The Pandora Chronicles - Future is Madness

di ChiaraLilianWinter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Dopo la Tragedia, 200 Anni Prima. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Una ragazza a New York ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Castelli di carte ***



Capitolo 1
*** Prologo - Dopo la Tragedia, 200 Anni Prima. ***


Prologo - Dopo la Tragedia, 200 Anni Prima.


"Non capisco. Cosa sta succedendo?
Sento caldo. E freddo. E dolore, tanto dolore.
Non riesco a credere a quello che i miei occhi stanno vedendo: Oz, freddo e bianco come la neve, steso in un mare di sangue. Dal cielo scende la pioggia, una pioggia leggera, che lentamente lava via il rosso che macchia ogni cosa. Poco lontano, è steso Leo Baskerville, gli occhi socchiusi. Il suo petto si alza e si abbassa lentamente, e so che continuerà a farlo. Ma non è lui, nè Oz, che attira tanto la mia attenzione. È una figura davanti a me, immersa nella luce, che si china e mi accarezza il volto.
- Alice, è il tuo nome?
Annuisco, senza riuscire a parlare. Lei sorride.
- Sei stata brava, Alice. Ma non è bastato.
Si avvicina a me e mi stringe, e sento il calore invadermi, bruciarmi la pelle.
- Ti rivelerò un segreto, Alice.
Il mio nome sulle sue labbra è una dolce melodia, mi trascina nell'oblìo.
- Era già scritto, tutto questo. Doveva accadere, e continuerà ad accadere. Ogni cinquanta anni, nel futuro, laTragedia di Sablier si ripeterà. Ci saranno un altro Jack, e un altro Glen. Ci sarà un'altra vittima. E, sempre, il mondo rischierà la distruzione. Oh, e senza di voi, verrà distrutto.
La sua voce è un sussurro gentile, che predice cose terribili. Il fiato sembra essermi ritornato, anche se mi sento sempre più stanca.
- C'è un modo per evitare questo?
Lei sorride.
- Farò loro un dono. Un dono che è una maledizione per loro e una benedizione per questo mondo. Il mio ultimo regalo, prima di scomparire per sempre. L'immortalità. I sopravvissuti a questa strage continueranno a vivere, ogni giorno, fino alla fine del tempo. Fino a quando una lama non trapasserà il loro cuore. E ogni cinquanta anni, dovranno individuare il Jack e il Glen e distruggerli, prima che sia troppo tardi. Oh, e farò loro un altro dono. Perchè c'è una presenza che manca, e che io ho custodito fino adesso. Credo sia ora di restituirgli lui.
- Anche io diventerò immortale?
Scuote la testa, e si allontana da me.
- Farti dono della vita eterna sarebbe crudele, poichè dovresti viverla senza le persone che hai amato. Ma Alice, tu servi ancora a questo mondo. Ecco perchè, invece, tu cadrai in un sonno eterno. Ti risveglierai una sola volta, quando sarà il momento giusto. E allora saprai cosa fare. Non preoccuparti.
Sento la sua mano che mi accarezza le guancie, le sue labbra sulla mia fronte.
- Ti voglio bene, figlia mia.
È l'ultima cosa che sento, prima di cadere nel buio."

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Una ragazza a New York ***


'La Pandora era un'organizzazione nata nella prima metà del 1700. Si pensa si trovasse in qualche luogo imprecisato della Gran Bretagna, vicino a Reveille, quella che sembra essere stata, per brevissimo tempo, la capitale. Degli scopi precisi di questa organizzazione, oltre dell'organizzazione in sè, nessuno sa molto. In alcuni scritti ritrovati nelle macerie della biblioteca di Reveille parlando di Pandora si citano una specie di Inferno, demoni e patti di sangue. Da questi scritti, si deduce quindi che Pandora era, molto probabilmente, niente di più che una grande e famosa setta religiosa.
Molti misteri avvolgono questa organizzazione e unoin particolare ha attirato l'attenzione di molti studiosi. È quello della città di Sablier, più volte nominata in alcuni degli scritti sopra citati. Sablier sembra essere stata la capitale prima di Reveille ma, contrariamente a quest'ultima di cui oggi abbiamo molti resti, di Sablier non rimane nulla, oggi. Nel punto in cui si pensa sorgesse c'è solo un'enorme voragine. Inizialmente si pensava che questa fosse stata causata dall'esplosione di un vulcano, o forse da uno sprofodamento della crosta terrestre, ma queste ipotesi sono state più volte smentite e -'
Smetto di leggere. In fondo, io so cosa è successo veramente. Chi, meglio di me, potrebbe saperlo? Mi avvicino alla finestra e guardo la grande metropoli che lentamente viene inghiottita dalla notte. Do' un'occhiata al calendario: 13 Giugno. Sorrido, pensando a che giorno sarà domani. Il cellulare squilla e il mio sorriso si allarga quando vedo cosa c'è scritto sul display. Sospirando, appoggio la fronte al vetro freddo della finestra che mi riflette.
- Allora - soffio, trattenendo una risata - sembra proprio che la storia stia per cambiare, eh?



New York poteva essere considerata la città dei sogni. Una metropoli enorme, affollata, caotica; un luogo dove potevi fare di tutto. E per tutto, si intendeva davvero tutto. Era così grande che sicuramente lì avresti sempre trovato quello che cercavi. In un posto simile, non avresti mai potuto annoiarti.
Avendo così tante possibilità, avevi continuamente la mente impegnata. E avendo la mente impegnata, non c'era tempo di pensare.
Era esattamente quello di cui lei aveva bisogno.
Julia Blackburn, ventiduenne inglese - o per meglio dire, nuova newyorkese - aveva bisogno di non pensare. Non pensare e nonricordare.
Era per quel motivo che aveva scelto New York. Per un po' di tempo aveva provato a stare in un paesino nell'estremo nord dell'isola inglese, sulla costa, ma era stata raggiunta anche lì. Allora aveva capito che serviva un cambiamento radicale.
Aveva speso tantissimo per rifugiarsi in America, ma almeno adesso avrebbe potuto vivere. Ricominciare daccapo. Era quello che aveva desiderato da anni ormai, e ora il suo desiderio si era avverato. Non vedeva l'ora di ricostruire tutto, la sua vita, le sue relazioni, sè stessa; quella sè stessa che nei terribili anni passati era andata completamente a pezzi, come un fragile cristallo di vetro quando si schianta a terra.
Ti è arrivato un messaggio! Ti è arrivato un messaggio!
Diceva questo la scritta sulla schermata del suo telefonino, accompagnata da un'irritante trillo. Quei dannatissimi messaggi. Ormai le arrivavano quasi tre volte al giorno. Avrebbe tanto voluto tenere il cellulare spento, o silenzioso, ma era appena arrivata in una nuova città, aveva tante cose da fare, tra il lavoro, lo studio e tante - troppe - carte da firmare, e c'erano molte persone con cui aveva bisogno di tenersi in contatto. Spegnere il telefono era un lusso che, in quei tempi, non poteva permettersi. Così come era un lusso quello di non controllare i messaggi che le arrivavano: e se fosse stata la proprietaria dell'appartamento? O quella della libreria in cui avrebbe lavorato negli anni seguenti? Doveva correre il rischio ogni volta e afferrare il cellulare per poi cliccare sul tasto 'Visualizza', sempre tremando.
Quella volta, davanti agli occhi, non le comparve un educato messaggio di Celìne - la segretaria che si era occupata del suo trasferimento - ma un codice - quel dannatissimo codice che lei era in grado di decifrare, quelle lettere e quei numeri che le facevano ricordare. Julia urlò frustrata e lanciò il telefono contro il muro con violenza. Perchè non la lasciavano in pace? Cosa volevano da lei? Perchè riuscivano a raggiungerla, sempre e comunque?
Era passato così tanto tempo... E ancora non riuscivano a lasciarsi indietro il passato. Almeno lei ci stava provando.
Si diresse in bagno, decisa a farsi una doccia e ad uscire: all'improvviso l'appartamento era diventato stretto, si sentiva soffocare. Si spogliò dei pantaloncini e della canottiera leggera che portava, lanciando un'occhiata al lungo specchio appeso ad una parete, che la rifletteva. Era estremamente pallida - più del solito -, i capelli biondi, chiarissimi, gli occhi verdi, opachi. Era dimagrita molto in troppo poco tempo. Non sembrava nemmeno una ragazza. Era solo una parvenza di una donna, un'ombra.
Ombra sei e ombra sei destinata ad essere, ricordatelo.
Ringhiò al suo riflesso e alla sua stupida mente, per poi entrare nella doccia e lasciare che l'acqua gelata lavasse via tutti i suoi pensieri.

Quando Charlotte si svegliò, quella mattina, ci mise almeno cinque minuti prima di capire che la sveglia non era suonata, che erano le otto passate e che lei era in ritardo stratosferico: avrebbe dovuto essere a lavoro solo venti minuti dopo, e con tutto il perenne traffico dell'affolata metropoli newyorkese non ci sarebbe mai riuscita.
- Ah beh, poco male.
- Poco male cosa?
La voce divertita e al contempo biasimevole di Reim le giunse all'orecchio, seguita da un bacio leggero.
- Oh no, sei sveglio...
- Già da un po'. Sembra che tu sia in ritardo.
- Grazie a te.
La donna si divincolò dall'abbraccio del marito e scese dal letto, afferrando i primi abiti che le capitavano sotto mano e iniziando a vestirsi velocemente. Reim la guardava immobile, incuriosito e molto divertito. Lottie sentiva lo sguardo dell'uomo su di sè e, nonostante ormai fossero insieme da quasi duecento anni, non riuscì a non arrossire. In fondo, rimanevano pur sempre degli eterni ragazzi. Certe cose sarebbero rimaste così per sempre, e basta.
- Perchè non mi hai svegliata?!
- Perchè ti trovavo alquanto adorabile, mentre dormivi. Volevo gustarmi una Charlotte dolce e inerme il più possibile.
- Se mi vuoi più 'dolce', dovresti semplicemente chiedermelo, evitando di spegnere la sveglia e farmi fare ritardo al lavoro!
- Ok, ok... Lo terrò a mente. In ogni caso, io non ho spento nessuna sveglia. Sei tu che ti sei dimenticata di programmarla, ieri sera.
Charlotte emise un gemito di esasperazione, che convinse l'uomo a stare zitto.
Finalmente anche Reim si alzò dal letto, con indosso solo un paio di boxer, e si avvicinò lentamente alla moglie, che intanto si era rifugiata in bagno e stava finendo di pettinarsi. La abbracciò da dietro, poggiandole il mento sulla spalla. Lei gli lanciò un'occhiata guardinga.
- Non vai al lavoro?
- No, oggi ho preso una giornata di vacanza. Sai che devo fare, no?
Charlotte dovette pensarci un po' su, prima di ricordarsi che giorno era. Quando le venne in mente la data, 14 Giugno 2014, venne attraversata da un brivido e si morse il labbro.
- E così è oggi.
- Già. Cercheremo di prendere entrambe le anime in un giorno solo, ma non credo ci riusciremo. Cinquant'anni fa è stato un colpo di fortuna.
Charlotte annuì, scura in volto. Se Reim doveva andare oggi, significava che domani sarebbe toccato a lei. Odiava doverlo fare, ogni cinquant'anni. Voleva lasciarsi indietro il passato, ma con quel dannato 'compito' non ci sarebbe mai riuscita, lei come tutti gli altri. Si voltò verso l'uomo, circondandogli il collo con le braccia e tirandolo a sè. Premette le labbra sulle sue e fece aderire i loro corpi, tenendolo stretto, il più stretto possibile.
- Andrà tutto bene. Quando tornerò, questa sera, ti farò dimenticare tutto, d'accordo?
Reim la guardò, lasciandosi sfuggire uno di quei suoi sorrisi dolci e innocenti che la sorprendevano sempre. Erano i sorrisi che lui riservava solo a lei, i sorrisi che la facevano sentire amata dalla persona che amava più di chiunque altro al mondo.
Quando lui la strinse per un'ultima volta prima di lasciarla andare al lavoro, lei si dimenticò di tutto - di che giorno era, del traffico, del capo che probabilmente le avrebbe fatto una lavata di testa - e si sentì la donna più felice del mondo.

Quel giorno faceva parecchio caldo, così tanto che Julia, con i pantaloncini e la cannottiera più striminziti che aveva, si sentiva sciogliere. Non che questo le dispiacesse: dopo essere vissuta per ventidue anni nella grigia e piovosa Inghilterra, quel sole così tanto desiderato non faceva altro che renderla ancora più entusiasta della sua nuova vita. Camminava per le strade di un parco poco affollato - forse era così perchè erano solo le 10 di mattina? -, dondolandosi sui tacchi bassi dei sandali che indossava. Passò davanti ad un'edicola e comprò il giornale, così, giusto per fare qualcosa. Forse era perchè stava cercando di ambientarsi, e prendere il quotidiano le sembrava la cosa giusta da fare. Diede un'occhiata veloce alla prima pagina - era il 14 Giugno? Questo significava che era lì già da più di due settimane. Come passava veloce il tempo...
Rise di sè stessa, a pensare ad una cosa simile: che era, una vecchietta che rimpiange il passato?
Uscì dal parco e girò un po' per le vie, cercando di memorizzare i nomi delle strade, i punti di riferimento che le sarebbero stati utili... D'altronde, quello sarebbe stato il suo quartiere. Doveva imparare ad orientarsi.
Durante la sua passeggiata il cellulare squillò un paio di volte: in entrambi i casi saltò per la paura, in entrambi i casi corse il rischio e rispose - anche se era meno preoccupata di quando le arrivavano dei messaggi; raramente loro chiamavano - e in entrambi i casi si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, quando dall'altro capo del telefono sentì arrivare la voce dolce di Celìne. La terza volta che successe questo, Julia decise che non poteva più andare avanti così: come poteva passare la sua vita terrorizzata da una suoneria? Si rimise il cellulare in tasca ed entró in un bar, sedendosi al tavolo più isolato di tutti. Dovette aspettare una decina di minuti prima che un cameriere la notasse e la raggiungesse, per prendere la sua ordinazione. Mentre faceva finta di leggere il menù - aveva avuto abbastanza tempo per impararlo a memoria - lanciò più di un'occhiata al ragazzo: era bello, decisamente. Aveva capelli castano chiaro tenuti molto corti e dei luminosi occhi azzurri. Le labbra erano strette in una linea sottile e avevano più di una ferita: si vedeva che quel ragazzo le mordeva continuamente. Sotto l'occhio sinistro c'era un minuscolo neo, che lo rendeva, in un certo senso, anche più affascinante.
Probabilmente Julia lo aveva fissato per qualche attimo di troppo, perchè lui se ne accorse e borbottò qualcosa su quanto fosse lenta a scegliere. La ragazza arrossì e ordinò in fretta e in furia la prima cosa che le capitò sotto gli occhi.
Quando il cameriere si allontanò, continuando a borbottare, lei si lasciò sfuggire un sospiro imbarazzato.
- Che vergogna...
- Non vergognarti. Effettivamente, Elliot è piuttosto carino. È normale guardarlo in quel modo, ma a lui non piace molto essere fissato dalla gente...
Julia alzò gli occhi e si trovò davanti una ragazza che le sorrideva. Doveva essere poco più grande lei, le dava questa sensazione. Aveva i capelli corti e biondi tenuti in un codino laterale, e gli occhi azzurri, anzi, blu; i suoi occhi erano di un blu estremamente forte. Senza chiederle nulla, la ragazza si sedette davanti a lei, allo stesso tavolo, e allungó una mano nella sua direzione.
- Piacere. Sono Lily.
- Ah, ehm.. Piacere?.
Imbarazzata e parecchio confusa - che voleva quella tizia da lei? - le strinse la mano.
Nel momento in cui i loro palmi si toccarono, l'altra serrò gli occhi a fessura e Julia avvertì la stretta farsi più forte; durò solo per un attimo però, perchè poi la ragazza ritirò la mano.
- Allora... Come ti stavo dicendo, quel ragazzo è, come dire.. Parecchio complicato.
- Ah, beh, non è che mi interessi...
Lily ghignò.
- Come, non ti interessa? Mi pare che prima tu te lo sia mangiato con gli occhi.
Julia si sentì esplodere per l'imbarazzo. Sì, quel tizio era carino, ma non sembrava il suo tipo. Troppo... Perfetto. E poi, a quella ragazza che interessava? Anche se le fosse piaciuto, non erano affari suoi, no?
- Sono venuta qui solo per dirti che, ecco... Credo che tu debba lasciarlo perdere. Ho il forte sospetto che sia gay e innamorato. Solo che non se ne è ancora accorto.
Julia la guardò a bocca aperta. Solo quando Lily scoppiò a ridere capì che la stava prendendo in giro e si sentì avvampare.
- Scusami, scusami! Mi stavo annoiando un po' e ho pensato di venire qui a farmi una nuova amica, solo questo.
- Oh.
Lily smise di ridere, asciugandosi gli occhi lucidi e sorridendogli gentile.
- Però mi sa che ho esagerato. Beh, ci vediamo, Julia Blackburn.
La ragazza scomparve come era apparsa. Un secondo prima era lì, davanti a Julia, un secondo dopo era già sparita, inghiottita dalla gente che passeggiava per la strada.
Proprio in quel momento il cameriere tornò al suo tavolo con il caffè.
- Ehm.. Signorina, è successo qualcosa?
Julia alzò gli occhi su di lui, confusa. 'Elliot' la guardava, imbarazzato e leggermente preoccupato.
- Sembra abbiate visto un fantasma.
- Quella ragazza...
- Mh?
- Quella ragazza... Come faceva a sapere il mio nome?




Welcome in Nevereverland
Ciao!
Spero che questo capitolo - e il prologo - vi siano piaciuti. La storia è un po' complicata da spiegare, diciamo che ho riadattato a mio piacere la storia della 'reincarnazione'(?) ogni 100 anni, ma vi sarà tutto spiegato più avanti.
Spero continuerete a leggere la storia :) la aggiornerò ogni una o due settimane, dipende dal periodo. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Castelli di carte ***


'La testa mi fa male. Cosa mi sta succedendo? Cos'è tutta questa luce? Via, via! Sono stato immerso in questo freddo buio per talmente tanto tempo che la luce adesso brucia. Perchè, cos'è tutto questo calore? Perchè il mio corpo, prima così leggero, senza consistenza come quello di un fantasma, adesso è così pesante? Forse... Sto ritornando a vivere?'
- Elliot!
'Ah, questa voce. La ricordo così bene.'
- Elliot, Elliot...!
'Non piangere, non urlare. Sono qui adesso,
Leo'..
- ....Sono di nuovo qui.
Quando apro gli occhi, la prima cosa che vedo è il soffitto, il soffitto scuro di una stanza un po' vecchia e forse anche piccola, ma estremamente accogliente: la camera mia e di Leo, a Latowidge. Rimango fermo per qualche minuto, chiedendomi cos'è successo di preciso. Fino a qualche tempo fa ero immerso nel buio, dormivo così bene, ma adesso sono qua. Qualcuno mi ha svegliato. Sono vivo? Sì, sento chiaramente il cuore che mi batte nel petto. Non pensavo fosse così pesante, il cuore, ma è un peso piacevole da sopportare, dopotutto.
C'è anche un altro peso sulla mia mano; le mie dita sono intrecciate a quelle di qualcun altro. Mi sforzo ad alzare il busto e a mettermi seduto. Accanto a me, profondamente addormentato, c'è Leo. Ha il volto seppellito tra le lenzuola, la sua schiena si alza e si abbassa ad un ritmo lento, cadenzato. Voglio svegliarlo, adesso; fargli vedere che sono qui.
Leo, Leo, quanto mi sei mancato? Più di tutto, più di qualunque altra cosa, più del peso del mio cuore.
Allungo una mano verso di lui, prima sfiorandogli e poi accarezzandogli i capelli sempre spettinati, ma ora più corti. Quindi, alla fine, li ha tagliati?
Appena le mie dita vengono a contatto con quei ciuffi morbidi Leo si sveglia, alzando il viso di scatto. E io sento come un pugno allo stomaco. È Leo, il ragazzo che ho davanti, ma allo stesso tempo non sembra lui. I capelli gli lasciano scoperto il viso, non nascondono più gli occhi viola, che mi guardano con sorpresa e paura. Mi sono sempre piaciuti, i suoi occhi. Quegli stessi meravigliosi specchi che adesso si stanno riempendo di lacrime, sbarrati e tremanti.
- E-Elliot...
- Leo?
È forse il mio tono di voce, che tradisce una punta di insicurezza, a immobilizzarlo. Vedo che ha paura; paura che non lo riconosca, paura che dica che lui non è Leo. Che scemo: io, lui, lo riconoscerei subito, in qualsiasi situazione.
Allungo una mano verso quel corpicino fragile, gli accarezzo la guancia e lo sento tremare ancora di più. Lascio che i polpastrelli vaghino dai suoi zigomi ai suoi occhi, dalle sue guancie alle labbra rosee e morbide. E sento che il tremore che lo percorre muta: prima, di paura, adesso, il fremito è quel tipo di tremore che si ha quando ci si sta trattenendo. E lo
percepisco, che lui si sta trattenendo moltissimo, lo so perchè anche io sto facendo la stessa cosa.
- Leo - Sussurro. - Sono tornato. Sono qui.
Allora, non si trattiene più. Si lancia su di me e mi stringe tanto forte da farmi male, ma il dolore è l'ultimo dei miei pensieri, mentre allungo le braccia per cingerlo e attirarlo a me. Lo faccio salire sul letto e lui mi spinge giù senza mollare la presa, anzi, aumentando la stretta; siamo due corpi che vogliono soltanto fondersi l'uno con l'altro. La sua bocca è vicino al mio orecchio, lo solletica ogni volta che dice la stessa, identica parola: il mio nome. Soltanto il mio nome.


- Vi prego, non litigate! Perfavore!
Era inutile parlare. Non sapeva nemmeno perchè tentava ancora. Non sarebbe mai riuscita a fermarli; ci aveva sempre provato, fin da quando era una bambina, ed era sempre stato vano.
È una cosa stupida.
Eccola, di nuovo lei. Quella voce che qualche volta riempiva la sua mente e che sembrava provenire da tutte le parti. La detestava, o almeno questa era la sua prima impressione. In realtà non le dispiaceva più di tanto: in questo modo, non era completamente sola. Aveva qualcuno, anche se la voce non era propriamente una persona.
Lo so, lo so! Non devi ripetermelo sempre!
Ma tu continui...
Se continuo o meno non sono affari tuoi! È la mia famiglia, no?
Chiamarla famiglia mi pare esagerato...
Zitta!
Si ostinava a pensare che quelle parole fossero solo bugie crudeli, dettate da un'altra sè stessa; l'altra sè stessa che odiava quel posto e la propria debolezza. Eppure lo sapeva, anche fin troppo bene: era solo la verità. La più semplice ed evidente verità: l'uomo e la donna che litigavano violentemente in cucina e la ragazza che stava sulla porta, tremante e indecisa su cosa fare, non potevano essere definiti una 'famiglia'.
E ancora, lei non voleva rendersene conto. Non voleva comprendere che il mondo di dieci anni prima era scomparso per sempre; lentamente ma inevitabilmente, era caduto a pezzi, a causa di quella cosa.
Ed era tutta colpa sua.
Tutta colpa di....
Non devi! Cosa ha fatto in fondo?!
Ti ho detto di stare zitta!
Sì, era tutta colpa sua. Tutta colpa di sua sorella maggiore. Quella dannata sorella che non aveva mai capito, che non si era mai presa le proprie responsabilità. La sorella maggiore che era fuggita. La odiava, la odiava, la odiava con tutta se' stessa.

Erano ormai quasi duecento anni che, ogni mattina, vedeva l'alba sorgere. Non importava su quale città, su quale mare, su quale montagna: avevano cambiato così tante volte località che ormai non ci faceva più caso. La nascita del sole lo affascinava sempre e comunque. Gli piaceva e basta, per quanto strano potesse sembrare. Quelle poche volte in cui riusciva a dormire - dormire era sempre una parola troppo grande, perchè il suo sonno era troppo agitato per portargli realmente riposo - si svegliava prestissimo e saliva sul tetto, sedendosi sul bordo con le gambe a ciondoloni, aspettando che la luce del sole facesse capolino dall'orizzonte. Una mattina Lottie lo aveva scoperto, steso sul tetto alle cinque del mattino, e gli aveva dato del pazzo. Non era pazzo, no: lui non si sarebbe mai potuto arrendere alla pazzia. Semplicemente, soffriva. Il dolore, pur attuenandosi nel corso di tutti quegli anni, non era mai, mai sparito. Come avrebbe potuto? Aveva amato una sola donna in tutta la sua vita - davvero troppo lunga - e questa gli era morta tra le braccia, senza mai ricambiare i suoi sentimenti. Come poteva essere felice?
Sospirò, osservando il modo in cui i lunghi capelli rossi gli scivolavano sulle spalle, mossi dal vento leggero.
Mi manchi così tanto, Sheryl...
La suoneria del cellulare, alta e fastidiosa, lo costrinse ad abbandonare i pensieri sulla donna. Sbuffando afferò il maledetto oggetto, rispondendo alla chiamata.
- Cosa vuoi, Lily?
- L'ho trovata.
Bastavano quelle poche parole. Rufus Barma si rimise il telefono in tasca, scese dal tetto con un agile salto e iniziò a correre.

- Ohi!
C'era una cosa, più di tutte le altre, su cui Leo e Elliot andavano d'accordo: essere svegliati da Lily era una delle esperienze più traumatiche che si potessero avere in tutta la vita. Ma non era tanto quello il problema, quanto invece il fatto che la giovane non esitasse quasi tutte le sante mattine ad entrare di soppiatto nel loro appartamento e svegliarli in cento modi differenti: non era mai lo stesso e ognuno era più sadico del precedente. Quando Leo aveva aperto gli occhi - quel giorno era toccata solo a lui la sventura, perchè Elliot si era svegliato prima per andare al lavoro e lui aveva un giorno di pausa - si era ritrovato Lily seduta a cavalcioni su di lui, in una mano un mestolo e nell'altra il coperchio di una pentola: stavolta l'idea era abbastanza banale, ma ugualmente fastidiosa. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, allora della ragazza sarebbe rimasto solo un inerme mucchietto di polvere.
- Lily.
- Leo! Sei sveglio?
- No. Vattene.
Leo si tirò la coperta fino a coprirsi il volto, cercando di rievocare le immagini del sogno che si era impossessato della sua mente fino a pochi attimi prima. Quando Elliot si era risvegliato dalla morte, Leo non si era mai sentito così felice. Lui era lì, era tornato, e non avrebbe mai e poi mai permesso che potesse andarsene via di nuovo. Era stato anche molto spaventato, ma aveva semplicemente accettato quella paura: sapeva di non meritare il perdono del proprio padrone, dopotutto, e se egli gli avrebbe imposto di stargli lontano, lo avrebbe fatto senza fiatare. Ma Elliot era buono, e lo aveva perdonato subito, quello stesso giorno, quando ancora si stringevano tra le lenzuola. Si ritrovò ad arrossire senza un apparente motivo. Che diamine era, un quindicenne, che arrossiva a pensare a lui e Elliot su un letto?!
- Leeeeeooo~ Andiamo, non dormire! S-v-e-g-l-i-a-t-i!
- Lily, crepa.
La ragazza ricominciò a suonare con quel dannato coperchio, e Leo capì che non c'era verso di cacciarla, nè di dormire con un fracasso simile. Perciò si limitò a sospirare sonoramente e ad alzarsi di scatto, facendo cadere quella rompiscatole patentata a terra. Lily fece un piccolo gridolino quando battè la testa.
- Ehi!
- Zittisciti. Sto meditando di ucciderti. Dovresti essermi grata, per essertela cavata con un bernoccolo.
Lily borbottò qualcosa, osservando Leo che lentamente si alzava dal letto e si rifugiava in bagno. Quando la ragazza provò a seguirlo là dentro, lui la cacciò in malo modo: Lily si ritrovò un secondo bernoccolo nel giro di pochi minuti.
- Allora, hai visto Elliot?
La voce di Leo le giunse ovattata dall'altro lato della porta.
- Sì, questa mattina sono andata a trovarlo al bar. Lui non mi ha visto però. Sai... È successa una cosa davvero interessante.
- Interessante?
Lily fece un breve sospiro, prima di rivelare la grande notizia.
- Ho trovato la prima anima.
Per un paio di secondi si sentì solo silenzio, poi la porta si spalancò e dal bagno uscì Leo, in pantaloncini e a petto nudo.
- Scuuuuuusa?!!!!
- Un po' di decoro, Leo! Sono pur sempre una ragazza!
Leo ignorò quell'affermazione.
- Ripeti quello che hai appena detto!!
- Ho detto che dovresti almeno porti il problema che io sono una ragazza e...
- Lily.
La ragazza capì che doveva essere seria, in quel momento.
- Ho incontrato il contenitore dell'anima di Jack, Leo.
Prima di continuare, aspettò qualche attimo, per riordinare i pensieri.
- È una ragazza di circa vent'anni. Si chiama Julia, Julia Blackburn.



Welcome in Nevereverland
Woaaaah ho aggiornato! Eeh sì.
Ah in realtà questo capitolo era già pronto da un pezzo, solo che volevo prima portarmi un po' avanti con la storia così avevo già i capitoli pronti e potevo prendermela comoda.. Ho fallito, sono solo un capitolo avanti. Ahahah.. Beh spero vi piaccia! Grazie a Artemisia e Amore(*^*) e a Thunder of Abyss per le vostre recensioni! ^^

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