Apachtheís ~ Rapita

di Serpeverde_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Animali Invadenti ***
Capitolo 2: *** Mendicanti Spaventosi ***
Capitolo 3: *** Ma dove sono finita? ***
Capitolo 4: *** «Leo Valdez, figlio di Efesto» ***
Capitolo 5: *** Promemoria:Stare lontana dalla prole di Ares ***
Capitolo 6: *** Fondo il gruppo 'Abbasso Piper' ***
Capitolo 7: *** Ed è quando ti accorgi di parlare in greco che cominci a spaventarti ***
Capitolo 8: *** Okey, ho già detto che odi i tipi monocchi? ***
Capitolo 9: *** Viaggi in treno entusiasmanti ***
Capitolo 10: *** Deborah: la scassinatrice di porte blindate ***
Capitolo 11: *** Frittata di Empuse in arrivo! ***
Capitolo 12: *** La vendetta non giova alla salute ***
Capitolo 13: *** Quasi quasi vado a piedi ***
Capitolo 14: *** Una serata apparentemente normale ***
Capitolo 15: *** Crollare a terra mi riesce bene, a quanto pare ***
Capitolo 16: *** Brillare è una cosa normale? ***
Capitolo 17: *** Le belle addormentate sul Monte ***
Capitolo 18: *** Attento, sto venendo a cercarti ***



Capitolo 1
*** Animali Invadenti ***





Apachtheís ~ Rapita
(1)
Animali Invadenti

 



Nella mia casa di certo non regnava l'ordine, tanto meno dopo che mio padre aveva cominciato a fare uso di alcool. Le bottiglie di vetro vuote erano all'ordine nel giorno, ferme immobili su un tappeto nero che nascondeva le macchie di sangue lasciate dalle precedenti lotte con suoi 'amici' ubriachi.
Non ero mai andata fiera di quel che dovevo chiamare 'padre'. Dopotutto biasimavo mia madre, non sarei riuscita a rimanere con un tale del genere per più di due secondi. Non riuscivo mai a spiegarmi come mia madre si fosse innamorata di lui, ma presto capii il perchè.
Sedevo sul letto con le mani avvolte nel cuscino. Cercavo disperatamente di farmi piccola agli urli continui che provenivano dal salotto. Mio padre urlava sempre, probabilmente per la frustrazione o semplicemente per il dolore che provava dentro. Ma non riusciva a farmi pena, anzi nutrivo un odio pazzesco per quell'uomo che mi teneva segregata in una casa costretta a vivere in un clima di tristezza e in costante pericolo.
Quante volte avevo cercato di scappare, quante volte volevo tagliare la corda.
Vieni via- sibilò una voce calda- scappa- 
Non riuscivo a capire da dove la voce fosse arrivata e non ebbi nemmeno il tempo di alzarmi che un boato seguito da uno scoppio mi scaraventò contro il muro opposto della mia camera.
Di istinto portai le mani avanti prima di schiantarmi contro la parete, quel gesto mi salvò dalla morte certa.
Mi girava la testa e le immagini mi apparivano sfuocate.
Guardai in alto, dove prima c'era il letto ora si ergeva una sagoma con diverse teste. Aveva un corpo spaventoso: il busto di un cane nero più grande di me tre volte e una cosa biforcuta al posto della coda che sibilava proprio come un serpente.
Mi puntava i suoi occhi gialli addosso, mi si gelava il sangue.
-Il cassetto Deborah, il cassetto- continuava la stessa voce cercando di rassicurami.
Mi guardai attorno nel tentativo di capire quello che la donna cercava di dirmi.
Il mostro ruggì e con calma, come se tanto avesse tutto il tempo che voleva per ammazzarmi, avanzò.
Mi trascinai fino ad il mobile più vicino cercando di non innervosire il mostro, ma qualcosa mi diceva che quel tipetto aveva già oltrepassato la sua soglia di pazienza.
Tirai la maniglia d' oro del primo cassetto e cominciai a tastare al suo interno disperatamente mentre quel mostro mi era sempre più vicino.
Poi sentii qualcosa di appuntito. Di istinto ritirai la mano. 
Intanto la massa informe e sgraziata aveva già raggiunto la mia gamba.
Ringhiò mettendo in mostra dei denti aguzzi, gialli e sporchi di carne ma non volli andare più affondo. L'alito di certo non era uno dei più buoni anzi sapeva di stantio e carne rancida.
-Ti servirebbe una mentina sai?- mister alito fresco sembrò più arrabbiato che mai, e non esitò a ruggire nuovamente invadendo la mia povera faccia con quell'odore di rancido.
Non provavo paura, stranamente.
Non avevo niente per sconfiggerlo, poi mi ricordai.
Cacciai la mano all'interno del mobile e a tentoni aggrappai quello che mi sembrava un manico che poi estrassi.
Un coltello con una lama che brillava di luce argentata a momenti mi accecò.
Normalmente non avrei usato un coltello che mai avevo visto prima e che brillava in maniera inquietante ma sinceramente – a meno che non avessi usato una lampada - non avevo altra scelta.
Mister alito fresco emise un urlo -se così si può intendere- talmente stridulo da mandarmi in trans le orecchie, proprio prima di caricare contro di me. D' istinto puntai il coltello mentre strillavo ad occhi chiusi.
Sbam.
I rumori che prima stavano aumentando, ora erano cessati.
Seppure fossi leggermente scossa, aprii gli occhi e tutto quello che vidi era il mio coltello puntato a mezz'aria nel nulla e una pioggia d'oro dove pochi istanti prima sorgeva il mostro.
Scansai una ciocca che mi era caduta sugli occhi per poi tornare alla mia faccia sconvolta e leggermente trionfante.
Non sapevo se esserne fiera o aver appena ucciso un povero animale indifeso, la prima ipotesi sembrava la più plausibile. 
-Scappa Deborah scappa – quella voce continuava a darmi il tormento, e stavo cominciando a credermi veramente pazza. Pregai intensamente che quello fosse stato un sogno, d'altronde erano le nove inoltrate chi lo dice che io non mi fossi appisolata?
Cercavo di convincermene ma la realtà era un'altra.
Avevo davvero sconfitto un mostro, e quella voce stava davvero cercando di comunicare con me.
Quella voce mi stava indicando un luogo, un luogo dove fuggire per essere al sicuro: un certo
Campo MezzoSangue.




 


 

Bonsoir

Penso,credo, immagino che voi non mi abbiate mai visto (woo detto così fa scena..no) Insomma, non ho mai pubblicato nessuna storia in questo angolo del sito.
Ho letto tutta la saga di Percy Jackson e che dire? Me ne sono innamorata follemente. Come tutti,credo, mi sono immedesimata nella faccenda e ne ho creata una tutta mia.
Gli dei saranno presenti, i mostri ovviamente ( purtroppo) e gli amori probabilmente incomberanno accidentalmente nei momenti più critici.
Prima di sparire vi devo dire un due cosette:
La prima: spero di riuscire ad aggiornare in tempi come due settimane, ma non vi prometto niente. Quest'ultimo mese, ahimè, è il peggiore.. per la scuola intendo
( help me.)
La seconda: se ci sono somiglianze con altre storie avvertitemi, sinceramente non me ne accorgo anche perchè ne leggo poche ( per il poco tempo a disposizione)
Bon finisco qui se no stresso troppo, come ultima cosa: le critiche sono ben accettate purchè non contengano insulti :)

Ovviamentemente tutto è preso spunto dai libri di Riordan, 
ma questo credo che l'abbiate capito.

 

 


Personaggi


Deborah                     Percy                     Annabeth                     Leo                         Piper        



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Capitolo 2
*** Mendicanti Spaventosi ***


 


Apachtheís ~ Rapita

(2)


Mendicanti Spaventosi
 
-Collina Mezzosangue, Farm Road 3141, Long Island, New York 11954-
La voce femminile continuava a indicarmi sempre lo stesso indirizzo, ma dopo essere sgattaiolata fuori dal nostro appartamento a New York, nessuno sapeva dirmi dove si trovava questo posto.
Mi sedetti su una panchina affranta sapendo che erano le undici di sera e non sarei potuta tornare a casa, mio padre mi avrebbe vista.
Camminavo da un'ora senza sosta, mi sentivo completamente persa ma alla fin fine lo ero sempre stata. Mi rattristiva vedere a scuola i ragazzi e le ragazze abbracciate ai loro genitori così uniti, ed io sola a camminare verso una casa dove mi aspettava – se così di può dire – un padre egoista.
Con i piedi scostavo qualche pietra per terra – Perchè la fortuna non è mai dalla mia parte? - urlai attirando l'attenzione di un mendicante seduto sul ciglio della strada.
Mi guardò accigliato, mettendo in mostra degli occhi glaciali e brillanti.
Di primo impatto pensai fosse un mostro, così aggrappai subito il coltello che mi ero messa in tasca prima di scappare.
La lama era incandescente, come se non volesse essere usata.
L'anziano si alzò sistemando delle vesti sporche e molto più grandi di lui, per poi in camminarsi verso di me. Sudavo freddo, ma i piedi non mi si scollavano da terra.
'la ragazza trema, capo' sussurrava una voce proveniente dal taschino dell'uomo.
E poi cominciai a tremare, sta volta per davvero.
Lui tappò con una mano la sua camicia, come per zittire la voce.
- Serve aiuto – sussurrò con tono delicato.
Io scossi la testa leggermente spaventata, troppe cose in una sola giornata.
'La ragazza mente, capo' proseguiva 'zitta Martha o si spaventerà, poi io voglio un topo' incalzò
un'altra voce.

- Stai per caso cercando un posto? Io ti potrei aiutare, orsù- pian piano stavo ri acquisendo la forza di
aprire bocca, ma fu una questione di tempo.

Collina Mezzosangue, Farm Road 3141, Long Island, New York 11954?- 
Trattenni un gridolino, e coprii subito l'indirizzo che mi ero da poco scritta sul braccio per paura di
dimenticarmelo, ma ovviamente la voce nella mia testa continuava a ripetermelo ad intermittenza.

Poi annuii.
Lui con un cenno violento fece fermare un taxi per poi parlare all'autista come se volesse persuaderlo. 
La portiera si aprì di scatto facendomi arretrare di qualche passo.
L'uomo mi sorrise seppure sprigionasse ancora molta freddezza.
Una forza mi stava premendo la schiena affinchè io entrassi all'interno del taxi, mi opponevo ma la
pressione aumentava, così mi ritrovai seduta sul sedile posteriore dell'auto. La portiera si chiuse senza darmi il tempo di riporvare un tentativo di fuga.

L'uomo abbassò il finestrino per poi sussurrarmi – Buona fortuna, semidea -
Non riuscivo a staccarli gli occhi di dosso notando una luce appariscente attorno alla sua figura. A scatti mi appariva un uomo biondo con dei lineamenti soffici, ma poi tornava nella forma in cui mi si era presentato: un vecchio mendicante ridotto in povertà. 
Semidea non so perchè ma quella parola l'avevo già sentita. Probabilmente in uno dei miei sogni, in uno di quelli che mi perseguitavano ogni sera.
La macchina ingranò la marcia e partì, l'autista sembrava convinto di dove stesse andando. Io certamente non sapevo nemmeno verso cosa mi stavo imbattendo.
La macchina procedeva senza sosta, di tanto in tanto il taxista mi rivolgeva un sorriso dallo specchietto retrovisore, ma sembrava essere tutt'altro che rassicurante.
Appoggiai la testa sul finestrino per ammirare quella notte particolarmente stellata. Con l'inquinamento luminoso, a New York, potevi ritenerti fortunata a intravedere qualche bagliore; ma in mezzo al nulla – in poche parole dove mi trovavo io in quel momento – era possibile vedere a pieno la bellezza delle costellazioni.
Quella sera, la luna, non c'era e percepii immediatamente che c'era qualcosa di strano.
Ma la concezione dello 'strano' da quel giorno, cominciai a dimenticarla.
Gli alberi si stavano infittendo molto velocemente, e dopo pochi minuti l'uomo sulla cinquantina arrestò l'auto in prossimità del nulla.
-Scusi- affermai impettita – C'è qualche problema?-
-Oh no-
Continuai a fissarlo confusa, ma il signore non si poneva domande anzi sembrava soddisfatto di essere arrivato finalmente a destinazione.
-Beh, si affretti io avrei altre destinazioni.. non vede?-
Mi sentivo decisamente stupida.
-In realtà io..- non mi lasciò finire la frase e qualcosa mi diceva che quel tipo stava cominciando ad arrabbiarsi.
-Insomma vuole scendere da questa vettura?- si mise una mano tra i capelli brizzolati dove nella nuca scomparivano.
Scesi dalla macchina, non volevo farmelo ripetere un'altra volta, e tutto mi sembrò un inganno. Quel mendicante mi aveva fatto portare in mezzo a una foresta, lontano dalla città in pasto agli eventuali altri
mostri, perchè ce ne sarebbero sicuramente stati degli altri.

-Questi stupidi semidei- imprecò spingendo l'acceleratore. 
Mi guardai attorno, e cominciai ad avere veramente paura. Tutti i minimi rumori si ingigantivano prima di arrivare alle mie orecchie, come se il mio cervello stesse andando in tilt.
Il nero mi avvolgeva. Intravidi delle sinuose colline dove sulla più alta si ergeva un pino, seppure le tenebre mi impedivano di andare più affondo.
Dei piccoli pallini gialli erano sparsi qua e là tra gli altipiani, e -a menoche non fossi rimasta in preda al nulla e alle mucche – sarebbe stata la mia meta.
Speravo di incontrare qualcuno che mi potesse indicare di nuovo la metropoli, avevo completamente perso la speranza di trovare il Campo MezzoSangue.
Mi incamminai guardandomi costantemente alle spalle per paura che qualcuno mi prendesse alla sprovvista, come.. chessò.. qualche mostro?
Mi mancava il respiro, più salivo più mi sentivo il cuore in gola.
Arrivai in prossimità del pino che prima mi sembrava una torcia nel nulla, e mi resi conto che ai suoi piedi giaceva un telo d'oro, e non solo. 
Al di sotto dell'albero dormiva – e russava – un ammasso di cavi viola, ma presto realizzai che non erano cavi viola.
Sorrisi istericamente, tipico mio sintomo di quando ho raggiunto il limite di sopportazione, e credetemi quel limite l'avevo superato da molto. Cercai di schivare il grosso bestione detto anche drago ma tutto quello che ottenni fu il suo dolce risveglio.
Spalancò le fauci in uno sbadiglio, e cacciai subito la mano nella tasca. Impugnai immediatamente il coltello ma aspettai prima di scagliarmi in attacco.
Il drago mise a fuoco la mia figura, e a passi pesanti mi si avvicinò. Era alto tre metri e largo il doppio.
-Buono piccolino, buono- farfugliai arretrando. Intanto esso era già a pochi centimetri da me. Contai quattro passi prima di inciampare in una radice, e cadere di schiena. Stranamente, sdraiata in posizione supina, mi sentivo così coccolata che a momenti mi addormentai. Sorrisi beatamente e cominciai a perdere i sensi a causa della forte botta alla testa.
Prima di chiudere gli occhi riuscii a intravedere un cartello che prima la grande massa del drago mi impediva di scorgerlo. La scritta era i greco ma non mi fu difficile decifrarne il significato. Venni cullata dal suono di alcuni passi scaltri ma ormai avevo già perso la cognizione del tempo.
Il cartello diceva 'Campo MezzoSangue'.

 



 
Bon Apès-midi
Diciamo che la nostra protagonista si sta lentamente avvicinando al suo destino.
Ho pochissimo tempo quindi vi lascio, mi raccomando fatemi sapere la vostra :) 

 
 

Personaggi


Deborah                     Percy                     Annabeth                     Leo                         Piper        



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Capitolo 3
*** Ma dove sono finita? ***




Apachtheís ~ Rapita

(3)

Ma dove sono finita?

 
 

'Sei arrivata' sussurrò la voce, ma stavolta era come se si stesse allontanando e affievolendo pian piano. Non capivo perchè ma quel timbro mi aveva salvato la vita, perchè cercare in tutti modi di aiutarmi se nemmeno riuscivo ad arrivare alla fonte di quella voce? Era come una piuma, volteggiava nell'aria ma ogni volta che riuscivo ad avvicinarmi arrivava una folata di vento che rendeva inutili i miei tentativi di afferrarla.
'Stai attenta alle tue spalle' dichiarò prima di scomparire. Ormai l'avevo persa, e non potevo nemmeno ringraziarla.
Poi il sogno- se era un sogno- cambiò. 
Il sipario si aprì lasciandomi scorgere un'enorme stanza buia illuminata solamente da delle lampade ad olio, leggermente sporche per via della loro antichità. La fiamma era tremolante, e non era sufficiente a riscaldare l'interno. Di conseguenza la temperatura era molto bassa- sotto zero sicuramente- e qua e là gocciolava dell'acqua dal soffitto, frutto di un congelamento.
I colori erano altrettanto cupi, blu e nero padroneggiavano lasciando spazio solo ad una piccola sfumatura di bianco su alcuni sofà. 
Degli arazzi raffiguranti battaglie di guerra greca incorniciavano le pareti, e un arredamento povero riempiva per metà l'intera camera. Al centro sorgeva un tavolino d'oro sul quale erano posti alcuni archi e alcune faretre. Un uomo fece capitolino nella stanza, seguito a ruota da un cane. 
La faccia incurvata in un ghigno, le mani chiuse a pugno come se non vedesse l'ora di scatenare la sua ira tempestosa. I capelli neri come la pece, gli occhi marroni come due grosse pozzanghere e un corpo muscolo e atletico furono al centro dell'attenzione. Il cane che lo seguiva sprigionava lo stesso odio dagli occhi come il padrone, e questo non prometteva niente di buono.
-Rilassati, presto avrai la tua vendetta – affermò la chioma scura- Presto avremo la nostra vendetta – concluse. I suoi occhi scintillavano di una luce pazza.
Una risata spaventosa invase tutta la stanza, e tutto scomparve dalla mia vista.

 



 

 

-Si sta svegliando – affermò frenetica una voce. La mia vista era appannata come se qualcuno mi avesse messo un lenzuolo bianco davanti agli occhi. Poi, per fortuna, cominciai a mettere a fuoco un paio di occhi enormi di fronte alla mia faccia. Dei riccioli neri mi facevano solletico al contatto con la pelle, e un odore di biscotti mi travolse il naso.
La figura sventolò una mano davanti ai miei occhi – Ehilà bella addormentata – urlò. Se avessi potuto avere la forza di reagire, gli avrei già lasciando una bella chiazza rossa sulla guancia. Poi mi concentrai sui suoi riccioli e notai delle piccole sporgenze quasi come se fossero.. corna?
-Piantala Grover – sbraitò una seconda voce, sta volta più delicata. Io riuscii a mugugnare un 'dove sono' strozzato prima di riuscire a sedermi eretta sul letto. 
Provavo un dolore lanciante dietro la testa probabilmente a causa della mia caduta. Mi accarezzai il collo per poi rivolgere uno sguardo assassino vero il ragazzo che mi aveva fatto esplodere i timpani.
Alzò le mani in segno di resa – Insomma era un giorno che dormivi, dovevo pur svegliarti prima o poi!- farneticò.
La ragazza dai riccioli biondi lo liquido con la mano – Vai a cercare Percy, digli che  si è svegliata -
-Sissignora- rispose in tono teatrale, e a passetti corti scomparve dietro una tenda. 
L'atmosfera era pesante, e così cominciai a sudare pur essendo il 20 gennaio. Non riuscivo a scavare nella mia mente, i ricordi erano sfocati: un mendicante e un drago. Scacciai subito quel pensiero dalla testa, non esistono né i draghi né i pazzi mendicanti che fermano il taxi e ti costringono a salirci dentro. 
Rivolsi uno sguardo perso alla ragazza dai capelli biondi e lei sembrò subito notare la mia confusione, come se l'avesse provata anche lei in prima persona.
-Lo so come ti senti, credimi – sussurrò complice, poi prese un panno bagnato e me lo posò in testa – Tutti noi lo siamo stati – continuò - Confusi intendo -
Tutti chi? 
Sorrideva rassicurante ma i miei occhi continuavano ad essere pieni di rabbia, rabbia perchè non riuscivo a capire.
-Che scortese che sono – si alzò rimproverandosi – Io mi chiamo Annabeth – finì porgendomi la mano che a stento riuscii ad aggrappare.
Aveva dei lunghi capelli biondi che sembravano essere fatti di paglia e gli occhi grigi che incutevano timore, ma quel giorno sembravano particolarmente dolci.
- Deborah – risposi sotto voce.
Sorrise nuovamente prima di spostare gli occhi sul mio coltello, appoggiato delicatamente su un mezzo-tavolino accanto alla brandina.
- Bell'arma – si complimentò – Ti servirà molto qui al Campo - 
La parola 'campo' mi aprì un varco nella mente, ricordai cosa stavo cercando quella notte: il Campo mezzo-sangue.
Poi mi sentii osservata, come se mille occhi fossero puntati su di me. Se non avessi sconfitto un 'cane nato male' e non fossi stata attaccata da un drago, beh allora non ci avrei mai creduto ma fermo sul ciglio della baracca mi stavano veramente fissando mille occhi messi assieme. 
- Lui è Argo, il guardiano del campo – continuò disinvolta Annabeth, intanto che il signore multi-occhi mi fece un occhiolino, o meglio un po' più di uno.
Non avevo nemmeno più fiato per urlare, fortunatamente.
Rise scostandosi i boccoli – Ti ci abituerai, è un tipo molto sensibile sai? - 
-Non oso immaginare quante inondazioni vi ha causato – riuscii a controbattere.
Annabeth sorrise compiaciuta, forse era contenta che fossi riuscita a formulare una frase di senso compiuto. Raccattò una bevanda azzurra e a forza mi infilò la cannuccia in bocca – Ti farà bene, vedrai che tra un po sarai più nuova di prima- 
Chiusi gli occhi facendomi pervadere da una sensazione di benessere totale, mentre un sapore misto biscotti si impossessò del mio palato. 
Senza rendermene conto, sorseggiai un quantitativo leggermente esagerato.
Annabeth urlò allarmata – Per gli dei, vuoi suicidarti cara? - 
Continuai a guardarla confusa mentre lei porgeva quel che rimaneva della bevanda al tipo 'tutto-occhi' che con un cenno di approvazione uscì dalla baracca.
-Ambrosia, mai sentito parlare?- scossi la testa – Il nettare degli dei, berne un po' ti rimette in sesto, berne troppo ti incenerisce all'instante- 
La fissai allibita, mi sembrava di essere in un covo di matti. Insomma gli dei? Tipi con mille occhi? Dove diamine ero finita?
- Farai l'abitudine pure a questo- finì rassicurante. Ma quello che vedevo era tutt'altro che rassicurante.
Raddrizzai la schiena e mi sedetti eretta sulla brandina mentre con gli occhi scorrevo ogni angolo della stanza. Il muro era di un colore grigio pallido, e appiccicatevi sorgevano varie armature – greche forse? - e delle spade incrociate. Qualche altra brandina si ergeva accanto alla mia, e su degli scaffali di legno erano appoggiate delle erbe, probabilmente curative. 
- Ti porto da una persona, ti spiegherà tutto lui- incalzò riempiendo il silenzio formatosi. Tanto non potevo fare nient'altro che seguirla come un cagnolina. Mi alzai a stento reggendomi al braccio di Annabeth, e per un secondo rimpiansi quella scomoda brandina. La guardavo ammaliata, aveva un aria possente e fiera di sé come io non ero mai stata, aveva qualche piccolo graffio sulle guance ma non le rovinavano la pelle. Quella ragazza possedeva tutto quello che le altre potessero invidiare: sicurezza, bellezza, intelligenza.
Con una mano scostò il velo marrone che mi impediva di guardare oltre e rimasi pietrificata.
Se ci fosse stato 'il telefono azzurro' avrebbe già perquisito e sequestrato tutto. C'erano ragazzini – anche di dodici anni – con un'armatura che pesava più di loro. Maneggiavano con destrezza dei lunghi pezzi di acciaio – spade, lance, coltelli e tutt'altra roba comune insomma – e combattevano tra di loro con un po' troppo entusiasmo. Si sentiva il suono delle spade che si scontravano e si sentiva il risuonare delle frecce che colpivano il bersaglio. 
Ovviamente avevo esaurito le smorfie, e l'unica che mi comparì sulla faccia fu una come 'oh ci risiamo'. Ne avevo abbastanza, di tutto e di tutti.
Girai la testa e riuscii a scorgere il pino dove poche sere prima ero accidentalmente caduta durante una mia battaglia eroica contro un drago. Quella mattina non incuteva paura come invece faceva durante la notte.
Spostai lo sguardo verso un padiglione senza tetto, contornato da candide colonne greche con una dozzina di tavoli da pic-nic di pietra, era vuota ma qualcosa nella mia mente mi diceva che si sarebbe riempita verso l'ora di cena. 
Scrutavo il mondo come se non lo avessi mai visto prima, e dopo essermi chiesta per almeno un centinaio di volte che cosa fosse quel posto, riuscii a farneticare un – Fico- strozzato.
Annabeth mi rivolse un sorriso accompagnato da un – Si, hai ragione – per poi prendermi per mano e trascinarmi in mezzo a quel via vai di ragazzini e ragazzine.
Tutti mi guardavano incuriositi mentre altri parlottavano sottovoce, riuscii a sentire un 'bene, nuovo fagotto per la casa di Ermes, perfetto' seguito da un tonfo, come una gomitata in piena pancia.
Ermes? Quel nome mi suonava famigliare, come se l'avessi già sentito ad una delle noiosissime lezione della signora Bucket, la professoressa di storia.
Sentii un altro commento arrivare dalla parte dove si trovavano delle ragazze vestite alla moda, piene di trucco e che a differenza degli altri non portavano l'armatura. 
-Guarda come è vestita- urlò una. Abbassai lo sguardo verso i miei abiti, e dovetti proprio darle ragione.
Avevo la maglietta strappata che, per fortuna, lasciava in mostra solo la mia pancia. I jeans, che normalmente sarebbero dovuti essere attillati, erano sgualciti e sporchi di fango. Detto tra noi, ero
proprio un disastro.

Annabeth proseguiva imperterrita trascinandomi da una parte all'altra del campo, non dandomi neanche il tempo di controbattere agli insulti di quelle odiose ragazze.
Sulla mia sinistra si erse all'improvviso un enorme casa bianca, che aveva un'aria possente e mi augurai di non entrarci mai. Accanto ad essa si trovava una specie di stalla, ma molto più grande del normale. 
Vidi un ragazzo – sui sedici anni forse- che era stato appena disarcionato da un cavallo, ma poi mi concentrai su delle 'cose' che sporgevano ai lati del garrese.
Alzai il dito verso il cavallo cercando di attirare l'attenzione di Annabeth – Che cosa diamine è quello? - 
Lei rise rumorosamente come se la risposta fosse una delle più ovvie – Un pegaso, Will è da tre giorni che cerca di montarlo – poi ripartì facendomi cenno di seguirla. Non faceva particolarmente caldo, ma sembrava che il clima fosse controllato. 
Schivai il fendente di un giovane alquanto basso e corsi per raggiungere la bionda che aveva un passo decisamente veloce. Mi portò in prossimità di un'arena dalla quale provenivano i rumori degli scontri
tra.. spade? 

Non riuscivo ad esprimere la mia incredulità, diciamo che mi stavo abituando a tali sorprese. 
Chinai la testa ed assieme entrammo all'interno mentre mi giravo costantemente per trovare la fonte di quelli scontri. 
Sul fondo dell'arena deserta c'era un ragazzo che provava delle tecniche di combattimento con un manichino. Era alto, aveva i capelli corti neri e degli occhi color mare nei quali potevi perdertici dentro. Smise di attaccare il pezzo di legno per asciugarsi la fronte imperlata di sudore con la manica della maglia arancione con su scritto 'campo mezzosangue'. Secondo i miei calcoli avrebbe dovuto avere sedici anni, come me insomma. 
Si accorse di noi solo quando li fummo accanto e solo quando Annabeth gli toccò la spalla. Si girò allarmato alzando la spada e mi chiesi come non sentì i passi pesanti della ragazza sulla sabbia, che potevano essere invidiati da un bisonte.
Annabeth era leggermente più alta di lui, ma per i miei canoni di altezza entrambi erano dei grattaceli. Non mi ritengo bassa, ma di media altezza. Non sono mai stata una spilungona, preferisco rimanere piccoletta ma agile. Insomma, sarò anche bassa ma ho un corpo snello che mi permette di correre e fuggire come una volpe.
Fu sorpreso di vedermi in piedi, da quando potei notare dalla sua espressione sconvolta. 
La chioma bionda alzò un sopracciglio sconcertata – Grover non ti ha avvisato vero?- 
Lui scosse la testa senza mai scollarmi gli occhi di dosso per poi rispondere grave -Pensi che Grover riesca a ricordarsi qualcosa di tutto quello che gli ordini?- Annabeth scrollo la chioma bionda e immagino che stesse pensando tutti gli insulti possibili verso il capo di imputazione. 
Riuscii ad intromettermi nella conversazione, mi sentivo completamente tagliata fuori – Grover? E' per caso il ragazzo che mi ha svegliato? - chiesi anche se sapevo già la risposta.
Lui annuì per poi infilare un tappo alla sua spada che si richiuse prendendo la forma di una penna biro. Se la infilò in tasca con nonchalance per poi rivolgermi un sorriso compiaciuto – Io sono Percy Jackson. Figlio di.. ehm.. lasciamo perdere- 
Annabeth rise alla sua affermazione, ma non capii perchè il ragazzo si fosse contenuto.
Lo scrutai dal basso all'alto e poi contraccambiai la presentazione cercando di sfoderare uno dei miei migliori sorrisi – Deborah Miller – finii.
- Le hai già spiegato come funziona qui?- si rivolse ad Annabeth tagliandomi nuovamente fuori dalla conversazione, come se fossi una bambina idiota che non riusciva a parlare. 
Lei tacque ma nonostante questo Percy sembrò aver capito tutto.
-Come immaginavo, l'arduo compito spetta sempre a me- urlò con tono teatrale facendomi ridere lievemente. 
Contraccambiò la risata pur avendo comunque mantenuto la mente altrove, probabilmente stava cercando un modo per spiegarmi che la mia vita,se faceva già schifo così, poteva diventare addirittura peggio.
- Non voglio mettervi fretta, anzi – cominciai prevenuta – ma se centra con il fatto di quelle voci che sento e che mi fanno andare pazza, con gli incubi e con tutto questo- indicai l'intero campo – beh allora preferirei sapere la verità in fretta, grazie- 
Mi fissavano sconvolti, ma almeno ero finalmente riuscita ad attirare la loro considerazione. Penso che Annabeth mi stesse guardando in quel modo per il semplice fatto che le uniche frasi che avevo pronunciato fino ad all'ora erano composte da un massimo di 5 parole.
- Si..ehm.. so come ti senti – pronunciò e si vedeva lontano un miglio che voleva recuperare tempo – Oh si arrivo Clarisse arrivo! - sbraitò dietro le mie spalle – mi dispiace, il dovere chiama- 
Percy scosse la testa insieme a me, Annabeth non era proprio brava a mentire.
Continuavo a guardarmi intorno, e sinceramente mi era passato per la testa di tutto tranne la motivazione vera e propria.
- Ok sembra proprio che dovrò spiegarti tutto io – affermò perso.
Io annuii incerta, tutta quella sospance mi faceva rivoltare lo stomaco. 
Percy mi fece cenno di sedermi sugli spalti dell'arena, come se volesse accertarsi che io non svenissi... ha fatto bene.
- Ok hai mai sentito parlare degli dei greci? - sospirò cercando le parole giuste.
Annuii nuovamente non capendo dove volesse andare a parare.
- Loro esistono ancora – continuò guardandomi fisso negli occhi – ogni tanto vengono sulla terra ed hanno figli con gli umani, i cosiddetti mezzosangue - 
Non capivo il perchè, ma quelle parole non mi sembravano assolutamente nuove. Non riuscivo a spaventarmi o a rimanere sorpresa, come se in fondo in fondo lo sapessi già. 
-Intendi dire che io..? - 
Lui mi mise una mano sulla coscia probabilmente voleva che io immagazzinassi la faccenda in maniera più tranquilla – Tu hai dei deficit di attenzione giusto? Sei impulsiva e grazie a questo in battaglia ti differenzi dagli altri. Sei dislessica giusto? Le parole volteggiano ogni volta che cerchi di decifrarle
giusto? Questo perchè il tuo cervello è impostato sul greco antico. - concluse comprensivo.

Stranamente non riuscivo a trattenere le mille domande che mi frullavano in testa quindi iniziai con l'interrogatorio – Tutti qui siamo mezzosangue?- 
- Tutti, tranne alcuni come Grover. Ci sono satiri, ninfe e altra gente 'strana' – sorrise.
Continuai imperterrita – Tu mi stai dicendo che tutti qui sono figli di un dio o di una dea? - 
- Si, si danno da fare eh? - Partì una risata anche se Percy subito guardò il cielo che si era fatto di un nero
intenso. -Prima regola – proseguì – mai insultare gli dei-.

Non volli contestare. 
- Beh l'hai presa bene no? - sorrise.
Probabilmente ero talmente sconvolta che non riuscivo ad esserlo apertamente.
- Questo è l'unico posto dove i mostri non ci possono attaccare vero?- 
- Proprio così, dimmi un po' era una lei un lui? – 
Odiavo parlare di mia madre, ma Percy mi sembrò una persona particolarmente sincera.
- Una lei, non l'ho mai conosciuta –
– Per tutti noi è stato così, nessuno di noi ha conosciuto la propria parte divina, loro non possono farsi
riconoscere dai figli, dopo la nostra nascita se ne devono andare-

- Ma che diavolo di regola è questa? - urlai 
- E' nata grazie a mio padre, purtroppo. Mi dispiace per tutti i semidei che non possono conoscere le loro
madri o i loro padri, mi sento completamente colpevole. - chinò il capo e mi sentii profondamente in colpa per aver toccato un tasto così dolente.

- Aspetta un po' tu hai sedici anni giusto? - 
- Quasi, li compio fra 10 giorni - 
-Non capisco- parlava tra sé e sé – com'è possibile? - lo guardai confusa.
- Tu, dovresti essere già stata riconosciuta, questa cosa non promette niente di buono- finì il discorso che
venne seguito da un tuono il quale invase il cielo.


 



Buonaseraa

Com'è andata da Pasqua? Io sto ancora cercando di digerire tutte le uova di cioccolato. Bene, nonostante sia stata via tutto il giorno sono riuscita a scrivere questo capitolo. è lungo si, lo so.
Spero però che vi piaccia, ovviamente dopo di questo cominceranno ad essere più.. eroici? Ma prima dovevo pur sempre far scoprire a Deborah la verità no?
Ditemi che ne pensate, vi saluto.
Alla prossima.



 



Personaggi


Deborah                     Percy                     Annabeth                     Leo                         Piper        



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Capitolo 4
*** «Leo Valdez, figlio di Efesto» ***





Apachtheís ~ Rapita

(4)

«Leo Valdez,figlio di Efesto»



Me ne stavo serenamente seduta in riva al mare.
L'incontro con Percy era stato.. come dire strano?
Tutti sembravano conoscersi alla perfezione e tutti si sembravano sentire al proprio agio nel Campo. Sarà per il fatto che ero arrivata da meno di 24 ore ma mi sentivo terribilmente fuori posto. Guardai oltre l'orizzonte e un leggero venticello mi fece rabbrividire la parte scoperta della mia pancia e delle mie gambe. No, non avevo nessuna voglia di alzarmi e andarmi a cambiare. Ero stanca, a ogni minimo movimento sembrava che i miei muscoli stessero per rompersi.. e da una pronta combattente come dovevo essere non era affatto una cosa buona.
Il sole stava tramontando ma la luna continuava a non voler sorgere.
- E' da un paio di giorni che non la vediamo -
Un ragazzo dai riccioli scuri si sedette sulla sabbia accanto a me. Incurvai le sopracciglia in una smorfia interrogativa.
- La luna, non sorge da parecchio tempo. Chirone dice che..- lo interruppi bruscamente.
- Chi sarebbe Chirone?-
- Lui è il capitano,se così si puo' dire, del campo .. a proposito non l'hai ancora incontrato?- mi chiese accendendo i suoi occhi cioccolato.
Scossi la testa, in realtà omisi un particolare irrilevante ovvero ero scappata poco prima che Percy mi portasse da lui.
Continuava a blaterale su un problema legato al mio 'riconoscimento' e sulla scomparsa della luna. Non ce la facevo più a digerire tutte quelle notizie così decisi di allontanarmi
furtivamente mentre Percy chiacchierava con un certo Trevis.

- Beh è meglio che ti ci accompagni.- sorrise prima di alzarsi e porgermi la mano.
Ci incamminammo schivando qualche satiro nevrotico e mi sembrò di intravedere Grover che mangiava qualche fragola.
- Senti, come facevi a sapere che non avevo ancora incontrato Orione?- il ragazzo rise – Chirone, non Orione-
Non capii il perchè ma quel nome mi uscì spontaneamente dalla bocca.
- Comunque, tutti sanno del tuo arrivo.. hai fatto preoccupare metà campo-
Girai la testa come i cani – Preoccupare? -
- Certo, fortunatamente Percy ti ha trovato - continuò mentre giocherellava con un cacciavite.
- Percy? È stato lui a trovarmi.. mezza-svenuta? - non immaginai all'orrore che dovette assistere quel povero ragazzo.
Lui annuì – tranquilla non eri poi messa così male – rispose leggendomi praticamente nel pensiero.
Divenni rossa, ma molto probabilmente per il calore che emanava mister cacciavite.
- Leo, Leo Valdez figlio di Efesto – ruppe il silenzio presentandosi.
- Deborah Miller, figlia di..ehm.. sorvoliamo- mi incupii
- Rilassati sono sicuro che la tua parte divina ti riconoscerà stasera al falò- mi rassicurò e devo proprio dire che funzionò.
Gli sorrisi prima di schiantarmi contro il cosiddetto sedere di un cavallo.
- Ops...scusi.. io non volevo finirle addosso – cominciai ad urlare allarmata prima di accorgermi di star parlando con il didietro di uno stallone.
Leo trattenne una risata ma si irrigidì prima che il cavallo si girasse, mettendo in vista un busto da uomo sulla sessantina.
-Un centauro- mugugnai a bassa voce, le lezioni di storia erano servite a qualcosa a quanto pare.
L'uomo-cavallo mi sorrise pur preservando un tono severo – Eccome cara, tu devi essere Deborah giusto?-
La gola mi diventò secca in un baleno, poi mi sbloccai e annuii.
- Tu lo sai che hai fatto scannare, è così che si dice?, Percy -
Sudai freddo quell'uomo mi trasmetteva ansia – M-mi dispiace signore non era mia intenzione far smuovere tutti per..-
Mi liquidò con una mano – Chiamami Chirone -
Quel mezzo-cavallo era Chirone? A quanto pare si, doppiamente sconvolta.
Leo si intromise nel discorso – è stata colpa mia Chirone, l'avevo scambiata per Piper e l'ho trascinata nelle scuderie sperando mi aiutasse a tirar fuori .. -
Chirone non se la bevve per niente – Valdez,vai -
Non se lo fece ripetere due volte, Leo sparì facendomi segno di star tranquilla.
- Vieni tra poco inizierà il falò -
Spalancai la bocca – Ma lei non era arrabbiato con me?-
-Ti sbagli, sono giorni che ti tengo d'occhio.. il tuo arrivo al campo non promette bene -
- Che bel benvenuto – farfugliai sarcastica.
- Spero che tua madre ti riconosca stasera, forse riuscirò togliermi tutti i miei dubbi.
 

 

Ero seduta sul tavolo della casa di Hermes, tutti i suoi figli avevano qualche somiglianza con il mendicante che avevo incontrato qualche sera prima. Non tutti però erano la sua prole, alcuni come me erano passeggeri. Noi eravamo chiamati i 'non riconosciuti' e odiavo essere chiamata con quel nomignolo.
La chiacchierata con Chirone mi mise ancora più di irrequietezza ma fortunatamente durò meno del previsto.
Avevo incontrato Annabeth mentre cercavo alla cieca la cosiddetta mensa che mi aveva accompagnato alla meta con molta facilità.
Stranamente cominciai ad orientarmi un po' di più.
Era buio, la luna non c'era ancora e l'unica luce che illuminava la mensa era quella del falò. Un fuoco che cambiava colore in base alla felicità della folla riscaldava l'atmosfera. Alcuni della tavolata si alzavano per offrire il pasto alle fiamme invocando il loro padre o madre divina.
Io lanciai un carota cruda nel fuoco - si avevo poca fame quella sera – bisbigliando un 'ti prego mamma fatti viva almeno ora'.
La mattina, quando rinvenni, non mi chiesi di chi fosse figlia Annabeth ma poi lo scoprii vedendola seduta nel tavolo di Atena.
Percy se ne stava seduto da solo al tavolo di Poseidone.
Poseidone, il dio del mare. Ricordai il discorso che ebbi con il ragazzo dagli occhi azzurri, era colpa di suo padre se noi altri non potevamo incontrare la nostra parte divina. Non riuscivo a farmelo pesare però, quel ragazzo doveva portarsi un fardello pesante.
Leo rideva al tavolo dei figli di Efesto, tutti ragazzi con una corporatura massiccia e con la faccia sporca di fuliggine. Io non avevo socializzato con nessuno, non ne sentivo il bisogno.
Chirone si alzò dal tavolino dove era seduto anche un altro uomo e sbatté uno zoccolo sulla pietra.
Una voce biascicò al mio orecchio – Tranquilla, ora ti presenterà agli altri niente di che- era Leo che si era prodigato di alzarsi per venirmi a fare compagnia. Gli sorrisi a mia volta per poi
posare gli occhi sull'uomo-cavallo.

- Come voi sapete è giunta al campo un'altra semidea sana e salva- un urlò di consenso si diffuse dalla platea.
Trattenni una risata – Lo so, sembrano scimmioni fanno sempre così- proseguì Leo.
- A proposito, se dovesse comparirti un coso sopra la testa non preoccuparti, è la prassi- finì Leo prima di tornarsene a sedere.
Mi sentii confusa, che coso?
- Deborah avvicinati- sbraitò Chirone con tono teatrale. Le ragazze del tavolo di Afrodite cominciarono a spettegolare nuovamente, come volevasi dimostrare non mi ero ancora cambiata.
- Lei passerà la notte nella casa undici, qualcuno vuole obiettare?- nessuno rispose -Bene mi sembra perfetto-
Quale sano di mente si sarebbe ribellato alla sua decisione? Io.
- Scusate se mi intrometto ma non voglio causare disturbo per la casa undici, potrei sistemarmi sulla spiaggia, io dormo meglio sotto il cielo stellato -
La casa di Afrodite rise e sentii dei commenti come 'sulla sabbia? Che stracciona'
Un ragazzo della casa di Hermes si alzò in piedi -effettivamente non sarebbe una cattiva idea, c'è poco spazio e non so se potremmo ospitare un'altra mezzosangue-
Chirone sbuffò irritato – Non è una scelta, è un obbligo cari non vorrete davvero lasciare dormire una ragazza fuori spero?-
Si sentii soltanto il gracidare dei grilli.
- Chirone lei non ci sta'- urlò nuovamente un' altro ragazzo – Non abbiamo più letti-
L'uomo stava cominciando a stancarsi.
Subito Leo si alzò dalla sua tavolata – Potrebbe venire a stare nella casa di Efesto per questa notte-
Chirone urlò -Sciocchezze! Questa è una cosa improponibile Valdez-
Il ragazzo controbattè – Allora le farò compagnia sulla spiaggia, non può stare sola-
Io scossi la testa – Non serve, non preoccupatevi per me, so badare a me stessa-
Una risata invase la mensa e la tavola di Ares urlò -si è visto, sei riuscita a svenire davanti a un drago per giunta buono-
Mi sentivo più derisa di quando i miei compagni di classe mi rinfacciavano il fatto che non avevo un genitore.
Il suono di un altro zoccolo premuto sul pavimento fece cessare le perfide risate.
- Va bene, ma solo per questa notte-
Leo mi sorrise annuendo con la testa, almeno mi avrebbe fatto ridere un po'.


 

Ero seduta sulla spiaggia con Leo al mio fianco. Fortunatamente si era preoccupato di portarmi un telo sul quale potevamo dormire tranquilli.
Pensavo a mio padre, gli mancavo?
- Ho portato i marshmellows- urlò Percy entusiasta sedendosi sull'altra coperta. Leo aveva allestito un piccolo fuocherello per poterci scaldare, ma non volli chiederli come avesse fatto.
Anche Percy aveva aderito alla causa 'aiutiamo Deborah a passare la notte illesa' e insieme a lui anche Annabeth.
- Non capisco come i fratelli Stoll abbiano potuto sfrattarti – borbottava lei nervosa. Effettivamente era stato un gesto poco carino.
- Non preoccuparti Annabeth, starò meglio con voi che con loro- mi sorrisero tutti e tre.
- Avevo chiesto anche a Piper se voleva venire ma sai, come capogruppo della casa di Afrodite non può assentarsi- finì Leo arrostendo un marshmellow nel fuoco.
Le figlie di Afrodite non mi stavano parecchio simpatiche.
Alzai gli occhi al cielo e mi concentrai su una stella. La guardai intensamente, cercando di ricordare il perchè essa mi sembrasse tanto famigliare, ma poi la luce che emanava cominciò ad
aumentare progressivamente a tal punto da farmi bollire i bulbi oculari.

Mi coprii gli occhi con le mani prima che la luce mi circondò completamente e tirai un urlo prima di cadere sulla sabbia.


Leo Percy e Annabeth cercavano di rianimarmi scuotendomi per le spalle, tutti i ragazzi del campo erano accorsi probabilmente il mio urlo fu talmente acuto da sveglierai tutti.
- Deborah riprenditi- urlò la ragazza dai capelli biondi.
Non cadere nella trappola figliola, è quello che vuole lui sussurrò una voce soave della mia testa.
Mi premetti la testa prima di tirarmi in piedi, un cavallo passò in mezzo ai ragazzi accorsi.
- Che succede qui? - chiese il centauro.
Tutti guardavano un punto fisso sulla mia testa sconvolti. Avevano la bocca aperta e la casa di Apollo scuoteva la testa incredula.
Mi girai verso Leo e Percy che erano anche loro allarmati.
Mi specchiai nell'acqua che era ricorsa sulla sabbia. Avevo un arco che mi volteggiava sopra il capo, un arco argentato.
- I miei dubbi avevano un movente allora – rifletté Chirone.
Percy alzò le braccia – Non è possibile, non ha senso lei è vergine -
Chirone annuì – Lo era-
- Ave figlia di Artemide dea della caccia e della luna-


 


 

Buonaseraa

Non uccidetemi, vengo in pace. 

Mi dispiace un casino, non ho aggiornato per moolto tempo, tre mesi? 
Non basterebbero venti pagine per descrivervi quanto mi sento in colpa; ma ehi, io sono qui. 
Non vi abbandonerò più promesso haha. 
Fatto sta che spero che il nuovo capitolo, che avevo pronto da tanto tempo, vi piaccia.
Confido in una recensione :)
Alla prossima, 
un bacio


Personaggi


Deborah                     Percy                     Annabeth                     Leo                         Piper        



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Capitolo 5
*** Promemoria:Stare lontana dalla prole di Ares ***



 

Apachtheís ~ Rapita


(5)


Promemoria: stare lontana dalla prole di Ares


 

Posso decisamente dire tutti al campo erano traumatizzati.
Insomma, una dea che è venerata – oltre per essere abile nella caccia e protettrice della luna – per essere la dea delle vergini, ora si ritrovava con una figlia.
Ambiguo no?
Quella sera Chirone aveva fatto rientrare tutti i curiosi nelle proprie case, ma erano talmente in trans che accettarono l'ordine del centauro senza obiettare. Percy Annabeth e Leo si erano ripromessi di non accennare all'argomento in modo che io potessi passare la notte tranquilla. Ovviamente nonostante questo, non riuscivo ad addormentarmi- oltre al fatto che avevo il gomito di Leo impiantato nelle costole.
Mi ero alzata traballante per fare un giro sulla spiaggia, anche se l'unica luce che illuminava la strada era quella delle torce conficcate nel terreno. Sì, sentivo che la scomparsa della luna
centrava qualcosa con me e mia madre.

Ovviamente sapevo che era stata una serata pesante, non solo per me.
Mentre ero impegnata a scavalcare il corpo Annabeth che se ne stava a pancia in giù sulla sabbia bagnata, sentii una mano sfiorarmi la spalla..scoperta. Insomma avevo già detto che mi
scocciava togliermi la maglia strappata, era la mia preferita d'altronde.

- Percy tu non dovresti dormire? - sussurrai allarmata.
- Potrei farti la stessa domanda- rispose poco prima di seguirmi.
- Se sono stata io, mi dispiace averti urtato.. non avevo proprio visto il tuo braccio-
Rise compiaciuto – No, solo che non riuscivo a prendere sonno-
Annuii comprensiva, la luce dei fari illuminava solo in parte la faccia di Percy.
Gli zigomi chiari e gli occhi verdi.
- Sono un errore, vero? - chiesi di punto-in-bianco, odiavo avere i peli sulla lingua sputavo fuori qualsiasi mio sentimento.
Non ho mai pensato che questo potesse essere simbolo di debolezza.
Accennò un sorriso – Perchè dovresti esserlo? -
Chinai la testa, in quel momento adoravo la vista delle mie converse bianche al posto di quel sorriso così tanto imbarazzante.
-Oh dai – esordii a bassa voce – Dea della verginita! A meno che io sia una immacolata concezione credo proprio di essere un errore -
Mi zittì con una sola occhiataccia – Senza offesa, che cosa cambierebbe questo? Sei qui, sei nata, e penso che tu sia l'errore più bello che sia stato commesso -
Ok, ad essere sinceri non sapevo se prenderlo come un complimento, così – nel dubbio – cambiai argomento appena la mia faccia prese fuoco.

 

 

 

Parai il fendente con la mia spada/coltello. Avevo scoperto che premendo il simbolo di un cervo inciso sulla lama, essa si allungava pericolosamente.
Percy mi ripeteva che era strano vedere una figlia di Artemide usare una spada anziché l'arco e la freccia, ma io sono sempre stata anticonformista.
- Più veloce Deborah!- urlava il figlio di Poseidone saltandomi attorno.
Io schivai tutti gli attacchi per poi riuscire a menare un affondo disarmandolo.
- Per gli dei, mica male. Ma c'è da lavorare-
Abbassai la spada, come fece Percy.
Avevo la fronte bagnata, e l'armatura pesava un sacco.
Portavo dei jeans, finalmente puliti, e la maglia del Campo.
Vidi un ragazzo ricciolino correre verso di noi – Vi ho portato dell'acqua, ragazzi vi conviene fare una pausa se non volete morire disidratati-
Io scossi la testa.
- Ah beh, ne riparleremo tra un ora.. miss. Testa dura – finì portandomi il muso, ma io risi. Cominciò a spettinarmi i capelli corvini facendomi diventare un'istrice.
Poi scappò vedendomi diventare rossa dalla rabbia.
- Mi vendicherò, Valdez – urlai facendo sbellicare Percy.
Mi girai verso di lui – E con te sarò ancora più perfida, Jackson-
Non incutevo proprio paura, ma proprio zero.
Poi una ragazza con la pelle un po' più scura della mia – devo dire che non ci si mette tanto a essere più abbronzate di me, data la mia carnagione pallida – venne a sbattere contro di me
facendomi tossire per la botta.

- Oh mi dispiace – urlò allarmata.
Mugugnai un 'tutto a posto' e notai che il suo volto si rilassò.
- Muovetevi ragazzi, Chirone ha qualcosa di molto importante da dirci- sbraitò prima di allontanarsi.
Guardai Percy come a chiederli spiegazioni ma lui fece spallucce e mi trascinò fino alla mensa.
Chirone se ne stava immobile con accanto un'altro uomo, come se stesse aspettando qualcuno prima di iniziare a parlare. Poi puntò gli occhi tra la folla, notando me e Percy che correvamo
vicino agli spalti più alti.

- Ebbene, cari semidei, è successo un fatto gravissimo – iniziò il centauro. Intanto avevo già trovato posto accanto a Annabeth che ci aspettava ansiosa.
Gli occhi dell'uomo-cavallo mi mettevano irrequietezza, sapevo che stesse per dire qualcosa che avrebbe cambiato il corso del mio destino – Una dea è scomparsa, e con lei anche le sue
prodi servitrici.-

Ci fu un boato corale.
Un ragazzo dallo spalto più basso urlò – Intende dire Artemide?-
Un'altro boato.
Chirone sbatté lo zoccolo a terra – Silenzio- sbraitò. Inizialmente ero preoccupata, insomma ok che non avevo mai visto mia madre.. ma alla fin fine è stata lei a darmi la vita, se questo
fosse positivo.

Alcuni ragazzi sugli spalti sottostanti si erano placati, ma ovviamente la prole di Ares non era molto pacifica. Avevo già capito che mi avrebbe dato filo da torcere, forse anche un gomitolo.
L'uomo-stallone (rinnoviamoci no?) proseguì con gli occhi pieni di rabbia per quelle povere teste vuote che stavano ancora borbottando – Sì, miei Greci. Artemide è stata rapita. -
Mi venne un colpo al cuore, sentivo che era tutto collegato.. collegato con quella stella, quella costellazione così famigliare.
Intanto una ragazza prese piede nella folla – Io dico che è stata quella nuova arrivata, è stata lei a rapirla- suppongo che non si rendesse conto di cosa andava farneticando. E come volevasi dimostrare, di che era figlia? Ares, ovvio.
Scoppiai in una risata, più nevrotica che sarcastica, mentre Annabeth mi invitava a non ascoltarla. L'impulso di reagire era tale che mi alzai subito in piedi facendomi puntare tutti gli occhi
addosso – Credo che tu abbia perso il senno della ragione, sempre che tu ce l'abbia mai avuto -

Pensai subito che la mia freddura fosse alquanto pessima, eppure scoppiò una risata collettiva.
La ragazza dai lunghi capelli castani, e che aveva una grossa stazza (simile a un troll) serrò la mascella indignata – Dovresti aver paura di me, cara ragazza -
- Perchè? Perchè il tuo paparino è il dio della guerra? Ma per favore- risposi con sufficienza. Si zittirono tutti, quella era pesante lo ammetto.
L'unico che sembrava soddisfatto della mia risposta era Percy, mi aveva raccontato che aveva avuto la meglio su Mister. Guerriero e che non scorreva buon sangue tra di loro.
Diversi ragazzi portarono le mani in alto, appena un fulmine si ripercosse nel cielo. Avevo la certezza che non avrei avuto buoni rapporti con il dio della guerra.
Chirone, con un solo gong, ci fece zittire entrambe.
Ma io, come ho sempre fatto, continuai nella mia pacifica chiacchierata – Mi scusi ma come ha fatto a sapere che..ehm.. mia madre è stata rapita?-
- Apollo è venuto al campo-
Ci fu un urlo sconvolto di massa, credo che non sia mai successo che un dio entrasse personalmente in quel posto.
Annabeth mi continuava a strattonare per farmi sedere composta, ma io preferivo stagliarmi sugli altri e discuterne con Chirone.
- Mi ha detto che le Cacciatrici sono scomparse, e con loro anche la dea- continuò interrogativo. Io scossi la testa alla domanda, sapevo che cosa mi stava chiedendo mentalmente.. se
c'entravo qualcosa.

Si strinse nelle spalle – Ebbene sarà compito nostro trovarle-
Un ragazzo bruno si alzò – Perchè non la rintracciano gli altri dei?-
Poi l'uomo accanto a lui finalmente parlò, mettendo in mostra una voce impastata – Misericordia che domande! Ragazzo, tu hai idea di quante cose gli dei devono occuparsi?-
Percy si avvicinò al mio orecchio sussurrandomi – Dionisio-
Ora ricordavo, Dionisio era il dio del vino no? Cosa ci faceva in un campo pieno di marmocchi? Sinceramente, che vita crudele.
Mi stiracchiai, i muscoli intorpiditi cominciavano a far male, insomma prima che scoprissi che 'combattere era la mia vita' era già tanto se facevo un'ora settimanale di ginnastica.
Ricapitolando: mia madre era stata rapita, con lei anche delle certe Cacciatrici, e gli dei non si prodigavano nemmeno di andarla a cercare. Quindi ovviamente il compito ricadeva su dei
ragazzi inesperti che potevano rischiarci la pelle. Perfetto.

Scostai i capelli che mi erano ricaduti sulla fronte prima di squadrare Chirone. Lui sapeva qualcosa, me lo sentivo. Portava l'arco agganciato alla schiena, e tamburellava le dita sopra un
tavolo basso. Notavo il suo nervosismo, tipico di chi si teneva dentro un segreto tremendamente importante.

Poi mi concentrai su dei ricordi legati a mia madre. Ma niente, non avevo in mente niente tranne la sua voce soave nei miei sogni. Mi rassicurava ogni volta che stavo male, mi dava consigli nei momenti di difficoltà. Mio padre d'altro canto non mi aveva mai detto niente sulla mamma, ogni volta che trovavo il coraggio di chiederli qualcosa, lui finiva per rintanarsi nel suo studio a bere.
Poi un tono grave e ovattato mi spazzò via la concentrazione. Nella mia mente risuonò una voce gelida, profonda e completamente piatta 'Ti aspetto cara'. Un brivido mi si ripercosse su tutta a schiena facendomi sussultare.
Il vuoto. Non sentii più niente, era come se il mio cervello fosse stato sotto il controllo di qualcuno. Ma in seguito nulla, solo il silenzio, un atroce silenzio.
Ero l'unica rimasta ancora in piedi, dunque l'unica che aveva addosso gli sguardi di tutti. Mi fissavano come se avessero notato il mio conflitto interiore.
Mi guardavano spaventati, ma continuavo a non capirne il perchè.
Mi voltai verso Annabeth, la ciocca grigia che le ricadeva sulla guancia sembrava diventare ancora più grigia. Era allarmata da chi? Da me.
Mi sforzai di girarmi dalla parte di Percy. Era perso, cercava un appiglio che non c'era.
Chirone annuiva, Dionisio beveva Diet Coke come se non fosse successo nulla.
Cercai Leo con lo sguardo, giù nei piani bassi.
Giocherellava con una vite nervoso, finché essa non gli volò dalle mani.
Urlai spaccando in due il silenzio – Che cosa succede?-
Percy riuscì a parlare, con tono fievole:

'In cinque partiranno,
i fari seguiranno,
un'antica vendetta salderanno,
alle radici una grande scelta compiranno.'

Trattenni un gridolino con la mano, sentii un'altro brivido percorrermi la schiena.
Poi riuscii a stapparmi la bocca che sembrava cucita – Che cosa hai detto?-
- Una profezia. Ma non l'ho detta io, Deborah, l'hai appena detta tu-
 



 



Buonaseraa

Eccomi tornata tra voi, devo dire che è passato un mese dall'ultimo aggiornamento ma ho 
avuto problemi di famiglia seri, e con essi anche la perdita di una persona a me molto cara.
La voglia di scrivere e la voglia di ideare un nuovo capitolo era completamente sparita, 
ma - appunto - dopo un mese sono riuscita a 'sbloccare' la mia mente e a dedicarmi alla storia,
sono sicura che questa persona sarebbe fiera di questo racconto, anche perchè lei lo aveva letto e lo
aveva apprezzato molto. 
Non rattristiamoci.
L'importante è che io l'abbia scritto e che ora voi possiate leggerlo.
Confido in una vostra recensione, positiva o negativa che sia :)

Alla prossima, 
un bacio


Personaggi


Deborah                     Percy                     Annabeth                     Leo                         Piper        



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Capitolo 6
*** Fondo il gruppo 'Abbasso Piper' ***


 

  

 


Apachtheís ~ Rapita


(6)


Fondo il gruppo "Abbasso Piper"

 

Sentivo che la terra mi era letteralmente caduta sotto i piedi, sentivo che l'aria era diventata tutto fuorché respirabile, e sentivo una forte consapevolezza di essere un peso, un fardello e una portatrice di guai.
A forza di stringere i pugni percepivo il dolore delle mie unghie conficcate nei palmi.
In fondo mia nonna aveva ragione 'Deborah ovunque andrai sarai sempre di troppo, sarai sempre un errore, sarai sempre un danno'. Mi sembra ancora di vederla pronunciare quella frase mentre scrostava l'olio dalle pentole. Quella sua faccia dura, quei suoi lineamenti spigolosi, quel suo sguardo oppressore e quella bocca rigida come un fil di ferro.
Cercavo di non crederci, cercavo di auto convincermi che tutte le cose che mi accadevano erano soltanto coincidenze, brutti scherzi del
destino. Ma da quando avevo scoperto 
cosa ero veramente, tutto era sprofondato in un burrone trascinandosi con lui tutte le mie
consapevolezze.

- Finiscila di torturati.- Mi alzai di scatto, notando una figura a pochi metri da me.
Percy se ne stava seduto sopra un tronco di legno caduto, con le mani che scorrevano sopra la lama di Anaklusmos.
Spostai gli occhi nuovamente sul lago – Non puoi capire -
Il ragazzo alzò lo sguardo prima di risistemare la spada nel fodero e alzarsi – Io capisco eccome, Deborah - aveva le iridi colme di
preoccupazione, ed era certamente ancora scosso per quello che era successo due ore prima.

- Percy tu sei il più acclamato al campo, tu sei un leder, tu sai quello che fai e qualsiasi cosa provi ti riesce bene. E io? Io cosa sono? La
sfigata del campo, odiata da tutti per via di mia madre, non me ne riesce una giusta, la mia vita è una schifezza-

Lui mi strattonò il braccio cercando di zittirmi. - Tu davvero credi che quando sono arrivato qui ero preso di buon occhio? Ci sono voluti cinque anni per mostrare agli altri cosa sapevo fare.Ci sono voluti dolori, lacrime, sudore e fatica per essere quello che sono-
Levai il polso dalla sua presa –Sono finita in una cosa più grande di me, e non sono sicura di riuscire a portarla a termine-
Sentii il suo sguardo spostarsi su tutto il mio corpo, preoccupato, compiaciuto – Nessuno è mai pronto, nessuno sa di esserlo finchè i suoi muscoli non sentono l'adrenalina, finchè essi non fanno quello per cui sono destinati a fare: combattere-
Mi gettai a terra come un peso morto – Combattere? Non ho nemmeno il coraggio di uccidere una formica -
Rise – Per sopravvivenza saresti disposta a uccidere chiunque-
- Questo è egoismo-
Mi accarezzò la chioma corvina – Questa è vita -
 

 

Il tamburellare delle dita sul tavolo era snervante, sentivo il desiderio di alzarmi e correre via. Ma che razza di figlia provetta sarei stata se me la fossi svignata?
Il ghepardo appeso al muro mi fissava con quei suoi occhi vitrei ma allo stesso tempo così pieni di vita, ed questo era un altro motivo per
scappare.

- Bisogna incentivare un'impresa – sbraitò l'uomo cavallo. La sua voce era cupa, piena di risentimento, e così decisa che vidi traballare il bicchiere di vino rosso poggiato accanto ad Annabeth.
- Per gli dei Chirone, ne ho abbastanza che questo Peter Johnson se ne vada in giro per il mondo a fare l'eroe di turno- incalzò Dionisio.
Il ragazzo sbuffò – Percy Jackson-
- è uguale- il dio lo liquidò con la mano prima di portarsi il bicchiere di vino alla bocca. Purtroppo per lui esso continuava a trasformarsi in Diet Coke. Imprecò e se ne uscì dalla stanza.
Chirone accennò un sorriso sghembo - Non badate a lui, sapete com'è fatto -
Avevo un forte dolore al cuore, come se una pressa mi stesse schiacciando le arterie.
Quel sorriso, era così tanto familiare.
Il ragazzo dagli occhi color mare si alzò soddisfatto – Quando si parte? -
- Vacci piano Percy, non sono nemmeno tanto sicuro che tu debba partire-
Si girò irritato.
Mi intromisi bruscamente facendo ricadere tutti gli occhi dei presenti su di me – Andrò io, e nessun altro, non si discute-
Annabeth rise come se la mia fosse una barzelletta penosa – Deborah ti farebbero fuori in meno di un secondo-
La fulminai con lo sguardo, lo sapevo anche io che non ero né una combattente e né possedevo dei muscoli possenti.. ma ero furba, e molto astuta.
La ragazza accanto a me, che non apriva bocca dall'inzio della seduta, si chinò sul tavolo – In cinque partiranno, non credo che tu faccia per cinque no? -
Pronunciò la frase quasi con disprezzo prima di risedersi comodamente nella sua seduta.
- Piper, capisco che tu stia male per Jason, ma questo non ti autorizza a scimmiottare Deborah- cominciò Annabeth appoggiandole una mano sulla spalla,complice .Questa era un'ultima certezza, tutti qui si conoscevano bene e io ero l'intrusa che spezzava la catena.
La ragazza cheeroke sbuffò prima di tornare a mordicchiarsi le unghie già rosse di sangue.
Chirone osservò la scena impettito – Non manderò cinque dei miei più bravi guerrieri al macello -
- Quattro- lo corressi beccandomi un'occhiataccia da Leo che se ne stava in fondo alla stanza con un cacciavite. Lo ingnorai – dovrà farlo, mia madre è in pericolo e lei lo sa bene-
Mi fissò con aria di sfida – potranno occuparsene gli altri -
- Gli altri chi? Intende dire gli altri dei dell'olimpo che non si sono nemmeno accorti che è scomparsa? Intende dire gli altri dei dell'olimpo che preferirebbero porre fine alla loro
immortale vita che aiutare qualcuno? Intende
 quelli?-
Annabeth rimase sconvolta e con lei anche Percy – Tosta la ragazza- buffocchiò Piper.
Chirone non sembrava arrabbiato anzi soddisfatto – No, intendo dire altri mezzosangueDopotutto non avevi paura, Deborah?-
Mi alzai di scatto facendo cadere la sedia dietro di me – Si tratta di mia madre, non saranno gli altri ad occuparsi di un mio compito. Ha ragione, ho avuto paura ma ho anche avuto una notte per ragionare e metabolizzare. Non mi interessa se lei non mi darà l'autorizzazione per partire, io ci andrò e non potrà fare nulla per fermarmi.


 

Presi l'unica cosa che avevo al campo, una giacca. Scrutai per l'ultima volta la casa di Artemide, era difficile ammetterlo però malgrado tutto mi sarebbe mancata.
Quei suoi soffitti lucenti, che la notte ti teletrasportavano tra le costellazioni e quel suo letto che sembrava essere adagiati su una nuvola.
Amavo stare ore e ore stesa sulla trapunta a ragionare, a pensare. Adoravo immaginare mia madre, avrebbe avuto i miei stessi capelli corvini? Avrebbe avuto il mio stesso carattere
cocciuto e testardo? Ma la domanda che mi ponevo più frequentemente era: mi avrebbe voluto bene?

Alzai la mano in un saluto grezzo prima di chiudere con riluttanza la porta. Il rumore delle foglie mosse dal vento era l'unico suono che riecheggiava tra le case delle divinità. Il profumo delle fragole mi pizzicò il naso facendomi rimanere immobile inebriata. Se non fosse stato per l' inquietudine trasmessa dalla casa di Ade non sarei riuscita a muovermi.
La lama di Katagidaera così che mia madre nominava il coltello in uno dei miei sogni- mi pizzicava la coscia, e il lo scudo agganciato dietro la schiena mi rendeva più faticosa la salita.
Giunta sulla più alta delle colline mi concedetti un attimo di riposo. Volevo guardare il campo un ultima volta, prima di scappare.
Studiai a lungo la distesa di campi sotto di me, scrutai l'arena dove trascorrevo ogni giorno ad allenarmi da quando ero arrivata. Un vento pungente mi fece rabbrividire, e per un
attimo rimpiansi il mio caro piumone argento.

Gli occhi cominciarono ad appannarsi ma non potevo permettermi di piangere, dovevo fare la dura anche se non mi riusciva. Non sapevo come avrei fatto a raggiungere mia madre, non sapevo nemmeno dove andare a cercarla ma cosa avrei potuto fare? Chirone non mi avrebbe permesso di partire. Non avrei rinunciato a salvare mia madre, non l'avrei persa di nuovo.
Raccolsi un sasso per poi mettermelo in tasca, un ricordo di casa.
Feci per scendere dall'altipiano ma fui fermata da un rapido scricchiolio,simile a radici che si rompevano, come se qualcuno ci stesse camminando sopra.
Portai una mano sulla mia caviglia, e con uno scatto estrassi Katagida alzandola a mò di difesa. Schiacciai la forma raffigurante un cervo dalle lunghe corna incisa sulla lama ed essa si allungò diventando una spada.
Con sorpresa non c'era nessuno, nessun essere vivente. Solo un forte e gelido vento.
Sospirai per permettere al cuore di interrompere la sua maratona.
Una voce familiare pronunciò grave – Cosa hai intenzione di fare, fuggiasca?
Menai la spada in preda all'ansia ma Leo la agguantò e l'abbasso con nonchalance.
Davanti a me si ergevano due figure: un'alta e l'altra leggermente più bassa.
- Mi avete seguito? - Serrai la mandibole impettita.
Percy aveva un'aria severa mentre Leo era diventato rosso – Non esattamente -
Incurvai un sopracciglio per poi strattonare l'elsa della spada e rifoderarla in forma di coltello. - Me ne stavo seduto in riva al mare, ti ho visto scalare con molto poca agilità la collina e
ho avvertito gli altri – disse Percy.

Gridai indignata – Gli altri?
Due figure snelle fecero capolino da dietro i due ragazzi. I miei occhi si ridussero a due sottili fessure – Oh perfetto, c'è anche miss perfezione – mugnai a bassa voce, o almeno pensai
di farlo.

- Ti ho sentito – cantilenò Piper.
Meglio avrei voluto rispondere ma mi limitai a dire – Mi sarei preoccupata se non l'avessi fatto -
Annabeth si aggiustò la maglia sporca di fango e rispose – Finitela voi due, piuttosto dove stavi cercando di andare, Deborah? - tutti quanti mossero la testa in acconsenziente rivolgendomi mentalmente la stessa domanda, tranne la ragazza cheeroke che era troppo impegnata a guardarmi di traverso.
- Stavo solamente ammirando il paesaggio, non ci vedo nulla di male no? -
All'inizio pensai che la mia frase fosse stata per lo meno convincente, purtroppo mi sbagliai poco dopo aver visto l'espressione severa sulla faccia di Leo.
Piper mi rivolse uno sguardo sprezzante – Con lo scudo? Con quella sottospecie di coltello cornuto?-
Vidi accendersi negli occhi Annabeth il timore della mia reazione al 'sottospecie di coltello cornuto' e, appena mosso un passo verso Piper, mi strattonò per fermarmi.
- Ripetilo, prova a ripeterlo se hai il coraggio -
Sospirò seccata – Coltello corn..- non fece in tempo a finire la frase che il mio pugno si mosse da solo. Sentii la pressione della pelle sotto la mano, e uno schiocco sonoro rimbalzare tra
gli alberi.

Percy mi fissò allibito e solo dopo aver visto Piper tenersi la mandibola tremolante, capii che l'avevo colpita. Tutta la mia forza si era concentrata in unico e potente colpo. Nonostante
la mia rabbia non avrei mai creduto di essere riuscita a fare quello che avevo realmente fatto, era come se qualcuno si fosse impossessato del mio corpo una seconda volta.

Sentii un'urletto stridulo, frustato, pieno di ira e odio.
Poi uno schiaffo doloroso sulla pelle. La guancia bruciava al contatto col mano, d'altronde me lo ero meritato.
- Basta – strillò Annabeth. Entrambe ci fermammo ansimando.
Proseguì pacata – Chiedetevi scusa, veloci -
Piper continuava a volgermi uno sguardo minaccioso, mentre io mi sforzai di rilassare i muscoli del volto e di sorridere falsa. Protesi la mano, solo dopo altri due minuti di disappunto, la ragazza agguantò la mia mano per poi scuoterla – Scusa -
Notai la falsità nella parola, e con la stessa potenza bugiarda dissi – Scusa -
Percy, che fino d'allora guardava la scena inorridito, prese in mano la situazione degenerata – Ebbene Deborah, non hai ancora risposto alla domanda. Intendo dire in maniera esatta-
Calò un silenzio snervante.
Percy mi ripose la domanda – Non è complicato, dove volevi andare a quest'ora?-
- Da mia madre - sussurrai chinando il capo.
Sentii dei respiri profondi di disapprovazione. In quel momento avrei voluto volare, prendere la rincorsa e andarmene da quell'aria pesta di ansia.
- Visto non è stato poi così difficile ammetterlo – spiegò Annabeth.
Sgranai gli occhi confusa – Ammetterlo? Volete dire che sapevate già dove stessi andando? - annuirono all'unisono, tranne Piper ovviamente – allora perchè me lo avete chiesto? - urlai.
Leo sorpassò Percy e si posizionò al mio fianco, poggiandomi una mano sulla spalla complice – Volevamo solo sentirtelo dire -
Il freddo mi solleticò le gambe scoperte. Maledissi i miei shorts.
- Bene, ora che l'ho ammesso potete anche lasciarmi andare. Se un mostro mi farà fuori appena varcata la soglia del campo, avete il permesso di prendervi i miei averi. Piper no, ovviamente. Bene,addio – dissi incurante avviandomi giù per il versante.
Aspettai che mi seguissero, ma non fu così.

 

Anteprima prossimo capitolo
 – Cosa vuoi? - 
– Cosa voglio io? Se non sbaglio sei stata tu a mettere piede in casa mia 

 


Buonaseraa

Ci ho messo poco ad aggiornare, visto? Mi sento soddisfatta.
Diciamo che questo è un capitolo di passaggio, quindi non son successe grandi cose.
Ma nel prossimo le cose accadono eccome.
Bene, l'anteprima fa un po' schifo ma non posso mica svelarvi tutto! 
Aggiornerò sicuramente entro la prossima settimana,
quindi ci sentiamo alla prossima. 
Ah sì, se avete qualcosa da chiedermi potete trovarmi anche su Ask

 

Ho messo nuove foto dei nostri protagonisti,
un bacio.


 


Personaggi

                                   Deborah         Percy         Annabeth          Leo              Piper                                       

 

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Capitolo 7
*** Ed è quando ti accorgi di parlare in greco che cominci a spaventarti ***


 


Apachtheís ~ Rapita


(7)



Ed è quando ti accorgi di parlare il greco che cominci a spaventarti
 


Il sole stava sorgendo, una fioca luce arancione inondava pian piano l'intera pianura. All'inizio mi illusi di poter capire la mia posizione solo guardando le stelle – essendo figlia di Artemide – ma no, sapevo solo di essere in una campagna sperduta nel non si sa dove.
Ero irritata, stanca e debole. Per tutto il viaggio non potei fare a meno di mordermi l'interno della guancia, provando piacere a sentire il sapore del sangue invadermi la bocca. Volevo
sparire dalla faccia della terra.

Mi appoggiai sul tronco di un albero, socchiudendo gli occhi per riposare.
Ma non potevo permettermelo, io dovevo resistere. Strinsi le mani attorno alla corteccia e mi sforzai di pensare. Strinsi i denti attorno al labbro, avevo sete.
Non potevo ragionare lucidamente, avevo la bocca asciutta se non per il pungente sapore acre del sangue.'Pensa pensa' continuavo a ripetermi sottovoce.
Poi finalmente riuscii a racimolare qualche idea, ricordai di aver visto un documentario di sopravvivenza per le situazioni nei quali la gente poteva morire disidratata. Acqua mormorai buttandomi ai piedi dell'albero. La terra era umida, fresca e bagnata. Acqua ripetei togliendo Katagida dal fodero freneticamente.
Avevo un piano preciso, ma le mie mani tremolando mi impedivano di metterlo in atto. Mi fermai, sospirai e stretti il coltello con tutta la forza di volontà che avevo in corpo.
Trafissi la corteccia dell'albero con la lama e appoggiai le labbra screpolate nel foro.
Un liquido fresco e abbondante mi solleticò il palato. Sorrisi: Acqua.

 

 

Camminai per un'altra mezz'ora sotto il sole che stava splendendo nel cielo sempre di più, il che non prospettava una migliore situazione. L'acqua mi aveva dato la forza di continuare. Solo che poi la pancia aveva cominciato a brontolare come se mi stesse imprecando contro. Mi guardai attorno con la speranza di trovare qualcosa.Più volte notai delle ombre scure correre da una parte e dall'altra ma pensai che fossero frutto della mia stanchezza mentale.
La cosa che mi sorprendette di più fu il fatto che nonostante abbia passato cinque ore al di fuori del campo, non mi aveva attaccato ancora nessun mostro.
Se mi fossi messa a contare tutti gli alberi che mi contornavano ci avrei messo anni.
Ero nel nulla.
Poi vidi delle nuvolette di fumo scomparire nel cielo. Sopra la cima di un abete potevo intravedere da dove quel fumo proveniva: un camino.
Spostai tutti i rami, le foglie presenti sul mio cammino con dei veloci e rapidi guizzi del polso; pensai che stessi camminando invece vidi che le mie gambe si muovevano all'impazzata e in meno di due secondi mi lasciai la foresta alle spalle imbattendomi in quella che poteva comodamente sembrare la casetta di marzapane.
Il tetto era ancora più candido illuminato dalla forte luce solare, appariva lucido e morbido come una mollica di pane; le mura portanti erano di un rosa vivace, pungente, così forte che ti faceva male solo a guardarlo. Piccole chiazze nere fungevano da finestre e da un unico grande portone lilla si poteva accedere alla dimora. Il giardino era cosparso di piccoli fiori bianchi, insomma tutto faceva ricondurre a una dolce vecchietta educata.
Bisogna essere stupidi per bussare alla casa di uno sconosciuto nel bel mezzo della foresta no? Ovviamente la fame fa fare le cose anche peggiori. 
Il rumore cupo del battente faceva raggelare il sangue. Sapeva di arrugginito, come se non fosse stato usato da molto tempo, e sinceramente non era un buon segno.
I nanetti sul prato avevano lo sguardo puntato su di me, e pareva stessero sorridendo sadicamente. Una acre puzza di rancido, come l'animale che mi attaccò il primo giorno, era diffusa nell'aria.
La porta si schiuse, lentamente quasi impossessata.
Le mie gambe dicevano 'scappa' ma il mio stomaco diceva 'cibo'. Insomma io non potevo scappare ogni volta che ci poteva esserci un'occasione che magari dimostrasse agli dei che infondo non ero un errore così grave.
Accennai un passo aldilà della soglia prima che la mia mente fu catturata da una sagoma correre ancora una volta tra gli alberi dietro di me. Sbiancai controllando la stanza – è permesso?
Non rispose nessuno, ovviamente. Cosa mi aspettavo? Una volta entrata la porta si chiuse fragorosamente sollevando batuffoli di polvere. La fioca luce che entrava dalla finestrella colorata generava un fascio argentato che illuminava di poco l'atrio. Non poteva esserci niente di strano, se non per qualche vestito sgualcito lasciato in giro. Ora la mia pancia stava facendo le capriole, un po per la fame un po per il terrore.
Una parte di me continuava a ripetere 'scappa da qui' ma l'altra diceva 'sei forte' (cosa di cui dubitavo fortemente). C'era un odore di stantio che rendeva l'aria irrespirabile, era talmente acido che lo si poteva addirittura sentire in bocca: sapeva di ruggine e carne andata a male. L'atrio era spoglio per sembrare abitato, ma una cosa era certa: l'aspetto che aveva la casetta al di fuori era ingannatore.
Mossi qualche passo verso un'altra porta presente dalla parte opposta della stanza; prima di spingerla mi guardai indietro per un'ultima volta rimpiangendo la luce del sole. Il buio più totale avvolgeva l'intero locale. Non pensavo che potesse esistere un'oscurità del genere, era raccapricciante e tremendamente tranquilla. Mi sentivo come quel giorno in cui mi ero accidentalmente chiusa nel baule di mia nonna, mancava l'aria e il nero inghiottiva tutto. Non mi ero mai resa conto di quanto il buio potesse spaventarmi, fino a quel momento.
Con la mano cercai la maniglia della porta seppure fosse impossibile individuarla, il mio palmo percorse l'intera porta ma della maniglia nessuna traccia e solo quando realizzai che era sparita cominciai a sudare freddo.
Ricapitolai velocemente: stavo in una stanza buia nella quale poteva esserci chiunque e io non potevo vederlo, la maniglia era scomparsa impedendomi di scappare, e stavo iniziando ad avere paura; una situazione perfetta.
Estrassi Katagida brandendola alla cieca.
– Calmati cara,abbassa l'arma – Un rumore quasi un lamento si diffuse all'interno della stanza, e le parole uscirono rigide, dure come lo sfregare di due pietre.
Nel tono c'era una sorta di persuasione che mi convinse a rifoderare il coltello.
– Brava – continuò – Ora avvicinati.
Mi sembrava folle una richiesta del genere, come potevo avvicinarmi se non sapevo nemmeno che cosa dovevo cercare. Ma le gambe si mossero da sole come fossero in preda a qualche incantesimo. Sentivo che non potevo controllarle,avevano un anima propria. Si fermarono appena i piedi sentirono un muro che non si poteva oltrepassare.
– Non avrei mai pensato di avere come ospite la figlia della luna – Una puzza nauseante mi fece salire la bile in gola, la sentivo vicina come se qualcuno o qualcosa stesse parlando a pochi centimetri dal mio naso. Trattenni il respiro per qualche secondo.
– Oh quanto mi dispiace, ma sai cara dopo anni che non parlo non posso pretendere che il mio alito sappia di menta fresca.
Avrei voluto rispondergli sgarbatamente, del resto mi risultava spontaneo ma in quella circostanza mi sembrava inutile mettermi a litigare con il nulla – Mostrati.
Una risata meccanica mi fece rabbrividire – Quante pretese ragazza mia, tutto a suo tempo.
Strinsi le mani in un pugno, avevo voglia di prendere a botte la fonte di quella voce tanto fastidiosa e insopportabile – Cosa vuoi?
Un'altra risata, ancora più dura e forte che sentivo il pavimento tremare sotto i piedi – Cosa voglio io? Se non sbaglio sei stata tu a mettere piede in casa mia 
Lentamente infilai una mano all'interno della tasca al fine di impugnare l'elsa del coltello, mi faceva sentire più sicura.
– Ah, dunque – iniziai malamente – non hai intenzione di lasciarmi andare giusto?
Non rispose subito ma dopo qualche secondo di indugio – Non prima di aver risolto un enigma.
Fortunatamente essendo al buio ella non poté notare la mia espressione allibita, dubitai che stesse mentendo, il tono era completamente piatto ma lasciava trasparire la verità.
– Mi stai seriamente chiedendo di risolvere un indovinello?
Non ottenni una risposta, come se si fosse scocciata di ripetere le stesse cose. Una parte di me disse 'rilassati è solo un indovinello' ma ovviamente l'altra parte dovette intromettersi dicendo 'non prendertela con comodo, potrebbe essere una trappola e tu ci stai cadendo come un topo che rincorre il formaggio'.
Alzai il tono – Prima ho due richieste da farti
– Parla – percepii la tensione nella sua voce.
Avevo completamente estratto il coltello e lei sembrò non accorgersene, o forse volle farmelo credere – Voglio guardarti in faccia, sono stufa di vedere solo e soltanto il buio; e secondo: voglio sapere cosa mi accadrebbe se non riuscissi a indovinare.
Ritornò a ridere di gusto –Che differenza ti farebbe vedermi? E poi a cosa servirebbe? Avrai il modo di provare i miei canini più tardi.
Rabbrividii – Fatti vedere– urlai rauca. Un rumore meccanico pervase la stanza, guardai in alto dove prima c'era il nullaLe tende che oscuravano il soffitto si aprirono mettendo in mostra una cunicola trasparente che permetteva di contemplare la bellezza del cielo. C'era qualcosa di strano però, io ricordai di aver abbandonato il cortile della casa quando il sole era alto in cielo, ora si era fatto l'imbrunire e le stelle erano luminose sparse per il soffitto ma mancava una cosa a completare l'opera: la luna.
Non distaccai gli occhi dal soffitto – Da quanto tempo sono qui dentro?
– Non è il vero cielo notturno, è soltanto una proiezione.
Calai gli occhi lì dove la voce proveniva, dove il fascio di luce illuminava una figura al lato della stanza e non solo quella. Cinquanta,forse cento ossa erano sparse per tutta la stanza, e più in là in un angolo giaceva uno scheletro con ancora qualche brandello di carne attaccata alle costole. Trattenni una conata di vomito.
– Che sbadata, avrei dovuto dare una ripulita – la sua voce aveva assunto un tono cattivo, malefico.
La cercai con lo sguardo fino a che la trovai. Una pietra, una semplice pietra alta si e no 3 metri si ergeva a poco più di una spanna da me.
Era familiare, come se l'avessi vista in una di quelle riviste scientifiche.
– La sfinge – mormorai grave.
Un verso gutturale uscì da quella che doveva essere la sua gola – La sfinge greca. Non vorrai mica compararmi a quella dannata di mia cugina vero? La sfinge egizia? Per l'amor degli dei ragazzina, potrei ucciderti soltanto con questo pretesto.
Deglutii squadrandola per bene, effettivamente era diversa dalla sfinge ritratta nelle cartoline del Cairo. Ella aveva il corpo di un leone, la testa che mutava dall'essere umana o caprina ed era dotata di ali, lunghe ali immobili.
Poi ricordai – Io conosco il tuo indovinello
Sperai che rimanesse sbigottita ma invece si limitò a sorridere sadicamente – Voi umani, pensi davvero che io ti formuli quel indovinello, quello che voi credete di sapere? Come siete ingenui.
– Non hai ancora risposto alla mia domanda – puntualizzai stringendo Katagida – Cosa succederà se non saprò rispondere?
– Guardati intorno, cosa pensi che succeda?
Ossa, cadaveri, morte. Mi si raggelò il sangue per la seconda volta, non avevo alcuna intenzione di finire come loro. Sta volta avevo usato il coltello come scudo ponendolo tra me e la roccia, la punta rivolta vero il collo della sfinge.
Mormorai - 
 Niente scherzi o spingerò sempre di più la lama – rise. Mi ero stancata di ottenere sempre un suo sogghigno come risposta.
I suoi occhi brillarono come zaffiri, una luce rossa mi rese impossibile tenere gli occhi aperti, così arretrai di qualche passo.
– Bene – sospirò – Ora si ragiona – i fari rossi si spensero lasciandomi solo la proiezione in grado di mostrarmi la sfinge.
Per un momento mi ricordai di Percy, di Annabeth, di Leo e di tutti gli altri al campo. Loro avrebbero saputo escogitare qualche piano brillante per uscirsene da quel posto, ma non l'avrei mai scoperto.La pietra si avvicinò e così iniziò a girarmi intorno come una trottola – Ci sono due sorelle: la prima da alla luce l'altra e questa, a sua volta dà vita alla prima. Chi sono le due sorelle? –
In volto,seppure marmoreo, le sie era formato un ghigno di fierezza. Mi abbandonai a terra, seduta a gambe incrociate a ragionare.
Due sorelle. Una da vita alla prima e l'altra anche. Due sorelle.
Strinsi le meningi e alzai gli occhi verso la cupola. Due sorelle.
Mi concentrai stingendo il coltello, sentivo il sudore fluirmi tra le scapole, scendermi lungo la colonna vertebrale. Il passo lento e furtivo della sfinge,pronta ad attaccarmi a ogni mia risposta errata, faceva suonare nell'aria un tonfo ritmato.
Pensai al cielo, una proiezione. Perchè? Perchè non rappresentarlo per come è?
La Sfinge amava la notte. Non sopportava il sorgere del sole.
Voleva impedire alle persone di intuire la risposta. Due sorelle.
–Nychta– sussurrai – Iméra –
La Sfinge sgranò gli occhi sorpresa, fermandosi proprio davanti al mio corpo accasciato.
– Giorno – gridai – e Notte. Sono loro le due sorelle. Il Giorno e la Notte. In greco sono entrambe femminili!–
Stava iniziando a sgretolarsi, le zampe si stavano riducendo in piccoli detriti fini – Hai imbrogliato!– guaì
Nonostante le zampe ridotte a due moncherini, si lanciò verso il mio volto. Le fauci sporgenti, un ruggito spaventoso e un alito nauseante; la Sfinge non era certo in grado di vincere un concorso di bellezza ma era assolutamente capace di staccarmi il collo con un solo morso.
Prima che essa potesse afferrarmi per la collottola riuscii a menare un fendente verso la sua bocca riuscendo ad ottenere solo un suo lamento. Non si arrestò anzi si diede più carica.
Alzai Katagida davanti agli occhi e urlai a squarcia gola.
–Piccolo insetto, è finita!– La Sfinge rise un ultima volta prima di afferrare con i denti il mio coltello e gettarlo, con un guizzo del collo, dalla parte opposta della stanza; proprio dove una ragazza ridotta a uno scheletro era stesa in posizione supina. Mi vidi in un angolo, nella sua stessa posizione, senza vita, senza più nessun briciolo di carne attaccata alle ossa. 
È davvero la fine.
La statua ringhiò e volò sopra il mio torace. Poi il nulla. Anzi una cosa vidi prima di piombare nel buio più totale, o meglio vidi lui.
Tra me e la Sfinge c'era Perseus Jackson.
 

 

 

 

Buonaseraa
Eccomi tornata, più stanca che mai!
Anche per me è inziata la scuola e devo dire che è una cosa troppo traumatizzante alzarsi alle sette, sì insomma dai.
Poi oggi abbiamo fatto solo due ore, domani? Beh domani sei. 
Che cosa fantastica.
Anyway ecco il nuovo capitolo, qui c'è solo la piccola e inesperta Deborah ad agire ( e si vede) vedrete cosa accadrà nel prossimo!
Ora vi lascio perchè devo fare un due compiti che non ho fatto hah.
Un bacio,
alla prossima.

 


Personaggi

                                   Deborah         Percy         Annabeth          Leo              Piper                                       

 

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Capitolo 8
*** Okey, ho già detto che odi i tipi monocchi? ***




Apachtheís ~ Rapita


(8)



Okey, ho già detto che odio i tipi Monocchi?
 

Era la seconda volta che perdevo conoscenza in cinque giorni. La fortuna non era di certo dalla mia parte. Pur essendo svenuta riuscii a sentire qualcosa, o meglio qualcuno che borbottava. Riuscii a intravedere delle forti braccia perdermi per la vita e poi solo il ciondolare delle mie gambe a peso morto.
Nient'altro, come se qualcuno avesse strappato un pezzo del nastro avvolgitore. Era inimmaginabile il terrore che provai
dentro quella 
innocua casetta, a solo sentirla nominare mi si rizzavano i peli delle braccia. Credevo che scappare e
svolgere la ricerca da sola sarebbe stato più facile, niente distrazioni,niente perdite di tempo. Invece se ci fosse stato
qualcuno al mio fianco sarei riuscita a sopportare il morso della fame e dunque ad evitare l'incontro con la Sfinge.
Insopportabile era il rimorso di aver avuto l'impulso di addentrarmi da 
sola in una faccenda tanto grande.
'Se continui a piangerti addosso, cara, non risolverai mai nulla nella vita'
La voce della nonna era chiara e limpida, sentivo che non era la mia immaginazione. Sapevo che era lei, la riconobbi. Era
la sua voce che mi parlava ancora, come se non fosse mai morta.
'Abbi fede in ciò che credi'
Nel buio più totale riuscii a distinguere una sagoma. Era inondata da una luce brillante che impediva di scorgerla nella sua integrità. Non volevo perdere di nuovo quella donna che era stata per me come una madre, una madre che non avevo mai avuto. Allungai una mano nel vuoto e tutto scomparve.




 

–Non avremmo dovuto lasciarla andare in giro da sola. Non era pronta.– mugugnò qualcuno. Aveva una voce 
preoccupata, e tremendamente frenetica.

–Per l'amor del cielo, non è una bambina,avrebbe potuto cavarsela benissimo da sola. Non serviva che Percy spaccasse un
vetro per andarla a salvare. Non ci sarà sempre lui ad aiutarla– sbraitò potente una seconda voce.

Spalancai gli occhi e,senza volerlo, mugugnai qualcosa di incomprensibile non riuscendo a mettere insieme una frase di
senso compiuto. Mi bruciava la pancia, come se qualcuno avesse lacerato tutti i miei muscoli addominali (che poco avevo).

Subito vidi qualcuno avvicinarsi a me, e dopo una presa calda afferrarmi le spalle per sorreggermi. Un brivido mi fece
tremare le gambe già deboli di loro.

–Prendi l'ambrosia Piper– era Annabeth a tenermi stretta. Era tutto un frenico via vai: uno stava attizzando un fuoco, un
altro stava contando dei piccoli semi per poi sistemarli in cinque ciotole diverse, un'altra ancora si stava muovendo con fare svogliato verso uno zainetto viola.

Poi la voce dietro di me sbuffò nervosa – Un minimo di collaborazione, grazie– si rivolse alla ragazza che teneva in mano una bibita rosso fuoco.
– Annabeth, se fosse per me l'avrei lasciata in pasto a quella specie di pietra parlante, ma ovviamente qualcuno aveva qualcosa in contrario qui–
Non ricevette nemmeno una risposta degna di nota, la ragazza dai riccioli biondi preferì farmi sorseggiare la bevanda lentamente, in una situazione simile a quando i bambini bevono il latte.
Il caldo e la potenza del liquido mi diedero la forza di reagire così protesi la mano verso la ragazza – Ci sento benissimo Piper, evita di sputarmi addosso il tuo veleno.
Sentii una risata sulla mia destra dove prima c'era un ragazzo intento ad accendere un fuoco – Non sei ancora ben rinvenuta e stai già litigando. Credo che ora stia bene.–
Sorrisi seppure mi facessero male pure i muscoli della faccia, e poi il dolore lancinante si percosse di nuovo sulla mia pancia. Guardai giù dove sentivo il pulsare delle vene e notai solo una bianca fasciatura che mi copriva l'intera zona lombare. Mi mancò il respiro quando vidi che era leggermente macchiata di sangue.
La mano di Annabeth si posò sui miei capelli –Niente di grave, la Sfinge ti ha morso prima che Percy la potesse fermare–
La ferita bruciava, sembrava un tizzone ardente conficcato nello stomaco.
–Cosa ci fate voi qui?
La risata odiosa di Piper arrivò in meno di un secondo – Nemmeno un 'grazie ragazzi'?
–Preferirei staccarmi la lingua che dire 'grazie' a te.
Quella ragazza era insopportabile ed egoista. Da quello che avevo capito stava male per un certo Jason, ma questo non
l'autorizzava a far star male gli altri.

Leo sorrise intento a scaldare dei semi sul fuoco. Non mi ero resa conto di quanto tempo fosse passato, per quanto ero
rimasta svenuta? Tre ore?

– Ti abbiamo seguito per tutto questo tempo e non te ne sei mai accorta– disse compiaciuto. In realtà mi ricordai di aver
visto delle ombre continuamente correre tra gli alberi, non era frutto della mia stanchezza mentale ma bensì erano loro che mi pedinavano.

– A dire il vero, avevo sospettato qualcosa – farneticai. Mi alzai da terra tremolante per poi inginocchiarmi attorno al fuoco al fine di scaldarmi. Afferrai un seme e me lo lanciai in bocca.
Lo sforzo per portare il seme alle labbra mi fece lanciare un gridolino. La pancia mi impediva qualsiasi movimento.
– Mi dispiace non essere intervenuto prima, quella ferita è stata tutta colpa mia–
Una voce che non aveva mai parlato fino a quel momento rimbombò nell'aria, seduto su un masso c'era Percy.
Sorrisi compiaciuta rivolta verso di lui – Hai fatto già tanto, non devi prenderti la colpa di nulla, Percy.
Vidi un'ombra di rimorso passarli attraverso gli occhi, ma preferii non continuare l'argomento. Non capivo il perchè di
tutto quella preoccupazione.

Presi un altro seme e stirai le gambe – Dunque ora volete proseguire con me?
Dentro di me speravo dicessero 'si'.
– Non saprei – disse sostenuto Leo – Non dopo come ci hai trattati l'altra sera–
Chinai la testa, era difficile ammetterlo perfino a me stessa, ma ero stata una completa idiota quella notte – Scusate, sono
troppo orgogliosa a volte.

Annabeth rise con dolcezza – Sei testarda, ma penso che possiamo perdonarti.
Ebbe il consenso di tutti, tranne di Piper ma poco importava.
Presi un' altro seme trattenendo una risata – è stato più semplice del previsto.




 

L'ora di dormire arrivò per tutti, dopo ore passate a guardare il fuoco spegnarsi Percy decise che forse era arrivato il
momento di andare a letto e tutti ne furono d'accordo. La giornata era stata pesante e fastidiosamente lunga. Mi sentivo così stupida, avevo messo in pericolo non solo la mia vita, ma anche quella degli altri, tutto per cosa? Perchè dovevo mangiare.

La roccia su cui ero sdraiata non era il massimo dei comfort ma non ero nella situazioni di discutere. Annabeth era stesa
poco più in là. 
Potevo vedere solo i suoi capelli biondi illuminati da quel che rimaneva del fuoco, e potevo sentire solo il suo respiro profondo.
Piper si era coricata si e no a due metri da me, più lontana stava meglio era.
Avrei forse dovuto dirle che parlava nel sonno?
'Me la pagherai stronzetta'
Non ne capii il motivo, ma ero sicura che si stesse riferendo a me.
Percy, seppure stesse dormendo, stringeva convulsamente Anaklusmos tra le mani.
Si dimemevana e farneticava.
'Incubi' pensai scuotendo la testa.
– Lo fa da giorni ormai – disse Leo alle mie spalle.
Trattenni un gridolino di terrore al sentire la sua voce. Poi mi rilassai e mi voltai.
Era seduto a cavalcioni su un masso: gli occhi stanchi e i capelli arruffati.
– Mi dispiace per tutto quello che vi ho fatto passare – ammisi, stavolta girandomi completamente.
Leo sorrise – Sai, mi ero proposto io –
Le sue parole uscirono in un flebile sussurro.
– Proposto a fare cosa?– domandai ottendendo un'altro suo sorriso come risposta.
–Ad entrare, a salvarti – disse lui – Ma Percy era così agitato, continuava a ripetermi che doveva essere lui ad aiutarti –
Scossi la testa provocandomi una fitta all'addome. Ero sicura che la Sfinge non volesse solo uccidermi, lei voleva che mi
portassi quel taglio come promemoria, per ricordare quanto stupida ero stata.

– A mio parere nessuno dei due doveva entrare. Piper aveva ragione, non ci sarete sempre voi a proteggermi – più parlavo e più mi autoconvincevo che ero una debole.
– Piper non sa cosa dice – mormorò cupo.
Strizzai gli occhi con astio – Piper mi odia –
Leo, a quella frase, sussultò chinando la schina per avvicinarsi più a me.
– Se ti odiasse non sarebbe venuta –




 

All'alba del giorno dopo eravamo tutti già in piedi, inutile dire che io non avevo dormito niente.
Annabeth si caricò lo zaino in spalle e così fecero gli altri tre. Le domande mi frullavano in testa come vortici, insomma
dove saremmo andati? Dove potevamo trovare mia madre?

– Posso chiedervi una cosa?– proruppi io facendo ricadere gli occhi dei quattro ragazzi su di me.
Ok Deborah, spara un'altra delle tue stupide domande.
– Qual'è il piano?– chiesi issandomi lo zaino in spalla.
Annabeth fu felice di quella domanda, si avvicinò circondandomi le spalle con il braccio – Andremo a far visita ad una
vecchia amica – esultò.

Guardai tutti gli altri perplessa ma non mi diedero nemmeno il tempo di obietare che erano già partiti in marcia.
 

 

Dopo un paio di ore buone passate a camminare – alla cieca, direi io – Annabeth si decise a rivolgermi la parola seppure fosse concentrata a spostare rami e foglie dal sentiero.
- Ti senti bene? -
Avevo le gambe doloranti, la fronte imperlata di sudore e le mani sporche di fango, uno spettacolo.
La pancia mi doleva, la ferita continuava a bruciare sempre di più.
Intanto sia Leo che Percy si erano fermati con la testa voltata nella mia direzione.
Mi passai una mano sulle guance – Sì – mentii.
Poi uno schricchiolio, leggero come un ramo che si spezza. O meglio, speravo fosse un ramo che si rompesse ma evidentemente non era così.
Una figura slanciata e robusta fece capitolino tra le foglie ma non stetti molto a guardare ciò che avevo davanti, piuttosto stavo a guardare ciò che non avevo davanti.
A quel tipo tanto grande mancava un occhio! E l'unica cosa che torreggiava in mezzo alla sua faccia era solo un piccolo bulbo oculare che si dimenava in tutte le direzioni intercettando i nostri movimenti.
Inutile dire che nessuno di noi si stesse muovendo, diciamo che eravamo tutti bloccati con gli occhi sgranati verso quella creatura.
– Che cosa ci fa qui un ciclope! – sbraitò Piper presa dall'ansia.
In effetti quel coso aveva tutta l'aria dell'aggressore di Ulisse. Sì, quello che trovi nelle illustrazioni sui libri di epica. Era identico.
Intanto la bestia si era messa a scalciare e dimenare con così tanta forza che riuscì a sradicare degli alberi lì vicini che – dopo aver fatto un giro in aria – volarono contro di noi.
Fu in quel momento che più rimpiansi la mia pancia illesa.
Mi buttai di lato trattenendo a forza un grido per il dolore, e per miracolo il grosso pino mi mancò di qualche centimetro. Percy aveva sfoderato la spada e così fecero tutti gli altri, tranne me.
Ero troppo impegnata a commiserarmi nel dolore per muovermi, peccato che la voce di mia nonna mi riaffiorò in mente 'Abbi fede in ciò che credi'
Certo, io in quel momento non credevo proprio in nulla se non nella mia inutilità; ma un'impeto di forza mi pervase tutto il corpo e – dopo essermi rialzata – sfoderai Katagida e corsi verso l'omone monocchio.
Annabeth stava brandendo coltellate contro le sue gambe, Percy si era arrampicato sopra un albero in modo da darsi lo slancio al fine di conficcarli la lama nell'occhio e Leo aveva tirato fuori arco e frecce per aiutare il figlio di Poseidone nel suo intento.
La ferita doleva, certo, ma la voglia di riuscirci offuscava la mia parte debole.
Prima di poter fare qualcosa sentii un tonfo sordo provenire dalle mie spalle.
Percy era appena volato giù dall'albero probabilmente dopo che il ciclope gli dette una gran manata.
Stava bene, grazie al cielo.
Impugnai Katagida e sottoforma di coltello me lo misi tra i denti, così da facilitarmi la scalata verso il mostro. I rami
dell'albero su cui stavo salendo erano molto grossi, perfetti per tenermi.

Dopo pochi secondi riuscii ad arrivare in cima (nonostante la pancia che sembrava urlare 'stronza stai ferma mi fai male') e mi concessi una supervisione dall'alto.
–Deborah attenta!
Peccato che quell'avvertimento fu invano. Il mostro di impeto mi prese tra le enormi mani e mi trascinò verso di sé in un atto che sembrò palesemente destinato a finir male.
Il grande omone da quella prospettiva – a pochi centimetri dal suo viso – mi provocò un senso di vomito. Forse era quel suo unico occhio a farmi venire la nausea, oppure quel suo alito rancido a farmi salire dei conati. Non potei mai saperlo.
– Guarda:se ci lasci andare prometto che non ti infilzerò l'unico tuo occhio buono
Era meglio mettere in chiaro le cose. Non che io stravedessi per quel mostro, ma un minimo di pietà mi saltò in mente.
Ruggì scrutandomi con quel suo occhietto malefico.
Spalancò la bocca in modo da farmici scrivolare dentro.
– Poi non dire che non ti avevo avvisato
Conficcai la punta della spada sul suo palmo in modo da distrarlo e poi sperando in una mia buona mira lanciai la lama che lo colpì in pieno occhio.
Il mostro mi lasciò andare di botto e mentre io precipitavo a terra lo sentii urlare dal dolore.
Caddì di schiena, ma non svenni (ne avevo decisamente abbastanza)
No, se c'era qualcuno che svenne era proprio il ciclope.
Intanto tutti i presenti erano accorsi in mio aiuto ed nei loro occhi era palese l' incredulità alchè io mi sentii un eroina
mancata.

– Vi prego, potete evitare di guardarmi come se non aveste mai pensato in cotanta abilità
Leo rise – Non è quello, è che non ce lo aspettavamo da una che ha un buco sulla pancia
Annabeth era distratta, stava guardando a terra dove giaceva il ciclope.
Effettivamente non ci avevo fatto caso all'inzio, ma sopra la sua testa e in mezzo a folti capelli c'era una giacca nera. Percy si avvicinò con cautela e la rigirò tra le mani mettendo in mostra delle inziali sbiadite : T.G.
– Forse non siamo state gli unici ad essere stati attaccati da lui, e forse questo spiegherebbe perchè le cacciatrici sono scomparse
– Non penserai che.. – mormorò Piper.
Annabeth mi fissò negli occhi – Dobbiamo trovare Talia




 

Buonaseraa
Non odiatemi! Scusatemi è passato un bel mese e passa prima di questo aggiornamento e giuro, giuro, che mi dispiace.
Tra scuola, canto, corsi per crediti e quant'altro non ho avuto nemmeno un momentino per far ordine mentale.
Ma nonostante questo ce l'ho fatta e questo è il risultato.
Spero davvero che vi piaccia e confido in qualche recensione e parere.
Vi prometto che il prossimo entro metà dicembre non tarderà ad arrivare, promise!
Se volete farmi qualche domanda potete trovarmi su Ask.
(Twitter è in basso)
Un bacione,
alla prossima,
Serpeverde_
 


Personaggi

                                   Deborah         Percy         Annabeth          Leo              Piper                                       

 

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Capitolo 9
*** Viaggi in treno entusiasmanti ***





Apachtheís ~ Rapita

(9)


Viaggi in treno entusiasmanti

 Vi rompo un attimino le scatole qui dicendovi
di andare a leggere lo spazio autrice in basso, it is important
grazie mille

Mentirei se dicessi che ero in perfetta forma, ma mentirei anche dicendo che ero stanca morta.
Per la prima volta nella mia vita riuscivo a camminare per un tragitto decisamente più lungo del casa-scuola ( tre minuti di viaggio).
Nonostante tutto il paesaggio era sempre uguale: alberi ovunque, il che rendeva la passeggiata – o meglio corsa veloce – noiosa e monotona. Annabeth non aveva più aperto bocca e io non avevo nemmeno tentato di accennare all'argomento; e per mia fortuna nemmeno Piper aveva fatto sguizzare la sua lingua di serpente per tutto il tempo.
Seppure avesse una faccia che somigliava a un cencio – Percy – si sforzò di spiegarmi la situazione che a tentoni percepii a causa del suo tono basso e rotto.
Dopo tre minuti di storia mi assortii nel guardare Leo che camminava a passo svelto maneggiando un cacciavite come antistress e la voce di Percy andò via via a scemare notando che non lo stavo più ad ascoltare.
Oh andiamo, come se non gli avessi fatto un piacere.
Era diventato più mogio di qualsiasi altra persona al mondo ( insieme a Annabeth e Piper) e non volevo assillarlo con troppe domande quando si sforzava di non pensare a quell'ipotesi.
Con ipotesi intendo la possibilità che quel ciclope avesse aggredito le Cacciatrici di Artemide e con loro anche l'amica Talia che da quello che avevo capito era figlia di Zeus.
–Debb, come ti senti? –mi chiese Leo rallentando il passo per raggiungermi.
Mi sforzai di far assumere alla mia faccia un espressione che non fosse distrutta.
–Diciamo che al momento non sono quella messa peggio– ammisi lanciando occhiate ai tre davanti a me. Leo capì
all'istante e annuì sommessamente.

– Bisogna sempre pensare positivo, no? – mi disse lui incurvando leggermente le labbra, sforzandosi di sorridere anche se il tentativo naufragò clamorosamente.
Guardai oltre gli alberi dove mi sembrò di sentire i passi di qualcuno, anche se quel qualcuno si rivelò poi essere un tasso – Come biasimarli, quella volta che persi la mia migliore amica per New York ebbi un tuffo al cuore. Poi scoprii che era andata a prendere qualche pietanza dal cinese, ma non conta, so' solo che volevo sprofondare.
– Almeno ti sei rincuorata col sushi – scherzò sottovoce.
Feci una smorfia – Avevamo solo dieci anni e odiavo il sushi, la peggior giornata della mia vita –

 

– Potrei fare una sola domanda?
Finalmente mi decisi ad aprire bocca. Quel silenzio mi angosciava, mi sciupava, mi faceva agitare dall'impazienza. Volevo sapere.Percy si voltò con una faccia incredibilmente stanca – Parla
Mi imposi di espirare finalmente, avevo un'immensa paura che qualcuno di loro si girasse e mi conficcasse qualcosa in un occhio per il mio poco tatto. E tra questi Piper era la più indicata.
– Dove stiamo andando di preciso?– domandai mogia sostenendo il passo dei quattro.
Ci fu un momento di silenzio che mise in dubbio la possibilità che noi stessimo davvero seguendo un piano preciso. Stavamo camminando verso una meta precisa?
–Deborah, a quanto pare la situazione è più complicata del previsto – spiegò Annabeth.
No, ma davvero? Giuro che non lo sapevo.
Intanto la bionda si passò una mano tra i capelli stanca cercando di fare mente locale. Quella scena m ricordò la prima volta che Percy voleva raccontarmi che mia madre non era una persona qualunque.
– Se non ve la sentite di spiegarmi cos- – feci io.
–No al contrario, tu hai diritto di sapere. – questa volta fu Percy a parlare con un tono che sembrava provenire dall'oltre
tomba.
I miei occhi si spostarono su tutti i presenti costernata, a quanto pare ero l'unica a non sapere cosa stava realmente succedendo. E fu quello il momento che mi fece dubitare dell'essere un gruppo.
Se dopo già due giorni ci nascondevamo segreti cosa sarebbe successo dopo una settimana? O – nelle peggiori delle ipotesi – dopo un mese?
Leo se ne stava alle mie spalle, ne potevo sentire solo il respiro.
Quando mi voltai con un espressione simile a tu-sai-di-cosa-stanno-parlando-? Mi accorsi che la sua faccia – se possibile – era ancora più confusa della mia. Da lì capii che non ne sapeva niente neppure lui e fui rassicurata. Non ero l'unica, perfetto.
Percy sospirò – Ultimamente non ho dormito sogni tranquilli, più precisamente da quando Deborah è arrivata al campo. Questi ''sogni'' si sono rivelate essere visioni autentiche e nonostante io speri non sia successo niente di grave non posso ignorarle –
Non ci capivo niente: visioni? Oh ma andiamo, ci mancava pure questa.
Annabeth sembrò impaziente di andare avanti, così prese in mano lei la situazione.
– Il punto è che la scorsa notte Percy ha avuto una delle sue percezioni. Sembra che le cacciatrici siano fuori gioco, e che si trovino in una cava sopra un monte. Piper pensa che si trovino dove le ha incontrare per la prima volta: sul Monte Pikes Peak
Sgranai gli occhi – Ma è in Colorado
I tre annuirono caparbi mentre io continuavo a lanciare occhiate a Leo con un'espressione del tipo ci-vogliono-far-camminare-fin-là-?.
Non potei aprire bocca che la voce di Annabeth mi investì in pieno petto – Andremo in treno, questo è sicuro. Anche perchè non abbiamo abbastanza soldi per permetterci un aereo –
– O per meglio dire non mi va di addentrarmi nel territorio di tuo padre, Piper– disse Percy allarmato, poi si riferì a me facendomi l'occhiolino – Vecchi Rancori –
Okey, datemi un'aspirina ne ho bisogno.
Quegli sguardi mi opprimevano, tutti puntanti su di me come se attendessero un mio 'si' per procedere, come se finalmente contassi qualcosa in tutta quella faccenda. Purtroppo la cosa non mi fece sentire risollevata, preferivo essere snobbata.
– Te la senti? – fece la bionda con tenerezza.
Dopo mezzo secondo buono riavvivai i capelli e sfoggiai un sorriso – Certo, basta che sul treno mi facciate sedere dalla parte del finestrino, soffro di mal da viaggio–

 

New York era decisamente grande, e non ero mai stata così contenta di rivedere la mia città come quel giorno. Ormai era calato il sole quando arrivammo nei pressi di MidTown, e – dopotutto – potevo decisamente comprendere tutta la gente che ci squadrava con una smorfia disgustata in volto quando passavamo.
Diciamo che eravamo diversamente puliti. Nonostante tutto – e con tutto intendo la puzza nauseante di sangue – cercavamo di confonderci il più possibile tra i passanti.
La fame era stata saziata un'ora prima, anche se quel misero panino col prosciutto non avesse decisamente placato i morsi.
Le mie gambe avrebbero durato ancora per molto, però non vedevano l'ora di risposare sul treno.
Forse sarei riuscita a schiacciare un pisolino decente nell'arco di due giorni, sempre che Piper non accompagnasse la mia dormita con qualche sue frase malefica tipo 'Spero che tu cada nell'acido' che – giusto per la cronaca – aveva già mormorato durante l'ultima notte.
– La stazione dovrebbe essere qui vicina – sentenziò Annabeth con gli occhi che le saettavano da una parte all'altra.
Feci scorrere il mio sguardo attraverso la via che, in quel momento, brulicava di persone. Dopotutto eravamo a New York, c'era d'aspettarselo.
Le insegne erano decisamente troppo abbaglianti, ma comunque utili per illuminare quello che restava della strada. Luci rosse,verdi,blu che se fissate intensamente portavano al mal di testa.
Già la mia mente faceva fatica a reggere tutte quelle informazioni se poi ci si mettevano anche delle stupide insegne da emicrania era proprio finita.
Una segnava ''Gran Central Terminal'' proprio in fondo alla via.
– Ragazzi, credo sia quella – sbraitai facendo girare un paio di passanti in giacca e cravatta.
Dove andassero alle otto di sera conciati in quel modo nessuno lo sa.
Quando fummo in prossimità di quest'ultima mi venne da urlare dalla gioia, le mie gambe avrebbero avuto pace.
Mentre camminavamo tra la gente avevo quasi avuto l'impressione di aver perso Leo ( che mi stava fedelmente affianco) e
per quel nano secondo mi mancò un battito. Poi lo vidi scusarsi con un'anziana di fronte a me e mi concessi di espirare.
Non volevo decisamente perdermi.

Una volta raggiunto lo stand dei biglietti notai che la fila era fortunatamente corta e che ci avremmo impiegato all'incirca dieci minuti. Ero troppo attratta dai capelli blu di una ragazza davanti a me per star a sentire Piper che brontolava irritata qualcosa del tipo''Se quel tipo mi finisce di nuovo addosso gli tronco le gambe''
Una donna sulla cinquantina con una faccia che assomigliava tremendamente a un pincher ci scrutò torva da dietro il vetro della biglietteria.
– Quattro biglietti per Colorando Springs
La signora inarcò un sopracciglio – L'ultimo treno è partito dieci minuti fà
Sbiancai: ditemi che era uno scherzo.
Okey, probabilmente la fortuna non era dalla nostra parte. O meglio, non era mai stata dalla nostra parte: dall'inizio fino alla fine.
– Potete fare scalo in New Jersey e poi prendere un treno per la città, l'ultimo parte tra cinque minuti. Forse siete in tempo. Anche se credo vivamente che se non mi muovete perderete pure quello.
Mi sarebbe venuto l'istinto di mollare un ceffone a quella piccoletta dalla faccia scorbutica se Leo non mi avesse levato il portafoglio dalle mani frenetico e non mi avesse trascinato fuori dalla fila dopo aver preso i quattro tickets.
Dopo aver urlato agli altri tre un semplice ''Veloci'' presi a correre ancora attaccata al braccio del moro verso il binario (sì, avevo avuto un secondo di tempo per scorrere il cartellone e trovare la piattaforma giusta).
Il treno aveva cominciato a mettersi in moto ma – dopo ripetuti battiti contro il portellone – un addetto ci fece salire irritato e si congedò con un semplice e schietto ''ragazzi indisciplinati''
– A quanto pare non è molta la gente che vuole andare a New Jersey – constatò Percy scrutandosi attorno.
Aveva ragione, non c'era proprio nessuno tranne per un uomo con la barba che leggeva il New York Times,una famigliola appisolata sulle poltrone a destra, e due anziane che discutevano arzille.
L'unico sveglio dei cinque era un bambino piccolo che giocherellava silenzioso con lo yo-yo e - nonostante non capissi il perchè – la cosa mi fece rabbrividire, e non era un buon segno.
Prendemmo posto sulle sedute in fondo, io seduta come da protocollo dalla parte del finestrino per evitare nausea e emicranie.Percy si era letteralmente lanciato sulla sua poltrona di fronte a me con Annabeth al fianco.
Leo si era delicatamente rilassato sulla seduta accanto alla mia, mentre Piper si era sdraiata dalla parte esterna per completare il cerchio.
Inutile dire che dopo cinque minuti buoni a guardare fuori dal finestrino – e di certo il paesaggio monotono aiutava – mi addormentai sulla spalla di Leo.
Accidentalmente, sottolineerei.
Non che non mi piacesse restare lì beata a scaldarmi sul suo corpo, solo che non era il momento giusto per crogiolarmi con le farfalle nello stomaco.
Sì, Leo era un bel ragazzo e non posso negare di non aver mai avuto qualche attrazione per lui fin dal primo momento che l'ho incontrato al campo ma – come ho detto – la situazione non era delle migliori.
Fui svegliata di colpo da quest'ultimo solo dopo quella che mi sembrava un'ora abbondante.
– Debb reagisci! Veloce! – urlò scrollandomi per la spalla.
Mugugnai imperterrita rigirandomi dalla parte opposta, dopo una giornata di cammino non mi sarei di certo arresa così facilmente.
Poi un tonfo mi convinse ad aprire gli occhi e a ricollegare il cervello.
– Che succede? – dissi guardandomi attorno nonostante avessi la vista appannata.
Percy aveva estratto Anaklusmos, Annabeth il suo coltello e si erano tutti e due alzati a controllare il vagone illuminato soltanto da una luce soffusa.
– Il treno si è fermato – spiegò lui a fil di voce prima di sollevarsi di peso.
La ferita aveva ricominciato a bruciare, probabilmente mentre dormivo avevo assunto una posizione che l'aveva infiammata.
All'interno del treno sembravano mancare le due anziane donne che avevo visto all'ingresso quando salii sul vagone.
Poi le notai entrare nuovamente all'interno della locomotiva,purtroppo riuscii a sentire solo Percy che urlava – Empuse – prima che Leo mi gettasse addosso al finestrino per nascondermi.
Oh ma andiamo, non riusciamo a fare nemmeno un paio di ore di viaggio tranquillo?



 
Buonaseraa
 
Come promesso sono tornata a metà dicembre, il 14. Sì, quasi metà dai, diciamo che sono in po' in anticipo questo perchè sono a letto con la febbre e la mia immaginazione fa i salti mortali in questi casi. I miei sogni sono produttivi, dai. 
Anyway ho una notizia importantissimao per lo meno per me. 
In pratica ho intenzione di farne questa storia un libro, intendiamoci non un libro commerciale ma un libro solo per me. 
Direte: ma che senso ha? 
Bè, in un certo senso è bello avere nella propria libreria un libro che si ha scritto anche se lo hai scritto solo per te stesso. Almeno, a me l'idea entusiasma parecchio.
Il punto è che ho fatto la copertina del libro (tutta da sola, applausi gente haha) e vorrei che nelle recensioni mi facciate sapere cosa ne pensate. Ho tagliato la parte del nome e cognome in altro perchè preferisco tenermi anonima quindi fate conto che ci sia. La copertina in questione is this one:


Ora: so' benissimo di non aver fatto chissà quale lavoro di editing ma mi c'è voluto un pochino.
A me piace moltissimo, quindi sta a voi dirmi cosa ne pensate perchè ovvio, io sono di parte :)
Tornando alla storia: 
Premetto che ho dovuto spezzare in due il capitolo perchè era davvero troppo lungo, quindi il continuo sarà in un'altra pubblicazione. 
Ebbene sì, ho lasciato spazio alla coppia Lebby che io amo, diciamo che lei sta cominciando ad avere un rapporto un po' più concreto con Leo. Dato che io odio e dico odio le storie dove in due capitolo la gente è già innamorata pazza ho deciso di andare molto con calma.
Mi avete chiesto se ci sarà un po' di Percabeth e io vi rispondo un ni.
Lo capirete più avanti il perchè, sono un mostro a non dirvi niente ma amo far stare sulle spine *non mi odiate pls hah*
Questo fine capitolo sta diventando davvero molto lungo quindi la chiudo qui.
Ci tengo a ringraziare tutte e proprio tutte le persone che stanno seguendo questa storia, che la commentano, e mi danno un motivo per andare avanti. 

Vi ringrazio davvero di cuore
senza di voi non sarebbe lo stesso

 
Prossima capitolo: esattamente il 31 dicembre? vi va? Altrimenti più tardi se vi sembra troppo presto. Io ce l'ho già pronto il continuo  quindi la data non mi cambia molto
Un bacione,
alla prossima.
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Deborah                     Percy                     Annabeth                     Leo                         Piper        

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Capitolo 10
*** Deborah: la scassinatrice di porte blindate ***


 



Apachtheís ~ Rapita


(10)



Deborah: la scassinatrice di porte blindate
 

Inizio dicendo che non avendole potute vedere molto bene non ho potuto nemmeno sopprimere il mio senso di angoscia e paura. No, non sono mai stata fifona ma sfiderei chiunque a trovarsi in un treno fermo nel nonsisadove con a bordo due anziane omicide.
Mi sporsi leggermente dal mio nascondiglio – sotto il tavolino basso del treno – per controllare la situazione, e anche perchè non era il posto più confortevole del mondo.
– Piper attenta – sbraitò Annabeth che era troppo intenta a pararsi dalle codate nemiche per potere accorrere dalla ragazza cherooke.
Infatti la povera Piper stava per essere presa di peso e lanciata dalla parte opposta da l'Empuria più vecchia se non fosse stato per la prontezza di Percy. Giusto per la cronaca, quelle donne che si erano trasformate improvvisamente e che sembravano decisamente innocue, avevano assunto una forma tutto fuorché carina.
Era la prima volta che vedevo delle creature simili – anche se ricordo di aver dato un'occhiata veloce da qualche parte in qualche libro a scuola – e non rimpiansi il fatto che non avevo mai avuto il piacere di conoscerle.
Si notava lontano un miglio che una delle due era più vecchia, probabilmente perchè aveva i capelli che davano sul brizzolato anziché essere neri pece come quelli dell'altra. Si notava lontano un miglio anche che quella più anziana era molto più capace della giovane, e – sembra strano dirlo – anche più agile. Fisicamente erano orribili.
Dalla loro bocca uscivano delle zanne affilate, i loro piccoli occhietti erano di un rosso malefico e avevano dei lunghi artigli sporchi al posto di normali unghie. Mentre facevo un quadro della situazione e mi concentravo sui lineamenti delle due donne non mi accorsi che – in campo – la faccenda stava degenerando.
Annabeth era rimasta incastrata tra due sedie sradicate dalla più giovane delle due – sembrava che fosse l'unica cosa capace di fare – Percy stava cercando di affondare la spada nel ventre della vecchia ma ella riusciva a sgusciare via come un nonnulla.
Piper era in piedi su una seduta traballante per cercare di evitare un piccolo incendio divampato sotto di lei e Leo era stato messo al muro dalla più giovane.
Io? Impaurita e nascosta. Non avrei biasimato mia madre se in quel momento avesse voluto diseredarmi.
''Muoviti e vai a dare una mano'' sbraitava scocciata la mia io interiore, quella più coraggiosa intendiamoci.
''Sono sicura che se mi unissi a loro raddoppierei solo i problemi'' ribattei furiosa.
Mentre dentro di me stava avendo luogo un litigio le cose non stavo di certo migliorando là fuori.
''Oh andiamo, sei o non sei una semidea'' ammise languida l'altra vocina.
'' Non ho certo chiesto io di esserlo'' supplicai. Ero sul punto di avere una crisi di nervi.
''Smettila di fare la melodrammatica e sbrigati, altrimenti potrai solo che rimpiangere il momento in cui avresti potuto realmente servire''
 



 

Presi un respiri profondo e mi sollevai da sotto il tavolo. La prossima volta che dovevo nascondermi avrei scelto un posto più comodo dove la mia schiena non ne avrebbe risentito.
Sfoderai Katagida e premetti la forma a cervo sopra la lama.
Essa si allungò come da manuale e – poco prima che le due si accorgessero di me – corsi verso Annabeth.
Fortunatamente erano entrambe concentrate nel colpire Leo e Percy per accorgersi che stavo aiutando la bionda ad uscire dalle due sedie sradicate.
– Tranquilla, non strattonare la gamba. Spingila più in fondo e inclinala. Poi tira, dovrebbe funzionare – spiegai io in velocità mentre continuavo a lanciare occhiate verso le Empurie per accertarmi della loro posizione.
La figlia di Atena fece come le avevo detto e fortunatamente riuscì a disimpigliare la gamba. Il mio entusiasmo di essere riuscita a dare finalmente una dritta giusta svanì quando sentii un urlo.
Piper stava per essere letteralmente inghiottita dalle fiamme.
Controllai il treno in cerca di qualche estintore ( più che altro intatto, dato che il vagone era distrutto).
Fui contenta che tutte le famigliole fossero corse via, ma avrei voluto scappare con loro.

In fondo alla stanza ne trovai uno che stava per essere distrutto da una sedia appena lanciata da una delle due donne.
Con il respiro affannato lo presi e me lo rigirai tra le mani impacciata.
Perchè non ero mai stata a sentire quei corsi per l'antincendio a scuola?
Optai per tirare una linguetta gialla e – dopo una mia mini preghiera che tutto andasse bene – mirai verso il fuoco divampato sul lato est della stanza.L'intero vagone si ricoprì di polvere bianca che lasciò perplesse le due Empuse.
Quel loro attimo di distrazione le fece perdere il controllo della situazione e con un urlo la più giovane scomparì lasciando al suo posto una pioggerellina oro.
Percy era riuscita a trafiggerla con Anaklusmos e – intanto che l'anziana era ancora sconvolta da quello che stava avvenendo – ne approfittò per lanciarsi verso di ella e trapassare il suo corpo raggrinzito.
Poco prima di scomparire mi guardò dritto negli occhi con quella che sembrò un'espressione di vendetta:
– Presto avrai quello che ti spetta, figlia bastarda – urlò stridula.
Poi tutto divenne silenzioso, e sembrò che il rumore sarebbe stato decisamente migliore del completo nulla.
 


Constatai che polvere bianca – sparsa ovunque – creava fastidio alla pelle e al naso.
Ovviamente mi astenni dal grattarmi, si trattava comunque di dignità e bonton anche se mi accorsi presto che tutti gli altri non facevano caso alle buone maniere.
Sia ringraziato il signore, se mi fossi messa a grattarmi il collo non mi avrebbero guardato male.
– Sapete: pensavo che essere conosciute fosse divertente, ma se a ogni mostro che incontriamo questo ha qualcosa da dire a me, mi dispiace ma non mi entusiasma affatto. Poi se fosse stato un commento carino l'avrei accettato, ma penso che bastarda non rientri in quel gruppo – dissi tutto d'un fiato.
Solo appena conclusa la frase mi resi conto che quel discorso non lo avevo formulato solo nella mia testa, ne avevo fatto caso comune involontariamente. Avrei voluto tornare indietro e starmene zitta, ma ormai tutti in quel treno sapevano che stavo andando di matto.
– Non che abbia sbagliato, intendiamoci– Piper fece scattare la sua lingua da serpente ( che io ritenevo biforcuta, e ne ero sempre più convinta) facendomi diventare ancora più rossa in viso.
Già avevo fatto la figura della debole, se poi lingua– viscida doveva anche scimmiottarmi contro eravamo proprio apposto.
Percy rifoderò la spada – Ogni tanto mi chiedo se ho a che fare con gente matura o con due bambine di tre anni. E sì, ho imparato a rispondermi da solo – ammise autoritario.
Sempre con un broncio in faccia mi decisi a darmi una calmata, spostai i sedili che ostruivano il passaggio e a passo spedito mi diressi verso la porta del vagone.
Avevo il fiato corto e la gola in fiamme, letteralmente. La pancia doleva ma notai che l'ambrosia assunta un po' prima aveva avuto qualche effetto positivo.
– Dove stai andando? – urlò Percy in un tono simile a non-hai-il-diritto-di-andartene-senza-finire-la-conversazione. Purtroppo non aveva capito da sé che mi ero stufata di quelle situazioni cariche di tensione.
Mentre evitavo di calpestare i vetri infranti della porta scorrevole che giacevano sul pavimento gridai in tutta risposta un – dal capotreno –
Una volta saltate tutte le schegge aprii lentamente le vetrate del vagone successivo dove non sembrava esserci un'anima viva. Le opzioni erano due: o New Jersey non era una meta troppo gradita, o i passeggeri se la erano data a gambe.
Non che qualche sano di mente potesse scendere da un treno che aveva appena smesso di viaggiare e correre al di fuori della vettura in mezzo a una campagna tutt'altro che ospitale.
– E cosa avresti intenzione di fare?– sbraitò nuovamente Percy.
Ma dico, sembravo così tanto una sprovveduta?
Prima di richiudere pesantemente le porte alle mie spalle risposi seccata – Vogliamo forse rimanere fermi a vita? –
Poi il silenzio, un amaro silenzio. Intendiamoci, non quel soave e dolce vuoto che accompagna un bagno caldo, ma semplicemente la calma piatta che precede una tempesta.
Le luci sfarfallavano rendendo la stanza ancora più macabra, e la mancanza di vita faceva sì che a ogni minimo fruscio o ombra il cuore martellasse sempre più forte. Impugnai Katagida e avanzai lungo il vagone.
Le sedie verdi erano un pugno nell'occhio, gli scompartimenti aperti sembravano reduci di un saccheggio poco prima di scappare, una leggera foschia impregnava l'aria e a ogni respiro freddo il fumo fuoriusciva dalla mia bocca. Qualcuno aveva spento il riscaldamento?
Una volta giunta dall'altra parte della stanza aprii con molta attenzione l'altra porta.
Calma piatta anche nel vagone successivo.
A parte per le sedie rosse era tutto identico a quello precedente, stessa sensazione oppressiva, stesso identico freddo. Poco prima di poter avanzare verso il vagone numero 4 una mano mi toccò la spalla facendomi quasi gridare dallo spavento.
Lo sapete no, quando si è tesi e non ci si aspetta nulla lo spavento è decisamente maggiore.
Una massa nera di capelli invase il mio campo visivo rasserenandomi – Leo vuoi farmi avere un infarto? – chiesi retorica.
Scosse la testa serio prima di infilare una mano dentro la cintura degli attrezzi che aveva legata alla vita. Ne estrasse un pacchetto di patatine già finito per metà.
– Vuoi gradire? Non dirlo agli altri, l'avevo tenuto per occasioni di estremo bisogno
Nonostante non fosse il momento adatto riuscii a sorridere – E questa ti sembra una situazione di estremo bisogno?
– Eccome, siamo su un treno fermo in chissà quale campagna infestata da chissà quanti mostri e potremmo non
sopravvivere. Potrebbe essere l'ultima volta che mangiamo delle patatine, e non voglio non poterle assaporare prima di lasciare questo mondo – proclamò solenne accentuando la storia con degli occhiolini.

Risi prima di affondare la mano dentro il pacchetto – Non fa una piega




 

– Sul serio volevi andartene in giro su un treno deragliato da sola?
Mentre ero impegnata a controllare che nessuno ci potesse piombare addosso da un momento all'altro, dato che eravamo molto vulnerabili in quel posto, Leo mi tartassava di domande.
– Ho sempre pensato che fossi un po' masochista ma questo è troppo – ridacchiò a mezza voce.
La porta del vagone 5 era a terra spaccata, non prometteva niente di buono, ma a Leo sembrava non importare. Schivai l'asse di legno ed entrai nella stanza: stavolta le sedie erano blu.  A quanto pare quella compagnia amava i colori.
– Quell'Empusa aveva un alito orribile, giuro a pensarci mi sale la bile in gola – continuò lui.
Borbottai un ''Shht'' accompagnato da una gomitata in pieno sterno del ragazzo quando mi accorsi che sulla porta che stava dalla parte opposta del 5° vagone c'era un cartello con su scritto Sala Controllo e poco più in basso vietato l'ingresso ai non autorizzati.
Mi diressi con passo sostenuto attraverso il corridoio per metà buio dato che funzionava solo una fila di luci, e levai la spada davanti agli occhi. Non mi stupii nel vedere che ancora una volta non c'era nessuno.
Solo una volta raggiunta la porta in metallo mi resi conto che stavo tremando. Sperai che non si notasse il leggero vacillamento delle mie gambe che stavano per cedere sotto il mio stesso peso, e sperai che Leo non facesse caso al piccolo tremolio del labbro.
Prima che potessi avvicinarmi – il braccio del figlio di Efesto – si interpose tra me e la porta facendomi indietreggiare. Una sola occhiata seria mi fece capire che ora toccava a lui.
Non sapevo se quello era un atto di eroico oppure perchè aveva paura di un mio mancamento in caso di pericolo, ad ogni modo lo lasciai fare.
Spinse la maniglia – É chiusa
Mi trattenni dal dire ''Se è chiusa forse ci sarà un motivo'' per poi provare a forzarla. Sinceramente non sapevo nemmeno il perchè ci avessi tentato, credevo davvero di competere con un maschio muscoloso? Se diceva che era chiusa probabilmente (sicuramente) era così.
– Forse con una forcina possiamo allentarla – dissi beccandomi un'occhiataccia da Leo – Non guardarmi in quel modo, nei film fanno sempre così – mi difesi alzando le mani.
– Hai ragione, io direi di provare con una carta di credito: anche quelle funzionano – ammise sarcastico. Purtroppo non ero in vena di contraddizioni e tanto meno di prese in giro.
Perchè tutti mi sottovalutano così tanto?
Con una smorfia seccata mi tolsi una forcina dai capelli legati in una coda, mi bastò uno sguardo penetrante per far scansare il ragazzo e mi inginocchiai davanti alla porta.
Infilai il pezzetto di metallo nero all'interno della serratura muovendola ( devo proprio dirlo: lo stavo facendo a casaccio invocando qualsiasi dio dell'Olimpo che non facessi la figura della stupida) in cerca di qualche ingranaggio.
Poi con un clic sentii muovere qualcosa al suo interno.
Mi alzai tenendo la forcina bloccata in bocca e provai a spingere di nuovo la porta – continuando ovviamente a pregare. Stavolta si aprì nello stupore generale.
La spinsi delicatamente più che altro per la paura di ritrovarmi qualcuno di fronte, ma a quanto pare la stanza era vuota.
Il conducente infatti non c'era ma la cosa non mi sorprese, di lui era rimasto solo il capello appeso a un attaccapanni sulla destra. Le pareti erano blu acceso e qua e là erano appesi dei poster squallidi a cui non volevo dare molta importanza, anzi avrei voluto strapparli dalle pareti e gettarli nella spazzatura. Io dico: ma davvero? Quando porci possono essere gli uomini.
Una sedia di pelle troneggiava in mezzo alla stanza vicina al centro di controllo: una pancata metallizzata piena di manopole e schermi luminosi ovvero gli unici in grado di illuminare la stanza. Le luci erano tutte spente o per un black– out o perchè il conducente prima di andarsene si era sprecato di chiuderle magari dicendo ''Il mio treno verrà distrutto ma almeno la bolletta della luce non sarà alta''.
– Debb guarda – sussurrò il figlio di Efesto con lo sguardo diretto alla parete sinistra del vagone.
Non ci avevo fatto caso, forse perchè era troppo buio per poterlo notare, ma sul blu acceso del muro spiccava una scritta fatta con della vernice bianca.
Mi mancò il fiato e il cuore sembrò aver perso un battito.
''Stai andando dritta verso la morte, figlia della Luna''




Buonaseraa

Sono tornata come promesso il 29. In realtà avrei dovuto aggiornare il trenta, ma la voglia di farlo era troppa e non ho resistito. Ho sgarrato solo di un giorno dai, niente di trascendentale.
Ora, prima di commentare ( in maniera monotona come faccio sempre, lo so hah) il capitolo, voglio fare qualche precisazione riguardante la storia, in quanto possiate collocarla in un arco temporale. 
Dato che sono stupida e complicata seguitemi perchè altrimenti vi perdete hah.


Tiene conto di tutti gli eventi accaduti fino a ''Lo Scontro Finale'' ma tiene anche conto de ''L'Eroe Perduto''. 
Ora, tiene conto di solo alcuni avvenimenti, come ad esempio la comparsa di Leo, Piper e Jason ma lasciando il resto in stand-by. La guerra contro Gea si è momentaneamente fermata tanto che i personaggi non ne fanno più caso. 
Ve l'ho detto che sono tutta pazza, scusate.

E dopo questa brevissima spiegazione passiamo al capitolo 10. 
Che dire, Deborah è un po' fifona ma sta cominciando a prendere confidenza con sè stessa e con quello che a scoperto di essere. Leo è sempre Leo, e io tipo lo amo ma ok. 
Per il resto non  c'è niente da dire, spero solo che vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensate.

Ci tengo a ringraziare per la milionesima volta voi.
Voi che mi sostenete, e che continuate a seguirmi. Giuro, vi amo quanto amo Leo. Ciò significa mooolto sappiatelo.
Ci sentiamo verso il 20 gennaio, un bacione enorme. 
Grazie ancora e

Buon anno tesori.
 


Personaggi

 

                                   Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper                                       

 

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Capitolo 11
*** Frittata di Empuse in arrivo! ***


A


Apachtheís ~ Rapita


(11)



Frittata di Empuse in arrivo!
 

Quando stetti a guardare quella frase con la bocca spalancata? Un minuto? Fatto sta che a me sembrò un'eternità. Non che la morte mi spaventasse, credetemi, se c'era una cosa di cui meno avevo paura era proprio morire. Dopotutto sarebbe stato veloce e indolore, era come addormentarsi con la clausola che non mi sarei più risvegliata.
No, la cosa che mi spaventava di più era perdere le persone a me più care a causa mia. Era sentirsi soli e abbandonati, e non mi sarei mai più sentita così, non adesso che avevo trovato degli amici.
– Non farci caso – borbottò Leo strappando un poster sconcio a caso e attaccandolo sopra la scritta per coprirla.
Ancora attonita mi sedetti sulla sedia in pelle – Tu dici che stiamo davvero facendo una missione suicida? – chiesi sottovoce. Gli occhi del ragazzo luccicavano nel buio e trasmettevano quel calore che mi bastò a tranquillizzarmi.
Scosse la testa – è solo uno stupido scherzo di cattivo gusto.
Uno scherzo? Sul serio? Chi sano di mente scriverebbe una frase del genere? Era ovvio che era riferito a me, ed era altrettanto ovvio che chi lo aveva scritto sapeva di certo che avremmo fallito.
– Leo non voglio che voi vi facciate male per colpa mia, non me lo perdonerei mai.
Un sorriso sbilenco gli passò sul volto che mi provocò una certa sensazione allo stomaco.
– Deborah non torturarti l'anima, sai che ti dico? È stupendo stare qua, non che andare contro la morte sia divertente ma alla fine è quello che facciamo ogni giorno. Siamo nati per correre rischi, vuoi davvero vivere come gli struzzi? ( il paragone mi fece sorridere: struzzo–Piper ci stava bene). Sarà scontato ma preferisco morire lottando che morire obeso su
un divano.

Con ancora il sorriso stampato in faccia si avvicinò a me.
– Secondo te è scortese chiedere a una ragazza di alzarsi da una poltrona? No, perchè se ti alzassi potrei vedere se questo treno può ancora funzionare.
– Mmh, e se ti dicessi che ormai mi sono fusa con questa sedia e che non ho intenzioni di lasciarti il posto? – scherzai.
– Sarà compito mio prenderti di peso e spostarti anche se in questo momento le mie braccia assomigliano a un budino di gelatina. Ma niente è impossibile per Leo sexy Valdez.
Ancora ridendo cedetti alla richiesta e mi sollevai lasciando la seduta a un Leo dai capelli scompigliati e dalla maglietta ancora sporca di polvere bianca. Mentre borbottava cose a me incomprensibili e mentre valutava la tenuta delle manopole e il loro funzionamento col filo dell'occhio notai Annabeth,Percy e Piper entrare nella stanza.
Erano tutti e tre ripuliti, il che mi fece sentire in imbarazzo dato che presumevo di avere ancora qualche scia bianca tra i capelli, e tutti e tre con una faccia sconvolta.
– Abbiamo notato degli strani movimenti all'esterno – spiegò Annabeth controllata stringendo il suo pugnale di bronzo celeste. Purtroppo il buio impediva una visuale nitida, anche se in un certo senso era scontato il fatto che nelle campagne circostanti ci potesse essere qualcosa.
Leo era concentrato sugli ingranaggi – Forse sono in grado di metterlo in moto –
Percy studiò la stanza schifato (probabilmente dai poster) poco prima di avvicinarsi alla seduta di controllo e chinarsi sulla pancata di schermi e pulsanti colorati.
– Il problema non è farlo funzionare, in realtà è riuscire a guidarlo – ammise il figlio di Efesto tirando fuori dal marsupio un paio di cacciaviti e stringi-bulloni.
Intanto che tutti discutevano su come far andare avanti quel macchinone io mi cimentai nel togliere tutti quei cartelloni osceni, stando ben attenta a toccarli il meno possibile.
– Credo che il pulsante per l'accensione sia... – il ragazzo-tutto-fare navigò con gli occhi sui bottoni.
Riuscii a tenermi in equilibrio poco prima di finire con la faccia a terra, Leo aveva premuto la scritta 'On' e subito il treno si era animato.
– Per gli dei, credevo che fosse un poco più complicato mettere in moto un treno anziché schiacciare un semplice pulsante – urlò Percy cercando di sovrastare il rumore del motore.
In realtà non mi sorprendeva più nulla da quando avevo scoperto che esistevano gli dei, e ancor di più dopo aver scoperto che mia madre era una di quelle.
Mi accorsi solo più tardi che avevo centrato con la mano uno dei poster nel tentativo di stabilizzarmi, cosa che mi fece rabbrividire per innumerevoli volte.
–Okey – sbraitò ancora più forte Percy – Ora hai idea di come farlo muovere, Valdez?–
Percepii un paio di ''come se fosse semplice'' prima di accartocciare inorridita i cartelloni e lanciarli letteralmente fuori dal finestrino del treno. Con passo sostenuto mi avvicinai ai quattro e con una espressione di una che era appena uscita da un bagno pubblico dissi – Io credo di saperlo.
Tutti mi fissarono come se fosse la più grande barzelletta del secolo, solo Percy ebbe quel minimo di ritegno nel contenersi e nel non dimostrarsi colpito.
– Mio padre era un capotreno – mormorai.
La sola parola padre mi fece scattare in testa quel moto di repulsione che ho sempre provato nel pronunciare quel sostantivo. Se dovevo essere sincera, più che un papà, Leonard Miller mi sembrava un vagabondo del Bronx.
Leo mi fissò incredulo – Dici sul serio? Ho sempre trovato affascinante quel campo. Un giorno potresti farmelo conosc...–
Lo bloccai con uno sguardo penetrante che a mio parere era più arrabbiato che malinconico –Non mi va di ripensare a lui.
Piper che se ne stava vicino ad Annabeth a controllare il suo pugnale interruppe il mio 'ritorno al passato' con voce roca e impaziente – Se entro due minuti non trovate un modo per farci muovere credo che avremmo dei problemi –
Mi scambiai un'occhiata veloce con Leo che mi lasciò il posto. Al dire il vero avevo un pochino ingigantito la cosa. Certo, da quando avevo otto anni avevo assistito a molte sue partenze e prima che andasse in depressione – durante l'ora di cena
– mi raccontava spesso il modo per
governare pienamente un treno imbizzarrito, ma in quel momento era diverso.
Non avevo mai messo in pratica le mie conoscenze, e cimentarmi per la prima volta in quel mestiere oltretutto in un momento di potenziale pericolo mi rendeva ancora più nervosa.
– Come prima cosa dobbiamo chiudere l'IR – recitai mentre cercavo il pulsante.
Ed eccolo lì: Interruttore ExtraRapido. Lo schiacciai sperando di star facendo tutto nel modo giusto.
Mi concentrai – In seguito dobbiamo azionare i moti.. – mi interruppi con un vuoto di memoria.
Sgranai gli occhi: come si chiamavano? Mentre io ero in preda al panico la locomotiva traballò come se fosse spinta da qualcosa all'esterno.
Scavai affondo nella mente intanto che tutti gli altri avevano assunto una posizione di difesa con le lame poco più lontane dal loro naso.
– I moti alternatori! – sbraitai ispezionando la pancata.
Leonard Miller diceva sempre che era una manopola blu, ed aveva ragione. La tirai all'indietro e subito sentii come se una cinghia si fosse allentata. Stavamo per partire.
Altri colpi provenivano dall'esterno.
L'energia espressa sotto forma di bar nello schermo aveva solo due tacche, il che non prometteva nulla di buono.
– Deborah non per farti pressione ma qui potremmo avere un grosso problema se non partiamo subito – constatò
Annabeth.

La guardai incerta, se l'energia non raggiungeva i nove bar non avremmo concluso un gran che.
Fu in quel momento che mi concentrai nell'invocare mia madre. Non mi avrebbe sentito, ma cosa costava provare?
''Ti prego mamma'' sussurrai a testa bassa fissando intensamente il pannello di controllo.

3 bar, 4 bar, 5 bar, 6 bar, 7 bar,8 bar e 9 bar.

Stavo per scoppiare in un urlo di felicità quando un tonfo ancora più forte si ripercosse sul parabrezza del treno. Altre Empuse se ne stavano al di fuori della vettura pronte per farci a pezzi.
Ma non avevo paura, ero stranamente contenta perchè da lì a poco sarebbero finite sotto le rotaie del treno.
– Ragazzi, preparatevi a una frittata di Empuse – esclamai sadica tirando il freno a mano.
Tutto cominciò a muoversi ma la velocità era bassa e le Empuse indietreggiarono solamente.
Poi la lancetta si spostò su 40 km/h e partimmo in gran rapidità lasciandoci i mostri alle spalle.
Risi muovendo i comandi – Ecco che cosa succede se ci si mette contro la figlia di un capotreno.

 


 

Dopo aver spiegato a Leo ciò che doveva fare – alla fine guidare un treno si era rivelato essere più semplice del previsto se
si sapeva decifrare le coincidenze con le altre locomotive – mi ero sdraiata a terra sistemandomi sopra il mio zaino.

La posizione non era di certo comoda, anche perchè dopo dieci minuti il collo cominciò a implorarmi di alzarlo, ma avevo preferito restare lì a controllare la situazione. D'altronde ero l'unica su quel treno che sapeva come farlo andare avanti, e per la prima volta nella vita avevo apprezzato il tempo trascorso con mio padre. Se quello era un padre.
Anche Percy aveva preferito mettere a riposo i suoi sensi assumendo la mia stessa pozione proprio accanto a me, ovviamente dopo aver constatato la pulizia del pavimento.
Annabeth controllava l'operato di Leo interrompendolo di tanto in tanto con esclamazione del tipo ''Vedo dei fari davanti a noi, rallenta! Ci schianteremo!'' cosa che faceva spaventare ogni volta il figlio di Efesto.
Non erano fari ferroviari quelli che vedeva la bionda, semplicemente il riflesso delle luci accese dentro il vagone sul vetro. Non la biasimai, anche io l'avevo seguita urlando ''Moriremo tutti'' con il mio solito positivismo.
Piper si era accomodata vicino a Percy, anche se lei aveva preferito starsene seduta a non sdraiata come eravamo il figlio di Poseidone e io. Avevo sonno più di qualsiasi cosa al mondo, ma non volevo cedere. Se fosse successo un guaio mentre dormivo? Preferii obbligare i miei occhi a star bene attenti che svegliarmi durante uno schianto o un attacco di potenziali mostri.
– Percy – mormorai avvicinandomi al suo orecchio – Hai avuto altri presentimenti da questa mattina?
I suoi occhi verdi si accesero per poi girarsi verso i miei ricchi di curiosità – No, per ora nulla.
– Come sono le tue ''visioni'' ?– mimai impercettibilmente le virgolette accanto alla testa
Sospirò pensieroso – Molto spesso brutti presagi. È orribile sentirsi fermo,impotente e inutile.
Ripensai a quel sogno, a quell'uomo e quel cane con così tanta rabbia repressa. Ero certa che centrasse qualcosa con mia madre ed ero altrettanto certa che non era stato solo un incubo.
– Perchè me lo chiedi? – fu' Percy a svegliarmi da quella specie di trans pensieroso.
Lo guardai per un paio di minuti buoni in cerca delle parole migliori per spiegare la situazione, poi mi arresi e mormorai
–Per curiosità.


 

Passarono venti minuti dalla mia breve conversazione con Percy e fu' del tutto inutile il mio intento di fermare il sonno imminente,nemmeno Annabeth sembrava riuscirci.Continuavo a ripetermi mentalmente ''non cedere'' ma era come chiedere a un cane di non rincorrere un gatto: impossibile. Chiusi impotente gli occhi e crollai in un sonno profondo rimpiangendo il fatto di non essere rimasta sveglia.


Mi trovai su una spiaggia dorata a piedi nudi, mentre la sabbia mi solleticava le piante dei piedi riscaldandole con il suo dolce tepore. Davanti a me un mare tranquillo e cristallino. Da quella prospettiva si poteva scattare una meravigliosa foto-cartolina.
Ma c'era qualcosa che turbava la quiete: il cielo.
Il sole era offuscato da delle nubi rade, scure e tempestose come se da un momento all'altro avrebbero cominciato a scatenare una tempesta che avrebbe distrutto quell'atmosfera di pace e serenità. Sentii il vento solleticarmi il volto e i capelli scompigliarsi al suo tocco meschino.
Era carico di astio represso mentre soffiava con sempre più intensità facendomi traballare instabile. In pochi secondi avevo completamente perso l'ancoraggio al suolo e volteggiavo impotente sempre più in alto finchè la terra ferma sembrò
solo un miraggio.

Avevo sempre avuto paura dell'altezza e quel mio difetto mi provocava la paralisi degli arti facendo in modo che tutto il mio corpo fosse altamente vulnerabile. Librata in aria mi sentivo come un gabbiano intrappolato in un temporale: senza via di fuga.
I capelli mi offuscavano la visuale e il freddo mi faceva sbattere i denti come se la temperatura fosse scesa tutta d'un tratto a -5 gradi.
Dopo quelli che mi sembravano minuti la mia salita verso il cielo si bloccò lasciandomi immobile in mezzo a quel turbinio di lampi e tuoni. Il vento era diventato ormai impetuoso come anche la forza con cui soffiava.
Azzardai un'occhiata fugace verso il basso scoprendo che la spiaggia era diventata ormai una distesa indefinita. Sembrava che sotto quella tempesta la vita si stesse svolgendo normalmente, come se l'uragano lo stessi vivendo solo io.
Mi salì la bile in gola a quello spettacolo, ma il freddo che stavo provando bastò a ricacciare dentro quel senso di nausea che mi stava invadendo. Il sole era sparito, ormai completamente coperto dalle nubi nere che nemmeno un raggio era riuscito a oltrepassarle.
Guardai di fronte a me dove una luce stava cominciando a brillare intensamente. Non era calda e accogliente, era fredda e malvagia come volevasi dimostrare.
Lampeggiava come un faro nel buio, come un tizzone ardente nell'oscurità.
Mentre la mia attenzione era concentrata sulla provenienza di quella luce un dolore accecante mi trafisse la zona lombare. Un senso di vertigine mi rese offuscata la vista.
Un dolore lancinante si ripercosse sul mio stomaco e – seppure il senso di vomito mi stesse tornando – chinai la testa verso la mia pancia.
Una macchia di sangue si stava spandendo su quella che era la mia camicetta bianca e la punta di una freccia aveva trafitto la mia schiena lasciando in evidenza solo la cuspide conficcata sul mio bacino. Un urlo soffocato uscì dalla mia bocca mentre una risata riecheggiava nel cielo.
E poi il nulla.

 

Anteprima prossimo capitolo
Da quei pochi centimetri che ci separavano riuscivo a sentire il suo respiro sul mio volto,
e il mio cuore battere come se volesse dire
''finiscila di farmi avere degli infarti''.


 

Buonaseraa
Come promesso siamo al 17 gennaio e sono tornata con un nuovo capitolo!
Ho pochissimo tempo a disposizione in quanto tra poco arriveranno le mie amiche per un pigiama party a tema: horror. Ditemi buona fortuna hah.
Bene, prima di analizzare due secondi il capitolo vorrei farvi una domanda cruciale:

A voi la storia piace?

Perchè io ovviamente sono di parte e non posso darmi un giudizio da sola, vorrei sapere cosa vorreste migliorare, su cosa dovrei soffermarmi, su cosa invece non dovrei soffermarmi, cosa valorizzare, cosa va tolto ecc..
Per quanto riguarda il testo, beh, una sola frase: sono fissata con Leo.
Lo so, perdonatemi, ma non posso farne a menoo!
Spero che sia stato di vostro gradimento e scusatemi per la fretta ma ho i minuti contati hah.
Vi ringrazio ancora per tutto quanto.
Un bacione

 

Personaggi

 

                                   Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper                                       

 

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Capitolo 12
*** La vendetta non giova alla salute ***



Ringrazio infinitamente fvucku per il banner, 
è stupendamente stupendo. 

 
Apachtheís ~ Rapita

(13)


La vendetta non giova alla salute

 

La nausea si era arrestata, o per lo meno aveva smesso di farmi diventare la faccia paonazza ad ogni passo. Mi sentivo sempre così vulnerabile, e stavo cominciando a capire che non ero più sotto una sfera di cristallo, non lo ero mai stata.
Camminammo verso le montagne che sembravano alte vette che grattavano il cielo. Il sole era opaco, offuscato, oscurato da nubi scure il che prometteva veramente bene.
– Se qualcuno non mi sfama sbrano il primo vecchietto che mi passa davanti. Lo giuro.– mormorò lagnoso Leo al mio fianco, cosa che mi fece girare di scatto per la sorpresa.
Percy e Annabeth davanti a noi, che si tenevano rigorosamente la mano, si voltarono nello stesso momento rendendo il tutto molto tenero.
– Un vecchietto? Ti credevo un po' più ambizioso, amico – fece il figlio di Poseidone sorridendo al moro che intanto aveva fatto vagare lo sguardo intorno in cerca di qualche pub.
Una volta ispezionata la via illuminata da alcuni lampioni sfavillanti rispose – Il cibo scarseggia e io mi accontento.
Intanto io avevo già ripreso a camminare con un ghigno divertito in faccia, più passavo il tempo insieme a loro più mi sentivo accettata. E poi c'era Leo, che mi rassicurava a ogni mio momento titubante. Lo guardai in tralice scrutando i suoi morbidi ricci ricaderli in fronte, le sue guance arrossate per il freddo e la sua bocca rosea. La sua bocca.
– Mi stai fissando, lo sai questo? – esclamò quest'ultimo risvegliandomi dai miei pensieri. Sbattei più volte le palpebre per rendermi conto di cosa stavo facendo. Lo stavo fissando, e non in una maniera con cui guardi un tuo amico.
Infilai le mani nel giubbotto e affondai la testa nella sciarpa lasciando che le mie gote si colorassero di rosso per l'imbarazzo, sperai si mascherassero con il freddo.
– Ehi, questo non significa che non mi piaccia essere fissato da te– mi sussurrò all'orecchio con voce suadente mentre la mia faccia prendeva fuoco. Era caldo, e profumava di fumo e abete. Fortunatamente Annabeth urlò a squarcia gola che c'era un Fast-food lì vicino, cosa che aveva constatato leggendo un cartello pubblicitario, e sia Leo che io non ci rivolgemmo più la parola fino all'arrivo a destinazione.
Un lato positivo c'era nel non parlarli: non avrei fatto altre figure di merda, cose che mi riuscivano bene quando eravamo assieme a quanto pare.
Un insegna decadente con su scritto ''Dle Rpso'  sembrava essere l'unica presente una volta voltato l'angolo. Le lucette rosse intorno alle lettere sfarfallavano.
– Sarebbe questo il posto? – domandò Piper stizzita verso Annabeth.
Quest'ultima sospirò – Non hai idea di quanti ristoranti ci sono così in giro per il mondo, e non sai in quanti io ho mangiato.
Feci un sorrisetto spento per poi seguire gli altri tre che avevano ormai varcato la porta grigia, lasciando che la presenza di Leo alle mie spalle mi tranquillizzasse.




 

Un ragazzo dai capelli neri e dai magnetici occhi azzurri stava asciugando dei piatti dietro il bancone. Appena alzò lo sguardo, i suoi occhi, incrociarono i miei e non potei fare a meno di rabbrividire.
– Benvenuti a questa tavola calda – esultò il ragazzo. Uscì dal retro del mobile e ci raggiunse con un sorriso perfetto, quasi troppo perfetto per essere vero. Solo quando ci fu a un palmo di mano notai che era particolarmente in forma, e dalla maglietta blu si intravedeva il guizzare dei suoi muscoli.
Sarebbe stato molto affascinante, come uno di quei surfisti della California, peccato che trasudava di una sensazione tutt'altro che accogliente.
Percy si fece avanti, anche se giurai di aver visto la sua mano affondargli in tasca – Siamo in viaggio da molto, avremmo bisogno di qualcosa da mangiare.
– Oh, siete venuti nel posto giusto. Sapete non molti scelgono la nostra alta qualità, ma sono solo degli ignoranti in materia. Noi abbiamo i migliori panini di Colorado City.
Leo fece un fischio ironico – Ci credo.
Trattenni a stento una risata, ma lo sguardo glaciale del giovane mi fece rigurgitare l'istinto di ridere immediatamente. Invece, Leo, mi volse uno sguardo caldo che bastò a farmi riacquistare la calma.
Il ragazzo dagli occhi azzurri si passò una mano tra i folti capelli – Volete accomodarvi?
Di istinto mi girai verso Annabeth che mi lanciò un'occhiata della serie stai-tranquilla-è-tutto-sotto-controllo. Stentai a crederci.
Una volta preso posto a un tavolo rosso e giallo, il giovane, ci porse dei menù. Menù rossi, rossi come il sangue.
Massì Deborah pensiamo positivo.
Scorsi il dito sul pezzo di carta – ''Panino Rubacuori, solo per chi ha fascino e carisma'' – recitai con un certo sarcasmo.
Leo sorrise – Hanno inventato il mio panino.
Scossi la testa divertita ma appena cercai di aprire bocca per controbattere alla sua battuta, Percy, mi precedette.
– ''Panino frutti di mare, solo per i veri amanti degli oceani'' – alzò gli occhi verso Annabeth con fare sconvolto e impressionato. La bionda, che stava attentamente leggendo il Menù, lesse a voce alta – ''Cervello in fuga, solo per le vere sapientone''
– Oh – fischiò ironico Percy – Decisamente azzeccato.
Piper, seduta vicino a me, ripose la carta sul tavolino arrugginito – ''Panino della bellezza, solo per chi è nato sotto la la stella più bella''. Ma scherziamo? 
L'ultima a chiudere il libro fui io – ''Panino Lunare, solo per chi sa' cacciare''.
Mi buttai all'indietro sulla sedia mentre Leo esclamò – Inquietante.
Ero decisamente d'accordo, e noi come di buona norma eravamo entrati in un posto altamente inquietante. Tipico.
Il ragazzo dagli occhi glaciali, che stava tornando a passi svelti verso il nostro tavolo, incontrò nuovamente il mio sguardo e sorrise. Era spaventosamente pauroso nonostante quanto fosse bello.
Prima che raggiungesse le nostre sedute, Annabeth, si chinò verso di noi e sussurrò – Forse è stato uno sbaglio entrare, andiamocene il prima possibile ma non mostratevi frenetici di uscire.
Annuii impercettibilmente mentre seguivo con gli occhi il cameriere avvicinarsi finalmente all'unico tavolo occupato in quel locale tetro. Il nostro.
– Spero che abbiate scelto, il nostro chef è entusiasta di cucinare per voi.
– Ci dispiace averla fatta mobilitare per nulla, purtroppo è successo un imprevisto e la nostra presenza è richiesta altrove – spiegò la bionda con tutta la calma del mondo mentre io non potevo far altro che guardarmi le unghie nervosamente.
Gli occhi del ragazzo per un attimo mi sembrarono brillare, ma dato che ero visibilmente stressata diedi la colpa al mio cervello della troppa fantasia.
– Volete sapere quanti clienti hanno usato la vostra scusa? – rivelò occhi-azzurri scrutando Annabeth come se fosse un parassita che andava eliminato.
Lei sorrise apatica – è così che intendi intrattenerci? Con i tuoi vittimismi?
– Certo che no. Ho altri modi per intrattenervi.
Aveva la voce folle e finalmente capii che la luce che avevo visto prima era del tutto fondata. Una ringhiera calò istantaneamente sopra la porta impedendo qualsiasi via di fuga. Perfetto.
Annabeth e Percy si alzarono prontamente sfoderando uno Anaklusmos l'altra il suo fedele coltello.
– Non cercare rogne, amico – consigliò il figlio di Poseidone – Siamo di fretta e l'ultima cosa che vogliamo è rimanere rinchiusi in un bar dai bassi standard.
Il suo sguardo pazzo si posò su di me facendomi raccapricciare per la milionesima volta. Quest'ultimo scavalcò il tavolo così rapidamente che non lo vidi nemmeno muoversi, mi prese per il collo e mi trascinò fino al muro opposto dove mi tenne saldamente ferma con un braccio sotto la testa. Volevo togliermi quell'arto da davanti la bocca ma più mi opponevo più la stretta aumentava.
– Credete che io non sappia chi siete? – urlò psicopatico.
– Lasciala andare immediatamente o non avrò pietà, te lo giuro – strillò Annabeth fuori di sé brandendo il coltello. Leo si alzò facendo stridere la sedia per avvicinarsi a me.
Volevo intimargli di stare fermo, di non istigare il cane.
– Ancora un passo e le faccio saltare la testa. Vuoi essere tu a raccoglierla?
Un modo di rabbia fece scaturire un verso gutturale dalla gola di Leo che venne placcato da Percy evitando che potesse avanzare e causare la mia morte. Che prospettiva allettante.
Il braccio del ragazzo era forte, troppo forte per poterlo contrastare.
Occhi-azzurri sussurrò sui miei capelli – Una bella donna, tua madre.
A quell'affermazione non potei far altro che divincolarmi impotente, anche se dopo uno strattone violento evitai di farlo innervosire
troppo. Mi guardai la scarpa da dove sbucava l'impugnatura di
 KatagidaAvrei solo dovuto allungare leggermente la mano e sarei riuscita a raggiungerla.
– Non abbiamo intenzione di passare alle armi, libera Deborah e poi possiamo discutere su quello che vuoi da noi. Non c'è bisogno di violenza. – spiegò Annabeth pacata.
Piper era come sparita, e nessuno sembrava averlo notato.
Sentii il petto del giovane che si alzava e si abbassava in una risata macabra –Io voglio solo quello che volete voi. Trovare Artemide.
Per un attimo credetti di aver sentito male, tanto che stetti cinque secondi buoni a fissare il vuoto in silenzio continuando a sentire il braccio del ragazzo appiccicato alla bocca.
– Vorresti trovare mia madre. E perchè noi dovremmo crederti? – bisbigliai nonostante la sua pelle mi impedisse di aprire le labbra. Subito mi alzò la testa in modo che potessi vederlo in faccia.
I suoi occhi azzurri non erano più ammalianti, erano agghiaccianti. I suoi capelli neri non erano più ricoperti di gel, ma di sudore.
Sorrise – Oh, se solo conoscessi tua madre sapresti quante sere ha dedicato a me.
Sgranai gli occhi sbalordita ma non feci in tempo a rispondere che mi precedette Annabeth – Tu sei Endimione.
Volsi uno sguardo confuso alla bionda che lasciò cadere il coltello a terra – Zeus ti costrinse a un sonno eterno, ed essendo un bel giovane, Artemide ti venne a trovare per trent'anni sulla caverna del monte Latmo a vegliarti dormire.
Mi rigirai verso Endimione – Che cosa vuoi da mia madre?
Lui sorrise inclinando solo un lato della bocca – Vendicarmi.
Per la seconda volta dilatai le pupille sconvolta ma ovviamente, Annabeth, spiegò sottovoce – Lo ha abbandonato a sé stesso, dimenticando che esistesse non si recò più da lui per i restanti anni.
Durante la frase lui assentì col capo stringendo sempre di più la stretta sotto il mio mento.
– E ho già un ottimo modo per castigare Artemide per avermi trascurato e lasciato nel buio da solo. Quale buon metodo che uccidere l'unica sua figlia? – rivelò Endimione tirando fuori da dietro la tasca un coltello dalla punta intrisa di nero.
Riuscii solo a sentire Leo urlare una frase del tipo 
''Bastardo'' prima che Percy, Annabeth e lo stesso figlio di Efesto vennero imprigionati dalla parte opposta della stanza a causa di una rete scesa dal soffitto che divise in due il locale.
Io e Endimione da una parte, e gli altri tre dall'altra. Piper non sembrava aver dato segno di essere ancora nel pub, cosa che mi fece confidare in qualche suo piano.
– Prova solo a sfiorarla e io ti spacco qualsiasi ossa che tu hai in corpo – sbraitò Leo dimenandosi contro la ringhiera.
Occhi-azzurri mostrò la sua dentatura perfetta in segno di sfida – Hai davvero fegato, peccato che ti servirà poco da ora in poi.
Leo scosse il tramaglio imprecando sottovoce mentre Annabeth gli intimava di stare calmo sussurrandogli all'orecchio. Qualsiasi cosa gli disse funzionò perchè i suoi occhi si illuminarono di speranza mentre percorrevano spediti l'intero locale.
– Preferisci un bel taglio netto oppure un graffietto proprio qui, sulla Giugulare? – mi propose Endimione sadico mentre il coltello nero scorreva sul mio collo.
Quando la lama toccava la mia pelle era come se bruciasse al tocco, doleva e non potevo far altro che irrigidirmi e sopportare il dolore. Con la mano cercavo disperata di raggiungere Katagida che splendeva come se mi intimasse di prenderla. Perchè non ero nata con gli arti più lunghi?
Intanto la lama del pugnale si avvicinava sempre di più alla mia gola.
–E così che intendi fargliela pagare? Rifarti su una vita innocente. Ragiona. – urlò Percy cercando qualche fonte d'acqua vicina. Purtroppo i suoi poteri da figlio di Poseidone in quel locale non funzionavano.
Edimione alzò lo sguardo disumano – Non mi sono mai fatto scrupoli, stupido. Perchè dovrei iniziare proprio ora che sono a un passo dal vendicarmi. Capirai quando sarai tu ad essere deluso, quando cercherai solo che un modo per porre fine alla tua sete di vendetta.
Intanto non potei fare a meno di notare un movimento nell'ombra a destra del locale. Chiusi gli occhi e pregai.
– Artemide comprenderà, mi perdonerà e potremmo tornare ai principi. Non serbo rancore, sapete? Ho semplicemente un desiderio irrefrenabile di uccidere. Ancora e ancora. Mi dispiace dolce Deborah ma sei solo capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Spero che tu mi possa un giorno perdonare – finì il giovane rancoroso. Puntò in alto il coltello e chiusi gli occhi prima di vederlo calare su di me.
Abbassandomi riuscii ad aggrappare Katagida che si illuminò al tocco. Quando feci per alzarla mi accorsi che Edimione aveva mollato la presa lasciandomi finalmente la possibilità di respirare.
La ringhiera che separava il locale si alzò di colpo permettendo a Percy,Annabeth e Leo di raggiungermi.
Endimione era a terra rantolante che si premeva il petto dolorante da dove usciva la punta di un pugnale. Il pugnale di Piper.
La ragazza cheeroke se ne stava in piedi bellamente vicino al corpo morente del giovane. Notavo nei suoi occhi il dispiacere che provava ad avere ucciso, e non potei biasimarla.
Un rivolo di sangue uscì dalla bocca di Endimione, segno che aveva appena lasciato la terra.
– Come ti senti? – era Leo che mi aveva preso per il bacino lasciando che le sue mani accarezzassero i miei capelli.
Provavo solo una cosa in quel momento. Tristezza.

 

 


 

Buonaseraa

Come potete notare sono in tempooo! Almeno, un giorno di ritardo dai. Stavo comunque pensando che un mese è tanto tra un capitolo e l'altro, di questo passo ci vorranno anni prima di concludere tutto.
Per cui ho deciso di ridurre l'attesa a due settimane! Prossimo aggiornamento quindi il 7 aprile!
Okey mi sto gasando, sorratemi.
Volevo ri-precisare che il banner non è opera mia ma di , ed è bellissimo. Ceh, oh, lo amo.
Ho pochissimo tempo a disposizione, come al solito, quindi vi mollo qui.
Ci sentiamo presto, alla prossima.
Serpeverde_

 


Personaggi

 

                                   Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper                                       

 

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Capitolo 13
*** Quasi quasi vado a piedi ***


A


Apachtheís ~ Rapita

(12)


Quasi quasi vado a piedi

Nel capitolo precedente
Una macchia di sangue si stava spandendo su quella che era la mia
camicetta bianca e la punta di una freccia aveva trafitto la mia schiena
lasciando in evidenza solo la cuspide conficcata sul mio bacino.
Un urlo soffocato uscì dalla mia bocca mentre una risata
riecheggiava nel cielo.

E poi il nulla.


 
Sto cominciando a pensare che lo faccia apposta per attirare la vostra attenzione, e voi come poveri ingenui ci stata
continuando a cascare.La voce di Piper era inconfondibile, sveglia o svenuta che fossi. Una volta alzata mi resi conto di avere i capelli completamente bagnati e così anche i vestiti. 
−Finiscila di fare i tuoi commenti idioti e dai una mano.
Quella invece era la dolce voce di Annabeth, altrettanto inconfondibile. Nonostante si percepisse la rabbia nella sua affermazione, il suo tono, continuava ad essere una melodia armoniosa.
La testa mi vorticava e una fitta nebbia era distesa sui miei occhi, che cercavano in tutti modi di mettere a fuoco la situazione. Il mio respiro era affannato e alcune ciocche more avevano aderito alla mia fronte imperlata di sudore. 
In casi normali mi sarei altamente vergognata delle mie condizioni,ma in quel momento erano l'ultima cosa che mi interessava. 
−Quanto ho dormito? − la mia voce era rotta dalla paura della quale non andavo fiera. Tutti gli altri erano in grado di mascherare le loro emozioni, io no. 
Percy si buttò a terra rasserenato come fecero gli altri, tranne Annabeth che stava versando dell'acqua in un bicchiere
−Un paio di minuti − fece lui.
Tutto quello che mi saltò in testa a quella risposta fu ''Solo?''.
Sembrava fosse passata un'eternità da quando avevo chiuso gli occhi. Sentivo in bocca il sapore del sangue e presumi di essermi morsa il labbro per tutto il tempo mentre nella mia testa regnava il caos più assoluto. Riuscii a stento a fermare il battito accelerato tanto che mi sembrava stesse per sfondare il mio sterno.  
Annabeth mi passò il bicchiere d'acqua che quando presi in mano mi diffuse un senso di freschezza in tutto il corpo. Una volta averlo trangugiato tutto d'un fiato mi sentii rinata. Il sapore dell'icore mi inacidiva la bocca, ma la gola era stata del tutto rinfrescata. 
Leo era seduto alla mia destra con quella che era un'espressione esausta – Ho scoperto il pilota automatico – e poi fece spallucce. 
Gettai la testa all'indietro facendola aderire alla parete dietro le mie spalle. 
Respirai profondamente ringraziando di poterlo fare, e con una mano tastai la mia pancia intatta se non per la ferita che stava per rimarginarsi. 
Mi passò per la testa l'immagine del sangue che si spandeva a macchia d'olio su tutto il mio ventre, e il dolore così reale che aveva attraversato il mio corpo. Folle.
–Quando avrai intenzione di raccontarci quello che ti è successo noi siamo qui–  fece Annabeth posandomi una mano sulla coscia intenerita. Era evidente che era successo qualcosa, questo lo avevano intuito tutti, tranne Piper che sembra esserne indifferente.
Era orribile quella sensazione di essere sempre in mezzo a tutto. Non era positiva come quando entri a scuola sfoggiando la tua gonna migliore ricevendo lo sguardo di tutti. No, era tutt'altro. 
Annuii incerta continuando a massaggiarmi la zona lombare con fare assente. 
Percy si era alzato e diretto verso il vetro frontale in funzione di sentinella, Annabeth una volta chiuso lo zaino con le provviste si avvicinò a Percy borbottando qualcosa sottovoce. 
Non ne percepivo la conversazione, ma notai che erano molto presi nel rispondersi come se la questione fosse di massima importanza. Piper si era riseduta dalla parte opposta della stanza in cerca di riprendere sonno, cosa del tutto semplice per chi non aveva avuto un sogno del genere.
L'unico rimasto accanto a me era Leo. Un Leo dalla faccia stanca e dai capelli arruffati come se si fosse messo le mani più e più volte in mezzo a quel suo cespuglio riccio.
Avevo chiuso gli occhi cercando di dimenticare quello che era successo, ma era del tutto inutile.
Il figlio di Efesto emanava un calore confortante, pacifico e rassicurante. Gli sentivo la spalla sfiorare la mia, sentivo il suo respiro calmo e regolare. 
Aveva un profumo dolciastro, un misto di essenza di pino e caramelle, cosa del tutto insolita sapendo che avevamo lottato più volte contro mostri dallo sgradevole odore. 
–Ti senti meglio? – fece quest'ultimo. 
La voce era ridotta ad un sussurro flebile mentre al naso mi giungeva l'odore di menta. 
Ancora con le palpebre serrate mi sforzai di scacciare il sogno ripetendomi la solita banale frase ''Non era reale''.
–Non ti devi preoccupare per me, sto bene. Non c'è problema – ormai mentire sul mio stato d'animo stava diventando un'abitudine. Peccato che le mie parole non fossero coordinate alle mie reazione. Impulsive e totalmente irrazionali.
Era piombato un silenzio agghiacciante nel vagone. Gli unici due che mormoravano erano Annabeth e Percy, e non potei fare a meno di pensare che quei due facevano una gran bella coppia.
La mente e la forza, unite al punto giusto.
Sentii un formicolio allo stomaco, e capii subito che non era dovuto al sogno ( per una volta) ma per il contatto con la spalla del moro accanto a me. Difficile a dirsi, il cuore mi stava giocando brutti scherzi con quei segni che non sapevo decifrare.
La sua voce mi giunse all'orecchio flebile – Mi preoccupo eccome. I sogni non sono buoni amici dei mezzosangue, e l'ultima cosa che voglio e che tu ne diventi schiava.
Mi decisi ad aprire gli occhi facendomi invadere dalla luce accecante della lampadine sopra di me. Mi abituai quasi subito all'ambiente e con un smorfia di concentrazione mi voltai verso Leo seduto accanto al mio corpo. Lo squadrai un'ultima volta passando per bene ogni suo tratto. Gli occhi marroni erano grandi e languidi, la bocca era socchiusa e tinta di un rosa caldo e la mascella era morbida ma al con tempo spigolosa in alcuni punti.
–Credimi quando ti dico che posso farcela. Non sono più quella di prima, o per lo meno sto cercando di non essere più quella che ero un tempo. I tempi da ragazzina ingenua sono finiti, e non so se esserne felice o amareggiata. L'unica cosa di cui sono certa è l'essere fortunata nell'avere voi accanto. Forse sarò testarda e avvolte infantile, ma sono sicura quando dico che mi sento più decisa  di quanto ero prima di scoprire la verità.
Accennai un lieve sorriso che rese meno stanco l'animo del figlio di Efesto. Da quei pochi centimetri che ci separavano riuscivo a sentire il suo respiro sul mio volto, e il mio cuore battere come se volesse dire ''finiscila di farmi avere degli infarti''.
Alzò un lato della bocca in un sorriso – Mi fido di te.


 

 

Dieci secondi dopo Percy si distese sulla poltrona verde espirando esausto mentre si scompigliava la capigliatura rendendola ribelle –Tra cinque minuti dovremmo essere arrivati.
Il viaggio era stato stranamente calmo, e io avevo deciso di non addormentarmi per nessun motivo.
Probabilmente dopo quello che era successo non sarei mai riuscita più a chiudere gli occhi in vita mia, ma notai che la mia mente stava cominciando a stabilizzarsi. 
–Ora, fermare un treno sarà facile ma anche rischioso. Ne andrebbero a repentaglio un sacco di vite in caso di uno sbaglio– disse il figlio di Poseidone pensieroso.
Piper stava ancora dormendo in un angolo del vagone, e provai un'infinita pena per lei. Strano a dirsi ma sdraiata supina sopra il suo zaino azzurro con una mano sotto la testa provocava un certo senso di vulnerabilità.
Provai ad alzarmi –Potremmo fermare il treno un po' prima e poi proseguire a piedi. 
Anche Leo si alzò e entrambi ci stiracchiamo gli arti intorpiditi insieme a versi gutturali che in altre circostanze sarebbero stati imbarazzanti.
– Sarebbe un'idea. Annabeth? Che ne pensi? – fece Percy voltandosi verso la bionda appoggiata sul bancale di comandi. Mi venne quasi da ridere per il modo in cui aveva posto la domanda. Era risaputo che per fare una cosa c'era bisogno del consenso di Annabeth, ma il modo in cui poneva lui la richiesta sembrava fosse una bocca divina a parlare. E in un certo senso era così.
Si fece pensierosa riflettendo a lungo in un meticoloso silenzio –Credo che sia plausibile.
Eviteremmo scontri, e poi credo che i controllori possano rintracciare il treno a pochi metri dalla stazione, non ci sarà nessuno a bordo ma per lo meno le persone in stazione saranno al sicuro.
E detto questo tutti ci preparammo a scendere, sistemando gli zaini e le armi. 
Una volta issato il mio zaino argento in spalla, e dopo aver infilato Katagida  nell'imboccatura degli stivali ( era pericoloso, ma anche comodo e a portata di mano), mi voltai verso gli altri.
Percy era pronto, Annabeth stava richiudendo il suo sacco e Piper se ne stava pigramente appoggiata alla parete squadrandosi con disappunto le unghie.
Leo aveva appena rimesso un cacciavite nella cintura degli attrezzi attaccata alla vita quando mi sorprese a guardarlo. Imbarazzata levai subito lo sguardo e giurai di aver visto un sorrisetto compiaciuto apparire sul suo volto roseo.
–Deborah, a te l'onore – affermò reverenziale Percy facendomi cenno di sedermi al posto di comando. A testa bassa presi in mano i comandi aspettando la vista della stazione.
– Possiamo fermarci qui. Sono solo cinquanta metri dai binari terminali – constatai io controllando il monitor che mostrava il punto rosso di arrivo. 
Impugnai saldamente il freno e lo tirai con convinzione provocando uno stridio delle rotaie, e dopo pochi secondi questo si era arrestato completamente.
Leo fece un fischio – Più facile del previsto.

 

 

Una volta scesi dal treno la luce del mattino mi esplose nei bulbi oculari. Era talmente intensa che dovetti sbattere più volte le palpebre aspettando che i miei occhi si abituassero all'ambiente.
Sussultai quando una mano mi venne appoggiata sulla spalla delicatamente.
–Giuro che non prenderò mai più un treno in vita mia – esclamò Leo con enfasi picchiettandomi l'interno del collo per ottenere da me l'appoggio. Un altro brivido mi scosse la schiena a quel tocco.
''Vogliamo andare avanti così ogni benedettissima volta?'' pensai seccata rivolgendomi al mio cuore. Annuii con foga all'affermazione del moro rivolgendo a Piper un'occhiata in tralice. 
–Penso che su questo punto siamo tutti d'accordo – disse questa volta la figlia di Afrodite provocando una mia smorfia stupida. 
Sentirla dare ragione a me e a Leo era una cosa sbalorditiva pure per i suoi standard.
Percy si appoggiò alla carcassa della locomotiva scrutando Annabeth – Appunto per questo da qui in poi proseguiremo in un altro modo.
Schizzai prevenuta con vocina stridula – Io fino in Colorando non ci vado camminando, sappiatelo.
Piper fece un verso scocciato, tanto che la mia pena per lei svanì in un istante sostituita da una voglia di prenderla a sberle. Leo e gli altri si guardarono complici, come se avessero capito a cosa il moro e la bionda si stessero riferendo. 
Io no, ovviamente. Quando mai avevo azzeccato un solo loro pensiero.
– Non andremo a piedi, Deborah – spiegò Percy con una nota di tristezza nella voce. Beh, se voleva andare a piedi per me non c'era nessun problema. Ma io e il ''camminare'' non andavamo d'accordo. Presi un respiro e guardai il paesaggio. Un'unica cosa troneggiava: il verde. 
Mi impressionai di come tutto era naturale in quel posto, ma da sola mi resi conto che eravamo ancora lontani dalla città. 
– Abbiamo dracme a sufficienza per un trasporto ideale – disse Annabeth titubante nel pronunciare l'aggettivo finale. Erano tutti un po' poco entusiasti all'idea di quel trasporto di cui io non avevo idea fosse, e non giovò al mio stato d'animo.
Guardai Percy, e poi a ruota tutti gli altri – Vi prego non siate troppo felici, mi state mettendo una voglia sfrenata di salire su questo mezzo di trasporto! – ironizzai.
Se fossimo stati in un film quello era il momento ideale per far passare le balle di fieno, e il gracidare dei grilli come sottofondo. 
Annabeth frugò nel suo zaino freneticamente dal quale pochi secondi dopo ricavò una dracma d'oro  che raffigurava Zeus da una parte e l'Empire State Building dall'altra.
Non chiesi il come mai ci fosse un edificio NewYorkese su un lato di una moneta greca, stetti zitta con lo sguardo attento, ma senza far fiatare la mia bocca. 
La bionda si alzò e recitò in greco antico –Stêthi. Ô hárma diabolês.
Quasi sussultai quando mi accorsi di aver capito il significato della frase, e giurai di non aver mai studiato il greco in vita mia. ''Fermati, Cocchio della Dannazione''
Nel momento in cui la moneta ( lanciata da Annabeth durante l'esclamazione) toccò terra, una macchina emerse da un liquido melmoso formatosi in precedenza. 
Feci un salto all'indietro per la sorpresa e finii sul piedi di Leo che si limitò a sputare sottovoce qualche parola poco consona. Quello che poco prima era emerso dal nulla era un Taxi in pieno stile americano, ma non era giallo come sarebbe dovuto essere. Era grigio, un grigio simile al fumo. 
Poi squadrai meglio la vettura: era fumo. 
Una donnina dai capelli arruffati si affacciò dal finestrino – Destinazione?
Fu sempre Annabeth a parlare, con voce neutra e piatta – Cinque per Colorado Springs.
La vecchietta annuì facendoci gesto di salire e lì la domanda mi sorse spontanea: come facevamo a starci in cinque in una macchina del genere? Per lo più fatta di fumo condensato.
La risposta arrivò appena aprimmo la portiera. Questa si era allungata aggiungendo altri tre posti dietro ai normali sedili da protocollo, facendola diventare una macchina di quelle per le famigliole abbondanti. 
'Tanto non ci tiene'' mi ripetei prima di sedermi su un sedile, fatto rigorosamente di vapore.
La donnina sembrò leggermi nel pensiero – Sottovaluti il nostro potere, ragazzina insolente.
Tacqui imbarazzata mentre mi posizionai dal lato del finestrino opposto facendo spazio a Piper che si sedette in mezzo tra Annabeth e me. Guardai il posto guida. Non ce ne era solo una, ce ne erano in tutto tre di vecchiette.
– Ma io ti conosco – fece quella al posto di guida rivolgendosi a Percy.
Poi sembrò ricordare –Figlio di Poseidone, e anche tu figlia di Atena, avete o non avete già usufruito di questo gradevole passaggio? 
Alla parola ''gradevole'' Percy fece una smorfia, e io solo sperai che la vecchietta non lo avesse visto. Non che ci servissero altre tre persone che ci odiavano alle nostre spalle.
Intanto la macchina aveva già preso a muoversi, sfrecciando accanto alla stazione e accanto al New Jersey con talmente tanta velocità che non riuscii nemmeno a mettere a fuoco i paesaggi. Era come se fossimo in una di quelle navicelle delle giostre che giravano in tondo facendoti venire mal di stomaco. 
– Certo che sì – rispose Annabeth per bene – E non vi vedo nemmeno cambiate. Vi siete procurate altri occhi, spero.
Alla sua affermazione restai di sasso. All'inizio pensavo fosse un giochetto di parole che usava la gente che si conosceva, ma non era quello il caso. Nessuna delle tre sembrava avesse dei bulbi oculari, solo cavità nere e buie. 
La donnina in mezzo sorrise, lasciando in mostra i denti anneriti – Non ti manca il senso dell'umorismo. 
– Rabbia smettila di parlare e tieni d'occhio la strada! – effettivamente quella voce aveva ragione, stavamo sbandando all'impazzata facendomi salire un leggero senso di vomito. E quello sarebbe stato meglio di un treno?
La donna alla guida strillò – Vespa non mordere la moneta! 
L'anziana che rispondeva al nome di Vespa sbuffò – Sempre per te la vuoi la roba buona,  Tempesta.
Iniziai a dubitare della mia capacità nel metabolizzare gli avvenimenti strani e sembrava che ogni volta che mi giravo questa vacillava. La macchina andava così veloce che più volte mi sembrò di voler vomitare e mi trattenni dal dire ad Annabeth ''Fermate questo coso'' 
– Come mai siete tutti così silenziosi? La Chimera vi ha tagliato la lingua? – fece Vespa ridendo.
''Guardi ci manca solo quello'' pensai trattenendo un altro conato a causa della svolta repentina.
Presa dal movimento rapido spinsi il mio gomito nella pancia di Annabeth che si voltò con uno sguardo truce, evidentemente era in tensione pure lei. Sentivo ogni tanto Leo e Percy borbottare qualcosa alle mie spalle ma non ci feci caso. 
Dopo quelle che sembravano ore accompagnate da risate agghiaccianti delle tre donnine fummo di nuovo sulla terra ferma anche se al primo contatto col pavimento caddi a terra come un sacco di patate. L'avrei dovuta segnare nella mia lista di figure di merda.
– Grazie per il passaggio – disse la bionda porgendo a Tempesta delle dracme d'argento attraverso il finestrino. Una delle tre mormorò qualcosa ma le mie orecchie non percepirono la risposta, e poi
la macchina ingranò la macchina scomparendo in mezzo alle nuvole del Colorado.
La prossima volta vado a piedi.
 

Anteprima prossimo capitolo
Gli occhi del ragazzo per un attimo mi sembrarono brillare,
ma dato che ero visibilmente stressata diedi la colpa al mio
cervello della troppa fantasia.  


 

Buonaseraaa
Sono tornata sana e salva, o meglio quasi. Siamo il ventunno ciò significa tre giorni in ritardo, scusate scusate
Non so se qualcuno l'ha notato ma ho cambiato il reating della storia. 
Da giallo a arancione, woo. Niente di apocalittico, intendiamoci, solo che non so l'arancione mi entusiasma di più.
Ho problemi scusatemi ancora, e meno male che ho appena compiuto gli anni. 
Sì, sedici anni e la mia maturità e peggiorata. Che bello.
Comunque non siamo qui per parlare del mio stato mentale vacillante ma per discutere del nuovo capitolo!
Vi dico una cosa, e non credo che qualcuno possa averlo notato ma volevo precisarlo. Io cambio umore e stile in base a ciò che leggo al momento. 
Lo so, non ha senso ma sono facilmente influenzabile. Stavo rileggendo Shadowhunters mentre scrivevo questo capitolo e infatti è pieno di dettagli nella prima parte. Sono fissata hah. 
Per quanto riguarda la protagonista, beh, Deborah sta crescendo.Piano piano, ma molto piano, sta acquistando autostima.
In questi giorni, apporterò un paio di modifiche nei capitolo precedenti quindi se qualcosa non vi quadra andate a controllarli. 
Detto questo, vi amo. Ci sentiamo il 17 marzo. 
Un bacione.


 


Personaggi

 

                                   Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper                                       

 

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Capitolo 14
*** Una serata apparentemente normale ***






Apachtheís ~ Rapita

(14)


Una serata apparentemente normale
 
mi scuso subitissimo della cortezza del capitolo, 
ma non potevo pubblicarne di più, altrimenti che gusto c'era? 


 

Nonostante ci fossimo lasciati il locale alle spalle non riuscivo a cancellare l'immagine di Edimione immerso in una pozza di sangue. Percy e Leo avevano coperto il cadavere del giovane con un telo azzurro trovato sotto la credenza e, dopo una lode agli dei, ci allontanammo dal pub.
Non meritava il mio rimpianto, non meritava nemmeno quelle poche monete che gli avrebbero permesso di passare nel Caronte, ma che noi da buoni ragazzi, gli avevamo lasciato.
Le montagne si ergevano davanti a noi e per raggiungere la cava su monte Pike Peaks avevamo preso una semplice funivia.
– Soffro di vertigini – mi confidai a Leo mentre le mie gambe ciondolavano le vuoto. Un enorme burrone si destava sotto di noi, e non vedevo l'ora di oltrepassarlo. Le rocce del Monte erano di color sabbia sporca, quasi arancione, così fine da insidiarsi nelle scarpe e nei vestiti.
Leo mi prese la mano – Sarà questione di pochi minuti.
Riuscì a strapparmi un impercettibile sorriso, mentre con il pollice massaggiava il mio palmo.
– Piper – urlò il figlio di Poseidone dalla cabina di fronte a me – Dove hai detto che si trova la grotta?
La ragazza cheeroke aveva ceduto nel sedermisi accanto, lasciandomi in mezzo. Non faceva altro che sbuffare a ogni mio cedimento verso Leo. Ero sempre più propensa a lanciarla giù.
– Lassù! – rispose lei indicando la vetta del monte che stavamo raggiungendo – O almeno spero.
L'adrenalina aumentava a ogni oscillazione, e per un attimo mi concessi di rimuginare alla mia vita precedente. Fino a una settimana e mezza prima me ne stavo rigorosamente sul divano a ingozzarmi di patatine, ed ora ero su una funivia diretta su un Monte sul quale c'erano delle giovani eterne messe al tappeto tutto perchè un pazzo maniaco ha rapito mia madre che sottolineo è una dea dell'Olimpo che ha infranto il voto di castità. Normale.
– Credete che siano lassù? Ne avete la certezza? – chiesi tamburellando le dita sulla coscia.
Annabeth si voltò – Percy non sbaglia mai.
– Smettila – rise il figlio di Poseidone – Così mi farai arrossire.
Stranamente pochi minuti dopo eravamo scesi sani e salvi sulla cima del monte, stentai a crederci.
Preferivo nettamente la terra ferma.
Ci sistemammo gli zaini in spalla per poi cominciare a camminare verso un panorama arido e asciutto. Sembrava come se sopra il monte si destasse il deserto, se non che eravamo a quattromila metri di altitudine.
– Dobbiamo stare attenti, se le Cacciatrici sono KO è evidente un potenziale pericolo. Che sia qui o no. – ci raccomandò Annabeth passandoci un po' di insalata in scatola appena tolta dalla Cornucopia di Piper.
Mi godetti a fondo quel momento di riposo sdraiata accanto a un masso assaporando un po' di cibo fresco, a guardare il vuoto sotto di noi. Non avevo il coraggio di sporgermi come invece faceva Leo disinvolto.
– Tu sei completamente pazzo– gli sussurrai chiudendo gli occhi e abbandonandomi sul macigno.
Mi si avvicinò laconico prendendo posto accanto a me – Avere paura vuol dire arrendersi già in partenza.
Aprii gli occhi controllando cosa stessero facendo gli altri. Percy era intento a stringersi Annabeth al petto ammirando l'orizzonte e Piper si rigirava tra le mani il coltello di sua madre rimirando la sua lama. Poi il mio sguardo cadde su Leo che stava sfoggiando un intenso sorriso, uno di quelli che ti mettono a disagio.
– è sempre più facile arrendersi anziché affrontare ciò che la paura comporta – risposi guardando in basso, fuori dalla traiettoria dei suoi occhi.
Mi passò una mano tra i capelli e per poco non sussultai per la presa in contropiede – Arrendersi non è mai un'opzione, Deborah.
Pochi minuti dopo gli altri tre si unirono a noi, allestendo un piccolo buffet di dolci estratti dalla Cornucopia. Torta al cioccolato, gelato alla fragola e bignè alla crema. Riuscii a passare quella mezz'ora in pura tranquillità, ridendo alle battute di Leo e alle freddure acide di Piper.
Era così normale, come se fossimo cinque amici in gita scolastica. Cercavo di non pensare a quello che ci avrebbe atteso dopo, solo noi e il tramonto.
Inforcai l'ultimo pezzo dei torta – Ora si spiega perchè sei sempre caldo quanto ti sfioro.
Leo mi aveva finalmente rivelato che aveva il potere di domare il fuoco e evocarlo a suo piacimento.
– Una storia interessante, la mia – ammise facendomi l'occhiolino.
A momenti mi strozzavo con la torta per l'affermazione piena di orgoglio del giovane con le mie risate, prima di calmare la mia tosse e sorridere.
– Noi però sappiamo relativamente poco della tua vita prima che tutto questo avesse luogo – disse poi Percy chinandosi a prendere un altro bignè ripieno. Effettivamente aveva ragione, non mi ero mai aperta più di tanto. Forse perchè ripensarci, in qualche modo, portava a galla la mia malinconia.
Presi una coppa di gelato e me la rigirai tra le mani, fingendomi interessata al suo contenuto.
– Era una tipica vita da adolescente, credo. Lasciando da parte mio padre e i suoi problemi, ero la perfetta studentessa modello. La dislessia non mi ha mai impedito di avere una buona media, probabilmente perchè volevo dare a mio papà un motivo per considerarmi.
Senza accorgermene avevo fatto trasparire quello che non volevo affatto gli altri capissero. La mia debolezza, quella che tanto stringevo al petto con avidità. Mi sarei voluta strozzare per questo.
Annabeth mi guardò intenerita – Credimi se ti dico che non ti devi rimpiangere nulla. Sarei stata orgogliosa ad avere una figlia così determinata, e vedrai che se ne accorgerà anche lui. Solo lo farà troppo tardi.
Le sorrisi con le labbra, i miei occhi non erano in grado di simulare la felicità, in quel momento.
Bevvi un sorso di succo – Ormai mi ha già persa.
Passai dieci minuti a guardare il vuoto, mentre intorno a me la conversazione aveva ripreso luogo.
– Ti vedo un po' turbata, Debb – mi chiese sottovoce Leo quando tutti intanto si erano assopiti.
Il fuoco si stava spegnendo, il cielo si era fatto buio come ogni sera senza Luna. Annabeth si era appisolata sul petto di Percy e il suo viso lasciava trasparire la serenità di star abbracciata al suo ragazzo. Piper si era addormentata vicino a Leo, con la testa sul suo zaino.
Mi voltai verso il moro i cui zigomi erano messi in risalto dalla luce delle braci ardenti – Sono solo stanca.
– Allora riposati – fu la sua risposta nel mentre si stava sistemando per farmi più spazio.
– Non posso. Qualcuno deve fare la guardia.– mormorai seguendo le movenze di Leo.
Quest'ultimo si girò e mi sorrise dolcemente – Sono in grado di farla anche io, sai?
Ridendo tirai fuori dallo zaino di Annabeth un piumone giallo canarino – Non ci metterei la mano sul fuoco.
Spiegai la coperta distendendola sopra di me, e mi feci piccola vicino al moro per lasciarli un po' di lenzuolo. Dopo un attimo di esitazione scavalcò il piumone e ci si infilò sotto.
– Non mi puoi tentare in questo modo. Devo restare sveglio, o potremmo finire come cibo per mostri solo perchè ho ceduto alla tentazione di appisolarmi.– sussurrò tirando un lembo per coprirsi meglio il braccio. Mi strinsi tra me, rendendomi conto di star condividendo una specie di letto improvvisato con un ragazzo; e divenni rossa sperando che il buio nascondesse la mia faccia paonazza.
Appoggiai la sacca argentata dietro al collo mio e del ragazzo, e mentre cercavo di sistemarmi mi ritrovai il volto di Leo a un palmo di naso. Arrossii nuovamente sentendo il calore che emanava.
– Non voglio addormentarmi, resto sveglia con te. Non si sa mai. – dissi testarda.
Leo diede sfogo a una risata bassa – Non durerai.
– Sembra che da quando ci conosciamo tu voglia sfidarmi.– ammisi divertita allentando la coda che al contatto con lo zaino premeva contro la mia nuca dandomi fastidio.
Un ammasso di capelli mori si riversò sulla mia faccia, rendendomi scura la vista. Cercai di tirare fuori una mano da sotto le coperte per sistemarmi, ma Leo mi precedette.
Mi scostò le ciocche dal viso dolcemente, lasciando che la sua mano si soffermasse sulle mie guance. Il mio cuore aveva preso a correre, tanto che avevo paura si staccasse dalle aorte e uscisse dal mio petto.
– Non sono io che ti sfido, ma sei tu che non mi impedisci di farlo. E sono sicuro che da qui a dieci minuti sarai nel mondo dei sogni.
Il suo pollice percorse il contorno delle mie labbra, rendendomi impossibile qualsiasi modo di reagire. Era come se fossi ipnotizzata dai suoi gesti, troppo intenta a osservarli per poter fare qualcosa.
– Ti piacerebbe fosse così semplice battermi. Ma sono caparbia in fatto di scommesse, anche dopo aver passato la giornata in una macchina di donne senza occhi e in un locale lugubre.
Ci fissammo per quelle che a me sembravano delle ore, ero intenzionata a non serrare gli occhi quando Leo invece provava qualsiasi modo per farmi cedere. Il silenzio ci circondava, di tanto in tanto si sentiva il gracidare dei grilli e il rumore del vento. Era lo stesso silenzio a fare rumore, era leggiadro ma fin troppo calmo. Quasi surreale.
Sentivo il battito del mio cuore saltarmi nel torace, e credetti di sentire anche quello di tutti gli altri presenti, con i loro rispettivi respiri.
Poi Piper cominciò a mugugnare nel sonno, dimenandosi sul suo zaino, così scattai subito a sedermi. Leo mi imitò e ci trovammo a guardare il buio nel suo nero assoluto.
Le braci spente ormai non servivano a molto, quindi scavalcando il piumone presi una delle torce dalla sacca di Annabeth sperando non si svegliasse. Mi dispiaceva farla smuovere per un nonnulla.
– Si sta calmando– constatò Leo che aveva una mano sopra la fronte di Piper.
Effettivamente era così. Non si stava più agitando.
Sospirai rassicurata, mettendomi di nuovo sotto la coperta – Meglio. Avrà solo avuto un incubo.
Mentre mi stavo risistemando avvertii il rumore di passi scaltri. Mollai un po' di pacche al ragazzo che, ovviamente, aveva sentito anche lui il pericolo.
Mi alzai accendendo la torcia e sfoderando KatagidaPotrebbero essere degli animali.
Un altro tonfo e delle figure indistinte si destavano a pochi metri dal nostro accampamento.
– Sì, e quante probabilità ci sono che assomiglino a degli umani– fece sarcastico Leo.
Tre corpi avanzarono verso la luce della torcia, mettendo in mostra la presenza di tre persone.
Quella al centro era la più imponente e sembrava essere anche la più impostata.
Stavo per aprire bocca ma Piper cominciò a dimenarsi di nuovo, solo che sta volta urlò un nome.


Jason.

 

 
 

Buonaseraaa
Avete ragione, sono in ritardissimo! Ultimamente non so cosa mi passa per la testa. Okey, no, forse non ultimamente.
Però sono qui, anche se con 15 giorni di ritardoo! 
Non vi preoccupate se non mi vedete aggiornare, non smetterò di scrivere la storia, sono solo troppo stupida e non arrivo mai ad aggiornare in tempo. Che poi ho già anche i capitoli pronti per cui sono doppiamente ingiustificabile.

Che ne pensate? Premetto, che è corto. Sì, lo so. Ma è una scelta voluta, sappiatelo.
Spero di avervi incuriosito, eeee niente, spero in qualche vostra opinione/recensione.
Vi amooo
la vostra amichetta speciale ritardataria.


 
 

 
Personaggi

 

                                   Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper                                       

 

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Capitolo 15
*** Crollare a terra mi riesce bene, a quanto pare ***




Apachtheís ~ Rapita

(15)



Crollare a terra mi riesce bene, a quanto pare


 

Restai a fissare i tre nuovi presenti con uno sguardo alienato. Stringevo così forte il mio coltello che sentivo il metallo farsi tutt'uno con la pelle. Quello al centro aveva dei folti capelli biondi, così chiari, che sembravano granoturco. La pelle sembrava tendente all'olivastro ma non potei capirlo con certezza dato che avevamo solo la luce della torcia a mostrarci quello che avevamo davanti. Occhi azzurri, fisico allenato e postura sicura.
Avevo imparato a leggere la gente fin da quando ero piccola. Mio padre diceva sempre che ''I gesti sono più importanti delle parole'' e che ''Solo alcuni riescono a vedere ciò che agli stolti non interessa''.
Nel ragazzo che avevo di fronte riuscivo a vedere coraggio ma qualche titubanza, forza ma qualche debolezza e tanta fierezza quanto era l'umiltà. Non sempre ci azzeccavo, ma molte volte le persone si erano rivelavano essere per quelle che avevo osservato.
– Jason! Vecchio mio! – esclamò entusiasta Leo menando pacche sulla spalla dell'amico.
Sorrisi a quel quadretto di rimpatriata prima che il mio sguardo ricadesse sul compare alla sinistra di Jason.
Occhi verdi, ciuffo castano che gli ricadeva sugli occhi e pelle diafana. Un'espressione contrariata padroneggiava sul suo volto specialmente quando notò che lo stavo fissando con insistenza.
''Altezzoso'' pensai scuotendo la testa e passando dalla parte opposta del biondo.
Una giovane minuta si parava dietro alla sua spada intarsiata. Aveva dei lunghi capelli rossi, delle fitte lentiggini che circondava le guance e dei grandi occhi a mandorla color nocciola.
Mentre la squadravo, lei si accorse di me e sorrise impacciata cosa che mi fece pensare a ''Gentile''
– Gli altri dormono, che ne dite di qualche bevanda per scaldarvi? Così magari mi spieghi un po' che cosa ci fai in giro a quest'ora su un Monte in Colorado, eh Jason? – fece Leo frastornato.
Si voltò verso di me quando mi accorsi di star ancora tenendo Katagida stretta. Allentai la presa e la rifoderai dirigendomi verso la Cornucopia nel mentre che il figlio di Efesto riaccendesse un fuoco lì dove le braci del precedente ancora luccicavano.
Porsi ai tre una cioccolata calda con del miele per conciliare il sonno per poi sedermi a gambe incrociate vicino al fuoco per scaldarmi.
– è un lusso che Piper stia dormendo – sussurrò Leo a Jason prima di prendere posto accanto a me. Sfiorò volontariamente il mio braccio e la mia gamba prima di sedersi, cosa che mi fece sorridere sommessamente nonostante stetti ben attenta a non darlo a vedere.
Il biondo era il motivo per cui Piper si era tanto inacidita, da quello che avevo capito. L'aveva lasciata e ciò aveva reso la figlia di Afrodite irritabile e suscettibile.
Jason rise spento – Prima o poi si dovrà pur risvegliare, vero? Probabilmente non potrò rimandare una chiacchierata a lungo.
– Non so come tu l'abbia conosciuta, ma ora è diventata una serpe. Forse tu riporterai fuori la gentilezza che c'è in lei. Ci faresti questo favore? – scherzai tra un brivido e l'altro.
Il ragazzo sorrise sincero sorseggiando la sua cioccolata – Proverò.
La ragazza che sedeva accanto a me,che non poteva fare a meno di guardarmi di sottecchi, purtroppo non era tanto brava nel non farsi notare e si lasciò sfuggire – Quindi sei tu la figlia di Diana?
Non mi voltai subito verso di lei, restai a contemplare la bellezza delle fiamme ardere il legno.
Leo, non vedendomi rispondere, prese la parola – Le notizie si spargono in fretta, vedo.
Non che volessi mancarle di rispetto ma non amavo rispondere a quella domanda. Era come se qualcuno mi ricordasse la
realtà. 
Il ragazzo vicino a Jason rise – Di sicuro non passa molto inosservata, non credi?
– Credo che ogni tanto basterebbe coltivare i propri orti, mirarli e rimirarli, magari evitando di guardare quegli degli altri – affermai sempre rivolta verso il fuoco.
–Scusami, non volevo essere invadente – mormorò la rossa mortificata, cosa che mi fece scappare una risata. Finalmente mi girai verso di lei sorridendole comprensiva– Figurati. D'altronde la curiosità luccica come argento per le gazze.
I suoi occhi castani trapelavano dolcezza, come se sovraccarichi di zucchero.
– Siamo qui per trovare mia sorella,Leo, lo so che vuoi saperlo. Talia è scomparsa e credo che voi ne siate al corrente. Così anche tutte le altre Cacciatrici e la dea Diana. E suppongo che voi siate qua per lo stesso identico motivo. Dico bene? – fece Jason qualche minuto dopo rispondendo allo sguardo interessato del figlio di Efesto.
Leo annuì come se il biondo avesse dato voce ai suoi pensieri – Corretto.
Controllai che Annabeth, Percy e Piper stessero dormendo per cui mi perdetti la parte del discorso del ragazzo vicino a Jason. Percepii solo alcuni spezzoni delle frasi che pronunciava.
''Mio padre'' ''Campo ''Avvisato''.
– Apollo? Apollo è tuo padre? – chiesi di scatto una volta connesse tutte quelle parole senza senso autonomo.
Il ragazzo annuì silenzioso cosa che mi fece riflettere sul perchè Jason abbia scelto proprio lui per la sua missione, e poi ricordai che Apollo è il fratello gemello di Artemide. La risposta era ovvia.
Decisi che la conversazione poteva benissimo terminare dalla mia parte, l'avrei proseguita la mattina seguente con anche
gli altri tre svegli. 
Non aveva senso estrapolare troppe informazioni per poi ripeterle a pappagallo ad Annabeth, Percy e Piper. Era molto più sensato aspettare ancora tutta la notte. Tanto che fretta avevamo?
Non ci misi molto a prendere sonno, cosa che mi impedivo di fare prima che Jason e gli altri due ragazzi si presentassero all'accampamento. Con i capelli sciolti che mi scaldavano le orecchie dal vento fresco, con il piumone giallo che mi proteggeva dalla notte fredda, con la gola calda grazie alla cioccolata, con gli occhi pesanti e il profumo di Leo mi convinsi di star avendo finalmente un attimo di pace.
Non sarebbe durato al lungo, certo, ma di sicuro mi avrebbe concesso un istante di normalità.
E prima che potessi finalmente piombare a capofitto nel mondo dei sogni, Leo, mi sussurrò all'orecchio ''Ho vinto io'' facendomi sorridere in quell'oscurità che era la notte.

 


 

La mattina dopo venni svegliata dalle reazioni più o meno allegre degli altri nel vedere Jason.
Annabeth lo aveva abbracciato, Percy aveva detto qualcosa ma ero nel dormiveglia più assoluto e non capii molto, da Piper invece non sentii nulla.
Probabilmente era la prima volta che non aveva niente da dire in vita sua.
– Basta che ci addormentiamo una sola volta e succede più di quanto succeda in una settimana – fece Percy sbalordito – Più o meno – si corresse poi ricordando che la settimana passata non era proprio filata liscia.
Per il resto approfittai della colazione per conoscere un po' meglio gli altri due ragazzi che avevano accompagnato l'ex-ragazzo di Piper. Tra una fetta di tost imburrato e l'altra parlai spigliatamente con la ragazza rossa che la sera prima avevo leggermente ignorato. Volevo capisse che non avevo niente contro di lei nonostante il mio atteggiamento avesse fatto presumere tutt'altro.
– Ho sempre vissuto in Nevada con mio padre anche se i miei nonni erano di origini giapponesi. Tajimi per la precisione. Mai vista in vita mia. Mio padre dice che è l'unica città in Giappone poco inquinata e dove ancora si può trovare la natura – mi raccontò contenta riempiendo di marmellata ai lamponi le sue fette biscottate.
– Odio il mio nome. Mi spieghi il senso di chiamarmi Cervo? – biascicò guardandomi con i suoi occhi scuri a mandorla. Accennai un sorriso imbarazzato quando cominciò a riparlare freneticamente – Certo, alla fine Shika non è poi così male ma se lo dici a un giapponese ti ride in faccia. Almeno sono fortunata che qui in America nessuno sa' cosa vuol dire.
Per quanto riguarda il ragazzo che in quel momento sedeva accanto a Jason con un ghigno solenne in faccia, si chiamava Sebastian.
Quando glielo aveva chiesto mi aveva risposto stizzito ''E se non volessi dirtelo?'' e me ne stavo già tornando sul mio piumone giallo spazientita quando Jason urlò che si chiamava Sebastian.
Poi credo che il biondo le abbia sentite per avermelo detto dato che mi giunse all'orecchio qualche parola poco carina rivolta dal castano.
Una volta che il sole raggiunse il suo apice cominciai a rimettere via alcune cose dentro lo zaino di Annabeth mentre intorno regnava il caos più assoluto.
– Quindi avete intenzione di continuare? – disse Percy a Jason e Sebastian intanto che si stava sistemando la giacca intorno alle spalle.
Il biondo raddrizzò la schiena fiero – Incontrare voi è stato bello, ma di certo non molleremo ora che abbiamo la certezza di dove si trova sorella. Non trovi?
Ovviamente la risposta era scontata. Avrebbero continuato con noi. Il che non mi scalfisse, anzi, Shika mi sembrava una ragazza molto simpatica e di sicuro in otto avremmo concluso qualcosa di più.
Avevo passato a Leo un ultimo biscotto al cioccolato, dopo essere stata rigorosamente sfinita dalle lagne del ragazzo perchè aveva ancora fame, quando presi Katagida e controllai che avessimo raccolto tutto.
– Per cui da ora in poi andremo avanti assieme? – chiese Piper sconcertata ad Annabeth.
Non si accorse che Jason la stava fissando da più di mezz'ora con un'espressione che sembrava essere molto interessata.
Infatti, una volta sentita la domanda della ragazza cherooke, rispose – Certo.
Non serve dire che dieci secondi dopo, Piper, era diventata rossa dal nervoso – Non era una domanda che avevo rivolto a
te.

Non potei non ridere a quella conversazione nel mentre sistemavo i resti di cibo, il che fece diventare la figlia di Afrodite ancora più spazientita. Quella ragazza non conosceva il perdono, a prescindere da qualsiasi cosa fosse successa. Eppure Jason non mi aveva dato l'impressione di uno stronzo senza cuore. Ma poi ricordai che io, in quel gruppetto unito, ero entrata da poco e non ero proprio in grado di emettere sentenze su nessuno.
Solcare i piccoli sentieri in pendenza sul Monte Pike Peak non fu poi così stancante. Forse, e molto probabilmente, per via del continuo chiacchiericcio della ragazza giapponese che teneva viva quell'aria smorta.
Tanto che a un certo punto Leo, che camminava accanto a me, si sporse verso Jason proprio alla sua destra con una faccia stremata – Parla sempre così tanto?
Il biondo rise di gusto per poi dare una pacca all'amico sulla spalla e annuire spavaldo – E questo non è neanche il suo massimo. Aveva una voce stridula che era in grado di insidiarsi nei meandri del cervello, e tra gli otto ero l'unica in grado di ascoltarla senza dare di matto. Inspiravo ed espiravo lentamente fino a che mi resi conto che il chiacchiericcio di Shika sembrava essere solo un suono lontano. Tutt'altro che melodico.
Il mondo era come se si stesse offuscando, come se fosse calato un sottile velo opaco tra me e tutti gli alti. Preoccupata mi fermai in mezzo al sentiero.
― Cosa sta succedendo? Annabeth? ― sputai a mezza voce verso la bionda che non sembrò nemmeno sentirmi. Era troppo occupata a parlare animatamente con Percy per accorgersi di me.
Cercando di controllare il panico che stava lentamente impossessando il mio corpo mi rivolsi verso Leo, che camminava spigliato accanto a Shika ― Ti prego, dimmi che almeno tu riesci a sentirmi.
La risposta fu ovvia: no.
Nessuno sembrava essersi accorto di niente, il che mi fece sentire peggio di quanto stessi.
''Visto – una voce risuonò nel mio cervello, come un martello pneumatico sul mio emisfero destro – Non vali niente''.
Lo stridio delle unghie su una lavagna era di gran lunga migliore. Presa dallo smarrimento le mie gambe iniziarono a traballare. E ben presto mi ritrovai seduta sulla terra del sentiero a guardare tutti e otto farsi sempre più lontani.
E così la voce rise, così forte da farmi pregare di perdere l'udito. Con una crudeltà inumana. Mi ritrovai a pensare al dolore, il dolore che dentro di me in quelle settimane sembrava essersi pian piano attenuato.
Quel velo era calato su di me in un secondo, e sempre in un secondo era sparito.
― Deborah, mi stai ascoltando? ― disse Leo vivacemente. Guardai piuttosto disorientata il riccio che camminava accanto a me, senza riuscire a rispondere alla domanda.
Stavo andando di matto, era certo.
― Io.. sì... ― farfugliai controllandomi attorno. Nessuno, ma proprio nessuno aveva notato qualcosa tranne me.
Leo alzò un sopracciglio alla tu-credi-che-io-sia-stupido per poi avvicinarsi sospettoso al mio viso.
― Non sei una brava attrice, fammelo dire ― sussurrò con un sorriso divertito stampato in faccia.
Mi voltai seccata verso l'altro lato, trovandomi a fissare un paesaggio roccioso ― E tu hai poco tatto, fammelo dire.

 


Buonaseraaa

Sono tornata prima del solito, aiuto qualcuno deve segnare la cosa su un calendario. Incredibile. 
Comunque prima di commentare brevemente il capitolo voglio ringraziare tantissimissimo tutti quelli che stanno leggendo la mia storia. 
Un enorme grazie a chi ha messo la mia storia nel preferiti,
un enorme grazie a chi ha messo la mia storia tra i seguiti,
un enorme grazie a chi ha messo la mia storia tra le ricordate,
e un enormissimo grazie a chi ha recensisce con il cuore e mi fa sapere la sua opinione! Grazie grazie graziee!

Per quanto riguarda il capitolo, beh, siete fortunati perchè volevo pubblicarne molto meno haha. 
I nuovi personaggi spero vi siano di gradimento, poi comincerete a conoscerli meglio andando avanti. 
Sotto vi metto le foto di Sebastian e Shika, e di come io penso sia Jason :)
Un bacione, 
alla prossima e mi raccomando datevi forza manca solo un mese di scuola ed è decisivo aiutoo

Serpeverde la matta.

Personaggi

 

              Sebastian       Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper              Shika                         

 

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Capitolo 16
*** Brillare è una cosa normale? ***




Apachtheís ~ Rapita

(16)



Brillare è una cosa normale?

 



Mezz'ora dopo eravamo arrivati. La presunta caverna nella quale dovevano esserci le Cacciatrici si ergeva davanti a noi, e assomigliava più a un gruppo di pietre messe a caso.
Ma dalla nostra posizione si poteva vedere la cavità buia al suo interno, che aspettava di essere ispezionata. E non potrei dire lo stesso di me, purtroppo.
― Le sento ― mormorò ad occhi chiusi Shika tenendo ben salda la sua lama.
Mi voltai verso di lei confusa, ma il mio sguardo si scontrò con quello di Sebastian e ci misi due secondi a distogliere gli occhi dai suoi, pieni di orgoglio.
Annabeth si girò verso la giapponese sconcertata ― Come fai tu a...?
― É figlia di Ecate, dea della magia ― rispose di rimando, appunto, Sebastian che nonostante stesse parlando con la bionda continuava a fissare me. Era come un'enorme peso sopra il mio corpo, che mi schiacciava pian piano. Poi pensai: se Shika sentiva la presenza delle Cacciatrici, la nostra non era stata poi una grande perdita di tempo.
Percy tese Anaklusmos protendendo il braccio verso Annabeth ― Io e Jason avanzeremo per primi ― azzardò il figlio di Poseidone ottenendo l'assenziente scossa del capo del figlio di Giove.
Poi proseguì ― Se non ci saranno pericoli vi daremo il via libera. E non voglio sentire qualche lamentela da nessuno di voi. Ci manca solo che in questa missione qualcuno ci rimetta la pelle. ― finì Percy guardando negli occhi Annabeth, Leo,Piper e me.
La ragazza cherooke borbottò qualcosa fra sé che suonava tipo ''Come se non l'avessimo mai quasi rimessa fino ad ora'' ma Percy non gli fece caso.
Al contrario, il figlio di Apollo, sfoderò una lunga lama intarsiata di pietre lucenti e avanzò verso i due con passo fiero ― Non rimango a guardare mentre qualcuno fa il lavoro sporco.
Jason lo guardò esasperato ma ormai il castano gli si era già affiancato.
Leo, ovviamente, rimasto l'unico ragazzo fuori da quella combriccola di eroi si sentiva a disagio e lo si poteva notare dal suo continuo tamburellare delle dita sul suo marsupio.
― Vi servirà del fuoco là dentro ― si propose infine prima guardandomi e poi avviandosi verso gli altri tre. E così le femmine erano rimaste fuori, impotenti.
Sulle dita di Leo divamparono delle fiamme sommesse che bastarono a illuminare la caverna, seppure le sue pareti rimanessero in penombra, e incrociai le dita prima che entrassero dentro.
Non passarono due minuti che cominciai a muovermi su e giù per l'agitazione.
― Fermati o scaverai delle fosse a terra a forza di camminare avanti e indietro ― disse Annabeth prendendomi per i polsi e invitandomi a sedere.
Feci come mi aveva detto, ma anche da seduta non potei fare a meno di muovere le mani come due timpani africani ―Dovrei essere anche io lì dentro.
Piper sbuffò irritata ― Quando la finirai di voler essere sempre al centro dell'attenzione?
La tensione che regnava dentro di me si tramutò in rabbia, e voglia di sfogarmi ad ogni minuscolo accenno di lite. Girai lo sguardo verso di lei, e credo di aver avuto gli occhi carichi di astio perchè Shika storse le labbra allarmata ― E tu quando la finirai di criticare ogni mio gesto?
― Io non critico, io constato ― spiegò arrogante controllando il riflesso nella lama del suo coltello.
Annabeth diceva che al suo interno poteva vedere cosa stava accadendo nel caso qualcosa fosse andato storto.
― Oh ma smettila! Tu vuoi solo sfogarti su qualcun altro se nella tua vita c'è qualcosa che non va. Ma sai una cosa, Miss io-faccio-tutto-perfettamente? Che anche la mia vita è una misera merda, ma non sputo veleno sulla prima persona che mi capita solo e soltanto per il gusto di dar scarico alle mie delusioni.
Non so cosa, chi, e perchè ma lo dissi. Avevo dato voce ai miei pensieri, quelli più remoti e che tenevo per me. E mi vergognavo, ma non ero riuscita a trattenermi.
― Smettetela, noi siamo le uniche cose che ci possono dare forza. Non ha senso litigare, e voi lo sapete meglio di tutti ― affermò in stile maestrina Annabeth alzandosi in piedi e stirandosi gli shorts. La polvere arancione ci circondava.
Annuii sommessamente e stranamente Piper fece lo stesso anche se con meno enfasi. E così mi tirai in piedi, tirando fuori Katagida dallo stivale.
Mi girai giusto in tempo per vedere Shika con gli occhi chiusi e con le mani affondate nel terreno.
―C'è qualcosa che non va? ― dissi allarmata chinandomi alla sua altezza.
Quando riaprì gli occhi, le sue enormi pupille castane, erano diventate come un puntino in mezzo al bulbo oculare tanto che mi dovetti allontanare leggermente intimorita.
Tirò fuori le mani dall'accumulo di polvere e le protese contro di me ― Malvagità, dolore, rimpianto.
Annabeth prese il mio braccio con uno scatto repentino ― Non promette nulla di buono. Io e Piper entriamo a controllare i ragazzi, tu rimani con Shika, non la vedo bene. Aspetta che si riprendi, saremo di ritorno presto.
Il mio cuore sprofondò. Evidentemente non ero all'altezza di poter servire a qualcosa. E non volevo compiangermi, per niente, ma mi era stata sbattuta davanti l'amara realtà.
Mi risedetti per terra vicino alla ragazza giapponese che aveva richiuso gli occhi ―D'accordo. State attente, mi raccomando.
E le guardai entrare all'interno della caverna buia, finchè non vennero inghiottite dal nulla più totale. Guardai in alto il cielo e pregai sottovoce che tutto sarebbe filato liscio, seppure le mie speranze fino ad ora erano andate di male in peggio.
Tirai fuori dalla sacca un fazzoletto e lo bagnai con un po' d'acqua per poi strofinare delicatamente la fronte di Shika imperlata di sudore. Le sue pupille si stavano man mano ingrandendo, e la sua bocca stava riprendendo colore.
―É successo di nuovo, non è vero? ― sussurrò affranta la ragazza guardandomi di sbieco.
― Hai detto delle cose poco rassicuranti, e le altre sono entrate a controllare i ragazzi ― spiegai tamponando la sua fronte cercando di non farla preoccupare più di tanto. Quando dentro stavo morendo dall'ansia, se fosse successo qualcosa
sarebbe stata tutta colpa mia. Di nuovo.

Shika si guardò le mani impastate di terra ― Le mie previsioni, non sono mai buone.
― Mi ci voleva una serena notizia ora come ora ― cercai di scherzare mentre strizzavo il fazzoletto.
Le rise sincera e si alzò in piedi traballando ―Dobbiamo andare a dare una mano.
Dopo aver depositato la bottiglia d'acqua nella sacca mi misi in piedi con Katagida in pugno.
E poi il terreno si mosse, come se un forte terremoto si fosse ripercosso sul monte. Ma non era un terremoto,ovviamente le catastrofi naturali non erano un nostro problema al momento, ma dei forti e sordi passi.
―E ovviamente ecco che arriva la malvagità ―urlò sarcastica Shika verso dove arrivavano i rumori. Le scosse erano così movimentate che io e la ragazza, essendo minute, per poco non cademmo a terra.
Dal sentiero su cui noi avevamo camminato venti minuti prima provenivano degli enormi colossi di pelo, con dei piccoli maligni occhietti neri.
Inorridii alla vista delle loro gambe umane che sembravano essere state staccate e incollate su un corpo di orso con la colla stick. Erano due giganteschi orsi-uomini e avevano l'aria di essere molto infuriati, e questo si intuiva specialmente dai rochi e profondi grugniti.
La lama della mia spada rifletteva la luce del sole, era quasi accecante in confronto a quella violetta di Shika. Il viola mi aveva sempre dato l'impressione della magia.
―Sono Agrio e Orico ― urlò la rossa mentre questi si avvicinavano tempestosi a noi.
Risi apatica ― Fammi indovinare: nemici di mia madre?
Lei appoggiò la punta della lama a terra e chiuse gli occhi ― Esatto.
Il terreno cominciò a creparsi in prossimità dell'estremità della sua spada, e passò proprio tra i due mostri, separandoli l'uno dall'altro. Guardai la scena inerme finchè non mi decisi a intervenire.
Il primo mostro che identificammo come Agrio perchè più massiccio aveva cominciato a caricare contro Shika ancora con gli occhi chiusi, così salii sul masso più alto e scossi la spada ― Avanti, sono qui palla di pelo. Sei così grasso da non riuscire a prendermi?
Sono certa che lo irritai perchè si volto verso di me puntandomi i suoi minuscoli bulbi oculari addosso. Orico invece stava cercando di raggiungere il fratello a pochi metri di distanza.
― Prendi quell'altro, io mi occupo di lui ― sentenziai verso la giapponese che annuì e rialzò la lama da terra. Incalzai un affondo nel ventre di Agrio ma con una manata mi butto a terra.
La pancia doleva ancora dalla ferita del Ciclope ma sentivo l'adrenalina salire dentro di me, come se i miei muscoli non vedessero l'ora di muoversi.
Approfittai del fatto che ero distesa a terra per passare sotto le sue enormi gambe umane e trafiggere con Katagida la caviglia del mostro.
Questo ululò cosi forte da far sconcentrare Shika che era invece impegnata a far disorientare Orico, e traballò all'indietro precario sulla sua unica gamba buona.
― Fidati amico, non era il momento giusto per attaccarmi oggi ― borbottai sgusciando fuori dai piedi di Agrio. Essendo stato di spalle riuscii a pugnalare occhietti-malefici alla coscia, anche se dovetti darmi slancio su un passo per arrivarci.
Ma questo peggiorò la situazione. Il mostro si girò con così tanta violenza che la sua zampa colpì Shika in pieno viso, e nonostante la figura di Agrio mi impedisse di vedere bene, notai il suo corpo cadere all'indietro sul terreno inerme.
― Merda ― disse tra me e me correndo verso la ragazza, per un attimo dimenticandomi dei due mostri in imminente
attacco. Dal suo naso colava un rivolo di sangue scuro, ma fortunatamente il suo petto si alzava ed abbassava segno che stava ancora respirando. Ma era svenuta, la botta doveva averla messa KO.

Orico e Agrio ci stavano a un palmo di naso, tutti e due con l'acquolina in bocca e con l'alito che sapeva di stantio. Menai Katagida a sinistra e a destra ma tutto quello che ottenni fu un loro ruggito di nervosismo. Si stavano spazientendo.
''Pensa, pensa'' mi ripetevo girandomi intorno per cercare qualche metodo per aiutarmi. Ma niente, la mia mente era in tilt. Presi il mio coltello e mi diedi la carica per allontanare il più possibile i due giganti da Shika. Più lontano gli avrei portati, più sarebbe stata al sicuro.
― Dai, piccoli furfantelli ragazzacci prendetemi ― sbraitai facendoli girare dalla parte opposta.
E così fui io il loro obbiettivo principale, e il che rientrava proprio nei miei piani.
Corsi senza mai voltarmi giù per il sentiero dal quale eravamo saliti, saltando di tanto in tanto qualche masso che intralciava il cammino. Purtroppo cominciai a rallentare e quel minimo cambiò di velocità bastò ai Giganti per raggiungermi..
Orico lanciò una pietra contro di me, ma riuscii a schivarla. Non potei dire lo stesso della terza, che mi colpì in piena schiena facendomi cadere per avanti. Sentii il bruciore salire dalle mie ginocchia che avevano sfregato contro la ghiaia alla caduta, e anche se non vidi cosa mi ero fatta ero certa di essermi procurata due belle bruciature sanguinose che avrebbero lasciato la cicatrice. Perfetto.
Non volevo demordere, non ora che potevo dimostrare a me stessa che ero in grado di farcela.
Strisciai in avanti cercando di avanzare il più possibile verso Katagida che era caduta con un tonfo sordo qualche metro più avanti a me.
La pancia doleva, le ginocchia bruciavano ma i miei occhi non perdevano di vista l'obbiettivo. Uccidere quei due ammassi immondi.
―Non.. l'avrete.. vinta ― mormorai strisciando.
Agrio bramì e prima che io potessi fare qualcosa diede un calcio alla mia spada facendola ruzzolare giù dal dirupo vicino a noi. In quel momento, mentre vedevo l'unico regalo di mia madre scivolarmi via atrocemente dalle mani, la rabbia si impadronì di me. Ma non una rabbia contenibile, una violenta e inarrestabile.
Ancora sdraiata a pancia in giù vidi le mie mani diventare sempre più luminose, come se una luce bianca mi stesse trapassando da parte a parte. E così cominciarono anche le mie braccia e tutto il mio corpo.
Ero praticamente diventata una torcia umana, e non me ne stavo rendendo conto. Il tormento mi accecava la vista. Brillavo sotto la luce del sole come se fossi una sua degna stella.
L'ultima cosa che sentii furono i dolorosi ululati di Agrio e Orio prima di riaprire gli occhi e non trovarne più la loro presenza. Non emanavo più luce, le mie braccia erano tornate al loro colorito pallido di sempre come tutto il resto del corpo.
Gli avevo disintegrati? E cosa più importane di tutte: che cosa cavolo avevo appena fatto?




Buonaseraaa

Buongiorno! Finita la scuola, oddio ancora non arrivo a crederci, come vi è andata a voi?
Fortunatamente io promossa, mi hanno abbuonato matematica perchè altrimenti sarei dovuta andare a settembre... studiare algebra durante l'estate, al sol pensiero, mi dava la nausea.
Anyways questo è il nuovo capitolo, spero vi sia gustato hah. 
Allora vi devo una spiegazione del colpo di scena finale, ovvero la ''torcia-umana'' di Deborah. 
Probabilmente vi starete chiedendo: è spudoratamente uguale a Obsidian, ebbene sappiate che l'idea non mi è venuta pensando alla saga Lux. 
Sinceramente solo dopo che avevo scritto il capitolo mi sono resa conto che lo stesso ''potere'' lo ha anche Katy, ma il contesto è diverso, e la luce di Deborah è tutt'altro. 
è figlia della dea della Luna dopotutto.
Comunque spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, e come sempre fatemi sapere la vostra che per me conta più di qualsiasi altra cosa :) 
Vi ringrazio ancora tantissimo e ci vediamo al prossimo aggiornamento.

Un bacione,
Serpeverde (che in realtà sarebbe Corvonero ma shht) 



 


Personaggi

 

              Sebastian       Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper              Shika                         

 

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Capitolo 17
*** Le belle addormentate sul Monte ***




Apachtheís ~ Rapita

(17)



Le belle addormentate sul Monte

Vi chiedo gentilmente di fermarmi a leggere il mio spazio sotto, 
buona lettura 
 


 

Non potevo crederci. Le mie ginocchia erano illese, candide, come se tutto quel dolore che avevo provato strusciandole a terra fosse solo stato un brutto scherzo della mia mente.
Così anche la pancia. Niente taglio, niente cicatrice. Ero guarita miracolosamente.
Ciò nonostante non diedi molto peso all'accaduto, avevo già altri problemi di cui occuparmi e diventare un faro umano era l'ultima cosa nella mia lista.
La cosa di cui dovevo occuparmi, in quell'istante, era la mia spada. Mi sporsi più che potevo con la testa verso il burrone cosa che mi creava una paura assurda, per intercettare il coltello.
Non c'era l'ombra di lei, e non mi sorprese dato che la vidi sprofondare nella sua profondità, ma non volevo semplicemente credere di aver perso l'unico oggetto regalatomi da mia madre. Primo e ultimo.
Appena arrivata in cima al sentiero (dove mi ripromisi di non provare più a riscenderlo un'altra volta) notai che Shika si era svegliata. Sembrava piuttosto irritata, e questo lo si poteva notare essenzialmente dalla brutalità con cui si strofinava il naso colante di sangue.
Avanzai verso di lei cercando di non mostrare troppo il fatto che avevo il fiatone e che avevo una resistenza muscolare che faceva cilecca.
― Mi ha sbattuto a terra? Mi sono lasciata schiantare a terra a nemmeno un quarto del combattimento! ― disse quasi urlando. Non era una domanda, e non si stava rivolgendo a nessuno in particolare, probabilmente aveva solo dato sfogo ai suoi pensieri frustrata.
Evitai di assentire o intervenire, sapevo bene come ci si sentiva ad essere stati battuti e non aver potuto aiutare quando serviva. Lo sapevo, benissimo.
Era seduta con la testa su un masso aranciato quando si rese conto che ancora i ragazzi e le ragazze non erano tornati. E così lo notai anche io.
― Dobbiamo entrare, non ci avrebbero fatto aspettare così a lungo se non ci fossero stati problemi.
Acconsentii e mi chinai verso il mio stivale per prendere il manico di Katagida che poi ricordai di aver appena visto volare in un burrone. Shika notò il mio sbalzo di umore, seppure con sguardo confuso, e accennò un sorriso ―Ricorda, le spade non si perdono mai.
― Voglio crederci ― sussurrai impercettibilmente. Se dovevo essere sincera, la mia speranza era la prima a morire.
Le porsi la mano che lei accettò e così si ritrovò in piedi con ancora la chiazza di sangue sotto il naso e la polvere arancione sui jeans scuri. Non che io fossi meglio. Era già un bene se la mia maglietta fosse ancora intatta, della polvere e delle chiazze marroncine poco importava al momento.
― Dato che non hai la tua spada è meglio che stia io davanti, tu tieniti sempre dietro ― disse categorica la figlia di Ecate incamminandosi verso la caverna.
Ed ancora una volta Deborah rimane l'ultima. E poi dicono che non mi devo lamentare.

 

 

 

Brancolavamo nel buio, se non per una piccola lampadina che Shika aveva come portachiavi del suo scooter. Questa però non aiutava a rendere la caverna più visibile, tutto quello che riuscivamo a vedere erano ragnatele e massi sparsi per tutto il tunnel stretto e soporifero.
― Credi che ci sarà una fine? ― chiesi muovendo le mani nell'oscurità per impedirmi di andare a sbattere a potenziali muri o barricate. La giapponese, il cui volto era visibile solo per metà, scosse la testa assorta.
― Credo che se continua a restringersi io andrò di matto ― mormorò alterata la mia compare, tenendo ben alta la lama della sua spada. Ci rendemmo conto che la nostra fonte di luce fu davvero scarsa solo e soltanto quando andammo letteralmente addosso a una parete di fronte a noi.
― Ripetimi il motivo per cui noi non possiamo avere una torcia migliore? ― affermò retorica Shika che intanto si stava strusciando freneticamente le braccia probabilmente escoriate dopo l'impatto.
Sbuffai seccata guardando un rivolo di sangue scendere sulle mie dita a causa delle bruciature sulle nocche che conseguii nel tentativo vano di evitare il muro.
In realtà non era un vero muro, ma una frana. Dei grossi massi irregolari ci sbarravano la strada, impedendoci di proseguire nell'esplorazione.
Mi appoggiai alla parete vicina ispezionando il crollo della caverna, di cui né io né Shika avevamo sentito il rumore.
―Non capisco, i ragazzi sono entrati per primi e sicuramente questi massi non c'erano. Se non sono tornati vuol dire che la frana è avvenuta dopo il loro passaggio e gli ha impedito di tornare indietro. Ma la cosa che non mi quadra è il non-ritorno di Annabeth e Piper ― spiegai a voce alta cercando di avvicinare il più possibile la torcia a quella parete.
La giapponese, che sembrò annuire nell'oscurità, mi si avvicinò titubante ― Potrebbero essere avvenuti due cedimenti. Uno che ha intrappolato i ragazzi, l'altro che ha rinchiuso le ragazze.
Non risposi, probabilmente perchè non sapevo bene cosa pensare. Di certo, in una caverna, una franata può anche accadere. Ma due? Due sono piuttosto improbabili, specialmente a lunga distanza l'uno dall'altro.
― Secondo me c'è dell'altro. Ci deve essere dell'altro, anche perchè non vedo come possiamo oltrepassare questa barricata ―mormorai sovrappensiero tastando ogni centimetro quadrato della parete accanto a me ― Se solo ci fosse più luce.
Rabbrividii all'ultima frase che avevo pronunciato. Più luce, un bagliore, un brillio. Mi fermai a riflettere su quello che era successo poco tempo prima con Orio e Agrio. Ero mutata, diventata dall'aspetto raggiante, una specie di candela.
Se fossi stata in grado di riprodurlo io e Shika saremmo riuscite a vedere qualcosa all'interno di quella caverna buia. E proprio quando mi convinsi e mi girai verso la giapponese con l'intento di raccontarli cosa avevo fatto, mi tornò in mente la sparizione dei due mostri.
Si erano volatilizzati nel nulla, forse disintegrati a causa del mio bagliore. Se solo fossi riuscita a replicare cosa ero diventata venti minuti prima, la mia luce sarebbe stata talmente raggiante da far del male a Shika.
― Deborah, c'è qualcosa che non va? ― mi chiese la ragazza dagli occhi a mandorla sollevando lo sguardo dalla roccia che stava ispezionando con cautela. Mi sforzai di sorridere, e il tentativo crollò miseramente.
Presi un gran respiro ― Tutto apposto. E credo di aver trovato qualcosa.
Effettivamente avevo davvero scoperto qualcosa, ovvero un piccolo basso rilievo sul fondo della parete principale della caverna. Ci chinammo sincrone percorrendo con le dita le protuberanza che sembravano formare un serpente e il profilo di un leone.
Sembrò come se sfiorando l'immagine si fosse innescato una sorte di marchingegno all'interno del muro. Si sentiva il ticchettare di alcuni ingranaggi, gli scossoni di alcune catene.
Strinsi il polso di Shika e la tirai lontana dalla parete quando con un rumore si creò un varco. In sostanza il muro roccioso si era spostato aprendo una fessura che si faceva sempre più larga.
Non serve dire che lo spettacolo al di dietro era agghiacciante.


 


 

Sentii Shika sobbalzare dal terrore accanto a me, così non feci altro che stringerli il polso ancora più forte un po' perchè ero stata presa alla sprovvista, un po' perchè volevo tranquillizzarla. In un certo senso averla al mio fianco mi rendeva già per sé più calma.
L'incanalatura nascosta era piuttosto grande, e seppure il suo contenuto fosse nella penombra di alcune lampade biancastre ad olio, una nicchia risaltava sullo sfondo tetro.
Dalla parte opposta della grezza camera vi erano dei corpi. Delle figure indistinte giacevano immobili e incoscienti l'una vicina all'altra, ed erano tutte ragazzine giovani e belle.
Occhi chiusi, bocche serrate, pelli diafane così bianche che sembravano cadaveri. Shika a stento trattenne le lacrime guardandole da lontano, così mi strinsi a lei.
― Prima hai detto che le sentivi, non le avresti sentite se fossero state morte. Dico bene? ― mormorai impercettibilmente verso la rossa che tirò su il naso e con una smorfia si rese conto che avrei potuto aver ragione.
Quelle ragazzine dovevano per forza essere le Cacciatrici, coloro che avevano rinunciato ad innamorarsi per star a seguito di mia madre.
Ero così intenta a calmare Shika che non mi accorsi di alcuni urletti isterici ovattati che provenivano dall'interno della stanza. Mi voltai sconcertata verso l'angolo destro e tutto quello che vidi furono altri sei corpi l'uno vicino all'altro, ma sta volta si muovevano freneticamente.
Una ragazza dalla pelle più scura si dimenava nervosa cercando di biascicare qualche parola ma tutto quello che ottenne furono dei rumori striduli datosi che una benda che, a primo in patto, sembrò fatta di acqua le impediva di parlare.
Aveva i polsi legati, e così anche le caviglie dallo stesso materiale che le copriva la bocca. I restanti cinque erano a loro volta incatenati come la cherooke ma al contrario della giovane, loro erano piuttosto pacati.
Inutile precisare che quella che faceva più rumore nella stanza era, appunto, Piper.
― Per tutti i dei! ― sibilò Shika guardando i sei malcapitati. Senza volerlo, di primo impatto, il mio sguardo rassettò tutti i volti cercando di individuare gli occhi di Leo. E quando li focalizzai, mi ritrovai a sorridere come un'ebete. Letteralmente.
Senza il minimo ripensamento entrai all'interno della stanza spedita mentre Shika borbottava qualcosa dietro di me come ''Ti hanno mai detto che sei troppo impulsiva?''
Ed era vero, lo ero, ma l'unica cosa che volevo in quel momento era raggiungere gli altri.
Tutti quanti, quando mi videro venirgli in contro, cominciarono a scuotere la testa dimenandosi come per avvertirmi.
― Non siate troppo contenti di vederci, mi raccomando ― dissi ironica chinandomi all'altezza di Leo. Il ragazzo aveva i ricci tutti scompigliati, gli occhi sgranati come se cercasse di impedirmi di slegarlo, il viso coperto di fuliggine e la bocca coperta da una benda. Una benda fatta di bava.
Saliva appiccicosa, elastica e incredibilmente bagnata. Inumana.
Guardai gli altri, ed tutti avevano subito la stessa sorte. Ero talmente scioccata che non riuscivo nemmeno a chiedere spiegazioni, spiegazioni che nessuno mi avrebbe dato con quelle bende che serravano la bocca.
― Shika, vieni, dammi una mano ― urlai indaffarata mentre con le mani cercavo in qualche modo di rompere la fascia di Leo ― Chi vi ha fatto questo?
Ovviamente nessuno mi rispose, piuttosto cercavano di biascicare parola ma non ce la facevano. Chi ce l'avrebbe fatta con quella sostanza appiccicosa sulla propria faccia.
― Deborah credo che Sebastian stia cercando di dirci qualcosa ― finalmente Shika mi aveva raggiunto, anche se potevo vederle negli occhi una patina acquosa che poteva sfociare in un pianto isterico in pochi secondi. Effettivamente Sebastian aveva raccattato un sasso appuntito dal terreno, nonostante le mani legate, e stava incidendo con molta calma e pazienza una parola sulla roccia.
Rapidamente poggiai le ginocchia a terra cercando di capire il più possibile quale vocabolo, il figlio di Apollo, stesse scolpendo. E solo a lavoro finito ottenni la mia risposta: Chimera.
Fu agghiacciante come una volta letta a voce alta la parola, una presenza enorme si manifestò proprio dietro di noi.
Shika sfoderò nuovamente la sua spada dalla guaina pronta a reagire. Mi sollevai da terra traballante notando che non avevo, di nuovonulla per difendere né me né gli altri.
― Merda, merda, merda ― urlava in preda al panico la giapponese al sol vedere la Chimera.
Le incisioni sul muro che avevamo pressato per entrare avevano un senso. La Chimera aveva la testa di leone con una folta criniera che la circondava, sulla sua schiena spuntava una seconda testa ma questa volta di capra, e la sua coda era un serpente. Decisamente poco disgustosa.
Il mostro cominciò a ruggire minaccioso coprendo con fare egoista le Cacciatrici alle sue spalle, come a voler dire ''Non me le porterete via''. In sostanza erano come le sue barbie preferite. Un sassolino mi colpì sul polpaccio, ed avendo i muscoli tesi per la tensione, mi voltai allarmata verso la fonte. Era stato Percy che divincolandosi con un cenno del mento mi indicò la parte opposta della stanza, dove poi notai tutte le armi dei sei. Gli erano state requisite e buttate come cianfrusaglia in un angolino.
Se fossimo sopravvissuti alla Chimera mi avrebbero dovuto raccontare come quattro uomini e due donne fossero stati messi all'angolo da un solo mostro.
E proprio mentre stavo per lanciarmi verso le lame confiscate, notai che Percy stava tirando fuori dalla tasca, con solo l'aiuto delle dita, una penna. Era Anaklusmos che, come mi aveva appunto raccontato, ogni volta che la perdeva o la dimenticava essa riappariva magicamente nella sua tasca.
Subito mi gettai accanto al corpo del ragazzo per aiutarlo, e una volta tolto il tappo alla penna essa si allungò in una spada. Con delicatezza tagliai la bava-benda che gli circondava le mani e poi lui si tolse con fare schifato l'altra parte dalla sua bocca.
Con grande velocità Percy portò la spada all'altezza delle caviglie di Annabeth liberandola. E poco dopo tutti e sei erano di nuovo in piedi per combattere.
Subito Leo mi fu vicino, una presenza calda e confortante, prendendomi in giro per i capelli tutti scompigliati come se non ci fosse una Chimera pronta a saltarci addosso dall'altra parte della stanza. Anche Sebastian mi fu accanto, ma più che altro per esortarmi a darmi una mossa.
Quasi mi venne voglia di ritapparli la bocca con la bava-benda dall'irritazione.
― Io distraggo la bestia, voi prendete le armi ― urlò Percy parandosi in mezzo al campo visivo del mostro. Quest'ultimo gli ruggì conto facendo comparire sulla faccia del figlio di Poseidone una smorfia schifata. La lezione che avevo imparato, dal maiale che mi attaccò in camera mia fin a quell'ultimo mostro, era che tutti avevano un alito che ti faceva accapponare la pelle.
Annabeth aveva già raccattato il suo coltello dall'angolo dove era stato messo, così anche Jason che brandiva la sua spada imperiale romana.
Quasi risi quando Leo si riattaccò il marsupio al ventre con un respiro di tranquillità per poi guardarmi storto e urlare teatrale ― Questo è più forte di tutte le vostre stupide armi ― per poi indicare il suo fedele amico alla vita.
Lo assecondai divertita facendomi da parte. Non potevo fare nulla. Purtroppo, di nuovo, ero completamente inutile.
― Dobbiamo trovare un altro modo di farla tornare nel Tartaro ― sbraitò Jason che in quel momento era stato scaraventato sopra un masso dalla coda di serpente del mostro.
Il Tartaro, da quello che avevo capito, era un posto peggiore degli Inferi. Ancora più in basso, ancora più spaventoso. Non ci misi bocca, dopotutto non ero nemmeno stata giù nel territorio di Ade, e non ci tenevo.
Annabeth stava ferendo la bestia insieme a Percy ― É come se questa caverna le desse forza.
―Dobbiamo portarla fuori da qui ― acconsentì Piper. Dopotutto era un'idea sensata, ma non avrei mai dato ragione a quella piccola smorfiosa.
― Ma la porta è troppo piccola, non ci passerebbe ― ribatté Shika menando la spada violacea verso il muso di capra della Chimera, che continuava a belare con cattiveria.
Leo subito si propose di poter far esplodere il muro e aprire un varco più grande, mettendosi a lavoro in un angolo della caverna affondando le mani dentro il marsupio e tirando fuori oggetti a caso. Loro tenevano la bestia lontana da lui nel mentre costruiva il suo oggetto, io di tanto in tanto li passavo ciò di cui aveva bisogno.
Dopo cinque minuti, il figlio di Efesto aveva terminato la sua opera.
Era una specie di pistola dalla lunga canna, fatta di corda e qualche bullone.
― Sei sicuro che funzioni? ― chiese Shika una volta raggiunto il moro, ma pur sempre continuando a tenere a largo il mostro. Lui la guardò arricciando il naso ― Non dubitare mai del magnifico Leo Valdez.
Detto questo, e prima che qualcuno potesse chiedere se avrebbe fatto crollare l'intera cava, premette il grilletto. Il proiettile che sembrò fatto di pile scariche, colpì il
muro della caverna che crollò su sé stesso. Ci fu un boato, dei massi che caddero, e poi un'enorme varco a prova Chimera comparve sul lato destro della stanza.

Shika, piuttosto colpita, batté le mani cosa che fece riempire il petto di Leo di fierezza. Bastò una mia pacca sul retro della nuca per farlo tornare coi piedi per terra.
― Ben fatto ― urlò Percy ― Ora dobbiamo attirarla fuori.
Piper si fece avanti, posizionandosi davanti al muso da leone del mostro ― Seguimi.
Io stavo per mettermi a ridere, aspettandomi una fatidica non riuscita del suo piano. Insomma, era davvero così facile?
Ma quando si incamminò verso il varco appena aperto, la Chimera, la seguì obbediente.
Ero sconvolta, tanto che Leo dovette scrollarmi le spalle per farmi tornare coi piedi per terra.
― Le figlie di Afrodite possono usare la lingua ammaliatrice. È una forza! Possono obbligare persone, animali, mostri, anche macchine a fare quello che gli dicono!
― mi spiegò quest'ultimo con enfasi per poi avviarsi insieme agli altri al di fuori della caverna.

Percorremmo al contrario l'intera cava, passando per momenti dove la Chimera sembrava riprendere coscienza di sé stessa e attaccarci. Ma fortunatamente Piper
sapeva come fare. 
Nonostante mi costasse ammetterlo.
La luce del sole non era mai stata così confortante, ed era arrivata al suo apice essendo mezzogiorno. La Chimera era rimasta immobile alle spalle della figlia di Afrodite, come una statua.
― Distruggiti ― urlò Piper alla bestia, con così tanta forza che per poco non convinse anche me a fare lo stesso. La testa da leone del mostro cominciò a mordere quella di capra, e così anche la coda da serpente. In poco tempo, di lei, rimase solo una polvere d'oro. Probabilmente una volta uscita dalla caverna non aveva più niente che le desse la possibilità di attaccare, e così la lingua ammaliatrice aveva funzionato persino meglio del previsto.
― Ben fatto Piper ― affermò energico Jason ottenendo un'occhiataccia fulminante da quest'ultima. 
L'acidita di quella ragazza era inesaurbile. 

 

 

Anteprima prossimo capitolo
E un urlo. Forte, deciso, disperato.
L'urlo di guerra coronato da un nome,
il nome di colui che ha rapito mia madre e che ha portato alla scomparsa della luna.
 




 

Buonaseraaa
Già lo so, mi vorrete ammazzarmi con le vostre stesse mani! E oh, accidenti, quanto vi capisco. 
Non ho aggiornato un bel niente per tutta l'estate, insensato dato che in teoria avrei dovuto avere più tempo a disposizione. 
Il problema è che quest'estate sono stata sempre via, e non ho mai avuto il mio povero computer accanto. Sono stata a Londra, in Toscana dai miei parenti e sono appena tornata dalla Sardegna dove sono stata praticamente la maggior parte del tempo a trovare mia nipote e mia cognata.
Tutto questo con una grande astinenza del mio carissimo amico portatile.
Per cui scusate, davvero. 
Per quanto riguarda il capitolo, beh, non sono molto soddifatta per come l'ho troncato. Ma non c'era altro modo. Se avessi pubblicato l'intero scritto sarebbe stato troppo lungo, quindi ho deciso di tagliarlo (malamente) in questo punto. 

Attenzione signori e signore: nel prossimo capitolo si scoprirà tutto.
 

Sarà il capitolo delle rivelazioni, per cui mi raccomando vi lascio sulle spine. 
Vi mando un bacione, al prossimo aggiornamento! 
E buona scuola per tutti noi che la inizieranno domani. Buonafortuna. 
- Serpeverde

 


 

 
Personaggi

 

              Sebastian       Deborah          Percy            Annabeth           Leo               Piper              Shika                         

 

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Capitolo 18
*** Attento, sto venendo a cercarti ***




Apachtheís ~ Rapita

(18)



Attento, sto venendo a cercarti

Buona Lettura tadadadamm!


― Distruggiti ― urlò Piper alla bestia, con così tanta forza che per poco non convinse anche me a fare lo stesso. La testa da leone del mostro cominciò a mordere quella di capra, e così anche la coda da serpente. In poco tempo, di lei, rimase solo una polvere d'oro. Probabilmente una volta uscita dalla caverna non aveva più niente che le desse la possibilità di attaccare, e così la lingua ammaliatrice aveva funzionato persino meglio del previsto.
― Ben fatto Piper ― affermò energico Jason ottenendo un'occhiataccia fulminante da quest'ultima. 
L'acidita di quella ragazza era inesaurbile. 

 

...Subito Shika si agitò per il fatto che le cacciatrici erano ancora all'interno, e infatti, quest'ultimo non se lo fece ripetere due volte. Cominciò a correre di nuovo all'interno della cava, per raggiungere la sorella.
Tutti lo seguimmo, ma alla fine io rimasi per ultima. Con Sebastian vicino, cosa che mi mise in soggezione. Anche perchè non aveva la minima voglia di levarmi gli occhi di dosso. Ed era angosciante.
― E quindi tu sei figlia di Artemide ― dichiarò infine rivolgendosi verso di me. Guardai gli altri che ormai ci avevano lasciato indietro e pregai che qualcuno tornasse ad aspettarmi. Stare con quel ragazzo mi metteva in ansia.
Cercai di sembrare disinvolta ― Così sembra.
― Come l'hanno presa le altre persone? Intendo, non deve essere stata una passeggiata coi greci del campo per essere accettata.
Aggrottai la fronte sconcertata, girandomi verso di lui una volta per tutte. I suoi occhi verdi avevano assunto una sfumatura cristallina ― Niente che non si possa superare.
Lui annuì scuotendo il ciuffo castano ― Lo spero.
Proseguii la mia camminata in silenzio con ancora una smorfia interrogativa in volto, ma presto non pensai nemmeno più allo sguardo persistente di Sebastian dietro di me perchè Leo mi aveva aspettato davanti all'ingresso del covo della Chimera.
Mi sfoggiò un sorriso contagioso ― Sei proprio lenta, lunatica.
Gli diedi una pacca leggera sulla spalla per poi oltrepassarlo interdetta. Tutti gli altri avevano circondato il corpo delle cacciatrici tenendo Shika al centro che ne stava tenendo una per il polso ad occhi chiusi. La ragazza che reggeva aveva dei corti capelli neri, un corpo atletico e nonostante il viso rilassato si intravedeva l'atteggiamento fiero. Jason le teneva la testa, con una mano affondata nella chioma corvina.
― Dai Talia, svegliati ― le sussurrava con leggerezza il biondo mentre Annabeth teneva ben salda la mano di Percy altrettanto scosso. Mi tenni a distanza dal gruppetto per il semplice fatto che mi sembrava irrispettoso. Leo mi tenne compagnia, affiancandomi.
― Mmh, è una magia potente. Molto potente. Non sono morte, sono solo addormentate. Come le principesse nelle favole, sentono chi parla ma non possono rispondere. Sono perse nei meandri delle loro menti, sole, che aspettano il risveglio. Purtroppo che in questo caso non serve uno stupido bacio, ma un rimedio efficace ― mormorò Shika verso Jason e noi. Aveva le mani sporche di terriccio, di nuovo.
Le Cacciatrici potevano benissimo incarnare delle reali. Erano bellissime e giovani.
― C'è un modo per far ritornare i sensi a tutte loro? ― chiesi a bassa voce per paura di essere invadente, e gli altri semidei si voltarono interessati.
Shika sospirò profondamente ― Un modo c'è. O meglio, una persona a cui possiamo rivolgerci. Un dio per la precisione.
Jason sembrò aver capito e si alzò riponendo la testa della sorella delicatamente ― Ipno.
― Il dio del sonno? Ma, insomma, è una divinità... non credo di avere molta esperienza a riguardo, ma da quello che ho potuto vedere non è che questi dei sono molto propensi a dare una mano ― affermai anche stavolta a voce piuttosto bassa, fermandomi di tanto in tanto col fiato sospeso.
Vidi Leo annuire dal mio fianco ― Giusto. Ma se è successo questo casino è solo colpa loro e dei numerosi nemici che si fanno durante il corso della loro vita immortale. E poi dobbiamo rimetterci noi quando non hanno nemmeno voglia di sistemare i loro problemi.
Jason si fece cupo in viso, gli occhi adirati, i pugni stretti. Sapevamo che era arrabbiato, e sapevamo che qualsiasi cosa costasse avrebbe contattato Ipno. E avrebbe ottenuto un incontro, con o senza il suo consenso.
Shika sospirò rumorosamente pulendosi il terriccio sotto le unghie laccate di bianco ― Il problema è arrivare fino a Catania.
Piper strabuzzò gli occhi, sconvolta, mentre Annabeth le rivolse un'occhiata saggia ― Le porte del sonno si trovano in Italia. L'unico modo per incontrarlo è recarsi nella sua dimora. Ipno è il dio del sonno, certamente si capirà perchè lo è diventato. Dormire è il suo hobby, e quale miglior bellezza di passare la propria vita interminabile su un letto nelle braccia di Morfeo
Percy squadrò la sua ragazza con fare pensieroso ― Non fa una piega.
― Per cui dobbiamo viaggiare in Europa, okey. Ma come? ― dichiarai sedendomi a terra. Leo prima mi guardò riflettendoci un po su poi mi imitò prendendo posto accanto a me.
― Volare è il metodo migliore, risparmierebbe un sacco di tempo. E noi non abbiamo tempo da perdere ― spiegò poi. Un ciuffo mi ricadde sugli occhi, ma senza preavviso, Leo me lo sfiorò e passò la ciocca dietro il mio orecchio facendomi sorridere.
''Deborah, riprenditi il controllo del tuo corpo per l'amor degli dei'' mi dissi perdendomi nelle iridi scure del moro. Poi scossi la testa e mi voltai verso gli altri.
― Io avrei un'idea ― si intromise Sebastian che in quel momento se ne stava nella penombra della cava con le mani affondate nelle tasche. Sembrava uno di quei protagonisti dei film gialli, silenziosi e particolarmente inquietanti.
Jason intimò l'amico a parlare e il figlio di Apollo riprese il discorso ― Non sono sicuro che funzioni ma tanto vale provare. Mi serve tempo fino a domani. Almeno fino a domani mattina.
Ci fu un minuto di silenzio dove Annabeth era visibilmente tesa e Jason in conflitto con la sua parte razionale che sicuramente gli stava dicendo ''No. Agisci. Subito.'' ma alla fine, con il consenso di tutti, decidemmo di attuare il piano di Sebastian dopo che Shika, con serietà, aveva spiegato che le Cacciatrici non avrebbero subito conseguenze anche se avessimo aspettato un giorno in più.
''Mamma, spero che tu stia bene'' mormorai tra me e me prima di uscirmene fuori dalla caverna.

 

 

Il pomeriggio passò più lentamente delle ore di matematica. Sembrava interminabile, come se le lancette proseguissero a passo di lumaca.
Anche tutto il cibo che avevamo mangiato dalla Cornucopia sembrava non aver voglia di essere digerito, tanto che il sandwich ai gamberetti lo sentivo ancora salire e scendere nel mio stomaco.
Annabeth aveva passato cinque ore a parlare freneticamente dei possibili piani che avremmo potuto usare nel caso Sebastian non ce l'avesse fatta, Percy l'ascoltava interessato e Piper aveva deciso di dormire per la maggior parte del tempo.
Shika provava a invocare sua madre nel tentativo di trovare qualche modo per svegliare le Cacciatrici, Jason non perdeva mai d'occhio sua sorella nonostante sapesse che non poteva muoversi da dove era e Sebastian ci aveva abbandonato per starsene da solo in un angolo a biascicare parole a voce bassa, occhi chiusi e smorfia concentrata.
Per quanto riguarda me, decisi di passare il tempo a cercare Katagida rassettando qualsiasi angolo della montagna. Ma niente. Della mia spada non c'era traccia, come volatilizzata.
Leo mi diede una mano, ma solo dopo tre mie ore di perlustrazione perchè aveva dovuto assistere Shika all'interno della cava con il suo fuoco.
― Te ne posso forgiare una nuova ― aveva detto il figlio di Efesto facendomi intenerire.
― Non voglio che perdi tempo per me. La troverò, tranquillo ― ed era vero, non volevo che perdesse tempo con me. Shika aveva bisogno di lui e non io con le mie manie megalomani di avere una spada nuova.
Poi arrivò il momento di dormire, e nemmeno durante la notte Sebastian ci raggiunse. Doveva essere esausto. Mi rannicchiai con il mio piumone giallo vicino a un masso, mentre un caldo fuocherello mi scaldava. A differenza della sera prima non ebbi troppo imbarazzo a condividere la mia coperta con Leo, anche se potevo scommettere che il mio viso avesse lo stesso colore di un candelotto di dinamite.
― Buonanotte, lunatica ― mi mormorò a un orecchio facendomi passare il braccio dietro la testa. Così mi ritrovai a dormire sul petto di Leo. Cullata dai suoi respiri regolari e dal battito del suo cuore.
Jason stava facendo la guardia insieme a Percy, niente sarebbe potuto andare storto. Ma non dovevo preoccuparmi delle minacce esterne, piuttosto di quelle interne.

 

''Abbiamo abbastanza scorte'' mormorò una voce proprio dietro le mie spalle. Come se fosse lontana ma estremamente vicina. Era cupa, dura, la solita voce che mi pugnalava la testa ogni volta che chiudevo gli occhi. Il problema era che la mia visuale era tutta buia. Un buio tetro.
Poi ci fu un colpo, come un pugno che sbatte contro un pezzo di legno. Magari un baule o un tavolo. Poi il nero sparì, rivelando la stessa scena che mi sembrò di vedere al campo Mezzosangue. L'uomo e il cane.
''Ce la faremo. Sirio, finalmente ci vendicheremo'' disse l'uomo dalla voce d'alabastro verso il cane.
E un urlo. Forte, deciso, disperato. L'urlo di guerra coronato da un nome, il nome di colui che ha rapito mia madre e che ha portato alla scomparsa della luna.



Mi svegliai di soprassalto, annaspando. Leo fu subito in piedi cercando di calmarmi passandomi la mano tra i capelli.
Ma persi il controllo, tirai un urlo. Un urlo addirittura più forte di quello nel sogno, così forte che non pensai nemmeno
che fosse la mia voce


 

― Ti troverò Orione! 




 

Buonaseraa!
 

Finalmente è arrivato il momento di svelare chi c'è dietro a il rapimento!
Sono davvero contenta di Little_Fox che già al 13 capitolo aveva indovinato chi era il nostro malefico antagonista, davvero brava!
Ebbene sì, è Orione. Nel prossimo capitolo una persona molto particolare spiegherà alla nostra piccola Debb chi è costui.
Non so dirvi di preciso quanto manca alla fine della storia, ma ci stiamo arrivando. Prima però i nostri eroi dovranno affrontare più viaggi, il che spero vi intrighi.
Un bacione,

 

-Serpeverde 

 


Personaggi

 

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