At night, the world is fair because it's sleeping.

di D a k o t a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

"Dopo lunghe discussioni, Bella si recò al castello insieme al padre, al quale la bestia concesse la libertà, intimandogli di non tornare mai più… Che vuol dire intimare, zio Elijah?”

Rachel stava seduta su una delle poltrone dello studio di Elijah leggendo ad alta voce un libro di fiabe. Andava così da molto tempo, oramai. Non frequentava una scuola perché la sua famiglia pensava che esporla in quel modo fosse pericoloso. Non aveva mai capito perché, lei voleva fare amicizia con gli altri bambini eppure tutti volevano, in tutti i modi,chiuderla in una bolla di cristallo. Comunque sia, Elijah si era preso carico della sua istruzione e ogni mattina la aiutava, soprattutto con la lettura, proprio come in quel momento. E la bambina seguiva quelle lezioni con curiosità, ascoltava e apprendeva con un vivace interesse. Avrebbe voluto però che a insegnarle qualcosa fosse qualcun altro. Amava Elijah e le sue storie, eppure non poteva fare meno di pensare a come sarebbe stato se al suo posto ci fosse stato il suo papà. Peccato però che si ostinasse ad ignorarla.

“Significa ordinare, Rachel. Vai avanti.”

Elijah intuiva il turbinio in cui si stava per perdere sua nipote. Sapeva cos’era quel lampo inquieto che ogni tanto rendeva quegli occhi innocenti così cupi. L’aveva sentita piangere qualche volta e gli si era spezzato il cuore quando una volta, in lacrime gli aveva chiesto se Klaus era arrabbiato con lei perché Hayley era morta. Aveva perso tutta la sera a rassicurarla, a dirle che suo padre le voleva bene e lei aveva chiesto perché si comportasse così, allora. E lui non aveva potuto rispondere. Uno dei tanti punti deboli dell’infanzia era proprio quello. Non c’era bisogno di capire, per soffrire.

“Così ritornò al castello, dove trovò la bestia agonizzante di dolore, e lo pregò di non morire perché voleva sposarlo. Appena pronunciate queste parole, la bestia sparì e al suo posto comparve un bellissimo principe, a cui una strega tempo prima aveva fatto un incantesimo, trasformandolo in quell'orribile mostro che Bella aveva conosciuto. La maledizione si sarebbe spezzata solo quando una donna avesse voluto sposarlo. Bella e il principe vissero felici per il resto della loro vita insieme al padre della giovane, mentre le due malvagie sorelle furono trasformate in statue, così che potessero assistere alla felicità altrui finché non si fossero pentite della loro cattiveria”

Rachel alzò lo sguardo dal libro, regalando ad Elijah un sorriso gioioso, capace di riscaldargli il cuore. Amava quel genere di storie d’amore. Quei lieto fine con la carrozza e il cavallo bianco, e sfarzosi matrimoni. Poi però corrucciò la fronte. C’era qualcosa che non le tornava, e il vampiro Originale più anziano non poté non notare quel repentino cambiamento d’umore.

“E’ bellissima ma… Mi dispiace per le due sorelle.”

La bambina abbozzò un sorriso, imbarazzato. Lo guardò alla ricerca di una spiegazione. Elijah sospirò. Fino a dove si spingeva la sensibilità di sua nipote? Riusciva ad avere perfino compassione e a pretendere un lieto fine anche per gli antagonisti.

“Loro erano viziate e materiali, Rachel. Non devi dispiacerti.”

Rachel storse la bocca, sicuramente poco convinta. Tutti meritavano la possibilità di essere amati. Elijah lo ripeteva in continuazione. E Rachel non aveva certo intenzione di lasciare a lui l’ultima parola.

“Tu dici sempre che tutti meritano una seconda possibilità. Quindi anche le due sorelle.”

Elijah le prese il libro dalle ginocchia, lei si sedette più comodamente, aspettando una risposta. Lui però si limitò a ridacchiare, sconfitto. Amava sua nipote, ma sapeva essere cocciuta e insistente. Quando si metteva in testa qualcosa nessuno, proprio nessuno, riusciva a persuaderla. Proprio come qualcun altro. Un ricordo doloroso lo trafisse.

 

 Sangue. Urla. Una promessa: Prenditi cura di lei. Non lasciare che soffra. Non lasciare che le facciano del male.

 

 Hayley non ce l’aveva fatta. Non era nemmeno riuscita a stringere quella bambina per cui aveva lottato e che aveva protetto per nove mesi. E lui era rimasto lì, solo, con il cuore a pezzi e il peso di una promessa troppo importante per essere infranta. Tornò a guardare Rachel che lo stava guardando, preoccupata da quel momento di assenza.

“Puoi andare, tesoro. Abbiamo finito"

 La bambina si alzò in piedi ma esitò. Aveva tante domande che l’assillavano. Tipo cosa avevano fatto Bella e la Bestia dopo, se erano ancora felici. Ma il sentire sbattere la porta, in una stanza adiacente, le fece cambiare idea.

“Il padre di Bella le voleva davvero bene. Sapeva che raccogliendo quella rosa, avrebbe potuto finire nei guai, ma l’ha raccolta lo stesso”.

Il vampiro capì dove voleva arrivare, e cosa sottintendeva quella frase, e capì che doveva prendere il toro per le corna, una volta per tutte. Si chinò, inginocchiandosi all’altezza della bambina, per guardarla negli occhi.

“Rachel, tuo papà ti vuole bene. Almeno quanto il papà di Bella.”

 “Non è venuto a salutarmi. Nemmeno questa mattina.”

Rachel si morse le labbra,presa alla sprovvista, per trattenere le lacrime . Elijah sospirò. C’eravamo, c’eravamo di nuovo. Sapeva quanto quella piccola ragazzina potesse diventare intrattabile, in quei momenti. Quanto detestava vederla così perché sapeva quanto un dubbio del genere, potesse minare la psiche di una bambina. L’aveva visto con suo fratello, anche se in una situazione ben peggiore. L’aveva visto cambiare, distruggersi, cercare un’approvazione che non sarebbe arrivata, e poi smettere di cercarla, smettere di credere nel bene, e non più distruggersi. Solo distruggere.

“Rachel, ci sono persone così. Il tempo e i tradimenti le hanno rese schive, introverse, complicate. Cominciano a commettere errori su errori e quando se ne accorgono sono troppo orgogliosi per ammetterlo, e cominciano a farne di più grandi. Credono di non meritare più niente di buono, e di poter fare solo male alle persone che hanno intorno e a cui vogliono bene . Quindi le allontanano, per proteggerle. Purtroppo tuo padre è una di quelle.”

Rachel rifletté su quelle parole. Era ancora meno convinta di prima. Troppe domande la tormentavano. Lei non aveva fatto del male a nessuno, a parte quella volta in cui aveva tagliuzzato la camicetta di zia Rebekah e aveva usato i pezzi per un collage, oppure quando ogni tanto entrava nella camera di Klaus per osservare quei magnifici dipinti, sognando un giorno di diventare così brava, pur non avendo il permesso di stare lì, ma non era nulla di così grave. Allora perché doveva essere protetta? Chi voleva farle del male, se lei non aveva fatto male a nessuno? Pensò di chiederlo ad Elijah.

“Chi vuole farmi del male?”

 “Rachel…”

Incominciò così, ma cosa poteva dire? Che suo padre aveva lasciato una scia di sangue ovunque era stato, e i suoi nemici avrebbero semplicemente voluto ucciderla per vendetta? Che sarebbe solo stata un danno collaterale, che a chi voleva far soffrire Klaus non importava assolutamente che il suo sangue fosse innocente? Che era per quello che l’avevano - nemmeno troppo esageratamente - confinata in casa? Rachel era un vampiro, lo era per sangue, ma il suo lato licantropo che seppur nascosto c’era, le permetteva di nutrirsi normalmente. Pensò a come la verità sarebbe venuta a galla quando avrebbe in qualche modo scatenato la licantropia. Elijah sapeva cosa sarebbe dovuto succedere per scatenarla, e pregò che non dovesse mai accadere.

 Rachel invece attendeva ancora una risposta. Ma si infuriò terribilmente quando si accorse che non sarebbe arrivata. Che Elijah le stesse mentendo? Le lacrime cominciarono a fluire, di nuovo rapide.

“Se non c’è nessuno che mi vuole fare male, allora lui vuole starmi lontano. Non è che non può. Non mentirmi, zio Elijah. Tu dici sempre che non bisogna mai farlo, nemmeno quando non si vuole fare male a qualcuno”

Poi Rachel arrabbiata e ferita da quella bugia a fin di bene se ne andò, voltando le spalle allo zio e sbattendo la porta. Elijah avrebbe voluto rincorrerla e sgridarla, non era quello il modo di comportarsi. Ma non ne ebbe cuore. Aveva una promessa da rispettare.

 Non lasciare che soffra.

 Era questo ciò a cui pensava Elijah mentre si avvicinava alla camera da letto di suo fratello, deciso a mettere le cose in chiaro.

 Perché Elijah aveva promesso.

 Ed Elijah manteneva le sue promesse.

 Sempre.

 

 ****

 Klaus stava guardando fuori dalla finestra quando Elijah subentrò nella stanza, furioso. Si girò in modo pigro quando sentì la porta aprirsi.

“Pensavo che ti avessero insegnato a bussare, fratello.”

 “Dobbiamo parlare.”

Elijah, lo sguardo serio, la bocca una linea sottile lo fissava, severo. Cosa era successo? Klaus pensò a prepararsi mentalmente al nuovo monologo di suo fratello sulla famiglia, sul sempre e per sempre. A volte si domandava se il “Sempre e per sempre” non servisse più a Elijah per addormentarsi la notte e convincersi che tutto sarebbe andato bene che altro. Non voleva credere che suo fratello fosse così stupido, da non rendersi conto che tutti avevano infranto quella promessa almeno una volta.

“Può aspettare”

Fece per uscire dalla stanza. Ma Elijah gli si parò davanti. Non era arrabbiato, era furioso. Aveva rimandato abbastanza e no, quel discorso non poteva aspettare.

“Si tratta di Rachel. “

Un lampo apprensivo passò per gli occhi di Klaus, sostituendo quello iroso e omicida che aveva lanciato a Elijah, quando gli aveva sbarrato la strada. E da quella reazione Elijah non potè non trarre un briciolo di soddisfazione, seppur non fosse sorpreso. Sapeva quanto suo fratello l’amasse.

“Sta bene?”

Elijah aspirò forte perché sapeva che se anche lui, il fratello pacato e ragionevole avesse perso il controllo, quella lite sarebbe potuta finire davvero troppo male.

 

“No, non sta bene. Sono stufo di vedere mia nipote piangere perché è convinta che suo padre non le voglia bene. Oggi, durante la nostra lezione, è scappata via piangendo. Mi ha accusato di mentirle su tutto, Niklaus. E questo perché tu non le dedichi un briciolo di attenzione."

 Klaus si grattò il mento, pensieroso. Sapere che Rachel stava soffrendo gli creava un vuoto nello stomaco, sapere che provasse qualcosa di lontanamente simile a quello che aveva provato lui lo tormentava.

“Quindi ti sei stancato di giocare a fare l’assistente sociale e stai reclamando me?”

Elijah si avvicinò a lui in maniera pericolosa, con una calma ancora più inquietante.

“Hai bisogno che ti ricordi perché siamo a New Orleans, forse? Ricostruire la nostra famiglia. Rachel è parte di questa. E tu continui a ignorarla, a tenerla lontana. Ma lei continua a cercarti. Noi non vogliamo che finisca come con Rebekah, vero? Mi vuole bene, ma non troverà mai in me quello che cerca, ovvero l’affetto disinteressato di un padre. E tu glie lo neghi. Mi sembra di aver vissuto questa situazione, un’altra volta. A te ricorda niente, Niklaus?”

Elijah era in zona minata, e lo sapeva bene. Sapeva quanto il paragone era azzardato e sapeva benissimo che suo fratello non era nemmeno lontanamente paragonabile a suo padre. Non aveva mai appoggiato un dito sulla sua bambina e mai l’avrebbe fatto. Ma c’era bisogno di uno scossone emotivo. L’unico scossone che si sentì, però, fu quello del muro quando Klaus vi ci sbattè, piuttosto violentemente, Elijah.

“Io non sono lui”

Sibilò quelle parole fra i denti, intrise di rabbia, rancore e dolore. Elijah si tirò in piedi, per nulla impressionato. Era abituato agli scatti d’ira di suo fratello, ormai.

“Ho dato la mia parola a Hayley che sua figlia non avrebbe mai sofferto. Ho intenzione di mantenerla.”

Era tutto ciò che doveva dire e l’aveva detto. Non gli importava la botta, non gli importava cosa avrebbe dovuto fare. Sua nipote avrebbe avuto un padre, era nell’interesse della sua famiglia.

“Se vuoi rispettare la promessa che hai fatto alla lupacchiotta, sei sulla strada sbagliata Elijah. Assecondando questo capriccio la stai semplicemente portando incontro alla morte e al dolore. Non c’è spazio, per altro, nel mio mondo. Se vuoi davvero che non soffra, tutto ciò che puoi fare è tenermela lontana. E in fondo, lo sai anche tu.”

Uscì dalla stanza. Fece finta di non sentire il dolore che albeggiava dentro di lui, fece finta di non aver sentito la conferma di quello che aveva detto nel silenzio di Elijah. E mentì a sé stesso, negando il fatto che il non poter stargli accanto come avrebbe voluto non gli creasse dolore.

 Ma Rachel era la luce, e lui era il buio.

E lui non voleva che nel suo mondo venisse mai la notte.

**

 

Quello di Rachel non era stato esattamente il pomeriggio più bello di sempre. Si era chiusa in camera, aveva letto in modo furioso il libro di fiabe che aveva trovato quella mattina sul suo comodino.  Era adorabile. Amava le illustrazioni colorate, la figura del lupo con la cuffietta e stava provando a riprodurle, concentrata. Non smetteva però di pensare alla sua litigata con Elijah, quella mattina. Si ricordò di non averlo ringraziato per il libro e pensò che potesse trarre occasione per chiedergli scusa. In fondo, Elijah era sempre molto dolce con lei e non era certo colpa sua se il suo papà la teneva lontana. Pensò che avrebbe potuto regalarle  il disegno che stava facendo, e si affrettò a finirlo colorando il grosso lupo di Cappuccetto Rosso. Stava giusto per uscire, quando si ritrovò a sbattere proprio contro il vampiro dagli occhi color inchiostro. Elijah la guardò, apprensivo.

“Ti sei fatta male, tesoro?”

La scrutò, ma lei scosse la testa. L’angoscia la pervase però, quando vide la valigia che Elijah teneva alla mano. Dove voleva andare? Era tutta colpa sua. Lui se ne andava perché lei l’aveva offeso.

“Dove vai, zio Elijah?”

Elijah si chinò all’altezza della bambina, la guardò negli occhi e le strinse forte una manina. Le sarebbe mancata, lo sapeva bene. Le sarebbero mancati i suoi sorrisi gioiosi, quella dolce innocenza che tanto gli ricordava suo fratello da piccolo, i capricci, la testardaggine di quel piccolo elfo alto un metro e mezzo. Ma sapeva che l’unico mezzo per far avvicinare Klaus e Rachel era quello di metterli nelle condizioni di avvicinarsi. E ovviamente, suo fratello non sapeva nulla di quella sua  decisione improvvisa.

“Starò via solo una settimana.”

Era una promessa quella, perché in fondo New Orleans era casa sua e sarebbe stato sempre il suo punto di ritorno. Gli occhi di Rachel però, erano coperti dalle lacrime.

“Mi dispiace per questa mattina. Non lo farò più, ma resta”

Elijah fu sopraffatto dalla tenerezza e se la prese in braccio mentre lei lo guardava confusa. Le asciugò le lacrime e si assicurò che ascoltasse. Poi le sorrise, dolce.

“Ascoltami, tesoro. Non me ne vado perché sono arrabbiato con te e spero che tu non sia arrabbiata con me. Ci sono cose che non posso dirti, ma un giorno saprai tutta la verità. Promesso. Comunque, sii obbediente. Non smettere di disegnare. Non smettere di leggere.”

Rachel si ricordò del regalo e del motivo per cui era andata originariamente a chiamare Elijah, ovvero ringraziarlo per il libro e fargli vedere il disegno del lupo del libro che Elijah le aveva fatto trovare sul comodino. Glie lo porse.

“Grazie per il libro. E’ per te. “

Elijah corrucciò la fronte. Guardò il lupo nel disegno, poco sorpreso. Sua nipote amava anche quei personaggi. La affascinavano. Ma non era quello il motivo della sua sorpresa. Rachel l’aveva ringraziato perché le aveva regalato un libro di fiabe. Peccato che lui non le avesse mai fatto un regalo simile.

“Di quale libro stai parlando, Rachel?”

Lei lo guardò confusa, prima di rispondere candidamente:

“Cappuccetto Rosso. Sul mio comodino.”

Elijah era ancora più perplesso ma poi un sorriso compiaciuto gli balenò sulle labbra. Tre persone abitavano in quella casa. Se non era stato lui, era stato qualcun altro a farlo. E quel qualcun altro poteva essere solo suo fratello. Restituì alla bambina il disegno.

“Non ti piace?”

La piccola stava per rattristarsi nuovamente, ma Elijah non le diede il tempo di farlo.

“E’ sublime. Ma credo che tu dovresti darlo a qualcun altro.”

La bimba non sapeva bene cosa significasse “sublime”, ma immaginava che volesse dire qualcosa di molto bello e un sorriso le balenò sulle labbra scoprendo le fossette. Era adorabile. Nonostante ciò, non era del tutto convinta.

“Nel caso tu ti dimenticassi di me…”

Elijah la baciò sulla fronte, zittendola. Era da poco passata l’ora di cena e sapeva che sarebbe stato presto tempo, per quella dolce creatura, di andare a letto e anche quanto brava fosse a protrarre la conversazione per quanto tempo volesse lei.

“Non mi dimenticherò mai di te. E tornerò presto.”

La posò a terra, regalandole un ultimo sguardo. Rachel abbozzò un sorriso, nonostante fosse triste. Elijah era un porto sicuro e nonostante a volte usasse termini complicati che non capiva, gli voleva molto bene. Sarebbe stato difficile.

“Allora..A presto”

Elijah rise leggero del modo in cui Rachel cercasse in lui la conferma di quelle due parole. E conoscendo sua nipote e suo fratello pensò a cosa non avrebbe dato per assistere ai battibecchi e ai siparietti familiari di quei giorni.

“A presto, Rachel.”

Poi scomparve, sereno nella sua decisione e più che convinto che al ritorno la situazione sarebbe stata diversa. Non avrebbe salutato suo fratello e immaginava che avrebbe semplicemente desiderato pugnalarlo al ritorno, ma era giusto e dovuto. Perché, aveva ragione Klaus quando diceva che sua figlia con lui avrebbe potuto farsi del male.

Ma senza di lui, se ne stava già facendo.

Lasciò un biglietto sopra il tavolo. Poche righe, e poi il vampiro dagli occhi color inchiostro uscì con l’assoluta consapevolezza di star facendo la cosa giusta.

  

 

 

 

**** 

 

C’erano cose che Elijah non sapeva. Per esempio, Elijah non sapeva niente di Caroline. Era troppo possessivo, geloso di quelli che ormai erano solo ricordi sbiaditi per condividerli con lui. Ma Elijah non sapeva niente nemmeno di quello che Klaus faceva a notte inoltrata. Di preciso, non sapeva di quello che faceva tutte le notti e  di quello che stava facendo in quel momento.

Elijah non sapeva quanto amasse osservare sua figlia dormire. Era l’unico momento in cui si poteva permettere di aspirare forte l’odore innocente del suo shampoo alle fragole, di vedere quei lineamenti delicati così rilassati, di accarezzarle i capelli, di rimboccarle le coperte .Di guardare i suoi disegni, e stupirsi di quanto quella bambina fosse simile a lui. Di essere orgoglioso dei progressi che faceva, dell’amore che metteva in ogni suo schizzo.

In quei momenti lo assaliva la consapevolezza di non meritare quella bambina, e lo uccideva il dubbio che potesse pensare di non essere degna del suo amore.

Perché Klaus sapeva che non era Rachel a non essere degna di lui , ma era lui a non meritarla.

Guardò Cappuccetto Rosso, La Bella e La Bestia, La Sirenetta.

Lui non avrebbe mai potuto essere nient’altro che l’antagonista che animava e seminava discordia nelle sue fiabe. Il cattivo.

 Il mostro.

In fondo, c’erano cose che Elijah non sapeva ma c’erano cose che nemmeno Klaus sapeva.

Elijah non gli aveva mai raccontato quanto Rachel desiderasse un lieto fine e una seconda possibilità anche per il lupo cattivo.

 

 

 

Note dell'autrice

Good morning! Allora, non si tratterò di una long, ma di una raccolta di sette capitoli, credo. Infatti immagino una settimana in cui Elijah sarà via, e questi due si conosceranno un po'. Il prestavolto di Rachel è Elle Fanning, quando era piccola, come si vede nel banner. E niente, potrebbe contenere klaroline, nell'ultimo capitolo. Intanto, si accettano suggerimenti. Dove vi piacerebbe vederli? E fare cosa? Lasciate una recensione, se vi va! Un bacio,Desy. ;-)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

“RACHEL!”

Un urlo risuonò per tutta la casa mentre Klaus si affrettò verso la camera di Rachel. Era furioso. Elijah era forse impazzito? Non si spiegava il perché di quella partenza improvvisa, nonostante fosse ben esplicito in quella lettera di poche righe che stringeva furiosamente fra le mani. Tutto ciò che si ritrovò davanti però quando aprì la porta fu una bambina ancora sdraiata che lo fissava, con i riccioli spettinati e grandi occhioni assonnati.

“In genere zio Elijah mi aspetta sotto per la lettura, e mi fa leggere libri più colorati. ”

Klaus cercò di capire di cosa stesse parlando, poi guardò la lettera  e pensò al fatto che sua figlia pensasse che fosse lì per fargli chissà quale lezione di lettura e fargliela leggere. Un sorriso balenò sulle sue labbra. Nello stesso momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli color acquamarina di sua figlia la rabbia era scemata, lasciando spazio alla tenerezza.

“Bene, stamattina Elijah non verrà. Hai idea di cosa possa essere questa?”

Si avvicinò cautamente alla bambina, quasi avesse paura di toccarla e di rovinare quella visione celestiale che gli si poneva davanti, e che sapeva incantarlo semplicemente con un sorriso. La bimba si alzò in ginocchio sul letto per afferrare quel pezzo di carta che tanto aveva innervosito suo papà. Si fermò però, quando lesse l’incipit della lettera.

“E’ per te”

Klaus scosse la testa, innervosito. Pensava forse che non lo sapesse? Certo che no.

Sua figlia poteva essere ingenua, credere in un mondo di fate e principesse come era giusto che fosse, ma sicuramente non era stupida.

“Zio Elijah non vorrebbe che io la leggessi  se è per te.”

“Dov’è Elijah, adesso?”

Un sorriso maligno balenò sulle labbra di Klaus, un sorriso di cui si maledisse appena vide gli occhi di Rachel inondarsi di lacrime e nascondersi  sotto il cuscino.

La conferma del dubbio che ormai non era più un dubbio era proprio sotto i suoi occhi, nel pianto di Rachel.

Lui riusciva solo a ferire le persone, anche quelle a cui credeva di voler bene.

Quella era l’unica costante.

L’unico vero sempre e per sempre.

 

***

Le sentiva dritte nel cuore le lacrime di Rachel, come spine affilate,  proprio lui che aveva sfiorato e goduto di ogni sfumatura del dolore, di  ogni sua possibile evanescenza.

Klaus, alle undici e venti, quindici minuti esatti da quando era entrato nella stanza non sapeva affatto come comportarsi. Non aveva mai consolato nessuno prima d’allora, figuriamoci una bambina.

“Smettila di piangere”

Era un ordine gentile, nonostante tradisse un briciolo di nervosismo,  ma pur sempre un ordine.

No, non era un buon inizio, e se ne accorse quando la bambina rimase con la testa sotto il cuscino, senza nessuna intenzione di riemergere.

Sospirò, avvicinandosi a lei e scostandolo delicatamente. Incominciò a parlare solo quando incontrò i due lapislazzuli blu di sua figlia e le sue labbra imbronciate.

“Vedi cosa succede?”

Rachel ricominciò a piagnucolare mentre l’amara convinzione del giorno prima rifaceva capolino. La paura che Elijah se ne fosse andato a causa sua. La paura che perfino suo papà la volesse tenere lontano, come quella zia di cui Elijah spesso parlava, promettendole che un giorno l’avrebbe conosciuta ma che per un motivo o per l’altro non veniva mai o invece quella mamma di cui non parlava mai e che rendeva gli occhi color inchiostro dello zio  solo più scuri.

“Non credevo che si arrabbiasse così tanto. Lui è paziente, non si stanca di me di solito.”

Klaus sussultò. Non voleva che sua figlia avesse le sue stesse paure e che si ponesse le sue stesse domande e non era  quello a cui  si riferiva.

“No. Mi riferisco a cosa succede quando ti sto vicino.”

Quella frase di Klaus uscì come un sospiro triste, mesta e rassegnata. Rachel ancora non capiva a cosa si riferisse, troppo presa ad addossarsi le responsabilità di qualcosa di troppo complesso per quella bambina così sveglia e sensibile, ma pur sempre bambina.

“Guardami, Rachel. Sono qui da mezz’ora e sono riuscito a ferirti e farti piangere ugualmente. Non voglio che succeda di nuovo. Elijah non si è affatto stancato di te. Nessuno si stancherebbe mai di te.”

Un piccolo sorriso illuminò le labbra della bambina, che si era seduta sul letto e aveva smesso di piangere, davanti a quella –ruvida - dichiarazione d’amore ma una delle migliori che Klaus avesse mai fatto.

“Io ti voglio bene, papà. E non sono arrabbiata.”

Klaus sussultò. Sapeva che non sarebbe riuscito a dire “Anch’io”. Non gliel’aveva mai detto, come se in qualche modo si vergognasse di mettere in gioco una parte di lui.

Per paura.

Non solo paura di ferire Rachel, anche paura di dare a quella strana bambina la possibilità di ferirlo. Di tradirlo, di abbandonarlo, di fare come avevano fatto gli altri. Elijah aveva ragione quando diceva che i tradimenti nel corso dei secoli l’avevano reso ancora più infido e schivo. Non riusciva ad abbattere quella corazza nemmeno con sua figlia. E c’era un altro motivo per cui temeva quella bambina.

Lei non vedeva in lui un assassino o un mostro. Una bestia.

Lei lo vedeva umano.

E di conseguenza vulnerabile.

“Bene. Sai dirmi quando tornerà Elijah?”

Rachel si alzò in piedi, cercando di ricordare.

“Fra una settimana. Papà?”

Rachel gettò uno sguardo ansioso verso Klaus, abbozzando un sorrisino nervoso e Klaus si domandò cosa c’era che non andava, quella volta. Cosa avesse detto di sbagliato. Gli fece cenno di parlare.

“Ho una fame da lupi

Un sorriso affettuoso balenò sulle labbra di Klaus. Pensò che le avrebbe preparato la colazione e pensò al fatto che stava diventando pazzo solo per aver pensato una cosa del genere.

Il grande Klaus Mikaelson che torturava, seviziava i suoi nemici, rendeva l’esistenza di chi fuggiva da lui un inferno, che puniva, complottava, non perdonava, stava pensando a cosa preparare per colazione a una bambina.

Guardò l’orologio però e fu costretto a ricredersi.

L’ora della colazione era passata da un bel pezzo.

“Rachel, lavati, vestiti e scendi giù di sotto. Ti aspetto per il pranzo.”

Rachel nonostante il tono dispotico, utilizzato dall’Ibrido obbedì, partendo come una scheggia verso il bagno.

Le mancava Elijah, le mancava terribilmente e avrebbe voluto raccontare tutto a lui.

Ma le attenzioni che suo papà le stava riservando, rendevano tutto meno orribile.

 

***

“Com’è?”

Rachel dopo essersi messa il tovagliolo sulle ginocchia per non sporcarsi diede un’occhiata fugace all’ roastbeef che le si poneva davanti. Storse il naso, abbozzando un sorriso poco convinto, prima di tagliare un pezzo di carne e portarlo dentro la bocca. Klaus la guardava, studiando divertito la sua espressione disgustata mentre masticava.

“E’… buono”

Scoppiò a ridere, incapace di trattenersi, davanti al sorriso e all’aria da sopravvissuta della bambina. Era perfettamente consapevole del fatto che Elijah potesse essere un cuoco migliore, ma non sapeva di essere così fuori esercizio.

E si sorprese del modo in cui si era ritrovato a ridere. Aveva quasi dimenticato come si facesse, ma sua figlia lo stava aiutando a ricordarselo.

Come aveva fatto qualcuno, molto tempo prima.

Distolse subito il pensiero.

“Sei una pessima bugiarda, tesoro”

Mentre lo diceva le si avvicinò per pulire con un tovagliolo una macchiolina di sugo accanto alla bocca della bambina.

Rachel si beò della tenerezza che trasudava quel gesto chiudendo appena gli occhi.

“Secondo lo zio, si può sempre migliorare. E poi tu sei bravo a fare tante cose, come per esempio dipingere. Mi piacerebbe diventare brava come te.”

Klaus sorrise. Sapeva che qualche volta quella dolce bambina si era intrufolata nel suo studio, per vedere i dipinti. Proprio come lui faceva con lei.

La sua passione per il disegno era stato da bambino, uno dei tanti motivi della rabbia di suo padre nei suoi confronti.

Un pretesto in più per batterlo, sempre ammesso che ci fosse sempre il bisogno di un pretesto quando decideva di farlo.

“Tu sei molto brava “

Aveva visto il lupo la sera prima e anche la carrozza di Cenerentola, e gli altri personaggi delle fiabe che Rachel amava raffigurare. E non poteva non sorridere e amarla ancora di più, per quella sua passione. Nel frattempo Rachel sorrise prima che una nuova domanda si affacciasse sulla sua mente.

“Come lo sai?”

Se Klaus in quel momento fosse potuto sbiancare l’avrebbe fatto. Perché quella ragazzina non ringraziava per il complimento e stava zitta? Non sapeva come risponderle.

Non le avrebbe mai raccontato delle sue visite notturne.

Era troppo orgoglioso per farlo.

“Deve avermelo detto Elijah.”

Rachel alzò un sopracciglio, sospettosa. Pensò che se i suoi disegni piacevano ad Elijah non era detto che dovessero piacere anche  al suo papà. Ma lasciò passare e Klaus glie ne fu grato. Si concentrò sul piatto e lanciò un’occhiata implorante a Klaus. Quella roba era difficilmente commestibile e sicuramente bruciata.

“Va bene. Domani chiamerò qualcuno a preparare la cena.”
Klaus si alzò, portando il piatto in cucina e sorridendo fra sé e sé.  Aveva sentito spesso gli umani lamentarsi della noia della quotidianità. Se era quella la quotidianità di cui si lamentavano, a lui piaceva. Forse gli piaceva proprio perché per lui non si trattava di routine, ma gli piaceva.

Il sorriso di Rachel lo appagava.

Gli dava un senso di potenza.

Era un senso di potenza diverso da quello che provava quando sottometteva i suoi nemici. Più puro, più pulito, più trasparente.

“Papà!”

La sentì gridare dall’altra stanza e vi si precipitò, quasi spaventato dall’idea che qualcuno potesse portargliela via, strappargliela. Corrucciò la fronte quando la vide comodamente seduta sul divano e rilassata, sicuramente non sofferente.

“Che facciamo questa sera?”

 

***

“Ti prego, ti prego, ti prego.”

Rachel lo guardava, congiungendo le manine a mo’ di supplica. Klaus era stato via tutto il pomeriggio, perché una città da governare richiedeva tempo, come diceva lui, ma quando era tornato, dopo aver mangiato insieme- o almeno tentato di farlo- aveva cominciato a chiedergli di guardare un cartone in DVD  con lei di cui proprio in quel momento stringeva la custodia.

“Ti ho già detto di no, non farmelo ripetere un’ altra volta.”

Klaus era irremovibile. Aveva sopportato abbastanza da quella mattina e non voleva che sua figlia si affezionasse troppo a lui, aveva troppa paura di ferirla. Aveva tastato la sua sensibilità quella mattina e si era accorto di quanto fosse semplice farlo. L’aveva vista piangere e aveva pensato che a nessuno avrebbe permesso di ferirla. Nemmeno a sé stesso.

Vista l’assurda ma sicuramente non causale decisione di suo fratello - perché Elijah non faceva nulla al caso - erano però obbligati in quella convivenza.

Rachel dal canto suo non si sarebbe arresa. Avrebbe guardato “Lilo e Stich”, l’ultimo DVD che Elijah le aveva  regalato, quella sera e di certo non lo avrebbe guardato da sola. Sporse il labbro inferiore in avanti, assumendo un’espressione da cucciola abbandonata.

“Perché no? Per favore, papà! Non fare il cattivo!”

Klaus sorrise. Rachel poteva suonare davvero convincente ed era un’ottima manipolatrice se lo voleva. Quel faccino triste non poteva non commuoverlo nemmeno un po’, ma voleva giocare con lei.

“Io sono cattivo, tesoro. E noi cattivi non guardiamo “Lilo e Stich” nel tempo libero di solito!”

Lei ci pensò un secondo. Forse a Klaus non piaceva “Lilo e Stich”, ma avrebbero potuto guardare qualcos’altro. Un altro cartone. Lei ne aveva tanti, anche molto belli. Pensò di chiederglielo.

“E che cartoni animati guardate?”

Klaus sorrise. Aveva perso il conto di quante volte l’aveva fatto in quella giornata, ma sua figlia non smetteva di spiazzarlo.Fece per sedersi sul divano, e si accorse subito del modo in cui gli occhi di Rachel si illuminarono.

“Non ti illudere e smettila di guardarmi così. Io quel cartone animato non lo guardo.”

Ma mentre lo diceva, Rachel si era già fiondata a inserire il DVD nel videoregistratore e lui era già seduto sul divano.

 

 ****

Erano già quasi sul termine del film e Rachel aveva seguito interessatissima e felice le vicende di quello strano piccolo mostriciattolo blu che sembrava cattivo ma cattivo non era. Le ricordava un po’ il suo papà.

Aveva cambiato innumerevoli posizioni sul divano.

Inizialmente era all’estremo opposto rispetto a Klaus, poi si era avvicinata un po’ di più mettendosi a gambe incrociate. Alla fine però era crollata, sdraiandosi e appoggiando la testa sulla ginocchia di quest’ultimo. L’aveva guardato e Klaus aveva letto nei suoi occhi la paura di essere respinta. Aveva sospirato e l’aveva lasciata fare.

“Ohana significa famiglia. Famiglia significa  che nessuno viene abbandonato o  dimenticato”

Era quella la scena che stavano guardando in quel momento e Rachel trattenne un gridolino emozionato. Trovava quella scena dolce, romantica e significativa. Pensò di parlarne con Klaus che guardava lo schermo ma non lo guardava veramente, perso in un vortice di riflessione.

“Non trovi che abbia ragione, papà? Non significa questo essere una famiglia?”

Klaus pensò attentamente a quella frase. Sì, probabilmente doveva significarsi quello essere una famiglia. Ma la realtà poteva essere diversa. Aveva sopportato lo sguardo di disprezzo di suo padre ogni giorno e sua madre era stata capace di assopire una parte di lui - quella sbagliata -, quella che gli ricordava ogni volta che non era nient’altro che il frutto di un errore. Guardò sua figlia in attesa di una risposta.

“Sì, Rachel. In teoria sì.”

Lei arricciò il naso.  C’era qualcosa in quel discorso a non tornare. E non poteva non accorgersi del tono mellifluo utilizzato da Klaus. Come se le volesse rispondere affermativamente solo per non turbarla.

“E in pratica?”

“In pratica anche. Non ci sarà dell’altro, non per te.”

Lui non faceva mai promesse che non poteva mantenere ma quella era una certezza. Forse non sarebbe stato il padre più presente di sempre ma non l’avrebbe abbandonata, e nemmeno dimenticata. Era parte di lui, era una luce. La luce che allo stesso tempo lo faceva sentire vivo, la luce che non voleva oscurare.

 “C’è stato dell’altro per te? Zio Elijah e zia Rebekah ti hanno fatto male?”

La bambina pose questa domanda con un po’ di paura della risposta. Le dispiaceva che in qualche modo lui avesse sofferto, nonostante sapesse essere dispotico, amasse prenderla in giro e ogni tanto fosse distante. Le aveva detto che aveva paura di ferirla e lei pensava a come fosse possibile che non si accorgesse di come invece stesse bene con lui e amasse ascoltarlo.

“Ce ne siamo fatti a vicenda.”

Probabilmente, per quanto riguardava Rebekah e Elijah, lui avrebbe avuto il primato. Aveva quasi portato sua sorella ad ucciderlo.

Rebekah.

Rachel la conosceva solo tramite racconti. Mancava da New Orleans da più di otto anni, ma chissà perché, nonostante l’assenza della sorella gli creasse dolore, riusciva a immaginarsela per le vie di Roma, di Parigi o di Tokyo, a fare shopping, con i capelli al vento.

Voleva credere che lontano da lui, avesse trovato ciò che davvero desiderava.

“Papà” mormorò Rachel, fra uno sbadiglio e l’altro “Ti ho mai deluso?”

“No, Rachel. Tu non puoi deludermi.”

Ed era vero. Lei poteva sorprenderlo con la sua ingenuità, poteva farlo ridere a crepapelle come solo Caroline ne era stata capace, poteva portarlo al limite della sopportazione con la sua curiosità, ma non poteva deluderlo.

Rachel continuò, imperterrita. Aveva sonno, le palpebre le si chiudevano e temeva di non riuscire a guardare la fine del film, ma voleva finire il discorso.

“Io faccio parte della tua famiglia?”

Klaus corrucciò la fronte, mentre con una mano accarezzò la fronte della bambina, pensando a dove volesse arrivare.

“Sei mia figlia, tesoro. Certo che sì.”

 Lei annuì, beandosi dell’espressione felice che Klaus aveva fatto dicendo quella frase. Forse aveva sbagliato a pensare che non le volesse bene.

Forse zio Elijah aveva ragione.

“Allora faremo come Lilo e Stich. Non ci abbandoneremo e dimenticheremo mai, promettimelo.”

Klaus la guardò sorpreso nuovamente e poi vide il modo in cui le aveva allungato il mignolo, un po’ indecisa. Lui l’afferrò con delicatezza perché sì, non l’avrebbe mai abbandonata e la voglia di vivere che aveva era di per sé indimenticabile.

E anche perché, voleva che nemmeno lei lo dimenticasse e abbandonasse nonostante lui fosse…lui.

“Lo prometto. Ora però ti porto a letto. Sarai stanca morta, tesoro. “

La prese in braccio, stupendosi di quanto fosse leggera, e sussultando al contatto con quel corpicino debole ma con una carica ed energia fuori dal comune. Si recò al piano di sopra, posò la bambina sul suo lettino e fece per uscire. Rachel d’altra parte avrebbe voluto non staccarsi più di lì. Avrebbe giurato che era la prima volta che lui la prendeva in braccio. Si sentiva una principessa.

“Aspetta, papà. Grazie per il libro.”

Klaus deglutì. Sapeva a quale libro si riferiva. Quello per cui in origine aveva ringraziato Elijah e che lui aveva lasciato sopra il suo comodino. Abbozzò un sorriso.

Forse era un po’ meno arrabbiato con Elijah per essersene andato.



Note dell'autrice.

Ciao!Ecco a voi il secondo capitolo, nonché quintultimo.Posso fare una dedica? Dedico questa OS a Bfan, che mi sta sostenendo in questa avventura, nella speranza che non le faccia venire il diabete. Ringrazio in anticipo chi recensirà, essendo una persona insicura ne ho ababstanza bisogno.

Questo è il mio modo di augurarvi buona Pasqua!

Spero che Lilo e Stich... ops, Klaus e Rachel, vi siano piaciuti *--*

Desy.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
Klaus si fermò quella mattina  davanti al letto della figlia, prima di svegliarla. Si bloccò, dopo aver appoggiato il vassoio con la colazione sul suo comodino. Ne vide i riccioli ribelli e color miele sparpagliati sul cuscino che un raggio del sole che filtrava dalla finestra faceva sembrare dorati. Era bellissima e non poteva fare a meno di pensare come tanto male potesse aver generato quella creaturina così pura. Le accarezzò la guancia come se fosse una bambola di porcellana, come se bastasse il suo tocco a romperla, a rovinarla. E fu proprio in quel momento che  la bambina aprì i suoi grandi occhi blu.
“Ciao, papà!”
Rachel gli regalò un sorriso raggiante. Era così felice di averlo trovato lì al risveglio, che si ritrovò a stringerlo forte e a schioccargli un bacio sulla guancia, ancor prima di pensarci. Si scontrò contro la barba dell’Ibrido, che la solleticò. Le scappò una risatina, mentre si sistemava sul letto.
“Buongiorno, tesoro”
Una strana sensazione aveva irradiato Klaus, quando Rachel si era avvicinata.
Uno strano senso di calore.
Non ricordava l’ultima volta che qualcuno l’aveva abbracciato con quell’intensità, con quel vigore, con quell’amore. Non ricordava nemmeno se qualcuno l’avesse mai fatto, fin da quando era bambino.
Sapeva però che era una delle più belle sensazioni che avesse provato.
Una carezza lenitiva per la sua anima scura, antica, tormentata.
Era ancora avvolto in quella strana sensazione di torpore, quando Rachel parlò di nuovo.
“Cosa ci fai qui?”
Aveva sentito la carezza delicata di Klaus che la credeva addormentata ed era felicissima di quel semplice gesto dal valore inestimabile. Sapeva, aveva capito che lui non era il tipo da grandi slanci d’affetto, ma il fatto che piano piano si lasciasse andare, non poteva non  farla sentire appagata.
“Ti ho portato la colazione”
Lei si tirò a sedere, sporgendosi in modo goffo  verso il comodino, dove era appoggiato il vassoio. Klaus sorrise di quel suo essere un po’ impacciata, senza dire nulla. Quel silenzio, però servì solo ad insidiare nuovi dubbi nella testa di quella bambina forte come un leoncino, ma fragile come una farfalla. Addentò il cornetto al cioccolato, prima di parlare.
“Ti dà fastidio quando ti abbraccio?”
In quel momento, fu la rabbia il sentimento che prevalse in Klaus, seguito a un grande senso di sconforto.
Era arrabbiato, ma non con Rachel.
Era arrabbiato con sé stesso perché glielo stava lasciando credere, turbando la sua sensibilità.
Le accarezzò il dorso della mano con la stessa cautela di prima, e la guardò negli occhi con fervore.
“Smettila di fare così, tu non dai fastidio a nessuno, tanto meno a me. Sono solo sorpreso.”
Si strinse le spalle ed era sinceramente emozionato. L’ascendente cha aveva quella bambina su di lui, lo impressionava. Con lei,  il muro e le barriere non funzionavano. Lei lo spingeva  a riflettere,  a mettersi in gioco, a sentirsi umani come lei, ed  era bello. Anche se non l’avrebbe ammesso mai. Rachel invece era felice di non averlo innervosito e pensò che se gli era piaciuto, l’avrebbe abbracciato più spesso.
“Che fiaba leggiamo oggi?
Klaus sorrise.
“Non leggiamo, tesoro. Adesso ti prepari, e poi andiamo nel mio studio.”
Andiamo era una parola che a Rachel piaceva molto. Implicava un plurale, e  in quel determinato caso il plurale indicava lei e il suo papà. Quindi non poteva essere più bella. Però da una parte Elijah voleva che continuasse a leggere e lei non voleva contrariarlo.
“Zio Elijah vuole che io continui a leggere anche quando non c’è.”
Klaus era felice del modo in cui obbediva e seguiva ciò che le aveva detto, ma non aveva nessun’ intenzione di desistere e di cambiare ciò che aveva programmato. Del resto, quella perseveranza che caratterizzava Rachel non poteva essere tutta di Hayley e sapeva che non avrebbe  desistito fino a quando non l’avrebbe accontentata. C’era bisogno di un piccolo compromesso.
“Leggeremo stasera”
Rachel annuì felice, mentre la sua mente vagava alla ricerca di una fiaba da leggere. Ma prima c’era una nuova domanda, sicuramente più semplice da rispondere di quelle complicate che la bambina era solita porre all’Ibrido.
“Cosa ci andiamo a fare nel tuo studio?”
Klaus sorrise. Ciò che aveva in programma era semplice ma allo stesso tempo singolare, sicuramente intimo. Si trattava di mettere in pratica insieme quella passione che li univa, anche quando non erano insieme, anche quando - fissato e paranoico come non mai - la teneva alla larga. Dipingere era sempre stato per lui un mezzo di sfogo, ma da quando Rachel era nata era anche un ambiguo modo per sentirla vicina.
“Non hai detto che ti piaceva disegnare?”
Lei adorava disegnare, e non poteva che essere felice. Lanciò un ultimo sorriso a Klaus, già troppo pensieroso e già remissivo, per accorgersi che lui e quella buffa bambina non erano che due facce della stessa medaglia.
Lei doveva rendersi conto del fatto che lui l’amasse.
Lui invece di essere capace di amarla.
***
 

Erano lì da poco, Rachel gli aveva chiesto educatamente il permesso per entrare in quella stanza e lui avrebbe dovuto sgridarla perché sapeva che vi era già entrata.
Ma lui non faceva mai quella che doveva fare.
La disobbedienza di Rachel invece non era che l’ennesimo tentativo di cercare affetto. Aveva bisogno di  quel papà e se non poteva averlo voleva perlomeno immaginarselo.
Seguì Rachel con gli occhi, mentre era presa da quell’ esplorazione.
“Papà, che cosa rappresenta questo quadro?”
Klaus guardò il quadro, sentendo un fremito nel vederlo. Ricordava bene quando l’aveva dipinto, otto anni prima. Vi erano rappresentate due sagome, dai lineamenti non distinti, avvolte nell’ oscurità di una notte senza stelle. Una notte diversa, che non era destinata a cadere nell’oblio.
“La promessa di due amanti. Le circostanze non erano loro favorevoli, e non  potevano stare insieme.”
Rachel era curiosa e decise di andare a fondo a quella storia, mentre delicatamente sfiorava la tela con le dita, sotto lo sguardo attento e premuroso di Klaus. Probabilmente quel quadro era un po’ cupo e lei ci avrebbe aggiunto un po’ di colore, ma le piaceva anche così.
“E allora cosa si promisero, papà?”
Klaus tornò indietro di otto anni, mentre quelle immagini tornavano davanti a lui vivide come non mai. Lo turbavano e gli dava fastidio il fatto che lo turbassero perché lo rendeva vulnerabile, controllabile, ricattabile.
“Promisero che si sarebbero ritrovati”
Rachel decise che non avrebbe insistito ancora molto, notata l’accezione negativa nella voce dell’Ibrido. Ma un’ultima domanda doveva farla.
“Sì sono ritrovati, papà?”
Klaus avrebbe tanto voluto rispondere di sì, ma era come se Rachel riuscisse a sondarlo, a capirlo. Lei non poteva mentire con lui, ma nemmeno lui ci riusciva con lei.
“No. Ma forse, un giorno, si ritroveranno.”
Abbozzò un sorriso enigmatico e Rachel assentì, volando rapida al quadro successivo.  E ci rimase malissimo nel vedere ciò che vide.
Era delusa.
Si sentiva tradita.
Sicuramente sbagliata.
Fece per correre a tutta velocità via da quella stanza e non vedere più il dipinto. Klaus d’altra parte, era ugualmente ferito per quel rifiuto che non aveva affatto capito. Le si parò davanti, cercando di mantenere la calma.
 “Stai facendo la cosa giusta, tesoro. Scappare da me è la cosa giusta”
Lei nel frattempo singhiozzava, senza nemmeno ascoltare.
Perché in quel dipinto aveva visto una bambina - doveva avere tre o quattro anni ed aveva tanti boccoli biondi. E lei non poteva accettare che suo papà avesse il tempo di disegnare un’altra bambina, quando non stava mai con lei.
“Tu hai un’altra bambina più bella! Preferisci stare con lei che con me!”
Klaus rifletté su ciò che aveva detto, profondamente irritato dal tono che quella ragazzina impertinente stava usando, ma troppo sensibile alle sue lacrime per riprenderla. Poi pensò a ciò che aveva visto e sospirò pesantemente.
 Poteva Rachel essere più insicura?
Poteva la sua lontananza star influendo in modo negativo sulla sua psiche, anziché positivo, come invece sperava?
“Non dire sciocchezze, Rachel. Non c’è nessun’altra bambina, non voglio altri bambini. Ho già te e non potrei desiderare altro. Ma fa' attenzione a come parli, signorina”
Quella frase  gli uscì fuori in modo un po’ brusco, leggermente minaccioso,  mentre la bambina affondava la testolina nella sua spalla, alla ricerca di conforto. Rachel però non era ancora sicura.
“Chi è la bambina del dipinto?”
Klaus si irrigidì, prima che un sorriso dolce e premuroso balenasse sulle sue labbra. Non riusciva a credere  che Rachel potesse pensare che ci fossero altre bambine e la sua continua ricerca di risposte, attribuendosi difetti che non aveva, era angosciante.
Stava sbagliando tutto, di nuovo.
 “Sei tu, quando eri più piccola.”
La bocca della bambina si spalancò in una O di sorpresa. Non credeva certo che Klaus l’avesse mai dipinta, quando la degnava a malapena di qualche sguardo. E invece lui l’aveva sempre fatto. Si era limitata a guardarla crescere da lontano e a rappresentarne le varie fasi, un po’ come -per paradosso- un insolito angelo custode. Lei non lo vedeva, ma lui c’era.
Le asciugò le lacrime con un fazzoletto, prima di sospirare.
“Andiamo di là. Dopo mangiato, voglio vederti disegnare qualcosa io.”
Rachel annuì, improvvisamente felice,  mentre Klaus la prendeva per mano, riportandola verso una tela.
Questa volta però, era bianca.
 ***
 
“Non guardare! Non finché non  ho finito! Perfavore, papà!”
La curiosità logorava Klaus, che si muoveva avanti e indietro solo per sbirciare un po’ cosa stava facendo. In quel momento, si trovava dietro alla tela, nel lato opposto rispetto a quello dove stava disegnando Rachel, che non riusciva a vedere nemmeno in viso.
“Amore, ti consiglio di sbrigarti. Non aspetterò ancora molto”
La pazienza non era decisamente il suo forte ed era un bel po’ che Rachel lo stava facendo attendere. La bambina sapeva di non potersi spingere troppo oltre. Aggiustò con il pennello gli ultimi rintocchi. Aggiustò con il verde l’ultimo albero e….
“Ta-dan”
Era emozionata e si dovette trattenere dal gridare. Klaus invece scoppiò a ridere appena la vide. La pittura blu le copriva buona parte del viso. Rachel corrucciò la fronte. Non capiva.
“Perché ridi, papà?”
Fortunatamente il pensiero che il suo disegno non le piacesse, non le aveva ancora sfiorato la testa, anche perché a lei sembrava davvero bello.
Oppure sublime, per dirlo con una di quelle parole complicate che era solito a usare Elijah.
“Perché sembra che tu abbia fatto un bagno nelle tempere, tesoro.”
Klaus era sereno, rilassato, ma Rachel si stava arrabbiando e incrociò le braccia sul petto, mettendo il broncio. Pensò che fosse semplicemente graziosa.
“Non è carino ridere delle altre persone.”
L’Ibrido roteò gli occhi per poi spostarli sul dipinto, facendosi serio o almeno provandoci. Rimase piacevolmente sorpreso nel notare che le lunghe tempistiche non erano nient’altro che un frutto dell’impegno che Rachel vi aveva messo. Sua figlia era una perfezionista, proprio come lui.
La tela rappresentava due cervi, uno piccolo e uno grande, in una radura.
“E’ bellissimo, tesoro. Diventerai sempre più brava.”
“Ma sono già brava, vero, papà?”
L’Ibrido annuì mentre Rachel saltellava felice, battendo le mani entusiasta. Era più bella che mai, così spensierata. L’Ibrido però voleva sapere anche perché aveva scelto di disegnare proprio due cervi, ma con Rachel sembrava ormai essersi instaurato uno strano contatto telepatico, infatti fu lei a precederlo.
“Sono Bambi e il Grande Cervo. Conosci la loro storia?”
“No. Ma puoi raccontarmela, se vuoi”
L’Ibrido non aveva certo familiarità con le fiabe ma aveva l’ambiguo sospetto che vicino a Rachel avrebbe sicuramente dovuto allargare i suoi orizzonti. Lei nel frattempo mise in ordine le idee.
“Allora papà, la mamma di Bambi muore. La uccide un cacciatore, allora dovrebbe rimanere con il papà, che si chiama Grande Cervo”
Klaus trasalì. Aveva già capito  che i soggetti del disegno non erano del tutto casuali e aveva paura di quello che stava per dire, e dell’inflessione che poteva avere su di lui. Rachel d’altra parte, non si sarebbe fermata.
“Dovrebbe rimanerci, ma non ci rimane. Lui lo lascia solo.”
Sapeva dove voleva arrivare, lo leggeva in quegli occhi innocenti, che avevano lo strano potere di farlo sentire colpevole.
“Sono sicuro che ci sia un motivo, se lo lascia solo. Forse vuole proteggerlo.”
Ed era palese che Klaus non stesse giustificando il Grande Cervo, ma sé stesso.
“Sì, c’è un motivo . Ma Bambi soffre lo stesso.”
Rachel aveva parlato sottovoce, con aria mesta e forse rassegnata,  ma a Klaus quel sussurro aveva gelato il sangue.
In quella frase c’era tutto.
Il bisogno di un’infanzia.
Il desiderio di essere amata e di volere accanto almeno l’unico genitore che poteva avere.
Una disperata richiesta di amore.
 ***
 
Quella sera, dopo il bagno e dopo la cena, arrivò il momento di metterla a letto. Non avevano parlato molto durante la cena, un  po’ sconvolti per quelli che si erano detti. Klaus era combattuto. Quella confessione lo aveva costretto a mettere in dubbio tutto. E se fra luce e buio vi fosse un equilibrio?
Sentì Rachel sopraggiungere alle sue spalle e infilarsi nel suo lettino.
“Quando torna zio Elijah, papà?”
Klaus fece un rapido calcolo, prima di rispondere.
“Fra quattro giorni”
 “Sono tanti quattro giorni?”
Klaus corrucciò la fronte con aria interrogativa. Elijah, il fratello nobile e di parola; il migliore dei  due, senz’altro. Un senso di amarezza lo prese, mista alla gelosia. Perfino Rachel non vedeva l’ora che tornasse tutto alla normalità. L’affermazione che di lì a poco avrebbe fatto del resto l’avrebbe spiazzato.
“Io non voglio che torni presto”
Rachel abbassò lo sguardo fissando il lenzuolo rosa anticato, imbarazzata. Se da una parte c’era il bisogno di avere anche Elijah vicino, dall’altra il suo ritorno la spaventava.
“Cosa stai dicendo, Rachel? Sei cresciuta con lui e non merita che tu dica certe cose.”
Una parte di Klaus era riconoscente a Elijah. Non l’avrebbe mai ringraziato, e non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma Elijah c’era per Rachel dove lui mancava.
“Quando lui torna, tu non mi guardi più.”
Quello che aveva sentito durante quel giorno poteva bastare. La strinse forte contro di lui, come se la stesse tenendo stretta per la prima volta. Promise  a sé stesso che sua figlia non avrebbe mai più versato una lacrima a causa sua. Lui non era Elijah e di sicuro avrebbe fatto più fatica a mantenere quella promessa, ma avrebbe fatto del suo meglio.
“Papà, resti con me fin quando non mi addormento?”
Rachel, lo guardò speranzosa, quando ancora non si era staccata da lui. Klaus annuì.
“Resto fin quando vuoi, tesoro”
Non avrebbe distrutto anche lei come aveva fatto con Rebekah.
E mentre la bambina appoggiava la testolina sul suo petto, si trovò a riflettere.
Luce e buio non potevano coesistere.
Ma forse, non doveva essere necessariamente il buio a prevalere.
 
 
Note dell’autrice.
Grazie per il calore con cui avete accolto questa fanfic e per il sostegno di cui ho davvero bisogno e scusatemi il ritardo. Siamo quasi a metà settimana, e nel prossimo capitolo abbiamo visite *--* Che dire…. Klaus si è finalmente accorto di avere bisogno di Rachel, e Rachel di avere bisogno di lui. Un’altra slide of life, diciamo, la quartultima….
Grazie a chi lascerà una recensione o mi leggerà.
Un bacio. Desy

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
Quella volta fu Rachel a svegliarsi per prima. Si stropicciò gli occhietti, prima di accorgersi di non essere sdraiata sul morbido materasso del suo lettino. E quale fu la sua sorpresa, nell’accorgersi di trovarsi fra le braccia del suo papà.
Un largo sorriso illuminò il suo volto paffuto.
Lui non l’ aveva lasciata sola non solo fin quando non si era addormentata; era restato con lei per tutta la notte tenendola stretta, per paura che cadesse dal letto e si facesse male.
Era stato così dolce e amorevole.
Così buono.
Come poteva pensare di essere sbagliato per lei?
Rachel osservò Klaus, facendo attenzione a non destare alcun rumore, per non disturbarlo.
Questa volta, diversamente dalle altre però, era in conflitto con sé stessa.
Da una parte voleva schioccargli un bacio sulla guancia per ringraziarlo. Dall’altra però, voleva lasciarlo riposare ancora un po’. Ma la prima parte, quella più bambina e meno giudiziosa, ebbe di nuovo la meglio, e gli stampò un bacino sulla guancia, soffice e delicata come solo lei poteva essere.
 Klaus aprì gli occhi gradualmente, poi le regalò un sorriso che andò a scoprire le fossette,  stringendola appena con tutto l’amore che non riusciva a mostrarle.
“Hai dormito bene, papà?”
Klaus le sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, prima di meditare sulla domanda che le aveva fatto. Era stata la notte più singolare e speciale della sua esistenza; sentire il tepore del corpicino di Rachel lo aveva riscaldato.
E ovviamente non perché il clima di New Orleans fosse rigido.
Lei, la voglia di amare e di vivere che aveva e che, a differenza sua, non si curava di tenere dentro .
E il respiro regolare della bambina sarebbe stata sempre la sua ninnananna preferita.
Come un canto delle sirene, che allo stesso tempo sapeva di non dover seguire, ma che non smetteva di tirarlo a sé.
Non se ne era andato - non era riuscito ad andarsene -  nemmeno quando avrebbe voluto.
O meglio quando avrebbe dovuto,visto che lui non avrebbe mai voluto stare lontano da Rachel.
Aveva perso il controllo, decisamente.
Rachel lo aveva totalmente inebriato e si odiava per aver lasciato quel lato egoista che la voleva accanto - che voleva vivere ogni suo singolo istante - subentrare e avere la meglio.
“Papà, stai bene?”
Klaus deglutì, quando la bambina gli fece nuovamente quella domanda. Si era perso troppo in quelle riflessioni per sentirla. Era a disagio. Con lei, lui aveva sempre fatto la scelta peggiore per lui, sapendo che era la migliore per sua figlia. Tranne quella volta.
“Sì, amore, certo che sì.”
“Sei rimasto anche quando mi sono addormentata”.
Rachel sorrise sincera, piena di gratitudine, mentre era ancora appoggiata su di lui. Nessuno  avrebbe trovato la voglia e la forza di alzarsi. Momenti del genere erano più unici che rari per lei e voleva goderseli fino in fondo. Klaus invece sentiva il dovere di giustificarsi.
“Mi sono addormentato, Rachel. E’ stata una lunga giornata ed ero stanco, mi dispiace.”
Rachel fece spallucce, non capendo di cosa volesse scusarsi.  A lei dormire accanto a lui non era parso il vero; si era sentita protetta e al sicuro, e non sola come al solito. Non poteva resistere dal dirglielo, nell’intento di fargli capire di quanto significasse per lei, la possibilità di averlo vicino.
“Ma a me non dispiace, papà.”
Rachel fece spallucce candidamente, guardandolo negli occhi. Lui trasalì. Doveva aspettarsi una risposta del genere da sua figlia e fece un sorriso piccolo, accompagnandolo con una carezza, ma poi si ritrasse bruscamente, quando la bambina parlò di nuovo.
“Dovremmo farlo più spesso se non ci dispiace, papà”
“Non succederà più, signorina.”
Rachel sporse il labbro inferiore in avanti, sbuffando leggermente. Klaus la guardò, pensando che fosse proprio sua figlia. Nella gestualità, nell’insistenza, rivedeva sé stesso, quel bambino che forse era stato in un tempo delle fiabe che non aveva mai avuto, che gli era stato strappato via con brutalità e violenza e che stava invece cercando di far vivere a lei nel modo più sereno possibile senza ostacolare i suoi sogni, la sua creatività e il suo fantasticare ad occhi aperti.
“Perché, papà? E’ stato dolce, papà. Io non mi sentivo sola e nemmeno tu. E’ stato subrime”
Rachel aveva ripetuto una delle parole che aveva sentito dire ad Elijah prima di partire, nella speranza vana  di averla detta bene. Klaus ridacchiò. Era candida, fresca e pura. Era tutto ciò di cui aveva bisogno e se ancora non lo sapeva, lo avrebbe scoperto presto.
Sublime, Rachel. E comunque sia, lo dici solo perché vuoi che risucceda. Non prendermi in giro, tesoro.”
Rachel assunse un cipiglio imbronciato. Un po’ perché le dispiaceva non aver imparato bene quella parola, un po’ perché le rincresceva che per lui quella notte non era stata indimenticabile come per lei.
“Ed è una cosa cattiva e sono una persona senza cuore se io voglio passare del tempo con te, papà?”
Klaus esalò un sospiro triste. Lei non era cattiva, poteva essere capricciosa a volte, ma cattiva non lo sarebbe stata mai. Era la sua bambina - quella fiala di bene da proteggere, da maneggiare con i guanti e la massima cautela. E la sua richiesta non sarebbe stata sbagliata, se solo quel papà non fosse stato lui. Aveva ucciso, aveva dato la caccia e terrorizzato chi si metteva contro di lui per secoli. Che esempio poteva dare a Rachel, se non intaccare il buono che c’era in lei?
“Non si tratta di te, si tratta di me, Rachel.”
La bambina sgranò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore poi però porto la mano piano piano sul petto dell’Ibrido, che era desideroso di conoscere cosa stesse facendo. Poi un sorriso illuminò le labbra di Rachel che si fermò, delicatamente.
“Eccolo, papà.”
“Cosa, Rachel?”
Klaus sapeva benissimo dove si era fermata con la manina e deglutì, mentre la voce in quella domanda si faceva fioca, sempre più fioca, fino a ridursi a poco più di un sussurro. Un sussurro che più che mai esigeva una risposta.
“Il tuo cuore. Lo sento battere, papà. Quindi non è vero che sei senza cuore.”
Klaus accarezzò delicatamente  la manina della bambina preso dal timore di far troppo forte   e fece per replicare, ma qualsiasi parola gli sembrava fuori luogo.
Forse aveva davvero bisogno di qualcuno che gli ricordasse dove si trovava il suo cuore.
E soprattutto che esistesse.
***
Dopo quella constatazione, Rachel aveva deciso di vestirsi e lo aveva invitato ad uscire dalla stanza, mentre le gote si tingevano di color porpora, pudica come non mai. E Klaus aveva ridacchiato scendendo al piano di sotto. Non si era mai sentito così umano da secoli, così vivo.
Perché Rachel era un uragano.
Un uragano di amore, energia, semplicità destinato a smantellare via, a sciogliere, pezzo per pezzo, l’iceberg di odio, rancore, che si annidava dentro di lui, sostituendolo con la gratificazione. Era piccola, ma con la forza di un lampo.
Quella tranquillità apparente e sicuramente temporanea svanì, nell’esatto momento in cui udì la serratura dell’abitazione scattare.
Klaus scattò verso l’entrata, velocemente. La paura che qualcuno si fosse introdotto in casa con l’intento di vendicarsi di chissà quale fra i suoi numerevoli delitti si impossessò di lui.
Lui aveva passato la vita a proteggersi.
Eppure, proteggersi era l’ultimo dei suoi pensieri.
Questo perché c’era qualcun altro da proteggere.
La sua espressione sbalordita e quella sua paura, però, erano destinate a scemare.
Tutto ciò non appena i suoi occhi cerulei avrebbero incontrato quelli cerulei come i suoi.
“Entra pure, sorellina”
Rebekah sorrise, guardando l’uomo che  trovava davanti; quel fratellastro, che però non aveva mai definito tale perché le era fratello quanto poteva esserlo Elijah. Il tempo non lo aveva scalfito, eppure c’era qualcosa di diverso in lui.
Lo aveva percepito nel momento esatto in cui era entrata in quella casa.
Non era cambiato niente, eppure era cambiato del tutto. E sarebbero bastati pochi minuti a confermarglielo.
“Saranno passati otto anni, ma è ancora casa mia, Nik. Ricordatelo.”
Ed eccola, Rebekah e il suo ardire, il suo carattere deciso.
Lui non la trovava cambiata invece. Sembrava solo che avesse riacquistato un po’ di quella spensieratezza.
Quella che a lui aveva strappato via suo padre, e la stessa che lui stesso aveva portato via a lei.
Un carattere che non avrebbe mai ammesso - e tanto meno avrebbe dato a vedere- quanto gli era mancato.
Entrambi sentirono dei rumori al piano di sopra.
E Klaus sorrise, scuotendo la testa. Un sorriso dolce, puro, apprensivo. Un sorriso vero, che Rebekah non gli aveva mai visto fare.
“Voglio conoscerla, Nik.”
Klaus si strinse le spalle, meditando sul da farsi ma senza meditarci davvero. Rebekah poteva avere milleuno difetti, ma non avrebbe mai e poi mai fatto del male a sua figlia e immaginava Rachel trillare gioiosa, felice che quella zia che pensava si disinteressasse a lei avesse deciso di incontrarla.
E se Rachel fosse stata serena e al sicuro, tutto il resto sarebbe passato in secondo piano.
Fece un gesto verso il piano di sopra, con nonchalance.
“Mi sembra una richiesta ragionevole”
Rebekah annuì, sorpresa.
Suo fratello non le stava sbraitando contro e non stava rivendicando un’autorità su Rachel.
Il Nik,il fratello che la proteggeva stava lentamente riemergendo da quell’involucro dove aveva deciso di chiudersi, per non soffrire più.
***
Rachel si stava aggiustando i boccoli biondi davanti allo specchio, dopo aver indossato un vestitino azzurro come i suoi occhi. Klaus aprì la porta, Rebekah esitò sull’uscio. Era emozionata e curiosa allo stesso tempo. Aveva paura di quella bambina.
Nik non doveva averle mai parlato di lei, troppo preso dalla rabbia e dal rancore per aver tentato di ucciderlo oppure, nel peggiore dei casi, le aveva parlato male di lei, ne era sicura. Aspirò forte, entrando.
La piccola rimase un secondo perplessa mentre la guardava, e mentre Klaus trovava le parole giuste per presentarle.
Ma di parole non c’era bisogno perché Rachel sapeva e Rebekah sbagliava.
E lo avrebbe dovuto ammettere nel momento stesso in cui Rachel sfoderò il sorriso un sorriso a 31 denti- 31, considerando il dentino da latte che aveva perso- verso Rebekah, correndole incontro.
“Sei arrivata! Zio Elijah e papà dicevano che saresti venuta, e io non ci credevo mai, zia Rebekah”
Rebekah era paralizzata invece dall’emozione.
Zia Rebekah.
Di quanto amore erano intrise, quelle due paroline? Si sentì quasi in colpa per ciò che aveva pensato due minuti prima.
Klaus non avrebbe mai insegnato l’odio a sua figlia. Un po’ perché Elijah non glielo avrebbe certo permesso con il suo forte senso della famiglia, e un po’ perché Rachel gli stava insegnando e ricordando cos’era l’amore.
Lei era piccolina e da tutelare e lui  non poteva comportarsi con lei come faceva con gli altri.
Klaus abbozzò un sorriso, godendosi quel sereno siparietto familiare e vedendo gli occhi lucidi per l’emozione e per il sollievo di Rebekah.
Davanti a lui c’erano due delle  tre donne più importanti della sua vita e avrebbe voluto osservarle, godersi quegli attimi che per otto anni non aveva potuto vedere.
Ma sapeva, immaginava, che Rebekah volesse stare un po’ da sola con la sua bambina ed era disposto a concederle un po’ di tempo.
“Io devo incontrare Marcel, tesoro. Non ti dispiace restare un po’ con la zia, vero?”
Rachel ascoltò il papà e si girò verso di lui intenta a rispondere. Era felicissima che quella zia che aveva tanto desiderato fosse lì e pensò che fosse proprio bella. Dall’altra parte però, aveva paura che il papà la lasciasse lì e non tornasse più.
“No, però torni presto papà... se non ci sei per troppo tempo, sto male.”
Le afferrò la manina accarezzandola per rassicurarla e perché voleva che il tempo che avrebbe passato con Rebekah fosse di svago e non stesse a controllare l’orologio per vedere quando sarebbe tornato.
“Certo che torno amore, che posto sarebbe il mio mondo senza di te?”
Lui sapeva che posto sarebbe stato.
Un posto senza un filo di luce; scuro, triste e piovoso.
Un posto senza cose belle dove si trovava solo dolore e senza spazio per l’amore.
Un mondo come quello che in fondo aveva vissuto, odorato, assaporato, per mille anni, ma che ormai non riusciva ad immaginarsi senza di lei.
Un mondo senza Rachel e il suo sorriso - che in quel momento stava squittendo un saluto -  per quello che gli importava, poteva pure andare a fuoco.
 
***


Rebekah girava elettrizzata per la camera, sfiorando il dorso dei libri di fiabe che riempivano la camera della bambina, insieme ai disegni del Lupo cattivo, della strega cattiva, a braccetto rispettivamente  con Cappuccetto Rosso e Biancaneve.
Rebekah scosse la testa.
Sua nipote doveva avere proprio un bel caratterino, proprio come lei.
“Ti piacciono le fiabe, zia Rebekah?”
“Sì. Tuo papà amava raccontarle.”
Rebekah tornò indietro di mille anni, mentre un ricordo di un tempo ormai lontano la assaliva. Le capitava spesso di avere la febbre alta da piccola, e suo fratello passava la notte a tenerle un impacco fresco perché scendesse, raccontandole storie fantastiche e rivolgendole parole rassicuranti. Forse era perché aveva conosciuto quel lato di lui che aveva odiato ancora di più ciò che l’aveva resa vampira.
“La mia preferita è “La Bella e la Bestia”, perché anche se la Bestia fa cose cattive, poi lo capisce e diventa felice. Ma papà non ci crede, zia. Pensa di essere cattivo, ma a volte è tanto dolce. Dice che sa solo ferire le persone, ma io sono felice quando c’è lui, ma non mi dà ascolto.”
Rachel parlò come un fiume in piena, un po’ ne aveva bisogno e un po’ perché ricordava che il suo papà le avesse detto di aver fatto male anche alla sua famiglia, e la sua curiosità era insaziabile.
Dall’altra, Rebekah era senza parole.
Non conosceva questo lato di suo fratello. Quel tormento interiore di cui Rachel le stava narrando era qualcosa di nuovo per lei. Ma aveva sofferto troppo a causa di Klaus per lasciarsi intenerire così.
“Si può fare un errore una volta, Rachel. Si chiede scusa e si viene perdonati. Quando si compie lo stesso errore più di una volta diventa una scelta e non c’è nessuna via di scampo. Lui non ha propriamente mai chiesto scusa e ha fatto sempre peggio.”
Rachel storse la bocca, indispettita. La zia la stava facendo un po’ arrabbiare, perché in fondo non aveva conosciuto quel lato di Klaus e non l’avrebbe conosciuto mai. Ma si ricordava quello che le aveva confidato, quando guardavano “Lilo e Stich”, insieme.
Forse non l’avrebbe detto ad alta voce, ma glielo aveva letto negli occhi.
Il rammarico.
Il dolore.
“ Ma lui si vergogna, e ha paura che voi non gli vogliate più bene, però so che gli dispiace. Lo vedo, zia. Tu gli vuoi ancora bene?”
Rebekah era esterrefatta.
Sua nipote le stava parlando di un Klaus diverso.
Non il Klaus, che le sorrideva, beffardo, mentre le infilava un pugnale nel cuore.
Un Klaus che si pentiva del male che faceva, che soffriva.
Un Klaus, anzi un Nik, umano.
Un Nik a cui non sentiva di dover chiudere la porta in faccia o di dosare ogni parola con cautela, per paura.
Quel fratello che era convinta sarebbe stato Elijah a riportare alla luce e che invece Rachel sembrava aver inquadrato alla perfezione.
Quel piccolo elfo attese impazientemente la risposta, un po’ spaventata.
Mentre la bambina aveva paura che Rebekah non volesse bene al suo papà, Rebekah era spaventata dal modo in cui - nonostante tutto - gli volesse bene.
“E’ sempre mio fratello.”
Amarlo era una congiura e lo sapeva. Nessuno meglio di lei lo sapeva.
Ma non poteva farne a meno.
Chi si lega ai ricordi, si sa, non può andare lontano e forse era proprio la speranza a fare in modo che l’odio non avesse la meglio ma oltre alla speranza, finalmente vedeva qualcosa, nei racconti di Rachel.
Qualcosa di concreto.
“Ti vuole tanto bene anche lui, zia. Mi racconta di te a volte e quando ero arrabbiata perché tu non venivi mai, mi diceva che non lo facevi per cattiveria, che avevi bisogno di tempo. Non lo dice, ma ti vuole bene.”
Rebekah guardò il disegno di Lilo e Stich attaccato sulla parete e poi sorrise.
“Sono sicura che tu gli insegnerai a dirlo.”
E ne era sicura.
Ne era sicura davvero.
***
Rachel aveva passato un bellissimo pomeriggio con Rebekah. Le aveva parlato dello zio, dei suoi disegni, delle fiabe che leggevano insieme e dei dipinti che aveva visto nel suo studio.
Fra cui, quella della promessa.
E Rebekah aveva sorriso perché - a differenza di Elijah - sapeva che quella di suo fratello era molto di più di un’infatuazione e sapeva che quell’assenza, dopo otto anni, lo logorava ancora dentro.
 In quel momento, mentre una Rachel stanca ma felice e spensierata stava mettendo a posto i pastelli, la porta si aprì.
E la bambina corse fra le braccia di Klaus, ancora prima di deciderlo. 
Quel blocco, quel cercare di contenere l’affetto nei suoi confronti, stava lentamente - ma nemmeno troppo - svanendo.
“Papà, sei tornato. Mi sei mancato.”
Le era mancata anche lei tantissimo, nonostante sapesse che con Rebekah sarebbe stata serena e al sicuro.
 Le mancava vedere il mondo con gli occhi di quella bambina e saziare la sua curiosità. Ma non lo disse, si limitò a tenerla stretta, proprio come stava facendo lei.
In realtà, considerando la situazione di appena quattro giorni prima, quello era tutt’altro che un limitarsi.
“Vado a fare un bagnetto e poi mi accompagni a dormire...va bene, papà?”
Rachel lo guardò, speranzosa. Erano quattro giorni che ormai facevano così e sperava che lui non si stesse annoiando, anche se non le sembrava così. Sembrava che stesse bene con lei almeno quanto lei stava bene con lui.
E questo la faceva sentire un po’ meno indesiderata. Si diresse verso Rebekah, e stampò un bacio sulla guancia anche a lei prima di sparire per il corridoio.
Klaus si ritrovò da solo con sua sorella davanti, con un’aria imperscrutabile. L’imbarazzo per quegli otto anni, cominciava a farsi sentire, a essere palpabile. E ci pensò Rebekah a smorzarlo. Si sedette sul letto, prima di prendere parola.
“Partirò questa sera. Lei sta bene con te, Nik.”
E Rebekah era sincera.
Rachel gli aveva parlato tutto il pomeriggio di come fosse gentile Elijah con lei, ma di come le mancasse comunque Klaus.
E all’Ibrido quella frase innervosì parecchio, invece. Era solo quello il motivo per cui Rebekah era venuta? Controllare che sua figlia stesse bene? Era deluso, molto deluso, e il suo temperamento ebbe un’altra volta la meglio.
“E’ per questo che sei venuta? Controllare che non stessi torturando mia figlia o usando il suo sangue per un esercito Ibrido? Mi dispiace infinitamente deluderti, Rebekah, ma non ci ho mai nemmeno pensato.”
Rebekah sospirò.
Eccola, la fragilità di cui parlava Rachel.
La sua paura di essere inadatto a quel ruolo e il suo non mettere da parte l’orgoglio.
E per quella volta, solo per quella volta, sarebbe stata disposta a metterlo da parte lei.
“Non dire stupidaggini, Nik. Queste non sono cose che un padre farebbe, queste sono cose che farebbe nostro padre.”
Il sipario che Rebekah stava aprendo era molto più che doloroso, e lo sapevano entrambi. Il maggiore si irrigidì, contraendo la mascella, come sempre faceva quando si trattava di Mikeal.
“Non ho mai voluto essere come lui.”
Rebekah sorrise, facendo un gesto di nonchalance con le mani, decisa a parlargli chiaro e ad abbozzargli almeno leggermente tutto ciò di cui aveva parlato Rachel, alleggerendo la tensione.
“Bene, sappi che tua figlia ha passato l’intero pomeriggio a raccontarmi di quanto tu sia dolce, affettuoso e bravissimo. Onestamente mi sono chiesta se tu sia posseduto da chissà cosa. Hai fallito come fratello, Nik, ma tua figlia ti ama. Non stai certo fallendo come padre.”
“Le voglio bene, anche io, Rebekah.“
“Lo so.”
E sorrisero entrambi, mentre Rebekah si avvicinava alla porta, mormorando un “goodbye”.
Questa volta, a differenza di otto anni prima, sapeva per certo che si trattava di un arrivederci.
***
Quando Rachel, con il suo pigiamino rosa e i capelli umidi per la doccia,  tornò in camera sua, vi trovò solo Klaus. E come si poteva immaginare ci rimase malissimo.
“Dov’è zia Rebekah?”
Klaus fissò il vuoto. Nonostante le circostanze in cui Rebekah se ne era andata fossero più rosee del solito, lasciare sua sorella era sempre un duro colpo, che lo portava irrimediabilmente a soffrire.
“Se n’è andata.”
Rachel però semplicemente, non ce la faceva più.
Zio Elijah se n’era andato, la sua mamma nemmeno l’aveva mai vista, e ora anche Rebekah.
E da qualcun altro, aveva ereditato il difetto insolito di sfogare quella tristezza sul primo che gli capitava a tiro.
“Perché l’hai fatta andare via, papà? Volevo che restasse. Sei cattivo!”
Le lacrime scorrevano rapide sul volto della bambina e quella frase non era nient’altro che il frutto del terrore di essere abbandonata, di nuovo.
Ma l’Ibrido adesso era più addolorato di lei.
Rachel, la creatura più fragile e innocente, lei che credeva nel bene, nel bene sopra ogni cosa, le aveva appena detto che era cattivo.
E per lui era troppo sopportare che perfino quell’esserino la pensasse così su di lui.
“Non aspettavo nient’altro che tu te ne accorgessi, tesoro. Ora se permetti, ho altre persone a cui fare male.”
****
 
Era mezzanotte passata e nessuno stava dormendo. Rachel si stava rigirando nel letto piangendo, in preda ai sensi di colpa. Lei non voleva dire ciò che aveva detto, ma era così triste e arrabbiata. Non capiva perché tutte le persone finissero irrimediabilmente per fuggire da lei. Aveva ferito perfino il suo papà e non poteva fare a meno di pensare a come era stata bella la notte prima, quando le aveva permesso di dormire accoccolata fra le sue braccia. Voleva smettere di piangere, ma non riusciva a fermarsi, così decise che sarebbe andata in camera sua a vedere se stava dormendo.
Voleva solo chiedergli scusa, proprio come le aveva insegnato Elijah,  nonostante la paura che la mandasse via e che non volesse vederla.
Uscì furtivamente dalla sua cameretta, inoltrandosi in quel corridoio buio che le faceva tanta, tanta paura. Poi trovò la porta chiusa e aspirò. Bussò una volta ma non ebbe risposta.
 Forse suo papà si sarebbe arrabbiato se entrava senza la sua autorizzazione, ma probabilmente era già arrabbiato.
Dunque entrò e lo vide.
Era sdraiato su un fianco, gli occhi chiusi. Ma non dormiva.
Era bastato così poco a far tornare in superfice tutto quel dolore, quello che aveva dentro e che Rachel aveva scacciato via.
Ed era stata proprio lei a farlo tornare a galla.
Lui le aveva -nemmeno troppo in modo parafrasato- fatto sentire il suo cuore e lei gli aveva fatto male come gli altri.
Rachel si arrampicò sul letto matrimoniale, indecisa. Si sedette alle spalle di Klaus e cercò di trovare le parole giuste, mentre l’Ibrido non accennava un movimento. Il magone cominciava già a farsi sentire.
“Mi dispiace tanto, papà. Tu non sei cattivo, e la zia non se ne è andata per colpa tua. Ma ero così triste che se ne fosse andata. Forse se ne è andata per colpa mia come la mamma o come lo zio. Forse sono io a far andare via le persone, non so come mai non rimangono mai, papà. Ma non te ne andare anche tu, anche se non mi vuoi più bene.”
E poi, la bambina, che ormai nelle lacrime ci stava affogando, si sporse verso la tempia dell’Ibrido, convinta che fosse addormentato e vi poggiò un bacino.
Klaus però aveva sentito ogni sua singola parola e soprattutto, le aveva ascoltate.
Non solo le sue parole ma anche le sue lacrime. Sapeva che era sincera, e la sentì mentre tentava in modo impacciato di scendere dal letto.
Ma Klaus non poteva.
Quello che aveva sentito era abbastanza.
Lui non poteva  essere ancora arrabbiato con lei.
Non poteva punirla facendole passare una notte di inferno in camera sua a pensare al fatto che lui non le volesse più bene.
E tutto ciò che fece fu afferrarla e tirarla fra le sue braccia, mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi.
“Adesso basta piangere, amore.”
Le accarezzò la schiena forte, guardandola. Nulla era cambiato e nulla sarebbe mai cambiato. E Rachel invece si sentì sollevata; lui non l’avrebbe abbandonata.
In fondo lei glielo aveva fatto promettere solo due giorni prima.
“Non sei più arrabbiato, papà?”
Klaus la guardò. I boccoli biondi spettinati, gli occhioni blu arrossati per il pianto, le occhiaie per il sonno. Come poteva essere ancora arrabbiato con un tale scricciolo? Nonostante ciò, c’era ancora un punto da chiarire.
“Hai detto la verità, in fondo. Ma comunque sia sono molto arrabbiato”
Rachel sgranò gli occhi, mentre le lacrime stavano per spuntare di nuovo, mentre lui nonostante tutto continuava a coccolarsela.
Ma lei era troppo nervosa per rendersene conto ed era per quello che lui stava sfruttando il momento.
“Perché, papà?”
Ma Klaus si limitò a spiegare e andare dritto al punto, perché non poteva sopportare la vista di altre lacrime.
“Come hai potuto pensare, anche solo per un momento, che potessi abbandonarti e non volerti più bene, signorina?”
E Rachel con gli occhi ancora lucidi gli regalò un sorrisone di ringraziamento. Era passata dall’essere triste all’essere felicissima in pochi secondi.
“Quindi tu mi vuoi bene, papà.”
E per una volta non si trattava di una domanda, ma di un’affermazione.
Quei dubbi erano lontani, mentre lei era accoccolata su di lui che la guardava con quello sguardo orgoglioso e fiero che rivolgeva solo a lei.
Sbadigliò, coprendosi la bocca in maniera impacciata.
“Dormi, adesso, amore. E’ tardi.”
Rachel sorrise, perché non le aveva detto di tornare in camera sua ma di dormire nel suo letto, lì con lui. E sentì di dover dire qualcosa, prima di addormentarsi.
“Non sei cattivo, papà. Se tu fossi cattivo avresti potuto farmi dormire al buio di là e mi avresti trattata male e mandata via. Quindi non sei cattivo.”
Klaus scosse leggermente la testa.
Incominciare quella discussione con la figlia voleva dire passare almeno un’altra ora a discutere della sua condotta e Rachel era esausta. Quindi era meglio dargliela vinta subita.  Ma su una cosa non poteva fare a meno di correggerla.
“Ti sbagli, Rachel. Non avrei potuto. Buonanotte, principessa.”
Rachel chiuse gli occhi, entusiasta di stringersi a lui, rilassata e pronta finalmente a fare tanti bei sogni.
Klaus pensò prima di addormentarsi che se su quel letto c’erano un re e una principessa, tutto ciò che mancava era una regina.


Note dell'autrice.
Se pensavate che avrei abbandonato Rachel, vi sbagliavate profondamente. Solo che maggio, è un mese complicato. Questo capitolo, spero non faccia più schifo del dovuto, è stato lavorato e curato a lungo, ma non sono tanto soddisfatta. "Chi si lega ai ricordi, si sa, non può andare lontano", non è una mia citazione, ma di Cristiano De André. Eh.... Non so che altro dire. Vorrei lasciarvi qualche altro spoiler, ma ho idee molto vaghe e rovinerebbe la sorpresa. Dico solo, che, l'ultima scena dell'ultimo capitolo (quindi del sesto, o del settimo, sono indecisa se farla dinire la sera del sesto giorno, o il settimo), sarà dedicata ad Elijah, e a un'altra persona (non Hayley, perchè non shippo haylijah, e perchè non resuscito i morti). Era deciso così dall'inizio, perchè, credo che lui, dopo il sacrificio che ha fatto, se lo meriti. Niente, se non vi ha proprio disgustato questo capitolo...Gradisco una recensione, come sempre xD
Grazie a tutti! :-)

Desy

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Lei aveva girato a lungo senza sosta alla ricerca di un posto nel mondo che non era mai riuscita a trovare. Ma non era stata a Parigi, non a Roma e sicuramente non a Tokyo e mai e poi mai avrebbe messo piede a New Orleans.

Era questo che si ripeteva, mentre la città del jazz le sorrideva offrendole il suo benvenuto.

O meglio la residenza Mikaelson.

Residenza di cui lei stessa aveva chiesto la strada, soggiogando accuratamente la prima barista che le era capitato a tiro. Si sentiva strana, euforica, ma allo stesso tempo spaventata.

Perché lei, la maniaca del controllo, perfezionista incallita, il controllo lo aveva perso.

Lo aveva perso, nell’esatto momento in cui distrutta dall’ennesima storia finita male –perché lei non era la prima per nessuno, tranne che per lui- aveva preso la macchina senza una meta, con il solo intento di fuggire da quella cittadina dove aveva perso prima sua madre, e poi, piano piano, sé stessa, riducendo la sua esistenza a un’ombra che si beffava di lei e della ragazza di otto anni prima, che tutto aveva progettato fuorché quella vita piatta, molto lontana dai suoi canoni.

E così quella spietata e folle corsa in auto, che avrebbe potuto portarla forse appena al Mystic Grill, l’aveva portata in Lousiana.

Non si chiese perché, forse perché provare a rispondersi sarebbe stato controproducente, e perché la risposta - lo sapeva- non le sarebbe piaciuta.

Qualcosa attirò la sua attenzione, nel giardino della tenuta Mikaelson.

Protetta dall’inferriata metallica di un giardino, vi era una bambina. La vampira si avvicinò, incuriosita, per sbirciarla.

Rachel era seduta su un gradino. Gli occhi color cielo intonati al prendisole blu, intenta a disegnare un cavallino nero. Era molto felice e serena. Convincere il suo papà a farla uscire in giardino quel pomeriggio non era stato semplice, ma lei gli aveva promesso che non avrebbe parlato con nessuno e lui le aveva detto di divertirsi. Lei gli aveva regalato un sorriso, l’aveva stretto forte ed era scappata fuori. Aveva ancora il naso sul disegno, quando sentì i rumori e si accorse di non essere sola e di essere osservata. Non riconobbe la sagoma davanti casa, del resto come avrebbe potuto?

Si avvicinò al cancello, un po’ offesa.

“Non è carino sbirciare le persone. Sei un’amica del mio papà?”

Caroline sorrise dolcemente.

Ma lei non doveva sorridere.

Doveva essere arrabbiata.

Klaus le aveva mentito, le aveva nascosto l’esistenza di quella figlia. Doveva correre verso la macchina, sbattendo i piedi.

Finché poteva.

Se poteva.

Lanciò un’occhiata al disegno della bambina, mentre un ricordo lontano riaffiorava, strappandole un sorriso.

“E’ un bel disegno. Piacciono anche a me i cavalli.”

Rachel le lanciò uno sguardo sospettoso. Non aveva risposto a una sua domanda e in più aveva già disobbedito a Klaus, però la bionda non sembrava intenzionata a farle del male. E non le capitava spesso, anzi mai di chiacchierare con qualcuno esterno alla sua famiglia, quindi, convinta di essere protetta dal cancello in ottone, decise di continuare.

“Zio Elijah dice che piacevano anche alla mamma.”

“Piacevano?”

Un velo triste calò sugli occhi della bambina, mentre il sorriso giocoso di pochi istanti prima si affievoliva. La vampira, d’altra parte, dopo quella domanda, avrebbe voluto mordersi la lingua a sangue.

Non doveva chiedere, non doveva interessarle.

Andava contro ogni etica morale che si era posta.

Ma in fondo, la sua sola presenza lì infrangeva ogni sua convinzione.

“Lo zio dice che mi guarda sempre dal cielo, ma non ci credo. Quando ci sono i lampi e la nebbia, come fa a vedermi?”

La vampira avvampò, presa dallo sconforto. Si morse un labbro sinceramente dispiaciuta, non doveva essere quella bambina a pagare i peccati di suo padre. Pensò di dire la prima cosa che le capitava a tiro; doveva smorzare la tensione e riportare tutto alla perfezione.

“I cavalli sono i tuoi animali preferiti?”

Complimenti per l’originalità, Caroline.

La vampira sbuffò, frustrata e infastidita da quel tentativo. Rachel però sorrise, scuotendo il capo. I cavalli erano belli e veloci e le sarebbe tanto piaciuto vederne uno dal vivo, ma c’era un animale che le piaceva di più.

“No. Mi piacciono di più i lupi, come quello di Cappuccetto Rosso. Mi piacerebbe adottarne uno.”

Caroline la guardò. Quella bambina doveva essere davvero particolare e tutto sembrava fuorché la figlia dell’Ibrido psicopatico che aveva conosciuto. Ma era sconcertata. Come poteva dare, quella bambina una risposta così poco lineare?

“Davvero? Ma i lupi sono cattivi. Soprattutto nelle fiabe”

Rachel piantò i piedi a terra, quasi arrabbiata e decisa a rientrare in casa.

I lupi non erano cattivi, ne era convinta.

Perché se il lupo di Cappuccetto Rosso era cattivo perché l’aveva mangiato, era cattivo anche il cacciatore per averlo ucciso.

“Loro non sono cattivi. Sono le persone che ripetono che lo sono e li lasciano soli. Così loro ci credono e fanno cose cattive. Lo faresti anche tu, se ti dicessero così in continuazione.”

La vampira era sconvolta, mentre Rachel voltava le sue fragili spalle, girandosi verso casa.

E non poteva negare che qualcosa di vero nelle parole di quella strana bambina c’era, anche se i lupi erano senz’altro l’ultimo dei suoi pensieri.

O forse no.

 

**

“Papà! Una ragazza mi ha fatto arrabbiare!”

Rachel si precipitò sull’uscio, furiosa. Klaus le regalò un sorriso dolce e apprensivo. Era così buffa quando metteva il broncio. Poi gli venne in mente che le aveva esplicitamente chiesto di non dare confidenza a nessuno, e pensò che glie ne avrebbe parlato con più calma dopo.

“Che facciamo, amore? La uccidiamo?”

L’Ibrido scherzava, mentre la bambina lo guardava di sottecchi, con aria interrogativa. Sbuffò, innervosita. Per lei quella situazione era molto seria e molto grave. Nessuno doveva criticarle i lupi e nemmeno le streghe. Le faceva dare le escandescenze come poche altre cose.

“Mi ha detto che i lupi sono cattivi e invece sono tanto dolci.”

Klaus, che ovviamente non poteva conoscere il nocciolo della questione, corrugò la fronte. Se qualcuno stava monitorando segretamente la sua famiglia per fare del male alla sua bambina, avrebbe davvero pagato con la sua stessa vita. Doveva verificare quella situazione, senza ombra di dubbio.

“Come si chiama questa ragazza, tesoro?”

La sua voce tradì un velo di nervosismo. Se qualcosa fosse successo a Rachel non se lo sarebbe mai perdonato. La bambina, d’altra parte, non conosceva la risposta.

“Vado a chiederglielo, papà.”

Il fatto che la presunta sconosciuta non avesse detto il suo nome lo allarmava ancora di più. Rachel aprì la porta uscendo di corsa, per fare quella domanda curiosa di sapere il nome di quella ragazza che l’aveva fatta tanto arrabbiare.

“Io mi chiamo Rachel. Tu come ti chiami?”

La vampira era quasi sul punto di andarsene, dopo aver discusso con la bambina.

Ma in realtà era sempre stata sul punto di andarsene nel momento esatto in cui un cartello rovinato le aveva annunciato il suo arrivo in quella città ed era ancora lì.

“Caroline. Il mio nome è Caroline.”

Ci sono momenti, di due tipi.

Momenti in cui tutto ciò che senti di dover fare è gettare la spugna, strapparti i capelli, o forse strapparli agli altri, per far palpare loro una frazione del dolore che provi tu. Klaus e Caroline quei momenti li conoscevano bene.

E poi c’è la seconda categoria di momenti, di attimi, molto diversa, molto più complessa. Sono quelli che fanno vibrare ogni fibra del tuo essere, che ti riscattano di tutto ciò che hai passato in precedenza.

Attimi che ti faranno capire per certo, che tutto ciò che hai passato, tutto il tempo che hai aspettato, ne è valsa la pena.

Attimi come quello in cui Klaus sopraggiunse alle spalle di Rachel, già pronto ad estrarre l’ascia di guerra, e Caroline aveva inclinato la testa con quella espressione scettica che faceva solo a lui, ma –stranamente, avrebbe detto Klaus- non aveva detto niente.

L’unica ad essere perplessa, davanti a quel siparietto che avrebbe commosso chiunque, era Rachel. Che quella bionda fosse in realtà una strega e avesse fatto un incantesimo sul suo papà come quello della “Bella Addormentata Nel Bosco”?

Ma poi ci pensò bene.

“Caroline. Si chiama come la regina dei tuoi quadri, papà!”

***

Erano seduti a tavola durante quella cena, in cui finalmente erano in tre e Rachel seguiva curiosa ogni occhiata fra L’Ibrido e la vampira. La bambina, però, era delusa. Suo papà aveva aspettato quella strana regina senza corona per così tanto tempo ed ora, faceva finta di nulla?

Gli si avvicinò all’orecchio, piano piano, perché non voleva che Caroline sentisse.

“Papà, perché non gli chiedi di diventare la tua fidanzata?”

Klaus scoppiò a ridere, sapendo perfettamente che Caroline, che era seduta appena lì, aveva sentito perfettamente. Ed era anche piuttosto indignata.

“Io non voglio diventare la fidanzata di un tale psicopatico narcisista.”

Rachel li guardò entrambi con aria interrogativa.

Quella vampira parlava in modo ancora più strano di Elijah.

Ma aveva notato anche un’altra cosa.

Il suo papà non sorrideva spesso in quel modo, con quell’intensità.

“Era questo che ti ripetevi, mentre guidavi verso New Orleans, amore?”

L’Ibrido si girò verso Rachel, regalandole un sorriso, e scoppiando a ridere, poi abbassò la voce, con il puro intento di far arrabbiare e squittire ancora di più la vampira. Gli era mancata così tanto.

“Dai tempo al tempo, Rachel. Presto si accorgerà di non potermi resistere”

Caroline lo fulminò con un’occhiataccia. Era cambiato in tante cose e con il passare delle ore avrebbe avuto sempre più modo di notarlo. Ma il gusto che provava nel prenderla in giro non sarebbe passato mai.

Klaus accarezzò dolcemente la guancia di sua figlia guardandola intensamente e poi posando lo sguardo sull’unica donna che aveva veramente amato.

Era felice.

Lì, con lui, vi erano le due bionde più importanti della sua vita.

Le uniche due donne di cui la felicità, aveva messo davanti alla sua.

“Papà, che cosa vuol dire psicoparcisista?”

E il suono della risata dell’Ibrido echeggiò di nuovo nella stanza accompagnato ben presto da quella inizialmente più trattenuta e controllata della vampira.

Due risate, che insieme, componevano la più dolce delle melodie.

***

“Caroline, devo farti vedere un cartone così vedi che i lupi sono dolci e non cattivi. “

La vampira guardò Klaus, pensando a come quella bambina stesse ancora rimuginando su una discussione avvenuta quasi tre ore prima e lui sorrise avvicinandosi alla vampira.

“Non ti darà tregua finché non l’accontenterai, amore. Quindi è meglio farlo subito.”

La vampira sbuffò forte, annuendo, mentre l’Ibrido si alzava in piedi.

“Allora va bene, papà? Perfavore!”

Klaus posò una tenera carezza sulla guancia della bambina, aiutandola con il videoregistratore. Caroline si domandò se era davvero quella la persona che aveva lasciato otto anni prima.

Non riusciva a vedere un mostro.

Tutto ciò che vedeva era un padre.

Forse era per quello che non era arrabbiata.

Per la curiosità dirompente della bambina, e per il modo in cui L’Ibrido si divertiva a saziarla, per il modo premuroso e delicato con cui si rivolgeva a lei, soppesando le parole.

Sorrise mentre i due tornavano verso il divano, e la bambina si ritagliava uno spazietto fra loro, ma insoddisfatta si sistemava sulle ginocchia di Klaus, appoggiando la testolina sul suo petto, e sorridendo a entrambi.

Aveva sempre saputo che l’amore aveva varie sfaccettature.

Quella era sicuramente la sfaccettatura più bella che avesse visto.

***

Il cartone animato che Rachel aveva scelto, non era niente di meno che “Balto.” La storia del canelupo che sapeva chi non era, ma non sapeva chi era. Quel canelupo che tutti trattavano male, ma che sarebbe stato capace di salvare tutti dalla difterite che dilagava in città. E fu una scena in particolare a colpire Klaus a tal punto da irrigidirsi e ad allertare Rachel.

Nel momento in cui la bambina già febbricitante si era avvicinata a Balto e l’animale le era saltato addosso per confortarla, un uomo l’aveva tirata via bruscamente e aveva detto una frase.

“Stagli lontano. E’ un mezzo lupo.”

Klaus serrò la mascella e Rachel che era appoggiata su di lui lo sentì. Si girò, preoccupata , carezzandogli la barba per confortarlo.

“Papà, non ti dispiacere troppo. Tanto poi quei cani cattivi oggi non se li ricorda nessuno e lui diventa un eroe. Lui vince, papà.”

“Nella realtà non sarebbe finita così. A forza di essere ferito, avrebbe desiderato fare del male a chi lo maltrattava e poi avrebbe continuato a farne a tutti, anche alle persone a cui voleva bene.”

Un velo negli occhi copriva ciò che in realtà aveva turbato L’Ibrido.

Perché lui sapeva cosa voleva dire, essere disprezzati per l’unica parte di sé che non poteva cambiare.

La stessa parte di Balto, quella così fastidiosa, troppo fastidiosa da dover essere nascosta per non doverci fare i conti ogni mattina.

Così sbagliata da non doversi vedere.

E lui sapeva - aveva testato sulla sua pelle, la veridicità delle sue parole. La sua vita in fondo non era stata che la trasposizione più cruda , più reale, di quella di Balto.

E sapeva bene che non c’era un lieto fine per quelli come lui.

Rachel fece per rispondere, ma poi si girò verso Caroline.

“Vedi che i lupi non sono cattivi? La gente pensa che loro sono cattivi così ci diventano, ma non nascono così.”

Caroline alzò gli occhi al cielo. Quella –adorabile- nanetta da giardino non smetteva di darle lezioni di vita, dimostrando una maturità maggiore di quella che un bambino della sua età doveva avere.

Ma lei era speciale.

Non speciale perché il suo sangue avrebbe potuto creare Ibridi, speciale perché sapeva mettere a sedere un Originale e costringerlo a guardare un cartone animato e a rifletterci su.

“Hai ragione, Rachel. Non avrei dovuto dire quella cose sui... lupi. Mi perdoni?”

Rachel si strinse le spalle analizzando le sue parole per verificare che non le stesse mentendo, perché lei sapeva captare le bugie. Poi annuì vigorosamente prima di esordire, con un tono particolarmente solenne.

“Zio Elijah dice che tutti meritano una seconda possibilità.Quindi, anche se hai detto che i Lupi sono cattivi, ti perdono.”

E L’Ibrido si trattenne dal ridere, colpito dalla serietà con cui Rachel aveva preso la questione. Scosse la testa, mentre i malumori e i ricordi dolorosi tornavano al loro posto. Poi mentre Caroline si univa alla risata, prese in braccio Rachel, rivolgendole un sorriso grato. L’aveva salvato e protetto un’altra volta, anche se doveva essere l’esatto contrario.

“Ti porto a letto, amore.”

**

Tenne la sua principessa a mo’ di sposa finché non arrivarono al letto e le rimboccò le coperte. Rachel sorrise, mettendosi a sedere. Klaus però voleva parlare di lei degli avvenimenti di quella giornata e non sapeva bene come iniziare. Quindi, vista la sua incapacità di parafrasare, decise di andare dritto al sodo.

“Amore, cosa ne pensi di Caroline?”

Rachel aggrottò la fronte. Il suo incontro con Caroline era stato un po’ traumatico, perché nessuno doveva toccarle i suoi lupi, ma non le era sembrata tanto male. Tuttavia, un dubbio la assilava.

“Tu mi vuoi bene come prima?”

Klaus la guardò, perplesso. Perché quella domanda? Pensava che avesse finito di tormentarsi con quelle paure infondate. Ingrossò la voce, utilizzando un tono un po’ burbero.

“Signorina, Elijah non ti ha insegnato che non si risponde a una domanda con un’altra domanda?”

Rachel spalancò gli occhi, preoccupata per quella mancata risposta.

“Nemmeno tu mi hai risposto, papà”

Quella piccola, puntigliosa ragazzina lo avrebbe portato alla follia. Klaus aspirò forte, poi le prese la manina, stupendosi di quanto fosse piccola rispetto alla sua e la strinse piano.

“Certo che ti voglio bene. Non è cambiato nulla. Non smetto di volertene.”

Rachel passò un dito sulle labbra di Klaus, piegato in un sorriso.

Le piaceva vederlo sereno e meno triste e imbronciato e ci teneva a farglielo notare.

E soprattutto le piaceva che non si vergognasse a dirle quanto le voleva bene.

“Mi piace quando sorridi, papà.”

Klaus la guardò, esasperato. Cosa c’entrava questo, con la domanda che le aveva fatto? Possibile che non riuscisse a giungere a un compromesso?

“Non hai risposto alla mia domanda, signorina.”

Rachel incrociò le braccia sul petto. Possibile che non avesse capito?

Eppure lei era stata così chiara.

Le piaceva il suo sorriso.

“Mi piace quando sorridi, papà. E quando c’è lei sorridi più spesso. Quindi mi piace. Però non voglio che dica più cose brutte sui lupi.”

E Klaus sorrise stringendola forte fra le sue braccia baciandole piano la fronte, prima di metterla a letto.

Mentre andava verso la sua camera, pensò a cosa avesse fatto di così tanto bello da meritare così tanta luce.

O meglio, da meritare Rachel.

***

Caroline era seduta sul letto. In camera di Klaus.

Nell’unico posto dove non sarebbe dovuta mai essere.

E sentiva la resa dei conti sempre più vicina.

Aveva bisogno di distrarsi. Aprì un cassetto, e vi trovò un disegno.

Due disegni.

Tre disegni.

Quattro disegni.

Ma un solo soggetto. Una voce la sorprese, alle sue spalle.

“Ti piacciono?”

Lei si girò, fingendo di non essere colpita come doveva essere.

“Hai passato otto anni a disegnarmi?”

Klaus sorrise beffardo, perché aveva sempre saputo che una parte di lei era tutt’altro che dispiaciuta di quelle attenzioni.

“Perché ti stupisci? Ti avevo promesso l’eternità, Caroline.”

La vampira sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Perché doveva essere così maledettamente di parola ?

Ma no, non era stato di parola e lei non era una bambina. Lei non si lasciava abbindolare così da –cinque, sei, sette....- disegni.

“Te ne sei andato da Mystic Fall e non mi hai più cercata. E ti ritrovo con una figlia. Cosa vuoi che valga quella promessa, oramai?”

La vampira si sdraiò sul letto, e l’Ibrido la guardò serio e ferito. Possibile che la vampira, non credesse nel reale sentimento che provava nei suoi confronti?

“Hayley è mancata la notte in cui ha dato alla luce Rachel.”

Caroline si alzò. Era quello che voleva fare? Ferirla?

“Condoglianze, allora.”

L’Ibrido però si stava arrabbiando. La tirò giù, sul letto. Non aveva mai provato nulla per Hayley, ma le aveva portato la cosa più importante della sua vita. Rachel.

“Non significava niente per me. Aveva un debole per il mio nobile fratello. E vorrei ricordarti, amore, che sei stata tu a chiedermi di non tornare a Mystic Fall.”

La vampira scrollò le spalle e Klaus la osservò. I capelli scompigliati e sparsi sul letto, il respiro; quel suo modo irripetibile di contrastarlo. La sua futura risposta l’avrebbe spiazzato.

“Forse non lo volevo. Forse non mi aspettavo che l’avresti fatto sul serio. Forse…”

L’Ibrido sorrise. Un sorriso furbo e gioioso. E la interruppe.

“Perché sei qui, Caroline?”

Lei scosse le spalle infastidita, leggendo la sua espressione vittoriosa. No, non gliel’avrebbe data vinta né ora… né mai.

“Togliti dalla testa l’idea che possa essere qui per te, idiota. Sono qui per me. Proviamo ad essere amici, per una settimana. Facciamo un accordo.”

Il solo pronunciare quelle parole era un colpo basso per il suo orgoglio ed era tutto ciò che non doveva fare.

Era così frustrante!

“Va bene, amore. Proviamo ad essere amici. Buonanotte.”

La vampira fece per dire qualcosa, compiacendosi per aver raggiunto così velocemente un accordo con Klaus. Ma non poté cantar vittoria quando la bocca dell’Ibrido premette sulle sue labbra per entrare, e le loro lingue si buttarono in una danza, anzi in una lotta per il controllo.

Fu Caroline in un attimo di lucidità a staccarsi.

“Questo non era nei piani.”

E l’Ibrido le regalò un sorriso,felice di poterla nuovamente prendere in giro.

“Ma forse non era quello l’accordo che volevi veramente. O forse non volevi che lo rispettassi.”

Klaus sorrise, girandosi di lato al gridolino frustrato della bionda.

Non avrebbe dormito quella notte. In casa c’erano le due donne che amava più di ogni altra cosa e avrebbe assaporato ogni momento.

 

Note dell’autrice.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Personalmente penso sia uno dei più belli, insieme al terzo. Vi ricordo che è il penultimo. Lasciate una recensione, se vi è piaciuto e se questo klaroline vi ha smosso qualcosina *----* Grazie mille a chi recensisce e a chi legge. E grazie a chi lo fa abitualmente.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


A quello spiritello a cui ho dato il nome di Rachel, che mi ha tartassato finché non mi decidessi a darle un lieto fine, a tutte e in particolare ad Elyxa85, Bfan e Angel51,AngelCruelty e Nicosia, che con le loro fantastiche recensioni, mi hanno motivato ad accontentarla.
Capitolo 6
Rachel quella mattina si svegliò e dopo essersi strofinata gli occhietti  si avvicinò al piccolo calendario personalizzabile che le aveva regalato Elijah, sorridendo nel vedere la data.
Il 15 giugno.
Una settimana esatta da quando Elijah era partito. Questo la fece sorridere perché il suo papà le aveva promesso che non l’avrebbe abbandonata, nemmeno quando lo zio sarebbe tornato. Lei era tanto felice di rivederlo, anche se forse non aveva letto quanto lui avrebbe voluto e dunque aveva paura che si arrabbiasse un po’ e che lo avesse deluso.
Ma non era, il 15 giugno, solo il giorno del ritorno di Elijah.
Era anche un giorno importante.
La festa del papà.
E lei aveva fatto un disegno bellissimo di lei e il suo papà. Però le sarebbe piaciuto tanto anche cucinare un dolcino.
Una torta al cioccolato per esempio per fargli una sorpresa. Lui era sempre così dolce con lei. Pensò di correre in cucina a cercare gli ingredienti, ma Elijah le aveva spesso raccomandato di non avvicinarsi ai fornelli da sola, perché avrebbe potuto farsi male e lei non voleva certo far dispiacere sia suo zio che il suo papà,  proprio quel giorno.
Si sedette sul letto, stringendo le ginocchia, imbronciata.
Chi avrebbe potuto aiutarla, allora?
All’improvviso le venne in mente un’idea. Avrebbe potuto chiedere a Caroline. L’aveva fatta un po’ arrabbiare quando aveva parlato male dei lupi e per un attimo aveva temuto che il suo papà, vista quella nuova presenza, l’avrebbe guardata un po’ di meno, ma poi si era calmata e non le era sembrata così male.
 Così pensò che avrebbe potuto chiederlo a lei, in modo da conoscerla meglio e andò verso il corridoio, fino alla porta della camera del suo papà.
Camminò in punta dei piedi, perché la cosa più bella di una sorpresa è quella di essere una sorpresa. La fortuna stava dalla sua parte, visto che la porta era aperta. Si avvicinò al suo papà e fu tentata a strappargli il suo solito bacino mattutino, ma non poteva rovinare tutto.
Andò dunque verso la vampira, e le tirò piano le coperte, finchè non aprì gli occhi.
Caroline d’altra parte fu sorpresa. Era ancora sconvolta dalla svolta che la sua vita stava prendendo, senza nemmeno chiederglielo. Eppure quella svolta- dormire al fianco dell’Ibrido, baciarlo, respirare la stessa aria, e portarlo sull’orlo di un esaurimento nervoso - era ciò di cui sapeva intimamente di avere bisogno. Poi portò gli occhi su quella bambina dagli occhi color puffo, che in realtà, le sembrava un piccolo puffo.
“Cosa stai facendo, Rachel?”
La bambina spalancò gli occhi. Si stava impegnando perché tutto andasse bene e lei non poteva alzare la voce così, non con il suo papà, che stava ancora riposando, accanto.
Le posò delicatamente l’indice sulle labbra, mentre la vampira la fissava, sconvolta. Rachel le fece cenno di alzarsi ma quella inclinò la testa, riapoggiando la testa sul cuscino. Ma non conosceva ancora abbastanza bene il temperamento di Rachel che cominciò a tirarla - delicatamente, ma decisamente - per la mano.
Aveva deciso che avrebbe fatto una torta e aveva deciso che Caroline l’avrebbe aiutata a fare quella torta, e così sarebbe stato.
In fondo, era pur sempre la figlia di Klaus.
“Rachel, perché mi hai svegliata e portata in cucina a quest’ora?”
La bambina disegnò un cerchio immaginario con il piedino per terra, esibendosi in un sorrisino imbarazzato. Forse avrebbe  potuto svegliarla in un modo più dolce, ma era così entusiasta.
”Perché oggi è la Festa del Papà e io voglio preparare una torta buona per lui visto che è tanto dolce con me, ma zio Elijah non vuole che tocchi il fuoco da sola e tu puoi aiutarmi. Sei brava a fare le torte, Caroline?”
Caroline, la guardò perplessa. Non aveva mai cucinato in vita sua e sapeva a malapena accendere un forno, ma sapeva che quella buffa ragazzina non le avrebbe dato via di scampo.
“Non sono capace, Rachel … Forse potresti chiedere a qualcun altro…”
La bambina increspò le labbra, un po’ offesa. L’atteggiamento reticente della vampira la stava cominciando a far arrabbiare. In fondo il suo papà, le faceva  sempre tanti bei disegni, perché lei non la voleva aiutare?
“Papà mi sembra tanto solo a volte, non credo che abbia tanti amici e poi non posso andare fuori a cercarli, perché sennò lo faccio arrabbiare e io non voglio farlo arrabbiare oggi… Perfavore , Caroline.”
Congiunse le manine e allargò gli occhi. Caroline sorrise e quello sguardo dolce, ma allo stesso tempo buffo e monello, non poteva che ricordarle l’Ibrido, quella sera che le aveva chiesto di trovarle il vestito per il ballo.  Alzò un lato nella bocca e poi portò gli occhi al cielo.
Incredibile, teneramente insopportabile e semplicemente assurda.
Insomma, uguale al padre.
“Mi accuserà di averlo avvelenato, Rachel, e vorrà uccidermi.”
Rachel inclinò il capo, un po’ perplessa ma sorridente, perché sapeva che glie l’ aveva data vinta.
“Non mi lascerebbe sola con te, se pensa che vuoi farmi o fargli  qualcosa di brutto. Lui non mi lascia mai da sola con nessuno, tranne che con la zia e lo zio.”
Caroline gesticolò nervosamente, deglutendo. La bambina stava per entrare in un discorso spinoso, un discorso che le avrebbe fatto perdere il controllo e che credeva –o forse non credeva, dopo aver già testato la testardaggine della bambina, di poter evitare.
“Andiamo a fare questa torta, Rachel.”
E la bambina, sorrise.
La vampira non si era nemmeno accorta della profondità di quelle parole semplici.
 L’esserino fragile, quel piccolo alieno non era nient’altro  che la cosa a cui Klaus teneva  più al mondo, che custodiva gelosamente, perché Rachel andava protetta e nessuno l’avrebbe mai dovuta toccare, se non per farle una carezza.
Lo aveva promesso a sé stesso il giorno in cui era venuta al mondo e gli aveva teneramente stretto il dito, per non lasciarlo mai più.
E il fatto in quel momento lei fosse sola con Rachel era semplicemente la manifestazione di fiducia più grande, per quanto indiretta, che Klaus potesse farle.
 
***
Rachel raccolse i capelli biondi in una coda, e indossò un grembiulino bianco con le ochette sul bordo prima di sedersi al tavolo e finire di stirare con il mattarello quell’impasto dal colore indefinito che stava venendo  fuori.
Studiò silenziosamente l’altra bionda mettere nervosamente a posto lo zucchero, le uova e tutto ciò che avevano usato per quella torta e poi la chiamò, avvicinandosi a lei con la teglia e quella strampalata torta al cioccolato.
“La mettiamo nel forno? Però fa attenzione, Caroline. Se si brucia, non è buona e io voglio che sia perfetta”
Caroline si chinò, sorridendo e incrociando le braccia sul petto. Rachel non la conosceva ancora abbastanza bene.
Lei faceva tutto in maniera perfetta.
Prese la teglia dalle mani della bambina e la infilò dentro il forno.
“ Sarà pronta fra una mezz’oretta, puffo. “
Entrambe andarono verso il divano della sala più grande per ingannare il tempo.
Rachel sorrise e poi si mise a sedere incrociando le gambe, e la vampira si sistemò affianco a lei, giocherellando nervosamente con il braccialetto.
La piccola era un po’ indecisa, pensando all’ argomento di cui parlare.
Ma un sorriso birbo e adorabile comparve sulle sue labbra, quando si ricordò  la conversazione lasciata in sospesa, poco prima.
“Sai, il mio papà sarà contento quando saprà che mi hai aiutata anche tu. Lui è innamorato di te, e prima era tanto triste. Sono contenta che ora state insieme.”
Bum.
Il suono del bracciale della vampira che cadeva a terra , ma che non si infrangeva.
Quel braccialetto era quello che lei aveva gentilmente tirato dietro all’Ibrido, ma che dopo una certa notte –la  loro notte- le  aveva restituito dicendole che se proprio non avesse voluto tenerlo, avrebbe potuto portarglielo a New Orleans.
“Non è innamorato. E non stiamo insieme, Rachel.”
La bambina la guardò, contrariata.
Come poteva dire che il suo papà non era innamorato di lei?
La disegnava così tanto, e lui sceglieva bene i suoi soggetti.
E perché non stavano insieme? Insomma, lui era innamorato di lei.
“Come si chiama una persona sta tanto male e disegna un’altra persona per così tanto tempo, Caroline? E’ così romantico
Caroline inarcò le sopracciglia, arrossendo.
Ma quella capacità di metterla in difficoltà e di prenderla in contropiede, i Mikealson, ce l’avevano nel sangue?
“No, non è romantico. E’ inquietante e folle pensare alla stessa persona per otto anni! “
Rachel rifletté un po’ su quelle parole.
Le era sembrato così carino vedere tutti quei bei disegni e le sarebbe piaciuto che un giorno qualcuno facesse una cosa così dolce per lei.
“Però Caroline sei un po’ inquietante e folle anche tu. Non solo il mio papà”
La vampira batté le sopracciglia due volte.
Il puffo le stava dicendo che era pazza?
“Perché, Rachel?”
E Rachel sorrise, un sorriso buffo e sdentato, anche se aveva un po’ paura che Caroline si offendesse e se ne andasse per colpa sua, dopo tutto quel tempo che il suo papà aveva passato ad aspettarla.
“Perché hai detto che pensare alla stessa persona per così tanto tempo è folle, però hai pensato per tanto tempo anche tu al mio papà sennò non saresti qui. Vero, Caroline?”
Caroline fece per ribattere e pensò che la sua sensazione di pochi minuti prima era corretta.
Klaus le faceva di per sé perdere il controllo, ma Rachel rendeva tutto impossibile.
L’avrebbero portata alla follia.
Ma forse semplicemente, come diceva Rachel, non ne correva più il rischio.
***
“Si è bruciata!”
Uno strillo acuto riempì l’aria, mentre la vampira e la bambina fissavano desolate la torta, ormai annerita.
Come era potuto succedere?
“Mi dispiace, Rachel. Forse possiamo…”
Voleva fare una proposta e aggiustare la situazione, ma non sapeva proprio cosa dire.
Quando una cosa era così rovinata non si poteva aggiustare.
“No, non possiamo fare niente! Volevo fare una torta bella e questa è brutta!”
Ovviamente quei rumori persistenti non potevano che allertare l’Ibrido, che ben presto aprì la porta del salotto e trovò davanti uno scenario –quasi- perfetto.
Perfetto, perché avere intorno la sua bambina e la donna che amava, contemporaneamente era qualcosa a cui doveva ancora abituarsi.
O meglio: avere intorno tutto quell’amore, quello che gli era stato negato per mille anni, era qualcosa a cui doveva abituarsi.
Ma c’era quel quasi a fare la differenza e quel quasi erano le lacrime di Rachel.
“Cosa sta succedendo, amore?”
Era una domanda cauta, mentre lanciava un sorriso a Caroline, per poi tornare a guardare sua figlia e accoglierla fra le sue braccia.
“Mi dispiace tanto, papà. Forse dovresti trovare davvero una bambina più carina che ti faccia una torta buona per la “Festa del papà”. La mia è brutta.”
Klaus l’accarezzò dolcemente, tenendola in braccio,  poi posò gli occhi sulla torta sicuramente non appetitosa che gli si poneva davanti.
Perché poteva anche essere bruciacchiata e non troppo buona, ma era semplicemente la cosa più bella che qualcuno avesse fatto per lui.
“Nessuno ha fatto una cosa così bella per me, Rachel. E avevamo già parlato del fatto che non voglio altre bambine, signorina.”
Le posò piano un bacio sulla fronte, che sembrò un po’ calmarla, e sostituire un sorriso furbo alle lacrime.
“Nessuno ti ha mai fatto una torta meno brutta, papà? Nemmeno per il tuo compleanno? E’ una cosa triste “
Rachel poggiò piano la testa sul petto di Klaus, un po’ triste. Lui meritava tanto cose dolci, anche più di quelle che riusciva fare lei, e tutto ciò le dispiaceva.
Klaus sorrise amaro.
Compleanno.
Ricordare il giorno in cui il figlio bastardo di suo madre era venuto al mondo non era mai stata che una disgrazia per la sua famiglia.
E rimase  in silenzio, perso in un nuovo vortice di dolore muto
Vortice in cui Rachel non avrebbe mai permesso che venisse risucchiato.
“Non ti preoccupare, papà. Tanto adesso ci sono anche io e ti farò tante cose carine, perché ti voglio bene. E anche Caroline ti vuole bene. Vero, Caroline?”
L’Ibrido sorrise beffardo  alla bionda che aveva seguito quel siparietto familiare con malcelato interesse e che era ora alle strette.
Stava ancora risalendo dallo shock per quella domanda scomoda, indecisa sul da farsi, mentre l’Ibrido ridacchiava, prendendola in giro.
Ma non aveva scampo, perché altrimenti Rachel sarebbe rimasta male davanti a una risposta negativa.
O almeno, volle convincersi di rispondere affermativamente, solo per compiacere la bambina.
“Sì, gli voglio bene, Rachel.”
La vittoria aleggiava nel sorriso furbo della bambina. Nessuno avrebbe osato dire che quei due non fossero parenti; non solo per le fossette o per il lampo inquieto che a volte balenava negli occhi di entrambi, ma anche per quel  loro essere ostinati e volerla sempre vinta.
Rachel non era nient’altro che la parte che Klaus aveva perso in angolo oscuro di un passato che ormai non sembrava più così lontano.
L’Ibrido baciò piano la fronte della bambina con attenzione e premura, quella che usava sempre con lei. Rachel dopo aver ricambiato teneramente quel bacino scese dalle ginocchia dell’Ibrido e guardò la vampira mentre beveva un caffè.
“Dai un bacino anche a Caroline, papà. Mi ha aiutato  lei a fare la torta.”
La vampira arrossì, presa in contropiede e quasi si strozzò con la bevanda che stava sorseggiando. L’Ibrido nel frattempo scoppiò a ridere, divertito dalla reazione della bionda.
“Grazie, amore”
Era un “Grazie” beffardo, accompagnato da uno dei sorrisini arroganti dell’Ibrido. Rachel incrociò le braccia sul petto. Lei gli aveva detto di darle un bacino e lui non poteva far finta di non averla sentita.
Sbuffò leggermente e l’Ibrido sorrise, andando verso Caroline.
Quella, quando lui si avvicinò, azzerando le distanze, dopo aver alzato gli occhi al cielo, dischiuse piano le labbra.
E quale non fu la sua sorpresa quando Klaus  depositò invece un casto bacio sulla sua guancia. La ragazza alzò un soppracciglio e l’Ibrido rise leggendo la confusione sul suo volto, mentre Rachel seguiva interessata quanto curiosa quel battibecco che stava per nascere.
“Sembri delusa,amore. Desideravi forse altro?”
Lei scosse la testa, irritata. Era bastata un solo secondo di disagio nei suoi occhi , e lui era riuscito a leggerlo
 “In realtà stavo pensando al fatto che ho risparmiato del disinfettante”
Klaus aspirò. Era acida e sostenuta, sapeva fargli perdere la pazienza come solo lei sapeva fare.
Avrebbe dovuto ucciderla.
Insomma, se l’avesse contraddetto un’altra volta, l’avrebbe uccisa.
Lo aveva detto, otto anni prima.
D’altra parte, l’Ibrido non gliel’avrebbe data vinta; abbassò la voce perché Rachel, che era attenta e curiosa e non voleva certo perdersi niente, - nemmeno una parola - non sentisse.
“In fondo, è esattamente quello che hai fatto ieri sera, amore.”
Caroline avvampò e fece per tirargli la tazzina dietro, anche se in fondo l’intenzione era quella di emulare solo il gesto.
Non aveva considerato però lo spirito protettivo della bimba nei confronti del suo papà.
Rachel si parò fra loro due, furiosa.
“Non voglio che fai male al mio papà, Caroline. Lui scherza, ma ti fa tanti disegni dolci e ti vuole bene. Voglio che gli dai un bacino anche tu e fate pace.”
E l’Ibrido scoppiò a ridere, passando una carezza sulla testa della bambina.
La bionda squittì per il nervosismo, sapendo che difficilmente avrebbe persuaso la bambina.
Lì guardò, quei due insieme, mentre si lanciavano un’occhiata di intesa: l’avrebbero portata alla follia, ne era sicura.
Klaus depositò dolcemente Rachel sul letto. Anche quella  giornata, fra un bisticcio e l’altro si avviava alla conclusione.
Rachel fece un rapido conto, e una ruga di preoccupazione cominciò a increspare la sua fronte.
***

“Papà, oggi non doveva tornare zio Elijah? E’ tardi. Non è che si è fatto male?”
Klaus si irrigidì. Non era uno che prendeva alla leggera il tradimento e l’assenza improvvisa e strategica di Elijah era qualcosa che non riusciva a tollerare.
“Il mio nobile fratello tornerà stasera, Rachel. Così avremo occasione di scambiare due paroline.”
Rachel però non poteva far finta di non aver sentito quella punta di acidità, che il suo tono tradiva.
Lui era arrabbiato con lo zio e lei non voleva che fosse arrabbiato con lo zio.
“Papà, non arrabbiarti con lui. E’ buono  e mi vuole bene.”
Klaus sorrise mentre le dava tenero una carezza sulla guancia.
Non aveva dubitato mai di Elijah, non in quel senso.
“Non sarebbe dovuto partire, Rachel. Avrebbe dovuto dircelo. ”
Rachel strinse le spalle e prese la mano di Klaus fra le sue manine, per attirare la sua attenzione. Anche lei era  triste perché Elijah era andato via, ma poi aveva capito perché l’aveva fatto.
“Papà, lui ci vuole bene, a tutti e due. Non voleva farti arrabbiare, solo che ero triste quando non mi guardavi papà, e  lui non vuole che io sia triste. Io credevo che tu non mi volessi bene ma lui mi diceva di sì, e io non gli credevo. Voleva farmi vedere che aveva ragione, ed è per questo che se ne è andato, papà. Quindi papà, al limite è colpa mia, ma non ti arrabbiare con lo zio.”
Klaus inarcò le sopracciglia, impressionato dall’enfasi di quel racconto.
Era davvero riuscito a farla soffrire così tanto, per otto anni?
Il rammarico e lo sconforto lo presero, mentre cercava le parole giuste per spiegare quella situazione. La prese in braccio, in modo che il contatto emotivo che si stava creando fra loro eguagliasse quello fisico.
“Vorrei poterti dire tutto, Rachel, e ti prometto che un giorno lo farò. Saprai tutta la verità amore e mi odierai per questo. Non volevo che accadesse, tesoro. Non volevo che tu ti affezionassi a me, perché poi avresti scoperto chi realmente ero e saresti rimasta delusa e  disgustata nello scoprirmi un mostro. E io non volevo deluderti e nemmeno prenderti in giro, facendoti  credere di essere una persona migliore. Sapevo che un giorno, saresti scappata da me e che quel giorno avrei sofferto. Io non volevo soffrire, tesoro, e sono stato così egoista dal non accorgermi che stavo facendo soffrire te. Puoi scusarmi, per questo?”
Rachel lo guardò, mentre la teneva stretta fra le sue braccia e leggeva nel suo sguardo tutto l’amore che poteva offrire e che allo stesso tempo non credeva di poter offrire. Lei non lo avrebbe mai odiato, ne era sicura.
E quegli otto anni, se adesso poteva stargli accanto e goderselo, non le importavano più.
“Io non ti odierò, mai e poi mai. Stavo male, quando non c’eri papà, ma adesso che ci sei sto bene, quindi ti perdono, però devi farmi una promessa.”
Klaus la guardò, stupito da come facilmente, avesse ottenuto quel perdono e di come ne avrebbe fatto tesoro. Si sarebbe preso cura di lei, sempre. Non l’avrebbe ferita mai più, e chiunque cercasse di ferirla se la sarebbe vista con lui.
“Cosa vuoi che ti prometta, tesoro?”
Lei gli prese il dito, proprio come aveva fatto la prima volta, quel giorno di otto anni prima, e come aveva fatto quando guardavano “Lilo e Stich”. Lo guardò con decisione.
“Promettimi che non mi lascerai più sola, papà. Non mi importa se pensi di essere cattivo, io so che non è così. Come i lupi. Nemmeno loro sono cattivi.”
Klaus sorrise, stringendola con la sua solita delicatezza impacciata, mentre una strana sensazione di calore gli riempiva il petto. E se solo avesse avuto più fiducia nei sentimenti, avrebbe chiamato quella sensazione “amore”.
“Promesso, Rachel. Buona notte, tesoro.”
Fece per lasciare la bambina al suo lettino e ai suoi dolci sogni, ma lei lo fermò un’ultima volta azzardando un sorrisino timido.
Klaus la conosceva troppo bene per non pensare che le stesse per chiedere qualcosa.
“Mi porti a dormire con te e Caroline, papà? Hai promesso che non mi lasciavi sola!”
Klaus pensò che invece quella capacità di scegliere le parole fosse di Elijah, e si ritrovò a sorridere. Quella bambina aveva preso le caratteristiche migliori di tutti loro.
“Mi sembra che avevamo deciso un bel po’ di anni fa che devi dormire da sola, signorina.”
Lei gli lanciò un’ occhiata da cucciola e lui scosse la testa, ridendo. La bambina sospirò, girandosi di spalle e facendo per mettersi a dormire.
Klaus però aveva letto il lampo di delusione nei suoi occhi e si avvicinò al letto, prendendola in braccio. Non l’avrebbe lasciata così avvilita, non quella sera.
L’aveva involontariamente punita per otto anni e non c’era alcun bisogno di non accontentarla e protrarre ancora quel crudele castigo che in fondo la lontananza era per entrambi.
La bambina aprì un occhio, quando si accorse di essere in braccio a lui, e capì velocemente dove l’Ibrido la stava per portare. Gli stampò un bacio su entrambe le guance e poi mormorò una frase con tono assonnato, destinata a sciogliere Klaus.
“Sei il papà più dolce del mondo.”
***
New Orleans era la sua casa ed Elijah lo sapeva bene. Era la città che avevano costruito insieme, promettendosi un destino e un futuro.
Un destino che non era stato esattamente la trasposizione dei sogni di Elijah, ma che il vampiro dagli occhi color inchiostro non aveva mai smesso di cercare di rendere tale.
Spesso - o forse sempre - a sue spese. Mai, neppure una volta, si era arreso all’idea che non ci fosse più nulla da salvare.
Elijah sorrise mentre apriva la porta di casa sua, anzi della casa della sua famiglia.
Si chiese se doveva già pensare al tentativo successivo per tentare di ricostruirla o se invece l’avrebbe trovata quella famiglia.
“Zio Elijah, sei tornato! Mi sei mancato tantissimo!”
Si sbracciava Rachel per arrivare a lui, e questo era abbastanza per riscaldare il suo cuore antico, che aveva già patito più di quanto potesse sopportare. Ma vedere che la bambina era in braccio a un Klaus che si stava avvicinando a lui senza nessun pugnale in mano e senza apparenti cattive intenzioni era tutto ciò che gli faceva sentire di aver fatto la scelta giusta.
Klaus si avvicinò al fratello, con la bambina in braccio, che strinse Elijah, unendo i due fratelli in un abbraccio unico.
“Mi sei mancata anche  tu, Rachel.”
“Ho conosciuto la fidanzata di papà. Si chiama Caroline, poi te la faccio conoscere. E anche la zia. E’ stato bello, zio Elijah. Caroline mi fa arrabbiare ma non è cattiva, e avevi ragione sulla zia e anche su papà.”
Elijah sorrise.
La storia di Caroline le era del tutto nuova e pensò al fatto che avrebbe dovuto pensarci prima, se era davvero quello il motivo per cui suo fratello era così rilassato.
Per Rebekah però gli dispiaceva. Non la vedeva da otto anni e sapere che la sua unica sorella avesse deciso di tornare a New Orleans, proprio quando non c’era non poteva non creargli un po’ di dolore.
La bambina poi, senza staccarsi dalle braccia di Klaus, avvicinò la mano all’orecchio del suo elegantissimo zio.
“Avevi ragione tu. Papà mi vuole bene e anche la zia.”
Klaus, che ovviamente aveva sentito tutto, alzò gli occhi al cielo ed Elijah sorrise rivolgendosi alla bambina, facendole una carezza.
“Noi tutti ti vogliamo bene. Non dimenticarlo mai, Rachel.”
La bambina annuì vigorosamente. Era bello stare con il suo papà, ma era ancor più bello stare con il suo papà e lo zio insieme.
Quello sì, che era davvero sublime.
Ora papà mi porta a fare la nanna con lui, così non sono sola. Ti racconto tutto domani, va bene, zio Elijah?”
Elijah annuì, e poi guardò suo fratello, che fino a quel momento era rimasto in silenzio e non lo aveva aggredito come si aspettava solo per non deludere Rachel, e sorrise.
Perché, finalmente, lo vedeva.
“Bentornato, fratello”
Ma non era stato Klaus a parlare.
Era stato Elijah.
E no, non era Elijah che diceva “bentornato” a Klaus.
Era Elijah che diceva “bentornato” a Nik.
 
***

 
E dopo i saluti, quelli più imbarazzati con Caroline, che sembrava nervosa e piuttosto tesa, forse per la scarsa conoscenza che avevano, Elijah era di nuovo per le vie di New Orleans.
Non che lo avessero fatto sentire un intruso, perché mai si era sentito più a suo agio, ma quell’atmosfera così intima  era un ultimo regalo che voleva fare a suo fratello, prima di tornare alla normalità.
Guardò le stelle, fermandosi nel giardino di un locale ormai chiuso.
Chissà forse Hayley era fra quelle; forse era davvero lì a guardarli, come ripeteva a Rachel.
Chissà cosa avrebbe pensato e cosa avrebbe detto.
“Lei sarebbe orgogliosa di te, Elijah.”
Ed era quello che voleva sentirsi dire in fondo a prenderlo in contropiede. E sorrise nel riconoscere la voce e la sagoma dell’anima che le stava offrendo quella carezza lenitiva su qualcosa che bruciava e non avrebbe smesso di bruciare.
“Sorella?”
Rebekah sorrise gettandogli le braccia al collo, come Rachel aveva fatto pochi minuti prima e annuì.
“Non sarei mai ripartita senza salutarti, Elijah. Mi offende che tu l’abbia pensato.”
Si guardarono attorno in silenzio, persi in un vortice comune.
Felici come da tempo non erano stati.
“Nik è tornato. Hai vinto, Elijah.”
Ed era vero.
Nik era tornato.
Ma no, Elijah non concordava sulla seconda affermazione.
“E’ stata la promessa che ci siamo fatti mille anni fa a vincere, sorella”
Rebekah fece per controbattere, ma tacque. L’always and forever aveva vinto, proprio come nelle favole.
Ma quella - Klaus lo aveva ripetuto tante volte - non era una favola. Nelle favole il lupo, le streghe e il male venivano abbattuti e il bene trionfava sempre.
Nella loro storia, quella che Rachel stava lentamente scrivendo e ricomponendo, c’erano solo vincitori.
E tutti - nessuno escluso - avevano un lieto fine.
 
 
Note dell’autrice.
Ecco a voi l’ultimo capitolo. Come potevate immaginare, questa storia non poteva che finire così. Mi sarebbe piaciuto protrarla ancora un po’, e non escludo qualche futura OS su Rachel ( ai dire il vero ne ho già una in corso, ma non oso dire di più),ma è infondo completa così. Era la storia di Rachel che aveva bisogno di essere amata, e di Klaus che poteva amarla, e finalmente se ne è reso conto.
Per quanto riguarda le mie storie future, c’è tutto e non c’è niente. Avevo iniziato una storia, ma ho deciso di interromperla (senza un motivo preciso. Pensavo che avrei avuto il debito in matematica, e ho semplicemente dovuto modificare le mie priorità, senza immaginare che in realtà non l’avrei avuto xD)
Spero di farmi snetire presto, perchè scrivere è una delle ocose che più mi piace fare…e grazie.
Grazie per aver dato a Rachel la possibilità di farsi conoscere, e averla imparata ad amare come io e anche il mio Klaus, abbiamo fatto.
Per avermi fatto sentire I vostri pareri, le vostre opinioni, le vostre perplessità.
Grazie anche a chi ha letto in silenzio, grazie davvero a tutti.
E come sapete, una recensione in quest’ultimo capitolo, non guasta mai.
Un forte abbraccio,
Desy

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