Scelte d'amore

di semplicementeme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


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Le scelte d'Amore

Capitolo I

La corazzata americana solcava lenta le onde dell’Oceano in quella calma serata autunnale. Sul ponte principale stava una ragazza. I lunghi capelli biondi erano intrecciati in modo lento. Alcune ciocche dispettose nascondevano gli occhi verdi della giovane. Avvolta nel suo cappotto scuro fissava l’Oceano. La Luna quella sera era assente e l’aria era gelida.

Era il novembre del 1917.

Gli Stati Uniti erano entrati in guerra già da sette mesi. Sette mesi in cui la giovane era rimasta in attesa. In attesa di una chiamata per dare una svolta definitiva alla sua vita. Per fuggire da tutto il dolore che la stava pian piano uccidendo.

Una folata di vento più forte delle altre la costrinse a sollevare il bavero del cappotto. Iniziava a far freddo, ma non aveva intenzione di spostarsi da lì. Osservava le acque placide e ripensava agli anni trascorsi nel continente in cui era diretta: l’Europa.

Ad essere più precisi, i suoi pensieri volarono all’Inghilterra ed alla Scozia. Ma su tutti volarono ad una persona.

- Terence…

Una lacrima silenziosa scese lungo la guancia della ragazza che prontamente l’asciugò.

Aveva deciso di partire per dimenticare.

Aveva deciso di partire per non soffrire.

Aveva deciso di partire per trovare, finalmente, un po’ di pace.

- Chi va là?

La ragazza si girò di scatto verso l’origine della voce. Dal buio del ponte del navigatore si fece avanti un giovane che imbracciava un fucile utilizzato per le ronde.

- Sono un’infermiera dell’ospedale Santa Joanna di Chicago.

Il giovane abbassò lentamente la canna del suo fucile ed osservò la ragazza. Dopo alcuni secondi sorrise debolmente e sparì nell’ombra, proprio come era arrivato.

La giovane lo osservò sparire nel buio e poi tornò a fissare lo sguardo verso la distesa scura del mare ripensando a quando, solo quattro anni prima, si trovava su un’altra nave diretta in Inghilterra. Il suo pensiero volò ancora una volta al ragazzo di prima ma stavolta riuscì a trattenere la lacrima formatasi agli angoli degli occhi.

Si coprì meglio e con un sorriso triste fece ritorno alla sua cabina. Era inutile rivangare dei ricordi che le avrebbero fatto solo del male.

Scese gli scalini che la portarono all’interno dell’imbarcazione. Anche lì il freddo si faceva sentire, meno pungente rispetto al ponte, ma faceva lo stesso rabbrividire. Camminò per i corridoi silenziosa. Lo scalpiccio delle sue calzature rimbombava per i corridoi metallici. Svoltò un paio di volte fino a fermarsi di fronte alla porta di una cabina. Una porta anonima come la sua esistenza.

Aprì senza bussare. L’interno della cabina era buio. Solo la luce flebile di una candela rischiarava leggermente una ragazza china su di uno scrittoio improvvisato.

- Evelyn ancora in piedi? Non dovresti essere già a letto da un po’?

La bruna sollevò gli occhi dal foglio che stava riempiendo con una calligrafia fitta ed ordinata. Sorrise alla sua compagna di viaggio che intanto aveva posato il cappotto su uno dei due lettini che facevano parte dell’arredamento della cabina insieme ad un armadio ed una toletta per la pulizia personale.

- E tu Candy? Ti sembra il caso di stare tutto questo tempo fuori? Fa freddo e non credo che al campo abbiano bisogno di un’infermiera malaticcia!

Candy sorrise alla compagna di viaggio e si mise a sedere sul letto dove poco prima aveva lasciato il suo cappotto.

- Non preoccuparti per me. Sono abituata al freddo e ti assicuro che questo non ha nulla a che vedere con gli autunni di Chicago o New York.

La mora guardò di sbieco la compagna, poi tornò ad occuparsi della sua lettera. Candy, intanto, si era alzata e stava sistemando il suo cappotto in un appendiabiti dietro la porta. Lentamente si stava sfilando la veste di flanella e rimase solo con la sottoveste e le calze velate. Rabbrividì a causa della temperatura bassa. Cercò la camicia da notte piegata sotto al cuscino e si mise sotto le pesanti coperte fatte arrivare appositamente per loro per evitare l’assideramento.

- Buonanotte Evelyn.

- Buonanotte Candy… se ti dà fastidio la candela posso anche spegnerla.

Candy sciolse la treccia ed una cascata di ricci biondi le coprì le spalle. Si girò verso l’altra occupante dell’ambiente e rispose sorridendo.

- Non preoccuparti per me. Continua pure le tue lettere.

Dopo, dando le spalle alla compagna, scivolò sotto le coperte cercando di trovare un po’ di conforto tra le braccia di Morfeo.

Salve! È la prima volta che mi ritrovo a scrivere una fic su Candy… e dire che è l’anime che conosco meglio! Questa idea è nata dopo aver visto su Youtube un video di pattymedieval, dal titolo “Reencuentro en el vortice”. Credo di non violare in alcun modo il regolamento, né tanto meno credo di commettere un plagio utilizzando come spunto le immagini che ho visto. Unico mio cruccio è il fatto di non poter avvisare la proprietaria delle immagini e soprattutto poterla ringraziare per ciò che ha regalato a tutti coloro che hanno potuto vedere il suo filmato.

Terrei a precisare che questo è un esperimento. Ho cercato di documentarmi, dal punto di vista cronologico, sul periodo in cui è ambientato il manga e sono giunta alla conclusione che, la guerra a cui fa riferimento il manga è la Grande Guerra… o almeno lo spero.

Note della storia:

- Wats’if (E se...) perché stavolta è Candy che parte per il fronte e non Flanny!

- OOC perché Candy, credo, sarà molto più silenziosa di quello che è nel manga.

Non devo aggiungere più nulla! Per quel che riguarda gli aggiornamenti non saprei. Forse ogni 40 giorni, dopo settembre sarò più precisa. Non mi resta che augurarvi buona lettura... a presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


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Capitolo II

Un freddo mattino di fine ottobre, la tranquilla quotidianità in cui vivevano gli abitanti della casa di Pony fu modificata dall’arrivo di una lettera da parte di quella che era stata la più cara tra le bambine che avevano vissuto in quell’orfanotrofio edificato tra le pianure di La porte, ridente cittadina dell’Indiana.

Quando il postino arrivò nei pressi della Casa di Pony, Suor Maria era intenta a ritirare il bucato, mentre miss Pony era con i bambini in quella che era una sorta di classe di fortuna data da una stanza dell’orfanotrofio adibita a sala ludica o d’istruzione a seconda delle necessità dei bambini.

- Buongiorno sorella.

La suora al saluto dell’uomo non si occupò più delle proprie faccende e si dedicò all’anziano postino che, con un sorriso sereno sulle labbra, l’aspettava davanti la staccionata che delimitava il giardino dell’orfanotrofio.

- Buongiorno a lei signor Peterson. Ha per caso qualche lettera per noi?

La donna si avvicinò al portalettere con calma. Con gli anni, le lentiggini che le ricoprivano il volto erano diventante più marcate, segno del tempo che passava ma anche del sole che baciava ogni giorno il volto della suora che aveva deciso di dedicare la sua vita alla felicità di quei poveri bambini abbandonati.

Suor Maria asciugò le mani sul grembiule legato in vita e restò in attesa della missiva. Intanto il signor Peterson iniziò a cercare, senza poche difficoltà, nella propria borsa quella che era la lettera da consegnare alle due direttrici della casa di Pony.

- Trovata! È una lettera della nostra Candy. È da molto che non la vedo. Mandatela a salutare quando risponderete. È una così brava ragazza.

- Certamente signor Peterson. Non mancheremo di salutare Candy anche da parte vostra.

L’uomo, dopo aver consegnato la lettera a Suor Maria, sollevò il cappello quel tanto per far comprendere alla donna che era arrivato il momento dei saluti.

- Io adesso andrei. Continuo il mio giro di consegna. Buona giornata e che il Signore vi benedica.

- La ringrazio signor Peterson. Non mancherò di menzionarla nelle mie preghiere e buona giornata anche a lei.

Nel momento in cui Suor Maria prese la lettera in mano una strana scossa attraversò il suo corpo. Senza badare troppo a quella sensazione di tensione, la donna rientrò in casa dimenticando il bucato ritirato solo per metà. La lettera di Candy era molto più importante!

Con una rapidità che certamente non la caratterizzava, entrò nella stanza dove miss Pony era intenta ad insegnare a leggere a quelli che erano gli ospiti più piccoli dell’orfanotrofio.

- Suor Maria cosa è tutta questa agitazione? È successo qualcosa di grave giù in paese?

- No Miss Pony, è arrivata una lettera di Candy.

Al sentire il nome di quella che era stata la sua bambina, Miss Pony si alzò di scatto dalla sedia e prese dalle mani di suor Maria la lettera citata. Aprì la busta con rapidità e si mise a sedere come se il resto delle persone fosse sparito. A quel punto fu uno dei bambini ad attirare l’attenzione della donna, strattonandole la gonna.

La donna, allora, sollevò il capo ed incontrò, nei suoi occhi scuri nascosti dietro delle spesse lenti, lo sguardo curioso di quello che era un bambino con non più di sette, otto anni al massimo.

- Dimmi Jack.

Il bambino allora gonfiando il petto orgoglioso rispose alla direttrice.

- Posso essere io a leggere la lettera di Candy?

Miss Pony si scambiò rapidamente uno sguardo con suor Maria e poi annuì in direzione del bambino porgendogli la lettera con un dolce sorriso sulle labbra. Intanto il resto dei bambini si era seduto in terra, circondando le due donne più grandi. Il piccolo Jack, dopo aver atteso che i suoi compagni si sistemassero, prese in mano la lettera e, schiarendosi la voce, iniziò a leggere con fare incerto ma poi via via sempre più sicuro e chiaro.

§*§*§*§*§*§*§*§*§*

Chicago, 13 ottobre 1917

Care Miss Pony e Suor Maria e cari bambini della casa di Pony,

Vi scrivo durante una pausa dal mio lavoro. La vita a Chicago è, come al solito, veloce e resta poco tempo da dedicare a me stessa ecco perché le lettere che vi scrivo sono così rare.

Ditemi un po’ bambini, come sta Mina? È sempre pigra e dormigliona oppure siete riusciti a trascinarla nelle vostre marachelle? E Klean? Vi prendete cura di lui? Vi ricordo che Klean è con me da quando sono nata e se scoprissi che voi non ve ne prendete cura come è giusto che sia preparatevi ad una sculacciata appena sarò di ritorno.

E voi, miss Pony e suor Maria? Come state? Cercate di riguardarvi e di non stancarvi troppo altrimenti vi ammalerete. Invece voi bambini, cercate di essere ubbidienti e di dare una mano in casa e non disubbidite mai alle nostre mamme.

Ma passiamo ad altro altrimenti finisce che John si addormenta, o peggio, Jack si alza e corre via spaventato!

In ospedale ho trovato un angolo di paradiso che mi ricorda tanto la collina di Pony, infatti, è proprio da qui che vi sto scrivendo.

Riesco a vedere il cielo azzurro ed i palazzi alti ed imponenti sono solo un ricordo. Qui riesco a sentirmi libera. Vorrei tanto potermi arrampicare su di un albero ed urlare felice, come quando mi trovo alla casa di Pony con voi, ma non è possibile. Se mi scoprissero passerei dei guai. La capo infermiera non perderebbe tempo a sgridarmi e finirei con l’avere qualche altro nomignolo oltre a quello di Signorina Sbadatella, e credetemi: un soprannome basta ed avanza!

Mi mancate tutti e molto. Spero di potervi riabbracciare presto. Mi raccomando bambini. Conto su di voi. Prendetevi cura delle nostre due mamme e non fatele arrabbiare troppo.

John cerca di stare più attento a lezione.

Jack non combinare troppi pasticci, a quelli basto io!

Meredith cerca di essere meno golosa.

Abel ed Arthur litigate di meno.

Mary prenditi cura di Klean e di Mina.

Sophie piangi un po’ di meno e sorridi di più. Una volta, un principe mi ha detto che si è più carine quando si ride che quando si piange!

Mi raccomando bambini. Mi fido di voi.

Adesso vi saluto. La mia pausa è terminata. È arrivato il momento che torni al mio lavoro e mi prenda cura dei bambini ricoverati qui in ospedale.

Vi prometto che presto riceverete un’altra lettera. Mi mancate tutti. Vi penso sempre e non vedo l’ora di riabbracciarvi. Adesso devo davvero scappare.

Un bacio a tutti,

La vostra

Candy.

§*§*§*§*§*§*§*§*§*

Finito di leggere, il piccolo Jack riconsegnò la lettera a Miss Pony che la ripiegò a la mise nuovamente all’interno della busta. Fu solo in quel momento che la donna si accorse che la busta conteneva una seconda lettera. Prendendola tra le mani l’aprì ed iniziò a leggere silenziosamente le prime righe. Dopo un primo momento di turbamento, richiuse il foglio e ripose la lettera in una delle tasche del suo vestito. Dopo, con voce tremante, si rivolse ai bambini che erano tornati ai loro posti.

- Bambini dato che abbiamo ricevuto una lettera dalla nostra Candy, credo che sia giusto festeggiare! Andate tutti in giardino a giocare.

Suor Maria osservò stranita Miss Pony. Non era certo da lei mandare a giocare i bambini nel giardino interrompendo una lezione. Intanto i bambini gioiosi lasciarono la stanza diretti al grande albero della collina che sovrastava la casa di Pony. L’abbaiare di Mina accompagnava le urla felici dei bambini che si rincorrevano spensierati.

- Miss Pony… cosa c’è scritto nella seconda lettera di così sconvolgente?

L’anziana donna si girò verso la suora e quella, solo in quel momento, vide gli occhi della direttrice più anziana ricolmi di lacrime. Miss Pony, tremando come una foglia e cercando di trattenere le lacrime che prepotenti volevano uscire, tirò fuori dalla tasca la lettera e la diede a Suor Maria che l’afferrò con ansia crescente.

§*§*§*§*§*§*§*§*§*

Chicago, 13 ottobre 1917

Care Miss Pony e Suor Maria,

Vi scrivo questa lettera nel buio della mia stanza. È notte fonda ed io non riesco a chiudere occhio. All’alba partirò. Prenderò un treno che mi porterà a New York e da qui, una nave diretta in Europa. Sì. Ho deciso di partire per la guerra. Non so ancora di preciso quale sarà la mia destinazione, ma so per certo che andrò in Europa.

Mi spiace comunicarvelo con così poco preavviso ma è accaduto tutto di corsa. La proposta e la scelta. Tutto ieri mattina. Anch’io, tuttora, faccio fatica a credere che tornerò nuovamente in Europa, ma stavolta come crocerossina per una guerra che non condivido. Se parto è solo per alleviare il dolore delle vittime della follia di pochi balordi. La violenza non è mai giusta, tanto meno una guerra. Non sarà spargendo il sangue di innocenti che si riuscirà ad ottenere giustizia. La pace è un bene prezioso ed io, per quel po’ che mi è concesso, cercherò di perorare la mia causa: la pace.

Ma questa non è l’unica ragione che mi spinge a compiere un viaggio tanto lungo e pericoloso.

È anche per egoismo che mi sono offerta volontaria. Parto per dimenticare. Voi sapete bene a cosa mi riferisco. Sapete bene che lascio il mio paese anche per scappare. Certo non è nel mio carattere ma non posso fare diversamente. Restando qui soffrirei ancora. Ormai ho capito che per me e Terence non c’è speranza. Non tanto per la presenza di Susanna Marlow nella sua vita, ma proprio perché lui non è me che ama, la sera dello spettacolo di beneficenza qui a Chicago ne ho avuto la prova. Ho cercato di incontrarlo, di vederlo, potergli parlare ma lui si è rifiutato. Non mi ha voluto vedere. Solo così ho capito. Solo con questo rifiuto così brutale. È inutile restare qui. Soffrire inutilmente. Ecco, mi getto in una sofferenza più grande sperando di cancellare il turbamento del mio cuore.

In ogni modo, una volta in Europa, m’impegnerò per dare il massimo cercando di dimenticare il passato e ricostruire il mio futuro. Ho deciso, infatti, per quanto sarà possibile, di cercare la mia famiglia partendo proprio dalla lettera che voi mi avete dato.

Non temete. La rabbia e la delusione provate quel giorno sono ormai svanite. Mi scuso con voi per la reazione spropositata. Ho accusato voi, che mi avete cresciuta con amore, di essere ipocrite. Perdonatemi se potete. Le parole che vi ho rivolto quella sera non le ho mai pensate. Voi avete solo seguito i desideri di quella che, forse, è mia madre. Partendo da questa lettera cercherò di capire chi sia questa Catherine e, se la troverò, le chiederò spiegazioni. Se non dovessi trovarla non sarà cambiato nulla. Io ho due madri splendide che, in questi sedici anni, mi hanno cresciuta con un amore intenso e sincero.

Adesso vi saluto. Finisco di preparare i miei bagagli. Prima di lasciarvi vi pregherei di conservare una lettera che presto vi spedirò. È intestata al Signor Williams. Ho deciso di rinunciare al nome degli Andrew ed in questa lettera è scritto il perché. So per certo che George, prima o poi, verrà da voi a cercare mie notizie. Se ciò dovesse accadere prima che la lettera arrivi vi prego di informarlo delle mie decisioni e di farlo tornare per ritirare il documento dove, legalmente, dichiaro di voler rinunciare al nome degli Andrew.

Adesso chiudo davvero. Perdonatemi per questo dolore che vi sto arrecando. So che vi causerò un mucchio di preoccupazioni ma non temete. Sarò forte e tornerò presto. Non dite nulla ai bambini, non voglio che anche loro si preoccupino. Informate Annie e Patty della mia decisione. Sono certa che Annie saprà sostenervi in questo momento così difficile.

Ricordate nelle vostre preghiere me e le vittime di questa assurda guerra.

Vi abbraccio con amore

La vostra

Candyce White.

§*§*§*§*§*§*§*§*§*

Suor Maria, alla fine della lettera, dovette cercare un appiglio per impedirsi di cadere. Chinò il capo e diede vita ad un pianto disperato.

Miss Pony fissava un punto infinito davanti a sé e ripensava alla ragazzina bionda che non era più una bambina ma una donna. Una donna forte e coraggiosa che andava da sola incontro ad un futuro ricco di dolore e sofferenza.

Ma entrambe si chiedevano se era giusto tutto ciò. Candy aveva deciso di lasciare gli Stati Uniti e cercare così di sfuggire al dolore. Dunque, stava soffrendo tanto e loro non si erano accorte di nulla? Erano state cieche sino a quel punto?

Ecco qui il secondo capitolo. Mi scuso per il ritardo di un giorno ma ieri ho avuto problemi di linea e non ho potuto aggiornare. Stamattina ho corretto alcune parti del capitolo ed adesso eccolo qui. Ammetto che ho avuto non poche difficoltà a continuare questa storia soprattutto perché sto leggendo un’altra fic simile a questa e non vorrei rischiare di plagiare la storia che, credetemi, è davvero superba.

Chiedo a Zuccherofilato, che conosce la storia a cui faccio riferimento, di esprimere un parere a riguardo. Se per caso noti qualche somiglianza con la storia di Alys Avalos, “Incontro nel vortice” ti prego dimmelo subito ed io cancello la fic. Colgo l’occasione per ringraziare Lauramaria per la recensione e risponderle… scrivere questa fic sarà difficile perché ho intenzione di restare fedele ai fatti storici, per quel che riguarda il lieto fine non saprei. Ho ancora le idee leggermente confuse!

Grazie a Kaoru per aver inserito la fic tra i preferiti, magari se commentassi e mi diresti cosa ne pensi mi renderesti ancora più felice.

Grazie a chi ha solo letto. A presto.

Prossimo aggiornamento: 30 settembre.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


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Capitolo III


La porta dello studio sbatté contro la parete. La calma apparente che regnava nella stanza fu disturbata da quella intrusione non tanto improvvisa. L’uomo seduto sulla grande poltrona di pelle, infatti, non si stupì di nulla. Era preparato. Conosceva l’impetuosità del giovane che era entrato senza tante cerimonie e per questa ragione, era stato chiaro con il suo uomo di fiducia: lasciargli il permesso di entrare se voleva evitarsi un pugno in pieno viso.

- Che cosa significa?

Non aveva neanche salutato. Era arrivato dritto al punto. Era furioso. Si era fidato ed adesso… era stato deluso. Deluso dal suo migliore amico. Era come precipitare in un tunnel e non vederne la fine. Si sentiva oltre che deluso, anche arrabbiato perché era a lui che aveva affidato il suo tesoro più prezioso, ed adesso… era sparito.

L’altro, preparato da tempo, decise di alzarsi dalla sua poltrona. Diede le spalle al giovane, si fermò ad osservare il paesaggio che gli offriva la grande finestra che dava sul parco della sua villa di Chicago. Chiuse gli occhi e, solo per un attimo, sperò di risvegliarsi nel suo letto. Quello era solo un incubo. Nulla di più. Non poteva essere stato così sciocco da non accorgersi di nulla. Non poteva aver chiuso gli occhi di fronte a tanta sofferenza ed invece… invece lo aveva fatto. Si era fidato del suo sorriso senza voler leggere in fondo a quegli occhi che tanto gli ricordavano quelli di Jane.

- Il tuo nervosismo mi fa intuire che tu abbia ricevuto il mio messaggio. Da ciò deduco che tu sappia benissimo cosa significa.

Alla fine si era girato e, con i suoi grandi occhi azzurri, ma così diversi da quelli di lei, di loro, aveva fissato l’amico in viso senza tradire alcuna emozione. Aveva parlato con il suo solito tono calmo anche se dentro, nel più profondo della sua anima, era in corso una tempesta dettata dai suoi sentimenti.

- Io l’avevo affidata a te. Ti avevo chiesto di vegliare su di lei e non… di spedirla al fronte.

Albert, a quelle accuse, non trattenne oltre la sua rabbia e picchiò duro contro la scrivania che gli stava davanti. Fissò l’amico negli occhi ed iniziò a parlare con un tono di voce che non credeva di possedere. Era arrabbiato ma soprattutto stanco. Stanco di quella situazione. Tutti pretendevano qualcosa da lui. Lui che aveva poco più di venti anni. Lui che non aveva potuto fare nulla per alleviare il dolore della persona che aveva portato, nuovamente, la serenità nella sua esistenza.

- Non attribuirmi colpe che non ho. È stato il tuo atteggiamento a spingerla a commettere una simile stupidaggine. Se tu ti fossi degnato di salutarla quella sera adesso Candy non sarebbe chissà dove in Europa. Non cercare giustificazioni. È già difficile per me accettare di aver fallito.

Terence rimase fermo nella sua posizione con gli occhi fissi sul volto dell’amico. Era vero. Aveva sbagliato lui, ma non poteva fare diversamente. Albert, però, non capiva. Era per lei che lo aveva fatto. Aveva deciso di evitare un qualsiasi incontro sino a quando non ne sarebbe stato degno e, a quel punto, nulla li avrebbe più divisi. Se solo avesse avuto l’accortezza di dirlo a lei, ed invece… invece aveva sbagliato. Candy era fuggita convinta che lui non l’amasse. E non era vero. Se Candy si trovava al fronte era solo colpa sua. E poi c’era Albert. Anche lui soffriva per quella situazione. Candy era più di una nipote adottiva. Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo, intuito, e queste considerazioni provocarono in lui un’ondata di gelosia che riuscì a mascherare non con poche difficoltà.

Adesso, fu il suo turno di picchiare la scrivania. Alzò il capo ed incontrò il volto di Albert, che adesso appariva più sereno di qualche minuto prima.

- È tutta colpa mia. Dannazione! Andrò a cercarla e la riporterò qui, sana e salva. A costo di dover vagare per tutta l’Europa.

Stava per andare quando, la voce di Albert, lo bloccò.

- Fermati. Cosa credi di fare? Non sappiamo neanche dove si trova. Prima di partire dobbiamo essere certi di dove cercarla. Non possiamo perdere tempo inutilmente, e poi c’è dell’altro.

Terence si rabbuiò. Non voleva perdere tempo. Doveva partire e trovare Candy altrimenti sarebbe impazzito, ma Albert aveva ragione. Non poteva andare in Europa ed iniziare a cercare senza un punto di partenza.

Intanto il biondo capofamiglia Andrew porse al giovane attore una lettera.


§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*

New York, il 16 ottobre 1917


Caro zio William,

Non so neanche io se sia giusto chiamarla così dopo ciò che sto per comunicarle.

Mi creda non so da dove iniziare. È difficile scrivere questa lettera per tutto ciò che lei ha rappresentato per me in questi cinque anni. Un padre. Un amico. Un sostegno. È sempre stato presente nei momenti più difficili della mia vita senza mai volere nulla in cambio.

Dalla morte di Anthony non mi ha mai lasciata sola accompagnandomi nella mia crescita e se oggi sono una donna finalmente realizzata lo devo, soprattutto, alla fiducia che ha riposto in me.

È stato grazie al suo intervento, tramite la persona di George, se ha impedito alla zia Elroy di ostacolare i miei studi e permettermi di diventare un’infermiera.

Ma partendo da molto prima, è stato grazie al suo intervento se non sono finita in Messico come invece avevano progettato i Legan.

Ha deciso di adottare, senza neanche conoscerla, una bambina cresciuta in un orfanotrofio e poi assunta come cameriera dalla famiglia di sua sorella. Lei, però, non ha tenuto conto di ciò ed ha sempre cercato di darmi il meglio per la mia crescita e formazione.

Ho avuto la possibilità di studiare in un’importante scuola inglese anche se, alla fine, ho deciso di abbandonarla per motivi personali. Nonostante tutto lei ha accettato di buon grado quello che, per molti, è stato un colpo di testa.

Non si è mai opposto alle mie decisioni anche se ai più potevano sembrare avventate. Mi è sempre rimasto accanto senza mai impedirmi di seguire il mio cuore, ma è giunto il momento per me di iniziare a vivere la mia vita.

È con rammarico che le comunico la mia decisione di rinunciare formalmente e legalmente al nome degli Andrew. D’ora in poi sarò semplicemente Candice White come è sempre stato.

La prego di accettare la mia decisione senza tentare di farmi cambiare idea. Non m’impedisca di partire ora che ne ho più bisogno. Ora che è necessario per me scappare da quella che non sento più come la mia casa. La mia vita. La prego di capire senza fare domande.

Oltre a ciò vorrei comunicarle la mia decisione di partire per l’Europa come volontaria della Croce Rossa Americana.

Anche per questo motivo ho deciso di rinunciare al buon nome degli Andrew. Il semplice fatto che, un altro membro della famiglia, parta per la guerra potrebbe, in qualche modo, facilitare la mia vita al fronte considerando la tragedia che ha già colpito la sua famiglia.

Mi spiace se, con la mia scelta, in qualche modo io l’abbia delusa. Non era mia intenzione. Spero solo che, anche se adesso non sarò più un membro effettivo della famiglia, continui a serbare nel suo cuore, un angolo per la sua “nipote ribelle”.

Con affetto e riconoscenza

Candice White


§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*


Terence finì di leggere la lettera ed alzò gli occhi fissandoli sul volto, cupo, di Albert. La ripiegò seguendo i segni lasciati in precedenza.

Non poteva sapere cosa provava l’amico in quel momento. Era qualcosa che a lui era estraneo. Ma stranamente, ed egoisticamente, provava un sentimento di serenità riposando la lettera all’interno della propria busta.

C’era dell’altro però, era come se, cambiare anche solo una piega di quella missiva, significasse cambiare qualcosa che aveva fatto Candy. Terence sorrise dentro di sé pensando che, in quel momento, chiudendo gli occhi poteva sentire il contatto con la pelle delicata di lei. Era stupido lo sapeva. Pensare di sfiorare le sue mani solo perché quella lettera l’aveva scritta lei, ma al momento era l’unico contatto che poteva permettersi con la sua Tarzan-tutte-lentiggini.

Terence, per rompere quel silenzio decise di parlare. Erano rari i momenti in cui con Albert al proprio fianco restava in silenzio e, quando accadeva, era sempre un silenzio carico di significati. Si scrutavano e si promettevano di proteggere Candy ad ogni costo.

- Motivi personali! Poteva benissimo dire che è stata tutta colpa di quella strega di Iriza.

Albert fece finta di non aver sentito le parole di Terence e parlò con un tono serio che non piacque al giovane duca. Forse era meglio restare in silenzio.

- C’è dell’altro.

La voce di Albert lo convinse che, a volte, un silenzio carico di tensione è molto più piacevole di una sgradita verità. Guardò l’amico ed alla fine rispose.

- Cos’altro ha combinato?

Albert sorrise a Terence. Il primo sorriso da quando aveva ricevuto quella lettera. Il che equivaleva al primo sorriso dopo cinque giorni di ansia e tensione. Entrambi conoscevano Candy e sapevano che, quando la ragazza si metteva in testa qualcosa, difficilmente, cambiava idea. Se aveva deciso di partire come missionaria per il fronte, e non voleva aver nessuna facilitazione, avrebbe fatto di tutto per ottenerla.

Intanto aveva tirato fuori dal cassetto un’alta busta più grande. La diede a Terence che l’aprì e si stupì di leggere il nome di un famoso studio notarile di New York. La sua espressione divenne ancora più sorpresa quando lesse il contenuto dei documenti.

- Allora è davvero decisa.

- Già. Quello è un documento con il quale dichiara di rinunciare a titolo definitivo alla famiglia Andrew. Lo studio notarile è quello di fiducia degli Andrew. Ma non è ancora tutto.

Terence a quel punto si mise a sedere sulla poltrona posta davanti alla scrivania di Albert. Si passò le mani tra i capelli e con le braccia, poggiate sui gomiti, sorreggeva il capo avvilito. Aveva paura di scoprire dell’altro.

- Non so se riuscirò a resistere ad un’altra notizia devastante.

Albert non si fermò davanti l’espressione stravolta dell’amico e gli porse l’ennesimo documento. Terence lo rifiutò con un movimento brusco della mano, ma Albert lo costrinse, in ogni modo, a prenderlo. Il moro lesse quei fogli e giunto alla fine alzò il capo chiedendo spiegazioni all’amico.

- Quello è l’elenco delle persone che si sono imbarcate sulla corazzata partita per l’Europa. Civili. Militari. Volontari. Crocerossine… noti qualcosa di strano?

Terence era shockato.

- Quando la ritroverò mi dovrà spiegare come ha fatto ad imbarcarsi con dei falsi documenti. È impossibile. Me la pagherà per questo scherzo. Sto perdendo venti anni della mia vita.


Buongiorno a tutti!

Scusate l’enorme ritardo ma questa storia ha causato diversi problemi. Il mio account è stato bloccato per 22 giorni per una serie di motivi che non vi sto qui a precisare. Anzi, lo faccio.

Sin dal primo capitolo ho esplicitamente dichiarato che faccio riferimento ad un’altra fic da cui ho preso ispirazione “Incontro nel vortice”, presunta prosecuzione della storia di Candy. Ma, a quanto pare, non è stato solo questo il motivo che ha spinto l’amministrazione a bloccare il mio account. C’è dell’altro. Esiste una fanfic, “La lettera del destino”, pubblicata in un sito che io visito frequentemente (e a cui sono iscritta con il nick di Semplicementecarmen) che è basata su di una lettera che la madre di Candy indirizza alla figlia.

Considerando il fatto che io ho dichiarato di aver preso spunto da una fic preesistente – Incontro nel vortice – e l’esistenza della seconda fanfic – La lettera del destino – l’amministrazione si è ritrovata a sospettare che io scopiazzassi da una e l’altra e da qui la decisione di bloccare il mio account chiedendomi spiegazioni.

Ho nuovamente dichiarato di aver preso spunto dalla fic spagnola ma ho aggiunto di non aver mai letto “La lettera del destino” se non ieri sera, tanto che l’ho pure commentata. Sembra che adesso i problemi e le incomprensioni siano state risolte ed io possa proseguire nella mia pubblicazione.

L’amministrazione non mi ha obbligata a dichiarare nulla ma io ho deciso, comunque, di mettere in chiaro la questione come forma di rispetto verso voi che siete i miei lettori.

Ciò che è accaduto, però, mi ha portata a prendere una decisione importante: la mia storia subirà delle modifiche e partirà da un punto preciso della storia di Candy. Al momento della partenza per il fronte. Sarà Candy a partire e non Flunny, come già avete intuito e come avevo già anticipato all’inizio della pubblicazione. Candy, inoltre, non conosce l’identità dello zio William – mentre Terence ne è al corrente – e l’incidente di Susanna non è mai avvenuto, aggiungo anche che Albert non ha mai perso la memoria.

Ho anche deciso di prendere, alla fine della pubblicazione delle fic che ho in corso, un periodo di riposo non tanto per stanchezza od altro, ma solo perché sono rimasta fortemente delusa da tutta questa storia. Avrei preferito che l’amministrazione mi comunicasse di interrompere la pubblicazione di questa fic sino a che la situazione non si fosse chiarita, e non arrivasse al blocco dell’account.

È stato come mettere in dubbio la mia onestà di scrittrice. Per alcune di voi può sembrare cosa di poco conto ma vi assicuro che non è così. Infatti, sono diverse le storie che ho letto in cui ho trovato particolari identici ad altre storie, a volte anche a storie mie, ma non ho mai detto nulla non perché la cosa non mi interessi, ma semplicemente perché sono dell’idea che, certe situazioni, possono essere impiegate in modi diversi senza incappare nel plagio. Ma a quanto pare per l’amministrazione non è così ed io sono stata subito bloccata senza tenere conto delle dichiarazioni da me riportate all’inizio della pubblicazione, anzi adducendo quelle come fonte primaria del blocco. Sarà stato un eccesso di zelo da ambo le parti, non so cos’altro dire.

Ma chiudiamo questa parentesi e passiamo alla storia. Si è scoperto qualcosa di più e che Candy è partita con un’identità diversa dalla sua. Vedremo cosa accadrà adesso. Inoltre, vorrei ringraziare Lauramaria per il sostegno (prima di tutto ti do l’indirizzo del sito a cui faccio riferimento così potrai andare a leggere le fic di cui parlo, http://candycandy.forumfree.net/. Per il resto che posso dirti? Quello che dici tu è vero, già la vita è difficile e triste, ma è anche vero che, personalmente, credo che scrivere sia un modo per sfuggire dalla realtà – come dici tu stessa – ma anche un modo per descriverla senza nasconderci dietro false speranze. Il lieto fine o meno ancora non sono riuscita a deciderlo, ma posso dirti che cercherò di scrivere qualcosa di vero in cui saranno presenti tutte le emozioni, belle o brutte che siano!) e Kaoru che ha commentato ed inserito la fic tra i preferiti ( chi è Catherine è chiaro, vediamo come giustificherà l’abbandono di Candy più che altro. Cos’altro ti posso dire se non grazie per le bellissime parole che ogni volta esprimi a mio indirizzo? Grazie di cuore, così mi farai arrossire!).

Vi saluto e vi do appuntamento ai primi di novembre: il 5 novembre. Un bacio a tutti!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Nuova pagina 1

Capitolo IV

Era arrivata. Finalmente il suo viaggio si era concluso. La lunga traversata che l’aveva ricondotta in Europa era terminata. Erano approdati in Inghilterra, al porto di Londra. Lo stesso porto che l’aveva vista anni addietro protagonista di uno straziante addio con il suo grande amore.

Inesorabilmente i ricordi di Candy tornarono indietro e poi, dalla fine di tutto, tornarono al presente ed ancora a quattro anni prima. A quella traversata che le aveva fatto conoscere un ragazzo molto somigliante al suo Anthony. I ricordi si rincorrevano senza sosta mentre cercava di mettere ordine nella sua mente.

Strinse il cappotto nero che avevano in dotazione tutte le crocerossine. Un cappotto di una lana grezza e ruvida. Si accucciò meglio nella grande, e calda, sciarpa arancione – regalo di suor Maria il Natale precedente. La croce rossa di stoffa era bene in vista sul braccio destro.

Scese, con Evelyn, dal peschereccio che le aveva prelevate dalla corazzata che le aveva accompagnate fino al largo del porto di Londra. Erano da poco passate le sedici. Meno di due ore e sarebbe scattato il coprifuoco.

La sua compagna di viaggio si guardava intorno incuriosita, era la prima volta che si trovava a Londra. Era la prima volta che lasciava gli Stati Uniti. Per lei era tutto nuovo. I suoi grandi occhi castani erano rapiti dalla vita di quel porto.

Un porto che restava comunque vivo nonostante gli attacchi dell’aeronautica tedesca. Il Barone Rosso era la fonte di maggiore preoccupazione per tutti gli aviatori, e non solo. Era un pilota eccezionale. Aveva buttato a terra più di sessanta aerei e sembrava imbattibile, sicuramente ne avrebbe buttati giù molti altri. Gli attacchi su Londra divenivano sempre più frequenti e la gente iniziava a lasciare la città, ma il porto… il porto restava sempre il fulcro di tutto.

Candy guardava la gente come in trance. Non ascoltava i rumori. Non percepiva gli odori. Era immobile. Ferma. Persa. Ancora una volta era tornata a quei giorni, a quando erano stati Stear ed Archie a venirla a prendere appena giunta sul suolo britannico, ma stavolta… stavolta era diverso.

Era partita in silenzio. Senza dire niente a nessuno, lasciando solo poche righe al suo tutore e alle due direttrici della casa di Pony. Poche righe per spiegare tutto.

- Candy… Candy, mi stai ascoltando?

La bionda fu strappata dai suoi pensieri dalla voce di Evelyn che le parlava al quanto preoccupata.

- Scusami. Ero soprappensiero. Cosa mi stavi dicendo?

La compagna di viaggio la guardò seriamente, poi scosse il capo e rispose.

- Sei perennemente con la testa tra le nuvole. Per caso, sei così anche a lavoro? Ti stavo chiedendo se almeno tu, che già sei stata a Londra, hai idea da che parte andare per il St Mary ‘s Hospital.

Candy si guardò attorno come in cerca di un indizio. Poi la vide. Una piccola osteria. Da quella parte era il centro storico di Londra. Dovevano andare a destra se volevano raggiungere l’ospedale.

- Sai Ev, anche a lavoro, spesso, mi capita di essere con al testa tra le nuvole, ma fino adesso non ho mai ammazzato nessuno quindi puoi stare tranquilla. Il mio lavoro lo so fare. Adesso seguimi. Per arrivare in ospedale dovremo fare un bel po’ di strada.

Candy sorrise incoraggiante all’amica. Prese la borsa da viaggio che aveva seco ed iniziò ad incamminarsi verso la strada maggiormente trafficata. Evelyn restò ferma un attimo, era incredibile: Candy riusciva ad alternare momenti di tristezza a momenti di allegria, ma si chiedeva fino a che punto questa allegria fosse vera. Cosa nascondeva quella ragazza dal nome Catherine House? Perché si faceva chiamare Candy? E come mai era stata già a Londra?

Le due ragazze camminarono per le vie della città in fretta. Era tardi. Meno di un’ora e sarebbe scattato il coprifuoco. Da quanto camminavano? Era possibile che fosse già passata un’ora dal loro sbarco? Candy avanzava in fretta. Le nuvolette bianche che uscivano dalla sua bocca erano segno evidente del freddo che c’era nella capitale del Regno Unito. Si guardava indietro, Evelyn la seguiva con qualche difficoltà. Decise di rallentare il passo, ancora pochi minuti e sarebbero arrivate.

- Coraggio. Manca poco.

Prese dalle mani della compagna la borsa con dentro gli effetti personali e ricominciò la sua marcia.

- Candy, ti prego. Lascia, posso benissimo portarla. Tu hai la tua.

- Evelyn, manca meno di un’ora al coprifuoco. Voglio arrivare il prima possibile all’ospedale. Sei stanca, lascia portare a me la tua borsa. Coraggio, un ultimo sforzo e dopo potremo riprendere fiato.

Il tono da autoritario era diventato, con il proseguire del discorso, più dolce e comprensivo. Candy rivedeva nella sua compagna di viaggio Annie. La stessa delicatezza e fragilità. Aveva voluto bene a quella ragazzina di poco più di quindici anni da subito.

Meno di dieci minuti dopo si ritrovarono di fronte ad un’imponente costruzione di Paddington, quello era il St Mary ‘s Hospital. Un edificio che contava almeno quattro piani, sul lato principale erano presenti più di trenta finestre. All’entrata principale svettava, sul piccone più alto, la bandiera del Regno Unito, a mezz’asta in segno di rispetto per i morti causati da quella guerra. I mattoni rossi risaltavano nella nebbia di Londra.

Candy ed Evelyn si guardarono un po’ più serene. Erano arrivate prima del coprifuoco.

Volevo ringraziare di cuore Kaoru che trova sempre due minuti per me. Volevo rispondere anche al tuo dubbio, se ho deciso di prendere una pausa è anche perché gli impegni sono troppi ed il tempo è poco. Appena sarò più libera, comunque, tornerò a scrivere. Per adesso, però, stai serena, staremo insieme per almeno altri tre mesi! Se non di più!

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


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Capitolo V

Lo spettacolo si era concluso da meno di mezz’ora e lui era lì, nel suo camerino. Lo scrosciare degli applausi ormai era un’eco lontana. Non si riteneva soddisfatto della sua performance e per questo si era rintanato nella sua stanza.

Adesso era lì, da solo nel suo ambiente, illuminato dal fuoco tremulo di poche candele.

Osservava il suo riflesso nello specchio ma, in realtà, non era la sua immagine ad essere riprodotta bensì quella di una giovane dai capelli biondi e boccolosi, legati in due morbide code. Le efelidi risaltavano sul suo viso paffuto ed ancora fanciullesco. Gli occhi verdi erano attraversati dalla luce della vita e dell’allegria. Le labbra, schiuse in un dolce sorriso rivolto solo a lui.

Terence allungò una mano convinto di poter sfiorare quel viso tanto amato ma la delusione fu tanta quando, invece, incontrò la superficie gelida e liscia dello specchio. L’incanto si era spezzato ed il suo viso fece nuovamente capolino sulla superficie riflettente. Si specchiò ma non si riconobbe. Non era più lo stesso. Erano trascorsi già diversi giorni dalla partenza della sua Candy, ed ancora non si sapeva nulla.

Dove si era cacciata? Come aveva fatto a sparire così nel nulla? Come aveva recuperato i documenti falsi, non solo per il viaggio, ma anche per attestare le sue qualità di infermiera. Come era riuscita a farla sotto al naso ad Albert…

Un lieve bussare alla porta lo riportò al presente. Calcando nuovamente la maschera dell’indifferenza, concesse il permesso di entrare. Susanna Marlow, in tutta la sua grazia ed eleganza, fece il suo ingresso all’interno del camerino del giovane Grandchester.

- Terence, sei pronto? Ci stanno aspettando per il ricevimento che si terrà a casa Mc Flass.

La sua voce era armoniosa e melodica ma infastidì Terence. Quella voce non era come quella del suo angelo. Non era dotata della stessa dolcezza e vivacità. Quella voce non gli trasmetteva la stessa pace e serenità che solo la sua Candy era in grado di fare.

- Tu va pure Susanna. Io preferisco tornarmene a casa.

Quella sera si sentiva particolarmente malinconico. Non voleva avere nessuno tra i piedi. Recitare era stato faticoso, soprattutto con il pensiero di Candy sempre impresso nella mente. Era meglio restare solo a casa. Chiuso tra quelle quattro mura a leggere un libro con la speranza di poter fuggire alla sua angoscia.

- Terence, ma cosa dici? È necessaria la nostra presenza. Siamo gli attori di punta della compagnia e la gente si aspetta di vedere entrambi. Coraggio preparati. Io ti aspetto nel mio camerino. Quando sarai pronto, mi raggiungerai.

La ragazza aveva accompagnato le sue parole con un sorriso sperando, così, da rabbonire il collega. I suoi sforzi risultarono vani dato che Terence parve, al contrario, innervosito dall’insistenza della ragazza.

- Susanna, ho detto che non verrò ed adesso se non ti dispiace vorrei restare solo.

- Ma Terence…

Il ragazzo si voltò di scatto ad osservare Susanna che restò gelata dall’espressione collerica che vide sul volto dell’altro. Ciò nonostante decise di tentare ancora. Non voleva darsi per vinta. Non poteva permettere a Terence di allontanarsi da lei. Aveva già fatto tanto riuscendo ad allontanare quella ragazzina dal suo amato. Adesso doveva giocare a dovere le sue carte e tenersi Terence. Non avrebbe perso. Lei era abituata ad avere tutto ciò che desiderava.

- Come vuoi. Non andremo alla festa. Vado ad avvertire Robert della nostra assenza. Tu, intanto, inizia a prepararti.

Non si sarebbe tirata indietro. Terence era perfetto per lei. Elegante. Colto. Educato. Affascinante. Misterioso. Tutti lo affermavano: loro due insieme erano una delle coppie più ammirate di Broadway. Anche Terence, presto o tardi, se ne sarebbe reso conto e quella biondina sarebbe stata solo un ricordo adolescenziale.

- Susanna, forse non hai capito. Voglio restare solo.

- E perché mai?

No! Non si sarebbe arresa. Lei voleva Terence e lo avrebbe conquistato, ad ogni costo.

- Non credo che siano affari che ti riguardino. Ed adesso lasciami in pace.

- Cosa credi di ottenere rintanandoti in casa? Lei non tornerà più. Ormai è finita, fattene una ragione una buona volta e guardati attorno. La vita va avanti.

La giovane resasi conto di aver parlato anche troppo decise di lasciare il camerino. Doveva trattenersi ma era stato più forte di lei. Vedere Terence così abbattuto e depresso l’aveva mandata in collera. Con la mano sulla maniglia, ed ormai certa di essere sfuggita alla collera del giovane Grandchester, stava per uscire dalla stanza quando, una presa salda e calda, l’afferrò per la spalla ed in modo poco delicato, la costrinse a voltarsi.

Nell’esatto istante in cui i suoi occhi si posarono sul volto del ragazzo che aveva di fronte, si rese conto di aver esagerato e pregò con tutto il cuore di veder arrivare qualcuno così da poterla tirare fuori da quella situazione.

Terence era fuori di sé. Cosa sapeva Susanna? La rabbia accumulata era tanta al punto che, il solo trattenersi, risultava faticoso. L’istinto gli suggeriva di fare peso sul terrore che aveva suscitato in Susanna così da capire fino a che punto la ragazza era coinvolta nella sparizione di Candy. Perché ormai ne era certo: Susanna sapeva qualcosa che lui ignorava… e quel qualcosa riguardava proprio Candy.

- Adesso tu parli.

La voce bassa e sibilante fece rabbrividire Susanna. Si sentì peggio non appena vide gli occhi scuri di Terence. Il blu delle sue iridi sembrava essere diventato nero. Non aveva mai visto occhi così scuri e minacciosi. Erano un limbo senza fine. Un inferno di oscurità. La stretta sulla spalla aumentò per ammonirla. Per ricordarle di dover parlare e raccontare ciò che sapeva. Ormai la spalla le faceva male ma, il giovane, non sembrava intenzionato ad allentare la presa. Alla fine si vide costretta ad annuire e parlare.

- Ricordi lo spettacolo tenuto a Chicago? In quell’occasione ho conosciuto Candy. Era venuta in albergo a cercarti ed io le dissi che tu non eri lì. Tutto qui.

La voce uscì lieve e tremante. Il timore di incorrere nell’ira di Terence era tanto, aumentato dallo strana tranquillità che, adesso, pervadeva il ragazzo.

- Perché non mi hai detto nulla?

Si stava sforzando. Si stava facendo violenza da solo cercando di non aggredire Susanna. Lei aveva visto Candy. Lei aveva parlato con Candy. Non gli aveva detto nulla. Perché? Cosa si doveva aspettare dalla ragazza? Cosa aveva detto a Candy?

- Io… ho preferito tacere.

L’attrice non sapeva cosa dire. La lucidità l’aveva abbandonata davanti quegli occhi di ossidiana. Il sangue era gelato nelle vene ed il cuore correva come non mai. Il terrore le impediva di muoversi. Terence sembrava una statua di cera e questo la spaventava. Sapeva di cosa era capace il giovane nei suoi momenti di rabbia. Più di una volta il ragazzo, i primi tempi, aveva litigato con altri membri della compagnia e la sua collera era sempre stata preceduta da attimi di apparente tranquillità, come quelli che stavano vivendo in quel preciso momento.

Colpirà anche me che sono una donna?

Era questo il pensiero di Susanna. Era questa la domanda che la tormentava. Terence avrebbe mai avuto il coraggio di alzare un dito su di lei che era una donna? Sperava che il buon senso del giovane, presto o tardi, sarebbe tornato.

Sperava nell’arrivo di Robert così da poterla tirare fuori dai guai. Cercava una via d’uscita ma, stavolta, era caduta in trappola da sola. Era rimasta prigioniera della stessa ragnatela che aveva costruito da sola.

- Susanna… cosa vi siete dette tu e Candy.

La voce di Terence era concitata. Doveva sapere cosa si erano dette. Forse Susanna sapeva dove cercare Candy. Forse la giovane infermiera era venuta in albergo sperando di incontrarlo così da potergli comunicare personalmente la sua decisione di partire per l’Europa. Forse… si stava facendo troppe illusioni.

- Nulla. Le ho semplicemente detto che tu non eri in albergo e che avrei riferito il suo messaggio.

- Quale messaggio?

Forse aveva ancora una speranza. Forse era davvero venuta a dirgli che stava partendo per l’Europa. Forse aveva lasciato un indirizzo dove poterla rintracciare. Doveva sperare.

- Nulla di importante. Aveva assistito allo spettacolo ed era orgogliosa di te. Ha aggiunto che eri stato eccezionale. Nulla di che.

La presa sulla spalla di Susanna aumentò involontariamente. Terence era rimasto deluso dalla risposta della collega, ma cosa poteva aspettarsi? Candy non avrebbe mai riferito a Susanna qualcosa di personale.

- Nient’altro?

Una speranza. L’ultima. Una flebile speranza.

Ed intanto la presa sulla spalla di Susanna era diventata più morbida tanto che la giovane era riuscita a liberarsi.

- Cos’altro ti aspettavi da quella ragazzina?

Ecco! Aveva esagerato nuovamente. Aveva detto qualcosa di troppo e lo sguardo truce di Terence le fece capire che il ragazzo non aveva gradito.

- Non ti permetto di parlare di lei in questi toni. Sono stato chiaro?

La voce baritonale di Terence rimbombava nello spazio angusto del camerino. Susanna sentì le ginocchia tremare. Indietreggiò fino a che la sua schiena non si trovò a sbattere contro la porta chiusa. Si sentiva impotente e finita. Terence era arrabbiato, ma lei non poteva arrendersi. No. Lui sarebbe stato suo.

- Io… le ho detto di noi. Le ho detto che presto avremmo ufficializzato il nostro fidanzamento.

Aveva parlato fiera come era sempre stata. Lei era Susanna Marlow la nuova stella del firmamento americano. Non sarebbe stata certo quell’insulsa ragazzetta a mandare a monte i suoi piani.

- Tu cosa?

Terence era sconvolto. Susanna non poteva aver fatto una cosa del genere. Non era possibile. Tra lui e la ragazza non c’era nulla, erano solo pettegolezzi e articoli di giornale. Il suo cuore batteva solo per Candy.

- Le ho detto la verità. Era inutile continuare ad illuderla.

- Susanna tu sei pazza.

Terence la guardava stralunato. Quella ragazza era pazza. Come poteva aver detto un’assurdità simile? Loro non avevano alcuna relazione.

- Terence so perfettamente che non mi ami, ma è necessario. Per la nostra carriera. Come fai a non capire? Dobbiamo sfruttare il momento e dare ai giornalisti ciò che si aspettano. È il mondo dello spettacolo. Non possiamo sottrarci, ne va della nostra carriera.

Terence alzò la testa di scatto. Fissò i suoi occhi in quelli azzurri dell’attrice e con un rapido movimento della mano la mise da parte. La spinta fu talmente forte da spingere Susanna sul divano vicino. Ormai Terence era fuori dalla porta ma, prima di sparire del tutto dalla vista della giovane si voltò verso di lei, e la fissò con tutto il suo odio.

- Ringrazia il cielo per essere una donna… io… mi fai schifo.

Detto questo lasciò la ragazza sola nel camerino. Le lacrime volevano uscire ma lei impedì loro di farlo. Si alzò e si ricompose nel giro di qualche minuto. Osservò la sua immagine riflessa e vide il volto di una giovane e graziosa fanciulla. Sorrise in modo cordiale a se stessa, poi voltò le spalle e se ne andò. Un galà l’attendeva, con Terence avrebbe risolto in un altro momento. Il giovane Duca, presto, avrebbe capito che il suo posto era al suo fianco. Era solo questione di tempo.

§*§*§*§*§*§*§*§*§*

In poche falcate raggiunse il camerino di Robert Stratford, membro più anziano della compagnia e suo fondatore. Le nocche toccarono il legno scuro della porta due volte e, senza attendere il permesso per entrare, la spalancò.

Il proprietario del camerino era intento a cambiarsi gli abiti di scena. Il cerone era stato già magistralmente tolto e gli occhi castani dell’uomo osservavano vigili Terence.

- A cosa è dovuta tutta questa irruenza?

Robert era stato, da sempre, un uomo mite e calmo ma da quando nella sua compagnia era entrato Terence la sua calma si era centuplicata. Quel ragazzo era l’impazienza fatta persona. Era irascibile. Nervoso. Tutto il contrario di ciò che era lui.

- Me ne vado. Lascio la compagnia.

Robert, appena sentite quelle parole, si fece attento. Terence poteva essere la persona più impaziente del mondo ma il teatro, lo aveva intuito sin dal loro primo incontro, era stato una certezza per il giovane. Cosa lo aveva spinto a decidere di lasciare la compagnia?

- Cosa è accaduto per portarti a prendere in considerazione una simile assurdità?

Terence non poteva essere serio. Il teatro era stato, da quando era negli Stati Uniti, la sua unica certezza. Quella di Terence doveva essere la reazione a qualcosa di grave. Non avrebbe mai lasciato, di punto in bianco, la compagnia senza una valida ragione.

- Robert mi conosci e sai che non sono uno che fa certi colpi di testa. Sono una persona difficile è vero, ma non mi tiro mai indietro quando prendo un impegno… stavolta però, credimi, è necessario che io lasci la compagnia.

L’uomo più anziano fissava il giovane collega. Gli occhi blu del ragazzo erano offuscati dal velo della rabbia. Aveva litigato con qualcuno.

- Terence che ne dici di sederti e dirmi tutto dal principio così che io possa farmi un’idea dell’accaduto?

E fu così che Terence raccontò a Robert cosa era accaduto…

Salve! Alla fine aggiorno anche in anticipo, visto? Vi ho fatto aspettare così tante volte che, dite la verità, non ci speravate più, vero? Ed invece… et voilà il capitolo. Breve ma intenso a mio modo di vedere.

Come avete notato ho reso il personaggio di Susanna molto cinico e approfittatore, o per meglio dire, l’ho reso per come lo vedo io: una che ti obbliga a stare con te facendo leva sul senso di colpa, voi come la definireste? Io la definirei proprio cinica ed approfittatrice, oltre che st***za, ma meglio che mi fermo qui altrimenti…

Passo ai ringraziamenti perché ho davvero i minuti contanti…

RINGRAZIAMENTI:

- LAGADEMA: Ciao Lauramaria, anch’io ho letto ciò che è capitato a te e mi spiace, anche perché per certi versi mi ricorda un po’ ciò che stava per capitarmi. Tranquilla. Continuerò a scrivere questa fic, la finirò, ma dopo prenderò un lungo periodo di riposo, anche perché al momento non ho nuove idee che mi frullano in testa. Spero di poter leggere una nuova recensione anche a questo V capitolo. Alla prossima e buone feste dato che aggiornerò dopo il periodo natalizio!

- KAORU: carissima e fedelissima! Grazie per i complimenti, è vero, mi piacciono le descrizioni. Il fatto è che, quando immagino una scena, vorrei che il lettore la veda come è impressa nella mia mente. A volte ci riesco bene, altre volte i risultati non sono totalmente soddisfacenti, ma non per questo mi tiro indietro. Continuo a scrivere perché se oggi non va bene, domani andrà meglio. Adesso ti saluto ed auguro anche a te buone feste dato che ho intenzione di prendermi un po’ di vacanze nel corso di questo periodo natalizio. Un bacio alla prossima!

Il prossimo aggiornamento sarà l’anno nuovo, intorno al 5 gennaio, ma non è nulla di sicuro. Ancora devo dare una sbirciata al calendario, ma penso che dal 5 in poi riprenderò a scrivere regolarmente. Saluto a tutti. Un bacio e per evitare di offendere qualcuno che ha un credo diverso dal mio limito i miei auguro dicendo semplicemente:

Auguro a tutti delle sante e serene feste…

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


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Capitolo VI

 

  Erano trascorse diverse settimane dall’arrivo di Candy ed Evelyn al St. Mary ‘s Hospital. Le due infermiere erano state accolte gentilmente ma separate da subito: Candy, grazie alla maggiore esperienza, era stata assegnata al reparto di chirurgia mentre Evelyn, molto meno esperta, alla degenza dei pazienti sulla strada della convalescenza.

   Il lavoro delle due infermiere era assai diverso non solo dal punto di vista pratico ma anche per quello che riguardava la resistenza fisica. Infatti, a causa dei bombardamenti sempre più frequenti, i turni in chirurgia erano diventati lunghi ed estenuanti. Candy passava gran parte del suo tempo in ospedale ed anche quando era libera preferiva rimanere in corsia per aiutare chi aveva di bisogno senza lasciare, effettivamente, il proprio posto di lavoro neanche nei giorni di riposo.

       - Infermiera House, per favore, può seguirmi nella stanza riservata al personale medico?

   Candy sussultò quando si sentì chiamare in quella maniera, a parte Evelyn nessuno sapeva che Catherine House era solo un nome fittizio. Non era ancora abituata alla sua nuova identità ed ogni volta che qualcuno la chiamava in quel modo impiegava un paio di secondi per rendersi conto che cercavano proprio lei.

       - Certamente Miss Watsom, finisco qui e la raggiungono subito.

   Velocemente la ragazza finì di medicare la ferita della donna che giaceva incosciente nello stesso letto ormai da cinque giorni. Doveva prestare parecchia attenzione nel ripulire e medicare le ferite dato che il rischio di infezione era altissimo, e da lì a morire il passo era breve1.

   Dopo aver concluso il suo lavoro ripose i farmaci e la garze al proprio posto e lavatasi le mani si diresse verso la stanza in cui Miss Watsom l’attendeva.

 

   Quando giunse nella grande sala dalle pareti bianche, Annabel Watsom sorseggiava una tazza di te caldo. La donna aveva circa trentacinque anni ed i capelli neri erano legati in una crocchia bassa. Gli occhi, piccoli e castani, erano circondati da rughe ed osservavano attentamente la sagoma dell’infermiera bionda di fronte a lei. Le labbra erano atteggiate in un’espressione tesa. Annabel Watsom osservava Catherine House senza sapere come iniziare il discorso che si apprestava a farle; generalmente era costretta a richiamare il personale infermieristico per il motivo contrario per il quale stava per redarguire l’americana. Dopo diversi secondi di silenzio decise che era inutile girare attorno alla questione, era necessario parlare con quella giovane infermiera tanto zelante ma altrettanto incosciente.

       - Come si trova qui da noi infermiera House?

       - Bene Miss Watsom. Lavorare in chirurgia è abbastanza faticoso ma non mi lamento, sono abituata alla fatica….

   Candy si era fermata a causa di un dubbio sorto mentre rispondeva all’infermiera-capo. Cercò il modo più educato per esporre il suo pensiero ma senza trovare soluzione alla sua inquietudine; alla fine, rassegnata, decise di esporre i fatti come stavano, Miss Pony diceva sempre: “Tolto il dente tolto il dolore!”… era arrivato il momento di togliere il suo dente.

       - Perché questa domanda? Forse qualcuno si è lamentato del mio lavoro?

   A dire il vero Candy, da quando era stata convocata da Miss Watsom, non aveva capito il perché si era ritrovata in quella stanza. La sua pausa era già passata ed in corsia erano a corto di personale a causa del numero elevato di pazienti ricoverati. Restare lì a parlare significava togliere aiuto a chi ne aveva bisogno e poi non aveva commesso nessun errore, ne era certa. Poteva aver dimenticato di prendere la temperatura a qualche paziente ma aveva rimediato subito dopo, non aveva mai dimenticato di ripulire le ferite e controllare che tutto procedesse per il meglio, cosa potevano rimproverarle?

       - Assolutamente Signorina, al contrario. Non fanno tutti che un gran parlar bene di lei e delle sue doti di infermiera solo che… da quanto tempo non prende un permesso per riposarsi?

   Candy si era aspettata di tutto ma tranne quella domanda che l’aveva sorpresa parecchio.

       - Non saprei Miss Watsom.

   La tazza che teneva tra le mani Annabel si posò delicatamente sul tavolino, alzò il capo e guardò davvero, per la prima volta, la giovane che aveva davanti. Catherine House aveva sicuramente meno di vent’anni ma i suoi occhi ne dimostravano molti di più. Il verde di quelle iride era un verde intenso ma celato dietro un velo di tristezza, probabilmente a causa dei dolori affrontati nel corso degli anni; era vero, non sapeva molto di quella giovane, ma era capace di riconoscere la sofferenza, ogni giorno aveva a che fare con essa, ma quella della sua giovane infermiera era diversa, non era una sofferenza fisica, era una sofferenza legata ai sentimenti… era un tormento interiore che portava Catherine a chiudersi in se stessa e buttarsi anima e corpo sul lavoro.

       - Miss House glielo dico io. Lei, da quando è qui da noi, non ha mai preso un giorno di riposo. Lavora ininterrottamente da quasi tre settimane, diciotto giorni per l’esattezza. La sua dedizione al lavoro è sorprendente e degna di nota ma non può continuare così. Ha bisogno di riposare, è umana anche lei.

   Candy strinse i pugni stropicciando la divisa bianca. Non si era aspettata un richiamo per qualcosa del genere, soprattutto in un momento simile, dato che erano a corto di personale. Non si sentiva stanca e lavorare la faceva sentire utile. Le faceva dimenticare ciò che aveva lasciato negli Stati Uniti e le impediva di tormentarsi a causa dei ricordi. Perché dovevano impedirle di trovare un po’ di pace?

       - Io… miss Watsom so perfettamente di essere umana ma credo che in questo momento non possa permettermi alcun riposo. In chirurgia il personale è insufficiente ed i bombardamenti sono continui così come l’arrivo di feriti…

       - Basta così Catherine! Non capisce che una distrazione nel nostro lavoro è inammissibile? Lei deve essere riposata non per sé ma per i suoi pazienti, per questo la pregherei di lasciare il suo posto in corsia e riprendere servizio solo lunedì mattina. È un ordine se non le fosse chiaro!

   Candy non riuscì a ribattere, anzi non volle ribattere, accettò quell’ordine con difficoltà. Non voleva lasciare l’ospedale che era il luogo più sicuro che conosceva, sicuro per il suo cuore che a Londra aveva molti ricordi felici, ma non poteva fare diversamente. Si congedò silenziosamente per far ritorno nei suoi alloggi dove avrebbe trascorso il resto dei suoi tre giorni di libertà!

 

   Inizialmente aveva preso male l’idea di quel riposo forzato. Aveva trascorso il pomeriggio di quel primo giorno di vacanza scrivendo due lettere, la prima indirizzate a Miss Pony e Suor Maria, la seconda ad Annie e Patty. In entrambe le lettera aveva raccontato sommariamente la vita a Londra, il lavoro ed i rapporti con il personale medico. Non aveva fatto cenno al diverbio di quella mattina ed aveva deciso di nascondere la gravità della situazione che viveva giorno dopo giorno nella città inglese. Non voleva fare preoccupare eccessivamente le persone a lei care.

   Dopo aver finito di scrivere le lettere, si era sdraiata sul suo letto e senza neanche accorgersene era crollata in un sonno profondo saltando perfino la cena. Il mattino successivo aveva dormito sino a tardi, cosa che le capitava di rado se non quando eccessivamente stanca, risvegliandosi molto più rilassata, trovando anche il tempo per andare a trovare i piccoli degenti dell’ospedale leggendo loro delle fiabe e facendoli giocare tutti insieme. Alla fine del secondo giorno di riposo, si era resa conto che il suo corpo era davvero stanco e quella sosta forzata si era rivelata necessaria.

 

   quella domenica era l’ultimo giorno di congedo forzato, il mattino successivo avrebbe ripreso il suo posto in corsia e la cosa la rallegrava, l’inattività non aveva riaperto delle vecchie ferite, ma non l’aveva fatta stare meglio nello spirito.

   Le sue colleghe l’avevano invitata a fare un giro per il centro di Londra e lei si era ritrovata ad accettare per non essere scortese. Avevano girato per le vie della città come delle semplici ragazze e per concludere quella giornata avevano deciso di recarsi  allo zoo cittadino, aperto nonostante la guerra in corso.

   I segni dei bombardamenti erano bene evidenti e tutte si rendevano conto di come, lentamente, anche Londra stesse diventando parte attiva nel conflitto che coinvolgeva l’intera Europa.

   Vedendo la devastazione che le circondava, Candy aveva dimenticato parte dell’ansia che l’aveva accompagnata quella mattina. Era riuscita a mettere da parte i ricordi concentrandosi sulla distruzione che aveva davanti gli occhi. Il senso di colpa per ciò che egoisticamente aveva provato sin dalla sua partenza, la faceva sentire sporca ed inadeguata per il ruolo che ricopriva.

   Intanto, un silenzio carico di tensione era calato tra le ragazze che avevano perso, strada facendo, l’entusiasmo che avevano mostrato all’inizio di quella giornata. Nonostante la guerra, la vita della città provava a procedere nella normalità consentita dalla tregua tra un bombardamento e l’altro. Alcune botteghe erano aperte e molta gente si muoveva in città in cerca di scorte alimentari per prepararsi ai bombardamenti che certamente, presto o tardi, sarebbero ricominciati.

       - Allora che ne dite di andare allo zoo? È ancora in funzione e poi è quasi mezzogiorno, propongo di fermarci in un chiosco e mangiare lì qualcosa! Chi è d’accordo con me?

   La voce di Martha tentò di risultare allegra, ma non vi riuscì. Tutte loro avevano perso la spensieratezza iniziale, ma nessuno sembrava aver voglia di rientrare in ospedale, volevano essere, ancora per qualche ora, normali ragazze; per questo alla fine avevano deciso di concludere quella giornata allo zoo cittadino come era nei programmi.

   Il pensiero di Candy subito era volato ad Albert e si chiese se il giovane lavorasse ancora lì, magari poteva approfittarne per andare a trovarlo. Improvvisamente si bloccò, alla sua destra un imponente cancello in ferro battuto faceva bella mostra di sé. Il suo cuore iniziò a battere quando lesse il nome di quel collegio, Royal St. Paul School. Le sue gambe non riuscirono a muovere un passo e si ritrovò a sedere su di una panchina che si trovava proprio dietro di lei. I suoi ricordi tornarono indietro di cinque anni a quando lei stessa era una studentessa di quel collegio.

       - Catherine qualcosa non va? Sei impallidita.

   Martha si era affiancata alla collega e stringeva la sua mano fredda. Candy ripresasi dalla sorpresa si girò verso le colleghe che la guardavano, chi più chi meno, preoccupate.

       - Niente di grave. Solo un giramento di testa. Ragazze voi passate avanti… io mi fermo qui a riprendere fiato.

       - Non dire sciocchezze Catherine, ci fermiamo tutte!

   Martha che era la più materna tra tutte, era seduta accanto a Candy sulla panchina che le aveva impedito di finire in terra. Gli occhi dell’ex studentessa erano fissi proprio sul cancello e la voglia di entrare e rivedere i luoghi della sua adolescenza era sempre più intensa. Improvvisamente aveva dimenticato tutto, l’orrore della guerra, il senso di impotenza e l’inquietudine che Londra le aveva provocato sin dal suo arrivo. Si fermò ad osservare i volti delle colleghe e poi, alla fine, aveva fissato i suoi occhi verdi in quelli di Evelyn, colei che la conosceva un po’ meglio delle altre, ed una muta richiesta era stata rivolta alla giovane collega: “Aiutami!” poi cercando di sembrare il più naturale possibile si rivolse proprio a lei sperando nel suo aiuto.

       - Evelyn, tu che mi conosci, dì loro che possono lasciarmi senza problemi.

   La giovane tirata in ballo osservò il viso della collega e poi tutte le altre. Catherine l’aveva messa in una brutta situazione, non voleva lasciarla da sola, ma aveva capito benissimo che l’altra, al contrario, necessitava di un po’ di solitudine. Alla fine decise di fare come la collega le aveva chiesto, si sarebbe fatta spiegare tutto in un secondo momento.

       - Coraggio ragazze, Catherine ha perfettamente ragione, non ha senso rimanere tutte qui, sa badare a se stessa e conosce la città, ci raggiungerà appena si sentirà meglio. Noi andiamo avanti!

   Le altre tre colleghe si guardarono interrogative ma alla fine una ad una iniziarono ad andare avanti. Rimaste sole, Evelyn si rivolse verso Candy:

       - Poi mi spiegherai tutto.

   Candy annuì soddisfatta e la giovane raggiunse le altre ragazze che l’aspettavano più avanti.

   Ormai sola, Candy aspettò che le colleghe si allontanassero per poi  avvicinarsi al grande portone. Si guardò intorno e provò ad aprire il cancello che era chiuso dall’interno. Girò attorno alle mura che delineavano il parco del collegio ed alla fine trovò ciò che faceva al caso suo: un albero imponente sul ciglio della strada i cui rami si incontravano con altri che si trovavano all’interno del collegio. Guardandosi intorno, e facendo attenzione che nessuno si accorgesse di lei, iniziò la sua arrampicata. Trovato il ramo che le interessava saggiò la sua resistenza – e quando fu certa che quello fosse capace di reggere il suo peso – iniziò, come l’equilibrista di un circo, a camminare su di esso. Giunta in prossimità di un ramo di un albero interno al parco, spiccò un saltò e sperò con tutta se stessa che quel ramo fosse altrettanto resistente. L’atterraggio non fu dei migliori, a causa di uno strato di ghiaccio depositato sul ramo sul quale era saltata, scivolò in malo modo, la sua caduta nel vuoto fu bloccata da un secondo ramo che riuscì ad afferrare al volo. Prestando attenzione a non spezzare il ramo che l’aveva tratta in salvo, iniziò ad avanzare cautamente, facendo forza solo con le braccia – dato che il resto del corpo era sospeso nel vuoto – e così raggiunse il tronco. Da lì scendere fu una passeggiata.

   Si aggirava per il parco come in cerca di qualcosa, qualcuno. I ricordi la sommersero in un battito di ciglia ed anche se tutto era addormentato sotto il manto soffice della neve a lei non importava, ricordava perfettamente i colori di quei giardini.

       Buongiorno Tartan-tutte-lentiggini!” la sua testa si girò di scatto nel sentire quel nomignolo, si guardò intorno ma era sola. Era stata la sua fantasia a farle quello scherzo. Sorrise mestamente e proseguì per la sua passeggiata solitaria.

   Senza neanche sapere come i suoi piedi l’avevano condotta sino in cima a quella che aveva ribattezzato la Seconda Collina di Pony e lì si era fermata ad osservare la città. Una lacrime furtiva era scesa lungo la sua guancia; non la fermò perché sapeva che se lo avesse fatto altre avrebbero seguito il percorso di quella unica stilla salata.

       - Terence…

   Il nome del giovane fu sussurrato al vento che lo portò via, lontano da lei e dalla sua sofferenza. Terence doveva essere dimenticato, aveva voltato pagina e si era legato a Susanna, lei non faceva più parte della sua vita.

   Cercare di trattenere oltre i ricordi si era rivelato impossibile. In quel parco tutto le ricordava la sua adolescenza ed i giorni trascorsi in Scozia… e quel primo bacio rubato. Senza rendersene conto, le sue dita sfiorarono le labbra screpolate dal freddo. In quel lieve contatto ricercò il sapore di Terence, pungente, forte, vitale. Ricordava ancora la sensazione provata quando si era ritrovata stretta in quell’abbraccio così intenso da farle mancare il fiato. Ricordava ancora la sorpresa per il gesto di Terence.

       - Stupida Candy! Il passato non torna, è il momento di guardare avanti.

   Riprese a scendere il lieve pendio e si ritrovò al centro del parco. Ancora una volta i ricordi presero il sopravvento e lei si ritrovò davanti all’ingresso del dormitorio femminile. Con gli occhi andò in cerca di quello che era stato il balcone della sua stanza e sorrise.

       - Chi è lei e come ha fatto ad entrare?

   Una voce la fece voltare, la riconobbe all’istante e fu ben lieta di essere stata scoperta da suor Margaret e non dalla direttrice del collegio.

       - Suor Margaret sono lieta di rivederla!

       - Candy! Sei proprio tu! Oddio, non posso crederci…

   L’aveva riconosciuta subito anche se erano trascorsi cinque anni ed in quel periodo Candy aveva lasciato le fattezze dell’adolescente quale era ai tempi del suo soggiorno in quella scuola.

       - Sì, sono proprio io! Come sta?

   Candy si era ritrovata stritolata in un abbraccio inaspettato. Non credeva possibile che Suor Margaret, da sempre così controllata nelle sue azioni, potesse essere capace di un gesto simile.

       - Benedetta ragazza, non sai che preoccupazione quando sei scappata via dal collegio. Credevo di morire. Prima Terence e poi tu… siete stati due incoscienti!

   Candy si strinse nell’abbraccio della suora e sentì ancora una volta l’onda dei ricordi sommergerla. Per un attimo le sembrò essere tornata indietro nel tempo, si rivide con la divisa del collegio indosso e le code che portava da quando aveva memoria. Dopo un tempo incalcolabile le due donne si separarono, gli occhi di suor Margaret lucidi per le lacrime trattenute.

       - Sono così felice di rivederti. Ma cosa ti porta qui a Londra soprattutto ora che la guerra è così vicina?

       - Lavoro come infermiera al St. Mary ‘s Hospital suor Margareth.

   Camminando e ricordando i giorni in cui Candy era studentessa di quel collegio si ritrovarono all’interno del dormitorio e la ragazza, per un attimo, si rivide con Patty, in lacrime, stretta tra le braccia.

       Lei ha una pietra al posto del cuore. 2

   Quelle parole, rivolte alla direttrice del collegio, le costarono la sua partecipazione alla festa di maggio… anche se poi alla fine aveva trovato, ugualmente, il modo per prendere parte alla festa!

   Parlarono ancora per molto tempo Candy e suor Margaret. La giovane raccontò della sua scelta di diventare infermiera e delle difficoltà affrontate prima di poter riuscire a conseguire il diploma necessario; le raccontò di Annie e Patty rientrate a Chicago un paio di anni dopo rispetto lei e di come quest’ultima era riuscita a superare, almeno in parte, il dolore per la perdita di Stear, morto in guerra non meno di tre mesi prima.

       - E tu e Terence?

   Quelle parole sorpresero non poco Candy che non si aspettava una domanda simile da parte della suora, ma con un sorriso amaro la ragazza rispose ugualmente alla domanda di quella che, un tempo, era stata una sua insegnante.

       - Terence ha realizzato il suo sogno, adesso è un attore di Broadway… e presto si sposerà con una sua collega.

   Aveva pronunciato quelle parole con difficoltà, era la prima volta che ammetteva ad alta voce che Terence non era più suo e quell’ammissione le provocò non poco dolore. La calda mano di suor Margareth la strappò dal vortice della sofferenza.

       - Mi spiace, io non sapevo…

       - Non si preoccupi suor Margareth, è tutto a posto!

  Restarono in silenzio per diversi minuti. Era inutile commentare quanto accaduto, qualsiasi cosa avesse detto suor Margareth probabilmente avrebbe solamente fatto del male a Candy.

       - Credo che per me sia arrivato il momento di andare.

       - Non vai a salutare a suor Grey?

       - Non credo che sia felice di vedermi… sono stata una pessima studentessa!

       -Ti sbagli Candy. Non sei tu ad essere stata una pessima studentessa, semmai siamo state noi insegnanti non all’altezza del nostro ruolo.

   Con quelle parole la suora si incamminò verso lo studio di suor Grey.

 

   Nel percorso che dal refettorio, dove si erano fermate a parlare, all’ufficio di Suor Grey si ritrovarono a passare dinnanzi all’infermeria ed un nuovo ricordo tornò a tormentare Candy…

       Nel sogno ero diventata un angelo e con le ali ho cominciato a volare nell’aria, leggera… leggera…

       Però poi all’improvviso è caduta dalle scale e Terence l’ha trovata svenuta e porta qui, giusto?

       Terence? È stato Terence a portarmi qua?3

   Il ricordo di quella sera degli inizi di maggio la sommerse ancora. Chiuse gli occhi quasi infastidita, era stanca dei ricordi. Suor Margareth non si accorse del suo gesto e proseguì verso l’ufficio di suor Grey.

 

       - Avanti.

   La voce imperiosa di suor Grey la ricordava bene ma risentirla le provocava un senso di insicurezza come quando, ancora adolescente, si recava nell’ufficio della direttrice per essere punita a causa di una qualche trasgressione al regolamento del collegio.

       - Buongiorno suor Grey…

   La direttrice del collegio sollevo il capo di scatto. Si aspettava suor Margareth ma non quella voce…

       - Signorina Andrew…

   Candy restò sulla soglia attendendo che Suor Grey le desse il permesso per entrare e prendere posto; permesso che arrivò dopo alcuni secondi di silenzio.

       - Entri, prego si accomodi.

   Entrò silenziosa e prese posto in una delle poltrone poste davanti la scrivania dove lavorava la direttrice. Candy ricordò che quando ancora frequentava la St. Paul School davanti al tavolo di lavoro non c’era nulla mentre adesso capeggiavano due sedie enormi.

       - Non credevo di rivederla. Quando è scappata dal collegio sono rimasta molto turbata dalla sua scelta.

   Doveva pur aspettarsi un qualche riferimento alle sue scelte passate per questa ragione non si stupì per quelle parole.

       - Posso comprendere il suo turbamento ma questa non era più la mia casa… o probabilmente non lo è mai stata.

       - Per un periodo di tempo, signorina Andrew, questo collegio è stato la sua casa, almeno fino a quando il signor Grandchester è rimasto con noi.

   Quelle parole colpirono profondamente Candy. Non si sarebbe aspettata mai un discorso simile da parte di Suor Grey, forse neanche da Miss Pony.

      - La pregherei di non utilizzare più il nome degli Andrew. Ho legalmente rinunciato all’adozione prima della partenza per Londra. Adesso sono… semplicemente Candy White, come doveva essere da sempre.

   Probabilmente era stata troppo scontrosa con Suor Grey ma non aveva intenzione di parlare di Terence, con nessuno, tanto meno con lei che, in un certo qual modo, era la causa della loro separazione.

       - Posso sapere perché ha rinunciato al cognome degli Andrew?

   Candy si rilassò, forse suor Grey aveva capito le sue intenzioni e la stava assecondando.

       - Certo suor Grey! Adesso sono un’infermiera che presta servizio al St. Mary ‘s Hospital; sono arrivata qui da meno di tre settimane partendo da New York come volontaria della croce rossa. Ho deciso di non utilizzare il cognome degli Andrew perché, dopo la morte di Stear, non voglio che in alcun modo io possa essere facilitata negli incarichi che mi saranno affidati. Voglio affrontare tutto, qualsiasi lavoro, dal più umile al più pericoloso, voglio essere normale come le altre infermiere che lavorano con me… e poi credo che per me sia arrivato il momento di imparare a camminare da sola, senza il sostegno di nessuno…

   Candy non si chiese se effettivamente suor Grey fosse a conoscenza della morte di Stear, lo disse e basta, di contro la suora sembrava già sapere della tragica scomparsa dell’ex allievo dato che non aveva battuto ciglio dopo quella rivelazione. Dopo alcuni minuti di silenzio suor Grey riprese a parlare, la sua voce adesso era più bassa, forse incrinata dall’emozione.

       - Questo le fa onore signorina White, anche se credo che da sempre lei abbia camminato da sola, sulle sue gambe.

   Candy non si era aspettato un simile complimento da parte di suor Grey. Lo stupore era leggibile sul suo viso coperto da efelidi tanto che la suora continuò con il suo discorso senza attendere una risposta da parte della giovane.

       - Nel corso della mia vita ho commesso diversi errori. Soprattutto con lei ed il signor Grandchester. Accecata dal dovere di mantenere alto il buon nome del collegio, non mi sono resa conto di aver allontanato i buoni propositi con cui ho iniziato a lavorare in questa struttura. Educando le giovani generazioni ad essere perfetti lord e lady ho perso di vista la cosa più importante: il cuore della futura classe dirigente. Con Terence, in meno di un anno, lei è riuscita dove io per sette anni ho fallito miseramente. Ha toccato le corde del suo cuore ed è riuscita a far crescere e maturare quel giovane ragazzo.

   Candy rimase con il capo chino. Era sorpresa per quelle parole. Suor Grey non le aveva mai parlato in quella maniera… umana. Umana, non c’era altro modo per spiegare il modo in cui la suora si rivolgeva a lei. La direttrice dispotica e insensibile di cinque anni prima non esisteva più, era solo un lontano ricordo.

       - Suor Grey io…

       - Mi lasci finire la prego. Il mio ruolo di istitutrice era quello di guidarvi ed io sono venuta meno. Devo ringraziarla perché è per merito suo se ho capito che avevo perso di vista la mia strada. È stata lei ad insegnare qualcosa a me e non il contrario.

   Candy non disse nulla i suoi occhi pieni di lacrime mal trattenute valevano più di mille parole.



1 Ricordo che la storia è ambientata nel corso della Prima Guerra Mondiale, al momento siamo agli inizi del dicembre 1917, gli antibiotici n quegli anni erano sconosciuti. La scoperta della penicillina, ad opera di Fleming, risale al 1928.

2 Dialogo tratto dalla puntata 39 dell’anime. Il titolo dell’episodio è “Il tesoro di Patty”.

3 Dialoghi tratti dalla puntata 38 dell’anime. Il titolo dell’episodio è “Il segreto di Terence”.

 

   Dopo più di un anno torno ad aggiornare questa storia. È strano davvero. Era il 4 dicembre del 2008, oggi è il 15 gennaio del 2010.

   Mi scuso con chi ha seguito questa storia ma purtroppo il tempo è davvero scarso e le idee, benché la trama sia delineata nero su bianca, scarseggiano. In questo anno mi sono concentrata molto su quella che è la mia carriera universitaria riuscendo a dare 10 esami in 12 mesi, sia chiaro però che questa non è una giustificazione.

   Per quel che riguarda questo capitolo mi rendo conto di aver reso una suor Grey parecchio OOC ma sapete, dato che in me è presente un buonismo intrinseco nel mio DNA tendo a vedere il lato buono in tutti  i personaggi (cercherò di farlo anche con Neal ed Iiriza, non so quando ma ci proverò!) e così ecco qui il momento di suor Grey.

   Passo ai ringraziamenti:

- JAJ984: Ili tesoro mi auguro che tu ogni tanto butti ancora l’occhio da queste parti così almeno sai che ho aggiornato! Spero che questo capitolo ti piaccia tanto il precedente e che questa suor Grey tanto dolce e comprensiva – ma alquanto improponibile – ti convinca un po’! A me non convince per nulla! Susanna… sapessi cosa ho in mente per lei… i fuochi d’artificio… mi conosci e sai che sono un poco diabolica! E comunque finalmente Terence si comporta da uomo e va in cerca della sua donna… ci ha messo cinque anni per capirlo ma alla fine ci arriva pure lui!

- LAGADEMA: cara il racconto, anche se dovessi avere 100 anni, lo finisco non temere. Susanna è davvero terribile e come puoi leggere nella risposta alla recensitrice (si dice così?) ho in serbo tante sorprese per lei! Intanto Terence ha lasciato la compagnia e ti anticipo che parte, parte! Per quel che riguarda Incontro nel Vortice è un capolavoro ed il mio, in confronto, è solo spazzatura! Per quel che riguarda la tua fic giuro che la leggerò e recensirò!

  

   Non so quando tornerò ad aggiornare ma sappiate che la storia sarà conclusa.

   Alla prossima!

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