lysandro, entrò subito dopo, aveva il fiatone e balbettò << Rea… Castiel ha… >>
<< Lys… >> mormorò con voce rauca Castiel << Chi è questa ragazza? >>.
Quelle parole trafissero inesorabilmente il mio cuore, come un pezzo di stalattite staccatosi dal soffitto, dopo un lieve terremoto. volsi, tremante, lo sguardo verso Lysandro, guardandolo con occhi sgranati dalla paura. Lui prima di rispondermi, prese fiato, poi disse in un sol colpo << Ha perso la memoria >>.
<< N-no, non può essere vero? >> sussurrai balbettando incredula. Volsi lo sguardo verso Castiel con la speranza che stesse giocando. Lui mi guardò ancora più allibito.
<< Ma il dottore non ha accennato niente su questo fatto >> continuai.
<< L’hanno scoperto stamattina appena si è svegliato, e lo hanno visitato >> rispose Lysandro, abbattuto.
<< Ma, perché ha riconosciuto soltanto te? >>
<< Beh, a dire il vero, ci ha messo un po’ prima di ricordarsi di me… gli ho raccontato qualche nostra avventura passata insieme, e ne ha ricordato buona parte >>
<< Allora, mi basterà soltanto raccontare qualche vicenda >> esclamai speranzosa del vero. Lysandro fece spallucce e mi consigliò di provarci. Mi avvicinai determinata al rosso e iniziai a fargli domande. Gli parlai della prima volta in cui ci eravamo incontrati, e come ci eravamo conosciuti.
<< Ti ricordi dello spogliatoio? Tu lo apristi ammirasti le mie mutande di pizzo? >>. Castiel scosse il capo aggrottando le sopracciglia << Ti prego Castiel, ricordati almeno del nostro primo bacio, in quella specie di ipogeo nella scuola… e che mi dici della minaccia? Volevi prenderti tutte le mie prime volte… niente?... ah, l’infermeria! Quel giorno, se non fossi svenuta, l’avremmo fatto di sicuro… >>
Lo vidi spazientirsi.
<< Cazzo, Lys!... >> esclamò incazzato, sforzandosi per il dolore << Si può sapere chi è questa pervertita?! Non fa altro che parlare di cose sconce! >>
Lysandro sorrise, io m’incazzai.
<< Adesso la pervertita sarei io?... fottuto maniaco! >> gli urlai in faccia, lasciandolo esterrefatto << sei tu il pervertito, non io! Non è colpa mia se con me hai avuto solo vicende spinte ad atti sessuali!... e non fare quella faccia da grandissimo stronzo!... cos’è? Tutto ad un tratto sei diventato puro e angelico… beh, se non ricordi neanche come sei, lo dico immediatamente io: sei un pervertito, approfittatore, calcolatore, arrogante, scontroso, presuntuoso, bastardo, maniaco sessuale. Con l’aggiunta di insensibile! >>
<< Rea, calmati >> mormorò Lysandro, con voce un po’ divertita.
<< Non mi calmo affatto! >> lo interruppi bruscamente << mi sono fatta divorare dai rimorsi, dalla preoccupazione, e dalla paura. Ho pregato tutti i santi del Paradiso, mi sono decisa anche a rivelare i miei veri sentimenti, e lui che fa? Dimentica tutto? >>
<< Quali sentimenti? >> chiese Castiel, sussurrando, incuriosito.
<< Ora che ho capito di amarti, non puoi avere un attacco di amnesia! >> dissi tutto d’un fiato senza tralasciare la minima parola, che sicuramente l’avrei affidata al mio pensiero, invece di esprimerla.
Ripresi fiato e dopo quella frase…

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Capitolo 27
*** Cosa si nasconde dietro la sua armatura? ***


27° capitolo: COSA SI NASCONE DIETRO LA SUA ARMATURA?
 
 


<< Ehi Lys… >> mormorò Castiel rivelando un sorriso << sei testimone di ciò che ha appena detto >>.
Lysandro annuì, e dopo qualche secondo scoppiarono tutti e due a ridere. Io rimasi a guardarli allibita, cercando di capire che cosa stava succedendo. Guardai Castiel sottocchio, il suo volto era ritornato quello di sempre, volsi lo sguardo verso Lysandro che in tutto il suo divertimento, tentava di contenersi come un perfetto signore.
<< Che diavolo significa tutto questo? >> chiesi iniziando ad innervosirmi.
<< Oh, Dio! >> esclamò Castiel facendo una smorfia << questo dolore mi sta uccidendo! Non posso neanche ridere come voglio! >>
<< Piantatela, tutti e due! >> esclamai stizzita.
<< Non ti arrabbiare Rea >> disse Lysandro.
<< Già, non ti arrabbiare… >> ripeté Castiel << finalmente ti sei decisa! Dovevo arrivare a rivelare le mie capacità di attore, per farti sputare il rospo? >>
<< Castiel… hai inscenato… >> la mia aura da super sayan del livello più incazzato che Toriyama, avrebbe mai potuto inventare, prese il sopravvento su di me. Mi avvicinai minacciosa al pervertito pittato di rosso, e alzai istintivamente la mano per sferrargli uno di quegli schiaffi che neanche l’onda energetica avrebbe potuto respingere.
<< Ehi, che fai? Non vorrai mica colpire una persona con le costole rotte, e con la testa e il collo fasciato?... Lys, chiama un dottore! >> esclamò Castiel spaventato.
<< Ringrazia Iddio per le tue condizioni, altrimenti… >> sussurrai a denti stretti, abbassando la mano e voltandomi, pronta per andarmene.
<< Ehi, Rea? >> mi chiamò.
<< Che vuoi? >> chiesi bruscamente senza voltarmi.
<< Stanotte ti ho sentita parlare… ho messo in scena questa farsa, perché ero convito che da sveglio, non me l’avresti mai detto >>
Mi voltai lentamente sentendomi gli occhi bruciare dall’inizio delle lacrime, che seppi ben trattenere.
<< Scacco Matto! >> mormorò accennando il suo solito sorriso.
<< Lys, visto che adesso quel maledetto sta bene, io me ne vado, pensaci tu >>
<< Un momento! Dove pensi di andare? Torna qui! non posso muovermi, e ho bisogno di aiuto! E poi, è anche colpa tua, se mi trovo in queste condizioni! >>
Mi fermai davanti la porta, sbattei le palpebre velocemente per scacciare via una lacrima evasiva, e poi mi voltai verso Lysandro.
<< Lys, sbaglio o ieri dicesti che la colpa è della biondona pazza? >>
<< Sì, ho detto così >> rispose il nobiluomo un po’ smarrito.
<< Bene >> ripresi volgendomi verso Castiel che mi guardava incuriosito << chiama la tua bambolona dai tacchi a spillo, visto che è stata l’unica a fregarsene di te!... io ho fatto già troppo, sono stanca, affamata e straziata! E poi, domani ci sarà la gita, quindi vado a riposarmi! >> detto questo uscii sbattendo la porta. Mi ritrovai da sola nel lungo corridoio. Avevo il cuore che palpitava a mille, per l’emozione. Non mi importava ciò che aveva fatto Castiel, ero felice e sollevata per aver rivisto il vero Castiel. Poggiai la mano sul petto stringendola in pugno e sospirando profondamente, mi diedi due colpetti, poi me ne andai.
Arrivata a casa, sprofondai sul divano. Erano le dieci e avevo perso già due ore di lezione, mi dissi che non era il caso di andare a scuola, dato che ero anche stanca per la notte passata su una fila di sedie. Appoggiai ben bene la nuca sullo schienale e chiusi gli occhi.
<< Adesso che lo sa… che cosa succederà? >> sibilai, cercando di immaginare il futuro che si stava repentinamente avvicinando. “Lui voleva solo sentirselo dire, ma… aveva detto che mi avrebbe fatto capire qualcosa. Non mi ha dato nessuno spiraglio di comprensione, non ha estromesso i suoi sentimenti. Possibile che sono solo un passatempo per saziare i suoi divertimenti?” sospirai stendendomi su un lato e rannicchiandomi. << Che cosa faccio adesso? >>. Mi addormentai. A svegliarmi di soprassalto, fu il copioso squillare del cellulare, mi rizzai in piedi andando a prenderlo, incuriosita e anche un po’ impaurita. Era Rosalya, tossii prima di rispondere.
<< Rosa, cosa c’è? >>
<< Ehi Rea, siamo in ospedale, pensavo di trovarti qui, dove sei? >>
<< Sono a casa. Ho lasciato Lysandro a far compagnia a Castiel, volevo un po’ riposare >> mentre parlavo, sentii una voce in sottofondo, provenire dall’altro capo del telefono che diceva: << Me ne fotto! Falla venire immediatamente qui! Deve scontare per l’incidente! >>
<< Ehm, Rosa… sbaglio o Castiel ce l’ha con me? >>
<< Non sbagli, è da mezzogiorno che si sta comportando in questo modo. Ti ho chiamata per chiederti se volevi venire >>
<< Ok, arrivo subito >>. Chiusi. Mi recai in bagno, mi spogliai, infilandomi sotto la doccia. Ne uscii rigenerata. Entrai in camera mia e mi vestii. Acconciai i miei capelli con una treccia, portandomela sulla spalla. Poi attratta dalla mia immagine nello specchio, mi accorsi di avere due occhiaie enormi come un pianeta. Presi dal primo cassetto del settimino il beauty-case, e inizia a rovistare nel tentativo di trovare un correttore. Me lo spalmai sotto gli occhi e passai anche una linea di matita. Mi rimisi gli occhiali, e infilate le converse scesi giù. Zia Michelle era appena entrata e guardandomi disse << Come sta Castiel >>
<< Sta meglio di me e di te! >> risposi con una smorfia.
<< Stai andando a trovarlo? >>
<< Solo perché me l’ha chiesto Rosalya >> mentii spudoratamente.
<< Ok, allora io ti raggiungo tra qualche ora >>
Salutai e uscii di casa. Camminai lentamente, era un modo come un altro per farlo aspettare e anche incazzare. Era il minimo che potesse fare dopo la paura e la preoccupazione che aveva fatto albergare nel mio cuore. Arrivata all’ospedale, trovai, con mia grande sorpresa, Ambra, che esitava nell’entrare, reggendo in mano un mazzo di fiori.
Indurii lo sguardo e mi avvicinai decisa, pronta per contrattaccare, nel caso, avrebbe voluto mettere zizzania.
Lei sentendo i miei passi si volse, e quando mi riconobbe, aggrottò le sopracciglia, si allontanò dalla porta venendomi incontro.
<< Che cosa sei venuta a fare qui? >> mi chiese sprezzante.
<< Potrei farla anche io questa domanda >> risposi in egual tono << Ieri scappasti a gambe levate, e oggi ti presenti con un mazzo di fiori in mano? >>
<< Ieri non scappai… andai a chiamare un ambulanza! >>esclamò cercando di difendersi.
<< Tzè!... sai Ambra, un certo Martin Cooper, ebbe la brillante idea di inventare un aggeggio molto utile chiamato telefono cellulare… Ieri, c’erano un sacco di persone intorno a noi, e tutte con quest’ultimo in mano. Tu però, che sei più intelligente di noi, andasti a chiamare un’ambulanza a piedi... non voglio immaginare se eri sola con Castiel, di sicuro con il tuo “infallibile metodo”, in questo preciso istante, staremo in Chiesa a piangere sulla sua tomba >>. Non la feci neanche ribattere, che la sorpassai, recandomi nella stanza del convalescente. Non appena entrai, lo vidi con un diavolo per capello, mentre imprecava. Salutai, con voce fiera. Ero felice di vederlo così, ma non volli farlo notare.
<< Finalmente! >> esclamò lui << Dove diavolo sei stata?... ti ricordo che hai un debito da scontare! >>
<< E io ti ribadisco che il debito non è il mio… nessuno ti ha detto di salvarmi… e poi se vuoi, la tua vera debitrice, è fuori che esita per entrare! >>
<< Per l’amor di Dio! Chiudi a chiave la porta! >> esclamò sforzandosi e facendo una smorfia dal dolore.
<< Dove sono gli altri? >> chiesi guardandomi intorno.
<< Sono andati al distributore… ah! Maledizione, non riesco neanche a parlare! >>
<< E allora perché non chiudi il becco? >> chiesi poggiando la borsa su una sedia e recandomi alla finestra.
<< Idiota! >>  
<< Cosa?! >>
<< Idiota!! Hai capito bene! Come puoi rinfacciarmi il fatto di averti salvata? Se non fosse stato per me a quest’ora chissà cosa avremmo fatto? >>. Non lo risposi, ritornai a guardare il cielo pomeridiano, e poi spinta dall’irrefrenabile voglia di far uscire allo scoperto i miei pensieri sussurrai << Grazie >>
<< Come? Non ho sentito, puoi ripeterlo? >>
<< Uff!... Grazie! G-r-a-z-i-e! Grazie!... contento adesso? >>
<< Sarei molto più contento se ripetessi quella parolina che mi ha sussurrato stanotte >>
<< Scordatelo! >> esclamai accennando un sorriso non visto.
<< Sai? È la seconda volta che mi baci… stai prendendo il sopravvento >>
<< L’ho fatto perché ero preoccupata! >>
<< Ah sì?... allora dimmi un po’, se fosse stato Armin al posto mio, avresti baciato anche lui? >>
<< La mia bocca non è un pacco postale! >> esclamai innervosita.
Lui sbuffò una risata. Chiuse gli occhi, trattenendo quell’irresistibile espressione, poi a bassa voce disse
<< C’è stato un momento in cui, incosciente, ho visto qualcosa di straordinariamente indescrivibile… >>. Quelle parole diedero un colpo secco al mio cuore, facendomi ricordare quell’episodio sconvolgente. << … non so come dire… ma per un po’ mi sono sentito in pace con me stesso, avevo perfino dimenticato chi ero… >>
Senza accorgermene, una lacrima mi scappò dagli occhi. Mi voltai dandogli le spalle e asciugandomi furtivamente il viso.
<< C-come ti senti adesso? >> chiesi con voce tremante.
<< Come una lumaca spiaccicata sull’asfalto >>
Bussarono alla porta, fui io a dare il permesso. La persona che entrò, era una donna molto affascinante, un po’ robusta, alta, con lo shatush castano sopra e rossiccio sotto, ai capelli. Vestiva in modo impeccabile. Mi guardò accennando un saluto con il capo, poi si avvicinò lentamente a Castiel, ed esclamò.
<< Cassy! Amore della mamma! Che cosa ti è successo? >>
“Cassy?!?... ah-ah-ah-ah-ah!!!... amore della mamma?... ah-ah!... questa è bella! Non devo assolutamente scordarmi come l’ha chiamato!... sembra un nome femminile!”. Come si soleva dire: ridacchiai sotto i baffi. Non volendo disturbare quel momento così “magico” uscii senza farmene accorgere. Nel corridoio non c’era nessuno, anche Ambra era sparita. “Forse si sarà resa conto di aver sbagliato”. Feci spallucce fregandomene. Mi incamminai verso i distributori per vedere se Lysandro e Rosalya stavano ancora lì. Non li trovai, pensando che forse si erano nascosti in qualche parte discreta, per dar sfogo al loro amore peccaminoso. Sorrisi al solo pensiero. Mi avvicinai a un distributore, vogliosa di un succo. Scelsi il gusto, infilai i soldi nell’apposita fessura e spinsi il bottone. Si sentii un rumore secco, mi abbassai per prendere la lattina. L’aprii e mi incamminai un’altra volta verso la camera di Castiel.
Durante il tragitto scorsi una voce famigliare. Era quella di Rosalya. Sicuramente stavano facendo qualcosa con Lysandro. Mi fermai appoggiandomi di spalle al muro, non per spiare, volli soltanto non passare perché pensavo che se mi avessero vista, avrebbero potuto preoccuparsi per la loro incolumità. Sentii Rosalya dire qualcosa.
<< L’ha scoperto? >>
<< Sì… me l’ha detto Castiel ieri pomeriggio prima dell’incidente >>
<< E cosa facciamo adesso? >> chiese lei preoccupata.
<< Non ti preoccupare, Cass, mi ha assicurato che terrà la bocca chiusa… in fin dei conti è tua amica >>
“Stanno parlando di me?”
<< E poi, è passato un giorno e non è venuto a saperlo ancora nessuno >>
“Ma per chi mi hai preso? Conte dei miei stivali! Non mi piace fare la spia!”
<< Lys, io ho paura… sto avendo dei rimorsi, Leigh non se lo merita >>
<< Smettila! Leigh, si merita questo ed altro! Ma lo vuoi capire che ti sta solo usando? >> rivelò duramente Lysandro << Conosci il perché… questa è solo una scusa! >>
“Il perché? Ma di che diavolo stanno parlando?... ok, lo ammetto, questa storia si sta facendo molto interessante. Mi sto rendendo conto che la televisione non serve più a niente!... voglio solo cercare di capire qualcosa”
<< Io non posso più aspettare Rosa! >> riprese Lysandro << non posso continuare a vederti e far finta di niente!... ho voglia di amarti alla luce del sole! >>
“Che belle parole… Lysandro è proprio un gentiluomo… chissà se mai le sentirò anche io da Castiel?”. Udii l’inizio di qualche gemito, mi distaccai di scatto dal muro “Oh, no! Un’altra volta no!”. Velocemente ritornai ai distributori, cercando di intrattenere con assurde scuse le persone che dovevano passare di lì.
Dopo qualche minuto vidi venire verso di me la donna affascinante che era entrata nella stanza di Castiel, mi sorrideva e io ricambiai.
<< Tu devi essere Rea? >>
<< Sì, serve qualcosa? >> chiesi gentilmente.
<< Castiel ha chiesto di te, dice che hai un debito da pagare… >> rispose non comprendendo lei stessa il significato di quelle parole.
<< Ci vado subito >> ribattei sospirando. La madre di Castiel, mi fermò da un braccio, mi volsi incuriosita, lei mi regalò un sorriso quasi supplichevole.
<< So che sei la nipote di Michelle? >>
Annuii.
<< Michelle è una mia grande amica… lei mi ha aiutato a crescere Castiel e a passare momenti di difficoltà. Te ne avrà sicuramente parlato? >>
<< No, mi ha solo accennato di aver visto crescere suo figlio, ma del resto… >>
<< Allora non ha importanza >> sorrise lei malinconica.
“Non ha importanza?... ancora misteri?... ma vi siete messi tutti d’accordo?”
<< Senti Rea, devi farmi un favore… >> mormorò quasi con supplica.
<< Dica, signora >> chiesi incuriosita.
<< Resta vicino Castiel… anche se si comporta in modo scontroso, non lasciarlo solo. Ha sofferto abbastanza in passato, e io non sono stata capace di consolarlo come una madre dovrebbe fare. Ti prego, posso strapparti questa promessa? >>
Annuii smarrita. “Castiel ha sofferto, in passato?” continuavo a chiedermi vedendo la signora allontanarsi raggiungendo l’uscita.
La madre aveva detto che non lo aveva consolato come tale… perché? Cos’è che nascondeva Castiel, dietro quell’armatura di ghiaccio che, da ciò che avevo constatato, si era costruito con il passare del tempo?

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Capitolo 28
*** Un segreto in meno ***


28° capitolo: UN SEGRETO IN MENO
 
 


Mi incamminai verso la stanza di Castiel, convinta di trovarlo incazzato nero per averlo lasciato solo. Qualcuno dietro di me, mi chiamò, mi voltai, era Rosalya, che si avvicinava a me intenta a stirarsi con le mani il vestitino.
<< Hai bisogno di qualcosa? >> chiesi facendo l’indifferente, anche se sapevo da cosa era reduce, trattenni un sorriso.
<< Rea, ascolta… io devo dirti una cosa >> balbettò imbarazzata.
“So già cosa” << Dimmi pure Rosalya >> risposi sorridendole.
<< Sì, ma non qui. Andiamo in giardino, è un fatto alquanto privato >>, avvolse il suo braccio al mio e mi trascinò fuori. Cercò un posto discreto e quando lo trovò, mi lasciò, facendo due passi avanti a me e unì le mani dietro la sua schiena.
<< Non so come iniziare… >> sorrise, voltandosi e rivelando i suoi occhi dorati, che parvero due specchi d’acqua, dalla lucentezza che emanavano << ti prego, non guardarmi così >> disse abbassando lo sguardo.
<< Non sto facendo niente >> mi difesi gentilmente.
<< Rea, non fare ancora la gnorri… so che hai scoperto tutto su Lysandro e me. >>
<< Rosalya, ammetto di essere un po’ curiosa, ma del resto non mi importa della vostra vita privata >>
<< Non fraintendere. Voglio parlarti di questo perché, sei mia amica, e come Lysandro ha Castiel per sfogarsi, anch’io ho bisogno di parlare dei miei sentimenti con qualcuno, e in te ho trovato una vera amica >>.
Mi sedetti su una panchina adiacente, e la incitai a parlare, lei si avvicinò a passo lento e si sedette di fianco.
<< Non giudicarmi male >>
<< Non lo faccio >>
<< Quando conobbi Leigh, mi innamorai a prima vista, aveva i miei stessi interessi, e poi mi piaceva tanto. A quel tempo Lysandro per me contava poco, non lo guardavo neanche, lui invece cercava in tutti i modi di farsi notare. Un giorno decisi di confessarmi a Leigh, e Lysandro fece di tutto per convincermi a non farlo. Io non capivo il perché, pensavo soltanto che faceva così per gelosia, anche perché avevo capito che si era innamorato di me. Non gli diedi ascolto. Si mise anche Castiel in mezzo, naturalmente per dissuadermi dal farlo. Ma non riuscì neanche lui a convincermi… io e Leigh ci mettemmo insieme. E i primi mesi, non notai niente di strano, quindi decisi di sotterrare tutti gli avvertimenti che mi avevano dato Lys e Cass… mi ricordo che fu il primo giorno delle vacanze estive. Andai a casa di Castiel dopo essere stata invitata a pranzo. Mangiammo fuori, c’era la piscina e ci divertimmo un mondo. Dopo un po’ mi accorsi che Leigh se n’era andato, uscii dall’acqua e chiesi ai ragazzi se lo avevano visto, loro mi dissero di no, così entrai in casa per cercarlo… >> iniziò a tremare e la sua voce si fece tutto ad un tratto rauca << … Q-quando lo trovai… oh, mio Dio, è ancora troppo imbarazzante dirlo… >>
“E no! Adesso parla… hai stuzzicato la mia curiosità” << Quando lo trovasti? >> la incitai.
<< Stava nella sua camera e… pomiciava con Alexie >>
<< Oh, mio… Dio! >> esclamai balzando allibita << E, e poi? >>
<< Lui non sa, che io sono a conoscenza del suo segreto… dopo quel episodio, trovai conforto con Lysandro e Castiel, dato che sapevano tutto. Si comportarono da perfetti amici. Da quel giorno iniziai a non riuscire a guardarlo in faccia, e la mia mente diede le risposte ai miei perché. Tornava tutto. I suoi imprevisti ogni volta che dovevamo farlo, le sue soggezioni quando doveva darmi anche un piccolo bacio. Lysandro mi fece capire anche il perché, aveva accettato di diventare il mio ragazzo. Essendo una ragazza molto popolare lui avrebbe nascosto il suo vero io, dietro i miei panni… ancora oggi Lysandro lo chiama egoista >>
<< E, come hai fatto ad innamorarti di Lysandro? >>
Rosalya sorrise prima di rispondere guardando il suolo, come se stava rivivendo il passato. << Fu l’ultimo giorno delle vacanze estive, pioveva, eravamo andati in spiaggia e tutti e due ci eravamo allontanati dal gruppo per andare a comprare le pizze. Fu tutto così in fretta, ci ritrovammo sotto l’acquazzone, e ci riparammo in una delle cabine della spiaggia, e lì, diventai sua per la prima volta >>
<< Vuoi dire che con Leigh… >>
Lei scosse il capo contenta << No. Lysandro è stato la mia prima volta, e non me ne sono mai pentita >>.
Aspettai che terminasse di parlare, poi mi alzai sospirando, mi misi di fronte a lei e inginocchiandomi, le afferrai le mani stringendole fra le mie. Le regalai un sorriso. Lei mi guardò incuriosita.
<< Rosa, visto che hai scelto me come tuo confessore, voglio consigliarti una cosa. Castiel mi ha detto che tu non vuoi lasciare Leigh, perché hai paura di spezzargli il cuore. Io invece ti rispondo che lui te l’ha spezzato cento volte più di quanto l’abbia fatto tu, facendo l’egoista e non interessandosi ai tuoi sentimenti. Se stai bene con Lysandro, sta con lui. Amalo alla luce del sole, non nasconderti dietro un’assurda menzogna. Leigh, capirà >>.
Dagli occhi di Rosalya, scapparono delle lacrime, i suoi occhi luccicarono di gratitudine e presa dall’emozione, mi abbracciò scoppiando a piangere e ringraziandomi all’infinito. Io ricambiai l’abbraccio, e le strofinai la schiena, sussurrandole di farsi coraggio.
 
 
Quando finalmente decisi di ritornare da Castiel, mi immaginai una sfuriata da parte di quest’ultimo. Mi sbagliavo, stava dormendo come un angioletto, con i capelli che gli cadevano lisci sulla fronte. Lysandro seduto su una sedia, stava leggendo il giornale e non appena mi vide, chiuse quest’ultimo e si alzò.
<< Sei venuta? >>
Annuii << Se vuoi andare, va pure Lys >> dissi sorridendo << Rimango io con lui >
<< Ma non torni a casa? Domani c’è la gita >>
Scossi la testa, << Non posso e non voglio andarci avendo nella mente ciò che gli è successo a causa mia >>
<< Fa come vuoi, allora ciao >>
Lo salutai e quando la porta si fu chiusa, lentamente, senza far rumore, avvicinai la sedia al suo capezzale, mi sedetti, e lo fissai con dolcezza. Toccai leggermente la sua mano con le mie dita, gli sorrisi, e vedendolo dormire con quell’espressione così beata, mi ritornò alla mente ciò che mi aveva detto la madre. “Come può un ragazzo così, aver sofferto nel passato?... ma poi, perché?” << Che cosa ti hanno fatto Castiel? >> sibilai a labbra dischiuse. Afferrai dolcemente la sua mano e glie strinsi forte, poi appoggiai la fronte sul materasso volgendola a un lato, verso il suo volto, sussurrai << Io non ti lascerò solo >>. Chiusi gli occhi concedendomi al sonno.
Un forte dolore alla testa mi destò bruscamente, qualcuno mi stava tirando i capelli, mi rizzai in piedi assonnata.
<< Ma che diavolo… >> esclamai guardandomi intorno. Mi accorsi di ritrovarmi a gattoni sul letto di Castiel, e sopra le sue gambe.
<< Ma sei sicura di essere un essere umano? >> chiese lui imbronciato << come cavolo si fa a dormire in una posizione del genere e per di più sul letto di una persona malata!... non voglio immaginarmi se fosse entrato qualcuno e ci avesse visti. Sicuramente avrebbe pensato che stessimo attuando una delle tante posizioni del Kamasutra! >>
<< Perché? Come ho dormito? >> chiesi imbarazzata scendendo dal letto e dandomi un’aggiustata.
<< Non mi hai fatto chiudere occhio per niente! Ti sei avvolta alle mie gambe, come una lottatrice di Wrestling… ti ricordo che sono malato! >>
<< Lo so bene… “Cassy” >> dissi sfottendolo. Lui mi lanciò un’occhiata minacciosa.
<< Non ti azzardare a dirlo a qualcuno >> ruggì a denti stretti.
<< Va bene… Cassy >> ribattei con lo stesso tono.
<< Rea, smettila! Non approfittartene perché non posso muovermi, perché, ti assicuro che quando mi riprenderò, e spero al più presto, te la farò pagare molto cara >>
“Un momento, che diavolo sto facendo? Invece di fare l’idiota, potrei chiedergli se lui prova qualcosa per me”
Prima di chiederglielo feci passare un po’ di tempo, e arrivai a pentirmene, perché mentre fui pronta, bussarono alla porta, e il medico disse che dovevo uscire ché doveva visitare il paziente.
Andai in corridoio, e lì ricevetti una chiamata da zia Michelle.
<< Dimmi zia >>
<< Rea, ha chiamato zia Camille, e ha detto che voleva sapere il motivo per il quale non sei andata alla gita >>
<< E tu cos’hai risposto? >> chiesi annoiata.
<< Le ho detto che eri in ospedale per fare delle visite. Se l’è bevuta. >>
<< Bene, perché non avevo intenzione di assorbirmi le sue cazzate >>
<< Come sta Castiel? >> chiese dopo un po’.
<< Lo stanno visitando >> risposi, guardando istintivamente la porta chiusa della stanza << A proposito, zia… dovrei chiederti alcune cose… dove sei adesso? >>
<< A casa. Ma cosa devi chiedermi? >>
<< Ti raggiungo e parliamo >>. Chiusi la chiamata, mandai un messaggio a Castiel “Ci vediamo più tardi”, e corsi verso casa.
Quando arrivai, avevo il fiatone. zia Michelle mi aspettava in salotto. La salutai, lei mi ricambiò con un cenno della testa. Mi avvicinai sprofondando sulla poltrona accanto a lei e appoggiando il capo sulla sua spalla.
<< Allora? Cos’è che vuoi? >> chiese incuriosita.
<< Se te lo dico, tu prometti di dirmi la verità? >>
<< Dipende… >>
<< Dai zia! >>
<< Sputa il rospo, prima >>
<< Allora… >> cominciai addrizzandomi << ieri, in ospedale, si presentò la madre di Castiel, e mi disse che siete molto amiche… >>. Lei annuì. << disse anche che tu l’hai aiutata a crescere suo figlio, e mi chiese di stargli vicino perché lei non ha potuto farlo, aggiungendo che Castiel ha sofferto molto in passato. Tu ne sai qualcosa? >>
Zia Michelle fece una smorfia scuotendo la testa.
<< Non mentire! >> l’avvisai.
<< Non sto mentendo. Non posso dirti niente. Castiel non vuole che si parli di questo >>
<< Ma adesso Castiel non c’è. E poi, diamine, sono tua nipote! Tratti meglio lui di me! >>
<< Non insistere Rea >> ribatté seria << Se vuole, sarà lui a dovertene parlare. Io ho giurato di tacere. E poi Castiel per me è come un figlio, e i figli vengono prima dei nipoti >> continuò beffarda.
<< Cos’hai detto? Ripetilo se ne hai il coraggio! Sbaglio o hai cresciuto anche me come una figlia? >>
<< Si ma a distanza. Ho passato molto più tempo con Castiel che con te! >>
Ebbi uno scatto di gelosia, presi un cuscino qualsiasi dal divano, e glielo lanciai in faccia. Demmo inizio ad una lotta, che ci fece dimenticare ogni cosa, che mi fece dimenticare quel ossessionante mistero che avvolgeva Castiel. Quando decidemmo di farla finita, i raggi del sole, avevano finito di illuminare l’intero paesaggio, e la luna aveva preso il suo posto.
Sentii squillare il cellulare, era un messaggio di Castiel: “Dove diamine sei finita? Giuro che questa me la paghi… mi hai fatto accudire da una vecchiaccia che somiglia a Shelob de “Il signore degli anelli”. Sbrigati a venire!”.
<< Ah-ah! Ben ti sta! Così ti passa la voglia di sfottermi! >>
Rimisi il cellulare nella tasca e mi preparai per ritornare da Castiel.

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Capitolo 29
*** In vacanza ***


29° capitolo: IN VACANZA
 
 


Quindici giorni! Quindici stancanti, ossessivi giorni di ricovero, passati a dividermi tra la scuola e l’ospedale. Per non parlare della convalescenza, e come ciliegina sulla torta, gli esami.
La fine di giugno era arrivata in fretta, e il calore afoso, iniziava a farsi sentire. Le vacanze erano cominciate da poco, e fu una domenica che decisi di sbattermene categoricamente di tutto e di tutti, proponendo a me stessa di sdraiarmi al sole sulla grande veranda della mia camera.
Zia Michelle si era raccomandata molte volte consigliandomi di mettermi la crema solare. Ma nello stato mentale in cui mi trovavo, non me ne fregava niente di scottare. Amavo il sole, e anche i suoi raggi che si poggiavano su di me ardendomi come presi dal piacere “Oddio, che pensieri del cavolo sto avendo?”.
Ciò che riuscivo a pensare, era “finalmente la scuola è finita”. Anche se pochi mesi, volevo godermi l’estate, come non avevo mai fatto in vita mia.
Dopo la convalescenza e gli esami, Castiel non si era più fatto sentire. Non riuscivo a capirne il motivo. Alle volte, sentivo il bisogno ardente di vederlo e sentire la sua voce, ma lottavo contro questi irrefrenabili desideri, perché sapevo che se avrei fatto solo un passo falso, mi sarei ritrovata a soffrire, anche perché da quel fatidico giorno dell’incidente, l’unica che aveva estromesso i propri sentimenti ero io, e lui, che ormai lo sapeva, non accennava a darmi qualche indizio su ciò che provava. Alla fine mi arresi, dicendo che non era cambiato un bel niente e che dovevo comportarmi come avevo sempre fatto, dovevo comportarmi come faceva lui, da perfetta menefreghista.
Infatti, quella domenica, volli pensare solo a me, spensi il telefono e concessi il mio corpo al sole. Ma potevo immaginare che tutto questo non sarebbe servito a niente? Dopo qualche ora, sentii suonare il campanello, alzai la testa, dal pavimento della veranda, cercando di scorgere la figura dietro il cancello, non riuscii a distinguere bene, mi alzai, mi infilai una maglia e mi appoggiai alla ringhiera sporgendomi.
<< Chi è? >> esclamai per farmi sentire. Lo sconosciuto indietreggiò. Era Rosalya e accanto a lei fece capolino Kim << Ehi Rea! >> esclamò la prima.
<< Ciao ragazze, che ci fate da queste parti? >> chiesi sorridendo.
<< Ti stavamo chiamando, ma hai il cellulare spento, allora siamo venute qui >> rispose Kim.
<< Aspettate, vi vengo ad aprire >> risposi rientrando velocemente in camera, e schiacciando il bottone del citofono. Scesi le scale e andai ad aprire la porta. Le due si accomodarono, e io, da brava padrona di casa, chiesi se desideravano qualcosa da bere, mi recai in cucina, e presi tutto il necessario, poi andai in salotto e servii.
<< Ti stavi abbronzando? >> chiese Rosalya.
<< Un po’… a dir la verità cercavo di rilassarmi e il calore mi aiuta a farlo >> risposi tutto d’un fiato << ma perché mi stavate chiamando? >>
<< Cass è tornato >> rispose Rosalya.
<< Perché, era partito? >> chiesi allibita.
<< Sì, era andato a trovare i suoi genitori… fanno così quando finisce la scuola >>
<< E con ciò? >> ribattei incuriosita.
<< I ragazzi si stavano organizzando per le vacanze >> riprese Kim.
<< Vogliono passare l’estate nella villa al mare di Castiel >>
<< Castiel ha anche una villa al mare? >> chiesi sbalordita.
<< E non solo! >> rispose Rosalya << Possiede due elicotteri, due jet privati, e anche uno yacht. La sua famiglia è molto ricca >>
<< Me ne ero accorta >> mormorai incantata a guardare il vuoto.
Dopo aver parlato per ore dell’intera eredità del rosso, le ragazze mi convinsero ad unirmi a loro. Dapprima avevo rifiutato. “Stare due mesi, ventiquattro ore su ventiquattro con Castiel, non porterà nulla di bono… ma è anche vero, che il mio desiderio di mettergli gli occhi addosso, mi uccide, ogni qual volta mi distraggo”. << Ok, ragazze, vengo con voi, fatemi solo preparare la valigia >>.
Rosalya mi seguì, lasciando Kim in salotto intenta a scegliere qualche programma televisivo.
<< Scelgo io cosa devi portarti >> avvisò lei.
<< Ti annuncio che il mio guardaroba non è ciò che ti aspetti >> rivelai sorridendo.
<< Lo immagino >>
<< Allora, Rosa >> continuai dopo un po’ << Come va? >>
<< Stavo per dirti le novità >> si avvicinò a me e mi abbracciò sorridendo e anche piangendo << Rea, l’ho lasciato >>
<< Dici sul serio? >> chiesi ricambiando l’abbraccio. Lei annuì dicendo che non ne poteva più di quella situazione e che, come le avevo detto io, era desiderosa di amare Lysandro alla luce del sole e senza nascondersi.
<< E lui come l’ha presa? >> continuai.
<< Dapprima c’è rimasto male, ma quando gli ho detto che sapevo il suo segreto, mi ha chiesto scusa e ha acconsentito alla nostra separazione… mi dispiace solo che non verrà con noi al mare. Ma del resto non mi importa, l’importante è che adesso Lysandro può avere il mio amore in tutto e per tutto >>
Ero contenta che almeno per lei le cose si erano sistemate. In quel momento, pensai a me stessa. “E io? Che cosa ne sarà di me con Castiel?” speravo che dopo la mia confessione sarebbe cambiato qualcosa, e invece… scacciai subito quei pensieri, e mi accinsi, un po’ malinconica, a finire di preparare la valigia. La terminai dopo due ore. Il motivo? Naturalmente era dipeso tutto dalla bambolina argentata, che, guardando la mia roba si rifiutò autoritariamente di farmi portare quegli “stracci” come li aveva nominati lei. Io mi difesi dicendo che quegli stracci erano un regalo di mia madre, portati direttamente dal suo ultimo viaggio di affari, e che quindi, costavano un occhio della faccia.
Dopo vari tentativi si convinse, ma aggiunse che, non appena avremo messo piede lì, lei sarebbe andata a comprarmi qualcosa che poteva mostrare nel migliore dei modi le mie forme.
Sospirai sconfitta. Ci dirigemmo a casa di Castiel. Iniziai a guardarmi intorno, con la speranza di incrociare il suo sguardo irresistibile che ormai i miei occhi sembravano insaziabili. Lui comparve dopo qualche minuto, stava scendendo le scale. Indossava una maglietta rossa con la stampa Versace dorata, e un pantalone nero, di tessuto leggero. Aveva legato due ciocche di capelli dietro la testa. Mi fissò, e rivelò il suo sorrisetto. Io distolsi subito lo sguardo, per non fargli capire che lo stavo guardando anche io.
I ragazzi continuavano a parlare dei preparativi, ma io non li stavo seguendo, con la coda dell’occhio, e senza farmene accorgere, cercavo di captare i movimenti del rosso. Ero seduta sul divano, e lo vidi allontanarsi, scomparendo dalla mia vista. Dopo un po’, mi sentii catturare da dietro e appoggiarmi allo schienale, le braccia di Castiel avvolgevano le mie spalle, e il suo viso, si affiancò al mio.
<< C-che c’è? >> chiesi imbarazzata.
<< Alla fine hai accettato l’invito >> sibilò in un orecchio facendomi rabbrividire di piacere.
<< Rosalya è stata molto insistente >>
<< Non mentire più… ormai l’hai confessato, dillo che hai accettato per stare con me >>
<< E tu? >> chiesi io decisa. Lui non rispose, sciolse la presa, mi scompigliò i capelli con una mano e disse << Ora che sono riuscito a farti innamorare di me, chissà… forse potranno succedere tante cose >>
<< Che vuoi dire? >> chiesi seria, volgendogli lo sguardo. Nessuna risposta, si limitò soltanto ad andarsene. Rimasi pensierosa, e un po’ ferita. Avevo un groppo in gola, che non mi permetteva di respirare. Mi guardai intorno smarrita “Questa è stata solo una squallida idea… lui per me non prova assolutamente niente, e questo che doveva essere uguale per me, non lo è più. Sarà meglio ritornare a casa e dimenticarmi di lui. Vedrai Rea, in questo periodo, non lo vedrai, e il tuo amore per lui si appassirà”. Mi alzai dalla poltrona, e mi congedai chiedendo scusa per averli interrotti. Mi recai fuori in giardino, per fortuna Demon era legato. Attraversai l’intero viale, e quando giunsi al cancello, qualcuno mi fermò afferrandomi dal polso. Mi girai, era Armin, che mi guardava con un’espressione mai vista prima.
<< A-Armin, cosa c’è? >>
<< Sono io che devo farti questa domanda >> ribatté lui serio << che cosa ti sta succedendo Rea, è molto tempo che ormai non sembri più la stessa >>
<< Non ho niente Armin, davvero >> risposi con il pianto in gola e maledicendo i miei sentimenti “Perché non vi siete aggrappati a questo meraviglioso ragazzo. Perché vi siete concessi a quel bastardo?”
<< Allora se non hai niente, perché te ne stai andando? Tra qualche ora partiremo >>
<< Volevo solo prendere una boccata d’aria >> mentii per farlo capacitare.
<< Dimmi la verità… tu e Castiel, state insieme? >>
<< No, ma come ti viene in mente? N-non ci potrà mai essere qualcosa tra Castiel e me >> finii quella frase con un leggero tremolio di voce, come se quell’affermazione fosse vera. Armin sembrò crederci, ché mi sorrise e tirandomi mi incitò a rientrare in casa.
Rientrammo insieme, e io subito guardai Castiel, con la speranza che, avendomi visto insieme al moro, si sarebbe ingelosito, ma per mia sfortuna, la sua espressione, non diede nessun segnale.
Dopo vari progetti, partimmo. Essendo tutti ancora minorenni, Castiel pagò un autista per accompagnarci.
Quando arrivammo alla villa, io fui l’unica a rimanere a bocca aperta. Era grande quasi quanto casa sua, solo che aveva uno stile diverso “Chiamala casa per le vacanze”.
Entrammo, e rimasi ancora più scioccata nell’ammirarla. Rosalya mi prese per un braccio portandomi in quella che doveva essere la nostra camera.
<< E Kim? >> chiesi. Lei fece una smorfia, dicendo che, la ragazza dalla pelle cioccolato, ogni volta che andavano lì in vacanza, passava la notte dal suo ragazzo del periodo estivo. Non mi allarmai e non feci neanche domande, avendo capito già che tipo era Kim.
Disfamo le valige, Rosalya canticchiava, era molto più allegra del periodo passato. Mi sentii davvero contenta per lei, ma non riuscivo a nascondere il mio disagio nel trovarmi lì. Sembrava di stare in casa di persone mai viste prima, sembrava che, tutto ciò che avevo passato con Castiel, non era altro che un semplice déjà-vu, una cosa mai accaduta prima. Sentivo il bisogno di riempirmi d’aria i polmoni fino a farli scoppiare, ché quella che già raccoglievano non mi bastava.
<< Non avrai mica intenzione di metterti quel costume da bagno? >> chiese inorridita Rosalya riportandomi alla realtà. Io guardai smarrita prima lei poi l’indumento che senza accorgermene, reggevo fra le mani.
Questo era un costume da bagno intero blu, senza bretelle, che si reggeva solo con dei lacci da legare attorno al collo.
<< Che c’è di male? >>
<< Rea >> disse strappandomelo dalle mani e gettandolo per terra << Ti ho sempre detto che hai delle belle forme, ma, tesoro, ti trascuri troppo! >> rispose. Si recò alla sua valigia e tirò fuori una montagna di costumi da bagno. Non li contai, ma vedendo la quantità, dovevano essere almeno una trentina. Finalmente, dopo tanti “no”, trovò quello che, a suo piacimento, poteva starmi a meraviglia. Devo descriverlo?... era un trichini ( e quanto avrei voluto aggiungere “semplice” ), di colore lilla, con una scollatura che arrivava sotto l’ombelico , facendo rivelare di poco le forme laterali, interne ed esterne dei seni, per non parlare della parte sotto: vita bassa con il posteriore a modello brasiliana.
La fissai con occhi sgranati e scuotendo la testa feci due passi indietro << Stai scherzando Rosalya, io non posso indossare quella cosa >>
<< Oh, certo che la indosserai >>
<< Ma è assolutamente imbarazzante. Non mi azzarderei ad andare in spiaggia con questa cosa addosso! >>
<< Non ti preoccupare, dietro la villa Castiel ha una grande piscina, quindi non serve andare in spiaggia >>
<< Ma è lo stesso! Mi vedranno i ragazzi >> dissi iniziando a correre per la stanza.
<< E che ti frega! >> esclamò inseguendomi << ad Alexie non farai una piega, Armin rimarrà di sicuro attaccato all’x-box, e Lysandro, sta sicura, che guarderà solo me! >>
<< Hai dimenticato il pervertito pittato di rosso! >>
<< Chi Cass? Beh, vuol dire che sarà la volta buona che si deciderà a fare un passo >>
Mi fermai di scatto << Dici? >> chiesi sbigottita.
Rosalya si approfittò di quel momento di distrazione, mi piombò addosso, iniziandomi a togliere i vestiti, in un battibaleno mi ritrovai addosso quel “fazzoletto”, e rimasi a fissarmi incantata allo specchio. “Quella lì sono io?” mi chiesi rimanendo a bocca aperta.
<< Dai, muoviti, indossa questo >> esclamò Rosa lanciandomi un pareo con delle piccole conchiglie che penzolavano a destra e a sinistra.
Scendemmo le scale e per fortuna non c’era ancora nessuno. Ci dirigemmo nel giardino sul retro, prima però passammo dal salotto e, come aveva detto Rosalya, Armin stava beatamente giocando con quell’aggeggio infernale. Ma, Rosalya aveva tralasciato qualcosa, non appena Armin mi vide, dire che si impietrì, fu troppo poco. Lasciò il joystick e ci seguì in giardino. In quel momento, gli occhi dei presenti, furono puntati tutti su di me. “questo è che se ne dovevano fregare?... Anche Alexie mi sta guardando in modo strano!”. Guidai gli occhi cercando di trovare Castiel.
Il rosso stava steso su una sedia a sdraio con le braccia incrociate dietro la nuca, e gli occhi coperti da occhiali da sole. Era bellissimo. Non riuscii a capire se mi stava guardando, perché le lenti oscure impedivano di rivelare il suo sguardo. La sua bocca non dava segni di emozioni.
Fu Rosalya a distogliere i miei pensieri, mi prese per mano e mi condusse alle nostre sedie a sdraio.
<< Togliti il pareo >> mi ordinò.
<< Rosa, mi vergogno >>
<< Se non lo togli, non mi importa di rimanere con un pareo in meno nella mia collezione, ma giuro che te lo strappo di dosso con i denti >>
<< Ok >> mormorai portandomi le mani al nodo, sciogliendolo lentamente e lasciandomelo scivolare di dosso. Abbassai lo sguardo imbarazzata fino al midollo.
<< Che bel panorama! Ti confesso che mi mancava >> esclamò una voce dietro di me. Di scatto mi portai le mani al sedere, intenta a coprirmelo, e mi volsi guardando Castiel, che reggeva tra le dita gli occhiali abbassati sul naso e gli occhi fissi sulle mie parti basse. Nel momento in cui mi ero girata, lui li fece salire lentamente per fermarsi sul mio petto.
<< Smettila di guardarmi così, Castiel! >> sussurrai a denti stretti portandomi gli avambracci in avanti e incrociandoli sul petto.
<< Così, come? >> chiese beffardo. Io non risposi, mi limitai solo a stringere gli occhi e ad abbassare la testa. Ad un tratto, mi sentii afferrare un braccio e tirarmi. Aprii istintivamente gli occhi, accorgendomi che stavo camminando dietro Castiel. Entrammo in casa, velocemente, si fermò voltandosi, afferrandomi anche l’altro braccio e sbattendomi contro il muro.
<< Che cosa pensi di ottenere facendo così? >> sussurro duramente avvicinandosi al mio viso.
<< A-assolutamente niente! >> risposi cercando di tener ferma la voce, e di non far fuoriuscire le mie emozioni.
<< Perché ti sei messa questo costume? >> chiese ancora.
<< è stata Rosalya a insistere, dovevo mettermene un altro, ma lei non ha voluto >>
<< Se fai così… >> continuò lui addolcendo la voce e iniziando ad ansimare << Se fai così, come faccio… >> mise una gamba fra le mie cercando di divaricarle, poi appoggiò il suo busto al mio. Quello che iniziai a provare fu indescrivibile. Iniziai ad ansimare anche io, le guance sembravano infuocate alla sola presenza, vicina, del viso di Castiel, che aveva gli occhi di un grigio brillante. Sentii i battiti del cuore martellarmi il petto, ma qualcosa, l’unico spiraglio di lucidità che reggeva ancora nel mio corpo, prese il sopravvento su tutte le altre emozioni, facendomi rendere conto che tutto quello che stava facendo era sbagliato, che Castiel se ne stava approfittando, perché sapeva che io lo amavo. “No, Cass, io non sono come le altre”.
<< Castiel fermati >> sussurrai tremante, cercando di sostenere la lucidità. Il rosso non volle darmi retta e con una mano scese verso l’inguine insinuando un dito sotto il costume, mentre con la bocca mi stampava baci sul collo.
<< No, Castiel, ho detto fermati! >> esclamai cercando di stringere le gambe per non farlo andare oltre. Lui sussurrò qualcosa, che non riuscii a capire, poi mi baciò sulle labbra per impedirmi di esclamare ancora.
Contro la mia vera volontà, raccolsi tutte le forze per respingerlo, e ci riuscii. Quando mi fui liberata, il respiro era talmente pesante da sentirmi quasi soffocare da esso stesso. Accecata dalla rabbia gli sferrai uno schiaffo facendogli piegare la testa a un lato. Non riuscendo più a respirare solo con il naso, mi aiutai con la bocca, che emise un gemito di pianto.
<< N-non te ne approfittare, solo perché conosci i miei sentimenti! >> esclamai tra i singhiozzi << se non mi ami, non farlo più! >>. Detto questo corsi verso le scale dirigendomi in camera mia, chiudendo la porta a chiave, e mettendomi a sedere con le spalle e la testa appoggiate a essa, guardai il soffitto, strinsi gli occhi dal bruciore che incutevano le lacrime, e piansi rumorosamente, colpendomi con piccoli pugni, il petto.

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Capitolo 30
*** Cambierà qualcosa? ***


30° capitolo: CAMBIERA’ QUALCOSA?
 
Non sapevo che ora fosse, ma capii che di tempo ne era passato, perché il cielo si stava oscurando. Ero rimasta in quella camera, afflitta e ferita dagli atteggiamenti di Castiel, mi ero stesa sul letto, rannicchiata a fissare il cielo dipinto sulla finestra. Avevo ancora addosso quel costume da bagno prestatomi da Rosalya, e non ci avevo fatto caso. L’unica cosa che la mia mente permetteva di pensare era Castiel. Non mi ero mai sentita in quel modo, questo significava che stavo soffrendo per l’amore che provavo nei suoi confronti? Ma io non volevo soffrire, volevo continuare a passare le giornate come sempre. Del resto, Castiel se ne fregava, e allora perché dovevo passarci solo io?
Sentii bussare alla porta, non risposi perché non ne avevo la forza, il pianto me l’aveva prosciugata tutta. Provarono ad aprire, ma la porta si bloccò. Bussarono di nuovo.
<< Rea, apri >> era Rosalya.
Mi alzai mogia, barcollai fino alla porta e girai la chiave, abbassai la maniglia, aprendo e facendo entrare la bambolina argentata.
<< Rea, cos’hai? Non ti senti bene? >> mi chiese guardandomi preoccupata. Io scossi la testa senza rispondere. << Perché ti sei chiusa qui dentro? >>
<< Mi sono sentita leggermente male >> risposi con voce rauca.
<< Armin ha detto che eri entrata in casa con Castiel e quando Cass è ritornato in giardino tu non c’eri. Dimmi la verità, cos’è successo? >>
<< Ti prego Rosa, non farmi domande. Non ho ne la voglia ne la forza di parlare di quel… >>
<< Ok, ma tu promettimi che adesso verrai giù. Lys e Cass stanno accendendo il fuoco per il barbecue >>
<< Dammi solo il tempo di vestirmi >>.
Rosalya mi aspettò, poi scendemmo insieme. Tirai un sospiro di sollievo, perché appena misi piede in giardino, fu come se non fosse accaduto niente e cioè Castiel mi ignorò completamente. Ma ero proprio convinta che questo mi avrebbe sollevato il morale? All’inizio sì, ma con il passare dei giorni, quella situazione prolungava e il dolore che avevo provato il primo giorno era niente in confronto a quello che mi si insinuò dopo.
Castiel continuava ad evitarmi, non ci parlavamo più, e quando inconsapevolmente mi trovavo al suo fianco, lui si allontanava senza alcuna esitazione. Non potevo e non volevo chiedergli spiegazioni, perché sapevo che avrebbe subito cantato vittoria. Preferii soffrire in corpo, invece che dargli soddisfazione, e poi con quel atteggiamento, volevo vedere qualche sua reazione, che com’era logico non ci fu. A quel punto allora, a malincuore, capii che quel suo modo di fare, non era altri che la risposta alla frase che dissi “Se non mi ami, non farlo più”. Lui non mi amava. Per lui era stato tutto un gioco. Aveva ottenuto ciò che voleva, non proprio tutto, ma mi aveva fatto innamorare, e dopo averne avuto la prova, era ritornato a prima di conoscermi. Per lui non esistevo. “Fregatene maledizione!... non puoi stare qui tutta l’estate a soffrire! Lo conosci, calcola le sue intenzioni, non lasciarti prendere dalla sofferenza. Fa uscire la Rea forte che c’è in te!... è facile pensarlo, ma a farlo?”.
 
 
Luglio passò in fretta, e come una folata di vento, si avvicinò più ardente e afoso, Agosto. Era la sera del nove, e scesa giù nel salotto trovai Rosalya insieme a Lysandro, Armin e Alexie che discutevano sottovoce. Quando la bambolina mi vide, mi fece cenno di avvicinarmi, io acconsentii.
<< Cosa succede? >> chiesi incuriosita.
<< Parla sottovoce >> rispose Lysandro << Stavamo organizzando una festa per domani sera >>
<< E per cosa? >> chiesi sibilando.
<< Ma come non lo sai? >> ribatté Alexie << domani è il compleanno di Castiel >>
<< N-non lo sapevo >> balbettai dispiaciuta.
Ci organizzammo per i preparativi, Rosalya propose di festeggiare sul terrazzo, dato che il giorno seguente era anche San Lorenzo e ci sarebbero state le stelle cadenti << E poi essendo una zona poco illuminata il cielo si vede meglio >> aggiunse la ragazza. Tutti furono d’accordo. L’unica cosa da fare, era andare in paese per comprare un regalo. Chiesi ad Armin di accompagnarmi, e lui accettò volentieri.
<< Dato che conosci meglio di me Castiel, puoi consigliarmi >> continuai sorridendo.
Ci recammo in paese. Occhi di ghiaccio disse che a Castiel piaceva molto la chitarra, ma gliel’avevano già regalata loro.
<< Puoi comprargli dei plettri >> propose. Io feci una smorfia. “Se vai a vedere sono sempre quelli i regali che riceve”. No, io volevo regalargli qualcosa di più speciale, qualcosa che avrebbe potuto aggiustare quella situazione che si era venuta a creare. Volevo rivedere il Castiel di un tempo, il Castiel pervertito e maniaco. Non mi importa se avrebbe ricominciato a beffarsi di me, ma avevo bisogno di tutto ciò che lo formava.
Non trovai niente. Mi arresi dicendo che mi sarei accodata al loro regalo: una chitarra nuova di zecca.
Ritornammo alla villa, gli altri avevano ordinato le pizze a stavano fuori sotto il gazebo ad aspettarci, Castiel era con loro, e Lysandro ci fece cenno di tacere.
Il giorno dopo Lysandro, prese con se Castiel, con una scusa, e ci lasciò iniziare i preparativi sulla spiaggia senza dare nell’occhio.
Il rosso dapprima si rifiutò di uscire, ma Lysandro, non si seppe come, riuscì a convincerlo.
Ci divertimmo un mondo nei preparativi, e io per un po’ riuscii a dimenticarmi dei pensieri che mi assillavano la mente, grazie anche ad Armin, che, senza rendersene conto, mi aiutò molto. In quei giorni, il moro, si era molto avvicinato a me, si prendeva e mi dava molta più confidenza del periodo passato e io stavo bene insieme a lui, riuscii anche a dimenticarmi della sofferenza che mi aveva dato Castiel.
Prima di sera fu tutto pronto, Lysandro e Castiel ritornarono, e come pianificato non ci trovarono in casa. Salirono le scale fino al terrazzo, e quando uscirono, accogliemmo il rosso con un “tanti auguri a te”.
<< Che razza di idioti! >> esclamò lui ridendo.
<< Sempre molto gentile, eh Castiel? >> ribatté Rosalya.
<< Peccato che avevo già capito tutto. Sono quattro anni che fate sempre la stessa cosa >>
<< Ma quest’anno è speciale >> lo interruppe Rosalya avvicinandosi a me e avvolgendomi le spalle con un braccio << Abbiamo un’ospite in più >>.
Castiel si comportò da perfetto menefreghista, si volse verso Lysandro chiedendogli se c’era la musica. Io rimasi a guardarlo sentendomi quel forte dolore lacerarmi il cuore un’altra volta “Perché fai così? Cosa mi vuoi far capire, che devo dimenticarti? Ma non puoi chiedermelo adesso, non ora che il mio cuore batte solo per te!”. Risentii le lacrime annunciarsi, sbattei velocemente le palpebre per scacciarle via, poi mi allontanai dal gruppo andando ad appoggiarmi alla ringhiera, alzai lo sguardo incantandomi a vedere il cielo che si ornava a poco a poco di stelle luccicanti, man mano che si scuriva.
Mi sentii avvolgere le spalle da un braccio, trasalii convinta che fosse il rosso, mi volsi e di fianco a me vidi Armin, mi guardava con occhi che brillavano come due stelle polari.
<< C-che c’è? >> chiesi, sospirando malinconica.
<< Non ti stai divertendo? >>
<< Sì, volevo solo vedere il cielo notturno di qui. Visto che in paese le luci impediscono di vedere la sua vera immagine >>
<< C’è qualcos’altro, non è vero? >> chiese ancora lui sussurrando. Distolsi lo sguardo da lui guardando verso il basso.
<< Cosa dovrebbe esserci? >> chiesi con voce flebile e tremante.
<< Orami penso di conoscerti abbastanza da capire che c’è qualcosa che non va >> rispose lui, lasciandomi, appoggiandosi alla ringhiera di spalle, e alzando il capo al cielo.
<< Non ho niente, davvero Armin >> mentii.
<< Senti Rea, perché non andiamo a farci una passeggiata sulla spiaggia? >> chiese ad un tratto. Io lo guardai. << Tanto qui la porteranno per le lunghe prima del taglio della torta… ogni anno è la stessa storia >> continuò sorridendomi. “Ma sì, che ti frega, è un modo come un altro di distrarti… e poi se ti allontani per qualche istante, non farai preoccupare nessuno, tantomeno quel pervertito!” << Ok Armin, andiamo >> risposi girandomi. Armin mi afferrò la mano e ci incamminammo verso la porta. Curiosa, mi volsi verso Castiel che con una bottiglia di birra in mano, e il braccio attorno al collo di Lysandro, stava istigando quest’ultimo a bere, contrariato da Rosalya che tirava per un braccio il suo ragazzo, intenta a liberarlo da quella presa. Castiel rideva, era a dir poco bellissimo. Prima di andarmene, gli sorrisi “Addio Castiel” sibilai nella mia mente, non capendo il perché.
La spiaggia era deserta e cupa, il lieve rumore del mare, risuonava nell’aria accompagnando quel forte profumo di salsedine. Armin mi reggeva ancora la mano e io lo seguivo standogli dietro. Non sapevo perché, ma sentii che sarebbe successo qualcosa da un momento all’altro. Ad un tratto il ragazzo si fermò, mi lascio la mano e si mise di fronte. Mi guardava serio. Del suo volto, riuscii a distinguere solamente gli occhi che brillavano come diamanti immersi nell’acqua, poi mi accorsi che stava arrossendo.
<< Cosa c’è, Armin? >> chiesi incuriosita.
<< Beh, ecco Rea, non so come dirtelo… Rea? >>
<< Mhm? >>
<< S-sai già che mi piaci molto… >>. Annuii. << è passato un bel po’ di tempo da quando te lo dissi… beh ecco… io ho provato a esserti soltanto amico, ma, a dir la verità non ci riesco. Maledizione, quant’è difficile. Rea io… mi sono innamorato di te >>
Non volli mentire, ma quelle parole non mi diedero nessun effetto. Mi sentii un’egoista, ma purtroppo, rimasi indifferente facendo imbarazzare Armin.
<< Ho-ho detto qualcosa di male? >> chiese balbettando e volgendo lo sguardo da un’altra parte.
<< Assolutamente no, Armin >> risposi mormorando tutto d’un fiato.
<< A-allora, posso chiederti di diventare la mia ragazza? >>
<< A-Armin… >>. Lui mi interruppe abbracciandomi, mi ritrovai il suo petto attaccato al mio viso. Rimasi allibita da quel gesto. Potei sentire il suo frenetico battito, il suo intenso profumo mescolato a quello della salsedine e il suo calore affettuoso avvolgermi tutta. In quel momento mi resi conto che avevo bisogno di tutte quelle cose. Chiusi gli occhi concentrandomi solo su quei sensi. Lo sentii distaccarsi da me, aprii gli occhi vedendo il suo viso avvicinarsi lentamente al mio. Cancellai tutto nella mia mente. Davanti a me non avevo Armin, ne tanto meno mi immaginai Castiel. Davanti a me c’era la reincarnazione dell’insaziabile, bisognosa, ardente e piacevole emozione chiamata “Amore”. Concentrai tutti i miei sensi su quest’ultimo. Ma qualcosa dentro di me prese repentinamente vita dicendomi che ciò che stavo per fare era tutto uno sbaglio, che accettando di essere baciata, avrei solo illuso Armin, e questo lui non se lo meritava. Io non ero egoista, e non lo volevo diventare in quel momento.
Quando decisi di fermare quella scena, qualcosa lo fece al mio posto.
Credetemi, ciò che successe, non me lo sarei mai aspettato. Ciò che successe cambiò tutto.
 
 
 
NOTE: ciao a tutti!... che tristezza TT _ TT. Questo capitolo è talmente corto che, per un momento, mi ha fatto passare la voglia di pubblicarlo… purtroppo non l’ho voluto continuare, perché voglio lasciare la “parte migliore” al prossimo quello che ( se non mi vengono in mente altre idee perverse ), potrebbe essere il decisivo… Che cosa succederà? Boh!!... buona lettura. Ciao!

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Capitolo 31
*** Sua... per sempre ***


31° capitolo: SUA… PER SEMPRE
 
 



Guardai allibita Armin, il quale ricambiava altrettanto sguardo, mentre mi sentii tappare la bocca da una mano forte e decisa e tirata all’indietro costretta ad allontanarmi dal viso del moro. Il ragazzo, sembrava aver visto qualcosa di strano, che i suoi occhi parvero tanto impauriti quanto incuriositi.
<< Che stai facendo? >> chiese duramente alla persona che mi tratteneva.
<< Mi dispiace Armin… >>. Sgranai gli occhi nel sentire quella voce. Era Castiel. << ma Rea appartiene già a me >> rispose serio e deciso. Detto questo, mi liberò la bocca, mi afferrò un braccio e mi trascinò via con se. Mi guardai indietro per vedere l’espressione sul volto di Armin, ma al buio non riuscii a distinguere.
Costretta, seguii Castiel, che mi camminava avanti, a passo svelto, e non riuscivo a capire dove stavamo andando.
<< Castiel, dove mi stai portando? >> provai a chiedergli, ma lui non mi rispose. << Che significa ciò che hai detto a Armin… per l’amor del cielo, vuoi risponder… >>
Non mi diede neanche il tempo di finire la frase, che come una furia si voltò verso di me, mi avvolse fra le sue braccia e mi baciò intensamente, fino a farmi perdere fiato. Quando si distaccò, ansimavamo tutti e due, lui mi guardò negli occhi e io feci altrettanto. Li aveva licidi e penetranti, e io mi persi.
<< Per il momento accontentati di questa risposta >> sussurrò sciogliendo la presa e afferrandomi un’altra volta la mano, intento a incamminarsi. Io non mi mossi, lui mi guardò incuriosito.
<< Che c’è? >> chiese.
<< Basta Castiel >> mormorai a denti stretti e con il pianto che mi soffocava la gola << Basta con questi misteri… mi sono stancata di questa storia >> continuai scostando la sua presa, feci due passi indietro e mi asciugai gli occhi. Poi tirai su i capelli ché sentivo l’ansia tramutarsi in calore.
<< Che stai dicendo? >>
<< E lo chiedi pure?! Si può sapere cosa sono io per te? Hai passato un mese intero ad evitarmi. Sono giorni che non ci parliamo, adesso che fai, mi allontani prepotentemente da Armin?... ma si può sapere che cosa vuoi veramente da me?... che cosa sono io per te?!?! >> esclamai squarciando la voce dal pianto. Lui si avvicinò lentamente intento a riabbracciarmi, io mi scansai, ma lui non si arrese, mi afferrò nuovamente il braccio e mi tirò a se, abbracciandomi di spalle.
Piansi, sfogai tutto il dolore che avevo conservato in corpo in quei lunghi giorni. << Perché mi fai questo? >> sussurrai << Se non provi davvero niente per me, perché continui a beffarmi? Davvero non conto niente? >>
<< Non piangere Rea, non farmi sentire più bastardo di quanto non lo sia già >> sibilò lui appoggiando le labbra sul capo.
<< è colpa tua >> dissi, e tra i singhiozzi mi scappò una risatina.
<< Che fai adesso, ridi di me? >> chiese lui per sdrammatizzare la situazione. << Vieni con me >> disse dopo un po’, prendendomi per mano e incamminandoci insieme verso la villa.
Da sopra il terrazzo di sentivano delle grida divertenti e la musica. Salimmo le scale, ma non ci dirigemmo lì.
<< Non ritorniamo alla festa? >> chiesi incuriosita.
<< No, sono tutti ubriachi, non ne vale la pena >> rispose lui indifferente continuando a camminare.
<< Ma è la tua festa >> affermai.
<< Appunto, permetti che voglio festeggiarla con una persona lucida? >> chiese guardandomi e rivolgendomi un sorriso.
Non parlai più, mi feci portare dove ne aveva intenzione, senza chiedergli più niente. Arrivammo di fronte a una porta, lui l’aprì e entrammo. Capii che era la sua stanza. “Oh, Dio! Che intenzioni ha?”. Per fortuna non ci fermammo lì, uscimmo fuori dalla finestra, affacciandoci in una grandissima veranda che in fondo ospitava un gazebo con l’interno coperto da tende. Castiel mi lasciò la mano e mi invitò ad andare da quella parte. Io esitai, poi mi incamminai un po’ imbarazzata. Castiel, sollevò le tende e io entrai. Il gazebo, era tappezzato al pavimento. Non ne capivo molto, ma dalla loro fantasia dovevano essere tappeti persiani. E sopra questi degli enormi cuscini di velluto che, sparsi, diedero la forma di un letto. Al centro un tavolino con le gambe basse, era apparecchiato da due calici pieni di vino rosso, e da qualche piattino con degli stuzzichini. Le bianche tende, che coprivano quell’harem, assorbivano la luce della luna, donando al posto un barlume azzurro. Mi guardai intorno e subito ebbi un dubbio: sembrava tutto preparato e calcolato nei minimi dettagli. Guardai Castiel, intento a prendere i due bicchieri, si avvicinò porgendomi un calice. Prima di prenderlo gli chiesi guardandolo sottocchio << Dì la verità… avevi già preparato tutto? >>. Lui non rispose, si limitò solamente a sorridere. Presi il bicchiere e me lo poggiai leggermente sulle labbra, accennando un sorso.
Castiel mi disse di sedermi sui cuscini, acconsentii. Lui si allontanò andando ad aprire la tenda di fronte a me. Rimasi incantata nel vedere quella scena. Un affascinante cielo stellato si estendeva come un velo nell’oscuro panorama, sembrando un quadro infinito senza cornice.
<< Wow! >> esclamai sgranando gli occhi << è bellissimo Castiel, non avevo mai visto una cosa del genere! >> mi sentivo come una bambina desiderosa di scoprire il mondo. D’istinto mi tolsi gli occhiali, bisognosa di vedere quel panorama a modo mio. Castiel si venne a sedere vicino a me dando un sorso al suo bicchiere. Io lo guardai. Quell’oscurità che lo accarezzava tutto, lo rendeva più affascinante. Era bellissimo. Gli sorrisi dolcemente. Lui mi guardò e chiese << Cosa c’è? >>
<< Perché hai fatto tutto questo? >>
<< Te l’ho detto, volevo solo festeggiare il mio diciottesimo compleanno con una persona sobria >> rispose lui sbuffando strafottente e appoggiando il calice sul tavolino.
<< E allora perché non fai venire anche Armin? >> chiesi curiosa.
<< Sarà sicuramente incazzato per ciò che ho fatto. Ho interrotto un momento idilliaco prima ancora che avesse inizio… >>
<< Perché l’hai fatto? >>
<< Guarda una stella cadente! >> esclamò indicandomi con un dito il cielo.
<< Grrr!... Castiel quanto sei fastidioso quando fai così >> risposi sdraiandomi sui cuscini. Lui rimase seduto e mi guardò.
<< Se non ti avessi fermata, l’avresti baciato? >> chiese ad un tratto facendosi serio. Mi alzai di scatto dai cuscini mi avvicinai al quadro notturno ed esclamai << Guarda! Una stella cadente! >> “Almeno impari a non rispondere alle mie domande”. Lo sentii sbuffare un sorriso, poi i suoi passi che si avvicinavano lenti, e la sua mano che mi accarezzava i capelli, spostandomeli a un lato. Le sue dita sfiorarono leggermente la mia nuca, disegnando una linea curva fino alla spalla, spostò le bretelle senza sollevarle e poggiò le sue ardenti labbra. Aspirai profondamente sentendomi pervadere di piacere. La sua mano scese sul fianco, e fece così anche con l’altra, me li strinse dolcemente, le insinuò sotto la maglia, accarezzandomi prima il ventre, poi salì lentamente sui seni stringendoseli nelle mani. Gemetti lievemente, stringendo in pugno, un lembo della tenda. Lui lasciò la presa riafferrandomi di nuovo i fianchi e voltandomi verso di se. Incrociammo gli sguardi entrambi pieni di voglia e di passione. Portò le sue mani sul mio collo, e con le dita seguì i lineamenti, andandosi a fermare sulle labbra. Con il pollice tirò verso il basso il labbro inferiore, socchiudendomi la bocca e poggiandovi la sua facendomi assaporare fiamme di piacere. Con la lingua si fece largo fra i miei denti, e spinse cercando la mia, gliela donai facilmente e insieme iniziammo a farle giocare. Istintivamente gli toccai il torace stringendogli la maglia ogni qualvolta sentivo il piacere farsi strada nel mio corpo.
Ad un tratto lui si distaccò, leccandosi le labbra per non lasciar perdere il mio sapore, lo vidi piegarsi su di me prendendomi in braccio. Avvolsi le braccia al suo collo per reggermi. Si incamminò verso i cuscini e mi adagiò sopra lentamente, poi si alzò e si tolse in un sol movimento la maglietta, facendola scivolare per terra e rivelando i suoi scolpiti pettorali, non si mosse e mi fissò. Rimembrai quello sguardo, era lo stesso di quel giorno nell’infermeria, e sapevo già cosa voleva, e questa volta ero sicura che non mi sarei fermata, perché anche volendo, lo spiraglio di lucidità che avevo, si era spento quella notte stessa. Mi misi a sedere, sfilandomi la maglietta di dosso e poggiandola accanto a quella di Castiel, qualche ciocca di capelli ritornò impicciona avanti poggiandosi sul reggiseno. Castiel si inginocchiò e con passo felino, si mise sopra di me. Mi accarezzò con un dito il collo, poi lentamente scese giù sui seni, poggiò il palmo su uno di essi insinuandolo verso la parte posteriore cercando a tentoni l’apertura. Per facilitargli la cosa, sprofondai la testa sui cuscini e sollevai il busto, a quell’atto lui mi baciò la parte centrale del petto, che divideva i due seni, gemetti, poi sentendo il tic del gancio sbottonato, ritornai a poggiarmi normalmente. Castiel mi sfilò il reggiseno, e io istintivamente portai le braccia in avanti per coprirmi. Ero imbarazzata. Lui sorrise, mi afferrò dolcemente le braccia e me le divise, tentai di resistergli, ma il piacere che stavo provando era più forte di me. Chinò la testa su di me e iniziò a baciarmi i seni ormai turgidi. Ansimai non riuscendo più a pensare a niente. Le sue mani si diressero verso l’abbottonatura del pantalone, sfilandomi anche quello, poi si inoltrarono sotto l’indumento intimo, iniziando movimenti peccaminosi. Si distaccò, ansimava anche lui, non vidi cosa fece, ma lo capii quando si appoggiò su di me facendomi sentire la presenza virile, desiderosa di uscire allo scoperto. Sentii scivolarmi qualcosa dalle gambe, doveva essere il pezzo di sotto della mia roba intima. Mi resi conto che ormai ero come mamma mi aveva fatto, e anche lui si liberò del suo contegno. Mise il ginocchio fra le mie gambe per farmele divaricare, lo accontentai subito. Senza perdere altro tempo, appoggiò il suo bacino fra la mia nudità.
Fu in quel momento che lo spiraglio di lucidità si fece ancora sentire. Gli poggiai le mani sul petto cercando di farlo indietreggiare. Si fermò e mi guardò << Che c’è? >> chiese con l’affanno.
<< C-Castiel >> balbettai continuando ad ansimare << Ti prego, se non mi ami, non farlo >>
Lui sbuffò un sorriso, mi baciò le labbra e disse << Rea, ti assicuro che a quel punto… mi sarei fermato >>.
Mi baciò un’altra volta, ripoggiando il suo bacino e spingendo lentamente.
Un forte dolore si sovrappose al piacere, provai a stringere le gambe e a indietreggiare per allontanarmi da quell’arma micidiale, ma non ci riuscii, la presa di Castiel mi aveva bloccata. Lui continuava a spingere, io istintivamente gli strinsi le braccia e mi morsi il labbro inferiore per non urlare dal dolore.
<< Ti faccio male? >> chiese sibilando tra gli ansimi.
“Nooo! Ma secondo te?! Mi stai lacerando e non devo sentire dolore?!” << Sì >> sussurrai lamentandomi.
<< Vuoi che mi fermi? >> chiese bloccando i suoi movimenti. Scossi il capo. Lui sorrise e prima di riprendere disse << Tanto non mi sarei fermato lo stesso >>
<< I-idiota >> dissi dolente tirandogli un pugnetto sul braccio.
<< Resisti amore mio, solo un altro po’ >> sibilò al mio orecchio.
Amore mio. Come lo disse dolcemente. Sorrisi fra i dolori e sibilai balbettando << Fa piano >>. Lui continuò a spingere. Contrassi i nervi, strinsi gli occhi facendo scorrere qualche lacrima e poi gemetti di dolore, che a poco a poco, diminuì dandomi un altro tipo di sensazione mai provata prima. Quando Castiel si accorse che non soffrivo più e che mi ero concessa al suo volere, sussurrò << ti farò mia… per sempre >>. Aumentò il movimento e nel farlo un cocktail di forti emozioni invase il mio e il suo corpo. Sentii il bisogno di far uscire quel piacere attraverso la mia voce, ma lui me lo impedì subito, tappandomi la bocca con uno dei suoi ardenti baci.
Ci fermammo sfiniti e pieni di sudore, lui lentamente e stanco si fece più sotto appoggiando la sua testa di lato sul mio petto. Il mio cuore riuscì a raggiungere la sua pelle, ché batteva talmente forte. Con le mie mani raccolsi i suoi capelli e gli accarezzai la testa.
<< Castiel? >> lo chiamai tra gli ansimi.
<< Mhm? >> rispose lui, prendendo fiato.
<< Ti amo >> sussurrai con un profondo sospiro.
<< Rea? >>
<< Dimmi? >>
<< Ti amo anche io >>
Sorrisi, avvolgendogli la testa fra le braccia, e felice, accolsi quelle parole nelle mie orecchie, inebriandomi della sua voce.
Dopo un po’, volsi lo sguardo verso il cielo notturno e sorridendo dissi: << Cass? >>
<< Dimmi? >> chiese con voce flebile.
<< Una stella cadente, esprimiamo un desiderio >>
Lui si alzò dal mio petto e si avvicinò al mio viso, mi guardò con occhi luminosi e sorrise.
<< Non ce n’è bisogno >> sussurrò << ho già quello che desidero, proprio qui davanti a me, e non ho bisogno di nient’altro >>. Gli accarezzai il viso emozionata da quelle parole e avvicinandolo a me, lo baciai con passione.
Finalmente la sofferenza era scomparsa e al suo posto avevo ottenuto la cosa che più desideravo al mondo: Castiel.    

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Capitolo 32
*** L'astio tra Nath e Cass ***


32° capitolo: L’ASTIO TRA NATH E CASS
 
 


“Maledetta zanzara!... lasciami dormire!”.
Aprii lentamente gli occhi fissando il soffitto, sbuffai infastidita, mi volsi verso la finestra, era appena spuntato il sole. Allargai le braccia verso il materasso e la mano sinistra colpì qualcosa. mi girai sorridendo, Castiel, a dorso nudo dormiva al mio fianco di pancia in giù abbracciato al suo cuscino. Mi misi su un lato e con un dito lineai sulla sua pelle, la spina dorsale, sorrisi << Cass? >> sussurrai. Silenzio. << Cass? >> ribattei alzando un po’ la voce.
<< Mhm >> rispose lui assonnato.
<< Svegliati, dobbiamo andare a scuola >>. Non accennò a volersi svegliare. Erano due mesi che stavamo insieme come una vera coppia di fidanzati, e ormai avevo capito come trattarlo quando faceva così. Mi alzai, afferrai la sua maglia e la indossai, legai i capelli e esclamai << Cassy! Amore della mamma? >>
Lui si girò di scatto lanciandomi un sguardo minaccioso.
<< Smettila di chiamarmi così! >> ringhiò a denti stretti.
<< Alzati, sono quasi le sette >>.
Lui sbuffò infastidito, mettendosi di pancia all’aria e incrociando le braccia dietro la nuca << Ho bisogno di una sigaretta >>
<< Scordatela! >>
Si alzò e andò alla finestra guardando il cielo << Che palle >> esclamò << Perché non rimaniamo qui? >> chiese volgendosi verso di me.
<< è da ieri sera che stiamo rinchiusi qui dentro, non mi hai fatto neanche mangiare… ho una fame che mi divorerei un maiale crudo >>
<< Nessuno ti invitò ieri >> rivelò lui beffardo. Mi voltai guardandolo sottocchio.
<< Ma se mi venisti a prelevare da casa con la tua moto infernale! >> esclamai irritata.
<< Sì, ma non ti invitai >>
<< Idiota! >>
Lui sbuffò un sorriso, poi si avvicinò lentamente avvolse i miei fianchi, mi sollevò e mi riportò sul letto, stendendomi e mettendosi su di me.
<< Castiel, che fai?... no è tardi >> sussurrai interrotta dai suoi baci.
<< Non è mai tardi per questo >> rispose ansimando intento a togliermi la maglia. Ricademmo nel mondo del piacere, e ci dimenticammo della scuola.
 
 
<< Castiel, è la quarta volta in due settimane che mi fai entrare alla seconda ora! >> esclamai correndo verso il portone dell’edificio. Lui rideva camminando a passo lento. << E sbrigati! Non voglio avere altre ramanzine dalla vecchiaccia! >> “anche se da quando la minacciai non mi ha più infastidita, ma non si sa mai con quella pazza”.
Entrammo in classe, per fortuna il professore doveva ancora arrivare. Andai al mio posto salutando Armin che mi rispose con un sorriso.
Dal giorno dopo il compleanno di Castiel, pensavo che il rapporto di amicizia che avevo con Armin si sarebbe frantumato, mi sentii in colpa, ma per fortuna, e con mia grande sorpresa (anche se avrei dovuto immaginarmelo), Armin, non accennò alcun rancore ne verso di me, e ne verso Castiel. Infatti il giorno dopo, lo trovammo attaccato allo schermo della televisione a imprecare contro un demone che soccombeva il suo eroe. Non era cambiato assolutamente niente, e ne fui felice.
In ricreazione, Castiel mi prese per mano e ci dirigemmo insieme in giardino. Facevamo sempre così, all’inizio ero imbarazzata nel vedere occhi curiosi puntati su di noi, ma poi con il passare del tempo ci feci l’abitudine. Castiel era il mio ragazzo e non dovevo avere niente di cui vergognarmi.
Arrivati nel retro della scuola, lui mi appoggiò al muro e iniziò a baciarmi tutta.
<< Castiel, potrebbe venire qualcuno >>
<< Non me ne importa >> rispose tra gli ansimi << non resistevo più >>
Ad un tratto sentimmo delle voci avvicinarsi, si fermò di colpo cercando di capire di chi si trattasse.
<< è Ambra >> sibilai io.
<< Che palle, ci voleva anche questa >> ribatté lui con lo stesso mio tono. Ci distaccammo e facemmo finta di conversare seriamente.
Il primo giorno di scuola, quando io e Castiel ci eravamo presentati in classe, mano nella mano, la rabbia di Ambra aumentò a vista d’occhio specialmente quando seppe che stavamo insieme. Da quel giorno, non fece altro che seguirci per avere l’opportunità di dividerci ogni qualvolta ci vedeva insieme. Castiel e io la lasciavamo perdere perché in fondo ci faceva pena. Ma con il passare del tempo, i suoi atteggiamenti stavano diventando molto fastidiosi soprattutto per Castiel, che più di una volta si era trattenuto dal mandarla a fanculo. Quel giorno però il mio sesto senso si fece sentire dicendomi che sarebbe successo qualcosa.
Appena svoltò l’angolo, incrociai lo sguardo minaccioso della biondona.
<< Che cosa state facendo qui? >> chiese cercando di mantenere la calma.
<< è quello che vorrei chiederti anche io! >> rispose incazzato Castiel << Con l’aggiunta di: non hai niente da fare, che vieni sempre a romperci le palle? >>
Sbuffai una risata divertita. La biondona, ovviamente, non contenta della risposta si difese dicendo << Sapete che non si può amoreggiare nei cortili della scuola?... andrò a dirlo subito a Nathaniel >>
<< Ma fa ciò che vuoi! >> rispose Castiel senza cambiare tono di voce. Ambra irritata, pestò il terreno e se ne andò. Stavamo iniziando di nuovo a baciarci quando la campanella suonò la fine della ricreazione. Ci dirigemmo verso l’entrata, e ad aspettarci trovammo Nathaniel, con le braccia conserte e un’espressione alquanto infastidita.
<< Dalla padella alla brace >> sussurrò Castiel senza muovere le labbra. << Qual buon vento, signor delegato? >> esclamò sorridendo beffardo.
<< Dobbiamo parlare Castiel, non qui, e da soli >> rispose serio Nathaniel volgendo lo sguardo verso di me per farmi capire che dovevo allontanarmi. Io, feci la gnorri e non mi mossi.
<< Rea, va in classe, ti raggiungo subito >> riprese Castiel cambiando espressione e parlando con voce seria.
<< Ok >> sussurrai un po’ offesa. Mi allontanai, ma non ritornai in classe. Quegli atteggiamenti mi incuriosirono. Mi nascosi dietro un armadietto, e spiai le loro mosse. Nathaniel iniziò ad incamminarsi, e Castiel lo seguì, si stavano dirigendo nella sala delegati, aspettai che fossero entrati, poi sgattaiolai verso la stanza, mettendomi di fianco la porta e appizzando le orecchie per sentire cosa stavano dicendo. parlavano sottovoce e non riuscivo a capire bene. Poi però la voce di Castiel si fece più alta e chiara.
<< Tua sorella è soltanto una matta! >> esclamò il rosso << non ho accennato niente di tutto ciò! Neanche Rea conosce questa storia, era con me quando Ambra ci ha visti e se non mi credi va pure a chiederglielo! >>
<< E allora come fa a sapere tutto, mia sorella? >>
<< E lo vieni a chiedere a me?... può darsi che i tuoi genitori si siano fatti scappare qualcosa dalla loro bocca! >>
<< Non dire scempiaggini, non sono così stupidi! >>
<< E poi che te ne frega >> riprese Castiel dopo un po’ << era ora che venisse a sapere cazzo di famiglia ha. Così la finirà di comportarsi da viziata, rendendosi conto che tutto ciò che si può permettere non è farina del sacco dei suoi genitori >>
“Ma di che stanno parlando?”
<< Non ricominciare Castiel, sai benissimo di chi è la colpa! >>
<< Oh, mio caro, lo so benissimo anche io >> rispose Castiel con voce nervosa << sei tu che ti ostini a non capire, per non contrariare il volere di tuo padre! >>
<< E cosa dovrei capire? Che tuo padre è un grandissimo bastardo? >>
“Oh, mio Dio! Qui si mette male!”. Fui tentata di entrare per fermare la lite che stava per esplodere, ché ero convita che Castiel non si sarebbe stato zitto e infatti…
<< Nathaniel, rimangiati subito ciò che hai detto! >>
<< Perché rimangiarmi la verità? >> rise strafottente il biondo. Sentii un violento rumore di sedie e un gridato << Figlio di puttana >>, poi un colpo secco.
Istintivamente spalancai la porta, guardando dentro e vedendo Castiel a cavalcioni su Nathaniel, il quale beccava pugni sulla faccia totalmente incapace di difendersi. Mi precipitai sul mio ragazzo che sembrava impazzito e gli afferrai il braccio << sta fermo Castiel! >> eslcamai. Lui sentendo la mia voce si fermò, lasciò il colletto della camicia di Nathaniel e si alzò in piedi, liberandosi bruscamente dalla mia presa.
<< Nathaniel, questa è l’ultima volta che ti avviso. Non ho più intenzione di ascoltare e di litigare su questa storia. Sta alla larga da me, e avvisa anche tua sorella. Lasciatemi in pace, perché la prossima volta non potrò mai sapere come reagirà la mia rabbia. E’ l’ultimo anno, e non voglio mandarlo in fumo per problemi che non sono neanche i miei! >>. Detto questo mi afferrò la mano e mi trascinò fuori dall’ufficio. Nel corridoio si fermò, si volse minaccioso verso di me e sussurrò a denti stretti << Quanto hai sentito della discussione? >>
<< D-da quando Nathaniel ha detto che Ambra sa tutto >> balbettai intimorita. Castiel chiuse gli occhi e sospirò.
<< Tutto cosa? >> mi chiese.
<< N-non lo so >> risposi sincera.
<< Rea, perché ci hai spiati? Ti avevo detto di ritornare in classe >>
<< Non era mia intenzione spiarvi >> mi difesi.
<< Però l’hai fatto >> ribatté lui << Ora, di sicuro vorrai sentire il motivo per il quale io e Nathaniel non ci possiamo digerire? >>
<< Non sei obbligato a farlo! >> esclamai incrociando le braccia al petto e volgendomi da un’altra parte.
<< Dì la verità… sei curiosa? >>
<< Mhm, mhm >> mugugnai bilanciando la testa a destra e a sinistra.
<< Bene, perché non te la dirò mai >>
<< Ti odio! >> esclamai irritata, tirandogli un pugnetto sul braccio. Lui sorrise poi mi abbracciò e mi sfiorò le labbra con le sue. << Dimmi solo che non è niente di brutto >> sibilai a occhi chiusi. Lui non rispose, mi afferrò di nuovo la mano e ci incamminammo in classe.
All’uscita di scuola, lo invitai a mangiare a casa mia, dato che zia Michelle non c’era, e non volevo pranzare da sola. Lui acconsentì, e ci incamminammo verso casa. Durante il tragitto, trovammo un’altra volta Ambra.
<< Ora mi sono davvero rotto le palle! >> esclamò Castiel infastidito, stringendomi la mano e alzando il passo.
<< Fa finta di non averla vista >> mormorai cercando di calmarlo. La sorpassammo e lei non disse niente. Quando fummo un po’ distanti, la sentii dire.
<< E così, la tua fidanzata non ne sa niente, eh? >>. Castiel si fermò, e lo sentii tremare, poi stringendomi più forte la mano alzò il passo per allontanarsi il più lontano possibile da quella pazza.
<< E inutile che corri Castiel, prima o poi, anche la sciacquetta scoprirà tutto >>
<< Sciacquetta a chi?! >> esclamai tentando di andare verso di lei, Castiel mi tirò a se e mi sussurrò << Lasciala perdere >>.
Arrivati a casa, lui andò a sedersi sul divano, mettendosi a suo agio. Io non parlai per niente, ma avevo una curiosità che mi strisciava da tutte le parti. Andai in cucina e preparai il pranzo. Nel frattempo che la pasta si cucinava, apparecchiai la tavola per due.
Mangiammo in silenzio, alla fine mi alzai per sparecchiare e misi tutti i piatti nella lavastoviglie. Lui si alzò, venne dietro di me e mi cinse i fianchi appoggiando il suo bacino dietro il mio fondoschiena facendomi capire le sue intenzioni. Mi girai verso di lui e lo baciai, mi prese in braccio a cavalcioni e baciandomi si diresse verso il divano, iniziò a spogliarmi, e io spogliai lui. Mi accarezzò i seni, poi penetrò nella mia intimità facendomi gemere di piacere. Iniziammo un lento movimento, e a poco a poco lo rendemmo più frenetico fino a raggiungere insieme l’apice del sublime piacere. Ci fermammo esausti e invasi dall’affanno. Lui mi guardò negli occhi e mi sorrise << Ti amo >> sussurrò.
<< Anche io >> risposi sorridendo << ma la prossima volta, non facciamolo più dopo mangiato >> continuai toccandomi lo stomaco << mi fa male la pancia >>
Castiel scoppiò a ridere appoggiando il viso sul mio stomaco e dandomi un bacio a stampo.
Dopo qualche ora salimmo al piano di sopra per lavarci. Ebbi il bisogno ardente di immergermi nell’acqua bollente, quindi riempii la vasca. Mi immersi sospirando, mettendomi a mio agio. Castiel bussò da dietro la porta, poi senza aspettare il permesso aprii, mi chiese di fargli spazio e si immerse anche lui, mettendosi dietro di me.
<< Ma è bollente! >> esclamò sobbalzando << Come cavolo fai a starci >>. Io appoggiai la mia schiena al suo petto e sorrisi socchiudendo gli occhi.
<< L’acqua bollente mi aiuta a distrarmi dai pensieri >> rivelai.
<< Perché? Sei pensierosa? >> chiese lui. Io annuii. << Per cosa? >> ribatté.
<< Non ne vale la pena dirtelo, lascia perdere >> mugugnai con una smorfia.
<< Certo che sei davvero curiosa! >> esclamò lui schiacciandomi un dito nel fianco e facendomi sobbalzare.
<< è colpa vostra se sono curiosa! >>
<< Vostra, chi? >>
<< Anche di tua madre! Quel giorno che si presentò in ospedale, iniziò a dire alcune cose su di te >>
<< Cosa? >> chiese lui un po’ bruscamente.
<< Mi chiese di starti vicino, perché in passato avevi sofferto molto e lei non ti aveva consolato come una vera madre >>
Alla fine di quelle parole, lui mi scostò dal suo petto e si alzò uscendo dalla vasca, prese un asciugamano e se lo avvolse attorno alla sua vita, per poi uscire dal bagno. Rimasi allibita, uscii anch’io e lo trovai in camera mia, che indossava i pantaloni e si stendava sul letto a dorso nudo.
<< Scusami >> balbettai abbassando lo sguardo << Non dovevo insistere >>. Castiel mi guardò e mi fece cenno con la mano di avvicinarmi a lui. Mi sdraiai al suo fianco e mi accolse fra le sue braccia, stampandomi un bacio sulla fronte.
<< A questo punto è meglio che ti dica tutto, anche perché, adesso che lo sa Ambra, non voglio che tu lo venga a sapere da altre bocce che potrebbero dirti il contrario. Devi però promettermi che non ne farai parola con nessuno >>
<< Hai dimenticato che lo sa anche Ambra? >> chiesi.
<< No, ma quell’idiota sicuramente non sa tutto, e poi non sarà tanto imbecille da diffamarsi da sola >>
<< Ok, allora, telo prometto >>
Castiel iniziò a raccontare il motivo dell’astio che albergava fra lui e Nathaniel, dicendo che era dipeso tutto dai loro rispettivi genitori.
<< Mio padre è il padrone di due importanti industrie della città. Industrie di costruzioni di veicoli aerei. A quel tempo, io e Nathaniel avevamo sette anni, suo padre era un avvocato illustre, nonché anche amico di mio padre. Quest’ultimo ebbe la felice idea di inserirlo nei suoi affari come socio. Fu tutto in una serata, che l’amicizia che il padre di Nathaniel, aveva nei confronti del mio vecchio, venne allo scoperto in una maniera alquanto vergognosa: non mi vergogno a dirlo, ma mio padre è sempre stato un donnaiolo, se fosse dipeso da lui non si sarebbe sposato affatto. Purtroppo i suoi genitori, nonché i miei nonni, l’obbligarono a farlo. Dicevo appunto che il padre del delegato, sfruttò l’indole di mio padre per ottenere ciò che aveva sempre bramato >> si fermò per prendere fiato, strofinandosi gli occhi.
<< C-che cosa fece? >> chiesi con voce flebile.
<< Mi fa schifo soltanto a pensarlo… mise in mezzo sua moglie. Quella sera, mio padre aveva un appuntamento con lui, ma al suo posto si presentò la moglie… un bicchiere tira l’altro e riuscì a portarselo a letto. Naturalmente da ubriaco, mio padre non si ricordò niente, e non si ricordò neanche di aver firmato un contratto di vendita del cinquanta per cento delle azioni industriali. In poche parole, in realtà mio padre aveva venduto la metà delle sue azioni senza ricevere un soldo bucato, invece su carta c’era scritto il contrario e cioè che l’acquirente aveva pagato in contanti. E indovina chi fu questo geniale acquirente? >>
<< I-il padre di Nathaniel? >> chiesi mettendomi a sedere sul letto e guardandolo esterrefatta. Lui annuì con il capo. << Ma questo è un latrocinio! >> “e io che mi ero tanto meravigliata per ciò che aveva fatto quel gangster della preside!”.
<< Ti lascio immaginare quello che successe dopo >> continuò lui incrociando le braccia dietro la nuca e socchiudendo gli occhi << Fortuna volle che la ragione la ebbe mio padre. Non so come fecero, ma quest’ultimo riebbe la sua quota. Naturalmente, per passare come vittima della situazione, il padre di Nathaniel, raccontò tutto a suo figlio e a quell’età, il nostro caro delegato era un bambino alquanto turbolento e dispettoso, andavamo a scuola insieme e da essere un po’ amici, peggiorammo diventando migliori nemici… ma quello che quel coglione non sa è la verità, perché ancora oggi, se ne viene con la storiella che mio padre aveva sedotto sua madre… sa solo questo >>
<< E tu come fai a sapere la verità? >>
Lui sbuffò una risata << Semplicemente perché i miei litigavano in mia presenza. All’età di sette anni sapevo già il significato della parola amante, e quella non fu solo l’uni… >> si bloccò di scatto, come se avesse parlato anche troppo, trattenne quella parola, poi sospirò. “Voleva dire qualcos’altro?” mi chiesi. Non disse più niente, allora sentii il bisogno di abbracciarlo, mi misi a cavalcioni su di lui, e scivolai sul suo petto concentrandomi sul battito frenetico del suo cuore.

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Capitolo 33
*** Ritorno al presente ***


33° capitolo: RITORNO AL PRESENTE
 



Non riesco ancora a capire perché i miei ricordi si siano fermati a quel giorno. Eppure ce ne sono stati altri prima che tutto fosse accaduto. Forse perché ogni volta che ci ripenso, mi fermo a riflettere chiedendomi che cosa sarebbe successo se avessi chiesto a Castiel di continuare la frase, che interruppe in tempo. Ma del resto, a cosa sarebbe servito? A farmi soffrire ancora di più. Dal giorno di quel tragico episodio, l’unica cosa che avevo capito su Castiel è che mi aveva tradito solo per mantenere nascosto il suo più peggiore segreto. Non aveva avuto pietà dei miei sentimenti, non aveva pensato a me, si era solo comportato da perfetto egoista, e io come una scema, ci sto ancora pensando per rendermi la sofferenza ancora più intensa. Ancora oggi mi chiedo se lasciarlo e ritornarmene nel mio paese dopo gli esami, è servito a qualcosa. “Certo che no, idiota… guarda fuori dal finestrino, stai ritornando nella tana del lupo!”.
Ho un senso di voltastomaco nel guardare il paesaggio, fuori dal finestrino del treno, scorrere velocemente ai miei occhi. Mi volto verso Kim, seduta di fronte a me, che schiaccia un pisolino indisturbata. Violet, invece accanto a me, mantiene fra le mani un blocco da disegno e sta facendo qualche schizzo.
<< Cosa disegni? >> chiedo guardando i suoi movimenti.
<< Una fata >> mi risponde arrossendo imbarazzata. Le sorrido, poi ritorno a guardare il finestrino, appoggio la tempia sinistra sul freddo vetro e guardo la via che percorre il treno. La prima cosa che si specchia ai miei occhi è il vasto lago, che si prepara a darmi il ben tornata, raccogliendo su di esso i raggi del sole e brillando in tutto il suo splendore. Sorrido malinconica. Quanto mi è mancato quel lago, fu il primo a conoscermi tre anni fa, e ancora il primo a rincontrarmi dopo tutto questo tempo, rammentando che quel giorno oltre al lago conobbi anche il mio primo grande e sofferente amore. Vedendo all’orizzonte estendersi le case del piccolo paesello, inizio ad avere un senso di ansia che si tramuta in nausea. Chiudo gli occhi cercando di respirare a fondo, con la speranza che il mio cuore si tranquillizzi. Riapro gli occhi di scatto sentendomi toccare la mano che tengo chiusa in pugno, è Violet, che mi guarda sorridendo.
<< Va tutto bene? >> mi chiede con voce flebile. Annuisco ricambiando il sorriso. Un “din don” riecheggia nell’aria avvisando l’arrivo al paesello. Kim si sveglia di soprassalto, guardandosi attorno smarrita e dandosi una stiracchiata.
<< Siamo arrivate? >> chiede, grattandosi la testa.
<< Sì >> rispondo alzandomi << Prendiamo le valige >>.
Dopo qualche minuto ci ritroviamo in stazione, incamminandoci verso l’uscita. È quasi mezzogiorno, e il paesello è un po’ deserto. Mi guardo intorno accorgendomi che non è cambiato assolutamente niente.
<< Allora, che si fa? >> chiede Kim lasciando cadere il suo pesante borsone per terra, << andiamo a mangiarci un boccone, oppure andiamo a trovare la preside all’ospedale? >>
<< Nessuna delle due >> rispondo io decisa << Prima voglio incontrare una persona >>.
Kim e Violet si guardano incuriosite e un po’ dubbiose.
<< Cos’avete capito?... zia Michelle! Non l’ho avvisata e voglio farle una sorpresa >>. Detto questo inizio ad incamminarmi verso il negozio di Cosplay, seguita dalle mie due amiche.
Giunte lì, non entro, mi fermo a guardare l’interno della vetrina occupata da manichini vestiti da guerriere Sailor. Scruto attentamente per vedere se c’è qualche cliente, non voglio disturbarla, per fortuna non c’è nessuno, mi reco alla porta e apro. Ad annunciarmi e il trillo del campanello attaccato alla porta. Zia Michelle alza lo sguardo incuriosito, che a poco a poco si tramuta in sorpresa e alla fine in gioia.
<< Ciao zia >> dico trattenendo le lacrime. La vedo saltare da dietro il bancone, allungare le braccia in avanti, e precipitarsi verso di me piangendo e ridendo allo stesso tempo. Mi abbraccia stringendomi forte.
<< Oh, Rea! >>
<< Zia, mi stai stritolando >> dico soffocata. Lei mi lascia e mi tira un lieve schiaffetto sulla fronte. << Ahi! Ma cosa ti è preso? È questo il tuo modo di darmi il ben tornata? >>
<< E lo chiedi anche?... quattro anni senza farti sentire per niente! >>
<< Zia sono tre >>
<< Non cambia nulla!... perché non hai risposto alle mie chiamate e messaggi? >>
<< Zia, ho lavorato molto in questi anni e non volevo avere distrazioni >> rispondo dispiaciuta.
<< Ah, adesso sono diventata una distrazione? >>
<< Ma no! Che dici? Non intendevo questo >>
<< E allora perché sei ritornata? >> chiede ancora.
<< Zia Camille ha avuto un incidente >>
<< E sei venuta per lei? >> ribatte sbigottita << Dov’è finito tutto il tuo astio per quel gangster? >>
<< Non ti preoccupare, è ancora conservato nei meandri del mio cuore >> ammetto sorridendo sarcastica.
<< E allora? >> chiede incuriosita.
Non rispondo, prendo la lettera dalla borsa e gliela porgo. Lei l'afferra un po' titubante, e si mette a leggere.
<< Wow, ti ha messo come primo nome nella lista. Ti vuole tanto bene >>
<< L'ha fatto apposta! >> esclamo irritata << altro che bene. Sa che non avrei mai accettato, e ha messo l'obbligo. Anche se può essere assurdo, non si può mai sapere che cosa può passarle per quella mente malata. Non voglio immaginarmi cosa avrebbe fatto se non avessi accettato >>.
Zia Michelle mi guarda sott'occhio, poi mi riporge la carta e ci invita al bar a prendere qualcosa. Kim e Violet, decidono di lasciarci sole, e ne approfittano per andare a trovare i loro genitori. Michelle e io ci dirigiamo al bar, rimaniamo in silenzio, ma sappiamo entrambe che non possiamo tenerlo lontano dai nostri ragionamenti per sempre. Non ho assolutissima intenzione di chiederle se sa qualcosa su di lui. Non voglio sembrare interessata. Non mi interessa. Sono passati tre anni e non ho voglia di pensare a lui durante quest’indefinito tempo che passerò  qui. Il mio amore per lui è passato, ce ne ho messo un po', ma è passato.
Ah-ah-ah... Ma a chi vuoi darla a bere?... Se è veramente passato, allora perché quando, quello schianto di nipote di Happosai ti chiese di uscire insieme, rifiutasti per non sentirti in colpa nei confronti del rosso?... Fai veramente pena! Idiota che non sei altro!... Smettila! Non fu quello il motivo!... Ah no? Allora, genio, trovami un'altra scusa plausibile...
Sto per rispondere com'è d'ebbio al mio fastidioso avatar mentale, quando mia zia prende la parola chiedendomi che intenzioni ho con quest'incarico che la vecchiaccia mi ha dato.
<< Lo seguirò, d'altronde, mi sono sempre chiesta come fosse la vita da dittatrice scolastica >> rispondo rivelando un ghigno beffardo.
<< Non voglio dire questo >> ribatte Michelle facendosi seria in volto.
<< Cosa, allora? >> chiedo, facendo finta di non aver compreso.
<< Sai che ci sarà anche lui? >>. Annuisco senza tralasciare il minimo spiraglio di emozione. << Non vuoi sapere niente, di cosa è successo dopo la tua partenza? >>
<< Zia, voglio essere sincera, almeno con te. Se ti dicessi di sì, significherebbe che i miei pensieri sono ancora rivolti a lui, e che questi tre anni di lontananza, non sono serviti a niente. Mentre, se rispondessi di no, so che mentirei. Quindi preferisco non parlarne >> ammetto iniziando a tremare.
<< Come vuoi >> risponde mia zia, voltando il viso da un'altra parte << lascia però che ti dica una cosa: non mi hai mai voluto spiegare il motivo per cui lo lasciasti, e io per rispetto nei confronti dei tuoi sentimenti, non ti ho più fatto domande a riguardo. Hai passato gli ultimi mesi di scuola prima degli esami, in casa, senza voler vedere nessuno, per poi scappare nel tuo paese  dopo gli esami. Non voglio fare una ramanzina sul tuo comportamento. Ma voglio strapparti una promessa, che qualunque cosa succeda, questa volta non scapperai come una codarda, ma affronterai il destino da coraggiosa. Promettimelo, Rea >>
<< Zia, se sono qui, è perché ho accettato la sfida contro il fato >> esclamo decisa e sicura di me stessa. Zia Michelle mi sorride, dandomi due pacche sulla spalla.
Allora è così che sono sembrata, una codarda? Infondo devo ammettere di esserlo stata. Come posso dimenticarmi quel giorno? Non gli diedi neanche il tempo di difendersi… e cosa avrebbe dovuto difendere? L'evidenza era talmente schiacciante. Non doveva farmi una cosa del genere, solo per nascondere quel segreto. Se me lo avesse confessato dall'inizio, io lo avrei capito, ma sapevo che non poteva cambiare le cose, che lui non sarebbe stato più mio. Forse dovrei chiedere qualcosa a zia, solo lo stretto necessario. Ammetto che la curiosità mi sta divorando il cervello.
Mentre rimugino ancora sul mio passato, lo squillo copioso del mio cellulare mi riporta al presente, è Kim.
<< Kim? >>
<< Rea, dove sei? >>
<< Al bar accanto il negozio di mia zia >>
<< Allora ti raggiungiamo lì. Ho chiamato Nathaniel per avere qualche informazione, e mi ha detto che per le tre dobbiamo presentarci in ospedale. Tua zia vuole parlarci >>
Guardo l'orologio del bar sbuffando. Sono quasi le due, saluto Kim e chiudo la chiamata, prendo tra le dita il piccolo manico della tazzina contenente il caffè e dico tra me e me "È giunta l'ora, Castiel".
 
 
Arrivate in ospedale, abbiamo rincontrato i nostri vecchi amici. Non appena Rosalya mi ha vista, è scoppiata in lacrime ed è corsa subito ad abbracciarmi, attuando una tragedia greca. Ci sono tutti, tranne lui. C’è Lysandro, Armin, Melody, Nathaniel, tutti che sembrano gli stessi di tre anni fa, tutti che mi accolgono con un “ci sei mancata”, ma lui non c’è. C’è finanche lo stalcker, che se non me l’avesse detto Rosa, non l’avrei mica riconosciuto. Il brutto anatroccolo è diventato cigno, il fungo si è trasformato in fiore.
“Che demenzialità! Come può un fungo trasformarsi in un fiore? Soltanto tu potevi fare un paragone proprio di…”
<< Allora ragazzi >> interviene Nathaniel << Possiamo andare nella stanza della preside >>
<< Un momento Nath >> lo interrompe Lysandro << Castiel non è ancora arrivato >>
“Dovevi per forza ricordarlo?”
<< Mi ha chiamato cinque minuti fa >> spiega Nathaniel con fare autoritario << e ha detto che ha da fare in azienda >>
Mi accorgo che Kim mi sta guardando, le rivolgo il mio sguardo e sorridendo, si avvicina a Rosalya e, come se mi avesse letto nel pensiero le chiede  << Cosa fa Castiel? >>. Io distolgo lo sguardo dalle due per non far notare il mio interessamento, e uso l’udito come arma di copertura.
<< Lavora nell’azienda del padre, è molto cambiato in questi ultimi anni, certo è rimasto sempre il ragazzo scontroso e beffardo di sempre, ma quando lo vedrete… >> si interrompe e mi accorgo, con la coda dell’occhio che mi sta guardando. Faccio due passi avanti per allontanarmi e continuare a far finta di niente, accorgendomi, però che non posso più sentirle.
Arrivati dietro la porta della stanza del gangster, Nathaniel bussa e un flebile “avanti” riecheggia nella stanza. Entriamo. I miei occhi si poggiano subito sul finto cadavere della preside. La vedo più ingrassata, e i suoi capelli sono diventati ancora più bianchi, ma il viso è rimasto sempre quello. Il lupo di Cappuccetto Rosso, che si traveste da nonnina dopo essersela mangiata. Lei ci guarda uno per uno, sorridendo. Poi si ferma su di me. Il suo sorrisetto scompare repentinamente. Gli angoli delle sue labbra si piegano verso il basso e noto con mia grande titubanza, che sta per mettersi a piangere.
“Lacrime di coccodrillo… è inutile sprecarle, non mi fai pena!... non voglio essere cattiva, ma è colpa sua se al punteggio finale degli esami ho preso settantanove!... bastarda!”
La vedo allungare le braccia verso di me, e chiamarmi.
“No! Non farlo maledizione! È maledettamente imbarazzante! Tutti qui sanno che ci detestiamo, perché fai così?”
<< Rea, nipote cara, avvicinati >> dice con una vocina che darebbe fastidio anche alle zanzare stesse. Mi guardo intorno vedendo che i miei amici, mi stanno fissando, come per incitarmi a farmi vicino. Esito, poi tirando un lungo respiro, mi avvicino alla serpe velenosa. Le porgo una mano e lei me la stringe.
<< Sono cinque anni che non ci vediamo >> mi sussurra sorridendo.
“Dà i numeri!” << Sono tre, zia Camille >> rispondo trattenendo un sorriso forzato. I ragazzi dietro di me, si mettono a ridere.
<< Che cosa hai fatto in tutti questi anni? >> mi chiede.
<< Ho lavorato presso un editore di fumetti >> rispondo cercando di farmi mollare la mano da quella sua fredda e appiccicosa. Mi sembra di averla immersa nella massa per la focaccia. Lei non molla, e continua a stringermela. Ho capito come fare. << Se non fosse stato per te >> continuo con voce dura << sicuramente a quest’ora starei cominciando il terzo capitolo del mio fumetto >> sorrido forzata.
Come avevo calcolato, lei allenta la presa. Mi guarda un po’ stizzita.
Ad un tratto sentiamo bussare alla porta. Io non ci faccio caso, e continuo a fulminare la preside con i miei raggi laser oculari.
Lysandro va ad aprire e quando esclama << Ehi Cass, finalmente sei arrivato! >>, i miei occhi si spengono per poi accendersi di una luce inspiegabile, rimango impietrita, e non mi accorgo di stritolare la mano della preside. Sento la mia anima girarsi per guardarlo, ma il corpo rimane fermo, quasi paralitico.
<< Scusate il ritardo >>. Quella voce, ritorna ad invadere le mie orecchie dopo tre anni di silenzio e mi sento come scaraventata nelle ardenti fiamme, dopo essere stata sepolta per lungo tempo nel freddo e pungente ghiaccio. Lui è qui, dietro di me, a due passi da me, e io non ho il coraggio di girarmi e guardarlo negli occhi.

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Capitolo 34
*** Sto piangendo ***


34° capitolo: STO PIANGENDO
 
 


Mi sta guardando? Si è accorto di me?... Stupida perché non ti giri e ti assicuri tu stessa?... Lo farei, se il mio corpo non si fosse paralizzato tutto.
<< Ehi Castiel, come stai? >> è la voce di Kim. Aspetto con impazienza la sua risposta.
<< Come puoi vedere, bene >>
Sbaglio o l'ultima parola l'ha un po' calcata?... Ha detto di star bene. E cosa mi aspettavo? Che doveva eternamente soffrire? Anche se dubito che abbia sofferto come me. Lui non mi ha mai amata, altrimenti non avrebbe fatto ciò che ha fatto.
<< Rea, lasciami la mano, me la stai stritolando! >> esclama ad un tratto la vecchiaccia, senza alcuna discrezione << perché tremi? Hai freddo? >> continua con lo stesso tono. "Sta zitta, maledetta arpia! Così capirà tutto!"
<< Rea, va tutto bene? >> mi chiede Armin toccandomi la spalla con una mano, tentando di guardarmi in volto.
Cavoli, non posso rimanere per sempre così, avranno sicuramente dubitato, devo girarmi e sorridere. Avanti Rea, che cosa ti costa fare questo piccolo sforzo? Voltati, sorridi e non guardarlo... Voltati, sorridi e non guardarlo.
Tiro un lungo respiro, e raccogliendo tutto il coraggio, inizio a voltarmi. Allargo le labbra per sorridere e rivolgendomi ad Armin, rispondo << Va tutto bene... >> mi interrompo di scatto fissando ciò che i miei occhi hanno appena intravisto. Pur volendo non posso distogliere lo sguardo da lui. "Castiel?", sussurro nella mia mente. Sgrano le palpebre nel vedere la sua immagine totalmente cambiata. Mi sembra di vederlo più alto. Il suo modo di vestire da rocchettaro, ha dato il posto a uno stile più serio. Indossa un pantalone scuro, e una maglietta prugna coperta da un Cardigan scuro sfiancato. Al collo ha una doppia collana con il ciondolo coperto dalla maglia. I suoi capelli, una volta, rosso rubino, adesso, con mia più grande sorpresa, sono neri come la pece. Sembra diverso, ma è molto più irresistibilmente affascinante. Quel colore di capelli gli dona un'espressione più profonda e misteriosa, e il grigio dei suoi occhi è  più penetrante. Sento di potermi perdere in tutto questo, ma non posso e non devo farlo. Lui non è più mio, e io non sono più sua. Mi sto sentendo male al solo pensiero. Devo capire che questa non è altro che la realtà.
Mi accorgo che anche lui mi sta guardando, con occhi duri e un’espressione imbronciata, sembra non essere contento di avermi vista. Poi distoglie lo sguardo da me e ritorna a guardare Lysandro che gli ha chiesto qualcosa, ma non so cosa.
Quello sguardo mi ha lacerato il cuore.
No, Rea, non è come ti sei sempre detta in questi ultimi anni. Tu non lo hai dimenticato, e questo dolore che ti sta uccidendo l’anima, ne è la prova. Sento il bisogno morboso di piangere, e mi rende strana al solo pensiero di doverlo fare, perché è passato troppo tempo da quando l’ultima lacrima percorse la mia guancia. Per fortuna Nathaniel interviene dicendo che dobbiamo recarci subito al liceo per predisporre quelli che saranno da ora in poi, i nostri compiti.
Salutiamo la preside, io con un finto saluto, e usciamo fuori dall’ospedale. Durante il cammino, rimango dietro il gruppetto distanziandomi di qualche passo. Fisso Castiel di spalle, squadrandolo dalla testa ai piedi. Sta ridendo con Lysandro e Armin, sembra davvero felice. Forse ha dimenticato, o si è semplicemente rassegnato. L’unica idiota sono io che ci sto ancora pensando e ci soffro. È lui che doveva stare così! Sono io ad averlo lasciato. Ci siamo scambiati i ruoli o cosa? Ahrg! Che rabbia!
<< Rea, sei sicura di stare bene? >> mi chiede Rosalya avvicinandosi a me e avvolgendo il suo braccio attorno al mio.
<< P-perché? >> balbetto non sapendo cosa rispondere.
<< Sei strana. Non sei contenta di essere tornata qui in paese? >> chiede ancora.
<< Certo >> la mia voce viene interrotta dalla risata strafottente di Castiel, contro le battute di Lysandro. Mi innervosisco nel vedere quel fastidioso comportamento da menefreghista. Ah, è così?
Alzo il passo trascinandomi insieme Rosalya, e sorpassando i ragazzi.
<< Non devi preoccuparti Rosalya, in questi tre anni passati nella mia città, sono stata davvero bene! >> esclamo per farmi sentire dall’ex rosso, che come avrei dovuto immaginare, non fa una piega. Continuo a camminare avanti catturata dall’irritazione. “Maledetto maniaco, pervertito!... non mi aspettavo un ritorno di fiamma, ma almeno un saluto, mi sarebbe bastato anche uno di quei suoi sorrisi beffardi e maliziosi. Cazzarola Castiel! Non puoi fare così! Dopo esserti impossessato dei miei sogni per molte notti, non puoi far finta che non ci siamo mai conosciuti!
Mentre impreco nella mia mente, non mi sono accorta di essere uscita dall’ospedale e di ritrovarmi fuori al cancello di fronte una Ferrari testarossa. La guardo incantata dimenticandomi dei miei pensieri.
<< Ehi, Cass? >> sento la voce di Armin << hai preparato la tua artiglieria pensante? >>
<< Non ti eccitare >> risponde beffardo l’ex rosso << è soltanto per oggi, domani riporto la mia amata >>
“Ho sentito bene? La sua amata? Questo vuol dire che si è fidanzato… avrei dovuto capirlo dall’inizio. Non poteva continuare a fare lo gnorri e a nascondere tutto per sempre”.
<< Che idiota! >> esclama Rosalya << Come si fa a chiamare una moto “la mia amata”? >>
“Rimangio immediatamente ciò che ho appena pensato… come al solito sei un’idiota, Rea”.
<< Rea, vieni con noi? >> mi chiede Armin.
<< No, preferisco fare due passi >> rispondo subito allontanandomi dal gruppo e avvicinandomi a Kim e Violet. Mentre mi incammino, sono costretta a passare di fianco a Castiel e lo sento sbuffare lievemente un sorriso. Voglio girarmi di scatto per vedere la sua espressione, ma non ce la faccio. Al diavolo!
 
 
La sala delegati non è cambiata poi granché. Per dirla tutta, neanche il liceo è mutato. È tutto come tre anni fa. Gli unici a cambiare siamo stati noi.
Ci troviamo seduti ai tavoli affiancati che formano un cerchio chiuso. Manca Kim, anche perché, in realtà lei non deve far parte del nuovo team di gestori, perché il suo punteggio agli esami è stato di settanta. Perché è venuta con me e Violet? Semplicemente perché non voleva stare in città da sola.
Nathaniel parla ormai da due ore, e ad essere sincera, io non c’ho capito una mazza… è normale! Stai facendo un ritratto immaginario di Castiel!
Ma ad un tratto una frase, attira tutti i miei sensi che si posano repentini sul cherubino biondo, che fa il nome mio e dell’ex rosso.
<< C-come Nathaniel? >> chiedo, non comprendendo.
<< Ho detto che tu e Castiel, starete nell’ufficio della preside. Castiel, in poche parole sarà il preside delegato dell’istituto grazie al suo massimo punteggio negli esami, e tu gli farai d’assistente >>
<< Cosa?! >> esclamo alzandomi di scatto dalla sedia.
<< Si può sempre cambiare? >> chiede serio Castiel a Nathaniel, fissando il vuoto.
“Perché chiedi questo?” mi chiedo angosciata.
<< Mi dispiace Castiel, sono gli ordini della preside >> risponde Nathaniel con fare quasi autoritario.
<< Mi chiedo solo perché dobbiamo accettare di fare una cosa del genere >> interviene Rosalya
<< Accetterete perché, questa è un’eredità che la preside ha voluto lasciarci >> risponde Nath tutto d’un fiato.
<< A questo punto è Rea, quella che doveva ereditare la poltrona della preside >> continua Rosalya.
“Non l’hai capito? Lo ha fatto apposta la maledetta arpia!” rispondo alla ragazza nella mia mente.
<< Allora, se avete compreso tutto… non ci resta altro da fare che metterci a lavoro >> conclude il segretario. Castiel è il primo ad alzarsi e a recarsi alla porta. Tutti lo guardiamo un po’ titubanti, il segretario gli chiede cos’ha intenzione di fare. Lui si ferma di fronte alla porta e poi voltandosi lentamente rivela il suo sorriso beffardo e risponde << Vado nel mio ufficio… ah, e da ora in poi chiamatemi “signor preside” >>. Se ne va.
<< Mi chiedo se la preside abbia fatto bene ad affidare a lui quest’incarico importante >> sospira afflitto Nathaniel.
<< Questa storia diventa ancora più assurda >> intervengo io. Tutti i presenti mi guardano un po’ curiosi << Perché mi guardate così? Perché vi sembra una cosa normale che un gruppo di ragazzi di soli ventun anni si ritrovi a dirigere un istituto scolastico?... va bene ch’è una scuola privata, ma questo? Andiamo su! Non siamo neanche laureati. >>
<< Hai perfettamente ragione Rea, a pensarla in questo modo, ma ti ricordo che questo è un’eredità, con tanto di testamento >> interviene ancora Nathaniel.
Non ho più voglia di ribattere. Mi dirigo alla porta ed esco senza salutare. Attraversando il corridoio conto i passi che mi distanziano dall’ufficio che da oggi sarà mio e di Castiel. Non riesco ad immaginarmi il futuro, e cosa dovrò dirgli non appena metterò piede in quella stanza. E cosa dirà lui? Mi sembra di impazzire. Non poteva essere più facile? Quanto avrei voluto che quello fosse stato il nostro primo incontro. Sicuramente non mi sarei fatta tanti problemi inutili. Sbuffo irritata, abbasso la maniglia, e apro convita la porta, decisa di non parlare a meno che non fosse stato lui a proferire parola. Entro, mi chiudo la porta alle spalle, e guardando l’interno, noto con mia sorpresa che quell’ufficio è molto cambiato. In fondo davanti la finestra c’è sempre la scrivania della vecchiaccia, ma a un lato, ce n’è un’altra. Castiel non c’è. Ma come? Aveva detto che sarebbe venuto qui. Sicuramente se n’è andato. È naturale, anche per lui, questa, non è altro che una pagliacciata.
Mi avvicino lentamente alla scrivania più grande, e subito, ho la voglia matta di provare quella poltrona, mi siedo mettendomi a mio agio e facendo gli atteggiamenti di una dura. Giro la sedia verso la finestra e, allargando le braccia,  immagino quello che avrebbe potuto dire il dottor Inferno ( famoso antagonista dell’anime Mazinga ), se sarebbe riuscito nell’intento di conquistare il mondo. A quel punto esclamo, cercando di imitare la sua voce << Buha-ha-ha-ha… questo posto finalmente è mio! >>
<< A dir la verità, è mio! >> esclama la famigliare voce dell’ex rosso alle mie spalle.
Trasalisco spaventata e imbarazzata. Mi alzo di scatto e mi volgo verso di lui, che sta appoggiato all’entrata della porta con le braccia conserte e una gamba accavallata all’altra. “Permettetemelo… che figura di merda!” .
Sta sorridendo. Io non riesco a dire niente, anche perché non saprei davvero cosa cavolo dire. Mi allontano velocemente dalla scrivania e mi dirigo alla porta, lo scanso per uscire ma lui mi afferra il gomito e mi trattiene. Il mio cuore manca un battito, i miei polmoni un respiro, e il senso del tatto si concentra su quel tocco, che una volta era mio in tutto e per tutto. Inghiottisco a fatica sentendomi mille pietre occuparmi la gola.
<< Dove vai? >> sussurra lui seriamente. Non rispondo, non riesco ancora a parlare, cerco quindi di farmi capire in un’altra maniera. Lentamente mi accingo a fargli lasciare il mio braccio. Lui capisce al volo e mi molla, facendo scivolare la sua mano lungo tutto il mio avambraccio per poi sfiorare la mia mano.
<< Mettiamoci a lavoro >> continua lui, entrando e recandosi alla scrivania << Il segretario ha detto che ci sono delle carte da controllare >>.
Non mi muovo, non accenno a rispondere, non voglio guardarlo e non riesco a capirne il motivo. Mi sono sentita peggio dopo il suo tocco. Non era come nei sogni, questo era vivido e reale. Perché fa finta di niente? Perché? Io non sopporto questa situazione. Non voglio che debba andare cosi dopo tre anni di lontananza. Possibile che non se ne freghi niente?
Mi manca l’aria e sento che, se rimango ancora un altro po’ lì dentro, di sicuro sverrò.  
<< Mi hai sentito, Rea? >> chiede ad un tratto. Trasalisco ancora sentendo il mio nome nella sua voce accarezzarmi dolcemente le orecchie e facendomi rabbrividire.
<< S-scu-scusami, m-ma ho dimenticato una cosa >> balbetto tremando tutta. Esco dall’ufficio e non appena sono nel corridoio, inizio ad alzare il passo. In un battibaleno, mi ritrovo nel giardino della scuola, ansimando e sentendomi qualcosa attraversare le guance. Appoggio tremante le dita sul mio viso e incredula guardo ciò che hanno raccolto. Sono lacrime. Sto piangendo. A darmi la conferma è anche il bruciore che invade spietato i miei occhi. Piango per la prima volta dopo tre anni di arida sofferenza.  
 
 
 
 
 
NOTE: ciao a tutti!!! Oh! Finalmente il tanto atteso presente… che cosa succederà?... chi lo sa?... vi è piaciuto Castiel con il suo normale colore di capelli? Se è no, vi prego non uccidetemi!! A dire la verità, lo preferisco così perché è molto più affascinante… non ve lo aspettavate vero?... ho voluto dare un tocco di cambiamento, e di originalità… comunque stavo pensando ( e qui dovrete darmi voi una risposta di consenso ), Rea, la conosciamo e sappiamo benissimo ormai come ragiona… ma Castiel? Sì, è sempre il ragazzo arrogante, misterioso, con un grande segreto nascosto nel suo passato… ma in realtà, non sappiamo veramente come la pensi. Sembra non avere sentimenti. Che ne direste se scrivessi i suoi punti di vista tratti da questa storia?... se volete potete rispondere, o anche no… grazie per la vostra pazienza nel leggere questa eterna fanfic. Un bacione a tutte le dolcette. Ciaooo!! :*

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Capitolo 35
*** Una visita inaspettata ***


35° capitolo: UNA VISITA INASPETTATA
 
 
 
Devo essere sincera con me stessa, non voglio ritornare nell'ufficio della vecchiaccia. Pensavo di essere più forte di qualunque emozione avesse voluto possedermi, ma sono stata solamente una stupida illusa. Lui ormai è talmente evidente che non gliene importa un bel niente del mio ritorno, e io devo sforzarmi di  comportarmi ugualmente. Ma non ci riesco. È troppo difficile e doloroso per me, sopportare un'altra volta tutto questo.
Mi alzo dal prato, scopettandomi il jeans, mi asciugo le guance, sbatto velocemente le palpebre, per scacciare l'ultimo accenno di pianto, e pizzicandomi gli zigomi, tiro un lungo respiro e sibilo << Fatti forza, Rea, hai promesso che avresti lottato >>. Ritorno nell'edificio a passo lento, guardandomi intorno, mi ritornano in mente tanti ricordi, e cerco di mantenere in vita almeno quelli buoni. Mi ritrovo difronte la porta della presidenza. Sento di nuovo di tremare, e non riesco ad allungare la mano verso la maniglia. Guardo quest'ultima quasi con supplica, come se le  chiedessi di aprirsi da sola.
Con mia grande sorpresa, la vedo abbassarsi, e subito la mia fervida immaginazione parte in quarta, facendomi pensare di aver acquisito un potere mentale.
Come al solito devo ritornare alla realtà.
La porta si apre verso l'interno, e il corpo atletico di Castiel, mi piomba addosso facendomi indietreggiare, spinta da quella botta. Sono sicura di cadere e, chiudendo gli occhi, mi preparo ad avere un incontro ravvicinato con il freddo e duro pavimento, ma per mia fortuna e sorpresa, qualcosa me lo impedisce. Mi sento afferrare il braccio sinistro, e la schiena avvolta da una presa forte e sicura. L'incontro sedere-mattone viene annullato. Riapro lentamente gli occhi, sgranandoli nel momento in cui incrocio quelli lucidi e penetranti di Castiel. Mi guarda quasi malinconico, e riesco a sentire il suo respiro, espandersi sul mio collo. Ho come una sensazione piacevole e mi accorgo di fremere sotto la sua presa. Forse l'ha capito, perché la sua mano, dietro la mia schiena, mi spinge lievemente verso di lui. Trasalisco immediatamente, scostandomi dalla sua presa. Lui mi lascia. Io abbasso lo sguardo, cercando di fermare il mio tremore. Non voglio guardarlo, non voglio sapere che espressione alberga sul suo volto. Voglio solo che continui a fare finta di niente.
<< S-scusa >> balbetto con un filo di voce.
<< Dove diavolo sei stata? >> mi chiede severo << C'è un sacco di lavoro da fare e tu te ne vai in giro per la scuola? >>
No, non ci credo! Ma è veramente Castiel quello che sta parlando?
<< Non me ne sono andata in giro! >> esclamo istintivamente, sentendomi un po' irritata.
<< Ah, no? Allora dove sei andata? A rimorchiare qualche alunno? >>
Eccolo! Adesso è Castiel. Sorrido nella mia mente, preparandomi a rispondergli com'è d'ebbio.
<< Che cavolo stai dicendo?... Che fai, la tua arte la scarichi sugli altri? >>. Dicendo quella frase, mi ritorna in mente quel tragico episodio di tre anni fa. Mi blocco di scatto fissando il suo viso rivolto da un'altra parte, e mi accorgo che ha gli occhi spenti. Immagino subito che anche lui stia ricordando quella parte del passato.
Perché devo avere la lingua così lunga? Stavamo parlando serenamente, era come se lui volesse darmi una mano ad avere un nuovo inizio, e come una stupida ho distrutto tutto! Idiota che non sono altro!
Castiel è ancora immerso a fissare il vuoto e le sue labbra sono di nuovo imbronciate. Mi rattristo anche io, e subito lo sento dire << Muoviamoci >>, rientra nell' ufficio andandosi a sedere a quella che ormai è la sua scrivania. Io lo guardo dalla soglia, poi sospirando entro, chiudendomi la porta alle spalle, e mogia mi incammino verso la scrivania adiacente alla sua.
Rimaniamo in silenzio per tutto il tempo. Tempo lungo un'eternità. Mi sento a disagio, quel silenzio è molto assordante. Il lieve rumore che fanno le carte tra le sue mani, mi fanno attirare l'attenzione su di lui. Lo guardo con la coda dell'occhio, e scorgo sulle sue labbra, un'espressione strana.
Non riesco a concentrarmi su quello che deve essere il mio lavoro. Provo a guardare lo schermo del computer, che ritrae la pagina del programma Excel. Tutti quei numeri mi confondono. Non ne capisco molto, ma sembra trattarsi di contabilità. Porcaccia la miseria! Io odio la matematica! Per quale caspita di motivo, da trovarmi a disegnare fumetti, adesso devo portare i conti in questo istituto di matti? Non vedo l'ora che suoni la campanella. Questo giorno non è iniziato affatto bene, e voglio che almeno la fine sia tranquilla.
Ad un tratto, il silenzio, viene interrotto dal trillo del mio cellulare, che dalla suoneria, capisco si tratti di Happosai. Mi imbarazzo all'istante dopo aver sentito Castiel sbuffare un sorriso, a causa del tipo di suoneria, molto infantile: la canzone di Ranma. Scorro velocemente il dito sul tasto "accetta".
<< Pronto? >> sussurro. La voce che risuona all'altro capo, mi fa sobbalzare dalla sedia, facendomi mancare un battito. << Vick-Viktor? >> esclamo sorpresa. Mi accorgo che Castiel mi sta guardando con la coda dell'occhio.
Sono ancora sorpresa, per quella chiamata. Sono due mesi che non si è fatto sentire per niente. Era partito per un viaggio di lavoro e adesso, la sua chiamata significa solo una cosa: è tornato.
Viktor è il famoso nipote di Happosai, quello schianto di ragazzo, che mi chiese di uscire con lui, ma che rifiutai gentilmente. Mi sta parlando in quel momento, ma, non riesco a capire cosa mi stia dicendo, sono concentrata a intuire lo stato d’animo di Castiel. Mi sento confusa, decido di capire cosa vuole. Mi allontano dalla scrivania, e mi reco alla porta dicendo << Viktor, aspetta >> esco, chiudendomi l’ufficio alle spalle. Appena mi ritrovo nel corridoio, gli chiedo di ripetermi che cosa mi stava dicendo.
<< Ho detto che sono tornato in città, ma mio nonno mi ha detto che ti sei trasferita nel paese da dove venivi >> afferma lui dall’altro capo.
<< Beh, diciamo pure così >> rispondo io imbarazzata << mia zia ha avuto un piccolo incidente, e mi ha chiesto se potevo prendere il suo posto al liceo >>
<< Lo so, mi ha detto anche questo… però, Rea… >> continua con una voce sensuale << sai che sei ingiusta? >>
<< P-perché? >> chiedo sentendo quella voce rabbrividirmi i timpani. Quel ragazzo, mi mette in corpo sempre uno stato d’ansia e imbarazzo.
<< Te ne sei andata e non mi hai detto neanche niente?... vuoi farmi capire che volevi scappare da me? >>
“Io scappare da lui?... ma se è lui che è partito senza farsi sentire per due mesi?”
<< Ma Vick, che stai dicendo? >> chiedo arrossendo. Sento la sua voce dare un suono di risata. “E adesso perché ride?”
<< Finalmente, l’hai detto >> dice.
<< C-cosa? >>
<< Mi hai chiamato Vick. E quando mi chiami così mi fai capire che possiamo essere anche intimi >> ammette sensuale.
<< Ma che dici? >> dico con voce tremante.
<< Rea, perché non esci fuori dal liceo? >> mi chiede con incitamento.
Sgrano gli occhi intuendo al volo il significato delle sue parole. A poco a poco alzo il passo per raggiungere l’androne e confermare il mio dubbio. Spingo il portone con un braccio, e socchiudo le palpebre, non appena la forte luce del sole mi colpisce. D’avanti al cancello, appoggiato alla sua gigantesca moto, Viktor, vestito, eternamente, in modo sexy, con il cellulare in mano, mi guarda con quei suoi occhi color dell’ebano, e il sorriso che farebbe cadere qualsiasi donna ai suoi piedi, i suoi neri capelli, danno qualche sfumatura di blu sotto i raggi luminosi. Mi guarda con fascino. Io rimango di pietra continuando a ripetermi nella mente “è venuto fin qui… per me?”.
<< Che fai? Non mi saluti? >> chiede sorridendo.
<< Vick, ma che cosa ci fai qui? >> balbetto avvicinandomi.
<< E lo chiedi pure? >> ribatte distaccandosi dalla moto << sono tornato con l’ansia di rivederti, e nonno mi da la notizia del tuo trasferimento! Perché non mi hai chiamato? >>
<< Ma, non l’hai fatto neanche tu! >> esclamo difendendomi “e poi con tutti i pensieri che avevo per la testa, figurati se dovevo stare a pensare a te!”.
<< Allora, dimmi un po’, è qui che rimarrai? >> chiede ancora guardandosi intorno ammirando il quartiere.
<< Per il momento sì >> rispondo imitandolo. Ad un tratto, lui mi afferra una mano e mi tira a se accogliendomi fra le sue braccia e stringendomi. Alzo il volto allibita, guardandolo in faccia che lui piega verso il basso allineandola alla mia. I suoi occhi brillano, e il suo sorriso scompare.
<< Non vuoi salutarmi correttamente? >> mi sussurra con un accenno di malizia.
<< Vick, non fare così >> rispondo cercando di liberarmi. Lui non mi da neanche il tempo di finire la frase che alza il volto, e mi stampa un bacio sulla fronte.
<< Sai che mi accontento anche di questo >> continua rimanendo con le labbra appoggiate. Mi lascia lentamente e gentilmente. Rimango ferma, con la speranza di riprendere il controllo del mio corpo.
Faccio due passi indietro e poi lo invito ad entrare nel liceo, non sapendo come congedarlo. Gli faccio visitare l’istituto, poi guardando in fondo al corridoio, fuori la porta dell’aula delegati, intravedo i ragazzi. Li raggiungiamo e lo presento a loro. Rimangono tutti incantati e perplessi. Capisco subito che vogliono sapere se è il mio ragazzo.
<< Lui è Viktor, il nipote del mio editore >> rispondo a una domanda non fatta. Vedo Rosalya sospirare di sollievo. Lysandro lo guarda storto, mentre Armin e gli altri se ne fregano.
<< Arriva Castiel >> annuncia ad un tratto Lysandro volgendo lo sguardo dietro di me. Trasalisco, volgendomi alle spalle istintivamente. Castiel si avvicina, è il suo volto sembra incupito, fa quasi paura. Mi accorgo che sta guardando Viktor e lo fa con occhi fulminei.
<< Castiel, questo ragazzo si chiama Viktor >> interviene Lysandro rispondendo istintivamente alla domanda che forse Castiel avrebbe voluto fare. << è un amico di Rea. da quello che abbiamo capito, è venuto a farle visita >>
Guardo Viktor e Castiel che si fissano, il primo rivolge un sorriso, il secondo continua a fulminarlo.
Viktor gli porge la mano per presentarsi dicendo << Finalmente eccolo qui, il famoso Castiel. Il ragazzo per cui Rea, rifiuta il mio corteggiamento durato tre anni >>
“Ma come cazzo fa a sapere queste cose?... Kim! Maledetta pettegola!... Viktor, maledetto, non puoi rivelargli queste cose, così apertamente”. Volgo lo sguardo verso Castiel che sembra rischiarirsi l’espressione, noto un leggero sorriso, sulle sue labbra, ma gli occhi rimangono sempre minacciosi. Non ricambia la mano, e incrocia le braccia al petto << Quando si sa di appartenere a qualcosa, o qualcuno, è sempre così! >> esclama serio e deciso, continuandolo a fissare. Viktor, sembra aver capito le sue parole, perché lo vedo stringere la mano in pugno e ritrarla. Il suo sorriso è scomparso di colpo e adesso anche lui sta guardando Castiel, fulmineo.
Come al solito, solo io non ho compreso le parole dell’ex rosso. Che cosa avrà voluto dire? Sento la schiena percorsa da un brivido di ansia, sentendo la situazione farsi più pesante, di quando ho rimesso piede in questo paese.

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Capitolo 36
*** Non provo ciò che lui prova per me ***


36° capitolo: NON PROVO CIO’ CHE LUI PROVA PER ME
 
 


L'aria intorno a noi si sta facendo più intensa. Adesso che anche Viktor lo sta guardando male ho come un senso di paura. Mi sembra di stare in uno di quei film western, dove i due pistoleri si sfidano alla mano più veloce. Aspetto con ansia chi dei due uscirà per primo la pistola. I ragazzi attorno a noi, guardano la scena come al cinema, manca soltanto una grossa vaschetta di popcorn.
Mi sento ansiosa e angosciata. Decido di prendere le redini di quella situazione. Faccio un passo avanti per cambiare discorso, e mentre mi accingo a parlare, Viktor, sempre con lo sguardo rivolto verso Castiel, mi afferra deciso per un braccio, e tirandomi a se, mi avvolge le spalle stringendomi. Guardo subito Castiel, e i suoi occhi grigi riflettono fiamme. Volgo lo sguardo a Viktor, e lo vedo sorridere. << Sai Castiel? Hai proprio ragione. Però, Rea adesso non appartiene a nessuno, e questo significa una sola cosa... >>
La campanella, fortunatamente non gli da il tempo di finire la frase. I corridoi iniziano a movimentarsi, io a quel punto prendo quella situazione come escamotage e, afferrato Viktor per un polso, me lo trascino dietro allontanandoci dai miei compagni e sotto lo sguardo felino di Castiel, che da quel che ho notato, di sfuggito, adesso guarda me, e non lo fa con piacere.
Ritorno fuori con il moro e mi accorgo che le ragazzine intorno a noi ci guardando affascinate nel vedere la figura super sexy del mio amico. Sento riecheggiare un "beata lei".
Arrivati davanti alla moto, lascio la mano a Viktor e faccio per voltarmi, lui però, precede le mie mosse, appoggia le sue mani sul sedile della moto, curvandosi su di me, e bloccandomi ogni via di uscita.
<< V-Viktor, che fai? >> chiedo spaventata, da quella reazione. I suoi occhi ebano sembrano illuminati da una luce artificiale, le sue labbra ben disegnate non riflettono nessun tipo di espressione, il suo respiro si fa più intenso espandendosi sul mio viso. Sento vicina la sua fragranza di colonia che alberga il suo collo. Mi sento girare la testa. Lui mi guarda quasi con desiderio e mi sussurra. << Sai che questo non mi farà arrendere? >>
<< Cosa vuoi dire? >> chiedo tremante. Lui non mi risponde, mi afferra dagli omeri, e mi solleva alla sua altezza pronto per baciarmi, ma non lo fa. Io istintivamente appoggio le mie mani al suo petto per respingere un suo possibile avvicinamento.
<< Mi sono trattenuto per ben tre anni. Da quando ti ho vista la prima volta, mi sei piaciuta, e non l'ho mai nascosto. Potevo, e posso tutt'ora, prendermi qualunque donna mi desideri, ma non lo faccio perché so che nessuna ti eguaglierebbe. Adesso non mi va più ne di giocare, ne di aspettare. Posso prenderti quando e come voglio. Non è una minaccia, non lo farei mai, non è neanche un avvertimento. Questo è per dirti che ti amo. E non sarà uno come quel bulletto a portarti via da me. A meno che tu lo ami ancora >>
Quell'ultima frase, non so perché, ma mi ha ferita. Lo respingo con le mani, ma lui stringe la presa avvicinandosi di più.
<< È una domanda? >> gli chiedo seria.
<< Se fosse, cosa mi risponderesti? >> ribatte.
Esito nel rispondere, lo guardo dritta negli occhi poi seria ma con voce un po' tremante rispondo << No, non lo amo più >>.
<< Mostramelo, allora! >>
<< Come? >>
<< Baciami >> risponde deciso.
<< Viktor, così ti illuderei... >>
<< Non lo farai... baciami >>.
Se lo bacio, significa veramente che non amo più Castiel. Ma ne sono davvero sicura? Anche se, dagli atteggiamenti di Cass ho capito che la presenza di Viktor lo infastidisce, resta il fatto che non possiamo più tornare insieme. Castiel non è più mio. Io non appartengo più a lui. Potrei anche perdonarlo per ciò che ha fatto, ma non cambierà niente, perché resta sempre un ostacolo.
Le decise parole di Viktor, mi fanno capire soltanto una cosa, e cioè, che devo guardare al presente e quello che sarà il futuro, e nel mio futuro, Castiel, non ci sarà, perché lui appartiene al passato, e anche se si trova nel presente, lo devo far stare dov'è, altrimenti soffrirò all'infinito. Se adesso unisco le mie labbra a quelle di Viktor, accetterò quest'ultimo come protagonista del mio futuro.
Sono indecisa sul da farsi, chiudo lentamente gli occhi e offro le mie labbra, al moro, che lo sento farsi più vicino. Ma qualcosa interrompe quel momento. Un forte rumore di sgommata sull'asfalto, attira la nostra attenzione, trasalisco guardando dietro di me, e Viktor molla la presa. Davanti a noi, sfreccia una Ferrari testarossa, i vetri sono oscurati, ma, al contrario del moro, io so chi c'è all'interno e chi è l'artefice di quel rumore. Non posso vederlo, ma so che mi sta guardando. L'auto scompare all'orizzonte.
Viktor e io, sappiamo che riprendere da capo quella scena non è più adatta alla situazione. Si avvicina alla moto, mi passa un casco e mi chiede sorridendo << Andiamo a pranzare da qualche parte? >>. Annuisco, ricambiando il sorriso.
Ci fermiamo a una piccola trattoria. Potevo farlo pranzare a casa, ma tutte quelle parole che mi ha detto non mi fanno stare sicura. Fino a quando non mi deciderò, voglio che stia lontano dal mio corpo.
Dopo aver ordinato, gli chiedo che intenzioni abbia.
<< In che senso? >> ribatte
<< Ritornerai in città >>
<< Soltanto se me lo dirai tu >> risponde riempendosi un calice di vino e poggiando la bottiglia anche sul mio bicchiere, lo fermo scuotendo il capo. Rimette la bottiglia sul tavolo.
Stronzo. È più calcolatore di Castiel, sa che non glielo direi mai, e ha dato questa risposta. << E allora dove soggiornerai? >> chiedo facendo l'indifferente.
<< A casa tua >> risponde secco portandosi il bicchiere alla bocca e dando un sorso alla bevanda nera. Lo guardo allibita, non sapendo cosa rispondere.
Lui mi guarda e scoppia a ridere << Non fare quella faccia, stavo scherzando! Prenderò in affitto una villetta, ne ho viste tante in giro, qui >>
<< Ma come farai per il tuo lavoro? >>
<< Lavorerò online. È molto più semplice e veloce >>
Non dico più niente. Il cameriere porta ciò che avevamo ordinato, e iniziamo a pranzare in silenzio. Un silenzio che viene subito interrotto dal copioso trillare del mio cellulare, lo prendo dalla tasca e mi accorgo che Viktor, sta seguendo i miei movimenti. È Kim.
<< Kim? >>
<< Dove sei? >>
<< A pranzo con Viktor. Hai bisogno di qualcosa? >>
<< Stasera, Rosalya ha deciso di festeggiare il nostro ritorno >>
<< E dove? >> chiedo alzandomi, facendo segno a Viktor di aspettare allontanandomi dal tavolino.
<< A casa di Castiel >> risponde Kim tutto d’un fiato. Mi fermo impietrita, la saliva che si era formata in bocca e che mi ero accinta a ingoiare, si è fermata nella gola come una massa, impedendomi di proferir parola. << Rea, sei ancora lì? >>
<< S-sì >> rispondo con un filo di voce.
<< Senti Rea, se non te la senti possiamo anche dire di no >>
<< No, no! Per quale motivo? Rosalya se la prenderà. È passato tanto tempo, da ché non ci siamo più riviste >>
<< Allora che vuoi fare? >>
<< Kim, il problema è Viktor. Potrei portarlo alla festa con me, ma tu non eri presente quando l’ho presentato ai nostri amici e quando l’ha visto Castiel >>
<< Ho capito. Chiamo Rosa e avviso che verrà anche Viktor. Ti mando un messaggio, ciao >>
Chiudo la chiamata, e sospiro stanca, rimetto il cellulare nella tasca, e mi volto verso il tavolo. Guardo Viktor seduto con i gomiti sul tavolo e il mento appoggiato sulle mani incrociate, mi guarda con un sorriso, squadrandomi dalla testa ai piedi. Mi risiedo e ricambio il sorriso.
<< Cosa voleva, Kim? >> mi chiede senza perdere tempo.
<< C’-c’è, una festa stasera, per il nostro ritorno >> balbetto abbassando lo sguardo un po’ imbarazzata nel doverglielo dire.
<< E dove? >>
Non voglio rispondere, per quale diavolo di motivo mi fa tante domande? Porca miseria! Perché mi sto comportando come se avessi tradito qualcuno? Non sono la sua ragazza. Posso andare dove diavolo voglio e con chi voglio!
<< A casa di Castiel >> rispondo tutto d’un fiato con voce decisa << Vuoi venire anche tu? >>
<< Certo, anche se so che in quella casa non sarò il ben venuto >>
Non sei l’unico.
Finito il pranzo, mi faccio accompagnare a casa, lo presento a zia Michelle, la quale sempre molto discreta, lo invita a stare da noi, il tempo necessario che riesca a trovare una casa. Lui, naturalmente, accetta senza tanti complimenti. Lo lasciamo nel soggiorno e, presa per un braccio Michelle, la porto in cucina, chiudendo la porta.
<< Ma si può sapere che diavolo ti è saltato in mente di fare? >> chiedo a denti stretti facendo attenzione a non alzare troppo la voce.
<< Perché? Non è il tuo nuovo ragazzo? >>
<< Ma che caspita stai dicendo? Quando mai te l’ho fatto credere? >>
<< Mi sembrava strano, uno schianto di ragazzo sexy come lui, essere il tuo fidanzato… >>
<< Che intendi? >> chiedo fulminandola con gli occhi.
<< Dico, che uno come Viktor non si addice a una ragazzina che a ventun anni guarda ancora Sailor Moon >>
<< Se lo vuoi sapere, anche lui ama gli anime, e ama anche me! >> esclamo, fiera di me stessa, appoggiando le mani ai fianchi.
Zia Michelle scoppia a ridere, appoggiando una mano alla bocca per non farsi sentire.
<< Smettila zia! >> ringhio stringendo i pugni.
<< Scusami >> dice lei tra la risata cercando di fermarsi. << Comunque non devi preoccuparti, non posso dirgli adesso di andarsene, ma se vedrò che non si decide, lascia fare a me >>
Ritorniamo nel soggiorno, io lo accompagno al secondo piano per fargli vedere la casa e la sua camera, poi mi dirigo verso la mia, per disfare i bagagli. E la prima cosa che faccio è andare fuori alla veranda. Guardo dritta, verso il lago e subito sento il desiderio ardente di incontrare l’immagine di Castiel che gioca con il suo cane, proprio come l’inizio che venni qui. Il sole sta tramontando nascondendosi dietro l’orizzonte del lago che da sfumature di un arancione. Gli occhi si riempiono di malinconia, e subito rimembro tutti i giorni belli passati insieme a Castiel. Devo ammetterlo, mi manca. Quando oggi mi ha toccata per la prima volta dopo tre lunghi anni, mi sono sentita morire, ho avuto l’istinto di abbracciarlo e scoppiare a piangere sul suo petto pregandolo di dire che tutto quello che è successo non è stato altro che un brutto incubo che si specchiava alla realtà. Quanto avrei voluto sentirgli dire << No, Rea. non ho fatto ciò che hai visto. Non sono ciò che hai sentito >>.
Chiudo gli occhi sentendomi il naso solleticato dall’inizio del pianto. Il dolore che sento in petto è flagellante. Mi porto la mano in quel punto e la stringo in pugno, dandomi due colpetti, e tossendo per scacciare i mugugni del pianto.
Trasalisco, sentendomi avvolgere da una presa piena di calore e di passione. Riapro gli occhi e guardo verso il basso. Due braccia avvolgono i miei fianchi e la schiena la sento appoggiata a un corpo che emana calore, il profumo è inconfondibile. Labbra ardenti, si poggiano sulla mia spalla.
<< Viktor, che fai? >> chiedo portando le mani alle sue braccia per far sciogliere la presa. Lui stringe e non accenna a lasciarmi.
<< Lascia. Rimaniamo ancora un po’ così >> risponde lui con un sibilo.
<< Ma dobbiamo prepararci per la festa >>
<< La festa può aspettare >> dice lasciandomi e voltandomi verso di se. Mi guarda con occhi desiderosi di qualcosa di più. Non l’avevo mai visto così, ma so che quello sguardo non porterà a niente di buono, mi allontano da lui, che prontamente afferra la mia mano, tirandomi e stringendomi forte fra le sue braccia. Il suo sensuale odore mi stordisce, giro la testa a un lato appoggiando l’orecchio al suo cuore che batte con velocità superiore a quella del normale. Sento la differenza tra il suo e il mio, che sembra morto. Perché non riesco a provare per lui ciò che lui prova per me? Volgo lo sguardo verso l’orizzonte, e a quel punto, il mio cuore ha un sussulto, risorgendo dalla morte.
Giù, verso il lago dritto verso di noi, la figura di Castiel in contro luce, ci guarda. E non so che espressione alberga sul suo volto.   

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Capitolo 37
*** il segreto di Castiel ***


NOTE: ciaooo!!... oh! Finalmente eccolo qui, il capitolo, non ultimo, ma decisivo. Spero che dopo averlo letto, avrò spiazzato la vostra immaginazione, che sicuramente stavate usando per sapere il segreto del nostro bello e dannato Castiel… buona lettura a tutti!!
 
 
 
 
 
37° capitolo: IL SEGRETO DI CASTIEL
 
 
Lui rimane lì, e ci guarda, nascondendo la sua espressione in contro luce. Perché sei immobile? E perché non mi muovo anche io? Pur volendo, Viktor non accenna a volermi mollare. Mi sento soffocare, guardando la figura di Castiel così dannatamente ferma. Cerco di respingere la presa del moro.
<< Vick, ti prego, non riesco a respirare >> mormoro con fatica, lui mi lascia fissandomi. Non voglio che si accorga di Castiel, così lo guardo anche io, rivolgendogli un sorriso forzato << Sarà meglio andare a prepararci >> continuo, lui entra per primo e io prima di seguirlo, mi volto verso il lago per vedere la figura di Castiel che non c’è più.
Vado in bagno, e mi lavo. Rimango sotto lo scroscio dell’acqua bollente, con la fronte appoggiata alle mattonelle, e guardo il vuoto. Quel vuoto che non ha espressione, quel vuoto che non ha luce di ricordi. Chiudo gli occhi trattenendo il respiro. Non so perché lo sto facendo, ma sento il bisogno di non buttarlo fuori. Che intenzioni ho? Di soffocare? Lo getto via profondamente. Distacco la testa dalle mattonelle e l’alzo permettendo all’acqua di picchiettarmi sulla faccia. La riabbasso aprendo gli occhi e vedendo tutto appannato per colpa dell’acqua. Inizio a farmi tante domande e tanti dubbi invadono la mia mente. Subito il passato ritorna e subito ricordo il tragico episodio che mi portò a lasciare Castiel.
 
 
Si stavano avvicinando le vacanze di Pasqua, due giorni prima, mi trovavo a casa di Castiel, e stavamo ripassando per gli esami di maturità che si stavano repentinamente avvicinando.
Castiel e io eravamo seduti sul tappeto nella sala e stavo appoggiata di spalle al suo petto, mentre lui con le braccia allungate verso il tavolino, risolveva un equazione.
<< Allora hai capito? >> mi chiese per l’ennesima volta.
Feci una smorfia poi mettendo le mani sul libro lo chiusi nervosa << Lascia perdere! Non fa per me! Questa matematica maledetta non mi servirà a niente nel mio futuro. Per ciò che voglio fare io, la matematica non esiste >>
<< Ma per il momento ti servirà >> ribatté lui riaprendo il libro << se non riesci a capire questa semplice equazione, sta sicura che non passerai gli esami >>
<< Sta sicuro che se riesco a farla, quel gangster travestito da mia prozia, architetterà qualcosa per farmi prendere un brutto punteggio >>
Lo sentii sbuffare un sorriso, facendosi più avanti per guardare meglio il libro. La sua presenza virile sfiorò il mio sedere e subito fui presa dalla voglia di farlo. Lui continuava a spiegare, io gli presi una mano e iniziai ad accarezzarla, poi presi le sue dita e le portai alle mie labbra, che dischiusi prontamente accogliendo la sua pelle sulla mia lingua. Lo sentii fremere, ma continuava a spiegare. Per farlo distrarre, esagerai le mie mosse. Portai le sue dita sul mio collo, disegnando una linea fin sotto i seni. Lui ritrasse la mano.
<< Uff! Mi sembri proprio Nathaniel! >> sbuffai incrociando le braccia al petto. Lui fece un movimento strano, mi afferrò dalle spalle, buttandomi per terra e mettendosi a gattoni su di me. mi guardava fulminante, e io gli sorridevo.
<< Non c’è niente da ridere! >> esclamò a denti stretti << non mi paragonare più a quell’idiota >>
Io allungai le braccia avvolgendo le sue spalle e prima di tirarlo a me sussurrai << E allora, smettila di comportarti come lui, e fa uscire il Castiel che c’è in te >>. Mi sorrise, ci baciammo con foga, poi lui si alzò e prendendomi in braccio, salimmo su in camera sua e facemmo l’amore dimenticandoci dell’equazioni e degli esami.
A pomeriggio inoltrato, mi destai prima io. Lui dormiva a dorso nudo di pancia all’aria e con il viso rivolto verso di me. Anche se quell’aggettivo non gli si addiceva, sembrava un angelo. Gli accarezzai i capelli sorridendo, poi mi avvicinai al suo viso e lentamente sfiorai le sue labbra con le mie. Rimasi a guardarlo con tenerezza << Non ci lasceremo mai, non è vero Castiel? >> sibilai. Lui continuava a dormire, chiusi anche io gli occhi, non volevo svegliarlo e interrompere quella tranquillità. Mi riaddormentai. Quando riaprii gli occhi, Castiel non era più accanto a me. mi girai nel letto, stiracchiandomi e guardandomi intorno. La stanza era vuota. Mi alzai e mi vestii in fretta. Scesi al piano di sotto e trovai Lysandro che leggeva una rivista di musica.
<< Ciao Lys. Hai per caso visto Castiel? >> chiesi portandomi i lunghi capelli a un lato. Lysandro alzò lo sguardo dal giornale, e mi guardò con un sorriso.
<< è andato a far fare una passeggiata a Demon, penso che sarà di ritorno fra pochi minuti >>
Sbuffai annoiata e mi avvicinai alla televisione. Armin stava giocando indisturbato, mi sedetti accanto a lui e senza proferire parola, guardai il suo gioco, incrociando le braccia al petto.
<< Che c’è? >> chiese Occhi di ghiaccio guardandomi di sfuggito, per poi volgere lo sguardo al gioco.
<< Mhm >> risposi facendo spallucce. Lui non mi chiese più niente, e continuò a imprecare verso la tv. Dopo qualche minuto entrò Castiel, aveva un’aria imbronciata. Mi alzai di scatto dal divano e gli andai incontro.
<< Ehi, ti sei alzata? >> chiese accennando un lieve sorriso.
<< Perché non mi hai chiamata? Avresti potuto portarmi insieme a far fare la passeggiata a Demon >>
<< Stavi dormendo così beatamente che non ho voluto svegliarti >> mi rispose afferrandomi i fianchi e baciandomi. Lo abbracciai sentendo quel bacio travolgente. Lui mi distaccò, mi prese per mano e ci incamminammo verso la cucina.
<< Cosa c’è? >> chiesi.
<< Ho ricevuto una telefonata da mia madre >> iniziò con aria imbronciata.
<< E cosa vuole? >> chiesi incuriosita.
<< La sera di Pasqua, ci sarà una cena, fra tutti gli azionisti di mio padre, e il vecchio vuole che ci sia anche io >>
<< E sei arrabbiato per questo? >> chiesi ancora.
<< Il fatto è che vogliono farla qui >>
<< E allora? Castiel, non ci trovo niente di male, in fin dei conti, questa è casa loro >>
<< Lo so! Ma i miei non sanno che ho trasformato la loro casa in una pensione per studenti >>
<< Ah, ecco… >> risposi volgendo lo sguardo da un’altra parte << Beh, non li puoi neanche cacciare >> continuai cercando di farmi venire in mente qualche idea strabiliante. La mia lampadina, si accese pochi istanti dopo.
<< Ho trovato! >> esclamai facendo schioccare le dita.
<< Cosa? >> chiese lui curioso.
<< Potremo parlargliene ai ragazzi e facendoci prestare gli abiti da camerieri dal negozio di zia, potremo travestirci, fingendo di essere i tuoi camerieri >>.
Lui non rispose, mi guardò squadrandomi dalla testa ai piedi e iniziò a sorridere.
<< Che c’è? >>
<< Mi immaginavo come staresti con un vestito da maid. Mi raccomando indossa uno facile da togliere >> risponde malizioso.
<< Castiel! Ti sembra questo il momento? >>
Lui mi afferrò il braccio e mi baciò appassionatamente << Sei un po’ ottusa di comprendonio, ma devo ammettere che ti passano fantastiche idee per questa testolina che ti ritrovi >>
<< Se non avessi aggiunto l’ultima frase, potevi dire addio alla mia idea >> risposi sorridendo e baciandolo un’altra volta.
Parlammo del fatto agli altri, che accettarono subito e senza esitazione di aiutare il loro amico. Ordinammo dal negozio di zia Michelle, delle divise da cameriere, e iniziammo i preparativi per la festa. Rosalya e io riordinammo la casa anche con l’aiuto di Kim e Violet. Quando finalmente il fatidico giorno arrivò, la casa era ritornata a essere ciò che era originariamente. Ci andammo a preparare tutti. Dopo essermi vestita, andai nella camera di Castiel, la porta era socchiusa e lo intravidi di fronte allo specchio mentre indossava la giacca dello smoking. Non l’avevo mai visto vestito in quel modo, era davvero sexy e bellissimo. Avrebbe fatto resuscitare anche una rosa secca al solo guardarlo. Sorrisi, e bussai. Lui mi diede il permesso di entrare. Aprii la porta e mi vide dallo specchio. Si girò per ammirarmi meglio, intento anche ad aggiustarsi il papillon.
<< Allora? >> chiesi aspettando la sua risposta. Lui sciolse il fiocco avvicinandosi a me e sbottonandosi il colletto della camicia. << Che fai? >> chiesi.
<< Mi spoglio, no? >>
<< E perché? >>
<< E lo chiedi anche? Sei provocante con questa divisa >> rispose cingendomi i fianchi.
<< Castiel, smettila e rimettiti il papillon, non abbiamo tempo >> dissi scansandomi e andando a raccogliere il pezzo di stoffa nero, glielo porsi e lui sbuffando lo prese, riabbottonandosi la camicia.  
I suoi genitori, arrivarono dopo qualche ora, e tutti mettemmo in scena la nostra recita. La madre di Castiel, era bellissima, vestiva in modo impeccabile, e non appena mi vide, mi fissò a lungo sforzandosi di ricordarsi dove mi aveva già incontrata. Io feci finta di niente, per non rovinare il nostro spettacolo che fino a quel momento stava andando a gonfie vele. Ore dopo, iniziarono ad arrivare anche gli altri invitati. Castiel era già sceso da un pezzo, ed era rimasto per tutto il tempo affianco al padre che lo presentava ai suoi colleghi. Lo guardai fiera, e come se lui avesse letto i miei pensieri, volse lo sguardo verso di me, sorridendomi e facendo uno occhiolino, lo ricambiai con un discreto bacio volante. Lui continuava a sorridermi, quando ad un tratto, il suo sguardo tramutò repentino. Lo vidi sgranare gli occhi, e sbiancare. Non stava guardando più me, mi volsi cercando di capire cosa aveva visto per diventare pallido in quella maniera. Tra tanti invitati, intravidi una figura femminile, che era appena entrata e porgeva il suo soprabito ad Armin. Mi volsi di nuovo verso Castiel per essere sicura che stava guardando quella ragazza. Non mi sbagliavo, era come avevo pensato. Castiel guardava la nuova arrivata e in quel preciso istante, la stava fissando con occhi colmi di odio. Guardai ancora la ragazza. Questa era poco più alta di me, magra, viso ovale, occhi azzurri e lunghi e mossi capelli di un nocciola, raccolti ai lati da fermagli di Swarovski. Tutta truccata, e con in dosso un abito a tubino azzurro. La guardai quasi incantata, ma mi stavo anche chiedendo il motivo dell'espressione di Cass. Seguii tutte le mosse della ragazza. Rivolsi lo sguardo verso Castiel che stava parlando in disparte con il padre, e gesticolavano tutti e due nervosamente. Li guardai ancora più curiosa, poi Castiel si allontanò dal padre e lo vidi dirigersi velocemente verso Lysandro. In mezzo a quella folla, li persi di vista.
Intanto la ragazza, stava ancora vicino la porta di entrata e si guardava intorno con aria un po' strana. Decisi di avvicinarmi a lei per chiederle se aveva bisogno di qualcosa. Non appena glielo chiesi, lei mi guardò con aria superiore alzando un sopracciglio e storcendo di poco le carnose labbra pittate esageratamente di rosso.
"Devo imparare a fregarmene degli altri, questa stronza deve essere proprio una di quelle viziate antipatiche".
<< Sentiamo... >> rispose incrociando le braccia al petto, e guardandomi dalla testa ai piedi, con uno sguardo schifato << in cosa potrebbe servirmi, una serva come te? >>
"Mi ha chiamata serva? Non ci posso credere! Brutta puttana, ringrazia solo il legame che c’è tra me e Castiel, altrimenti dopo questa risposta del cavolo, ti avrei fatto vedere io in cosa poteva servirti la serva! Di sicuro per prima cosa ti avrei strappato quella schifosa lingua biforcuta che ti ritrovi. Stronza patentata!"
<< Smamma, non ho bisogno di te. La persona che dovrà servirmi non sei tu >>.
Avevo delle belle parole poggiate sulla lingua, da schiaffarle su quel bel faccino, quando venni interrotta da Lysandro, che mi afferrò per una mano, trascinandomi con lui.
<< Lys che c'è? Hai bisogno di qualcosa? >> chiesi cercando di fermarlo.
<< E-ecco, volevo sapere dove sono le tartine >> balbettò un po' confuso.
<< Chiedilo a Violet, è lei che sta in cucina >> risposi. Mi voltai per andarmene e lui mi afferrò un'altra volta la mano. Lo guardai dubbiosa. Perché si stava comportando in quel modo? Gli chiesi cos'altro voleva. Lui volse lo sguardo verso la folla, sembrava più smarrito.
<< Lys, ma che cos'hai? >> chiesi volgendomi di scatto anche io verso la folla. Il nobiluomo cercò di fermarmi, ma ormai avevo visto la scena che, come la punta di un pugnale ben arrotato, iniziò a punzecchiarmi il cuore.
Castiel aveva preso per mano quella ragazzina viziata, e, facendosi largo tra la folla, se la stava portando fuori in giardino.
Istintivamente feci due passi per seguirli, Lysandro cercò di fermarmi ma io mi feci mollare scansandolo in maniera brusca. Mi incamminai verso l'uscita, sentendomi il cuore in gola e un'angoscia penetrarmi l'anima. Appena fui fuori in giardino, mi accorsi di avere il fiatone e neanche avevo corso, mi guardai intorno, cercando di trovate i due. Sentii da lontano delle voci. Le seguii attenta a non fare rumore. Quei mormorii provenivano oltre il cancello. Mi nascosi dietro un muretto ricoperto interamente dall'edera e guardai quello che stava succedendo. Castiel stava di fronte a quella stronza, e sembrava stessero litigando.
<< Che cazzo sei venuta a fare qui? >> esclamò Castiel irritato.
<< Che maniere... È così che dai il bentornata alla tua vecchia fiamma? >> ribatté lei, quasi con provocazione.
<< Ma quale vecchia fiamma? Che cazzo stai dicendo? Non sei mai stata niente per me! >>
<< Oh, Castiel... >> continuò lei accarezzandogli la piega del colletto della giacca << come puoi parlarmi in questo modo? Dopo tutto quello che c'è stato fra noi due. Non ho dimenticato tutte quelle volte che ci siamo amati completamente >>
<< Amati? Era solo sesso! Non eri altro che uno sfogo per me >>
<< Però... >> riprese lei avvicinandosi di più al suo petto << ammettilo che ti piaceva farlo con me. L'hai sempre detto anche tu che ero l'unica che ti saziava. Adesso non lo sono più? >> chiese con sensualità allungando il viso verso quello di Castiel che non si mosse, e non la baciò nemmeno.
Guardavo quella scena tremante di rabbia e di angoscia. Perché Castiel non la respingeva? E perché non le diceva che adesso stava con me? Iniziai a vedere un po' appannato, accorgendomi che stavo per piangere, all'inizio ebbi l'impulso di uscire allo scoperto e di allontanare quella sgualdrina dal mio Castiel, ma fu proprio quest'ultimo a farmi fermare. Lo vidi mentre le afferrava i polsi e la strattonava leggermente.
<< Basta con le tue cazzate! >> esclamò Castiel irritato << dimmi per quale cazzo di motivo ti sei presentata alla festa? >>
<< Lo vuoi veramente sapere? >> chiese lei ritraendo bruscamente le braccia, e rivelando un ghigno cattivo << Sono solo venuta ad annunciare il nostro grande segreto a tutti quei patetici ricconi, lì dentro. Quel segreto che da anni ci lega. E che tutta la tua famiglia, tu per primo negate l'esistenza! >>
Strinsi un ramo di edera nella mia mano, sentendo la punta del pugnale, iniziare ad affondare nel cuore.
<< Di che diavolo... >> chiese Castiel.
<< Di che? >> lo interruppe la ragazza << Di CHI, vorrai dire! O te lo sei dimenticato, che è anche sangue tuo! >>
SANGUE TUO? quelle due parole, martellarono il pugnale infilandolo nel mio cuore per metà. Stavo faticosamente riordinando le idee per capire il senso di quella frase.
<< Sei solo una puttana, Ginevra! >> esclamò Castiel afferrandole di nuovo il polso. << Stai mettendo in mezzo quell'innocente creatura, solo per i tuoi scopi maledetti. So benissimo cosa stai cercando! >>. L'afferrò violentemente dagli omeri e in tal modo la baciò per poi buttarla per terra << È questo che vuoi! >>. La ragazza scoppiò in una risata cattiva.
Il pugnale aveva ormai trapassato per intero il mio cuore. Sentii mancare un battito, la mia voce mi abbandonò, non volli vedere il resto della scena, mi misi di spalle appoggiata al muretto colmo di edera  respirando a fatica, tappandomi la bocca con la mano per non farmi  sentire, scivolai, rimanendo seduta per terra, trattenendo il respiro e sentendomi morire.
Dopo qualche secondo sentii la voce di Castiel dire << Non avrai mai ciò che brami! Pensavi che agendo in questa maniera, mi sarei intimorito accettando di sposarti? Ritorna dalla fogna da dove sei venuta, e lascia in pace quel bambino, sta bene dove sta >>.
Sentii che si stava avvicinando. Mi alzai dal suolo confusa e iniziai a correre senza avere una meta precisa. L'importante era scappare il più lontano possibile da quel ragazzo che non sentivo più mio.

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Capitolo 38
*** Addio Castiel ***


38° capitolo: ADDIO CASTIEL
 
 


La luna piena, come una perla sul velo brillante del cielo illuminava il paesaggio dipinto di tutte le sfumature notturne. Il lago sfaccettava le sue increspature in segno di gratitudine verso quell'unica gemma che pur desiderata, mai nessuno avrebbe potuto indossare. Il suo viso, era rivolto verso il basso come a scrutare ciò che succedeva in quella notte così lunga. Immersa in quel paesaggio, l'unica cosa di cui la bianca luna poteva interessarsi era la mia figura, piccola come una cosa insignificante.
E io ricambiavo il suo sguardo, guardandola con preghiera e con sofferenza. Sembrava volermi accogliere fra le sue immaginarie braccia, per consolare il mio irrefrenabile dolore al cuore lacerato da verità ingiuste. Le mie lacrime tagliavano inesorabili le mie guance per poi congiungersi sotto il mento e precipitare sul tessuto della divisa che indossavo ancora.
Le mie mani tiravano con forza i lembi all'estremità del tessuto, fino a quando i fili intrecciati che lo formavano si strapparono.
Avevo corso con tutta l'energia che avevo in corpo l'affanno non accennava a scomparire, e ritrovandomi vicino il lago, mi ero resa conto di essermi allontanata troppo dal traditore. L'unica cosa che non sapevo, era quanto tempo era passato, da che ero scappata portando con me quella verità che nessuno mai avrebbe potuto immaginare: Castiel era padre. Dolore lancinante che mi consumava l'anima.
Il cellulare squillava in continuazione, ma la mia mente non accennava a concentrarsi su quello, e anche il mio corpo l'assecondava. All'ennesimo squillo, mi alzai come ipnotizzata, camminai verso l'acqua che rifletteva la luce lunare, mi tolsi gli occhiali e subito quel bagliore diventò un insieme di luccicanti e grandi diamanti. Sorrisi, mentre le lacrime continuavano a scendere, nel vedere quel nuovo mondo meraviglioso che solo io ero in grado di vedere. La gelida acqua mi accarezzò i piedi, poi le caviglie, salì fermandosi alle ginocchia. Feci scivolare gli occhiali dalla mano e un "pluf" riecheggiò leggero nell'aria. Infilai la mano ormai libera nella tasca afferrando il cellulare che aveva ripreso a suonare, e allungando il braccio in avanti, piegai la mano verso il basso, e feci cadere in acqua anche l'oggetto, vidi la sua luce, dissolversi pian piano nell'oscurità del lago. Il silenzio era ritornato a invadere l'aria. Le gambe erano congelate, ma riuscii a resistere, immersi le mani in acqua, e un po' tremante, passai il glaciale liquido sulle mie braccia, come per volermi lavare e cancellare così le migliaia di impronte che il mio corpo aveva permesso al traditore di stampare. Mi inoltrai nell'immenso liquido fino a immergermi tutta, uscii dopo qualche secondo, e mi incamminai barcollante verso la riva. Così, gocciolante e infreddolita, ritornai a casa.
La luce della cucina era accesa, suonai leggermente, ché il freddo penetratomi nelle ossa, mi impediva quasi tutto i movimenti. La porta si aprii dopo pochi secondi e la figura di zia Michelle si estese davanti a me. Non riuscii a vedere la sua espressione, perché la sfocatura albergava nei miei occhi. Pur tenendola a due passi, la sua voce riecheggiò in lontananza. Non concepii bene cosa stava dicendo. Entrai e sempre barcollante mi avvicinai alle scale. Mi sentii afferrare un braccio e sollevarmi, mi resi conto che stavo cadendo e zia mi aveva sorretta.
Entrai in bagno. Strinsi gli occhi sentendomeli bruciare, per la troppa luce che mi prese alla sprovvista.
<< Incosciente! Togliti immediatamente questi stracci fradici... Io voglio capire che cavolo ti è saltato in mente? >> sentii dire da Michelle, intenta a togliermi quegli indumenti che mi appesantivano il corpo. Ormai nuda, entrai nella vasca colma di acqua calda che, al contrario, la mia pelle, percepì bruciante.
<< Brucia >> sibilai, ma zia non mi sentì. La vidi uscire dal bagno. Mi stesi lentamente, cercando di abituarmi a quella temperatura. Mi stavo lavando di nuovo, ma non feci niente. Rimasi così, ferma, immobile come un vegetale. Chiusi gli occhi sentendo di non provare più niente, era come se tutte la mie emozioni, si erano cancellate insieme ai tocchi dello sconosciuto, nel momento in cui mi ero lavata con l'acqua del lago.
Riaprii i miei occhi, alzandomi, e uscendo dalla vasca, come un automa presi un accappatoio e lo indossai, poi mi recai in camera, mi fermai sentendo la voce di zia Michelle parlare con qualcuno che non c'era. Capii che stava telefonando.
<< Sì Rosa, è qui... Ma è successo qualcosa?... È ritornata tutta bagnata fradicia... Non lo so, non mi ha detto niente... Puoi tranquillizzare Castiel, cosa? Sta venendo qui? >>
Quelle ultime parole furono come una scossa per il mio corpo. Chiusi velocemente la porta girando la chiave fino a quando non si bloccò. Il cuore si rigenerò per distruggersi un'altra volta. L'affanno riprese il posto del respiro, e le emozioni ritornarono tutte insieme, sovraffollando il mio io, esplodendo e facendomi perdere i sensi.
La prima cosa che sentii quando ripresi conoscenza, fu il mio profondo respiro. Aprii lentamente gli occhi, e mi guardai in giro. Ero sola nella mia stanza, a farmi compagnia c’erano solo gli ultimi raggi del sole. Mossi le mie gambe tra le colorate lenzuola, non ricordandomi di essermi addormentata sul letto. Mi sentii un po’ indolenzita, ma riuscii comunque ad alzarmi. Appena in piedi, dovetti risedermi, ché la testa mi girava. Chiusi gli occhi cercando di riprendere il controllo del mio corpo, gli riaprii e mi alzai piano. Raggiunsi la porta, allungai il braccio verso la maniglia, e mi accorsi di avere al posto dell’accappatoio il pigiama. Aprii e mi recai verso le scale. Prima di scendere, mi resi conto se c’era qualche presenza indesiderata, poi scesi. Dalla cucina, un profumo di stufato viaggiava nell’ambiente raggiungendo le mie nari. Mi diressi lì. Zia Michelle stava ai fornelli e fischiettava allegramente. Non avevo ancora la forza di parlare, allora per farmi sentire, trascinai la sedia. La vidi trasalire e girarsi, i suoi occhi erano atterriti.
<< Rea, che spavento! >> esclamò buttando fuori un profondo respiro e mantenendosi il petto con la mano. << Perché ti sei alzata? Ti senti bene adesso? >>
Annuii senza rispondere, poi mi sedetti << Ho fame >> sibilai con voce rauca.
<< Ti credo! Sei stata quattro giorni con la febbre alta e con i deliri. Ci hai fatto prendere un colpo a tutti >>
Quattro giorni, erano passati quattro giorni da quella notte. Ringraziai la febbre, nella mia mente.
<< Ma mi vuoi spiegare che cavolo ti passò per la mente quel giorno? E poi perché chiudesti la camera a chiave, per entrare, Castiel dovette fare Spiderman sulla tua finestra >> chiese mia zia guardandomi sottocchio << Castiel mi ha detto che ti cercò da tutte le parti, ma non riuscì a trovarti… >>
<< Stavo camminando a bordo piscina e scivolai cadendo in acqua >> risposi interrompendola e macchinando qualcosa nella mia mente.
<< Idiota, e anche sbadata >> mormorò Michelle scuotendo la testa << Avvisa Castiel, era preoccupato… >>
<< Non ce né bisogno! >> esclamai duramente senza voltarmi.
<< Ma come? … >>
<< Domani andrò a scuola e lo avviserò >>. Detto questo mi allontanai recandomi un’altra volta alle scale.
<< Non mangi? >>
<< Mi è passata… >> salii recandomi nella mia camera, chiudendomi la porta alle spalle e appoggiandomi ad essa, fissai il vuoto. Quello che il mio cervello aveva iniziato a macchinare, si stava facendo più chiaro e logico. Guardai il calendario e sotto voce sibilai << Un altro mese >>
 
 
Il giorno dopo a scuola feci di tutto per evitare di incontrarlo, ma era impossibile, così sfruttando le ultime gocce di coraggio che mi rimanevano in corpo, lo affrontai senza fargli capire niente, comportandomi normalmente e trattenendo in corpo tutto il dolore che mi aveva provocato.
Lo vidi chiudere il suo armadietto e voltarsi, non appena mi guardò, un dolore sovrastò il mio petto. Strinsi i pugni cercando di sopportarlo, mi sforzai a fare un sorriso, ma sentivo il tremore sulle lebbra. Lui si avvicinò velocemente.
<< Rea! >> cercò di abbracciarmi, dovetti accettarlo, ma non lo ricambiai, in compenso mi irrigidii tutta. << Ma perché non mi hai avvisato che ti eri ripresa? >>
<< E-era notte inoltrata quando mi svegliai >> mentii.
<< Ma si può sapere che fine ha fatto il tuo cellulare, e che cosa ti è successo? Lysandro mi ha detto che la sera della festa mi seguisti in giardino… >>
<< Non preoccuparti >> lo interruppi facendo due passi indietro << uscii ma non riuscii a trovarti, così feci una passeggiata a bordo piscina e scivolai cadendo in acqua, anche il cellulare cadde… sarà meglio tornare in classe >> dissi dandogli le spalle e iniziando a camminare, lui mi afferrò la mano, mi bloccai sentendo il cuore sussultare “Non toccarmi, maledizione!”. Chiusi gli occhi sospirando, poi li riaprii preparando un altro falso sorriso, mi voltai.
<< Cosa c’è? >> chiesi. Lui mi guardò stranito poi si avvicinò.
<< Rea… la nostra classe è dall’altra parte >>
<< a-ah, ah-ah… hai ragione >> risi incamminandomi dall’altra parte.
<< Ma sei sicura di sentirti bene? >> chiese, fermandomi ancora.
<< Sì, mi sento ancora un po’ frastornata >>
<< Hai messo di nuovo le lenti, dove sono gli occhiali? >>
<< S-si sono rotti >> risposi diventando seria.
<< Idiota >> mormorò dandomi un colpetto sulla fronte. Insieme ci dirigemmo in classe.
 
 
I giorni passarono in fretta, diventavo più scostante nei confronti di Castiel, e lui se n’era accorto. Cosa potevo inventare? Per fortuna usai la scusa degli esami. A diciotto anni avevo imparato a mentire spudoratamente, e ogni volta che lo facevo il cuore mi doleva in maniera così straziante che alle volte credevo di morire, ma dovevo resistere, il giorno degli esami era vicino, e dopo, non avrei più sofferto.
Un giorno, però, capitò una cosa che evitavo più delle altre. Quando Castiel mi desiderava. La prima volta inventai il mal di pancia; la seconda volta il ciclo, ma quando la settimana dopo arrivarono per davvero, cosa potevo fare? Il mio sentimento per lui era cambiato, non riuscivo a capire se lo amavo o no. Fatto sta che ogni volta che mi toccava o mi parlava, mi tornava alla mente quella notte della festa, e guardando le sue labbra le rivedevo poggiate sopra quelle della maledetta; e il solo sfiorarmi la mia pelle con la sua mi dava ribrezzo.
Quel giorno avevamo educazione fisica. Io e Kim stavamo parlando degli esami, che ormai era diventato il primo ragionamento delle giornate. Lui si avvicinò a me e mi prese per mano dicendo che doveva parlarmi, sorrideva, e io capii cosa voleva. Non seppi perché, ma guardai Kim con supplica. Lei aggrottò le sopracciglia, cercando di capire il significato del mio sguardo.
Seguii Castiel, che mi portò negli spogliatoi. Non c’era nessuno, lui mi sbatté lievemente contro l’armadietto e iniziò a baciarmi e toccarmi con foga.
<< Castiel, che fai? Potrebbe venire qualcuno >> mormorai cercando di scostarlo e sentendo la voglia di piangere, destarsi. Lui non parlava, continuava soltanto le sue mosse. Chiusi gli occhi, strinsi i pugni e in quel momento la voglia di respingerlo, schiaffeggiarlo e sputare tutto il dolore che mi aveva arrecato, volle prendere il sopravvento sulla mia indifferenza.
Come può continuare a fare così? Nasconde ancora il suo segreto, e non gliene fotte niente! Che razza di persona è? Perché tra tanti ragazzi dovevo innamorarmi proprio di lui?
Quando finalmente mi decisi a respingerlo per dirgli che sapevo tutto, qualcuno mi interruppe in tempo.
<< Ehi voi! >> era Kim. Castiel si fermò guardandola. << Se proprio non sapete resistere, almeno fatelo in un posto più sicuro! >>
<< Kim, che spavento del cazzo! >> esclamò Castiel imprecando, e lasciandomi.
<< Scusami tanto stallone, ma devo rubare la tua ragazza per qualche minuto, vieni Rea, la preside ti vuole >>
<< Arrivo >> dissi allontanandomi da lui e avvicinandomi a Kim. Uscimmo e quando fummo fuori dalla palestra, la ragazza mi prese per una mano, alzando il passo e trascinandomi con se. Non riuscii a capire le sue intenzioni, vidi che ci stavamo recando dietro la scuola.
<< è qui la preside? >> chiesi.
<< Quella è stata una scusa… ora devi spiegarmi che cavolo stai combinando? Si vede lontano un miglio che cerchi di evitare in tutti i modi il tuo ragazzo >>
Kim aveva capito tutto, e non c’era più bisogno di mentire, almeno con lei. Il respiro si fece più intenso, non riuscii più a trattenere le lacrime e scoppiando in un pianto soffocato dai singhiozzi mi precipitai fra le braccia della ragazza che mi accolse consolandomi.
Raccontai tutto, ma trattenni il segreto, lei non lo volle sapere, mi chiese soltanto che intenzioni aveva.
<< Sto solo aspettando la fine degli esami e poi me ne andrò da qui… non riesco più a poterlo vedere, non voglio i suoi baci, ogni suo tocco è una ferita per il mio cuore, e mi fa più male il fatto che lui continua ancora a nascondere indifferente quel segreto >>
<< Sfogati, cara… >> mormorò Kim stringendomi forte << si vede che hai trattenuto tutto questo dolore fino ad ora. Sfogati, ti farà bene. Non sentirti sola, io ti starò vicina >>
<< Grazie Kim >> piansi. Diedi sfogo a tutta la mia frustrazione e dolore.
 
 
La fine degli esami arrivò. Quando ritornai a casa, mi recai nella mia camera e aprii l’armadio, presi le valige e iniziai a riempirle. Mia zia entrò vendendo allibita quello che stavo facendo.
<< Che significa? >> chiese.
<< Ciò che vedi >> risposi secca.
<< No, non riesco a capire ciò che sto vedendo. Dove vai? >>
<< Me ne vado >>
<< E perché? >>
<< Perché è finito tutto zia! >> esclamai sbattendo una maglia nella valigia.
<< Ma Castiel lo sa? >>
<< Castiel non deve sapere niente >>
<< Maledizione Rea, vuoi spiegarti? >>
<< Non c’è niente da spiegare. Io e Castiel non stiamo più insieme, almeno questo lo so solamente io >>
<< Cos’è successo Rea? >>
<< è successo che mi sono accorta troppo tardi di essermi fidanzata con la persona sbagliata >> risposi chiudendo la valigia, e presala mi recai alla porta, e scesi in cucina << Non farmi altre domande zia, ti prego, non ti risponderò >>
<< Ma almeno dimmi dove andrai? >>
<< Non posso, perché sono sicura che lo avviserai >>
Il rumore del campanello risuonò, andai ad aprire, era Kim e nella macchina c’era anche Violet. La guardai.
<< Violet verrà con noi, ha trovato un lavoro in città… non ti dispiace vero? >> chiese Kim. Scossi la testa. Abbracciai mia zia e salutandola me ne andai.
Arrivate alla stazione aspettammo un quarto d’ora il treno. Quando arrivò, io non persi tempo a salire. Andai a sedermi al primo posto vuoto che trovai quando sentii delle urla. Mi affacciai al finestrino incuriosita. Sgranai gli occhi guardando Castiel accompagnato da mia zia che parlava contro un ferroviere.
<< Castiel, è lì >> disse mia zia indicandomi. Lui si voltò, incrociammo i nostri occhi e mi venne incontro.
<< Rea, scendi… dove cazzo credi di andare? >>
Scossi la testa guardandolo con occhi vuoti.
<< Scendi maledizione! Che significa che mi hai lasciato? >>
<< Vattene Castiel >> sibilai tremante.
<< Rea, ho detto scendi!! >> urlò rabbioso tirando un calcio alla carrozzeria del treno, sobbalzai spaventata facendomi indietro. Il treno iniziò a partire, << Che cazzo significa?! Scendi da questo fottuto treno, dannazione! Non puoi lasciarmi così! Maledizione Rea!! >> urlò correndo
<< Castiel, fermati! >> esclamò mia zia.
Io rientrai, mi sedetti e chiusi gli occhi piangendo. << Addio Castiel >> mormorai. Un suo grido riecheggiò nell’aria e penetrò nel mio cuore. Il treno viaggiava allontanandomi da lui come una foglia portata dal vento.

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Capitolo 39
*** Nuove conoscenze ***


39° capitolo: NUOVE CONOSCENZE
 
 



La prima volta che le mie labbra si ridisegnarono in sorriso, fu sei mesi dopo la mia "fuga" dal paesello.
In quei pochi mesi, con le mie due amiche, ci eravamo sistemate nella villetta che una volta apparteneva ai miei nonni, lasciatami in eredità. Nel momento in cui diventai maggiorenne, mi appropriai automaticamente della proprietà. Kim e Violet si offrirono per pagarmi l'affitto, ma il mio rifiuto non valse a niente.
Violet in poche settimane, era diventata insegnante di comunicazione visiva, anche Kim aveva trovato lavoro in un pub, l'unica disoccupata ero io. Per passare quelle lunghe giornate, noiose e per distrarmi dai ricordi che non accennavano a volersi dileguare, sfogavo i miei pensieri a modo mio. Progettavo storie e le illustravo sotto forma di manga. Inventai una storia su una guerriera angelica. Dato che quelle storie mi avevano sempre appassionato. Finii tutti i capitoli in soli sei mesi. Kim e Violet avevano visto quello che avevo creato e mi incitavano a farlo pubblicare. Quell'idea mi allettava molto ma avevo timore a fare il passo più lungo della gamba. Il motivo? Potrebbe sembrare molto banale, e infondo lo era, ma pubblicando una storia con il mio nome mi incuteva timore, nel caso in cui Castiel avrebbe scoperto dove mi trovavo.
Castiel. Chissà cosa stava facendo, e se si era rassegnato.
Avendo gettato il cellulare nel lago, quella famosa sera quando la fine ebbe inizio, non ne avevo comprato un altro. Mi rifornii quando misi piede in città, cambiando anche numero senza darglielo neanche a mia zia. Mi stavo comportando da egoista e codarda, lo sapevo benissimo, ma sapevo anche che un solo passo falso, e mi sarei ritrovata ad affrontare il traditore, e anche se ero stata coraggiosa in altri momenti, in quello, il coraggio mi mancava. Non volevo più soffrire, e l'unica cosa che poteva farmelo evitare, era dimenticarmi definitivamente di lui.
Ma pur non avendo un mio recapito, Castiel non si arrese così facilmente, infatti avendo il numero di Kim, la bombardava di chiamate e di messaggi, cercando in tutte e due le maniere, di avere qualche informazione su dove mi trovavo. All'inizio Kim lo rispondeva dicendogli di lasciarmi perdere, ma lui non ne voleva sapere. Poi la ragazza com'era ovvio dal suo carattere, si stancò e fu costretta a cambiare anche lei scheda, imprecando su tutti i numeri che avrebbe dovuto contattare per far sapere il suo nuovo. Mi sentivo in colpa, sapevo che l'unica colpevole ero io, che la parte da vittima, la stavo radicalmente esagerando.
Kim, però, con il suo essere schietta mi fece capire di non dovermi preoccupare, e che dovevo assolutamente stare tranquilla. E io cercai di prenderla in parola.
Una sera, salii in camera più stanca e assonnata di tutti gli altri giorni, non volli accendere il computer, così mi misi a letto e subito mi addormentai. La mattina dopo, quando mi alzai, la voglia di inventare una nuova storia prese il primo posto nei miei pensieri. Mi sedetti davanti al computer accendendolo, e allungai la mano verso un porta penne per prendere la mia pen-drive, ma non la trovai. Corrugai le sopracciglia un po' incredula, poi mi misi a frugare da tutte le altre parti. Niente. La pennetta era scomparsa. Subito iniziai a sudare e a maledirmi, ci tenevo un sacco a quelle cose, e solo il pensiero di aver perso un intero lavoro durato quasi sei mesi, mi invogliava a impiccarmi con i miei stessi capelli. Scesi in cucina e trovai Kim sdraiata sul divano, che russava in maniera molto oscena. Scossi la testa, poi vedendo Violet intenta a consumare la sua colazione il più silenziosamente possibile, mi avvicinai chiedendole sottovoce se aveva visto la mia pen-drive. Lei non rispose, scosse solo la testa.
Cominciai a sentirmi male per davvero. "Porcaccia la miseria, è tutto perduto adesso. Rea, fai proprio schifo!... Ma poi, che ti danni a fare? Lo stesso non ti sarebbe servito a niente, visto che quel lavoro lo volevi seppellire per sempre in quella pennetta" mi dissi un po' malinconica. Ritornai in camera mia, afflitta e angosciata. La sfortuna era la mia ombra e io non potevo farci niente. Mi sdraiai sul letto guardando malinconica il soffitto, e iniziandomi ad immaginare come sarebbe stato vedere il mio fumetto in vendita nelle vetrine delle cartolibrerie. Chiusi gli occhi sorridendo, e mentre il sonno stava per riprendersi la mia mente, un trillo mi destò di scatto. No pensavo fosse il mio cellulare, dato che non mi chiamava mai nessuno, e invece era proprio lui, lo presi velocemente, e curiosa diedi un'occhiata allo schermo, un numero sconosciuto. Risposi un po' perplessa e una voce un pochino rauca riecheggiò dall'altro capo del telefono.
<< Parlo con la signorina Rea? >>
<< Sì, e io con chi parlo? >> chiesi incuriosita.
<< Congratulazioni signorina, la nostra editoria ha accettato di pubblicare il suo manga >>
<< Scusi, ma di che cosa sta parlando? >> chiesi confusa.
<< Non mi dica che abbiamo sbagliato, è lei l'autrice del manga: "Angel, the four thrones"? >>
<< S-sì, s-sono io, ma come...? >>
<< Bene, allora può presentarsi in sede, oggi pomeriggio alle quattro e trenta, il signor Baldini l'aspetta con impazienza >>
La chiamata fu chiusa, io continuai a reggere la cornetta sull'orecchio incredula e ancora smarrita. Mi tirai un pizzicotto per essere sicura di non sognare, faceva male, quindi ero sveglia, ma allora, come avevano fatto ad averlo?
Mi precipitai giù per le scale, e piombai sul corpo addormentato di Kim, che si spaventò e sobbalzò dal letto.
<< Che cavolo sta succedendo? >> chiese allarmata, guardandomi.
<< Sei stata tu? >> ribattei io, rimanendo a gattoni su di lei.
<< A fare cosa? >>
<< Oh, Kim! >> esclamai abbracciandola, come se quella domanda fosse stata la risposta affermativa << Ti ringrazio molto! >>
<< Ma si può sapere che cavolo ti è preso? Grazie di cosa? >>
<< Non far finta di niente, sei stata tu a inviare il mio manga a un editore >>
Kim corrugò le sopracciglia non comprendendo ancora le mie parole. Dalla cucina, si avvicinò Violet che mi guardava con un sorriso.
<< Bella, guarda che io non ne so niente >> rispose Kim, facendomi scendere dal letto e sdraiandosi di nuovo per dormire.
Io mi alzai ancora più confusa. Il mio sorriso scomparve repentino sulla mia espressione. Volsi lo sguardo a Violet che continuava a sorridermi.
<< Ma allora… >>
<< Sono stata io, Rea >> rispose Vil con la sua sensibile vocina. Il mio cuore ebbe un sussulto dopo aver percepito quelle parole. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Violet, la ragazza più sensibile del trio, aveva avuto il coraggio di fare quello che avrei dovuto fare io da tempo. Alcune liquide perle, scivolarono lungo le mie guance formando dei rivoli luminosi.
<< Non so cosa dire… >> balbettai asciugandomi il volto e cercando di non farmi vedere.
<< Potresti sempre abbracciarmi come hai fatto con Kim >> rispose lei abbassando lo sguardo e arrossendo. Non me lo feci ripetere due volte, corsi verso di lei e la strinsi forte a me ringraziandola all’infinito.
<< Avvisatemi quando avete finito! Ho sonno! >> esclamò Kim.
La guardammo sorridendo << Hai una camera tutta tua! >> ribattei io.
<< Non è mai comoda quanto questo divano! >>
Violet e io ci guardammo e annuendo ci tuffammo sul corpo di Kim iniziando a farle il solletico.
<< No, no! Che fate? Lasciatemi dormire! >> esclamò fra le risa la mia cara vecchia amica.
 
 
Vestita in modo impeccabile, mi stavo dirigendo verso l’editoria, dove dovevo pubblicare il mio primo manga. Erano gli inizi di dicembre e faceva un freddo cane, mancava solo la neve. Mi rannicchiai nel mio giubbotto per non tralasciare neanche uno spiraglio che avrebbe permesso al pungente freddo di inoltrarsi nel mio corpo.
Ero quasi arrivata. L’insegna luminosa: Editoria Baldini, spiccava come un fiore sul terreno pieno di erba. Sorrisi cercando di mantenere il controllo sulle mie emozioni. Mi preparai ad attraversare, quando una moto mi sfrecciò davanti. Fortunatamente ebbi i riflessi pronti, e feci due passi indietro, ma questi non mi furono di grande aiuto, perché inciampando sul marciapiede, mi ritrovai di sedere per terra, a combinazione, in una pozzanghera di acqua ghiacciata.
La moto intanto si era fermata qualche metro più in là.
Non riuscivo a muovermi sentendomi tutto il fondoschiena congelato.
<< Va tutto bene? Non si è fatta male, vero? >> chiese una voce sopra di me. Riaprii gli occhi, e la prima cosa che vidi fu una mano che si tendeva per prendere la mia, alzai di più lo sguardo per vedere a chi appartenesse. I miei occhi si sgranarono nel vedere l’immagine di quel volto << Castiel >> sussurrai, incredula.
<< Come scusi? >> ribatté la voce, che era totalmente diversa da quella del rosso. Sbattei le palpebre velocemente, e la visuale si fece più nitida. Il ragazzo davanti a me, non era Castiel, anche se un po’ gli somigliava. Era molto affascinante, aveva capelli corti neri, occhi color dell’ambra e labbra disegnate perfettamente. Il giovane continuava a porgermi la mano e io non sapevo cosa fare.
<< Non riesce a muoversi? >>. Continuava a darmi del lei, e non lo sopportavo. Mi faceva sentire vecchia. Mi alzai da sola, senza afferrare la sua mano, non riuscivo più a sentire la parte bassa posteriore del mio corpo, iniziai a tremare di freddo. Il ragazzo continuava a guardarmi un po’ preoccupato.
<< Signorina… >> riprese afferrandomi il mento con la mano. Mi voltai, costretta da quella presa, e incrociai i suoi occhi bagnati nell’oro. Non riuscivo a guardarlo normalmente, e non sapevo perché. Mi sentivo imbarazzata.
Lui mi fissò attentamente. Poi annuì << Per fortuna non si è fatta niente. Spero di non sbagliarmi >>
<< N-no, sto bene >> dissi cercando di farmi mollare il mento.
<< Deve scusarmi, ma andavo di fretta >> si giustificò lui cambiando sguardo e rivelando un affascinante sorriso.
<< Non si preoccupi >> risposi allontanandomi e dirigendomi verso l’editoria. Entrai ritrovandomi nella reception. Mi annunciai alla segretaria, che mi disse di accomodarmi. Aspettai qualche minuto, e intanto l’umidità si impadroniva di più del mio corpo, fortunatamente, il pantalone che indossavo era scuro, e quindi la grande macchia non si notava. Imprecai lo stesso, pizzicandomi il tessuto, poi la segretaria mi chiamò, invitandomi ad entrare nell’ufficio del signor Baldini. Entrai e la donna chiuse la porta.
“Ma come? Non c’è nessuno?”. Mi guardai intorno poi decisi di uscire dalla stanza, mentre mi accinsi a farlo, una vocina che somigliava molto a quelle dei cartoni animati riecheggiò nell’aria. Mi voltai con le sopracciglia corrugate e davanti a me: un tappo da sughero travestito da vecchietto, puntava i piedi sulla poltrona cercando si farsi vedere.
<< Signorina, dove va? >> chiese.
<< H-Happosai? >> mormorai tanto incredula quanto divertita nel vederlo.
<< Come scusi? >>
<< Oh, no… niente >> dissi, trattenendo una risata e  avvicinandomi a lui. Mi presentai, quando sentì che ero l’autrice del manga, i suoi occhi si ingigantirono e illuminarono proprio come Happosai, quando vedeva un paio di mutande. Mi veniva da ridere, ma cercai di trattenermi. L’uomo iniziò ad offrirmi somme, allucinanti dicendomi che voleva assolutamente che lavorassi per lui. non mi fece neanche rispondere di sì, che subito avevo già un contratto, con tanto di stipendio. Poi mi congedò perché aveva altri impegni. Uscii dall’ufficio con il sorriso sulle labbra. Finalmente la felicità mi aveva incontrata e non finii mai di ringraziare Vil.
Ammisi che senza il suo aiuto, forse non avrei mai esaudito il mio sogno più grande.
Tornai alla reception consegnando le carte alla segretaria, ma le mi disse che dovevo recarmi dal signor Viktor, nipote di Happosai per le procedure. Mi indicò la strada e mi incamminai. Mi ritrovai di fronte un’altra porta con un’insegna scritta: vice direttore Viktor Baldini. Me lo immaginai sempre basso ma con qualche capello in più. Sfogai la mia piccola risata prima di bussare. Quando sentii la voce dall’altra parte che mi dava il permesso, aprii, feci due passi, e inciampai su qualcosa che non avrei mai immaginato di trovare tra i piedi. Mi ritrovai di sedere all’aria e la faccia spiaccicata sul pavimento. Più di così non poteva andare peggio? E invece sì. La persona che venne a soccorrermi, non appena la vidi, non era altri che il ragazzo della moto, quello dagli occhi ambrati.
La mia “maledizione” morì nella bocca prima ancora di nascere. Lui mi guardava sorridente, rivelando tutto il suo fascino in quella espressione e sbuffando quel sorriso mormorò << Ci incontriamo ancora? >>
“Che figuraccia!” mi ripetevo in mente.
Lui mi aiutò a rialzarmi. Io guardai subito su cosa ero inciampata. Sembrava un rialzo, ricoperto in marmo. Il ragazzo mi spiegò che serviva per il nonno, che siccome era troppo basso, dalla scrivania non si notava. Poi si presentò dicendo che si chiamava Viktor. Mi presentai anche io rimanendo sempre imbarazzata e porgendogli la mano, lui l’afferrò quasi con una carezza poi disse << Penso che diventeremo grandi amici >>.
 
 
E infatti aveva avuto ragione. Viktor stava a casa di mia zia con me, perché io gli avevo donato la mia amicizia. Lui l’aveva trasformata in qualcosa di più grande e io, non avrei mai potuto contraccambiarlo. Ho ancora questi pensieri mentre avvolgo il mio corpo con un telo da bagno. Afferro un pettine e avvicinatami alla finestra inizio a pettinare i capelli. Guardo l’esterno e vedo il lago. La figura di Castiel mi ritorna in mente, ho come un lieve tremito, poi appoggio il pettine sul davanzale e tirando un profondo respiro, volgo lo sguardo all’orizzonte e sibilo << Sono pronta, Castiel >>

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Capitolo 40
*** Festa da urlo ***


40° capitolo: FESTA DA “URLO”
 
 


Ho messo due abiti sul letto uno accanto all'altro, manca solo un vs al centro e la sfida potrebbe cominciare.
Il primo è formato da una camicia azzurra con una cinta nera lucida, e un pantalone a sigaretta in pelle nero; l'altro è un vestitino nero, con il petto e le maniche tutte in pizzo merlettato. Alla fine ho deciso per il primo. Non voglio essere troppo appariscente, anzi se avrei avuto un abito che mi avrebbe resa trasparente, lo avrei indossato senza alcuna esitazione. Mi vesto in fretta, e mi dirigo allo specchio per acconciarmi. Decido di mettermi le lenti a contatto, almeno se ne perdo una mi faccio un piacere da sola a non poter vedere granché. Uso la matita per gli occhi e li tingo con un ombretto leggero sul celestino, sfumandolo con uno più scuro posto verso le punte all'estremità degli occhi. Tampono le labbra con un lucido trasparente, e passo ai capelli. Decido di farmi una treccia bella grande che parte da dietro l'orecchio destro, fino ad arrivare a poggiarsi sulla spalla sinistra e cadere sempre da quella parte. Mi aiuto con i ferretti per mantenere salda l'acconciatura, e quando ormai sono pronta mi spruzzo un po' di profumo al collo. Mi riguardo allo specchio. Ma si può sapere che diavolo stai facendo? Stai per mettere piede ad una festa dove potrà succedere qualunque cosa e tu che fai? Ti attilli tutta come fosse niente? Ti rendi conto che forse dopo stasera potrai anche non vedere più la luce del sole, vero?... Ah! Che esagerata!
Faccio una smorfia allo specchio rivolta al mio avatar mentale. Indosso un giubbottino di pelle nera con le cerniere dorate e presa velocemente la tracolla, mi dirigo al piano di sotto. Ho indossato anche dei tacchi alti, e già so che me ne pentirò, ma d'altronde non mi importa, perché da quando ho scoperto il piacere di sentirmi donna nell'indossarle, non ne faccio a meno ogni qualvolta devo andare da qualche parte, come ad una festa.
Nel soggiorno, Viktor mi sta aspettando seduto sul divano. Indossa una camicia chiara, coperta da una giacca sfiancata scura, un pantalone che aderisce bene alla muscolatura delle sue gambe e delle inglesine dello stesso colore della camicia. Dire che è sexy è molto poco. Ha gelatinato i suoi corti capelli neri e il colore dei suoi occhi contrasta di molto la sua espressione. Sembrano due pepite d'oro poggiate su uno sfondo ebano.
Gli regalo un sorriso. Lui, prima di alzarsi mi squadra dalla testa ai piedi con sguardo colmo di voglie da scoprire, poi mi porge la mano chiedendomi se possiamo andare. Annuisco decisa. Salutiamo mia zia e usciamo di casa. Viktor raggiunge per primo il motore, e mi passa il casco, io gli mostro la mia acconciatura, facendogli capire che non voglio guastarla, allora lui sorride, afferra il casco e me lo infila dolcemente sulla testa aggiungendo << Stai bene anche con i capelli sciolti >>.
Sbuffo infastidita all’interno del casco, poi mi metto a cavallo sul motore dietro di lui, che afferra deciso le mie mani facendomele incrociare davanti e sotto il suo torace. Sussulto, sentendo i quadricipiti scolpiti riempire i palmi delle mie mani.
<< Tieniti forte >> esclama prima di mettere in moto, poi sfrecciamo a grande velocità dirigendoci verso casa di Castiel. Durante il tragitto gli indico le vie da seguire e più la destinazione è vicina più sento il cuore esplodermi in petto. Siamo arrivati. Viktor spegne la moto e scende, io mi faccio aiutare cercando di nascondere la mia ansia sotto forma di tremito. Mi sfilo il casco e subito tocco la mia treccia per assicurarmi se è ancora intatta. Per fortuna, sì.
Guardo il cancello e non accenno a muovermi, ma è troppo tardi per rendermi conto che mi manca il coraggio. “Maledizione Rea, fai un dannato passo, che cavolo ci vuole? È soltanto una festa?... ma hai dimenticato che è una di quelle feste pericolose? Perché cavolo ho accettato?... l’hai fatto per far capire a tutti che ti sei dimenticata definitivamente di Castiel… sì, ma lui? sono sicura che non l’ha fatto, ed è per questo che ho paura, dannazione!”. Trasalisco sentendomi afferrare la mano, guardo verso destra e incrocio gli affascinanti occhi di Viktor, ma questi non mi aiutano a calmarmi. Il moro non mi ha mai resa calma, al contrario, mi fa stare sempre allerta e mi fa sentire eternamente imbarazzata.
“Se solo Kim fosse arrivata!”
<< Andiamo? >> mi sussurra Viktor, sorridente.
“Perché diavolo stai ridendo? Dovresti sentirti anche tu in questa maniera. Tu sei il primo a non essere il benvenuto!... ma sì, tanto  che ti frega? Lo fai apposta per stuzzicare il can che dorme. A proposito di cane, non vedo Demon, dove l’avrà nascosto?... che centra adesso quel cagnaccio? Non iniziare a trovare scuse per non entrare!... prima o poi dovrò smetterla di avere discussioni solitarie con la mia mente”. Tiro un profondo respiro e inizio ad inoltrarmi nella casa de nemico. Non appena metto piede in casa, la figura sempre molto impeccabile di Rosalya mi piomba addosso ringraziandomi per essere venuta. Lascio la mano del moro e lei dopo averlo guardato in cagnesco, mi allontana da lui.
<< C-cosa c’è? >> le chiedo incuriosita.
<< Perché hai portato anche lui? >> ribatte imbronciata.
<< Rosa, non potevo lasciarlo solo? È nuovo del posto… >>
<< Ma sai che Castiel non sarà affatto contento? >> mi interrompe guardandomi con occhi sgranati.
“Che scoperta!” << N-non mi importa >> rispondo con insicurezza. Rosa a dispetto mi fa una linguaccia. Io sorrido, non sapendo come altro reagire. Mi guardo intorno inconsapevolmente, e so già il mio istinto cosa vuole, scorgere la figura di Castiel.
Rivedere tutti quei posti, mi rendo conto che non è cambiato molto, e quindi i ricordi sono ancora vividi.
<< Un anno dopo la tua partenza… >> inizia a raccontare Rosalya senza che io gliel’abbia chiesto, attirando ugualmente la mia attenzione << tutti i ragazzi che Castiel ospitava, sono andati via per lavoro. Cass a quel punto ha voluto lasciare questa casa ed è partito anche lui nel paese dov’è suo padre per aiutarlo in azienda. Ci riunivamo tutti qui in estate, e lui non ha voluto cambiare assolutamente niente di questa casa. Quando gli chiedevamo il perché lui rispondeva che i ricordi non si possono cambiare >> mi guarda negli occhi come per farmi capire qualcosa. Io distolgo subito lo sguardo e cerco di cambiare ragionamento.
<< Avete trovato tutti un lavoro? >> chiedo. Rosa mi guarda male e non mi risponde. Volgo lo sguardo da un’altra parte, e subito vedo Viktor, di fronte Castiel che stanno parlando. L’inspiegabile paura, inizia a bussare al mio cuore e senza accorgermene, sono vicino a Viktor e lo tiro verso di me per allontanarlo dall’ex rosso.
<< Che stai facendo? >> mi chiede lui.
<< Ti prego, se è vero che mi vuoi bene, sta lontano da Castiel stasera >> sussurro a denti stretti cercando di fermare il tremito.
<< Non preoccuparti, non ho intenzione di litigare con nessuno, tantomeno con quel bulletto. Sai è venuto a chiedermi se volevo unirmi con lui e quell’altro dagli occhi eterocromatici per una partita a bigliardo >>
<< Cosa? >> rimango allibita. “Che significa? Cos’ha intenzione di fare?” << Tu rimanigli comunque lontano >> continuo decisa. Viktor sbuffa un sorriso poi mi afferra dai fianchi avvolgendomeli con la sua forte presa, provo ad allontanarmi ma so che è inutile.
Sento un rumore provenire dalla parte delle finestre e scorgo le figure di Castiel e Lysandro uscire nel giardino. Guardo quella parte alquanto malinconica.
La serata prosegue tranquilla, troppo tranquilla per i miei gusti, ma so che presto succederà qualcosa, me lo sento sulla pelle, ho un’ansia che sorpassa tutte le altre peggiori emozioni. Devo distrarmi ma non so come. Istintivamente, mi dirigo al piano bar. So che non è una buona idea, e che anni fa, promisi a me stessa di non dover toccare più un bicchiere di quelle diavolerie, ma sento la gola secca. Mi riempio un bicchiere di una bevanda che sicuramente è analcolica e la bevo tutta di un fiato. Mi appoggio al bancone guardandomi intorno. Sembrano tutti divertirsi. E per un secondo mi sento meglio.
Quel secondo, però, dura di meno del suo vero tempo perché accanto a me, sento un forte rumore provenire dal bancone. Mi giro di scatto, e vedo Castiel di profilo, appoggiato al bancone con in mano un bicchierino pieno. L’odore e forte, e sembra essere vodka. Ritorno a guardare davanti a me, facendo finta di niente, ma il mio cuore inizia a martellare. Non resisto, non posso stare accanto a lui e comportarmi in quella maniera. Mi distacco e mi accingo ad andarmene.
Un forte dolore al petto, penetra le mie carni, fino a raggiungere il tessuto cardiaco, il quale manca un colpo, nel momento in cui mi sono sentita afferrare il polso. Mi fermo, cercando di guardarmi indietro ma non ho la forza di farlo, non voglio incrociare i suoi occhi.
<< è soltanto questo che sai fare? >> chiede l’artefice di quella situazione << Vuoi ancora scappare come una codarda? >>
Non rispondo, cerco di ritrarre la mano ma non riesco a farlo perché la sua presa stringe e mi sta facendo male.
<< Lasciami >> sibilo non riuscendo io stessa a sentire la mia voce. Mi sento tirare, e subito mi ritrovo a camminare dietro di lui, ci stiamo dirigendo in giardino. La musica si fa più flebile fino a dare posto al verso dei grilli. Mi fanno male i piedi. Durante il tragitto ho preso una storta e non mi sono fermata.
<< Lasciami Castiel >> mormoro a denti stretti sforzandomi dal dolore. Lui si volta e mi guarda dalla testa ai piedi, si accorge subito che qualcosa non va e mi dice di sedermi su una panchina. Obbedisco senza esitazione, poi lui si inginocchia davanti a me e mi sfila la scarpa, iniziando a massaggiare la caviglia. Il suo tatto brucia, e quel bruciore pervade il mio corpo di desideri assopiti per lungo tempo. Sento di arrossire, così mi chino verso di lui per allontanare la sua presa.
<< Lasica stare… non è niente >> sussurro con voce tremante. Lui guarda la mia mano e lasciatami la caviglia, mi afferra il polso. Sobbalzo ancora facendomi indietro.
<< Lo hai fatto un’altra volta >> afferma lui guardandomi la mano.
<< C-cosa? >>
<< Stai tremando… perché? >> chiede volgendomi i suoi occhi luminosi. Lo guardo angosciata, e sento il bisogno di scoppiare a piangere. “perché fai cosi? Lasciami stare, non mi toccare”. Ad un tratto ho una reazione istintiva. Mi alzo ritraendo la mano e afferrata la scarpa inizio ad incamminarmi, lasciandomelo alle spalle.
<< Rea, dove vai? >> mi chiede riafferrandomi il polso e facendomi fermare. Non mi giro.
<< Castiel, ti prego… >> esclamo con voce tremante << Lasciami andare >>
<< Ti ho permesso di andare una volta, e dopo tre anni non riesco ancora a capire il motivo della tua fuga >>
<< Lasciami >>
<< Smettila di comportarti da idiota! >> esclama ad un tratto afferrandomi di spalle e voltandomi verso di se << Guardami negli occhi dannazione! Hai avuto il coraggio di andartene e ritornare e adesso ti manca per guardarmi? >>
<< Smettila! >>
<< Non smetto un cazzo! Avresti dovuto immaginarti che non avrei fatto passare questa storia, se tu fossi ritornata >>
<< Perché? Perché vuoi ancora farmi del male? >>
<< Ma che stai dicendo? >>
<< Ti detesto Castiel! >> esclamo guardandolo negli occhi e dimenandomi bruscamente per liberarmi dalla sua presa. << Come puoi essere così freddo e cinico? Dopo tre anni continui a far finta di niente! Perché non provi a spolverare la tua memoria e non ricordi cosa successe quella sera di pasqua di tre anni fa? >>
I suoi occhi si specchiano nel vuoto per dar posto alla mente che inizia a riordinare i suoi ricordi, mi guarda smarrito.
<< Non dirmi che non hai mai avuto dubbi sul mio comportamento?... oppure devo rinfrescarti la memoria, nominandoti Ginevra? >>
Lo vedo spalancare gli occhi come se folgorato, intuisco che sta iniziando a capire.
<< T-tu ci sentisti? >> mi chiede balbettando con voce rauca che percepisco anche spaventata.
<< E non solo!... che bella coppia formavate. E che bel bacio… >> mi fermo applaudendo << Ti dovevano mancare quelle labbra, dato che era l’unica che ti faceva godere pienamente… che stupida sono stata, Castiel >> continuo con voce di pianto << in fondo dovevo capirlo dall’inizio che per te non sono stata altro che un gioco. Ma adesso è finito tutto… >>
<< No >>
<< Sì, invece. Potevo anche perdonarti all’epoca per il tradimento… ma vedo che continui a nascondere la verità facendo finta di niente >>
<< Quale verità? >>
<< Ma come? Non hai capito che non solo vidi, ma sentii tutto il ragionamento?... perché non l’hai ancora accontentata? Perché non l’hai sposata? >>
<< Sta zitta! >>
<< Perché non mi hai detto fin dall’inizio del bambino!? >> urlo non riuscendo a fermare le lacrime. Lui mi afferra le spalle e mi spinge verso dietro.
<< Sei una stupida, idiota! >> esclama cercando di baciarmi. Io mi divincolo dicendo di non farlo. << perché non devo? Pensi che continuerò a vederti attaccata a quel pezzo di merda che ti sei portata dietro? Non sopporto come ti guarda e come ti tocca >>
<< Smettila, Castiel, non stiamo più insieme >>
<< Mi dispiace mia cara, adesso che sei qui, non ti lascerò andare così facilmente, e se pensi che un idiota qualsiasi ti possa portare via da me, senza che io faccia niente, hai fatto male i tuoi conti >>. Detto questo mi bacia con forza. Non riesco ad allontanarlo. Le fiamme che invadevano il mio corpo nei sogni adesso si stanno facendo realtà. Piango e quelle lacrime fanno ancora più male delle altre. Raccolgo tutte le forze per respingerlo, ma lui è più forte.
<< Che sta succedendo!? >> esclama una voce dietro di noi. Ci fermiamo. Castiel si volta per primo e sbuffa un sorriso strafottente, mi allungo per vedere anch’io di chi si tratta: è Viktor, che guarda l’ex rosso con occhi fulminei.
La paura ritorna a bussare alla porta del mio cuore, mi distacco da Castiel e raggiungo, zoppicante il moro.
<< Non è niente, Vick >> dico sorridendo per far calmare le acque che si stanno agitando con il passare dei secondi.
<< Tzé! >> sento Castiel << Vick… smettila di chiamarlo così, mi da ai nervi >>
<< Che cosa ti ha fatto, Rea? stai bene? >> chiede Viktor accarezzandomi il viso e avvicinandosi più a me.
<< Ehi!? >> esclama ancora Castiel, verso Viktor << odio vedere le mie cose, manomesse da fottuti estranei. È la prima e l’ultima volta che ti avviso: toglile le mani di dosso! >>
Mi volto per guardare la sua espressione, non è la solita beffarda. I suoi occhi incutono paura e questa mi sta divorando a poco a poco. Tremo non riuscendo a controllarmi.
<< V-Viktor, a-andiamo via >> balbetto sentendo i denti scontrarsi ritmicamente. Viktor mi afferra dalle spalle, lo vedo sorridere.
“Che intenzioni hai? Perché stai ridendo?”. Capisco al volo cosa vuole fare il moro. Sgrano gli occhi non riuscendo a impedire le sue mosse, lui si avvicina al mio viso << No >> sussurrò con voce muta.
Viktor poggia le sue labbra sulle mie, le sento spudorate oltre all’amaro della sfida che hanno voluto lanciare al minaccioso avvertimento dell’ex rosso.
Chiudo gli occhi aspettando la reazione che si nascondeva da ore dietro la mia ansia. Desidero sprofondare nella sabbia e morire soffocata, quando finalmente sento l’inaspettato peggio: vengo afferrata da un braccio, e le mie labbra si distaccano da quelle di Viktor, non apro gli occhi, ma capisco benissimo di essere stata scaraventata a terra, perché sento un forte dolore spiazzarmi le gambe e le braccia.
Un colpo secco mi fa riaprire gli occhi che poggio subito sulla scena.
<< No! >> è l’unica parola che esce dalla mia gola soffocata dai singhiozzi del pianto.

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Capitolo 41
*** Il rosso per ricordare ***


41° capitolo: IL ROSSO PER RICORDARE
 
 


Un colpo, un altro, un altro ancora, Castiel sembra impazzito mentre scazzotta la faccia di Viktor, il quale non accenna a volersi difendere. Continuo ad urlare di fermarsi, ma Castiel non mi sente, cerco di rialzarmi, e barcollo verso di loro per dividerli. Nessuno dei ragazzi, in casa, riesce a sentirci, la musica e troppo alta, e le finestre sono coperte da enormi tende.
<< Castiel, fermati ti prego! >> urlo soffocata dal pianto. L'ex rosso non mi sente, sembra posseduto da una forza oscura che gli ha accecato la ragione. Quei colpi che toccano violentemente l'ormai provata epidermide di Viktor, mi fanno senso, il loro rumore mi è insopportabile. Porto le mani alle orecchie urlandogli di finirla, scorgo il viso insanguinato di Viktor, e come se comandata automaticamente dai miei sensi mi avvicino alle spalle di Castiel e cerco di bloccargli le braccia.
Al mio tocco, questo sembra calmarsi, non faccio in tempo ad assicurarmene che sento un altro colpo, Castiel fa due passi indietro venendomi addosso, e non avendo il giusto equilibrio con il tacco, inciampo all'indietro, vedendo Castiel che si è voltato verso di me e mi guarda spaventato, poi velocemente, il cielo stellato passa alla mia vista e un forte dolore tra la nuca e il cranio mi pervade facendomi vedere tutto intorno strano.
<< Rea... >> una voce quasi ovattata.
I miei occhi vagano autonomi in cerca di una forma nitida che non c'è, poi il buio.
 
 
Dicono che prima di morire, la persona, a cui la morte ha deciso di far visita, sogna un suo parente morto da tempo. Cazzate! A questo punto avrei dovuto sognare la mia amatissima nonna. E invece l'unica cosa che il mio inconscio ha macchinato, durante le notti passate, è stato un ritorno di fiamma con Castiel. Ma forse questo significa che il nostro amore morto tre anni fa, era una cosa a cui ci tenevo molto, l'ho sognato come preavviso della mia morte?
Ma... Dov'è allora quel lungo tunnel con in fondo uno spiraglio di luce accecante che ti fa ritrovare la pace? Qui intorno a me è tutto buio. Non vedo niente. Non sento niente. So di avere gli occhi aperti, ma la luce non li abbaglia, le forme non si disegnano davanti ad essi. A poco a poco, mi sto rendendo conto che non riesco a sentire neanche il mio corpo, e non riesco a provare niente. Come al solito parlo troppo presto, sento un rumore, sembra essere... vento. Sì, non ho dubbi, e lui, e sta venendo verso di me, portando con se un odore mai sentito prima. Si poggia su di me, ed è in questo momento che ritorno a sentire il mio corpo. Anche se non riesco a vedere niente, mi sento bene, mi sento al sicuro sotto il suo trasparente e fresco tocco. L'inspiegabile ma buonissimo odore, mi inebria la mente liberandola da ogni pensiero. Sento ad un tratto un vuoto, che non mi incute nessun tipo di emozione. Ma cosa significa questa parola? Odo delle voci, di chi saranno?... ma, io... chi sono?
Il buio di dissolve a poco a poco. La luce compare, abbagliante, mi fa male la testa. Sento le palpebre aprirsi e chiudersi scattando delle immagini sfocate che non riesco a distinguere. Una voce, lontana quasi ovattata dice << La v... que... …ce …ina... >>.
Non capisco. Che cosa sta dicendo? Vedo un puntino più luminoso occupare la mia orrenda visuale, compare e scompare. I miei occhi rimangono fissi su un punto aspettando ansiosi il ricomparire della luce. Mi sento stanca. Quel tipo di visuale ha appesantito le mie palpebre. Rivedo il buio, e mi sento ancora più confusa. Percepisco dei rumori, che, repentini hanno rotto il silenzio artefice della pace e spensieratezza. Sono delle voci, un miscuglio di toni incomprensibili. Voglio allontanarmi da tutto questo, e cerco tra il vuoto quel vento setato e il suo sublime profumo. Non ci sono, non riesco a trovarli. Quel vuoto che mi dava spensieratezza, adesso sta scatenando qualcosa dentro di me che non riesco a descrivere. Tutt'ad un tratto sento caldo. Una forza indescrivibile cerca di prendere il sopravvento su quello stato di paralisi che possiede il mio corpo. Sento le palpebre dischiudersi e il grande sforzo che mi porta questa forza rende la mia parte posteriore un forno. Il caldo mi sta invadendo e ciò fa scaturire la percezione di alcuni sensi assopiti. Riconosco il rumore del mio respiro, il tatto del corpo poggiato su un fondo ne troppo morbido e ne troppo cinereo. Rivedo quel puntino di luce non troppo nitida ma riesco a percepire il suo movimento e questa volta non me la lascio scappare, la seguo con lo sguardo e mi accorgo che oscilla a destra e a sinistra, poi finalmente anche l'udito riprende il suo normale lavoro.
<< Bene, signorina, segua la luce >>
Obbedisco come una bambina alle elementari.
<< Può dirmi come si chiama? >> chiede la macchia sfocata davanti a me. Provo a stringere le palpebre cercando di mettere a fuoco, ma non ci riesco.
<< Signorina ha sentito?... può dirmi il suo nome? >>
Non rispondo, non riesco a parlare, non riesco a vedere, mi sento stanca, richiudo gli occhi senza addormentarmi. Il mio nome?... vorrei tanto saperlo anche io.
Rimango sveglia, e anche se un po’ confusa riesco a sentire una voce che mi sembra famigliare che esclama:
<< Che significa che ha perso la memoria? >>
<< Purtroppo ciò è dipeso dal trauma celebrale, causato dal colpo che ha avuto battendo contro lo spigolo della panchina >>
“Ma che stanno dicendo? stanno parlando di me? Panchina, quale panchina?”. Ho un sussulto al cuore, e subito una specie di flashback: rumori di colpi, e una spinta. Riapro gli occhi e cerco di far sentire la mia voce. Mi sento ovattata, spalanco di più gli occhi cercando di vedere meglio. La macchia ritorna su di me e mi tocca il viso.
<< N-non… ricordo… >> balbetto speranzosa che quelle povere parole le abbiano sentite. << Ho… caldo… >>. Accanto alla macchia, ne compare un’altra, la guardo confusa. Quest’ultima sta parlando e mi concentro, per capire cosa sta dicendo.
<< Rea, piccola mia… non preoccuparti, tutto si risolverà >>
“Ha detto Rea… devo essere io”
<< N-non vedo… bene >> riprendo. Quella luce ritorna a invadere le mie iridi, e mi ritrovo di nuovo a seguirla, poi scompare e una voce che dice:
<< Ha solo bisogno dei suoi occhiali >>
Il dolore alla testa torna di nuovo a farmi visita, chiudo gli occhi e questa volta mi addormento per davvero.
 
 
Il buio e il vuoto, sono di nuovo protagonisti della mia visuale. Solo una voce lontana li accompagna. A poco a poco si avvicina e riesco a sentire ciò che dice.
<< Ti stai vendicando di me, non è vero? Per ciò che ho fatto?... idiota e cocciuta, per quale motivo reagisti in questo modo? Dovevi affrontarmi, invece di scappare… che idiota che sono, ho sbagliato io. Ho sbagliato tutto fin dall’inizio. Avrei dovuto parlartene, e quella sera, non avrei dovuto fare quel gesto. Perdonami amore mio… è a causa mia se ti trovi in questo stato. Non riesco ancora a credere che ti ho persa e ora definitivamente. Ti prego Rea, torna da me… quel bambino, quel bambino… >>
Silenzio. Solo la parola bambino, continua a rimbombarmi nelle orecchie. Mi dice qualcosa ma non ricordo cosa. Sforzo le meningi cercando uno spiraglio di rimembranza, e di nuovo un sussulto, poi ancora un flashback. Una risata sguaiata, un bacio che mi fa stare male e la frase “è anche sangue tuo”.
Riapro gli occhi e subito li richiudo accecata da un forte fascio di luce.
Mi rendo conto che i miei movimenti sono ritornati a far parte del mio corpo, istintivamente, mi porto una mano agli occhi e una voce riecheggia nell’aria.
<< Ti sei svegliata, finalmente >>
<< No-non vedo bene >> sussurro con voce rauca.
<< Aspetta… >>. Mi sento sollevare la mano dal viso, e aprendo gli occhi vedo una figura di fronte a me, che mi avvicina qualcosa. In un battito di ciglia, torno a vedere bene, e confusa, cerco di capire o almeno di ricordare chi si trova davanti a me. Lo squadro attentamente. È un ragazzo molto affascinante, con i capelli scuri e un bel colore di occhi che somigliano a due pepite d’oro. Mi sorride.
<< Chi sei? >> chiedo con un sibilo. Lui ritrae il sorriso e lo vedo sedersi accanto a me sul letto.
<< Ma… Rea, allora il dottore non mentiva. Non ti ricordi di me? >>
Scuoto la testa.
<< Sono Vick, Viktor… ti ricordi? >>
<< N-non lo so >> mormoro portandomi la mano alla testa e toccando qualcosa di ruvido, deve essere una garza << Mi sento confusa… >>. Guardo il ragazzo che mi rivolge uno sguardo un po’ esitante, poi sorride e afferratami la mano, mi accarezza dicendo << ma come, ti sei dimenticata del nostro amore? Come hai potuto Rea? >>
Lo guardo smarrita, “amore?”.
<< Non ti preoccupare >> riprende lui accarezzandomi il viso << il dottore ha detto che la tua amnesia è una cosa passeggera, presto ritornerai a ricordare tutto. Anche i bei momenti passati insieme >>
<< Eri tu che mi parlavi? >> chiedo, decisa a ricollegare tutto. Lui mi guarda allibito poi esitante risponde:
<< S-sì. Hai sentito quello che ti ho detto? >>
<< Dicevi che avevi sbagliato tutto, e che non volevi perdermi, poi mi parlavi di un bambino >>
Il ragazzo volge lo sguardo da un’altra parte. Lo guardo curiosa.
<< Quale bambino? >> chiedo.
Ritorna a guardarmi e mi sorride. << Non sforzare la tua mente, non cercare di ricordare tutto adesso, con il tempo capirai >>
<< Spiegami, ti prego… sento di impazzire… non ricordo nulla >> sussurro a denti stretti sentendomi nervosa. Lui prende la mia mano e mi stampa un bacio sul dorso.
<< Calmati Rea, e cerca di ricordare soltanto che ci siamo amati tantissimo, e che ritorneremo ad amarci. Riposati adesso, io vado. Ci vediamo domani >>. Si alza e avvicinato il suo viso al mio, mi sfiora le labbra con le sue. Glielo permetto, non capendo il perché di tanta fiducia. Rimango sola, e mi guardo intorno, la finestra riflette luce del tramonto, rimango a guardarlo incantata, e quell’arancione che sembra quasi rosso penetra nei miei occhi. Quel colore mi riporta un altro flashback: un lago al tramonto e la siluette di un ragazzo che mi guarda. Chiudo gli occhi capendo che solo in questa maniera la memoria si schiarisce. Così, mi ritorna in mente un colore: il rosso.
 
 
I giorni passano in fretta, durante i quali sono riuscita a poco a poco a ricordare. Ho riconosciuto Michelle, che mi ha riportato ai ricordi della mia infanzia, facendomi rimembrare anche che ho due genitori eternamente assenti e che non hanno potuto lasciare il loro lavoro, ché si trovano troppo lontano per raggiungermi in fretta, così si informano della mia salute tramite cellulare. L’unica cosa che mi rende ancora confusa, è il ricordo di quel Viktor che afferma di essere il mio fidanzato. Anche se le sue visite mi hanno aiutata a collegare molti fatti, una cosa continua a bloccare la mia memoria, più che una cosa, è quel colore che da tempo mi ossessiona. Non ne ho parlato con nessuno, neanche con il medico, ma alla fine sento il bisogno di dirlo a qualcuno e quel qualcuno è mia zia, l’unica di cui riesco a fidarmi.
<< Zia, è vero che sono stata fidanzata? >>
<< Certo, e con uno schianto di ragazzo >> risponde lei sorridendo, intenta ad aggiustare il vaso dei fiori.
<< E perché l’ho lasciato? >>
<< Perché?... questo ti sta da lezione! >> mi esclama << non posso dirtelo semplicemente perché non lo so, non me lo hai mai voluto dire. Te ne andasti da questo paese come una fuggiasca, senza dare spiegazioni… imbecille che non sei altro!... lo ami ancora e fai la testarda >>
<< Cosa ne sai tu, se lo amo sì o no? >>
<< Lo so, lo so! Vuoi che ti dica anche che ci sono state notti in cui lo chiamavi? >>
<< Non ricordo >>
<< Presto ti rinfrescherai la memoria, non ti preoccupare… ricordati al più presto di lui, l’hai fatto soffrire tanto. Certo, hai sofferto anche tu, ma lui ti ama ancora >>
<< Lo so >> rispondo volgendo lo sguardo verso la finestra << Me lo ha detto >>
<< A sì? >> chiede mia zia allibita << e quando? >>
<< Quando viene a trovarmi, mi parla sempre delle giornate passate insieme. Io a poco a poco provo a ricollegare tutto… ma ammetto che è un po’ difficile. L’unica cosa che si collega a quel tipo di ricordo è il colore rosso >>
<< Ma è venuto veramente a trovarti? Io so che è molto impegnato con la scuola. Venne solo una volta e tu stavi dormendo, era di sera >>
<< Me l’ha detto. Ed è per questo che viene di sera, mi sa che arriverà tra un po’ >> affermo sorridendo. Guardo mia zia e noto che ha un’espressione un po’ allibita. Fa spallucce e ritorna ad aggiustare i fiori.
Dopo un po’ sentiamo bussare alla porta.
<< Deve essere lui… >> mormoro sorridendo. Michelle si reca alla porta per andare ad aprire.
<< Ora dovrà spiegarmi >> dice appoggiando la mano sulla maniglia e abbassandola per aprire << Ehi Ca… >>. Si blocca nel vedere la persona che è comparsa da dietro la porta.
<< Zia fallo entrare, non lo vedi? È Viktor, il mio ragazzo >> esclamo aggiustandomi sul letto. Michelle si gira di scatto per guardarmi e i suoi occhi si sono fatti vitrei.
<< C-come? >> chiede balbettando.
<< Entra Vick >> dico senza dare importanza all’atteggiamento di mia zia. Il ragazzo entra sorridendo e avvicinatosi a me mi afferra una mano sfiorandola con le sue labbra.
<< Come si sente oggi il mio dolce amore? >> chiede con occhi sensuali.
<< Non posso lamentarmi >> rispondo offrendo le mie labbra. Lui mi guarda scettico.
<< Che significa? >> chiede allibito.
<< Siamo fidanzati no? Zia Michelle mi ha dato la conferma… anche se non riesco a ricordare tutto, ho voglia di sentirmi felice >> sorrido.
Viktor mi guarda con una sopracciglia alzata, poi si volge verso mia zia che lo fulmina con gli occhi, lui sbuffa un sorriso e poi avvicina la sua bocca alla mia.
<< Non farlo! >> interviene Michelle interrompendo il bacio mai dato. Io la guardo incuriosita, poi si volta anche Viktor.
<< Che cavolo stai facendo? >> chiede mia zia al moro con voce rude.
<< Bacio la mia ragazza >> risponde lui indifferente.
<< Che intenzioni hai? >> ribatte Michelle stringendo i pugni e iniziando a tremare di rabbia.
<< Nessuna >>
<< Viktor, la stai in… >>
<< Michelle! >> la interrompe il ragazzo alzandosi e andandole incontro << Rea, ha detto che vuole sentirsi felice, e la felicità la sta ritrovando con me… che intenzioni hai tu?... non hai sentito anche il dottore? È stato categorico. Non dobbiamo assolutamente portarla in uno stato confusionale. Il trauma anche se lieve, è ancora vivido. Vuoi per caso che le succeda qualcosa? >>
Non riesco a capire cosa si stanno dicendo. So solo che lo sguardo che alberga sugli occhi di mia zia, non è quello di una semplice amica. Zia, guarda Viktor in modo brutale e un po’ spaventato.
<< Che cosa le stai facendo? >> chiede con voce tremante << Se lo verrà a sapere Cas… >>
<< Non potrà farmi un bel niente! >> esclama Viktor interrompendola << d'altronde è tutta colpa sua se la mia Rea si trova in queste condizioni… >>
Dopo quella frase ha sussurrato qualcosa, e non sono riescita a capire cosa. Michelle ha peggiorato sguardo e a denti stretti la odo dire << non finirà così, non la passerai liscia >> poi si reca alla porta e se ne va.
<< Zia, aspetta, dove vai? >>
Viktor ritorna vicino a me con un sorriso libero da ogni altra emozione.
<< Ma di cosa stavate parlando? >> chiedo curiosa << chi è la persona che mi ha fatto questo? >>
Viktor mi stampa un bacio sulle labbra e sussurra guardandomi negli occhi << è un ragazzo da cui dovrai stare alla larga >>.

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Capitolo 42
*** Incomprensibili avvertimenti ***


42° capitolo: INCOMPRENSIBILI AVVERTIMENTI
 
 
Non sono riuscita a chiudere occhio, stanotte. Ogni volta che provavo ad addormentarmi, un indescrivibile incubo mi assillava mente. Ho provato ad alzarmi dal letto, ma appena ho messo piede a terra, le vertigini mi hanno assalita. Mi sono distesa un’altra volta, e guardando il cielo stellato riflesso sulla finestra, ho ripensato a ciò che mi ha detto Viktor.
Ha parlato di un ragazzo che è stato la causa del mio incidente, aggiungendo che devo stargli lontano. Perché? Cos’è successo veramente. Maledizione, non riesco a ricordarmi tutto. Ogni volta che ci provo, si intromette questo dannato dolore alla testa e mi sento più confusa di prima.
Ho chiuso gli occhi cercando di pensare a qualcosa che potrebbe portarmi altri flashback, l’unica cosa che vedo è ancora quel colore rosso, che prima si riflette in fiamme che non bruciano, bensì mi inondano di piacere, poi, pian piano, si tramutano in fluido e nel guardarlo mi sembra sangue.
Ho riaperto velocemente gli occhi sentendomi pervasa da uno stato d’ansia. Cos’ho che non va? Perché mi sta succedendo questo. Ho voluto ricordare, ma non ci sono riuscita. Viktor mi aveva detto che ci siamo amati alla follia, perché allora ho sentito il vuoto dentro il mio cuore?
Ho guardato intensamente la luna piena che sembrava sorridermi e, quando le mie iridi l’hanno memorizzata nella mia mente, subito un altro flashback è comparso: delle lacrime, uno dolore al petto, l’acqua fredda e scura e una luce che scompare in essa.
Sono trasalita, e mi sono sentita male. Ho cercato di rialzarmi dal letto, e non ho voluto fermarmi davanti alle vertigini. Appoggiandomi alla parete sono riuscita ad arrivare alla finestra, l’ho aperta e ho permesso all’aria fresca di passare sul mio corpo e inondare tutta la stanza. Ho chiuso gli occhi respirando a pieni polmoni.
Sono rimasta così per non so quanto tempo, poi finalmente la pesantezza agli occhi si è fatta sentire. Ho chiuso la finestra, e lentamente, facendo attenzione a non cadere sono ritornata a letto. Ho richiuso gli occhi, ma il sonno non è stato quello che mi aspettavo.
Quando mi sono destata, la luce del sole illuminava la stanza, e la signora delle pulizie era entrata per svolgere il suo lavoro.
<< Oh, mi dispiace signorina, vi ho svegliata? >> mi chiede dispiaciuta. Accenno un sorriso scuotendo la testa e aggiungendo << Non si preoccupi signora >>
<< Allora, visto che è sveglia, posso farlo entrare? >> chiede ancora. La guardo incuriosita.
<< Come scusi? >>
<< C’è un ragazzo fuori, è qui dalle sei e mezza. Non l’hanno fatto entrare perché non è orario di visita, ma mi ha detto che è una cosa urgente, e io gli ho risposto che l’avrei avvisato se si fosse svegliata >>
<< H-ha detto che è urgente? >> chiedo incuriosita. La donna annuisce, << Allora lo faccia entrare >> dico senza esitare.
La signora esce e dopo qualche minuto, sento bussare alla porta, do il permesso per entrare e non appena la porta si apre, compare un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi grigi, che mi guarda tanto allarmato, quanto malinconico.
Ho come un sussulto al cuore, dopo averlo visto, e non riesco a spiegarmi il perché. Lui continua a guardarmi quasi con preghiera. Non so cosa dirgli, dato che non riesco a ricordarmi di lui, ma sono sicura che mi conosce, che CI conosciamo, data la sua espressione, e il mio inizio di tachicardia.
<< C-chi sei? >> provo a chiedere. Come risposta lo vedo trasalire ed è come se un’affilatissima spada, gli abbia trafitto il petto.
<< S-scusami >> continuo portandomi le dita alla tempia e premendo la benda contro l’epidermide << … ma non riesco a ricordarmi niente >>
<< Non sforzarti >> sussurra lui, lo vedo sorridere malinconico, si sta avvicinando a me.
<< Come ti chiami? >>
<< Davvero non lo ricordi? >> chiede. Scuoto la testa, non volendo sforzare ancora le mie provate meningi. << Sono Castiel >> risponde quasi con un sibilo.
Allibisco dopo aver sentito quel nome che mi rimbomba nelle orecchie facendomi dolere la testa.
<< Cos’hai Rea? >> chiede preoccupato sedendosi sul letto.
<< La testa, mi fa male… >>
<< Ricordi qualcosa? >>. Scuoto ancora la testa stringendo gli occhi per un forte lampo che mi ha folgorato la mente e rivedo in quel buio di nuovo il colore rosso.
<< Sta calma, ti prego, non ti sforzare >> dice dolcemente afferrandomi la mano e distaccandomela dalla tempia, quel tocco e così bollente che mi fa fremere. Lo sento così famigliare, che non riesco a respingerlo.
<< Siamo amici? >> chiedo, guardandolo negli occhi. Lui sorride, accarezzandomi il dorso della mano. I suoi occhi diventano lucidi da far sembrare le iridi due perfetti diamanti. Sento di perdermi in quello sguardo, che lui pian piano distoglie.
<< Siamo molto più che amici. Almeno un tempo lo siamo stati… se non ti fosse successo quest’assurdo incidente, sta sicura che ti avrei ripresa >>
Non riesco a comprendere le sue parole, ma mi stanno penetrando nel cuore riempiendolo di un’emozione indescrivibile.
<< Ma, centri qualcosa con Viktor? >> chiedo ancora. Lui ritorna a guardarmi con occhi duri.
<< Quel bastardo >> sibila a denti stretti << Rea, Michelle mi ha detto che ti ha fatto credere di essere il tuo fidanzato >>
<< Non mi ha fatto credere, me l’ha confermato. Alcuni momenti che sono riuscita a ricordare, si collegano a ciò che mi dice >>
<< Quali? >> mi chiede tanto allarmato quanto infastidito.
<< Beh, che tre anni fa l’ho lasciato perché aveva baciato un’altra >>
<< Te l’ha detto lui? >>
<< No, sono stata io a dirglielo, e lui me l’ha confermato >>
<< Tzé! >> sbotta alzandosi nervosamente << Sei la solita idiota!... possibile che anche da smemorata, devi essere così ottusa di comprendonio? >>
“Ma che sta dicendo? Come si permette?”
<< è normale che lui abbia confermato! Praticamente gli hai raccontato tutto ciò che abbiamo fatto insieme! Sono io il tuo ragazzo, non lui!... sono stato io a baciare quella ragazza tre anni fa >>
<< Ma cosa dici? >> chiedo ancora più confusa e sentendo un’altra volta il dolore alla testa.
<< Ciò che hai sentito! Cerca di ricordare, Rea!... maledizione non può finire così >>
<< Mi sta facendo male la testa >> dico sforzandomi dal dolore.
<< Un momento >> esclama ad un tratto, avvicinandosi di nuovo a me << … questo significa che hai accettato di essere la sua ragazza? >>
<< Sì, me l’ha confermato anche mia zia, dicendo che ero fidanzata, e poi lui mi ha baciata, e come potevo non crederci? >>
<< Cos’ha fatto?! >> chiede incazzato. Mi afferra dalle spalle << L’ha rifatto un’altra volta? Quel pezzo di merda, a quanto pare non gli è bastata la lezione… stammi a sentire Rea, non permettergli di baciarti ancora. Tu sei mia, e costi quello che costi, riuscirò a riprenderti. Viktor pagherà molto caro ciò che sta facendo… ti prego solo di una cosa, cerca di ricordarti, di me, per il momento non posso fare altro che questo >>.
Si avvicina lentamente a me e poggia le sue labbra sulle mie. Il mio cuore sussulta selvaggiamente, l’epidermide viene pervasa da brividi di piacere, il dolore alla testa scompare e un miscuglio di flashback scorrono nella mia mente alla velocità della luce. Quando mi riprendo, lo vedo vicino alla porta, pronto per uscire, << Rosso… >> sussurrò confusa, lui si gira e mi guarda curioso.
<< Cosa? >> chiede.
<< Vedo sempre un colore rosso… mi sta ossessionando >>
Lo vedo sorridere, poi se ne va. Rimango sola per molti minuti, poi entra il dottore per visitarmi, mi fa alcune domande, e io rispondo a quelle a cui ho memoria. Lo vedo annuire, chiedo spiegazioni e lui mi risponde che sto migliorando a poco a poco.
“Ma quale migliorare! Non ricordo tutto, e questo mi fa impazzire”.
<< Non deve cercare di sforzarsi per ricordare, mi raccomando, le assicuro che i suoi ricordi verranno da soli >>.
Dopo qualche ora, viene a farmi visita zia Michelle, le riferisco ciò che mi ha detto il dottore e le chiedo di portarmi in giardino, per una passeggiata. Lei acconsente, chiede una sedia a rotelle ad un’infermiera di passaggio e ci rechiamo in giardino.
Inizio a parlarle di quello che è successo, questa mattina e lei mi guarda speranzosa chiedendomi se ho ricordato qualcosa.
<< No, zia… ogni volta che mi accingo a farlo mi fa male la testa e mi sento più confusa di prima >>
<< Maledizione >> la sento imprecare. << Come puoi non ricordarti di Castiel?... del pervertito pittato di rosso? Lo chiamavi sempre così, all’inizio che ti trasferisti qui! Andiamo Rea, fa uno sforzo! >>
<< Il rosso… dannato colore, mi sta facendo impazzire… ah, la testa! >> esclamo portandomi tutte e due le mani alle tempie e stringendomele.
<< No, no… calmati Rea, fa finta che non ti ho detto niente, non sforzarti >>
Sento il bisogno di piangere, e qualche lacrima riesce a scivolarmi dalla guancia. Guardo zia Michelle con aria supplichevole e sussurro tra il pianto << aiutami zia, non ce la faccio più, voglio ricordare >>
<< Sta tranquilla, tesoro mio >> mormora dolcemente abbracciandomi e strofinandomi la spalla.
<< Perché la mia Rea sta piangendo? >> chiede ad un tratto una voce dietro di me. Zia Michelle e la prima a vedere di chi si tratta, e in quel momento la sento tremare. Mi giro anche io incrociando gli occhi ambrati di Viktor.
Mi asciugo velocemente le guance, e trasformo la mia afflitta espressione in sorriso.
<< Sei venuto? Non hai impegni con la scuola? >> chiedo.
<< Ho un po' di tempo libero >> risponde sicuro di se volgendo lo sguardo verso mia zia, e guardandola con aria di sfida.
<< Michelle, non ti dispiace se rimango un po' con la mia Rea da solo? >>
Vedo zia Michelle contrariata, ma risponde << certo, approfittane finché puoi >>.
Zia si allontana e Viktor e io, rimaniamo da soli. Lui afferra le maniglie della sedia, e inizia ad incamminarsi verso una panchina. Si siede di fronte a me, e sorridendomi, si avvicina lentamente intento a darmi un bacio. Mi ritraggo, senza capire il  perché sto seguendo l'avvertimento del ragazzo di stamattina. Viktor mi guarda curioso, ma non mi chiede spiegazioni. Ritorna dritto, e inizia a parlare fissandomi sottocchio.
<< L'infermiera mi ha detto che oltre a tua zia, oggi hai avuto un'altra visita... >>
Lo guardo, non sapendo cosa rispondergli.
<< Chi era, Rea? >>
<< N-non sono riuscita a riconoscerlo >> rispondo abbassando lo sguardo in senso di colpa. Ma colpa di cosa? In fondo è vero che non l'ho riconosciuto!
Torno a guardarlo, e accenno un sorriso.
<< Ma, almeno ti avrà detto come si chiama? >>
Sospiro annuendo, scocciata da quelle domande.
<< Ha detto di chiamarsi Castiel >> dico tutto d'un fiato. Lo guardo negli occhi curiosa di vedere la sua reazione. Sembra sbiancare, ma rimane composto. Mi guarda duramente.
<< Cos'hai? >> chiedo incuriosita.
<< Rea, non permettere più che quel pezzo di merda ti venga a far visita! >> esclama alzandosi di scatto dalla panchina e curvandosi minaccioso su di me. Indietreggio sulla sedia un po' impaurita.
<< Perché? >> chiedo sussurrando, trattenendo la saliva a metà gola.
<< Perché è stato quel ragazzo a ridurti così... Voleva abusare di te, tu gliel'hai impedito e lui ti ha colpita alla testa >>
<< Ma... io... >>
<< Ti prego, Rea, non farmi preoccupare >> aggiunge addolcendo la voce e guardandomi con supplica. Non so cosa dire, sono convinta che quella rivelazione a dir poco scioccante, tra qualche istante, mi regalerà un flashback, e invece, l'unica cosa che la mia mente m'incute, è il ricordo di quel bacio che mi ha sconvolto le emozioni.
L'istinto, mi consiglia di chiudere gli occhi, e offrire le labbra al ragazzo a me di fronte, non ne comprendo il motivo, ma appena, Viktor mi bacia, capisco: il suo bacio, non solo è totalmente diverso da quello del ragazzo di sta mattina, ma non mi da neanche le stesse emozioni dell'altro.
Se Viktor ammette di essere il mio ragazzo, e che quel Castiel è un farabutto, allora, questa prova, cosa mi vuol far capire?
 
Sono passati altri giorni, e il mio cervello non si è sbilanciato più di tanto a ricordare. Nonostante tutto, il dottore, ha permesso di farmi tornare a casa, raccomandandosi sempre di non sforzarmi per far ritornare la memoria, e di riposarmi nel momento in cui la mia mente si stanca.
Però una cosa sono riuscita a ricordarla: so il motivo per il quale sono ritornata in questo paese. È stato dopo aver visto un volpino. Mi sono ricordata dell'offerta della vecchiaccia.
Dio, quanto avrei voluto che la mia mente cancellasse definitivamente il suo ricordo.
Quando l'ho raccontato a zia Michelle, lei è scoppiata a ridere.
<< Ti prego zia, non ridere. Sto rimpiangendo la totale amnesia >>
<< Però, ho un'idea >> interviene lei. << Hai detto che ti sei ricordata di Camille dopo aver visto un cane >>
<< E allora? >>
<< E allora, sarebbe meglio se tornassi a scuola, così quell'ambiente ti aiuterà a ricordare >>
<< Viktor me l'ha vietato, dice che non vuole che stanchi la mia mente >>
<< Viktor è solo un grandissimo ba... mhm! Che rabbia! Approfittatore ipocrita >> impreca andando in cucina e afferrando il cellulare << ma adesso lo aggiusto io >>
<< Che fai? >> chiedo curiosa.
<< Invito a cena tutti i tuoi amici, e con la sorpresa che Castiel ha preparato voglio proprio vedere cos'altro inventerà quel maledetto dinnanzi la tua reazione... Perché la dovrai avere di sicuro per ricordarti, altrimenti ti faccio riavere io la memoria a via di cazzotti sulla testa! >>
La guardo allibita, non riuscendo a capire il significato delle sue parole.
<< Ti consiglio di invitarlo >> mi dice poggiando il cellulare al suo orecchio << altrimenti che festa sarebbe senza i botti >>.
La guardo più allibita di prima.
La sera giunge in fretta, i ragazzi che sono stati invitati mi aiutano a ricordarmi di loro, e a fatica ci riesco.
Viktor mi è sempre vicino, e si comporta un po' stranamente, continuando a ripetermi la stessa frase da ore. << Annulliamo questa cena, ti stancherai di sicuro, e non voglio >>
Non gli faccio notare la sua dubbiosa insistenza, rispondo solo che sto bene e sorrido.
Quando ad un tratto suona il campanello. Guardo la porta, zia Michelle mi chiede di andare ad aprire, avvisando che forse, l'ospite principale ( senza però nominarlo ), è arrivato.
Mi reco alla porta e non appena apro, trasalisco guardando l'immagine della persona a me di fronte. Non riesco a distogliergli lo sguardo, lui mi sorride, e dentro di me sento qualcosa prendere vita. Quel miscuglio di emozioni ritorna a scombussolare la mia mente, inizio a sentirmi confusa e il bisogno ossessivo di ricordare fa tornare il famoso dolore di testa. Faccio due passi indietro, lasciando la maniglia della porta, senza distogliere lo sguardo da quel ragazzo cambiato, e mi porto le mani alle tempie stringendomele verso l'interno e facendo una smorfia di dolore.
Stringo gli occhi cercando di fermare quelle immagini confuse, messe in movimento nella mia mente. Capisco che sto perdendo l'equilibrio, ché le mie gambe stanno tremando non riuscendo a reggersi più. Mi abbandono a quella sensazione, sconfitta da tanta confusione. Sento un grido di spavento, qualcuno che mi chiama, due braccia che mi accolgono e in fine il vuoto.

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Capitolo 43
*** Sotto la pioggia ***


43° capitolo: SOTTO LA PIOGGIA
 
 


È stato solo un mancamento, un semplice mancamento. Sto riaprendo gli occhi e mi accorgo di trovarmi nella mia camera. Sono sola, ma delle voci provenienti oltre la porta, si fanno sentire.
Ricordo bene il motivo per il quale sono svenuta, è stato dopo aver visto Castiel con i capelli rossi. Quel colore che da giorni mi assilla, ora è uscito allo scoperto, e mi ha scombussolato la mente.
Provo ad alzarmi, ma ho le vertigini, chiamo mia zia alzando la voce per farmi sentire, ma mi sento soffocare, allora mi rassegno girandomi su un fianco e cercando di riordinare la mente.
Castiel si è presentato con i capelli tinti di rosso, e delle immagini del passato mi sono ritornate alla mente. Devo riuscire a ricordarle, perché sono sicura che quel ragazzo ha voluto aiutarmi.
Viktor dice che la sera in cui ho perso parte di memoria, è stato a causa di Castiel che, volendo abusare di me, mi ha colpita alla testa dopo essere stato rifiutato. Ma se le cose stanno così, perché nessun altro mi parla di questa versione? Zia Michelle ha anche un astio nei confronti di Viktor. Questo può significare soltanto una cosa, e cioè che uno dei due sta mentendo. Devo assolutamente scoprirlo. Non mi importa di sforzarmi, rivoglio i miei ricordi, costi quello che costi.
Mi metto seduta sul letto, cercando di adattarmi alla situazione di vertigine che ricompare. Quando mi accorgo che riesco a stare in piedi, mi alzo dal letto e lentamente mi dirigo alla porta, apro e sento delle voci abbastanza alterate che discutono al piano di sotto. Mi reco alle scale ma non scendo.
Appoggiatami di spalle al muro, cerco di ascoltare cosa stanno dicendo, sembra che stiano litigando.
<< Sei un maledetto bastardo! >> sembra la voce di Castiel << che cosa le stai facendo credere? >>
<< Niente >> risponde Viktor << sto solo confermando la mia opinione e cioè che Rea sta meglio con me >>
<< Non illuderti, pezzo di merda >>
<< Sta calmo Castiel >> interviene mia zia.
<< Ma non ti rendi conto che sei soltanto un pagliaccio? Ti sei tinto i capelli, cosa volevi ottenere?... l’hai fatta svenire un’altra volta. Rea non sta bene con te. Tu la fai troppo soffrire. Il suo primo sorriso, l’ha ritrovato con me >>
<< Te la farò pagare molto cara Viktor >>
<< Stalle lontano Castiel >> è l’ultima parola che sento dire da Viktor. Poi il silenzio, e dei passi che si fanno più vicini. Capisco che sta salendo qualcuno. Mi distacco dal muro, sapendo che non riuscirei a raggiungere la mia stanza in tempo, e così, mi preparo ad affrontare la persona che a passo lento sale. È Viktor.
Mi guarda trasalendo, e io lo ricambio con un sorriso. Intanto la mia mente sta macchinando qualcosa, il sesto senso dice che devo comportarmi in maniera normale, di non farmi notare dubbiosa. Devo stare al loro stesso gioco facendo attenzione a non contraddirmi.
<< Ti sei ripresa? >> mi chiede con aria preoccupata. Annuisco sorridendo. Sembra che abbia sospirato di sollievo. << Tua zia ha chiamato un’ambulanza, ma vedo che non ce n’è bisogno >>
<< Già, mi sono ripresa, adesso sto bene, è stato solo un mancamento >>
Lui mi guarda dubbioso e allo stesso tempo preoccupato, mentre continua a salire le scale per avvicinarsi più a me.
<< Ma… >> balbetta << ricordi qualcosa o hai ancora amnesia? >>
Lo scruto attentamente prima di rispondere. Noto che la sua fronte e imperlata di sudore, dubito che sia caldo, non siamo in estate, i suoi occhi sono sgranati e ha anche il respiro pesante.
<< Se ti dicessi di sì… >> mormoro senza distogliere i miei occhi dalla sua espressione, che si è fatta peggiore di prima << … la cosa ti spaventerebbe? >>
Viktor distoglie lo sguardo da me, vedo i suoi occhi vagare smarriti, e la sua mano appoggiarsi alla ringhiera per reggersi << P-perché dovrebbe? >>
<< Ah-ah! >> rido << Vick, stavo scherzando, la mia memoria è rimasta sempre la stessa, ricordo solo che tu sei il mio fidanzato, non preoccuparti >> lo vedo più sollevato dopo ciò, questo mi sorride e mi afferra delicatamente una mano << Cosa c’è? >> chiedo.
<< Allora, se è così… perché non vieni giù e lo confermi davanti a tutti che sono io il tuo fidanzato? C’è ancora Castiel, dillo davanti a lui… >>
Il mio sorriso scompare repentinamente. Perché vuole farmi fare una cosa del genere, se siamo già stati fidanzati?
<< Va bene >> rispondo indifferente, iniziando a scendere le scale. Lo sorpasso e lui rimane dietro di me, quando ci ritroviamo nel soggiorno, noto che è rimasto soltanto Castiel, che sta parlando a voce bassa con mia zia, la quale non appena mi vede ha un sussulto, corre verso di me e mi abbraccia.
<< Oh, Rea! Stai bene? Che spavento! >>
<< Sto bene zia, non preoccuparti >> rispondo incrociando lo sguardo di Castiel. Il rosso mi sta guardando sollevato e anche malinconico, lo vedo esitare. Che cosa avrà intenzione di fare? Stringe i pugni e si sforza di sorridermi.
<< Ti senti meglio? >> mi chiede con voce un po’ tremante.
Annuisco senza proferir parola. Il suo sguardo cambia, sembra rassegnato. Non mi chiede più nulla, e io faccio altrettanto.
Intanto Viktor, alle mie spalle, ha aspettato impaziente che zia Michelle mi mollasse, per avvicinarsi a me e cingermi le spalle con il suo braccio. Guarda Castiel con un sorriso strafottente, e il rosso lo fulmina con gli occhi. Zia Michelle fa altrettanto.
<< Allora Rea… >> interviene Viktor << Cos’è che dovevi dire? >>
Sento il cuore salirmi in gola, impedendomi di respirare normalmente. Non riesco a capire per quale motivo sto esitando. Sembra che sia sottomessa a una minaccia. No, non posso dire quello che lui vuole sentire. La verità, la verità è che io non mi sento sicura di ciò che mi ricordo o che mi hanno fatto ricordare.
Guardo negli occhi Castiel, e sento qualcosa che continua a muoversi nel mio corpo, qualcosa che ha preso vita quel giorno in ospedale quando le mie labbra assaporarono quelle sue. Verso Castiel sento quello che il mio cuore non sente per questo ragazzo che continua a tenermi fra le sue braccia insinuando di essere il mio fidanzato.
Mi nascondono qualcosa, e lo so che lo fanno soltanto per non scombussolare la mia mente, ma se non lo fanno loro, lo faccio io da sola. Ho ancora un mal di testa allucinante.
<< Allora Rea? >> esclama Viktor scuotendomi leggermente. Trasalisco spaventata, lo guardo accennando un falso sorriso.
<< Ecco, io… >> balbetto confusa.
Un tuono si sovrappone alle mie parole, facendoci sobbalzare tutti, dalla finestra della cucina, lasciata aperta, il picchiettare della pioggia sul suolo inizia a far sentire la sua presenza, mi stringo nelle spalle sentendomi inspiegabilmente ansiosa e nervosa.
<< Cosa vuoi dirci, Rea? >> chiede mia zia con voce dura. La guardo quasi con supplica, cerco aiuto nei suoi sguardi, ma non capisco il perché.
Viktor fa scivolare la sua mano lungo la mia spalla, poi mi afferra gli omeri, mettendomi di fronte a se, e velocemente, posiziona le sue labbra sulle mie.
A quel punto un déjà-vu colpisce la mia mente come un fulmine a ciel sereno. Sento di aver già vissuto quella scena, ché quel bacio lo rammento spudorato e amaro.
<< Castiel dove vai? >> è la voce di mia zia. Sento sbattere la porta, capisco che Castiel se ne è andato.
Ad un tratto, ho il bisogno estremo di allontanare Viktor da me, non voglio che mi tocchi, le sue mani sulla mia pelle mi fanno ribrezzo, ho uno scatto d’ira e cerco di allontanarlo, lui fa resistenza e io allora, cadendo nel panico, inizio a dimenarmi. Riesco a liberare le mie labbra dalle sue e chiamo mia zia, ma, per mia sfortuna se ne è andata, forse ha raggiunto Castiel. Viktor non mi molla, mi tira a se facendomi fare un giro largo e sbattendomi contro il muro.
<< Viktor, che stai facendo? Fermati! >> esclamo tanto spaventata quanto arrabbiata.
<< Non posso, non ce la faccio più… sta buona >> sussurra attaccando il suo busto al mio.
Ho paura, ho una forte paura. Stringo le gambe facendo forza, per non dargli campo libero. Lui insinua le sue mani sul mio corpo, e alla fine perdo le forze, mi abbandono alla sua presa.
Sentendomi rilassata, anche lui smette di forzare i suoi movimenti.
Abbattuta e sottomessa, l’unica cosa lucida che la mia mente mi permette di pensare, è: Castiel, ti prego aiutami.
Ed è in quel preciso istante che succede quello che tutti, io in primis, pregavano.
 
 
Un fortissimo tuono, squarcia il silenzio penetrandomi nelle orecchie, facendomi sentire delle scosse che attraversano tutti i nervi della testa, e come quel potente suono ha spezzato il silenzio, così la mia mente si è riaccesa.
Porto istintivamente le mani alle orecchie sentendo un forte dolore schiacciarmi le meningi, stringo gli occhi cercando di scacciare via tutto quanto, ma adesso, le immagini che scorrono nell’oscuro vuoto, si fanno più nitide e comprensibili.
Torno alla realtà, rendendomi conto di ciò che sta facendo Viktor. Sento la sua mano insinuarsi nel mio intimo e a quel punto, raccolgo tutte le mie forze spingendolo bruscamente. Lui indietreggia, guardandomi allibito.
<< Che c’è? >> mi chiede con l’affanno. Lo guardo con tutta la rabbia che il mio cuore possiede, poi, minacciosamente mi avvicino, e gli sferro un pugno che va dritto sul naso.
Devo avergli fatto veramente male, perché sento le dita indebolite, scuoto la mano per scacciare il dolore, mentre lo vedo coprirsi il volto, piegarsi su se stesso e imprecare come un pazzo dal dolore.
<< Non osare più toccarmi! Fottuto bastardo! >> detto questo, ne approfitto per uscire. Lascio la porta aperta, e mi dirigo velocemente verso il cancello. Subito la pioggia mi colpisce, ghiacciata. Zia Michelle si sta avvicinando verso di me, guardandomi smarrita e curiosa allo stesso tempo.
<< Rea, che cosa è successo? >> chiede afferrandomi per un braccio << Perché sei tutta scomposta? >>
<< Zia, dov’è Castiel? >> ribatto con voce ansiosa.
<< Al lago, perché? >>. Non rispondo, mi incammino verso la via indicata non sentendo neanche Michelle che mi continua a chiamare.  Corro il più veloce possibile, riabbottonandomi la camicia e il pantalone. Poi spalanco le braccia permettendo alla pioggia di cadere su di me, inzuppandomi tutta. È fredda ma non mi importa. Chiudo gli occhi sorridendo ad alta voce, poi li riapro accorgendomi che la riva del lago è vicina. Rallento, vedendo da lontano un’ombra ferma, rivolta verso la tenebrosa acqua priva di increspature luccicanti.
Sbuffo un sorriso, avvicinandomi lentamente. Sento i capelli appesantiti dall’acqua, me li porto indietro con un gesto della mano. Gli occhiali sono tutti imperlati, li tolgo facendoli cadere a terra con indifferenza.
È lui, è Castiel. Sta guardando malinconico il lago.
<< Castiel? >> lo chiamo, con voce tremante. Non è freddo, quel tremolio non è altro che la forte emozione che sto provando in questo preciso istante.
Lui si gira guardandomi allibito.
<< R-Rea, che ci fai… >>
Gli corro incontro, mi piombo fra le sue braccia, mi sollevo sulle punte e premo le mie labbra sulle sue, interrompendo la sua frase. Lui non ha reazione.
Mi distacco guardandolo con un sorriso. Lo vedo scosso e sbalordito.
<< Che significa? >> chiede << Non ha scelto Viktor? >>
Lo ribacio un’altra volta, poi distaccandomi leggermente sussurro << ricordi? >> sorrido << A quel punto… mi sarei fermata >>
Vedo i suoi occhi brillare, lo sento fremere, le sue labbra si allungano in un sorriso e finalmente ricambia il mio abbraccio.
<< Baciami Castiel, cancella tutti i suoi tocchi >>
Lui acconsente senza esitare. Mi bacia con passione. Socchiudo le labbra per accoglierlo com’è debbio, assaporo quel bacio che risento mio, quel bacio che dopo tre anni è ritornato a far parte dei miei desideri. Quel bacio che conferma il ritorno della mia memoria.

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Capitolo 44
*** Il bambino ***


44° capitolo: IL BAMBINO
 
 


Le sue mani stanno toccando ancora una volta il mio corpo, la pelle freme a ogni sua carezza. La voce risuona in gemiti a ogni suo ardente bacio.
Sono di nuovo di Castiel.
I tre anni di lontananza si stanno dissolvendo nell’aria come fosse niente. Il tempo si è fermato, non esiste più ne Viktor ne la mia amnesia.
<< Non sai quanto mi sei mancata >> sussurra Castiel con le labbra che sfiorano il mio orecchio. Un brivido mi percorre la nuca facendomi tremare di piacere. Sorrido a quelle parole e avvinghiandomi alle sue spalle, mi sollevo in punta di piedi per baciare il suo collo.
Sento le sue mani scendere verso il basso, percorrere i fianchi, e afferrare con sicurezza e bravura le cosce, i suoi muscoli si irrigidiscono intenti a sollevarmi, divarico le gambe per poi incrociarle dietro di se, appoggio il mio intimo sul suo e ho un lieve sussulto sentendo il suo membro presente. Castiel cammina, lo abbraccio appoggiando la fronte sulla sua spalla. Siamo soli in casa sua. Quella casa ormai vuota. Sorrido sicura che questo non è il solito sogno che mi assillava ogni notte.
Fuori i temporali continuano la loro orchestra notturna, e la pioggia li accompagna frenetica e instancabile.
Mentre Cass sale le scale, mi accorgo che abbiamo ancora gli indumenti bagnati, ma poco conta. Tra un po’ ci libereremo anche di questi, e finalmente ridiventeremo un tutt’uno.
Sono ancora immersa nei miei pensieri e non mi accorgo che Castiel mi ha dolcemente poggiata sul letto. Lui rimane in piedi davanti a me, e mi guarda come se questa fosse la prima volta. Lo vedo muoversi, appoggia una gamba sul materasso fra le mie gambe, poi il suo braccio accanto alla mia spalla, e con l’altra mano, si fa strada sul mio corpo.
Inizio ad ansimare, mentre lui mi libera della maglietta, mi solletica la pancia, poi si ferma sulla giuntura dei pantaloni.
Istintivamente porto le mie mani ai suoi fianchi, arrotolando i lembi della sua maglia e sollevandogliela per scoprire il suo perfetto e ridesiderato corpo, lui si solleva togliendosela con un gesto delle braccia. Mi sollevo anche io, pronta per baciare i suoi tonici pettorali. La sua pelle è calda, ma le mie labbra bruciano, riesco a concepirlo, perché sento io stessa ardere brutalmente. In preda alla passione, non riesco più a dirigere il mio corpo.
Spingo Castiel allontanandolo da me. << Che c’è? >> mi chiede lui. Non lo rispondo, mi alzo anche io, e afferratolo per un braccio, lo tiro, facendolo cadere sul letto. In una frazione di secondo mi ritrovo a cavalcioni su di lui e le mie dita che disegnano in suoi muscoli coperti dalla sua calda epidermide. Scendo lentamente, fino a poggiarmi sulla cinta dei suoi pantaloni. Me ne libero velocemente, poi sbottono il jeans allargo i due lembi e mi sollevo per permettergli di sfilarselo, ne frattempo mi libero del mio. Ormai liberi, mi ripoggio sul suo membro. Lui mi accarezza le cosce e poi si mette seduto, iniziando un movimento a dir poco eccitante per impossessarsi della mia intimità.
Sento la testa girare, nel provare quell’immenso piacere, e non riesco più a capire quello che Castiel mi sta facendo. Le mie dita sono occupate a passare fra i suoi capelli, le mie labbra sono intente a dar sfogo ai gemiti. Solo  nostri movimenti sono simultanei.
Tre anni di lontananza, e adesso è come la prima volta.
Chissà, se anche lui non ha più toccato una ragazza?
Mi fermo di scatto, accorgendomi di rimanere con la bocca e gli occhi aperti. In quell’attimo, il piacere si è allontanato come una folata di vento.
Anche Castiel si è fermato, mi guarda incuriosito << Che c’è? Perché ti sei fermata? >> chiede tra gli ansimi.
Allontano le mie mani dai suo capelli e lo guardo attentamente.
Un momento! Adesso che ci penso… io dovrei essere incazzata nera con lui! E come un’idiota mi sto facendo trasportare dal piacere, non ricordandomi il motivo per il quale l’ho detestato per tre anni.
Il suo membro nel mio intimo sta pulsando freneticamente, ma ormai la voglia mi è passata.
<< Rea, ti senti bene?... non è che stai avendo qualche altro attacco di am… >> il mio violento schiaffo lo ha interrotto, piantandosi sulla sua guancia sinistra.
Lo vedo piegare la testa e farsi all’indietro. Mi alzo, afferrando da terra un indumento qualsiasi e coprendomi.
<< Ma ti sei bevuta il cervello?! >> esclama lui strofinandosi la guancia, e mettendosi a sedere, sul letto. << Che cazzo ti prende? Hai riperso la memoria? >>
<< No, l’ho riacquistata… e tutta! >> rispondo bruscamente, rivestendomi.
<< E allora perché adesso fai così? >>
<< E me lo chiedi pure?... abbiamo un conto in sospeso! >> esclamo uscendo dalla camera e sbattendo la porta. “Stupida, stupida! Possibile che devi sempre essere ritardata?”. Scendo velocemente le scale, e la luce a intermittenza che si riflette sulle tende, mi fa capire che fuori sta ancora piovendo. La voce di Castiel riecheggia al piano superiore, non lo voglio vedere, corro velocemente verso il cucinino e mi chiudo la porta alle spalle girando due volte la chiave.
<< Rea, Rea dove sei? >>. Non rispondo, mi allontano dalla porta, e al buio non mi accorgo che d’avanti a me c’è qualcosa che colpisco in pieno, dando vita a un brusco rumore.
La maniglia della porta viene abbassata, ma Castiel non riesce ad entrare, allora lo sento bussare.
<< Apri la porta Rea! >>
<< No! >>
<< APRI!! Non farmi incazzare! >>
<< Vattene! >>
<< Questa è casa mia! Dove cazzo vuoi che vada? >>
<< Lontano da me! >>
<< Perché adesso fai così? Dannazione Rea! >>
<< Ti sei approfittato del fatto che non ricordavo ancora il motivo per il quale sono scappata da te! >>
<< Ma che ca… apri, così possiamo parlare >>
Silenzio.
<< … Rea! Porca puttana! >> lo sento urlare e sbattere forte i pugni sulla porta. Mi tappo le orecchie un po’ spaventata, e il mio cuore inizia a sussultare. << Apri questa cazzo di porta! Altrimenti la butto giù a calci >>
<< Non me ne frega niente, tanto non è casa mia! >> esclamo con voce tremante.
<< Mi stai prendendo per il culo? >> chiede fermandosi. Non rispondo, mi limito soltanto a sbuffare un leggero sorriso, poi sento il silenzio. “che strano” << C-Castiel? >> lo chiamo con un filo di voce. Non risponde. Che si sarà arreso e se ne sarà andato?
Mi avvicino lentamente alla porta, appoggiando la mano sulla maniglia. L’abbasso, la sento leggera, capisco che non la mantiene più.
<< Ca-as? >>. Niente. Silenzio assoluto. Decido di aprire la porta e non appena l’ho fatto, trasalisco nel trovarmelo davanti, con le braccia conserte e lo sguardo fulminante.
Spaventata, mi accingo a richiudere la porta, ma lui, abile la blocca con forza. Non mi sforzo più di tanto, sapendo che non riuscirei mai a battere la sua forza maschile, lascio la maniglia e mi allontano. Lui si avvicina.
Indietreggio bloccandomi al bordo del mobile. Castiel si fa più vicino, appoggia le mani sul bordo e si china su di me, guardandomi attentamente. Mi stringo nelle spalle aspettando una sua reazione.
<< Sei scema? >>
Sciolgo la posizione e lo guardo negli occhi, irritata. << Che?! >> esclamo, spingendolo per liberarmi dalla sua presa e andarmene. Lui mi afferra il polso e mi tira a se.
<< Lasciami Castiel! Fra noi è finita! >>
<< Non dire cazzate, idiota! >>
<< Sei tu l’idiota! Lasciami! >>
<< E tu credi che lo farò? >> chiede beffardo, sollevandomi e appoggiandomi sulle sue spalle come un sacco.
<< C-che fai? Mettimi giù! >> esclamo scalciando e tirando i pugni dietro la sua schiena.
Vedo intorno a me la stanza muoversi velocemente, poi scivolare dal suo corpo e appoggiarmi su qualcosa di duro. Mi accorgo di essere stesa sul tappeto. Istintivamente avvicino le braccia al mio petto e stringo le gambe. Castiel si piega su di me, mi afferra i polsi, liberandomi il petto e portandoli in alto.
<< Che stai facendo? >>
<< Non lo vedi? >> ribatte, portando la sua mano libera al mio pantalone, sbottonandomelo.
<< Fermati Castiel! >>
<< Neanche per sogno! >> continua liberandomi le gambe dall’indumento e insinuando le dita dentro le mutande. Sento il suo indice premere il centro delle labbra, irrigidisco i muscoli delle gambe sentendomi fremere di piacere.
<< L-lasciami… non, non ho voglia… >> balbetto tra gli ansimi.
<< Il tuo corpo dice il contrario >> sorride lui, spostandomi a un lato la parte inferiore della mutanda.
<< Smettila Castiel, questa è violenza carnale… >>
<< Urla e respingimi, allora >> mi interrompe strafottente << Non ho assolutissima intenzione di lasciarti andare… mi hai fatto stare a digiuno per tre anni. Tre anni! Cose che il Castiel di prima non avrebbe mai fatto >>
<< Come faccio a crederci? >> chiedo iniziando ad abbandonarmi, consenziente, alla sua volontà. Lo vedo sorridermi, poi avvicinarsi di più al mio viso e sussurrare fra le mie labbra.
<< E come se ci crederai… perché questa, sarà la notte che non riuscirai mai a dimenticare in tutta la tua vita >>
Detto questo mi bacia e inizia a spingermi dentro, regalandomi scosse di un sublime piacere, assopito da tanto tempo. Piego la testa all’indietro, vedendo tutto intorno a me girare e mescolarsi, chiudo gli occhi assaporando quel momento idilliaco e quasi da lontano, un “ti amo” riecheggia nelle mie orecchie.
 
 
I tuoni si sono placati. Il cielo è ancora nuvoloso, e la pioggia cade a piccole gocce. Castiel sta dormendo sul divano e io mi sono alzata, affamatissima.
Cass aveva ragione, è stata una di quelle notti che non dimenticherò tanto facilmente. Sorrido mentre mi preparo qualcosa da sgranocchiare. Dal frigo ho preso il latte, e mi è venuta voglia di una bella zuppa, per fortuna ci sono anche i cereali, così posso dare inizio alla mia colazione. Guardo l’orologio a pendolo che si trova nel salotto dove, il mio “ritornato” ragazzo sta beatamente riposando, segna le sei del mattino. È ancora presto, anche se so che tra qualche ora dovremo ritrovarci a scuola per lavorare.
Quando, ore fa, abbiamo terminato il nostro “ritorno di fiamma”, abbiamo un po’ parlato, e nei vari ragionamenti Castiel mi ha spiegato com’è avvenuto il mio incidente.
Quella sera, mentre ero intenta a dividere lui e Viktor, che si stavano azzuffando, Viktor, in un momento di distrazione per Castiel, lo spinse verso di me, io avendo i tacchi, persi l’equilibrio e caddi all’indietro battendo la testa allo spigolo della panchina.
Naturalmente Castiel ha insistito per voler sentire la versione raccontata da Viktor, e alla fine sono stata costretta a dirglielo. Quando ha sentito che, secondo il moro, lui mi aveva colpita dopo essere stato rifiutato, per poi abusarsi del mio corpo, è scoppiato a ridere maledicendolo e chiamandolo idiota.
Mi è piaciuto tanto vederlo così, e non ho voluto raccontargli che prima che quel tuono spaventoso, mi avesse fatto riacquistare la memoria, era stato Viktor a voler abusare di me.
No, non posso e non devo dirglielo, anche perché, adesso che lo sto guardando, sono fermamente decisa a voler sistemare il suo segreto che scoprii tre anni fa.
Ormai l’ho perdonato di quel bacio con quella… sgualdrina, ma rimane ancora il fatto del bambino.
Ok, lo ammetto. Amo Castiel, è la notte passata insieme ne è la prova. Dopo tre anni, lui non ha sposato quella donnaccia, anzi nessuno ha accennato la sua esistenza. Non so come siano andate le cose, ma sono più che decisa di non volerlo lasciare un’altra volta.
Mi giro verso il lavandino e appoggio dentro il tazzone. Apro il rubinetto e faccio scorrere l’acqua, che inizia a riempirlo. Rimango fissa a guardare lo scroscio mentre trabocca.
Questa mia decisione può significare soltanto una cosa… devo accettare quel bambino…
<< Ma che fai? >> sento la sua voce dietro me. Trasalisco guardando la sua mano abbassare la leva del rubinetto per chiude l’acqua.
<< Ti sei addormentata? >> chiede ancora.
<< Stavo pensando >> mormoro.
<< A cosa? >>
Sono titubante nel dirglielo, ma non posso continuare in questa maniera. E poi ho promesso a zia Michelle che avrei affrontato la situazione senza scappare.
<< Castiel? >>
<< Mhm? >> chiede portandosi la bottiglia dell’acqua sulle labbra.
<< Quel bambino… >> inizio con esitazione. Lo vedo abbassare la bottiglia e rimanere con le guance gonfie d’acqua. Mi guarda incuriosito. Tiro un lungo respiro e poi volgendo lo sguardo da un’altra parte << Io ho deciso di accettarlo come figlio mio >> continuo tutto d’un fiato.
Lo sento sbottare leggermente e poi dirigersi velocemente al lavandino per gettare l’acqua. Tossisce cercando di riprendere aria.
<< Cos’hai? Ti sei sentito male?... guarda che dovresti ringraziarmi! L’unica che dovrebbe stare male, sono io! >>
<< Ah-ah-ah-ah!!! >>
Ride? RIDE?!... per quale dannato motivo sta ridendo?!
<< Perché stai ridendo? >> chiedo digrignando i denti e stringendo i pugni tremante di rabbia.
<< Ah-ah… tu, madre?... ah-ah >>
Sento i nervi della testa pulsare e provocarmi uno di quei nervosi che sovrasta Ken il guerriero ogni volta che deve far scoppiare le cervella a qualche bastardo.
<< Allora, sposati quella puttana di Ginevra, e vediamo se sa fare bene la madre! Idiota, bastardo, pervertito e maniaco! >> urlo dandogli le spalle e iniziando ad allontanarmi.
Castiel mi afferra la mano, stringendomela e fermandomi. Mi sento avvolgere il petto dalle sue possenti braccia. Avvicina il suo viso al mio e mi sussurra sorridendo: << Stavo scherzando, so che saresti una madre modello, però… >>
<< Però, cosa? >> chiedo con voce imbronciata ma sollevata dalle sue parole.
<< Va a vestirti devo farti vedere una cosa >>

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Capitolo 45
*** Dopo la pioggia... ***


45° capitolo: DOPO LA PIOGGIA…
 
 


Il cancello di casa è socchiuso. Chissà perché? Guardo l’ora sul mio orologio, sono ancora le sette e mezza, è ancora presto per zia Michelle andare a lavoro.
Entro senza esitazione, chiamandola a gran voce. Non mi risponde ma sento uno strano rumore provenire dal piano superiore. Dopo qualche secondo, svelti passi risuonano per le scale, mi fermo, aspettando di veder comparire la sua immagine.
Scende, si arresta qualche gradino sopra di me, e mi guarda negli occhi, sembra alquanto infuriata.
Alzo la mano e accenno un sorriso, salutandola. Lei scende velocemente e mi tira un pugnetto sulla testa.
<< Ahia! >>
<< Idiota, imbecille e sconsiderata che non sei altro! >>
<< Che c’è? >>
<< Ma come? Ti ritorna la memoria e non sputi il rospo?! >> esclama spalancando gli occhi dalla rabbia. << E poi dove diavolo sei stata stanotte, non rispondi mai al telefono. Per giunta mi hai fatto morire,  resuscitare, per poi morire, un sacco di volte! >>
<< Perché? >> chiedo incuriosita, strofinandomi, ancora, il punto colpito.
<< Quando ieri sera corresti verso il lago, io ritornai in casa, e mi imbattei in Viktor, sembrava irritato. Gli chiesi cosa fosse successo e lui non mi rispose, corse via come un fulmine. Quando vidi che il soggiorno era in subbuglio, capii che qualcosa non andava. Iniziai a preoccuparmi per la tua incolumità. Chiamai anche Castiel, ma non mi rispose, allora andai verso il lago, sotto la pioggia e non vidi nessuno… >>
<< Ma non dovevi preoccuparti >> rispondo sorridendo << Viktor, non mi ha mai raggiunta, ho incontrato Castiel e siamo andati a casa sua… ho passato la notte da lui. >>
Zia Michelle mi guarda allibita, a quel punto inizio ad immaginare ciò che vuole dirmi: “E lo dici così?”. Sbuffo un sorriso, cercando di trovare parole adatte a sdrammatizzare la situazione che puzza di pesantezza, e cercando anche di farla sorridere. Ma non so davvero cosa dirle. La mia mente, è occupata a mantenere vivido un solo pensiero: Castiel, vuole farmi vedere una cosa collegata a quel bambino.
Istintivamente mi avvicino a Michelle e allargo le braccia a mo’ d’arco per abbracciarla. Lei all’inizio indietreggia, poi accetta il mio gesto, donandosi senza però condividerlo.
<< Mi siete mancati tutti >> ammetto con un sibilo.
<< Idiota >> sbuffa lei quasi con pianto.
Mi distacco e inizio a salire le scale. Michelle mi chiede cosa sto facendo e io rispondo che devo prepararmi sia fisicamente che mentalmente per accettare la realtà. Parlando mi dissolvo al piano superiore, lasciandola allibita.
L’amato scroscio d’acqua, invade il mio udito, mi inoltro in esso assaporando quella sensazione di benessere che mi regala ogni qualvolta mi sento giù di morale. A dir la verità, adesso, non ho la mente a pezzi, anzi, sono eccitata, anche se un po’ spaventata, per quello che succederà fra qualche ora.
Esco dalla doccia, avvolgendomi in un roseo asciugamano. Mi reco al lavandino e mi guardo allo specchio. << Preparati, Rea… >> sussurro, fissando i lenti movimenti delle mie labbra.
Quando sono pronta, scendo giù in salotto, zia Michelle è già andata via, lasciando, com’è ormai solita fare, un bigliettino sul tavolo.
“Ci pensi tu al pranzo, vero?”
Strano, ma penso vivamente che aspettava il mio ritorno proprio per questo. Sbuffo un sorriso sprofondando sul divano e rimanendo fissa a guardare il vuoto.
Non ne capisco il motivo, ma sento qualcosa dentro di me, come uno svuotamento, che si riempie di rimpianto. Ma di cosa?
Squilla il cellulare. Con movimenti veloci lo estraggo dalla tasca del pantalone. Castiel. Rispondo senza esitazione.
<< Dimmi? >>
<< Dove sei? >>
<< A-a casa >> rispondo con voce tremante.
<< Cos’hai? >> mi chiede calmo e affettuoso.
<< Niente >>
<< Non mentire >>
<< Mi sento un po’ agitata >>. Lo sento ridere, e provo a farlo anche io, ma quel tremore me lo impedisce.
<< Vieni verso il lago, passo a prenderti >>
<< Ok >> chiudo la chiamata tirando un lungo respiro.
Dati due schiaffetti sulle cosce, mi alzo ciondolando le braccia ai fianchi e mi dirigo alla porta uscendo.
Non appena sono fuori, il tiepido vento primaverile mi colpisce il viso, scompigliandomi i lunghi capelli sciolti. Porto istintivamente le mani alla testa, cercando, se non di fermare, almeno di controllare questa danza incasinata.
Cammino lentamente verso il lago e appena sono lì, riprendo il cellulare per avvisare Cass del mio arrivo.
Mentre cerco dalla lista della rubrica il suo numero, un rombo di motore si avvicina repentino. Alzo lo sguardo curiosa, e mi ritrovo di fronte una moto, guidata da una persona coperta dal casco.
Indietreggio, sentendo l’agitazione farsi vivida nel mio cuore, dopo aver capito di chi si tratta.
Lui si toglie il casco, scoprendo quegli occhi ambrati, e quei corvini capelli corti. Viktor. Mi ero letteralmente dimenticata di lui, e ora che me lo ritrovo davanti dopo quello che ha tentato di fare ieri sera, sento di aver paura e di non riuscire più a muovermi. Lo guardo dritta negli occhi, il suo sguardo non accenna alcuna espressione. Non sorride, non è arrabbiato. Cosa vuole?
“Castiel ti prego, vieni presto”.
<< Rea… >>
Trasalisco nel sentirlo dire il mio nome. La sua voce mi irrita, non voglio vederlo. Raccolgo tutte le forze per iniziare ad allontanarmi, e appena faccio due passi lui mi ferma ancora con la sua voce.
<< Aspetta ti prego! >>. Lo vedo allontanarsi dalla sua moto e avvicinarsi a me.
<< Non avvicinarti! >> esclamo stringendo i pugni intenta a contenere la mia agitazione. Lui si blocca e mi guarda. Indurisco il mio sguardo per fargli capire tutto il mio disprezzo  nei suoi confronti.
Viktor mi guarda malinconico e rassegnato, ma non mi faccio impressionare.
<< Mi odi, vero? >> chiede quasi con un sibilo.
<< Te lo stai anche chiedendo? >> ribatto sprezzante.
<< Posso sperare in un tuo perdono? >>
<< Ma come puoi essere così disgustoso?... Hai cercato di violentarmi! >>
<< Io non ero in me… >>
<< Non eri in te neanche quando mi hai riempito il cervello di fandonie? E tutto questo per cosa? Per essere amato da me? >>
<< Io ti amo! >> esclama quasi con supplica.
<< E io no! >> rispondo sorpassando il suo tono di voce << io amo Castiel, e nessuno mai potrà cambiare questo mio sentimento. L’ho sempre amato, anche durante questi tre anni di lontananza >> continuo tutto d’un fiato. Vedo i suoi occhi intristirsi, accenna un sorriso, ma è come se volesse piangere. Io continuo a guardarlo male.
Dopo un po’ inizia a riavvicinarsi, istintivamente, faccio due passi indietro. Lo vedo allungare una mano verso il mio viso. Mi blocco accorgendomi di trovarmi di spalle all’acqua cristallina del lago. Non ho via di scampo. Chiudo gli occhi abbassando la testa non avendo il coraggio e la forza di reagire.
<< Viktor, sta lontano da me… >> sussurro digrignando i denti, iniziando a tremare. Sento sfiorarmi di poco la guancia, e mi rendo conto che, il suo gesto non ha possibilità di continuare.
<< Se non vuoi che questa bella mano, si ritrovi in fondo al lago come cibo per i pesci, ti consiglio di non toccare più la mia ragazza! >>. È la voce di Castiel, che risuona lieve ma decisa. Apro gli occhi sentendomi sollevata. Castiel si trova al mio fianco, e mantiene stretto l’avambraccio di Viktor.
Si stanno guardando minacciosamente negli occhi, e prima che possa scoppiare una lite, decido di intervenire: prendo per mano Castiel, e lo incito a seguirmi.
<< Andiamo Cass >>
Lui lascia il moro, e senza distogliergli lo sguardo, mi stringe la mano e mi segue. Prima di andarcene, decido di rivolgere la parola a Viktor, promettendomi e sperando che quella fosse l’ultima volta.
<< Ritorna in città Viktor, se non ti farai più vedere io dimenticherò tutto quello che mi hai fatto >>
Viktor, non parla, il suo volto non riflette nessun tipo di emozione. Non ho più niente da dirgli, e Castiel a quel punto mi tira a se, avvolgendo il suo braccio attorno alle mie spalle e invitandomi a seguirlo.
Ci allontaniamo da quel ragazzo, ormai decisi a non averlo mai conosciuto.
Arrivati alla macchina Castiel mi lascia la mano e mi apre lo sportello. Rimango allibita dal suo gesto, fisso tutti i suoi movimenti accorgendomi che mi sta guardando anche lui.
<< Cosa c’è? >> mi chiede << stai tremando >>
<< Sono ancora agitata >> rispondo tutto d’un fiato, facendogli capire che ho bisogno di un suo abbraccio. Lui mi legge nel pensiero e avvolge i miei fianchi fra le sue possenti braccia. Il suo dolce calore, accompagnato da un intenso profumo di colonia mi invade facendomi fremere e donandomi sollievo.
<< Sono sicuro che se ne andrà oggi stesso… ora… >> continua distaccandomi da se, per poi guardarmi negli occhi << Sei pronta? >>
Annuisco senza esitazione e sorrido lievemente. Anche Castiel sorride, e lo fa in un modo alquanto ironico. Naturalmente, non riesco a capirne il motivo.
Entriamo in macchina e partiamo.
Guardo attentamente la strada accorgendomi che stiamo uscendo dal paese. Volgo lo sguardo verso di lui. ha un’espressione seria ma anche indifferente.
Questa è la prima volta che esco in macchina con Castiel. Senza accorgercene siamo cresciuti ed è proprio in questo momento che mi rendo conto di una cosa: quella sensazione di svuotamento che ho sentito poche ore fa, è soltanto dovuta al fatto che ho perso tre anni della mia vita, a stare lontana da lui. Dopo questi, mi ritrovo qui e sono di nuovo la sua fidanzata.
L’ho perdonato, e adesso sto per avere la conferma del suo segreto.
Torno a guardare la strada. I vasti campi verdeggianti hanno fatto la loro comparsa ai lati, e scorrono velocemente ai miei occhi. Sembra vogliano seguirci. Abbasso il finestrino per metà, e il vento giocherellone e pieno di fragranza campagnola, mi colpisce il volto, scompigliandomi ancora i capelli. Sorrido, cercando di distrarmi, solo un po’, mi basta soltanto qualche secondo, prima di affrontare la bufera che pian piano si avvicina. Infondo, anche Castiel sembra essere tranquillo, e allora perché devo essere solo io quella agitata? “Idiota, è normale, stai per scoprire tutto, come puoi non agitarti?”
Sento la macchina rallentare.
<< Siamo arrivati >> afferma Castiel. Guardo prima lui, che si accinge a fare una manovra con lo sterzo, poi volgo lo sguardo ancora una volta verso il paesaggio.
Davanti a noi un cancello in ferro battuto, racchiude un viale asfaltato e colonnato da alti alberi. Scruto verso il fondo, e di poco, la parte di una palazzo tutto rivestito in pietra fa capolino.
Il cancello è automatico, e si apre automaticamente, Castiel ingrana la prima e riparte inoltrandosi.
Ora il palazzo è più visibile. Questo, è uno di quelli ottocenteschi, mantenuto accuratamente, leggo la targhetta posta sopra il gigantesco portone, con le scritte dorate che compongono il nome del… Collegio?
Perché Castiel mi ha portata in un collegio?
Il rosso ha fermato la macchina e mi invita a scendere. Lo faccio senza esitazione. Mi guardo intorno, ammirando incantata quel posto così ben curato, hanno perfino il prato all’inglese. Da lontano riecheggiano delle voci fanciullesche. Guardo Castiel con aria interrogativa. Lui non dice niente, mi sorride soltanto.
<< Signor Castiel, che sorpresa! Come mai non ha avvisato? >> è la voce di una donna che, inspiegabilmente, somiglia molto a quella gangster della preside. La guardo scettica.
<< Sono venuto per vedere Erich >>
<< Oh, mi dispiace, ma stanno facendo educazione fisica in questo momento… >>
<< Allora, lo vedrò da lontano >> risponde Castiel, avvicinandosi a me, afferrandomi una mano e invitandomi a seguirlo.
Camminiamo per un po’, mi sento un po’ confusa, da non osservare con attenzione la strada che stiamo percorrendo. Svoltati un angolo, ci ritroviamo in una vasta area, sembra quasi uno stadio. La platea è semi vuota, e al centro, il campo da calcio è occupato da piccole formiche di bambini che stanno facendo stretching.
Scendiamo la grande scalinata e non appena la nostra visuale è in grado di vedere i bambini, Castiel mi indica uno con i capelli corti e neri, con il viso angelico che rotea le braccia in avanti e in dietro. Sorride, e il suo sorriso e molto simile a quello di Cass.
Lo guardo con tenerezza e sorrido leggermente.
<< Si chiama Erich, ed è… il mio fratellastro >>
Trasalisco, cambiando repentinamente espressione del viso. Di scatto volgo lo sguardo verso Castiel, che mi guarda sorridente, ma anche malinconico.
<< Fra-fratellastro? >> chiedo, ancora confusa. Lui annuisce.
<< Una volta ti dissi che mio padre ha avuto un sacco di amanti… >> riprende lui sedendosi su un gradino e estraendo il pacco delle sigarette dalla tasca della sua giacca per accendersene una. Mi siedo anche io, decisa ad ascoltare attentamente la sua storia.
<< Non ho voluto mai raccontarti questa storia, perché pensavo non fosse importante, ma il mio menefreghismo, non aveva calcolato il ritorno e la reazione di Ginevra.
Ginevra è la figlia della nostra ex domestica. Siamo cresciuti insieme, e da adolescenti, abbiamo provato a giocare ai grandi. siamo andati a letto un sacco di volte, ma mai per amore. Per me Ginevra era uno sfogo, per assopire quella tristezza e quella rabbia che mio padre mi incuteva. Sapevo ciò che combinava con le altre donne, e non riuscivo a sopportarlo. Quando poi venimmo a conoscenza della sua ultima scappatella, finita in maniera deplorevole, iniziai a detestare anche me stesso.
La madre di Ginevra era rimasta in cinta di mio padre, e a quel punto, iniziai ad odiare anche lei. Non la vedevo più neanche come uno sfogo, il ricordo del suo corpo mi dava conati di vomito. Mi resi conto di essere uguale a mio padre, e questo io non lo accettavo.
La madre di Ginevra non volle abortire, e mio padre, lo accettò costringendo però la domestica a mantenere il segreto, in cambio di soldi e vita agiata. Quello fu un motivo in più per detestare tutti. Decisi di allontanarmi dalla mia famiglia, trasferendomi nella casa dei miei al paesello e continuando il liceo in pace. Per due anni non ne volli sapere niente di quel bambino. Non lo accettavo come mio fratello. Mia madre, non ha mai reagito a tutta quella umiliazione, ha subito e in silenzio perché amava e ama ancora suo marito.
Mi raccontò che papà lo aveva portato in un buon collegio senza però dire che era suo padre. Infatti ancora oggi tutti qui pensano che quel bambino, figlio di una povera domestica, viene aiutato da un benefattore, mio padre.
Io intanto conobbi te, e il tuo modo di essere e di fare, mi fece dimenticare a poco a poco, tutto. Poi quella sera, alla festa, quella maledetta di Ginevra, si presentò con una minaccia: se non l’avessi sposata, avrebbe dato scandalo, mio padre, la liquidò con un’altra somma generosa, e io ne ricavai… il tuo abbandono >>
Castiel mi guarda malinconico, ricambio quello sguardo, sentendo le lacrime traboccare dai miei occhi.
<< Che stupida che sono stata >> sibilo con voce tremante << Avrei dovuto chiederti spiegazioni invece di scappare… scusami Castiel >>
<< No >> m’interrompe alzandosi e afferrandomi dagli omeri << Sei tu che devi scusarmi. Mi sono comportato da egoista, avrei dovuto dirti tutto dall’inizio >>
Sorrido, permettendo alle lacrime di scorrere copiose, poi gli afferro il volto, e avvicino le mie labbra alle sue, sfiorandogliele con un lieve bacio.
Adesso che le cose si sono messe a posto, non voglio assolutamente perdere altro tempo prezioso.
La direttrice ci ha informato che oggi non è giorno di visite, così decidiamo di ritornarcene al paesello.
Ci ritroviamo al lago, e siamo seduti alla riva, Castiel è dietro di me, e avvolge il mio corpo fra le sue braccia, io appoggio la schiena al suo petto, e la testa sulla sua spalla. Stringo forte la sua mano e guardo l’orizzonte del lago, mescolato all’azzurro cielo pomeridiano.
C’è una pace intorno a noi, che fa desiderare il fermarsi del tempo.
<< Ti amo Castiel >> sussurro volgendo lo sguardo verso il suo visto e donando la mia bocca.
<< Anche io >> risponde lui, baciandomi, prima lentamente poi con passione.
Senza rendermene conto, mi ritrovo distesa sulla sabbia con sopra Castiel che mi accarezza tutta e mi bacia il petto.
Purtroppo quel momento che poteva essere idilliaco, viene interrotto dal copioso trillare del cellulare di lui.
Sbuffa mettendosi a sedere, io lo imito fissando i suoi movimenti. Risponde con voce rude.
<< Cosa c’è? >>
L’espressione che ha dopo aver ricevuto la risposta, dall’altro capo del telefono, mi fa capire che la tempesta non è ancora finita.

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Capitolo 46
*** Un bambino misterioso ***


46° capitolo: UN BAMBINO MISTERIOSO
 
 



Castiel rimane con il cellulare in mano, dopo aver chiuso la chiamata che, dalla sua espressione, non promette nulla di buono.
Si alza mettendosi in piedi, scopettandosi i pantaloni per liberarli dalla sabbia. Mi alzo anch’io, chiedendogli che cosa sta succedendo. Lui non mi rivolge lo sguardo e si incupisce ancora di più mentre guarda l’orizzonte.
<< Castiel? >>
<< Vieni con me >> m’interrompe afferrandomi la mano e tirandomi a se.
<< Dove? >> chiedo incuriosita, bloccando i suoi passi e non accennando i miei.
<< Seguimi >> risponde fissandomi duramente e continuando a tirarmi. Mi lascio trascinare, silenziosamente, non voglio irritarlo ancora di più, anche se la curiosità mi sta facendo sua succube.
Dopo qualche minuto di cammino, ci ritroviamo di fronte il cancello di casa sua. Entriamo nel giardino, e subito Demon gli salta addosso, Cass non lo pensa e lo ammonisce con un “a cuccia”, continuando il suo cammino deciso, verso la porta di entrata.
Demon non contento, si mette dietro di me ringhiando. “Possibile che questo cagnaccio non riesce ancora a sopportarmi?” mi chiedo mentre allungo il passo avvicinandomi di più a Castiel e afferrandogli il lembo della sua maglia con l’altra mano.
Fortunatamente, entro in casa prima che l’ossessiva voglia di sbranarmi, da parte del “caro” cagnaccio, diventi reale.
Arrivati nel soggiorno, Castiel mi lascia finalmente la mano, ma non si gira a guardarmi, ne mi spiega cosa sta succedendo, anzi, mi lascia sola, salendo velocemente le scale.
Rimango allibita dal suo modo di fare. Minuti prima stavamo amoreggiando e adesso fa finta che io non ci sia.
Decido di seguirlo al piano di sopra, e percorrendo il lungo corridoio, guardo nelle stanze per trovarlo. Sento dei rumori provenire dalla sua stanza. Alzo il passo per raggiungerla.
Quello che vedo, non appena entro, mi inizia a preoccupare. Castiel sta preparando le valige.
<< Castiel, che fai? >> chiedo cercando di tenere ferma la voce.
<< Non lo vedi? >>
<< Spiegami. Chi ti ha chiamato, perché stai facendo le valige? Cosa sta succedendo? >>
<< Ti basterebbe se ti chiedessi soltanto di venire con me? >>
<< Ma dove? E perché? >> ribatto iniziando a innervosirmi << ti ricordo che per le tue manie di parlare a codice, siamo stati lontani per tre anni >>
<< Non lo so >>
<< Cosa? >>
<< Non so perché devo partire… al telefono era mia madre, mi ha detto di prendere Erich dal collegio e di andare a casa loro. Il perché, non lo so. Ma da come ha parlato, deve essere successo qualcosa di alquanto preoccupante >>.
Rimango in silenzio, cercando di ideare qualche motivazione nella mia mente, ma niente, non so proprio cosa sta succedendo. D’istinto mi avvicino al suo letto, e mi accingo ad aiutarlo a preparargli la valigia, mettendo le maglie in modo più ordinato possibile.
Castiel mi afferra la mano, ci guardiamo negli occhi, io con fare interrogativo e lui con tenerezza.
<< Verrai con me, vero? >> mi chiede quasi con supplica. Annuisco sorridendo, ma non riesco a rivelargli che mi sto sentendo il cuore riempirsi di ansia e angoscia.
 
 
È passato un quarto d’ora da che Castiel mi ha lasciata in macchina ad aspettare la sua uscita dal collegio in compagnia di suo fratello.
Con il braccio appoggiato allo sportello, e la guancia sul dorso della mano, guardo il cellulare aspettando il messaggio di risposta da parte di zia Michelle.
Quando sono andata a casa per preparare la mia valigia, non l’ho trovata, dato che a quell’ora era ancora a lavoro. Così, mi sono limitata a mandarle un messaggio. Non ho voluto chiedere a Castiel di passare dal Cosplay, perché ho visto la sua impazienza nel partire.
L’aria nell’auto si sta facendo davvero pesante, potrei dare la colpa al caldo, ma non è solo quello. Anche se il colore scuro della carrozzeria, attira su di se i bollenti raggi del sole, rendendo l’interno un forno, so che quella dominante pesantezza, non è altro che la mia ansia e agitazione.
Trasalisco sentendo il cellulare vibrare, apro subito il messaggio e leggo la risposta di mia zia.
“Buona luna di miele anticipata, allora”
<< Ma che caspita ha scritto? >> mormoro guardando irritata lo schermo. Ma, tu dimmi se questa non è proprio una risposta del… oh! Veramente, molte volte mia zia mi fa davvero ribollire il sangue dall’irritazione. Io le scrivo che sto partendo con Castiel per far visita ai suoi genitori e lei che cosa mi risponde? Dev’essere impazzita.
Sbuffo infastidita scorrendo con il pollice lo schermo e facendo fuoriuscire tutta la conversazione con Michelle. Mi fermo a una nuvoletta prima della sua risposta. È il mio messaggio inviato, lo rileggo così, distrattamente. Qualcosa, l’ultima frase, cattura la mia attenzione, rileggo lentamente.
<< Rea, sei proprio una stupida pervertita! >> esclamo arrossendo e muovendo il pollice in modo impazzito sul touch-screen. Ecco perché mi ha risposto in questo modo, l’increscioso sbaglio, è stato il mio.
Il mio messaggio, che avrebbe dovuto contenere le seguenti parole: “Zia, sto partendo con Castiel, stiamo andando a trovare i suoi genitori”; per qualche perverso motivo che si è disegnato nella mia mente, ho scritto: “Zia, sto partendo con Castiel, stiamo andando a fare l’amore”.
CHE VERGOGNA!!!
Poggio il cellulare sulle gambe, coprendomi il viso con le mani, e sbattendo i piedi sul tappetino della macchina. Ma come ho potuto pensare e scrivere una cosa del genere? Ma che diavolo mi sta succedendo?
Mi dondolo a destra e sinistra senza distogliere le mani dal viso, anzi, lo affondo di più in esse.
<< Che cavolo stai facendo? >> è la voce di Castiel ad interrompere il mio atteggiamento da demente. Trasalisco divaricando l’indice e il medio, per liberare la mia visuale, mi volto a sinistra e la prima cosa che vedo è il visino di un bambino dai capelli scuri, che mi guarda scettico. Castiel, al suo fianco, si è curvato verso il finestrino e mi fissa con le sopracciglia corrugate. Libero subito il mio viso dalle mani e le unisco nascondendole fra le gambe. Affondo il collo nelle spalle e cerco di sorridere in maniera che mi possa far sembrare una persona assolutamente normale, almeno davanti a quella creaturina, che sicuramente mi avrà presa per una pazza imbecille.
<< N-niente… ho caldo >> rispondo con un tremolante sorriso.
Cass si distacca dallo sportello e tirando leggermente il braccio di suo fratello, lo fa sedere sui sedili posteriori dell’auto.
Mi volto per guardare bene il bambino, somiglia molto a Castiel, specialmente il taglio degli occhi. Non appena mi volge anch’esso lo sguardo, gli sorrido mormorando un simpatico “Ciao”. Il bambino mi fissa per qualche secondo, poi facendo una smorfia, da farlo sembrare quasi scocciato, volge lo sguardo verso il finestrino sibilando << Idiota >>
Un gelidissimo vento mi ghiaccia l’espressione. “Mi ha chiamata idiota?... eccome se l’ha fatto”. Questo bambino, è peggio di suo fratello!
<< Cos’hai? >> chiede Castiel. Lo guardo smarrita.
<< Nulla >> esclamo volgendo la testa irritata e appoggiandomi allo schienale, incrociando le braccia al petto.
Partiamo, in silenzio, e questo, ci accompagna per tutto il tragitto. Scocciata guardo fuori dal finestrino il veloce scorrere della strada. Mi sento gli occhi appesantirsi dal sonno, ma non voglio addormentarmi. Ad un tratto sento la mano afferrata da quella di Castiel, lo guardo, mi sta sorridendo. Poi afferra teneramente la mia testa e mi curva per farmela appoggiare sulla sua spalla. Mi concedo sorridendo, accarezzandogli l’omero con le guance. Lui mi stampa un bacio sulla fronte. Quanto lo adoro quando fa così.
Mi addormento all’istante, senza pensare più a niente e sentendomi protetta dal suo travolgente calore. A destarmi, è un forte dolore alla testa, e quando riattivo i sensi, mi accorgo che qualcuno da dietro mi sta tirando un ciocca di capelli.
<< Ahia! >> urlo addrizzandomi e toccandomi istintivamente il punto dolente.
<< Svegliati idiota! >> esclama la voce dietro di me. Mi giro di scatto incrociando i famigliari occhi beffardi del fratellino del mio ragazzo.
<< Ma che… >> balbetto senza finire la frase. Fissando la sua strafottente espressione, sono stra-convinta che questo moccioso mi farà perdere presto la pazienza. “ma è sicuro di non essere il figlio di Castiel?!”.
A proposito di Castiel, finalmente mi sono accorta che il sedile dov’era seduto è vuoto, mi guardo in giro, e mi rendo conto che ci troviamo in un vasto giardino ben curato, dominato da una maestosa e moderna villa, dalla quale esce Castiel avvicinandosi velocemente alla macchina. Senza farmelo dire, scendo dall’auto e appoggio le braccia alla capote, sorridendogli.
<< Usciamo le valige >> mi dice imitando il mio sorriso.
<< è questa la casa dei tuoi genitori? >>
<< Sì >> risponde lui recandosi al bagagliaio per aprirlo << Scendi Erich >> aggiunge, rivolgendosi al fratello. Quest’ultimo non risponde, ma vedendo come ha aperto lo sportello e il modo con cui l’ha richiuso, capisco al volo che è infastidito.
Mi avvicino a Castiel aiutandolo con le valige, lui mi dice di prendere quella di Erich, che è molto più leggera delle altre e si accinge a raggiungere la porta di entrata. Lo seguo, mantenendo la valigetta del bambino, ma non appena lo guardo per invitarlo gentilmente a seguirmi, lui si distacca dalla macchina sbuffando e con fare brusco mi toglie dalla mano la sua valigia, mantenendola a fatica con due mani e zoppicando verso la porta.
<< Ma che gli prende? >> mormoro spazientita. Davvero, sono convinta che questa permanenza, dall’indefinito tempo, mi farà stressare in un solo battito di ciglia.
Sospiro cercando di scrollare di dosso quella famigliare pesantezza che mi ha seguita durante il viaggio, poi, raccogliendo tutta la forza possibile, mi reco alla porta di entrata della villa, con un “permesso”, non ascoltato da nessuno mi ritrovo nel vasto salone, arredato in maniera impeccabile, della casa dei genitori di Castiel.
Rimango lì ferma, aspettando che un qualsiasi cristiano, abitante di questo maestoso palazzo, si accorga di me, e mi faccia accomodare. Purtroppo un c’è nessuno, e nell’aria non echeggia alcun rumore.
Dopo alcuni minuti, sento già le gambe intorpidirsi. “Possibile che Castiel si sia dimenticato di me? Non vedo neanche quel moccioso!”.
Sento un rumore, e ad un tratto da dietro una porta sbuca una paffutella cameriera, un po’ anziana, che si avvicina a me con un sorriso.
<< Signorina Rea… >> mi chiama.
<< Sì? >> chiedo speranzosa.
<< Il signorino Castiel mi ha chiesto di portarla in camera sua, mi segua per favore >>
“Finalmente”. Seguo la donna, con la pianta dei piedi che urla dal dolore. Salgo la lunga scalinata, appoggiandomi alla ringhiera in legno lucidato. Arrivate al piano superiore, fra me e la cameriera, quella a sembrare un’anziana che si avvicina alla decrepitazione, sembro io, ché ho il fiatone dopo aver salito quella decina di scale. La cameriera, si volta continuando a sorridermi, e su quell’espressione, noto una leggera beffa.
“Giuro che se continua a sorridermi in questo modo, non rispondo più delle mie azioni!”
Percorrendo, dietro di questa, il lungo e decorato corridoio, passo affianco ad una porta semi aperta, e sento un lieve mugugno provenire dietro di essa. Mi fermo, avvicinandomi incuriosita, e senza aprirla, sbircio all’interno, accorgendomi che quel mugugno si fa sempre più udibile trasformandosi in lamento dovuto al pianto.
Con l’occhio che sbircia, cerco di trovare la persona da cui proviene quel rumore, e lo trovo subito. Ai piedi del letto, seduto per terra, con le gambe avvolte dalle braccia e la fronte appoggiata sulle ginocchia, il piccolo Erich sta piangendo. Lo guardo, intenerita, e il cuore mi si riempie di tristezza nel vederlo così. Dimentico subito le parole che mi ha detto e come mi ha trattata, e una irrefrenabile voglia di stringerlo fra le mie braccia, coccolarlo e sussurrargli << Non piangere, piccolino >> invade il mio istinto.
Mi accingo ad entrare e saziare il mio volere, ma qualcosa mi ferma, sono delle urla che provengono in fondo al corridoio. Vedo il bambino stringersi su se stesso, portare le mani alle orecchie, e soffocando il suo inspiegabile pianto.

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Capitolo 47
*** Con me sei al sicuro ***


47° capitolo: CON ME SEI AL SICURO
 



Le grida continuano a risuonare per il corridoio. Guardo il bambino, sento e so di essere preoccupata, ché il piccolo si sta raggomitolando su se stesso cercando di difendersi da quei spaventosi rumori che hanno preso forma, scaraventandosi su quell’innocente.
L’istinto ha preso il sopravvento su di me. Il bisogno di stringerlo fra le mie braccia e consolarlo, si fa sentire, ma non appena mi accingo ad entrare nella stanza, qualcuno mi ferma chiamandomi. È Castiel. Mi volgo verso di lui guardandolo curiosa. Sembra adirato, e mi si avvicina con passo svelto.
<< Cass… >>
Non mi da neanche il tempo di parlare che, senza fermarsi, mi afferra bruscamente la mano e sussurra a denti stretti << Non farmi domande, vieni con me >>
Obbedisco, e lo seguo. Nel camminare mi giro verso la porta della camera di Erich, e mi accorgo che lui si trova sulla soglia, ci guarda, anzi no. Mi guarda, e lo fa quasi con disprezzo. Quelle lacrime non si addicono affatto a quegli occhi, taglienti e colmi di rabbia. Vorrei fermarmi, per chiedergli il motivo, ma la forte stretta alla mano di Castiel me lo impedisce, pur volendo non ne avrei avuto lo stesso la possibilità. Erich ha chiuso la porta sbattendola violentemente. Ho sussultato nel sentire quel forte rumore, e sembra che soltanto io mi sia preoccupata per quella creatura. Castiel, oltre a fregarsene sembra anche incazzato. Sono sicura che era lui che stava gridando, minuti prima, forse con il padre.
Non ho prestato attenzione alla strada che abbiamo percorso, e senza che me ne accorgessi, mi sono ritrovata in una stanza, spaziosa e luminosa. Castiel mi ha lasciato la mano, e si è recato a chiudere la porta, e dai rumori che ho percepito, l’ha fatto con la chiave. Mi giro verso di lui << Castiel, si può sapere che cosa… >> mi interrompe ancora una volta, distaccandosi velocemente dalla porta, afferrandomi dagli omeri e spingendomi sul letto, iniziando a disfarmi della mia roba.
I suoi baci si poggiano presuntuosi sul mio collo, ma non mi da piacere, anzi, mi innervosisce questo suo modo di fare << Castiel, fermati… >>, non ascolta << Castiel, lasciami, non possiamo adesso… >> mi tappa la bocca con il palmo della mano. Continuo a mugugnare aiutandomi con le braccia, spingendolo per allontanarlo da me. Lui mi libera la bocca afferrandomi dai polsi e piantandoli sul materasso. Mi guarda, e nei suoi occhi dal colore delle nuvole in tempesta, vedo e percepisco la sua rabbia; ma non riesco a capire per quale motivo si stia comportando così con me.
Si ferma, e continua a fissarmi.
<< Cos’hai? >>
<< Rea, facciamo un bambino! >>
<< C-cooosa?! >> chiedo sbalordita e anche un po’ spaventata da quella richiesta che sembra il tipico fulmine a ciel sereno. Sobbalzo sul materasso, cercando di alzarmi. Lui libera la presa, e mi permette di farlo. Mi alzo velocemente dal letto mantenendo una certa distanza da lui.
<< Perché fai cosi? Non ti ho mica chiesto di spogliarti e andare in giro per la casa nuda! >> esclama corrugando le sopracciglia.
<< Mi hai chiesto di peggio! Ma che cosa ti è saltato in mente? >>
<< Perché, non ti piace l’idea di fare un figlio con me?... se non ricordo male, stamattina mi hai detto che se Erich fosse stato mio figlio, tu l’avresti accettato come tuo… >>
<< Ma è tutta un’altra cosa adesso? >>
<< Perché? >>
<< Ma come perché, Castiel?... da dove te ne sei uscito? Fino a poche ore fa eri, non dico tranquillo, ma quasi. Poi ti sento gridare, mi porti qui come un maniaco che è in astinenza di sesso da anni e mi chiedi di fare un figlio? >>
Mi guarda sottocchio come se per lui le mie parole non hanno alcun senso, e infatti mi dice << non riesco a vedere dove sia il problema >>
“Dio ferma il mio piede, perché sto per piantarglielo fra le gambe!”
<< Non siamo sposati! >> esclamo incrociando le braccia al petto e dandogli le spalle. Lo sento ridere, prima piano, poi in un botto << Che ridi?! >> urlo girandomi per guardarlo in faccia.
<< Che scema! >>
<< Adesso sarei io la scema? >>
<< Certo! Come al solito non capisci un bel niente! >> risponde placando la sua ilarità, alzandosi dal letto e avvicinandosi a me. << Per quale motivo ti avrei chiesto una cosa del genere allora? >>
<< Che vuoi dire? >>
<< Se tu rimani in cinta, dovremmo per forza sposarci! >>  
<< Che significa, che se non rimango, non mi sposi? >>
Non mi risponde, guardo i suoi occhi e noto che si sono incupiti un’altra volta. Che cos’ha in mente? Perché questo atteggiamento così all’improvviso? Si sta avvicinando di più, è a qualche centimetro dal mio viso e sento le sue mani insinuarsi dietro la mia nuca, poggiando la sua fronte sulla mia.
<< Rea… >> sussurra quasi esasperato << se non lo facciamo… >>
Si ferma, sentendo bussare alla porta. Ci distacchiamo volgendo lo sguardo verso di questa. Castiel mi fa segno di ricompormi velocemente, poi va ad aprire, e sbirciando da dietro le sue spalle, mi accorgo che si tratta di sua madre.
<< Mamma, cosa c’è? >>
<< La cameriera, mi ha avvisato che eri arrivato. >> risponde la madre entrando e guardandomi << ci siamo già viste? >> mi chiede.
<< è la nipote di Michelle >> risponde Castiel per me. La madre continua a fissarmi, poi sorridendo mi da il benvenuta e senza aggiungere altro, esce avvisando suo figlio che tra pochi minuti verrà servita la cena. Chiusa la porta, il rosso va a sedersi a una poltrona adiacente, e sbuffa mantenendosi la fronte << maledizione! >> lo sento imprecare.
<< Sarebbe meglio se vada a cambiarmi >> mormoro, facendo finta che non sia successo niente. Gli passo di fianco, e lui senza scomporre la sua posizione, mi afferra la mano fermandomi.
<< Rea? >>
<< Cosa c’è? >>
<< Promettimi una cosa… >>. Inizio a sentirmi ansiosa. << … qualunque cosa succeda, non andartene. Non mi lasciare >>. L’ultima parola la dice con supplica. Sento un nodo in gola, e il respiro appesantirsi. Cerco di sorridere e sembrare calma e priva di brutti pensieri.
<< Per quale motivo dovrei farlo? >> chiedo scherzosa. Lui non risponde, sbuffa solo un sorriso portandosi alla bocca la mia mano e sfiorandola dolcemente con le labbra, che sento fredde, quasi glaciali. Quella sensazione percorre tutto il mio braccio colpendomi il cuore. Mi sento angosciata. Esco dalla stanza appoggiandomi di spalle alla parete. Cosa sta succedendo? Perché questi ragionamenti? Perché non gli ho chiesto di spiegarmi? E perché mi ha supplicato di non lasciarlo?
Prendo fiato, distaccandomi dal muro e incamminandomi per cercare la cameriera di prima e chiederle dove si trovi la mia stanza. Mentre cammino, sento una voce femminile, come un lamento, provenire a pochi passi da me. Riconosco il corridoio, è lo stesso che contiene la stanza di Erich, e accanto alla sua porta c’è la cameriera che sta bussando incessantemente, chiamandolo.
Mi avvicino a lei, curiosa << Cosa succede, signora? >> chiedo. La donna si gira verso di me, con espressione afflitta.
<< Signorina, sto chiamando il piccolo Erich, ma non mi risponde >>
<< Come non le risponde? >> chiedo preoccupata avvicinandomi alla porta e bussando << Erich, sei lì? Sono Rea >> nessun rumore. Porto la mano alla maniglia e provo a spingerla verso il basso, la porta è bloccata. Busso ancora una volta << Erich, vieni ad aprire? Non farci preoccupare! >>. Niente. Sento che la pazienta mi sta lentamente abbandonando. Se fossi stata in casa mia, avrei già buttato giù la porta a via di calci, ma purtroppo devo contenermi. Mi guardo in torno, convinta di poter avere un’altra idea. La cameriera dietro di me ha incrociato le mani e sta sibilando qualcosa, forse una preghiera.
“Ma che diavolo fa? Ha per caso paura che quella peste possa aver commesso una pazzia? Ma andiamo! Fa solo capricci! Non vuole aprire, ecco tutto!... però devo ammettere che questo silenzio mi sta rendendo nervosa oltre che ansiosa.”
Finalmente la mia lampadina mentale si è accesa, chiedo alla donna di accompagnarmi all’esterno, nella parte in cui si vede la finestra della cameretta. La cameriera, dapprima mi guarda titubante, poi prendendo la mia richiesta come un ordine, mi invita a seguirla.
Fortunatamente, è come me l’aspettavo, guardo il muro sotto il balcone della stanza e mi rendo conto che volendo posso anche arrampicarmi, dato che la parete è ricoperta da piante rampicanti, tipico delle ville signorili.
Senza pensarci due volte, mi attacco a quella scala vegetale e imito Spiderman. “Porca miseria! Ma queste piante sono ricolme di spine!... Spiderman, ti odio!”
<< Signorina, ma che fa? È pericoloso! >>
Non la sento. La preoccupazione si fa più intensa, da farmi dimenticare i dolori provocati dalle punture e dai raschi. Quando, finalmente, con fatica ho raggiunto la base del balcone, velocemente, mi appoggio ad esso portando i piedi sul piano. Mi guardo le gambe, posso dire addio ai miei jeans preferiti, per non parlare della maglia, ma più importante la pelle. Sembro uscita dalla foresta di Sherwood, dopo essere stata scambiata per un cinghiale da Little John e Robin Hood. Poco importa. Adesso devo solo riuscire ad entrare dalla finestra che come mi aspettavo è chiusa. Mi appoggio ai vetri per guardare all’interno. Un grande sollievo mi riempie il cuore. Erich, si trova rannicchiato ai piedi del letto. Busso attirando la sua attenzione.
Il bambino alza la testa guardandomi allibito. Lo saluto con un gesto della mano sorridendogli. Lui, bruscamente mi fa gesto di andarmene, volgendosi un’altra volta. Busso ancora, allora Erich si alza e avvicinandosi velocemente verso di me tira le tende urlando << Va via! Idiota! >>
“Su Rea, abbi pazienza, è solo un bambino” mi dico in mente cercando di mantenere la calma. Alzo la mano e… busso violentemente soccombendo all’ira << Apri immediatamente, moccioso pestifero!! Come ti permetti di trattarmi in questa maniera?! >>
Vedo le tende spostarsi e la sua piccola figura uscire allo scoperto. Non posso crederci! Mi sta aprendo!
<< Ma sei davvero idiota? >> chiede arrabbiato.
<< Smettila! >> esclamo entrando nella stanza e chiudendo la finestra, << ti sei decido ad aprire >>
<< Non l’ho fatto per te!... stavi per rompere i vetri, ti ho aperta solo per non avere la colpa se si fossero rotti >>
Rimango di pietra sentendo la sua vocina, farsi triste. Quel suo sguardo mi riporta di nuovo la voglia di abbracciarlo. Mi avvicino lentamente.
<< Perché non aprivi? >>
<< Non sono affari che ti riguardano! >> esclama ritornando ad essere antipatico.
<< Ma si può sapere che cosa ti ho fatto? >> chiedo calma.
<< Devi lasciarmi in pace! Odio tutti! Te compresa, sei come le altre, ti importa solo di Castiel! A me nessuno ci pensa. Soltanto mio fratello mi vuole bene, e adesso tu vuoi portarmelo via! >> urla tra i singhiozzi avvicinandosi a me e iniziando a tirarmi pugni sulle braccia. Sento un forte dolore al polso  e urlo, stringendomelo nell’altra mano. Erich si ferma, guardando le mie mosse. Poi come se in quel preciso istante si sia accorto del mio stato pietoso, si avvicina lentamente e mi afferra la mano ferita. Sento le sue manine morbide e calde, lo guardo negli occhi, com’è dolce, sorrido.
<< Ma tu sei ferita >> mormora << come hai…? >> mi guarda negli occhi e li vedo luccicare << Ti sei arrampicata sulle spine? >>
Annuisco con la testa, reggendo il sorriso.
<< idiota! >>
Il mio sorriso scompare repentino.
<< Cosa?! >> esclamo aggrottando le sopracciglia.
<< Sì, idiota!... avresti potuto prendere una scala. Anche un senza cervello lo avrebbe pensato! >>
<< Se non mi fossi arrampicata, avrebbe potuto significare solo una cosa, e cioè che non ero preoccupata per te >> rispondo duramente. Lo vedo trasalire, nel sentire quelle parole.
<< T-tu eri, preoccupata? >> mi chiede con voce di pianto.
<< Sì >> rispondo senza esitazione.
Erich cerca di dire qualcosa ma un rumore alla porta lo interrompe. Si sente la serratura sbloccarsi, e vediamo la porta aprirsi. La persona che entra, è il padre di Castiel.
Alto, magro, capelli scuri, e occhi taglienti. Vestito in maniera impeccabile. Guarda prima me, dalla testa ai piedi, poi guarda il bambino, e lo fa con rabbia.
<< Perché non aprivi la porta? >> chiede a quest’ultimo. Erich non risponde, si limita soltanto ad abbassare la testa.
<< Rispondi Erich! >> esclama, facendoci trasalire entrambi.
<< N-non volevo vedere nessuno >> balbetta il piccolo con voce tremante.
<< Cos’altro hai combinato? >> chiede il padre avvicinandosi minaccioso a lui, afferrandolo per un braccio, strattonandolo.
Ammetto che mi sto incazzando nel vedere quella scena.
<< Cos’erano quelle urla? Perché questa ragazza è ridotta in questo stato? Che cosa le hai fatto? Rispondi!! >>
<< I-io… >>
<< è colpa mia >> rispondo, cercando di mantenere la calma e sperando che si fermi. Ma questo non accenna a farlo.
<< Quante volte devo dirti che devi imparare a stare al tuo posto? >> continua, lasciando il braccio del figlio e preparandosi a sferragli uno schiaffo.
Non rispondo più delle mie azioni, afferro per la spalla il bambino tirandolo e nascondendolo dietro di me. Alzo il braccio per difesa, capendo che l’azione di quell’uomo non avrà tempo di fermarsi, e infatti la mia dolorante ferita, viene colpita da quello schiaffo. Digrigno i denti e stringo gli occhi dal bruciore, ma nessun suono ne gemito esce dalla mia bocca.
<< Ma è impazzita? >> esclama l’uomo per difendersi.
Apro gli occhi volgendogli lo sguardo più cattivo che possa avere. << Le ho detto che è colpa mia! >> ringhio << Erich non ne sa nulla >>
<< Ma che sta succedendo qui dentro? >> è la voce di Castiel, che è appena entrato nella stanza e si è fermato dietro suo padre, guardando la situazione, allibito, poi volgendo lo sguardo su di me, sgrana gli occhi e stringe i pugni tremando di rabbia.
<< Che cosa hai fatto papà? >>
Io non ho nessuna reazione. Continuo a guardare quell’orribile uomo, e gli trasmetto la rabbia più potente che abbia mai avuto nei confronti di una persona, mentre con la mano stringo il braccio del bambino facendogli capire che con me è al sicuro. Lui complice, mi abbraccia, da dietro la schiena, appoggiandovi le sue guance umide di pianto.

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Capitolo 48
*** La pioggia nel cuore ***


48° capitolo: LA PIOGGIA NEL CUORE
 



Fino a qualche ora fa, ero straconvinta che in tutta la mia vita, mai, e poi mai, avrei conosciuto una persona più maledettamente bastarda della vecchiaccia, e invece mi sono dovuta subito ricredere. Perché questa persona, mi sta dinnanzi e non accenna a volermi togliere lo sguardo di dosso, e io strafottente faccio altrettanto, sfoggiando la mia minacciosità in modo sicuro e impassibile.
La presa alla mia schiena si sta facendo più forte, e sento ormai la maglia bagnata dalle lacrime del piccolo Erich, che dietro di me, cerca di nascondersi dalla vista del padre.
Il polso, ferito e successivamente colpito dallo schiaffo dell’uomo, mi pulsa dal dolore, ma non lo do a vedere, non posso e non voglio. Questa mia impassibilità deve tranquillizzare il piccolo, perché con le mie gesta gli ho fatto credere che con me è al sicuro, ed è così.
<< Si può sapere che diavolo ti è saltato in mente di fare? >> è Castiel, che sta esclamando verso il padre, il quale, finalmente distoglie da me gli occhi e guarda il figlio, accennando un falso sorriso.
<< Niente di cui tu debba avere questo linguaggio nei miei confronti >> risponde al figlio << stavo solo svolgendo i miei doveri di padre, quando questa ragazza si è messa in mezzo… a proposito, con chi ho il piacere di parlare? >> mi chiede, volgendo anche verso di me quel sorriso odioso.
<< Con la ragazza che si è intromessa per impedire che il bambino venga picchiato! >> rispondo tutto d’un fiato, facendo capire a quell’ignobile uomo che la mia sfida non è ancora finita. Dentro di me so di star esagerando, ma l’irritazione sta scavando nel mio corpo soccombendo la pazienza.
Castiel guarda suo padre in maniera spaventosa, sembra volerlo bruciare con gli occhi.
<< Papà… >> inizia a parlare ma l’uomo lo interrompe prontamente dicendo: << Non mi avevi accennato che avresti portato qui, una tua amica, Castiel >> lo guarda sottocchio, Castiel ricambia lo sguardo e sospira profondamente.
<< Sai che questo non cambierà assolutamente le cose, vero? >> chiede ancora, dandomi le spalle, avvicinandosi al figlio, dargli una pacca sulla spalla, che Castiel scansa istintivamente, e andarsene.
Vedo il mio ragazzo fissare il vuoto e stringere i pugni, subito ho come uno strano presentimento: cosa avrà voluto dire quell’uomo con quella frase? Ritorno alla realtà sentendo la presa del bambino allentarsi su di me, lo guardo girando la testa, e mi accorgo che si è distaccato andando ad abbracciare suo fratello che rilassa i muscoli, accogliendolo senza esitare.
<< Non piangere, Erich… quante volte devo dirti che gli uomini non piangono? >> sussurra accarezzandogli la testa. Il bambino prova a rispondere, ma le sue parole vengono soffocate dagli interminabili singhiozzi.
Guardo quella scena più triste e irritata di prima. I bambini dovrebbero sempre mantenere il sorriso, e non bagnare il loro volto di lacrime. I bambini dovrebbero riservare la loro mente a caste e inimmaginabili fantasie, e non aver timore di non essere accettati o di sapere a quell’età la parola inesistenza.
Mi piange davvero il cuore, nel aver visto quell’immagine. Castiel mi sta guardando e non riesco a capire il significato del suo sguardo. Poi lo vedo alzarsi e avvicinarsi a me, mantenendo la mano del bambino. Senza tralasciare alcuna espressione sul volto, allunga una mano accarezzandomi la guancia. Piego la testa a un lato premendo il viso su quel palmo caldo.
<< Ti ha fatto male? >> chiede. Scuoto la testa. “Non è stato quel gesto a farmi male” dico solo nella mia mente, ché non ho più voglia di parlare. Guardo il bambino che aggrappato alla gamba di suo fratello, sta cercando di fermare i singhiozzi. Gli accarezzo la testa, e lui mi guarda con dolcezza, come se volesse ringraziarmi. Il suo essere scostante e arrabbiato, è totalmente scomparso, e finalmente posso vedere il vero Erich, anche se in modo triste.
<< Castiel ha ragione >> gli dico sorridendo, accorgendomi di avere la voce rauca. Tossisco, per riprendermi << Non piangere più, Erich >>, torno a guardare Castiel, il quale senza aggiungere altro, mi avvolge le spalle con un solo braccio, facendomi poggiare la testa sul suo petto. Il suo cuore batte a mille, e sono sicura che è ancora arrabbiato.
<< Ho bisogno di cambiarmi e di farmi una doccia >> sussurro chiudendo gli occhi e aspirando il suo forte profumo.
<< Ti accompagno io >> risponde accarezzandomi i capelli, poi mi distacca gentilmente, e rivolgendosi al suo fratellino, gli chiede di rimanere calmo e buono, nella sua stanza fino a quando lui non farà ritorno. Erich annuisce asciugandosi le ultime lacrime, poi Castiel mi prende per mano e ci dirigiamo insieme verso la porta. Ad un tratto sento il lembo della mia maglia tirato, mi fermo e mi giro. Il piccolo mi sta guardando con occhi luminosi << Grazie, Rea >>
Quelle due parole mi riempiono il cuore di tenerezza e felicità. Paragono quella sensazione a quando una donna sente per la prima volta il suo bambino chiamarla mamma. Non posso fare altro che abbassarmi alla sua altezza, guardarlo negli occhi, sorridergli, e attuare quella mossa che desideravo dalla prima volta in cui l’ho visto: lo abbraccio, stringendolo forte al mio petto << Di nulla, piccolino >> gli sussurro.
 
 
Anche se amo la doccia più della vasca piena, questa volta ho preferito immergermi interamente nell’acqua. A contatto con essa, sento i miei muscoli distendersi, ma l’ansia non mi abbandona del tutto. Lo strano presentimenti di prima, aumenta, man mano che le ore passano.
<< Devo sbrigarmi, c’è la cena >> sibilo quella frase come un pensiero espresso ad alta voce. Mi alzo, esco dalla vasca, prendo l’asciugamano e mi ci avvolgo come se volessi essere abbracciata. In pochi minuti sono già vestita, e senza aspettare, esco dalla stanza e mi incammino nel corridoio per raggiungere le scale e il piano di sotto.
Ricordandomi la strada, decido di dirigermi prima nella camera di Castiel, per mia sfortuna, non lo trovo. Sbuffo facendo una smorfia.
<< Cerca qualcosa, signorina? >> è la cameriera di oggi. La guardo smarrita.
<< Veramente, io, cercavo Castiel… >>
<< Il signorino è nel salone con suo padre >> mi dice tutto d’un fiato. Prima di ringraziarla mi faccio indicare dove si trovi il salone e poi m’incammino a passo svelto. Anche se non ho affatto voglia di rivedere quell’uomo, devo per forza incontrare Castiel. Detesto ammetterlo, ma più passo il tempo in questa casa e più non mi sento a mio agio. Ho solo un desiderio: volermene andare. Mi sento come un intruso nella casa del conte Dracula, e ho timore che da un momento all’atro, potrà succedermi qualcosa. Fatto molto strano, perché, non sono sola, al mio fianco ho Castiel, e allora per quale motivo, mi sento angosciata come se molto presto potrei non averlo più accanto?
Sento delle voci ben udibili, provenire a pochi metri da dove mi trovo. Riconosco quella di Castiel, e sicuramente c’è pure suo padre. Rallento l’andatura e una frase in particolare mi fa fermare di scatto.
<< Ma guarda come ti sei conciato! >> è il padre.
<< Cosa c’è che non va? >> chiede Castiel con voce beffarda
<< Hai di nuovo tinto i capelli. Non ti sembra di essere cresciuto per queste cose? Cos’è, ti sei fatto abbindolare da quella ragazzina? >>
<< Non metterla in mezzo ai tuoi deliri, ti sto avvisando >>
Silenzio.
<< Che intenzioni hai con lei? Perché l’hai portata qui? >> chiede dopo qualche secondo il padre.
<< Non sono affari che ti riguardano! >> risponde secco e irritato Castiel.
<< Hai ragione. Qualunque cosa tu ne voglia fare, non sono affari miei. Ti do solo un consiglio, per esperienza. Pensaci bene se decidi di tenerla come amante… >>
L’ultima parola mi scoppia nelle orecchie come una bomba atomica. Ingoio faticosamente, sentendo la saliva risalire spinta dai fortissimi battiti del cuore. Sento un forte rumore, che riesce a farmi trasalire, e mi ritrovo appiccicata al muro come un ladro intento a nascondersi bene.
<< Chiudi la bocca! >> esclama Castiel irritato << Non ti permetto di parlare in questa maniera di lei! >>
<< Non rivolgerti così nei miei confronti! >> lo ammonisce suo padre, superando il suo tono di voce. << Non hai il diritto di farlo! Ti ricordo che abbiamo un patto >>
<< Smettila! >>
Ritorna il silenzio, e questo mi basta per avere la forza di entrare nel salone e guardare negli occhi Castiel per chiedergli spiegazioni, ma appena sono comparsa davanti a loro, quelle parole mi sono morte nel pensiero in quello stesso momento. Il padre non c’è e Castiel, è davanti al decorato camino spento, con la testa appoggiata al davanzale.
Si sta volgendo, forse ha sentito i miei passi, mi guarda, e noto che ha gli occhi lucidi, sembra voler piangere. No, non sono lacrime quelle che vogliono uscire, non è da Castiel, poi, mi accorgo che sono io quella che vuole sfogarsi in quella maniera.
<< Cosa c’è? >> mi chiede avvicinandosi.
<< Nulla >> rispondo scuotendo la testa, scacciando così anche i mal pensieri.
<< Andiamo, la cena è pronta >> continua lui, dandomi le spalle così freddamente da farmi fermare il cuore, congelato da quel comportamento. Ammetto di capire che è ancora arrabbiato, ma… perché fa così con me? Cosa sta succedendo? E cosa sta per succedere?
Lo seguo silenziosa, mantenendo una certa distanza da lui. Mentre camminiamo, mi aspetto che si volti, mi sorrida e, perché no? Che mi prenda per mano, entrando nella sala da pranzo sfidando le offensive parole di suo padre. E invece, niente di tutto questo accade. Siamo entrati distanti, nella sala dove il tavolo apparecchiato vi regna sovrano.
A capo tavola c’è l’uomo odioso, all’altra estremità c’è sua moglie, Castiel si siede a un lato e una cameriera mi si avvicina indicandomi il mio posto che si trova a due metri di distanza dal mio ragazzo.
La cena non viene ancora servita. Con la testa china, ma con gli occhi che sbirciano, mi rendo conto che di fronte a Castiel c’è un altro coperto, ma Erich, non c’è. Vorrei tanto chiedere il perché, ma a farlo al mio posto è il rosso.
<< Dov’è Erich? >> chiede volgendosi a suo padre.
<< Erich, ha già cenato, non devi assolutamente preoccuparti >> risponde scocciato suo padre.
<< E allora, a chi è riservato quel posto? >> ribatte indicando con il capo davanti a se.
<< Lo scoprirai tra poco >>
Sento di tremare ansiosa. Quell’attesa mi pare durare secoli. Mi manca l’aria, voglio urlare, voglio andarmene via da qui, con o senza Castiel. Ad un tratto trasalisco sentendo la porta bussare. Tutti tranne il padre, guardiamo l’entrata della sala. L’uomo da il permesso, ed entra un cameriere, che con aria impassibile annuncia che l’ospite è arrivato.
<< Può entrare >> dice secco e sorridente il padre di Castiel.
Io distolgo lo sguardo dalla porta, inspiegabilmente, anzi no. So il motivo, non voglio guardare chi attraverserà quella soglia, non voglio assolutamente continuare a soccombere inutilmente i miei veri pensieri e sentimenti che mi hanno catturata da quando sono entrata in questa casa. Sono sicura di sapere chi è l’ospite, ché già sento il cuore gonfiarsi di dolore, e infatti, non appena la persona è entrata salutando, ho sentito, senza guardare, Castiel al mio fianco, alzarsi bruscamente, facendo cadere la sedia all’indietro esclamando un soffocato << Che cosa significa? >>, e io stringendo gli occhi brucianti, mi sono accorta che quella pioggia che sembrava essersi fermata nel momento in cui io e Castiel ci eravamo ritrovati, adesso sta invadendo il mio cuore.

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Capitolo 49
*** Mancato amore ***


49° capitolo: MANCATO AMORE
 


La realtà è più dolorosa di quanto avrei potuto mai immaginare. I miei occhi si sono ormai abituati a questo piatto vuoto che si trova di fronte a me e che sembra cristallino grazie alla luce del lampadario che lo illumina. Non li ho distolti per niente da lui neanche quando l’ospite ha preso posto a tavola salutando con voce vittoriosa, con quella stessa voce che anni fa piantò una ferita proprio al centro del mio cuore, e in questo preciso istante sento che la sta riaprendo inesorabile.
Soltanto il mio udito funziona, e lo concentro su Castiel, che, ancora in piedi, ha sbattuto i pugni sul tavolo facendo tintinnare la porcellana.
<< Che cazzo significa tutto questo?! >> esclama. Nella sua voce riesco a sentire il tremito di rabbia, che la rende quasi rauca.
<< Cerca di calmarti Castiel! >> cerca di ammonirlo il padre, ma il rosso non lo ascolta.
<< E tu che cazzo sei venuta a fare qui? >>
Trasalisco, capendo che si è rivolto all’ospite, chiudo gli occhi per prepararmi a sentire la risposta, come un’altra ferita inferta nel mio petto.
<< Che maniere Castiel… >> risponde lei con voce provocante << … eppure dovresti essere felice >>
<< Tzé… mamma, tu lo sapevi?... perché non mi rispondi?... >>
<< Castiel, io… >>
<< Tua madre non lo sapeva >> interviene il padre, interrompendo le sibilate parole della moglie << Smettila di agitarti Castiel, non ne vale la pena >>
<< Non ne vale la pena? Avevamo un patto! >> urla Castiel.
<< Quindi dovrei appellarmi anche io? >> chiede il padre quasi scettico.
<< E di cosa? >>
<< Ti avevo detto di portare qui una persona, e invece ne hai portate due >>
Apro gli occhi sentendo di essere la protagonista di questo ragionamento. Rimango con il capo chino.
<< Ho fatto soltanto ciò che hai fatto tu. >> continua il padre con voce rilassata << Hai voluto fare la tua mossa, muovendo la tua più importante pedina nella parte in cui la mia ha campo libero per toglierla di mezzo >>
Inghiottisco, capendo al volo quelle parole. Finalmente alzo la testa dopo aver sentito un leggero sorrisino da parte dell’ospite, e non appena le ho rivolto lo sguardo, ho incrociato quei suoi occhi maligni e allo stesso tempo pieni di malizia.
<< Ci si rivede, cameriera >> mi sussurra sorridendo beffarda. La fulmino con gli occhi e non la rispondo. Volgo lo sguardo verso Castiel, che si è seduto e guarda il suo piatto con occhi spenti.
<< Potete servire la cena >> ordina il padre ad un certo punto. Il cameriere mi porge il piatto, ma non guardo il contenuto, il suo odore mi da il voltastomaco. La voglia di andarmene si fa ancora più sentire, e il pensiero che Castiel non sta reagendo come dovrebbe è una cosa che mi fa imbestialire. Sento la rabbia crescere dentro di me bussando alla bocca vogliosa di fuori uscire tramite parole taglienti.
Ginevra continua a fissarmi, ed è un motivo in più per sbraitare. Poi la vedo volgere lo sguardo verso Castiel, gli sorride.
<< Dimmi una cosa, Cass. Questa ragazza che ti sei portato dietro sa che… >>
<< Sta zitta! >> l’ammonisce Castiel, volgendole uno sguardo fulminante.
“Perché la interrompi?” gli chiedo nella mia mente senza guardarlo “perché lo fai? Perché continui a nascondermi segreti?”.
<< oh-oh! Non lo sa? Ah-ah-ah! Poverina, chissà allora come starà morendo di curiosità in questo momento >>.
Guardo le posate sul tavolo, e mi soffermo sul coltello. Inizio ad immaginare tutta la scena di quel desiderato omicidio, e in quel momento riesco a capire come si possa sentirsi tentato un assassino.
<< Ho sempre saputo che in fin dei conti sei un sadico Castiel. Ti piace che la gente in torno a te, soffra. E tu perché l’hai seguito? >> chiede rivolgendosi a me << pensavi che ti avrebbe presentata ai suoi genitori come sua futura moglie? >>
<< Ginevra chiudi il becco! >> dice Castiel digrignando i denti.
<< Mi dispiace deluderti, mia cara, ma Castiel ha già presentato la sua un anno fa >>
<< C-cosa? >> sibilo. La mia voce non viene sentita, ché la rumorosa reazione di Castiel, l’ha sommessa. Si è alzato di scatto, e quasi saltando sul tavolo, ha afferrato per il colletto la ragazza sollevandola.
<< Ho detto di chiudere quella maledetta fogna! >>
<< Castiel lasciami mi stai facendo male! >> esclama quella recitando bene la sua parte.
Vedo il padre alzarsi e prendere suo figlio per le spalle, cercando di distaccarlo da Ginevra.
Sento i miei occhi riempirsi di lacrime, ed è in questo preciso istante che decido di farla finita. Mi alzo, indietreggiando la sedia rumorosamente, attirando l’attenzione di tutti i presenti.
<< Scusate >> dico cercando di calmare la voce per non far capire che sto soffrendo << Tolgo il disturbo >> detto questo mi allontano raggiungendo a passo svelto la porta.
<< Rea, non azzardarti ad uscire da quella porta! >> esclama con rabbia Castiel, io non lo ascolto, e mi affretto ad andare. Sento il mio nome riecheggiare nel corridoio. Stringo i pugni e inizio a correre per raggiungere l’uscita. Quando finalmente mi ritrovo nel giardino accanto al cancello, permetto alle lacrime di fuoriuscire. Piango, e lo faccio rumorosamente senza curarmi di essere sentita. Afferro le sbarre di metallo e le muovo per aprire, ma queste non accennano ad accontentarmi. << Maledizione! >> esclamo tirando un calcio. Le sbatto con forza ma inutilmente. Alla fine, stanca e straziata, mi accascio a terra poggiando la fronte tra le fredde sbarre e accompagno il mio pianto con lamenti. Mi siedo, appoggiandomi di spalle al cancello, alzo lo sguardo al cielo e osservo incantata la luna. Per la seconda volta, i miei occhi si sono prosciugati. Sorrido amaramente sibilando << è finita, e questa volta per davvero >>. Se all’inizio, dopo essere ritornata al paesello e aver riallacciato i rapporti con Castiel, il mio cuore di ghiaccio, si era di poco sciolto, adesso, questa folata di freddo e pungente vento, l’ha ricongelato del tutto.
Chiudo gli occhi tirando dei profondi respiri, e ascolto il lontananza chiamare il mio nome. Più la voce si fa vicina, più mi accorgo che è di Castiel.
<< Rea! >> esclama. Mia guarda, lo guardo. Si avvicina, rimango immobile e impassibile. << Che ci fai qui? Ti ho cercata per tutta la villa >>
Mi alzo barcollante, e quando sono di fronte a lui, lo guardo con occhi stanchi << Accompagnami a casa mia, adesso! >>. Lui mi fissa, non mi risponde, forse non sa cosa dire.
<< Non voglio stare un minuto di più in questa casa >> sbuffo facendo due passi in avanti per incamminarmi verso l’entrata. Lui mi ferma, afferrandomi il polso. Sento quel tocco tagliente.
<< Rea, che cosa vuoi fare? >>
Sbuffo un sorriso incredula << Castiel? Ma ti sei rincoglionito? >> chiedo spiazzandolo.
<< C-come? >>
<< Ma che cosa ti è preso da quando hai messo piede in questa casa?... secondo te cosa voglio fare? >> lo guardo quasi con supplica << pensi che non l’abbia capito? Devi sposare Ginevra, quindi io sono di troppo >> affermo cercando di farmi lasciare il polso.
<< Che vuoi dire? >> chiede lui stringendo la presa.
Prima di rispondere lo guardo, e sorrido amaramente << … è finita Castiel! >>
<< No! >>
<< Sì invece… Non so per quale motivo tu debba sposare per forza quella sgualdrina, ché per l’ennesima volta, mi hai nascosto quest’altro segreto. Ma adesso è tutto chiaro, ecco spiegato il motivo per il quale mi hai chiesto di fare un figlio. Così da poter per forza sposare me, non potendoti ritirare dall’obbligo di essere padre. Ma le cose non sono come le desideravi… che intenzioni hai? Cosa vuoi fare adesso? Sposarti con lei, e avere un’altra camera in casa tua, per me, per soddisfare le tue voglie da amante. Ho sentito bene ciò che ha detto tuo padre… beh, avete fatto un madornale errore. Tuo padre mi ha scambiata per una di quelle sgualdrinelle mantenute, e tu non hai fatto niente! >>
<< Ti ho difesa! >>
<< Avresti dovuto non portarmi in questa casa! >> urlo tremante di rabbia << cosa credevi di fare, portandomi insieme? Che il tuo caro paparino avrebbe applaudito a questa nostra messa in scena di fidanzamento? >>
<< Io ti amo, e anche tu! >>
<< Dimmi solo una cosa, Castiel >> mormoro guardandolo dritto negli occhi << voglio la verità, adesso! >>
<< Che cos’è che vuoi sapere? >> esclama lasciandomi il polso << che sono stato un grandissimo bastardo fin dall’inizio? Sì lo ammetto, e ammetto anche che questa situazione mi sta letteralmente uccidendo! >>
<< Non mi hai risposto! >>
Lui mi riafferra di nuovo il polso interrompendomi, tirandomi a se e stringendomi forte fra le sue braccia.
Non ce la faccio più, scoppio a piangere un’altra volta e gli tiro dei piccoli pugni ai fianchi.
<< Perché, perché Castiel, non mi dici niente? Perché stai ancora tacendo? >>
<< Già Castiel, che cosa aspetti a dire la verità? >> interviene una voce dietro di noi. Sento Castiel allentare la presa lentamente, permettendomi di girarmi alle spalle e incrociare ancora una volta gli occhi di quella donnaccia.
<< Che cosa vuoi? >> chiede Castiel tagliente.
<< Voglio anche io sentirti dire la verità. Ma se vuoi la racconto io… vedi, mia cara, un anno fa Castiel, ha firmato un contratto con suo padre, ma questo non è uno di quei contratti semplici, come potrei chiamarlo? Ah, ecco: contratto di matrimonio >>
Sgrano gli occhi allibita, volgendo lo sguardo verso Castiel che continua a fulminare quella ragazza.
<< In poche parole >> prosegue lei atteggiandosi a gran donna << Castiel accettò di sposarsi con me >>
<< è… è la verità, Castiel? >> balbetto con voce flebile.
<< Perché non le racconti anche il motivo? >> chiede lui non rispondendo alla mia domanda << perché non le racconti di quanto sei meschina, calcolatrice e anche puttana?! >>
<< Attento a come parli! Non puoi avere questo atteggiamento con la tua futura moglie >>
<< Moglie? Ma quale moglie? Tu per me vali meno di zero, e ti permetti di paragonarti a una moglie >>
<< … e ti avviso che non ti permetterò certo di farti un’amante…  >>
<< Figlia di puttana! >>
<< Ah-ah-ah… anzi, perché non la liquidi adesso questa sciacquetta >>
Non do a Castiel neanche il tempo di parlare, che mi fiondo, minacciosa, su Ginevra e le sferro un pugno sentendo le mie ossa schioccare al violento contatto con le sue. Le dita mi fanno male, ma il pensiero di essermi tolta quel peso di dosso mi fa gioire.
La stronza cade a terra gemendo di dolore e mantenendosi il viso. Mi avvicino a lei guardandola dal basso con aria fulminante.
<< Come diavolo ti sei permessa?! >>
<< Taci! Azzardati un’altra volta a chiamarmi in questo modo, e ti faccio pentire di avermi anche solo rivolto lo sguardo! >> poi volgendomi verso Castiel << Non scomodarti più per me. Non c’è n’è più bisogno >> esclamo con voce rude.
<< Che vuoi dire? Rea fermati, dove stai andando? >>
<< Lasciami Castiel, fra noi è tutto finito e questa volta per davvero >>
<< è soltanto colpa mia! Non avrei mai dovuto firmare quel contratto! Se l’ho fatto è per salvare l’onore di mio padre e per Erich! Ginevra ha minacciato un’altra volta mio padre di far pubblicare sui giornali che esiste un figlio fuori dal matrimonio. E se solo questo accadrebbe, le azioni di mio padre cadrebbero a vista d’occhio… io, io pensavo di averti persa per sempre. È per questo che avevo accettato di sposarla. Facendo così, avrei riconosciuto Erich come mio figlio, liberando mio padre dalla vergogna. Avremmo detto a tutti che fu un’avventura adolescenziale e che aspettavamo il momento della maggiore età per unirci come una famiglia. Ginevra doveva arrivare tra qualche mese >>. Quella rivelazione, diventa l’ennesima scudisciata sul mio cuore.
<< P-perché non me lo hai detto dall’inizio. Perché hai accettato di ritornare insieme? >> chiedo piangendo.
<< Perché il solo averti rivista, mi ha riacceso il cuore. Io amo solo te Rea >>
Scuoto la testa respirando tra i singhiozzi << No, non dirmelo più. Non le voglio più sentire quelle parole. Mi fa male il cuore… è finita Castiel >>
<< No! Non te lo permetterò! >>
<< E cosa vuoi fare? Non lo capisci che è il nostro destino che ci impedisce di stare insieme? Basta Castiel, basta >>
<< No, non puoi dire questo! >>
<< E cosa dovrei dire? Che accetto di farti da amante? Puoi scordartelo Castiel >> mi avvicino a passo lento verso di lui e mi fermo a pochi centimetri dal suo viso, glielo accarezzo con una mano e cerco di fermare le lacrime << è stato bello amarti Castiel. Non fermarmi. Avrei potuto combattere per il nostro amore, se non ci fosse stato Erich. A questo punto mi fermo, e lo faccio solo e soltanto per quella creatura, ti vuole un mondo di bene. Dagli l’affetto che quel vigliacco di tuo padre non gli ha saputo dare. E insegnalo anche a Ginevra. Insegnale ad amare suo fratello come se fosse suo figlio >>, sfioro le sue labbra con le mie, poi me ne vado, Castiel non mi segue, e allora capisco che ha preso la sua decisione. Raggiungo in fretta la mia camera e inizio a prendere le mie cose. Sto piangendo in silenzio e me ne sono accorta dopo aver sentito bussare alla porta. Do il permesso per entrare. È Erich. Mi asciugo velocemente le lacrime e mi sforzo di sorridere.
<< Cosa c’è piccolino? >>
<< Stai andando da qualche parte? >>
Annuisco << Devo ritornare a casa >>
Il piccolo si avvicina al letto << Io… volevo chiederti scusa >>
<< E di cosa? >> chiedo avvicinandomi a lui.
<< Di come mi sono comportato e delle parole che ti ho detto >>
Istintivamente lo abbraccio stringendolo al petto << Non devi scusarti, Erich. Sei un bambino così dolce >>
<< Davvero? >>
<< Sì >>
<< Sei la prima che me lo dice >>
<< Ne sono contenta >>
<< Rea? >>
<< Dimmi >>
<< Tornerai a trovarmi? >>
Esito nel rispondere, chiudo gli occhi e lo bacio tra i capelli << Sarai sempre nei miei pensieri >> dico con voce di pianto.
<< Ti voglio bene, Rea >>
<< Anche io Erich >>
 
 
Il taxi sta percorrendo velocemente questo lungo rettilineo che raggiunge il paesello. Guardo l’ora sul cellulare, sono le due di notte. Il cielo e stellato e la luna continua a sfoggiare il suo eterno sorriso. Guardandola ripenso a quella sera di tre anni fa. Anche quel giorno lei si trovava lì, senza alcuna nuvola a coprirla e come quella volta, anche adesso è l’unica a sapere tutto e a confortarmi con quel dolce e incantevole sorriso.
Me ne sono andata dopo aver salutato solo Erich. Ho preferito non incontrare più nessuno. Quando ho sorpassato la soglia del cancello e mi sono girata per richiuderlo, ho notato un’ombra in controluce da dietro le vetrate che mi guardava. Sapevo che era lui. << Ciao Castiel >> ho sussurrato. Questa volta non gli ho voluto dire addio, perché addio si dice solo a chi non c’è più, e anche se lui adesso e in futuro non sarà più davanti ai miei occhi, so che lo avrò per sempre nel mio cuore. A quei pensieri accompagno la mano al mio petto, stringendola in pugno, come per abbracciare il mio mancato amore.
 
 
 
 
Note: ciao a tutti. Bene, come avrete già notato questo è l’ultimo capitolo. Ora, sicuramente, molte di voi, mi avrete maledetta fino allo svenimento, e molto probabilmente avrete cancellato questa ff dalla lista dei preferiti. Lo dico da me: sono una grandissima BAKA DIABOLICA… Ho corso il mio rischio pubblicando questo capitolo, però vi voglio avvisare che la storia non è finita qui… eh sì! Ci sarà una… come chiamarla? Ah, SECONDA STAGIONE (sperando sempre di avere ancora qualche lettrice interessata a leggerla).
Comunque ringrazio tutte le ragazze che hanno letto, recensito e/o taciuto. Alla prossima!!

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