Frammenti, storia di un'ossessione di Jane Ale (/viewuser.php?uid=169666)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 21 Novembre 2011: Come lei si dichiarò a lui, all'inizio ***
Capitolo 3: *** Senso di colpa ***
Capitolo 4: *** 20 Aprile 2012: Mi sembra chiaro che sono ancora impantanato con te ***
Capitolo 5: *** 22 e 23 Aprile 2012: E mi rassegno al fatto che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo ***
Capitolo 6: *** 25 Aprile 2012: The truth hurts and lies worse ***
Capitolo 7: *** L'ultimo ricordo: Some things we don't talk about, better do without ***
Capitolo 8: *** Perché, forse, anche lei era stronza ***
Capitolo 9: *** Quelle cose non dette ***
Capitolo 10: *** Ferite ***
Capitolo 11: *** Love sucks - L'amore ti succhia l'anima ***
Capitolo 12: *** Perfezione ***
Capitolo 13: *** Attrazione ***
Capitolo 14: *** Logica e non-logica ***
Capitolo 15: *** Tentazione o tentativo? ***
Capitolo 16: *** Pelle contro pelle ***
Capitolo 17: *** Ogni cosa è illuminata, o forse no ***
Capitolo 18: *** Tutto sbagliato ***
Capitolo 19: *** Se vuoi guarire, però, prova un po' ad innamorarti di te ***
Capitolo 20: *** Verso la resa dei conti ***
Capitolo 21: *** La svolta - The End ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo - Frammenti
Prologo
O
più comunemente, dove tutto ebbe inizio
Se mi avessero chiesto di descrivere il mio sentimento per te, avrei
detto che fosse amore.
Questo se me lo avessero domandato tempo fa, quando ancora il nostro
rapporto poteva essere definito amicizia e le nostre conversazioni non
terminavano con porte sbattute violentemente, telefonate terminate
senza saluto e libri scagliati per aria, anziché appoggiati
su una libreria.
Non sapevo come e quando avessimo superato il limite, ma noi non
eravamo più noi.
Nonostante ciò, non riuscivo ad immaginare la mia vita senza
te e tu, stando alle tue parole, non sopportavi i pomeriggi solitari
senza la mia compagnia, anche se si trattava semplicemente di una
telefonata.
In quei mesi avevo cercato più volte di rivelarti i miei
sentimenti, quando ancora potevano essere così definiti.
Poi, quella fatidica sera, oltre i monti del nostro paese, qualcosa era
cambiato. Non so bene cosa, ma io non ero più stata la
stessa: avevo cominciato a vedere la tua immagine ovunque, i miei sogni
erano popolati da te, la tua voce mi rieccheggiava nelle orecchie anche
ore dopo che mi avevi urlato contro.
Eri diventato la mia ossessione.
Non c'era una classificazione per il nostro rapporto. Io morivo senza
te. Tu non ti esprimevi.
Eravamo cambiati insieme, senza neppure rendercene conto.
Solo adesso che sono qui, in un limbo senza definizione di tempo e
spazio, mi rendo conto di non avere niente tra le mani.
Mille domande, nessuna soluzione e qualche ricordo.
Ma forse, per trovare le risposte, devo tornare indietro.
Fare un tuffo nel passato, un'ultima volta, prima di andare avanti.
Questa volta per sempre.
Per adesso, però, mi limito a tornare ancora da te.
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Capitolo 2 *** 21 Novembre 2011: Come lei si dichiarò a lui, all'inizio ***
Capitolo 1
21 Novembre 2011
Come lei si dichiarò
a lui, all'inizio
C'era stata una volta in cui
mi ero dichiarata, proprio così, dichiarata a te. Era stato
patetico, niente a che vedere con i discorsi romantici dei film.
Chiusi gli occhi tentando di ricordare ogni minimo dettaglio, ma
l'unica cosa che mi veniva in mente era la frase di una stupida
canzoncina..
"...'cause I hate that
you left without hearing the words that I needed you to."
E poi ricordai tutto. Quelle parole mi avevano scaraventata indietro di
qualche mese.
Indietro
a quando mi aprii a te.
L'ultima volta avevi detto che ti avevo deluso, non ti saresti mai
aspettato che io non avessi il coraggio di dirtelo in faccia.
E non me lo feci ripetere una seconda volta.
Quando scelsi di parlarti, l'aula era gremita di persone troppo intente
a pensare al loro estenuante ego per fare caso a noi. Erano giorni che
ti dicevo di doverti parlare, ma tu rimandavi. Quel giorno non avrei
potuto attendere oltre, era un peso troppo grosso per essere sopportato
ancora. Ti dissi che era importante.
-Ti prego!- ti chiesi quasi implorante. Ti sedesti accanto a me con
fare arrogante.
-Allora?- Volevi che finesse presto, lo vedevo dalla tua espressione. E
in quel momento non avrei potuto essere più d'accordo con
te.
Dovettero passare alcuni minuti prima che riuscissi a formulare una
frase di senso compiuto. Poi presi fiato, ma senza guardarti in faccia,
parlai.
-Ho un problema: mi piaci.- Parole semplici, coincise, persino stupide
e insignificanti rispetto a quello che mi era costato pronunciarle, ma
non avrei saputo elaborare il discorso in altra maniera.
Sapevo che avrei dovuto alzare la testa per guardarti negli occhi, ma
non volevo farlo. Mi costrinsi.
Tu stavi guardando un punto indistinto davanti a te con espressione
indifferente, come se quello che stava accadendo intorno a te non ti
riguardasse minimamente.
Poi con uno scatto repentino ti alzasti. Pensai che a quel punto ti
saresti voltato e mi avresti detto qualcosa, qualsiasi cosa. Invece no.
Ti limitasti a fissarti la mano sinistra, inclinando leggermente la
testa nella mia direzione. Poi, senza uno sguardo, senza una parola, te
ne andasti.
Mi lasciasti lì.
Sentii qualcosa dentro di me spezzarsi. No, non era il cuore. Troppo
romantico.
Era tutto quello di buono che c'era in me che aveva fatto le valigie e
se ne stava andando. L'amicizia, l'amore, la compassione, il perdono,
la pietà, il rispetto, la dignità.
Avevano deciso tutti di abbandonarmi.
Era la consapevolezza, la realizzazione del significato del tuo gesto.
Non si trattava di un rifiuto, di un abbandono. Era semplicemente
l'ennesima dimostrazione del tuo menefreghismo nei miei
confronti.
E, ancora, non riuscivo ad ammetterlo.
Eppure tu mi avevi lasciata lì.
Mi avevi lasciata sola in quell'aula piena di gente inconsapevole della
faglia che si era creata dentro di me.
Ma, cosa ancor peggiore, era che tu mi avessi lasciata prima
di
sentire tutte quelle parole che avevo bisogno che tu sentissi. Non me
ne avevi dato il tempo. Non avevi voluto ascoltarmi dopo ciò
che avevo detto.
"No, è stato meglio così." mi dissi. "A quel
punto saresti stata ancora peggio."
Ma, ancora adesso, non riesco ad accettare che tu non abbia sentito
quelle parole, che tu non sappia ciò che avrei voluto dirti.
Non voglio pensare che tu non sappia che quelle che mi facevi provare
non erano farfalle nello stomaco, bensì calabroni.
Che quando ero con te la mia folle paura della morte veniva sopraffatta
dai sentimenti di amore e gioia che provavo.
E che quando mi sussurravi di stare tranquilla, io lo ero
già, perché tu eri lì.
Non voglio pensare a quanto vuote fossero le tue parole quando mi
dicesti "Io ci sarò sempre per te".
Perché
se ci ripenso adesso, l'unica cosa che riesco a fare è
correre in bagno a vomitare quei maledetti calabroni.
Note dell'autrice:
Buonasera! :)
Ebbene sì,
sono ancora qui con una nuova storia. Non ho abbandonato "How will I
know?", ma i suoi aggiornamenti sono un po' lenti.
Per quanto riguarda questa nuova storia, so che può sembrare
strana ed incomprensibile per il momento, ma con il tempo i capitoli si
allungheranno, i personaggi prenderanno forma e tutto avrà
un senso.
Vi chiedo solo di
avere pazienza. :)
Spero di riuscire a
conquistarvi e spero che lascerete qualche recensione.
Un bacio,
Jane Ale
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Capitolo 3 *** Senso di colpa ***
Capitolo 2
Senso di colpa
Riaprii gli occhi.
Per un attimo avevo creduto veramente di trovarmi ancora in quell'aula
maledetta. Respirai profondamente.
Forse non era stata una buona idea quella di andare a frugare nei
cassetti della memoria. Forse avrei dovuto lasciare tutto
così
com'era, farmene una ragione e andare avanti.
"No!", mi imposi severamente.
Stavo evitando la scelta più semplice, quella che mi avrebbe
risparmiato altri dolori inutili e non sapevo neppure io
perché.
Per quale cavolo di motivo avrei dovuto stare male di nuovo?
Il cellulare appoggiato sulla scrivania vibrò. Un messaggio.
Sentii i battiti del cuore aumentare freneticamente, il sangue affluire
alle guance e le mani diventare appiccicose a causa del sudore. Mi feci
coraggio. Allungai il braccio fino a toccare la superficia liscia della
scrivania, fino ad incontrare il cellulare. Lo presi in mano e aprii il
messaggio. Ebbi un sussulto nel vedere la prima lettera del
destinatario, ma, guardando con attenzione, la delusione prese il
sopravvento. Era solo una mia amica.
"E chi ti aspettavi che fosse?" chiese il mio subconscio. "Lui, forse?"
In effetti ero stata una stupida. Eppure non riuscivo a smettere di
sperare..
Sbuffai, cercando di scacciare quei pensieri, ma ormai c'ero dentro.
Tirai un calcio alla libreria per calmarmi, ma l'unica cosa che ottenni
fu quella di far finire per terra alcuni libri. Mi chinai per
raccoglierli. Letteratura italiana, algebra, filosofia e, per ultimo,
un po' spiegazzato, il mio diario del periodo oscuro. Lì
avevo annotato tutti i pensieri, gli avvenimenti i fatti da
ricordare di quei mesi segnati dalla tua presenza.
Per quanto fossi cosciente dell'errore che stavo per commettere, aprii
il diario ad una pagina a caso.
Guardai la data. Risaliva a qualche tempo dopo la mia "dichiarazione".
Per una settimana mi avevi evitata, ma poi, come se non fosse mai
successo niente, tornasti a parlarmi e, apparentemente, tutto
tornò come prima.
Lessi quelle parole più e più volte..
"Eppure ti sto tendendo sempre
più vicino, è questo il problema. Per quanto lo
neghi,
per quanto mi impegni a promettere di cercare di starti
lontana,
alla fine, inconsciamente, ti lego con una corda per assicurarmi che tu
non te ne vada mai davvero. È una situazione
penosa,
sì, è vero, ma allora perché tu non
tagli la
corda? Perché? Stai fingendo di non sapere, oppure pensi
che sia davvero tutto passato. Ma ci credi davvero? Perché
mi
tieni vicina anche tu? Perché non mi abbandoni?
Perché non mi hai abbandonata dopo che l'hai saputo?
Perfavore, o mi prendi, o mi lasci cadere.
Io non ne ho la forza.
Fallo tu."
Non mi capacitavo del fatto che a scrivere quelle parole
fossi stata davvero io.
"Patetica, veramente patetica!", pensai con rabbia. Scaraventai il
diario dall'altra parte della stanza.
Ero diventata debole, fragile..un pezzo di argilla nelle sue mani. In
tutti quei mesi non avevo fatto altro che aumentare la mia dedizione
per lui, fino a raggiungere la disperazione.
Mi buttai sul letto, affondando la testa nel cuscino e feci qualche
respiro profondo per ritrovare la calma.
Avevo cominciato a rilassarmi, ma il ricordo prese il sopravvento.
-Cate, adesso smettila! Sei isterica!- mi urlasti poco gentilmente.
-Come faccio a non esserlo? Hai appena detto che non te ne frega
niente, niente di niente. Cazzo, ma sei davvero così
egoista?- Era delusa, ferita, stanca.
Le lacrime erano vicine, ma cercai di ricacciarle indietro.
-Non ho detto questo, stupida!-
-Non darmi della stupida!-
Mi feci forza e ti guardai in faccia. Mi stavi fissando, la
fronte contratta e i pugni stretti lungo i fianchi.
Sospirai, cercando di chiamare a me un briciolo di
razionalità.
-Va bene, ammettiamo che tu non intendessi dire ciò che hai
detto..allora, cosa volevi dire?-
Mantenere la calma e la lucidità richiedeva uno sforzo
enorme. Stavo perdendo anche la capacità linguistica.
-Dicevo che non importa quello che dicono, va bene? Se voglio
comportarmi in un certo modo, nessuno può impedirmelo; se
voglio dire qualcosa, nessuno mi fermerà, è
chiaro?-
Ti guardai come si guarda un albero tagliato, consapevoli del fatto che
non ricrescerà mai, che non tornerà
più ad essere quello di un tempo.
-Appunto. Anch'io penso quelle cose, quelle che ti hanno detto, e non
riesco a cambiare idea. Mi dispiace, ma è così.-
Abbassai gli occhi, presa dai sensi di colpa.
-Vorresti dire che nemmeno tu vuoi che sia io a vincere quest'anno?- mi
chiedesti con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
-No, non credo sarebbe giusto...-
Che stronza che ero!
-Va bene.- fu tutto ciò che dicesti.
-Cosa? Cosa va bene, Alessandro? Ti sembra che ci sia qualcosa che va
bene?- urlai.
-Sto dicendo che va bene, non ci proverò nemmeno. Se devi
pensare che non mi importa della tua opinione, allora lascio perdere.-
Ti fissai incredula. Avevi davvero detto che sceglievi me alla
competizione. Avrei voluto sorridere, ma non lo feci.
-Grazie.-
Ti limitasti a scuotere le spalle e sorridere debolmente.
Mai come allora mi sentii così in colpa nei tuoi confronti.
Note dell'autrice:
Salve, di nuovo!
So che ancora il senso generale della storia non è chiaro,
ma tutto andrà delineandosi.
Per adesso Caterina, la protagonista, si limita a ricordare momenti,
più o meno felici, in compagnia di Alessandro.
Questi continui flashback arriveranno fino all'ultimo ricordo, quello
più recente, quello della rottura. A quel punto la storia
non si svolgerà più nel passato, ma
proseguirà con nuovi avvenimenti.
I capitoli non saranno tutti così corti, ma avranno
lunghezza variabile.
Spero che avrete la voglia e la pazienza di seguirmi. :)
Un abbraccio,
Jane Ale
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Capitolo 4 *** 20 Aprile 2012: Mi sembra chiaro che sono ancora impantanato con te ***
Capitolo 3
20 Aprile 2012
Mi sembra chiaro che
sono ancora impantanato con te
Se fossi stata la stessa persona di mesi prima, non avrei mai trovato
il coraggio di mentire a mia madre. Purtroppo, però, di me
era
rimasto ben poco.
-Caterina, cosa c'è che non va?- mi chiese notando che
ancora non mi ero alzata dal letto.
-Non mi sento bene, mamma. Credo di avere la febbre.- mentii
spudoratamente.
-Ti porto il termometro.-
"Maledetto aggeggio!", pensai. Provai la febbre. 36.4, ovviamente. Non
ero malata. Scossi fermamente il termometro per far abbassare la
colonnina di mercurio. Infatti, quando mia madre tornò in
camera, lo prese per controllare la mia temperatura.
-Ma Caterina, potevi almeno aspettare che controllassi!- mi disse
contrariata.
-Scusa, mamma. Sono veramente fusa. Comunque segnava 37.8.- Sperai che
mi credesse.
-Credo che sia meglio se oggi stai a casa.- mi disse.
Trattenni a stento un sorriso compiaciuto.
-Io dovrei tornare verso le sei questa sera, ma se hai bisogno chiamami
in ufficio.- Poi mi sorrise e uscì.
Aspettai di sentire la porta di casa che si chiudeva, poi mi alzai.
Non mi piaceva comportarmi così, sia chiaro, ma ci avevo
riflettuto per tutta la notte: non ce l'avrei fatta ad andare a scuola,
affrontare sei lunghissime ore di lezione, parlare con quegli ipocriti
dei miei compagni e, intanto, fingere di non vederlo.
Certo, ormai erano giorni che non ci parlavamo, ma i ricordi tirati
fuori il giorno
precedente non mi avrebbero aiutata ad affrontare al meglio quella
situazione. Avevo, però, iniziato quello stupido processo
masochista e, volente o nolente, avrei dovuto portarlo a termine. Ero
consapevole del fatto che avrebbe potuto rivelarsi una perdita di
tempo, ma, se c'era qualcosa che mi avrebbe potuto aiutare a capire,
allora l'avrei sicuramente trovato nel nostro passato.
Nostro.
Mio e suo, insomma. Un "noi" non era mai esistito e mai avrebbe potuto
esistere.
Accesi il computer, ancora indecisa da che punto avrei potuto
continuare. Poi la
vidi. Non so come mai, ma non avevo mai tolto quella cartella dal
desktop. Gita a Londra,
aprile 2012. La aprii.
C'erano tutte le foto di quella settimana: monumenti, musei, serate di
divertimento, le facce delle famiglie, il suo compleanno. Eravamo
stati ospiti nelle case di famiglie della città, e la tua
famiglia, sapendo
che quella settimana sarebbe stato il tuo compleanno, avevano deciso di
organizzarti una festa in una discoteca. Molto gentile da parte sua,
no?
Aprii la foto che ci avevano scattato quella sera: eravamo abbracciati,
sorridenti come in poche altre occasioni lo eravamo stati, le nostre
teste appoggiate l'una a quella dell'altro. Era stato l'ultimo momento
felice di quella serata, di quella settimana, di quell'anno. Avevo
visto come la guardavi già da qualche giorno, avevo visto
come
lei si avvicinava a te quando pensava di non essere notata. Era tutta
questione di tempo, ma io stavo già male.
-Rilassati,
va tutto
bene.-
Le tue mani scorrevano
delicate sulla mia schiena, quasi a voler scacciare tutto il mio dolore.
-No, non va bene.- ti risposi flebilmente.
-Cosa c’è che non va?
Per una volta cerca di non essere triste.-
Mi stavi rimproverando, ma
così dolcemente.
-C’è che non sto bene,
mi sento..non so neppure io come mi sento. Da schifo!- Non riuscii a
fermare
il mugolio indistinto che uscì dalla mia bocca dopo aver
pronunciato quelle
parole.
Sentii le tue braccia
stringermi più forte, eliminando quei pochi centimetri
d’aria tra i nostri
corpi. Ricambiai l’abbraccio incrociando le braccia dietro la
tua testa e
nascondendo la mia faccia nell’incavo del tuo collo.
-Io sono qui.- mi
sussurrasti all’orecchio.
Aspirai a fondo il tuo
profumo e sospirai sonoramente, chiudendo gli occhi.
Non so quanto tempo
passammo abbracciati nel bel mezzo di quella stanza buia e affollata,
non so
cosa mi convinse a staccarmi e fuggire via prima che le lacrime
facessero la
loro comparsa, ma fu in quel momento che capii quanto la situazione mi
fosse
realmente sfuggita di mano.
E per quanto tu continuassi a ripetermi che la nostra amicizia fosse
forte, io non riuscivo ad ignorare i miei sentimenti. Perché
i
battiti del cuore non sono come i battiti d'ali di una farfalla, non li
ammazzi con l'acido.
Ci vuole ben altro.
Ricordo
ancora di come avevo
pianto sulla spalla di una mia amica, di come mi fossi trovata
semidistesa sul pavimento di quella schifosissima discoteca, di come
credessi di aver toccato il fondo. Ma avrei dovuto saperlo, al peggio
non c'è mai fine. Infatti..
Ero appena uscita dal bagno. Mi ci erano voluti venti minuti per
tornare ad avere un aspetto almeno lontanamente umano e il risultato
non era dei migliori. Poi vidi che ti stavi avvicinando a me. La mia
amica si irrigidì.
-Sei sicura?- mi chiese.
-Sì, grazie Vitto, ma posso farcela.- Mi sorrise prima di
tornare verso i nostri compagni di classe.
Poi ti guardai. Mi stavi sorridendo, ma c'era qualcosa di strano nel
tuo sguardo. Non ebbi il tempo di chiederti niente perché mi
stavi abbracciando.
-Ale, cosa fai?- ti chiesi incerta.
-Ti abbraccio, no? È il mio compleanno, mi puoi anche
abbracciare.- mi dicesti biascicando.
-Hai bevuto?- Domanda inutile.
-Un pochino, vuoi sentire?-
-Cosa?!- Pensai che tu fossi impazzito.
-Il mio sapore, no?- mi rispondesti con fare ovvio. Sentii le tue mani
sulla mia schiena scendere sempre più in basso, forse fin
troppo in basso.
-Il tuo sapore?- La mia voce era diventata più acuta del
dovuto. La cosa preoccupante era che non sapevo se essere
più spaventata o eccitata da quella situazione.
-Sì, il mio sapore...-
Avvicinasti la tua testa alla mia, alzai il viso di riflesso, ma quando
le nostre bocche furono quasi in contatto, ti spinsi via.
Cosa stavo per fare? Cosa stavamo
per fare? Non era possibile, no, assolutamente no!
Mi allontanai in fretta, interponendo la maggior distanza possibile tra
i nostri corpi. Quando Vittoria mi vide, non ebbe bisogno di
spiegazioni. Mi prese per mano e mi condusse verso l'uscita, per
prendere un po' d'aria. Fui io a parlare.
-Mi ha quasi baciata!- singhiozzai. -Te ne rendi conto? Sono mesi che
gli muoio dietro, gliel'ho anche detto, ma lui niente. Poi arriviamo
qua e si lancia all'inseguimento della prima inglesina che vede. E
adesso cerca di baciarmi? No, cazzo!!-
Sentii Vittoria sospirare, ma non riuscivo a vedere la sua espressione,
avevo gli occhi pieni di lacrime. Stava per dire qualcosa quando una
ragazza del nostro gruppo, Isa, che era a conoscenza della mia
"situazione", corse verso di noi.
-Siete qui!- disse sollevata.
-Si, perché?- chiese Vittoria. Ci fu una pausa prima che Isa
rispondesse.
-No, così.-
Vidi Vittoria annuire con il capo. Ma cosa..?
-Isa!- la chiamai. -Dimmi la verità.-
-Che dici Cate?-
-Cosa è successo? Perché ci cercavi?-
Vittoria abbassò lo sguardo. -Diglielo, è giusto
che lo sappia ed è meglio che sia adesso..-
Isa sospirò. -Ti consiglio di non tornare dentro adesso,
okay?-
-Perché?- domandai sospettosa.
Vittoria sbuffò. -Cavolo Isa, sei un'incapace. Cate,
insomma, Ale e Lilian...-
-Ho capito, non c'è bisogno che tu aggiunga altro.- Tentai
di sorridere. -Allora, di cosa parliamo per ingannare il tempo?-
-Sei sicura di stare bene, Cate?- mi chiese Vittoria, seriamente
preoccupata.
Stavo per risponderle che andava tutto bene, che quello era il momento
migliore della serata, che ero grata del fatto di avere amiche come lei
al mio fianco, ma quando feci per parlare, sentii le guance inumidirsi
e la gola chiudersi.
Stavo piangendo per la terza volta in una sera.
Note dell'autrice:
Buonasera!
Mi sembra impossibile, ma sto davvero aggiornando per la seconda volta
in un giorno.
Allora, la storia tra Alessandro e Caterina si sta chiarendo piano
piano. Era chiaro che tra i due dovesse essere successo qualcosa e
questo capitolo ne è un esempio, ma ancora non è
tutto..;)
Spero di aggiornare il più presto possibile.
Se avete voglia, recensite, fatemi sapere cosa ne pensate. :)
Un bacio,
Jane Ale
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Capitolo 5 *** 22 e 23 Aprile 2012: E mi rassegno al fatto che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo ***
Capitolo 4
22 Aprile
2012
E mi rassegno al fatto
che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo
Tentai
di ricordare come fosse finita quella serata, ma la prima immagine
lucida risaliva al giorno successivo, quando mi ero recata da
Alessandro
e, senza una parola, gli avevo restituito il braccialetto che mi aveva
dato prima di partire. Lui non aveva capito il perché di
quel
mio gesto, cercava di capire cosa avessi, il perché non
riuscissi a
parlargli guardandolo negli occhi; io, intanto, ero troppo presa dal
mio insulso dolore per notare che lui non sembrava avere ricordi della
sera precedente.
Urlai dalla rabbia. Era veramente frustrante ricordare.
Ogni parola o immagine riaffiorava pian piano nella mia testa e, a quel
punto, avrei preferito continuare a tenere tutto chiuso in un cassetto
della mia mente.
Andai in cucina a bere un bicchiere d'acqua, tentando di riacquistare
la lucidità necessaria per pensare ancora un po'.
"Bene, Caterina, pensa..cosa è successo dopo? Gli hai
restituito
il braccialetto, vi siete scambiati qualche messaggio e poi?"
Cavolo, perché non riuscivo a ricordare?
Forse avevano ragione i libri di psicologia quando dicevano che il
nostro subconscio tende a nascondere le cose che ci tormentano di
più. Forse stavo davvero impendendo a me stessa di ripensare
a
quel periodo.
"No cavolo, io devo
ricordare!"
Mi buttai sul divano. Era inutile, stavo girovagando per casa come un
fantasma senza riuscire a concludere niente.
Chiusi gli occhi e mi rilassai.
Ma non ebbi il tempo di addormentarmi, perché il ricordo
arrivò.
Era domenica.
Camminavamo incessantemente per le salite tortuose di quel monte
straniero. Ero stanca, ma sapevo di potercela fare: non mi dispiaceva
camminare, avevo sopportato percosi peggiori.
Eppure sentivo il bisogno di lamentarmi, il leggero dolore alla
caviglia mi irritava.
-Uffa!- sbuffai. -Non ce la faccio più!-
La ragazza davanti a me si voltò e mi fece un sorriso
rassicurante. - Manca poco tesoro.-
Annuii. Guardai il ragazzo alla mia destra e, scherzando, dissi: -Mi
porti in braccio?-
Lui mi guardò serio per qualche secondo, poi mi rispose
gentilmente: -Va bene, penso di potercela fare. Alla peggio cadiamo nel
burrone!- E rise.
Stavo per fermarmi, quando tu intervenisti: -Se vuoi ti porto io.-
Ti confesso che prima di prendere a battere freneticamente, il mio
cuore si fermò per un instante.
Nemmeno un secondo, un istante.
E tutto l'amore che avevo accumulato
lì da anni aveva minacciato di uscire e prendere il
sopravvento.
Ma ripresi subito il controllo. Non potevo permettermi simili
debolezze. Almeno non dopo quello che mi avevi fatto due sere prima.
-Non importa. Non ce la faresti.- risposi, cercando di sembrare
emotivamente neutrale.
-Scommetti che ce la faccio?-
Il tuo sguardo si era irrimediabilmente acceso. Ecco! Avevo provocato
uno dei lati peggiori di te, quello competitivo.
Nonostante tutto, amavo le nostre sfide: le provocazioni, gli sguardi,
i sorrisi. Era tutto così dannatamente eccitante.
-Vediamo!- fu tutto ciò che risposi.
Ti girasti per farmi salire sulla tua schiena. -Ti fidi?- mi chiedesti
senza guardarmi.
Fui grata del fatto che tu non potessi vedere il sorriso sulle mie
labbra. -Ovvio che no!-
Feci un piccolo salto e montai. Sentii le tue mani poggiarsi
delicatamente sulle mie natiche per sostenermi. Quel contatto mi
provocò una scarica di adrenalina.
Paura? Forse.
Pericolo? Senza dubbio.
Come se avessi captato i miei pensieri, portasti le tue mani sulle mie
cosce e, senza una parola, iniziasti a camminare.
In quel momento non riuscivo a pensare a niente, se non ai nostri corpi
a contatto, il calore sprigionato dalla tua pelle, il tuo odore...
Brividi.
-Adesso ti faccio venire i brividi!- Sussultai, sorpresa dalle tue
parole. Poi iniziasti a correre.
Vedevo la vegetazione sfrecciare veloce al mio fianco, i nostri
compagni guardarci allibiti. Non riuscivo a spiegarmi come potessi fare
tutto ciò sopportando il mio peso. Mi strinsi forte a te,
affondando il mio viso nel tuo collo, proprio come poche ore prima.
Trentasei, per la precisione.
Sentii il dolore riaffiorare. Aumentai la stretta, quasi a volermi
salvare dai ricordi. Per un attimo ci riuscii.
Poi rallentasti.
Capii di aver superato il limite. Senza dire una parola abbassai le
gambe, proprio nel momento in cui tu allentavi la presa delle mani.
-Scusa, non ce la faccio più.- ti giustificasti.
Sorrisi. -Grazie comunque.- fu tutto quello che seppi rispondere,
quando, invece, avrei voluto sentire ancora il tuo corpo a contatto con
il mio, piccoli fremiti sulla mia pelle, respiri irregolari.
Ti guardai allontanarti, sorridendomi.
Camminavo lentamente, per inerzia.
Delle ragazze accorsero, volevano i dettagli. Non avevo niente da dire,
così mi limitai a sorridere e scuotere il capo.
Alzai lo sguardo. Ormai eri già da lei: camminavate fianco a fianco,
tu l'aiutavi a superare i punti più difficili,
lei stringeva possessivamente il tuo braccio.
Guardai quelle ragazze intorno a me.
-Le metafore dei poeti sono tutte cazzate. Loro non hanno mai provato
l'amore. Se ami non puoi descrivere. L'amore non è paragone,
analogia. L'amore è sensazione. L'amore è.
A volte nemmeno.-
Queste furono le mie parole.
Aumentai il passo, allontanandomi da loro.
Camminavo, ma senza mai diminuire la distanza tra noi.
Scoppiai a ridere
pensando alle parole che avevo detto alle mie compagne, tutte quelle
belle frasi sull'amore.
Quanto potevo essere
ridicola alle
volte? Eppure loro mi avevano dato ragione, come se io fossi riuscita a
capire davvero le mie parole. Perché, sinceramente, non
sapevo
cosa avevo voluto dire, le parole mi erano uscite di getto.
Risi di nuovo. No, non
riuscivo davvero a capirmi.
Avevo pensato di amare
un individuo
che non riusciva a provare sentimenti, se non orgoglio. Mi ero illusa
che qualcosa potesse nascere, avevo cercato qualsiasi segnale potesse
farmi continuare a sperare. Ero stata fermamente convinta che, prima o
poi, se ci credi davvero, i desideri si realizzano. Alla fine,
però, ero stata costretta a ricredermi: non si era avverato
un
cacchio!!
Richiamai alla mente il mio comportamento dopo quella domenica: avevo
continuato ad evitarlo, non avevo più risposto ai suoi
messaggi, avevo sempre cercato di non rimanere da sola quando lui era
nelle vicinanze. Ma il lunedì sera, non riuscii ad attenermi
al mio piano: avevamo affittato un capannone per dare una festa con
tanto di musica e birra. Mi aveva fermata mentre stavo per prendere una
birra e mi aveva implorata di parlargli, di spiegargli il mio
comportamento. Non lo avevo neppure guardato in faccia mentre
continuavo per la mia strada, ma lui mi aveva afferrato un braccio e lo
aveva stretto con decisione. -Adesso mi dici che cazzo ti prende!- mi
aveva detto quasi arrabbiato. Non sapevo se
fosse più dolorosa la sua stretta sul braccio o il
fatto che fosse lì di fronte a me. Lo avevo pregato di
lasciarmi stare, ma aveva scosso la testa, continuando a tenermi ferma.
Poi era arrivata una ragazza del nostro gruppo.
-Alessandro, smettila. Stai esagerando. Lasciala stare!- aveva detto
lei con fermezza. Lui si era girato verso di me e, prima di lasciarmi,
aveva mormorato: - Sei una stronza!-.
Pensandoci bene, forse aveva ragione lui, la stronza ero io. In fin dei
conti lui non mi aveva mai illusa davvero, il suo gesto di qualche sera
prima era stato un errore dovuto all'alcol e io ne stavo facendo una
tragedia. Non gli avevo neppure dato una spiegazione! Sì,
senza dubbio la stronza ero io.
Ma, qualche minuto dopo, mi ero ricreduta.
Pochi minuti dopo la pista da
ballo sembrava
infiammata dal tuo bacio con lei. Per giorni avevo cercato di evitarlo,
ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare la realtà.
Lo sapevo benissimo.
Per quanto il racconto
di un evento possa essere realistico, non
farà mai male quanto la cruda verità esposta
davanti agli
occhi. Ma per guarire, dovevo accettare. Per accettare, dovevo vedere.
E vidi.
Le tue mani sui suoi
fianchi, le sue braccia attorno al suo collo, le vostre bocche che
combaciavano alla perfezione.
Chiusi gli
occhi velocemente, come un bambino che non vuole
vedere ciò che lo spaventa. Sentii una rapida stretta al
cuore,
come uno spillo che veniva conficcato con estrema precisione.
Ma la cosa peggiore
non era stato assistere alla scena da una finistra sotto un'insistente
pioggerella primaverile.
Non era stato vedere
il sorriso sulle sue labbra un secondo prima del bacio.
Non era stato vedere
la decisione nei tuoi occhi mentre avvicinavi il tuo volto al suo.
La cosa peggiore era
stato lo scorrere circospetto del tuo sguardo per
tutta la stanza prima di agire. Avevi posato gli occhi su ogni
individuo presente all'interno della sala in quel momento. Avevi
controllato attentamente che fosse il momento giusto.
Avevi controllato che io non ci fossi. Che fossi
altrove.
Non volevi che
assistessi? Beh, avevi fatto male i conti.
Eppure di tutto
ciò che avrebbe potuto ferirmi, la sferzata finale l'aveva
data questo.
Il fatto che tu sapessi.
Sì,
perché tu sapevi, ma non te ne è importato.
Stronzo!
Note dell'autrice:
Salve a tutti!
Prima di tutto i ringraziamenti:
ringrazio Gre_Leddy
e leonedifuoco per aver inserito la storia tra le seguite; ringrazio Eli_17 per
averla inserita non solo tra le seguite, ma anche tra le ricordate. :)
Un grazie speciale va a Afeffa, costretta a sopportare i miei
infiniti dubbi e le mie innumerevoli manie. Grazie di tutto!
Per quanto riguarda la storia, questa volta il capitolo è
venuto un po' più lungo rispetto agli altri; spero che con
il tempo inizierete a farvi un'idea dei due protagonisti. So che la
trama può sembrare sfuggente, quasi insensata, ma prima o
poi tutto arriverà ad un punto di svolta.
Se avete dubbi, critiche, o semplicemente voglia di commentare,
lasciate una piccola recensione. :)
Baci,
Jane Ale
|
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Capitolo 6 *** 25 Aprile 2012: The truth hurts and lies worse ***
Capitolo 5
25 Aprile 2012
The truth hurts and lies
worse - La verità ferisce e le bugie sono peggiori
Non mi ero accorta
di essermi addormentata finché non sentii mia madre
rincasare. Dopo pranzo mi ero messa sul letto, giusto per riposarmi un
po', ma, evidentemente, ero parecchio stanca.
-Caterina?- mi chiamò mia madre, affacciandosi in camera mia.
-Ciao mamma!-
-Come stai? Hai ancora la febbre?- mi chiese con tono preoccupato. Non
credo si aspettasse di ritrovarmi esattemente dove mi aveva lasciato
quella mattina.
-Meglio. Ho mangiato un po' e poi mi sono addormentata.- Evitai di
mentirle ancora.
-Tra poco la misuri di nuovo, però. Vado a fare una doccia.-
mi disse.
Sentii la porta del bagno che si chiudeva. Mi alzai dal letto e guardai
il mio cellulare.
3 chiamate perse e 1 messaggio ricevuto. Tutti da un unico mittente,
Roberta.
"Cate, è
tutto il giorno che cerco di parlarti, ma non rispondi. Per favore,
fammi avere tue notizie. Voglio sapere cosa succede."
Roberta era quella che, se fossi vissuta in un telefilm,
avrei definito la mia migiore amica. Ma io e lei non eravamo questo.
Per quanto un legame tra amiche possa essere stretto, il nostro, forse,
lo era di più, semplicemente perché era diverso.
Era la mia compagna di bevute, di gossip, di risate; non litigavamo
mai, al massimo avevamo accesi scambi di opinione con toni poco
amichevoli; quando si parlava di Alessandro, però, lei c'era
sempre. Era lì, in prima fila, pronta a farsi raccontare
qualsiasi cosa, anche il minimo dettaglio, senza mai lamentarsi.
Eppure, quel giorno, la stavo evitando. Non capivo perché,
ma non volevo parlare con nessuno: certo, lei sapeva tutto di me, di
Alessandro, di quella mia ultima trovata masochista, ma non riuscivo a
trovare il coraggio di chiamarla.
"Sei una stupida, Caterina, è Roberta..cosa vuoi che ti
dica? Che sei una scema perché non sei andata a scuola per
evitare Alessandro? Beh, sicuramente lo farà, ma
è Roberta.."
Persino il mio subconscio, alle volte, sapeva essere più
razionale di me. E dire che veniva definito come la parte irrazionale
di una persona!
Cercai il numero di Roberta tra le ultime chiamate e pigiai il tasto
verde.
-Pronto? Cate?- mi rispose tutta agitata.
-Ciao Roby!-
-Mi spieghi cosa è successo? Cavolo, è tutto il
giorno che ti cerco, poi non sei venuta a scuola e non sapevo niente,
non rispondevi ai messaggi.- Decisamente agitata, sì.
-Scusa, non stavo bene.- le risposi, cercando di essere convincente.
-Febbre?- mi chiese.
-Sì, una specie..-
-Alessandro?-
Bingo! -No, Roby..cosa c'entra Alessandro adesso? Perché
deve rientrare in ogni discorso?-
-Avevo pensato che, visto la tua ultima folle idea, tu fossi rimasta a
casa a pensare. Scusa, mi sono sbagliata.-
Che stronza che ero! -No, hai ragione..- ammisi.
-Lo sapevo!- disse con tono vittorioso. -Non mi freghi, cara!-
Storsi il naso. Era davvero impossibile nascoderle qualcosa.
-Domani torni?- mi chiese.
-Non lo so..-
-Secondo me sbagli. Ad essere sincera credo che dovreste parlare per
risolvere il problema. Anche in Inghilterra avete risolto tutto
parlando, no?- Roberta non era venuta in gita con noi, ma si ricordava
ogni avvenimento meglio di me.
-Tutto? Non mi pare proprio.- risposi acida.
-Perché non hai voluto dirgli la verità. Come
adesso, del resto: ti ostini ad essere arrabbiata con lui e a non
parlargli per qualsiasi motivo ti venga in mente, pur di non dirgli che
ti piace!-
Diretta. Della serie "la verità ti fa male, lo so". Ma
potevo darle torto?
-Senti Roby, non lo so, va bene? Ne riparleremo. Adesso devo andare,
mamma mi sta chiamando. Ciao.- Bugiarda.
-Ciao Cate!-
Chiusi la conversazione. Frustrazione, ecco quello che sentivo. Eppure
non potevo negare niente di ciò che Roberta mi aveva detto:
negli ultimi tempi, pur di stare lontana da lui mi ero aggrappata a
qualsiasi scusa e lui, sentendosi chiuso fuori, ad un certo punto, era
scoppiato e mi aveva urlato contro.
Ma non era l'unico punto su cui aveva ragione. Infatti mi aveva fatto
tornare in mente un ricordo che, fino a quel momento, era rimasto
sepolto chissà dove nella mia testa.
Era mercoledì. Erano cinque giorni che non avevamo una
conversazione decente.
Il giorno successivo saremmo ripartiti ed io ero stanca. Stanca di
dover camminare per chilometri tutti i giorni, stanca di parlare una
lingua che non fosse la mia, stanca di sopportare, stanca di non
potermi avvicinare. Stanca di tutto.
Ci trovavamo tutti in giro per fare gli ultimi acquisti prima della
partenza. Quel pomeriggio, come al solito, ero con Vittoria
e ci eravamo fermate a prendere un caffé. Non avevo notato
subito la tua presenza, insieme a Giovanni, un ragazzo del nostro
gruppo. Eravate seduti ad un tavolino, lontani dalla folla.
Non so cosa fu a farmi scattare, ma mi diressi verso di te
con passo deciso. Vittoria, sopresa, mi seguì.
-Ciao!- vi salutai.
-Ehi! Cate, Vitto..che ci fate qui?- ci salutò Giovanni
raggiante.
-Caffé!- rispose Vittoria sorridendo.
Tu non parlavi, guardavi fuori, come se non ti importasse. Richiamai a
me più coraggio possibile.
-Possiamo parlare?- ti chiesi, guardandoti in faccia per la prima volta
dopo giorni.
-Dici a me?- Me lo dovevo aspettare. Me l'avresti dovuta far pagare in
qualche modo, lo sapevo.
-Sì. Ti ho chiesto di parlare.- Se volevo ottenere qualcosa,
dovevo essere decisa.
-Ok. Andiamo fuori.- Ti alzasti. Lanciai uno sguardo a Vittoria, che
annuì con il capo. Giovanni sembrava spaesato.
-Dove andate?- chiese. Dubitavo del fatto che tu non gli avessi detto
niente.
-Fatti loro, tornano subito.- rispose sbrigativa Vittoria.
Uscimmo fuori, su quella strada affollata. Non sembrava il posto
migliore per parlare.
-Allora?- mi chiedesti scocciato.
-Smettila!-
-Di fare cosa?-
-Di fare così!-
Sospirasti, passandoti una mano tra i capelli già
scompigliati.
-Okay, non devo fare così. Ma dimmi, Caterina,
c'è qualcosa che posso fare? C'è qualcosa che ti
sta bene nel mio comportamento, qualcosa che ti impedisca di smettere
di parlarmi senza motivo?-
Abbassai la testa. Erano belle domande che avrebbero meritato
altrettante belle risposte, ma io non potevo dartele. Non in quel
momento, almeno.
-Ale..- cominciai, ma tu parlasti di nuovo.
-No, ora mi ascolti. Non sai come non sopporto questo tuo
atteggiamento: una sera mi parli, poi, improvissamente, scompari e il
giorno dopo non mi parli più. Cerco di comunicare con te e
mi eviti, fai addirittura intervenire le tue amiche. Io non so cosa sia
successo, ma, perfavore, illuminami perché non so davvero
come cazzo comportarmi con te. Va bene tutto, ma non puoi trattarmi di
merda in questo modo.-
Eri arrabbiato, chiaramente, e, guardando le cose dal tuo punto di
vista, non potevo che darti ragione. Mi faceva male vederti
così, non lo sopportavo. Ti avevo fatto soffrire. Non
importava il dolore che mi avevi procurato, le lacrime che avevo
versato per te, in quel momento volevo solo che tu non pensassi quelle
cose.
-Mi abbracci?- ti chiesi impulsivamente.
Vidi la tua fronte rilassarsi e le tue labbra piegarsi in un sorriso
accennato. Apristi le braccia per accogliermi.
Non appena i nostri corpi furono in contatto, tutto cambiò.
Improvvisamente non sapevo più dove mi trovassi e, in
verità, non me ne importava niente. Mi sentivo completa,
come se tutti quei giorni di pianti e tristezza non fossero esistiti.
-Scusa.- ti sussurrai all'orecchio.
-Tutto okay, tranquilla.-
Quando ci staccammo, ti guardai negli occhi. "Bello", pensai. Sentivo
il cuore scoppiarmi.
-Cate, posso farti una domanda?-
-Dimmi.-
-Posso sapere cos'è successo? Perché ti sei
arrabbiata con me?- mi chiedesti, questa volta con calma.
-Ale, tu non ricordi niente di venerdì sera?- Domanda
inutile.
-Sì, mi ricordo tutto, cioè quasi. Mi sa che
avevo un po' bevuto.-
"Un po'? Cavolo, è un eufemismo!"
-Sì, me ne sono accorta..-
-Ho fatto qualcosa? Cate, è successo qualcosa?- Adesso eri
in ansia. Non so a cosa ti riferissi con quel "è successo
qualcosa?", ma non volevo che tu sapessi. No, avevo deciso: non ti
avrei detto niente.
-No, cioè, abbiamo avuto una piccola discussione.-
-Perché? Sull'alcol? Eri arrabbiata perché avevo
bevuto?-
Prima di partire avevamo litigato riguardo l'alcol: ti avevo chiesto di
non superare il limite, ma tu non mi avevi dato ascolto. Certo, il
motivo non era questo, ma colsi l'occasione.
-Sì, per questo..- dissi abbassando lo sguardo.
-Me lo immaginavo! Ma ti avevo detto che dovevi stare tranquilla.
Visto, non è successo niente.- mi dicesti sorridendo.
"Quanto puoi essere stupido, Alessandro!", pensai.
-Sì, ma me l'avevi promesso.- sussurrai.
-Amici come prima?- mi chiedesti.
-Sì, amici.-
ti risposi, nascondendo una smorfia.
Poi sentii le tue braccia avvolgermi per la seconda volta e le mie
difese mentali crollarono.
-Mi sei mancato.- ammisi.
-Anche tu. Non sai quante volte, in questi giorni, avrei voluto avere
accanto la mia migliore amica.-
Le lacrime affiorarono, ma le ricacciai indietro, mettendole insieme a
quella valanga di pensieri che, avevo deciso, avrei affrontato in
seguito.
Chiusi gli occhi e mi feci cullare da te.
Note dell'autrice:
Eccomi di nuovo! :)
Per prima cosa voglio ringraziare Beadeisentieri
per aver inserito la storia tra le preferite. Grazie davvero.
Poi..siamo quasi arrivati alla fine dei flashback, fortunatamente. Tra
uno o due capitoli, faremo, finalmente, la conoscenza di Alessandro nel
presente. :)
Come sempre, se avete voglia, recensite.
Baci,
Jane Ale
|
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Capitolo 7 *** L'ultimo ricordo: Some things we don't talk about, better do without ***
Capitolo 6
L'ultimo ricordo
Some things we don't
talk about, better do without - Certe cose di cui non parliamo, meglio
farne a meno
Erano soltanto le dieci, ma
ero già nel mio letto al caldo. Avevo cenato velocemente con
mia madre, mi ero lavata e messa il pigiama. Volevo soltanto starmene
rintanata sotto le coperte e perdermi ancora tra i pensieri.
Sapevo di aver quasi esaurito i ricordi, ma c'era ancora qualcosa che
chiedeva di uscire dalla parte sepolta della mia mente. Era accaduto
poche settimane prima, per caso. Infatti, dopo il nostro ritorno, io e
Alessandro avevamo parlato della gita soltanto due volte, nelle quali
avevamo deciso di lasciarci alle spalle i litigi e le incomprensioni e
tornare amici come prima. Naturalmente io non avevo avuto il coraggio
di dirgli niente riguardo quella
sera, ma, forse, andava bene
così. Avrei dovuto soltanto chiudere la mente, seppellire il
ricordo e fingere che non fosse mai accaduto.
Prima di chiudere il discorso, però, avevo chiesto ad
Alessandro
di Lilian. Non che volessi sapere i particolari, ma in fondo ero pur
sempre sua amica e sapevo che le mancava. Lui mi aveva risposto che
l'avrebbe dimenticata presto, nonostante, a volte, sentisse molto la
sua mancanza. Aveva anche aggiunto che avrebbe per sempre portato con
sé il ricordo di quei giorni. Come se non bastasse, gli
avevo
anche chiesto cosa fosse successo tra di loro, ma lui mi aveva
assicurato che non fossero andati oltre a qualche bacio. Dentro di me
avevo tirato un sospiro di sollievo. Non potevo impedirgli di vivere la
sua vita, di fare ciò che voleva, in fin dei conti non avevo
nessun diritto su di lui, ma non potevo evitare di sentirmi
più
leggera.
Poi, però, mi ero dovuta ricredere.
Ero in classe, seduta al mio posto, nonostante fosse ricreazione.
Quasi tutti erano usciti dall'aula, eravamo rimasti io e un gruppetto
formato da Giovanni, Emanuele, amico di Giovanni, e due
ragazze della mia classe. Non stavo ascoltando i loro discorsi, ma mi
era capitato di sentire qualche parola ed avevo capito che l'argomento
fosse la gita di qualche tempo prima. Fu solo quando sentii il tuo
nome, che iniziai a prestare realmente attenzione.
-Chiedilo ad Alessandro se si è divertito..- disse una delle
due ragazze ridacchiando.
-Te lo assicuro, lui sì che si è divertito!-
disse Emanuele con un sorriso compiaciuto sulla faccia.
-Vorresti dire che..?- ma l'altra ragazza non finì la
domanda, perché Giovanni la interruppe.
-Ragazzi, che ne dite se andiamo un po' alle macchinette?- chiese,
guardandomi con la coda dell'occhio.
Ci furono risposte di assenso, poi uscirono tutti. Tutti tranne
Giovanni.
-Cate, hai sentito.- La sua non era una domanda.
-Sì.-
-Mi dispiace, non avresti dovuto saperlo. Non così, almeno.-
si scusò, abbassando lo sguardo.
Mi bloccai. Cosa non avrei dovuto sapere? Stavamo parlando di te e
Lilian, no?
-Giovanni, io c'ero, cioè li ho visti mentre si baciavano.
Poi non dovresti essere tu a scusarti.- dissi.
-Cate, Ale e Lilian non si sono solo baciati.- mi spiegò
Giovanni con lentezza, quasi fossi una bambina alla quale si sta
dicendo che Babbo Natale non esiste.
-Intendi dire che..?- Mente vuota. Nessun pensiero, nessuna immagina,
nessun segno di vita. Un buco nero.
-No, però..-
-Okay, basta così.- sbottai, alzandomi in piedi. Non potevo
continuare quel discorso.
-Giovanni ti ringrazio per la sincerità, ma penso che tu
abbia capito la situazione. Anzi, fammi un favore, dimentica la mia
presenza in questa classe oggi. Io non ho mai sentito il vostro
discorso e tu non mi hai detto niente.-
Feci per andarmene, ma Giovanni mi richiamò.
-Lui ti ha cercata.-
-Cosa?-
-La notte del suo compleanno, quando era ubriaco.-
Continuavo a non capire. Chi mi aveva cercata? Si riferiva a te?
Giovanni parve capire la mia confusione. -Dopo che te ne sei andata, ha
continuato a bere. Dopo un po' si è disteso su un divanetto
e si è addormentato. Non volevo lasciarlo solo, quindi mi
sono seduto vicino a lui. Poi si è svegliato di colpo e si
è messo a sedere. Pensavo dormisse, ma poi mi ha detto
"Caterina". Non capivo cosa volesse dire, così gli ho detto
di dormire ancora un po', ma lui ha detto "Perché Caterina
è andata via così? Le ho fatto qualcosa?
Perché ce l'ha sempre con me?".-
Forse, se mi avessero tirato una secchiata d'acqua fredda, sarei
comunque rimasta immobile. Ti erI svegliato e avevI chiesto di me?
Nonostante fossI ubriaco e avessI passato la serata con Lilian, tu
avevi chiesto di me?
Un irrazionale, un
cretino, ecco cosa sei! pensai dentro di me. Non dovevo
lasciarmi ingannare, però. Mi avevi pur sempre mentito.
Guardai Giovanni e gli sorrisi debolmente, poi uscii di classe.
Non dovetti muovere neppure un piede per cercarti, perché
stavi venendo nella mia direzione.
-Sei un bugiardo!- ti gridai quando mi passasti davanti.
-Che cazzo dici?- mi rispondesti con tono irritato, come sempre quando
non eravamo soli.
-Dico che mi hai raccontato un sacco di cazzate! E poi dici che sono io
che non ti racconto le cose, che evito i discorsi che non voglio
affrontare, che non mi fido di te. Certo, come no!- Sentivo la testa
scoppiarmi, le guance in fiamme e il cuore..beh, non ero neppure sicura
che ci fosse ancora.
-Mi puoi spiegare a cosa ti riferisci, perfavore?- chiedesti, cercando
di apparire calmo.
-Mi riferisco al fatto che tu quella puttana non l'hai solo baciata!- No, cavolo!
-Chi te l'ha detto?-
Ignorai la tua domanda. -E non sprecarti a dirmi che non ricordi nulla
di quella sera, mi hai già umiliata abbastanza.-
-Umiliata? Ma cosa stai dicendo? Ti ho fatto una domanda: chi te l'ha
detto?- chiedesti ancora, con tono minaccioso.
Ti guardai negli occhi e accennai un sorriso, uno di quei sorrisi amari
che si tirano fuori con la forza nelle situazioni più
disperate. -Pensavi di potermi nascondere qualcosa? Hai sbagliato,
migliore amico del cazzo!-
Non ascoltai la tua risposta, non guardai la tua faccia, non ti lasciai
il tempo di fare niente, perché mi girai e corsi in bagno.
Avevo esagerato, mi ero lasciata sfuggire parole che non avrei mai, e
dico mai, dovuto pronunciare. Mi ero esposta troppo, lo sapevo, ma
avevo perso la ragione. Mi avevi ferita, mi avevi umiliata, mi avevi
raccontato un sacco di bugie.
Cosa avrei dovuto fare, accettare? Far finta di niente?
No, non con te. Non quella volta.
Mi toccai le guance. Bagnate.
Ero davvero arrivata al punto in cui piangevo persino per un ricordo?
Se quello non era il fondo, non avrei davvero saputo come definirlo.
Guardai l'orologio. Le 22:37.
Mi asciugai le lacrime con la manica del pigiama. Avevo promesso che
non avrei più pianto per lui, ma non ci ero riuscita. Quale
potere aveva su di me? Fino a che punto era arrivato a compromettere la
mia vita?
Non sapevo dare una risposta razionale a quelle domande. Razionale. Quella
situazione non era mai stata razionale.
Stavo cominciando a degenerare. Mi tirai le coperte fino al collo e
spensi la luce. Forse il sonno mi avrebbe aiutata. Chiusi gli occhi, ma
li riaprii quasi subito. Aferrai il telefono che era sul comodino e
composi un messaggio per Roberta.
"Domattina aspettami
all'entrata, come sempre".
La risposta arrivò quasi subito.
"Sapevo che avresti
preso la decisione giusta. :) Notte."
Note dell'autrice:
Buonasera a tutti!
Eccomi con un nuovo capitolo. So che non è molto lungo,
né pienamente soddisfacente, ma era necessario che lo
inserissi, in quanto contiene l'ultimo flashback, quello che ci
permette di capire la situazione attuale tra Caterina ed Alessandro.
Come sempre ringrazio le persone speciali che hanno inserito la storia
tra le preferite/ricordate/seguite, ma ringrazio anche coloro che si
limitano semplicemente a leggere in silenzio. :)
Un grazie particolare va ad Afeffa, che con qualcuno come
Caterina ed Alessandro è costretta a vivere ogni giorno.
Spero che continuerete a leggere. :)
Un bacio,
Jane Ale
|
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Capitolo 8 *** Perché, forse, anche lei era stronza ***
Capitolo 7
Perché,
forse, anche lei era stronza
Non
so
perché fossi già in classe. Erano soltanto le
7.45 ed ero
già seduta al mio banco. Era passato qualche
giorno da quando avevo visto Alessandro l'ultima volta, ma sembrava che
fossero trascorsi mesi.
Quella mattina mi ero svegliata prima del suono della sveglia ed ero
arrivata a scuola con largo anticipo. Avevo inviato un messaggio a
Roberta dicendole che non avrebbe dovuto aspettarmi, che ci saremmo
viste in classe. Sapevo che non avrei avuto possibilità di
evitarlo,
era sempre tra i primi ad arrivare, a volte sembrava che avesse passato
la
notte a scuola. Era solo questione di minuti, poi avrei dovuto
affrontarlo.
Stavo scorrendo l'elenco delle canzoni sul mio iPod, quando la porta
della classe si spalancò e lui fece la sua comparsa. Quando
mi
vide si fermò un attimo ad osservarmi, quasi sorpreso, poi,
senza una parola, posò lo zaino sul suo banco, ovvero quello
accanto al mio. Tenevo la testa bassa, ma sentivo il suo sguardo
indagatore su di me. Non avrebbe mai parlato per primo, lo conoscevo
fin troppo bene, quindi avrei dovuto fare io il primo passo.
-Ciao.- mormorai, sperando che mi sentisse.
-Ciao.- mi rispose freddamente.
-Come va?- Non sapevo perché stessi cercando di aggirare
l'ostacolo. Avevo poco tempo e lo stavo sprecando perché
avevo
paura di affrontarlo.
-Bene. La mia amica mi ha mandato a quel paese qualche giorno fa, non
si è più fatta sentire, né vedere, non
mi ha
più cercato. Come credi che vada?- Dire che era furioso non
era
ancora abbastanza, ma io lo ero più di lui, anche in quel
momento.
Lo guardai negli occhi. -Va sicuramente bene. Se la tua amica non ti ha
cercato ci sarà un motivo, non credi? Forse le hai
raccontato
troppe bugie e lei si è stancata. Forse si è
rotta di
doverti cercare anche quando dovresti essere tu a farlo, di chiederti
scusa quando non ha colpe, di far finta che vada tutto bene
perché non hai il coraggio di affrontare i problemi.-
-Non sono io che ho saltato la scuola pur di non parlarne. Sei una
bambina, ti comporti come se fossi l'unica a stare male. Tutte le volte
mi rinfacci di essere un egocentrico, ma la prima ad esserlo sei tu,
vedi solo te stessa.-
Non l'avevo mai sentito parlare così con nessuno,
figuriamoci
con me. Mi stava accusando di essere egoista, stava cercando di dare la
colpa a me. Certo, io non ero stata del tutto sincera con lui: come
potevo spiegargli che il vero problema non era la bugia che mi aveva
raccontato, ma il fatto che io non riuscissi a vederlo come un amico?
Questo, però, non avrei potuto dirlo; avrei dovuto
continuare
puntando sulla fiducia tradita. Ipocrita,
sono solo un'ipocrita, pensai. Il fatto che lui mi avesse
mentito restava, comunque.
-Sono l'unica a stare male, Alessandro! È così,
non puoi
negarlo: io sto male, ma perché me ne importa. A te, invece,
non
importa un bel niente. L'importante è che ci sia qualche
troia
che ti corre dietro in qualsiasi posto andiamo, il resto non esiste. Io
non esisto. Mi usi e basta, poi non hai neppure il coraggio di dirmi
che vi siete chiusi nei bagni a..- Chiusi gli occhi. Non volevo
concludere il discorso, non volevo farmi ancora del male. Avevo deciso
di affrontarlo, è vero, ma in quel momento me ne pentivo
amaramente. Lui era arrabbiato, mi guardava con odio, accecato dall'ira
e deciso ad aver ragione. Io, come sempre, avevo già
esaurito le
mie forze ed ero a pezzi. Ero sempre la prima, e l'unica, a rivelarsi
vulnerabile. Lui era indistruttibile, non c'era modo di toccarlo,
smuoverlo, era come se le mie parole non arrivassero neppure al suo
orecchio.
-Mi ripeti sempre le stesse cose: che a me non importa niente, che sono
egocentrico, che ti sfrutto..credo che tu non ci capisca nulla. Se
pensi davvero queste cose sei una cretina!-
-Perfetto, adesso sono anche una cretina!- dissi, facendo un risolino
isterico. Sentivo i miei amici, cinismo e sarcasmo, farsi spazio dentro
me. Erano i miei anticorpi, il mio muro difensivo.
-Cacchio, Caterina, che palle che fai!- sbottò lui, quasi
urlando.
-Ovviamente! Mi mancava questa tua uscita. Lo sai cosa? Vaffanculo
Alessandro!-
-Cambia disco!- mi prese in giro lui.
-Ti ripeto, vaffanculo! Lì, forse, troverai qualcuna che sia
disposta a dartela senza che tu debba uscire dai confini nazionali.-
Era un colpo basso, ne ero consapevole, ma non potevo uscire perdente
anche da quella battaglia.
La campanella suonò, la porta dell'aula si
spalancò e
alcuni nostri compagni entrarono. Lo guardai, ma si era già
girato dall'altro lato per togliere alcuni libri dallo zaino. Non aveva
avuto il tempo di rispondermi, ma sapevo che me l'avrebbe fatta pagare.
Ero stata cattiva, quasi
crudele. Mi sarei meritata una risposta altrettanto cattiva, ma
Alessandro non si sarebbe mai limitato a questo, si sarebbe vendicato
in un modo peggiore, come suo solito. Dovevo aver paura? Se fossimo
stati ancora in buoni rapporti e quella fosse stata soltanto una
discussione come tante, probabilmente no. Ma quella volta eravamo
andati troppo oltre, le parole erano uscite prima che potessimo
fermarle e io avevo dato il colpo di grazia.
Sì, dovevo aver paura.
Le ore successive furono silenziose come non mai. Non solo non ci
parlavamo, ma evitavamo persino di volgere lo sguardo l'uno nella
direzione dell'altra. Dire che eravamo infantili non era abbastanza:
due bambini avrebbero litigato fino a risolvere la situazione, non
avrebbero mai permesso che il discorso finisse così,
lasciato a metà dopo essersi lasciati trascinare
dall'impulso. Persino un bambino avrebbe capito quanto stupido fosse il
nostro comportamento.
Quando la campanella suonò per la ricreazione, Alessandro si
alzò velocemente ed uscì dalla classe, seguito
dal fedele Emanuele. I due erano inseparabili: si muovevano sempre in
coppia, si capivano con un semplice sguardo, avevano espressioni
simili, si atteggiavano nello stesso modo. Con il tempo,
però, avevo imparato a riconoscere quanto realmente fossero
diversi: Emanuele era solare ed espansivo, riservato per ciò
che lo riguardava da vicino, disposto ad ascoltare chiunque volesse
confidarsi, ma, incomprensibilmente, apatico; Ale, al contrario, era
sempre serio, quasi arrabbiato, non parlava con tutti, anzi, sceglieva
i pochi "eletti" a cui concedere qualche parola e non usciva mai dal
gruppo prescelto. Non raccontava niente di sé, se non quando
capiva di potersi fidare realmente; a prima vista si sarebbe potuto
affermare che fosse totalmente privo di sentimenti verso ogni creatura
vivente che non fosse se stesso, ma sapevo che non era così:
si affezionava alle persone fin da subito, si gettava anima e corpo in
relazioni impossibili, ma alla fine rimaneva sempre deluso. Per questo
si era costruito una barriera per non permettere ai sentimenti di
annientarlo. Avevo sempre ammirato questa sua capacità, fin
quando non aveva spinto anche me al di là della barriera.
Ancora persa nelle mie riflessioni, appoggiai la testa sul banco, non
accorgendomi dello sguardo indagatore di Roberta, seduta di fronte a me.
-Non dovevi sistemare la situazione?- mi chiese, quasi rimproverandomi.
-L'ho fatto. O meglio, ci ho provato.- le risposi.
-Quando?-
Sbuffai. -Stamani, prima dell'inizio delle lezioni.-
-E?- Sapevo che non avrebbe mollato finché non avessi
sputato il rospo. Volevo raccontarle cosa ci fossimo detti, ma allo
stesso tempo non volevo ripercorrere il dialogo avvenuto quella mattina.
-E niente. Non siamo riusciti a risolvere. In compenso sono stata una
stronza, dicendogli che deve sempre cercare
all'estero qualcuna con cui andare, o qualcosa
di simile.- dissi sentendomi ancora peggio.
-Se sapesse che tu saresti felice di dargl...-
Non le feci terminare la frase. -Cazzo Roberta, tatto zero!-
-Ma è vero!- disse lei con fare ovvio.
Scossi la testa, sorridendo. Negare sarebbe stato da sciocchi, nessuno
ci avrebbe creduto e, forse, nemmeno io. Il fatto era che il problema
tra me ed Alessandro non si sarebbe mai potuto risolvere con il sesso,
non sarebbe mai stato un punto di arrivo, un metodo risolutivo, ma
soltanto una fase. Forse, se gli avessi proposto di diventare
trombamici, lui avrebbe accettato e considerato la cosa come un modo
alternativo di essere amici; io non avrei mai potuto accettare la
situazione: ero già troppo oltre per considerare Alessandro
in questi termini.
Guardai Roberta e la trovai intenta a fissarmi con un'espressione quasi
pietosa sul volto.
-Roby, puoi smetterla di guardarmi come se volessi farmi la
carità?-
-Non voglio farti la carità!- mi rispose sulla difensiva.
-Allora?-
-Vai a parlare con Ale.-
-No.- risposi con fermezza.
-Sai che più tempo passa, più la situazione
peggiore. Vai da lui, chiedigli scusa per quello che hai detto stamani
e chiarite.-
Aveva ragione, ma non volevo essere io la prima a buttare al vento il
mio orgoglio.
-Sono sempre io a fare il primo passo, non è giusto.-
-Caterina, quando fai così sei proprio una bambina. Non ti
lamentare se poi non vi parlate. Sai che ho ragione, ma ti ostini a non
volerlo ammettere. Fai come vuoi, ma smettila di piangerti addosso
allora!-
-Sei una..una merda, ecco!- le dissi alzandomi in piedi.
-Lo so, sono la migliore.- mi rispose sorridendo.
Attraversai l'aula e mi affacciai sul corridoio. Ale stava parlando con
Giovanni, Emanuele e una ragazza della nostra classe, Azzurra. Andai da
lui, senza pensarci due volte.
-Posso parlarti?- gli chiesi, concentrandomi sul suo naso per evitare
di guardarlo negli occhi.
-Che c'è?-
-Possiamo parlare o no?- insistetti. Lui annui impercettibilmente con
il capo.
Ci spostammo, dirigendoci verso l'uscita di emergenza.
-Allora?- mi chiese freddamente, guardandomi con odio.
-Scusa.- riuscii a dire, fissandomi le scarpe.
-Come hai detto?-
-Ti ho chiesto scusa, non volevo dire quella cosa stamani.-
dissi con più audacia.
-Però l'hai detta. E non solo quella.-
-Quella è l'unica che non avrei voluto dire, il resto lo
penso.- Puntai il mio sguardo nel suo.
-Perché sei troppo orgogliosa per ammettere più
di un errore alla volta.-
No! Lui che dava dell'orgogliosa a me? Quale stupido scherzo mi stava
giocando l'universo?
-Orgogliosa? Io? Sono qui a chiederti scusa, per chiarire. Come sempre
sono io a
fare il primo passo verso la "pace", perché tu sei troppo
impegnato a giocare a "sono figo e non mi interessa di ciò
che mi circonda" per vedere i tuoi errori.- dissi con cattiveria.
-Quanto sei stronza!- mi rispose.
-Cambia disco!- lo provocai. Ma lui scosse la testa.
-Aveva ragione Marica, sei proprio infantile.-
-Cosa c'entra Marica?- gli chiesi in un sussurro.
-Niente, ieri abbiamo parlato un po'.- mi disse con leggerezza.
-Di me?-
-Siamo capitati per caso nel discorso.-
-Certo, come no. Dopo mesi che non vi parlate, vi ritrovate a
conversare amabilmente come due amici intimi e, perché no,
ad offendermi. Alla fine è quello che riesce meglio ad
entrambi.- Acidità portami via.
Scosse di nuovo la testa, ridendo amaramente.
-Caterina, il mondo non gira intorno a te. Se io ho voglia di parlare
con Marica, ci parlo, a prescindere dal fatto che abbiamo discusso o
meno. Ti fai troppi problemi, categorizzi tutto. È per
questo che non riusciamo ad andare d'accordo: io sono fatto
così, tu non mi accetti e ti arrabbi per tutto.-
-No, Alessandro. Non è per questo che non andiamo d'accordo.
Io e te non ci sopportiamo perché entrambi vogliamo bene ad
un'unica cosa che, guarda caso, è quella sbagliata.-
-Cosa?- mi chiese confuso.
-A te.- Non seppi se capì il mio messaggio, la mia
intrinseca dichiarazione, il mio "ti voglio bene" celato, ma fin troppo
esposto.
Mi girai e feci per andarmene. Prima di rientrare, però, mi
girai e affondai il coltello nella piaga.
-A proposito, come sta Marica? Sempre cornuta?-
Note dell'autrice:
Buonasera a tutti!
Per prima cosa mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, spero di
non metterci più così tanto.
Questo capitolo, il primo senza ricordi passati, vede Caterina ed
Alessandro immersi nella loro discussione ancora irrisolta. Alla fine
viene fuori il nome di un nuovo personaggio, Marica. Anche se per
adesso è stata soltanto citata, in seguito
assumerà un ruolo importante nelle vicende dei due
personaggi.
Come sempre ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono la storia.
Spero che continuerete a farlo! :)
Mi raccomando, se avete tempo (e voglia) recensite.
Un bacio,
Jane Ale
|
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Capitolo 9 *** Quelle cose non dette ***
Capitolo 8
Quelle cose non dette
(Secondo aggiornamento in
24 ore, controllate di aver letto anche il capitolo precedente.)
E così Marica aveva
fatto la sua ricomparsa nella mia vita. Non le era bastato rovinarmi i
due anni precedenti, portandomi ad un passo dal baratro? Non si era
accontentata di vedermi disperare, sperando di svegliarmi un giorno e
non essere più me stessa? Sapevo che prima o poi avrei
dovuto avere contatti con lei di nuovo, in fondo eravamo nella stessa
classe, ma da quando anche Alessandro aveva smesso di parlarle, mi ero
sentita al sicuro, come se non potesse più ferirmi.
Poi, quella mattina, lui aveva fatto il suo nome: si erano
riavvicinati, avevano avuto modo di parlare, anche di me, ed io mi
sentivo una cretina. Non potevo certo impedirgli di parlare, di uscire,
di tornare ad essere amici, ma non potevo negare che la cosa mi desse
fastidio. Ale sapeva quanto ero stata male quando Marica era mia amica,
più volte mi aveva consolata, aveva cercato di farmi
sorridere dicendo che "avrebbe spaccato la faccia a quella troia che mi
faceva piangere", persino lui aveva discusso con lei, arrivando a non
parlarle più. Eppure adesso si comportava come se non fosse
successo niente.
Non pretendevo che lui prendesse una posizione e mi difendesse, non
l'aveva mai fatto, né volevo che iniziasse in quel momento,
ma non riuscivo a capacitarmi del fatto che lui avesse davvero parlato
di me con lei. Perché? Con tutte le persone che c'erano,
perché proprio lei?
Quando tornai a casa, non trovai nessuno, ma non ne fui sorpresa. Mia
madre lavorava fino a tardi quasi tutti i giorni, mio padre, invece, si
trovava dall'altra parte del mondo per affari, ma ormai ci ero
abituata. Andai in cucina ed aprii il frigorifero, tirai fuori la
scatola di un'insalata già pronta, presi una bottiglia
d'acqua e me ne andai in camera. Accesi il computer ed iniziai a
mangiare seduta alla scrivania. Aprii facebook e mi misi in linea,
sperando di trovare la persona che cercavo. Non era in linea,
così decisi di lasciargli un messaggio, sperando che
entrasse il prima possibile.
"Ciao Giovanni. Lo so
che potrebbe sembrarti una domanda stupida, ma non saprei a chi altro
rivolgermi: cosa è successo mentre ero assente? Alessandro
ha per caso parlato di me con qualcuno di voi? Non dovrei nemmeno fare
questo genere di domande, ma ho bisogno di saperlo. Grazie e
scusa."
Era sbagliato, profondamente sbagliato, quello che stavo facendo:
evitavo il chiarimento con Alessandro e ponevo tra di noi terze persone
che mi dessero le informazioni che volevo. Probabilmente una telenovela
sarebbe stata meno pietosa di me in quel momento.
Mi buttai sul letto, cercando di rilassarmi, ma sentii il suono di
facebook annunciarmi che avevo ricevuto un messaggio. Sperai che fosse
Giovanni, ma quasi mi prese un colpo quando vidi il nome di Marica.
"Ciao bella!" Mi
stava forse prendendo per il culo? Da quando mi cercava?
"Ciao"
"Come va? Sai, è tanto che non parliamo un po' noi due." Sai
com'è, l'ultima volta mi hai dato dell'obesa asessuata.
"Eh già.." Fin troppo razionale.
"Allora, come ti vanno le cose?"
"Bene, a te?"
"Benissimo. Io e Edo siamo così felici adesso, è
tutto passato." Edoardo era il suo ragazzo dall'inizio
dei tempi. Nessuno ricordava che fosse stata con altri da quando
frequentavamo quella scuola, eppure era riuscita a ritrovarsi bollata
come ragazza facile e cornuta allo stesso tempo. Avevo sempre sostenuto
che fosse umanamente impossibile che una persona potesse raggiungere
tali livelli, ma lei non finiva mai di sorprendermi!
"Bene." Passarono alcuni minuti senza che scrivesse
niente. Sperai che avesse lasciato cadere la conversazione, ma mi
sbagliavo.
"Allora cara, come va con Ale?" Sì, ne ero
certa, mi stava decisamente prendendo per il culo!
"Tutto bene." mentii.
"Sì, davvero? L'altro giorno abbiamo parlato e mi ha detto
che avevate discusso. Quindi avete già chiarito?" Interessante,
molto interessante. Non solo avevano parlato di me, ma lui le aveva
anche raccontato del litigio. La conversazione iniziava a prendermi:
quanto sapeva?
"Mah, senti, non mi pare il caso che ne parli con te."
"Scusa, non volevo forzarti. Sai, lui si è confidato con me
perché siamo amici da sempre e sa che io ci sono quando ha
bisogno, ma se tu ancora non sei pronta non fa niente."
"Grazie Marica, ma non credo che avrò mai bisogno di te. In
fin dei conti sono troppo infantile, no?" E adesso cosa
mi dici, stronza?
"Chi l'ha detta questa
cavolata?"
"Non far finta di niente! So che l'altro giorno hai colto al volo
l'occasione per parlare male di me con Alessandro!"
"È questo che ti ha detto? Io non ho detto niente,
è stato lui a dire che sei una bambina che gioca a fare la
grande, ma finisci per essere ridicola. Ti ho persino difesa!"
"Ci dovrei credere?"
"Non è un problema mio. Scusa, ma devo andare,
c'è Edo. A domani."
Chiusi la conversazione.
Non sapevo se credere alle parole di Marica: quando le era sembrato
opportuno offendermi, lo aveva sempre fatto direttamente, senza troppi
giri di parole, non avrebbe avuto senso parlare male di me con
Alessandro; eppure non riuscivo a fidarmi di lei e a non vederla come
una subdola doppiogiochista. Aveva qualcosa in mente, ne ero certa, e
non avrei mai potuto fidarmi di lei. Dovevo recuperare Ale prima che
lei me lo portasse via definitivamente, ma per fare ciò
avrei dovuto chiarire la situazione con lui. Sarebbe stato difficile,
avrei dovuto sacrificare parte del mio orgoglio, ma per lui l'avrei
fatto, in fondo era una delle persone più importanti della
mia vita.
Stavo cercando di far tornare un esercizio di matematica quasi
impossibile, quando sentii che avevo ricevuto un messaggio su facebook.
Alzai lo schermo del mio portatile e guardai il mittente: Giovanni,
finalmente!
"Ciao Cate. So cosa vuoi
sapere: Marica ha cominciato a seguire Alessandro ovunque durante la
tua assenza e, dopo un po', anche lui ha iniziato a cercarla. Li ho
visti parlare spesso, ma non saprei dirti di cosa, sai come sono fatti,
non ci si può avvicinare. So che non sono affari miei, ma
spero che non ti arrabbierai se te lo dico comunque: smettila, ti stai
facendo solo del male. Non ha senso che tu continui a perdere tempo
dietro questa storia facendoti problemi assurdi. O glielo dici, o lasci
che le cose continuino ad andare come sempre, ma non puoi controllarlo.
Sai cosa intendo!"
Lessi il messaggio di Giovanni almeno tre volte prima di
rendermi conto che lui sapeva.
Non c'erano altre spiegazioni alle sue parole, ma quello che mi
spaventava di più era il come l'avesse scoperto.
"No, non capisco.. Cosa
dovrei dirgli?" gli risposi, facendo finta di non aver
capito.
"A te piace Alessandro,
ma non glielo vuoi dire. Credo, invece, che dovresti farlo. Sempre se
vuoi smuovere qualcosa."
"Chi ti ha detto che a me piace Alessandro? Siamo soltanto amici ed
abbiamo litigato, niente di più." Da quando
Giovanni era così sveglio? Ed io che avevo sempre creduto
che fossero Emanuele ed Alessandro i cervelli della classe.
"Sono distratto, non scemo. Le vostre litigate per delle cavolate,
scene degne delle migliori coppie di fidanzati gelosi, lui che chiede
di te da ubriaco, tu che sei gelosa di Marica..piuttosto ovvio. Te l'ho
detto, dovresti dirglielo."
Quanto avevo sottovalutato quel ragazzo? Oppure ero io che
avevo lasciato che i miei sentimenti corressero senza freni, facendo in
modo che tutti li vedessero? Probabilmente entrambe le cose.
"Senti Giovanni, ti
ringrazio, ma la situazione non è così semplice.
Grazie davvero, ma non mi va di parlarne. Scusami."
"Non preoccuparti, il mio era solo un consiglio. Adesso scappo, ciao."
Ringraziai mentalmente quel ragazzo per non aver
continuato. Ero veramente confusa: aveva detto che io ed Alessandro ci
comportavamo come fidanzati gelosi, o avevo capito male? Rilessi la
conversazione. No, avevo capito perfettamente.
Ero stata così stupida da lasciare che ciò che
provavo per Alessandro trapelasse, facendo la figura della ragazzina
innamorata che tende a monopolizzare l'oggetto dei suoi desideri, anche
quando suo
non è. Si poteva cadere più in basso?
Giovanni aveva ragione: non potevo andare avanti così, ma
non avrei mai commesso lo stesso errore due volte. Così
presi la mia decisione e, senza ripensamenti, inviai un sms ad Ale.
"Alle sei e mezzo sotto
casa mia. Dobbiamo chiarire."
Mi rispose con un semplice "Ok".
Lo stavo aspettando da dieci minuti sulla panchina sotto casa mia, ma
ancora non era arrivato. Se mi avesse dato buca, non avrei
più risposto delle mie azioni e lo avrei picchiato il giorno
successivo.
Mentre pensavo ai metodi di tortura più efficaci da attuare,
vidi la sua macchina in fondo alla strada. Respirai profondamente,
notando che il mio cuore aveva accelerato i battiti alla vista
dell'auto. Parcheggiò di fronte a me e, con lentezza
estrema, scese dalla macchina. Lo guardai sistemarsi i capelli nello
specchietto laterale e dirigersi verso da me: non avevo dubbi, era
bello come il sole, anche con quell'espressione arrabbiata sul volto.
-Allora?- mi chiese senza neppure salutarmi.
-Penso che sia stupido continuare a comportarci così.-
Alzò gli occhi al cielo. -A cosa devo questa illuminazione?-
mi chiese in tono derisorio.
-Smettila di fare il cretino!- sibilai. -Sto cercando di essere gentile
e porre fine a questa situazione. Non è possibile continuare
in questo modo, offendendoci e non rivolgendoci la parola. Almeno io
non ce la faccio più.-
-Lo so.- fu tutto quello che rispose.
-Sai cosa?- gli chiesi.
-Che è una cosa ridicola.-
-Ale, posso farti una domanda?- Sapevo che non avrei risolto niente
facendogli quella domanda, ma volevo
sapere.
-Dimmi..-
-Hai davvero detto a Marica che mi comporto da bambina e sono ridicola?-
Per un attimo fui certa che mi avrebbe risposto che non era vero, che
Marica si era inventata tutto, che lui non aveva mai detto una sola
parola contro di me, ma che lei aveva fatto tutto da sola. Poi,
però, lo vidi abbassare lo sguardo e capii.
-Ah.- fu l'unico suono che pronunciai.
-Ero arrabbiato.- si giustificò lui.
-Non è un motivo valido. Da lei potevo aspettarmi qualsiasi
cosa, ma da te.. Cavolo Alessandro, eravamo amici!-
-Che vuol dire "eravamo"?- mi chiese alzando repentinamente la testa.
-Che non lo so più.- ammisi.
-Che non sai più cosa? Se siamo amici? Cavolo Cate
è una discussione, ma passerà. Vorresti dirmi che
vuoi chiudere qui?-
-Sì, se pensi quelle cose di me!-
-Come potrei pensarle? Ero semplicemente arrabbiato, te l'ho
già detto. Vuoi davvero buttare via la nostra amicizia per
questo? Va bene, ho fatto una cazzata, ma chi non fa errori?- mi
domandò retorico.
Non risposi, così lui continuò. -Possiamo
chiudere questa storia, Cate? Ti prego, chiudiamo questa discussione e
non ne parliamo più.-
Annuii, anche se non ero d'accordo, anche se non era la cosa giusta da
fare, anche se l'elenco delle cose non dette sarebbe aumentato a
dismisura. Annuii e decisi di lasciar perdere, non avevndo la forza di
fare altro.
-Quindi tutto come prima?- mi chiese, cercando il mio sguardo.
-Sì, Ale, tutto come prima.- gli risposi, senza
però riuscire a sorridere.
-Bene. Adesso scappo, ho l'allenamento. Ci vediamo domani
a scuola.-
-Okay.- gli risposi, guardandomi le scarpe.
-Ciao Cate.-
-Ciao Ale.-
Restai immobile su quella panchina finché non sentii il
rumore dell'auto allontanarsi, fino a scomparire.
Dovevo essere felice, avevamo chiarito ed eravamo di nuovo amici. Avevo
ottenuto quello che volevo.
Allora perché non riuscivo a sorridere?
Note dell'autrice:
Buonasera (di nuovo)!
Il secondo aggiornamento in una sera, mi sembra quasi un miraggio. :)
In questo capitolo si comincia a delineare la figura di Marica, la
quale copre un ruolo essenziale all'interno della storia.
Caterina ed Alessandro hanno finalmente chiarito, o meglio, hanno
deciso di non tornare più sul discorso che ha provocato il
loro litigio. Sarà la scelta giusta?
Ringrazio Areis e
myllyje
per aver inserito la storia tra le seguite, _Flowers_ per
averla inserita nelle ricordate e Rosshalde per
averla inserita sia tra le seguite che tra le preferite. Grazie
davvero! :)
Spero che continuerete a leggere e, con pazienza, aspetterò
che qualcuno recensisca.
Un bacio,
Jane Ale
|
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Capitolo 10 *** Ferite ***
Capitolo 9
Ferite
Finalmente sabato!
Nonostante tutti i
problemi, la
settimana era passata e il giorno tanto atteso era arrivato. Adoravo il
sabato, potevo fare ciò che volevo: dormire, uscire,
leggere,
ascoltare la musica, tornare tardi la sera, tutte cose che durante la
settimana mi erano precluse. La cosa più bella del sabato,
però, era l'atmosfera che aleggiava nell'aria, un misto tra
meritato riposo dopo una settimana di studio, ed attesa per la serata.
Non che avessimo grandi programmi, anzi, di rado facevamo qualcosa di
vagamente divertente, ma stare con i miei amici mi piaceva, mi rendeva
meno paranoica ed antipatica del solito.
Quel sabato sera eravamo stati tutti invitati al diciottesimo
compleanno di Marica. Erano mesi che ci ricordava l'arrivo del "grande
giorno", come lo definiva lei: conoscendola non si sarebbe trattata di
una semplice cena con musica, troppo semplice per i suoi gusti.
Alessandro mi passò a prendere alle otto e trenta,
ritardando di
quasi venti minuti. Avevamo deciso di andare insieme senza una ragione
precisa, lui me lo aveva proposto ed io, da perfetta stupida, avevo
accettato pur di stare sola con lui una manciata di minuti. Negli
istanti prima del suo arrivo mi ero guardata allo specchio almeno un
centinaio di volte: avevo indossato un vestito nero corto con un paio
di tacchi dello stesso colore, arricciando i capelli in modo che cadessero sciolti sulla schiena.
Quando mi fece uno squillo sul cellulare, scesi velocemente le scale ed
uscii dalla porta rischiando di scivolare sullo zerbino.
Cretina!,
pensai. Poi rallentai il passo per raggiungere la sua macchina.
-Ciao!- lo salutai.
-Ciao!- mi rispose senza guardarmi.
-Come va?- gli chiesi pur avvertendo la sua rigidità.
-Bene.- rispose freddamente.
Decisi di rinunciare. Era inutile cercare di abbattere le sue barriere
con la gentilezza, se lui le rinforzava con il silenzio e la freddezza.
Avrei potuto impormi, cercare di farlo parlare, ne avevo la
capacità e l'opportunità, ma per farlo avrei
dovuto subire la sua ira. Quella sera non ne avrei avuta la forza.
Eppure non riuscivo a sopportare quel silenzio..
-Ale, mi vuoi dire cos'hai?-
Ebbene no: non ero né coerente, né razionale. Mi
autoconvincevo di non dover fare una cosa per poi cambiare idea subito
dopo.
-Niente.-
-No, non è vero. Se fosse tutto normale, non ti
comporteresti così.- gli dissi con calma.
-Così come? Sono normale, non mi pare di aver detto niente
di che.- mi rispose, sempre senza guardarmi.
-E ti sembra normale il fatto che non mi parli, che tieni le distanze
senza motivo, che non mi guardi neppure in faccia?-
-Invece ti parlo, ma non posso guardarti, sto guidando.- rispose con lo
stesso tono arrogante che usava sempre quando si sentiva accusato.
-Cazzate! Alessandro, voglio sapere cos'hai!- gli dissi fermamente.
Lui sospirò, poi si voltò verso di me e mi
fissò per un attimo. Io continuai a guardarlo anche quando
tornò a fissare la strada, aspettando che dicesse qualcosa.
-Niente, è solo che mi sento così..non lo so.- fu
tutto quello che uscì dalla sua bocca.
Fu il mio turno per sospirare. Avevo sempre avvertito quando c'era
qualcosa che non andava, quando era arrabbiato, quando stava male. Ogni
volta lui negava, ma riuscivo a farlo cedere, in un modo o nell'altro.
Quella sera, però, non sembrava intenzionato a parlare
ancora. Lo osservavo immobile nella sua posizione, con le mani sul
volante e lo sguardo fisso. Era bello e triste e io non riuscivo a
vederlo così. Prima che me ne rendessi conto, la mia mano si
era mossa nella sua direzione e aveva preso ad accarezzargli
delicatamente la testa. Lo sentii irrigidirsi sotto il mio tocco e, per
un attimo, trattenni il respiro.
-Non toccarmi!- mi disse sprezzante, allontanando la mia mano poco
gentilmente.
-Ma Ale..- cercai di spiegarmi.
-No, voglio solo che tu mi lasci in pace e la smetta di fare
domande. Non ti ho chiesto niente!-
Per il resto del viaggio nessuno dei due parlò. Non avevo
neppure il coraggio di alzare il viso, ormai le mie scarpe erano
diventate un oggetto interessante da analizzare. Avevo sbagliato, mi
ero spinta troppo oltre, ma la sua reazione era insensata.
Lo odiavo quando mi trattava così: doveva farmi sentire
piccola ed inutile per sentirsi leggermente meglio, ma non si rendeva
conto del dolore che mi procurava quel suo atteggiamento.
Quando arrivammo a destinazione, scesi dall'auto sbattendo la portiera.
Avevo già percorso parte del vialetto che portava alla villa
di Marica, quando lui mi chiamò.
-Caterina?-
-Cosa c'è?- gli chiesi senza neppure cercare di essere
gentile.
-Quando voglio andare a casa ti chiamo e ce ne andiamo.-
Senza rispondere, mi voltai e tornai sui miei passi.
Quando varcai il cancello che introduceva al giardino della villa,
rimasi impressionata: Marica lo aveva allestito in modo da farlo
sembrare un salone da ballo. Al centro c'erano dei grandi tavoli
finemente apparecchiati, come quelli di un matrimonio; su ogni tavolo
erano posati grandi mazzi di rose rosse (probabilmente regali da parte
di Edoardo); in fondo al giardino si trovava una console con ben due dj
e un fotografo e, accanto a questa, un open-bar che preparava ogni tipo
di drink.
Mi guardai intorno, cercando di scorgere Marica: era appoggiata vicino
ad un tavolo su cui erano stati disposti gli innumerevoli regali.
Indossava un vestito rosso, molto corto, che le metteva in risalto le
lunghe gambe; lo scollo era fin troppo eccessivo, ma non ne ero
sorpresa. Aveva arricciato i capelli biondi, che adesso le arrivavano
poco sopra le spalle.
Nel complesso non stava male, ma conservava pur sempre quel tratto di
volgarità che la caratterizzava: non avrei mai definito
Marica una brutta ragazza, ma non avrei neppure osato definire bella
una persona che preferiva mettere in mostra le gambe,
anziché usare il cervello. Non avevo dubbi sul fatto che il
mio fosse un pregiudizio dettato dall'antipatia che provavo nei suoi
confronti, ma non potevo farci niente, non riuscivo a trovare la vera
bellezza in una come lei.
Mi avvicinai per salutarla e lei mi avvolse in un abbraccio che di
affettuoso non aveva niente.
-Ciao tesoro!- mi disse con la sua foce stridula.
-Ciao Marica! Tanti auguri!-
-Grazie mille. Fatti vedere un po'..- mi disse, facendomi allontanare
per osservarmi meglio.
Vidi il suo sguardo idagatore passare dal mio abitino nero poco sopra
il ginocchio, ai miei tacchi neri, fino alla pochette che avevo in
mano. Poi passò ad osservare i miei capelli che, per qualche
strano caso, quella sera, somigliavano fin troppo ai suoi: non sapendo
cosa fare, li avevo arricciati anch'io, ma, fortunatamente, i miei
erano un po' più lunghi, così le persone
avrebbero potuto distinguerci.
-Mmm..beh, potevi stare peggio, senza offesa. Il vestito è
nero, molto triste e ti fa sembrare anoressica, i capelli non ti donano
molto, ma nel complesso non stai male.- concluse sorridendomi, come se
con quell'ultima affermazione avesse risolto il problema.
Era per questo che avevo tagliato ogni ponte con lei: era cattiva,
egocentrica e velenosa; chiunque si avvicinasse a lei, non riusciva a
resistere più di qualche mese. Io avevo battuto ogni record,
sopportandola per un anno, ma il prezzo da pagare era stato molto alto.
Quella sera ero già nervosa per colpa di Alessandro, ma il
suo monologo sul mio aspetto mi aveva fatta infuriare. La squadrai come
lei aveva fatto con me, poi, arricciando il naso, le dissi:
-Mmm, allora: il vestito sembra una camicia da notte, ma non
preoccuparti, la maggior parte delle persone qui dentro lo
scambierà per il vestito di scena di un'attrice porno. I
capelli, invece, sono crespi, ma con un trattamento indicato il
problema è facilmente risolvibile.-
Vidi la sua bocca spalancarsi, ma non ebbe il tempo di replicare,
perché un braccio mi afferrò da dietro,
trascinandomi poco più in là.
-Perché la stai provocando in questo modo? Non fare la
vittima se poi ti risponde male.- mi disse un Alessandro incredulo ed
arrabbiato.
-Spero tu stia scherzando! Hai sentito cosa mi ha detto?- gli chiesi
quasi urlando.
-Sì, ho sentito, ma tu hai visto bene di abbassarti al suo
livello.-
-Non difenderla!-
-Non la sto difendendo, ma non venire a piangere da me dopo.- mi disse
tagliente.
Lo guardai, ma senza vederlo veramente. Chi era quel ragazzo che avevo
davanti in quel momento? Cosa ne aveva fatto del mio Alessandro? La
malinconia e la delusione presero il posto della rabbia.
-Non preoccuparti, non ho più bisogno di te, Alessandro.-
gli dissi sprezzante.
-Hai ragione, tu hai Emanuele, Roberta e adesso anche Giovanni, no?-
Era gelosia quella che sentivo nella sua voce? Forse, ma non avevo
tempo di occuparmene in quel momento.
-Sì, e sono contenta di averli accanto.- gli risposi con
convinzione. Poi mi allontanai.
Mi stavo dirigendo verso il bar, quando vidi Roberta arrivare insieme a
Silvia ed Emanuele. Le sorrisi da lontano, ma capì subito
che qualcosa non andava. Mi guardò con aria interrogativa,
ma io scossi la testa e mi diressi verso il bar.
-Un vodka lemon.- ordinai al barista.
Fu il drink più veloce della mia vita: dopo dieci minuti il
contenuto del bicchiere si trovava già all'interno del mio
corpo e io mi sentivo più rilassata. Non avevo mangiato
ancora niente, ma era questione di minuti prima che ci mettessimo a
sedere. Poco dopo, infatti, mi ritrovai seduta ad un tavolo insieme a
Silvia, Roberta, Marica, Isa, Vittoria e Azzurra. La festeggiata aveva
organizzato una cena completa, antipasto, due primi, un secondo e il
dolce, quindi saremmo dovute rimanere a sedere per un bel po'. La cena
passò più o meno tranquillamente tra una
chiacchiera e l'altra: Marica mi lanciava sguardi furenti, ma io non la
consideravo, limitandomi a parlare con le altre. Dopo il secondo ci fu
una pausa, quindi ci alzammo: non appena mi misi in piedi, la testa
prese a girare freneticamente. Mi ero dimenticata del precedente drink,
così avevo bevuto qualche bicchiere di vino, ma il mio
corpo, non abituato a tali livelli di alcol, mi stava avvertendo.
Respirai profondamente, ma non mi sentii meglio. Roberta mi venne
vicina.
-Tutto bene?- mi chiese.
Annui. -Mi gira un po' la testa.-
-Che sarà mai, il divertimento inizia adesso: smettila di
pensare e bevici su!- mi disse sorridendo.
Ci avviammo verso il bar e ordinammo un Sex on the beach. In cinque
minuti lo avevamo finito e stavamo ridendo come delle pazze senza un
motivo. Non riuscivo a vedere chiaramente, le figure mi apparivano
sfocate e in movimento, ma non me ne curavo, l'unica cosa a cui
riuscivo a pensare erano le risate che uscivano incontrollate. Ricordo
poco anche il momento dei regali e quello del dolce, ma l'immagine di
un bicchiere di spumante nella mia mano destra è ancora
vivida.
I ricordi seguenti, però, sono solo immagini frammentate
senza un contesto: Roberta che mi conduce a ballare, le luci colorate
che illuminano i volti dei presenti senza che io li riconosca,
Alessandro che abbraccia Marica, Emanuele che prova a baciare Roberta,
ma lei si sposta, Alessandro che mi chiede se ho bevuto, Isa che mi
porta in bagno per farmi prendere aria, poi il niente.
Il primo ricordo vivido che ho è di qualche ora dopo: ero
seduta accanto ad Alessandro nella sua auto sotto casa mia. Lui
ascoltava la musica, mentre io dormicchiavo appoggiata allo sportello.
Se mi chiedessero di ripercorrere mentalmente il viaggio di ritorno,
non saprei cosa dire, ma sapevo che ci trovavamo a casa mia da poco
tempo.
-Ale?- lo chiamai mormorando. La testa mi stava scoppiando e persino la
mia voce mi disturbava.
-Dimmi.-
-Sto male.- dissi mugolando.
-Lo so, mettiti buona che poi ti passa.- Il suo tono non era
né arrabbiato, né scocciato, e la cosa mi
sorprese.
-Non sei arrabbiato?- gli chiesi.
-Perché hai bevuto una bottiglia di vino da sola?- mi chiese
con fare retorico.
-Sì, anche.-
-No.- mi rispose dopo aver sospirato. Poi continuò: -Solo
che non riesco a capire perché l'hai fatto.-
A pensarci bene, non lo sapevo nemmeno io: mi piaceva la sensazione di
rilassamento che l'alcol riusciva a creare in pochi secondi, ma non
avevo mai pensato di perdere il controllo. Ero stata un'irresponsabile,
una sciocca.
-So solo che sto male.- dissi sottovoce. -Mi abbracci?- gli chiesi
prima di scoppiare in lacrime.
Sentii le sua braccia avvolgermi e scivolare lente sulla mia schiena,
poi nascosi la mia faccia nell'incavo del suo collo. Le lacrime
scendevano frenetiche dai miei occhi per poi cadere sulla sua camicia.
-Non posso vederti ridotta così perché lei ti ha
offesa.- mi sussurrò dolcemente all'orecchio.
Si riferiva a Marica, lo avevo capito, ma non ebbi il coraggio di
dirgli che la colpa principale era sua, non di Marica. Era lui che mi
aveva portato a quello stato di instabilità fisica e
mentale, che occupava la mia testa, che mi spezzava il cuore ogni
giorno, che mi ossessionava a tal punto da farmi sentire un'estranea
all'interno del mio corpo. Agivo per lui, parlavo per lui, vivevo in
funzione di lui.
Tutto questo, però, non glielo dissi, ma, da perfetta
stupida, mi limitai ad annuire.
Dopo un'ora decisi di salire in casa: la testa mi faceva male, ma avevo
recuperato la lucidità necessaria a camminare. Prima di
scendere dall'auto, lo guardai negli occhi e, d'impulso, lo abbracciai.
Non era un abbraccio disperato come il precedente, né
amichevole come quelli che ci scambiavamo dopo i litigi, ma era
qualcosa di più. Con il naso percorsi la linea della sua
mascella, lasciando un piccolo bacio vicino al collo, per poi arrivare
all'orecchio.
-Ti voglio bene.- gli sussurrai.
Sentii le sue braccia stringermi un po' di più, prima di
rispondermi: - Anch'io.-
Mi staccai con riluttanza e, senza dire altro, scesi dall'auto.
Arrivata in casa, mi diressi verso la mia stanza e appoggiai la borsa
sulla scrivania, dopo aver tirato fuori il cellulare. Vidi che c'era un
messaggio da parte di Alessandro. Guardai l'orario in cui lo aveva
mandato: risaliva a qualche ora prima, quando eravamo seduti a
mangiare, ma io non lo avevo sentito.
"Perché
esageriamo sempre? ..Scusami per prima.."
Sorrisi amaramente.
Forse il mio Alessandro non era scomparso, ma era ancora presente,
pronto a scusarsi quando si accorgeva di aver superato il limite.
Perché in fondo noi eravamo questo, litigio, pazzia,
irrazionalità, eccesso. Eravamo come l'acqua e
l'elettricità, non avremmo mai dovuto entrare in contatto,
perché sapevamo i danni che ne sarebbero derivati.
Ma, a volte, la ragione non riesce a dominare gli istinti.
Eppure non riuscivo a togliermi la sua domanda dalla testa.
Perché
esageriamo sempre?
Non si trattava più solo di discussioni, danni, litigi.
Eravamo entrati in un ciclo dal quale non riuscivamo più ad
uscire: avevamo sviluppato una malsana dipendenza l'uno dall'altra per
la quale ci cercavamo sapendo che ci saremmo fatti del male. Pur sapendo che ci
saremmo fatti del male.
Avevamo iniziato a cercarci proprio
per ferirci a vicenda.
Note dell'autrice:
Buonasera! :)
Intanto mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, ma lo studio
interferisce un po' nei miei programmi (fin troppo, direi!).
Poi vorrei ringraziare coloro che hanno inserito la storia tra le
seguite/ricordate/preferite, ovvero:
Afeffa
Beadeisentieri
Imsy
Rosshalde
Eli_17
_Flowers_
_Miss_
AlexDavis
Areis
Claudya10
Gre_Leddy
leonedifuoco
myllyje
paty87
payneslove
viviii93
Non sapete come mi rende felice vedere che ci siete e che leggete,
dandomi supporto. Grazie davvero! :)
Come sempre, se volete, potete lasciare una recensione. Mi farebbe
molto piacere sapere cosa ne pensate.
Cercherò di pubblicare il nuovo capitolo il prima possibile.
Un bacio,
Jane Ale
|
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Capitolo 11 *** Love sucks - L'amore ti succhia l'anima ***
Capitolo 10
Love sucks - L'amore ti
succhia l'anima
Fammi essere forte, forte di sonno e di
intelligenza e forte di ossa e fibra; fammi imparare, attraverso questa
disperazione, a distribuirmi: a sapere dove e a chi dare
[…]. A non essere amara. Risparmiamelo il finale, quel
finale acido citrico aspro che scorre nelle vene delle donne in gamba e
sole.
Non farmi disperare al punto da buttar
via il mio onore per mancanza di consolazione; non farmi nascondere
nell’alcol e non permettere che mi laceri per degli
sconosciuti; non farmi essere tanto debole da raccontare agli altri
come sanguino dentro; come giorno dopo giorno gocciola, si addensa e si
coagula. Sono ancora troppo giovane.
-Sylvia Plath
Il
risveglio del mattino seguente fu decisamente traumatico: avevo dormito
parecchio, ma mi sentivo ancora stanca, la testa minacciava di
scoppiare e la nausa imperversava nel mio stomaco. Mi alzai lentamente,
per evitare che la testa mi girasse e mi diressi in bagno. Quella che
vidi riflessa nello specchio era la figura di un mostro: i capelli
erano completamente disordinati, gli occhi erano contornati dal nero
del trucco, le labbra erano bianche. Se mia madre mi avesse vista in
quel momento, avrebbe pensato di trovarsi di fronte ad un cadavere.
Fortunatamente era già uscita. La domenica andavamo sempre a
mangiare da mia nonna, ma, non volendomi svegliare, mi aveva lasciata a
letto ed era andata da sola. La ringraziai mentalmente almeno un
centinaio di volte.
Feci una doccia calda, mi pulii la faccia dal trucco della sera
precendente, asciugai i capelli con cura e mi infilai una tuta comoda
per stare in casa. Poi mi recai in cucina e, dopo aver mangiato qualche
biscotto, buttai giù un antidolorifico per attenuare il
dolore
alla testa. Dopo un po' mi spostai in camera mia, accesi il computer ed
entrai su facebook per vedere se Roberta fosse in linea. Pochi secondi
dopo una finestra di conversazione si aprì: era Alessandro.
"Posso venire da te?"
Lessi almeno due volte il messaggio prima di capirlo per bene.
"Perché?"
gli chiesi confusa.
"Devo chiederti alcune
cose."
Non ci stavo capendo niente, ma non gli avrei mai detto di no. "Ok."
"Tra dieci minuti parto, ok?"
"Va bene. A dopo."
Solo quando chiusi la conversazione e realizzai che lui
stava
venendo da me per parlare, il panico mi pervase. Non avevo la
più pallida idea di cosa mi volesse chiedere, se fosse
arrabbiato, triste, se la sera precedente avessi detto qualcosa di
strano che non ricordavo.
Passai i venti minuti successivi in uno stato di trance, alternando
sospiri d'ansia a momenti di panico in cui passavo e ripassavo le mie
mani tra i capelli appena lavati. Non reggevo molto bene la tensione in
generale, figuriamoci quando si trattava di Alessandro. Lui riusciva a
rendermi più vulnerabile di quanto non fossi già,
mi
portava ad espormi, a fare i conti con la parte di recondita della mia
mente, quella che rifuggiva la razionalità.
Qualsiasi cosa
avesse dovuto dirmi, sapevo che mi avrebbe portata a pensare e
ripensare per ore, mi avrebbe sicuramente messa in crisi. Mia madre mi
diceva sempre che non dovevo fasciarmi la testa prima di essermela
rotta. Certo, avrebbe avuto ragione se non avessi avuto in previsione
di lanciarmi dalla finestra, ma parlare con lui era come fare un salto
nel vuoto, fasciarsi la testa era d'obbligo, mi sarei sicuramente fatta
male.
Quando sentii
squillare il cellulare sobbalzai. Era uno squillo di Alessandro che,
nel nostro linguaggio, voleva dire che dovevo aprirgli. Feci un respiro
profondo e mi avviai verso la porta. La aprii e mi ritrovai di fronte
la sua figura.
-Ciao.- lo salutai flebilmente. Lui non mi rispose, si
limitò a guardarmi.
-Posso entrare?- mi chiese dopo qualche secondo. Annuii.
Per quale diavolo di motivo stava in silenzio? Voleva parlarmi, no?
Allora perché quel comportamento criptico?
Mi schiarii la gola, sperando che iniziasse a parlare, ma non lo fece.
-Allora?- lo sollecitai. Sì, la pazienza non è
mai stata il mio forte.
-Cat, noi siamo amici, no?- mi chiese retorico.
-Certo.- risposi, anche se così certa non ne ero. Ma, in
fondo,
si trattava solo del mio punto di vista, per lui eravamo amici.
-Quindi se io avessi un problema tu mi aiuteresti a risolverlo?- mi
domandò ancora.
Non ci stavo capendo quasi niente, ma non volevo mostrarmi titubante ai
suoi occhi. -Ovvio che sì!-
Mi fissò per qualche istante, assicurandosi che fossi
completamente sincera. -Potrai reputare stupido quello che sto per
dirti, ma non so con chi parlarne. Hai presente Lilian?-
Non appena sentii pronunciare quel nome mi irrigidii. Come potevo non
aver presente Lilian? Aveva torturato la mia mente per giorni con la
sua immagine da perfetta inglesina, l'avevo odiata con tutta me stessa
e le avevo augurato di rompersi tutte e venti le unghie che possiedeva
in venti dolorosi modi diversi, e lui mi chiedeva se l'avevo presente?
Certo, Alessandro non sapeva questi retroscena che la mia mente aveva
fantasiosamente partorito, in fondo non credeva che io fossi gelosa di
lei, ma soltanto che mi sentissi tradita come amica. Nonostante tutto,
non sopportavo di sentir nominare il nome di quella,
mi rendeva particolarmente nervosa.
-Sì.- fu tutto quello che risposi.
-Ecco, vedi, inizialmente, dopo il ritorno a casa, ho sentito parecchio
la sua mancanza..-
-Me lo ricordo!- lo interruppi un po' troppo bruscamente.
Fortunatamente mi ignorò.
-E ci siamo sempre mantenuti in contatto. Insomma, stamani ho trovato
una sua mail in cui mi chiedeva di andare qualche giorno da lei durante
l'estate. Lo so che è una cosa stupida e, probabilmente, non
capirai, ma io vorrei andare.- concluse tutto d'un fiato.
-E dov'è il problema?- gli chiesi freddamente.
-Ho bisogno di sentire la tua opinione.- mi disse fissandosi le scarpe.
Ero sempre stata convinta del fatto che il mondo avesse un'ironia
propria che, proprio ironica non era, ma avevo dovuto accantonare
l'idea quando mia madre aveva definito i miei pensieri "manie di
persecuzione". In quel momento, però mi dovetti ricredere:
non
solo l'universo aveva sfoderato quella stramaledettissima ironia, ma mi
stava prendendo bellamente per il culo! Brava Caterina, adesso diventi
anche volgare!
-La mia opinione?- La voce uscì un po' più
stridula del
dovuto. Per quanto cercassi di mantenere un'espressione neutra, la mia
voce risentiva della guerra in corso all'interno della mia testa.
Lui mi fissò ed annuì. -Sì, devo
sapere cosa ne pensi.-
-Perché?- gli chiesi con un filo di voce.
-Perché sei la mia migliore amica e credo tu sia la persona
adatta a darmi consigli di questo genere.- "Frase fatta", pensai.
-Perché io? Perché non Emanuele? Anche lui
è il tuo migliore amico e per di più è
un maschio.- continuai.
-Voglio sentire cosa ne pensi tu, non Emanuele.- mi rispose pronto.
-Okay, dunque tu vuoi sapere cosa penso del fatto che Lilian ti abbia
invitato da lei quest'estate. Bene, credo sia una grandissima cazzata.-
gli risposi con estrema calma. Voleva la mia opinione? Certamente non
gli avrei mentito, non era mai stato nel mio carattere evitare di dare
risposte sincere. Eppure mi sentivo così meschina: lui si
apriva con me e mi dava fiducia, mentre io pensavo solo a me stessa
assecondando i miei interessi. Maledetto senso di colpa!
-Insomma..- continuai prima che lui potesse replicare. -Più
che una cazzata ritengo che sia improduttivo e deleterio per te. Non
puoi negare di esserti affezionato a lei, sono convinta che, anche se
non lo vuoi ammettere, ti manca ancora. Che senso avrebbe andare da lei
per poi stare male dopo? Sai che questa storia non potrebbe avere
futuro.- conclusi e, questa volta, sinceramente.
-Lo so, ma non posso farci niente. Da una parte so che andando
commetterei uno sbaglio, ma dall'altra..-
-Ale, so che vuoi il mio aiuto e sono più che disposta a
dartelo, ma non sono in grado di dirti ciò che vorresti
sentirti dire.- gli confessai. Mi dispiaceva non poter essere per lui
quell'amica che avrebbe voluto, ma non potevo ignorare quello che
provavo per lui, sarebbe stato controproducente, per me in particolare.
-Sì, forse hai ragione.. Ma riflettici, Cate: cosa ci
sarebbe di male se io andassi da lei e poi al ritorno mi mettessi
l'anima in pace? Non farei del male a nessuno e, invece di dimenticarla
adesso, lo farei con qualche mese di ritardo!- disse con un tono
entusiasta.
Povero Ale, era così ingenuo! Nel suo essere maschio non
aveva ancora capito che i sentimenti non funzionano come la play
station: non puoi mettere tutto in pausa per fare merenda, per poi
riprendere il gioco esattamente dallo stesso punto qualche ora
più tardi! Più vai avanti, più
ciò che provi si solidifica e mette le radici dentro di te.
Io lo sapevo bene.
-Ale, sai che non è questa la soluzione, non funziona
così. Per favore, pensaci bene.- lo pregai.
-Ma io ci ho pensato.- mi rispose serio.
Era nei momenti come quello, nei quali passava improvvisamente
dall'essere il mio Ale all'impersonare un mostro sconosciuto, che mi
chiedevo chi fosse veramente e quanto davvero lo conoscessi.
-Allora prendi le tue decisioni da solo!- gli dissi, alterandomi. -Non
capisco per quale motivo ti rivolgi a me se non posso dirti quello che
vorresti!-
-Me lo chiedo anch'io!- mi rispose lui. Lo guardai: mi stava fissando
con un'espressione arrabbiata sul volto. Lui era arrabbiato? Cosa si
aspettava da me? Lo aveva voluto lui, io ero semplicemente stata
sincera, non aveva nessun diritto di arrabbiarsi. Con un cenno gli
indicai la porta. -Te ne puoi andare.- gli dissi tagliente.
Vidi un lampo di consapevolezza passare nei suoi occhi. -No Cate, non
intendevo questo.. Non voglio che tu mi dica quello che mi voglio
sentir dire, ma avrei bisogno del tuo aiuto senza che tu mi tratti come
un deficiente.-
Avrei davvero dovuto buttarlo fuori, ma non riuscivo a non
rispondergli. -Non ti ho trattato da deficiente! Non l'ho mai fatto in
cinque anni di amicizia, non vedo perché avrei dovuto farlo
adesso! Dico solo che se non riesci ad accettare la mia opinione,
è inutile che tu pretenda il mio aiuto.-
-Forse mi rivolgo a te proprio per questo, forse non voglio sentirmi
dare ragione, ci hai mai pensato?- mi chiese.
-In quel caso non dovresti prendertela con me se ti dico che stai
affrontando i tuoi sentimenti nel modo sbagliato.- Mi pentii quasi
subito di essere stata così brusca, di nuovo.
Mi riservò un'occhiata di disprezzo puro. -Almeno i miei
sentimenti sono riservati ad esseri umani, non ad oggetti!-
-Cosa intendi dire?- gli chiesi furiosa.
-Guardati Caterina: sei una nebulosa di emozioni indisciplinate, non
riesci ad avere rapporti con gli altri semplicemente perché
non riesci ad accettare te stessa. Ma invece di provarci, ti chiudi nel
tuo mondo insieme ai tuoi libri e alle tue immagini di città
che non potrai mai visitare! Non dirmi che sto affrontando i miei
sentimenti nel modo sbagliato, non renderti ridicola in questo modo!-
Le sue parole mi si rovesciarono addosso come un fiume in piena: non si
era risparmiato nessun difetto della mia personalità. Tutti
colpi centrati e ben assestati, uno dopo l'altro mi avevano colpita in
quella zona della cassa toracica sopra lo stomaco, vicino ai polmoni,
lì dove tutte le emozioni erano concentrate.
Quella volta non dissi niente: aprii la porta e gli feci cenno di
andarsene. Lui, senza una parola, uscì.
Non avevo mai creduto all'espressione "l'amore ti succhia l'anima",
ma mi dovetti ricredere.
Quella volta lui si era davvero portato via una parte di me.
-Note dell'autrice-
Salve! :)
Non so come mai mi ritrovo a scrivere sempre le stesse cose, ma devo
assolutamente scusarmi per il ritardo nella pubblicazione. Questo
capitolo è stato davvero difficile da scrivere e il
risultato non è neppure dei migliori.
Nonostante questo sia quasi noioso, nei prossimi capitoli questi due
pazzi sconsiderati faranno il "botto".....sperando non nel vero senso
della parola! :P
Ringrazio le 8
persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le 3 che l'hanno
inserita tra le ricordate e le 17
che la seguono. Grazie mille, non sapete come mi rende felice vedere
che c'è qualcuno che apprezza! :')
Un grazie particolare va a 00ebano00,
che è stata così gentile da condividere con me i
suoi pensieri e le sue opinioni. Grazie davvero!
Come sempre, se avete voglia di lasciare una piccola recensione ne
sarò felice. :)
Un bacio,
Jane Ale
|
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Capitolo 12 *** Perfezione ***
Capitolo 11
Perfezione
Scema.
Se pensavo a quello che avevo appena accettato di fare non potevo che
darmi della scema. Odiavo uscire, odiavo le discoteche, odiavo le
persone e, dopo i recenti avvenimenti, non potevo che odiare anche i
compleanni. Eppure non avevo potuto dire di no ad Emanuele, era stato
così gentile ad invitarmi per festeggiare i suoi 18 anni in
una
famosa discoteca poco distante dalla nostra città. Ero
proprio
una rottura di palle, non c'è che dire.
Smisi di farmi inutili pensieri e iniziai a vestirmi: indossai un
semplice vestitino rosa scuro aderente e un paio di scarpe con il tacco
nere; poi ci abbinai una pochette nera ed una giacca dello stesso
colore. Non mi sentivo per niente a mio agio quella sera, non volevo
uscire e, nonostante mi fossi preparata con estrema cura, mi sentivo
distante anni luce. Sentii il telefono vibrare e vidi che era uno
messaggio di Giovanni.
Ci sono.
Era stato così gentile ad offrirsi di guidare quella sera,
aveva
persino insistito per venirmi a prendere a casa. Quel ragazzo era
così dolce e comprensivo che non potevo fare a meno di
provare
un certo affetto nei suoi confronti, non sapevo perché ma
credevo di volergli bene. Scesi le scale stando attenta a non cadere
dai trampoli che avevo ingenuamente indossato e mi diressi verso l'auto
di Giovanni.
Aprii lo sportello e feci per salutare, ma le parole mi morirono in
gola: Alessandro se ne stava comodamente disteso sui sedili posteriori
con il suo solito sorrisetto stampato sul viso. Sorrisetto che
scomparve non appena mi vide.
-Ciao Cate!- mi salutò gentilmente Giovanni mentre salivo
sull'auto.
-Ciao a tutti! E tanti auguri Ema!- dissi sporgendomi verso il
festeggiato seduto accanto a Giovanni e stampandogli un bacio sulla
guancia.
-Guarda che ti si vede tutto!-
Mi voltai verso Alessandro che mi stava palesemente fissando il sedere.
-Eh?- chiesi incapace di formulare una frase completa.
-Ho detto che ti si vede tutto, quel vestito non copre niente e tu sei
così scema da tirarlo ancora più su.- disse tra
l'annoiato e il disgustato.
-Non sono scema!- risposi adirata. Ma come si permetteva di giudicarmi?
-Sì che lo sei e sei anche un'esibizionista di m...-
-Sei uno stronzo! Smettila! Le tue sono offese gratuite e non le
merito. Cosa vuoi dalla mia vita, Alessandro? Se ti faccio tanto schifo
puoi sempre andartene, come fanno tutti in un modo o nell'altro!-
-Infatti, è la soluzione migliore!-
Sentii le lacrime affiorare, ma le ricacciai indietro. Stavo per
rispondergli, quando Emanuele parlò con tono arrabbiato:
-Adesso basta! Smettetela subito! Non rovinerete la serata con i vostri
stupidi litigi! Avete rotto, siete sempre a discutere e nessuno di noi
è disposto a sopportarvi ancora. Trovate una soluzione,
uccidetevi, allontanatevi, scopate..non
mi interessa, ma smettete di litigare!-
Non avevo mai sentito Emanuele rivolgersi a qualcuno in questi termini
e mai avrei pensato di essere io la destinataria di un tale discorso,
ma non potevo dargli torto: i nostri litigi erano così
esasperanti e, evidentemente, non era facile neppure per i nostri
amici. Non sapevo come rispondere, avrei preferito rimanere in silenzio
per il resto del viaggio, ma Alessandro non perse l'occasione per dire
una cazzata delle sue.
-Io non me la porterei mai a letto, è una pazza isterica,
l'hai vista?-
Avrei potuto tacere, lasciar cadere il discorso, avrei potuto fare la
persona matura, ma non lo feci. Perché? Perché
avrebbe
potuto dirmi di tutto, ma non che non sarebbe mai potuto venire a letto
con me.
-Io sarei una pazza isterica? Sei tutto scemo! E comunque sarei io a
non voler venire a letto con te, non mi piacciono le cose usate!-
Alessandro stava per rispondere, ma Emanule fu più veloce:
-Giovanni, fermati!-
-Ma Ema, siamo quasi arrivati, che vuoi fare?- chiese Giovanni
preoccupato.
-Falli scendere, loro ci raggiungono a piedi. Avanti, scendete, vi
farà bene un po' d'aria!-
Il tono di Emanuele non ammetteva repliche, così fummo
costretti ad obbedire.
Scendemmo dall'auto e la guardammo ripartire in silenzio, poi
Alessandro si voltò e cominciò a camminare nella
direzione della discoteca senza neppure guardarmi.
-Ehi, dove vai? Abbi almeno la compiacenza di aspettarmi!- gli urlai
mentre tentavo di raggiungerlo, per quanto quei trampoli infernali me
lo permettessero.
-Io vado a festeggiare il compleanno del mio migliore amico, tu fai
ciò che vuoi, ma non pensare che ti aspetti.- mi rispose con
disprezzo.
-Sei un bastardo!- gridai con rabbia. In realtà non avevo
motivo
di urlare poiché Alessandro era solo qualche metro avanti a
me,
ma le sue parole mi agitavano troppo. Che novità..quando
qualcosa che lo riguardasse non mi aveva agitata?
-Caterina, ti dico una cosa: mi hai rotto il cazzo! Non ne posso
più di te, dei tuoi lamenti, dei litigi, basta!-
Quante volte dovrai
cadere prima di imparare a rialzarti? Quante volte lascerai che gli
altri ti calpestino?
Erano tutte belle domande quelle che la mia mente aveva deciso di pormi
in quel momento, solo che io non avevo le risposte. E probabilmente non
le avrei mai avute, non se si trattava di lui.
Presi a camminare in silenzio, lo sorpassai guardando dal lato opposto
e pregai le mie facili lacrime di non scendere proprio in quel momento.
Non guardai indietro, non volevo vederlo; avevo fatto giusto qualche
metro quando il mio piede destro scivolò su qualcosa di
viscido
e io caddi a terra. Se fino a quel momento ero stata delusa e
arrabbiata, iniziavo a sentirmi anche umiliata e stanca della piega che
la mia vita aveva preso.
Sbuffai e feci per realzarmi, ma due braccia estranee mi afferrarono e
mi rimisero in piedi. Avevo visto soltanto le mani, ma mi erano
bastate: Ale. Non ebbi il tempo di voltarmi per guardarlo,
perché mi strinse a sé.
Mi aggrappai alle sue braccia mentre sentivo il suo petto aderire
perfettamente alla mia schiena: era una sensazione indescrivibile, di
completezza, di finitudine.
-Ale..- mugolai.
-Cate, così non ce la faccio.- mi disse con tono implorante.
Non
capii cosa volesse dire, non riuscivo a collegare le sue parole, a
dargli un significato. Mi girai per guardarlo in faccia.
Mi fissava, serio, con lo sguardo fisso e lucido. Era strano,
concentrato...combattuto.
Il mio istinto mi diceva che avrei dovuto starmene in silenzio, ma la
mia boccaccia non era d'accordo, doveva per forza esprimere tutti
quegli interrogativi che vorticavano freneticamente nella mia testa.
-Che vuol dire che non ce la fai? A fare cosa?-
Avvicinò il suo viso al mio, lo avvicinò pericolosamente al
mio, fino a quando i nostri nasi si sfiorarono.
Sentivo il suo respiro sulle mie labbra serrate e non ci voleva un
genio per capire quello che sarebbe successo di lì a poco.
Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma i muscoli non
rispondevano ai miei comandi. E mentre i miei meuroni lavoravano senza
sosta, sentii le sue labbra sfiorare le mie e fu la fine.
Era tutto così caotico: io lo volevo, lui mi stava baciando,
ma
c'era qualcosa di remoto che non riuscivo a ricordare che mi diceva che
dovevo oppormi. Era una sensazione forte,
quasi più del desiderio che provavo nei suoi confronti.
E, forse, fu proprio quella sensazione a darmi la forza di allontarmi
da lui quando sentii le sue labbra schiudersi a contatto con le mie.
Indietreggiai senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
-Che diavolo è successo?- mi chiese più sorpreso
che arrabbiato.
-Non è successo niente.- dissi più a me che a lui.
-Caterina, guardami!-
Scossi la testa.
-Cate..-
Feci un respiro profondo e alzai la testa. Mi fissava con una strana
espressione sul volto, sembrava delusione.
-Perché ti sei allontanata?- mi chiese diretto.
-Perché è giusto che sia così, non
sono io quella
che vuoi. E tu mi piaci, penso che sia chiaro, ma non potevo lasciare
che tu mi baciassi solo per un capriccio.- gli dissi con
sincerità.
-Sì, l'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo.
-Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli
chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti
voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di
me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale,
non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.-
Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi
ero fatta molto male, più di quello che credevo.
-Andiamo, gli altri ci stanno aspettando.-
Quando arrivammo davanti alla discoteca, trovammo Emanuele e Giovanni
ad aspettarci insieme a Roberta, Isa e Vittoria. Durante il tragitto a
piedi non ci eravamo parlati, mi aveva fatta appoggiare al suo braccio
a causa dei tacchi, ma il tutto in silenzio. Non appena vidi i nostri
amici tirai fuori l'ennesimo sorriso falso. Non ci fu bisogno di
spiegare alle ragazze il perché fossimo arrivati a piedi,
evidentemente Emanuele aveva provveduto a farlo.
-Finalmente! Entriamo che è già tardi.- ci disse.
Perlomeno, notai, aveva recuperato il sorriso.
Ci mettemmo in fila per entrare nel locale; ero accanto a Roberta
quando sentii Alessandro sussurrarmi all'orecchio: -Cate, il discorso
di prima non è finito.-
Annuii, deglutendo con fatica.
-Tutto bene?- mi domandò Roby guardandomi strana.
-Si, certo.- le risposi tentando l'ennesimo sorriso.
-Okay, spara.- mi disse lei afferrandomi per un polso e trattenendomi
in fondo alla fila.
-Roby, dobbiamo entrare.-
-Riassumi.- mi ordinò.
Sbuffai prima di cedere. -Ho litigato con Ale, Emanuele ha voluto che
venissimo a piedi, mi ha quasi baciata, mi sono tirata indietro.-
-Ti ha quasi cosa?- mi chiese sgranando gli occhi.
-Mi ha quasi baciata.- le confermai. -Ah, è anche attratto
da me, ma non prova niente.-
-Io..tu..cioè..-
-Roby, non preoccuparti, recupera l'uso della parola, ne discutiamo
poi.-
La discoteca era veramente grande, se fossi stata da sola mi sarei
sicuramente persa alla ricerca della sala giusta. Fortunatamente il
tavolo che Emanuele aveva prenotato si trovava nella prima sala. Ci
sedemmo e ordinammo da bere al cameriere. Non volevo esagerare quella
sera, non avevo dimenticato il compleanno di Marica, ma soprattutto non
avevo dimenticato l'effetto che l'alcol aveva su di me.
Quando le bevute arrivarono brindammo tutti insieme, poi consegnammo ad
Ema il nostro regalo di compleanno: si trattava di un biglietto per
l'Islanda; sua sorella abiatava lì da qualche anno, ma lui
non era ancora andato a trovarla, così avevamo pensato che
con l'arrivo dell'estate gli avrebbe fatto piacere rivederla. Fu molto
contento della nostra idea e per festeggiare ordinò un altro
giro di bevute. Non rifiutai, ma subito dopo aver bevuto trascinai
Roberta a ballare.
Non ero certamente ubriaca, ma mi sentivo leggera, avevo voglia di
ballare e di non pensare.
Roberta era della mia stessa idea, lo vedevo dalle sue mosse di ballo
inventate sul momento che scatenavano le risa di entrambe.
Non sapevo da quanto tempo ballavamo quando gli altri si unirono a noi;
dall'allegria di Emanuele e dal braccio che andò a posarsi
intorno al collo di Roberta, dedussi che nel frattempo avessero bevuto
un bel po'. Mi guardai intorno per cercare Alessandro, chiedendomi il
perché non fosse con gli altri; stavo per domandarlo a
Giovanni, ma due braccia mi avvolsero da dietro.
-Chi cerchi, bella bionda?-
Come tutte le volte in cui sentivo la sua voce, sobbalzai.
-Nessuno.- risposi poco convinta.
-Io dico che mi stavi cercando.- mi sussurrò malizioso
all'orecchio.
-E io dico che sei presuntuoso.-
Non dovevo stare al suo gioco, sarei finita sicuramente male. Non ero
in condizioni di giocare, ma la coerenza era sempre stata una
caratteristica mancante nella mia persona.
Mi sentii voltare, le sue mani andarono a posarsi sui miei fianchi
mentre i suoi occhi cercavano i miei.
-Cate, non scherzare con me, non ora.- mi disse serio.
-Perché?- gli domandai sorridendo allusivamente. Masochista, ecco la
parola che rimbombava nella mia mente.
-Perché non sono nelle condizioni di controllarmi.- rispose
Ale.
Dovevo andarmene, dovevo allontanarmi, dovevo tornare a casa. O meglio,
avrei dovuto.
In effetti quella sera avrei dovuto fare tante cose, ma quello che
realmente feci fu l'esatto contrario di ciò che era giusto.
-Allora non farlo.- fu la mia risposta.
Le sue mani si spostarono più in basso sul mio fondoschiena
e mi avvicinarono a lui. Per la seconda volta in una sera il mio naso
si trovò a contatto con il suo, le mie labbra sfiorarono le
sue.
-Non incasinarmi.- mugolai.
Poi la sua lingua toccò delicatamente il mio labbro
inferiore e non capii più niente.
Qualche secondo dopo le nostre lingue si rincorrevano freneticamente,
danzando alla perfezione.
Mi sentivo completa mentre esploravo la sua bocca, mi sentivo completa
mentre le mie mani si insinuavano dolcemente tra i suoi capelli, mi
sentivo completa mentre mordicchiava le mie labbra ridendo. Tutti i
pezzi che mi trascinavo dietro da mesi, improvvisamente, si erano
ricomposti.
Era la perfezione.
Note
dell'autrice:
Salve! :)
Mi scuso per l'enorme ritardo (in effetti "enorme" è un
eufemismo), ma ho avuto parecchi problemi: tra l'esame di
maturità e le difficoltà a parlare ancora di Ale
e Cate, la stesura del capitolo è stata veramente difficile.
Lo so che non è un granché come capitolo, ma il
vero Alessandro mi ha dato così tanto filo da torcere e
anche quello di carta ha deciso di seguire le sue orme. D:
Scusate davvero.
Comunque sia, ringrazio tutte coloro che seguono/preferiscono/ricordano
la storia perché mi danno tanta forza. Un immenso grazie va
anche a coloro che mi hanno spronata a continuare "Frammenti". Siete
fantastiche! :)
Se vi va, sarei felice di sapere cosa ne pensate.
Baci,
Jane
|
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Capitolo 13 *** Attrazione ***
Capitolo 12
Attrazione
Arrivai
a casa alle quattro quella notte. Fortunatamente mia madre non mi
sentì rientrare, altrimenti mi avrebbe fatto una bella
ramanzina. In quel momento, però, non me ne importava molto:
continuavo a pensare ad Alessandro, al bacio, alle facce sorprese dei
nostri amici quando ci eravamo staccati dopo un bel po' di tempo;
continuavo a pensare a quando si era avvicinato al mio orecchio e mi
aveva detto con aria maliziosa "La prossima volta non portare la mia
sopportazione al limite"; continuavo a pensare a quando, prima di
allontanarsi, aveva stretto il mio fondoschiena con un gesto che di
galante non aveva niente, ma che aveva accelerato i miei battiti
cardiaci all'inverosimile. Rabbrividii.
Mi lavai e struccai velocemente, infilai il pigiama e mi distesi sul
letto. Guardai il cellulare.
2 messaggi ricevuti.
Il primo era di Roberta: "Domattina alle dieci sono da
te. Mi devi raccontare e ho bisogno di parlarti. :) Notte ciccia."
Le risposi velocemente, poi passai al messaggio
successivo. Non c'era bisogno di immaginare il mittente: era lui.
"Inutile dire che non
sono per niente
coerente. Vorrei dirti che mi dispiace, ma sarebbe una cazzata
perché non mi è dispiaciuto affatto. Dormi bene,
bionda.
:*".
Respirai profondamente, aspettai che le mani smettessero di tremare e
poi risposi: "Nemmeno
a me è dispiaciuto, se devo essere sincera. Però,
Ale
domani vorrei che ci vedessimo per parlare. Ok? Ti voglio tanto bene."
La risposta arrivò subito. "Ok, passo a prenderti nel
pomeriggio. Anch'io Cate. A domani."
Posai il cellulare sul comodino e mi addormentai con un sorriso da
ebete stampato sulla faccia, ignara del fatto che la luce del giorno
porta con sé ciò che la notte scaccia facilmente:
consapevolezza e realtà.
-Allora, fammi capire bene: lui non prova niente per te,
però
c'è dell'attrazione e qualche ora dopo aver stabilito
ciò
vi siete attaccati come due polipi? Non c'è male.- riassunse
Roberta sarcastica, dopo che le avevo raccontato dettagliatamente cosa
era successo la sera precedente.
-Roby, non usare quel tono. Lo capisco, è solo un po' di
attrazione.- le dissi.
-Un po'? Se fosse stata "tanta attrazione" vi sareste spogliati nel
mezzo della sala, allora?- domandò incredula.
-Se fosse stata "tanta attrazione", come dici tu, se ne sarebbe accorto
prima. Comunque nel pomeriggio abbiamo fissato per vederci, quindi
chiariremo. Ma ora dimmi, di cosa volevi parlarmi?- le domandai felice
di cambiare un po' discorso. Troppi pensieri su Alessandro mi mandavano
in confusione.
-Beh..- cominciò lei arrossendo. -Devo dirti una cosa.-
Spalancai gli occhi. -Roberta, sei arrossita!-
-Cavolo Cate, non è semplice. Insomma, c'è un
ragazzo che
mi viene dietro, diciamo. Ci ha provato più volte, ma io non
so
come comportarmi.- disse senza guardarmi negli occhi.
-E qual è il problema? Non sai se ti piace?- le chiesi.
-Sì..cioè no..non solo. Potrebbe essere
complicato, ecco.-
-Roby, spiegati meglio.- la incoraggiai.
-Questo ragazzo non è un ragazzo normale. Cioè
non in quel senso, ma..-
-Roberta, lo conosco?-
-Si.- rispose sbuffando sonoramente.
Le sorrisi. Credevo di aver capito il motivo per cui era tanto in
difficoltà.
-Emanuele?- tentai. La velocità con cui i suoi occhi si
spalancarono me lo confermò.
-Come lo sai?- domandò boccheggiando.
-Sono una brava osservatrice.- le risposi con un sorriso. -Prima al
compleanno di Marica, poi ieri sera. Ho visto come ti guarda, come ti
cerca e come tenta di abbracciarti in ogni occasione. Non ci voleva un
genio.-
-Ecco, non so cosa fare. Ieri sera siamo rimasti soli per un po' e lui
ha tentato di baciarmi, ma io sono scappata. Ero nel panico.-
-Ti piace?- le chiesi.
-Forse.-
-Ovvero?-
-Credo di sì.- rispose.
-E allora buttati, Roby. Tentar non nuoce.- Ma come ero saggia quando
si trattava della vita degli altri.
-Ma ci conosciamo!- obiettò lei.
-E allora? Potrebbe essere un fattore positivo, no?-
Mi sorrise. Era un sì.
Scendi, ci sono.
Il messaggio di Alessandro mi fece agitare più di quanto non
lo
fossi già. Mi ero preparata con calma, cercando di non
pensare a
quello che era successo la sera prima, ed ero quasi riuscita a
respirare normalmente prima del suo arrivo. La consapevolezza che fosse
sotto casa mia, però, mi gettò nel panico. Mentre
scendevo le
scale mi ripetevo mentalmente "inspira, espira, sorridi, inspira,
espira, sorridi". Attraversai la strada e salii sulla sua auto senza
guardarlo.
-Ciao.- lo salutai.
-Ehi.- mi disse con un sorriso tirato.
-Tutto bene?-
Annuì. -Dove andiamo?-
-Dove vuoi, Ale.-
-Non predere mai decisioni tu!- mi disse sorridendo.
-No, meglio di no. Combino troppi disastri.-
Restammo in silenzio fino a quando Ale non parcheggiò sul
lato
sinistro di una stradina di campagna: ci eravamo allontanati un po'
dalla città e non sapevo dove ci trovassimo esattamente, ma
in
quel momento non mi importava nemmeno.
Stavo per parlare, ma lui mi precedette.
-Cate, mi dispiace. Mi avevi detto che non volevi casini e io ho fatto
l'esatto opposto. Ho sbagliato, non dovevo forzarti, scusami.- disse
tutto d'un fiato.
-Che stai dicendo, Ale?- Non ci capivo un accidente.
-Sto dicendo che non avrei dovuto baciarti, mi hai anche chiesto di non
incasinarti e, nonostante ciò, l'ho fatto. Sappiamo entrambi
che
non posso darti quello che vorresti, ma sono stato così
deficiente da cedere all'attrazione.-
Oh, pensai.
-Oh!- dissi ripetendo l'unica cosa che circolava in quel momento nella
mia testa.
Solo attrazione. Lui aveva ceduto all'attrazione. Era logico, me lo
aveva anche detto. Eppure avevo una fitta perpetua all'altezza dello
stomaco che non mi dava la possibilità di parlare.
Notando il mio silenzio continuò: -Non riesco a spiegarlo
perché è strano, mi sento davvero attratto da te
in una
maniera incredibile e non so neppure da dove sia uscita questa cosa.
Non mi era mai successo di volere qualcuno come volevo te ieri sera,
infatti ho ceduto.-
Continuai a tacere. Adesso
arriva il bello. Tre, due, uno..
-Però io credo che sia solo attrazione, niente
di
più. Per questo ci tenevo a dirtelo: la nostra amicizia per
me
è più che importante e non voglio che si rovini
perché ho fatto una cazzata.-
Oh beh, dunque era stata una cazzata. Non riuscivo a formulare un
pensiero, una parola, non riuscivo ad emettere neppure un suono. Ero
diventata vuota,
fatta d'aria.
-Cate, parla.- mi incitò.
Mi voltai verso di lui, slacciai la cintura di sicurezza per poterlo
guardare meglio e lo osservai. Non esaminai i particolari del suo viso
come facevo sempre, non mi soffermai sui suoi occhi, non guardai la
consistenza delle sue braccia. Mi limitai ad osservarlo, immobile. Poi
parlai.
-Hai ragione.- dissi semplicemente.
Mi guardò, chiaramente sorpreso. -Eh?-
-Ho detto che hai ragione. Quella che c'è tra di noi
è solo attrazione.-
Mi interruppe. -Ma avevi detto..-
-Mi sono sbagliata.- dissi fermamente. -E siccome non ho intenzione di
abbassarmi ad essere una squallida trombamica,
credo che, finché questa storia non sarà finita,
dovremmo
procedere con cautela perché anch'io ci tengo alla nostra
amicizia, è una delle poche cose che ho.-
-Non ti avrei mai proposto di essere trombamici, non lo avrei mai
fatto, Cate.- mi disse con una nota amara nella voce.
-Voglio sperare.-
-Cosa intendi con "procedere con cautela"?- mi domandò poi.
-Che non possiamo più comportarci come abbiamo fatto fino ad
adesso. Se ci sono situazioni che possono mettere a rischio la nostra
stabilità, dobbiamo evitarle. In altre parole, non dobbiamo
saltarci addosso come ieri sera.- conlusi cercando di scacciare il
magone che si era formato nella mia gola.
-Sono d'accordo.- disse.
Rimanemmo qualche secondo in silenzio, fissando le colline di fronte a
noi.
-Vuoi che ti riporti a casa?- mi chiese dopo un po'.
-Si, grazie.-
Durante il tragitto di ritorno inviai un messaggio ad una persona che,
ero certa, mi avrebbe ascoltata ed aiutata in quel momento di
confusione estrema.
Hai voglia di fare una
chiacchierata? :) Ho bisogno dei tuoi consigli.
Non potevo disturbare Roberta, aveva già i suoi
problemi a cui pensare. La risposta arrivò poco dopo.
Certo. :) Ti passo a
prendere verso le 21:30 ed andiamo in gelateria?
Risposi affermativamente e misi via il cellulare. Poco
dopo Ale si fermò sotto casa mia.
-Grazie Ale. Ci sentiamo.- lo salutai. Mentre stavo per aprire lo
sportello mi richiamò.
"Mi manca la scena da film!"
-Abbracciami Cate.- mi disse.
Avvolsi le braccia intorno al suo torace e posai la testa nell'incavo
del suo collo; le sue mani si posarono alla base della mia schiena
massaggiandola dolcemente. Emisi un leggero sbuffo misto ad un mugolio
di protesta. Non poteva fare così, non ce l'avrei fatta.
-Perché è così difficile?- mi chiese
cogliendomi alla sprovvista.
Agii d'istinto e portai una mano tra i suoi capelli. -Potrebbe essere
tanto semplice.-
Sospirai e poco dopo lui fece lo stesso. Lo sentii avvicinarmi di
più a lui, per quanto l'auto lo permettesse. Gli lasciai un
leggero bacio nel collo e lui fece lo stesso tra i miei capelli.
Alzai lo sguardo e i nostri occhi si incrociarono. Solo per un attimo,
un lunghissimo e maledettissimo attimo, pensai di mandare tutti i miei
buoni propositi all'aria e baciarlo. Ma per quanto l'attimo fosse stato
lungo, non lo fu abbastanza da farmi dimenticare il dolore all'altezza
dello stomaco.
-Così non funziona. Scusa Ale, è meglio che vada-
dissi staccandomi da lui.
-Cate, aspetta.-
-No, non aspetto un cazzo, Alessandro. Sono una stupida, capisci? Non
posso e non devo cedere, ma stai rendendo tutto così
complicato.
Perché hai voluto che ti abbracciassi? Volevi che fossi io
la
prima a lasciarsi andare, eh? No, no e no. Non ce la faccio.- Ormai
stavo urlando.
-No, io avevo bisogno di sentirti.-
Una scossa di eccitazione mi percosse da capo a piedi, ma non era
quello il momento giusto.
-Ale..- sussurrai. Sentii le difese abbassarsi.
-Cate, ho voglia di baciarti.- mi disse lui avvicinandosi.
Non l'avrei fermato, non questa volta. Mi sarei condannata, su questo
non c'erano dubbi.
Eppure qualcuno decise di salvarmi, perché il suo telefono
squillò.
-Mamma, arrivo.- rispose lui freddamente.
Afferrai la mia borsa ed uscii dall'auto. Quando riattaccò
si girò a guardarmi.
-Caterina..-
-Stai zitto, Ale. Non complicare le cose più di
così, ti prego.-
Annuì. -Ciao, allora.-
-Ciao.- gli dissi forzando un sorriso.
Mi allontanai e mi voltai per andare verso casa. Non sentii l'auto
ripartire e, quando arrivai al portone, vidi che era ancora
lì.
Dovetti raccogliere tutta la forza che avevo per non correre di nuovo
da lui. Entrai in casa velocemente, salii le scale e corsi in camera
mia. Mi buttai sul letto e soffocai un grido sul cuscino.
Sentii il cellulare che suonava da dentro la borsa, lo afferrai e
guardai chi mi stava chiamando.
Ale.
Avrei scommesso tutto che fosse ancora giù e
che mi
volesse dire di scendere di nuovo. Rifiutai la chiamata, misi il
silenzioso e mi diressi verso il bagno per fare la doccia. Sotto il
getto dell'acqua calda chiusi gli occhi e cominciai a canticchiare.
"And we will never be
alone again
'cause it doesn't happen every day, kinda counted on you being a
friend, can I give it up or give it away? Now I thought about what I
wanna say but I never really know where to go, so I chained myself to a
friend 'cause I know it unlocks like a door."
Nota:
La canzone finale è Instant Crush dei Daft Punk ft. Julian Casablancas.
La parte citata, in traduzione, sarebbe: "E non saremo più
soli
di nuovo perché non accade tutti i giorni, contavo quasi che
tu
fossi mio amico, posso rinunciarci o buttarlo via? Ora pensavo a quello
che voglio dire, ma non so davvero dove andare, quindi mi sono
incatenata ad un amico perché so che apre come una porta."
Note dell'autrice:
Salve a tutti! :)
Come va? Questa volta sono riuscita a concludere il capitolo in tempi
decenti, fortunatamente.
Avete visto che le cose tra Caterina ed Alessandro sono un po' sfuggite
al loro controllo: Caterina è sull'orlo di un crollo emotivo
(per dirla tragicamente :D), Alessandro, invece, è un po' in
balia degli ormoni.
Inoltre la ragazza ha inviato un messaggio a qualcuno: a chi pensate
sia diretta la "richiesta di aiuto"? Non è molto difficile
da
capire. Lei in questo momento ha bisogno di un amico, perché
Alessandro è un po' assente sotto quel punto di vista,
quindi
sta cercando un solido appiglio.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le
seguite/ricordate/preferite. Mi rendete veramente felice. GRAZIE :)
Come sempre, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate con una piccola
recensione, se vi va.
Baci,
Jane.
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Capitolo 14 *** Logica e non-logica ***
Capitolo 13
Logica e non-logica
-Allora, mi vuoi
dire il vero
motivo per cui mi hai voluto vedere?- mi chiese Giovanni sorridendo
come suo solito.
Sbuffai. -Ok, hai ragione, è inutile girarci intorno: ho
bisogno di un tuo consiglio.- ammisi.
-Alessandro?-
-Già.- confermai.
-Le cose si sono complicate dopo ieri sera, eh?- mi domandò.
-Beh, era logico. Ma non è stato tanto il bacio di ieri,
quanto
quello che mi ha detto oggi quando ci siamo visti per "chiarire". Mi ha
confusa immensamente.- Sospirai.
-Come ha giustificato il fatto che ti abbia baciata?-
-Attrazione. Soltanto una fottutissima dose di attrazione che,
improvvisamente, gli fa venire voglia di saltarmi addosso. Logico, no?-
risposi acida.
Giovanni mi accarezzò delicatamente i capelli per consolarmi
e
io appoggiai la testa sulla sua spalla sbuffando come un treno a vapore.
Molto spesso mi sembrava di tornare ad essere la piccola bambina
viziata che ero stata durante la mia infanzia: sbuffavo se i miei
genitori non mi facevano fare quello che volevo, battevo i piedi se non
mi compravano la Barbie che desideravo da tanto e piangevo se dovevo
affrontare situazioni e persone nuove. E anche in quel momento lo stavo
facendo, mi stavo lamentando perché, nonostante avessi
baciato
Alessandro, quella non era la situazione che avevo sognato di vivere.
Avevo sempre desiderato che mi baciasse e che fosse innamorato di me,
ma non avevo mai fatto i conti con il fato: il mio
desiderio era stato esaudito...per metà.
-Cate, hai mai pensato che forse Alessandro potrebbe essere confuso
quanto te?- mi domandò Giovanni con un tono di voce basso e
pacato, quasi temendo una mia reazione.
In effetti il pensiero che Ale fosse confuso mi sembrava alquanto
ridicolo e piuttosto offensivo nei miei confronti, ma non volevo certo
rispondere male a Giovanni che era lì per me,
così
risposi con calma. -Cosa intendi?-
-Voglio dire che, forse, quello che Ale prova per te non è
solo
attrazione. Probabilmente non sa neppure lui cosa sia ed è
spaventato da questa "cosa" nuova. Pensaci, non è strano che
così, all'improvviso, lui sia attratto da te a tal punto?-
Il ragionamento di Giovanni non avrebbe fatto una piega se il ragazzo
in questione non fosse stato Ale, ma siccome lo conoscevo
più
che bene, ero certa del fatto che la sua fosse attrazione. E basta.
-Ammetto che il fatto che i suoi ormoni si siano accorti di me nel giro
di qualche giorno sia molto strano, ma la spiegazione a cui sono giunta
è totalmente diversa: con il tempo si è accorto
che ero
una femmina anch'io, poi ha capito di piacermi, il che non era per
niente difficile, e così ha approfittato di questa preziosa
occasione. Ecco tutto.- Trasudavo sarcasmo e acidità da ogni
poro.
Giovanni, invece, mi guardava divertito. -Quindi, secondo te, i suoi
ormoni sono la causa di questa situazione?- mi chiese cercando di non
ridere.
-Esatto.- risposi seria. A quel punto scoppiò a ridere.
-Giovanni, cosa cavolo ridi?- domandai un po' offesa.
-Non sto ridendo di te, però è vero che voi
femmine siete un po' cieche alle volte.- mi disse lui.
-Ah! Perfetto, ora siamo cieche!-
-Sì, ci sono dei momenti in cui vi rifiutate di vedere
ciò che vi sta davanti e rendete tutto più
complicato.
Per esempio, perché non puoi prendere in considerazione
l'ipotesi che Alessandro provi davvero qualcosa per te?
Perché
devi darti spiegazioni stupide come quella degli ormoni?-
Abbassai lo sguardo e scossi la testa. -Lasciamo perdere, Giovanni. Non
voglio darmi false speranze.-
-Perché dovrebbero essere false?- chiese.
-Non potrebbe essere altrimenti, ma ti prego, lasciamo stare questo
discorso per ora.-
Vedevo che non era d'accordo e che avrebbe voluto convincermi, ma
sarebbe stato solo un modo per crearmi inutili illusioni. Per quanto
Giovanni stesse agendo per il mio bene, non capiva che Alessandro non
aveva interesse per me, se non quello fisico. Certo, eravamo
amici, e avrei fatto di tutto affiché questo non cambiasse,
ma
sapevo che i suoi sentimenti nei miei confronti non sarebbero mai
potuti cambiare. Dovevo accettarlo ed evitare di farmi ulteriore male.
La mattina dopo, a scuola, riuscii a parlare con Roberta solo durante
la ricreazione, poiché era entrata alla seconda ora.
-Roby, tutto bene?- le chiesi.
-Certo, ho solo fatto le analisi del sangue.- rispose indicandomi il
braccio.
-Sì, quello l'ho notato. Intendevo con Emanuele. Hai parlato
con lui, vero?- domadai suonando troppo minacciosa.
Lei annuì.
-E..?- la sollecitai.
-Ci siamo baciati.- rispose in un sussurro.
-Oddio!- dissi a voce alta. -Non ci credo!-
Ero felice per lei, vedevo che i suoi occhi brillavano di contentezza,
anche se in quel momento prevaleva l'imbarazzo.
-E cosa vi siete detti?- le chiesi ancora.
-Abbiamo deciso di provarci. In fin dei conti ci conosciamo da
parecchio tempo, ci piacciamo, non c'è niente di male se
usciamo
insieme come..insomma non proprio come amici. Avevi ragione, Cate, ti
devo ringraziare.-
Sorrisi, ma non sentii i ringraziamenti, perché la mia mente
si era fermata qualche parola prima.
Ci conosciamo da
parecchio tempo, ci piacciamo, non c'è niente di male se
usciamo insieme.
Detta così sembrava la cosa più logica del mondo:
le
persone si piacciono e decidono di uscire, in modo semplice e senza
complicazioni. Allora perché nel mio caso sembrava tutto
così privo di logica?
Io ed Ale ci conoscevamo da anni, eravamo migliori amici, lui era
attratto da me, io ero innamorata di lui, ci eravamo baciati, ma non
potevamo uscire insieme.
Dove era il problema?
Non dovetti pensare molto, però. Il problema stava nel fatto
che
lui non provava niente per me, la sola cosa che voleva era il mio
corpo, mentre io gli volevo molto più che bene. Ecco dove
risiedeva la non logicità della mia situazione.
-Cate, mi ascolti?- mi domandò Roberta.
-Oh, scusami, mi ero distratta un secondo. Dicevi?-
-Ti stavo dicendo che oggi pomeriggio mi ha chiesto di uscire. Un
appuntamento, insomma.- mi disse raggiante.
-Hai accettato?- le chiesi.
-Certo! Devo solo decidere cosa mettere.-
Scoppiai a ridere. Roberta non sarebbe mai cambiata, era sempre la
solita solare e divertente ragazza che avevo conosciuto qualche anno
prima.
Stavo per risponderle, ma mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi una
delle poche persone che pregavo di non incontrare ogni singolo giorno
della mia vita.
-Marica.- la salutai atona.
-Cate, ti stavo cercando. Puoi venire un attimo?- mi domandò
con
quel falso sorriso che aveva perennemente stampato sulla faccia.
-Puoi parlare davanti a Roberta.- ribattei.
-No, tolgo il disturbo.- disse Roberta. Mentre mi passava accanto mi
sussurrò all'orecchio "Dopo mi dici!" e io annuii.
-Allora?- dissi rivolgendomi a Marica.
-Ho saputo di te ed Ale. Complimenti, ce l'hai fatta.- mi disse sempre
sorridendo.
-Non capisco cosa vuoi dire.- Negare, sempre negare. Altrimenti
fingere.
-Cosa non capisci? Il fatto che vi siate baciati o che tu ce l'abbia
finalmente fatta dopo tutti i mesi in cui gli sei morta dietro? Non
fare quella faccia, Caterina, lo sanno tutti da sempre che sei cotta di
lui e mi stupisco che non l'abbia capito prima. Adesso che è
il
tuo turno di ricevere attenzioni immagino che sarai contenta, non
vedevi l'ora. Ma stai attenta, non durerà molto.- Continuava
a
sorridere. Per un attimo desiderai che avesse una paralisi alla bocca,
così avrebbe imparato a sorridere sempre quella stronza. Poi
cancellai quei pensieri, non dovevo abbassarmi al suo livello. Non
volevo diventare cattiva.
-Non riesco a capire se la tua è gelosia o semplicemente
incapacità di farti i cazzi tuoi, Marica.- le dissi
tranquillamente.
-Nessuna delle due, Caterina. Consideralo un consiglio da quella che
una volta era tua amica.- mi rispose.
-Appunto, una volta. Ti ringrazio, ma i consigli valgono poco di per
sé, pensa un po' quelli che escono dalla bocca di una che
non
è neppure mia amica.-
-Di certo non guardo al tuo interesse, ma fidati se ti dico che
Alessandro si stancherà molto presto di te e a quel punto
non
gli servirai più nemmeno come amica.- E questa volta, dopo
aver
parlato, non sorrise.
-Perché?-
-Perché cosa?- mi chiese.
-Perché mi stai dicendo queste cose adesso? Cosa ne sai?
Cosa c'è dietro, Marica?-
-Chiedilo a lui.- mi disse semplicemente.
-No, lo sto chiedendo a te.-
Sospirò. -Ha fatto lo stesso con me. Eravamo amici, mi ero
presa
una cotta per lui, siamo stati insieme per un po'. Poi si è
stufato. Non c'è stato un momento preciso o un avvenimento,
so
solo che non voleva più stare con me. Certo, sapevo fin
dall'inizio che lui non provava niente, ma speravo che almeno
l'attrazione fisica lo potesse tenere legato a me.-
Era il discorso più lungo che le avessi mai sentito fare. Il
più lungo e il più sbagliato.
Marica ed Alessandro erano stati insieme, poi lui l'aveva lasciata. Ma
erano stati insieme. Adesso il comportamento di Marica mi sembrava
più normale, ma c'era ancora qualcosa che non mi tornava.
-Ti piace ancora?- le chiesi.
-No, ora ho Edoardo e sono innamorata di lui, però
Alessandro
è stato il mio primo vero ragazzo, a me piaceva veramente.
Una
parte di me resterà sempre legata a lui, per questo continuo
a
volergli bene ed è il mio migliore amico.- concluse.
Non avevo parole, letteralmente. Cosa avrei dovuto dire? Mi dispiace,
non lo sapevo? Beh, che non lo sapessi era ovvio, la mia espressione lo
diceva chiaramente. E per il fatto che mi dispiacesse non ne ero troppo
sicura.
Optai per sembrare scema. -Ho capito.- dissi soltanto. Una scimmia
sarebbe stata più eloquente.
Lei tornò a sorridere. -Caterina, lo so che da una parte sei
felice che lui mi abbia lasciata, ma prova a guardare la cosa dal mio
punto di vista, quando ho saputo di sabato sera mi è
sembrato..-
Avevo capito. -Ti è sembrato di rivivere la stessa storia,
solo che la protagonista non eri più tu.-
-Esattamente. E ti assicuro che, a parte i primi tempi, non
è
stata una storia felice. Lui non provava niente per me, lo vedevo. In
più Ale non è mai stato il tipo da legarsi ad una
ragazza
per troppo tempo, ha sempre avuto problemi con le relazioni.- mi
spiegò.
-E adesso come fai ad essergli amica?- chiesi davvero interessata alla
risposta.
-Era mio amico prima e lo è ancora. Non potevo costringerlo
ad
amarmi, ma la nostra amicizia è sempre stata vera.- mi disse
lei.
-Ti ringrazio per avermi detto queste cose.- le dissi sinceramente. -Ma
tra me ed Ale non c'è e non ci sarà mai niente.
Per
quanto le nostre situazioni possono essere simili, questa volta lui sa
benissimo di non provare niente per me e non si vuole incasinare. Non
c'è nessun pericolo.-
-E a te va bene così? Puoi essere sua amica comunque?- mi
domandò.
-Sì, presto si stancherà e la situazione
tornerà come prima.-
-E tu, Caterina, cosa farai? Continuerai ad andargli dietro come un
cagnolino anche quando troverà una nuova ragazza da
"corteggiare"?-
Non ebbi il tempo di rispondere, perché la campanella
suonò e Marica mi disse che doveva andare in bagno prima di
rientrare in classe. Prima di andare, però, mi disse:
-Rifletti
su quello che ti ho detto. Non fare come me.-
Ero sconvolta. Non solo avevo ricevuto più notizie del
dovuto in
una botta sola, ma mi ero anche sentita un'estranea rispetto a quello
che credevo il mio migliore amico: era stato con Marica e non mi aveva
detto niente? Sicuramente era successo prima che ci conoscessimo e
diventassimo amici, ma in tutto quel tempo non mi aveva detto niente.
Né quando ero amica di Marica, né quando facevamo
lunghe
chiacchierate raccontandoci i nostri segreti, né quando
piangevo
raccontando le ultime cattiverie subite a causa di quella ragazza.
Niente. Neppure un accenno. Ma chi ero io per Alessandro, allora?
Ripensai al ragionamento che avevo fatto su me ed Ale: avevo detto che,
logicamente, eravamo amici. In quel momento capii che neppure la nostra
amicizia era logica. La non-logica aveva colpito ancora.
Mentre uscivo dall'aula alla fine di quella lunghissima giornata di
scuola, Alessandro mi prese per un braccio e mi trascinò di
nuovo all'interno di quella stanza infernale che, ormai, si era
svuotata.
-Ciao.- mi disse.
-Ehi.-
-Come va?- mi chiese.
-Bene.- risposi cercando di non far trapelare il mio nervosismo. -Tu?-
-Tutto bene.-
Annuii, poi ci fissammo per qualche secondo.
-Cate, cosa voleva oggi Marica?- mi chiese poco dopo. Sentii qualcosa
di grosso, pesante e oscuro farsi spazio dentro di me.
-Niente.- mentii evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
-Cate, il tuo niente vuol dire sempre un mucchio di cose. Sii sincera.-
mi disse sorridendo e sollevandomi il mento con due dita. Non appena le
sue dita entrarono a contatto con la mia pelle, rabbrividii. Di
piacere, però.
-Ale, non mi ha detto niente, davvero.- dissi cercando di risultare
sincera.
-Non hai la faccia di una a cui non hanno detto niente.-
Cambiai tattica. -Secondo te cosa mi ha detto?-
-Non lo so, altrimenti non te lo chiederei.-
-Prova ad indovinare.-
Sbuffò. -Cate, smettila e dimmi cosa ti ha detto.- disse con
tono palesemente scocciato.
Era scocciato, lui?!
-Tutto, Alessandro, mi ha detto tutto!-
Per un attimo mi parve quasi disorientato, poi un lampo di
consapevolezza attraversò i suoi occhi.
-Ah.- fu tutto ciò che disse.
-Già.-
-E perché avrebbe dovuto raccontarlo a te? Non siete
più
amiche da un pezzo.- mi chiese con un tono di voce più alto.
-Per mettermi in guardia.- risposi semplicemente.
-Da cosa?- domandò.
-Non da cosa. Da chi.-
-Non ti farei mai del male, Caterina. Lo sai!- mi disse quasi urlando.
-L'hai già fatto.- dissi, ma a voce molto bassa, quasi
volendo che non mi sentisse. Ma mi sentì.
-No, ti sbagli. Se avessi voluto farti del male, lo avrei
già
fatto. E potrei fartene anche adesso, se solo volessi. Potrei essere la
genesi dei tuoi casini, Cate.- mi sorrise allusivamente, poi
continuò. -Ma non voglio, perché ti voglio bene e
non
voglio che tu stia male.-
Sembrava dannatamente sincero, ma poi ripensai agli ultimi avvemimenti:
mi aveva detto che non mi voleva incasinare, di non volermi creare
problemi e di non volermi vedere stare male, eppure nel giro di pochi
secondi aveva sempre cercato di baciarmi. Per quanto i suoi propositi
fossero stati buoni ogni volta, alla fine aveva fatto solo
ciò
che voleva e si era preso ciò che desiderava, fregandosene
di me
e dei miei sentimenti. Sembrava dannatamente sincero, certo, ma questa
volta non ci sarei dovuta cascare.
-Ma tu lo sei già, Ale. Sei già la genesi dei
miei casini da tanto tempo.- gli dissi.
Vidi i suoi occhi accendersi. In pochi passi mi fu di fronte, ma non
volevo guardarlo in faccia, quindi puntai i miei occhi sul pavimento.
Sentii le sue mani infilarsi delicatamente sotto la mia maglietta per
poi massaggiarmi la schiena.
-Allora devo fare il mio lavoro per bene.- mi sussurrò
all'orecchio. Poi la sua bocca cominciò a lasciare una scia
di
baci sul mio collo, su e giù, poi di nuovo su per arrivare
al
mio orecchio e mordicchiarlo.
-C-cosa?- chiesi già incapace di comprendere le sue parole.
Ma
dove volevo andare se dopo due moine ero già gelatina tra le
sue
braccia? Altro che resistere, se avesse continuato così
sarei
stata io a baciarlo per prima.
-Hai detto che sono già la genesi dei tuoi casini, no?
Allora
è giusto che faccia il mio lavoro nel migliore dei modi.- mi
spiegò lui.
Mi avrebbe sicuramente fatta morire. Senza dubbio.
Le sue mani continuavano a vagare sotto la mia maglietta, questa volta
più freneticamente, la sua bocca scendeva lentamente lungo
la
mia mandibola e non ci voleva molta immaginazione per capire quale
fosse la sua meta. Quando la sua lingua tracciò i contorni
delle
mie labbra e le sue mani cercarono di intrufolarsi posteriormente sotto
i miei jeans, sussultai e legai le mie mani dietro al suo collo per
stringermi di più a lui. In quel momento logica e non-logica
erano a centinaia di chilometri da noi, non mi importava niente di
quello che eravamo o non eravamo, persino le parole di Marica si erano
rifugiate in un angolo sconosciuto della mia mente.
Schiusi le labbra per la lasciare alla sua lingua libero accesso, ma
prima che potessimo approfondire il bacio, qualcuno
entrò
nella stanza emettendo un colpetto di tosse.
-Scusate se vi interrompo, ma ho dimenticato una cosa.-
Nonostante fossi pervasa da una buona dose di istinto omicida per
essere stata interrotta proprio in quel momento, la parte razionale del
mio cervello aveva ripreso a funzionare e ringraziava chiunque avesse
mandato quell'interruzione.
Mi aveva salvata. Alemeno per quel momento.
Note dell'autrice:
Salve a tutte/i!
Eccomi con un nuovo capitolo. Non è un granché,
lo
ammetto, ci sono molti dialoghi, spiegazioni e poco Alessandro, ma sono
tutte cose necessarie. Spero, comunque, che sia di vostro gradimento. :)
Come sempre, ringrazio le persone speciali che hanno inserito la storia
tra le seguite/ricordate/preferite e che hanno recensito. Vi ringrazio
davvero tanto, siete delle creature stupende.
Se volete lasciare una piccola recensione ne sarò
felicissima. :)
Alla prossima!
Un bacio,
Jane Ale
|
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Capitolo 15 *** Tentazione o tentativo? ***
Capitolo 14
Tentazione o tentativo?
Erano
le quattro di pomeriggio e ancora non avevo aperto libro. Dovevo
studiare pagine su pagine per il giorno successivo, ma la mia mente non
riusciva a concentrarsi. Era passato qualche giorno da quando Marica
aveva trovato me ed Alessandro impegnati a cercare di baciarci; mi ero
sentita così in imbarazzo quando ci aveva interrotti, ma col
senno di poi avevo capito di esserle veramente grata. La odiavo ancora,
certo, ma quello che mi aveva raccontato l'aveva resa più normale
ai miei occhi e il fatto che avesse impedito alla mia esistenza di
incasinarsi più di così non era da sottovalutare.
Ed era
proprio per quel motivo che, dopo aver cominciato ad accennare un
saluto verso Marica, avevo anche cominciato ad evitare Alessandro.
Non sapevo perché lo stessi facendo, forse una vera ragione
non
c'era, ma ero più che sicura che se l'avessi evitato anche i
problemi sarebbero spariti. Ero idiota, sì. Ero un'idiota
impaurita a cui piaceva creare problemi e poi scappare. Prima o poi
avrei dovuto affrontarlo, era impossibile che Alessandro non volesse
chiarimenti sul mio comportamento, già il fatto che mi
avesse
lasciata sola per qualche giorno era molto strano.
Sbuffai e mi alzai dal letto per costringermi a studiare almeno un po'.
Presi il libro di storia e controllai le pagine che dovevo studiare,
erano almeno trenta. Cominciai a leggere sottolineando con il lapis i
fatti che ritenevo più importanti per cercare di
memorizzarli.
Ero alla sesta pagina quando mia madre entrò nella mia
stanza
senza bussare. Menomale avevo un libro davanti.
-Mamma, dovresti bussare.- le dissi.
-Sì, certo tesoro, la prossima volta cercherò di
ricordarlo.- mi rispose ironica.
-Che c'è mamma?- le chiesi continuando a fissare il libro
per mostrarmi interessata ai compiti.
-Come sta Alessandro?- mi domandò con tono vago mentre si
sedeva sul mio letto.
Naturalmente non potei fare a meno di arrossire e far cadere il lapis
sentendo il suo nome. La discrezione in persona, ecco cos'ero.
-Bene, perché me lo chiedi?- risposi con finto tono
disinteressato.
-L'ho incontrato poco fa in centro, stava andando a comprare una
ricarica per il cellulare e mi è sembrato che mi stesse
evitando. L'ho chiamato per salutarlo e sentire come stava, gli ho
detto che era tanto che non ti veniva a trovare e lo sai cosa mi ha
risposto?- Tono vago troppo accentuato. Scossi la testa
perché
non riuscivo a parlare. Avevo paura di quello che stavo per sentire.
-Mi ha detto: "Lo chieda a sua
figlia.
A quanto pare sono diventato trasparente." Cosa sta succedendo
Caterina?- Adesso il finto tono vago era scomparso, aveva lasciato il
posto all'investigatore che viveva dentro il corpo di mia madre.
-Niente.- le risposi secca.
-Non raccontarmi bugie, Cate. Sono tua mamma, lo so quando menti.-
Avevo sempre odiato il fatto che mia madre fosse così legata
ad
Alessandro, potevo capire che gli fosse grata per essermi sempre stato
accanto da quando ci eravamo conosciuti, ma non sopportavo il fatto che
lo difendesse senza neppure sapere quello che stava succedendo tra noi.
Ero io sua figlia, non lui!
-Se sei mia madre perché prendi le sue parti?- le chiesi
acida.
-Non sto prendendo le parti di nessuno, vorrei solo sapere cosa
è successo. Non avevo mai sentito Alessandro parlare
così. Avete litigato?- mi domandò.
-No.-
-Avete discusso, allora? Ogni tanto è normale avere degli
scontri, opinioni contrastanti.-
-No, non abbiamo discusso.-
-Allora cosa è successo? Ti ha tratt..-
Non la feci neppure finire, le parole vennero fuori da sole. -Ci siamo
baciati, va bene?- Forse avevo urlato.
Guardai mia madre. -Ah.- fu tutto quello che mi disse.
-Già, proprio "ah", è la risposta giusta mamma.-
-No, tesoro, non volevo offenderti, sono solo..sorpresa, ecco.-
-Non dirlo a me.- le dissi accenando una risatina nervosa.
-Quando è successo?-
-La sera del compleanno di Emanuele. E sarebbe successo anche
il
giorno successivo e qualche mattina fa, ma gli dei sono intervenuti.-
le dissi.
-Gli dei?-
mi chiese perplessa.
-Sì, quello stronzo
di Zeus e prole.-
-Certo.- mi disse lanciandomi un'occhiata divertita. -E
perché Zeus sarebbe uno stronzo?-
-Quale essere maschilista ed incestuoso con una famiglia invidiata
anche dai protagonisti di Beautiful non dovrebbe essere definito tale?-
Avevo appena finito di cenare insieme a mia madre e mi ero
già
seduta alla mia scrivania per continuare a studiare, quando il
campanello suonò. Qualche secondo dopo mi sentii chiamare.
-Cate, scendi, è per te.- mi urlò mia madre. Chi
cavolo era a quell'ora?
Quando arrivai di fronte alla porta mi bloccai. Ovviamente. La mia vita
romanzata seguiva sempre le orme dei grandi classici se non si parlava
di happy ending.
-Cosa ci fai qui?- gli chiesi.
-Dobbiamo parlare.- mi rispose secco.
-E non potevi aspettare domattina, Alessandro?-
-No, non potevo, Caterina.- rispose marcando il mio nome come avevo
fatto io con il suo.
-Vi lascio soli.- ci disse mia madre.
-Non importa, andiamo a fare un giro.- disse Alessandro prima che
potessi rispondere.
-Va bene, state attenti.- disse lei prima di tornare in salotto.
-Chi ti ha detto che voglia venire a fare un giro con te?- gli chiesi
arrabbiata.
-Me lo devi, sono giorni che mi eviti.- In effetti...
-Devo studiare.- dissi decisa. Sollevò un sopracciglio. -Va
bene, ma devo tornare presto.- acconsentii.
Mi infilai le scarpe, presi una felpa e lo seguii verso la sua auto. Un
brivido mi salì lungo la schiena al ricordo dell'ultima
volta
che eravamo chiusi in quell'abitacolo insieme e deglutii rumorosamente,
ma sperai che non se ne accorgesse.
-Allora, di cosa volevi parlarmi?- gli chiesi cercando di sembrare
tranquilla.
-Ma non so..sono giorni che mi eviti, se per caso ci troviamo nello
stesso posto te ne vai, non mi guardi mai negli occhi, secondo te di
cosa voglio parlare? Del tempo?-
Aveva tutte le ragioni del mondo, la mia domanda era stata stupida, il
mio comportamento era stato stupido. Insomma ero una scema a giro per
il mondo.
-Hai ragione.- dissi flebilmente.
-Puoi spiegarmi il perché di questo tuo comportamento?- mi
chiese con un po' più di calma.
Lo fissai alcuni secondi prima di parlare. -Pensavo che se ti avessi
evitato sarei stata lontana dai casini per un po'.- ammisi.
-L'hai presa seriamente la storia della "genesi dei tuoi casini", eh?-
domandò accennando un sorriso.
Arrossii. -No, cioè non è poi così
sbagliata. In fin dei conti le ultime volte in cui siamo rimasti soli
ci siamo..insomma non siamo più riusciti a parlare e basta,
quindi ho pensato che se mi fossi allontanata non ci saremmo
più trovati in quella situazione.- dissi sinceramente.
-In effetti è così. Dunque vuoi continuare ad
evitarmi per sempre?- chiese.
-No, però finché non ti passerà questa
attrazione
cercherò di stare più distante. Per il bene di
entrambi.-
-E se non mi passasse?- Sembrava davvero preoccupato, ma non ero sicura
che fosse sincero.
-Ti passerà. Guarda la tua cotta per Lilian com'è
passata velocemente, qualche settimana fa ti sarebbe sembrato
impossibile.- gli dissi.
Non mi rispose subito, per un momento pensai che volesse dirmi che in
realtà a lui Lilian piaceva davvero e che io ero solo una
meteora, il giocattolo del momento. In effetti lo ero, ma speravo che
Lilian, almeno, fosse scomparsa dai suoi pensieri.
-Si, ma solo perché ho capito che non mi importava poi
così tanto di lei. Non quanto te almeno.-
A quelle parole morii. La testa mi girava vorticosamente, il cuore
batteva così forte che lo sentivo rimbombare negli orecchi,
le mani era sudatissime. Lo aveva detto davvero, non me l'ero sognato.
-O-oh!- fu tutto ciò che riuscii a balbettare, ma la sua
occhiata strana mi fece riprendere. -Visto? Quindi è solo
questione di tempo, ti passerà e così torneremo
ad essere amici.- conclusi con un sorriso tirato.
-Ma ti senti quando parli Caterina? Che cavolate stai dicendo? Ti ho
appena detto che mi sono accorto di tenere tanto a te, che non so se
riuscirò a farcela e tu mi dici che prima o poi mi
passerà. Invece no, non smetterò di pensare a te,
perché ti voglio!- disse quasi urlando.
Nonostante il mio cervello tentasse di liberarsi per darsi alla fuga,
riuscii a rispondere in maniera coerente. -Quello che vuoi è
il mio corpo.-
-Può darsi, ma non posso saperlo. Non riesco a capirlo e
sicuramente non è allontanandoti che risolveresti il
problema.- concluse deciso.
-Quindi, secondo te, l'unica soluzione è provarci?- domandai
sentendomi soffocare.
-Esatto.- E lì esplosi.
-Esatto un cazzo, Alessandro! Ora te lo chiedo io, cosa diavolo hai
nella testa? Mi stai chiedendo di provare a essere qualcosa
più che amici solo per vedere se quella che provi per me
è pura attrazione fisica o se, forse, potrebbe esserci
qualcosa di più! Te ne rendi conto? Non solo sai che tengo a
te come a nessun altro, ma sai benissimo che sono innamorata di te
dall'inizio dei tempi, eppure hai il coraggio di chiedermi queste cose.
Sei tutto matto!-
Ero quasi orgogliosa di me, gli avevo detto tutto quello che pensavo e
non mi ero fatta sottomettere, fin quando mi accorsi di un piccolo e
fin troppo rilevante dettaglio: avevo appena ammesso di essermi
innamorata di lui! Certo, sapeva di piacermi, ma sicuramente non pensava che
fossi a quel livello. Quando me ne accorsi, però, era troppo
tardi. Lo guardai e vidi i suoi occhi spalancati per lo stupore.
-Cate..tu sei..-
Non lo lasciai terminare. -Lascia stare Alessandro, ho fatto l'ennesima
cazzata. L'avevo detto che non dovevo scendere, perché non
mi ascolto mai?-
Scesi velocemente dall'auto imprecando, brontolando e insultandomi come
facevo quando ero arrabbiata. Troppo presa dal mio sproloquio non mi
accorsi che anche lui era sceso e mi aveva seguita. Mi
afferrò per le spalle e mi voltò. Non ebbi il
tempo di realizzare perché le sue labbra erano
già sulle mie. La mia mente pregò il mio corpo di
spingerlo via, di ribellarsi, ma quella volta non lo fece. Anzi, le mie
mani si aggrapparono forte alla sua maglietta e lo avvicinarono mentre
mi alzavo sulle punte per raggiungerlo meglio. Posò le sue
mani sui miei fianchi mentre la sua lingua si faceva spazio nella mia
bocca per trovare la mia. Era un bacio vorace, agitato, frenetico. Non
c'era niente di romantico, dolce o vagamente pacato nel modo in cui mi
trascinò verso la sua auto per farmici appoggiare mentre
faceva vagare le sue mani sulla mia pancia sotto la maglietta. Non so
per quanto tempo restammo appigliati l'uno all'altra intenti a baciarci
con frenesia. Fu lui a staccarsi per primo: appoggiò la sua
fronte contro la mia e sussurrò qualcosa, ma non capii
subito.
-Cosa?- gli chiesi ancora con il respiro corto.
-Ho detto "proviamoci". Ti prego.- mi disse guardandomi dritta negli
occhi.
Non c'erano presupposti a favore di una possibile relazione tra di noi,
non c'erano presagi positivi, anzi sembrava che tutto dovesse andare
irrimediabilmente male, ma in quel momento non potei fare altro che
fregarmene.
Pregai che andasse tutto bene, almeno per quella volta, e feci l'unica
cosa che volevo
fare.
Annuii.
Note dell'autrice:
Salve a tutti! :)
Inizio col dire che scrivere questo capitolo mi è risultato
un po' difficile perché alcuni ricordi facevano male e non
sono pienamente soddisfatta di quello che è venuto fuori, ma
spero che apprezzerete o che almeno mi farete sapere cosa ne pensate.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le
seguite/preferite/ricordate e, ovviamente, coloro che hanno recensito.
Mi rendete sempre così felice e vi ringrazio per essere
sempre presenti. <3
Alla prossima!
Un bacione,
Jane
|
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Capitolo 16 *** Pelle contro pelle ***
Capitolo 15
Pelle contro pelle
Stavo
camminando verso la scuola con passo svelto. Ero così
distratta
quella mattina che ero già andata a sbattare contro tre o
quattro sventurati passanti. Non riuscivo a concentrarmi su niente,
persino camminare in linea retta richiedeva troppa attenzione da parte
del mio cervello che, da qualche ora, era impegnato a pensare ad altro.
Quando arrivai nel cortile dovetti farmi forza per continuare a
respirare in modo apparentemente normale, non volevo certo rischiare
una crisi respiratoria alla sola vista di Alessandro. Tanto
più
che niente doveva sembrare diverso. O meglio, dovevamo sembrare
solo amici.
Ebbene
sì, se c'era una cosa che Ale mi aveva chiesto era quella di
mantenere segreto il nostro "tentativo" di relazione, almeno per il
momento. Certo, non che la cosa non mi pesasse, però da una
parte mi sentivo d'accordo con questa sua scelta, se poi le cose si
fossero stabilizzate avremmo avuto tutto il tempo di dirlo ai nostri
amici.
Camminai verso il grande portone che conduceva all'interno
dell'istituto, ma prima di entrare mi sentii afferrare da dietro e
condurre verso il retro dell'edificio. Non avevo bisogno di vedere chi
fosse, le sue mani le avrei riconosciute ovunque.
-Bungiorno.- mi sussurrò all'orecchio dopo che mi ebbe
appoggiata a sedere su un muretto.
-Buongiorno a te.- risposi sorridendo per poi mordermi le labbra.
-Dormito bene?- mi chiese appoggiando le mani sulle mie cosce mentre il
suo viso si avvicinava al mio.
-Benissimo, grazie. E tu?-
-Alla perfezione.- rispose appoggiando le sue labbra sulle mie. -Oggi
usciamo.- sussurrò subito dopo.
-Cosa?- domandai troppo distratta dalle sue labbra per ascoltare
davvero.
Ridacchiò. -Oggi usciamo. Io e te.-
-Stai cercando di dirmi che abbiamo un appuntamento?- gli chiesi.
-Più o meno.- mi rispose sorridendo.
Risi mentre allacciavo le mie braccia intorno al suo collo. Sentii la
sua mano stringere forte la mia gamba un secondo prima che le nostre
bocche si incontrassero. Baciare Alessandro era qualcosa di
sensazionale, al di là di ogni immaginazione. Non era bello,
non
era romantico, né dolce; era passionale, ma anche violento e
rabbioso. A tratti doloroso, perché portava via un pezzo
d'anima. E avvolta com'ero in quel turbine di emozioni, non mi
resi conto di aver allacciato le gambe intorno al suo bacino e di
stringere fermamente i suoi capelli. Appoggiò le mani sul
mio
fondoschiena e cominciò ad accarezzarlo prima delicatamente,
poi
con possessione.
-Mi piace il tuo sedere.- mi sussurrò con il respiro
spezzato.
-L'avevo capito.- risposi senza fiato. Accennò un sorriso
malizioso prima di riprendere a baciarmi. Questa volta mi ritrovai
appoggiata con la schiena al muretto, mentre Alessandro teneva una mano
dietro la mia nuca e l'altra nella tasca posteriore dei miei jeans.
Sarei rimasta lì per sempre, se avessi potuto, aggrappata a
lui
come se fosse stata la mia unica ragion d'essere. Ma la campanella
suonò, riportandoci alla realtà. Ci staccammo
ansanti e
ci guardammo negli occhi.
-Ci vediamo più tardi.- mi disse prima di andare.
-Va bene.- risposi mentre lui si dirigeva verso l'ingresso della scuola.
Lo seguii a debita distanza, vedendo che si era fermato alle
macchinette mi diressi a passo svelto verso la nostra classe, fingendo
di essere appena arrivata.
-Cate, cosa hai combinato?- quasi strillò Vittoria vedendomi.
-Perché?- le domandai senza capire.
-Sei sconvolta! I tuoi capelli..-
"Merda!", pensai. Non avevo proprio pensato a come dovevo sembrare
disperata: i capelli arruffati, le labbra gonfie e arrossate, il
respiro corto.
-Ho corso. Credevo di essere in ritardo.- mi giustificai pregando di
non arrossire.
-Dovresti portarti un pettine dietro, però.- mi
rimproverò la mia amica sorridendo.
-Hai ragione, dovrò metterlo nello zaino.- le dissi mentre
mi sedevo al mio banco.
Notai che Roberta era già seduta e mi fissava in silenzio
con
espressione seria. In quel momento Alessandro fece il suo ingresso
insieme a Giovanni. I nostri sguardi si incontrarono: le sue labbra si
incurvarono in un sorriso malizioso, mentre il mio viso (e non solo
quello!) prendeva letteralmente fuoco. Distolsi lo sguardo velocemente
prima di morire per autocombustione. Quel ragazzo mi avrebbe uccisa, ne
ero sempre più sicura.
Quando il professore entrò in classe mi voltai verso
Roberta:
sul suo volto era stampata un'espressione che somigliava a quella dei
cattivi Disney. Era un sogghigno che poteva voler dire una cosa
soltanto.
Roberta aveva capito
tutto.
-Ragazze vi raggiungo alle macchinette, vado in bagno.- dissi a
Vittoria ed Isa quando suonò la campanella della ricreazione.
-Va bene.- mi risposero.
Camminai verso il bagno delle femmine che si trovava al nostro piano ed
entrai. Prima di me c'erano due ragazze ad attendere, forse riuscivo a
non passare tutto l'intervallo in quel luogo sporco e puzzolente come
spesso accadeva. Sentii la porta del bagno aprirsi alle mie spalle, ma
prima che mi potessi girare una voce a me familiare parlò.
-Ti ho trovata!- mi disse.
-Roby! Tutto bene?- le chiesi forzando un sorriso per non far
trasparire la mia ansia.
-Benissimo.- Mi stava squadrando con un felino squadra la sua preda
prima di attaccare. -Allora? Hai corso parecchio stamani, eh? Te l'ho
sempre detto che devi svegliarti prima.- mi disse sorridendo allusiva.
Questo era la tecnica di Roberta: ti metteva sotto pressione fino a
quando non confessavi ciò che lei già sapeva, ma
che tu
non avevi voluto dirle. E funzionò anche quella volta.
Sbuffai. -Smettila Roby, tanto lo so che hai capito.-
Scoppiò a ridere. -Dovevi vedere la tua faccia quando sei
entrata in classe questa mattina. Sembrava tu avessi acceso un'insegna
sulla tua fronte: pomiciata
esaustiva della mattina. Per non parlare dello sguardo
ti-spoglierei-qui-ed-ora di Alessandro! Molto discreti.-
-Vaff..-
-Eh no, Cate! Sai che ho ragione.- mi interruppe ridendo prima che
potessi mandarla in quel posto ove il sole non sorge mai.
-Va bene.- mi arresi. -Hai vinto, Jessica Fletcher.- le dissi
rivolgendole un'occhiata di fuoco.
-Non guardarmi così! Se fossi stata informata non avrei
dovuto indagare.-
-Non potevo dirti niente.-
-Che significa che non potevi dirmi niente? Sono la tua migliore
amica.- disse indignata.
-Lo so. Alessandro ha voluto che promettessi di non dire niente, vuole
che la cosa rimanga segreta. Almeno per ora.- le confessai. Solo dopo
aver pronunciato quelle parole mi resi conto di quanto fossero stupide
in realtà. E anche Roberta pareva pensarla allo stesso modo
dall'occhiata che mi rivolse.
-Davvero?- fu tutto quello che mi chiese.
-Sì, davvero.-
-Intendevo, davvero ti fai trattare come un cagnolino?- mi chiese
glaciale.
-Non mi faccio trattare come un cagnolino. Forse ha ragione, prima
è meglio vedere come va, no?- tentai di giustificarmi.
-Certo, come no. E nel caso in cui non dovesse funzionare, nessuno
saprebbe niente. Grande idea, un modo perfetto per cominciare una
relazione con quella che è la tua migliore amica!- disse
quasi
urlando. Era arrabbiata e aveva ragione, ma in quel momento non l'avrei
ammesso. Probabilmente non l'avrei mai ammesso, almeno
finché
fossi stata sotto l'incantesimo di Alessandro. Ero innamorata di lui,
mi fidavo di lui, lo volevo, non avrei permesso che degli stupidi
sospetti rovinassero tutto. Per questo feci la cosa più
stupida.
-Perché tu ed Emanuele non state facendo la stessa cosa,
eh?- le domandai acida.
-Cosa vorresti dire?- mi chiese sorpresa.
-Non avete detto a nessuno che state uscendo insieme, non è
così? Quindi non venirmi a fare la predica perché
anche
tu sei il suo cagnolino.-
-N-non è vero.- mi disse, ma non era convinta nemmeno lei.
Ero una stronza, sì. Sapevo quanto fosse stato difficile per
Roberta affrontare l'attrazione per Emanuele e quanto tempo ci avesse
messo per decidere di dargli una possibilità, eppure in quel
momento volevo solo attaccarla come aveva fatto con me.
-Ma smettila! Non riesci nememno a negare con convinzione.-
-Vaffanculo Caterina!- mi gridò prima di uscire come un
razzo dal bagno.
-Tutto bene?- mi chiese Alessandro quando salii sulla sua auto quel
pomeriggio.
Annuii. -Tu?-
-Tutto bene. Cate, cos'hai?- mi domandò per niente
soddisfatto.
-Ho avuto una discussione con Roberta.- gli dissi.
-Ah! E perché?-
-Dice che mi comporto in maniera strana e non le piace.- Mezza
verità.
-Magari è un periodo in cui è più
nervosa. Vedrai che risolverete tutto.- mi disse per rassicurarmi.
Dopo qualche minuto Alessandro si fermò vicino a un campo di
girasoli. Eravamo usciti dal centro e ci trovavamo in mezzo al niente.
Mi chiesi perché ogni volta che uscivamo Ale dovesse
scegliere
dei posti in cui non c'era nessuno e dove nessuno potesse vederci.
Ripensai al discorso avuto con Roberta quella mattina e per un attimo
un'idea spaventosa si accese nella mia testa: Alessandro non voleva
farsi vedere con me, si stava nascondendo da chiunque potesse vederci!
-Tu ti vergogni di me!- dissi ad alta voce.
Lui si voltò verso di me sgranando gli occhi. -Ma cosa stai
dicendo?-
-Tu non vuoi che gli altri ci vedano o sappiano di noi
perché ti vergogni. Sono una deficiente!-
-Caterina, sei impazzita?- mi chiese incredulo.
-No, sei tu quello pazzo se pensi che accetterò una cosa del
genere. Come ho fatto a non capirlo prima?- urlai mentre scendevo dalla
macchina per dirigermi verso il campo poco distante.
Qualche secondo dopo mi aveva già afferrata per un polso, ma
io tentavo comunque di camminare.
-Mi spieghi cosa cavolo stai dicendo?- mi domandò aumentando
la presa per non farmi scappare.
-Sto dicendo che mi stai prendendo per il culo! Perché mi
porti sempre in posti isolati dal mondo? Perché ti nascondi?
Perché non vuoi che nessuno sappia che stiamo uscendo
insieme? Te lo dico io, perché ti vergogni di me. Stai solo
aspettando di poter combinare qualcosa con me per poi mollarmi e
tornare ad essere amici come se non fosse successo niente. In fondo se
nessuno ne è conoscenza è come se non fosse
davvero successo niente, no?- Stavo urlando e gesticolando come una
pazza psicopatica, ma non me ne importava molto, in quel luogo
dimenticato da Dio non avrei dato fastidio a nessuno.
-No. Non è così.- fu tutto quello che mi disse.
-Ah no? E com'è allora, Alessandro?- chiesi acida.
-Giovanni mi ha detto di non fare il coglione con te.-
-Giovanni? Cosa c'entra adesso?- domandai un po' confusa.
Sbuffò. -Giovanni mi ha messo in guardia, non vuole che ti
faccia soffrire e ha paura che mi comporti come un coglione.-
-E allora perché non ascolti il suo consiglio?- chiesi
tagliente.
-Lo ascolto, invece! Ma non voglio che tutti sappiano che ci stiamo
provando, non voglio sentirmi dare del coglione ogni giorno. Ti voglio
bene, ci stiamo provando, ma vorrei che fosse un tentativo nostro, non
mio, non tuo, non dei nostri amici. Nostro.-
Quel "nostro" suonava fin troppo bene sulle sue labbra e rischiava di
farmi perdere tutta la convinzione che ero riuscita a trovare. Sentivo
il mio stomaco contorcersi dall'emozione, ma lo ignorai.
-Dovresti fregartene di quello che dicono gli altri. Lo hai sempre
fatto, questo caso non è diverso.- dissi cercando di
sembrare fredda.
-Lo è invece, perché tu sei tu ed è
più complicato.- Lo guardai storto e lui continuò
per spiegarsi. -È più complicato
perché tengo a te in modo particolare. Poi se Giovanni
sapesse che con Ema..- si interruppe di colpo.
-Che con Ema cosa?- chiesi.
Sembrò un po' indeciso su cosa dire. -Che con Ema abbiamo
sempre cercato di evitare le relazioni. Penserebbe che ti stia
prendendo in giro.- mi disse. Avrei giurato che non fosse quello che
voleva realmente dire, ma lasciai perdere.
-Beh anch'io l'ho pensato.- ammisi.
-Non è così. Te lo gi-..prometto.- mi disse.
-Cosa c'è, Ale? Hai paura dei giuramenti?- chiesi sorridendo.
-Ho paura di cosa potrebbe succedere se giuro.- disse parlando con voce
bassissima.
Lasciai cadere l'armatura che mi ero costruita e mi avvicinai
prendendogli il viso tra le mani.
-Non succederebbe niente.-
-Potresti andartene.- sussurrò guardandomi negli occhi con
un'espressione sofferente.
-Non ti lascerei mai!- gli dissi e avvicinai le mie labbra alle sue
lasciando che si sfiorassero.
-Caterina, dimmi che rimarremo per sempre noi, nonostante
quello che potrebbe succedere.- mi pregò.
-Rimarremo per sempre noi. Nonostante tutto, Ale.- e lo baciai.
Mi prese per i fianchi e mi sollevò mentre le mie gambe
andavano ad allacciarsi intorno ai suoi fianchi. Le nostre lingue si
rincorrevano, si incontravano, si intrecciavano, ma quella volta
sembravano non avere fretta. Se fino a quel momento tra noi era sempre
stato tutto passionale e frenetico, quel pomeriggio il tempo si era
fermato e noi non sentivamo il bisogno di rincorrerci. Ci baciavamo con
lentezza e dolcezza, ci baciavamo come mai era successo prima.
Rimasi incatenata nel mondo parallelo fatto di baci e carezze
finché le mani di Alessandro afferrarono la mia maglietta
per toglierla. Non mi opposi quando la stese a terra e mi ci fece
distendere sopra, non mi opposi quando cominciò a lasciare
una scia di baci sul mio collo, sul mio seno, sulla mia pancia per poi
fermarsi subito sopra i miei jeans. Trattenni il fiato e lo guardai.
-Non aver paura.- mi sussurrò. -Non voglio farti niente.
Voglio solo sentire la tua pelle contro la mia.-
Sentii il suo respiro infrangersi sulla mia pancia e rabbrividii.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e cominciai a togliere la sua
maglia. Guardai le sue spalle, le sue braccia e il suo petto, li
accarezzai lentamente e poi lo tirai verso di me per riprendere a
baciarlo.
Non so quanto tempo rimanemmo a baciarci ed accarezzarci distesi vicino
a quel campo. Fu solo quando ci alzammo, mentre il sole stava
tramontando, che mi accorsi che quel giorno non avevo sentito solo la
sua pelle contro la mia, erano le nostre anime che si erano incontrate.
Non era più questione di pelle contro pelle,
carne contro carne.
Quel giorno ebbi la conferma che Alessandro mi era entrato dentro,
sotto la pelle.
Ed io non sapevo più come salvarmi.
Note
dell'autrice:
Salve a tutti!
Eccomi con un nuovo capitolo che spero sia di vostro gradimento.
Dunque, tanto per cominciare devo ammettere che questo capitolo
possiede un alto tasso di dolcezza, fin troppo direi. Ma non
c'è da preoccuparsi, dove c'è un massimo
c'è sempre anche un minimo, quindi a questa bomba di
dolcezza seguiranno sicuramente momenti duri. Per ora, però,
godiamoci questo momento di calma tra i due protagonisti prima che i
segreti vengano a galla...ma adesso basta, ho detto fin troppo! :D
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito "Frammenti" tra le
seguite/ricordate/preferite, siete sempre di più e mi
rendete veramente felice. *_* Un grazie enorme va anche a tutte le
persone che hanno recensito i capitoli precedenti, siete delle creature
favolose. :)
Come sempre, se volete, potete lasciare una recensione per farmi sapere
cosa ne pensate.
Alla prossima!
Un bacione,
Jane
|
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Capitolo 17 *** Ogni cosa è illuminata, o forse no ***
Capitolo 16
Ogni cosa è
illuminata, o forse no
Il
fatto che non parlassi da una settimana con la mia migliore amica mi
rendeva nervosa. E mi rendeva ancora più nervosa sapere di
essere stata una stronza di prima categoria nei suoi confronti. Non che
volessi ritirare ciò che avevo detto, in fondo pensavo
davvero
che Emanuele stesse facendo lo stronzo nei suoi confronti e che lei
accettasse il tutto in silenzio, ma non avrei mai dovuto sputarle
addosso tutto quel veleno. Soprattutto nella mia situazione. Infatti il
mio rapporto con Alessandro era esattamente lo stesso da quando avevamo
deciso di nascondere gli ultimi cambiamenti nella nostra amicizia,
ovvero ci vedevamo di nascosto, ci appartavamo in ogni momento libero,
esploravamo posti distanti chilometri dalla nostra città e,
soprattutto, ci baciavamo. Tanto.
Nonostante questo piccolo particolare, però, agli occhi di
tutti
continuavamo ad essere Cate ed Ale, migliori amici da una vita che
litigavano per ogni cavolata. Certo, non che fosse possibile litigare
seriamente quando Ale mi lanciava occhiate maliziose che intendevano
l'esatto opposto di quello che stava dicendo in quel momento. Al di
là di tutto il teatrino che mettevamo in scena ogni giorno,
credevo di essere relativamente felice, se non si teneva conto del
fatto che non ero sicura di avere ancora una migliore amica.
Era giovedì quando entrai in classe e trovai i miei amici
intenti a parlare tra di loro.
-Che c'è di nuovo?- chiesi distrattamente.
-Cate, non ti ricordi? Domani sera riaprirà il Run It,
è più di un mese che ne parliamo!- mi
rimproverò Isa incredula.
-Già, mi ero scordata.-
-Hai la testa tra le nuvole, biondina?-
E questa non era una provocazione bella e buona?
-No, assolutamente.- risposi cercando di sembrare dignitosa.
-E io che pensavo che ci fosse qualcosa che ti ditraesse..-
continuò lui.
-Ti sei sbagliato, Alessandro.- dissi distogliendo lo sguardo per non
arrossire alla mia bugia.
Come se non fosse conscio di quanto la sua presenza mi destabilizzasse.
O, forse, lo era fin troppo e utilizzava il tutto a suo vantaggio per
mettermi in imbarazzo. Sì, decisamente la seconda opzione.
-Allora? Verrai, giusto?- mi chiese Vittoria.
-Certo, non mi perderei mai una serata al Run It.- dissi con
una lieve sfumatura ironica.
Il Run It
era una sottospecie
di locale alternativo, uno di quei pochi in posti in cui si potesse
ascoltare musica rock e in cui si potessero avere bevute a basso
prezzo. Il luogo perfetto per passare il venerdì sera con
gli
amici, se non fosse stato per il permanente puzzo di fumo e di sudore
che albergava all'interno del locale da qualche anno (nonostante le
varie chiusure a cui era stato obbligato per mancanza di licenze). Il
mio habitat naturale, insomma!
-Smettila di fare la difficile.- mi liquidò Vittoria.
-Domani sera Run It,
nessuna obiezione. Giusto Roby?-
Ed eccolo lì il mio tasto dolente: potevo cercare di
ignorarla
quanto volevo, ma Roberta esisteva, mi mancava e faceva ancora parte
del mio gruppo di amici. Sebbene tutti avessero notato il gelo tra di
noi, nessuno aveva avuto il coraggio di tirare fuori l'argomento,
motivo per cui tutto si svolgeva come se niente fosse.
-Oh certo.- rispose lei sbuffando e andando a sedersi al suo posto (che
aveva accuratamente cambiato per non avermi vicina). Ebbene, tutto si
svolgeva quasi
come se niente fosse.
Venerdì sera, ore 23:17. Ero in ritardo, Alessandro era in
ritardo, eravamo in ritardo e non era difficile immaginare il
perché.
-Ok, Ale, adesso basta davvero.- dissi respirando a fatica e cercando
di togliermelo di dosso.
-Altri cinque minuti, solo cinque. Nessuno brontolerà per
cinque
minuti in più.- mi pregò lui prima di tornare a
baciare
il mio collo.
-No, nessuno brontolerà per cinque minuti, ma venti sono
abbastanza per scatenare una discussione. La prossima volta non
proporre passaggi agli altri se hai intenzione di non rispettare
l'impegno.- lo brontolai, ma la mia protesta svanì nel
momento
in cui una sua mano arpionò il mio fondoschiena con veemenza.
-Cinque minuti.- concessi.
Inutile dire che Emanuele, infuriato, chiamò Alessandro
qualche
secondo più tardi, chiedendo quale catastrofe si fosse
presentata per non permettergli neppure di avvertire. Così
fummo
costretti ad interrompere il nostro impegno per passare
a prendere Ema ed Isa, mentre Giovanni avrebbe dato un passaggio a
Roberta e Vittoria.
Arrivammo al Run It
alle
23:57, con ben ventisette minuti di ritardo rispetto all'ora stabilita
con Giovanni e senza aver fornito una spiegazione soddisfacente ad
Emanuele che si ostinava a tenere il muso ad Ale.
-Ema, è colpa mia.- dissi per placare la sua ira.
-Non
avevo visto l'ora, ero ancora in pigiama. Ale ha solo dovuto attendere
che fossi pronta.-
-E non potevate avvertire?- chiese.
-Ehm..si, scusa, ci è proprio passato.- e non potei
trattenermi dall'arrossire.
Emanuele mi fissò per qualche secondo, poi,
imprevedibilmente
sorrise sornione. -Vi perdono.- disse. Poi si avvicinò al
mio
orecchio: -Ma solo perché sono un vero amico e non
interromperei
quello che
stavate facendo.- e mi strizzò l'occhio.
Scherzava, vero? Non poteva pensare che io ed Ale stessimo...beh, di
certo qualcosa aveva capito, ma non volevo dargli nessuna conferma.
-Tu sei tutto scemo, Ema.- risposi vaga, ma senza guardarlo negli
occhi. -Entriamo, va'!-
Come prevedibile, il Run
It
era pieno di gente, come era logico che fosse il giorno dell'ennesima
apertura. Ci dirigemmo subito al bar per salutare colui che, dopo
innumerevoli bevute, era diventato nostro amico.
-Tommy!- lo chiamai.
-Bionda! Che sorpresa, non mi aspettavo proprio di vederti qui
stasera.- mi salutò ridacchiando.
-Non sei divertente.-
-Ma dai.. Ormai sei di casa. Allora, come va ragazzi?-
-Bene, ma potrebbe andare meglio se tu mi preparassi subito il tuo
magnifico Invisibile.- disse Emanuele impaziente.
-Certo, fammi vedere lo scontrino.- gli disse Tommy.
-Stai scherzando?- quasi urlò imploante Ema. -Tom, non puoi
farmi questo.-
Scoppiammo tutti a ridere. -Solo perché siete voi.-
acconsentì Tommy prima di cominciare a preparare i cocktails
da
noi richiesti. Presi il mio Caipirinha e lo buttai giù
velocemente, poi mi diressi verso il divanetto su cui si era seduta
Roberta. Pregai che l'alcol provvedesse velocemente a
rifornirmi
di una buona dose di coraggio, poi le chiesi: -Roby, posso parlarti?-.
Mi guardò qualche secondo, poi annuì. Si
alzò e ci dirigemmo verso l'uscita per poterci sentire
meglio.
Presi fiato e poi parlai: -Mi dispiace, sono una stronza.- La vidi
spalancare gli occhi per la sorpresa, ma continuai. -Non avrei dovuto
dirti quelle cose. So che volevi mettermi in guardia e tutto, so che lo
fai per il mio bene, ma mi sono sentita come una bambina che viene
sgridata per ciò che fa, come se gli altri sapessero
ciò
che è univocamente giusto da fare. Nonostante questo,
però, non dovevo neppure pensare ciò che ti ho
detto e ti
chiedo scusa.-
Avevo ingoiato tutto l'orgoglio che avevo per recuperare il rapporto
con Roberta, perché lei valeva più di qualsiasi
principio, regola o codice che il mio cervello aveva elaborato.
-Va bene, accetto le tue scuse.- mi disse.
-Tutto qui?- le chiesi. In fin dei conti avevo fatto un discorso
fenomenale.
Lei scoppiò a ridere. -Certo che non cambi mai! Accetto le
tue
scuse, ti perdono e prometto che non ti giudicherò
più
per le tue scelte. Ognuno deve decidere cosa fare della propria vita e
gli amici non giudicano. Quindi scusami anche tu.-
-Scuse accettate.- le dissi. -Posso abbracciarti?-
-Ovvio che no!-
Scoppiammo a ridere e tornammo dagli altri che ci aspettavano ad un
tavolino. Fu subito chiaro che i rapporti tra me e Roby erano tornati
quelli di una volta, così bevemmo un altro cocktail prima di
correre a ballare tutti insieme.
Quando Ale si fermò sotto casa mia, non riuscivo a smettere
di
ridere. Era più di un'ora che ridevo senza un motivo: non
potevo
dare la colpa all'alcol, ma ero sicura che i due Gin Tonic dopo la
Caipirinha avessero eseguito il loro lavoro. Tutti i miei neuroni
buttati nella spazzatura.
-Allora, mi vuoi spiegare perché ridi?- mi chise Ale
voltandosi verso di me.
-Perché sei bello.- gli dissi senza un motivo specifico.
-Quindi la mia bellezza ultramondana ti provoca un riso irrefrenabile?-
-Sì, quello che hai detto.- risposi cercando di placare le
risate.
-Quindi ammetti di essere colpita dalla mia bellezza?- chiese, questa
volta accennando un sorriso malizioso. Le mie risate cessarono di
colpo. Non era più il momento di scherzare.
-Naaa.. Era una battuta.- lo provocai.
-Ah si? E allora perché ogni tanto ti trovo imbambolata a
fissarmi?-
E in quel momento mi sentii come se un individuo fosse uscito
improvvisamente dai sedili posteriori gridando "BUSTED!", con un
cartellone luminoso tra le mani.
-Ma cosa dici? Io non ti fisso. Che presutuoso, guarda te che gente
devo frequentare!- blaterai indignata evitando accuratamente di
guardarlo. Quando mi voltai, però, lo trovai incredibilmente
vicino.
-Che c'è?- mi chiese con quel suo solito sorriso.
-Stai invadendo il mio spazio vitale.- gli dissi cercando di essere
convincente.
Rise. -Da quando hai uno spazio vitale? Non mi pareva che esistesse
qualche ora fa, prima che Emanuele ci interrompesse..- e si
avvicinò ancora.
-Beh, adesso c'è. Lo vedi? Devi allontanarti, devo respi..-
ma
non mi fu concesso di concludere la frase, perché la sua
bocca
era già sulla mia. E arrivederci allo spazio vitale,
all'aria da
respirare e all'imbarazzo. Ogni benedetta volta che ci baciavamo era la
stessa storia: mi scioglievo tra le sue mani, sembravo una bambolina,
smettevo quasi di pensare e le mie funzioni vitali continuavano ad
operare per inerzia. Era disarmante, pensandoci bene: come potevo
permettergli di vedermi così vulnerabile? Era estremamente
pericoloso considerando la persona che avevo davanti. Ma non me ne
fregava un bel niente. Almeno in quel momento.
E, per la cronaca, non mi importava nemmeno che la sua mano destra
stesse lentamente oltrepassando la soglia dei miei slip. In
realtà non mi ero nemmeno accorta che si era intrufolata al
di
sotto dei pantaloni, porca miseria! Ma, come ho già detto,
quella sera non mi importava. Avevo paura, una fottutissima paura di
abbandonarmi a lui, di dargli realmente fiducia, perché in
un
piccolo angolo della mia mente conservavo ancora il ricordo di tutte le
sofferenze che Ale mi aveva inflitto nel tempo; il mio cervello, o quel
che ne restava, però, eclissò quel piccolo angolo
e
decise che questa volta sarebbe andato tutto bene.
Per questo, ancora oggi, dubito fortemente del mio cervello.
Il mattino seguente mi svegliai per miracolo. Non so chi mi
aiutò a dirigermi a scuola quel sabato mattina, ma alle
sette e
trenta, con ben mezz'ora di anticipo, mi trovavo di fronte a quel
cavolo di edificio. Salii le scale con la velocità di un
bradipo
e mi avviai verso la mia classe. Sentii delle risate provenire dalla
stanza e qualche urletto, che riconobbi essere di Roberta. Mi avvicinai
lentamente e capii che Roby ed Ema erano arrivati a scuola in anticipo
e stavano approfittando
di
quel tempo come avevamo fatto io ed Ale la sera precedente. Risi
silenziosamente e feci per andare alla macchinette, quando un loro
discorso attirò la mia attenzione.
-Ema, non me ne frega niente se mi giuri fedeltà, se oserai
tradirmi quando sarete a Londra, giuro che ti taglierò le
palle!- Sarete a Londra?
-Roberta, te l'ho già spiegato: si tratta di un
regalo di
compleanno per Ale, così rivede la sua Lilian e torna ad
essere
rilassato e meno rompicoglioni di adesso. Quindi vedi di
tranquillizarti, non ho intenzione di tradirti.- le disse lui. La sua Lilian?
-E non ti sembra scorretto nei confronti di Caterina? Odio non poterle
dire niente, è pur sempre la mia migliore amica. Dovrebbe
venire
a saperlo, anche se Ale non vuole.-
-Ma ti sembra il caso? In fin dei conti quella tra Ale e Cate
è
solo un'amicizia degenerata, ecco. Lo sa anche lei che Ale ha perso la
testa per Lilian da un po'.-
-No, Ema, ascolta, non so cosa ti ha raccontato Alessandro, ma le cose
tra di loro si sono fatte serie.- disse Roby.
-Fino a ieri sera Ale mi ha garantito di essere single. Fidati, se
avesse voluto annullare il viaggio, me lo avrebbe detto.-
Vuoto. Ecco tutto ciò che riuscivo a percepire. Credete che
le
grandi esplosioni della storia facciano rumore? Allora non avete mai
sentito il boato silenzioso delle implosioni.
Mi accasciai a sedere sul pavimento. Un vortice di parole
cominciò a ronzare nella mia testa: Ale.. Lilian.. Londra..
Roby
sapeva tutto.. Ema.. Amicizia degenerata.. Single..
E poi collegai tutto.
-È
più complicato perché tengo a te in modo
particolare. Poi se Giovanni sapesse che con Ema..- si interruppe di
colpo.
-Che con Ema cosa?- chiesi.
Sembrò un po' indeciso su cosa dire. -Che con Ema abbiamo
sempre
cercato di evitare le relazioni. Penserebbe che ti stia prendendo in
giro.- mi disse. Avrei giurato che non fosse quello che voleva
realmente dire, ma lasciai perdere.
Invece
non avrei dovuto lasciar perdere, il mio istinto ci aveva visto bene.
-Caterina,
dimmi che rimarremo per sempre noi, nonostante quello che potrebbe
succedere.- mi pregò.
Ogni
cosa è illuminata. Ebbene sì, Jonathan Safran
Foer non
avrebbe potuto trovare espressione migliore, perché in quel
momento ogni cosa era davvero illuminata ed io avevo tutto chiaro.
Chiaro, prima che la mia mente si oscurasse e io vomitassi quel poco di
colazione che ero riuscita a mangiare.
Note dell'autrice:
Salve a tutti! :)
Non so da dove cominciare. Chiedere scusa per l'enorme ritardo mi
sembra riduttivo, quindi vi imploro...perdonatemi. Non ho perso
l'ispirazione, non ho perso la voglia, ma la mancanza di tempo dovuta
un po' allo studio, un po' ad altri problemi, non ha certamente
aiutato. Quindi, scusate.
Come avevo preannunciato, i periodi "rose e fiori" hanno breve durata.
Non importa che vi dica la rabbia che ho provato nello scrivere questo
capitolo... Alessandro avrebbe potuto beccarsi qualche schiaffo se si
fosse trovato al mio fianco!
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito "Frammenti" tra le
seguite/ricordate/preferite, mi rendete
veramente felice. *_* Un grazie enorme va anche a tutte le persone che
hanno continuato ad aspettare, nonostante il mio ritardo.
Come sempre, se volete, potete lasciare una recensione per farmi sapere
cosa ne pensate. Ne sarei molto felice.
Alla prossima!
Un bacione,
Jane
|
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Capitolo 18 *** Tutto sbagliato ***
Capitolo 17
Tutto sbagliato
A distanza di un bel po’ di tempo, devo confessare, che quello fu il momento in cui la mia innocenza decise di andare a farsi benedire. E no, non il momento in cui persi la mia verginità, ma quello in cui scoprii la verità su Alessandro.
Ero stata una sciocca: avevo permesso ai miei sentimenti di prendere il sopravvento sulla mia razionalità, non permettendo ai miei occhi di vedere ciò che mi circondava, ossia menzogna e cattiveria. Sì, ero delusa, ferita, devastata, ma, sopra a ogni cosa, ero incazzata. Potevo perdonare al mio cuore di aver fatto la scelta sbagliata, ma non avrei mai perdonato ad Alessandro il fatto di avermi utilizzata come una bambola.
Di una cosa ero certa, l’avrebbe pagata.
Chiamai il bidello e gli chiesi di ripulire per terra. Che figura, avevo persino rimesso la colazione nel mezzo del corridoio! Andai in bagno a sciacquarmi e ripulirmi, poi tornai verso l’aula che si era, nel frattempo, riempita. Salutai i miei amici con il sorriso più falso che riuscii a produrre, ignorai Alessandro e mi sedetti al mio banco. Sapevo di aver attirato la loro attenzione, non poteva sfuggirgli il fatto che non mi fossi unita al gruppo per le solite chiacchiere mattutine, ma, soprattutto, non poteva sfuggire a nessuno all’interno di quella classe che Caterina avesse reso Alessandro completamente invisibile.
Le ore di lezione passarono in relativa tranquillità, durante l’intervallo mi rintanai in bagno per evitare qualsiasi contatto, mentre all’uscita mi affrettai a prendere il primo autobus che passava. Mi stavo comportando da stronza e ne ero perfettamente consapevole, stavo evitando tutti i miei amici, anche coloro che non avevano colpe. A dirla tutta, la colpa era di uno solo, se si escludeva il fatto che Emanuele appoggiasse il suo migliore amico per una questione di lealtà (o, forse, era veramente un deficiente!) e che Roberta avesse, momentaneamente, messo il cervello in standby a causa del suo nuovo ragazzo. Ebbene sì, queste erano le spiegazioni che avevo trovato per giustificare il comportamento di quei due che, fino a quella mattina, avevo reputato essere miei amici. Non ce l’avevo con loro, ma, prima o poi, avremmo fatto i conti.
Quando arrivai davanti al portone di casa, però, la mia decisione e la mia voglia di vendetta vennero sostituite dalla paura: Alessandro se ne stava appoggiato al suo motorino in attesa, senza dubbio, del mio arrivo. Di cosa avevo paura? Avrei potuto rispondere del confronto, della discussione, della perdita, ma, in realtà, sapevo benissimo che la mia più grande paura era la verità. Una piccola parte di me sperava ancora che le parole sentite quella mattina fossero un’enorme bugia, ma la grande parte sapeva, invece, che quella volta la speranza non sarebbe servita a niente. Mentre percorrevo gli ultimi metri che mi dividevano da lui un pensiero mi attraversò la mente: “Da adesso niente sarà più come prima. La tua vita cambierà, Caterina, e dovrai accettarlo.” Era vero, avrei dovuto rivoluzionare ogni cosa, probabilmente non ero neppure pronta, ma quella volta non volevo tirarmi indietro.
-Alessandro.- lo salutai freddamente.
-Caterina.- mi rispose lui.
-Cosa vuoi?- gli domandai.
Mi guardò furioso. –Cosa voglio io?? Cosa vuoi tu, piuttosto. O, magari, dovrei chiederti che cosa ti passa per la testa! Stamani sembravi impazzita, non parlavi con nessuno, evitavi chiunque tentasse di avvicinarsi, soprattutto me. Cosa ti è preso, cazzo?-
Mi ritrovai a pregare di avere il coraggio di essere una stronza. Poi parlai: -So tutto.-
Non capì. –Tutto? Ma che stai dicendo?-
-Alessandro, so tutto: Lilian, Londra, il viaggio con Emanuele. Tutto.-
Vidi le sue pupille dilatarsi per lo stupore, aprì la bocca e poi la richiuse. Era confuso, non sapeva cosa dire.
-Tranquillo, non serve che tu dica niente. O forse sì, una cosa voglio saperla: come cazzo hai fatto a convivere con te stesso fino ad ora? Che di me non ti importasse niente posso capirlo, ma che la tua coscienza non ti abbia torturato neppure un po’, stento a crederlo.-
-Non è come credi. Io ci tengo a te. Non volevo che lo sapessi in questo modo, te lo avrei detto.- mi disse.
Parole, parole, parole…
-Quando? La sera prima della partenza? Non stiamo qui a raccontarci storie, Alessandro. Tu non mi avresti detto niente, avevi solo bisogno di qualcuno con cui svagarti prima di partire per andare dalla tua cara Lilian. Pensi che non abbia saputo fin dall’inizio che fossi innamorato di lei? Pensi che non stessi male ogni volta che ti vedevo guardarla in quel modo? Pensi che non sia morta quando mi sono accorta che, invece, tu non mi hai mai guardata così? E non negare. Perché ho accettato di averti così, a metà, dandoti tutta me stessa senza ricevere niente in cambio, nella speranza che mi concedessi un briciolo di rispetto. Perché ho pensato che, almeno come amica, mi volessi bene. Ma no, tu non conosci vie di mezzo: tutto o niente, o ami o distruggi.- Ero riuscita a sputargli tutto quel discorso in faccia senza scoppiare a piangere, dovevo essere fiera di come mi ero comportata, ma volevo solo scomparire dalla faccia della Terra.
-No, tu non capisci.- Feci per interromperlo, ma continuò. –Non è così, io tengo a te in un modo che va oltre ogni immaginazione, non lo so descrivere. Avevo prenotato il viaggio con Ema per festeggiare il mio compleanno, ma è successo prima…di noi. Te l’avrei detto, te lo giuro. E avrei buttato tutto all’aria per te.- mi disse quasi urlando.
-Ma non l’hai fatto. Sono i gesti che contano, Alessandro, non le parole. Me l’hai insegnato tu, ricordi?-
Qualche anno prima Alessandro aveva letto Il Piccolo Principe e ne era rimasto affascinato, per mesi non aveva fatto altro che parlarmene. Alla fine lo avevo letto anch’io. Un pomeriggio decidemmo di leggerlo insieme, ma, come succede spesso alla seconda lettura, una frase mi fulminò: “Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole.” Da quel momento capii che, molto spesso, non conta ciò che una persona dice, ma come decide di agire. E Alessandro aveva scelto di fare la cosa sbagliata.
-Cate, non andare, ti prego..- sembrava quasi una preghiera.
-Mi dispiace, non ho voluto io tutto questo.- gli risposi glaciale.
-Mi avevi promesso che saresti rimasta, sempre.-
-Ma non ho mai promesso di intraprendere una missione suicida, Alessandro. Ti avrei dato tutto, ma non posso sacrificare me stessa, la mia dignità..-
-Dignità? Tu mi lasci per dignità?- mi chiese infuriato.
-No, Alessandro, io non ti sto lasciando, perché, in realtà, noi non siamo mai stati insieme. E no, non si tratta di dignità, si tratta di star bene con se stessi. Come posso pretendere che gli altri mi rispettino, se io per prima non rispetto me stessa? Questo è il motivo per cui le cose sono andate male tra di noi, perché io mi sono annullata per te!- e questa voltai gridai anch’io.
-Quindi finisce così?- mi domandò. –Dovrei far finta che tutto quello che abbiamo passato non sia mai esistito?-
-Fai come vuoi.-
-Caterina, guardami.- mi disse prendendomi il mento e facendo in modo che i nostri occhi si incontrassero. –Io non ho mai finto con te, te lo giuro.-
-Cosa fai, adesso giuri?- lo provocai.
-Giuro perché è vero e non ho paura di ammetterlo.-
-Nemmeno io ho avuto paura di ammettere di essermi innamorata di te, ma non è servito a niente. Anzi, guarda dove mi ha condotto questa grandiosa storia dell’amore!-
-Non dire cazzate! Sai benissimo che l’amore esiste.- mi disse.
Scoppiai a ridere convulsamente. –Tu vieni a dire a me che l’amore esiste? Tu che, credendo di essere innamorato di una squallida ragazzina inglese, compri un biglietto aereo solo per portartela a letto, ma nel frattempo usi la tua migliore amica dicendole di provare qualcosa per lei? Proprio tu vuoi dare lezioni d’amore a me, a me che sono sempre stata sincera e non ho mai nascosto i miei sentimenti nei tuoi confronti? Lascia perdere.- Feci per andarmene, ma la sua voce mi fermò.
–E se mi fossi innamorato di te?-
Era tutto letteralmente, incredibilmente e profondamente sbagliato. Il luogo, il momento, il contesto, persino le parole. Tutto sbagliato. Non mi voltai, continuai a camminare fino al portone. Entrai in casa e, finalmente, scoppiai in un pianto liberatorio.
Dormii qualche ora, poi la sera mangiai qualcosa, spensi il telefono e tornai a letto. La domenica passò in maniera uguale, giusto con qualche minima variante: colazione, letto, pranzo, visita alla nonna, cena, letto. Potrebbe sembrare che stessi cercando di rendere la situazione più drammatica di quanto fosse veramente, in realtà volevo solo cadere in un sonno ristoratore di durata quinquennale. Eppure non ci riuscivo. Non me ne fregava di continuare a piangere, disperarmi, volevo solo smettere di pensare, spegnere il cervello e dormire. Volevo che il mondo, così come lo conoscevo io, scomparisse e mi trascinasse dall’altra parte dell’oceano. Lì, ero sicura, sarei stata salva da tutto e da tutti. Eppure tutte le volte che aprivo gli occhi, la mia visuale era sempre la stessa, i pensieri idem, e non facevo altro che desiderare di riprendere sonno.
Il lunedì mattina mia madre si affacciò alla porta della mia camera, mi fissò per qualche secondo (cosa che aveva fatto, senza pretendere risposte, anche nei due giorni precedenti), ma, poi, parlò: -Caterina, non ti ho chiesto niente e continuerò a non farlo finché non sarai tu a volerne parlare, ma ti prego, reagisci. Oggi puoi stare a casa, buttare giù tutti i mobili, mangiare chili di biscotti e urlare quanto vuoi, ma non farti trovare lì come un vegetale al mio ritorno. Preferisco vederti prendere a calci il muro, piuttosto che sotterrata tra quelle coperte.-
Annuii per dimostrarle che avessi sentito le sue parole, ma non avevo nessuna intenzione di distruggere la casa, sarebbe stato un comportamento infantile.
“Perché saltare la scuola per fissare il soffitto della tua stanza non è infantile?” mi fece presente una vocina nella mia testa che, prontamente, ignorai.
Erano le due di pomeriggio quando mi alzai per andare in bagno. Decisi di fare una doccia veloce, giusto per non permettere al mio corpo di riflettere la mia condizione interiore, ossia la putrefazione (sì, avevo tendenze melodrammatiche particolarmente marcate). Quando tornai in camera, trovai un messaggio sul cellulare. Non sapevo proprio chi potesse essere: Vittoria e Isa mi avevano chiesto come stessi e le avevo liquidate con la scusa della febbre, Emanuele e Roberta non si erano fatti sentire, non che mi aspettassi un messaggio da Ema, ma da Roberta mi sarei aspettata molto di più; Giovanni, invece, mi aveva chiamata durante la ricreazione, ma non gli avevo risposto, perché sapevo di non essere in grado di mentirgli e non volevo che venisse a conoscenza di quello che era successo, preferivo aspettare. Insomma, non pensavo che nessuna di queste persone potesse essere il mittente del messaggio, ultimo fra tutti colui che non volevo neppure nominare. Presi il telefono e lessi quello che mi aveva scritto l’unica persona a cui non avevo pensato, Marica.
“Ciao Caterina, so che non ti saresti mai aspettata di ricevere un messaggio da me. Ti confesso che ero molto indecisa, poi l’ho inviato. So come mai non sei venuta a scuola stamani, ho sentito i ragazzi mentre parlavano del viaggio, poi Giovanni si è incazzato di brutto e ha litigato con Ale ed Ema. Insomma, non mi ci è voluto molto a capire. Non ti biasimo, anch’io ho desiderato scomparire quando con Ale non è andata, ma su una cosa stai sbagliando: per nessun motivo al mondo dovresti permettere ad altri esseri umani di farti sentire inutile. Poi, probabilmente, non è il tuo caso e mi sto sbagliando, ma nel caso in cui tu stessi cercando di evitare il mondo, allora alza il culo e riprenditi. Preferisco vederti mentre mi fulmini con lo sguardo, almeno so che sei viva.”
Non avevo parole. Non sapevo veramente cosa pensare. Marica, la stronza che mi trattava come uno scarto dell’universo, mi aveva appena mandato il messaggio più sensato che avessi mai ricevuto. Non solo perché capiva come mi sentivo, ma perché, pur non essendo mia amica, era l’unica che si era preoccupata per me. L’unica. Scossi la testa, incredula, e scrissi di getto un messaggio di risposta.
“Per quanto, molto spesso, desideri prenderti per i capelli, ti devo ringraziare. E lo faccio sinceramente. :) Non preoccuparti, tornerò molto presto a lanciarti occhiate assassine che tu, sicuramente, ricambierai.”
Mi rispose con un semplice “Ovviamente ;)” e, senza una ragione, mi trovai a sorridere.
Soltanto qualche minuto dopo, però, compresi quello che Marica aveva scritto: Giovanni aveva saputo tutto quella mattina e aveva litigato con Alessandro ed Emanuele. Ecco perché mi aveva chiamata! Ero la persona più stupida dell’universo: avevo accanto una persona fantastica come Giovanni e, invece di essere sincera con lui, avevo ignorato la sua chiamata. Cercai il suo numero nella rubrica e avviai la chiamata.
-Cate!- mi rispose quasi subito.
-Giovanni, scusami, non ho sentito il telefono.- mi giustificai come una bambina.
-Non preoccuparti, capisco che tu non volessi parlare con nessuno.- disse comprensivo, facendo aumentare il mio senso di colpa.
-No, non è così. Cioè, voglio dire… Adesso sono pronta a parlarne.-
-Sicura?-
-Sì.- No, non lo ero per niente.
-Tra venti minuti sono da te.- mi disse.
Riattaccai e, nonostante tutto, sentii il mio cuore alleggerirsi di qualche grammo. Benedissi mentalmente l’amicizia, quella vera, e cercai di rendermi presentabile per l’arrivo di Giovanni.
Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
Note dell’autrice:
Salve!
Ebbene sì, incredibilmente, sono già tornata. Non so come abbia fatto a finire il capitolo così velocemente, ma è un traguardo considerati i miei precedenti ritardi. :D
Dunque, come avete potuto notare, la disperazione regna sovrana. Credo sia il momento peggiore di tutta la storia, ma sarebbe dovuto arrivare, prima o poi. Anche il prossimo capitolo non sarà molto allegro, ma, forse, più avanti, la situazione tornerà ad essere più leggera.
Ringrazio di cuore le splendide persone che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite/ricordate/preferite e coloro che hanno recensito. Siete la mia forza e vi porto sempre nel cuore. Grazie! :)
Spero di riuscire a scrivere il prossimo capitolo piuttosto velocemente.
Vi aspetto e, come sempre, se volete, potete lasciare una recensione.
Un bacione,
Jane |
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Capitolo 19 *** Se vuoi guarire, però, prova un po' ad innamorarti di te ***
Capitolo 18
Se vuoi guarire, però, prova un po’ ad innamorarti di te
“Qualche volta siamo spinti in una direzione
che avremmo dovuto trovare da soli.”
(dal film “Un amore a 5 stelle”)
Avevo appena finito di raccontare a Giovanni ogni singolo dettaglio della mia relazione con Alessandro, lui mi aveva ascoltata in silenzio senza lasciar trapelare alcuna emozione. Aveva atteso che il mio sfogo giungesse a conclusione, poi, per l’ennesima volta, mi aveva abbracciata.
Non so cosa lo portasse a consolarmi, ascoltarmi e consigliarmi pazientemente ogni volta, non era umanamente possibile che una persona fosse disposta a tanto solo per amicizia, tutto ciò andava al di là della mia comprensione.
O, forse, ero io a non aver chiaro il concetto di amicizia. Cosa pensavo, che l’amico modello fosse Alessandro? Che noi fossimo stati davvero amici? Che il nostro fosse stato un vero rapporto di amicizia, poi degenerato? No, quello era ciò che avrei voluto fosse reale, ma ero arrivata ad un punto di non ritorno: noi non eravamo mai stati amici, nemmeno la prima volta che ci eravamo parlati, all’età di quattordici anni, quando lui mi aveva accusata di odiarlo senza motivo. Noi eravamo stati un caos completo, dal primo all’ultimo giorno, una coppia senza definizione e senza ragion d’essere.
A cosa serviva che le persone ci scambiassero per fidanzati se poi ero quella che stava male per una frase di troppo uscita dalla sua bocca? Volevo davvero spacciare quello schifo per amicizia e continuare ad accontentarmi del niente che mi veniva dato?
Cercai gli occhi di Giovanni con i miei, ma li trovai altrove, freddi e distanti.
-Parla.- gli dissi.
-Non so cosa dirti. È un pezzo di merda.- fu tutto quello che mi rispose.
Sorrisi. –Già. Continuano a ripetermelo tutti.-
-Perché non vuoi ascoltare. Io l’avevo avvertito di non fare cazzate con te, ma niente, quello che vuole se lo prende e poi lo getta via quando si è stufato. Per non parlare di quel cretino di Emanuele!- disse rabbioso.
-No, lui lo capisco. In fondo sono migliori amici.- ammisi flebilmente.
-Avresti mai permesso a Roberta di trattare qualcuno come Alessandro ha trattato te? Lo permetteresti a me?- mi domandò.
Arrossii per il fatto che Giovanni mi avesse implicitamente descritta come la sua migliore amica e provai una fitta piacevole allo stomaco, una di quelle che si provano quando si percepisce il bene che si vuole a qualcuno.
-No, non lo permetterei.- risposi stanca.
-Appunto, quindi smetti di difendere sempre tutti. Preoccupati di te stessa per una volta, guarda che faccia che hai.- mi prese in giro cercando di farmi sorridere.
-Immagino, un’opera d’arte!- dissi ironica.
-Sei bella come sempre.- mi disse lui lasciandomi un bacio sulla fronte.
Sentii l’impulso di dire qualcosa, di mettere in chiaro la situazione, ma non sapevo neppure cosa avrei potuto dire, perché non sapevo quale situazione dovesse essere chiarita. Ero sconvolta, stanca, ferita e cominciavo a diventare mentalmente instabile. Avevo solo bisogno di dormire un po’, ecco tutto.
-Giovanni, io vado. Ho bisogno di riposarmi.- dissi il più gentilmente possibile.
-Va bene, se hai bisogno chiama.-
Annuii e lo salutai con una mano.
-Cate..- mi richiamò.
Mi voltai. –Dimmi.-
-No, niente. Riposati.- mi disse. Avevo capito che non era ciò che avrebbe voluto dirmi, ma lasciai correre. Forse non volevo sapere.
Così mi voltai e andai a casa.
Capii, però, che quella giornata non avrebbe mai avuto fine quando arrivai davanti al portone e lo trovai lì ad aspettarmi.
Confesso che una parte di me era sempre stata consapevole del fatto che sarebbe accaduto, ma le altre parti che mi componevano, invece, non avevano neppure preso in considerazione la possibilità di rivederlo.
-Cosa vuoi, Alessandro?- chiesi decisa a chiudere velocemente la conversazione.
-Che tu mi ascolti e mi creda.-
-Proposta allettante, ma non credo di aver voglia di ascoltarti, figurati se sono pronta a credere alle cazzate che spari.- dissi con aria di sufficienza regalandogli una delle mie migliori occhiate disgustate.
-Non far finta di essere superiore con me, si vede che stai di merda.- sputò irato.
-Ma guarda che novità! Ed io che pensavo che questo fosse il mio aspetto normale! Mi stai prendendo per il culo?- gli chiesi trattenendomi dal tirargli un pugno sul naso. Cosa che, tra parentesi, mi avrebbe reso ancora più ridicola e non gli avrebbe procurato nessun dolore.
-Puoi, per favore, ascoltarmi?- mi domandò chiudendo gli occhi per recuperare la calma.
-Hai due minuti.- sentenziai.
Mi fissò qualche secondo, poi cominciò. –Tu hai tutte le ragioni del mondo, veramente tutte. Sono stato uno stronzo, avrei dovuto annullare tutto tempo fa perché, in realtà, a me non importa niente di Lilian. Avevi ragione, era solo una batosta temporanea ed io non sono mai stato innamorato di lei, era la situazione a farmelo credere. Io voglio te, solo te, perché sei la mia migliore amica e ci sei sempre stata, perché non ti voglio perdere e perché hai sempre avuto ragione su ogni singola cosa! E sì, sono i fatti quelli che contano, non le parole! Quindi adesso sono qui, da te, perché voglio sapere se anche tu provi quello che provo io. Devi solo chiedermi di non partire e tra due giorni io resterò qui con te, non salirò su quell’aereo e saremo felici. Chiedimelo!- mi implorò.
Non avevo metabolizzato neppure la metà delle cose che aveva detto, non avevo il coraggio di credere alle sue parole, sarebbe stato solo l’ennesimo attentato terroristico al mio disgraziato cuore. L’unica cosa che avevo memorizzato era stata la data della sua partenza: due giorni, mancavano soltanto due insignificanti giorni.
-Due giorni?- chiesi a voce così bassa che dubitai mi avesse sentita. Ma annuì.
Il centro della mia vita, il fulcro della mia esistenza consisteva nel rendersi conto dei fatti quando ormai non c’era più molto da fare: perché, dopo tutta la confusione che quella storia aveva scatenato, non mi ero preoccupata di informarmi su un dettaglio così importante come la partenza? E, porca vacca, perché a soli due giorni di distanza, la mia rabbia sembrava essere diventata inconsistente e aveva lasciato il posto alla voglia che avevo di lui? O, forse, erano proprio quei due giorni a fare tutta la differenza?
Avrei potuto chiedergli di non partire, probabilmente avrei dovuto farlo, sarebbe stato più semplice, avrei preso tempo e, forse, le cose si sarebbero aggiustate. Avrei potuto, in un modo o nell’altro, perdonarlo, accoglierlo tra le mie braccia e lasciare che tutto questo fosse solo il ricordo di un incubo passato. Ma non lo feci.
Dalla mia bocca non uscì neppure una parola; furono le mie gambe a muoversi verso di lui e furono le mie braccia a cingergli il collo. Poi, come mi sembrò naturale fare, lo baciai. Dapprima dolcemente, poggiando le mie labbra sulle sue in un timido sfioramento, poi, incoraggiata dalle sue mani che premevano sulla mia schiena per avvicinarmi a lui, mi aggrappai alle sue spalle e approfondii il bacio. Lasciai che le nostre lingue si trovassero e giocassero dolcemente, lasciai che mi mordesse il labbro inferiore facendomi sobbalzare dalla sorpresa, lasciai che le sue labbra vagassero freneticamente e senza meta sul mio collo. Sentii le sue mani accarezzarmi la schiena al di sotto della maglietta, sentii la morbidezza dei suoi capelli tra le mie di mani. Poi, sorreggendomi sotto le cosce, mi alzò da terra affinché i nostri occhi fossero alla stessa altezza e, come in ogni fiaba di basso genere, pronunciò le parole che mi fecero tornare bruscamente alla realtà.
-Saliamo da te?-
E la bolla di sapone scoppiò.
Avrei dovuto essere furiosa con lui, avrei dovuto mandarlo a casa a calci in culo, invece gli ero saltata addosso come fossi posseduta. E, forse, posseduta lo ero davvero, se si osservavano le mie reazioni contraddittorie. Io volevo ardentemente fare l’amore con lui, più di qualsiasi altra cosa, ma non doveva succedere. Io ero arrabbiata con lui, lui mi aveva mentito, doveva partire e allontanarsi da me. Da me che gli stavo mentendo.
Scossi la testa. –No, Ale ascoltami. Non possiamo.-
-Cosa stai dicendo?- mi domandò incredulo. –Cos’è, una tattica per farmela pagare? Non ti piaccio più?-
-Non c’entra niente tutto questo, sono io che non posso prenderti in giro. Ti amo, ormai lo sai, ma devi partire. Sono disposta a perdonarti, non me ne frega niente di quello che è successo, ma devi andare a Londra come avevi deciso. Devi darmi del tempo e, forse, stare lontani ci farà bene. Mi fido di te, Ale, ma sono convinta che questo tempo farà bene anche a te.- conclusi. Mi sarei fatta un applauso da sola, il miglior discorso mai sentito. Peccato che fosse un’enorme, colossale cazzata!
-Cosa succederà al mio ritorno?- mi chiese e, per un attimo, ebbi paura che avesse capito più di quel che doveva.
-Proveremo a vedere come va, se davvero proviamo qualcosa l’uno per l’altra o no.-
Lui annuì. –Voglio stare con te.-
Chiusi gli occhi. –Non è il momento per parlarne. Parti, vai a Londra, divertiti, pensami, se vuoi. Se dobbiamo stare insieme, accadrà comunque.-
Posò le labbra sulla mia fronte e vi lasciò un bacio.
-Ciao Cate.-
-Ciao Ale.- gli sorrisi per incoraggiarlo.
Si incamminò verso la strada, poi, raggiunta la sua auto, si voltò verso di me per ricambiare il sorriso.
Ma una lacrima era già scesa sul mio volto. Una stronza che frignava continuamente, ecco cos’ero.
Erano quasi le dieci quando sentii il telefono vibrare per l’arrivo di un sms. Era di Roberta.
“Cate, lo so benissimo che ce l’hai con me, ma dobbiamo parlarne. Hai tutte le ragioni, ma devi ascoltarmi.”
Ci avevo riflettuto, non era del tutto colpa sua, in fin dei conti era la ragazza di Emanuele, ma non riuscivo a perdonarle il fatto di aver anteposto un ragazzo alla nostra amicizia. Sembrava veramente la trama di un pessimo telefilm. Aspettai qualche minuto, poi le risposi.
“Okay, al momento giusto ne parleremo.”
-Caterina!- sentii mia madre chiamarmi dalla lavanderia.
-Che c’è, mamma?-
-La gonna a vita alta, quella nera, la vuoi?-
-Sì, assolutamente!-
La sentii trafficare rumorosamente qualche minuto, poi apparve sulla soglia della mia stanza.
-Sei sicura di quello che stai facendo?- mi domandò preoccupata.
-Sì, mamma, è da ieri che me lo chiedi, ma ci ho pensato parecchio e sono assolutamente convinta.- le dissi.
Lei annuì, poi aggiunse: -Non vuoi proprio dirglielo?-
Sospirai. –No, non deve sapere niente. Almeno per ora.-
-E sei assolutamente convinta di non voler andare da lui?-
-Adesso?- le chiesi spalancando gli occhi.
-Adesso, stanotte, domani… Non vuoi rivederlo?-
Per un attimo la odiai per aver posto quella domanda, poi mi ripresi. –No, sto bene così.-
Mi guardò come si guarda un fiore ormai appassito, poi chiuse la porta e mi lasciò sola.
Mi chiesi se mia madre non avesse ragione, se non fossi dovuta andare da lui, parlargli, dirgli la verità, baciarlo ancora.
Il punto, mi resi conto, era che io l'amavo. Non importava che gli avessi gridato contro migliaia di volte, che gli avessi detto che sarebbe dovuto partire, che avevo bisogno di tempo. Io l'amavo.
E no, cazzo, non avrei voluto perderlo. Se avessi dovuto fare quello che realmente volevo, avrei corso per i 12 km che ci separavano, sarei andata da lui e gli avrei detto che lo odiavo come lo avevo sempre odiato, forse di più, che mi aveva rovinato la vita, mi aveva stravolta, fatta a pezzi, ridotta ad un insieme di ossa. Dopo, però, l'avrei abbracciato e gli avrei detto che volevo finirla con quella sceneggiata, non avrei sopportato di stare un altro giorno lontana da lui, che, pur di riaverlo indietro, avrei soppresso tutti i miei sentimenti sbagliati.
Ma no, non potevo farlo. Avevo preso la mia decisione ed era quella giusta. Non avrebbe avuto senso buttare tutto all'aria, non sarei mai riuscita a mettere da parte quello che sentivo. Ci avevo riflettuto, se avessi dovuto scegliere tra averlo accanto subito, pentendomi di non averci pensato abbastanza, o ricominciare da sola, lontana da lui, avrei scelto sicuramente la seconda.
Egoista? Sì, forse. Ma non sarebbe stato un atto egoista anche il suo volermi accanto subito, dopo tutto quello che era successo?
Gli volevo bene, anzi no, lo amavo, adesso che lo avevo capito non avevo più paura ad ammetterlo. Nonostante ciò, non potevo pensare a lui.
Come dicevano nei film? "Ti ho lasciato perché ti amavo troppo."
No, io lo abbandonavo perché, per la prima volta in diciotto anni, stavo provando a conoscere qualcun altro: me stessa. Perché, senza amore per me stessa, nemmeno quello per lui avrebbe avuto senso.
Così, come la più grande delle stronze, stavo per partire di nascosto, senza sapere quando avrei fatto ritorno.
Note dell’autrice:
Salve! :)
Dopo secoli sono tornata! In effetti mi dovrei vergognare per il colossale ritardo e vi chiedo umilmente scusa.
Questo capitolo è stato molto difficile da scrivere e, probabilmente, non è neppure ciò che vi aspettavate, ma non poteva andare diversamente. La scelta e il comportamento di Caterina possono sembrare surreali, irrazionali, stupidi, ma non è così: ha improvvisamente deciso di partire (ancora non si sa per dove, come e perché), forse per allontanarsi da Ale, forse per il suo bene, chissà, le ragioni potrebbero essere molteplici e tutto verrà spiegato al momento giusto. Vi chiedo solo di non giudicarla troppo severamente, in fin dei conti è solo una quasi diciottenne. E a diciotto anni le decisioni sono le cose più difficili da prendere.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite, ricordate e preferite, coloro che hanno dedicato un minuto del loro tempo alla recensione di questa storia e coloro che, anche se in silenzio, leggono la vita di Ale e Cate.
Grazie, siete davvero importanti!
A presto!
Baci,
Jane |
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Capitolo 20 *** Verso la resa dei conti ***
Capitolo 19
Verso la resa dei conti
Era il giorno del mio diciottesimo compleanno. Finalmente, dopo mesi, avevo raggiunto quel traguardo tanto agognato. Ero in ansia, preoccupata di come le cose sarebbero potute andare quella sera. “Hai affrontato di peggio!”, pensai per infondermi coraggio. Sì, avevo assolutamente affrontato di peggio, soprattutto nei mesi precedenti, ma la mia festa sarebbe stato il momento della resa dei conti. Il momento della verità.
Ero tornata due settimane prima da Bruxelles, luogo che avevo scelto per stare un po’ lontana da casa. Mia zia abitava lì, così avevo chiesto a mia madre di poter studiare in quella città per qualche mese; lei, pur di non vedere più la maschera di depressione che indossavo ogni giorno, aveva accettato la mia proposta. Ero partita all’alba di un fresco giovedì per cominciare una nuova avventura lontana da casa; avevo passato i mesi estivi ad aiutare mia zia in casa, a fare da babysitter ai vicini di casa e a visitare la città come una turista. Poi era arrivato settembre e, come promesso a mia madre, avevo cominciato il mio ultimo anno scolastico in un liceo di Bruxelles, dopo aver ricevuto il permesso dalla mia scuola italiana. Avrei dovuto sostenere i compiti in classe e le interrogazioni in inglese e in francese, poiché quei voti sarebbero stati importanti per la mia ammissione alla maturità in Italia, ma non avevo paura, studiare non sarebbe stato un problema. E, in effetti, non lo era stato: mi ero impegnata, avevo acquisito ottime conoscenze delle due lingue e avevo conseguito buone valutazioni. Le settimane erano volate e mi ero ritrovata a vivere una nuova realtà lontana da casa, ma circondata da persone nuove che mi avevano fatta sentire una di loro fin dall’inizio. Nonostante tutto dovetti ammettere a me stessa che tre mesi non sarebbero serviti a dimenticare, né a creare nuovi legami, ma a me andava bene così, non cercavo stabilità, bensì allegria e amicizia. Dunque avevo passato i sei mesi precedenti in Belgio, lontana da tutto e da tutti, ma soprattutto senza che nessuno sapesse niente: era stata una delle peggiori decisioni che avessi mai preso, la più sbagliata in tutti i sensi, ma non me ne ero mai pentita. Almeno fino a quando non avevo ricevuto il suo primo messaggio.
“Dimmi che non l’hai fatto veramente. È tutto uno scherzo, vero? Dimmelo, altrimenti farò di tutto per sapere dove sei e verrò a prenderti.”
A quello ne erano seguiti altri più arrabbiati, delusi, deliranti, affettuosi, ma io non avevo mai risposto. Fino a quando non ne avevo ricevuto uno da Roberta.
“Io ho sbagliato tutto, ma tu stai cercando di imitarmi. Almeno rispondi gli, è a pezzi. E Giovanni non fa altro che dargli contro. Ragiona, Cate.”
A quel punto avevo risposto a Roberta, le avevo detto che non dovevo giustificare le mie scelte e che ero felice così, che non si preoccupasse della mia vita e che ci saremmo riviste dopo qualche mese; poi avevo scritto a Giovanni, con il quale ero sempre in contatto, e gli avevo chiesto di non litigare con Alessandro per colpa mia. Infine, mettendo da parte il mio spirito da protagonista di fiction sui teenagers, avevo risposto anche a lui.
“Non ce la facevo a risponderti. Mi dispiace, tornerò presto. Smettila di comportarti da immaturo, lascia perdere dove mi trovo, non è importante. Usa questo tempo per pensare a te stesso e a quello che vuoi, Ale, non ha senso che continui a dannarti perché sono partita, non è dipeso da te. Lo sai che ho l’animo tragico. ;) Quindi vai avanti, in fin dei conti è come se fossi in vacanza. Ti voglio bene.”
Non l’avevo più sentito, se non di rado per scambiarci gentili convenevoli come due normali amici. Sì, anch’io mi sarei messa a ridere se avessi sentito qualcuno definirci così, ma, alla fine, era ciò che eravamo diventati.
Poi novembre era arrivato e con lui il mio compleanno. Così, quindici giorni prima dell’evento, avevo salutato i miei nuovi amici stranieri, avevo ringraziato mia zia per l’ospitalità e, silenziosa come sempre, avevo preso l’aereo che mi avrebbe riportata a casa. Mia madre era stata felicissima di riavermi a casa, non smetteva più di abbracciarmi e sorridere. Un po’ mi ero pentita di essere stata lontana per così tanto tempo, ma non importava, ero tornata. Nei giorni successivi avevo incontrato Giovanni, il quale mi aveva raccontato cosa fosse successo durante quei mesi e mi aveva assicurato che niente era cambiato. Ci eravamo abbracciati, coccolati, avevamo riso e io non avevo avuto più dubbi sul fatto che lui non mi vedesse solo come un’amica. Pensiero egocentrico, lo ammetto, ma chi meglio di me avrebbe potuto riconoscere i sintomi di quella malattia? Avevo rivisto la me stessa di qualche tempo prima nei suoi gesti, nelle sue parole, nei suoi sguardi. Avevo rivisto me stessa in lui, ma non avevo avuto il coraggio di dirgli niente: non volevo illuderlo, né ferirlo, ma non mi sarei mai permessa di perderlo. In fin dei conti era tutto ciò che avevo, il mio unico amico, il mio unico confidente, la mia ancora. Ero sicura, però, che sarei riuscita a stabilire un limite se ce ne fosse stato bisogno, perché io non sarei mai stata “il suo Alessandro”, non lo avrei mai trascinato a fondo. Ma, forse, mi stavo facendo troppi film mentali.
Poi, un pomeriggio di qualche giorno prima, qualcuno aveva suonato il campanello e mi ero ritrovata davanti a quella che un tempo era stata la mia migliore amica.
-Ho incontrato tua mamma, mi ha detto del tuo ritorno.-
-Già.- avevo confermato. –Vuoi entrare?-
Per i dieci minuti successivi ci eravamo scambiate a stento cinque parole, poi Roberta aveva parlato.
-Non avrei mai voluto mentirti, non sapevo come gestire la situazione, era tutto nuovo per me: ero così presa da Emanuele, non volevo rovinare quello che avevamo cominciato insieme e, sinceramente, speravo che Ale te l’avrebbe detto prima di partire. Ma ho sbagliato, su questo non c’è dubbio. Ti chiedo solo di perdonarmi, mi manchi e ho bisogno di te.- mi aveva detto con gli occhi lucidi.
Io, ormai, mi ero arresa da tempo e avevo lasciato che le mie arrabbiature scivolassero via. –Non sono arrabbiata con te, Roby. Non lo sono da un pezzo, solo che non riesco più a fidarmi completamente.- avevo ammesso guardandola negli occhi. Lei aveva avuto un sussulto.
-Però potrei lavorarci.- le avevo detto prima di abbracciarla.
Mi ci era voluto un po’ di tempo per capire che le arrabbiature non portavano a niente e che solo perdonando si poteva sperare di cambiare qualcosa; certo, non ero Madre Teresa di Calcutta e non aspiravo ad esserlo, ma non volevo passare la vita tra stupidi teatrini tragici e litigi adolescenziali. Volevo di più, volevo essere di più.
-Cate, posso dirti una cosa?- mi aveva chiesto poco dopo.
-Dimmi.-
-Perché sei partita?-
Avevo sbuffato piano, ma poi avevo deciso che era giusto che sapesse la verità. –Perché non volevo stare qui, ero arrabbiata, delusa e non volevo vedere nessuno. Mia zia mi aveva già invita da lei per l’estate, ma poi mi è venuto in mente che in alcuni paesi è possibile frequentare l’ultimo anno a metà, insomma un po’ lì e un po’ a casa.-
-Non potevi salutarlo?- mi aveva chiesto senza bisogno di rendere esplicito il soggetto.
-No, l’ho fatto di proposito, non volevo essere qui al suo ritorno, anzi non volevo nemmeno sapere se sarebbe partito.- le avevo detto.
-Quando è tornato ha perso la testa. Un giorno mi ha persino urlato contro, pensava che fossimo in contatto e voleva che ti ricordassi della borsa di studio. Non ho capito cosa significasse, ma credo fosse solo sconvolto.-
No, non era solo sconvolto. Avevo capito subito a cosa si era riferito: era gennaio e la scuola aveva appena indetto un concorso per vincere una borsa di studio e frequentare l’ultimo anno a Boston. Sfortunatamente soltanto una persona per classe poteva fare domanda e lui era stato scelto tra i dieci che si erano proposti nella nostra classe. Alcuni si erano arrabbiati per la scelta fatta dai professori e ne era venuta fuori una forte discussione, soprattutto tra due ragazzi ed Alessandro. Alla fine lui, privo di un qualsiasi sostegno, era uscito dall’aula gridando che non c’era nessuno lì dentro a cui tenesse davvero e che potevamo andare tutti a quel paese. Io, però, l’avevo seguito urlandogli parole poco sensate.
-Cate, adesso smettila! Sei isterica!- mi aveva urlato poco gentilmente.
-Come faccio a non esserlo? Hai appena detto che non te ne frega niente, niente di niente. Cazzo, ma sei davvero così egoista?- Era delusa, ferita, stanca. Le lacrime erano vicine, ma cercai di ricacciarle indietro.
-Non ho detto questo, stupida!-
-Non darmi della stupida!-
Mi ero fatta forza e lo avevo guardato in faccia. Mi stava fissando, la fronte contratta e i pugni stretti lungo i fianchi.
Avevo respirato, cercando di chiamare a me un briciolo di razionalità.
-Va bene, ammettiamo che tu non intendessi dire ciò che hai detto..allora, cosa volevi dire?-
Mantenere la calma e la lucidità richiedeva uno sforzo enorme. Stavo perdendo anche la capacità linguistica.
-Dicevo che non importa quello che dicono, va bene? Se voglio comportarmi in un certo modo, nessuno può impedirmelo; se voglio dire qualcosa, nessuno mi fermerà, è chiaro?-
-Appunto. Anch'io penso quelle cose, quelle che ti hanno detto, e non riesco a cambiare idea. Mi dispiace, ma è così.- Avevo abbassato gli occhi, presa dai sensi di colpa.
-Vorresti dire che nemmeno tu vuoi che sia io a vincere quest'anno?- mi aveva chiesto con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
-No, non credo sarebbe giusto...- Che stronza che ero!
-Va bene.- fu tutto ciò che disse.
-Cosa? Cosa va bene, Alessandro? Ti sembra che ci sia qualcosa che va bene?- avevo urlato.
-Sto dicendo che va bene, non ci proverò nemmeno. Se devi pensare che non mi importa della tua opinione, allora lascio perdere.-
Lo avevo fissato incredula. Aveva davvero detto che sceglieva me alla competizione. Avrei voluto sorridere, ma non lo avevo fatto.
-Grazie.-
Lui si limitò a scuotere le spalle e sorridere debolmente.
C’erano stati tanti momenti in cui i sensi di colpa per come mi ero comportata quel giorno erano tornati a farsi sentire e, in tutti quei mesi, non mi ero mai perdonata il fatto di avergli detto quelle cose solo per non vederlo partire: sapevo che lui era l’unico a meritarsi di vincere quella borsa di studio e non pensavo che i miei compagni avessero ragione ad essere arrabbiati, ma avrei fatto di tutto per impedire che partisse.
A mesi di distanza, però, la stronza che era partita ero stata io. E lui aveva avuto ragione ad arrabbiarsi, perché per me aveva deciso di restare.
Dopo quella piccola parentesi che avevo prontamente rinchiuso in uno dei tanti cassetti della mente, io e Roberta avevamo passato il pomeriggio a mangiare gelato ed aggiornarci sulle rispettive vite, poi lei era dovuta tornare a casa. Prima di andarsene, però, mi aveva detto quello che ancora non sapevo, quello che neppure Giovanni, con tutta la sua buona volontà, era riuscito a dirmi.
-Cate, non so se lo sai già e non voglio assolutamente crearti problemi, lo faccio solo a titolo informativo: Alessandro sta uscendo con una ragazza.-
Io avevo annuito, le avevo sorriso e l’avevo salutata come se la notizia non mi avesse toccata.
-Okay, grazie Roby. Allora ci vediamo venerdì al mio compleanno.-
Avevo chiuso la porta e, per la prima volta in sei mesi, avevo rimpianto la decisione di essere partita per Bruxelles.
Avevo passato tre giorni d’inferno, combattuta tra l’idea di cercarlo, ricordi vorticanti e sentimenti confusi, poi mi ero decisa a calmarmi. Non avevo alcun diritto nei suoi confronti, lo avevo lasciato andare e lui si era rifatto una vita, non c’era niente da dire. Era inutile che continuassi a far finta di essere intoccabile, ero gelosa perché ero ancora innamorata di lui, ma avevo capito da sola che quello era il prezzo da pagare per la decisione che avevo preso sei mesi prima.
Così avevo atteso il giorno del mio compleanno con la speranza che lui si presentasse alla mia festa da solo. O che non si presentasse per niente.
Tutto o niente, mi ero detta.
Quella sarebbe stata davvero la resa dei conti.
Note dell’autrice:
Salve!
Eccomi qui, stranamente, con poco ritardo. Avevo deciso di pubblicare un ultimo capitolo e l’epilogo, ma all’ultimo momento ho deciso di spezzare il capitolo e lasciare la festa di Caterina alla prossima volta.
Sono consapevole di aver scritto una lagna, ma era necessario che spiegassi, almeno brevemente, la decisione di Caterina e tutto ciò che ne è conseguito. Ci sono parecchi balzi temporali, forse troppi, ma era importante che capiste come si sono evolute le cose durante la sua assenza, nonostante non sia successo niente di particolare. Diciamo che Caterina si è divertita, è stata lontana da casa e dai problemi, ma, intanto, il mondo è andato avanti senza di lei.
Il flashback di Caterina, quello riferito alla borsa di studio, è lo stesso evento narrato nel secondo capitolo “Sensi di colpa”: all’epoca non era molto chiaro il perché quell’evento fosse importante, ma adesso il cerchio si sta chiudendo.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite, ricordate e preferite, coloro che hanno dedicato un minuto del loro tempo alla recensione di questa storia e coloro che si limitano a leggere in silenzio.
Grazie davvero.
A presto!
Baci,
Jane
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Capitolo 21 *** La svolta - The End ***
Capitolo 20
La svolta – The End
Ero pronta.
Mi trovavo, da sola, al centro della sala che mia madre aveva affittato per la mia festa aspettando che gli invitati arrivassero. Avevo indossato un vestito bianco, corto, con una morbida scollatura e un paio di scarpe con il tacco nere. Non ricordavo neppure quando avevo scelto l’abito per la serata, ma speravo di essere presentabile. Mia madre, prima di andarsene, mi aveva ripetuto con gli occhi lucidi quanto fossi bella e quanto fosse orgogliosa di me, ma quella sera non riuscivo proprio a capire cosa la rendesse così orgogliosa di avere per figlia una come me. Uno schifo, ecco cos’ero.
Sentii la porta in fondo alla sala aprirsi, così respirai, mi preparai a sorridere con convinzione e mi recai ad accogliere i miei ospiti.
Sentivo la musica rimbombarmi nelle orecchie. Giravo per la sala salutando tutti gli invitati, scambiando due parole con chi capitava e scartando i regali che mi erano stati consegnati. Mi recai verso il tavolo dei regali e ve li appoggiai sopra, poi respirai profondamente pronta a ripartire.
-Come va la serata, festeggiata?-
Mi voltai ed incontrai il volto sorridente di Giovanni.
-Ehilà! Tutto bene, tu? Ti diverti?- gli domandai.
-Sì, ma preferirei che la festeggiata potesse passare più tempo con il suo migliore amico.- mi rispose sfoderando uno sguardo tenero.
-Adesso sono libera.- gli dissi.
Stavamo per andare a ballare, quando Emanuele e Roberta mi si pararono davanti.
-Ehm Cate, Ema vorrebbe dirti una cosa.- mi disse lei titubante.
-Okay, parla.- risposi rivolgendomi a lui. Giovanni, al mio fianco, si irrigidì, ma non disse niente.
-Volevo dirti che mi dispiace per come mi sono comportato. Non sapevo quali fossero i sentimenti di Alessandro nei tuoi confronti, ho sempre immaginato che ci dovesse essere più di una semplice amicizia tra voi, ma ho sottovalutato la situazione e mi sono intromesso nel vostro rapporto. Non avrei dovuto, erano fatti vostri e non dovevo spingerlo a partire. Quindi scusami.- mi disse lui tutto d’un fiato. Per un attimo, riconoscendo Roberta dietro le sue parole, mi venne da ridere, poi, però sorrisi e gli risposi.
-Accetto le tue scuse, ormai è andata.-
-Non credo che sia andata, se non è una completa testa di cazzo verrà.-
-Ema, non cercare di consolarmi. Sono consapevole di aver buttato tutto all’aria, so che sta uscendo con un’altra e sono sicura che stasera non verrà. Ma va bene così.- dissi senza cercare di far trapelare la mia tristezza.
-Non dire così, Cate. Lui verrà.- mi rassicurò Roberta.
-Di quella non gliene frega niente.- mi disse Emanuele.
Li guardai sorridendo, consapevole del fatto che le loro parole non sarebbero servite a lenire il dolore. Li abbracciai entrambi e li guardai allontanarsi mano nella mano. In fin dei conti ero felice che stessero insieme, erano miei amici e desideravo il meglio per loro.
-Balliamo?- mi chiese cupo Giovanni.
-Certo.- risposi ancora un po’ scossa.
Cominciammo a muoverci sul posto, ma ben presto mi trovai immobile a fissare il vuoto di fronte a me.
-Vieni qui.- Giovanni mi tirò a sé e mi abbracciò. –Va tutto bene, Cate. Questa è la tua festa, è un giorno importante per te, devi essere felice. Sai che io ci sarò sempre per te, ti voglio troppo bene.-
Annuii e alzai lo sguardo per incrociare il suo, ma fu un errore: il suo viso era molto più vicino al mio di quanto mi aspettassi, decisamente troppo vicino.
Limite. Ecco ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Ma per quanto cercassi di tirare fuori le parole, la mia bocca si ostinava a rimanere serrata. Così vidi i suoi occhi farsi più vicini ai miei e sentii le nostre bocche scontrarsi dolcemente. Chiusi gli occhi e lo lasciai fare, ma quando sentii la sua lingua entrare in contatto con la mia, qualcosa dentro di me esplose e mi allontanai repentinamente.
-Scusami. Cazzo, perché rovino sempre tutto?- imprecai più nei miei confronti che nei suoi.
-No, Cate, è stata colpa mia. Non avrei dovuto, scusami.- disse lui con aria colpevole.
-Giovanni, che colpa credi di avere? Il tuo sbaglio è stato quello di esserti invaghito di me, ma io avrei dovuto mettere le cose in chiaro tempo fa. Lo vedi quanto sono egoista?-
Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di uscire e mi allontanai.
-Cate, aspetta!- mi richiamò Giovanni.
-Adesso ho bisogno di stare da sola. Scusami, ci vediamo più tardi.-
Lui annuì e io fuggii fuori da quella sala che, improvvisamente, era diventata troppo piccola per contenere il caos che avevo dentro.
Respirai a pieni polmoni l’aria fresca, ma mi pentii subito di essere uscita senza afferrare almeno una maglia. Era pur sempre novembre. Cominciai a camminare per riscaldarmi, ma una voce alle mie spalle mi fece bloccare all’istante.
-Che fai, scappi di nuovo?-
No. Non adesso. Non lui.
-Io non scappo.- risposi senza voltarmi.
-E dove stai andando allora?-
-Aria, ho bisogno d’aria.-
-E io che pensavo che non tu avessi le palle di affrontare i casini che ti sei costruita da sola.-
Colpita e affondata. A quel punto mi voltai a fronteggiarlo.
-Cioè te? In fondo il mio più grande casino sei sempre stato tu.-
-Non solo, ma anche.- sorrise. Bello come sempre se ne stava lì, davanti a me, in giacca e cravatta. Il mio inferno personale vestito di tutto punto per il mio funerale, ecco cos’era.
Risi. –Io non ho mai avuto paura di affrontarti, sono sempre stata la più sincera tra i due.-
-Sì, finché non sei scomparsa. Ho sempre sottovalutato la tua attitudine al dramma, non scherzavi quando dicevi di amare le tragedie.-
-Te l’ho detto, sono sempre stata sincera.-
-Ma non hai avuto il coraggio di affrontarmi quando hai deciso di partire.-
-Sarebbe stato più semplice per entrambi.- ammisi.
-No, Caterina, non per entrambi. Per te. Per te e basta. Perché per me non è stato semplice partire, non è stato semplice mollare il mio migliore amico per rientrare due giorni in anticipo, non è stato semplice scoprire che eri andata chissà dove per chissà quanto tempo. E, cazzo, non è stato semplice mandarti centinaia di messaggi a cui non hai mai risposto. Ma il mondo è strano. Sai, poi, qual è stata la cosa più difficile da fare? Aprire la tua fottutissima risposta, l’unico messaggio che ti sei degnata di mandarmi in cui mi dicevi di andare avanti! Te ne rendi conto? Volevi che andassi avanti!- urlò furioso.
-Però ti è risultato semplice farlo.- sputai tra i denti.
Stupore, rabbia, confusione, dolore e, infine, odio. Ecco cosa vidi nei suoi occhi prima di sentire la sua risposta.
-Sì, è stato molto facile andare avanti, e sai perché, Caterina?-
Sussultai sentendo pronunciare il mio nome con rabbia e scossi la testa, pur trattandosi di una domanda retorica.
-Perché non c’è nessuno complicato come te, sei il più grande casino che abbia mai conosciuto. E senza di te le cose scorrono come acqua, lisce e senza intralcio. E sì, è stata davvero la cosa più semplice abituarsi a stare senza di te, semplice come respirare.-
Mi stava distruggendo, ne ero consapevole. Avevo sempre saputo che il giorno in cui si sarebbe vendicato sarebbe stato il giorno della mia caduta, ma non immaginavo che avrebbe fatto così male. Perché il dolore che pensiamo di dover provare è sempre inferiore a quello reale? Perché non siamo mai preparati a soffrire?
Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua che boccheggia per cercare di sopravvivere. Vidi che stava per aggiungere dell’altro, ma non potevo sopportare un altro discorso del genere, dovevo fare qualcosa per difendermi.
-Adesso basta, vattene!- gli gridai.
-No, devo finire!-
-Non mi interessa, non voglio ascoltarti!-
-E invece sì, dopo tutto quello che mi hai fatto passare, devi sentire quello che ti voglio dire. Me lo devi.-
Feci per andarmene, ma lui mi afferrò per un polso e mi tirò a sé. Andai a sbattere contro il suo petto e mi ritrovai a pochi centimetri dalla sua faccia, ma mi allontanai subito, ero troppo spaventata da lui in quel momento. Senza lasciarmi andare, però, riprese a parlare.
-Sei un casino, Caterina, non smetterò mai di ripeterlo. Ed è vero, senza di te la mia vita scorreva senza problemi. Ma non è così che volevo che andasse, capisci? Ad un certo punto mi sono chiesto se ero disposto ad accettare la facilità delle cose, se mi sarebbe bastato avere ciò che mi capitava senza lottare. Semplice, naturale, il contrario del caos, l’anti-te, insomma. Che senso aveva, però, fare le cose senza incontrare il muro di acidità e contrarietà che mi ponevi davanti tutte le volte? Lo capisci?-
Non sapevo se voleva che rispondessi, ma lo feci. –No, Alessandro. Non capisco niente di quello che stai dicendo, sei pazzo!-
-Esatto!- mi disse sorridendo. –Io sono pazzo, altrimenti non sarei qui. Credi davvero che una persona normale, dopo tutto quello che è successo, sarebbe ancora qui?-
-Non ci sto capendo niente, ma se sei qui per rinfacciarmi di nuovo quanto io ti abbia ferito, allora puoi andare, ho afferrato.- gli dissi acida.
Lui scosse la testa. –No, sto dicendo che dopo tutto quello che è successo tra noi, dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti a questo momento, solo un pazzo sarebbe ancora qui. Io e te non siamo normali, non saremmo qui a parlarne altrimenti.-
-Va bene, siamo un caso clinico. E quindi?- chiesi continuando a non capire.
-E quindi questo fa tutta la differenza! Perché se io non tenessi a te in maniera spropositata, stasera sarei da un’altra parte, lo sai anche tu.- mi disse con semplicità.
-Saresti con la tua ragazza.-
-Probabilmente sì.-
-E non credi che sia scorretto nei suoi confronti, allora?- domandai sentendo le mani prudere dalla rabbia.
-Sì, se avessi una ragazza.-
Non ero confusa, perché confusa era un termine riduttivo. Io ero completamente persa.
-Ma cosa stai dicendo? Ti giuro che sto iniziando a dubitare della tua sanità mentale. Tu stai uscendo con una ragazza, me l’hanno detto!-
-Uscivo. Ci sono uscito solo qualche volta, in realtà.- disse con fare ovvio.
-A volte penso che mi prendiate tutti per il culo.- ammisi.
Ridacchiò. –Un po’ te lo meriti.-
Lo ignorai. –Continuo a non capire.-
-Immaginavo. Provo a spiegartela così: io sono un pazzo, stasera sono qui, alla tua festa, perché non mi importa niente dei sei mesi in cui sei stata chissà dove per evitarmi, perché non mi importa niente che tu abbia baciato Giovanni dieci minuti fa e, soprattutto, perché non mi importa niente di avere la semplicità. Io voglio la lotta, la contraddizione, la difficoltà e la confusione. Mettila come vuoi, ma io voglio te.-
Avrei dovuto metabolizzare le sue parole, elaborare una risposta razionale, avrei dovuto fare tante cose che il copione richiedeva, ma lui si avvicinò a me e io gli saltai al collo e lo baciai. Al diavolo tutto il resto!
Dovevamo sistemare tante di quelle cose, affrontare mille discorsi e risolvere questioni rimaste irrisolte da tempo, ma non in quel momento. Ci avrei pensato il giorno dopo, quello dopo ancora, e quello ancora dopo. Era ancora tutto così incerto, non sapevo cosa ne sarebbe stato di noi, se avremmo avuto un inizio o una fine, ma l’unica cosa da fare era aspettare.
Probabilmente non avremmo avuto un futuro, forse non era destino, ma ero stanca di cercare di prevedere l’andamento delle cose prima che accadessero, volevo viverle.
Così, quando lui mi sollevò da terra per approfondire il bacio, io sorrisi e, per la prima volta in vita mia, misi il cervello in standby.
In quel momento non avevo bisogno di pensare.
Andava tutto bene.
Epilogo
Sono Caterina e questa era una parte della mia storia.
Quella parte in cui Alessandro ha rappresentato il mio tutto, in cui ho capito cos’è l’amore e perché tutti parlano di farfalle nello stomaco (anche se io sostengo la tesi dei calabroni!).
Quella parte in cui ho capito che i legami, a volte, non sono indissolubili come sembra e che l’amicizia è il più alto, ma anche il più complicato valore che la vita ci regala.
Quella parte in cui ho apprezzato le parole, ma di più i gesti. Senza dimenticare che senza parole, però, non siamo niente.
Ho voluto raccontarvi questa storia a tinte nere, bianche e grigie per farvi sapere che nessuno di noi è solo e che, anche se non ci conosciamo, siamo tutti molto più simili di quanto possa sembrare. Perché che il vostro nome sia Caterina, Alessandro, Roberta, Giovanni, Emanuele o Marica, siamo tutti protagonisti di quel grande show ironico allestito dall’universo: la vita.
Non voglio dirvi com’è finita tra me e Alessandro, cosa è successo dopo, perché non è importante. Voglio che immaginiate per noi il futuro che più vi piace: potete pensare che stiamo ancora insieme, se volete, altrimenti potete immaginare che Giovanni sia entrato a far parte della mia vita come più di un amico; se mi avete odiata, invece, potete anche pensare che sia rimasta una “zitella acida” fino ad oggi.
Non ha importanza com’è finita, ma è più che importante sapere che l’amore c’è stato e che, da qualche parte, esiste sempre, forse nascosto, forse sotto altre forme, ma c’è.
Imparate dagli altri e, al tempo stesso, insegnate. Non dubitate mai di voi stessi, le vostre potenzialità sono infinite, dipende tutto da voi. Vogliatevi bene perché siete la cosa più grande e potente che avete, la prima persona su cui potete contare. Vogliatevi bene, perché se non lo fate voi, non lo faranno nemmeno gli altri.
Sono Caterina e questa storia si conclude qui.
Note dell’autrice:
Salve a tutti! :)
Ebbene, eccoci all’ultimo capitolo di “Frammenti”.
Non credo che sia il finale che immaginavate, non si tratta di un happy ending da favola, né del finale perfetto di una commedia romantica.
Avevo previsto di pubblicare l’epilogo successivamente, ma poi ho deciso di integrarlo all’ultimo capitolo per concludere il tutto e spiegare il perché della mia scelta sul finale. Nonostante la storia possa risultare incompleta, il mio intento era quello di raccontare gli eventi e lasciare il finale aperto all’interpretazione che più vi aggrada; non avrebbe senso dirvi se adesso Caterina e Alessandro non si parlano o se sono innamorati pazzi l’uno dell’altra, perché sì, la loro storia, in un modo o nell’altro, ha avuto un esito, ma non sarebbe giusto narrarlo.
Spero che capiate la mia scelta e non la giudichiate troppo “cattiva”. :)
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito, ricordato o preferito la storia, coloro che ci sono stati fin dall’inizio e mi hanno sostenuta, anche solo con la presenza silenziosa; ringrazio di cuore coloro che hanno recensito. Siete stati tutti importantissimi e mi avete regalato una forza incredibile, ma, soprattutto, una fiducia in me e negli altri che non credevo possibile: mi avete fatto credere in me stessa e avete fatto in modo che mi sentissi meno sola. Questo è un grande potere e il fatto che lo abbiate condiviso con me mi ha resa felicissima.
GRAZIE, perché siete importanti.
Sarebbero da ringraziare anche i personaggi reali di “Frammenti”, ma in fin dei conti è solo un racconto e io non sono J.K.Rowling (anche se mi piacerebbe). :D Ci tengo, però, a dire grazie ad Afeffa ancora una volta, perché lei ha spronato Caterina a scrivere tutto ciò; probabilmente, senza di lei, la storia sarebbe rimasta incompiuta.
Bene, adesso che ho terminato questo papiro, posso eclissarmi. Spero che continuerete a seguire le mie storie. :)
A presto!
Un bacione,
Jane
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