I ain't givin' up on LOVE

di Ian Is A Fucker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just...LEAVE ME ALONE. ***
Capitolo 2: *** It messed me up ***
Capitolo 3: *** This aching heart ain't broken yet ***
Capitolo 4: *** Better than I know myself ***
Capitolo 5: *** Sometimes I lose my temper... ***
Capitolo 6: *** I tried to pretend it didn't matter ***
Capitolo 7: *** Poison outside of Heaven ***
Capitolo 8: *** Screwed up ***



Capitolo 1
*** Just...LEAVE ME ALONE. ***



“Marco...Marco dai svegliati!” Quella voce diventava giorno dopo giorno sempre più fastidiosa, soprattutto se rimbombava nelle mie orecchie di prima mattina.
Con gli occhi chiusi tastai il letto e appena trovai un cuscino lo lanciai in direzione della voce, bofonchiando insulti.
“Smettila di fare il bambino viziato ed alzati, farai tardi a lavoro” Niente da fare, non aveva intenzione di zittirsi e lasciarmi in pace.
“Fatti gli affari tuoi” brontolo, rifiutandomi di aprire gli occhi e di alzarmi.
“Sono affari miei, se non vai a lavoro non ti pagano e mi tocca pagare l'affitto da solo.”
Spazientito, aprii lentamente gli occhi e subito un paio di braccia mi tirarono su, mettendomi a sedere sul letto.
“Cristo Marco hai 22 anni, impara a prenderti cura di te stesso” mi rimproverò il mio coinquilino, incrociando le braccia, guardandomi con aria dolcemente rassegnata.
Io sbadigliai e scrollai le spalle.
“Nessuno ti ha chiesto di farmi da balia Jason.” replicai cercando qualcosa da mettermi.
“Se non ci fossi io non saresti riuscito nemmeno a passare il primo anno di università” mi ricordò ed io alzai gli occhi al cielo.
“Vuoi un applauso?” mugugnai infilandomi un paio di jeans e una camicia stropicciata.
“Cresci un po' e poi ne riparliamo.” sospirò prendendo la borsa da sopra il tavolo.
“Ti ricordi vero che stasera viene il mio ragazzo a cena?” chiese ed io lo guardai con aria confusa.
“Chi?” Jason sospirò e roteò gli occhi.
“Lo sapevo... Te l'ho detto anche ieri, Mika vuole conoscerti, quindi l'ho invitato a cena.” ripetè.
“Mika...che razza di nome è?” mi lamentai.
“...è un diminutivo deficiente. Si chiama Michael.”
“Ah...beh è un nome di merda comunque.”
“Pensa quello che ti pare, basta che tieni chiusa quella bocca che ti ritrovi.” mi minacciò ed io alzai le mani.
“Tranquillo, non rovinerò il vostro piccolo Paradiso.” lo rassicurai.
“Guarda che...” iniziò ma io gli lanciai le chiavi di casa.
“Non fai tardi a lezione? Ecco, ciao.” lo zittii ma lui doveva continuare con la sua manfrina.
“E mi raccomando...”
“Vestiti decentemente. Sisi me lo hai già detto, ciao.” tagliai corto spingendolo fuori e chiudendo la porta dietro di lui con un sospiro soddisfatto.
“Cristo, e dopo sono io quello che parla tanto!” mi lamentai. Odiavo dovergli dar ragione ma...avevo tipo 3 minuti per presentarmi a lavoro.
In fretta prensi le chiavi e con un ultimo sguardo di rimpianto verso la colazione, uscii dall'appartamento.
Sul pianerottolo una signora anziana, la stessa che vedevo tutte le mattine, con i capelli biondi platino e la dentiera che si teneva per miracolo, mi sorrise.
“Oh vai a lavoro?” domandò ed io annuii.
“Sìsì giorno.” tagliai corto volando fuori e salendo sulla macchina ma appena girai la chiave, la spia della benzina iniziò a lampeggiare.
“Ma porca puttana...” ringhiai, lanciando imprecazioni mentali a Jason.
"Mi rubi la macchina per andartela a spassare con il tuo bel principe azzurro e non mi metti nemmeno la benzina? Oh vedrai che bella accoglienza che riceverete stasera” sibilai, rassegnandomi a camminare.
Dato che ormai era sicuro che sarei arrivato in ritardo, tanto valeva prendersela con calma: se fossi arrivato tutto sudato e stanco non sarei riuscito a combinare nulla e non sarebbe stato giusto verso i clienti.
Circa 10 minuti dopo arrivai al bel negozio di abbigliamento “Coltorti” e come al solito mi chiesi come cavolo avessi fatto ad essere preso in quel luogo che trasudava ricchezza ed eleganza: la cosa più elegante che avevo mai indossato era stata una cravatta al matrimonio di mio cugino.
Entrai con circospezione, per poi sgattaiolare velocemente in bagno ed indossare la divisa, ovvero pantaloni e camicia nera con una cravatta bianca.
“Sono curioso di sentire la tua scusa Marco” mi apostrofò il mio capo ed io mi irrigidii, rivolgendo un sorriso smagliante all'uomo che mi fissava con un sopracciglio alzato.
“Avevo la macchina a secco Luca...oh avanti non dirmi che sei arrabbiato!” spiegai e lui sospirò.
“Suppongo che non posso aspettarmi di meglio da te... c'è un ragazzo in camerino, te lo affido.” disse brevemente, scomparendo in ufficio.
Tirai un sospiro di sollievo e bussai sulla porta del camerino.
“Serve una mano?” domandai.
“Ho quasi fatto” risponse una voce ovattata ed io mi appoggiai al muro lì vicino, allentandomi la cravatta con un grugnito infastidito.
Quando la porta si aprì escì un ragazzo altissimo, il fisico magro ricoperto da un completo nero che gli donava un'aria sofisticata, il viso ricoperto da una rada barba intorno alle labbra sensuali, con un'espressione timida negli occhi color cioccolato, leggermente coperti da degli incolti ricci marrone scuri.
Le labbra rosate si aprirono in una piccola “O” di sorpresa, per poi tendersi in un sorriso affascinante.
“Dovrei prendere una taglia più grande secondo te?” mi chiese con un melodico accento inglese, mordicchiandosi distrattamente il labbro inferiore.
Io deglutii e mi schiarii la gola, scuotendo la testa.
“Naah ti sta bene. Devi andare ad un ricevimento?”
“Uhm è un'occasione speciale.” risponse misteriosamente, sorridendo tra sé e sé con un'aria così felice che non si poteva fare a meno di sorridere guardando quel viso da bambino.
“Allora vai tranquillo, basta che non lo indossi ad un matrimonio, probabilmente guarderebbero più te che lo sposo” scherzai, strappandogli una risata divertita.
Il ragazzo mi guardò con le guance lievemente arrossite e mi sorrise.
“Sei troppo gentile.” Scrollai le spalle e sorrisi a mia volta, lasciandogli il tempo di ricambiarsi.
“Ci vediamo allora...Marco” mi salutò, sporgendosi per leggere sul mio cartellino e con una strizzata d'occhio se ne andò, il pacchetto che sbatteva contro le sue gambe lunghe.
Come imbambolato rimasi a guardare per un attimo la porta da dove era appena uscito, per poi scuotere la testa e tornare a lavoro, ma non riuscivo a cancellarmi dalla testa quel sorriso: passavo decisamente troppo tempo con Jason, stava iniziando ad influenzarmi il bastardo!

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Capitolo 2
*** It messed me up ***



“Sapevo di trovarti qui” mi apostrofò una voce ed io guardai sorpreso la bella ragazza che sorrideva divertita appoggiata al bancone.
“Che ci fai qui Lottie?” chiesi e lei mi sventolò davanti un quadernino.
“Se non li vuoi li riporto a casa.” buttò li con nonchalance ma io lo afferrai prima che lei potesse ripensarci.
“Sai benissimo che non riuscirei a passare l'esame di economia senza di questo. Grazie” la ringraziai chinandomi per darle un bacio sulla guancia, ma lei girò il viso e le sue labbra color ciliegia sfiorarono le mie.
Sono appiccicaticce” è stato il primo pensiero che ho avuto, ma non aveva senso respingerla: era sempre energica con un sorriso stampato sulla faccia, frequentavamo la maggior parte delle lezioni insieme, eravamo amici ormai da un po' ed avevo sempre ammirato il suo corpo quindi ricambiai il bacio.
Il suo viso era diventato raggiante mentre le mie labbra ancora titubanti ed incerte esploravano le sue e a quella vista i miei dubbi si erano dissolti ed ho avvolto il suo corpo tra le mie braccia, assaporando la sua morbidezza.
Quando ci staccammo forse lei notò la confusione nel mio sguardo, perché arrossì violentemente e si sistemò i capelli con fare nervoso.
“C-Ci vediamo a lezione” mi salutò frettolosamente e con un ultimo sguardo tormentato da “Per favore riflettici, non è stato un errore” se ne andò, quasi correndo, come se si stesse lasciando alle spalle il Diavolo in persona.
“Oh cazzo...” mugugnai, passandomi una mano sulle labbra, come per cancellare le tracce di quel bacio rubato che mi aveva lasciato un retrogusto di cannella e un miscuglio di sconcerto, soddisfazione e...basta.
Niente felicità, niente farfalle nello stomaco, solo amarezza: come facevo ora a dirle che mi ero fatto trasportare dal momento? Mi avrebbe giustamente sgozzato e, fossi stato in lei, non mi avrei più rivolto la parola.
Quando il mio cellulare vibrò nella tasca dei pantaloni ero sul punto di mettermi in ginocchio e pregare qualsiasi cosa mi stesse guardando da lassù di evitarmi la triste sorte di dire la verità a Charlotte.
Potresti comprare della birra mentre torni a casa? Non mi ricordo se ne abbiamo più.” Odiavo essere trattato come lo schiavetto di turno, ma questa volta ero quasi grato a Jason per avermi affidato una commissione, almeno mi sarei distratto e forse avrei anche potuto affogare il mio disappunto nell'alcool.
Improvvisamente però mi ricordai che avrei dovuto essere arrabbiato con lui e sospirai: perché anche lui doveva rendermi la vita difficile?
La prossima volta comprala quando usi la MIA macchina per spassartela e poi non fai il pieno imbecille.”
Abbastanza soddisfatto di quella risposta mi rimisi i miei bellissimi jeans sbiaditi e dopo aver salutato il capo esco, rabbuiandomi non vedendo la mia piccola Mini nel parcheggio.
Me ne sono completamente dimenticato, mi farò perdonare!”
“Sìsì certo...viziato del cazzo” bofonchiai tra me e me mentre andavo verso il supermercato.
“Mi farebbe vedere un documento?” domandò l'anziana cassiera quando posai una cassetta di birra davanti a lei.
“Come scusi?” replicai alzando un sopracciglio.
“Non possiamo vendere alcolici ai minorenni, mi faccia vedere un documento che attesti quanti anni abbia” spiegò pazientemente ed io la guardai sconcertato.
“Ma scherza? Le sembro minorenne?” dissi e lei alzò le spalle.
“Al giorno di oggi gli adolescenti sembrano tutti più maturi, fretta di crescere se vuole il mio parere...”
“Cristo, lei ha qualche problema. Si faccia ricoverare” sibilai sbattendole in faccia la mia patente e tamburellando impazientemente mentre lei faceva il conto.
“Buona giornata” mi augurò ed io ringhiai uno “Psicopatica” tra i denti e me ne andai, il mio umore notevolmente peggiorato da quando ero entrato, cosa che non credevo sarebbe stato possibile.
La prima cosa che mi aveva accolto appena tornato a casa era stata la voce di Jason.
“Marco sei tu?” urlò da qualche parte, probabilmente in bagno.

“No, è il lupo cattivo. Dovresti chiudere la porta, altrimenti mangerò i tuoi maialini” risponsi stancamente, mettendo le birre in frigo e buttandomi sul divano.
“Davvero molto divertente...” sbuffò lui entrando in sala asciugandosi i capelli con un asciugamano.
“Sempre detto che dovrei andare a fare il comico.” gli detti ragione, massaggiandomi gli occhi.
“Tutto bene?” chiese, nella voce una leggera sfumatura di preoccupazione.
Guardai quel viso che, nonostante la mascella un po' squadrata, era il ritratto della bellezza e gli faccio un mezzo sorriso.
“Non sono un vecchio malato, smettila di guardarmi come se stessi per morire da un momento all'altro” lo tranquillizzai dandogli una pacca sulla spalla e lui si calmò, anche se nei suoi occhi grigi c'era ancora una sfumatura di ansia.
“Non sarai malato, ma di certo puzzi come un vecchio.” Scherzò ed io ridacchiai.
“Messaggio ricevuto, vado a farmi una doccia.” acconsentii, buttando i vestiti sporchi sul pavimento del bagno.
Di solito ero rapido, non sopportavo la sensazione dell'acqua sul viso, ma avevo bisogno di stare da solo, non ero di certo dell'umore adatto di affrontare una serata a guardare quei due sbaciucchiarsi e palparsi.
Un dubbio improvviso mi assalì e mi affrettai ad uscire, trovando il ragazzo che apparecchiava.
“Non è che, come hai detto che si chiama Mitchel?, ha intenzione di dormire qui?!” domandai e lui sussultò, sospirando.

“Michael, si chiama Michael. E sì, probabilmente si fermerà qui per la notte. Ora mi faresti il piacere di vestirti??” sibilò ed io finsi un conato di vomito, saltellando su un piede mentre mi infilavo qualcosa di pulito.
“Cristo santo io non le lavo le lenzuola dopo, sappilo.” ringhiai, sorpreso dalla sensazione di fastidio che provavo a quell'informazione.
“Smettila” si lamentò, arrossendo violentemente.
“Oh avanti non fare il santo con me, lo sappiamo entrambi che non lo sei.” replicai guardandolo con un sopracciglio alzato.
“Vaffanculo Marco” bofonchiò lanciandomi un cuscino, facendomi scoppiare a ridere.
“Ci andrò molto volentieri, ma più tardi.” lo accontentai buttandomi sul divano con un grugnito soddisfatto.
“Dopo ne parliamo?” chiese a tradimento ed io sussultai, guardandolo sbalordito. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava, nonostante non avessi detto nulla, lui aveva capito, come al solito.
“Mi dispiace deluderti ma non puoi mettere in atto le tue doti da consulente d'amore Jason. Preoccupati della tua di relazione.” lo smontai.
“Ah quindi hai una relazione...” insinuò ed io mi morsi la lingua: non era possibile essere più deficienti di me.
“Ti sbagli, non ho nulla. Impara a farti i cazzi tuoi.”
“Smettila di opporre resistenza, tanto va sempre a finire che mi racconti tutto, quindi evita di sprecare fiato e inizia. A quest'ora avevamo già trovato una soluzione” mi incitò pazientemente ma io alzai il mento con aria di sfida e lui mi lanciò un'occhiataccia da “Non ti muovi da qui fino a quando non sputi fuori tutto.”
Il suono squillante del campanello ci riscosse dalla nostra silenziosa competizione ed io gli rivolsi un sorriso sornione: avevo vinto, di nuovo.
“Non finisce qui” sussurrò al mio orecchio andando ad aprire. Tutta la frustrazione che provava per l'aver perso, scomparve appena vide il ragazzo che era appena entrato, sostituita da un sorriso ebete.
Appena i nostri sguardi si incrociarono sussultammo: era il ragazzo del negozio!
“Che coincidenza... beh piacere di conoscerti Marco, io sono Michael, ma per favore chiamami Mika.” esclamò donandomi la mano con un sorriso cordiale sulle labbra ed io la strinsi inebetito, scioccato.
“Il mondo è piccolo eh...” sussurrai quasi tra me e me e i due annuirono, scambiandosi uno sguardo pieno di amore.
Per tutta la durata della cena ero rimasto a guardare i due con un misto di gelosia e rimpianto: se non fossi sempre stato un grandissimo imbecille magari saremmo stati in quattro ed io avrei scambiato gli stessi sguardi innamorati con la mia dolce metà, invece così mi sentivo l'amico sfigato che guardava i suoi compagni fidanzati e cadeva in depressione.
“Anche tu vai...” iniziò Mika, ma io mi alzai in piedi e afferrai il giaccone.
“è stato un piacere, ma devo andare.” mi congedai e i due mi guardarono sbalorditi.

“Dove vai??” chiese preoccupato Jason.
“A darti retta.” ringhiai e lui si illuminò di soddisfazione.
“Non tornare tardi” disse, gongolando ed io alzai gli occhi al cielo.
“Forse non tornerò affatto. Divertitevi e ricordati che io non lavo.” li salutai dando loro una pacca sulla spalla e correndo via dall'appartamento.

Mentre correvo nell'aria fredda e pungente della sera ero sempre più sicuro della mia decisione: forse era una cosa egoista e crudele, ma ero stanco di essere solo e avrei fatto felice qualcuno.
Suonai ripetutamente il campanello di un condominio e dopo qualche secondo Charlotte mi venne ad aprire.
Appena mi vide, il suo viso stanco diventa sorpreso, felice e triste ed io mi guardai la punta delle scarpe, titubante.
“C-Che cosa ci fai qui?” domandò, evitando di fissarmi negli occhi.
“Sono venuto a dirti che per una volta ti ho ascoltata e ho pensato a stamattina.” iniziai ma lei mi interrompe.

“Non voglio sentire...”
“Cristo lasciami finire! Lottie non ho motivo di dirti di no, quindi...posso entrare? Sto morendo di freddo” conclusi e i suoi occhi si spalancarono.

Ci aveva messo un po' per elaborare le mie parole, ma quando finalmente il messaggio era arrivato alla sua mente, era diventata di un rosso tendente al porpora e si era buttata al mio collo, trascinandomi nell'appartamento e chiudendo la porta alle nostre spalle.





 

- PRESENTAZIONI -

Siamo due ragazze a dirigere questa fanfiction.
 Io sono Kelly, e mi occuperò della pubblicazione e della grafica dei capitoli (forse più in là anche della scrittura vera e propria).
 Alice, la scrittrice di questi primi capitoli, nonché mia migliore amica: lei si occuperà della stesura della storia e di rispondere alle recensioni.
Speriamo entrambe la fanfiction sia di vostro gradimento :3 se avete consigli, o curiosità, chiedete pure!
Al prossimo capitolo! 



▶ Se vi va, cliccate QUI per vedere un mio video su Marco e Mika! *piccola anteprima*

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Capitolo 3
*** This aching heart ain't broken yet ***


Mika P.V.

Mi giravo e rigiravo nel letto senza riuscire a chiudere occhio. Accanto a me Jason dormiva beatamente, un braccio intorno alla mia vita, la bocca leggermente dischiusa e i capelli che formavano una corolla nera sul cuscino.

“Perché?” sussurrai, tracciando dei piccoli cerchi sulla sua spalla con l'indice, toccando appena la pelle calda.

Avrei voluto trovare una risposta a quella domanda ma ovviamente non potevo rispondermi, perché non aveva senso, non sarebbe dovuto accadere, non avrei dovuto guardare qualcun altro...

Ma chi aveva detto a Marco di essere così dannatamente bello? Non riuscivo a staccargli lo sguardo di dosso e quando mi aveva sfiorato la spalla prima di correre via per andare chissà dove mi ero quasi trattenuto a stento dal bloccargli il braccio e attirarlo a me.

Ovviamente questa assurda attrazione fisica non era paragonabile all'amore che provavo per Jason, ma odiavo che il mio corpo avesse la meglio sui miei sentimenti.

Il mio ragazzo era bellissimo, dolce, protettivo e adorabile, era anche bravo a letto e non aveva paura di rivendicare il suo amore per me, allora perché dovevo sentirmi attratto da uno che non conoscevo e che era anche etero?

Una cosa che mi aveva affascinato degli italiani erano i loro strani detti come “l'erba del vicino è sempre più verde”: oh se era vero!

Eravamo forse arrivati alla nostra prima grande crisi? Mi ero...stufato di Jason? No, era impossibile, ogni volta che lo guardavo sentivo lo stesso capogiro delle prime volte, ma forse il mio corpo aveva bisogno di qualcos'altro, aveva bisogno di esplorare nuovi territori, di provare qualcosa di diverso.

Mentre riflettevo, Jason si girò verso di me e mi sorrise dolcemente, guardandomi con sguardo assonnato.

“Non riesci a dormire?” domandò, con la voce impastata dal sonno.
“Sono un po' emozionato” svelai, sentendo una stretta allo stomaco: odiavo dovergli mentire, ma dopotutto non era una bugia, era una parziale verità.
“Vieni qui” mormorò aprendo le braccia e lasciando che io mi accoccolassi tra di loro.
“Sono felice che tu abbia conosciuto Marco, per me significa molto perché diventi sempre di più parte integrante della mia vita.” rivelò ed io affondai il viso sul suo petto, inspirando profondamente il suo dolce profumo di cocco, tentando di soffocare le lacrime.

“Ti amo” sussurrai, cercando di mantenere la voce ferma, ma lui aveva sentito che tremava e mi strinse ancora di più a sé, baciandomi la testa.

“Ti amo anche io” risponse appoggiando la sua sopra la mia e con quel dolce scambio di sentimenti prometto a me stesso che non avrei mai fatto nulla che avesse potuto farlo stare male, anche se ciò significava convivere con la bestia che avevo in me e lentamente chiusi gli occhi.

 

Marco P.V

Quando il sole entrò dai forellini delle tapparelle, io mi stavo già prendendo a calci mentalmente da un paio di orette ed ero arrivato ad una conclusione: ero ritardato. Non c'era altra spiegazione: se non fossi stato completamente ritardato, non sarei mai andato a casa di una ragazza che aveva una cotta per me, non le avrei mai detto che volevo tentare e non avrei mai passato la notte con lei. E invece dove ero? Su un cazzo di letto matrimoniale, con un cazzo di mal di testa e una fottutissima coperta che divideva i nostri corpi. Che alternative avevo adesso? Potevo scappare prima che si svegliasse, ma cosa le avrei detto quando ci fossimo visti a lezione? “Sai ieri sera? Ecco, dimenticatene okay? Volevo solo stare con qualcuno.” Oh sì, quello era il modo giusto per essere ucciso con un paletto nel cuore e non ci tenevo affatto, non ero mica un vampiro! Però mentre guardavo quel suo piccolo petto alzarsi ed abbassarsi lentamente, quell'aria pacifica che le accarezzava il viso, sentivo come un formicolio alla nuca e non riuscivo a non sorridere. Charlotte era sempre riuscita a farmi sentire bene, era come una mamma in un certo senso, e non volevo farle del male, altrimenti me lo sarei rinfacciato per sempre. Avrei potuto provare ad innamorarmi di lei, a farla felice e allo stesso tempo io non sarei più stato solo, non avrei più guardato Jason con invidia, ma con complicità, sarei stato la metà di qualcuno. “Puoi fingere davanti agli altri forse, ma a te stesso cosa dirai? E a lei? Se ne accorgerà prima o poi.” Possibile che persino la mia mente dovesse venirmi contro? Non avevo altra scelta, non potevo dirle la verità, l'avrebbe uccisa e io sarei dovuto fuggire, di nuovo.... Come se avesse captato che stessi per buttarmi nel mio amaro passato, il mio cellulare suonò, facendo borbottare Charlotte. “Forse non ti sarai accorto, dato che sarai sicuramente impegnato ad ispezionare molto da vicino le coperte di un letto, ma sono le 8 e la lezione di macro economia inizia tra un'oretta. MUOVI QUEL CULO PELOSO.” Mai come allora avevo amato un messaggio di Jason: come cazzo faceva a pararmi il culo tutte le volte era un mistero: non mi sarei stupito se nel suo corpo ci fosse nascosto un radar che ogni tanto lampeggiava dicendo “allarme, Marco sta facendo una cazzata...DI NUOVO.” Quando mi giro per tentare di trovare i vestiti che la sera prima avevo buttato chissà dove, vidi gli occhi verdi di Charlotte fissarmi con tenerezza e incredulità.
“Sei ancora qui” sussurrò, emettendo un sospiro di sollievo. Ingoiando il senso di colpevolezza le sorrisi.
“Non per molto, Jason mi reclama.” replicai alzandomi e vestendomi.
“Ti chiamo dopo..” mormorò con una sfumatura interrogativa nella voce ed io annuii.
“A dopo” la salutai, esitando per un istante nell'appoggiarle una mano sui capelli e con una breve carezza uscii da quell'edificio, accogliendo di buon grado la pioggia sferzante che mi sfregiava il viso, ricordandomi che patetico bastardo fossi. 




 

- PRESENTAZIONI -

Siamo due ragazze a dirigere questa fanfiction.
✧ Io sono Kelly, e mi occuperò della pubblicazione e della grafica dei capitoli (forse più in là anche della scrittura vera e propria).
✧ Alice, la scrittrice di questi primi capitoli, nonché mia migliore amica: lei si occuperà della stesura della storia e di rispondere alle recensioni.
Speriamo entrambe la fanfiction sia di vostro gradimento :3 se avete consigli, o curiosità, chiedete pure!
Al prossimo capitolo! ❤


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Capitolo 4
*** Better than I know myself ***


 

Avevo deciso che per una volta avrei messo da parte il mio orgoglio e mi sarei confidato completamente con Jason: era un odioso saccente ma sapevo che non mi avrebbe giudicato, anzi, avremmo trovato la soluzione giusta che sicuramente era dietro l'angolo ma che non riuscivo a vedere. Quando però tornai a casa trovai una scena che mi fece gelare il sangue: Michael non se n'era andato, anzi, sembrava voler rimanere per sempre su quel divano, sopra a Jason, o era Jason ad essere sopra di lui? Le mani del mio coinquilino erano sotto la maglia del ragazzo, scoprendo la pelle chiara ricoperta di pelle d'oca mentre le sue stringevano i capelli di Jason, tirandogli indietro la testa, mentre la sua bocca gli baciava il collo, mordicchiandolo leggermente. Erano troppo impegnati per potersi accorgere di un povero disgraziato che stava sulla porta a fissarli con aria sconcertata. Non era la prima volta che beccavo il mio amico in situazioni hard, ma mai prima d'ora avevo sentito dentro di me una rabbia bruciante e assolutamente ingiustificata. L'unica cosa che volevo in quel momento era prenderlo per il bavero, allontanarli e dare un pugno ad entrambi: chi credevano di essere per fare sfoggio del loro amore davanti ai miei occhi? Ma ovviamente non lo avrei mai fatto, ero troppo codardo per fare una cosa del genere e non avrei saputo dare una spiegazione sul perché lo avessi fatto, nemmeno io riuscivo a capire che cosa mi stava succedendo. Lasciai cadere rumorosamente le chiavi sul tavolo, guardando come Jason si staccasse da Michael come se quest'ultimo fosse in fiamme.

“M-Marco! Dio Santo mi hai fatto prendere un colpo!” mi rimproverò, la voce tremante, le guance rosse per l'imbarazzo.

“Oh non volevo disturbare, chiedo scusa. La prossima volta entrerò dal retro” Mi scusai, accertandomi di avere la voce intrisa di sarcasmo. Jason mi guardava con aria di rimprovero, mentre Mika non riusciva nemmeno a sostenere il mio sguardo e teneva gli occhi abbassati.

“Non comportarti da bambino” mi rimproverò il mio compagno ed io gli passai davanti guardando con uno sguardo di tale odio che non potè fare altro che barcollare e impallidire.

“Me ne vado subito, e non ti preoccupare, prenderò appunti anche per te” replicai, buttando i libri nella borsa con tutta la calma che riuscivo a trovare. Quando gli ripassai davanti, lui mi afferrò il braccio e mi fece girare verso di sé.

“Marco io...” Iniziò, ma si interrumppe davanti ai miei occhi tremanti, feriti...abbandonati.

“Fammi un favore, non preoccuparti più per me.” sibilai e con un ultimo sguardo furioso ai due escii, sbattendomi la porta alle spalle.
Non c'era voluto molto prima che crollassi, ma più di quanto avessi calcolato: ero addirittura riuscito ad uscire dal condominio. Il dolore che avevo trattenuto da quando ero entrato mi aveva travolto come una valanga e le lacrime sgorgavano senza farsi pregare, lasciando una scia di emozioni sul mio viso. Rabbia, shock, delusione erano tutto ciò che provavo, mi sentivo...tradito. Tradito perché il mio migliore amico, la mia ancora di salvezza, non era più solo mio, non ero più la persona più importante della sua vita, mi aveva messo da parte e mi sentivo respinto, ferito. Tutte quelle stronzate che aveva detto sul volermi proteggere, sul volermi aiutare, sull'essere sempre lì per me erano parole al vento, inutili e insignificanti: era bastato un ragazzo a separarci. Perché non imparavo mai dai miei errori? Quella cosa era già successa tempo prima e invece di imparare ero nuovamente rannicchiato a terra a piangere e ad imprecare contro quella cazzo di fiducia di merda che riponevo sempre nelle persone sbagliate. 

 

PRESENTAZIONI -

Siamo due ragazze a dirigere questa fanfiction.
✧ Io sono Kelly, e mi occuperò della pubblicazione e della grafica dei capitoli (forse più in là anche della scrittura vera e propria).
✧ Alice, la scrittrice di questi primi capitoli, nonché mia migliore amica: lei si occuperà della stesura della storia e di rispondere alle recensioni.
Speriamo entrambe la fanfiction sia di vostro gradimento :3 se avete consigli, o curiosità, chiedete pure!
Al prossimo capitolo! 

...
Capitolo piccolo, lo sappiamo, ma vedremo di farci perdonare 



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Capitolo 5
*** Sometimes I lose my temper... ***


JASON P.V.

Successe tutto così in fretta che ero sicuro di aver perso qualche passaggio: un minuto prima ero sul divano, circondato dall'amore di Mika, e un attimo dopo Marco mi stava guardando con odio come per dirmi “Mi fai schifo, me ne vado o ti vomito addosso”.

Non lo avrei mai creduto capace di provare un tale odio, soprattutto non nei miei confronti: avevamo condiviso i nostri passati e avevamo risolto tutti i problemi, cosa poteva averlo scosso tanto da reagire così?

Dove vai?”
“A darti retta”
Ripensai a quella conversazione, cercando di capire che cosa intendesse: avevo fatto finta di capire, ma in realtà non avevo idea di dove stesse andando.

Pensa alla tua di relazione” Chi era questa volta, un ragazzo? Una ragazza? Era quello il problema? Non sarei stato sorpreso di scoprire che avessero già litigato, quel ragazzo era un autentico ritardato, ma aveva senso sfogarsi su di noi? Sarebbe stato troppo egoista da parte sua pretendere che noi non ci dimostrassimo il nostro amore.

“Ti senti bene?” La voce musicale di Mika mi riscosse da quei pensieri spinosi e guardai quel viso preoccupato con aria stralunata, confusa, come se lo stessi vedendo per la prima volta.

“Sì...vuoi del tè?” Cambiai discorso, rivolgendogli un sorriso pallido mentre mettevo a bollire dell'acqua.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a quella scenata” Mi scusai, cercando di mostrargli una calma che in realtà non provavo, ma era impossibile ingannarlo e lo sapevamo entrambi.

“Per favore, non pensare a me, sei tu quello sconvolto.” Mi rimproverò dolcemente, attirandomi a sé.

“Lo sai che non pensava nulla di ciò che ha detto” Mormorò, ma le sue parole non riuscirono ad entrarmi dentro: la mia mente era occupata dallo sguardo di Marco.

Nonostante ciò gli sorrisi, accarezzandogli lentamente una guancia. “Lo so. Gli parlerò appena tornerà.”

Sapevo che avrebbe voluto insistere, ma davanti al mio sguardo tremante per lo sforzo di apparire tranquillo, si limitò a ricambiare il sorriso.

“Non vorrei interrompere questo momento toccante, ma tra poco affoghiamo” Scherzò Mika ed io sussultai: l'acqua stava straboccando dal bollitore.

“Merda” ringhiai, spegnendo il fuoco. Mentre stavo cercando uno straccio per asciugare, qualcuno suonò alla porta.

“Ma che è oggi?!” Esclamai stressato.

“Stai calmo, tu vai ad aprire, io asciugo” mi tranquillizzò il ragazzo accarezzandomi le spalle ed io annuii, lasciandogli lo straccio.

Alla porta c'era un postino con un pacco tra le mani. “E' lei Marco Mengoni?” domandò.
“No, ma sono il suo coinquilino. Se vuole firmo io” Offrii e lui rimase interdetto per qualche secondo, combattuto tra il volersene andare al più presto e l'essere professionale.

“La ringrazio” capitolò ed io firmai velocemente, portando il pacco dentro casa. Lo avrei lasciato sul tavolo se non fossi stato attratto dal nome del mittente.

Era un nome che avevamo dimenticato a forza di lacrime, o per meglio dire avevamo tentato di dimenticare, ma ero sicuro che tutte le volte che Marco si svegliava urlando, lui ne era la causa: lui tornava ogni volta che eravamo soli, ogni volta che chiudevamo gli occhi.

Ero sempre stato sospettoso nei suoi confronti, ma non potevo dire niente, Marco era adulto e aveva tutto il diritto di fare quello che gli pareva, anche di sbagliare: ovviamente provai a farlo ragionare, ma quando mai mi ascoltava?

“Tutto okay?” chiese Mika, la fronte aggrottata nel vedermi fermo davanti al tavolo senza muovere un dito.

“Stavo solo pensando” Sussurrai, ordinando alle mie mani di lasciare il pacco sul tavolo.
“Hey, andrà tutto bene” mi rassicurò, fraintendendo la tensione evidente del mio corpo.

“Sì, sarà così.” Volevo crederci con tutto me stesso, ne avevo un bisogno disperato, uno di noi doveva essere lucido e non avrei mai potuto pretendere che Marco lo fosse.

“Non preoccuparti per me, vai pure a lavoro” Lo tranquillizzai, notando che lanciava delle occhiate furtive all'orologio.

“Sei sicuro? Posso prendermi una giornata” Offrì ma io scossi la testa, mostrandogli un sorriso rassicurante.

“Sto bene Mika, vai. Ti chiamo stasera” Lo spinsi verso la porta.
“D'accordo, ti amo” Cedette dandomi un lungo bacio ed io lo strinsi forte per un secondo, riempiendomi le narici del suo profumo, come se fosse una droga, la mia droga personale.

“Ti amo anche io” Sussurrai e appena se ne andò presi il telefono e chiamai Marco, tamburellando impazientemente con le dita sul tavolo: non mi importava se mi odiava o se aveva bisogno di stare un po' da solo, non lo avrei mai lasciato in balia del suo peggiore incubo.





 

PRESENTAZIONI -

Siamo due ragazze a dirigere questa fanfiction.
 Io sono Kelly, e mi occuperò della pubblicazione e della grafica dei capitoli (forse più in là anche della scrittura vera e propria).
 Alice, la scrittrice di questi primi capitoli, nonché mia migliore amica: lei si occuperà della stesura della storia e di rispondere alle recensioni.
Speriamo entrambe la fanfiction sia di vostro gradimento :3 se avete consigli, o curiosità, chiedete pure!
Al prossimo capitolo! 



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Capitolo 6
*** I tried to pretend it didn't matter ***



MARCO P.V.

Quanto in basso si poteva scendere prima di toccare il fondo? Beh sicuramente io lo avevo toccato e ci avrei scommesso almeno un paio di dita che l'avevo anche oltrepassato.
Ogni bicchiere che bevevo mi faceva scendere sempre di più in una spirale di depressione e rabbia furente che non aveva intenzione di scendere, qualsiasi cosa io facessi.
“Che ne dici di un altro giro?” mi domandò una voce lì accanto ed io girai faticosamente la testa, per ritrovarmi davanti ad un ragazzo dallo sguardo lascivo.
La mia testa ciondolò a destra e a sinistra mentre riflettevo su ciò che dovevo fare: avrei potuto dirgli di sì, prendermi una sbornia ancora più grande e forse anche andarci a letto, ma una parte di me non voleva perdere quel poco di dignità e amor proprio che mi era rimasto.
“Sarebbe la giusta soluzione, ma non posso.” biascicai, prendendo la giacca appoggiata sulla sedia.
Con fatica appoggiai una banconota da venti sul bancone e barcollando uscii dal bar, sentendomi piccolo e sporco sotto gli sguardi della gente.
Sapevo che cosa vedevano: un ragazzo che aveva smarrito la propria via e che si sbronzava già di mattina.
I passanti si sbrigavano a passarmi davanti senza guardarmi, lasciando che restassi su un angolino con la testa pulsante tra le mani...tutti, tranne uno.
Era un uomo che non poteva affatto passare inosservato, con quei suoi occhioni di un colore indefinibile: era il colore dell'alba, quando la luna guardava per l'ultima volta il cielo, prima di lasciarlo al sole, era il colore delle macchioline sul muro dopo che guardavi per tanto tempo la luce, di un blu troppo intenso per esistere.
Quei suoi bellissimi occhi mi fissarono con nostalgia e soddisfazione ed io non potei far altro che rimanere a guardarlo, il corpo e la mente pietrificati dalla paura mentre avanzava con sicurezza, quasi gustando il terrore nel mio sguardo.
“E così è questo che hai fatto da quando ci siamo lasciati? Sei ancora così sconvolto?” domandò ed io chiusi gli occhi al suono di quella voce così dolorosamente familiare.
Avevo provato a dimenticarlo, lo avevo voluto con ogni fibra del mio essere, eppure era impossibile, una persona così non si poteva scordare, nemmeno volendolo.
Era subdolo, si era infiltrato sotto la mia pelle con un sorriso sornione, aveva catturato il mio interesse con una semplice carezza e mi aveva completamente stregato con un piccolo bacio.
Il giorno in cui gli avevo concesso me stesso, fu il giorno in cui tutta la mia vita era stata distrutta: non avevo più libertà, la mia giornata iniziava e finiva con lui.
Non mi permetteva di fare nulla, se avesse potuto mi avrebbe rinchiuso in una stanza per tenermi solo per sé: il suo comportamento era ben oltre la gelosia, era ossessione pura e ogni volta che tentavo di riottenere la mia libertà, lui ricorreva alle maniere forti.
Mi costrinsi ad aprire gli occhi e ribattei:”Che cosa vuoi Ian? Ne ho abbastanza di te.” Lui però non si lasciò abbattere dalle mie parole e appoggiò le sue grandi mani calde sulle mie guance.
“Sappiamo entrambi che non è così. Voglio te Marco, ti ho sempre voluto e tu sai che io ottengo sempre ciò che voglio.” spiegò semplicemente, come se stesse parlando del tempo.
Non riuscivo a muovere la testa, quindi non potei fare altro che guardare i suoi occhi, cercando di non soffermarmi troppo sulle bellissime sfumature delle sue iridi.
“Tu non fai più parte della mia vita, sono stanco di sopportare i tuoi capricci! Perché non capisci che non sono mai stato felice con te?” urlai e il suo sguardo si incrinò leggermente, prima di riprendere la consueta sfumatura di sicurezza.
“Capisco che tu abbia sofferto molto, e mi dispiace. Tutto ciò che volevo e voglio ancora è farti felice. Permettimi di provare un'altra volta.” supplicò, stringendomi le mani, una sfumatura di urgenza nella sua voce.
Erano passati mesi dall'ultima volta che avevo sentito la sua voce, che lo avevo visto, eppure non riuscivo ad essergli indifferente, mi si leggeva in faccia che ero titubante e lui sfruttò la mia debolezza, come d'altronde fece sempre.
Con il dorso della mano mi accarezzò la guancia, per poi scendere sul collo e infine poggiarsi sul mio petto, all'altezza del cuore.
“Puoi negarlo quanto vuoi, ma il tuo cuore batte forte. Non puoi mentirmi Marco, so che mi desideri.” Sussurrò, la voce più dolce del miele stesso.
Ed era così, mentre diceva quelle parole io sentii un brivido percorrermi il corpo e la mia mente riusciva solo a pensare ad abbracciarlo, baciarlo, farlo mio un'altra volta.
La mia bocca era arida e sapevo che nei miei occhi lui poteva leggere il desiderio perché uno scintillio di soddisfazione comparve nei suoi.
Proprio mentre le sue labbra, leggermente inumidite dalla punta della lingua che le aveva appena toccate, si avvicinavano alle mie, il suono del cellulare ci interruppe-
Battei un paio di volte le palpebre, spezzando l'incantesimo che ci univa e passandomi una mano sul viso cercati a tastoni il telefono nelle tasche, rispondendo con voce affannata.
Marco? Senti lo so che sei arrabbiato e sicuramente sono l'ultima persona al mondo con cui tu vuoi parlare in questo momento, ma rimandiamo a dopo il momento in cui mi manderai a fanculo. Ian è tornato, ha spedito un pacco per te.
La voce preoccupata di Jason era come un balsamo per il mio corpo in preda agli ormoni e quasi tirai un sospiro di sollievo, ma subito dopo mi sentii pervadere dalla vergogna.
Mi ero comportato come un bambino che vede i propri genitori baciarsi e si sente tradito e abbandonato: non lo meritava, non potevo trattare male il mio migliore amico.
Sono stato un idiota Jas, ma hai ragione, rimandiamo a dopo il momento in cui TU mi manderai a fanculo e io ci andrò molto volentieri. Sì, lo so...rimani a casa, io torno subito.”
Sono abituato a te e alle tue cazzate, stai tranquillo. Lo sai? Non dirmi che ti ha già trovato?
Mentalmente mi morsi la lingua al suono della sua voce diventata acuta per la paura: ma quando avrei imparato a tappare quella fogna che avevo al posto della bocca?
Ne parliamo a casa, fidati di me.” 
D'accordo, ma se tra 10 minuti non ti vedo ti giuro che ti troverò e ti prenderò a mazzate.
Su quell'ultima minaccia chiusi la conversazione, con un sorriso divertito che scomparve immediatamente davanti all'espressione di Ian.
Conoscevo quell'espressione, era la stessa che faceva quando andavo da qualche parte senza dirglielo, quando lo lasciavo da parte.
“Frequenti ancora Jason?” sibilò ed io alzai leggermente il mento, essendomi ripromesso di non fargli vedere la mia paura.
“Io frequento chi voglio. Se tu fossi stato anche solo la metà di quello che è Jason, forse ora staremmo ancora insieme. È il mio migliore amico Ian!” urlai e lui rimase a fissarmi con un'espressione indecifrabile negli occhi diventati ormai quasi neri per la rabbia.
“Tu sei mio, ricordatelo.” ringhiò e con un ultima carezza se ne andò, senza girarsi, lasciandomi lì a guardare la sua schiena scomparire in mezzo alla gente.




 

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Capitolo 7
*** Poison outside of Heaven ***


 

MIKA P.V.

Solitamente riuscivo ad immergermi completamente nel mio lavoro, dopotutto in un sexy shop trovavi persone di tutti i tipi, ma quel giorno non riuscivo a concentrarmi.

Continuavo a ripercorrere mentalmente gli avvenimenti della sera precedente e di quella mattina e non potevo far altro che pensare di aver compromesso tutto, di non avere più la minima chance con Marco, non dopo che mi aveva visto con Jason.

La sua reazione però era stata...curiosa. Uno non reagiva così vedendo il proprio migliore amico baciare il suo ragazzo. Che provasse qualcosa per Jason? O...per me?

Non mi piaceva riporre troppa fiducia nella speranza, tanto puntualmente si veniva delusi, ma cos'altro potevo fare se non sorridere gioiosamente a quell'eventualità?

Mi disgustava il fatto di pensare quelle cose, non potevo tradire Jason in modo peggiore, ma ero un uomo, l'istinto animale era più forte di qualsiasi altra cosa.

Non potevo però permettermi di perdere tempo in quei pensieri viziosi, il mio ragazzo aveva bisogno di me, avevo sentito la disperata richiesta di aiuto che mi aveva lanciato quando mi aveva stresso a sé prima di lasciarmi andare.

Quel giorno avevo io le chiavi del negozio, quindi chiusi prima e guidai il più velocemente possibile verso il condominio, ma proprio quando uscii dalla macchina, dalla porta vidi uscire Marco, l'aria tormentata, che si guardava intorno con una paura senza nome.

Appena mi vide sussultò, probabilmente indeciso tra il far finta di non avermi notato ed andarsene, e il venirmi incontro.

Con mia grande sorpresa e felicità scelse la seconda e si avvicinò a passi lunghi ma misurati. “Hey. Se cerchi Jason è a farsi una doccia” mi informò, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

“Come sta? Stamattina era parecchio scosso...” domandai e i suoi occhi si tinsero di vergogna, per poi diventare neri come la notte che ci avvolgeva.

“Sta bene. Già, riguardo a stamattina...imparerai a capire che faccio sempre una marea di cazzate, fondamentalmente perché dico e faccio cose senza pensare, quindi mi dispiace. Mi sono comportato da...”

“Insensibile bastardo?” conclusi io al posto suo e lui annuì, fissandomi con apprensione ma io scrollai le spalle e gli sorrisi.

“Non preoccuparti, succede a tutti di passare un periodaccio. So che non ci conosciamo, ma se hai voglia di parlare con qualcuno che non sia Jason-Io sono perfetto-Perez, io sono qui.” offrii, con il cuore in gola.

Tutto si era congelato in attesa della sua risposta, persino l'aria che mi entrava nei polmoni era fredda come la neve.

Marco mi guardò sorpreso, ma poi le sue labbra si tesero in un sorriso contento e annuì. “Cazzo se ne ho bisogno! Quel ragazzo vive in un mondo di favole, non si rende conto di come stiamo noi poveri comuni mortali.” accettò ed io scoppiai a ridere.

“Oh lo so bene, è una specie di principe” A quelle parole l'espressione del ragazzo diventò triste per un istante, ma poi ritornò la sfumatura di urgenza che aveva quando era uscito dalla casa.

“Devi andare da qualche parte?” Tirai ad indovinare e dal rossore delle sue guance intuii di averci azzeccato.

“Beh in effetti c'è una persona che mi sta aspettando...” rivelò ed io gli rivolsi un sorriso incoraggiante, anche se non riuscivo a non sentirmi tradito...che ipocrita che ero.

“Allora divertiti.” Gli augurai, dandogli una pacca sulla spalla.

“Ci vediamo” Con un fugace sorriso tirato mi diede le spalle e fece qualche passo prima di fermarsi e tornare da me con aria decisa.

“Oh al diavolo, non me ne frega niente. Senti, posso raccontarti tutto? E intendo, davvero tutto.” bofonchiò, la voce intrisa di ansia e gli occhi pieni di voglia di sfogarsi, di confidarsi con qualcuno.

Quella era la mia chance, non mi sarei mai potuto lasciar sfuggire un'occasione del genere, avrei potuto finalmente sapere di più su quel ragazzo che aveva rovinato la mia pacifica relazione.

Con uno sguardo di silenziose scuse rivolto al condominio, sorrisi al ragazzo e lo feci entrare in macchina.
“Parla pure quanto vuoi, io ti ascolto.” promisi.

Non sapevo per quanto tempo ero rimasto a guardare Marco che si torturava le mani mentre parlava della sua vita e delle sue relazioni...beh ritenerle difficili era un eufemismo, ma sarei rimasto lì anche per una settimana intera ad ascoltarlo.

Parlava con velocità, come se le parole, per troppo tempo rinchiuse, premessero sulle sue labbra per uscire.

“E poi Jason mi ha fatto vedere il pacco, non prima di avermi fatto una delle sue ramanzine lunghe quattro secoli sull'aver parlato con Ian da solo.” mormorò, lo sguardo perso nel vuoto.

Ecco perché era così sconvolto...” dedussi mentre aspettavo che continuasse e mi dicesse che cosa ci fosse dentro.

“E che cosa ti aveva spedito?” chiesi, quando era chiaro che non lo avrebbe detto. Il ragazzo deglutì e rispose, la voce poco più di un sussurro:”Una bottiglia di Chateauneuf du Pape.”

Io aggrottai la fronte, non riuscendo a capire dove fosse il problema, ma prima che potessi chiedergli altro, lui continuò.

“Era vuota e sopra c'era scritto -6 Novembre 2009-” Vedendo che la mia faccia era ancora confusa, mi prese per le spalle e mi scosse. “Era il giorno del nostro primo appuntamento capisci? Ha conservato la bottiglia!” urlò. “Non...non si è mai dimenticato” sussurrò, lasciando che le mani scivolassero via dal mio corpo, appoggiando la testa sullo schienale.

In quel momento provavo una gran tenerezza per quel povero ragazzo che era stato costretto a sopportare cose orribili, cose che nessuno dovrebbe mai provare.

Non ero bravo a consolare le persone, Jason mi diceva scherzosamente che avevo il tatto di un rinoceronte, ma ci provai comunque.

Con cautela avvicinai una mano alla sua guancia e quando lui non oppose resistenza gliela accarezzai, stupendomi di quanto fosse morbida la sua pelle.

I miei polpastrelli toccarono qualcosa di umido e capii che stava piangendo, così osai ancora di più.

Accarezzai i suoi bei capelli e lasciai che poggiasse la testa sulla mia spalla, circondando la sua schiena con le braccia.

I suoi singhiozzi erano soffocati dalla mia camicia e le sue mani stringevano il tessuto con forza, come se potesse salvarlo, come se potesse spazzare via tutto il male.

Ci era voluto molto prima che riuscissi a sopportare il contatto con un'altra persona e lo dovevo a Jason: lui mi aveva fatto capire che non era possibile esprimere i propri sentimenti se non lo si dimostrava fisicamente ed era grazie a lui se adesso potevo cullare Marco come se fosse un bambino.

“Non sei solo” gli assicurai, evitando quelle frasi di circostanza come -Andrà tutto bene- o -Vedrai che si sistemerà tutto- e lessi nei suoi occhi la gratitudine.

“No, non più” mi diede ragione, staccandosi e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

“Cazzo, ti ho bagnato la camicia!” esclamò, notando l'alone scuro che aveva lasciato, ma io scrollai le spalle.

“Si asciuga, non ti preoccupare.” Era ridicolo che si preoccupasse per una cosa tanto banale quando su di lui incombeva una minaccia davvero seria, ma forse era questo ciò che lo rendeva così irresistibile.

“Se non ti sbrighi ad entrare, Jason andrà a dormire senza di te.” mi ricordò ed io sentii una fitta di vergogna trapassare il mio cuore: mi ero completamente dimenticato di lui.

“Forse per stasera è meglio se io vada a casa, sarà stanco...” Ma che cazzo stavo dicendo? No, non ero io quello che stava parlando, non potevo essere davvero così meschino.

“Non dire sciocchezze, gli farà bene vederti.” replicò Marco, guardandomi sorpreso ed io mi affrettai a rivolgergli un sorriso.

“Hai ragione, ora salgo.”

“Bene, allora vi lascio soli.” Affermò, mentre uscivamo dalla macchina.

“Se vuoi ti accompagno” mi offrii, ma lui scosse la testa.

“Saprò cavarmela anche da solo.” rifiutò. Gli rivolsi un sorriso e mi girai, andando verso la casa, ma lui mi richiamò.

“Hey Mika? Grazie...” mormorò, con un sorriso che era ben oltre l'essere tenero. Rimasi a bocca aperta a guardarlo, così lui si diresse verso una stradina e dopo aver svoltato, scomparì dalla mia vista.






 

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Siamo due ragazze a dirigere questa fanfiction.
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Capitolo 8
*** Screwed up ***


IAN P.V.

In quel bar ero circondato da persone, eppure nessuna mi interessava: milioni di sguardi erano puntati su di me, alcuni timidi, altri palesemente incantati eppure il mio non incontrò nessuno di essi ma rimase fisso sul portone dell'università dove era appena entrato Marco...con una ragazza.Strinsi leggermente le mani intorno al bicchiere e i miei occhi si scurirono. Si era preso troppe libertà nel periodo in cui lo lasciai, era ora di fargli capire che poteva provare a scappare quanto voleva, ma che alla fine sarebbe tornato da me e io gli avrei permesso di godere della mia bontà d'animo. Quella ragazza non sarebbe stata un problema, le donne facevano sempre quello che volevo, bastava fare loro un sorriso o un occhiolino, ma Jason non si sarebbe mai fatto abbindolare da qualche flirt da quattro soldi. Sarebbe stato più difficile con lui, avrei dovuto escogitare qualcosa, ma non avevo dubbi che anche lui si sarebbe arreso: ciò rendeva tutto più interessante, amavo le sfide. Con un sorriso soddisfatto allungai le gambe e sorseggiai un caffè corretto con della vodka, schioccando le labbra con compiacimento: avrei vinto, dovevo solo aspettare e programmare la mia prossima mossa. Non mi resi conto di aver chiuso gli occhi fino a quando qualcuno non urtò il mio braccio. Vedendo l'ora mi maledissi: mi ero addormentato per almeno un paio di ore e sicuramente ormai Marco se ne era già andato. La fortuna però sembrava essere mia alleata e mi diede come una spinta per guardare fuori dalle vetrate e vidi Marco camminare a passo veloce, affiancato da due ragazzi. La chioma bionda di Jason brillava inconfondibilmente al sole, ma non riuscivo a riconoscere i ricci scuri dell'altro che guardava con aria preoccupata il biondo. Nel puzzle erano comparsi parecchi tasselli che iniziavano ad innervosirmi: passi la ragazza, ma che cosa volevo quell'altro? Accendendo una sigaretta fissai i tre con attenzione e mi aprii in un sorriso sornione; era evidente che quei due avevano una relazione e ciò giocava a mio favore. Se Jason era impegnato con lui, avrebbe lasciato Marco senza protezione ed io avrei ripreso il mio posto accanto a lui: il puzzle era ad un passo dal completamento.

 

 

JASON P.V.

Era assurdo che tutto quanto fosse ricominciato: per quanto tempo avrebbe continuato a perseguitarci? Mi riempiva di rabbia pensare che avesse coinvolto anche Mika in tutto questo: avevamo bisogno di un paio di occhi in più per proteggerci, vero, ma non volevo che lui entrasse a far parte di tutto questo, non lui, non il mio piccolo angioletto. Era troppo puro per essere contaminato da questa merda, ecco perché non gli avevo mai rivelato niente di tutto questo, ma ormai non potevo più scappare. Lo guardai e sospirai, sedendomi sul divano con aria stanca: l'aria decisa nel suo sguardo non ammetteva repliche, voleva risposte e non mi avrebbe lasciato in pace senza una spiegazione soddisfacente. "Non riguarda solo me, non posso raccontarti tutto" mormorai, ma il suo sguardo non cedette.
"Raccontami la tua parte allora" Mi strofinai gli occhi con le dita e lo guardai, esausto.
"Che cosa vuoi da me Michael? Se non ti ho mai detto nulla è stato per proteggerti." A quelle parole lui strinse le labbra e incrociò le braccia.
"Non sono un bambino Jason, so badare a me stesso. Voglio sapere perché siete così spaventati. Guardati, sei smunto e pallido, non voglio vederti così Jas." La sua voce era troppo dolce per non vincere la paura e pian piano mi rilassai. "Ian era l'ex-ragazzo di Marco ed era...malato. Lui"
"So cosa è successo, volevo sapere perché gli permettete di manipolarvi." Lo guardai sorpreso dalla sua interruzione e chiesi:
"Come fai a saperlo?" Inaspettatamente lui arrossì e si mordicchiò le labbra.
"Me l'ha detto Marco." Il fatto che gliel'avesse detto non mi creava nessun fastidio, anzi ero contenta che avessero fatto amicizia, ma l'espressione con cui l'aveva confessato non mi piaceva affatto. Mi inumidii le labbra e dissi:"Allora chiedilo a lui no? è lui il protagonista" Sapevo di aver assunto un tono pungente, ma ero sconvolto e ferito.
"Per favore Jason" mi supplicò con i suoi occhioni che mi avevano sempre conquistato e lui lo sapeva, rideva ogni volta che glielo dicevo. I miei si riempirono di lacrime, ma prima che gli potessi dare la soddisfazione di vedermi piangere, sentii un urlo provenire dalla camera. Scattai immediatamente verso di essa e mi sedetti sul letto, scuotendo Marco.
"Hey, è tutto okay, sssh" lo tranquillizzai, cullandolo fino a quando i suoi occhi sbarrati non tornarono limpidi.
"Scusami" mormorò imbarazzato quando lo portai sul divano, avvolgendolo con una coperta.
"Non volevo disturbare" si scusò, notando Mika .
"Non importa, se ne stava andando" lo rassicurai, sforzandomi di fare un sorriso e lanciando un'occhiataccia al ragazzo che fece un sorriso spento e mormorando un "ciao" se ne andò. Marco era troppo stanco e sconvolto per notare il mio sguardo che aveva scandagliato la sua espressione ed era un bene: non aveva avuto nessuna reazione vedendo Michael, non era colpa sua. Il pensiero che il ragazzo che amavo con tutto me stesso fosse attratto da qualcun altro mi faceva venir voglia di vomitare, di sedermi in un angolino e guardare fisso nel vuoto, senza fare nulla, lasciando che i giorni e le ore si susseguissero senza prestare attenzione. Notando però il tremore del corpo di Marco cercai di farmi forza: non era quello il momento per essere deboli, dovevamo combattere una battaglia che era ben più importante che una semplice delusione d'amore. Avrei dovuto trattenere le lacrime per un altro po'...




 

 

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