E tu sorridimi.

di Writerry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Il bodyguard si scosta, per far passare i miei amici. Ogni sabato sera è la solita cosa, sempre. Io dico chiaramente che non voglio andare con loro, io sto meglio da sola.
Con i miei casini per la testa, con la mia musica che mi salva, mi salva così bene. E quindi in qualche modo mi hanno convinto a mettermi questo schifosissimo vestito che tanto odio.
Così entro a testa bassa, dietro quelli che chiamo "amici", ma tanto lo so benissimo che non lo sono e sono da sola. Lo sono sempre stata.
Accenno una risata verso il bodyguard come per dire "dentro farà sicuramente schifo, potrei prendere il tuo posto." 
Entro in quel locale, c'è un puzzo asfissiante di fumo, sembra erba, io mi guardo in giro ed i miei "amici" sono spariti chissà dove. D
Decido di sedermi su una poltrona isolata da tutto e tutti, e prendo il libro dalla mio pochette, me lo porto al petto e chiudo gli occhi, dimenticandomi di tutti i problemi, isolandomi da quelle teste di cazzo.
Si, li ho etichettati tutti così. Loro mi etichettano come "quella strana" ed io ricambio il favore.
Mi faccio cullare dalla musica assordante, in quache modo. 
Serro gli occhi aperti davanti a me, respirando pesantantemente, girando poi il collo e guardando una ragazza accovacciata dietro di me.
Lei ha dei tratti dolci, quasi familiari, mi sembra dimenticare tutto. Ha due occhi blu che mi tolgono il fiato, in confronto a quelli marroni che ho io.
I capelli sono legati in una coda e sono biondi, ha la fronte imperlata di sudore, è davvero bella. 
"Sono Alexia, chiamami Al." mi dice, con la sua voce. Mi trafigge i polmoni e mi fa star male.
"Samira, chiamami.. Samira." dico, balbettando e guardandola negli occhi. 
Lei impreca guardando l'oggetto che tengo tra le mani. 
"Ti piace Bukowski?" dice, portando lo sguardo dal libro a me. Io annuisco imbrazzata abbassando il viso e di conseguenza lo sguardo.
Mi prende il libro tra le mani e fruga nelle tasche dei suoi jeans. L'ho notato ora, è l'unica a portare un paio di pantaloni in questo posto del cazzo.
Scrive qualcosa nell' indice con la penna, ed io resto immobile guardandola. Lei mi porge nuovamente il libro e mi sorride.
"Non balli?" Mi chiede curiosa avvicinandosi di più al mio viso.
"No. Mi fa schifo ballare." Sputo. Sento che a lei posso dire queste cose, e lei si avvicina a me e mi passa un braccio sulla spalla appoggiandosi completamente su di essa, socchiudendo lentamente gli occhi.
"Ti chiamo Mira, va bene?" Alza lo sguardo su di me, penetrandomi gli occhi, ho paura che mi legga il pensiero. Annuisco debolmente e mi accomodo sul divano.
Liberandomi da ogni ansia, quella ragazza ha fatto uno strano effetto su di me. Di solito erano le pasticche che mi liberavano dall'ansia non le persone.
E così chiudo gli occhi. Ma solo perchè so che lei li ha chiusi, forse crede che mi sia addormentata perchè la sento lasciarmi lì. Ho una piccola fitta al petto e tengo gli occhi serrati.
Non credo ritornerà da me, così stringo il labro che aveva tenuto tra le mani. Mi fa sentire bene.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Ingrid mi scuote ed io apro gli occhi, mentre mi tremano le labbra, sbarrando gli occhi. "Ritorniamo a casa." dice secca. Mi alzo dalla poltrona, lanciando un utlimo sguardo su di essa, sorridendo istintivamete.
Seguo Ingrid, forse l'unica con qualche briciolo di cervello tra i miei amici. Ingrid aveva gli occhi scuri, i capelli rossi tinti. Ingrid era insicurezza di mettersi un vestito perchè non si vedeva bella.
Ingrid è mille complessi allo spiega, è le gambe che tremano sulla bilancia e i pianti di notte. Ed io ero l'unica a sapere, ci prendevamo cura a vicenda. Ci curavamo le ferite a vicenda.
Uscii dal locale, fuori non c'era nessuno, solo noi due; camminammo fino alla macchina di Grid senza parlare. 
Mette in moto la vettura e mi guarda di sottecchi. "Chi era quella?" noto un tocco di irritazione nel tono della sua voce.
"Io..non lo so." balbetto. "Ok." risponde dura lei. Appoggio la testa sul finestrino freddo chiudendo lentamente gli occhi, addormentandomi, con il viso di Al nella mente.

Mi sveglio lentamente, sono nel mio letto, familiare. Il braccio candido e bianco di Ingrid mi chiude in se stessa, sorride automaticamente, mi accocolo al suo corpo sospirando.
Lei apre lentamente quegli occhi scuri, così scuri ma così pieni di mare; e mi sorride, lo sa fare benissimo. La ringrazio e mi alzo cercando la pochette e trovandola, afferrando il libro con mani tremanti, sedendomi sulla piccola scrivania al lato della stanza.
Vedo un numero e sorrido. Il numero di Al, prendo il telefone e compongo il numero, correndo in bagno e chiudendomi dentro di esso, appoggiandomi alla porta chiusa dietro di me e scivolando fino a sedermi sul pavimento freddo.
"Uhm?" Al. 
"C..ciao." balbetto al telefono, chiudendo gli occhi. 
"Hey, ti aspettavo. Oggi ti vengo a prendere." 
"Cosa? Non sai dove abito." scuoto la testa velocemente, sbarrando gli occhi, stringendomi in me stessa.
"Si che lo so." La sento ridere, che bel suono da sentire. Dopo esserci salutate chiude il telefono chiudo gli occhi sorridendo.
Che mi sta facendo?
Ritorno nell'altra camera, Ingrid non c'è. Un biglietto con scritto:"Divertiti con lei." 
Cazzo.





(In questo capitolo voglio ringraziare le mie ragazze: Elena, Eleonora ed in particolare Sabrina ed Alba.
Grazie per credere sempre in me, grazie.)

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Capitolo 3
*** 3. ***


Tanti vestiti per poi usarne neanche mezzo. Sbuffo da mezz'ora di fronte al mio armadio passando in rassegna dei miei vestiti scegliendone poi un paio di jeans che cadevano sulla mia caviglia a sigaretta, calzandosi a pennello. Scelsi una felpa, di quelle grigie e morte, ma che compri ai concerti quindi sono tutto all'infuori che grigie e morte. 


Il suono secco del campanello mi fa dilatare le pupille mentre mi osservavo allo specchio; rassegnata. 
Scendo di corsa fino alla porta principale aprendola con uno scatto. E davanti a me c'era lei. Sembrava un angelo, guardai dietro le sue spalle per vedere se non spuntassero le ali. 


Mi sentii prendere le mani ed avvicinarmi a lei, toccando il suo petto guardando imbarazzata in basso.
Lei mi toccò il mento con un dito facendo pressione su di esso alzandomi il viso e catturandomi lo sguardo con il suo. Lo aveva fatto. Aveva qualcosa che le altre non avevano, restai in silenzio fino chiudendo lentamente gli occhi usando però tutti gli altri sensi. 
Sobbalzai quando sentii qualcosa di soffice sulle labbra.
Erano le sue labbra. Niente di piú, niente di meno. 
Un gesto semplicissimo che mi costò qualche battito, le gambe tremavano e io volevo le sue labbra su di me un' altra volte. Cosí piene e insaziabili.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Mi avevano raccontato che quando una persona è innamorata sentiva un fremito in pancia, le chiamavano farfalle.
Se non sparano cazzate; e ne sparano molte; io non ero mai stata innamorata.
Di ragazzi ne avevo avuti pochi ed erano solo baci che non significavano niente e se stavamo insieme era solo per l'agevolazione delle nostre famiglie.
Ma con Al è tutto diverso, le sue labbra sulle mie è come se fossi in un paradiso.
Un paradiso buio, come dice Lana Del Rey, ma solo perchè tenevo gli occhi serrati durante il bacio.
Trattenni il respiro ricordandomi che lei è una ragazza e di quanto fosse sbagliato ciò che stava accadendo. Ma non lo era, non era sbagliato ed io non vedevo l'ora 
di sfiorare quelle splendide labbra. 
Aprii lentamente gli occhi e davanti a me si protese una visuale paradisiaca.
Era Al.
Alla festa aveva un pesante trucco nero attorno agli occhi, oggi era struccata.
I suoi occhi emanavano una luce che si rifletteva direttamente dentro di me.
E magari alle farfalle piaceva tutta quella luce.
Si scosse con un gesto veloce e mi prese la mano, io la intreccia alla sua, portando lo sguardo su di esse.
Si scrollò ed iniziò a fare dei passi dirigendosi fuori dall'abitazione, facendo oscillare il bracccio ad ogni passo.
"Sam, sei..mai stata con una ragazza?" scossi la testa.
Lei mi sorrise; quando apparivo goffa mi faceva sempre quel genere di sorrisi che ti fan scoppiare le interna. Di quelli che vuoi vedere e vuoi viverci, dimendicandoti
anche di trasformare anidride carbonica in ossigeno, tanto non importa, se hai i suoi sorrisi. 



Arrivammo in una gelateria, era dipinta a mano in bianco, sembrava la pelle di Ingrid, mi incupii al pensiero e continuai a guardarmi intorno.
Il bancone di vetro aveva al suo interno vari gusti di gelato ed io mi sporsi per scrutarli meglio.
Panna e fragola, recitai alla gelataia, come facevo una volta da bambina quando mia mamma mi portava a mangiare il gelato. 
Ci sedemmo su una panchina e parlammo per ore di quanto la schifa facesse schifo, di quanto potevamo distinguerci dalla massa, parlammo di beneficenza, di libri, 
di bands, di concerti. E poi mi riportò a casa e mi diede un bacio sfiorandomi le labbra. Sorrisi sulle sue labbra, avrei voluto andare a casa sua e baciarla sul divano per poi spogliarla, osservare ogni centimentro del suo corpo e farci l'amore.
Se avesse saputo ciò che stavo confabulando, sicuramente sarebbe scappata a gambe levate credendo che fossi stata una maniava psicopatica.
O magari pensava le stesse cose.
La salutai con il mio ampio ed inevitabile sorriso e mi voltai verso la mia casa grigia, vuota ed oscura; con i miei genitori a braccia al petto che mi guardavano in cagnesco.

Cazzo.

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Capitolo 5
*** 5. ***


I tratti duri di mia mamma si scorgevano dal vetro sporco per la pioggia, mi avvicinai alla porta principale e mi tremavano le gambe scossa dall'ansia.
Feci forza sulla maniglia, chiusa dall' interno e poco più in là, una valigia.
Capii subito, presi la valigia e mi allontanai da casa mia, che ormai non era casa mia. Casa mia era sugli occhi di Al,ed era lì che mi stavo dirigendo.
Lei viveva da sola, e forse per il vento, forse per la solitudine iniziai a piangere incontrollabilmente. Trovavo il pianto il gesto poù incredibile
al mondo, nn che ci fosse un motivo ma per me significa che l'anima c'è, e si fa sentire.
Forse, non sono le farfalle ma l'anima che mi trema quando la guardo. 


Arrivo a casa sua e premo il campanello con un dito, debole. Sono sempre stata debole, fin da piccola prendevo pasticche su pasticche per tenermi in piedi.
I dottori dicevano che sarei migliorata crescendo, ma non è vero un cazzo; la medicina è una troia che va con tutti, nessuno escluso, a volte anche le troie si affezionano.
E si portano via la gente. 


Al mi fa entrare e ci stendiamo sul letto, non parliamo per tutta la notte, ci guardiamo negli occhi, che poi ad una certa ora guardiamo il buio che avvolge i nostri corpi.
Perchè nelle nostre anime il buio non c'è più, se io sono con lei c'è la luce. 

E ci respiriamo addosso, e mi regala il suo fiato, io lo tengo stretto, è un regalo importante. Mi accarezza e mi rilasso sotto il suo tocco, addormentandomi sul suo seno.

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Capitolo 6
*** 6. ***


Con la bocca impastata dal profondo sonno e piena di parole incastrate fra i denti, mi svegliai, aprendo graduatamente gli occhi, mettendo a fuoco lentamente ciò che mi circondava.
Vidi il corpo snello di Al attorno al mio e le sue braccia magre contornarmi la vita, incastrarmela fino a spezzarmi il fiato; vidi le sue gambe attorno alle mie, come dei polipi attorno al loro male, una volta che abboccano l'amo del pescatore. 
Soffiai sulla faccia, facendole così aprire gli occhi, quegli occhi. I miei occhi.


Ci alzammo e ci ritrovammo entrambe nella sua grande cucina, squadrata e moderna, attratte dal profumo di caffè che inondava le nostre narici.
Si mise a sedere su uno sgabello, una volta che mi avvicinai a lei mi prese in braccio di colpo ed io scoppiai in una risata, leggiadra e fine.
Dopo qualche sorso di quella bevanda amara e dolce, proprio come lo ero io, e lei in qualche modo era il mio zucchero che a contatto con l'aroma amaro, aveva un buon risultato; noi.


Passarono minuti, forse ore o magari giorni, ero seduta su un altalena, con i nostri sguardi incrociati, e che facevamo? Ci misuravamo i respiri; ci contavamo i pori. 
Fino a quando, scattai in avanti e mi protesi sulle sue labbra carnose e piene di vita, muovetti meccanicamente le mie labbra sulle sue, in tilt, non pensavo a niente se non: Al.

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Capitolo 7
*** 7. ***


Le nostre bocche si muovevano sinuosamente contro il vento che mi spettinava furiosamente i capelli, con le mani strette alla catena grigia, fredda e dura al contatto con le dita affusolate della mia mano. 
Avevo trattenuto il fiato fino a quanto, con mia malavoglia mi staccai dalle sue labbra calde, aprii gli occhi per tuffarmi nei suoi.
Sentii una fugace scossa attaccarsi alla mia mano destra, era la sua mano, le nostre mani intrecciate, non so quanto tempo passò, ma ci guardammo negli occhi per un bel po' tanto che si fece scuro, e nel cielo potevano vedersi le stelle, così mi alzai con i muscoli intorpiditi dalla posizione scomoda e ci avviamo verso casa, in silenzio.

Una volta arrivate, mi trascino sul letto, non ci cambiammo neanche, buttai un'occhiata alla valigia ancora intatta nell'angolo del salotto, prima di stendermi di fianco a lei, i nostri corpi si toccavano, labbra che si sfioravano, sospiri e respiri accelerati che si intrecciavano in uno solo. 

La mattina precedente Al si alzò di scatto con un grande sorriso stampato sulle labbra.
"Ti porto al centro commerciale, oggi" disse.
Io mi alzai di colpo e le rivolsi uno dei miei ampi e rari sorrisi, avviandomi  verso il bagno e mi tolsi i vestiti, rimanendo nuda ed entrai all'interno della doccia.
Aprii il getto d'acqua fredda e sussultai al contatto di essa contro la mia pelle, premetti la mia mano colma di bagnoschiuma sulla mia pelle morbida, rilassandomi al mio stesso tocco, per poi essermi sciacquata ed esser uscita cautamente dalla doccia.
Mi vestii con una t-shirt e dei pantaloni presi in fretta dalla valigia aperta davanti a me, poi mi avvicinai alla figura di Al e la presi per mano, trascinandola verso l'uscita della casa, con un grande e goffo sorriso stampato sulle labbra.

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Capitolo 8
*** 8. ***


Le ante delle porte principali del centro commerciale si aprirono contro la nostra presenza; lasciandoci scoprire quel luogo grande composto da tante catene di negozi, uno infila all'altro, dagli svariati articoli. 
Gli occhi di Al lampeggiarono e si illuminarono come fari in piena notte alla vista di un negozietto, proprio affianco a noi, prese subito la mano, incastrando le dita alle mie, incastrando la sua vita alla mia.
Arrivate dinnanzi un piccolo negozio di abiti da sera entrammo, le pupille mi si dilatarono alla vista degli immensi scaffali presenti nel negozio, osservai ogni punto e mi si tinsero le guance di un rosa pesca non appena vidi dei vestiti che sul mio corpo sarebbero sembrati orrendi e goffi.
Quindi Al prese un tubino nero, che avrebbe dovuto calzarmi fino a metà ginocchio, troppo corto per ciò che ritenevo i miei standard, ma non volevo deluderla, quella sarebbe stata l'ultima cosa che avrei voluto fare quindi presi la stoffa tra le mani e lo tastai. 
Ci affrettammo a raggiungere i camerini, il quale mi gettai in uno, controllando prima che fosse libero e quindi protesi le mani ai lembi della maglietta sfilandola, calciando i pantaloni da un lato dell'angusto spazio che era il camerino. 
Con varie difficoltà indossai il vestito abbassai poco dopo lo sguardo e notai che c'erano delle scarpe lucide e nere, le indossai, cercando di non cadere data l'altezza del tacco, quindi uscii dal camerino, facendo svolazzare la tenda e quindi mi specchiai nello specchio, notando le mie forme, per liberarmi da quella visione alzai lo sguardo su Al, di fianco a me che mi attaccò subito dopo la mano attorno alla vita. 
Le sue mani attorno alla vita, in tutti i sensi.
"Stai benissimo, piccola." mi sussurrò all'orecchio.

Dopo di ché, ci dirigemmo alla cassa e subito dopo verso la meta, che era la casa di Al.
Dopo poche ore, ci ritrovammo entrambe davanti ad un locale, lei parlava con delle persone, io avevo la testa annebbiata così vedetti la figura di un ragazzo che mi scrutava e mi avvicinai, iniziai a ballare, le mani e le dita calde si inoltravano sulle cosce, subito dopo nell'inguine, poco dopo sentii delle urla; Al.
Corsi verso il bagno, le pupille degli occhi stanchi dilatate, in cerca della ragazza.
Della mia ragazza.
La trovai accasciata a terra, le gambe coperte di graffi, che si stava facendo lei stessa, mi avvicinai subito dopo accucciandomi a lei e la avvolsi fra le mie braccia, sussurrando con voce tormentata; "Smettila, smettila."
"Va via."
"Non andrò via da te."
"Non faccio per te, torna a casa tua, da tua madre, da quel ragazzo."
"Fai per me, sei l'unica che fai per me."
"Vai." Entrambe le voci erano incrinate dalle lacrime che minacciavano di uscire, non appena gli occhi si appannarono e premetti le labbra contro le sue, assaporandole, ancora una volta.

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