Salvare il salvabile

di Moony16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Era un giorno normale, come tanti, per lei. Come ogni mattina Rose si era svegliata alle otto in punto, aveva fatto una doccia e poi aveva bevuto del caffè leggendo la gazzetta del profeta. Aveva lavato i denti e indossato il camice da medimaga, professione che esercitava da già tre anni, alle nove meno cinque aveva preso una manciata di polvere volante nel camino, dove era entrata per poi scandire chiaramente le parole “S. Mungo”. Era arrivata puntuale come sempre e si era sbracciata per tutta la mattina al pronto soccorso. Si era avvilita un paio di volte, quando si era presentato un bambino che eruttava bollicine, o quando un signore si era ritrovato le dita incastrate in uno stumento musicale babbano, o quando una signora si era presentata urlando perché un gruppo di folletti l’aveva aggredita. Insomma una normale giornata.
Fino a che era entrato da quella porta Scorpius Malfoy, con un taglio sopra l’occhio, un labbro spaccato e un grosso livido in una mescella. Zoppicava. La cosa strana, comunque, non era che il ragazzo fosse entrato lì pesto, ma che stando alle sue informazioni il suddetto Malfoy doveva trovarsi in America, a prendere il caldo sole della California. Ed era così da sei anni.
«Scorpius Malfoy?» chiese lei più che stupita. Il suo cuore perse un battito, anche se lei non capì se per la gioia di rivederlo o per la rabbia che ciò suscitava.
«in carne ed ossa, anche se un po’ pesto. Allora Weasley hai intenzione di medicarmi o faccio io?» lei gli lanciò un’occhiata contrariata
«non eri in America?» gli chiese, ignorandolo. Lui sbuffò. Dopo la scuola era letteralmente scappato via dal suo paese d’origine, che per tutta la vita non aveva fatto altro che fargli scontare una pena di cui non aveva nessuna colpa. In Inghilterra non avrebbe avuto possibilità di lavoro, non senza l’aiuto dei genitori con i loro affari sporchi. Il punto è che, arrivato in America, era riuscito a trovare un lavoro come avvocato, con la quale aveva persino avuto un po’ di successo, ma non aveva stretto legami forti con nessuno e quindi quando si era presentata l’occasione di lavorare per un periodo a Londra non aveva esitato ad accettare. Doveva prendere le difese di un cittadino americano arrestato in inghilterra, una situazione abbastanza scabrosa che avrebbe potuto fargli guadagnare non pochi quattrini.
«sono qui per lavoro» lei alzò gli occhi al cielo, masticando una risposta malevola. L’ultima volta che si erano visti, non avrebbe mai immaginato  che si sarebbero rincontrati così, né che lui sarebbe stato così disinteressato: lo avrebbe strangolato con le sue mani, per come si stava comportando. Lentamente però, iniziò a medicarlo.
Rose lo osservava riflettere mentre lo curava. Facendo ciò era costretta a guardarlo bene e da vicino, cosa che avrebbe mandato in eccitazione qualunque donna, compresa lei qualche anno prima. Ma non adesso. In quel momento provava solo una rabbia cieca, che aveva quasi dimenticato da quando lui era partito. Scorpius era bello, lo era sempre stato, ma l’aria matura e quel filo di barbetta gli donavano ancora di più. Ricordava quando erano ragazzi, prima nemici giurati, poi amanti. E poi lui l’aveva abbandonata, per inseguire quel sogno oltre oceano. “non posso darti niente” diceva. “sono un Malfoy, ma grifondoro, tuo cugino Al è il mio migliore amico. Di me non ne vuole saperne niente nessuno”aggiungeva con aria triste. E lei gli  aveva creduto e lo aveva lasciato andare, distrutta. Avevano avuto poco tempo per stare insieme, si erano trovati e poi lasciati di nuovo, come se il destino giocasse con le loro vite. Lei aveva passato la vita a cercare di odiarlo, perché lui la allontanava da suo cugino, perché la prendeva in giro, perché spaventava chiunque fosse interessato a lei. Fino a che non si era resa conto che lo amava e che era ricambiata. Ma era passato solo qualche mese da quell’ammissione, che l’aveva distrutta e messa in discussione, quando lui era partito. Ed era stato via per ben sei anni, in cui non le aveva mai scritto neanche una misera lettera.
Lei si era buttata a capo fitto sul lavoro, aveva fatto carriera, lo aveva dimenticato. Dopo quattro anni in cui la sua vita sociale era andata a quel paese insieme a Malfoy, le sue migliori amiche, Alice e Lily Dursley (anche lei una strega) l’avevano praticamente costretta ad uscire  e a divertirsi. Così adesso aveva un ragazzo, un uomo normalissimo, che lavorava al ministero della magia, più grande di lei di qualche anno, maturo e responsabile. Quel tipo che ti porta i fiori la domenica mattina e con cui fai una passeggiata senza mai smettere di sorridere. Con lui era tutto così facile. Così spontaneo. Non doveva sforzarsi di capire cosa intendeva, cosa voleva. Non rimaneva sveglia la notte cercando di capire come comportarsi e quando facevano l’amore, non erano disperati e animaleschi, ma era tutto così dolce, così giusto.
Tutto il contrario di come era stato con Malfoy.
Scorpius teneva gli occhi fissi sui suoi mentre lei lo medicava. Si sarebbe fatto pestare a sangue ogni giorno pur di vederla. Ed effettivamente era quello che aveva fatto, dopo aver saputo da Albus che era fidanzata. Fidanzata! Non poteva crederci … aveva passato la vita a cercare di impedire che ciò avvenisse, ma alla fin fine era stato lui a lasciarla singhiozzante davanti la porta di ingresso del castello. Era andato a studiare in America, una decisione presa prima che lei cadesse nell’abbisso con lui. E a quel punto non era possibile tornare indietro. E poi, per quanto soffrisse a lasciarla più di quanto non sarebbe stato capace di spiegare, sapeva che era la scelta migliore per lei. Se fosse rimasto, non avrebbe potuto dargli proprio niente, tranne forse se stesso. E lui era così poco, non avrebbe saputo farla felice, sarebbe stato un fallito che viveva sulle spalle degli altri. Sarebbe finita col disgustarlo, ne era certo. E poi c’era il discorso della stampa. L’avrebbero tutti attaccata da tutti i fronti. Rose Weasley che stava con il figlio rinnegato dei Malfoy! Non l’avrebbero lasciata in pace. Non che non fosse forte, ma non era abituata, lei era sempre vissuta all’ombra del coraggio e della bontà dei genitori. Come sarebbe stato essere accusata di amare la persona sbagliata? Come avrebbe reagito al disprezzo altrui? No, non poteva fargli questo. Capiva che avrebbe dovuto lasciarla andare, farle vivere la sua vita, sperare che conoscesse un uomo alla sua altezza, si sposasse e avesse dei bambini, lavorando come medimaga, proprio come sognava da sempre. E così non le aveva mai spedito tutte quelle lettere che scriveva, per ogni compleanno, per ogni anniversario del loro primo bacio, per tutti i Natali ma anche solo quando la consapevolezza di averla così lontana rischiava di farlo impazzire. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore … chi è che ha detto questa cazzata?
L’amava da quando aveva dodici anni e adesso, che ne aveva venticinque, quel sentimento era solo più forte di prima. Ora che lei lo stava medicando come quando aveva fatto a botte con un suo ex, che le aveva chiesto di uscire.
«ti ricordi di quella volta che ho fatto a botte con Turner?» un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra. Lo stomaco le si strinse, pensando a quell’avvenimento
«si … e non smetterò mai dirti che sei stato uno stupido» lui fece una smorfia quando lei mise il disinfettate sul taglio sopra l’occhio.
«no, non lo sono stato. Se l’era meritato»
«non ho mai detto il contrario. Sei stato stupido a prenderle a tua volta. Dovevi usare la bacchetta, tu eri migliore nei duelli» anche lui sorrise
«allora … hai trovato quello che cercavi in America?» gli chiese. Voleva sapere almeno se tutta quella sofferenza fosse servita a qualcosa. Lui non rispose subito
«ho un lavoro, che faccio abbastanza bene … sono un avvocato, nonostante sia finito a grifondoro sono sempre stato bravo a convincere la gente, e tu lo sai»
«si, ma sei felice? Insomma, sei soddisfatto?»
«non farmi domande le cui risposte potrebbero non piacerti»
«e perché dovrebbero non piacermi le tue risposte?»
«questi sono fatti miei Weasley» lei non ribattè e riprese medicarlo. Dopo un po’ gli disse
«hai sempre fatto così, per difenderti. Non sei cambiato»
«tu si, invece. Mi sarei aspettato una risposta sarcastica» lei scrollò le spalle
«sono cresciuta, non è più la mia prerogativa farti impazzire. Comunque ho finito» lo stava congedando. Quelle parole furono un colpo al cuore. “impazzire”. Aveva colto il significato velato di quella parola: “non mi interessi più”. Si sarebbe preso a sberle solo. Ma dopotutto sembrava felice. Non era lontana dalla sua famiglia e dai suoi amici, non aveva dovuto sopportare scandali e situazioni economiche difficili. La sua vita era facile. Allora perché i suoi occhi non erano accesi come ricordava?
«allora io vado, … ci vediamo»lei sbuffò
«si fra, dieci anni» lui sorrise
«in realtà, fra appena due giorni. Ci sarò anche io alla cena di famiglia di Domenica. Albus mi ha invitato» lei parve scioccata, così lui, godendosi quella piccola vittoria, uscì dalla stanza. Dopotutto, lui voleva ancora farla impazzire.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Quell’ultima frase, detta da Malfoy come fosse una minaccia, l’aveva tormentata nei due giorni a seguire. Non appena aveva finito il turno si era precipitata a casa di suo cugino Albus, che convieva con Alice, la sua migliore amica. Con loro poteva prendersi certe libertà, così si attaccò al campanello finché non le si parò davanti Albus, i capelli ancora più scarmigliati del solito, una tuta e i pettorali in bella vista. Era diventato proprio un figo con il tempo. 
«Rose! Per Merlino mi hai spaventato a morte!» aveva un segno rosso sul collo e nel petto, decisamente fatti da poco, e il fatto che lui fosse mezzo nudo e che Alice non fosse nei paraggi gli fece capire che non era piombata lì in un buon momento. Dopotutto Al era appena tornato da uno dei suoi viaggi di lavoro, doveva aspettarselo. Era un pozionista davvero famoso, suo cugino, oltre che un traditore della peggiore specie.
Lei inarcò un sopraciglio
«vi disturbo? Che stavate facendo? E dov’è Alice?» lui parve confuso da tutte quelle domande, arrossì e incominciò a balbettare che non era il momento.
«bene, ti lascio in pace, ma solo perché in questo momento mi fa pena la mia migliore amica, mentre il tuo di amichetto, mi sta davvero mettendo la nausea. Questo però non cambia il fatto che sei uno schifoso traditore!» ok, era stata un tantino melodrammatica. Lui fece un sorrisetto. Aveva capito, il bastardo
«hai visto Scorpius, eh? Beh scusa, ma ho altro da fare … se vuoi ne riparliamo domani» lei stava per protestare, ma il cugino le chiuse la porta in faccia. Si attaccò di nuovo al campanello, ma di quei due nessuna traccia. Brutto figlio di puttana! Pensò, scusandosi mentalmente con la sua zia preferita. Dopo mezz’ora, però, dovette arrendersi all’evidenza che i piccioncini non sarebbero usciti di casa fino ad almeno l’indomani dopo pranzo. Se ne andò, amareggiata, tornando nella sua casetta nella periferia di Londra. Odiava vivere da sola, ma dopo che suo fratello aveva cominciato a lavorare com spezza incantesimi alla Gringott non si sentiva più a suo agio in casa con i genitori. Così, nonostante odiasse la solitudine, si era messa alla ricerca di una casetta tutta per lei.
Entrò nell’appartamento e gettò giubbotto e borsa sul divano, per poi dirigersi in cucina per un bicchiere d’acqua. Si appoggiò al ripiano in legno e sospirò. Perché è così dannatamente bello? Si ritrovò a pensare una volta che aveva messo a tacere tutti gli interrogativi che erano nati nella sua mente. La cosa peggiore era che a quella cena ci sarebbe stato anche Robert, il suo ragazzo. Non osava immaginare quello che ne sarebbe venuto fuori, perché quello che aveva sentito nella voce di Scorpius non era solo una minaccia, ma un avvertimento e anche una promessa. Quella frase l’aveva detta esattamente con lo stesso tono di quando le diceva che avrebbe preso a pugni Turner. O di quando le prometteva che l’avrebbe lasciata nuda in pubblico, se non avessero trovato subito un posto in cui infrattarsi.
Avrebbe tanto voluto non doverlo vedere mai più.
L’indomani Albus andò a prenderla al lavoro con un gelato al cioccolato in mano. Evidentemente aveva capito di essere stato proprio stronzo. Lei prese il gelato, scontrosa, pensando a quale potesse essere il modo migliore per farlo fuori. Suo cugino si era sempre adoperato per cercare di fare andare d’amore e d’accordo lei e il suo migliore amico, con pochissime vittorie. E adesso ci stava riprovando, ne era certa.
«perché non mi hai detto che l’ossiggenato è in città?» Albus cercò di nascondere un sorrisino
«l’ossigenato? L’ultima volta che lo hai nominato era “il mio amore impossibile”» lei lo fulminò
«è passato qualche anno, cuginetto. E gli sono bastati cinque miseri minuti per farmi saltare di nuovo i nervi! Merlino, avevo dimenticato quanto è insopportabile»
«perché avrei dovuto dirti che è in città? Non è la prima volta che torna, l’ultima volta è stato due anni fa, per Natale. L’ho invitato solo perché credevo che tu avessi voltato pagina, ma evidentemente …»
«Albus Severus Potter! Non raccontarmi cazzate! Lo hai invitato solo perché odi Robert e speri con tutto te stesso che Scorpius lo faccia scappare!»
«ok, va bene, ma non esageriamo: io non odio quel ragazzo, credo solo che non sia il tipo per te …Tu e Scorpius invece eravate fatti l’uno per l’altra» lei alzò gli occhi al cielo
«sono io che decido chi è adatto a me, e tu non hai il diritto di invitare quel coglione, per cui sono impazzita non so quanti anni fa, nella speranza che torni “dalla mia anima gemella”. Starei di nuovo di merda, se andasse come dici tu, lo capisci? Ci ho messo quattro schifosissimi anni a togliermelo dalla testa! Lui alla fine se ne andrà … e io rimarrei qui, senza niente, di nuovo. Quindi per favore smettila di mettere i bastoni fra le ruote a me e a Robert e soprattutto tieni il tuo migliore amico lontano da me!»
Albus la guardava come se avesse visto un fantasma, così lei continuò
«Scorpius Malfoy ha portato solo e sempre guai nella mia vita, sarebbe stato meglio se io non lo avessi mai conosciuto, anzi se non fosse mai nato. Io lo odio, Al!» finì il suo monologo soddisfatta. Vide Al deglutire
«Rose, girati»
«perché?» si girò e lo vide, il perché. Scorpius Malfoy se ne stava a pochi metri da loro, le braccia conserte e lo sguardo duro. Era evidente che avesse sentito tutto. Lui fece un cenno ad Al, poi si girò e cominciò  camminare nella direzione opposta.
La domenica arrivò presto, troppo presto per i suoi gusti. In men che non si dica, si ritrovò davanti la porta della villetta dei nonni accanto ad un Robert sorridente. I signori Weasley dopo la guerra, grazie alle confische ai mangiamorte e ad una promozione del signor Weasley, poterono permettersi una nuova casa, lontana mille miglia dalla Tana: troppi ricordi e troppa tristezza.
Rose si sistemava in continuazione la camicetta e si toccava i capelli ogni cinque secondi, ma Robert non pareva farci caso. Era un uomo normalissimo, né bello né brutto, con dei capelli castani tirati indietro e gli occhi grandi, anche loro castani, nascosti dalle lenti. Aveva trent’anni, e già un filo di pancetta cominciava a farsi notare, ma Rose la trovava adorabile, così come la fossetta che aveva sul mento. Aprì sua nonna, che abbracciò entrambi e gli fece strada verso la sala da pranzo gremita di gente: mancavano solo Louis con Laurel e la piccola Helena.
Laurel e Lily Dursley erano le figlie di Dudley, cugino di Harry. I due si erano ritrovati dopo tanti anni, dopo che Petunia, la zia di Harry, aveva avuto il piacere di conoscere un’altra strega di nome Lily. Dopo una vacanza insieme a quasi tutta la loro famiglia nella calda Italia, quella coppia, apparentemente così male assortita, era sbocciata. Nessuno ci aveva fatto caso più di tanto però, almeno non fino a che, ad un Natale di ormai sette anni prima, i due avevano annunciato di aspettare un bambino.
E così Louis, il Don Giovanni più incallito di Hogwarts, mago brillante, esuberante e sogno di ogni strega dai dodici anni in sù, si era messo la testa a posto. E con una babbana, figlia del cugino del grande Harry Potter. La gente non riusciva a crederci, le ragazze di Hogwarts, ancora meno. Eppure era così.
Rose nervosa fece un cenno di saluto a tutti. Si sentiva lo sguardo del biondo attaccato dietro e la cosa non le piaceva per niente. Aveva l’impressione che avrebbe rovinato quella serata.
Stavano allegramente chiacchierando quando si avvicinò un certo biondastro.
«Rose! Dalla faccia che avevi l’altro giorno pensavo che avresti disertato questa cena!» Robert la guardò confuso, così lei si affrettò a presentare il ragazzo, non senza lanciargli un’occhiata velenosa che lui bellamente ignorò.
«lui è Scorpius, il migliore amico di mio cugino Albus, anche se …» fece una smorfia
«è praticamente uno di famiglia» Robert sorrise confuso e gli porse la mano
«Robert …» Scorpius restituì la stretta con un sorriso finto come l’oro dei Lepricani.
«è un piacere conoscerti» Rose alzò gli occhi al cielo
«non hai un migliore amico da importunare?»
«in realtà no. Si è infrattato con Alice in bagno. Merlino, come fanno ad essere così appiccicosi?»
«beh non si vedono da tre mesi o giù di lì … è normale voler recuperare, io non saprei stare lontano dalla mia Rosie per più di una settimana» disse Robert spontaneamente, abbracciando Rose, che nel frattempo si godeva lo spettacolo: la faccia di Malfoy in quel momento era incomparabile
«giusto … » sembrava non fosse in grado di aggiungere altro.
«non ti ho mai visto qui …» una domanda velata traspariva dalle parole del suo ragazzo. Se era uno di famiglia, perché lui non sapeva neanche chi era? Scorpius parve riprendersi e gli rispose
«infatti … ancora prima di finire l’ultimo anno ad Hogwarts mi sono trasferito in America, sono qui solo per lavoro» Robert annuì
«una scelta drastica … perché l’hai presa?» Scorpius sorrise rassegnato
«evidentemente durante il mio smistamento eri troppo impegnato a fare altro»
«non capisco che intendi»
«mi chiamo Scorpius Malfoy, eppure sono finito in grifondoro. Scelta drastica dici? A me sembra drastico non essere andato via prima» Robert rimase a corto di parole, quindi Scorpius continuò
«e quindi adesso la piccola Rosie lavora al S. Mungo! Sai che Rose è sempre stata brava con le medicazioni? Ricordo che dopo i litigi andavamo sempre da lei … soprattutto James» lei sorrise
«neanche tu e Al ci andavate piano: ti sei rotto il naso dieci volte. Non è normale!» lui rise
«si, e almeno cinque volte sei stata tu. Meno male però che dopo lo aggiustavi, Madama Jefferson faceva sempre troppe domande» Rose gli stava rispondendo che, se lo curava ogni volta, era solo per non litigare con il cugino, quando parlò Robert.
«eravate molto amici, vero?»
«amici? No … più che altro, lei tentava di uccidermi ogni volta che suo cugino non guardava. Soprattutto durante l’ultimo anno! Più volte ha letteralmente cercato di farmi venire un infarto» Rose diventò più rossa dei suoi capelli. Robert non aveva colto il doppio senso-e come avrebbe potuto? Era una di quelle cose che gli diceva sempre lui dopo certi pomeriggi particolarmente infuocati- ma aveva capito che quella frase voleva dire qualcosa di più.
«purtroppo sei ancora vivo, però»
«pensa però i sensi di colpa se ci fossi riuscita»
«li avrei superati, non preoccuparti»
«dici? Non credo che qualcuno riuscirebbe a perdonarsi di aver ucciso il proprio ragazzo durante un amplesso» Rose sgranò gli occhi. Robert a quella frase si irrigidì e rispose
«è successo quanti anni fa? Sei? Sette? Ora Rose sta con me, vedi di capirlo» prese la ragazza per il braccio e la trascinò in giardino.
scoppiò quando finalmente Scorpius scoprì le sue carte. «non mi aveva detto che quello è il tuo ex. Ti è passato di mente?» il suo tono era palesemente sarcastico.
«no, non mi è passato di mente, ma volevo evitare tutto questo. Pensavo fosse maturato almeno un po’ negli ultimi anni»
«Rose ma …»
«tu non capisci. Vuole questo, che litighiamo, e io volevo solo evitarlo. Cosa ti avrei dovuto dire? “Ehi c’è un mio vecchio ragazzo stasera, che probabilmente mi stuzzicherà perché è il suo hobby. Ma mi raccomando, non controbbattere perché è il migliore amico di mio cugino Al!”. Avrei peggiorato la situazione» lui sospirò, poi l’abbracciò
«hai ragione … come hai fatto a stare con un tipo così insopportabile?»
«non lo so neanche io …» disse poi lo baciò. Rientrarono dentro sorridenti, mano nella mano, giusto in tempo per cenare.
 

Hey!!

Beh che dire, questa storia è un esperimento: in realtà avrei dovuto scrivere del loro settimo anno. Credo che così risulti più originale, però.
Spero che fin qui vi sia piaciuta ma è la prima volta che scrivo una long così, quindi siate clementi!
Le critiche sono ben accette e mi piacerebbe avere qualche consiglio :)

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Scorpius sospirò guardandosi attorno. La solitudine gli piombò addosso come un secchio d’acqua gelata, fin dentro le ossa. Lui, in quella squallida camera d’albergo, non voleva più starci. La odiava, con tutto se stesso. Era voluto tornare in Inghilterra, convinto che non gli avrebbe fatto poi così male, dicendo di essere desideroso di vedere i suoi vecchi amici e i luoghi in cui era cresciuto.
Erano balle, se ne rendeva conto ora. L’unica cosa che voleva era rivedere Rose, perché non sopportava l’idea che avesse un ragazzo fisso.
La verità era che lui era talmente complicato, un gomitolo nero intrecciato a uno bianco, che non riusciva a capirsi neanche lui. Seguiva gli istinti animaleschi tipici di ogni uomo, cercando dopo di dare una spiegazione ragionevole. E troppo spesso doveva ammettere, almeno con se stesso, che era stato guidato solo dall’impulso. Difendi il tuo territorio. Quello era il vero motivo per cui era tornato. La ragione però diceva un’altra cosa.
La ragione, o forse un istinto più forte, che non riusciva a controllare.
Scorpius era sempre stato coraggioso, un fiero grifondoro, ma non poteva difendersi da qualcosa che non capiva. Non poteva combattere una battaglia di cui non sapeva l’esistenza.
Abbandonò i vestiti in giro per la stanza, già in un disordine madornale, per poi aprire la doccia e tuffarsi dentro. Adorava l’acqua calda nella pelle, riusciva a schiarirgli le idee, almeno in parte. Si sentiva meno sporco sotto quel getto d’acqua bollente e di sapone. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella sensazione: il mondo sparì e restarono solo lui, il rumore dolce dell’acqua e il vapore che inondava la stanza.
Quando uscì, stava meglio. Si sentiva più a suo agio e il caos aiutava molto. Aveva sempre amato la confusione, non riusciva a tenere una stanza in ordine. E non perché fosse pigro, ma perché gli piaceva.
Non sapeva dire qual era il vero motivo. Forse, l’ordine maniacale gli ricordava troppo villa Malfoy. Quella che avrebbe dovuto essere una casa, trasformata in una prigione.
Ma non era sempre stato così. C’era un tempo, nella sua prima infanzia e che adesso era solo un ricordo sbiadito, che era considerato un bambino solo un po’ strano.
Era stato perfetto, fino all’età di otto anni. I capelli biondissimi, quasi bianchi, il colorito marmoreo e il nasino dritto lo rendevano un perfetto Malfoy. I vestiti che era obbligato a indossare gli risaltavano il colorito pallido e lo facevano sembrare un piccolo principe del male. Ma lui non era così.
Scorpius era diverso dai bambini della sua età che frequentava. Draco e Astoria non ci fecero subito caso, perché più che altro lo avevano tirato su elfi domestici e precettori. Non erano mai stati due genitori molto presenti, ma neanche spietati, caratteristica che acquisirono dopo, con il tempo. Lo consideravano solo un po’ desideroso di attenzioni.
Ne combinava di tutti i colori, dal catturare le cavallette e metterle nel pranzo domenicale al disegnare draghi sui muri. La cosa più strana però era, almeno secondo Draco, che non sembrava scoraggiarsi dopo le punizioni, sempre più severe con il passare del tempo.
Le vere preoccupazioni comunque nacquero quando Scorpius aveva circo otto o nove anni.
Era filato tutto liscio, finché non aveva iniziato con le domande. Perché la gente li fissava, per strada? Perché non poteva stare con gli altri bambini? Che cosa era il tatuaggio nel braccio del padre? Che cosa significava mezzosangue?
Tutte domande cui i genitori non sapevano che rispondere. Come spiegare certe cose a un bambino? Eppure lui insisteva, e tanto anche. Più volte si era beccato punizioni per aver esagerato con le domande: ma non importava. Era più testardo di un mulo, ingenuo alle volte, sprezzante del pericolo e impulsivo.
E non era cambiato per niente in tutti quegli anni. L’unica cosa che nel suo carattere era cambiata era la fiducia negli altri. Aveva imparato a non contare su nessuno tranne che su se stesso e in quel modo aveva fatto strada.
Scorpius si sdraiò nel letto, ancora sfatto, con solo una tovaglia a coprirlo. Faceva freddo, ma non importava. Era piacevole, anzi, stare lì mentre i brividi di freddo gli percorrevano il corpo. Masochista forse, ma fondamentalmente piacevole.
Aveva un fisico asciutto, quasi perfetto. Aveva preso l’abitudine di sfogare la rabbia correndo, già dal terzo anno di scuola, così aveva finito per avere il corpo di un atleta. La cosa non gli dispiaceva per niente. Sul viso i lineamenti tipici dei Malfoy, un tantino effemminati, erano stati coperti con un filo di barba, che insieme ai capelli lunghi fino alle orecchie e sempre spettinati, gli dava quel tocco da maschio che suo padre non aveva mai avuto. Era bello e ne era consapevole, molto meglio del padre, perché aveva le labbra piene e la mascella più prorompente.
La cosa di lui che però attirava tanto le ragazze non erano la bocca carnosa o gli occhi grigi, ma l’aria da dannato che si portava dietro, il mistero che lo avvolgeva e quella sua indifferenza alle loro avance. Era ancora tranquillamente steso sul letto, quando suonò il telefono della stanza. Stupito, si affrettò a rispondere.
Rose era nella hall di quello squallido albergo. Era nell’ultimo posto in cui sarebbe voluta essere, ma doveva farlo. Doveva controllare che Albus non fosse neanche lì.
Lei aveva sempre avuto un legame particolare con Albus. Avevano la stessa età e avevano condiviso tutto, sin dalla culla. Erano più che cugini o amici e persino più che fratelli. Erano semplicemente Rose e Al, inseparabili. Si capivano a uno sguardo, sapevano sempre se l’altro era nei guai e capivano sempre al volo dove trovarsi. Quella era la prima volta che lei non riusciva a rintracciarlo. Gli aveva mandato una miriade di lettere, prima incazzata nera, poi sempre più preoccupata. Il giorno prima infatti Alice, la sua migliore amica, le aveva detto che avevano litigato e lei lo aveva cacciato da casa. Non aveva detto il perché, ma lei aveva intuito che la colpa fosse di Albus poiché la ragazza era a dir poco sconvolto.
Si era ripromessa di fargli una bella strigliata “made in nonna Molly”, ma quando lo aveva cercato, non c’era. Da nessuna parte. Né a casa di qualcuno della loro innumerevole famiglia, né in nessun hotel o locanda dove potesse alloggiare. Sparito nel nulla. A meno che non fosse con il suo migliore amico.
E quindi eccola lì, sicura di trovare il cugino ma riluttante a presentarsi nella camera di Malfoy. Si stava aggrappando con tutte le sue forze alla speranza di trovare lì Albus, perché altrimenti non avrebbe saputo dove cercarlo. E stava seriamente iniziando a preoccuparsi che avesse fatto qualche sciocchezza.
«cosa posso fare per lei?» le chiese un ragazzo gentilmente
«potete chiamare il signor Scorpius Malfoy?» chiese con sicurezza, nonostante le traballassero le gambe, per la paura e anche un po’ per l’ansia di rivedere quegli occhi grigi. È stato importante per me, è ovvio che non mi sia indifferente. Si diceva. E un poco, non ci credeva nemmeno lei. Nonostante ciò, continuava a sperare che lui sparisse dalla sua vita, per tornarsene alla sua piatta normalità. Non voleva più neppure vederlo di sfuggita in qualche vecchia foto.
Il ragazzo la guardò malizioso e fece il numero della camera.
«Pronto?» Scorpius era sicuro di aver risposto esattamente. Aveva deciso di studiare babbanologia a Hogwarts perché aveva capito che gli sarebbe stato utile mimetizzarsi con i babbani e non aveva avuto torto. L’hotel, a due stelle, era di quelli di periferia, squallido e mal ridotto, eppure era perfetto: nessuno lo avrebbe cercato lì. Per questo era tanto stupito per quella chiamata.
«il signor Scorpius Malfoy?»
«si sono io. C’è qualche problema?» chiese con tutta la calma possibile. Chi era venuto da lui senza neppure avvisarlo?
«c’è qui una ragazza …Rose Weasley che dice di doverle parlare. Posso darle il numero della camera?» il cuore gli fece un salto. Rose, lì?
«che cosa vuole?»
«dice che è urgente» ovviamente si ritrovò a pensare. Sospirò e poi rispose
«la faccia salire, grazie» dopotutto non poteva resistere alla curiosità, né alla voglia di vederla. Si affrettò a mettere la tuta e la felpa larga che usava come pigiama e uscì. Aveva ancora i capelli bagnati, ma non se ne curò: sapeva bene che a lei piacevano così. Uscì e si appoggiò allo stipite della porta, aspettandola. Quando lei girò l’angolo, il suo cuore perse un battito. Non aveva mai visto nessuna così bella.
Eppure sapeva che il suo non era un parere soggettivo. Rose non aveva quel tipo di aspetto per cui ogni essere di sesso maschile si girava a guardarla quando camminava. Non era alta, non arrivava al metro e sessanta, e neanche magra, giacché portava un’odiata quarantaquattro. I suoi capelli rossi spesso erano alzati in una coda disordinata e non si truccava mai, né tanto meno faceva caso ai vestiti che indossava. Eppure lui adorava tutto di lei. Amava il colore così intenso dei suoi capelli e gli occhi azzurri, limpidi come il cielo, attraverso le quali sapeva leggere ogni sua emozione. Amava il suo naso all’insù pieno di lentiggini e quel neo sulla schiena. Amava il modo deciso con cui camminava e le espressioni che faceva quando si arrabbiava. Si sarebbe perso nel suo corpo morbido, caldo. Ricordava ancora il calore che emanava: nessuna era mai riuscita a riscaldarlo come lei. Lei, che lo mandava a fuoco.
Vedendola avvicinare Scorpius si stampò sul viso un’espressione indifferente e un po’ maliziosa, che sapeva Rose odiava, aspettando una sua reazione. Ma lei neanche perse tempo a guardarlo: si fiondò nella camera.
«quanta fretta, Rose»
«dov’è Albus?» Scorpius strabuzzò gli occhi. Si sarebbe aspettato tutto, ma non quello
«a casa sua immagino. Se ti serviva una scusa per venire, potevi inventarne una migliore» le rispose chiudendo la porta
«non è a casa sua: Alice l’ha buttato fuori! Hanno litigato, non so per cosa. Ed io lo cerco da due giorni» Scorpius barcollò per tutte quelle notizie.
«che significa che l’ha buttato fuori?» chiese infine, sconcertato. Che fine avevano fatto i due piccioncini innamorati?
«non lo so! Fino a qualche giorno fa erano normalissimi e andavano d’amore e d’accordo! Non avevano nessun problema … tutto questo non ha senso. E Alice non vuole neanche dirmi cosa diamine è successo» Scorpius si sedette sul letto e si coprì il viso con le mani.
«hai provato a vedere se è in qualche hotel?» lei annuì
« in tutta Londra, sia babbana sia magica. Non c’è»
«Grimaould Place? È abbandonato, solitario e malinconico. Io andrei lì, se fossi nella sua condizione»
«già fatto. Anch’io pensavo di trovarlo lì. Ho visto anche alla Tana, la vecchia casa dei nonni» lui stette per qualche momento zitto, poi parlò con voce grave
«Rose vuoi un consiglio? Lascia stare. Se non è da nessuna di queste parti, significa che non vuole essere trovato. Lascialo solo»
«ma …»
«se voleva il nostro aiuto, lo avrebbe chiesto. Quando sarà pronto, verrà lui»
«non possiamo rinunciare così e basta»
«e che proponi di fare? Cercare in tutta l’Inghilterra? O magari in tutto il mondo? Potrebbe essere dappertutto a quest’ora» Rose sospirò, abbandonandosi all’evidenza. « e va bene. Ma se non si fa vivo entro una settimana denuncio la sua sparizione e vado a scovarlo, dovunque lui sia» lui si avvicinò e le mise una mano sulla spalla
«ovviamente sarò con te. Al è la mia unica famiglia, mio fratello» lei annuì
«grazie, allora»
«grazie a te per avermelo detto» lei fece un sorriso tirato
«te lo dovevo. Allora, buonanotte?» disse, dirigendosi verso la porta
«anche a te» le disse con un sorriso. Lei uscì e lui chiuse la porta alle sue spalle.
Avrebbe tanto voluto non doverlo fare. Si appoggiò a quell’unica cosa che li divideva e ascoltò i passi che si allontanavano.
Si odiò per questo. Lui non doveva volerla, non poteva punto e basta. La verità però era che avrebbe voluto stringerla tra le braccia e non lasciarla andare via mai più.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Era sabato pomeriggio. Era passata più di una settimana da quando Albus aveva deciso di darsi alla macchia e l’unica cosa che aveva impedito a Rose di andare a cercarlo era un minuscolo bigliettino, che lui aveva mandato ai genitori.
Diagon Alley era piena di gente quel giorno, c’era un chiacchiericcio continuo, un senso di allegria diffuso quasi dappertutto. Eppure lei era imbronciata. Non aveva voglia di passeggiare con Robert, né tanto meno di aspettarlo fuori al gelo, come stava facendo. E poi era offesa con Albus e anche con Alice, entrambi testoni che avevano deciso di chiudersi a riccio. Era sempre stata un tipo curioso e l’essere tenuta all’oscuro di qualcosa la mandava sui nervi.
Era appena uscita da casa di Alice, che non faceva che ripetere di stare bene, che fra lei e quell’idiotapatentatofigliodibuonadonna non c’era più niente. Aveva persino impacchettato e mandato a zia Ginny tutta la roba di Albus. Il motivo di quella rottura però, non lo aveva accennato neanche per sbaglio.
Così, quando Robert si presentò con i suoi dieci minuti di ritardo, non era proprio ben disposta nei suoi confronti.
«hey Rose, scusa per il ritardo, è solo che …».
«risparmiati le scuse.  Dove vuoi andare?» lui la guardò un po’ stupito per il suo comportamento brusco.
«io … volevo solo fare un giro con te» le disse con un mezzo sorriso, che la fece addolcire.
«anche io … è solo che per ora sono un po’ stanca. Non mi va di gironzolare» disse con gli occhi dolci.
«allora … casa, divano e una cioccolata?» lei gli sorrise. Robert era sempre stato così. Premuroso all’inverosimile, geloso a volte, ma sempre pronto ad aiutarla. All’inizio non era molto interessata a lui, ma quando lo aveva conosciuto, lo aveva amato. Era così semplice, che le era stato impossibile non innamorarsi di lui. All’inizio non era sicura. Insomma, lei era sempre stata attratta dalle cose impossibili, dai ragazzi più improponibili, dalle storie sbagliate.
Persino dopo Scorpius, quel ragazzo rotto dentro e completamente solo, le sue brevi e inconsistenti relazioni non erano state proprio facili. Aveva frequentato Aron Nott, il figlio di Theodor Nott, un ragazzo con qualche problema di gestione della rabbia e che fumava sigarette babbane di continuo. Diceva che lo facevano stare calmo. Fortunatamente era durata solo un paio di settimane e più che altro era stato un flirt: non era un tipo molto raccomandabile.
Aveva frequentato anche un paio di Lupi Mannari, due o tre ex detenuti di Azkaban, un francese presentatole da Louis, e anche un modello con problemi di depressione conosciuto all’ospedale. Il culmine però lo aveva raggiunto con un certo Stefan[1], un vampiro pallido che dopo un paio di uscite l’aveva quasi mangiata. Si era scusato, dopo, ma lei l’aveva chiusa lì: non le andava di essere il pasto di nessuno.
Era stato strano stare con una persona normale, dopo tutte quelle storie assurde. Ed era stato bello e piacevole, come un bagno caldo dopo una giornata faticosa.
«è per questo che ti amo» gli disse senza neanche pensarci. Si smaterializzarono mano nella mano nella casa di lui, decisamente più grande di quella di Rose. Lei si diresse subito verso il divano del salotto, dove si buttò a peso morto, esausta. Lo spiava con la coda dell’occhio preparare una cioccolata bella forte, come piaceva a lei, pensando che fosse proprio adorabile. Si arrotolò in una coperta che sapeva di casa, osservandolo. Non era certo il più bel ragazzo che avesse mai frequentato, ma di certo era quello con cui stava meglio. Era sbagliato voler stare bene? La sindrome della crocerossina doveva pur finire, prima o poi. Non poteva inseguire per tutta la vita uomini che non volevano stare meglio solo perché la prima volta aveva fallito.
Neanche Scorpius aveva voluto stare meglio, infatti. Anzi no, lui non aveva voluto stare meglio con lei. Aveva preferito rifarsi una vita, intraprendendo da solo un viaggio che per molti sarebbe stato impossibile, solo per dimostrare agli altri, e soprattutto a se stesso, che era in gamba e capace di affrontare ogni evenienza da solo. Soprattutto però, voleva essere migliore di suo padre. Lei non lo aveva mai accettato. Aveva teso la mano in suo aiuto e lui, orgoglioso fin nel midollo, aveva preferito cadere e rompersi.
E dopotutto andava bene, se lei adesso poteva avere un ragazzo che la capiva al volo, con la quale era bello stare, che la faceva sentire speciale e che la amava di più di ogni altra cosa. Lui le portò la cioccolata e le sorrise. Lei rispose al sorriso e gli stampò un bacio al sapore di cioccolata. Robert si mise dietro di lei, abbracciandola, e rimasero così, a coccolarsi.
***
Albus stava osservando l’infrangersi delle onde sulla sabbia, l’unione di due elementi, uno scontro continuo fra l’acqua e la terra. Aveva i sensi inebriati, lo sguardo perso sul mare, il sapore salmastro dell’acqua in bocca, le mani poggiate nella sabbia. Si lasciava cullare dallo sciabordio delle onde. Era quasi inverno, ma in quel luogo poco contava. C’erano dodici gradi, abbastanza da buttarsi in acqua e fare una nuotata, per poi asciugarsi con il vento. Il suo corpo era scosso dai tremiti, ma non importava: il suo cuore sanguinava. Quel dubbio aveva attecchito nella sua mente e adesso nessuno avrebbe potuto convincerlo del contrario. Era sempre stato un tipo testardo, sin da piccolo.
Il mondo gli era crollato addosso ed era irrilevante ciò che avrebbero potuto pensare gli altri. Gli serviva del tempo senza dover dare spiegazioni di nessun genere. Qualche giorno per riprendersi. Forse era sbagliato, ma avrebbe accettato le conseguenze del suo gesto. Avrebbero dovuto farsi bastare il biglietto che aveva scritto.
Tirò indietro la testa e respirò a pieni polmoni. Il cielo era azzurro nonostante fosse novembre inoltrato, anche se le prime striature di rosso cominciavano a fare capolinea all’orizzonte. Era l’ennesimo tramonto che vedeva solo. E aveva l’impressione che ce ne sarebbero voluti molti di più per poter pensare ad Alice senza avere l’impulso di piangere o urlare.
Stava disteso sulla spiaggia, quando una voce lo fece sobbalzare.
«ti prenderai un accidenti, se non ti asciughi»
«come mi hai trovato?» Scorpius si sedette accanto a lui nella sabbia.
«sono pur sempre il tuo migliore amico … e poi era scontato, dai. È strano che non ci abbia pensato Rose»
«non racconto certe cose a lei. E Alice …» fece una smorfia al pronunciare quel nome
«non sapeva dov’è questo posto» Scorpius annuì.
«non credi sia l’ora di smetterla con questa pagliacciata?» Albus scosse la testa.
«se tu sapessi che cosa è successo, non parleresti così»
«stupiscimi»
«non mi va di parlarne» la verità era che si vergognava a dirlo. Si era sentito umiliato nel profondo ed era troppo orgoglioso per ammetterlo.
«amico mi stai preoccupando. Insomma, hai lasciato Alice e non sai neanche dirmi il motivo?»
«non voglio parlarne. E poi chi ti dice che l’abbia lasciata io?» Scorpius strabbuzzò gli occhi
«ti ha lasciato lei? Ma Rose dice che è distrutta!»
«si chiamano lacrime di coccodrillo» Scorpius non ribatté. Gli sembrava strano, conosceva bene Alice Paciock e sapeva che non si sarebbe mai comportata in quel modo. Se non altro, perché amava Albus. E Albus ricambiava. Il suo cervello non riusciva a trovare una spiegazione logica a tutto quel casino.
«Al io davvero non capisco. Insomma, non vuoi parlarne? Ok va bene. Che bisogno c’era di accamparsi in questa spiaggia, che probabilmente ti ricorda lei più di qualsiasi altro posto nel mondo, senza dire niente a nessuno?»
«non voglio vedere nessuno, neanche te. Quindi, se non devi dirmi qualcosa come “è scoppiata la terza guerra magica”, ti prego di andartene» gli disse con freddezza
«volevo solo vederti, Al. Se per te è così penoso, posso anche andarmene» gli rispose alzandosi. Capiva che non era il caso di discutere con lui.
«no, senti … Rose? È tutto ok?» Albus teneva lo sguardo basso.
«credo di si. L’ultima volta che l’ho vista voleva venire a cerarti, ma è stato prima che mandassi quel biglietto ai tuoi» lui annuì
«deve averla a morte con me» Scorpius non ribatté e Albus continuò.
«e tu? È tutto ok?»
 «niente è ok, Al, ma questo già lo sai. E tu invece non vuoi dirmi che diavolo ti passa per la testa»
«tu ti lamenti sempre, amico. Non c’è una volta che a questa domanda hai risposto semplicemente “bene”» disse con voce placida, evitando la domanda di Scorpius
«e tu, invece, hai voglia di litigare »
«no davvero, sempre a lamentarti per Rose, a dire quanto sia ingiusta la vita, a detestare tuo padre e tutta la tua settima generazione. Ci pensi mai a vivere e basta?» Scorpius strinse i pugni, per trattenersi dal tirargliene uno in pieno viso
«scusami amico, se ho qualche problema. Sai, mentre tu fai il melodrammatico qui, e ti nascondi per evitare di dire quanto sei stato coglione, anche io sto affrontando delle situazioni di merda. Eppure sono qui, e sto cercando di parlare con il mio migliore amico, che non fa altro che attaccarmi!»
«io non sono stato coglione! E i tuoi problemi poi, quali sarebbero? Il fidanzato di mia cugina? Beh sveglia, tu l’hai lasciata e lei è stata con un’altra marea di ragazzi. Sembri un bambino capriccioso, che non vuole prestare il suo giocattolo, anche se non sa che farsene!»
«Rose non è un giocattolo!»
«non è questo il punto. Lo sai quanto ha pianto, quando l’hai lasciata? Lo sai? No, perché c’ero io là, con lei. Lo sai che cercava te in ogni ragazzo che vedeva per strada o in ogni lettera? No. E tu non mi hai mai detto le tue ragioni, eppure ho continuato a esserti amico, nonostante tu avessi spezzato il cuore della mia cugina preferita. Adesso sono io a chiederti di non fare domande. Ora dimmi perché sei qui, visto che sono sicuro che avessi capito fin dall’inizio dov’ero» Scorpius scosse la testa
«avevo bisogno di te. E non c’entra nulla tua cugina, per una volta. Volevo solo avere qualcuno accanto …» sospirò poi guardò meglio l’amico. Albus lo aveva ferito, ma non lo avrebbe mai ammesso. 
«sono stato egoista? scusami. Tu hai i tuoi problemi e se vuoi stare solo … ok. Me ne vado» disse con freddezza poi girò i tacchi e cominciò a camminare verso la strada, diretto verso un luogo sicuro dove potersi smaterializzare
«Scorpius aspetta» disse Albus con una nota di preoccupazione nella voce. Scorpius di solito cercava di essere indipendente, non aveva quasi mai ammesso di aver bisogno di aiuto.
Scorpius si fermò e si girò a osservarlo. I suoi occhi erano quasi azzurri a causa del mare, ma erano completamente vuoti.
«che succede?»
«niente d’importante» sussurrò prima di girare i tacchi e andare via spedito, il più velocemente possibile.
Si materializzò a Hogsmeade. Non c’era ancora stato, da quando era tornato. Cominciò a passeggiare, fino a che non si ritrovò in quel punto, al limitare del villaggio dietro una grande casa abbandonata.
Gli sembrava di essere di nuovo un ragazzino, felice di scorrazzare in quel luogo di nascosto sotto il mantello di James. Suo padre non aveva mai voluto firmargli il permesso: aveva potuto lasciare la scuola regolarmente solo al settimo anno, quando era già maggiorenne.
Aveva l’impressione che da un momento all’altro tutti i suoi amici avrebbero girato l’angolo e lo avrebbero trovato nel solito punto per poi offrirgli una burrobirra presa ai tre manici di scopa.
Ma non venne nessuno, tranne il freddo. Si appoggiò al muro sporco e si lasciò cadere giù. Seduto sul pavimento gelato, iniziò a piangere con la testa fra le ginocchia. Non riusciva a farne a meno, i singhiozzi lo scuotevano, le lacrime gli inondavano gli occhi. Ricordò che qualcuno una volta gli aveva detto che piangere per un buon motivo non è mai segno di debolezza, ma di umanità.
E lui pianse ancora più forte.


 
[1] chiaro riferimento a "The vampire diaries". Non ho saputo resistere!!

Hey

Questo capitolo è stato un parto! Non sapevo che scrivere, non andava mai bene niente e non sono neanche tanto soddisfatta. Quindi se avete consigli da darmi, mi fareste un enorme favore!! 
Spero vi sia comunque piaciuto e che continuerete a leggere questa storia ;) 

 

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Quel giorno all’ospedale non c’era molto da fare. Era una di quelle fredde e placide giornate in cui c’era solo da curare emicranie dovute al freddo o qualche intossicazione dovuta a pozioni fatte male. Niente di grave, comunque.
La sala d’attesa era praticamente vuota e Rose, infreddolita e annoiata, stava cercando di defilarsi per andare qualche minuto al bar. Aveva un estremo bisogno di qualcosa di caldo. Così, lasciando gli unici due pazienti alle cure del suo collega, sparì nell’ascensore. Arrivata al sesto e ultimo piano si diresse spedita verso il bar.
«cioccolata?» la barista, Emy, la conosceva bene, ormai. Le rispose con un sorriso.
«si, grazie. Giù al pianterreno si congela» Emy si girò e cominciò a preparare la cioccolata, solo allora Rose si guardò intorno. C’erano poche persone, due anziani seduti nelle poltroncine, una due donne, una incinta e l’altra probabilmente un’amica o la sorella e un ragazzo biondo che guardava fuori la finestra. Gli dava le spalle ed era appena visibile da dietro una pianta. Sembrava quasi volersi nascondere. Rose aggrottò le sopraciglia. Possibile che … si diresse verso di lui con passo deciso, mentre Emy la guardava un po’ stupita.
«Scorpius?» chiamò quando fu abbastanza vicina. Lui non rispose ma sospirò
«Scorpius Malfoy, cosa ci fai qui?» fu allora che lui si decise a voltarsi e a guardarla in faccia.
«di solito che si fa in un ospedale?» chiese lui con fare ovvio.
«si ci cura. Ma tu stai benissimo, come posso purtroppo constatare» Scorpius sbuffò
«sto facendo dei controlli»
«tu non faresti mai dei controlli! E anche se fosse potevi farli in America. Perché mi segui?»
«Rose il mondo non gira intorno a te. Sto facendo dei controlli, non posso? Se volevo seguirti, avrei fatto a botte con qualcuno e poi sarei venuto al pronto soccorso! Non mi sembra che tu faccia la barista qui» Rose prima arrossì per l’imbarazzo e poi per la rabbia collegando le sue parole con qualcosa accaduto di recente.
«tu l’hai fatto apposta! L’altra volta, sapevi che lavoravo al pronto soccorso» fu il turno di Scorpius di arrossire. Si era fregato con le sue mani
«beh può essere. Comunque non sono qui per te adesso. Ora ti consiglio di andare, la cioccolata si raffredda»  lei aggrottò le sopraciglia
«come fai a … oh ma chi se ne frega!» disse, poi gli voltò le spalle, pagò il conto e prese la cioccolata. Lui non la seguì né iniziò a fissarla. Semplicemente, si rimise nella posizione di prima, ignorandola.
Era la prima volta che Scorpius perdeva l’occasione di rompergli le pluffe, non lo aveva mai fatto, né a scuola né durante quelle poche settimane. Rose lo osservava con la coda nell’occhio, sospettosa. Sembrava pensieroso e … preoccupato. Aveva l’espressione di chi aspetta qualcosa e spera allo stesso tempo che la risposta non arrivi mai. Era un’espressione che si vedeva in molta gente lì, all’ospedale, ma mai avrebbe pensato di vederla su di lui.
Scorpius fremeva, fermo nel suo angolino. Rose lo stava fissando spudoratamente e la cosa lo mandava sui nervi: insomma, non era lì per lei e voleva essere lasciato in pace. Allo stesso tempo però aveva bisogno di qualcuno, chiunque, con cui parlare. Con uno sforzo si alzò e la raggiunse
«allora, perché mi fissi? Sono così irresistibile da non potermi staccare gli occhi di dosso?» Rose sbuffò
«sto cercando di capire cosa ci fai qui»
«te l’ho detto. Aveva bisogno di fare un controllo»
«di che genere?»
«perché t’interessa?» Rose lo fissò un attimo, forse confusa o stupita dal suo tono serio.
«Scorpius, è tutto ok?» era preoccupata. Lo capì dai suoi occhi, fissi su di lui e un po’ spaventati. Il cuore gli si riempì di calore, per un solo secondo. Voleva dire che ancora un poco le importava di lui. E in quel momento aveva bisogno solo di quello, se ne fregava che fosse sbagliato. Aveva una paura fottuta e tanto bisogno di qualcuno con cui parlarne.
«ultimamente ho avuto … dolori» quelle parole gli costarono uno sforzo notevole, Rose ne era consapevole, per questo non insistette e aspetto che lui continuasse.
«in tutto il corpo. In certi momenti è come se il sangue mi bollisse dentro le vene e fa un male cane …» stava tremando leggermente così Rose gli prese la mano.  Non riuscì a trattenersi, vederlo in quello stato era terribile.
«sono cominciate una paio di settimane fa, poco dopo che sono tornato. Io non ho idea di cosa sia, ma ...» non riuscì a completare la frase, in imbarazzo.
«hai paura. Vedrai, non sarà nulla di grave. E poi ci siamo qui io e Albus e tutti quanti. Non sei solo» lui la guardò per un attimo
«non voglio la tua compassione. Tu mi odi, com’è giusto che sia, ed io me lo merito» la malinconia gli ripiombò addosso. Sapeva di aver ragione e quella consapevolezza lo riempiva di sconforto. La sua vita era un totale disastro.
«già te lo meriteresti, però non riuscirei a odiarti in ogni caso, pensa poi in una situazione del genere»
«beh invece dovresti … » lei gli sorrise
«oh lo so! Ma lo sai che finisco sempre con l’aiutarti, in qualche modo. È sempre stato così» lui prese un profondo respiro.
«dovresti tornare al lavoro …» era stato sul punto di implorare perdono, di dirle che l’amava, chiederle di tornare con lui magari facendo leva su qualsiasi cosa avesse che non andava. Ma in quel modo avrebbe buttato al vento tutti quegli sforzi per stargli lontana e proprio non gli andava.
Rose dal canto suo si sentiva una stupida. C’era di nuovo cascata, si era avvicinata e lui l’aveva allontanata come sempre. Era un copione che si ripeteva da troppo tempo, non ne poteva più.
«si, hai ragione. Buona fortuna» era tornata fredda, come doveva essere. Finì in un sorso quel che restava della cioccolata e si affrettò a tornare all’ascensore.
Scorpius la guardava allontanarsi. Perché si faceva quello? Era una continua tortura, e poi per cosa? Se risultava che era anche malato aveva buone possibilità di rimanerci secco. Non conosceva nessuna malattia con i suoi sintomi, aveva fatto delle ricerche. La paura lo stava invadendo così come il rimpianto. Si passò una mano sul viso e sospirò.
Sperava solo di non dover soffrire troppo.
***
Albus era in uno squallido albergo, vicino alla spiaggia dove aveva passato parecchio tempo in quegli ultimi giorni. Si stava riprendendo anche se non era ancora deciso a tornare a casa, quando un gufo planò di fronte la sua finestra.
Era Rose. Alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Era la milionesima lettera che gli scriveva e quasi era tentato di buttarla nel cestino senza neppure aprirla.
Caro Albus
Non ti sto scrivendo per chiederti di tornare a casa, te lo sto ordinando. Stamattina ho visto il tuo migliore amico al S. Mungo, pallido come uno straccio. Sai che faceva? Dei controlli. Scorpius Malfoy che fa dei controlli! Sarebbe esilarante se non fosse che probabilmente ha una brutta malattia. Mi ha detto che a volte si sente il sangue infuocato nelle vene. Ho paura di avere capito cosa abbia. Spero di sbagliarmi, ma se ho ragione, avrà bisogno di te. Sei l’unico che gli è rimasto.
Non fare il bambino, questo è molto più importante dei tuoi drammi amorosi.
Rose
PS: ho una paura matta, Al.
Albus dovette leggere tre volte prima di essere sicuro di aver capito bene. Stringeva la lettera in mano con forza, rischiava quasi di strapparla. Era questo che intendeva Scorpius, quando qualche giorno prima era andato a parlargli. Si sentì la persona più spregevole del mondo per averlo trattato in quel modo. Aveva lo strano impulso di battere ripetutamente la testa sulla parete.
Nel giro di cinque minuti era nella hall e stava pagando il conto.
Era ora di tornare a casa
***
Alice aveva un bel barattolo di gelato al cioccolato in mano e una coperta sulle spalle. Era l’incoerenza fatta in persona: insomma stava congelando e mangiava gelato! Sapeva, però, di averne bisogno. Il gelato è l’unico rimedio ai guai
Era uno straccio, la notte non riusciva a dormire e il giorno al lavoro era sempre distratta. Stava male e gli mancava quel demente che aveva cacciato da casa. Eppure era troppo orgogliosa perché andasse a cercarlo. Orgogliosa e anche arrabbiata. Lui l’aveva accusata di averlo tradito senza nessuna logica, si era inventato mille storie per non ammettere di aver fatto un errore e di doversi sorbire delle responsabilità.
E lei lo amava con tutta se stessa ma non poteva fare nulla se non stare lì a mangiare gelato. Aveva cercato di evitare quel discorso con tutti, non voleva parlare con nessuno. Voleva solo annegare nelle sue stesse lacrime, annullare assolutamente quella mattina, riviverla in maniera diversa.
Immersa nei suoi pensieri, sussultò quando sentì suonare il campanello. Posò il gelato sul tavolo e si affrettò ad andare ad aprire, portandosi dietro la coperta. Guardò dallo spioncino e sgranò gli occhi.
Aprì la porta e sorrise al ragazzo che gli stava di fronte. O almeno, ci provò: quello che fece sembrava più una smorfia che un sorriso.
«Scorpius, che fai qui? Se cerchi Albus non è …»
«si lo so. Cercavo te, infatti» lei rimase stupita. Era sempre legatissima con Scorpius, fra le mille proteste di Rose che lo mal sopportava, ma quando succedevano certe cose lui stava sempre con Al.
«entra …» si fece da parte e lui passò, poi chiuse la porta alle loro spalle.
Alice era alta quasi un metro e settanta, molto per una ragazza. Si lamentava spesso che non poteva mettere i tacchi, perché Albus era alto quasi quanto lei. Era magra, anche se questo era frutto di una dieta costante: fino a quindici anni era stata abbastanza in carne da essersi guadagnata l’appellativo di polpetta. Aveva i capelli castani lunghi fino alle spalle e il viso tondo con due occhi grandissimi e quasi sempre accesi. In quel momento però non lo erano poi tanto. Aveva una felpa larga e una tuta, i capelli tirati in una coda e le occhiaie viola per tutte le notti passate a piangere. Insomma non era un bello spettacolo.
Andarono in salotto, dove lei riprese con convinzione il gelato. Scorpius la guardava rassegnato.
«Ali, so che probabilmente non ti va di parlarne con me, ma mi piacerebbe capire cosa è successo, perché Al è sparito dalla faccia della terra, tu sembri caduta in depressione e soprattutto perché diamine non siete la coppietta felice che eravate fino a nemmeno un mese fa» lei scrollò le spalle.
«chiedilo al tuo amico»
«l’ho già fatto, ma non ha voluto rispondermi. Sai dov’è? Nella spiaggia dove ti ha portata quella volta. La vostra prima volta. Perché lo hai lasciato?» lei si indignò
«io non l’ho lasciato! È lui che si è inventato mille cose, solo perché non riesce ad ammettere di aver sbagliato! Non vuole prendersi le sue responsabilità, benissimo! Non me lo aspettavo ma va bene così … non si azzardi però a dare a me la colpa!» Scorpius si mise letteralmente le mani ai capelli.
Vedi tu cosa mi tocca fare, dopo una giornata del genere pensò il biondo. Ma l’affetto per quei due testoni era tanto e poi voleva impegnare la mente con qualcosa che non fosse il suo piccolo grande problema.
«Ali, Albus è completamente innamorato di te. Non può essersi inventato tutto»
«no? Io dico di si» lui alzò le braccia, come per arrendersi
«bene. Allora dimmi che si è inventato, così potrò darti ragione!» lei sbuffò
«che importa, tanto fra noi è finita comunque. E poi tu dai sempre ragione a lui» Scorpius le mise le mani sulle spalle.
«non è curiosità. Voglio solo aiutarvi» era sincero e Alice lo sapeva. E poi non ne poteva più di tenersi tutto dentro, così esplose, come una bomba a orologeria.
«sono incinta. E lui non fa che ripetere che non può essere suo perché ha fatto attenzione ed è tornato da poco da quel maledetto viaggio di lavoro. È convinto che io l’abbia tradito … » disse poi scoppiò a piangere sul petto di Scorpius che rimase paralizzato, sia per la sorpresa che per l’assurdità di quella situazione.
 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Scorpius si chiuse la porta della camera d’albergo alle spalle. Il rumore della serratura che si chiudeva diede inizio a tutto.
Era parecchio bravo a nascondere le sue emozioni, ma farlo dopo una notizia di quella portata aveva quasi sconvolto anche lui. Si sarebbe complimentato con se stesso, se non avesse avuto altri pensieri per la testa. Si guardò intorno disorientato, quasi stupito di essere lì, stupito di esistere. Osservò le sue mani, grandi lisce e chiare con una leggerissima peluria bionda, le unghie smangiucchiate: tremavano. Si abbandonò sul letto e il suo respiro diventò affaticato, le spalle iniziarono a tremare, la vista gli si annebbiò: scoppiò a piangere, singhiozzando senza alcun ritegno, senza riuscire a fermarsi, proprio come un bambino. Ma che importava, dopotutto? Gli era impossibile anche solo pensare, era accucciato su se stesso, come a voler scomparire. Ed effettivamente, voleva scomparire: la sua vita era un misero fallimento, un errore enorme, un qualcosa che non doveva neppure esistere, innaturale, abominevole.
C’era qualcosa di peggio, però. Non sapeva cosa le innescasse, ma mentre cercava conforto nelle lacrime, lentamente il calore che precedeva gli attacchi lo invase. Il cuore cominciò a battere più veloce per la paura, il terrore, che ormai lo attanagliava continuamente e non lo lasciava mai, neppure quando dormiva.
Quando sarà la prossima? Era una domanda che si poneva continuamente.
Un caldo insopportabile cominciò a spargersi nel suo corpo, concentrato sul cervello e nella cassa toracica. Gemette e si stese tremando nel letto, aspettando il buio che veniva a prenderlo.
Con Rose aveva minimizzato. Quelli non erano semplici dolori e lei lo aveva capito, ne era certo. Già il fatto di essersi presentato al S. Mungo faceva intendere che la cosa era ben più grave di quello che lui diceva. Il caldo lentamente si diffuse anche in tutti gli arti, fino alla più piccola parte di lui, mentre il calore in testa diventava vero e proprio fuoco. Urlò, mentre il dolore lo accecava e lui si raggomitolava in posizione fetale stringeva le lenzuola per aggrapparsi a qualcosa.
Erano sempre più lunghi, quei dannati attacchi. E lui ogni volta era consapevole di tutto il suo corpo, che bruciava da dentro e lo logorava. Avvertiva lo scorrere di ogni singola frazione di secondo che passava, sembrava quasi che il tempo rallentasse. Era peggiore di un cruciatus e lui lo sapeva, poiché lo aveva sperimentato sulla sua pelle, una volta. Era peggiore di qualsiasi altra cosa.
E molto probabilmente non era curabile.
***
Rose si alzò assonnata dal letto. Erano le tre del mattino ed era stata svegliata da un incubo. Si guardò intorno per un attimo, disorientata, prima di capire che era da Robert. Sospirando di frustrazione iniziò a cercare qualcosa da mettersi addosso, perché aveva tutta l’intenzione di alzarsi e non voleva congelare. Alla fine, rassegnata, scelse un’enorme vestaglia del suo ragazzo.
Quella notte aveva avuto bisogno di conferme, che non erano mai arrivate.
Aveva chiesto di Scorpius, quando aveva finito il turno, qualche ora dopo aver scritto ad Al. Aveva ragione, come sempre, anche se per la prima volta aveva sperato di aver commesso un errore. Aveva ragione e il suo primo istinto era stato di correre da lui e non lasciarlo più, stringerlo e sentirsi dire che quello era solo uno scherzo, che lui non l’avrebbe lasciata più e che si sarebbe fidato di lei, l’avrebbe lasciata entrare e non le avrebbe mai più permesso di allontanarsi. Ma non poteva. Lei amava Robert, giusto? E così era andata dal suo ragazzo.
Ma perché non pensava a lui mentre facevano l’amore? Perché aveva sognato Scorpius freddo e rigido, dentro una cassa, morto e la cosa l’aveva sconvolta tanto? Aveva voglia di piangere davanti quella finestra che osservava ormai da quasi un’ora, il cuore gonfio e tanta voglia di tornare indietro nel tempo e riprovare a fare tutto d’accapo.
Non c’era tempo. Era finito, senza che lei potesse fare niente. La invase un senso d’impotenza e di spossatezza di tristezza e nostalgia che la fecero soffocare, per un attimo. O forse per ore.
Immobile, il suo corpo non rispondeva a nessun comando, guardava scorrere la città, senza vederla realmente, nella mente l’immagine straordinariamente nitida del cadavere dell’unico ragazzo che era riuscito a farle battere forte il cuore.
Il giorno dopo Robert la trovò in quella posizione e lei non riuscì a rispondere alle sue domande. Il senso di colpa la divorava.
E odiò di nuovo Scorpius per il modo in cui stava sconvolgendo un’altra volta la sua vita.
***
La pioggia, che sarebbe presto diventata neve poiché dicembre era alle porte, continuava a scendere per le finestre di quella che era stata la sua casa da che aveva finito la scuola. Quando era andato a convivere con Alice, “per una soluzione provvisoria”. I mesi erano diventati anni e loro due avevano finito per abitare stabilmente in quella casa un po’ piccola e modesta. Sarebbe stato un duro colpo lasciarla, c’erano troppi ricordi, belli e brutti, che erano parte della loro vita.
Eppure adesso era inevitabile, Albus lo sapeva. Vedeva gli scatoli ammucchiati vicino la finestra più grande, nel salone. Alice passava da una stanza a un’altra come un fantasma, nascondendo il motivo di tutto quel disastro dentro di lei.
Lo odiava quel bambino. Doveva essere dal suo migliore amico ma prima aveva voluto fare un salto nella sua vecchia casa e si era incantato a guardare la sua ormai ex ragazza darsi da fare per buttare via tutti i loro ricordi, tutto quello che avevano costruito insieme, come se per lei Albus fosse significato quasi niente. Era sconcertante e rimanere lì a guardarla era puro masochismo ma lui non riusciva a muoversi. L’istinto era di correre ad abbracciarla e rimettere tutto a posto e scusarsi e fare l’amore in tutte le superfici di quella casa. Poi però cosa avrebbe fatto con quel bambino?
Non poteva essere suo, ne era certo. Era tornato da appena due settimane quando lei gli aveva comunicato la notizia, era scientificamente impossibile, soprattutto perché lui aveva sempre fatto attenzione.
E poi non voleva fare da padre a nessuno, men che meno a uno che non era neppure suo figlio: non si sarebbe tenuto le corna. No, sarebbe rimasto lontano da lei, anche se era come stare costantemente sott’acqua. Alla fine, lo sapeva, sarebbe annegato.
Quello che non capiva era come Alice avesse potuto fargli una cosa del genere, tradirlo, mentirgli, fare finta di nulla … non era da lei. Una vocina nella sua testa gli diceva che non poteva averlo fatto ma Albus non la ascoltava. Dopotutto, a lui conveniva così.
Fu colto alla sprovvista quando lei uscì dalla porta d’ingresso due grossi sacchi dell’immondizia in mano. Lei lo vide e sussultò per lo stupore. Posò i sacchi a terra e lo guardò da lontano con aria di sfida, poi aprì un sacco e gli mostrò il contenuto. Erano peluche. Quelli che lui le aveva regalato e che a lei piacevano tanto, quelli con cui dormiva la notte quando Albus non c’era.
Richiuse i sacchi e camminò spedita verso i cassonetti, lasciandoli poi cadere dentro con un tonfo. Lui la guardava, incapace anche di muoversi. Rabbia, frustrazione, paura e tristezza si mischiarono vorticando in lui, sentimenti confusi che Albus stesso non riusciva a decifrare.
Lei tornò in casa e si chiuse dentro, poi tirò le tende. Solo allora Albus riuscì a camminare, a correre, per raccogliere qualche pezzo della loro storia. Ma non andò da lei, si diresse piuttosto verso i cassonetti. Recuperò dalla spazzatura tutti i peluche, un macigno nel petto che rischiava di farlo sprofondare ancora più giù. Li prese a uno a uno poi si smaterializzò nella sua vecchia stanza, li pulì e li conservò in una scatola. Non sapeva perché lo faceva, l’unica cosa che voleva era non perdere anche quelli. Magari un giorno avrebbe avuto la forza di separarsene, ma non era quello il momento. Seduto, solo nella sua camera, si guardava intorno spaesato. Non sentiva più quel luogo suo, rispecchiava più il ragazzo che era a diciassette anni: i poster delle Holly Arpies e dei cantanti del momento, ritagli di giornale sulla sua famiglia e foto con i suoi amici, qualche pupazzo di quando era bambino che non aveva mai voluto buttare. Le pareti erano rosse e oro, i colori della sua casa, e nella testiera del letto c’era una bandiera con l’emblema grifondoro. Guardarsi intorno gli metteva nostalgia: non vedeva l’ora di andarsene e lasciare quel reliquario impolverato della sua adolescenza.
Qualcuno bussò alla porta, poi il viso ormai invecchiato di Harry Potter fece capolinea nella sua camera. Guardò il figlio sospirando poi incrociò le braccia.
«sai, avevo fatto l’abitudine a non avervi più tra i piedi …» disse accennando un sorriso. La battuta fu totalmente ignorata da Al, concentratissimo sulle sue mani. Harry sospirò e andò a sedersi accanto a lui sul letto.
«Al non credi che dovreste per lo meno parlare? Non so cosa è successo con Alice ma finirla così … non è degno di voi» disse onestamente cercando di guardare il figlio in faccia.
«non è così facile come credi» Harry inarcò un sopraciglio. O almeno, ci provò: quello che ottenne era solo una strana smorfia, ma rendeva l’idea.
«Ah, no? E perché? C’è un drago che t’impedisce di bussarle alla porta?» chiese sarcastico.
«papà, scordati di Alice. E comunque, appena trovo casa, mi trasferisco, non preoccuparti».
«non è quello che mi preoccupa, lo sai. Sei stato via per quasi due settimane, è ovvio che sei sconvolto e che non vuoi parlarne con me. Ma fai un favore a te stesso: se proprio devi chiudere con Alice, fallo in modo lucido, non in preda alla rabbia. Parlate, ditevi le vostre ragioni e i vostri rimpianti: se dopo non cambierai idea, allora non avrai niente da rimproverarti. Così invece …. Sei nell’occhio del ciclone, alla fine si scatenerà l’inferno fra di voi» Albus annuì.
«grazie del consiglio» Harry gli diede una pacca sulle spalle poi uscì, con la speranza che si aggiustasse tutto. Albus si rendeva conto che il padre aveva ragione.
Parlare era l’unico modo di risolvere le cose ma proprio non ce la faceva ad abbassarsi per primo. Non voleva farlo e basta. Sentiva di essere nella ragione e non vedeva perché dovesse essere lui a fare il primo passo e non il contrario. Inoltre, cosa avrebbe mai avuto da spiegare Alice? Perché lo aveva tradito? Non era neanche certo di volerlo sapere.
Comunque non era il momento di pensarci: doveva vedere Scorpius, subito. Si alzò e si lasciò la cameretta alle spalle, avvisando i genitori che usciva con una smorfia: era abituato a fare come gli pareva, ma sapeva quali erano le regole lì. Una di queste era avvisare prima di uscire.
Irritato quanto mai e spaventato per il suo migliore amico, Albus uscì nel temporale che non dava tregua alle strade. La pioggia era fittissima e la nebbia non lasciava vedere a un palmo dal viso. Il freddo era pungente. Attraversò il giardino e si fermò fuori la porta.
Poi girò tre volte su se stesso e scomparve con un pop, mentre la sensazione sgradevole della materializzazione lo avvolgeva.
 
 

Hola!!

Questo capitolo serviva solo per capire meglio quello che provano i personaggi principali, è da considerare di passaggio anche se ha una sua importanza nella comprensione della storia, soprattutto per quanto riguarda Al.
Spero vi sia piaciuto ma davvero mi piacerebbe avere qualcuno dei vostri pareri, che siano belli o brutti non importa.
Ps: qualcuno può dirmi come mettere le immagini? Non riesco a caricarle, anche se ho Albus e Scorpius pronti :S

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Rose sorrideva educatamente, mentre il direttore del S. Mungo le affidava il compito di occuparsi di un caso affetto da una rara forma d’ignis draconis. Non c’erano stati molti volontari, sia per il nome del paziente che per la rarità della malattia, conosciuta da pochi. Le era bastato insistere un po’ e il ruolo era stato suo.
In un altro caso sarebbe stata felice per la promozione, quella volta però non poteva fregargliene di meno, non era per i soldi o per la sua carriera che aveva voluto quel ruolo. Aveva fatto di tutto per ottenerlo perché quel paziente era Scorpius e nessuno lo avrebbe capito e aiutato meglio di lei, era un dato di fatto. Inoltre sentiva il bisogno fisico di stargli vicino, nonostante si ripetesse che ciò non c’entrasse nulla la loro storia di anni prima.
Si era convinta che l’apprensione provata qualche sera prima fosse normale dopo una scoperta di quella portata. Era rimastra sconvolta di saperlo malato e nonostante non lo amasse più, in un certo modo era comunque legata a lui. Non significava però che provasse qualcosa per Scorpius.
Prese nelle mani il fascicolo con le analisi e i dati del paziente e si ritirò nel suo nuovo ufficio. Era bianco, come il resto dell’ospedale, con una grande finestra dietro la scrivania in teak, con due sedie davanti e una poltroncina dietro. Accanto la scrivania aveva una libreria sempre in teak quasi vuota, dove aveva cominciato a mettere tutti i libri che trovava dove era anche solo accennata la malattia di Scorpius. Davanti alla porta c’era un grande tappeto blu e di lato un lettino per le visite e un tavolino con gli strumenti che le servivano.
Ovviamente le operazioni più importanti sarebbero state svolte dal direttore, così come le ricerche per la cura, ma tutto il resto era affidato a lei. Avrebbe collaborato nelle ricerche e si sarebbe occupata di tutto ciò che lo riguardava. Era un caso molto, molto raro, documentato poche volte e difficile da seguire, sarebbe stato complicato ma ci sarebbe riuscita.
Ovviamente adesso avrebbe dovuto spiegare a Robert perché era diventata la Medimaga personale del suo ex ragazzo, ma poco importava. Avrebbe dovuto fidarsi, anche perché per le condizioni che presto avrebbe avuto Scorpius il massimo che poteva fare, era stringerle la mano. Il pensiero le fece venire voglia di piangere, così cercò di cacciarlo via. Lei lo avrebbe salvato. Era o non era la figlia di Hermione Granger? Ci sarebbe riuscita.
Quel pomeriggio Scorpius si presento alle tre e mezzo, puntuale come Rose non lo aveva mai visto e un po’ pallido. Odiava gli ospedali, era un qualcosa che non aveva mai capito: tutto quel bianco e la puzza di disinfettante gli aveva sempre messo agitazione.
Rose lo guardò entrare e chiudere la porta, per poi rimanere impalato a fissarla. Lei ricambiò il suo sguardo con un sorriso timido, mentre lui restava immobile. Poi, finalmente, parlò con voce gracchiante.
«che ci fai qui?» era sconvolto, notò Rose. E forse anche un po’ arrabbiato.
«lavoro?» lui la fulminò.
«tu lavoravi al pronto soccorso fino a due giorni fa: perché non sei lì?» le chiese stringendo gli occhi. Lei arrossì un poco ma non abbassò lo sguardo.
«beh ho accettato un nuovo incarico, devo seguire il tuo caso» disse lei cercando di non far trasparire quanto aveva combattuto per avere quel ruolo.
«non ti voglio» disse lui con sguardo fermo. Lei lo guardava negli occhi, scuriti dalla rabbia o forse dalla paura. Rose aprì la bocca e poi la richiuse. Non aveva pensato che lui potesse reagire in quel modo. Credeva che lui la volesse vicino. Si sentiva umiliata, ma cercò di non darglielo a vedere, anche se non poté evitare di stringersi nelle spalle, come per rimpicciolirsi. C’era rimasta veramente male.
Lui parve notarlo, perché si addolcì un poco.
«Rose non voglio che tu mi veda ridotto a uno straccio. Per favore …» Rose capì e si diede della stupida. Non aveva fatto i conti con il suo gigantesco orgoglio.
«Sai che qui sono quella che s’impegnerebbe di più per aiutarti, no? Nonostante tutto, ti voglio bene … e tu ti fidi di me. Metteresti la vita nelle mani di uno sconosciuto?» gli chiese, facendo leva sulla sua difficoltà a fidarsi. Le persone cui avrebbe affidato la vita potevano contarsi sulle dita di una mano.
«Rose io non …»
«è perché ti vergogni di stare male? Poteva capitare a chiunque, e poi non sarebbe neanche la prima volta che ti curo!» lui sbuffò. Nonostante odiasse quella situazione, dovette dargli ragione.
«e il tuo fidanzato? È felice della tua promozione?» a Rose si arrossarono le orecchie e lui lo notò, nonostante lei si fosse data da fare per coprirle: la conosceva troppo bene, almeno in quelle piccole cose.
Poteva anche non sapere più i particolari della sua vita ma nei piccoli gesti era sempre lei.
L’altruismo, la voglia di combattere per ogni cosa, il coraggio e l’intelligenza erano sempre in lei, che era ancora testarda, orgogliosa, timida e sbadata.
Il suo carattere era quello che ricordava e lui lo amava da sempre. Credere di poterla dimenticare era stata solo una grande illusione, anche quando c’era quasi riuscito.
Non che importasse, ormai. In pratica era felice di morire. Non aveva nessuna voglia di lottare, nonostante il suo animo gli dicesse il contrario. Era un guerriero, aveva combattuto per tutta la vita e adesso non ne poteva più. Non sarebbe riuscito a suicidarsi, non era un codardo e si diceva che avrebbe continuato a vivere a testa alta. Quella malattia però gli avrebbe dato l’occasione di mettere fine a tutto senza dover fare niente. Doveva semplicemente restare lì aspettando che la vita che lo abbandonasse.
Non voleva che Rose assistesse però, lei lo avrebbe spinto a lottare, avrebbe fatto emergere la parte di se che non voleva arrendersi e che gli urlava a squarciagola di sopravvivere. Lei avrebbe fatto uscire quella parte di lui che aveva voglia di vivere una vita felice, anche solo per un giorno.
Rose lo guardava senza rispondere le orecchie rosse e le labbra strette.
«non glielo hai detto vero?» aggiunse qualche istante dopo.
«non siamo qui per parlare di me e del mio ragazzo. Dovrei visitarti, quindi … » gli indicò il lettino.
«devo togliere la camicia?» le chiese con un che di malizioso. Lei non arrossì ma alzò lo sguardo.
«mi sembra ovvio» gli rispose impaziente. In quel momento si pentì di aver voluto a tutti i costi quell’incarico, perché sapeva che lui non le avrebbe reso vita facile. Almeno fino a che ne avrebbe avuto la forza, l’avrebbe tormentata.
Scorpius comunque era tornato serio, si sfilò velocemente la camicia a la appoggiò sulla sedia di fronte la scrivania, poi si diresse verso il lettino sotto il suo sguardo. Gli occhi le vagarono sulle sue spalle. Quando era una ragazza, le amava e adesso ne ricordò il motivo: erano larghe e a ogni movimento che faceva, si vedevano i muscoli guizzare sotto la pelle. Era pallido, troppo per uno che abitava in un posto tanto caldo: aveva l’abbronzatura che disegnava una maglietta a maniche corte. L’unica nota stonata di quel corpo erano le cicatrici sottili che gli attraversavano la schiena. Sapeva cosa fossero, come se l’era procurate e anche il disegno che formavano, per tutte le volte che le aveva ripercorse con le dita fra i suoi gemiti. Erano il motivo per cui lui s’imbarazzava tanto a mettersi in costume e anche perché le prime volte loro lo avevano fatto al buio.
Lui si distese sbuffando e lei iniziò a visitarlo, costringendosi a guardarlo solo come un paziente. Finì la visita con un prelievo del sangue che strappò una smorfia al biondo. Di solito cercavano di evitare i prelievi, considerandoli un po’ barbari, ma in quel caso era necessario. Lui si rivestì e si sedette di fronte a lei, aspettando il verdetto. Lei lo guardò con un sorriso.
«allora i tuoi organi stanno bene. Non sono danneggiati in nessun modo, anzi sono in ottima salute: ovviamente è una cosa positiva. Mi sembri più magro però: ultimamente hai mangiato?» lui la guardò senza capire cosa centrasse la sua alimentazione, così lei si spiegò meglio.
«di solito quando sei stressato, non mangi e ora mi sembri un po’ più magro … Scorpius la malattia che hai colpisce il sangue, quindi se farai così, peggiorerai la situazione. Devi mangiare tanto e cose nutrienti» lui sospirò.
«e se non ne avessi voglia?» chiese Scorpius con uno sguardo strafottente.
«te la fai venire la voglia» gli rispose Rose dura. Lui alzò gli occhi al cielo ma non ribatté.
«posso andare?» lei annuì e Scorpius si alzò. La guardò un attimo, indeciso se salutarla o no, poi con un sospiro girò i tacchi e sparì dalla porta, mentre Rose lo guardava sconsolata.
***
Laurel Dursley era sempre stata la più bella in famiglia, nonostante Lily non fosse per niente brutta.
Era bionda con due occhi grandi e dorati e la bocca perfetta. Somigliava a una bambola di porcellana tanto era chiara, aveva solo poche lentiggini sul naso e nelle guancie. Era alta per essere una ragazza, snella e con il seno prosperoso, mentre i capelli le arrivavano ormai a metà schiena. Prima Louis le diceva spesso che sembrava una dea greca e lei si beava in quel complimento lasciandosi baciare e accarezzare.
Per questo non si era mai sentita a disagio a stare con lui, neanche quando aveva il pancione o quando aveva tagliato i capelli cortissimi perché non aveva il tempo di curarli.
Louis, infatti, era bellissimo, anche se i suoi lineamenti fini sarebbero sembrati poco virili senza i suoi muscoli. Aveva una bellezza strana, delicata ma appariscente. Non era altissimo come ragazzo, aveva il viso appuntito e gli occhi azzurri troppo grandi e aperti. Il suo naso era dritto e le labbra erano sottili ma ben disegnate, mentre i capelli erano biondi, anche se più scuri rispetto a quelli di Fleur e delle sorelle: quando entrava in acqua, sembravano rossi.
Laurel era sempre stata convinta del suo amore per lui così come pensava di essere ricambiata in pieno, visto cosa aveva fatto per lei e la loro bambina.
Per questo era rimasta tanto sconvolta di trovare una macchia di rossetto nelle mutande del suo uomo.
Rossetto che sicuramente non era suo. Guardava quello scempio tremando, poi trattenendo un urlo per non spaventare la bambina, le gettò nell’immondizia con rabbia.
Si sentiva vuota e triste come non le era mai capitato. Era arrabbiata, confusa, sconvolta … si sentiva abbandonata.
Lasciata sola in una casa che un tempo avevano costruito insieme, pezzo dopo pezzo, dopo aver passato una crisi senza precedenti.
Inizialmente lei e Louis erano solo amici di lettera. In quelle lettere lui non era odioso come di presenza, sempre borioso e pieno di se, e lei aveva finito per invaghirsi di pezzi di carta, fino a che non erano andati in vacanza tutti insieme. Quella vacanza le aveva fatto capire chi era il vero Louis, il ragazzo delle lettere dolci e comprensive al quale poteva dire tutto. Era quello il suo vero io e quando lo aveva capito, non aveva potuto tornare indietro, perché era perdutamente innamorata di lui.
In quel periodo lei andava al primo anno di college, mentre lui faceva parte di una squadra di Quidditch non troppo importante ma abbastanza da permettergli un giorno di raggiungere il successo. E ci sarebbe anche riuscito, visto quanto era bravo.
Avevano cominciato a uscire insieme, lui veniva spesso a trovarla al college “come amico”, finché un giorno non erano finiti a letto insieme. E da allora era capitato tante altre volte, così tante da perdere il conto. Andava tutto bene, era gennaio. Erano tornati da poco dalle vacanze che avevano trascorso insieme, quando lei si era resa conto di avere un ritardo: il test aveva confermato la sua gravidanza. Solo che lui non ne aveva voluto sapere nulla.
Lei aveva dovuto lasciare il college a metà anno per tornare a casa. Quello era stato il periodo peggiore della sua vita, sola con i genitori che la guardavano a volte con rimprovero altre con pena. Era passato circa un mese da quando aveva mollato tutto, quando lui bussò al suo campanello. Non aveva mai dimenticato la faccia di Louis quel giorno, provata e triste e pentita. Le aveva chiesto scusa in mille modi, dicendo che non poteva pensare di vivere senza di lei: da allora le era sempre stato vicino. Le aveva chiesto di andare a stare da lui e lei dopo qualche giorno di esitazione aveva accettato, poi avevano cercato una casa più vicina ai suoi genitori, che erano babbani e non potevano spostarsi velocemente come lui. La avevano scelta insieme, arredato tutto litigando sui colori, mentre il suo pancione non smetteva mai di crescere. E poi Louis aveva messo da parte ogni cosa per lei, gli amici, il Quidditch, la spensieratezza, la libertà anche. Aveva scelto di essere padre e lo aveva fatto perfettamente fino a quel momento. Si era trovato un lavoro al ministero della magia nel settore dello sport, perché altrimenti avrebbe dovuto viaggiare troppo e non riusciva a stare con lei e Helena. Si era messo una famiglia sulle spalle quando aveva solo vent’anni e lo aveva fatto in tutta responsabilità e, lei pensava, in onestà.
La loro bambina lo adorava, diceva che da grande avrebbe voluto sposarlo e se per una sera non rimaneva a casa per motivi di lavoro, lei piangeva.
In quel momento quindi, per Laurel era stato un fulmine a ciel sereno. Da quanto tempo andava avanti quella storia? Quante bugie le aveva detto? Quante erano le stupidaggini cui lei aveva creduto?
Le cadde una lacrima, nonostante stesse cercando di trattenersi. Seduta nella cucina si mise le mani sul viso e rimase immobile piangendo lacrime amare ma silenziose e ascoltando i passetti di sua figlia che giocava nella sua stanza.
 

HOLA!

Uhm allora ero indecisa se inserire o no anche la parte della storia su Louis e Laurel … spero di aver fatto bene! Io personalmente li adoro come coppia, spero piacciano anche a voi!
Se avete qualche consiglio da darmi mi farebbe veramente piacere sentirlo J
Un bacio a tutti
Moony16

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


È strano come il destino a volte tiri brutti scherzi: il giorno prima credi che nulla potrà mai piegarti, quello dopo il mondo ti crolla addosso.
Questo pensava Alice, mentre chiudeva le ultime scatole con gli oggetti che aveva deciso di conservare. La maggior parte dei ricordi suoi e di Albus era andata a finire nei cassonetti: aveva buttato via tutto come se la sua storia con lui non valesse niente, mentre il suo cuore continuava a sanguinare copiosamente. C’erano anche tante cose, cianfrusaglie per lo più, che erano state in dei mercati dell’usato, perché lo spazio nel garage dei suoi genitori non era sufficiente. Le camere erano completamente vuote e spoglie, le pareti erano ingiallite, più chiare nei posti in cui prima c’erano appese mensole o foto o quadri. Le finestre non avevano più quelle tende che avevano scelto insieme e nel soffitto le lampadine pendevano scheletriche, ondeggiando, prive dei lampadari, emanando una luce che non riusciva a illuminare bene tutti gli ambienti. Non sembrava neanche la casa che aveva abitato per sei lunghi anni.
Solo il salotto, la stanza più grande, era piena di scatoli e mobili. Alice si alzò con la schiena dolorante e si guardò intorno, mentre la coglieva la malinconia. Quella casa era stata testimone di così tante cose, belle o brutte, che lasciandola avrebbe abbandonato lì una parte del suo cuore. Girò per le stanze come un fantasma, controllando di non aver dimenticato nulla. Si soffermò sulla stanza da letto.
Da quando lui se n’era andato, aveva dormito sul divano, perché stare in quel letto da sola, l’avrebbe soprafatta. Guardò la stanza vuota, poi un conato di vomito la spinse a raggiungere il bagno, nonostante non toccasse cibo dalla sera prima.
La solitudine era così opprimente da fare male a livello fisico. Non ne poteva più.
Lei però non si sarebbe arresa, avrebbe combattuto. No, Albus ormai era un capitolo chiuso: adesso contava solo il bambino che aveva dentro, nonostante la sua mancanza le stava scavando una voragine nel cuore.
Si sciacquò il viso e legò i capelli in una coda alta, poi ritornò in salotto e guardò l’ora: alle undici in punto tutti gli scatoli e i mobili si sarebbero smaterializzati nel garage dei suoi, come una specie di passaporta fatta da molti oggetti. Si era registrata al ministero la settimana prima e adesso era giunto il momento di quel maledetto trasloco. Prese un grande respiro quando scoccò l’ora e tutta la stanza s’illuminò della tipica luce delle passaporte. Tutto fu risucchiato dalla magia e anche quella camera restò vuota. Si guardò intorno, per verificare che tutto fosse andato bene, poi girò tre volte su se stessa e sparì con un pof. Supererò anche questa. Si disse, mentre la sensazione claustrofobica della smaterializzazione la coglieva.
***
Dicembre aveva portato con sé un’onda di gelo, tanto intenso che Rose al mattino faticava ad alzarsi dal letto per raggiungere il suo nuovo ufficio. Il tepore delle coperte la attirava come una calamita e lei, così freddolosa da dormire con due paia di calzettoni, faceva una fatica immane ad abbandonarlo.
Il suo nuovo lavoro si stava dimostrando estenuante già dopo appena una settimana. Tutto il giorno le passava dietro la scrivania a leggere informazioni su quella dannata malattia e a prendere appunti. Sembrava di essere tornata a scuola.
La cosa peggiore era che non aveva idea di come comunicare la notizia del suo nuovo incarico a Robert che di sicuro, com’era comprensibile, non avrebbe preso per niente bene la cosa. Eppure non aveva potuto fare a meno di assumere quel ruolo: sentiva che era giusto così.
Quel giorno la aspettava un’altra visita con il suo paziente, la terza per la precisione, poiché gli appuntamenti erano stabiliti due volte a settimana.
Quella mattina Rose si alzò trascinandosi dietro una coperta e sbadigliando sonoramente. Se la prese comoda, fece una doccia lunga mezz’ora e si gustò la sua cioccolata sorso per sorso.
Arrivò in ritardo, cosa alquanto rara e si sedette sbuffando dietro la scrivania. Non aveva nulla da fare fino alle dieci e trenta, ora in cui sarebbe arrivato “il paziente”. Era buffo chiamare Scorpius così, anche se tremendamente appropriato.
Borbottando fra se e se sistemò la scrivania, facendo attenzione nel mettere le foto sue e di Robert in bella vista. Era nervosa e si odiava per questo. Lo aspettava con ansia, tutte le volte, preoccupata da quello che avrebbe potuto trovare e anche un po’ impaziente di rivederlo. Detestava ammetterlo, ma era così. Vederlo ancora abbastanza sano da fare battute e sapere che non aveva nessun attacco in quel  momento, gli dava una sensazione di sollievo temporaneo.
Lui arrivò puntuale quella mattina. Era pallido, più del solito, e aveva gli occhi cerchiati, come se non dormisse la notte. Si sedette alla scrivania con un mezzo sorriso, mentre lei lo guardava preoccupata. Indossava un mantello pesante jeans scuro con un maglione largo blu.
«ho un aspetto orribile, vero? Tranquilla, non c’entra nulla la malattia» disse ammiccando, mentre appendeva il mantello. Era allegro nonostante il viso palesemente stanco.
«si, hai la faccia di uno che ha passato la notte in bianco.  Se però non c’entra la malattia, non credo di volerlo sapere» gli rispose lei, scrutandolo meglio.
«e perché no? Il mio migliore amico è un tantino depresso, non ho nessuno con cui parlare di certe cose. Sai, ogni tanto viene “per farmi compagnia” e finisce che sono io a fare da balia a lui. Ridicolo vero? Senti a me, tuo cugino è un testone, ho parlato con Ali e …»
«ok, ok, fermo. Da quando sei così logorroico?» lui le sorrise
«da quando passo la notte con una russa mozzafiato. Dovevi vedere che gambe …»
«Malfoy! Non m’interessa con chi te la fai!» disse lei rossa in volta, mentre uno strano fastidio si insinuava in lei. Gelosia? Si chiese. Ma no, è fastidio per essere stata interrotta.
Lui mise su uno sguardo innocente.
«ah no? E se per caso questo interferisce con gli esami? Sei il mio medico, certe cose devi saperle» disse ghignando. Lei lo ignorò.
«devo farti vedere una cosa, puoi fare la persona seria per cinque minuti?»
«ti sembro una persona seria? Non puoi chiedermi di essere qualcosa che non sono» disse sbadigliando.
«inoltre, ho sonno. Non voglio starti a sentire mentre mi dici che devo mangiare il pesce che, fra parentesi, a me fa schifo»
 Lei borbottò qualcosa per risposta, alzandosi e dirigendosi verso la libreria. Doveva mostrargli i suoi esami precedenti ma non riusciva a trovarli. Stava rovistando in mezzo ad un libro, quando lui gemette.
Lei si girò di scatto, mentre Scorpius si alzava tremando e si dirigeva verso il lettino. Si stese respirando a fatica, rosso in viso. Rose lo guardò, inizialmente senza capire che una nuova crisi stava arrivando, poi però vide il suo sguardo: paura, panico e vergogna si affollavano nelle sue iridi grigie, rendendo chiaro a lei quello che stava per accadere.
Lasciò andare tutto e lo raggiunse, gli tolse il maglione e le scarpe, mentre cercava di confortarlo. Lui strinse il lettino chiudendo gli occhi. Respirava sempre più a fatica, mentre lei prendeva una bacinella d’acqua e gli passava una salvietta bagnata sul viso e nelle braccia nude. Sembrava che a lui desse un po’ di sollievo, seppur per poco: era bollente. Poi cominciò a urlare, mentre lacrime scendevano dai suoi occhi chiusi.
Rose si sentiva totalmente inutile. Non sapeva che fare, l’acqua faceva poco e lui continuava ad urlare e tremare in un modo che le metteva paura. Continuava a bagnargli il viso e il corpo e a scostargli i capelli dagli occhi, senza neanche rendersi conto che singhiozzava anche lei. Quando finalmente si calmò un poco, Rose gli prese la testa fra le braccia, continuando a bagnarlo, con movimenti automatici.
La maglietta che aveva addosso era imbevuta di sudore, così come i capelli impicciati alla fronte. Il viso era arrossato e il suo respiro non riusciva a regolarizzarsi. Quando finalmente aprì gli occhi, cercò di accennarle un sorriso. Lei che singhiozzava disperata, quando vide i suoi occhi aperti lo strinse forte a sé come se ne valesse della loro vita. Lui si aggrappò a lei con ostinata disperazione, mentre Rose giurava a se stessa che lo avrebbe salvato, a qualunque costo.
Stettero così per un po’, fino a che non sentirono il rumore della porta aprirsi.
«Rose, perché non mi hai detto che …» nella stanza era entrato Robert, con un’espressione felice, che fu sostituita dalla rabbia quando vide Rose spalmata su Scorpius coricato nel lettino.
«e lui che ci fa qui?» disse osservando la scena schifato. La guardò mentre lei si rialzava e asciugava le lacrime.
«Robert, ti prego parliamone più tardi, adesso …»
«adesso cosa? Sei impegnata con lui?» disse indicando Scorpius, mentre lui, che aveva alzato solo un po’ la testa, ricadeva giù sbuffando. Sapeva che era troppo bello per durare più di cinque minuti.
«io sto lavorando Robert …» disse debolmente.
«sì, perché da adesso lavori stando in pratica sdraiata sul tuo ex?» disse pungente.
«lui è il mio paziente … Robert per favore parliamone dopo».
«perché? Noi parliamo adesso»
«Ma non vedi che è praticamente svenuto?» disse cominciando ad arrabbiarsi
«non m’importa! Io voglio …»
«esci. Ora»
«cosa?»
«Hai capito. A te non importa che lui stia male ma a me si. Esci, quando Scorpius starà meglio potremo parlare» disse puntando i piedi
«ma …»
«Robert, esci!» lui la guardò con astio, poi uscì sbattendo la porta» lei sospirò mettendosi le mani hai capelli.
Che aveva fatto? Aveva cacciato Via Robert … l’istinto era di correre fuori e scusarsi, ma poi posò di nuovo lo sguardo su Scorpius. La guardava dalle palpebre semichiuse, che apparivano violacee. Dimenticò subito di Robert e si fiondò su di lui.
«Scorpius, questa notte … hai avuto crisi?» gli chiese preoccupata, cominciando a sospettare che la storia della russa fosse solo una delle sue cavolate. Lui sospirò debolmente, poi rispose con voce fioca.
«quattro solo ieri notte» lei imprecò in modo che certo non sia, addiceva a un medico, poi fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.
«devo ricoverarti, lo sai?» gli chiese con quanta più dolcezza riuscisse a usare. Lui gli aveva mentito sul suo stato di salute e se non fosse stato ridotto così male, lo avrebbe preso a schiaffi. Lui annuì debolmente, mentre lei lo guardava affranta. Non aveva idea di come fare per aiutarlo e questo non le era mai capitato. Era frustante, nella storia c’erano stati solo trenta casi di quella malattia curata e non si era mai capito come avessero fatto a guarire. Non le era mai capitato di non sapere come aiutare un paziente, aveva sempre avuto una risposta a tutto.
Si strinse nelle spalle, mentre scriveva al direttore del piano a proposito  del ricovero di Scorpius.
Di una cosa era però certa, nonostante tutta quella disperazione che aveva dentro: avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
***
Louis quella sera era tornato a casa tardi. Dopo due ore di straordinari e il pranzo mancato era a pezzi, anche se felice di poter riabbracciare sua figlia.
Era orgoglioso di lei solo quanto può esserlo un padre della sua principessa. Non c’era niente che non avrebbe fatto per quella bimba con le treccine bionde, la amava oltre qualsiasi cosa.
Per questo dopo un giorno sfiancante come quello era felice di essere finalmente a casa. Non appena bussò alla porta, una furia bionda gli volò in braccio urlando e lui la fece volteggiare sopra la sua testa ridendo. Era uno spettacolino quotidiano quello, che Laurel stava osservando ogni giorno con gli occhi che brillavano. Quella sera però lei non era lì, al solito angolo della porta che dava sulla cucina, con le mani sporche del mangiare che cucinava e il suo grembiule a fiori. Quando mise giù la bambina, aggrottò le sopraciglia per il disappunto e le chiese pacatamente.
«Eli, dov’è la mamma?» lei lo guardò sorridendo, poi gli salì in braccio.
«in cucina, stasera credo abbia fatto i cavolini di Bruxelles con la carne in scatola e le patate» lui arricciò il naso. Cena peggiore non poteva esserci, visto che di tutto quello mangiava solo le patate. Si tolse il mantello, poi sollevò la bimba e si diresse in cucina, dove si aspettava di trovare Laurel affaccendata tanto da non poter andare a salutarlo. Di solito lei rientrava prima di lui, perché lavorava in un asilo babbano, quindi era abituato a essere accolto con il suo sorriso. Invece la trovò seduta con la tv davanti agli occhi e due piatti sul tavolo già pronti. Capì subito che qualcosa non andava.
«Helena vai di là a giocare, che ancora …» stava dicendo che non era pronto, ma fu interrotto da Laurel.
«no Eli, è già pronto. Vieni a mangiare» le disse con un sorriso
«ma papà?»
«a lui non piacciono queste cose, si preparerà qualcos’altro. Ora vieni a tavola, su» disse sorridendo. Louis restò spiazzato, anche se fece, come lei aveva detto: non voleva discutere davanti alla bambina e vedeva aria di tempesta in arrivo.
Mangiarono in un silenzio quasi religioso, dopo di lui raccontò una fiaba alla bambina: facevano una sera l’uno lui e Laurel, così Helena conosceva sia Cappuccetto Rosso che Baba Raba. Quando la piccola fu addormentata, Louis raggiunse Laurel nel salotto. Stava bevendo del tè e guardando la tv. Lui la spense premendo deciso il telecomando.
«cosa c’è?» disse con una nota d’irritazione e un tocco di paura. Paura che lei sapesse.
«niente, cosa deve mai esserci? Dammi il telecomando, stavo seguendo quel programma» disse evasiva
«davvero? E di che parlava?» le chiese con sarcasmo. Laurel sospirò
«avanti ,sai perché sono così incazzata. Sai perché l’unico motivo per cui sono qui stasera è Helena, altrimenti avrei già fatto i bagagli» lui non rispose subito, anzi se la prese comoda: posò il telecomando al suo posto e si sedette accanto a lei nel divano. Mise la testa fra le mani e poi finalmente parlò.
«come lo hai saputo?» chiese temendo la risposta.
«beh la prossima volta scegliti un’amante che non usi rossetto rosso» gli rispose faticando a controllare la voce.
«io … vorrei dire che mi dispiace»
«ma non sarebbe vero» finì lei con amarezza
«no, infatti … sarebbe una bugia. Non mi dispiace» lei lo guardò con gli occhi lucidi e annuì
«se l’unica cosa che ormai ci lega è nostra figlia potevi dirmelo … lo avrei preferito dall’essere tradita» la voce le tremava, si sforzava per non piangere. Lui scosse la testa
«io non volevo chiuderla con te …» disse. E lei esplose
«non sei un ragazzino indeciso, sei padre, hai delle responsabilità, verso me ed Helena! Se sei indeciso su di me, avresti dovuto parlarne non andare a letto con la prima che passava! E dimmi, ti è piaciuto? Vuoi raccontarmi i particolari?»
«non urlare …» disse debolmente. Lei sbuffò e lo mandò a quel paese, dirigendosi poi a passo spedito nella sua camera.  Lui rimase lì impalato, senza sapere cosa fare. Quando si decise ad andare nella sua stanza trovò la camera chiusa a chiave e le coperte con il cuscino fuori dalla porta. Da lì, si sentivano i singhiozzi.
 

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Rose crollò sfinita sulla sedia del suo ufficio. Erano passati otto giorni da quando aveva fatto ricoverare Scorpius, con l’approvazione del primario di quel piano, e già era esausta. Il ragazzo aveva l’obbligo (che aveva già provato a ignorare in un paio di occasioni) di chiamarla ogni volta che si presentava una nuova crisi e purtroppo per lei queste erano più frequenti la notte. Se non fosse stato per i loro trascorsi, avrebbe sicuramente deciso di dormire con lui, invece in quel modo faceva avanti e indietro dall’ospedale continuamente. Le ricerche andavano male, non era ancora riuscita a capire a cosa fosse dovuto quel fuoco che gli bruciava le vene, non che però ne fosse stupita. C’erano mille opinioni diverse, e i pochi casi che erano riusciti a guarire erano tutti così differenti fra loro che non riusciva a trovare una connessione, anche perché l’ultimo affetto da quella malattia era vissuto durante la prima guerra magica. Era come se qualcosa le sfuggisse, ma non riusciva a capire cosa.
E poi c’era Robert. Non si parlavano da quella volta, nonostante lei avesse provato a mandargli delle lettere: lui aveva risposto con il silenzio più totale. Era inquieta, lui le mancava e sentiva forte il bisogno del suo sostegno. Si era abituata a vederlo regolarmente o comunque a sentirlo e i loro litigi non erano mai durati tanto. Con un sospiro gli scrisse l’ennesima lettera, sperando che lui rispondesse.
Caro Robert
È la quindicesima lettera che ti mando in otto giorni, ma finora non hai mai voluto rispondere.
Ti prego di capire, o perlomeno di lasciarmi spiegare quello che è realmente successo. Non ti ho tradito, non potrei mai. I giorni senza di te sono vuoti. Ti prego vieni qua a parlare. Almeno questo.
Con Affetto, Rose
PS: è l’ultima lettera che ti mando, dopodiché mi presenterò a casa tua e a quel punto non avrai più scuse. Dobbiamo parlare.
Legò la lettera alla zampa del suo gufo e quello spiccò il volo. Poi riprese a leggere i resoconti dei vecchi casi d’ignis draconis. Quanto le sarebbe piaciuto dormire almeno un po’ …
Si alzò di scatto dalla sedia. L’ospedale era vuoto e sentiva un uomo urlare di dolore. No, non era un uomo qualunque, era Scorpius e urlava come colpito dalla maledizione cruciatus o forse dalla sua malattia. Lui urlava e lei si ritrovò a correre il più veloce possibile verso la sua voce, ma il corridoio sembrava non finire mai, era come se fosse ferma nello stesso punto da ore. Le mattonelle si allargavano e le urla di Scorpius erano sempre più strazianti. Quando finalmente arrivò alla porta però Robert, si parò davanti a lei.
«non puoi entrare, Rose» la teneva e lei si divincolava, decisa ad aiutare Scorpius, mentre sentiva che lui era dietro quella porta a pochi metri da lei. Voleva raggiungerlo con tutta se stessa, era un dolore fisico stargli lontano. Ma Robert continuava a tenerla.
«non puoi entrare perché lui sta morendo. E sei tu a ucciderlo» le parole la ferirono ma non si arrese
«non è vero … non è vero!» Robert rideva e le ripeteva che era colpa sua, mentre la teneva e Scorpius non la smetteva di urlare come non aveva mai fatto.
«Rose svegliati! Sei tu che lo stai uccidendo»
«NO! NO!»
Svegliati, svegliati.
Qualcuno urlava di svegliarsi. Perché, stava dormendo? Aprì gli occhi e subito li richiuse per la luce, tremando. Qualcuno la stava scuotendo, mentre lei continuava a sussurrare che non era vero, che era una bugia quella. Che lei non lo stava uccidendo. Si ritrovò nelle braccia di qualcuno, qualcuno che conosceva bene. Scorpius? No, non era lui. Aprì gli occhi, gonfi per le lacrime, e riconobbe di chi era la spalla sulla quale stava frignando. Robert. Ringraziò Merlino e Morgana che lui avesse deciso di ascoltarla, quella volta.
«Robert …» pigolò fra le lacrime. Lui la strinse più forte e lei si lasciò cullare, finalmente fra le sue braccia: fu come tornare a respirare.
«Rose … per Merlino, come hai fatto a ridurti così?» lui la guardò con rimprovero, e lei inizialmente non capì. Poi notò il suo riflesso nel vetro della finestra e comprese. Era pallida e con le occhiaie viola. Il maglioncino fatto dalla nonna che aveva addosso risaliva a quattro natali prima, era sformato e con qualche buco sulle maniche, mentre il giallo brillante che una volta lo caratterizzava era sbiadito parecchio. Sotto indossava dei jeans macchiati di caffè e delle scarpe da tennis logore. Il camice da medimaga era aperto e sgualcito. I suoi capelli erano un totale disastro, tanto da somigliare a un nido di uccelli. Sospirò stanca.
«non ho avuto tempo …» disse per scusarsi
«immagino che non hai avuto tempo neanche per mangiare o dormire, o sbaglio?» lei fece un sorrisetto e si rifugiò di nuovo nelle sue braccia.
«e neanche la voglia. Mi sei mancato» era vero. Era rimasta ore e ore sveglia cercando il modo giusto di dirgli cosa era realmente accaduto e in quel trambusto si era spesso dimenticata di mangiare. Lui sospirò.
«mi hai cacciato via come un cane» le disse con rimprovero, ma si capiva che non riusciva a essere furioso come invece avrebbe voluto. Lei colse l’occasione al volo e cominciò a parlare a macchinetta.
«mi dispiace di averlo fatto. Non avevo scelta, però, Scorpius era praticamente svenuto e io stavo davvero lavorando, non è come credi. Lui è malato, Rob. E tanto, anche. Puoi pensarla come vuoi, ma non credi che non sarei più la ragazza che ami se non gli stessi vicino? Sono una delle poche persone di cui si fida … ha avuto una vita difficile e adesso anche questo! Devo aiutarlo, nessuno s’impegnerebbe quanto me, anche solo perché il suo cognome è Malfoy. E poi sarebbe una stupidaggine se dicessi che non me ne frega niente se muore» arrossì, ma poi continuò
«siamo cresciuti insieme, poi lui è stato il mio primo vero amore. Il primo ragazzo per cui ho provato realmente qualcosa. Come potrei abbandonarlo?» Robert sospirò
«e come faccio a sapere che non provi più qualcosa per lui?» Rose scrollò le spalle
«Scorpius non sarà mai uno come tanti per me. È stato troppo, ecco. Però adesso sei tu l’uomo che voglio vicino. Lui è solo un ricordo dolce-amaro. Tu sei il mio presente. Ti prego non lasciarmi solo perché ho deciso di aiutarlo» lei lo guardò implorante
«perché lo stavi abbracciando? Non mi sembra faccia parte della cura»
«perché ne avevamo bisogno. Tu non sai come sta … e quanto male faccia anche a me vederlo così, soprattutto perché non so come aiutarlo»
«se stai così male però …»
«Rob lo conosco da quando ho undici anni! Eravamo nella stessa casa a Hogwarts, allo stesso anno, lui veniva a passare in pratica tutte le vacanze Natalizie da noi e a volte anche quelle estive, è stato il primo …» si bloccò, temendo di aver detto troppo. Robert la guardò sospettoso
«è stato il primo …?» la invitò a continuare.
«il primo con cui sono stata. La mia prima volta, è stata con lui» Robert serrò la mascella.
«questo, non lo sapevo. Pensavo fosse stati solo qualche mese insieme»
«infatti …» lui sospirò
«come fai a pretendere che io sia tranquillo?»
«non lo sto facendo … ti chiedo solo di non abbandonarmi per questa mia scelta di stargli vicino» lui la guardò scuotendo la testa.
«tutto questo però non significa niente. Io ho bisogno di te. Del tuo aiuto, del tuo conforto. Per favore …» lui si allontanò.
«non so se ci riuscirò … »
«puoi provarci … almeno questo» lui annuì e le fece un mezzo sorriso.
«non ti negherei mai una possibilità Rose» le baciò la fronte, gentilmente e lei chiuse gli occhi.
«devo andare» lei annuì e lui sparì dalla porta, sotto lo sguardo speranzoso di Rose.
Quando la schiena dell’uomo scomparve dalla sua vista, lei guardò l’orologio. Le dodici e trenta: era in ritardo per il pranzo di Scorpius. Con un sussulto si diede da fare per preparare tutto in fretta.
Scorpius era seduto nel suo letto d’ospedale. Mancavano meno di due settimane al Natale ma l’aria di festa che si respirava era pressoché inesistente. Le vecchie decorazioni pendevano mosce, rendendo solo un po’ meno vuote le pareti, mentre dalle finestre s’intravedeva la pioggia cadere giù a secchiate. Il freddo pungente che doveva esserci fuori era smorzato dai riscaldamenti ma comunque era raro che lui uscisse dalle coperte. In quel piano le stanze erano singole, perché spesso le malattie erano contagiose, quindi non aveva nessuno che gli desse neanche un po’ di compagnia. Il comodino era invaso di giochi e libri, che comunque non lo distraevano dalla realtà che per poche ore al giorno. I suoi attacchi erano diminuiti leggermente da quando era lì, ma sospettava che ciò fosse dovuto solo alla dieta a cui Rose lo aveva costretto.
Lei era la sua unica compagnia durante il giorno: solo nelle tre ore di visite poteva vedere i suoi amici. Comunque averla intorno era piacevole, forse l’unica nota positiva in tutto quello squallore.
Stava sperimentando un modo per rendergli meno dolorose le fitte: prima aveva provato con il ghiaccio, poi con incantesimi di congelamento e perfino iniettandogli l’azoto liquido, una sostanza chimica babbana che lo aveva quasi ucciso. Fino a quel momento l’unica cosa che funzionava, seppur marginalmente, era bagnarlo con un panno. Chissà perché, poi. Quella malattia sembrava senza senso.
Scorpius fece scattare di nuovo il cubo colorato che aveva in mano. Era un regalo di Hermione, un giochino babbano d’intelligenza che gli dava sui nervi. Lo odiava quel gioco, così come la puzza di disinfettante e la solitudine, e la tuta slabbrata che aveva per pigiama. Snervato, guardò il campanellino che aveva accanto, tentato di premerlo solo per avere una scusa per litigare con Rose. Ogni volta che aveva un attacco, lo suonava e lei era puntualmente al suo fianco. Aveva provato a non chiamarla, almeno di notte, ma poi quando lo aveva scoperto, si era arrabbiata tanto che aveva minacciato di dormire lì, così si era convinto a chiamarla.
Rose era sempre più pallida e le occhiaie che aveva lo facevano sentire in colpa. Aveva anche l’impressione che fosse in crisi con il suo ragazzo, ma questo proprio gli importava poco. Però odiava vederla ridotta a quel modo.
Come se fosse stata chiamata, Rose entrò facendo cigolare la vecchia porta, in mano il carrello del pranzo. Gli sorrise e si avvicinò, mentre un’onda di sollievo pervadeva Scorpius.
«ancora con quel cubo?» lui sbuffò
«diventerò pazzo prima o poi a causa di questo coso» lei rise
«hai ragione, dà parecchio sui nervi, una volta da bambina ne ho bruciato uno per sbaglio»
«immagino … è un istinto che mi è venuto parecchie volte. Cosa c’è per pranzo?» disse speranzoso. Magari avrebbe trovato un hamburger.
«lenticchie … e pane. Ti ho portato anche un bel po’ di arance» lui mugugnò
«perché non posso mangiare un panino?» chiese con fare lamentoso
«perché altrimenti i tuoi addominali diventerebbero mollicci»
«questo vuol dire che t’interessa dei miei addominali?»
«ma ovviamente! Come farei a vivere senza loro?» gli rispose con sarcasmo lei, mentre posava il vassoio nel tavolino di lato. Scorpius si alzò dal letto e la raggiunse ondeggiante, per poi sedersi nell’unica sedia rimasta libera, di fronte Rose. Lei lo osservava attentamente.
«perché mi controlli?»
«perché penso che saresti capace di trasfigurare tutto nei tuoi amati hamburger» lui s’imbronciò: in effetti era sua intenzione farlo.
«almeno una volta, non potrei mangiare qualcosa di buono?»
«magari domani»
«cavolo Rose, io sto morendo e passo i miei ultimi giorni così … » lei sussultò
«non stai morendo …»
«mi credi così stupido? Non sapete da dove cominciare per curarmi, e ho una probabilità di sopravvivere quante ne ha mio padre di diventare ministro della magia: non è potenzialmente impossibile, ma l’idea è talmente assurda da sembrare paradossale» lei abbassò gli occhi e lui continuò
«voglio scherzare e divertirmi, mangiare bene, ubriacarmi e vivere ogni singolo momento. Invece tu mi hai incastrato qui, con la speranza di strapparmi alla morte, senza capire che così uccidi i miei ultimi giorni di vita!» Rose stette in silenzio per qualche secondo, poi gli rispose con un sorriso tirato.
«che vuoi fare?» Lui, preso in contropiede, aggrottò le sopraciglia
«posso uscire?»
«di sera no, ma di giorno possiamo fare qualche eccezione. Ovviamente devi stare con me …» lui la guardò bene: non era certo nelle condizioni per uscire, doveva riposare.
«perché invece non mi fai stare con Al e tu ti riposi un poco? Sembri un fantasma, non puoi tenere questi ritmi» lei annuì.
«hai ragione … devo dormire un po’, altrimenti sarà solo peggio. Beh manda una lettera ad Albus, se vuoi, ti presto il mio gufo» Scorpius si stupì della sua arrendevolezza. Sembrava stanca, così stanca da non avere la forza di opporsi a nulla.
«Rose, sicura di stare bene?» lei annuì convinta
«devo solo dormire un po’» lui annuì, mentre il senso di colpa lo colpiva e lei gli sorrideva con semplicità. Era colpa sua se lei si stava riducendo così. Sua e di quell’odiosa malattia. Mente pensava a questo e mangiava le sue lenticchie lo colse nuovamente quel calore odioso, che ormai associava naturalmente alla malattia.
E fu di nuovo dolore e urla e lacrime. E di nuovo Rose gli passò quel panno bagnato sulla pelle nuda e sudata, provando a dargli sollievo. E di nuovo lui svenne, incapace di reggere tanto.
Fu per questo che non poté sentirla singhiozzare, pregare, disperare, che lui guarisse. Non la sentì ripetere che era tutta colpa sua perché non aveva ancora trovato un rimedio.
Il vuoto lo avvolgeva come un mantello.
***
Louis adorava volare, da sempre. In quel momento però avrebbe voluto tanto essere a terra insieme a Laurel, abbracciati davanti alla tv. Aveva sconvolto ogni cosa, solo per un suo capriccio.
Si odiava per questo. Però era vero che non ne era pentito. Non aveva niente di cui pentirsi, tranne che della sua stupidità.
Era una situazione strana, che lei neppure aveva compreso. Lui stava male con lei. Ricordava com’erano all’inizio, effervescenti, sempre pronti a litigare e poi a fare pace nel più piacevole dei modi. Ricordava l’allegria della sua donna, le sue battute di spirito e la sua audacia. Invece era da un anno a quella parte che sembrava tutto forzato, come se facessero le cose solo perché era giusto farle, senza più il gusto che avevano prima. Non parlavano, non scherzavano, in sostanza non facevano più neanche l’amore. Lei era sempre stanca,quando aveva voglia di stringerla forte a se, e avrebbe potuto spaventare Helena se avessero litigato come a volte gli andava di fare, urlando per poi baciarla con foga. Quando voleva parlare con lei, finivano sempre a guardare un film e se provava a baciarla, Laurel rispondeva che voleva finire di guardarlo.
Era arrivato a pensare che fosse lei, a tradirlo. E invece sembrava solo molto più vecchia di una venticinquenne, sembrava quasi che vivesse solo in funzione di loro figlia, come se tutto il resto, lui compreso, fosse solo polvere.
Anche lui amava Helena più della sua stessa vita, ma il suo amore non aveva scavalcato ciò che provava per il resto del mondo.
Louis sfrecciava nel cielo notturno a bordo della sua scopa da corsa, le lacrime che gli appannavano la vista. Aveva combinato un casino e adesso non poteva tornare indietro. L’aveva persa, quando aveva solo voluto suscitare qualcosa in lei.
L’aveva persa, non riusciva a pensare ad altro.
Lei non l’avrebbe perdonato, lo aveva capito dal suo sguardo. La paura di aver esagerato lo aveva inseguito per tutta la sera e quando finalmente avevano parlato ne, aveva avuto la conferma.
Neanche se le avesse confessato la verità su quello che era successo, sarebbe cambiato nulla. Non gli avrebbe creduto, avrebbe pensato di essere presa in giro.
Ma che poteva farci? Aveva agito d’impulso e adesso ne pagava lo scotto.
Perché l’idea di tradirla lo aveva sfiorato più volte, c’era andato vicinissimo, ma non lo aveva mai fatto.
Perché nonostante tutto, rivoleva indietro la donna di cui si era innamorato e che amava ancora.
 

Hola!!

Finalmente aggiorno di nuovo!Mi dispiace di aver ritardato tanto, ma non sono stata in città ... spero che il capitolo vi sia piciuto comunque! Mi è venuto un po' strano e non so se si capisce bene l'ultima parte ... Quindi se avete dei consigli da darmi... beh ne avrei bisogno!
Un bacio a tutti 
Moony16
Ps: sto ancora provando a mettere le immagini ma non ci riesco ... c'è qualcuno che sa come fare?

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Mettere di nuovo piede in un luogo aperto, sotto il cielo grigio di Londra, fece sospirare Scorpius di sollievo. L’aria era ghiacciata e tutto sembrava coperto da un sottile strato di pioggia e nebbia. Rose era accanto a lui, imbacuccata come solo lei sapeva fare, che lo guardava in malo modo per averla costretta a stare per più di dieci minuti all’aperto nell’aria gelida. Era sempre stata freddolosa, ricordava i suoi piedi gelidi nel letto, quando si intrufolava nel dormitorio maschile; i maglioni doppi che teneva ostinatamente addosso; le sue mani fredde che birichine si intrufolavano nella sua schiena calda attraverso i vestiti e lo facevano tremare ogni volta, prima per il freddo, poi per il piacere.
Lui aveva insistito tanto per riuscire a convincerla a fare una passeggiata, così lei alzando gli occhi al cielo e un po’ seccata aveva acconsentito. Stavano costeggiando il Tamigi, sporco come sempre e increspato dalle onde a causa del vento e della corrente. Era uno spettacolo che lo riempiva di un sentimento dolce e triste al tempo stesso, una strana malinconia che lo attanagliava quando gli ritornavano in mente i ricordi più belli della sua infanzia. Stranamente però quella volta non li cacciò come era solito fare, ma lasciò che gli scorressero addosso come pioggia. Rivide se stesso bambino, avvolto in un mantello caldissimo, con i guanti e un cappellino a coprire i capelli biondi. Si rivide che correva in quella stessa strada, mentre la poca neve caduta andava sciogliendosi e lui tentava di prenderne il più possibile, bagnandosi tutto. I suoi genitori lo guardavano ridendo poco dietro, le espressioni quasi orgogliose di lui. Non aveva mai più visto quello sguardo nei loro occhi … qualsiasi cosa facesse non era mai abbastanza.
Quando si trovarono proprio davanti il London Bridge, lui si riscosse dai suoi pensieri. Accanto a lui Rose teneva le mani in tasca nel disperato tentativo di riscaldarle un po’. Represse l’istinto di prenderle e sfregarle nelle sue di mani, calde grazie ai guanti.
Guardò il punto in cui lui aveva dato appuntamento ad Alice e ad Albus, sogghignando. I due non avevano idea di stare per incontrarsi ma era pur ora che la smettessero con quella pagliacciata. Rose gli aveva prestato il gufo sbuffando, costatando che non erano più bambini e che quindi dovevano risolvere soli i loro problemi: secondo lei non era il caso che lui iniziasse a comportarsi come cupido. Lui però aveva insistito, sperando che avendo lui in mezzo avrebbero per almeno un po’ sotterrato le armi, altrimenti si sarebbe trovato in mezzo al loro fuoco incrociato. Rabbrividì all’idea ma ormai era fatta. Mancavano cinque minuti. Rose lo guardava preoccupata. Aveva sicuramente bisogno di un bagno caldo e di una dormita ma non si fidava a lasciarlo da solo con Albus e Alice. Aveva l’impressione che se ne sarebbe pentita. Gli si avvicinò e gli mise un aggeggio in mano. Era verde e con un bottone in mezzo.
«se stai male e quei due non hanno la prontezza di spirito di portarti al S. Mungo in meno di cinque secondi, premi questo. Fregatene se sto dormendo, fregatene di tutto. Prometti che se ci sarà bisogno lo premerai» lui la guardò per un attimo, poi prese l’aggeggio in mano.
«non sono bambini Rose, come hai giustamente specificato tu. Mi fido di loro» lei sbuffò.
«anche io mi fido, ma non in questo caso. Li stai facendo incontrare a tradimento, ho l’impressione che scoppierà la terza guerra magica. Rendo l’idea? Quindi promettilo» lui alzò gli occhi al cielo.
«va bene, se avrò bisogno ti chiamerò. Sei più tranquilla adesso?» lei annuì convinta, poi rimise le mani in tasca. Lui rideva sotto i baffi, guardando i suoi maldestri tentativi di riscaldarsi. Aveva il naso rosso e gelato e cercava di affondarlo nella sciarpa fatta a maglia senza usare le mani.
«che hai da ridere?» lui gli aggiustò la sciarpa e lei parve un po’ sollevata, fino a che lui non ribatté
«sembri una bambina» disse aggiustandole anche il cappello mezzo caduto di lato.
«sento freddo» fu la sua risposta, che giunse ovattata attraverso la sciarpa.
«questo mi sembra evidente. Guarda sta arrivando Alice» disse indicando con testa una ragazza lontana di qualche metro che aveva appena voltato l’angolo.
Lui gli fece un cenno con la mano che fu ampiamente ricambiato, mentre Alice accelerava il passò. Si buttò letteralmente fra le braccia dell’amico. Lui la abbracciò ridendo.
«che bello vederti fuori!» lui le sorrise e lei si affrettò a salutare Rose.
«hai un aspetto orribile Rose … hai saccheggiato nonna Molly? Sei ricoperta di lana dalla testa ai piedi!»
«lascia perdere Ali, l’unica risposta che otterrai da lei sarà “sento freddo” o “state attenti”»
«sono stanca biondino. Non sto tutto il giorno a letto, io!»
«infatti, costringi me a stare tutto il giorno a letto» rispose lui con un sorriso.
«non penso puoi permetterti quest’ironia, sai? È per te che sono ridotta ad uno straccio»
«che c’è ora giochi sul senso di colpa? Tu hai voluto questo incarico, non te lo ha chiesto nessuno. Ti pagano pure profumatamente per farlo!»
«ok, basta! Merlino, avevo dimenticato come siete odiosi quando litigate. Che poi non dovreste essere più maturi?» mentre diceva queste parole, spuntò Albus da un vicolo non molto lontano. Lei si girò a guardarli, mentre Albus avanzava incerto.
«che ci fa qui lui?» Scorpius alzò le spalle.
«beh è il mio migliore amico, tu sei la mia migliore amica. Volevo stare un po’ con voi come ai vecchi tempi» lei strinse gli occhi
«tu, brutto traditore, dovevi finire a serpe verde! Me ne vado …» affermò e si stava giusto allontanando quando lui aggiunse.
«avanti, non avrai paura di stare con lui per qualche ora? Non eri tu che parlavi di maturità?»
«non ci provare Scorpius, non giocare con me!»
«non sto giocando. Pensavo che fossi più il tipo che affronta le sfide, come Albus. Lui non se n’è andato appena ti ha visto» disse indicando l’amico che si stava avvicinando sempre di più.
Colpita e affondata. Pensò Rose. Alice non si sarebbe mai tirata indietro a quel punto. Infatti sbuffò sonoramente e guardandolo in cagnesco aggiunse.
«va bene, ma sappi che questa me la paghi» lui la guardò senza battere ciglio, con una faccia da schiaffi che le face saltare i nervi.
Albus salutò Scorpius mormorandogli all’orecchio un me la pagherai, poi si diresse verso Rose, ignorando totalmente Alice.
«beh a questo punto io vado ragazzi … buon pomeriggio» disse sarcastica dopo aver salutato il cugino, poi si allontanò il più velocemente possibile: non vedeva l’ora di dormire un po’.
Un silenzio imbarazzato cadde fra loro dopo che Rose li aveva lasciati. Albus e Alice cercavano di non guardarsi mentre Scorpius non sapeva che fare e cominciava a pentirsi di aver messo su quella commedia. Provò a camminare ma loro rimasero indietro. Provò persino ad aspettarli ma loro continuarono a ignorarlo. Alla fine sbottò:
«dovevamo andare a Diagon Alley no? Che state aspettando?» Albus lo guardò in cagnesco, poi senza curarsi di rispondere lo seguì. Alice, rimasta sola, raggiunse Scorpius sbuffando. Camminarono parecchio, per le strade di Londra. Fino a che non iniziò a piovere e loro furono costretti a ripararsi con degli ombrelli babbani, che comunque non impedivano alla pioggia di infradiciarli.
«siete ridicoli …» disse ad un certo punto Scorpius ad Alice: si conoscevano benissimo, avevano condiviso tutto per anni e adesso si comportavano come se non si conoscessero.
«è lui che mi ha lasciata» disse come a giustificarsi. E doveva ammetterlo, non aveva torto.
«questo non vuol dire che non dovreste provare a parlare» lei inarcò un sopraciglio.
«davvero? Per quanto mi riguarda è un capitolo chiuso»
«guardate che vi sento» grugnì Albus qualche metro più avanti. Alice alzò gli occhi al cielo.
«sai ultimamente non ti riconosco neanche più! Voglio dire, mi sarei aspettato da chiunque una bastardata del genere, ma non da te» gli rinfacciò Scorpius, forse con troppo foga. Lui non rispose: erano arrivati al Paiolo Magico. Passarono in silenzio il bar, poi arrivarono a Diagon Alley.
Scorpius amava quel luogo, ma non ebbe il tempo di goderselo, perché l’amico aveva deciso di riprendere la discussione.
«sai come la penso di questa storia! Non puoi dirmi che sono un bastardo.» Scorpius rise.
«quello non è ciò che pensi, si chiama solo auto giustificazione. Ed è ridicolo, fra l’altro. Quindi ti prego smettila e dì le cose come stanno»
«Scorpius, senza offesa, ma credo che dovresti farti i fatti tuoi» scoppiò a quel punto Alice. Erano in mezzo alla strada e lei li guardava con gli occhi spiritati.
«tu invece, Albus Potter, figlio del grande (e si fa per dire eh!) Harry Potter, sei solo un grandissimo stronzo, che non sa assumersi le proprie responsabilità! Era bello essere in due, vero? Alice che ti aspetta a braccia aperte quando parti, che ti cucina quando sei stanco, ti cura quando sei malato e ti ama quando ne hai bisogno. Quando però metti la suddetta Alice incinta, che fai? Scappi via come un coniglio! Quindi non ti azzardare a dirmi che ti ho tradito, che il bambino non è tuo o qualche altra scusa del cazzo che rifilerai alla tua coscienza per farla tacere. Il bambino è tuo e crescerà senza un padre solo perché tu sei così codardo da non volergli stare vicino!» a quel punto del monologo di Alice tutta la strada li stava osservando, chi ridacchiando, chi scuotendo la testa.
«io non c’ero! Come è possibile che dopo due settimane da che sono tornato tu già sai di aspettare un figlio? È illogico! Soprattutto se io sono sicuro di quello che faccio! Cazzo lo faccio da quando avevo sedici anni quell’incantesimo, mi prendi per scemo?» Alice rispose a tono e cominciarono a litigare, mentre la folla di curiosi si faceva sempre più fitta. Si ripetevano continuamente gli stessi insulti mentre Scoprpius, che aveva iniziato ad agitarsi da quando Rose lo aveva lasciato con quei due, cominciò ad avere caldo. Tanto caldo, troppo caldo.
Era passata a malapena un’ora e mezza …
Imprecò cercando di chiamarli, urlare, sovrastare le loro voci. Loro non lo sentivano, sembravano aver dimenticato tutto il resto, esistevano solo loro che si insultavano a vicenda. Li chiamò ancora, e ancora, e ancora, mentre il caldo cominciava a espandersi e il panico lo travolgeva. Una fitta alla testa lo fece urlare, fu allora che si accorsero di quello che stava succedendo. Però era tardi: a quel punto Scorpius aveva già chiamato Rose.
Lei arrivò trafelata qualche minuto dopo. Trovò Scorpius seduto sul terreno bagnato e appoggiato in un muro, la pioggia lo aveva già inzuppato completamente e lui tremava visibilmente, di certo però non era per il freddo. Aveva le labbra serrate e i pugni stretti, cercava di non emettere suoni anche se ogni tanto gli sfuggiva qualche gemito. Albus e Alice avevano cercato di far dissipare la folla dopo averlo fatto appoggiare al muro, decidendo che la cosa più saggia da fare fosse aspettare Rose. Lei li guardò in cagnesco e senza dire una parola affiancò Scorpius: scottava. Con un sospiro si rese conto che non era più in condizioni da poter affrontare una smaterializzazione.
«Albus aiutami a portarlo al Paiolo Magico. Alice prendi una camera e dì a Tom che mi serve tanta acqua ghiacciata e magari una spugna» Alice corse dentro, mentre lei e il cugino aiutavano Scorpius ad alzarsi e lentamente lo conducevano al Paiolo Magico. Scorpius sentiva che la situazione stava peggiorando parecchio. Di solito le sue crisi esplodevano molto più velocemente. Mettere un passo dietro l’altro era una tortura, sentiva tutto il suo corpo ribellarsi, ma si costrinse a camminare fino alla camera che Alice aveva preso. Il fuoco gli bruciava dentro mentre la vista gli si appannava. Fu solo per orgoglio se riuscì a fare tutta la strada: non voleva essere trasportato dentro con la magia, sarebbe stato troppo umiliante. Cadde sul letto a peso morto, mentre le molle scricchiolavano e Rose si affrettava a spogliarlo. Sentì un po’ di sollievo quando si ritrovò a petto nudo, ma i suoi sensi cominciavano ad annebbiarsi. Era come se il dolore annullasse tutto il resto, sentiva solo quello e la spugna bagnata che Rose gli passava. L’unica cosa che gli dava un sollievo era averla lì vicino, che piangeva ogni volta e che gli stringeva la mano. Sentiva la sua presa forte nella mano piccola di lei, sapeva di stringere troppo ma non poteva farne a meno: lei era l’unica cosa che riusciva a sentire, l’unica cosa che lo teneva lontano dalla pazzia. Una piccola parte di lui gli diceva che se non fosse stato per lei il dolore lo avrebbe fatto diventare come i nonni di Alice.
Quella fu la crisi peggiore. Perse conoscenza due volte, il dolore sembrava più acuto del solito e sembrava non finire mai, come se il tempo si fosse dilatato. Rimase in quella condizione per più di un’ora e non era mai capitato.
Quando finalmente finì cadde semi-addormentato e Rose lo coprì con una pesante coperta di lana. Era ricoperto di sudore.
 Solo allora Rose uscì in corridoio per parlare con Alice e Albus.
Albus era pallido e con gli occhi lucidi, come se si fosse trattenuto dal piangere, le sue unghia erano più smangiucchiate che mai, in alcune c’era addirittura del sangue. Alice aveva gli occhi gonfi di pianto, singhiozzava senza ritegno, senza riuscire a credere a quello che avevano fatto. Il senso di colpa li attanagliava. Rose si asciugò le ultime lacrime.
Si mise a braccia conserte e li guardò con sguardo minaccioso. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, entrambi sarebbero stati carbonizzati in quel momento.
«che cosa diamine è successo?» chiese con voce calma. Una calma che però metteva i brividi e preannunciava solo una tempesta.
«io e lei stavamo litigando, Rose però ti giuro che fino a un attimo prima stava bene e l’attimo dopo era a terra che urlava» cercò di giustificarsi Albus. Non riuscì a controllare una lacrima, che asciugò prontamente.
«io non ho mai visto niente del genere … Rose che cosa diamine ha?» aggiunse dopo, come se si fosse accorto solo in quel momento della gravità della situazione.
«cosa ha? Vuoi sapere che cosa ha?» gli rispose furibonda.
«perché non ci pensavi prima? Quando è venuto da te chiedendoti sostegno? O quando venivi a trovarlo al S. Mungo e l’unica cosa di cui sapevi parlare era Alice? O magari quelle poche e misere volte che sei venuto a pranzo con me e non hai fatto altro che lagnarti? Perché non mi chiedevi come stava il tuo migliore amico, invece!» lui deglutì e provò a parlare, ma lei lo interruppe.
«immagino cosa ti ha detto lui: “sto bene” e “non è poi tanto grave” e magari “guarirò, lo sai che Rose è in gamba!”, dico bene Albus?» lui annuì disorientato
«eppure tu lo conosci … sai come è fatto, sai che è tremendamente stupido e superficiale quando si tratta di se stesso! beh sai qual è la verità? Sta morendo e io non ho idea di come evitarlo» scoppiò a piangere di nuovo, senza potersi trattenere, non aveva più nessun freno.
«sta morendo Al. Lui sta morendo … e non lo vedrai più, e neanche io. E non mi dirà mai perché mi ha lasciata, non mi prenderà mai più in giro, non mi consolerà più, non mi sorriderà più, non mi dirà mai se tutta quella sofferenza è servita a qualcosa! Perché sarà morto! Morto … e io dovrò vivere tutto d’accapo. E mentre succede tutto questo tu non ti rendi conto di quello che hai e ti lagni come un bambino!» si fermò un attimo per riprendere fiato. Poi sussurrò.
«e se lui muore, sarà solo colpa mia. Lo sto lasciando morire …» Albus a quel punto provò a prenderla fra le braccia ma lei si divincolò. Le lacrime avevano lasciato dei solchi sulle sue guancie e i capelli scompigliati e gli occhi rossi le davano un’aria spaventosa.
«non toccarmi. Tu non sei mio cugino, lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, né ad Alice né al suo migliore amico. Non ha mai avuto una crisi così. La colpa è solo vostra, che non siete stati neanche capaci di portarlo al S. Mungo in tempo»
«Rose … ci dispiace, non avremmo mai immaginato che …» provò a spiegarsi Alice, ma lei la interruppe
«che cosa? Che avesse crisi improvvise? Mi sembra di avervelo detto … oppure non sapevi che quando è sotto stress peggiorano? Aspetta però, vi avevo detto anche quello!» disse con sarcasmo. Entrambi abbassarono gli occhi e lei gli voltò le spalle, chiedendo la porta. Era furibonda. Si avvicinò al letto e vide che era sveglio. Lei sospirò.
«ti ho svegliato io?» lui annuì lentamente: gli faceva male tutto e non era sicuro di riuscire a parlare.
«scusami …» disse sedendogli vicino. Gli accarezzò i capelli, e lui chiuse gli occhi, rilassandosi. Adorava quando lei gli toccava in quel modo i capelli, tanto che ogni tanto lei lo prendeva in giro dicendo che sembrava un cane. Era felice che non lo avesse dimenticato. Guardare l’espressione beata di Scorpius fece scivolare via tutta la rabbia di Rose, lasciandole solo una grande tristezza e un senso di vuoto che la faceva sentire sgonfia come un palloncino.
«vuoi un po’ d’acqua?» gli chiese dopo un po’. Lui annuì di nuovo e lei si alzò per riempire un bicchiere per poi accostarglielo alle labbra. Dopo aver bevuto si schiarì la gola, adesso meno secca e provò a parlare: aveva la voce roca. Così sussurrò.
«ti ho sentita, poco fa …» disse mentre lei riprendeva ad accarezzargli i capelli.
«che hai sentito?» disse, con un po’ di paura. Probabilmente lui se ne accorse, perché specificò.
«so che sto morendo. Non sono stupido … ma non mi aspettavo che tu ci stessi così male» disse francamente. Le sue parole lo avevano reso felice, anche se sapeva che la cosa fosse fin troppo egoista.
«è vero che è colpa mia» disse lei con un filo di voce.
«non intendevo quello … la parte prima. Vuoi davvero ancora sapere perché ti ho lasciata?» chiese, quasi speranzoso.
«credo di si … non l’ho mai capito, per me è stato … un fulmine a ciel sereno. Ti amavo, tu mi amavi, perché dovevi andare? Non mi importava dei giornali, della tua condizione sociale, della tua famiglia … perché a te si, invece? Ho sempre pensato che fosse una scusa. Non che adesso abbia importanza, ma …» lui la guardava parlare e si rendeva conto che aveva dannatamente ragione.
«non era una scusa … ma credo che non fosse la completa verità» disse sinceramente. Ripensò a se stesso a diciassette anni … abbandonato da chi lo amava, ferito, solo, con un pugno di amici sinceri e mille ragazze senza cervello che volevano solo averlo nel loro letto. In un momento di consapevolezza si rese conto che lei aveva ragione: quella era stata solo una scusa che si era raccontato per mettere a tacere la sua coscienza, un po’ come stava facendo Albus. Dopotutto però, come si fa ad affrontare una paura se non si sa di averla?
«tutte le persone che mi amavano e che amavo in quel modo mi avevano voltato le spalle … mia madre, mio padre, in sostanza tutta la mia famiglia. Tutti quelli che avrebbero dovuto amarmi sopra ogni cosa, che avrebbero dovuto proteggermi, mi avevano abbandonato. Chi ti impediva di fare lo stesso?» disse quasi senza pensare. Ma dal momento in cui pronunciò quelle parole, si rese conto che erano la verità.
«non lo avrei mai fatto» riuscì a dire lei, con un nodo nella gola e gli occhi lucidi.
«adesso lo so, e mi dispiace. Ho buttato entrambi in un mare di tristezza solo per una paura che neanche mi rendevo conto di avere. Ho bruciato sei anni, che potevano essere felici e adesso sono al capolinea» disse con amarezza, la voce ridotta ad un sussurro che persino Rose, distante pochi centimetri stentava a sentire. Lei non si trattenne, vedendolo in quel letto con i capelli scompigliati e gli occhi chiusi, le sue labbra poco dischiuse le sembrarono fin troppo invitanti. Le sfiorò con le dita e lui aprì gli occhi. Scorpius le sorrise e lei non poté fare a meno di sciogliersi come la neve al sole. Era così bello … lo aveva sempre pensato, anche quando lo detestava. In un momento di pazzia scacciò via la voce della sua coscienza e si abbandonò all’istinto premendo con forza le labbra contro le sue, calde e morbide e buone proprio come ricordava, in un bacio violento e tremendamente sbagliato che la fece tremare, le tolse il fiato e le ridiede vita. Le parve di aver preso una boccata d’aria dopo essere stata troppo tempo sott’acqua. Scorpius sentì il suo sapore mentre le loro labbra premevano l’una su l’altra e dimenticò persino il suo nome. Durò un secondo ma bastò per far aumentare il battito cardiaco di entrambi e a dargli un briciolo di felicità, la stessa che fino ad un attimo prima sembrava irraggiungibile.
Quando si separarono lui aveva ancora gli occhi chiusi. Lei gli accarezzò i capelli delicatamente e lo sentì sospirare. Sorrise guardando la sua espressione rilassata.
«dormi adesso …» lui annuì e si lasciò cullare dalle sue carezze. Presto non fu più in grado di distinguere fra sogno e realtà.
 Quando riaprì gli occhi era piena notte. Il buio invadeva la stanza e per un attimo faticò a ricordare dove fosse, poi i ricordi gli piombarono addosso facendolo sorridere un po’. Lo aveva baciato … si guardò intorno cercandola e si accorse che si era addormentata sulla sedia accanto al suo letto. La testa le ciondolava di lato e di sicuro l’indomani avrebbe avuto torcicollo. Si sentiva più in forze rispetto a qualche ora prima, così provò ad alzarsi. Con una smorfia si accorse che gli doleva tutto, come se lo avessero picchiato. Silenziosamente calciò via le coperte e bevve un po’ d’acqua: aveva la bocca troppo asciutta e la gola in fiamme. Poi prese Rose tra le braccia, cercando di non svegliarla. Lei mormorò qualche parola senza senso, ma continuò a dormire. Delicatamente la mise nel suo letto e dopo, dolorante, si sdraiò accanto a lei, tirando su le coperte. Lei, nel sonno, si accoccolò sul suo petto sospirando grata. Il cuore gli impazzì sentendola così vicina, così morbida e profumata. Sapeva di pelle e di detersivo per i vestiti, di shampoo e di pioggia. La strinse forte e le baciò la testa respirando a pieni polmoni il suo odore.
La guardò dormire, fino a che l’alba non lo colse ad ammirare uno spettacolo che per lui era meglio persino del sole. Poi, stanco, si riaddormentò felice come forse non era mai stato. 

Hey!

Beh che dire? So che gli scorsi capitoli non sono stati proprio il massimo, spero solo che questo compensi ;)  Finalmente ho capito come si mettono le foto (me felice!!) quindi ...

Questo è Scorpius

E questo è Albus

Un bacio a tutti!!

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


Quella mattina si era svegliata fra le braccia di Scorpius. Era stato bene per tutta la notte e anche per tutta la mattina, così avevano dormito entrambi fino a mezzogiorno. Era stato un sollievo dormire a sazietà ma ancora più bello era stato svegliarsi appagata e ritrovare il suo viso a pochi centimetri. Mai avrebbe creduto che sarebbe ricapitata una cosa simile, le era piaciuto talmente tanto sentire il suo corpo caldo contro quello di lei, il suo odore, che le faceva male. Il cuore cominciò a battere furiosamente contro il suo petto solo a guardarlo dormire, con i capelli sottili e spettinati sparsi sul cuscino, le palpebre chiuse che nascondevano i suoi occhi grigi e il profilo della mascella con un filo di barba. Con un braccio le cingeva possessivamente il fianco, come se non volesse lasciarla andare via, mentre la testa di Rose era poggiata sul suo petto, proprio sopra il cuore. Dormivano sempre in quella posizione da ragazzi. Lei sgattaiolava nel dormitorio maschile, andando contro tutte le regole della scuola, e dormivano abbracciati, beandosi l’uno nelle braccia dell’altro. Non facevano altro, non avrebbero potuto neanche volendo, semplicemente dormivano insieme. Tutte quelle notti erano impresse a fuoco nella mente di entrambi, troppo calde, dolci e belle per poter essere dimenticate.
Dopo essersi separata da lui, però un nuovo sentimento si era fatto strada in Rose, perché quel risveglio non le aveva dato solo felicità, le aveva fatto anche male. Tanto, troppo male, non solo perché aveva paura di finire di nuovo fra le sue braccia o perché era tornato da lei solo ora che stava morendo ma anche per il senso di colpa che aveva verso Robert. La ragione le diceva che un bacio a fior di labbra non poteva significare un tradimento, che può capitare di baciarsi in quel modo anche per sbaglio e che in quel letto non ci si era messa lei. Il cuore invece, beh gli urlava che lei aveva desiderato con tutta se stessa risvegliarsi al suo fianco e che se lo aveva baciato era solo perché lei non lo aveva mai dimenticato. E se non lo aveva mai dimenticato, allora avrebbe dovuto lasciare Robert: l’ultima cosa che quell’uomo meritava erano le sue bugie.
Passò due giorni torturandosi. Cercava di stare il meno possibile con Scorpius e spesso al suo risveglio dopo le crisi lei scappava via, affidando le sue cure a qualche infermiere di turno. Lui la guardava volatilizzarsi con il cuore stretto e le lacrime negli occhi. La voleva vicina, anche se sapeva di essere uno schifoso egoista. Avrebbe dovuto allontanarla lui stesso, perché riscoprire quello che provava per lui sarebbe significato solo soffrire ancora. Come poteva pretendere che lei lo amasse ancora, quando ogni giorno lei era costretta a vederlo soffrire in quel modo, non lo sapeva. Però non ce la faceva a tenerla lontana, non riusciva a privarsi dell’unica persona che gli dava un poco di felicità e di speranza. Soprattutto non in quel momento, che si sentiva come un condannato a morte e ogni suo singolo istante valeva oro.
Quel pomeriggio aveva avuto una crisi, non tanto terribile, non era neanche svenuto ma era notevolmente indebolito. Lei stava lasciando la stanza, come sempre negli ultimi giorni, quando con una smorfia lui le afferrò il polso. La voleva lì, vicino a lui, non voleva che si allontanasse, voleva viverla ogni singolo istante della vita che gli rimaneva. Non contava più nulla, tranne quello.
«rimani …» i suoi occhi imploravano, le parole gli uscirono dalle labbra terribilmente deboli ma poco importava, perché lei lo guardava, finalmente. Lo osservò per un istante, e s’illuse che sarebbe rimasta.
«possono farlo anche loro, io sono impegnata. Passo più tardi» gli rispose invece, con un sorriso più falso dei fiori finti. Poi scivolò via attraverso lo porta, che lui rimase a fissare mentre cercava di riprendere possesso di quel corpo che ormai non sentiva più suo.
Rose varcò la porta e riprese a respirare. Perché doveva renderle tutto più difficile? Aveva bisogno di capire cosa le stava succedendo, o meglio, di accettarlo.
S’imbarazzava persino a guardarlo, aveva timore di quello che avrebbe potuto dire, perché qualcuna delle sue battute sarebbe potuta essere vera quella volta, il senso di colpa la dilaniava e la spingeva a stargli il più lontano possibile. Quello che aveva provato con lui era così tremendamente ingiusto. Quella felicità, quel tepore, quell’eccitazione, riusciva a darglieli solo lui. E non era giusto, perché era la persona al mondo che meritava meno il suo amore, per come l’aveva lasciata. Eppure, era anche la persona più giusta, erano giusti l’uno per l’altro. Lo sentiva indistintamente quel sentimento che aveva nascosto in un angolo del suo cuore e della sua mente, che aveva camuffato in odio per quasi tutta la vita e che adesso chiedeva esigente lo scotto.
Si lasciò cadere sulla sua scrivania e si guardò intorno, spaesata: quasi non si era resa conto di essere arrivata. Quella parola, quel “rimani”, pronunciato in quel modo, le aveva ricordato molto la prima volta che si erano avvicinati. All’epoca, lui era solo il migliore amico di suo cugino, il ragazzo più odiato dai ragazzi del castello, a causa sia del suo cognome sia dell’aspetto, e desiderato da tutte quelle che non morivano dietro suo cugino James. Era stata la prima volta che la maschera del suo odio aveva vacillato e da allora non aveva mai smesso di farlo. Fino a che non si era sfracellata al suolo dopo il loro primo bacio. Era stato difficile rimetterla insieme, quando ormai era solo polvere, le ci erano voluti anni. E adesso lui l’aveva nuovamente ridotta a pezzi. Come era possibile che bastava la sua vicinanza, la sua scelta di starle vicino, a farla cedere e abbattere tutte le sue difese? Come riusciva ogni volta a spogliarla in quel modo?
La mente le viaggiò lontano nel tempo, in quella notte, volando più di sette anni indietro.
Erano circa le tre del mattino, la notte era scura oltre le finestre, mentre nella casa c’era finalmente silenzio. Rose tremava nel suo letto, senza riuscire a riprendere sonno dopo aver di nuovo fatto quell’incubo. Tremendo, ecco com’era quel sogno. Si vedeva di anni più grande, con lei tutti i suoi amici, tutti i suoi parenti. Era in mezzo a loro, l’unica che non aveva trovato un ragazzo. C’era anche Scorpius con una ragazza, che con il suo sarcasmo le ribadiva quanto fosse inadatta a una relazione, esattamente come aveva fatto tante altre volte, quando qualche ragazzo l’aveva mollata, o semplicemente quando aveva capito che moriva dietro Dean da anni e lui non la calcolava. La accerchiavano, la deridevano, la stringevano e lei urlava a squarciagola ma nessuno la ascoltava. E poi si svegliava nel mezzo della notte, sudata e tremante, proprio come in quel momento.
Si alzò lentamente e si diresse verso il bagno nel corridoio. Il rumore dell’acqua copriva il sonoro russare di suo zio Harry e le parole sconnesse e senza senso di James. Quando però Rose chiuse l’acqua, si accorse di un altro rumore, come di un singhiozzo a stento trattenuto. Uscì dal bagno sospettosa, non sapendo da dove proveniva. Aguzzò l’udito e sentì un altro di quei rumori, provenienti dalla stanza degli ospiti. Posò la mano sulla maniglia, combattuta fra curiosità e paura. Fosse stata smistata in qualche altra casa, avrebbe voltato i tacchi, ma la curiosità era troppa, fra l’altro aveva il timore che fosse successo qualcosa. Così aprì la porta, richiudendola alle sue spalle. Poi si diresse verso la fonte di quel rumore, che in quel momento era rintanato sotto le coperte. Rose le sollevò, scoprendo uno Scorpius stravolto dalle lacrime e dal terrore di essere stato scoperto da lei in quello stato.
«Scorpius …» Rose era sconvolta quasi quanto lui, che non aveva mai mostrato della debolezza a nessuno, così forte, il ragazzo da sfidare. Sentiva che se Malfoy stava piangendo, allora il mondo poteva anche smettere di girare. Era Malfoy, dannazione, lui non piangeva, al massimo le faceva versare, le lacrime.
«che ci fai qui?» la voce era un sussurro, tremante, debole. Debole come un bambino che ha perso la mamma al parco e non sa ritrovarla.
«non riuscivo a dormire e ho sentito …»
«certo, non potevi perderti lo spettacolo di Malfoy che piange, no?» disse, attaccando come un animale ferito.
«no … non ci ho minimamente pensato. Forse è quello che avresti fatto tu, ma io non mi comporterei mai così» disse lei decisa e offesa, girandosi vero la porta. Le mani le tremavano di rabbia
«avevo solo paura che fosse successo qualcosa» gli dava le spalle, ed era pronta ad andarsene. Voleva allontanarsi da lì, perché l’idea che Malfoy stesse piangendo era … assurda. Non poteva essere reale e soprattutto non poteva fargli male: sarebbe dovuta essere felice di vederlo così ridotto. Invece si sentiva solo vuota.
«rimani» una parola, appena sussurrata. Rimani.  Una mano la tirò per il polso e lei si ritrovò, ancora prima di capirlo, stesa nel letto accanto a Malfoy con gli occhi lucidi e la voce roca per il pianto.
 Malfoy iniziò così a raccontare, rivelandole quello che gli aveva fatto passare la sua famiglia da quando era stato smistato a grifondoro. Si aprì completamente, forse perché sapeva che Rose non avrebbe rotto il segreto, forse perché era l’unica lì che potesse ascoltarlo e lui ne aveva un gran bisogno … comunque finirono per addormentarsi abbracciati.
La prima cosa che Rose sentì l’indomani, appena sveglia, fu un odore intenso, pungente. Un odore che sapeva di maschio. Tuttavia non ci fece caso, rimanendo tranquilla nel suo stato di dormi-veglia. Quando però qualcosa si mosse, lei si costrinse ad aprire gli occhi, trovando per suo sommo orrore, Scorpius in pigiama e con i capelli spettinati, che cercava di alzarsi senza svegliarla. 
«buon giorno … dormito bene?» il ragazzo sembrava imbarazzato e anche un po’ spaventato, inoltre era ancora mezzo addormentato.
«si …» disse Rose mettendosi a sedere
«perché ieri notte eri sveglia?» arrivò veloce la domanda a bruciapelo di Scorpius. Non le andava di rispondere, però lui quella notte si era confidato con lei e ciò la metteva in difficoltà.
«ho fatto un brutto sogno e non riuscivo a riaddormentarmi».
«ti va di raccontarmelo?» stava cercando di essere carino con lei, per chissà quale ragione. Senza un motivo evidente, Rose si trovò a descrivere con le lacrime agli occhi il sogno che faceva ogni notte.
«devi smetterla di pensarci. Ti farà solo male, fra l’altro non ti permetterà di accorgerti se qualcun altro ha delle attenzioni per te»
«ma chi dovrebbe interessarsi a me? È una vita che me lo ripeti, quindi non fare il carino solo perché ieri ti ho consolato, preferisco la sincerità. Faccio schifo, ok? Pazienza … me ne farò una ragione»
«stai facendo tutto tu» disse visibilmente infastidito dalla sua risposta. Non le diede il tempo di controbattere, perché era già in piedi e si stava dirigendo verso la porta del bagno.
La poteva sentire distintamente la sua voce infastidita, anche dopo tutti quegli anni. Ne era rimasta sconvolta, perché non avevano mai parlato in quel modo prima e soprattutto lui non aveva mai perso occasione di deriderla. Quella volta però era stato tutto così diverso, si erano mostrati entrambi umani. Non il ragazzo freddo come il marmo o la ragazza brillante, la più brava del suo corso. Solo loro, Scorpius e Rose. Ragazzi, con paure, debolezze e il bisogno di donare amore.
E il primo brandello di odio era caduto, spazzato via con la stessa facilità con cui si soffierebbe su una piuma.
 Si alzò di scatto dalla sedia.
Doveva parlare con Robert, e subito anche. Prese mantello sciarpa e guanti e corse verso il caporeparto chiedendo un permesso: sarebbe tornata il giorno dopo o solo in caso di emergenza. Una manciata di ore per buttarsi di nuovo nel mare in tempesta. Oh sapeva che sarebbe annegata. Però non avrebbe trascinato Robert con sé, non lo meritava e basta.
Si smaterializzò qualche minuto dopo davanti alla casa di Robert. Lui avrebbe dovuto essere a casa, era il ventitré Dicembre aveva lavorato solo la mattina.
Quando bussò, lui le aprì sorpreso e Rose entrò come una furia in quella casa che ormai conosceva così bene.
«ciao …» le disse lui un po’ titubante. Era sorpreso, anche se non dispiaciuto. Lei si guardò in torno, improvvisamente spaesata. Adesso che lo aveva di fronte, nel piccolo e accogliente salotto che tante volte li aveva nascosti al mondo intero, non sapeva cosa dire. Così si limitò a fissarlo martoriandosi il labbro. Lui dopo qualche secondo di silenzio la invitò a sedersi sul divano, poi si mise accanto a lei. Rose non aveva neanche tolto il giubbotto. Stava lì immobile, aspettando di trovare le parole. A un certo punto lui parlò.
«Rose, c’è qualcosa che non va?» lei continuò a guardarlo e annuì. Lui sospirò paziente.
«che cosa?» Rose abbassò gli occhi, arrossendo.
«tutto, non va. Io, tu … noi» Robert la fissò per un istante poi annuì. Non era stata per niente chiara, però sembrava che lui aveva capito.
«Rose, lui come sta?» le chiese tranquillamente, facendola quasi strozzare. Tutto si sarebbe aspettata tranne che quella domanda. Dopo aver deglutito un paio di volte a vuoto, gli rispose.
«male … l’altro giorno è stato per un’ora a urlare e …» scosse la testa, le parole bloccate in gola.
«vorrei tanto non dover guardare come si avvicina alla morte ogni giorno di più»
Robert annuì guardandola con attesa, però lei non disse niente. Così distolse lo sguardo, come assorto nei pensieri. Il suo atteggiamento incuriosì Rose, che lo osservò meglio, mentre aggrottava le sopraciglia e si grattava il mento, indeciso. Poi cominciò a parlare lo sguardo fisso davanti a sé.
«sai Rose, la mia ultima ragazza, prima di te, era babbana» lei si sorprese. Robert non aveva mai parlato di questa ragazza, le aveva solo detto che si chiamava Alexia e che lo aveva abbandonato dopo due anni di relazione. Queste erano state le uniche parole che Robert aveva speso su di lei. Lui fece una pausa, per farle assimilare la notizia, poi continuò.
«avevamo deciso di sposarci, lei sapeva che ero un mago, andava tutto bene … una sera era in ritardo per una cena a casa dei miei … sai che odio essere in ritardo. Così la chiamai al telefono e lei rispose mentre guidava. Cominciammo a discutere e a urlarci contro come due ragazzini, lei però stava ancora guidando. Era distratta e non aveva visto il camion che andava verso di lei a una velocità esagerata. A un certo punto sentì un forte rumore, come uno schianto. L’ultima cosa che le ho detto è che era un’irresponsabile» disse continuando a guardare il vuoto. Aveva gli occhi lucidi, e anche Rose era commossa.
«quando ti ho incontrata ho pensato che a te fosse accaduto qualcosa di simile, da come eri cauta con me, dal tuo sguardo perso ogni volta che ti soffermavi in qualcosa che probabilmente te lo ricordava, dal tuo modo di cambiare argomento ogni volta che si parlava dell’ultimo anno di scuola o di vecchi amori. Tu però non ne parlavi ed io ho fatto lo stesso. Fino a un paio di mesi fa pensavo che Scorpius fosse morto, Rose. Si vedeva nei tuoi occhi che ti mancava, così come adesso si vede che a me manca Alexis. A modo mio però ti amo e credo che la cosa sia reciproca. Inizialmente ho odiato Scorpius, soprattutto per come ti guardava, come se gli appartenessi e non ci fosse niente che avrebbe potuto cancellare quella certezza: eri pur sempre la mia ragazza e lui un totale estraneo. Poi ho collegato le cose, e ho capito che tu non lo hai mai dimenticato. Quando sono venuto al S. Mungo, avrei voluto dirti tutto questo, però ho pensato che non eri pronta, che dovevi capire sola che è di lui che hai bisogno ora» disse con un sorriso amaro.
«Io sarò qui, ad aspettarti. Il mio cuore, come il tuo, non mi appartiene più, però possiamo ancora renderci felici a vicenda, almeno per un po’» aggiunse con un briciolo di speranza. Lei l’abbraccio di getto e lui ricambiò affondando il viso nei suoi capelli.
«corri da lui … se sa che sei qui, andrà in iperventilazione» disse scherzando. Lei annuì e si alzò.
«grazie, di tutto» disse con sincerità. Si sentiva come se si fosse liberata da un fardello enorme. Gli occhi le brillavano e un sorriso le riempiva il volto. Non importava se aveva poco tempo, se non sarebbe stato facile, se dopo sarebbe stata peggio. In quel momento importava solo che era libera.
Stava giusto andando all’ospedale, di nuovo, quando ricordò che il giorno dopo sarebbe stata la vigilia di Natale. Fece dietrofront e cominciò a cercare un regalo adatto a lui, a loro.
Lo avrebbe sorpreso, ne era certa. Sorrise immaginando la faccia che avrebbe fatto appena aperto il suo regalo e fu felice, nonostante tutto. Felice per averlo ritrovato, seppur per poco tempo.
***
Albus passeggiava per le strade di Londra. Il freddo era pungente e lui non era coperto abbastanza, però poco importava. Non gli importava più di niente negli ultimi giorni, era apatico. Quello che era successo a Diagon Alley con Scorpius lo aveva sconvolto. Non riusciva a pensare ad altro che ad Alice e al suo migliore amico, in un circolo che lo stava inghiottendo, tanto che aveva quasi dimenticato tutto il resto.
E se fosse stato vero, quello che dicevano? Se fosse stato sul serio uno stupido spaventato dalla paternità? Non aveva mai riflettuto sul serio sulla possibilità che lui fosse nel torto, un po’ per orgoglio un po’ perché neanche voleva crederci che Alice era incinta.
Ed era stato davvero così disinteressato da non aver capito la gravità della malattia di Scorpius? Come aveva fatto a dimenticare che il suo migliore amico, suo fratello, fosse ridotto così male? Era davvero una brutta persona, se era riuscito a ferire contemporaneamente il suo migliore amico, la sua ragazza e la sua cugina preferita. Capiva di aver sbagliato e davvero si stava impegnando per rimediare. Ogni volta che poteva era con Scorpius e gli faceva compagnia, aveva aiutato Rose con il cibo e a pulire casa, visto che la ragazza non aveva neanche il tempo per dormire. Stava cercando di rimediare, però non sapeva cosa fare con Alice. Pensava e ripensava ma c’era qualcosa che gli sfuggiva. Certo se si immaginava alle prese con dei poppanti storceva il naso e di certo la cosa non lo avrebbe mai entusiasmato. Però non avrebbe mai abbandonato suo figlio.
Non era da Alice fare ciò di cui lui la accusava, anche se era passato troppo poco tempo da quando era tornato, anche se era sicuro di aver fatto bene l’incantesimo. E se lui sarebbe diventato sul serio padre? Rabbrividì all’idea di non veder crescere il proprio figlio.
Nei giorni precedenti la rabbia lo aveva accecato, ora che era invaso dai sensi di colpa riusciva a ragionare più lucidamente, tanto che ricordava quasi perfettamente tutti i giorni che aveva passato con Alice, esaminava i ricordi minuziosamente, cercando il momento in cui lui avrebbe potuto commettere quell’errore fatale.
Però era sicuro di non aver sbagliato nessun incantesimo e di non aver bevuto, cosa che cancellava gli effetti dell’incantesimo. Ne era certo, dannazione!
Tu non hai bevuto ... e Alice? Il pensiero lo colpì improvvisamente e con la forza di un colpo di cannone. Una lampadina si era accesa nel suo cervello, come se finalmente dopo giorni che brancolava nel buio aveva trovato l’interruttore.
Spalancò gli occhi, fermandosi nel mezzo della strada. Si mise le mani sui capelli, tirando, cercando di svegliarsi da quell’incubo. Perché non poteva aver combinato davvero tutto quel casino. La notte in cui lui era tornato Alice non era in casa … lui voleva farle una sorpresa, così non sapeva che sarebbe tornato un paio di giorni prima, ma lei era uscita. Alice quella sera era stata fuori con Rose e Lily Dursley.
E non era improbabile che avesse bevuto, anzi. 

Hola!!

Che ne pensate? Carino? A me piace moltissimo il flash-back ... se vi interessa, per vedere le foto dovete cliccare col tasto destro e mettere "copia Url immagine" ... dopo di che dovete aprire un'altra pagine con l'URL della foto. so che è un po' incasinato ma questo è il meglio che sono riuscita a fare >.< vi lascio con le mezze immagini di Rose e Alice :D

questa è Rose
E questa è Alice:

che ne pensate?? :D

 

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


Alice era in casa, quel pomeriggio, a incartare i regali di Natale. Era sola, i suoi genitori erano andati a fare spese – probabilmente dovevano comprare tutti i regali e si erano ridotti al limite quindi si stava godendo un po’ di pace. Nel frattempo pensava ad Albus.  Lo amava ancora nonostante tutto, anche se avrebbe voluto odiarlo. L’aveva lasciata sola, umiliata e derisa quando lei aveva avuto estremo bisogno di lui. Non riusciva a credere che fosse lo stesso ragazzo che le diceva sempre che senza di lei sarebbe impazzito. Lo stesso che fino a qualche giorno prima di quel disastro le aveva portato la colazione a letto e che aveva fatto i salti mortali per arrivare qualche ora prima a casa, in modo da farle una sorpresa. Albus, il ragazzo dolce e a volte ingenuo, che aveva passato la vita nell’ombra del fratello e non faceva altro che dirle quanto fosse felice di averla accanto. Lui, che si era tenuto senza battere ciglio un pugno in piena faccia da suo fratello Frank, quando aveva scoperto che avevano fatto l’amore, tanti anni prima.
Non riusciva a crederci. Aveva dato di matto non appena lei aveva pronunciato la parola “incinta”.  Era come se tutto il suo essere gentile, dolce, comprensivo e tutte le cose che lei amava di lui fossero sparite in un battito di ciglia, lasciando solo polvere e un uomo che Alice non sapeva nemmeno chi fosse.
Un po’ aveva capito perché lui aveva reagito in quel modo. Però questo non giustificava il suo comportamento: anche lei avrebbe voluto scappare, anche lei non voleva una simile responsabilità. Però non lo aveva fatto.
Pensava a questo quando il campanello iniziò a suonare interrottamente, come se qualche ragazzino ci si fosse attaccato. Convinta che fosse uno scherzo si asciugò velocemente le lacrime dal viso e si diresse a passo di marcia verso la porta, convinta a sfogare la sua rabbia verso lo stupido ragazzino che di sicuro si stava divertendo a sue spese. Aprì la porta di scatto, però non c’era nessun ragazzino che scappava via, colto nel bel mezzo di uno scherzo.
C’era un uomo, con i capelli scarmigliati e neri e gli occhi verdi. Aveva lo sguardo spiritato, la barba di tre giorni sul viso e delle brutte occhiaie.
«Albus! Che ci fai qui?» disse quando si fu ripresa dal piccolo infarto che le aveva procurato il vederlo spuntare così dal nulla.
«c’è qualcuno? Vorrei parlarti» disse con un tono quasi implorante.
Lei gli chiuse la porta in faccia, quasi prendendolo sul naso.
 E lui si attaccò di nuovo al campanello, fino a che in un attacco nervoso per quel suono fastidioso, Alice non aprì di nuovo. Solo però per dargli una gran bella sberla, di quelle che fanno girare la faccia e lasciano la forma della mano sulla guancia, rossa e pulsante.
«va via!»
«ok me lo sono meritato» girò il viso, letteralmente porgendogli l’altra guancia.
«puoi darmene un’altra, puoi picchiarmi quanto vuoi. Però fammi parlare, ok?» lei non si fece pregare e gli tirò un’altra sberla. Lui gemette.
«ora posso entrare?» chiese supplicando.
«no! Non potresti entrare dentro casa mia neanche se ti lasciassi picchiare a sangue!» gli urlò in faccia, quasi perforandogli i timpani.
«neanche se volessi chiederti scusa?» lui si fece piccolo piccolo sotto il suo sguardo.
«non basterebbe» disse lei. Però smise di urlare e già questo era positivo.
«oh ma lo so. Non basterebbe a rimediare a tutto questo casino. Però … magari potrebbe bastare per lasciarmi entrare in casa» lei non rispose, né si mosse.
«Ali ti prego. Sono un’idiota che ha creato una storia assurda per paura. Sono stato un codardo, e questa è una storia nuova per me. Ho voluto credere senza pensare che il bambino non fosse mio. Ed è una cazzata, perché so che tu non avresti mai fatto quello di cui ti accuso, lo so. Però era molto più facile crederci, anche se ci stavo da cani, perché … perché non volevo un figlio. E ti chiedo scusa, per tutto questo e anche per averti lasciata sola e per aver preteso che tu affrontassi un casino del genere quando sostanzialmente ero stato io a metterti nei guai. Alice … sul serio, scusami» disse quasi senza riprendere fiato. Lei non rispose, però si spostò e lo fece entrare. Lui sospirò di sollievo quando lei chiuse la porta alle loro spalle.
«grazie …» le disse riconoscente.
«allora di cosa dovevi parlarmi?» chiese lei guidandolo nel salotto. Lui rimase in silenzio fino a che non arrivarono e lei si sedette sul divano. Lui le andò di fronte.
«beh sei incinta … ho pensato che queste potrebbero tornarti utili» disse uscendo dalla tasca delle barrette di cioccolato. Ma non cioccolato normale, no. Era quello al caramello, di una specifica marca e con un po’ di biscotto dentro. Il preferito di Alice, un’amante del cioccolato più appassionata di Willy Wonka. Lei non riuscì a trattenere un mezzo sorriso.
«seriamente? Cioccolato?» lui scrollò le spalle.
«non eri tu a dire che ami più il cioccolato che me?»
«cosa assolutamente vera. Io non ti amo per niente, anzi ti odio» disse con un tono che non convinceva nemmeno lei, per poi afferrare una barretta e aprirla. Lui rise e le si sedette accanto.
«anch’io mi odierei se fossi in te» disse onestamente.
«e faresti bene!» lui sospirò mentre diceva quella frase, poi accettò un morso di cioccolato da lei.
E in quel momento Alice poté confermare che gli ormoni della gravidanza facevano proprio brutti scherzi, perché … beh perché in quel momento avrebbe tanto voluto ignorare quello che “l’idiota” le aveva fatto e scaraventarlo sul divano. Era troppo tenero con le labbra sporche di cioccolato e caramello.
«perché mi fissi?» chiese ad un certo punto lui. Perché ti sbatterei su questo divano come una ninfomane pensò lievemente sconcertata da se stessa.
«sei sporco di cioccolato» disse invece. Peccato che lui sapesse quanto lo trovasse sexy in quei casi. Porca la miseria, lo sa e lo ha fatto apposta! Infatti, sorrise e si leccò le labbra.
«puoi anche evitare di cercare di sedurmi, sai Albus? Credo che se finissi a letto con te questo non farebbe che allontanarti di più. Quindi se davvero credi a quello che hai detto, smettila» lui rimase spiazzato.
«io non sto cercando di sedurti!» lei inarcò un sopraciglio e lui arrossì cambiando argomento.
«hai fatto delle visite al S. Mungo?» lei annuì.
«e …?»
«e sta benone. Anche se, a quanto ho capito, adesso ha su per giù le dimensioni di un fagiolo» disse con voce quasi sognante. Lo amava già quel fagiolo.
«il nostro fagiolo»
«io ricordo che era solo mio e di un certo amante segreto che mi aveva ingravidata e poi era scappato via» era diventata acida di colpo.
«beh sbagli solo sull’aggettivo segreto. Perché io era tuo amante, ti ho ingravidata e poi sono scappato via. Però sto cercando di rimediare»
«allora vedi di impegnarti» lui annuì e le fissò la pancia.
«Ali posso fare una cosa?»
«cosa?» le chiese curiosa. Lui le disse di stendersi e lei obbedì confusa e impaziente. Albus le scoprì la pancia e lei arrossì. La accarezzò con la mano, concentrato, cercando qualche differenza rispetto a prima. E in effetti, in maniera quasi impercettibile, era un po’ più pronunciata. Sorrise e la baciò proprio nell’ombelico. Alice aveva gli occhi chiusi ma a quel tocco scattò e si alzò, abbassando la maglietta. Era proprio in quel modo che aveva immaginato di passare una gravidanza. Con Albus che le portava qualcosa di buono per coccolarla e le baciava la pancia. Avrebbe ceduto troppo in fretta se lui faceva in quel modo.
«adesso sarà meglio che tu vada» disse nervosa. Lui annuì, deluso e dopo averle scoccato un bacio nell’angolo della bocca, che le diede i brividi, sparì nell’ingresso. E lei rimase lì, con un sorriso da ebete in volto, che ricordò troppo tardi quanto fosse fuori luogo.
***
Rose quella mattina si svegliò felice come una Pasqua. Era la vigilia di Natale e non l’avevano chiamata dall’ospedale, quindi Scorpius non aveva avuto crisi, o almeno così credeva. Si alzò saltellando e si vestì mentre canticchiava una canzone datata di qualche anno, di quelle che ascoltavano durante le riunioni di famiglia quando lei era bambina. Aveva un sorriso stampato in faccia che non s’intaccò neanche davanti alla bufera che c’era fuori, né all’ambiente desolato che si respirava all’ospedale, dove arrivò in anticipo di mezz’ora. Erano solo le otto e mezzo quando aprì la camera di Scorpius: stava facendo colazione e doveva ancora lavarsi.
«buongiorno!» esordì entrando come un tornado e chiudendo la porta alle sue spalle.
«non ti sei ancora lavato? Ho una sorpresa per te» lui la guardò scettico e risentito dopo due giorni di totale indifferenza.
«no, prima di lavarmi devo mangiare quest’odiosa poltiglia» disse facendo cadere un cucchiaio di porridge sul piatto, disgustato.
«è superfluo aggiungere che è un’idea tua, uno splendido colpo di genio per la tua cavia da laboratorio» disse sarcastico.
«beh ti ha fatto bene, comunque: stanotte non hai avuto crisi»
«e tu eri qui a verificarlo?» lei lo guardò sospettosa.
«do per scontato che mi avresti chiamata» era quasi minacciosa ma lui non si intimidì.
«e perché? Potevano anche farlo gli altri, ti meritavi una notte di riposo dopo questi giorni così estenuanti» il sarcasmo era forte nella sua voce ma lei decise di ignorarlo: non le andava di litigare.
«avrei voluto che mi chiamassi e lo sai. Non costringermi a passare la notte qui, torno a casa solo perché confido nel fatto che mi avviseresti»
«ma io non voglio disturbarti. Sei così allegra stamattina che neanche ti va di litigare, immagino che avrai fatto una lunga e bella dormita» lei gli voltò le spalle, per cercare di riacquisire il suo autocontrollo. Era capace come nessun altro di farle saltare i nervi ed era offeso per chissà quale ragione. Fece un respiro profondo e ignorò il suo odioso sarcasmo. Sapeva come farla innervosire, era un maestro in quell'arte. Era stato per qualche anno l’unico modo per farsi vedere da lei.
«ho una sorpresa per te, non sei curioso?» disse infine quando riacquisì il controllo. Lui alzò le spalle.
«credo sia irrilevante: sto per morire, non so se mi spiego»
«tu non stai per morire e verrai con me per Natale. Quindi sbrigati a mangiare, lavati e fai le valigie: staremo a casa dei miei nonni per tre giorni» disse alla fine, spompata dal suo poco entusiasmo. I suoi occhi parvero accendersi per un attimo di felicità, che lui coprì velocemente con quell’indifferenza che le riservava quando qualcosa lo infastidiva al punto da sentirsi in dovere di ricambiare.
«chi ci sarà?» chiese cercando di mascherare l’entusiasmo.
«tutti, persino zio Charlie la famiglia di Lily e anche i genitori di zia Fleur, zia Audrey, zia Angelina, Neville e Luna. Però solo domani, stasera saremo molti di meno» lui non si trattenne dal sorridere
«tua nonna starà uscendo pazza a cucinare per così tante persone. Però sarà fantastico, come ai vecchi tempi» disse dimenticando per un attimo il risentimento nei suoi confronti.
«beh mi auguro che noi non litigheremo come il cane e il gatto per tutto il tempo, allora. È sempre stato così, anche quando stavamo insieme»
«certe abitudini sono dure a morire Weasley»
«sono d’accordo Malfoy. Non ricordo un solo Natale durante i miei anni di scuola in cui io non abbia avuto la voglio di impiccarti al lampadario e lasciarti lì a ciondolare come trofeo»
«io non ricordo un attimo in cui invece non avrei voluto tapparti la bocca. Non solo a Natale, ma anche tutti gli altri giorni dell’anno e dovunque. Soprattutto durante le lezioni: eri un’insopportabile secchiona e a quanto ricordo non ero l’unico a pensarlo. Non che adesso sei cambiata» buttò lì come se niente fosse. Come se non sapesse quanto odiasse essere chiamata così o quanto le facesse male il fatto che a scuola gli amici sinceri che aveva poteva contarli sulle dita di una mano. Scelse di smettere di lasciare correre.
«Scorpius perché ce l’hai con me? Cosa ti ho fatto?» lui la guardò negli occhi. Lei amava i suoi occhi, li adorava anzi, soprattutto quando li sorprendeva a fissarla. In quel momento però erano di pietra.
«assolutamente niente. Non hai fatto niente» si alzò e cominciò a spogliarsi. La verità è che voleva sottolineare quello che si era persa, quello che Robert non era mai stato e soprattutto voleva farle capire che lui non avrebbe mai smesso di avere effetto su di lei, che non si sarebbe mai liberata di lui neanche dopo una notte di sesso, neanche se si fosse sposata e avesse avuto dei figli: lui aveva in mano il suo cuore. Scorpius aveva dimenticato tutti i buoni motivi per cui lei non avrebbe dovuto avvicinarsi a lui. Voleva solo che capitolasse ai suoi piedi e si rendesse conto di non appartenere a nessun altro che a lui, per quanto fosse egoistico come pensiero.  Si tolse contemporaneamente la felpa e la maglietta, prendendola in contropiede. Di solito quando lo spogliava era troppo occupata a tenerlo sveglio per pensare a quando gli piacessero i suoi muscoli. Erano forti nelle braccia e nelle spalle, mentre nella pancia erano appena visibili ed era bianchissimo, quasi come il marmo.
«che stai facendo?» disse lei tentennante.
«mi lavo» rispose scalciando i pantaloni e rimanendo con soltanto i boxer.
«potevi aspettare che uscissi» disse lei girandosi. Sentì un fruscio alle sue spalle e capì che era nudo. Il calore le affluì al viso in una vampata e seppe di essere rossa come un pomodoro.
«e perché? Non è niente che tu non abbia già visto» lei non rispose, anzi si lanciò verso la porta e ne uscì come una furia, sconvolta e imbarazzata.
Lui sorrise amaramente e si diresse verso la porta del bagno per rilassarsi sotto il getto di acqua bollente. Amava provocarla e aveva tutte le intenzioni di non darle tregua durante quei tre giorni. L’avrebbe fatta impazzire.
I signori Weasley possedevano una casa enorme, acquistata dopo la guerra, quando il Ministero aveva dato come ricompensa a Molly l’intero contenuto della camera blindata dei Lestrange. Non avevano venduto la Tana, però non erano più riusciti a viverci dopo aver perso un figlio.
La casa era abbastanza grande da ospitare tutta la famiglia ma quell’anno sarebbe stata comunque affollatissima.
Quando entrarono, furono investiti dall’odore di biscotti e altre mille cose che sarebbero state servite quella sera. In casa c’erano solo i signori Weasley e Ginny con Hermione. Tutti gli altri sarebbero arrivati durante la mattina e il pomeriggio.
Tutti e quattro accolsero Scorpius abbracciandolo forte, riscaldandogli un po’ il cuore. Aveva sempre amato passare il Natale da loro, erano una famiglia fantastica e incredibilmente unita anche se a volte erano invadenti gli uni con gli altri. Era comunque bellissimo avere tanti cugini. Ricordava che durante il suo primo anno a Hogwarts sembrava che i Weasley si fossero dati alla conquista della scuola: erano dappertutto.
Lui e Rose si sedettero nel salotto aspettando l’arrivo degli altri cugini, mentre Molly li riempiva di biscotti caldi, nonostante avessero già fatto colazione. La stanza era grande, con tre divani morbidi e le due poltrone dei signori Weasley. Scorpius non faceva a meno di pensare a quanto dovessero sentirsi soli quando in casa non c’era nessuno, visto quanto era grande. Nel pavimento c’era un tappeto grandissimo e nel camino scoppiettava un fuoco che riscaldava tutta la stanza e la rendeva accogliente.
Rose si acciambellò su di lui, freddolosa come sempre. Le braccia gli si mossero come animate di vita propria e la avvolsero mettendola al sicuro nel suo petto. Quando stavano insieme, lei diceva sempre che odiava il potere che lui esercitava su di lei. Quello che però non sapeva era che aveva sempre avuto potere su di lui, tante cose Scorpius le aveva fatte solo in sua funzione e anche in quel momento, che i dubbi su dove fosse stata quella notte lo tormentavano, se lei gli avesse chiesto qualcosa, lui non avrebbe potuto fare altro che renderla felice. Non poteva opporsi alle sue braccia che lo stringevano, ai suoi occhi azzurri, al suo profumo di sempre. Se doveva morire, pensò, gli sarebbe piaciuto fosse in un momento come quello: se ne sarebbe andato in pace.
«Scorpius?»
«che c’è?» rispose lui un po’ seccato. Non gli andava di rompere quel momento.
«perché sei arrabbiato con me?» lui sospirò.
«cosa ti fa pensare che lo sia?» non voleva dirle la verità, perché si rendeva conto di essere un tantino ridicolo.
«non si risponde ad una domanda con un’altra domanda. E sai che ti conosco abbastanza bene da capire quando stai cercando di farmela pagare per qualcosa»
«già … oppure sono solo stressato perché ho una brutta malattia e tu, che teoricamente dovresti aiutarmi, mi eviti come se avessi la peste» disse, dando voce solo in parte a quello che sentiva.
«sono stata impegnata in questi due giorni … »
«no, non è vero. Mi hai evitato in questi due giorni» disse con aria sicura e infastidita.
«beh scusa tanto se avevo bisogno di pensare, dopo che mi sono ritrovata a baciare il mio ex ragazzo mentre stavo con un altro!» disse con sarcasmo, ammettendo di averlo evitato.
«avevi bisogno di pensare? E io invece aveva bisogno di scopare, quella notte! Eppure non mi sembra che ti abbia sbattuta su quel letto – e sappiamo entrambi che tu non ti saresti tirata indietro – solo perché ti rispetto: mi dovevi delle spiegazioni o almeno delle cure. Diamine dovrebbe essere il tuo lavoro!» lei si alzò di scatto.
«beh e invece ti avrei respinto. E sai perché? Io ho una dignità, non avrei tradito Robert» lui rise sotto i baffi.
«un bacio, una notte di sesso, anche solo uno sguardo. Tu hai tradito il tuo ragazzo dal momento stesso in cui hai cominciato a prenderti cura di me. Non è solo un’azione precisa che crea un tradimento. E se poi dobbiamo parlare di azioni, sei stata tu a baciarmi, Rose. Quindi non fare la santarellina» disse con un ghigno.
«stai facendo dei discorsi da bambino» era esasperata.
«e tu non vuoi ammettere la verità» quel tremendo ghigno non dava cenni di cedimento.
«e quale sarebbe la verità?» disse lei spazientita.
«che tu mi appartieni. Sei mia Rose, mia e di nessun altro, per quanto tu ti ribelli. Non ti libererai mai di me»
«e invece mi libererò di te, e molto presto anche» lui strinse gli occhi.
«potrò anche morire Rose, però lo so che non cambierà niente. Non mi hai dimenticato dopo sei anni, perché le cose dovrebbero cambiare?»
«perché tu saresti morto. E io tornerò da Robert, mi sposerò e avrò dei figli in una casa fantastica con un marito che non mi abbandonerebbe mai, al contrario di te. E tu sarai solo un ricordo vago, una storia passata, di quelle da ultimo anno di scuola che poi si perdono con il tempo e si dimenticano fino a quando non scopri qualche vecchia foto» lui tremava
«mi hai appena sbattuto in faccia la mia malattia?» lei parve spaesata: aveva esagerato.
«io …» provò. Poi non trovando le parole tacque. Era vero. Si pentì di quello che aveva detto, però lui era già in piedi e si stava dirigendo verso le scale.
«dove vai?» gli chiese tremante.
«a fare una corsa» rispose schietto lui.
«se hai un attacco chiam …» lui la interruppe.
«me la caverò. Non ho bisogno di te» Rose abbassò gli occhi, mentre lui saliva per le scale. Avrebbe voluto urlare ma non sarebbe servito a niente.
Si rintanò sul divano stringendosi al cuscino, poi corse nella stanza del ragazzo, aspettandolo lì. Corse per un’ora e mezzo e quando finalmente lo vide comparire sull’uscio era bagnato fradicio e con le maniche corte. Sbuffò spazientita.
«ti pare il caso di prenderti un raffreddore?»
«non sono affari tuoi» disse lui entrando e cominciando a rovistare nella valigia, in cerca di qualcosa di asciutto.
«sono arrivati Albus, Lily e zio Harry. Li hai visti?» lui annuì, poi si rialzò trionfante con i vestiti puliti in mano.
«sarai gelato, vuoi una cioccolata?» chiese con aria conciliante.
«Rose voglio solo che tu mi lasci in pace»
«non è vero» obiettò lei. Stava per ribattere quando fece una smorfia.
«cazzo!» quell’odioso e familiare calore gli stava invadendo la testa molto velocemente. Lasciò andare i vestiti e si spogliò, mentre aveva sempre più caldo, rifiutando le cure di Rose. Si stese a letto febbricitante. Era stordito, quell’attacco sarebbe stato terribile, ne era sicuro. Fu preso dal panico e per poco non svenne ma una secchiata di acqua gelida proprio in faccia lo fece riprendere per poco.
«Scorpius calmati» sentì a malapena la voce di Rose e affondò le mani nel materasso, cercando di non urlare.
E poi ricadde in quel mondo di dolore, da cui ogni volta usciva sempre con più fatica. E rimase lì per quella che sembrò un’eternità.
Si svegliò ore dopo. Rose accanto a lui accarezzava i suoi capelli. Stava singhiozzando e gli bagnava il letto con quella pioggia salata. Istintivamente provò ad alzare un braccio per accarezzarla ma riuscì a malapena a muoverlo. Voleva confortarla, farle capire che stava bene, anche se non era ancora del tutto cosciente.
«Rose …» biascicò con voce roca.
«sei sveglio …» fu la sua risposta. Non si preoccupò nemmeno di ripulirsi il viso dalle lacrime.
«ti ho detto delle cose orribili» disse, mentre lui si sforzava di ricordare. Aveva un grande vuoto nella mente, era difficile capire persino chi fosse, come si chiamava, dov’era. Erano domande senza risposta che lui neanche si poneva. Sapeva solo che c’era una donna lì, di nome Rose, e che lui la amava.
«non importa … resta con me» riuscì a dire, prima di svenire di nuovo.
Quando si svegliò il sole era alto nel cielo. Dovevano essere almeno le cinque del pomeriggio e Rose era ancora lì che lo fissava. Sul viso, i solchi lasciati dalle lacrime. Si accorse che la sua mano stringeva convulsamente le dita di lei e allentò la presa, spaventato di lasciarle dei lividi. Lei lo guardò.
«ti prego non svenire di nuovo» disse quasi implorante.
«quanto sono stato in questo stato?» chiese temendo la risposta.
«parecchio. Sono le cinque e mezzo e sono già arrivati quasi tutti. Manca solo zio Percy»  spiegò lei. Lui annuì sforzandosi per alzarsi ma riuscendo solo a fare una smorfia.
«È tutta colpa mia, ti ho fatto perdere la calma e hai avuto una crisi terribile. Scusami» lui la guardò.
«scusa per quello che hai detto o per avermi fatto perdere la calma?»
«per quello che ho detto. Non penso niente di quello che ti ho detto. E anche per averti fatto perdere la calma»
«quindi non credi che io stia morendo?» lei sospirò e cominciò a guardare fisso la parete.
«ogni volta che penso che tu potresti abbandonarmi di nuovo, ho un istinto inspiegabile di scappare via. Devo credere di poterti salvare, altrimenti rischio di impazzire. Quindi no, non penso che tu stia morendo, perché muoverò cielo e terra per evitarlo. Sai che le tue prospettive di vita erano ridotte a tre, massimo quattro settimane? Invece stai molto meglio di quanto non ci si aspettava. È come se avessi bloccato la malattia, non avanza ma non retrocede»
«quindi hai fatto progressi?» chiese stupito. Lei scosse la testa.
«ho evitato peggioramenti. Però non so quanto durerà … non volevo darti false speranze» lui sorrise.
«ma è fantastico!» lei annuì, pensierosa.
«riesci ad alzarti? Ho fatto in modo che non sentissero le tue urla, però sono tutti comunque preoccupati» lui fece una smorfia.
«dammi una mano» lei lo aiutò ad alzarsi e a vestirsi, mentre lui barcollava. Scesero le scale e lui si sforzò di non fare smorfie e di essere allegro come il solito, riuscendo in parte a tranquillizzare tutti.
C’erano i Potter, sparsi per il salotto. Albus taciturno in un angolo che s’illuminò quando lo vide, per poi ricadere in uno stato comatoso: intuì che aveva finalmente capito il casino che aveva combinato. James con Lily Dursley che si facevano il solletico. Stavano insieme da tempo immemore con il grande disappunto di ogni ragazza che vedeva James, che di sicuro era il più bello lì dentro. Lily Luna era accanto ad Albus, imbronciata perché il suo ragazzo, Lorcan, sarebbe arrivato solo l’indomani.
Poi c’erano Ron ed Hermione, che stavano battibeccando per chissà che cosa e Hugo accanto a Lily che cercava di fare conversazione, con pochi risultati.
Accanto ad Harry sul divano c’era George che rideva come un matto per una qualche battuta, mentre Angelina lo guardava con aria di rimprovero e un mezzo sorriso sul viso. Fred e Roxanne giocavano a spara schiocco con Molly, l’unica serpe verde in famiglia, Lucy e Louis. Laurel era lì accanto e osservava la loro figlia giocare con Remus Jr. Il figlio di sette anni di Teddy e Victorie. Aveva un’aria abbattuta, però cercava di nasconderlo il più possibile.
Victorie stava accanto a Teddy e sembrava che stessero discutendo su qualcosa riguardo loro figlio. Fleur parlava con la suocera contestando una certa canzone che Molly proprio non voleva cambiare ma che lei odiava. Più in là Bill rideva con Charlie e Arthur mentre la guardava di sottecchi.
Percy non era ancora arrivato ma già Audrey era lì e chiacchierava allegramente con Ginny. Era molto meglio di quanto non ci si sarebbe aspettati da Percy.
Tutti si fiondarono a salutarli e Scorpius si sentì pieno di gioia.
Gli erano proprio mancati i Weasley.

 

 

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Capitolo 13
*** capitolo 13 ***


Louis osservava di sottecchi Laurel, accanto a lui nell’immensa tavolata di Weasley. Non si vedevano più, in pratica, se non di sfuggita. La notte era relegato alla camera degli ospiti e lei faceva di tutto per non trovarsi in casa quando c’era lui. Lo salutava, gli consegnava Helena, poi spariva fuori la porta. La sera, quando lui tornava, lei era già a letto, probabilmente con un libro o a guardare un film. Ogni tanto la sentiva singhiozzare attraverso la porta.
Laurel sembrava più stanca di quando aveva scoperto di aspettare Helena. Aveva di nuovo tagliato i capelli, aveva delle brutte occhiaie e il viso pallido.
Ogni volta che provava a parlarle, lei lo ignorava, quindi decise di sfruttare quell’occasione: lei non avrebbe fatto mai una scenata davanti tutta la famiglia.
«Laurel non riesco a trovare il maglione dell’anno scorso, puoi aiutarmi a cercarlo? Sento un po’ freddo» chiese con noncuranza. Era una richiesta più che normale, giacché lui era in maniche di camicia e non riusciva mai a trovare nulla. Lei strinse le labbra e gli mandò uno sguardo di fuoco.
«certo. Vado io, tu resta pure qui» disse sforzandosi di sembrare gentile.
«no, ti aiuto» probabilmente lei capì l’antifona, perché il suo sguardo si velò per un momento di panico. Aveva paura a parlare con lui, dopo quella sera. Non voleva sapere, avrebbe voluto essere tenuta all’oscuro di tutto.
Salirono le scale in silenzio ed entrarono nella loro stanza. Lei provò a cominciare a cercare il maglione, però lui la trattenne per un braccio.
«Laurel aspetta un attimo» era quasi implorante. Lei tirò via il suo braccio con forza, indispettita, poi lo guardò con tutto il disprezzo di cui era capace.
«ok, cosa vuoi dirmi? Cosa diamine c’è da dire?» lui sospirò.
«tanto, ci sarebbero un mare di cose da dire! E tu non fai altro che evitarmi, viviamo nella stessa casa e in pratica non ti vedo, se ti chiedo di parlare m’ignori mentre io ho bisogno di spiegarti un paio di cose: tu devi stare a sentirmi!» disse tutto di un fiato. Lei incrociò le braccia.
«non vedo come una tua spiegazione potrebbe farmi cambiare idea. Mi fai schifo Louis. Capisco cosa è successo, sai? Eri un puttaniere, poi mi hai messo incinta e hai fatto finta di essere cresciuto, per poi continuare con la tua vita di sempre alle mie spalle. Cosa c’è da spiegare? Quanto sia stata stupida a fidarmi di te? Grazie tante, ma l’ho già capito sola» lui rimase pietrificato.
«tu non puoi credere realmente che io ti abbia sempre tradito».
«perché non potrei? Io l’ho scoperto dopo anni, però per quante ne so avresti anche potuto farlo da sempre» lui respirò profondamente, cercando di calmarsi.
«Laurel, io ti amo. Capisci? Ti amo. È semplice questo concetto. Quello che ho fatto, e che faccio per te non lo farei mai per nessun altra e per nessuna ragione al mondo. Ho fatto un grosso errore, è vero, però non è come credi tu. Ti prego prova anche solo ad ascoltarmi»
«tu puoi anche parlare Louis, dirmi di amarmi e tutto il resto. Io però non ti credo. Sei solo un ragazzino»
«e tu sembri una vecchia, Laurel! Ti rendi conto di cosa dici? Hai in mente com’era il nostro rapporto quando hai scoperto una cazzo di macchia nei miei pantaloni?»
«a me sembrava perfetto!»
«beh non lo era. Il tuo rapporto con nostra figlia era perfetto, io per te neanche esistevo. Ti sei ricordata che sono tuo marito dopo che hai pensato che io ti avessi tradita!».
«mi stai dicendo di essere geloso di una bambina?».
«no! Ti sto dicendo che io non avevo più mia moglie!».
«e invece io ero lì, razza d’idiota! Non avresti potuto parlarmi, invece di fiondarti fra le braccia della prima che passava?» disse, mentre già lacrime le scendevano lungo gli occhi. Lui tentò di avvicinarsi, lei però lo spinse via con tutta la sua forza.
«Laurel …»
«io mi fidavo di te! Io ti amavo, mentre tu hai preso il mio cuore e lo hai buttato nel cesso».
«Laurel … io ho solo provato a buttarmi fra le braccia di qualcun’altra. Non l’ho mai fatto sul serio» lei rimase a fissarlo, smettendo di piangere per un attimo.
«che significa questo?»
«ero arrabbiato con te. Non so se ti ricordi, ti avevo chiesto di uscire con me quella sera. Ti avevo chiesto di lasciare Helena a dormire da tua madre, così avremmo potuto farci un giro, magari andare in discoteca, e poi avere la casa per noi. Te lo ricordi?» lei annuì spaesata.
«tu mi hai risposto che eri stanca e non ti andava … ed io sono uscito solo»
«si me lo ricordo …. Pensavo fosse con James e Fred»
«loro erano impegnati. Sono rimasto in quel bar solo per più di un’ora, poi una ragazza si è avvicinata. Ed io volevo fartela pagare, volevo farti risvegliare, volevo che capissi come stavo. Ero mezzo ubriaco, non ragionavo lucidamente. Siamo andati a casa di lei. Lo abbiamo quasi fatto, Laurel, ci sono andato così vicino che se ci ripenso mi viene il vomito. Però ad un certo punto mi sono accorto che non eri tu. E sono scappato via» lei lo guardava scettica.
«perché non me lo hai detto quando ho trovato i pantaloni? Non ha senso, lo sai»
«li avevo messi in modo che tu li vedessi. Io volevo che tu li vedessi. Un po’ perché non volevo tenertelo nascosto ma sopratutto perché speravo che capissi cosa mi avevi quasi portato a fare. Volevo che provassi qualcosa, anche rabbia o tristezza, perché mi sembrava che tu fossi caduta nella più totale apatia. Volevo scuoterti» disse, cercando di avvicinarsi di nuovo, mentre lei lo spingeva via con stizza.
«perché dovrei crederti?»
«perché lo sai che ti amo. Laurel, lo sai che senza di te e Helena io non so più vivere. E se proprio non vuoi farlo per me, dovresti farlo per te stessa o per nostra figlia. Non solo io ho bisogno di voi» disse con sincerità. Lei boccheggiò.
«Laurel tu vuoi credermi, lo so. Riavrò la tua fiducia, te lo giuro. Però torna da me» disse avvicinandosi ancora di più. Stavolta lei non lo spinse via, così lui si fece coraggio e la abbracciò. Lei lo lasciò fare, beandosi del suo profumo e delle sue braccia che la avvolgevano. Non si fidava ancora di lui, non credeva pienamente a quello che le diceva. Però su una cosa aveva ragione: non ne poteva più di stargli lontana. Magari diceva la verità. Forse no. Comunque non ne poteva più di quella situazione, così si lasciò baciare da lui. Si lasciò toccare e accarezzare, si abbandonò a Louis, cercando di zittire il cervello, mentre si cercavano e spogliavano e finivano in quel mondo di piacere da cui non sarebbero più voluti riemergere.
Albus aveva passato tutta la cena cercando di non far capire il suo sconforto, ridendo e scherzando più forte del solito. Solo Rose aveva notato che il suo sorriso non arrivava mai agli occhi e che il suo bicchiere di vino era stato riempito tante volte, forse troppe. Aveva cercato di aiutarsi con l’alcool, stava provando a rimanere allegro contando sull’effetto che aveva su di lui. Prima il vino, a tavola, poi era stato il turno della burro birra corretta con un po’ di whiskey incendiario e alla fine aveva completato il tutto con lo spumante.
Tirando le somme, in quel momento era totalmente ubriaco. Girovaga per il giardino con una bottiglia di vino in mano e singhiozzando come un bambino. Era una di quelle sbornie cattive, di quelle in cui si piange per ogni stupidaggine, si ripensa a tutti i propri fallimenti e debolezze. Di quelle che dopo ti fanno rendere conto di quanto in realtà siano in bilico le nostre certezze.
Camminò fino al limitare della proprietà dei nonni, dove c’era quell’albero sotto il quale lui e Rose passavano interi pomeriggi da bambini. Il loro nascondiglio erano i suoi rami, pieni di foglie e robusti, da cui era facile vedere ma non essere visti. Si guardò intorno spaesato, stupito di trovarsi lì, poi si accasciò nella terra fredda, appoggiando la schiena all’albero. Si sarebbe congelato se dopo un po’ non fosse comparsa Rose accanto a lui.
Stava ancora singhiozzando, così lei, dopo aver evocato una coperta e creato un fuoco, gli sfilò dalle mani la bottiglia di vino.
«Rose, sono ubriaco vero?» chiese con voce incerta e strascicata.
«un bel po’. Ed io non posso restare molto qui» disse lei sinceramente.
«sono un fallimento Rose. Un totale fallimento» lei non rispose. Sapeva che in quel momento l’unica cosa di cui bisognava il cugino era parlare.
«non sono bello come James …» a questo Rose avrebbe voluto obbiettare che era davvero difficile che qualcuno fosse bello come James. Suo cugino avrebbe fatto concorrenza al David di Michelangelo, però si astenne dal specificarlo.
«non sono intelligente come te … sono uno stupido, so fare solo intrugli inutili e neanche così bene. A volte penso di aver avuto successo solo perché mi chiamo Potter» anche qui Rose avrebbe voluto controbattere che lui era un pozionista eccezionale, però rimase in silenzio. Quel pensiero, quel dilemma, quella paura era dentro di tutti loro. Il dubbio di essere riusciti a combinare qualcosa nella vita non grazie alle proprie capacità ma per i loro cognomi era sempre stato un grande problema, per tutti loro. Per questo tutti quanti avevano studiato il doppio, si erano impegnati il triplo, desiderosi di essere degni di quello che avevano ottenuto, senza mai smettere di temere di essere solo dei ragazzi con cognomi importanti
«e non sono assolutamente buono come Alice … io non la merito Rose, non dopo quello che ho combinato»
«le ho spezzato il cuore … e se avesse perso il bambino per lo stress che le ho procurato?» fece una pausa.
«io non lo voglio un figlio però. Non l’ho mai voluto e lei lo sa ma non volevo arrivare a questo. Io volevo solo stare con Alice e adesso lei mi odia. E fa bene: lo sapevo che era davvero mio figlio Rose. Dentro lo sapevo, solo che non ci volevo credere perché significa in un modo o nell’altro che devo scegliere: me stesso o Alice con il bambino? Ed io da bravo egoista quale sono sto buttando via tutto. Che poi, senza Alice la mia vita è uno schifo e non smetterò mai di pentirmi di averli» disse.
«e allora vacci e dille tutto questo» disse Rose con fare ovvio. Certamente parlava in generale, non intendeva dire di andare da lei in quel preciso istante. Ma Albus era ubriaco e a quelle parole si illuminò.
«credi che mi perdonerebbe?»
«non te la farà passare liscia ma sì, ti perdonerà» disse lei con un sorriso. Albus scattò i piedi, rischiando di cadere, poi girò stentatamente su se stesso e sparì prima che Rose capisse che si stava smaterializzando.
Atterrò con un tonfo sul pavimento, troppo ubriaco per mantenere l’equilibrio. Era a Hogsmeade, di fronte la vecchia casa di Alice, in una via buia la cui poca luce proveniva dalle case circostanti. Si diresse malfermo al campanello “Paciock-Abbot”, sperando ardentemente che non appena avessero sentito la sua voce non gli richiudessero la porta sul naso.  Suonò due volte e aspettò al freddo fuori, appoggiato alla porta perché gli sembrava di stare sul ponte di una nave, tanto gli girava la testa. Aprì con una faccia stranita Hannah, che non appena lo vide, sospirò.
«Albus non dovresti essere da tua nonna?» lui la guardò con sguardo vacuo.
«da mia nonna? Alice non c’era ed io non ne potevo più. Lei dov’è? Hannah ti prego chiamala» lei aveva la disapprovazione dipinta sul viso.
«ma sei ubriaco?» disse notando che non si reggeva in piedi e che strascicava troppo le parole. E soprattutto piangeva. L’ultima volta che aveva visto Albus piangere aveva al massimo otto anni.
«no, traballo solo un po’» disse staccandosi dal muro e rischiando di cadere su Hannah, che sentì chiaramente l’odore di alcool che faceva.
«chiami Alice?» disse implorando.
«Albus ti sei smaterializzato in questo stato?» chiese la donna già in fibrillazione.
«si … devo vederla. Dov’è?» Hannah lo avrebbe preso a schiaffi volentieri per tutto quello che stava combinando, ma quello di certo non era il momento adatto. Lui era lì, appoggiato sulla porta come se fosse l’unica cosa stabile in tutto il pianeta, gli occhi lucidi, puzzava di alcool e soprattutto non faceva che chiedere di Alice. Non sarebbe andato via se non lo avesse accontentato e poi non avrebbe avuto il coraggio di lasciarlo fuori con quel freddo e in quello stato. Sperando che la figlia non se ne accorgesse lo fece entrare.
«ti porto in una stanza e lì poi ti mando Alice, va bene? Però fai in silenzio» lui annuì e la seguì dondolando fino alla camera degli ospiti, poi crollò sul letto.
«torno fra un attimo tu intanto riposati» lui non rispose, imbambolato sul letto.
Hannah sparì dietro la porta e insonorizzò la stanza. Albus si addormentò presto, totalmente ubriaco, mentre Hannah incerta inventava una scusa per la scampanellata di prima e poi riprendeva a festeggiare il Natale come se niente fosse.
***
Rose mi passi l’acqua?» chiese Scorpius per l’ennesima volta. Era Natale e la casa era piena di gente, Scorpius, però le stava appiccicato. A Rose per poco non pulsava una vena sulla tempia per il nervosismo. Prese la brocca e la posò con mala grazia davanti al biondo.
«c’è qualcos’altro che potrei fare per te?» chiese con ironia. Per tutta la mattina l’aveva costretta a fare avanti e indietro dalla cucina o dalla loro camera con qualche scusa, senza che lei potesse rifiutarsi o protestare, perché dopotutto il malato era lui. Già per quella risposta si era vista arrivare parecchi sguardi di rimprovero, neanche avesse detto chissà che cosa. Aveva tutti dalla sua, quel biondo ossigenato!
«effettivamente sì. Sento un po’ freddo, puoi prendermi una coperta?».
«sai camminare e conosci abbastanza bene questa casa, prenditela tu!» mugugnò alla fine esasperata, sperando che nessuno la sentisse. Speranza vana.
«Rose vai a prendere una coperta a quel povero ragazzo» la riprese Hermione.
«mamma in questo momento sta benone, può anche pensarci solo!».
«Sempre lì a discutere. Che ti costa prendergli una coperta?» disse la nonna con aria contrariata.
«ma nonna …»
«ed io che speravo avessero smesso di litigare quando li trovavo a pomiciare in ogni angolo» Rose sospirò di sollievo quando si accorse che suo padre non avesse sentito la triste uscita di zia Fleur, poi ribatté.
«in realtà non abbiamo mai smesso zia! Onestamente non capisco come facevo a stare con questo individuo» disse alzandosi e dirigendosi di sopra. Oh no, non gli avrebbe portato la “copertina”, però in quel modo l’avrebbero lasciata sola per un po’.
Voleva bene alla sua famiglia, però a volte era proprio invadente. E Scorpius aveva lo strano potere di avere tutti dalla sua parte: non faceva affatto fatica a vederlo come avvocato, aveva la capacità di far credere alla gente quello che voleva.
Arrivò in camera e si sedette sospirando sul letto. Aveva sperato che la giornata finisse bene, invece tutti guardavano Scorpius come se dovesse crollare da un momento all’altro. Se lo conosceva bene, questo comportamento gli stava dando sui nervi, così si sfogava su di lei. Non era ancora riuscita a dargli il suo regalo e per come si stavano mettendo le cose aveva tutte le intenzioni di non darglielo mai.
Si lasciò cadere sfinita sul suo letto, beandosi nel silenzio della stanza. Rimase così per un po’. La notte prima non aveva quasi dormito, troppo presa dagli stupidi giochi che ancora facevano fra cugini e dalle prese in giro di Scorpius. Poi avevano deciso che lei avrebbe dormito nella stessa stanza di Scorpius, così era stata ore a rigirarsi fra le coperte indecisa se sgattaiolare nel suo letto o rimanere lì, finendo per addormentarsi quando ormai si vedevano le prime luci dell’alba.
Quella mattina, oltre ad essere stata svegliata alle otto per i regali da Helena e Remus jr, aveva dovuto sopportare il baccano fatto da James, Fred e Roxanne, con l’aiuto dei gemelli Scamandro. 
Quindi  niente di strano se, in preda ad un gran mal di testa, si era addormentata sul suo letto. A un certo punto però una voce la fece spaventare. Scorpius la guardava divertito.
«ti sei addormentata?»
«no, mi fingevo morta»
«beh, allora fatti dare un consiglio: i morti non saltano in aria quando li chiami» lei lo guardò corrucciata.
«non potevi lasciarmi dormire? Stanotte non ho chiuso occhio» lui scosse la testa.
«se ti lasciavo dormire così ti prendevi un raffreddore».
«beh, saranno pure fatti miei?»
«teoricamente tu mi servi» lei alzò gli occhi al cielo.
«non eri tu a dire che quello che faccio io, possono benissimo farlo altri?» lui la guardò per un attimo intensamente.
«no, eri tu a dirlo veramente» lei aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse pensierosa, mettendosi seduta, appoggiata alla testiera del letto.
«pensavo che avessimo chiarito su quel punto» lui si sedette accanto a lei, avvolgendo entrambi in una coperta.
«ora puoi dormire» disse cercando di sviare il discorso.
«non era solo quello vero?» lui sospirò.
«che importa?»
«a me importa Scorpius, perché non mi merito questa freddezza da parte tua».
«ti rendi conto che hai appena detto che non hai idea di cosa ci trovavi in me, vero? Come faccio a credere che t’importi?» si sentì ferita da quell’insinuazione, soprattutto perché lui sapeva che non faceva sul serio. Era il genere di cose che si dicevano sempre quando litigavano.
«come potrebbe non importarmi di te?» chiese in un sussurro. Rose lo guardò intensamente, cercando di trasmettere tutto quello che provava. Non ne poteva più di quel litigare, voleva solo che lui la baciasse e la smettesse di comportarsi in quel modo. Si sporse verso di lui, che era rimasto paralizzato da quel suo strano comportamento. Sembrava che i suoi occhi lo implorassero di baciarla, anche se la sua bocca rimaneva chiusa. Le si avvicinò un poco e lei non si ritrasse, così finalmente la baciò. Dopotutto non aspettava altro da sempre, lei era l’acqua nel deserto della sua vita, preziosa e unica, rigenerante e vitale.
Non era come il bacio che si erano scambiati qualche giorno prima, però.
La baciò quasi senza staccarsi dalle sue labbra con passione, divorandola, poi finì sopra di lei, fra le sue gambe, mentre la coperta pendeva di lato e Rose gli accarezzava le spalle con le mani gelide.
Non ci vide più. Sentì a malapena che un attacco lo stava colpendo, però non ci dette peso, anzi si strinse ancora di più a Rose, desideroso di non avere più nessuna distanza, di essere una cosa sola a lei, di sentirsi di nuovo a casa, impaziente perché aveva paura che il tempo finisse da un momento all’altro. Era lei la sua casa e in quel momento l’idea di lasciarla gli sembrava la cosa più assurda di sempre.
Si amarono come non avevano mai fatto. Non si curarono di niente, né di insonorizzare la porta, né di chiuderla, né di usare un qualche incantesimo contraccettivo. Semplicemente si cercavano, si volevano, si prendevano e si lasciavano prendere.
Quando finirono, si accucciarono sotto le coperte. Lei era nella sua solita posizione mentre cercava di riscaldare i piedi gelati su Scorpius che le accarezzava i capelli.
«speriamo che non ci abbia sentiti nessuno. Specialmente tuo padre» fu la prima cosa che disse Scorpius dopo un po’. Lei rise piano.
«qualcuno ci ha sentito per forza. Però se mio padre non è piombato qui sicuramente è solo perché ci hanno coperti»
«oppure pensano che io abbia avuto un attacco» disse lui pensieroso. Lei arricciò il naso.
«non credo …» lui le lasciò un bacio sul naso e lei sorrise, sistemandosi un po’ più vicina a lui. Stettero zitti per un po’, beandosi della sensazione di pace che li riempiva, fino a che lui non ruppe di nuovo il silenzio.
«hai ricordato cosa ci trovavi in me?»
«veramente non capisco ancora cosa ci trovi in te» disse maliziosa. Lui si finse offeso
«ne varrebbe la pena di stare con me solo per questo, ammettilo!».
«beh non saprei … sai quando era ragazza non aveva elementi di paragone».
«io li avevo però … e ti ho scelta» disse lui, con più dolcezza, per poi aggiungere.
«e anche tu sei tornata da me» lei arrossì. E girò il viso quando lui provò a baciarla.
«cosa c’è?» chiese Scorpius un po’ scocciato e un po’ sorpreso.
«ho creduto di odiarti per quasi tutta la mia vita, sai? E ogni volta scopro che invece ti amavo. È frustante, perché sei tu che fai avanti e indietro, sei tu che scegli quando stare con me e quando invece rimanere lontano. Lo hai fatto prima, quando pensavi di non valere abbastanza per me ed io credevo di odiarti. Poi ti sei avvicinato a me ed io sono capitolata ai tuoi piedi. Sono stata con te fino a che non hai deciso di andartene e mi hai lasciata sola, mi hai abbandonata, per poi rifarti vivo e avanzare pretese su di me. E so che te ne andrai di nuovo …» lui la guardava in silenzio, turbato. Non aveva mai guardato le cose da questa prospettiva, piuttosto aveva sempre considerato la necessità per lei che lui gli stesse lontano. Aveva visto i suoi errori, le sue debolezze, il suo amore per lei e anche l’impossibilità per lui di dimenticarla. Mai però aveva pensato a cosa avesse provato lei a causa di quel tira e molla cui l’aveva costretta.
«Rose ogni volta che ti sto lontano io … non sono completo. Se ho fatto certe scelte è perché pensavo fossero la cosa migliore per te».
«giurami che non lo farai mai più. Giurami che non prenderai più certe scelte senza prima averne parlato con me e considerato realmente il mio punto di vista. Non sono una ragazzina indifesa, non lo sono mai stata, eppure per qualche ragione è così che mi hai sempre trattato» lei lo guardava negli occhi intensamente, voleva una risposta e non avrebbe accettato un no. Scorpius non esitò un istante.
«te lo giuro, Rose» lei sorrise e ritornò al suo posto nel suo petto.
«non ho ancora capito perché eri tanto arrabbiato con me» chiese poi lei. Scorpius s’irrigidì, riflettendo sul fatto che lei teoricamente stava ancora con Robert.
«perché hai passato la notte con quel Robert» disse infine, disgustato alla sola idea di quello che la cosa comportava. Lei aggrottò le sopraciglia.
«cosa?»
«beh ho chiesto a un’infermiera dov’eri e lei mi ha detto che eri andata dal tuo ragazzo … poi l’indomani eri così allegra che ho pensato che ….» s’interruppe, vedendo la faccia adirata di Rose.
«tu pensi che io stia ancora con Robert quindi?» era quasi minacciosa. Quasi, perché era ancora spalmata su di lui. Il suo tono però era furioso. Lui la cinse con le braccia, spaventato dall’idea che si alzasse, quindi chiese con l’aria più innocente possibile:
«voi non state insieme?»
«no, diamine! L’altro giorno sono andata a casa sua, è vero, ma solo per lasciarlo!» lui boccheggiò.
«lo hai lasciato per me?» chiese lui stupito.
«no, per Babbo Natale!» disse ironicamente. Lui andò per baciarla e lei si scansò.
«mi dispiace non avertene parlato, però mi vergognavo» cercò allora di spiegarsi Scorpius.
«e di che avresti dovuto vergognarti?» chiese lei con un tono più calmo.
«di quello che sentivo. Lui era il tuo ragazzo ed io non ero assolutamente nessuno per avanzare pretese su di te» le disse guardandola negli occhi.
«avresti potuto chiedere! Ti avrei detto la verità» Rose era stupita e un po’ lusingata, anche se restava comunque irritata per il suo atteggiamento.
«ti credo, però prova a capire: sei mancata tutto il pomeriggio e la notte, poi il giorno dopo eri allegra e fischiettante come se avessi passato una notte da favola» disse con gli occhi bassi, un po’ vergognato.
«certo che avevo passato una notte da favola, avevo dormito! E poi sono stata fuori tutto il pomeriggio per comprare gli ultimi regali di Natale» disse Rose indignata. «ne avevo preso uno anche per te» aggiunse poi con molta più dolcezza. Avrebbe voluto essere arrabbiata con lui per quello che aveva pensato di lei, però era troppo felice per riuscire a tenere il muso. E poi adesso era impaziente di vedere come avrebbe reagito al suo regalo.
«sul serio?» chiese lui, gli occhi gli si accesero come a un bambino. Lei rise e annuì.
«io non ho niente per te …» disse un po’ pentito. Lei alzò le spalle.
«me lo aspettavo … insomma, quando avresti dovuto comprarlo?»
«allora me lo fai vedere?» lei annuì e dopo aver scalciato via le coperte, si diresse verso la sua valigia. Lui la guardava attentamente beandosi di lei, che rabbrividiva con la pelle nuda a contatto con l’aria fredda. Studiò ogni centimetro del suo corpo, imprimendolo a fuoco nella sua mente, perché ne era sicuro, non c’era niente più bello di lei.
Rose cercò un po’, poi estrasse un pacchetto rettangolare molto sottile. Tornò a letto sotto il suo sguardo, arrossendo un poco per il suo modo di fissarla e dopo essersi coperta per bene, glielo porse. Lui si tirò a sedere e aprì impaziente la scatolina. Il suo sguardo, prima confuso alla vista di alcuni foglietti, s’illuminò appena vide cosa erano.
«non ci credo …» sussurrò guardandola mentre lei si sentiva soddisfatta dell’effetto ottenuto.
«credici invece! Si torna in Italia!» lui scoppiò a ridere e la baciò, ancora incredulo, felice come non mai.
Avrebbero passato un week-end nello stesso luogo in cui anni prima era cominciata la loro storia, durante un’afosa estate siciliana. Lo stesso luogo dove si erano baciati per la prima volta e in cui lui era sempre voluto tornare.
Proprio dove lui le aveva giurato di riportarla, se mai sarebbero stati di nuovo insieme, quel terribile giorno in cui era andato via.
 

Hello!!

finalmente cominciano le vacanze natalizie e io le inauguro con un capitolo nuovo nuovo :-)
Ultimamente ho pubblicato poco e male, lo ammetto, però questo capitolo dovrebbe farmi perdonare (spero).
A me è piaciuto molto scriverlo quindi mi auguro che piaccia anche a voi leggerlo, altrimenti potete anche tirarmi le uova (eh no, non sto scherzando :P) perché non credo di saper fare di meglio!
Un bacione a tutti e buon Natale!!

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Capitolo 14
*** capitolo 14 ***


Alice guardava Albus insistentemente, con forza e anche molta rabbia. Lui, ancora vestito e steso sopra il letto della camera degli ospiti dei suoi genitori, dormiva beatamente. Non era un bello spettacolo, in effetti. Russava ed era quasi sicura che avesse sbavato sul cuscino. I suoi capelli erano sparati ovunque ed era rannicchiato su se stesso a causa del freddo. Accanto al letto faceva bella mostra di sé un chiazza di vomito verde.
 Sua madre le aveva spiegato che non aveva avuto altra scelta se non accoglierlo, viste le sue condizioni fisiche, la sera prima. Questo però non le aveva impedito di arrabbiarsi a morte con lei quella mattina, anche solo per non averla avvisata.
Così adesso lo osservava, aspettando che si svegliasse per urlargli contro una bella dose d’insulti. Nel frattempo, nonostante lui  fosse proprio ridotto male, i suoi occhi non facevano che andare dalle sue braccia muscolose alle ciglia nere e lunghe, per poi soffermarsi sulle labbra un po’ aperte, con nostalgia e un pizzico di desiderio.
Poco dopo lui comincio a muoversi, consapevole di essere osservato. Mugugnò qualcosa e si girò verso di lei per poi spalancare gli occhi verdi, appannati dal sonno e dall’alcool.
«Alice …»
«Albus» rispose lei con freddezza.
«io non …» cominciò lui, senza avere la minima idea di ciò che avesse fatto la notte prima. Un’ondata di panico lo travolse – o forse nausea?- così si girò di lato e vomitò anche l’anima. Quando rialzò a malapena la testa, si rese conto che Alice lo osservava in modo differente. Come se gli facesse pena.
«vai a lavarti, di là mia madre ti ha preparato qualcosa per riprenderti»
«Ali … io credo di non riuscire ad alzarmi»
«beh sei un mago e hai una bacchetta: arrangiati» disse prima di sbattere la porta alle sue spalle. Albus gemette e ricadde sul cuscino, per poi allungarsi verso il comodino per prendere la bacchetta. Cominciò con un incantesimo che gli aveva insegnato Rose per la sbornia. Certo, non era lo stesso di quando lo faceva lei, almeno però sarebbe riuscito ad arrivare al bagno.
Dopo una doccia fredda, una pulita alla camera, un caffè amaro molto forte e una pozione di Hannah era finalmente lucido, anche se gli scoppiava la testa e si sentiva a pezzi. Era seduto al tavolo della colazione, nauseato dall’odore del cibo.
Alice non lo guardava neanche, mentre “lo zio” Neville lo osservava fin troppo. Sarebbe voluto sprofondare nel pavimento o sparire del tutto, quella situazione era … impossibile. Neville lo aveva sempre adorato e ora lo guardava come se volesse ucciderlo. Hannah, sempre dolce con tutti lo aveva guardato come si farebbe con uno schiopodo spara coda. Frank sembrava pronto ad assestargli almeno un altro pugno. Alice invece … beh lei era a pezzi. Si vedeva, lui lo vedeva, e più la guardava più sentiva di meritare non uno, ma almeno una dozzina, dei pugni di Frank.
Quando finalmente si alzarono dal tavolo Albus seguì Alice nella sua  camera, riuscendo e entrare per miracolo, un secondo prima che lei gli sbattesse la porta sul naso. Lui chiuse a chiave, sentendola sbuffare, per poi girarsi a guardarla
«possiamo parlare?» lei lo fissò per un secondo.
«certo. Avanti parla. Che hai da dire?» disse minacciosa.
«io … volevo accompagnarti alla prossima visita, al S. Mungo» disse, dando voce al primo pensiero che gli passava per la testa.
«è per questo che ti sei fiondato qui, ubriaco, la notte di natale?» chiese lei alzando la voce.
«che ti sei smaterializzato quando eri a malapena capace di tenerti in piedi, sei venuto qui, e hai vomitato ovunque, biascicando qualcosa su dove fossi io?
«Ali io …»
«Tu mi hai lasciata quando io avevo bisogno di te come mai prima, ora spiegami: cosa vuoi? Non volevi essere padre, beh non lo sarai, stai pur tranquillo, me la caverò da sola! Non voglio che tu venga qui perché ti faccio pena o perché hai bisogno di una bella scopata» man mano che parlava aveva preso a pugni Albus cercando di allontanarlo almeno un poco, arrabbiata a morte con lui e con se stessa, che proprio non riusciva a odiarlo, che avrebbe voluto baciarlo.
«ho sbagliato Ali …»
«beh questa è un’evidenza» disse lei acida. Lui le si avvicinò ancora un po’.
«lo so … però torna da me»
«chi mi dice che non te ne andrai di nuovo?»
«io, ma a me non crederesti. Tu puoi … darmi una seconda possibilità. Per starti vicino come ho sempre fatto, per stringerti quando ne hai bisogno, e litigare, e fare l’amore, e prepararti la tua cena preferita quando torno prima da lavoro. Puoi rendermi più facile il compito di essere padre, perché lo diventerò, che mi piaccia o no e non voglio più tirarmi indietro. Perché se penso a cosa ti cresce dentro, lucidamente, senza più paura o rabbia o dubbi, provo solo amore. Quindi ti prego … non farmi vivere così, perché non ne posso più»
Alice guardava in basso, ancora rossa per la rabbia ma emozionata dalle sue parole. Aveva gli occhi lucidi ma non voleva che lui se ne accorgesse. Albus le stava appiccicato ma non la toccava, come se temesse che lei potesse fraintendere, anche se avrebbe voluto anche solo prenderle la mano.
«lo ami davvero?» chiese lei con un sussurro.
«siamo io e te insieme … come potrei non farlo?»
«ma prima tu …»
«avevo paura, solo paura, ed ero incredulo e arrabbiato con te, perché me lo hai detto in mezzo a un litigio. Se non me ne fossi andato probabilmente non mi sarei convinto di quella cazzata ma ero solo e tu eri così lontana e non mi cercavi neanche per sapere dov’ero … all’inizio non ci credevo neanche io» disse con sincerità.
«stai dicendo che è colpa mia?»
«no. La colpa è solo mia, sono stato un idiota e lo so»
«ma allora …»
«intendevo che non me lo hai impedito, anche se … lo capisco e lo condivido. Era una cosa che dovevo capire solo»
«e cosa hai capito?» chiese lei con la voce tremante.
«che voi siete tutto quello che voglio» rispose sicuro. Alice lentamente si appoggiò a lui, poi lo strinse con tutta la forza che aveva in corpo, mentre Albus ricambiava con lo stesso slancio il suo abbraccio.
«non lo fare mai più Al … mai più» lui con il naso affondato nei suoi capelli, giurò a se stesso che non avrebbe mai fatto una cosa simile di nuovo.
«sposami» le sussurrò tra i capelli, di getto, senza neanche pensare, tuttavia consapevole che fosse la cosa più giusta da fare. Lei alzò lo sguardo sui suoi occhi.
«ma tu hai sempre detto che lo trovavi stupido …»
«lo so, ma tu ci hai sempre sperato. E sarebbe ora per me di impegnarmi seriamente, non credi?»
«si ma …»
«senza ma. Alice tu vuoi sposarmi?»
«io … non so» lui si irrigidì. Dopo un attimo di silenzio rispose ferito.
«ok, lo capisco. Forse è troppo presto per fidarti di me di nuovo, ma …»
«non so … come entrerò nel vestito da sposa, mi sto allargando come una balena!» disse lei staccandosi da lui con un sorriso che andava da un orecchio a un altro. Albus la guardò per un attimo, poi comprese e gli venne contemporaneamente da ridere per la felicità e da urlare per lo scherzo di cattivo gusto.
«tu sei malefica!» le disse ridendo. lei alzò le spalle.
«sei tu che mi hai chiesto di sposarti senza neanche un anello! E mi hai anche lasciata … dovevo pur fartela pagare, no?» lui alzò le mani.
«nulla da ridire in merito» poi la prese per i fianchi e finalmente la baciò. Lei finì aggrappata ai suoi capelli e completamente schiacciata contro il muro, sentiva Albus ovunque e le sue labbra la baciavano così intensamente da farle dimenticare che erano pur sempre a casa dei suoi e che avrebbero potuto sentirli. Gemette quando lui le baciò il collo, in quel punto che lui sapeva essere strategico.
«Al …» mugugnò. Lui non rispose e continuò a baciarla. Aveva un’urgenza fisica di stare con lui, però trovò la forza di staccarsi un attimo. Lo guardò negli occhi e affermò decisa.
«aspettiamo di sposarci» la voce era un po’ ansimante ma chiara. Gli occhi verdi di Al si riempirono di stupore.
«perché?» chiese incredulo, smanioso di baciarla e di prenderla anche contro il muro.
«perché si. Siamo a casa dei miei, per primo. E poi credo sia giusto così»
«ma tu non sei vergine!» disse lui lamentoso, riprendendo a baciarle il collo.
«e allora? Non ti farà male un po’ di astinenza» disse un po’ boccheggiante. Si allontanò da lui, costringendosi a non cedere . Lo scopo in realtà era metterlo alla prova, e poi non voleva lasciargli intendere che lo aveva già perdonato.
«ok ho capito». Disse Albus con un sospiro.
«resti qui a pranzo?» Albus alzò le spalle.
«solo se Neville non mi uccide prima. Devo parlargli» disse pensieroso.
«aspettati come minimo un altro pugno da mio fratello» disse lei con un sorriso.
«ah lo so. Ho l’impressione che questa volta riuscirà a rompermi il naso, era proprio incazzato poco fa»
«contaci!»
***
La mattina dopo Rose e Scorpius furono svegliati da un incessante picchiettio alla porta.
Il giorno prima, dopo il pomeriggio fantastico, avevano dovuto raggiungere gli altri ed erano rimasti insieme per tutto il giorno di Natale. A sera, Albus era ricomparso con un ematoma sullo zigomo sinistro e un sorriso che non scivolava mai dal suo viso, neanche fosse una paralisi facciale. Accanto a lui c’era Alice, anche lei raggiante come non la vedevano da un bel po’. Con le mani unite avevano detto che si sarebbero sposati e Ginny si era fiondata su Alice stritolandola in un abbraccio, mentre Harry era semplicemente rimasto seduto a guardare, stupito e imbambolato, come se non credesse alle proprie orecchie. Rose e Scorpius furono scelti come testimoni, e per la felicità Rose baciò Scorpius sotto gli occhi di tutti. Il silenzio era calato per un attimo nella stanza ma poi i suoi rumorosi cugini avevano ripreso a fare più chiasso di prima abbracciando anche loro ed esordendo in  “era ora!” sollevati. Ron Weasley aveva guardato il proprio bicchiere di whiskey incendiario chiedendosi dove avesse sbagliato, perché la sua bambina aveva cambiato fidanzato nel giro di qualche giorno e perché dovesse stare di nuovo con un Malfoy. Certo, aveva sempre considerato Scorpius un bravo ragazzo, ma il suo motto era: “la mela non cade mai troppo lontana dall’albero!”.
La notte così era trascorsa tra balletti improvvisati, giochi stupidi, risate, scherzi di James e Fred e qualche aneddoto divertente dei tempi di Hogwarts.
Per questo i due piccioncini, rintanati in un solo letto per il puro piacere di dormire insieme, odiarono tanto quel picchiettio.  Alla fine fu Rose, trascinandosi dietro le coperte mentre Scorpius imprecava, ad andare ad aprire alla porta. Davanti a lei c’era sua madre, con un’espressione felice in volto.
«mamma che c’è?» disse con la voce impastata di sonno e scocciata.
«c’è qualcuno per Scorpius. Vestitevi e venite giù» disse, per poi fare marcia indietro nel corridoio.
«hai sentito no? è inutile che ti lamenti, vai a lavarti» disse Rose al ragazzo che la guardava scocciato.
Alla fine riuscirono a lavarsi in meno di mezz’ora, e scesero in salotto assonnati e curiosi.
«mamma, ora potresti dirci, per favore, perché ci hai svegliati alle otto?» disse Rose, prima di notare un ragazzino con i capelli neri e gli occhi grigi seduto sul divano. Lo guardò con curiosità, mentre sentiva Scorpius irrigidirsi accanto a lei.
«e lui chi è?» chiese dopo averlo guardato bene. Aveva qualcosa di familiare, anche se non avrebbe saputo dire cosa.
Il ragazzino si alzò e gli porse la mano:
«piacere, Orion Malfoy» disse sicuro di sé.  Rose rimase immobile per qualche secondo, sconvolta, poi lentamente prese la sua mano e rispose.
«Rose Weasley»
«che ci fai qui?» chiese Scorpius con una punta di acidità. Il ragazzino lo guardò con sguardo di sfida. In effetti l’espressione era simile a quella del fratello.
«è inutile che mi guardi così, io non c’entro niente: avevo cinque anni quando te ne sei andato di casa»
«così come?»
«con ribrezzo» Scorpius sospirò.
«come mai sei qua?» disse dirigendosi verso il divano e lasciandosi cadere sui cuscini con un tonfo. Rose gli si sedette accanto. In un lampo ricordò l’ultima volta che aveva visto suo fratello. Quando era solo un bambinetto indisponente che vedeva al massimo per un paio di mesi all’anno. Quando era il perfetto rimpiazzo a tutto ciò che lui non era mai stato.
Una famiglia fredda e rigida sedeva dritta in un lungo tavolo, dove vari elfi domestici si davano da fare per portare avanti e indietro le varie pietanze. A capo tavola un uomo stempiato con i capelli biondissimi guardava orgoglioso il figlio minore, mentre dava un calcio ad un elfo solo per il gusto di farlo: il bambino aveva quasi cinque anni, ma già sapeva farsi rispettare. Scorpius, al contrario, guardava il fratello schifato.
«Orion mi spieghi cosa diavolo ti ha fatto quell’elfo?» il fratello minore lo guardò con aria di superiorità.
«è un elfo, va trattato così» Scorpius scosse la testa.
«è una creatura che merita rispetto, non il tuo giocattolo. Se vuoi prendere a calci qualcosa, usa la pluffa» Orion sbuffò
«ha ragione nostro padre, quando dice che i grifondoro sono mollaccioni: ti fa pena un elfo domestico»
«tu crederesti a tutto quello che ti dice nostro padre»
«perché è vero» Scorpius rise
«i grifondoro sono coraggiosi, affrontano ogni cosa a testa alta, sono audaci e hanno fegato … »
«sì, ma i serpeverde sono forti … »
«infatti il ministro della magia è Kingsley Shacklebolt, ex-grifondoro e pezzo grosso di quello che era l’ordine della fenice. Inoltre il capo auror è Harry Potter, che molto probabilmente prenderà la carica di ministro alla sua morte … dimmi Orion, chi ti ha detto quelle sciocchezze?»
«ma noi siamo ricchi» disse il bambino, che faticava a capire il fratello, nonostante il padre gli riempisse la testa di discorsi di politica: dopotutto aveva sempre cinque anni.
«un tempo lo eravamo. Ora facciamo finta di esserlo»
«che vuol dire?»
«credo che nostro padre sarà ben lieto di rispondere» il bambino mise il broncio
«i grifondoro per me restano mollaccioni»
«i serpeverde sono dei codardi …» disse, poi aggiunse con aria tagliente
«soprattutto quelli che frignano dietro i vecchi compagni di scuola, implorandoli di non mandarli ad Azkaban» il fratello rise
«non lo farebbe nessun serpeverde» disse sicuro il bambino
«nostro padre l’ha fatto, Orion. Ha strisciato come un verme ai piedi di Harry Potter, implorando di risparmiarlo » il bambino aveva gli occhi spalancati, incapace di ribattere.
«adesso basta, Scorpius.» disse con aria tonante Draco, rosso d’ira.
«cosa c’è padre, non gli hai ancora mostrato quel simpatico tatuaggio?»
«quale tatuaggio?» chiese il bambino, che ormai non riusciva più a seguire il padre e il fratello. Draco si alzò, così fece pure Scorpius.
«non osare giudicarmi per le mie scelte, Scorpius»
«ho cominciato a giudicare le tue scelte quando per la prima volta, camminando per strada, mi sono sentito apostrofare “figlio di un mangiamorte”»
«io sono stato marchiato contro la mia volontà!»
«queste sono le parole di un codardo serpeverde volta gabbana e anche se fosse vero, non m’importerebbe: sono sicuro che sei comunque un vigliacco »
«sono discorsi di più di vent’anni fa, Scorpius, di cui tu non puoi saper parlare, quindi adesso siediti, razza di figlio indegno»
«le conseguenze le pago io, ancora dopo vent’anni! Sai quanti mi hanno deriso, per colpa tua? Sai quello che ho dovuto fare per trovarmi degli amici? Lo sai? No! Perché, a te, del figlio che è finito in grifondoro, non t’importa nulla! Ti sei offeso tanto che hai deciso di fare un altro figlio, certo che prima o poi mi avresti diseredato!»
«ho deciso di avere un altro figlio perché tu sei stato un’onta per tutta la tua stirpe! Un Malfoy a grifondoro! Dopo sei anni ancora tremo di vergogna!»
«Di vergogna? Dovresti essere orgoglioso di me, solo grazie al mio comportamento qualcuno si è ricreduto sulla malvagità di quella che sono costretto a chiamare famiglia!» mentre parlava i bicchieri di vetro sul tavolo esplosero, poiché non era riuscito a controllare la rabbia. Un sonoro schiaffo arrivò sul viso del ragazzo, lasciando un segno rosso sulla sua pelle diafana.
«tu sei la mia più grande delusione e la mia più grande vergogna. Mi sento in colpa verso tua madre per aver generato una simile nullità» disse a bassa voce Draco, tremante di rabbia.
Scorpius rispose a tono, ancora la guancia gli bruciava, così come il suo orgoglio.
«No, tu sei la mia più grande vergogna: vorrei essere figlio di chiunque, ma non di te. Mi fai pena» disse, lasciando la sua famiglia interdetta. Si voltò e si diresse verso la sua camera, dove aveva affisso vari stendardi grifondoro cercando di coprire la carta da parati verde e argento. Prese il suo baule e lo riempì di tutte le cose che riusciva a metterci dentro: lasciò solo i vestiti troppo formali per lui e alcuni libri. Si diresse con quello verso la sala da pranzo. Guardò i suoi genitori e suo fratello ancora seduti e spiazzati
«non sto scappando. Me ne vado, perché non vi voglio più vedere. Puoi anche diseredarmi, finalmente, così sarai felice» disse rivolto a suo padre.
«Orion sarai un ottimo serpeverde, mi raccomando, falli orgogliosi» disse con sarcasmo, poi li lasciò lì imbambolati.
«io credo, Scorpius, che sia ora che tu parli con i nostri genitori. Soprattutto perché, a quanto ho sentito, sei malato» disse il fratello risvegliandolo dai suoi ricordi.
«e i nostri genitori non l’hanno sentito?» chiese Scorpius con un pizzico di ironia.
« sono stati loro ad avermi chiesto di venire a parlarti. Volevano sapere come stavi ma io aggiungo: dovreste chiarire»
« se volevano sapere come stavo perché non sono venuti loro invece di mandare un bambino?»
«li conosci, forse meglio di me. Apprezza la cosa e basta: perché devi sempre contestare ogni loro mossa?»
«perché loro sono …»
«sono tua madre e tuo padre, che lo vuoi o no. E comunque, giusto perché tu lo sappia, papà non ti ha mai diseredato. Non del tutto, almeno»
«sono stati brutali con me, Orion. Ero un ragazzino, avevo la tua età, e venivo chiuso nelle segrete! Una volta nostro padre, che tanto decanti, mi ha frustato! Sai che significa? Ho ancora i segni … e tu vieni a dirmi che non mi ha diseredato? Ma che me ne può fregare dei suoi soldi, della sua casa, di lui, di te o di tutta la merda che gli sta intorno?» Orion divenne rosso.
«io non sono una merda, fratello. Sono finito a corvonero, ho cercato di capire perché tu  avevi fatto quello che hai fatto, sono anche io preda di stupidi bulletti e le persone guardano male anche me quando passo per strada! Ma sai una cosa? Io non odio mio padre!»
«lui non ha fatto a te quello che ha fatto a me»
«si invece! Mi ha condannato ad avere pochi amici, ad essere disprezzato, additato, considerato feccia! Si è lamentato della mia casa, è stato severo con me, mi ha punito quando pensava fosse necessario, anche io ho passato un paio di notti nelle segrete! Ma sai cosa cambia, tra me e te? Che io ho sempre cercato di capire. Che gli sono andato in contro, non ho giudicato le sue scelte o il suo modo di vivere. Hai mai fatto caso al fatto che non ci ha mai inculcato gli ideali di Voldemort o che cercava di nasconderci certe cose? Si vergogn Scorpius … e tu non facevi altro che mettere il dito nella piaga»
Scorpius rimase interdetto.
«comunque … si può sapere che diamine hai?» chiese infine suo fratello, pietoso dello stato di confusione in cui era caduto. Rispose Rose alla domanda, giusto per dare tempo a Scorpius di metabolizzare quel discorso scabroso.
«si chiama ignis draconis ed è una malattia più unica che rara»
«c’è una cura?» il ragazzino era arrivato dritto al punto. Quella domanda l’aveva colpita come una stilettata al cuore, facendola sospirare. Gli occhi di Orion si oscurarono e guardò il fratello senza parole.
«lei ci sta lavorando … c’è qualche possibilità ma niente di certo» aveva detto il ragazzo.
Orion aveva sospirato e si era passato una mano tra i capelli nerissimi.
Il silenzio era sceso tra loro, teso, carico di parole non dette. Alla fine fu Scorpius a parlare per primo.
«allora, andiamo a fare colazione? Ho una fame da lupi …» Rose lo aveva guardato male, rimproverando silenziosamente il suo tatto.
«oh non guardarmi così. Avete già fatto un minuto di silenzio per la mia precoce dipartita che, tra parentesi, non è ancora avvenuta, quindi adesso credo mi spetti la colazione. Se volete restare seri, tristi e in silenzio fate pure: io mangio» disse, prima di lasciare la stanza scocciato.
«non te la prendere Orion, gli da fastidio che la gente abbia pietà di lui. E tende a confondere spesso la tristezza per pietà» disse lei alzandosi e invitando Orion a fare lo stesso.
«andiamo a fargli compagnia, altrimenti si farà mille film mentali inutili su quanto ci fa pena. Ti prego  non mostrarti afflitto» lui aveva annuito ed erano andati insieme in cucina.
***
Scorpius guardava sconcertato il S. Mungo. Il natale era passato, così come il suo permesso a lasciare l’ospedale. Certo, non aveva più avuto nessun attacco dalla vigilia, Rose però era stata irremovibile.
Così, arrivata la sera, lo aveva trascinato all’ospedale.
Era stata un giornata strana, quella. Suo fratello non era chi si immaginava. Di sicuro non aveva la sua intraprendenza e il suo orgoglio, in cambio però di una spiccata capacità di osservazione e una muta intelligenza. Entrambi erano abbastanza furbi e capaci di piacere alla gente. Aveva ritrovato in lui la sua stessa sottile ironia, che aveva spesso usato per far incavolare Rose, tratti del suo viso rimodellati, espressioni spontanee. Ed era stato davvero sorpreso di constatare che si somigliavano parecchio.
Alla fine, con una saggezza che risultava decisamente fuori dal comune per un dodicenne, lo aveva convinto a scrivere una lettera ai suoi genitori.  Niente di esagerato, comunque, ma solo un semplice biglietto in cui gli diceva che era ricoverato al S. Mungo e che se volevano rivederlo avrebbero fatto meglio a fargli visita. Abbastanza acido, effettivamente, indelicato, schietto e coinciso. Ma era sempre un biglietto. Astoria, ricevendolo, quasi scoppiò in lacrime. Lei, che da sempre aveva fatto come Draco diceva, che non lo aveva mai contraddetto e che aveva subito passivamente tutti gli insulti di suo figlio, era felice di aver finalmente notizie di Scorpius, anche se sconcertata da quello che il biglietto diceva. Aveva sempre creduto fermamente che prima o poi Scorpius avrebbe capito o che per lo meno avrebbe accettato di essere loro figlio.
Draco aveva ricevuto un’educazione di facciata, quando era ragazzo, e questo a lei era sempre stato chiaro: lui era perfetto nelle formalità e nel bon-ton ma la sua educazione si fermava lì. Era viziato fino all’ incredibile, non aveva nessun tatto, nelle relazioni umane era una frana, aspettandosi sempre il massimo dagli altri senza però sentirsi in dovere di ricambiare. I genitori non avevano mai usato le maniere dure con lui e per questo alla fine era stato il primo a giudicare male se stesso, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Erano cambiate molte cose quando aveva conosciuto Astoria, l’unica donna per cui aveva voglia di fare qualcosa che non fosse per sé, e aveva sofferto quando si era reso conto di quanto vuota fosse la sua vita. Quindi credeva di fare bene dando ai figli un tipo di educazione tanto severa e priva di amore, credeva che avrebbe impedito loro di fare i suoi errori. Si era comportato esattamente al contrario di come Lucius e Narcissa avevano fatto con lui, ottenendo naturalmente il risultato opposto: se lui era viziato e indisponente, ma credeva superiore la sua famiglia e amava i suoi genitori, Scorpius si vergognava del suo cognome, odiava lui e Astoria ma in compenso era un ragazzo d’oro.
Sarebbe una bugia dire che Draco non se l’era presa quando Scorpius era finito in grifondoro. Era stato un fallimento per lui aver allevato un figlio del genere, se n’era vergognato e lo aveva punito. Ma contrariamente a quanto Scorpius credeva, non aveva mai smesso di amarlo. Forse un giorno, con un po’ di impegno da parte di entrambi e anche solo un minimo sforzo da parte di Scorpius per dimostrargli che non era cambiato, avrebbe potuto accettare la cosa. Ma il ragazzo invece aveva dato sempre più contro a suo padre, lo aveva giudicato e aveva sbandierato fiero la sua casa di appartenenza senza curarsi di nient’altro. La maggior parte dei litigi che avevano erano dovuti alle frecciatine malevole di Scorpius, infatti se per tutti i bambini il padre è un modello da imitare, per Scorpius Draco era sempre stato l’esempio massimo di cattiveria e codardia. E non aveva mai fatto nulla per nasconderlo. Con il tempo la situazione era degenerata sempre di più, fino a quando Scorpius non se n’era andato di casa, convinto di non essere amato dai genitori e di essere stato trattato particolarmente male solo perché era grifondoro.
Astoria alla fine aveva risposto altrettanto brevemente al messaggio ricevuto dal figlio, anche se meno freddamente, e mentre scriveva il marito osservava le parole che la sua penna formava sulla carta con aria assorta. Lei, con gli occhi ancora gonfi, aveva sigillato il biglietto che avvertiva il figlio della visita che gli avrebbero fatto l’indomani.
«è sempre mio figlio. Nonostante tutto» disse Draco guardando il gufo fuori dalla finestra, accettando di andarlo a trovare.
«lui non ha mai capito» aggiunse dopo, guardando sua moglie. Lei abbassò lo sguardo.
«noi però non abbiamo mai fatto nulla perché lui capisse»
Una lacrima uscì dalle palpebre della donna, rimpianto e nostalgia mescolati insieme.
 

ALOHA!! 

Beh non so più neanche quando è stata l'ultima volta che ho pubblicato un capitolo ... Mi dispiace, ma ho avuto un vuoto totale nella mente, non sapevo come continuare, la storia sembrava arrivata ad un punto morto: sono riuscita a scrivere questo capitolo in un'ondata di ispirazione che spero duri ancora per un po', giusto il tempo di scrivere gli ultimi capitoli ;-)
Siamo giunti quasi alla fine, quindi vorrei ringraziare tutte quelle persone che hanno deciso di mettere questa storia tra le preferite/ricordate/seguite o che hanno recensito. Ogni volta che pensavo di mollarla guardavo la pagina con tutti voi che la seguite ... e quindi mi dicevo che non potevo semplicemente lasciarla così. Ve lo devo, ma sopratutto me lo devo. Ancora grazie, quindi, a tutti voi  <3 <3

 

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Capitolo 15
*** capitolo 15 ***


Era passato un solo giorno in quell’ospedale, Scorpius non aveva più avuto attacchi improvvisi e già non ne poteva più di stare tra quelle quattro mura.
Dopo aver mandato quel bigliettino freddo ai suoi genitori era successa una cosa che non si sarebbe mai aspettato e molto probabilmente, se glielo avessero raccontato qualche giorno prima, non ci avrebbe mai creduto. Il fatto era che, dopo anni senza neanche una lettera, dopo aver passato la sua adolescenza a punirlo, a disprezzarlo e a umiliarlo, i suoi genitori si erano presentati sulla porta della sua camera d’ospedale. Rose gli aveva dato la notizia, preoccupata che lo stress emotivo che avrebbe comportato il rivederli avrebbe potuto scatenare un’altra crisi, ma Scorpius, con gli occhi ancora sgranati per la sorpresa, le aveva detto di farli entrare. Rose era uscita, e ritrovandosi davanti Draco e Astoria Malfoy, non aveva battuto ciglio, anzi li aveva guardati quasi sgarbatamente e aveva incominciato a parlare cercando di suonare formale, ma senza riuscire a nascondere il disgusto che provava nei loro confronti.
«signori Malfoy, so che siete animati dalle più buone intenzioni in questo momento» aveva detto sottolineando l’unico momento in cui si stavano comportando, a suo avviso, genitori degni di essere chiamati tali.
«ma dovete sapere che la malattia di Scorpius è molto rara e non è sempre … presente, ecco. Si manifesta in delle crisi, che deteriorano il corpo dall’interno, lentamente, come se il paziente avesse veleno o fuoco al posto del sangue. Per questo Scorpius vi sembrerà perfettamente normale» i due avevano annuito, scambiandosi un’occhiata preoccupata.
«ma la cosa più importante, è che queste crisi peggiorano notevolmente in caso di stress, si prolungano più a lungo e tornano più frequentemente. Capirete quindi che è fondamentale - e qui lanciò un’occhiataccia a Draco Malfoy – evitare qualsiasi discorso che possa turbare psicologicamente vostro figlio. Se volete riallacciare i rapporti con lui non serve rinvangare vecchie questioni» poi li aveva guardati un’ultima volta con disprezzo.
«e cercate di essere dei genitori veri, per una volta» Astoria a queste parole era arrossita, mentre Draco l’aveva guardata con rabbia.
«e lei che ne sa, signorina, dei nostri rapporti con Scorpius e dei motivi per cui abbiamo agito così? Come si permette di giudicarci?» Rose aveva sostenuto il suo sguardo, rispondendo freddamente.
«Sono Rose Weasley, signor Malfoy, mio cugino era il miglior amico di Scorpius. Abbiamo passato l’adolescenza insieme, litigando di continuo, è vero, ma eravamo sempre insieme. Io c’ero per la strillettera dopo lo smistamento, quando dei bulletti cretini lo picchiavano, quando lo rifiutarono nella squadra perché era un Malfoy e ripiegò sull’atletica, uno sport babbano che lei non ha mai approvato. C’ero quando le ragazze cominciarono a ronzargli intorno e lui diede il suo primo bacio, quando si ubriacò e fumò dell’erba per la prima volta, anche se probabilmente lei neanche sa cosa sia. C’ero quando se  n’è andato di casa, e la notte piangeva di nascosto nella camera degli ospiti di mio cugino, quando doveva lavorare come sguattero al paiolo magico per pagarsi i libri, c’ero persino quando in vacanza non voleva spogliarsi e mettersi in costume per quei famosi segni sulla schiena … e anche quando poi se ne andò incapace di sopportare ancora la vita qui a Londra, per colpa sua. Quindi mi dispiace, ma sono perfettamente in grado di giudicare» i due rimasero pietrificati davanti al fiume di parole che uscì dalla bocca della rossa. La verità era che aveva sempre odiato come facevano sentire il suo ragazzo, anche quando non riuscivano a stare nella stessa stanza senza litigare, aveva sempre dato la colpa a loro per la partenza di Scorpius per l’America, e ora che li aveva davanti … beh non era riuscita a contenersi.
«mi sembra che sia lei a rinvangare i tempi passati adesso» aveva osservato Draco dopo i primi momenti di sbandamento. Rose sorrise gelida a quella risposta. Aveva riconosciuto la stessa capacità di Scorpius di portare il discorso sempre a proprio favore, ma lei era abituata e non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa.
«si, ma non davanti suo figlio. Se si preoccupa per lui, le assicuro che non farò mai questi discorsi davanti a Scorpius» poi, lanciandogli un’occhiata, non gli diede il tempo di ribattere.
«ora vi faccio entrare, vi ho già avvisati» disse dandogli le spalle e dirigendosi verso la camera di Scorpius.
Avevano trovato il ragazzo in piedi che girovaga per la stanza, i capelli in disordine e a piedi scalzi.
In quel momento Astoria fece la cosa più istintiva che le venne in mente, senza pensare a nulla, vedendo suo figlio, si fiondò ad abbracciarlo. Rose rimase interdetta, Draco guardava la scena con profondo rammarico, mentre Scorpius … lui rimase pietrificato, per poi lentamente ricambiare l’abbraccio di sua madre. Erano rimasti così per un bel po’, poi lui si era districato dalle braccia materne e lei le prese il viso tra le mani.
«mi dispiace così tanto Scorpius, così tanto» disse con gli occhi pieni di lacrime.
«è passato, ormai» aveva semplicemente risposto. Li aveva perdonati? Era presto per dirlo, ma si sentiva come se gli avessero tolto un macigno dallo stomaco. Suo padre gli si era avvicinato titubante, poi guardandolo negli occhi gli aveva chiesto come stava.
Probabilmente ci sarebbero voluti anni per poterli perdonare davvero, non sarebbe mai riuscito a dimenticare e ridargli fiducia sarebbe stata un’impresa, ma in quel momento non importava. Scorpius sapeva solo di sentirsi molto meglio, come se d’un tratto tutta la rabbia e la frustrazione della sua adolescenza finalmente lo abbandonassero. Si era sentita veramente cresciuto solo in quel momento, con Rose a qualche passo da lui che lo guardava amorevolmente e i suoi genitori che finalmente lo trattavano come un figlio. Avevano parlato di cose banalissime per tutto il tempo che i coniugi Malfoy erano rimasti lì, e cioè per quasi due ore. Draco aveva chiesto che lavoro facesse Scorpius, ed era rimasto piacevolmente sorpreso di apprendere che era un Magiavvocato. Aveva commentato “allora in qualcosa mi assomigli, oltre che nell’aspetto!” e Rose lo aveva guardato malissimo. Il ragazzo aveva riso un po’ in imbarazzo cercando di cambiare argomento, ma Draco non glielo permise. Per una volta era piacevolmente stupito di suo figlio, era curioso di sapere in che ambito lavorasse, i suoi processi in corso, quelli vinti e quelli persi, e altre mille cose di cui Scorpius fu felice di parlare una volta superato l’imbarazzo iniziale. Astoria era rimasta ad ascoltare, mentre Rose dopo un po’ si era stufata e aveva deciso di lasciare la stanza: le sembrava che le cose stessero andando abbastanza bene.
Quando si fu stancata di sentirli parlare di legge, Astoria guardo suo figlio con un luccichio un po’ malizioso negli occhi. Era sempre stata brava a capire le persone, e Rose era un libro aperto riguardo a sentimenti.
«ma dimmi un po’, cosa c’è tra te e Rose Weasley?» sia padre che figlio si erano irrigiditi, per motivi opposti. Draco l’aveva guardato quasi speranzoso di avere una risposta che negava ogni rapporto con quella ragazza, ma consapevole che non sarebbe arrivata, visto il rossore del figlio. Scorpius invece aveva distolto lo sguardo dagli occhi della madre, rispondendo sottovoce.
«è complicato. Non ne sono sicuro, ma credo di poter dire che stiamo insieme. O qualcosa del genere, si» si sentiva in imbarazzo, e aveva paura di essere giudicato. Sapeva che ai genitori non sarebbe piaciuto ma, ehi, era scappato di casa per un motivo, no?
Draco era rimasto immobile per qualche secondo, mentre nella sua mente imprecava contro Merlino, Salazar, Godric e persino contro il Signore Oscuro. Poi fece un respiro profondo e gli rispose con tutta la calma che riuscì a racimolare.
«tu riesci sempre a stupirmi, Scorpius, non ti smentisci mai. Toglimi solo una curiosità, se tu stavi in America, come diamine avete fatto?» Scorpius aveva guardato suo padre stupito per la reazione pacata, così come Astoria. Non se l’era aspettato. Ma dopotutto Draco non voleva il suo male, e le mezze minacce della rossa prima di entrare erano state chiare: niente stress. E poi Scorpius era un uomo ormai, contestare le sue scelte non avrebbe mai potuto portare a qualcosa di buono.
«non abbiamo fatto in realtà. È una cosa nuova, più o meno» il padre aveva annuito.
«ora è chiaro perché quando siamo entrati sembrava mamma orsa» aveva costatato con un sorriso bonario, poi Scorpius aveva cambiato discorso, perché, davvero, stare lì a parlare di Rose con suo padre era semplicemente irreale. Draco aveva capito, così avevano iniziato a parlare del tempo, della neve, del viaggio che presto avrebbe intrapreso Scorpius. Quest’ultimo argomento aveva interessato anche Astoria, e ne avevano parlato fino a che i coniugi erano stati costretti ad andare via per la cena.
Quando se n’erano andati, Rose era entrata con la cena per entrambi, Hamburger per la gioia di Scorpius, sorridendo.
«Come è andata?» aveva chiesto nel frattempo che apparecchiava il tavolino nella stanza
«è stato strano … non avevo mai parlato così con loro. Sembrano quasi persone normali» aveva detto seguendo ogni suo movimento, con una voglia sempre maggiore di baciarla.
«mia madre mi ha chiesto se stiamo insieme» aveva buttato lì lui. sembrava che tutti lo dessero per scontato ma loro non ne avevano mai parlato sul serio. Non che le cose sarebbe cambiate tra loro se ne avessero parlato, ma si era sentito in imbarazzo quel pomeriggio. E poi, voleva finalmente dire che era sua. Ora che aveva superato tutte quelle dannata barriere fisiche e mentali, avrebbe davvero voluto dire al mondo “Rose Weasley è la mia donna”. Diamine, aveva aspettato una vita per quello.
Rose si era immobilizzata per un secondo e poi si era girata verso di lui per guardarlo negli occhi, un mezzo sorriso stampato in faccia.
«e tu che le hai risposto?»
«che non lo so. Imbarazzante in effetti … credi che avrei dovuto dirle che andiamo a letto insieme?» lei finse di pensarci su.
«credo l’abbia capito da sola» era stata al suo gioco.
«tu dici?»
«molto poetico, non trovi? L’infermiera e il soldato …» lui aveva riso.
«io non sono un soldato e tu sei di più che un’infermiera» lei gli aveva sorriso, poi era tornata seria.
«sul serio, che le hai risposto?» lo aveva guardato un po’ minacciosa. Cosa c’era di sbagliato in quella risposta? Lui davvero non avrebbe saputo definire quello che c’era tra loro.
«sul serio, che non lo so» lei lo aveva guardato male e aveva scosso la testa senza rispondere, quasi delusa.
«stiamo insieme, io e te, Rose Weasley?» le si era avvicinato con sguardo di sfida, e lei aveva cambiato atteggiamento: quello era sempre stato il modo migliore per farla reagire.
«beh, rischierei di sentirmi una ragazza dai facili costumi ad andare a letto con un uomo che non è il mio ragazzo» aveva risposto con un pizzico di malizia avvicinandosi ancora di più a lui, senza però sfiorarlo. Non era vero, le era capitato di fare del sesso occasionale, anche se raramente, ma quello era il modo migliore per zittirlo.
Lui l’aveva guardata dalla testa ai piedi, bella nella sua semplicità e con gli occhi azzurri luccicanti, e per tutta risposta si era fiondato sulle sua labbra, incapace di fare altro. Per quanto potesse fare il duro e sapesse usare bene le parole, a lei bastava guardarlo per farlo sciogliere dal desiderio.
La cena era stata dimenticata, i vestiti sparsi per la stanza e i gemiti si erano diffusi per l’aria. Si erano uniti, di nuovo, ed era stato fantastico, indescrivibile e tremendamente bello.
E mentre lei sentiva l’orgasmo travolgerla e scuoterla nel profondo, lo sentì sussurrarle all’orecchio che l’amava, con la voce affannata, la mente annebbiata e il cuore pieno di gioia.
Erano rimasti tutta la notte in quella stanza, che per molti era stata luogo di sofferenze ma che, con la sua puzza di disinfettante, le sue pareti spoglie e quel bianco troppo acceso che faceva male agli occhi, era diventata il loro nido d’amore.
Il giorno dopo i signori Malfoy erano tornati a fare visita a Scorpius, ma non erano stati gli unici. Si erano presentati persino Albus e Alice e anche Hermione con Ginny ed Harry. Si erano incrociati con i Malfoy, e tutti quanti erano stati così stupiti da essere rimasti impalati a guardarsi per qualche secondo. Quella sera poi Rose e Scorpius erano andati al cinema, un’esperienza che da sempre Scorpius amava. La prima volta ci era andato con lei quando erano ragazzi, durante delle vacanze di Pasqua particolarmente piovose, e da allora se ne era innamorato.
Il giorno dopo invece avevano lasciato le odiate (da Scorpius) mura dell’ospedale per andare in giro per i negozi e comprare il necessario per il viaggio, visto che sarebbero partiti il trentuno. Finiti gli acquisti, con un motivo banalissimo si erano ritrovati a casa di Rose dove avevano finito per rotolarsi nelle lenzuola, di nuovo, perché davvero stare lontani l’uno dall’altra stava diventando difficile. Nel tardo pomeriggio Scorpius era riuscito a convincerla ad andare sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio che c’era nell’Hyde Park. Si erano divertiti come poche volte nella vita, lui che pattinava come un’anatra e lei che finiva con il sedere nel ghiaccio ogni due per tre.
Rose poteva affermare con certezze che pochi periodi nella sua vita erano stati tanto felici e spensierati, si sentiva in una bolla, come se quel periodo fosse fuori dal tempo e dallo spazio perché troppo perfetto. Scorpius dal canto suo sentiva di poter morire in pace. Certo, avrebbe preferito avere lunghi anni davanti a sé, avrebbe preferito mille e mille volte avere un minimo di certezze per il proprio futuro, ma arrivato a quel punto credeva di potersi anche accontentare. Insomma, aveva quello che aveva sempre desiderato, Rose tutta per lui, l’amore della sua famiglia, gli amici vicini a lui. Era dannatamente felice di aver avuto il tempo e la possibilità di avere tutto questo, era incredibile.
E mentre guardava la sua donna ridere e cadere sul ghiaccio, con il cappello caduto di lato e la sciarpa avvolta due volte sul collo, pensava che davvero poteva dirsi l’uomo più felice del mondo. Quasi, era felice persino di quella malattia. Senza né Rose né i suoi familiari si sarebbero così avvicinati a lui. Spesso la gente tende a dimenticare quanto il tempo scorra velocemente, che ogni momento perso è unico e che lasciare passare gli anni nell’astio serve solo ad avvelenare la vita e a far nascere rimorsi per il futuro. Si riteneva fortunato di aver avuto il tempo di capire quanto importante e bella fosse la vita, e di dimostrarlo agli altri.
Prese Rose per mano, aiutandola a rimettersi in piedi, mentre ancora rideva.
«siamo due frane» aveva riso, mentre lui cercava di risollevarla a fatica.
«non capisco come hai fatto a convincermi a venire qui» lui aveva ghignato.
«sono troppo bello per ricevere un rifiuto Rose» aveva ironizzato lui, mentre lei alzava gli occhi al cielo.
«e anche troppo modesto» lui le aveva fatto l’occhiolino, mentre entrambi si dirigevano faticosamente alla ringhiera ai lati della pista.
«obiettivo è la parola giusta. Insomma, mi hai visto, no?»
«sei un pallone gonfiato, lo sai vero?» lui aveva finto di offendersi a quell’insulto giocoso e lei si era fatta perdonare con un bacio sulle labbra, presto ben accetto dal biondo, che l’aveva circondata con le sue braccia in un nanosecondo.
«però ti piace, il pallone gonfiato» le aveva sussurrato tra le labbra.
«tu non sai quanto, ossigenato» le aveva risposto lei guardandolo fisso negli occhi. Amava il ghiaccio dei suoi occhi almeno quanto lui amava il cielo in quelli di lei.
Ridendo si erano presi per mano, continuando a pattinare come delle papere e cercando di non cadere. Da lontano erano uno spettacolo comico, se invece qualcuno si fosse avvicinato, vedendo gli sguardi che si lanciavano, così colmi d’amore, avrebbe sospirato per il desiderio di condividere con qualcuno un sentimento tanto grande.
***
Partirono subito dopo pranzo quel giorno. Rose non aveva fatto altro che saltellare in giro preparando due valige alla babbana mentre Scorpius la guardava divertito, ricordandole di tanto in tanto oggetti che rischiava di dimenticare.
Dopo aver consumato di fretta il pasto, si erano diretti al ministero della magia a piedi, per prendere la passaporta che li avrebbe portati in Sicilia. Rose aveva controllato il meteo babbano ma era piuttosto sicura che ci fosse qualche errore: insomma per quel giorno erano previste nuvole, ma le temperature variavano tra i dieci e i sedici gradi, ed era assurdo, perché lì a Londra invece ce n’erano cinque. Erano quasi a Gennaio, porca miseria!
Quando ne aveva parlato con Scorpius lui aveva insistito per portare un paio di magliette a maniche corte.
«io in casa sto in pantaloncini anche quando andiamo sotto lo zero, Rose, hai presente? Non ho intenzione di sciogliermi come un ghiacciolo … ti ricordi che Dominique svenne per il caldo?»
«ma che c’entra, era agosto! C’erano qualcosa come trentacinque gradi all’ombra!» avevano battibeccato. Alla fine Scorpius si ritrovò in valigia qualche maglione, che aveva guardato con diffidenza, ma anche le sue amate magliette, che aveva promesso di indossare con la felpa sopra perché “non potevano rischiare che si beccasse anche la febbre”.
Arrivarono puntualissimi al ministero della magia, Rose come al solito sepolta nella lana e Scorpius che la prendeva in giro per il suo cappello arancione fluorescente. La passaporta era uno spazzolino da denti molto consumato, che Scorpius guardò con disgusto malcelato. Insieme a loro c’era una famiglia con quattro bambini e un’altra coppia, tutti allegri, saltellanti e tremendamente confusionari.
«sarà strano quel posto d’inverno … mi chiedo cosa faremo, visto che non potremo usare le piscine» Rose fece spallucce.
«beh la piscina olimpionica è riscaldata, infatti ho preso anche i costumi. E poi sicuramente gli animatori avranno organizzato molte attività, giochi balli e cose del genere. E se non ci va, possiamo sempre andare a visitare Palermo, visto che non ci siamo andati l’ultima volta» lui annuì.
«oppure potremmo chiuderci in camera» disse malizioso, facendola arrossire.
«ma quello possiamo farlo anche a casa!» protestò lei, fra le risate del giovane.
 
Il viaggio era stata monotono ma tutto sommato non troppo lungo. La passaporta li aveva portati in un locale adibito per l’arrivo dei viaggiatori, da lì poi avevano chiamato un taxi, tra le lamentele di Rose perché gli sarebbe costato un occhio, che in venti minuti li aveva lasciati a destinazione. Le bacchette erano state abilmente nascoste in tasche magiche dei loro abiti, così che nessuno le vedesse, avevano comprato abiti babbani che non avrebbero insospettito nessuno ed erano pronti per godersi quella vacanza al massimo.
Come l’ultima volta, furono accolti dagli animatori all’ingresso, con quel loro accento fortissimo e i sorrisi smaglianti. Il cielo non era luminoso come l’ultima volta, molte nuvole coprivano il  cielo, anche se si potevano scorgere sprazzi di azzurro tra il bianco perlaceo. Il luogo era bello come lo ricordavano, gli ampi viali alberati odoravano di salsedine e di terra bagnata, per la pioggia o per il sistema di irrigazione. Tra i viali, le costruzioni bianche, dove si trovavano le camere, spiccavano nel verde della vegetazione con i nomi in italiano impronunciabili per i due inglesi. Per fortuna la loro camera non sarebbe stata distante dall’entrata, dove c’era la piscina più grande, il ristorante e la piazza dove d’estate si svolgevano le serate.
«Chissà dove faranno le serate, visto che in piazza ovviamente non potranno farle» rifletté Rose, quando passarono vicino al luogo diretti verso la camera. Scorpius sbuffò, senza risponderle. Avrebbe voluto trasportare le valigie con la magia, ma non poteva per ovvi motivi. Quello era un luogo babbano, che anni addietro era stato scelto dalla famiglia Weasley-Potter a causa della notorietà che avevano nel mondo della magia. Avevano quindi preferito mischiarsi con i babbani, senza non poche difficoltà (Dominique non aveva mai capito cosa intendesse un ragazzo, quando le aveva chiesto se poteva dargli il numero. Il numero di cosa poi, della camera?).
La camera era simile a quella che ricordavano e che l’ultima volta avevano condiviso con Albus. Non era grandissima, con solo un bagno con una doccia abbastanza spaziosa, nell’angolo una specie di piccolo lavandino (“non capirò mai come si usa quel coso!” aveva escalamato Scorpius vedendolo) e una stanza più grande con il letto matrimoniale, i comodini un armadio e una cassettiera con uno specchia abbastanza grande sopra. I mobili erano neri, le pareti bianche, tutto con uno stile moderno e c’era odore di pulito. Scorpius quando entrarono si era guardato intorno malizioso.
«L’ultima volta abbiamo dormito insieme un paio di volte, ricordi» lei lo aveva guardato sorridendo.
«si che lo ricordo. Io avevo ancora gli incubi per Dean e tu “non volevi lasciarmi dormire sola”» gli rispose con ironia la ragazza. Scorpius l’aveva guardata indignato.
«guarda che la prima volta non aveva nessun secondo fine, ero preoccupato per te!»
«e la seconda?» Scorpius la guardò per un attimo, poi scoppiò a ridere.
«la seconda era solo un modo per toccarti le tette» lei divenne paonazza.
«non l’hai fatto sul serio, vero?» Scorpius rise.
«non c’era nessun bisogno che io lo facessi, eri tu a spalmarmele addosso» disse ancora ridendo, poi aggiunse.
«e lo fai tutt’ora! Dormire con te è il paradiso»
«sei un maniaco pervertito, lo sai vero? E lo eri anche a sedici anni» lui per tutta risposta le dette una pacca sul culo.
«si che lo so. Ma so anche che a te piaccio così, quindi che motivo avrei di cambiare?» lei alzò gli occhi al cielo ma non replicò. Era vero, ne era dannatamente innamorata. Stava buttando via la sua vita per lui, di nuovo, eppure non poteva farne a meno, non aveva alternative. Scorpius l’aveva vista impensierirsi in un attimo, così si fece serio e, sedutosi nel letto, l’attirò a sé.
«cosa c’è?» le chiese guardandola dal basso verso l’alto. Lei schivò i suoi occhi.
«niente … è solo che con te è sempre tutto così complicato» lui le accarezzò il dorso della mano, intrecciando poi le loro dita.
«Rose … la verità» l’ammonì lui con dolcezza. Lei sospirò.
«ho solo paura di come andrà a finire … ma non voglio parlarne ora» gli disse guardandolo di nuovo in viso, il suo solito controllo ripristinato.
«bene allora, perché io avevo in mente altro» le rispose lui, per poi baciarle la bocca con la devozione che solo un uomo innamorato può riservare alla propria donna, accarezzandola con maestria, attirandola verso di sé come in una trappola a cui è impossibile sottrarsi. Era un ammaliatore Scorpius, e Rose amava il modo in cui le faceva perdere il controllo. Non c’era nessuna finzione né costrizione, non si arrendeva a lui solo per accontentarlo: semplicemente, quando lui la baciava in quel modo, Rose voleva appartenergli in tutti i modi possibili.
Fecero l’amore lì, su quel copriletto usato chissà quante altre volte per lo stesso scopo da diverse coppie, uniti nel corpo ma ancor di più nello spirito, un’unica cosa, un corpo che ritrova la propria metà, incastri perfetti per due corpi che perfetti non erano, ma sicuramente giusti l’uno per l’altro.
 ***
I giorni nel villaggio passarono veloci, come è sempre quando si attraversa una fase felice della vita. La mattina facevano colazione al bar, beandosi dell’espresso italiano, poi passavano la mattina tra le mille attività che lo staff preparava per gli ospiti nel periodo invernale. Una mattina, in cui il sole era particolarmente caldo Scorpius aveva deliberatamente ignorato Rose e si era buttato nella piscina riscaldata, in compagni solo di alcuni russi e due tedeschi anche loro in vacanza lì. Avevano litigato per quella bravata, ma avevano fatto pace velocemente, quando era venuto il momento per Scorpius di tornare in camera per lavarsi: lei lo aveva inseguito sbraitando anche nella doccia, così lui l’aveva afferrata e trascinata sotto il getto di acqua calda con tutti i vestiti addosso, per poi baciarla. Inutile dire che toglierle i jeans dopo fu un’impresa, e anche una scena fin troppo ridicola, che li avrebbe fatti ridere ogni qual volta sarebbero ritornati con la mente a quell’episodio.
Il pranzo al ristorante era sempre delizioso, la pasta era divina, per la gioia di Rose, che era capace di mangiarne anche due piatti, mentre Scorpius insisteva sul fatto che sarebbe diventata enorme. Dopo il pranzo tecnicamente andavano in camera a riposare, la verità però era che si davano da fare per smaltire le numerose calorie ingerite durante il pasto, e si sa, la ginnastica a letto è sicuramente il modo più piacevole per farlo. Le attività riprendevano alle quattro, e loro erano più che felici di partecipare, tanto più che avevano conosciuto altre due coppie che avevano più o meno la loro stessa età, una tedesca e una inglese, e passavano il tempo con loro, anche se quest’ultimi erano stupiti dal poco uso che i due facevano dei cellulari. Fortunatamente sia Rose che Scorpius, avendo vissuto per un periodo nel loro mondo, sapevano come funzionassero molte cose, così non ebbero problemi di nessun tipo. Si divertivano tantissimo con loro, a volte anche durante i pasti, ma soprattutto in discoteca, dove ballavano fino a che quasi non li buttavano fuori.
Scorpius non ebbe attacchi di nessun tipo, e a guardarlo sembrava sano come un pesce. Anche lo smagrimento, il pallore malaticcio e le occhiaie erano sparite, per dare spazio al suo solito fisico tonico e a un colorito più sano su cui spiccavano brillanti i suoi occhi chiari. Rose era sempre più speranzosa, tanto più che in nessun caso di quelli che aveva studiato c’era stato un periodo di miglioramento seguito da una ricaduta.
Erano quindi tornati a casa più leggeri. Il viaggio di ritorno non era stato faticoso, così appena arrivati a casa della rossa, Scorpius l’aveva baciata con passione per poi fermarsi a guardarla per un attimo. A volte gli sembrava così incredibile che fosse sua che aveva bisogno di guardarla per un secondo e godersi tutta la sua bellezza. Quella volta però, guardandola sorrise.
«perché ridi?» domandò la ragazza guardandolo con un mix di impazienza e dolcezza.
«avevi questo maglione il giorno di Natale» osservò lui, sfiorando la manica del maglione rosso.
«stentavo a credere di essere nella realtà quel giorno … » Rose lo fissò, stupita.
«ti ricordi di questo maglione?» lui alzò gli occhi nel suo viso.
«stavo per avere un attacco … e non riuscivo a toglierti questo maledetto maglione con tutta la fretta che avevo» rispose lui con un mezzo sorriso.
«si, è stato abbastanza irruento quella volta» commentò lei con malizia, mentre lui si calava di nuovo sulle sue labbra per baciarla. Ma Rose si scostò all’ultimo momento, guardandolo improvvisamente con gli occhi spalancati.
«hai detto che stavi per avere un attacco?» lui la fissò per un attimo, le sopraciglia aggrottate, senza capire quale fosse il problema.
«si, ma poi non l’ho più avuto. Sono stato bene, non ho avuto più nulla …» lei continuava a guardarlo, cercando di dare una spiegazione logica a tutto quello. Non c’era modo di interrompere o ritardare gli attacchi, nessuno aveva mai trovato il modo di farlo e nei rari casi in cui le persone affette da quella malattia erano guarite non avevano mai avuto episodi simili. L’unica cosa che avrebbe potuto influire era assolutamente incredibile e decisamente ridicola.
«non puoi essere guarito facendo sesso. Da quanto tempo non lo facevi?» chiese quindi cercando di venire a capo a quel dilemma. Lui però sembrava confuso quanto lei.
«il sesso?» lei continuò a guardarlo.
«sei stato con qualcuna prima di me da quando hai questi attacchi?» chiese. Avrebbe preferito non fargli questa domanda, perché sapeva della sua fortuna con le donne e la scarsa sicurezza in sé stessa la portava a complessi che le facevano tutt’altro che bene. Ma in quel momento non lo stava guardando con gli occhi di un’amante ma di un medico, e quella era l’unica via possibile, per quanto assurda e ridicola. Lui arrossì vistosamente e lei intuì la risposta.
«una volta, quando ho sentito come parlavi ad Albus di me, ricordi?» lei annuì ripensando agli insulti su Scorpius che aveva riversato su Albus poco dopo averlo rivisto, così lui proseguì.
«avevo avuto si e no due crisi, ma ancora erano molto meno dolorose e duravano poco. non ci avevo ancora dato molta importanza, ma credo che cominciarono a peggiorare proprio poco dopo quell’episodio»
«quindi non è il sesso» lui la guardò ridendo, senza prendere sul serio quella faccenda. Credeva che quella fosse solo la quiete prima della tempesta, essere guarito solo perché aveva fatto del sesso era ridicolo e impensabile, tant’è vero che non aveva dato nessuna importanza alla cosa.
«peccato. Sarei stato curioso di vederti spiegare ai tuoi superiori come mi aveva guarito» lei lo guardò oltraggiata, per poi allontanarsi da lui e cominciare a mettere i suoi soliti tre chili di lana per uscire, stupendo il ragazzo.
«e ora dove stai andando? Ho un’erezione che ha bisogno di essere sfogata» disse con tono quasi lamentoso.
«sei un maiale. Và a farti una doccia fredda, io sto andando in ufficio: devo capire perché non hai avuto più crisi»
«e mi abbandoni così? E se mi torna un’altra crisi perché non lo abbiamo fatto?» le chiese con tono canzonatorio. Lei lo ignorò, per suo sommo disappunto.
«Rose non puoi lasciarmi così» disse, quasi pregando. Ma lei non lo sentì neppure, persa nel silenzio opprimente della smaterializzazione.
Scorpius guardò il nulla per un paio di secondi, quindi imprecò arrabbiato e disorientato, poi si diresse in bagno a passo di marcia.

Hola!!

Ok, so perfettamente che è passato quasi un anno dall'ultimo aggiornamento, e che la cosa è come minimo imbarazzante! Mi dispiace tantissimo ma avevo  perso di vista la fine che volevo dare alla storia e non sapevo più come continuare.
Arrivati a questo punto però manca solo l'ultimo capitolo, quindi spero che questo capitolo vi sia piaciuto e mi auguro di riuscire a concludere questa storia il prima possibile ;-)
Un bacio a tutti
Moony16

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Rose corse in ufficio curandosi poco di quello che la circondava, in testa solo la speranza che l’uomo della sua vita fosse sopravvissuto a qualcosa che chiunque credeva impossibile. Pensava e ripensava, mentre si affrettava al S. Mungo, ai casi che aveva studiato. Nei casi peggiori non c’erano stati miglioramenti di sorta, mentre Scorpius stava visibilmente meglio da Natale. Nei casi in cui guarivano la cosa avveniva gradualmente. Una sola volta un uomo era ricaduto nella stessa malattia dopo vent’anni.
Arrivata al S. Mungo si fiondò nel suo ufficio e cominciò a tirare fuori i registri. Doveva capire.
Rimase lì per ore e ore, si fece notte e infine si presentò alla sua porta il suo responsabile.
«Rose è permesso?» aveva esordito prima di entrare. Rose aveva assentito e lui si era seduto davanti a lei preoccupato.
«va tutto bene con il tuo paziente?» aveva chiesto, forse pensando a qualche peggioramento di sorta. Rose l’aveva guardato stupita.
«va tutto benissimo. È questo il punto … se è guarito, devo poter dirlo con certezza e capirne la causa» l’uomo strabuzzò gli occhi.
«non sai se e come è guarito?» sembrava abbastanza stupito.
«io non ho fatto niente di particolare, tranne cercare di farlo mangiare meglio, ridurre il suo stress fisico e mentale, e aiutarlo con l’acqua»
«a tal proposito, avrei voluto parlartene. Da nessuna parte è documentato che questo metodo faccia effetto. È stato provato su altri casi, visto che su Scorpius pareva funzionare l’ho comunicato ad un mio amico che si occupa di un caso simile in Africa. E non ha avuto risultati» Rose aggrottò le sopraciglia, stufa.
«Rose ho guardato questa malattia da ogni punto di vista medico possibile. Non c’è niente che non va in Scorpius, e negli altri pazienti, a livello fisico, solo un deterioramento interno. Non ci sono tossine, virus, batteri, incantesimi … niente di niente. Comincio a pensare che sia una cosa più mentale che fisica» Rose, dopo aver riflettuto per un attimo, annuì.
«questo darebbe senso al fatto che qualcosa che funziona per uno è inutile per un altro»
«si, come giustificherebbe il fatto che se i pazienti sono stressati peggiora la loro situazione» Rose annuì di nuovo, sentendo come se la soluzione fosse a portata di mano eppure non riuscendo a comprenderla.
«quindi dovremmo analizzare la psicologia dei pazienti?» il medimago di fronte a lei fece un cenno di assenzio, ma aggiunse.
«la psicologia, ma anche la vita, la storia. Tu conosci da tanto tempo Scorpius, quindi sicuramente conoscerai la sua storia. Il paziente di cui ti parlavo ha avuto una storia difficile. Questa idea mi frulla in mente da un po’, quindi ne ho già parlato con quel mio amico, mentre voi eravate in Italia. Non ti ho detto nulla prima per due motivi. Primo, volevo vedere se arrivavamo alle stesse conclusioni, e secondo perché aveva bisogno di un minimo di spiegazioni e non di sole intuizioni»
«ha agito bene dottore. Cosa è accaduto a quel paziente?» chiese Rose ansiosa di sapere tutto.
«beh non ha avuto una vita facile. Ha perso i genitori da bambino, ed è cresciuto solo. La moglie è morta di parto, lasciandolo solo con un bambino, che si è ammalato dopo qualche anno. La malattia è iniziata quando il bambino era in gravi condizioni, e da quando è venuto a mancare il suo benessere è precipitato»
«cosa normale se si pensa che peggiora con lo stress»
«si ma io mi chiedo, è possibile che la causa sia lo stesso stress?» Rose aggrottò le sopraciglia.
«lo stress non causa queste cose dottore, altrimenti ne saremmo tutti affetti» osservò lei.
«e Malfoy? ha avuto una vita facile?» Rose sospirò.
«no, per niente. Io devo essere onesta con lei, però. Da ragazzi io e Scorpius stavamo insieme prima che lui partisse per l’America. Quando lui è tornato io stavo con un altro uomo, e lui era un po’ … tagliato fuori, credo, dal nostro vecchio gruppo. Allora ha iniziato a stare male. Però sa ha avuto problemi con i genitori da sempre, è una persona molto chiusa, in America non ha sviluppato praticamente nessuna amicizia e credo che fosse quasi completamente solo quando è tornato qui» il medico annuì.
«e adesso che la vostra famiglia lo ha riaccolto, ha trovato i suoi vecchi amici, la sua famiglia (perché so che i signori Malfoy sono venuti a fargli visita) e magari anche la sua vecchia fiamma sta meglio, giusto?» Rose lo guardò sbigottita, poi riuscì solo a ribattere.
«io non ero una sua vecchia fiamma. Mi ama da quando aveva dodici anni, e io lo ricambio» disse sulla difensiva. Di certo il suo superiore non avrebbe dovuto sapere di quella storia, l’amore con i pazienti non erano ben visti, ma entrambi sapevano che quello era un caso a parte. E poi impulsiva com’era non era riuscita a trattenersi.
«ancora meglio, allora» ribatté lui entusiasmato.
«lei … lei crede che sia guarito? Così? Dal nulla?» il medimago annuì compiaciuto.
«ora che mi dice questo si. Però dovremmo fare una bella ricerca, Rose. Che ne pensi di collaborare? Fin’ora abbiamo solo un’intuizione e delle supposizioni. Non sappiamo cosa scatena la malattia o un modo stabile per curarla. E abbiamo un caso studiato personalmente da entrambi» disse l’uomo quasi entusiasmato. Rose lo guardava imbambolata. Si era fermata alla prima frase, senza riuscire ad ascoltare più nulla. Doveva tornare a casa, abbracciare il suo ragazzo e dirgli che era tutto finito. Dovevano fare l’amore per tutta la notte e poi informare tutti quanti di quella notizia. Doveva dirlo a Scorpius.
Si alzò in piedi con uno scatto, un sorriso che andava da un orecchio ad un altro.
«mi scusi, devo andare, ne riparleremo un'altra volta» disse per poi scappare correndo fuori l’ospedale, il più veloce possibile verso casa.
Scorpius all’inizio non riusciva a credere alle parole di Rose, ma con il passare del tempo risultarono tremendamente veritiere. Era guarito e non ebbe più nessuna crisi di quel genere fino a quando non morì, stravecchio e con una marea di acciacchi di cui si lamentava costantemente.
Rose fu insignita dell’ordine di merlino seconda classe, per aver capito le cause e intuito la cura di quella malattia tanto rara: con il benestare dei pazienti, si provò un incantesimo Oblivion, per poi ridare loro una vita tranquilla e nuovi obbiettivi. Funzionò egregiamente. L’intuizione del suo superiore infatti era corretta, ma mancava di una cosa fondamentale, l’effetto della magia. Quella malattia, scoprì Rose, era causata da delle scariche di magia incontrollata che infuocano il sangue, un po’ come quando i bambini si arrabbiano e hanno manifestazioni di magia involontaria. Uno stato di stress troppo prolungato, in una persona impulsiva e con poteri magici notevoli, può raramente portare a questa malattia.
Albus e Alice si sposarono poco tempo dopo, e nonostante il pancione di lei fosse evidente era ugualmente bellissima. Harry svenne quando Albus e Alice gli presentarono il suo primo nipote e Ginny lo prese in giro per questo per molto, molto tempo. Poco dopo Alice si ritrovò di nuovo incinta. Ebbero in totale quattro figli, motivo per il quale Albus, fino a che anche l’ultimo non ebbe superato l’età dei pannolini, sembrava perennemente isterico. Tutti però sapevano che adorava i suoi figli e che avrebbe fatto di tutto per loro. L’esperienza con il suo primo figlio gli ispirò persino la creazione della pozione che lo rese ricco e che gli permise di smetterla di viaggiare intorno al globo: una pozione anticoncezionale i cui effetti non venivano annullati da nulla, della durata di 12 ore per ogni sorso e senza controindicazioni. Alice all’inizio ne era stata contrariata, ma dopo averla sperimentata convenne con lui che era abbastanza comoda da usarla spesso e volentieri.
James non si sposò mai con Lily Dursley, e non ebbero figli per tanto tempo, così la madre gli dava del disgraziato ogni volta che lo vedeva. Lavorò come modello fino a che la vecchiaia lo permise, mentre Lily si occupava di moda. Erano delle vere e proprie star nel mondo magico, fino a che, molto tardi, Lily non si ritrovò incinta. La cosa ebbe pochi grandi sconvolgimenti nella loro vita: abitavano già insieme, e furono più che altro le tate ad occuparsi del tutto. James comunque rimase il modello di ispirazione dei suoi nipoti e anche dei figli dei suoi cugini, che guardavano a lui quasi come ad un dio sceso in terra, cosa che lo rendeva particolarmente compiaciuto. Era lo zio delle feste sballate, quello che passava gli spinelli ai nipoti adolescenti, quello de “il whiskey incendiario è un diritto inalienabile, anche a dieci anni!”, quello dei regali strepitosi e delle gite che non avrebbero mai fatto con i genitori. Anche a cinquant’anni faceva voltare la testa a tante ventenni, cosa di cui non smetteva mai di vantarsi guardando con aria di superiorità la perdita dei capelli biondi di Scorpius (di cui lo stesso faceva un dramma … aveva una collezione di pozioni anticaduta, tutte quasi inutili), la pancia sempre più evidente di Albus, e più in generale tutti gli acciacchi che con il tempo avevano inevitabilmente colpito tutti i cugini e amici.
Louis e Laurel provarono a far funzionare le cose, ma presto capirono che era un’impresa impossibile visto che lei aveva di fatto perso la sua fiducia in lui. Divorziarono qualche mese dopo, e non si videro per tanto tempo salvo che per sporadiche cose riguardanti Helena: faceva troppo male guardarsi in faccia e sentirsi estranei. La bambina né risentì parecchio, perché era molto affezionata al padre, che comunque cercò di esserci sempre per lei.
Si riparlarono sul serio solo dopo che Helena partì per il suo primo viaggio ad Hogwarts. Fino ad allora aveva festeggiato due volte i suoi compleanni, avevano passato divisi tutte le festività, però per quell’occasione erano stati costretti a condividere la stessa aria. Louis la invitò al bar per un caffè e lei si ritrovò ad accettare, senza neanche sapere perché. La cosa assurda fu che si ritrovarono ancora innamorati, lei ricordò perché Louise l’aveva affascinata tanto da ragazza e Louis da parte sua non faceva che darsi dello stupido per tutti gli errori che aveva fatto con lei. Venne voglia a entrambi di riprovarci, così ricominciarono ad uscire insieme, perché in fondo non si erano mai dimenticati l’uno dell’altro. Quando Louis le raccontò di nuovo cosa fosse successo quella notte, lei finalmente crebbe alla sua storia. Helena fu felicissima di tornare a casa e rivedere suo padre in casa quel natale, e da allora le cose fra i due vanno a meraviglia.
Scorpius chiese la mano a Rose un paio di anni più tardi, durante un altro viaggio in Italia, questa volta però a Firenze. Le diede l’anello sotto il David di Michelangelo e lei gli rispose di si senza pensarci poi molto, piangendo di gioia. Lui aveva trovato lavoro al ministero della magia e lasciato definitivamente l’America e il Macusa.
Si sposarono pochi mesi dopo, e alla cerimonia erano presenti anche i Malfoy, con cui Scorpius aveva ormai finalmente riallacciato i rapporti. Non sarebbero mai stati i genitori che avrebbe voluto da ragazzo, così come lui non sarebbe mai stato il figlio che avevano desiderato, ma avevano iniziato ad accettarsi per quello che erano, si erano tutti sforzati di capire le motivazioni delle azioni di ognuno e le cose funzionavano meglio di come non si sarebbero mai immaginati. Rose però non avrebbe mai guardato di buon occhio a quello che era ormai ufficialmente suo suocero.
Orion si dimostrò un fratello affettuoso e a Scorpius piaceva molto passare del tempo con lui. L’aveva aiutato a gestire i bulletti idioti a scuola e a fare colpo sulle ragazze: per questo, notevole importanza avevano avuto le corse mattutine e le uscite insieme al bar. Andavano spesso a guardare le partite di Quidditch e anche se non erano d’accordo su niente darsi contro li divertiva da morire. Draco non provò mai più a cambiare suo figlio, anche se storse il naso davanti ai comunissimi nomi dei suoi nipoti, mentre Astoria divenne molto più presente nella vita di entrambi i suoi figli, in barba al marito.
Rose non si stancò mai di raccontare le loro avventure a chiunque incontrasse e che avesse abbastanza pazienza da starla a sentire. Dopo un po’ però, quasi tutti si ritrovavano ad ascoltare rapiti la storia di due adolescenti e poi di un uomo e una donna che si amavano e che non riuscivano a trovare il modo di stare insieme.
E poi, puntualmente, sospiravano di sollievo al sentire il lieto fine. 

 

Bhe siamo arrivati alla fine (finalmente)

Non mi aspettavo di finirie così, quando ho iniziato a scrivere, ma credo che alla fine non sia tanto male. La cosa più strana credo sia stata spuntare la voce "completa", perché ad un certo punto avevo davvero pensato che non sarei mai riuscita a finirla, mentre invece ... eccomi qui! Spero che vi sia piaciuta, nonostante tutto.
Un bacio a tutti voi che l'avete recensita (molto pochi a dire il vero), seguita o anche solo letta. Detto questo ... alla prossima! :)

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