Batman the missing Joke

di hollowlord69
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Da quanto tempo camminava?

I suoi muscoli doloranti e la stanchezza che sentiva nel corpo e nello spirito gli suggerivano di essere in cammino da ore eppure lui, ad ogni passo, aveva l’impressione di aver iniziato la sua marcia solo pochi istanti prima.

Forse era a causa del paesaggio che lo circondava –una sterminata landa desolata dalla terra arida e brulla- o del cielo sempre coperto da nuvole di un grigio smorto,talmente dense e opache da sembrare un unico enorme tetto privo di ogni colore o particolare.

O forse era la domanda gli martellava il cervello da quando si era risvegliato in quel posto.

“Dove sono?”

In verità non sapeva neanche quale fosse il suo nome o da dove venisse, eppure tra tutte le domande che poteva porsi quella era l’unica su cui continuava a spremersi le meningi.

“Dove sono?”

Poi qualcosa lo riportò bruscamente alla realtà,distraendolo dal quesito.

Un tremito nel terreno,una scossa potente nel suolo che lo fece tremare da capo a piedi.

La terra davanti a lui si spaccò ed esplose.

Ne uscì un denso fumo verde che si levò verso il cielo grigio fino a formare un’alta,spaventosa colonna smeraldina.

Rimase paralizzato dov’era senza fare alcun movimento,a parte il tremore che lo scuoteva.

Si ritrovò a desiderare che quel posto fosse rimasto inerte e privo di vita come prima.

Non aveva la minima intenzione di avvicinarsi, eppure lo fece  quando il suo udito registrò qualcosa di strano in quel fumo.

Qualcosa che gli sembrò familiare anche se non capiva cosa fosse.

Mosse alcuni passi nella direzione del fumo e lo sentì di nuovo, stavolta più chiaramente.

Una risata.

Qualcuno o qualcosa che rideva sommessamente in quella densa massa verde.

Ora la domanda che gli martellava il cervello era cambiata leggermente.

“Dove  diavolo sono? ” si chiedeva adesso.

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Un’altra notte fredda e buia a Gotham.

Era una delle cose che in quella città non cambiavano mai.

Poche stelle e qualche nuvola sparuta e sottile in un cielo buio e tenebroso, illuminato da una luna piena e solitaria.

Notti come quelle erano perfette per  dare la caccia alla feccia della città, pensava sempre Bruce.

Persino a Tim , che ora gli stava accanto in cima a quel palazzo, con il suo sgargiante costume scarlatto, la R d’oro ricamata sul kevlar e il lungo mantello verde scuro col cappuccio veniva facile sgusciare alle spalle dei criminali e sorprenderli nell’ombra.

“Andiamo?” domandò il giovane impaziente.

L’altro, Per tutta risposta, si lanciò dal palazzo aprendo il mantello i due grandi ali nere quanto quella notte.

Il giovane pettirosso si lanciò a sua volta con un sorrisetto sicuro sul volto semi-celato dalla maschera.

In effetti Bruce non pensava che quella notte avrebbe trovato un motivo per indossare la maschera. Tim ci aveva sperato, ansioso com’era di dare una lezione alla criminalità di Gotham, ma le premesse non erano delle migliori. Da ormai alcuni mesi era come se i criminali della città, i più incalliti e folli, cercassero di tenere un basso profilo quando di solito si facevano notare portando scompiglio ovunque.

I pesci piccoli invece sembravano acquistare più sicurezza e voglia di “farsi avanti”.

Doveva essere a causa della voce che andava spargendosi un po’ in tutta Gotham, portando con sé un’idea che a Bruce sembrava sempre più strana e losca.

Joker era scomparso.

Non si trattava di un semplice periodo di inattività dovuto a qualche piano machiavellico particolarmente complicato o la partenza improvvisa per chissà quale misterioso luogo, o almeno così si diceva.

La cosa più strana era che Joker era recentemente evaso da Arkham e dopo ogni evasione cercava sempre di godersi la sua ritrovata libertà il più possibile, dandosi alla devastazione più perversa e indiscriminata.

Invece, dopo il suo primo “scherzetto” ai danni di un giudice della città non aveva più combinato niente di niente.

Non un furto, non una rapina, non un omicidio, niente.

Certo, che il suo peggior nemico non creasse guai nella sua città a Batman non dispiaceva di certo.

Ma era tutto molto, anzi troppo strano.

Uno come lui che conosceva Joker come le sue tasche non poteva che pensarla così.

Uno come lui non poteva non trovare strano il silenzio di altri criminali del calibro di Duefacce, del Pinguino o di Maschera Nera.

Ciò rendeva la scomparsa di Joker e la calma che ne derivava ancor più sospette.

Atterrarono in un piccolo parcheggio abbandonato poco lontano da un grande magazzino abbandonato.

Normalmente nessuno l’avrebbe notato nascosto com’era tra gli edifici.

E infatti nessuno fino a pochi giorni fa sapeva che uno dei covi di Joker si trovava lì.

Dopo la notizia della scomparsa del clown il covo era stato preso d’assalto da diverse bande criminali  che,trovandolo abbandonato, lo avevano saccheggiato.

“Sicuro che troveremo qualcuno qui?” chiese Tim.

“L’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.” Rispose Bruce “Per quanto possano rubare, rimarrà sempre qualcosa di interessante che Joker ha nascosto in qualche anfratto di quel posto”.

“Già. Sempre pieno di sorprese il pagliaccio.” Convenne il ragazzo.

“E credo che quei tizi che entrano furtivi dal retro confermino la tua teoria.”disse indicando l’edificio diroccato.

“Sbrighiamoci.” Concluse l’uomo pipistrello.

Una volta arrivati si arrampicarono sul tetto e dai pannelli di vetro su di esso poterono dare un’occhiata a ciò che accadeva all’interno.

C’erano circa una decina di uomini che frugavano in ogni angolo in cerca di qualcosa che valesse la pena prendere.

“E, parlando di pazzi, guarda un po’ chi li guida” fece Tim, con un cenno verso un ometto avvolto in un impermeabile nero con un bizzarro cappello a cilindro.

“Jervis Tech, alias il Cappellaio.” Commentò Bruce.

Tim si scrocchiò le nocche “Ottimo proprio uno dei cattivi che mi dà più sui nervi. Quando attacchiamo?”

“Appena avranno trovato qualcosa di strano entreremo e li neutralizzeremo, così potremo prendere ciò che avranno trovato e portarlo alla polizia in modo che non faccia più danni.”

“Bene aspettiamo fiduciosi allora!”.

Attesero per una ventina di minuti.

Poi un’altra.

E un’altra.

E un’altra ancora.

Poi entrambi cominciarono a trovare strano ciò che gli scagnozzi del Cappellaio stavano facendo.

Continuavano a spostare tutto quello che trovavano all’esterno, comprese le poche casse rimaste e le impalcature metalliche che venivano smontate pezzo per pezzo.

Eppure non sembravano interessati a controllare se ci fosse qualcosa dietro  o sotto ciò che prendevano. Lo spostavano fuori e basta.

“È strano. Sembra quasi che stiano…  ”

Prima che Bruce potesse dire cosa gli sembrava stessero facendo, si sntì uno sparo e il vetro sotto lui e Tim si frantumò in mille pezzi.

I due vigilanti caddero all’interno del magazzino in mezzo a una decina di energumeni, tutti col volto coperto da una maschera da coniglio sorridente. Si voltarono verso di loro tutti nello stesso momento senza un’esclamazione o un’imprecazione. Risuonò solo la compiaciuta voce squillante di Tech.

“Il Cavaliere Oscuro e il suo aiutante! Che meraviglia, vi  stavo aspettando sapete?”

“Davvero? Noi aspettavamo qualche pazzoide megalomane da sbattere dentro e non vedo nessun altro qui dentro che corrisponde alla descrizione a parte te. ” commentò Tim.

“Oh non credo che questo accadrà mio caro ragazzo.” Rispose il Cappellaio.

Fece un cenno agli scagnozzi “Forza amici! È l’ora del tè. Fate mettere comodi i nostri ospiti!”

Tre scagnozzi attaccarono Bruce, lanciandosi su di lui nello stesso istante.

Due li sistemò lanciandogli dei Batrang, il terzo lo atterrò con un calcio al petto e una gomitata alla schiena.

Poi si diresse verso quelli che combattevano con Tim. Il ragazzo ne aveva già abbattuti un paio ma aveva un po’ di difficoltà con gli altri quattro che lo attaccavano.

In effetti i loro movimenti non erano del tutto normali.

Nessuna mossa inutile, nessuno sbilanciamento, sembravano degli automi.

Insieme mandarono a terra tutti e quattro gli scagnozzi e si prepararono a combattere gli altri.

“Sono in sei, tre a testa, ci copriamo le spalle, ricevuto Robin? ”

“Robin?”

Tim non poteva rispondergli, perché i tre scagnozzi che aveva steso prima si erano magicamente rialzati, lo avevano costretto in ginocchio e gli avevano fatto indossare un bizzarro cappello rosso a cilindro.

Un secondo dopo anche lui sentì qualcosa coprirgli la testa e improvvisamente le forze gli mancarono e anche lui crollò in ginocchio.

“Vi piacciono? Sono le mie ultime creazioni! All’interno sono rivestiti di fibre elettrificate che interagiscono con il sistema nervoso e bloccano il movimento. L’ideale per ospiti irrequieti che non vogliono stare al loro posto. ”

“Anche le maschere dei miei ragazzi ne sono rivestite per questo sono così tranquilli e obbedienti! Ah se Alice fosse qui sarebbe così fiera di me… ”.

Bruce sentì il Cappellaio avvicinarsi a lui, ma non poteva girarsi poiché era paralizzato. I suoi occhi erano invece puntati su Tim.

Le sue palpebre tremavano, una vena gli si contraeva sul collo.

Stava opponendo resistenza.

“Sapevo che sareste venuti per catturarmi e per portare via qualche cosuccia che avrei potuto trovare. Ma devo deludervi. Sono già stato  qui proprio ieri e ho portato via tutto quello che mi interessava.

Oggi sono tornato per liberare questo posto dalle cose inutili e farne il mio nuovo covo. Ho intenzione di espandermi! Diverrò ancora più famoso e potente di Joker e quando troverò Alice la conquisterò con il prestigio della mia nuova dimora!”

“Ma non temete. Ho qualcosina anche per voi. Siete i miei ospiti dopotutto.” Bruce sentì Tech frugare nelle tasche dell’impermeabile.

Poi il criminale avanzò e si fermò davanti a lui.

Aveva in mano una strana pistola viola con un bizzarro motivo a spirale rosso.

Gliela puntò addosso.

“Ecco, non è come il solito tè ma dovrebbe essere comunque di vostro gusto…”

“NO!!!” gridò Tim alle sue spalle.

Tech si voltò bruscamente e si sentì uno sparo.

Tim si era liberato del cappello ed era arrivato a un passo dal Cappellaio.

Dal suo collo spuntava quello che sembrava un dardo.

Il corpo del ragazzo fu scosso da un tremito, poi si accasciò a terra senza un lamento.

“Oh! Era davvero ansioso di provare la mia miscela! Giovani d’oggi, così volentero…”

Un pugno lo zittì colpendolo in pieno viso.

A Batman Era bastato vedere il suo socio a terra per liberarsi dall’influenza del cappello.

Gli scagnozzi gli si lanciarono addosso ma lui fu più veloce e li stese uno dopo l’altro, colpendoli abbastanza forte da mettere fuori uso quelle maschere infernali.

Si avvicinò a Robin, lo scrollò,chiamò il suo nome, ma fu tutto inutile.

Il ragazzo sudava freddo  e biascicava parole incomprensibili.

Afferrò Tech per il collo “Cosa gli hai iniettato?”

“Qualcosa di speciale che lo farà andare nel paese delle meravglie.” squittì lui compiaciuto.

“Rimettilo in sesto! Subito!”

“Io…io non posso”

Bruce lo guardò senza capire “In che senso? Che vuoi dire?!”

“Ho creato quel veleno grazie a un composto di Joker che ho trovato qui.

Per l’antidoto dovresti chiedere a lui. Mi raccomando se lo trovi digli che lo ringrazio!”

Un altro pugno e Tech crollò a terra, il naso sanguinante.

Eppure Bruce anche in mezzo a tutti quei nemici sconfitti, segno

inequivocabile di un’altra vittoria, si sentì perso.

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Non avvicinarti.

Si voltò bruscamente.

Da dove veniva ora quell’altra voce?

“C-chi c’è?” balbettò

Devi stare tranquillo. Non muoverti e, soprattutto, allontanati da quel fumo.

Senza sapere che altro fare, obbedì.

Il fatto che prendesse ordini dalle voci era un chiaro segnale di quanto fosse disperato in quel momento.

Si guardò attorno, ma non vide  nessuno. La landa desolata dove si trovava era ancora desolata.

E il fumo verde e la spaccatura da cui era uscito erano scomparsi.

È inutile non puoi vedermi. Io mi trovo in altro luogo.

“Chi sei?”

Qualcuno che vuole aiutarti.

Era la voce di una donna questo lo capiva chiaramente.

 Molto chiara e un po’ acuta, ma allo stesso tempo dolce e melodiosa.

“Sai dove siamo? Chi sono io? Come sono finito qui? Come faccio ad andarmene?”

Calmati.

Gli bastò sentirla parlare di nuovo per rilassarsi.

In effetti le aveva fatto tutte quelle domande anche per poter sentire di nuovo quella bella voce.

Ti sarà tutto svelato a tempo debito. Ti basti sapere che ti trovi in luogo incredibilmente pericoloso, pieno di insidie,trabocchetti e inganni.

Ma non temere, ci sono io con te.

Ti guiderò in modo che tu possa uscire da questo posto sano e salvo.

La proposta era allettante.

Ma c’era da fidarsi? Era solo una voce dopotutto.

Un gran bella voce.

Ti prego, fidati di me, voglio solo aiutarti.

Beh che altra scelta aveva?

“Ok ti ascolto”

Bene. Dovrai fare attenzione. La strada è lunga e piena di insidie. Ciò che hai visto prima era solo l’inizio. Io ti indicherò la strada. Fai sempre esattamente ciò che ti dico. Chiaro?

“Ehm…cristallino.” Però, autoritaria la tipa.

Ma quando parlò di nuovo la sua voce era più serena e comprensiva

Ok. Allora forza, girati di spalle e cammina dritto davanti a te.

Ti dirò io quando fermarti.

E così riprese a camminare.

Solo che adesso non era faticoso come prima.

Adesso aveva qualcosa da seguire.

Aveva una speranza.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Tutti i componenti della cosiddetta Bat-family erano lì riuniti.

C’era Dick Grayson, il primo Robin ora conosciuto come Nightwing, il cui volto segnato da mille avventure come aiutante del cavaliere oscuro era corrucciato e malinconico.

Cassandra Cain attuale Batgirl, seria e posata come sempre. Colei l’aveva preceduta, Barbara Gordon, costretta sulla sedia a rotelle ma comunque indispensabile al gruppo.

Damian Wayne, il suo intraprendente e cocciuto figlio biologico, che con Tim si divideva il ruolo di Robin.

Alfred che, nonostante i tanti anni passati al servizio della famiglia Wayne  e come primissimo, paziente assistente di Batman, sembrava non invecchiare mai.

C’era Stephanie Brown, alias Spoiler, il cui carattere infantile e ironico riusciva a rallegrare anche gli attimi più cupi.

Ora però l’ansia che provava in quel momento per la sorte del ragazzo che amava, steso nel letto davanti al quale era seduta, rivaleggiava con quella di tutti i presenti messi assieme.

Beh, non proprio tutti se si contava anche lui, Bruce, che dava le spalle agli altri assorto in chissà quali pensieri.

“Cosa…cosa ha detto Fox?” chiese esitante Barbara rompendo il silenzio che aleggiava in quella stanza ormai da quasi un’ora.

Nessuna risposta.

“Bruce?”

“L’antidoto che gli ha dato ha neutralizzato la componente letale. Non è più in pericolo di vita.” Rispose l’Uomo Pipistrello con voce atona.

Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Tutti meno Stephanie che ancora teneva la mano destra di Tim serrata nelle sue.

“Ma non può fare nulla per il coma. Senza un vero rimedio potrebbe non svegliarsi più.”

“Allora troviamo Joker alla svelta e spremiamogli l’antidoto.” Dichiarò Damian, pratico.

“Stavo appunto per preparami a cercarlo”.

“Questo è lo spirito” fece Dick “Vedrai che lo troveremo dovessimo setacciare tutta Go…”

“Voi non setaccerete un bel niente. Andrò da solo” disse Bruce con voce sepolcrale.

“Sì certo, così ti farai spedire in coma anche tu.” Sbottò Damian ironico.

Di nuovo, il padre rimase zitto.

“Non sei forse tu ad avermi insegnato a non prendere le cose troppo sul personale, soprattutto quelle così gravi ed importanti? Avanti datti una calmata e poi partiamo tutti per… ”

Bruce finalmente si voltò.

La sua espressione bastò a zittire Wayne junior. A volte riusciva a incutere timore anche senza maschera.

“Sono contento che tu sia diventato abbastanza maturo da farmi la paternale. Ciò che dici è saggio.

Ma non cambia il fatto che ne tu ne nessun altro mi seguirà.”

“Non sei l’unico che vuole aiutare Tim”. A parlare era stata Stephanie.

Non aveva aperto bocca da quando lui le aveva raccontato cos’era successo.

“Vero. Anche noi teniamo a lui. E a te.” Continuò Cassandra “Siamo la tua famiglia Bruce. E tu sei la nostra.”

“Anche io ti seguirei se non fossi bloccata qui, lo sai” disse Barbara con fierezza.

“Si lo so! Ed è proprio perché siete l’unica famiglia che ho che non posso permettermi che vi accada qualcosa!”

Non capitava spesso di vedere Bruce fare di quelle scenate. Non era mai un bello spettacolo “Sentite. Io non mi sono svegliato un bel giorno decidendo di essere un supereroe. Ho affrontato innumerevoli sfide quando ancora avevo l’età di Tim. Anche voi le avete affrontate, e ci farete i conti anche in futuro.

So quello che faccio. So cosa dico. E so che la cosa giusta è che io cerchi Joker da solo. Ma ho comunque bisogno che voi facciate qualcosa per me. Ed è fidarvi. Fidarvi del fatto che tornerò qui da voi sano e salvo. Fidarvi di me quando vi dico che recupererò quell’antidoto dovessi stillarlo dalle vene di Joker goccia per goccia. ”

Nessuno parlò. Il silenzio tornò nella lussuosa stanza da letto di Bruce. Ma solo per poco.

“Tu che ne pensi Al?” chiese Damian.

“Penso che il signor Bruce non abbia torto. Quando si infiamma e  fa di questi sermoni tende a mantenere ciò che promette.”

“Questi sermoni li ho imparati proprio da te.”

“Appunto per questo li comprendo così bene.” Rispose l’anziano maggiordomo sorridendo.

“Allora avanti sbrigati e trova quell’antidoto” disse Damian “E dai un pugno a Joker da parte mia.”

“Non abbassare mai la guardia.” Si raccomandò Cassandra.

“Sii prudente” disse Barbara.

“Buona fortuna.” Gli augurò Dick.

“Copriti che fuori fa freddo.” Mormorò Stephanie.

Tutti la guardarono perplessi.

“Beh che c’è? Quello che pensavo io l’avete già detto voi! Non è mica facile  incoraggiare la gente in queste situazioni che credete?

   

 

E così eccolo lì.

Ancora una volta con la maschera e il mantello.

Ancora una volta nella selvaggia Gotham notturna.

L’insegna intermittente del sontuoso night club davanti a lui gli faceva l’occhiolino mandando bagliori rosati  ogni pochi secondi.

La scritta recitava ICEBERG LOUNGE.

Là dentro c’era l’unica persona in tutta la città in grado di svelargli tutti i segreti della criminalità gotamita.

Per ironia della sorte, questa persona era anche uno dei suoi elementi di spicco.

Costeggiò rapidamente l’edificio  e si arrampicò agilmente fino a raggiungere la finestra dove si trovava la stanza-ufficio del proprietario.

Trovò un paio di scagnozzi di guardia ma li mise fuori combattimento in pochi secondi e alla chetichella.

Ne trovò uno anche  sul balcone dell’ufficio. Lo arpionò rapidamente con il rampino e lo spedì nel mondo dei sogni con un solo colpo.

Saltò sul balcone e mise la mano sulla maniglia di un’anta.

“Porca miseria! C’è Batman!”

Si voltò lentamente.

Cinque tizi con in mano dei fucili e un passamontagna bianco e nero erano comparsi alle sue spalle dal tetto adiacente alla finestra più alta del club.

Nella fretta aveva dimenticato di seguire l’avvertimento di Cassandra.

Ma non era un problema li avrebbe sistemati in fretta.

“Non fatemi perdere tempo ragazzi. Voglio solo parlare col vostro capo”  

“Certo, che ci pagherà profumatamente quando saprà che ti abbiamo tolto di mezzo!” esclamò uno di loro trionfante.

“Pensate davvero di avere speranze contro di me?”

“Speranze? Senti un po’ stronzo di un pipistrello…” mentre parlava aveva abbassato il fucile  e si era avvicinato.

A volte era fin troppo facile.

Gli ci vollero solo pochi secondi. Colpì quello che gli era venuto in contro e lanciò lontano il suo fucile, disarmò quello che stava per sparargli e mandò a terra anche lui. Prese le teste dei due che si trovavano vicini e le fece cozzare l’una contro l’altra.

Ne era rimasto in piedi solo uno, gli puntava addosso il fucile, tremando dalla testa ai piedi.

Sempre più facile.

“Ora basta.” Ordinò una voce alle loro spalle.

Apparteneva a un uomo basso e grassoccio dal naso adunco simile a quello di un rapace.

Era avvolto in una vestaglia color porpora. Oltre alla statura erano caratteristici i suoi occhi. Piccolo scuro e maligno il sinistro, coperto da uno strano oggetto di vetro il destro.

Il vetro non era altro che il fondo di una bottiglia che in passato aveva rischiato di uccidere uno degli uomini più ricchi di Gotham.

“A cosa devo questa tardiva e sgradita visita Batman?” chiese il Pinguino.

“Niente di cui tu debba preoccuparti Cobblepot. Voglio solo fare due chiacchiere con te.  ”

“A quest’ora? Nel mio ufficio? Spero che tu non ti offenda, ma non sei proprio il genere di compagnia che mi piace avere la notte.”

“So bene con chi preferiresti stare” ribattè Bruce imperturbabile ”Ma se ti rifiuti devo pensare che hai qualcosa da nascondere. E se hai qualcosa da nascondere…”

“Ok! Ok! Avanti entra prima che mi venga un’emicrania.” sbottò il criminale spazientito.

“Ma che ti è capitato?” chiese Batman mentre entrava nel lussuoso ufficio.

In effetti il boss dell’Iceberg Lounge non era mai stato una bellezza ma aveva di certo visto giorni migliori di quello.

Sulla testa, poco sopra la fronte, c’era un grosso livido, ancora un po’ gonfio malgrado il grosso cerotto di garza dall’aria consunta e vecchia che lo copriva a malapena.

“Sei venuto a farti gli affari miei?” ringhiò lui in risposta.

“Sì se servirà per trovare ciò di cui ho bisogno.” Rispose Bruce imperturbabile “cosa sai della scomparsa di Joker?”

Il Pinguino fece una smorfia e si massaggiò il cerotto “So che parlarne mi dà parecchio fastidio. Innanzitutto perché,  so che ti sembrerà incredibile ma è così, non ne so praticamente niente. E non sapere dove vanno e cosa fanno quei cerebrolesi dei miei colleghi mi dà abbastanza sui nervi.”

Questo era un problema. Se nemmeno Cobblepot non sapeva qualcosa sulla malavita di Gotham la faccenda era più strana di quanto già non sembrasse. Non era da escludere che stesse mentendo ma non ne avrebbe avuto motivo. Sapeva che Batman poteva dargli parecchi problemi se non collaborava.

“Non sai proprio niente? Niente movimenti dei suoi scagnozzi? Niente avvistamenti sospetti?”

“No niente! Non ho visto nessuno dei debosciati che gli ronzano attorno! E ti pregherei di non girare il dito nella piaga.”

Bruce riflettè rapidamente. Poi gli venne in mente ciò che lui stesso aveva detto poco prima e provò con una domanda un po’ diversa.

“E di Harley Quinn che mi dici?”

L’espressione di Cobblepot cambiò. Se prima era arrabbiato ora era davvero furibondo.

Improvvisamente la porta dell’ufficio si aprì. Ne sbucò fuori una giovane donna con lunghi capelli rossi, vestita solo con un completo reggiseno-slip viola che copriva a malapena le sue curve prosperose “Ehm signor Cobblepot…” mormorò con aria innocente.

“Che diavolo vuoi Stacey?”

“Mi ha mandata a chiamare prima, ma non pensavo fosse occupato…”

“Sì già sono occupato! Torna più tardi magari.”

“Ehm ok…” disse la ragazza continuando a fissare Bruce con gli occhi luccicanti.

“ANCORA QUI?? SPARISCI!” ruggì il Pinguino.

Stacey si fiondò fuori dall’ufficio impaurita,mentre Cobblepot si massaggiò di nuovo il bernoccolo.

Qualunque cosa fosse successa, doveva essere qualcosa di grosso per indurre Cobblepot a scacciare via una bellona del genere.

“Volevi sapere cosa mi è successo alla testa? Va bene te lo dirò, così forse sarai soddisfatto e mi lascerai in pace finalmente.”

 

“Wow che megaufficio!! Sembra la stanza di un principe!”

La voce cinguettante di Harley Quinn fece spuntare un sorrisetto orgoglioso sul viso rugoso del Pinguino.

Normalmente se una qualunque persona che avesse avuto qualcosa a che fare con il Pagliaccio, si fosse presentato alla sua porta l’avrebbe fatta impallinare sul posto. Anche una donna. Ma sì anche una gran bella donna.

Eppure gli era bastato vedere quella signorina nel suo abito rosso con la minigonna pieghettata per cedere.

“Vedi non è che dove sto adesso  mi dispiaccia. Se c’è Mr. J non ho bisogno d’altro. Però a volte mi piacerebbe stare in un posto come questo. Solo che Mr. J preferisce posti…come dire…”

“Dismessi? Strambi? Pericolanti? ” azzardò Cobblepot.

“Tutti e tre!” squittì divertita Harley piegando la testa di lato facendo muovere i codini biondi.

“Tu mi lusinghi mia cara Harley, ma vedi, adesso vorrei proprio sapere cosa ti ha portata qui nella mia umile dimora. Vedi io e il tuo uomo non siamo in ottimi rapporti per cui…”

“Oh ma lui non sa neanche che io sono qui!”

Lui inarcò un sopracciglio pensieroso. Una delle cose che più lo sdegnavano di Joker era il fatto che dess a una ragazza tanto  deliziosa così poche attenzioni. Lui sì che avrebbe saputo come trattarla…

No! non doveva distrarsi. Anche la minima disattenzione avrebbe potuto essergli fatale. E poi quella storia non stava in piedi. Come faceva Joker a non sapere dove fosse se lei praticamente neanche si muoveva senza che lui lo ordinasse?

“Ecco…so che probabilmente tu non ti fidi per niente di me. E lo comprendo. Tutto ciò che riguarda Mr. J induce negli altri solo paura, diffidenza e disprezzo.”

Qualcosa nella voce di lei lo distrasse dalle sue meditazioni.

Il tono di Harley da dolce, invitante e infantile era diventato lamentoso e quasi gemente.

“Ne ho abbastanza di questa vita.” Dichiarò in modo melodrammatico ”La verità è che non ne posso più

di vivere ai margini della società, di essere odiata e temuta da tutti. Ma soprattutto non ne posso più di Lui.

Non fa altro che insultarmi, picchiarmi e coccolarmi solo quando ha bisogno che faccia qualche lavoro sporco o quando a voglia di divertirsi un po’!” aveva detto tutte  quelle cose in un crescendo d’ira e risentimento. E alla fine la sua voce,  sempre più alta man mano che parlava, si era spezzata in un singhiozzo disperato.

Oswald si ritrovò improvvisamente con le braccia di lei intorno alla vita e la sua testolina bionda abbandonata sul grembo.

Quando poi lei cominciò a piangere a dirotto, lui si sentì ancor più perso.-

Era la prima volta che aveva una donna così vicina e non sapeva cosa dire o come comportarsi.

Fece comunque un tentativo ”Avanti cara…non fare così…andrà…andrà tutto ehm…per il meglio…”

“E come?! Niente può andar bene con lui di mezzo ! lui distrugge tutto ciò che tocca e ha già distrutto me la prima volta che ci siamo incontrati! Di me non è rimasto più nulla. Sono inutile! Senza valore!” gemettè disperata la ragazza.

“Questo…questo non è affatto vero! Tu ehm…sei una persona stupenda, hai un sacco di talenti e sei…ecco…bella…molto bella a dire il vero…” accidenti, si sentiva di nuovo al liceo.

Senza preavviso lei alzò la testa guardandolo dritto negli occhi scuri, con le sue grandi pupille color cielo da cui le lacrime sgorgavano senza freni disfacendo l’accurato  trucco applicato sul viso “Sei così gentile. È per questo che sono venuta da te. Quando vedo le donne che ti accompagnano c’è sempre una cosa che invidio loro. Sono felici. Sorridono sempre! E non lo fanno perché sono costrette da qualche pazzoide! Lo fanno perché tu le tratti bene e le fai sentire apprezzate”.

“Anche io voglio sentirmi così. Anche io voglio essere amata Oswald.”

L’aveva appena chiamato per nome.

“Harley…che cosa vuoi dire?”

Ma lei non disse niente.

Si limitò a sorridere e ad avvicinare il suo viso a quello di lui.

Un attimo dopo, Oswald sentì due labbra morbide premute dolcemente sulle sue.

Era una sensazione incredibile. L’aveva già provata altre volte, eppure quella gli sembrò la prima. Una stupenda meravigliosa prima esperienza.

Quella ragazza, tanto più giovane di lui, gli aveva messo il fuoco dentro.

Ed era solamente un bacio.

Un bacio che lui si godette fino in fondo, lasciando che la morbidezza di quelle labbra lo trasportasse fino in paradiso…

Poi il piacere svanì. E con esso ogni altra sensazione.

Improvvisamente non riusciva più a muoversi.

Harley, che nel frattempo non piangeva più, si era alzata. Lo guardava con un misto di divertimento e  pietà.

“Povero povero Oswald! Ammaliato ed ingannato dalla donna del suo peggior nemico! Anzi da ben due donne, contando la cara amica che mi ha insegnato questa tecnica.” Disse passandosi un dito sulle labbra ”Un solo bacio… e la preda non ha più scampo.”

Fece un movimento col braccio. Improvvisamente aveva in mano una mazza.

“P-puttana…” sibilò appena Cobblepot rabbioso.

“Credimi non vorrei farti del male ma sai, un uomo Focoso come te potrebbe liberarsi un po’ troppo in fretta dalla paralisi per cui…buonanotte uccellino!!!”

la mazza colpì.

E il resto fu solo dolore.

 

“Quindi ricapitolando Harley Quinn ha fatto irruzione nel locale alla testa di un bel po’ di scagnozzi, c’è stata una battaglia, lei ti ha colpito e poi si è portata via con la forza trenta dei tuoi uomini?” riassunse Batman.

“Ehm…sì è andata così.” Annuì Cobblepot, con voce molto poco convinta.

“E perché voleva i tuoi scagnozzi? Lei e Joker ne hanno già un bel po’ per conto loro.”

“Senti non lo so. Dopo che quella maledetta donna mi ha ridotto in questo stato è stato parecchio difficile mettere a fuoco il tutto.” Rispose il criminale frustrato.

“Però…forse posso dirti da chi è andata dopo.”

“È andata da qualcun altro? Ne sei certo?”

Cobblepot gonfiò il petto , orgoglioso “Perché sei venuto da me Batman? Perché sono la più attendibile fonte di informazioni sulla criminalità gotamita ecco perché! ”

“come ti ho detto mettere a fuoco è stato un po’ difficile…ma non impossibile!”

“E allora? Da chi è andata poi Quinn?”.

Cobblepot gli disse il nome.

Il nome di una delle persone che a Bruce dispiaceva di più incontrare visto che le circostanze non erano mai delle migliori.

Una persona che, in confronto a un uccellino come Cobblepot era pericolosa come un intero branco di lupi.

“Capisci chi avrai contro adesso Batman?”

“Sì” rispose lui deciso.

“E vuoi ancora proseguire la tua ricerca?”

“Certo. Niente mi farà arrendere.” Dichiarò solenne.

Cobblepot annuì, con una strana espressione soddisfatta sul volto da rapace “Ebbene, come tu ben sai io chiedo sempre un prezzo per le mie informazioni…”

“Che di solito si limita alla mia promessa di non farti sbattere dentro subito dopo aver sentito ciò che hai da dirmi” lo interruppe Bruce gelido.

“Non stavolta. Puoi fare di me quello che vuoi Batman, puoi sbattermi nella cella più profonda e buia…basta che mantieni una sola promessa. Scova quel pagliaccio e la sgualdrina che lo accompagna, manda in rovina il loro piano qualunque esso sia e falli soffrire il più possibile! Umiliali come loro hanno fatto con me!”

Bruce lo fissò per qualche istante. Neanche lui era diverso dagli altri.

Anche lui era un povero folle che obbediva solo ai suoi istinti.

Tutti i mostri contro cui combatteva erano così.

Anche lui, il Cavaliere Oscuro di Gotham City, dietro tutta la sua fermezza e le sue regole era come loro.

L’unica cosa che ancora gli impediva di  trasformarsi in un mostro erano Tim e il resto della Family.

Non sapeva come avrebbe fatto senza di loro.

Si alzò dalla poltrona e si diresse sul balcone. Doveva sbrigarsi, la ricerca era ancora lunga.

“Non temere Oswald, ci penserò io a farla pagare alla sirena che ti ha ammaliato e usato”

“Come hai detto? E tu come fai a sapere… ”

“Perché tu gli altri criminali di Gotham mi temete Oswald? Perché sono il più grande Detective del mondo ecco perché.” Replicò il pipistrello sprizzando sarcasmo da tutti i pori.

Cobblepot era livido di rabbia “FUORI DI QUI!!! VATTENE SUBITO DALLA MIA

PROPRIETÀ!!!”

“Grazie di tutto Oswald. Ci si rivede”.

E senza dire altro saltò giù dal tetto librandosi nell’aria notturna di Gotham mentre  sentiva il Pinguino urlargli dietro con rabbia “MA ANCHE NO!!!”

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Capitolo 3
*** 3 ***


Si era allontanato parecchio dall’Iceberg Lounge.

La zona in cui sorgeva il club non era delle migliori ma era sicuramente meno malfamata e fuori mano di quella in cui Bruce si trovava in quel momento.

Tra i recessi più oscuri e soffocanti di Gotham, dove le peggiori bestie della città nascevano, venivano vomitati nella società pronti a corromperla e a devastarla e poi tornavano a nascondersi.

Era davanti ad un edificio basso, sporco e cadente, in un vicolo stretto e maleodorante come la gola di un qualche gigantesco, mostruoso animale.  

In quell’ambiente asfittico e cupo, a cui da anni si era abituato, Batman fece qualcosa che decisamente non era da lui.

Qualcosa che in quell’ambiente non poteva permettersi e sarebbe stato sciocco e imprudente fare.

Entrò dalla porta principale.

Chiunque avrebbe evitato una possibilità simile visto chi stava per incontrare. Ogni volta che Bruce indossava la maschera la porta d’avanti non la guardava mai e le poche volte che lo faceva era quando decideva di togliere di mezzo i gorilla che solitamente la sorvegliavano.

Ma lì non ce ne erano.

L’ingresso era libero.

E, come scoprì Bruce, anche l’interno dell’edificio lo era.

L’analisi che i sensori del suo cappuccio avevano fatto una volta entrato non rivelava alcuna presenza umana. Eccetto una.

Era lì da solo.

Il perché era un mistero persino per il più grande detective del mondo.

Anche se quasi sempre riusciva ad anticipare le mosse dei più folli criminali di Gotham non riusciva mai a capire appieno i processi delle loro menti contorte. E, purtroppo, la mente di quell’unica persona presente in quell’edificio era tra le più contorte in assoluto.

Dire che agiva per istinto era sbagliato, ma lo era anche dire che era la sua mente a governare le sue azioni.

C’era qualcosa di più grande e distorto che lo muoveva, qualcosa che egli odiava e venerava al tempo stesso.

Qualcosa in nome del quale era pronto a compiere i peggiori delitti.

Aveva attraversato un lungo e stretto corridoio scarsamente illuminato per poi salire da una scalinata fino al piano superiore.

Come previsto non incontrò nessuno.

Si fermò in una piccola stanza dalle pareti sudice e umide. All’interno c’era solo un vecchio biliardo dal tessuto ingrigito e vecchio.

Vecchio ma non in disuso.

Le palle erano sparse sulla moquette del piano,lucide, e c’era un stecca appoggiata al tavolo con la punta ingessata di fresco.

I sensori del cappuccio avevano percepito la presenza di chi stava cercando, ma non era in grado di dire dove si trovasse esattamente.

E così si mise al centro della stanza, vicino alla finestra, e attese.

Era il solo modo per far uscire allo scoperto il suo ospite.

Era come braccare un animale selvaggio. Un predatore che diventava preda.

Anni fa non avrebbe mai pensato che avrebbe dato la caccia a quell’uomo.

Anni fa si fidava di lui.

Ma adesso di quell’uomo non ne era rimasta neanche la metà checché ne dicessero in giro.

Adesso anche quell’uomo un tempo virtuoso si rintanava nelle tenebre di quei luoghi maledetti.

Ma Bruce non aveva dimenticato gli anni in cui erano stati amici.

E non aveva dimenticato la sua voce.

“Non muoverti”.

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Bastò che la voce gli desse quell’ordine perentorio e lui si rannicchiò contro la roccia alle sue spalle.

Non muoverti.

Ormai aveva chiaro che l’unico modo per sopravvivere era darle ascolto alla lettera e in qualunque circostanza.

E in circostanze come quella, ascoltare i suoi preziosi consigli era l’unica cosa sensata da fare.

L’unica cosa sensata in quel luogo totalmente insensato.

Perché solo in luogo insensato potevano spuntarti montagne e rocce sotto i piedi  all’improvviso in un deserto.

Solo in luogo come quello potevi perderti in un intero canyon spuntato chissà come dal nulla.

Solo in un luogo come quello potevano esistere quegli esseri.

Li aveva visti mentre cercava di farsi strada tra le grigie e imponenti pareti di roccia.

Casualmente aveva alzato lo sguardo verso il cielo cupo e plumbeo e aveva notato due macchie che svolazzavano in modo disordinato a svariati metri di altezza dal suolo.

D’un tratto erano scesi in picchiata e aveva potuto scorgerli un po’ meglio.

Fu solo un’occhiata fugace poiché subito dopo la voce gli aveva ordinato di nascondersi velocemente dietro una parete la parete di roccia più vicina e di non emettere un fiato.

Eppure era bastato quel solo sguardo a terrorizzarlo.

“Che diavolo sono?!”

Zitto.

“Ma…”

Non dire più nulla. Loro non possono sentirmi perché solo tu puoi  comunicare con me. Ma basterà che tu pronunci una sillaba e ti saranno subito addosso.

Sono uno degli innumerevoli ostacoli che troverai a dividerti dalla salvezza. Ti aspettano sofferenze atroci ed eterne se cadi nelle loro mani. Finchè non li avrai seminati non dovrai aprire bocca.

Non temere, basta che tu faccia ciò che ti dico come sempre. Non lascerò che ti prendano.

Lui ascoltò, facendo attenzione a tenere la bocca ben serrata nonostante il fiume di domande che lottava per straripare dalle sue labbra.

Alzati lentamente. Vai a destra,poi a sinistra, poi ancora a destra, poi sempre dritto fino a quando non ti dirò di fermarti.

Si rimise in piedi lottando contro la paura che gli paralizzava le membra.

Si allontano dall’apparentemente sicuro rifugio che aveva trovato, seguendo il percorso che gli era stato detto.

Destra…

Svoltò tra le pareti di roccia con ansia crescente come se da un momento all’altro avesse dovuto incontrare quegli esseri.

Sinistra…

Se Lei gli imponeva di essere così cauto significava che non erano solo di passaggio. Erano lì nel canyon e lo cercavano. Ma perché?

Ancora destra…

Perché proprio lui? Perché in quel luogo strano e spaventoso? Perché senza alcun ricordo della sua vita prima di risvegliarsi in quel luogo dimenticato da Dio?

Perché non ricordava neanche cosa fosse un dio? Perché riusciva a pensare queste strane parole senza nemmeno ricordarne il significato? Perchè…

FERMO!

Si bloccò all’istante come fosse stato incatenato al suolo.

Sei andato troppo avanti! Torna subito indietro e gira a destra appena te lo dico, presto!

Si voltò e fece il percorso a ritroso. Al segnale della voce, girò a destra.

C’era una sorta di grande e piuttosto ripida scalinata rocciosa davanti a lui.

Capì cosa doveva fare senza che neppure la voce parlasse.

Eppure, anziché iniziare subito a salire, si voltò dando le spalle alla salita. Aveva sentito come un impulso, un riflesso, un presentimento, un brivido lungo la schiena che lo aveva convinto a girarsi.

Fu grazie a quel non so cosa, che lo vide.

Era alto quanto lui pur avendo la schiena gobba e curva in avanti.

La corporatura asciutta e atletica. Indossava un consunto e sporco completo blu scuro con cravatta e un cappello a tesa larga e sottile. Sarebbe potuto sembrare un elegante ed eccentrico uomo d’affari o un ricco avvocato, se non per qualche piccolo particolare.

Tipo il volto verdastro e deforme dalle labbra gonfie da cui spuntava una chiostra di denti acuminati. O le tozze ali squamose che gli spuntavano dalla schiena. O gli occhi giallo brillante senza pupille che lampeggiavano spettrali.

Vedendolo ebbe quell’attimo di preavviso necessario per gettarsi sulla scoscesa parete rocciosa riuscendo per un pelo a sfuggire agli artigli della creatura che, spiegate le ali, si era gettata ringhiando su di lui.

E in tutto questo l’unica cosa che gli passò per la tesa fu una domanda.

Che accidenti è un avvocato?

La paura lo aveva animato di una forza quasi sovrumana, vista la velocità e l’agilità con cui si arrampicò sulla pietra ripida e irregolare.

Non osava voltarsi indietro. Gli bastava tendere bene le orecchie per sentire i movimenti del suo sinistro inseguitore alle sue spalle.

Arrivò in cima alla parete rocciosa senza neanche accorgersene.

La parte superiore di essa continuava davanti a lui simile a una lunga strada brulla e rozza.

Scattò in avanti senza neanche pensarci. Altri ringhi dietro di lui lo fecero correre ancora più velocemente fino ad arrivare al limite della strada. Dopo di essa v’e n era un'altra che non era altro che la sommità di un’altra parete di roccia.

Saltò il breve spazio vuoto che le separava, atterrando dall’altro lato con una precisione e una velocità che lo spinsero a chiedersi se in realtà non fosse stato un atleta prima di finire lì.

Poi ovviamente si chiese cosa diavolo fosse un atleta.

Ma fu ciò che vide mentre saltava che lo stupì veramente.

Le pareti di roccia si erano avvicinate l’una all’altra così che le loro cime, tutte della stessa altezza, formavano una sorta di immenso labirinto.

Lei gliel’aveva detto. Anche lo spazio che lo circondava era suo nemico. Ragionava da sé, come un’enorme sconfinata bestia malefica.

Continuò a correre saltando da una parete all’altra senza nemmeno sapere dove andava.

“Dove devo andare? Che devo fare? Qual è la direzione?” gridò al vento.

“Ehi mi senti?”

Nessuna risposta.

Un’ombra oscura gli passò davanti e all’improvviso il mostro gli atterrò  di fronte.

Si fissarono per qualche secondo.

“C-chi sei? Che vuoi da me? Sai chi sono io?”

Per tutta risposta il mostro allargò i lati della bocca ed emise uno strano brontolio intermittente.

Rideva. Rideva di lui.

Per un attimo fu tentato di riprovare a parlargli, ma quando lo vide gettare la testa all’indietro, facendo  cadere il cappello, e lanciando un selvaggio ululato al cielo grigio, decise che darsela a gambe senza meta era una scelta migliore di cercare di intavolare una conversazione con lui.

Continua a correre.

“Ah eccoti! Meno male che non dovevi abbandonarmi! Cos’è avevi paura di quella specie di demone?”

Sputò rabbioso in direzione del vuoto.

Io ero con te. Lo sono sempre. Solo che tu non eri ancora in pericolo.

“Non ero in pericolo?! Un’orripilante mostro alato mi insegue per condannarmi a, ti cito testualmente,  sofferenze atroci ed eterne  e non sarei in pe… ”

Si voltò di scatto, senza smettere di correre.

Il mostro non lo inseguiva più.

Era rimasto indietro per raccogliere il cappello che gli era caduto ed era ancora intento a spolverarlo con cura e attenzione (per quanta gliene permettessero le mani tozze e artigliate).

Ma non ebbe il tempo di chiedersi il motivo di quel gesto. La strada rocciosa declinò repentinamente e lui si ritrovo a scivolare, chiappe a terra, su una sorta di scivolo di pietra.

Ruzzolò a lungo senza riuscire a fermarsi, la strada diventava sempre più ripida e lui scivolava sempre più veloce…

Infine piombò in un buco oscuro e stretto che lo inghiottì per intero.

Quando la maggior parte dei suoi muscoli smise di pulsare di dolore, si rese conto che il buco non era molto profondo. Avrebbe potuto arrampicarsi e uscire fuori prima che…

Resta lì. Ora sei in pericolo.

“Ma davvero?! E come ti è venuta questa brillante intuizione?”

Lei non disse niente. Non ne ebbe bisogno. Dalla fessura frastagliata del buco arrivò la risposta.

Il mostro volava in picchiata verso la cavità e accanto a lui c’era un altro mostro; più massiccio e alto con indosso calzoni strappati e un vecchio giubbotto di pelle. I loro occhi lampeggianti erano sempre più vicini.

Resta fermo.

“Ma che stai dicendo?! Devo uscire da qui! Devo…”

Resta fermo.

“No! Stanno arrivando! Fa qualcosa!  Ti prego! NOOOO!”

Le sue urla  furono coperte da un altro suono.

Uno stridio penetrante che fece tremare la roccia.

Il verso più orribile che avesse mai sentito.

I mostri si fermarono a mezz’aria. Si scambiarono un’occhiata sbigottita e confusa.

Il verso risuonò di nuovo, più forte e agghiacciante di prima.

I mostri volarono via.

Rimase in quel buco per parecchi secondi, incapace di credere a ciò a cui aveva assistito.

Ora puoi uscire.

Obbedì senza proferire verbo.

Non appena fu fuori, per l’ennesima volta, rimase stupito.

Il terreno era tornato ad essere il deserto di prima. Piatto e senza la minima irregolarità.

Ed era scesa la notte. Una notte oscura e tenebrosa senza luna né stelle.

Mi pare di aver capito che non riponi in me la fiducia che speravo.

“Non è questo…è solo che…ho…io ho…”.

Hai paura. Ed è comprensibile. Questo posto non può suscitare altro sentimento se non questo.

Ma, come ti ho già detto, tu hai Me dalla tua parte. Quando sarai  davvero in pericolo io ti dirò cosa fare per salvarti. L’unica cosa che voglio è che ti fidi di me. Puoi farlo?

Lui annuì, con aria colpevole.

Ok. Scusa se ti ho fatto spaventare, era l’ultima cosa che volevo.

Era di nuovo dolce e soave come prima che apparissero i mostri. Si sentì più tranquillo.

Ora rientra nel buco.

“Nel buco?”.

Sì nel buco. Ciò che ha scacciato quegli esseri è ancora più pericoloso di loro. Devi nasconderti da lui a qualsiasi costo.

Approfittane per riposarti. Ti dirò io quando ripartire.

E così rientrò nel buco.

Nascosto più in fondo che poteva, nel buio.

Ad attendere che la sua unica guida e garanzia di salvezza gli dicesse quando ripartire.

E lì, sepolto nelle tenebre e nella roccia, le forze lo abbandonarono cedendo il posto ad un sonno dolce, senza sogni e pieno di vuota tranquillità, accompagnato da una sola frase bisbigliata un secondo prima che la sua coscienza si assopisse.

Sogni d’oro.

 

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Eccolo finalmente.

Come sospettava era bastato aspettarlo per qualche minuto prima che si facesse vivo di sua sponte.

E, sempre secondo i suoi sospetti, era armato.

Un tempo anziché puntargli la pistola contro come faceva in quel momento sarebbe andato ad abbracciarlo. E lui, come sempre, lo avrebbe rifiutato.

“Che ci fai qui?”

Bruce si prese un paio di secondi per rispondere. Doveva essere cauto con lui. Era sempre difficile dire cosa avrebbe fatto di lì a qualche istante, soprattutto conoscendo il suo metodo di ragionamento.

“Sarò breve Harvey. Devo chiederti qualcosa.”

 la parte sana della bocca di Dent si contorse in una smorfia infastidita “ Non usare quel nome con noi. Siamo solo Duefacce adesso.”

Già. Ormai del buon procuratore era rimasto ben poco.

La metà sinistra del corpo era ancora quella del vecchio Harvey. La chioma bruna curata, i lineamenti affascinanti e alteri e l’elegante abito bianco marmo parlavano ancora dei vecchi tempi, quelli in cui mentre Batman sfiancava i criminali con i suoi pugni, lui li finiva con la sue arti oratorie in tribunale.

L’altra metà del corpo, invece, provocava terrore e ripugnanza in chiunque la vedesse.

A Bruce provocava solo dolore. Il dolore di non essere riuscito a Salvare un amico dalla mafia prima e da se stesso poi.

Le ustioni coprivano tutto il lato destro della testa arrivando fino al collo. L’acido aveva martoriato la pelle fino a renderla vermiglia e deforme. In corrispondenza della guancia la carne era tirata e raggrinzita, cosicchè la bocca restava aperta, lasciando vedere i denti e i muscoli che la manovravano e che un tempo la usavano come arma contro la criminalità gotamita.

L’occhio sopra di essa era privo di palpebre e incapace di chiudersi. Sembrava una grossa bacca marcia e la pupilla, dilatata in mezzo all’iride azzurro pallido, sembrava un buco dal quale il verme che aveva divorato quel bulbo e fatto marcire il bel viso in cui era incastonato, si era intrufolato dando inizio alla follia.

“Ho bisogno di farti delle domande Harvey.” Continuò Bruce imperturbabile, ignorando  l’avvertimento dell’ex procuratore. “Basterà che tu mi risponda sinceramente e senza tralasciare dettagli e io sparirò da qui all’istante. E non dirò alla polizia dove possono trovare colui che un mese fa ha rapinato una delle più grandi banche di Gotham, uccidendo metà dei dipendenti e torturando l’altra metà.”

Duefacce lo fissò per qualche secondo. Poi sorrise.

Per un attimo parve che anche la metà straziata della sua bocca si stesse per piegare all’insù.

“Davvero un’offerta allettante Batman. Tu sì che sai come tentarci. Ma noi abbiamo un’idea migliore! Vale a dire svuotarti tutto il caricatore addosso, senza sentire una parola di ciò che hai da dire. Converrai anche tu che sarebbe la scelta più logica in questa situazione.”

Mentre parlava estrasse dal taschino la sua moneta.

La moneta da cui dipendeva ogni scelta di Duefacce. La moneta che aveva deciso il destino di tante persone,  innocenti o colpevoli che fossero.

Bruce non rispose. In effetti aveva davvero sperato che gli rispondesse senza fare storie.

Ma aveva previsto anche quell‘altra eventualità.

“Hai qualche ultima parola Cavaliere Oscuro?”

“Ho una cosa da chiederti.”

Dent smise di sorridere “Abbiamo detto che non vogliamo ascoltare le tue domande!”

“Mi sono espresso male.  Quello che volevo dire e che ho una proposta. Voglio proporti una scommessa.”

“Una…scommessa? Che vuoi di…FERMO!”

Bruce, che si stava togliendo la Bat-cintura, rimase immobile.

“Sta calmo. Non ho voglia di fare scherzi, sai che non sono il tipo. Fa solo parte del gioco. Se appena lancerai la moneta quella segnerà croce, potrai spararmi e io non opporrò resistenza. Se invece segnerà testa risponderai alle domande che ti farò. E non accetterò menzogne di alcun genere.”

Ora Duefacce sembrava sbigottito. Ciononostante, non fece domande, non fece nulla per impedirgli di togliere la Bat-cintura e quando Bruce gliela lanciò, la mano non armata la afferrò saldamente.

“E chi ci dice che non hai davvero in mente qualcosa di strano? Hmmm?”

“In quella cintura ci sono tutte le armi e i gadget che possiedo. Sono inerme senza quella, contro uno armato di pistola.”

L’occhio buono di Harvey rimase strizzato a fissarlo di sbieco per un pò, come se stesse valutando l’offerta.

Poi posò la pistola sul tavolo da biliardo accanto a lui e  un momento dopo la moneta già volteggiava in alto sopra la sua testa.

Bruce e Harvey la seguirono con gli occhi mentre cadeva.

Mentre decideva i destini di entrambi.

Atterrò con precisione nella mano di Dent senza emettere un suono.

 Nei secondi che seguirono, mentre Harvey studiava con interesse la sua mano per vedere il risultato del lancio, Bruce lo rivide com’era un tempo. Anche allora decideva così come agire in tribunale. La sua moneta era uno strumento di giustizia e un arma usata in difesa dei deboli e degli oppressi.

Poi Batman vide Duefacce ghignare e ritornò al presente.

Ora quella moneta voleva solo sangue.

E stavolta invocava il suo.

La pistola era di nuovo in mano a Dent e il suo posto sul tavolo da biliardo era stato preso dalla moneta “Mi spiace Batman, non avresti dovuto decidere di fare questo gioco con noi.”

Gli puntò la pistola contro. Il dito sul grilletto, pronto a far traboccare morte fuori dall’arma.

Il dito della mano destra di Bruce invece si era spostato sul suo bracciale sinistro, in cerca di un certo bottone.

Quando lo premette produsse solo un impercettibile bip.

La cintura in mano a Duefacce, invece, produsse una certa quantità di energia elettrica che folgorò il criminale.

Ora stava a Bruce tentare la fortuna.

Si lanciò rapidamente in avanti, urtando il tavolo da biliardo e spingendo Harvey contro il muro dove lo bloccò con un braccio sulla gola e una mano sul petto.

Dent  si divincolò ferocemente cercando di prendere la mira con la pistola per sparare al suo aggressore.

“Bastardo!! Abbiamo vinto noi! Il fato l’ha deciso!!”

“Guarda meglio alle mie spalle Harvey e vedrai che ti sbagli. Stavolta la vittima del fato sei tu.”

Harvey gettò un occhiata oltre Batman.

La moneta era caduta dal tavolo verde e sul pavimento brillava la faccia integra che segnava Testa.

La faccia della salvezza.

Dent smise di opporre resistenza e si afflosciò contro il muro, come se improvvisamente gli mancasse l’energia persino per stare dritto in piedi.

La pistola gli cadde di mano.

Il fato aveva parlato. Era sconfitto.

“E ora starai a sentire ciò che ho da chiederti. E che non ti venga neanche in mente di mentirmi. ”

Lui non lo guardò neanche. Sembrava sotto choc, come se avesse assistito a qualcosa di particolarmente spaventoso.

Bruce tentò comunque “Cosa sai della scomparsa di Joker? È vero che di recente hai incontrato Harley Quinn? Cosa vi siete detti?”

Harvey tornò improvvisamente a guardarlo. Nell’occhio senza palpebre una rabbia sconfinata. In quello integro, solo frustrazione.

“Non sappiamo granchè di Joker. Ma , sì, Quinn l’abbiamo incontrata. Aveva anche lei una strana richiesta, proprio come te.”

 

La moneta scintillava nella loro mano, incuneata tra pollice e indice e pronta per essere lanciata.

“Senti non vorrei essere inopportuna ma…è davvero necessario? Non ho mica tutta la sera sai?”

Alzarono lo sguardo. Quella mocciosa di Quinn li stava proprio seccando.

Era entrata nel loro nascondiglio all’improvviso e aveva cominciato a parlare di un  regalo per il compleanno di Joker e di come loro fossero delle persone gentili e giuste che le avrebbero sicuramente accordato ciò che aveva chiesto.

Come avrebbero voluto ucciderla in quell’istante.

Ma dovevano per forza aspettare. Era il fato a dover decidere.

“Sì è necessario. Ed è anche necessario che tu te ne stia zitta  altrimenti,  anziché cederti parte dei nostri uomini come ci hai chiesto, ti faremo saltare la testa immediatamente.”

Ovviamente non l’avrebbero mai fatto, ma questo lei non lo sapeva.

Quinn sbuffò e non disse altro, lasciando che lanciassero la moneta.

Maledetta. Si comportava come se già sapesse il risultato. Come se fosse sicura che le cose sarebbero andate per il verso giusto.

A dire il vero, aveva negli occhi una determinazione per lei insolita.

 Ma si illudeva. Nessuno poteva prevedere come il fato avrebbe agito.

O forse sì?

 

“Non sappiamo cosa ne abbia fatto Quinn dei nostri uomini Batman. Ma di una cosa siamo certi.

Qualunque cosa Joker abbia in mente, qualunque piano stia escogitando, tu non riuscirai a passarla liscia.

Ce lo sentiamo dentro. Questa volta è diversa dalle altre. Questa volta non ne uscirai vivo Cavaliere Oscuro!!”

Le ultime parole che Duefacce gli aveva rivolto, legato al tavolo da biliardo in attesa della polizia, erano la manifestazione verbale di gran parte delle sue preoccupazioni.

E se fosse stata tutta una trappola?

Se  fosse stato l’ennesimo piano diabolico di Joker per eliminarlo?

Non si poteva mai dare niente per scontato quando c’era lui di mezzo.

Ma poi Bruce vide davanti a lui Tim, ridotto a un vegetale per aver cercato di salvarlo, e Stephanie, triste e divorata dall’ansia, al suo capezzale. E i dubbi svanirono.

Saltò giù dalla finestra nella notte, ancora incerto su cosa il futuro gli avrebbe riservato.

Ma la ricerca doveva continuare.  

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Capitolo 4
*** 4 ***


Gotham scorreva intorno a lui, dietro gli stretti finestrini della Batmobile.

L'oscuro mezzo era lanciato a tutta velocità sulla strada principale della città, ma i molteplici sensori di cui era munito tenevano il suo guidatore costantemente informato sul percorso che lo attendeva e su ciò che gli accadeva intorno .

Le esplosioni e gli spari di quella notte però, si vedevano e sentivano a chilometri di distanza anche senza l'ausilio di quelle apparecchiature.

Tutti quei rumori parevano fare da sottofondo alla voce che la vettura captava da fuori e faceva risuonare nell'abitacolo:

 "Gente di Gotham City! Ragazze e ragazzi di tutte le età! Uscite dalle vostre case e venite ad assistere allo stupafacente carnevale che il signor Joker ha organizzato per voi! Le strade della nostra splendida città sono il luogo migliore da cui godersi lo spettacolo! A parte il punto in cui si trovava quella Berlina che abbiamo appena crivellato ovviamente... ma su, non siate timidi!  il piombo è uno dei migliori elementi della tavola periodica con cui divertirsi!...Ah! Ovviamente è tutto offerto dal gentile giudice Malone, che mi accingo a raggiungere in modo da poterlo ringraziare di persona! Ahahahahahahahaha!!"



Aveva parlato con il Pinguino e con Duefacce ma le informazioni che gli avevano dato erano troppo poche e troppo vaghe per farsi qualche idea su cosa stesse combinando Joker.

 Era dunque venuto il momento di mettersi direttamente sulle tracce del clown.

E le ultime tracce che aveva lasciato erano quelle relative al suo ultimo crimine.

La strada che stava percorrendo, formata da tre corsie parallele, era una delle vie centrali della città.

Un convoglio di vetture cariche di scagnozzi di Joker era passato di là e aveva affiancato l'ambulanza  che trasportava l'anziano giudice Malone. Il veicolo e la sua scorta erano diretti al Gotham General Hospital, ma si erano presto trovati affiancati dalle vetture dei clown che avevano subito aperto il fuoco.

I proiettili avevano fatto danni a destra e a manca per tutta la strada, ferito molti civili e diversi poliziotti tra quelli di scorta al giudice e quelli accorsi in aiuto di questi ultimi, prima che il Cavalere Oscuro facesse la sua comparsa alla guida della Batmobile.

Aveva subito neutralizzato due veicoli nemici grazie alle armi del mezzo, ma all'incrocio successivo tutti gli altri lo avevano accerchiato , aprendo il fuoco all'unisono su di lui.

 Solo la vettura di testa, quella su cui viaggiavano il Joker e Harley Quinn aveva continuato l'inseguimento, ponendosi alle spalle dell'ambulanza con Joker che continuava a strillare e Quinn che sparava a destra e a manca.

Gli ci era voluto un po' per liberarsi degli scagnozzi e, quando aveva ripreso l'inseguimento, i due veicoli lo avevano  distanziato parecchio.

 A quanto pareva, Joker era intenzionato a non lasciarsi disturbare mentre si divertiva a tormentare l'ultimo giudice che aveva deciso che il suo periodo di riabilitazione ad Arkham sarebbe dovuto continuare ancora parecchi anni.

Bruce fermò la Batmobile alla fine della strada.

 Davanti a lui si apriva la piazza attorno alla quale l'ambulanza  avrebbe dovuto girare per imboccare la strada che l'avrebbe portata al Gotham General, cosa che non era riuscita a fare poichè, su ordine di Joker, Harley Quinn aveva sparato alle gomme del veicolo  che era andato a schiantarsi sull'altare al centro della piazza, sul quale sorgeva una statua dedicata a Thomas Wayne, suo padre.

Si diresse ai suoi piedi.

Proprio in quel punto aveva trovato l'ambulanza semidistrutta e ne aveva estratto il giudice e un'infermiera, sopravvissuti allo schianto per miracolo.

A pochi metri c'era la vettura del Joker: una squallida, ma inspiegabilmente fedele, imitazione della sua Batmobile, solo dai colori più sgargianti e piena di accessori comici di pessimo gusto.

Il clown e la sua assistente però non si vedevano. Bruce li aveva cercati, dopo aver messo in salvo i passeggeri dell'ambulanza, ipotizzando che fossero fuggiti a piedi e avessero trovato un nascondiglio da qualche parte lì intorno. Ma fu tutto vano.

Mi sono sfuggiti per stavolta, ma almeno il giudice è salvo-aveva pensato in quel momento.

Poi Joker era scomparso. E con lui Harley. E ovviamente la sua sola speranza di salvare Tim.

E adesso lui era lì, mesi dopo, a riesaminare la scena del crimine.

Attivò i sensori del cappuccio, inserendo un filtro speciale.

Immediatamente i dati e gli indizi che aveva raccolto durante la sua prima analisi gli si presentarono davanti agli occhi, negli stessi posti in cui li aveva trovati quel giorno.

Come aveva notato in precedenza, le impronte appartenti a Joker e ad Harley si fermavano accanto all'ambulanza per poi svanire.

Intorno non aveva trovato alcun tipo di traccia che potesse ricondurre a loro.

A parte una rivoltella scarica.

Che Joker volesse far morire il giudice di paura, minacciandolo con quella? Era strano e poco plausibile, ma il confine della stranezza era molto labile quando si parlava di Joker. Aveva avuto idee molto più contorte di quella in passato.

Si fermò davanti all'ologramma dell'orrida caricatura della Batmobile.

Quando Fox l'aveva analizzata aveva scoperto -con notevole stupore di entrambi- che poteva deflettere parzialmente le onde del suo cappuccio, impedendogli di vedere cosa c'era al suo interno.
In qualunque modo ci fosse riuscito, Joker doveva aver impiegato anni per procurarsi quell'affare.
A parte le varie decorazioni, l'interno era praticamente identico a quello del suo veicolo. A parte una significativa differenza.

Aveva tre posti -due davanti e uno dietro- e il lato superiore della cabina di pilotaggio si poteva aprire durante la guida, solo che l'apertura si trovava all'altezza del sedile posteriore anzichè di quello del guidatore. Joker l'aveva tenuto sempre aperto durante l'inseguimento, e per tutto il tempo aveva strillato ordini ad Harley e ai clown attraverso un potente megafono, tra una sonora risata e l'altra.

 E Harley doveva sedere dal lato del passeggero per colpire le ruote dell'ambulanza. Infatti le ruote a terra erano proprio da quel lato.

No...Harley guidava...Joker non poteva perchè stava dietro e l'abitacolo era troppo stretto per scambiarsi i posti mentre l'auto era in corsa...

Ma allora chi guidava mantre Harley sparava?

Possibile che si fosse lasciato sfuggire un dettaglio del genere?

Eppure lì c'erano stati solo Joker e Harley...aveva rinvenuto solo le loro impronte...e se Joker stava dietro a far casino e Harley sparava davanti, doveva per forza essere un'altro clown a guidare.

Qualcuno che probabilmente era rimasto nascosto nella vettura non appena lo aveva visto arrivare ed era sfuggito ai suoi sensori grazie alla schermatura.

Ma se qualcuno si fosse allontanato da lì avrebbe di sicuro trovato le sue tracce.

A meno che qualcun altro non lo avesse preso al posto suo.

Sembrava strano ma era plausibile...quella notte si era concentrato solo su Harley e Joker, e così aveva trascurato i pesci piccoli. E nei giorni seguenti non aveva fatto altro che scandagliare Gotham attendendo invano qualche segno della loro presenza.

Non si era nemmeno degnato di fare qualche indagine in più su quell'obbrobrio con le ruote...ma dopotutto era questo che Joker voleva. Che i suoi nemici si lasciassero sviare dalle soluzioni più ovvie, impegnati a lambiccarsi il cervello per anticipare le sue prossime mosse. Come aveva potuto essere tanto sciocco?!

Se c'era una remota possibilità che qualcuno avesse visto come avevano fatto Harley e Joker a sparire nel nulla, doveva tentare quella strada.

Oltretutto, non aveva altri indizi, quindi c'era poco da fare.

Premette alcuni tasti sul suo guanto destro e subito, con un bip, si aprì uno schermo con delle opzioni per la comunicazione.

Premette l'opzione "Oracolo" e attese che la persona interessata rispondesse.



" Novità Batman?" chiese Barbara sullo schermo.

"Forse sì Oracolo. Ma per avere una conferma ho bisogno che tu faccia una ricerca per me.
Collegati al database della polizia e scopri tutto quello che puoi sugli scagnozzi di Joker catturati la notte dell'attentato al giudice Malone."

"Mi ci vorrà solo qualche secondo" rispose lei cominciando subito a digitare sul suo computer.

Se, come pensava lui, la ricerca di Barbara avesse dato qualche frutto avrebbe saputo da chi ricavare qualche informazione utile su dove fosse andato a cacciarsi Joker.

E forse anche se stesse escogitando qualcosa ai danni suoi o di Gotham.

Le parole rabbiose di Harvey gli ritornarono in mente, ma lui le represse.
Anche se si fosse trattata di una qualche trappola, lui avrebbe dovuto continuare a cercare finchè non avesse avuto una cura per Tim tra le mani.

Lanciò uno sguardo alla statua di suo padre.

Se ci fosse stato lui al posto di Tim, suo padre avrebbe smosso mari e monti per salvarlo. forse senza neanche vestirsi da pipistrello.

La voce di Barbara lo riportò alla realtà.

"I clown che hanno partecipato all'attentato erano in tutto ventitrè. Due sono morti sotto il fuoco della polizia. Gli altri sono stati  presi in custodia dopo il tuo arrivo. Chi stiamo cercando?"

"Qualcuno che non si trovava in nessuna delle vetture che si sono scontrate con me e la polizia. Qualcuno che guidava il veicolo che trasportava Joker e Harley Quinn."

Barbara assunse un'espressione pensierosa che gli ricordò suo padre, il commissario, durante le indagini    " Qualche particolare che ci aiuti a riconoscerlo?"

"Non saprei...il database dice qualcosa su come sono stati catturati i ventitrè sospetti?"

"Provo a cercare nei rapporti degli agenti...vediamo...varie resistenze all'arresto...uno che si è arrampicato su un albero per non essere preso e...oh! questo potrebbe interessarti. Uno dei sospettati, truccato e vestito da clown come gli altri, è stato fermato da due agenti mentre si dirigeva verso il luogo in cui li hai aiutati a neutralizzare i suoi compari. Si è lasciato arrestare senza opporre resistenza."

Il cervello del Cavaliere Oscuro aveva ripreso a lavorare frenetico.

"Immagino che ora tu voglia conoscere meglio il nostro candidato più promettente" disse Barbara con un sorriso soddisfatto.

"Illuminami".

"Richard Berkley, ventisei anni, frequenta la Gotham University e nel tempo libero partecipa a gare automobilistiche. Suo padre, come credo tu abbia capito a giudicare dall'espressione che hai fatto, è Derek Berkley, uno dei cinque uomini più ricchi di Gotham..."
"...Che deve prontamente aver assunto un super-avvocato per far scagionare al più presto il figlio da ogni accusa...e per insabbiare ogni prova del suo coinvolgimento con l'attentato." terminò il Cavaliere Oscuro.

L'Oracolo annuì "Secondo le informazioni del Database e da quanto riportato dalla stampa, il ragazzo si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato."

Un classico pensò Bruce.

"Non hanno neache riportato il fatto che fosse truccato da clown senza alcun motivo. L'unica cosa che si accorda con il rapporto della polizia è che quando è stato trovato era scalzo e aveva i suoi stivali sotto braccio...informazioni davvero utili insomma..." commentò Barbara sarcastica.

In realtà spiegava alcune cose...ad esempio come mai i sensori del cappuccio non avessero trovato sue impronte.

Era uno degli effetti collaterali della strategia che aveva scelto per combattere il crimine. Incuti timore ai tuoi nemici e loro cominceranno a premunirsi contro di te.

Con qualunque mezzo.

"Ottimo lavoro Oracolo. Dove posso trovare Berkley jr?"

Barbara ci mise qualche secondo a rispondere. il suo viso, prima sicuro, si era fatto teso  e preoccupato.     " Temo... temo non sia possibile...è morto circa un mese fa. Di overdose."

Bruce accusò il colpo senza scomporsi, come faceva sempre " Overdose? Non dice altro?"

"No. Nessun altra stranezza...hanno trovato la droga accanto al suo corpo."

Niente testimone dunque. Avrebbe dovuto inventarsi qualcos altro per continuare la ricerca.

"...Anche se...i medici ci hanno messo un pò a confermare la diagnosi...è solo un'ipotesi ma...l'overdose che lo ha ucciso potrebbe non essere stata un'incidente..."

Non sembrava molto convinta mentre lo diceva.

Ma Bruce aveva già deciso che avrebbe tentato ogni strada.

"Grazie Oracolo, mi sei stata di grande aiuto."

"Oh...beh non c'è di che. Buona fortuna, ti informerò se troverò qualche altra informazione utile."
"D'accordo. Passo e chiudo."

Chiuse la comunicazione.

Lo sguardo che Barbara gli aveva lanciato un'attimo prima, attraverso lo schermo, lo conosceva bene.
Sperava avesse avuto qualche colpo di genio. E che magari le informazioni che gli aveva dato, sebbene apparentemente infruttuose, fossero state d'aiuto. E lo erano state eccome.

C'era aspettativa in quello sguardo. Ma anche qualcos'altro.

Ancora una volta, Bruce fu contento di aver fatto di lei la prima Batgirl.
Riattivò il comunicatore del bracciale, stavolta su un'altra frequenza.

"Signor Wayne. In cosa posso esserle utile?
"Avrei bisogno che lei facesse alcune ricerche Lucius. Riguardano un rampollo dell'alta società e la sua morte per overdose."

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