Amore

di semplicementeme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


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Amore

- Ti ho detto di lasciarmi in pace.

- Perché?

- Della parola “no” cosa non capisci?

- Tu mi vuoi come io voglio te.

- Ripeti ancora una volta questa assurdità e ti faccio ricoverare al San Mungo al reparto di malattie mentali.

- Hai paura dei tuoi sentimenti. Non riesci ad accettare il fatto che anche tu possa provare attrazione nei miei riguardi.

- Merlino! Cosa devo fare per farti capire che…

Ma non riuscì a terminare la frase perché le sue labbra furono intrappolate in un bacio carico di dolcezza. Furono appena accarezzate, gentilmente, come un alito di vento sfiora la pelle, contemporaneamente le mani furono strette in modo lieve, in una stretta che scaldava il cuore.

Con quel bacio non capì più nulla, sapeva solo che doveva ricambiarlo con la stessa dolcezza ma anche la medesima intensità. Non voleva risparmiarsi. Desiderava che quel momento non finisse mai.

Presto la dolcezza lasciò il posto alla passione e le loro lingue si inseguirono e si affrontarono in una lotta impari. Nessuno dei due voleva cedere. Senza mai staccarsi giunsero nei pressi di una porta e l’aprirono.

Quando entrarono restò ad occhi aperti.

Una stanza illuminata da infinite candele. Un letto a baldacchino con morbidi tendaggi di seta, trasparenti come un velo, color avorio. Una leggera melodia riempiva il silenzio del luogo ed i suoi occhi vagavano stregati dalla bellezza della stanza. I vasi ricolmi di lilium bianchi. Purezza e candore. Un profumo delicato avvolgeva quel luogo magico.

- Ma come…

- Eravamo al settimo piano, non ci hai fatto caso?

Scosse la testa. Non aveva intuito nulla. Come aveva fatto a distrarsi sino a quel punto? Era questo il suo effetto? Ma ancora una volta non poté concludere la sua riflessione perché il bacio interrotto poco prima riprese ancora più intensamente. Stavolta liberò la mente da ogni pensiero e si lasciò andare alle sensazioni suscitate da quel bacio. Da quell’abbraccio. Da quella stretta per nulla dolorosa.

I loro vestiti lentamente scivolarono via. L’aria fresca di marzo non ebbe alcun effetto, il caldo in quella stanza aumentava ogni minuto di più. Ad ogni carezza che si posava sul suo corpo. Ad ogni punto sfiorato dalle mani dell'amante la sua pelle si incendiava. Ogni bacio rendeva il tutto fatato. Avvolto dal mistero.

Arrivarono nel letto ed, ancora una volta, non capì come ciò era possibile. Fino ad un attimo prima erano davanti la porta a baciarsi mentre adesso… mentre adesso percorreva con la lingua ogni centimetro di quella pelle che, solo in quel momento, comprese di desiderare toccare da un’infinità di tempo. Baciava ed accarezzava come se avesse davanti agli occhi il tesoro più prezioso.

Strinse forte le lenzuola fresche mentre il desiderio aumentava ogni attimo di più.

Strinse forte le lenzuola fresche quando comprese che non avrebbe resistito oltre.

- Avevi ragione tu.

- Come sempre.

Non resistette a quella provocazione e, capovolgendo le posizioni, scese con brama a baciare il suo sesso. Sentì i suoi gemiti e ciò servi a dare nuovo vigore alle sue azioni. La melodia era cessata, o forse non riusciva più a sentirla giacché il silenzio della stanza era riempito da ansiti di pura passione. Il suo piacere era passato in secondo piano, doveva dimostrargli che era ancora in sé, ma soprattutto, doveva donargli piacere. Era questo il suo unico pensiero mentre baciava e leccava ogni centimetro di pelle. E poi il suo orgoglio chiedeva vendetta, doveva dimostrargli che non si sbagliava mai. Doveva dimostrargli che era un caso se stavolta gli aveva dato ragione. L’eccezione che conferma la regola. Le mani tra i suoi capelli interruppero, per la terza volta, il corso dei suoi pensieri. Alzò il viso e vide i suoi occhi carichi di piacere.

Intrecciarono le mani in una presa calda e sicura. Una presa che sarebbe stata eterna, lo sapeva ma aveva paura ad ammetterlo anche solo al suo cuore. E se fosse stato un errore? Quando il suo nome, sussurrato dalla voce roca dell'amante, riecheggiò nella stanza i suoi dubbi furono dissipati.

Era inutile negarlo.

Quella non era attrazione.

Era qualcosa di più.

Era amore.

Come se questa rivelazione fosse piovuta dal cielo ed avesse rivelato uno dei dogmi della sua vita, non perse altro tempo e si unì all’oggetto dei suoi pensieri. Dei suoi desideri. Del suo amore. Chiuse gli occhi e quasi toccò il cielo con un dito tanto era il senso di appagamento. Tanta era la felicità.

Fu un amore intenso ma senza disperazione.

Entrambi volevano godere della dolcezza dell’altro.

Entrambi avevano bisogno di far godere il compagno.

Entrambi avevano bisogno di congiungersi in quel legame che li avrebbe uniti per sempre. Perché loro non stavano facendo sesso. Il loro era Amore.

Insieme, gridando il nome dell’amante, raggiungendo l'apice del piacere nello stesso momento.

Lentamente i suoi occhi si aprirono. Prima l’uno e poi l’altro. Aveva fatto un sogno strano. Un sogno erotico e si preoccupò non poco, con uno strano senso di ansia mise a fuoco l’ambiente attorno. Si stupì di ritrovarsi in una stanza diversa della sua. Poi comprese, era nella stanza delle necessità. Ma era strano. Sino a ieri sera era a fare il giro di ronda ma poi… poi ricordò ogni passaggio. Poi ricordò ogni istante. Alzò il viso e quasi tremò quando si accorse di chi aveva accanto. Arrossì vagamente e si rese conto di essere nuda stretta al torace di quello che era stato da sempre il suo nemico giurato. Si alzò lentamente ma lui la trattenne. Era sveglio.

- Perché vuoi andare via?

- Perché è stato un errore. Non doveva accadere.

- Cosa non doveva accadere Evans?

Lei non disse nulla si limitò a chinare il capo mentre le lacrime scendevano silenziose dai suoi occhi verdi. Si era lasciata andare a lui che da sempre rappresentava il sogno proibito di tutta la scuola. Anche lei era caduta al fascino di James Potter. Anche lei aveva scaldato il suo letto.

Fu come se James avesse intuito i suoi pensieri, la strinse al suo torace e tempestò il suo capo di piccoli baci cercando di tranquillizzarla. La sentiva tremare tra le sue braccia ma non voleva lasciarla andare. Voleva proteggerla.

- Se è vero che mi odi non mi avresti fatto dono della tua verginità.

Al suono di quelle parole, che sembrarono come una confessione, lei tremò più forte contro il petto di lui ed i singhiozzi riempirono il silenzio della stanza. Quel silenzio che, fino alla notte prima, era stato riempito dai gemiti dei due amanti. Era vero. Aveva donato a lui la sua verginità e James era stato un amante perfetto. Aveva provato dolore al momento della penetrazione ed aveva pianto. Lacrime silenziose erano scese lungo le sue guance ma lui le aveva asciugate con tenere carezze frammiste a dolci baci. Il dolore, poi, si era confuso con il piacere. Un piacere tanto intenso da risultare doloroso. E mentre ricordava la notte appena trascorsa la voce di lui la riportò al presente. Un presente che lei voleva diventasse eterno.

- Perché Lily? Perché non ti fidi di me?

Al suono di quella voce così addolorata i suoi singhiozzi aumentarono e la stretta di James altrettanto. Era lei a sbagliare in tutto. Quel ragazzo si era dimostrato dolce e tenero. Dopo aver fatto l’amore l’aveva stretta al suo torace e l’aveva cullata sino a che il sonno non prendesse il sopravvento. L’aveva protetta dalle sue paure. Non l’aveva lasciata sola in un letto come un giocattolo usato ed abbandonato.

Lily per la prima volta in vita sua stava dimostrando tutta la sua fragilità. Non era più la fiera Grifondoro.

Adesso era solo la dolce Evans, quella che in più di un’occasione aveva preso le difese di Piton.

Quella che si fermava a parlare con Hagrid.

Quella che aveva un dolce sorriso per tutti, tutti tranne che per lui.

Era la Lily che lui osservava da lontano e che aveva amato dalla prima volta che i suoi occhi si posarono sulla sua esile figura.

Le asciugò le lacrime e con un dolce sorriso riprese a parlare.

- Stanotte sono stato così penoso da ridurti in questo stato.

James la vide sorridere tra le lacrime e questo gli bastò per scaldargli il cuore. La strinse al suo torace e senza guardarla negli occhi riprese a parlare.

- Guarda che non si è mai lamentato nessuno delle prestazioni di James Potter. Non posso accettare che la prima a farlo sia proprio la mia futura sposa.

Aveva deciso di chiederglielo. Aveva immaginato che il tutto si svolgesse in modo diverso ma non aveva resistito, quel sorriso tra le lacrime gli aveva scaldato il cuore. Quel sorriso tra le lacrime gli aveva fatto perdere la testa. Aveva aperto il suo cuore ed ecco la dichiarazione tanto temuta era scappata senza alcun preavviso.

Lily alzò di scatto la testa e lo guardò boccheggiante. Cosa aveva detto? Futura sposa? Aveva capito male? Eppure il sorriso di James era così… sincero. Non trovò altra definizione. O forse si. Quel sorriso era sincero. Dolce. Rassicurante. Quel sorriso era il suo pass per il paradiso.

- James io…

Lui non le permise di finire la frase perché prese il suo viso tra le mani e poi passò a fare la sua dichiarazione. In modo ufficiale. In modo più consono.

- Lilybet Rose Evans vuoi sposarmi?

Lily non perse tempo. Strinse al collo James tempestando il suo viso di baci. Era finito il tempo delle paure. Era finito il tempo dei timori. Lily amava quel ragazzo. Lo amava da tanto. Ma la paura di essere una delle tante l’aveva spinta ad essere distaccata e fredda. La paura di essere un giocattolo li aveva tenuti lontani per tanto, troppo, tempo. Si baciarono a fior di labbra. Non avevano fretta. Non era il momento della passione. Questo era il momento della tenerezza. Ma, dopo quelli che parvero attimi, i due si separarono e la Caposcuola Griffondoro non riuscì più a reprimere la sua curiosità. Guardando negli occhi il Cercatore Griffondoro fece la sua domanda, senza impedirsi di arrossire leggermente.

- James come hai fatto a conoscere il mio vero nome. In tutti questi anni ho sempre usato il nome Lily e nessuno, nemmeno Alice, conosce il mio nome per intero.

James sorrise e guardando la ragazza negli occhi le rispose.

- Semplice. Sei delicata e pura come un lilium ed è impossibile non osservare la similitudine tra te e questo fiore. E poi non c'è rosa senza spine ed in questi anni le tue spine le ho conosciute ed amate, una ad una. Lily io ti prometto che, d’ora innanzi, sarai tu il solo scopo della mia vita. Il mio unico compito sarà renderti felice ogni giorno di più. Non ti farò mai pentire della scelta che hai fatto. Non ti farò mai…

Questa volta fu lei ad interromperlo. Posò un dito sulle labbra e sorridendogli rivelò il contenuto del suo cuore. Rivelò i sentimenti che per tanto tempo aveva tenuto nascosti. Nascosti a tutti, anche a sé stessa.

- Sono io James a dovermi impegnare. Dovrò essere io a ripagarti di tutto l’amore che mi hai dimostrato in questi sette anni. Un amore che, per la mia paura, non ha potuto godere del tempo che ci è stato concesso. Sono io a chiedertelo. James Potter vuoi sposarmi?

James sorrise davanti a quella dichiarazione e strinse al torace il suo giglio. Lily era il suo bene più prezioso e l’avrebbe protetta a costo della vita.

Eccomi. È una breve one-shot. È la prima volta che sperimento una fic su James/Lily, spero solo di non aver commesso qualche pasticcio. Dico subito che quella di dare a Lily il nome Lilybet è una scelta mia personale. Ho cercato da qualche parte un sito in cui dava il vero nome della Evans ma non ne ho trovati. Ho riflettuto e sono giunta alla conclusione che dato che Lily sembra il nome del fiore Lillà, ma anche Lilyum, il nome più probabile fosse il secondo. Perché il nome di un fiore? Semplice! Il nome della sorella di Lily è Petunia, anch'esso un fiore. Mi sono detta che non poteva essere una semplice coincidenza ed ecco che è uscito il nome Lilybet Rose. Il secondo nome è farina del mio sacco, mi piaceva l'idea di una Lily con un nome doppio e meglio del nome di un'altro fiore? Credo di essere stata abbastanza brava nella prima parte della storia a non far capire né il sesso dei protagonisti, né tanto meno le loro identità. È così? Spero di si, suppongo che non sarete molti a recensire. Non so perché ma in Harry Potter non riesco a riscuotere molte simpatie, forse è il mio modo di scrivere così frammezzato. Frasi scritte a metà. Frasi costituite solo da soggetto, predicato e complemento. Non so che pensare. Spero solo di aver fatto sorridere qualcuno, anche solo una persona. Grazie comunque a chi leggerà ed a chi avrà la gentilezza di lasciare almeno un commento, positivo o negativo che sia.


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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

- Ciao!

- Oh… ciao.

- Anche tu qui?

- A quanto pare sì.

- Senti io dovrei… vorrei…

- Lascia stare. È tutto passato.

Così dicendo voltò le spalle per rientrare al castello. Iniziava a fare buio e l’aria era decisamente fredda, l’inverno era giunto alla fine, ma i pomeriggi ancora non si erano intiepiditi. Ad Hogwarts sembrava che i pomeriggi fossero sempre e solo freddi.

Girò ancora una volta la lunga sciarpa attorno al collo e percorse il sentiero per tornare verso la Sala Comune, certamente più calda del parco.

Certamente più calda del suo corpo.

Certamente più calda del suo animo.

Camminò a passo spedito e non si fermò nemmeno per un attimo. I suoi pensieri erano fissi a ciò che era accaduto meno di tre giorni primi.

A quando si erano scontrati così duramente e tutto per una stupida partita di Quidditch. Avevano perso e tutto per colpa sua. Era tutta colpa sua lo sapeva benissimo, lo avrebbe ricordato a vita. Certo che non occorreva quella piazzata negli spogliatoi. Era già umiliante di suo aver perso una partita, non occorreva ribadire, davanti a tutti i componenti della squadra ed ai loro più cari amici, che avevano perso anche la Coppa d’Inverno sempre a causa sua.

Aveva sbagliato, lo sapeva.

Aveva permesso al cercatore della squadra avversaria di prendere il boccino d’oro, tutto perché non aveva visto un bolide lanciato in sua direzione.

Tanto valeva che quel bolide facesse centro. Avrebbe evitato tante storie. Tante liti. Tanti dispiaceri. Invece no. Non aveva un graffio perché il loro cercatore aveva preferito evitare il suo male piuttosto che prendere il boccino, e vincere.

Dannazione!

Doveva prestare maggiore attenzione!

Doveva saperlo che una partita contro le Serpi era pericolosa. Doveva aspettarsi qualche tiro mancino da parte di quella viscida serpe di Nott ed invece… invece stava già esultando. Harry era ad un soffio dal boccino…

… quando poi…

L’urlo e lo schianto. Il bolide aveva fatto centro. Aveva perso il controllo della sua scopa.

Precipitava.

Non riusciva a rallentare la corsa. Si trovava a dieci metri dal suolo, se non avesse fatto qualcosa addio al suo sesto anno. Peggio ancora, addio alla vita.

Osservò le tribune.

Hermione era con le mani chiuse davanti la bocca. Gli occhi pieni di lacrime. La distingueva nitidamente. Come si poteva concentrare sull’immagine della sua migliore amica piangente mentre precipitava nel vuoto rischiando di ammazzarsi?

Forse lo sapeva.

Si ripete sempre che al momento della morte davanti agli occhi si vede scorrere il film della propria vita: probabilmente stava accadendo ciò, solo che al posto delle immagini più intense della sua vita vedeva i volti delle persone che amava.

Degli amici. Dei famigliari. Del suo amore.

Prima aveva visto il volto di Hermione tra il pubblico.

Poi gli occhi sbarrati di Ron che osservavano con orrore la sua caduta libera.

Infine Harry. Il suo Harry. Il suo viso era tanto vicino che le sembrava quasi di poterlo sfiorare. Sentiva la sua voce chiara e nitida che le urlava a gran voce di non perdere altro tempo ed afferrare alla svelta la sua mano.

Un attimo!

Harry era davvero davanti a lei e porgeva la sua mano mentre anche lui precipitava nel vuoto con la mano sinistra ben ancorata al manico della sua Firebolt.

Non si fermò più di tanto a riflettere. Prese la mano del ragazzo che amava segretamente da sei anni e la strinse con tutta la forza che aveva in corpo. Chiuse gli occhi ed attese.

Nessuno schianto.

Solo un boato.

No. Non era un boato. Erano applausi.

Che la partita si fosse conclusa?

Aprì un occhio lentamente. Quasi con timore.

Ciò che vide fu solo una divisa simile alla sua. I colori rosso-oro erano ben distinti. Era stretta ad un torace ampio e muscoloso.

Improvvisamente ricordò tutto.

Stava piombando al suolo perché colpita da un bolide lanciatole contro da Nott. Harry si era precipitato per soccorrerla. Aveva stretto le sue mani prima di sentire il fragore degli applausi e dimenticare tutto.

Questo voleva dire che era ancora stretta ad Harry! Sentì le gote diventare improvvisamente calde.

Probabilmente il suo viso adesso era della stessa tonalità dei capelli di Ron. Immaginò le efelidi risaltare ancora di più sulla sua carnagione chiara come il latte.

Decise di aprire anche l’occhio destro. Era inutile stare ancora stretta ad Harry ora che il pericolo era passato. Non voleva passare per la bambina paurosa. Sollevò lentamente il capo, pronta ad incontrare gli occhi verdi del ragazzo. Quando li vide si sentì persa. Grandi e luminosi. La tranquillizzavano in ogni circostanza. Sorrise debolmente, altrettanto debolmente lui le rispose. Sperava che quel momento non finisse mai, era la prima volta che si trovavano così vicini. Il suo cuore batteva a mille. Anche il cuore di Harry sembrava impazzito? Durò poco però, presto furono raggiunti da Hermione e tutti gli altri. Solo Ron era rimasto un po’ più indietro che fissava preoccupato la sorella. Presto però fu raggiunto da Harry che si era allontanato dalla bolgia.

Ginny si ritrovò stretta da mille abbracci. Hermione aveva ancora le guance umide a causa delle lacrime. Dopo aver tranquillizzato tutti sulle sue condizioni fisiche si ritrovò a porre la domanda che le era saltata in testa da quando aveva sciolto l’abbraccio con Harry.

- Ragazzi ed il boccino? Lo ha preso Harry vero?

Un attimo di silenzio. Imbarazzo. Alla fine fu la Caposcuola Granger che rispose alla domanda.

- Gin… il boccino lo ha preso Malfoy.

- Cosa? Ma Harry lo aveva ormai in pugno. Come è possibile? Non dirmi che…

- Tu stavi precipitando. Se non avesse lasciato perdere il boccino adesso tu…

La frase di Lee rimase incompleta. Ginny chinò il capo mortificata. Questo voleva dire che avevano perso. Avevano perso e tutto solo a causa sua. Con le spalle curve a causa del senso di colpa, Ginny lasciò il campo diretta agli spogliatoi. Voleva piangere ma non lo fece. Non voleva farsi vedere debole. Doveva essere forte.

Prese posto su una panca. Seduta composta, in maniera eretta. Il capo poggiato contro le piastrelle bianche. I capelli risaltavano maggiormente nel biancore degli spogliatoi. Gli occhi chiusi cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro.

Avevano perso la partita.

Peggio. Avevano perso la Coppa d’Inverno.

Lo spogliatoio si riempì del resto dei componenti della squadra. Dall’altro spogliatoio, quello di Serpeverde, provenivano le urla di vittoria. Gli applausi. Nello spogliatoio di Grifondoro regnava il silenzio più assoluto. Nessuno parlava. Demoralizzati.

- Mi spiace. È tutta colpa mia. Io…

- Non è così grave Ginny. Ci rifaremo con la Coppa delle Case. Siamo sempre avanti rispetto a quelle Serpi.

Harry. Sempre e solo Harry. L’unico che poteva restituirle il sorriso. Alzò il capo, che fino a poco prima aveva tenuto chino, e sorrise. Ad Harry ed a tutti i compagni di squadra.

- Certo Ginny non è grave. Semplicemente ci hai fatto perdere una partita importante come quella contro le Serpi. Una partita che preparavamo da quanto? Tre mesi? E poi cosa c’è di grave? Abbiamo perso solo la Coppa d’Inverno, un’ipoteca sulla Coppa delle Case. Niente di grave Ginny. Ti stavi per rompere l’osso del collo solo perché sei ancora troppo immatura e disattenta. Quante volte te lo devo ripetere che non devi mai abbassare la guardia. La partita finisce solo quando sei scesa dalla scopa. Sei un’irresponsabile. Chiederò alla Mc Grannit di metterti fuori squadra. Sei un pericolo per te stessa ed un peso per la squadra.

Ginny guardò il fratello come se lo avesse visto per la prima volta. Le sue parole erano state come tante pugnalate. Davvero era stato Ron a sputarle contro tutte quelle cattiverie? Davvero era stato il suo fratellone?

- Adesso basta Ron, non ti sembra di esagerare? Ginny non ha nessuna colpa se Nott è un bastardo.

- Certo Harry hai ragione. Difendiamola povera piccola Ginny. È ancora una bambina. È piccola. Indifesa. È una palla al piede per la squadra. Per l’E.S. Per la lotta contro Tu-Sai-Chi. Harry non potrai difenderla in eterno.

Ginny stringeva sempre con maggiore forza i pugni chiusi. Si sentiva umiliata. Venduta. Tradita. Era davvero questo ciò che pensava Ron di lei? Che era una palla al piede. Con gli occhi pieni di lacrime, che non varcarono mai il confine delle rime palpebrali, lasciò la stanza. Muta. A testa bassa.

Quel pomeriggio l’aveva distrutta. Aveva evitato Ron per tre giorni. Era arrabbiata ma non con il fratello ma con sé stessa. Era stata talmente cieca da non accorgersi di essere un peso per i suoi amici. Stupida ragazzina che non era altro.

Era seduta davanti il caminetto. Le fiamme danzavano e riscaldavano l’ambiente. Era affascinata da quella danza. La Sala Comune era stranamente deserta. Sicuramente molti erano ancora a lezione, altri in biblioteca. Era seduta sul divano con le gambe strette al suo corpo. Il mento poggiato sulle ginocchia ed una cascata di fuoco, data dai suoi capelli, a coprirle le spalle.

Sentì entrare qualcuno ma non se ne curò. Osservava la danza delle fiamme. Presto però comprese di avere qualcuno seduto al suo fianco. Riconobbe il profumo del fratello. Non alzò nemmeno il capo. Stava per alzarsi quando la mano del fratello glielo impedì.

- Scusami Ginevra. Ho esagerato.

Ginevra. Era una vita che non la chiamava più così. Solo lui lo faceva quando erano piccoli. Suo fratello le ripeteva sempre che lei era bella come la bella moglie del Principe Artù e lui sarebbe stato per l’eternità il suo cavaliere servente. Quanto tempo era trascorso? Molto. Tanto. Troppo. Adesso erano cresciuti. Erano diventati grandi. Erano distanti. Ron adesso la considerava una palla al piede.

- Lascia stare Ron. È tutto passato.

Lo aveva detto con voce fievole. Un sussurro. Sentiva nuovamente gli occhi pieni di lacrime ma non voleva piangere. Non davanti al fratello. Non voleva confermargli che era una bambina. Questo mai.

- Ed invece no. Sono stato uno stupido troglodita. Non dovevo attaccarti in quella maniera. Non è stata colpa tua. Tu non hai nessuna colpa. Sono io semmai a dovermi scusare con te come sto facendo. Sono io il tuo cavaliere servente. Dovevo essere io a proteggerti e salvarti e non Harry. Quando ho visto che precipitavi non sono riuscito a capire più nulla. Sono rimasto pietrificato. Ho avuto paura. E poi Harry. Lui ti ha salvata. È stato un bene che ci fosse stato lui. Io… io ti prego di perdonarmi se non sono riuscito a salvarti. Se ti fosse accaduto qualcosa io ne sarei morto. Tu sei la mia sorellina. Sei la cosa più preziosa che possiedo. Ed adesso che sei grande è difficile da accettare. Quando eravamo bambini ero io il tuo eroe. Ero io che ti facevo ridere. Che ti difendevo dai cattivi. Ero io il tuo confidente mentre adesso… adesso nel tuo cuore c’è posto solo per un altro ragazzo. Ed io… io sono tremendamente geloso perché ho paura che tu possa dimenticarti di me. Perdonami Ginevra se io…

Ma Ron non finì il suo discorso perché si ritrovò abbracciato dalla sorella. Le lacrime di Ginny finalmente ebbero libero sfogo tra le braccia del rosso. Restarono così tutto il pomeriggio a ricordare episodi della loro infanzia. Restarono stretti a rinsaldare, ancora una volta, la promessa che si erano fatti tanti anni addietro: il loro amore fraterno sarebbe andato al di là del tempo e dello spazio. Sarebbero sempre stati presenti l’uno per l’altra.

Ed ecco un’altra one-shot sul tema dell’amore. Stavolta l’amore fraterno, ma alla fine è sempre una forma di amore. Avevo deciso di scrivere solo la fic su James e Lily ma poi, oggi, poco prima di pranzo mi è venuta questa idea: una raccolta di fic sul tema dell’amore e le diverse sue espressioni. Nel primo capitolo l’amore intenso con la A maiuscola in questo una lite tra fratelli. Spero di ricevere lo stesso consenso ricevuto nella fic precedente anche se credo proprio di no. Generalmente questo genere di fic non sono molto apprezzate. Volevo ringraziare tutti quelli che hanno recensito la prima fanfic, mi spiace non farlo singolarmente ma il tempo è tiranno.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


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Capitolo III

- Chi ti credi di essere per parlarmi in questa maniera?

- Io? Ma ti senti quando parli?

- Come… credo di non aver capito cosa vorresti insinuare?

- Non sto insinuando nulla, sto evidenziando la realtà. Sei terribilmente arrogante, tanto da essere insopportabile.

Strinse i pugni per non rispondere all’ennesima provocazione. Era sempre la stessa storia. Tutti erano pronti a definire il suo comportamento come arrogante ma, mai nessuno si fermava a chiedersi il perché delle sue azioni. Non era colpa sua. Si difendeva dalla sofferenza. Era questa la ragione del suo comportamento. Non voleva essere vittima degli eventi. Era un male questo? No. Su questo non c’erano dubbi.

Tornò sui suoi passi e si diresse verso il Lago Nero. Stavano tornando alla loro Sala Comune prima che iniziassero a litigare. Adesso, però, era fuori discussione tornare e poi non aveva nessuna intenzione di restare a parlare con qualcuno che non aveva intenzione di ascoltare le sue ragioni. La testa alta. Lo sguardo fisso. Non aveva intenzione di piegarsi di fronte a nulla. Di fronte a nessuno.


In riva al Lago Nero si stava bene. Poteva restare a pensare senza paura del giudizio degli altri. Poteva apparire triste o felice. In quell’angolo di paradiso non aveva importanza, poteva essere chi voleva.

La schiena poggiata sulla grande quercia, il capo reclinato, gli occhi chiusi. In una parola: tranquillità. Anzi, solitudine. Da lì dominava l’intera distesa d’acqua. Si sentiva come quel lago che era placido all’apparenza, mentre i suoi abissi nascondevano mille misteri... ecco la similitudine perfetta, il suo carattere era tale e quale a quel lago.

Poi ogni volta era sempre la stessa storia. Tutti si sentivano autorizzati a giudicare le sue scelte ed il suo modo di agire. Tutti, nessuno escluso.

- Posso sedermi?

La voce di Hermione era stata un fulmine a ciel sereno, non si aspettava che qualcuno avesse il coraggio di giungere sin lì e di sedersi accanto, non quando era in quelle condizioni ma, in ogni modo, fece buon viso a cattivo gioco. Annuì ma continuò a guardare verso il Lago Nero. Non voleva certo cambiare il suo atteggiamento perché lei era lì. Doveva dimostrare che niente e nessuno poteva scalfire la sua corazza. Il suo guscio era necessario per resistere agli orrori del mondo.

- Come mai questo muso lungo?

Doveva aspettarselo un terzo grado dalla Grifona. Era nel suo carattere. Era nella sua indole. Era nel suo essere Grifondoro. Essere puri di cuore. Certo. Puri di cuore e tremendamente indiscreti. Non poteva restare in silenzio a godere di quella pace momentanea? Non poteva fare come lui ed assaporare la quiete di quel parco? No. Lei doveva sapere perché aveva il muso lungo. Lei doveva sapere il perché avesse quell’espressione incazzosa. Lei non poteva vivere senza sapere sempre tutto.

- Oddio sei talmente insopportabile. Non te ne accorgi vero?

Anche lei. Come era possibile che tutti dicevano sempre la stessa cosa. Non era colpa sua se preferiva restare in silenzio quando gli facevano una domanda. Che male c’era? Qualcuno lo obbligava a rispondere? No. Ma con lei era diverso. Lei era lei. Non poteva dirle di no. Sarebbe esploso, ne era certo, questa volta sarebbe esploso e neanche Hermione sarebbe riuscito a placarlo.

- Se ti dà fastidio il mio muso lungo puoi anche andare e lasciarmi qui. Non morirò di certo.

Lei si mise a ridere. Una risata serena che riempì il silenzio del Lago Nero. Scostò una ciocca che era finita davanti gli occhi e la riportò dietro l’orecchio. Osservò il ragazzo che aveva accanto. L’espressione arcigna. Gli occhi arrabbiati. Le labbra serrate. Stavolta gli sorrise in maniera materna, era al limite, stava per esplodere e non voleva rischiare di far crollare l’intera Hogwarts. No. Doveva intervenire e placare il suo animo.

- Avete litigato ancora?

- Sì, ma non comprendo come la cosa possa riguardarti.

Era stato avventato nello rispondere. Lo sapeva ma non voleva avere nessuno attorno, non quando era arrabbiato. Se Hermione voleva restare lì bene, ma non doveva disturbarlo. Doveva accontentarsi del suo silenzio, per quel giorno non avrebbe dato altro.

Di contro la ragazza si avvicinò ulteriormente e dopo averlo fatto voltare in sua direzione lo guardò per un attimo negli occhi prima di chinarsi sulle sue labbra e baciarlo dolcemente. Si separarono delicatamente dopo poco e lui fu il primo a parlare.

- Vuoi corrompermi?

- No, ma vorrei che tu imparassi a fidarti maggiormente di chi ti vuole bene.

- Che vorresti dire?

- Non so perché avete litigato ma se lui ha deciso diversamente da come avevi ipotizzato devi accettarlo. Non puoi decidere anche per gli altri.

Lui la guardò e le accarezzò una guancia. Era dolce e sensibile. Tutto quello che non era lui. La guardò un attimo infinito negli occhi e poi tornò ad assaggiare le sue labbra. Dolci. Mielate. Le sorrise ancora, quando era con lei non sapeva fare altro, anche se era infuriato con il suo migliore amico. La guardò un’ultima volta poi aggiunse…

- Io non decido per gli altri. Sono gli altri che devono adattarsi alle mie decisioni.

Lei lo colpì con un buffetto sulla guancia sorridendogli dolcemente. Si alzò e si pulì la gonna cercando di riassettare la divisa che si era stropicciata. Passò una mano tra i capelli lunghi e ricci. Socchiuse gli occhi e si fece baciare ancora un attimo dai raggi del sole. Inspirò l’aria fresca e sorrise al suo ragazzo.

- Fai come credi, adesso però io vado. Ci vediamo in Sala Grande.

Prima di lasciarla andare però volle fermarla, forse perché voleva godere ancora un po’ della sua compagnia, o forse perché non voleva restare solo.

- Hermione?

Lei si voltò ed in quel momento, il gioco di luce tra i suoi capelli, la fecero apparire come una fata dei boschi.

- Grazie… e perdonami.

- Come? Cosa dovrei perdonarti?

- Il fatto di essere tanto insopportabile. È difficile starmi accanto.

- Non puoi neanche immaginare quanto, ma lo sai, se ti sto accanto è perché ti amo.

Lui la guardò e, per un attimo, si sentì un verme. Non la meritava. Era un mostro. Lui non meritava una ragazza simile. Era fortunato a restarle accanto. Doveva ringraziare il cielo e approfittare della sua vicinanza per i giorni a venire.

Lei lo osservò un attimo poi sorrise ed andò via senza aggiungere altro. Con lui le parole erano superflue. I fatti valevano molto di più.


- Posso?

- Figurati, fino a prova contraria è anche la tua camera. A meno che tu non decida che sia troppo rischioso restare assieme.

Scosse la testa e si rese conto che, stavolta, farsi perdonare sarebbe stato più difficile. Più difficile del solito. Si passò una mano tra i capelli e li spettinò più del dovuto. Si mise seduto sul suo letto e guardò l’altro occupante della stanza. Si corresse. Non sarebbe stato difficile. Sarebbe stato incredibilmente difficile.

- Possiamo parlare?

- Sicuro? Non vorrei farti sprecare del tempo prezioso.

Incredibilmente difficile? No. Epico.

Si mise comodo e cercò di riordinare le idee. Doveva scusarsi. Doveva trovare il modo per fargli capire che se aveva scelto così era solo per la sua incolumità.

- Da quanti anni ci conosciamo noi due?

Quella domanda ruppe il pesante silenzio calato nella stanza. Era una domanda improvvisa, senza un senso apparente. Appunto apparente. Lui voleva andare a parere proprio sul loro legame.

- Che razza di domanda è?

- Tu rispondi e basta.

Sembrò rifletterci prima di rispondere, alla fine scosse la testa e rispose a quella che pareva una domanda senza senso.

- Da sempre credo.

- Puoi togliere il credo. Rispondi a quest’altra mia domanda. Su chi ho sempre contato in tutta la mia vita?

Ancora un’altra domanda insensata, lo guardò, forse stava iniziando a capire il suo ragionamento. Forse, non era certo, con lui non si poteva mai sapere. Era imprevedibile.

- Prima di metterti con Hermione? Su di me.

Draco sorrise. Era qui che voleva andare a parare. Sulla loro secolare amicizia. Blaise doveva capire che per lui era necessario il suo appoggio, almeno in un momento tanto delicato. Doveva essere Blaise il suo appiglio. Non poteva contare su altri a parte Hermione. Ma con lei era diverso. Doveva proteggerla la guerra incombeva.

- Esatto. Quindi non puoi voltarmi le spalle. Non adesso. Sei il mio migliore amico. Sei il mio unico amico.

Blaise guardò Draco. Era sincero. I suoi occhi adamantini non mentivano, non con lui per lo meno. Ma come poteva accettare la sua scelta, era da folli.

- Draco siamo amici da una vita ed è per questo che ti chiedo di pensarci attentamente. Non puoi. Non è necessario che tu ti batta in prima fila. Quello lascialo fare a Potter o Weasley. Sono loro che si vanno a cacciare sempre nei casini. Noi siamo Serpi. Preferiamo vivere al sicuro.

Draco fissò Blaise negli occhi e poi senza chinare il capo rispose.

- Ed Hermione? Non pensi a lei? Sarà sicuramente in prima linea con Potty e Lenticchia. Non posso tirarmi indietro. Io devo proteggerla.

Blaise sorrise e scosse il capo mestamente. Ormai Draco era un caso irrecuperabile. Era perdutamente innamorato della Grifona. Cosa avrebbe potuto fare per salvare l’amico? Nulla. Poteva solo appoggiarlo, come era giusto che fosse.

- Potremmo sempre rapirla e rinchiuderla al sicuro da qualche parte fino a che questa guerra non sarà finita. Non credo che i suoi amichetti faranno tante storie. Forse, per la prima volta in vita loro, ci ringrazieranno per qualcosa.

Draco si mise a ridere all’idea dell’amico. Non era male come piano, magari era vero Potter e Weasley sarebbero stati loro riconoscenti. Forse gli avrebbero affidato anche la rossa, ma non poteva. Non poteva rapire Hermione. Lei non lo avrebbe mai perdonato. Doveva lottare al suo fianco, solo così poteva essere sicuro di proteggerla.

- Ottimo piano Blaise solo che Hermione sarebbe capace di cruciarci a vita se solo osassimo fare una cosa del genere.

Blaise osservò l’amico e lo trovò diverso dal ragazzino pallido e freddo che aveva conosciuto negli anni. Draco era sempre stato controllato nelle sue emozioni, ma da quando stava con la Grifona era cambiato. Era diverso. Il sangue per la prima volta aveva preso a scorrere nelle sue vene, rendendo caldo quel cuore e quel corpo, così freddi. Sorrise interiormente appena formulò quel pensiero.

Scosse la testa. Non si poteva tornare indietro. Posò le mani sulle spalle del biondo e riprese a parlare.

- Allora vorrà dire che io sarò con te.

Il volto dell’ultimo dei Malfoy si incupì. Si alzò rapidamente dal letto, si liberò delle mani di Blaise e lo trucidò con lo sguardo, poi andò verso la porta, ma la voce del moro lo bloccò con la mano sulla maniglia.

- Non puoi decidere anche per gli altri.

Le stesse parole di Hermione. Chinò il capo. Strinse con forza il pomello della porta e poi parlò con voce grave.

- Se anche tu dovessi prendere parte a questa guerra io non potrei dividermi tra te ed Hermione. Non potrei difendere entrambi. Blaise se sei amico mio, allora restane fuori.

L’altra Serpe fece di no con la testa, come se il biondo, di spalle, potesse vederlo.

- E tu cosa credi? Che io resti nascosto ad aspettare che ti uccidano. Ne abbiamo già parlato Draco. Se tu combatti, io sarò al tuo fianco.

Draco si girò di scatto e guardo con occhi furenti l’amico, poi iniziò ad urlare.

- Perché? Per quale ragione vuoi impelagarti in questa fottutissima guerra. La tua famiglia non è schierata né con Voldemort né con l’Ordine e tu… tu decidi di seguire me. Un rinnegato per i Mangiamorte ed una spia per l’Ordine della Fenice. Perché Blaise. Rispondimi perché io non riesco a capirti.

- Perché per me sei come un fratello e la nostra amicizia vale più di tutto e non voglio sentire più nulla a riguardo. Io ci sarò e sarò al tuo fianco. Che tu lo voglia o no.

Semplice. Coinciso. Diretto. Tipico di Blaise. Tipico dell’amicizia. Niente giri di parole. Solo sincerità. Quello che seguì fu un abbraccio fra amici. Fra fratelli. Sorrisero insieme. Insieme si prepararono ad affrontare quella che sarebbe stata la battaglia per la libertà.


Ed ecco qui un’altra forma di amore, l’amicizia. Certo ho dato spazio anche all’Amore, con la A maiuscola, ma è stata poca cosa. Almeno, io credo che l’amicizia sia una forma di amore, per voi non è così? Volevo farvi notare che volutamente ho fatto iniziare sia a Hermione, sia a Draco il dialogo con la stessa domanda. Così come è voluto il voler svelare solo a metà l'identità dei protagonisti del capitolo! Non prendetemi per pazza, però... ammettetelo però, in questo capitolo credo che sia stato abbastanza logico capire chi era l'interlocutore misterioso di Hermione!

Ne approfitto per ringraziare tutte le persone che hanno commentato il capitolo dedicato a Ginny e Ron. Purtroppo sono di corsa e non potrò, ancora una volta, ringraziarvi singolarmente, spero che possiate perdonarmi.

Il prossimo capitolo credo che sarà l’ultimo, ma se a qualcuno venisse in mente qualche altra forma di amore può benissimo suggerirmela ed io cercherò di elaborarla. A presto e grazie a chi legge ed un Grazie con la G maiuscola a chi lascerà una recensione.

P.S. Per freddymercury… ho corretto la parte da te evidenziata nel primo capitolo, grazie per avermi fatto notare l’inghippo!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Nuova pagina 1

Capitolo IV

Pioveva quel giorno. Pioveva e non voleva smettere. Il silenzio che avvolgeva quell’ambiente rendeva tutto ancora più triste e spoglio.

Il cielo coperto di nubi. La pioggia scrosciante. La leggera nebbiolina che saliva dal terreno. Il clima si ben configurava al suo umore.

Già. Si sentiva come quel cielo carico di nubi. Scuro e triste. Freddo e distante. Una sensazione di oppressione al torace che non permetteva di respirava. Come se le nubi gravassero sulla sua persona.

La pioggia, le gocce che cadevano dal cielo, erano le lacrime che non riusciva a versare in pubblico. Già in pubblico. In solitudine riusciva a dare sfogo a tutto il suo dolore. A tutta la sua rabbia.

La nebbia. La stessa che avvolgeva il suo cuore. La stessa che nascondeva la sua sofferenza e senso di impotenza. Era come la nebbia. Subdola? No. La nebbia non era mai subdola. La nebbia gli era amica. Gli permette di nascondere il dolore agli occhi dal mondo. Riusciva a far nascondere il dolore dietro un’espressione seria e distaccata.

Osservava la lapide bianca. Un nome ed una data incisa sopra. Nessuna frase di commiato. Nessun epitaffio. Nulla. Solo un nome. Ed una fotografia.

Un nome che racchiudeva più di mille significati.

Un nome che era il centro del suo mondo.

Un nome.

Un nome che era stato la sua famiglia

Il nome dell’unica persona che lo avesse mai considerato un figlio.

E poi una foto per ricordare il suo volto. Una foto.

Cosa stupida cosa una foto perché, in fondo, non avrebbe mai dimenticato quegli occhi. Non era certo grazie a quella foto che li avrebbe ricordati.

Era il suo nome che sarebbe rimasto inciso nel suo cuore. Nella sua monte.

Ma alla fine cosa poteva essere un nome? Nulla. Un nome non riusciva a descrivere la vera essenza della persona che adesso riposava sotto strati e strati di terra.

Alzò il capo verso il cielo e lasciò che le lacrime di Dio portassero via tutto il suo dolore. Restò così senza considerare il tempo che trascorreva. Rimase lì con il suo dolore in attesa che questo sparisse. Un’attesa lunga una vita. Un’attesa che straziava il cuore.

***** *****

Era una mattina soleggiata. Il sole illuminava l’immenso giardino. L’allegro cantare degli uccelli rendeva il tutto fatato, come se ci si trovasse in un’altra dimensione.

Il cielo sgombro da nubi era azzurro e limpido, come se creato dalle pennellate di un pittore.

Un leggero venticello smuoveva le fronde degli alberi quel tanto da creare una dolce melodia.

Il cicaleccio delle cicale era a tempo col canto degli uccelli.

Il profumo dei fiori riempiva le narici.

Un luogo da favola. Lì in mezzo una piccola creatura cercava il proprio padre.

- Papà?

Si girò a cercarlo ma non lo trovò. Vagò per l’immenso giardino fino a quando non si fermò davanti ad una lapide. Una semplice pietra bianca. Sopra un nome ed una data. Nessun epitaffio. Sola una fotografia.

Osservava la lapida quando una mano calda si posò sulla sua spalla. Si girò e sorrise alla persona che aveva di fronte anche se questa non ricambiava la sua espressione. Negli occhi del genitore l’ansia era mista al sollievo per aver ritrovato il figlio.

- Sei qui! Finalmente ti ho trovato. Ma dove ti eri nascosto? Quante volte ti ho detto di non scappare quando siamo in posti che non conosci. È pericoloso. Prometti che non lo farai più.

Osservò il genitore attentamente. Nella voce tanta ansia e preoccupazione. Si sentì in colpa per esserne la causa. Con passo incerto si avvicinò e strinse la mano che l’aveva sempre accompagnato nel corso della sua vita. Sorrise ed in risposta ottenne una dolce carezza tra i capelli ribelli. Alla fine, certo che il momento di tensione era superato, porse la domanda che aveva sulla punta della lingua da quando il suo sguardo di bambino di sei anni si era posato su quella fotografia.

- Chi è?

Beata gioventù! Ignorare il passato ma esserne suoi figli. Ignorare il tempo che passa ma esserne testimoni. Era questa la verità. Il piccolo era il testimone di un passato lontano. Ed era, in un certo qual modo, l’erede di una persona mai conosciuta.

Il genitore sorrise di fronte a tanta curiosità ed innocenza ed alla fine decise di accontentare il suo desiderio. Insieme si misero a sedere vicino la lapide e, dopo aver fissato ancora una volta il volto sorridente della fotografia magica, raccontò la storia dell’intestatario di quella lapide.

Il piccolo restò in silenzio per tutto il tempo del racconto, solo alla fine, asciugò una lacrima che dispettosa era scesa lungo la sua guancia. Nel frattempo il padre aveva raggiunto la moglie ed il figlio.

- Al, cosa ti accade? Perché stai piangendo?

Il bambino sentendosi chiamare dal padre scattò in piedi e strinse forte le gambe del genitore che, preso alla sprovvista da quel gesto, posò lo sguardo interrogativo sulla moglie che gli sorrise dolcemente.

Harry si inginocchiò così da poter vedere il figlio dritto negli occhi. Gli stessi suoi occhi verdi, gli stessi della nonna, ma con la luce e la forza di un altro mago, il più potente di tutti i tempi.

- Papà mi racconterai anche tu di quel signore e di tutto quello che ti ha insegnato?

Harry posò lo sguardo su Ginevra che continuò a sorridergli dolcemente.

- Certo Al. Ti parlerò di Silente ed anche di Severus Piton. I migliori Presidi che Hogwarts abbia mai avuto.

Il bambino sorrise entusiasta. Prese per mano entrambi i genitori e si allontanò allegro da quel giardino in cui riposava la salma di Albus Silente. Il mago più potente che il mondo magico avesse mai conosciuto.

***** *****

Quel pomeriggio Harry tornò ancora una volta in quel giardino, ma stavolta da solo. Si fermò ad osservare la lapide bianca e ripensò a tutti i momenti passati assieme. Tra i tanti ricordi il più doloroso, ma anche il più dolce, fu il primo momento in cui si rese conto di aver ritrovato un padre nella figura del potente mago che era il suo preside. Il giorno in cui Silente lo vide davanti lo Specchio delle Brame.

- Harry… Non serve a niente rifugiarsi nei sogni per poi dimenticarsi di vivere... (*)

Sussulto l’ex Bambino Sopravvissuto nel sentire quella voce. L’avrebbe riconosciuta tra mille. La stessa calma e la stessa cadenza inglese. Lo stesso tono allegro ed intrigante. La stessa sfumatura accattivante. La stessa voce di lui… ma non era possibile. Era morto.

Si voltò lentamente e quasi svenne nel momento in cui vide Albus Silente di fronte a lui. Il solito sorriso rassicurante e quella luce negli occhi che era diventato il segno di riconoscimento del più grande mago di sempre.

- Professore Silente…

- Sì, sono io Harry.

Il giovane uomo osservava quello che era stato per tanti anni il suo preside. Lo osservava ma temeva di avvicinarsi. Silente era morto. Lui lo aveva visto cadere dalla Torre di Astronomia, ucciso per mano di Severus Piton.

- Professore Silente…

- Harry, non occorre che tu ripeta il mio nome. So come mi chiamo.

Il sarcasmo e l’umorismo. Anche quelli erano gli stessi. Harry osservava l’uomo che aveva di fronte e si chiedeva se fosse tutto vero oppure no.

Si chiedeva se stesse rivivendo la stessa magia vissuta più quindici anni prima.

La stessa magia vissuta nella deserta stazione di King' s Cross.

Si chiedeva se quella fosse la stessa magia vissuta il giorno dello scontro finale contro Voldemort.

- Non lo so Harry. Tu cosa vorresti?

Harry osservò il Preside ed incerto si avvicinò alla sua figura. Non rimase sorpreso nel momento in cui aveva risposto alla sua muta domanda. Silente era stato un grande Legilimens. Era altro che lo stupiva. Il comprendere che, più si avvicinava, più si abbassavano le probabilità di avere lì, davanti gli occhi, Albus Silente vivo, in carne ed ossa. Era impossibile. Silente era morto.

- Io… io non lo so.

Sorrise il preside canuto.

Sorrise di fronte allo stupore di quello che era stato il suo studente prediletto.

Sorrise di fronte agli occhi spalancati di quello che per lui era stato un figlio.

Sorrise e si rattristò perché lui non era in carne ed ossa.

Era solo uno spirito. Solo spirito e come tale non poteva avere un contatto con quel ragazzo. Gli era negato per fino un abbraccio.

- Perché? Perché siete tornato indietro?

Nella voce di Harry una nota di urgenza.

Voleva sapere.

Voleva sapere se era tornato indietro per accusarlo.

Voleva sapere se era tornato indietro per dirgli ciò che non aveva avuto il coraggio di dirgli tanti anni prima.

- Se sono qui è perché ho bisogno di parlarti.

L’ex Bambino Sopravvissuto si allarmò appena sentì quelle parole. Allora era vero! Era tornato indietro per scaricargli tutto il suo disprezzo per averlo lasciato morire su quella torre. Per non aver fermato Severus e per non aver trovato una soluzione alternativa al piano prestabilito. Era questo che era venuto a dirgli. Ne era certo.

- Harry! Non è come credi. Io… se sono qui è per chiederti di riprendere a vivere. Non è stata colpa tua. Era il mio destino. Era il mio destino morire quella sera cadendo dalla Torre di Astronomia. Tu non potevi fare nulla. Era scritto nel destino.

Gli occhi di Harry erano pieni di lacrime. Le lacrime che non versava da tanto tempo. Le stesse lacrime che erano svanite dai suoi occhi subito dopo la fine della guerra. Non poteva credere alle parole del suo preside. Non era vero. Se Silente era morto era solo a causa sua.

- Non è così. Tu non hai colpe. Semmai sono io ad essere colpevole. Ho caricato Severus di un compito troppo arduo e te… ti ho reso testimone di un evento tragico. L’ennesimo. Potrai mai perdonarmi?

Adesso erano gli occhi di Silente ad essere pieni di lacrime. Ma i fantasmi potevano piangere? Era mai possibile che un fantasma possedesse delle lacrime? Possibile che Silente, sicuramente in Paradiso, potesse percepire il dolore?

- Perdonami.

Harry era… allibito. Ma forse quello era il termine meno adatto. Era sorpreso e soprattutto sconcertato dalle parole del preside. Perdonarlo? Di cosa?

- Io non capisco. Preside voi… voi non avete nulla da farvi perdonare. Siete stato come un padre per me. Mi avete sorretto e guidato nel corso della mia adolescenza. Non mi avete mai fatto pesare il ruolo che ricoprivo nel mondo magico. Ditemi cosa dovrei perdonarvi?

Una lacrima scese lungo la guancia rugosa di Silente. Anche i fantasmi potevano piangere.

Harry si avvicinò ancora di più al suo preside. Si avvicinò ancora di più a quello che era stato per sei lunghi anni suo padre.

- E tu sei stato il figlio che non ho mai avuto. Perdonami Harry.

Lo guardava senza capire e si avvicinava sempre più. Poteva percepire la sofferenza nelle parole di Silente ma le lacrime non erano più visibile. Nei suoi occhi brillava ancora la stessa luce di quando era in vita.

La distanza tra loro si fece sempre minore. Alla fine Harry si trovò davanti allo spettro di Albus Silente. Alzò una mano per sfiorare il braccio del suo preside e si stupì di toccare, realmente, la consistenza della stoffa della tunica turchese. Senza perdere tempo, e per paura che tutto fosse un sogno, Harry abbracciò il Preside e pianse tutte le sue lacrime. Le lacrime che non versava da tanto, troppo tempo. Pianse tra le braccia del suo Preside. Pianse tra le braccia di quello che era stato, anche se per poco, suo padre.

***** *****

Il piccolo Al correva libero per il giardino. Il sole stava cedendo il posto alle stelle ed il cielo si era tinto coi caldi colori del tramonto. Il vento spettinava la zazzera ribelle del piccolo. Le cicale accompagnavano la sua corsa ed il bambino si sentiva libero e forte. In lontananza vide la figura del padre fissare ancora la lapide bianca.

Rallentò la sua corsa. Si avvicinò lentamente ed una volta raggiunto il genitore si fermò prendendo la sua mano. Harry abbassò gli occhi rossi sul figlio. Il piccolo Al alternava lo sguardo dal padre alla lapide. Il bambino strinse con maggiore forza la mano di Harry e poi gli sorrise felice.

- Papà non piangere. Ti prometto che quando sarò grande sarai fiero di me come il signore che ha il mio stesso nome era fiero di te.

Harry si abbassò ed abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo il figlio. Era fortunato.

I suoi genitori erano morti quando lui aveva solo un anno, ma aveva trovato, nella figura di Albus Silente, tutto l’affetto di cui aveva bisogno, ed adesso, con la sua famiglia… si sentiva l’uomo più fortunato del mondo.

***** *****

L’amore che lega un padre ai propri figli è forte ed infinito. Trapassa le porte dello spazio e del tempo e non ti fa mai sentire solo.

Harry adesso aveva capito.

Harry adesso lo sapeva.

Non avrebbe più vissuto nel passato perché il passato avrebbe vissuto con lui.

FINE

(*) tratto da Harry Potter e la pietra filosofale.

Ed ecco il quarto capitolo di questa raccolta di one-shot. Credo che con questa fic si concluda il mio lavoro. Se qualcuno avesse in mente qualche altra forma d’amore può benissimo farne cenno ed io cercherò di accontentare le richieste.

Se non si era capito il capitolo si apre con i funerali di Silente. Il secondo capoverso si apre un bel po’ di anni dopo dato che Al è solo un bambino piccolo… da notare la sua ingenuità quando parla di Silente indicandolo come “il signore che ha il mio stesso nome”!

Sarò sincera. Questa fic non mi convince molto. Probabilmente dipende dal fatto che io non conosco bene il personaggio di Silente e poi è sempre problematico trattare un personaggio complesso come lui. Spero di poter trovare un po’ di consenso con questa fic che, ripeto, a me personalmente non piace per nulla. Tenevo a precisare che so per di aver modificato parte del settimo libro dato che è proprio in questo libro che Harry racconta ad Al del perché porta un nome simile, ma concedetemi questa licenza poetica.

RINGRAZIAMENTI:

- ALAIDE: ciao! Allora prima di tutto ti faccio i complimenti per le bellissime fic che scrivi, tra “L’indagine” e la seconda “Nel paese del silenzio” non so quale reputo più bella. Probabilmente entrambe. Il tuo modo di scrivere ed il mistero che trasmetti con le parole sono palpabili ogni volta. Passando al tuo commento che dire! Io credo che l’amicizia sia una forma d’amore in tutto e per tutto e sono perfettamente d’accordo con te quando dici che in italiano non esiste un termine per descrivere questo sentimento. Accetto i complimento perché sono fatti da una grande autrice e non posso che essere felice di sapere che la mia storia ti sia piaciuta. Spero, anche, che ti sia piaciuta quella piccola dose di Draco/Hermione che secondo me non fa mai male! Spero che, vacanze permettendo, tu possa commentare anche questa one-shote!

- PEI_CHAN: nella fic passata ho voluto mettere due forme d’amore perché non sapevo come far proseguire la fic, mi serviva qualcuno che potesse far da collante tra i due periodi della fic. La mia scelta di incentrare la fic su Draco e Blaise risiede nel fatto che era mia intenzione mostrare anche l’amicizia tra due Serpi dato che, generalmente, gli appartenenti a questa casa sono descritti come meschini e sleali. Per quel che riguarda il rapporto di Blaise che dire… io credo che non ci sia nulla di strano! Tu per un amico non saresti disposto a rischiare per aiutarlo?

- FREDDYMERCURY: eccomi nuovamente a ringraziarti ed a scrivere Grazie con la G maiuscola! Sono felice che anche tu abbia accettato la mia scelta di vedere l’amicizia come forma d’amore. Per quel che riguarda il pairing Albus/Harry… mi crederesti se ti dicessi che in realtà anch’io avevo ipotizzato di dedicare a loro il quarto capitolo? E comunque, ti sei spiegata benissimo. Avevo inteso che ti riferivi a loro in senso familiare. Io credo che più che Sirius Black, per Harry sia stato proprio Silente a fare da padre. Il Preside di Hogwarts è stato sempre presente nella vita del giovane Harry, molto più di Sirius ecco perché ho preferito un rapporto padre-figlio piuttosto che nonno-nipote. Questa è stata un’idea che mi ha perseguitato da quando ho scritto il secondo capitolo solo che non credo di aver trovato il modo migliore per esprimere questo rapporto. Probabilmente dipenderà dal fatto che non avendo letto i libri non so a cosa fare riferimento e, francamente, scrivere una storia senza delle basi non è facile. Spero solo di non averti deluso. Spero di poter leggere un tuo commento… vacanze permettendo!

- VINNY: ed ecco qui la quarta forma di amore. Sono felice che la precedente ti sia piaciuta. Io credo che voler bene ad un Amico sia come voler bene ad un fratello ecco perché considero l’amicizia una forma d’amicizia. Di contro reputo l’amore una forma ben più pura e più sublime dell’amicizia, la persona che ami è anche il tuo migliore amico…

- RANYARE: ma dove sei finita? È dal 10 luglio che attendo di sapere se quel punto interrogativo che chiude il titolo del capitolo cosa nasconda! Comunque passando alla storia che posso dire… il capitolo non mi convince solo che non sono riuscita a fare di meglio. Spero che tu possa perdonarmi! Come hai potuto notare anche qui ho tenuto conto di Harry e Ginny e soprattutto del piccolo Al che è un po’ l’anello di congiunzione di tutta la one shot. Blaise e Draco sono fenomenali assieme, almeno nella tua fic. Sono uno la spalla dell’altro e si completano vicendevolmente. Mi auguro solo di poter scrivere presto di loro… adesso però, voglio un tuo parere, sincero, su questa shot!

- DILEWEASLEY: prima di tutto grazie per tutti questi complimenti che mi fanno arrossire ed in fondo mi fanno sentire anche un pò vecchia… alla mia età… ho solo 26 anni (all’anagrafe, in realtà io me ne sento molti di meno!). passando alla mia raccolta che posso dirti… è nata una sera in cui non riuscivo a studiare e che guardavo fissa il soffitto della mia stanza (sono pazza lo so!), poi è arrivata l’idea, scrivere una fic che riguardasse Lily e James dato che non avevo mai scritto su di loro. Solo successivamente è nata l’idea di una raccolta che parlasse dell’amore inteso in sensi diversi… ed ecco cosa ne è uscito fuori. La scena di sesso… l’ho scritta solo una volta ma ricordo di aver trovato difficoltà a tenere nascosta l’identità dei due amanti, soprattutto a non far capire il sesso o altro. La shot di Ron e Ginny… volevo che il lettore iniziasse a leggere convinto che si trattasse di una lite tra innamorati tanto per indurlo in errore, sono felice di vedere che alla fine ho ottenuto l’effetto sperato dato che in pochi avevano capito che non si trattava di Amore con la A maiuscola. La terza forse è la mia preferita perché anche qui sono riuscita nel mio intento. Tenere nascosta l’identità dei personaggi ma soprattutto riuscire ad affrontare i due tipi di amore nella stessa fic senza però essere troppo sdolcinata con Draco ed Hermione e troppo melensa con Blaise e Draco. Ho cercato di sfruttare un luogo comune, come il fatto che Blaise si schieri (nella maggior parte delle fic che leggo) dalla parte dei buoni e Blaise lo segua per amore della loro amicizia… ed ancora torna la parola amore! Ed ecco l’ultima forma d’amore… quella più importante ma che mi ha convinta di meno… tu cosa ne pensi?

- HIKARU_ANGELIC: a te va un plauso particolare… ho notato che hai commentato tantissime mie fic e per questo non posso che esserti grata, questo vuol dire che il mio modo di scrivere ti piace davvero! Non sai quanto sono felice di saperlo! Per quel che riguarda questa raccolta… intendila come un omaggio a tutti i rapporti interpersonali…

Vorrei ringraziare le 13 persone che hanno inserito la fic tra i preferiti. Vorrei invitarli a commentare, chi non lo avesse mai fatto, quello che probabilmente è l’ultimo capitolo. Perché dico probabilmente? Magari tra qualche giorno mi salta in testa una nuova forma di amore e la inserisco… oppure qualcuno di voi a qualcosa da suggerirmi? Adesso basta! Fatemi ringraziare queste 13 persone nominandole una ad una!

  1. Alaide ;
  2. Christina Malfoy;
  3. DileWeasley ;
  4. Javeniljavenil ;
  5. Kenjina
  6. Kissfrancy ;
  7. Ninfea_82 ;
  8. Pei_chan ;
  9. Potterina_88_ ;
  10. Ranyare;
  11. Usagi_84;
  12. Vinny;
  13. _Ale23_

Grazie a tutti di cuore! Spero di non aver deluso nessuno di vo

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