I'm addicted to you

di Road_sama
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15- Fine ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Avevo già in mente di fare una long su questo fandom e di farla Riren/Ereri perché ho scritto quella One Shot “please don’t leave me” e mi  piaciuto sia come l’ho scritta sia come sono i personaggi…però, ecco, diciamo che non avevo in mente di fare questo AU.
Premetto che non so quanto spesso potrò aggiornare (per ora ho scritto solo un paio di capitoli) perché siamo alla fine dell’anno ci sono un po’ di ponti in giro e io vorrei passare questi ultimi giorni felici appunto nella felicità (non è che non mi piaccia scrivere eh, solo dai avete capito xD). Mi sono accorta anche che questo capitolo è cortino, farò in modo di allungarli scusate :'3
In ogni caso, questa storia mi intriga molto (devo ancora definire bene alcune cose riguardo alla struttura della fic e alla fine) perché presenta un Levi e un Eren particolari, molto diversi rispetto a quelli che siamo abituati a vedere a partire dalla loro idea di “giustizia” che secondo me non è del tutto sbagliata…per alcuni versi.
Avviso che il rating potrebbe alzarsi @.@ dipende dall'ispirazione yaaay
Cooomunque non vi trattengo oltre e vi auguro buona lettura :3
Ps. Le recensioni sono bene accette, sia per farmi migliorare che per commentare la fic xD

 
 

I’m addicted to you
 


Il ragazzo dai capelli color nocciola fece scorrere la lingua tra le labbra rosee. Un lieve strato di sudore gli ricopriva la fronte. Si sporse sul tavolo e con un panno cominciò a ripulirlo da residui di cibo e gocce di birra. Si sentiva completamente isolato dal resto, era talmente concentrato su quello che stava per succedere che nemmeno sentiva le chiacchiere insistenti dei bevitori incalliti poco lontani da lui. Osservava impassibile le risate degli ubriachi e pensava che quella gente fosse feccia, odiava tutta quella gente. Non facevano altro che starsene lì senza fare nulla a parte ubriacarsi e rovinarsi la vita. Ormai tutto il mondo era ridotto così: un covo di bastardi che pesano sulle spalle degli onesti ricambiando i loro sforzi distruggendo la società.
Posò i boccali vuoti su di un vassoio circolare e tenendo il tutto in equilibrio li lasciò sopra il bancone dove un ometto dall’aria stanca li prese per portarli in cucina. Guardò per un attimo il vecchio alla cassa che ricambiò il momentaneo interesse del ragazzo con un occhiolino. Il castano contrasse il viso in una smorfia, che schifo. Si diresse verso un altro tavolo cercando di non pestare qualche avanzo di cibo che quei maiali si divertivano a buttare sul pavimento in legno scuro.
La sua attenzione, però, venne richiamata dalla porta del locale che si aprì all’improvviso con un rumore acuto. Il sangue cominciò a ribollirgli nelle vene non appena lo vide entrare. Osservò solo per un attimo la sua camminata decisa, ma allo stesso tempo aggraziata, il suo corpo così magro e perfetto, i jeans strappati sulle ginocchia e la giacca in pelle nera. Infine osservò il suo viso pallido, i suoi occhi così grigi e agghiaccianti che si intravedevano appena dietro ai Ray Ban nuovi, le sue sopracciglia sottili e i capelli corvini corti, rasati sulla nuca. Gli sorrise timidamente, ma quest’ultimo non ricambiò come sempre la cortesia e proseguì il suo cammino verso il bancone. Il castano si voltò a fissare il tavolino color ebano. Solo vederlo lo rendeva vivo.
Il moro ordinò un bicchierino di scotch. Il castano si aprì di poco la camicia bianca e ne estrasse per metà una pistola. L’ultimo arrivato bevve il liquido ambrato tutto d’un sorso.
-Eren…- sussurrò prima di scaraventare il bicchiere alle spalle del barista sul cui volto si dipinse una smorfia di stupore e paura. Levi estrasse dalla giacca in pelle due pistole e ne puntò una verso il vecchio barista e l’altra verso i clienti i quali si ripararono sotto i tavoli. Eren estrasse del tutto la pistola dalla camicia e si posizionò esattamente sotto l’altro puntando l’arma in direzione degli ubriaconi. Il moro ghignò. Lasciò la seconda pistola al castano mentre con la mano libera apriva la cassa e ne estraeva l’incasso.
-Ohi, mocciosetto ho finito qui, andiamo.- disse tagliente Levi mentre scavalcava una seconda volta il bancone.
-Aspetta.-
-Cosa?- Eren afferrò la bottiglia di scotch che aveva usato il vecchio barista poco prima per riempire il bicchierino del moro.
-Per festeggiare, sta sera- gli sorrise furbo il castano.
-Tse, sempre la solita testa di cazzo.-
Detto questo i due giovani ladri si dileguarono nei vicoli più bui di quella cittadina solitaria lasciandosi di nuovo alle spalle un colpo riuscito. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Hello gente! Eccomi tornata con il secondo capitolo più lungo del primo come avevo promesso yayy! Avviso che aggiorno così presto per via delle vacanze e perché ho scoperto che questa storia potrebbe essere più complicata (per quanto riguarda la trama) di quello che pensavo eheh. In ogni caso ringrazio chi ha recensito/messo tra i preferiti/messe tra i seguiti e spero che continueranno a seguire la storia.
Coomunque, ho desciso di interporre ad ogni capitolo della storia "Levi e Eren criminali" il loro passato, quindi questo è un capitolo-flashback (eh lo so che voi volevate sapere cosa succedeva la sera per "festeggiare" muahaha ma dovrete aspettare il terzo capitolo xD)
Mi pare di avervi detto tutto, per ora...quindi che una buona pasqua sia con voi e buona lettura! :3

 

Capitolo 2



-Eren! Hai di nuovo fatto a pugni?!- chiese furibonda Carla, una donna sulla trentina dai capelli color mogano e occhi quasi ambrati. Si ripulì le mani sul grembiule bianco ricamato raggiungendo il figlio che presentava grossi tagli e lividi sul viso.
-Ma’, quelli mi prendevano per il culo!- urlò il ragazzo dai capelli castani cercando di indietreggiare visto che la madre non sembrava avere buone intenzioni.
-Quante volte ti ho detto che le mani non sono la risposta a tutto?- Eren, ormai si trovò con le spalle appiccicate alla parete della cucina. Era una stanzetta piccola, effettivamente, ma non aveva mai notato quanto fosse ristretta fino a quel momento.
-Quale sarebbe la soluzione, allora?- chiese il ragazzo puntando gli occhi verdissimi in quelli della madre.
-Parlare, ad esempio.- rispose la donna, accorciando ulteriormente le distanze. Ora incombeva su Eren come un lupo sulla sua preda, era quasi sicuro adesso lo avrebbe picchiato.
-A-Allora perché ora non parliamo?- Carla sbuffò piano e sorrise al figlio. Gli appoggiò una mano in testa e gli arruffò i capelli.
-Come sono andati gli esami?-
-E-Ehm…ecco, era appunto per quello che mi prendevano in giro..- balbettò il ragazzo distogliendo lo sguardo e grattandosi goffamente la testa. La madre sospirò portandosi entrambe le mani alla vita con fare autoritario.
-Rispondi, Eren.- disse seria.
-Non li ho passati…devo rifarmi la quinta l’anno prossimo.- Carla sbatté le palpebre per qualche secondo come se si fosse appena svegliata da un sogno. Inspirò l’aria, riempiendo completamente i polmoni , poi espirò a fondo un paio di volte. Quello non era assolutamente un buon segno.
-Dimmi…- disse con voce vibrante di rabbia –che devo fare per farti studiare.- sussurrò per non alzare troppo il tono di voce.
Eren si allontanò di qualche passo da lei in modo da avere una facile via d’uscita.
-Nulla.- rispose semplicemente guardando fuori dalla finestra il ragazzo. Era un bellissimo giorno d’estate, gli uccellini volavano allegri da un arbusto all’altro, i frutti ormai maturi e succosi pendevano pericolosamente dai rami degli alberi , l’erbetta verde si muoveva continuamente lasciandosi cullare dalla calda brezza proveniente da sud. Sarebbe stato molto bello andare a  fare un giro fuori al posto di subirsi il quarto grado dalla madre.
-Non mi interessa lo studio…è una cosa inutile. I-Io voglio viaggiare, per tutte le terre di questo mondo. Voglio andarmene da questa città. Voglio lasciare tutto.-
-Come puoi pensare questo?- chiese la donna stringendo le mani intorno alla stoffa verde del vestito.–Come puoi pensare di lasciare qui tua madre e tua sorella? Non abbiamo molti soldi, lo sai. Se proprio non vuoi studiare due braccia in più per lavorare sono sempre utili. Porteresti a casa una paga in modo da farci sopravvivere…tutti quanti , insieme.- disse  con tono quasi affranto, non poteva credere che suo figlio potesse mostrare tanto disinteresse per la sua famiglia. Per le persone con cui era cresciuto. Voleva fare esattamente come suo padre: preparare  i bagagli e sparire non sapendo bene per dove e non dicendo nemmeno se sarebbe tornato. Così Grisha se ne era andato lasciandola da sola a crescere due figli.
Lo sguardo di Eren si fece duro.
-Io non sto dicendo che voglio abbandonarvi come ha fatto Grisha. Vi sono grato per avermi reso quello che sono, però so anche che voi riuscireste benissimo a sopravvivere come abbiamo fatto in questi anni. Io voglio andarmene da qui perché questo paese sta diventando una prigione per me. Non mi sono mai mosso da qui e vedere sempre le solite case, le solite strade, le solite persone mi ha stufato. Voglio vedere cosa c’è fuori..- disse infine il castano non smettendo un secondo di fissare la madre.
Carla sapeva che quando suo figlio si metteva in testa qualcosa niente l’avrebbe distolto dal suo obiettivo, nemmeno la sua famiglia. Riusciva a capire quello che provava il ragazzo, ma non riusciva a lasciarlo andare, non riusciva ad ammettere che Eren ormai fosse cresciuto e potesse benissimo cavarsela da solo anche con qualche rissa qua e la. Lo aveva cresciuto bene, il resto doveva farlo da solo.
-Che stai aspettando allora?- domandò rassegnata.
-L’occasione giusta.-
 
-Eren, hai chiuso a chiave la porta?- disse Mikasa al ragazzo.
-Si, si tranquilla sister.- annuì il castano non distogliendo lo sguardo dal suo libro. La ragazza dai capelli neri sospirò, sedendosi, poi accanto al fratello, sul divano.
-Che leggi?- domandò intuendo già cosa fosse quella rivista.
-E’ un corso di approfondimento di inglese, se voglio andarmene devo saperlo bene!- ridacchiò il ragazzo azzannando un sandwich.
-Perché mangi quella roba di sera? Non dormirai più sta notte.- protestò la ragazza tentando di togliergli il panino dalle mani. Sapeva che Eren voleva andarsene via, ma lei sapeva che lui non sarebbe durato nemmeno un’ora da solo. Era così stupido, irresponsabile e impulsivo che si sarebbe sicuramente cacciato in qualche guaio. Non poteva lasciarlo da solo…lei sarebbe andata con lui anche se non avrebbe approvato.
-Lascia stare, sta sera sto sveglio fino a tardi. Devo assolutamente finire questo libro.-
-Eren io verrò con te.- azzardò Mikasa fissando la stoffa verde scuro del divanetto in cui erano seduti.
-No.- disse il castano senza nemmeno degnare la sorella si uno sguardo.
-Io ti seguirò…ovunque andrai.- il ragazzo chiuse piano la rivista e si mise a sedere in modo da riuscire a guardare la ragazza senza dover alzare la testa. Contrasse la mascella quasi arrabbiato. Odiava quando la moretta faceva quelle scenate. Non riusciva a farsi una vita propria. Lei viveva nella sua ombra e gli stava costantemente addosso. Sembrava una seconda madre. A salvarlo dalle risse c’era lei, a suggerirgli durante le verifiche c’era lei e ad assecondare le sue iniziative c’era lei. Lui voleva lasciarsi tutto indietro. Chiedeva troppo? Voleva cominciare una vita nuova lontano da tutte quelle maledette abitudini e usualità.
-Perché mi segui sempre?-
-Perché sei mio fratello e da solo non dureresti nemmeno un minuto.- disse fredda lei. Mikasa ammirava quella volontà di ferro di Eren che gli faceva affrontare qualsiasi sfida. Era convinta, però, che non bastasse solo la volontà per risolvere i problemi. Per questo non credeva che  ce l’avrebbe mai fatta da solo.
-Non mi hai mai lasciato fare…come puoi dire che non durerei?-
-Lo so perché ti conosco…-
-Lasciami provare. Per una volta lascia fare a modo mio.-
-I-Io non…- il castano le accarezzò la testa sorridendole impercettibilmente.
-Cerca di capirmi. Stai qui con la mamma e lasciami andare per la mia strada.- sussurrò il ragazzo non capendo nemmeno lui perché fosse così dolce e smielato mentre supplicava la sorella a lasciarlo andare.
-Non posso.- disse Mikasa ritraendosi dalla mano del fratello ed alzandosi per andare a dormire.
-Buona Notte.- disse infine, lasciando Eren da solo nel piccolo salottino. Odiava sul serio quando lei faceva così. Separarsi dagli altri era così difficile.
 
Il castano aprì gli occhi e si ritrovò immerso nel buio. Non si ricordava né di aver spento la luce né di essere andato in camera sua. Si mise a sedere tastando tutto intorno a lui. No, non era a letto era ancora in salotto. Respirò a fondo. Si era addormentato di nuovo e non aveva finito di leggere il libro. Forse era meglio per lui andare a letto. Prese la rivista che era ancora aperta sulle sue cosce e si alzò. Stava per salire le scale quando un rumore proveniente dalla cucina lo bloccò. Sembrava ci fosse qualcuno.
Facendo attenzione a dove metteva i piedi si mosse verso la direzione in cui proveniva il rumore e man mano che si avvicinava si accorse che c’era una fievole luce ad illuminare la stanza. Si affacciò facendo molto attenzione a non farsi vedere e i suoi sospetti vennero confermati. In cucina c’era un ladro. Da quello che riusciva vedere con quella poca luce, l’uomo-ladro era molto magro e abbastanza basso, non aveva niente sulla faccia in modo da poter celare la sua identità quindi riusciva a vedere chiaramente il colore nero dei capelli e un taglio molto antiquato. Come aveva fatto quel bastardo ad entrare?! Si diede dello stupido una decina di volte. Non aveva veramente chiuso la porta a chiave…l’aveva detto a Mikasa solo per rassicurarla.
Merda.
Si avvicinò al caminetto e prese un attizzatore. Avrebbe rimediato ai suoi errori e avrebbe stordito il ladro. Fortunatamente quel tipo era da solo per cui non avrebbero dovuto esserci problemi. Si riavvicinò alla cucina e osservò di nuovo all’interno. Il ladro stava frugando nel mobile sotto al lavandino, chissà che cercava lì. Chi avrebbe mai tenuto sei soldi sotto il lavandino? Eren cominciò ad avvicinarsi all’uomo con l’arnese in mano e non appena gli fu abbastanza vicino alzò l’arma pronto per colpirlo. Si trattenne dall’urlare quindi emise solo un piccolo gemito. Quella scena era epica sul serio. Si sentiva potentissimo. Abbassò di scatto l’arnese pronto a colpirlo, ma qualcosa andò storto. L’uomo si voltò di scatto, prese l’attizzatore con una mano e la tirò verso di sé. Eren non capì bene come, ma si ritrovò trascinato addosso allo sconosciuto,  con l’attizzatore alla gola e le braccia bloccate dietro alla schiena.
-L-Lasciami…- balbettò il castano tentando di liberarsi dalla presa. Era basso e scarno quel tipo, ma era davvero forte.
-No. Non voglio farti del male, sono qui solo per rubare delle cose.- disse con tono tranquillo il moro.
-G-Grazie per avermelo detto…!- cercò di sdrammatizzate il più giovane.
-Prima però mi devi dire dove tenete i guanti di gomma per lavare i piatti.- disse il ladro ignorando il commento sarcastico di Eren.
-Ma che razza di richiesta è?! Hai bisogno dei guanti per rubare? Hai paura di rovinarti le mani oppur- non riuscì a terminare la farse perché quest’ultimo gli aveva assestato una violenta ginocchiata al fianco sinistro.
-S-Sotto il lavandino…!- ansimò dolorante il castano.
-E’ da mezz’ora che li cerco e non ci sono testa di cazzo.- disse acido l’uomo.
-Non sei capace nemmeno a cercare?!- azzardò il più giovane. Questa volta il calcio gli arrivò sull’altro fianco. Per un secondo gli mancò il respiro. Cazzo, ma quello da piccolo aveva mangiato pane e ginocchiate?
-O-Ok…te li prendo io se mi molli…- provò a trattare il ragazzo. Sentì l’altro borbottare acidamente alle sue spalle un “tsk, non sono mica un coglione, eh.”
-Sono sulla destra, entro una scatolina blu metal- non riuscì a finire di dargli indicazioni perché la luce in cucina si accese all’improvviso. Sulla soglia c’era Mikasa in vestaglia che teneva in mano una scopa. Se Eren fosse stato in quel tipo sarebbe scappato di corsa: la sorella arrabbiata equivaleva a morte certa.
-Chi sei?- domandò la ragazza.
-Tsk! Un ladro non è ovvio?-
-Non dovresti sventolare ai quattro venti il fatto che tu sei un ladro!- protestò il castano guadagnandosi una presa sulle sue braccia più forte e dolorosa.
-Lascialo andare e non ti faccio niente.- disse la mora con quel suo tipico sguardo omicida. Il ladro sospirò profondamente.
-Che due rompi coglioni.- allentò di poco la presa sull’attizzatore che bloccava il collo di Eren tanto che quest’ultimo, cominciò a credere che lo stesse finalmente lasciando andare, però il moro prima di lasciarlo cadere a terra gli assestò un’ultima ginocchiata al fianco destro. Il castano cadde a terra tossendo.
-Q-Questo per cos’era?!- protestò quasi senza voce il ragazzo.
-Avevo voglia di picchiarti.- disse il ladro rivolgendogli un’occhiata gelida. Quegli occhi grigi erano così freddi e distaccati! Oltre ad essere forte, pensò il castano, quel tipo era pure figo.
-Se ti prendo ti ammazzo.- cominciò a rincorrerlo furiosa Mikasa, ma il ladro fu velocissimo e com’era arrivato se n’era anche andato. Eren appoggiò la schiena contro la gamba del tavolo e cominciò a massaggiarsi un fianco. Era normale che fosse sconvolto, però nella sua agitazione c’era qualcosa di più. Quell’uomo gli piaceva, non solo fisicamente, ma anche per i suoi modi bruschi e diretti.
-Che cazzo mi fisso con quello…la prossima volta mi spappola la milza.- si rialzò a fatica e in quel momento vide la ragazza tornare con un leggero fiatone. Gli rivolse uno sguardo di ghiaccio poi si ritirò in camera sua. Il ragazzo sospirò ficcandosi una mano in tasca e sbarrò gli occhi. La chiave! La chiave di suo padre era scomparsa.
-Q-Quel bastardo!- disse tra i denti.
 
-Eren! In questo periodo sei strano!- sbuffò Armin, il miglior amico del castano. Era un ragazzo della sua età, però era molto basso ed era il suo completo opposto a partire dall’idea che aveva del suo futuro.
-Non è vero. Sono normalissimo!- ribatté stancamente il più alto passandosi una mano tra i capelli scuri.
-Davvero? Da quanto tempo non fai una rissa?- chiese il biondo agitando le gambe avanti e indietro e fissando quanta distanza ci fosse tra la parte di muretto in cui erano seduti e la strada.
-U-uhm una settimana?- affermò dopo una lunga meditazione il castano.
-Ecco, appunto. Ti sei risposto da solo.- Eren sbuffò. In effetti da quando aveva avuto quell’incontro con il misterioso ladro, qualcosa in lui era cambiato. Non sapeva nemmeno lui perché provasse certe sensazioni di smarrimento dopo essere quasi stati rapinati. Si sentiva piuttosto stupido a dire la verità.
-Allora, visto che non mi vuoi dire che problemi hai, domani ti porto alla festa di Hanji.- Bene, l’ultima cosa che gli serviva era una festa da quella psicopatica di Zoe.
-No, Armin, sul serio lascia perdere…- protestò debolmente il più alto.
-Non si discute! Altrimenti lo dico a Mikasa!- ora sua sorella era diventata perfino una minaccia. Di male in peggio, come si dice di solito.
-Va bene, ma lascia stare mia sorella.-
-Bene! Allora ti vengo a prendere domani alle cinque!- concluse entusiasta il biondino scendendo dal muretto. Eren fissò per un’ultima volta il cielo limpido sopra le loro teste.
Perché aveva quella fastidiosa sensazione che gli tormentava lo stomaco solo per quella stupida festa?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao a tutti gentee! Eccomi tornata con il terzo capitolo di questa discreta storiella (?)
Come promesso questo capitolo parla dei nostri criminale appena finita la rapina. Ecco, in pratica come mi immagino un post-rapina tra Levi e Eren xD C'ho messo un po' più di tempo ad aggiornare perchè questi tre giorni sono stati tremendi (mi sto ancora domandando come facciano i prof a rimepire di interrogazioni tre giorni così belli n.n ).
Ho solo una nota da farvi: alla fine del capitolo ci sono due personaggi (Mary e Mike), li ho inventati io quindi non vi preoccupate se non sapete chi sono xD
In ogni caso, spero che questo capitolo vi piaccia! Buona Lettura!



 
Capitolo 3


Appena usciti dal locale i due ladri cominciarono a correre a perdifiato tra le stradine umidicce e sporche di quella cittadina il cui nome avevano già dimenticato. Levi era sempre un passo avanti ad Eren e il ragazzo dal canto suo, non aveva mai visto nessuno correre tanto veloce. Finiva sempre per fissare la sua schiena minuta e impeccabile, perfettamente fasciata da qualsiasi indumento indossasse.
Una volta gliel’aveva chiesto a Levi il perché corresse sempre così veloce. Lui l’aveva perforato con quei suoi occhi impenetrabili e aveva risposto in tono secco. Sono sempre stato abituato a scappare, fin da bambino. Così aveva detto, ma la discussione era morta li. Il più giovane aveva imparato a capire che l’altro non amava ricordare il suo passato. Qualsiasi domanda gli venisse fatta su tutto ciò che riguardava quello che aveva vissuto il suddetto criminale, veniva liquidata con un “tsk, moccioso fatti i cazzi tuoi.” Quindi Eren aveva rinunciato all’idea di far domande su tale argomento con la speranza che, un giorno, quell’omino più basso di lui di circa dieci centimetri si fosse fidato di lui e gli avesse raccontato tutto.
La sua era solo una patetica speranza, però.
-Muoviti, marmocchio.- disse Levi salendo in una Porsche decappottabile blu metallico. Era una macchina molto bella, Eren l’aveva adorata dal primo istante. Ciò che, però, rendeva speciale quell’auto era che  su di una portiera erano state disegnate, sotto direttiva di Levi, due ali: una bianca e una cobalto. All’inizio, il ragazzo, non capiva nemmeno cosa stessero a significate, ma poi l’altro gliel’aveva spiegato, sempre con quella sua aria distaccata. Gli aveva detto che quelle erano le ali della libertà, le ali che possiedono le persone libere da ogni ordinamento sociale e da ogni regola. E allora Eren aveva capito il loro senso e aveva cominciato ad apprezzarle perché anche lui aveva sempre aspirato a quello.
Levi gli passò la borsa in pelle marrone in cui aveva depositato ogni singola banconota rubata in quel sudicio bar. Il più giovane la prese al volo e scavalcò la portiera della macchina senza aprirla. Il moro gli rivolse uno sguardo omicida che Eren ricambiò con un sorriso idiota.
-Se mi strisci la macchina…- sibilò mettendo in moto.
-Lo so, lo so- rise Eren nascondendo la borsa con i soldi sotto il suo sedile. Non fece nemmeno in tempo ad sedersi che Levi partì subito in quarta. Per poco non piantò il naso sul parabrezza. Emise un piccolo gemito non appena si rese conto di aver mancato il vetro di qualche centimetro. Con la coda dell’occhio riusciva già a vedere il sorrisetto divertito dell’altro. Che vendetta infame, mica gli aveva strisciato la macchina! D’altronde, però, lasciar guidare Levi era come dare un coltello ad un assassino. Non sai mai se possa ucciderti o no. A Eren non dispiaceva certo, lui amava il rischio. Si sistemò sul sedile e sollevò entrambe le braccia al cielo lasciandosi cullare dall’aria fresca e tagliente dei primi giorni di primavera. Il sole stava tramontando all’orizzonte definendo perfettamente il perimetro dei palazzi. Era così bello quel panorama. Alla fine di ogni rapina si sentiva così felice e libero. Non si era ancora abituato a quel piacere così strano.
Levi accese la radio e strinse con entrambe le mani il volante. Prese la prima autostrada senza sapere bene dove si sarebbe fermato, probabilmente molto lontano da quel posto. Da lì ricominciava il loro viaggio verso la libertà, da lì sulle note di “Can’t hold us*”.
 
-Leviii! Leviii! Leviii!- protestò ad un certo punto Eren.
-Che vuoi?-
-Ho fame!- Levi sbuffò e lo guardò per un attimo senza, comunque, fermare la macchina.
-Eren è mezzanotte…come diamine fai ad avere fame?!- disse con il tono più calmo che poté. Eren gli piantò un’espressione da cucciolo.
-Ma Levi, non abbiamo cenato!- il moro sospirò profondamente. Sapeva che quando quel moccioso aveva fame dovevano per forza fermarsi altrimenti quello stupido si sarebbe messo a mangiare i soldi della loro rapina. Aveva una testa così dura.
Per rubare qualche migliaia di dollari si erano dovuti fermare in quella cittadina più del previsto. Eren aveva cominciato a lavorare lì da un paio di giorni, guadagnandosi la fiducia del proprietario mentre Levi se n’era stato barricato in un hotel a due stelle poco lontano dal locale. Era stato tutto molto, quasi troppo semplice e anche se Eren rompeva molto quando si metteva, era utile.
Il moro uscì dall’autostrada e finirono in un altro paesello sperduto. C’erano poche insegne accese e per le strade non si vedeva nessuno.
-Andiamo a mangiare lì.- sentenziò il castano puntando il dito verso un edificio abbastanza piccolo poco lontano da dove si trovavano.
-Non ci penso neanche.-
-Perché? A me piace quella roba!- protestò Eren.
-A me no. I McDonald’s sono sempre troppo sporchi, non oso immaginare con cosa preparino il cibo.- sentenziò definitivamente Levi deciso a cambiare direzione.
-Prendiamo al drive-in! Per favore! Tu puoi prenderti anche solo un’insalata!-
-No.-
Ancora quegli occhioni da cane bastonato.
-Ho detto di no, non guardarmi così, imbecille.-
Quanto voleva cambiargli i connotati in quel momento.
-Ok. Ma è l’ultima volta che ti porto a mangiare sta schifezza.-
Eren gli sorrise soddisfatto.  
 
-Buonasera, cosa volete ordinare?- una voce femminile con un riverbero leggermente metallico richiamò l’attenzione dei due. Proveniva da una piccola struttura rettangolare alla destra della macchina. Aveva una voce abbastanza piatta ed irritante, motivo per cui Levi non sopportava i commessi dei fast food. Gli davano fin troppo sui nervi. Fece schioccare la lingua sonoramente mentre Eren, dal canto suo sembrava in estasi.
-Un big mac con patatine medie, due coca cola una piccola e una grande e un insalata mista, grazie- disse il più piccolo in direzione del citofono.
-Ok, voi siete l’ordine 10. Arrived- Levi non aspettò nemmeno che la donna finisse e accelerò verso il luogo in cui si ritirava il “cibo”. Aspettarono pochi minuti, poi una signorina dall’aria stanca e piuttosto scazzata fece capolino dal fondo della stanza tenendo in mano un sacchetto di carta riciclata con una striscia verticale rossa sul lato destro. Al centro troneggiava quella stupida “m” colorata di un giallo opaco. Sotto di questa la scritta “I’m lovin it” fece schioccare una seconda volta la lingua a Levi. Lui l’avrebbe proprio amato quel fast food.
-Sono 7.4 dollari.- affermò con il solito tono piatto la donna tendendo ai due la busta.
-Ti sei lavata le mai prima di prendere la quella roba?- domandò con uno sguardo truce il moro.
-Eh?- fece la ragazza con un espressione tra il sorpreso e lo spaventato. Eren sospirò, perché Levi si divertiva a far violenza psicologica alla gente? Decise di prendere l’iniziativa e si sporse verso la signorina, appoggiando un ginocchio vicino alla coscia destra di Levi, la mano destra tesa a prendere la loro cena e la mano sinistra esattamente in mezzo alle sue gambe.
-Lascialo stare, tanto la sua insalata è in scatola, per cui se la tocchi solo lui.- cercò di sorridere Eren prendendo il sacchetto e tendendole delle banconote. La signoria ritirò le banconote e notò con stupore che quando il ragazzo castano cercò di rimettersi a sedere l’altro gli aveva bloccato il polso sinistro, lo aveva preso per la nuca  e gli aveva depositato un grosso succhiotto rossastro sulla porzione di pelle qualche centimetro sotto l’orecchio.
-E-Ehi!- balbettò improvvisamente rosso in viso il più piccolo.
-Mi hai provocato, cazzone.- Eren si liberò dalla presa e si risedette al suo posto, il moro accelerò all’improvviso mozzando a metà, per la seconda volta, il saluto incredulo della ragazza.
-Non è buon motivo per fare certe cose in pubblico!- si lamentò imbarazzato il più piccolo. Adorava quando Levi lo marchiava con questi modi così dolci e allo stesso tempo possessivi. Lui era così: per la maggior parte del tempo faceva la persona fredda e distaccata, ma con le cose a cui teneva era terribilmente possessivo e territoriale. Questo però non impediva a Eren di sentirsi in imbarazzo ogni volta che il moro lo faceva senza preavviso. Si posò una mano nel punto in cui Levi l’aveva toccato e notò con un sorrisetto stupido stampato in faccia che la pelle in quel punto era umidiccia e calda.
-Io lo faccio quando voglio.-  Eren  sbuffò, poi aprì il sacchetto e ne estrasse il big mac con sguardo famelico. La sensazione di calore sulla pelle dei polpastrelli, il profumo di carne e salse varie, l’odore di fritto…lo stomaco del castano si risvegliò cominciando ad urlare vendetta. Da quanto tempo Levi non lo portava a mangiare quelle schifezze?! Il più piccolo scartò il panino rivelando un hamburger, a suo parere, perfettamente assemblato.
-Che stai facendo?- lo richiamò stizzito il moro.
-Mangio.- Levi si fermò sul parcheggio semi vuoto di un motel e, mettendo il freno a mano, si voltò verso il ragazzo con uno dei suoi bellissimi sguardi minacciosi. Questo però era reso ancora più impressionante dalle occhiaie appena accennate sotto gli occhi.
-Esci o ti sgozzo.-
-Perché?- chiese intuendo già la risposta Eren. Adorava anche far uscire di testa Levi. Soprattutto quando si parlava di cibo e della sua macchina.
-Tu non mangi normalmente, ecco perché non puoi mangiare nella mia macchina.- il castano sbuffò un po’ contrariato prima di richiudere il sacchetto ed uscire dalla macchina.
 
-Levi! E’ l’una e mezza di notte! Perché devi disinfettare ogni singolo mobile?! Spendiamo più di amuchina che di motel!- si lamentò Eren che nel frattempo si era sdraiato sul letto ed era intento a guardare quali squallidi programmi stessero facendo alla tv a quell’ora. Il moro, intanto, stava disinfettando con un panno bianco il mobile su cui era posizionata la televisione. Aveva già scoperchiato il letto verificando che non ci fossero macchie di qualche genere e poi si era dedicato al bagno. Aveva a malapena toccato la sua insalata tanto che Eren ne aveva approfittato e l’aveva finita senza farsi notare.
-Lo sai che odio fermarmi in questi posti, ma devo portarmi dietro un mocciosetto che non riesce a stare senza cibo per più di tre ore.- sibilò non curandosi del volume della voce.
-Posso convincerti a venire a letto in qualche modo?- disse Eren con voce sensuale. Levi si girò a guardarlo per un attimo. Assottigliò gli occhi come se volesse capire se l’altro fosse veramente serio. Quanto piaceva  ad Eren quando il moro lo guardava in quel modo. Gli piaceva perché una specie di luce illuminava quegli occhi grigi e profondi. E quella luce era la voglia di Levi di fare qualcosa di molto poco casto con il più piccolo.
-No. Ora devo pulire.-
Eren ogni volta si dimenticava che le manie di quello erano molto più forti di tutto il resto.
 
 
 
-Mary? Io ho finito il turno, ti accompagno a casa, ok?-
-Mike vieni qui un attimo…hai presente i due ragazzi a cui abbiamo appena fatto questo ordine?-
-Si, quelli con la macchina blu?-
-Si…non ti sembra che questi soldi abbiano qualcosa di strano?- Mike osservò i sette dollari che aveva in mano Mary.
-Ma questi…sono dei falsi!-
-Cazzo.-

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Buona sera gente! Eccomi ritornata con il secondo capitolo "ritorno al passato"!
Ringrazio le persone che seguono la storia (essendo un AU un po' particolare non pensavo piacesse in questo modo eheh).
Ho deciso di alzare il rating in previsione di qualche scontro tra ladro-polizia, non che sia un'amate del sangue, risse e cose così però insomma, in una storia così ci sta xD
In ogni caso, spero che continuerete a seguirlo e a segnalarmi eventuali errori :3 siete molto utili! 
Come al solito non so quando aggiornerò la prossima volta perché si prospettano due settimane infernali a scuola T.T auguratemi buona fortuna T.T
Ah! Ultima cosa, ci saranno dei fatti, sul passato di Levi che sono ancora avvolti nel mistero, ebbene non vi preoccupate è tutto normale! Saranno chiarite in seguito (soprattutto il rapporto Smith-Levi eheh).
Buona Lettura! :D

 



Capitolo 4




-P-Pronto?-
-Leeeevi!-
-Oh, Hanji!- disse con un po’ troppo fiatone il moro.
-Ehi, tutto bene? Stai per caso facendo qualcosa di pervertito? Lo sento il tuo fiatone, eh- azzardò la ragazza con una nota di malizia nella voce.
-A-Ah, divertente. Puoi aspettare solo un secondo?- Levi non aspettò nemmeno che Hanji gli avesse risposto. Poggiò il cellulare nella tasca dei jeans e si voltò. Davanti a lui c’era un agente della polizia, quel tipo non lo aveva mollato un secondo da quando era uscito dal supermercato. Aveva rubato solo un po’ di cibo in scatola, non era nemmeno riuscito a prendere i guanti.
-E’ finita, criminale.- sentenziò l’uomo, molto più vecchio di lui. Era completamente pelato, gli occhi erano incavati in grosse occhiaie scure. Era molto più vecchio di Levi perché aveva fin troppe rughe. L’unica cosa che rendeva un po’ meno inquietante quell’uomo era il suo pizzetto castano scuro all’altezza del mento. Era molto abbronzato, quindi, quello che aveva davanti aveva tutta l’aria di essere uno di quei poliziotti che se ne stanno a far nulla in giro per la città.
Levi sfoggiò uno dei suoi ghigni agghiaccianti: gli occhi si assottigliavano di poco, raggelando la persona a cui erano rivolti, sul posto, mentre le sue labbra si piegavano in maniera quasi innaturale all’insù.
-Fatti sotto, vado di fretta.- l’agente digrignò talmente tanto i denti che il moro riuscì a sentirne il rumore sinistro. Scattò in avanti senza nemmeno pensare ad una vera strategia per incastrare il ladro e cercò di piazzargli un destro. Levi si abbassò di scatto, allungò la gamba destra e gli fece lo sgambetto. Il poliziotto si accasciò a terra e il moro ne approfittò per assestargli due calci all’altezza dello stomaco. Il più vecchio gemette piano, poi si prese la pancia a due mani e si rinchiuse a ricco. Nel giro di una manciata di secondi Levi l’aveva steso. Che incapace.
-Tsk, che rammollito.- Levi superò il vigile e fece per uscire dal vicolo in cui stavano combattendo. Non riuscì nemmeno ad arrivare alla strada principale che la voce dell’altro lo bloccò.
-Fermati, bastardo!- si sentiva chiaramente terrore nella sua voce arroccata. Il più giovane si girò di nuovo e quando notò la pistola che il poliziotto si era deciso a tirare fuori sorrise divertito.
-Mi pareva strano che una testa di cazzo come te non la usasse.-
-Stai attento a quello che dici, posso spararti ora.- questa volta fu l’agente a ghignare.
-Tsk, noioso.- sbuffò il moro –Peccato, vorrei intrattenermi con te, ma ho una tipa al telefono che se faccio aspettare ancora potrebbe vivisezionarmi.-  Levi si portò la mano destra al fianco opposto e incastonata tra la cintura dei pantaloni e la camicia bianca vi trovò una calibro 35. Saltò velocemente di lato. Afferrò al contrario la guancetta dell’arma e premette il grilletto con il mignolo. Colpì esattamente il palmo della mano dell’altro che mollò la pistola di colpo. Il moro concluse il tutto sparandogli un secondo colpo alla coscia destra in modo che non potesse muoversi. L’uomo una seconda volta si ritrovò a terra. Iniziò a ringhiare dal dolore mentre con una mano si teneva la gamba ferita. Una piccola chiazza di sangue scuro si creò sotto al poliziotto. Levi si avvicinò con passo spedito all’agente, si chinò su di lui e prese la sua pistola.
-Non frignare, ti ho beccato di striscio.- disse con disprezzo.
-S-Sei feccia…!- gli sputò addosso l’altro non smettendo di stringersi la gamba. Il moro si girò, questa volta per l’ultima volta, verso la strada principale.
-Addio agente Keith Shadis.-  disse in tono piatto rimettendosi le due pistole alla cintura dei pantaloni.
Levi uscì dal vicolo disperdendosi tra la folla.
 
-Eccomi, che vuoi, Hanji?-
-Ma che stavi facendo?! Mi hai fatto aspettare un sacco, se ti serviva tempo potevo sempre riattaccare!- gli urlò contro la ragazza non veramente arrabbiata.
-Ero impegnato, cazzona. Ora dimmi che vuoi sennò ti riattacco il telefono.- affermò con stizza.
-Calmati! Faccio una festa questo week end e ho intenzione di fare una rimpatriata di classe. Sai come ai vecchi tempi!-
-Tsk, non ho voglia di vedervi. Non mi mancate per niente. Non vengo.- disse Levi percorrendo velocemente le vie affollate di quella città in cui si era fermato solo per uno spuntino.
-Nemmeno se ti dicessi che c’è anche Petra?- azzardò Hanji. Il moro si bloccò per un attimo. Rimase immobile a fissare il cielo di fronte a lui. Appena aveva sentito quel nome il suo respiro quasi gli si era fermato. Aveva veramente voglia di vederla. Come aveva veramente voglia di vedere Erd e Auruo e Gunther. Ma questo non l’avrebbe mai detto a nessuno.  Loro, si, gli mancavano davvero molto. Era da così tanto che non li sentiva e, da così tanto tempo che non passavano del tempo insieme. Era da quando era successa tutto quello che non si parlavano.
Riprese a camminare subito dopo aver stretto un po’ di più la presa sul cellulare.
-A maggior ragione. Non voglio vederli.- Hanji stette per un attimo in silenzio, ma Levi riusciva a sentire che la ragazza stava sorridendo dall’altra parte della cornetta. Era sicuro che stesse sorridendo perché l’aveva beccato. Si, aveva beccato ancora una volta il suo punto debole. Il moro arrivò alla sua Porsche e dopo aver aperto la portiera si sedette sul sedile in pelle scuro.
-Va bene, fai come vuoi. Faccio la festa a casa mia…Sei stato via parecchio, ma sono sicura che casa mia, come il posto in cui sei cresciuto non sia difficile da dimenticare.- la donna sospirò, probabilmente perdendosi nei ricordi della loro adolescenza. Quando ancora Levi e Erwin erano in quel paesino e quando ancora nessuno di loro si sentiva capace di pensare al futuro. Quando loro tre passavano i pomeriggi liberi a fumare le sostanze più improbabili e quello strambo di Mike Zacharias graffitava qualsiasi muro gli capitasse sottomano. 
-In ogni caso la festa comincia alle 19 di sabato e ci saranno anche alcuni miei “alunni” quindi, sarà parecchio movimentata la serata.- ridacchiò. –Ci vediamo presto!-
-Ciao.- Levi riattaccò e si abbandonò sul sedile dell’auto. Si lasciò sfuggire un sospiro molto lungo e sofferente mentre, il suo sguardo vagava tra le persone che camminavano di fianco alla sua macchina. Alla fine era arrivato alla resa dei conti, eh? Ma doveva rivederli prima o poi. E questa era l’occasione giusta per dirgli definitivamente addio.
Mise in moto e calcolò il tempo che gli sarebbe voluto per arrivare a casa di Hanji. Circa una giornata con qualche pausa, sarebbe arrivato lunedì sera. Abbassò la cappotta e accese la radio a tutto volume, poi partì. Destinazione? Il suo passato.
 
Parcheggiò la macchina esattamente davanti a casa di Hanji, si sarebbe divertito davvero molto a svegliarla nel cuore della notte. Ma in fondo lui agiva in buona fede: voleva solo un posto in cui passare la notte e visto che non aveva nessuna intenzione di chiedere alla sua vecchia squadra di ospitarlo, l’unica libera era quella psicopatica disadattata. Ancora non ci voleva entrare lì, però. Quindi optò per farsi un giro nella sua vecchia città. Camminò nel silenzio più assoluto per le stradine illuminate solo dai lampioni. Si guardò intorno distrattamente notando con un po’ di malinconia che erano state costruite molte case rispetto a quelle che c’erano un tempo. La sua attenzione, però, ricadde su una casa più curata del solito. Un’abitazione di quelle che spiccano tra le altre. Dovevano passarsela molto bene. Perché non festeggiare il suo ritorno con una piccola piccola rapina? Scavalcò il cancelletto basso senza troppa fatica e camminò per il vialetto. Salì le scalette con passo svelto e silenzioso, studiò per un attimo la porta, estrasse un cartoncino plastificato dalla tasca e lo fece scorrere tra la porta e lo stipite. La serratura scattò con leggero “click”. Che idioti, non avevano nemmeno chiuso a chiave la porta. Entrò facendo molta attenzione a non far troppo rumore, stava per accendere il cellulare e farsi luce, ma notò con disappunto che la luce di quello che doveva essere il salotto era accesa. Chi diamine se ne stava sveglio alle tre? Si affacciò all’entrata del salotto e fu in quel momento che sentì un lieve russare. Il suo sguardo vagò all’interno della stanza, poi si posò sul divanetto girato che non gli permetteva di distinguere chi ci stesse dormendo. Si avvicinò piano, vinto dalla curiosità e quello che vide lo paralizzò sul posto. Un ragazzo, un giovane ragazzo, dai capelli corti e castani. La pelle candida di chi passa molto tempo in casa, le guance non troppo in carne e le labbra piene. Aveva la mano destra appena sotto alla canottiera color crema che rivelava uno spicchio di pelle dello stomaco. Dio, se era bello quel moccioso.
Rimase per un istante a bearsi di quella bella vista, poi si voltò facendo schioccare la lingua. Poco male, avrebbe derubato anche lui.
Si diresse in cucina con passo veloce, ma allo stesso tempo silenzioso. Afferrò il cellulare nella tasca dei pantaloni e attivò la modalità “pila”. Individuò il lavello e aprì le porticine che si trovavano sotto ad esso cominciando a cercare ciò che gli interessava. Anche se quella casa sembrava molto pulita, non voleva rischiare, quindi si mise a cecare i guanti di gomma. Avrebbe usato i suoi di guanti, ma l’ultimo paio li aveva sprecati per rubare un po’ di soldi in un paesino di contadini. Perché non comprarsene di nuovi? Era quella la sua idea, se solo quel maledetto poliziotto non lo avesse beccato e avesse cominciato a rincorrerlo.
Ormai erano più di dieci minuti che cercava e non aveva trovato nulla e, ancora peggio, la sua pazienza era al limite. Ringhiò contro quella enorme quantità di spugne e detersivi e ricominciò la sua ricerca daccapo. Stava sul serio per abbandonare l’dea di trovarci qualcosa dentro quel mobiletto e fare tutto a mani nude, quando sentì dei passi dietro di lui. Di nuovo era stato scoperto, quel giorno.
Che stesse veramente invecchiando?
Si alzò di scatto notando con poca sorpresa che a scoprirlo sta volta era stato il mocciosetto che stava dormendo sul divano. Prese l’attizzatore che aveva in mano il ragazzo e gliela mise al collo bloccandolo contro di lui. Solo in quel momento si accorse di quanto alto fosse. A malapena riusciva a trattenerlo. Che mocciosetto fastidioso.
 
 
Che delusione, lui che voleva solo un po’ di spiccioli. Uscì dalla casa dall’abitazione di corsa, consapevole che la ragazza “occhi-da-assassina” lo stava seguendo. Era parecchio veloce e quel suo sguardo era molto inquietante.  Meno aveva a che fare con quella, meglio era. Si accorse all’ultimo di una stradina che era molto utilizzata quando era ragazzo, ma che ora sembrava disabitata visto l’erba alta. Svoltò velocemente e facendo attenzione a non farsi sentire si accovacciò dietro un cespuglio. Vide la ragazza fermarsi nel mezzo della strada disorientata. Dopo essersi guardata intorno un paio di volte tornò indietro. Aprì la mano che aveva tenuto stretta a pugno fino a quel momento e cominciò a rigirarsi tra le dita la chiave che era riuscito a sfilare dalla tasca dei pantaloni del ragazzo. Non sapeva nemmeno perché l'aveva presa, solo non riusciva ad uscire da una casa a mani vuote. Si domandava cosa avrebbe potuto aprire una chiave dalla forma così bizzarra. Sbuffò e se la mise in tasca, qualcosa ci avrebbe trovato da fare con quell'aggeggio.
 
Si ritrovò presto a casa di Hanji, controllò che la sua macchina fosse intatta poi, dopo aver aperto il cancelletto (lei lo teneva sempre aperto) percorse il breve vialetto. Di sera guardare il giardino di Hanji metteva i brividi: attaccata ad ogni pianta (se si potevano chiamare piante quei risultati di laboratorio) c’era una targhetta con incomprensibili formule e nomi. La donna aveva, infatti, continuato gli studi dopo il liceo e si era specializzata in biochimica e biologia, ma continuava a seguire per conto suo qualche studio di medicina e chimica organica. Una vera e propria fissata. Chissà se si sarebbe mai sposata. Arrivò al portone e si guardò per un attimo intorno. Era veramente da tanto tempo che non andava lì. Trovò il vaso di orchidee sempre al solito posto accanto al tappetino d’entrata, si chinò e alzò leggermente il contenitore di ceramica. Lì sotto vi trovò una piccola chiave argentata la cui superficie brillava alla luce della luna. La prese e aprendo la porta finalmente entrò. I suoi denti cominciarono a battere violentemente, gli pareva ci fossero molti gradi sottozero. Sembrava di stare dentro un frigorifero gigante. Non fece nemmeno in tempo a chiudere la porta che un “Leviiii” lo assordò. Ricambiò il suo saluto con un’imprecazione che lei accolse con una risata per niente intimidita, ovviamente.
-Sei venuto!- i suoi occhi erano lucidi.
-Hanji? Sei tu?- non se la ricordava così nostalgica.
-No, non sono emozionata per te, sapevo che saresti venuto, è solo che ho appena finito di sezionare il topo che si aggirava per casa mia, sai se li studio bene, prima o poi troverò il loro punto debole e potremmo finalmente debellarli.-
Levi fece una smorfia di disgusto. Ora la riconosceva.
-Ho bisogno di un posto per passare il tempo, posso stare qui?- chiese prendendo dalle mani della ragazza la coperta che gli stava tendendo.
-Va bene! Però devi accontentarti del divano.-
-Pulito?-
-Ovvio!-
-C’era un topo in casa tua e mi dici che è pulito qui?- disse il ragazzo studiando il divanetto rossastro.
-I topi sono dappertutto! In ogni caso ti devi accontentare. Ora se permetti, vado a dormire.- la donna si congedò con un sorrisetto furbo. Quanto le dava fastidio quella donna.
Fece scorrere un dito sulla superficie del divano e notò con sorpresa che non era così sporco come si aspettava. In fondo, però, era davvero tardi, quindi si accontentò di quel posto. Il giorno dopo avrebbe dato una bella ripulita a quella casa che sembrava non aver mai visto la luce.
 
La settimana a casa di Hanji non fu poi così male come si era aspettato. Certo, sistemare quella casa era stata un’impresa molto ardua per non parlare dei residui di cibo sparsi per la cucina, però alla fine Levi c’era riuscito a sistemare quel posto. In più, doveva ammettere seppur con riluttanza che stare in compagnia della sua vecchia amica era stato piacevole. Troppe volte però gli era tornata in mente la sua adolescenza, quindi aveva deciso che quella sarebbe stata l’ultima volta che sarebbe tornato al suo paese d’origine. Doveva riuscire a cambiare pagina. Doveva riuscire a liberarsi anche da quello.
-Hanji! Hanno suonato, vai ad aprire è la tua festa.- urlò acidamente Levi che se ne stava comodamente sdraiato sul divano. Sabato sera era arrivato molto presto e lui aveva la bruttissima sensazione che quella festa sarebbe stata la sua condanna.
-Ho appena finito di fare la doccia, intrattienili tu gli ospiti!- Levi sbuffò sonoramente. Aveva avuto tutto il pomeriggio per prepararsi! Scaraventò sul divano il libro che stava leggendo e facendo attenzione a non urtare i tavolini stracolmi di bevande e stuzzichini andò ad aprire. Quello che vide non appena aveva aperto la porta lo stupì e lo divertì allo stesso tempo. Levi scrutò per lunghi secondi il mocciosetto dai capelli castani,  vederlo così stupito lo divertiva e non poco. In più, alla luce del tramonto colse una cosa che con la poca luce del giorno prima non aveva notato: i suoi stupendi occhi verdi. Avevano un colore indescrivibile, quasi come se fossero stati plasmati unendo il blu intenso dell'Oceano e il verde acceso dei prati primaverili.
-Non pensavo che Hanji vivesse con qualcuno…- disse un ragazzino dai capelli biondi. Spostò lo sguardo sull’altro ragazzo che nemmeno aveva notato fino a quel momento. Sentiva ancora lo sguardo del mocciosetto su di lui.
-Infatti, sono un amico e immagino che voi due siate qui per la festa.-
-S-Si…- balbettò il biondino leggermente intimorito.
-Entrate. Siete i primi.- Levi si spostò di lato di un poco in modo da permettere ai due di entrare. Il biondino entrò velocemente fiondandosi subito sul divano. Il castano fece per entrare, ma Levi lo bloccò per un braccio. Assottigliò gli occhi stringendo la presa sul suo avambraccio.
-Tu non hai visto niente lunedì sera, intesi?- sibilò.
-M-Ma che cazz…?- Levi strinse ancora la presa e vide l’altro strizzare gli occhi.
-Ok!- urlò il più piccolo. Il moro gli lasciò il braccio e si esibì in uno dei suoi ghigni divertiti.
-Divertiti alla festa mocciosetto!- concluse Levi chiudendosi la porta alle spalle.
-Mi chiamo Eren!- disse il ragazzino evidentemente arrabbiato per quel nomignolo. 
Sarebbe stata una festa particolare senza dubbio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ciao a tutte care lettricii! Eccomi tornata con il quinto capitolo (quello con Levi e Eren ora xD), lo so sono in ritardo, ma non è colpa mia T.T è colpa delle maledette ultime verifiche. Spero di dedicarmi di più a questa fic durante le vacanze :3 In ogni caso, in questo capitolo, finalmente, ci sarà un po' di sana e costruttiva Riren! Yeey! Ci saranno ancora un sacco di misteri misteriosi, ma presto verrano chiariti (?) almeno in parte.
Quindi vi lascio al mio punk (?) Levi!
Buona Lettura!



 
Capitolo 5




Eren aprì lentamente gli occhi. Li strizzò un paio di volte, poi cominciò ad osservare attentamente intorno a sé nella penombra che c’era all’interno della stanzetta. Inutile dire che era tutto splendente, ora sembrava un albergo a quattro stelle non un lurido motel. Cercò di muoversi, ma qualcosa glielo impediva. Abbassò lo sguardo e notò che sul suo petto nudo era adagiata la testa di Levi. I capelli neri come la pece erano sparsi disordinatamente sul suo petto mentre la nuca ne era completamente sguarnita. La trapunta grigia copriva Eren fino allo stomaco mentre Levi  ce l’aveva fin sopra le spalle. Il più giovane sollevò di poco il braccio e posò le dita dapprima tra i capelli morbidi dell’altro poi sulla nuca ed infine sulla mandibola. Lì, ogni volta Eren si divertiva ad accarezzare quella pelle così liscia disegnando piccoli cerchietti fino a che l’altro non emetteva un lieve grugnito e si svegliava.
Alla fine, la sera prima, proprio mentre il castano stava per addormentarsi l’altro l’aveva raggiunto a letto. Eren, che ancora se ne stava con la schiena appoggiata alla testiera del letto e le gambe al petto ne era rimasto molto stupito, ma Levi aveva gattonato verso di lui, gli aveva divaricato le gambe con la sua poca grazia e si era infilato in mezzo ad esse senza nemmeno aspettare una qualche risposta dall’altro. In fondo Levi era così: ciò che era suo se lo prendeva quando e come voleva. Aveva fatto aderire le sue cosce contro il bacino di Eren, aveva appoggiato le mani appena dopo i fianchi dell’altro e si era teso su di lui per scoccargli un bacio quasi dolce. Quello era un premio, Eren lo sapeva. Quel bacio voleva dire “bravo cagnolino che hai aspettato”. Entrambi sapevano fin troppo bene che nessuno dei due aveva molta pazienza e più che parlare si esprimevano con gesti o con espressioni. Sapevano leggere l’uno nelle azioni dell’altro visto che ormai erano insieme da tre anni abbondanti. Poi Levi aveva approfondito quel bacio esercitando maggiore pressione con la sua bocca, il castano aveva schiuso le labbra e aveva permesso alla lingua esperta dell’altro di esplorarlo ancora una volta. Eren aveva emesso un lieve gemito non appena il moro aveva cominciato ad armeggiare con la sua camicia. Aveva scoperto la pelle del petto e aveva cominciato ad aggiungere altri succhiotti a quello che gli aveva impresso qualche ora prima in macchina. Levi adorava rubare all’altro gemiti, adorava sentirlo fremere sotto il suo tocco quindi, ogni volta che facevano sesso si inventava nuovi metodi sempre più incisivi per appagarlo. Inutile aggiungere che Eren amava la fantasia del compagno.
Gli occhi grigi di Levi si fissarono all’improvviso sull’altro. Non lo aveva nemmeno sentito muoversi da quanto era preso a ricordare quello che avevano fatto la sera prima.
-Buon Giorno, Levi!- disse solare come sempre il più giovane.
-‘Giorno.- gli soffiò addosso l’altro con tono gelido mentre si stiracchiava leggermente. I due si guardarono per qualche secondo senza una precisa motivazione, semplicemente erano felici di trovare l’uno accanto all’altro. Si erano svegliati così tante volte senza qualcosa, chi per un padre codardo chi per i suoi compagni,  che sapere di avere qualcuno che non ti lascerà mai li rendeva felici.
-Eren..?- borbottò Levi all’improvviso.
-Uhm?- ribadì l’altro sorpreso.
-Puzzi.-
-Anche tu!- disse il castano offeso. Levi fece una smorfia di stizza. In effetti nessuno dei due aveva pensato a farsi una doccia la sera prima, soprattutto per la stanchezza.
Quelli erano i pochi momenti in cui non emergeva il lato malato di pulizia di Levi.
Il moro si disfò del braccio di Eren sbattendolo sul materasso quasi con irritazione e ancora semi nudo si era diretto alla porta del bagno.
-Levi, facciamo la doccia insieme?- proruppe il più piccolo già pronto ad alzarsi dal letto.
-No.- immediatamente l’altro smorzò il suo entusiasmo.
-Perché??- disse dispiaciuto il più piccolo.
-Devo ricordarti l’ultima volta?-
-Ah, già…-
-Tsk…- sibilò Levi prima di chiudersi la porta alle spalle. In effetti l’idea della doccia insieme non era stata una grande trovata dal momento che entrambi erano sempre stati abituati ad avere i proprio spazi. Già adattarsi a dormire nello stesso letto era stata un impresa, poi in un doccia, con quello spazio ristretto e il corpo fin troppo gigantesco di Eren… Avevano finito per tirarsi gomitate a vicenda, chi sulla testa dell’altro per l’altezza, chi sul fianco dell’altro per la bassezza. L’avevano fatto solo una volta e poi Levi non ne aveva più voluto saperne. Se Eren insisteva più a lungo del “Devo ricordarti l’ultima volta?”, Levi cominciava ad insultarlo e a dirgli che la pulizia personale era una cosa sacra e che, ovviamente, Eren non ne capiva niente di quelle cose.
Levi uscì dal bagno circa un quarto d’ora dopo asciugandosi i capelli bagnati. Una mano appoggiata all’asciugamano bianco sulla sua testa, qualche gocciolina d’acqua che scorreva lungo il collo senza alcun impedimento, i capelli scuri appiccicati alla fonte e quell’aria distratta: vederlo in quello stato eccitava Eren, e non poco. Il più piccolo si perdeva ad osservare ogni suo movimento, anche il più piccolo e inutile. Non sapeva nemmeno per cosa gli piacesse così tanto quel corpo, insomma Levi non era il massimo di simpatia o di compagnia, eppure Eren non riusciva a stare senza di lui. Quell’uomo era come una calamita irresistibile per lui.
-Hai intenzione di fissarmi ancora per molto, moccioso?-
-Eh?- si riscosse all’improvviso il più piccolo.
-Per quanto ancora vuoi guardarmi il culo?- disse sempre schietto Levi. Eren arrossì senza ritegno.
-N-Non ti stavo guardando il culo!- “almeno non solo quello”, aggiunse nella sua testa.
-Tse, vai a farti la doccia che dobbiamo andare tra poco.- Eren scattò in piedi come una molla. Non vedeva l’ora di partire un’altra volta alla scoperta del mondo. Stare in un posto per troppo tempo non era da lui e nemmeno da Levi.
 
-Dove andiamo oggi?- chiese con la sua solita voce emozionata quando si trattava di viaggiare. Si appoggiò al cofano della macchina vicino a Levi che era intento fumarsi una sigaretta. Il moro fece qualche tiro, poi si decise a rispondergli.
-Non abbiamo una meta precisa, in realtà.- Eren parve deluso. Levi sospirò.
-Però…volevo andare a fare un giro a New York in uno di questi giorni.- Levi non aveva buoni ricordi di New York, ma quel giorno era vicino, quindi trovarsi nei dintorni non avrebbe guastato. In più, come se non bastasse quell’idiota di Eren aveva già un sorrisetto ancora più idiota stampato in faccia.
-C-Che figo!- da quanto era agitato balbettava, Levi sapeva che non avrebbe dovuto dirglielo. Ora per tutto il viaggio avrebbe continuato a stressarlo con “siamo già arrivati?” o “quanto ci metteremo ancora?”. Era una seccatura portarselo dietro ovunque, ma doveva riconoscere che avevano la stessa curiosità. Ormai l’America, Levi, l’aveva vista tutta dal Canada all’Argentina, ma ogni volta che partiva per una nuova destinazione sentiva un brivido corrergli lungo la schiena. Ogni volta si stupiva di quei posti.
-Quanti giorni mancano per Washington?- chiese Eren improvvisamente serio.
-Quasi due settimane, ma vorrei essere lì qualche giorno prima. Non mi fido di tuo padre.- il castano cominciò a fissare un punto fisso davanti a sé. Le sopracciglia corrugate in una smorfia di rabbia improvvisa. Era sempre così quando si parlava di Grisha.
-Non è mio padre. Per me rimane solo un criminale codardo.-
-Non era molto diverso da noi..-
-Noi non abbiamo mai ucciso.-
-Non lo puoi sapere.- disse Levi guardandolo impassibile. Eren digrignò i denti e strinse i pugni lungo i fianchi. Il moro aveva ragione, ma ammettere di essere simile al padre lo bruciava dentro perché lui lo odiava quell’uomo. Levi lo capiva, ma non poteva farci nulla. Tutto richiede un prezzo…prima o poi.
Il più grande ispirò per l’ultima volta una boccata di fumo dalla sigaretta, poi la spense sotto la suola della scarpa.
-Andiamo.-
 
-It’s seems like everyday I make mistakes. I just can’t get it right. It’s like I’m the one you love to hate, but not today! So…-
-Per favore Eren, no.
-Shut up! Shut up! Shut up! Don’t wanna hear it!-
-Sembra il lamento-
-Get out! Get out! Get out! Get out of my way!-
-di una foca spiaggiata.-
-Step up! Step up! Step up! You’ll never stop me!-
-Continua e spengo la radio.-
-Nothing you say today is gonna bring me…no!- piagnucolò Eren.
-Ti avevo avvisato.- ribadì Levi svoltando all’uscita dell’autostrada.
-Ma…!-
-Odio quando canti, Eren. Sei più stonato di me.- Eren ridacchiò, sapeva che tutti quegli insulti Levi non li pensava veramente…forse.
-Non ti ho mai sentito cantare!- disse il castano con un filo di malizia nella voce.
-E non ho intenzione di farlo.- ripeté sempre con il solito tono piatto, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso sottile.
-Ti ho sentito reppare l’altro giorno mentre sistemavi la mia roba.- Sulle guance di Levi apparve un leggero rosso, quasi impercettibile. Una persona estranea non avrebbe mai notato quel leggero imporporarsi delle sue guance, ma Eren ormai conosceva qualsiasi cosa di quel viso perennemente corrucciato.
-Quello non è cantare, moccioso.- Eren annuì poco convinto. Non fece nemmeno in tempo ad abbandonarsi sul sedile che notò alla sua destra un fila di grattacieli altissimi. La sua bocca si aprì spropositatamente mentre i suoi occhi presero a luccicare, animati dalla curiosità. Si gustò con lo sguardo ogni singola struttura osservando attentamente ogni pubblicità che veniva trasmessa dagli schermi giganti.
-Sei disgustoso ragazzino! Staccati dal vetro, cazzo!- affermò disgustato Levi mentre svoltava verso l’entrata della città. Eren non si era nemmeno accorto che per osservare quei  palazzi altissimi aveva incollato il naso al finestrino lasciando piccole chiazze di fiato condensato.
-E’ bellissimo!- urlò il ragazzo con il suo solito entusiasmo. Levi si lasciò sfuggire un sorriso sghembo. Le espressioni che faceva quel mocciosetto quando era estasiato gli piacevano da morire. Il castano continuò a ripetere quella frase per interminabili minuti.
-Ho capito. Mettiamo giù la roba da un mio amico e poi facciamo un giro.-
-Hai un amico qui?- chiese sorpreso il ragazzo.
-Ti sembra strano? L’ho conosciuto quando sono venuto a New York la prima volta.- disse Levi mentre guidava l’automobile fuori dal traffico incessante delle strade principali della città. Superò qualche taxi fino ad arrivare ad un quartiere abbastanza malfamato. Ormai Eren era abituato a quel tipo di compagnia, in fondo era di amici di Levi di cui si parlava.
-Uhm…come si chiama?- chiese incuriosito il castano.
-Te lo farai dire da lui stesso, eccolo lì.- concluse il moro spegnendo il mazzo accanto al marciapiede stretto. Con il dito indicò un vecchio che se ne stava seduto sulla sua sedia a dondolo. In qualche modo un po’ di tensione sparì dalla testa di Eren. Non gli piaceva sapere che Levi aveva degli “amici” in giro. Voleva le attenzioni del moro esclusivamente su di sé. E tutte le attenzioni, nessuna esclusa. Levi smontò dall’auto subito dopo aver ripiegato sul sedile il suo giubbotto di pelle. Rimase solo con una maglietta nera attillata e poco scollata. Non appena anche il più piccolo fu sceso chiuse la macchina.
Man mano che si avvicinavano all’uomo, Eren riusciva a distinguere gli stessi tratti intimidatori che aveva Levi. Il vecchio era pelato e aveva moltissime rughe che gli incorniciavano gli occhi, ma quello che lo stupì fu il suo sguardo. Sembrava un’aquila che se ne stava guardinga in attesa di una buona preda. A parte il suo sguardo sembrava un anziano qualunque.
-Rivaille!- disse con voce profonda e gracchiante il vecchio non appena i due ragazzi furono abbastanza vicini.
-Nessuno mi chiama più così.- disse schioccando la lingua innervosito il moro. Il vecchio ridacchiò e dopo aver scrutato a lungo negli occhi Levi spostò le sue attenzioni su Eren che si irrigidì all’istante. Sembrava che quegli occhi volessero perforarlo.
-E lui?- chiese risiedendosi sulla sedia in legno.
-Sono Eren Jaeger signore!- disse sull’attenti il più piccolo. Il vecchio gli tese la mano in modo confidenziale.
-Piacere Eren, io sono Pixis.- si strinsero la mano e il castano rimase quasi stupito dalla forza di quel vecchio.
-E’ il mio “socio”.- rispose Levi alla domanda che prima gli aveva rivolto l’altro.
-Non avevi detto che avresti fatto tutto da solo?- chiese Pixis lasciando la mano di Eren che rivolse le sue attenzioni all’espressione dura del suo ragazzo. Voleva sapere di cosa stavano parlando, non ci capiva nulla di tutti quei misteri.
-Si l’avevo detto.- disse semplicemente il moro guardandolo negli occhi. Pixis sospirò comprensivo e distolse lo sguardo. Molto probabilmente aveva capito qualcosa che a Eren nessuno aveva spiegato.
-Ma di cos- provò a chiedere il più piccolo che, però, venne interrotto quasi subito dal moro.
-Possiamo rimanere qui per un po’? Eren non ha mai visto New York quindi, gliela mostrerò.-
-Ma certo, sei sempre il benvenuto Rivaille…- affermò il vecchio sedendosi sulla sua sedia a dondolo. Il moro annuì e si voltò facendo il cenno ad Eren di seguirlo.
I due si incamminarono in silenzio lungo le vie affollate della città, ma Eren non riusciva a godersi il paesaggio. Qualcosa del discorso con Pixis l’aveva turbato.
-Cosa voleva dire prima Pixis?- chiese ad un tratto.
-Niente.-
-Dimmelo.- disse serio il più giovane.
-No.-
-Perché non mi dici mai niente? Vorrei che mi venissero spiegate le cose ogni tanto.- Levi lo prese per il braccio e lo bloccò sulla parete bianca di un palazzo di medie dimensioni. Puntò i suoi occhi di ghiaccio su quelli di Eren.
-Non è ancora il momento.-
-E quando lo sarà?- Levi distolse lo sguardo da lui e sbuffò.
-Prima di quanto pensi…-

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Eccomi tornata signori e signore con un altro capitolo! Sono stata veloce questa volta (si vede che sta finendo la scuola vero x'D ) 
In ogni caso, per vostro piacere, in questo capitolo saranno rivelati molti (?) interrogativi e ne verranno aperti altri come "ma che diamine di rapporto hanno Levi ed Eren? e.e" ebbene scopritelo! xD Ricordo che è un capitolo ritorno al passato^^
Ringrazio tutti quelli che recensiscono come sempre e vi auguro una buona lettura! :3

Capitolo 6




 

-Quindi ragazzini- disse Levi prendendo posto accanto ad Eren sul divanetto. Il castano sussultò spaventato per l’improvviso arrivo dell’altro. –Per quale cazzata conoscete Hanji?- disse aprendo una lattina di birra appena presa dal tavolino davanti al divano.
-E-E’ la nostra prof di recupero…- prese la parola il castano voltandosi verso Levi giusto in tempo per studiare la sua reazione.
-Aah?- fece il moro facendo finta di essere veramente interessato alla conversazione. Non guardava nemmeno in faccia i due ragazzi, solo si gustava la birra leccandosi le labbra ad ogni sorso come se fosse da molto tempo che non ne beveva una. Quando deglutiva un po’ di liquido si vedeva nitidamente il suo pomo d’Adamo ondeggiare avanti e indietro. A rendere tutti quei piccoli movimenti ancora più sexy era il modo che aveva di tenere il bicchiere: lo teneva con il dito medio e il pollice per l’estremità più alta, rivolgendo il palmo della mano verso l’alto. Eren non poté fare a meno di ammettere che era molto incuriosito da quello strano individuo. Si stupiva di se stesso. Come poteva essere interessato a qualcuno che aveva tentato di derubarlo?
-Fa delle lezioni di chimica oltre l’orario scolastico per gli studenti che hanno difficoltà nella materia.- precisò Armin con il suo solito linguaggio impeccabile.
-Tu non mi sembri stupido come Eren, perché fai il corso?- entrambi i due ragazzi divennero rossi in viso, il biondino per il “complimento” mentre il castano per l’insulto troppo esplicito. Levi questa volta si girò ad osservare i due ragazzi lasciando stare la birra che teneva appoggiata al ginocchio. Armin rivolse all’amico un’occhiata interrogativa. Molto probabilmente si domandava come Eren facesse a conoscere quel tipo che nemmeno lui aveva mai visto in città. Ma il castano era troppo arrabbiato per curarsi di dare spiegazioni.
-Hey! Mi hai dato dello stupido?!-
-Ci sei arrivato, moccioso.- Eren sentiva montare la rabbia con una velocità incredibile. Nemmeno quella volta che aveva picchiato Jean ai corsi di recupero di chimica dopo che l’aveva preso in giro perché dopo quattro anni di liceo non sapeva ancora per quale elemento stava l’O nella tavola periodica. Come si permetteva quel nano di provocarlo in quel modo? Se nessuno l’avesse bloccato avrebbe spaccato quel bel faccino che si ritrovava.
-Io almeno ci arrivo, ma tu tappetto, che mi dici?- non sapeva nemmeno Eren perché avesse detto una cosa così tanto stupida e allo stesso tempo offensiva verso uno che aveva appena conosciuto, semplicemente le parole gli erano scivolate fuori dalle labbra senza che il suo cervello, come molte volte, ne fosse al corrente. Il castano non aveva smesso nemmeno per un secondo di fissare gli occhi infinitamente grigi del suo interlocutore  e solo dopo la sua affermazione arrogante notò una guizzo di luce nei suoi occhi. Non sapeva se esserne confortato o meno visto che quello non aveva nemmeno accennato ad un cambio di espressione, sembrava che nemmeno l’avesse sentito.
-Mi scusi signore, Eren non voleva dire quello che ha detto!- prese una boccata d’aria –è-è solo una testa calda.- Per fortuna c’era Armin.
Levi distolse per un attimo l’attenzione da Eren per concentrare il suo sguardo su Armin. I suoi occhi si assottigliarono così tanto da prendere la forma di due lame, o almeno questo era quello che vide il castano. Puntò il suo sguardo sul biondino e lo guardò con insistenza come se volesse perforarlo. Eren non era convinto, ma sembrava quasi che il ladro fosse arrabbiato con Armin per aver interrotto il loro simpatico scambio di insulti. Il castano sentì l’altro tremare dalla paura. Evidentemente la tattica del moro stava funzionando.
-Armin! Eren! Vedo che avete avuto il privilegio di conoscere Levi!- dalle scale apparve una Hanji vestita quasi normalmente: aveva una camicetta rosso scuro arrotolata fino ai gomiti e un paio di pantaloncini in jeans corti fino a metà coscia. Ovviamente, i lunghi capelli castani erano raccolti nella solita coda alta.
-Levi, eh?- borbottò soddisfatto Eren visto che il misterioso ladro non gli aveva ancora detto il nome. Levi si alzò dal divanetto facendo schioccare rumorosamente la lingua e prese posto in una sedia vicino al tavolo dei superalcolici dall’altro lato della stanza.
 

Casa di Hanji si riempì presto e ne arrivavano sempre di nuovi fino a che non dovettero tenere la porta aperta e mettere tavolini anche in giardino con divieto da parte di Hanji di toccare qualsiasi tipo di pianta. Gli invitati erano formati perlopiù di trentenni che si divertivano a fare i liceali, non c’era nessuno che non ballasse come se non ci fosse un domani o che non ridesse alle battute inquietante della padrona di casa. O meglio, tutti a parte Levi. Lui se ne stava in quell’angolo della stanza a sorseggiare qualcosa da un bicchiere di plastica rosso acceso. Quando deglutiva un po’ di liquido si vedeva nitidamente il suo pomo d’adamo ondeggiare avanti e indietro. Con quei suoi occhi da predatore osservava le persone che erano all’interno della stanza senza particolare interesse. Eren ascoltava distrattamente i discorsi che il suo gruppo di amici faceva non perdendo mai di vista quel tipo strano. Doveva ammettere che aveva un certo fascino per essere un tappo e un criminale.
-Eren ci sei?- lo richiamò Jean con un sorrisetto divertito. Il castano non lo degnò nemmeno di uno sguardo e borbottò un “si”.
Il suo gruppo di amici consisteva in Armin, suo migliore amico e suo ripetitore di matematica personale, Jean con il quale aveva avuto una mezza storia durata poco più di una settimana e poi aveva cominciato a detestare profondamente, Ymir una ragazza con cui aveva condiviso solo la stessa classe nei corsi di recupero di chimica e Christa che girava voce si fosse fatta rimandare in chimica solo per stare con Ymir. Tutti quanti si erano conosciuti ai corsi di recupero che si erano tenuti a Febbraio ed era proprio in quell’occasione che avevano conosciuto Hanji Zoe la loro insegnante di recupero (Armin aveva deciso di unirsi al corso solo per un veloce ripasso degli argomenti del primo quadrimestre. Inutile dire che fosse un secchione nato). Hanji non era una professoressa normale, quindi oltre ad aver fatto appassionare i suoi “alunni” aveva anche instaurato con loro un legame molto forte che l’aveva spinta ad invitarli alla festa per l’appunto.
-Mi sembra che tu sia molto più interessato a quel tappo!- disse ridendo il biondino.
-Brutta faccia di cavallo non rompermi l’anima con i tuoi commenti idioti!- disse rivolgendo la sua attenzione al suo “amico”.
-Hey, inetto non mi chiamare faccia di cavallo lo odio!- gli urlò addosso l’altro. Eren si alzò di scatto prendendolo per il colletto.
-Vuoi botte faccia di cavallo?!- sbraitò senza curarsi di essere sentito.
-Ragazzi! Calmatevi!- cercò di placarli Armin allontanandoli l’uno dall’altro per quanto gli era possibile. Ancora una volta Eren dovette ringraziare il biondo che come sempre gli impediva di fare cazzate. Il castano si girò dalla parte di Levi che, come si era immaginato, lo stava osservando con la solita espressione indecifrabile. Non appena i loro occhi si incrociarono, però, lui si voltò di nuovo dalla parte opposta, ma non rimase a lungo voltato dall’altra parte perché qualcuno lo chiamò.
 

-Rivaille!- Levi si voltò talmente veloce che la sedia fu scossa da un violento sussulto. Quella voce la conosceva fin troppo bene. I suoi occhi su puntarono sulla donna dai capelli biondi che si stagliava sulla soglia. Era un figura minuta e bassa più o meno quanto lui, portava dei pantaloni leggeri color crema, una maglietta verde a maniche corte con una non eccessiva scollatura a V. Tra i suoi capelli lisci c’era un cerchiello color smeraldo. Era cambiata molto da quando l’aveva vista l’ultima volta, soprattutto nel modo di vestirsi, ma forse anche nel carattere. In fondo quell’esperienza l’aveva segnata molto e lo stesso si poteva dire di tutti gli altri. Levi continuava ostinatamente a negare il fatto che Petra gli fosse mancato. Solo vederla gli riappiccicava un pezzettino che aveva perso molto tempo prima.
La ragazza rimase per qualche istante ferma sulla soglia, nel silenzio generale che era calato nella stanza. Tutti molto probabilmente erano venuti a sapere quello che era successo nove anni fa. Tutti esclusi quei mocciosi troppo giovani per immaginarlo anche lontanamente.
-I-Io pensavo che fossi…- non riuscì nemmeno a terminare la frase che la sua voce si abbassò di colpo. Levi sapeva che era dura rivederlo dopo tutto quel tempo. Immaginava che per tutto questo tempo avesse pensato che lui fosse morto. In fondo non si era più fatto sentire, in fondo aveva completamente tagliato tutti i ponti con il suo passato. Niente gli avrebbe fatto cambiare idea, qualunque cosa fosse successa, qualunque persona si fosse messa in mezzo.
Petra mosse qualche passo incerta verso il moro, ma non pianse, no. Piangere per quel motivo non era decisamente da lei. Levi appoggiò la bevanda, senza staccare per un secondo gli occhi da lei si alzò lentamente dalla sedia e mosse qualche passo fino alla bionda. Si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro. Nel viso di Petra si poteva leggere tutte i sentimenti che le stavano affollando la mente: Gioia: pensavo fossi morto, dolore: perché non sei tornato prima?, nostalgia: mi sei mancato così tanto, allegria: hai sempre quell’espressione di sufficienza, tristezza: sei qui per restare?
Tutte queste sensazioni si tradussero in un sorriso sincero sul viso della ragazza.
-Io ti aspettat-
-Lo so-
-E…?-
-Non starò qui a lungo.- i due si scambiarono ancora qualche sguardo. Lei sembrava delusa, ma nei suoi occhi c’era anche rassegnazione. Sperava che quell’uomo potesse fermarsi e diventare per lei quello che aveva sempre voluto che diventasse. Sapeva, anche, che Levi era così e manteneva sempre la parola data. Si scrutarono ancora per qualche istante prima che tre uomini fecero il loro ingresso nella stanza.
-Capo!- proruppe Auruo a gran voce, lo seguì a ruota un sorriso di Gunther e un mezzo sorriso da parte di Erd. Levi ricorse a tutto il suo autocontrollo. Lo sollevava molto vedere la sua vecchia squadra dopo aver passato nove anni completamente da solo.
-Come mai..?- cominciò Gunther, ma Levi stesso lo interruppe.
-Qua c’è troppa gente. Andiamo fuori.- I quattro l’aveva seguito all’esterno senza dire una parola. Da quando era entrata Petra il tempo sembrava quasi essersi fermato perché tutti all’interno della stanza li osservavano incuriositi e nessuno di loro amava che certi discorsi venissero ascoltati da così tanta gente quasi estranea.
-Sono qui perché me l’ha chiesto Hanji, non sono qui per restare e nemmeno per rimangiarmi la promessa che vi ho fatto nove anni fa.- spiegò velocemente il moro osservando uno ad uno negli occhi.
-Capo, pensavamo che non fosse sopravvissuto…pensavamo che Erwin ti avesse ucciso.-
-Non muoio così facilmente Auruo, dovreste saperlo. Ho passato momenti di merda, lo ammetto, quel posto sapeva di sporco e da chiuso, ma dopo un po’ sono uscito e ho ricominciato.- disse accendendosi una sigaretta.
-Sono cambiate parecchie cose, sai capo?- cominciò sorridente Petra.
La vecchia squadra venne riunita dopo un tempo che sembrava infinito eppure mentre parlavano e discutevano di quei nove anni sembrava come se non fosse cambiato nulla. Anche se nessuno amava parlare lo fecero lo stesso chi più chi meno come se fossero riuniti al tavolo di una caffetteria e stessero per scappare senza pagare il conto per l’ennesima volta. Forse lo fecero di proposito: si lasciarono il passato e tutti gli interrogativi alle spalle per viversi pienamente il presente che presto, con il tramonto si sarebbe sbriciolato e loro avrebbero ricominciato quelle vite noiose e monotone che erano diventate tali dopo che Levi ne era uscito.
Eren era nervoso. Molto nervoso. Troppo nervoso. Odiava non sapere cosa stava succedendo ed era proprio quello che stava succedendo in quel momento. Quando era entrata quella ragazza e si era avvicinata a Levi aveva pensato male, molto male. Aveva pensato molte cose tra cui chi fosse, che tipo di legami avesse con il ladro e perché si guardavano entrambi così intensamente. Poi quando erano entrati anche gli altri tre, si erano scambiati qualche parola che non era riuscito a capire visto che parlavano troppo a bassa voce e dopo che erano usciti dalla casa e la festa era ripartita, non ci aveva visto più. Sapeva che sarebbe saltato nell’occhio se fosse sgattaiolato fuori per seguirli perché anche se c’erano molte persone a quella festa, i suoi amici l’avrebbero sicuramente notato e non aveva molta voglia di dare spiegazioni per le sue azioni. In realtà, nemmeno lui sapeva perché quel tipo gli interessasse così tanto, forse perché non era una persona banale e ordinaria come tutti ormai, forse perché era solo curioso di sapere il collegamento tra Hanji, quei tipi e il ladro o forse perché quando camminava, quel tipo, si trascinava dietro il profumo dell’avventura e dell’indipendenza.
In ogni caso stava pensando troppo e quando pensava troppo c’era solo una cosa da fare.
-Ragazzi, a chi svuota più bottiglie di vodka lemon?-
 

Eren non ci capiva più molto. Numero uno: perché Jean russava sopra il suo stomaco? Perché la testa gli faceva così male? E poi perché era sdraiato in un divano che non era suo? Era arrivata troppo presto la notte!
-Jean che shchifo- gli scappò un singulto che gli reintrodusse in gola il gusto di limone. –Shtai shbavando shulla mia canotta!- affermò con quel tipico accento da ubriaco. Jean non si mosse nemmeno e nemmeno smise di russare quindi Eren se lo scrollò malamente di dosso. Si sentì un tonfo sordo che infastidì non poco l’udito molto sensibile del castano. Il ragazzo si massaggiò le tempie e si alzò muovendo qualche passo barcollando per la stanza. Inciampò su qualcuno che si girò dall’altra parte con un grugnito. Quel posto doveva essere proprio lercio.
Con un po’ di fatica trovò la porta, che lo introdusse all’aria fresca, ma comunque calda delle serate estive. Respirò a pieni polmoni quell’aria pulita e scese gli scalini tenendosi ben saldo al corrimano in ferro scuro. Non appena si ritrovò all’ultimo scalino un forte senso di vertigine lo colpì e fu costretto a portarsi una mano alla bocca e fare qualche respiro per non vomitare.
-Moccioso, ti sei ubriacato?- lo richiamò una voce fin troppo conosciuta. Levi se ne stava seduto su una sedia in plastica bianca che era stata messa in giardino da Hanji qualche ora prima. Aveva la caviglia della gamba destra abbandonata contro il ginocchio sinistro, era completamente appoggiato allo schienale e teneva un braccio sul bracciolo della sedia mentre con la mano opposta si portava a intervalli regolari una sigaretta sottile alla bocca. Ad Eren sembrò quasi triste.
Non appena la nausea gli fu passata si decise a rispondergli muovendo qualche passo verso di lui.
-S-Si- cercò di rispondergli contenendo il suo accento da ubriaco perso. Si fermò a qualche metro da lui giusto prima della fine del vialetto e l’inizio del prato in cui c’erano i tavolini e alcune sedie.
-Tse, la tua faccia fa schifo.- ribatté Levi inspirando un po’ di fumo dalla sigaretta quasi finita.
-Ah! Grazie m…merda- un altro conato di vomito salì in gola al castano che fu costretto a portarsi entrambe le mani alla bocca. Che cosa patetica! Non poteva nemmeno rispondere per le rime a quel tipo. Sentì Levi ghignare e non appena alzò lo sguardo notò che le sue labbra erano piegate in un mazzo sorriso. Aveva forse “ridacchiato” per il suo attacco di nausea?
In ogni caso doveva ammettere che un sorrisetto come quello stava molto bene in quel viso perennemente indifferente.
Non appena la nausea passò decise di lasciar perdere quel discorso, arrabbiarsi con lui non avrebbe contribuito alla sua semi-sbronza.
-V-Volevo chiederti scusa…per oggi p-pomeriggio- Levi aspettò che continuasse impassibile, senza nemmeno andargli incontro e dire un semplice “si, ho capito” e magari evitare che quel discorso diventasse ancora più imbarazzante.
Eren imprecò a bassa voce per quella situazione. Si trattava pur sempre di chiedere scusa al tizio che aveva tentato di derubarti. Forse era solo colpa dell’alcool ma non ne era del tutto sicuro.
-Sai…quando ti ho dato del tappetto…- concluse il castano cominciando a torturarsi le mani per tutta quell’assurda situazione. Levi fece un ultimo lungo tiro, spense la sigaretta sul tavolino immacolato e si incamminò nella direzione del ragazzino.
-Tu rimani uno stupido mocciosetto arrogante.- disse freddamente prendendo il suo braccio e avvolgendolo intorno al suo collo in modo da creare a Eren un appoggio.
-C-Che fai?- chiese il castano sorpreso per quel contatto così improvviso.
-Ti accompagno a casa idiota.-
Eren non era sicuro che quella fosse la realtà, forse era colpa dell’alcool. Doveva pensare seriamente di diventare astemio perché se qualche bottiglia di vodka lemon gli creava delle allucinazioni in cui lui chiedeva scusa ad un ladro e quest’ultimo dopo averlo insultato si proponeva come suo sostegno e lo accompagnava a casa…beh era messo male.
Poi però, rivalutando il calore che emanava il corpo dell’altro e quella presenza che lo sosteneva senza un apparente motivo, dovette ricredersi.
Tutto sommato non gli dispiaceva quella strana allucinazione terribilmente realistica.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Buona sera mocciosi e mocciose (mi sento molto Levi per questo saluto xD)!
Parto subito dicendo che non sono molto soddisfatta di questo capitolo. Questo perché, numero 1 non succede praticamente nulla se non qualche riflessione sul "tempo" e numero 2 troppo fluff (?). Intendo, loro sono dei ladri quindi dovrebbero agire un po' di più e non fare i turisti...ecco perché ho intenzione di aggiungerci un po' più di azione. Non vi preoccupate! xD mi rifarò con i prossimi :)
Avviso (?) numero 2, in questo capitolo c'è un piccolissimo accenno al passato di Levi, ma per la versione integrale dovrete aspettare ancora almeno 2 capitoli, quindi...tenete duro xD
Avviso numero 3...penso che sia un po' cortino come capitolo, però mi rifarò con i capitoli-passato^^
Penso di aver finito con i miei avvertimenti inutili e quindi buona lettura! :D


 


Capitolo 7





Eren odiava il fatto che Levi lo tenesse sempre allo scuro di tutto. Lo odiava, sul serio.

-Perché non mi dici mai niente?-
-Perché sei troppo stupido per capire.-
-Non è vero. Tu non ti fidi ancora di me. Perché non riesci a fidarti della gente? Perché non riesci a fidarti di me dopo tre fottuti anni che ci conosciamo? Lo sai che non mi piace quando non mi si dicono le cose e poi è passato così tanto tempo e-
-Oh Cristo Santo, Eren, tappati quella fogna.- gli sibilò disperato il moro, aumentando la presa su i suoi polsi.
-Sei un moccioso idiota. Ti ho detto che devi aspettare ancora per un po’.-
-Ma…è come se tu mi tagliassi fuori dalla tua vita, mentre tu sai praticamente tutto di me…di te so ancora così poche cose…- disse Eren distogliendo lo sguardo. Si sentiva terribilmente vulnerabile quando stava con Levi, non solo perché sapeva che lui era nettamente più forte di lui in tutti i sensi, ma anche perché Levi sapeva tutto del suo passato e ogni volta che Eren tentava di sapere qualcosa in più sul suo di passato tra di loro si creava un muro inviolabile.
-Tu…maledetto idiota, non ascolti mai un cazzo. Sei un moccioso perché non sai quanto vorrei poterti trattare come un cazzo di estraneo e non sai quanto vorrei mollarti qui e andarmene via per i cazzi miei senza dovermi portare appresso un rompi palle di dimensioni titaniche e non sai quanto vorrei fare le rapine da solo perché, almeno, rischierei la vita solo io eppure alla fine ci pariamo il culo a vicenda. Il fatto è che quella tua maledetta faccia da…moccioso, mi ci fa ripensare ogni volta. Capisci quello che ti sto dicendo, bastardo?!- Eren era rimasto per tutta la durata di quella pseudo dichiarazione con la bocca semi aperta. Era incredibile come Levi riuscisse a mettere così tante parolacce in un discorso e farlo sembrare…dolce?
Eren deglutì sonoramente mentre annuiva un paio di volte con la testa. Inutile dire che si vedeva benissimo il rossore sulle sue guance. Forse quello stava a significare che si fidava di lui, ma non era ancora arrivato il momento giusto per raccontargli tutto? Eren non ci aveva mai capito molto di queste cose complicate, ma era fortemente convinto che se Levi gli diceva che gliel’avrebbe detto allora gliel’avrebbe detto. Avrebbe aspettato.
Il moro lo mollò e si allontanò di qualche passo, poi distolse lo sguardo facendo schioccare la lingua scocciato.
-Devi, solo portare pazienza per un po’ ancora.-
-Va bene…scusa.-
-Non ti scusare, idiota.-
-Si…scusa…cioè va bene, andiamo.-
Eren decise, quindi, di fidarsi di lui, ancora, e godersi fino in fondo quella città stupenda.
 
 

New York era a dir poco stupenda. Non avevano nemmeno visto le cose più importanti, ma già camminare su quei marciapiedi enormi e pieni di gente rendeva Eren felice. Non aveva mai visto una città così trafficata e così viva: era un incessante viavai di gente chi di fretta chi fin troppo piano. Eren osservava le persone che abitavano i marciapiedi e provava ad indovinare cosa facessero in quella via a quell’ora. Molte volte, però, la sua fantasia vagava troppo e si trovava ad immaginare le cose più assurde come un agente segreto che lavorava ad un caso di importanza nazionale o infiltrato alieno. Mentre Eren osservava ogni cosa completamente perso ed estasiato, Levi si limitava a stare al suo fianco con le mani nelle tasche dei jeans guardando tutto con la solita espressione indecifrabile in viso. Si vedeva chiaramente che non gli piaceva stare in mezzo a tutta quella gente visto chiunque provava anche solo a sfiorarlo veniva insultato con qualche “guarda dove cazzo vai, idiota” o “prova a toccarmi un’altra volta e ti strappo gli occhi”. Ovviamente nessuno lo sentiva visto che il contatto era di pochi secondi.

-Ti porto in un posto.- disse ad un tratto Levi prendendo Eren per mano. Il castano sussultò per quel contatto. Anche se quel gesto era così innocuo, Levi lo faceva sembrare tutto il contrario. Eren non sapeva perché ogni volta che si toccavano arrossisse a quel modo, forse era perché si trattava della mano perennemente fredda del moro o forse era per il fatto che quel contatto era decisamente inusuale per entrambi. Diciamocelo, nessuno dei due era fatto per certe dimostrazioni d’affetto.
Che Levi lo stesse facendo perché si sentiva un po’ in colpa…?
Levi camminava veloce tra le persone, quasi come se avesse un’improvvisa fretta, tanto che in poco tempo, Eren, si ritrovò di nuovo ad osservare la sua schiena. Il castano ne fu quasi sorpreso perché fino ad un momento fa camminava tranquillo. Si domandava dove Levi volesse portarlo visto che tra poco sarebbe stata sera.

-Moccioso, vuoi muovere il culo?- gli proferì abbastanza irritato. Ora stavano praticamente correndo. Levi portò Eren in un passaggio largo all’incirca tre metri posizionato tra due corsie di macchine. La folla in cui stavano camminando si fece così fitta che Eren quasi non riusciva a vedere dove stava camminando. Era talmente concentrato a non perdere di vista Levi, che continuava a tenere la sua mano stretta nella sua, che nemmeno si accorse che il passaggio su cui stavano camminando si fece in salita. Il rumore delle macchine diventò leggermente più ovattato, infatti, a Eren parve che ora il rumore non provenisse più dai loro lati, ma dal basso. Ad un tratto, quella fiumana di persone si disperse ed Eren poté di nuovo respirare. Levi nel frattempo si era fermato e si era girato a guardarlo. Il castano non capiva perché lo stesse scrutando, sembrava che si stesse aspettando qualcosa.
Solo in quel momento il più giovane si accorse di dov’erano finiti e nel giro di pochi secondi i suoi occhi presero a brillare.

-Questo è il ponte di Brooklyn, che collega il quartiere di Brooklyn all’isola di Manhattan.- Eren si aggrappò con entrambe le mani al corrimano posto al lato destro della passerella. Gli sembrava di cadere. Non aveva mai sofferto di vertigini, ma non poteva fare a meno di constatare che erano veramente in alto. Sotto di loro si poteva chiaramente sentire il rumore delle macchine mentre sopra a loro c’erano soltanto i cavi metallici che collegavano le passerelle alle colonne del ponte. Quest’ultimi erano fatti perlopiù di mattoni, erano di un grigio scuro molto vicino al marrone e gli archi che erano stati incavati nelle colonne si potevano attraversare. Quello che più stupì il ragazzo fu, però, il panorama che si poteva chiaramente distinguere da quel punto. Il sole si stava preparando a tramontare e rilasciava nel cielo e sui grattacieli sfumature rossicce. Il cielo non era né troppo azzurro né troppo blu, era semplicemente diviso in quasi tutte le cromature del turchese e del rosso, a partire dal blu più scuro fino ad arrivare al rosso intenso del sole. I numerosi colori non erano solo presenti nel cielo, ma anche nell’acqua scura dell’East River (Eren aveva colto questo nome, che Levi gli aveva detto, quasi per caso visto che era completamente perso a guardare tutto il resto). Ad incorniciare il tutto c’erano i fitti grattacieli che si trovavano sulla costa. Le luci di ogni insegna e di ogni finestra era già accesa anche se il sole non era ancora tramontato del tutto e questo rendeva quel paesaggio ancora più surreale e lontano.

-F-Figo…- balbettò Eren continuando a guardare dritto davanti a sé. Levi se ne stava poco distante da lui con le braccia conserte ad osservare quel paesaggio che già aveva visto parecchi anni fa.

-Io ci venni un’altra volta, circa tredici anni fa.- disse senza preavviso richiamando immediatamente l’attenzione di Eren.
-Avevo la tua età, praticamente…forse un po’ più giovane. Ci venni con la mia vecchia squadra-
-Con quella Petra?- lo interruppe Eren.
Levi annuì cominciando a guardare l’orizzonte.
-Perché ci siete venuti quassù?-
-Avevamo appena rapinato un negozietto e avevamo in mente di disperderci tra le numerose persone che frequentano il ponte, poi però ci fermammo a guardare il panorama con gli stessi occhi con cui lo stai facendo tu ora.- parlò rimanendo completamente impassibile.
-Vi scoprirono?-
-No.-
-Perché me l’hai detto?-
-Non lo so.-
-Ok.- Ad Eren bastò così. Non voleva più forzare la cosa, anche se l’avrebbe voluto molto. Lui voleva sapere ogni cosa di Levi, ma evidentemente l’altro non era ancora pronto. Eren ora, dopo la discussione che avevano fatto l’aveva capito: Levi non gli diceva nulla non perché non si fidasse di lui, ma perché non voleva tirare fuori un’altra volta i propri demoni. Entrambi sapevano bene cosa voleva dire tagliare tutti i ponti con il proprio passato e sapevano bene, anche, che dopo non era facile riallacciarli e ricordare.
 
 

Percorsero tutto il ponte a piedi e quando arrivarono dall’altra parte la sera era già calata. Non avevano parlato molto per la durata della passeggiata perché entrambi avevano altro a cui pensare, chi al paesaggio, chi al passato. Dopo essere scesi dal ponte con molto disappunto da parte di Eren, Levi aveva chiamato un taxi, ma quando aveva detto la destinazione all’autista non si era fatto sentire dal castano, l’altro ne era rimasto sorpreso perché anche se avesse sentito il nome, non avrebbe di sicuro capito che posto fosse. Ma questa non era la cosa che l’aveva sorpreso di più bensì il fatto che Levi avesse chiamato un taxi e sappiamo tutti quanto Levi odi i mezzi pubblici che tutti frequentano e toccano con le loro mani sudice. Quando gli aveva chiesto perché una macchina sporca come il taxi al posto della sua adorata Porsche, lui aveva risposto che muoversi per Manhattan con una macchina come la sua era un suicidio, avrebbero potuta graffiarla, ad esempio.
Il taxi si fermò circa un quarto d’ora dopo lasciando i due passeggeri  sul marciapiede vicino ad una strada mediamente trafficata. Di fronte a loro c’era una specie di incrocio in mezzo al quale era posizionata una fontana molto grande, quello che però Eren notò subito, fu che esattamente alla destra del marciapiede c’era un parco, un enorme parco illuminato.

-Central Park, moccioso.- proferì Levi prendendolo per il polso e trascinandolo verso un sentiero largo all’incirca due metri. Dovette letteralmente trascinare Eren perché quello era completamente perso a guardarsi intorno. Levi era sicuro che se ci fosse stato un palo esattamente in mezzo al sentiero l’altro non se ne sarebbe accorto e ci sarebbe andato brutalmente a sbattere. Doveva ammettere che vedere Eren piagnucolare per il palo sul naso lo allettava, e non poco.
L’enorme giardino era poco frequentato a quell’ora della sera se non da coppiette perse in smancerie, il che rendeva quella cosa molto più…strana.
-Levi?-
-Eh?-
-Ma questo è un appuntamento?- Levi si bloccò per un attimo, sbarrando leggermente gli occhi. A questo non aveva pensato e ancora una volta quel ragazzino aveva reso la cosa imbarazzante.
-Vorresti che lo fosse?-
-Sarebbe molto romantico…- disse Eren accennando un sorriso.
-Allora non lo è.- Levi adorava contraddire il ragazzo perché ogni volta l’altro metteva il broncio. Eren sbuffò, puntando il naso all’insù per guardare il cielo sopra di loro. Ecco qual era il difetto delle grandi città: il cielo appariva sempre dello stesso blu pallido a causa delle luci coprendo completamente le stelle e questo ad Eren non piaceva molto, perché quella di guardare le stelle era un’abitudine che aveva avuto fin da piccolo e ultimamente ne sentiva la nostalgia. Forse perché erano molto vicini al giorno
-Levi?-
-Che c’è ancora?-
-E’ stata una bellissima giornata oggi.-
-Lo dici praticamente sempre.-
-Oggi di più.-
-Perché?- Eren si fermò e cercò lo sguardo del moro. Levi si voltò molto presto a guardare i suoi occhi verdi.
-Perché sono sempre stato con te e tu mi hai portato in posti stupendi.- disse con il suo solito sorriso sincero e Levi non poté fare a meno di stringere un po’ di più la presa che aveva sulla sua mano perché sembrava che quel moccioso volesse ucciderlo, sul serio. Alle volte era così dolce che Levi era convinto potesse venire il diabete da un momento all’altro. Era proprio in quei momenti in cui il suo fare distaccato veniva meno.
Piegò le labbra in un sorriso appena accennato (un occhio estraneo non se ne sarebbe nemmeno accorto) e posò una mano sulla testa di Eren arruffandogli gentilmente i capelli. Non disse “è stata una bella giornata anche per me”: quel gesto voleva dire tutto.
-Ti porto a mangiare qualcosa.-

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Buona Sera ragazzuole! E la scuola sta finendo eh? Non vedo l'ora di finire. Non.Ne.Posso.Più. E poi voglio finire questa Riren perché ho in programma un sacco di altre cose *ghigno malefico*
Eccoci tornati ad un capitolo di ritorno al passato che finalmente vi farà sapere che cosa devono fare Eren e Levi a Washington (che poi anche il fatto di "sapere" è molto relativo xD)
In ogni caso sarò breve, perché ultimamente sto dormendo poco (in realtà dormo a scuola più che a casa ahaha no, okay :') )
Non vi faccio nessu  altro appunto, quindi buona lettura!^^
 


Capitolo 8



Levi lo guidò sicuro tra le strade della sua stessa città come se le conoscesse molto bene. Eren doveva ammettere che quel tipo lo incuriosiva parecchio. Voleva sapere tutto di lui anche se lo conosceva appena. Era molto strano.
Un leggero odore di sigaretta li accompagnò per tutto il viaggio e, anche se fino a quel momento Eren aveva sempre odiato quel sentore forte e soffocante, su di
lui era tutt’altra cosa.

-Ma tu chi sei?- la domanda gli sorse praticamente spontanea al castano. Non sapeva dire se gliel’avesse chiesto perché era mezzo ubriaco e non ci capiva più nulla o se fosse perché gli interessasse veramente. In ogni caso, era troppo “allegro” per pensare a questo genere di cose, quindi si voltò semplicemente a guardare la sua reazione.
-Sei completamente partito, moccioso?- Levi aggrottò le sopracciglia e arricciò leggermente il naso. Quella sarebbe stata un’espressione quasi adorabile se fosse stata sul viso di qualcun altro.
-Ah…intendo, perché tutti ti conoscono esclusi noi ragazzi?- il moro stirò di poco la sua espressione e gli rivolse un’occhiata solo per un attimo.
-Perché voi siete dei mocciosi.-
Questa volta fu Eren ad aggrottare la fronte.
-Oh? Ma grazie mille!- disse scocciato mettendo il broncio. Gli angoli della bocca dell’altro si piegarono di poco. Quello doveva essere un sorriso? Sembrava che i muscoli della sua faccia non sapessero cosa fosse “sorridere” quindi si disponevano in un modo molto bizzarro fino a formare quel ghigno storto.
-Sono nato qui e poi sono partito e me ne sono andato.-
-Avevi finito di rubare in paese e quindi ti sei spostato?- ecco, un’altra cosa che Eren odiava dell’alcool: la sincerità. Non che si comportasse diversamente quando non era ubriaco solo…poneva le sue affermazioni in modo un po’ meno diretto.
Nemmeno Levi aveva gradito molto il suo commento, per questo gli mollò una leggera gomitata al fianco. Eren proruppe un gemito basso e strizzò un occhio.

-Ahi! Scherzavo!- disse.
-Sono andato a rubare in altri post, questo si.- aggiunse Levi poco dopo.
-Ma allora mi prendi per il culo.- affermò Eren colto da un improvviso sbadiglio che rovinò completamente l’aria da duro che voleva far vedere all’altro.
-E’ così divertente.- affermò infine l’altro con tono neutro.
Ci furono molti minuti di silenzio e proprio quando la casa di Eren si stagliò in fondo alla via il più giovane parlò.
-Dev’essere bello il mondo…tu hai viaggiato molto tra una rapina e l’altra?- gli occhi di Eren brillavano sotto la luce bianca della luna. Levi parve stupito da quella domanda, ma non si scompose di molto.
-Si, è tutto sicuramente meglio di qui.-
-Voglio andarmene anche io, un giorno…- disse con tono da sognatore. Levi lo scrutò per qualche secondo e quando si trovarono davanti al cancelletto di casa sua si bloccò definitivamente.
-Che cosa stai aspettando, allora? Se vuoi viaggiare fallo e basta.- disse piano lasciando la presa sul fianco dell’altro. Eren si separò da lui e si aggrappò al cancello per evitare di perdere l’equilibrio.
-I-Io…sto aspettando il momento giusto…-
-Beh…-Levi si voltò dandogli le spalle - potresti aspettare una vita intera in attesa di quel momento.-
-Quando quel momento arriverà…ne sarà valsa la pena, penso.-
-Fa come credi ragazzino, nessuno può sapere cos’accadrà domani. Puoi solo decidere di fidarti di questa consapevolezza oppure ascoltare quello che ti dico e partire subito. Comunque sia- Levi alzò una mano in segno di saluto –muoviti a decidere o potresti pentirtene.-
Eren osservò quell’omino percorrere a ritroso la strada che avevano appena fatto. Levi aveva ragione, cazzo. Gli bruciava dentro dover ammettere che aveva ragione perché non aveva mai pensato che le condizioni per partire potessero arrivare tra anni ed anni o, addirittura, non arrivare mai. Eren era molto sicuro di se stesso, per questo non si era mai contraddetto. Si limitava a seguire quello che il suo cervello imponeva al corpo, indipendentemente da qualsiasi altra cosa.
Si morse il labbro leggermente infastidito e aprì il cancelletto con una piccola chiave in acciaio.
Interessante. Tremendamente interessante. Questa era l’unica cosa che riusciva a pensare di Levi.
 

Eren rivide Levi dopo circa due giorni.
Era un martedì mattina e sua madre l’aveva messo a tagliare l’erba in giardino. Stare all’aperto (che non fosse in piscina o al mare) d’estate, sotto il sole, era un suicidio. Faceva così tanto caldo che Eren era stato costretto a togliersi la canotta e a rimanere in pantaloncini. Per tentare di proteggersi dal sole aveva solo preso i suoi occhiali da sole
wayfarer folding a specchio e un cappello con il frontino dei Lakers che gli aveva regalato Jean. Andavano matti entrambi per quella squadra di basket e quella era l’unica cosa che li accumunava.
Eren sospirò spegnendo il tagliaerba vecchio di chissà quanti secoli. Lo infastidiva altamente quel rumore, ma quando sua madre parlava di lavori in casa non c’era niente da fare. Si accucciò a terra e cominciò ad armeggiare con il sacchetto all’interno per svuotarne il contenuto. Di tagliare l’erba in giardino, non odiava solo il caldo soffocante e l’enorme fatica, ma anche il fatto che non aveva nessuno con cui parlare. Quindi era costretto a sentirsi pensare. Alcune volte per non ascoltarsi faceva delle mini gare tra lui e il tempo (cosa fisicamente impossibile) e tentava di finire tutto il lavoro per una certa ora e ogni volta cercava di migliorare il suo record. Era un giochino abbastanza stupido visto che alla fine era letteralmente distrutto e molte volte rischiava di svenire per il caldo, ma almeno si teneva occupato.

-Hey moccioso.- Eren si alzò di scatto rischiando di rovesciare completamente il contenuto del sacchetto. Si raddrizzò colto alla sprovvista fissando l’uomo che lo stava chiamando. Levi se ne stava appollaiato sul muretto che circondava la casa. Era all’ombra di un albero abbastanza alto e fitto da permettergli un posto fresco. Indossava dei
Ray Ban, di quelli tipici degli aviatori, di un grigio sfumato che permetteva la vista dei suoi occhi sottili. Aveva una canottiera blu metallico e dei pantaloncini in jeans chiari accompagnati da un paio di infradito. Gli faceva molto strano vedere Levi in quello stato. Certo, non gli dispiaceva, perché da quella canotta fin troppo attillata si riusciva chiaramente a distinguere un fisico scolpito e decisamente muscoloso per un vent’ottenne.

-H-Hey Levi.- disse un po’ titubante Eren. –da quanto sei lì?-
-un po’.-
-E’ inquietante! Non dovevi dirmelo!- borbottò il più giovane svuotando il sacchetto colmo di erba tritata, in un altro più grande e rimettendo tutto com’era prima: doveva ancora tagliare la parte adiacente al muretto quindi doveva andare esattamente sotto a Levi. Bene!
-Tse, me l’hai chiesto.- Eren si avvicinò all’altro e gli piantò addosso uno sguardo curioso. Levi lo notò e quasi infastidito tradusse a parole i suoi pensieri.
-Che c’è?-
-Mi chiedevo perché fossi ancora in città..-
-C’è qualcosa di strano in questo?- Eren rispose dopo un po’.
-No…- si sollevò gli occhiali sulla testa in modo che non avesse la frangetta sugli occhi e si strofinò la fronte con il palmo della mano per asciugarsi dalle piccole goccioline di sudore –è solo che non mi sembri il tipo da rimanere in un posto a lungo…soprattutto perché da quello che mi hai detto era proprio da qua che te ne volevi andare…-
Quel ragazzino aveva centrato il punto. Levi finalmente si sedette su muretto lasciando le gambe chiare a penzoloni verso il giardinetto di Eren.
-Infatti. Volevo andarmene subito, ma- si sollevò anche lui gli occhiali da sole in modo da poter guardare l’altro senza alcun impedimento -ho trovato qualcosa di molto interessante.-
-Uhm?- il castano era ancora più sorpreso ora –Cosa?-
Ovviamente non aveva capito nulla. In fondo Eren era pur sempre uno stupido ragazzino viziato, che si aspettava Levi? Che capisse subito che la cosa, o meglio, la persone che lo interessava era lui? Nah.
-Questo albero. E’ molto interessante questo albero.- disse con una punta (ma solo una puntina) di sarcasmo Levi, indicando l’albero che lo copriva dal sole.
-Ah?- Eren rise, ma non disse nulla a proposito dell’affermazione dell’altro, quindi il moro non poteva sapere se avesse capito che lo stava prendendo in giro e ora stava al suo gioco o se invece non avesse capito proprio niente. E poi come faceva a non essere interessato a quel moccioso, dannazione?
-Quell’albero l’ha piantato mia madre un sacco di tempo fa! Mi disse che lo aveva piantato ancora con
quello li.-
-
Quello li chi?- chiese Levi distrattamente.
-Mio padre. Quel bastardo che ha mollato mia madre dieci anni fa e non si è più fatto vedere.- Levi annuì. Sapeva cosa voleva dire essere abbandonato dai propri genitori e sapeva benissimo che odio provasse Eren nei confronti di suo padre.
-Io, giuro che se lo trovo, a quello, gli faccio il culo a strisce.- gli occhi del ragazzo si illuminarono di una luce strana, quasi omicida. Avrebbero fatto paura quegli occhi verdi così grandi e così luminosi. Avrebbero fatto paura a tutti, quegli occhi, ma non a lui, per lui quella era solo una fonte d’energia. Una linfa da cui trarre una forza disumana. Aveva nutrito fin da subito un certo interesse per quegli occhi, ma ora li adorava letteralmente. Non aveva mai trovato nessuno così. Nessuno con quello sguardo
-Scommetto che non sei nemmeno in grado di dare un pugno.- lo provocò con la sua solita indifferenza.
-Tu dici, tapp- Levi scese  dal muretto e si fermò a nemmeno mezzo metro di distanza da lui. Da quella distanza poteva sentire nitidamente il suo odore mischiato a quello pungente del sudore.
-Vediamo.- Eren non se lo fece ripetere due volte e gli tirò il destro più potente che sapesse fare. Si era allenato parecchio nelle risse a scuola quindi era piuttosto sicuro di sé.
Errore.
In un primo momento Levi parve stupito dalla sua potenza perché bloccò l’attacco a poca distanza dal suo stesso viso, poi però, con un gesto incredibilmente agile e veloce intrappolò il pugno nella sua mano, in modo che l’altro non potesse liberarsi facilmente e ruotò il suo braccio portando verso l’alto l’articolazione del gomito. Trascinò verso di sé il ragazzo e lo fece andare a terra facendo pressione sul gomito.

-Via il braccio.-

Eren si inginocchiò sull’erba fresca ed emise un piccolo gemito quando sentì il piede di Levi che premeva sulla sua spalla.

-E via anche la spalla. Complimenti, con un pugno ti avrei spaccato gomito e clavicola chissà cos’altro con un calcio o un combattimento serio.- Levi non lo stava del tutto prendendo in giro, pensò Eren. Non aveva quel tono di voce ironico…sembrava più una lezione.
-Scusa se non faccio dei veri combattimenti con super criminali e gang tutti i giorni.- Levi fece più pressione sulla sua spalla e ad Eren parve di sentire un “crack”. Quella era un di quelle cose tabù che non bisognava dire a Levi. L’avrebbe tenuto a mente insieme alla storia del “tappetto”.
-Tu infatti, sei uno di quelli che si riempie la bocca di belle parole e alla fine non sa fare un cazzo.- Eren girò la testa di lato e cercò i suoi occhi grigi e sottili. Gli puntò lo sguardo più incazzato che sapesse fare. No, questo non glielo poteva dire.
-No! Non sono così.- gli sibilò addosso con una serietà che non era da Eren.
-Ah si?- Levi lo scrutò attentamente con la sua espressione neutra e di nuovo Eren riuscì a vedere quello strano guizzo nelle sue iridi scure.
-Si.-
-Quindi? Che intendi fare? Io sono ancora più forte di te.- Il castano ci pensò un po’ su facendo vagare il suo sguardo per il giardino. Dopo qualche istante ritornò a guardare Levi negli occhi.
-Insegnami. Fammi diventare forte come te.-
-Notevole.- Eren non sapeva se quel commento fosse per il suo commento o su che altro. Levi era così terribilmente vago.
Il moro lasciò la presa su di Eren e si strofinò le mani sulla stoffa dei pantaloncini, poi si riportò gli occhiali da sole a coprirgli gli occhi.
-Domani mattina, presto, molto presto. Odio il caldo.- con un salto si ritrovò sopra il muretto di nuovo.
-Che?-
-Ti vengo a prendere domani mattina e comincio ad allenarti, no?- Eren si rimise in piedi e raccolse i suoi
wayfarer folding che durante quel “combattimento” erano caduti a terra.
-Ok!- disse sull’attenti.
-Non tardare, odio anche i ritardatari.-
-Ok!- Levi scavalcò definitivamente il muretto.
-Eren?- il ragazzo sussultò. L’aveva chiamato per nome? Raro.
-Fatti una doccia, sudi da far schifo.-
Oh, beh quella non era la cosa più carina da dire a qualcuno, ma…uhm, era da Levi?
 

Il giorno seguente Levi si presentò davanti a casa di Eren alle 5 e ovviamente il ragazzo non era sveglio, quindi aveva dovuto entrare come aveva fatto la prima sera che si erano visti e l’aveva tirato giù dal letto con la sua tipica poca grazia. La cosa peggiore era che Mikasa per il rumore si era svegliata e non appena aveva visto Levi aveva assunto quella sua tipica espressione da “se non vai fuori dalle palle ti accoltello”, ma fortunatamente Eren si era svegliato, seppur poco, e aveva trattenuto la ragazza. Ricevuto il consenso di Mikasa, Levi l’aveva portato in uno dei pochi parchi della città. Era uno di quelli poco frequentati se non dai fattoni che se ne stavano appartati in un angolino. Loro si erano sistemati esattamente al centro del parco, dove gli alberi erano più vicini e quindi fungevano da conca o da ring naturale (come quelli di Smackdown con la sola differenza che lui e Levi non erano attori pagati e Eren si faceva davvero male).
Eren aveva passato le tre ore più faticose e dolorose della sua vita. Levi non era di certo uno che ci andava piano ed Eren non era di certo forte quanto lui. Quell’omino era davvero potente. Più volte il più giovane si era ritrovato con le chiappe bellamente stese a terra, ma non si era mai lamentato e questo, evidentemente, Levi aveva apprezzato. Dopo le tre ore di “allenamento” che era più una “lotta libera”, si stendevano entrambi sull’erba a fissare il cielo e parlavano, certe volte, del più e del meno.

-Perché sei tornato solo adesso qui?-
-Colpa di Hanji.-
-Non solo...c’è anche la tua fidanzata.- disse Eren un po’ deluso. Era ovvio che Levi stava con la biondina della festa. Si vedeva da come si guardavano. Ad Eren non piaceva molto, non perché fosse innamorato di Levi (che assurdità, si conoscevano da appena due settimane), solo, gli dava fastidio che avesse qualcuno che gli ronzava intorno.
-Eh?- Levi si mise a sedere sull’erba e prese un sorso d’acqua da una bottiglietta in plastica trasparente.
-Quella…uhm, come si chiamava? Paola? Perla? Pietra?- il castano strizzò gli occhi per ricordare, ma proprio non gli veniva in mente, in particolare perché il nome della ragazza gliel’aveva detto Hanji dopo che si era scolato mezza bottiglia.
-Petra.- le labbra del moro si piegarono in un mezzo sorriso, ma non per il ricordo della ragazza, bensì per la faccia sofferente che aveva fatto Eren cercando invano di ricordare.
-Si! Lei! Siete proprio una bella coppia.-
Bugia.
-Non stiamo insieme, era solo una vecchia amica.- Eren sospirò.
Sollievo.
-Però, sei tornato anche per lei.-
-Anche per gli altri, era da un po’ che non li vedevo.-
-Perché?- Levi si alzò e gli diede le spalle.
-E’ una lunga storia.-
Quella sottospecie di routine durò per circa un mese e sia Levi che Eren si erano abituati a quella vita, tanto che negli ultimi giorni il castano aveva cominciato a farsi trovare già sveglio fuori dalla porta di casa. Eren imparava in fretta, ma Levi rimaneva per lui imbattibile, anche le loro chiacchierate post-lotta-libera stavano migliorando, sebbene quando si trattava del passato di Levi lui sviasse l’argomento con qualche scusa. Non che importasse molto ad Eren, ormai, gli bastava la sua compagnia.

-Levi! Sai cosa?-
-Ah?- disse il moro con poco interesse.
-Mia madre e Mikasa oggi vanno a pranzare fuori che ne dici di venire da me? Sono un ottimo cuoco!-
-Potresti avvelenarmi.- Eren rise.
-E’ un si?- Levi non rispose, ma continuò a seguirlo verso casa.
Fu da lì che iniziò tutto.
Davanti al cancelletto di casa Jaeger c’era un uomo sui cinquanta che suonava il campanello non ottenendo nessuna risposta. Solo quando si avvicinarono di più notarono che si trattava di un facchino.
-Buon Giorno, chi cerca?- disse Eren guardandolo in viso. L’uomo estrasse un pacco di medie dimensioni da una borsa giallognola.
-C’è un pacco per Eren Jaeger.-
-Sono io.-
-Mi serve una firma qui e il pacco è suo.-
Dopo aver portato il pacco in casa, Levi si adagiò sul divanetto sorseggiando dell’acqua da un bicchiere di vetro rossastro. Solo quando non sentì provenire più alcun rumore dalla cucina decise di alzarsi per andare a vedere che cosa stava succedendo a quel marmocchietto di Eren.
Il ragazzo se ne stava lì, fermo, con una chiave in mano e un biglietto spiegazzato, gli occhi sbarrati. Sembrava quasi non respirasse.

-Moccioso che hai?- disse avvicinandosi a lui.
-E’ suo il pacco.-
-Suo di chi?-
-Grisha Jaeger.-
-Una chiave? A che serve?- disse appoggiando il bicchiere vuoto sul lavandino.
-Ad aprire il suo studio, in taverna. Quello che nessuno di noi ha mai visto, diceva che era una cosa sua e sua soltanto e prima o poi sarebbe arrivato questo momento.- Levi sbuffò. Che padre problematico che si trovava Eren.
-Beh, allora apri, vediamo che ha da dirci.- Eren guardò l’altro negli occhi e poi si convinse. Si diressero giù ad una breve scala a chiocciola dove ad aspettarli c’era una vera e propria porta blindata. Eren inspirò ed espirò un paio di volte. Aveva aspettato moltissimo tempo prima di poter scoprire che cosa c’era li dietro. Quella era l’unica cosa di suo padre che animava la casa, magari avrebbe potuto spiegargli un po’ più di cose su quell’uomo. Magari avrebbe potuto scoprire perché se n’era andato. Si riscosse quando Levi gli spinse il gomito impercettibilmente. Quello era il suo modo di stargli vicino. Eren apprezzò e decise di infilare la chiave (incredibilmente piccola rispetto alla serratura) all’interno della toppa.
Si aprirono numerosi chiavistelli con dei rumorosi schiocchi in un tempo che sembrò infinito.
Appena la porta si aprì, ai loro occhi si presentò una stanzetta piena di scatoloni impilati l’uno sull’altro con un enorme quantità di polvere. In fondo alla stanzetta c’era una piccola scrivania su cui erano disposti dei libri in modo ordinato. Il castano si diresse deciso verso la scrivania, qualcosa gli diceva che quello era il luogo dove avrebbe trovato tutto. Levi, dapprima rimase immobile sulla soglia a guardarsi intorno, poi cominciò a sbirciare all’interno degli scatoloni impolverati con una smorfia di disgusto sul viso. Tutto quello sporco lo ripugnava.
Eren trovò quello che cercava quasi subito: una lettera con scritto “A mio figlio Eren”. Sbuffò profondamente offeso. Come poteva definirlo ancora suo figlio dopo dieci anni di totale silenzio? Aprì la busta. E lesse il contenuto velocemente.


Caro figlio,
Probabilmente quando leggerai questa lettera avrai ottenuto le chiavi del mio studio via posta da un nostro collaboratore e di conseguenza io sarò già morto. Quello che voglio da te, con questa lettera non è il tuo perdono e nemmeno la tua tristezza per la mia morte. So di non essere stato presente come avrei voluto per te e Mikasa, ma tutto quello che posso dirti è che sono stato lontano perché ho dovuto, non dipendeva da me.
Mi conoscono con molti nomi, quello più diffuso ultimamente è Doc, uno dei Boss più temibili della mafia statunitense. Sono entrato in questo circolo molto prima di conoscere tua madre, inizialmente solo per qualche debito che mi ero fatto con alcune persone durante le serate di Poker. Ero giovane e stupido. Chi può biasimarmi?
Non avrei mai immaginato che potessero coinvolgermi fino a questo punto, ma una cosa che impari è che una volta che la mafia da’, poi qualsiasi cosa tu faccia, non ne uscirai mai. E’ una strada di non ritorno.
Quello che voglio dirti è che ve l’ho tenuto nascosto. Non volevo che tu diventassi come loro, come me. Dovevo tenere la mia famiglia lontana da questo degrado, da questo circolo vizioso.
Mi resta un’ultima richiesta da farti, Eren, sta a te decidere se esaudire questo mio ultimo desiderio. Voglio che tu, tra tre anni esatti da quando leggerai la lettera, ti faccia trovare a Washington D.C. alle 5.30 passate alla periferia ovest della città. Lì seguendo la mappa che ti ho appuntato qui sotto troverai una porta e con la stessa chiave con cui hai aperto lo studio aprirai l’entrata ai sotterranei della capitale. In quel luogo troverai la vendetta che cerchi. Contro di me e contro il mondo intero.
Sta a te decidere se partire o se rimanere lì senza sapere nulla.
Vi voglio bene
Grisha
 


-Levi...?-
-Eh?-
-Partiamo.-
-Cosa?-
-Portami ovunque tu sia stato fino ad ora, voglio andarmene da qui.-

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Hi there ragazzi e ragazze! E dopo aver pubblicata quella pseudo rossa su Levi ed Eren eccomi finalmente con il nono capitolo! Finalmente perché mi ero detta che avrei scritto più spesso visto che sono in vacanza, però poi si sa come va a finire: dici una cosa e ne fai un'altra.
Cooomunque ora sono qui e vi presento un capitolo in cui non succede fondalmentalmente nulla se non un po' di Riren qua e la. Ho deciso di renderlo così solo per darvi un'idea di come preparano i furti i due piccioncini (visto che state leggendo una storia di azione ahaha anche se alla fine incappo nel fluff u.u accidenti). Quiiindi, vi lascio con questo capitolo sperando di poter aggiornare il più presto possibile.
Buona Lettura!





Capitolo 9




-Hey Eren-
-Moccioso sto parlando con te.- Eren mugugnò sentendo una certa pressione stranamente familiare e allo stesso tempo opprimente appena sotto le costole.
-Cazzo Eren, vuoi alzare quel culo?- Ora Eren era perfettamente sveglio e cosciente, sentiva chiaramente il dolore alla schiena perché quel tale Pixis non aveva abbastanza letti quindi era stato costretto a dormire a terra con l’ausilio di mille coperte a fargli da materasso. Era consapevole del fatto che gli occhi gli facevano male, anche se erano coperti dalle palpebre, a causa della quantità spropositata di luce all’interno della stanza. Sapeva che quello che sentiva sul fianco era il piede di Levi che tentava di scrostarlo dal letto e si rendeva anche conto che era molto tardi visto il tono di voce piuttosto incazzato del suo fidanzato.
Proprio perché sapeva tutto questo si ostinava a tenere gli occhi chiusi per fargli credere di stare ancora dormendo.
-Tse, moccioso rompi palle. Se non ti svegli subito ti taglio a fettine sottili.- Eren sentiva chiaramente i suoi denti digrignare. Si girò dall’altra parte facendo finta di niente.
-Prima o poi ti faccio fuori.- la specie di materasso su cui stava dormendo si inclinò pericolosamente facendolo scivolare sempre più in giù. Ne seguì un colpo secco ed ecco che si ritrovò con la guancia incollata al pavimento freddo. Faceva male, ma ne era valsa la pena: far incazzare Levi non aveva prezzo.
Si mise a sedere appoggiando la schiena sul letto dell’altro, poi cominciò a strofinarsi gli occhi cercando di abituarsi alla luce della stanza.
-Buon giorno Levi!- disse con voce roca, ma allo stesso tempo solare come sempre.
-Dannato moccioso.- il moro si voltò, in modo da dare le spalle ad Eren e cominciò a sistemare quel groviglio di coperte che aveva formato, seppur inconsapevolmente, il castano.
-Lavati e vestiti. Tra poco ripartiamo.- disse telegrafico Levi posizionando le coperte perfettamente piegate sopra il suo letto. Eren non si mosse di un millimetro.
-Hai voglia di prenderle sta mattina, Eren?- il sopracciglio di Levi era pericolosamente inclinato verso l’alto, la sua espressione indifferente non cambiava, ma quel sopracciglio faceva paura.
Il più giovane stese le braccia verso l’altro come se fosse un bambino che vuole essere preso in braccio.
-Che c’è ora?- gli chiese sempre più scocciato il moro.
-Me lo dai il bacio del buon giorno?-
-Perché dovrei?- negli occhi di Levi apparve una nota di curiosità maliziosa mentre il suo viso si rilassava leggermente.
-Perché non me l’hai ancora dato.- rispose muovendo le dita in modo da far capire all’altro che doveva sbrigarsi a riempire quello spazio.
-Non mi ricordo di averti mai detto o fatto capire che fosse un mio dovere.- disse appoggiando entrambe le mani sui fianchi stretti come se fosse in attesa di una buona risposta alla sua provocazione.
-Non è un dovere e nemmeno un ordine…è solo un capriccio.- Era incredibile come quel moccioso riuscisse sempre a sviare il discorso a suo favore. Poco male, a Levi piaceva assecondare i suoi capricci alle volte.
-Un capriccio, eh?- sussurrò abbassandosi fino all’altezza del ragazzo. Un ginocchio posizionato esattamente in mezzo alle sue gambe mentre l’altro a sfiorargli piacevolmente la gamba. Le braccia di Eren lo accolsero avvolgendosi intorno al suo collo e attirandolo leggermente a sé. Levi si avvicinò pericolosamente al suo viso, fermandosi  a pochissimo da lui. Ora le loro labbra si sfioravano e poteva chiaramente sentire il respiro pesante del più giovane sulla sua pelle. Il castano gemette come se fosse scocciato dal fatto che Levi non lo stesse ancora baciando. Quanto adorava far perdere la pazienza ad Eren. Il più giovane calciò l’aria scocciato con un gesto simile a quello dei bambini arrabbiati così l’altro decise di accontentarlo. Per prima cosa Levi mordicchiò il labbro inferiore di Eren, torturando quel pezzo di pelle con lingua e denti. Il castano emise un suono che poteva essere paragonato a quello di una supplica. Dopo lunghi attimi Levi decise di abbandonare il suo labbro per concentrarsi alla sua bocca. Eren schiuse le labbra immediatamente e lasciò che l’altro lo esplorasse completamente. Durò parecchio, secondo il più giovane, quello scambio di saliva e di passione. Adorava sentire il sapore dell’altro su di sé, soprattutto perché quei baci quasi dolci erano molto rari da parte di Levi.
Il moro si staccò poco dopo con un sonoro schiocco mentre dalla bocca del più piccolo scendeva un rivolo di saliva trasparente.
-Non è stato male, no?- disse Eren seguendo con lo sguardo i movimenti dell’altro. Il moro si alzò e si diresse verso la porta della camera.
-Eren- cominciò Levi prendendo la maniglia della porta tra le dita –prima di andare, lavati i denti, il tuo alito fa schifo.-
Mai una volta che gli desse soddisfazione. Non una sola volta.
 
Levi ed Eren camminavano ormai da tempo indeterminale. Le strade che percorrevano erano di una città molto vicina a New York, ma meno trafficata della metropoli. Levi l’aveva portato lì per soddisfare la loro inattività. Entrambi avevano bisogno di un colpo grosso. Avevano finto di essere turisti che visitano New York, avevano finto di essere persone normali come se non fossero legati in modo indelebile alla malavita. Loro non erano persone normali e mai lo sarebbero state. Loro conoscevano la vera essenza di quel mondo corrotto e non potevano stare lì a guardare la vita scorrere davanti ai loro occhi senza reagire. Avevano fatto una scelta sapendo di rischiare la vita in cambio della libertà e non potevano tornare indietro, no, non potevano aver ripensamenti.
-E’ questa.- Levi indicò ad Eren una struttura molto alta formata da due palazzi di media altezza. Erano ricoperti di vetrate che davano al tutto un colore azzurrognolo. In basso, nell’edificio che univa le due torri troneggiava una scritta “Bank of Edison”.
Quello sarebbe stato il loro prossimo bottino di caccia.
-L’avevo già notata un po’ di anni fa e ammetto che all’epoca era molto più ristretta.- disse guardando all’insù verso la punta della torre. La sua espressione indifferente come sempre copriva un’irrefrenabile voglia di agire che Eren conosceva molto bene.
-Divertente.- sussurrò con un mezzo sorriso il castano guardando nella medesima direzione dell’altro.
-E impegnativa, moccioso.- concluse il moro spostando lo sguardo dall’edificio al ragazzo. I due si guardarono per qualche secondo.
-Pronto?- disse Levi rivolto all’altro.
-Lo sono sempre stato.-
 
I due giovani ladri per prima cosa prenotarono in un bed and breakfast poco lontano dalla banca, lì avevano sia una buona visuale delle torri che un luogo in cui studiare un buon piano. Per Eren la parte che precedeva il furto era quella più noiosa, non solo perché si parlava, si studiava il luogo, la situazione e la fuga ma anche perché alla fine era sempre lui quello che finiva a fare la parte seccante. Ad esempio, quella volta del bar lui aveva dovuto sgobbare nel locale sopportando strane molestie da parte degli ubriaconi mentre Levi aveva semplicemente fatto quell’entrata da “hey sono io il figo qui”.
In realtà Levi non faceva “semplicemente” quello. Lui organizzava tutto il lavoro e componeva un piano sicuro da seguire. Se fosse stato per Eren sarebbe bastato e avanzato entrare nel locale, sparare un po’ a caso e prendersi i soldi. Insomma al più giovane piaceva improvvisare.
-Questa volta dobbiamo essere veloci. Non possiamo permetterci di sbagliare altrimenti siamo fregati. Dietro ai banconi dei commessi c’è sicuramente il pulsante di emergenza. Ora che quegli idioti ci svuoteranno i soldi in una borsa e la polizia sarà arrivata circondando la banca. Le cose che possiamo fare sono due: o mirare direttamente al caveau e farlo saltare, con un po’  dinamite ad esempio, oppure aspettare che ci diano i soldi che hanno lì. In entrambi i casi uscirne potrebbe rivelarsi un vero problema perché non possiamo utilizzare né la via per terra che sarà occupata dai poliziotti né la via per i piani alti che sarà occupata dagli uffici di impiegati in maggioranza numerica rispetto a noi.- Levi parlava velocemente e con la massima serietà. Se ne stava seduto a gambe incrociate sopra il lettino del bed and breakfast che li ospitava. Davanti a sé aveva delle foto e dei documenti che avevano raccolto nel giro di quasi due giorni di ricerche. Alla sua parte opposta c’era Eren che cercava di seguire il ragionamento dell’altro grattandosi la testa di tanto in tanto. Non era la prima volta che rapinavano una banca, avevano pur sempre tre anni di esperienza alle spalle, l’unico problema è che questa volta era diverso. L’edificio era molto più grande degli altri che avevano visto e si parlava di un città molto vicina a New York che avrebbe implicato il doppio delle forze di polizia. Ma quella era la parte divertente e nuova.
-E se…- sussurrò Eren immerso nella contemplazione delle foto.
-Cosa?-
-Potrei dire una cavolata, ma…se non possiamo andare per terra e non possiamo nemmeno andare verso l’alto…perché non usiamo il basso?- Levi lo squadrò per un attimo. Aveva un sopracciglio inarcato e lo guardava con aria scettica. Quella era una delle rare espressioni di “stupore” che faceva Levi, tutto era reso ancora più divertente dal fatto che sembrava non capire del tutto quello che Eren gli stava dicendo.
-Spiegati.-
-Beh, non so, penso che a te farà piuttosto schifo, ma se non sbaglio sotto ogni edificio c’è una rete fognaria che attraversa la città quindi-
-Quindi potremo scappare da lì sotto e uscirne dall’altro capo della città.- Eren annuì convinto rizzandosi su con la schiena come se avesse acquistato fierezza tutto ad un tratto. Il moro osservò di nuovo le foto che aveva davanti a sé e poi spostò di nuovo lo sguardo nella direzione dell’altro, infine sospirò piano.
-Potrebbe essere una buona idea.- Ad Eren si illuminarono gli occhi, ma Levi fermò subito il suo entusiasmo con un gesto secco della mano.
-Ma come lo facciamo il buco per scendere nelle fogne?- il castano sbuffò contrariato e abbassò lo sguardo. A questo non aveva pensato. Levi si massaggiò le tempie cominciando a ragionare a voce alta.
-Abbiamo tempo solo per prendere i soldi perché quando avremmo i sacchi pieni i poliziotti potrebbero già essere arrivati. Possiamo provare a scendere nelle fogne, ma non abbiamo abbastanza tempo per scendere da qualche cunicolo. Dobbiamo guadagnare tempo. Come possiamo fare?-
-Prendere degli ostaggi?-
-No, se uno di noi due punta la pistola alla tempia di un civile mentre l’altro trova un modo per scendere qualche poliziotto cazzone sparerebbe sicuramente a quello che sta lavorando per scappare.-
-Giusto…- disse deluso il più giovane.
-Abbiamo bisogno di un diversivo…-
-Tipo?-
-Qualcosa che oscuri la visuale degli sbirri e che ci permetta di scappare tranquillamente e velocemente. In più dobbiamo trovare qualcosa per scendere.-
-Dobbiamo trovare anche il punto più vicino alle fogne.- aggiunse pensieroso il castano.
-Già…ma come fare?- chiese retoricamente Levi, fissando un punto impreciso del pavimento.
 
 
Una leggera brezza accarezzava i capelli castani di Eren. Qualche ciocca gli era finita più di una volta sul viso, davanti agli occhi, ma lui se n’era liberato con impazienza. Aveva qualcos’altro di molto più bello da ammirare. Davanti a lui si stagliavano un mare di puntini colorati che provenivano da luci, insegne, lampioni e molto altro ancora. Il loro colore chiaro e luminoso era amplificato dal fatto che il cielo era completamente buio, senza alcuna stella, e le sagome dei grattacieli si potevano solamente intravedere.
Fin da piccolo lui, sua madre e Mikasa erano abituati a sedersi nel piccolo terrazzino a guardare il cielo. C’erano delle sere in cui le stelle non erano visibili o per il brutto tempo oppure perché la città era troppo illuminata, in qualsiasi caso sua madre non gli dava una spiegazione scientifica del fenomeno, ma si limitava ad una finzione che faceva sorridere ogni volta i due bambini.
“Le stelle sono scese dal cielo per illuminare la terra scura e solitaria. Non vedete quanta luce si vede lì all’orizzonte?” i due bambini annuirono.
“E sono scese anche qui mamma?” chiese Eren appassionato da tutta quella storia.
“Si, voi siete le mie piccole stelle che illuminano le mie giornate.”
Eren era convinto che quella sera le stelle fossero scese su New York.
 
-Levi?-
-Uh?-
-Ti manca mai la tua famiglia?- chiese Eren senza distogliere lo sguardo dalla distesa di grattacieli che gli si parava davanti.
-No.- disse con un mezzo sospiro dopo molti secondi.
-Nemmeno quando rischi di morire?-
-No, non la considero più una famiglia la mia. Mi va bene così perché non posso permettermi di pensare al passato visto che nel presente ho da pensare ad un moccioso idiota.- Eren sorrise e strinse le mani attorno alla ringhiera del posto più alto che potevano raggiungere dell’Empire State Building.
-Non sono un moccioso e non sono nemmeno idiota.- disse con un finto tono offeso il più giovane.
-Invece lo sei.-
-Domani faremo il culo agli sbirri.- disse Eren con una strana luce negli occhi.
-Già.- Stettero in silenzio per lunghi secondi a guardare la città pronta alla vita notturna.
-Eren non provare a morire domani.-
-Non lo farò. Mi riempiresti di botte.- disse sorridendo appena il castano.
-Già.-
-Non provarci nemmeno tu.- aggiunse rivolto all’altro.
-Non lo farò. Devo pestarti prima.- Quello era lo scambio di battute che facevano prima di ogni furto. Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, ma l’uno era quello che rimaneva di più caro all’altro e dopo aver perso tante persone importanti avevano bisogno di un appiglio. Avevano bisogno di sapere che non sarebbero rimasti soli.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Ciao ragazzuoleee! Dopo una settimana di vacanza nelle Marche ecco ritornata con il decimo capitolo di I'm addicted to you! Devo dire che il decimo capitolo è un traguardo perché dieci (adesso dico la cazzata del giorno) è un numero molto bello a mio parere ahaha quindi sono emozionata (?) per essere arrivata a questo punto. Ringrazio tuuuuutte le persone che seguono/recensiscono/aggiungono a tutte le liste possibili e immaginabili la mia fic e visto che ora sarò ufficialmente tappata in casa fino a data da decidersi spero di aggiornare mooolto presto! Detto questo, godetevi il capitolo ritorno al passato in modalità this is summer e buona lettura! :D



 
Capitolo 10




Il pomeriggio stesso, dopo aver scoperto la lettera, Levi ed Eren erano partiti.
Eren non aveva aspettato sua madre e Mikasa, aveva lasciato un semplice biglietto sopra al tavolo che spiegava quello che era successo. Se avesse anche solo visto sua madre o sua sorella, una delle due gli avrebbe impedito di partire anche usando la forza. Avevano già visto entrambe qualcuno andare via, non sarebbero state lì con le mani in mano un’altra volta. Eren si sentiva egoista mentre radunava dentro al suo Eastpack qualche vestito preso a caso, si sentiva sempre di più simile a suo padre. Stava abbandonando le persone che di più care aveva al mondo per un suo desiderio personale, non si stava ponendo nemmeno il problema di chiedersi cosa avrebbero fatto le due donne da sole senza due braccia in più che potevano dare un maggior reddito a quella famiglia già dimezzata. Eren sul serio non ci riusciva, non riusciva a fermare le sue mani che si muovevano meticolosamente dal cassetto allo zaino, non riusciva a provare rimorso per quello che stava per fare e non riusciva nemmeno a pensare cosa avrebbe comportato la decisione di partire. Forse ora comprendeva cos’aveva provato suo padre prima di scomparire, ma non riusciva a provare odio verso se stesso per questo. Riusciva solo a sentire che quello che stava facendo era giusto, che l’occasione che aveva aspettato per diciotto anni era fuori ad aspettarlo e si chiamava Levi. Non gli importava cosa fosse o chi fosse, voleva solo fuggire e cambiare vita. Voleva solo diventare libero e allontanarsi da quella realtà che l’aveva oppresso per così tanto tempo.
Prese il cellulare e l’ipod che gli aveva regalato Mikasa per il suo diciottesimo compleanno: quei due oggetti sarebbero stati l’unico legame con la sua vecchia vita. Chiuse la cerniera dell’Eastpack e con quello si arrestarono anche i suoi pensieri. Era ora di partire, aveva indugiato abbastanza.
 
Levi non aveva aggiunto una sola parola, era partito con Eren e immersi in quel silenzio carico di pensieri e di domande lasciate a metà aveva guidato la macchina il più lontano possibile dal loro paese natale: troppi colpi di scena per Eren e troppi ricordi per lui.
Solo dopo tre ore di guida il più giovane aveva acceso il suo ipod abbandonando la testa contro il finestrino e spegnendo definitivamente il cervello. Poi era scivolato in un sonno privo di sogni per un tempo che a lui parve indeterminabile.
-Moccioso, siamo arrivati. Sta sera ci fermeremo qua, domani mattina presto ripartiremo.- una voce brusca e seria l’aveva svegliato. La macchina era ferma al parcheggio di un motel appena fuori dall’autostrada, ma Eren riusciva a distinguere poco o niente di ciò che si trovava all’esterno del finestrino visto che era notte fonda. Prese lo zaino che si trovava ancora a terra tra le sue gambe e massaggiandosi un po’ la testa era sceso.  Levi, senza troppe cerimonie, l’aveva guidato all’interno di una piccola stanza dai colori smorti che puzzava di fumo. Eren buttò il  suo zaino a terra e dopo essersi tolto le scarpe si trascinò nel letto singolo più in fondo alla stanza. La testa gli faceva molto male e anche il suo corpo sembrava più pesante del solito. Gli sembrava di essere invecchiato di molti anni, ma quello che lo infastidiva di più dello stato in cui si trovava era che a causarglielo era stato suo padre, perché per quanto si ostinasse ad odiarlo, sapere della sua morte gli aveva fatto molto male.
-Ti da fastidio se fumo?- chiese Levi ad un certo punto sedendosi sul davanzale della finestra. Eren scosse la testa. L’ultima cosa di cui gli importava era cosa faceva il suo compagno di viaggio. Il moro accese la sigaretta con un accendino trasparente e prese ad aspirare da questa con avidità come se quel sapore gli fosse mancato. Dopo lunghi secondi cominciò a guardare il cielo stellato che si vedeva chiaramente attraverso la finestra aperta.
-Non vorrai fare il morto vivente per tutto il viaggio.- aggiunse dopo poco Levi. Eren non rispose e continuò a guardare il soffitto. Il moro sospirò passandosi una mano tra i capelli.
-Perché mi hai chiesto di portarti via?- Eren non se l’aspettava quella domanda quindi la sua attenzione si spostò dal soffitto screpolato al suo compagno di viaggio che già lo stava perforando con i suoi occhi grigiastri.
-Voglio andare a quell’incontro tra tre anni.- disse incerto il più giovane.
-No.- Eren si ammutolì, non era quello il motivo effettivamente.
-Voglio vedere il mondo.- Levi aspirò dalla sigaretta.
-No. Questa è una cosa da…uhm come si chiamava il tuo amico biondino?- Armin. Già, vedere il mondo era sempre stato il loro desiderio, anche se effettivamente ad Eren non era quello che interessava. Almeno non era il vero motivo per cui era partito con Levi.
-I-Io…voglio agire. Non voglio stare rinchiuso per una vita.- Il moro fece un lungo tiro prima di spegnere la sigaretta sul davanzale.
-Bene e allora vivi, ora. In questa merda di motel non nella tua cazzo di testa.-
 
Trascorsero molti giorni dopo quella sera, giorni lunghi e tutti uguali in cui le uniche parole che si scambiavano riguardavano bisogni necessari come dove fermarsi per pranzo o che cosa prenotare per dormire. Eren vedeva quel tempo tutto uguale, un susseguirsi di giorno e notte in cui l’unica cosa che cambiava era il paesaggio. Levi gli aveva detto di vivere il presente, di non ricordare il passato, ma non ci riusciva. Eren non riusciva a non pensare alla sua casa, ai suoi amici, a sua madre e a Mikasa. Aveva pensato che andandosene dal suo paese tutto sarebbe cambiato e sarebbe finalmente stato felice, ma quello che stava vivendo non era quello che si aspettava. I suoi pensieri erano inconcludenti ed erano sempre gli stessi sotto qualsiasi canzone del suo ipod. Tutto gli sembrava uguale fino a quando non arrivò a Miami.
Una striscia di blu dominava l’orizzonte e Mman mano che si avvicinarono cominciò ad intravedersi la spiaggia che si estendeva per tutta la costa in ampie curve. In più il mare cominciò a suddividersi in fasce cromate che andavano da un azzurrino chiaro ad un blu scuro. L’oceano era circondata da qualche grattacielo che si trovava poco più lontano dalla spiaggia. Il sole coceva sulle loro teste e il caldo sembrava insopportabile anche se i finestrini dell’auto erano completamente aperti.
-Cos’è quella roba blu?- domandò Eren riferendosi a ciò che si trovava all’orizzonte. Non appena aveva visto il paesaggio aveva subito tolto le cuffie e spento l’ipod.
-E’ l’Oceano.- ad Eren si illuminarono gli occhi cosa che non succedeva da quasi una settimana.
-Possiamo andarci?- Levi alzò un sopracciglio e piegò le labbra in un sorrisetto come se si stesse divertendo ad osservare l’espressione ebete sul volto del più giovane.
-E’ lì che stiamo andando, infatti.-
 
Levi parcheggiò in una stradina interna tra due grattacieli enormi ed Eren saltò letteralmente fuori dalla macchina. Non aveva mai visto qualcosa come il mare e la spiaggia, magari la piscina del suo paese però si trattava pur sempre di qualcosa di artificiale. Quello che si trovò davanti gli mozzò il fiato. Si sfilò le scarpe dai piedi e mosse qualche passo su quella distesa dorata. Sentì un calore molto forte come se stesse camminando sopra al fuoco, ma allo stesso tempo la sabbia lo accolse al suo interno modellandosi in maniera perfetta secondo la struttura del suo piede dandogli una sensazione di morbidezza sotto la pianta. Stette così, immobile al sole per lunghi istanti mentre il suo sguardo vagava in ogni punto della spiaggia. Quello che più lo affascinava era l’Oceano: si stagliava talmente tanto ampio davanti ai suoi occhi che pareva infinito. Vedere qualcosa di infinito gli sembrava un sogno, visto che per lunghi anni aveva sempre guardato le stesse strade e le stesse case. Eren si tolse gli occhiali da sole e li depositò sulla sabbia poi fece lo stesso con la sua canotta, con i pantaloncini e con le scarpe che aveva ancora in mano. Li lasciò in quel punto e prese a camminare davanti a sé. Guardare non gli bastava più, voleva provare sulla sua pelle cos’era l’Oceano.
Si avvicinò sempre di più all’acqua fino ad arrivare alla parte di sabbia umidiccia perché perennemente bagnata dalle onde. In quel punto la sensazione di morbidezza era ancora più accentuata. Non fece nemmeno in tempo ad abituarsi al nuovo sentore che un’onda più forte delle altre arrivò ai suoi piedi strappandogli un brivido, sia perché l’acqua era fresca sia perché non se l’aspettava. Quel contatto gli diede la spinta per andare avanti quindi continuò il suo percorso verso mare. Affondò nell’acqua con il suo corpo sempre di più fino a quando il liquido gli arrivò alla vita e allora decise di tuffarsi. Dopo un primo momento si accorse che non era così tanto freddo come gli era sembrato all’inizio. L’odore di sale gli riempiva le narici e aprire gli occhi per guardare sott’acqua gli bruciava molto. Proseguì a camminare sempre più in fondo fino a che non toccò più e l’acqua cominciò a diventare più scura mentre il fondale si faceva più lontano. Una sensazione di paura mista ad una strana eccitazione si fece largo in lui attanagliandogli lo stomaco. Se avesse continuato ad andare avanti si sarebbe trovato in mezzo alla vastità infinita dell’Oceano in balia delle onde e degli animali marini più pericolosi, non avrebbe avuto nulla di artificiale da toccare con i piedi come quelle classiche piscine in cui non tocchi al centro, ma ai lati sono più alte. Sarebbe stato esattamente in mezzo al nulla, un puntino, una cosa insignificante gradevolmente libera e indomita. Tutti quei pensieri gli facevano una paura tremenda, ma allo stesso tempo lo agitavano. Mai aveva provato quelle emozioni e solo in quel momento si rese conto che mai le avrebbe provate se non fosse stato portato lì, in quella mattinata di fine luglio.
Cominciò a nuotare nella direzione in cui era venuto ascoltando le voci stridule dei bambini che giocavano con i genitori oppure le urla dei ragazzi che si godevano un’altra giornata di vacanza. Risalì dall’acqua e cercò di ritrovare il punto in cui aveva lasciato le sue cose, ma quello che trovò al loro posto lo stupì parecchio.
-Che hai da guardare con quegli occhi da cretino, moccioso?- Eren osservò Levi da capo a piedi: era sotto ad un ombrellone spuntato magicamente dalla sabbia e se ne stava seduto su una sedia ripiegabile, aveva i suoi ray ban e indossava i soliti pantaloni lunghi in jeans. Al posto della maglietta a maniche corte con cui aveva fatto il viaggio si n’era messo una a maniche lunghe e in testa portava il capello dei Lakers di Eren. In più, in mano aveva un plico di fogli con un mucchio di scritte rosse e foto strane.
-Non hai caldo?- ridacchiò Eren sistemandosi i capelli castani che gli si erano appiccicati alla fronte. Proprio in quel momento si sentì su di sé gli occhi indagatori dell’altro che (ne era sicuro) lo stavano squadrando con insistenza da capo a piedi.
-Ho molto autocontrollo.- disse impassibile l’altro.
-Mettiti in costume e vieni in mare! L’acqua è stupenda!- disse il più alto con il tono di voce di un bambino emozionato.
-No, odio molto il mare.- Levi appoggiò i fogli accanto alla sedia per togliersi un attimo il capello e sistemarsi i capelli.
-Perché?-
-E’ pieno di gente rumorosa ed è sporco perché tutti i mocciosetti ci stanno dentro.-
-Ma c’è un ottimo scambio di acqua e poi si vede il fondo, non è poi così sporco!- protestò Eren supplicante. Levi fece un cenno di stizza con la mano.
-Non verrò mai in acqua.- solo in quel momento nella mente del più giovane balenò un pensiero che avrebbe potuto ucciderlo. Non doveva mettersi contro di Levi, lo sapeva bene, ma era più forte di lui….
Un colpo di vento inclinò l’ombrellone scoprendo Levi che fu costretto ad alzarsi e a sistemarlo per non aver il sole contro.
Quella era l’occasione giusta.
Eren se lo caricò in spalla proprio nel momento in cui Levi stava per risedersi sulla sedia pieghevole.
-Moccioso che cazzo stai facendo?!- disse un po’ alterato il moro con la voce leggermente strozzata per la posizione. Il castano intanto stava stringendo i denti perché pensava che quel corpicino più piccolo di lui fosse anche molto più leggero. Doveva sbrigarsi a mollarlo perché era veramente pesante. Eren cominciò a correre, per quanto Levi glielo permettesse, verso il mare.
-Eren mettimi giù, cazzo.- Levi si stava trattenendo parecchio e il più giovane ancora si domandava come facesse ad essere così calmo in ogni situazione.
-No, ora vieni al mare con me.- disse il più giovane con svariate goccioline di sudore che gli rigavano il volto. Levi cominciò a divincolarsi e se non fosse stata la schiena di Eren a rimetterci, sarebbe stata proprio una scena divertente. Era ormai tutto inutile visto che mancavano pochi centimetri all’acqua.
-Ragazzino idiota se mi butti in acqua dopo le prendi.- provò un’ultima volta il moro cominciando a scalciare. Eren non ne poteva davvero più quindi non appena l’acqua gli arrivò alle cosce decise che era giunto il grande momento di buttare un Levi incazzato e vestito come se ci fossero dieci gradi al sole in acqua. Il castano lasciò la presa sull’altro anche se quest’ultimo stava per completare un serie di insulti da bollino rosso.
-Ah! Io ora ti ammazzo! Ora ti prendo e ti soffoco con l’acqua di mare.- Eren ridacchiò cercando di contenersi visto lo stato in cui erano i vestiti dell’altro, ma tutta quella situazione era così tanto esilarante che ci riuscì solo per poco. Quello fu un male perché alimentò la furia omicida di Levi che con il solito sguardo di ghiaccio cominciò a rincorrerlo ovunque Eren cercasse di scappare e, alla fine, riuscì a prenderlo per sfinimento e cercò più di una volta di prendere la sua testa e affondarla nell’acqua.
Dopo qualche ora di combattimento folle entrambi si calmarono lasciandosi cullare dalle onde per un po’.
-Grazie Levi…-
-Tsk, moccioso rompi palle.-
-Mi serviva una cosa del genere- proseguì il più giovane guardando il cielo limpido sopra di loro.
-Io stavo molto meglio sotto l’ombrellone.- disse con la solita indifferenza  il più grande.
-Ammetti che è stato divertente!- ridacchiò Eren cercando di strappargli un “si” che non arrivò. Levi si alzò lasciando gocciolare i vestiti in acqua.
-No. Ora odio ancora di più il mare.- il moro cominciò a camminare verso la riva e il più giovane lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava. Doveva ammettere che con i vestiti bagnati che gli aderivano perfettamente alla pelle, Levi era ancora più sexy perché si riusciva chiaramente a vedere il suo fisico scolpito e allo stesso tempo asciutto. Lo sguardo del più giovane ricadde involontariamente più in basso, sul fondoschiena dell’altro. Si morse un labbro. Era veramente bello, tutto di lui lo interessava così tanto da piacergli alla follia a partire da quel corpo perfetto fino ad arrivare al suo carattere misterioso. Si conoscevano da quasi tre mesi eppure gli pareva di conoscerlo da una vita. Quando stava con lui si sentiva davvero capito perché non era un caso che Levi l’avesse portato in quel posto da un giorno all’altro. Levi aveva capito quello che stava provando e piano piano stava tentando di staccarlo dalla vita di prima accentrando tutta l’attenzione su quei posti e sul loro rapporto incomprensibile.
-Moccioso!- si sentì chiamare da una voce lontana. –Muoviti ho fame, cazzo.- Levi si era girato un attimo, aveva rimesso i suoi ray ban e ora lo stava aspettando sulla sabbia umida della costa. Un leggero venticello a muovergli i capelli corti e la sua figura un po’ tremante per lo sbalzo di temperatura.
Dio se gli piaceva quel nano scorbutico.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***



Capitolo 11







Eren entrò nel grande edificio con passo svelto e deciso. Tutto era esattamente come nei dati che lui e Levi avevano studiato per giorni. Si trattava di un atrio enorme e circolare, con le pareti tinteggiate di un bianco acceso che rendeva il tutto molto più futuristico e astratto di quanto non fosse in realtà. Nella parte opposta all’entrata c’era un bancone enorme dietro al quale erano posizionati all’incirca otto impiegati che si occupavano ciascuno di una fila di persone. Le corsie di clienti erano separate le une dalle altre da alcuni paletti uniti tra loro da corde in velluto rosso. Dietro al primo bancone in plastica chiara e laccata c’erano molte altre scrivanie, di poco più piccole, sopra le quali troneggiavano computer e fogli di ogni genere disposte in un caos quasi fastidioso. Eren prese posto dietro ad una donna di mezz’età in una delle file che sembrava più corta. Un leggero brusio riempiva i muri di quella stanza enorme: quella mattina c’erano molte persone, condizione ideale per una rapina.
Eren si guardò intorno velocemente e solo dopo una manciata di secondi individuò il suo complice. Levi se ne stava con la schiena contro il muro ad osservare il viavai di persone in attesa del segnale da parte dell’altro. Gli fece un cenno impercettibile con la testa per dirgli che era tutto a posto e potevano cominciare. Il castano non ci pensò due volte e dopo essersi bagnato le labbra con la lingua estrasse la sua  beretta calibro 22 e la puntò al soffitto. Sparò un solo colpo che risuonò chiaro e spaventoso nel grande edificio. Tutti si voltarono nella direzione del suono assordante e si zittirono istantaneamente. Eren si fece largo tra la fila di persone che aveva davanti e salì sopra il bancone rivolto al resto dei clienti. Nel frattempo anche Levi si era azionato: aveva estratto una revolver calibro 38 e con un gesto fluido aveva scavalcato il bancone puntando la pistola al primo impiegato che aveva visto.
-Tirami fuori tutti i cazzo di soldi che hai.- gli aveva intimato afferrandolo per il colletto e spingendolo in avanti con la canna della pistola. L’uomo aveva esitato per un po’ prima di muoversi quindi Levi caricò il colpo.
-Se non ti muovi, ti ammazzo qui e chiedo a qualcun altro.- gli aveva sussurrato in un orecchio con una calma glaciale che fece subito accelerare i movimenti dell’impiegato.
Eren puntò la pistola dritta davanti a sé per coprire le spalle a Levi.
-Non muovetevi, se provate anche solo a chiamare la polizia non uscirete vivi da qui.- urlò Eren con la sicurezza che lo animava sempre in queste circostanze. Osservò uno ad uno le persone all’interno dell’atrio: c’era chi era abbracciato a suo marito o alla sua compagna, chi tremava negli angoli dell’edificio, altri si erano seduti a terra pesando che le loro gambe non avrebbero retto alla tensione. Era sempre incredibile come un momento prima nei loro occhi ci fosse un’arrogante tranquillità e un momento dopo un terrore talmente intenso da renderli cechi.
Eren si guardò alle spalle per vedere a che punto era il suo complice e notò con crescente eccitazione che stava puntando alla nuca di un uomo la sua pistola mentre quest’ultimo muoveva meticolosamente le mani da un enorme cassetto a muro ad sacco nero. Levi era completamente concentrato su quello che stava facendo, il suo sguardo di ghiaccio era puntato sulle braccia dell’altro mentre la sua espressione non lasciava trapelare alcun segno di insicurezza o esitazione. Quello era il Levi per cui Eren andava matto. La sua capacità di rimanere lucido in ogni situazione l’aveva salvato dal baratro più di una volta. Il moro non gli aveva raccontato quasi nulla sul suo passato, ma Eren era sicuro che lui avesse già passato tutto ciò dieci anni fa con i suoi vecchi compagni quindi sapeva come comportarsi.
I pensieri del ragazzo vennero interrotti dalle sirene della polizia che risuonarono ancora più assordanti e opprimenti dello sparo di qualche minuto fa. Le luci blu e rosse erano quasi accecanti. Era da molto che non vedevano quelle macchine così scure e opache e anche se avevano studiato il piano nei minimi dettagli quella vista lo inquietava ad ogni modo perché era consapevole che quelle macchine erano il sinonimo di mura, di sbarre, della fine della loro libertà.
-Cazzo.- disse a mezza voce rivolto a Levi.
-Tsk, sono già arrivati, questi bastardi…- sibilò irritato il moro premendo la pistola più in profondità sulla nuca dell’impiegato. Dovevano sbrigarsi ad andarsene, da quello che riusciva ad intravedere dalle vetrate che erano posizionate lungo le pareti della banca erano in più di cinque auto della polizia.
-Siete circondati! Non vi sarà fatto nulla se uscirete con le mani in alto e non opporrete resistenza!- disse una voce dal megafono di una macchina della polizia. Eren ghignò: che patetici. Chi mai si sarebbe arreso in questo modo? Chi mai avrebbe rinunciato alla propria libertà senza opporre resistenza?
-Levi quanto ti manca?- domandò ora calmo il più giovane riportando lo sguardo sul moro.
-Non spaccare il cazzo moccioso, ancora un po’.- disse secco l’altro.
Un ragazzo nell’atrio si mosse verso la porta approfittando della momentanea distrazione dei ladri, Eren caricò il colpo nella pistola e gliela puntò contro.
-Hey amico, chi ha detto che potevi muoverti?- Il ragazzo si immobilizzò all’istante e ricadde sul parquet in ginocchio.
-Venite fuori con le mani in alto se ci tenete alla vostra vita!- ripeté di nuovo la voce nel megafono.
Fu proprio in quel momento che Eren la vide. Vide una figura minuta in nero mischiata tra i poliziotti che lo guardava con gli occhi sbarrati. Una figura che non vedeva da molto tempo e che ora era lì, dall’altra parte. Il castano schiuse più volte gli occhi. No, non se la stava immaginando. Le mani gli ricaddero sui fianchi improvvisamente incapaci di stare dritte e tenere la pistola puntata sugli ostaggi, la bocca semi aperta.
E così il passato era arrivato a riscuotere…?
 

-Ereeeen!- l’urlo di Levi lo riportò per un attimo alla realtà. Lo riportò indietro giusto in tempo per vedere un cecchino esattamente davanti a lui che gli puntava un fucile contro. Sentì lo sparo, ma la pallottola non arrivò mai anzi, si sentì solo spingere di lato. Eren cadde rovinosamente a terra e sopra di lui fece lo stesso Levi. I suoi occhi grigiastri e quasi increduli era puntati su quelli color smeraldo del suo complice.
-Che cazzo fai?- gli sussurrò su una guancia mentre qualche ciocca scura gli ricadeva sul viso. Eren aprì la bocca, voleva rispondergli ma non ci riusciva. Non capiva quello che stava succedendo, da quando l’aveva vista nulla aveva più senso.
-Tutti fuori!- urlò una voce estranea e gli ostaggi cominciarono ad uscire non smettendo un secondo di correre. Il tempo parve fermarsi. C’erano loro due che si guardavano increduli per quello che era appena successo e una squadra di polizia che era appena entrata nella banca.
Come erano arrivati a questo?
Era davvero finita?
Levi si mise in piedi e zoppicò verso il sacchetto colmo di soldi che aveva lasciato sopra al bancone per salvare Eren dal proiettile e si diresse verso il punto prestabilito dal piano: vicino alla parete destra del palazzo. Si appoggiò con una spalla al muro consapevole del fatto che stava sanguinando parecchio dalla gamba sinistra.
No, non poteva morire lì. Eren doveva prima vedere tutto il mondo.
Il castano si alzò di scatto e seguì velocemente l’altro.
-Non vi muovete o spariamo!- Eren estrasse dalle tasche del giubbotto due fumogeni e dopo averli stappati si lasciò avvolgere dal fumo. Levi prese la fiamma ossidrica che teneva attaccata sotto la giacca in pelle e cominciò a segnare un passaggio proprio nel punto in cui il parquet veniva sostituito da un piccolo tratto in plastica scura. Non appena ebbe terminato si lasciò cadere all’interno con i soldi e cercò di atterrare nel modo meno doloroso possibile. Eren lo seguì e dopo essersi accertato che i poliziotti non li stessero seguendo ancora, si caricò Levi in spalla cominciando a correre nella direzione che lo avrebbe portato ai confini della città dove la loro auto li stava aspettando.
 


-Signorina desidera del caffè?- le chiese una donna mentre le porgeva una tazza colma di liquido nero. Portava una camicetta bianca leggermente sbottonata sul petto, sovrastata all’altezza del ventre da una gonna blu a tubino lunga fino alle ginocchia.
-Grazie..- La donna si sedette vicino all’altra un po’ intimorita.
-Se posso, signorina…?-
-Mikasa Ackerman, chiamami pure Mikasa.-
-Mikasa perché sei qui?-
-Accompagno il comandante Smith nella sua indagine.- disse tranquillamente sorseggiando il caffè bollente dalla tazza.
La donna annuì con convinzione fissando un punto impreciso davanti a lei. Stava per chiederle dell’altro, ma un allarme risuonò improvvisamente all’interno della caserma di polizia.
-Due ladri corrispondenti alle descrizioni del comandante stanno rapinando la banca di Edison, richiesti rinforzi immediati.- scandì una voce meccanica proveniente dal citofono grigiastro posto nella parte più alta della parete. Mikasa si alzò di scatto e si mise vicino all’uscita, non appena si trovò davanti Erwin Smith, gli si parò davanti.
-Non puoi venire Mikasa, dobbiamo fare in fretta e potresti farti prendere dalle emozioni.-
-Non lo farò. Mi faccia vedere Eren.- Erwin sospirò e con un cenno del capo la invitò ad uscire.
-In fondo, senza di te non saremmo neppure arrivati a questo punto.-
 


-Levi! Levi! Levi!-
-N-non urlarmi nelle orecchie moccioso.- sussurrò il moro aprendo di poco gli occhi. Si guardò un attimo intorno per capire dov’erano: vide che era sdraiato sul sedile posteriore della sua Porsche, i posti davanti erano stati portati avanti talmente tanto da toccare il cruscotto ed Eren inginocchiato vicino a lui. Il ragazzo se ne stava lì, di lato a lui con i pugni chiusi sulle ginocchia, a fissarlo con gli occhi lucidi e rossi di chi stava per cadere nella disperazione più totale.
-Perdi un sacco di sangue e per poco sei svenuto! Cosa devo fare?- Levi si morse il labbro, ecco perché non si ricordava come ci fossero arrivati lì.
-Prima di pensare a me, devi portarci fuori città o potrebbero trovare la macchina.- si mise a sedere trattenendo una smorfia di dolore. Si passò una mano tra i capelli scuri e si appoggiò contro il finestrino.
-L’ho già fatto, siamo a circa cinquanta miglia da Edison, però tu mi sembri molto pallido e perdi un sacco di sangue!- ribadì il più giovane con il panico nella voce.
-Ok, ok ho capito, bisogna estrarre il proiettile dalla gamba. Posso farlo anche da solo, tu ricavami una fascia, va bene un pezzo di maglietta.-
Eren strappò velocemente una parte dei suoi stessi vestiti, ma si vedeva chiaramente come fosse scosso completamente da brividi. Doveva essere molto preoccupato per lui. Levi, nel frattempo, si sbrindellò la parte di jeans sopra la ferita in modo da portare alla luce quel piccolo forellino che aveva dipinto di rosso anche la pelle circostante. Fece un respiro profondo e avvicinò la mano al piccolo buco posto nella parte destra della sua coscia. Con  l’indice e il pollice cercò la pallottola e non appena l’ebbe trovata provò a estrarla. Serrò la bocca in modo da non far uscire alcun suono. L’operazione durò pochi secondi e non appena il pezzetto di piombo grigio ricadde su i tappetini dell’auto Levi rilasciò tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni. Altro sangue scuro cominciò a scivolare lungo la coscia, ma Eren non si fece aspettare e legò molto stretto il pezzo di stoffa intorno alla ferita dell’altro.
Il moro si rilassò sul sedile e sospirò piano.
-Pensavo saresti morto…- sussurrò tra qualche lacrima il più giovane. Levi gli puntò il suo sguardo di ghiaccio contro.
-Che cazzo ti è preso? Hai abbassato la pistola ad un certo punto e sei diventato un bersaglio facile. Volevi farci crepare entrambi?- disse con il suo solito tono duro e schietto.
-I-Io non volevo compromettere il piano…solo che prima, tra la gente c’era mia sorella.-
-Cosa?-
-C’era Mikasa in mezzo ai poliziotti e mi guardava con sguardo…non lo definirei stupito, ma piuttosto preoccupato e dispiaciuto. Perché era lì Levi? P-Perché il passato ha rischiato di farmi perdere il mio presente?- Eren trattenne a stento qualche singhiozzo e cominciò a guardare fuori dai finestrini oscurati.
Levi lo osservò per qualche istante senza dire nulla. Tutto quello che era successo gli aveva fatto venire un cattivo presentimento. Era davvero la cosa giusta andare a Washington…ora?
-Non lo so, Eren. Non so perché ci fosse Mikasa lì…in ogni caso, d’ora in poi dobbiamo stare molto attenti. E’ probabile che quei cazzo di sbirri ci stiano seguendo.- il più giovane spostò il suo sguardo smeraldino sugli occhi di Levi.
-Non prenderti mai più una pallottola per me, ok?- Levi gli posò stancamento una mano sulla testa. Accarezzò lentamente i suoi capelli castani godendosi il senso di morbidezza che gli trasmettevano attraverso il palmo.
-E tu non tentare di farti uccidere mai più, ok?- Eren annuì con le lacrime agli occhi di nuovo. Sovrappose la sua mano a quella di Levi guidandola sulla sua guancia.
Levi rilasciò un sospiro impercettibile e, nella sua mente, ringraziò quel moccioso piagnucolone per averli salvati entrambi.
Loro non potevano morire lì.
Loro erano liberi.









Ciao a tutti ragazzi e ragazze!
Bene, questa volta ho deciso di scrivere alla fine le note dell'autrice perché...uhm, sono abbastanza scossa emotivamente anche io per aver scritto questa cosa semi-catastrofica. Omg Levi che sta per lasciarci la pelle! D:
In ogni caso...ho paura della vostra reazione, sul serio, perché se qualcuno provasse ad uccidermi Levi in una fanfiction penso che io, come lettrice, proverei ad uccidere l'autrice in un attacco di Levi-non-può-morire-questa-è-Sparta (?)
Comunque, se siete arrivati fino a qua vuol dire che siete sopravvisute al capitolo ed è già un buon segno diciamocelo.
Spero che il capitolo via sia piaciuto lo stesso, se ci sono errori/imprecisioni e altro fatemelo notare (non mordo ahaha) sennò fate vedere che siete ancora tutte intere lasciando una recensione (lol)
Alla prossimaa! :D

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Buona sera ragazzi! Eccomi qui con il nuovo capitolo! Devo annunciarvi che la storia è agli sgoccioli qundi aspettatevi pochi altri capitoli. In ogni caso, questo (forse) sarà l'ultimo per un bel pò visto che vado in vacanza (yeee) quindi fatevelo bastare per un po'.
Ho scritto un papiro, mi sento importante xD
Cooomunque, andando al capitolo, non ci sono particolari avvertimenti se non che finalmente vedrete la riren che tutti si stavano aspettando (che spero vi piaccia eheh) e...verrà svelato (almeno credo) il perché Mikasa è sempre in mezzo alle palle!
Vi ringrazio tutti quanti per tutto quello che fate ahahah quindi vi auguro una buona lettura!
Ps. Se c'è qualcosa che non va, visto che è tardi, fatemelo sapere con un commentino! :3


 

Capitolo 12




Eren trovava che quell’estate fosse una delle più torride che ci fossero mai state. Era così caldo! Non faceva nemmeno in tempo ad uscire dalla doccia che era sudato di nuovo. In più, i motel in cui si fermavano non avevano l’aria condizionata ed era stato costretto ad andare a comprarsi un mini ventilatore con i pochi spiccioli che si era portato via per tentare di sopravvivere.
In quel momento se ne stava seduto sull’unica sedia che c’era nella loro stanza, le tende completamente chiuse e il ventilatore puntato sul suo viso. Fissava lo schermo della sua psp con poco entusiasmo mentre le sue dita si muovevano quasi freneticamente. Prima di partire dalla sua cittadina si era comprato l’ultimo di gta quindi ne avrebbe avuto per un po’, poi avrebbe chiesto a Levi di portarlo al Game Stop più vicino. Erano passate altre due settimane da quando erano stati al mare e stava cominciando a prendere il ritmo del suo compagno di viaggio: si fermavano nei motel in cittadine poco importanti e se ne stavano rintanati li da un minimo di un giorno ad un massimo di cinque. Quando il loro soggiorno era prolungato Levi passava la maggior parte del tempo fuori e tornava solo nel tardo pomeriggio con un mucchio di scartoffie complete di scritte e foto. Eren sapeva che in quei giorni preparava i suoi furti e sinceramente gli andava bene così. Lui non voleva entrare a far parte di quel mondo pericoloso e illegale anche se in parte c’era già dentro visto che era suo complice. Non aveva nessun motivo per rubare o commettere reati di altro genere. Non capiva perché l’altro lo facesse, non capiva nemmeno cosa ci trovasse di bello a dir la verità. Ma, in fondo, chi era lui per potergli dire che era sbagliato quando lui stesso aveva abbandonato la sua famiglia?
In compenso aveva avuto modo di saggiare la strana e quasi perversa ossessione di Levi per la sporcizia. Era incredibile quanti soldi arrivasse a spendere in detersivi, ammorbidenti e disinfettanti. Era addirittura arrivato a scoprire che esistevano ben quattro tipi di amuchina: una per i cibi, una per i vestiti, una per le mani e una per le superfici. Ognuna delle quali poi si suddivideva in altre categorie come quella liquida, in polvere o a spruzzo. E il bello di tutto quello era che aveva dovuto imparare tutte quelle cose a sue spese perché quando Levi era impegnato fuori, era lui che doveva fare il bucato. Non parliamo di quando mischiò la sua maglietta rossa con una camicia bianca di Levi….
Spense la console e si ficcò le cuffie nelle orecchie. Incrociò le mani sulla scrivania e vi poggiò la testa godendosi la piacevole arietta che le pale del ventilatore gli lasciavano in faccia. Accese l’ipod e cominciò a scorrere il dito per trovare quella che meglio avrebbe descritto il suo stato d’animo al momento. Sarebbe stata una  lunga giornata visto che erano solo le tre del pomeriggio.
 
-Ohi, moccioso.- Eren aprì di malavoglia gli occhi e li spostò con una lentezza esasperante verso Levi. Quest’ultimo aspettò che lo  guardasse per far schioccare la lingua quasi irritato.
-Alza quel culo che mi serve una mano fuori.- il più giovane mugolò qualcosa di incomprensibile in risposta per poi stiracchiarsi tranquillamente sulla sedia. Levi uscì senza spiccicare parola lasciando la porta mezza aperta. Non si prese nemmeno la briga di spegnere l’ipod tanto che nelle cuffie cominciò a rimbombare “Toxic” di Britney Spears. Quella canzone era vecchissima, si domandava perché ce l’avesse ancora salvata nell’apparecchio, soprattutto perché quello non era decisamente il suo genere. Si alzò dalla sua postazione e seguì l’altro fuori.


A guy like you
Should wear a warning
It’s dangerous

Nel parcheggiò che era posto di fronte alla loro stanza c’era la Porsche e c’era Levi e c’era una pompa dell’acqua. Da quel momento in poi i pensieri di Eren vennero frantumati e spezzati e mischiati e divennero incomprensibili. L’unica cosa che era arrivato a realizzare era che Levi era lì, davanti a lui con la maglia nera un po’ bagnata intento a lavare la sua macchina.

I’m addicted to you
Don’t you know that you’re toxic

Il moro alzò lo sguardo dal suo lavoro per un momento e con il palmo della mano si asciugò la fronte intrappolando le goccioline di sudore e di acqua che la ricoprivano. Aveva le labbra rosee leggermente aperte dalle quali si intravedevano i denti bianchissimi. I suoi occhi grigiastri alla luce del sole brillavano fin quasi da diventare di un azzurro biancastro. Quante cose avrebbe voluto fargli in quel momento. Nella sua mente cominciarono a farsi largo una serie infinita di situazioni che implicavano ognuna Levi nudo nel suo letto.

And I love what you do
Don’t you know that you’re toxic

Eren era sicuro di star sfoggiando la sua espressione di stupore peggiore. Sapeva di aver la bocca mezza aperta per la sorpresa, sapeva di esser arrossito fino alla punta dei capelli, sapeva di non saper mascherare le proprie emozioni e sapeva anche che il calore della sua faccia si stava piano piano spostando più in basso. Serrò gli occhi e provò a pensare a qualcos’altro, tipo…Jean!
-Ragazzino, vuoi muovere il culo?- si riscosse per un attimo. Più veloce avrebbero finito più sarebbe uscito da quella situazione compromettente. Aprì gli occhi e gli si avvicinò in attesa di ordini.
-Tu laverai i finestrini, okay? E’ una cosa semplice da fare non combinare casini come al solito.- gli disse impassibile dandogli un tergivetro e un secchiò di acqua insaponata. Eren annuì con la gola improvvisamente secca senza staccare lo sguardo da lui.
-E togliti ste cuffie del cazzo.-


I’m intoxicated now
I think you’ll love it now

Il più giovane ubbidì, ficcandosi l’ipod in tasca. Cominciò il suo lavoro con una velocità spropositata rallentando qualche volta per vedere a che punto era l’altro. Il che era come andare in contro al suo auto controllo visto che Levi un momento prima stava facendo il cofano e un momento dopo era acquattato per uno sportello.
Quel lavoro sembrò ad Eren così lungo e straziante che gli parve fosse passato il pomeriggio intero invece avevano impiegato solamente due ore. Appoggiò il tergivetro nel secchio e aspettò che Levi avesse finito di controllare se avessero fatto un buon lavoro (stava controllando più quello di Eren che il suo). Il moro annuì soddisfatto e borbottò verso di lui un “bel lavoro” poi cominciò a sistemare le cose che avevano usato per pulire. Il più giovane ne approfittò per riportare dentro il suo adorato ipod e accertarsi che non ci fosse andata alcuna goccia d’acqua. Tornò fuori alla luce intensa del cielo che li guardava da in alto. Con stupore notò che Levi non aveva ancora portato dentro la pompa dell’acqua: fu in quel momento che una delle sue idee gli balenò in testa. Era più forte di lui fare cazzate. Era più forte di lui non pensare prima di agire. Prese il tubo di gomma gialla e cercò con lo sguardo l’altro. Lo trovò girato di spalle ad accertarsi di aver messo via tutto, lo vide chiudere il bagagliaio e fu in quel momento che lasciò scorrere l’acqua. La spense non appena vide che tutta la schiena del suo compagno di viaggio era completamente bagnata. Un ghigno divertito si dipinse sulle sue labbra. Levi si girò con una lentezza calcolata mentre scuoteva leggermente le braccia per scolare l’eccessiva acqua che gli rendeva i movimenti difficili.
-Tu vuoi la morte.- disse scoccandogli un’occhiata omicida. Un brivido scosse da capo a piedi Eren, ma il sorrisetto rimase strafottente sulle labbra. Levi fece uno scatto in avanti talmente veloce che l’altro se ne accorse a malapena. Gli prese il tubo di gomma dalle mani e attivò il getto di acqua che colpì in pieno viso Eren. Il più giovane mollò istintivamente la presa e l’altro non ci penso due volte a bagnarlo da capo a piedi. Il più giovane tentò di deviare il getto posando un dito nel punto in cui il liquido usciva in questo modo qualche schizzò andava a Levi che con qualche imprecazione a mezza voce scansava la mano del più giovane. Eren cominciò ad indietreggiare fino a che non si trovò spalle al muro. Levi spense il getto d’acqua  e face aderire i loro corpi bagnati l’uno sull’altro. Il più piccolo aveva la frangetta castana completamente all’insù per via del violento getto d’acqua, gli occhi sgranati e qualche gocciolina che gli accarezzava la guancia nel suo percorso verso il basso. Stettero lì ad osservarsi per molti istanti, Levi riusciva a sentire chiaramente i battiti veloci e martellanti dell’altro e non credeva a quello che stava succedendo. Si trattava di un moccioso, rompipalle, impulsivo, stupido,  che non faceva altro che irritarlo, che aveva portato via dal loro paese senza un apparente motivo, che aveva mandato a fanculo tutte le sue barriere e i suoi moniti, eppure era li tra lui e il muro a fissarlo con quei suoi stupendi occhi verdi e…lui lo stava per baciare. Eren spostò la testa un po’ di lato per accogliere la bocca dell’altro che era già ad un soffio dalla sua. Le loro labbra si toccarono dapprima con una certa delicatezza, poi non appena Levi abbandonò il tubo di gomma a terra e prese le guance dell’altro tra i suoi palmi, quel bacio diventò più profondo e esigente. Eren schiuse le labbra per far si che il desiderio di Levi (che coincideva con il suo) venisse esaudito. Le loro lingue si scontrarono e cominciarono a cercarsi fameliche e avide l’una del sapore dell’altra. Il moro spostò le mani più in basso, al bottone dei pantaloncini a quadri di Eren che emise un gemito strozzato non appena sentì i pantaloni più larghi all’altezza del vita.
-Nh…a-aspetta…- sbiascicò sulle labbra dell’altro. Levi fece schioccare la lingua allontanandosi di poco.
-Cosa devo aspettare?- Eren lo allontanò prendendolo per le spalle.
-Non ancora…- poi scappò in camera.
 
Eren se ne stava seduto immobile sul bordo del suo letto singolo. Pochi minuti prima Levi era tornato in camera, si era fatto una doccia ed era uscito di nuovo dicendo “vado a farmi un giro”. Pensare. Quello era ciò che serviva ad Eren: doveva pensare a perché non lo aveva lasciato continuare poco prima visto che era quello che voleva anche lui, doveva pensare a cosa sarebbe successo se si fossero messi insieme e…doveva pensare a come si sarebbe comportato d’ora in avanti. L’unico problema era che lui non riusciva a pensare bene visto il vortice di emozioni in cui era caduto vittima quindi compose il numero sulla testiera del suo cellulare senza neppure pensarci.
-Pronto?-
-Armin?-
-Eren?! Oddio Eren sei tu? Come stai? Dove sei? Dimmi che quel Levi non ti ha rapito.-
-Ehi, Armin calmo! Levi non mi ha rapito, anche se non sembra è una brava persona e io sto bene, molto meglio di come stavo la.- Armin, dall’altra parte della cornetta sospirò sorpreso.
-Mikasa mi ha detto che sei partito con lui, ma non mi ha detto altro, ero preoccupato soprattutto perché non facevi sentire e…qui manchi a tutti.-
-Non è di questo che voglio parlarti, Armin. Ti ho chiamato perché sono nei casini.-
-Cioè?-
-I-Io…ehm…come dire…mi sono innamorato, credo.-
-Di chi?- Eren tacque.
-No, no, no, dimmi non lui.- il ragazzo tacque ancora e Armin sospirò per la seconda volta.
-Bel guaio…-
-Già e…beh oggi- Eren tossicchiò nervoso –ci siamo baciati.-
Sentì Armin trattenere il fiato.
-Perfetto.- disse ironico alla fine. Eren si trattenne dal rispondergli in modo poco civile solo perché si trattava di lui quindi si cominciò a massaggiare la base del naso con il pollice e l’indice.
-Lo so…ora non so che fare perché…ha tentato anche di…-
-E…?- come al solito, anche se non riusciva a terminare le frasi, Armin capiva e gli risparmiava l’imbarazzo.
-E mi sono tirato indietro anche se volevo farlo. Il punto è che ora non so come comportarmi con lui!-
-Beh, dovresti parlargli.- suggerì Armin.
-E dirgli cosa?!- sbottò Eren irritato. Come si poteva affrontare una discussione seria e da persone mature con uno che quando ti guarda sembra ti voglia uccidere, ma soprattutto con la sua stessa delicatezza nell’affrontare le cose?
-Dirgli quello che provi e spiegargli come stanno le cose…magari spiegagli che non sei ancora pronto e perché. Poi vedrai che si chiarirà ogni cosa.- Questa volta fu Eren a sospirare. Era più facile a dirsi che a farsi, come sempre.
-Va bene…vedrò come va…grazie.-
-Torna presto, Eren.-
-Ciao.-
-Ciao.-
 


Trascorsero due giorni dal loro bacio e per tutto il tempo non si dissero niente. Entrambi fecero come se non fosse successo nulla anche se, per quanto riguardava Eren, quello aveva significato più di mille parole. C’era da dire inoltre che quel silenzio insistente tra di loro era dovuto al fatto che Eren pensava, si stava riflettendo su quello che gli aveva detto Armin quindi cercava di trovare un modo per parlargli. Senza riuscire a venirne fuori ovviamente. L’unico modo per non sentirsi pensare almeno per qualche ora, era fare una sola cosa il che voleva dire, forse, andare contro la volontà di Levi.
-Levi?-
-Uhm?-
-Hai programmi per sta sera?- arrivarono ad un semaforo e la macchina si arresto. Levi si voltò a guardare l’altro con un sopracciglio inarcato.
-Che vuoi dire?- disse cauto il più grande premendo di poco l’acceleratore.
-Ecco…ho visto prima, mentre stavamo uscendo dall’autostrada, che in questa città fanno un Drive in film club. Sai quei posti in cui si va con la macchina a guardare un f-
-So cos’è, moccioso.-
-Beh fanno un film horror sta sera e…mi piacerebbe andare a vederlo.- Levi si voltò per un istante a guardarlo, il suo sguardo impenetrabile come sempre.
-A me non piacerebbe invece.- Eren sbuffò contrariato.
-Non hai nulla da fare sta sera, perciò guardare la tv in uno stupido motel o nella tua macchina non fa alcuna differenza.- il moro fece schioccare la lingua lasciandosi scappare un’imprecazione più colorita delle altre.
-A che ora è?-
 
Eren prese posto nel sedile della Porsche leggermente piegato all’indietro stringendosi al petto un cartone di pop corn. Levi l’aveva fulminato con lo sguardo, ma poi si era servito anche lui senza fare troppe cerimonie e ora se ne stavano li in silenzio a guardare quel film horror che spaventava soltanto i passeri. Levi era piuttosto annoiato da tutto quel sangue finto, spiriti e fantasmi e ragazzini come Eren che di notte  non sanno stare chiusi in casa al posto di andare nel bosco mentre l’altro aveva uno strano sguardo omicida mentre seguiva scena per scena il film. Il moro appoggiò il gomito sul bordo dello sportello e rilasciò il suo viso sulle nocche.
-Non ti piace il film?- chiese Eren dispiaciuto perché aveva appena finito una porzione maxi di pop corn. Forse avrebbe dovuto prendere qualche ciuccetto…
-Tu dici?- gli rispose di rimando Levi tagliandolo con lo sguardo.
-S-Se vuoi possiamo andare via…è solo che- il castano si interruppe. “E’ solo che” cosa? Cosa stava per dire a Levi? Il motivo per cui erano li?
-“E’ solo che” cosa?- incalzò il moro girandosi lievemente verso di lui.
-B-Beh, niente.- sussurrò cominciando a pensare che la temperatura nella stanza si stesse alzando un po’ troppo.
-Senti moccioso- Levi si sporse verso di lui ancorando le spalle del più giovane sul finestrino della sua macchina. –Hai rotto il cazzo con questo tuo comportamento da prima donna. Dimmi quello che ti passa in quella testa di carota che ti ritrovi.-
Eren ora riusciva a sentire il suo respiro caldo accarezzargli la pelle della guancia. Osservò per un attimo gli occhi chiari di lui che prendevano strani riflessi alla luce della luna. Ricordò quello che gli aveva detto Armin e anche se quello non era né il luogo né il momento giusto se ne fregò altamente.
-Ho voluto venire qui per non pensare a quello che è successo due giorni fa fuori dal motel.- disse tutto d’un fiato sostenendo lo sguardo dell’altro. Levi inarcò il sopracciglio sorpreso.
-E…?-
-E mi è piaciuto un sacco.- ammise abbassando lo sguardo sui tappetini della macchina. Il moro piegò le labbra in un ghigno, poi alzò il mento di Eren con un dito.
-E allora perché ti sei tirato indietro, moccioso?-
-Non so…ero spaventato?- il ghigno di Levi si accentuò nuovamente. Scavalcò, facendo attenzione, lo spazio riservato al cambio per andare a sedersi sopra le cosce dell’altro. Si avvicinò al suo labbro inferiore mordendolo con poca grazia.
-Ora sei spaventato?- gli soffiò sulla bocca.
-Un po’…- gemette a bassa voce l’altro. –ma, ora come ora non mi tirerei indietro.- disse prendendolo per i fianchi.
-Fantastico.- sospirò l’altro con una punta di ironia.
Ora il film non sembrava più così noioso.
 
 

Avevano ripreso il viaggio il giorno dopo, ora l’imbarazzo c’era ancora tra di loro, ma si sentiva decisamente meno. Levi aveva guidato per circa tre ore di fila poi avevano deciso di fare una pausa. Ora erano fermi sulle sponde di un laghetto solitario circondato da alberi di ogni genere. L’acqua era di un azzurro cristallino ed Eren non poté trattenere la sua sorpresa nel vedere quel panorama. Levi se ne stava in piedi di fianco a lui a guardare quello spettacolo senza parlare. In quei luoghi il silenzio era il miglior commento.
Il cellulare di Eren vibrò nella tasca dei pantaloncini in jeans. Rispose vedendo che sullo schermo era apparso il nome di “Armin”.
-Armin!-
-Eren…-
-Sai che andato tutto bene?- disse con un lieve sorriso spostando lo sguardo verso che Levi che lo guardò interrogativo.
-Eren …-
-E’ stato merito tuo, in parte.- ridacchiò. –ti devo ringraziare!-
-Eren…-
-Che c’è? Ti sento strano.-
-Non dovrei essere io a dirtelo, ma sono sicuro che se ti chiamasse Mikasa tu non le risponderesti nemmeno.-
-Armin che succede?- chiese ora serio il ragazzo.
-Tua madre…-
-Cosa?-
-Tua madre è…-
-Cazzo, Armin parla. Dimmi quello che devi dire falla finita!- sbottò sentendo tutti i suoi muscoli che si tendevano come una corda di violino.
-Tua madre è morta.- disse tutto d’un fiato il ragazzo dall’altra parte del telefono.
-Cosa?- Eren sgranò gli occhi.
-Stava tornando a casa dal supermercato e un pirata della strada l’ha investita. Da quello che ci hanno detto era un uomo ubriaco appena uscito dal pub all’angolo.- Armin aveva la voce che tremava, in fondo anche lui conosceva sua madre da molto visto che erano amici d’infanzia. Le braccia di Eren persero ogni forza e ricaddero lungo i suoi fianchi senza trovare alcuna resistenza. I suoi occhi continuarono a guardare il panorama di fronte a loro che fino a quel momento aveva significato felicità ed ora era solo tristezza. Aveva assecondato uno suo stupido sogno e non c’era nemmeno stato per la morte di sua madre. Magari non avrebbe potuto  evitare l’incidente, ma avrebbe potuto salutarla con un abbraccio anziché con un messaggio su un foglietto di carta. Che razza di persona era? Solo ora si rendeva conto di quanto egoista fosse stato. Riattaccò premendo il tasto rosso e lasciò che tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento scorressero lungo il suo viso.
-Eren che succede?- chiese serio Levi.
-M-Mia madre è morta...è stata investita da un coglione ubriaco…-disse tra i singhiozzi. L’altro tacque.
-Perché fa così male, Levi? Perché questo dannato passato fa così male? Io pensavo di aver dimenticato tutto…pensavo di essermene staccato.-
-Perché puoi staccarti da esso, ma non puoi dimenticarlo. Tornerà sempre a tormentarti ovunque tu scappi.-
-Cosa dovrei fare…ora? Cosa dovrei fare per non sentirlo più?-
-Crearti un presente migliore.- Eren si voltò di lui e incontrò il suo sguardo serio.
-E come?-
-Agisci, Eren. Ruba con me. Sentiti vivo.- Il castano serrò le labbra e ritornò a guardare l’orizzonte. Si, Levi aveva ragione.
Si asciugò le lacrime alla meno peggio con il palmo della mano e solo in quel momento si accorse di avere ancora in mano il cellulare, il cellulare su cui erano salvati tutti i suoi legami. Lo osservò per qualche istante poi prese anche l’ipod e li lanciò via, nell’acqua e li osservò affondare. Ora non poteva più tornare indietro. Non avrebbe più dubitato della sua scelta di partire. Il passato poteva  perseguitarlo ma, non poteva impedirgli di vivere. Da quel momento avrebbe vissuto veramente, avrebbe fatto pagare alla società tutte le ingiustizie che non riuscivano ad impedire, avrebbe rubato e avrebbe fatto la sua vita indipendentemente da tutto e da tutti. Sarebbe stato libero da legami eccetto Levi, sarebbe stato libero da schemi e da leggi e da città, sarebbe stato libero dal passato e avrebbe spiegato le sue ali della libertà.
-Va bene.-
 



Mikasa riunì tutte le sue cose all’interno di uno scatolone. Ormai non aveva più senso portarsi appresso vecchi e inutili ricordi visto che le due persone più importanti della sua vita erano andate via. Controllò ogni stanza indugiando un po’ di più in quella di Eren, poi scese al piano terra con l’intenzione di uscire. Si fermò sulla soglia e si girò un attimo. Il suo sguardo ricadde sulla porta del sottoscala. Lasciò a terra lo scatolone e andò al piano di sotto. Aprì la stanza blindata che era ancora socchiusa e accese la luce. Vide degli scatoloni attaccati alle pareti, ma quello che richiamò la sua attenzione fu una lettera indirizzata ad Eren. La lesse, per intero e non appena l’ebbe finita digitò un numero sulla tastiera del telefonino.
-Pronto? Qui caserma centrale.-
-Sono Mikasa Ackerman e vorrei parlare con il responsabile del caso Grisha Jaeger.-
-Al momento non è presente signorina però posso farla parlare con un suo collega.-
-Perfetto.-
La ragazza attese qualche istante. Forse c’era ancora speranza per trovare Eren.
-Pronto, sono il comandante Erwin Smith.-

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***



Buona sera ragazziii! Dopo una vacanza di due settimane abbondanti ho finalmente ripreso a scrivere wiiii!
Mi scuso per il ritardo, ma prima di rimettermi sotto ho aspettato un po' :'3
In ogni caso, siamo agli sgoccioli. Questo è uno degli ultimi capitoli quindi gustateveli!
Non so quando pubblicherò il prossimo, spero presto perché in un certo senso non vedo l'ora di finire la fanfic. Come al solito se avete appunti da farmi non esitate e commentate.
Non ho appunti da fare (a parte una robetta scritta in giapponese il cui significato troverete alla fine del capitolo^^), quindi vi lascio leggere!


 
Capitolo 13




Levi aprì lentamente gli occhi, sbattè le palpebre un paio di volte e cominciò piano a rendersi conto del posto in cui si trovava. Era indubbiamente in una di quelle stanze luride e disgustose dei motel e dalle tende filtravano le luci rosso accese del crepuscolo. Lui si trovava sdraiato sull’unico letto matrimoniale che era presente nella camera. Provò fin da subito un certo senso di ribrezzo nel constatare che era coperto dalla trapunta del letto e lui non si ricordava di averla disinfettata per bene. In realtà, ora che ci pensava bene, non ricordava nemmeno come c’era arrivato fin lì.
La porta si aprì di scatto e ne entrò un Eren con due buste di carta tra le mani. Non appena vide che Levi era sveglio i suoi occhi si illuminarono.
-Hey Levi!- disse talmente forte che l’altro portò istintivamente le mani alle orecchie.
-Moccioso…- cominciò lentamente –ti sembra il modo di urlare ad uno appena svegliato?-
Eren parve pensarci su provocando un forte sospiro da parte dell’altro.
-E perché cazzo sono in un motel che non ho pulito?!- continuò con un leggero guizzo nella voce.
Il più piccolo ridacchiò mentre poggiava le buste di carta sul tavolino vicino alla finestra.
-Ho preso la cena, hai fame?- Levi si mise a sedere trattenendo una smorfia di dolore provocatagli dalla gamba. Già, si era preso una pallottola. Era da così tanto tempo che qualcuno non lo colpiva che nemmeno si ricordava quanto facesse male. Alzò il lenzuolo per controllare la ferita e con suo stupore notò che il pezzo di maglietta di Eren era stato sostituito da una garza bianca.
-Prima mentre dormivi ti ho cambiato la fasciatura e ti ho medicato la ferita.- spiegò prontamente Eren che nel frattempo si era avvicinato al letto e lo stava fissando come un cagnolino che aspetta le coccole dal padrone per aver fatto il bravo. Il bravo l’aveva fatto, ma delle coccole non se ne parlava.
-Ti sei fatto seguire da qualcuno?- chiese il più grande mettendo i piedi giù dal letto. Eren fece per aiutarlo, ma Levi lo ammonì con un cenno secco della mano. Poteva farcela da solo, non era così messo male.
-No, ho controllato bene e le cose per medicarti le ho prese nella farmacia di un’altra città.- beh, in fondo gli aveva insegnato bene.
Levi si mise in piedi, barcollò pericolosamente rischiando di perdere l’equilibrio, ma poi riuscì a stabilizzarsi e appoggiando la mano sul muro camminò lentamente verso il tavolino.
-Che schifezze hai preso sta volta?- disse acido sedendosi e guardando all’interno di una delle buste.
-Cinese!- esclamò Eren prendendo posto di fronte a lui. Levi grugnì. Possibile che al suo fidanzato piacessero tutti questi cibi strani ed esotici?
Si tratta di pesce crudo! Il più giovane rise e velocemente afferrò una delle scatole contenenti gli spaghetti ancora caldi. Seppur con titubanza Levi fece lo stesso. Non era la prima volta che mangiavano cinese però, per Levi era sempre un trauma. Lui era abituato a ristoranti di classe, pesce cotto e non crudo e carne di prima scelta. Doveva ammettere, che le schifezze di Eren erano molto più economiche e tutto sommato…buone per questo motivo aveva cominciato ad assecondare le sue scelte culinarie. Anche se almeno tre volte alla settimana si andava a mangiare francese.
Mangiarono in un silenzio sereno, rotto di tanto in tanto da qualche insulto da parte di Levi a quelle maledette bacchette che non prendevano gli spaghetti come si deve e quindi, dalla conseguente risata dell’altro.
-Ah! Era da un sacco che non mangiavo cinese!- proruppe il castano dopo aver appoggiato la scatola vuota sul tavolo. Levi si abbandonò sullo schienale e prese a guardare fuori con una certa malinconia. Era da un po’ che si sentiva in modo strano e non sapeva spiegarsi il perché visto che era la prima volta che si sentiva così.
Non parlarono per parecchio tempo, Levi era troppo preso a pensare a quello che era accaduto nelle ultime 12 ore mentre Eren non smetteva un attimo di fissare il suo compagno come se Levi con il suo modo di fare più distaccato del solito lo stesse mettendo a disagio.
-Heichou*…- cominciò il più giovane che però venne fulminato all’istante dagli occhi di ghiaccio dell’altro.
-Non chiamarmi così.- Eren annuì però non proseguì il suo discorso. Sembrava volesse dire qualcosa però tentennava come se non sapesse bene che parole usare.
-Che vuoi?- lo incalzò Levi.
-Ecco…- si schiarì la voce –non sei costretto a venire anche te a Washington tra due giorni. Sei ferito ed è colpa mia perciò se cerchi di riposare e guar- le parole gli morirono in gola perché il moro con uno scatto impressionante si era alzato e si era proteso in avanti prendendo il più giovane per il colletto della maglia.
-Moccioso, non dire certe stronzate. Ne abbiamo già parlato.-
-Q-Questa cosa è un mio problema…tu non centri nulla.-
-E’ anche un mio problema da quando ho deciso che tu saresti stato mio.- gli occhi di Levi erano piantati su quelli di Eren ed erano decisi più che mai. Incutevano quasi una certa paura. Il più giovane lo guardò quasi spaesato e stranito. Non si ricordava più quand’era stata l’ultima volta che il suo compagno gli avesse parlato con quel tono duro. Levi lo mollò e ricadde con poca grazia sulla sedia non smettendo un secondo di guardare il castano.
-Non è colpa tua…-disse afferrandosi la coscia ferita il più grande. –è stata una mia scelta prenderla ed è stata una mia scelta seguirti fino in fondo.-
Eren ricadde mollemente sulla sedia prendendosi la testa fra le mani. Aveva aspettato così tanto che arrivasse quel giorno eppure ora si ritrovava ad avere paura. Voleva sapere che altro avesse in serbo per lui suo padre, voleva altre risposte e le aveva sempre volute però, ora, lo spaventava la prospettiva che un’altra rivelazione avesse potuto cambiargli la vita ancora come quella volta, dopo aver letto la lettera in cantina.
-Ho paura Levi…- ammise con la voce che non ne voleva sapere di uscire dalle sue labbra. Una mano si posò su i suoi capelli arruffandoglieli appena.
-Lo so, ma devi affrontarlo a testa alta.-
Eren alzò la testa. Si credeva tanto grande e tanto forte, ma di fronte a Levi non era proprio nulla. Levi non smetteva mai di salvarlo dal baratro e di spronarlo a combattere.
E avrebbe combattuto.
-Ultimamente mi sembri un tantino sdolcinati, sai mani su i capelli…”grazie” detti così e- non fece nemmeno in tempo a finire quell’elenco che Levi gli piazzò un pugno in pancia. Anche con i suoi 31 anni e una ferita alla gamba menava brutalmente.
 
 
-Oddio!- urlò Eren con una strana luce negli occhi.
-Moccioso, cazzo smettila di urlare.- lo rimproverò l’altro osservando cosa aveva portato quell’attacco di stupidità in Eren. Il più giovane sorrise divertito e si avvicinò alle buste ancora aperte sul tavolino, poi ne estrasse quello che Levi più temeva di tutto il cibo cinese: il biscotto della fortuna. E lui pensava che se ne fosse dimenticato…
Era solo una stupida frase, detta da uno stupido uomo filosofeggiante, che capitava a caso alle persone che andavano ad ordinare cinese e che comunque sembrava essere fatta apposta per la persona a cui era assegnata. Il più giovane scartò il biscotto e lo spezzò a metà, poi afferrò il foglietto al suo interno e lesse.
-Il cammino attraverso la foresta non è estremo e faticoso se si ama la persona che si va a trovare – Eren stette in silenzio per un attimo con un’espressione pensierosa e allo stesso tempo irritata, poi all’improvviso sbattè il bigliettino sul tavolino.
-Ma che razza di biscotto era?!- urlò di nuovo arrabbiato.
-Se provi ad urlare un’altra volta te lo avveleno il biscotto.- sibilò Levi massaggiandosi le tempie. Il castano ammutolì all’istante.
-E’ uno di quei pensieri profondi e sdolcinati, tu non potresti capirlo anche se mi mettessi qui a spiegartelo.- concluse alla fine il più grande.
-Ah beh perché tu le capisci ste cose!- borbottò frustrato Eren incrociando le braccia al petto. Levi lo fulminò con lo sguardo.
-Dai, vediamo dottor Stranamore, leggi il tuo biglietto.- lo provocò il più giovane. Levi si lasciò scappare una specie di ringhio prima di infilare la mano dentro alla busta e tirarne fuori un altro biscotto. Ripeté la stessa procedura che aveva fatto un momento prima l’altro e dopo aver preso il bigliettino in mano ne lesse il contenuto mentalmente. Un ghigno si fece largo nelle sue labbra.
-Che dice?- chiese curioso e allo stesso tempo impaurito il più giovane. Quando Levi ghignava non era mai un buon segno. Il moro si sollevò dalla sedia e si avvicinò al più giovane non smettendo un secondo di ghignare. Lo prese per il bavero e lo costrinse ad alzarsi, poi con malo modo lo scaraventò sul letto. Eren cercò di rialzarsi, ma l’altro glielo impedì mettendosi a cavalcioni sopra di lui.
-Un bacio tira l’altro. Vogliamo vedere?- disse lascivo prima di fiondarsi sulle labbra del castano.
In quel momento Eren si chiese perché solo i suoi biscotti della fortuna erano difficili da capire.
 



Quei due giorni trascorsero più veloci di quanto pensassero e a meno di ventiquattro ore dalla data fatidica i due giovani ladri si trovavano già alle porte di quell’enorme città che per gli americani era l’inizio e la fine di tutto mentre per loro solo un patetico nome. Il cielo sopra di loro era nuvoloso e minacciava pioggia imminente, poco male, la pioggia era sempre stata loro amica. Eren doveva ammettere che quella città lo metteva in soggezione, ancora più di New York. Era una città enorme che custodiva una storia ammirevole: gloria, tradimento e crisi avevano lasciato il loro segno in quella metropoli senza età. Non si poteva non essere affascinati dai quei monumenti così bianchi da risaltare su tutti gli altri palazzi. Non si poteva non rimanere estasiati dagli spazi enormi riservati per ogni cosa. Non si poteva provare un certo brivido di eccitazione a camminare sullo stesso terreno in cui aveva camminato anche il Presidente: colui che dà e ti prende la libertà.
Levi si stava riprendendo molto bene dalla ferita, aveva ripreso a guidare e camminava da solo. Si vedeva ancora un leggero squilibrio nella sua andatura, ma non era nulla di allarmante. Entrambi percorrevano quelle strade con la stessa sensazione nel cuore e si guardavano intorno senza parole. Washington non era mai un bel posto per un ladro perché è come per un topo andare nella tana del gatto, gli aveva spiegato Levi. Solo una volta era finito lì in passato e non avrebbe nemmeno voluto tornarci, troppi erano i ricordi che impregnavano quei muri.
Ma questo non gliel’aveva detto.
-Dov’è il posto?- chiese Eren agitato. Il suo nervosismo si vedeva lontano un miglio. Il moro sbirciò un’ultima volta sulla cartina che avevano portato via dalla lettera di Grisha.
-Qui indica che il posto si trova in un vicoletto poco frequentato della periferia ovest.- il castano si guardò intorno e continuò a seguire con una leggera titubanza Levi che si muoveva tra le vie di Washington con una lentezza quasi esasperante.
Dopo qualche minuto di marcia arrivarono nella stradina indicato e per poco Eren non cominciò a prendere a pugni il muro visto che il vicolo era ceco e le uniche cose che c’erano, erano degli sporchi cassonetti colmi di immondizia.
-Sapevo che non dovevo fidarmi! Quel figlio di- cominciò il più giovane che però venne interrotto da un gesto secco dell’altro. Levi si ficcò la cartina nella tasca della felpa per poi studiare il muro dietro ad un bidone verde.
-Dammi una mano a spostare questo.- disse impassibile indicando il cassonetto. Il ragazzo obbedì e non appena quella parte di parete fu scoperta si rese conto che c’era qualcosa di strano. Sembrava che in quel punto la vernice fosse stata messa dopo rispetto a quella del resto della parete. Levi tastò di nuovo il muro e con un cenno del capo indicò all’altro quello che doveva fare. Eren cominciò a prendere a calci la zona più chiara notando che piano piano l’intonaco si sgretolava sotto i suoi colpi rivelando una grata in metallo. Non appena anche la toppa di quella porta venne portata alla luce il ragazzo si fermò. Si scambiarono uno sguardo veloce,  poi il castano prese il coraggio a due mani, si sfilò dal collo la chiave che aveva conservato da quella volta a casa sua e la rigirò nella toppa. La serratura schioccò con un suono secco e profondo rivelandogli una scalinata che andava verso il basso completamente nell’oscurità.
-Fantastico, ora ci si mette pure il buio!- rise nervoso Eren cercando un modo per andare la sotto. Levi sbuffò piano per poi precederlo facendo luce con il suo cellulare.
Aspetta, da quando Levi aveva un cellulare…?
Percorsero la scalinata in silenzio, respirando quell’aria strafatta che sapeva da intonaco e da marcio. Man mano che andavano sempre più in basso si faceva sempre più caldo e il buio diventava più fitto mentre alle pareti si riusciva ad intravedere ragnatele enormi. Arrivarono in fondo alla scalinata incontrando una seconda porta che Eren prontamente aprì con la medesima chiave. Non appena aprirono l’ennesima barriera, le luci si accesero di colpo rivelando un’ampia stanza. Aveva sia il pavimento che i muri di un bianco così acceso da accecare mentre le pareti erano ricoperte di scatoloni. Tutto quello…era dannatamente simile alla cantina di casa sua. Non poteva che essere mano di Grisha. Il più giovane non fece nemmeno in tempo a muovere qualche basso che una busta appesa ad uno scatolone alla sua sinistra attirò la sua attenzione. “Ad Eren” c’era scritto.
-Che figlio di puttana.- sputò in preda alla frustrazione il ragazzo mentre afferrava la busta. Lesse velocemente il contenuto digrignando i denti sempre più forte man mano che andava avanti.
 



Ciao Eren,
Beh che dire, se stai leggendo questa lettera vuol dire che alla fine hai ascoltato tuo padre. Mi stupisce visto il tuo carattere così tanto simile la mio, indomabile e coraggioso…Allo stesso tempo però mi solleva, vuol dire che hai ancora fiducia in questo povero vecchio che è stato fuori dalla tua vita per così tanto. Ora, voglio dirti la verità. Non voglio più mentire. Non voglio più scappare dalla mia famiglia e dalla mia vera vita.
Quello che ti ho scritto nell’altra lettera non era vero. Io non sono un mafioso, non sono un “cattivo”. Io sono un infiltrato, un agente dell’FBI sotto copertura. Il mio incarico è fingere di essere un boss per monitorare i loro spostamenti e le loro mosse.
E’ una situazione molto complicata, ma questo non è tutto. Durante i miei anni passati a fare ricerche ho scoperto che la mafia non è la sola malavita negli Stati Uniti, non è tutta solo colpa sua. Questa Nazione intera è corrotta e le parti infettate vanno ben oltre semplici cariche locali. Molte persone all’interno del Governo sono state contagiate e l’America intera è in pericolo. Non sono l’unico che è arrivato a questa conclusione, tutti gli altri hanno fatto la fine che sto per fare io.
Mi metteranno a tacere ben presto, quindi, quello che ti chiedo è un favore. Un ultimo favore per me è per i nostri fratelli. Un ultimo favore che sconfiggerà i grandi titani di questo Paese per lasciare spazio a persone oneste ed equilibrate.
All’interno delle casse che vedi alle pareti le quali si estendono per tutti i corridoi sotterranei, ci sono anni di lavoro: c’è dinamite. Tramite il telecomando che ti ho lasciato dentro alla busta dovresti riuscire a far partire l’esplosione ad un certo raggio di distanza. Quello che ti chiedo è di fare esplodere la città alle 5.30 passate del 2 Aprile, giorno in cui avrà luogo il raduno dei principali capi mafiosi con i loro infiltrati nel governo.
A questo punto la scelta è tua: il destino della Nazione e la libertà di scelta dei nostri fratelli è nelle tue mani. Sta a te decidere da che parte stare.
In qualunque caso, so che farai la scelta giusta.
Addio,
l’uomo che si fa definire tuo padre.




*Heichou=Capo

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14





-Ragazzi, posso farvi una domanda?- chiese Zoe Hanji mentre  con un ramoscello disegnava cerchi immaginari sull’asfalto. Rivaille Ackerman se ne stava con la schiena appoggiata al muro guardando distrattamente il graffito che stava dipingendo Mike Zacharias. Erwin Smith, invece, era in piedi a fissare davanti a sé immerso in qualche strano filo di pensieri. Era da un po’ di tempo che il biondo sembrava assente durante le loro uscite. La maggior parte delle volte taceva e guardava cose che solo lui riusciva a vedere. Quando grafittavano i muri delle case dei ricchi signorotti oppure quando commettevano piccoli furtarelli, lui non prendeva più parte. Era in qualche modo cambiato.
-Che vuoi?- disse aspro Levi mentre si alzava per andare ad aiutare Mike afferrando la bomboletta rossa.
-Abbiamo quasi finito il liceo quindi, mi chiedevo…cosa avete intenzione di fare d’ora in poi?- a quella domanda tutti si bloccarono e trattennero il respiro. No, non era la prima volta che si facevano questa domanda e, si, non avevano ancora valutato per bene la risposta. Il loro forse era un desiderio egoistico, loro volevano solo lasciare tutto com’era, a scuola la mattina e in giro per la città il resto del giorno. Era una vita che facevano da cinque anni e non era così male, in fondo. Eppure sapevano che nulla era per sempre e che avrebbero dovuto decidere cosa fare della loro vita, prima o poi.
Il primo a rispondere fu Mike, con grande sorpresa da parte degli altri tre.
-Non volevo dirvelo così, ma visto che mi si presenta l’occasione…- si girò in modo da vedere tutti quanti. Con gesti lenti chiuse la bomboletta nera.
-I miei hanno scoperto quello che faccio con voi e visto che sono stato bocciato un paio di volte e a scuola non vado ancora bene vogliono spedirmi nell’esercito.- un silenzio intenso e pesante cadde su di loro non appena il ragazzo terminò di spiegare.
-Io frequenterò la facoltà di lettere, qui nella nostra città.- intervenne Hanji sistemandosi gli occhiali. Aveva deciso di parlare per non dare agli altri il tempo di realizzare quello che Mike stava dicendo. Perché era terribile quello che stava dicendo. Non solo sarebbe stato molti chilometri lontani da loro, ma addirittura avrebbe rischiato la vita non appena sarebbe diventato un soldato a tutti gli effetti.
-Io andrò all’Accademia militare in America.- di nuovo il silenzio venne spezzato, ma questa volta dalla voce che più non ci si aspettava parlasse. Erwin era tornato tra di loro e la sua voce profonda li aveva raggiunti come uno schiaffo. Rivaille si bloccò e si voltò a guardarlo storto, l’altro sostenne il suo sguardo con una freddezza  di cui non lo credeva capace.
-Poi farò delle specializzazioni e chiederò di entrare nella polizia o magari nella Marina, non so…- Hanji si alzò in piedi giusto in tempo per fermare Levi che era scattato in avanti verso Erwin.
-Brutto bastardo.- disse tra i denti il moro cercando di liberarsi dalla stretta della ragazza.
-Perché?- chiese a quel punto Zoe dando voce al pensiero martellante che tutti avevano nella testa.
-Ho capito che quello che abbiamo fatto per così tanto tempo non è giusto. Io voglio aiutare la gente non derubarla.- disse secco. Levi a quel punto si sganciò dalla presa dell’amica e ancorò, con un gesto aspro, il biondo al muro.
-Che cazzo stai dicendo…?!- sibilò il moro portando l’avambraccio al collo dell’altro per tenerlo fermo e inoffensivo.
-So che tu non capisci, ma vorrei che la smetteste tutti quanti. Il tempo per fare queste ragazzate è finito.- Levi premette ulteriormente il braccio sul collo di Erwin.
-Ragazzate? Non mi pareva la pensassi così qualche anno fa.-
-Rivaille, ascoltami…pensi di poter vivere facendo questo tipo di cose?- disse a fatica il biondo afferrando il braccio dell’altro per toglierselo di dosso.
-N-Non sarebbe giusto…per…le persone oneste…e io voglio tutelarle…- il moro si scostò da lui, lasciandolo definitivamente. Erwin tossì piegandosi per cercare di riprendere fiato.
-T-Tu da che parte vuoi stare Rivaille?- chiese guardandolo negli occhi il biondo mentre con la mano si massaggiava il collo.
-Dalla parte in cui sono sempre stato.- rispose acido scaraventando a terra la bomboletta. Si ravvivò i capelli e sparì dalla vista di quei ragazzi con passo veloce.
Loro non li avrebbe più rivisti per molto tempo.
 
Da quel giorno Levi cominciò a vagare per la città senza una precisa meta. Era tornato a casa sua per prendere la pistola che suo padre gli aveva lasciato prima di andarsene definitivamente e si era preparato un piccolo borsone riempito da quelle poche cose che riteneva indispensabili. Si sentiva oltraggiato e derubato dai compagni che lo avevano accompagnato in tutti quegli anni. Quello che più lo infastidiva e lo feriva allo stesso tempo era la decisione di Erwin, la persona che conosceva da più tempo e che considerava quasi un fratello. Lo conosceva da quando era bambino e più volte l’aveva aiutato nei momenti difficili della sua infanzia. Non riusciva ad accettarlo e non lo avrebbe accettato perché lui non aveva intenzione di smettere di fare quello che stava facendo e sapeva fin troppo bene che prima o poi lo avrebbe rincontrato, Erwin, ma sarebbe stato suo nemico.
Entrò in un negozio di alimentari e afferrò qualche tramezzino confezionato e una bottiglietta d’acqua che nascose sotto al giubbotto con gesti veloci. Fece per uscire dalla porta scorrevole di fianco al bancone, ma la strana disposizione di quattro ragazzi attirò la sua attenzione. Erano sparsi per le basse corsie del negozio a quadrato e si scambiavano ripetute occhiate. Rivaille non fece nemmeno in tempo a pensare ad altro che uno di questi, quello biondo con la barba estrasse una pistola.
-Vecchio, dacci l’incasso!- urlò puntandogli l’arma contro.
-Tsk, incapaci.- mormorò irritato il moro. Quei ragazzi stavano commettendo una marea di errori: numero uno, stavano permettendo a Rivaille di osservare tutta la scena non contando che avrebbe potuto chiamare la polizia e denunciarli, numero due, c’era una telecamera dietro al bancone e vista la spia rossa era perfettamente funzionante, numero tre la pistola che aveva in mano il biondo era chiaramente finta e numero quattro, il proprietario di quel negozio aveva un vero fucile a canne mozze vicino alla casa.
Il vecchio, come previsto da Rivaille, afferrò il fucile e lo puntò al ragazzo biondo che dalla sorpresa fece cadere la pistola.
-Provate a fare un altro passo e vi sparo un colpo in testa. Fermi, immobili mentre chiamo la polizia.- disse il vecchio con disprezzo. Rivaille ficcò le mani in tasca pronto a godersi la scena, ma i ragazzi non cominciarono a supplicare o a scappare come era logico facessero bensì si allinearono davanti al proprietario con sguardo fiero e per nulla intimorito.
-Dacci i soldi vecchio.- urlò la ragazza che fino a quel momento era stata zitta. Ma era pazza o cosa?
L’uomo rise di gusto.
-Siete disarmati ed io ho un fucile a canne mozze!-
-Se uccidi due di noi non avrai più proiettili quindi sarai costretto a cambiarli, sarà in quel momento che ti faremo fuori rubando tutti i tuoi soldi.- che pazzi incoscienti, riuscì solo a pensare Levi, però, nonostante questo qualcosa scattò dentro di lui e decise di agire. Scattò in avanti e saltò il bancone. Stordì il proprietario con una gomitata alla nuca. L’uomo cadde rovinosamente a terra lasciando cadere il fucile con sé. A quel punto Levi si voltò vero i ragazzi scoccandogli uno sguardo di ghiaccio e osservò le loro espressioni stupite una ad una.
-Siete degli idioti incoscienti.- sibilò prendendo il fucile e sparando un colpo contro la telecamera disintegrandola. I ragazzi ancora non dicevano una parola. Il moro sospirò poi aprì il registratore di cassa e prese l’intero incasso.
-Devo fare anche questo per voi?- domandò tendendo al biondo i soldi. Il ragazzo davanti a lui si protese per prendere i soldi e li afferrò con mano tremolante. Il più basso, a quel punto, scavalcò di nuovo il bancone e uscì dal negozio con fare tranquillo.
-Ma chi è quello?- chiese con voce rotta la ragazza.
-Non lo so, ma potrebbe esserci utile.- disse il ragazzo biondo ficcandosi nascondendo il denaro in tasca.
-Intendi seguirlo?- domandò ancora, ma il biondino non le diede risposta e uscì dal negozio rispondendo correndo fino ad affiancare il ragazzo che poco prima li aveva aiutati.
-Io sono Erd Jinn.-
-Io Petra Ral.- disse la ragazza mettendosi vicino al moro.
-Io sono Oluo Bozado.- si presentò il riccio arrivando da dietro.
- Gunther Schultz.- affermò il castano per ultimo. Rivaille si fermò di colpo e per poco Gunther e Oluo non gli sbatterono addosso. Guardò  uno per uno negli occhi con un certo disprezzo.
-Che cazzo volete?- sibilò diretto come sempre.
-Ci hai aiutato e sembri uno che si sa fare, vogliamo che ti unisci a noi.- Rivaille piegò il labbro in un ghigno divertito.
-Ah? E cosa ne ricaverei? Siete solo dei ragazzini incapaci.- disse con calma riprendendo a camminare veloce. I quattro lo seguirono e lo circondarono di nuovo.
-Non puoi continuare a fare furti da solo.- disse Petra.
-L’unione fa la forza.- intervenne Gunther.
-E stiamo programmando di andare fuori città- aggiunse Oluo.
-e fare affari fuori da questo buco, magari molto più grandi.- concluse con decisione Erd. Il moro si fermò una seconda volta, ma questa volta rifletté seriamente sulle parole dei quattro. Avrebbe potuto crearsi un nuovo gruppo, avrebbe potuto andarsene da quella città e avrebbe potuto sfruttare i quattro a suo vantaggio. Più si è più c’è probabilità di riuscire anche se questo implica dividere il bottino.
-Come avete intenzione di andarvene da qui?-
-Una macchina, cerchiamo i soldi per metterla apposto.- rispose Erd.
-Quanti ve ne servono ancora?- chiese Rivaille.
-Questi dovrebbero bastare, per domani dovrebbe essere tutto apposto e potremo partire.-
-Se volete che venga con voi ho delle condizioni.- spiegò il moro prendendo un tramezzino dal giubbotto. I ragazzi annuirono, segno che erano in ascolto.
-Visto che sono io quello con più esperienza, seguirete quello che dico io.-
-Va bene.- disse subito Erd. Gli altri si guardarono sospesi, ma non proferirono parola. In fondo Erd era il loro capo e loro non potevano far altro che fidarsi delle sue scelte.
-E…-riprese Rivaille leccandosi le labbra soddisfatto. –prima di partire voglio la macchina disinfettata.-
Quella fu l’ultima serata che passò nella sua città. Il giorno dopo partì e non tornò più se non dopo dieci anni.
 
 

-Heichou*! Ci sei mai stato a New York City?- chiese Gunther sfogliando distrattamente una rivista. La brezza che entrava dai finestrini spalancati accarezzava i volti di tutti quelli all’interno dell’auto che, a parere di Rivaille, si era rivelata un rottame.
-No.- disse secco mentre premeva maggiormente il piede sull’acceleratore. Petra sospirò, guardando gli occhi concentrati del ragazzo, fissi sulla strada.
-Nemmeno tu sei mai uscito da quel posto, eh?- chiese poi distrattamente. Lui non rispose, lasciando intuire agli altri che si trovava nella stessa identica situazione degli altri, con la sola differenza che rubare era l’unica cosa che gli avevano insegnato a fare e nella quale riusciva piuttosto bene.
-Noi faremo molti affari e diventeremo un gruppo di ladri temuti e- aggiunse Oluo prima di mordersi la lingua. Questo scatenò una risata negli altri tre. Rivaille osservò la scena dallo specchietto. Non era lo stesso gruppo che aveva avuto per tanto tempo, ma ci si sarebbe abituato presto.
 
Arrivarono a New York a era notte fonda, il sole non era ancora sorto, ma poco ci mancava. Per le strade c’era già un certo viavai di gente e loro ne approfittarono per fare colazione. Entrarono in un negozietto, di quelli aperti 24 ore al giorno e cominciarono a cercare con lo sguardo tra gli scaffali alla ricerca del cibo che più li soddisfava. Qualcuno prese merendine, qualcuno pastine altri semplicemente un caffè freddo. Rivaille si guardò intorno e non notò alcuna telecamera, quindi, con molta calma si ficcò la colazione dentro al giubbotto e intimò agli altri di fare lo stesso. I quattro lo seguirono a ruota, ma vennero bloccati da una voce.
-Ehi tu, signorina, che hai sotto alla giacca?- disse il proprietario da dietro il bancone.
-Nulla.- affermò Petra impassibile. Il ragazzo sfiorò il legno del tavolo, appena sotto la cassa poi si avvicinò alla bionda.
-Fammi vedere.- gli parlò allungando una mano verso il corpo della ragazza.
-No!- urlò lei di rimando allontanandosi di poco. Il proprietario le afferrò un braccio intenzionato ad aprirle la giacca con la forza, ma venne bloccato dalla presa ferrea di qualcun altro.
-Ehi amico, hai qualche problema con lei?- sibilò Rivaille stringendo un po’ la presa sull’avambraccio dello sconosciuto.
-Questa puttanella ha rubato qualcosa! Si vede!- proferì indignato il ragazzo cercando ancora di metterle le mani addosso.
-Questa puttanella è la mia ragazza e se provi a metterle le mani addosso ti disintegro quella faccia di merda che ti ritrovi.- disse stringendo ulteriormente la presa sull’altro. Questo fece un passo indietro, immediatamente fulminato dagli occhi di ghiaccio di Rivaille.
-Okay okay, scusa. Vai, portatela via.- mormorò con voce tremolante il proprietario. Rivaille scoccò un’occhiata di fuoco prima a lui e poi a Petra. La presa per il polso e la condusse velocemente fuori senza proferire parola.
-Correte.- sussurrò il moro guardandosi intorno.
-Che?- chiese Gunther estraendo tranquillamente dalla giacca una merendina.
-Correte!- urlò questa volta Rivaille vedendo una macchina della polizia sfrecciare nella loro direzione. Quel tipo non era poi così stupido, quando aveva indugiato dietro al bancone, molto probabilmente, aveva premuto un segnale di allarme per la polizia.
-Disperdetevi tra la folla!- urlò prendendo a correre. Il sole stava per sorgere e questo era un bene perché implicava più persone per le strade. Levi corse trascinandosi dietro Petra. Aveva già combinato abbastanza disastri per oggi quindi era meglio se la teneva d’occhio lui. Risalirono uno strada che si faceva via via più stretta mentre le persone intorno a loro diventavano quasi insopportabili tanto che non riuscivano nemmeno a correre. Passarono ad una rampa in legno e fu proprio in quel momento che la folla parve allentarsi. Si ritrovarono su un ponte mentre i primi raggi del sole mattutino accarezzava i loro visi stanchi. Si fermarono di colpo, incapaci di distogliere lo sguardo dal panorama che avevano davanti.
-F-Figo.- mormorò Levi sgranando involontariamente gli occhi. Petra al suo fianco gli strinse la mano. Era calda e rassicurante e lei non si era mai sentita così a suo agio con una persona. Quello che aveva fatto Rivaille per lei, l’aveva colpita nel profondo e se prima quello che provava per lui era ammirazione ora sentiva qualcosa di più. Stargli vicino la faceva sentire bene e non ci sarebbe stato altro luogo in cui avrebbe voluto trovarsi se c’era lui vicino.
Rivaille non ci fece troppo caso. Al diavolo la polizia che li seguiva, al diavolo il resto di loro che erano dispersi chissà dove, in quel momento c’era solo lui e quel paesaggio stupendo dal quale non avrebbe mai voluto separarsi.
 All’improvviso tutto gli era chiaro e limpido. Quella era la sua vita. Quello era ciò che per lui era sempre significato “libertà” e quello avrebbe fatto fino alla morte.
-Fuori dalla nostra città anche un’alba sembra la cosa più bella che abbia mai visto…- sussurrò lei.
-Già…-
 


I furti e le città si susseguivano inesorabili. Persone nuove si incontravano e conoscevano tra quei intricati vicoli bui che molto spesso vengono ignorati. Dicono che siano i bassi fondi, ma di basso non hanno proprio nulla: quella era la vera essenza della città, quello era ciò che la rendeva viva. Girarono l’America in lungo e in largo nel corso di pochi mesi, spostandosi di giorno in giorno, ma nonostante tutti quei luoghi così differenti gli uni dagli altri i loro cuori sarebbero sempre rimasti a New York.
Ci ritornarono dopo tre mesi, ma quella fu la loro rovina.
-Mi hanno detto di cercare la casa di un certo Pixis.- disse Erd porgendo a Levi un foglio di carta.
-E’ lui che dovrebbe darci le giuste istruzioni, è una persona molto popolare qui, quindi dovrebbe avere anche gli agganci giusti.-
Il moro annuì riprendendo il lavoro che stava facendo.
-Heichou, secondo me l’hai rovinata con quel disegno…- osservò Oluo piegando leggermente la testa di lato.
-Nessuno ti ha chiesto niente, Oluo.- disse impassibile il moro asciugandosi il sudore dalla fronte con l’avambraccio.
-Cosa dovrebbero significare quelle ali, Heichou?- chiese Petra inginocchiandosi di fianco a lui mentre gli alzava una manica che era scivolata un po’ troppo in basso e avrebbe potuto rovinare il suo lavoro.
-Sono le ali della libertà.- disse semplicemente Rivaille e gli altri capirono, perché era lo stesso che provavano  anche loro da un po’.
 
Cercarono la casa dell’uomo che gli avevano indicato e, seppur con qualche difficoltà, la trovarono. Era un piccola casetta nei bassi fondi di New York, alla porta, seduto su di una sedia, se ne stava un vecchio dagli occhi di falco che osservava il mondo esterno con un’espressione indifferente. Aprirono il piccolo cancelletto e percorsero il vialetto con una certa flemma.
-Cosa vi porta qui giovani ladri?- disse continuando a guardare la strada. I ragazzi si domandavano come facesse a sapere che erano ladri, ma non indagarono. Erano in quel luogo per ben altri affari.
-Vogliamo rapinare una banca.- affermò senza troppe cerimonie Rivaille. A quel punto il vecchio cominciò a squadrarlo con interesse. Sembrava quasi stupito dai modi diretti del giovane.
-Cosa vi serve? Armi? Strumenti? Persone?-
-Gente che faccia da palo mentre noi lavoriamo dentro e che ci porti via dopo la rapina.-
-Attento ragazzo: le armi sono facili da usare, ma le persone sono difficili da controllare.- affermò piantando i suoi occhi giallognoli su quelli grigi di Rivaille.
-Non ci serve la tua opinione, vecchio. Sappiamo di cosa si parla e sappiamo persuadere molto bene.-
-Perfetto.-
 
 
Trascorse quasi una settimana da quell’incontro e più volte i ragazzi tornarono a casa di Pixis sia per chiedere aiuto nel preparare il piano sia per stabilire la somma di denaro che sarebbe spettata al vecchio e agli uomini a cui si era rivolto. Non era un colpo facile quello della banca perché nelle città più grandi, quei posti sono controllati in modo molto severo ed è parecchio difficile riuscire a sfuggire alla polizia. Nonostante questo, nel corso di quei sei giorni studiarono il colpo e lo pianificarono nei minimi dettagli decidendo anche il luogo in cui la macchina guidata degli sconosciuti avrebbe dovuto aspettarli per poi portarli fuori città. Era un colpo rischioso, ma loro avevano sete di avventura e di soldi.
Già sentivano l’adrenalina pulsare nelle loro vene mentre si avviavano all’interno della banca. I loro corpi vennero animati da una forza sconosciuta non appena Petra puntò la pistola al primo agente. Le loro mani si muovevano ad una velocità folle mentre trasportavano i soldi dalla cassaforte ai sacchi.
Il respiro si fece più affannoso quando uscirono dal retro.
Il tempo si fermò quando non videro alcun furgone.
La rabbia si fece avanti nel momento in cui capirono di essere stati traditi.
La vergogna gli fece digrignare i denti mentre la polizia li accerchiava.
Una freccia si conficcò nel loro orgoglio quando alzarono le mani al cielo.
La tristezza li pervase nel momento in cui le loro ali vennero spezzate e la libertà sfumò via come tutti i loro sogni.
 
In un primo mento vennero trascinati nella caserma di New York nella quale subirono molti interrogatori su vari furti che avevano commesso. Avevano rubato almeno una volta in quasi tutti gli Stati d’America e la loro pena, così gli avevano detto, non poteva che essere di svariati anni. Dopo circa una settimana vennero trasferiti a Washington DC dove ad accoglierli vi fu la persona che sovraintendeva il loro caso.
-Buon giorno sono Neil Doak.- un uomo dallo sguardo truce e da corti capelli neri si presentò davanti alla cella in cui erano stati rinchiusi.
-Io seguo il vostro caso da un po’ e devo dire che la vostra costanza nel commettere furti mi ha affascinato parecchio, ma prima o poi tutti i fuori legge vengono acciuffati e quindi eccoci qua, come vi sentite ladruncoli?-
-Vai a farti fottere.- sibilò Rivaille seduto in un angolo di quella stanza lurida. Gli altri ragazzi non dissero nulla, se ne stavano semplicemente seduti vicino al loro capo con la testa bassa.
-Tu devi essere Rivaille, giusto?- chiese il poliziotto sistemandosi la divisa su i fianchi.
-Che cazzo vuoi da me?- gli sputò addosso il più basso alzandosi per andare verso di lui.
-Cercavo proprio te, c’è una persona che ti vuole parlare.- disse freddamente estraendo delle chiavi arrugginite dalla tasca dei pantaloni scuri.
 
Rivaille si fece condurre da quest’ultimo tra i corridoi freddi e umidicci, ne memorizzò ogni particolare con una precisione quasi impossibile. Non aveva intenzione di starsene ancora rinchiuso in quel buco di posto. Neil aprì una porta verde e con poca grazia spinse il carcerato all’interno della stanza. Il moro sibilò un insulto rivolto a quel poliziotto poi si ritrovò a sgranare gli occhi non credendo a quello che vedeva.
Davanti a lui, seduto tranquillamente ad un tavolo bianco se ne stava un uomo biondo, un poliziotto, anche lui in divisa che lo osservava tagliente con quegli occhi della stessa tonalità del cielo.
-Erwin…- mormorò mentre i suoi piedi si muovevano da soli verso il tavolo.
-Dopo che non ti sei più fatto sentire, qualche mese fa, ho preso la mia decisione e sono partito per Washington. Qui sto frequentando una specie di Accademia e quando ho tempo libero aiuto Neil nei suoi casi. Sono come il suo braccio destro e non appena finirò l’Accademia mi assumeranno qui e diventerò un poliziotto a tutti gli effetti, molto probabilmente farò qualche specializzazione e diventerò investigatore.-
-Perché mi stai raccontando tutte queste stronzate, Erwin?- disse il ragazzo che aveva già preso posto davanti all’amico.
-Sono stato io a catturarti e sono io che mi occupo del tuo caso anche se con la supervisione di Neil.- Rivaille strinse le mani attorno ai braccioli della sedia. Sapeva che sarebbe successo prima o poi, ma non pensava che sarebbe stato così presto.
-Dimmi che cazzo vuoi, non sei già soddisfatto di avermi privato della mia libertà?- chiese a denti stretti il più basso.
-So chi sei, Rivaille. So che tipo di persona sei, so quello di cui sei capace, ti conosco da non so quanto tempo e ti considero ancora mio amico.- il moro ghignò.
-Di amicizia mi vieni a parlare-
-Ascoltami, Rivaille. Gli anni che daranno a te e alla tua “squadra” non saranno meno di cinque e potrebbero andare fino ad un massimo di dieci, so quanto tu ci tenga alla tua libertà ed è per questo che voglio farti una proposta.-
Il moro posò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita delle mani appoggiandoci sopra il mento. Quello voleva dire che stava ascoltando.
-Entra nella polizia e sconta la tua pena con questo tipo di servizi.- Rivaille si morse la lingua per non perdere la pazienza. Avrebbe solo peggiorato le cose.
-E i miei uomini?-
-Loro potranno ritornare nella nostra città a patto che non si muovano da lì. Appena faranno un passo falso ritorneranno dentro.- Il moro si abbandonò sulla sedia e incrociò le braccia al petto. Lui aveva il destino dei suoi compagni nelle sue mani. Doveva fare una scelta e qualsiasi cosa avrebbe fatto ci avrebbe rimesso.
 
Rientrò nella cella intimando a Neil di tornare tra cinque minuti, poi sospirò sonoramente e si voltò verso la sua squadra guardandoli uno ad uno.
-Tra cinque minuti sarete rispediti nella nostra città. Sono riuscito a negoziare la vostra libertà.-
-La “vostra”?- chiese Erd.
-Io ho accettato di rimanere qui per fare in modo che voi ve ne andiate.-
-Ma heichou!- protestò Petra scattando in avanti.
-Noi rimarremo qui con te!- disse Aruo con decisione.
-Ho fatto la mia decisione ed è l’ultima cosa che vi chiedo come vostre capo.-
-Non possiamo seguire questo ordine.- affermò Gunther.
-Avevamo delle condizioni quando mi sono unito a voi e voglio che vengano rispettate fino all’ultimo. Fuori di qui non sarò più il vostro capo, ma fino a quel momento dovete fare come vi dico. Vi prometto che appena sarò fuori da qui non vi cercherò e non vi causerò più alcun problema, siete arrivati a questo per causa mia e non voglio avere i vostri sogni sulla coscienza. Fatevi una vita, lontana da tutto questo oppure questo mia decisione sarà stata inutile. Andate e dimenticatevi di me, io avrò modo di fare lo stesso di voi.-
Erd, Aruo, Gunther e Petra avevano gli occhi fissi su di lui. Erano profondamente in disaccordo con quello che stava dicendo, ma sapevano che aveva ragione. Aveva fatto questa decisione per loro e se loro non avessero fatto come gli aveva detto sarebbe stato tutta una mancanza di rispetto. Lui stava sacrificando la sua libertà per loro. Quello era decisamente abbastanza.
-Se avete finito Neil vi porterà fuori. Io mi occuperò di Rivaille.- I tre ragazzi uscirono, ma Petra rimase lì immobile davanti al moro.
-Fammi rimanere, heichou.- sussurrò prendendogli le mani tra le sue.
-Petra lo sai che-
-Io ti amo, Rivaille, ti seguirò fino in capo al mondo, non me ne importa di tutto questo, la mia vita fuori non-
Il moro le afferrò le spalle con una forza che quasi le fece male.
-Non aspettarti una risposta che non ti darò mai, non aspettarti una vita che non avrai mai. Vai e prenditi cura dei tuoi compagni.-
-I tuoi compagni saranno in città tra due giorni. Tu sei pronto a fare quello che va fatto?-
-Per quanto tempo starò dentro?-
-Dieci anni.- mormorò il biondo sistemandosi il ciuffo. –Sei sicuro di non voler unirti alla polizia?-
-Tu mi conosci, Erwin, dovresti sapere che tipo di persona sono.-
-Già.- disse il poliziotto richiudendosi la cella alle spalle.
-A presto, Rivaille.-
-A presto, Erwin.-
 

Dieci anni dopo…

-Qual buon vento ti porta da queste parti giovane ladro?- chiese il vecchio con la sua solita voce gracchiante.
-Pixis non rompere le palle, mi vengo a riprendere la macchina, ecco cosa.-
-E se l’avessi venduta?- chiese il vecchio alzandosi dalla sua sedia di legno.
-Ti farei il culo a strisce rosa e gialle.- affermò il moro ravvivandosi i capelli.
-La prigione non ti ha cambiato per niente, Rivaille.- disse il vecchio lanciandogli le chiavi della sua Porsche.
-Mi ha cambiato più di quanto sembri, vecchio.-
-Che intendi dire?-
Il moro si voltò ripercorrendo a ritroso il vialetto di casa di Pixis.
-Rivaille fa parte del passato. Non esiste più, ora c’è solo Levi.-







*Heichou=Capo




*Angolo Autrice*
Eccomi tornata ragazzi con un nuovo capitolo, lo so che sono in ritardo, ma ho avut una settimana impegnata e so anche che vi chiederete perché ho fatto l'angolino autrice in basso, ma ogni tanto ho voglia di cambiare quindi.....
Cooomunque, questo è il capitolo speciale sul passato di Levi (capite perché il nostro ladro non vuole condividere i suoi ricordi con Eren? E' un po' paturnato (?) ma capitelo u.u), lo so che lo aspettavate da un po' quindi ho deciso di scriverlo e, in più, è parecchio lungo quindi dovreste essere apposto per un po' xD
Vi avviso che questo è il penultimo capitolo quindi, a maggior ragione, gustatevelo.
Se trovate errori/incongruenze, segnalateli che provvederò subito a correggere :3
Al prossimo e ultimo capitolo! :D

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Capitolo 15
*** Capitolo 15- Fine ***


Capitolo 15- Fine




Quella stessa sera pernottarono un albergo, un vero albergo non uno schifo di motel. Levi non aveva dato una spiegazione precisa  ad Eren e il ragazzo, in fondo, aveva imparato a non chiedere. Eren era già abbastanza in crisi di suo, visto la lettera che aveva letto poche ore fa.
Perché la sua vita era così complicata? Perché non poteva stare tranquillo e spensierato ad inseguire il suo sogno di vedere il mondo con Levi? Lui stava odiando tutto questo perché gli era stata messa sulle spalle una responsabilità che non gli apparteneva. In una mano aveva la vita di centinaia di migliaia di persone e nell’altra la salvezza della Nazione. A lui non erano mai interessate nessuna delle due. Poteva pure andarsene a fanculo la Nazione e i suoi abitanti. Lui era un fuorilegge, un ladro senza alcun legame con la società. Che cosa si aspettava suo padre? Che diventasse un assassino a causa della sua debolezza? Infatti, in fin dei conti, quello che gli stava chiedendo suo padre era di rimediare ad un suo errore. Stava mandando il figlio che aveva abbandonato a saldare un debito che non gli apparteneva.
La rabbia era affiancata dal dolore perché purtroppo, Eren si rendeva conto di aver odiato un uomo per 23 anni che di colpe non ne aveva. Avrebbe potuto anche ammirarlo come persona se solo non gli avesse lasciato tutto il lavoro sporco da fare. Eren sul serio non sapeva più a cosa credere. Alla fine dei conti lui voleva solo stare con Levi…
Il suo compagno pagò la stanza in contanti. Osservò tutti quei verdoni venire incassati da quella gente con una smorfia. Le ragazze dietro al bancone gli sorrisero e gli porsero la chiave, ma Levi si limitò borbottare un’imprecazione prendendo la piccola schedina. Forse un po’ si era pentito di aver preso un albergo. Eren non poté fare a meno di ridacchiare vedendo quell’espressione sofferente e allo stesso tempo incazzata sul viso dell’altro.
-Moccioso vedi di non farmi incazzare pure tu che sta sera finisce male.- il castano questa volta aveva riso e Levi gli aveva tirato un pugnetto sulla spalla accompagnato da qualche insulto. Presero l’ascensore e aspettarono di arrivare al loro piano in un silenzio quasi surreale. L’ultima volta che Eren era rimasto per così tanto in silenzio era successo tre anni fa, quando ancora era attaccato al suo passato.
Seguirono un lungo corridoio illuminato da piccole luci al neon e  cercarono con lo sguardo il numero della loro camera. Appena ci arrivarono il moro passò la chiave elettronica sulla parte grigia posta subito sopra la maniglia ed entrò sbuffando.
-Che altre diavolerie elettroniche si inventeranno?-  sussurrò appoggiando la chiave sul tavolo. Eren aveva riso ma subito si era bloccato perché quello che gli si era presentato davanti era una camera completamente fuori dagli schemi. La stanza era enorme e aveva un letto matrimoniale in cui ci sarebbero potute benissimo stare quattro persone. Le lenzuola era bianchissime e ai piedi del letto c’era un piccolo cigno fatto con gli asciugamani. Sopra al tavolo c’era qualche mela in omaggio. Accanto a quest’ultimo c’erano delle poltroncine in pelle rossa che anticipavano il bagno. Le finestre occupavano un’intera parete ed erano esattamente davanti al letto. Eren si avvicinò a quest’ultime e dopo aver spostato una tenda semi trasparente osservò il panorama. Non era maestoso ed emozionante come quello che avevano visto all’Empire State Building, ma gli faceva quasi concorrenza. Washington aveva qualcosa di affascinante, forse erano gli spazi così tanto ampi, forse era il senso di importanza che questa città trasmetteva. In ogni caso seppur per qualche istante, quel panorama fece dimenticare al ragazzo quello che sarebbe successo il pomeriggio del giorno dopo.
-E’ bellissima…- sussurrò Eren. Levi si avvicinò al ragazzo e si mise anche lui ad osservare quel panorama che mai aveva visto prima.
-Già…- stettero per qualche secondo in silenzio a contemplare quella città, poi il castano distolse lo sguardo e andò a sedersi sopra il letto.
-Che dovrei fare Levi?- il moro si era girato e gli aveva rivolto un’occhiata tagliente, ma non arrabbiata.
-La scelta di cui ti pentirai di meno.- gli aveva risposto semplicemente e questo scambio di battute gli aveva provocato una stretta allo stomaco, perché era tutto terribilmente simile a quella discussione che avevano fatto la sera in cui aveva visto Levi per la prima volta. Sembrava fosse passata una vita da quel giorno e invece erano solo tre anni.
Eren abbassò il capo e cominciò a guardarsi i piedi. Levi aveva ragione.
-Io non voglio far saltare in aria proprio un bel niente. Sono un ladro non un assassino.- Già, quella non era la sua vita, non erano i suoi errori! Erano quelli di suo padre. Lui avrebbe continuato a fare ciò che l’aveva aiutato a vivere in tutti quegli anni, con la persona che gli aveva aperto gli occhi. Avrebbe continuato la sua vita. Poteva essere definito anche un sogno egoistico, ma dopo aver perso così tante persone nessuno poteva pretendere altro da lui. Basta.
Levi annuì con la sua solita espressione indecifrabile sul viso.
-Allora domani si parte.- sentenziò il moro. Eren sorrise prima di buttarsi di schiena sul letto.
-Di’ un po’ Levi…- esordì il più giovane dopo un po’.
-Ah?-
-Non mi vuoi proprio dire quand’è stata l’altra volta in cui sei stato qui?- il più basso ghignò avvicinandosi al letto.
-Più o meno dieci anni fa- Eren parve stupito dal fatto che Levi gli avesse rivelato qualcosa di lui.
-Perché? Perché ci sei stato?- Il moro si mise a cavalcioni sopra l’altro e cominciò a guardarlo con sguardo famelico.
-Mi hanno messo dentro.- il moro sgranò gli occhi stupito e allo stesso tempo eccitato. Si alzò sui gomiti per poter vederlo meglio in viso.
-Mi stai dicendo che sei un ex galeotto?- disse, ma la voce gli uscì in un sussurro.
-Già…e ho imparato cose che tu nemmeno immagini.- ribadì Levi chinandosi su di lui per mordergli un labbro. Eren gemette piano.
-Potresti aiutarmi a farlo.- soffiò sulle labbra del moro e quello era decisamente più che un esplicito invito. Levi non se lo fece ripetere due volte e si fiondò sulle labbra per saziare la sua fame.
 
La mattina dopo si svegliarono veramente tardi. Anche Levi, che solitamente era un tipo mattiniero, aveva cominciato a muoversi verso le due del pomeriggio. In fondo avevano avuto un bel daffare da mezzanotte in poi. Si erano svegliati l’uno avvinghiato all’altro come succedeva spesso quando ci davano dentro.
Si erano alzati e preparati con una lentezza unica, quasi come se fossero due persone diverse rispetto ai soliti ladri che dormivano nei motel e appena potevano prendevano la macchina e se ne andavano. Era una cosa molto strana, ma tutto quella situazione era strana e del tutto nuova. Forse era un po’ colpa di quel luogo così di lusso.
Uscirono dall’hotel verso le quattro del pomeriggio fregandosene altamente dei saluti amichevoli che gli rivolgevano quelli dello staff dell’albergo. Appena fuori si guardarono intorno con l’intenzione di andare a mangiare qualcosa e capitarono in un ristorante italiano. Non era la prima volta che andavano a mangiare italiano però era sempre molto buono quindi nessuno dei due ebbe nulla da ridire.
-Levi, mi fa malissimo la schiena.- disse ad un tratto Eren mentre si mangiava una fetta di pizza con poca grazia.
-Te la sei cercata, moccioso.- rispose l’altro senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
-Non pensavo che esistessero pratiche così…estreme.- borbottò il più giovane mettendo un leggero broncio. Levi alzò l’angolo della bocca fino a formare un mezzo sorriso.
-Non sai un sacco di cose, ragazzino.- il castano tremò appena. Sapeva che quando il moro diceva così non prometteva bene e anche quella sera si sarebbe prospettata una lunga nottata.
-Più che altro ho paura che il mio professore non regga il ritmo…- disse Eren portandosi l’indice sul labbro e facendo una finta aria pensierosa. Levi lo fulminò con lo sguardo manco volesse ucciderlo.
-Ricordami chi è che si è lamentato che gli faceva male al sedere?- Levi prese una forchettata di spaghetti con aria molto noncurante. Eren borbottò qualcosa di incomprensibile prima di riprendere con la sua pizza.
-Non dici più niente?- lo rimbeccò il più grande.
-Prova tu a stare sotto e poi ne riparliamo.-
-E’ una sfida, moccioso?-
-Potrebbe…- disse Eren con un guizzo di malizia negli occhi. Erano state poche le volte in cui Levi gli aveva permesso così tante. Rimaneva l’altro il più grande e, ammettiamolo, ad Eren piaceva parecchio farsi prendere più e più volte dall’altro.
Tutto quello sembrava praticamente normale. Era come se fossero una vera coppia ad un appuntamento e questo durante quei tre anni era successo davvero poche volte. In fondo, a loro non era mai piaciuta quella vita statica e quindi certi piaceri non se li erano mai presi. Sembrava comunque che quella giornata a Washington fosse diversa da tutti gli altri giorni e molto più intensa. Era come se il tempo si stesse dilatando e qualcun altro decidesse come farli agire senza che loro potessero controllare i loro corpi. Eren voleva andarsene al più presto e riusciva a vederlo anche nel viso imperturbabile di Levi eppure qualcosa lo frenava.
Finirono di pranzare in un silenzio colmo di sguardi complici, poi il più piccolo prese a guardare fuori dalla vetrata del ristorante.
-Che ne dici se andassimo a dare un’occhiata nel posto in cui ci ha detto mio padre?- chiese il più piccolo con titubanza.
-Ne sei sicuro?-
-Ho detto che non farò saltare in aria niente…però non sarebbe male andare a vedere.-
-Tse, ma solo per un po’ intesi?- Eren annuì, poi si alzò dal tavolino seguito a ruota da Levi e uscirono dal ristorante.
 
Il posto dell’incontro che il padre di Eren aveva segnato in una cartina della città, era in un posto appartato della periferia di Washington. Per le strade non c’era molta gente e questo, gliel’aveva spiegato un passante, era perché il 2 Aprile era una specie di festa Nazionale quindi molti residenti lì si facevano il week end di vacanza. La stessa polizia era stata decimata ed effettivamente era il giorno ideale per un incontro di tale spessore. Il meeting si teneva in un vecchio parcheggio circondato da un’intricata rete di vicoli. Non era molto agibile però si poteva fare qualsiasi cosa senza essere notati. I due giovani ladri salirono le scale d’emergenza velocemente e li si acquattarono in un angolo non appena videro il raduno di persone. Da una parte c’erano tutte persone vestite di giacche e cravatte nere dalle quali si fecero avanti tre ragazzi poco più grandi di Eren. C’era un omaccione parecchio robusto dai capelli biondi e occhi azzurri affiancato da una ragazza di molto più bassa di lui anche questa bionda e dagli occhi azzurri. Infine c’era il più alto dei tre, un ragazzo moro con gli occhi scuri che sembrava il più innocente tra tutti. Cominciarono a parlare con dei vecchi signori, anche questi in giacca e cravatta. Molto probabilmente quelli erano i politici corrotti di cui parlava suo padre nella lettera. Eren non se ne intendeva molto di politica, ma gli pareva di averli visti un paio di volte in tv.
-Dev’essere una cosa molto pallosa…- sussurrò il più giovane non distogliendo gli occhi dagli uomini. Levi sbuffò in risposta e con un cenno del capo lo invitò ad andare via. Non era affare loro e quindi non avrebbero ficcato il naso oltre. Anche Eren si alzò e percorsero le scale a ritroso.
Non appena furono scesi si bloccarono di colpo. Si ritrovarono nel piazzale che avevano attraversato pochi minuti prima eppure sentivano che c’era qualcosa di strano.
-Levi…?-
-Togliamoci da qui in mezzo.- disse il più grande prendendolo per un polso e invitandolo a prendere uno dei qualsiasi vicoli che circondavano quel posto. Si diressero verso la stradina più vicina, ma gli si pararono davanti degli uomini vestiti di nero che gli puntavano contro dei fucili.
-Fermi!- Levi riconosceva quella voce. Si voltò nella direzione in cui gli avevano urlato contro e immediatamente riconobbe il poliziotto che lo aveva chiamato.
-Smith. Che cazzo vuoi ancora?- gli sibilò contro mentre strane ombre si disegnavano intorno ai suoi occhi di ghiaccio. Eren non l’aveva mai visto così incazzato.
-Chi è Levi?- mormorò il castano puntando gli occhi contro il poliziotto biondo davanti a loro.
-Rivaille ti prego, non rendere le cose ancora più difficili. Siete circondati- da ogni vicolo spuntarono degli uomini vestiti di nero e dotati di fucile. Persino da alcune finestre degli enormi palazzi si potevano scorgere degli uomini in divisa. Eren non riusciva a capire più niente. Perché lo aveva chiamato Rivaille anche lui? Perché c’erano tutti questi poliziotti qui?
-E’ da quando sei uscito di prigione che sto monitorando i tuoi movimenti, ma questa volta sei stato più bravo. Questa volta mi hai fregato per tre anni…- lo sguardo di Levi si fece sprezzante.
-Se non fosse per quel ragazzino che ti porti dietro.- concluse Erwin mantenendo il suo sguardo serio. Da dietro le schiere di poliziotti si fece avanti un’agente e non appena si tolse l’elmetto nero Eren perse un battito.
-Mikasa che…?- la ragazza continuava a puntargli il fucile contro mentre lo guardava imperturbabile.
-Tua sorella ha trovato quella lettera nel vostro scantinato, tua sorella mi ha aiutato a cercarvi e alla fine vi abbiamo trovati dopo così tante ricerche.- concluse Erwin Smith rivolgendosi questa volta ad entrambi. Eren non sapeva che dire, si sentiva tradito e allo stesso tempo aveva il cuore a pezzi. Sua sorella aveva condannato lui e la persona che più ama alla prigione. Li aveva condannati a perdere la loro libertà e ad una separazione certa.
Solo in quel momento entrambi si resero conto che non si possono tagliare i ponti con il passato. Il passato tornerà ancora e ancora a tormentare il loro presente perché è inevitabile. Il passato è una parte di loro e non si può cancellare. Loro non l’avevano affrontato ma erano scappati, erano scappati per tre lunghi anni e in quel pomeriggio era tornato a riscuotere anni ed anni di fuga.
-No, Erwin, non mi porterai via tutto ancora una volta.- proruppe a gran voce Levi. Il suo sguardo si era assottigliato ed era diventato così tanto freddo e distaccato da mettere i brividi. Prese Eren per mano con una brutalità che mai aveva usato con lui mentre ad una velocità quasi impossibile scattava verso la fila di uomini meno numerosa. Questi minacciarono di sparare ma come aveva previsto il moro, non lo fecero. Riuscirono a disarmarne un paio quando si sentirono due spari.
Successe tutto nel giro di pochi secondi.
La mano di Levi che scivolava via da quella di Eren.
Levi che posava un ginocchio a terra e poi l’altro.
Il moro si portò una mano al petto mentre l’altra cercava di sollevarlo. Dalla sua mano goccioline cremisi riuscivano a scappare toccando terra mentre dal ventre il sangue colava inesorabile. Il ragazzo guardò dritto davanti a sé mentre la vista si faceva via via più sfocata. Vide degli uomini che lo guardavano inorriditi, no, non erano stati loro. Girò di poco la testa di lato e quello che vide fu la ragazza con la pistola alta e per niente tremante. Solo lei avrebbe potuto colpirlo in punti vitali sebbene fosse in movimento. L’aveva percepito fin da subito che erano simili. Tossì sangue e fu costretto a guardare in basso per limitare il dolore. Si accasciò a terra ma non sentì il freddo del cemento bensì due braccia calde e familiari. Incrociò i suoi occhi verdi e lucidi e una fitta al cuore lo scosse.
-Levi!- urlò con la voce rotta dal pianto il suo ragazzo.
-N-Non…piangere…moccioso…- soffiò fuori dalle labbra il moro. La sua espressione si addolcì di poco mentre i suoi occhi si facevano meno luminosi e magnetici di quello che erano sempre stati.
-Non morire, Levi. Ora ti porto da qualche parte, ti curo, tieni duro…!- Eren cominciò a guardarsi intorno con rabbia. Nessuno di quei cani che si facevano considerare sostenitori della legge e della giustizia muovevano un muscolo. Nessuna emozione attraversava i loro visi, nemmeno quell’Erwin si era avvicinato. Sembrava pietrificato.
Levi con una lentezza straziante appoggiò una mano sulla guancia del più piccolo. Non lo aveva mai accarezzato così. Non lo aveva mai guardato in quel modo.
-Eren…- Levi richiamò l’attenzione su di lui. –Non fare cazzate intesi?- il castano intrappolò la mano dell’altro tra la sua e la guancia.
-Perché mi dici così? Mi avevi detto che non saresti morto…- mormorò piano con voce che tremava.
-Lo so, ma…non sono mai stato bravo…con le promesse…- rispose Levi osservando quel viso che tanto aveva amato, che gli era piaciuto fin dall’inizio e che da quel preciso istante non aveva mai abbandonato.
Le lacrime cominciarono a rigare il volto del più piccolo.
-Non andartene…stai qui con me…io non posso-
-Ti amo, Eren.- sussurrò il moro mentre un rantolo scuoteva il suo corpo e la sua bocca veniva dipinta di rosso cremisi.
I suoi occhi si fecero assenti e cominciarono a velarsi diventando via via più cupi.
La mano di Levi si fece molle tra le sue dita e il suo respiro diventò impercettibile.
Le palpebre si piegarono fino a nascondere i suoi occhi.
-Ti amo anche io, Levi.- ma questo non era sicuro che lo avesse sentito.
Il corpo di Eren era percorso da singhiozzi e le lacrime scendevano veloce a bagnare anche la pelle ormai troppo fredda del suo ragazzo. Non credeva al corpo inerme che aveva davanti. Quello era un fottuto brutto sogno, ora si sarebbe svegliato tra le braccia di Levi in uno schifo di motel, ma quello non lo accettava. Quel presente del cazzo non lo accettava. Provava tristezza perché il suo passato aveva fatto quello che più temeva, gli aveva portato via il suo presente e il suo futuro. Era arrabbiato e quasi non ci vedeva più dalla rabbia. Si sentiva in colpa perché se non avesse deciso di tornare indietro a guardare quello stupido incontro mafioso loro ora sarebbero stati lontani miglia e miglia. Voleva vendetta ma non sapeva come ottenerla…
-Eren Jaeger, vieni con noi e non opporre resistenza.- disse muovendo qualche parte il comandante Erwin Smith. Il castano alzò il suo sguardo su di lui e gli scoccò l’occhiata più infuriata che potesse fargli. Il biondo si fermò vedendo in quegli occhi la stessa fiamma che animavano quelli di Levi.
-L’avete ucciso!- urlò facendosi male alla gola –Me l’avete portato via!- disse stringendo il corpo vuoto tra le sue braccia.
-Eren, lo conoscevo anche io, so quello che provi, ma è stato inevitabile. Gli sarà data una giusta-
-Vaffanculo! L’hai lasciato morire!- ribadì il ragazzo fuori di sé.
-Sapeva a cosa andava incontro. Ora vieni con noi. Sei in arresto.- Erwin riprese ad avanzare, ma a quel punto Eren scattò in piedi come una molla. C’era una cosa che poteva fare. C’era un modo per eliminare il passato.
Passato elimina passato.
Prese dalla tasca dei jeans il telecomando che gli aveva donato il padre e lo osservò sfiorando con il pollice il bottone.
-Eren appoggia a terra qualsiasi cosa tu abbia in mano.- disse con voce ferma il comandante mentre i suoi passi si facevano più lenti come se fosse intimorito.
Eren alzò lo sguardo su Erwin.
-Non posso vivere senza di lui…- mormorò.
Guardò Mikasa che lo osservava con gli occhi un po’ lucidi.
Riprese a guardare il telecomando mentre le sue lacrime si asciugavano sulla faccia. Non c’era un mondo senza Levi. Non c’era modo per placare quel dolore nel petto. Non c’era modo per ridargli la libertà.
Premette il bottone e tutto fu buio.
 
 


What can i do? I’m addicted to you.









*Angolo Autrice*
.......Okay, io so già che mi prenderò tante tante tante botte. Tipo pestaggio in massa.
No va bene, se vi può consolare anche io mi sento così e posso capirvi, anzi vi capisco proprio e infatti penso che ora andrò a mangiare nutella per tirarmi su il morale però...non pensavo facesse così male (?) scrivere questo capitolo. Non sapevo se fare succedere tutto sto casino....ho tipo deciso a tre quarti della storia e non è stata una buonissima idea, effettivamente. Ma è così che va la storia ed è così che finiscono i fuorilegge.
Alla fine, tra "Stay With Me" di Sam Smith, "Save you" dei Simple Plain e un bel po' di Coldplay è venuto fuori, spero vi sia piaciuto nonostante tutto.
Ringrazio tutte quelle che hanno seguito la fic fino ad ora e che l'hanno recensita. Ringrazio tutte quelle che l'hanno messa tra i preferiti e tra i ricordati perché, devo ammetterlo, non ho mai avuto così tanto successo (?) con una fanfic e mi sento alquanto realizzata. Un ringraziamento speciale va alla mia comewhatmay che ha sopportato i miei momenti no^^ e alla Jules Lawliet che nonostante tutto c'è sempre stata per recensire.
Vi voglio benee!
E voglio bene ai miei due patatoni Criminal!Levi ed Eren.
Spero di tornare, forse si forse no si vedrà xD 
In ogni caso buona serata (anche se non so quanto buona sarà) a tutti! :3
Ps. Per chi non l'avesse capito i tre mafiosi sono Reiner, Annie e Berthold^^

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