Occhi viola

di dragon_queen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro in una stamberga ***
Capitolo 2: *** Io sono Niniel ***
Capitolo 3: *** Gran Burrone ***
Capitolo 4: *** Il consiglio segreto ***
Capitolo 5: *** Le prime difficoltà ***
Capitolo 6: *** Moria ***
Capitolo 7: *** Lothlorien ***
Capitolo 8: *** Una nobile discendenza ***
Capitolo 9: *** Paura ***
Capitolo 10: *** Rohan ***
Capitolo 11: *** L'oscurità tra le mura di Edoras ***
Capitolo 12: *** Contesa ***
Capitolo 13: *** Namaarie ***
Capitolo 14: *** Il coraggio di tornare sui propri passi ***
Capitolo 15: *** Facciamo questo gioco ***
Capitolo 16: *** Una nuova alba ***



Capitolo 1
*** Incontro in una stamberga ***


 

CAP I – INCONTRO IN UNA STAMBERGA

 

Il mondo è cambiato.

Lo sento nell'acqua, lo sento nella terra, lo avverto nell'aria.

Molto di ciò che era si è perduto

perchè ora non vive nessuno che lo ricorda.

 

Un anello per domarli tutti...

 

 

Aprii gli occhi, stancamente. Avevo la testa che mi scoppiava, mi martellava incessantemente da giorni. Avevo cavalcato a lungo, albe e tramonti si erano susseguiti senza sosta e senza che quasi me ne rendessi conto.

Avevo spinto il mio cavallo sino al limite ed ero quindi stata costretta a fermarmi nei pressi di Brea, dove avevo trovato alloggio in una lurida stamberga. Non mi erano mai piaciuti i luoghi affollati, non sopportavo la gente e la confusione.

Preferivo rimanere nell'ombra, anonima, riparata da occhi estranei solo grazie ad un vecchio mantello rovinato e consumato che non mi dimenticavo mai di indossare. I ricordi che avevo della gente non erano felici, non mi portavano ad avere nostalgia dell'infanzia, ma per lo più a dimenticare quando riuscivo o, in caso contrario, a rivivere quel periodo attraverso incubi notturni.

Feci viaggiare lo sguardo per la locanda, osservando i presenti in quella notte fredda, giunti da chissà dove, solo per riscaldarsi ad un piccolo focolare o affogare i propri timori e problemi in un paio di pinte di birra o sidro.

Vedendoli ubriachi e spensierati, pareva quasi che nessuno di loro avesse mai colto le voci che invece erano giunte alle mie orecchie attente, né prestato attenzione ai misteriosi attacchi ai villaggi attorno al confine delle terre oscure.

Qualcosa si stava risvegliando tra le montagne di Mordor, qualcosa che non sarebbe dovuto mai tornare a tormentare noi poveri mortali.

Un giorno di molti anni prima avevo promesso che avrei fatto qualsiasi cosa per salvare la Terra di Mezzo, proteggerla dagli stessi che mi avevano resa orfana, non prima però di aver ritrovato ciò che mi era stato rubato.

Sospirai, afferrando con mano salda il boccale che mi stazionava davanti da ormai tutta la sera. Pensai al motivo che mi aveva spinto a viaggiare, alla missione che mi ero scelta di compiere, imponendomi di non attuare deviazioni o non farmi distrarre da niente e nessuno, nonostante tutto andasse contro il mio principio morale e d'onore. Fino a quel momento.

Quasi una settimana prima, passando al galoppo per le terre brulle intorno ai colli di Vesproscuro, avevo colto degli strani movimenti nelle pianure, esseri che non si vedevano in quei luoghi da secoli: orchi.

Incuriosita, senza farmi vedere, posizionandomi controvento in modo che il mio odore non potesse essere avvertito, avevo seguito quelle creature, captando qualcuno dei loro discorsi: erano alla ricerca di qualcuno, il quale era in possesso di un oggetto che il loro signore desiderava.

Ero stata avvertita di quella possibilità, dell'improvvisa ricomparsa di esseri come quelli al di fuori dei confini di Mordor, quindi in un istante decisi di agire, in modo da ritardare, anche se di poco, qualsiasi possibile danno.

Li avevo uccisi tutti, senza battere ciglio. Erano però soltanto degli esploratori, data la facilità con la quale li avevo sopraffatti, e in poco tempo ne sarebbero giunti altri. E così era stato.

Nelle mie brevi soste avevo sentito parlare di ombre che cavalcavano verso ovest, in sella a neri destrieri, lasciando alle loro spalle solo echi striduli capaci di perforarti i timpani. Cominciavo a preoccuparmi, ma imposi a me stessa di non curarmene.

Tirai giù l'ennesima gozzata di quella disgustosa birra. Non mi piaceva bere, ma quell'intruglio di malto scadente avrebbe sicuramente allontanato un po' dei miei pensieri.

Inconsapevolmente, guardandomi ancora attorno, notai un tipo, seduto in fondo al locale, come me rivestito di un sudicio mantello, il quale sbuffava fumo dalla bocca da quasi tutta la sera. Era strano, sicuramente nascondeva qualcosa, ma chi ero io per giudicare? Avevo passato la vita a nascondermi, a tenere celato quello che ero.

D'un tratto la porta della locanda si schiuse con un acuto suono di cardini, sovrastato ovviamente dal vociare della gente, ma che a me non sfuggì. Mi stupii nel vedere entrare quattro mezz'uomini, hobbit della Contea. Cosa ci facevano così lontani da casa?

Si avvicinarono al bancone, dove attirarono l'attenzione del locandiere, il quale diede loro il benvenuto, chiedendo ovviamente il nome con cui avrebbe potuto registrarli. Quello più vicino a lui rispose:

-Sottocolle...mi chiamo Sottocolle-

Bugia.

Sorrisi velatamente, divertita della goffaggine dei quattro poverini, probabilmente profondamente spaesati e impauriti nel ritrovarsi così lontani da casa. Ma a volte la paura fa commettere errori e l'intonazione di quello che rispose, a chi sapeva captarla, avrebbe senz'altro fatto capire che stava spudoratamente mentendo.

-Siamo amici di Gandalf il Grigio-

Mi feci attenta. Perchè quattro hobbit cercavano Gandalf? Cosa c'entrava il vecchio stregone?

Qualche tempo prima, senza sapere come, dato che viaggiavo di continuo, il vecchio era riuscito a trovarmi. Gli dovevo un favore e lui era venuto a riscattare.

Mi aveva pregato di tenere occhi e orecchie aperte su un certo qualcuno del quale mi aveva rivelato solo il cognome. Io gli avevo ribadito che tutto ciò all'infuori della mia missione per me era superfluo, ma lo stregone era furbo e alla fine ero stata costretta ad accettare. Ecco una deviazione di cui avrei fatto volentieri a meno, dato che le spiegazioni erano state frettolose e le ragioni del mio impiego in quell'impresa del tutto sconosciute. Ma ero una persona che manteneva le promesse.

Che fossero loro quelli che andavo cercando da allora? Non mi era certo venuto in mente di cercarli nella Contea, dato che i suoi abitanti erano sempre stati considerati tipi poco avventurosi e assai attaccati alle loro case e Gandalf non mi aveva certo facilitato il compito.

Qualcosa però mi preoccupava: se i quattro hobbit cercavano Gandalf, perchè lui non c'era? Eppure era sempre stato un uomo di parola, che manteneva le sue promesse, rispettoso degli appuntamenti. Quindi gli era sicuramente accaduto qualcosa.

Notai dall'espressione dei quattro che l'assenza dello stregone li aveva lasciati del tutto spiazzati.

Tornai a fissare il boccale che avevo tra le mani. Mentre osservavo i mezz'uomini, che nel frattempo si erano accomodati ad uno dei tavoli, avevo notato che anche lo straniero aveva mantenuto lo sguardo su di loro, attento.

D'un tratto avvertii però un gran trambusto:

-Baggins? Certo che conosco un Baggins. Eccolo là, mio cugino di secondo grado-

Baggins? Era quello il cognome a cui Gandalf mi aveva detto di stare attenta. Ne avevo dunque la certezza: erano loro quelli che dovevo tenere d'occhio per suo conto.

A parlare era stato uno degli hobbit, indicando il giovane che si era fatto riconoscere dal locandiere con il nome di Sottocolle. Quello, sentendosi probabilmente scoperto, cercò di raggiungere il compagno per zittirlo. Lo vidi sgusciare tra gli uomini ubriachi, sino a raggiungere lo spione e tentare di portarlo via. Poi però scivolò e fu in quel momento che accadde.

Nell'attimo in cui il giovane finiva a terra, qualcosa gli uscì dalla mano, brillando a mezz'aria e andando magicamente ad infilarsi nel dito indice dell'hobbit, facendolo scomparire nel nulla.

D'istinto, e forse anche un pò per la sorpresa, mi alzai in piedi, strusciando rumorosamente la sedia sulle vecchie assi di legno della stamberga, attenta a movimenti lievi o respiri sottili.

Solo un oggetto poteva esercitare quella magia e sentivo con tutta me stessa che le mie paure erano più che reali in quel momento. Gandalf era forse così pazzo da affidare una cosa tanto potente ad una creatura taciturna e timorosa come un hobbit?

Potevo avvertire il suo respiro, il battito accelerato del suo piccolo cuore, ma era come se non fosse lì, come bloccato in un limbo tra i due mondi, luogo pericoloso per chi non vi si era mai avventurato.

Nonostante la mia mente mi imponesse di farmi gli affari miei, il mio corpo si mosse d'istinto, compiendo qualche passo verso il punto in cui l'hobbit era sparito.

All'improvviso però quello ricomparve dal nulla e, neanche il tempo di un respiro, venne malamente afferrato dal forestiero che aveva attirato la mia attenzione poco prima e condotto, senza troppe cerimonie, al piano di sopra.

La cosa non mi convinceva e avrei di sicuro indagato. Dopotutto Gandalf me lo aveva chiesto come favore.

Inoltre, dove c'entrava il Grigio, lui non poteva essere lontano.

 

***

 

La sera stessa dell'arrivo degli hobbit, la locanda era stata bersaglio degli Spettri, i quali molto probabilmente cercavano l'Unico. Probabilmente il forestiero però era riuscito a nascondere i mezz'uomini, dato che tra i corridoi si udì il chiaro stridìo del loro insuccesso.

La presenza dei nove dette conferma alla mia prima ipotesi: l'hobbit, quel Baggins, era in possesso dell'Anello.

Decisi, nonostante tutto, di seguirli, vegliare da lontano su di loro sino a quando non si fossero riuniti con Gandalf e il mio patto con lui non si fosse quindi estinto. Preferivo non farmi vedere per non dover dare spiegazioni, per non essere costretta a far sapere loro della mia esistenza, soprattutto dopo che avevo intuito la strada che il ramingo gli stava facendo percorrere: Gran Burrone, dimora degli elfi, luogo che avevo sempre evitato come la peste.

Mentre viaggiavo al loro seguito, nascosta tra la vegetazione e le ombre, seguendo le traccie del loro cavallo quando mi distanziavano, continuavo a sentire in lontananza la presenza dei nove Spettri, erranti in quelle terre, guidati dal richiamo dell'Anello, avidi delle vite di quei poveri quattro mezz'uomini e di chiunque li accompagnasse.

Avevo però accertato che il ramingo era bravo, quasi quanto me a nascondere i loro spostamenti. Aveva un orecchio vigile e occhi attenti, quindi ero costretta a muovermi la notte o marciare a molti metri da loro.

Era il terzo giorno di cammino e li avevo visti accamparsi in una piccola radura nascosta tra gli alberi. Volevo accertarmi che il portatore stesse bene, dato che temevo che l'Anello potesse portarlo a compiere mosse azzardate e, con gli Spettri alle calcagna, era proprio l'ultima cosa che ci serviva.

Così lasciai il cavallo a brucare poco lontano e, con passo leggero, mi diressi verso l'improvvisato accampamento. Mi nascosti tra gli arbusti, dietro un grosso tronco, cercando di non far sentire lo sferragliare della spada che portavo al fianco e i pugnali dietro la schiena.

Gli hobbit dormivano, stretti in pesanti coperte, i loro bagagli adagiati poco lontano. In un attimo però mi accorsi dell'assenza del ramingo. Prima che potessi anche solo guardarmi in giro, avvertii alle mie spalle il suono di una spada che abbandonava il suo fodero e dopo qualche istante la sensazione del taglio della lama fredda all'altezza della giugulare.

-Chi sei?- mi chiese la voce dell'uomo alle mie spalle.

-Sai che è maleducazione chiedere chi sia una persona senza prima essersi presentati?- sdrammatizzai.

-Non rivelo il mio nome a chi indossa un cappuccio-

-In questo caso...-

Mi mossi rapida: tirai un violento pestone al suo piede, tanto da farlo allontanare, aggiungendoci una bella gomitata allo stomaco. Prima che quello potesse reagire, estrassi uno dei miei pugnali e glielo puntai alla gola.

-Visto? Non è più facile se si chiede le cose con gentilezza?-

L'espressione esterefatta dell'uomo mutò quasi subito, allargandosi in uno strano sorriso. Con uno scatto che mi colse del tutto impreparata, afferrò il polso che teneva il pugnale, torcendomelo, facendomi gemere e cedere leggermente le ginocchia.

Come era ovvio lasciai andare l'arma, caddi a causa di un doloroso sgambetto e mi ritrovai faccia a terra, un ginocchio contro la schiena e il fiato del ramingo sul collo. Ringraziai solo che il cappuccio non mi fosse caduto.

Alzai un poco lo sguardo, avendo avvertito dei movimenti leggeri attorno a noi, notando i quattro hobbit, in piedi, armati di bastoni e padelle.

Mi venne da ridere.

-E io che pensavo che gli hobbit fossero creature pacifiche-

-Chi sei, donna?- mi chiese nuovamente l'uomo che ancora mi teneva bloccata a terra.

-Un'amica- mi limitai a rispondere.

-E chi ce lo garantisce?- chiese risoluto uno dei mezz'uomini.

-Nessuno. Dovrete fidarvi di me e del vostro caro stregone-

-Conosci Gandalf?- domandò quello che rispondeva al nome di Baggins.

-Per mia sfortuna. Se il vostro amico gentilmente mi lasciasse andare, magari avrei anche il fiato di spiegare-

Ad un'occhiata dell'hobbit, il ramingo abbandonò la sua posizione, permettendomi di mettermi seduta e massaggiare la spalla che quello mi aveva quasi lussato.

-Dunque?-

-Gandalf è venuto a trovarmi quasi un mese orsono, chiedendomi un favore: tenere gli occhi e le orecchie aperte se mai avessi incrociato un certo Baggins della Contea. In quel caso avrei dovuto accertarmi che giungesse sano a salvo qualunque fosse il posto nel quale era diretto-

-E perchè avresti accettato?-

-Diciamo che non ho potuto rifiutare. Comunque vedo che siete tutti e quattro in buone mani, quindi posso anche ritenermi sciolta dalla mia promessa e tornare al mio viaggio-

Feci per alzarmi, ma una mano robusta mi costrinse a rimanere seduta a terra.

-Non possiamo permetterci di lasciarti scorrazzare libera per le pianure con il rischio che tu faccia sapere a qualcuno dove siamo diretti. Quindi verrai con noi. Se davvero sei amica di Gandalf, sarà lo stregone stesso a chiarirci la tua posizione in tutta questa storia-

-E se io non volessi?-

-Non hai molte alternative. Mentre ero in esplorazione ho casualmente trovato il tuo cavallo e l'ho allontanato, togliendoti in questo modo il mezzo per andartene-

Dopodichè mi si avvicinò, in modo che solo io potessi sentire le sue parole:

-Inoltre credo che ti convenga, dato che abbiamo gli Spettri alle calcagna e a piedi non potresti avere molta possibilità di aggirarli-

Rabbrividii. Poi aggiunsi:

-Sei davvero convinto che tu non mi abbia semplicemente colta di sorpresa?- chiesi, osservandolo da sotto il cappuccio, un sorriso sghembo che si era aperto sulle mie labbra, unico dettaglio visibile del mio volto.

Il ramingo mi riservò un'occhiata chiaramente sarcastica.

-D'accordo, va bene. Non mi oppongo- risposi, le braccia leggermente alzate in segno di resa.

-Spero almeno tu abbia avuto la decenza di recuperare le mie cose, ramingo-

Con un rumore sordo, la mia sacca da viaggio mi cadde al fianco.

-Bene- borbottai, piccata.

Nel giro di poco il campo venne smontato e ci rimettemmo in cammino. Il ramingo viaggiava in testa, nel mezzo il gruppo di hobbit con il loro ronzino e io chiudevo la fila, guardandomi intorno, circospetta.

-Sai dove stiamo andando, non è vero?- mi chiese l'uomo dalla cima della colonna.

-Purtroppo si- biascicai io, continuando a tenere gli orecchi attenti ad ogni minimo rumore.





ANGOLO AUTRICE:
Bene gente, premetto che è la prima volta che mi cimento in una simile impresa e spero di non viaggiare troppo di immaginazione e rimanere abbastanza nei personaggi. 
Spero inoltre di non far apparire il mio personaggio come una Mary Sue, ma in tal caso ditemelo, cercherò di apportare qualche modifica XD
Detto questo vi invito cmq a farmi sapere il vostro parere, anche perchè è una storia nata per puro sfizio, quindi se non verrà apprezzata, probabilmente non andrà avanti. Cercherò di pubblicare un capitolo a settimana.
AVVERTENZE: Ci sarà qualche traccia di crossover, con quale film ve lo dirò più avanti, per non rovinarvi la sorpresa :)
Un saluto e buona lettura

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

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Capitolo 2
*** Io sono Niniel ***


 


ANGOLO AUTRICE:
Stavolta il mio angolino lo faccio a inizio capitolo, in quanto comunico che il giorno di pubblicazione sarà approssimativamente il sabato, salvo eccezioni, tipo oggi -.-'''
In realtà sono talmente felice delle visite e delle recensioni che ho deciso di pubblicare un giorno prima.
Dunque, come si può notare dal titolo qui sotto, finalmente veniamo a sapere il nome della protagonista.
In questo capitolo inoltre vedremo un assaggio delle sue capacità, quindi, come richiesto anche nel precedente capitolo, se vi sembra troppo Mary Sue, fatemelo cortesemente sapere.
Chiudo ringraziando Lauretta_03, electra pascal e CallMeMomoTM per le loro recensioni.
Dopo questo vi auguro solo buona lettura...

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 

CAP II – IO SONO NINIEL

 

Mentre procedevamo in silenzio, o almeno per quanto riguardava me e il ramingo dato che i quattro hobbit facevano un gran fracasso, la mia testa cercava di elaborare un modo per lasciare il gruppo prima di raggiungere Gran Burrone.

Ogni tanto notavo i mezz'uomini che mi lanciavano sguardi diffidenti, parlottavano tra di loro riguardo a chi fossi e come mai continuassi ad indossare un cappuccio. Quando però incrociai gli occhi celesti del portatore, non potei fare a meno di sorridergli. Lo vidi arrossire e distogliere lo sguardo.

Avevo pena per lui, per il destino che gli era stato riservato, per il viaggio insidioso che l'avrebbe sicuramente portato verso la distruzione. Diedi mentalmente del folle a Gandalf, dello sciagurato, dell'egoista.

Nel giro di poco meno di un giorno di cammino, giungemmo in vista della torre vedetta di Amon Sul.

-Riposeremo qui, stanotte- disse il ramingo.

Reputai la scelta molto saggia, data la posizione sopraelevata della struttura e quindi la facilità con la quale potevamo tenere d'occhio la vallata in caso di un attacco nemico.

Mentre i quattro hobbit si sistemavano per dormire, io mi appartai, sciogliendo piano la cinta alla quale era agganciata la mia spada e le spalliere alle quali erano legati i pugnali. Sospirai, cercando nella mia sacca da viaggio una borraccia con dell'acqua.

Mentre mandavo giù la prima gozzata, sentendomi riavere, avvertii la presenza di qualcuno al mio fianco. Mi voltai, lentamente, trovando il portatore che mi fissava, curioso.

-C'è qualcosa che vuoi chiedermi?- domandai, cercando di apparire il più cortese possibile.

-Come hai conosciuto Gandalf?-

-Davvero ti interessa?-

-Si-

-D'accordo- sospirai, riponendo la borraccia nella sacca e portando gli occhi verso il cielo che si stava scurendo.

-E' stato molto tempo fa, quando ero ancora una bambina. Vivevo con mia madre in un solitario villaggio a sud della Terra di Mezzo, nascosto ad occhi indiscreti e per questo reputato tranquillo e sicuro-

-Come la Contea?- chiese ingenuamente l'hobbit.

Mi venne da ridere.

-Si, possiamo metterla così. Purtroppo il male riuscì a raggiungere anche quella valle, radendo al suolo il villaggio e uccidendo chiunque si fosse trovato ad incrociare il cammino di quell'orda oscura e priva di pietà. In quei giorni lo stregone era di passaggio in quelle lande, non chiedermi il motivo perchè mai me lo ha rivelato, e raggiunse il villaggio poco dopo l'attacco. Gandalf mi trovò tra le macerie della mia piccola abitazione e mi salvò, dandomi una seconda possibilità. Mi fece però promettere che, quando lui fosse venuto a cercarmi, qualunque richiesta mi avesse fatto, io avrei dovuto obbedire e così il mio debito sarebbe stato saldato. Ero una bambina al tempo, quindi acconsentii senza fare domande-

-E la tua promessa riguarda me?-

-Diciamo di si. Senza offesa, piccolo hobbit, ma se avessi saputo prima in che impresa mi sarei imbarcata, non avrei mai fatto un patto con quello stregone fin troppo furbo-

-Comunque ti ringrazio. Quando ho lasciato la Contea, non pensavo di poter incontrare qualcuno disposto ad aiutarmi, ma adesso ho trovato sia Grampasso che te-

-Grampasso?- chiesi.

-Si, è questo il nome del ramingo-

-Capisco-

-Credo che tu sia una brava persona- disse poi l'hobbit, fissandomi con sin troppa intensità.

-Lo pensi sul serio?-

-Si-

Lo guardai per qualche istante. Nessuno di quelli che avevo incontrato nella mia esistenza mi aveva mai reputato una brava persona. Certo, una combattente capace, una spia eccellente, un sicario infallibile, ma mai qualcosa che potesse reputarsi umano. Quell'hobbit aveva fatto schiudere dentro il mio cuore un sentimento che pensavo ormai sepolto, una sensazione di calore che a poco a poco mi stava invadendo.

-Come mai comunque ti ostini a nascondere il tuo volto?- mi chiese di nuovo il mezz'uomo.

-Questa è un'altra storia, caro Baggins, che non starò certo a raccontarti adesso. Sarebbe meglio per te riposare, ci attende un lungo viaggio ancora- risposi io, passandogli una mano sulla testa e scompigliandogli i capelli con fare affettuoso.

L'hobbit allora si alzò e fece per allontanarsi, quando si voltò nuovamente verso di me e mi disse:

-Comunque il mio nome è Frodo, Frodo Baggins- e raggiunse i compagni ai giacigli.

Distolsi lo sguardo, per poi rispondere:

-Io sono Niniel-

 

***

 

Per la prima volta dopo tanto tempo mi addormentai. Avevo semplicemente chiuso gli occhi, imponendomi di rimanere vigile nel caso di un attacco, ma la mente era stata a poco a poco inghiottita dalle nebbie del sonno. Era tempo che non riposavo in quel modo e la cosa mi stupì.

Fui destata da un vociare sommesso, il quale mi fece scattare in piedi, afferrare la mia arma, sempre posta al mio fianco, e mettermi in posizione d'attacco. Vidi Frodo correre verso i compagni, i quali, ignari di quello che avevano appena fatto, stavano attorno ad un tenue fuocherello, discutendo di pomodori e pancetta.

-Maledizione- imprecai, mentre il vento portava con sé il verso stridulo dei servi dell'Anello, capace di fare accapponare la pelle e stringere i denti sino a quasi a sentirli dolere.

Raggiunsi i quattro, i quali avevano impugnato le spade corte che Grampasso aveva consegnato loro qualche ora prima.

-Dietro di me- dissi dura, fissando con rimprovero i mezz'uomini.

Tremavano come foglie, potevo vedere nei loro occhi il terrore che in pochi istanti li stava divorando.

Con passo malfermo mi avvicinai al ciglio, fissando la valle sottostante immersa nella nebbia, ma che, con mio grande rammarico, lasciava intravedere i neri manti degli Spettri che si avvicinavano. Distolsi lo sguardo, facendolo saettare da una parte all'altra dello spiazzo, alla ricerca del ramingo, il quale, stranamente, non c'era.

Come ce la saremo cavata? Non avevo mai affrontato dei fantasmi e i quattro hobbit non erano certo in grado di intraprendere una battaglia tanto impegnativa. Eravamo nei guai, seri guai.

-Correte!!- sentii gridare Frodo e, con la coda dell'occhio, vidi i quattro risalire sino alla vetta.

Li seguii subito. Non volevo certo lasciarli senza difesa. Se il mio compito era quello di proteggerli, allora così sarebbe stato. Dannato Gandalf, in che pasticcio mi aveva cacciato?

Cominciai ad arretrare non appena avvertii dei passi, accompagnati dallo sferragliare di armature. Dagli archi del colonnato vedemmo apparire le figure incappucciate e automaticamente io strinsi entrambe le mani sull'elsa della spada. Giurai che se ne fossimo usciti vivi, avrei ucciso il ramingo con le mie mani e dopo di lui lo stregone.

Continuammo ad arretrare, mentre gli Spettri avanzavano, spade sguainate e le intenzioni più che evidenti: erano là per l'Anello, il resto era sacrificabile.

Il primo a partire fu l'hobbit che seguiva sempre Frodo, Sam, per quello che ero riuscita a capire. Non riuscii a fermarlo e, come era ovvio, fu messo fuori gioco nel giro di pochi secondi.

Dopodichè fu il turno degli altri due, Merry e Pipino, la cui battaglia fu breve quanto quella del loro compagno.

Ci ritrovammo io e Frodo, il mio corpo che parava il piccolo hobbit, ed entrambi continuavamo ad arretrare. Fu allora che presi una decisione.

-Frodo, quando te lo dico, devi scappare, più veloce che puoi. È chiaro?-

-Ma...io...-

-E' chiaro, Frodo?-

Con la coda dell'occhio vidi un suo cenno di assenso. Allora mi preparai: distesi i muscoli, concentrandomi sui miei avversari. Aprii un poco i piedi, in modo da avere più prontezza di riflessi e una maggiore spinta nell'attacco. Le mani stringevano talmente tanto l'elsa della mia spada che quasi potevo sentirle sanguinare.

-Ora!!- gridai, lanciandomi sui cinque avversari e riuscendo a colpirne un paio.

L'hobbit rimase per un attimo impalato dov'era, poi si decise a scappare. La sua strada fu però bloccata da uno degli Spettri, il quale lo spinse a terra e gli fece cadere la spada.

-Frodo!!- esclamai, mentre l'ennesimo attacco avversario andava a vuoto.

Quello, cercando probabilmente un modo per scappare, estrasse lentamente l'Anello dal taschino e, senza esitazione, se lo infilò al dito. Scomparve come la volta precedente.

Dopo un attimo di incredulità dovuta a quel gesto tanto sconsiderato, cercai di muovermi in direzione dell'hobbit, ma una fitta al fianco mi fece gemere. Chinai la testa, mentre vedevo una macchia di sangue che piano si allargava sul tessuto della mia camicia scura.

Premetti con una mano sul punto leso e continuai lo stesso a farmi strada sino al punto in cui Frodo era sparito. Prima però che potessi raggiungerlo, un grido squarciò l'aria.

Uno degli Spettri, non capii neanche come, era riuscito ad affondare un pugnale nella spalla sinistra dell'hobbit, il quale era ricomparso quasi immediatamente.

In quell'istante, come giunto dal nulla, fece il suo ingresso Grampasso, fendendo l'aria con la sua spada e tenendo nell'altra mano una torcia accesa. Non capii l'utilità della fiaccola fino a quando non dette letteralmente fuoco a tre di loro e non centrò in pieno viso il quarto, costringendo gli Spettri alla ritirata.

Io sorrisi, sentendomi rassicurata dal suo arrivo e mi sforzai di rimanere in piedi, non considerando le fitte che la ferita mi stava dando. Raggiunsi con pochi passi Frodo, ancora a terra, affiancato dal fido Sam.

Gli toccai la fronte, già madida di sudore. Senza che nessuno potesse sentirmi, mi avvicinai piano al suo orecchio e sussurrai:

-Kela nin [1]-

Vidi il volto di Frodo rilassarsi per un attimo, mentre i suoi occhi si facevano sempre più vuoti e le pupille sempre più dilatate.

-E' stato colpito con un pugnale Morgul. Non sono in grado di curare quella ferita. Gli occorre una medicina elfica- disse il ramingo alle mie spalle, mentre l'arma gli si polverizzava letteralmente tra le mani.

Con uno scatto afferrò l'hobbit, iniziando ad incamminarsi verso le pendici della torre, al seguito i tre mezz'uomini, preoccupati.

Io mi alzai, dolorante, premendo ancora la mano sulla ferita. La vista mi si annebbiò per un attimo, ma imposi a me stessa di non cedere. Afferrai quindi la mia sacca da viaggio, lasciata allo spiazzo inferiore, e seguii il gruppo.

 

***

 

Correvamo per la foresta immersa nel buio, le gambe stanche che si muovevano quasi da sole. Mentre Grampasso apriva la fila con la fiaccola tra le mani, io la chiudevo, la spada ancora in pugno, nonostante il dolore al fianco, lo sguardo attento ad ogni ombra e l'orecchio teso a ogni sussurro.

Eravamo a sei giorni da Gran Burrone e non saremo mai riusciti a fermare il veleno in circolo nel corpo di Frodo prima del nostro arrivo.

D'un tratto dovetti appoggiarmi ad uno degli alberi, il fiato mozzo. Portai una mano alla ferita e il palmo si riempì in pochi istanti di sangue. Con decisione afferrai un lembo del mantello, lo strappai con i denti e, sollevando appena la camicia, procedetti con una momentanea fasciatura. Strinsi i denti quando, con un colpo secco, chiusi le bende con un nodo, sforzandomi di non rilasciare nessun gemito o singulto.

Nel giro di pochi minuti raggiunsi nuovamente il gruppo, il quale si era fermato in uno spiazzo erboso. Il ramingo aveva adagiato l'hobbit a terra, i cui occhi parevano quasi quelli di una creatura non certo umana. Frodo continuava a sussurrare il nome di Gandalf, invocando probabilmente il suo aiuto.

-Sta diventando freddo- sentimmo dire a Sam, sempre al fianco del suo padrone.

Mentre io me ne stavo accucciata contro uno degli alberi, l'uomo continuava a guardarsi intorno, la fiaccola ritta dinnanzi a sé, come se stesse aspettando qualcuno.

-Dici che morirà?- chiese Pipino.

-Sta entrando nel mondo dell'ombra. Presto diverrà uno spettro come loro-

Poi il ramingo si avvicinò al fedele Sam e poco dopo lo spedì a cercare una pianta, le foglie di Re. Secondo lui avrebbero rallentato l'avvelenamento. Lo seguì pochi istanti dopo.

Mentre i due erano impegnati nella ricerca, io mi avvicinai lentamente a Frodo, affiancato dai cugini. Con delicatezza gli sollevai la testa, poggiandomela sulle ginocchia, per poi porre le mie mani ai lati del suo viso incredibilmente pallido.

-Che stai facendo?- chiese Merry, sospettoso e diffidente.

-Cercherò di alleviare almeno il suo dolore sino a quando non torneranno con la pianta Athelas- risposi senza neanche guardarlo.

Dopodichè mi abbassai sino al viso dell'hobbit, sfiorandogli la fronte con le labbra e cominciando a sussurrargli parole che mia madre un giorno mi aveva insegnato. Mentre intonavo quell'antica cantilena, sentivo il cuore del portatore rallentare di poco il battito, il suo respiro farsi meno pesante, ma ciò non frenava certo l'avvelenamento.

Concentrata su Frodo, non mi accorsi del ritorno del ramingo, in compagnia di Sam e di qualcun'altro. Me ne resi conto solo quando vidi una figura leggiadra avvicinarsi a noi e piegarsi sull'hobbit, che io abbandonai poco volentieri. Fissai la chioma bruna e la pelle di porcellana e mi sentii studiata da due fanali color del ghiaccio.

Un'elfa. Gran Burrone sapeva quindi del nostro arrivo?

Come se avesse potuto sbirciare al di sotto del mio mantello, mi ritrassi, allontanandomi di nuovo. Dovevo stare lontana dagli elfi, i quali per me portavano solo guai.

Mi appoggiai nuovamente al tronco di uno degli alberi vicini, premendo una mano sulla ferita che, lo sentivo, non stava smettendo di sanguinare. Inoltre, per aiutare Frodo, stavo lentamente consumando le poche energie che mi erano rimaste dopo lo scontro con gli Spettri.

-Dobbiamo portarlo da mio padre- sentii dire all'elfa e, aiutata dal ramingo, caricò Frodo in sella al suo candido ronzino, un clichè che mi fece quasi sorridere.

Dopodichè partirono entrambi al galoppo, lasciandoci là, al buio, con solo le imprecazioni di Sam a rompere il silenzio. Non potei fare a meno di notare l'occhiata che l'elfa mi lanciò prima di sparire: che avesse capito chi si nascondeva sotto il mantello?

 

***

 

Avevo ormai perso il conto di quanto lungo fosse stato il nostro cammino da quando Frodo se ne era andato con l'elfa. Io stavo resistendo, cercando di mantenere sotto controllo la ferita al fianco, che, ahimè, avevo la sensazione si fosse anche infettata.

Non avevamo parlato quasi per nulla, preoccupati della sorte del nostro amico. Riuscimmo a tirare un sospiro di sollievo solo quando giungemmo in vista delle mura candide di Gran Burrone.

Mentre per i miei compagni fu una visione che rallegrò i loro cuori, a me invece provocò dei brividi per tutta la schiena.

Mi fermai, rifiutando di muovermi. Fu Grampasso ad accorgersi della mia sosta.

-Che succede?- mi chiese.

Il suo tono era cambiato da quando ci eravamo incontrati, i modi parevano più gentili, come se avesse acquisito rispetto di me. Probabilmente aveva visto come avevo difeso i quattro hobbit durante lo scontro di qualche giorno prima e si era quasi convinto che in fondo ero dalla loro parte.

-Non posso proseguire- dissi solo.

-Perchè? Gli elfi ci proteggeranno-

-Non posso dirti il perchè, solo che non posso venire con voi a Gran Burrone-

Nonostante non ne avessi l'intenzione, con quelle parole avevo scatenato nelle teste dei presenti infinite domande, come se quasi potessi sentirle.

-E' stato un piacere viaggiare con voi. Adesso però vi saluto e vi auguro ogni bene. Troverò un modo per sapere come se l'è cavata Frodo-

Feci per andarmene, quando trovai la strada bloccata da un imponente destriero color avorio, con in sella un elfo rivestito di un armatura leggera e un arco puntato su di noi. In pochi secondi altri quattro uscirono dalla selva, tutti armati e molto minacciosi.

Grampasso prese a conversare in elfico con quello a cavallo, mentre io e gli hobbit ci mantenevamo lontani da archi e frecce.

Sentivo che le forze mi stavano abbandonando, che ero ormai giunta al limite, che anche se avessi provato a scappare non sarei certo andata lontano. Decisi quindi di aspettare.

Fu allora che l'elfo parlò:

-Ramingo, tu e i tuoi compagni siete benvenuti a Gran Burrone. Ci scusiamo dell'accoglienza, ma in questi tempi bui non si è mai troppo sicuri. Pretendiamo però che i vostri volti siano ben visibili in presenza del nostro re-

Sapevo che si riferiva a me. Vidi Grampasso voltarsi e farmi cenno di abbassare il cappuccio. Io risposi con un cenno di diniego.

-Osi rifiutare la nostra ospitalità? Osi rifiutare le nostre leggi?- chiese allora il cavaliere, improvvisamente ostile.

-Ho già saggiato la vostra famosa ospitalità o le vostre leggi e non ne sono rimasta molto soddisfatta. Non voglio recarvi offesa o pericolo alcuno, quindi chiedo solo che mi facciate continuare per la mia strada e vi dimentichiate di avermi incontrato-

-Cosa nascondi, donna?-

Indietreggiai di un passo, quando avvertii una presenza alle mie spalle afferrarmi entrambi i polsi e bloccarmeli dietro la schiena.

-Non voglio problemi- dissi di nuovo.

Nonostante non ne avessi l'intenzione, la mia voce uscì supplichevole. Davanti a me si mise inaspettatamente il ramingo.

-Chiedo che alla mia compagna non sia riservato questo ingiusto trattamento. Non ha fatto niente per offendervi-

-Si è rifiutata di rivelare il suo volto. Potrebbe essere un pericolo per Gran Burrone-

Con uno scatto secco, l'elfo dietro di me afferrò il lembo del cappuccio e lo calò. Io abbassai d'istinto il viso, lasciando che i miei capelli castani mi nascondessero il volto. Nel farlo però, alcuni ciuffi si spostarono, lasciando intravedere le mie orecchie dall'insolita forma allungata.

-E' una di loro...- sentii sussurrare probabilmente a Pipino, il quale si zittì però immediatamente.

Avvertii dei passi venire verso di me, preceduti dal suono di qualcuno che smontava da cavallo. Si avvicinavano tranquilli e pacati, capaci di farmi quasi impazzire. Poi una presa al mento mi costrinse ad alzare il volto, incontrando quello del cavaliere.

Quando quello vide i miei occhi, ebbe un attimo di esitazione.

-Ed' i'ear ar' elenea [2] !! Occhi viola- disse in elfico.

Tentai di liberarmi, ma nel farlo una fitta al fianco mi fece gemere. Quasi caddi in ginocchio se non fosse stato per l'elfo che ancora mi tratteneva.

-Che succede?- sentii chiedere a Grampasso.

-Voi siete i benvenuti tra le mura di Gran Burrone, ramingo, ma questa femmina dovrà essere rinchiusa- rispose il cavaliere, senza neanche guardare l'uomo.

-Non ha fatto niente- sentii dire ad uno degli hobbit, ma ero troppo impegnata a sentire le funi ruvide che mi si stavano attorcigliando attorno ai polsi.

Mi voltai verso il ramingo, mostrando i miei maledetti occhi color ametista.

-Te lo avevo detto che per me era meglio non proseguire-

Non sapevo se Grampasso avesse avuto una risposta pronta alla mia affermazione, ma in ogni caso non riuscii comunque a sentirla, dato che venni strattonata malamente verso le porte della città, colpita da un'altra fitta al fianco che per un attimo mi annebbiò la vista.

-Il posto riservato a te sono le nostre prigioni, abominio- sentii sussurrare al cavaliere, il quale era rimontato sul suo destriero e con passo lento affiancava me e il mio carceriere.

-Meglio ciò che sono che quello che potevo essere- risposi, lanciando all'elfo uno sguardo di fuoco, ricambiato da uno colmo d'ira.

Notai uno dei pugni stringersi attorno all'elsa della spada. Poi, d'un tratto, una voce ci fermò:

-Non andate oltre, nobile Elylad. La ragazza non merita questo trattamento-

Riconobbi quella voce. L'avrei riconosciuta tra mille. Per un attimo chiusi gli occhi, dopodichè li riportai dritti dinnanzi a me. A bloccare la nostra strada stava una figura vestita completamente di grigio, i lunghi capelli bianchi e la barba del medesimo colore rilucevano nell'irreale chiarore di Gran Burrone, mentre gli occhi chiari stavano fissi su di noi.

-Non è una decisione che spetta a te, stregone- rispose l'elfo.

-Questa giovane non ha fatto niente per recarvi offesa, cavaliere. Lasciate che la prenda sotto la mia custodia e prometto sul mio onore che non causerà alcun problema-

-Come ho già detto, non spetta a voi. Se non vi sta bene simile trattamento, allora andare direttamente dal re-

Detto ciò dette uno strattone alle redini, in modo da far ripartire il suo cavallo. Io e il mio carceriere lo seguimmo di conseguenza. Quando passammo di fianco allo stregone, il quale si era scansato per non essere calpestato, i miei occhi incontrarono i suoi. Gli sorrisi appena, un gesto stanco che mi portò un grande sforzo.

-Ci hai provato, vecchio mio. Ti ringrazio- sussurrai.

 

[1] Vattene dolore

[2] Per il cielo e le stelle!!

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Capitolo 3
*** Gran Burrone ***


 



ANGOLO AUTRICE:
Bene, vi permetto di prendermi volentieri a randellate!!
Anche stavolta pubblico in anticipo e, dico la verità, sto pensando di aggiornare un paio di volte a settimana se mi riesce. I giorni varieranno immagino, ma spero mi perdonerete.
Cmq siamo al terzo capitolo, Niniel si ritrova a Gran Burrone. Chissà cosa le capiterà *-*
Ringrazio CallMeMomoTM, electra pascal, Lauretta_03, dollyvally, Giuli Snow, evelyn80.
Buona lettura e spero continuerete a leggermi e recensire.
 

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

CAP III – GRAN BURRONE

 

Gandalf fissava il sovrano di Gran Burrone, sul volto dai tratti affilati un'espressione più cupa e preoccupata del solito.

-Tu sapevi della sua esistenza- disse l'elfo, stringendo un poco i pugni sul bracciolo della sedia sulla quale stava seduto.

-Si, lo sapevo. Sono stato io a salvarla molti anni fa-

-E' un abominio, Gandalf. Dovresti saperlo anche tu. Quelli come lei non dovrebbero neanche esistere-

-Parli di quella giovane come se non fosse neanche qualcosa di umano, mio buon re, alla stregua delle creature che Saruman e l'Oscuro Signore stanno creando alle pendici delle loro torri. Il destino di quella ragazza è importante-

-Stregone, dovresti conoscere la profezia che aleggia sulla sua testa. Lei ci porterà alla rovina-

-Non è detto. La sua strada è lunga e tortuosa, colma di scelte giuste o sbagliate. Ha solo bisogno che qualcuno la indirizzi verso quella migliore-

-Quindi? Cosa comprendono i tuoi piani?-

-Lasciala libera, re Elrond. Ho intenzione di farle tenere fede ad una promessa che mi ha fatto. Il suo compito non è ancora concluso-

L'elfo si alzò allora, affacciandosi ad una delle grandi finestre che davano sulle antiche cascate, le mani dietro la schiena in una posa preoccupata. Per un attento osservatore si poteva chiaramente vedere la battaglia interiore che attanagliava il suo animo. Poi sospirò.

-Voglio fidarmi, amico mio. In fondo le tue sono sempre state scelte saggie. La donna ci aiuterà in questa impresa, altrimenti la getterò in una delle mie celle e non la farò uscire sino alla fine della sua esistenza-

 

***

 

“Mellonamin [1], svegliati”

Sei tu?”

Si. Ti sto aspettando”

Ti troverò. Lo giuro”

Devi fare in fretta. Tra poco non sarò più in grado di difendermi. Non sarò più in grado di proteggere te”

Resisti amico mio. Sto arrivando...”

Lo so, Roquen [2]

 

Aprii gli occhi, trovandomi a fissare un soffitto che non era certo quello di una cella. Sotto di me sentivo il tepore e la morbidezza di un letto che in tutta la mia vita non avevo mai provato. Avevo sentito il suo richiamo nel buio dell'incoscienza, una voce che non avevo ancora avuto il diritto di ascoltare, ma alla cui mancanza avrei posto rimedio al più presto.

Ma quando avevo perso i sensi? L'ultima cosa che ricordavo era gli elfi che mi portavano via dai miei compagni, Gandalf che aveva cercato di fermarli, poi più niente.

Scansai un poco le soffici coperte che celavano il mio corpo. Indossavo una leggera camicia dal candido colore, la quale mi arrivava a poco più di metà coscia, mentre le gambe erano nude. Arrossii al pensiero che qualcuno mi avesse spogliato e poi rivestito.

Mi alzai un poco a sedere, stringendo i denti quando l'ennesima fitta mi colpì. Ma era diversa dalle precedenti. Sollevai quindi l'orlo della camicia, notando un'immacolata fasciatura che mi circondava tutto l'addome. Qualcuno mi aveva curato e mi sentivo decisamente meglio.

-Ben trovata, amica mia- disse una voce che mi fece sussultare.

Mi voltai e seduto sul davanzale di una delle grandi finestre stava lo stregone grigio, con la sua solita pipa tra le labbra, sbuffando nuvolette di fumo candido.

La prima tentazione che ebbi fu quella di afferrare il cuscino alle mie spalle e lanciarglielo contro. Il vecchio lo scansò, cominciando a ridere. Quella risata, nonostante tutto, mi scaldò il cuore, come quando ero bambina.

-Per cosa, se è lecito chiedere?- domandò, probabilmente riferendosi al fatto di averlo scambiato per un tiro a segno.

-Diamine Gandalf, come ti è venuto in mente di coinvolgermi in questa avventura suicida? Sapevi benissimo cosa sarebbe successo una volta giunta qui-

-Lo so, ma è esattamente dove volevo che tu fossi-

Lo guardai senza capire.

-Niniel, sono vecchio e ho visto davvero tante cose nella mia lunga esistenza. Tante albe e tanti tramonti, tante persone che hanno compiuto grandi imprese, ma quando i miei occhi si sono posati su di te, sono rimasto colpito-

-Mi fanno ridere le tue parole, stregone. Agli uomini incuto timore, mi tengono a distanza, troppo elfo per stare tra di loro, fredda e distaccata. Per gli elfi sono un abominio, un rigo sbagliato su di una pergamena immacolata, la testimonianza della debolezza di un popolo che a lungo ha decantato la sua perfezione. Sono un male da epurare-

-Hai un glorioso destino davanti a te, ragazza. Non a caso IO ti ho concesso una seconda possibilità.Tu sei troppo importante per rimanere a rincorrere un sogno e nulla più-

Ennesimo sbuffo di fumo.

-E ancora mi domando perchè. Immagino sia opera tua il fatto di non trovarmi in una cella, non è così?-

-Sono riuscito a far ragionare re Elrond, a condizione che tu ci aiuti nell'impresa che abbiamo in mente-

-E sarebbe?-

-Lo scoprirai. Gli elfi hanno indetto una riunione segreta con i rappresentanti di ogni razza libera della Terra di Mezzo. Vorrei che partecipassi anche tu-

-Sai bene che il mio patto con te era di accompagnare Frodo fino ad un luogo per lui sicuro e Gran Burrone lo è abbastanza. Poi avrei continuato per la mia strada. Devo ritrovare ciò che mi è stato rubato-

-Conosco le ragioni per cui lotti, anche se ancora fatico a capirle. Stai correndo dietro solo ad un'illusione. Comunque ti sbagli: il nostro patto non si è ancora concluso. Io ti ho chiesto di affiancare Frodo, proteggerlo e tenerlo al sicuro e lui ancora non se ne è andato. Voglio che tu rimanga al suo fianco qualunque cosa quell'hobbit decida. Non ho mai specificato che la fine del viaggio fosse Gran Burrone-

Sorrise, cosa che mi fece gelare e dubitare al tempo stesso.

-E se non dovesse piacermi quest'alternativa?-

-Cito testualmente: “la donna ci aiuterà in questa impresa, altrimenti la getterò in una delle mie celle e non la farò uscire sino alla fine della sua esistenza”. Credo di essere stato chiaro, no?-

A quelle parole rabbrividii. Mi pareva già di vedere i tratti duri del re elfo mentre pronunciava quelle parole e la cosa non mi fece certo gioire.

-Immagino allora di essere costretta ad accettare. Tanto sono più che sicura che Frodo farà ritorno alla Contea e, a quel punto, io mi potrò ritenere libera da ogni impegno. E, senza offesa Gandalf, ma da quel momento spero di non rincontrarti più-

Le mie parole furono accolte da un altro sorriso sincero da parte dello stregone, che io ricambiai, ignara di quello che mi aspettava.

 

***

 

Lo stregone mi aveva lasciato quasi un'ora più tardi, dicendo che sarebbe andato a trovare il povero Frodo, prossimo al risveglio. Appurata la notizia, ne fui contenta, sollevata per così dire.

Ben presto mi stufai di rimanere in quel letto, nonostante fosse assai comodo e ristoratore e nonostante avessi ricevuto il consiglio di Gandalf di riposarmi ancora un pò. Non ero però mai stata un tipo che amava rimanere a lungo nello stesso posto, quindi decisi che era giunto il momento di sgranchire un po' le gambe.

Con poco sforzo riuscii a mettermi seduta, scoprendo il mio corpo e poggiando i piedi sul freddo pavimento. Sospirai, incredula sul fatto che una ferita di così poco conto avesse potuto rendermi tanto debole e malconcia.

Feci viaggiare lo sguardo per la stanza, non molto grande, ma davvero molto accogliente. In un angolo, poggiati su di una sedia in vimini intrecciati, notai un paio di pantaloni da uomini e, poco distanti, stivali in pelle morbida, i quali parevano proprio della mia misura.

-Per lo meno non mi fanno girare in biancheria- pensai, ridendo dentro di me.

Non mi andava l'idea di dover ancora sottostare alla promessa che Gandalf mi aveva strappato anni prima, ma meglio quello che rimanere chiusa nelle prigioni di Gran Burrone. Nonostante mia madre fosse umana, la lunga vita l'avevo acquisita dalla mia parte elfica, quindi quando re Elrond aveva parlato di eternità, non scherzava. Certo, non era longeva come quella di un elfo puro, ma neanche breve come quella di un normale essere umano.

In realtà avrei potuto scappare tranquillamente da quella prigione dorata quando volevo, conoscevo tecniche e sotterfugi per non essere vista o riconosciuta, ma una parte di me voleva davvero aiutare quel Frodo Baggins. Nel poco tempo in cui eravamo stati a contatto, potevo dire di essermi affezionata all'hobbit.

Persa in quei pensieri, non mi ero resa conto della figura che in quel momento stazionava di fronte la porta, la quale, vedendomi assorta, si schiarì rumorosamente la voce.

Mi voltai, spaventata, e mi trovai davanti un elfo, capelli castano chiaro e occhi chiari, tratti affilati e affascinanti, indosso un abito dalla nobile fattura. Capii immediatamente di chi si trattasse.

-A cosa devo l'onore, heru en amin [3]?- chiesi, distogliendo lo sguardo e riportandolo sui calzari che mi stavo infilando ai piedi.

Per fortuna ero riuscita ad indossare i pantaloni.

-Volevo vederti con i miei occhi- rispose quello, con voce profonda.

-Vi piace quello che vedete? Non potevate credere che esistessi davvero?- domandai con nessun rispetto.

Sapevo di star rischiando, dato che quello che avevo davanti poteva essere considerato un po' come l'ago della bilancia su un cui piatto stava la mia libertà e sull'altro la mia prigionia a vita. Fu comunque lui a ricordarmelo.

-Bada a come parli. Devi ringraziare lo stregone se non sei in una cella-

Lo disse con un tono che voleva essere intimidatorio, ma l'unica cosa che apparve sul suo volto impassibile furono un paio di rughe sulla fronte. Mi resi conto di stare osando davvero troppo.

Così risposi:

-Chiedo venia, mio re. Non sono abituata ad avere a che fare con persone che mi trattino come un essere umano dopo aver scoperto cosa sono e cosa faccio-

-La tua vita deve essere stata difficile, mezz'elfa, intrappolata tra due mondi, non sentendosi appartenente veramente a nessuno dei due. Non ho niente contro di te, ma non posso ignorare ciò che la tua esistenza porta con sè-

Rimasi interdetta da quelle parole, poi ripresi:

-Non credo che mi diciate questo perchè realmente vi interessa, ma grazie comunque- dissi, alzandomi finalmente in piedi e voltandomi verso la grande finestra.

Dopo qualche attimo di silenzio, durante il quale pensai che l'elfo se ne fosse andato, di nuovo la sua voce mi raggiunse:

-Come ti sei procurata la ferita che ti ho curato?- chiese.

Mi voltai, spiazzata da quella domanda. Non sapevo cosa volesse ottenere, ma risposi lo stesso.

-Uno Spettro, durante lo scontro alla torre vedetta. Stavo proteggendo gli hobbit-

-Capisco- rispose l'altro, dandomi poco dopo le spalle.

Prima di andarsene riprese:

-Ti do il permesso di camminare libera per il mio dominio, creatura, ma se causerai problemi o tenterai di venire meno al tuo impegno, allora la prigione sarà la tua unica alternativa. Domani si terrà la riunione della quale molto probabilmente Gandalf ti ha già parlato. Vedi di non tardare-

Detto ciò se ne andò. Non riuscii a rispondere niente.

 

***

 

Gran Burrone era enorme, una vera e propria città costruita e protetta nel fianco della montagna. C'erano giardini, sentieri, ponti, fiumi e le più grandi abitazioni che il mio occhio avesse mai visto. Preferii non avventurarmi fuori dalla casa del re, dato che già al suo interno le occhiate che mi venivano rivolte erano di pura diffidenza e, potevo scommetterci, anche di odio.

Non avevo mai capito questa repulsione che gli elfi avevano per me, ma una volta mia madre mi aveva spiegato che il concepimento di un figlio tra uno di loro e un mortale, se non riconosciuto, era considerato tradimento. Io ero la testimonianza di quel tradimento, anche se ero certa che ci fosse dell'altro.

Mio padre non lo avevo mai conosciuto, o meglio non direttamente. Lo avevo intravisto solo un paio di volte, ma i ricordi sul suo aspetto erano come spariti. Mi era stato raccontato che era scomparso per proteggerci entrambe e che mia madre, con me in grembo, era stata costretta a nascondersi e fuggire di continuo, per molti anni e attraverso molte terre.

Io, presentandomi a Gran Burrone, avevo reso vani tutti i suoi sforzi per tenermi celata agli occhi del popolo antico, gettandomi tra le braccia dei miei boia. Probabilmente, non fosse stato per Gandalf, a quell'ora sarei stata a marcire in qualche prigione, se non addirittura uccisa.

In quel momento, assorta in quei pensieri, mi trovai su di una grande terrazza, stranamente deserta. Un lieve vento soffiava in quel tardo pomeriggio, portando con sé i profumi degli alberi e della foresta. Per un secondo chiusi gli occhi, respirando a pieni polmoni quell'aroma, immaginandomi di stare cavalcando per le pianure e le terre sconfinate, sola come lo ero sempre stata.

D'un tratto rumore di zoccoli poco lontani. Abbassai lo sguardo proprio nel momento in cui un cavallo bruno faceva il suo ingresso da una delle porte della città, in sella un cavaliere, dalle vestigia sicuramente di Gondor, un robusto scudo sulla schiena e un'affilata spada al fianco. Capelli di un castano chiaro, lunghi sino alle spalle, venivano fatti volare dal vento, mentre una barba curata faceva apparire l'uomo rude e al tempo stesso affascinante. Probabilmente era uno dei rappresentanti che avrebbero partecipato alla riunione segreta del giorno seguente.

-Stanno arrivando, finalmente- disse una voce alle mie spalle che mi fece trasalire.

Mi voltai, ringhiando contro lo stregone, il quale invece, come al solito, sorrideva.

-Gandalf, accidenti, devi smettere di apparire in questo modo alle spalle delle persone-

-Eppure pensavo che il tuo orecchio fosse fine e attento come quello di un elfo- la prese in giro l'uomo.

-Non pensavo di dover tenere le mie abilità all'erta anche tra le mura di questo posto, almeno non dopo il permesso di girare liberamente avuto dal re- risposi, con alcuna nota di entusiasmo nella voce.

La concessione fattami da re Elrond, più che una libertà, mi parve d'un tratto una perversa forma di controllo che l'elfo esercitava su di me, come se mi volesse mostrare che, nonostante non fossi in catene, ero lo stesso una prigioniera in quel posto.

-E' venuto da te?- chiese stupito lo stregone.

-Pensavo lo sapessi, credevo fossi stato tu a convincerlo-

-Non ne sapevo niente. E cosa ti ha detto?-

-Mi è quasi parso che per un attimo mi stesse compatendo, ma quel pensiero poi è sfumato come fumo nel vento. Ha semplicemente chiesto la natura della mia ferita, la quale mi sono stupita essere stata curata da lui, e poi mi ha dato il permesso di uscire da quella stanza, minacciandomi chiaramente se avessi causato problemi-

-Non è andata poi così male in fondo- concluse lo stregone, divertito, lasciandomi senza parole.

Decisi quindi di sviare il discorso prima di pronunciare parole di cui mi sarei pentita.

-Chi è?- domandai, riferendomi all'ospite che in quel momento avevano abbandonato il cavallo e si stava dirigendo all'interno della magione.

-L'uomo è Boromir, figlio di Denethor, sovrintendente di Gondor, rappresentante degli uomini-

-Fantastico. Dovrò vedermela con altra gente importante. Parteciperanno altri alla riunione di domani?-

-Certo. Ci sarà anche il rappresentante dei nani, Gimli, figlio di Gloin, un elfo, Legolas, principe di Bosco Atro, e qualcuno che hai già conosciuto, ma con altro nome rispetto a quello reale-

-Grampasso- pronunciai a mezza voce, poggiandomi alla balaustra del balcone, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo basso.

Non sapevo perchè il mio pensiero fosse andato direttamente a lui. Probabilmente perchè fin da quando l'avevo conosciuto quel suo nome fantasioso non mi aveva mai convinto.

-Esatto, ragazza. In realtà lui è Aragorn, figlio di Arathorn, erede legittimo al trono di Gondor-

Lo disse con tono basso, come se ciò che mi stava confidando fosse un segreto. Spalancai i miei particolari occhi viola in un'espressione stupita, dato che tutto mi sarei immaginata fuorchè quello. Avevo sentito leggende sull'erede scomparso, letteralmente sparito dopo la morte del precedente re. Per questo Gondor era rimasta sotto un sovrintendente. Mia madre parlava di lui come una specie di salvatore, una luce nell'oscurità. E pensare che avevo viaggiato al suo fianco per quasi due settimane senza sapere minimamente di chi si trattasse.

Poi mi feci scura in volto.

-Gandalf, potrei chiederti una cosa?-

Lo stregone si fece attento.

-Dimmi, ragazza-

-Tu non conosci un modo per far sparire questo colore dai miei occhi?-

Quello mi parve interdetto.

-E perchè mai?-

-Ho passato una vita a nascondermi, mia madre ha trascorso fino al suo ultimo respiro a tenermi celata al mondo e l'idea che tutti i suoi sforzi siano resi vani mi fa arrabbiare. Inoltre stare sotto gli sguardi di tutte quelle persone non è proprio quello che mi ci vuole in questo momento- risposi.

Dal canto suo, Gandalf scoppiò nuovamente a ridere.

-Cosa c'è di divertente?- chiesi, irritata.

-Anche se sapessi come si fa, mia cara Niniel, non lo farei comunque. Tu sei splendida così come sei, un fiore in un campo di rovi, una scintilla in una notte buia. Tu sei la testimonianza che umani ed elfi possono convivere in qualcosa di bello. Perchè mai vorresti che io deturpassi questa perfezione?-

Fissai il Grigio come se avesse appena gridato qualcosa di blasfemo, poi scoppiai a ridere a mia volta, inconsapevolmente.

-Ma perchè ci provo ogni volta, vecchio mio?- chiesi, asciugandomi una lacrima provocata dal troppo ridere.

D'un tratto sentii una mano dello stregone spostarsi sulla mia testa, in un gesto premuroso e colmo di uno strano calore che non sentivo ormai da anni.

-Hai un destino importante, mia piccola mezz'elfa. Per adempierlo però non dovrai avere dubbi su chi sei o su che mondo appartieni- e dette quelle parole misteriose, si allontanò, continuando a fumare la sua vecchia pipa, il mio sguardo sulla sua schiena e un sorriso affettuoso sulle labbra.

 

[1] Amica mia

[2] Cavaliere

[3] Mio signore (non confidenziale)

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Capitolo 4
*** Il consiglio segreto ***


 

ANGOLO AUTRICE:
Bene, bene, ci ritroviamo ancora qui...meno male!!!
Allora, comincio con il comunicare che ho deciso i giorni di pubblicazione, ossia il giovedì e la domenica, ma ATTENZIONE, potrebbero anche variare XD
Poi passo con il ringraziare le mie fedelissime e anche le new entry...GRAZIE MILLE!!!
Sono veramente soddisfatta del risultato che sta avendo questa storia, non ci speravo proprio.
E in questo capitolo casca l'asino: purtroppo, come ho già detto ad alcune di voi, il consiglio di Elrond è un punto che tutti prima o poi devono affrontare, spero quindi di averlo reso il più personale possibile. Alcuni dei dialoghi sono ovviamente ripresi dal film, anche se ho cercato di saltare quelli più PESANTI...
Concludo quindi con un augurio di buona lettura e una preghiera a chi legge di farmi sapere cosa ne pensa (ricordate il discorso sulla Mary Sue, mi raccomando)...
 

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)


CAP IV - IL CONSIGLIO SEGRETO

 

 

Non avevo intenzione di tornare nella mia stanza, quindi decisi che mi sarei trattenuta per qualche altro minuto su quel bellissimo e silenzioso terrazzo, sola con i miei pensieri e ad ascoltare i suoni del vento e i canti degli elfi. Nonostante non potessi fare a meno di odiarli, incolparli di tutto quello che aveva colpito la mia famiglia a causa di stupidi pregiudizi, dovevo ammettere che le loro voci e il suono dei loro strumenti avevano un potere miracoloso sul mio animo in pieno tumulto emotivo.

-Niniel-

Quella voce mi distrasse dai miei propositi, facendomi voltare verso una figura alle mie spalle, non più alta di un bambino, che mi sorrideva. Non parve neanche colpito dai miei occhi, finalmente alla luce del sole.

-Frodo, mae govannen [1]. Che sollievo vederti in piedi-

-Tu come stai?- mi chiese l'hobbit, lasciandomi interdetta.

-Cosa intendi di preciso?-

-Sai, quando ero sospeso tra le ombre, potevo avvertire un'altra sofferenza poco lontana di me, molto simile alla mia. Sei stata ferita tu, non è vero?-

Lo fissai, sorridendo lievemente. Poi mossi la testa in un cenno di assenso.

-Ora sto bene, Frodo, non temere. Mi sono trovata in condizioni peggiori-

Mi sedetti su una delle panchine in pietra lavorata alle mie spalle, sotto un piccolo portico in legno e rampicanti, facendo segno all'hobbit di fare lo stesso. Quello si avvicinò, prendendo poi posto accanto a me, i gomiti poggiati sulle gambe e le mani strette tra loro. Pareva nervoso, spaventato.

D'istinto posai una mia mano sulle sue, guardandolo con fare amorevole, dato che quel piccolo essere mi provocava un profondo senso di protezione. Lui alzò lo sguardo, scontrandosi per la prima volta con i miei occhi.

-Che strano colore- disse poi, affascinato.

Rimasi interdetta, di nuovo: nessuno aveva mai parlato dei miei occhi come qualcosa di bello o affascinante, ma come chiara testimonianza del mio essere una bastarda, rara e particolare, ma pur sempre una bastarda.

Li chiusi, d'istinto, abbandonando anche il tocco che avevo riservato all'hobbit e scostandomi un poco.

-Niniel, mi dispiace se...-

-Non preoccuparti. Scommetto che Pipino e Merry ti hanno già raccontato quello che è successo al cancello principale- sorrisi mestamente.

Lo vidi fare un cenno di assenso.

-Mi hanno detto che ti hanno trattata come una criminale. Perchè?-

-Io sono un abominio, Frodo. Gli elfi, per qualche strana ragione a me ancora sconosciuta, mi temono. Per fortuna Gandalf è riuscito a convincere re Elrond a lasciarmi in vita, ma in cambio io dovrò sottostare ai suoi voleri e a quelli dello stregone. Sono in trappola anche senza avere catene ai polsi- dissi, fissandomi le mani, le quali tremavano in modo innaturale. Avevo detto una piccola bugia, ma non era il caso che lui lo sapesse.

Stavolta fu Frodo a cercare il contatto, calmandomi con un solo tocco.

-Io sono contento che tu sia qui- mi disse, fissandomi negli occhi.

Non mi rimase che sorridergli, riconoscente.

 

***

 

Uno dei miei attacchi mi colse improvviso ad appena due passi dalla mia stanza. Mi portai una mano al petto, come se un macigno mi stesse impedendo di respirare. Le labbra erano spalancate, in cerca di aria. Provavo dolore, sentivo un calore irreale diramarsi per tutto il mio corpo.

Poggiai una mano alla parete, sostituendola poi con la schiena, facendomi scivolare lungo di essa sino a trovarmi seduta a terra, il contatto con la pietra fredda che mi concesse un poco di sollievo.

Cercai di calmare il respiro come le volte precedenti, ma c'era qualcosa di diverso, come se non ci riuscissi, come se quell'attacco fosse diverso da quelli precedenti.

Fissai il soffitto, ma in realtà non lo vedevo. La vista mi si era annebbiata e sentivo i sensi venirmi meno ogni istante di più.

Poi di colpo la sensazione di una presenza assieme a me in quel corridoio, qualcuno che mio malgrado stava assistendo a quella ridicola crisi. Voltai la testa, leggermente, tanto da intravedere una sagoma con la coda dell'occhio, ferma alla fine del corridoio.

Inconsapevolmente ne riconobbi i contorni.

-Vi state godendo lo spettacolo, arwen en amin [2]?- chiesi, mentre tornavo con il mento verso l'alto e chiudevo gli occhi, sorridendo sarcastica.

-Non sono una bestia, creatura, al contrario di ciò che pensi tu di noi elfi, non mi diverto a vederti soffrire-

Mi stupii di quelle parole, dato che dalla principessa di Gran Burrone mi sarei aspettata un comportamento diverso.

-Se posso chiedere, cosa ti sta succedendo? Come posso aiutarti?-

Non mi ero accorta dei suoi movimenti, non mi ero resa conto di quanto vicino mi fosse giunta. Purtroppo, per quanto mi costasse ammetterlo, la sua presenza in qualche modo mi stava tranquillizzando.

-Distraetemi- dissi a fior di labbra, ma l'elfa comunque mi sentì.

-Non capisco- mi rispose e potevo scommettere di poter indovinare la sua espressione in quel momento.

-Raccontatemi qualcosa. Distraetemi dal dolore- risposi, mentre un'altra fitta mi faceva tremare.

-Il mio nome è Arwen, mio padre è Elrond di Gran Burrone. Chi sei tu, creatura?-

-Io sono Niniel, da terre lontane, non ho padre-

-Cosa ti porta qui, Niniel?-

-Un cocciuto stregone che mi ha strappato una promessa che mi condurrà sicuramente al suicidio e un paio di occhi blu che per la prima volta mi hanno guardato come un essere umano e non come un abominio-

L'elfa rimase per un attimo in silenzio e io sentivo lentamente il respiro tornare nel mio petto e il dolore farsi meno opprimente.

-Hai qualcuno di importante da cui tornare?- chiese allora.

-No. E voi? Avete qualcuno che avete premura di rivedere?-

-Può darsi-

Mi venne da ridere e lo feci, seguita poco dopo dalla risata cristallina della principessa. Il dolore era sparito, le parole dell'elfa mi avevano aiutato non poco. Mi sentivo in debito e non lo sopportavo, non per la centesima volta in quel giorno.

Con fatica mi alzai in piedi, aiutata da Arwen.

-Ti senti meglio, Niniel?- chiese, sorridendomi.

-Si ed è anche grazie a voi, mia signora. Mi avete portato a ricredermi sugli elfi, non tutti sono prevenuti nei miei confronti come quello che mi ha dato accoglienza al portone principale-

-Hai ancora molto da imparare su di noi, giovane amica. Scoprirai che anche creature che non temono il più inevitabile dei destini, la morte stessa, a volte hanno paura di qualcosa di insignificante come la diversità-

 

***

 

Mi ero addormentata beatamente, come se ogni problema fosse improvvisamente sparito. Mi svegliò solo un bussare insistente alla pesante porta della mia stanza.

Sollevai la testa, pesantemente, mettendomi poi seduta.

-Chi è?- chiesi con voce sicura, ma ancora impastata dal sonno.

-Ragazza, se non vuoi che crei una tempesta nella tua stanza e ti costringa ad una doccia forzata, ti conviene essere fuori nel giro di cinque minuti. Stiamo tardando per il consiglio di Elrond-

Io, improvvisamente, mi resi conto della situazione come se mi avessero colpita in pieno viso con una catinella di acqua gelida. Spostai malamente le coperte, recuperando i miei vestiti che la sera prima avevo abbandonato un pò per la stanza, mi detti una rinfrescata alla bacinella d'acqua vicino alla finestra e, nel giro di quei dannati cinque minuti, mi trovavo in piedi davanti allo stregone.

-Possiamo andare- dissi, chiudendomi la porta alle spalle.

-Perchè indossi il cappuccio?- mi chiese Gandalf, un misto tra il divertito e lo sconfortato.

-Finchè posso, non voglio mostrare il mio volto. Parteciperò a questa riunione come promesso, ma me ne resterò in disparte. Se le cose vanno come previsto, sarò fuori da Gran Burrone prima di mezzo dì-

Vidi lo stregone sorridere, per poi avviarsi per il corridoio, seguito dai miei passi sicuri.

Proseguimmo in silenzio sino a giungere in uno spiazzo isolato, ottimo per un'assemblea che doveva tenersi lontano da orecchie indiscrete. Quando giungemmo, erano già tutti presenti: elfi, nani e uomini. Tutti gli sguardi furono puntati su di noi. Notai Grampasso, o meglio, Aragorn, alzare lo sguardo al nostro arrivo, rivolgendomi un cenno di saluto. Dai suoi occhi potei dedurre che era sollevato nel vedermi in buone condizioni. Sorrisi anch'io, piegando leggermente la testa per rispondere al saluto.

Mentre Gandalf prendeva posto al fianco di Frodo, il quale pareva a disagio quasi quanto me in quella situazione, io rimasi tra le colonne, a portata d'orecchio, non senza aver ricevuto un'occhiata confusa e con un briciolo di irritazione da parte di Elrond. Non me ne curai e attesi solo che quella tortura avesse fine.

Il re cominciò:

-Stranieri di remoti paesi e amici di vecchia data, siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor. La Terra di Mezzo è sull'orlo della distruzione, nessuno può sfuggire. O vi unirete o crollerete-

Notai gli sguardi dei presenti saettare dagli uni agli altri, preoccupati, ma anche colmi di sospetti reciproci, di poca fiducia gli uni negli altri. Sapevo che tra elfi e nani non scorreva buon sangue da secoli e per gli uomini non c'era altrettanta simpatia. Quell'incontro si sarebbe quindi prospettato molto difficile e, mi doleva dirlo, assai lungo.

-Ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica. Porta qui l'Anello, Frodo-

L'hobbit, sotto l'occhio attento di tutti, si alzò dal suo posto e camminò piano verso un basamento di pietra proprio davanti al sovrano, poggiandoci sopra l'oggetto scintillante che aveva portato con sé sino a quel momento. Non appena l'Anello fu posto sulla pietra, un'aura strana si propagò tra i membri dell'assemblea, un brusìo si innalzò dai presenti, gli sguardi saettarono in direzione di quel malefico manufatto. I volti si irrigidirono, gli occhi si strinsero sino a divenire fessure.

Il solo che pareva soffrire dalla presenza dell'Unico era però Frodo, il quale notai accasciarsi un poco sulla grande sedia sulla quale già sprofondava.

Non seppi bene perchè, ma la mia mano scese d'istinto all'elsa della mia spada, come se sentissi che a breve sarebbe accaduto qualcosa.

D'un tratto l'uomo che avevo visto giungere il giorno prima, quello che Gandalf mi aveva detto chiamarsi Boromir, si alzò, iniziando un suo monologo sull'utilità di quell'infernale gioiello nella loro guerra contro Mordor. Non prestai attenzione alle sue parole, preoccupata per i tremiti che scuotevano il corpo del piccolo hobbit, seduto dandomi le spalle.

Mentre parlava, l'uomo prese ad avvicinarsi al basamento, come ipnotizzato dalla chiara aura maligna che l'Unico emanava. D'istinto, accortami del suo movimento, la presa sull'elsa della mia spada si fece più rigida, mentre notai il re e Gandalf scambiarsi uno sguardo d'intesa, preoccupati.

Mossi un passo avanti, proprio mentre l'elfo si alzava. Gandalf, compiuto lo stesso gesto del sovrano, prese a parlare in una strana lingua. Alzai gli occhi al cielo, vedendolo rabbuiare, mentre la terra venne scossa da un improvviso terremoto. Mi portai una mano alla tempia, chiudendo gli occhi, come se le parole pronunciate in quella strana lingua mi stessero martellando il cervello e rigirando lo stomaco. Appoggiai la schiena alla colonna, piegandomi un poco su me stessa come se stesse per cogliermi un mancamento da un momento all'altro. Poi, di colpo, tutto tornò come se niente fosse successo.

-Mai prima d'ora una voce ha usato parole di quella lingua qui ad Imladris- disse Elrond rivolto allo stregone, un chiaro tono di dissenso e rabbia trattenuta.

-Tuttavia non ti chiedo perdono, signore, perchè la lingua nera di Mordor può essere ancora udita in ogni angolo dell'Ovest. L'Anello è del tutto malvagio- rispose Gandalf, facendo poi ritorno al suo posto.

Fissai il vecchio stregone con un grosso punto interrogativo stampato in faccia: c'era davvero bisogno di farci venire il voltastomaco per dimostrare che l'Anello era un male?

Probabilmente si, dato che di nuovo Boromir parlò:

-Questo è un dono- disse.

-Un dono ai nemici di Mordor. Perchè non usare l'Anello?- riprese poi.

Per i Valar, ma si poteva essere più ingenui?

Fu infatti Grampasso a farglielo notare:

-Non potete servirvene, nessuno di noi può. L'unico Anello risponde soltanto a Sauron. Non ha altri padroni-

-E cosa ne sa un ramingo di questa faccenda?- chiese sprezzante l'uomo di Gondor.

Dal suo posto si alzò uno degli elfi, lunghi capelli biondi e intensi occhi color del cielo. Rimasi a fissarlo per qualche secondo. Doveva trattarsi del principe elfo mandato da Bosco Atro. Infatti, a guardarlo meglio, nonostante le umili vesti che indossava, aveva il portamento e l'atteggiamente di un vero nobile. Storsi il naso, non provando molta simpatia per i sangue blu, per quella loro aria di superiorità e l'alterigia che bene o male li caratterizzava.

Rispose lui al posto dell'accusato.

-Non è un semplice ramingo. Lui è Aragorn, figlio di Arathorn. Si deve a lui la vostra alleanza-

L'incredulità affiorò agli occhi del gondoriano, tramutando poi in evidente disprezzo. Assomigliava molto a quello che riservavano a me quando scoprivano cosa fossi.

-Questo è l'erede di Isildur?- domandò.

Poi, tornando al suo posto, borbottò:

-Gondor non ha un re. A Gondor non serve un re-

-Ha ragione Aragorn, non possiamo servircene- riprese poco dopo la parola Gandalf .

-Non esiste altra scelta. L'Anello deve essere distrutto- proseguì re Elrond.

-Allora cosa aspettiamo?- disse il rappresentante dei nani, alzandosi in piedi e afferrando la sua ascia.

Nessuno provò a fermarlo, neanche nel momento in cui la lama calò sul gioiello, frantumandosi però in mille pezzi. Era risaputo che l'acciaio nanico fosse il più resistente al mondo, capace di spezzare ogni tipo di roccia e pietra, e la superficie di quel piccolo anello non si era neanche scalfita. Giaceva là, in mezzo a ciò che rimaneva della lama dell'ascia, attendendo, come un essere di volontà propria.

Accadde però qualcosa quando il nano lo colpì: un brivido mi spezzò quasi in due la schiena, mentre davanti ai miei occhi, come un flash, apparve un occhio di fuoco, la pupilla allungata come quella di un rettile. Tra le fiamme poi, un'ombra, dai contorni sfuocati, un lamento di una bestia colma di furia.

Se non avessi avuto il timore di mostrarmi debole nei confronti di quegli individui, probabilmente sarei caduta in ginocchio. Era molto simile agli effetti che mi provocava uno dei miei attacchi.

-L'Anello non può essere distrutto qui Gimli, figlio di Gloin, qualunque sia l'arte che noi possediamo. L'Anello fu forgiato tra le fiamme del monte Fato, solo lì può essere annientato. Deve essere condotto nel paese di Mordor e va ributtato nel baratro infuocato da cui è venuto. Uno di voi deve farlo- riprese Elrond, spostando lo sguardo su ognuno dei presenti.

Il silenzio fu rotto da Boromir nuovamente e io, ancora una volta, non prestai attenzione alle sue parole. Continuavo a spostare lo sguardo dall'Anello a Frodo, potevo sentire il suo respiro farsi pesante, la sua mente confusa. Poi la situazione cominciò a precipitare: tutti i presenti si alzarono, cominciando a discutere vivamente tra di loro, come se quel litigare come bambini fosse servito a qualcosa. Per l'ennesima volta la lotta fra le razze era stata posta di fronte a quella per il bene comune. In quel momento ringraziai di non sentirmi appartenente a nessuna delle fazioni.

Dal canto mio mossi qualche passo verso la sedia di Frodo, l'unico rimasto al suo posto e portai delicatamente una mano inguantata sulla sua spalla. L'hobbit si voltò appena a guardarmi, una scintilla di riconoscenza nel suo sguardo, che poi riportò sull'Anello, abbandonato al centro della ressa. Lo sentii irrigidirsi per un attimo, poi si alzò, cominciando a sussurrare:

-Lo porterò io-

Un colpo mi giunse al cuore, il fiato mi si mozzò per un attimo.

Il mezz'uomo ripetè la sua volontà, stavolta a voce più alta, facendo zittire l'assemblea e portando l'attenzione di tutti su di sé.

-Porterò io l'Anello a Mordor, solo...non conosco la strada-

Vidi gli occhi di Gandalf fissare Frodo con profondo dolore, un dolore simile a quello di un padre che vede la strada intrapresa dal figlio condurlo verso un infausto destino. Per un attimo il suo sguardo saettò su di me e io inghiottii un groppo di saliva. Sapevo cosa significava quella decisione, sapevo come avrebbero agito sulla mia vita quelle semplici parole pronunciate dall'hobbit.

-Ti aiuterò a portare questo fardello, Frodo Baggins, finchè dovrai portarlo- disse allora lo stregone, ponendosi alle sue spalle.

-Se con la mia vita o la mia morte riuscirò a proteggerti, io lo farò. Hai la mia spada- si fece allora avanti Aragorn, inginocchiandosi davanti al mezz'uomo.

-E hai il mio arco- disse poi l'elfo.

-E la mia ascia- fece eco il nano.

-Reggi il destino di tutti noi, piccoletto. Se questa è la volontà del consiglio, allora Gondor la seguirà- concluse Boromir, dando enfasi ad ogni sua parola.

D'un tratto, da dietro un cespuglio, uscì Sam, esclamando:

-Ehi, padron Frodo non si muoverà senza di me!!-

-No, certo, è quasi impossibile separarvi, anche quando lui viene convocato ad un consiglio segreto e tu non lo sei- disse re Elrond, sorridendo appena.

-Ehi, veniamo anche noi!!- disse allora un'altra voce e da dietro due colonne spuntarono Merry e Pipino, unendosi anche loro al gruppo.

-Nove compagni. E sia. Voi sarete la Compagnia dell'Anello-

-Aspettate!!- intervenne allora Frodo, stupendo tutti i presenti.

Non capii cosa c'era che non andasse, sino a quando i suoi occhi non furono puntati su di me, seguiti da tutti quelli dei presenti.

-Niniel, tu non vieni?- mi chiese ingenuamente l'hobbit.

Giurai di aver visto l'ombra di un sorriso sulle labbra dello stregone e anche su quelle di Aragorn. Sospirai, sconfitta, sfilandomi lentamente il cappuccio dalla testa, rivelando la mia chioma riccia e bruna, i miei orecchi a punta e, per la prima volta dinnanzi a tanti presenti, i miei occhi color ametista. Sorrisi, facendomi davanti al gruppo e inginocchiandomi a mia volta al cospetto di quel piccolo hobbit.

-Mio caro Frodo, mi sono unita a te a causa di una promessa strappata ad una bambina appena scampata alla morte. So che questa missione mi porterà irrimediabilmente alla fine del mio cammino, ma se ciò significa aiutarti nel titanico compito di cui ti sei fatto carico, sarò ben contenta di accompagnarti in questo viaggio e affrontare il mio destino. Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle [3]- sorrisi, posando una mano sui morbidi capelli riccioli dell'hobbit.

-Grazie- sospirò lui di rimando.

-Dunque, correggo le mie precedenti parole: i compagni sono dieci e la Compagnia dell'Anello si può definire al completo. Partirete domani all'alba, quindi vi consiglio di andarvi a riposare- disse Elrond, lanciandomi uno sguardo di sfuggita e mi stupii nel notare nei suoi occhi una scintilla di gratitudine.

Il momento fu però spezzato dalla pessima lingua del caro Pipino:

-Dov'è che andiamo?-

Non potei fare a meno di ridere.

 

[1] Ben trovato

[2] Mia signore (non confidenziale)

[3] Possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti

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Capitolo 5
*** Le prime difficoltà ***


 

ANGOLO AUTRICE:
Come promesso eccomi con un nuovo aggiornamento. In questo capitolo entreremo nel vivo dell'azione e la nostra Niniel dovrà vederselo con due maschietti dalle idee un pò "antiche". Ma non vi anticipo niente XD
Concludo con il ringraziare le mie affezionatissime e le new entry, affermando con sicurezza che non speravo in un tale successo delle storia.
Grazie ancora.

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 
CAP V – LE PRIME DIFFICOLTA'

 

 

-Il portatore dell'Anello si avvia alla ricerca del monte Fato. A voi che viaggiate con lui non viene imposto alcun giuramento o obbligo di andare oltre quanto potrete. Addio, attenetevi al vostro scopo e possa la benedizione degli elfi, degli uomini e di tutta la gente libera accompagnarvi-

Con questo discorso re Elrond ci lasciò alle porte di Gran Burrone, pronti o meno ad intraprendere il pericoloso viaggio che ci attendeva.

Spostai lo sguardo sui presenti, incontrando gli occhi di Arwen, che mi sorrise. Forse lei sarebbe stata l'unica della quale avrei sentito la mancanza.

-Namaarie [1]- sospirai in elfico, sicura che lei mi avesse sentito.

-Namaarie [1]- rispose lei con lo stesso tono, continuando a sorridere, spostando poi la sua attenzione a qualcuno alle mie spalle.

Mi voltai appena, notando Aragorn che ricambiava il tenero sorriso della principessa elfo e allora mi fu tutto più chiaro. Ecco chi era colui che lei aspettava e soffrii per loro in quel momento. Avrei tanto voluto anch'io qualcuno da cui tornare, qualcuno che mi concedesse il calore di un abbraccio come quello che mi infondeva mia madre quando ero piccola.

Assorta in quei pensieri non mi accorsi della compagnia che si era messa in cammino e mi ridestai solo quando una mano calda mi si posò su di una spalla. Mi voltai, incontrando lo sguardo limpido del ramingo.

-Andiamo Niniel. Ci aspetta un lungo cammino- mi disse solo, un tono che con me non aveva mai usato.

Mi guardava negli occhi e solo allora mi ricordai di non indossare il mio solito cappuccio. Per questo distolsi lo sguardo, infastidita.

-Non sentirti giudicata da me, amica mia. Non ho alcuna intenzione di trattarti come tutti hanno sempre fatto-

-Hai parlato con Gandalf?- gli chiesi ovvia, cominciando a seguire il gruppo con lui sempre al mio fianco.

-Mi ha raccontato qualcosa, si, e sappi che da me non riceverai mai un tale trattamento, ma ti considererò solo una compagna e, da quello che ho potuto vedere, anche una valida guerriera-

Mi voltai a guardarlo, colma di sorpresa e profonda gratitudine verso quell'uomo, il cui animo era nobile e il carattere di un vero re, anche se sulla sua testa non vi era una corona.

-Grazie- sospirai, sorridendogli riconoscente delle sue parole.

 

***

 

-Seguiremo questa direzione ad ovest delle Montagne Nebbiose per quaranta giorni. Se la fortuna ci assiste la Breccia di Rohan sarà ancora aperta e da lì volteremo verso est, per Mordor-

Questo aveva detto Gandalf prima che decidessimo di accamparci su di un'altura per riposare. Sam si occupò dei pasti, mentre Boromir e Aragorn si presero l'incombenza di insegnare ai piccoli hobbit a tirare di spada. Io, seduta di fianco a Frodo, osservavo la scena, divertita.

-Sono contento che tu abbia deciso di venire con noi- mi disse ad un tratto l'hobbit al mio fianco, accettando il piatto che Sam gli stava porgendo.

-Non potevo certo lasciare voi piccoletti nei guai- sorrisi, disordinando i capelli dell'hobbit.

In quel momento sentii il cozzare delle lame fermarsi, per questo mi voltai per capirne il motivo. Boromir mi stava guardando, diffidente.

-Non sei certo necessaria in questo viaggio. Una donna in fondo non dovrebbe occuparsi di cose come battaglie e spade, ma piuttosto a come soddisfare l'uomo nel suo letto- sorrise maligno.

Io mi irrigidii, sentendomi un calore insolito salirmi dallo stomaco.

-Come osi, zotico?!? Auta miqula orqu [3]!!- dissi, la voce strozzata in gola.

-Cosa puoi fare tu che noi non possiamo fare?-

Sentii la risata di Gandalf dietro di me, per questo mi voltai.

-Vecchio, la cosa ti diverte?- chiesi tra i denti.

-Andiamo ragazza, voglio solo vedere come te la caverai adesso-

-E come dovrebbe cavarsela? È una donna. Cosa può fare? Stendermi con le sue chiacchiere?-

Mi sentii ferita nell'orgoglio. Come una molla mi alzai dal mio posto, facendo quasi cadere il piatto che avevo tra le mani. Prima che potessi muovere un passo, qualcuno mi afferrò per la manica della casacca.

Frodo mi guardò, preoccupato. Io sorrisi.

-Non temere, non gli farò troppo male-

Scesi allora dalla roccia sulla quale mi trovavo sino a quel momento, sentendo le risate dei sue hobbit e di Aragorn.

-Ti sei messo in un bel guaio, mio caro Boromir- sorrise il ramingo, continuando a fumare la sua pipa.

-Andiamo, pensate davvero che una donna possa battere un uomo?-

Con fischio metallico, estrassi il mio stocco dal fodero, facendolo brillare alla luce del sole fioco di quel pomeriggio, provocando un debole baluginìo blu, al quale però non fece caso nessuno.

-Questa è Carnil [4] e non ti piacerà fare la sua conoscenza. Fatti sotto, grand'uomo- sfidai il gondoriano.

-Non piangere poi quando ti troverai nella polvere, mia signora- mi prese in giro lui, facendomi una sorta di inchino.

Risposi con un sorrisetto divertito, mimando appena il suo stesso gesto.

Fui io a partire all'attacco, ma lui parò, sentendosi quasi da subito superiore a me. Errore che avevo previsto, che mi sarei aspettata da un uomo pieno di sé come lui. Lasciai che pensasse di essere in vantaggio su di me, gli permisi di credere di avermi messo in difficoltà. Poi una finta, un affondo e un colpo alle gambe mi permisero di mandarlo schiena a terra. Vidi la sua espressione stupita, contrariata e poi rabbiosa. Sospirai, pensando che se l'uomo non avesse combattuto con la mente occupata dal mio stato di donna, probabilmente mi sarei trovata in seria difficoltà. Cercai comunque di mantenere la mia aria di baldanza per non mostrare in quel momento il mio colpo di fortuna.

-Chi è adesso nella polvere, gondoriano?- gli chiesi dalla mia posizione, puntandogli la punta della spada alla gola.

-Boromir, ci siamo dimenticati di dirti che Niniel è riuscita a tenere testa a cinque Spettri da sola- rise Pipino, ricevendo una gomitata da Merry.

-Ma chi sei, ragazzina?- ringhiò l'uomo, accettando l'aiuto di Aragorn per rimettersi in piedi, il quale si stava sforzando di non ridergli in faccia.

-Solo una donna, mio caro Boromir, una donna che fin da bambina ha combattuto per rimanere in vita. E per tornare al discorso di prima: se lasciassi nelle mani di soli uomini questa missione, allora sarebbe un disastro. È risaputo che alcuni individui non hanno abbastanza sangue per far funzionare cervello e attributi allo stesso tempo-

Con quelle parole provocai una risata generale, ad eccezione di Boromir e l'elfo, il quale, sapevo, non mi aveva perso d'occhio neanche per un attimo e la cosa non mi piaceva.

 

***

 

D'improvviso uno strano alone di malvagità si propagò nell'aria. Boromir, tornato spensieratamente a scherzare con Merry e Pipino, nonostante sentissi le sue occhiate trafiggermi la schiena, si zittì, così come il resto di noi. Vidi l'elfo puntare il suo sguardo all'orizzonte, vedendo qualcosa che solo i suoi occhi riuscivano a scorgere. Il mio orecchio sentì un frenetico battere d'ali avvicinarsi.

Misi d'istinto una mano sulla spalla di Frodo, il quale mi rivolse uno sguardo perplesso.

-Che cos'è?- chiese Sam, poco lontano da noi.

-Niente. Solo una nuvoletta- rispose Gimli, impavido come richiesto ad un nano, ma anche con un briciolo di stupidità insito nella sua baldanza.

-Si sposta velocemente. E controvento- concluse Boromir.

Quello che urlò l'elfo non riuscii a capirlo, troppo impegnata ad afferrare per la collottola Sam e Frodo e fiondarli sotto uno dei massi più grandi, ordinandogli di rimanere nascosti.

Io mi voltai verso la nuvola nera, sempre più vicina. Qualcosa dentro di me mi impediva di muovermi, come quando il terrore si impossessa delle gambe e le fa diventare due tronchi d'albero piantati a terra. Un'improvvisa fitta al petto mi fece quasi gemere, mentre una voce mi risuonava nella testa:

-Roquen [5]...-

Quando ormai quelle creature erano sempre più vicine, avvertii qualcuno afferrarmi per la vita e gettarmi dietro una delle roccie. Non mi resi conto di chi si trattasse, troppo impegnata a non sbattere il viso contro la pietra. Un peso su di me mi fece capire che qualcuno mi nascondeva con il suo corpo, mentre qualcosa dentro al mio petto scalpitava. Non era imbarazzo, era qualcosa di diverso, qualcosa che mai prima avevo provato.

Dopo pochi secondi, quelli che scoprii essere uccelli neri, corvi, spie dello stregone bianco, passarono sopra le nostre teste e si allontanarono. Finalmente ebbi il coraggio di alzare lo sguardo verso colui che mi aveva protetto. Mi stupii nello scorgere due occhi color del cielo che mi fissavano, mentre i lunghi capelli biondi mi solleticavano il viso.

Non ebbi il tempo di parlare, che fu lui a farlo per primo:

-Si può sapere cosa ti è preso?- chiese, con tono duro.

Non sapevo cosa rispondere, dato che neanch'io lo sapevo. Mi ero semplicemente bloccata.

-Non credo che dovrebbe interessarti, elfo- risposi allora, scostandolo malamente e uscendo dal nostro nascondiglio, seguita pochi attimi dopo da lui.

-Spie di Saruman. Il passaggio a sud è sorvegliato. Dobbiamo prendere il passo di Caradhras- sentii dire a Gandalf, mentre si voltava verso la cima innevata alle nostre spalle.

 

***

 

Fu proprio su quella cima innevata che ci rendemmo conto di come la presenza dell'Unico stesse lavorando sui nostri cuori, in alcuni più di altri.

Mentre scalavamo il crinare innevato, Frodo, infreddolito e stanco, perse l'equilibrio, rotolando in basso di qualche metro, sino a quando Aragorn, il quale mi precedeva di qualche passo, non ne arrestò la caduta, rimettendolo in piedi.

Vidi l'hobbit frugarsi nello scollo della casacca, assumendo poi un'espressione spaventata. Seguimmo il suo sguardo poco più in alto, dove Boromir si chinava per raccogliere quello che capimmo essere l'Anello tra la neve.

Notai gli occhi chiari dell'uomo brillare di una scintilla d'incanto, mentre le pupille si dilatavano come sotto l'effetto di qualche sconosciuto oppiaceo. Non so bene perchè, ma per l'ennesima volta la mia mano scivolò all'elsa della spada.

-Boromir, dà l'Anello a Frodo- disse severo Aragorn e l'altro parve risvegliarsi quasi da un sogno.

Riuscivo a scorgere la battaglia nell'animo del gondoriano, l'nflusso che il potere dell'Anello esercitava su di lui, nei suoi occhi il desiderio per quel piccolo gioiello, ma al tempo stesso la consapevolezza di esserne succube.

L'uomo allora si avvicinò con passo malfermo all'hobbit, tendendogli la catenella con l'Anello, il quale fu subito riafferrato dal mezz'uomo. Tutti gli occhi erano puntati sui due, in particolare quelli miei e del ramingo, il quale, notai, aveva a sua volta portato la mano all'elsa della sua arma.

-Non mi interessa- disse con tono poco convinto Boromir, allontanandosi poi da noi, come se stesse fuggendo.

Tornai a respirare normalmente, poggiando quasi istintivamente una mano sulla spalla di Frodo, come se volessi infondergli un pò di forza, o forse, esattamente il contrario. Non lo guardai, non riuscivo più a farlo, in quanto avevo notato da qualche giorno lo sconforto iniziare a prendere possesso di lui.

Era come se temessi che quegli occhi potessere insinuare il dubbio nel mio animo. Inoltre, non appena lo toccai, qualcosa si scatenò in me, un brivido che dalla base del collo mi percorse la schiena in tutta la sua lunghezza. Era come se l'oscurità mi stesse avvolgendo, cercando di raggiungere la parte più profonda e nascosta di me. Tale sensazione cessò non appena allontanai la mano da Frodo, il quale parve non essersi reso conto di niente.

Guardai il gruppo che avanzava faticosamente nella neve, per poi abbassare per un attimo gli occhi sulla mano inguantata che, inconsapevolmente, ancora tremava. Notai solo allora l'elfo, fermo in cima alla fila, che mi fissava, certa che stesse valutando le mie reazioni e le mie azioni. Per un attimo ebbi la tentazione di avvicinarmi e tirare un pugno su quel suo viso perfetto. Poi però abbassai lo sguardo, scossi la testa e continuai la mia risalita.

 

***

 

La neve sferzava i nostri visi, impedendoci quasi di vedere dove stavamo andando. Avevo tirato un lembo del mantello sin sotto il naso, cercando di limitare la sensazione di soffocamento che la neve provocava penetrando nella bocca e nel naso.

Non era stata una scelta saggia quella di intraprendere il passo del monte Caradhras e ce ne accorgemmo purtroppo troppo tardi, non appena le prime pietre cominciarono a caderci sulla testa e nell'aria si udivano le parole maledette dello stregone bianco.

Era ovvio che quella strada fosse un'ottima trappola, difficile da percorrere già di normale, figuriamoci quando persone come Saruman non volevano permetterci di raggiungere Mordor.

Imprecai, mentre, agguantando rudemente Frodo e Sam per le collottole, li sfilavo per l'ennesima volta dalla neve, che a loro arrivava quasi sin sotto il mento. Per fortuna avevo ereditato qualcosa dalla mia parte elfica, quindi, come il principino, riuscivo a camminare sulla coltre di neve senza problemi.

Sentii Aragorn dire a Gandalf, il quale era intento a recitare un contro incantesimo che però non sembrava sortire il minimo effetto, che dovevamo assolutamente cambiare strada, tornare indietro. Alle sue parole si aggiunsero quelle del gondoriano, il quale “suggeriva” di recarsi al passo di Rohan.

Certo, probabilmente quella sarebbe stata la strada più breve, ma anche quella che ci avrebbe portato pericolosamente vicino a Isengard.

Lanciai un'occhiata allo stregone grigio, il cui sguardo mostrava chiaramente la battaglia che si stava svolgendo dentro di lui. Si sentiva impotente, impossibilitato a combattere contro il potere di Saruman il bianco, già forte di per sè e accresciuto dalla sua alleanza con Sauron. Se solo avesse saputo tutta la verità.

Persa nei miei pensieri, avvertii Gimli che suggeriva il passaggio al di sotto delle montagne, attraverso Moria. Una scelta azzardata certo, ma in quel momento forse la più giusta.

Tutti in attesa, ci stupimmo quando Gandalf parlò:

-Colui che porta l'Anello, decida-

Mi voltai, incontrando gli occhi di Frodo, stanco e spossato solo per quel brave viaggio che avevamo appena cominciato ad intraprendere. Era ovvio quello che avrebbe scelto, ma tutti aspettavamo di udirlo uscire dalle sue labbra.

-Attraverseremo le miniere-

Non gioii, in quanto sentivo che quella scelta ci avrebbe portato solo delle grane.

 

***

 

-Non mi piace- sospirai, continuando a guardarmi attorno, attenta ad ogni rumore strano o ad ogni alito di vento che portasse con sè cattivo presagio.

Stavamo camminando di fianco ad un tetro lago, la cui vegetazione sulle rive era pressocchè morta, particolare che non mi tranquillizzò affatto. Era come se quelle acque nascondessero qualcosa di oscuro, di antico, così come la pietra che costituiva le mura della città nanica.

La compagnia si fermò dunque dinnanzi ad una sezione di roccia, mentre lo stregone passava le dita su dei fregi nella pietra pressocchè invisibili, sino a quando la luna, nascosta al di là delle nuvole, non li illuminò, rivelando una porta.

-C'è scritto: le porte di Durin, signore di Moria. Dite amici ed entrate-

-E che cosa vorrebbe dire?- chiese Merry.

-Oh, è semplice: se uno è amico dice la parola magica e le porte di aprono-

Così, sotto i nostri sguardi attenti, Gandalf puntò il suo bastone contro un fregio a forma di stella al centro della porta e pronunciò alcune parole. Attendemmo che la pietra si schiudesse, ma non accadde niente.

Così, sospirando, mi sedetti tra le radici di uno di quegli alberi morti, togliendomi la sacca dalle spalle e calandomi in malo modo il cappuccio dalla testa. Dopodichè presi una sorsata dalla borraccia d'acqua che avevo con me.

-Sarà una lunga notte- dissi.

E purtroppo avevo ragione. Gandalf se ne stava in piedi davanti alle porte di Moria, tentando ogni parola che gli saltasse alla mente, mentre Frodo, poco dietro di lui, lo osservava, speranzoso. Il resto della compagnia era sparso un pò per la striscia di terra che era la riva, a mio parere cercando di capire le reali ragioni per le quali avevano intrapreso quell'avventura. Io almeno stavo facendo quello.

Tra le mie cose avevo trovato un rimasuglio di erba pipa che avevo comprato nella Contea molto tempo prima. Credendo magari potesse rilassarmi un pò, la infilai nella pipa e accesi il composto, propagando nell'aria un inebriante profumo di foglie bruciate e tabacco.

Fissavo assorta la distesa d'acqua, scura e unicamente rischiarata dalla luce della luna, e i miei pensieri, dopo davvero tanti anni, ricordarono i tratti di un volto gentile, sempre sorridente, anche se i chiari occhi celesti esprimevano una tristezza difficile da risanare. Da piccola adoravo passare le dita tra i suoi lunghi e soffici capelli castani, mi irradiavano in tutto il corpo un senso di pace e protezione che solo una bambina poteva considerare eterni.

L'immagine di mia madre, durante gli anni di pace che avevamo vissuto, era l'unico appiglio che non mi aveva fatto mollare, il desiderio di vendetta per la sua morte ingiusta era la spinta che ogni giorno mi mandava avanti. L'odio che provavo per il padre che ci aveva abbandonato pareva quasi invisibile in confronto. Poi c'era anche quello, ciò che le orde dello stregone bianco mi avevano rubato in quella notte, quello che apparteneva solamente a me e che ero intenzionata a riprendere.

Un fruscìo di passi, quasi impercettibile, mi distrasse facendomi irrigidire per un attimo, ma non mi voltai, avendo immediatamente capito di chi si trattasse. Inavvertitamente le mie labbra si piegarono in un sorriso, maligno, ma con una nota di tensione.

-Hai qualcosa da chiedermi, Legolas?- chiesi, continuando a guardare le acque del lago.

Sentii per un attimo una titubanza nei suoi passi, come se lo avessi spiazzato.

-Perchè hai deciso di venire con noi?-

Mi voltai, le sopracciglia inarcate in un'espressione di puro fastidio, ma al tempo stesso un sorriso sghembo che mi si allargava sul volto.

-Sai, è strano che un elfo parli al plurale quando non si tratta del suo stesso popolo-

-Non hai risposto alla mia domanda, abominio. E non osare pronunciare il mio nome, in quanto permetto di usarlo solo a chi ritengo degno e tu non lo sei- mi rispose tra i denti, visibilmente infastidito, ma subito il suo sguardo mutò impercettibilmente, come se avesse capito la gravità delle sue parole solo dopo averle pronunciate.

Fulminea estrassi uno dei miei pugnali dal fodero ai miei piedi e, senza che neanche il principino se ne rendesse conto, glielo puntai alla gola, il mio volto a pochi centimetri dal suo, nonostante lui mi superasse di almeno una decina di centimetri.

-Non osare mai più offendere le mie origini o il mio nome. Per quanto riguarda il tuo, tienitelo pure stretto, sai che mi importa- gli dissi.

Notai una scintilla di stupore passargli negli occhi, mentre le labbra si contraevano in una smorfia di fastidio, per poi però inarcarsi in un sorrisetto strafottente, anche se appena accennato.

-E tu non provare mai più a minacciarmi. Non ti conviene- mi rispose lui, accenando allo spadino che invece mi teneva premuto contro lo stomaco.

Mi scappò una risatina di sfida, anche se dentro di me la rabbia che montava era frustrante. Avrei voluto aggiungere qualcosa, ma una voce ci interruppe:

-Tutto a posto qui?-

Ci voltammo nello stesso momento, trovandoci davanti un Aragorn che ci fissava, sospettoso, pronto ad intervenire in caso di bisogno, anche se non avrei saputo dire dalla parte di chi si sarebbe schierato.

-Si, tutto a posto- dissi io, allontanandomi di qualche passo dall'elfo e andando a rinfoderare il mio pugnale, non prima però di avergli lanciato un'altra occhiata omicida.

In quell'istante il vento portò con sè una sensazione pericolosa, cosa che mi fece letteralmente rabbrividire. Proprio allora udimmo lo schiudersi delle porte di Moria.

 

[1] Addio

[2] Arrivederci

[3] Ma va a baciare un orco

[4] Marte

[5] Cavaliere

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Capitolo 6
*** Moria ***


 


ANGOLO AUTRICE:
Bene bene bene...ci ritroviamo per l'ennesima volta in questa pagina e ringrazio vivamente tutti quelli che mi seguono e recensiscono.
Dunque, nello scorso capitolo ci sono stati un pò di contrasti con la nostra protagonista, ma direi che Niniel se l'è cavata egregiamente, non pare anche a voi?
Forse mi sono resa conto di aver rappresentato Legolas esageratamente s*****o, ma mi sono resa conto, forse troppo tardi, che il nostro bell'elfo è un soggetto assai complesso, difficile da rappresentare se non andando fuori dal personaggio.
Quindi ho pensato di prendere spunto da quello che avviene tra Leg e Gimli, ossia all'inizio si odiano, ma a poco a poco cominciano ad andare d'accordo. Fondamentalmente non volevo rendere il nostro biondone un pò troppo femminuccia. Dopo questo, buona lettura XD

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)


CAP VI - MORIA

 

 

Avvertivo le grida dei miei compagni attorno a me, ma mi giungevano lontane, ovattate, come se la mia mente si fosse scollegata dal corpo e quello si stesse muovendo guidato da una volontà esterna alla mia. Vedevo quella miriade di tentacoli dibattersi tra le acque, mentre la creatura che ne era uscita non appena le porte si erano dischiuse cercava inesorabilmente di trascinarci tutti tra le sue fauci. Fendevo l'aria con i miei pugnali, mentre attorno a me sentivo fischiare le frecce che partivano con molta probabilità dall'arco dell'elfo. Mi battevo come se da quello scontro fosse dipesa la mia vita e, mi doleva ammetterlo, le cose stavano proprio così.

Mi distrassi solo per un attimo, tanto per accertarmi che Frodo fosse al sicuro, catturato dai prolungamenti viscidi di quella bestia.

-Nelle miniere!!- continuava a gridare lo stregone e, anche se non con poca difficoltà, tutti stavamo arretrando, cercando al tempo stesso di evitare i tentacoli.

La mia distrazione però mi costò cara, in quanto uno di quei cosi mi colpì dritta alla testa, facendomi cadere rovinosamente a terra, confusa e priva di difese. Nonostante quello, però, mi alzai di nuovo in piedi, cercando comunque di trascinarmi verso l'entrata, mentre lontana mi giungeva la voce del ramingo che invocava il mio nome, probabilmente giunto in mio soccorso o almeno sperai ci stesse provando.

Tentai di reggermi in piedi, ma le ginocchia non mi sostenevano e la vista mi si appannava a poco a poco di più. La botta che avevo ricevuto era stata forte, confondendomi a tal punto da far diventare i miei movimenti goffi e poco rapidi. Parevo quasi una reduce di una gara di bevute in una scadente taverna.

All'improvviso, una presa alla vita mi tirò in piedi, facendomi per un attimo tentennare. Il mio sguardo si incatenò con quello di quell'elfo spocchioso e arrogante, ma che, per la seconda volta, mi sforzai di ringraziare segretamente per il tempismo.

-Non è il momento di dormire, principessa- mi disse, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra fini.

Na i Belain [1], quanto lo odiavo.

Senza un minimo di riguardo, mi fece passare un braccio attorno alle sue spalle e con una spinta, quasi lo infastidisse la mia vicinanza, mi scaraventò letteralmente all'interno della grotta, mentre lui tornava a scagliare frecce contro quella creatura. A raggiungermi allora fu Frodo, il quale mi aiutò ad alzarmi per la seconda volta. Facendo violenza contro me stessa e confusa dall'insistente ronzìo nelle orecchie che mi rendeva quasi sorda, presi a correre verso l'interno delle miniere, seguita dal resto della compagnia e dal rumore delle macerie che, crollando, bloccarono l'entrata, intrappolandoci in quel mondo di tenebra.

Ci rendemmo conto della situazione solo quando, trovandoci ormai al buio e in debito d'ossigeno per la corsa, riuscimmo a fare mente locale: eravamo chiusi nelle gallerie di Moria, costretti ad attraversarle, senza sapere cosa ci avrebbe atteso tra quei cunicoli.

Cominciai a chiedermi se ce l'avrei mai fatta, se fossi stata in grado di arrivare alla fine di quel viaggio senza rimetterci la pelle, se sarei riuscita a salvarlo, non riferendomi solo al giovane hobbit. Per la prima volta mi importava realmente della mia vita, della fine che avrei fatto, di tutte le promesse che non sarei riuscita a mantenere. Poi il mio sguardo si posò su Frodo, stretto tra i suoi compagni, il volto scosso. Mi fece pena e anche una profonda tenerezza, ma guardarlo mi caricò di nuova costanza e determinazione.

A distrarmi da quei pensieri fu la voce di Gandalf, il quale, rischiarato il cammino per mezzo di una magica pietra, disse lapidario:

-Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. State in guardia. Ci sono cose più antiche e più malvagie degli orchi nelle profondità della terra-

 

***

 

Stavamo camminando già da ore e cominciavo distintamente a sentire l'oppressione che quel buio e quei luoghi sotterranei esercitavano su di me e sul mio animo. Non ero abituata ai luoghi chiusi ed angusti, amavo la libertà, le immense pianure e il vento tra i capelli. In quelle gallerie si respirava solo aria di morte.

Avevo inoltre avvertito una presenza che ci seguiva e, quando avevo chiesto a Gandalf, quello mi aveva spiegato che si trattava di Gollum, la creatura che per molto tempo era rimasta in possesso dell'Anello, sino a venirne consumato e che adesso lo seguiva come se ne sentisse ancora il richiamo. Ma era innocuo, almeno così credeva lo stregone.

Dal canto mio però non mi tranquillizzai. Sentivo il petto oppresso da un peso invisibile, la respirazione difficoltosa, in quanto non ero abituata a sentirmi in trappola come in quel momento. Probabilmente la mia faccia era come un libro aperto, dato che attirò l'attenzione persino dei due hobbit, Merry e Pipino. Il primo infatti mi si avvicinò, dicendo:

-Ti senti bene, mia signora?-

Lo fissai stranita, per poi sorridere, sorpresa.

-Perchè questo titolo, caro Merry?-

-Non so. Ti infastidisce?- rispose lui, visibilmente imbarazzato.

-Se non ti dispiace, vorrei che mi chiamassi per nome, come faresti con chiunque altro della compagnia. E non temere, sto bene, è solo che questi luoghi mi tolgono il respiro-

In realtà avevo paura di venir colta da un'altra crisi proprio in un momento poco adatto come quello.

-Dovresti provare la nostra erba pipa allora. Quella si che ti rilasserebbe...- intervenne solare Pipino.

-Beh, su quello non ho dubbi. Ho avuto modo di assaporarne l'aroma quelle rare volte che percorrevo le vie della vostra Contea. Forse però alla prossima sosta...- sorrisi io di rimando.

In quel momento fummo tutti attirati dalla voce di Gandalf che richiamava Gimli, il quale, staccatosi dal gruppo, era entrato in una stanza laterale, costellata di cadaveri come le precedenti. Quando lo raggiungemmo, stava chino su di una bianca lapide, piangendo e lamentandosi come un bambino.

-Qui giace Balin, figlio di Fuldin, signore di Moria- lesse solenne lo stregone grigio.

Avevamo trovato la tomba del re e in silenzio rendemmo omaggio al suo corpo, ognuno a suo modo, ma comunque tutti in maniera ossequiosa e colma di rispetto.

Dopodichè Gandalf, chinatosi su uno dei cadaveri, prese tra le mani un grosso volume e iniziò a leggere:

-Hanno preso il ponte e il secondo salone. Abbiamo sbarrato i cancelli, ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi, tamburi negli abissi. Non possiamo più uscire. Un'ombra si muove nel buio. Non possiamo più uscire. Arrivano-

Mentre ascoltavo quelle parole, non potei fare a meno di tendere l'orecchio, attenta ad ogni minimo rumore e sussurro. I brividi mi invasero il corpo, percorrendo le gambe e giungendomi fino alla radice dei capelli. Mossi un passo, le spalle al gruppo, continuando a mantenere gli occhi sulla porta, pronta a vederne spuntare qualsiasi tipo di creatura.

Ciò che ci circondava erano solo morte e tenebre, ma riuscivo a percepire qualcosa di vivo assieme a noi, qualcosa che non ci avrebbe fatto senz'altro piacere incontrare.

Poi, ad un tratto, un suono mi fece voltare, attirando l'attenzione anche del resto della compagnia.

La curiosità di Pipino ci sarebbe stata fatale quella volta. Una parte di me sentiva la voce di Gandalf maledire il povero hobbit, l'altra sobbalzò non appena nell'aria giunse un fioco suono di tamburi.

I nostri sguardi si fecero spenti, i corpi tesi, i cuori accelerarono il battito. Le mani, anche se lentamente, raggiunsero le spade o gli archi, in attesa di quello che a breve si sarebbe scatenato. Avevo affrontato cinque Spettri alla torre vedetta, ma i goblin erano qualcosa che mai avrei sopportato. Sadici e assetati di sangue, sapevano ucciderti nei modi più dolorosi e lenti che nessun uomo avrebbe saputo utilizzare. Torturavano le loro vittime, psicologicamente e fisicamente, sino a quando era ella stessa a chiedere la morte. Decisi quindi che mi sarei buttata da uno di quei precipizi piuttosto che finire nelle loro mani.

Boromir raggiunse la porta e per poco due frecce non gli si conficcarono in testa. Di lì a poco il panico dilagò, ma non mi sarei fatta sopraffare stavolta.

Con una calma innaturale, cercando di ritrovare tutta la freddezza per la quale ero divenuta famosa, estrassi dal fodero la mia spada, la quale per un attimo baluginò di una scintilla blu, proprio come lo spadino di Frodo.

-Sono vicini- sussurrai, arretrando sino a pormi di fronte agli hobbit.

Nel frattempo Aragorn, Boromir e Legolas si impegnarono per barricare la porta, ma a quanto pareva neanche stavolta la fortuna fu dalla nostra. Non solo i goblin e gli orchi ci desideravano come portata principale per il loro banchetto, ma si erano portati dietro anche un troll di montagna, una delle creature che meno sopportavo. Poco intelligenti, dovevo ammetterlo, ma supplivano tale mancanza con una forza nettamente superiore alla nostra, per non parlare della dimensione delle armi che riuscivano a brandire.

Le barricate non valsero a molto, non certo aiutate dal legno vecchio e marcito dall'umidità, per non parlare della quantità di nemici che ci piombarono addosso non appena la porta cedette.

Storsi il naso quando il fetido odore di quelle creature mi giunse alle narici.

-Odio gli orchi- sibilai, partendo alla carica assieme al resto dei miei compagni.

In pochi attimi mi trovai quasi totalmente ricoperta di sangue e budella, ma la spada ancora stretta in pugno e il respiro a muovere il mio corpo. Mi gettai su uno di quegli esseri mentre stava per colpire alle spalle l'uomo di Gondor, abbattendolo con un solo fendente che gli staccò di netto la testa. Il sangue nero mi zampillò in viso e quasi mi venne da vomitare. Tutto ciò che avevo affrontato nella mia vita non era paragonabile a quel momento.

Ma nulla mi sorprese di più nel notare lo sguardo di Boromir, rischiarato da una tacita gratitudine. Io sorrisi di rimando, ricominciando poi a mietere vittime.

Fu allora che avvenne: la porta fu completamente divelta dall'imponente stazza del troll di montagna, giunto al seguito di uno degli orchetti che lo trascinava con una sorta di guinzaglio. Come avremo fatto ad abbatterlo?

Una freccia di Legolas lo colpì al petto, ma ebbe solo la capacità di farlo infuriare ancora di più. Se non fosse stato per la situazione, probabilmente avrei trovato buono il pretesto per schernirlo un poco.

Nonostante i colpi che gli venivano scagliati però, l'essere non accennava a morire. La paura si impossessò di me quando vidi che il suo bersaglio era divenuto il povero Frodo. Così presi una decisione: avrei usato quel potere, ma solo per una volta, in quanto non avevo certo energie per fare altrimenti. Così, al sicuro dietro una delle colonne, chiusi gli occhi, iniziando a recitare delle parole in elfico e passando una mano sulla lama della mia spada. Sentivo la testa farsi pesante, il corpo incandescente. Avevo consumato molte forze durante lo scontro e quell'incantesimo probabilmente mi avrebbe fatto perdere i sensi, ma dovevo comunque rischiare.

-Nàre [2]-

Quando riaprii gli occhi, la lama aveva assunto un colore rosso acceso.

-Aragorn!! Aragorn!!-

Frodo invocava il nome del ramingo e dal tono non pareva che la situazione fosse delle più rosee. Era quindi per me il momento di agire.

Lasciai il mio nascondiglio, attraversando la sala, evitando ogni nemico che mi si parava davanti. Ciò che però vidi mi bloccò per un attimo: Aragorn era a terra, privo di sensi, mentre l'hobbit stava inchiodato al muro, l'arma del troll infilata nel costato.

Il tempo parve fermarsi, mentre i miei occhi incontrarono quelli azzurri di Frodo. Tutti in quella sala sparirono, amici e nemici, lasciando dietro di sè solo una gran voglia di gridare. Non potevo però cedere, non sarebbe stato il momento adatto. Poi la furia prese possesso di me, mentre, con un grido disumano che mi si liberava in gola, mi dirigevo verso la creatura. Evitai un altro paio di orchi e, a pochi metri dal mio bersaglio, saltai, piombandogli sulle spalle.

L'essere tentò di liberarsi di me come aveva fatto qualche attimo prima con Merry e Pipino, ma io fui più veloce: affondai la lama della mia spada nel suo collo, nell'attaccatura tra quello e la testa, troncandogli di netto la spina dorsale. Dopodichè l'incantesimo che avevo esercitato sulla lama e la freccia che l'elfo gli infilò dritto in gola fecero il resto.

Il troll si accasciò al suolo come un sacco vuoto, lasciandosi dietro solo il suo ultimo mugolìo, i suoi organi interni completamente liquefatti.

Mi allontanai allora di qualche passo, estranea a tutto ciò che mi circondava, la testa che mi girava e la vista appannata. Le gambe stentavano a reggermi e per questo caddi a terra, seduta. Vidi un'ombra venire verso di me, riconobbi per un attimo i tratti dello stregone grigio che mi osservava, nello sguardo un misto di preoccupazione e ammonimento. Poi mi allungò qualcosa e mi fece segno di bere. Io obbedii.

Sorrisi appena, soddisfatta della riuscita. Ero debole, ma quell'intruglio che Gandalf mi aveva fatto bere mi stava facendo sentire decisamente meglio. D'un tratto dei rantoli provenienti dai corridoi mi ridestarono. Ero debole, ma non avrei lasciato che quegl'esseri mi facessero a pezzi. Così, con non poco sforzo e aiutata dallo stregone, riuscii a rimettermi in piedi, notando anche che Frodo era vivo e stava bene.

-Al ponte di Khazad dum, presto!!-

Cominciammo a correre, i polmoni che bruciavano per la mancanza di ossigeno, mentre da ogni angolo continuavano a spuntare quelle creature.

Nonostante fossimo veloci, non riuscimmo a seminarli, trovandoci circondati in pochi minuti. Ci stringemmo spalla contro spalla, osservando quegli esseri che famelici ci bramavano, i loro schiamazzi e le loro risate acute che ci martoriavano il cervello. Per quanto mi riguardava, io stavo ancora subendo gli effetti dell'incantesimo, cosa che non giovava di certo in quella situazione.

Poi, d'un tratto, tutto tacque. Come un'unico essere, i nostri assalitori voltarono gli sguardi verso uno dei corridoi, nel quale pareva fosse appena scoppiato un incendio. Noi facemmo lo stesso.

In pochi attimi il panico si dilagò, mettendo in fuga tutti gli orchetti e lasciando noi confusi e senza parole.

-Cos'è questa nuova diavoleria?- chiese Boromir, dando voce al pensiero che affiorava a tutte le nostre menti.

-Un Balrog, un demone del mondo antico e un nemico al di là delle nostre forze. Fuggiamo!!-

 

***

 

Mi accasciai al suolo, le lacrime che premevano agli occhi per uscire. Lo avevamo perso, io lo avevo perso. Gandalf era caduto nel precipizio assieme a quella creatura solo per salvare noi.

-Proteggilo- mi aveva detto prima del folle gesto, riferito molto probabilmente a Frodo e io, senza capire il motivo di tale improvvisa raccomandazione, avevo semplicemente annuito.

Lo avevo guardato negli occhi mentre se ne stava appeso sull'abisso, mentre ci gridava di andarcene. Ero corsa ad aiutarlo, ma Legolas mi aveva trattenuto. Avevo cercato di liberarmi, gli avevo gridato di lasciarmi andare, lo avevo addirittura pregato, ma quello semplicemente aveva poggiato una mano sulla mia nuca e mi aveva fatto nascondere il viso nell'incavo del suo collo.

Quando avevo sentito Frodo urlare, avevo chiuso gli occhi e stretto il tessuto morbido degli abiti dell'elfo, imponendo alla mia mente di non cedere, che avrei avuto tempo di piangere per il mio amico, per il padre che non avevo mai avuto.

Così, come attraversata da una scarica elettrica, mi scostai da Legolas, il quale per un attimo mi parve confuso della mia reazione, per poi superarlo senza una parola e raggiungere l'hobbit e Boromir, spariti in una delle gallerie.

Sentivo le frecce che si infrangevano contro i costoni di roccia, ringraziando i Valar che ormai fossimo in salvo, ma subito il pensiero andò allo stregone e il mio cuore si strinse ancora di più.

-Niniel, non ti fermare- sentii dire alla voce di Aragorn alle mie spalle.

Costrinsi quindi le gambe a continuare a correre, sino a quando i miei occhi non vennero feriti dall'improvvisa luce del sole. Eravamo finalmente usciti da Moria.

Dopo qualche metro le ginocchia infine cedettero e tutto il peso di ciò che ci era accaduto mi schiacciò come un macigno. Nessuno parlava, eravamo ancora troppo scossi per dire qualunque cosa.

Imposi alle lacrime di non uscire, nonostante avvertissi i pianti soffocati degli hobbit e anche quelli del coraggioso Gimli. Ognuno di noi aveva perso qualcosa in quelle miniere. La scomparsa dello stregone ci aveva sconvolto, ad alcuni più di altri. Chi ci avrebbe guidato da quel momento in avanti?

-Legolas, falli alzare- sentii dire al ramingo.

Puntai lo sguardo su di lui, senza capire come in quel momento non riuscisse a rispettare il nostro lutto, come non riuscisse a capire come ci sentivamo e, ne ero certa, anche lui soffriva, nonostante riuscisse a mascherarlo bene.

-Concedi loro un momento, te ne prego- disse allora Boromir e in quell'istante lo ringraziai, provando rispetto per colui che tra noi possedeva di gran lunga l'animo più umano.

-Stanotte queste colline brulicheranno di orchi. Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien-

A quel nome la mente lentamente mi si annebbiò, sentendomi come se il respiro mi fosse stato strappato dai polmoni. Altri elfi, dannazione, altri elfi che non avrei più voluto incontrare!!

Sentii in quel momento dei passi farsi vicini e alzando leggermente il capo notai Legolas che mi tendeva la mano. Indugiai per qualche secondo, non avendo cancellato il modo in cui mi aveva trattato, ma al tempo stesso gli ero grata per avermi permesso per ben due volte di tornare a respirare l'aria fresca di quelle montagne. Ero confusa però: perchè nelle miniere il suo comportamento nei miei confronti pareva quasi premuroso?

-Andiamo- mi disse solo, lo sguardo tornato di nuovo impassibile come al solito, che non faceva trapelare niente, nonostante fosse evidente che anche lui stava soffrendo per la scomparsa del nostro amico.

Per un attimo riuscii a intravedere al di sotto della dura corazza che il principe di Bosco Atro mostrava al resto di noi e la cosa mi destabilizzò, un pò come era successo con Arwen. Così, nonostante non volessi mostrargli la mia debolezza, afferrai la mano che quello mi porgeva e mi rimisi in piedi.

-Grazie- sussurrai, senza però fermarmi.

Affiancai Aragorn, fissando la distesa boschiva di Lothlorien. Uno strano presentimento mi fece rabbrividire. Poi, lanciando un'ultimo sguardo alla montagna alle nostre spalle, dissi:

-Quel esta, Mithrandir [3]-

 

[1] Per i Valar

[2] Fuoco

[3] Buon riposo, Mithrandir

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Capitolo 7
*** Lothlorien ***


 

ANGOLO AUTRICE:
Eccomi di nuovo qui a deliziarvi (o toturarvi...) con un nuovo capitoletto. Niniel e compagni giungono alle foreste di Lorien e qui li attenderanno altre sorprese. Premetto: in questo e nel prox capitolo si aggiungerà qualche nuova informazione sulla nostra protagonista. Spero solo di non aver reso le cose troppo forzate.
Detto questo vi lascio alla lettura e spero in nuove recensioni XD

 

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 
CAP VII -LOTHLORIEN

 

 

-State vicini giovani hobbit. Dicono che una grande fattucchiera viva in questi boschi. Una strega elfo, con poteri straordinari. Tutti quelli che la guardano, cadono sotto il suo incantesimo-

Sorrisi ad udire le parole di ammonimento del nano, pensando che in fondo non si sbagliava poi di molto.

Protetti dalle folte chiome degli alberi della foresta procedevamo con passo prudente verso Lothlorien, fiduciosi nel trovare aiuto in quelle terre, ma io non riuscivo neanche quella volta ad essere tranquilla. Erano passati molti anni da quando avevo messo piede in quei luoghi e i ricordi che ne avevo non erano certo dei migliori o almeno non tutti.

Un fruscìo di foglie mi fece alzare gli occhi verso il cielo, ricordandomi solo allora che le fronde erano talmente fitte da impedirne la visione. Ma c'era qualcosa nel vento, un presagio.

-Mellonamin [1]-

Una fitta alla testa mi fece gemere, ringraziando però che nessuno se ne fosse accorto.

-Il tempo sta scadendo-

-Resisti ancora un pò, te ne prego-

-Dammi la forza, Roquen [2]...-

Come era apparsa, la voce scomparve e assieme a lei parte delle mie forze. Ma aveva ragione: non c'era più tempo. Riuscivo a percepire, anche se lontana, la sua sofferenza, la forza con cui resisteva, la volontà di aspettarmi, ma stava diventando debole e io ormai non riuscivo più a mantenere costante il legame.

Fui scossa da quei pensieri da un rumore di passi attorno a noi, impercettibile e veloce, e prima ancora che avessimo il tempo di reagire ci trovammo circondati da un piccolo gruppo di elfi con le frecce incoccate e non certo le migliori intenzioni.

-Il nano respira così forte che potremo colpirlo nel buio-

Indurii lo sguardo, avendo riconosciuto la voce e d'istinto arretrai di un passo. Per fortuna avevo optato per la coda del gruppo, sperando di passare inosservata e, come potei appurare dato il modo in cui fui ignorata, la mia idea era stata giusta.

Vidi Aragorn avvicinarsi al nuovo arrivato, iniziando a parlare in elfico, probabilmente spiegandogli il motivo per cui ci trovavamo a calpestare quei suoli.

-Aragorn, questi boschi sono pericolosi. Torniamo indietro- disse allora Gimli, una celata supplica nel suo tono.

Io, al suo fianco, d'istinto alzai una mano e gliela posi sulla spalla, cercando di infondergli un pò di sicurezza. Da quello che lo sguardo del nano mi trasmise probabilmente avevo fatto bene.

-Siete entrati nel reame della Dama dei boschi. Non potete tornare indietro-

Il corpo mi si irrigidì e non giovò il fatto che lo sguardo dell'elfo si era posato su di me. Incontrai i suoi occhi e notai quasi un sorriso aprirsi nella sua espressione impassibile.

-Niniel- disse allora, facendo voltare tutti a guardarmi, ma non me ne curai continuando a fissarlo.

Il suo tono era freddo, più di quello che aveva rivolto ai restanti membri della compagnia.

-Haldir- risposi, con lo stesso tono che mi era stata riservato.

-Hai deciso di redimere le tue colpe compiendo questa folle impresa? Mi stupisco- mi disse in elfico.

-Mi ritengo onorata allora di aver suscitato tale sorpresa nel tuo nobile animo. Ma le colpe di cui mi accusi non hanno certo bisogno di redensione, dato che non le ho già espiate. A dire il vero speravo di non calpestare più questi suoli per molti anni ancora- ribattei nella stessa lingua.

-Lo speravo anch'io- rispose lui.

Dopodichè, voltandoci le spalle, concluse:

-Venite, lei aspetta-

 

***

 

La residenza della Dama era esattamente come la ricordavo, così perfetta e immacolata, abitata da esseri talmente belli e puri, che ad ogni passo mi sentivo sprofondare nell'apatia come in un mare di sabbie mobili. Ma la loro era apparenza, lo sapevo per esperienza, in quanto avevano l'animo guastato dagli stessi timori e le stesse invidie degli uomini. Avevano solo più tempo per viverle e renderle invisibili.

Gli occhi di chiunque incontrassimo erano puntati sulla compagnia. Per quello che mi riguardava, mi carcai meglio il cappuccio sulla testa, il quale avevo provveduto a reindossare, attirando probabilmente molta più attenzione di quanto già non stessi facendo.

Percorremmo gradinate e camminamenti, passando davanti ad abitazioni costruite in grandi alberi secolari, rispettando alla lettera la unanime credenza che aleggiava sugli elfi e sul loro rispetto della natura.

Calpestare nuovamente quelle vie risvegliava in me qualcosa che faceva male, un dolore al petto, un uggia che non taceva, ma che al tempo stesso mi portava molta nostalgia. Ricordavo i canti soavi che al mattino mi svegliavano al posto del canto del gallo e la luce soffusa e bellissima che rischiarava tutto l'ambiente attorno, l'aria di quiete che si respirava ad ogni passo. Ma c'era qualcosa che non andava, un cambiamento invisibile, ma che era comunque percepibile per chi aveva percorso quei suoli negli anni.

Giungemmo infine al Grande Albero, il centro del regno di Lothlorien, dal fusto largo e antico, attorno al quale erano state costruite le scale che ne percorrevano la circonferenza, delimitate da tante piccole e fini colonne e il soffitto a volta finemente lavorato. Tra le sue radici mi fermai, osservandone la cima nascosta dall'altezza e dalle fitte fronde. Sospirai, preparando la mente all'incontro con la Dama e il consorte. Ma poi ero davvero pronta?

Cominciammo quindi la risalita, sino a giungere in un ambiente candido e luminoso, quasi fossimo risaliti sino al regno dei Valar. Alle spalle di Frodo, notai l'hobbit titubare. Sapevo come poteva reagire un estraneo dinnanzi a tanta perfezione, figurarsi lui che sino ad allora non aveva mai abbandonato la Contea. Inoltre ero più che convinta che il potere per il quale era famosa Dama Galadriel stesse già operando su ognuno dei presenti, lo vedevo nei loro occhi, lo sentivo nei loro respiri.

Quando giungemmo al cospetto della residenza reale, l'aria inavvertitamente mi si bloccò in gola. Ero realmente pronta per quell'incontro? Al contrario di Gran Burrone, in quei luoghi non mi sentivo affatto minacciata, anzi, cosa che non mi permetteva affatto di stare tranquilla.

Uno alla volta i membri della compagnia accedettero alle stanze dei re, io per ultima. Prima di muovere l'ultimo passo però, una presa ad una spalla mi fece fermare. Mi voltai appena, quel tanto che mi bastava per scorgere il volto della nostra guida.

-Non importa quello che sarai disposta a fare Niniel. Nessuno potrà cancellare il tuo peccato-

-Non sono stata io a volerlo. Me lo avete semplicemente affibbiato. Poi ne ho solo accettato le conseguenze- risposi lapidaria, scrollando le spalle quanto mi bastava per liberarmi dalla presa dell'elfo.

Non appena mi ritrovai ai piedi della bianca scalinata dalla quale stavano scendendo la Dama e il suo sposo, l'eco della voce di lei prese lentamente piede nella mia testa. Cercai di ignorarla, per quanto possibile, ma quell'intonazione e quel modo di trovare sempre le giuste parole mi riportava alla mente dei lontani ricordi, quei pochi che non avevo cercato di cancellare.

Alzai allora lo sguardo, incontrando le due candide figure di Galadriel e Celeborn, eterei, i quali parevano sprigionare luce propria.

-Nove sono qui, eppure dieci si sono allontanati da Gran Burrone. Dimmi, dov'è Gandalf, perchè molto desidero parlare con lui-

Le parole di Celeborn ci trafissero come una miriade di piccoli aghi e nessuno di noi ebbe il coraggio di rispondere. Ci limitammo ognuno ad abbassare lo sguardo, guardare da qualsiasi parte che non fosse quella dei due sovrani.

Ci pensò la Dama a rispondere al consorte:

-Egli è caduto nell'ombra. La vostra missione è sulla lama di un coltello, una piccola deviazione ed essa fallirà. Per la rovina di tutti-

-Tu lo sai bene, non è vero, Niniel?-

La sua voce mi rimbombò nella testa, provocandomi una lieve fitta alla tempia.

-Ennas ad estel [3], mia signora- ribattei.

-Perchè solo ora hai fatto ritorno, mia cara Niniel? Ancora cerchi quello che ti è stato sottratto?-

-Hai già una risposta alla tua domanda, mia signora. Lothlorien non è più casa mia da molto tempo ormai-

-Me ne dispiaccio. E cosa accadrà quando i tuoi compagni scopriranno quel che vai cercando?-

Alzai il capo, fissando intensamente negli occhi la dama bianca, impassibile nel suo candore.

-Ci penserò quando verrà il momento-

Poi quelle parole:

-Ancora lontana sei dalla tua meta, mia cara. Lontana ancora dal raggiungimento della tua completezza. Le ombre minacciano il tuo legame, la magia nera tenta di spezzarlo e con esso anche la forza che trai dal tuo compagno. Lo sento, lo avverto in ogni tuo battito-

Quelle parole per un attimo mi fecero facillare, facendomi d'istinto portare una mano al petto, all'altezza del cuore. Ma io lo sentivo, avvertivo la sua presenza, ero certa che non fosse ancora troppo tardi.

Poi Galadriel riprese a parlare:

-Ma la speranza permane sino a quando la compagnia sarà fedele. Che i vostri cuori non si turbino, ora andate a riposare perchè siete logori dal dolore e dalla molta fatica. Stanotte dormirete in pace-

Vidi la Dama posare lo sguardo sul povero Frodo e io, d'istinto, alzai una mano e la poggiai sulla sua spalla, risvegliandolo dall'incanto dell'elfa. In silenzio ci congedammo. Io stavo per seguire gli altri, quando la voce di Galadriel mi fermò:

-Niniel, resta. A lungo ho desiderato parlare di nuovo con te-

Lanciai una veloce occhiata ai miei compagni, poi, calandomi il cappuccio con un colpo secco, risposi:

-E sia-

 

***

 

Sospirai, non appena il mio corpo si immerse nell'acqua calda di una delle fonti naturali che nascevano dal sottosuolo di Lothlorien. La pozza era circondata da arbusti dai colori argentei e dure pietre che ne impedivano la vista ad occhi indiscreti. Per quel motivo mi liberai velocemente dei vestiti, ormai da buttare perchè impregnati del sangue nero degli orchi, ed entrai nell'acqua, incurante degli sguardi di due elfe che provvederono a far sparire i miei vecchi abiti e fornirmene di nuovi. Abbandonai il capo contro il bordo di pietra, mentre i miei lunghi capelli scivolavano sulla superficie facendoli assomigliare a tanti serpenti. Il colloquio con Galadriel era stato lungo e spossante, soprattutto per me. Poi le sue insistenti domande su Frodo e l'Anello mi avevano insospettito molto. Negli occhi della Dama c'era qualcosa di strano, di nuovo, avrei osato dire addirittura di malvagio. I miei ricordi di lei erano diversi e quasi mi fecero paura.

Lentamente afferrai un panno alle mie spalle, impregnato e profumato di essenza di niphredil, immergendolo poi nell'acqua e passandomelo sul viso, abbandonandomi per un attimo al tepore e, di conseguenza, ai ricordi di quanto accaduto solo qualche giorno prima. Nella mente si ripresentò prepotente l'immagine dello stregone che precipitava nel buio, del suo sguardo per la prima volta colmo di dubbio, della sensazione che avevo provato non potendolo aiutare. Poi, subito dopo, la sensazione di calore che avevo provato quando Legolas mi aveva stretto contro il suo petto, come se avesse avuto realmente intenzione di proteggermi.

Lentamente, sempre con quei pensieri in testa, spostai il panno umido anche su alcune delle ferite che mi ero provocata durante lo scontro con gli orchi, troppo presa dagli eventi per rendermene conto sino a quando non mi ero liberata degli indumenti. Per fortuna la maggior parte di esse si stavano già rimarginando e in quel momento ringraziai la parte elfica ereditata da mio padre, un uomo assente, che io avevo intravisto solo poche volte quando ancora faceva visita a mia madre. Ma lei lo amava, scusandolo continuamente, sino a quando anche le scuse si erano esaurite.

Poi lo sguardo mi si spostò sul palmo della mia mano, accarezzando la cicatrice a forma di spirale che mi ero procurata molti anni prima. A volte riuscivo ancora a sentirla bruciare.

Quando ormai la mia pelle stava cominciando a risentire del calore di quell'acqua, raggrinzendosi sulla punta delle dita, decisi che era il momento di uscire.

Così, voltandomi verso il bordo e facendo forza con le braccia, abbandonai quell'accogliente conca termale, rabbrividendo al contatto con l'aria senz'altro più fresca. Passai le dita tra i capelli sciogliendone i nodi, per poi strizzarli per far scorrere via anche l'acqua in eccesso. Mentre afferravo un largo panno con cui fasciare il mio corpo, nell'aria avvertii diffondersi il canto degli elfi, i quali rendevano omaggio allo stregone grigio, caduto nell'oscurità di Nanosterro.

 

***

 

Il principe di Bosco Atro passeggiava solitario tra gli antichi alberi del regno di Lothlorien. Si era allontanato dal gruppo non appena il lamento funebre per Gandalf aveva preso a viaggiare nel vento. Il dolore che provava gli aveva a poco a poco oscurato il cuore, lui, abituato ad essere sempre così rigido e impassibile, in quel momento soffriva. A causa però del suo profondo orgoglio, insegnatogli dal padre nel corso dei secoli, aveva preferito non mostrarsi agli altri, soprattutto ad Aragorn, capace di capire un suo minimo turbamento solo guardandolo in volto.

Mentre ancora camminava senza una meta precisa avvertì nell'aria un singolare profumo, il quale lo inebriò sino nel profondo. Chiuse gli occhi, acuendo tutti gli altri sensi. Alle orecchie gli giunse il suono di acqua che si muoveva, un sospiro che si perdeva in quel suono.

Come guidato da una strana forza a lui sconosciuta, inconsapevolmente, si trovò in prossimità di una piccola buca naturale piena di acqua calda, nella quale stava immersa una figura che gli voltava le spalle, senz'altro femminile, la quale pareva rilucere di quel singolare bagliore che rischiarava quei luoghi, così diverso da quello che caratterizzava la casa di re Thranduil.

In quel momento vide la sconosciuta riprendere una posizione seduta, probabilmente intenzionata ad abbandonare quel bagno ristoratore. Nonostante la curiosità che gli invadeva il petto, la sua indole di principe lo costrinse a cercare un rifugio, in modo da non essere sorpreso a spiare una così eterea creatura.

Quando però quella si voltò, qualcosa dentro di lui mutò, riconoscendo in quei tratti la mezz'elfa degli occhi viola. Quando la vide sorgere dall'acqua in tutta la sua nudità si costrinse a voltarsi, improvvisamente roso da due contrastanti sentimenti: da una parte era rimasto affascinato da quell'aura magica che circondava la sua compagna di viaggio, attirato come un Vagabondo dall'oro. Dall'altra non riusciva a perdonarsi il fatto che, solo per un istante, fosse rimasto affascinato da quella donna che per lui era più mistero che verità. Poi però, lentamente, tornò a guardarla.

Non potè però fare a meno di osservarne il corpo candido, corrotto però da numerose traccie della sua vita di guerriera, la schiena liscia, le spalle piccole, le gambe snelle e ben allenate. Deglutì sonoramente, per poi tornare improvvisamente se stesso non appena lei si coprì con un candido panno di seta, nascondendosi ai suoi occhi. Poi, cogliendolo di sorpresa, gli parlò.

 

***

 

-Sai che non è educato spiare una donna mentre fa il bagno?- dissi a qualcuno alle mie spalle, avendone avvertito la presenza non appena ero uscita dall'acqua.

-E' strano, qui non vedo nessuna donna- mi rispose la voce di lui, seguito da un fruscìo di foglie, il che stava probabilmente a significare che aveva abbandonato il suo nascondiglio.

Per un attimo mi sentii ferita dalle sue parole e ringraziai il fatto che gli stavo voltando le spalle. Perciò dissi:

-Ti spiace?-

Gli indicai il mucchio di abiti che le elfe mi avevano consegnato. Lo sentii sbuffare, ma il suono dei suoi passi mi indicò che aveva raggiunto le vesti e che me le stava porgendo.

Afferrai la camicia color avorio. Dopodichè mi voltai un poco, fulminandolo con lo sguardo.

-Potresti almeno voltarti?- gli chiesi fredda.

Lo vidi alzare le mani in segno di resa e obbedire al mio gelido invito. Così, quando mi fui accertata che lui non mi stesse guardando, lasciai lentamente scivolare a terra il panno che mi copriva, infilandomi velocemente l'indumento, rabbrividendo a contatto con la stoffa fresca.

-Posso girarmi? Questa cosa sta diventando alquanto ridicola- chiese lui.

-Non ti azzardare- dissi, infilando poi i pantaloni scuri e gli stivali di pelle morbidi. Dopodichè infilai anche un piccolo paio di guanti senza dita.

Finalmente fui io a girarmi, notando che anche lui si era cambiando d'abito e che a quella luce aveva assunto l'aura candida di qualunque elfo che si rispetti. Mi schiarii allora la voce, dicendo:

-Dunque, non ti facevo un guardone, principino-

Anche lui allora tornò a fissarmi in viso, regalandomi uno dei suoi gelidi sguardi. Di tutta risposta io mi schiusi in un sorrisetto furbo.

-Colto nel segno?-

-E perchè mai avrei interesse a guardare proprio te?-

-Ah, non lo so. Sei tu che stavi nascosto come un ladro- risposi, superandolo poi con l'intenzione di andarmene.

La strada fu però bloccata dalla sua “regale” persona, la cui faccia mi fece capire che non aveva alcuna intenzione di permettermi di allontanarmi.

-Non credere che non abbia notato il modo in cui la Dama ti si è rivolta. È come se già ti conoscesse. Non credi sia il momento di diradare la coltre di mistero che ti ostini ancora a mantenere? Penso tu ce lo debba, no?-

-Non so di cosa tu stia parlando- cercai di sviare, ma il suo sguardo mi incatenò letteralmente a lui.

Di colpo mi sembrò di cogliere di nuovo quella stessa scintilla che avevo intravisto quando mi aveva impedito di vedere Gandalf cadere facendomi nascondere il viso contro il suo petto. Se non fosse stato impossibile, avrei giurato di stare arrossendo.

-Perchè non vuoi che ci fidiamo di te, Niniel?-

Era la prima volta che mi chiamava per nome e dovevo ammettere che mi faceva davvero uno strano effetto, come se all'improvviso mi sentissi fragile come un pezzo di cristallo.

Così, inconsapevolmente, qualcosa dentro di me mi disse che potevo fidarmi. Potevo finalmente parlare con qualcuno di quel passato che avevo sempre cercato di nascondere, o almeno una parte di esso.

Alzai lentamente una mano, poggiandola sul suo braccio e giurai di averlo sentito sussultare a quel contatto.

-D'accordo, ma tu devi promettermi di non dire niente sinchè non avrò finito-

 

[1] Amica mia

[2] Cavaliere

[3] C'è sempre speranza

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Capitolo 8
*** Una nobile discendenza ***


 

ANGOLO AUTRICE:
Eccomi nuovamente qui a deliziarvi con i miei scleri. Finalmente scopriamo qualcosa su Niniel e, spero vivamente, di non aver reso le cose troppo pesanti e neanche forzate.
Torno a ringraziare quelli che mi seguono e recensiscono, anche se qualcuno si è perso per strada XD
Un saluto Marty

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 
CAP VIII – UNA NOBILE DISCENDENZA

 

 

Camminammo in silenzio e a lungo, lui che attendeva che cominciassi a narrare, ma probabilmente senza il coraggio di farmelo presente, io cercando le parole adatte per affrontare quel racconto.

Ci fermammo poi ai piedi di uno dei grandi alberi, dal quale si poteva scorgere un poco della valle che ci circondava, percorsa dal grande fiume Anduin, il quale brillava ai timidi raggi della luna. Mi sedetti, continuando a fissare l'orizzonte davanti a me.

-La prima volta che vidi questi luoghi fu quando ero solo una ragazzina, poco dopo che Gandalf mi ritrovò tra le rovine del mio villaggio, il giorno in cui mia madre fu brutalmente trucidata. Fui accolta in modo amorevole dalla minor parte di questa gente, in quanto i miei occhi incutevano timore a chiunque li incrociasse. Penso tu abbia saputo del trattamento che mi hanno riservato al mio arrivo a Gran Burrone-

Vidi un suo accenno con il capo.

-Bene. Non fu così esemplare, ma ugualmente freddo. Chiesi a Gandalf il perchè mi avesse portato proprio qui, dove tutti mi guardavano come se fossi una bestia, e lui semplicemente mi rispose che in questo regno vi erano gli ultimi componenti di quella che potevo considerare una sorta di famiglia-

Notai lo sguardo di lui riempirsi di stupore, così, alzandomi e spolverando le vesti, gli feci cenno di seguirmi, rivolgendogli al tempo stesso un sorriso sincero.

Giungemmo in breve ad un largo tronco cavo, l'interno rischiarato da particolari licheni luminosi. Piegando un poco la testa, vi entrai, facendo cenno all'elfo alle mie spalle di fare lo stesso.

-Cosa vuoi mostrarmi?- mi chiese curioso.

Non gli risposi, indicando solo una delle pareti dell'albero. Lui spostò lo sguardo, rimanendo per un attimo interdetto. Poi capì.

Lentamente si avvicinò, poggiando una mano sulle chiare incisioni del legno, tutte in lingua elfica.

-Questo è l'albero genealogico della casata di Finarfin, quella da cui discendente Dama Galadriel. Continuo però a non capire-

-Guarda- dissi solo, avvicinandomi a lui sino ad affiancarlo.

Dopodichè posai la mano sull'incisione elfica di Galadriel, per poi spostarla alla sua sinistra, sino a fermarmi su di un altro nome: Findor Felagund, signore delle caverne, amico degli uomini.

Quando notai lo sguardo attento dell'elfo, il quale mi fece sorridere teneramente, feci allora scivolare la mano più in basso, sino a sfiorare delle lettere che parevano incise molto più recentemente.

-Niniel, elandili [1]- lo sentii sussurrare.

-Ho scoperto il nome di mio padre solo una volta giunta qui, quando fu la stessa Galadriel a mostrarmi questo luogo-

-Questo fa di te una discendente di Finarfin. Ma come sei finita allora lontano da qui?-

-Mio padre non venne a caso soprannominato “amico degli uomini”. Lui ne era incuriosito, voleva conoscere tutto di loro, usanze e modi di vivere. Ne era talmente affascinato da invaghirsi di una di loro, Rinie, un'ancella che viveva alla corte dei signori di Gondor. Lei era ingenua e tremendamente innamorata di quell'uomo così bello ed estraneo al suo mondo, tanto da farsi irretire e farsi mettere incinta. Quando Findor lo seppe, non volle riconoscermi, non voleva saperne di avere un erede che non fosse di sangue puro come si richiedeva alla sua casata. L'unica che però era contrariata dal suo atteggiamento era proprio sua sorella, Galadriel, la quale gli imponeva di prendersi le sue responsabilità e fu anche per questo che quando fui presentata come sua nipote, mi accolse senza pregiudizi, trattandomi come una figlia, avendo pietà di me e non perdendo mai l'occasione per criticare il comportamento di suo fratello. Nonostante però un iniziale presa di responsabilità, Findor non esitò ad abbandonare Riniel, incinta di me, in un isolato villaggio a sud della Terra di Mezzo, dopo averla costretta a fuggire per mesi, facendole visita solo qualche rara volta e solo perchè Galadriel glielo imponeva. Non chiese mai di me, nè se stavo bene, nè se avevo voglia di conoscerlo. Cominciai ad odiarlo e tuttora non riesco a farne a meno. Pensai addirittura che mia madre non gli avesse mai raccontato della mia esistenza, solo per cercare una scusante alla sua freddezza nei confronti della mia stessa nascita. Scoprii solo dopo che quel bastardo era in realtà legato da un amore eterno con un'elfa, alla quale aveva promesso che mai si sarebbe unito ad altra donna. E la sua promessa l'ha mantenuta, a discapito mio e di mia madre. Lei, fino all'ultimo giorno, non ha mai potuto odiarlo, inventando un'infinità di bugie sulla sua assenza nella mia vita, tanto che alla fine neanche lei riusciva più a crederci. Quando la vedevo piangere per quell'uomo che mai aveva provato nei suoi confronti neanche un briciolo dell'amore che invece quella donna sentiva nei suoi, mi veniva voglia di trovarlo e togliergli la vita io stessa-

Strinsi i pugni lungo i fianchi a pronunciare quelle parole, in quanto sentii improvvisamente tutto il rancore provato in quegli anni e tenuto nascosto al mondo venire prepotentemente a galla, invadermi come la febbre.

Notai lui che mi osservava, probabilmente accortosi della mia reazione.

-Cosa accadde dopo?-

-Che ti fa pensare che ci sia un dopo?- domandai, affrettandomi ad uscire in cerca di aria, seguita a ruota dall'elfo biondo.

Mi sentii afferrare per un polso e fui costretta a voltarmi nuovamente verso di lui. Sentivo gli occhi pungere ripensando agli eventi di quella notte, al giorno in cui mi esiliarono per colpa di una mia mancanza. Improvvisamente una vampata di puro fuoco mi invase il corpo, mentre nella testa un ruggito di bestia si risvegliava, rendendomi quasi sorda.

D'istinto nascosi il viso tra le mani, cominciando a tremare, sentendo il corpo che stava chiedendo ossigeno, non preparato ad un'altra crisi. Dovetti quindi poggiarmi al tronco dell'albero con una mano, sostituendola in breve con la schiena, scivolando lentamente a terra, incurante delle vesti pulite che si sarebbero sporcate.

Il respiro divenne affannoso, il cuore prese a battere impazzito. Alzai il mento in cerca d'aria, mentre una mano la poggiai sul petto. Poi un'ombra mi oscurò la vista.

-Niniel, cosa succede?- sentii chiedere alla voce, per la prima volta preoccupata, dell'elfo.

Ma mi giungeva lontana, ovattata. D'istinto alzai la mano libera, andando ad afferrare il tessuto della sua casacca.

-Parlami- dissi con un sospiro.

-Niniel, guardami- mi disse, ma non lo sentii neppure.

Il mio unico pensiero era riuscire a respirare. Poi mi sentii afferrare prepotentemente il viso, costringendomi a riportare lo sguardo di fronte a me, incontrando nuovamente i suoi occhi.

-Tiro na nin [2]...- mi disse flebile, a poca distanza dal mio volto.

Io obbedii, perdendomi per un attimo in quei due pozzi così azzurri e riuscendo ad allontanare il panico che mi attanagliava. Fu come ritrovarsi a fluttuare nel vuoto, persa nel vento, come un uccello. Improvvisamente il cuore si fece leggero, mentre esitante alzavo una mano verso una delle due che lui mi teneva attorno al viso. Ma desistetti, temendo di mostrarmi debole. A poco a poco però sentii il respiro tornare regolare, ma non distolsi lo sguardo sino a quando non fu lui ad interrompere il contatto.

-Cosa ti è preso?- mi chiese in maniera quasi tenera, passandomi poi una mano tra i capelli.

-Adesso sto bene- risposi, non riuscendo a guardarlo negli occhi.

-Allora? Vuoi spiegarmi?- mi domandò ancora, sedendosi al mio fianco.

Rimasi in silenzio per un attimo, cercando di non cedere ad un altro attacco e di regolarizzare il respiro.

-Volevi sapere perchè non sono rimasta qui? Mi hanno esiliata, principino- risposi, quasi ghignando.

-Esiliata? Perchè? E comunque vuoi smettere di chiamarmi così? Ho un nome-

-Pensavo di non essere degna neanche di pronunciarlo- dissi acida, ma al tempo stesso con fare canzonatorio, ricordando le sue parole sulle rive del lago.

Lui, senza guardarmi, rispose:

-Potrei aver cambiato idea-

Rimasi sorpresa della sua risposta e un sorriso mi sorse spontaneo sulle labbra. Lentamente mi circondai le gambe con le braccia, stringendomele al petto, poggiando poi il mento sulle ginocchia. Volevo calibrare bene le parole in modo da rendere quei ricordi il meno dolorosi possibile.

-Avevo un maestro negli anni della mia permanenza qui, Urèr, un elfo che aveva partecipato alla prima guerra dell'Anello, da allora restìo a combattere se non nei casi in cui fosse stato strettamente necessario.

“Ho visto così tanta violenza in quei giorni da bastarmi per una vita intera” diceva sempre. Fu uno dei pochi a trattarmi in maniera gentile, in lui rivedevo il padre che non avevo mai avuto. Al suo fianco c'era sempre Haldir, inseparabile migliore amico, per me come un fratello maggiore.

Crescendo e acquisendo sempre più sicurezza in me stessa, cominciai anche a divenire imprudente. Un giorno, durante un pattugliamento con Urèr, notammo un gruppo di orchi in avanscoperta. Li avrei lasciati perdere se tra loro non avessi riconosciuto quello che avevo visto durante l'attacco al villaggio e responsabile della morte di mia madre, un tatuaggio scarlatto ad un lato del viso, un ramo di rovi, tratto che non avrei mai dimenticato.

Nonostante avessi vissuto per molto tempo con gli elfi e in qualche modo avessi acquisito una parte della loro freddezza e del loro temperamento, la mia parte umana in quell'istante chiedeva vendetta e, se non fosse stato per il mio maestro, probabilmente sarei saltata fuori dal mio nascondiglio e avrei rischiato di venire uccisa nel tentativo di mettere fine alla vita di quei bastardi. Mi convinse che la vendetta non era la via giusta, che uccidendo l'orco non avrei comunque riportato in vita mia madre.

Allora lo ascoltai, come sempre. Negli anni avevo cominciato a dipendere da lui in maniera strana, mai provata e, quando ebbi il coraggio di parlarne con mia zia, lei mi rispose che probabilmente stavo provando quello che si chiama amore. Lo capii con il tempo, io amavo il mio maestro, ma lui ricambiava solo con un fraterno affetto, per questo non glielo confessai mai.

Misi quindi da parte la vendetta, tornando a vivere i miei giorni in compagnia di Urèr e Haldir, sino a quando un messaggero non giunse con la notizia di un attacco ad un paio di villaggi poco lontani dai nostri confini. Non vi prestai molta attenzione, se non fosse che parlò di un orco con un tatuaggio scarlatto. In quell'istante dentro di me si risvegliò nuovamente la volontà di ucciderlo.

Quella notte mi ritrovai a sognare il massacro del mio villaggio, i volti mostruosi degli orchi che uccidevano senza distinzione, mia madre che mi diceva di nascondermi sotto le assi del pavimento della nostra casa e di non uscire sino a quando non avessi udito più alcun rumore. La vendetta mi logorava a tal punto che chiesi udienza a Dama Galadriel, pregandola di mandarmi ad uccidere quel gruppo di orchi che si era spinto così oltre verso i nostri confini. Come mi aspettavo, lei rifiutò, comunicando ogni cosa anche ad Urèr. Ma io non demorsi.

Una notte mi allontanai da Lothlorien, armata di Carnil e dei miei pugnali, da sola. Ero giovane, imprudente, e quella decisione mi costò cara. Haldir e Urèr furono mandati a cercarmi e riportarmi indietro, non appena si accorsero della mia assenza. Riuscirono a intercettarmi poco prima che pianificassi un attacco suicida, a pochi metri dall'accampamento nemico. Cercarono entrambi di convincermi a tornare indietro, ma io cocciuta, non volevo saperne. Fu allora che accadde.

Impegnati nella nostra discussione, non ci rendemmo conto di essere stati scoperti. Mentre stavo urlando contro Haldir e lui mi rispondeva con la stessa enfasi, fummo interrotti solo da un rumore di vetri infranti e da un grido soffocato che si trasformò in breve in un urlo straziante.

Non potrò mai dimenticare quello che vidi: Urèr, il mio maestro, metà del corpo trasformato in una pira umana, mentre i suoi occhi mi fissavano con sconforto. Sentii Haldir gridare il nome dell'amico, mentre io cadevo in ginocchio senza sapere cosa fare. Una nuvola di frecce ci colse impreparati, ferendo me ad una spalla e Haldir all'addome. Ma Urèr non morì. Haldir, nonostante la ferita, se lo caricò sulla schiena, riportandolo sino alle porte di Lothlorien, dove i soldati respinsero l'orda e noi fummo salvi. Il mio maestro però perì comunque, sotto le cure dei nostri eruditi.

U ùgarth lin [3]” mi disse come ultima cosa e solo ora sorrido alla stupidità di quella frase, dato che non riuscì affatto a farmi sentire meglio, anzi.

Io e Haldir non ci parlammo più da quel giorno. Ogni volta che lui incrociava il mio cammino, distoglieva lo sguardo. Me lo ritrovai davanti solo quando, a malincuore, Galadriel mi processò per tradimento e disobbedienza ad un ordine, condannandomi all'esilio, e lui faceva parte dell'accusa. Da quel giorno, nonostante i miei anni di allontanamento siano scaduti, non sono più tornata qui. Questi luoghi mi fanno rivivere la mia colpa, la mia infantile stupidità che ha fatto perdere la vita a uno dei pochi uomini che per me sono stati importanti.

Bene, ora sai tutto quello che dovevi sapere su di me e sul mio passato-

-A dire il vero non proprio tutto-

Lo fissai allora, stupita, cercando di capire a cosa si riferisse.

-Conosco molti mezz'elfi. Lo stesso Elrond lo è. Tutti però vivono tra di noi come se niente fosse. Perchè con te dovrebbe essere diverso?-

Dopo un attimo di stupore, mi venne quasi da ridere. Alzai quindi gli occhi verso le chiome degli alberi, per poi dire:

-Hai mai sentito parlare dell'Alta Isil [4]?-

Lui fece un cenno di dissenso.

-Legolas, guarda la luna, così piccola e inarrivabile. Pensa a quella stessa luna, talmente grande da parer toccare la terra. Ecco, la notte in cui io nacqui, c'era quella stessa Alta Isil [4]. Si dice che chiunque nasca in quel preciso momento, il quale accadde solo un'altra volta nella storia della Terra di Mezzo, sia portatore di sventura e che sarà possibile riconoscerlo grazie al colore dei suoi occhi. Quella stessa notte Dama Galadriel ebbe una visione e pronunciò una profezia:

Quando la luna toccherà la terra, quando in quella notte colui con gli occhi d'ametista s'innalzerà, il destino inizierà il suo corso, la bestia sorgerà, portando con sè fuoco e buio, portando con sè la rovina del mondo”-

-E parlava proprio di te?-

-Hai mai visto qualcun'altro con questo colore degli occhi?- chiesi ovvia, ma nel mio tono non vi era rabbia, ma solo un pizzico di ironia.

-In effetti è un colore assai particolare, anche se lo trovo molto bello- mi rispose a mezza voce, come se quello che aveva appena detto fosse stata la cosa più normale del mondo.

Dal canto mio, mi pietrificai, sentendomi improvvisamente avvampare. Così, alzandomi di scatto, dissi:

-Forse è meglio andare a dormire. Dovremo essere riposati per il viaggio che ci attende- e feci per allontanarmi.

-Quel du [5], Niniel- mi sentii sussurrare alle spalle.

Una parte di me avrebbe voluto voltarsi di nuovo, guardarlo per l'ultima volta prima di andare a dormire, ammirare il principe di Bosco Atro sotto quella nuova luce. L'altra parte invece era triste, in quanto sapeva che dopo quella sera, tutto sarebbe tornato esattamente come prima e che quindi non avrei dovuto cedere ad alcun tipo di sentimento.

Ma come avrei fatto? Gli avevo aperto il mio passato come avrei fatto con un libro, lasciandogli sbirciare ogni pagine e carpire ogni segreto. Ma non mi rimproveravo per quello, in quel momento mi era parsa la cosa più facile e più giusta da fare.

Così costrinsi il mio corpo a non voltarsi, ma non potei fare a meno di dire:

-Quel du [5], Legolas-

Prima però che mi allontanassi abbastanza da non udire più la sua voce, mi sentii nuovamente chiamare:

-Niniel, aspetta!! Hai detto che solo un'altra volta la luna toccò la terra. Quando fu?-

Un triste sorriso mi si allargò sulle labbra.

-Quando Sauron comparve la prima volta-

 

***

 

Lasciai Legolas ai piedi del Grande Albero, dirigendomi verso il luogo in cui sapevo essersi coricati i miei compagni. Riuscivo a percepire i loro respiri leggeri, il russare rumoroso del nano e il sonno lamentoso di qualcuno degli hobbit.

Quando stavo però per raggiungere il posto, notai Frodo sveglio, il quale stava silenziosamente ritornando al suo giaciglio.

-Dove è andato?- pensai, ma non feci in tempo a muovere un altro passo, che avvertii una presenza alle miei spalle che mi costrinse a voltarmi.

-Niniel- mi chiamò la voce flebile della Dama.

Notai che l'aura oscura che mi era parso di scorgere in lei fosse scomparsa, lasciando il posto alla Galadriel che avevo conosciuto durante la mia infanzia.

-Cosa è accaduto?- chiesi.

-Frodo ha guardato nello specchio, ma non posso rivelarti ciò che ha visto. Sta affrontando una prova difficile e la solitudine che lo circonda sta appannando il suo giudizio più di quanto non stia già facendo il potere dell'Unico. Dovrai proteggerlo, Niniel, guidarlo sino a quando lui non avrà deciso il suo destino-

-Cosa posso fare io?-

-Solo chi ha vissuto la solitudine può insegnare ad affrontarla- mi rispose la Dama, carezzandomi teneramente una guancia, come quando ero bambina.

Chiusi per un attimo gli occhi, assaporando quel calore che lentamente mi stava penetrando dentro, irradiandomi come nuova energia. Sentivo un eco nella mia mente, un richiamo da luoghi lontani. Poi all'improvviso capii:

-Arwenamin [6]...-

Lei mi sorrise ancora.

-E' giunto il momento, mia piccola Niniel. Non appena la compagnia avrà lasciato Lothlorien, io me ne andrò, per sempre-

Non risposi, in quanto qualunque parola che in quel momento mi veniva in mente mi pareva superflua. Feci però l'unica cosa che mi sembrò giusta: di slancio gettai le braccia al collo della Dama bianca, stringendola a me. All'inizio la sentii irrigidire nel mio abbraccio, ma poi anche lei ricambiò il gesto.

Quando ci separammo, mi disse, carezzandomi i capelli ancora umidi:

-Ho sempre ammirato la tua parte umana, Niniel. È quella che ti rende ciò che sei, che ti aiuterà ad affrontare ogni avversità che ti si presenterà davanti. Non lasciare che qualcuno la oscuri con le bugie ed i dubbi, lotta e vinci, piccola mia-

In quel momento una lacrima mi scivolò lungo una guancia. Dalla morte di Urèr non avevo più pianto.

Galadriel allora mi passò un dito sul viso, raccogliendo quella solitaria goccia salata e osservandola per un attimo.

-Niniel, se devi piangere, fallo, non trattenerti-

Quelle parole ebbero la capacità di distruggermi. Passai la notte con la testa sulle ginocchia della seconda donna che nella mia vita era stata importante dopo mia madre, con le sue dita tra i capelli e il suo canto nelle orecchie, gli occhi che stillavano triste lacrime, ma il cuore improvvisamente più leggero.

Mentre osservavo lo scorrere di Anduin, il fiume d'argento, calmo e silente nel suo letto secolare, imposi a me stessa che quella sarebbe stata l'ultima volta che mi sarei mostrata debole, che sarei stata come quel fiume, silenziosa e devastante contro chiunque si fosse messo sulla mia strada.

 

***

 

Osservai le dita forti di sire Celeborn mentre finiva di appuntare la foglia d'argento sulla chiusura del mio mantello elfico. Alzò gli occhi, puntandoli nei miei, mentre un accennato sorriso gli nasceva sulle labbra sottili. Mentre si allontanava, con una mano mi accarezzò i capelli in un gesto paterno e io lo ringraziai con un accennato segno del capo.

-Mai prima d'ora abbiamo vestito stranieri con indumenti della mia gente. Che questi mantelli vi facciano da scudo contro occhi ostili-

Mentre gli altri finivano di preparare le barche e le provvigioni, io me ne stavo in piedi, fissando per l'ultima volta l'antica foresta di Lothlorien, sicura che non l'avrei mai più rivista, almeno non in questa vita. Poco distante, nascosto tra le grandi radici di uno degli alberi se ne stava Haldir, le sopracciglia inarcate in uno sguardo grave, le braccia incrociate sul petto.

Non appena i nostri sguardi si incontrarono, alzai una mano in un muto segno di saluto. Quello, di tutta risposta, in un fruscìo di vesti, si dileguò. Quel gesto mi fece male, pensando ai tempi in cui Urèr era vivo, a quando tutti e tre eravamo inseparabili, a quando il mio maestro morì per colpa mia.

-Niniel, dobbiamo andare- mi giunse all'orecchio la voce di Legolas.

-Arrivo- risposi, senza distogliere fino all'ultimo lo sguardo dagli alberi.

Mentre le barche prendevano il largo, accarezzai distrattamente la fodera del pugnale che Galadriel mi aveva donato, pensando se in me avessi mai trovato il coraggio di usarlo.

 

***

FLASHBACK

Dama Galadriel si avvicinò alla compagnia, eterea come al solito, leggera come uno spiro di vento. Disse:

-Il mio dono a te, Legolas, è un arco dei Galadhrim, degno della maestria della nostra famiglia del bosco-

Poi fu la volta degli hobbit Merry e Pipino:

-Questi sono pugnali Noldorin. Hanno già prestato servizio in guerra-

-E per te, Samvise Gamgee, corda elfica, fatta di hithlain- continuò, porgendo il suo dono al figlio del gaffiere.

-E quale dono chiederebbe un nano agli elfi?- domandò, una volta giunta dinnanzi a Gimli.

-Nessuno- rispose risoluto lui.

Poi, alzando lo sguardo, continuò:

-A parte guardare la signora dei Galadhrim per l'ultima volta, perchè lei è più bella di tutti i gioielli su tutta la terra-

Galadriel sorrise, colpita.

-Ma, in verità, ci sarebbe una cosa...-

Il nano le chiese un capello della sua chioma dorata, lei gliene concesse tre.

Ad Aragorn donò un fodero per la sua spada, ornato di fiori e foglie d'oro e d'argento, che sarebbe stato capace di mantenere la sua lama integra e candida.

A Frodo fu donata invece la luce di Erendil.

Infine giunse il mio turno. I nostri sguardi si incrociarono, più espliciti di mille parole. Sapevo che i membri della compagnia ci stavano guardando, ma non mi importava: quello era il mio addio.

-A te, Niniel, dono il pugnale di tuo padre. Esso è impregnato di una potente magia, la quale ti si rivelerà solo e solamente nel momento in cui potrai usarlo. Non avere paura, sguardo sempre sull'orizzonte, il passato alle spalle e il futuro davanti. Trova il coraggio di essere te stessa, trova la fede per cambiare il tuo destino-

Dopodichè, chinandosi un poco su di me, mi posò un tenero bacio sulla fronte, sussurrandomi:

-Namaarie, yelde [7]-

***

 

Poi, come se fossi stata chiamata, mi voltai, intravedendo la bianca figura della Dama che ci guardava dalla sponda del fiume. Con un timido cenno, alzai una mano per salutarla e lei fece altrettanto. Poi, a fior di labbra, sicura che comunque lei mi avrebbe sentito, dissi:

-Namaarie, amil [8]-

 

[1] Mezz'elfo

[2] Guardami

[3] Non è colpa tua

[4] Grande luna

[5] Buonanotte

[6] Mia signora (confidenziale)

[7] Addio, figlia

[8] Addio, madre

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Capitolo 9
*** Paura ***


ANGOLO AUTRICE:
Saaaaaalve!!!
Torno con un nuovo capitolo, premettendo che ho voluto dare un pò di spazio al rapporto tra Niniel e Boromir, con il quale, a parte il primo scambio di battute, non ha avuto finora molto a che fare. Spero apprezziate quella parte...
Dopo questo un avviso: a causa di impegni, non sono potuta andare avanti con la scrittura, quindi non so se riuscirò ad aggiornare domenica. Ci proverò, ma non prometto niente, quindi spero non vi dispiaccia aspettare almeno fino a giovedì. Se riuscirò, pubblicherò anche prima.
Dopo questo, buona lettura (il capitolo mi è venuto un pò lungo XD)

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 
CAP IX - PAURA

 

 

Oscurità. Buio. Freddo.

Sensazioni che riuscivano quasi a farlo impazzire. Il corpo era pesante, la testa piena di pensieri e celate bugie. Delle parole orbitavano nel suo cervello, carezzevoli, menzoniere.

Provò a muoversi, ma tale gesto fu accompagnato solo dalla pesantezza degli arti e dal suono di catene.

Alzò lo sguardo, intravedendo una figura con candide vesti che gli dava la schiena, intenta ad osservare qualcosa al di sotto di quell'unica terrazza.

Sbuffò, facendo uscire dalle narici spirto caldo, ma che servì anche ad attirare l'attenzione di quello che ormai conosceva come suo carceriere.

Alle orecchie giungevano grida e cori, parole di guerra, inni di morte.

-Non continuare a resistermi- dissero le sue parole nella testa.

-Non cederò- rispose con voce rude di uomo.

-Oh, lo farai, soprattutto quando vedrai la vita abbandonare gli occhi del tuo cavaliere-

 

Mi destai con così tanta irruenza che quasi feci ribaltare la barca sulla quale mi trovavo, provocando le imprecazione in nanico di Gimli, seduto alle mie spalle, il quale si manteneva ai bordi dell'imbarcazione con una scintilla di timore negli occhi.

-Benedetta mezz'elfa, ma ti sembra il modo?- chiese il nano, fissandomi in cagnesco.

-Perdonami, mastro nano. Un incubo- dissi, voltandomi un poco verso di lui, alle mie spalle, e cercando di mostrargli un sorriso tirato.

In quel modo riuscii ad intravedere anche lo sguardo di Legolas, confuso e preoccupato al tempo stesso, nei suoi occhi presenti una miriade di mute domande. Mi limitai a stringermi nelle spalle e voltarmi nuovamente verso il lento scorrere dell'Anduin. Non avevo voglia di dare spiegazione, anche perchè tale alternativa avrebbe significato rivelare molto più di quello che ero stata disposta a raccontare. E se mai i miei compagni avessero saputo la verità, il motivo per cui mia madre era morta, la causa del mio errare negli anni alla continua ricerca di quello che avevo perduto, mi avrebbero guardato con gli stessi occhi?

Per la prima volta nella mia lunga esistenza, quella pareva una cosa che mi importava davvero, della quale avrei sicuramente sofferto.

Sentivo lo sguardo dell'elfo su di me, sensazione accompagnata solo dal rumore della pagaia che sfiorava il pelo dell'acqua e dal sonoro borbottare del nano alle mie spalle, il quale probabilmente non mi aveva ancora perdonato per averlo quasi fatto finire in acqua.

Dentro di me si arrovellava il dubbio, contorcendosi all'altezza dello stomaco, provocandomi un mal di testa che mi costringeva a mantenere gli occhi chiusi. Da quando avevamo lasciato Lothlorien una continua e pungolante sensazione di pericolo non mi faceva stare tranquilla, togliendomi addirittura il sonno e provocandomi incubi.

La mano con la cicatrice mi bruciava come mai prima di allora. La strinsi a pugno, cercando in quel modo di attenuare il dolore e il fastidio e ci riuscii, ma solo per poco.

D'un tratto un fruscìo tra la boscaglia mi fece voltare, come, notai, accadde anche a Legolas. C'era qualcosa tra gli alberi, ma in quel momento non riuscimmo a vedere niente. Ma le nostre orecchie captavano i suoni che altri non udivano, il vento portava con sè un odore nuovo, mai sentito, le fronde degli alberi vibravano come a voler avvertirci di un pericolo che si avvicinava.

Ci distrasse la voce di Aragorn qualche metro più avanti.

-Il sole sta calando. Raggiungiamo la riva a accampiamoci per stanotte. Ripartiremo prima dell'alba-

Mentre l'elfo pagaiava verso la riva e nell'orecchio sentivo ancora il brontolare del nano, lanciai un ultimo sguardo al versante opposto. Non ero tranquilla e sapevo che quella notte non avrei chiuso occhio, di nuovo.

 

***

 

Guardavo le fiamme zampillare nel piccolo falò che ci eravamo concessi per arrostire un paio di conigli catturati prima che il sole calasse del tutto. Con un ramoscello, ravvivavo le braci, tenendo però il fuoco basso e cercando di provocare il meno fumo possibile.

Sopra la mia testa, appollaiato su di un ramo, sapevo trovarsi Legolas, il quale non si era più avvicinato da quando avevamo toccato la riva. Dietro di me, poggiati al tronco dello stesso albero, stavano Gimli, il quale affilava la lama della sua ascia, e Aragorn, intento a fumare la pipa e fissare il paesaggio ormai immerso nelle ombre.

Gli hobbit dormivano poco distanti, anche se potevo udire dei lamenti inquieti provenire da Frodo, confondendosi con quelli provocati i sogni dei suoi compagni. Mi venne quasi voglia di avvicinarmi e tentare di calmare le sue visioni, ma non ne ebbi il coraggio, temendo codardamente di farmi travolgere nuovamente dall'oscurità che a poco a poco lo stava inghiottendo, a causa del fardello che l'Unico costituiva. Quando l'avevo toccato quella volta, mentre eravamo diretti verso il passo di Caradhras, era stato come se l'ombra del Signore Oscuro mi avesse travolto, mozzandomi il respiro e mostrando alla mia mente le infinite debolezze che cercavo in tutti i modi di nascondere. Al tempo stesso però ero preoccupata per lui, non potevo sopportare di vedere i suoi occhi, così pieni di vita quando l'avevo conosciuto, improvvisamente spenti e apatici, così pieni di paura.

Solo in quel momento mi resi conto che Boromir non era con noi. Mi voltai a destra e a sinistra, senza vederlo, cominciando a temere che il cuore dell'uomo avesse infine ceduto alle ombre. Poi lo intravidi, sulla riva dell'Anduin, stagliato contro la luce della luna. Senza che me ne rendessi conto, mi alzai dal mio posto accompagnato dal fruscìo delle mie vesti, e mi avvicinai alla sua figura inginocchiata sulla riva.

Lo vidi irrigidirsi non appena avvertì i miei passi alle sue spalle, cosa che mi dispiacque, tanto da fermarmi a poco più di un metro da lui.

-Scusa, non volevo spaventarti- dissi, rimanendo dove ero.

Lo vidi voltarsi un poco verso di me, tanto da notarmi con la coda dell'occhio.

-Non mi hai spaventato. Ero solo assorto nei miei molti pensieri- mi rispose, tornando a guardare le acque del fiume.

Lo disse come se avessi offeso il suo ruolo, come se con quell'insinuazione sulla paura avessi intaccato la sua figura di capitano. Non me ne curai, anzi, mi venne quasi da sorridere.

-Posso?- gli chiesi poi quando arrivai al suo fianco.

Lui non rispose e non seppi come interpretare il suo silenzio, ma volli comunque rischiare. Con il meno rumore di cui fossi capace mi accucciai al suo fianco, senza però incontrare il suo sguardo, continuando a fissare le acque del fiume illuminato dalla luna.

Mi resi conto di quanto poco lo conoscevo: durante quei giorni ero riuscita bene o male ad intrattenere una conversazione con ogni membro della compagnia, anche con il più diffidente, ossia Sam, il quale, nonostante tutto, continuava a guardarmi con gli occhi colmo di dubbio. Temevo che quel comportamento fosse portato dalla paura che aveva di venir rimpiazzato al fianco del suo caro padron Frodo.

Legolas era stato quello con cui mi ero aperta di più, riuscendo anche a parlargli del mio passato e delle mie origini e dentro di me sapevo che l'elfo non ne avrebbe parlato con nessuno se non fossi stata io a dirgli di farlo. Ripensandoci, non sapevo con esattezza cosa mi avesse portato ad aprirmi proprio con lui. Avrei capito Aragorn, il quale si era sempre comportato bene nei miei confronti, ispirandomi una fiducia che raramente avevo riposto in qualcuno che non fosse me stessa. Invece era stato proprio il principe di Bosco Atro, quello che mi aveva trattata come se fossi una nullità, che mi aveva guardata come si guarda un insetto, a riuscire, con semplici parole, ad abbattere ogni mia difesa. Perchè?

Con Boromir, a parte l'iniziale contrasto, sia fisico che ideologico, non ero più riuscita ad avere una conversazione e la cosa, non sapevo perchè, mi turbava. Era come se sentissi il bisogno di aiutare quell'uomo, che, nonostante non riuscissi a capirlo sino in fondo per quanto mi sforzassi, sentivo il bisogno di regalargli parole di conforto.

-Non ti ho ancora chiesto perdono per il mio comportamento, lady Niniel, e neanche ringraziato per avermi salvato la vita- disse la sua voce, interrompendo i miei pensieri e portandomi quindi a voltarmi verso di lui.

L'uomo non mi guardava, come se provasse vergogna.

-Non sono una lady, Boromir, non lo sono mai stata, quindi ti prego di non rivolgermi tale cortesia, anche se ti ringrazio del tuo riguardo. Inoltre non ho bisogno di darti il mio perdono, dato che per me le tue parole mi sono solo parse cariche di diffidenza e non di cattiveria. In realtà penso che volessi solo essere sicuro che fossi all'altezza di affrontare questa missione-

Lo vidi finalmente trovare il coraggio di guardarmi, notando dalla sua espressione che era rimasto colpito dalle mie parole e dentro di me ne fui felice.

-Scusa, ma sento l'ardire di chiedertelo: c'è qualcosa che ti turba, non è vero?- continuai poi, il tono piatto, privo di qualsiasi emozione.

Le labbra del capitano di Gondor si inarcarono in un sorriso sincero.

-Comincio a pensare che il mio viso sia un libro aperto, dato che non sei la prima a pormi questa domanda. Sono preoccupato ed impaurito. Si, ho paura. Temo per la mia città, il mio popolo, la salute di mio padre e di mio fratello minore. Da quando sono partito per recarmi a Gran Burrone, non ho avuto più alcuna notizia e quando ho lasciato le bianche mura di Minas Tirith le ombre di Mordor già incombevano nei cieli sopra la città. Se solo Frodo cedesse l'Anello...-

Vidi le sue mani stringersi a pugno, la mascella irrigidirsi. D'istinto una delle mie mani si chiuse sulla sua.

-Boromir, devi essere forte, non puoi lasciare che l'influenza dell'Anello ti offuschi la mente a tal punto. Tu sei il rappresentante di tutti gli uomini liberi che ancora combattono per una vita migliore-

-Tu non puoi capire...-

-E' vero, non posso, ma sento l'oscurità che proveniente da quel piccolo e all'apparenza innocuo oggetto, e vedo scorci di un futuro oscuro e nefasto se Frodo non compirà la missione che gli è stata affidata. L'Anello non può essere utilizzato dagli uomini, non sono abbastanza forti da contrastare un simile potere-

-Stai dicendo che non saremo in grado di vincere in questa guerra?- chiese, la rabbia insita nel tono della voce.

-Ci sono molti modi per vincere le guerre, Boromir, e quella di utilizzare l'Anello non è fra questi. Ci vogliono costanza, coraggio e si, anche un poco di paura. Saresti uno sciocco a non provarla-

-Ma la paura mi rende debole-

-La paura ti rende in grado di sopravvivere, amico mio. Temi per la tua città e per i tuoi cari, in questo modo sarai in grado di combattere come nessun altro essere è in grado di fare, vedendo i tuoi limiti e superandoli solo per il bene di un'intera razza e della tua famiglia-

Vedevo i suoi occhi guardarmi come se all'improvviso fossi piombata giù dal cielo circondata da un'aura di pura luce. Ero per lui una visione, una verità che aspettava solo di essere svelata, e la cosa mi turbò. Non ero abituata ad essere dispensatrice di consigli, in quanto non avevo mai avuto nè la voglia nè la volontà di impartirne. Cosa stava cambiando in me? Cosa la vicinanza di quel gruppo così male assortito stava suscitando nel mio animo?

Così, timorosa delle mie stesse parole, mi alzai, sempre sotto lo sguardo attento dell'uomo, e, togliendo dei rimasugli di terra dai vestiti, mi voltai nuovamente a guardarlo, un sorriso spontaneo sul volto.

-Non fraintendermi, desidero solo tu sia in forze e con la mente lucida per intraprendere questa missione. Non voglio certo un rammollito come compagno. Su, adesso è meglio riposare un pò, dato che ci attende un viaggio impegnativo e non privo di pericoli-

Lui scoppiò a ridere, io feci altrettanto. In fondo il mio intento era solo mantenere la mia aria da dura, ma compresi immediatamente di non esserci riuscita. Mi stavo ammorbidendo e non sapevo se la cosa sarebbe stato un bene oppure no.

Gli porsi una mano che lui, contro ogni mia previsione, afferrò, issandosi in piedi e parandosi dinnanzi a me, superandomi almeno di cinque o sei centimetri. Inaspettatamente sentii una sensazione simile a quella di una carezza tra i capelli, cosa che mi fece rabbrividire. Alzai lo sguardo, trovandomi il volto di Boromir a pochi centimetri dal mio. Il cuore mi si bloccò nel petto, mentre osservavo i tratti dell'uomo di Gondor, resi duri dalla fatica e dal tormento, distendersi un poco.

-Grazie- mi sussurrò allora, andando poi a poggiare le labbra sulla mia fronte.

Il mio corpo si irrigidì, mentre le pupille mi si dilatavano in un'espressione di pura sorpresa, per non parlare delle guance, le quali, potevo benissimo sentirlo, stavano diventando incandescenti e rosse. Ero indecisa se tirargli un pugno in pieno viso o lasciarlo illeso e in piedi sulle sue gambe, ma quel gesto fu talmente repentino e inaspettato da lasciarmi semplicemente così, come una statua.

Vidi il volto dell'uomo avvicinarsi per sussurrarmi nell'orecchio, certa che con gli occhi stesse guardando però da un'altra parte:

-Vedi, in fondo non sei poi così diversa da qualsiasi altra donna-

Giurai di averlo visto ghignare mentre si allontanava, andando a raggiungere un giaciglio poco lontano da Aragorn, il quale, assieme al nano, si era coricato ai margini del campo, poco al di fuori del cerchio di luce prodotto dal tenue fuoco.

Mentre seguivo i suoi movimenti, vedendolo sdraiarsi, voltarmi le spalle e coprirsi con un pesante manto di pelliccia sin sotto il mento, una mano mi salì dove un attimo prima lui aveva poggiato le labbra. Era stato un gesto così particolare, forse con una sfumatura di malizia, ma carico quasi di un affetto fraterno, per non dire paterno. Nessuno lo aveva mai fatto, neanche durante la mia permanenza a Lothlorien, il luogo che più di tutti si avvicinava alla mia idea di casa.

Il cuore a poco a poco si era calmato e il respiro era tornato normale, mentre nel frattempo avvertivo il rossore sulle guance svanire. Ma come mi ero ridotta? Arrossire come una timida signorina di corte? Io, che avevo imparato da tempo ad abbandonare il mio stato di donna per rivestire quello di guerriera, che negli anni mai mi ero abbassata a concedermi a qualcuno, nonostante ne avessi avute di occasioni. Dunque? Cosa era cambiato?

D'un tratto i miei pensieri furono interrotti da un fruscìo di foglie proveniente dalla chioma dell'albero sotto il quale ci trovavamo. Capii all'istante e una parte di me avrebbe voluto che l'elfo si facesse almeno vedere, anche solo per rivolgermi un'occhiataccia delle sue, mentre l'altra avrebbe desiderato scavare una fossa talmente profonda da potermici nascondere dentro.

L'unica cosa che feci? Voltai le spalle al campo, tornando a sedermi nel punto in cui poco prima avevo parlato con Boromir. Improvvisamente tutta la stanchezza era sparita, lasciandomi solo una profonda confusione ed una miriade di dubbi.

-Quel du [1], Legolas- sospirai.

 

***

 

Aprii gli occhi poco prima dell'alba, ridestata dai movimenti alla mie spalle provocati dagli altri intenti a smontare il campo, accompagnati dalle lamentele di Pipino sulla scarsa colazione. In realtà non avevo dormito quella notte, mi ero semplicemente abbandonata ad un dormiveglia atto solo a riposare le membra stanche e svuotare la mente. Per quello niente sogni nè incubi, niente pensieri nè dubbi, i quali però mi si ripresentarono non appena tornai a far parte del mondo.

-Dobbiamo andare- sentii dire alla voce di Legolas, il quale mi passò alle spalle quasi senza che io me ne rendessi conto.

Riconobbi nel suo tono una nota di fastidio, come se non volesse parlare con me, ma fosse costretto a farlo. Sospirai, pensando che eravamo tornata esattamente come prima della scorsa notte.

Non approfondii, ubbidendo muta al suo ordine e dirigendomi verso la barca. Trovai Gimli già seduto, stavolta a prua, il quale mi accolse con una veloce occhiata e un sonoro sbuffo. Non me la presi, dato che avevo imparato a capire il nano, il quale preferiva risparmiare le parole, eccezion fatta che nel lanciare sfide all'elfo. Per quanto riguardava quest'ultimo, lo sentii posizionarsi alle mie spalle e, dopo aver sistemato le nostre sacche, ricominciammo il nostro viaggio sull'Anduin.

Seguivamo il letto del fiume come una strada, lasciandoci guidare dalle correnti in alcuni punti. In quel modo ci stavamo rapidamente avvicinando alle cascate di Rauros, punto in cui avremo ricominciato il nostro cammino a piedi.

Il silenzio ci era compagno, assieme solo al rumore delle acque del fiume tagliate dalle nostre imbarcazioni e alla sensazione che non fossimo soli.

I miei occhi continuavano a scrutare la vegetazione fitta, le orecchie attente a passi o sussurri, ma i rumori erano confusi e non potei essere sicura di ciò che percepivo.

Notai che anche Boromir, Aragorn e Legolas si erano accorti di qualcosa, divenendo immediatamente rigidi come tronchi di legno, pronti a scattare in qualunque momento e a qualsiasi avvisaglia di pericolo.

Verso mezzo dì ci trovammo dinnanzi alle colonne del Re, gli Argonath, colossali sculture che delimitavano quello che un tempo era stato uno dei confini di Gondor.

Rimasi affascinata da quelle due impressionanti raffigurazioni, in quanto, prima di allora, non mi ero mai spinta così lontano nella Terra di Mezzo e quindi era per uno spettacolo unico e sicuramente irripetibile. Erano quasi da togliere il fiato.

Affianco a tale magnificenza però stava anche la conferma che il nostro viaggio era giunto al punto di non ritorno, portandoci così vicini a Mordor da sentirne quasi l'oscurità di cui erano sature quelle terre.

Continuammo la navigazione per un'altra ora, o forse due, sino a quando in lontananza non udimmo il rumore sordo provocato dalle cascate, punto in cui il nostro viaggio sull'Anduin giungeva al termine.

Legolas, Boromir e Aragorn condussero quindi le barche sino a riva, nel punto in cui sorgeva la collina di Amon Hen.

Attesi che Gimli toccasse terra per poi afferrare la mia sacca e fare altrettanto. Quando però il nano scese, provocò una scossa dell'imbarcazione, tanto da farmi perdere l'equilibrio. Ero già rassegnata ad un bagno fuori programma quando sentii la mia schiena scontrarsi contro il petto di qualcuno.

Voltai lo sguardo quel poco per scorgere la figura del mio fortuito salvatore. Incontrai gli occhi glaciali di Legolas, che al tempo stesso però mostravano disappunto, sorpresa e anche una nota di imbarazzo.

Avvertii inaspettatamente un'insolita sensazione all'altezza dello stomaco, mentre un calore inatteso mi salì sino al viso. Ringraziai di indossare il mio fedele cappuccio, il quale avevo reindossato a causa del sole di mezzogiorno a picco sulle nostre teste, sperando di trovare un pò di sollievo dal caldo.

-Scusa- dissi a mezza voce, in modo che non si avvertisse la nota di imbarazzo che mi aveva macchiato la voce.

Mi parve quasi di vedere le labbra di lui distendersi in un accennato sorriso, per poi però tornare serie come prima.

-Devi stare più attenta- mi disse e con una piccola pacca sulla schiena mi aiutò a tornare eretta.

Io, ritrovata la stabilità, mi affrettai ad abbandonare la barca, allontanandomi il più possibile da lui e dalle sensazioni che scatenava sul mio corpo.

Bastò allontanarmi dall'elfo per riprendere subito possesso del mio corpo e dei miei sensi. Toccato terra, le avvisaglie di pericolo si fecero più acute, costringendomi a rimanere eretta al centro della radura a scrutare il bosco che ci circondava. Era come se qualcuno ci osservasse, come se ogni pianta o pietra risuonassero in un muto ammonimento di pericolo imminente.

-Attraversiamo il lago al calare del sole. Nascondiamo le barche e andiamo avanti a piedi. Raggiungiamo Mordor da nord- disse Aragorn in quel momento, distraendomi, anche se non del tutto, dalle mie preoccupazioni.

Gimli lo interruppe:

-Ah si? Un modo semplicissimo di farci strada tra gli imin muil, un labirinto impossibile di roccie affilate come lame, dopodichè, ancora meglio!! Un suppurato puzzolente terreno paludoso fin dove occhio può vedere-

-Questa è la nostra strada. Ti consiglio di riposare e di recuperare le forze, mastro nano- lo gelò il ramingo, provocando un'imprecazione brontolata da parte del nano.

Una parte di me non era affatto d'accordo ad intraprendere quella strada, ma l'altra dava ragione ad Aragorn sul fatto che quella era senz'altro la via più breve.

Tornai a fissare le rovine di Amon Hen e la vegetazione che le ricopriva, sentendo un brivido scorrermi lungo la schiena non appena un vento gelido mi investì. Sapevo che qualcosa si stava avvicinando, silente e lento, ma letale se avessimo titubato ancora.

Solo allora avvertii la voce di Merry dire:

-Dov'è Frodo?-

Tutti ci voltammo, non essendoci accorti della scomparsa dell'hobbit. Poi, la consapevolezza si fece largo nella mia mente non appena notai un altro particolare: anche Boromir non si trovava.

 

***

 

Correvo tra gli alberi più veloce che le mie gambe mi permettessero, preoccupata che uno dei due potesse commettere qualche sciocchezza. Avevo per un attimo sperato che l'uomo di Gondor si fosse rinsavito dopo le mie parole della sera prima, ma il suo cuore era ormai troppo corrotto dalle ombre.

Con Aragorn e gli altri ci eravamo divisi, in modo da perlustrare un'area più ampia e rendere le ricerche più efficaci. Per un attimo mi parve di udire dei passi che mi seguivano, ma non ne fui certa sino a quando non vidi apparire l'elfo al mio fianco, apparentemente intento come me ad osservare la zona con la sua vista molto più sviluppata rispetto ad un uomo normale.

Rimasi in silenzio, in quanto troppo in pena per Frodo. Mi bloccai su di un crinale, scrutando attentamente tra gli alberi. Lui fece altrettanto. Poi inaspettatamente disse:

-Preoccupata per il gondoriano?-

Giurai di aver percepito una nota di fastidio nella sua voce.

Mi voltai.

-Legolas, non credo che questo sia il momento- risposi, piatta.

-Davvero? Vuoi forse negare quello a cui ho assistito la scorsa notte? Spero solo che questa tua “attrazione” per Boromir non metta a rischio la missione-

-Ma che diamine stai dicendo? Hai frainteso ogni cosa, ma adesso non posso stare certo qui a spiegartelo. Te lo ripeto: non è il momento- risposi, facendo per continuare nella mia ricerca.

Mi sentii però afferrare per la collottola e tirare indietro, andando a sbattere contro il tronco di uno degli alberi. Mi ritrovai Legolas davanti agli occhi, lo sguardo fin troppo serio, talmente vicino da impedirmi ogni fuga.

-Dimmi la verità, Niniel- mi disse, il tono fermo.

Vedevo in lui qualcosa di diverso, come se un'oscurità aleggiasse sul suo animo e lo rendesse cieco e sordo a qualunque tipo di persuasione.

-Anche se fosse affar tuo, e non lo è, ti ripeterei nuovamente che ti sei fatto delle idee errate sul mio rapporto con Boromir. Non capisco neanche perchè tu sia così insistente, dato che siamo semplicemente compagni di viaggio e nulla più. Se poi temi per la riuscita della missione o se questo inciderà sulle mie prestazioni in battaglia, stai pur certo che non mi sono mai fatta distrarre da qualche stupida voglia-

Lui si fece ancora più serio se possibile, cosa che mi spiazzò. Era come se non fosse quella la vera ragione del suo disdegno e cercai per un attimo di comprendere. Poi però fummo entrambi distratti dal suono lontano di lame che cozzavano e lamenti di morte che viaggiavano nel vento.

Veloce estrassi un poco la lama dal fodero, notando un lieve chiarore azzurro. Lo vide anche Legolas.

-Dobbiamo muoverci- dissi lapidaria, fissandolo negli occhi, per poi superarlo e iniziare velocemente a ridiscendere la collina.

 

***

 

Mentre avevamo cominciato la discesa, a noi si era unito anche Gimli. In pochi attimi ci trovammo a quello che un tempo era chiamato Seggio della Vista, una struttura in pietra ormai in rovina, dinnanzi ad un vero e proprio squadrone di orchi, o almeno a noi parvero tali, anche se più possenti nel fisico e più veloci nei movimenti.

Non ci fu però tempo per pensare al da farsi, nè per prepararsi mentalmente un valido piano di offensiva. Senza attendere un attimo di più ci gettammo nella mischia, iniziando a mietere vittime, tagliare teste, sventrare e amputare. Pareva però che più ne uccidavamo, più ne giungevano.

Ad un tratto, quando ormai le braccia cominciavano a dolermi e il respiro si faceva pesante, un grido sovrastò tutte le imprecazioni e le urla:

-Trovate il mezz'uomo!!- tuonò uno di loro.

Alzai lo sguardo, incontrando quello limpido di Aragorn a pochi passi da me. Bastò un'occhiata per capire le mie intenzioni. Così mi urlò:

-Niniel, va!! Trova Frodo e proteggilo!!-

Non mi mossi subito, combattuto sull'eseguire l'ordine o continuare a combattere al loro fianco. Forse era solo che per un attimo mi era parso di rivedere il volto di Gandalf mentre pronunciava le stesse parole, poco prima di cadere nell'abisso. Poi un altro comando:

-Niniel, vai, dannazione!!-

Così, sempre con la spada in pugno, cominciai a correre in direzione delle pendici della collina, cercando con la mente l'hobbit. Era come se in qualche modo percepissi la sua paura, il suo respiro pesante, i suoi piedi che veloci si dirigevano verso valle, in direzione del lago Nen Hithoel. La paura e la solitudine gli attanagliavano ormai il piccolo cuore e avevo la sensazione che l'hobbit avesse preso la sua decisione. Il mio intento non era però fermarlo, impedirgli di compiere la sua scelta, bensì permettergli di portarla a compimento senza farsi ammazzare, anche se, con molta probabilità, quegli esseri lo volevano vivo e incolume. Al solo pensiero che potessero portarlo via, imposi al mio corpo di dar fondo alle mie ultime forze, continuando a correre come se avessi Mandos [2] alle calcagna.

Poi, mentre ormai stavo per raggiungerlo, o almeno così speravo, un suono si propagò nell'aria: era il richiamo del corno di Gondor. Ciò significava solo una cosa: Boromir era in pericolo.

 

***

 

Le gambe ormai si muovevano di una propria volontà, mentre veloce mi dirigevo verso una delle radure, seguendo il secondo richiamo del corno. Prima però di raggiungere la mia meta, la strada mi fu bloccata da sei di quelle creature. Senza esitare mi gettai su di loro, infilzando la lama di Carnil nel petto di un paio di loro, mozzando la gola agli altri due e ferendo alle gambe i restanti, in modo che, anche se vivi, non mi creassero problemi. Le mie narici erano sature dell'odore di quel sangue, mentre la mente era proiettata verso un'unica direzione: Boromir.

Un ultimo pensiero andò a Frodo, rassicurandomi poi del fatto che fosse al sicuro, dato che se gli orchi lo avessero catturato si sarebbero già ritirati da un pezzo. Non potevo certo esserne sicura, ma forse era solo una scusa per giustificare il mio cambio di rotta e il senso di colpa che ne era derivato, ma una parte di me sapeva che dovevo andare in aiuto del gondoriano.

Quando giunsi ai margini della radura, nell'aria si propagò il terzo richiamo del corno. Sentivo il corpo pesante, la mente stanca, la pelle ricoperta di sangue nero e budella. Fissavo il gondoriano combattere contro un manipolo di creature e, alle sue spalle, spauriti, ma combattivi, Merry e Pipino.

Mossi un passo per raggiungerli, quando davanti mi si pararono altri due orchi. Con un grido feroce per infondermi coraggio, mi gettai su di loro per liberarmene il prima possibile.

A causa della stanchezza però ci impiegai molto più del previsto. Quando rialzai gli occhi vidi la prima freccia che colpiva l'uomo di Gondor.

-Boromir!!- gridai, mentre il mondo mi parve all'improvviso subire un arresto.

Dopo un iniziale cedimento, lui però continuò a combattere, come se non avesse avuto una freccia piantata poco sopra il cuore. Mieteva orchi con una forza mai vista e dentro di me cominciò quasi a riaffiorare un pò di speranza. Poi anche quella debole scintilla si spense quando la seconda freccia andò a colpire il corpo affaticato del gondoriano.

Mi schiusi in un nuovo grido, mentre tentavo di farmi strada in quell'ammasso di corpi, vivi e morti, ma era come se facessero qualsiasi cosa per non farmi raggiungere Boromir.

Nonostante però anche la seconda freccia conficcata nell'addome, quello continuò a combattere.

Abbassai la mia spada sulla testa dell'ultimo orco, sospirando di sollievo data l'assenza di altri nemici, quando qualcosa mi colpì alla nuca, facendomi cadere a terra. Le orecchie presero a fischiare, mentre sentivo sangue caldo scendermi dalla fronte, probabilmente sbattuta cadendo a terra. Con la vista offuscata dalla botta, mi voltai sulla schiena, trovando una delle creature che imperava sopra di me, l'arma in pugno pronto ad affondarmela nello stomaco.

Chiusi gli occhi, pensando che davvero fosse giunta la fine. Ero esausta, non potevo più alzare neanche un braccio e lentamente sentivo il pugno allentarsi attorno all'elsa della mia spada. Mi arresi al destino, pregando i Valar che la mia morte non fosse dolorosa e il più rapida possibile. Chiesi perdono a mia madre, ai miei compagni, a lui.

Passarono alcuni istanti, ma non accadde niente. Solo il suono di uno sferragliare di armatura al mio fianco mi ridestò. Aprii allora un poco gli occhi, vedendo adagiato al mio fianco il corpo dell'orco una freccia piantata in mezzo alla fronte.

Poi un'altra ombra mi sovrastò, ma non era minacciosa, bensì mi donò sicurezza e uno strano calore.

-Niniel!! Niniel, rispondimi!!- mi disse la voce di Legolas.

Mi sentii sollevare un poco da terra e scuotermi per le spalle, sino a quando il ronzìo scemò e la vista tornò quasi del tutto. Aprii gli occhi, incontrando il volto solcato dalla preoccupazione dell'elfo.

Lasciai per un istante che quella calda sensazione mi cullasse, dimenticando tutto ciò che mi circondava, il dolore che mi invadeva il corpo, i dubbi sulla riuscita di quell'impresa. Lentamente, come fosse una visione, alzai una mano verso di lui, il quale provvide a stringere nella sua.

-Menomale sei viva- mi disse piano, non distogliendo lo sguardo dal mio.

Sorrisi grata. Poi, la realtà mi colpì nuovamente con prepotenza. Cominciai a spostare lo sguardo a destra e sinistra, cercando di ritrovare un minimo di orientamento e anche per vedere gli altri dove si trovavano. Cominciai a dimenarmi e quasi feci perdere l'equilibrio all'elfo, il quale, senza capire, chiese:

-Cosa stai facendo? Calmati!!-

-Dov'è Boromir?- chiesi, fissandolo di nuovo negli occhi.

Lui, di tutta risposta, abbassò lo sguardo. Io capii immediatamente e ciò non giovò certo alla mia agitazione.

Con difficoltà tentai di alzarmi, mentre Legolas ancora mi sorreggeva. Una volta in piedi, nonostante fossi ancora confusa dalla botta alla testa, riuscii a scorgere due figure poco più giu, una stesa e l'altra in ginocchio. Con fare malfermo mi avvicinai, notando all'instante il colore cereo sulla pelle del gondoriano e l'aria afflitta di Aragorn. Pesantemente mi inginocchia al suo fianco.

Quando Boromir mi vide cercò di schiudersi in un tirato sorriso, mentre un rivolo di sangue gli scendeva da un lato della bocca. Aragorn, accortosi della mia presenza, si voltò a guardarmi, gli occhi resi lucidi dall'impotenza.

-Sta morendo- mi mimò con le labbra.

Lentamente portai una mano sulla sua spalla e dal mio sguardo probabilmente capì le mie intenzioni, o almeno le intuì. Vidi confusione nei suoi occhi, come probabilmente in quelli degli altri presenti.

Con fatica poggiai la testa del gondoriano, che ancora respirava, sulle mie ginocchia, ponendo le mani sulle sue tempie. I suoi occhi, oramai quasi spenti, mi fissavano. Mi abbassai sino a sfiorargli quasi la fronte con le labbra.

-Niniel, cosa stai facendo?- mi chiese lui debolmente.

Gli dissi solo di fare silenzio e rilassarsi. Dopodichè sussurrai:

-Cennen [3]-

Un torpore improvviso prese possesso del mio corpo, sentendo le forze che a poco a poco si affievolivano. Il corpo del gondoriano si irrigidì tra le mie mani, inarcandosi in maniera quasi irreale. Potevo sentire il suo respiro accellerato, il sangue che più velocemente scorreva nelle sue vene, le energie che tornavano a poco a poco, la pelle che bruciava.

Le energie cominciarono velocemente a scemere, ma non era mia intenzione arrendermi proprio in quel momento. Imposi al mio corpo di resistere, mentre a poco a poco l'ambiente che mi circondava, come i presente, sparivano, lasciandomi immersa in una fitta nebbia.

D'improvviso un grido esplose nella mia mente:

-Ferma ragazza, non puoi utilizzare tutta questa energia. Non siamo abbastanza in forze-

-Non posso lasciarlo-

-Se continuerai di questo passo, il legame si spezzerà. Vuoi questo?-

-Non lo lascerò morire- ribattei vimente.

-Fermati!!-

-No!!-

Poi ci fu il silenzio, rotto solo da tre semplici parole:

-Te ne pentirai-

Di colpo tornai nuovamente me stessa, sentendo il mio corpo sbalzato lontano da quello del gondoriano. La vista prese a punteggiarsi di nero, mentre sentivo le forze che se ne andavano. Qualcuno mi si avvicinò, ma non riuscii a capire di chi si trattasse nè quello che mi stava dicendo. Riuscii solo a notare malamente il corpo di Boromir poco lontano da me e per un attimo sorrisi.

Prima di perdere i sensi, sussurrai tra le labbra:

-Perdonami-

 

[1] Buonanotte

[2] Valar, signore della morte e della distruzione

[3] Vita

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Capitolo 10
*** Rohan ***


ANGOLO AUTRICE:
Ebbene si, ce l'ho fatta a tornare con questo decimo capitolo, più breve rispetto agli altri, ma spero comunque abbastanza intenso.
Diciamo che è un pò di riflessione, di pensieri dei personaggi, ma anche con qualche colpo di scena XD
Comunicazione: Mi hanno aumentato le ore di lavoro a livelli spaventosi, quindi il tempo per scrivere è limitato, ergo cercherò di pubblicare almeno una volta a settimana, anche se spero presto di tornare con due aggiornamenti.
Ringrazio quindi chi continua a seguirmi, chi recensirmi e anche le new entry <3 <3
Detto ciò vi lascio alla lettura.

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 


 
CAP X - ROHAN

 

 

C'era qualcosa in me che non andava. Ero avvolta in un torpore che mi era in qualche modo familiare, ma sentivo nel petto come se mancasse qualcosa. Nella mente non riuscivo più a percepire alcun eco nè sussurro, la benchè minima traccia della presenza di qualcun altro oltre a me, sensazione che mi aveva sempre accompagnato, fin da bambina. Ebbi paura di quel silenzio, di quel vuoto. Ma soprattutto mi spaventava ciò che ne sarebbe derivato.

Lentamente aprii gli occhi, accogliendo con un sospiro la luce fioca del sole, la quale ebbe la capacità di scaldarmi un poco la pelle del viso. I polmoni si riempirono di nuova aria, mentre attorno a me udivo i preparativi di una partenza. Voltai il capo, notando solo allora di essere poggiata al tronco di uno degli alberi vicino alla riva dove qualche ora prima avevamo montato il campo e abbandonato le barche, coperta dal mio stesso mantello. Vidi Gimli, Legolas e Aragorn recuperare le loro armi e sistemarle a dovere in modo che non li intralciassero, segno che avevano intenzione di non portare altro con loro.

Decisa a non essere considerata un peso più di quanto non lo fossi già stata, scostai il mantello e cercai di rimettermi in piedi, dovendomi però appoggiare al tronco dell'albero per non cadere di nuovo a causa di un capogiro, destando così l'attenzione dei presenti.

Vidi i loro occhi su di me, un'espressione d'un tratto più serena sui loro visi. I loro tratti esprimevano stanchezza, ma anche una profonda determinazione.

Tornando con gli occhi sul gruppo, notai l'elfo muovere un passo verso di me, probabilmente per accertarsi sulle mie condizione, ma fu una presenza al mio fianco, che io fino a quel momento non avevo notato, darmi una mano a rimanere eretta. Giurai di aver intravisto una fulminea espressione di fastidio sul volto impassibile di Legolas, ma pensai di essermela immaginata.

Stupita, mi voltai, una mano ancora poggiata sulla ruvida corteccia, incontrando un paio di occhi chiari che mi fissavano, colmi di riconoscenza. Non seppi bene perchè, ma le ginocchia cedettero un poco, mentre l'uomo al mio fianco mi sorrideva.

-Ben svegliata, mia signora- mi disse.

A quelle parole scivolai definitivamente di nuovo a terra e quasi lo trascinai con me, costringendolo ad inginocchiarsi, dato che mi ero letteralmente ancorata ai suoi abiti.

-Ci sono riuscita. Sei vivo- balbettai, cominciando poi inaspettatamente a ridere.

Sentii una mano di Boromir tra i capelli, accarezzarli lentamente.

-Non so come tu ci sia riuscita Niniel, ma ti devo la vita per la seconda volta, in tutti i sensi-

In quel mentre Aragorn si avvicinò a noi. Notai in alcuni punti le sue vesti stracciate, recenti ferite fasciati con pezzi di stoffa sporchi e polverosi. Il suo sguardo però non pareva aver perso quella scintilla che faceva di lui un re senza corona.

-Niniel, come ti senti?- mi chiese, il tono carezzevole e sollevato al tempo stesso.

Distolsi lo sguardo dal gondoriano per puntarlo sul ramingo. Con enorme sforzo, cercando di non darlo a vedere, mi alzai in piedi, barcollando per un attimo, ma trovando infine la stabilità. Per fortuna il mio corpo stava cominciando a riaccumulare energie. Poi un dubbio mi attraversò la mente:

-Dov'è Frodo?- chiesi, fissando negli occhi chiari l'uomo dinnanzi a me.

Quello distolse lo sguardo, dicendo solo che l'hobbit aveva fatto la sua scelta, preferendo proseguire il viaggio verso Mordor per suo conto, non volendo caricare anche il resto della compagnia del peso di ciò che portava con sè.

Dentro di me sussultai, considerandomi in qualche modo colpevole, non avendo saputo far niente per il mio amico, lasciandolo in balìa dei dubbi e costringendolo infine ad arrivare alla decisione più giusta, ma più dura da affrontare. Con la mente viaggiai alla ricerca di una sfuocata immagine del mezz'uomo, sperando di poter almeno assicurarmi che stesse bene. Rinunciai poco dopo, probabilmente troppo lontano ormai. Poi chiesi:

-E Sam? Merry? Pipino?-

-Sam ha fedelmente seguito il suo padron Frodo e ciò un poco mi rassicura. Merry e Pipino? Appena ti riprenderai partiremo per andarli a prendere?-

Fissai il ramingo senza capire. Fu Boromir, ancora al mio fianco a delucidarmi:

-Il gruppo di Uruk hai li hanno portati via, probabilmente con l'ordine di trovare il portatore tra i quattro mezz'uomini. Sono diretti ad Isengard ed hanno almeno un giorno di vantaggio su di noi-

Appurata tale notizia e sentendoi in colpa per aver impedito agli altri di seguire subito gli orchi, mi staccai dall'albero, decisa e sicura.

-Ho solo bisogno di un pò d'acqua, poi sarò pronta a partire- risposi alla precedente domanda del ramingo, chinando appena la testa.

Aragorn mi sorrise fraterno. Vidi solo in quel momento che mi stava porgendo qualcosa che all'inizio non avevo riconosciuto, ma poi capii essere un pezzo di Lembas, il pane degli elfi. Lo accettai volentieri, in quanto mi avrebbe aiutato a recuperare le energie più in fretta.

Dopodichè, senza aggiungere altro, e riconoscente del fatto che nessuno mi avesse chiesto niente riguardo a quello che era accaduto poco prima, mi allontanai, andando a recuperare la mia spada e i miei pugnali, i quali avevo notato trovarsi al tronco di un albero lì vicino, approfittando anche per recuperare la borraccia dalla mia sacca e bere avidamente.

In quel momento incrociai lo sguardo di Legolas, rimasto distante di fianco al nano, e notai i suoi occhi fissarmi seri. Io, di tutta risposta, gli sorrisi. Lui, dopo un attimo di confusione, rispose al mio gesto, facendomi scaldare il cuore e provocandomi uno strano calore all'altezza dello stomaco.

Poi però tornai dubbiosa. Ripensai al silenzio che in quel momento invadeva la mia mente. Che realmente il nostro legame si fosse spezzato? E se così fosse stato, cosa sarebbe successo da quel momento in avanti?

 

***

 

Legolas osservava Niniel mentre si allontanava dal suo giaciglio improvvisato nel quale l'avevano coricata, coperta con il suo stesso mantello temendo andasse in ipotermia, dato che al contatto la sua pelle era fredda quasi come un blocco di ghiaccio. Nessuno di loro aveva capito realmente cosa fosse accaduto, ma poco dopo che lei aveva perso i sensi, l'uomo di Gondor si era semplicemente rialzato, come se non fosse mai stato in punto di morte.

Mentre la mezz'elfa riposava, loro avevano discusso, ma di comune accordo avevano deciso che non avrebbero chiesto spiegazioni, almeno per il momento.

Per quanto lo riguardava, mentre gli altri cominciavano a smontare il campo, recuperare armi e poche provviste, lui era rimasto a vegliarla, da lontano, ma attento che il suo battito tornasse regolare. Le si era avvicinato solo per accertarsi che il calore fosse tornato nel suo corpo, toccandole piano la fronte, ma finendo poi per passare le dita anche tra i suoi capelli, stranamente inumiditi da un inspiegabile velo di sudore.

Dentro il suo animo ormai sentiva essersi scatenata una vera e propria guerra di mai provate sensazioni: preoccupazione, rabbia, sollievo. Lui, sempre così iimpassibile, improvvisamente cominciava a sentirsi più umano di quanto mai avrebbe creduto di diventare.

Quando Niniel aveva riaperto gli occhi, fissandolo, aveva sentito il cuore accellerare per un attimo il battito, sollevato nel vederla di nuovo sveglia, e combattuto sull'avvicinarsi oppure no.

Poi, quando infine si era deciso a muovere un passo, il suo posto era stato preso dal gondoriano, cosa che lo aveva infastidito, anche se non sapeva bene il motivo. Vedere le mani dell'uomo che sfioravano il corpo di lei gli aveva reso rigido il corpo e tormentato l'animo. Sospirò quando la ragazza si era staccata da Boromir, avviandosi al suo bagaglio, senza però negargli un altro dei suoi intensi sguardi.

Dopo quello, l'elfo si era voltato dove ancora stava l'uomo, all'apparenza intento a prepararsi per il viaggio da affrontare, ma i suoi occhi stavano puntati sulla schiena della mezz'elfa.

La luce che li rischiaravano rese Legolas nervoso, in quanto, nella sua lunga esistenza, molte volte l'aveva scorsa nello sguardo di altri, ed era certo che non fosse solo la gratitudine per una vita salvata. Era curiosità, ammirazione ed un pizzico di desiderio.

Ma perchè poi quello sguardo lo infastidiva a tal punto? In fondo era lui quello al quale la giovane aveva raccontato la sua storia, era lui che l'aveva calmata quando stava male. Era sicuro che ciò che avevano condiviso la rendesse senz'altro una sua esclusiva, sua e di nessun'altro.

 

***

 

Tre giorni, tre dannatissimi giorni che correvamo dietro al gruppo di orchi, senz'altro più veloci e resistenti rispetto a qualunque altra creatura simile che avessimo incontrato sino a quel momento. Nonostante non avessimo compiuto se non poche soste, tanto da far riprendere un pò di fiato sia agli uomini che al nano, dato che io e Legolas non ne avevamo un estremo bisogno come loro, ancora non riuscivamo a scorgerli all'orizzonte. Per il momento avevamo solo seguito le loro orme nel fango o le vibrazioni che provocavano al terreno durante la loro marcia. In fondo sapevamo dove erano diretti. Il difficile stava nell'intercettarli prima che giungessero alle porte della torre bianca, altrimenti non saremo più riusciti a portare via Merry e Pipino illesi.

Rabbrividii al pensiero di quello che gli avrebbero potuto fare loro una volta giunti ad Isengard, sempre che agli orchi non fosse venita una fame improvvisa durante il tragitto.

Un paio di volte avevo scorto sul volto di Boromir, il quale correva al mio fianco appesantito dal robusto scudo di Gondor, segni di cedimento e fatica e temetti che, nonostante l'incantesimo, le ferite ancora gli recassero fastidio. Mi ero quindi avvicinata a lui, offrendoli la mia boraccia che avevo provveduto a riempire, ammonendolo con lo sguardo se si fosse rifiutato di bere.

Non potevamo certo permetterci di rallentare la marcia, ma non potevamo neanche rischiare che il gondoriano crollasse all'improvviso, rendendo ogni nostro sforzo inutile.

Anche il nano faticava a tenere il passo, giustificando tale mancanza al fatto che il suo popolo non fosse adatto alle tratte di lunga durata, ma in fondo lo capivo, dato che tutti ormai stavamo cominciando ad accusare la stanchezza.

Mentre attraversavamo l'ennesima gola, vidi Aragorn piegarsi sul terreno, raccogliendo qualcosa che sino ad allora pareva essere stata nascosta nella terra.

-Non a caso cadono le foglie di Lorien- disse poi, mostrandoci ciò che aveva trovato.

-E' una delle spille che chiudeva i mantelli dei due piccoletti- fece il gondoriano, la voce affaticata, ma il corpo colmo della volontà di non mostrarlo.

-Potrebbero essere ancora vivi- concluse Legolas.

-A meno di un giorno da noi- aggiunse il ramingo, ricominciando a correre, seguito dall'elfo.

Io e l'uomo gli fummo nuovamente dietro, mentre Gimli faticava sempre più a tenere il passo.

-Avanti mastro nano, non vorrai darla vinta all'elfo, non è vero?- gli gridai, cercando di risvegliare il suo spirito di competizione.

-Neanche tra mille anni un nano dichiarerà la sconfitta contro un orecchie a punta- rispose burbero Gimli, continuando a mantenere un'andatura sostenuta.

Ci arrestammo su di un'altura, la vista su di una vallata brulla punteggiata da roccie affioranti e immense pianure.

-Rohan, dimora dei signori dei cavalli. Qualcosa di strano è all'opera qui, un demone dà rapidità a queste creature- sospirò Aragorn

-Direi piuttosto uno stregone bianco- biascicai io a mezza voce.

Mentre gli altri discendevano la parete scoscesa, io rimasi sull'altura, osservando l'orizzonte e cercando qualche traccia di un passaggio che ci potesse indicare la via. Sentii la voce del ramingo porre la stessa domanda a Legolas.

C'era qualcosa di strano, Aragorn aveva ragione. Era come se un'immensa coltre di magia aleggiasse su quelle pianure, un'oscurità che non ci permetteva di proseguire come avremo voluto. In più, il silenzio nella mia mente mi rendeva ancor più nervosa.

Poi una mano sulla spalla mi fece sussultare. Mi voltai, incontrando lo sguardo di Boromir.

-Cosa ti preoccupa, Niniel?-

-Non lo so. È come se sapessi che debba accadere qualcosa di brutto senza poter far niente per impedirlo-

-Ogni cosa a suo tempo. Per il momento ritroviamo Merry e Pipino-

-D'accordo-

Mentre il gondoriano si allontanava e io mi accingevo a ricominciare la discesa, mi parve come un eco lontano che mi chiamava, ma che sparì dopo qualche istante, facendomi pensare di essermelo solo immaginato.

 

***

 

L'alba ci sorprese e ancora non avevamo scorto alcuna traccia degli orchi. Sentii legolas parlare del sole rosso che stava sorgendo, presagio che anche noi conoscevamo e la cosa non ci rassicurò per niente.

D'un tratto, poco lontano, un nitrito, seguito dal rumore di zoccoli che calpestavano la terra. Facemmo in tempo a nasconderci dietro un mucchio di roccie prima che un gruppo di cavalieri avanzasse dove un attimo prima ci trovavamo.

Mentre li vedevamo passare però ci rendemmo conto che non si trattavano certo di nemici, tanto che il ramingo, dopo una veloce occhiata rivolta all'elfo, uscì dal nascondiglio, attirando l'attenzione dei soldati a cavallo.

Vedemmo il gruppo invertire la loro marcia e tornare verso di noi, circondandoci in pochi attimi. D'istinto assunsi una posizione rigida, come se fossi pronta ad attaccare se mai ce ne fosse stata l'occasione. Potrei dire che la mia guardia aumentò non appena ci furono puntate contro almeno una trentina di lance in una posa non certo molto amichevole.

Poi uno dei cavalieri uscì dal gruppo dicendo:

-Cosa ci fa qui un gruppo così male assortito di compagni nelle terre del Mark? Parlate in fretta-

-Dimmi il tuo nome, signore dei cavalli, e io ti dirò il mio- rispose Gimli con la sua solita baldanza, facendoci sospirare tutti.

Il cavaliere, accettata allora la sfida smontò da cavallo, avvicinandosi:

-Ti taglierei la testa, nano, se solo si levasse un pò più alta da terra-

Veloce Legolas estrasse una delle sue freccie, puntandola incoccata contro il cavaliere, provocando una reazione di quelli che ci circondavano e portando noi a metter mano alle armi.

Subito Aragorn si mise in mezzo, probabilmente per evitare un inutile spargimento di sangue.

-Sono Aragorn, figlio di Arathorn, lui è Gimli, figlio di Gloin, Legolas di Reame Boscoso, Boromir, figlio di Denethor e Niniel di Lothlorien-

Rimasi interdetta da quella nomina, dato che mai al ramingo avevo rivelato le mie origini o la mia storia, ma decisi di avere successive delucidazioni.

-Siamo amici di Rohan e di Theoden, vostro re-

-Theoden non sa più riconoscere gli amici dai nemici, nemmeno la propria stirpe- rispose il cavaliere, togliendosi l'elmo e mostrando un volto giovane, ma dai tratti vissuti e temprati dalle battaglie, occhi scuri e capelli quasi biondi.

-Saruman ha avvelenato la mente del re e stabilito il dominio su queste terre. La mia compagnia è di quelle fedeli a Rohan e per questo veniamo banditi-

Poi quello si avvicinò al ramingo, pronunciando tra i denti:

-Lo stregone bianco è astuto. Vaga qua e là, dicono, come un vecchio con mantello e cappuccio e ovunque le sue spie sfuggono alle nostre reti-

-Noi non siamo spie. Inseguiamo un gruppo di Uruk hai che sono diretti a Ovest. Hanno fatti prigionieri due nostri amici-

-Gli Uruk sono distrutti, li abbiamo trucidati stanotte-

-Ma c'erano due hobbit. Hai visto due hobbit?- intervenne il nano.

Io lanciai uno sguardo verso il cavaliere, per poi spostarlo su Boromir, al mio fianco.

-Dove sono?- chiesi allora in direzione dell'uomo.

-Come prego?- fece lui di rimando, probabilmente non essendo abituato ad una donna che gli si rivolgeva in tal modo.

-Dove sono i resti?- dissi io con veemenza, arrivandoli quasi sotto il mento.

-Abbiamo ammassato i corpi e gli abbiamo dato fuoco- rispose quello, indicando una colonna di fumo bianco che si innalzava contro il cielo.

Senza attendere oltre, mi feci spazio tra i cavalieri, cominciando a correre in direzione del rogo, pregando i Valar che i nostri amici fossero ancora vivi.

 

***

Continuavo a correre in direzione della colonna di fumo bianco che si innalzava verso il cielo, sino a quando nelle narici non mi giunse l'odore di carne bruciata e di sangue secco. Alle mie spalle sentivo la presenza di qualcuno che cercava di mantenere la mia andatura, probabilmente chiamando il mio nome, ma la mia mente era ormai proiettata verso la meta, senza interessarsi più di ciò che mi circondava.

Mentre risalivo il versante quasi inciampai nei miei stessi piedi, fatto che mi rallentò, tanto che chiunque fosse il mio inseguitore riuscì a raggiungermi.

Cercando di rimettermi in posizione eretta sentii qualcuno afferrarmi per un polso, facendomi girare su me stessa. Mi scontrai contro il corpo di Boromir, il quale tentava di tenermi ferma, senza però molti risultati.

-Lasciami maledizione!!- dissi, continuando a muovermi come una serpe, mentre la presa dell'uomo si faceva più salda.

-Niniel devi calmarti- disse allora lui duro, strattonandomi appena, portando le mani sui miei avambracci.

Io tornai in me di colpo, come se sino a quel momento fossi stata immersa in un limbo ovattato, focalizzata solo sul pensiero dei due hobbit e sulla speranza che non fosse come aveva detto il rohirrim.

-Boromir, io devo esserne certa- dissi allora, il tono pacato, il corpo improvvisamente svuotato di ogni volontà di ribellione.

-Perchè?-

-Non voglio perdere nessun'altro in questo viaggio- risposi, senza neanche guardarlo negli occhi.

D'un tratto sentii una sensazione di calore invadermi, avvertendo il contatto con il corpo del gondoriano. Mi ci volle qualche attimo per capire che mi stava abbracciando. Sentii il volto arrossire con prepotenza, ma era una sensazione talmente nuova e al tempo stesso confortante che non riuscii subito a dividermi da lui. Anzi, poggiai la fronte contro il suo petto, chiudendo gli occhi e avvertendo il suono del suo cuore che batteva, il quale fu capace, per un motivo a me sconosciuto, di calmarmi.

Ci separammo solo quando alle nostre spalle sentimmo il rumore di tre cavalli al galoppo e vedemmo spuntare Aragorn, Legolas e Gimli in groppa a due maeras, portandone un altro per le briglie.

Nessuno disse niente.

Boromir raggiunse allora il terzo cavallo, montandone in groppa e protendendomi una mano per farmi salire dietro di lui.

Non seppi bene per quale motivo, ma poco prima di afferrare la mano del gondoriano, lo sguardo si incrociò con quello dell'elfo, il quale però lo distolse immediatamente. Io feci la stessa cosa, sospirando e, veloce, presi posto dietro Boromir.

-Reggiti- mi disse lui, afferrandomi per i polsi e portandomi ad incrociare le mani sul suo addome.

Non feci caso a quel gesto, dato che i miei pensieri erano nuovamente rivolti verso i due hobbit. Con un colpo di redini, partimmo al galoppo.

 

***

 

Trattenni a stento la voglia di rimettere non appena fummo in vista della cupola di cadaveri carbonizzati che ancora fumava. Veloce smontai da cavallo, seguita dagli altri, i quali, senza esitazione, si misero a cercare qualche segno dei nostri due compagni.

Io, dal canto mio, mi allontanai dal gruppo, continuando a spostare lo sguardo in direzione della fitta foresta che aveva inizio poco distante dal luogo della battaglia. C'era qualcosa nell'aria, un sussurro nel vento, dei bisbigli assomiglianti a voci. Chiusi gli occhi, concentrandomi e fui destata solo dal grido colmo di dolore che partì dal ramingo.

Con passo lento mi diressi verso quella che riconobbi essere la foresta di Fangorn, seguendo ancora la sensazione che dallo stomaco mi saliva sino al petto. Cos'era?

Un movimento tra i cespugli del sottobosco mi rese attenta, facendomi salire una mano all'elsa della spada. Mentre sentivo i miei compagni avvicinarsi, io avanzai verso il punto dal quale proveniva il rumore, intervallato da gemiti di sofferenza.

Lentamente la lama di Carnil si allontanò dal suo fodero, pronta a qualunque tipo di attacco. Con una mano ancorata all'elsa della spada, l'altra si allungò tra il fogliame, scansandolo piano.

Steso a terra, immerso nella soffice erba, stava un giovane, capelli scuri lunghi quasi quanto quelli di un elfo legati in una morbida treccia, pelle che sembrava scurita dalla prolungata permanenza sotto il sole, abiti umili e una macchia scura che gli si allargava su un fianco, sulla quale stava premuta una sua mano.

-Aragorn!!- gridai allora, raggiungendo lo sfortunato e inginocchiandomi al suo fianco, poggiando la spada poco lontano da me.

Vedevo il suo petto che si alzava e abbassava lentamente, quasi il respiro fosse assente. Poggiai due dita all'altezza della carotide, avendo la conferma di un battito lento e quasi inesistente, mentre la sensazione del contatto con la sua pelle mi fece capire che il poveretto aveva una febbre altissima.

Alzai lo sguardo, cercando qualche indizio su cosa fosse accaduto al giovane. Poco lontano, notai il corpo di un orchetto riverso a terra, la testa separata dal corpo con un taglio netto e preciso. Abbandonata tra i cespugli notai spuntare l'elsa di una spada.

Alle mie spalle allora sentii i passi dei miei compagni.

-Chi è costui?- chiese la voce del nano.

-Non lo so, ma ha bisogno di aiuto- risposi, passandogli una mano sulla fronte e spostandogli qualche ciuffo di capelli d'ebano.

Quando però feci per allontanare la mano, una presa al polso me lo impedì. Lo sconosciuto mi aveva fermata con un movimento rapido e del quale io non mi ero minimamente accorta.

Riportai allora lo sguardo su di lui e, inaspettatamente, sussultai.

-Non è possibile...- dissi.

A fissarmi stavano due profondi occhi viola.

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Capitolo 11
*** L'oscurità tra le mura di Edoras ***



ANGOLO AUTRICE:
Ebbene si, sono ancora viva e pronta a proporvi un nuovo capitoletto. Mi spiace molto di aver rallentato nella pubblicazione, ma sono veramente piena di impegni ed inoltre il lavoro mi sta devastando. Spero comunque che il capitolo sarà di vostro gradimento.
Un saluto

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

 

 
CAP XI – L'OSCURITA' TRA LE MURA DI EDORAS

 

 

-Raggiungete la dimora di Theoden, signore dei cavalli, prestate soccorso a questo poveretto. Noi vi raggiungeremo là- ci aveva detto Aragorn posando entrambe le mani sulle spalle mie e di Boromir, prima che lui, Legolas e Gimli si avventurassero tra i folti alberi della foresta di Fangorn.

Inizialmente mi ero chiesta come mai avesse scelto il gondoriano come mio compagno di viaggio, ma poi capii che molto probabilmente il ramingo si era accorto della stanchezza che stava cogliendo il corpo dell'uomo, della fatica che guidava i suoi passi e il bisogno di un momentaneo riposo che non gli era ancora stato concesso dopo che era quasi morto.

Così, in groppa ad un unico maeras, lo sconosciuto privo di sensi davanti al gondoriano, ci trovammo dinnanzi alle porte della grande città, sulla quale sventolavano i vessilli dei signori dei cavalli.

Osservandone le mura non potei fare a meno di pensare che qualcosa di strano aleggiava su quella città, un invisibile nebbia maligna ne saturava l'aria e cominciai a dar credito alle parole del cavaliere che avevamo incontrato nella valle.

Giunti dinnanzi al portone, Boromir portò alle labbra il corno di Gondor, rimasto stranamente illeso dallo scontro contro gli Uruk, e vi soffiò dentro una volta, facendone risuonare il richiamo.

Solo quando l'eco si consumò, avvertimmo i battenti schiudersi, lasciando la visione di un piccolo drappello di uomini giunti a riceverci, i quali, giurai, non erano delle più pacifiche intenzioni.

-Cosa porta qui un uomo di Gondor?- chiese quello che doveva essere il capo delle guardie, ignorando completamente la mia presenza.

-Io e la mia compagna abbiamo necessità di riposo e inoltre portiamo con noi un ferito. Chiediamo asilo per una notte prima di proseguire per la nostra strada verso la città bianca- rispose Boromir.

-Smontate da cavallo dunque. Il nostro re vi attende nella sala del trono. Prima di ricevere da noi qualunque aiuto, dovrete avere il suo permesso-

-Ragionevole. Chiedo almeno però che quest'uomo possa momentaneamente essere condotto da qualche parte e che gli siano donate le prime cure-

Notai il dubbio negli occhi della guardia, come se non sapesse bene come agire. Poi alzò una mano verso due dei suoi uomini, indicandogli lo sconosciuto ancora tra le braccia di Boromir, il quale fu smontato da cavallo e condotto chissà dove.

Seguii i movimenti del terzetto con lo sguardo, segretamente preoccupata per le sorti del ragazzo, ma al tempo stesso curiosa di saperne di più su di lui e sulla misteriosa fisionomia che ci rendeva simili.

Solo in quel momento mi resi conto che Boromir era già smontato da cavallo e che mi stava tendendo una mano per fare altrettanto. Non accettai il suo aiuto, ma con un balzo agile fui nuovamente con i piedi a terra.

Seguimmo le guardie per una ripida scalinata in pietra, il quale collegava il villaggio sottostante alla casa del re, una struttura alquanto umile per essere nobile, ma che incuteva rispetto nonostante tutto.

Mentre camminavamo, sentii Boromir avvicinarsi e sussurrarmi:

-Perchè non hai ancora detto una parola? Non è da te-

Io mi voltai, le sopracciglia inarcate in un'espressione tra il concentrato e il diffidente, lanciandomi poi una veloce occhiata attorno.

-Non mi sento sicura tra queste mura. Aragorn ci ha mandato qui perchè era sicuro avremmo trovato aiuto, ma credo che dovremo dosare bene i nostri passi e le nostre azioni, altrimenti Rohan, da alleato, si tramuterà in un nemico-

-Sei saggia amica mia, in quanto la sensazione che anche io provo è di pericolo. Fidiamoci però delle parole del ramingo e, anzi, cerchiamo di scoprire cosa accade in questa città-

Proprio in quel momento fummo costretti a fermarci dinnanzi ad un pesante portone di legno scuro, finemente lavorato.

Il capo delle guardie si voltò, chiedendo che le nostre armi venissero lasciate in custodia ai suoi uomini.

-Non abbiamo intenzioni ostili- rispose Boromir, sorridendo mestamente per smorzare la tensione.

-E' un ordine. Potrete entrare nella casa del re solo disarmati. Se vi rifiuterete, allora riprendetevi il vostro moribondo e andatevene-

Strinsi i denti, infastidita e d'istinto la mia mano scese all'elsa della spada, ma il polso mi fu bloccato dalla presa del gondoriano, il quale disse:

-Se è un ordine del re allora obbediremo- e detto ciò, lasciandomi andare, iniziò a slegare le stringhe che tenevano ferme le sue armi, chiedendomi con lo sguardo di fare lo stesso.

Sospirai, ma cominciai a mia volta a compiere le medesime azioni. Così, dopo che le nostre armi furono tra le mani delle guardie, il grande portone si schiuse davanti ai nostri occhi.

 

***

 

La penombra che aleggiava nella grande sala veniva resa ancora più buia dalla sensazione di gelo che colpì me e il gondoriano non appena mettemmo piede oltre il portone. In realtà la tenue luce del giorno entrava attraverso varie porte aperte sui lati della stanza, ma pareva che la luce non riuscisse a rischiararla realmente.

L'ambiente era deserto, scuro, trascurato, niente a che vedere con ciò che avevamo potuto ammirare all'esterno. Le guardie che spuntavano dallo spazio tra le colonne di pietra parevano deperite e deboli, prossime allo svenire o anche peggio. Con loro, solo qualche membro della servitù, esattamente con lo stesso aspetto.

Solo i nostri passi si udivano a contatto con il pavimento, mentre sia io che l'uomo al mio fianco non perdevamo occasione per guardarci attorno, pronti a qualsiasi tipo di attacco o minaccia.

Pareva quasi di non trovarsi nel palazzo di Edoras, ma nell'antro più scuro e dimenticato dei possedimenti dello stregone o dell'Oscuro.

In fondo alla sala stava un trono, sul quale sedeva un uomo dai lunghi capelli bianchi, la barba incolta, il viso segnato da tante di quelle rughe da apparire vecchio di secoli. Eppure, da quello che veniva raccontato, il re di Rohan non doveva avere più di una cinquantina di anni.

A fianco al sovrano, ricurvo tanto da sussurrargli all'orecchio, stava un'ombra, la quale si rivelò essere un uomo, dalla pelle cadaverica e dagli occhi glaciali, unti capelli d'ebano che gli incorniciavano un volto di rettile, viscido e strisciante.

Fu lui a parlare, con nostro stupore.

-Cosa ci fa qui in queste terre un uomo di Gondor? Boromir, figlio di Denethor, quale onore e inaspettata sorpresa trovarti sulle soglie della casa del signore dei cavalli-

Giurai che l'uomo avesse particolarmente calcato sulla parola “inaspettata”, come se la nostra presenza fosse un punto non contemplato in chissà quale ordito piano.

-Sono di passaggio per tornare verso la città dalle bianche mura. Io e la mia compagna ci siamo imbattuti in un poveraccio ferito durante lo scontro con un orco e per questo abbiamo reputato giusto prestargli soccorso. Abbiamo dunque approfittato della vostra nobile Edoras per chiedere asilo e per far visita ad un vecchio amico di Gondor- rispose Boromir, sporgendosi alle spalle del consigliere, cercando con lo sguardo quello del sovrano.

-Posso chiedere cosa è accaduto a re Theoden?-

Notai i lineamenti sul volto dell'essere, il quale avevo capito chiamarsi Vermilinguo, indurirsi, smostrandosi in un espressione di odio e fastidio. Poi rispose:

-Una malattia sconosciuta ha colpito il nostro buon re, quindi chiedo che non gli sia recato ulteriore disturbo- rispose il consigliere, arretrando nuovamente verso il trono.

Prima di prendere nuovamente posto di fianco al sovrano, disse:

-Siete i benvenuti viaggiatori, ma i tempi bui obbligano re Theoden a chiedervi di fermarvi solo per questa notte. Sarete sfamati e dissetati, il vostro destriero abbeverato, un altro dei nostri cavalli vi verrà concesso, ma al sorgere del sole le porte di Edoras si chiuderanno alle vostre spalle-

Notai lo sguardo di Boromir per nulla convinto, ma come si richiede al figlio del sovrintendente, chinò il capo in segno di rispetto e prese a dirigersi verso l'uscita. Dopotutto, come alleato più importante di Gondor, se l'uomo avesse preteso la chiamata alle armi, i Rohirrim avrebbero avuto l'obbligo di rispondere, per questo gli parve strano, probabilmente più di quanto sembrò a me, che avessero tutta quella fretta di farci allontanare da Rohan.

Non seguii immediatamente Boromir nella sua ritirata, rimanendo per qualche secondo a fissare in volto il re, la luce spenta presente nei suoi occhi, l'aria stanca che ricopriva la sua figura. C'era qualcosa di strano in quell'uomo, qualcosa che a noi era però nascosto. Giurai che dietro a quell'innaturale aspetto, ci fosse lo zampino proprio del fidato consigliere. Il modo in cui ci aveva accolto, le parole da lui pronunciate, erano chiari segni che la nostra presenza fosse un imprevisto, un fattore che non aveva considerato.

Dopo quell'ultima lunga occhiata, il mio corpo si mosse da solo con l'intento di raggiungere il mio compagno, ormai quasi giunto al portone intagliato. Le parole che però mi giunsero alle orecchie, stavolta non pronunciate da Vermilinguo, resero di pietra il mio passo.

-Non lo troverai più, ormai è tardi, mia piccola Roquen...-

Con le pupille dilatate dallo stupore e dalla rabbia, mi voltai di nuovo verso il re, le labbra stavolta increspate in un sorriso di sfida. Qualcosa era scattato in me nell'istante esatto in cui quelle parole erano state pronunciate.

-Cosa hai detto?- dissi con voce roca, fissandolo intensamente con miei occhi viola, scordandomi anche di rivolgermi a lui con il dovuto rispetto.

Dei passi alle mie spalle mi fecero capire che probabilmente Boromir stava cercando di raggiungermi per impedirmi di fare qualche sciocchezza, allarmato da quelle misteriose parole che solo io sapevo cosa significassero.

-Il tuo viaggio ti porterà solo verso la sofferenza, la tua ricerca verso una fine sicura. Tutto ciò che rincorri è perduto-

-Saruman...- ringhiai.

Prima che qualcuno avesse il tempo di intervenire, mi piegai su me stessa, raggiungendo lo stivale destro nel quale avevo nascosto un piccolo pugnale, tenuto lì in caso di bisogno, lo afferrai saldamente per la fine impugnatura e con uno scatto mi scagliai contro quello che ormai sapevo con certezza non essere re Theoden.

Non feci però in tempo a raggiungerlo, in quanto qualcuno bloccò la mia avanzata afferrandomi rudemente per un braccio. Al primo si aggiunse un secondo e anche un terzo, dato che in due non erano riusciti a fermarmi. Un colpo alle ginocchia mi fece cadere, ritrovandomi schiacciata a terra ai piedi del trono, il viso a contatto con la fredda pietra del pavimento, una mano tra i capelli che mi impediva di voltare anche di poco la testa. In lontananza la voce di Boromir, sovrastata però da quella del viscido consigliere:

-Hai recato offesa all'ospitalità che il re ha concesso a te e al figlio del sovrintendente nella sua casa, cercando di attentare alla sua vita. Gettatela nelle prigioni sino a quando non verrà ordinata un'esecuzione pubblica per punire tale impudente gesto e impedite a lui di avvicinarsi- concluse, probabilmente indicando il mio compagno.

Mi sentii sollevare e solo in quel momento un grido quasi animalesco mi uscì dalla gola, cercando con tutta me stessa di liberarmi da quei tre uomini che continuavano a tenermi ferma e trascinarmi verso una delle porte laterali.

-Giuro sui Valar che ti ucciderò con le mie mani e riprenderò ciò che tu mi hai rubato!!- sbraitai, cercando di avvicinarmi nuovamente al sovrano.

Poi però, inaspettato, un colpo alla base della nuca mi fece perdere i sensi. Mentre la mia mente piombava nel buio, mi parve quasi di sentire un eco lontano che invocava il mio nome.

 

***

 

Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai stesa su di un maleodorante pavimento, cosparso di ciuffi di paglia e fango, probabilmente provenienti dal rude giaciglio che scorsi con la coda dell'occhio. Rabbrividii quando mi accorsi di non indossare il mio mantello elfico, cominciando a chiedermi come fossi arrivata in quella sudicia prigione. Al di fuori della spessa porta, sulla quale si apriva un'unica finestrella munita di spesse sbarre di ferro corrose dal tempo, sentivo lamenti di altri prigionieri, uniti ai passi della guardia che andava avanti e indietro per la ronda.

Con fatica mi alzai in piedi, la testa che mi doleva ancora a causa del colpo che avevo ricevuto. Passai una mano tra i capelli, sentendoli incrostati di quella sporcizia e da qualcos'altro che all'inizio non riuscii a definire, avvertendo la nausea che mi saliva in gola.

Poi un pensiero si fece strada nella mia mente: cosa ne sarebbe stato di me?

Eravamo in terra straniera, quindi l'autorità di Boromir non aveva alcun valore tra quelle mura e, anche se i nostri compagni fossero giunti, non avrebbero potuto far niente per risolvere la mia situazione. Oramai lo stregone bianco aveva preso possesso del cuore del re e, con l'aiuto del fedele alleato, in quanto ero certa che quel Vermilinguo fosse in combutta con lui, non vi erano più speranze per Rohan.

Ma per quanto ero rimasta priva di conoscenza? Quanto era trascorso da quando mi avevano buttato in quella lurida prigione?

Non seppi bene il motivo di tale pensiero, ma in quel momento avrei tanto voluto che qualcuno dei miei compagni avesse varcato quella soglia per farmi uscire. Di uno in particolare avrei voluto scorgere la presenza attraverso le sbarre.

Perchè di tutti quelli che avrebbero potuto aiutarmi, proprio a lui mi veniva da pensare? Era come se vedere in quel momento i nobili lineamenti del suo viso, i profondi occhi color del cielo e il portamento fiero e principesco mi desse un motivo per sperare.

Poi dei passi interruppero i miei pensieri. Erano diversi da quelli che avevo sentito sino ad allora e ciò stava a significare che non era la solita guardia ad avanzare verso la cella.

Con fatica arretrai, andando a toccare con la schiena il muro alle mie spalle, aspettando di scoprire chi mai fosse il misterioso visitatore.

-Aprite!!- ordinò una voce che mi fece rabbrividire.

Con un cigolìo di cardini la porta si schiuse lentamente, capace di bloccarmi il respiro in gola. Sulla soglia, affiancato da uno dei soldati di Rohan, stava il viscido Grima Vermilinguo, il quale mi fissava con insistenza, la testa leggermente inclinata verso la spalla destra.

-E così tu sei la famosa mezz'elfa dagli occhi viola, la spina nel fianco del mio padrone- disse, avanzando di un passo.

Mi sentivo inaspettatamente inerme di fronte a quell'uomo, cosa che mi spaventò, in quanto non riuscivo a capirne il motivo.

Senza che me ne rendessi conto, il consigliere mi fu inaspettatamente vicino in pochi attimi, afferrandomi rudemente per il mento e facendomi alzare il viso verso di lui.

-Vedo che l'incantesimo sta compiendo il suo dovere. Sei quasi allo stremo, le mura di questa cella non ti permettono di recuperare le forze. Devi davvero essere un insetto fastidioso per preoccupare in tal modo lo stregone bianco-

Quelle parole le aveva quasi sussurrate, probabilmente per evitare che la guardia potesse udirle.

Lo fissai in cagnesco, riducendo gli occhi a due fessure, per poi sputargli dritto in faccia.

-La tua presenza mi dà la nausea, viscida creatura. Non sei nè la prima nè l'ultima marionetta di quel bastardo. Cosa ti fa pensare di essere indispensabile?- ringhiai.

Lo schiaffo giunse veloce ed inaspettato, ma soprattutto mi provocò più dolore di quanto mi sarei mai aspettata. Che fossero veritiere le sue parole sull'infernale incantesimo che impregnava quelle mura?

Inclinai il corpo verso il pavimento, sentendomi poi afferrare per i capelli e costringermi a tornare nella stessa posizione di poco prima.

-Sei un'impudente ragazzina. Se ti uccidessi, il mio padrone me ne renderebbe merito. Penso che sarà proprio quello che farò-

Dopo avermi rivolto un sorriso sghembo, si voltò verso la guardia, ancora sulla soglia, senza lasciarmi andare, e disse:

-Domani all'alba giustiziatela-

Detto ciò mi lasciò andare, facendomi sbattere la nuca contro la parete alle mie spalle. Mi accasciai al suolo, la vista appannata dalla botta, le orecchie che mi fischiavano.

-Goditi la tua ultima notte- mi giunse lontana la voce di Vermilinguo, accompagnata dal cigolìo della porta che si chiudeva.

Chiusi gli occhi, cercando di calmare il respiro e desiderando che il sole dell'indomani non sorgesse mai.

 

***

 

A destarmi fu un gran movimento al di fuori della mia cella. Alzai la testa, dischiudendo appena gli occhi, tendendo le orecchie per cercare di capire cosa stesse succedendo. Cercai di riassumere una posizione almeno seduta, ma quando lo feci, la testa girò per un attimo.

Poi una voce, quella voce, chiamò il mio nome, rendendomi vigile. Lentamente poggiai una mano contro il muro dietro di me, cercando la giusta aderenza per potermi alzare in piedi. Ci riuscii dopo un paio di tentativi, mentre ancora quella voce mi chiamava.

-Sono qui...- tentai di dire, ma la gola era secca e la voce mi uscì quasi al pari di un sussurro.

Con fatica arrancai sino alla porta, cadendo in ginocchio almeno una volta. La vista era pessima, mentre sentivo la sensazione di qualcosa di liquido che mi scendeva dalla fronte lungo la guancia.

Finalmente raggiunsi la porta di legno umido, afferrando saldamente con una mano le sbarre di ferro scuro.

-Legolas...- biascicai ancora, sperando che la mia voce giungesse comunque alle orecchie fini dell'elfo.

Avvertendo i passi che si dirigevano verso di me, mi resi conto che probabilmente non doveva essere solo, ma non me ne curai.

Con fatica feci passare una mano attraverso le inferiate, pensando così di attirare maggiormente l'attenzione dei mie salvatori. E per fortuna funzionò.

In qualche attimo qualcuno afferrò la mano che stavo sporgendo dalla cella, stringendola con decisione. I miei occhi incontrarono quelli color del cielo dell'elfo, rimanendo per qualche istante in una sorta di mistica stasi.

-Niniel, stai bene?- mi chiese, continuando a stringere la mia mano.

-Legolas, ti prego, tirami fuori di qui- dissi con un filo di voce.

-Devi allontanarti dalla porta-

Facendo scivolare nuovamente la mano all'interno della cella, cercai di arretrare di un poco, anche se il passo era malfermo. Avvertii il rumore di una chiave nella toppa e l'ormai familiare cigolìo che ne segnava l'apertura.

Quando l'uscio si schiuse, dinnanzi mi si parò la figura di Legolas, la quale mi parve la più bella che avessi mai visto. Mi soffermai per un istante a guardare i suoi occhi, nei quali riconobbi preoccupazione, ma anche sollievo. Mi venne da sorridere, riconoscente.

Prima però che potessi muovermi verso di lui, le gambe cedettero definitivamente e io piombai nuovamente nell'oscurità.

 

***

 

Una leggera brezza mi carezzò il viso, facendomi sospirare. Alzai una mano passandomela lentamente sugli occhi, i quali stranamente mi bruciavano, come se avessi fissato il sole per un giorno intero. Sotto le dita avvertii anche qualcosa che somigliava ad una fasciatura circondarmi la testa.

Le palpebre erano pesanti, ma comunque riuscii ad aprirle, abituandomi in pochi attimi alla luce del giorno che entrava da una grande finestra alla mia sinistra.

Con un gemito di fastidio ed un momentaneo capogiro mi alzai a sedere, notando solo in quel momento di non essere affatto sola nella stanza. Una figura si stagliava controluce davanti ad una grande finestra, unica fonte di luce, impedendomi in un primo momento di essere sicura di chi si trattasse. In cuor mio sperai fosse Legolas, anche se non seppi esattamente il perchè di quel muto desiderio, ma osservandolo meglio notai il fisico molto più aitante e piazzato rispetto a quello longilineo dell'elfo, per non parlare della posa solenne degna di un uomo di Gondor.

Infatti era Boromir colui che trovai nella stanza al mio risveglio e una parte di me ne era quasi dispiaciuta, tanto che distolsi lo sguardo e strinsi forte le mani in grembo.

Sentendo probabilmente i miei movimenti, l'uomo si voltò, sorridendomi non appena mi vide seduta.

-Ci hai fatto preoccupare, ragazzina- mi disse, mentre, con passo fermo e slegando le mani da dietro la schiena, si diresse verso il mio letto.

-Quanto ho dormito?-

-Una mezza giornata. Hai perso un bel pò di sangue dalla ferita alla testa, ma per fortuna Aragorn ti ha curato con foglie di Athelas-

In quel momento ci giunsero lontani cori funebri e lamenti di donne che interruppero le nostre parole, accompagnati da voci di uomini che narravano una triste storia, una fine degna, ma comunque una fine, una preghiera ai Valar nel rischiarare il cammino del povero sfortunato.

-Cosa è accaduto?- chiesi, spostando lo sguardo verso l'esterno della finestra.

-Si stanno svolgendo i riti funebri per la morte del figlio di re Theoden. Hai deciso di riaprire gli occhi in un triste giorno, Niniel-

-E tu perchè non sei là?- domandai ancora ingenuamente.

Lo vidi sorridere appena, mentre con la calma dimostrata sino a quel momento si avvicinò al ciglio del letto e vi si sedette, voltandosi poi a guardarmi, una luce nello sguardo che per un attimo mi provocò dei brividi lungo la schiena. Inconsapevolmente, imposi al mio corpo di allontanarmi un poco da lui, senza però scatenare offesa o altro tipo di affronto nei suoi confronti.

-Ho chiesto di rimanere a vegliare sul tuo sonno. Il re non me ne vorrà e nemmeno i nostri compagni-

Vidi una sua mano salire verso il mio viso, sino ad afferrare delicatamente tra le dita una ciocca dei miei capelli.

-Sei una donna avvolta nel mistero, mia cara Niniel di Lorien e questa cosa non so se mi spaventa o mi fa diventare ancora più ansioso di conoscere ogni tuo segreto-

La sua voce aveva preso una nota rauca, quasi sussurrata. Ero in imbarazzo, puro e semplice, in quanto non mi ero mai trovata in una simile situazione e non riuscivo a trovare un modo giusto di reagire. Il mio corpo tremò non appena la mano di Boromir lasciò andare i miei capelli e mi accarezzò lascivamente la pelle del braccio, diventata improvvisamente incandescente. Mi sentivo così indifesa sotto quel tocco, così arrendevole e la cosa mi fece fremere di rabbia.

Quando ormai il mio cervello stava gridando aiuto e il mio corpo accumulando le energie per allontanarmi decisa, avvertimmo la porta che si apriva e qualcuno che si schiariva la voce per attirare la nostra attenzione.

Mi voltai e, se possibile, impietrii ancora di più. Sulla soglia, gli occhi sottili e le sopracciglia ricurve, stava Legolas, ancora l'arco a tracolla e la faretra piena di freccie. Notai per un attimo il suo corpo farsi rigido e solo in quel momento mi accorsi della vicinanza che stava tra me e il gondoriano. Non sapevo che dire, non riuscivo a trovare le parole giuste per uscire da quella situazione.

Poi ci pensai: quale situazione? Non stava accadendo assolutamente niente tra me e Boromir, anche se il sentore che mi stessi sbagliando era come una spina che mi pungolava all'altezza del petto. Inoltre tra me e l'elfo non c'era un rapporto simile da sentirmi in imbarazzo se un altro uomo mi riservava quel tipo di attenzioni e per questo neanche riuscii a capire il perchè il suo corpo avesse reagito in quel modo di fronte a una scena assai equivoca.

-Aragorn ti vuole vedere- parlò allora Legolas, rivolgendosi a Boromir.

Sentii l'uomo al mio fianco sospirare, per poi abbandonare il letto e dirigersi verso la porta. Prima però di allontanarsi, si chinò su di me e mi lasciò un bacio sulla fronte, proprio come quella sera sulle rive dell'Anduin. E come quella stessa sera, Legolas era presente.

Quando Boromir lasciò la stanza, senza lanciare uno sguardo indecifrabile all'elfo prima di andarsene, avvertii il gelo circondarmi, ma cercai comunque gli occhi di lui, ancora fermo sulla soglia.

-Legolas, io...- cominciai a dire.

-Non mi devi alcuna spiegazione, Niniel. Adesso riposa- rispose freddo e detto ciò abbandonò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Dopo qualche attimo di catalessi, durante il quale non staccai gli occhi dalla porta, decisi di coricarmi nuovamente, non pensando a niente di meglio per occupare il tempo. Così, tirandomi le coperte sin sotto il mento, chiusi gli occhi, anche se nell'oscurità della mente, non riuscivo a dimenticare lo sguardo che Legolas mi aveva rivolto prima di andarsene.

 

***

 

Mi svegliai quando, nell'incoscienza, sentii bussare alla porta. Inoltre, avvertivo un lieve bruciore provenire dalla mano dove c'era la cicatrice, cosa che mi insospettì, dato che sino a quel momento ero convinta che il legame si fosse spezzato.

Così, rendendomi conto di sentire molto meno fastidio rispetto al giorno precedente, mi alzai a sedere e detti il permesso a chiunque fosse di entrare.

Quando la figura mi apparve dinnanzi agli occhi, per poco non caddi dal letto. Era un vecchio, capelli e barba bianchi, abiti candidi come il colore della neve baciata dal sole, il cui corpo pareva rilucere di un tenue bagliore. In un primo momento scambiai il nuovo arrivato per il mago bianco che risiedeva a Isengard, chiedendomi al tempo stesso come potesse aver fatto a trovarmi, ma soprattutto a raggiungermi.

Poi però, fissandolo in viso, mi lasciai sciogliere da un sorriso che ormai conoscevo fin troppo bene, sentendo una piccola lacrima scendermi inconsapevole su di una guancia. Una mano mi salì alle labbra, soffocando un gemito.

-Gandalf?- sussurrai.

-Ben trovata, Niniel- mi rispose quello, anche se la sua voce pareva aver acquisito un tono solenne e molto più saggio dell'ultima volta in cui l'avevo visto.

Senza preoccuparmi del corpo che, nonostante il riposo, ancora mi dava difficoltà nei movimenti, scostai le coperte, rabbrividendo quando i piedi nudi toccarono il pavimento, per poi alzarmi e dirigermi a passo malfermo verso lo stregone. Non appena lo raggiunsi, gli allacciai le braccia al collo e affondai il viso nel suo petto. Subito avvertii la sensazione di una carezza tra i capelli.

-Come è possibile?- chiesi, senza però avere il coraggio di alzare lo sguardo, in quanto avevo paura si trattasse di un incantesimo.

-E' una storia molto lunga- mi rispose lui.

-Si da il caso che adesso abbia molto tempo libero- risposi impertinente, tornando verso il letto, sicura che lo stregone mi avrebbe seguito.

Decisi però di non tornare a coricarmi, ma andai a sedermi sul davanzale della grande finestra, beandomi della brezza che da quella entrava e portava con sè il profumo delle vallate sconfinate di Rohan.

Gandalf si sedette invece sulla sponda del letto, il bastone adagiato sulle gambe, cominciano a narrarmi la sua vicenda da quando era caduto con il Balrog nell'oscurità di Moria.

Stetti ad ascoltare senza interromperlo, lanciando ogni tanto occhiate fuori dalla finestra, immaginandomi ciò che lo stregone aveva dovuto passare, cosa noi tutti avevamo passato quando pensavamo fosse morto.

Quando concluse, lasciai il silenzio come unico commento al suo racconto. Poi dissi:

-Pensavo che non ti avrei più rivisto, vecchio amico-

-Non ti libererai facilmente di me, mia piccola mezz'elfa. Adesso è meglio che vada, grandi decisione si prospettano all'orizzonte e io non posso mancare di dispensare i miei consigli- disse.

-Tornerai a trovarmi?- chiesi d'impeto, vedendo con il suo allontanamento anche il sopraggiungere della solitudine.

In quel momento neanche la curiosità di sapere quali fossero tali importanti questioni che richiedevano la sua presenza mi distolsero dalla paura di perderlo di nuovo, di veder scomparire la mia guida ancora una volta.

-Non appena gli impegni termineranno. Sino ad allora, riposa- e detto ciò se ne andò.

Sorrisi, grata al fato per aver riportato da noi il saggio stregone. Poi però qualcosa attirò la mia attenzione, destandomi dai miei pensieri: una risata.

Seguii con lo sguardo il suono per capirne la provenienza e ciò che vidi mi fece sobbalzare il cuore nel petto: Legolas, nel cortile sottostante, che passeggiava con una donna, facendola anche ridere e sorridendo lui a sua volta. Non ricordai che lui mi avesse mai rivolto un sorriso tanto sincero da quando ci eravamo conosciuti.

Il fiato mi si mozzò inconsapevolmente in gola, mentre, una mano sul petto e gli occhi spalancati, scesi dal davanzale e arretrai, sino a trovarmi seduta sul letto. Cercai di regolarizzare il respiro, mentre con i pugni stringevo la coperta sotto di me in una morsa che quasi mi fece gemere dal dolore.

Cosa mi stava succedendo? Cos'era quella fitta che mi attanagliava lo stomaco e mi impediva addirittura di respirare?

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Capitolo 12
*** Contesa ***


 

ANGOLO AUTRICE:
**Si nasconde dietro ad Aragorn e Boromir, i quali hanno intenzione di proteggere l'autrice dalle lettrici in rivolta**
Beneeeeeeeeee...
Con una grande faccia tosta, mi sono ripresentata imperterrita con un nuovo capitolo, stavolta incentrato più sulle faccende di cuore che su vere e proprie scene del film.
Povera Niniel, gliene capiteranno di tutti i colori. Ma vi lascio alla lettura e, mi raccomando, non odiatemi per la lentezza con cui aggiorno, in quanto, impegni a parte, la fantasia sta un pò scemando. Spero comunque pazienterete.
Grazie ancora. Un saluto e buona lettura.

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)


CAP XII - CONTESA

 

 

La luce della candela rischiarava a malapena l'ambiente, anche se i miei occhi riuscivano ugualmente a distinguere il profilo della figura addormentata nel letto dell'infermeria, il torso fasciato da una spessa garza dalla quale giungeva l'inconfondibile odore di erbe e unguenti, mischiati a quello che pareva l'aroma della pianta di Athelas.

Probabilmente Aragorn, forse avvertito da Boromir o giunto all'infermeria curioso di sapere se lo sconosciuto si fosse svegliato, aveva alleviato il suo dolore con le foglie miracolose di cui lui era il solo a saperne sprigionarne l'intero potenziale curativo.

Sospirai, sistemandomi alla meglio sulla scomoda sedia che avevo trovato di fianco al letto.

Osservai il ferito con più attenzione, cercando inconsapevolmente di carpire almeno qualcuno dei misteri che la sua comparsa nascondeva. I miei occhi seguirono l'andamento morbido della sua chioma nera, abbandonata disordinatamente sul cuscino ruvido e consumato, la quale lasciava scoperte le orecchie dalla forma elfica, scendendo poi sui tratti del viso, in quel momento rilassati a differenza di quando lo avevamo trovato, segno che probabilmente la cura stava facendo effetto. Mi trovai a pensare che era un uomo misterioso quanto affascinante e mi sorpresi quando sperai che per un attimo riaprisse gli occhi e mi regalasse una seconda visione di quegli occhi così uguali ai miei.

Il torso era nudo e la coperta lo nascondeva sino alla vita, rivelando un fisico che non pareva essere quello di un contadino, ma di un guerriero. Sulla pelle leggermente abbronzata spiccavano nivei segni e cicatrici.

Venni riscossa da quei pensieri da un violento colpo di tosse. Mi alzai, afferrando senza pensare la ciotola d'acqua posata su un piccolo tavolo al lato del letto. Con tutta la delicatezza della quale ero capace, gli portai una mano dietro la testa cercando di non provocargli eccessivo dolore o fastidio e gli portai il recipiente alla bocca.

Quello schiuse le labbra a contatto con esso, lasciando che l'acqua le accarezzasse e finisse in gola, anche se in parte gli scese comunque lungo la mascella marcata.

Per fortuna quella semplice azione bastò per quietargli la tosse, notando immediatamente un'espressione rilassata sul suo viso. Lentamente lo riadagiai sul cuscino, asciugandogli poi il viso e la gola con una pezza. Mi sorpresi nel scorgere una certa cura in quelle azioni, come se avvertissi nei confronti di quell'uomo una sorta di legame, la cui natura per il momento mi sfuggiva.

Riappoggiai quindi la ciotola sul tavolino, decisa a riprendere velocemente il mio posto, quando un sospiro mi fece voltare nuovamente, accompagnato da alcune parole:

-Grazie, mia signora-

Il tono della voce era affaticato, ma il timbro era profondo e deciso, austero e al tempo stesso umile.

Mi voltai lentamente, incontrando per la seconda volta, nella penombra, quei due occhi color ametista che mi fissavano, visibilmente riconoscenti, i quali parevano rilucere di un bagliore innaturale come se in essi zampillassero lingue di fuoco.

-Non sono una dama, signore. Non è necessaria la vostra riverenza- risposi, cercando di non mostrarmi infastidita dall'insistenza con cui quello mi stava fissando.

-A me lo parete, ma se vi ha infastidito tale titolo, allora magari rivelandomi il vostro nome mi impedirete di errare ancora-

Il suo modo di parlare non era certo quello di un contadino o di un uomo ignorante, quindi ebbi la conferma che lo sconosciuto aveva seguito un certo livello di istruzione.

-Il mio nome è Niniel. E il vostro?-

Lo vidi cancellare il lieve sorriso che gli era spuntato sulle labbra, per poi distogliere da me lo sguardo e rivolgerlo verso il soffitto, il quale era pressocchè invisibile a causa delle tenebre.

-Mi spiace deludervi, Niniel, ma non ho ricordo del mio nome-

Rimasi perplessa della sua risposta, tanto che mi arrischiai a muovere un passo verso di lui.

-E' solo il vostro nome che non ricordate?-

-A dire il vero la mia vita fino a questo momento è completamente avvolta nel buio, come questa stanza. È come se non avessi mai vissuto sino a questo momento-

Non riuscivo a capire e non trovavo neanche parole adatte per calmare quell'espressione tesa sul suo volto. Era come se sentissi il bisogno di calmarlo, come se fosse necessario per me parlargli ancora.

-Pensate a guarire, signore. Per il momento non è necessario per voi ricordare. Siete tra amici, quindi il vostro sonno sarà vegliato da occhi attenti- risposi allora, voltandogli le spalle e dirigendomi verso la porta.

Sentivo il bisogno di uscire. L'odore degli unguenti mi stava dando la nausea.

La sua voce mi fermò quando la mia mano sfiorò la maniglia:

-Tornerai, Niniel?-

C'era speranza in quelle parole, come se realmente quell'uomo volesse rivedermi. Così mi voltai appena, riuscendo a sorridere leggermente.

-Tornerò a trovarvi- risposi solo.

Dopodichè uscii, più domande che mi vorticavano in testa di quando avevo varcato quella porta la prima volta.

 

***

 

-Che succede?- chiesi, una volta raggiunta l'entrata del palazzo del re, sulla cui soglia stavano Aragorn, Gimli e Boromir, I quali fissavano il capitano delle guardie che ordinava alla gente di abbandonare la città e spostarsi verso il fosso di Helm.

Fissai il ramingo, il quale abbassò lo sguardo, sconsolato e solo allora notai l'elfo, poco distante che mi fissava con uno sguardo strano, come di rimprovero.

-Dove sei stata, Niniel?- mi chiese il gondoriano, avvicinandosi.

Avvertii una sua mano toccarmi poco sotto il gomito, ma di riflesso mi allontanai.

-Sono stata in infermeria, dallo sconosciuto che abbiamo trovato nel bosco. Si è svegliato poco fa- risposi piatta, distogliendo lo sguardo dall'uomo davanti a me e puntandolo su Aragorn.

-Ti ha detto qualcosa?- sopraggiunse poi una voce e alle spalle dei tre uscì Gandalf, anche il suo sguardo serio e attento.

-Non ha un nome, una casa o una famiglia. Afferma di non ricordare niente di sè prima di questo momento- risposi.

-E' strano. Sarà sicuro portarlo con noi o si rivelerà essere un altro trucco dello stregone bianco per farci fallire?- domandò Gimli, accarezzandosi la crespa barba fulva e inarcando le sopracciglia in un espressione interdetta.

-Mi fido di lui- dissi solo, attirando l'attenzione di tutti su di me.

Voltai le spalle, continuando:

-Non so come spiegarlo, ma è come una sensazione, un calore all'altezza dello stomaco. Sono sicura che quell'uomo ci sta raccontando la verità-

-Questo è abbastanza per il momento. Andiamo, dobbiamo aiutare ad organizzare questa enorme pazzia- disse Gandalf, allontanandosi verso l'interno della grande sala.

Anche gli altri lo seguirono. Sapevo che lo stregone aveva in mente qualcosa, lo avevo letto nei suoi occhi, sentito celato nelle sue parole. Non era d'accordo nella decisione del re di partire per il fosso di Helm e pareva essere un'idea comune tra tutti.

Assorta in quei pensieri, mi resi conto troppo tardi che l'elfo mi aveva affiancato.

-Non lasciarti distrarre- mi disse, freddo.

-Non capisco- risposi, senza però guardarlo.

-Invece penso che tu lo sappia bene e anche Boromir lo sa-

Mi voltai allora, guardandolo furente.

-Chi credi di essere, principe? Come ti permetti di giudicarmi? Come osi insinuare simili bugie? Davvero ti interessa tanto ciò che faccio? Sai, perchè non mi pareva ti importasse delle mie “distrazione” mentre te ne stavi beato nei giardini con la nipote di Theoden- conclusi, stringendo i pugni quasi sino a farmi male.

Stavolta anche lui si voltò.

-Con chi passo il mio tempo non deve interessarti, Niniel. In fondo, io so quando è il momento di accantonare i passatempi e concentrarsi sulle battaglie-

Detto questo mi diede le spalle e seguì il resto del gruppo. Lo vidi avvicinarsi ad una delle tavola, alla quale si trovavano la dama bionda, Eowyn, e due bambini che mangiavano voraci. L'elfo si chinò appena in un segno di saluto, portandosi una mano al petto, ricambiato dalla dama.

Dopodichè, lanciando un'ultima e fugace occhiata, se ne andò.

Non seppi in cosa consistette il sentimento che lentamente si schiudeva nel mio petto e nella mia mente, ma ero certa fosse ancora più intensa di quando lo avevo visto nei giardini. Mi portai una mano all'altezza del cuore, sentendolo battere come mai prima di allora, mentre avvertivo gli occhi pungermi, come se stessi per piangere.

Dalla mia gola risalirono testuali parole:

-Legolas Verdefoglia, sei un dannato stupido. Amin delotha lle!![1]-

 

***

 

-Gereth?- mi chiese stupito l'uomo, o qualsiasi essere lui fosse, leggermente seduto sul letto, una mano posta sulla ferita all'addome, il quale pareva stare decisamente meglio.

Mi sforzai di sorridere, per poi rispondere:

-Dato che non ricordi il tuo nome, almeno smetterò di chiamarti signore. Se non ti piace puoi sceglierlo tu. A me andrà bene-

-No, mi piace. Per il momento andrà bene. È solo che credo di non aver mai ricevuto tante attenzioni in tutta la mia vita. Beh, almeno di quella che ricordo, ossia niente-

Voleva sdrammatizzare con una battuta scadente, ma mi venne ugualmente da ridere. Erano giorni che non succedeva più di farlo in quel mondo e pensai che probabilmente non mi era mai accaduto prima.

In quel momento avvertii un fruscìo di vesti e un rumore di passi. Alzai lo sguardo, notando che lo straniero si era alzato in piedi e che, afferrata e indossata una casacca posta ai piedi del letto, si stava dirigendo verso la porta.

I suoi movimenti erano lenti, ma pareva che non fosse perchè la ferita gli doleva, ma piuttosto era come se si fosse dimenticato anche di come si camminava.

Accorsi immediatamente a sorreggerlo, notando per un attimo una sua perdita di equilibrio, e dissi:

-Sei impazzito? Torna a letto, ti sei ripreso solo ieri-

Sempre con una mano sulla ferita, si voltò, cercando di sorridermi.

-Mi sento soffocare in questo posto. Ho bisogno di aria. Ti prego, solo qualche minuto. Mi faresti l'onore di accompagnarmi?- chiese poi, riassumendo una posizione eretta e porgendomi un braccio.

Io scossi la testa, sconsolata da tanta testardaggine dimostrata, per poi superarlo e aprire la porta al posto suo, ignorando completamente la sua forma di cortesia.

-Solo per poco, dato che siamo in mezzo ai preparativi per la partenza. Inoltre ti ricordo che non sono una dama di corte, quindi non importa che usi la galanteria con me. Su, andiamo- e sorridendo, uscimmo entrambi alla luce del sole.

 

***

 

Camminammo tra le genti che si apprestavano a caricare cibi e bagagli su sgangherati carri, trainati da animali vecchi e stanchi, pregando che riuscissero ad affrontare quel viaggio senza stramazzare al suolo prima del tempo.

Dovetti ammettere che Gereth era davvero un buon compagno, di molte parole e quando voleva anche spiritoso. Il tempo che passavo con lui sembrava al di fuori del mondo, lontano dalla guerra e dalle rospettive poco felici.

Mentre continuavo ad ascoltarlo, una figura vestita di bianco mi passò a fianco in groppa ad un candido destriero. Riconobbi Gandalf in quel cavaliere e mi chiesi dove stesse andando così di corsa. Ma sapevo anche che ogni azione dello stregone era pianificata e atta ad uno scopo più grande, quindi non me ne preoccupai più del dovuto.

-Niniel, tutto a posto?- mi chiese Gereth, facendomi voltare verso di lui.

-Certo. Perchè?-

Lui si fermò, fissandomi intensamente, tanto che un groppo mi si formò in gola e, senza volerlo, arretrai di un passo.

-Che succede?- domandai, la voce che involontariamente mi tremava.

-E' da quando sei entrata in infermeria che ti vedo diversa, come se qualcosa ti turbasse. Inoltre, ora che ti guardo, sono più che certo che tu abbia pianto e non molto tempo fa-

Avvampai. Come poteva chiedermi una cosa simile?

-Ma che domande mi fai? Non credo siano cose da chiedere tra due che sono pressocchè sconosciuti-

Lo vidi sussultare per un attimo, per poi distogliere lo sguardo e abbozzare un piccolo sorriso.

-Hai ragione, non avrei dovuto permettermi simili libertà-

Alzai una mano, in un gesto carico di scuse, ma la riabbassai immediatamente. In fondo non sarebbe bastato quel gesto a cancellare ciò che avevo detto. Lui voleva solo trovare un modo per consolarmi, si stava preoccupando per me e io cosa avevo fatto? Lo avevo allontanato, come ogni persona sulla mia strada.

Stavo per dire qualcosa, quando avvertii distintamente la presenza di qualcuno davanti a noi. Voltai lo sguardo e lo stesso fece il mio accompagnatore, trovando sulla nostra stessa strada Legolas e Boromir.

Entrambi ci fissarono con una nota di sorpresa nello sguardo. L'elfo poi distolse lo sguardo, mentre il gondoriano cercò di riassumere un'aria disinteressata. Sapevo che entrambi avevano nel cuore qualcosa che non volevano dirmi, ma in quel momento era davvero l'ultimo dei miei pensieri.

Non potei però fare a meno di fissare con insistenza il biondo, il quale però faceva di tutto pur di non incontrare il mio sguardo. Così, alla fine abbassai il mio, rientrando un poco la testa tra le spalle, come se mi vergognassi. Ma di cosa poi? Avevo forse fatto qualcosa di sbagliato?

D'un tratto avvertii una mano di Gereth sfiorare la mia, sino a riuscire ad intrecciare le nostre dita ed io, stranamente, lo lasciai fare. Era come se quel contatto riuscisse ad infondermi forza e calore, come se in un attimo avesse potuto scacciare via ogni preoccupazione o dubbio.

Lo guardai di sottecchi e notai sul suo volto un sorriso divertito. Perchè aveva quell'espressione?

Lo capii solo quando mi voltai nuovamente verso l'uomo e l'elfo. Quest'ultimo, accortosi delle nostre mani intrecciate, aveva assunto una smorfia di puro fastidio, difficile da non notare, per poi affermare:

-Raggiungo Aragorn alle scuderie- e, dopo avermi lanciato un'ultima occhiata, se ne andò.

Anche Boromir si era accorto del gesto, tanto che mi disse, freddo:

-Niniel, possiamo parlare?-

Lanciò poi un'occhiataccia a Gereth, aggiungendo:

-In privato?-

Sospirai, lasciando andare la mano dell'uomo al mio fianco.

-Sarà meglio che tu torni in infermeria. Riposa ancora un pò, dato che ci aspetta un viaggio lungo e faticoso-

-Come comandi- rispose lui, divertito.

Poi, facendo un cenno con il capo in direzione del gondoriano, ci voltò le spalle e se ne andò.

Io fissai allora Boromir e non mi piacque affatto ciò che vidi.

 

***

 

-Gandalf il bianco, Gandalf lo sciocco. Cerca di rendermi umile con la sua pietà appena scoperta?-

-Erano in cinque a seguire lo stregone: un elfo, un nano, due uomini e una mezz'elfa-

Nell'oscurità della sua torre, Vermilinguo, scampato alla punizione di re Theoden grazie alla pietà di Aragorn, stava informando il suo padrone, Saruman il bianco, della situazione che con codardia si era lasciato alle spalle a Rohan.

Con ribrezzo lo stregone ascoltava, sino a quando l'ultima parola non fu pronunciata dal servo.

-Una mezz'elfa? I suoi occhi, di colore erano i suoi occhi?- chiese, quasi colto da un attacco di follia.

-Viola, un colore assai raro, se non addirittura unico-

-E con lei c'era qualcun'altro?-

-Ve l'ho già detto, mio signore-

-No, idiota!! Qualcun'altro- aggiunse, cercando di far capire il concetto all'inetto servitore.

-Che io sappia no. Perchè me lo chiedete? Perchè quella donna vi da tali preoccupazioni?-

-Non sono affari che ti riguardano, Grima- concluse Saruman, allontanandosi verso la terrazza dalla quale si poteva godere del macabro spettacolo che i suoi orchetti stavano inscenando in quelle terre, un tempo piene di vita e di magia e ora solo un ammasso di suoli morti e fangosi.

Dunque la piccola Niniel si stava avvicinando a lui? Che non fosse a conoscenza degli ultimi accadimenti?

Saruman sorrise, per la prima volta dopo tempo. In fondo non tutto era perduto, forse c'era ancora una speranza per il piano suo e dell'Oscuro.

Si rivolse nuovamente a Vermilinguo:

-Uno degli uomini. Veniva da Gondor?-

-Uno si, l'altro veniva dal Nord. Uno dei raminghi dùnedain, credo che fosse. Abiti poveri, eppure portava uno strano anello. Due serpenti, con smeraldi negli occhi, uno divoratore, l'altro incoronato con fiori d'oro-

-L'anello di Barahir. Così Gandalf il grigio crede di aver trovato l'erede di Isildur, il perduto re di Gondor. È uno sciocco. La stirpe si è spezzata anni fa-

Con uno scatto Saruman richiuse il libro che nel frattempo stava consultando quando Grima gli aveva riferito del gioiello del ramingo.

-Non ha importanza. Il mondo degli uomini cadrà. Avrà inizio ad Edoras-

C'era però qualcosa che lo stregone bianco temeva, ma si convinse che alla fine, tutto sarebbe andato come era già scritto.

 

***

 

-Dunque?- chiese Boromir, voltandosi verso di me.

Lo avevo seguito senza una parola sino ad un luogo appartato poco sotto il palazzo di re Theoden. Chi ci circondava era troppo impegnato nell'evacuazione per far caso a noi. Dovetti ammettere però che quella situazione mi metteva alquanto a disagio.

-Cosa?-

-Che significa ciò che ho appena visto?-

All'inizio non capii o forse feci finta di non capire. A cosa si stava riferendo il gondoriano? Poi ebbi l'illuminazione.

-Non so cosa sia accaduto- risposi, piatta e fredda.

-In che rapporti sei con lo straniero?-

Quindi il fulcro di tutto era Gereth?

Dentro di me sentii nascere la rabbia, il dissenso, l'ignoranza verso gli strani comportamenti che avevano colpito sia lui che Legolas.

-Boromir, sei forse impazzito? Non mi sembra nè il luogo nè il momento per...-

Fui bruscamente interrotta:

-Lui ti stava tenendo per mano!! Dannazione, per me è difficile anche solo toccarti ed uno sconosciuto può concedersi un tale gesto?!?-

La bocca mi si spalancò per lo stupore, mentre il corpo mi si irrigidiva. Quindi era quello il problema? Una lotta di ormoni tra maschi alfa per conquistarsi la femmina? Non potevo crederci. Gli uomini erano veramente così venali, così attaccati alla supremazia e al possesso?

A quel punto esplosi.

-Sai cosa ti dico?!? Che ne ho abbastanza!! Non voglio più avere niente a che fare con nessuno di voi!! Non ho più intenzione di prestarmi a questa buffonata di gelosie e atti di supremazia sull'altro. Io non sono e non sarò mai di nessuno, quindi vedete di lasciarmi in pace. Ho una missione da compiere, e in nessun aspetto di questa è compreso un uomo!!-

Lui mi lasciò sfogare, senza però mutare la sua espressione. Dopodichè mosse un passo verso la mia direzione. Io, di conseguenza, arretrai.

Ero davvero cambiata in così poco tempo? La vecchia Niniel si sarebbe ribellata e avrebbe spaccato il muso di Boromir con un solo pugno. Eppure, qualcosa in me me lo impediva.

Fu così che arretrai ancora e ancora, sino ad avvertire la sensazione della pietra contro la mia schiena.

-Hai paura di me, Niniel?- mi chiese allora lui piatto, avvicinandosi ancora.

-Non è paura, gondoriano. Non voglio farti del male, ma sarò costretta se non ti allontani-

-Allora fallo, perchè io non ho intenzione di fermarmi-

Non sapevo cosa dire o come farlo desistere. Era sempre più vicino e il terrore si stava a poco a poco impossessando di me. Così feci l'unica cosa che mi venne in mente in quel momento: alzai entrambe le braccia dinnanzi a me, puntandole sul petto dell'uomo, mentre sentivo il viso bruciare.

-Boromir, ti prego, non avvicinarti di più. Ti supplico, non farmi questo, non costringermi ad abbandonare questa missione, non obbligarmi ad abbandonarvi tutti-

Lo sentii tentennare.

-Te ne andresti sul serio?- chiese.

Io, senza capire, alzai lo sguardo, trovandolo confuso.

-Ho capito da tempo cosa è quello che senti nei miei confronti e non posso permettere che tale sentimento appanni il tuo giudizio. Se farti tornare alla ragione significa andarmene, allora è quello che farò-

Lui allora arretrò finalmente, passandosi una mano tra i capelli, per poi scendere sugli occhi.

-Hai ragione, Niniel, ma non so più come comportarmi. Non mi è mai capitato di provare per una donna ciò che io sto provando per te: attrazione, curiosità, desiderio. Sono emozioni troppo forti, ma prima di essere un uomo, debole ai sentimenti, sono il figlio del sovrintendente e come tale devo comportarmi. Devo chiederti però un grande favore, concedimi almeno quello-

Confusa, non riuscii neanche ad accennare una risposta, che l'uomo mi era già addosso, le sue labbra incollate alle mie, le sue mani a circondarmi il viso. Chiusi gli occhi, afferrando i polsi del gondoriano e cercando di staccarlo da me.

Non volevo quel contatto, non da lui, non in quel momento. Sentivo la sua bocca costringere la mia, le sue labbra prepotenti cibarsi delle mie, facendole quasi dolere.

Poi, come se niente fosse quello si allontanò di un poco, guardandomi negli occhi dicendo:

-Se almeno morirò domani, potrò dire di aver conosciuto il sapore delle tue labbra-

Dopodichè se ne andò, lasciandomi là, sola, confusa e anche ferita. Mai un bacio era stato più indesiderato, mai tale gesto aveva fatto più male. Mi portai entrambe le mani sulle labbra, le quali ancora pulsavano tanta era stata la prepotenza con la quale Boromir aveva compiuto quel gesto, mentre sentivo gli occhi inondarsi di lacrime.

Lentamente scivolai contro il muro, cominciando a singhiozzare, sentendomi per la prima volta al pari di qualsiasi altra donna. Cosa avrei dovuto fare? Lasciare la compagnia? Fuggire nella notte come se non fossi mai esistita?

Perchè mi doveva essere posta quella scelta? Perchè il destino mi costringeva a quel passo?

Mi circondai le gambe con le braccia, lasciando che i capelli mi coprissero il viso. Rimasi là, violata, ferita, la mente piena di dubbi e un'ardua decisione da compiere.

 

***

 

Una fitta al cuore lo fece sussultare. Si portò una mano al petto, sentendolo battere come impazzito, mentre i suoi occhi assistevano a quella scena. Il re voleva vederli nella grande sala prima della partenza, quindi Aragorn lo aveva mandato a cercare Boromir e Niniel. Li aveva trovati, ma non avrebbe mai voluto essere spettatore di una simile visione.

Avvertì i tratti del volto indurirsi per il dissenso, le mani chiudersi a pugno e il corpo farsi rigido come pietra. Avrebbe voluto raggiungerli, sbattere lontano il gondoriano e portare via quella ragazza che era riuscita a fare breccia in un cuore che per molto tempo pensava di non avere più.

Invece era rimasto là, ad assistere impotente.

Aveva visto lei ribellarsi, lui sordo alle sue proteste dare sfogo alle sue voglie, per poi abbandonarla là, in lacrime.

E lui? Come avrebbe dovuto agire?

Lui aveva agito nel modo peggiore: l'aveva semplicemente ignorata.

 

***

 

Una strana sensazione gli attraversò il corpo come scarica elettrica, dalla testa sino alla punta dei piedi, facendolo irrigidire sul letto sul quale era tornato. Sapeva che in quella sua sensazione c'entrava Niniel.

Cosa le era successo? Cosa aveva provocato in lei quell'invocazione di aiuto?

Fissò assorto la parete dell'infermeria, pensieroso. Come avrebbe dovuto fare? Raggiungerla? Lei avrebbe voluto? Lo avrebbe accettato?

In fondo lui per lei era uno sconosciuto, Niniel stessa lo aveva affermato. Ma lei aveva promesso a se stesso di proteggerla, di avere cura di lei quando nessuno lo avrebbe fatto, essere la sua guida quando la ragazza non avesse saputo che strada percorrere.

Così lentamente si alzò dal letto, deciso ad andare a cercarla. Si avvicinò alla porta e la spalancò, accecato per un attimo dalla luce del sole. Fu allora che la vide, una figura stagliata in controluce che lo aspettava.

Riconobbe i tratti del suo corpo, i lunghi capelli castani lasciati liberi nel vento, gli occhi viola inondati di lacrime.

Rimase semplicemente là, a guardarla. Poi, in un gesto spontaneo e del tutto involontario, aprì le braccia.

In un attimo si ritrovò la ragazza, scossa dai singhiozzi, schiacciata contro il suo petto, mentre lui le accarezzava i capelli e le sussurrava che sarebbe andato tutto bene.

 

[1] Ti odio!!

 

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Capitolo 13
*** Namaarie ***


ANGOLO AUTRICE:
Perdono, perdono, perdono!!!
Per i Valar, chiedo perdono. Dunque, prima che le mie care lettrici mi riempiano di uova, pomodori e insalata, mi scuso per il ritardo mostruoso.
Mi rendo conto di non avere scuse, ma purtroppo mi sono resa conto di avere davvero poco tempo da dedicare a questa storia, quindi gli aggiornamenti CI SARANNO, ma un pò a rilento.
Spero comunque che continuerete a seguirmi e soprattutto a farmi sapere cosa ne pensate, in quanto i vostri commenti mi invoglieranno ancora a continuare a scrivere.
RIngrazio chi ha messo tra le seguite, le preferite e le ricordate questa storia, chi continua a recensire e spronarmi.
Detto ciò sono certa che gli amanti della coppia Niniel/Legolas mi ameranno e odieranno al tempo stesso.
Buona lettura

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)


CAP XIII - NAMAARIE

 

Sentivo il vento soffiare tra i miei capelli umidi dopo il bagno, sciolti sulle spalle, arruffati e in disordine. Un mantello a coprirmi le spalle, dato l'aria fresca di quella mattina, poco prima dell'alba. Era il giorno della partenza per il fosso di Helm e, mentre la mia mente mi diceva di prepararmi e scendere nel cortile a raggiungere il resto della compagnia, il mio cuore mi imponeva di non farlo, mi dava una possibilità diversa.

In fondo il mio compito consisteva unicamente nello scortare Frodo durante il suo viaggio, quindi l'impegno sarebbe finito quel giorno ad Amon Hen, quando l'hobbit aveva deciso di dividere la sua strada dalla nostra ed era scomparso.

Io però avevo proseguito, credendo per una volta di essere essenziale in qualcosa. E invece? Ero divenuta un puro oggetto di distrazione per chi veramente avrebbe dovuto compiere quell'impresa.

Dei passi alle mie spalle mi distolsero da quei pensieri. Chi si arrischiava in quel momento a giungere fino alla mia stanza? Avevo dato ordine ad una delle guardie di ronda nei corridoi di non essere disturbata per nessun motivo, soprattutto dai miei compagni.

Mi voltai appena, trovando sulla soglia Gereth, i capelli mori legati in una treccia, gli abiti candidi e puliti, gli occhi, così simili ai miei, puntati su di me.

-Cosa stai combinando, Niniel?- mi chiese, non muovendo neanche un passo per raggiungermi.

Io rimasi in silenzio, continuando a guardarlo. Mi tornò in mente la sera prima, quando avevamo dormito assieme, abbracciati, mentre lui cercava di calmare le mie lacrime.

In quell'istante, nessuna lacrima rigava il mio viso, ma sentivo come se il mio corpo fosse addormentato, o forse era la testa ad aver per un attimo assopito ogni tipo di impulso, lasciandomi quasi come una marionetta senza anima.

Sapevo ciò che mi stava accadendo, ma al tempo stesso mi crogiolavo in quell'incoscienza.

-Niniel, cosa stai facendo?- mi chiese ancora lui, insistente, stavolta avvicinandosi.

Io continuai a non muovermi. Mi ridestai solo quando sentii una carezza delicata sul mio viso e chiusi gli occhi, abbandonandomi a quel calore.

-Cosa ti è accaduto per ridurti così?-

Non avevo avuto il coraggio di raccontargli niente e lui non aveva domandato, sino a quel momento.

-Io...ho fallito...- risposi, abbassando lo sguardo.

-In cosa?-

-Mi sono fatta coinvolgere. Non sono riuscita a mostrare agli altri il guerriero che in me risiede, ma la debole donna che in realtà sono. La mia parte umana, quella che avevo abbandonato nel momento in cui morì il mio maestro, da qualche tempo è tornata prepotente. In questa battaglia, purtroppo, io ho perso-

-Che male ci può essere a mostrare i propri sentimenti?- mi chiese ancora lui, stavolta passandomi una mano tra i capelli.

-Non posso permettermelo, Gereth. Non lo capisci? Non ora, non in questo momento-

-Quindi? Cosa vorresti fare? Arrenderti? Abbandonare tutto?-

Stavolta mossi leggermente un passo indietro, sottraendomi dal suo tocco, nonostante quel semplice sfiorarsi fosse capace di trasmettermi un tempore fraterno, che a lungo avevo agoniato e che finalmente ero riuscita a trovare.

Voltandogli quindi nuovamente le spalle, tornando a fissare ciò che avveniva sotto la mia finestra, sospirai, chiudendomi in un gesto inconsapevole il mantello sul petto, scossa da un improvviso brivido.

-Farò ciò che sarà necessario- risposi.

 

***

 

Theoden, re di Rohan, sedeva sul suo trono, lo sguardo assorto, il mento pigramente adagiato su di una mano. I preparativi per la migrazione verso il fosso di Helm erano ormai completati e la sua gente era pronta a partire, a lasciare tutto ciò che aveva sempre posseduto solo perchè il re lo aveva ordinato.

Solo in quel momento si potè rendere realmente conto di quanto il suo popolo gli fosse fedele, di quanto sarebbe andato incontro a morte certa se solo lui lo avesse voluto. Al tempo stesso, fissando I volti e gli sguardi dei suoi sudditi, non poteva però fare a meno di sentirsi impotente, inutile, infinitamente più vecchio di quanto in realtà non fosse.

Il tocco fresco di una mano sulla sua lo fece destare da quei pensieri. Alzò gli occhi, incontrando lo sguardo limpido della nipote, unica componente della famiglia ad essergli rimasta. Lentamente le passò una mano tra i capelli dorati, socchiudendo gli occhi in uno sguardo colmo di orgoglio e compassione.

-Oh, Eowyn, mi sei rimasta solo tu- sussurrò.

Lei semplicemente gli sorrise, ma non potè aggiungere parola, dato che il portone si schiuse e fecero il loro ingresso il ramingo e i compagni.

-Mio re, siamo pronti a partire- disse Aragorn, lanciando una veloce occhiata alla principessa di Rohan.

-Bene- rispose solo l'uomo, alzandosi con fatica dal trono, afferrando la sua spada e avviandosi a passo lento verso il grande portone.

Quando il sole del mattino, tenue perchè nascosto in parte da grigie nubi che presagivano sventura, gli carezzò il viso, quello disse solo:

-Che i Valar ci assistano-

***

 

Mentre anche gli ultimi preparativi venivano ultimati, quando ormai la carovana già si avviava per le tristi lande che ormai costituivano il regno di Rohan, i membri della compagnia stavano finendo di caricare i loro cavalli. Fu allora che Gimli si voltò e disse:

-Dov'è finita quella benedetta mezz'elfa?-

Fu allora che anche il resto del gruppo si guardò intorno, notando solo in quel momento l'effettiva assenza della loro compagna.

-Vado a cercarla- si propose Boromir, ma una presa alla spalla lo fece desistere.

L'uomo si voltò, trovando lo sguardo furente di Legolas che lo fissava.

-Resta dove sei. Hai già fatto abbastanza- gli ringhiò contro.

Fu allora che dei passi attirarono l'attenzione dei presenti, facendoli voltare tutti verso un'unica direzione. Niniel stava arrivando, accompagnata da Gereth, entrambi coperti da dei logori mantelli ed equipaggiati delle loro armi.

Entrambi avevano gli sguardi cupi, pensierosi. Fu Aragorn ad avvicinarsi alla mezz'elfa.

-Niniel, ci stavamo preoccupando. Sei pronta per la partenza?- chiese il ramingo, poggiandole una mano sulla spalla.

Lei fece correre lo sguardo su tutti i presenti, soffermandosi principalmente su Boromir prima e Legolas poi. Poi, sottraendosi un poco al tocco dell'uomo, semplicemente disse:

-Io non partirò con voi-

Aragorn, di fronte a lei, sgranò gli occhi senza capire. Lo stessero fecero tutti gli altri, compreso l'elfo.

-Perchè?-

-Il mio compito si è concluso quel giorno ad Amon Hen, quando Frodo ha deciso di continuare per suo conto. In quel momento la promessa che mi teneva legata a voi si è infranta, dandomi la libertà di continuare il mio viaggio. È stato un onore viaggiare con la compagnia, ma in questo giorno le nostre strade si dividono. Namaarie [1]-

Detto ciò, dopo aver leggermente inclinato la testa in segno di saluto, voltò a tutti le spalle, seguita da Gereth, dando l'addio ai suoi compagni, mentre nuove lacrime pungevano gli occhi e una ferita le incrinava il cuore.

 

***

 

Ogni passo che mi allontanava da loro mi pareva della consistenza della pietra, provocandomi quasi il fiatone. Io e Gereth entrammo nelle stalle, dove due destrieri di Rohan ci attendevano, scalpitando.

Mentre imbrigliavo il mio cavallo, un maeras dal manto nero e una piccola macchia bianca sul muso, la voce del mio compagno mi raggiunse.

-Niniel, sei certa della tua scelta?-

Carezzai leggermente il muso dell'animale, il quale scalpitò, impaziente, sbuffando spirto caldo dalle narici.

-Era l'unica che potessi compiere- mi limitai a rispondere, fredda e concisa.

-E che intendi fare adesso?-

Non risposi, in quanto neanche io lo sapevo. Inoltre mi ero accorta della presenza di qualcuno oltre a noi. Mi voltai appena e, stagliato contro la luce del mattino sulla porta delle scuderie, stava Legolas, lo sguardo serio. Sapevo che la sua presenza comportava ulteriori spiegazioni, per questo mi limitai a dire:

-Pensavo poco fa di essere stata abbastanza esauriente-

Lui, di tutta risposta, rimase in silenzio e cominciò ad avanzare verso di noi. Così, rassegnata, lanciai un'occhiata di intesa a Gereth, il quale afferrò le briglie del suo cavallo e si avviò all'esterno, non senza prima lanciarmi un'occhiata preoccupata.

Tornai quindi a stringere i legacci della sella, sistemando le staffe, senza degnare di attenzione l'elfo. Pensavo sarebbe stato facile riuscire a guardarlo negli occhi e comunicargli le mie intenzioni, invece trovarlo lì, in quel momento, mi apriva solo un'enorme voragine nel petto, capace quasi di divorarmi.

-Perchè?- disse infine lui.

-L'ho già detto-

-No, voglio sapere il reale motivo-

Fu allora che finalmente trovai il coraggio di fronteggiarlo. Puntai i miei occhi nei suoi, fissandolo con intensità, sperando quasi che abbandonasse ogni intento a saperne di più. Invece Legolas mi guardava con la stessa insistenza.

-Perchè ti interessa tanto?-

-Dovrebbe forse non importarmi? Sei una mia compagna-

-Non più. Non hai forse udito ciò che ho detto poco fa?-

-Ho sentito ciò che hai detto, ma ho visto ciò che i tuoi occhi invece volevano dire-

-Legolas andiamo, non mi pare il caso di spremersi tanto le meningi. Prima o poi le nostre strade si sarebbero divise. Lo sapevo io e lo sapevate voi-

Lui avanzò di un passo, ma stavolta io non arretrai. Non sarei scappata davanti a lui.

-Stai continuando a mentire, Niniel- mi disse, ma c'era qualcosa nella sua voce che mi fece rabbrividire.

Era calma, pacata, quasi dolce. I suoi occhi ora mi trasmettevano solo tanta pace, anche se al contempo era palese la sua voglia di sapere.

-Io conosco il vero motivo per cui hai preso questa decisione- continuò, alzando una mano e portandomela al viso, lasciandovi sopra una tenue carezza.

Chiusi per un attimo gli occhi, sorpresa da quel suo gesto e al tempo stesso completamente inebriata da quel contatto. L'avevo aspettato così tanto che in quel momento mi parve così irreale, così fuggevole. Poi mi riscossi:

-Che significa?!?- chiesi, allontanandomi di un passo, mettendomi sulla difensiva.

-So quello che lui ti ha fatto-

-Tu...tu hai visto tutto?-

Mi sentivo imbarazzata, mortificata e veramente arrabbiata, ma non sapevo a quali di quelle sensazioni dare la precedenza. Così mi limitai a rimanere rigida, la schiena leggermente inarcata, le mani strette a pugno.

-Mi dispiace per quello che è successo, mi spiace per non essere intervenuto per impedire che ti fosse riservata quell'umiliazione. Ma non voglio che lo sciocco sentimento di un uomo ti allontani da me-

Impietrii, fissandolo forse con più sorpresa di poco prima. Poi, distogliendo lo sguardo, chiesi:

-Perchè insisti? Perchè non puoi semplicemente dirmi addio?-

-Non voglio farlo- mi rispose solo, lasciandomi completamente senza parole.

Mi allontanai ancora.

-Non puoi parlare così, non adesso-

-Perchè non ora? Cosa è cambiato?-

Lui aveva compiuto veloce i pochi passi che ci separavano, afferrandomi per le braccia e strattonandomi appena, chiedendo che lo guardassi almeno negli occhi.

-La mia decisione è presa, Legolas. È stato difficile, ma necessario. Tu la stai rendendo ancora più dolorosa-

Sentivo gli occhi ormai umidi, mentre il viso si stava accalorando, certa che si stesse tingendo di un tenue rossore. Probabilmente in quel momento dovevo sembrare una povera bambina spaurita e confusa. Tanta fu la vergogna che non ebbi il coraggio di voltare il viso, sperando di nasconderlo almeno un poco al suo sguardo.

Tutti i miei propositi stavano sfumando e non potevo permetterlo. Non potevo, dovevo andarmene. Lui si stava comportando da egoista e in quell'occasione non mi parve molto diverso da Boromir. Ma allora perchè faceva così male? Perchè il solo pensiero di montare in sella a quel cavallo e andarmene mi era parsa improvvisamente difficile e doloroso?

Avvertii però le mani di Legolas afferrarmi decise il viso, costringendomi a tornare a guardarlo. Ormai avevo ricominciando a piangere.

-Perchè piangi, Niniel?- mi chiese teneramente, asciugandomi una lacrima con un pollice e sorridendomi.

-Mi stai facendo del male-

-Come potrei fartene?-

-Perchè non riesci ad accettare la mia decisione. Non riesci a lasciarmi andare-

In quell'istante il viso dell'elfo si fece duro.

-Non voglio-

Pareva un bimbo capriccioso al quale stavano sottraendo il suo giocattolo preferito.

-Sei egoista-

-No-

-Si, invece. Non accetti che io mi allontani, quando fino a ieri non hai fatto altro che tenermi distante. Anche tu mi consideri come un oggetto da tenere al tuo fianco, una marionetta senza personalità?-

-Non paragonarmi a qualsiasi uomo. Non accostare ciò che sento a della mera possessione. Non ti considero un oggetto-

-Stai mentendo- risposi, carezzando con le dita il dorso di una delle mani che ancora lui mi teneva sul viso.

Dopodichè, lentamente, ne portai una al suo volto, carezzandoglielo piano.

-Namaarie[1], Legolas- sorrisi tristemente, cercando di allontanarmi.

Accadde tutto in un istante: lui si avvicinò al mio viso e io sussultai sentendo il contatto con le sue labbra. Non fu però come il bacio che mi aveva rubato Boromir: quello non era prepotente, ma delicato. Era colmo di disperazione, di sentimento, gentile, ma al tempo stesso rude. Sentivo le sue labbra sulle mie che cercavano di divorarle, come se con quel gesto volesse impedirmi di fuggire via. Fu per tutte quelle cose che non mi sottrassi al contatto, ma mi ci abbandonai, facendomi cullare da quel turbine di sensazione che, ne ero certa, solo lui aveva la capacità di donarmi e che a lungo avevo atteso.

Senza rendermene conto, feci scivolare entrambe le braccia dietro al suo collo, avvicinandomi così di più, mentre lui approfondiva quel bacio, assetato di me, potevo sentirlo, come io lo ero di lui. Sentii le sue mani scendere sui miei fianchi, per poi allacciare le braccia attorno alla vita, schiacciando così il mio corpo ancora di più contro il suo.

Mentre le lacrime continuavano a bagnarmi le guancie, non potevo fare a meno di sentire il cuore improvvisamente più leggero. Sentire il contatto della sua lingua contro la mia, il calore della sua pelle, il tocco delle sue mani, mi fecero per un istante dimenticare ogni guaio, ogni guerra, ogni missione.

Poi però la realtà tornò a colpirmi come un masso, costringendomi, anche se di malavoglia, ad allontanarmi da lui, il quale mi rivolse uno sguardo confuso. Mi concessi un ultimo timido contatto, sfiorando appena le sue labbra, mentre le mie ancora bruciavano.

-Lasciami libera-

-Non ci riesco- mi sussurrò, poggiando la fronte contro la mia.

Fu così che, con uno sforzo che mi parve titanico, mi allontanai da lui, afferrando le redini del cavallo e superandolo, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

-Addio- sospirai, prima di sparire nella luce di quel mattino che mi vedeva abbandonare l'unica cosa buona che fosse capitata nella mia lunga esistenza.

 

***

 

Aveva raggiunto la carovana qualche minuto più tardi, affiancando i compagni ancora in coda. Con un gesto agile raggiunse il nano in groppa ad uno dei cavalli, rimanendo però in silenzio anche quando le sue orecchie finalmente captarono le imprecazioni di Gimli, che quasi era stato disarcionato.

Aragorn fissava il compagno, gli occhi puntati sull'orizzonte, ma che stavano scrutando più lontano, convinto di sapere con esattezza cosa stava succedendo al suo amico.

Fu quando Boromir si avvicinò all'elfo che ne ebbe la conferma:

-Dov'è Niniel?- domandò l'uomo di Gondor.

-Perchè lo chiedi a me? Sembra che abbia esplicitamente comunicato a tutti le sue intenzioni di non proseguire con noi questo viaggio-

-Ma tu sei andato a riprenderla, non è vero? Perchè non l'hai costretta a rimanere?-

Di colpo la rabbia e il furore scoppiarono nell'animo proverbialmente calmo del principe di Bosco Atro.

-Come osi tu accusare me? Tu che costituisci la causa principale per il quale lei se n'è andata?!?-

-Cosa ne sai tu?-

-Io vedo più di quanto pensi, Boromir di Gondor. So quello che le hai fatto- rispose Legolas lapidario, fissando con odio l'uomo.

Dopodichè, spronando le redini del maeras, si distanziò dagli altri, raggiungendo la metà della carovana, mentre le grida di Gimli lo pregavano di rallentare la corsa.

Fu allora che Boromir, rimasto per un attimo in silenzio, sconvolto da quanto aveva appena scoperto, ebbe il coraggio di guardare Aragorn, il quale continuava a procedere silenzioso al suo fianco.

-Io...- cominciò a dire.

-Non mi importa, Boromir. Non in questo modo. Ritengo che non sia a me che devi le tue scuse. A me basta solo che la tua mente sia concentrata in questo momento e che non ti faccia distrarre. Penserai a ciò che hai fatto quando giungerà il momento-

-Ma lei se ne è andata-

-Così pare, ma le strade del destino sono infinite e i Valar hanno un gran senso dell'umorismo-

 

***

 

Mannari, esploratori.

Assassini, codardi, che se la prendono con donne e bambini. Hanno attaccato di sorpresa, coprendo il loro odore e la loro presenza, piombando su quelle povere genti come un falco su di una lepre.

I cavalieri, impreparati, subiscono molte perdite, i magnifici destrieri di Rohan cadono al suolo come foglie d'inverno.

Una chioma bionda si staglia contro il sole, in groppa ad un bianco maeras, affiancato da soldati e re, pronto a dar battaglia a quella peste che da tempo invadeva le terre dei signori dei cavalli.

Accanto a lui un uomo di Gondor, la spada in pugno e il corno tra le labbra, mentre alle sue spalle gli stendardi di Rohan volano al vento.

Poco distante ecco il re senza corona, il ramingo, gli occhi chiari puntati sul nemico, la voglia di ribalta che gli riempiva il cuore ogni volta che la sua cavalcatura puntava a terra gli zoccoli.

E poi fu battaglia.

I mannari piombavano feroci sui poveri uomini, gli orchetti che li cavalcavano brandivano ascie e spade ricurve cercando di far cadere più teste possibili, quelle che le loro bestie non riuscivano a recidere con i denti.

Tutti combattevano come se non ci fosse un domani, cercando di sfuggire ai denti affilati dei mannari e alle spade dei loro cavalieri, tutti preoccupati per la carovana che nel frattempo era stata condotta a valle dalla bionda principessa di Rohan.

Il re, la chioma bionda che ormai non pareva più così immacolata, fendeva l'aria con la sua spada, gridando ai suoi cavalieri di essere coraggiosi, di proteggere le genti di Edoras.

Freccie veloci come il vento si piantavano negli addomi e nelle fronti dei nemici, mentre l'ascia dalla lama nanica troncava gambe e ginocchia.

Lo scudo di Gondor si era macchiato del sangue nero delle creature, mentre il corno del suo capitano continuava a rimbombare tra le grida della battaglia.

Fu allora che accadde. Uno dei mannari si staccò dal gruppo, privo di cavaliere, mentre una macchia scura le stava ancorata al fianco. Si dimenava, ma pareva incastrato nei legacci che agganciavano la sella al dorso della bestia.

Il dirupo. Il dirupo si avvicinava sempre di più e il mannaro non pareva rendersene conto. Come si dice: tagli la testa e il corpo muore? Beh, la cavalcatura senza il cavaliere non era nient'altro che una bestia, ignara anche del pericolo più ovvio e imminente.

Così, continuando a correre, semplicemente si lasciò cadere verso il fiume sottostante, la macchia nera ancora agganciata al fianco.

-ARAGORN!!-

 

***

 

Mi alzai di scatto, scostando il mantello che mi copriva, mentre le fiamme del focolare scoppiettavano pacate. Gli occhi di Gereth furono subito su di me, preoccupati.

-Che succede?- chiese.

-Un sogno, un incubo. Ho visto Aragorn cadere- risposi, passandomi una mano sulla fronte, madida di sudore.

Era stato strano però, era come se ogni cosa che avevo visto fosse stata reale, come se io per prima avessi vissuto ogni azione di quello strano sogno.

La consapevolezza che quella avrebbe potuto essere stata una visione di qualcosa accaduto o che poteva accadere mi fece tremare ancora di più, tanto che sentii quasi subito la presenza del mio compagno che mi poggiava addosso anche il suo mantello.

-Sei gelida- mi sussurrò, strusciando forte entrambe le mani sulle mie spalle per cercare di scaldarmi.

Io lo fissai per un attimo, sorridendo poi e sussurrandogli un grazie.

Poi però un sibilo ci costrinse a dividerci. Nel tronco alle nostre spalle si piantò una freccia.

Subito, entrambi, ci alzammo in piedi, le armi in pugno, mentre dagli alberi provenivano i rantoli e le risate di quelli che parevano orchetti.

-Maledizione- imprecai.

Era prevedibile che più ci saremo avvicinati alla torre di Isengard, più il nostro cammino sarebbe stato difficoltoso e ricco di controversie.

Respirai piano, riempiendo i polmoni e cercando di calmare i muscoli, chiudendo per un istante gli occhi ricercando la concentrazione. Ascoltai il vento, le foglie degli alberi, il suono degli animali che fuggivano dalle bestie. Poi tutto ebbe inizio.

Riaprii di scatto gli occhi, scartando di lato per evitare un orchetto che aveva tutte le intenzioni di colpirmi alle spalle. Con un colpo secco della mia Carnil gli tranciai la testa di netto.

Poi ne arrivarono un secondo e un terzo, ma anche quelli furono debellati senza molta fatica. In fondo, avevo affrontato degli Uruk, quelle creature non sarebbero certo state un problema, se non per il fatto che, essendo nettamente più deboli in battaglia, fossero molto più numerosi negli spostamenti.

Quindi, nonostante io e Gereth ne mietessimo a dozzine, quelli continuavano ad apparire, favoriti dalle ombre e dal vento contrario. Fu così che non mi resi conto di ciò che accadeva alle mie spalle sino a quando una freccia non mi si piantò all'altezza della scapola destra, costringendomi a lasciare la presa sulla spada.

Gemetti, considerandomi già spiazzata. Ma subito dinnanzi a me si parò l'ombra del mio compagno, gli abiti lordi di sangue nero, anche lui ferito ad un braccio, ad un fianco e ad una guancia.

-Niniel, stai bene?- chiese, mentre affondava la spada nell'addome dell'ennesimo orchetto.

Lentamente mi portai una mano alla spalla, cercando di raggiungere la freccia, ma senza successo, in quanto un'altra fitta me lo impedì.

-Gereth, te ne devi andare-

-Sei impazzita? Non ti lascio-

-Sei il pazzo. Almeno tu salvati-

-Senza di te, quale sarà il mio scopo?-

Mi stupii di quelle parole, principalmente perchè non ne capii il senso. Gereth aveva completamente affidato la sua esistenza alle mie decisione, al viaggio che io avrei deciso di intraprendere?

Fui però ridestata da un suo gemito di dolore. Probabilmente la ferita all'addome non si era ancora risanata del tutto, facendogli consumare più energie del dovuto. Anche lui cadde in ginocchio, continuando però a proteggermi con il suo corpo. Entrambi fissammo gli orchetti che ormai ci circondavano, in attesa della nostra fine.

-Mi dispiace- sentii sussurrare all'uomo.

-Non è colpa tua- lo tranquillizzai, mentre sentivo a poco a poco le forze venire meno.

Poi, una delle creatura più lontane da noi cadde, una freccia conficcata nella schiena. Gli orchetti fissarono il compagno senza capire, ma non ebbero il tempo di rendersi conto di quello che li avrebbe colpiti di lì a poco.

Una nube di freccie uscì dagli alberi, abbattendo quegli esseri senza dar loro il tempo neanche di compiere un altro respiro, mentre evitarono di colpire il punto in cui ci trovavamo.

Sia io che Gereth ripiegammo su noi stessi, pregando che i misteriosi arcieri non sbagliassero mira proprio alla fine. Chiudemmo gli occhi, pregando segretamente i Valar per la nostra salvezza.

Poi ci fu il silenzio. Solo dei passi lenti e cadenzati si avvicinavano a noi.

-Lle n'vanima ar' lle atara lanneina[2], Niniel-

Quella voce mi fece rabbrividire, in quanto l'avrei riconosciuta tra mille. Alzai un poco la testa, vedendo l'alta figura di un elfo che avanzava tra gli alberi, la spada sguainata.

Gereth mi si parò subito davanti, con fare difensivo. Io però, poggiandomi alla sua schiena e facendogli capire di calmarsi, cercai di tirarmi in piedi anche se la freccia ancora infilata nella mia spalla mi fece stringere i denti. Dopodichè, puntando gli occhi sul nuovo arrivato, dissi:

-Aaye[3], Haldir-

 

[1] Addio

[2] Mi fai ridere

[3] Salve

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Capitolo 14
*** Il coraggio di tornare sui propri passi ***


ANGOLO AUTRICE:
HELLOOOOOOO!!!!
Dopo una lunga attesa torno con un nuovo capitolo e non potrò mai scusarmi abbastanza per questi immensi spazi tra un capitolo e l'altro.
Purtroppo il tempo e l'ispirazione sono scarsi, quindi spero comunque che continuerete a leggere e seguirmi. Ripongo la mia fiducia nella vostra immensa pazienza.
Detto questo ringrazio chi ancora non mi ha abbandonato. Auguro quindi buona lettura.

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)

CAP XIV- IL CORAGGIO DI TORNARE SUI PROPRI PASSI

 

Mi persi per un attimo a fissare gli occhi glaciali di Haldir, i lunghi capelli biondi che gli incorniciavano il viso, la tenuta da battaglia che lo mostrava come il prode guerriero quale era. Lontani ricordi per un istante mi tornarono alla mente, giorni perduti, che mai più sarebbero tornati. Ma assieme alla nostalgia non potei fare a meno di soffrire per quella fiamma di odio che vidi negli occhi del mio inaspettato salvatore. Pensai con una sorta di malato divertimento a quanto mi stavo mostrando debole in quel momento, a quanto la parte umana che a lungo molti avevano disprezzato si stesse mostrando prepotente. Quella medesima che in un lontano passato mi aveva avvicinato a lui e al mio maestro.

Sospirai quindi, cercando di portarmi in piedi e recuperare un poco della dignità che ancora mi rimaneva, ma le ginocchia cedettero, in quanto, mi accorsi, stavo continuando a perdere sangue dalla ferita.

-Strano...- pensai, dato che ferite di quel genere non mi avevano mai dato grandi problemi.

Probabilmente era perchè avevo ancora la freccia infilata nella spalla. Provai quindi ad allungare una mano verso la essa, temendo per un attimo che avesse reciso qualche nervo importante, impedendomi quindi di utilizzare il braccio come avrei voluto. Per fortuna, nonostante il dolore pungente che mi provocava, le dita della mano del braccio leso si muovevano ancora e sentivo che le mie volontà riuscivano ad arrivare ad ogni cellula del muscolo. Ne fui sollevata.

Così, dopo che anche il secondo tentativo di estrarmi la freccia andò fallito, accompagnato da una mia smorfia di fastidio, rialzai lo sguardo verso Haldir.

-Cosa ti porta qui, capitano dei Galadhrim?- chiesi allora, cercando di assumere la mia miglior faccia di bronzo.

-Ma soprattutto mi chiedo: cosa ti ha spinto ad aiutarci?- aggiunsi poco dopo, un sorriso di scherno che mi si apriva sulle labbra.

Mi stupii quando un ghigno fu la risposta del mio interlocutore, gesto che mi mostrò quanto il suo sdegno fosse forte nei miei confronti. Lo sguardo di sufficienza che mi rivolse mi fece per un attimo tremare, ma non di timore, o almeno non solo, ma anche di rabbia.

-Oh, non temere Niniel, se avessi saputo trattarsi di te, certamente non mi sarei disturbato-

Ecco, sapevo che ancora la collera di Haldir nei miei confronti divampava, non potevo certo sperare che si volatilizzasse da un giorno all'altro, anche se avevo sperato che dopo il nostro ultimo incontro qualcosa sarebbe cambiato. Mentre quindi una parte di me avrebbe voluto ucciderlo, tappargli quella bocca menzoniera e sputa sentenze, l'altra era affranta dal profondo odio di quello che un giorno era stato il migliore amico del mio maestro, una sorta di fratello per me.

-Beh, ora che hai appurato ciò, puoi anche andartene allora- ringhiai, poggiandomi con una mano alla corteccia dell'albero alle mie spalle, sporcandomi le mani di quello che appurai essere sangue di orchetto e forse anche qualche interiora. Storsi la bocca per il disgusto.

-Niniel, ti ricordo il rispetto che mi devi. Sai che potrei ucciderti qui e ora, senza che nessuno lo sappia?-

Il tono di Haldir, se possibile, divenne ancora più freddo, anche se riuscii a cogliere nel suo tono una nota sarcastica. Mi stava forse mettendo alla prova? Voleva vedere sino a che punto il mio rancore mi avrebbe spinto?

Notai Gereth porsi di fronte a me e quasi giurai di aver sentito un suono profondo e gutturale provenire dalla sua gola, simile al ringhio di un animale. Nello stesso istante un tepore familiare nacque all'altezza dello stomaco, irrorandomi il corpo come una linfa. Era tempo che non ne provavo più il giovamento, era la sensazione che mi aveva abbandonato da quel giorno in cui avevo salvato Boromir. Il legame non era quindi spezzato, non tutto era andato perduto.

Quella consapevolezza mi dette nuova forza e crebbe la mia intenzione di giungere alle pendici di Isengard. La voce del mio compagno mi distrasse.

-Non osare avvicinarti- disse, tenendo però la mano sulla fasciatura all'addome.

-Ti sei fatta il cane da guardia, Niniel?- mi canzonò Haldir.

Prima che me ne rendessi conto e che potessi rispondere a tono, uno degli elfi si era fatto veloce alle spalle di Gereth, colpendolo alla nuca sino a stordirlo. Quello, con un singulto, si accasciò a terra, venendo poi sollevato di peso e deposto poco lontano da me.

Feci per scattare nella sua direzione, ma la vista per un attimo mi si offuscò, costringendomi a ricadere in ginocchio. Il respiro mi si fece affannoso, mentre sentivo la stanchezza che mi impregnava le membra. Il tepore di poco prima era improvvisamente scomparso.

Fu così che Haldir prese ad avanzare. Con lui si fece avanti anche la consapevolezza.

-Se questo è il tuo volere, qui e ora, allora io lo accetterò- dissi, chinando il capo, conscia del fatto che, in fondo, non avrei potuto tenergli testa in quelle condizioni.

Per un attimo mi parve che il suo passo avesse subito una variazione, un'incertezza. Probabilmente le mie parole lo avevano colto di sorpresa.

-Non ti facevo così accondiscendente. Pensavo che il tuo scopo fosse vivere- mi prese in giro e, nonostante non riuscissi a guardarlo in faccia, sapevo che stava ridendo di me. Ma c'era qualcosa nella sua voce, nel tono in cui pronunciò quelle parole, come se non volesse che io mi arrendessi.

-In memoria di quello che siamo stati, di ciò che un tempo ci ha legato, io mi chino dinnanzi alla tua spada, Haldir di Lorièn, senza paura e senza ripensamenti. Spero solo che i Valar abbiano pietà di me e del disonore che porterà questa fine non combattuta-

Con ancora il capo chino, vidi solo i preziosi stivali dell'elfo, in quel momento sporchi di fango, fermarsi dinnanzi a me.

-Accetti quindi tu la morte se io decidessi di dartela?- mi chiese.

Fu allora che trovai il coraggio di guardarlo negli occhi.

-Si, qui e ora, se sarai tu a darmela- risposi decisa.

Volevo vedere se veramente Haldir aveva dimenticato, se realmente l'odio che provava per me aveva spento ogni ricordo di quello che eravamo stati, della promessa che io sapevo aveva fatto sul letto di morte del mio maestro e che ancora non aveva mantenuto.

Poi però ci pensai. Volevo veramente che lui non lo facesse? Anche se avevo ormai la sensazione che il legame non si fosse spezzato e che quindi la mia missione non si era ancora conclusa, che senso aveva ormai combattere?

Lo avevo fatto per così tanto tempo che mi ero stancata. In realtà il mio errare per la Terra di Mezzo era più una scusa per allontanarmi dalle responsabilità, dai problemi, da quel passato che ogni notte mi perseguitava. Sino a quel momento però la mia voglia di vivere, di trovare ciò che in tenera età mi fu rubato, mi aveva sempre spinto ad essere forte, combattiva, quasi una creatura fatta solo di odio e rabbia. Ma, da quando avevo conosciuto Frodo, mi ero specchiata nei suoi occhi chiari e vi avevo visto tutta una vita che oramai per me era inesorabilmente trascorsa, la mia parte umana, la parte che mia madre mi aveva donato e che io avevo stupidamente segregato in una parte remota del mio animo, era tornata a galla, andando a poco a poco a incrinare la corazza che negli anni mi ero costruita.

Fuggire in quel momento, davanti ad Haldir, sarebbe però significato mostrare quella debolezza umana per la quale ero sempre stata schernita e che mi aveva reso al pari di un abominio. Ma era forse una fonte di debolezza quella? Mi rendeva davvero debole provare dei sentimenti?

Una nuova consapevolezza si risvegliò in me in quell'istante: avevo paura.

Provavo un profondo terrore di fronte alla fine, al pensiero di lasciare coloro che negli ultimi tempi erano divenute importanti. Con la coda dell'occhio lanciai un'occhiata a Gereth, seduto contro il tronco di un albero poco lontano, il quale mi fissava con una lama di una spada puntata alla gola e un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte.

Sorrisi nella sua direzione, volendolo rassicurare, ma in realtà volevo solo che quello sguardo rassicurante che spesso mi regalava funzionasse sul mio animo ancora una volta.

E così accadde. Mi sentii d'un tratto il cuore più leggero, in quanto troppo a lungo mi ero tormentata per ciò che ero o che avevo fatto. Accettare la fine, senza ripensamenti, mi pareva, in maniera contorta, un modo per pagare ogni mio errore.

Quando vidi la mano dell'elfo correre all'elsa della sua spada, riportai lo sguardo basso, ma stavolta non chiusi gli occhi. Sapevo che quello era il solo e unico regalo che potevo ancora fargli dopo tutto il male che avevo portato nella sua vita. Attesi, ma il colpo non giunse.

Un fruscìo di vesti mi allertò. Una presa al mento mi fece tornare a guardarlo, vedendo la sua espressione che a stento riusciva a trattenere la rabbia che provava. L'altra mano corse alla freccia nella mia spalla, facendomi per un attimo stringere i denti.

-Pensi davvero sia così facile, Niniel?-

Lo fissai, senza capire cosa intendesse dire.

-Speri che ti uccida qui per non farti più crogiolare nei rimorsi, per non potermi più guardare negli occhi e ricordare le fiamme che quella notte avvolgevano il suo corpo per colpa della tua stupidità? Davvero pensi sia così sprovveduto?-

Cosa stava dicendo? Perchè d'un tratto aveva abbandonato le sue intenzioni? Non poteva aver all'improvviso deciso di risparmiarmi, non dopo che per anni aveva solo il desiderio di farmela pagare. Poi capii e il mio sguardo probabilmente glielo fece intendere.

-Vedo che hai compreso mia piccola mezz'elfa. Non ti ucciderò, non ancora. Voglio farti vivere nella vergogna e nel senso di colpa ancora per un pò-

Dopodichè avvertii le mie carni lacerarsi, mentre il sangue cominciò a fluire in maniera incontrollata, macchiandomi la camicia e scendendomi lungo il braccio. Un grido acuto mi uscì dalle labbra dischiuse, mentre il dolore mi arrivò dritto al cervello, credendo per un attimo di stare davvero per morire, che tutto il bel discorso di poco prima fosse solo una presa in giro.

La vista prese a diventare meno definita, sentivo le lacrime salirmi agli occhi. Poi, come se d'improvviso ogni briciolo di energia mi fosse venuto meno, crollai a terra, delle parole che mi risuonavano nelle orecchie, il mio nome gridato da lontano. Dopodichè fu il buio.

 

***

 

Sulle mura più alte della fortezza, Legolas osservava la vasta vallata che li sottostava, riuscendo quasi ad immaginare come si sarebbe trasformata da lì a poche ore. Sentiva la tensione salire nel braccio che reggeva l'arco, mentre cercava di non pensare alla prematura scomparsa del loro condottiero, nonchè migliore amico. Il vento gli scompigliava la lunga chioma bionda, mentre la mente era affollata da continui pensieri che vertevano in un unica direzione.

Eppure, quando all'inizio non voleva credere alle parole dell'orchetto, poi, fissando lo scorrere del fiume in fondo al dirupo e non trovandovi alcuna traccia dell'amico, aveva dovuto ricredersi, anche se a malincuore.

Aragorn era la seconda persona importante che perdeva in quel giorno. Con quei pensieri non potè quindi fare a meno di pensare a Niniel, al suo sguardo quando gli aveva detto addio, al sapore delle sue labbra che gli pareva ancora di avvertire. Pensò a quanta codardìa aveva dimostrato per l'ennesima volta, lasciandola andare via senza provare con più vimenza a farla rimanere. Ma non era egoista, non lo sarebbe stato, non con Niniel. Se l'avesse costretta a proseguire con loro il viaggio, probabilmente non glielo avrebbe perdonato per il resto delle loro esistenze, un tempo infinitamente lungo.

Fu forse per quei pensieri che non avvertì dei passi che gli si avvicinavano, sino a quando non intravide al suo fianco una chioma di capelli chiari, riconoscendo all'istante il profilo del gondoriano.

-Non saremo mai pronti ad una battaglia in questa gola. Ci distruggeranno- disse Boromir, continuando a guardare le cerchie di mura sottostante, nelle quali gli uomini di Rohan si muovevano come formiche, intenti a prepararsi ad una battaglia che per alcuni di loro sarebbe stata anche l'ultima.

L'elfo non rispose, in quanto da una parte sapeva che l'uomo aveva ragione, ma dall'altra Boromir era l'ultima persona che avrebbe voluto accanto a lui in quel momento.

Fu quello che disse dopo che gli fece saldamente stringere i pugni.

-Mi spiace per quanto successo a Niniel-

Legolas si voltò ad osservarlo, non potendo credere con quanta stoltezza quell'uomo gli si presentava dinnanzi campando stupide scuse. Ma in fondo non poteva neanche dare a lui ogni colpa. Boromir aveva solo avuto il coraggio di spingersi dove la sua ragione e il suo buon senso non gli aveva permesso di giungere, forse per paura, più probabilmente per rispetto. Non lo sapeva esattamente.

-Non è bene pensarci in questo momento. Altro ha la priorità, soprattutto adesso che Aragorn ci ha abbandonati- rispose, abbassando lo sguardo sul ciondolo di dama Arwen che teneva in una mano, infilandolo poi tra le pieghe della veste come il più prezioso dei tesori.

Ciò che riguardava la mezz'elfa poteva aspettare.

Dopodichè gli volse le spalle, allontanandosi, la chiara intenzione di non voler proseguire quella discussione.

-Io...io credo di amarla- balbettò il gondoriano alle sue spalle, bloccando l'elfo sul posto.

Legolas irrigidì la mascella e serrò ancora di più i pugni. Sospirò, trattenendo le sue ire per quella frase appena detta. Si voltò, lentamente.

-Rassegnati Boromir. Lei ha già scelto- e detto ciò se ne andò, proprio mentre un suono di zoccoli risaliva le strade verso il cuore della fortezza.

 

***

 

Sauron, userà il suo burattino Saruman per distruggere la gente di Rohan.

Isengard è stata sguinzagliata.

L'occhio di Sauron ora si posa su Gondor, l'ultimo regno libero degli uomini.

La sua guerra contro questo paese si scatenerà lesta.

Sente che l'Anello è vicino. La forza del portatore dell'Anello sta cedendo, in

cuor suo Frodo comincia a capire.

L'impresa esigerà la sua vita...”

 

Spalancai gli occhi, rizzandomi di scatto a sedere e avvertendo una fitta lancinante alla schiena, la quale per un attimo mi fece stringere i denti e imprecare. Avvicinai una mano alla ferita, trovandovi però una candida fasciatura, mentre le narici mi si riempivano dell'odore di erbe e unguenti.

-Finalmente sei sveglia- disse una voce poco lontana da me.

Mi voltai, trovando Gereth che mi sorrideva, probabilmente sollevato nel vedermi in migliori condizioni. Candide bende attorniavano la sua fronte, mentre notai che anche quelle all'addome erano state sostituite.

-Sei stato tu a curarmi?- gli chiesi ingenuamente, sperando segretamente in una sua risposta affermativa.

-Purtroppo no. Il tuo amico lì ha provveduto, anche se dai vostri discorsi non mi è parso che tra di voi scorresse buon sangue-

Chinai il capo, ripensando a quanto era cambiato tra me e Haldir, quanto dolore dovevamo entrambi sopportare e come la nostra continua lotta lo accrescesse ancora di più. Sovrappensiero, una mano risalì alla spalla lesa, mentre le labbra mi si schiudevano in un piccolo sorriso.

Ricordai di quando l'elfo curava le mie ferite provocata dagli allenamenti con il maestro, di come mi prendeva in giro della mia goffaggine e della propria grazia con cui mi muovevo in un combattimento con la spada. Io gli rivolgevo linguaccie e occhiate poco amichevoli, assumendo espressioni che spesso lo facevano ridere come un bambino. Ricordai con nostalgia il suono della sua risata e il tepore delle sue carezze tra i miei capelli.

Tornando improvvisamente al presente, cercai l'elfo con lo sguardo e lo notai poco lontano, intento ad impartire ordini ad un paio dei suoi guerrieri. Eppure, più lo guardavo, più non potevo fare a meno di ricordarlo in quegli anni lontani, quando il suo viso non era contratto in quella smorfia rigida, ma rilassato e sorridente, quando i suoi modi erano gentili e quando io per lui ero come una sorella.

Sospirai pesantemente, poggiando il capo al tronco dell'albero al quale ero poggiata, fissando assorta il fuoco che divampava al centro della radura.

-Cosa stavi sognando?- mi chiese la voce di Gereth, dopo qualche minuto di pesante silenzio.

-Perchè me lo chiedi?- domandai, guardandolo un pò spaesata.

-Continuavi a sussurrare strane cose, poi un nome. Frodo. Chi è?-

Sorrisi appena al pensiero del piccolo hobbit, ma quasi immediatamente il riso lasciò le labbra al ricordo di dove fosse diretto. Chissà se stava bene, chissà se era ancora vivo.

Quelle parole che avevo sognato, le quali avrei giurato fossero state pronunciata dalla voce di Galadriel, mi davano adito a pensare che ancora non fosse tutto perduto, che Frodo era ancora vivo. Anche se l'ultima frase mi fece tremare.

L'impresa esigerà la sua vita...”

L'hobbit era destinato a morire? L'Anello l'avrebbe consumato a tal punto da rendergli impossibile distruggerlo?

-Tutto bene?- mi chiese ancora Gereth, posandomi una mano sulla spalla sana.

Io la carezzai appena, per poi afferrarla, come se mi desse sollievo quel contatto. In quel momento un bruciore, non fastidioso, ma piacevole, si propagò nella mia mano, quella che portava la cicatrice a forma di spirale.

-Pensavo a tutti coloro che di importante Sauron e Saruman mi hanno portato via. Di come le ombre di Mordor siano state capaci di cancellare anche quel poco di felicità che a sprazzi illuminava la mia vita, di come avessi avuto la possibilità di aiutare a riscattare un pò di quella felicità e me ne sia inesorabilmente andata come una codarda-

-Possiamo sempre tornare indietro-

-E dire cosa? “Scusate, mi sono sbagliata, riprendetemi con voi”? Preferirei affrontare un'orda di Uruk piuttosto che lo sguardo di Aragorn, per non parlare di Gandalf quando tornerà e saprà l'enorme sciocchezza che ho fatto-

Sorrisi appena, pensando allo stregone che probabilmente non avrei più avuto l'occasione di incontrare.

-Io credo invece che tu non voglia affrontare un certo elfo- disse con un fil di voce Gereth, sorridendomi malizioso, ma con una strana luce negli occhi.

Mi voltai di scatto, arrossendo come una bambina. Di colpo le scene del mio addio a Legolas mi tornarono alla mente, facendomi avvampare.

-Non dire scemenze, Gereth- dissi, colpendolo scherzosamente su un braccio, provocandomi però una fitta alla spalla che mi fece gemere.

-Sarà-

Non ebbi il tempo di aggiungere altro che fummo interrotti dai passi di Haldir che ci raggiungeva.

-Sorridi Niniel?- mi chiese lanciandomi una chiara occhiata sarcastica.

-Sai Haldir, sembra che d'un tratto tu abbia molto interesse in quello che faccio. Dovrei preoccuparmi?- risposi risoluta, rispondendo con uno sguardo tra il divertito e l'incredulo.

-Finirà il mondo quando il mio interesse per te sarà reale. Voglio sapere solo se sei in grado di affrontare un viaggio-

Lo fissai perplessa.

-Verso dove?-

-E' richiesta la nostra presenza al fosso di Helm-

Impietrii. Da neanche un giorno mi ero lasciata alle spalle la compagnia e in un così poco lasso di tempo vi venivo letteralmente riportata.

-Non vedo perchè debba venire con voi- risposi tra i denti, cercando di alzarmi in piedi.

D'improvviso una tremenda fitta mi colse la spalla, percorrendo come una scarica tutto il braccio, togliendomi quasi il respiro. Perchè in quel momento la ferita si faceva risentire?

Con il respiro affannato mi poggiai al tronco dell'albero, mentre una strana nausea mi risaliva in gola.

-Per questo motivo devi raggiungere la fortezza. La freccia che ti ha colpito era avvelenata e io non possiedo l'antidoto. È necessario l'uso dell'Athelas, solo Estel può aiutarti-

-Ho visto Aragorn cadere- risposi risoluta.

-Non è morto-

Rimasi stupita di quelle parole, ma un peso mi si tolse dal cuore. Fissai Haldir, anche se non riuscivo a vederlo chiaramente.

-Allora perchè mi sentivo bene sino ad un attimo fa?-

-Le erbe che ho usato hanno rallentato il processo distruttivo del veleno, ma non ne hanno eliminato l'effetto. Se non giungeremo al fosso entro due giorni, la tua vita avrà fine. Per il momento te ne fornirò un'altra dose, vedremo quanto il tuo fisico riuscirà a reggere-

-Non è forse quello che vuoi da secoli?- chiesi, un sorriso tirato sulle labbra.

Lo vidi inginocchiarsi appena, in modo da potermi guardare in faccia.

-Te l'ho detto Niniel, voglio che passi ancora un pò della tua vita nel tormento e nel senso di colpa. Penso che per me sia una soddisfazione migliore che darti la morte, una vendetta ancora più dolce-

Quando l'elfo si allontanò, avvertii una presenza al mio fianco che mi diede un minimo di conforto. Incontrai così lo sguardo ametista di Gereth, il quale mi sorrise, rassicurante.

-Dovresti andartene- dissi, tornando a fissarmi i piedi.

-E tu dovresti ormai aver capito che il mio destino è irrimediabilmente legato al tuo-

-Non sentirti in debito con me e se così fosse, ti libero da ogni impegno. Dovresti tornare alla tua vita-

-Quale vita? Come può essere considerata tale un'esistenza della quale non si ha memoria. Se non avessi incontrato te, probabilmente non ne avrei avuta più neanche una da vivere. Perciò, Niniel, permettimi di essere i tuoi occhi e di sostenerti come se fossi le tue gambe. Io non ti abbandono, non più-

Rimasi interdetta ad udire quelle parole, avevano uno strano potere insito in loro, come se riuscissero a scatenare una reazione nel mio animo, anche se sentivo irrimediabilmente la presenza del veleno che mi consumava.

-Così sia, Gereth. Sostieni il mio corpo e la mia anima, conserva il mio coraggio e combatti al mio fianco, senza impegno o promessa, sino a quando lo vorrai, senza vincoli alcuni, sino a quando il destino non richiederà in pegno la mia vita. Ti ringrazio amico mio-

Prima di cadere per l'ennesima volta nell'incoscienza, sentii sussurrare:

-La mia vita è tua, mio cavaliere-

 

***

 

In lontananza, stagliata contro la luce della luna, stava la fortezza del fosso di Helm, scura e immensa, ma che pareva così miseramente inutile di fronte alla visione dello scontro che ci avrebbe colpiti tutti di lì a qualche ora.

Haldir camminava di fronte al piccolo esercito di abili elfi, molti dei quali temevo segretamente non sarebbero tornati a casa.

Io, affiancata da Gereth, avanzavo con passo malfermo, ma imponendo a me stessa di non ricadere nuovamente nel dolore che il veleno mi provocava. In qualche modo però la presenza del mio amico al mio fianco riusciva a donarmi una nuova forza, la volontà di non arrendermi. Inoltre, da quando mi ero ripresa, qualche ora prima, riuscivo a percepire costante lo strano formicolìo alla mano sulla quale avevo la cicatrice, segno che in qualche modo il legame con il mio compagno non si era davvero del tutto spento e questa presa di ragione riusciva a darmi ancora più forza e determinazione.

D'un tratto il suono di un corno si propagò nell'aria, attirando l'attenzione degli uomini sulle alte mura. Riuscii a scorgere tra i soldati della povera gente, probabilmente equipaggiata in fretta e senza premura, solo per accrescere il numero dei guerrieri da far scendere in battaglia.

Ebbi pietà di loro, troppo vecchi o troppo giovani, raccomandando le loro anime ai Valar.

-Niniel, come ti senti?- mi giunse la voce di Gereth, quasi sussurrata.

-Sto bene per ora. La dose di erbe probabilmente non ha ancora perso il suo effetto-

-La prima cosa da fare sarà chiedere aiuto ad Aragorn-

-Non temere- risposi, poggiandogli una mano su di una spalla in un gesto colmo di premura.

-Come posso non preoccuparmi? Potrei perderti da un momento all'altro-

-Non accadrà-

Sorrisi debole, ma cercai comunque di rassicurarlo come meglio potevo.

-Sei una pessima bugiarda, amica mia- rispose quello, voltandosi non appena fu ordinato da qualcuno di aprire i cancelli.

Era dunque giunto il momento. Una volta varcata quella porta non mi sarei più potuta tirare indietro. Pensai divertita al fatto che, nonostante cercassi in tutti i modi di allontanarmi dalla compagnia e da quella missione suicida, il destino irrimediabilmente mi ci riconduceva. Che fosse davvero quello ciò che i Valar mi avevano riservato? Forse il mio ruolo nella salvezza della Terra di Mezzo mi avrebbe infine ripulito la coscienza da tutte le mie colpe.

-Gereth, hai mai pensato al futuro?- chiesi titubante.

-Che intendi?-

-Se sopravvivremo, hai mai pensato a quello che sarà di noi?-

Lo vidi pensieroso fissare l'orizzonte, le sopracciglie lievemente inarcate.

-Tu non hai una famiglia, Niniel?- domandò, cogliendomi impreparata.

Abbassai lo sguardo.

-Non più- risposi sincera.

-Beh, allora, se lo vorrai, sarò io la tua famiglia-

Le sue parole mi spiazzarono, ma mi riempirono comunque il cuore di gioia.

-Per me sarebbe un onore averti al mio fianco. Ma non sei curioso di sapere se tu hai invece una casa o qualcuno che attende il tuo ritorno?-

-Sono sicuro di essere solo al mondo. In fondo, se avessi qualcuno di importante nella mia vita, probabilmente il suo ricordo sarebbe talmente intenso e forte da riaffiorare anche dall'oblio che circonda il mio passato, non credi?-

Accennai un segno di assenso con la testa, ma non ne ero del tutto convinta. Feci comunque cadere lì quel discorso.

I passi regolari degli elfi accampagnavano la nostra risalita sino al cuore della cittadella. Nell'aria si poteva ormai respirare la coltre di tensione che precedeva una battaglia di quella portata, la paura che quei poveri uomini provavano era palpabile, come l'odore della loro rassegnazione.

Ammirai come fossero disposti a morire per il loro re, per le loro famiglie e per le loro terre. I loro sguardi erano speranzosi nel vederci passare, come se la nostra presenza fosse stata l'unica possibilità per loro di sopravvivere.

-Ho pietà di loro- dissi incurante, sistemandomi il cappuccio sul capo.

-Hanno fatto la loro scelta. Moriranno con la consapevolezza di aver lottato per qualcosa in cui credono e che, in futuro, li renderà liberi-

Mai parole furono più vere.

-Ma come è possibile?- disse in quel momento una voce.

Alzai il capo, riconoscendo il volto di re Theoden che guardava senza capire Haldir, il quale, dopo un accennato segno di riverenza, sorrise al sovrano, aggiungendo:

-Porto notizie da Elrond di Gran Burrone. Un'alleanza esisteva una volta tra elfi e uomini. Molto tempo fa abbiamo combattuto e siamo morti insieme-

Una pausa dell'elfo mi costrinse ad allontanare lo sguardo dai due per capire cosa mai fosse accaduto. Dalla cima della scalinata vidi giungere Aragorn e subito dietro di lui, Legolas. Il cuore perse un battito nel rivedere l'elfo, ma un gesto involontario mi costrinse a carcare il cappuccio maggiormente in testa.

-Siamo qui per onorare questa lealtà- concluse Haldir, fissando negli occhi il ramingo.

Quando i due si avvicinarono, io mossi un passo indietro.

-Niniel- mi richiamò Gereth.

-Non ora, non qui- risposi pacata e con un fil di voce, temendo che le orecchie attente di Legolas potessere udire le mie parole.

Dietro di loro vidi giungere Gimli, il passo goffo sulla scalinata di pietra, e dietro di lui il gondoriano, in quel momento spogliato delle armi e dello scudo, lo sguardo affascinato puntato sulla schiera di elfi.

Un'improvvisa fitta alla spalla mi costrinse a stringere i denti, ma non volevo che quel dolore mi impedisse di adempiere al mio compito. Già, perchè nel momento in cui i miei occhi si erano posati su quelli carichi di speranze dei disperati abitanti di Rohan, in me era nato il desiderio di aiutarli e se per farlo avessi dovuto rimetterci la vita, allora quello sarebbe stato il mio destino.

Una nuova fitta mi colse, piegandomi su me stessa. Stavolta il dolore fu troppo per passare inosservato.

-Niniel, hai bisogno dell'Athelas- mi disse Gereth.

-Non c'è tempo...-

-Lo troveremo. ARAGORN!!-

La voce del mio amico mi giunse ovattata e lontana, mentre notai bene l'attenzione che si spostava su di me. Mi sentii scivolare a terra, priva di forze. Vidi un'ombra avvicinarsi e la voce del ramingo risuonarmi nelle orecchie.

-Niniel? Cosa ci fai qui? Cosa ti è accaduto?-

-Li abbiamo trovati vicini ai confini della foresta di Fangurn. Sono stati attaccati da un manipolo di orchetti. Lei è stata ferita e la freccia era avvelenata. Senza Athelas morirà- mi giunse lapidaria la voce di Haldir, nel suo tono la benchè minima sfumatura di compassione.

-Sto bene- dissi debolmente, mentre sentivo la fronte imperlata di sudore e il corpo percorso da brividi freddi, il fiato reso corto dallo sforzo.

Cercai di allontanare da me il ramingo, ma la mano che utilizzai si andò invece a stringere attorno al tessuto della sua casacca, unico appiglio tra me e il buio. Poi, senza neanche me ne rendessi conto, mi sentii sollevare.

-In infermeria, presto-

Ero tra le braccia di Aragorn mentre quello mi conduceva per la scalinata, diretto verso il cuore del palazzo. Non potei però fare a meno di cercare con lo sguardo quello di Legolas, anche solo per assicurarmi di non star sognando, di essere veramente tornata. Quando incrociai i suoi occhi mi sforzai appena di sorridergli, anche se tale gesto si spense non appena intravidi alle sue spalle la figura di Boromir. Il gelo si propagò allora nel mio corpo alla sua vista, in quanto non ero ancora riuscita a perdonarlo per quello che mi aveva fatto. Ma in fondo, ero contenta che anche il gondoriano stesse bene, quindi mi sforzai di mostrare anche a lui di essere felice nel rivederlo, almeno un pò.

Notai nei suoi occhi la preoccupazione nel vedermi in quelle condizioni e ne rimasi in qualche modo spiazzata. Se fossi sopravvissuta, promisi a me stessa di parlare con lui, in quanto molte cose vi erano ancora in sospeso, fatti che andavano risolti per poter affrontare tutta quella situazione in modo razionale e senza dubbi ad attanagliare il cuore.

Poi però a stanchezza fu più forte, facendomi perdere nuovamente i sensi.

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Capitolo 15
*** Facciamo questo gioco ***


ANGOLO AUTRICE:

Chiedo immenso perdono per la poca regolarità con cui sto aggiornando. Purtroppo l'ispirazione sta veramente facendosi desiderare e questo capitolo è stato un vero e
proprio parto, letteralmente.
Inoltre ho avuto dei problemi sul lavoro, quindi adesso sono occupata anche su quel fronte, ma cercherò comunque di impegnarmi, almeno per finire questa fan fiction. A causa delle difficoltà che ho trovato nello scrivere questo capitolo, spero che non deluda le vostre aspettative, anche se temo che la qualità sarà un pò scadente. 
Spero lo stesso che continuerete a seguire la storia e recensire.
Detto questo un avvertimento: a chiunque piaccia i personaggio di Eowyn, spero non si offende per come la nostra Niniel la tratterà ihihihihih


"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"

(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)



CAP XV – FACCIAMO QUESTO GIOCO

 

Socchiusi gli occhi, cercando di calmare il respiro. Sentivo il petto bruciarmi, probabilmente a causa del veleno che lentamente stava entrando in circolo. Eppure sapevo che non sarei morta, lo sentivo dentro di me come una certezza. O forse era solo quello che continuavo a ripetermi con insistenza per farmi coraggio.

Imposi a me stessa che quel nefasto destino non mi raggiungesse, non in quel momento, non ora che avevo finalmente trovato qualcosa per cui combattere.

Non avrei permesso alla stupida freccia di un puzzolente orchetto di troncare in quel modo ogni mia volontà di lottare, nè allo stregone bianco, nè tanto meno all'Oscuro.

Nel mio delirio riuscivo ancora a vedere gli sguardi delle genti di Rohan, le loro speranze che illuminavano gli occhi stanchi e impauriti, il sogno di una vita al di fuori della ferrea presa di Mordor e dalla continua paura di non poter rivedere una nuova alba.

Sentii dei sussurri nelle orecchie, probabilmente di qualcuno assieme a me, dovunque mi trovassi in quel momento. Delle parole sospirate nella lingua degli antichi, come una cantilena atta a calmarmi.

Il mio corpo bruciava dalla febbre, le membra erano pesanti e ben presto anche gli occhi tornarono chiusi. Il respiro era corto, come quando venivo colpita da uno dei miei attacchi. Annaspai, quasi senza rendermene conto, in cerca di aria. Poi un contatto fresco nel punto in cui la freccia mi aveva ferita, che in istante iniziò a bruciare come il vivo fuoco. Schiusi le labbra in un rantolo, il quale poi si tramutò in un grido. Pensai che mai avessi provato dolore più intenso. Il corpo si inarcò in modo innaturale, I muscoli si contrassero, mentre inconsciamente cercavo una fuga da quella sofferenza.

Di nuovo una voce mi intimò di calmarmi, mentre una forte presa alle spalle mi costrinse a rimanere stesa sul mio giaciglio.

Il dolore durò ancora qualche secondo, per poi attenuarsi a poco a poco, lasciando dietro di sè solo un lieve torpore. Mi coricai su un fianco, cercando di calmarmi.

Ciò che provavo pensai che fosse molto simile al calore del ventre materno, almeno così ritenevo, in quanto, come era normale, nessuno poteva avere memoria di cosa si provasse nel periodo precedente alla nascita. Eppure ero anche certa che ogni essere vivente sapesse dentro di sè riconoscere quella sensazione e io, dopo oserei dire secoli, sentivo di potermi ritenere al sicuro come in quell'attimo.

Mi convinsi che non avrei dovuto temere niente in quell'istante, neanche la morte stessa. Se essa fosse sopraggiunta, circondandomi con il suo manto nero come la notte, probabilmente avrei potuto rivedere finalmente mia madre, il suo sorriso così bello, i suoi occhi così tristi. Avrei forse incontrato un padre il cui volto non fosse nascosto dalle nebbie del tempo, solo per il gusto di fargli sapere quanto profondamente lo odiavo, ma al tempo stesso di quanto in fondo le ero grata per aver regalato, anche se solo come illusione, il più grande sentimento, quale l'amore, ad una donna buona come mia madre.

Poi, d'improvviso, la sensazione di un bacio sulla fronte, qualcuno che sussurrava il mio nome, invocava il mio risveglio. No, non sarei morta, non ancora. Qualcuno mi attendeva.

Dovevo svegliarmi.

 

***

 

Mi destai che il cielo si stava tingendo dei colori del tramonto. La spalla non mi bruciava più, il braccio non doleva tanto e rispondeva quasi perfettamente ad ogni mio impulso.

Lentamente mi alzai a sedere, notando che qualcuno mi aveva spogliato della parte superiore dei miei abiti, sostituiti da una candida fasciatura che copriva la parte lesa e il torso, sino a poco sopra l'ombelico. Non mi ero resa conto di aver riportato altre ferite oltre alla spalla.

-Vi siete svegliata- disse in quel momento una voce che mi risultò estranea.

Mi voltai, mantenendo il silenzio, incrociando la figura di una giovane, lunghi capelli biondi e chiari e grandi occhi, i quali mi fissavano, un misto di curiosità e apprensione che quasi mi infastidì. Mi pareva quasi un cervo che osserva un lupo, ma in quel momento non seppi se la fiera fossi io o lei.

-Dove siamo?- chiesi, senza tante cerimonie.

Dovevo supplire a quella mia mancanza improvvisa di sicurezza.

-Nella fortezza di Helm, a poche ore dalla battaglia- spiegò lei sbrigativa, raccogliendo da terra un catino con dell'acqua ed uno straccio macchiato di sangue.

Quando la fioca luce che filtrava dalle finestre illuminò più chiaramente la mia interlocutrice, la riconobbi: era la nipote del re, la stessa che avevo visto quel giorno nei giardini assieme a Legolas. Inizialmente non l'avevo riconosciuta a causa degli umili abiti che indossava, i lunghi capelli biondi non più intrecciati in acconciatura nobile, ma lasciati sciolti come una qualunque paesana. La penombra poi non aveva certo giocato a mio favore.

Una nota di fastidio mi nacque nel petto, ma la quietai quasi subito. Quello non era certo il momento di stupide gelosie.

Scansai quindi malamente le coperte, tirando fuori le gambe e poggiando i piedi a terra.

-Dove volete andare?- mi fermò lei, apprensiva.

-Combatterò, ovviamente- mi limitai a rispondere, come se fosse una cosa ovvia.

-Non potete, non vi siete ancora ripresa e sire Aragorn mi ha chiesto di impedirvi di raggiungerli-

-Mi spiace, ma non ho certo intenzione di stare qui a fare la parte della donnicciola debole e indifesa. Sono abbastanza in forze da tenere salda in pugno una spada e l'occhio fisso sul nemico. Inoltre non so se sentirmi offesa dal fatto che il mio unico ostacolo tra questa stanza e il campo di battaglia sia una fragile fanciulla come voi- conclusi, stizzita.

-Ma...-

Avrei giurato che quella mia frase l'avesse punto sul vivo, come se, con la prima parte della frase, indirettamente avessi parlato di lei stessa. Il mio sguardo cambiò in un attimo, ponendo una muta domanda.

-Mia signora Eowyn, da adesso me ne occupo io-

Entrambe ci voltammo verso la porta della stanza, sulla cui soglia si affacciava Legolas, la luce del sole ormai quasi completamente tramontato che lo illuminava, facendolo parere quasi etereo.

Sentii un debole sorriso aprirsi sulle mie labbra mentre coglievo la sua figura, tanto che non notai le mie armi che portava in mano, assieme a quella che mi parve poi una veste pulita. Mi sforzai però di tornare seria quasi immediatamente.

-Io stavo cercando di...- cominciò la giovane, come a volersi scusare, nonostante in quel caso fosse lei la nobile e non certo l'elfo, lontano dalle sue terre e dall'importanza del suo titolo.

-Perdonatemi, non è la poca fiducia che nutro per voi a farmi parlare, ma piuttosto conosco quanto possa essere testarda Niniel di Lorièn quando si mette in testa qualcosa-

Lo disse con sarcasmo, un sorriso sulle labbra che mi scaldò il cuore e mi fece nascere una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

-Quindi voi conoscete bene questa donna?- domandò Eowyn, rivolgendosi nuovamente a me.

Era fastidio quello che coglievo nello sguardo che mi stava rivolgendo? O forse invidia?

-E' un membro della nostra compagnia, con lei siamo partiti da Gran Burrone per giungere sino a Rohan. Quindi si, posso dire di conoscerla-

-Bene. Allora quando questa strana elfa crollerà sul campo di battaglia a causa delle sue mancanze, la colpa non ricadrà certo su di me- disse stizzita la “principessa”, facendo per allontanarsi.

Oh, ma non sarebbe certo scappata in quel modo così codardo dopo avermi apertamente attaccato.

-Per vostra informazione, dama Eowyn, io sono una mezz'elfa e quindi non possiedo certo la stessa pazienza e la posa del principe Legolas. Per questo, se non volete che la mia spada corra alla vostra gola, finite con il tono sarcastico e raggiungete le altre donne al sicuro-

-Come osate?- domandò, ma l'elfo, assistendo a quell'infantile battibecco, si mise in mezzo.

-Credo sia davvero giunto il momento per voi di andare- disse rivolta all'altra.

La sentii sbuffare, ma se ne andò senza aggiungere altro.

Quando la porta le si chiuse alle spalle, tornai ai miei tentativi per rimettermi in piedi.

-Non è stato carino trattarla in quel modo. In fondo sai che ha ragione- disse Legolas divertito, poggiando le mie cose sul letto poco lontano da me.

-E' solo una nobile che si diverte a sognare la guerra. Troppe fantasie la porteranno ad una morte prematura- risposi piatta e fredda, guardando fuori dalla finestra il cielo che si scuriva.

In realtà il mio era un modo, molto strano dovetti ammettere, di salvarle la vita.

-Cosa ti fa parlare così, Niniel?- mi chiese lui.

Senza rispondergli, mi alzai finalmente dal letto.

In verità non sapevo il perchè della mia stizza nei confronti di quella donna. Odiavo forse il fatto che qualcuno potesse desiderare così ardentemente combattere da divenire completamente incosciente.

Solo in quel momento, assorta nei miei pensieri, mi resi conto che Legolas mi si era avvicinato. Così, voltandomi lentamente, notai il suo petto che quasi sfiorava la mia schiena. Per un attimo il cuore ebbe un sussulto, dato che l'ultima volta che ci eravamo trovati soli e così vicini era quando ci eravamo detti addio.

-Non so di cosa tu stai parlando. Se insinui un qualche tipo di gelosia o invidia nei confronti di quella donna, ti sbagli- mi ripresi, allontanandomi un poco e tornando verso il mio giaciglio.

Recuperai il sopra della veste che Legolas mi aveva portato, cominciando a sistemarla, stando attenta a non compromettere le mie fasciature. Mentre allacciavo la stoffa in vita, trattenendo per un attimo un sospiro di fastidio, sentii la sensazione di un tocco sulla mia schiena, leggero e quasi impercettibile.

-Pensavo non saresti tornata- mi sussurrò la sua voce all'orecchio, accarezzandomi poi la linea del collo con il respiro, solo quello, ma che ebbe la capacità di farmi sussultare.

-Non penso di aver avuto molta scelta- risposi, cercando di non abbandonarmi alle molteplici sensazioni che quel tocco scatenava nel mio corpo.

Me ne ero andata anche per quel motivo, perchè lo stare vicino a lui mi rendeva debole, faceva sì che nel mio animo prevalesse la parte umana e non quella elfica. Mi sentivo attaccata ai sentimenti, provavo paura, gelosia, fastidio, invidia.

In quei giorni, soprattutto con una battaglia di tale portata alle porte, non era certo l'atteggiamento più adatto. Mi sentivo debole, lui mi rendeva debole. Così, mossi un passo avanti, scostandomi da lui, facendo violenza su me stessa, ma sentendomi improvvisamente meglio. Poi Legolas parlò di nuovo:

-Niniel, che cosa ti prende?-

Nel suo tono potei individuare delusione, fastidio, confusione.

-Cosa sono io per te, Legolas?- chiesi, senza neanche voltarmi, continuando a dedicarmi alle fibbie del corpetto.

-Credevo avessimo già affrontato questo discorso- rispose lui, sospirando, e lo sentii muovere un passo per potersi riavvicinare.

-Non muoverti- dissi tra i denti, incassando la testa tra le spalle.

-Non ti capisco. Pensavo fosse questo quello che volevi, quello che “realmente” volevi- rispose lui.

-Tu mi rendi debole, Legolas, come Urèr prima di te- sputai fuori.

-Vuoi dire che sei innamorata di me come lo eri del tuo maestro?-

Sentii speranza nella sua voce.

-No, voglio dire che, come lui, tu riesci a far emergere in me la parte umana, portandomi alla pazzia. Tu mi rendi debole perchè non mi permetti di essere realmente ciò che sono-

-E cosa sei, Niniel?-

La sua domanda mi giunse pungente e dritta come la freccia che fino a qualche ora prima prima avevo infilata nella spalla, rendendo il mio corpo di pietra e il mio respiro accelerato.

-Non quella che tu vuoi che io sia- risposi, finalmente voltandomi.

Sentivo il mio sguardo essere tornato di nuovo ghiaccio puro, come i primi tempi in cui ci eravamo incontrati. Stavo a poco a poco seppellendo tutti i sentimenti che provavo per lui nei più profondi e dimenticati meandri del mio animo. E vidi, subito, ciò che invece avevo scatenato in Legolas.

-Cosa vuoi da me, Niniel?- chiese ancora lui con voce calma, ma sentivo la rabbia che con difficoltà stava trattenendo.

Lui voleva cambiarmi, voleva salvare la parte umana di me e io non potevo permetterlo. Per secoli avevo cercato di nascondere la mia fragilità, per secoli avevo adottato un atteggiamento algido e insensibile solo per sentirmi al sicuro, sola, in un mondo che non mi avrebbe mai accettato, non avrebbe accettato l'eredità che i miei genitori mi avevano trasmesso. Così, abbassando lo sguardo, dissi:

-Voglio che tu esca da quella porta, Legolas, e che, quando ci incontreremo, lo facessimo da compagni, senza alcun legame personale. Voglio che tu smetta di guardarmi come stai facendo in questo momento. Voglio che stavolta tu riesca veramente a lasciarmi andare-

Lo vidi fremere, come se il suo cuore avesse realmente potuto rompersi alle mie parole. Quando lo sentii avvicinarsi, non lo fermai. Non ne avevo più la forza.

La sua voce all'orecchio era calda, il suo fiato mi fece vibrare ogni parte del mio corpo, ma mantenni comunque una posa eretta e statica. Fu quello che disse dopo che per poco non mi fece crollare.

-Io non sono il tuo maestro, Niniel. Io so ciò che provi, ciò che i tuoi occhi mi mostrano. Io me ne andrò, varcherò quella porta, ma sappi che quando deciderò di averti, niente e nessuno potrà impedirmelo. Perchè io so quello che proviamo e, davvero, non sono disposto a lasciarti andare, non più-

-Non sono un oggetto, “principino”- ringhiai tra i denti, tornando a guardarlo.

-No, non lo sei. Ma come hai ribadito, io sono un principe. Capriccioso, mi duole ammetterlo. La guerra è alle porte, quindi non mi trastullerò con te sino a farti ammettere che il tuo modo di agire in questo momento è sbagliato, almeno sino a quando i tempi non me lo permetteranno. Vuoi cancellare i sentimenti, Niniel? Bene, allora facciamo questo gioco. Ricorda però: l'unica a rimetterci sarai tu- e detto questo se ne andò, sbattendo la porta e lasciandomi sola, come io volevo, ma con la consapevolezza che lui non avrebbe rinunciato e che, in fondo, stavo sbagliando.

-Amin sinta...[1]- sussurrai.

 

***

 

Uscii finalmente dalla mia stanza mentre la notte scendeva silente. Da una delle finestre del bastione nel quale mi trovavo, intravidi già sulle mura i soldati di Rohan pronti alla guerra, fissando l'orizzonte e aspettando che le orde del nemico comparissero.

Il vento soffiava leggero, portando con sè il sentore di una fine vicina, ma anche di un nuovo inizio. Non tutto era perduto, sino a quando anche solo un uomo continua a respirare. E noi tutti non avevamo intenzione di morire quella notte.

Dei passi alle mie spalle mi fecero sussultare. Le parole di Legolas ancora bruciavano nella mia testa, gli occhi li sentivo gonfi dalle lacrime che non avevo voluto versare e che con veemenza avevo ricacciato indietro. Una parte di me sapeva che la mia scelta, anche se dolorosa, era stata la più giusta, ma il “gioco”, come lo aveva chiamato lui, valeva seriamente tutti quegli sforzi da parte mia?

-Niniel- disse qualcuno, distogliendomi dai miei pensieri, ma facendone nascere altri non appena capii a chi apparteneva quella voce.

-Boromir- dissi calma, voltandomi verso di lui, il quale mi fissava come una sorta di visione.

Dal canto mio, cercai di trasmettere al mio volto tutta l'impassibilità di cui ero capace. Sapevo che prima o poi quella conversazione tra me e il gondoriano si sarebbe tenuta, ma speravo il più tardi possibile e soprattutto non dopo la discussione con l'elfo.

-Non pensavo saresti tornata- disse ancora l'uomo, avvicinandosi.

-Boromir, vuoi davvero parlare di questo adesso?-

-Se non ora, quando? Ci attende un'ardua battaglia Niniel, senza sapere chi di noi tornerà-

Con un sospiro mi poggiai al davanzale al davanzale della finestra, chiudendo per un attimo gli occhi.

-Parla dunque, ti ascolto-

Probabilmente con quelle parole lo colsi di sorpresa, in quanto impiegò qualche minuto per parlare.

-Non pensavo sarebbe stato questa la prima cosa che mi avresti detto-

-Cosa avrei dovuto fare? Avventarmi su di te sino a tramortirti a suon di pugni, mentre ti urlavo in faccia tutto ciò che ho pensato nel momento in cui hai compiuto tale gesto?-

-A dire il vero speravo in qualcos'altro-

Alzai un poco lo sguardo, vedendolo sorridere, teso.

-Pensavi che avrei detto di amarti?-

Mi sentivo un ignobile, una bestia, ma in quel momento pensavo che quelle fossero le parole più adatte. Non volevo ferire Boromir, in quanto, nonostante non provassi ciò che ormai avevo capito lui sentisse per me, gli volevo comunque bene, come ad un amico, forse come ad un fratello. Non potevo permettermi però che lui fosse distratto da me, doveva concentrarsi sulla battaglia. Non avevo il potere di riportarlo indietro una seconda volta.

-Quindi mi sono illuso, Niniel?- chiese, la voce rotta, come se stesse per piangere.

E il cuore ebbe un colpo. Cosa ero diventata? Una creatura senz'anima?

-Boromir...io...mi dispiace...- cercai di dire.

-Sai, solo per un attimo ho pensato che l'elfo stesse dicendo il falso, che ciò che voleva farmi intendere non fosse vero. Poi però ho visto i tuoi occhi. Durante il delirio non facevi che ripetere il suo nome, cercare un suo contatto. Come ho potuto solo pensare di poter competere?!?- disse irritato, sbattendo un pugno contro le fredde pietre del muro.

-Boromir, quello che tu e quell'elfo non riuscite a comprendere è che io non sono il premio per una stupidissima gara, un trofeo da mostrare. Io sono Niniel di Lorièn, la mezz'elfa, libera come il vento e proprietà di nessuno se non me stessa. Ciò però non fa di me una roccia, senza sentimenti, al contrario di quanto mi sforzi per darlo a vedere-

Feci aderire la schiena contro la parete, sospirando. Quelle parole mi costavano davvero molto.

-Per la prima volta dopo secoli ho finalmente trovato persone che mi hanno accettato per quella che sono, senza aver paura di me o della profezia che mi porto sulle spalle. Volevo solo, per una volta, essere vista per il guerriero che rappresento, non per la donna che sono. Quando però ho cominciato a cogliere i segnali, ad avvertire gli animi tuo e di Legolas scalpitare in mia presenza, allora ho capito-

-Cosa?-

-Che dovevo andarmene per non provocare la vostra morte-

-Che stai dicendo?-

-La mente occupata dalla vostra stupida competizione vi avrebbe impedito di vedere con lucidità, vi avrebbe portato a commettere stupidi errori che vi costeranno la vita. Non posso accettare di essere per la seconda volta causa della morte di qualcuno a cui tengo-

Boromir, in quanto non a conoscenza del mio passato, mi guardava come se stessi parlando un'altra lingua, ma sapevo che in fondo poteva capire quello che stavo provando.

-Sei solo una stupida, mezz'elfa- ringhiò lui, per poi scoppiare a ridere.

Mi voltai a guardarlo, senza sapere se mi stesse prendendo in giro o fosse serio. Poi l'uomo continuò:

-Avere una cosa a cui si tiene non rende deboli, anzi. Il pensiero di non poter più rivedere un volto o un sorriso porta l'uomo a mostrare una forza che normalmente non avrebbe. Quella sera tu mi spingesti a combattere con il pensiero di poter rivedere Minas Tirith splendente come un tempo, riabbracciare mio padre e mio fratello. Cosa cambierebbe se nelle cose che mi spingono ad essere forte, ci fossi anche tu?-

Le sue parole mi lasciarono completamente spiazzata, senza sapere cosa rispondere.

-Ma Boromir, io non posso darti ciò che tu vorresti da me- risposi con un filo di voce.

-Non mi importa. Non sono un bastardo che porta via la donna ad un altro. Se tu hai fatto la tua scelta, chi sono io per dire il contrario? Ma ciò non mi impedirà di provare per te ciò che sento in questo momento. Questo Niniel non puoi togliermelo, anche se non sarai mai mia come vorrei-

Non seppi perchè, ma il mio corpo ebbe il bisogno di cercare un contatto. Con uno scatto gli gettai le braccia al collo, abbracciandolo e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Il suo odore mi inebriò le narici, capace di calmare il cuore che ormai batteva all'impazzata. Mi sentivo una sciocca, un mostro, in quanto sapevo che quel gesto sarebbe potuto essere equivocato, ma non mi importava. Era come se fosse stato l'animo di Boromir ad urlarmi di farlo, che in quel momento era ciò di cui aveva bisogno.

-Mi dispiace- gli sussurrai.

Sentii le sue braccia circondarmi la vista con gentilezza, probabilmente per non provocarmi dolore a causa delle ferite. Il calore del suo corpo si propagò nel mio, facendomi sentire protetta.

-Non hai bisogno di nascondere quello che sei, Niniel. E io ti proteggerò, lo giuro-

Ci allontanammo, proprio mentre si sentiva un tuono risuonare nella notte.

 

***

 

Pioggia.

Persino il cielo piangeva per il nostro fato, i Valar si “crucciavano” per il nefasto destino che ci attendeva.

Ma il cuore degli uomini è imprevedibile, coraggioso quando serve, capace anche di mettere in scacco qualcosa di inevitabile come il destino. E negli occhi della gente di Rohan quello si poteva scorgere, la volontà di vivere.

Dopo aver lasciato Boromir, con il cuore certamente più leggero, ero salita sulle mura, proprio mentre il cielo aveva cominciato a riversare su di noi le sue lacrime. Sentivo i capelli farsi pesanti a causa della pioggia, mentre il viso, ormai completamente zuppo, si irrigidiva in un'espressione seria.

Poco lontano intravidi Gereth, anche lui fermo ad osservare la vallata, la spada in pugno, lo sguardo serio. Come se sapesse che io ero lì, si voltò. I nostri occhi si incontrarono e mi parve come se le nostre menti si collegassero, come se, solo per un istante, fossi riuscita a captare i suoi pensieri.

-Vedo che neanche il veleno ti ha fermato, Niniel- disse la voce fredda di Haldir al mio fianco.

-Non è ancora giunto il giorno- risposi, continuando a fissare l'orizzonte.

Poi cominciammo a vederle: orde di creature che solo le profondità dell'inferno avevano potuto risputare, lunghe lancie sorgevano dalle schiere come aste da impalatore, mentre i fuochi delle fiaccole ci davano una chiara idea di quanto numeroso fosse l'esercito nemico.

-Mornie utulie [2]- dissi.

Sentii un sussulto al mio fianco e, abbassando lo sguardo, trovai un ragazzino, forse tredici o quattordici anni, l'armatura che indossava decisamente troppo grande per lui, lo sguardo dilatato in un'espressione di puro terrore mentre vedeva il nemico avvicinarsi.

D'istinto alzai una mano, poggiandogliela sulla spalla. Un paio di occhi blu incontrarono i miei, ricordandomi per un istante quelli di Frodo. Il cuore mi si strinse nel petto. Poi dissi:

-Sii forte ragazzo. Cormlle naa tanya tel'raa [3]-

Solo quello. Tre semplici parole, inutili, ma che forse sortirono un qualche effetto.

Infatti quello non rispose, probabilmente troppo spaventato, ma i suoi occhi si illuminarono di qualcosa di diverso, come se una nuova forza fosse nata in lui. Non sapevo se avrei rivisto quel ragazzino al sorgere del sole, ma lo sperai, vivamente.

Il nemico si era fermato a qualche centinaio di metri dalle mura della fortezza, tutto taceva, solo lo scrosciare dell'acqua ci accompagnava. Avvertii la voce di Aragorn poco lontana, le parole gridate in elfico per guidare gli arcieri di Haldir, ma a causa del temporale non riuscii a capire granchè. Li vidi però incoccare, accarezzare con lentezza snervante le piume delle freccie, puntare gli occhi sugli Uruk fermi dinnanzi a noi. Tra di loro, Legolas.

Un tuffo al cuore, un eco nella mente. Poi imposi a me stessa di concentrarmi sulla battaglia.

Le creature grugnivano, ringhiavano, assaporando il sangue che avrebbero versato quella notte. Le lancie e le spade ricurve presero a battere al suolo o sulle armature, provocando un martellante fragore di morte.

Inghiottii rumorosamente, un groppo mi si formò in gola, il corpo pronto a scattare a qualunque segnale di pericolo. Tutti noi eravamo come persi nel tempo, sospesi in una bolla, quasi quella realtà non ci appartenesse. Scommisi che molti di quegli uomini avrebbero voluto che le loro anime abbandonassero i corpi, lasciando al loro posto solo involucri che combattessero senza temere dolore o morte.

Pregai di ritrovare in me quella scintilla che a lungo mi aveva accompagnato, l'eco di quel compagno che credevo perduto.

Poi accadde: uno degli Uruk cadde a terra, una freccia lo aveva colpito con precisione nel punto in cui il collo rimaneva scoperto dall'armatura. Mi voltai, vedendo uno degli uomini di Rohan, anziano, guardarsi intorno, colpevole.

Un grido disumano risuonò nell'aria, mentre i passi del nemico si facevano ritmati e vicini. La voce di Theoden nelle orecchie che sussurrava:

-E così ha inizio-

 

***

 

Nessuno sa che aspetto abbia l'inferno. In fondo nessuno è mai tornato per raccontarlo.

Io però, avevo la sensazione che la battaglia in cui ci stavamo trovando in quel momento fosse qualcosa che si avvicinava molto alla prospettiva.

Mentre l'acqua scendeva dal cielo, sempre più forte e sempre più fitta, le urla dei caduti mi riempivano le orecchie, i ringhi delle bestie mi facevano decellerare il cuore ogni istante di più.

Sentivo la fatica del fisico, il fiato corto, la spalla ferita che aveva ricominciato a dolere.

Ma non mi sarei fermata, sino a quando avessi avuto respiro, non sarei crollata. Era forse quella consapevolezza che mi spingeva ad andare avanti, a combattere, ad impiegare la mia Carnil a donare morte e mutilazioni alle creature che erano cresciute all'ombra delle due torri.

Le orde nemiche si erano scagliate sulle mura della fortezza come onde che si infrangono sugli scogli in un mare in tempesta.

Dopo un breve inizio incoraggiante, in cui le freccie di elfi e uomini avevano abbattuto le prime file, molti avevano cominciato a cadere, senza distinzioni.

Lunghe scale si erano appoggiate ai bastioni e alcuni orchi le avevano risalite sino a giungere a noi e forse solo allora ci eravamo resi realmente conto di quanto precaria fosse la nostra situazione.

La gente di Rohan riteneva quella fortezza impenetrabile, pensava di essere al sicuro sino a quando la pietra avrebbe retto, ma più nemici respingevamo, più ce ne piombavano addosso.

Piantai la spada a terra, reggendomi in piedi grazie ad essa. Mi ero imposta di rimanere a combattere nell'avanguardia, ma avvertivo le braccia e le gambe farsi stanche. Persino la resistenza della mia parte elfica stava venendo messa a dura prova.

Alcuni ciuffi mi erano caduti sugli occhi, zuppi d'acqua e sangue che mi colava da una ferita alla fronte e rendeva difficoltosa la vista dal mio occhio destro. Con un gesto secco me lo pulii, sperando che con la pioggia il sangue sarebbe venuto via facilmente.

Qualcosa nel vento cambiò di colpo, mentre il sibilo di una lama si abbatteva sulla mia schiena. Mi rialzai in tempo per tagliare di netto un braccio ad un orco che mi era giunto alle spalle nella confusione, il quale si accasciò a terra in un gorgoglìo somigliante ad un lamento. Finii l'opera recidendogli la gola.

Rimasi qualche secondo ad osservare la creatura a terra, inondata del suo stesso sangue nero, i cui occhi, rimasti spalancati, erano fissi nei miei.

-Mereth en draugrim...[4]-

Un grido mi nacque dallo stomaco, mentre urlavo al vento tutta la mia frustrazione. Fu come se per un istante avessi nuovamente percepito quella scintilla familiare in mezzo al petto, irrorarmi come linfa, facendo nascere in me nuova forza.

Ricominciai a combattere come guidata da follia, facendo vibrare Carnil come fosse stata un'estensione del mio braccio. Mietevo nemici perdendone il conto, ignorando completamente chiunque mi si trovasse a fianco, alleati o orchi che fossero. Non avevo mai provato una tale ebbrezza nel combattere, non avevo mai assaporato la voglia di sangue come in quel momento.

Parevo pazza, completamente priva di senno. D'improvviso mi trovai bloccata nella morsa di qualcuno. Una presa alle braccia mi fece tornare in me e davanti mi ritrovai il volto di Aragorn, sporco di sangue incrostato e polvere, grondante di pioggia, ma lo sguardo fiero e presente.

-Niniel, torna in te, dannazione!! Lle tyava quel?[5]- mi gridò per sovrastare lo scrosciare dell'acqua e le urla provenienti dai due eserciti.

-Sut?[6] Non so cosa mi sia preso- balbettai, cominciando a tremare.

Il suono di una freccia ci fischiò nelle orecchie, andando ad abbattere un nemico che stava giungendo alle mie spalle. Ci voltammo entrambi incontrando il volto di Legolas, un'altra freccia già incoccata, gli occhi fissi su di noi, uno sguardo glaciale rivolto a me.

Poi avvertii qualcuno gridare, Aragorn allontanarsi appena da me. Mi guardai intorno, cercando di capire cosa mai stesse succedendo. Di colpo il terreno mi mancò da sotto i piedi, un boato si propagò nell'aria, mentre il fumo e la polvere mi riempivano i polmoni e mi accecavano la vista. Dopodichè ricordai solo di star cadendo, il contatto violento con il suolo. Poi, solo il buio e le orecchie che fischiavano.

 

***

 

-Niniel!! Niniel!!-

Qualcuno stava gridando il mio nome, ma era tutto troppo confuso ed ovattato per rendermi conto di dove mi trovassi in quel momento. Aprii gli occhi, sentendo le orecchie che ancora fischiavano, un dolore pungente alla spalla e anche ad una gamba.

Un'ombra al mio fianco stava cercando di farmi alzare, mentre altre due alle sue spalle stavano respingendo alcuni dei nemici.

-Gereth?- domandai, avendolo riconosciuto.

-Grazie ai Valar sei viva- sospirò lui.

-Cosa è successo?-

-Il nemico ha aperto una breccia nel trombatorrione e tu sei stata investita in pieno dall'esplosione. È un miracolo tu sia viva-

Riuscii finalmente ad alzarmi, zoppicando un poco a causa di un frammento di pietra che mi era entrato in una gamba. Gereth fu subito al mio fianco, facendomi passare un braccio attorno alle sue spalle.

-Ce la fai?- mi chiese.

-Devo farcela- risposi, guardando le schiena dei due soldati che stavano facendo da barriera tra noi e le orde nemiche.

Ci dirigemmo verso la breccia, proprio mentre avvertivo la voce di Aragorn che gridava la ritirata. Un paio di Uruk si scagliarono su di noi, ormai privi di ogni protezione. Con una poderosa spinta allontanai Gereth da me, finendo entrambi a terra, tra il fango. Conficcai uno dei miei pugnali nella gola ad un orco che mi sovrastava, cercando immediatamente il mio compagno, il quale stava combattendo contro un altro paio di quei mostri.

Un nome mi giunse alle orecchie, una persona che avevo perso di vista dall'inizio della battaglia. Alzai gli occhi e lo vidi mentre lentamente si accasciava a terra: Haldir.

Impiegai qualche istante per rendermi conto di cosa fosse successo davvero, poi le gambe si mossero da sole sino a giungere dove l'elfo giaceva, morente.

-Haldir...- sussurrai, piegandomi su di lui.

-Cosa fai qui Niniel?- mi domandò quello, fissandomi, mentre un rivolo di sangue gli fuoriusciva dalle labbra.

Per la prima volta da quando ci eravamo rivisti, nei suoi occhi non intravidi il benchè minimo segno di odio o rancore, ma semplice stupore.

-Non posso lasciarti morire. Non anche tu- sospirai, cercando di mantenere il capo eretto, poggiandolo sulla mia spalla.

Tastai il petto, cercando la ferita. La mano mi si macchiò di sangue, ma sentivo che anche la mia casacca, a contatto con la sua schiena si stava facendo umida. Cosa avrei dovuto fare? Avrei potuto ricorrere a quel poco di magia che ancora mi scorreva nelle vene, ma sarei stata capace di compiere su Haldir la stessa cosa che aveva fatto con Boromir?

Qualcuno mi affiancò. Alzai lo sguardo, incontrando nuovamente quello ametista di Gereth.

-Puoi farcela, Niniel- mi disse, poggiando la mano sulla mia.

Ma come aveva fatto? Era come se fosse stato capace di leggermi nel pensiero. Cosa nascondeva realmente quel giovane che mi stava davanti? Fu come se al suo tocco mi sentissi riempire di nuova energia.

-Niniel, cosa vuoi fare?- mi chiese Haldir, la voce lieve e la bocca impastata dal sangue.

-Dina, nikerym [7]. Sto cercando di concentrarmi- risposi secca, imponendo la mano sulla sua ferita.

Poi sussurrai:

-Cennen [8]-

 

 

[1] Lo so

[2] L'oscurità è arrivata

[3] Il tuo cuore è come quello di un leone

[4] Sarai un banchetto per i lupi

[5] Ti senti bene?

[6] Cosa?

[7] Fai silenzio, capitano

[8] Vita

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Una nuova alba ***


ANGOLO AUTRICE:
Meglio che non dica niente  -.-

"Aa’ lasser en lle coia orn n' omenta gurtha"
(Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano)




 
CAP XVI – UNA NUOVA ALBA

 

 

Legolas vide il corpo di Niniel accasciarsi a terra assieme a quello del capitano di Lorien, mentre Gereth e un altro paio di soldati di Rohan combattevano per impedire all'orda di Uruk di raggiungere i due.

Con fatica, in mezzo al caos che lo circondava, riuscì a percepire il battito flebile del cuore della giovane, affaticato dalla battaglia e ancora provato dalla spossatezza dovuta al veleno. Un'onda di un potere molto simile a quello che aveva mantenuto in vita Boromir aveva per un attimo fatto vibrare l'aria, cosa che aveva preoccupato non poco l'elfo, memore delle condizioni in cui si era ritrovata la mezz'elfa l'ultima volta.

Con un colpo preciso scoccò una freccia in mezzo agli occhi di una di quelle creature, colpendone altre due con lo stesso corpo dell'arco. Salì veloce sino al camminamento sul quale lei si trovava, facendosi largo sino a raggiungerla. Aveva intravisto Aragorn a pochi metri da loro, impiegato a favorire la ritirata dei soldati che erano rimasti.

Suoni per niente rassicuranti provenivano dal portone principale della fortezza, le grida degli uomini facevano capire che il duro legno stava per cedere sotto la potenza dell'orda nemica. Theoden, lo sguardo fiero che si richiedeva ad un re, era egli stesso sceso sino al livello delle porte, affiancato dai suoi generali.

Legolas evitò l'ennesimo attacco, conficcando uno dei suoi pugnali nella giugulare di un altro Uruk, uno dei pochi punti lasciati scoperti dalla spessa armatura che li ricopriva. Si prese qualche secondo per osservare il mostro che si accasciava a terra accompagnato da un grugnito di agonìa, mentre le goccie di pioggia scivolavano dai lunghi capelli biondi e andavano a morire sulla superficie sudicia dell'armatura nemica.

-Niniel...- sospirò poi, inginocchiandosi al fianco di lei non appena raggiunta e avvicinando un orecchio alle sue labbra.

Un lieve respiro gli accarezzò la pelle, facendolo un poco tranquilizzare. Con mano lieve le spostò alcuni ciuffi bagnati dalla fronte, concedendosi per qualche istante di osservarla in volto, il quale pareva provato non solo dalla battaglia, ma anche da qualcos'altro. Le sopracciglia erano incurvate in un'espressione di pura sofferenza, mentre le labbra, ricordate dall'elfo rosee e soffici, erano spaccate e dal colore violaceo. Il corpo era freddo e bagnato, rigido. La sollevò un poco da terra, carezzandole una guancia e chiamando il suo nome. Fino a quel momento si era chiesto cosa mai sarebbe accaduto nell'istante in cui lei avesse deciso di andarsene per sempre, se qualcuno o qualcosa l'avesse definitivamente strappata da quel mondo. Cosa avrebbe fatto lui? Come avrebbe continuato la sua eternità sapendo che lei non poteva farne parte? Per la prima volta, dopo davvero molti anni, aveva finalmente trovato un altro essere che non lo facesse sentire solo, che riuscisse a risvegliare nel suo animo una parte umana, sentimenti che aveva invano cercato di seppellire da quando sua madre aveva abbandonato lui e suo padre.

Spostò allora lo sguardo su Haldir, steso in parte sul corpo della mezz'elfa, la pelle pallida e le labbra livide quasi quanto lei. Con mano tremante portò due dita alla carotide dell'elfo, anche se dentro di sè si aspettava di non riuscire a sentire alcun battito. Fu per quello che si stupì quando avvertì lo scorrere del sangue nella vena, segno che il cuore del capitano ancora pompava.

Così, con un grido che riuscì a sovrastare il rumore della battaglia e lo scrosciare incessante della pioggia, chiamò Gereth. Avrebbe voluto lui stesso portare i due in un posto sicuro, ma era suo dovere rimanere a combattere.

Quello, dopo aver allontanato l'ennesimo orco che cercava di recidergli la testa dal collo, si avvicinò all'elfo, attento. L'elfo faticava a fidarsi di quello sconosciuto, soprattutto perchè aveva notato il legame che lo univa a Niniel. Purtroppo però era anche l'unico che avrebbe potuto portare a termine quel compito senza rischiare di fallire.

-Devi condurre entrambi all'interno della fortezza- disse Legolas, fissandolo negli occhi.

-E così Niniel ce l'ha fatta?- chiese, sorpreso, spostando lo sguardo sul capitano di Lorien.

-Tu sai?- domandò l'altro, capendo che quell'uomo era a conoscenza di molto più di quanto andava raccontando.

Dunque Niniel si fidava di lui a tal punto da rivelargli l'origine di quello strano potere che invece aveva taciuto a tutti loro? Perchè?

Eppure, nonostante l'infinita curiosità di sapere, capì da sè che quello non era certo nè il luogo nè il momento più adatti. Così si affrettò ad aggiungere:

-Prendi con un te un soldato abbastanza in forze perchè possa trasportare Haldir. Dopodichè, mentre io vi aprirò la strada, portate entrambi al sicuro all'interno delle mura-

-Sai che lei non te lo perdonerà, vero?- disse Gereth, un sorriso impudente sulle labbra, mentre metà del viso era macchiata dal sangue che gli usciva da una ferita alla fronte.

Lo sapeva, eccome se lo sapeva. Niniel non gli avrebbe mai risparmiato un'accesa discussione dopo che tutto fosse finito.

-Se vorrà odiarmi, sarà comunque viva per farlo- rispose di rimando l'altro, ricambiando il ghigno, per poi alzarsi e cominciare ad abbattere i nemici che li circondavano.

 

***

 

Gereth correva, il corpo di Niniel appoggiato malamente sulla schiena, un braccio a sorreggerla nel vano tentativo di non farla cadere, l'altro, la spada in pugno, pronto ad affrontare chiunque gli si presentasse davanti. Alle sue spalle due giovani arcieri, ancora con abbastanza fiato, trasportavano con fatica il corpo di Haldir, talmente debole da equivalere ad un peso morto. In fondo erano dei ragazzini, due dei molti che erano stati assoldati in mancanza di combattenti esperti. Li aveva intravisti semi nascosti alle macerie del trombatorrione, le mani tremanti che impedivano alle freccie dei loro archi di raggiungere adeguatamente il bersaglio. Aveva avuto pietà di loro, della giovinezza che, se li avesse lasciati lì, non avrebbero mai vissuto, e così li aveva scelti.

Il giovane dagli occhi ametista si voltò verso i due, incitandoli a non aver paura, ma a continuare verso la loro meta. Sentiva dentro di sè qualcosa di estraneo, una sensazione che, da quel poco che riusciva a ricordare, non aveva mai realmente provato. Era come se il desiderio di aiutare quei due ragazzini fosse qualcosa di nuovo, che andava al di fuori di ciò che il cuore gli aveva imposto sino a quel momento. Inoltre era più che sicuro che quello sconvolgimento emotivo fosse tutto dovuto alla giovane che in quel momento gli giaceva sulla schiena.

Sentiva come se la conoscesse da tempo, da molto più di chiunque altro. In alcuni istanti, mentre la guardava, gli pareva quasi di poter sovrapporre un altro volto al suo, molto simile, ma più infantile, un ricordo scomparso quasi subito tra le nebbie dell'amnesia.

Una cosa però la sapeva per certo: sarebbe morto per lei. Ancora non conosceva l'esatta origine di quell'idea, ma era sicuro di essere nato con un compito come quello, trovare qualcuno da proteggere sino alla fine. Non ricordava se avesse mai posseduto una famiglia, amici o compagni, ma Niniel racchiudeva in sè ognuno di quegli aspetti. Per quello doveva al più presto portarla via da quella battaglia.

Aveva perso di vista Legolas qualche attimo prima. Fu allora che un paio di orchi gli si pararono davanti e lui si arrestò, in quanto, con il peso della ragazza sulle spalle, non sarebbe mai riuscito ad affrontarli. Mentre però stava già pensando di lasciare Niniel alle cure di uno dei due giovani arcieri e liberarsi dell'ostacolo per poter proseguire, due colpi fulminei di spada recisero ad entrambi gli orchi la testa. Quando i corpi caddero tra il fango e il sangue, alle loro spalle comparve la figura di un uomo, il quale però Gereth non riconobbe immediatamente a causa dei capelli bagnati appicciati al volto che lo rendevano pressocchè irriconoscibile.

Quando però notò la singolare fattura dello scudo, il quale mostrava un'arte unicamente gondoriana, e il bianco corno appeso alla cintola, capì chi mai fosse il loro salvatore.

-Boromir- disse allora, la voce dispersa nella pioggia e stroncata dalla fatica.

-Avanti, vi permetterò di raggiungere la fortezza prima che sia tardi- rispose l'uomo con un mezzo sorriso, muovendosi alle spalle dei due arcieri e sostituendone uno nel trasporto del moribondo Haldir.

Il corvino lo seguì con lo sguardo per quanto gli fu possibile, poi riprese la sua avanzata verso l'interno del forte di Helm.

Bastò uno sguardo scambiato in fretta tra i due per capire quale sarebbe stato il luogo più sicuro per sistemare entrambi i feriti. Non con poche difficoltà riuscirono a raggiungere uno dei portoni che conducevano al cuore della fortezza, aiutati da alcuni soldati che allontanarono gli orchi quel tanto che bastò a loro di passare.

Senza rallentare di un solo passo, avvertendo il respiro di entrambi i moribondi sempre più debole e flebile, presero a ridiscendere velocemente verso le caverne sotterranee dove si trovavano le donne, gli anziani e i bambini. Furono urtati più volte da soldati che correvano su e giù per la fortezza, in attesa di uscire in battaglia per sostituire quelli già morti. Ma niente li rallentò, raggiungendo qualche minuto più tardi la loro meta.

L'uomo di Gondor si gettò con tutta la sua forza sul grosso portone di legno massiccio che si parava loro davanti, richiamando l'attenzione delle guardie che vi erano state lasciate di sentinella dall'altra parte.

-Aprite questa dannata porta!! Abbiamo necessità di entrare!!-

-Il re ha ordinato di non far accedere nessuno a questa ala, neanche se dovesse spirare di fronte alla porta-

-Portiamo due feriti gravi e, al momento, solo dama Eowyn sarebbe in grado di far scampar loro alla morte-

Trascorse qualche minuto prima che le porte si schiudessero, tanto che i due stavano già progettando di buttarle giù a spallate se fosse stato necessario, rivelando la figura esile della principessa di Rohan che andava loro incontro.

-Portateli dentro- disse rivolta alle due guardie e, in cuor suo, non potè fare a meno di ammettere di aver avuto ragione riguardo alle condizioni di quella spocchiosa mezz'elfa quando la vide sulle spalle del giovane moro.

Non evitò neanche di notare gli sguardi che entrambi quegli uomini rivolsero alla moribonda mentre la lasciavano, assieme all'elfo, in consegna alle guardie. Pensò di non aver mai visto tanta apprensione come negli sguardi di quei due, tanta speranza di poter rivedere quella stessa persona per un'altra volta soltanto.

Sorrise ai due, come a voler loro infondere grinta e rassicurazione riguardo le condizioni dei feriti.

-Si prenda cura di loro, mia signora- disse Boromir con un inchino, imitato da Gereth, per poi riprendere entrambi la strada per tornare sul campo di battaglia.

-Non avete da temere sinchè saranno qui. Siate prudenti, guerrieri, entrambi, in quanto penso che per lei siate importanti in egual misura-

I due uomini si voltarono, stupiti da tali parole. La dama bionda sorrideva loro teneramente, mentre le porte le si chiudevano dinnanzi agli occhi.

Quando Boromir e Gereth si trovarono soli, gli abiti lordi di sangue proprio e non, le ferite che attraversavano i loro corpi, non poterono fare a meno di scambiarsi un'occhiata.

-Non è necessario fissarmi con quello sguardo carico di risentimento, gondoriano. Non è con me che hai perso la strada per il cuore di Niniel-

-Non è certo a quello che stavo pensando, in quanto con lei ho già parlato a sufficienza del sentimento che ci unisce, amicizia a detta sua, niente di più. Mi chiedo però ciò che muova te, estraneo sino a poco più di una settimana fa. Cosa ti unisce a lei?-

Gereth distolse lo sguardo, impugnando più saldamente la sua arma.

-Qualcosa che tu non puoi ancora capire- rispose, per poi precederlo verso il campo di battaglia.

 

***

 

Aprii gli occhi, mugolando a causa della fitta alla testa che mi colse non appena lo feci. Dove mi trovavo? Che ne era stato della battaglia? Avevamo vinto?

Probabilmente, se ero ancora viva, forse non era tutto perduto. Forse un miracolo era accaduto, i Valar ci avevano concesso di vivere un altro giorno, soffrire per ancora qualche ora, ma con la consapevolezza di esserci salvati. Sentivo le membra pesanti, il respiro lento e quasi inudibile, ma dentro di me avevo la certezza di averla scampata ancora. Era stata una follia tentare l'incantesimo per la seconda volta, soprattutto dopo che il legame era stato rotto. La mia forza, da sola, non era sufficiente per uno sforzo di quelle dimensioni.

“Una vita per una vita” mi aveva detto Lui quel giorno, quando ci eravamo appena incontrati, e io avevo sorriso, non prendendo le sue parole come reali. In quel momento, in quel letto nel quale mi resi conto di trovarmi, quella frase non mi parve molto lontana dalla verità.

Eppure ero viva, anche se ciò significava che molto probabilmente non ero riuscita a salvare Haldir. Distolsi lo sguardo dal soffitto, voltandomi alla mia destra e lo vidi, steso su di un giaciglio poco lontano da me. Qualcuno era chino su di lui, intento a fargli bere un infuso da una ciotola. Ciò significava che era vivo, che l'incantesimo era riuscito, anche se non completamente, in quanto potevo vedere le bianche fasciature che circondavano l'addome dell'elfo, segno che le ferite non si erano del tutto richiuse.

Mi resi conto di star piangendo solo quando avvertii le lacrime scivolarmi sulle guancie e macchiare la federa del cuscino di paglia che avevo sotto la testa. L'ultimo di coloro che avevo considerato un tempo come una famiglia camminava ancora tra i vivi, ero riuscita per la seconda volta a battere il volere di Mandos, dando a me la possibilità di rimediare al dolore che gli avevo provocato in quegli anni. A dire il vero non sapevo se lui mi avrebbe mai perdonato, ma non me ne curai in quel momento. Ci era ancora stato donato del tempo e, per quanto mi riguardava, non lo avrei sprecato.

Fu allora che la figura china su Haldir si voltò, mostrandomi il volto di Eowyn. Rabbrividii rincontrando quegli occhi chiari e limpidi, il viso dai tratti belli e quasi eterei, l'espressione dura quando si accorse che ero vigile.

Nonostante la volta precedente non le avessi riservato un trattamento che potesse essere definito rispettoso, quella però mi sorrise, sincera.

-Ti sei svegliata, mezz'elfa. Non ho mai odiato aver ragione come nel momento in cui ti ho visto portata qui dai tuoi compagni- mi disse con voce lieve, il tono che mostrava un sincero sollievo.

Distolsi lo sguardo, vergognandomi di essermi mostrata così scontrosa nei suoi confronti, quando lei si era adoperata per salvarmi la vita per ben due volte.

-Mia signora, le sono grata per quello che ha fatto per Haldir e me- dissi allora, andando contro ad ogni mio principio e azzerando completamente il mio orgoglio.

In realtà mi resi conto che dire quelle parole non mi era costata alcuna fatica, in quanto nell'animo le pensavo, esattamente come le avevo pronunciate. Era come se l'aver scampato la morte per la seconda volta avesse abbattuto una parte di quel muro che ancora circondava il mio cuore, risvegliando una parte della vecchia Niniel che, dovetti ammettere, non mi dispiaceva affatto mostrare.

-Chiamami Eowyn, mezz'elfa. Ricominciamo come se non ci fossimo mai incontrate- mi rispose lei, avvicinandosi al mio letto, poggiandomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

-E tu chiamami Niniel. Non mi piace che qualcuno sottolinei di continuo la mia natura- risposi, per la prima volta con un tono che non voleva essere nè pungente nè sarcastico, riservandole un sorriso che voleva essere completamente sincero.

-Come vuoi tu, Niniel- concluse lei con un cenno del capo, alzandosi poi per andarsene dopo aver recuperato alcuni dei medicamenti che probabilmente aveva usato su me ed Haldir.

La osservai allontanarsi verso l'uscita, i lunghi capelli biondi sciolti sulla schiena mossi da un vento invisibile. Pensai per un attimo a quante cose mi differenziassero da lei, da quante mancanze sentissi nei confronti del suo portamento e della sua persona, così regale e femminile.

Per un istante avrei voluto dare ad altri una visione diversa di me, più debole, fragile, una creatura da proteggere. Mi chiesi come, nonostante mi fossi mostrata sempre forte e combattiva, alcuni di quelli che avevo incontrato sentissero il profondo desiderio di vegliare comunque sulla mia incolumità. Poi capii che io stessa sarei stata pronta a dare la vita per ognuno di loro, per la prima volta ne ebbi la certezza.

-Mi dispiace- dissi quasi senza accorgermene, prima che dama Eowyn si fosse allontanata troppo per sentirmi.

-Per cosa?- mi domandò quella.

-Per avervi accusato di essere un infantile, per avervi minacciata senza alcun apparente motivo, per aver dimostrato per l'ennesima volta che è meglio che le persone mi stiano lontane-

La vidi sorridere dopo qualche attimo di smarrimento. Mi stupii non poco di tale reazione e per un istante mi parve di rivedere in lei il volto di Arwen la prima volta che la incontrai.

-Ho già dimenticato Niniel, in quanto ho compreso la situazione e il momento nelle quali tali parole sono state pronunciate. Non preoccuparti, non hai da temere niente da me, in nessun caso. In fondo, nonostante il tono poco carino che abbiamo usato la prima volta, mi duole ammettere che le tue parole erano fin troppo vere. Ma in fondo io voglio solo una possibilità, un'occasione per dimostrare che anche le donne possono affrontare le battaglie di questo tempo, senza essere ritenute deboli o inferiori-

Rimasi stupita da una tale risposta, tanto che anche a me venne da ridere. Distolsi lo sguardo, continuando a sorridere, mentre le lacrime scendevano ormai senza sosta. Perchè avevo la sensazione che si stesse riferendo a qualcuno in particolare? Perchè mi rispecchiavo in maniera così personale nelle sue parole? Nonostante fossi cresciuta tra gli elfi, in mezzo ai quali non vi era alcuna distinzione di sesso tra i guerrieri, una parte di me si era sempre sentita in dovere di dimostrare che potevo farcela.

-Grazie- conclusi, per poi richiudere gli occhi e ricadere nell'oblio.

 

***

 

Avvertii un'ondata di calore attraversarmi il corpo e fermarsi al centro del petto, in maniera molto simile a quando avevo uno dei miei attacchi. Non mi era più ricapitato da quando avevo usato le mie energie per salvare Boromir, da quando credevo che il legame con Lui si fosse spezzato.

Poi delle fitte martellanti mi scossero, una alla spalla e l'altra alla coscia, proprio dove ricordai essermi ferita durante l'esplosione del trombatorrione.

Il mio fisico stava cedendo, impedendo in quel modo alle ferite di cominciare a rimarginarsi dopo le cure. Nell'incoscienza mi parve quasi di sorridere dell'ironia della mia situazione: prima mi era stato permesso di rivedere per un'altra volta ancora la luce di un nuovo giorno, per poi trascinarmi via lentamente, stesa in un letto, e non invece come avrei voluto, su un campo di battaglia, la spada in pugno e il sangue del nemico sulla pelle e i vestiti.

Stavo affondando sempre di più nell'oscurità dalla quale non riuscivo più a risalire, abbandonandomi al tepore e alla spossatezza della febbre. Mi parve per un attimo di udire una voce che si diffuse come un eco nel mio cervello, scuotendomi, ma pensai solo ad un'impressione. Poi di nuovo, come un boato di un tuono.

-Ragazzina!-

Era lui, era tornato.

-Come puoi essere qui?-

La mia voce uscì debole, anche se ero certa che avessi solo pensato quelle parole.

-Avevo solo bisogno di tempo, sperando tu rimanessi in vita nel frattempo. Mi deludi, lo sai?-

Sembrava quasi stesse ridendo di me, della mia debolezza.

-Se non ti sta bene questa “debolezza”, allora perchè hai scelto me?-

-Perchè ho letto la tua anima, Roquen, e ho pensato che nessuno fosse più adatta di te-

-Dove sei?-

-Sto arrivando-

Fu come se d'improvviso il dolore si fosse attenuato, così come il caldo provocato dalla febbre. Il tepore che in quel momento avvertivo era differente, ma al tempo stesso dannatamente familiare. Lentamente sentii le palpebre riaprirsi di nuovo, ma la vista era appannata e gli occhi bruciavano.

Mi voltai appena, cercando di vedere se Haldir riposava ancora nel letto al mio fianco, ma non valse a niente. Un rumore, seguito da un grugnito, attirò la mia attenzione.

Ai piedi del mio giaciglio distinsi poco chiaramente la sagoma di qualcuno, il busto libero di camicia o armatura, intento, sembrava, a curarsi una ferita ad un braccio con ago e filo, o almeno così mi parve. La poca luce della stanza più la vista non affatto nitida non mi faceva essere sicura di niente.

Chi era con me in quella stanza? Non riuscivo a riconoscerlo e per un attimo ne ebbi paura. Poi, nella semioscurità, mi parve di intravedere qualcosa sulla pelle dello sconosciuto, all'altezza delle spalle, un disegno che scendeva giù sino a metà schiena. Non ebbi però il tempo di accertarmi di altro, in quanto sentii nuovamente i sensi venire meno e scivolai dolcemente nelle tenebre dell'incoscienza.

 

***

 

Una lieve brezza mi sfiorò il viso, facendo appena bruciare i sottili tagli, ormai quasi invisibili, che ancora lo segnavano. Lentamente sollevai una mano, sfiorando la ferita alla spalla che si era ormai richiusa, mentre la coscia ancora mi dava qualche problema.

Nei molti secoli in cui avevo vissuto non mi era mai capitato di ridurmi in quello stato, la parte elfica era sempre riuscita a supplire diligentemente alla debolezza di quella umana, risanando ogni ferita ancora prima che mi rendessi conto di perdere sangue. Probabilmente stavo lentamente perdendo le energie a causa del legame spezzato, anche se il sogno avuto qualche giorno prima aveva riacceso in me la speranza. Risentire la sua voce nella mia mente mi aveva dato la possibilità di sperare. Ricordare quell'intonazione, così profonda e potente, matura, mi fece correre dei brividi lungo la schiena, tanto che mi distrassi dal panorama quel tanto che impiegai per udire i passi di qualcuno nel corridoio. Non fui perciò sorpresa di veder comparire sulla soglia della camera la bianca figura di Gandalf. Avevo sentito dire che lo stregone aveva fatto ritorno proprio nel momento in cui tutto pareva perduto, ribaltando le sorti della battaglia grazie alla schiera di Rohirrim che si era portato dietro. Sorrisi nella sua direzione, ravviandomi per un attimo i capelli e stringendomi di più nella coperta che tenevo sulle spalle.

-Aaye, Mithrandir[1]-

-Mae govannen[2], Niniel- ricambiò lui il saluto.

-Vedo che la febbre è scesa e il tuo corpo è quasi completamente guarito- continuò, chiedendomi con uno sguardo il permesso di accomodarsi sul giaciglio che mi aveva ospitato per quell'ennesima notte.

-Ci ho impiegato più tempo del previsto, stavolta- risposi, abbassando lo sguardo.

Eravamo soli nella stanza, in quanto il giorno prima il letto di Haldir si era liberato, dato che l'elfo, convinto che le sue ferite fossero ormai in via di guarigione, aveva deciso di tornare verso Gran Burrone, ansioso di riferire a re Elrond quanto accaduto al fosso di Helm. Prima di andarsene però mi aveva riservato una lunga ed intensa occhiata. Mi sentii studiata da quello sguardo così attento, tanto che avvertii il mio corpo irrigidirsi, come se non avessi neanche la forza di respirare.

Fui per questo sconcertata e contenta al tempo stesso quando notai le labbra del capitano incurvarsi in un accennato sorriso. Probabilmente l'avergli salvato la vita aveva intaccato un poco quel velo d'odio nei miei confronti che lo circondava da ormai secoli.

Continuando a torturarmi la mano con la cicatrice, la quale aveva ricominciato a pizzicare da quando avevo fatto quello strano sogno qualche giorno prima, fissai l'anziano stregone per attimi che mi parvero infiniti, spegnendo poi il mio sorriso e assumendo un'espressione colpevole.

-Hai saputo ciò che ho combinato, non è vero?-

-A cosa ti riferisci?- chiese lo stregone, fintamente confuso.

-Al fatto che sono fuggita come una codarda, lasciandomi alle spalle i miei compagni e la mia missione-

Gandalf si fece pensieroso, poggiando il suo lungo bastone sulle ginocchia e sospirando.

-Sapevo che sarebbe giunto il momento Niniel, in quanto, nel tuo animo, la paura di soffrire si è fatta a poco a poco più forte del dovere verso la causa-

-Cosa ti fa pensare che sia mai stata la mia causa?- risposi piccata.

-Amica mia, ti conosco ormai da tempo e so esattamente quali sono i sentimenti che ti muovono, come sono sicuro che questa missione è divenuta tua non appena hai conosciuto Frodo- sorrise quello.

Lo fissai dubbiosa aggrottando le sopracciglia. Poi compresi:

-Lo sapevi, non è vero? Sapevi che mi sarei affezionata all'hobbit, per questo mi hai mandato a tenerlo d'occhio, a tenerlo al sicuro-

-Non so di cosa tu stia parlando. Comunque sia, sono contento che tu abbia ripensato alla tua decisione di andartene. Inoltre sono venuto a dirti che domattina partiremo-

-Per dove?- domandai.

-Andremo ad Isengard-

Fu come se una saetta mi attraversasse completamente, tanto che rimasi paralizzata sul posto per qualche istante, come se avessi solo immaginato quelle parole. Poi esclamai:

-Vengo con voi!-

-Sapevo lo avresti detto, ma te lo permetterò solo se sarai in grado di tenere il passo-

-Sto bene, posso farcela- conclusi.

-Bene. Ti attendo quindi alle porte principali alle prime luci-

-Ci sarò-

 

***

 

Non appena Gandalf se ne fu andato, borbottando qualcosa sul fatto che dovesse andare a cercare Aragorn, mi resi conto che ognuno dei miei compagni era passato a sincerarsi delle mie condizioni. Persino Gimli, con il suo fare scostante e burbero, mi era parso sollevato nel constatare che stessi bene. Boromir, una volta rimasti soli, mi aveva invece comunicato che il ramingo gli aveva chiesto, ma con molta probabilità ordinato, di recarsi a Minas Tirith, in modo da informare il sovrintendente di quanto stava accadendo a poca distanza dalla capitale, e che sarebbe partito il giorno stesso.

A quelle parole avevo sentito uno strano peso sul petto, il quale mi era poi salito in gola, non riuscendo a rispondergli come invece avrei voluto. Capii in quell'istante che provavo un particolare affetto per il gondoriano, un sentimento fraterno, non più di quello, ma che vederlo andarsene, scortato solo da qualche soldato di Rohan, tra quelli che ovviamente ancora potevano cavalcare, mi recava una certa preoccupazione, una strana angoscia. Al mio silenzio lui aveva risposto con un accennato sorriso e un lieve bacio sulla fronte, mentre le sue dita affondavano trai miei capelli e i miei occhi si chiudevano

L'unico che ancora non era apparso sulla soglia era Legolas. Una parte di me sperava di vederlo sulla porta, l'arco a tracolla e il sorriso caldo a rischiarargli il volto, gli occhi puntati nei miei. A quel pensiero i battiti del cuore accellerarono, senza apparente motivo, o almeno per qualcosa che io stessa non volevo ancora accettare. Eppure, mentre continuavo ad osservare il giorno che moriva, facendo spazio al nero manto della sera, ero sempre più convinta che Legolas fosse colui che a lungo avevo atteso.

Come guidata da una misteriosa sensazione, mi voltai lentamente, trovandolo là, in piedi, che mi guardava.

-Ho bussato, ma probabilmente non mi hai sentito- mi disse solo, la mano destra ancora alzata poggiata alla superficie della porta.

Non risposi, riservandomi qualche minuto per osservarlo come mai avevo fatto. In quel momento, quando finalmente il mio cuore iniziava a schiudersi come un fiore sotto il sole di primavera, lasciando uscire tutta quella tristezza e quella solitudine che a lungo mi aveva tormentato e che avevo tenuta nascosta al mondo, non potei fare a meno di immaginare l'elfo come un faro nell'oscurità che mi divorava l'anima.

-Niniel, che ti succede?-

Non rendendomene conto, me lo ritrovai di fronte, una mano sul mio viso mentre con il pollice asciugava lentamente una lacrima che mi stava scendendo sulla guancia. Inclinai la testa leggermente, tanto per bearmi del calore che quel gesto mi stava trasmettendo. Chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi sul contatto tra di noi, imprimermelo nella memoria e non dimenticarlo più. Sorrisi, per la prima volta per davvero. Perchè per secoli ero fuggita da sensazioni come quelle? Perchè avevo allontanato tutti coloro che mi avessero dimostrato un minimo di affetto?

La missione per molto tempo mi aveva mantenuto fredda, ferma sulle mie decisioni, ma improvvisamente mi accorsi che sino ad allora non avevo mai realmente vissuto. Adesso avevo qualcosa per cui combattere, dei compagni che mi consideravano una di loro e non solo uno strumento per uccidere, un uomo per il quale provare qualcosa di diverso dal risentimento e dalla vendetta.

-Niniel...-

Per i Valar, non mi ero mai resa conto di come suonasse il mio nome detto da lui. Lentamente schiusi le palpebre, portando una mano a coprire la sua, per poi avvicinarmi, sfiorandogli appena le labbra con le mie. Vidi i suoi occhi spalancarsi per lo stupore, fissarmi come non avevano mai fatto prima, il volto candido assumere una lieve sfumatura rosata.

-Perchè?- chiese poi senza smettere di guardarmi.

-Non è evidente?- risposi, allontanandomi da lui e interrompendo quel contatto.

-No, non lo è- disse lui piccato, cercando di riavvicinarsi.

Non parlai, abbassando il volto e stringendomi le braccia al petto. Così l'elfo continuò:

-L'ultima volta che ci siamo parlati, le tue intenzioni mi sono parse del tutto differenti da quanto invece mi pare di capire con questo tuo gesto. Cosa è cambiato?-

-Come mai mi sembri contrariato? Eppure mi era parso di capire che mi avresti avuta, con o senza il mio consenso- dissi allora acida, offesa da quella sua poca fiducia, ma che alla quale non potei dare del tutto contro.

-E' proprio questo che mi preoccupa. Non voglio che sia in questo modo. Dannazione, tu mi hai chiesto di lasciarti in pace!!-

-Non voglio più- risposi semplicemente, imbarazzata per la prima volta nella mia lunga esistenza.

Continuai a fissare il pavimento, attendendo una risposta che non arrivò. Invece avvertii nuovamente la sensazione della sua vicinanza, mentre una presa al mento mi faceva alzare la testa e tornare a fissarlo.

-Te lo ripeto: cosa è cambiato?-

La sua voce era dura, ma c'era anche dell'altro, una sfumatura nel tono che mi parve quasi dolce.

-Ho smesso di avere paura- risposi di getto, incapace di continuare a mentirgli.

-Paura di cosa?-

-Di accettare ciò che sento. Mi sono arresa, tu mi hai reso debole, ma non posso dire che mi dispiaccia, ora lo so. Finalmente mi sento in grado di accettare quel turbine di sentimenti che da secoli mi hanno divorato, mostrando un'immagine di me irreale, finta, mentre la mia anima sanguinava. Non ho mai amato, Legolas, o almeno non davvero, neanche il mio maestro. Temevo di rivivere l'esperienza di mia madre, intrappolata in un amore a senso unico. Non sarei stata capace di sopportarlo, non anche quello-

Un'altra lacrima scese traditrice sulla pelle liscia del mio viso, mentre un singhiozzo mi scuoteva il corpo. Mi parve di essere tornata bambina, i primi tempi a Lorien, durante i quali rimpiangevo la morte di mia madre e non comprendevo l'odio che gli elfi provavano nei miei confronti e verso ciò che ero. Mi sentivo tornata in quegli anni, debole e priva di ogni difesa.

Mi portai entrambe le mani al viso, premendole con forza sugli occhi, continuando a piangere.

Ero stanca, sfinita di quell'esistenza senza scopo, almeno fino a quel momento.

Avvertii le dita di Legolas stringersi attorno ai miei polsi, costringendomi a scoprirmi il viso. Poi, con un movimento lento, l'elfo poggiò la fronte contro la mia, affondando invece le mani tra i miei capelli.

Eravamo così vicini che i nostri respiri avrebbero potuto fondersi, tanto che il mio divenne corto e affannato.

-Non ti permetterò di avere più paura- mi sussurrò prima di baciarmi, candidamente.

Chiusi di nuovo gli occhi, abbandonandomi a lui, anima e corpo, senza ripensamenti. Lasciai che mi sfiorasse le labbra più e più volte, assecondandolo. Mi piaceva quel suo modo di fare, tenero, quasi sfiorato. Le sue mani, in quel momento a racchiudermi il retro della testa, con una leggera pressione, mi spinsero ancora di più verso di lui. Le mie, invece, si andarono a posare sul suo petto, stringendosi attorno al tessuto della casacca per poi, piano, risalire sino alle spalle, sfiorandole, finendo con l'unirsi attorno al suo collo.

A quel punto il bacio divenne più profondo, le bocche si schiusero, lentamente, mentre le lingue si toccavano a malapena, cercandosi, sfiorandosi, assaporandosi. Piegai leggermente la testa, in modo da avvicinarmi di più, in quanto ormai sentivo che di lui non avrei più potuto fare a meno.

Sorrisi sulla sua bocca, pensando che era stato necessario quasi morire per rendermene conto.

Fu allora che mi resi conto che una delle sue mani stava lentamente scendendo lungo la mia schiena, provocandomi brividi in tutto il corpo, per poi stringersi con prepotenza sul mio fianco, facendomi sobbalzare.

-Scusa...- sussurrò lui ancora sulle mie labbra, ma ero sicura che stesse sorridendo.

Così, per pura ripicca, gli morsi appena il labbro inferiore, facendolo sussultare. Lui si allontanò appena, fissandomi contrariato, mentre io lo ricambiavo con un piccolo e malefico ghigno. Senza dirmi niente, si rituffò con prepotenza su di me, riprendendo possesso delle mie labbra.

Non so quanto durò quel bacio. Cercai di comprenderlo, di analizzarlo assieme alle sensazioni che mi suscitava, ma pensai che mai in vita mia mi ero trovata così in difficoltà. Decisi quindi di smettere semplicemente di pormi domande.

Le mani di Legolas si trovavano entrambe sui miei fianchi, le sue dita che spostavano i tessuti della camicia leggera che indossavo, carezzandomi la pelle che era divenuta rovente. Mi resi conto che anche lui stava tremando, mentre, non so se involontariamente o no, cercava di stringermi a sè.

D'un tratto mi allontanai, in quanto il respiro quasi mi mancava. Era stato così intenso che quasi mi ero dimenticata come si faceva a respirare. Mi portai due dita a sfiorarmi le labbra, sentendole gonfie, immaginando che fossero anche rosse.

Legolas mi sfiorò il mento, avvicinando nuovamente la sua bocca, passandomi la lingua sulle labbra e ribaciarmi con la medesima intensità di prima.

Poi finalmente fu lui a decidere di fermarsi, almeno per qualche secondo.

-Mai più- risposi io al suo sguardo, sorridendo, poggiando la fronte contro il suo petto e chiudendo di nuovo gli occhi.

 

 

[1] Salute, Mithrandir

[2] Ben trovata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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