Storie passate

di Leannel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ballata del maledetto ***
Capitolo 2: *** I gemelli ***
Capitolo 3: *** Un ragazzo ***
Capitolo 4: *** La più crudele- parte prima ***
Capitolo 5: *** hai mai visto Leannel, una bambina bionda nel bosco? Parte seconda ***
Capitolo 6: *** In sogno, ti torturerò ***



Capitolo 1
*** La ballata del maledetto ***


Il giovane cavaliere dall’aria femminea cavalcava silenzioso nella notte

Introduzione

 

 

CCCCCCCCCIIIIIIIIAAAAAAAAAOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!

Come sempre il lupo perde il pelo ma non il vizio!!! E quindi ecco una nuova FF breve su Leannel. Vi avevo promesso infatti una fiction sulle vite dei 4 compagni della mia amica (Leannel), ma il tempo non mi permette di tirare giù una cosa così complessa, per cui vado in una sola direzione…L’ISPIRAZIONE!!

Il primo capitolo è il seguente, e tratta del COME si sono conosciuti Reimer e Leannel. Sono consapevole del fatto che il vecchio Rei abbia riscosso un sacco di apprezzamenti. Questo è comprensibile, perché Reimer è triste, è bello, ed è molto fascinoso.

Rendetevi conto che la storia di Reimer, ancora antecedente a questa è semplicemente di mia invenzione. Non ho alcuna intenzione di definirla. Altra cosa da notare è il fatto che il Signore di Reimer non ha un nome. A dire il vero non volevo dare un tempo definito a questa storia. E anche poi non conosco tutta la storia dei Re Numenoreani dopo la caduta di Numenor.

Leannel è sempre depressa. Sempre e comunque. A dire il vero mi sembra che la sua fiducia sia troppo veloce e mostrarsi nei confronti di Reimer. Ma mi piace pensare che lui sia una persona differente dalle altre e che anche per Leannel sia la stessa cosa.

Voglio mettere in chiaro, anche se mi sembra di averlo detto nel racconto, che tra Lea e Rei non c’è nessuna forma di affetto che somigli all’amore. Non nel senso di innamorati almeno. Il loro rapporto è platonico e fraterno. Volevo renderlo simile a quello che è il mio rapporto con un mio grandissimo amico. Ricordate che ancora Lea non sa nulla dell’amore. E poi nutre una certa forma di rispetto. Comunque sarà meglio che lo capiate da soli.

Le altre arriveranno. Comunque grazie per lo starmi leggendo. Grazie.

Spero che vi piaccia anche questa.

 

A tutti quelli che hanno un incredibile bisogno di amicizia

 

A tutti quelli che la conservano gelosamente

 

With love

Zoozy or Leannel
La ballata di Reimer il Maledetto

 

Il giovane cavaliere dall’aria femminea cavalcava silenzioso nella notte. Solo. Non aveva mai amato la compagnia, quel cavaliere. Era a Nord. Se non fosse stato un elfo forse avrebbe avuto freddo. Ma era un elfo. E di conseguenza non ne aveva. Le vesti da uomo non erano mai state così ricche. Il cavaliere non amava le cose sfarzose. Ma aveva da poco ricevuto una carica di soldato da suo padre, e per ancora un po’ di tempo avrebbe dovuto farsi vedere in giro ben vestito. Ma lassù, in quelle lande all’apparenza desolate, quale elfo avrebbe mai potuto vederlo? Non se ne curava comunque. Probabilmente non avrebbe parlato con nessuno per tutta la durata del suo viaggio. Il cavaliere non era uno che amasse in particolar modo la gente. La gente in generale. Fosse la gente uomini, elfi o nani. O di qualunque altra specie. Era davvero poca la gente che il cavaliere amasse. Suo fratello. La ragazza di suo fratello. E forse il suo unico mentore. E poi c’era un’altra cosa. C’erano loro. Le anime instabili. C’erano i cavalli. Ma il cavaliere non aveva mai amato nessuno con la sua anima. Non ne aveva mai avuto il modo. Ed il suo cuore era già troppo arido. A quel tempo il cavaliere era ancora molto solo. Non aveva un uomo da amare. Un uomo. già, perché il cavaliere non era un elfo come gli altri. Il cavaliere era un’elfo. Un’Elfa.

Gli abiti da uomo, ma lunghi e quasi ingombranti, cadevano dolcemente sui fianchi del mansueto cavallo color paglia che accompagnava il cavaliere. Un cavallo vecchio. Ma non stanco. Un cavallo che avrebbe vissuto altre cinque o sei volte la sua vita. Solo per il suo cavaliere. Chiaramente se avesse potuto. Il nome del cavallo, che un tempo avrebbe dovuto essere dorato, era Feren. Ma più di lui sarebbe passato alla storia il suo padrone.

Il cavaliere si guardò attorno. Dio quanto amava la notte. Dio quanto odiava la solitudine. Dio quanto non poteva farne  a meno. Gli faceva quasi freddo. I vestiti da generale erano allo stesso tempo leggeri ed ingombranti. A volte il cavaliere si chiedeva se ella stessa fosse davvero un’elfo. A volte la paura prendeva il sopravvento. E lo sconforto. E la debolezza. Ma ora non era così. Era arrabbiata, ma non disperata. Arrabbiata col suo stesso padre. Odioso vecchio. Non aveva mai capito nulla. Non avrebbe mai capito nulla.

Il profumo della notte stava riempiendo le sue narici e i suoi pensieri. Era andata via per non pensare. E stava facendo il contrario. Stupida. Il colore dei suoi stessi vestiti le dava il mal di stomaco. Il rosso più acceso che avesse mai visto. Odioso. Chiunque l’avrebbe vista nella notte più a Sud. Ma qui il buio era incredibilmente profondo ed insuperabile. Non aveva certo paura di essere vista. Non aveva paura di essere attaccata, né tanto meno di essere uccisa. Anche se erano davvero pochi quelli che attaccandola avrebbero potuto ucciderla.

Il cavallo nitrì piano

‘Forse ha fame’ pensò il cavaliere. Ma non aveva alcuna voglia di fermarsi. Feren avrebbe mangiato a giorno fatto. Fortunatamente per lui Feren non aveva fame. Feren aveva sentito un odore. Non aveva ancora il naso di un vecchio dopotutto. Ed infatti dopo pochi istanti era lì. Un cavaliere vestito di nero. Era lì. E il cavaliere vide per la prima volta qualcuno che non sarebbe stata in grado di abbattere. Non nelle sue attuali condizioni, almeno. Feren fu colto da una paura che solo dopo poco tempo avrebbe avuto un nome. E fuggì portando con sé il cavaliere. E il cavaliere gliene fu grata. Perché anche nella sua forza, il cavaliere vestito di nero aveva creato scompiglio e paura.

Feren corse veloce come non ricordava di poter fare. Eppure il cavaliere lo sentiva, quello nero. Dietro di se. Ma era lontano. Era lontano. Si era fermato? Il cavaliere  non sentiva più la sua forza malvagia. Lasciò che il cavallo color paglia, originario di Rohan si fermasse.

“Non c’è più pericolo, ora” gli sussurrò all’orecchio. Ma non ne era affatto sicura. Feren ansimava. Si, era diventato vecchio. A dire il vero anche il cavaliere ansimava. Era stato un inseguimento breve ma molto intenso.

“Scusami Feren, la sfortuna mi segue ovunque” mormorò accasciando la sua figura alta ed esile allo stesso tempo, sul collo dell’animale.

“Chi sei?” disse la voce severa, fredde eppure melodiosa, di un elfo. Non l’aveva sentito. Una cosa quasi impensabile. Il cavaliere si voltò. L’elfo, dai tratti forti nascosti dall’ombra era in piedi dietro di lei. Tendeva un arco che non aveva nulla di elfico.

“Chi sei tu piuttosto, da avere il coraggio e l’impertinenza di chiedermi una cosa del genere “ rispose il cavaliere con aria di sufficienza. Prima che l’elfo potesse rispondere il cavaliere era sceso da cavallo e gli aveva puntato la spada ricamata finemente contro il collo.

“Fareste meglio a presentarvi per primo” disse il cavaliere.

L’elfo trasse la spada dal fodero, spostando quella del cavaliere. Probabilmente solo in quell’istante si era accorto che il suo avversario   era una donna. Il cavaliere spostò il busto all’indietro. Le due figure perfette si scontrarono in un paio di battute. Alla fine della terza, Il cavaliere era a terra dopo aver inciampato su di una radice. L’elfo fece quello che il cavaliere aveva fatto solo pochi istanti prima. allungò la spada contro il collo dell’elfa. Ma il cavaliere non si sarebbe mai fatta sconfiggere. Con un balzo all’indietro ed una capriola in aria, fu di nuovo in piedi. Le due spade si sfiorarono di nuovo. Freddo rumore di metallo. Due cuori forgiati dallo stesso materiale.

“Sei molto magra” disse l’elfo “e molto forte. Non posso lasciare che tu scappi. Perdonami.” Allungò la mano sinistra contro il collo dell’animale color paglia. Contro Feren. Il caro Feren. Il cavaliere non poteva combattere se era in gioco la vita di Feren. Ripose la spada nel fodero, lentamente alzando le mani.

“Una mossa piuttosto vile” disse poi, posando a terra la spada con tutto il fodero e tutte le sue armi.

“Ti ho già chiesto di perdonarmi”

“Nessuno ti assicura che ti perdonerò” il guerriero elfo non doveva avere i nervi molto saldi. Estrasse il pugnale , questa volta di fattura chiaramente elfica, e lo puntò alla gola di lei.

“Il tuo nome” disse

“Non m’importa. Che tu mi tagli la gola. Ma prima dovrai essere tu a dirmi il tuo”

“Io sono Reimer, il Maledetto.”

“Nacque ai Porti grigi, colui che detto è

il Maledetto

la sua famiglia distrutta

la sua amata rubata

ed uccisa

e la sua anima perduta

tra i mortali si nasconde

in cerca di sé stesso, dicono.

questa e la storia di Reimer il Maledetto” così parlò il cavaliere. Una filastrocca per bambini. Almeno così credeva.

“Quel Reimer. Ma ora mantieni la tua promessa” il viso dell’elfo era diventato scuro. Il cavaliere pensò che dovessero essere molte le ferite nel suo cuore.

“Il mio nome” disse il cavaliere “è Leannel. Ma se tu stesso non hai memoria del mio nome non ti svelerò la mia identità.”

“Sembra che io abbia incontrato qualcuno di più Maledetto di me” mormorò Reimer. Le sguardo di Leannel, di Bosco Atro, figlia di Thranduil, divenne ardente. Lo sentiva che già non poteva più sopportare quell’elfo.

 

Passò qualche ora. Il Maledetto sembrava non avere alcuna voglia di cavalcare nella notte, quindi attesero il sorgere del sole. Reimer decise che non ci sarebbe stato alcun bisogno di legare Leannel, perché questa sembrava essere una donna d’onore e non sarebbe mai scappata senza il suo cavallo.  I due guerrieri e Feren partirono non appena il giorno glielo rese possibile. Sembrava che anche Reimer avesse un cavallo. Legò il suo a quello di Leannel. Così non avrebbe mai potuto scappare.

“Come hai fatto a sapere che non avrei reagito se te la fossi presa col mio cavallo”

“Non è da tutti parlare al proprio cavallo” rispose freddamente Reimer. “ma ditemi, che ci fa una guerriera elfo come voi in un posto desolato come questo. Per di più così lontano da casa sua” Leannel l’aveva dimenticato. Il voi. Come se parlare liberamente con quell’elfo fosse stato normale. Stupida, si disse.

“Non amo casa mia, né i posti affollati. Ma non era mia intenzione giungere a questa steppa infinita..” infatti. Ora la poteva vedere chiaramente. La steppa. Un incredibile mare di erba  e di paglia dorata. Poche montagne lontane, le cui cime dovevano essere perennemente innevate. Un paesaggio meraviglioso. Non ne vedette più così.

“Non so nemmeno se faccio bene a  lasciare che voi vediate la strada…” mormorò Reimer. Leannel non capiva, ma era molto presa da quell’ambiente nuovo “Comunque non mi avete ancora detto che ci fate qui”

“Ero sola, non molto lontana da qui. Ad un tratto ho visto un essere come non ne avevo mai visti. Era vestito di nero e non potevo vedere altro. non il suo viso. Non il suo fisico. Solo un mantello nero. Gridava. Un grido da mettere i brividi. Il mio cavallo si è spaventato molto. Ed è scappato. E siamo arrivati dove ci avete trovati.”

“Un cavaliere nero. Forse un Nazgul. Voi avete una forza non comune. Una strana energia. Forse è stato attratto da quella. Ma non sapevo fossero liberi di andare dove preferissero. Siete senza dubbio una persona molto strana.”

Un cavaliere nero. Una Nazgul. Roba da libri. Forse la stava solo prendendo in giro. Forse era solo un sogno. In effetti ora aveva un gran sonno. Gli occhi si socchiusero e la figura si accasciò. Riemer le dava un certo senso di sicurezza.

 

Reimer aveva deciso di fermarsi. La strada non era molto lunga in fondo. E sembrava che il cavaliere non avesse intenzione di svegliarsi. Era molto bella, Leannel. Non ricordava quanto un elfo potesse essere bello. Tutto ciò che riusciva a ricordare della sua vita tra gli elfi era solo la morte della sua famiglia. Nessuno di quei fottuti elfi gli era venuto in contro. Solo quelli della stirpe degli uomini. Erano amici di suo padre. Aveva abitato a Numenor. Aveva amato la futura regina, Tar-Miriel. Ma le era stata portata via. E Numenor era caduta. Tutta la sua vita era caduta di nuovo. E di nuovo degli elfi nessuno che fosse disposto ad aiutarlo. E gli ultimi numenoreani erano diventati la sua famiglia. Eppure quella donna gli faceva tornare alla mente tutte le cose belle degli elfi. Tutta quella pace. I suoi fratelli. Sua madre. Non mentiva sul fatto che fosse strana. Aveva quegli occhi tra il blu ed il grigio. Così taglienti. Così tristi. Ora sentiva solo che avrebbe voluto sapere più cose su quella donna elfo bellissima. Non sapeva neppure se stava facendo bene a portarla alle montagne, tra i suoi. Ma pensava che infondo non fosse malvagia. E , nonostante fosse l’individuo meno innocuo cha avesse mai incontrato, non credeva che le avrebbero fatto del male. A una donna così bella. Chi avrebbe mai potuto fare del male.

 

Leannel si svegliò. Doveva essere passato molto tempo. E molto tempo era passato anche da quando aveva dormito così tanto l’ultima volta. Si sedette. Poi si guardò attorno. Mura di pietre. Non una palazzo sfarzoso, non una candida reggia.  Faceva un po’ freddo a pensarci. Sul letto molte coperte. E pensare che adesso era estate. In inverno il freddo doveva essere insopportabile. Ma non era questo l’importante. L’importante era sapere dov’era. Sapere dove fosse il suo accompagnatore. Leannel sbuffò. Stupida, si disse, va a cercare quel Maledetto Elfo.

Si alzò. Ora le sue vesti erano divenute bianche. Qualcuno doveva essersi appropriato degli abiti rossi. E per quanto gliene importava, poteva anche tenerseli, questo qualcuno. Aprì la porta violentemente. Sembrava essere una rude copia di un palazzo. Tutto in pietre grigie. Esercitava comunque un certo fascino. Leannel fece qualche passo. Quel posto le dava ai nervi. Si sentiva completamente persa. Per una sola volta avrebbe voluto essere riconosciuta per quello che era. Una principessa. Che qualcuno si ricordasse di lei.

“Sto cercando Reimer, qualcuno vuole sentirmi?” gridò

“Devo chiederti scusa un’altra volta” disse l’elfo, di nuovo alle sue spalle.”Ho lasciato che si dimenticassero di te. Ma sono brave persone. Non avere paura” Leannel avrebbe ribattuto se Reimer glielo avesse permesso “ora ti devo portare dal mio signore. Poi potrai dirmi quello che vuoi.” I due si mossero con passo veloce e silenzioso. Reimer era molto diverso. Come se quelle mura di pietra gli avessero dato un po’ di serenità, il sentimento che era completamente assente nei suoi occhi solo la sera precedente. Quel sorriso lontano aveva dato anche a  lei un po’ della sua forza. Doveva aver vissuto molte cose, Reimer.

I passi chiari si avvicinarono alla sala più grande del palazzo.

Un uomo piuttosto alto, ma dal viso ormai vecchio, i capelli ingrigiti dal tempo, e i due occhi azzurri taglienti e chiari. Un uomo che certamente non si aspettava chi sarebbe entrato da quella porta.

“Rimani in silenzio” sussurrò Reimer. Ma forse sapeva che era pressoché impossibile che questo avvenisse.

Leannel lo superò. Il passo di lei era quasi più silenzioso di quello di lui.

“Eccomi, mio signore. L’ho trovato” disse l’elfo, rivolto verso l’uomo dai capelli grigi che, di spalle guardava il fuoco scoppiettare allegro nel grande caminetto. Sembrava un uomo piuttosto semplice.

“Colui che aveva attraversato la barriera” mormorò l’uomo, voltandosi. Ma quando la vide, Leannel, bellissima, la sua reazione fu ben diversa da quanto avesse previsto.

“ma chi? Questo è il prigioniero?”

Reimer fece cenno di si col capo. Sorrideva. Leannel comprese che i due dovessero essere molto amici.

“Sono stata spinta in queste terre da un cavaliere nero, Nazgul, l’ha chiamato il suo servitore”

“Un Nazgul?” Reimer fece di nuovo cenno di si col capo. Il suo viso era diventato grave.

“Non trattatela come una prigioniera. Prenditene tu cura. Lasciala andare quando vorrà” Reimer sbuffò. Non aveva nessuna voglia di prendersi cura di Leannel. Non che Leannel fosse tipo di cui doversi prendere cura. Ma nessuno laggiù sapeva chi fosse Leannel. E forse questo fu uno dei punti a favore del rapporto con Reimer.

 

 Uscirono in silenzio dalla grande stanza di legno che agli occhi di Leannel occhi non appariva affatto sfarzosa. Pelli appese alle pareti di pietra. Un focolare nel centro della sala. Il trono scolpito nel legno. Era piuttosto irritata. Sembrava che là nessuno conoscesse nulla del ‘suo mondo’ . sembrava che nessuno la conoscesse. Si assicurò di essere lontana dalla sala del re. Afferò quel piccolo pugnale che ogni elfo è solito tenere in un luogo nascosto, in modo che non gli possa essere portato via, che nel suo caso era negli stivali, e lo puntò alla gola dell’interlocutore.

“Primo punto: spero fermamente per il tuo collo che non sia stato tua  cambiarmi.

Secondo: spero tu sia contento ora che ho parlato col tuo sporco re Barbaro. Ora che hai intenzione di fare? Vuoi farmi ballare su un tavolo per divertirti?”

Col dorso della mano destra Reimer spostò quel pugnale sottile.

“Avevo ragione. Tu sei più maledetta di me” il suo viso era incredibilmente grave. Si voltò. Non aveva voglia di parlare. Voleva solo restare solo. Ma in quel posto che non conosceva, e soprattutto dove nessuno conosceva lei, Leannel non aveva intenzione di allontanarsi dall’unico di cui conosceva il nome.

“Ti ha detto di prenderti cura di me, il re Barbaro”

“Non ho mai avuto intenzione di obbedire ai suoi ordini”

“Ah no? E allora ce ci fa un elfo come te, sotto l’ala di un re barbaro? Un pulcioso mortale che non ha mai combattuto una battaglia in vita sua?” Leannel sapeva essere molto provocatoria quando lo voleva. A Reimer ora faceva solo molto male la testa. Ma sapeva di doverle dire una cosa.

Con l’avambraccio spinse la donna elfo contro il muro.

“Quello che voi chiamate Re Barbaro, è l’unico erede dei fidi. Sangue reale degli uomini. E sarebbe un uomo incredibilmente giusto e valoroso se qualcuno volesse restituirgli quello che gli appartiene” Leannel rimase in silenzio. Non solo il ‘re Barbaro’ non era un Barbaro. Ma forse era anche il più importante dei mortali viventi. Doveva esserci un motivo per cui Reimer fosse lì. Ma le storie di Reimer il Maledetto non erano altro che filastrocche.

“Adesso portami in un bel posto solitario dove si possa parlare.” Disse lei con tono inusualmente tranquillo. Reimer si allontanò con un’espressione incerta dipinta sul viso.

 

Reimer obbedì. Non sapeva nulla di quel cavaliere elfo. Salvo il suo nome ed il fatto che i suoi occhi fossero incredibilmente tristi.

Un posto solitario e silenzioso. Il Re gliel’aveva donato appena era arrivato. In effetti il Re aveva un’altissima considerazione di Reimer.

La sua stanza. Piccola a dire il vero. Piccola e buia. Il Maledetto non necessitava di troppa luce, pensò Leannel. Sul fondo della stanza una grande porta bianca. L’unica cosa grande e bianca nella camera. Il disordine regnava su ogni altra cosa. Il Maledetto non doveva curarsi molto di quello che lo circondava. Doveva essere molto triste. Reimer aprì la porta fissando Leannel. L’elfa non poteva credere che Reimer stesse sorridendo. Reimer non era uno che sorrideva. Ma sembrava emanare tranquillità, ora. Leannel pensò che dovesse essere passato molto tempo dall’ultima volta che aveva visto un elfo.

Eccolo. Un luogo solitario e silenzioso. Leannel non ricordava che fosse calata la notte. Aveva dormito molto più a lungo di quanto credesse. Leannel pensò che se solo fosse stato giorno, quella finestra sola avrebbe dato a tutta la stanza una luminosità incredibile.

Il piccolo cortile sembrava essere circondato da mura di pietre bianche. Qualche albero e dei fiori bianchi.

“Quella è una tomba?” chiese la donna elfo fissando quei fiori bianchi.

“Si, lo è” rispose Reimer ermetico.

la sua amata rubata e uccisa. Un uomo legato al passato.”

“Vorrei non esserlo” Reimer prese a fissare il vuoto. Se Leannel non fosse stata tanto eloquente forse avrebbe provato a replicare.

“Bravo a scrivere ma non altrettanto a voltare pagina. Questo è quello che avrebbe detto Galadriel di uno come te”

“Non parlarmi di signori Elfici. Non ne conosco né ricordo i loro nomi altisonanti.”

“Sei schivo. Non è affatto facile parlare con te”

“Tu mi hai chiesto di portarti in un posto dove si potesse parlare.”

“Questo posto è piacevole” mormorò Leannel. Non aveva ascoltato quello che aveva detto Reimer. Ora le era facilmente comprensibile perché il Maledetto si fosse rifugiato in un luogo come quello. Socchiuse gli occhi. Sarebbe rimasta là per tutto il resto della sua vita se avesse potuto. Ma si doveva fare quello che si doveva fare. Non doveva nemmeno pensare di poter rimanere per un tempo così indeterminato come ‘tutta la vita’ tanto lontana da casa. Tanto vicina alla felicità. Riaprì gli occhi. Reimer era seduto accanto a le sue gambe. Decise che era decisamente più saggio sedersi.

“Tu non mi ascolti..” Reimer non era affatto uno stupido. Leannel si voltò verso di lui. Sorrideva. Ma nel suo sorriso erano.. Lacrime. Reimer non aveva mai visto un sorriso tanto triste. Nemmeno negli occhi della sua donna mentre moriva. Come se le avessero impedito di prendere ciò che le avrebbe che le avrebbe donato pace, o gioia, o qualunque altra cosa d cui avesse bisogno. Per un istante ebbe pena di lei. Inconsapevole di avere a che fare con la sua parte più remota.

“La prima volta che ci siamo incontrati hai detto” riprese Leannel che ora sentiva solo molto freddo “che avevi incontrato la persona più maledetta di te. Tu non sai nulla.”

“L’ho letto nei tuoi occhi. Dolore. Tu hai tentato di ucciderti più di una volta. Ti ho sognata” Leannel non sapeva quanto i suoi occhi potessero spalancarsi. Era stupita.

“Sembra che ci si possa intendere, tra maledetti” rispose Leannel, ridendo.

“Forse” rispose Reimer allo stesso  modo. Sembrava che davvero tra maledetti ci si potesse intendere. Reimer non aveva mai pensato di trovare una persona come Leannel. Non credeva che esistesse davvero quella donna dei suoi sogni.

Un silenzio breve. Reimer aveva fame. Decise che era giusto andare a prendere qualcosa da mangiare. “Aspettami qui” mormorò.

Leannel si perse di nuovo nella brezza leggera e nell’odore dolce che riempivano il piccolo cortile.

 

Reimer non cercava cibi particolari. Nulla più di pane e formaggio. Fu presto di ritorno. Non avrebbe mai immaginato di trovare quello che vide. Leannel dormiva. E Leannel non aveva il viso di chi dormisse con facilità. Reimer sorrise. Non ricordava di aver sorriso tanto in una sola giornata da quando Lei era morta. Ed ormai era passato del tempo. Reimer si compianse.

“Sei uno stupido” sussurrò “Saper scrivere ma non voltare pagina”

 

Leannel si svegliò. Non ricordava quanto potessero essere calde le sue guance. Pensò che era la seconda volta che si addormentava. Forse era Reimer. L’elfo guardava il nulla con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.

“Hai fame?” chiese lui. In effetti Leannel aveva notato che Reimer stesse mangiando. Non aveva molta fame. Ma neppure il contrario. Reimer non era affatto di appetito vorace. Leannel annuì. Reimer le passò del pane.

“Chi è la donna sepolta?” chiese Leannel, col garbo e la delicatezza sufficienti per avere una risposta. Reimer la fissò. Leannel non guardava qualcosa in particolare. Quasi la sua anima le imponesse di fare quella domanda, non la sua curiosità o qualcos’altro di terreno.

“Una donna famosa. Il suo nome era Tar-Miriel. Anche se a me era concesso chiamarla con la sola seconda parte del suo nome”

“E’ morta durante la caduta”

“Dove hai vissuto?” Reimer non si rendeva conto di quanto la sua interlocutrice fosse realmente interessata e consapevole degli eventi che non la riguardavano. Probabilmente conosceva la caduta solo attraverso i canti, nonostante fosse sicuramente più vecchia di lui. Leannel lo guardò negli occhi, con aria offesa. Reimer decise che era meglio andare oltre. In fondo forse il suo era solo un modo per guadagnare tempo.

“Quando ero un bambino” riprese “vivevo ai Porti Grigi. Ma la mia famiglia fu sterminata. Venni rapito da un gruppo di orchi. Da quel momento venni detto il Maledetto. E gli alti elfi, e tutti i tuoi amici famosi, dai nomi altisonanti, fecero finta che io non esistessi. E gli unici che ebbero pena di me furono i signori di Numenor. Fu così che andai a vivere laggiù. E quando nacque Miriel crescemmo, e credetti di essere tornato felice. L’amavo molto. avremmo regnato assieme e sarebbe stato bellissimo. Ma non mi fu dato. Venne promessa a colui che è ricordato come Ar-Pharazon ed egli regnò al suo posto e al mio. E accaddero tutte quelle cose che conosci. Io ero lì quando la città cadde. Ero lì quando lei morì. Ero lì quando il mio mondo cadde. Salvai un buon numero di cittadini, ma poi compresi che non avrei potuto vivere più con quella gente. Vagabondai a lungo. Fin quando arrivai qui. Questa gente sincera.”

“Non ti avevo chiesto di parlarmi della tua vita” disse Leannel

“Non ha importanza” rispose. Leannel non potè nascondere di provare una grande tristezza nei confronti dell’elfo. Si assomigliavano davvero. Si sentì in colpa verso se stessa per non avere mai amato qualcuno come aveva fatto Reimer. Silenzio. Ma ora nessuno aveva voglia di rimanere in silenzio. “Forse anche tu avresti bisogno della stessa gente sincera” concluse l’elfo dai capelli corvini.

Leannel non perse mai di vista il niente che stava fissando. Forse aveva davvero bisogno della stessa gente. Forse.

“E’ un bel posto per redimere le proprie pene” disse

“Lo è” rispose. Leannel si accorse di avere più sonno di quanto si ricordasse di aver mai avuto. In qualche modo Reimer comprese quello che la donna voleva dirgli.

“Va pure a dormire nelle mie stanze. Troppi ricordi sono tornati alla mia mente questa notte. Non dormirei neppure se volessi.”

Leannel si alzò. A condizioni normali, con una persona normale, probabilmente non sarebbe mai andata davvero a dormire. Ma Reimer le ispirava molta sicurezza. E quelle ferite sul ventre ed ai polsi non si erano ancora rimarginate. Leannel si fece spazio nella caotica camera. Sul letto erano un paio di libri aperti e delle cartine. Ma Leannel non se ne preoccupò. Gli gettò tutti a terra, nascondendosi sotto le coperte calde. Non ricordava una notte tanto fredda.

 

Freddo. Ma ora il freddo era diventato umido. Freddo. Come se avesse avuto l’acqua fin sopra le caviglie. E così era. Dove si trovava? Era tutto così assurdo. Come se il suolo attorno a lei stesse sprofondando. Era così. Senza dubbio. L’acqua salata saliva e saliva. Un brivido freddo attraverso la schiena. Dov’era. Chi era. Odiava da sempre quel genere di sogni. Quei sogni dove dalle sole circostanze doveva intuire chi fosse o quale ricordo stesse percorrendo. Correva. Doveva correre da qualche tempo. Il suo fisico era forte ma affannato. Correva assennatamente.

“Miriel!!” gridò. E in effetti c’era. Miriel. Era molto bella. La più bella mortale che Leannel avesse mai visto. I freddi occhi chiari ed i cappelli nerissimi, e  la pelle bianca. Ma ora la pelle bianca era macchiata di sangue. Una casa sotterranea. Di pietra. Là sotto l’acqua arrivava fin sopra le ginocchia. E Miriel era al suolo, sotto il peso di un masso o un grosso brandello di muro. Allungava le mani. Aveva il viso di chi non lo avrebbe fatto se l’uomo che le andava incontro non fosse stato qualcuno di immensamente caro.

“Miriel”

“Cosa diavolo ci fai tu qui?!” rispose la donna con fare duro e deciso.

“Lo sai che non avrei mai potuto lasciarti”

“Stupido. Non è mai andato nulla come avrebbe dovuto. Non lo è stato nemmeno per il mio popolo oltre che per me.”

“Non dire mai più nulla del genere. Io e te scapperemo. La colpa è solo di tuo cugino”

“Pharazon è mio marito. Io e quelli che gli hanno creduto siamo destinati a morire. Porta la mia gente in salvo” Freddo. Lo sentì chiaramente. Il gelo nel cuore di Reimer. Reimer si rendeva conto che le parole della donna che aveva amato erano veritiere. Che lei era morta e che tutto era finito. Forse era davvero Maledetto e portava sfortuna. Leannel si promise che avrebbe chiesto spiegazioni a Galadriel o a Gandalf dei fatti che scorrevano davanti ai suoi occhi.

“Cosa sarò io, da solo?” mormorò Reimer

“Come sempre, da solo sarai più di chiunque altro. E se ora con me non ti è concesso, un’altra volta morirai per colei che ami”

Era finita. Ora Leannel non sentiva più il freddo dell’acqua salmastra sulle caviglie. Eppure non era sveglia. Non era il mondo Reale. Era ancora il sogno. E ora lo sentiva. Quell’odore. Quell’odore che aveva sempre cercato. L’odore carnefice della battaglia. L’odore che una volta nel tuo naso, non ne usciva  più. Ma era un odore lontano. Quasi un evento che dovesse ancora accadere. Reimer era di fronte a lei. Teneva un braccio lungo il fianco, probabilmente era ferito. Nell’altra mano impugnava una lucente spada elfica. C’era un guerriero dalle piccole fattezze a  terra. Sembrava ferito. Sembrava una donna, invero. Le parve irreale che due elfi in battaglia portassero armature. Un suo stesso ordine. Dall’elmo dell’elfo a terra cadevano opachi capelli neri. Gli occhi erano marrone nocciola. No, non sembrava affatto un uomo. Reimer, il volto segnato dagli anni passati e da qualche battaglia, le si avvicinò. A Leannel parve che l’elfo a terra piangesse. 

“Non farlo Reimer” supplicò.

“Mi dispiace, piccola mia, mi dispiace. Ma qualcuno di noi deve morire. E questa volta devo poter essere io a farlo.” Rispose Reimer. In quel momento Leannel si sentì avvolta da un vortice oscuro. Quasi prevedesse quello che le avrebbero portato la morte di Reimer e di tutti gli altri.

 

Si svegliò. Succedeva sempre quando i sogni si facevano troppo realistici. Reimer sedeva accanto ai fianchi di Leannel. Leggeva un libro, ma non aveva mai smesso di lanciarle occhiate preoccupate. Non aveva mai sentito un sonno tanto assennato. Si voltò

“Siete sveglia”

“Si, lo sono” risposerei alzandosi a sedere.

“Hai fatto un sogno”

“Già. E considera che questo è un periodo nel quale non sogno molto” Reimer sorrise. Incredibile davvero quanto si assomigliassero.

“La ragazza di mio fratello ha lo stesso nome della tua”

“Pensavo che Miriel fosse un nome in disuso”

“Miriel è un nome elfico in realtà”

“Miriel è la madre di Feanor”

Leannel annuì sorridendo. Ora l’ipotesi di poter rimanere lì per tutta la vita non era più tanto lontana ed irraggiungibile.

“Che ore sono?” chiese la donna

“E’ presto. Cosa vuoi fare?”

“Fammi conoscere questi luoghi.” Reimer annuì, incerto. Cominciava a comprendere quali fossero le intenzioni di Leannel. Ma sapeva, l’aveva sognato, che non sarebbe potuta rimanere davvero in quei luoghi.

 

Nonostante fosse ormai primavera inoltrata, sul freddo bosco circostante la città perduta, continuava a perdurare una brina leggera ed un vento gelido. Ogni arbusto era argentato da questa. Leannel non aveva mai visto un bosco invernale. Nelle sue terre aveva sempre risplenduto un sole caldo ed estivo, tranne che in pochi isolati casi di pioggia.  Leannel non sapeva se quel regno era fatto solo di luoghi così perdutamente belli, ma per adesso ne conosceva solo quella faccia.

“Ma come non ci fermiamo?” disse

“Non è ancora questo il posto” rispose freddo Reimer. Leannel pensò che Reimer avesse intenzione di farle una specie di sorpresa. Non aveva idea di che luogo si trattasse. E non aveva neppure idea del motivo per il quale Reimer le aveva fatto portare con sé le armi.

“E’ un posto bellissimo ma pericoloso” disse Reimer, indovinando i pensieri di lei. Pericoloso?

E infine eccolo. Reimer spostò i pruni di more e passò oltre. La stessa cosa fece Leannel. Non aveva mai visto nulla di simile. Nulla che fosse allo stesso tempo tanto aspro e tanto meraviglioso. Una perfetta sintesi di Reimer. Una specie di Canyon. Leannel non ne aveva mai visti. Due enormi rocce rossastre, ma forse erano montagne in principio, scavate al loro frammezzo da un fiume, ora ridotto a pochi zampilli, mentre il resto era catturato dal ghiaccio. Sulle cime dei massi rocciosi era la stessa brina. Poche piante. Era meraviglioso. Avrebbe voluto che ci fosse qualcuno a dipingerlo per lei. Ma quel posto era maledettamente pericoloso. E infatti eccolo, uno spettro. Un cavaliere nero come quello che l’aveva aggredita notti prima.

“Maledizione” mormorò Reimer in preda alla rabbia “Maledetto! Ora Leannel è meglio che io vada. Lo respingerò. Quei bastardi hanno cominciato a vanire sempre più vicini.”

“Posso darti una mano”

“No, ho visto le tue ferite. Rimani qui. Tornerò presto.”

Probabilmente se avesse conosciuto solo un poco più Reimer, Leannel si sarebbe messa a gridare. Ma c’era qualcosa nella sua voce che diceva che Reimer sapeva quello che faceva. E per una volta Leannel si arrese all’idea che davvero la sua ferite potessero impedirla.

Si sedette. Poi si guardò attorno. Lo vide. Un piccolo pugnale d’acciaio lucido. E la sentì. Quella stessa voragine oscura. Che l’aveva avvolta in sogno e dalla quale si sarebbe lasciata avvolgere, ora, da sola.

Si allungò ad afferrare il pugnale. Era così. Era lucente. Era incredibilmente vicino al suo polso.

No, non era giusto. Perché? Perché avrebbe dovuto sentire il bisogno di uccidersi? Aveva conosciuto Reimer. E quei luoghi bellissimi. Perché. Dai suoi occhi tristi sgorgarono gocce argentee. Non poteva fermare l’altra sua mano. Era forte. Mai lo era stato tanto. La sofferenza riaffiorò sulla sua pelle. Quella sofferenza che aveva dimenticato sostituendola con quella di un’altro. ecco perché. Ecco perché Reimer e Leannel non si sarebbero mai potuti amare. Reimer non dava abbastanza tranquillità. Reimer era doloroso ed assennato, esattamente come lei. Ma più forte. Ancora più vicino al suo polso. La lama sfiora la pelle. Piccole gocce rossastre. Il polso piange. La carne piange. L’anima stessa piange. Si chiese come era riuscita a fare in modo che il pugnale non entrasse nella carne. Ma non ebbe tempo di darsi una risposta. Il pugnale stava entrando nella carne. E in quel momento giunse provvidenziale Reimer. In quel momento, mentre Leannel sveniva.

 

Per la seconda volta Leannel si svegliò nel letto di Reimer. Cercò di sedersi facendo leva sui polsi, ma quello ferito era incredibilmente dolorante e bruciava. Non aveva idea di cosa c’avessero messo  per fare in modo che non morisse. Pensò che Reimer non aveva detto sicuramente a nessuno com’erano andate davvero le cose. Era un elfo discreto.

Reimer si voltò. In qualche modo percepì che Leannel si era svegliata. Aveva fatto bene a farla portare in camere sua mentre dormiva. Ed aveva fatto bene a non parlare a nessuno di come si era fatte quel taglio profondo sul polso. Lo scontro col cavaliere, aveva detto. Si disse che era uno stupido. Ma ora doveva chiederle spiegazioni.

Ascolta la storia

di Leannel la maledetta” canticchiò entrando nella stanza. Leannel lo guardò con sofferenza. Reimer capiva. Ma non aveva intenzione di lasciare che lei non gli parlasse dei motivi.

“Sono successe molte cose. Molte cose che non mi permettono di vivere” disse lei. A Reimer poteva bastare in qualche modo la spiegazione di Leannel. Avrebbe scoperto poi la cosa in dettagli. “Scusami” continuò lei “ti ho costretto  a mentire, solo perché sono una debole”

“Non devi farlo mai più” Reimer non era molto comprensivo in situazioni simili

“Non posso farti questa promessa”

“Per lo meno, allora, cerca di non ferirti più” Leannel non rispose. Con la mano sinistra si sfiorò la fronte. Se avesse fatto una promessa del genere avrebbe dovuto impegnare ogni centimetro della sua volontà

“Lo farò. Se tu mi lascerai rimanere qui”

“Non posso farlo e lo sai. Non è qui il tuo destino” Era finita. Un’altra volta. Non potava esistere qualcuno che davvero la capisse. Leannel si alzò, rivestendosi.

“Dove stai andando?”

“Devo tornare a casa” rispose. Si sentiva incredibilmente stupida. Come aveva potuto. Sembrava tutto andare fin troppo bene, in effetti. Magari avrebbe potuto rimanere la, per sempre, e poi innamorarsi di Reimer,e  vivere di nuovo. Infondo era sempre stato il suo sogno. Cominciare una nuova vita. Lontano. E poter decidere esattamente chi essere. Ma aveva rovinato tutto. Come sempre. Aveva trovato qualcuno che almeno provasse a capirla. Ma era tutto finito. Doveva andare. Si era rovinata la faccia di nuovo. Leannel si alzò. Forse era lei ad essere troppo veloce a girare le pagine. Troppo spaventata.

Reimer non immaginava quanto potesse essere veloce. Lo odiava. Come odiava chiunque altro. ora correva. Non sapeva nemmeno lei per dove. Era seminuda in realtà. Ma non le interessava. Faceva freddo. Le aveva sempre fatto freddo. Ma forse non sarebbe mai dovuta giungere in quei luoghi. Forse. Vagò un po’ mentre si sforzava di non piangere. Non le interessava cosa pensasse quella gente. Quei barbari. Smise di correre non appena fu sicure che Reimer avesse smesso di inseguirla. Ma non le trovava. Maledette stalle. Faceva davvero freddo. Eccole. Eccole, finalmente. Per puro caso le aveva trovate. Forse se non lo avesse fatto avrebbe costretto qualcuno a dirle dove si trovavano. Ma eccole. A terra paglia. Bucava i piedi. Ma non le interessava. Pochi passi. Ecco Feren. Ma non era solo. Un uomo alto, dai lunghi capelli neri. I vestiti di pelle consumata. Carezzava il cavallo.

“Sei arrivata” disse

“Non è giusto che tu mi stessi aspettando” rispose Leannel

“Era più che prevedibile” riprese Reimer “dove avrei potuto trovarti”

“Io non ho nessuna intenzione di parlarti”

“Ti costringerò a farlo” Reimer sfoderò la spada puntandola al collo dell’animale “ti ricordi? Sei molto magra e molto forte. Non posso lasciare che tu scappi. Perdonami.”

“Ricordo. Ed è stata una cosa vigliacca anche la prima volta” Leannel si sporse avanti. Sapeva perfettamente che Reimer non avrebbe mai ucciso il suo cavallo. “Non essere stupido” spostò il braccio di lui, tornando al dorso del suo cavallo. Maledetta. Era troppo intelligente. Non l’avrebbe fermata con un mezzo tanto stupido. Ora Leannel era sul suo cavallo. Reimer aggrappò le briglie.

“Dimmi perché” aveva il suono di un ordine più che di una richiesta.

“Non devo dirti niente.”

“Parla” era diventato incredibilmente minaccioso. Leannel lo fissò in istante nel profondo degli occhi neri. Deglutì.

“Una lunga serie di avvenimenti spiacevoli.”

“Una serie qualunque di avvenimenti spiacevoli non porta a quello che hai fatto tu” la interrupe Reimer

“Sappi che mia madre era la signora di Bosco Atro, un tempo” Lo sguardo di Reimer divenne scuro. Tutti conoscevano la storia della signora di Bosco Atro. Una storia molto triste. Come triste era la storia di sua figlia.  L’elfo in effetti non le aveva mai chiesto da quale contrada provenisse. Ma era indubbio che Leannel fosse una principessa. Forse avrebbe potuto arrivare da solo all’identità di lei. Reimer non aveva mai pensato che il suicidio fosse cosa da affidare ai geni. Adesso qualcosa di nuovo era nel cuore di Reimer. Come se avesse scoperto in quel solo istante cosa avrebbe dovuto fare nella sua vita a seguire.

“Ora puoi lasciarmi” disse Leannel accortasi che il suo compagno aveva lo sguardo ben distante.

“Potrei” rispose lui “ma non posso.”  Quindi, si lasciò le briglie dell’incerto Feren

“Cosa intendi?” chiese lei

Reimer saltò velocemente sul dorso del cavallo più bello che vide nelle stalle.

“Andiamo insieme a Bosco Atro”

Ora avrebbero girato insieme le pagine del loro libro. Per sempre.

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Capitolo 2
*** I gemelli ***


Reimer percepì il leggero frusciare del vento sulle frasche

Introduzione

 

 

 

CCCIAAAAAAAAAAOOOOOOO a tutti!!! Anche se vi arriverà in ritardo sappiate che questa e l’altra su Reimer sono state scritte in momenti molto vicini.

Il carattere della cosa è molto simile a quello precedente. La storia tratta di Talmaye e Salmaye e di come conoscano Leannel e Reimer. È meno movimentata da un punto di vista fisico della prima. non ci sono veri e propri combattimenti. In realtà si parla di bambini per cui non sarebbe stato bello fargli combattere contro Reimer o Leannel. Notare come, apparte Galadriel io mi stia lentamente allontanando dal mondo classico tolkeniano. Reimer è sempre più bello e forte. È sempre più il mio tipo. Forse l’uomo dei miei sogni. Mi piace molto anche Talmaye, però. La storia dei gemelli è molto toccante. L’ho sognata. Anche se all’inizio era nata da una cosa simile di sayuki. Per Salmaye mi sono ispirata ad una persona che conosco veramente. È un bel personaggio. In Leannel non appare tanto una bella persona. Forse perché ancora non conoscevo la ragazza sulla quale l’ho costruito. E non conoscevo una persona tanto forte. In effetti alla sua prima apparizione non sembra molto forte, ma lo è e questo è l’importante.

Sempre in ‘Leannel’ ho scritto che lei forse non aveva mai visto il volto di un bambino. Qua sotto Tal e Sal sono nomati come tali. In effetti quando scrivevo quelle cose in ‘Lea’ pensavo ad un bambino nel vero senso della parola. Un neonato, insomma.

Un altro punto che non capirete è il rapporto tra Lea e Rei. Sembra che si amino, poi non sembra più e così via. La cosa sarà chiarita. Comunque il loro non è amore convenzionale. Come ho già scritto volevo trattare di una mia forte amicizia. Forse questa lo è ancora di più dato che Rei è quasi l’unico amico di Lea e si comportano in maniera strana.

Buona lettura

 

 

A tutte quelle persone incredibilmente forti che superano le loro croci semplicemente affrontandole.

 

A tutte le persone che non riescono ad affrontare le loro croci

 

A tutti i piccoli Talmaye e Salmaye che stanno leggendo queste righe

 

With love

Zoozy


I gemelli

 

 

Reimer percepì il leggero frusciare del vento sulle frasche. Stava sognando di combattere contro un improbabile se stesso, vestito di bianco. Odiava questo genere di sogni. Quei sogni cui tutti cercavano di dare un senso logico senza mai riuscirvi. Strano che si fosse svegliato. Reimer dormiva piuttosto pesantemente. Quei boschi gli avevano riportato la voglia di dormire. Come la voglia di vivere. Davvero strano, pensò. Si sedette. Ora le testa girava leggermente. Era stato svegliato da un sogno. Non aveva più voglia di stare a sedere. Voleva dormire di nuovo. Il sole non era ancora sorto. E nessuno oltre Leannel, era sveglio a quell’ora. Voleva solo un po’ di riposo. Un po’ di riposo prima che il padre di Leannel gli affidasse il compito di seguirla, apertamente o di nascosto, in uno dei suoi assurdi viaggi. Reimer era certo che Leannel percepisse la sua presenza anche quando non avrebbe dovuto. Ma in fondo bastava che fosse Thranduil a pensarla in un certo modo. Tornò sdraiato con la testa tra le mani. Ora fissava il cielo chiaro. Non ricordava quanto potesse essere meraviglioso il cielo subito prima dell’alba. Forse era il posto. Forse aveva fatto davvero bene a seguire Leannel, quella volta, forse aveva fatto bene a seguire il suo istinto. Si, aveva fatto la cosa migliore. Forse tutti quei mortali lo opprimevano davvero. O forse stava solo giocando alla volpe e l’uva. Ma il cielo sereno di quel luglio caldo era davvero meraviglioso. Si, lo era. Reimer sorrise socchiudendo gli occhi. Poi si girò di profilo. Non c’era dubbio sul fatto che avesse bisogno di dormire. Ma fu nello stesso gesto che si accorse del motivo che lo aveva portato a svegliarsi. Sulla sua guancia sinistra scricchiolò della carta sottile. Carta elfica. Ma cosa diavolo ci faceva della carta elfica accanto al suo bel profilo sinistro?

Nessuna folata di vento, quindi. Solo un messaggio. Una lettera. I caratteri elfici. Scritto con minuzia. Un grande signore. Uno di quei signori dai nomi altisonanti che aveva sempre odiato. Non aveva idea di cosa si trattasse. Ma adesso era diventato più che altro un fatto personale. Chiunque fosse riuscito a porre una lettera a suo fianco senza che se ne accorgesse era un nemico conto il quale doveva combattere.

‘Sto diventando vecchio’ pensò ‘si fanno in molti quelli capaci di battermi’

afferrò la lettera di carta bianco panna.

Leannel era scritto  a caratteri argentei. Quindi era per lei. La lettera. Evidentemente il mittente lo aveva sottovalutato. Ma ora era più importante che Leannel venisse a sapere della faccenda della lettera. Non tutti i particolari. Non quelli che Reimer riteneva imbarazzanti e disonorevoli. Ma doveva passarla nelle mani del destinatario. Solo poi avrebbe scoperto con chi doveva combattere. Chi l’aveva sfidato. Probabilmente aveva firmato la sua condanna a morte. Ma Reimer restava uno cui non era facile far prendere la mano. Rimase tranquillo in apparenza. E si avviò passeggiando nelle aule della sua signora.

 

Leannel aveva l’aria tranquilla. Forse l’aria più tranquilla che si riuscisse a ricordare sul suo viso. Erano Reimer e Legolas e Miriel. Era tutta quella pace. Tutta quella pace che detestava. Era inutile. Adesso avrebbe preferito tornare al travaglio di qualche tempo prima. Non era certo questo il genere di pace che andava cercando. Sebbene esistesse un genere di pace adatto alla sua persona. Scoccò la freccia, che si andò a puntare nel centro esatto del bersaglio. Era troppo facile colpire un bersaglio immobile, pensò. C’era davvero bisogno di una missione degna di questo nome. Di una missione che quel vecchio stupido di suo padre le offrisse. Avrebbe mentito per andarsene. Ma per andarsene dove ormai? Conosceva le sue terre come nessun altro. e se avesse chiesto di andarne fuori suo padre avrebbe fatto in modo che Reimer la seguisse. E poi certo, non cercava un viaggio tranquillo durante il quale chiedersi l’utilità della propria esistenza.

Un’altra freccia. Lo stesso centro si dovette dividere in due frecce. Nonostante tutto non amava particolarmente l’arco. Uno strumento piuttosto anonimo. Doveva poter guardare negli occhi chi uccideva. Era una donna di spada. Era una donna crudele, infondo.

Il terzo colpo volò in una direzione indecifrabile. Leannel gli sentiva. Dei passi. Silenziosi, ma li sentiva. La freccia attraversò i capelli di lui che rimase fermo, impassibile.

“Non attaccare prima di conoscere l’identità del tuo nemico”

“La prossima volta, Reimer” rispose “pensavo stessi dormendo”

“Era quello che avrei voluto. Ma io sono stato sfidato. E questa è chiaramente indirizzata a te”

le porse la lettera bianco panna. Con aria stupita Leannel si avvicinò al bersaglio, staccando le due frecce. Si avvicinò e prese la lettera.

“Di chi è?”

“Non lo so. Una figura che mi ha preso allo scoperto. Stavo dormendo”

“E non te ne sei accorto? Stai diventando vecchio. Oppure il tuo avversario è molto forte.” Reimer sorrise annuendo.

Leannel aprì il sigillo sottile di ceralacca. Riconosceva bene la grafia del mittente:

Cara Leannel

  Signora di Bosco Atro

Mi scuso per la maniera scortese con la quale vi è stato recapitato il messaggio. Colui che lo ha portato è anche motivo della mia lettera. O meglio uno dei motivi. Perché i motivi sono due. Portate con voi anche il vostro servitore, o meglio guardia del corpo, Reimer, e ditegli che avrà la sua vendetta.

 

Saluti, ci vedremo presto alle mie dimore

Galadriel”

Incredibile quanto la signora di lorien riuscisse a leggere nei loro pensieri.

“E’ passato molto tempo dall’ultima volta che andasti” disse Reimer. Leannel fece qualche passo avanti a lui, poi si voltò, sorrise

“So benissimo che lo fai solo per te stesso” rispose lei. Anche Reimer sorrise. Un compagno prezioso, pensò Leannel. Prezioso anche quando lottava per se solo. Reimer non era una persona particolarmente altruista.

 

Galadriel fissava il tramonto, cercando nelle stelle la risposta alle sue domande. Non credeva di essere ancora capace di porsene. Ma infondo era una sensazione che aveva dimenticato. E le aveva fatto bene viverla di nuovo. I ragazzini erano arrivati dal nulla. E non sembravano avere intenzione di andarsene. Ragazzini. Erano comunque elfi. E non avevano sicuramente meno di una cinquantina d’anni. Anche se in confronto a lei, una delle più antiche tra i viventi, erano davvero dei bambini. Temeva per la loro vita. Temeva per quella di Leannel. Non riusciva a provvedere neppure a se stessa, come avrebbe fatto con tra le mani quelle di altri due? O forse la sottovalutava solamente. O sottovalutava i due ragazzini.

In quel momento passi chiari nel lungo e luminoso corridoio di legno bianco.

“Ho fatto quello che mi avete chiesto. Adesso potete ritenervi contenta”

“Lo sono. Arriverà presto. Tieniti pronto”

 

Leannel trasse un respiro. Certi messaggi ermetici dalla signora di Lorien non la convincevano affatto. Berehid era una cavallo ancora acerbo. Feren era morto poco tempo prima dopo aver consumato fino alla fine il tempo che gli era concesso. Reimer stesso lo aveva scelto al posto suo. Era andato a Rohan e aveva scelto il nuovo cavallo della stirpe dei guerrieri. Perché questo era Berehid, un guerriero. Un guerriero che combatteva senza mai fermarsi. E soprattutto senza essere mai sconfitto.

Posò la sella di cuoio scuro sulla schiena corvina del cavallo.

“Partiamo allora” mormorò la voce secca di Reimer

“Avevo intenzione di partire sola”

“Un primo luogo tuo padre non lo permetterebbe mai. In secondo ho tanto diritto quanto te di sconfiggere chi mi ha sfidato”

“Non ti facevo tanto vendicativo”

“Lo sono” Reimer rise. Forse non era vendicativo. Ma doveva vedere negli occhi chi era riuscito a farlo tanto arrabbiare. Leannel si voltò di nuovo verso il suo cavallo nero.

“Un bell’animale. Ho fatto bene a fidarmi di te” disse mentre saliva sul dorso di Berehid. Reimer rise di nuovo. Leannel non aveva capito, o forse non voleva far capire, che il cavallo non era comune. Proprio per il fatto di appartenere alla stirpe dei guerrieri lo rendeva differente da ogni altro cavallo vivente. Lo rendeva quasi immortale. Gli era possibile vivere incredibilmente a lungo. Per lo meno Leannel avrebbe sofferto il meno possibile.

 

I due compagni cavalcavano ormai da ore, se non da giorni. In quella speciale compagnia le parole non erano abusate. In effetti non parlavano d quando erano partiti. Il sole caldo del tramonto illuminava le loro nuche. Leannel cavalcava con notevole grazia, nonostante il suo cavallo non avesse sostato che poche volte. Il cavallo di Reimer non era certo al livello di quello della sua signora. Ma non aveva certo bisogno di fermarsi. Erano così vicini, in realtà. Le poteva vedere le aule chiare di Galadriel.

Iol sole poteva illuminare solo quei luoghi con una tale intensità. Leannel amava dal più profondo della sua anima quella luce. Quella luce che sembrava venire dal passato, cui Galadriel era sicuramente più legata che al proprio presente.

“Mi fermo. Troppo a lungo il mio cavallo ha seguito il tuo. Non penso che continuerà con questo passo ancora per molto.” Leannel non si voltò. Ora il sole ed il vento non glielo permettevano. Vi era legata indissolubilmente. Quei boschi. E Reimer non era tipo da curarsi di certe cose. Così fece quanto aveva detto.

Non era certo colpa del suo cavallo se Reimer aveva deciso di fermarsi.  Era quel luogo. Tanto Leannel l’amava, tanto Reimer lo odiava. Gli odiava. Quegli odiosi elfi dai nomi altisonanti. E lo ricordava bene. Il viso di lei, Galadriel, col suo viso chiaro e lontano, quel giorno tanto tempo addietro. Quando quegli elfi avevano deciso di riunirsi per decidere del suo avvenire. E poi cos’avevano deciso? Niente. Perché lo avevano lasciato solo.

aveva detto con la sua voce pacata. Poi era venuto il suo compagno, col volto indurito dal tempo

Così era stato. E così Reimer era divenuto diverso. Era divenuto il maledetto. Reimer non era tipo0 da amare di dare colpe inutili a chi non le meritasse. Ma quegli elfi avevano potuto farlo essere come gli altri. Avevano imposto se stessi a lui. E gli faceva male dover fare qualcosa per loro.

“Mi avevano detto che non eravate un elfo vendicativo” disse una voce chiara e sottile dalle fronde scure “ma mi avevano anche detto che sareste venuto”

“Dunque siete voi colui che mi ha sfidato” rispose Reimer “Ora gradirei che vi identificaste”

“Io non sono nessuno” rispose dura la voce. Il figura sottile uscì allo scoperto. La figura non era più di un bambino. Agli occhi di un mortale poteva sembrare poco più di un diciassettenne. Ma Reimer, che non era tale, sapeva che non poteva avere meno di cinquant’anni. E a quanto poteva leggere erano stati cinquant’anni di sofferenze.

“Il mio nome è maledetto” disse la voce

“No, non lo è. Sei solo un ragazzino”

“Se fossi un mortale sarei vecchio e saggio”

“Sembra che tu non lo sia” rispose Reimer “Sei un elfo. E per un elfo è incredibilmente difficile essere vecchio e saggio. Come essere maledetto” Reimer rimase un istante in silenzio. Non credeva che le parole fossero davvero sue come non credeva di essere lui stesso a star sorridendo benevolmente. Egli stesso era maledetto. O almeno si riteneva tale. Non credeva che tutto sarebbe potuto cambiare così velocemente. Leannel gli aveva dato la sua pace, se era questo il modo di chiamarla.

“Mio fratello l’ha sognata, colei che ti ha accompagnato. Ma io non conosco il nome di quest’uomo vendicativo” il ragazzino aveva cambiato discorso. Ora era la luce di Lorien ad illuminarlo. Reimer lo poteva vedere. Era alto e molto esile. I tratti femminei e i lunghi capelli scuri. Ma ciò che più lo colpì furono gli occhi di lui. Di un blu profondo e allo stesso tempo impenetrabile. Solo un uomo come Reimer sarebbe riuscito a leggervi tanto dolore. Sembrava che fosse confuso. Sembrava che si fosse costretto ad essere forte ogni istante della sua breve vita. Reimer si sentì triste. Come da tempo non accadeva. E da quell’istante comprese che non sarebbe tornato solo con Leannel da quella missione.

 

Leannel cavalcava. Quei luoghi riuscivano a renderla immensamente felice. Dimenticava la sua missione. Dimenticava chi fosse. Quale fosse il suo nome. Qual’era il suo nome?

“Quella principessa

dagli occhi grigio mare

Chi è?

Conoscete il suo nome?

E’ Leannel. È la principessa triste.

È lei che cavalca silenziosa

Cosa porterà il suo arrivo?”

Una voce sottile. Bella e melodiosa. Ma il testo mancava di fantasia. Non una bella storia. La sua storia. Senza accorgersene era arrivata alla dimora di Galadriel. E quella voce. Penetrante.

“Chi sei?” Leannel non era in condizione di non perdere la pazienza. La spaventava, qualcuno che la conoscesse senza averle mai parlato. Perché non aveva mai sentito quella voce. L’avrebbe ricordata. “Come sai chi sono io?”

“Vi ho sognata.” Rispose la voce seduta tra le fronde di un albero. “spesso la signora di queste terre ha fatto il vostro nome”

“Non mi avete risposto” sembrava che non ne avesse nessuna intenzione. Silenzio. Leannel non lo sopportava. Come non sopportava di essere presa in giro. Sapeva bene da quale albero venisse la voce. E non le fu affatto difficile raggiungerla. In pochi istanti fu davanti alla voce, seduta su di un ramo, e puntò il coltello al collo della voce.

“Sarebbe un peccato impedire che tu canti di nuovo” disse “non prendermi in giro” rimase immobile. Per la prima volta stava puntando un coltello al collo di un bambino. Il bambino rimase con la stessa espressione immobile e persa.

“Ti prego fallo” disse. Era la stessa voce. Quella voce che Leannel aveva amato dal primo istante. Avrebbe fatto qualunque volta per rendere felice quella voce. Ma si accorse che gli occhi blu profondo del bambino, dall’aspetto androgino ed i capelli scuri, legati in una coda semplice, erano pieni di lacrime. Non l’avrebbe mai uccisa.

“Chi sei tu?” chiese Leannel sillabando le parole.

 

Reimer era solo. Non capiva come fosse possibile che fosse arrivato prima di Leannel. In qualche modo lo spaventava il fatto che lei fosse sola. E lo spaventava anche quello di dover entrare solo in Lorien. E nonostante la preoccupazione si facesse strada in lui si sentiva felice. Non era davvero un uomo vendicativo. Il ragazzino era libero ora. Ma cosa avesse ritardato Leannel, lui non lo sapeva. Ed era l’angoscia a prendere il posto delle sua domande. Lasciò il cavallo. Ora doveva trovarla. Leannel. Camminò per qualche tempo. Ma era facile sapere che non era molto lontana. Leannel era sempre stata attratta dall’acqua, quando era triste. Era sola sulla riva del Nimrodel dalle acque argentee. Stava piangendo.

“Leannel” disse lui “penso che ci stiano aspettando”

“Aspetteranno ancora.” rispose lei asciugandosi le lacrime. Reimer non si era comportato con qualcuno come faceva con Leannel. Si sedette accanto a lei.

“Che è successo, capitano?”

“Oggi pensavo di essere felice. Eppure un bambino con la voce più meravigliosa che io abbia mai sentito mi ha chiesto di ucciderlo.” Reimer comprese che Leannel non avrebbe smesso d piangere. Passò la mano accanto alla spalla di lei.

“Era un bambino.” Leannel pianse più forte “non aveva più di cinquant’anni e parlava come se fosse stato già morto.” Leannel la strinse e avvicinò la sua fronte a quella di Leannel.

“Non è questo. Che ti prende”

“Anche io la cerco. Ma quante volte ho io i suoi anni? Quante volte? E qual è la risposta? Il mondo è brutto Reimer!”

“Non lo è. Non lo è, stai tranquilla. Non ancora.” rispose lui “E’ per loro che siamo qui.”

“Loro?”

“Ho incontrato colui che mi ha sfidato. Devono essere fratelli. Ma non mi ha detto il suo nome.”

“Neppure l’altro l’ha detto a me” Leannel si asciugò le lacrime. Sembrava che fosse passata

“E’ per loro che Galadriel ci ha detto di venire”

“E’ probabile. Pensa che ci somiglino. A te per la loro storia e a me per la loro debolezza.”

“Quello che mi ha parlato non era affatto un debole. Diventerà un uomo incredibilmente intelligente.” Reimer sorrise “E poi, non lasceremo che diventino come noi”

“Saranno forti. Torneranno con noi a casa” Leannel si alzò in piedi “ora Galadriel ha smesso di aspettare”

 

“Chi sono i ragazzini?” disse Leannel sulla soglia della sala più chiara del palazzo ora illuminata dalla luce del tramonto.

“Non pensavo che avessi smesso di salutare”

“Ci sono cose più importanti di ‘salutare’” rispose con voce dura.

“Già” Galadriel stava bagnando i fiori sul balcone. Una figura che non le si addiceva decisamente. Sorrideva, ma come sempre il suo sorriso era colmo di angoscia. Solo una volta Leannel credette di vederla sorridere davvero. Ma sarebbe passato molto tempo ancora.

“Entrate” disse. Lo stile telegrafo ed ermetico di Galadriel non era mai cambiato. E non aveva mai smesso di lasciarla stupefatta. Come non riusciva a spiegarsi il fatto che la signora di quelle terre avesse percepito la presenza di Reimer alle sue spalle.

Leannel entrò in silenzio, seguita da Reimer. Per la prima volta il guerriero elfo si sentiva in profonda difficoltà. Ma pensò che avrebbe affrontato Galadriel come aveva sempre fatto per ogni altra cosa. L’avrebbe lasciata passare senza farsi toccare. Ma forse con Galadriel non avrebbe funzionato.

“Non ti sentire a disagio, Reimer, perché della complessità del nostro rapporto solo mia è la colpa” Galadriel. La voce armoniosa e triste. Le parole scelte con cura. Galadriel.

Reimer abbassò il capo. Si disse che non sarebbe mai riuscito ad odiare quel pomposo elfo dal nome altisonante.

“Li avete incontrati?” disse la bianca dama

“Si” rispose Reimer, parlando per la prima volta “entrambi”

“E conoscete i loro nomi?”

“Non ce li dissero. Uno mi chiese di ucciderlo e l’altro a Reimer di sfidarlo. Noi rifiutammo entrambi. Ma il loro nome non vollero dircelo.”

“I loro nomi sono Talmaye e Salmaye. Ma non gli conosco dalle loro labbra. Essi non avevano mai parlato a nessuno straniero o meno che fosse.”

“Talmaye e Salmaye.. altrove ho sentito i loro nomi. Sono del Nord. Mi dissero che c’era una minaccia laggiù, tempo fa. Ma poi venni a Sud con Leannel e non ne seppi più nulla” Reimer si era seduto su di una sedia bianca, ricamata finemente.

“Ebbene, qual è la loro storia” interruppe Leannel che detestava quella certa chiave discorsiva che stavano affrontando “E qual è la nostra parte nella loro storia?”

“Loro padre fu convocato da Elrond. Venne mandato a Sud, tra i mortali e nel male più grande. Ma tornò molto cambiato. Dissero che non era tornato alle aule di Elrond. Tornò alle sue dimore. E dissero che entrato nel suo palazzo andò a cercare sua moglie e l’uccise. Poi cercò i suoi due figli. Aveva intenzione di ucciderli. Ma quello che ti ha sfidato, Reimer, quello, ha ucciso suo padre. Per salvare se stesso e chissà quanti altri elfi. Di contro non sapremo mai cos’avesse visto loro padre. E di contro ancor maggiore, i due figli divennero solitari e presero a vagare per i boschi. Abbandonarono il loro regno. Fin quando non fu deciso che non era giusto. E gli alti elfi si riunirono. E siccome già sbagliai una volta” il suo sguardo si spostò su Reimer, finche i loro occhi s’incontrarono “decisi che sarebbero venuti con me. Ma da quando sono qui la situazione non è cambiata. Non parlano, mangiano molto poco, e dormono sugli alberi. Salmaye soffre mentre Talmaye è divorato dal rimorso. L’uno sembra essere l’unica ragione di vita dell’altro” Leannel pensò che fosse molto triste. Erano solo dei bambini.poi pensò che la sua stessa storia non era molto differente. E pensò che davvero lei e Reimer avrebbero dovuto impedire che quei due bambini diventassero come loro.

“Quindi?” mormorò

“Dovrete parlargli. Dovranno tornare con voi a Bosco Atro, tra qualche tempo.” Leannel annuì fece un cenno col capo, si voltò per poi uscire dalla stanza.

“Eccola, la nostra prima missione importante” disse a Reimer, alle sue spalle.

 

Reimer pensò che Galadriel era una donna molto maliziosa od una molto intelligente. Non era comune che due elfi dormissero nella stessa stanza di un palazzo tanto grande, insieme, senza avere un rapporto amoroso che li legasse. Eppure quello era stato il loro caso. E se Galadriel fosse stata una donna maliziosa avrebbe avuto molte cose da pensare. In fondo a Reimer faceva molto più piacere stare in una sola grande camera dal grande giardino, che in una più piccola da solo. Perché in realtà il sentimento che legava lui e Leannel non aveva nome. E allo stesso modo non aveva peso, non aveva forma. Non era amore. Non era un qualche legame fraterno. Pareva che fossero identici eppure abbastanza lontani da non togliere l’uno all’altro la libertà di cui aveva bisogno.

Leannel fece i primi passi dentro la stanza chiara. Era stanca, in viso. Si sedette sul letto grande.

“Devo vederlo” Reimer la guardò confuso. Leannel era solitamente una persona piuttosto arida. Non era facile che i sentimenti scorressero veloci nelle sue vene. Eppure con quel bambino era stato diverso. Reimer comprese. C’erano sempre delle cose diverse.

“Vuoi che lo mandi a cercare?”

“No, arriverà” a volte Leannel si chiedeva se Reimer avesse spontaneamente acquisito quella forma di servilità. A volte sembrava che più che un confidente fosse una guardia del corpo. Questa era una di quelle volte. Non che a Leannel non piacesse. Magari a qualcun altro avrebbe dato ordini impossibili, o fatto altre cose puerili del genere. Ma Reimer era Reimer. E Leannel amava Reimer in modo differente da ogni altro.

Reimer capì quello che Leannel diceva. Forse era vero. Ma non gli andava di stare fermo. Quel posto lo rendeva inquieto.

“Va, se vuoi. Hai un conto da regolare..” disse Leannel distogliendolo dai suoi pensieri.

“Non posso regolare un conto con un ragazzino, ma forse gli parlerò.”

“Comunque sia, non ti chiedo di restare qui” Reimer annuì debolmente. Sorrise tra se e se. Giunto sulla porta si voltò verso la compagna. Era bellissima quando non era certa di ciò che le veniva in volto. In quel momento concepì che non era possibile che Leannel fosse davvero una persona tanto arida da non essere mai riuscita ad amare. Le luci attorno a lui si fecero opache. Reimer camminava solo nel corridoio di fronte alla stanza. O forse non era la stessa stanza. Chissà dov’era.

 

Leannel appoggiò il capo alla spalliera del letto. Trasse un profondo respiro.

“E’ solo un ragazzino” si disse “anzi sono due”. Vero. Erano due. Due ragazzini. Non uno. Non aveva ancora visto gli occhi di colui che aveva ucciso suo padre. Gli occhi freddi di chi è cresciuto prima del tempo. Gli occhi di chi aveva scelto prima del tempo. Leannel pensò a cosa avrebbe fatto se suo padre avesse ucciso sua madre e avesse puntato il pugnale contro Legolas. Probabilmente non le sarebbe stato tanto difficile uccidere suo padre. Si sentì crudele. Non era una brutta sensazione dopo tutto. Amava uccidere e odiava suo padre. Le due cose andavano d’accordo. Questo era orribile. Si disse che era una stupida. Forse non l’avrebbe mai ucciso per solo rispetto. Forse. Leannel si ricordò di detestare i ‘se’ ed i ‘forse’. Era stata una giornata pesante.

Si alzò e si sedette nel giardino. Era bello. Molto piccolo. In fondo non le interessava.

Passi. Passi lenti leggeri ma decisi. Nonostante avesse sonno Leannel gli sentiva chiaramente. Non conosceva quel passo. Non l’aveva mai sentito.

“Chi siete?” mormorò. Il volto magro si affacciò dalla portafinestra. Un elfo molto giovane. Quasi un ragazzino. Non poteva avere più di cinquant’anni. Aveva già visto quel viso. Ma era stato molto diverso. Ora inspiegabilmente quel viso si era dipinto di forza. Di gioia. Quel volto di quello stesso bambino che ore prima le aveva chiesto di ucciderlo era solare. Era forte. Era Salmaye. Non poteva essere lo stesso. Forse il fratello di cui parlava Reimer. No, era Salmaye. Era lui. Non aveva lo sguardo freddo. Il suo sguardo era pieno di lacrime versate al fine di rimarginare le ferite. Sembrava che in parte le ferite si fossero rimarginate. Leannel pensò che magari avrebbe potuto farlo anche lei qualche volta, piangere per rimarginare le ferite, e poi, sorridere.

“Io devo chiedervi scusa” disse la voce flebile del ragazzino. Quella voce bellissima. Leannel lo guardò un istante. Aveva i capelli legati. Come la prima volta. “Avrete avuto un’idea sbagliata di me, oggi.” Leannel fece cenno di no col capo. Non c’era nulla di strano. Per lei. Per lei che aveva cercato di uccidersi in più di un’occasione. Ma pensò fosse meglio non parlarne.

“Non è successo. Io non ho alcuna idea di voi”

“Talmaye dice che Galadriel vi ha già detto tutto”

“Talmaye ha ragione. Non ho bisogno che tu mi parli di tuo padre”

Il ragazzino sorrise. Era molto bello. Forse più del suo canto. Il sorriso dipinto in un volto tanto sofferente. Una sintesi perfetta di quello cui Leannel non sapeva dare nome. Una sintesi perfetta della forza. Salmaye. La pesona più forte che Leannel avesse mai conosciuto.

“E’ una donna molto buona.” Disse il ragazzino, sempre sorridendo. “ci ha portato qui con buone intenzioni.”

“Ma siete distanti. Avete bisogno di altro.” il bambino sorrise di nuovo. Non era un sorriso imponente o invadente. Era devastante. Il sorriso di un cuore lacerato. Leannel si sentiva oppressa. Meritava forse questo bambino tutto i dolore che aveva subito?  Rabbia. Per la prima volta Leannel ebbe voglia di piangere per qualcuno all’infuori di se stessa. No, non era una persona arida. Talmaye si sedette accanto a Leannel. Non si faceva molti problemi a prendere confidenza.

“Cos’avevi?” chiese Leannel

“Mio fratello. Ieri sera se n’è andato. E ancora non avevo potuto rivederlo. Quando mio fratello non dorme con me faccio dei brutti sogni. Non so se lo si può definire ‘dormire’” Leannel aveva appena conosciuto qualcuno che sognasse come lei. Era molto strano. La faceva sentire un po’ meno sola. Ma le faceva sentire quanto fosse ingiusta la vita.

“Cosa sogni?”

“Sogno cose brutte, cose tristi”

“Tuo padre?”

“Si, poi ci sono altre cose. Cose che non conosco. Persone.” La fissò un attimo negli occhi grigi smaltati di blu “Ti ho sognata ieri notte. Mentre ti chiedevo di uccidermi.”

“Sarei una cosa brutta” disse Leannel sorridendo. Il ragazzino sorrise a sua volta nonostante Leannel si fosse resa conto che ridere forse non era la cosa migliore. “No, suppongo di essere una cosa triste” lo sguardo di lei si perse. “Cosa farete, tu e tuo fratello?”

“Non tocca a me decidere cosa faremo. Certe cose sono di sua competenza.” Leannel sorrise di nuovo. Quel bambino era incredibilmente puro. Incredibilmente tenero. Come avrebbe mai potuto ucciderlo?

“Di sua competenza…si. Allora suppongo che dovrò parlare a questo vostro rigidissimo fratello”

 

Reimer si appoggiò al muro. Era da molto tempo che non si sentiva così. La testa girava e la vista era offuscata. Sentiva come un grosso peso gravargli sul petto ed il respiro si era fatto affannoso. Si appoggiò con la schiena strisciando, per poi cadere  a terra. Seduto. La testa non faceva meno male. Maledetta, stupida Leannel. Era colpa sua. Era quel posto. Era quel posto. Erano gli elfi. I pomposi elfi dai nomi altisonanti. Erano le mura candide di quel palazzo. Come se avesse bevuto per tutta òla serata precedente. E fino a prova contraria non era così. Era molto tempo che non faceva una bevuta degna di quel nome, pensò. Ma si accorse che non aveva più la forza di pensare. chissà  cos’era.

“Voi… Reimer non siete certo nelle migliori condizioni” era la voce sobria di Galadriel. Per un attimo l’aveva scambiata per Leannel. La loro tonalità di voce non era poi tanto differente.

“Non ho bisogno di essere giudicato”

“Chissà cos’avete. Forse vi basterebbe avere un po’ di riposo. Non dev’esser facile avere Leannel come padrona.”

“Leannel non è la mia padrona. Leannel è nata dal mio stesso albero” lo sguardo di Reimer era diventato duro. Evidentemente non aveva alcuna voglia di parlare con Galadriel, bianca dama di Lorien.

“Non avete ancora dimenticato..” si abbassò in ginocchio e afferrò il braccio di lui, passandolo attorno alle sue spalle.

“Come avrei potuto”

“Sbagliano. Voi siete un uomo molto vendicativo” la voce della dama aveva assunto come un tono di rimprovero.

“Dove mi portate?”

“Alle vostre stanze. Allora fui costretta ad abbandonarvi. Ma eravate forte. I ragazzini nuovi non saranno abbandonati.” Per la prima volta Reimer abbassò lo sguardo. Quella donna aveva il potere di metterlo a disagio. Non ne parlò ma infondo pensava che non era molto bello che volessero lasciare a loro i due bambini. Forse Galadriel lo sapeva. Senza bisogno che Reimer ne parlasse. Reimer si rese nuovamente conto di essere tropo stanco per pensare.

Galadriel lo condusse alla porta della stanza chiara. L’elfo non avrebbe mai creduto che Galadriel l’avrebbe accompagnato veramente.

“lei mi aveva mandato a chiamare l’altro fratello” mormorò Reimer, chiaramente allo stremo delle sue forze.

“Quel ragazzino è un mistero. Penso che allora non potrete riceverlo entro questa sera.” Galadriel sorrise. Reimer lesse in quel sorriso un numero indefinito di sentimenti, che tutti assieme prendevano nome proprio. E nonostante Reimer non conoscesse questo nome il suo cuore fu pervaso da altrettanti sentimenti.  

Galadriel bussò. Reimer l’osservò un istante, appoggiato contro mil muro chiaro. Non aveva mai visto bussare a quel modo. Era irreale. Lontana e candida. Era diversa da ogni altro. per un attimo si chiese come era riuscito ad odiarla per così tanto tempo. Quell’essere che sembrava tanto capace di fare del male, dall’alto della sua candidezza.

Leannel aprì la porta. Nei suoi occhi una luce strana. Gli ricordava un po’ quando si erano conosciuti.

“Il vostro compagno sta male. Penso che basterà che dorma.” Reimer le lanciò uno sguardo furtivo. Galadriel sorrise.

Leannel con la fronte aggrottata fissava ora Reimer mentre lo accompagnava a sedersi sul suo letto. Reimer si sdraiò passando una mano sopra la fronte.

“Cos’è successo?” chiese lei, seduta accanto a Reimer

“Che è successo  a te” rispose lui “di tanto importante da far dormire un ragazzino nel mio letto”

 

Leannel sospirò. Reimer era letteralmente crollato. Si chiese cosa l’avesse portata a pensare che il suo compagno potesse non avere limiti. Reimer era un elfo comune, dopotutto. E non doveva essere semplice stare accanto ad una come lei. Non aveva neppure aspettato la sua risposta. Leannel sapeva che non avrebbe dormito. Non sapeva quello che era successo a Reimer, e questo l’infastidiva. Solo più tardi avrebbe sviluppato una sorta di apatia.

Ora fissava il ragazzino, Salmaye, disteso nel letto candido di Reimer. Era un ragazzino molto strano. Leannel sapeva che non avrebbe potuto separarsene. Era candido come la neve. Leannel cercò di ricordare quanto potesse essere fredda e candida la neve. Era passato molto tempo. Da quando era andata al nord e aveva visto la neve. Forse Reimer la ricordava più nitidamente.

Leannel mise su la casacca nera di Reimer ed aprì la porta sottile. La tranquillità non era certo parte del suo ambiente ideale.

Passeggiò. Non si ricordava bene quei luoghi. Infondo era sempre stato così. Ogni volta. Era sempre stato come un sogno. Le voci erano lontane ed i colori confusi. E poi c’era sua madre. Gli occhi della donna elfo si velarono di lacrime. Ma sua madre era morta davvero molto tempo addietro.  E Leannel vide di nuovo Galadriel e Miriel e quei pochi elfi che sapevano della sua esistenza unirsi a lei in quel breve segno di lutto. Infondo sua madre era già morta una volta. Per molti. Leannel pensò che la sua fosse davvero gente stupida.

Ora era fuori dal palazzo. Ora vagava per il bosco che attraversato dalla luce del giorno era risultato tanto differente da come appariva ora. Faceva un po’ freddo, ora. Leannel aveva deciso di dimenticare il discorso del non avere freddo. Forse in realtà non era un elfo. O forse erano tutti gli elfi a mentire. Il fatto rimaneva. Lei aveva freddo. Ora come in passato. E  le piaceva, avere freddo.

“Chi siete” una voce tagliente da un albero sulla sua testa. Un corpo esile atterrato al suolo. Un pugnale sottile al collo di Leannel “Chi siete per portare tanto scompiglio nelle nostre viste?”

Leannel trasse il suo pugnale bianco e disarcionò quello della figura

“Il mio nome penso che lo conosciate. Per il resto non era mia intenzione portare scompiglio. Mio obiettivo era anzi l’opposto” Con movimenti tanto veloci che l’occhio faticava a seguirli Leannel puntò il pugnale bianco alla gola del ragazzino. Troppo tardi si rese conto di aver esagerato. E si rese conto anche che il suo avversario non era da sottovalutare. Il ragazzino scomparve per riapparire alle spalle di lei. Nonostante tutto Leannel rimaneva più veloce e lo costrinse a cadere a terra.

“Finalmente ci conosciamo” Leannel sorrise allungando la mano. Il ragazzino non accettò il suo aiuto. “Anche se controvoglia ora noi dovremo parlare” mormorò Leannel.

 

Salmaye alzò il viso caldo dal cuscino candido. Si chiedeva come avesse potuto addormentarsi. Stava parlando con una donna bellissima. E si era addormentato come uno stupido. Era già accaduto una volta. Con Galadriel. Forse le donne belle gli facevano venire sonno. E lui che pensava di essere un materialista. Sorrise. A volte si faceva paura da solo. Era entrato nel letto di una delle donne elfo più belle mai nate. E ora rideva solo. Si alzò in piedi. Afferrò quel nastro che Leannel si era curata di togliergli prima di coricarlo. Non gli piaceva affatto avere i capelli lunghi. Aveva sempre pensato di tagliarli, una volta o l’altra. Ma vivendo alla corte di Galadriel, la più convenzionale delle dame elfiche, non ne aveva mai avuto la possibilità. Si guardò intorno. Leannel non c’era. Salmaye era triste. Si guardò attorno di nuovo. Non era solo. C’era un’uomo vestito di quelli che non dovevano essere i suoi abiti da notte. Dormiva spossatamene nel letto di Leannel. Salmaye si avvicinò. L’elfo era molto bello. Gli ricordava un po’ suo padre. Non era una bella cosa infondo. Suo padre era un mostro. Reimer era un uomo forte, duro e autoritario. Ma certo non era un mostro.

L’uomo scuro si mosse. Forse aveva sentito il suo respiro, pensò Salmaye. Doveva essere un guerriero. Il ragazzino saltò all’indietro per cadere a terra. Se era un guerriero ora l’aveva sentito sicuramente. Difatti Reimer, dall’aria stordita si era alzato a sedere. Passò le dita sugli occhi e  fissò lo sguardo impenetrabile sulla figura del bambino.

“Tu sei Salmaye” disse. Il ragazzino annuì. “Avresti fatto meglio a riflettere prima di piombare nella sua vita”

 

Leannel si rese conto che lo sguardo del ragazzino ricordava incredibilmente quello di qualcun altro. Leannel gli aveva detto di entrare nel palazzo, ma il ragazzo aveva reagito solamente agitando il capo. Sembrava non averne intenzione.

“Se vuoi che ti porti via con me farai meglio a parlare” disse lei. Non capiva perché Talmaye avesse preso questo atteggiamento. Reimer non aveva detto che era un ragazzo remissivo. Eppure questa era la realtà. Il ragazzino sedeva a terra e sembrava non aver alcuna intenzione di parlare.

“Hai capito?” Leannel si sedette accanto al ragazzino “Voglio che tu mi parli”

“A che pro dovrei parlarti? Per farmi accompagnare nelle tue dimore fredde e dovere abitare per sempre in un luogo sconosciuto, come ospiti? Ho già vissuto metà della mia vita in questo modo. Non ho intenzione di farlo ancora” Leannel rimase in silenzio. Era una delle prime volte che si sentiva sicura di qualcosa. O per lo meno più sicura del suo interlocutore. Pensò che Talmaye non parlasse affatto come un ragazzino. Pensò che Talmaye non avesse nulla di un ragazzino.

“Non vivrai a Bosco Atro come hai vissuto qui. Bosco Atro è la mia casa e tutti fanno quello che io gli dico di fare. Questa non è la mia casa ma tu farai esattamente quello che io ti dico di fare.” Leannel sorrise. Lo sguardo del ragazzino invece fu intristito, e a Leannel parve essersi riempito di lacrime. “Che succede?” chiese la dama

“Non avrò mai un'altra casa.” Il suo sguardo non era pieno di lacrime. Era alto. Come se avesse dovuto difendere il suo onore da qualche cosa. “Ho fatto qualcosa di troppo terribile”

“Non avevi altra scelta. Ho fatto cosa incredibilmente più terribili di quella che hai fatto tu, eppure io ho una casa. E voi verrete con me. E combatterete per me” Talmaye si sentì tranquillo. Solo ora vedeva Leannel. Solo ora che il sole stava sorgendo. Leannel era bellissima. E adesso sul suo volto era la cosa più simile ad un sorriso che Leannel riuscisse a ricordare.

“A mio fratello non piace combattere. Lui vuole solo cantare”

“Questo dovrà aspettare. Fin quando non sarò io a decidere il contrario voi farete esattamente quello che io vi ordinerò. Quando lo deciderò Salmaye potrà fare quello che preferisce.” Talmaye sorrise. Non era un bambino scostante e remissivo. Era molto triste. Ed era divorato dal rimorso. Ora riconosceva il suo sguardo. Uno sguardo simile a quello impenetrabile di Reimer. Pensò che in realtà non sapeva nulla del suo compagno. Perché negli occhi di Reimer avrebbe dovuto esserci rimorso?

“Dov’è mio fratello?” chiese Talmaye. Senza neppure accorgersene Leannel era volata lontano.

“Prepara la vostra roba, Salmaye è da me” Leannel si voltò “aspetta” mormorò “C’è altro che devi dirmi. Devi dirmi di tuo padre”

“Non so nulla. So solo che ho dovuto ucciderlo”

“Non cambiare mai” disse Leannel voltandosi di nuovo. Senza potersene accorgere una lacrima calda scorse sul suo viso chiaro.

 

Salmaye si sentì improvvisamente stupido. Reimer lo guardava dall’alto con lo sguardo più severo che riuscisse a ricordare.

“Avete combinato un bel caos, voi, tu, tuo fratello e Galadriel. Spero solo che il gioco valga la candela.” Reimer si alzò. Allungò la mano a Salmaye che sedeva ancora a terra. “Se non altro tu e tuo fratello siete fatti della stessa pasta. Sarete dei buoni allievi, mi auguro” L’elfo uscì frettolosamente dalla stanza chiara. Salmaye si chiese in che razza di guaio fossero andati a cacciarsi lui e suo fratello.

 

Reimer camminava velocemente. Sapeva perfettamente cos’avrebbe dovuto fare. E l’avrebbe fatto prima se la stanchezza non l’avesse fermato. Eccola. Leannel. Chissà cos’aveva fatto. Piangeva. Non la vedeva piangere da un sacco di tempo ormai. Si trovarono l’una di fronte all’altro.

“Ora penserai che sono una stupida” sussurrò Leannel “forse hai ragione” appoggiò il viso contro la spalla nera di Reimer.

“Che succede” rispose Reimer

“I Bambini verranno con noi”

“Questo non è un male, né qualcosa di stupido” Reimer passò la mano destra tra i capelli di Leannel.

“Quei bambini mi fanno male”

“No, non è così. Sono solo bambini. Non è una responsabilità eccessiva. Sono intelligenti.” Leannel trasse un profondo respiro. Si allontanò dalla spalla. Reimer sorrise. “Va a parlare con Galadriel. E poi va’ a preparare i cavalli” Leannel sorrise a sua volta

“E tu dove andrai?” chiese. Ma era tardi e Reimer se n’era andato. Leannel si chiese cosa avrebbe fatto quando lui l’avrebbe abbandonata davvero.

 

“Avete visto Talmaye?” chiese Reimer dall’aria impaziente. La serva, una piccola donna elfo dai capelli chiari arrossì dolcemente, facendo cenno di no col capo. Non era importante, pensò Reimer, l’aveva visto. Il ragazzino portava delle borse.

“Cosa fai?” chiese Reimer sarcastico

“Dobbiamo partire. È questo ciò che volevate”

“Si, è questo” Reimer prese a fumare del tabacco “Tu sei decisamente troppo piccolo” sorrise. Il ragazzino rispose allo stesso modo.

“Quindi mi insegnerai tu a combattere”

“Sembra di si. Ma non dovrò essere troppo bravo. Abbiamo un conto in sospeso. Aspetterò solo che tu sia abbastanza grande da risponderne”. Reimer si allontanò. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva leggero. I ragazzini erano solo una ventata di novità nella loro vita triste.

“Con chi abbiamo a che fare?” chiese Salmaye seduto dietro suo fratello.

“Non lo so.” Rispose il fratello dal volto scuro

“La cosa sembra comunque entusiasmante” Salmaye sorrise. Talmaye sorrideva sempre quando lo faceva suo fratello.

Sembrava davvero che ora fossero in quattro.

 

 

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Capitolo 3
*** Un ragazzo ***


Saltò bruscamente all’indietro

Introduzione

 

 

Ok ok ci siamo. Premetto che per un motivo e per un altro adoro questo scritto breve.  Forse per Reimer, o forse perché si ha modo di conoscere più approfonditamente i personaggi principali. Leannel non è messa molto in risalto, per esempio. La sua presenza c’è sempre. Si percepisce chiaramente. Ma soprattutto  si parla di amore, di amicizia, di fratellanza, di perdizione e di cambiamento.

La storia in pratica è quando i ragazzi sono costretti a portare con loro Morien. Nella fiction non è tanto tangibile il fatto che quesi tutti siano consapevoli della verità per quanto riguarda Morien.

Non c’è una scelta precisa al fatto che sia affidata da Cirdan. E sono consapevole che molti di voi non ameranno l’immagine che ho dipinto di lui. Semplicemente me lo sono inventato. Ho pensato ad un Cirdan che nessuno avesse mai pensato.

Poi c’è il fatto che lui nei tre stramaledetti film, non compare. Per cui nessuno di noi ne ha un’idea precisa. E poi neppure nei libri se ne parla molto. Un elfo completamente pazzo non è qualcosa di tanto impossibile, infondo.

E poi c’è un altro pezzo su cui avrete da ridire. La scatola nera. Reimer e il suo percorso di perdizione. Il fatto è che a me piacciono gli uomini, deboli con se stessi e forti con gli altri, tristi e malvagi. Reimer non era abbastanza debole né abbastanza malvagio. Lo è diventato. Ho inventato una droga addirittura. Un mio amico è rimasto molto contrariato. Secondo lui è impossibile che gli elfi si droghino. Comunque fate finta che siano funghi allucinogeni o roba simile. Forse sono stata condizionata dalle ‘tre stimmate di Palmer Eldricht’ o come diavolo si scrive, che è il romanzo bellissimo che sto leggendo.

E poi c’è Salmaye. Una volta una mia prof ha detto che per dei ragazzini è sorprendentemente facile vedere la differenza distinta che c’è tra bene e male, tra giusto  e sbagliato. Questo è il segreto di Salmaye.

Talmaye è incredibilmente complesso. Mi piace molto. All’apparenza è forte e menefreghista. Eppure ha una sua anima debole, lievemente masochista. Ed è garbatamente acuto. Mi piace. Mi piacciono tutti e tre.

La cosa bella di Morien è che è tanto dolce da far si che anche Leannel, così dura, così disperata, l’ami immediatamente. Diventa il suo giocattolo. Più di quanto non lo sia mai stato Reimer. Qualcosa di molto strano. Mi piace molto quando dice che Salmaye rimpiange per tutta la vita di non aver ricambiato il bacio di Crise. Gli da qualcosa di più mortale. E anche quando si taglia i capelli. Comunque ora basta, è meglio che leggiate.

 

A tutti quelli che si perdono

 

A tutti quelli che distinguono immediatamente il bene dal male

 

A tutti quelli distrutti dal dalle loro stesse capacità

 

E a quelli che riescono a dare luce ai loro cuori

 

Questa è per tutti i Reimer, i Talmaye, i Salmaye ed i Morien del mondo

 

With love

 

Zoozy

 

 

 

Un Ragazzo

 

 

Saltò bruscamente all’indietro. Ora come mai riteneva impossibile quella sorta di combattimento che gli era stato presentato come un allenamento. Afferrò violentemente quella strana arma che non aveva nulla di elfico e che gli era stata regalata da Reimer, suo maestro, qualche tempo prima. Una lama a doppio taglio nel vero senso della parola. Aveva infatti due punte scure al centro delle quali una fascia di pelle bianca che costituiva l’impugnatura. Si guardò velocemente attorno. Pensava di aver seminato il suo maestro. Eppure era l’esatto contrario. Reimer aveva seminato Salmaye che infatti non riusciva più a vederlo. Bruscamente Reimer gli fu alle spalle e gli puntò contro la lunga arma rotondeggiante.

“Sembra che debba vincere io anche questa volta” disse con aria di superiorità.

“Non mi sembra un onore vincere contro il tuo allievo che ha una mano legata dietro la schiena ed i piedi tra loro”

“Forse non un onore, ma certo un divertimento” Reimer sorrise. Salmaye sentì di odiarlo. Balzò di nuovo velocemente all’indietro. Reimer rise di nuovo. Il suo allievo non era male, per essere un ragazzino.

Salmaye si disse che se quello era davvero il suo maestro era sicuramente un sadico. Quell’allenamento era impossibile. Combatteva da appena un quarto d’ora e già sapeva che avrebbe perso. Di solito durava più a lungo. Ora era allo scoperto. Il bosco dalle basse fronde lasciava libero spazio a tutta la luce che il sole fosse disposto a lasciar illuminare quei luoghi, di cui in realtà Salmaye non conosceva nulla. Reimer gli fu immediatamente avanti sempre sfoderando la sua spada. Le due lame si incrociarono e striderono.

“Non hai la stessa forza che nella mano destra” disse Reimer, disarcionando l’avversario. Salmaye si gettò all’indietro, ormai disarmato. E fu in questo salto all’indietro che da solo fece in modo di terminare il suo duello. Un arbusto. I due piedi legati inciamparono e Salmaye cadde rovinosamente.

“Maledetto” mormorò “questo incontro non ha nulla di valido” Reimer sorrise e, sempre più sadicamente puntò la lama d’argento contro il collo dell’avversario.

“Sei stato tu a chiedermi di diventare più forte di Talmaye”

“Non è vero” rispose Salmaye “ti stai solo annoiando. Ed io sono il tuo capro espiatorio”

Reimer rise, abbastanza forte da dare un certo senso di stupidità al suo interlocutore. Poi si inginocchiò, spostando la lama, e slegando i nodi che imprigionavano Salmaye.

“Non era affatto comodo combattere con una gamba sola disponibile” Reimer allungò la mano ed aiutò Salmaye ad alzarsi. Era cambiato moltissimo in poco tempo. Adesso era quasi alto come lui. I capelli erano ancora lunghi, ma non aveva mai smesso di legarli nell’indistricabile coda. Gli occhi erano diventati ancora più blu, ma si erano colorati di una voglia di vivere che a Reimer risultava quasi irreale. Era molto bello. Come suo fratello dopotutto. Erano identici. L’unica cosa a differenziarli veramente, oltre all’intenso amore per la birra di Talmaye, era la posizione del neo che avevano in volto. In uno sotto il mento, a destra; mentre per l’altro, nella stessa posizione a sinistra.

“Sei durato piuttosto a lungo, per essere te.” Reimer conosceva abbastanza bene Salmaye da sapere che se lo avesse adulato, questi avrebbe smesso proverbialmente di allenarsi. In realtà le differenze tra lui e suo fratello erano poco più che accennate. Ma era moto più pratico convincerlo di essere inferiore a Talmaye.

Salmaye scosse la casacca verde.

“Quando tornerà Talmaye?” sussurrò. Era quasi una giornata che rimanevano nello stesso accampamento. Una cosa inusuale, soprattutto quando il loro capitano, Leannel, non era presente. In realtà la lettera che era arrivata al sire di Bosco Atro era indirizzata unicamente a Reimer ed i suoi compagni. Inoltre Thranduil non avrebbe mai concesso a sua figlia di portare a compimento una missione che, se non pericolosa, avrebbe sicuramente avuto dei risvolti politici. Certamente questo non era il problema principale, dato che ai risvolti politici aveva unico accesso e predominio Talmaye, che oltre ad essere dotato di un’eloquenza non comune, era incredibilmente intelligente.

Reimer si tolse il lungo cappotto di consunta pelle nera. Poi si sedette. Erano ad Ovest. Non aveva idea di quanto potesse essere bello il tramonto tanto all’ovest.  Si sedette e Salmaye lo seguì.

“Chiariscimi che cosa ci facciamo qui” disse con aria seccata.

“Cirdan il carpentiere in persona ci ha convocati”

“No, aveva convocato solo te”

“Vedrai che non ha nulla di importante da comunicarmi. E poi per Talmaye sarà solo un divertimento”

“Forse hai ragione…” Salmaye fissò il tramonto per qualche istante

“Penso ci vorrebbe qualcosa di più impegnativo per Leannel” disse Reimer. Leannel. Era incredibile come il pensiero di Reimer la raggiungesse sempre. Salmaye era pienamente consapevole di non essere troppo intuitivo, Ma non aveva mai capito cosa legasse quei due elfi.

“Sempre Leannel… Chissà come sta ora?” disse Salmaye. Reimer lo squadrò un istante. Salmaye era semplicemente vitreo. Chiunque avrebbe potuto leggere nei suoi pensieri che non era questo ciò che gli frullava per la mente.

“Cosa c’è?” chiese con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.

“Mi stavo chiedendo” Reimer era l’unica persona oltre a Talmaye ed a Leannel che riuscisse a fargli dire esattamente ciò che  aveva bisogno di sapere. Pensò che doveva essere uno stolto se erano solo queste le persone importanti per lui. “mi chiedevo di Leannel. Mi chiedevo se tu l’ami”

Reimer rimase un istante in silenzio. Poi sul suo viso si dipinse una strana espressione, come se non avesse creduto di sentire quello che aveva sentito. Si voltò fissò per un istante gli occhi del compagno.

Poi rise. Molto più forte di quanto non avesse fatto durante il loro combattimento. Salmaye non seppe se essere confuso o arrabbiato. Reimer era una persona molto complessa. Salmaye non seppe neppure leggere una risposta.

“Allora?” mormorò

“La tua purezza mi sconvolge” rispose Reimer sempre ridendo. Ora lo sapeva. Non poteva fare a meno di essere arrabbiato. Si alzò in piedi.

“Cosa?” gridò. Ma il suo sguardo fu catturato da qualcos’altro. una figura scura in lontananza.

“C’è Tal” disse, calmandosi.

Reimer pensò che nessuno all’infuori di Salmaye sarebbe riuscito ad accorgersi dell’arrivo di suo fratello. Grazia ed eleganza. Talmaye era un’immortale molto complesso. La stessa luce triste aveva albergato da sempre nei suoi occhi. Eppure ora sorrideva con quello sguardo brillante che gli permetteva di prendere chiunque alla sprovvista.

Anche adesso sorrideva. Salmaye comprese che suo fratello doveva aver raggiunto quello che voleva raggiungere. Non seppe dirsi però se questo era positivo o meno.

“Com’è andata allora?” disse Reimer, anche lui alzandosi in piedi. Talmaye aveva il volto più sereno che Salmaye gli avesse mai visto dipinto in volto. Non era affatto normale. C’era qualcosa.

“In realtà” disse la voce suadente e fredda allo stesso tempo di Talmaye “in realtà non mi è stato detto niente.” ora il sorriso di Talmaye era ancora più sereno. Mentre sul viso di Reimer si leggeva chiaramente dell’irrequietezza. “Il signore di queste terre dice che non parlerà con altri che con te, Reimer” Reimer sospirò. Non aveva nessuna voglia di parlare con Cirdan o con chiunque altro. Cirdan rimaneva uno dei quei pomposi elfi dai nomi altisonanti.

“Avanti Reimer! Non è come pensi. Cirdan è un elfo complicato e particolare. E sembra molto deciso. Forse vuole parlare con te perché sei originario di queste terre.” Salmaye si sentì improvvisamente tagliato fuori. Si era sempre sentito inferiore nei confronti di suo fratello. Reimer fece cenno di no col capo. Lui era originario del Nord.“Ma personalmente non lo credo. In compenso” Talmaye sorrise con tutta la forza delle sue guance “sono riuscito ad ottenere di farci ospitare per qualche tempo” Salmaye rise quanto suo fratello se non di più. Erano anni che non visitavano un posto tanto lontano dal Reame boscoso. Solamente ora gli dispiaceva che Leannel non fosse potuta venire. Forse Reimer avrebbe ordinato loro di non parlarne. Non sarebbe stata la prima volta.

“Dov’è che andiamo?” chiese Salmaye.

“A palazzo. La casa di Cirdan è meravigliosa” Salmaye si avvicinò ai tre cavalli e ne slegò le briglie dall’albero cui erano legati. Reimer fece cenno a Talmaye di smontare quel poco tendaggio che avevano costruito per passare la notte. Talmaye fece cenno di si col capo. Fissò per un istante Reimer. Era strano. Visibilmente turbato. Decise che gli avrebbe parlato poi. Afferrò le redini del suo cavallo, che gli porgeva suo fratello e salì sul dorso del cavallo grigio. I due compagni lo seguirono tra le fronde scure del paesaggio che si avviava alla notte. Talmaye rallentò e si avvicinò a Reimer.

“Cosa vuoi?” mormorò l’uomo scuro. “Qualunque cosa tu voglia chiedermi non è bene che Salmaye la conosca”

“Salmaye dorme.” Rispose freddo Talmaye “mi consideri dunque uno stupido”

“Se considerassi te come tale allora non dovrei avere considerazione di alcuno” Talmaye sorrise. Attese che Reimer facesse lo stesso. Ma non accadde. Reimer non sorrise. Rimase impassibile. Talmaye non era particolarmente sensibile. Ma era sagace. E conosceva Reimer meglio di chiunque altro. Era diventato quasi suo padre in tutto quel tempo. Quello stesso padre che aveva ucciso. Ma a Talmaye non piacevano certe forme di sdolcinatezza.

“Quell’uomo, Cirdan. È diverso da ogni altro con cui io abbia mai avuto a che fare. È sibillino. Ogni sua parola ne nasconde un’altra, e un’altra ancora.”

“Cosa c’entro io. Cosa sei riuscito a leggere nei suoi occhi?”

“Leggere nei suoi occhi. Tu parli senza alcuna cognizione. I suoi occhi. Sembrano scolpiti nel ghiaccio. Più impenetrabili di quanti mai ne abbia visti. Sono bellissimi. Non come quelli di Leannel. No, sono molto diversi. La loro unica espressione è la stanchezza. Sembra essersi consumato” Talmaye si passò la mano sulla tempia.

“Eppure se mi hai chiesto di parlare significa che sei stato talmente abile da leggervi”

“In realtà volevo sapere se tu sai qualcosa di quello che ti dirà. Il tuo sguardo è divenuto cupo. Ma forse il motivo è solamente che egli ti ricorda cose lontane.”

“Si, è così” Reimer sorrise

“Dopo aver letto negli occhi di una creatura come Cirdan, i tuoi sono semplici come un libro aperto”

“Quindi sei riuscito.. ti ho sottovalutato”

“Ora cominci ad avere paura della nostra sfida?”

“Non essere stupido. Dimmi cosa hai letto”

“Ho letto molta stanchezza. Ho letto un segreto oscuro.. forse una persona. Penso che abbia qualcosa di cui non ha intenzione di prendersi le responsabilità. Sarà un grosso peso.”

“Una persona”

“Ho sentito il suo cuore gridare un nome, Morien. Ma non so dirti altro. avrei auto bisogno di un incontro più lungo. Penso si sia accorto delle mie abilità. Per questo ha voluto allontanarmi.”

Reimer fissò il buio in silenzio per qualche tempo.

“Chi affiderebbe una vita a me?” mormorò.

“Tu sai tenere molto bene i segreti. Ma fa attenzione. Caricherà le tue spalle di un grosso peso.” Talmaye sorrise. “Salmaye sembra contento di rimanere qui”

“Si, lo è. Era da molto che non lasciavamo il Reame Boscoso. Eppure tu ti senti triste”

“Leannel vorrebbe essere con noi. E poi non sappiamo cosa potrebbe accadere. Lei è sola. E Leannel è molto cambiata”

“No, non è cambiata. È proprio questo il suo difetto maggiore. Leannel non cambia mai.”

“Ma noi l’amiamo per questo”

“Si, lo facciamo.” Reimer sorrise di nuovo. Ora sembrava quasi divertito. “tuo fratello mi ha chiesto se l’amo” Talmaye rise allo stesso modo.

“E’ molto ingenuo. Però a pensarci bene, ritengo che avresti bisogno di amare”

“Tutti hanno bisogno di amare”

“No, tu più degli altri. Hai bisogno di essere libero. Non lasciare che la storia antica continui ad influenzarti sempre.”

“Pensare che c’è chi dice che sei freddo e distaccato. Mi sembri fin troppo buono, Talmaye. Non siete tanto diversi voi due” sorrise ancora “ e tu, nessuna delle tue donne è morta a quanto ne so”

“Vedi io non sono fatto per le cose durature” Talmaye rise sinceramente, tornando a porsi alla testa della piccola compagnia. Reimer rallentò e legò assieme le briglie del suo cavallo con quelle del cavallo di Salmaye. Si avvicinò alla figura piegata.

“La prossima volta dormi veramente, oppure non ascoltare” sussurrò. Salmaye sbuffò.

 

Il giovane uomo elfo aveva perso il conto delle ore passate a cavallo. Pensava che la casa del signore di quelle terre fosse molto più vicina. Evidentemente Talmaye aveva scoperto tutto quello che sapeva in molto poco tempo. La luce del sole comparve magicamente all’orizzonte. Se il tramonto era stato bello, nell’alba c’era sempre qualcosa di più poetico. Alzò la testa nera dal collo del cavallo bruno e lo vide. Il grande palazzo bianco. A suo confronto quello della Bianca dama era piccolo e  buio. E poi, in lontananza, c’era il grande blu. Non lo aveva mai visto, Salmaye, il mare. La luce rossa illuminava le mura candide che rifrangevano lo stesso colore. Talmaye scambiò qualche parola con l’uomo che era di guardia al castello. Una bella armatura d’argento lucente. Salmaye pensò che fosse innaturale. Un elfo con un armatura.

“Si, ho fatto quello che il tuo signore mi ha detto. Ora deve darmi dove dormire e da mangiare. Poi potrà parlare col Maledetto, come ha chiesto”

L’elfo dalla armatura lucente, che Salmaye stava iniziando ad invidiare, gli fece cenno di passare, senza mai abbandonare l’inespressività del suo volto.

Reimer attraversò la porta scura seguito dai suoi compagni. Era passato molto tempo dalla volta in cui aveva parlato a Galadriel. Ebbene, solo il cortile di quella reggia gli ispirava le stesse sensazioni. Si chiese cos’avrebbe fatto quando avrebbe visto Cirdan. Si sentì improvvisamente insicuro. Freddo. Solitudine. Ma poi si voltò e vide bene in viso Talmaye, la sue espressione preoccupata, e Salmaye, forse contrariato, ma comunque con la sua aria perfetta di inconsapevolezza. E si disse che non c’era nulla che non avrebbe potuto superare.

l’elfo dall’armatura lucente afferrò Salmaye per un polso.

“Voi due avete una destinazione diversa. Il mio signore ha detto che vuole che siate portati alle vostre stanze” Salmaye sbuffò. Non aveva alcuna intenzione di obbedire agli ordini di quell’elfo. Talmaye sorrise e fece cenno di si col capo. Salmaye si tranquillizzò. I due fratelli seguirono l’elfo, lasciando Reimer solo.

L’elfo trasse un profondo respiro. Non aveva alcuna voglia di essere solo. Senza un motivo preciso gli tornarono alla mente le parole di Galadriel al loro incontro

‘Non deve essere semplice avere Leannel come padrona ’  in effetti non lo era. Anche adesso, in quello che era qualcosa a metà tra una missione ed un viaggio di piacere, non poteva fare a meno di chiedersi cosa stesse facendo Leannel. A volte si era chiesto perché dovesse essere lui a preoccuparsi per Leannel, e non Legolas o chi per lui. A volte aveva visto Leannel in lacrime e si era chiesto a cosa servisse un fratello debole come il principe. Ma poi si era sempre risposto che non era così. Semplicemente Legolas era egocentrico. E forse non era abbastanza forte. E  poi c’era Miriel. Una fanciulla graziosa. Non era esattamente il tipo di Reimer. Ma era molto buona. Forse era lei a renderlo insofferente al dolore di Leannel.

Reimer fu riportato bruscamente alla realtà. Passi lontani. Più di un passo. Erano tre. Nel tempo che alzò il volto, la prima, piccola, sottile, avvolta in un drappo scuro. Inciampò sulle caviglie di Reimer.

“Scusate” mormorò frettolosamente. Reimer fece per alzarsi ed aiutarla, ma le altre due figure lo fecero prima di lui. Dal profondo cappuccio nero, due occhi castani gli sorrisero in segno di gratitudine. Due occhi castani che non avrebbe dimenticato facilmente. Seguendo quegli stessi occhi castani il suo sguardo di alzò. Un uomo molto bello, dai lineamenti duri ed i lunghi capelli neri. E poi i suoi occhi.

Sembrano scolpiti nel ghiaccio, pensò.  Solo ora Reimer poteva rendersi conto di quanto Talmaye avesse ragione. Quegli occhi scolpiti nel ghiaccio lo fissavano. Quegli occhi severi. Non erano tristi, anche su questo Talmaye aveva avuto ragione. Erano stanchi, ma non tristi. Eppure  quella parola che il suo cuore avrebbe dovuto gridare Reimer non la sentiva.

Stupido, si disse, era chiaro chi fosse Morien.

“Sarà meglio che voi veniate con me.” Disse l’elfo con la sua voce profonda “In così poco tempo avete visto fin troppo. I vostri compagni saranno guidati da altri” Reimer si alzò dalla sedia rossa chiedendosi perché un grande re come Cirdan non avesse mandato altri al suo posto per chiamarlo. Si rispose che doveva essere una casualità.

Lo osservò alle sue spalle. I lunghi ricchi abiti, tra il bianco e l’argento. Il passo veloce. Forse troppo. Reimer pensò che dovesse essere teso.

Camminarono per qualche tempo. Poi, giunti ad una porta bianca, due servi vestiti di verde li superarono e l’aprirono. Cirdan fece un cenno sottile col capo. I due servi sorrisero e si sedettero ai lati di una lunga scalinata di marmo. Il re raggiunse il suo trono.

Reimer sorrise. Non era affatto diverso dagli altri elfi pomposi dai nomi altisonanti che aveva incontrato. Anzi, forse ne era il maggior esponente. Si chiese di nuovo cosa mai potesse volere da lui.

 

Talmaye giunse subito dopo il suo accompagnatore. L’elfo toltosi l’elmo della bella armatura lucente, si appoggiò allo stipite della porta, con aria annoiata. Salmaye cominciava davvero a non sopportarlo.

“Questa è la vostra stanza e quella a fianco è del vostro amico scuro. Sono comunicanti per mezzo del giardino. Ma badate che non potrete restare a lungo qui ospiti. Queste dimore sono fatte solo per coloro che ci abitano”

“Non temere” rispose Salmaye “Non resteremo a lungo. Questo tipo di accoglienza non c’è affatto gradita” Talmaye gli lanciò un occhiata significativa e sospirò. Sorrise all’elfo dell’armatura ed entrò.

I passi si allontanavano.

“Siamo qui per Reimer, non per cercare grane”

“Perché tu lo sopporti? Non essere ipocrita”

“Non sono ipocrita. Sono diplomatico. E tu cerca di non essere stupido.”

“Forse per essere diplomatici è necessario essere ipocriti” mormorò Salmaye piuttosto contrariato.

 

 

Leannel  sentì l’ennesima lacrima fredda scorrere veloce sulle sue guance bianche. Quelle lacrime che avevano il sapore sciocco della sua stupidità. Avrebbe dato qualunque cosa per fermarle. Forse si sarebbe uccisa. No, Reimer e gli altri sarebbero dovuti tornare indietro, e l’avrebbero vista morta. Sarebbe stato orribile. Un’altra lacrima cadde lentamente a monito della sua stupidità. Stropicciò il viso e si alzò in piedi. Non aveva nessuna voglia di continuare a piangere, da sola. Improvvisamente sentì freddo. Non credeva che sarebbe mai riuscita a sentire freddo in una notte di giugno. Ma sapeva bene che c’era una motivazione al suo freddo. Una motivazione stupida e puerile. Erano anni che non si sentiva tanto sola. erano anni che tutti e tre i suoi compagni non se ne andavano soli in un posto tanto lontano che per Leannel fosse impossibile raggiungerli.

Trasse un profondo respiro. Li aveva sentiti. I passi leggeri.

“Neppure oggi sei venuta a cena” dissero Legolas e la sua voce ruvida.

“No, neppure oggi.” Leannel non lo sopportava. La sua inutile apprensività. Suppose che a Legolas non importasse niente in realtà. Sbagliava. Sapeva bene di sbagliare.

“Non pensare quello che non dovresti” da tempo si era resa conto di essere cristallina per suo fratello. A volte si sentiva oltrepassare dello sguardo severo dei suoi occhi verdi.

“Tu non sei nessuno per dirmi cosa pensare”

“Reimer è stato chiamato e nostro padre non avrebbe mai lasciato che tu andassi tanto lontano.”

“E’ già tanto che nostro padre mi lasci libera di scegliere l’aria che voglio respirare” Legolas rimase in silenzio. Un pensiero veloce corse nella sua mente.

“Scappa” mormorò “Fuggi di notte e non tornare mai più indietro” Ora era Leannel ad essere rimasta in silenzio. Non avrebbe mai immaginato Legolas capace di pensare una cosa simile e tanto meno di parlarne. Ma conosceva già la risposta e suo fratello con lei. Si immaginò per un istante, libera da ogni vincolo. Ma poi comprese che così facendo avrebbe rinnegato tutto ciò in cui aveva creduto. Si doveva fare quello che si doveva fare. E lo avrebbe fatto ancora, e ancora, fino alla fine. Non avrebbe mai più potuto vedere Legolas e tutti gli immortali cui teneva. Sorrise.

“Non mi è concesso, di essere libera” Una breve pausa “va ora, e lasciami sola. Ci sono altre lacrime stupide che devo versare”

 

Reimer si sentì improvvisamente piccolo. Un elfo bellissimo e dall’aspetto eterno adesso l’osservava. Gli occhi impenetrabili di Reimer sembravano un po’ meno impenetrabili.

“Siediti” disse con voce ferma. Reimer si sedette. “Ti senti solo. Ti chiedi dove siano i tuoi compagni. Ti chiedi cosa ci fai qui. Ma più di ogni altra cosa, è quella donna a preoccuparti”

Reimer sentì come se quell’uomo avesse avuto in mano tutta la sua vita. Si sentiva legato. Stretto. Se quell’uomo avesse chiuso le mani lo avrebbe stritolato. Per la prima volta nella sua vita fu sicuro di avere paura.

“Cosa?” Cirdan non l’ascoltò. Continuò il suo discorso.

“Una donna. No, non una donna, Leannel. E poi, non l’ami neppure. Lo so bene che tipo di donne ti piacciono Reimer.” Il signore bianco si alzò e gli si avvicinò. Sorrise. Reimer si sentì come inchiodato alla sedia di velluto rosso. “Sono altre le donne che ami. Sono nobili d’animo. Di una bellezza lontana. Quasi puerile. Molto forti e molto dolci allo stesso tempo. Nonostante non esistano le donne dolci. Sono troppo sottili e sibilline. L’estremo contrario di Leannel, invero. Leannel così bella e così disperata” La mano del bianco sfiorò il viso duro di Reimer che si trasse indietro.

“Cosa vuoi da me” Reimer gridò. Fu come se si fosse svegliato da un incubo. Erano gli occhi. Gli occhi di quell’immortale che lo comandavano. Si disse che quello non era il suo ruolo. Non era bravo nei rapporti coi signori dai grandi poteri. Questo era compito di Talmaye. Si chiese come Talmaye avesse fatto a resistere tanto a lungo e a leggere negli occhi di quell’uomo.

“Ti sei svegliato? Non a tutti è concesso di svegliarsi. Eppure è riuscito a due nello stesso giorno. Credevo che Leannel fosse più stupida.” Trasse un profondo respiro, allontanandosi. “Ed è proprio perché sei riuscito a svegliarti da solo che adesso smetterò di torturarti.” Reimer annuì col capo.

“Spero che adesso vorrai rispondere alle domande di cui conosci la risposta” disse.

“Si, penso che lo farò. Altrimenti il tuo viaggio sarebbe stato inutile”

Reimer si alzò in piedi, stupendosi della sua stessa forza. Il re bianco si sedette di nuovo, senza smettere di fissarlo

“Io so qual è la tua vera vocazione, Reimer. La tua vera vocazione non è la battaglia, non è insegnare a due fanciulli elfo. Non è neppure consolare per sempre una dama bellissima. La tua vera vocazione è la menzogna, Reimer” l’elfo rimase stupito. Cosa significavano quelle parole. Cosa sapeva davvero Cirdan. Se l’era sempre immaginato molto differente. Meno eccentrico. “E le vocazioni, vanno coltivate. E poi il caso ha voluto che io abbia bisogno di qualcuno con la tua stessa vocazione.”

Reimer lo guardò un istante nelle iridi gelide e sia accorse di non vedere lo stesso elfo. Un velo di preoccupazione l’aveva coperto.

“Il suo cuore gridava un nome,  Morien” sussurrò Reimer. Gli occhi di Cirdan divennero persi

“Come sai certe cose”

“Leannel non è una stupida” Cirdan sorrise. Aveva capito che l’intuizione non era di Reimer, ma del suo compagno.

“Lascia che io parli ora, dato che in realtà non sai niente” Reimer annuì. Ora sapeva di avere di nuovo in mano le redini della sua mente.

“Morien è un nome oscuro. Non delinea il sesso di chi lo porta. Bensì ne delinea la stirpe. Morien è il nome che acquisirono i discendenti di Feanor, quando le ere  volsero a questa. Morien è il più maledetto dei nomi elfici”

Reimer rimase in silenzio. Non avrebbe mai pensato una cosa del genere. Non credeva sarebbe riuscito mai ad incontrare qualcuno che fosse nato maledetto.

“Ricordo la prima volta che l’ho vista. Altri la volevano morta. Altri ancora volevano rinchiuderla. Ma tu hai già visto i suoi occhi, Reimer. Oh, si, li hai visti. Come può una creatura tanto pura e semplice rappresentare davvero una minaccia.” Cirdan si fermò un istante, riprendendo fiato. Aveva raggiunto il massimo dell’enfasi. Reimer pensò che fosse davvero differente da come lo aveva immaginato. Forse si era innamorato della ragazzina. Per un istante Reimer ebbe pena di lui. Solo poi si ricordò che quella creatura avrebbe dovuto essergli superiore.

“Dissi che l’avrei uccisa io stesso. E la condussi qui. Ed è qui che è nascosta ormai da molti inverni”

“E ora avete bisogno del mio aiuto. Dimmi perché”

“Mi hanno scoperto. La uccideranno. E forse uccideranno anche me per averla nascosta.”

“E cosa vorreste fare? Vorreste che Leannel la tenesse con se e venisse uccisa lei al vostro posto?”

“Nessuno mai la cercherebbe da Leannel. Perché Leannel è libera. Al mio contrario. E poi non vorrei che lei la tenesse con se. Voglio che tu lo faccia” Reimer rimase in silenzio. Quell’uomo decisamente non gli piaceva.

“Date per scontato che davvero io possieda un talento come quello della menzogna. Leannel lo possiede. E anche Talmaye, forse di più.”

“Forse l’avrei dato a Leannel, un tempo. Ma è diventata arida e sciocca. E  Talmaye, è solo un ragazzino.”

Reimer trasse un profondo respiro. Non capiva e non voleva capire. Ma soprattutto non aveva nessuna voglia di prendersi la responsabilità di una vita sulle spalle.

“Morien, ora puoi entrare” mormorò Cirdan, sedendosi di nuovo. La ragazza fece il suo ingresso. Era minuta. Dall’altezza non la si sarebbe detta un elfo. Lunghe vesti nere, molto ingombranti. I capelli, nero opaco. E poi i suoi occhi. Si, gli aveva già visti. Gli occhi soffici di una bambina. Quasi fossero da sempre stati pieni di lacrime. Morien spostò il viso. Non le andava di essere fissata. Reimer fu come svegliato da un sogno. Si rese conto che in realtà era da molto tempo che non sognava.  Adesso non aveva più alcuna pena del signore bianco.

“Dovrai mentire sin dall’inizio. Ai tuoi compagni dirai che è un ragazzo. E per loro sarà sempre questo. Nessuno alle tue terre conosce la sua stirpe. E l’importante è che tu non cambi il suo nome” Reimer non capì nemmeno questo, ma ora si era accorto di non avere nessuna voglia di capire. Ora aveva solamente voglia di riposare. Forse più avanti le avrebbe parlato. O forse avrebbe fatto meglio a dire ‘gli avrebbe parlato ’.

“Ora ho solo bisogno di vedere le mie stanze ed i miei compagni.” Cirdan sorrise.

“Forse ti sono state rivelate troppe verità in una volta. Sarà comunque Morien e condurti dove deve.”

Reimer pensò che Cirdan volesse complicargli le cose. Si alzò e camminò lentamente verso la porta. Morien lo seguì. I due furono presto fuori. Rimasero a lungo in silenzio.

“Mi dispiace che sia capitato a te” sussurrò la ragazza dai lineamenti leggeri. Reimer si voltò con lo sguardo perso. “il mio nome. La mia sorte. Perdonami” sussurrava. Reimer si rese conto che negli occhi di lei erano lacrime.

“Non devi chiedermi scusa. Suppongo che la mia vita sia spossante abbastanza per viverla in due. L’unico vero problema sarà che dovrai fare la conoscenza di Leannel. È molto particolare”

“Anche tu sei molto particolare. Mi hai accettato nella tua vita” la ragazzina sorrise. Reimer sentì di aver già visto quel sorriso da qualche parte.

“Ci sono cose che non possono essere evitate, vanno solamente accettate”

Morien lo fissò incerta. Quell’uomo era diverso da chiunque avesse mai incontrato.

“Io vorrei solo non fare del male, semplicemente vivendo” Reimer la fissò. Era bellissima.

“Non pensare una cosa del genere. Sono certo che non è così” il volto duro di Reimer e quello dolce di Morien si sfiorarono. Reimer si trasse all’indietro.

Reimer aprì la porta marrone scuro ed entrò nella sua camera. Lanciandosi sul letto si chiese fin dove potesse arrivare la sua stessa stupidità.

 

Talmaye era piuttosto teso. Aveva litigato con suo fratello e per di più Reimer non si vedeva. E poi c’era qualcos’altro. sentiva freddo. Temeva per Reimer. Qualcosa di strano gli era accaduto. Doveva vederlo.

“Farai meglio a mangiare qualcosa, Talmaye, e ad essere meno teso. Reimer è forte, non gli succederà nulla.”

“Tu non valuti mai tutte le possibilità. Questo posto non mi piace. Inizio a pensare che avrei fatto meglio a non chiedere di farci venire qui. Forse sarebbe stato meglio rimanere nel bosco.” Mormorò Salmaye. Talmaye si sedette.

“Avanti adesso calmati.” Talmaye si lasciò cadere sul letto.

Passi. Poi un leggero tonfo. Era Reimer. Talmaye si alzò di scatto. Suo fratello seguì con lo sguardo i suoi movimenti. Ora era fuori dalla stanza. Salmaye rimase in silenzio, solo nella stanza.

 

Il freddo viso di Reimer fu bagnato da lacrime calde. Non ricordava il sapore delle lacrime. Tutto ciò cui era pronto era scomparso. Sentì il bussare sul vetro della finestra. Non voleva vedere nessuno. I colpi si fecero più forti e veloci. Reimer vide in volto chi era a bussare. Talmaye. Talmaye col viso più preoccupato che gli avesse mai visto. E Talmaye non si preoccupava facilmente. Reimer aprì la portafinestra.

“Perché sei stato tanto tempo a parlare con quell’uomo?”

“Mi ha costretto. Avevi ragione in ogni tuo ragionamento. C’è un ragazzo che manderà con noi. Si chiama Morien”

“E perché piangi, Reimer” Talmaye si avvicinò all’uomo scuro.

“Mi spiace, ma non posso dirtelo.” Il viso di Talmaye divenne scuro. Reimer sapeva perfettamente che se avesse voluto Talmaye avrebbe potuto leggere con semplicità nei suoi occhi neri. Ma se glielo avesse chiesto, non lo avrebbe fatto. 

Reimer fece cenno di no col capo. Evidentemente gli aveva chiesto di non leggere nei suoi pensieri. Talmaye sospirò.

“Posso sapere quello che è successo” disse

“C’è un nuovo compagno che tornerà a casa con noi. Il suo nome è Morien, lo vedrete se camminerete in queste aule.” Talmaye si voltò tornando verso la portafinestra. Si disse che non era decisamente nel suo stile, preoccuparsi.

“Pensi che Leannel si arrabbierà?” mormorò voltandosi

“C’è qualche probabilità che non lo faccia?” rispose il più vecchio dei due. Talmaye lasciò la camera. Attraverso il giardino, giunse alla stanza più grande. Si guardò intorno, aspettandosi una battuta stupida di suo fratello. Si guardò di nuovo attorno. La stanza era vuota. Ma non aveva voglia di essere preoccupato. Salmaye sarebbe tornato, prima o poi.

 

Salmaye conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere che se non lo avesse trovato nella sua stanza, dopo essersi preoccupato inutilmente per Reimer, non l’avrebbe cercato. A volte si chiedeva se solo per lui Talmaye fosse tanto prevedibile. E si rispondeva di si. Aprì la porta scura. L’aria era più calda fuori dalla sua stanza. Aveva fame. Un corridoio qualsiasi l’avrebbe portato dove voleva. Al massimo avrebbe chiesto. Poi lo vide . Un ragazzino dalle vesti ingombranti ed i lunghi capelli corvini. Immobile, fissava il vuoto, gli occhi spenti, forse velati di lacrime. Salmaye si avvicinò.

“Salve, qual è il vostro nome? Ho bisogno del nome di una guida. Temo di essermi perduto.” Salmaye sorrise. Il ragazzino si sforzò di sorridere. Salmaye notò che non aveva degli occhi comuni. Erano come privi di peccato. Innocenti. Ma una strana luce vi brillava. Come avesse scoperto qualcosa che non sapeva combattere. Salmaye si meravigliò della sua stessa perspicacia. Quel ragazzino era cristallino. Forse più di lui stesso.“Scusatemi, non devo essere arrivato in un buon momento” sorrise di nuovo e si voltò

“No, aspettate.” Disse la voce flebile del ragazzino “Aspettate. Vi porterò dove vorrete”

“Ditemi chi siete e cos’avete. Non ho intenzione di parlare con un signor nessuno”

“Il mio nome è Morien. Sono uno dei fidi del signore bianco. E per quanto riguarda le mie lacrime, non è facile sapere che si dovrà abbandonare le terre nelle quali si è vissuto per tutta la vita” Mentì. Sentiva che quella menzogna col tempo sarebbe diventata più pesante. E quel ragazzo col quale parlava aveva un viso buono. Avrebbe preferito non mentirgli. Ma aveva sperimentato sulla sua pelle che anche le persone buone cambiavano dopo aver compreso da dove venisse il suo nome.

Morien sorrise più sinceramente.

“Lasciare la tua casa? Dove hai intenzione di andare?” Morien sorrise. Non aveva mai incontrato qualcuno come Salmaye.

“Vengo con voi” Salmaye sorrise

“Scusa, ho fatto la figura dello stupido.” Disse sconsolato “per un motivo o per un altro sono sempre l’ultimo a sapere le cose” Morien rise fragorosamente. Per quanto fragorosamente potesse farlo. Salmaye rise con lui.

 

In non molto tempo Reimer riuscì a tranquillizzarsi. Era riuscito a calmare Leannel in condizioni ben peggiori ed il non riuscire a farlo con se stesso sarebbe stato umiliante. Si alzò di nuovo in piedi, uscì in giardino e fissò il sole che albeggiava. Ora era chiaro quello che avrebbe dovuto fare. Non c’era tempo per perdersi dietro a una ragazzina. Dovevano andare a casa. Leannel l’avrebbe giudicata subito, dall’alto del suo piedistallo di tristezza e la vita sarebbe andata avanti. Morien doveva arrivare subito dove nessuno la conosceva. Inoltre era certo di non piacere al signore bianco. Dovevano tornare a casa, il più presto possibile. Certamente la cosa non sarebbe piaciuta a Talmaye.

Bussò alla portafinestra di Talmaye  e Salmaye. Salmaye non c’era. Talmaye dormiva. A parte tutto Talmaye dormiva sempre. Ed era sempre strano capire come un immortale così assurdo, così sibillino e diabolico, potesse dormire tanto sovente e tanto dolcemente.  Bussò di nuovo. Talmaye con le guance rosate e la frangia sugli occhi si stiracchiò e si avvicinò alla porta, poi aprì.

“Ora puoi parlarne?”

“Non potrò mai” Talmaye sospirò.

“Allora che ci fai qui” disse

“La notizia che ti darò non ti soddisferà affatto”

“Dobbiamo andarcene, non è vero?”

Reimer rimase in silenzio, stupito, e successivamente fece cenno di si col capo. In quel momento Talmaye si sentì morire. Era stato davvero faticoso arrivare ad una stanza ed un paio di pranzi. Ma lesse negli occhi di Reimer, oltre che una tristezza profonda, una grande stanchezza. E forse non era nella sua volontà andarsene tanto presto. Sospirò.

“Suppongo che dovremo trovare mio fratello adesso”

“Si, e non lui solo”

“Ci penso io” Reimer sussurrò un lento si e lo ringraziò. Solo qualche minuto più tardi gli venne in mente di chiedersi come avrebbe fatto Talmaye a trovare Morien. Ma Talmaye era imprevedibile sotto ogni punto di vista e forse avrebbe trovato Morien in un modo o nell’altro. Sperò con tutto se stesso che Talmaye non capisse cos’era scritto negli occhi castani di Morien.

 

“Sai, sei il primo elfo che incontro che porta i capelli legati” disse Morien, senza abbandonare il suo sorriso pacifico, quando ebbe finito di masticare un morso del grosso pezzo di pane che aveva in mano.

“Io e mio fratello siamo identici. È l’unico modo per differenziarci” rispose Salmaye, ancora masticando. Morien sorrise di nuovo. Poi il suo sguardo divenne falsamente malizioso.

“Non ti credo” disse “Tu lo fai.. per differenziarti dagli altri elfi! Ma certo! Sono un maledetto genio”

Salmaye sorrise. In effetti era vero. I capelli lunghi erano faticosi e affatto originali. Forse la storia della somiglianza era davvero solo un modo stupido per riuscire ad essere diverso.

“Penso che faresti meglio a tagliarli se ho ragione”

“Tagliarli?” disse una voce dal buio “Nessun elfo ha mai avuto i capelli corti!”

“Oh, c’è sempre una prima volta, stupido Talmaye!”

“Stupido Talmaye” rispose il primo, ancora avvolto dall’ombra di quelle cucine “Stupido a me? E me lo stai dicendo tu, che mangi pane di grano duro con una ragazza nelle cucine di chi ci ha ospitati?”  Morien sgranò gli occhi. Il cuore nel suo petto smise di battere.

“Cos’hai detto, stupido fratello? Una ragazza? Questi è Morien, ed è uno dei fidi del signore di queste terre. E verrà con noi a casa. Stavamo facendo conoscenza”  Morien riprese a respirare. Rise.

“Un ragazzo..” ora Talmaye era tra loro. La luce soffusa della candela che Morien aveva acceso illuminava anche il suo viso alto. Fissò Morien per un istante. “Un ragazzo” ripetè.

 

Reimer aveva riunito tutto ciò che si erano portati dietro e se n’era andato alle stalle. Sapeva che Talmaye l’avrebbe intuito, o forse  che senza accorgersene vi si sarebbe recato naturalmente. Talmaye era molto particolare. Reimer si sedette sulla paglia sporca della stalla, accanto al suo bel cavallo grigio. Lo fissò per un istante. Cos’avrebbe dovuto fare? Come avrebbe potuto curarsi da solo da quello sfregio che si era aperto nella sua anima scura? Chi l’avrebbe mai aiutato se lui non avesse potuto mai rivelargli la verità? Basta. Basta pensare. Ora desiderava con tutto se stesso provare quel po’ di menefreghismo che rende le cose più facili. Si chiese perché. Perché provava quel sentimento assurdo ed ingombrante. Chiuse gli occhi. Le palpebre erano calde. In pochi istanti si abituò a quel calore. Sembrava che la testa dovesse esplodere. Due occhi di un azzurro tagliente. Questi comparvero nella sua mente, con violenza. Un naso sottile, lebbra rosee. E poi, infine, lunghi capelli castano chiaro. Era Miriel. La sua Miriel. Pensava che avrebbe smesso di sognarla dopo tutti gli anni infiniti che erano passati. Evidentemente si sbagliava. Osservò di nuovo la profondità di quegli occhi azzurri. Cercò di sfiorare la pelle di porcellana di quel viso bianco. Erano anni che non riusciva a farlo. Anni che non sfiorava quel viso di porcellana. Eppure quando la sua mano lo sfiorò, il viso divenne un altro. divenne quello dolce di una bambina. No, non era una bambina. I suoi occhi, nonostante avessero cambiato colore, mantenevano la stessa medesima espressione. I capelli corvini e gli occhi castani. Era Morien. Reimer sbattè la nuca contro il muro dietro di lui. Si chiese di nuovo perché. Una lacrima scivolò sulle sue guance stanche in quel momento il passo lieve di Talmaye, quello deciso di Salmaye e quello soffice di Morien fecero il loro ingresso nelle stalle di Cirdan. Reimer sorrise falsamente.

“Ci hai messo un sacco di tempo. Ero stanco di aspettarvi” si alzò. In quell’istante Talmaye seppe che mentiva.

“Che facciamo” disse “andiamo subito a casa?”

“Penso sarebbe la cosa migliore” rispose Reimer.

Salmaye rimase stupito di come Reimer e Talmaye parlassero attraverso sotterfugi. E di quanto questo gli portasse ad essere scortesi. Si volse verso Morien

“Tu ce l’hai un cavallo?”disse

Morien annuì.

“Andiamo a prenderlo” mormorò Salmaye “Lasciamo soli i due grand’uomini” Morien non comprese. Salmaye sembrava offeso.

L’afferrò per un polso e si allontanò.

“Che ti prende?” mormorò Morien

“Non gli sopporto quando fanno così. Si credono superiori a chiunque altro” Morien pensò che Talmaye fosse un ragazzino. Ma questo non era un demerito.

“Avere dei segreti che non possono essere rivelati non significa sentirsi superiori.”

Salmaye sospirò

“Qual è il tuo cavallo, quindi?”

“Se non vuoi parlarmene almeno fa in modo che risulti meno evidente” disse Talmaye con lo sguardo duro.

“Ci proverò, Tal. Ma ora smettila. Ti comporti come una donna gelosa”

Talmaye immaginò se stesso come lo aveva descritto Reimer. Rise.

“Si, hai ragione” mormorò.

Morien e Salmaye furono presto di ritorno. Il cavallo di Morien era davvero molto bello. Il cavallo più candido che Talmaye avesse mai visto. Proprio lui che detestava i cavalli bianchi.’A cosa serve un cavallo bianco se poi si sporca?’diceva. comprese di essersi sbagliato. Morien era già sul cavallo.

Un ragazzo, pensò Talmaye.ancora non si arrendeva all’idea che chiara balzava alla sua mente. Un ragazzo.

“Siamo pronti” disse Reimer. I tre elfi furono presto sui propri cavalli. La compagnia partì.

 

La notte era calata veloce. Reimer attese che Talmaye e Salmaye dormissero. A dire il vero anche Morien dormiva ed il solo cavallo di Reimer guidava gli altri. Ma ciò non era importante. Si avvicinò al cavallo bianco.

“Morien” sussurrò. L’elfa sussultò. Si stropicciò gli occhi.

“Arriveremo presto” continuò Reimer “e presto avrai la tua sfida”

“E’ Leannel, la mia sfida?”

“Dipende dai punti di vista”

Morien comprese. La sfida potevano essere i suoi sentimenti nei confronti di quell’uomo, le immense menzogne che sarebbe stata costretta a raccontare a chiunque le fosse intorno. D’altra parte Leannel era un ostacolo tangibile. Morien abbassò lo sguardo. Reimer prese lievemente il mento di lei tra le dita e fece in modo che lo guardasse negli occhi. Tutto questo non rientrava nella sua volontà. Il suo corpo si muoveva indipendentemente. La fissò un istante negli occhi.

Morien mormorò “Perché?” socchiuse gli occhi. Le loro labbra s i sfiorarono. Si trasse poi all’indietro. Reimer piangeva. Quelle lacrime che decisamente non si addicevano al suo viso. Lo baciò ancora. Le sfiorò le labbra col dito indice. Ora non piangeva più.

“Non c’è nessun ostacolo che non potremo affrontare” in quel momento Morien cadde di nuovo addormentata. Da quando era nato possedeva quella speciale capacità. E non c’era alcun perché. Né un percome. Succedeva in certi momenti. Quando ne aveva bisogno. O meglio non poteva farne a meno.

 

L’alba. Reimer non dormì per tutta la notte, assalito da quel misto assurdo tra gioia, passione, dolore e amarezza. Talmaye si avvicinò al cavallo scuro di Reimer.

“Quanto credi che manchi?”

“Due ore al massimo” rispose Reimer.

“Stavo pensando che Leannel si sentirà sfidata”

“Forse hai ragione”

“Infondo anche se non ci è dato sapere il perché, tu sei il protettore di Morien. E fino ad ora sei stato quello di Leannel. Riuscirai a interpretare entrambi i ruoli?”

“Direi piuttosto a intraprendere entrambi i lavori”  Talmaye rise. Reimer fece lo stesso. Poi, il più giovane dei due, fissò per un istante Morien. Reimer pensò che forse era già a conoscenza delle incomprensioni che avrebbe causato. Soprattutto se rapportata a un’incomprensibile come Leannel.

Passarono le due ore che Reimer aveva previsto.

Anche Salmaye era sveglio adesso, anche se piuttosto intontito. Morien dormiva ancora profondamente. Salmaye avvistò la porta dei giardini del palazzo reale.

“Come le presenterai Morien?” mormorò verso Reimer

“Glielo presenterò e basta” rispose questi. Salmaye rimase con lo stesso identico dubbio di un minuto prima.

il cavallo di Reimer nitrì e s’impennò. Talmaye bussò sulla grande porta in legno di quercia.

“Chi giunge al portale che da all’ovest?” disse una voce altisonante

“Siamo noi, Talie” rispose Talmaye. La porta si aprì. Salmaye si chiese come riusciva Morien a dormire ancora. le si accostò.

“Siamo arrivati” sussurrò. Morien si stropicciò la fronte. Si guardo attorno. Non era mai uscita dal suo palazzo. E non aveva mai visto delle porte così grandi aprirsi.

“Passando di qui” disse Talmaye a Reimer “arriveremo direttamente alle stanze del capitano. A volte penso che tu sia pazzo”

“Forse hai ragione” rispose Reimer “Ma se deve conoscere Morien lo farà immediatamente”

“Quindi” riprese Talmaye “Tu sei di quelli che corrono incontro alla loro sentenza, cercando di conoscerla ed espiarla il prima possibile. Come si dice? Per togliersi il pensiero”

“Si, forse è così. Non tutti sono bravi come te a  pensare”

“Questo non c’entra affatto”

Reimer si portò avanti col cavallo. Talmaye detestava lasciare i discorsi a metà. E Reimer lo sapeva bene.

L’elfo scuro salutò con un cenno tutti i guardiani, dalla sella del suo cavallo bruno. Tutti i viandanti lasciarono i loro cavalli nelle stalle della principessa.

I due gemelli si tennero indietro. La porta di Leannel si avvicinava pericolosamente.

“E’ pazzo?” sussurrò Salmaye

“Lo è” rispose il fratello. Morien rimase perplessa. Non era possibile che il capitano Leannel fosse davvero così terribile. O forse era peggio. Forse Leannel era solo innamorata di Reimer. Morien pensò che se così fosse stato sarebbe stato terribile.

Si accostò a Salmaye

“Senti Sal” mormorò la sua voce sottile “Tu credi che Leannel sia innamorata di Reimer” Salmaye rise. Aprì la bocca per rispondere. Ma era troppo tardi. La porta in legno d’ebano di Leannel era dinnanzi ai loro occhi

“Non ora” le rispose.

 

Leannel si rigirò nel letto. Percepiva la loro presenza. La presenza di quelle persone che le erano incredibilmente care. Ma c’era qualcosa che non andava. Come un piccolo errore di battitura in un libro bellissimo. Gli conosceva alla perfezione i passi dei suoi compagni. E c’era un intruso. Erano quattro. Un passo quasi impercettibile. Camminava accanto a Salmaye. No, ora si avvicinava a qualcun altro. a Reimer. Chi era questa persona? Perché camminava con Reimer? Reimer le apparteneva. Reimer le serviva. Sarebbe morta senza Reimer. Almeno così credeva.

“Eccoci mia signora” disse Talmaye bussando lievemente.

“Aprite” rispose Leannel.

Così fecero. La porta era socchiusa. Leannel doveva averli sentiti. Talmaye accennò un inchino con la testa. Prima che potesse piegarsi, però, Leannel gli fu al collo e l’abbracciò. Salmaye pensò che si fosse sbagliata. Che avesse visto male.

“Mi sei mancato, Tal” sussurrò. Eppure c’era qualcosa di innaturale. Salmaye non era tipo da accorgersi delle cose più del dovuto. Eppure Leannel aveva sempre abbracciato in quel modo solo Reimer. E poi c’erano i suoi occhi. Gli occhi velati di tristezza e di lacrime di Leannel erano colmi di disprezzo. E non erano rivolti verso Talmaye o verso di lui. Erano rivolti verso Reimer. Verso Reimer e verso il piccolo ragazzo che Reimer aveva al fianco destro e che guardava con gioia. Leannel non poteva sopportarlo. Reimer pensò che fosse una bambina.

“Tal, pensa tu alle presentazioni.” Reimer si voltò e se ne andò dalla stanza. Talmaye lo odiò per un istante.

“Vai, Salmaye, seguilo. Ed uccidilo se necessario, da parte mia” Talmaye era chiaramente arrabbiato. Reimer si era preso un impegno più grande di lui. E quando se n’era accorto era scappato. Stupido Reimer, pensò.

“Bene Leannel” riprese allontanandola “Questo ragazzo” si soffermò un istante su quella parola “Si chiama Morien. Ed egli è stato affidato a Reimer dal Carpentiere in persona”

Leannel sfoderò la sua collera.

“Quindi, Reimer si è preso un impegno grande come una vita e non mi ha detto nulla” si sedette. Talmaye aveva supposto una reazione più burrascosa. Leannel era infondo del tutto imprevedibile. Tenendosi la fronte con la mano disse

“Bene. Ora vattene. Lasciami sola. Sola col ragazzino” Leannel non sembrava arrabbiata, ma solo immensamente stanca ed addolorata.

Talmaye ubbidì. Se ne andò a sedere su una lastra di marmo bianco. Temette fortemente per Morien.

 

“Dove stai andando?” disse Salmaye col fiatone, giunto in fretta alle scale. Reimer aveva dimenticato quanto fosse veloce.

“La resistenza è sempre stata uno dei tuoi punti deboli” rispose

“Non fare lo scemo. Dove vai?”

“Vado lontano. Ho bisogno di allontanarmi da qui”

“Non mi hai ancora dato una risposta” Reimer stava salendo sul dorso del suo cavallo. Salmaye si impose davanti a questi. “Dove stai andando?” ripetè.

“Vado al sud, nelle terre degli uomini”

“Vai a bere? Talmaye mi aveva detto che lo facevi, ma non gli avevo creduto”

“Il nettare degli elfi non è liberatorio come la birra”

“Non hai bisogno di essere liberato. Quella è Leannel.”

“Leannel. Sempre Leannel. Non può sempre essere al centro dei miei pensieri”

“Non lo desidera neppure!”

“Questo tu lo dici. Non sei mai stato me”

“Hai ragione” silenzio “Ma..”

“Non parlare come tuo fratello, adesso”

“Voglio venire con te” Lo sguardo di Reimer divenne dubbioso e divertito.

“Voglio venire con te. Una volta hai portato Talmaye. Oggi porterai me”

“Promettimi che non parlerai come tuo fratello” Salmaye annuì. “Allora prendi veloce il tuo cavallo” Salmaye sorrise. Per una volta si era sentito più scaltro di Talmaye. E non aveva neppure avuto bisogno di uccidere Reimer.

 

“Tu, chi saresti?” chiese Leannel, languida, avvicinatasi a Morien.

“Io sono uno dei fidi del Carpentiere.”

“E che ci fai qui”

“Non mi è concesso saperlo” rispose. Mentì, ancora nulla la legava a quella donna.

“Quindi vuoi farmi credere di essere una di quelle persone che non sanno assolutamente niente” si avvicinò al suo volto. Morien fu sconcertata dalla sua unica, irruenta, sorprendente bellezza. Si disse che mai sarebbe stata bella come lei. E che non avrebbe dovuto mai preoccuparsene. Era un uomo, ora.

“Sappi che non ti credo” concluse la signora “Ma sei bello come un bambino e ti terrò con me. Infondo era necessario che Reimer trovasse qualcuno solo per se.” Le sfiorò il viso “Si, sei davvero molto bello. Resterai a mio fianco per sempre. Mi apparterrai.” Morien annuì. Ora capiva come gli altri suoi compagni riuscivano ad amare con tanta forza il capitano Leannel.

“Ora va da Talmaye e digli di non preoccuparsi. Non ti ho fatto del male.” Rise. Morien rispose allo stesso modo. Si alzò, accennò un inchino col capo ed uscì. Leannel l’aveva accettata.

 

Talmaye si chiese se aveva fatto bene a lasciare davvero Morien solo con Leannel. Comunque sembrava cha la sua reazione non sarebbe stata terribile. Questo non toglieva che si stesse tormentando. Perché Reimer e suo fratello non tornavano? E dov’erano andati? E perché Morien era dentro quella stanza da tanto tempo? Hai bisogno di una donna, pensò, e anche piuttosto velocemente.

“Siete tornati allora” disse una voce dietro di lui. Talmaye si voltò. Apparve un elfo bellissimo, dall’aspetto regale. Gli occhi chiari, verdi come la foresta, ed i capelli chiari, inusuali per quelle terre, ma che aveva ereditato da suo padre.

“Si, vostra maestà”

“Vostra Maestà?” rispose Legolas divertito “Chiami mia sorella ‘Lea’ e me ‘vostra maestà’?”

“Scusami, Legolas”

“Che ti prende? Sembri distrutto”

“Il viaggio è stato molto lungo. E poi..Reimer ha combinato qualcosa che non avrebbe dovuto”

“Parla più chiaramente con la tua ‘maestà’”

“Tu non sai perché Cirdan ci ha convocati” Legolas fece cenno di no col capo “C’è un ragazzino. Io non so il perché. Forse lo sanno solo Reimer ed il ragazzo. O forse lo sa solo Reimer. Insomma, gli ha affidato il ragazzino. E Reimer aveva intenzione di presentarlo subito a Leannel. Ma quando siamo entrati, Leannel ha fatto la stupida. Voleva provocare Rei, in pratica. Allora si è arrabbiato ed è fuggito. Ho ordinato a mio fratello di ucciderlo” Legolas rise tra se e se. Talmaye doveva essere molto agitato. E la questione doveva essergli molto a cuore. Non aveva mai parlato tanto confusamente. Ed aveva perso il suo solito menefreghismo.

“E,se tu sei qui” disse Legolas “dov’è questo ragazzino?”

“Leannel mi ha chiesto di lasciarli soli”

“Non è stata una bella mossa”

“Lo so, ma conosci Leannel”

“Si, la conosco” in quell’istante, Morien, rossa in viso, col suo sguardo perso costantemente uscì dalla camera. Entrambi gli elfi si stupirono che fosse illesa. Morien si stupì di essere fissata.

“Sto bene” mormorò

“Sta bene?” disse Legolas

“Sta bene” rispose Talmaye “Te la sei cavata ragazzino”

“Vado a parlarle” disse Legolas

“Chi era?” chiese Morien

“Il fratello di Leannel. Il principe Legolas”

“Non le somiglia affatto”

“Reimer dice che è stata lei stessa a fare in modo che questo sia avvenuto”

“Comunque non capisco la vostra preoccupazione. Leannel non è stata crudele né violenta”

“Ti sarai comunque accorta che non è ‘normale’”

“No, è molto superiore al normale” Talmaye rimase perplesso. Erano le stesse identiche parole con le quali l’aveva descritta lui, tanto tempo prima.

“Lo è. Penso che dovremo stare soli per un po’ di tempo”

“Dove sono andati Reimer e Salmaye”

“Non lo so, ma non torneranno presto” Morien si era seduta. Talmaye si avvicinò e la fissò negli occhi

“Lo so, che non sei un ragazzo. E so anche che nascondi qualcosa. Ma non indagherò oltre. E se lo farò lo terrò per me. Perché ho dato a Reimer la mia parola”

“Ti ringrazio.” Disse Morien abbassando il capo. Un istante di silenzio. Poi Talmaye riprese.

“Senti, a te piace leggere?”

“Si, ma è da molto che non lo faccio”

“Allora facciamo un patto” Morien annuì “Io ti do dei libri da leggere e ti insegno a parlare e tu..trovami una donna, ti prego. Sei così grazioso”

Morien rise. Pensò che chiunque fosse stato a far nascere dal suo ventre due individui tanto fenomenali doveva sentirsi veramente fiera. Solo poi scoprì che nessuno di coloro che avevano partecipato alla loro nascita era rimasto in vita.

 

“Come va?” chiese Legolas dolcemente “Ti sei comportata bene”

“So che ora rimarrò sempre più sola”

“No, non è vero. Reimer non sarà più il tuo giocattolo personale, ma sono orami tanti. Nostro padre non vorrà che chiami nessun altro.

“Si, e avrà ragione” Leannel si coricò di nuovo. Legolas pensò che anche con soli Talmaye e Morien avrebbe riposato e sarebbe rimasta a digiuno ancora per poco.

 

“Dove andiamo precisamente?” il vento soffiava forte nelle orecchie di Salmaye. Non sapeva che a Reimer piacesse in modo particolare correre sul suo cavallo. In quel momento ricordava in modo sorprendente Leannel. Il vento gli impediva quasi di respirare. Inoltre non era mai andato tanto a sud, dagli uomini. Ora erano gli occhi a bruciare. Decisamente non era abituato a cavalcare tanto velocemente. E soprattutto, Salmaye decisamente odiava cavalcare.

“Hai intenzione di rispondermi?” ripetè

Reimer non disse nulla. Salmaye giudicò questa, una risposta più che sufficiente. Nonostante comprendesse quanto Reimer fosse esasperato, Salmaye non era adatto alle cose fuori controllo. Quello era piuttosto Talmaye. Per un istante si chiese perché Reimer avesse voluto portare con se lui, fin troppo allegro e ignorante di tutto ciò che fosse più a sud di Lorien. Comunque sperava solamente che il viaggio sarebbe durato poco a lungo.

E dovette attendere ancora per qualche tempo.

Salmaye non immaginava che in un posto come quello potesse trovarsi una locanda, o qualunque cosa stessero cercando. Era nascosto da alcune sporgenze rocciose. Suppose che per trovarlo bisognasse conoscerlo. Si chiese come aveva potuto,Reimer conoscerlo, dato che prima di trasferirsi a Bosco Atro aveva abitato a Nord, in un luogo che neppure Leannel avrebbe saputo ritrovare. Forse qualcuno gliene aveva parlato. O forse lo aveva trovato da solo, per caso. In ogni caso forse glielo avrebbe chiesto.

Poi la vide. Era piuttosto grande. Una grande scatola nera fatta di legno antico, forse marcio. E decisamente non aveva un bell’aspetto. Pensò che non fosse un posto adatto ad un elfo. Reimer cavalcava lentamente. Aveva uno strano sorriso dipinto sulle belle labbra. Cavalcava come un re che torna alla sua dimora. Non gli piaceva affatto quel Reimer. Reimer legò la briglia scura del cavallo bruno ad un anello metallico. Scese con la solita grazia tagliente. Lo seguì Talmaye. Si chiese quanto tempo era passato da quando erano partiti. Ma non lo avrebbe chiesto.

Salmaye lo seguì in silenzio alla porta della scatola scura.

“Quanto resteremo?” mormorò.

“Sapevo che non avrei dovuto portarti con me” rispose Reimer, coprendosi il viso col cappuccio. Bussò. Poi lentamente spalancò la porta. Nel minor tempo che Salmaye potè mai calcolare un vecchio, evidentemente ubriaco, grasso e sporco, fu sulla figura perfetta di Reimer. Nello stesso tempo in cui l’aveva attaccato, la figura grassa si accasciò a terra, in un bagno di sangue. Reimer l’aveva ucciso. Salmaye si chiese perché, l’uomo che gli aveva insegnato ad uccidere solo quando strettamente necessario, aveva ucciso un uomo disarmato senza alcun ritegno.

Non ebbe tempo di mormorare un ‘cosa’ stupito che l’oste disse

“Temmer!” con voce rauca “Ormai era del tempo che non ti si vedeva”

Salmaye si guardò attorno. Nessuno era entrato prima o dopo di loro. Reimer evidentemente era Temmer. Lo guardò con aria interrogativa

“Già” rispose l’elfo scuro “Dei grossi affari mi hanno trattenuto lontano. Ma i sicari tornano sempre a casa”

Sicari? Salmaye si chiese se davvero il suo maestro era un sicario o se quella era soltanto una copertura.

“L’oste rise e con lui fecero lo stesso anche un paio di uomini a suo fianco. La taverna era certamente più puzzolente di qualunque altro luogo che Salmaye avesse mai visitato.

Fissò nuovamente Reimer per qualche istante. Chi sei? Si chiese. Il suo sguardo era cambiato. Era un altro. senza alcun dubbio. Eppure nel profondo di quegli occhi neri si leggeva che Reimer non era cambiato. Era lo stesso, infondo. Un sicario. Certe volte era evidente, che Reimer provasse piacere nell’uccidere orchi. Ma infondo erano questo. Solo orchi. Stupidi, crudeli, sporchi orchi. E non provava certo più piacere di quanto non facesse Leannel. Non capiva. Perché Reimer si faceva questo? Poteva davvero dargli il sollievo che cercava, fingersi qualcun altro?

“Chi è il ragazzino?” disse l’oste. La sua voce grossa e l’alito fetido svegliarono Salmaye dalle sue congetture.

Reimer rise e stropicciò i capelli lunghi di Salmaye.

“E’ mio figlio! L’avreste detto?” gli uomini attorno a l’oste risero

“Tuo figlio?” Disse uno “Non ha ereditato una sola goccia del tuo sangue!”

“Già. Guardate i suoi occhi! Forse è stata solo un’invenzione della donna che l’ha partorito!” ripetè l’oste ridendo. Salmaye si coprì il naso. L’odore era insopportabile.

“Rimarrai sempre il solito puttaniere!” disse una voce alle loro spalle. Salmaye comprese che chiunque avesse alle sue spalle doveva essere molto diverso dagli altri che stavano in quel postaccio. Non era una voce baritonale come le altre. Una voce sibillina, ma molto leggera.

Reimer era già voltato. Salmaye fece lo stesso. Era molto bello. Non avrebbe mai pensato di trovare uno come lui in un posto del genere. Un po’ come non si sarebbe aspettato di trovarci Reimer. Ma questi era di una bellezza differente. Era angelico. Etereo. E nonostante tutto chiaramente non era un elfo. Reimer sarebbe stato scambiato molto più facilmente in un puttaniere, un sicario o qualunque cosa simile. Se non si fosse saputo che era un elfo.

“Pensavo che non saresti arrivato oggi” disse Reimer abbracciando il ragazzo biondo.

“Tu mi devi della roba” rispose. Salmaye notò chiaramente che i due uomini si stavano scambiando un sacchetto molto piccolo. Reimer o Temmer o chiunque fosse gli diede del denaro. Poi gli si avvicinarono.

“Questo è Senner, ed è mio figlio”

Salmaye alzò due delle dita della mano sinistra.

“Che sguardo buono” disse l’uomo biondo, avvicinandosi. Ora li vedeva. Gli occhi di quell’uomo erano di un colore assurdo. Uno ricordava la pupilla di una gatto ed era giallo oro, rosso verso l’esterno. L’altro, il destro, era un normalissimo occhio blu.  

“Già. Ha preso da sua madre”

“Ti raggiungerò più tardi” il biondo si voltò. Salmaye non aveva mai pensato che qualcuno potesse credere che fosse davvero il figlio di Reimer. Erano decisamente stupidi, questi mortali.

“Lo hai portato per incattivirlo” disse uno di quegli uomini orribili

Reimer fece cenno di si col capo.

Poi fissò l’oste, estrasse il pugnale bianco e lo piantò sul bancone.

“Ora pensa a darmi una stanza”

L’uomo ubbidì. Sembrava avere una paura incontrollata di Reimer, nonostante la nascondesse grossolanamente. E anche Salmaye era spaventato. Il biondo, pensò, non mi piace affatto. È strano. Ma avrebbe aspettato di ritrovarsi solo con Reimer nella loro stanza.

 L’oste si allontanò col suo paso malfermo.

“Temmer?” mormorò Salmaye, seduto sul letto dalle coperte rosse

“Si, Temmer.” Rispose Reimer

“Non sapevo che tu avessi un'altra identità”

“Lo sapeva solo Talmaye”

“Hai ucciso quell’uomo senza alcun ritegno”

“Era grasso e povero, ed era un ubriacone. Gli ho fatto un piacere. E poi rientrava nella parte”

“Reimer, questo non sei tu”

“L’hai detto. Questo è Temmer” Salmaye si sentì come svuotato. Reimer era il suo unico punto di riferimento da una vita. “E tu, stupido ragazzino, farai meglio a coprire le tue orecchie di elfo se non vuoi che vengano tagliate. Questa gente è stupida ma è più ostile di quanto pensi”

“Non chiamarmi stupido! Sei tu lo stupido qui! Anzi, che ci facciamo noi qui?! Non starai meglio tornando a casa”

“Ancora non so se tornerò a casa. E comunque ti ho già detto che farai meglio a stare buono. Non fare il bambino. Capito Senner?”

Salmaye sospirò. Quello non era Reimer, solo qualcuno che ci assomigliava molto. In qualunque caso non lo era. Si sedette sul suo letto. Reimer se ne andò facendo cenno con la mano. Salmaye si lasciò cadere. Ripensandoci quel Reimer non era tanto lontano dal vero Reimer. Non era tanto impossibile. Poi si addormentò.

 

“Mi spiace Temmer, ma non posso farti un prezzo come questo dopo più di sei mesi che non vieni quaggiù” L’uomo, con la sua sfolgorante e crudele bellezza, gridò verso Reimer che, con lo sguardo perso sedeva in silenzio.

“Sei un mortale come gli altri” ripeté.

Ti taglierei tanto volentieri quella tua sciocca lingua mortale, pensava, se solo avessi idea di con chi hai a che fare.

“Mi serve”

“Serve a tutti quanti, e tutti quanti la pagano”

“Ma a me serve adesso”

“Ne vuoi troppa a un prezzo minimo”

“Che ti costa”

“Devo vivere anche io Temmer”

“Vivi sfruttando le debolezze delle persone, il loro dolore, le loro passioni. Siamo quello che i mortali definiscono amici. Ma tu decisamente non sei amichevole”

“Questo non c’entra” Reimer rise tra se e se. Sapeva di esercitare un fascino particolare su quel piccolo mortale. Era spaventato. Chiaramente si sentiva inferiore a lui.

“Hai sempre parlato troppo bene per essere un mezzo Gondoriano.”

“Ora tu dici cose che non hanno alcuna importanza. Dammi quello che voglio”

“Te ne darò quanta basta” il biondo prese dalla tasca due pelli contenenti dei pezzi di legno.

“E a mio figlio non pensi”

“Questa gente è stupida, ma io non sono come loro. Hai già portato un altro ragazzino identico qui, qualcosa come cinque anni fa. Anche allora aveva lo stesso aspetto e la stessa età. Nessuno se ne sarebbe accorto. L’oste è cambiato e gli uomini sono ubriachi per la maggior parte della loro sosta qui. Ma io non sono come loro” Reimer rise di nuovo. Non c’era niente di più ridicolo di qualcuno che si riteneva superiore a come fosse in realtà. Eppure per un istante lo assalì la paura. Paura che quell’uomo avesse scoperto che sia lui che Salmaye erano immortali. E che uccidesse Salmaye. Ma non era possibile.

“Ora vattene” disse al biondo

Salmaye si voltò di lato. Si chiedeva cosa fossero quelle stecche e cosa avesse intenzione di fare Reimer. Si chiese quando sarebbe tornato a casa. Si chiese perché fosse andato con lui.

“Alzati, ora” disse Reimer rivolgendoglisi.

“Non mi piace che tu sappia sempre se dormo o meno”

“Ti starai chiedendo” riprese Reimer “Cosa siano queste. Un paio di volte ho pensato di portarle a Gran burrone. Sono oro in legno. Forse servirebbero anche  a Leannel. Queste caro mio sono l’unica cosa che mi permette di non pensare.” Salmaye si ritrovò ancora più spaventato di prima.

Reimer trasse la stecca dal sacchetto e l’annusò

“Perché lo fai” quella di Salmaye non aveva più neanche il suono di una domanda “Leannel è tanto importante per te”

“Lo è. E per te sarà lo stesso. È un fardello impossibile da portare. Eppure io l’amo con tutto me stesso”

“Ma il tuo non è un amore convenzionale.”

“No, ma proprio l’amore ha reso tutto così insopportabile” Quelle parole per Salmaye rimasero per sempre un mistero. Salmaye pianse.

“Non masticare quella roba”

“Non fare lo stupido, piccolo mio. Trovati una ragazza, va da Cresius, e chiedigli di una ragazza. Non pensare a me stanotte. Non venire nemmeno qui a dormire. Non avrei dovuto portarti qui.” La mano ruvida di Reimer sfiorò il viso di Salmaye. Poi Si mise in bocca quello che gli aveva dato Cresius, il biondo, e  cadde addormentato. Salmaye decise che forse avrebbe seguito i suoi consigli.

Reimer dormiva un sonno innaturale. Si divincolava. Pareva ancora più triste che da sveglio. Ma forse quando si sarebbe svegliato non avrebbe ricordato più nulla.

Salmaye scese le scale arrivando alla locanda. Aprendo la porta scoprì qual’era l’attività del sabato sera.

C’era un gran caos. Molte ragazze ballavano. Ma soprattutto molti uomini le guardavano. Cresius era scostato dagli altri. Accanto a lui una mortale bellissima. Aveva lunghi capelli rossi, divisi a boccoli. Cresius la trattava con sufficienza. Evidentemente non la calcolava neanche come sua amante. Pensandoci avrebbe potuto essere anche sua sorella o sua figlia.

L’uomo biondo lo notò. Con un cenno della mano lo invitò ad avvicinarsi.

“Salve, figlio di Temmer” gridò. In effetti c’era una gran confusione.

Salmaye rispose con un cenno del capo, sforzandosi di sorridere.

“Cosa fa tuo padre?” chiese “E’ già crollato?”

Salmaye annuì di nuovo.

“Ah sono tutti così, quelli come lui. Come può sperare di non star male se la prende una volta ogni sei mesi? Sciocco.” Lo fissò nuovamente

“E tu, che ci fai qui?”

“Non lo so nemmeno io..” mormorò Salmaye. Era raro che non parlasse. aveva la lingua facile.

“Ti ha mandato tuo padre?” evidentemente Cresius non aveva sentito “Ah ho capito, vuole che ti trovi una ragazza”

Salmaye sospirò. Poi annuì.

“Crise vieni qua!” gridò Cresius “Questa è mia sorella. Divertiti. Oggi sei un uomo fortunato”

Crise non battè ciglio. Quasi ci fosse abituata. Lo afferrò per il polso e lo portò via. Suo fratello rise silenziosamente.

“Ma cosa…?” Salmaye allontanò il polso dalla stretta della ragazza. “cosa fai?” si guardò attorno. Non conosceva quelle pareti. In così poco tempo erano arrivati nella camera della ragazza.

“Cosa faccio? Sei tu che lo vuoi, no? Come ogni altro” Salmaye si sfiorò la fronte con la mano. Quella ragazza era solo una bambina. Forse agli occhi mortali di quelle persone anche lui poteva sembrare tale, ma in ogni caso non era così. E quella ragazzina, Crise, era sporca. Lo trattava come se fosse stato solo l’ultima di una lunga lista. Alzò lo sguardo. Crise, di spalle si stava togliendo la camicia bianca, sporca di vino. Era girata? Perché? Era una troia infondo. Salmaye da solo si chiamò stupido ed insensibile. Era una bambina. Si vergognava nonostante fosse assuefatta a quel genere di vita. Si voltò. Poi si sciolse i capelli rossi.per un istante ne fu fatalmente attratto. Infondo è raro che le capiti un bel giovane come me, si disse. poi, come già accaduto, si rimproverò. Non avrebbe mai potuto. Ed il piccolo seno bianco di quella ragazzina che non aveva certamente più di quindici anni gli fece capire che non poteva restare fermo. Non poteva lasciare che tutto accadesse. Né che Reimer si consumasse, o ci andasse molto vicino.

“No, rimettitela” disse. Crise lo guardò con uno stupore inconsueto.

“Cosa stai dicendo?” Crise si avvicinò a Salmaye. Lo baciò. Salmaye si sentì morire.

“Se sono i soldi che vuoi, li avrai ugualmente” Crise sorrise.

“Chi sei tu?” mormorò “Tu non sei un mortale come gli altri”

“In effetti non lo sono” rispose Salmaye. Nonostante tutto non credé mai che fosse quello il genere di differenza che realmente era tra mortali ed immortali. Questo perché poi, per tutta la vita rimpianse di non aver ricambiato il bacio di quella ragazza dai capelli rossi “Comunque dovrai aspettare un po’ per i tuoi soldi. Ho da fare”

Prima che Crise avesse tempo di rispondergli Salmaye fu fuori dalla sua stanza. Cresius lo vide correre ma non se ne curò.

Eccola. La sua porta. La spalancò così forte che temette di romperla. Al suo interno Reimer, il suo maestro, faceva quello che lui aveva combattuto con se stesso, con tutte le sue forze, per non fare.

Reimer era nudo tra le sue coperte bianche. Con lui, una ragazza molto bella, di una bellezza matura e seducente. Lunghi capelli neri ed occhi azzurri, taglienti come lame di ghiaccio. Chiaramente la bellezza i quegli occhi non aveva nulla a che fare con quella meravigliosa e triste di Leannel, o con quella degli occhi di Reimer, quegli occhi di cristallo nero.

Reimer pareva incredibilmente stanco e triste. Quasi gli stesse chiedendo scusa col suo sguardo meraviglioso.

Ma adesso basta. Ora era finita.

“Voglio andare a casa padre. E voglio andarci adesso” disse. Reimer si alzò a sedere. Sospirò. La ragazza gli occhi vogliosi chiedeva perché. Evidentemente il figlio di Reimer era più importante di lei. Ma ora lei era il male. Si rivestì grossolanamente.

Afferrò Salmaye per il collo e lo portò fuori dalla stanza.

“Cosa vuoi. Ti avevo detto di non farti vedere fino a domani.”

“Allora è così” rispose Salmaye con la voce sottile “allora non è vero che riesci a vivere. È una tua scelta, bastardo. Non riesci a vivere senza le tue troiette. Spero solo che con mio fratello tu non ti sia comportato così. Ci sputo sopra sull’irascibilità di questa gente. Di questi sciocchi mortali. Di tutti questi della Terra di Mezzo Hai trovato i peggiori. Ci sputo sopra. Voglio che anche i loro occhi putridi possano vederlo. Possano vedere quello che sei. E quello che sono” Salmaye afferrò il suo coltello. Uno ad uno i capelli della chioma corvina si ruppero e caddero. Ora Salmaye aveva i capelli corti, proprio come aveva detto Morien.

Reimer si sentì male. Erano anni che non sentiva il disprezzo nella voce di Salmaye. Da quando non parlava di suo padre. Chiunque lo avesse visto, l’avrebbe ucciso, ora. Quella gente desiderava l’immortalità degli elfi più di ogni altra cosa. E poi si ricordò le sue ultime parole ‘con mio fratello ‘. Rise. Salmaye rispose con un’espressione accigliata.

“Tu non sia cos’accadde quando tuo fratello venne qui.” Salmaye fece cenno di no col capo “No, non lo sai. Tu non sai perché non volevo che venisse di nuovo con me.” Una pausa “rimanemmo per cinque giorni. Alla fine del secondo tuo fratello si faceva tre stecche al giorno e almeno due litri di birra. Per non parlare delle donne” Salmaye rimase in silenzio. Quello era il posto dove il peccato attaccava le menti deboli. Si immaginò cos’avrebbe fatto Leannel se fosse stata lì. Poi vide suo fratello. Un dolore lacerante gli squarciò il petto. Forse era a causa di suo padre. “Fui costretto ad allontanarlo. Ed io stesso ne stetti lontano per del tempo. Ma non posso resistere tanto a lungo.”

“E che farai adesso? Tornerai là dentro? Tornerai là e continuerai a consumarti come se nulla fosse accaduto? Lascerai che mi perseguitino per le mie orecchie? Oppure che io gli stermini tutti?” Salmaye piangeva. Cos’era giusto allora? Se i suoi punti di riferimento erano deboli e tristi?

Reimer si voltò. Probabilmente era sua intenzione quella di tornare davvero nella stanza e ricominciare tutto come se nulla fosse stato. Ma poi lo ricordò. Ricordò quello che aveva pensato quando aveva trovato Talmaye in quelle miserabili condizioni. Pensò che non gli era mai riuscito niente nella sua inutile, malinconica vita. Che non era riuscito neppure a rendere Talmaye un elfo superiore a quelli come lui, o come Leannel. E poi pensò a lei. Pensò agli occhi castani di Morien. Ai suoi languidi occhi. E pensò che li aveva venduti al prezzo di una mortale, libidinosa e insapore.

“No, non lo farò” disse. Quindi afferrò Salmaye per un polso e lo condusse fuori dalla grande scarola nera.

“Cosa diavolo..”

“Faccio quello che hai detto tu. Andiamo a casa.” Ma in quel momento alle loro spalle giunse chi ormai non si sarebbero più aspettati. Cresius.

“Ci lasci già?” disse

Reimer fece cenno di si col capo, mentre Salmaye saliva sul suo cavallo grigio, nelle tenebre della notte.

“E dove vai?” riprese Cresius “A casa? Dov’è casa tua Temmer? Questa gente ti farebbe fuori se sapesse da dove vieni. Ti farebbe fuori anche se solo vedesse le orecchio di tuo figlio. Sai, l’immortalità è un dono che voi elfi non meritate” Reimer non sapeva perché un uomo crudele e stupido come Cresius avesse fatto delle ricerche del genere. Ma sentiva che adesso Cresius era una minaccia.

“Sarebbe stato meglio che me lo fossi tenuto per me” disse. Reimer afferrò l’arco e la faretra che aveva tenuto nascosto per quei due giorni. Tese l’arco. Cresius ebbe l’impressione che sarebbe morto. Salmaye non disse nulla, dato che detestava quell’uomo. eppure Reimer lasciò la presa, e non tirò. Gli risparmiò la vita.

“La prossima volta che verrò, fa in modo che quella roba sia meno cara”

Cresius sorrise. Non avrebbe mai immaginato di tornare vivo alla locanda, quella notte.

 

Morien tirò. Non era il centro ma ci andava vicino. Erano solamente cinque giorni che si trovava in quel posto. E Leannel pensò che fossero solo cinque giorni che tirava con l’arco. Ma le aveva posto la condizione di essere un guerriero per stare con lei. E Morien doveva stare con Leannel ad ogni costo. Talmaye le fissava da lontano. Visibilmente Morien sente la mancanza di Reimer, pensò. Ma mi chiedo come sia possibile che con tanta facilità le persone si innamorino di Leannel.

Intanto Morien non aveva letto nessun libro e Talmaye non aveva trovato nessuna donna. Desiderò con tutto se stesso di essere andato lui stesso con Reimer, al posto di suo fratello. Poi si disse che era uno stupido. L’ultima volta aveva combinato un guaio difficile da ripetere. Ed altrettanto era stato difficile tenerlo nascosto.

Leannel lo fissò un istante. Talmaye fece finta di non notare il suo sguardo. Quello sguardo talmente severo che riusciva a farlo stare male. E a nessun altro questo era concesso. 

“Ho fame, mangiamo qualcosa” disse Morien.

“E’ l’alba ormai” rispose Talmaye

“Ho fame anche io” disse Leannel.

A Talmaye fu dato il compito di trovare qualcosa da mangiare. Leannel non sembrava più di tanto turbata dall’arrivo di Morien, né dalla partita di Reimer. Eppure Talmaye temeva che Leannel s’innamorasse di Morien. Avrebbe potuto farlo. Rise, dicendosi che la sua era un’idea assurda. Prese del pane, del formaggio e del vino. Non era certo roba di classe ma andava bene per uno spuntino all’alba. Inoltre gli piaceva decisamente l’idea di essere all’alba, solo, con due donne bellissime. Si fermò. Forse aveva ragione Salmaye quando diceva che Talmaye era semplicemente innamorato di Leannel. Non era il momento di pensarci.

Tornato vide le due donne elfo, sedute sull’erba. Si disse che oramai forse anche Leannel, inconsciamente, sapeva che Morien era una donna. E anche della storia con Reimer. Il suo giocattolo, mormorò.

“Grazie” disse Morien. Leannel rispose solo con un sorriso che sapeva di qualcosa che rasentava la gioia. Talmaye comprese di non essersi mai sentito in un modo simile. Leggero, pensò. Morien era una cosa del tutto positiva, infondo. Reimer aveva sbagliato di parecchio i suoi calcoli.

Reimer. Chissà quando sarebbe tornato. E chissà come sarebbe tornato suo fratello. Forse Reimer, sotto l’effetto di quelle stecche, gli avrebbe raccontato la sua storia, quando era andato laggiù. Sarebbe stato molto doloroso per suo fratello. Si dispiacque, ma non in maniera esagerata. Gli sarebbe passata. Suo fratello era maledettamente forte. Non c’era nulla che non sarebbe riuscito a superare. Talmaye diede un morso alla sua fetta di formaggio.

Leannel nel suo stesso stupore si accorse di stare sorridendo.

 

“Incredibile, sei riuscito a portarmi via, senza rischiare di morire” Reimer disse, sorridendo. I cavalli rallentarono. Salmaye la poteva vedere, casa.

“Sembra di si” rispose. Reimer comprese che adesso avrebbe dovuto affrontare la realtà. Una realtà che, ai suoi occhi che non avevano seguito la trama della storia, poteva sembrare di una difficoltà insormontabile. Erano pressappoco le sei. Reimer lasciò il suo cavallo alle stalle di Leannel. Salmaye fece lo stesso. Salmaye sorrise. Non c’era un motivo ben preciso, sorrise e basta.

Reimer fu costretto a chiedere informazioni per riuscire a trovare Leannel e gli altri che non si trovavano nelle proprie stanze. Un cortile di pietra. Reimer guardò all’interno. Morien dormiva sulle cosce di Leannel. Quelle cosce che non erano più così esili come un tempo. O che almeno non lo erano quanto si era aspettato. Le carezzava i lunghi capelli scuri.

“Fa piano!” disse una voce alla sua destra. Si voltò. Talmaye. Salmaye sorrise e l’abbracciò. Si, Rei gliel’ha detto, pensò.

“Fa piano. Pensavi di esserle indispensabile. Ti sbagliavi. Siamo stati niente male quaggiù senza di voi. Potreste andarvene più spesso”

Salmaye lo guardò molto male. Talmaye rise.

“Che hai fatto ai capelli, idiota?” sussurrò

 Reimer avanzò in silenzio.

“ che ne pensi?” sussurrò dolcemente all’orecchio di Leannel, che ebbe un lieve sussulto.

“Si, è carina.. carino, già carino” Reimer rise di nuovo. Cirdan si sbagliava. O la menzogna non era affatto il suo talento o era circondato da persone fenomenali. Optò per la seconda possibilità.

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Capitolo 4
*** La più crudele- parte prima ***


Leannel ansimò. Era una situazione irreale. Sudava. Aveva paura. Le tremavano le ginocchia. Cosa stava succedendo? Contro cosa stava combattendo? Chi era davvero il suo avversario? Una domanda più semplice giunse veloce alla sua mente stanca. Dove si trovava? Come aveva potuto nescondersi agli occhi del suo nemico quando non era circondata da altro che dal buio?. Sospirò. Sembrava che tutto fosse destinato a finire, allora. O forse tutto era già finito. Si alzò in piedi.

“Chi sei e dove ti trovi?” gridò, accorgendosi di essere circondata dal niente.

“Chi sono?” rispose una voce suadente dal buio. “Chi sono io?” disse.

Leannel percepì il suono metallico di una spada sguainata. Di conseguenza, eccola, la sfoderò.

“Non so chi sei, né cosa vuoi da me. Ma per la prima volta nella mia vita ho paura. E non posso perdonarti un affronto simile” disse.

Silenzio.

La voce rise.

“Non puoi pedonarmi? Sei ridicola. E non hai idea di chi hai di fronte”

“Non ce l'ho. E mi piacerebbe molto farmela”. L'eria si spostò. Leannel comprese che il suo non era un avversario comune. Si spostò alla sua destra. Una lama si avvicinò al suo fiancò sinistro. Leannel rincorse la luce bianca dell'acciaio. Il suo nemico, la voce di donna, schivò il suo primo attacco. Le lame si incrociarono e striderono. Leannel reagì con tutta la forza che aveva in corpo. Il corpo cui apparteneva la voce si allontanò. Leannel saltò all'indietro. La lama fu inesorabilmente premuta sulla sua schiena.

“Sei ridicola” ripetè la voce.

Leannel gridò. La lama era entrata nella carne. La mano destra lasciò cadere la spada di acciaio lucente. La voce rise rumorosamente. Ma Leannel, ormai senza alcuna speranza, sorprese il suo avversario. Afferrò qualcosa di tagliente dalla faretra e disarcionò il nemico alle spalle.

Ora era lei a trovarsi in vantaggio. Il corpo della voce giaceva il suolò con la mano madida di sangue.

“Maledetta” mormorò. Leannel le puntò il pugnale sottile alla gola. Con un balzo che Leannel avrebbe ritenuto impossibile a qualunque essere vivente, la voce, afferrò con i piedi il piccolo pugnale e lo lanciò lontano. Leannel rimase un istante interdetta. L'avversaria ne approfittò per gettarla all'indietro con un calcio. Leannel saltò inpiedi. Sempre con l'aiuto del piede, la spada tornò tra le sue mani. Comprese che la voce aveva fatto lo stesso.

“Sta tranquilla” disse la voce “ancora non morirai” Leannel tremò.

“Chi sei? Cosa vuoi da me? Dove mi hai portata?” gridò

la voce rise.

“Hai paura. Una paura che ti gela il sangue, Leannel. E so anche perchè. Perchè io ti conosco, so tutto di te, conosco il tuo nome, la tua vita. E tu non sai niente. Non sai neanche dove ti trovi.”

“Ti taglierò la testa se non mi riporti dove mi trovavo”

La voce rise fragorosamente.

“Mi taglierai la testa? E che ne farai poi? Tu non sei niente! Tu non puoi niente”

Leannel gridò, lanciando il suo ennesimo assalto. Combatteva con una rabbia che le era sconosciuta. Non capiva perchè. Anzi no. Era chiaro. Non voleva morire per mano di una donna come quella.

“Ti ho detto che non morirai” ripetè la voce, apparendo alle spalle di Leannel.

“Non io, ma una di noi morirà” rispose Leannel

“Davvero non preferisci prima scoprire chi sono io?” Leannel sorrise, consapevole che la voce vedeva con chiarezza la sua espressione. Con i movimenti piùveloci che Leannel avesse mai effetuato, la spada della voce volò in alto e la figura esile di donna, cadde a terra, la spada contro il collo.

“Nessuno al mondo è in grado di sconfiggermi” disse Leannel

“Per oggi hai già detto abbastanza buffonate” Leannel non capiva. “Qui sono io che comando. Qui niente è reale, nemmeno io sono reale. Qui tutto ciò ch c'è di reale sei tu.Ed io detto le tue regole”

“Quindi io non posso ammazzare te e tu non puoi ammazzare me”

“Non esattamente”

“Chi sei?”

“Questa è la tua mente. Questa è la tua maledizione”

“Cosa c'entra?”

“Qual'è l'ultima cosa che ricordi?”

“Io...” rispose Leannel “ricordo gli Orchi. E gli uomini. Maledetti mortali traditori. Centinaia di mortali. Morien che gridava e Reimer che la salvava. E Talmaye con lo sguardo spento. Ne abbiamo ammazzati tanti. E poi... una freccia. Sono stata colpita da una freccia!”

“Esattamente. Quella freccia ero io. Quella bambina bionda ero io.”

“Allora tu...”

“No, io e te non siamo la stessa persona. Siamo due facce della stessa medaglia forse. Ma non siamo la stessa persona. Ho usato il trucco della bambina per confondere il tuo amico intelligente, e i tuoi occhi per confondere te. Mi avete reso tutto estremamente facile”

“Io non..”

“Non capisci? Capirai.”

“Chi sei?” Leannel si dimenò “Chi sei, maledetta, e cosa vuoi da me?”








Salmaye si svegliò di soprassalto. In un primo momento si chiese finanche il suo nome. Poi il campo si ristresse a dove si trovava. Non era decisamente da lui addormentarsi dove capitava. Eppure era successo. Indubbiamente si era addormentato in un posto che non era la sua camera da letto, a meno che non dormisse in un giardino di narcisi, circondato da pietre bianche. Ora che ci pensava non ricordava davvero cosa facesse da quelle parti. Ma non era importante. Cose del genere accadevano spesso.

Si stropicciò il viso e la pelle bianca. Poi i grandi occhi blu gonfi di lacrime.

Si chiese cosa fosse riuscito a svegliarlo. E poi si chiese da dove venisse quel rumore assurdo. Un rumore sordo, metallico e ripetitivo. Ma non si avvicinava lontanamente al rumore forte di un orologio. Piuttosto un rumore di battaglia. Uno scontro.

Salmaye pensò che in un’altra situazione non si sarebbe mai accorto che le stanze delle armature fossero tanto vicine. Quel palazzo era decisamente troppo grande. Non sarebbe mai riuscito a farci l’abitudine.

Si chiese cos’avrebbe fatto Talmaye al suo posto. Si rispose che non avrebbe fatto niente. Quindi era chiaro che la cosa migliore da fare era segiure il rumore. Dopo qualche tentativo Salmaye riuscì ad alzarsi. Le vesti stropicciate tornarono magicamente alla più perfetta della pieghe. Si chiese di quale materiale fossero fatte, ma la risposta non gli interessava. In effetti in nessun modo sarebbe riuscito a darsi risposta.

Seguì il rumore. Un corridoio. Poi un altro. i suoi piedi camminarono da soli, senza essere guidati dal suo cervello. Come del resto facevano spesso. In effetti l’udito di Salmaye era formidabile. Un ultimo corridoio. Una lunga stanza grigia, illuminata da alcuni grandi bracieri. Salmaye non aveva mai visto quella stanza dopo quasi 500 anni di vita in quei luoghi.

Quella stanza piacevole con grandi finestre e tende spesse, color rosso rubino. Sul muro era appeso il maggior numero di armi che Salmaye avesse mai visto. Ce n’era anche una analoga alla sua. Poi c’era un numero ristretto di armature appartenenti alla seconda era ed altrettante appartenenti alla terza. Ma ciò che di più lo colpì furono le marionette di questo teatrino. C’era una donna dai capelli castani. Bellissima. Forse la più bella che avesse mai visto. Sedeva su di una sedia dello stesso colore delle tende, osservando il resto della scena con uno sguardo tra il sadico, il truce, l’indignato e il divertito.

Davanti ad essa la figura sottile di un piccolo elfo che si muoveva freneticamente, secondo uno schema ben studiato, ed infliggendo fendenti alle armature che la circondavano.

Salmaye non seppe se trovare la scena ridicola oppure provare rispetto per il giovane elfo che si impegnava con tutte le sue forze e che , letteralmente, non faceva altro che allenarsi giorno e notte. Si chiese perché Leannel non avesse affidato anche Morien a Reimer.

Reimer era stato un ottimo maestro, dopotutto. Dopo tutti gli allenamenti assurdi e le innumerevoli assenze ingiustificate. Se non altro non li avrebbe mai fatti allenare ad un’ora in cui la notte era tanto profonda.

Rimase immobile per un attimo. Morien restava a patto di diventare un vero guerriero. Ma imparava in fretta. Non erano passati molti mesi da quando lo avevano portato. O forse erano anni, chissà. Era uno di quei tali che si impegnano con tutti se stessi. Invece, convenne con se stesso, Talmaye era di quelli che lavoravano meglio sottopressione (noto che fosse molto difficile mettere suo fratello sotto pressione), e lui stesso andava stuzzicato con gli argomenti giusti.

Morien combatteva sola a quell’ora della notte di fronte a quella donna bellissima. Sembrava quasi un quadro. E se nessuno aveva mai dipinto un quadro come quello che osservava Salmaye l’arte aveva mancato di una parte di bellezza. Da sempre.

Salmaye si chiese come riusciva ad amare una donna come Leannel. Così egocentrica. Così fuori di testa. Non riuscì a darsi una risposta. Restava tangibile, comunque, che l’amava.

“Evidentemente qualcuno è venuto a farci compagnia.” disse una voce melodica. Morien alzò lo sguardo e fissò Salmaye. Sorrise. Leannel gli lanciò un’occhiata. Morien riprese ad allenarsi.

“Che ci fai ancora sveglio” chiese Leannel

“Siete stati voi a svegliarmi.” Leannel sospirò. Fece un cenno con la mano a Morien che smise di combattere.

“Non mi sembra il momento adatto a restare svegli” concluse la donna elfo.

“Vi farò compagnia” rispose Salmaye.

“Avvicinati” disse Leannel in un sussurro. Poi sospirò. Salmaye fece ciò che gli era stato ordinato. Non capiva quale intenzione avesse Leannel. A dire il vero ai più era costantemente impossibile capire cos’avesse in mente.

“Questo non è un allenamento per quelli come te” disse la donna. “No, decisamente non lo è” con aria spaventata e confusa Salmaye fissò Morien nei suoi grandi, acquosi occhi castani. Era diverso dal normale. Aveva qualcosa che lo rendeva ancora più androgino del solito. Le labbra rosse. La pelle bianca. E poi in effetti non lo aveva mai visto con una camicia tanto stretta. Si sentì ancora più confuso che in principio. Leannel schioccò le dita davanti al viso del ragazzo, facendo tornare l’attenzione su di lei. Salmaye la fissò negli occhi che la notte acquisivano un colore ancora più tendente al grigio. Era ufficiale. Non capiva più assolutamente niente. I colori divennero sfumati. Lo sguardo di Leannel lo intrigava, lo avviliva e lo stregava allo stesso tempo. Ma poi la vide chiaramente. La vide avvicinarsi. Le loro labbra si sfiorarono. Il buio.

Salmaye cadde spino a terra.

“Sei stata cattiva” mormorò Leannel

“Dovevo esserlo, altrimenti avrebbe scoperto il nostro segreto” sorrise. In quel momento Morien si chiese quale essere su Arda sarebbe mai riuscito a restare indifferente a quella donna. “E poi” riprese “sono decisamente pi cattiva con te”

Morien capì che era il chiaro segnale di dover ricominciare a combattere. Ma era abbastanza decisa ad ottenere quello che Leannel voleva da lei. Anzi ne era convinta fermamente.


La mattina di un dodici dicembre, freddo per definizione, Reimer si alzò dal suo letto spazioso. Guardò alla sua sinistra. Evidentemente Morien non c’era. Tutti coloro che potevano avere l’ambizione di chiedere a Reimer il perché del fatto che Morien dormisse nella sua stessa camera da letto credevano che fosse per tenerlo d’occhio. Certo, non si sarebbero mai aspettati di vederli dormire costantemente nello stesso letto dalle lenzuola verde-acqua.

Reimer sospirò. Non ricordava che l’amore lo rendesse tanto possessivo. Chissà cosa le aveva fatto Leannel. O magari avevano parlato di cavalli e profezie per tutta la notte. Ne sarebbero state capaci. Reimer era fermamente convinto che se Leannel e la sua donna si fossero incontrate in un’altra vita, sarebbero state le migliori amiche e compagne della terra di Mezzo. Ma in questa vita, Morien doveva imparare a combattere e a proteggersi da sola e Leannel era impegnata per la maggior parte del tempo a sentirsi triste. No, non era vero. Leannel era molto sollevata dal poter sfogare i suoi istinti sadici su quella piccola ragazzina dolce.

La campana accanto al suo baldacchino verde suonò di nuovo.

Reimer si disse che la sua era cominciata come una giornata particolarmente sfortunata. Detestava parlare col re. Detestava il re, forse. Ma non era difficile fingere di essergli dedito.

Si alzò e si vestì nella maniera più veloce che conosceva.

“Fa in modo di renderti presentabile” disse una voce dalla finestra “Devo chiederti un favore” Leannel.

“Non ho nessuna di pensare adesso” rispose Reimer “annuirò”

“Non sarà tanto difficile applicarsi. O forse lo sarà”

“Cosa vuoi che gli dica?” Leannel entrò nella stanza e si avvicinò. Non aveva dormito. Ma non sembrava comunque stanca.

“Voglio che di tua spontanea volontà gli chieda di accompagnarvi nel vostro viaggio”

“Abbiamo un concetto lontano di ‘di spontanea volontà’. Comunque si, dovrò applicarmi”

“Ma tu lo farai per me, vero?” Leannel strinse il viso dell’uomo tra il pollice e l’indice e, per un istante, anche la sua volontà. Reimer pensava che Leannel non ne sarebbe stata più capace.

“Cosa ha intenzione di darmi tuo padre” chiese Reimer.

“Penso che si sia stancato di vedermi affidare Morien. Vuole testarla. Ed è stato avvistato un grumo di orchi ai confini del nostro territorio. A dire il vero anche più in là dei confini. Dovete ucciderli”

“Si, glielo chiederò” Leannel lo fissò con aria interrogativa “In primo luogo perché ho un animo misericordioso” sorrise “in secondo, perché è indubbio che senza di te non distruggeremmo mai un grumo di orchi” Reimer si chiese cosa intendesse Leannel per un ‘grumo’. Ma il senso non era tanto assurdo, infondo. Leannel sorrise timidamente. Non era abituata ad avere le cose senza doversi sacrificare. Ed aveva intuito che forse Reimer avrebbe chiesto comunque a suo padre di portarla con loro.

“Morien” mormorò la donna “ha dormito con me stanotte. Questa gente è stupida ma non penso che credano davvero che Morien sia Casto, oltre che molto ambiguo” Reimer sorrise. Poi si chiese se Leannel avesse raccontato alla gente del posto cose insensate, anche di quando aveva dormito nella stessa stanza con lui Talmaye o Salmaye. Poi rise di nuovo. Lo aveva fatto certamente. Cercò il suo sguardo di nuovo, ma se n’era già andata via.

“Cosa diavolo aspetti?” disse un’altra voce dell’altra parte della porta. Reimer si chiese se tutta la gente del posto lo osservasse mentre dormiva.

“Sto suonando questo campanello da minuti, ormai!”

“Si, Talmaye, sto arrivando.” Reimer mise su una giacca di pelle nera ed i primi pantaloni che gli capitarono sotto mano. Aprì la porta. Dall’altra parte Talmaye, vestito con precisione completa lo osservava severamente. Aveva il viso soddisfatto. Reimer pensò che si fosse allontanato, la sera prima.

“Non essere irruento. Parlavo con Leannel di cose importanti. Ci vorresti tu al mio posto. Maledizione detesto quell’elfo” sul viso di Talmaye si dipinse un falsissimo sorriso.

“Buon giorno anche a te” disse “Quell’elfo odioso ti sta aspettando. E forse proprio a causa di Leannel non ti concederà niente di quello che cerchi. È molto arrabbiato”

“Oh, va bene. Leannel mi ucciderà”

“L’importante è che non scappi prima” Reimer non ebbe il tempo di rispondere a Talmaye. Erano ormai davanti al portone della stanza del trono. Talmaye fece segno in silenzio a Reimer di abbottonarsi la camicia. Reimer lo fece. Con la mano Talmaye gli augurò buona fortuna.


Reimer entrò nella grande stanza bianca. Chinò il capo in segno di inchino.

“Fortunatamente siete arrivato” mormorò la voce suadente del re “Cominciavo a pensare che foste morto” lo odiava. La sua poca servilità sarebbe servita a ben poco. Dopo migliaia di anni che viveva là continuava a dargli del voi. E lui avrebbe dovuto fare lo stesso. Si chiese come da un uomo così orribile fossero potuto nascere un elfo così perfetto come suo figlio Legolas ed una creatura meravigliosa come Leannel.

“Evidentemente non sono morto” rispose. Il viso di Talmaye, sul fondo della sala si contorse. La diplomazia non era chiaramente il forte del capitano Reimer.

“No. Non lo siete. Comunque non siamo qui a parlare della vostra morte” Talmaye fu consolato dal pensiero che infondo Thranduil si fidava ciecamente di Reimer. Perlomeno non gli avrebbe tagliato la testa.

“Vi ascolto.” Rispose Reimer, sedendosi.

“Ci sono degli orchi, molti orchi, all’estremo ovest dei miei territori” Reimer detestò quel ‘miei’ “E siccome tu sei qui per proteggere al meglio questi territori, partirai con i tuoi uomini e li salverai” Reimer trasse un respiro profondo. In un momento come quello non poteva permettere di farsi tagliare la testa.

Annuì.

“Partirai questa notte stessa. Ti darò tutto quello che mi chiederai” colcluse il sovrano. Reimer annuì di nuovo. Deglutì.

“C’è una cosa che devo dirvi” disse “Io ed i miei uomini da soli siamo pochi. Avremmo bisogno del nostro capitano. Avremmo bisogno del talento di Leannel” il re lo fissò un istante pieno di disprezzo e rise.

“Mia figlia non sopravviverebbe ad un incontro del genere. E non posso permettere che la sua bellezza perfetta sfumi nel niente” Reimer chiuse gli occhi e strinse i pugni. Talmaye temette fortemente per la sua testa. Reimer sospirò. E poi uscì dalla stanza con Talmaye e suo seguito.

“Ce l’hai fatta sei stato bravo” disse il più giovane dei due “Purtroppo ora sarà Leannel ad ucciderti” Reimer non sentiva più niente. La stupidità di quell’elfo lo affliggeva. Come poteva non capire che la bellezza di Leannel sarebbe sfumata come quella di sua madre se non l’avesse lasciata combattere? Come poteva non capire che la bellezza estrema di Leannel non si fermava ai suoi occhi o al suo sorriso o al suo seno? Leannel era molto di più dei suoi occhi, del suoi sorriso o dei suoi seni. Leannel era Leannel. E suo padre non l’amava come tale ma come ricordo di sua madre. E la cosa più complessa era che Reimer stesso non riusciva a capire come la cosa avesse la forza emotiva di penetrare la sua dura sensibilità. Entrato nella sua camera pianse. Pianse lacrime alle quali non avrebbe mai saputo dare un peso od un nome. Forse erano lacrime stupide ma non poteva fare a meno di versarle. Non le avrebbe parlato. Non avrebbe potuto sopportare di parlarle.

Quando ebbe la forza di alzare il viso vide a suo fianco Morien che sorrideva.

“Perdonami, mi sono svegliata solo adesso” sorrise “Non è un uomo tanto stupido, infondo. Infondo ha chiamato noi per stare con sua figlia.” Reimer sorrise.


Talmaye sospirò. In effetti il suo obiettivo principale era sempre stato quello di rimanere al centro dell’attenzione. Ma sapeva bene di non conoscere se stesso abbastanza da conoscere il suo obiettivo. Proprio lui che conosceva sempre tutti. E non capiva se stesso. Rimaneva comunque il fatto che Talmaye detestava non essere ascoltato. E Reimer l’aveva ignorato completamente. Inoltre le parole sciocche del Sire Thranduil lo avevano seccato. Quell’uomo era completamente inadatto al suo ruolo. Poi pensò che forse se fosse stato lui stesso, Talmaye, a parlare forse sarebbe riuscito a convincerlo. Spesso il dolore rendeva le persone semplici. Thranduil ne era l’esempio lampante. Leannel invece dimostrava l’esatto contrario. Leannel. Forse si sarebbe arrabbiata davvero. O forse avrebbe capito. Leannel era imprevedibile quanto se stesso.

“Talmaye!” disse d’un tratto una figura esile che correva con aria scapigliata. “Cos’è successo? Perché non vengo mai informato!”

“Niente. Sal, non ti sei perso niente” Talmaye sembrava cupo

“Non sembra affatto dalla tua espressione” rispose Salmaye

“Va’ a preparare le nostre borse, dobbiamo andare a Ovest”

“Non ha lasciato che Leannel venisse con noi” mormorò Salmaye. Talmaye ebbe l’impressione che se davvero avesse voluto sapere qualcosa di più su se stesso avrebbe dovuto chiederla a Salmaye. Salmaye che non era dotato di una grande perspicacia e lo conosceva meglio di chiunque altro.

“No, non l’ha fatto.”

“Si, ci penso io alle borse. Tu vai dai cavalli” Quanto era maledettamente buono suo fratello, si disse Talmaye. Ma era l’unico fratello che mai avesse avuto e, anche se non avrebbero mai preso una decisione simile in tutta la loro vita, gli voleva bene. All’unica persona che riusciva a farlo sentire nudo. Poi ripensò a Reimer. Quella sua inutile sensibilità. Che gli impediva di uccidere un pirata disarmato in battaglia, ma non di tagliare la gola ad un oste. Non la capiva, Talmaye, la sensibilità. E forse era proprio questo ciò che lo intrigava di Leannel. La sua sensibilità atroce, egocentrica, portata all’eccesso. Ancora non era mai stato a letto con una donna che aveva tentato innumerevoli volte di tagliarsi le vene. Forse una volta ce l’avrebbe fatta ma non sarebbe stato amore. Per un istante, incamminandosi verso le stalle, si chiese se avrebbe mai capito l’amore o se lo avrebbe mai provato. Si rispose che infondo la cosa non gli interessava più di tanto.


La mezzanotte era passata da qualche minuto. Leannel aspettava al buio della sua camera. Aspettava di sapere se avrebbe potuto fare quello che desiderava. Morien si affacciò alla finestra. Leannel non aprì. Era Morien e non Reimer. Era chiaro qual’era stata la risposta. Fece cenno a Morien di tornare in camera sua. Maledizione. Maledetto. In effetti era già chiara quale sarebbe stata la risposta di suo padre. Fissò la scrivania. Il coltello che lei stessa aveva portato in camera dalle mense la tentò. Lo fissò per un istante. Fissò il suo freddo metallo lucente. Come poteva la stirpe elfica mettere tanta perfezione anche in un oggetto così inutile come un coltello da cucina? Si chiese se non avessero effettuato uno scambio nella culla. Magari era solo un mortale dotato di una grande longevità. Sorrise. Che cosa stupida. Guardò di nuovo il coltello. Eccola. L’idea giusta. Per una volta forse non avrebbe davvero tentato di uccidersi.


Reimer era già seduto accanto a Morien sul suo alto cavallo grigio. Morien sedeva su un altro, molto alto, e dal manto marrone. Talmaye li fissò.

“Vi scopriranno prima o poi se vi fate vedere sempre insieme” Reimer lo fulminò con lo sguardo. Forse aveva parlato troppo.

“Cosa stiamo aspettando.” Disse

“Salmaye, arriverà. Gli ho chiesto di fare le borse” rispose il più giovane dei due. Morien percepì chiaramente una certa sensazione di sfida.

“Non fate gli sciocchi, voi due” disse “Leannel non può venire punto e basta. Non è affatto colpa nostra”

“E se mentre siamo via si uccidesse? Si ucciderebbe perché tu” e indicò Reimer “Non hai saputo usare la lingua” Reimer era pronto a rispondere. Ma non lo fece. Trasse un respiro profondo.

“Mi dispiace” Talmaye sospirò. Per una volta aveva capito cosa fosse quell’inutile cosa chiamata emotività. E non gli era piaciuta. Solo Leannel riusciva a farlo sentire emotivo.

“Scusate. Scusate. Scusate davvero per il ritardo!” disse Salmaye, sempre correndo, sopraffatto da due borse nere. Proprio quel giorno che gli era sembrato di non dormire per tutta la notte. “Scusate ancora. scusa Talmaye, non trovavo i tuoi vestiti..”

“Hai preso i tuoi?” Talmaye a cose normali si sarebbe arrabbiato, ma sospirò.

Salmaye annuì, come previsto.

“Non c’è problema. Partiamo ora” intervenne Reimer.

Salmaye e suo fratello salirono sul dorso dei rispettivi cavalli.

La compagnia partì in silenzio.

Tre ore dopo Reimer era rimasto l’unico sveglio, assieme a Talmaye. L’elfo dagli occhi blu si avvicinò al suo maestro.

“perdonami”

“Non c’è problema”

“Si, c’è problema. Questa missione mi secca, quell’uomo mi secca, gli orchi mi seccano. E mi secca ancora di più che non ci sarà nessun nobile con cui parlare”

Reimer rise. Infondo Talmaye era legato in modo particolare solo alle cose futili.

“Mi chiedo davvero come sia possibile che le stirpi più importanti di questa terra lo reputino importante e saggio”

Reimer sospirò e disse

“Ha perso sua moglie. L’unica donna che mai ha amato. E l’ha persa in un modo orribile”

“Ma non può lasciare che il suo regno, compresa sua figlia vada in rovina e cadda insieme a lui.”

“Forse adesso porta un peso troppo grave per le sue spalle. Eppure neanche io riesco a perdonarlo.” Fissò un istante Talmaye “Tu non capisci le logiche del dolore”

“No, non le capisco. O meglio, so cosa sono e come funzionino. Ma mi sono assuefatto al dolore, molto tempo fa, come alla gioia” Reimer pensò che tutto quello che sentiva e che vedeva fosse molto triste. Talmaye conosceva l’animo umano nelle sue profondità più recondite ma non l’aveva mai sopportate sulla sua pelle. Talmaye pensò che forse la realtà era che la sua anima galleggiava in un mare di dolore, denso come il peccato.

“Tu pensi davvero che non ce la faremo senza Leannel?” chiese.

“Si, penso di si. Ma forse Leannel riuscirà a trovare un modo per raggiungerci. Se non lo farà, non nego che qualcuno di noi potrebbe cadere.” Reimer sorrise “Naturalmente mi auguro il contrario” Talmaye sorrise. Forse non si augurava il contrario. Forse sarebbe stato più facile se fosse stato proprio lui a morire in quel viaggio. Forse era davvero l’unico elemento sacrificabile. No, si augurava il contrario. Annuì. Reimer gli fece cenno di dormire, ma Talmaye scosse il capo. Poi tirò a sé le briglie del cavallo e si allontanò. Andava a fare un giro di circospezione. In realtà Reimer si rese conto che Talmaye aveva bisogno di restare solo.


Ore cinque del mattino. Talmaye non era ancora tornato mentre gli altri compagni continuavano a dormire candidamente. Reimer cominciava a sentirsi preoccupato. La notte sussurrava voci di morte e sangue. Gli orchi non erano lontani in modo particolare. Anzi forse erano intorno a loro. Forse avevano ucciso Talmaye, ed avrebbero ucciso anche loro. Reimer sospirò chiedendosi come aveva potuto giurare a Salmaye di non bere più. No, Talmaye non sarebbe morto prima di lui. Non lo avrebbe permesso.

Fruscio tra le fronde scure. Reimer respirò più silenziosamente. Altri fruscii. Non era il vento. Non erano orchi e soprattutto non era Talmaye. Era come un rumore sovrumano. Qualcosa di diverso. Nel peggiore dei casi, pensò Reimer, poteva trattarsi di un Nazgul. Se così fosse stato, non ci sarebbero state speranze. Ma gli animali sarebbero sembrati scossi se nelle vicinanze fosse stato un male del genere. Reimer scese dal cavallo nella maniera che riteneva la più silenziosa. Si avvicinò a quelle fronde. Lentamente. Poi, uno scatto. Un alto cavallo nero, completamente nero, dalle spalle larghe e lo sguardo fiero giunse alla lama della sua spada. Non ne fu comunque ferito. Il cavallo rimese immobile.

“A volte” disse la voce del cavaliere “mi chiedo se in tutti questi anni sia cambiato qualcosa”

“Che cosa ci fai qui” non era una domanda, quella di Reimer. Era un ordine. Leannel pensò che quei luoghi lo rendessero teso.

“Che ci faccio qui? Combatto, soffro, rido, e muoio con i miei sottoposti” Leannel sorrise. Reimer rise.

“Come hai fatto”

“Oh, questa è stata da manuale. Neanche a Talmaye sarebbe venuta un’idea del genere”

“Gli hai detto che ti saresti uccisa?”

“No, decisamente peggio. Gli ho detto che avrei bruciato, tagliuzzato, corrotto il mio corpo ed avrei sofferto tutte le pene possibili. Solo dopo mi sarei uccisa e a lui non sarebbe rimasto neppure il mio viso.”

“Sei la più crudele di tutti noi”

“Lo so perfettamente” Reimer e Leannel non si trovavano tanto in sintonia da anni. Questo era perché la donna aveva finalmente ottenuto ciò cui anelava.

Risero ancora insieme. Poi Morien mugolò e decisero che non ’avrebbero svegliata.

“Credi davvero che sia pronta?” chiese Reimer

“Sinceramente no. Ma se la caverà. È circondata da chi combatte da quando è nato”

“Si, hai ragione”

“E poi, se dovesse essere in pericolo tu le offriresti la tua vita”

“Non capisco di cosa parli. A chi ti riferisci rivolgendoti a ‘lei’?”

Leannel sorrise.

“Non so di cosa parlava Cirdan quando diceva che il tuo dono era la menzogna.”

“Neanche io”. Leannel si guardò intorno. Il bosco si faceva rado. Forse adesso non era più neanche bosco. Stavano varcando il confine a Ovest del Bosco Atro.

“Dove si trova Talmaye?”

“Temevo che fosse morto prima che arrivassi”

“E adesso?”

“No, non morirà”

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Capitolo 5
*** hai mai visto Leannel, una bambina bionda nel bosco? Parte seconda ***


Leannel respirò affannosamente. Le due mani che stringevano l'arma tremavano.

“Non mi hai risposto” disse “Chi sei, maledetta!” Gridò. Prima che potesse fermarla una lacrima cadde sulle sue guance.

“Stai diventando pallida, sai?” mormorò la voce “devi essere piuttosto scossa. Chiunque lo sarebbe, del resto.” Leannel sorrise. Non avrebbe mai pensato di poter essere tanto tesa. Eppure, era evidente, era spaventata. Aveva freddo.

“Si, Leannel, hai freddo. Hai freddo e paura. E la cosa che più ti terrorizza è il fatto stesso di avere paura. Sei estremamente divertente” Leannel credette di non farcela più. La tesrìta girva freneticamente. Inoltre la voce aveva cominciato a farsi più penetrante. Sembrava entrare nel profondo della sua anima ed uscirne. Sembrava averla in pugno. No, non poteva sopportarlo. E quella donna era orribilmente irritante.

“Che cosa vuoi da..” la mano destra di Leannel lasiò la presa. Ogni muscolo del suo corpo era diventato rigido e doleva. Del sudore freddo cadeva sulle tempie. Stava cadendo. Cadendo nel buio ancora più profondo di quello di cui era intrisa. Non poteva lasciare ce accadesse niente di simile. “Cosa vuoi da me”

La voce rise.

“Si, hai una paura folle. E se io lo vorrò, tra breve cadrai a terra svenuta. Qua la tua volontà non può niente. Ora, abbassa la tua arma. Ti ho detto che per questa volta non morirai”. Sempre puntando la spada corta alla gola dell'avversario, Leannel le fece cenno di alzarsi.

“Così va molto meglio” disse la voce. Leannel sorrise. Afferrò la stessa spada corta e vibrò l'arma. Dalla guncia spigolosa della voce caddero delle gocce di sangue. Un sotile solco rosso si aprì sul suo volto.

“Mentivi”

“Dipende dai punti di vista. Rimane il fatto che io non sono reale. E quando tornerò ad essere me la guancia non sanguinerà. Invece la tua schiena continuerà a sanguinare.” Mentre parlava, la voce spostò l'arma di Leannel con la sua.

“Se tu e la bambina eravate la stessa cosa, che ci fai tu qui?”

“Già, quella bambina. È morta, non è vero?” disse la voce con una semplicità spaventosa “Ho solo preso possesso del suo corpo. Era davvero figlia di quella donna. Ma lei è morta ed io l'ho lasciata morire” Leannel si sentì colma d'ira. Ma poi disse a se stessa che Talmaye non ne avrebbe mai saputo niente.

Leannel sorrise. Ora la vedeva. La voce. Ed aveva un viso bellissimo. Un viso selvatico triste e spavaldo. La frangia mora cadeva sulla fronte, mentre i capellierano rinchiusi in qualche piccola treccia. Era vestita da guerriero. Le ricordava se stessa. E poi c'erano i suoi occhi. Occhi particolari. Occhi di un colore che Leannel non aveva mai visto. C'era una grossa parte di blu, in quegli occhi. Occhi che avevano il sapore amaro della rabbia. Occhi che sapevano di fuoco. E poi, lo vedeva ancora più chiaramente, in quegli occhi c'era del rosso. Occhi decisamente improbabili. Non potevano appartenere a nessuna razza con la quale Leannel avesse mai avuto a che fare. Uno sguardo maledetto.

Leannel pensò che in un momento come quello, l'abilità principale di Talmaye le sarebbe rimasta immensamente utile.

Solo poi si rese conto che la voce era di una bellezza sconvolgente. Presa da un istante di civetteria si chiese quale delle due fosse più bella. Si rispose che probabilmente non l'avrebbe mai saputo. Solo a lei stessa era concesso di vedere la bellezza scolvolgente della voce. Poi, una vampata di disgusto. Quegli occhi crudeli. Perchè se lei stessa si era sempre sentita sporca, il suo avversario la superava nettamente.

Aveva gli occhi sporchi. Era un male da indossare, il suo. Quello della donna bellissima, dagli occhi malvagi, le calzava addosso da quando era nata.

Forse non aveva mai visto nulla del genere. Gli orchi, ad esempio, non erano che macchine. Erano nati dal male ed al male sarebbero tornati.

Poi, per un'istante fu felice che la donna avesse scelo proprio lei. Ora aveva un vero nemico. Gli uomini non erano nemici, e neppure gli orchi. Erano tutti rozzi, o stupidi, o tutte e due. La voce lo sarebbe stata. Si, la voce le avrebbe dato una nuova spinta verso la vita. La vita che sarebbe stata solamente una sfida, fino alla fine.

Ma fu un istante.

Come di frequente, stava prendendo la situazione sottogamba. Si diede più volte di stupida e tornò ad osservare il bel volto della voce.

Questa, con la pelle bronzea, accese a terra un piccolo fuoco. In quel gesto semplice, Leannel, percepì un fondo di lealtà. Ora erano sullo stesso identico piano. Leannel la vedeva con la stessa identica chiarezza.

“Non ti credo” disse Leannel.

“Fa' come preferisci” la voce si sedette e fece cenno a Leanne di fare lo stesso. L'elfo si sedette. In realtà, se quello davvero si trattava di un sogno, era immensamente realistico. La schiena doleva. Cominciava davvero ad avere freddo.

Leannel fissò l'avversario negli occhi.

“Vuoi davvero sapere chi sono?” Leannel rimase sbalordita. Mosse il capo.

“Io non lo credo. Tu sei fatta così, Leannel. Ti piace crogiolarti nelle tue idee. Crogiolartici così tanto da affogare. Adesso hai una certa idea di chi io possa essere. Se io ti dicessi il contrario probabilmente non mi crederesti”

“Così, però” rispose Leannel “Sei tu ad essere sleale. Se mi conosci tanto bene da prevedere quello chesto pensando. Io non conosco nemmeno il tuo nome”

“Non credi che sia presto? Ti accompagnerò fino alla fine dei tuoi giorni. Pensavo di procedere con più tranquillità”

“Peccato” Leannel estrasse il suo pugnale sottile dallo stivale e lo puntò alla gola della donna “peccato che non avevi considerato una variabile. Non avevi considerato me” sorrise.

“Avevi detto che saresti stata brava” la donna dagli occhi purpurei afferrò la lama sottile con le mani nude. Il sague cadeva leggero ma sembrava non le importasse.

“Non ricordo di aver mai detto nulla del genere” Leannel trasse verso di se, con la violenza che non le si addiceva, l'arma sottile; le mani rimasero ferite ed il coltello finì sul petto della donna.

“Allontanati” mormorò la voce. Una forza he le era sconosciuta spinse Leannel lontana dal corpo dell'avversaria, che sembrava non aver più alcuna voglia di combattere. Forse non aveva mantito. Forse era davvero tutto nelle sue mani. O forse quella pietà che credeva perduta, era tornata a farsi viva nel momento più sbagliato.

“Io” la voce si alzò. Leannel stesse all'erta anche se quello, più che un gesto di guerriera sembrava uno di narrante. “Io non appartengo a nessuna delle razze che tu abbia mai conosciuto. Forse perchè hai sempre conosciuto le persone sbagliate. In ogni caso io sarei stata comunque differente. Ce ne sono pochi come me. Anzi, a dire il vero due. I miei fratelli. Non ne saprai mai niente a meno che qualche mortale idiota non decida di muovere una guerra seria, che impegni l'uso di più che sciocchi orchi o di stregoni corrotti. Neppure io sono a conoscenza di come è avvenuta la mia nascita. O almeno il mio signore non hai mai ritenuto il caso di riferirmelo. Rimane il fatto che in me ci sia qualcosa di lui. Forse questo è tutto ciò che mi ha tenuta in vita. Se questa può definirsi vita. Immagino tu abbia già capito a chi mi riferisco con 'il mio signore'” Leannel divenne seria ed annuì. Si trattava di Sauron. Di altri non poteva trattarsi. Tremò. Con chi aveva a che fare?

“I miei fratellidi cui ti ho parlato sono Sima e Sial. Il mio signore gli adora. Sono a sua fianco. Sempre. E poi ci sono io. Io vivo qui”

Silenzio.

Leannel provò per un'istante una grande pena.

“Io non sono niente se non il mio signore. Io sono lui, io vivo per lui. Questa è la mia gabbia di niente. Questa che tu vivi è la mia vita. Tu penseresti che il mio signore è malvagio. Ti sbagli. Lui mi ama. Non vuole che il mondo mi sporchi. Mi lascia uscire quando lo ritiene necessario. Quando riesco ad utilizzare il dono che mi ha fatto. Si, lui mi ama. Lui mi ama.

Penserai che sono pazza e probabilmente hai ragione. Il male porta alla follia. Ma anche io, da pazza, ho un potere così immenso che non puoi nemmeno immaginarlo. Quel potere che tu desideri tanto. Me la concederesti, la tua libertà per il mio potere? Penso di no. Quando tutto finirà, in ogni caso, finirò anch'io. Spero che finisca presto.

Era tanto tempo fa. Fissavo la vita, dall'alto, e ti ho vista. tu. Siamo così identiche. Non so come sia possibile ma in noi due scorre lo stesso sangue. La stessa linfa. Sei travagliata ed infelice. Non sarai mai altrimenti, del resto. Anche tu ami uccidere, vero? E poi, lo sai perchè ti ho scelta? Perchè sei un'elfo. Siamo opposte. E sai cos'hanno di bello gli elfi? Sono immortali. E cosa esiste di più eccitante che uccidere qualcosa di eterno. Qualcosa di immortale?”



Talmaye vagava solo tra le frasche scure. A volte si chiedeva a cosa servisse la sua solitudine, e se non sarebbe stato più semplice essere nato stupido come tutti gli altri. Oppure si era sempre sbagliato. Forse tutti erano nati dritti e lui solo era nato storto. E per questo stesso motivo era attratto da una donna storta come Leannel o da un uomo storto, come Reimer. E per questo stesso motivo era attratto da quei perfetti esempi di rettitudine che erano suo fratello e Morien. No, forse Morien era un paragone sbagliato. Sembrava un perfetto esempio di rettitudine storto con la forza da mani malvagie. O forse era tutto nel suo sangue. Era impossibile pensare che nelle vene di quella creatura, potesse scorrere il sangue dell'elfo, allo stesso tempo migliore e peggiore che avesse mai abitato la Terra di Mezzo. E inoltre, anche se con scarso risultato non avea fatto altro che mentire, per tutto il tempo.

Avrebbe dato tutto quello che possedeva per essere nato diverso. Anzi, per essere nato normale. Sarebbe nato a sud, forse in un villaggio di quegli uomini dai capelli biondi di cui Reimer andava tanto parlando. Avrebbe avuto tre figli maschi, dopo essersi sposato con una bella donna, dagli scompigliati capelli biondo grano e gli occhi blu. Avrebbe avuto il suo fazzoletto di terra e coltivato maiali e mucche. L'immagine di se stesso tra maiali e mucche lo fece sorridere. Ed avrebbe vissuto così, fin quando la morte non se l'avesse portato lontano. In effetti in più di un'occasione aveva pensato a qualcosa di simile. Un po' come aveva fatto Reimer, ogni volta, recandosi alla locanda tra le montagne. Rise di nuovo, rendendosi conto che il suo era un desiderio infantile e, soprattutto impossibile da realizzarsi. E si chiedeva come potesse la gente reputarlo tanto freddo e calcolatore, dato che l'unica cosa che gli faceva sembrare questo sogno così impossibile erano i suoi compagni. In realtà, era innegabile, non avrebbe mai potuto lasciare nessuno di loro. I suoi compagni, che erano poi, tutto ciò in cui era certo di credere.

Era notte ed in quel momento un ramo sbattè sulla sua fronte, riportandolo alla realtà.

'Perchè diamine ti sei allontanato dagli altri?' si disse pensando che il suo obiettivo primario, fallito, era quello di non pensare. Trasse un profondo respiro e, tirando le briglie, ordinò al suo cavallo di andare più velocemente.

Forse non si sarebbe mai ricongiunto con se stesso, alla fine di una galleria buia. Ma adesso non importava. Qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe rimunciato alla sua vita fragile.

Si voltò. Aveva percepito dei passi leggeri nella notte. Poi un tonfo. Di certo nom una creatura adulta. E non un'elfo.

Talmaye ordinò al suo animale di avvicinarsi lentamente. Sfoderò la sua lunga lama.

La bambina cadde riversa all'indietro.

Evidentemente fuggiva da qualcosa.

I perduti occhi verde acqua fissarono Talmaye.

“Chi sei?” Chiese l'elfo

“Non è importante chi sono io.” l'elfo rimase impassibile.

Talmaye avvicinò la lama al colla dell'esserino biondo. “l'importante è chi sei tu” concluse la bambina

“La tua vita è in mio potere; percui se è qualcuno di importante a mandarti, identificati” rispose Talmaye.

“Tu sei Talmaye, vero?”

L'elfo si allungò ad osservare meglio la bambina. Il naso dolce e le labbra sottili. La pelle bianca sporca di terra. Ed i suoi occhi.

Avrebbe dovuto ricordarsi di non guardare i suoi occhi. Talmaye tremò.

“Come conosci il mio nome?”

“Tutti lo conoscono”

“La mia fama è oscurata da quella dei miei superiori”

“E' vero, ma se la tua è grande la loro è enorme”Talmaye sorrise.

“Cosa vuoi da Leannel?” chiese

“Io?Io...” la bambina rimase perplessa “devo dirle delle cose. Mi hanno mandato quelli della mia gente”

“Bene” Talmaye trasse un profondo respiro “io non mi fido di te. Ma ti porterò da Leannel”

la bambina esplose in un grande sorriso e salì goffamente sulla groppa del cavallo.

“Maledizione” mormorò Talmaye mentre una lacrima cadeva sul suo collo.



Leannel fissò per un istante il cielo che andava lentamente rabbuiandosi.

Con l'aiuto di Salmaye Reimer aveva terminato di montare le due tende. Morien li fissava con aria perplessa.

“Da quando in qua possiamo permetterci il lusso di dormire in delle tente?” disse. Reimer sorrise.

“Questa non è una missione come le altre. Possiamo prendercela con calma” rispose.

“va bene con calma ma tra noi c'è chi esagera” mormorò Salmaye, rivolgendosi chiaramente al fratello. Leannel rise.

“Conosci Talmaye. Arriverà. Saprà cavarsela” rispose Morien.

“Lo sa fare fin troppo bene” rispose Salmaye

“Penso che sarebbe meglio se te ne andassi a letto, Sal” disse Reimer. Morien rise. Salmaye si dimostrò ancor più irritabile di quanto avvessero previsto.

“D'accordo” gridò “ Me ne vado a letto. ma sappiate che io so che volete solo parlare tra di voi di qualcosa che non volete che io sappia.”

Salmaye si ritirò nella tenda posta alla destra del fuoco.

“Lo hai fatto arrabbiare” disse Morien.

“Si, è vero, cara la mia bambina” rispose Reimer. I due si avvicinarono.

“Già, cara la mia bambina. E' tardi e domani sarà una giornata difficile” disse Leannel, sorridendo, ironica. Morien le rispose con lo sguardo. Stupida, si disse. Salmaye avrebbe potuto essere ancora sveglio.

“Ti consiglio, cara la mia bambina, di andare a dormire” Reimer fissò Leannel pieno di uan rabbia divertita. Morien sbuffò ed entrò nella sua tanda.

“A volte mi chiedo” mormorò Leannel, sedebìndosi accanto al fuoco “come sia potuto venire in mente a qualcuno di mettere in mano un segreto del genere a due inetti come voi”

“Anche io me lo chiedo” rispose Reimer, facendo lo stesso. I due risero. Leannel rise più forte del normale.

“Che ti prende?” chiese Reimer

“Salmaye. E' così buffo”

“In effetti lo è” Reimer rise “ma resta il fatto che ha ragione”

“Pensavo fosse tuo compito darle sempre ragione” disse Leannel indicando la tenda dove dormiva Morien.

“Lo è. Ma solo quando lei c'è” Leannel rise di nuovo.

“Dovi pensi che si trovi?” chiese l'uomo

“Non troppo lontano. E poi Talmaye ha la pelle molto dura. Arrivarà prima dell'alba”

“Altrimenti?”

“Altrimenti sarà morto e tanti saluti alla missione”

“E soprattutto tanti saluti a noialtri”

Leannel si grattò la fronte. Non si era resa conto del pericolo cui andava incontro.

“Credi?” chiese. Reimer fece cenno di si col capo.

“A meno che non scappassimo. Ma non lo faremo..”

“No. Se accadesse una cosa del genere fa quello che non faresti mai”

“Di che parli?”

“La sciami indietro. Li rallenterei. E non ho paura della morte”

“Io” Reimer non era affatto perplesso. Ma non poteva risponderle di si. “Quei due non si lascerebbero portare via”

“No, tu non li porteresti via. Sei sempre il solito, Reimer”

“Ho l'odioso difetto di esistere. Comunque adesso non ci resta che sperare che Talmaye sia vivo”

Leannel trasse un respiro profondo “Sarebbe stata l'occasione perfetta di morire. Ci sarebbe stata guerra, onore ed eroismo. Ma non posso permettermi di perdere la vita di Talmaye per perdere la mia stessa vita”

Reimer sorrise. Rimasero in silenzio

“Dove dormirai questa notte?”

“Già dove dormirò. Siete stati gentili a non pensare a me” Reimer la fissò con aria interrogativa. “in ogni caso mi sembra chiaro che dormirò con voi due”Reimer la guardò allo stesso modo per qualche secondo.

“E' divertente vedere Morien fingere di non sapere quello che lei non vuole che io sappia.”

“Pensa che io avrei giurato che volessi mettermi i bastoni tra le ruote” ripose Reimer.

“Come sei Maligno. Comunque pensa che lo faccio con affetto”


Un cavallo giunse di corso, sapzzando via il fuoco.

Con un braccio Leannel, si fece scudo alle fiamme.

“Talmaye” gridò Reimer “Cosa stavi combinando?”

“Sono di fretta, Rei” rispose scendendo da cavallo “Sono di fretta”

Si guardò attorno. Vide Leannel. Poi fissò la bambina e si chiese, come aveva fatto a trovare lui e soprattutto come poteva sapere che Leannel si trovasse lì, dato che lui stesso ne era all'oscuro.

“Chi è?” chiese Leannel con freddezza, indicando la bambina

“Non ha importanza. Cercava te” Talmaye sospirò e , con aria distrutta, si avviò verso la tenda. Salmaye si era svegliato.

“Dove sei stato fino ad ora?”

“Non ti deve interessare” rispose Talmaye. “E non parlarmi, se puoi farne a meno”

“che ti prende?” ora Salmaye era ancora più disorientato

“Scusa. Non importa. Lasciami solo” Salmaye uscì dalla tenda. Erano anni che non vedeva suo fratello in uno stato simile. L'ultima volta che era successa erano entrambi poco più che dei bambini. Migliaia di anni prima. Quella volta il corpo di un elfo adulto, dai capelli neri era riverso sulla sua figura esile, imbrattata di sangue.

Talmaye stava piangendo.

Salmaye, ancora turbato dal veloce avvicendarsi degli eventi, si trovò fuori dalla tenda.

“Cosa sta...” mormorò.

Leannel, seduta su di un pietra, lo sguardo rivolto verso la bambina dai riccioli dorati, gli rispose con un debole cenno del capo. Intanto Reimer legava ad un tronco le briglie del cavallo di Talmaye.

La bambina bionda sorrise in maniera eterea, quasi inumana, e abbracciò Leannel. Poi il suo corpicino s'irrigidì. Aveva un pugnale bianco puntato nella schiena.

“Dimmi subito cosa vuoi se hai intenzione di portare a casa la vita” disse Leannel.

“Chi ti da la certezza che io voglia portare a casa la vita?” rispose la bambina. Leannel sgranò gli occhi grigi di stupore. Poi il suo sguardo s'indurì. Trasse un profondo respiro. Poi lanciò il suo pugnale a Salmaye. E, successivamente, la bambina.

“Sorveglaila” ordinò. Reimer la fissò mentre questa entrava nella tenda di Talmaye.



Talmaye sospirò.

“Che ci fai qua dentro?”

“Che ci fai tu” rispose Leannel “tu non piangi. Ricordi? Tu sei quello arido, Talmaye”

“Sei sicura di sapere cosa sono?” Talmaye rise “Perchè io no, Leannel”

Leannel sorrise.

“Allora stai piangendo davvero” mormorò

“Ti disturba?”

“No, Talmaye. Mi conosci. Io non rido quando qualcosa mi disturba”

“Lo so bene” Talmaye rise per qualche istante. Poi si sdraiò con la fronte rivolta verso l'alto.

“L'ho vista anche io Talmaye. Per pochi istanti ma l'ho vista”

“Cos'hai visto?”

“Quella luce. Quella luce negli occhi della bambina”

“Già, la luce. Una luce forte e persistente. Ma voi, ottusi, non vedete mai niente. Solo io posso vedere certe cose. E voi non vi rendete conto di quanto clemente sia stata la sorte nei vostri confronti” Talmaye gridò, cosa che Leannel, a parte durante qualcuno dei suoi rimproveri, non lo riteneva in grado di fare.

“Sta' tranquillo” disse Leannel avvicinandosi. “E vai avanti”

“Hai mai incontrato, Leannel una bambina bionda nel bosco? E l'hai mai fissata negli occhi? E cosa dicevano i suoi occhi, Leannel?

A me è successo. Ma nei suoi occhi era il niente. Nei suoi occhi era scritto Morte. Ed ero certo che solo io avrei potuto leggere quella parola” Talmaye gridò di nuovo. Ora piangeva più forte. Leannel strinse le sua spalle e poi lo abbracciò.

“Il mio piccolo” mormorò



“Chi sei tu?” mormorò Salmaye. La bambina sorrise.

“Potrei farti la stessa domanda” rispose la bambina. Salmaye si sentì colmo di rabbia. Guardò Reimer. L'uomo fece cenno di no col capo e Salmaye si tranquillizzò. Ma fu a lui, allora che Salmaye rivolse le sue domande.

“Secondo te chi è, allora?” chiese

“Non so. Di certo non è qui di sua spontanea volontà. Né perchè la sua gente è stata sterminata. Anzi giurerei che a parlare non è una bambina, ma qualcosa di più” rispose Reimer. Salmaye rimase ancora più perplesso.

“Questa creatura mi spaventa” mormorò. “Prendi il mio posto”

“Leannel l'ha lasciato a te perchè sa che non l'ucciderai”

“Ha ragione” disse la bambina, sorridendo. Reimer pensò che se fosse stato lui ad averla tra le mani, sarebbe già stata uccisa da tempo.

“Che hai fatto a Talmaye?” chiese Reimer.

“Io non gli ho fatto nulla. Ha fatto tutto da solo.”

“Immaginavo che avresti risposto qualcosa del genere” Reimer pensò che la bambina dovesse avere ragione. Talmaye era decisamente fragile, rispoetto al solito in quel lasso di tempo. Inoltre, quella bambina, o qualunque cosa fosse, aveva abbastanza potere da mettere anche Talmaye in difficoltà. Forse l'unico che sarebbe potuto scamparle era lui stesso.

Per una seconda volta Salmaye si sentì colmo di rabbia. Chi era? Cosa voleva da suo fratello? Si chiese perchè Reimer la stesse tenendo in vita. O perchè non le stesse facendo domande più esplicite.

Ma si rispose che sarebbero stati dei mostri se avessero fatto del male a una bambina.

Poi, un'altre domanda. Erano davvero certi che si trattasse di una bambina?


“Tu le chiedi chi sei, ma a me non lo hai mai chiesto. Chi sono io? C'è qualcosa di malvagio in me, Leannel. Qualcosa che non sono incapace di manovrare. Questo Talmaye che piange non sono io, hai ragione. È solo una pallida e malriuscita imitazione di te stesso. Tu non mi abbracci. Io ti tempo, per larga parte, come tuti del resto, ti temono. Ti stimo. E a volte, ho pena di te.” Leannel sperimentò nuovamente il suo totale odio per la parola pena. Trasse un profondo respiro. Non meritava di essere provato, un sentimento vile come la pena.Sorrise, certa che gli occhi di Talmaye comprendessero che il suo non era un sorriso sincero.

“A meno che Talmaye non sia morto, ed abbia lasciato un perfetto sosia di se; tu sei qui. Suppongo, allora di aver sempre conosciuto una pallida imitazione di te”

Talmaye rimase in silenzio. Poi parlò. E le sue parole furono taglienti come lame di bianco acciaio elfico.

“forse è così. Forse Talmaye ha trovato qualcuno di identico a lui. Talmaye è morto settecento anni fa. O forse non è mai esistito. È morto insieme a suo padre e a sua madre. L'unico della loro famiglia ad essere rimasto in vita è suo fratello Salmaye. Sono un'imitazione di me stesso. Chissà come sarei stato se fossi stato veramente me stesso.” Leannel fissò Talmaye. Poi rise.

“Questo non ha senso. No, non ne ha. Se tu avessi ragione significherebbe che io ho amato e conosciuto solo l'imitazione di te stesso. Quindi, l'imitazione di te , ai mieie occhi plebei, sarebbe te stesso. Sei il migliore di tutti quanti ne ho conosciuti.” sorrise. Talmaye si sentiva confuso. Ma Leannel era consapevole che adesso il suo subordinato avesse bisogno di riposare e pensare.

“In ogni caso” concluse Leannel “Chissà se il vero te stesso sarebbe stato migliore di te. Forse non l'avrei mai conosciuto. O magari sarebbe diventato solo uno sciocco ambizioso. Parlerò con la bambina. E forse sarà tuo fratello a metterti sotto torchio prima di domani”

Leannel uscì dalla tenda, lasciando che gli spessi teli di stoffa si chiudessero dietro di lei. In un istante la sua espressione cambiò. Il sorriso divenne qualcosa tra la stanchezza e la rabbia.

“Cosa gli hai fatto, eh mostro” si rivolse alla bambina “per ridurmi a fargli da madre”

Salmaye rimase in silenzio. Poteva essere chiamato stupido o in qualunque altro modo ma aveva creduto davvero che Leannel fosse diventata tanto sentimentale per il tempo che le era stato necessario. Lasiò che il suo sguardo si perdesse. Reimer, dal buio, sorrise. Leannel si avvicinò a Salmaye e con forzqa gli strappò di mano il pugnale. Lo puntò poi alla gola della bambina.

“Ora, maledetta, tu vieni con me” Reimer la fissò. Le chiese con gli occhi se aveva bisogno del suo aiuto. Leannel rispose di no, col suo.

Leannel afferrò la bambina per il polso. La portò con se nel bosco, poco lontano da dove si trovavano.

La bambina si sedette e Leannel si accovacciò davanti a lei. La donna fissò la bambina. Rimasero qualche tempo in silenzio.


“Cosa sta succedendo, rei?” chiese Salmaye

“Non ne ho idea. Ma fino a domani mattina non prenderla troppo sul serio.”

“Non prenderla..?” Salmaye si avvicinò all'altro e puntò la sua arma particolare contro il collo. “Mio fratello” disse “non piange da quando ha ammazzato nostro padre. Mi sembra il caso di prendere la faccend sul serio” gridò.

Reimer rimase impassibile. Nella sua impassibilità afferrò il braccio del suo allievo e lo portò dietro la schiena. Salmaye mugolò e lasciò l'arma a due punte cadere a terra.

“Che ti prende?” disse Reiemer, freddo.

“Niente va nel modo naturale”

“Non pejnsavo che i cambiamenti ti suggestionassero tanto”

“Io non posso sopportare che lei..”

“Allora è questo il tuo sciocco problema? La conosci. Non dirà mai 'gli voglio sinceramente bene'. Forse davvero non gli avrebbe detto certe cose. Ma in realtà gli vuole sinceramente bene. Ed è questo ciò che conta. Ora faresti meglio a calmarti”

Salmaye sospirò e si sedette. Ora si chiedeva soltanto cosa sarebbe successo.


Reimer si introdusse nella tenda di Morien.

“Che succede la fuori?” chiese lei

“Ancora non lo so. Ma ho l'impressione che accadrà qualcosa di importante, domani”

“Di bene in meglio. Non sono certa che ce la farò”

“Se non ne fossi certo non ti lascerei uscire di qui” Morien Sorrise.

“Quando torneremo a casa” disse, dando per certo che a casa sarebbero tornati “Voglio che tu mi porti a Nord, tra la gente mortale”

Reimer sorrise a sua volta

“Perchè mi chi9edi una cosa simile?”

“Tu non vorresti rivederli?”

“Vorrei. Ma dovremmo portare Leannel con noi”

“No, non lo faremo. Le diremo che ho bisogno di un cavallo”

“Non ci lascerà andare”

“No, se glielo chiedi tu. Ma non sarai tu a chiederle una cosa del genere. Voglio non dover essere un uomo.”

“Quella gente mi ama. Ma se venissero a sapere che sei un'immortale ti ucciderebbero”

“Lo sai qual'è il tuo problema? Non li ricordi. Negli ultimi tempi hai frequentato i mortali sbagliati” Reimer si avvicinò all'uscita della tenda. Le voltò le spalle.

“ Ti hanno mandato una lettera.” Morien Sospirò

“Dicono che hanno bisogno di te. Ma non ti lascio andare da solo” rispose.

Reimer uscì in silenzio dalla tenda. Morien respirava affannosamente. Lo amava davvero.


“Cosa ti è venuto in mente?” chese Salmaye al fratello, agitandosi in maniera irreale. Talmaye voltò il viso. “L'hai portata qui senza sapere niente! Che ne sai di cos'è? Che ne sai di quello che potrebbe farle? Ti dai tante arie, fratello, ma sai qual'è la verità? La verità è che non sai niente!Sei un incoscente e un idiota” Talmaye lo fissava con occhi insofferenti. Salmaye non era mai stato capace di parlare né di farsi capire. Era uno sciocco. Lui non sapeva niente. E in quel momento fu colto dalla rabbia. Spintonò il fratello a terra. Poi cominciò a prenderlo a pugni. Salmaye rispose velocemente, allo stesso modo. Dopo pochi istanti la tenda cadde sotto il loro peso, e i due fratelli, a loro volta, sotto il suo. La testa di Talmaye sbucò dalla stoffa grigiastra. Si chiese che cose gli fosse preso. Salmaye, un solco rosso sulla fronte, uscì poco dopo.

Nello stesso momento, Reimer, in piedi, rideva.

“Sei un idiota” disse Talmaye. I due si alzarono lntamente. Salmye cercò inveno di rimettere a posto la tenda. Reimer gli fece cenno che ci avrebbe pensato lui.

“Si, lo sei” mormorò Talmaye. Il fratello, adirato, lo colpì sulla spalla destra.

“Ne vuoi ancora?” mormorò.

Talmaye sorrise.

“Smettetela. Non dovreste essere più dei bambini”

Talmaye si sedette.

“Mio fratello è uno stupido. Non sopporto di essere corretto da uno stupido”

“Non parlare così. Non è una sua colpa” Talmaye, com'era prevedibile, rimase in silenzio e fissò Reimer.

“Tu non vuoi che capisca” disse Reimer.

Salmaye farfugliò qualcosa sul fatto che Talmaye era stato un incoscente. Reimer non l'ascoltò. Solo dopo qualche istante, disse

“L'ammazzaerai tu, non è vero Talmaye. E' per questo che l'hai portata qui”

Talmaye volse lo sguardo.

“Pensavo che non t'importasse della morte” intervenne Salmaye

“Infatti. La morte è sopravvalutata. Prima o poi tutti devono morire. Non importa il dove ed il quando. Camminiamo su miliardi di morti, se ci pensate. Tutta la terra di mezzo giace sotto i nostri piedi” sospirò “ma qualla è diversa. Morendo farà qualcosa di orribile. Senza ombra di dubbio la colpa sarà mia.” lo sguardo tenue, disilluso i Salmaye gli si rivolse. “Ora avrei soltanto voglia di fumare” mormorò.


Il sorriso di Leannel si dipinse di crudeltà, mentre lei, accovacciata, fissava gli occhi verdi della bambina.

“Allora, piccolo mostro, cosa cerchi?”disse. A bambina sorrise.

“Mostro?” rispose

“Si un mostro. Hai fatto cose che ritenevo impossibili.”

“Sono un mostro perchè sono un mortale? Voi elfi chiamate tutti noi mostri”

“Ti sbagli”

“nella tua lingua il mio accampamento si chia ma 'figli del fuoco'.noi siamo i figli del fuoco. Trentacinque figli del fuoco pronti a farvi fuori tutti” Leannel si trasse all'indietro.

“I mortali non ci attaccano. Ci trovano divini. Menti. Chi sei?”

“Questi sono uomini come non ne hai mai conosciuti. L'hai vista la mia pelle? Questi sono uomini del sud. Uomini traviati. Non pregano la tua stessa divinità. E come raramente accade, la differenza non è solo nel nome della loro. Ci sono molte cose che riterresti immorali in questa divinità”

quel registro non si addiceva ad una bambina. Era davvero un mostro.

“E cosa vogliono dalla mia gente?”

“Non vogliono la tua gente o Bosco Atro. O almeno non ancora. Ma la loro divinità vuole te. E ti avrà. In un modo o nell'altro vedrai che ti avrà”

La bambina sorrise. Leannel la fissò. Non era possibile. No, non lo era. Non voleva crederci.

Eppure sembrava che gli occhi della bambina si stessero tingendo di azzurro. Non solo d'azzurro. Anche di grigio. Quegli occhi erano diventati di un grigiore, una tristezza profondi. Sembrava che quegli occhi fossero diventati i suoi.

Leannel si trasse all'indietro, perse l'equilibrio e cadde.

La bambina sorrise.

Leannel si alzò di nuovo. Si, la bambina era la stessa. Nulla era cambiato in lei. Eppure Leannel sentiva che non si era trattato di un vaneggiamento.

Sospirò.

“Tu non meriti assolutamente di vivere” disse la bambina ridendo. Leannel la fissò per qualche istante. Solo dopo pochi istanti si rese conto di averla schiaffeggiata. Le sfuggiva il controllo degli eventi. Le sfuggiva il controllo delle sue azioni. Leannel non lo sopportava. Afferrò con quanta forza potesse il braccio sottile della bambina e la trascinò con se. La bambina gemette.

“Dovresti parlare con più cautela” disse Leannel

“Tu non mi conosci” mormorò la bambina bionda.



Salmaye era crollato in maniera sovrannaturale sotto il peso del sonno. Reimer pensò che chiunque sotto il peso di una tale pressione emotiva, sarebbe rimasti perlomeno ferito. Evidentemente Salmaye evadeva anche da questa sua logica.

Talmaye fissava il vuoto. Reimer odiava quei momenti, quando le parti restavano sfalzate. E Leannel era costretta ad essere forte e Talmaye a pensare a qualcosa all'infuori di se stesso.

E come sempre, Morien era l'unica ad interpretare alla perfezione il suo ruolo.

l'inetto era solo lui, alla finfine. Leannel non si vedeva ma la cosa non lo preoccupava in maniera esagerata. Leannel sapeva cavarsela meglio di chiunque altro. I situazioni del genere si chiedeva come potesse essersi talvolta rivelato in maniera tanto protettiva nei suoi confronti. Capiva la pena, ma non la paura.

In realtà Leannel era erestava forse il miglior guerriero che avesse mai incontrato.

O forse, in realtà, anche lui stava fuggendo al suo ruolo. Anche lui stava fingendosi indifferente. Sarebbe risultato un incosciente, alla fine.

Si, vi stava fuggendo. Se, come diceva Talmaye la felicità, come l'eternità e la perfezione, non esistevano, allora cos'era quello stato di torpore?

Se l'amore non esisteva neanch'esso, cosa provava? Reimer socchiuse gli occhi e rise. Quello non era se stesso. Avrebbe tanto voluto riuscire a tornate ad interpretare la sua parte da solitario, burbero, serioso viandante immortale del Nord. Un ruolo tanto affascinate. Si trovava piuttosto stupido, preso dalla foga di proteggere la sua donna.

Talmaye lo fissò e Reimer si distolse dai suoi pensieri.

Talmaye era uno di quelli che amavano 'trarre delle conclusioni'. Delle conclusioni infinitamente soggettive. Ma da queste conclusioni ricavava quelle che credeva essere l'essenza della verità.

“Stai pensando a me, non è vero?”

“Si” rispose Reimer, convintosi del suo ritorno all'ermetismo.

“A me e alla felicità” Reimer lo guardò con sguardo interrogativo. “I tuoi occhi, cambiano espressione. Da un certo momento in poi basta impararvi a memoria.”

Già, questo lo aveva dimenticato. Talmaye non pensava che conoscere gli altri fosse impossibile, dato che era impossibile conoscere se stessi. Forse il contrario. Talmaye riteneva che tanto meno si conosceva se stessi, tanto più si conoscevano gli altri. Ed in effetti era il suo esempio.

“Da quanto tempo è che non torni laggiù, a Sud” disse Talmaye

“Un po' di tempo.”

“Quindi non ci sei più tornato da quando andasti con mio fartello” Reimer annuì “Non ti credevo capace d mantenere una promessa”

“Una promessa che tu non hai mantenuto” rispose Reimer

“no, nel mio caso non si trattava di proposta. Nel mio caso si trattava di un buono proposito. Ed io non sono fatto per i buoni propositi.”

Reimer rimase in silenzio per qualche tempo. Poi parlò.

“Cosa pensi che succederà?”

“Penso che moriremo tutti. Tutti quanti. Anzino. Tutti tranne Leannel che, disperata si toglierà la vita. E quella bambina mangerà le nostre anime” Talmaye rimase in silenzio. Poi rise. Rise fragorosamente. Reimer fece lo stesso. Eppure provò pena perchè nlle risate di Talmaye erano delle lacrime.

“Non sono bravo a fare l'ottimista.”

“No, decisamente non lo sei”

“Non saranno nemici stupidi. Non orchi”

“Come lo sai?”

“Lo sento nell'aria. Odore di bruciato. Gli orchi non mangiano carne cotta”

“Si, hai ragione” Reimer rispose sorridendo.

“Che sucecde a Leannel?” chiese Tlmaye.

“Non lo so. Arriverà, in ogni caso. Tu va' a letto. E' sinceramente tardi”

“E tu, non dormi?”

“Io devo proteggerla”

“Ma non hai quanlcuno di nuovo da proteggere?”

“Non lo so. Un giorno mi chiederanno di scegliere. Probabilmente morirò, quel giorno”

“Io morirò quando mi infileranno una freccia nel petto”

Reimer sorrise. Talmaye si legò la foltà chioma di capelli neri in una coda. Si allontanò dal fuoco. Si avvolse nelle coperte calde e si addormentò.

Reimer, rimasto solo, si avvicinò alla sua borsa traendone, qualche forglia di tabacco. Ne annusò in profumo. Solo successivamente ne trasse la pipa. Erano stati utili, infondo, tanti viaggi. Conoscere la gente giusta era utile per un immortale. Con una pagliuzza rovente accerse un fuoco leggero nelle piccola coppa di legno, il fuoco si spense emanando un leggero alone di fumo. Il profumo di tabacco riempì le narici di Reimer, e ne impegnò i vestiti.

Reimer trasse il suo primo respiro ed espirò lentamente. In quel momento, al margine del bosco Atro, Reimer, il maledetto, si chiedeva quando la sua vita sarebbe finita.

Tra una vampata di profumato fumo caldo e l'altra si chiese quando, dove e perchè, la sua vita avrebbe terminato di esistere.

Il suo pensiero tornò a Leannel. In effetti talmaye aveva ragione. Leannel avrebbe già dovuto essere tornata. Si disse che forse era meglio così. Le stelle brillavano nel cielo blu scuro. Non avrebbe mai più potuto fumare dalla sua pipa in legno di quercia, da lui stesso intagliata, in un posto simile.

Poi, per la prima volta si rese conto che gli mancavano i suoi monti. Gli mancava il suo re, anzi i suoi re, che cadevano come foglie da un ramo. Morien non aveva mai capito la sua stessa situazione o forse non aveva mai voluto capire. Forse l'amava per questo motivo. Forse per questo motivo sarebbe morto per lei.supplicò a se stesso di non pensare e di riuscire a godersi un moemnto tanto prvilegiato. Nonostante detestasse questa oerte di se, Reimer era un uomo molto pacifico, in fin dei conti.



Leannel tornò lentamente verso le tende. Era tardi. La notte era più buia di come l'avesse lasciata. La bambina, leannel non sapeva se aveva mentito, era caduta adormentata. Due domande. Due risposte.

No, il male non era quella bambina;

E si, il male era la divinità di cui parlava. E forse quella stessa divinità, stregone del male o qualunque cosa di cui si trattasse, l'aveva soggiogata e mandata contro Leannel e i suoi.

Leannel trasseun respiro profondo. Fissò la bambina che teneva in grambo. Per una volta sperò che Talmaye si sbagliasse. Quella bambina non meritava di morire. Almeno quel corpo di bambina. Leannel vide da lontano

l'accampamento. Il fuoco andava spegnendosi da solo, come piaceva a Reimer.si tolse il suo bel amntello verde scuro e lo avvolse attorno alla bambina. I riccioli biondi caddero e sfiorarono il terreno, mentre Leannel lasciava che si coricasse. si sedette attorno a quel che restava del fuoco.

“Pensavo che non saresti più tornata” disse Reimer, alle sue spalle.

“E, invece guarda, sono qui”

“O perlomeno pensavo che sarebbe tornata una sola di voi due”

“Ti sbagliavi. Ammettò però che l'idea di ucciderla mi ha sfiorato”

“Non dovresti sottovalutare la tua emotività. A volte portebbe rimanerti utile”

“Detesto la gente emotiva”

Reimer mugolò.

“No, non è vero” rispose.

Reimer lanciò della legna sul fuoco. Poi smosse la brace. Il fuoco tornò vivo.

“Sei bellissima” mormorò. Leannel sorrise. Poi lo ammonì con lo sguardo.

“Lo so” rispose

“Non lo avresti mai potuto fare” disse Reimer

“Cosa?” chiese Leannel

“Non avresti mai potuto deturpare e corrompere il tuo viso. In realtà ti piace essere bella”

“E a te piace parlare”

“Oh, si” risero.

“Che hanno combinato. Perchè la tenda è a terra?”

“Si sono picchiati”

“Si sono” Leannel scoppiò a ridere “Si sono piacchiati!”

“Si” rise anche Reimer “ e tu non li hai visti”

“Non avrei dovuto perdermeli”

“Già”

rimesero in silenzio.

“A te piace così” disse Leannel “ti piace portare la discussione ad un punto morto. Ti piace mettere la gente a disagio”

“Le persone danno sempre il meglio quando sono a disagio.”

“Danno il meglio della loro insicurezza”

“A me piacciono le persone in sicure” di nuovo silenzio.

l'ha fatto di nuovo, pensò Leannel.

“Quando sarà, che moriremo, Reimer?”

“Non ancora. Del resto a che pro, morire?”

“Non mi sembra un discorso sensato.”

Reimer rise.

“Vai a dormire, Leannel” disse.

“Non ci riuscirei. Vai tu”

“D'accordo. In ogni caso quella là scapperà comunque” leannel comprese che si stesse riferendo alla bambina. Aveva ragione, forse.




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Capitolo 6
*** In sogno, ti torturerò ***


“Chi diavolo sei, maledetta!” Leannel non ricordava di avere tanta voce. Gridava. Un atteggiamento che non le si addiceva.forse una lacrima cadde sulle sua guance.

“Chi sono. Chi sono io? Tu lo sai chi sei? No, probabilmente. Ma anche se non sono che un sogno, ho deciso che è arrivatro il momento di rivelarti la mia identità.”

“Ti ringrazio.” mormorò Leannel.

La voce rise. Con i suoi occhi coloro fuoco si sedette e rise. Leannel pensò che la sua risata avesse quaòlcosa di non umano.

Leannel aveva paura. forse ciò che più la spaventava era il fatto stesso di avere paura. Non ne aveva mai avuta. E in quell'unico momento non trovava la forza di sorridere alla vita e gridarle in faccia che non le importava nulla di lei.

“Nife” mormorò la voce, con semplicità.

Leannel la fissò. Cosa voleva dire. Era senza dubbio il suo nome. Nife. Come sapeva che la sua mente aveva preso a vagare. Nife.

“Si, è il mio nome”

“Quindi sei nife, figlia di melkor?”

“Non lo so di chi sono figlia. Io ed il male siamo la stessa cosa. Io e te siamo la stessa cosa”

“Mi stai confondendo. Un attimo fa eravamo solamente due facce della stessa medaglia”

“Ti sto..?” Nife rise di nuovo. Leannel rimase stupida della sua travolgente, surreale bellezza. “Lo faccio da ormai qualche ora e ancora non mi ha stancata. Non credevo potesse essere tanto divertente aggiungere preoccupazioni ad un amente già preoccupata. Perchè poi questo è il male, vero? Il male è quando io riesco a pensare al tuo posto?” leannel tacque, perplessa nell'ombra.

“Sei forse diventata muta di un tratto?” chiese Nife. “Non sei qui solo per dare di scherma! Devi parlare! Lo hai semper voluto, no? Esprimere le tue opinioni! Fallo, avanti!”

Leannel strinse la fronte tra le mani.

“Penso di si. Cioè, non solo. Si, quello è male. Ma il male in senso ato, il male vero è quando si crede di poterci comportare come se si avessero poteri che non ci sono dati” rimase un istante in silenzio. Poi fissò Nife e sorrise. “Come te. Il male è voler giocare a fare Dio”

“Non avresti dovuto parlarmi così”

“Lo so.” Nife tacque. Leannel fece lo stesso.

“Non pensi a cosa stia succedendo fuoiri di qui? La vita continua dopotutto. Sei una persona davvero egocentrica, Leannel”

leannel si rese conto che la donna dai capelli neri aveva ragione. Stupida. Cosa pensavano del suo corpo esanime? Che ne stavano facendo? La credevano forse morta? Cos'avrebbero fatto di lei?

“Sei ottimista, infondo, Leannel. No hai pensato al peggio” nife sorrise sadicamente. In quello stesso momento nella mente debole di Leannel affiorarono delle immagini. Come dipinti tenui, fatti da artisti meravigliosi, col gesso su tavole bianche. C'era Reimer. Reimer era sdraiato a terra, i suoi occhi fissi e lo sguardo spento. Il colore della pelle pallida risaltava con i capelli corvini.una freccia era conficcata nella sua schiena. Leannel gridò. Gridava a nife di smetterla. Gridava eppure aveva l'impressione di non star dicendo niente. Si sentiva sommersa da un'acqua che l'imprigionava. Versò alcune lacrime fredde. On era possibile. Non Reimer, non tuti gli altri. Come aveva potuto pensare solo a se stessa.

Si raggomitolò piangendo e mugolando, persa anche la cognizione di questa nuova sorta di realtà. Guardandola Nife rideva.

Era un po' come vedersi morire.

Era bellissimo.

Nife si laciò andare a una risata. Leannel alzò lo sguardo pieno di lacrime e la fissò con disprezzo. Questo sembrò rendere la guerriera dagli occhi crudeli ancora più divertita.

“potrei finirti adesso” mormorò “non sei mai stata fragile come adesso. Peccato che solo io possa vederti. Chissà come sarebbe divertito Reimer oppure tuo padre” rise ancora. Leannel sentì scorrere nelle sue vene quello stesso riso. Com'era possibile? Nife le stava elencando tutti i modi orribili in cui avrebbe potuto ucciderla e lei provava i suoi stessi sentimenti. In ogni caso era convinta di non voler morire per mano di una donna come lei.

“Oh si, Leannel, io ti tormenterò per l'eternità”

“L'eternita?” sussurrò Leannel, mentre si rialzava “E' un periodo troppo lungo da immaginare anche per te. Sta attenta a quello che dici.” Nife la fissò sorpresa. Era più che sicura che quelle immagini da lei create, quella morte, stessero ancora pulsando nella testolina corrotta di Leannel. Forse la sua testolina era talmente corrotta da non provare più dolore. Che personaggio interessante, si disse.

“Non credo. Potrei davvero passare l'eternità a vederti piangere.”

“Quando ti vedrò?”

“Sempre”

“Come..”

“Potrei anche non lasciarti andare mai. Sei nel mio territorio ora”

“E se io ti uccidessi?”

“Ti ho già detto che non puoi”

“Non ti credo”

“Rimarresti qui per sempre. E poi, ammettilo, io ti piaccio almeno quanto tu piaci a me”

Leannel sputò a terra

“Direi proprio di si” disse.

“Che vuoi fare?”

“Voglio vedere quanto sei forte”

“Pensavo di averti spezzato”

“Io sono nata spezzata”

“Tu sei di quelli che si dicono storti?”

“Si, storti in un mondo di dritti”

“Siete bestiole patetiche”

“E' per questo che ti piacciamo”

Nife sorrise “Da dove titi fuori questa voglia di morire?”

“Lavoro sempre meglio, sottopressione” leannel trasse la sua arma e l'allungò al suo fianco. Nife sfoderò due pugnali e li incrociò.

Rumore metallico. Le armi si incrociarono e fremerono. leannel si voltò e si allontanò. Nife la rincorse. Leannel saltò in aria, in quell'aria umida e pesante. Nife l'attaccò alle spalle. Leannel si gettò a terra.

Era vero, lavorava meglio sottopressione.

Le due donne si fermarono. Nife ansimò. Leannel sorrise. Sembrava che il sangue ed il sudore si fossero fusi. Adesso Leannel era nel pieno della sua abilità. Nife sarebbe morta.

“Ti conviene davvero?”

“Tanto non ho speranze”

“che strano modo di vivere gli eventi”

“Io non li vivo”

“Sciocca”

Nife affondò in un paio di occasioni, ma senza esito. Leannel era leggera e forte. E, cio che più contava, pronta a qualsiasi rischio.

Leannel. Piombava da destra e colpiva Nife al fianco. si. La lama era così vicina cha già la pelle era pronta ad aprirsi.

E in quel momento Nife rise. Si allontanò e rise.

“Per oggi basta così. Altrimenti andrà a finire che mi ucciderai davvero. Ci vediamo” Nife scomparve.

Leannel trasse un profondo e gridò. Era sempre così. Per lo meno non era stata colpa sua. Si sedette. Ora si chiedeva solo come sarebbe tornata indietro. E se sarebbe tornata indietro.




Talmaye si stiracchiò le braccia mentre sbadigliava. Dormire sotto quello che rimaneva della loro tenda non era stata una buona idea. Era come se non avesse dormito affatto. In compenso Salmaye dormiva tranquillamente. Talmaye sorrise. Fissò il sole. Era presto. Nella tenda a fianco si vedevano le ombre assopite di Reimer e Morien. Sbadigliò di nuovo.

Si guardò attorno. Non c'erano tracce né della bambin, né di Leannel. Guardò in alto. Da un pino bianco Leannel lo fissava.

“Reimer ha detto che mi sono persa qualcosa ieri sera”

“Reimer si diverte a fare lo stupido. In ogni caso avrei vinto io”

Leannel rise, mentra scendeva dal tronco chiaro.

“La bambina?” chiese Talmaye

“E' fuggita”

“Lo sapevamo tutti”

“Si.”

“Tu non hai dormito questa notte”

“No”

“Leannel. Cosa facciamo oggi?”

“Cosa facciamo? Hai paura, vecchio mio? Oggi combattiamo. Lo aspettavamo da tanto. E tu fai in modo di ritornare vivo a casa”

“Tu non farai lo stesso? Io non sono come te.”

“Non importante che io torni a casa”

“Già è vero” Talmaye rise. Se c'era una cosa da evitare assolutamente oltre al non contradirre mai Leannel era darle ragione.

“Che hai portato?”

“L'arco, come sempre”

“Vai a svegliare gli altri.”

Talmaye annuì.


Reimer sedeva davanti alla sua tenda con un sorriso tranquillo stampato sulle labbra. Talmaye pensò che se davvero di loro uno non aveva paura di morire, era lui. Il suo unico timore era che Morien morisse. Che strano soggetto.

“Che dice?” chiese

“Dice di partire”

“E' presto.”

“Tu hai detto di non contraddirla mai”

Reimer sorrise. Chiamò Morien. Talmaye tirò un calcio a suo fratello che si svegliò.

“E' presto” mormorò.

“Se Leannel dice che non è presto, non è presto”

“Si, hai ragione”

Talmaye allungò la mano.

“Che facciamo delle tende?”

“Lasciale qui. Al ritorno non ci fermeremo per dormire”


Leannel li aspettava seduta sul suo cavallo dal manto nero. Sorrise.

“Non mi ricordavo come eravate vestiti così”

Salmaye aveva lo sguardo nero. Reimer disse che era normale.

“La bambina ha detto a ovest”

“A ovest noi andremo”

Morien, seduta dietro Leannel, gitava la sua spada. Cadde il silenzio. Salmaye sospirò.

“Che succede se ammazzo un mortale?”

“Cosa intendi?”

“Io ho ammazzato solo orchi”

“Come munimo brucerai all'inferno” disse Reimer. Talmaye e Leannel risero. Salmaye ricordò quando, al sud, Reimer faceva credere di essere un sicario. Sorrise anche lui.

“Eccoli” disse. Salmaye li vedeva chiaramente. Un numero discreto di uomini e grossi orchi. C'era una donna e a suo fianco la bambina. Più lontano il resto del loro villaggio. Forse intendevano tenderli un agguato o qualcosa di simile.

“Sono laggiù”

Reimer annuì.

Salmaye si allontanò. Morien sembrava disorientata. Probabilmente si trattava di qualche tattica improvvisata.

“Siete pronti?” disse Leannel, col suo tono fiero.

“Pronti a combattere, pronti morire” rispose Talmaye. Reimer sguainò la lama nera. Morien, dietro di lui fece lo stesso con la sua spada ricurva.

Talmaye alzò la mano al cielo. Poi afferrò la sua prima freccia.

“Così ha inizio. Vinca il migliore, cioè noi” Scagliò la sua freccia.

A più o meno cinquecento metri di distanza il più alto degli uomini cadde a terra morto.

Tra la truppa mortale si scatenò il caos. Alla rinfusa tre o quattro dozzine di uomini e donne armati si gettarono contro di loro.

“Ti sei preso il primo, maledetto” disse Leannel

“A te l'onore del secondo”

“Come minimo dovrai lasciarmi l'ultimo” sorrisero. Morien spaesata, con le mani sottili che tremavano era pronta a subbire l'attacco nemico. Reimer le posò la mani sulla spalla. Si sentiva meglio ora.

Morien trasse un prfondo respiro.

“Sfoderate le armi!” ordinò Leannel, cpnsapevole che tutti loro ormai stringevano tra le mani le loro lame.

“Attaccate!” disse. I quattro elfi si gettarono sul gruppo di uomini.

Reimer uccise senza esitazione il primo uomo che gli fu di fronte. Lo trafisse da parte a parte. Morien lo fissò pe un momento. Quello non sembrava il suo uomo. Ma lo avrebbe amato allo stesso modo.

Leannel lo guardò con rimprovero. Non le avevano lasciato neppure il secondo. Si rifece in fretta. Vibrando un solo colpo uccise tre uomini. Talmaye sbuffò. Morien pensò come potessero trattare la guerra come un gioco. Il primo orco che si fece avanti le corse incontro. Reimer gli infilò un coltello nel polpaccio. Morien gli chiese con lo sguadro il perchè. Reimer, facendosi spazio tra un discreto numero di uomini, le si avvicinò.

“Ti avrebbe fatto fuori”

“Tu mi sottovaluti”

“No, ma devi pensare a quello che fai e non a quello che fanno gli altri”

“Ti stai prendendo gioco di me, solo perchè per te è normale”

“Questo può essere. Ma lasciaci giocare. Era da molto che non ci divertivamo così”

Leannel aveva già iniziato ad uccidere con la sua solenne maestria. Sembrava che volesse gridare ai nemici, sono qui per voi. E per voi non è un bene.

Era leggera ed ingegnosa. Reimer si chiese come potesse migliorare sempre, ogni volta, nonostante non si allenasse mai sul campo. Rise, mentra toglieva la vita ad un'latro paio di uomini.

Talmaye saltò da una parte all'altra del ristretto campo di battaglia. Trafisse un buon gruppo di mortali con il suo pugnale bianco. A terra, una donna afferrò la sua caviglia.

“Che vuoi?” mormorò l'elfo

“I pensavo che voi immortali foste perfetti”

“Vi sbagliavate. In ogni caso avete scelto la parte sbagliata”

“Chi siete voi per deciderlo”

“Ascolta sciocca mortale. Questa è la mia casa. E non permetterò alle tue sporche mani mortali di distruggenla.”

La finì con un colpo. Si chiese come suo fratello avesse potuto porsi delle domande simili riguardo ad una specie inferiore come quella dei mortali. Si chiese anche come lui stesso talvolta avesse potuto desiderare di farne parte.

Il suo cinismo stava raggiungendo picchi altissimi.

Uccise in volo una buona dozzina di mortali.

Leannel sbuffò. Aveva ucciso solo quattordici mortali e sette orchi. Per un misero totale di ventuno nemici. E non aveva provato nessun gusto. Davvero il nemico non aveva di meglio da sottoporle?

Il gruppo esile di elfi si fece avanti. In quel momento, un gruppo di orchi li attaccò alle spalle. Una mossa prevedibile, pensò Leannel.

Erano dei nemici più validi. Morien, che finora aveva raggiunti un totale di soli sette tra mortali e orchi, si trovò in difficoltà. Non lo diede a vedere, Reimer avrebbe ucciso tutti i suoi nemici. Inoltre doveva dimostrare a Leannel di essere un guerriero valido.

Ne uccise un paio. Leannel era occupata. Ora il suo totale era di venticinque.guardò Talmaye, il quale, imbronciato le disse di avrene uccisi solo venti. Reimer fece cenno di ventisei con la mano. Questo mandò Leannel in bestia.

La donna elfo si gettò a sull'ondata di nemici. Col suo splendido sorriso di sfida ne uccise almeno sei in pochi istanti. Ora anche Morien cominciava a trovare le cosa divertenti. Il suo capitano era davvero splendido da guardare. Ora però si chiedeva doe fosse finito Salmaye. Avanzando, Leannel scorse il villaggio degli invasori. Sorrise. Li avrebbero ammazzati tutti.

“Fermi” gridò una donna bionda, su un cavallo grigio. Leannel trasse indietro la spada e la rinfoderò. Il suo nemico cadde a terra morto.

“Che vuoi?” disse Reimer

“Io ho qualcosa di vostro. Quindi uppongo sarebbe meglio che smetteste di ammazzare i miei e ve la riprendeste in silenzio. Morien scoppiò in lacrime e gridò

“Hanno preso Salmaye, povero Sal!”

Leannel perse il suo sguardo.

“Che gli avete fatto? Che avete fatto a mio fratello?” disse Talmaye. La donna bionda rise.

“Noi vogliamo qualcosa di vostro, in cambio. Noi vogliamo la donna.” indicò Leannel. Il suo viso si fece cupo.

“D'accordo. Noi lasciamo le nostre armi e vi seguiamo. Prenderemo Sal ed io resterò con voi” Reimer la guardò. Leannel fece cenno di no col capo.

Era finita, pensò Morien. Reimer l'abbarcciò. Ma i quel momento, Morien vide qualcosa di insolito. Dalla mano che aveva messa sulle sue labbra, Talmaye rideva. Cosa stava succedendo?


Leannel lasciò che i suoi polsi venissero legati. Con aria solenne seguì il cavallo della donna. I suoi sottoposti la seguirono. Solo dietro a loro quello che rimaneva delle truppe.

“Chi sei” mormorò Leannel “Chi sei tu?”

“Io sono Came. Il mio capitano vuole te. O meglio è il notro dio che vuole te. Noi agiamo per mezzo di lui.”

“Di che parlate?”

Ma Came non rispose. Erano all'accampamento, ormai. Morien sentiva freddo. Non capiva. Reimer e Talmaye si scambiarono uno sguardo mentre venivano condotti in una grande tenda azzurra.

“Benvenuti” disse una voce di donna. Reimer trovò divertente che entrambe le fazioni avessero una donna a loro capo.

“Ora, vogli solamente mostrarvi la bestiolina che ho trovato nel bosco.” un paio di uomini portarono in una gabbia di legno Salmaye, con molti lividi in viso.

“Bene.” disse Leannel “Aprite quella gabbia. Sarò io la vostra bestiolina. Lasciate che tronino a casa prima di notte.”

Salmaye, infinitamente mal ridotto si dimenò, finchè un degli uomini non gli ebbe dato una percossa con un bastne. Si aggrappò alle sbarre

“Cosa fate qui? Lasciatemi e andatevene!” leannel fece cenno di no col capo “Ma voi.. ma noi, cosa siamo senza di te? Non puoi sacrificare la tua esistenza al posto della mia”

“Senza di me voi siete uomini liberi. Siete vagabondi. Finalmente avrete modo di vivere la vostra vita come sempre avete voluto. E' stao bello conoscervi” Leannel versò una lacrima. I suoi uomini fecero lo stesso. Morien pens che la loro vita senza Leannel non avrebbe avuto nessun senso. Il capitano rise. Leannel le fece cenno di aprire la gabbia. Il capitano scese lei stessa dal suo trono e si avvicinò.

“Un ultima cosa” disse Leannel “voglio conoscere il nome della donna che mi ha catturato”

“Il mio nome è Kora”

“Bene, Kora” disse, mentre un uomo apriva la gabbia di Talmaye. “Sono contanta che tu sia nata.. così stupida”

Talmaye balzò fuori dalla gabbia. Reimer lanciò un pugnale a Leannel che lo rivolse verso Kora.

“Siete i peggiori con cui ho mai avuto a che fare” disse Kora

“Tu non hai mai avuto a che fare con nessuno” ripose Leannel. Talmaye strinse la mano di suo fratello.

“Mi aspettavo che li avresti attaccati alle spalle”

“Mi piace deludere le tue aspettative” rispose Salmaye. I due risero. Morien rimase di sasso. Si arrabbiò. Reimer rideva.

“Che ti prende?”

“Ci ho creduto” Reimer continuò a ridere.

“Dovrai abituarti a questo genere di cose.”

“Ho temuto di perdere leannel”

“Non perderemo mai Leannel, sarà lei a perdere noi” Morien sfoderò il suo pugnale ed uccise un paio di uomini. Rise. Era stato divertente, infondo.

I cinque elfi uscirono dalla tenda. Reimer lasciò che questa crollasse.

Leannel era presa dal suo combattimento.

“i hai creduto davvero, sciocca mortale?”

“Vuoi sapere la verità? Si”

“Ti sbagliavi” Con quelle parole leannel trafisse Kora che cadde a terra.

“Avrei quello che ti meriti” mormorò spirando. Leannel rise.

Si avvicinò a Salmaye.

“Buona idea. Anche se in pochi modi avresti potuto render la cosa più complessa”

“A noi non piacciono le cose semplici” rispose “Comunque quella dei vagabondi è stata magistrale”

“Ti ringrazio. È quello che ho pensato anche io”

“Siete due stupidi” disse Talmaye

“Infondo è stato eccitante” rispose Salmaye

“Non lo nego. Ma tu sei stupido in ogni caso”

Uccidevano oramai senza neppure accorgersene. Gli uomini erano tanti che Leannel aveva perso il conto. Salmaye sembrava in perfetta forma, in effetti era il suo unico pensiero era quello che lo avessero picchiato troppo.


Silenzio. Reimer si alzò da dietro una roccia. L'accampamento era distrutto e non si vedevano uomini né orchi. Fece cenno a Morien di alzarsi. Salmaye sputò. L'ultimo mortale gli era morto in grambo ed era sporco del suo sangue. Accanto a lui talmaye recuperava parte delle sue frecce. Leannel si sedette. Sospirò. Reimer notò che stava piangendo. Di gioia, suppose.

Sorrise.

“Che facciamo adesso?” chiese Salmaye

“Torniamo a casa direi” rispose il fratello

“Direi di si, è tutto a posto” disse Reimer.

Leannel fissò il cielo. Poi le venne in mente qualcosa. C'era qualcosa che turbava quella quiete.

“Talmaye vieni qui” Talmaye annuì e si avvicinò “Non pensi che manchi qualcosa?”

“Posso aver sbagliato”

“Ieri sera non la pensavi così”

“Leannel, ci siamo divertiti oggi. Ora andiamocene e tutto rimarrà com'è” Talmaye si allontanò. Sapeva che sarebbe finita.

Leannel sorrise e si unì agli altri. Raccolta la sua arma, imbrattata di sangue, fece cenno ai suoi di andarsene. Reimer annuì. Spostati due o tre corpi le si avvicinò.

“E' andato tutto come doveva”

“Direi di si”

E fu in quel momento che Leannel cadde a terra. Morien gridò e le fu addosso. Reimer sperò che si trattasse di stanchezza eppure, sulla sua schiena, era chiaro, era apparsa una frccia dalle piume nere.

Morien la estrasse.

“Mortali!” disse.

Talmaye la vide. Sotto innumerevoli corpi morti era spuntata una bambina dai capelli biondo grano. Stringeva in mano un arco tanto grosso che Talmaye, pieno d'ira si chiese come potesse portarlo. Ma non gli interessava. La bambina fu trafitta da una delle sue frecce, prima che potesse accorgersi di aver avuto ragione anche quella volta. Si sentì incredibilmente solo. I suoi compagni erano chini sul corpo freddo di Leannel e lui sentiva di aver sbagliato qualcosa.

“Che succede? Che diamine succede qui?” gridò Salmaye.

“State lontani perfavore.” disse Reimer, all'apparenza tranquillo.

“E' avvelenata” asserì

“Cosa facciamo ora?” gli occhi di Salmaye si erano riempiti di lacrime. Non poteva essere. Non voleva diventare un vagabondo. Leannel non poteva morire. No, non poteva essere morta. Sudava e tremava. Reimer lo fissò.

“Talmaye!” chiamò. L'elfo si avvicinò.

“prendi un cavallo e portalo qui. Morien va' con lui.”

“Non me ne vado, Rei” fu la risposta di Talmaye. “Io lo sapevo. Io ho abbassato la guardia.”

Reimer si alzò. Afferrò talmaye per un polsoe si allontanarono.

“Che ti prende?”

“Morirà in ogni caso”

“Smettila di fare lo stupido!”

“Smettila tu. Quella donna ti ha fatto diventare uno sciocco”

“Fa' silenzio. Io e te dobbiamo fare il possibile. Tu l'ami. E smettila di comportarti da incompreso”

“Che hai intenzione di fare?”

“Porta via tuo fratello e Morien. Io penserò a cosa è meglio”

“D'accordo.”

“Se non sopravvive dovremo fuggire. Ci taglieranno la testa”

“Che importanza ha? Siamo venuti al mondo per seguirla ovunque desiderasse andare”

“So che è doloroso, ma non è così”

Reimer si voltò “Ora andiamo” disse “La prossima volta che hai una premonizione del genere, faccelo notare”

talmaye tornò al piccolo gruppo di elfi.

“Andiamo a prndere i cavalli” Salmaye annuì.

I tre si allontanarono.

“Siamo rimasti soli, Leannel. Ma non puoi permetterti di morire. Hai vissuto troppo poco a lungo. Il tuo cuore batte normalmente e respiri. Che ti è preso lea? Stai scherzando, forse?” Reimer ebbe la visione di lei che si svegliava ridendo e diceva che era stato uno scherzo. Leannel non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Eppure era inconfutabile, Leannel non era morta.

Reimer si sedette. Chiese a se stesso, poi a Leannel che cosa avrebbe fatto.

Leannel non rispose. Ma fece qualcosa d'interessante. Si divincolò e pianse. Tutto questo per una brave frazione di secondo. Reimer rimase ancora più perplesso.

“Che le è preso, allora?” la voce di Talmaye ruppe il suo silenzio.

“Non sembra veleno. Sembra piuttosto una maledizione”

“Pensavo che quella roba non esistesse”

“Ti sbagliavi. Leannel sta solamente dormendo”

“Svegliamola, allora” Disse Salmaye alle sue spalle.

“Non funziona così. Dobbiamo aspettare che si svegli da sola” gli rispose Morien . Reimer la fissò. Non aveva idea di dove si fosse documentata su cose del genere.

“Dobbiamo aspettare? Quanto dobbiamo aspettare?”

“Non lo sappiamo, Salmaye. Non dipende da noi” disse Reimer

“Che facciamo fin quando non si sveglia?” chiese Talmaye, asciutto.

“Tutto quello che vi viene in mente. L'unica possibilità di cui dobbiamo privarci è quella di tornare a casa, almeno fin quando non si sarà svegliata o sarà morta”

Le parole di Reimer sembrarono sconvolgere salmaye. Non concepiva perchè il padre di leannel non avrebbe dovuto vedere il corpo di lei prima che morisse. E non riusciva a spiegarsi come avrebbe questa mai potuto morire.

“Ma quando succederà?” chiese

“Non lo sapremo fino a quel momento. Potrebbe essere tra un'ora, un giorno, un anno o tutta l'eternità”

“E che faremo fino ad allora?”

“Aspetteremo, Salmaye”

Leannel si mosse di nuovo. Dalle sue labbra scese un rivolo di sangue.

Talmaye lo pulì con dell'acqua. Sembrava che nessuno avesse voglia di muoversi.

Poi bevve.

“Sua madre è stata maledetta, non è vero?” disse

“Si. Dicono che dopo questo si sia uccisa” rispose reimer

“Non è giusto” disse Salmaye.


Leannel adesso era sudata. Erano assate alcune ore. Era come se con leannel stessero dormendo anche i suoi compagni. L'aria era ferma e puzzava di morto. Il viso di morien si era ricoperto di sabbia.

Leannel si dimenò di nuovo. I quettro elfi non vi diedero peso.

Inevce Leannel torenò col busto eretto e sputò sangue.

“Maledetta” grido. Quattro sguardi furono sul suo viso.

Leannel li fissò e pianse.

Non erano morti.

“Che ti è preso?” chiese Morien

“Non lo so. Voglio tornare a casa” rispose. Leannel si accorse che Morien piangeva. Cos'era successo. Quanto tempo era passato?

“Ci hai fatto stare in pensiero” disse Reimer. Era notte. Salmaye dormiva. Talmaye, da lontano la fissava in silenzio. Era bellissimo.

Leannel lasciò che Morien piangesse sulla sua spalla ancora per qualche tempo.

“Direi che è ora di andare” disse.

“Pensavo saresti stata stanca” disse Reimer

“In effetti lo sono. Ma non riuscirò a riposarmi qui”

Reimer la prese tra le sue braccia e la coricò sul dorso del suo cavallo bruno.

“Berehid è morto, non è così?”

“Si, lo abbiamo trovato morto.”

“Se io prendo il tuo cavallo tu che farai?”

“Ce ne sono moltissimi”Reimer la fissò e sorrise “Che è successo mantre eri lì?”

“Non lo so, Reimer”

“Non credevo che avresti mai tenuto qualcosa del genere per te stessa.”

“Tu pensi sempre di avere più potere di quanto non ne abbia in realtà”

“Si, è vero.” silenzio “Ma a loro cosa racconterai?”

“Niente. Come sempre”

“Talmaye farà più domande di me”
“Non lo credo”

“Ho avuto paura” Leannel sorrise.

“Anche io” disse.


Talmaye uscì silrnziosamente dalla tenda che erano riusciti a costruire. Leannel si era svegliata a notte inoltrata ed ogni membro di quell'esile compagnia che erano era stanco. Così avevano incaricato Salmaye di ricostruire le due tende con ciò che ne era rimasto e si erano coricati. Non a caso taòmaye aveva aspettato il turno di guardia di Reimer per alzarsi.

“A te cos'ha detto?” chiese

“Niente, Talmaye” rispose Reimer

“Neppure a me”

“Sembra che allora non abbiamo informazioni segrete di cui parlare”

“Nei suoi occhi è cambiato qualcosa”

“Sai qual'è un tuo difetto, talmaye? Tu ti interessi alle cose e alle persone solo quando queste in un certo modo.. ti intrigano. Hai vissuto con lei per centinaia di anni e non le hai mai chiesto cos'avesse sognato”

“Si, ma fino ad oggi non era mai stata maledetta. E poi ti sbagli. Non c'è niente che io trovi più intrigante di Leannel”

Reimer rise e fece cenno a Talmaye di sedersi accanto a lui.

“Che hai visto nei suoi occhi?” chiese

“Non erano tristi. O per lo meno non lo erano allo stesso modo di sempre. Era come se avesse paura e.. le piacesse”

“Dici? Secondo me qualcuno p qualcosa di nuovo è entrato nella sua vita. Qualcuno di cui vuole tenerci all'oscuro. Ha trovato qualcosa per cui non morire”

“La domanda è, questa è una cosa buona?”




FINE





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