Guitar or Love Lessons?

di Ombra Oscura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Addio esame ***
Capitolo 3: *** Tentar non nuoce? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

-Prologo-


I always loved it.
I started with an old beat-up Gibson
.

Cit. Randy Rhoads



Correvo.
Correvo sempre più veloce, tanto da non riuscire a distinguere gli alberi che mi circondavano, a non riconoscere la gente alla quale passavo di fianco. Ecco, sarebbe stato meglio fare un briciolo di attenzione.
All' improvviso sbattei contro qualcuna o qualcuno, ma ero troppo di fretta per fermarmi a controllare.
<< Ma che... >> furono le uniche parole a cui feci attenzione. Non mi importava granchè sapere se fosse maschio o femmina, bambino o bambina, anziano o anziana, dovevo arrivare in tempo e riuscire a dare quel maledetto esame di Chimica.
Che maleducata, lo so, ma scappando cercai di dire un “Scusami”. Chissà se mi ha sentito.

La strada bruciava sotto le mie sottili, sottilissime, anzi, inutili suole delle scarpe da ginnastica usate e stra consumate. Riuscivo a percepire ogni sassolino e non era piacevole.
Sperai di non scontrarmi con qualcun altro. E se mi capitasse un poliziotto? Nah, dovrei essere proprio sfigata.
Pensai che potessero essere “ Le famose ultime parole”, ma quel giorno per me non valevano.
Svoltai a sinistra in una stradina abbandonata. Meglio così, non butterò giù altri birilli.
Le mura dei palazzi non permettevano al sole di quella mattina di infastidirmi ulterioremente o di grondare di sudore oltre il limite massimo per cui presentarsi poi in imbarazzo totale. Sentii il rumore di una macchina e mi spostai sul lato sinistro della strada. Avevo il fiatone e mai prima di allora avrei fatto più di due minuti di corsa. Odiavo la prova di resistenza che ci facevano fare al liceo o alle medie. Ero sempre l'ultima e l'unica a cui la lingua cadeva per terra. Peggio di un cane. Ero brava a buttarmi sul prato per riprendermi un po' della vita perduta in quei giri infernali sul campo.
Mi fermai un secondo. Di certo avrei preferito avere polmoni d'acciaio, o una milza immune al dolore, ma non era il mio caso purtroppo. Lasciai scivolare la tracolla sul braccio destro fino a terra. Mi appoggiai sulle ginocchia e mi chiesi come mai non mi fossi svegliata prima. Ero sempre in ritardo, non solo a scuola, ma ad ogni appuntamento, ogni cosa che richiedesse un'ora in cui presentarsi, per poi comparire puntualmente mezz'ora dopo. Almeno sono puntuale nel mio ritardo.
Feci un mezzo sorriso, fissando le mani sulle ginocchia protese in avanti per la mia posizione piegata. Pronta a ripartire, mi dissi, ma a volte è meglio non essere poi così sicuri. Un attimo prima fissavo terra e un attimo dopo il petto, di non so quale ignota persona, nascosto dietro una bizzarra maglia.
<< Scusami >> urlai per farmi sentire stavolta, rialzandomi per riprendere la corsa. Incredibile come fossi insensibile.
<< Scusami un paio di balle! >> fu la risposta prima che qualcosa afferrasse la mia tracolla, strozzandomi fino a farmi venire l'impulso di rigetto. Tossii e mi voltai per guardare chi con tanta gentilezza aveva cercato di soffocarmi.
<< Non vai da nessuna parte >> aggiunse con tono severo.
Lo fissai mentre stava seduto a terra, un ragazzo, della mia età forse, con la mia tracolla stretta fra le mani e uno strano oggetto riposto in una specie di custodia ormai semi aperta alle sue spalle. Ci misi un po' a collegare cosa fosse e cosa avessi combinato con la mia grande voglia di autoscontro. Da bambina ammetto di aver amato le giostre con gli autoscontri, ma quello mi sarebbe piaciuto un po' meno.
<< Ho un esame e devo andar via. Ho dieci minuti e l'università è proprio là >> indicai con l'indice una massa biancastra in lontananza.
<< Non che sia entusiasta di presentarmi, ma se non lo faccio verrò uccisa dai miei genitori, quindi a meno che tu non abbia un valido motivo per trattenermi.. >> tentai di spiegare, pregando mollasse lo zaino.
<< Se ci andrai sarò io ad uccidere te >> replicò con un'espressione che non faceva trasparire alcuna ironia << Ti sembra un valido motivo ? >>



 

 

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Capitolo 2
*** Addio esame ***


-Addio esame-


Sbaglio o sono stata appena minacciata? Di sicuro stava scherzando, doveva essere così.
Sarei mancata all'appello di Chimica, inoltre avrei dovuto scegliere se morire per mano dei miei o di uno sconosciuto, che per quel che sapevo poteva benissimo beffarsi allegramente di una povera universitaria indifesa per poi adescarla. Fu così che feci la scelta che in quel momento mi sembrò più comoda: fuggire.

<< Ehm, bello il tuo scherzo, sembra quasi vera la tua minaccia >> sorrisi, sforzando il mio povero zigomo sinistro a divenire leggermente sporgente, affinché rendesse più realistico il mio divertimento a quella che sarebbe dovuta essere una battuta. Calò il silenzio più totale. Per un attimo pensai si fosse fermato il tempo. Mi guardai intorno, nessuna macchina, nessun testimone.
Momento perfetto.
Lo fissai due millesimi di secondi. Nell'istante in cui comprese le mie intenzioni era ormai troppo tardi. Raccolsi le forze e gli strappai lo zaino dalle mani per iniziare la staffetta della mia vita. Mi guardai indietro, ma notai che non si mosse di un millimetro. Quello che non mancava, però, era il suo sguardo fisso su di me. Me lo lasciai alle spalle.

Finalmente l'università non era più un miraggio. Non che il mio viaggio nel deserto prevedesse tra i miei desideri una prigione.
Le strisce pedonali mi separavano dall'entrata principale. Di solito ero molto attenta nel guardare a destra e sinistra, ma quell'interruzione mi portò ad avere una certa fretta, tanta da non badare al colore delle macchine, ad esempio, o a quel fuoristrada nero che stava prendendo una certa velocità.
Sentii uno stridio di gomme, che mi ricordò quello emesso dalle ruote della mia “vecchia” in una curva, mentre tornavo a casa dopo un pomeriggio straziante trascorso in biblioteca. Il muso di una macchina si fermò a pochi millimetri dal mio braccio. Il blocco fu spontaneo e per un momento pensai pure di indietreggiare.
<< Ma sei deficiente? >> fu la prima cosa che mi passò per la mente, mentre con le braccia indicavo le strisce.
<< No, ma dico io, ci vedi? >> il fiato quasi mi mancava, forse lo spavento, forse l'ansia per l'esame che stava per andare a farsi benedire con gli interessi ad attendermi a casa.
Non vedevo la persona contro la quale stavo sbraitando a causa del parabrezza oscurato. Nel momento in cui capii che avevo altre priorità avanzai per attraversare e inavvertitamente graffiai con la parte metallica della tracolla la vernice nera che si trasformò in una striscia grigia metallizzata.
Così impari, stronzo!
Di certo non era un grandissimo torto, anche perché di sicuro chi aveva speso dei soldi in quella auto non era un barbone.
Distolsi lo sguardo compiaciuta della mia piccola vendetta, ma presto fui sorpresa di una giacca blu scura dinanzi al mio naso. Qualcuno si era deciso a farmi delle scuse?
Alzai la testa, evidentemente avevo davanti un bestione di due metri. La coda in cui erano raccolti i suoi biondi capelli faceva intuire la lunghezza. Mi afferrò un braccio.
Ma che diavolo...
Mi sembrava di vivere uno di quei film in cui un'auto in corsa della CIA punta il bersaglio per poi scaraventarlo dentro, senza nemmeno permettere alla vittima di rendersi conto di quello che sta accadendo.
<< Ehi, bella bionda, potresti lasciarmi passare? >> dissi in modo beffeggiante. Non avevo nulla contro gli uomini amanti della lunga chioma, anzi invidiavo la loro dedizione e pazienza, ma quella massa di muscoli voleva vietarmi di presentarmi all'esame o peggio caricarmi per poi violentarmi, uccidermi e buttarmi in qualche fiume, dove per settimane nessuno mi avrebbe trovata.
Troppi telegiornali.
Con mia sorpresa non rispose. Aveva un viso squadrato e due palle nere al posto degli occhi, che gli conferivano ancor più un'aria da criminale.
<< Lasciami il braccio o sarà peggio per te >> provai ad intimorirlo. Ero stupida a pensare che una ragazza di un metro e sessanta potesse spaventare anche solo un minimo un gigante, ma le donne non hanno i testicoli e questo giocava a mio favore.
Le sue labbra emisero qualcosa simile ad un ghigno. A quell'ora del mattino non c'era più gente al di fuori dell'università e mi stupiva che nessun passante si fermasse a curiosare sul perché una ragazza fosse immobile sulle strisce, con un braccio la cui circolazione stava per dirle addio.
Mi caricò di peso. Questo fu uno di quei momenti che avevo immaginato diverse volte. Se qualcuno mi avesse fatto del male, sarei riuscita finalmente ad urlare? Quando giocavamo io, mio fratello e una nostra cugina a “Chi urla di più” perdevo sempre. Non so che gioco fosse o perché lo facessimo, ma non riuscivo ad emettere nessun suono in passato e non fui in grado di farlo nemmeno in quel momento.
Gli tirai calci e pugni con scarsi risultati, se non ritrovarmi con la schiena dolorante su dei sedili che dall'odore parevano in pelle.
<< Ti avevo detto che non saresti andata da nessuna parte >> sentii una voce vicino alla mia testa. Alzai gli occhi intontita.
Non è possibile.

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Capitolo 3
*** Tentar non nuoce? ***


-Tentar non nuoce?-




Il suo sguardo, gelido, fece accapponare la pelle.
Mi ritrovavo ad avere qualcosa di morbido premere contro la mia testa.
<< Che ne diresti di un po' di palestra? >> dissi, dopo aver tastato quella che doveva essere la sua coscia. Era facile mandare un bestione, di sicuro uno come lui non sarebbe riuscito nemmeno a sfiorarmi.
<< Visto che non credo che queste gambe mosce ti avrebbero sostenuto una volta caricatami sulle spalle. Fai sempre fare il lavoro sporco agli altri? >> aggiunsi, non curandomi del cambiamento della sua espressione, che passò da fredda a quasi divertita.
<< Se avessi qualche chilogrammo in meno, non scomoderei Louis >> le sue labbra sottili si mossero lentamente, quasi a voler marcare ogni singola parola, quasi a volermi ferire.
Touchè.
Percepii una risatina dal sedile davanti, probabilmente anche la bestia era del suo stesso parere. Ormai andavano di moda le ragazze che non si reggevano in piedi. A dir la verità, per quanto poco pesassero, forse si tenevano sulle proprie gambe meglio di quanto potesse fare una come me. Niente seno, niente fianchi, niente pancetta. Un sogno per le donne. Ciò che non comprendevo è come potesse essere un sogno per gli uomini. Alla fine non ero una che amava seguire la massa e quindi quei chiletti in più non mi davano poi così fastidio. Forse potevo considerarmi normale, anzi, robusta, meglio. In confronto a loro però potevo anche definirmi grassa.
<< Oh, beh, almeno io mi gusto la vita. Tu non credo proprio. Asciutto come sei potrei usarti come stuzzicadenti >> mi alzai dalla posizione sdraiata, interrompendo il contatto con quegli occhi così vuoti, tanto da poterti risucchiare nel loro abisso nero.
<< Invece di continuare a fare l'acida, mettiti comoda e taci, ci vorrà almeno mezz'ora >>
Mezz'ora per cosa?
<< Scusa? Ripetilo se hai il coraggio. Non credere di potermi mettere a tac... >> sentii una leggera pressione sulle labbra, prima di rendermi conto che la mano di quel criminale cercava di zittirmi.
<< Te lo ripeto un'ultima volta: mettiti comoda e taci >> premette con più forza, dando un colpetto e facendomi toccare con la testa il sedile. Mi lasciò solo dopo che annui, spostando lo sguardo verso gli alberi che scorrevano velocemente al nostro passaggio.
Stronzo, pensai.
<< Stronzo >> bisbigliai. Non mi conveniva per il momento venir meno alla sua richiesta molto chiara e concisa.
<< Farò finta di non aver sentito >> ghignò, voltando la testa fuori, in direzione del cielo.
Il sole, che tanto spaccava le pietre poco prima, si stava comprendo con una coperta di nuvole. Lo sbalzo di temperatura non si sentiva in quella auto. Avevano acceso l'aria condizionata, la stessa temperatura che hanno i frigoriferi del supermercato nel reparto yogurt, prosciutto e formaggi. Rabbrividii e nel atto di stringermi in me stessa notai qualcosa di spigoloso spuntare leggermente dalla tasca destra.
Il cellulare.
Mi resi conto che avevo perso ogni cognizione. Diamine, mi avevano appena rapita e io perdevo tempo nel trovare qualche insulto. Fu come un lampo a ciel sereno. Dovevo trovare il modo di comporre il numero della polizia. Mi ricordai però che avevo quel benedetto codice, che non ero in grado di digitare senza guardare direttamente. Mi pentii di averlo impostato. Lo feci tempo addietro, poiché le persone e soprattutto i miei genitori erano soliti farsi i fatti miei. “Posso vedere il tuo cellulare?” chiedevano, ma poi finivano per andare sui messaggi, sulle foto, sulle chiamate. A questo punto basta dire “Posso farmi i cazzi tuoi?”.
Come distrarlo?
<< Il tempo ha crisi di identità ultimamente. Prima c'è il sole, poi sparisce e piove >> dissi. Il finestrino aveva appena iniziato ad essere attaccato da minuscoli proiettili di acqua, probabilmente dovuti al vento.
Appoggiò il gomito sulla base del vetro e sembrò voler ammirare ulteriormente quel mio appunto.
<< Mi sembra di averti chiesto di non parlare >> esclamò << Comunque sia hai ragione, però non mi dispiace la pioggia. Soprattutto sentire il profumo della terra bagnata, dell'intera natura attaccata da un elemento che può essere violento come dolce e rinfrescante >> sospirò, mantenendo quella posizione. Rimasi un attimo perplessa da quelle parole, che lo allontanavano un po' dalla figura violenta e criminale precedente. Scossi la testa.
Forza, è il momento giusto.
Tirai leggermente fuori il cellulare. Iniziai a digitare il codice e lo schermo si illuminò.
Merda.
Quello che non avevo calcolato era il buio che creavano i rivestimenti interni del fuoristrada, con l'aggiunta del tempo che non era di certo a mio favore per luminosità.
Appoggiai di scatto il telefono al mio fianco, nascondendo la luminosità e guardandomi subito sulla mia sinistra, ma lui era ancora lì, intento a meditare, forse. Sbirciai anche lo specchietto retrovisore centrale. Nessuno mi aveva notata. Sospirai, chiudendo gli occhi.

 

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