The show must go... all over the place... or something.

di breaking free
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Santana ***
Capitolo 2: *** -Artie ***
Capitolo 3: *** -Tina ***
Capitolo 4: *** -Mike ***
Capitolo 5: *** -Mercedes ***
Capitolo 6: *** -Blaine ***
Capitolo 7: *** -Kurt ***
Capitolo 8: *** -Sam e Puck ***



Capitolo 1
*** -Santana ***


Santana-

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Quando Santana bussò alla porta della sua abuela sapeva di non essere ben accetta, non dopo la sua ultima visita.
Le era stato ordinato di non mettere mai più piede in quella casa e di non telefonare mai più, e Santana non l’aveva fatto.
Non l’aveva fatto quando lei e Brittany si erano lasciati e poi rimesse insieme e poi lasciate ancora; non l’aveva fatto quando era stata accettata al College; non l’aveva fatto quando non aveva un sogno.
Chi se ne importa, diceva, me la cavo da sola, diceva.
Ma quando quel giorno da sola non se la cavava, quando il chi se ne importa era diventato un sto per morire, allora non c’aveva pensato due volte ad andare dall’unica persona al mondo che, anche se la odiava e la voleva all’Inferno, l’aveva sempre capita sul serio.
Santana non piangeva mai. Lei era una tipa forte, un duro, un macho.
Quel macho che sussurrava un è morto nonna, è morto prima a fior di labbra e poi urlando. Perché doveva sentire, doveva capirlo, doveva viverlo.
Perché Finn era morto e lei doveva dirgli addio, che gli voleva bene.
E la nonna mandò al diavolo l’omosessualità e l’Inferno e strinse tra le braccia il macho che tanto macho, però, non era. 

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Capitolo 2
*** -Artie ***


-Artie

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Andiamo Artie, andiamo. Sei forte, ce la fai. Solo un altro sforzo, sei arrivato.
Quella rampa non era mai stata così tanto ripida in vita sua.
La conosceva bene come le sue gambe non funzionanti e sapeva che l’antipatia era reciproca.
E Artie sorrise.
E lasciò la presa dalle sue ruote e fece in modo di rotolare all’indietro, con un piccolo sorriso dipinto sul viso. Lasciò perdere il sangue che incominciò ad uscire dalla nuca, la sporcizia nei capelli e i graffi sul viso: lui stava venendo.
Ogni volta che Artie non ce la faceva a salire la rampa, ad entrare in classe, a prendere da mangiare alla mensa, ad arrivare puntuale alle lezioni, ad arrivare all’armadietto, Finn era lì.
Sempre.
Ci penso io Artie, lascia fare a me, e Artie scuoteva la testa perché era orgoglioso.
Artie aspetta, ti farai male!, e lo spingeva via perché voleva essere trattato come tutti gli altri.
E adesso Artie non aveva aspettato, non aveva lasciato fare a nessuno e non aveva neanche scosso la testa, si era semplicemente lasciando andare.
Alla pazzia, alla nostalgia o all’ospedale non aveva importanza.
Lui stava venendo. Già sentiva il suo fiato affannato, le sue grosse mani afferrarlo da sotto le ascelle e tirarlo su e dargli una pacca sulla spalla per dirgli che andava tutto okay.
Ma nulla era okay, perché Artie perse tutte le lezioni quel giorno, aspettando che Finn arrivasse per tirarlo su e per dargli una pacca sulla spalla, per aiutarlo, per esserci.
Ma Finn, quel giorno, non venne.

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Capitolo 3
*** -Tina ***


-Tina

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Tina era costantemente un mare di lacrime.
Per un compito andato male o per uno andato troppo bene;  per il pranzo che aveva dimenticato o perché a mensa c’era la pizza; perché Mike l’aveva lasciata o perché avevano fatto l’amore.
E ogni volta tutti le erano vicini e la consolavano o si complimentavano e la pregavano di smettere di piangere. E lei rideva, e si asciugava gli occhi.
Ma quella settimana non c’erano lacrime, e neanche in quel mese, neanche all’anniversario, né al masiversario, né nei sogni.
Perché Finn, le sue lacrime, non le meritava. Quelle lacrime che erano uscite per ogni cazzata, pero ogni stupidaggine, non avevano diritto di uscire per ricordare i suoi sorrisi o le sue strambe mosse da ballo. Le sue lacrime non erano niente, in confronto a lui.

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Capitolo 4
*** -Mike ***


-Mike

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Nessuno mai si era accorto di Mike Chang; nessuno mai aveva fatto gli auguri a Mike Chang; nessuno mai aveva detto hey, Mike, come stai? a Mike Chang.
Nessuno aveva mai chiamato Mike Chang solo Mike, o solo Chang, o con un altro soprannome.
A lui non piaceva neanche il suo nome, o il suo cognome, o la sua stessa persona.
Perciò quando Finn Hudson lo chiamò, salutandolo con un hey amico, ci si vede al Glee!, Mike Chang saltò dalla gioia perche Mike Chang e Finn Hudson era amici.
E quando Mike Chang ballò per Finn, la sera della sua scomparsa, non accese la musica. C’erano solo lui e Finn e il ricordo e il dolore.
C’era solo un amico che stava salutando un altro amico, stavolta per sempre.
S- Sì, Finn, ci si vede al Glee, amico!

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Capitolo 5
*** -Mercedes ***


-Mercedes

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Mercedes pensava a tante cose, sempre e comunque. Pensava quando mangiava, quando dormiva, quando rideva, quando era con gli amici. Le piaceva pensare e perdersi, ricordare e sorridere per le occasioni passate. Quella sera però non voleva pensare, né ricordare, né sorridere. Voleva soltanto stare con la sua famiglia, mangiare, guardare la tv, spegnare il cellulare, lavarsi e andare a dormire. Ma non ci riuscì: la sua famiglia la guardava con compassione e lei pensava, il cibo era uno schifo e lei pensava, in tv non c’era niente e lei pensava, la cartella dei messaggi era piena e lei pensava, di lavarsi non ne aveva voglia e lei pensava. E il letto l’avrebbe inghiottita, pensava, non voglio essere inghiottita, non come lui.

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Capitolo 6
*** -Blaine ***


-Blaine


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La lezione era finita e Blaine in classe non c’era. Il pranzo era iniziato e di Blaine non c’era traccia. La lezione di ginnastica era iniziata e nello spogliatoio Blaine non era entrato.
E Blaine era convinto che nessuno l’avrebbe mai trovato, nascostosi così bene sotto le gradinate di ferro fuori dalla scuola, perché nessuno lo conosceva così bene.
E non si stupì, però, di quando Kurt gli posò un braccio intorno al collo e lo attirò a sé, baciandogli gli occhi e pregandogli di smettere di piangere. E Kurt non lo tirò via, anche se sapeva che lì sotto i suoi pantaloni bianchi si sarebbero sporcati, ma si sedette accanto a lui e lo abbracciò. E Blaine lo amò ancora più di prima, pensando che Finn doveva essere stato davvero fortunato ad averlo come fratello.
E si ritrovò ancora ad urlare e a dimenarsi tra le braccia di Kurt, dicendo di rivolere indietro il suo amico.

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Capitolo 7
*** -Kurt ***


-Kurt

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Quando Kurt attraversò i corridoi, quel giorno, sapeva che nessuno lo avrebbe sfiorato. Che nessuno lo avrebbe buttato contro l’armadietto e nella spazzatura. Sapeva che i bulli, quel girono, non lo avrebbe calcolato.
Perché lui indossava quella giacca. Quella felpa.
Così larga e lunga, così grande per il corpo esile di Kurt, che camminava a testa alta lungo il perimetro della scuola. Era protetto, lo era sempre stato da quando Finn era nei paraggi. Ma Finn non c’era più. E quando Rick “stecchino” Nelson lo guardò in faccia, non lo toccò e non lo prese in giro. E Kurt lo fermò, mettendogli una mano sulla spalla. Si tolse la felpa, la ripiegò accuratamente nella sua borsa e si posizionò davanti a lui.
«Senza pietà», aveva sussurrato ed entrambi avevano capito che non si riferivano alla potenza che Rick doveva usare.
Non gli importava del bullismo, del sangue o dei lividi: Finn lo avrebbe aiutato, lo aveva sempre fatto.
Doveva solo ridargli un motivo per ritornare giù, da lui.
E quale motivo migliore di aiutare il suo fratellino a combattere il bullismo? 
 

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Capitolo 8
*** -Sam e Puck ***


-Sam e Puck

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Sam e Puck restarono da soli per tutto il giorno.
Chi da una parte, chi dall’altra. Nessuno osava avvicinarsi a Sam, così debole che da un momento all’altra sarebbe scoppiato; nessuno osava avvicinarsi Puck, perché lui non era debole. Nessun professore lo chiamò nell’appello, perché anche se erano presenti con il corpo, tutti sapevano che cuore e mente erano rivolti ad altro.
Nessuno dei due mangiò a pranzo. Nessuno dei due andò poi a lezione, nessuno dei due andò al Glee Club.
Si incontrarono negli spogliatoi, per caso, senza nessun impegno. Il primo a parlare fu Puck, che per la prima volta guardò in faccia una persona.
«Non volevo questo», sussurrò appena, più a se stesso che a Sam.
E Sam si avvicinò, senza parlare.
Quando la Beiste li trovò, era a fine giornata.
Sam era avvinghiato a Puck, seduti entrambi su una panca; Puck piangeva ed urlava, bestemmiava ed stringeva forte la camicia vecchia e logora di Sam; Sam era in silenzio, accarezzando la schiena di Puck.
E quando la coach si sedette accanto a Sam e gli baciò la guancia, fu in quel momento che Sam crollò, perché lui era quello debole, quello che non aveva resistito, quello che era un pezzo di pane.
E il pezzo di pane si inginocchiò a terra e diede un pugno sula pavimento freddo e duro, rompendosi la mano e pianse, come mai, in vita sua, aveva fatto.

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