We'll won the distance, together.

di We are Directioners
(/viewuser.php?uid=658523)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one. ***
Capitolo 2: *** Chapter two. ***
Capitolo 3: *** Chapter three. ***
Capitolo 4: *** Chapter four. ***
Capitolo 5: *** Chapter five. ***
Capitolo 6: *** Chapter six. ***
Capitolo 7: *** Chapter seven. ***
Capitolo 8: *** Chapter eight. ***
Capitolo 9: *** Chapter nine. ***
Capitolo 10: *** Chapter ten. ***
Capitolo 11: *** Chapter eleven. ***



Capitolo 1
*** Chapter one. ***


"No, mamma! No! Io non vengo! Non tornerò a vivere da papà, di nuovo!" In quel piccolo appartamento si percepiva soltanto la mia fragile voce, tremante di paura. Dall'altro capo del telefono, mia madre stava cercando di mantenere la calma, ma sapevo che era turbata. "E invece si, Brenda, e partirai domani stesso! E' deciso ormai! Prepara la valigie, ci vediamo a casa". Ero incapace di pensare, di fare qualunque cosa. Per quale motivo dovevano sempre decidere loro della mia vita? Rimasi per qualche minuto ferma a fissare il muro davanti a me, con ancora il cellulare in mano, quando decisi che avrei dovuto reagire. Uscii di casa, misi le cuffie nelle orecchie, e quelle melodie posizionate in quel modo, sapevano calmarmi. Sempre. Mi facevano ritrovare la giusta armonia, mi davano la forza che avevo bisogno. L'unica cosa di cui avevo paura era come l'avrebbe presa Matteo, il mio fratellino. Aveva soltanto otto anni! Qualunque cosa sarebbe successa, sapevo che l'avremmo superata, insieme. Avremmo messo da parte tutte le litigate, le discussioni per affrontare quella cosa chiamata DISTANZA.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter two. ***




I muri bianchi senza foto e poster della mia stanza erano freddi e vuoti. I ricordi mi fissavano, mi chiedevano di rimanere. Era come se mi trattenessero con le loro mani, ma ero ancora troppo debole: non riuscivo a resisterli. Avevo appena finito di fare quella maledetta valigia, e mi ero sdraiata sul letto a riflettere. "Non era giusto. Perchè dovevo lasciare la mia vita per un loro capriccio? Proprio adesso che Steve stava per chiedermi di uscire. Come avrei avvertito i miei amici? E Anna? L'avrei distrutta. Perchè?'"
Troppi interrogativi giravano e rigiravano in testa senza un ordine. Improvvisamente sentii la serratura aprirsi. La voce di un bambino di 8 anni riecheggiava nella casa: "Brenda, mamma, sono arrivato finalmente! "
Cercai di nascondere il mio dolore.
Avrei dovuto combattere contro quello di una creatura ancora più fragile: mio fratello.
Lui entrò in camera, e allargando le braccia urlò "Ciao sorellona!", ma non fece in tempo a pronunciare le ultime sillabe, che si pietrificò.
Indietreggiò subito, non appena vide gli scaffali vuoti e bianchi della mia stanza. 
"Dove vai, Brenda? Vai a dormire a casa di Anna, vero?"
Il suo sorriso si era trasformato in uno sguardo serio e triste, e nei suoi occhi vidi tutta la tristezza che papá gli aveva lasciato andandosene. Sarei riuscita a superare il dolore della distanza dal mio paese, e dei miei amici, ma avrei affrontato anche quello di mio fratello? Ero rimasta in piedi davanti a lui, immobile come una statua. Non avevo la minima idea di come affrontare l'argomento nel migliore dei modi per lui. Volevo evitargli qualunque dolore, ma sapevo che sarebbe stato inevitabile. Così mi avvicinai a lui e lo abbracciai con dolcezza. Lo guardai dritto nei suoi occhi verdi, e gli dissi: "Matte, ascoltami molto attentamente, ricordi quando papá è andato via?"
Lui fece cenno di sì con la testa. 
"Mamma e papá hanno deciso che devo andare a casa sua per un po'. Non so per quanto tempo, ma ti prometto che ci sentiremo tutti i giorni e che lotteremo contro la distanza". In quel preciso istante lo strinsi ancora più forte a me. La mancanza di un padre e la distanza della sorella maggiore, erano il genere di cose che avrebbero potuto traumatizzare un bambino fragile come lui, e io dovevo evitarlo a tutti i costi. 
Quando rividi il suo dolce faccino mi accorsi che stava piangendo. "Farai come papá, non è vero?"
"No. Io non sono come nostro padre. Tornerò, e ti chiamerò tutti i giorni, capito? Io e te, contro il mondo, ricordi?"
Lui annuì e si asciugò le lacrime. 
Nel frattempo, qualcuno bussò alla porta. Era la mamma.
"Amore, sei p-pronta?"
La sua voce balbettava: nessuno di noi era pronto a quel trasferimento. Forse, nemmeno papá.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter three. ***


“Si mamma, arrivo”, dissi cercando di svegliarmi dall’incubo in cui mi stavano catapultando.

Chiusi per bene la valigia sul letto, e diedi un’ultima occhiata alla mia stanza. Era fredda e vuota, proprio come il mio cuore. Ogni piccola parte di quei muri, mi riportava ad un ricordo, brutto o bello che fosse, dovevo lasciarlo lì per sempre.

“No, Brenda! Rimani qui”.

Sentii due braccia magre circondarmi le cosce. “Fermerò il treno, o l’aereo! Ti impedirò di partire”.

Cacciai dentro le lacrime che volevano uscire. Non avrei allagato casa mia per questo. Dovevo far vedere a Matteo che ero forte, ma la cosa più difficile era dimostrarlo a me stessa.

“Matte”, dissi abbassandomi per guardarlo negli occhi e per accarezzargli dolcemente le guance lentigginose, “non possiamo farlo, lo sai. Tornerò, te lo prometto. Lo farò per te”.

Gli schioccai un bacio sulla guancia, e lo abbracciai. Fu uno di quegli abbracci che ti senti dentro, nell’anima. Si avvinghiò a me per qualche minuto, ma poi si decise a lasciarmi andare. Fu il turno di mamma.

Appena i miei occhi nocciola incontrarono i suoi neri, lei mi abbracciò fortissimo e sospirò. Rimasi abbastanza sorpresa: mamma non era mai stata la persona più dolce e affettuosa del mondo, ma ci volevamo bene.

“Allora, Brenda”, disse fissando i suoi occhi nei miei, “sotto casa c’è il taxi che ti aspetta, digli di andare all’aeroporto, eccoti i soldi”, disse dandomi 50 euro.

Deglutii.

“Questi sono i biglietti, atterrerai per le 9 ad Heathrow, lì c’è papà che ti aspetterà. Tutto chiaro?”

“Mamma… Londra?”, dissi con timore.

“Si, la tanto amata Londra. Tuo padre ha traslocato lì da poco, e dice che gli piace molto”.

Lanciai un’ultima occhiata alla mia camera, agli occhi verdi imploranti di Matteo, e alle paure e al volto di mamma. “Chissà quando tornerò a casa mia”, pensai.

“Ti voglio bene, mamma”, biascicai.

“Anche io. Chiama appena arrivi a casa”, rispose ansiosa.

Annuii. Poi abbracciai un’altra volta Matteo. “Io e te, per sempre okay?”, gli mostrai il mignolo, e lui lo strinse continuando ad abbracciarmi.

“Fatti valere ovunque andrai, sorellona”, rispose con quel faccino così tenero e dolce, da farmi venire il diabete.

“Lo farò! E miraccomando, sii forte! VI VOGLIO BENE!”, dissi chiudendo la porta dietro di me, e con le lacrime che fremevano nel mio cuore, per uscire.

 Uscita in strada guardai un’ultima volta il portone nero in ottone, e sospirai.

Conoscevo i loro litigi. Li conoscevo fin troppo bene.. quando sarei tornata a casa?

--

Dal finestrino, non facevo che guardare la mia città scorrere, e cercavo di fissare nella mia testa quelle immagini, ormai indelebili dal mio cuore.

“Sono 25 euro”, disse l’anziano taxista. I suoi capelli erano bianchi e piuttosto folti. Mi abbozzò un sorriso di incoraggiamento.

“Ecco qui. E grazie mille”.

“Faccia un buon viaggio!”

La sua gentilezza era quasi inquietante. Le porte di vetro dell’aeroporto Merlino, si allargarono per farmi entrare. Mi feci forza, e iniziai a cercare gli imbarchi, e poi il metal detector. L’aeroporto non era enorme, e c’ero già stata più di una volta: potevo farcela. Erano le 8 e un quarto, così andai al bar a prendermi un panino.

Mi guardavo intorno: innamorati che si ritrovavano, famiglie che si dicevano addio, vagabondi in cerca di nuove avventure, single in cerca dell’amore.

I miei pensieri furono scacciati da una voce all’altoparlante: “Buonasera a tutti voi viaggiatori, volevamo avvisarvi che l’aereo per Heathrow subirà un leggero ritardo. Vi daremo altre notizie fra un’ora circa. Ci scusiamo per il disagio”.

Fantastico! Non solo dovevo abbandonare la mia casa, e la mia vita, sarei anche arrivata a Londra in ritardo! Cos’altro poteva succedere?

Presi il borsone che avevo tenuto con me, e infuriata lasciai il tavolino tondo in vetro sul quale mi ero appoggiata per cenare. Andai a sbattere contro qualcuno.

“Ops.. scusami.. che maldestra che sono!”

“Non fa niente, non preoccuparti!”

Alzai lo sguardo. Era Steve.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter four. ***


“Che ci fai qui?”, dissi sedendomi nella fredda sala d’attesa dell’aeroporto.

Lui alzò il mio sguardo abbassato a terra, e mi prese per mano. “Sono andato da Anna, avevo bisogno di parlarle”. Divenni immediatamente rossa, e il mio cuore batteva all’impazzata. “Parlarle? Di cosa, Steve?”

“Di te, Brenda”, disse guardandomi negli occhi.

Fece come per prendere coraggio, e continuò il racconto. “Brenda, parliamoci chiaro. Sono due anni che sono innamorato di te. E oggi sono andato da Anna per parlare con te e appena lei mi ha fatto capire quali sono i tuoi sentimenti, sono corso a casa tua per confessartelo, ma tua madre mi ha detto che non c’eri. Sono corso all’aeroporto, e ti ho trovata”. La sua pausa comportava che io dicessi qualcosa, ma cosa?! Il ragazzo che amavo aveva fatto tutto questo per me. Idiota, reagisci!”, mi ripetevo.

“Wow”, biascicai.

“So che magari dovremmo uscire prima ma..vuoi essere la mia ragazza?”, disse inginocchiandosi davanti a me, con occhi sognanti.

Nonostante questo, non riuscivo a guardarlo negli occhi e a confessargli che non sapevo quando sarei tornata, a dirgli che me ne stavo andando.. a Londra.

“Steve, io provo qualcosa di molto bello per te, è vero. Ma si è complicato tutto, adesso”.

Continuava a fissarmi con i suoi occhi marroni, e non riuscivo a resistergli.

“Steve come dirtelo..”, dissi alzandomi, “il mio aereo sta per partire, e non so per quanto aspetteranno ancora”.

Ma cosa mi era passato per la testa?! Lui era venuto lì per me, ed io avevo avuto il coraggio di rispondere in quel modo?

 Mi fermò prendendomi per il braccio. “Dove hai intenzione di andartene?”

“I miei vogliono che io vada a Londra da mio padre, per qualche tempo”.

Lui rimase fermo, immobile, a guardarmi. “C-Cosa?”

“Esatto, Steve. E per quanto io possa amarti, sappiamo entrambi che una relazione a distanza non potrà mai funzionare”. Non ce la facevo più. Problemi su problemi. Cercavo di essere forte, ma ogni secondo la mia vita si complicava di più.

Lui mi guardò negli occhi, con non so quale forza sovrannaturale, e mi disse: “Brenda, non importa, vai dove devi andare. Io rimarrò qui ad aspettarti, e ti scriverò”.

Lo abbracciai forte a me, e mentre prendevo tutto ciò che rimaneva della mia vita, incluso il mio borsone, mi avviai verso l’aereo.

--

Chiusi gli occhi, cercando di fermare la fotografia della faccia di Steve, quando me ne sono andata. Cercavo di cancellare i suoi occhi imploranti, quelli di Matteo, e mamma. Stavo perdendo il controllo della mia vita, dove sarei andata a finire?

Nel giro di un’ora arrivai all’aeroporto di Londra, Heathrow, e scendendo dall’aereo, percepii l’aria fredda della cittadina. Mi pungeva fin sul collo, ed era terribile. Scesi la lunga scaletta, e recuperai la valigia. Erano le 9 e 30, quando vidi un gruppo di ragazze urlare, e gridare il nome di un ragazzo, con i cellulari in mano. Ero brava in inglese, ma non me la cavavo con i loro accenti. Il ragazzo era biondo, e con gli occhi azzurri. I suoi occhi incrociarono i miei, e sentii una fitta allo stomaco. Che mi stava succedendo? Scossi la testa, e gli passai accanto con nonchalance. Dovevo trovare mio padre, ma prima che potessi chiamarlo vidi un uomo alto e barbuto che mi salutava. Lo raggiunsi, e lui mi abbracciò. “Dopotutto, mi vuole bene”, pensai. Mi stampò un bacio sulla fronte, e mi chiese: “E’ andato bene il viaggio, tesoro? “ “Tutto okay, papà”, gli risposi.

Chissà, magari quel viaggio poteva rivelarsi più proficuo di quanto pensassi. Potrei scoprire molto di papà “.

Entrammo in un taxi nero, e molto grande rispetto a quelli italiani. Sembrava una sorta di piccola limousine. Osservavo le persone camminare sui marciapiedi londinesi, e gli edifici.

Brenda, ben arrivata a Londra. La tua avventura ha inizio”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter five. ***


Mi voltai per guardare mio padre, e lui mi sorrise dolcemente. “Vedrai come ti piacerà la mia nuova casa”, disse compiaciuto. “Anzi, la nostra”, si corresse.

“Vedremo papà, vedremo”, dissi diffidente. Gli volevo bene, ma una parte di me non riusciva a perdonarlo per essersene andato quando avevo dieci anni, e Matteo ne aveva appena quattro. Magari passare un po’ di tempo con lui mi avrebbe fatto capire che persona era, realmente.

Lasciai la mente girovagare tra i meandri dei miei pensieri, e improvvisamente, si materializzarono due occhi bellissimi. Non erano quelli nocciola di Steve. Erano quelli azzurri di quel ragazzo all’aeroporto. Magari era una persona famosa, magari un attore, magari uno dei soliti figli di papà che entrano nel mondo dello spettacolo da quando emettono il primo vagito. Ma i miei pensieri furono interrotti dalla voce dell’uomo seduto accanto a me.

“Tesoro, siamo arrivati”, disse papà accarezzandomi le braccia. Mi scansai. Che cos’era tutta quella manifestazione di dolcezza?! Mentre stava pagando il taxista, andai a prendere le valigie. Non conoscevo affatto Londra, ma mi sembrava un quartiere molto grazioso quello dove avrei abitato. I lati delle strade erano ornati di fiori, e di verde. Gli alti alberi rendevano tutto più primaverile, e delicato. Mi avviai verso la porta di casa. C’erano delle scale in marmo prima di entrare e la porta era bianca, con un pomello dorato.

“Benvenuta nella tua nuova casa”, disse papà lasciandomi entrare per prima. Non riuscii a fare a meno di pensare che casa mia non era quella, ma era a Milano. Insieme a Matteo, a Brenda, ad Anna e a Steve. “Ero così felice insieme a loro, perché sei venuto a portarmi via da tutto questo eh, papà? Perché?!” Gli occhi mi  diventarono lucidi, ma cacciai dentro le lacrime.

L’ingresso era decisamente grande, e sulla destra una scala portava ai piani superiori. Davanti a me si trovava il salotto. C’era qualche divano, qualche poltrona, e diverse librerie ai lati della stanza. La cucina era in fondo alla casa, e risplendeva di luce. Al centro della stanza c’era un tavolo in legno e tutto attorno i fornelli. Poi salii in camera mia, e , stranamente, era davvero bella. I muri erano verniciati di azzurro, non a caso il mio colore preferito, e il letto era di quelli che avevo sempre desiderato avere: caldo, e soffice. La scrivania si trovava sulla sinistra, ed era già piena di libri scolastici, quaderni, e post-it vari. L’armadio si trovava davanti al letto, ed era in legno: proprio come quello di casa mia.

“Spero che ti piaccia la nuova casa. Se hai bisogno del bagno è infondo al corridoio, e se hai bisogno del sottoscritto, sono giù a leggere qualche libro. Ci vediamo domani. E ricordati di mettere la sveglia! È il tuo primo giorno di scuola”, disse.

Non riuscivo a contenere la mia rabbia. “Il mio primo giorno di scuola?! Cosa?”, pensai.  “Fermati subito. Abbiamo bisogno di parlare io e te”, dissi furiosa.

“Ma tesoro, è tardi. Hai bisogno di dormire” disse cercando di sfuggirmi.

Ma lo presi per un braccio, e lo feci voltare verso di me. “Tu mi stai dicendo che mi hai catapultato qui senza un preavviso, senza niente di carino, di gentile, senza un qualcosa, senza pensare al fatto che dopo essertene andato sei sparito, non sei più venuto a trovarci, a parte qualche chiamata quando ti ricordavi di avere una famiglia, e tu mi stai dicendo che dopo aver lasciato la mia città, la mia casa, i miei amici, la mia vera famiglia”, sottolineai quel vera con enfasi, come brace ardente, “per soddisfare questo tuo capriccio temporaneo, io domani devo anche alzarmi presto per andare a scuola? Assolutamente no! Non puoi chiedermi questo. Anche questo, no.”

In quel momento sentii il mio cuore farsi più leggero, gli avevo tolto un peso dal petto. Un peso che da solo non riusciva a sostenere.

“Brenda, io lo dico per il tuo bene. Dovrai iniziare la scuola prima o poi, perché non subito?”

“E sentiamo tu cosa ne sai del mio bene?! Cosa ne sai? Non sei mai stato presente ad una recita, a qualcosa che fosse mio. Non venivi neanche per Natale, ti dimenticavi del mio compleanno e di quello di Matteo. Cosa vuoi saperne di me? Sono tua figlia, e preferirei essere la figlia di un procione rabbioso, ma Dio ha scelto così. Vuoi che vada a scuola domani? Bene. Forse lo farò, forse non lo farò. E con questo, buonanotte. Quella è la porta”, dissi non lasciandogli neanche il tempo di parlare.

Mi sentivo soddisfatta. Ero riuscita a dire a quell’uomo tutto quello che tenevo dentro da 6 anni, e finalmente il mio cuore era in pace con se stesso. Si sentiva molto più libero.

Nel frattempo lui, se ne andò con lo sguardo abbassato e uscì dalla mia camera.

Sarei dovuta essere più riconoscente? Forse. Ma non si tratta in questo modo la propria famiglia “.

Cercai il pigiama nella valigia, e mi rifugiai nel letto. Era l'unica cosa che riuscissi a sentire davvero mia, in quel momento. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dalla notte, e dalla stanchezza che incombevano su di me.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter six. ***


Quella mattina fu il dolce calore del sole a svegliarmi, una luce che percepivo sul mio volto. Improvvisamente, aprii gli occhi e pensai ad Anna. “Non l’avevo ancora avvertita del mio imminente trasloco! Bell’amica che ero. Non le avevo neanche detto addio. D’altronde non c’era stato molto tempo..”, rimuginavo tra i miei pensieri. “Chissà se Steve l’aveva avvertita, o se aveva preferito tenersi tutto per sé. A proposito, mi avrebbe scritto? Con il trasferimento in un altro paese avrei dovuto cambiare il numero di telefono, e faccende varie”, pensai.

Mi vestii velocemente, prendendo il primo jeans che trovai nell’armadio, e la prima maglietta. Non pensate che sia la tipica ragazza definita “maschiaccio”, o la ragazza tutta elegante e perfetta, niente di tutto questo. Sono una semplice ragazza italiana, che si è dovuta trasferire in un’altra città e, francamente, apparire bella ed attraente il mio primo giorno di scuola, era l’ultimo dei miei problemi. Scesi la scalinata che mi portava al piano inferiore, e andai in cucina a fare colazione. Ovviamente mio padre non c’era, ma trovai un bigliettino sul frigo.

Ciao Brenda, devo scusarmi per come mi sono comportato, ma spero che con il tempo capirai molte cose. Lavoro dalle 8 alle 7 di sera tutti i giorni, per cui non aspettarmi per cena. Buon primo giorno di scuola, ti voglio bene. P.s. sul tavolo troverai la mappa della città, con cerchiate la casa e la scuola. Cerca di non perderti”.

Sospirai. Presi la mappa, e uscii per rinfrescarmi le idee, e godermi ciò che quella città poteva offrirmi.

Credevo alle sue parole, quanto a quelle di un lupo affamato con una bella preda davanti. Mi aveva ferita troppo, perché potessi anche solo pensare di fidarmi di lui”.

Appena dietro l’angolo, tutte le persone correvano di qua e di là: sembravano dei pazzi. Probabilmente era questa l’atmosfera di prima mattina, che si respirava a Londra. L’aria era pulita e fresca, e ovunque ci si girava c’era qualcosa da vedere, qualcosa di interessante. Presi la mappa di mio padre, e dopo una trentina di minuti vidi la scuola.

Era grande, e in marmo. Abbassai la cartina. Juce’s Mike High School, con affianco un simbolo grigio con una J, una M, una H, e una S, dipinte e contornate di nero. Mi fermai dalla parte opposta della strada. Dovevo entrare, o saltare il primo giorno di scuola? Non mi piaceva in cosa mi stavo trasformando. La Brenda solare, allegra, e forte che era in Italia, si era trasformata in una fredda, triste Brenda londinese. E tutto da quando aveva visto suo padre all’aeroporto. Dovevo ritrovare me stessa, e per questo dovevo fare amicizia con qualcuno, ed entrare in quell’edificio grigio e macabro.

Così decisi di attraversare la strada, ma la voce di un ragazzo mi immobilizzò, incapace di muovermi e di pensare.

“Ehi, ciao! Tu sei nuova, vero? Benvenuta alla Juce Mike High School!”

Il suo accento inglese era perfetto. Era un ragazzo dai capelli castani chiari, ma non troppo scuri, e dagli occhi color miele. Era poco più alto di me, e indossava un gilet nero, con sotto una camicia, e un paio di pantaloni scuri. Doveva essere la tipica divisa inglese. Poi, posai lo sguardo sul mio look. Jeans sbiaditi, felpa nera, e scarpe da ginnastica, senza un minimo di trucco. Se Anna fosse stata qui, mi avrebbe uccisa. Diceva sempre che la matita nera, e l’ombretto chiaro delineavano il mio volto. Era un’abile truccatrice, e il ricordo dei nostri pomeriggi, mi provocò un brivido lungo la schiena. Improvvisamente, la voce di quel ragazzo mi riportò alla realtà. “Non parli bene la nostra lingua, vero? Non preoccuparti. Ti ci abituerai, ne sono sicuro!”, disse sfoggiando uno dei suoi incredibili sorrisi. A vederlo, doveva essere il capo di qualche gruppo per gli studenti, ne ero certa. La sua immensa disponibilità, e bontà erano qualità molto rare.

“Oh, scusami! So parlare l’inglese: me la cavo abbastanza, insomma”, dissi sorridendo timidamente, con lo sguardo abbassato.

Lui sorrise. “Finalmente hai parlato! Credevo che il gatto ti avesse mangiato la lingua!”

Lo guardai con aria interrogativa. “E’ solo un detto che si dice spesso da queste parti. E hai una voce incantevole, cerca di usarla spesso!”, mi disse mentre stavamo varcando il portone dell’entrata, fianco a fianco.

--

Sebbene avessi appena messo piedi in quella scuola, capii che era enorme, e molto maestosa. “Forse era una delle scuole più prestigiose di Londra, o forse, non era niente in confronto alle scuole tipiche inglesi”, pensai tra me e me. Qualunque fosse la risposta, mi guardai intorno e mi sentivo confusa, e spaesata. Ovunque, c’erano ragazzi che giravano nei corridoi. Dai loro comportamenti capii che la lezione non era ancora iniziata. Ma come facevano ad essere così svegli e allegri? Io appena mettevo piede in classe, sembravo uno zombie! Tranne quando vedevo Anna o Steve, ovviamente. Chissà se fra qualche tempo, avrò anche io la loro luce negli occhi. Appesi ai muri, c’erano cartelli di ogni tipo: dalle competizioni studentesche, ai corsi extra-scolastici, c’era di tutto e di più. Improvvisamente mi sentii toccare il braccio. “Io fra poco devo andare a lezione, ma se mi dici in quale aula devi andare, posso aiutarti a trovarla, e poi”, abbassò lo sguardo, “poi ci vediamo in mensa”. Era sempre quel ragazzo gentile, accanto a me. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza con tutto quel via vai di persone.

“Non saprei. Forse dovrei andare a chiedere qualche informazione in presidenza”, risposi fissando i miei occhi nei suoi.

“Capisco. Allora io vado in classe, non posso più aiutarti, mi spiace. Ma ci vediamo in sala mensa all’ora di pranzo!”, disse mentre una folla lo prendeva per le braccia portandolo via.

“Aspetta! Non mi hai detto il tuo nome!”, gli urlai.

“Liam, piacere!”

E quella fu l’ultima cosa che sentii da lui. Girovagando per la scuola, cercai la presidenza, senza trovarla. Era troppo grande quella scuola! Quando sentii una voce chiamarmi  . . .

“Signorina Clars! La smetta di oziare nei corridoi, e venga subito nel mio ufficio!”

Mi voltai e vidi un uomo magro e alto, che incuteva una certa paura. “S-subito, signore!”, balbettai. Attraversammo una serie di corridoi lunghi, per poi passare attraverso il verde cortile, alla presidenza.

“Eccoti finalmente!”, disse il preside. Era un uomo piuttosto robusto, e calvo. Pareva simpatico, al contrario dell’uomo di prima.

“Devi scusarci per il tono in cui ti deve avere trattato questo ragazzaccio. Lui è il signor Mixlemore, il nostro vicepreside.”

Quest’ultimo fece un inchino, e non ci volle un mago per farmi capire che con lui come preside, la scuola sarebbe stata davvero severa e dura.

“Piacere”, biascicai. “Io sono..”

Ma non feci in tempo a parlare che il preside mi fermò. “Lo sappiamo, lo sappiamo. Adesso vai nell’aula 349, quella sarà la tua classe per tutto il semestre. Pronta?”

Annuii con la testa, anche se ero tutt’altro che pronta.

“Perfetto. Albert ti mostrerà la strada. Spero di rivederti presto”.




Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter seven. ***


Girovagavo per i corridoi, accanto a quell’uomo guardandomi intorno. “Sarebbe stato difficile orientarmi, e abituarmi a tutto questo”, sospirai osservando il cortile della scuola da una delle grandi finestre di quell’edificio.

“Eccoci qui, signorina Clars.”

Mi voltai verso il signor Mixlemore, e non feci in tempo a sentire l’emozione delle mie farfalle nello stomaco, che aveva già aperto la porta.

“Forza, entra. Non essere timida”, disse un signore magro e alto accanto alla cattedra. Portava gli occhiali, e sembrava una persona diligente e simpatica.

“La lascio alla sua lezione di scienze, professore. Buona giornata”, disse il vicepreside chiudendo la porta rumorosamente.

“Ciao”, disse lui sorridendo, “benvenuta nella nostra classe, e nella nostra scuola. Spero che saprai orientarti presto. Come ti chiami?”

“Brenda Clars”, dissi seria.

“Perfetto!”.

Il suo sorriso era contagioso.

“Allora, puoi sederti là in fondo dove ci sono due banchi vuoti”.

Non me lo feci ripetere due volte, e presi posto in fondo, dove mi aveva indicato il professore. Mi sedetti, e riuscii a sentire il calore di essere in un banco accanto al muro, lontano dagli occhi di tutti. Non ho mai amato essere al centro dell’attenzione.

“Vedi, il ragazzo nel banco, accanto al tuo, se n’è andato proprio ieri. Ma non era molto socievole. Era proprio un ragazzaccio”, continuò. “Comunque sia, io insegno ogni tipo di materia scientifica in questa scuola: dalla matematica, alla trigonometria. Dalla chimica, alla fisica. Spero che troverai interessanti i miei corsi. Ovviamente, ci spostiamo per ogni lezione”.

La mia faccia inorridita dovette avergli fatto capire che non ero abituata a questo tipo di cose. Ma lui continuò a sorridere. Era un tipo piuttosto solare, e questo mi piaceva.

“Oh, non preoccuparti. Ti abituerai presto. E prima di andare a casa, fai un salto all’aula 632. Là ti daranno tutte le informazioni per i corsi, e per la scuola. Lassù si occupano proprio di questo tipo di cose”.

Annuii timidamente.

“Dunque ragazzi, dove eravamo arrivati? Ah si, alla cellula. Ecco, vedete qui …”

Le sue parole scivolavano nella mia mente, senza mettere radici o lasciare alcun segno del loro passaggio. Osservavo il cielo, e pensavo ad Anna, e Steve, a Matteo, e a mamma. Oggi avrei dovuto trovare un modo per chiamarli, o scriverli. Qualunque modo. Ma avevo bisogno di sentire una voce amica. Sospirai annoiata, guardando il professore.

Improvvisamente, la campanella suonò, ed era già ora di pranzo. “Brenda, adesso segui i ragazzi nella mensa, e trovati un posto al tavolo. Buona giornata”, disse il professore sorridendo.

“Grazie mille, professor..”, dissi aspettando una risposta.

“James Lucking”, sorrise.

Sorrisi a mia volta. Era uno di quei sorrisi che non provavo da quando ero in Italia, e quella sensazione di calore era meravigliosa. “Persino i professori possono farti sorridere. Interessante”, riflettei tra me e me.

“E’ stato un piacere”, dissi immergendomi tra la folla di studenti diretta in quel luogo, che chiamavano mensa.

--

La mensa era qualcosa di immenso. Vedevo ragazzi che si spingevano, che ridevano, che si guardavo intorno alla ricerca di belle ragazze. E ce n’erano, credetemi. Poi c’ero io. Una ragazza in felpa, jeans, e scarpe da tennis. Se ho mai avuto un’autostima, ora mi stava implorando di vedere la luce.

“Un po’ di questo, grazie”, dissi mentre la signora della mensa riempiva il piatto di fagioli, e di pollo.

Finito il giro, cercai un tavolo con in mano il vassoio. “Quale poteva essere il posto migliore per la ragazza italiana appena arrivata?”

Sospirai, guardandomi intorno alla ricerca di un segno, di qualunque cosa. E poi vidi una mano agitarsi nella mia direzione. Mi girai, pensando che non potevo essere io. Chi poteva mai avermi notata? Ma vidi quel ragazzo sorridere, e così mi avvicinai timidamente.

Era Liam.

Appena arrivai al suo tavolo, notai che era pieno di gente. Doveva essere famoso, o per lo meno il capo di qualcosa. Era l’unica soluzione.

“Ciao! Vieni pure, siediti. Ti ho tenuto un posto qui”, disse lui.

Presi posto accanto a lui, e gli sorrisi. “Grazie”, sibilai.

“Tu sei la nuova arrivata, vero?”, disse una ragazza davanti a Liam. Aveva i capelli lunghi e neri, e gli occhi dello stesso colore. Eppure, non sembrava come le ragazze che avevo notato prima. Sembrava carina, e gentile.

“Si. Mi chiamo Brenda”, risposi.

“Io sono Jane, piacere”, disse porgendomi la sua mano.

“Molto piacere”, le sorrisi.

“Vedi, cara Brenda, lei è la ragazza più dolce che conosca. È mia sorella, la mia migliore amica da dodici anni”.

“Esatto, stupidone!”, disse lei pizzicandogli una guancia.

Erano così teneri. Mi era sempre mancata la presenza di un migliore amico, e.. di Anna, in quel momento.

“Da dove vieni, allora?”, mi chiese Jane dolcemente.

“Milano, Italia”, dissi prendendo una forchettata di fagioli.

“Italia! Quanto la amo. Ne parlavo proprio ieri con lei al telefono”, disse esaltato Liam.

“Oh, davvero?!”, chiesi sorpresa.

“Quando lo conoscerai meglio, capirai che persona è. Mi ha chiamata solamente per dirmi che voleva andare in Italia, ma poi ha visto un cucchiaio, e si è spaventato”, rise Jane.

“Cosa?”, sorrisi, “Hai paura dei cucchiai?”, dissi avvicinandogli un cucchiaio alla faccia.

“Noooo, brucia! Allontana quel “coso” da me! “, urlò lui.

Per la prima volta, ridevo. Ridevo per davvero. Non mi ero mai sentita così serena, e felice.

“Ovviamente è solo una messa in scena. Eppure, non l’ho mai visto prendere un cucchiaio in mano.”

“E le torte come le mangi?”, chiesi incuriosita.

“Ma con le mani ovviamente! E’ molto più comodo”, sorrise.

“Certo Liam, certo”, disse Jane dandogli una pacca di incoraggiamento sulla spalla.

Era tutto così bello, e allegro. Avevo trovato degli amici, il mio primo giorno di scuola. Stavo superando la mia timidezza. Era incredibile!

La campanella suonò di nuovo.

“Ed è finita anche l’ora di pranzo…”, sentii i ragazzi del nostro tavolo lamentarsi.

“Ma voi avete una campanella per tutto, eh?!”, risi.

“Si, Brenda. Siamo molto organizzati!”, disse Liam.

“Ma guardatelo! Fa anche il presuntuoso, adesso”, gli diede una spinta Jane.

Erano così carini insieme. Sembravano proprio due fratelli.

E questo non faceva che peggiorare le cose. Pensavo a Matteo: al mio piccolo, dolce e fragile fratellino.

“Allora ci vediamo presto, Brenda! E’ stato un piacere!”, disse Jane, portandosi via Liam a braccetto.

“Piacere mio!”

“Ci vediamo domani! ”, disse Liam.

E così tornai all’aula 349, seguendo la folla di studenti. Il professore Lucking, finì la sua lezione. E come l’ora precedente, non riuscivo proprio a seguirlo. Che volete farci? Le materie scientifiche non sono mai state per me. Ma nonostante questo, il suo modo di spiegare mi faceva sorridere.

E suonò l’ultima campanella della giornata. Ricordai le parole del professore, e mentre tutti se ne andavano felicemente a casa, io mi avviai verso l’aula 632.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Chapter eight. ***


Lessi il cartello in alto a destra sulla porta che mi trovavo davanti.

Aula 632, diceva.

Era scritto a caratteri piuttosto grandi e neri.

Girai il pomello grigio, ed entrai. La stanza era piuttosto grande. Di fronte a me c’erano dei tavoli pieni di fogli di qualunque tipo: cartacei, stampati, scritti a mano. Il signore che per primo incrociò il mio sguardo doveva essere piuttosto severo e stanco.

Inarcò le sopracciglia da sotto gli occhiali, e mi squadrò dalla testa ai piedi. “Signorina..?”, disse con quella sua voce fredda, e penetrante.

“Clars. Brenda Clars. Sono qui perché ho saputo che vi occupate dei corsi, delle lezioni e di tutto il resto”.

L’uomo continuava a fissarmi senza spiccicare parola. Teneva in mano una penna, ed era piuttosto annoiato. Eppure, non mi staccava gli occhi di dosso.

“Sono la nuova arrivata…”, biascicai alla ricerca di una parola, un gesto, o anche solo un segno.

 

“Mi scusi per il ritardo, ma la professoressa Macguire mi ha tenuto a lungo. Sa benissimo com’è fatta. O una cosa la sai, oppure non la sai. Comunque sia, tenga. Ecco i fogli che desiderava avere”, disse un ragazzo porgendogli dei fogli.

Era entrato noncurante della mia presenza, e sembrava piuttosto pensieroso.

Un momento! Ma era Liam!

“Liam?”, dissi con aria interrogativa.

Lui si voltò. I suoi occhi erano fissi nei miei.

“Brenda!”, disse scacciando l’aria preoccupata e seria di qualche minuto fa. Poi sorrise.

“Che ci fai tu, qui?”

“Sono venuta per avere delle informazioni in più sulla scuola, le lezioni eccetera. E tu? Non è possibile che ovunque vada, ti incontri!”, gli sorrisi con dolcezza. Era ovvio che scherzassi. Non mi dispiaceva affatto la sua presenza.. anzi.

“Giusto, giusto! Sono proprio addormentato stamattina!”, disse sorridendo. Era uno di quei sorrisi lucenti, che ti entravano nell’anima.

“Se non vi dispiace, avrei da fare io”, disse l’uomo occhialuto sospirando rumorosamente, concentrandosi sul suo lavoro, e sui fogli che aveva davanti.

“Certamente! Ci scusi. Posso aiutare io Brenda per tutte le informazioni, se desidera”.

“Mi faresti un enorme piacere, caro ragazzo”, disse scrivendo dei numeri sui fogli, e calcolando chissà cosa.

“Perfetto! Alla prossima!”, disse facendogli un occhiolino. Anche se non ne ebbe il minimo apprezzamento.

“Arrivederci!”, cercai di sorridergli.

--

 “Allora Brenda, dimmi. Di quali informazioni hai bisogno? Siccome sono nel comitato della scuola, posso dirti tutto ciò che vuoi”, mi disse continuando a sorridere, mentre scendevamo le scale.

“Beh, per prima cosa, qual è la mia classe, e gli orari delle lezioni. Ho saputo che voi vi spostate di ora in ora”.

“Già. E’ proprio così. Non ne sei felice? Un po’ di moto fa bene, sai?”, disse facendo finta di correre.

“Su questo non ho dubbi, ma sono una tale pigrona!”

Lui rise. “Ti abituerai.”

“Comunque sia, oggi il signor Mixlemore mi ha portato in un’aula, dove ho conosciuto il professore di scienze. Quindi quella dovrebbe essere l’aula di scienze, giusto?”

“Sei perspicace”, disse facendomi l’occhiolino.

Gli diedi una spinta su un braccio, con dolcezza.

“Per domani ti farò avere tutti gli orari, e i nomi dei professori di tutte le lezioni”.

“Grazie, sei molto gentile”, dissi timidamente.

“Adesso devo correre a casa. Devi scusarmi! Ci vediamo domani!”

“Aspetta, Liam!”, dissi prendendolo per un braccio. “Mi sapresti dire come posso contattare i miei amici in Italia? “

“Non posso proprio aiutarti su questo.. scusami!”

Lo salutai, e mi avviai verso casa. Era strano come la sua gentilezza si era trasformata in un improvvisa fretta.

Camminavo per le strade con lo sguardo abbassato. In qualche modo dovevo raggiungere i miei amici, o per lo meno la mia famiglia.

--

Dopo aver pranzato, feci qualche ricerca ma non trovai nulla di interessante. Durante il pomeriggio, pensai molto a tutto quello che mi stava succedendo in così poco tempo.

Sono sempre stata timida, e insicura, perché oggi con Liam mi sono sentita così aperta? Lui è così buono e gentile. Sarà per questo che il mio cuore si era sentito così protetto e al sicuro?

All’improvviso sentii la serratura della porta aprirsi. Era papà.

Avevo bisogno di sapere come rintracciare Matteo, e la mamma. E questo fu l’unico motivo per cui decisi di parlargli, per prima.

--

“Ciao, ho bisogno di chiederti una cosa”, dissi puntando dritta al sodo.

“Neanche un bentornato a casa, o un buonasera eh? Ma come siamo maleducati, Brenda”, disse lui cercando di scherzare.

Cercando, appunto.

Gli lanciai una di quelle occhiate fulminee, che lo incenerirono.

“Comunque sia, sai come posso rintracciare i miei amici, e la mamma in Italia?”

“Mhh, non saprei, cara. Se solo tu fossi più gentile...”, disse mentre appoggiava la sua valigetta sul letto, ed era immerso nei suoi pensieri.

La sua arroganza mi innervosiva.

“Senti, ne abbiamo già parlato”, cercai di mantenere la calma.

“Va bene, mi arrendo. Prendi un catalogo dentro a uno dei cassetti accanto al comodino, all’interno troverai un foglio. Lì c’è il numero di tua madre”.

Sorrisi, soddisfatta.

Cercando e cercando, trovai quel dannatissimo numero.

“Tesoro! Finalmente ci hai chiamato! “, disse mamma con la sua voce dolce.

“Mamma! Come stai?”, le chiesi sorridendo.

Ero davvero felice di sentirla. Dentro di me sentivo la Brenda felice ritornare, piano piano.

Le raccontai tutto del primo giorno, e lei non mi disse niente su Anna e Steve. Non sapevo se si doveva considerare negativo, o positivo.

“Mamma, mamma! Fammi parlare con lei, ti prego!”. Sentivo la voce del mio piccolo fratellino da oltre la cornetta del telefono.

Parlai con lui per almeno mezz’ora. Mi diceva che gli mancavo, che voleva giocare con me e abbracciarmi. Quel bambino era davvero la cosa migliore che mi fosse mai capitata.

Dopo un po’ dovetti riattaccare, ma non pensavo che nei giorni successivi avrei ricevuto una sorpresa così inaspettata, e al tempo stesso, bellissima.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Chapter nine. ***


Dalla telefonata con la mia famiglia mi sentivo come rinata. Ero una Brenda diversa, migliore. La mattina dopo mi alzai, e a svegliarmi fu il calore del sole sulla mia pelle. Era piuttosto strano in una cittadina come Londra, ma ne ero felice. Feci colazione con bacon e due uova, come i tipici inglesi, e mi avviai verso la scuola. Quella mattina mi sembrava tutto più bello, più meravigliosamente pieno di luce. Era questo l’effetto che Matteo e la mamma avevano su di me. Era a dir poco stupendo.

Stavo per entrare a scuola, quando all’ingresso vidi Liam corrermi incontro.

“Buongiorno!”, disse lui sorridendo.

“Giorno!”, ricambiai il sorriso.

“Questi sono gli orari di tutte le lezioni, e delle aule. Scusami ma non posso trattenermi a lungo, ciao!”, disse porgendomi un foglio, scomparendo fra la folla di studenti.

Perché era così strano? Cosa gli stava succedendo?

Seguii le istruzioni del foglio, cercando di ambientarmi.

Entrai in classe, e la mattinata passò piuttosto in fretta. Non vidi né Liam, né Jane per tutto il giorno, e continuavo a non capire cosa stesse succedendo a quei due.

Il giorno prima erano gentili, simpaticissimi, e il giorno dopo non mi venivano neanche a cercare.

Tornai a casa immersa nei pensieri, quando trovai nella cassetta della lettere una busta con il mio nome.

Pensai che potesse essere stata la mamma a farmi una sorpresa, oppure Matteo. Così, corsi in casa, gettando lo zaino sul pavimento, e aprii la busta.

Non erano loro. Era Steve.

Presi quel foglio tra le mani, e iniziai a leggere con il cuore in gola.

Ciao Brenda. Ti ho pensata giorno e notte. Non avevo la minima idea di come poterti rintracciare, ma poi ho avuto un lampo di genio. Sono andato da tua madre, e lei aveva tutte le informazioni possibili. A volte la soluzione giusta è quella più semplice, no?

Torniamo a noi. Ti ho confessato quello che provo, e vorrei con tutto me stesso averlo fatto prima. Sei partita così in fretta che volevo dirti addio. Ed è per questo che ti sto scrivendo questa lettera. Non ti lascerò andare soltanto perché hai cambiato paese.

Il 23 gennaio sarò lì. Manca una settimana, e non so ancora se o quando riceverai questa lettera. Quindi, ti lascio con un bacio, e con un ci vediamo presto.

Se vorrai scrivermi, basta che scriverai all’indirizzo di casa tua, e tua madre provvederà a tutto”.

Poggiai la lettera sul tavolo. Avevo gli occhi lucidi. Avevo bisogno di sedermi.

S-steve qui? Oddio.

Ma oggi è il 21 gennaio. Cavolo. Ho soltanto due giorni per prepararmi al suo arrivo! Devo assolutamente sbrigarmi.

--

LIAM POV’S

 “Liam, mi spieghi che ti prende? Si tratta soltanto di un discorso. Ne hai fatti mille soltanto negli ultimi anni”.

“Lo so, Jane. Ma ho paura. E se quest’anno non volessi fare più il rappresentante degli studenti, del comitato scolastico, e tutto il resto? Se volessi concentrarmi su altre passioni? O trovarne di nuove?”, dissi.

“Liam, ascolta la tua migliore amica, si tratta di quello che vuoi fare. Di tutto ciò che desideri. Oppure no?”

“Non lo so più. Mi sento confuso”.

“E’ per quella ragazza, non è vero?”

“Affatto”.

“Va bene. Ma sai che domani sera c’è la festa, vero? E che devi andarci con una ragazza”.

La guardai sorridendo, in attesa di una conferma.

Stavamo parlando da tutto il pomeriggio. Io ero seduto sul letto, e lei davanti a me camminava.

Poi, sorrise.

“Fai quello che il tuo cuore sente. Io inviterò Zayn, lo sai. E tu…”

“Io inviterò Brenda”.

 

 

 

 

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Chapter ten. ***


BRENDA POV’S

Era il 22 gennaio, e il giorno seguente Steve sarebbe arrivato.
Come mi sarei vestita? Cosa gli avrei detto?

Per non parlare del fatto che dovevo ancora rispondergli, nel caso in cui avessi deciso di farlo. Era tutto così confuso.

Stavo camminando pensierosa nei corridoi della scuola, quando mi fermai al mio armadietto. Lo aprii e presi i libri per le ore successive: biologia, letteratura e francese.

Stavo per chiuderlo e avviarmi verso la mia classe, quando un ragazzo apparse davanti a me.

Era Liam.

“Ciao Brenda”, disse sorridendo come al solito.

“Ehi…”, dissi. All’inizio era un ragazzo così gentile, e questo mi piaceva, ma poi non mi ha più rivolto nemmeno la parola.

“Volevo chiederti scusa se non mi sono più fatto vivo, ma gli impegni scolastici mi hanno sotterrato”.

Eppure c’era qualcosa in quel sorriso che mi faceva stare bene, che mi rilassava.

“Non preoccuparti Liam, non fa niente”, mentii chiudendo l’anta dell’armadietto.

Lui ci appoggiò il gomito e mi guardò intensamente. In quel momento, se qualcuno mi avesse chiesto come mi chiamavo, avrei risposto Clara Zubosky. Cosa mi stava succedendo?

“Voglio farmi perdonare da te, Brenda. Non so se lo sai ma stasera c’è la festa di inizio quadrimestre, e ogni ragazzo deve invitare una ragazza…”, disse imbarazzato.

Effettivamente non ne sapevo nulla, ma mi piaceva la piega che la conversazione stava prendendo.

“Insomma, io.. m-mi chiedevo se… se proprio nessuno ti aveva invitato… mi chiedevo se ti andrebbe di andarci con me”, rispose dopo diverse pause.

Io ci pensai, e fingendomi misteriosa, accettai. “Perché no?”

Lui divenne immediatamente rosso in viso e balbettando disse: “Perfetto! Che ne dici se ti vengo a prendere a casa di Jane? Lei sarà sicuramente d’accordo!”

“Okay, a stasera!”, sorrisi sentendomi la ragazza più felice del mondo.

--

“Jane, aspetta!”, urlai appena la incrociai all’uscita da scuola.

L’avevo cercata tutta la mattina per chiederle qual era l’indirizzo di casa sua e, in quanto mente puramente femminile, per chiederle come dovevo vestirmi.

“Brenda, ciao!”, mi sorrise.

Così, le raccontai di Liam, della festa improvvisa di cui non sapevo assolutamente nulla, e di come potevo prepararmi.

“Perché non pranziamo assieme oggi? E ti posso prestare un vestito dei miei! Magari ci conosciamo un po’ meglio”.

“Sarebbe fantastico! Grazie di cuore!”, le dissi sorridendo.

Poco dopo chiamai mio padre per avvertirlo che non sarei tornata a casa nemmeno per cena. Lui fece un verso, e non disse nulla.

Come se gli potesse importare qualcosa di sua figlia.

--

Pranzammo, e poi ci rifugiammo in camera.

“Allora Brenda, immagina la tipica festa americana. Coppiette, servizio fotografico, ottima musica, e buffet. Bene. Solitamente, la festa di inizio quadrimestre è molto simile a quelle che vedi nei film in televisione”.

“Wow. E’ fantastico, allora!”

“Beh, dipende anche dal partner”, disse ridendo.

Annuii.

“Ma Liam è un perfetto gentiluomo, vedrai”.

Sorrisi e mi sentii avvampare pensando a me e a lui ballare un lento. Sono una ragazza piuttosto romantica, lo so.

“Awh, a cosa stai pensando? Sei tutta rossa”.

“Ehm, a niente di particolare” risposi con lo sguardo abbassato.

Lei sorrise. Sapevo che aveva capito quello che intendevo.

--

Guardai l’orologio. Erano già le 20.00! Ma com’era possibile? Era passato così in fretta quel pomeriggio?

Sentii il campanello. Erano arrivati. Zayn e Liam erano qui.

“Non farti prendere dal panico, è tutto okay”, cercai di rassicurarmi.

Mi guardai allo specchio.

Indossavo un vestito celeste a coppa che mi arrivava all’altezza del ginocchio. Non aveva le spalline, e per questo motivo indossavo uno scalda cuore bianco panna. Avevo i capelli raccolti a chignon, ed un velo di trucco sul viso. Avevo dei tacchi a spillo neri, anche se non erano troppo alti.

Jane mi appoggiò le mani sulle spalle. “Sei bellissima”.

La guardai, sorridendole.

Lei indossava un vestito blu notte simile al mio, ma con le spalline piuttosto grosse, così da non dover mettere uno scalda cuore. Le sue scarpe erano blu e in velluto. Il tacco era poco più alto del mio, e i suoi capelli erano sciolti.

Era bellissima.

“Anche tu, Jane. Grazie di tutto”, sorrisi.

Lei mi abbracciò all’improvviso. Fu un gesto davvero dolce.

“Adesso andiamo! Non vorremo far attendere i nostri uomini!”, sorrise.

Camminare con quei trampoli non era cosa da poco, ma sapevo di poter arrivare a fine serata sana e salva.

Quando arrivammo Zayn e Liam si alzarono in piedi. Zayn disse a Jane che era bellissima, e ci lasciarono soli. Liam era letteralmente a bocca aperta.

“Wow. Sei assolutamente stupenda”.

Gli sorrisi e, prendendolo a braccetto, uscimmo.

Quello era il mio primo ballo, ed ero al settimo cielo.

Sarebbe stato così anche a fine serata?

--

Salimmo in macchina. Per l’occasione Zayn aveva noleggiato una limousine.

Era nera, e piuttosto grande.

Il tragitto fu piuttosto corto, e in un attimo arrivammo alla festa. Liam, scese prima di me, per aiutarmi ad uscire dalla macchina tendendomi la sua mano.

Era un vero gentleman.

“Dopo di lei, Madame”, mi sorrise chiudendo la portiera dell’auto.

Io ero senza parole.

Entrammo a braccetto, e l’ingresso della sala era enorme.

L’edificio dove si sarebbe svolta la festa era un vecchio edificio inglese appena ristrutturato, a quanto mi ha detto Jane.

Era davvero incantevole.

Sembrava di entrare in una di quelle favole, in cui ogni bambina si è immedesimata. Non che fosse tutto rosa e fiori, ma era tutto così assolutamente magico.

Camminavamo su un lungo tappeto rosso, e appena facemmo ingresso nella sala, sentii tutti gli occhi puntati addosso.

Liam se ne accorse, e mi sussurrò di non farci caso. In un piccolo palco suonava una band, con un ritmo pop.

Poi io e Liam iniziammo a ballare. All’inizio ci divertivamo, ridendo e scherzando, ma all’improvviso una ragazza si avvicinò a noi.

“Scusate?”, disse pizzicando Liam su una spalla.

“Posso rubarti Liam per un po’?”, disse con aria sfacciata.

Avrei voluto urlare di no. Era tutto così bello, per una volta. Perché?

Ma invece, lo guardai, e dissi di si.

Chi ero io per impedirgli di ballare con un’altra? Okay, mi aveva invitata, ma non ero la sua ragazza. E mai lo sarei stata.

Mi guardai intorno, e senza di lui mi sentii sola e persa.

Vidi un divano in una parte della sala, e mi sedetti lì. Accanto a me, c’erano dei ragazzi che si baciavano. Ero invidiosa di loro. Cosa mi stava succedendo? Provavo davvero qualcosa per Liam?

Dopo circa una mezz’oretta, presi qualcosa al buffet e uscii dalla porta sul retro. Si affacciava sul parcheggio, e prima che potessi andarmene a fare una passeggiata per conto mio, sentii qualcuno chiamarmi.

“Brenda!”

Mi voltai.

“Liam.. che fai? Non dovresti ballare con quella ragazza?”

Lui sorrise capendo la mia gelosia, e si avvicinò a me accarezzandomi una guancia.

“Scusami, ma dopo quella ragazza mi hanno intrattenuto anche delle sue amiche. Ti ho cercata, ma non ti trovavo. Scusami. Non era mia intenzione lasciarti sola nel bel mezzo della festa”.

“Non preoccuparti, Liam”, finsi un sorriso.

“Allora, mi daresti l’onore di un ultimo ballo?”, disse con gli occhi illuminati dalla luce della luna.

“Ma certo”, sorrisi.

L’ultimo ballo fu proprio un lento.

Sentivo le sue mani sui miei fianchi, la mia testa appoggiata alla sua spalla. Il suo profumo. E lo giuro, non mi sono mai sentita più completa.

Poco dopo mi accompagnò a casa da bravo cavaliere, e mi salutò soltanto con un sorriso. Francamente, avrei preferito un suo bacio. Ma questo che sta parlando è il mio folle cuore. Lasciamolo dormire.

Andai a letto, sorridente pensando a lui, e mi rifugiai tra le braccia di Orfeo.

--

La mattina seguente quando mi svegliai, ancora intontita dalla festa e dal pensiero di quel ragazzo, l’unica parola che il mio cervello ricordò fu una: “Steve ”.

 

 

 

 

 

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Chapter eleven. ***


Oggi era il 23 gennaio.

Oggi sarebbe arrivato Steve. Come avrei reagito nel vederlo? Mi sarebbe battuto il cuore come succedeva prima? Avrei avuto le farfalle nello stomaco? E poi adesso c’era Liam. Mi sentivo una Brenda diversa, una Brenda migliore. Mi sedetti sul letto pensierosa. Ero troppo confusa. Forse sarei soltanto dovuta essere me stessa.

Aprii l’armadio e presi un semplice paio di jeans chiari, una maglietta e un paio di converse. Mi avvicinai allo specchio dopo aver sentito quel tessuto accarezzarmi delicatamente la pelle. Ero me stessa, ma ero felice? Questa era una di quelle domande a cui non sapevo ancora se avrei mai saputo rispondere.

Prima che potessi pensare ad un discorso da fare a Steve, sentii il campanello suonare. Mi guardai un’ultima volta allo specchio e dopo un profondo respiro, mi precipitai alla porta.

Vidi due occhi marroni fissarmi, e mi ci tuffai dentro.

Poi guardai con più attenzione il ragazzo che vidi accanto a me. “Ma Liam, cosa ci fai tu qui?”

“Scusami per l’improvvisa visita, ma avevo pensato di fare due chiacchere con te questa mattina.. e magari, andare al parco”, rispose imbarazzato.

Io lo presi immediatamente per un braccio, evitando occhi indiscreti, e lo portati in cucina. “Liam, tu sei molto gentile, ma oggi proprio non posso. Non puoi capire…”, risposi camminando per la stanza.

“Cosa non posso capire?”

Mi grattai la testa con l’ansia che mi pervadeva il corpo. “Non puoi capire, e basta. Se lui ti vedesse qui. Non voglio farlo soffrire”, risposi balbettando un po’ a me stessa e un po’ a lui.

Liam continuava a guardarmi dubbioso, e all’improvviso un rumore ci interruppe entrambi. Era il campanello.

Questa volta dev’essere Steve. Non c’è altra scelta”.

“Ti prego Liam, non muoverti”, gli sussurrai prima di scomparire in salotto.

“Ciao B-Brenda”, mi disse Steve.

Era davvero lui. Il solito ragazzo orgoglioso, dolce, divertente che era. Lo intravedevo nei suoi occhi chiari.

“Ciao Steve”, gli sorrisi. “Vuoi entrare?”

Lui annuì, e lo feci sedere sul divano. Eravamo la definizione di imbarazzo. Lui sembrava non essere più quel ragazzo forte di fronte a tutto, ma era rosso dalla vergogna. Io non sapevo cosa dire, e per di più, dovevo ricordarmi del fatto che Liam ci stava ascoltando. Non volevo far soffrire né l’uno né l’altro, ma il mio cuore cosa provava davvero?

Presi posto un po’ più distante del solito sui cuscini rossi, e dopo qualche secondo riuscii a dire qualcosa: “Allora, come stai?”

Sembravamo due sconosciuti.

STEVE POV’S

Come vuoi che stia? Sto malissimo. Piango tutti i giorni senza poterti vedere, o poterti parlare. Immagino che tu mi abbia dimenticato. Sei così fredda e diversa, Brenda. Ma io, io ti amo”, avrei voluto urlarle tenendo le sue mani tra le mie, ma mi limitai ad un “bene, tu?”.

Quanto avrei voluto che mi raccontasse la sua giornata, dei suoi amici, dei professori, di Londra, di sé stessa. Quanto avrei voluto stringerla al mio petto, senza che ci fosse un domani.

“Beh.. bene”, sorrise. Era quello il sorriso di cui avevo bisogno.

Eppure il suo sguardo sembrava perso nel buio, tra i pensieri.

Oggi le avrei detto tutto ciò che sentivo, e sarei rimasto con lei per qualche tempo. Non avevo la minima idea di come sarei sopravvissuto, ma cosa mi importava? Se c’era lei, avrei potuto essere anche un clochard.

“Steve, ascoltami”, iniziò avvicinandosi a me e in quel moment, lo giuro, non sentii più il mio respiro, “ho bisogno di parlarti”.

“Anche io, Brenda”, le dissi occhi negli occhi.

“Uno dei due dovrà pur cominciare…”, rispose.

Francamente non credevo che potesse essere così fredda con qualcuno. Non faceva parte del suo essere. “Fai l’uomo”, mi dissi.

La guardai intensamente e feci per aprire bocca, quando lei mi zittì poggiando un dito sulle mia labbra. “No, non qui”, mi rispose confondendomi ancora di più.

“Dove vuoi tu”, risposi.

BRENDA POV’S

Qualunque cosa Steve volesse dirmi, Liam non l’avrebbe sentita. Ne ero più che certa.

Così facendo, lo presi per mano e lo portai fuori casa. Non faceva che guardarmi dubbioso, e continuando a camminare, lo portai in Hyde Park. Trovammo una panchina, e ci sedemmo.

“Adesso puoi dirmi tutto ciò che vuoi, Steve”.

Lui rimase sorpreso dal mio comportamento, e cercando di riprendere il filo del discorso, iniziò: “Brenda.. io non so cosa ti sia successo qui a Londra. Non so come tu stia, se sei felice oppure no. Ma so leggerti negli occhi. Sai cosa mi dicono? Che hai qualcosa che ti turba. So perfettamente di aver sbagliato a comportarmi così. Avrei dovuto dirti che sono innamorato di te molto tempo fa, ma la tua partenza mi ha sconvolto. Volevo soltanto che lo sapessi”.

“Steve, abbiamo sbagliato entrambi. Anche io avrei dovuto parlarti di ciò che il mio cuore provava molto tempo fa.. avrei dovuto farlo. Eppure, sai come la penso sui rapporti a distanza”, risposi.

“Lo so. Non ti sto chiedendo di amarmi se non è questo che senti. Ti sto dicendo che io ti amo, e che non ce la faccio più a starti lontano”, sospirò prendendo le mani tra le sue.

Sussultai.

Lui tolse le mani tra le mie.

“Forse non è questo ciò che vuoi”, rispose lui.

“Steve,” dissi guardandolo dritto negli occhi, “mettiti per un secondo nei miei panni. Sono innamorata di te, e non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Un bel giorno, ai miei genitori viene la folle idea che devo immediatamente traslocare a Londra: città nuova, amici nuovi, vita nuova. Non ho avuto nemmeno il tempo di salutare nessuno. E poi all’aereoporto, appari tu, dicendomi che mi ami. Cosa avrei dovuto fare? Cosa avresti dovuto fare? E’ vero che adesso ho un’altra vita qui, ma non ho mai detto di non provare più nulla per te. Non voglio farti soffrire. Ho soltanto detto che non vedo una possibilità. Tutto qui”.

“Brenda”, disse sorridendo, “io ho trovato quella possibilità”.

“E sarebbe?”

“Non ho alcuna urgenza di tornare a casa, siccome ci sono dei giorni di vacanza a scuola.. e posso stare qui con te. Magari, ci conosceremo meglio, e vedremo cosa succederà. Ci stai?”

Annuii.

“Mi hai tolto un peso dal petto, sai?”

“Felice di averlo potuto fare, Madame”, sorrise.

“Steve, siamo in Inghilterra non in Francia. Lady, si dice Lady”, lo corressi.

“Mi perdoni Mademoiselle”, rise.

“Non capirai mai l’inglese, non è vero?”

“Never”.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2542380