Rock on titan

di yo_ki_min
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno di pioggia ***
Capitolo 2: *** People are strange ***
Capitolo 3: *** The Titans ***
Capitolo 4: *** A metà ***
Capitolo 5: *** Back in Black ***



Capitolo 1
*** Un giorno di pioggia ***


“Oh per favore, vieni con me, ti prego, soltanto questa volta, ti giuro che non ti disturberò mai più!”
La ragazza stava aggrappata ai suoi vestiti, e non sembrava intenzionata a smettere. Oh dio, perché aveva deciso di venire? Avrebbe dovuto saperlo. La gente causa solo guai.
 
Continuava ad implorarlo. Aveva un sorriso da esaltata sul volto e gli occhi spalancati.
Ma si diverte così?
 Cercava di allontanarsi, ma le mani della ragazza erano strette al suo cappotto nero. Era decisamente troppo vicina, non riusciva nemmeno a sentire nulla oltre al suono della sua voce petulante.
 
“D’accordo!” le rispose quasi con un grido, e la spinse via.
La ragazza, che evidentemente non era stata intimidita dal suo sguardo glaciale, urlò dalla gioia e lo abbracciò. Lui si scansò immediatamente.
“Però, Hanji” disse il ragazzo dai capelli neri “solo per questa volta.”
 
Aveva cose da fare a casa, e ora questa ragazza invasata che conosceva a malapena gli aveva chiesto di accompagnarla ad un concerto, e cosa avrebbe potuto fare per fermarla?
 
“Ok. Allora ci vediamo più tardi!” gridò Hanji, salutando con la mano mentre si allontanava in direzione della scuola, per poi oltrepassarla e sparire dietro un palazzo.
 
Quel luogo era troppo affollato, e il ragazzo non poteva sprecare un altro po’ del suo tempo prezioso, quindi si avviò verso casa. Quel giorno la scuola era stata chiusa a causa di una qualche malattia che aveva colpito la maggior parte degli alunni e dei professori. Non ne sapeva molto e nemmeno gli interessava.
 
In un breve tragitto aveva raggiunto casa sua, un po’ bagnato, perché pioveva, ma a chi importava di portarsi un ombrello?
 
Aprì la porta ed entrò nella sua stanza, pulita e sistemata, il solo posto al mondo dove tutto era perfetto, l’unico dove trovava pace e serenità.
Il paradiso.
 
Gettando il suo zaino sul letto, sospirò. Poi si sedette di fronte al computer e lo accese.
 
Che schifo, lo schermo è completamente ricoperto di polvere.
 
Odiava lo sporco, specialmente sul suo computer. Tirò un tovagliolo fuori da un cassetto e lo passò sullo schermo con cura. La sua espressione concentrata sarebbe stata buffa, se non fosse anche sembrata piuttosto inquietante.
Troppo concentrato sul processo per accorgersi della porta che si apriva, per poco non cadde dalla sedia quando una voce squillante esclamò: “Levi!”
 
Dopo aver ricomposto il suo sguardo privo di emozioni dalla faccia sbalordita che aveva avuto per un secondo, sibilò: “Petra, non fare sempre così confusione!”
 
La ragazza minuta dai capelli castani sogghignò, e disse: “oh, ma sei così carino quando ti spaventi!”
 
Levi spalancò gli occhi dallo stupore.
“Come OSI dire una cosa del genere? Se tu non fossi mia sorella, saresti già morta.”
 
Petra lo guardò male: “Sei così antipatico, pensavo fosse una cosa carina da dire, sai.”
 
Il ragazzo si era stancato di quell’insulso discorso. Voleva solo riposare un po’ prima di pranzo, stando su internet e magari iniziando quel libro che aveva comprato settimane prima, ma che non aveva ancora toccato a causa dell’enorme quantità di compiti che aveva avuto. Sbuffando, si girò in direzione di sua sorella e, molto educatamente, chiese: “Potresti per favore uscire?”
 
Petra sapeva che sarebbe stato inutile controbattere: quando Levi voleva stare da solo, nessuno era capace di fargli cambiare idea. “Ok allora, idiota di un fratello”
 
“E chiudi quella maledetta porta!”
 
Slam.
 
Ora avrebbe potuto godersi la sua solitudine in pace. Fece partire un disco dei Genesis, e ascoltando la melodia sognante, controllò le sue email. Ma dopo poco preferì spegnere il computer e distendersi a letto, mentre il dolce suono del flauto, e quello lieve della chitarra si propagavano nell’aria. Era così rilassato che credeva che sarebbe potuto rimanere così per sempre.
 
Con gli occhi chiusi, lasciò che la sua mente vagasse, e dopo qualche minuto stava riflettendo riguardo a quella ragazza esaltata, Hanji.
 
Erano nella stessa classe, e a lui era sembrata una persona interessante, ma dopo qualche tempo, senza apparente motivo, avevano smesso di sentirsi. Lei era sempre occupata in mille affari, almeno così pareva.
 
E comunque era troppo confusionaria.
 
Ma solo per una volta, sarebbe stato carino e simpatico; l’avrebbe accompagnata a quel concerto.

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Capitolo 2
*** People are strange ***


Dopo un rapido pranzo insieme ai suoi fratelli, Levi si andò a chiudere nuovamente nella sua stanza, pregustando il pomeriggio da passare di fronte alla televisione a giocare a Fallout. Ma dopo nemmeno una mezz’ora, il telefono squillò.
 
Con uno sbuffo, Levi si alzò lentamente e sollevò la cornetta, rispondendo con un tono funereo: “Pronto?”
 
Dall’altra parte, nessun suono.
 
“C’è nessuno?”
 
Seccato, stava per mettere giù, quando gli rispose una specie di ringhio.
 
“Ah, Eren.”
 
“Hey, scusami, ma quell’imbecille di Jean aveva gettato il cellulare dietro il divano, lo sai che se non mi infastidisce non è mai contento.” Esclamò con voce tonante il suo interlocutore.
 
“Mh, interessante. Perché chiami?” chiese Levi, la voce che mostrava tutto il suo palese disinteresse per la questione. 
 
“Stasera io, Armin, Jean e Mikasa usciamo assieme, ti va di unirti a noi?”
 
Per una volta Levi avrebbe preferito la compagnia di quei quattro che la serata che avrebbe dovuto passare, ma ormai non poteva tirarsi indietro.
 
“Mi dispiace, ma sono già impegnato. Ciao”
 
“Oh, aspetta, aspetta, cos’è che devi fare?”  fece Eren con curiosità.
 
“Uuuh..devo andare..ad un concerto.” Rispose Levi, riluttante. Odiava parlare di sé.
 
“Wow, e con chi?” Eren insistette.
 
“Ma che te ne frega a te?” domandò secco Levi.
 
“Ah ok, se non me lo vuoi dire..ci sentiamo!” si sentì una risatina accompagnata da un brusio in sottofondo, poi più nulla.
 
Levi tornò alla sua postazione, ma ormai non aveva più voglia di videogiochi. Quindi decise di iniziare il libro che aveva comprato. Era un romanzo di fantascienza, davvero ben fatto, la trama non era la solita cosa banale del viaggio nel tempo o dell’attacco di robot impazziti, sembrava verosimile.
 
Ma anche questo momento di riposo era destinato a non durare. Dopo pochi minuti, si sentì bussare alla porta, e senza aspettare risposta, un ragazzo alto con i capelli così biondi da sembrare bianchi entrò e si mise di fronte a Levi.
 
“Che c’è, Auruo?”
 
“Hai visto Petra? Volevo chiederle di uscire, ma non la trovo” chiese il biondo con un’aria abbattuta.
 
Levi aggrottò la fronte. “Scusa, ma chi ti ha fatto salire?”
 
Un sogghingno apparve sul volto del giovane
 
“Ho preso una copia delle chiavi l’ultima volta che sono venuto, me l’ha data Mike”
 
Questo ragazzo finirà per esagerare.
 
“Non so dove vivi tu, ma qui siamo abituati a non invadere le case altrui. O almeno avvisiamo prima. Comunque Petra è uscita da poco, se non sbaglio”
 
“Oh, allora forse faccio in tempo a raggiungerla, ciao!” Auruo sbattè la porta con forza. Dopo poco, si sentì il cigolio del portone, poi di nuovo silenzio.
 
Vivo circondato dai pazzi.
 
Lesse per un’ora intera, poi gli venne in mente che non aveva chiesto né dove né quando era il concerto. Quindi avrebbe dovuto chiamare Hanji.
 
Pazienza, sarà una chiamata breve
 
Una volta preso il cellulare, e trovato il numero di Hanji, lo fece squillare per più di un minuto, ma niente.
 
Si domandò che fare nel caso in cui non avesse risposto. Non sarebbe uscito, semplice. Quindi sperava con tutto il cuore che la ragazza restasse irreperibile per l’intero pomeriggio.
 
E così fu. Alle sette ancora non aveva nessuna notizia di lei, e stava già pensando alla cena.
 
Ma alle sette e un quarto, suonò il citofono: era lei.
 
Dopo essersi preparato in fretta e furia, maledicendola per la sua sbadataggine, scese le scale di corsa (ma perché l’ascensore era costantemente rotto?) e, una volta aperto il portone, constatò che erano passati già dieci minuti.
 
“Ce ne hai messo di tempo, eh?” Con i suoi soliti gesti sconnessi, come se fosse con la testa da un’altra parte, Hanji gli venne incontro.
 
Era vestita completamente di nero, con un giubbotto di pelle aderente. Levi si chiedeva come riuscisse a muovere liberamente le braccia, che agitava con enfasi.
 
“Se tu avessi risposto alle mie chiamate, forse non avrei dovuto perdere tempo ora a vestirmi” borbottò.
 
Con una risata cristallina, Hanji esclamò “Ah già, ma il mio cellulare non funziona, è andato a finire sotto una macchina l’altro giorno. E’ il terzo che distruggo quest’anno.
 
Levi inarcò un sopracciglio, poi decise di soprassedere. “Ehm, d’accordo. Posso almeno sapere il nome del gruppo che andremo a sentire?”
 
“Certo. Sono i Titans. Punk rock, suonano da tre anni. Vedrai, ti piaceranno, sono me-ra-vi-glio-si!”
 
Il nome non lasciava sperare nulla di buono, si disse Levi. La sua figura, accanto a quella di Hanji, si allontanò nella tenue luce crepuscolare. 

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Capitolo 3
*** The Titans ***


Mezzanotte. Ancora niente.
 
Lo spettacolo era previsto per le undici e un quarto, ma ovviamente avrebbero iniziato in ritardo. Pareva non interessare a nessuno. La massa di gente nel parco sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione; tutti bevevano, parlavano, ridevano. Levi aveva l’impressione che non fossero nemmeno lì per la band.
 
Lui odiava i ritardi. Odiava la confusione. E più di tutto, odiava la gente.
 
Hanji, notando la sua irritazione, cercava di tirarlo su con qualche aneddoto riguardo ai suoi numerosi gatti, o gli chiedeva pareri riguardo a giochi, musica, fumetti, libri, o qualsiasi cosa le passasse per la mente.
Levi si sentiva un po’ in colpa per le sue risposte secche o i suoi sguardi non molto amichevoli, perché doveva ammettere che la ragazza stava facendo del suo meglio. Ma lui non era capace di fingere interesse, o di parlare serenamente nello stato di tensione costante in cui si trovava.
 
Perché in realtà Hanji non era niente male , per quanto pazza potesse essere; e proprio per questo temeva che sarebbe stato giudicato male se avesse detto qualcosa di..sbagliato. Sciocco. Inutile. Perciò stava zitto.
 
La ragazza bruna gli aveva anche presentato due suoi amici, Sawney e Bean, che amavano quel gruppo. Erano come impazziti quando una ragazza era spuntata sul palco ad annunciare che mancava poco all’esibizione (si certo, come no) e non avevano parlato altro che degli album dei Titans, di quanto erano bravi i Titans, di come erano punk i Titans, tanto che ad un certo punto la stessa Hanji, imbarazzata, aveva tirato fuori una scusa (“oh, mi pare che mi abbia chiamato qualcuno, ci vediamo eh”) e aveva trascinato Levi lontano da loro in un istante, tirandolo per un braccio.
 
Poi avevano effettivamente incontrato un altro tizio, con un volto abbastanza anonimo, di cui Levi non ricordava più il nome, che era rimasto incollato a loro per tutta la serata. E Levi era irritato da questo fatto, perché non aveva nessuna intenzione di iniziare una conversazione spontaneamente con quello sconosciuto.
 
A mezzanotte e mezza gli artisti (anche se Levi si rifiutava di considerarli tali prima di averli sentiti suonare, era molto scettico) salirono sul palco. Erano quattro: una ragazza bionda con uno sguardo serio e glaciale, quasi più crudele di quello di Levi, con una Fender in mano, che si era subito posizionata di fronte al microfono regolandolo alla sua altezza; uno spilungone bruno al basso, che già sudava prima di cominciare; la chitarrista, con la pelle lentigginosa e scura, e un fare insolente; e, per ultimo, un biondo muscoloso che si sistemò dietro alla batteria dopo aver bisbigliato qualche cosa al bassista.
 
“Oh, finalmente! Preparati” esclamò Hanji sorridendo, e dandogli una manata sulle spalle.
Levi borbottò un “Mmmh” e fece un segno di assenso.
 
Nel frattempo, era calato il silenzio, rotto ogni tanto da qualche urlo e applauso. Il batterista, apparentemente anche leader del gruppo, ringhiò: “Benvenuti! Woah, siamo assai oggi, perfetto! Beh, non sprechiamo il tempo in chiacchiere” (anche perché già lo stavano facendo da quasi un’ora e mezza, pensò Levi) “ e cominciamo! Questa sera i nostri pezzi saranno tutti degli inediti che potrete trovare nel nostro nuovo album..quando uscirà..ehehe. Pensate che non abbiamo ancora nemmeno scelto il titolo, vero Bert?” il biondo ammiccò in direzione del ragazzo grondante sudore, e continuò il suo monologo.
 
Levi smise di ascoltare e alzò lo sguardo per osservare il cielo notturno: era uno spettacolo meraviglioso (e di sicuro migliore, almeno fino a quel momento, di quello in corso sul palco).
Perso nei suoi pensieri, non si accorse che Hanji lo osservava, fino a quando non si voltò perché finalmente avevano iniziato a suonare. Ma non se ne curò più di tanto, occupato, adesso, ad ascoltare.
 
I riff erano potenti e rabbiosi, ma non troppo elementari; la cantante, sebbene non coinvolgesse per nulla il pubblico, aveva una voce decisa e suadente; la sua tecnica era invidiabile, e davvero ben studiata.
I colpi di batteria si insinuavano nel cervello e scuotevano il terreno, le vibrazioni si fondevano con quelle del basso per formare un intreccio ritmico perfetto e irriproducibile.
Levi era estasiato, e sebbene non ritenesse il punk un genere adatto a lui, si ritrovò a cantare insieme ad Hanji e al suo amico per quasi tutto il tempo, catturato dalle note che gli impedivano di formare i suoi soliti pensieri cupi.
 
Per una volta non si era chiuso in se stesso, ma al contrario stava aprendosi al mondo di sua spontanea volontà.
 
Forse, si disse, avrebbe dovuto ringraziare Hanji per averlo invitato. 

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Capitolo 4
*** A metà ***


Il mio problema è che non riesco mai a concludere nulla.
 
Il ragazzo si passò una mano sui capelli ramati e sbuffò. Scostando le coperte, si mise seduto e si guardò attorno intontito. Una sottile lama di luce illuminava il pavimento della sua stanza. Era già giorno inoltrato.
 
Stiracchiandosi, il giovane scese lentamente dal letto e si diresse verso la cucina. La casa era vuota, i suoi già al lavoro. Certo, erano le undici.
 
Forse avrebbe dovuto mettere una sveglia. Ma tanto era sicuro che non l’avrebbe sentita.
 
Passando davanti allo specchio del soggiorno, osservò se stesso. Splendido, sembrava un reduce di guerra. Ma non aveva nessuna voglia o motivo per darsi una sistemata, dal momento che avrebbe passato l’intera giornata a casa da solo. E probabilmente a studiare, per giunta.
 
Se solo riuscissi per una volta a completare tutti i compiti senza perdere tempo.
 
Ogni volta che prendeva una decisione, non riusciva mai a portare a termine ciò che aveva iniziato. Tutto ciò che faceva restava incompleto. E la cosa lo innervosiva parecchio.
 
Se non fossi così, a questo punto avrei già trovato un maledetto chitarrista.
 
Eh si, perché il mondo era pieno di chitarristi. E a lui ne bastava uno solo. Ma non riusciva a trovarne.
 
Certo, se fosse stato un ragazzo più socievole forse avrebbe potuto conoscerne uno e convincerlo a suonare con lui e con quei due pazzi che considerava i suoi due unici amici. Ma era una causa persa (o quasi, perché la speranza è l’ultima a morire, anche per qualcuno cinico come lui).
 
Dopo aver speso mezz’ora davanti al computer a vagare su certi inutili blog finalmente riuscì a convincere se stesso a prendere i libri di scuola e cominciare a leggere.
 
Dopo un’ora di studio il suo telefono pensò bene di squillare. Ora mi ci vorrà un’altra mezz’ora per concentrarmi di nuovo.
 
Rispose con voce stizzita “Eh?”
 
“Allegro come sempre, eh Jean?”
 
“Ah Connie, scusa, sono un po’ nervoso perché come al solito non ha ancora fatto nulla e sono già le dodici e mezza e ho fame ma credo che dovrei andare a studiare ancora o domani sono fottuto”
 
Connie sghignazzò “Calmati un attimo, non è la fine del mondo. Ma suppongo che tu non abbia intenzione di uscire con me e Sasha di pomeriggio, vero?”
 
Jean stette un momento a pensare. L’indecisione lo dilaniava. Chiuse gli occhi e si maledisse mentalmente.
 
“No, ok, vengo. Dove andiamo?”
 
“Uuuh, boh. Ma Sasha ci trascinerà di sicuro in qualche bar alla prima occasione, quindi qualsiasi cosa dovessimo decidere di fare, il risultato sarà lo stesso.”
 
“Vagare per la città senza meta, splendido. Ci vediamo alle cinque di fronte a scuola?”
 
“Ovvio. A dopo!”
 
Ora Jean non avrebbe più potuto tergiversare. Tornò subito nella sua camera e, fino all’ora di pranzo, compì diligentemente il suo dovere.
Senza troppi sensi di colpa per il lavoro non completato – era a buon punto, dopotutto- poco prima delle cinque il ragazzo si diresse verso scuola sua.
 
Ad un certo punto, mentre era perso nei suoi pensieri e nella musica che riempiva le sue orecchie, notò un individuo che camminava a pochi passi da lui.
 
La custodia della chitarra che portava sulle spalle copriva buona parte della sua figura, ma questo non impedì a Jean di comprendere che si trattava di un suo coetaneo.
 
Ecco, se solo fossi abbastanza coraggioso da andargli a parlare, potrei convincerlo a suonare con me.
 
Ma non ne sarebbe mai stato capace. Lo sapeva. Abbassò la testa con rassegnazione, e procedette fino a quando non arrivò di fronte al cancello verde dell’edificio scolastico. Il ragazzo, rimasto davanti a lui per tutto quel tempo, si fermò di scatto, e Jean con un sussulto si spostò all’indietro per non andare a sbattergli di sopra.
 
Connie e Sasha non erano ancora arrivati. Non c’era una volta che quei due fossero in orario. Jean si appoggiò al muretto esterno e incrociò le braccia. Il suo volto assunse il solito sguardo da “se mi parli finisce male”, che era assolutamente involontario, e che però faceva sì che molti – se non tutti- si tenessero lontani da lui.
 
Il ragazzo, che ora poteva vedere in faccia, si trovava a poca distanza da Jean, probabilmente per aspettare a sua volta qualcuno.
 
Non avendo nulla da fare, Jean si mise ad osservare quel brunetto. Il suo volto era sereno e allegro, il contrario di quello di Jean. Indossava una camicia a quadri e degli ordinari jeans. Aveva una sciarpa avvolta attorno al collo, che arrivava a coprirgli il mento. Jean lo trovò curioso, perché lui era vestito quasi allo stesso modo.
 
Proprio quando stava per voltarsi per evitare di sembrare troppo interessato, il giovane girò la testa dal suo lato. Jean, imbarazzato, abbassò lo sguardo, per poi sollevarlo nuovamente quando percepì il movimento dell’altro, che si stava avvicinando.
 
Jean avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli veniva in mente niente che non fosse ridicolo e poi aveva appena notato che il ragazzo aveva le guance ricoperte di lentiggini ed era adorabile, anche perché il suo sorriso le metteva in risalto e oddio, stava sorridendo a lui? A lui, Jean Kirschtein, l’essere umano più ignorato – se non odiato- sull’intero pianeta?
 
“Led Zeppelin?” chiese il ragazzo.
 
Jean non sapeva se esistesse l’espressione “voce sorridente”, ma era certo che non ci fosse termine più adatto a definire il tono con cui l’altro aveva parlato.
 
 
In un primo momento non capì il senso della domanda – se davvero di una domanda si trattava- ma poi notò l’indice del ragazzo bruno puntato verso la sua maglietta.
 
“Ah si – Jean sentiva che sarebbe andato in autocombustione da un momento all’altro, per quanto si sentiva stupido- sono i Led Zeppelin. Concerto alla Roal Albert Hall del 1970”
 
L’altro fece un sorriso ancora più grande – come fosse possibile, Jean non lo capiva- e con una risatina disse “ Wow, vedo che abbiamo un esperto qui. Ho cercato questa maglietta per più di un anno ma non l’ho trovata da nessuna parte. Devi essere davvero fortunato.”
 
“Non molto, veramente. Di solito quando cerco una cosa non la trovo mai. Ad esempio, al momento sono alla ricerca di un chitarrista con cui suonare, ma ancora non ho avuto nessun successo. Comunque la maglia la vendono in un negozio a due isolati da qui, però non ricordo il nome della via.” Solitamente, Jean non avrebbe mai rivolto così tante parole ad uno sconosciuto, ma lo sguardo del ragazzo era incoraggiante.
 
“Oh” fece l’altro, perplesso. “Ma tu suon-“
 
“JEAN!”
 
Connie era apparso dall’altro lato della strada, e stava attraversando. Sasha gli correva dietro, con il volto coperto dai capelli castani mossi dal vento.
 
Jean si portò una mano alle tempie. Non cambiano mai, quei due. Il suo interlocutore sembrava alquanto confuso.
 
Sasha lo superò senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Connie lo prese per un braccio e iniziò a trascinarlo via.
“Scusa per l’intromissione, tizio lentigginoso, ma abbiamo un’emergenza!”
 
Il tizio lentigginoso in questione, dopo un attimo di silenzio, scoppiò a ridere, e mentre Jean veniva portato via a forza dal suo amico, lo salutò scuotendo la mano.
 
Jean ricambiò il saluto, un po’ disorientato, e poi si voltò e seguì Connie senza più opporre resistenza.
 
Pochi minuti dopo, seduti ad un tavolino di una gelateria, Sasha masticava freneticamente. Connie invece si scusò con Jean per il loro brusco arrivo.
 
“Sai com’è Sasha quando ha fame”
 
“Lo so. Ma avresti potuto aspettare lo stesso, almeno tu”
 
“Mh” rispose Connie, senza prestare il minimo interesse. “Quindi, devo presumere che tu abbia un chitarrista per noi?” chiese poi, con entusiasmo.
 
Ma Jean non gli rispose. Chissà se sarebbe riuscito a ritrovare quel ragazzo. E a trovare il coraggio di parlargli.
 
Ho lasciato di nuovo tutto a metà.

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Capitolo 5
*** Back in Black ***


Yes I’m back in black!
 
Con l’energico riff degli AC/DC nelle orecchie, Jean si stava dirigendo a scuola a passo spedito. Era già abbastanza in ritardo. Non che gli importasse, la giornata si prospettava noiosa e inutile.
 
Una volta raggiunta la classe, dopo aver scambiato il solito insulto mattutino con Eren, si siede al suo solito posto, dietro Connie e Sasha, la quale aveva già cominciato a smangiucchare merendine.
Le prime ore passano senza che avvenga nulla di speciale. La fisica non è certo la sua materia preferita, e l’assenza di un compagno di banco lo aveva spinto a perdersi nei propri pensieri mentre osservava il dolce panorama primaverile che si stagliava al suo fianco, fuori dalla finestra.
 
Mentre nella sua mente era in corso un animato dibattito riguardo alla necessità di compare delle cuffie nuove e quella di risparmiare soldi fino a quando non ne avesse avuti a sufficienza per poter acquistare un amplificatore nuovo, la porta della classe si apre con uno schianto, e un ragazzo fa intrusione nell’aula con un misto di smarrimento e preoccupazione sul volto.
 
Jean, voltatosi a causa del rumore, stava per ritornare alle sue occupazioni, se non avesse riconosciuto nel giovane quel chitarrista incontrato il giorno precedente. Interessato dalla sua repentina apparizione, lo osserva bisbigliare qualche parola al professore, che con un cenno di assenso punta un indice proprio verso Jean, che, stupito, continua a guardare con aria interrogativa.
 
Pochi attimi dopo, l’insegnante si alza, e dopo aver circondato con un braccio le spalle del ragazzo, richiama l’attenzione degli allevi annunciando che avrebbero avuto d’ora in poi un nuovo compagno, Marco Bodt.
 
Marco fa un sorriso imbarazzato accompagnato da un gesto della mano, una specie di buffo saluto, e si dirge verso Jean, per poi sedersi nel posto vuoto accanto a lui. Jean si stava proprio chiedendo se avesse dovuto salutarlo o meno, quando Marco si volta verso di lui ed esclamò: “Ciao! Noi ci conosciamo già, giusto?’”
 
“Ehm..si..bè, io sono Jean Kirschstein, anche se credo che il mio nome tu l’abbia già sentito ieri, dato che quel cretino di Connie- e qui Jean indica il ragazzo nella fila precedente- l’ha gridat-“
 
“Ehi ehi ehi” lo interrompe Connie “io grido quanto mi pare e piace, e poi ti ripeto, era un’emergenza, e comunque non l’avrei gridato così forte se tu non fossi stato così concentrato a parlare con lui..a proposito, ciao Marco. Eheh.”
 
A quel punto, anche Sasha si volta e prende la mano di Marco come per salutarlo, senza poi staccarsene né smettere di scuoterla mentre esclama: “Oh, allora è così che ti chiami, ieri ti avevo a mala pena notato, scusami, è che quando ho fame ho MOLTA fame. Comunque io sono Sasha, piacere di conoscerti!” e dopo un immenso sorriso si allontana di scatto andando a disturbare il ragazzo biondo del banco davanti al suo.
 
Jean sospira profondamente e guarda Marco, che per tutta la durata di quelle strane ed eccessivamente espansive presentazioni aveva mantenuto un lieve sorriso sulle labbra, mentre i suoi occhi esprimevano tutta la sua confusione.
 
“Mi dispiace che tu abbia dovuto conoscerli così..insomma, a qualcuno di nuovo come te devono aver fatto una cattiva impressione. Ma ti assicuro che di solit- che ogni tanto sono piacevoli”  asserisce Jean sogghignando.
 
Marco gli rivolge uno sguardo curioso. “È da molto tempo che non incontro gente così interessante, non mi dispiacciono affatto. E anche tu non devi essere male, se non altro perché ascolti musica così buona”
 
Whooo. Bene. Ottimo. Ora devo solo riuscire a fare di lui il chitarrista della nostra band ed è fatta.
 
“Ehhmmm..a proposito, suppongo che tu suoni la chitarra.” Domanda inutile. Ovvio che suona la chitarra.
 
Ma lui non risponde così. Sorride, e annuisce. “Da tre anni. Però la maggior parte dei miei amici non apprezza, ascoltano generi diversi da quelli che suono io.”
 
Un’ombra passa sul suo volto. Ma gli occhi di Jean luccicano.
 
“Beh, credo che io potrei apprezzare..che ne dici di farmi sentire qualcosa, un giorno di questi?” Ok, ci siamo quasi. Ora NON mi dirà di no, vero?
 
E infatti il buon Marco non delude le sue aspettative “Ma certo!- esclama- anche domani stesso, se ti va”
 
Jean cerca di fare il sostenuto, ma è troppo difficile, sul suo volto si forma un ghigno e annuisce con decisione, per poi aggiungere che se vuole potrebbe accompagnarlo con il suo basso- “oohh, suoni anche tu allora!”- e quindi potrebbero scegliere qualche canzone da fare assieme.
 
L’ignaro ragazzo è caduto nella mia trappola. Non sa che presto lo trascinerò nel mio gruppo, anzi, scommetto che riuscirò a farlo entrare spontaneamente. Missione compiuta.
 
I due passano il resto del tempo a discutere allegramente, non solo di musica. Jean scopre che hanno diverse cose in comune, dai libri al gusto di gelato preferito.
 
Una volta finita la scuola, scopre che al ritorno percorrono un po’ di strada assieme. La cosa lo entusiasma più di quanto dovrebbe, ma non se ne cura più di tanto.
Era da tempo che non parlava così tanto con qualcuno, e il fatto che quel qualcuno sembri sinceramente interessato a ciò che dico non fa altro che aumentare l’allegria di Jean.
 
Dopo essersi lasciati, Jean raggiunge casa sua e si fionda immediatamente al computer per aggiungere Marco su Facebook (non ci entra mai, ma per lui forse farà un’eccezione, si dice).
 
Poi, esausto, si mette a letto, ma non riesce ad addormentarsi. Pensa a Marco.
 
Non starò un po’ esagerando?

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