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di laragazzadislessica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New Born ***
Capitolo 2: *** Sunburn ***
Capitolo 3: *** Unintended ***
Capitolo 4: *** Survival ***
Capitolo 5: *** House of the rising sun Parte 1 ***
Capitolo 6: *** House of the rising sun Parte 2 ***
Capitolo 7: *** House of the rising sun 3 ***
Capitolo 8: *** House of the rising sun parte 4 ***
Capitolo 9: *** Darkshines Parte 1 ***
Capitolo 10: *** Darkshines Parte 2 ***
Capitolo 11: *** Darkshines Parte 3 ***
Capitolo 12: *** Time is running out parte 1 ***
Capitolo 13: *** Time is running out parte 2 ***
Capitolo 14: *** Falling down ***
Capitolo 15: *** Assassin ***



Capitolo 1
*** New Born ***


NEW BORN
“Connesso al mondo
Connesso a te stesso
Esteso, come una contrazione di una nuova nascita
E per l’amore a cui ti nascondi
E per l’amaro interno
Sta crescendo come un feto.
Quando hai visto troppo e al contempo sei ancora così giovane
I senza cuore sono ovunque."
Muse:New Born


Klaus aprì gli occhi, ma la vista sfocata gli rese tutto inverosimile. Li richiuse con forza cercando di pulire via gli aloni che rendevano la sua vista opaca e quando lì aprì, riuscì a riconoscere qualcosa. Quel bianco satinato e smorto doveva essere la pittura di un soffitto, almeno si trovava al coperto. Alzò la testa, o almeno tentò e gocce di sudore scivolate dalla fronte zuppa, si tuffarono negli occhi che bruciarono lievemente, ma non fu questo a bloccarlo. Klaus non riuscì ad alzare la testa perché semplicemente, non ne aveva le forze. Tentò di asciugarsi la fronte aiutandosi con la mano, ma era, anzi entrambe erano, immobilizzate da qualcosa. Provò a strappare qualsiasi cosa lo stesso trattenendo, ma erano anni che non si sentiva così debole. Nausea e colati di vomito apparvero all'improvviso e la sorpresa nel sentire quelle sensazioni troppo umane per lui che ne fu sconcertato. A ogni crampo lo sentiva. Sentiva qualcosa nella sua pancia di solido come... come... poi ricordò tutto. Sophie Doveraux lo aveva pugnalato e rammentò anche l’aggeggio avorio ce aveva usato come pugnale. Era da tanto tempo che era in giro e sapeva bene che il suo stato era sicuramente dato da quel dannato strumento infernale. L’arma di Papa Tunde. Doveva sbarazzarsene. Doveva liberare una delle sue mani, afferrarlo e strapparlo via dal suo ventre, ma era troppo stanco per farlo. Così stanco che non riusciva a tenere gli occhi aperti. Lì spalancò così forte che quasi gli fece male. Non doveva cedere. Non doveva lasciare che la magia di quel corno di mucca, o chissà quale altro animale, lo portasse giù con sé. Doveva resistere. Lui era l'ibrido. Era l'essere più forte presente sulla terra e non... e non... non doveva arrendersi. Che cosa gli sarebbe successo? Qualcuno dei sui fratelli lo avrebbe liberato? Soprattutto perché era lì? Domande futili adesso paragonate alla sua urgenza di chiudere gli occhi e lo fece. Scivolò in un sonno profondo accondiscendendo a quel potere decisamente più forte del suo, sperando segretamente in cuor suo, quasi pregando, che qualcuno lo salvasse, qualcuno che... qualcuno che lo amasse nonostante tutto. Nonostante... sì, nonostante tutto.
Da qualche parte in quel luogo, cioè un ospedale abbandonato da anni, quindici streghe stavano compiendo un incantesimo.
Capitanate da Celeste, Genevieve e Bastianna, le streghe messe in circolo, circondavano la cosa, o meglio dire, l’essere che sarebbe stato capace di sbarazzarsi una volta per tutte della famiglia Mikealson al completo.
Un lupo.
Un cucciolo di lupo dal pelo rosso. Seduto sulle zampe posteriori, guardava Celeste come se stesse aspettando un premio dal padrone. Era stata lei a scovare la leggenda e sempre lei era riuscita a far arrivare quella bestia a New Orleans. Quella, però, non era una semplice bestia. Sunna o anche detto Morg Sunna, oppure Wì Hé. Essenzialmente volevano dire sia per la lingua Norrena che Lakota, prole del sole. Come un lupo potesse essere stato definito così da queste due civiltà era un mistero, ma le streghe non si fecero tante domande. Il loro scopo era sbarazzarsi dei vampiri e soprattutto del capofamiglia Klaus e quando le capostipiti le proposero quella soluzione obbedirono e basta. Celeste iniziò a recitare le tre frasi del rito e da brave soldatine, le streghe la seguirono in coro. La magia di quel incantesimo si manifestò da subito. Dalle loro mani unite si innalzò una sottile striscia color oro che avvolse l’animale come un baco da seta. Si sollevò da terra e fluttuando nell'aria lo scudo iridescente emanò raggi di ogni colore. Intanto, la figura del lupo si stava modificando deformando l’ovulo d’orato in strane forme. La criniera si modellò in capelli che crebbero in ricci rossi fino a superare la metà del suo corpo. Le orecchie a punta vennero spinte al di sotto dei capelli diventando delle piccole orecchie umane. Il muso si schiacciò in un viso minuto. Le zampe posteriori si distesero in due gambe sottili e fragili. Il busto, con qualche esitazione in più, si compresse in un movimento che sembrò doloroso, anzi tutto quello che gli era successo doveva far un male cane, ma il non più lupo non emise neanche un lamento. Per ultimo si formarono le braccia e le mani, piccole ed esili tanto quanto tutto il resto del corpo.
Era una ragazza.
Una ragazza in carne ed ossa, che non dimostrava più di quindici anni. Come poteva essere lei la soluzione per una famiglia di vampiri originali, capitanati da un fratello bastardo?
L'alone stregato stava riportando la loro salvatrice per terra e non appena le sue dita dei piedi toccarono il pavimento, qualcosa nel suo corpo non funzionò e la ragazza cadde al suolo con un tonfo che rintronò per tutta la stanza.
- Wì Hè – la voce di Celeste provenne dalla sua testa china e le streghe si guardarono sconcertate sul da farsi. Dovevano imitarla? – Mi presto a te e alla tuo somma magnificenza, io strega e come tale tua serva. - continuava a stare china e stavolta Bastianna fece cenno a tutte di genuflettersi. - Il mio nome è Celeste. Sono stata io a trovarvi. Ho studiato il grande incantesimo per liberarvi. Grazie a me potete camminare su questa terra di nuovo sulle vostre gambe ed è per questo che vi chiedo di esaudire un unico desiderio che difronte alla Vostra immensa forza, è un'inezia. – Celeste fece una pausa e guardò Genevieve che restava lì ferma con una veste bianca in mano. La richiamò con lo sguardo e solo allora la strega uscì da uno stato di trans e si avvicinò alla creatura che aveva liberato per porle l'indumento, ma la loro divinità non si mosse di un millimetro. - Uccidete per me Klaus Mikaelson - la fine del discorso di Celeste toccò il segno, perché solo allora quel corpo minuto si animò. Fu più un espiro lamentoso lontano da quello che le nostre orecchie riconoscono come parole, ma probabilmente aveva detto qualcosa. Sunnà, o in qualsiasi modo si chiamasse, ripetette il lamento in un modo più deciso, ma la sua voce era un filo lieve e per un’ennesima volta nessuno riuscì ad udire. Celeste allora intimò Genevieve a fare qualcosa, e la strega, con mala voglia, ubbidì comunque. Avvicinò l'orecchio alla bocca di quella cosa semiumana, poi quello che successe subito dopo avvenne in un lampo.
Le minuscole mani della loro presunta alleata furono alle tempie della strega e la donna fu avvolta da sciami di elettricità blu. Dalla bocca di Genevieve uscirono delle urla di dolore che straziarono le orecchie delle altre, mostrando a loro che qualsiasi cosa avessero liberato, non era loro amica.
- Figlia del Sole, ma? – Celeste la chiamò con la traduzione del suo nome, ma la ragazza continuò a stringere tra le mani la testa di quella donna fino ad ucciderla e solo dopo si voltò verso le altre che in risposta fuggirono. Celeste tentò di chiamare i loro nomi, ma fu inutile. In pochi secondi, si ritrovò sola in quella stanza faccia a faccia con la bestia che aveva liberato. La vide mettersi faticosamente a quattro zampe e, anche se era in fattezze umane, tutto nelle sue movenze ricordò a Celeste un lupo. Poi un suono sordo come un osso che si spezza provenne da quella ragazzina e non fu l'unico. La sua spalla destra si deformò in una forma innaturale poi la sinistra. Fu il momento della schiena e poi a poco a poco, tutto fu deforme e inumano. Continuò così fin a quando spinta da un urlo alzò il viso. I suoi occhi che da umani erano di un azzurro chiarissimo divennero di un colore innaturale. Gialli.
Il corpo umano, era ritornato alla sua forma animale, stavolta però, era un lupo più grande, con una criniera più folta e un atteggiamento più aggressivo e pauroso. Sul capo nascevano delle striature del colore dell’oro che le percorrevano poi il corpo, fino a finire alla punta della coda, cosa assai insolita per un normale lupo. Sembrava proprio un… anzi era un licantropo. Con un balzo fu addosso a Celeste. Le urla della donna di panico e di paura raggiunsero le orecchie delle streghe più lente che non avevano ancora lasciato l'edificio, nessuna di loro si voltò indietro, neanche Bastianna, ultima anziana superstite, che pensò a mettersi in salvo da quella cosa e buttare alle ortiche il suo piano di vendetta.
 
Un suono acuto lo riportò alla lucidità e apri gli occhi, ma niente era cambiato. Anzi, si sentiva caldo, quasi febbricitante e la cosa non gli piaceva. Il sudore gli grondava dal viso e quando avrebbe pagato un sorso d'acqua adesso. - Elijah? - chiese perché aveva sentito una presenza vicina, però non ne era del tutto sicuro. Magari quel coso in pancia stava iniziando a dargli le allucinazioni.
- Bróðir -
Fratello. Il suo cervello tradusse automaticamente quella parola originaria della sua madre lingua e gli si materializzo in mente Rebekah. Alzò la testa per cercarla e la notò. Vedeva un alone rosso ai suoi piedi, ma non né riusciva a definire i contorni. Sapeva però che non era sua sorella.
- Chi sei? - chiese a quella cosa che ora emanava mugolii silenziosi. Era come se stesse piangendo. Chiuse gli occhi e li riaprì, perché era l'unica cosa che poteva fare per tentare di aiutare la sua vista annebbiata, ma come prima, non servì a niente. Poco dopo avvertì una pressione al ventre che lo fece urlare. Chissà forse il dolore aiutò a chiarirsi la vista perché ora vedeva. La vedeva. Una minuta ragazzina dai capelli rossi fuoco con le mani appoggiate al suo ventre.
- Che stai facendo? - le urlò chiamando la sua attenzione. Gli occhi celeste chiarissimo furono con uno scatto su di lui e finì tutto. Dolore. Sete. Nausea. Calore. Tutto sparito. Esattamente come se le avesse messo una flebo di antidolorifico in endovena. Guardò il viso minuto di quella ragazza ed ebbe la conferma che prima avesse davvero pianto, perché due linee bianche le rigavano il viso dagli occhi al mento. Aveva il corpo così sporco che le lacrime avevano marcato il loro percorso portandosi giù con loro il lerciume.
- Chi sei? - le chiese di nuovo e di nuovo la ragazzina non gli rispose, però con una voce rotta e tartagliata la ragazza incominciò a recitare qualche verso. Balbettava e a stento riusciva a finire le frasi e ci volle un po’ prima che Klaus riuscisse a capire di che lingua si trattasse. Norreno. Bróðir, infatti significava fratello in norreno. Era stata lei a chiamarlo così? Perché? Klaus avvertì una spinta al centro del torace, lì dove prima al tocco di quella ragazzetta aveva provato tanto dolore e viscidamente la lama di Papa Tunde ritornò in superficie. Vide il manico rompere la pelle tra le costole e uscire allo scoperto. Perché non gli faceva male? Era lei che gli placava il dolore?
Appena il manico fu fuori la ragazza lo afferrò e il pugnale insanguinato sporcò le sue mani annerite di terriccio, poi successe una cosa che oltre tutto sembrò la più strana. Il pugnale si smaterializzò. Al suo posto nelle mani di quella ragazza c'era solo polvere avorio che si disperse nell’aria come borotalco.
Klaus stava bene. Si liberò da quello che gli bloccava i polsi, cioè da dei fermi fatti di fibbie, semplicemente strappandoli. Toccò il torace intatto. La ferita era guarita in un modo anche più veloce della sua guarigione da ibrido. La fronte non trasudava più e non avvertiva sete, nausea e febbre. Si alzò con facilità, come se si stesse appena alzando dal letto la mattina. Ora che era in piedi davanti alla sua salvatrice, si accorse che non aveva indumenti addosso. Prese al volo la sua maglietta nera, appoggiata allo schienale di uno scheletro di ferro che in tempi passati doveva essere stata una sedia, e aiutandola, gliela infilò. Le andava larga di chissà quante taglie e le cadeva a vestito.
Piccolina e minuta. Alta poco meno di un metro e cinquanta, gli arrivava sotto al torace e Klaus doveva abbassare la testa per guardarla in viso. I suoi capelli erano di un rosso vivo, ricci e arruffati. Riusciva a vederci dentro i residui della natura come foglie, terreno, rametti. Per non parlare della sua pelle annerita dal fango che le copriva il suo reale incarnato roseo. In tutto quel lercio però i suoi occhi azzurrissimi spiccavano. Ornati da ciglia corte, ma folte e incorniciati da due sopracciglia a forma di virgola, sempre di un colore rosso quasi arancio. Il naso era sottile e leggermente schiacciato, terminava in due narici appena tondeggianti. La bocca carnosa soprattutto il labbro inferiore, mentre quello superiore disegnato perfettamente.
Non l’aveva mai vista in vita sua.
- Chi sei? – le chiese stavolta in norreno e questa volta provocò una reazione nella ragazza che sorrise, ma non gli rispose. Gli afferrò i polsi però e Klaus perse il senso dell’orientamento. Si trovò immerso nel buio totale e intorno a lui non c'era assolutamente niente. Nessun odore, o rumore, o altro. Neanche i suoi sensi da vampiro originale funzionavano, ma non era come l’effetto del pugnale di Pupa Tunde, era una sensazione piacevole e colmante. Davanti a sé vide accendersi una sfera che si tese fino a diventare un vero e proprio schermo. Vi comparve un’immagine. Due bambini. Si riconobbe subito. Lui doveva avere sei o sette anni, forse. ma l’altra era una bambina molto piccola che non ricordava affatto. In piedi su due gambe paffute e incurvate, tipiche dei bambini che stanno appena imparando a camminare, veniva sorretta da lui che la teneva per le mani. Era vestiti negli indumenti tradizionali vichinghi, almeno lui. perché che invece la bambina aveva una tutina troppo colorata e sfarzosa di quanto permettesse la moda vichinga a quei tempi. Dietro di loro c’era un campo d’erba un po’ trascurato e lasciato andare, ma se lui era davvero lui a quell'età, quella doveva essere la Mystic Falls della sua infanzia. All’improvviso l’immagine si animò. Lui camminava all’indietro, mentre quella goffa bimba dai pochi capelli ondulati e rossi cercava di stagli dietro. Le stava insegnando a camminare. Come era possibile? Non ricordava niente del genere.
L’immagine non riguardava più solo loro due. Si era aggiunto un uomo muscoloso, possente e vestito in una tunica multicolore nello stesso stile degli indumenti della piccola infante. Aveva i capelli rosso rame e due occhi blu cobalto. Sorrise ai due bambini e in quella smorfia si mostrarono due fossette alle guance. Klaus le notò subito. Erano proprio come le sue. Quella bambina lasciò le mani di quello che lui riconosceva come il sé stesso da piccolo e con brevi passetti raggiunse quell’uomo. Quando fu da lui, l’uomo meravigliato e sorridente, la prese in braccio
 e dalla bocca della piccola uscì un mugugno divertito, “dada”. Era suo padre? Dopo di che l’appoggiò a terra facendola sedere sul terriccio. Con passi fieri raggiunse l’altro protagonista. Sé stesso. Lo prese in bracciò issandolo su una spalla come si fa con i campioni che vincono una coppa. Il Klaus del passato rideva divertito e spensierato grazie a quell’uomo che il Klaus del presente non riconosceva affatto. L’uomo lo posò a terra e si inginocchiò verso di lui.
“Sei proprio un bravo bambino. Sono così orgoglioso di te.” gli disse concludendo con un affettuoso e carnale bacio sulla guancia. Perché quell’uomo gli aveva detto quelle cose? Perché tanto affetto? Perché non ricordava niente di tutto ciò? Le domande gli frullarono in testa e la connessione con quella ragazza, si rinforzò. Come se lo avesse sentito.
Arrivò dal nulla un'altra pallina illuminata. Mostrava lei a notte fonda, ma dei ceppi infuocati illuminavano fievolmente la scena. Aveva il viso rigato dalle lacrime ed era nascosta dietro a un macigno. La paura… PAURA? Nel suo petto Klaus sentiva quel sentimento. Quella non era una semplice connessione ai ricordi della ragazza. Klaus era connesso a lei, ai suoi sentimenti.
Dietro il masso, un alone nero e piatto stava lentamente diventando più grande. Un’ombra. Piano piano oscurò il volto della ragazza. L’immagine si allargò mostrando la persona che la stava terrorizzando così tanto. Mikael. Vestito e nell’aspetto di quando lui e tutti loro divennero vampiri originali. Alla sola vista Klaus rabbrividì. Ci volle un po’ per ricordare che per lui suo padre non era più una minaccia.
Mikael issò la spada sotto il mento della ragazza che si muoveva a scatti, scosso da singhiozzi silenziosi. Prima di scagliare il colpo finale, Klaus sentì la paura di quella ragazza ribollire in rancore. La vide alzare una mano e aprirla a palmo aperto verso l’antagonista. Da quel gracile arto si liberò un vero e proprio raggio abbagliante. Illuminò il buio della notte e colpì Mikael che urlante si inginocchiò a terra. Lo stava bruciando. Dalle mani quella ragazza poteva sprigionare la potenza del sole, riuscendo così a bruciare un vampiro. Si interruppe all’improvviso e quel ricordo tornò da dove era arrivato.
Cosa c’entrava suo padre con lei? Klaus era ancora confuso.
Di nuovo la ragazza gli mostrò un'ulteriore lucetta. Questa però non si limitò a stargli davanti, si allargò al punto tale da poterlo avvolgere. Klaus si trovò in quel ricordo. La connessione era completa. Era in un prato circondato da alberi e rovi. Questa volta lo riconobbe subito. Era lo stesso posto in cui aveva spezzato la maledizione che le streghe avevano fatto su di lui, bloccando il suo lato licantropo.
Davanti ai suoi occhi la ragazza che lo aveva salvato pochi minuti prima, giaceva svenuta in un cerchio di fuoco. Quello che lo sconvolse però fu un'altra cosa. Di fronte a lei c’era un'altra figura legata a Klaus. Esther. Sua madre. I piedi di Klaus si mossero prima del suo cervello e le fu vicino. Allungò una mano verso il braccio della madre, ma gli passò attraverso. Per un attimo lo aveva sperato di toccarla, con tutto sé stesso.
“Dove sono?” la ragazza era appena rinvenuta “Mikael!!” si alzò di scatto cercando con gli occhi quello che pareva essere anche un suo nemico.
“Lui non c’è.” rispose Esther, mantenendo il distacco.
“L’avevo quasi ucciso. Cosa è successo? Che sta succedendo?” indicò il fuoco che la imprigionava.
“Ti ho fermata io.” Esther la stava guardando nello stesso modo in cui guardava lui, con occhi pieni di disprezzo e senza nessuna traccia d’amore.
“Perché? Madre!”
MADRE. Klaus si voltò verso la ragazza che aveva appena chiamato sua madre, madre. Che cosa significa?
“Non avresti dovuto accettare la proposta di Ayanna. Ti ha trasformato in un abominio.” urlò Esther.
“Lei mi ha reso più forte e l’unico abominio qui è quel pazzo di vostro marito.”
Klaus sorrise all’inaspettato temperamento di quella ragazza. In fondo aveva ragione.
“Ha ucciso tutti. Ha ucciso mio padre. Lo stesso uomo a cui avevate promesso che un giorno ci saremo riuniti come una famiglia. Lo ha ucciso a sangue freddo come potete stare dalla sua parte?” continuò urlando e qualcosa nel cielo iniziò a muoversi. Delle nuvole grigie si stavano muovendo veloci raggruppandosi tutte sulle loro teste.
Perché Esther avrebbe promesso a quella ragazza una famiglia? Chi era quella sconosciuta?
“Uccidendo i licantropi darà sfogo alla sua ira." Esther mostrando la sua fedeltà al marito, un po’ troppo tardi, rapì l’attenzione di Klaus.
“Ucciderà anche Niklaus. Madre dobbiamo fermarlo.” urlò disperata la ragazza nel cerchio di fuoco.
“E’ tutta colpa sua e arriverà anche la sua ora.” fredda come il ghiaccio sua madre, vomitò quelle parole. Sua madre. Klaus si dannò solo per aver voluto toccarla.
“ LA COLPA E’ VOSTRA.” urlò a squarcia gola la ragazza dai capelli rossi e i suoi occhi si riempirono di lacrime di ira. Klaus fu stupito da quella foga che dimostrava la ragazza verso di lui “No. Io non permetterò che accada.” continuò spalancando le braccia. Per la terza volta Klaus rivide l’onda che quella ragazza era capace di creare, ma stavolta ebbe un altro effetto. La terra. La colpì violentemente facendola tremare. Stava inducendo un terremoto. “Non compirò lo stesso errore di mio padre, io riuscirò a salvare mio fratello dalle…” la mente di Klaus viaggiò prima che la riproduzione passata di quella ragazza potesse finire la frase. Quella ultima informazione completò un puzzle che il suo subconscio aveva già afferrato, ma che la sua mente razionale non riusciva ad ammettere. FRATELLO. Finalmente quel ricordo gli aveva rivelato chi fosse quella minuta e gracile quindicenne. Lui era suo fratello. Lei era sua SORELLA. Quella ragazzina era la seconda figlia nata dalla relazione di sua madre con quell’uomo licantropo. Il suo vero padre.
“Mi dispiace, ma non hai fatto bene i conti ingenua Brynhild!"
BRYNHILD. Ecco come si chiamava. Klaus si sforzò andando indietro con i ricordi, ma quel nome non gli diceva assolutamente niente.
La madre venne circondata da una crepa scatenata da quel sisma soprannaturale. La terra, sotto ai piedi di Esther si inclinò, ma lei non si impaurì minimamente. Incominciò a recitare delle parole in rima. Un incantesimo.
“Credete che uno stupido incantesimo di un’infima strega come voi… ahhhh...” il ginocchio destro di Brynhild si curvò all’interno spezzandosi.
“Sei vulnerabile adesso e non mi farò scappare questa occasione. Hai passato tutta la giornata lontana dal sole, stupida ragazzina." rispose la madre in un battibecco che Klaus non riuscì a seguire.
“Cosa mi state facendo?” le chiese la ragazza mentre il suo corpo veniva travolto da un milione di fratture. Esther non la rispose e continuò a recitare quelle parole. Klaus vide crescere dalla pelle, di quella che ora sapeva essere sua sorella, del pelo. Pelo rosso. Brynhild oppose resistenza e dal quel cielo, inspiegabilmente nuvoloso, dei lampi squarciarono l’orizzonte. Una pioggia forte e corposa iniziò a cadere spegnendo il cerchio di fuoco che la circondava. Una Brynhild dolorante incominciò a muoversi verso sua madre, ma cadde a terra. Entrambe le sue gambe erano rotte. Le sue urla di dolore straziarono le orecchie di Klaus. Stesa, Brynhild guardò la madre che con la magia le stava rompendo a una a una tutte le ossa del corpo e le rivolse uno sguardo d’odio puro. Come poteva muoversi? Brynhild ringhiando infilò le dita nella terra e facendo forza tirò il suo corpo. Si stava trascinando usando la forza di quelle esili braccia. Come un serpente Brynhild si muoveva sul terreno che non smetteva di tremare, ma Esther provvedete subito alla cosa. L’osso uscì dalla carne rivelando il sangue fluido e rosso. Brynhild cambiò braccio. Klaus non riusciva a crede ai suoi occhi. Esther le stava affliggendo ogni tipo di pena e lei non aveva supplicato neanche una volta, né aveva rinunciato a quella mossa suicida. Tutto per salvare lui?
Un fulmine dal cielo colpì un albero vicino a Esther.
“Mi hai mancata figliola.” disse fiera e compiaciuta la strega stringendo una mano a pugno, allora Brynhild lanciò uno degli urli più strazianti che Klaus avesse mai udito, e lui ne aveva sentiti tanti. Esther aveva vinto.
A terra, al posto della cocciuta e caparbia ragazza giaceva un lupo svenuto. Esther l’aveva trasformata in un animale. Non un licantropo, solo un semplice lupo.
“Non posso ucciderti, ma posso esiliarti. Per sempre.” disse poi a quella bestia che non poteva sentirla.
"Ecco la tua nuova forma. Un semplice e vulnerabile lupo. Prendilo come un regalo per ricordare tuo padre.” e sul sorriso compiaciuto di Esther quell'immagine svanì.
 
Klaus sentì un'ultima spinta. Questa volta le immagini corsero come un filmato messo in funzione avanti e scorrendo veloci gli stavano mostrando come sua sorella era arrivata a New Orleans. Come le streghe l’avevano liberata. Gli mostrò Celeste. Gli mostrò la sua vita da lupa e come aveva vissuto finora. Le volte che aveva tentato di trovarlo, ma non riusciva perché... perché Esther... il medaglio e...
“Basta, ho capito.” Klaus disse nella sua mente sapendo che l’avrebbe sentito. A quel punto la connessione finì risucchiata in un vortice al centro di quella oscurità. Si ritrovò di nuovo nella stanza di quello squallido ospedale e di fronte a lui Brynhild, sua sorella appena tornata da un millennio da lupo. Sua sorella si staccò da lui e in quel preciso istante i suoi occhi blu rotearono all'indietro e perse l'equilibrio. Klaus l'afferrò prima che si accasciasse a terra. Non sapeva esattamente cosa aveva fatto o cos'era sua sorella, ma di certo aveva consumato troppe energie per mostragli la verità. La prese in braccio e Klaus avvertì il suo peso leggerissimo, anche per un vampiro come lui.
- Andiamo sorella, ti porto a casa. –

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Capitolo 2
*** Sunburn ***


Sunburn
"Sento che una sporca coscienza sta crescendo...
Vieni e lascia che la verità sia svelata
Nessuna ha mai osato
Rompere queste infinite bugie…
Lei brucia come il sole
Non riesco a guardare altrove
Distruggerà i nostri orizzonti"
Muse:Sunburn




“In allerta e concentrato chiuse gli occhi. Doveva procurare la cena per quella sera e non poteva tornare a casa a mani vuote. Sentì un leggero scricchiolio proveniente da qualche parte nel bosco. Issò l’arco, tirando il filo con la coda della freccia. Attese silenzioso che un cervo o un altro animale da poter catturare si facesse vedere. Eccolo. Un cucciolo di cervo. Poco carnoso, ma a mali estremi. Indirizzò la freccia, l’aveva sotto mira.
Uno stormo di uccelli, all'improvviso, iniziò a volare spaventando la sua preda che saltando si nascose nella selva.
Imprecò tra i denti pensando al padre e alla sua continua disapprovazione. Fu allora che vide una figura su un rilievo erboso. Si avvicinò per guardare meglio, ma quella cosa iniziò a correre. Non poteva farsi scappare anche quell’occasione e iniziò a inseguirlo, posando in corsa l’arco e freccia nella faretra.
Sentiva quell'animale correre sulle foglie secche e seppe che lo stava quasi per raggiungere. Il bosco era pieno di posti dove quella bestia poteva nascondersi e infatti, si era calato in un infossatura rocciosa. Si mise in agguato, pronto a scoccare una freccia. Passarono diversi minuti, ma la bestia non usciva dal suo nascondiglio. Decise di andare a controllare. Lentamente, con passo leggero, raggiunse l’infossatura. Si trovava in cime e poteva guardare dall’alto. Quel fosso gli sembrava vuoto, così compì qualche passo in avanti per poter guardare meglio. Spinti dai i suoi passi dei trucioli franarono giù e quelli che credeva essere delle foglie secche si mossero. Si ritirarono come se comandati da una persona. Ora aveva capito. Quelle non erano foglie, ma scarpe di pelle. Scarpe?... Diamine!...
- Chi va là? – disse poi alla persona che gli aveva fatto sprecare del tempo prezioso. Finalmente il fuggitivo uscì dal suo nascondiglio. Una ragazza, minuta e dai capelli rosso fuoco, ricci e crespi, vestita con degli abiti diversi dai suoi. Lo guardava con due occhi divertiti e di un colore celeste chiarissimo.
- Mi stavi inseguendo con un arco, cosa avrei dovuto fare? – la ragazza indicò con l’indice l’arma dietro alla sua schiena.
- Sì, ma cercavo selvaggina, non volevo mica ucciderti. Come ti chiami? – con un salto le fu vicino. Non era una ragazza particolarmente alta e il suo viso gli era completamente nuovo. Strano, al villaggio si conoscevano tutti.
- Brynhild. – gli rispose. Era un tipico nome unno e anche se parlava benissimo il vichingo, qualcosa in lei gli diceva che non aveva niente a che fare con i vichinghi.
- Io sono Niklaus. Il sole è quasi tramontato, non riuscirò a catturare più niente. Vorrà dire che dovremo accontentarci di radici d’albero e frutta. – si presentò velocemente regalandole anche un pensiero ad alta voce. La ragazza però, fece una cosa che chiarì la sua provenienza. Gli tirò l’orlo della manica. Era solo un gesto per richiamare la sua attenzione verso un qualcosa che lui si stava perdendo, ma era comunque una cosa che nessuna ragazza al villaggio avrebbe mai fatto. Niklaus si voltò verso l’oggetto in questione. Un cervo più grande e più robusto di quello di prima, immobile nello spiazzale d’erba davanti a loro. Prese la freccia e con maestria centrò la pancia del cervo che cadde dolorante.
- Niente di personale. – disse poi all'animale in agonia. Ritornò alla ragazza che non aveva distolto lo sguardo da quella uccisione, né fatto strani versi di disapprovazione. Anche quella era una cosa che differenziava quella ragazza dalle altre. – Che strano... – le disse poi, trattenendosi per sé i pensieri che aveva fatto su di lei. – non ti è sembrato che stesse fermo in attesa che venisse ucciso? – ripose l’arco mentre la ragazza si illuminò di un sorriso furbo.
- Dici? – gli rispose poi divertita da chissà che cosa.
- Non è l’unica domanda che vorrei porgerti. – parlò avvicinandosi alla preda che oramai sembrava aver dato l’ultimo espiro.
- Dimmi. – la voce di quella ragazzina era leggera e innocente.
- nella tua tribù, è consuetudine che le bambine si allontanino così tanto, quasi a raggiungere la parte destinata agli stranieri? - le chiese e immediatamente il viso della ragazza si vestì di un’espressione colpita e preoccupata allo stesso tempo. Non l’aveva mai vista al villaggio, semplicemente perché lei non abitava lì, né nel villaggio accanto, ma proveniva da più lontano. Lei proveniva da altro. Faceva parte dell’altra specie. Quella specie che costringeva tutti gli stranieri a nascondersi a ogni chiaro di luna.
La ragazza dissentì col capo, più volte, cercando di non incrociare il suo sguardo. Forse aveva timore che la sua bugia venisse scoperta subito.
- Non aver paura. Sarà il nostro piccolo segreto. – le sorrise e la ragazza issò il capo. Gli credette subito e contraccambio il sorriso, mostrandogli uno fanciullesco e sereno, uno di quelli che Klaus non avrebbe mai dimenticato. Poi, in un colpo solo, tirò via la freccia dall'addome del cervo"
 
- Ecco il grimorio di nostra madre. – Elijah entrò nello studio di Klaus portandolo via da quel nuovo ricordo. Uno dei tanti che quella ragazza gli aveva fatto rammentare. Sua sorella. Si conoscevano già da tanto e quella non era stata l’unica volta che si erano visti. Era stato lui a chiederle di essere amici, così da poterle fare più domande su quella specie che in tanti odiavano, ma alla quale lui provava tanta curiosità, quindi possedeva altri ricordi su di lei, ma in tutti, mai, ella aveva fatto menzione di chi lei davvero fosse. Neanche una volta. Perché? E perché non ricordava niente? Probabilmente, Esther aveva provveduto alla cosa con qualche sua pozione. Si succhiò il labbro ancora incredulo. Sua sorella si chiamava Brynhild, ma cos'era quel nomignolo.
- Questo è uno dei più antichi. – continuò Elijah girando il libro verso di lui - ed ecco la leggenda che parla della Divina Brynhild. –
Era una piccola filastrocca scritta a mano, da quella che sembrava essere la scrittura della loro madre. Solo tre righi e diversi disegni dalla tratteggiatura orribile, sicuramente non aveva preso da lei l’arte del disegno.
- La figlia del sole che ha abbracciato le tenebre, adesso giace in forma animale, salvaguardando il potere, salvando il suo ostile, vivranno senza sapere, per l’eternità essa vaga, non troverà mai la strada. – Elijah recitò la frase come se la sapesse già a memoria e pensieroso si portò una mano chiusa a pugno sul mento.
- Come al solito, nostra madre ha reso le cose più difficili scrivendo una leggenda incomprensibile. – commentò Klaus curvando le sopracciglia. Un flash della connessione di Brynhild gli balenò davanti agli occhi, quello in cui c’era sua madre e lui che tentava di toccarla esasperatamente. Ingoiò un boccone di saliva, ma l’amaro che provava in bocca rimase lì.
- Come ha fatto Celeste ad avere questa leggenda? – disse Elijah indicando i disegni che raffiguravano la storia. Un sole nero che significava il buio, un lupo rosso con una stella gialla nel ventre che forse rappresentava quella ragazza, ma c'era un qualcosa che non gli tornava…
- Dovresti dirmelo tu. Forse quando ti accompagnavi con lei è magicamente sgattaiolata tra le cosa di nostra madre. – gli suggerì Klaus con il suo solito viso compiaciuto.
Elijah scosse la testa, in qualche modo divertito. Non voleva dargli ragione, ma era evidente che fare di Celeste una sua amante non era stata una mossa intelligente.
– Hai detto che ti ha liberato giusto? Quindi, perché spezzare un incantesimo che avrebbe riportato in vita una tua alleata? – Elijah però rilanciò con un'altra domanda nel tentativo di strappare via quell'irritante sorriso.
- Forse, la tua innamorata impazzita ha mancato qualche lezione di norreno ed ha mal interpretato la leggenda. – Klaus incrociò le dita delle mani portandole alla bocca, ma il suo sorriso era ancora perfettamente visibile, ed Elijah accostò quel suo buon umore al ritrovamento di sua sorella.
- La figlia del sole, si riferisce al raggio che hai visto nella visione, ma che significa che ha abbracciato le tenebre? – si sedette sulla poltrona di pelle scuro, proprio davanti alla scrivania dove invece sedeva suo fratello.
- Non lo so, questo dovremo aspettare che ce lo dica lei. – Klaus si alzò, avvicinandosi al tavolino dei liquori. Ne era colmo, ma Klaus prese la solita bottiglia di bourbon.
- Ha detto qualcosa? – disse Elijah prendendo il bicchiere pieno che gli stava porgendo il fratello.
- Non l’ha mai fatto. Si è solo limitata a mostrarmi ricordi, come se fossi l’unico spettatore di un cinema dell’orrore. Però, ha sprecato troppe energie proprio sul più bello. Pensavo che avremo ripreso da dove ci eravamo interrotti, ma da quando l’ho portata qui, sta seduta su una sedia abbracciandosi le gambe e fissando un punto nel vuoto. – si riempì un bicchiere per sé - Devo assolutamente sapere, se un tale essere può essere per noi una minaccia. – posò la bottiglia, lasciò il tavolino per raggiungere la scrivania e si appoggiò sopra.
- Hai appena definito tua sorella biologica, essere? – disse Elijah dopo aver costatato che la vicenda non l’aveva messo di buon umore, per niente.
- Siamo tutti degli esseri fratello, ma l’hai detto tu, perché le streghe avrebbero risvegliato qualcuno che poi si sarebbe rilevato nostro alleato? – disse prima di bere il contenuto del suo bicchiere.
Anche se tutto questo discorso era decisamente troppo freddo e cinico per il ritrovamento di un componente della sua famiglia licantropa, forse Klaus aveva ragione. Forse quella era solo un innocente ragazzina, forse si sarebbe rivelata innocua e di nessun pericolo, ma ne avevano vissute troppe per poter credere che fosse davvero così facile.
- Allora cosa intendi fare? –
- Ci ho già pensato. – sorrise allungando le labbra, ma senza mostrare i denti. – e a proposito di sorelle… –
- Rebekah? Dopo che l’hai lasciata in un ospedale abbandonato in preda a terribili allucinazioni e hai mandato me a riprenderla? Sta bene ed è già uscita. Vuole cercare la strega che le ha fatto patire le pene dell’inferno. – si alzò anche lui e posò il bicchiere vuoto.
- Pensavo che volessi sdebitarti per aver lasciato tuo fratello e tua sorella Biologica. – Klaus intensificò il tono su quella parola - a marcire in un ospedale infestato. – mosse nell'aria la mano con il quale sorreggeva il bicchiere vuoto prima di posarlo sull'orlo della maestosa scrivania. Elijah sapeva che quel momento sarebbe arrivato e fece per scusarsi. – ... ma, in fondo, l’hai fatto per liberare Hayley, la pancia licantropa e mortale che porta la mia bambina, quindi, sei scusato. – quello che aveva appena detto era del tutto contestabile, ma Elijah si accontentò del senso - Chiama subito Rebekah. – continuò Klaus rimettendosi in piedi - Delle streghe ce ne occuperemo più tardi. Mi serve il suo aiuto. – disse poi mentre stava per uscire dall'ufficio, ma si fermò prima di varcarne la soglia - e dille di fare dello shopping in un negozio per teenager -
 
Camille toccò il braccio sinistro di Klaus facendogli segno di seguirla fuori. Erano nella stanza dove Brynhild, immobile e senza mostrare nessun cenno di presenza mentale, sedeva sulla sedia di legno nella stessa posizione in cui Klaus l’aveva lasciata il giorno prima. Cami aveva tentato di farla sbloccare ponendole delle domande che Klaus prontamente traduceva in quella strana lingua, ma la ragazza non collaborava. Non la guardava neanche.
- Allora? – le chiese Klaus dopo aver chiuso la porta.
- Dovremo lasciarla in pace. – disse Camille in un tono secco e distaccato.
- E che diagnosi è questa? – Klaus la guardò attraverso uno dei suoi sguardi innervositi.
- Se non apre bocca, non posso fare una diagnosi. – ma Camille, come al solito, non si impaurì.
- Ti do un suggerimento. Sindrome post traumatica. E' appena tornata umana dopo un secolo in forma animale, sarei sconvolto anche io. – Klaus la guardava come se quella fosse la cosa più evidente al mondo.
- Appunto. – diretta e fiera, Cami gli stava parlando come se non fosse di una specie mortale e spietata. - Torniamo a me, dimmi hai scoperto come aiutare mio zio? – l'incantesimo che Bastianna gli aveva fatto lo stava letteralmente mutando in un’altra persona al punto tale che Camille, per la prima volta in vita sua, provava timore nello stargli vicino.
- È lì dentro ciò che salverà tuo zio, l’ho vista all'opera. Se solo ci fosse un modo per farla tornare in sé… – Klaus spazientito lasciò trapelare troppa foga, ma quella storia gli stava dando troppi rompicapo. Si allontanò dalla sua psicologa personale per affacciarsi alla ringhiera che circondava il primo piano della tenuta.
Cami gli si avvicinò fraintendendo la realtà del suo disappunto. – Non preoccuparti. Si sbloccherà, devi solo darle tempo. – e per consolarlo gli mise una mano sull'avambraccio. Klaus voltò gli occhi nel punto in cui lo stava toccando. Non sapeva perché quella donna si ostinava a vedere in lui quello che molto probabilmente non c’era, ma non gli dava fastidio. Camille non era la donna che desiderava. Quella, era rimasta in uno stupido paesino dimenticato dal mondo, solo per non stargli vicino. Forse, un giorno l’avrebbe raggiunto… o forse… no.
- Grazie per esserti preoccupato per me fratello!! – la voce di Rebekah risuonò nel cortile e Klaus si distolse da quella situazione. Rebekah gli sorrise e Klaus non riuscì a non ricambiare e la vide che stringeva nelle mani i manici di diverse buste. Chissà quanta roba aveva comprato.
- Io qui ho finito - Camille sfruttando tale distrazione, si allontanò da lui per poi andare via dal palazzo.
– Quindi? Dov’è la nuova inquilina? – continuò la sorella sventolando i suoi acquisti.
 
Elijah, nella libreria di famiglia, rilesse la leggenda che aveva come protagonista quella strana ragazza cercando di capirci qualcosa in più. SALVANDO IL SUO OSTILE. Gli risuonava in testa… ma non sapeva esattamente perché.
- Stai facendo i compiti? – l’aveva sentita arrivare, ma non si era voltato nascondendole il suo sorriso compiaciuto. Hayley, con i suoi capelli castani e il suo labbro imbronciato. Non gli serviva girarsi, conosceva a memoria ogni suo minimo particolare.
- Sai è difficile non annoiarsi in questa città. – le disse fingendo di essere interessato solo alla lettura.
- Dici? Io mi sto annoiando a morte. Posso aiutarti? – gli si avvicinò sbirciando il libro che stava consultando. Elijah sentì il profumo di quei capelli e resistette alla voglia di toccarli. – è un licantropo? – continuò Hayley, indicando l’immagine del lupo rosso disegnato sulla pagina.
- Forse, ma un licantropo non è immortale. Quella ragazza… come ha fatto a vivere per tutto questo tempo? – la rese partecipe di uno dei tanti pensieri che aveva fatto su quella strana storia.
- Forse, Esther le avrà fatto qualche incantesimo per renderla immortale proprio come ha fatto a voi. In fondo era sempre sua figlia. – gli rispose semplicemente Hayley.
Tutti in quella villa sapevano dell’avvenimento. Era l’argomento del giorno. Una nuova sorella di Klaus. Una strega. Un lupo. Un licantropo. Hayley aveva sentito ogni tipo di diceria su quell’unica ragazza che destava tanto interesse.
Elijah alzò il viso pensieroso. La frase di Hayley era alquanto ragionevole. Probabilmente la gravidanza le stava portando un nuovo senso, quello materno. Elijah, però, sapeva bene che per quanto avesse amato sua madre, la maternità non era una sua caratteristica.
- No, non è stata Esther! – Elijah guardò negli occhi castani della ragazza che gli stava accanto. – ma un'altra strega. –
 
- Ommioddio. Ha bisogno di un bagno urgente. – Rebekah era al fianco di Klaus che aveva spalancato la porta della camera di Brynhild. Era la prima volta che la vedeva e non se l’era minimamente immaginata così. Raggomitolata sulla sedia messa vicinissimo alla finestra della stanza, così da essere illuminata tutta dal sole. Indossava ancora la maglia che le aveva messo Klaus. Sporca di terra è chissà che altro e i capelli... Rebekah non riusciva nemmeno a guardarli.
Per la prima volta da quando aveva messo piede in quella casa, Brynhild si mosse. Spostò il capo verso i due Mikaelson che stavano fermi alla porta e in particolare su Rebekah. Klaus non parve crederci. Gli occhi di Brynhild, però, si spalancarono dal terrore e la camera si riempì delle sue urla.
- Mik..ael figlia!!! T…u! – si riuscì a capire tra i balbetti, ma un altro gesto fu inconfutabile, puntò la mano verso Rebekah. Un raggio di luce colpì la sorella. Klaus la spinse via capendo all’istante cosa stava succedendo, mentre Rebekah urlava dal dolore. Entrambi si ripararono dietro il muro che divideva la camera dal corridoio. Klaus strinse le labbra. Come aveva potuto non pensarci prima?
- Ma che diavolo era? – Rebekah con le spalle al muro, si vide la pelle fumare e non riusciva a credere a quello che aveva appena visto o sentito su sé stessa.
- Mikael ha ucciso tutta la sua specie, un po’ di risentimento è normale. – Klaus la stringeva ancora nelle braccia, mentre con gli occhi controllò se le ferite della sorella si stessero rimarginando. Tirò un sospiro di sollievo. Rebekah stava guarendo. Quella ragazzina sprigionava la luce del sole dalle mani e poteva uccidere ogni vampiro, anche un originale.
- Mi stava per arrostire viva, come ha fatto? Porto l’anello solare - disse poi Rebekah appena quelle mani prudenti la liberarono. Grazie a lui era viva. Klaus l’aveva salvata.
- Forse è per questo che la chiamano divina Brynhild. – parlò più a sé stesso che a lei. - Tu rimani qui, ci penso io. – Klaus entrò nella stanza alzando le mani. Brynhild era in piedi aggrappata all’arco del letto a baldacchino.
- Almeno ti sei alzata, questa è una buona cosa. – le disse nella lingua che lei conosceva, ma Brynhild non lo rispose e con un ringhio lasciò il palo di legno cercando di raggiungere la porta. Klaus la fermò in tempo, anche perché la sua camminata aveva ancora qualche difficoltà, ma poteva sempre trasformarsi. Doveva fare qualcosa e subito.
- Calmati. – le disse, ma lei ansimando cercava di liberarsi dalla presa e Klaus non ebbe altra scelta. L’abbracciò. Era come trattenere nelle braccia una volpe selvatica. – Shh, va tutto bene. – Klaus la sentì scuotersi per qualche secondo finché la sua rabbia scemò. – vedo che non abbiamo solo il naso e la bocca in comune. – disse mozzando una risata - il desiderio di vendetta ha capitanato così tante volte il mio corpo al punto tale che posso prendermi la libertà di dirti che non serve a niente. Credimi. – l’allontanò dal suo petto guardandola negli occhi. – non ne vale la pena. – la ragazza ricambiò lo sguardo. – fidati di me, lei non ti farà del male - continuò guardandola in quei occhioni celesti che da isterici erano ritornati da ragazzina innocente.
- Puoi contarci se mi accoglie ancora con una saetta solare. – disse Rebekah dal corridoio origliando il discorso del fratello, ma Klaus non sé ne preoccupò, Brynhild non capiva quella lingua.
- Rispondimi. Ti fidi di me? – ritorno alla ragazza davanti a lui. Brynhild annuì.
- Posso farla entrare? – ma a quest’ultima richiesta la ragazza iniziò di nuovo ad agitarsi, scuotendo la testa. – nessuno ti farà del male! Te lo prometto! – concluse poi cercando il suo sguardo. Si guardarono per altri secondi e Klaus potete vedere il panico di Brynhild svanire. - Rebekah! Entra. – urlò all’altra sorella rimasta fuori.
Rebekah entrò alzando le mani - Hai ragione Mikael era mio padre. – iniziò anche lei a parlare nella sua lingua madre. – ma era un vero e proprio stronzo. – quelle parole fecero tramutare di colpo l'espressione marcata sul viso di Brynhild, da arrabbiata a sorpresa. – hai sentito bene. Era! Ci ha pensato Klaus. – la ragazza alzò il viso verso Klaus chiedendogli prova e lui confermò col capo. – nessuno di noi lo rimpiange. Nessuno di noi è come lui. – abbassò le mani. Il viso di Brynhild era rilassato, forse l’aveva convinta. La ragazza si liberò dall’abbraccio di Klaus che la lasciò andare. A passi incerti fu vicino al vampiro originale che aveva tentato di uccidere. Rebekah presa da un cenno di paura raccolse una busta contenente i vestiti che le aveva comprato. Le erano cadute durante quell’inaspettata accoglienza omicida.
- Guarda! Ti ho comprato dei regali! – disse poi per convincere quella potente mina solare a non ucciderla. La ragazza non la considerò, ma si avvicinò ulteriormente. Veloce le prese una ciocca di capelli morbidi e setosi. Li annusò e Rebekah sospirò dal sollievo.
- Mi sa che le piaci, sorella. - sorrise Klaus mostrando i suoi denti in tutto il suo buon umore.

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Capitolo 3
*** Unintended ***


Unintended
“Potresti essere la mia scelta
Con cui condividere la mia vita estesa
Potresti essere colei che amerò per sempre
Potresti essere colei che ascolta le mie inquisizioni profonde…
Prima c’era colei che mi sfidò
Sfidò i miei sogni e il mio equilibrio
Lei non sarà mai buona con me come lo sei stata tu,
Sarò qui il prima possibile ma sono occupato
in alcuni pezzi non rotti della mia vita
che avevo prima di te…”
Muse:Unintended




L’acqua era diventata leggermente fredda e Rebekah aprì il rubinetto per riscaldarla. Immersa nella vasca piena di fluttuante e spumosa schiuma bianca, c’era Brynhild impegnata a schiacciare divertita e a far volare con dei soffi, quelle mini nuvole dal odore inebriante, ma dal gusto rivoltante. Stava buona, mentre la sorella acquisita di Klaus la lavava. Aveva patito per così tanto tempo ogni genere di intemperie naturali al punto da desiderare che quel calore le penetrasse fin dentro alle ossa. Rebekah sedeva sul bordo della vasca, era di rame pesante e in una forma strana, situata al centro di un bagno arredato nello stile imperiale. Quindi oro, rame e marrone scuro regnavano sovrani.
- Ho sempre desiderato avere una sorellina – il norreno di Rebekah interruppe il silenzio tra le due – Sempre sola, in mezzo a 5 fratelli – le sorrise, ma per risposta Brynhild le rivolse un altro tipo di sorriso. Forse non era neanche un sorriso. Aveva tirato la bocca di lato, espirando dal naso in un suono secco. Un'espressione che Rebekah lesse come sarcasmo. Poteva essere?
- P..pi....pi...ù c.. uff… – Brynhild tentò di dire qualcosa, ma lasciò la frase a metà esasperata da quella insopportabile balbuzie. Dopo un secolo di solo ululati e ringhi aveva scordato completamente come si muoveva la lingua per emettere il suono della parola.
- Più calda? – la aiutò Rebekah. Stavolta la ragazza dai capelli di fuoco le rivolse un vero sorriso. Fu facile riconoscerlo, perché nel modo in cui quella ragazzina sorrideva vide quello di suo fratello, quello di un tempo. Scacciò i pensieri e aprì di più la manopola per l'acqua calda. La pelle pulita aveva un colore chiarissimo, un rosa pallido simile alle rose tea, morbida e vellutata. Una pelle giovane, forse anche troppo.
- Quanti anni hai? Voglio dire quanti anni umani… cioè che età avevi quando… –
- Tr…t.tredi..ci – stavolta fu Brynhild ad aiutare lei e la risposta di quella ragazzina la lasciò di stucco. Solo tredici anni. Come aveva fatto a sopravvivere da sola, completamente sola, e per di più trasformata in lupo? Ecco. Rebekah capì il motivo della smorfia di prima, perché anche se la sua vita secolare non era poi stata una passeggiata, con un fratello pazzo che uccideva tutti i suoi fidanzati e che ogni tanto la costringeva a dormite decennali ficcandole un pugnale nel cuore, poteva solo immaginare le difficoltà passate da una ragazza alla quale sono stati strappati tutti i suoi cari, esiliata dal mondo e costretta a vivere in una forma animale per l’eternità.
- Stavo pensando… - Rebekah sciacquò la spugna, la strizzò facendo uscire l’acqua che aveva incorporato e la posò nella rientranza apposita della vasca - che in fondo Brynhild è un nome così lungo e antico – si interruppe e prese la bottiglia dello shampoo - Che ne dici di Bry? –
La ragazza arricciò le sottili sopracciglia arancioni, mentre cercava di leggere negli occhi azzurri di Rebekah il significato di quelle parole.
 – Come nomignolo intendo. Sai Niklaus adesso è Klaus. Il mio è Bekah e qualche volta anche solo Bek ed Elijah – Rebekah aprì il tappo della bottiglia dello shampoo alla fragola e ne versò un po’ in una mano – bhè Elijah non è un tipo da nomignoli – sorrise pensando all’elegante e serioso fratello maggiore.
- Bry? – stava riflettendo ad alta voce annuendo nell’aria, finché il viso le si mascherò in un’espressione serena. Il suo sorriso dolcissimo.
- Sì. Ti piace? Allora da adesso in poi sarai solo Bry – le sorrise Rebekah infine.
Si sporse posando il flacone vicino alla spugna. Delicatamente iniziò a spalmare lo shampoo racchiuso nella sua mano su quei capelli rossi che bagnati sembravano avere il colore del mogano.
– Adesso devi chiudere gli occhi, questo brucia. – le disse con premura come se stesse parlando a una bambina al suo primo shampoo da grandi.
 
Il cortile della tenuta era irregolarmente animato. I vampiri diurni capitanati da Marcel erano appena rientrati da un’esplorazione nel quartiere francese ordinata da Klaus. Lo scopo era trovare qualche traccia delle streghe che dopo il suo risveglio, in quel non che minimamente accogliente ospedale, si erano magicamente dissolte nel nulla.
- Abbiamo setacciato tutto. Da capo a fondo e niente. Le streghe sono scomparse. I negozi e le loro attività sono chiusi e le case sono vuote. È come se si fossero trasferite in massa. Che cosa sta succedendo? – Marcel si parò davanti a Klaus allargando le braccia.
- Devono essere da qualche parte?! – con la nocca del indice Klaus si tamburellò il mento pensieroso - Tra poche ore il sole tramonterà. Organizza una squadra di vampiri notturni per una nuova ronda. Gli altri sono congedati – ordinò e i vampiri obbedienti fecero quello che gli era stato detto.
- Klaus non hai risposto alla mia domanda – tornò a fargli presente Marcel che non si era mosso dalla sua posizione.
- Davvero? – ma Klaus si voltò dandogli le spalle. Non aveva proprio nessuna intenzione di iniziare tale gioco.
- Se mi rendessi partecipe potrei esserti di maggior aiuto – Marcel gli girò intorno per ritornare a guardarlo in faccia.
- Certo, ma ti ho dato un ordine. Al tuo rientro ne riparleremo – concluse Klaus sedendosi su una sedia. A questo punto Marcel gli rivolse un occhiata fulminea, ma non disse altro. Lo lasciò lì seduto andando a compiere un ennesimo suo ordine.
Cosa stava succedendo? Se solo lo sapesse. Klaus non né aveva la più minima idea. Forse le streghe si erano nascoste in un buco del mondo organizzando una nuova sommossa diabolica, oppure semplicemente stavano scappando e da chi lui lo sapeva bene. Quella ragazzina. Sua sorella licantropa. Era così una minaccia da far mettere in fuga tutte le streghe della città? Se fosse stato davvero quello il motivo della loro ritirata, sarebbe stato un bene o un male? Klaus non lo sapeva, ma di una cosa era certo, non poteva fidarsi.
Tra i pensieri sentì nella tasca del giubbotto di pelle nero, il suo telefono vibrare. Lo prese al volo e lesse il nome della chiamata entrante.
- Cami! Ti manco già? – si mise comodo sulla sedia prendendosi un attimo di tregua in tanto caos.
- È successa una cosa terribile. Ho bisogno di te – il terrore nella voce della donna lo fece alzare di scatto.
- Dove sei? –
 
- Possiamo chiedere aiuto a quella ragazza nel Bayou, forse lei saprà qualcosa? – disse Hayley chiudendo un libro nervosamente. Erano passate delle ore da quando lei ed Elijah avevano iniziato a cercare delle notizie su quella ragazza o meglio dire su “La Divina Brynhild ”, racchiusi nella biblioteca privata dei Mikealson, soli, senza raggiungere nessun risultato.
- Non c’è ne sarà bisogno – Elijah seduto di fronte a lei, dall’altra parte di un tavolo massiccio e antico, le parlò senza che i suoi occhi lasciassero la lettura della pergamena che aveva tra le mani.
- Che vuoi dire? – gli chiese Hayley non riuscendo a seguire il suo discorso.
- Ho sentito la ragazza riprendersi almeno un’ora fa – ovviamente faceva riferimento al suo udito da vampiro. Hayley non ci poteva credere.
- Allora cosa stiamo facendo? – alzò leggermente il tono della voce con l’intento di richiamare l’attenzione del suo interlocutore.
- Io mi godo la tua compagnia e tu? – disse e poi lo fece. La guardò. Le rivolse uno dei suoi più bei sguardi, con gli occhi furbi e la bocca tirata da un lato. Hayley distolse il suo.
 – Perché non usciamo? – parlò poi quando ritrovò il coraggio di riguardarlo in faccia.
- Non possiamo. La situazione fuori dalla villa è troppo pericolosa, con le streghe che, se ben rammenti, hanno tentato in tutti i modi di ucciderti - Elijah arrotolò la pergamena ammonendola con i suoi occhi, ma in un modo che non abbandonava mai uno strato di dolcezza.
- Dai! Tutta questa tensione e questa restrizione credi che facciano bene a me e alla bambina? – Continuò Hayley accarezzandosi la pancia e mostrandogli di risposta la miglior espressione supplicante che possedeva. Ci fu un attimo di silenzio, dove Elijah non lasciò stare il suo sguardo e se non avesse parlato da un momento a un altro guance di Hauley sarebbero diventate paonazze.
- Dove vuoi andare? – si sporse verso di lei incrociando le mani e accorciando la distanza. Hayley nascose un gemito di felicità, non ci poteva credere ci era riuscita.
- Non lo so. Sei tu che conosci la città e ti prego niente musei – indicò con il dito il luogo in cui erano. Una stanza rettangolare, pareti dipinte di un rosso rubino, rifiniture in legno doppio e scuro, quadri dei più noti artisti, probabilmente originali, la mobilia antica e pesante, un grande lampadario a braccia di vetro soffiato. Tutto quello che c’era in quella stanza le ricordava un museo. Per non parlare delle altre.
- A dire la verità c’è un posto… – Elijah si alzò in piedi e raggiunse Hayley. Le porse la mano dandole il suo aiuto ad alzarsi, in un gesto di estrema galanteria.
 
Il portone della chiesa era chiusa dall’interno e Klaus intuì tutto. L’odore gli era arrivato alle narici da almeno 5 chilometri di distanza e anche per un vampiro originale, era davvero troppo forte. Sangue. Tanto.
Con velocità soprannaturale fu alla porta del retro, anch’essa chiusa, ma risolvette con un potente calcio. Nessuno.
Davanti a lui il corridoio della sacrestia era completamente deserto. Seguì il suo olfatto. L’odore del sangue gli penetrava nel naso lasciando una sensazione arida nella trachea. Era giunto al punto e si trovò in una scena raccapricciante. Nella sala della chiesa Padre Kieren era inginocchiato a terra in mezzo alla navata. Nella mano destra un coltello sporco di sangue, ma la macchia non si fermava lì. Gli percorreva il braccio e parte della tunica bianca. Per terra e sulle panche. Sui i muri e sui quadri. Sul altare. Sangue ovunque. Il sangue di venti persone che adesso giacevano a terra mutilate e senza vita.
Kieran si voltò verso di lui e i suoi occhi spalancati e senz’anima gli mostrarono il colpevole. Era stato lui. Aveva ucciso a coltellate venti persone durante la messa. L’incantesimo di Bastianna era riuscito, l’aveva reso completamente pazzo. L’uomo rimase a guardarlo bisbigliando parole che alle orecchie di Klaus erano chiari deliri ripetuti.
- Anche tu? – disse poi con decisione e completamente fuori di sé – lascia che ti uccida! – si alzò in piedi e si avvicinò a lui puntandogli un innocuo coltello.
Klaus avrebbe potuto ucciderlo in diversi modi e senza sprecare la minima energia, ma si limitò a colpirlo in testa con il crocifisso che prese dall’altare. Padre Kieran cadde a terra svenuto, ma ancora vivo.
- Mi dispiace tanto – disse poi guardando verso la cabina del confessionale. In quel punto buio uscì Camille in lacrime. Aveva assistito a tutto. Aveva visto lo zio sgozzare venti innocenti. – Non preoccuparti – con due lunghi passi Klaus le fu vicino - Farò ripulire tutto. Nessuno dovrà sapere –
- E le famiglie di queste povere persone? – fu l’unica cosa che la bocca tremante dallo shock di Camille disse.
- Ho detto che me ne occupo io – Klaus le stava a pochi centimetri di distanza. Poteva abbracciarla, ma non lo fece.
- Mio zio… – Cami cercò di sfogare il suo panico, ma Klaus non glielo permise
- Quello – indicò il corpo svenuto a terra ai piedi dell’altare di legno – non è tuo zio. Adesso stammi a sentire – le mise l’indice ricurvo sotto il mento e con una leggera pressione spinse il viso di Cami verso l’alto, per poterla guardare in faccia. Questo era l’unica consolazione che poteva darle – vai a casa –
- Non voglio andarci da sola – Gli occhi chiari della donna lo stavano supplicando. La guardò per qualche secondo. Quegli occhi azzurri, quei capelli biondi un po’ ondulati, le guance larghe e ampie, nella sua mente seguivano sempre un unico filo. Lo riportavano ad un’altra donna. Si somigliavano, ma erano completamente diverse. Sempre lei. Sempre e solo lei. Caroline.
- Come vuoi – le disse poi sfuggendo da quel malinconico dato di fatto - Lasciami fare solo una telefonata –
 
- Un battello? – Hayley si affacciò alla ringhiera perdendo il suo sguardo in quella magica sera.
- La S.S. Natchez. Piena di turisti innocui – le rispose tranquillo Elijah, condividendo con lei la vista di quel paesaggio.
Il posto che Elijah aveva scelto non era un posto, ma una nave. Erano già salpati e uno dei pochi battelli alimentati ancora a vapore, li stava portando dolcemente a largo. Navigavano sulle acque del Mississippi e davanti ai loro occhi, una New Orleans illuminata da mille luci, piano piano si stava allontanando.
Hayley sospirò. Era un posto sicuro, ma anche incredibilmente romantico.
I suoi occhi abbandonarono quel suggestivo panorama, spostandosi su di un altro. Elijah.
Hayley guardava l’uomo che le stava accanto e notò una cosa. Elijah aveva la mano destra nella tasca del pantalone, come usava fare. In quella posizione si creava sempre una invitante fessura tra braccio e addome. Hayley pensò di infilarci la mano e fare scivolare velocemente il braccio. Lo fece.
Elijah, a quel contatto, guardò la ragazza che adesso aveva sottobraccio, ma non le disse niente, nessuna obiezione. Hayley non si accontentò. Curvò la sua testa fino ad appoggiarla alla spala di lui, respirando il suo profumo misto alla salsedine di quel fiume salato. Chiuse gli occhi in una, non tanta, inaspettata tranquillità.
- Vieni con me? – la mano di Elijah prese la sua, interrompendo quel momento inebriante. La guidò all’interno. Davanti a loro c’era una sala ampia con pavimento in legno, dove un gruppo di persone, non tanto giovani e non tanto coordinate, stavano ballando della musica Jazz suonata dai musicisti situati su un mini palco rotondo e molto casareccio.
 – Balliamo?! – le disse porgendole la mano destra. Sembrava diverso. In una versione più semplice e rilassata. Hayley gli sorrise afferrandogli la mano.
 
Klaus staccò la chiamata e infilò il telefono in tasca e raggiunse Cami sul divano.
- Un giorno davvero estenuante – disse a sé stesso mentre si sedeva vicino alla donna che piano sorseggiava una tazza di camomilla fumante. L’aveva accontentata. Era rimasto a farle compagnia.
- E’ finita. E’ andato. – Camille parlò dopo averne deglutito un sorso.
- Non è finita fin quando non lo è davvero – Klaus le rispose massaggiandosi le palpebre con una mano.
- Che vuoi dire? –
- I miei ragazzi hanno ripulito la chiesa e tuo zio è stato portato in una delle celle presenti nei sotterranei della villa – tornò a guardarla con due occhi leggermente strigliati di rosso.
- Perché? –
- Brynhild si è ripresa e forse, come ha sfilato il pugnale di Papa Tunde dal mio addome, può togliere quello che le streghe hanno messo in tuo zio – con un riflesso involontario Klaus si guardò la mano destra.
Camille, invece, fu rapita da un’altra cosa. Dalla sua umanità. Poteva chiedergli perché lo stesse facendo o dirgli che oramai aveva perso ogni speranza, ma non lo fece perché sapeva che sarebbe stato una cosa stupida. Sapeva che in lui un piccolo bagliore di umanità esisteva ancora e adesso ne ebbe la certezza.
- Sei felice? – gli chiese invece, richiamando l’attenzione di un Klaus sorpreso.
- Di che parli? – si allargò nella seduta appoggiando la schiena al bracciolo, in modo da guardare la donna rannicchiata nell’angolo del divano.
- Oh, andiamo Klaus. Davina mi ha fatto ricordare tutto. So che il pensiero di essere l’unico essere della tua specie ha complicato tutta la tua esistenza, e adesso che finalmente sai che non sei solo, reagisci così? –
- Bhè, in realtà non so se realmente quella ragazzina sia un qualcosa come me, ma… -
- ma… cosa. Ho appena assistito a una carneficina fatta dall’unico componente della mia famiglia. Mi dispiace, ma non riesco a vedere la stessa tragedia nel ritrovamento di una dolcissima sorellina – disse poi tornando a sorseggiare la sua camomilla.
Camille, dal suo punto di vista, aveva ragione, ma lui semplicemente non ci riusciva. Sentiva una cosa dentro di sé che non gli dava pace. La sua mente. Contorta, complicata e maligna. Non gli stava dando tregua, architettando migliaia di scuse e complotti del perché gli fosse capitato una cosa così… bella.
Di nuovo il telefono. Lesse il nome della chiamata entrante. “Rebekah”
- Dove sei? – la voce della sorella suonò in una coinvolgente paura, prima che lui potesse dire pronto.
“Aahh… ahr”
Erano delle urla?
- Che sta succedendo? – svelto si sedette in punta, già pronto a scattare.
- Bry!! Brynhild è… -
“Ahhhahhh”
Ancora.
– Devi assolutamente venire qui!!!!!! – attaccò, lasciandolo pieno di domande e dubbi.
Klaus issò lo sguardo in un punto impreciso davanti a sé. Lo sapeva.
- Devo andare – disse poi infuriato, alzandosi con uno scatto.
- Che è successo? – Cami vide sul volto di Klaus il ritorno dell’espressione che conosceva benissimo, e ne fu terrorizzata. L’umanità che era seduta accanto a lei finora, era scomparsa.
- Probabilmente la mia dolcissima sorellina non è poi così tanto dolce – le disse prima di uscire da casa sua, lasciandola da sola.

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Capitolo 4
*** Survival ***


Survival
“Scelgo di sopravvivere a ogni costo…
Mostrerò la mia forza all’umanità
Sì, Sono pronto a restare vivo”
Muse:Survival




Klaus fu preso da un déjà-vu. Era appena entrato nella sua tenuta e una scena così simile a quella vista nella chiesa di padre Kieran, gli si aprì davanti. L'unica differenza era l’assenza di sangue e la natura dei personaggi, stavolta dei vampiri. Ne erano una decina stesi esanimi sul terriccio del cortile. Non avevano un paletto nel cuore, né le particolari venuzze viola che segnavano il corpo di un vampiro morto, ma di certo avevano passato giorni migliori. Chi aveva osato fargli quel attacco?
Alla sua destra un odore di fragola misto ad un altro che da poco aveva memorizzato, si stava avvicinando. Si voltò di scatto. Brynhild. La vide corrergli incontro con una strana smorfia in viso. Klaus si preparò a qualunque cosa gli stesse per scagliargli contro, magico o non. Con un balzo la ragazza gli saltò al collo… Abbracciandolo. Quella smorfia sul viso non era altro che un sorriso.
- Fratellone!! – urlò Brynhild prima di riempirgli di baci la guancia destra. – Dove sei stato? –
Klaus non riuscì a risponderle o almeno non subito. Finito l’effetto del salto, sua sorella licantropa rimase appesa al suo collo, con i piedi che non toccavano terra, senza che lui facesse o dicesse niente. Non era abituato all’affetto, né tanto meno a un affetto così espansivo e palese.
– Dov’è quella ragazza… Hayley? – quell’ultima domanda gli fece più effetto di tutto il resto. Klaus afferrò le mani di Brynhild che erano incrociate dietro al suo collo. Le staccò e tenendola per i suoi polsi la sorresse in aria. – Chi ti ha detto di Hayley? – lentamente abbassò sua sorella fino a permetterle di toccare terra. Se conosceva Hayley, sapeva anche di sua figlia. Come poteva essere? Come doveva comportarsi? I suoi piedi nervosi compirono un passo verso di lei, poteva afferrarla e farsi dire tutto con la forza.
- Sapevo che poi avresti scelto una licantropa. Diventerai papà!! Ahhh!! Non posso crederci e io sarò zia!!! – disse poi saltando sul posto e battendo le mani. Sì, sapeva anche della bambina. Klaus la vide saltare per il cortile pieno dei vampiri svenuti, emanando gridolini acuti e gioiosi. Era una cosa macabra, ma lei era felice, felice per lui, per sua figlia e anche per lei. Esattamente come una sorella minore avrebbe fatto. Forse non era una minaccia? Forse si era sbagliato?
Eppure…
- Come hai fatto ad imparare questa lingua così velocemente? – le chiese tornando a studiarla. Non doveva mai abbassare la guardia, mai.
- Finalmente! – la voce di quella che era sempre stata sua sorella, arrivò a lui da sopra le scale, poi la vide sbucare da un angolo oscuro del primo piano. – Non sapevo come fermarla –
Klaus passò lo sguardo a Brynhild, mentre Rebekah li raggiunse.
- Sei stata tu? – la voce di Klaus, accusatoria e rabbiosa, si scontrò con il sorriso di Brynhild.
- Quando ha messo le mani alle tempie del primo vampiro, pensavo fosse un particolare saluto della sua tribù o un'altra cosa mistica, ma mai mi sarei aspettata che il vampiro iniziasse a urlare preso da una fottuta mossa epilettica soprannaturale, e dopo il primo, ne ha afferrato un altro e poi un altro ancora. Mi è venuto il panico e ti ho chiamato. - Rebekah spiegò velocemente quello che era successo, usando parole troppo caute rispetto a quelle che normalmente avrebbe usato. Quella pazzoide di una nana rossa l’aveva spaventata a morte. Era potente e fatale, e con la seconda parola Rebekah non ci andava tanto d’accordo. Bry poteva ucciderla e senza il minimo sforzo, questo lo aveva capito bene.
- Sì… sì… sì... – Brynhild agitò una mano nell’aria e alzò gli occhi al cielo. Decisamente stava mostrando troppa strafottenza al fatto e Klaus iniziò a innervosirsi. Solo un'altra persona aveva una tale apatia alla violenza, e quello era lui. – Quante storie per dieci vampiri svenuti. La verità e che con lo stesso trucchetto che ho usato con te Klaus, posso entrare nella mente di chi voglia e riesco anche ad assimilarne le cose. In un secondo niente balbuzie e parole composte* e vedi… – compì una piroette su se stessa - riesco pure a mantenermi in equilibrio, ma d’altronde il mio potere ha delle conseguenze. – disse guardando anche lei la schiera di vampiri che avevano perso i sensi per colpa sua – Mi dispiace, ma sono successe tante di quelle cosa in mille anni e io sono sempre stata molto curiosa. –
Brynihild indossava gli abiti che le aveva comprato Rebekah. Un vestitino panna a mezze maniche e lungo fino alle ginocchia, con delle roselline rosse ricamate e ai piedi delle ballerine di stoffa anche esse panna. Pulita. I capelli non erano più un ammasso di paglia rossa impazzita. Dei bellissimi buccoli morbidi le scendevano sulla schiena, raccolti sulla fronte da una mollettina a forma di fiocco rosso. Sembrava davvero una ragazzina come tutte le altre, ma non lo era. Cosa potevi aspettarti da chi aveva vissuto per mille anni trasformata in un lupo?
- Perché allora aspettare così tanto tempo? Potevi prendere ciò che ti serviva da me nel giorno della nostra connessione. Sai sono un uomo dalle profonde conoscenze. – Klaus non sorrideva, mentre scrutava quella creatura legata a lui dal sangue licantropo che gli scorreva nelle vene. Doveva capire.
- Non si è capito che con “conseguenze” ... – Brynhild si voltò a guardarlo, facendo virgolette nell’aria - intendevo atroci pene? –
- Questo non è affatto vero. Io non ricordo nessun dolore – la contraddisse Klaus. Il giorno in cui l'aveva incontrata dopo mille anni, gli aveva sfilato il coltello di Papa Tunde dal petto senza fargli provare nessun dolore. Durante la connessione aveva sentito i sentimenti e le sue emozioni passate, come se avessero condiviso lo stesso corpo, ma dolore, mai. Neanche una volta.
- Perché io t’ho fatto entrare nella mia testa, non il contrario – Brynhild gli rivolse di nuovo il suo sorriso. Allargava tutta la bocca in un modo leggero e sereno. Ne fu rapito per una manciata di secondi, prima di ricordare la stanchezza della ragazza nell’atto finale della connessione. Voleva dire che…
- Quando tu mostri le cose non ti succede niente? – Rebekah intervenne in una tipica curiosità da donna anche se in quel discorso non centrava. Brynhild le rispose sospirando e annuendo, ma non era la verità. Klaus lo sapeva. Dopo la connessione l’aveva presa tra le braccia priva di sensi. Svenuta ed esausta come tutti quei vampiri stesi a terra nel suo cortile. Sua sorella aveva sofferto per mostrargli la verità. Per quale motivo sottoporsi a tanto? Perché poi mentire dicendo di non aver provato dolore? Doveva capire e al più presto.
- Bene! Ho la corteccia dura e qui sono l’unico che può saziare la tua sete di conoscenza. Ecco. – Klaus le porse la mano - Tutto quello che vuoi sapere, tutto quello che ti sei persa, nonché tutta la mia vita. Le mie amicizie. Le persone amate. I miei segreti. – disse l’ultima frase quasi sottovoce. Cercava di ammaliarla come un serpente a sonagli che ammalia la sua preda. Gli occhioni celesti di Brynhild guardarono lui e poi la sua mano, accompagnando ogni movimento con un battito delle sue corpose ciglia – Ho visto tante cose, conosco innumerevoli lingue e sono stato testimone a tutti gli eventi storici nei passati mille anni. Mi piacerebbe che li condividessimo, sorellina – di nuovo pronunciò l’ultima frase in un tono più basso del normale. Rimase col braccio teso verso Brynhild, come un pescatore dall’altra parte di una canna da pesca, e attendeva che quel piccolo, ma potente, pesciolino rosso abboccasse al suo amo. Klaus sapeva che ogni suo nemico avrebbe preso quell’occasiona al volo. Conoscere tutti i suoi segreti, i punti deboli, le realtà tenute nascoste nel suo cuore e lui doveva capire. Poteva fidarsi di lei o no. La sua vita non ammetteva belle sorprese o particolari in attesi. Menzogne, trucchi, aggiri e cospirazioni, era quella la sua vita e certamente sua sorella licantropa uscita fuori dal nulla, apparteneva a una di queste.
Per risposta, il viso di Brynhild cambiò radicalmente. La serenità era voltata in un secondo in una vera e propria smorfia più dura e pesante, con le mascelle serrate e il viso leggermente abbassato. Anche gli occhi mutarono, socchiusi a due piccole fessure e per quanto credesse non fosse possibile, i suoi occhi azzurro acqua risplendevano ancora di più.
- Oltre che musone sei anche un masochista? Fratello francamente sei decisamente cambiato – disse lasciando che quell’esca sfuggisse dall’amo e affondasse negli abissi, ma anche facendo un’altra cosa. Lei lo stava studiando, esattamente come stava facendo lui. Klaus retrasse la mano allargando la bocca, in quello che non era ancora un sorriso.
- Allora lascia che mi sdebiti con te in qualche modo. Mi hai salvato, è il minimo che possa fare – tentò in ultimo, in fondo queste cose erano il suo mestiere.
Brynhild incrociò le braccia innalzando un viso privo del sorriso che quasi aveva già imparato a distinguere, né l’espressione serena che le dava quell’aria da fanciulla immortale. Delusione. Ecco cosa Klaus le lesse in viso. In quell'istante fu colto da una strana sensazione, che non riuscì a definire.
- Ho l’aspetto di una ragazzina Klaus, ma non lo sono affatto. Non sono tornata da una vita da lupo millenaria per essere un pericolo per te o per i tuoi cari, se è questo che vuoi sapere. – disse in una serietà disarmante.
Klaus aveva avuto la risposta. Fu lei a dargliela senza battere ciglio, riuscendo a leggerlo dentro. Klaus espirò sorpreso, mentre la guardò camminare per il cortile dandogli le spalle.
- Adesso che ci penso però c’è qualcosa che vorrei… - si fermò e si voltò verso di lui. Il viso di Brynhild riacquistò il suo solito sorriso. - Voglio uno di quegli oggetti rettangolari che chiamate I-phone –.
 
- Dobbiamo fare qualcosa. Ci deve essere una soluzione? – Enzo, in piedi vicino al camino nel salotto della casa dei Salvatore, si stava confrontando con gli amici di Damon. Come potevano rimediare al diabolico vaccino “mangia vampiri” che il dottor Wesley Maxfield, con l’aiuto dei quasi streghe Viaggiatori, aveva somministrato a Damon?
- Se tu avessi ascoltato il mio consiglio e avessi smesso con la tua ossessione per mio fratello, adesso non sarebbe incatenato nella cella del nostro sotterraneo, in preda a una forse incurabile brama di sangue vampiresco! – Stefan, seduto sul divano di casa sua, parlò mostrando sinceramente la sua opinione. Enzo alzò le mani in aria.
- Ok, è colpa mia, adesso possiamo concentrarci sul problema –
- Forse potremo addestrarlo -  Caroline, seduta sulla poltrona vicino al suo amico Stefan, fece trapelare il suo pensiero – Stefan, tu hai combattuto la tua fame da squarciatore con il sangue animale, con Damon potremo sostituire il sangue umano con quello di vampiro, finché non ci si riabituerà di nuovo. – concluse, con il suo solito sorriso rassicurante, un’idea che sia a Stefan che a Enzo, sembrò buona. In fondo che altro potevano fare.
- Scusatemi! Ma stiamo parlando di Damon… Non accadrà mai! – disse poi la voce che per tutti era quella di Elena, ma che invece ignaramente a tutti, era usata da Katherine Pierce. Era lì in piedi davanti a loro e nessuno sospettava niente. Grazie a Nadia, adesso abitava il corpo della sua doppelgänger. Finalmente aveva la vita che aveva sempre desiderato. Finalmente poteva avere Stefan, e proprio adesso che il destino le aveva dato questa opportunità di liberarsi anche di Damon, non poteva farsela scappare.
- Hai un'idea migliore? – le chiese ingenuamente l’oggetto del suo desiderio, Stefan.
- Possiamo... Non lo so... Forse riempire sacche di plasma di vampiro – disse imitando le movenze e le cadenze di Elena. Era diventata bravissima nel farlo. – Potrà cibarsi di quello - finì alzando le spalle.
I ragazzi si guardarono tutti annuendo. Era un'idea migliore di quella di Caroline e loro stessi potevano fare da donatori.
La cosa che, però, gli sfuggiva era quello che si celava dietro a quell’idea. Katherine, da antica vampira piena di conoscenza, sapeva benissimo che forzare un vampiro a non fare qualcosa, avrebbe solo fatto crescere in lui la voglia di farla a tutti i costi. Quindi, se riempivano Damon di sangue di vampiro, vietandogli però di accedere alla fonte, prima o poi lo avrebbe fatto diventare matto e avrebbe ceduto, iniziando a mietere vittime a destra e a manca. Presto la notizia di un cacciatore di vampiri si sarebbe sparsa e, incrociando le dita, qualcuno avrebbe rimediato con ucciderlo. Con Damon fuori dai giochi, lei avrebbe potuto interpretare il ruolo da ragazza inconsolabile, che poi si sarebbe consolata con il fratello minore. Era un meraviglioso indiretto piano malvagio e nessuno avrebbe potuto darle la colpa. Sorrise all’idea, ma il campanello di casa interruppe i suoi sogni a occhi aperti. Stefan da bravo padrone di casa andò ad aprire la porta e mostrando Bonnie e la nuova strega Liv. Di fretta e senza pensare ai convenevoli entrarono. Bonnie si fermò sullo scalino, in modo tale che gli altri potessero guardarla. Liv invece, timidamente, le stava dietro.
- Sta succedendo qualcosa a New Orleans! – disse poi Bonnie attirandosi gli occhi curiosi di tutti i presenti.
 
Aveva ballato altre volte e la sua resistenza era di certo più lunga, ma forse la gravidanza aveva reso il suo fiato più corto. Hayley si sedette su di una delle sedie tappezzate in un tessuto bianco e rigido, uguale alle tovaglie in quel ristorante/sala ballo della S.S. Natchez. Il battello scelto da Elijah come meta di svago per Hayley e che fino a quel momento, era servito allo scopo.
Hayley aveva una mano al petto cercando di prendere fiato, mentre il suo accompagnatore prese posto accanto a lei.
- Stai bene? – le chiese Elijah, ma non era preoccupato, solo premuroso.
- Vorrei solo un po’ d’acqua. – Hayley gli sorrise divertita lei stessa dalla sua condizione. Elijah alzò una mano e uno dei camerieri gli si avvicinò. Non c’era bisogno della compulsione, ma Elijah voleva che Hayley avesse da bere subito.
- Scusatemi. –
Una voce diversa dalle loro li fece girare. Era una signora dai capelli grigi e il viso rigato dal tempo. Si teneva su uno di quei manubri a quattro piedi che l’aiutava a camminare. Aveva un'aria vissuta e dolce come le vecchiette dei telefilm che Hayley guardava da piccola. – Posso? – tese la mano verso la pancia di Hayley, nell’intento di volerla accarezzare. Non ebbe il tempo di rispondere di no che l’anziana signora le stava già accarezzando la pancia, ma in fondo sembrava così innocua e poi quella era la prima volta, dopo tanto tempo, che qualcuno di umano le stava vicino. Allora la lasciò fare.
- Si dice che quando la pancia è a punta come la tua, il nascituro sarà un bellissimo maschietto. Io lo so ne ho partoriti ben tre. –
Hayley mascherò un sorriso che invece aveva visto sulle labbra di Elijah. Di certo le diceria antiche non potevano battere un'ecografia stregonesca.
- Sono dei ragazzi fantastici. Sono stati loro a regalarmi questo viaggio. Tutti bellissimi. Per fortuna hanno preso da me, mio marito era un uomo intelligente, ma di bellezza non ne era proprio dotato. Voi, invece, siete in luna di miele? –
Stavolta Hayley non potette non sorridere, mentre si accingeva a negare.
- Sì. – ma Elijah rispose prima di lei facendosi investire da uno sguardo interrogatorio della ragazza. Poi, Hayley ci arrivò. Elijah non voleva destare sospetti.
La mano della signora lasciò la sua pancia per potersi riaggrappare al manubrio.
- Se solo mi avessi vista quando ero giovane, ti saresti innamorato di me a prima vista. – tornò a parlare mentre il suo viso si velò di un leggero rimpianto, forse invecchiare non le piaceva più di quanto volesse far credere.
- Non occorre signora, lei mi ha incantato già. – Elijah sorrise facendo issare la risata stridula della donna, rassicurandola in un attimo. Hayley scrutò il suo nuovo sguardo allegro e divertito, quello che aveva avuto per tutto il tempo su quel battello e si trovò a sperare di vederlo sempre così.
- Adulatore. - strinse il mento di Elijah come se fosse il ragazzino che le portava il latte la domenica mattina facendo nascondere un gran sorriso a Hayley. Se solo la signora sapesse di stare stringendo la faccia di un vampiro millenario. - ma io sono innamorata di un altro uomo. –
- Vostro marito? – Hayley guardò in giro cercando il compagno di una vita della donna.
- Ho amato mio marito tantissimo, ma lui non c’è più da oramai otto anni. Ho pianto la sua mancanza per tanto tempo, fino a quando un giorno mi sono abituata. Poi tre anni fa, una domenica mattina al bingo del mio paese, ho incontrato Wilston, ed è stato amore a prima vista. –
La donna alzò la mano verso un uomo visibilmente più vecchio di lei che contraccambiò il saluto facendo segno di raggiungerlo. Era lui il suo Wilston.
- Ora devo andare. Buona fortuna ragazzi e vi auguro tanta felicità. – li salutò mentre lentamente si diresse verso il secondo uomo della sua vita.
Hayley la vide confondersi tra la gente nella sala, ma le sue parole le rimasero incise dentro.
- L’amore a quell’età, credi che sia possibile? – tornò al suo accompagnatore. Lui le sorrise mentre riempiva il suo bicchiere con l’acqua che aveva portato il cameriere compulso.
- Quanto ti rimane non così tanto da vivere, tutto è possibile. – posò la bottiglia e incrociò le dita delle mani sotto al suo mento guardandola bere.
- Quindi… - Hayley posò il bicchiere vuoto intenta a indagare di più sul argomento. - Tu che sei un originale e praticamente non potrai mai morire, sarai solo per sempre? –
- Hayley, io non sono solo, ho la mia famiglia che malgrado tutto, sta piano piano mettendosi in sesto. Un posto da poter chiamare casa. Ho la tua amicizia, la mia magica nipotina. Ho vissuto mille anni, e posso dire che questo è l’anno più bello della mia intera vita. –
- E ti basta? –
Gli domandò diretta Hayley. Lei era quello che era e per quanto gli sguardi celati, le frasi dette a metà e il rincorrersi nella casa per poter passare dei minuti insieme, la eccitavano come non mai, voleva di più e sé lo sarebbe preso. Elijah però non potette risponderle. Il cameriere da lui compulso tornò a chiedergli se tutto andasse bene e se volessero qualcosa da mangiare. Hayley lo odiò per aver interrotto il discorso che sognava di fare da una vita, ma stava morendo di fame, quindi ordinò una bistecca. Dopo aver segnato le loro ordinazioni, perché Elijah non avrebbe mai permesso che cenasse da sola, il ragazzo mingherlino, dalla pelle più bianca che lei avesse mai visto e dai capelli castani a spazzola, lì lasciò soli.
- No. –
Hayley ci mise dei secondi per capire che Elijah si stava riallacciando alla sua domanda fatta prima e un millesimo di secondo per arrossire. Lo sapeva. Erano usciti non solo per un suo desiderio, Elijah voleva restare solo con lei. Voleva stare con lei. Un fremito la prese tutta e se Elijah non avesse continuato a parlare, probabilmente Hayley l’avrebbe baciato.
- Ma se solo sapessi le cose che ho passato, capiresti il perché tra amare fisicamente o amare platonicamente una donna, soprattutto quando la prima opzione causerà pene a molti e anche alla donna in questione, io scelgo la seconda opzione. –
Cosa? Hayley scosse il capo per potersi abituare a quell’improvvisa virata che Elijah aveva fatto fare a quella situazione.
- Chi causerà pene? Klaus! Elijah non puoi permettere che lui… -
- Questo è tutto Hayley. Mi dispiace tanto. –
Elijah era diventato un pezzo di ghiaccio facendo gelare le parole che Hayley avrebbe voluto dirgli, in gola. Come aveva fatto a fraintendere in quella maniera?
Il cameriere reso personale da Elijah portò la loro cena, marcando il fatto che l’arte nell’interrompere era in lui innata, ma stavolta Hayley non ne fu contrariata.
 
- Che diavolo è successo qui? – la voce di Marcel rivelò il suo ritorno alla tenuta. Solo. Stava osservando i suoi vampiri svenuti a terra, mentre Rebekah, Klaus e la nuova misteriosa ragazzina parlavano tranquillamente.
- Già di ritorno? – Klaus gli chiese prontamente nel suo irritante/sprezzante sorriso.
- L’hanno chiamato loro – Brynhild rispose al suo posto, rivelando la verità trovata nella mente dei vampiri. Marcel aveva saputo della Divina Brynhild, della sorella licantropa di Klaus, del licantropo immortale, e di mille altre cose dai suoi vampiri, ma era completamente ignaro dei suoi poteri telepatici. Rebekah guardò Marcel sperando che l’avrebbe ricambiata. Lo fece. Lei spalancò le palpebre, per avvisarlo del pericolo, ma lui strinse le sue, mostrandole che non aveva capito il segnale.
- Mio fratello ti ha ordinato di cercare le streghe, vero? – Brynhild iniziò a parlare a Marcel con una fermezza che, nei suoi panni da fanciulla, faceva quasi sorridere. - Bhè! Ritira pure le tue truppe. Non le troverete, almeno non a New Orleans – continuò parandosi davanti con le braccia incrociate. Marcel le guardò il viso leggero e lentigginoso, gli occhioni celeste cielo, le sopracciglia arancioni e i capelli rosso fuoco e non riuscì a trattenere una risata.
- Davvero? - le chiese con la testa abbassata, in modo tale da tenere lo sguardo di quella cortissima ragazzina.
- La natura qui non le gradisce più. – quegli occhi azzurro zaffiro sostenevano il suo sguardo senza badare agli sghignazzi del vampiro.
- La natura? Ti ha parlato? Come fai a saperlo? – Marcel continuò a stuzzicare quella che per lui era una sconosciuta mina solare. Poteva essere colpito da un momento all’altro e se Klaus non avesse fatto qualcosa per salvarlo, come aveva fatto con Rebekah, sarebbe dovuta intervenire lei. Rebekah affondò i piedi nel terriccio, pronta a ogni cosa.
- Con chi ho il piacere di parlare? – Brynhild chiese poi a Marcel, facendo drizzare i peli delle braccia a Rebekah. Sapeva benissimo chi era, lo aveva letto nella mente dei vampiri. Cosa stava facendo?
Rebekah iniziava ad agitarsi più del dovuto, per il suo amante segreto, mentre Klaus osservava affascinato l’operato della sua sorella.
- Scusami. Che maleducato che sono. Piacere, io sono Marcel – e a quel punto le porse la mano.
Klaus non poteva credere ai suoi occhi. Dopo neanche dieci minuti, Brynhild aveva utilizzato il suo stesso trucco e ci era anche riuscita. Marcel aveva abboccato e Klaus non aveva nessuna intenzione di fare qualcosa. In fondo aveva sempre voluto sapere cosa frullava in quella testa da figlio ribelle.
- Piacere – la ragazza dai capelli rossi alzò la mano - Io sono Brynhild, per il mondo soprannaturale che ha da poco conosciuto la mia esistenza, sono la Divina Brynhild, mentre per voi sarò semplicemente Bry –
Pochi centimetri e avrebbe stretto la mano di Marcel, entrando nella sua testa. Pochi istanti e avrebbe scoperto tutto. Il piano che avevano istituito Rebekah e Marcel contro Klaus. Del loro amore. Di Mikael. Rebekah non poteva permettere che accadesse. In un secondo fu dietro la schiena di Bry. Le afferrò le spalle con le mani tirandola indietro di qualche centimetro.
- Bry, non è saggio dire a tutti chi sei – disse poi fingendo che la sua preoccupazione fosse rivolta a lei – devi sapere che abbiamo molti nemici e qui anche i muri hanno orecchie –
La mano di Bry tornò giù. Come le aveva detto Klaus, si fidò di lei. Marcel curvò la testa e fece la stessa cosa. Finalmente, intuì che c’era qualcosa che non andava. Sapeva bene che Rebekah interveniva solo quando era necessario.
- Rebekah! – la voce di Klaus la raggiunse. Diamine. Aveva capito. Rebekah aveva interrotto Bry intenzionalmente e Klaus non era stupido. Era spacciata – Non dire queste cose che la spaventi – finì poi così. Le orecchie di Rebekah non parvero udire il vero. Era salva ed anche Marcel. Per ora.
- Soprattutto, lei può fidarsi di Marcel. Giusto? Com’era... ricordami… “noi non facciamo male ai bambini”? – Klaus ripetette le parole che più volte Marcel gli aveva detto.
- E’ il tuo motto? - la ragazza dai buccoli rossi riprese a parlargli - Tipo politico, con una bella parlantina, che fa propaganda di cose che non pensa? Per questo sei così amato? – Bry strinse gli occhi indicandolo con l’indice. Aveva un sorriso così contagioso e in fondo era una battuta divertente. Marcel rise. Che mai poteva avere questa ragazzina di così allarmante?
- No. Tipo rivoluzionario, che prende a cuore le cose che dice e combatte per realizzarle – continuò a sorridere divertito dal suo carattere.
- Davvero interessante, però, solo per la cronaca. - Brynhild prese un attimo di pausa unendo le mani in incrocio - Se un giorno tu dovessi cambiare idea. Per quanto mi riguarda, sappi che prima che il tuo cervello possa solo formulare l'idea di torcermi un solo capello, tu sarai già diventato cenere – finì nella sua semplicità inquietante. Questo fece scendere il sorriso di Marcel.
- Marcel, allora che ne dici della mia nuova sorellina. Non è un vulcano di inestimabili energie – la voce di Klaus li interruppe, ma Marcel non smise di guardare sorpreso quella ragazzina, tentando di capire se stesse scherzando o se facesse sul serio. – Adesso però, Bry, giusto? – Klaus si rivolse a sua sorella che annuì al suono del suo nuovo nomignolo. – Devi assolutamente deliziarci con la tua storia e inizia pure dal punto in cui ci spieghi, da dove sei saltata fuori. –



Bonnie e Liv avevano appena finito di raccontare ciò che gli spiriti degli antenati morti per Liv e appena morti per Bonnie, le avevano riportato, mentre venivano osservate in silenzio dai presenti.
Erano nel salone dei Salvatore, ma solo uno dei due era presente, il maggiore era incatenato nei sotterranei schiavo del vaccino che lo aveva trasformato in un succhia vampiri. Stefan invece condivideva la seduta della piccola poltrona di pelle a due posti, situata accanto al tavolino da te, con quella che credeva fosse Elena, ma non lo era, non più. Grazie a sua figlia Nadia e un gruppo di Viaggiatori vagabondi, viveva la vita che aveva sempre desiderato, stava accanto all’uomo che amava più di ogni altra cosa, riaveva di nuovo la sua immortalità e si deliziava nell’impersonare la parte della studentessa del collage che condivideva la stanza con le sue migliori amiche, Caroline e Bonnie. Anche Caroline era lì presente, seduta sulla poltrona singola vicina al divano condiviso da Katerine e Stefan. Aveva una strana espressione sul viso, ma forse il suo turbamento era probabilmente causato dalla sola parola Klaus, che da tutta la vicenda narrata dalla sua amica ex strega. Poi c’era Enzo, che in piedi ciondolava da un lato all’altro della stanza. L’unico motivo per cui era lì, era quello di trovare una soluzione allo stato di Damon, ma invece era finito ad ascoltare un intera storia di personaggi che non conosceva neanche. Liv sedeva accanto a Bonnie sulla poltrona più grande di fronte a quella che ospitava Katherine e Stefan, non disse un granché, si limitò ad annuire o a dissentire con il capo alle cose che diceva Bonnie.
Il fatto era questo.
Il giorno prima a New Orleans, un gruppo di streghe, per un motivo che non era ben chiaro, erano riuscite a sciogliere un potente incantesimo, fatto su di una creatura chiamata dalle streghe e non solo “La Divina Brynhild”. Al dire delle streghe non sapevano che la Divina Brynhild era la secondogenita della strega Esther, nata dal rapporto clandestino che ebbe più di mille anni fa con un uomo licantropo. Lo stesso licantropo padre biologico di Klaus, quindi la divina Brynhild, non era altro che la sorella licantropa di Klaus Mikaelson.
- Cavolo questi originali spuntano come funghi – disse Katherine/Elena appena prima di sorseggiare il suo whisky.
- Ok. Le streghe hanno fatto male i calcoli e Klaus ha una nuova sorella, ma non ho capito perché ci dovrebbe interessare? – ma la domanda plausibile di Caroline non ebbe una risposta seria, anzi…
- Certo Caroline, non ti interessa affatto – Katherine non ci era proprio riuscita a mordersi la lingua, in fondo era sempre lei.
- Elena!! – Caroline spalancò gli occhi sorpresa da una risposta del genere. Oh no! Questa era una cosa che Elena non avrebbe mai detto e Katherine ebbe la certezza che doveva stare più attenta.
- La storia è più preoccupante di quanto sembra. – Bonnie che non era intenzionata a lasciare stare l’argomento per lo svago, prese di nuovo parola. – questa sorella di Klaus forse non è solo un ibrido come lo è lui, forse è qualcosa di peggio. –
- Peggio di Klaus? – stavolta Stefan tolse le parole di bocca a Katherine e i due si ritrovarono a guardarsi negli occhi. Per quanto Katherine avesse vissuto la sua immortalità a pieno, girato posti e vissuto mille vite, quando incrociava i suoi occhi con il verde di quelli di Stefan, veniva sempre trapassata da una saetta elettrica che l’attraversava da parte a parte. Poi Stefan distolse lo sguardo e qualcosa in lei le disse che non aveva provato neanche la minima cosa che invece aveva provato lei. Un giorno lo avrebbe fatto.
- Dal momento in cui la Divina Brynhild è tornata ad avere sembianze umane, le streghe, dico proprio tutte le streghe, hanno perso i loro poteri. – e da Bonnie tutti voltarono lo sguardo verso Liv. Lei annuì di nuovo nascondendosi nel maglione che indossava.
- Non capisco? Come è possibile? – Caroline esaudì la curiosità dei presenti porgendo la domanda che avrebbero voluto fare tutti. Senza parlare Liv avvicinò la mano alla candela che solitaria giaceva sul tavolino da thè in salotto.
- Phesmatos incendia! – Quelle furono le sue prime parole ed erano quelle che Bonnie le aveva insegnato per il suo primo incantesimo. Nulla. La candela non si accese. – Visto? –
- Quindi volete dirmi che la comparsa della sorellina di Klaus e la scomparsa improvvisa della magia sono correlate tra loro? – Katherine fece il punto della situazione roteando l’indice nell’aria a ogni suo ragionamento.
Le due ragazze non parlarono, esprimendo una tacita affermazione.
- Quanto potere deve avere una strega per compiere una cosa del genere? – chiese Stefan muovendosi dal suo posto, ma quella che più di tutti si stava agitando era Katherine.
- Tanto. – Bonnie spalancò gli occhi muovendo la testa. – E se è davvero stata questa Divina Brynhild, sapete cosa significa? –
- Che Klaus ha dalla sua parte la strega ibrida più potente al mondo. – Katherine rivelò agli altri quello che la sua mente arguta aveva compreso in anticipo e sentì la pelle del divano diventare rovente sotto di lei.
 
La mano minuta e pallida di Bry accarezzò la pagina invecchiata del grimorio della madre. Le parole, in una scrittura stretta e macchiata da un inchiostro casareccio e grumoso, descrivevano la sua vita in nemmeno un rigo. Ecco cosa era lei per la madre.
Sedeva a uno dei tavolini rotondi in ferro nel cortile e con lei, anche gli altri si erano accomodati. Klaus occupava un posto di fronte a lei, mentre Rebekah era alla sua destra. Marcel, invece che era fuori dalla vicenda, camminava nervosamente aspettando che i suoi vecchi sudditi riprendessero conoscenza.
- Su questa terra, oltre mille anni fa, sapete meglio di me che esistevano altre razze soprannaturali, ovvero i licantropi, ma quello che forse non sapete e che i licantropi erano suddivisi in tribù. Ogni tribù aveva le sue caratteristiche e la nostra, quella degli Hoenan era formata da grandi lupi dal pelo rosso vivo e striature in oro, ma non era solo il pelo a differenziarci dalle altre tribù. Noi eravamo la prima razza licantropa comparsa in natura… -
- Ho passato tutta la mia vita a cercare notizie sulla mia traccia licantropa e non ne ho mai sentito parlare. – non era da Klaus interrompere, ma la curiosità giocò alla sua formalità. Lo sguardo di ghiaccio caldo lo investì per un secondo, poi Bry, abbassò lo sguardo a guardare le sue braccia conserte sulla pancia.
- E devi ringraziare tuo padre per questo. – disse poi rialzando il suo sguardo.
- Non chiamarlo così, non è mai stato mio padre. – gli uscì da bocca facile come la verità. Questo fece accendere una scintilla negli occhi di Bry.
- Quindi… cos’è che avevano questi Hona? – Rebekah interruppe quel loro primo inizio di condivisione. Non era stato un caso. Rebekah conosceva quanto fosse restio suo fratello nell’attaccarsi a persone nuove, e per quanto quel radicchio magico condividesse il suo stesso sangue, per Klaus non era altro che un mezzo da sfruttare e così doveva restare.
- Hoenan – la corresse Bry, ma Rebekah incrociò le braccia come se non le importasse comunque. - Stavo dicendo che la caratteristica che distingueva noi Hoenan dagli altri, è la nostra capacità magica e che ci ha reso “Divini”. Noi possiamo controllare la materia naturale. –
Un silenzio di pietra piombò su tutti. Era la prima volta che sentivano di una tale capacità e crederle era davvero difficile, soprattutto per uno come Klaus.
Controllare la materia naturale.
Klaus andò indietro con la memoria ricordando la connessione a cui Bry l’aveva coinvolto. Ricordò sua sorella stesa a terra davanti a Esther, mentre un cielo che da stellato e sereno, divenne nuvoloso e pieno di lampi. Ricordò quell’onda colpire la terra che subito dopo iniziò a tremare. Ricordò i fulmini cadere a pochi metri da Esther. Ricordò “Mi hai mancata…” le parole della madre. Bry voleva colpirla con un fulmine. Era lei a guidare la condizione atmosferica. Tutto per salvare lui dalle grinfie di Mikael.
- Come può essere possibile? – l’incredulità nella bocca di Klaus fece rabbrividire la schiena di Rebekah, se anche lui provava timore verso la sua stessa sorella allora doveva davvero preoccuparsi.
- Semplice, gli Hoenan possono controllare la natura perché essi sono la natura stessa. –
 
Il battello aveva appena ormeggiato e la loro gita si era conclusa nei peggiori dei modi. Elijah con Hayley insieme agli altri turisti in fila, stavano aspettando di poter calpestare la terra ferma, in silenzio, come silenziosa era stata la serata da dopo la cena finora. Hayley voleva solo scappare via da quella stupida barca antica e lasciare i pensieri stupidi che aveva fatto finora. Si stupida, era stata una stupida a pensare che per lei ed Elijah ci fosse un futuro, stupida a permettere che il suo cuore compiesse quei battiti in più quando lo vedeva, stupida nello sperare che un giorno lui cambiasse idea, ma non sarebbe mai accaduto. Per Elijah la cosa più importante era la sua famiglia, e per niente al mondo avrebbe scalfito il giuramento che aveva fatto, doveva farsene una ragione.
- Devo dedurre che la mia idea di divertimento non sia conforme con la tua? – con la sua espressione pacata, Elijah le parlò e il sangue nelle vene di Hayley ribollì fino ad annebbiarle la vista.
- Stai scherzando vero? – aveva alzato la voce più del necessario e qualche anziano signore si era voltato a guardarla, ma Hayley neanche ci fece caso. – Mi hai portato su un ridicolo ammasso di legname antico circondato da un mieloso panorama romantico, per potermi sbattere in faccia che non possiamo stare insieme e per giunta nel mio unico giorno di libertà da quella villa di psicopatici, si Elijah abbiamo una visione del divertimento davvero diversa. – le sue parole lo colsero alla sprovvista, ma Hayley non c’è la faceva più. Basta con le cose non dette e sguardi nascosti, in quel momento avrebbe messo un punto e sarebbe andata avanti.
Una pressione le fu al braccio, era la mano di Elijah. Hayley non capì cosa volesse intendere, se volesse che smettesse di fare quella scenata, se volesse portarla in un posto più adatto per parlare, se fosse pentimento, ma non gli diede il tempo di manifestare il suo significato perché Hayley strappò via il suo braccio da quella morsa immortale.
- Ho capito Elijah, sempre e per sempre verrà sempre prima di tutto per te, e io non voglio sentirmi così per un uomo che mi mette al secondo posto. – si sentiva più leggera di tre taglie nonostante il pancione la facesse sembrare un'orca assassina. Stava meglio e si chiese perché non lo aveva fatto prima.
Gli addetti sganciarono il cancelletto del ponticello che univa il fianco della barca al molo e la fila iniziò a defluire. Poteva tornare a casa e farsi una doccia calda lavando via dai i suoi capelli quella inutile giornata.
La sua gola, però, di un tratto si ghiacciò. Tossì cercando di liberarla, ma la tosse si trasformò subito in colati di vomito.
- Stai bene? – Elijah le offrì il braccio mentre un altro colato di vomito la fece sputare del liquido. Corse alla ringhiera, mentre le mani di Elijah la tenevano saldamente. Vomitò quella sostanza fino che dell’acqua ghiacciata le usci dai pori rivestendo la sua pelle in brividi violenti. Erano così forti da farle battere i denti.
- Hayley?? – stavolta ad urlare fu Elijah, ma la sua voce risuonò così lontana, ma non era l’unica voce che sentiva. Le sue gambe si indebolirono e la sua postura crollò su un qualcosa di rigido. Elijah, sempre lui, l’aveva presa a volo, era caduta. Nelle sue braccia tremava ancora e non riusciva a capire cosa le sue labbra stessero mimando, perché non parlava? Poi vide una schiera di persone dietro alle spalle del vampiro che aveva impedito la sua caduta, anche loro mimavano frasi, ma il freddo che sentiva era così paralizzante che decise di chiudere gli occhi, solo per un momento.
 
Ancora in silenzio, a Mystic Falls, nella tenuta dei Salvatore, tutti i presenti stavano ancora rielaborando la notizia della comparsa della Divina Bryhnild e proprio l’unico che non riusciva a capire il motivo di tanto turbamento parlò per primo.
- Ok, questo diabolico Klaus ha una sorellina che è uno scherzo della natura. Adesso potremo ritornare ai nostri problemi? –
- L’aria viziata nella cella ha fatto morire tutti i tuoi neuroni? Senza magia come cavolo credi di guarire Damon? – Caroline lanciò le mani in aria spazientita da quel tamburo battente e qualcuno rise alla scena. La situazione però non era affatto divertente. Per quanto una parte di lei, nascosta nel profondo, sapesse che Klaus fosse leggermente cambiato, il resto di lei rabbrividiva al solo pensiero di ritrovarsi un giorno il Klaus maniaco pazzo e per giunta spalleggiato da un essere dalla potenzialità magiche totalmente sconosciute. - Mettiamo il caso che… - continuò lei, senza che gli altri potessero dire la loro - … sia questa ricomparsa sorella a bloccare la magia delle streghe. Cosa possiamo fare noi? –
Bonnie, però, non le rispose. Si limitò a guardarla e Caroline si pentì all’istante di aver fatto quella domanda. Non c’era nessun “noi” e Caroline lo lesse negli occhi di tutti i suoi amici.
– Cosa? No… Io. Io? Io non posso. Ok! – iniziò a balbettare dal nervoso. Non poteva rivederlo. Non poteva e basta. Aveva appena tritato i suoi ricordi al ballo del rancore e l’aveva fatto proprio per dimenticarlo. Se solo lo avesse rivisto… . No. Era assolutamente un no.
- Non ti chiedo nient’altro che una telefonata, solo per sapere se è davvero questo il problema – era una vera e propria preghiera, ma Caroline non l’avrebbe ascoltata, né ora né mai.
- e cosa dovrei dirgli. Ciao Klaus ti ricordi di me, sono Caroline. Senti, la tua sorella comparsa da “chi l’ha visto? Supernatural ediction”, ha per caso bloccato il potere di tutte le streghe? – Carolina mimò un telefono con la mano destra e quando finì, cercò di trovare un consenso sull’assurdità della cosa, bhè non trovò nessun consenso.
- Può essere un idea! – Stefan alzò una mano mostrando che per lui non c’era niente di anormale.
- Forse io farei qualche domanda in più, sai un po’ di conversazione prima di passare al dunque – e Bonnie le diede un suggerimento, mentre Elena…
- No, invece andava bene così, diretta e concisa – si aggiunse.
A Caroline sembrò un sogno e tutto quel vociare le stava facendo venire il mal di testa. Esasperata si alzò in piedi.
- Vi siete letteralmente bevuti il cervello? – stava urlando e non le importava – stiamo parlando di Klaus. Lo stesso Klaus che meno di un anno fa volevamo tutti morti. Il sociopatico Klaus. Sono qui l’unica a ricordare tutte le atrocità che ha fatto? –
- Anche Damon ha fatto molte cose atroci ed Elena lo ha sempre perdonato – disse poi Bonnie facendo spallucce, in fondo non aveva mai nutrito una simpatia per il maggiore dei Salvatore.
- Si, ma poi si sono lasciati – ricordò Caroline, come se i presenti fossero stati travolti da una momentanea amnesia.
- Andiamo Caroline. Almeno Klaus non ha ucciso nessuno dei tuoi cari. Quante volte Damon ha ucciso Jeremy? Per non parlare del dolce e biondissimo Aaron, l’unico amico che ci siamo fatti al college – Katherine alzò il bicchiere vuoto riempiendolo con altro whisky. Grazie Matt Donovan. Brindò alla sua salute e alle sue lezioni sulla vita di Elena Ghilbert.
- Ogni volta che assaggio sangue umano da una vena, divento un pazzo omicida – Stefan tintinnò il suo bicchiere con quello di Elena partecipando a quel triste brindisi.
- Come, Klaus ha ucciso uno dei miei cari… la madre di Tyler. – Caroline si mise le mani attendendo cosa avrebbero trovato adesso per contraddirla.
- La suocera non è un caro Caroline, tuttalpiù un conoscente. – gli occhi di Elena manovrati da Katherine la guardarono, mentre dentro di lei una idea iniziava a formarsi. - Sai quante persone pagherebbero per una suocera morta? – continuò facendo ridere tutti tranne Caroline, che invece sentì le braccia cascargli sul pavimento e si risedette incredula. “Non è possibile, questo è un incubo.”
- Si può sapere chi è questo Klaus? – Enzo si intromise, cercando di conoscere un qualcosa in più su quella strana vicenda che aveva come protagonista quella sexy biondina.
- Non ora Enzo! – ma Caroline lo zittì. Non gli serviva un'altra bocca in quella questione.
- Voglio dire una cosa però, se questa Divinità ha dei poteri magici che vanno oltre a ogni potere sovrannaturale, forse può curare Damon? – continuò Enzo portando avanti il suo unico pallino, salvare l’amico.
- Forse, ma non lo sapremo mai, se Caroline non si decide – Bonnie era determinata e non avrebbe lasciato l’osso finché Caroline non avrebbe ceduto.
- No. Non lo farò mai. Non chiamerò mai il ragazzo che mi ha letteralmente esasperata con infiniti corteggiamenti e quando ha ottenuto quello che voleva, non mi ha nemmeno richiamata il giorno dopo – disse di un fiato senza nemmeno accorgersene di cosa realmente avesse detto.
- Cosa?!?! Ahah! – la voce di Elena riempì il silenzio imbarazzante. Lo riempì soprattutto di risate. Va bene tutto, far finta di tifare per Klaus per distogliere l'attenzione da Damon, fingere di essere interessata a quel discorso, aiutare le amiche di Elena per mantenere la parte, ma addirittura sentire gli irragionevoli sproloqui di Caroline su Klaus, era davvero troppo. Come poteva aspettarsi che l'essere più cattivo al mondo, la richiamasse come se fosse un adolescente innamorato? Quanto era stupida questa Caroline? Si dovette fermare, però, perché nessun altro stava ridendo. Katherine non era riuscita a trattenersi, era stato più forte di lei, ma ora come avrebbe spiegato di essersi beffata delle sventure amorose di una delle sue migliori amiche? Cercò di mozzare le risate tossendo, ma oramai il danno era fatto – Scusami Caroline e che non riesco ad immaginare Klaus al telefono – continuò mascherando il tutto con una battuta. Fortunatamente una risata si fece sentire. Quella di Stefan. Lo fece in modo più sottile, di quanto avesse fatto lei, però. – “Pronto Caròline” – continuò Katherine imitando l’accento inglese di Klaus. Stavolta rise anche Bonnie.
- Haha! – Caroline interruppe le risate dei suoi amici facendone una finta. - Come se non lo avesse mai fatto! – concluse poi con una nota di irritazione.
- Cosa?! – di nuovo Katherine, ma stavolta non rise. Klaus aveva davvero chiamato questa biondina frivola? Cosa aveva visto in lei? Klaus il senza cuore si era davvero infatuato di qualcuno? No, non era possibile? E se invece… l’idea nata poc'anzi era partorita in un brillante piano diabolico. Se Caroline si sarebbe messa con Klaus, avrebbe finalmente tolto le sue grinfie da “amica che non si capisce se prova altro” da Stefan. Quindi fuori Damon e fuori Caroline in una sola notte. Non era mai stata così fortunata in vita sua e Katherine sapeva esattamente che fare.
- Scusate ragazzi! – improvvisamente li raggiunse Matt, che finora era rimasto a sorvegliare Damon in cantina – Mi sa che è ora. – disse poi riferendosi all'esigenza di sangue del loro prigioniero.
- Tocca a me – Stefan si alzò e percorse la strada che lo condusse in cantina.
- Ragazze vi lascio. – Enzo si mise in tasca il telefono dal quale aveva appena letto un messaggio. - Ho un affare da Viaggiatori in sospeso. Fatemi sapere se riccioli d’oro cambia idea e se ci sono novità. –
- Aspetta – Liv si alzò dalla poltrona – vado anche io. Forse riesco a trovare qualcosa sulla Divina Brynhild nel grimorio di mia nonna – Liv raggiunse Enzo che la guardò esattamente come un gatto osserva un pesciolino in una ampolla.
- Ehi! “Fuga da Alcatraz”!- Caroline urlò a Enzo, ma ovviamente il vampiro chiuso per troppo tempo fuori dal mondo, letteralmente parlando, non afferrò la citazione. – non ci pensare nemmeno – concluse poi indicando Liv. Enzo annuì abbandonando ogni speranza di assaggiare quel collo dritto.
Perfetto. Erano rimaste sole e Katherine aveva tutto il tempo per convincere la biondina a sgommare a New Orleans. Se ci era riuscita con Klaus, poteva farlo con Caroline ad occhi chiusi.
- Ragazze c’è troppa tensione – prese i bicchieri da sciortino e una bottiglia di whisky invecchiato dal tavolino dei liquori e mostrò la refurtiva alle ragazze. – ci state? –
- Assolutamente sì – disse Bonnie vogliosa di una pausa da tutto il dolore causatole nell’essere l’ancora. Katherine poi guardò Caroline. Il suo obbiettivo.
- Ma chi se ne frega – e prese un bicchiere tra le mani di Elena e Katherine sorrise.
 
- Che diavolo dici? – la voce incredula di Rebekah risuonò in tutto il cortile vuoto. – Questa è la più grossa stronzata che io abbia mai sentito. –
Bryhnild la guardò curvando la testa e accennando un sorriso.
- Un linguaggio piuttosto colorito il tuo, non mi piace per niente. – e come era arrivato quel mezzo sorriso così uno sguardo agghiacciante era comparso.
- Credi che mene freghi qualcosa? Non so nemmeno il perché ti stiamo a sentire… -
- Rebekah! – Klaus richiamò sua sorella che si azzittì all’istante. – Io le ho chiesto di raccontarci la sua storia e io deciderò. – e da lei passò alla sua nuova sorella. – Ti prego continua. –
Bry annuì, appoggiando la schiena allo schienale. Così facendo i suoi piedi non riuscivano a toccare terra per via della sua poca altezza. Sembrava davvero una innocua bambola di pezza eppure in lei c’era un fuoco inespresso, che le ardeva dall’interno.
- Dove ero rimasta… .Sì. Per tali capacità le altre tribù incominciarono a considerare gli Hoenan divinità. Veneravano e pregavano i miei antenati da prima che io nascessi. Questo rese la tribù dei Hoenan pacifica. Non avevamo guerrieri. Nessuno di noi era mai stato addestrato alle armi e questo fu la nostra condanna a morte –
Nella mente di Klaus si materializzò Brynhild nel ricordo del loro primo incontro. La ricordò guardarlo incuriosita, mentre uccideva con l’arco quel cervo. Adesso sapeva perché. Non aveva mai visto usare un arma, ed allora era solo curiosa.
- Un giorno – continuò Bry – però, la terra che abitavamo fu presa di mira da individui provenienti dal mare, voi – indicò Rebekah – e le cose cambiarono. Le streghe, che facevano parte di questo gruppo di estranei, furono incuriosite da subito dalle capacità dei Hoenan. La natura pacifica di quest'ultimi fece accogliere queste nuove apprendiste con troppa facilità. Le insegnarono come usare la natura nei loro incantesimi. Le fasi lunari. Gli eventi astrologici. Le erbe. Le pozioni. Praticamente tutto. Tra queste streghe ovviamente c’era anche Esther. Ben presto lei e il più potente Hoenan si innamorarono. Quell’uomo era nostro padre. Il re degli Hoenan, il re Amitola*. –
Ecco come si chiamava suo padre. Ecco come era iniziata la storia fra Esther e quel uomo licantropo che gli aveva donato la sua particolarità ibrida.
- Come ha coperto la tua nascita Esther? Io non ricordo niente – le chiesa Rebekah con la voce inviperita dal fastidio.
- Esther mentì a Mikael dicendo che ero nata morta e invece mi diede a Ayanna che di nascosto mi portò da mio padre. Mentre a tutti voi, con la scusa di non darvi un trauma, vi fece bere una pozione per farvi dimenticare – Bry lesse nel viso di Rebekah un'altra domanda – lo so perché un giorno, stanca delle bugie di Esther, mi sono connessa a lei – e rispose prima che Bekah potesse dirla ad alta voce.
- Perché Ayanna avrebbe fatto una cosa del genere? – ma Rebekah gliene porse subito un’altra.
- Ayanna era innamorata di mio padre - tutti rimasero senza parole. Quella storia si stava intrecciando sempre di più. – ma per lui esisteva solo Esther. Lei tornava e andava ogni volta che voleva e mio padre la lasciava fare, perché per gli Hoenan il libero arbitrio è il regalo più importante che la natura ci ha fatto. Ayanna si accontentava dell’affetto di mio padre quando Esther, presa da chissà quale cosa, tornava da Mikael. Fortunatamente. Perché lei mi ha cresciuta come se fossi sua figlia, mi ha insegnato ad usare la mia parte da strega. Mi ha insegnato tutto quello che Esther avrebbe dovuto fare, insomma mi ha fatto da madre. –
- Ok, ma perché tutto questo? Perché non fingere che anche tu fossi una figlia di Mikael? – Rebekah ce la stava mettendo tutta per farla cadere e rivelare che tutto quello che stava dicendo fosse una grande menzogna.
- Facile, Esther non mi… - Bry si bloccò non riuscendo a finire la frase, poi prendendo un respiro e mandando giù il boccone amaro, riprese a raccontare – Esther non mi voleva. Glielo vidi nitidamente dentro durante la connessione. Al momento della mia nascita, l’unico suo sentimento era vergogna – finì in un fiato e il suo viso si mascherò in una espressione triste e sul quel viso da bambina stonava.
- Non voleva neanche me – la mano di Klaus le fu sul viso. Consolandola. Fu istinto. CONSOLARLA. Bry riprese a sorridere e un Klaus quasi soddisfatto, ritolse la mano. Tutto davanti agli occhi increduli di Rebekah e Marcel. Non riuscivano a credere di aver appena visto quel gesto. Un gesto così umano che sia il Klaus fratello, sia il Klaus padre, non aveva mai rivolto a loro. Cosa stava accadendo?
- Mio padre era una persona accondiscendente e poco combattiva. - riprese Bry - Se Esther voleva Klaus, Esther aveva Klaus. Io ero diversa. Forse il mio sangue misto aveva creato in me un carattere del tutto differente dagli altri Hoenan. Ogni volta che potevo assillavo Esther a dirti la verità, a renderti uno Hoenan, ma lei diceva sempre no… -
- Che vuoi dire? – Klaus acuto la interruppe.
- Il potere della natura passa direttamente negli Hoenan nati da entrambi genitori Hoenan, ma nel nostro caso, anche se uno dei nostri genitori era il re, per far sì che il potere della natura entrasse in noi, dovevamo accettare la nostra parte Hoenan. Io l’ho fatto. Niente di tanto complicato, però bisognava farlo prima del tuo ventesimo anno di età. Per questo ho disubbidito a Esther e ho iniziato a seguirti nei boschi. Volevo solo che tu avessi l’opportunità di scegliere –
- Ma non ne hai avuto la possibilità – Klaus oramai aveva compreso le ragioni di Bry. Lei voleva davvero solo avere suo fratello, nient’altro.
- No. Lei aveva messo in atto quella stupida maledizione dei licantropi. Quella della prima uccisione. Facendo così ha bloccato la tua licantropia e tanti saluti alla natura Hoenan -
- Ma se tu hai il potere della natura, perché non hai bloccato l’incantesimo? – Rebekah ci teneva a mettere i puntini sulle i. Voleva trovare un buco in quella che si stava rivelando la miglior sorella del millennio.
- Adesso che sono l’unica Hoenan, ho l'intero potere della natura. Posso decidere da sola il bianco e il nero ma prima, quando tutti erano ancora in vita, c'erano personaggi al di sopra di me anche se ero la principessa. Tipo il gran consiglio, Il grande saggio e tanti altri. Molti fra loro avevano ragioni per bloccare la trasformazione dei licantropi. Quindi accettarono. Stupidi idioti – alzò il viso maledicendo qualcuno nell’aria – Eravamo trecento tribù e Mikael era solo. Potevamo sconfiggerlo, se le altre tribù avessero avuto il controllo del loro stato licantropo – aveva ragione. Come aveva fatto Mikael a sterminare tutti loro? Un unico vampiro.
- Mikael iniziò ad uccidere tutti gli Hoenan, mio padre per primo, ma non si fermò. Lui non cercava vendetta. Era solo un pazzo maniaco. Uccise bambini, donne incinte. Ci chiamava abomini. Noi, che non avevamo mai afferrato neanche un coltello. - Bry scosse la testa e Klaus trovò la conferma del fatto che se suo padre lo odiava, non era colpa sua. Mikael era solo un pazzo maniaco, come lo aveva chiamato Bry poc'anzi.
- Essendo non coinvolti dalla maledizione delle streghe, alcuni dei Hoenan più potenti si trasformarono in licantropi. Così finalmente Mikael iniziò ad avere la peggio. Stavamo quasi per sconfiggerlo, se Esther non fosse intervenuta con quel diavolo di incantesimo del cacciatore. Ingannò tutti mischiando il vostro sangue. Aveva detto, che il suo scopo era quello di rimuovere l'immortalità dal corpo del marito. Che cosa non andava in quella donna? – domandò agli altri figli, ma nessuno la rispose.
- Ma se sei fatta di natura e le streghe sono le ancelle di quest’ultima, questo significa che le streghe dipendono da te? – Klaus liberò un altro pensiero ad alta voce.
- Sì. – Bry rispose spensierata come se quella fosse la cosa più naturale al mondo. Ecco cosa significava Divina Brynhild, non era un eufemismo, ma la pura e semplice verità.
- Ma prima, hai detto che le streghe sono andate via perché la natura non le voleva. Che cosa intendevi con questo? – Marcel stava cercando di capire se davvero quella ragazza era così potente.
- Al contrario di quanto credano gli altri, i seguaci sono solo una gran rottura di scatole. Per non parlare delle streghe. Sono la razza più cocciuta ed esigente delle altre. Sempre a chiedere qualcosa. Dopo essere stata esiliata per mille anni, non mi andava proprio di starle a sentire - disse Bry con un distacco che quasi fece gelare il sangue a Marcel. Doveva stare attento a quella ragazza, non era affatto ciò che sembrava.
- Ma perché non hai usato il getto solare per sconfiggere Mikael? – Rebekah continuò a essere pignola, anche se l'esasperazione di quella ragazza l’aveva leggermente provata.
- Non ne ero ancora dotata – rivelò Bry sorprendendo tutti – c’è un’ultima parte della storia che non vi piacerà –
- Non sottovalutarci – le rispose Klaus.
- Ok. Come volete. Mikael stava uccidendo tutti i licantropi. I sudditi disperati accorsero alle loro divinità perché trovassero rimedio alla cosa. L’unica rimasta della famiglia reale però ero io. Io dovevo risolvere la cosa. Appena tredicenne contro un nemico immortale e potenziato. - abbassò il viso. Quello non era un racconto che ci si aspetta da una tredicenne normale. Bry non aveva avuto una vita facile, neanche prima di essere trasformata in lupo. - Tentai in vari modi di fermarlo, ma quella dannata di Esther mi metteva sempre i bastoni tra le ruote. L’unica cosa da fare era ucciderlo e per poterlo fare, io dovevo diventare come lui. Mi vampirizzai. –
- Non è possibile! – disse Marcel in un sorriso nervoso.
- Mikael aveva ucciso l’amore della vita di Ayanna e proprio lei che aveva rifiutato di trasformarvi, aiutò invece me, ma non fu una cosa semplice. La natura è avversa all’immortalità, ma Mikael stava trucidando tutti gli Hoenan. Nel dolore di aver perso i loro figli, la natura mi diede questa possibilità. Mi donò la forza del sole e mi permise di tenere gli altri poteri. A una condizione.  –
- Quale sarebbe? – Rebekah più curiosa che mai, era tutta orecchie
- Vendetta – ma rispose Klaus per lei
- Sì. Io sono l’arma che può uccidere tutti voi – sospirò alla fine, come se quella fosse una verità più pesante per lei che per gli altri originali – ve lo avevo detto, che non vi sarebbe piaciuto! -
- Klaus?! – il viso di Rebekah mutò di paura e Klaus si alzò di scatto. Lo sapeva. Lo sapeva.
- Calmatevi. L’ho già detto. Non sono un pericolo per voi. Mikael è morto. Sono mille anni che vago sulla terra in sembianze da lupo e non sprecherò questa possibilità di vivere di nuovo in modo "normale”. La vendetta è l’unica cosa a cui non aspiro e l'hai detto anche tu - Bry indicò il fratello - non serve a niente e nessuno qui mi farà del male - l'ultima frase risuonò come quasi una cantilena. Brynhild sorrise ai suoi spettatori che non sembrarono essersi tranquillizzati - e poi c’è la nuova nipotina Hoenan in arrivo, che darà iniziò a una nuova generazione –
In quel istante, in una volata di vento, si materializzò Elijah davanti a loro. Aveva Hayley in braccio e le sue condizioni fecero allarmare Klaus più delle cose che Bry aveva appena rivelato.
- Cosa è successo? –
 
 


* con parole composte Bry si riferisce alla lingua norrena.
  • In questa ff il padre di Klaus si chiama Amitola.

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Capitolo 5
*** House of the rising sun Parte 1 ***


House of the rising sun
Parte Prima
“C’è una casa a New Orleans
La chiamano la casa del sole nascente
È stata la rovina di più di un povero ragazzo
E Dio! Io so di esserne uno
Così madre di ai tuoi bambini
di non fare quello che ho fatto
Altrimenti spenderai la tua vita nel peccato e nella sofferenza
Nella casa del sole nascente”
Muse(Cover Animals):House of the rising sun


 
 
Il corpo di Hayley era rivestito completamente da una patina di sudore che le faceva brillare la pelle. Una pelle troppo bianca per la sua carnagione, troppo chiara per qualsiasi altra carnagione. La bocca spalancata e le labbra colorate da un viola scuro, il corpo rigido, gli occhi aperti e le pupille assenti, eppure i vampiri presenti si concentrarono sul suo battito. Assente. Completamente assente. Hayley era morta.
Giaceva nel suo corpo esile su dei tavolini del cortile, che avevano avvicinato non appena Elijah aveva varcato la soglia del portone.
- Com’è successo? – un sussurro, una voce, un lamento o forse tutte queste cose insieme uscirono da Klaus. Mise una mano sulla testa della ragazza e le sue dita toccarono dei capelli bagnati dal sudore che gli sembrarono freddissimi.
- Io… io, non lo so! – Elijah era stato l’ultimo ad averla vista viva. L’ultimo al quale aveva regalato un sorriso, una risata, l’ultimo con cui si era arrabbiata. Non sarebbe dovuto succedere. Non aveva alcun senso. Perché? Come era successo? Non lo sapeva. Era lì con lei, era sempre stato con lei, non l’aveva lasciata sola un attimo, ma Hayley era morta. La ragazza che amava, era morta. La ragazza che voleva amarlo, era morta. La ragazza che lui aveva stupidamente respinto, era morta.
- Starà bene! – la voce di Rebekah risuonò lontanissima tra i vampiri che dritti in un fascio di nervi osservavano quella scena. – La bambina. La salverà il suo sangue ibrido. –
Elijah alzò il viso verso sua sorella. La disperazione gli aveva bloccato ogni pensiero e non ci era arrivato. Un lampo di sollievo e felicità lo animò e con due passi svelti fu vicino al corpo di Hayley. Le prese una mano, era gelida come il ghiaccio. Le avrebbe baciato il dorso se solo se… ma poi lo fece. Non gli importava più di niente.
- Andrà tutto bene! – sussurrò poi su quella mano di marmo che sarebbe ritornata come prima, doveva solo aspettare.
- Lo credi davvero fratello? – con forza Klaus strappò via la mano di Hayley da quella di Elijah. – Cosa credi che succederà a mia figlia? Ha solo due settimane e tutta le sue membra sono composte da una misera parte di sangue, cosa credi che succederà quando la fame da ibrido di Hayley richiederà l’abnorme quantità di sangue per trasformarsi? EH FRATELLO! – gridò più forte spingendo Elijah via dalla ragazza alla quale stava manifestando un affetto ingiustificato.
- Hayley assorbirà la bambina – Rebekah, proprio la bocca dalla quale era uscita la frase che aveva sollevato Elijah dal suo inferno, pronunciò la sua condanna, spingendolo giù nella gola dei peggiori inferi. Cosa gli era successo? Perché non riusciva a pensare?
- Klaus io… -
- STA ZITTOOOOOO!!! – Klaus era fuori di sé. Era tutto finito. Era tutto finito così. Aveva combattuto per niente. Aveva creduto nella possibilità di una vita migliore, nell’essere un essere migliore, di essere un padre migliore di quello che invece il fato gli aveva dato, di essere un padre. Non sarebbe mai successo.
- Tu hai ucciso la mia bambina! – disse poi piano Klaus e la sua voce fece raddrizzare la pelle a tutti i presenti, poi tacque.
Il silenzio. Il silenzio li avvolse tutti.
Rebekah restava immobile incapace di muoversi. Conosceva suo fratello. Conosceva quella quietudine ed era peggio di ogni altra promessa di morte che Klaus avesse mai lanciato a qualcuno. Lei lo sapeva, lo sapeva bene. I suoi occhi guardarono la pancia curva di Hayley. La piccola era ancora lì, nonostante tutto il suo cuoricino forte batteva ancora, lentamente ma batteva ancora. Non voleva arrendersi e Rebekah fu certa che avrebbe combattuto fino all’ultimo battito. La più forte di ogni altra bambina, la più speciale di ogni altra bambina. Solo una bambina. Una bambina innocente che non avrebbe mai vinto quella battaglia.
Era tutto finito.
Proprio in quel momento di panico e disperazione, i vampiri che Bry aveva usato come libri da leggere, stavano rinvenendo. Questa volta Marcel non attese nessun comando da Klaus. Gli ordinò di andare via senza fare domande e fedeli i vampiri a uno a uno, abbandonarono la villa. Invece lei, Bry, restava seduta alla sua sedia, nel su vestitino panna, a guardare la scena, come se stesse seduta su una comoda poltrona di un cinema.
- Che cosa è successo? – Klaus urlò di nuovo quella domanda, rompendo il silenzio. Elijah non gli rispose, non sapeva come rispondergli. – Siete stati fuori per due ore e lei giace morta come da giorni. – di nuovo suo fratello non gli rispose, non sapeva come rispondergli - Allora… NON TI SENTO PARLARE FRATELLO! – urlò ancora più forte, al punto tale da far fischiare le orecchie di tutti. Gli occhi di Elijah non lasciarono gli occhi di Klaus, continuava a fissarlo, ma la sua bocca non si apriva. Non gli rispose, non sapeva come rispondergli. Un bruciore agli occhi fece interrompere quel contatto. Li chiuse solo per un attimo e due gocce d’acqua gli scesero sulle guance. Lacrime. La sua bocca non parlava, la sua mente non pensava, ma almeno i suoi occhi riuscirono a piangere.
Rebekah nel vedere le lacrime del fratello, non riuscì più a trattenersi. Con il corpo mosso dai singhiozzi si avvicinò ai due e raggiunse Klaus. Camminava piano come se si stesse avvicinando a un leone feroce. Allungò una mano alla sua spalla, mentre le lacrime le cadevano a fiumi. Lentamente avvicinò il viso all’incavo della schiena di suo fratello, tra una spalla e l’altra. Tentò di consolarlo, ma non riusciva a smettere di piangere. Klaus non cambiò la sua postura, come se il tocco di sua sorella neanche lo stesse sentendo.
- Non preoccuparti Klaus, tutto… -
In quell'istante Klaus si liberò di lei come se sua sorella fosse fatta di ferro rovente e lo avesse ustionato.
- Tu!!! – Klaus continuò poi a rivolgersi a Elijah. Ardeva dalla rabbia. Respirava, ma non sentiva l’aria nei polmoni. Rabbia, sentiva solo la rabbia. Si lanciò contro di lui. Il suo corpo si muoveva, ma non lo percepiva. Rabbia, percepiva solo la rabbia. Elijah non si spostò di un millimetro e il suo viso era a pochi centimetri dal pugno di Klaus, ma non lo vedeva. Rabbia, vedeva solo la rabbia.
La sua mano andò a segno, ma colpì qualcosa di più piccolo, ma che gli sembrò addirittura più resistente del corpo di suo fratello originale. Klaus lo sentì. Del vento ingiustificato e profumato di fragola, gli mosse i vestiti. Klaus lo percepì. Dei filamenti rossi ondeggiarono nell’aria. Klaus li vide.
Brynhild.
Bry?
Era tra loro. Aveva ancora il viso rivolto nella direzione inversa al suo pugno. Sua sorella si era messa in mezzo, ricevendo il colpo diretto a Elijah. Perché? Elijah era solo uno sconosciuto per lei.
Tutti osservarono quella scena ad occhi aperti. Klaus era forte, anzi il più forte essere soprannaturale che ci fosse sulla terra, eppure il suo colpo aveva lasciato solo un alone rosso su quella guancia larga di Bry.
Anche Klaus osservò il segno del suo pugno, ma per un motivo diverso. Picchiare le donne, sorelle o meno, se fosse stata di sua intenzione o no, non era da lui.
- Togliti di mezzo. Perché lo difendi? – le chiese poi facendo qualche passo indietro. Stava letteralmente delirando dalla collera e Elijah alle spalle di Bry lo sapeva. Elijah non avrebbe risposto all'attacco. Lo avrebbe lasciato sfogare tutta la sua rabbia su di lui, perché lui stesso non si sarebbe mai più perdonato.
- Oh che dolce. Credi davvero che stia proteggendo questo tipo? – Bry indicò Elijah facendo cenno con la testa. – Che vuoi che mi importi di un figlio di Mikael. Non ho ucciso Rebekah solo perché sei stato tu a chiederlo. – una frase così gelida non sarebbe mai dovuta uscire da un essere da un aspetto così angelico, ma Bry non lo era, non lo era affatto e tutti oramai incominciavano a capirlo. – Stiamo solo perdendo tempo. Non c’è bisogno di tutto questo. Io posso salvarla. – disse poi con un sorriso largo e con gli occhi sprezzanti di azzurro, rassicurandolo. Rassicurando suo fratello. – io posso salvare tua figlia. –
 
Caroline e Bonnie erano del tutto brille. Elena invece non lo era affatto, ma in fondo, non era neanche Elena. Katherine, che da viaggiatrice aveva impossessato il suo corpo, stava fingendo non solo di essere alticcia, ma anche di essere la loro amica del cuore, mentre invece tutto quello che voleva era mettere in atto il suo piano. Una vera e propria missione. Quella notte doveva far superare a Caroline le sue paure e farla scivolare nelle braccia di Klaus a New Orleans. Sarebbe stato più facile, se Caroline fosse stata ubriaca, quindi…
- Un altro giro! – disse riempiendo i bicchieri delle ragazze con un buonissimo whiskey dei Salvatore. In realtà non le importava niente di Caroline e Klaus. Katherine voleva solo che riccioli d’oro, togliesse le sue dita affusolate da amica premurosa, dalla sua “non ancora cosciente di esserlo” anima gemella Stefan. Quella sarebbe stata una lunga notte, non solo per il compito prefissatosi, ma anche per il baby-sitting a Damon. La guardia escogitata da Stefan consisteva nel darsi dei turni di un’ora, per sorvegliare il loro prigioniero. Katherine non aveva nessuna intenzione di passare un’ora intera con Damon, ma non poteva fare altrimenti visto che stava “letteralmente” vestendo i panni della buona sammaritana.
- Quindi, l’ibrido originale ti ha chiamata? – Katherine tornò all’unico argomento che la interessava.
- Andiamo a chi interessa? - Caroline alzò le spalle prima di bere in un sorso il liquido bronzo ad alto tasso alcoolico.
– A me. – disse Katherine facendo strozzare Caroline dalla sorpresa, mentre Bonnie rise di gusto buttando la testa all’indietro. - Dai, ti prego. Fallo per me. Il racconto di un diavolo innamorato della ragazza della porta accanto, è proprio quello che mi ci vuole per dimenticare tutta questa storia di Damon – continuò Katherine con i suoi occhi supplicanti. Caroline la osservò arricciando le ciglia e pensando su cosa fare.
- Voglio sapere anche io! – Bonnie poggiò il bicchierino vuoto sul tavolino e si sporse di più sulla poltrona, avvicinandosi di più alle sue amiche sedute invece sull’altro divano. - Sei stata sempre così riservata su questa storia. Dai, è ora di sputare il rospo! –
Messa all’angolo dalle sue amiche, Caroline espirò e Katherine potette leggere nella sua espressione la resa. Caroline le porse il bicchiere vuoto che da buona amica Katherine riempì, lo bevve velocemente, strizzò la bocca per il sapore forte di quel whiskey di chissà quanto tempo e posò il bicchiere vicino a quello di Bonnie. Caroline era pronta a parlare.
- Sì, Klaus mi ha chiamata, ma solo una volta e non è stato niente di così compromettente o eccitante come invece vi aspettate voi. – alzò le mani verso le sue amiche - si è solo limitato a lasciarmi un messaggio in segreteria – rivelò poi abbassando le mani sulle gambe lunghe.
- Faccelo sentire! – Bonnie agitò una mano nell’aria incitandola a passarle il telefono. Caroline la guardò alzando una sopracciglia. Certo finalmente aveva l’occasione di togliersi quel gran peso dal cuore, ma vedere Bonnie che mostrava tutta quell’esaltazione verso Klaus le suonò strano. Bonnie detestava Klaus con tutta se stessa.
- L’ho cancellato – disse distogliendo lo sguardo e appoggiando la schiena allo schienale imbottito. Cosa le era saltato in testa? La questione Klaus era chiusa e riaprirla sarebbe stato solo una stupidaggine.
Katherine vide l’espressione di Caroline cambiare. Si stava richiudendo a riccio e lei era bravissima a svelare queste cose. Forse la bionda reginetta del ballo era più riservata di quanto credesse.
- Si, come no – e con la velocità vampiresca sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans di Caroline. Fu facile, visto che stendendosi Caroline aveva messo in mostra il rigonfiamento rettangolare sul fianco.
- No Elena… - Caroline tentò di protestare spingendosi in avanti, ma Elena e Bonnie stavano già ascoltando il messaggio.
“Ciao Caròline…” quella voce quasi dimenticata dalle sue amiche, ma ancora ardente nella sua mente, risuonò nella stanza. Caroline sospirò mentre Bonnie ed Elena… Bhè! Scoppiarono in una sonora risata.
- Elena, ma è uguale alla tua imitazione! – disse poi la ex strega nemica giurata d tutti i vampiri, originali compresi.
- Ti ha invitato a New Orleans? – le domandò Elena con gli occhi sbranati e le iridi brillanti, non appena quella voce dall’accento inglese terminò.
- In realtà… - Caroline tentennò di nuovo, ma se le sue amiche volevano davvero sapere la verità su lei e Klaus, forse era meglio partire dalla parte migliore - la sera del diploma, mi ha detto, usando le sue testuali parole, “Mi sarebbe piaciuto regalarti un biglietto di solo andata per New Orleans”. Quindi, credo che il messaggio in segreteria sia stato solo un promemoria –
“Aspetta un attimo!!”. Katherine non riusciva a crederci. Klaus era andato al diploma di Caroline e voleva anche farle un regalo? Cosa diavolo era successo al Klaus che voleva sterminare tutte le doppelganger che incontrava durante i secoli solo perché voleva un paio di zanne diverse?
- Invece, ti ha fatto il più bel regalo che una ragazza innamorata potesse ricevere – proseguì Bonnie rivelando a Katherine che un regalo c’era davvero stato. Questo la fece agitare. Non aveva la più pallida idea di che cosa fosse. Doveva estorcere più informazioni da Matt occhioni blu se non voleva che la sua copertura saltasse.
- Bhè, non esageriamo!! E’ solo un mini-frigo – Caroline alzò le spalle, mentre si torturava un unghia di un dito. - Un bracciale di diamanti e il vestito più bello, e il più costoso, che ho mai visto, quelli sono dei regali da fare a una ragazza – alzò i suoi occhi dalle sue mani e in quell’istante realizzò di aver parlato ad alta voce.
- Cosa?! – le sue amiche saltarono dalle loro sedute parlando contemporaneamente.
- Io parlavo del fatto che Klaus abbia perdonato Tyler! – Bonnie spalancò gli occhi, sorpresa e scioccata allo stesso tempo. Caroline non aveva mai parlato del corteggiamento di Klaus, neanche del minimo particolare. I suoi amici credevano che all’originale interessasse solo il suo aspetto esteriore, ma c’era dell’altro, e come se c’era.
- Sì, certo! Quello… di sicuro è stato il regalo più bello. – Caroline stava visibilmente mentendo, ma Katherine non riuscì a distinguere se lo stava facendo a loro o a se stessa, però una cosa la vide palesemente. Sentimenti, e brillavano come fuochi d’artificio. Un’altra cosa richiamò la sua attenzione innestando i suoi neuroni svegli, “Perdonare” e “Klaus”. Lo stesso Klaus che non dimenticava. Che perseguitava. Che massacrava i tuoi cari. Che uccideva nei modi più teatrali che neanche Shakespeare aveva mai concepito. Lo stesso Klaus? Katherine stentava a credere che fosse tutto vero, ma la bionda sembrava non mentire. Come aveva fatto Caroline a convincerlo? Com’era riuscita nell’impresa che a lei stessa era fallita? Come aveva piegato la mostruosità di quell’essere? Amore? Era mai possibile?
- Ti ha davvero fatto tutti questi regali? – Bonnie si stava rivelando più utile di quanto Katherine credeva. Caroline si sistemò nel suo posto e annuì. – Però, lasciando stare la rivelazione dei regali che mi hanno sconvolta del tutto, ma perché uno come Klaus che non ha mai perdonato nessuno in vita sua, che ha perseguitato Katherine per un'eternità, ha lasciato andare Tyler? – si quella ex streghetta Bennett le stava davvero piacendo. Era esattamente la cosa che Katherine fremeva di sapere più.
 - Semplice. Klaus l'ha fatto per me. – Caroline rispose a Bonnie come se fosse la cosa più naturale del mondo - Mi ha detto “Lui è il tuo primo amore, io ho intenzione di essere l’ultimo” –
Katherine era senza parole. Chiuse le palpebre, che dallo stupore erano rimaste spalancate facendole seccare gli occhi. Amore. Sì, era stato l’amore. Una cosa così banale che Katherine si sentì offesa per i cinquecento anni spesi a fuggire da lui.
- Inquietante! - Bonnie parlò stringendosi nelle spalle, ma Caroline si voltò verso l’amica rivolgendole uno sguardo curioso. Durò solo un attimo, ma Katherine capì cosa volesse dire. No, Caroline non pensava affatto che fosse inquietante, anzi…
Si, Klaus era innamorato di Caroline, ma di sicuro, anche lei era innamorata di Klaus, solo che Caroline non lo sapeva ancora.
- Io invece penso che sia epico – Katherine sfruttò la situazione e a quelle parole gli occhi di Caroline si illuminarono. Katherine sorrise, l’aveva in pugno. “In fondo mandarla a New Orleans non sarà poi tanto difficile”.
- Che intendi? – Bonnie curvò le sopracciglia cercando di seguire il filo del suo discorso. Che scocciatura, non bastava convincere la ragazza con la situazione sentimentale più confusa al mondo di amare il cattivo della favola, era anche in compagnia della nemica giurata del personaggio in questione.
– Voglio dire, un vampiro millenario, che ha vissuto ogni tipo di esperienza, ha incontrato ogni tipo di donna, che poi si innamora perdutamente di una paesanotta appena diciasettenne. Se non è epico questo? – le sue parole stavano facendo muovere un qualcosa negli occhi di Caroline che diventarono più splendenti – sei mia amica e so che sei speciale, ma non credevo fino a questo punto – “E l’Oscar per la miglior interpretazione della barbosa della situazione va a Me”. Katherine con quell’ultimo complimento, aveva attirato Caroline nella ragnatela che aveva tessuto per lei.  – Comunque, io non sono mai stata a New Orleans – cambiò discorso senza però cambiare argomento, mentendo, perché ovviamente lei era stata a New Orleans, ma sicuramente Elena no. Non aveva bisogno di Matt occhioni blu per saperlo.
- Neanche io – Bonnie strinse le labbra in un triste sorriso tirandosi le ginocchia e appoggiando i piedi sul cuscino della poltrona su cui era seduta.
- Non mi dite che state pensando di andarci? – Caroline rise, realizzando che quella fosse la serata più strana che avesse passato con le sue amiche.
- Perché no. Potremo autoinvitarci a casa sua. Con tutto quello che ci ha fatto passare questo è il minimo. – Bonnie rise alla fine della sua stessa battuta accompagnata da Katherine che stavolta non lo fece per finta.
- Già. – disse solo Caroline, ma i suoi occhi stavano viaggiando altrove. Da lui. In quel momento Caroline stava pensando a Klaus e non solo perché ne stavano parlando.
- Dovresti andare – le parole di Katherine distolsero Caroline dai i suoi pensieri sputtanatamente amorosi - Anzi, tu devi andare. –
- Elena, sei uscita completamente fuori di testa? – fu troppo per la bionda che si alzò, smanettando le mani nervosamente nell’aria. – Perché? Finalmente se ne è andato liberandomi dalla sua ombra. Adesso posso fare le cose che mi sono prefissata di fare e neanche una di queste tocca minimamente l’idea dell’uomo di cui nome incomincia con la K. – camminava avanti e indietro per lo spazio vuoto sotto ai tre scalini dell’entrata, mostrando il disagio che Katherine aveva visto dal principio.
- Scommetto che invece fare nottate a donare il sangue alla persona che più odi, era in cima alla tua lista? – quella domanda sarcastica fece arrestare la corsa frenetica di Caroline. - Sei già morta una volta, quand’è che deciderai di vivere la tua vita? – concluse e adesso Katherine non aveva solo gli occhi azzurri di Caroline a fissarla, ma anche quelli nocciola di Bonnie.
- No, stare con Klaus non è nei miei piani. Assolutamente no. – Caroline incrociò le braccia in una snervante chiusura di mente. Come potevano esserci ancora delle persone così? Che sceglievano il bene dal male a prescindere da quello che realmente volevano dalla vita?
- Ma se lo ami perché no? – Katherine alzò la voce e stavolta l’aveva fatta davvero grossa. Non sapeva se quella fosse stata una frase da Elena o meno, ma era la cosa che la bionda doveva sentirsi dire per uscire da quella condizione mentale. Per risposta Caroline sbuffò dalla bocca, come a dire di aver appena sentito la cosa più stupida al mondo. - Dì la verità, vuoi davvero sprecare la tua vita, anche se immortale, bloccata in questioni che neanche ti appartengono, mentre vorresti essere da un’altra parte? -
Caroline abbassò il viso, stavolta in difficoltà. Katherine ci aveva visto giusto e già si vedeva salutarla con la manina mentre Caroline si dirigeva verso sud con la sua macchina.
- Ragazze! – la suadente voce di Stefan interruppe quei colpi di imbarazzante verità che Katherine stava scagliando addosso Caroline, ma quando lo vide nel suo bel corpo, Katherine dimenticò ogni astio nell’esser stata interrotta. – Io vado a dormire, sono distrutto, Damon mi ha quasi prosciugato. Ricordate i turni, vero? - disse e il suo viso mostrò i segni della stanchezza.
- Si, io sono la prossima – Elena/Katherine si alzò. Non aveva nessuna voglia ed era davvero il momento sbagliato. Era quasi riuscita a convincere Caroline che il suo posto era a New Orleans, ma se voleva la bicicletta doveva pedalare. Lasciò da sole quelle che per una sera erano state le sue amiche del cuore, e ad essere sincera non era stato tanto male.
 
- Come? Come puoi farlo? – Klaus le era davanti e il suo corpo grande e possente la ricopriva tutta. La sorella si avvicinò al corpo di Hayley morto da oramai troppo tempo. Senza ancora rispondere al fratello mise le sue minuscole mani alle tempie della ragazza incinta e chiuse gli occhi.
- Se riesco a entrare nel sangue ibrido che la sta trasformando e bloccarlo, posso evitare la trasformazione. – diede un grande espiro rilassando il viso.
- Così ucciderai Hayley. – non fu la voce di Klaus, ma quella di Elijah. Ad occhi chiusi Bry lo aveva sentito alzarsi e incalzare una camminata, forse verso di lei, ma qualcosa lo interruppe.
- Che importa la vita di questa ragazza. Avrai anni per poter trovare un altro bel visino da credere di amare. – quello che aveva appena detto la voce di suo fratello le fece spalancare gli occhi. Voleva vedere il suo viso per capire cosa volessero dire quelle parole, ma il suo cervello le diede un impulso più forte.
- Eccole. – dalle sue mani delle scintille blu saltavano nell’aria.
- Come salverai mia figlia? – Klaus era un misto di incredulità e sorpresa, mentre osservava la magia della sorella.
- Mi servono delle cose, degli ingredienti, un libro di magia… -
- Ne abbiamo tanti in libreria. – Rebekah si era avvicinata anche lei, per la prima volta felice che la sorellina di Klaus fosse lì in mezzo a loro.
- Non quelli semplici. Uno antico, con la copertina viola e una grande infissione di rame al suo centro. – parlare cercando di creare delle frasi sensate e tenere in vita una bambina di due settimane, non era facile, ma gli originali intorno a lei sembrarono capire.
- Rebekah! - Klaus si voltò verso la sorella bionda, ma non dovette dire altro, perché era già partita in direzione della libreria, lasciando il suo alone nell’aria.
- Klaus, ci sono anche io. – Marcel compì qualche passo verso l’operato di Bry. Per quanto la loro situazione era difficile, tra padre e figlio, Marcel non avrebbe mai voluto che la sua prima vera figlia morisse e con lei sua madre.
- Gli ingredienti. – bastò solo questo per far scattare Marcel. Klaus tornò a osservare l’operato di Bry senza perdersi una virgola. Marcel eseguì agli ordini portandosi via il primo vampiro, lasciando i due fratelli originali al confronto.
- Non puoi ucciderla. Non puoi rendere tua figlia un’orfana. – Elijah era ritornato all’attacco. I suoi occhi erano ancora rossi e sconvolti.
- Orfana non sarà mai, visto che suo padre è un ibrido immortale. Posso sempre ammaliare una donna incinta e farle credere di essere sua madre. Posso sceglierle la madre che voglio, anche la regina Elisabetta e renderla una principessa. Non mi serve la ragazza, non mi è mai servita. – si girò completamente verso di lui agitando una mano nell’aria.
- Klaus. Ti prego. Possiamo trovare le streghe e costringerle a togliere quello che hanno fatto ad Hayley e… -
- Questo! – urlò Klaus azzittendo la sua raffica di parole. – è colpa tua. Come puoi issare pretese? –
- Proprio per questo. – ma Elijah parlò in un sospiro esile da rendere impercettibili le sue parole. – Non potrei vivere ulteriormente sapendo di essere stato io la causa di tutto questo. – si mise entrambi le mani al viso, cercando di nascondere la sua vergogna.
- Cavolo ragazzi. – dal nulla la voce di Bry li interruppe, questa volta la sua allegria era completamente scomparsa, sembrando solo stanca. - Questo è il mio primo giorno da vita umana e già mi state facendo rimpiangere quella da lupo. –
I due fratelli la guardarono e Klaus dovette roteare il corpo per farlo. Aveva gli occhi chiusi e le mani luccicanti di celeste chiaro, mentre un’onda trasparente avvolgeva il corpo della ragazza. – io qui sto tentando di salvare due vite e non è facile con i vostri litigi nelle orecchie –
- Due vite? – le chiese Elijah nelle prime parole che le rivolgeva.
- Non avete ancora idea di quello che posso fare. – aprì gli occhi e il celeste una volta vivo e brillante era completamente ricoperto da vene rosse che mutarono il suo colore in un viola chiaro. – Adesso però silenzio. – li richiuse e respirò forte tornando a concentrarsi.

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Capitolo 6
*** House of the rising sun Parte 2 ***


House of the rising sun
Parte Seconda



- Pensi davvero che sia una buona idea? – la voce di Caroline risuonò nella stanza completamente vuota. Era tarda notte e tutti i loro amici erano andati a dormire, Elena le aveva appena abbandonate per il suo turno di guardia a Damon, mentre Bonnie era rimasta a farle compagnia anche se era tutta indaffarata a messaggiare con qualcuno col suo telefono. – Voglio dire, Klaus potrebbe farsi cattive idee? Sai piombare a casa sua è esattamente una cosa che una donna innamorata farebbe ed Elena ha torto marcio su questo, e come se ne ha, io non sono affatto innamorata di lui. Insomma lui ha promesso di non rivedermi mai più, capisci? Dopo una notte di fuoco lui mi promette di non farsi più vedere, andiamo anche una stupida capirebbe che non vuole impegnarsi. Cioè la mia vita è qui! Giusto? Ok, sono stata io a farglielo promettere, ma lui poteva anche non so… non farlo! Forse… -
- Caroline! – Bonnie le scosse forte la spalla per richiamare la sua attenzione. Era così presa da quel discorso da non aver visto che la sua amica le stava mostrando da un po’ il suo telefono. C’era un messaggio ancora nella casella di testo. Curiosa Caroline afferrò il telefono dell’amica e iniziò a leggerlo a mente.
“Che diavolo ha Elena??????????? Come può essere così pro-Klaus? Come può spingerti ad andare a New Orleans? Perché? Io le ho dato corda solo per vedere fino a che punto sarebbe arrivata, ma non pensavo fino a questo?...” Caroline interruppe la sua lettura e la guardò, sapeva che tutto quell’entusiasmo verso l’ibrido originale che detestava con tutta sé stessa non era normale, ma saperlo la deluse comunque. “So che forse è folle, ma ho un'idea. Alla sua morte Katherine non è passata attraverso di me per andare nell’aldilà, quindi io credo che sia ancora viva…”
- Perché diavolo non l’hai detto prima? – la sua voce scoppiò dalla sorpresa, non riusciva a credere a quello che aveva appena letto.
- Shhhhhhh! – Bonnie le indicò un orecchio con l’indice. Non voleva farsi sentire da chi poteva udire da lontano, non voleva farsi sentire da Elena.
“ …Ho paura che abbia usato l’incantesimo da Viaggiatrice che le ha insegnato Nadia, per entrare nel corpo di Elena.”
La bocca di Caroline avrebbe urlato a squarcia gola, se non sé la fosse bloccata con le sue stesse mani. Veloce prese il suo cellulare e incominciò a digitare.
“Perché lo dici solo ora? Cavolo è passata una settimana dalla morte di Katherine?”
“Lo so, ma pensavo che la sua anima fosse scivolata direttamente all’inferno.”
“Ok. Mettiamo il caso che davvero Katherine sia nel corpo di Elena, perché dovrebbe insistere nel farmi andare a New Orleans?”
“Stefan”
Fu tutto quello che scrisse Bonnie, ma fu sufficiente. Caroline capì tutto.
“Che grande… vuole liberarsi di me perché le sto impedendo di tornare con Stefan. Non riesco a crederci. Cosa facciamo adesso?”
“Il coltello. Io vado da Matt. Tu intrattienila finché non l’avrò trovato.”
A questo Caroline rispose annuendo. Bonnie infilò il suo cellulare in tasca e afferrando la sua borsa uscì di corsa da quella casa.
Caroline si mise le mani nei capelli scuotendo il capo. Stupida. Stupida. Stupida. Come aveva fatto ad non accorgersene prima? Elena era la sua migliore amica. Era cresciuta con lei, come aveva fatto a non distinguerle? Espirò con forza perché era l’unica cosa che poteva fare per sfogarsi. Non poteva neanche camminare nervosamente altrimenti Katherine avrebbe sentito i suoi passi e si sarebbe insospettita. Quella grande… non riusciva neanche a trovare una parolaccia che potesse definirla. Aveva pensato a tutto. Lasciare Damon perché era una causa persa, spifferare a Tyler di lei e Klaus, anche la loro chiacchierata era un subdolo modo per poterla persuadere a fare ciò che lei voleva. Non c’era niente da ridere, ma Caroline si trovò a farlo. Era stata una stupida a credere anche solo per un secondo che le sue amiche avessero capito quello che lei provava per Klaus, ma non era stato così. In fondo come si poteva farlo visto che non ci capiva niente neanche lei. Erano bastate poche paroline false dette dalla voce della sua migliore amica a metterla in crisi. Ci aveva davvero pensato, sì, aveva pensato di impacchettare tutto e fuggire da lui, di vivere le avventure che le aveva promesso, di accettare che il suo cuore battesse al solo pronunciare del suo nome. Era davvero una stupida. Nessuno avrebbe mai capito. Klaus era un mostro senza cuore, incapace di amare, e che non meritava l’amore di nessuno, punto e basta.
Ahh!
Doveva smettere di pensare a Klaus. Il suo compito era intrattenere Katherine ed era a quello a cui doveva pensare. Ok, come? Ci mancava una bella mezzora piena prima che Katherine finisse il suo turno con Damon e… Oh no DAMON!!!!
 
Rebekah aveva rovistato in tutta la libreria lanciando a rifuso le cose che trovava. C’erano una quantità esorbitante di libri e pergamene appartenute a così tante streghe in quella stanza, ma del libro di Bry non c’era la minima ombra. “Grande, viola, con un'infissione di rame rotonda al centro”. Non c’era niente del genere. Aveva cercato in ogni cassetto, ripiano, baule, ma era stato tutto inutile. L’ultimo baule che possedevano giaceva svuotato davanti a lei. Che altro poteva fare? Si diede un’ultima occhiata in giro quando i suoi occhi da vampiro videro qualcosa. Un luccichio rosso, proprio sul fondo del baule appena setacciato. Si piegò sulle ginocchia e con l’unghia grattò la superficie che circondava quel strano codino. Le sembrava uno di quei fili di stoffa per tenere il segno nei libri. Il legno sotto le sue indistruttibili unghia veniva via trasformato in segatura, poi si accorse del doppio fondo. Diede un forte colpo con il palmo della mano spezzando il legno in mille pezzi rivelando così quello che si celava dietro a quell’asse. Una dozzina di oggetti dalla natura sconosciuta. Calici, collane, tiare, aghi, fili di ogni colore, ciondoli, tanti ciondoli. Chissà chi aveva nascosto tutte queste cose. Sua madre? Non aveva tempo per porsi delle domande e cercò il libro richiesto da Bry. Lo trovò. Aveva delle dimensioni molto più grandi degli altri libri di magia che Rebekah era abituata a vedere e per curiosità lo aprì. Fu sorpresa da quello che vide. Niente. Assolutamente niente. Il libro era vuoto.
- Bry! Ho trovato il libro, ma non credo che faccia al caso nostro – Rebekah percosse la distanza libreria-cortile nella sua corsa soprannaturale. Bry però non si voltò.
-  È entrata in trans cinque minuti fa, non può sentirti. – la informò Klaus, prendendole il libro dalle mani.
Bry stava bloccando la trasformazione di Hayley connettendosi al sangue della bambina. Come avrebbe fatto poi a salvarle entrambe, non era chiaro a nessuno, neanche a Klaus, ma la lasciò fare. Con ogni probabilità Brynhild era l’essere più potente che lui avesse mai incontrato nella sua vita e inoltre non avevano altre opzioni.
- Bene. Ci ha rimasti soli alle prese di un libro inutile. – Rebekah incrociò le braccia indicando il libro con un gesto della testa.
Klaus, con quel grimorio tra le mani, sembrò calmarsi. Raggiunse un tavolo e lo appoggiò sopra. L’incisione di rame era grande quanto tutta la copertina del libro e aveva delle strane forme al suo centro. Klaus sapeva però cos’erano. Lo ricordava grazie a Bry. Con il polpastrello sentì i diversi rilievi di cui era fatto. Era formato da cinque cerchi movibili. Klaus iniziò a girare il primo anello.
- Si muovono? – chiese Rebekah più incuriosita che stupita.
- Se messi nel giusto modo, dovrebbero formare… - sotto le sue mani quegli anelli formarono un’immagine. Un lupo ululante ai piedi di un grande albero rugoso e folto. “Il medaglione di papà”. Ecco come lo aveva chiamato Bry prima di cadere in trans. Klaus lo ricordò ciondolare sui pettorali di suo padre, più di una volta, più in uno di quei ricordi di gioventù umana che Bry gli aveva fatto ricordare.
L’infissione di rame fece uno strano rumore, come un sonoro clic e si sollevò dalla copertina di qualche millimetro. Klaus lo alzò scoprendo un scomparto segreto. Al suo interno c’era un pezzo di vetro grande come un piattino da tè. Lo prese. Era spesso e doppio, opaco ai lati, proprio com’era il vetro di mille anni fa.
- Che cos’è? – chiese Rebekah mente osservava ogni gesto del fratello con estrema attenzione.
- Hai dimenticato com’erano le lenti d’ingrandimento di un tempo? – le rispose aprendo il libro. Avvicinò quel disco di vetro a una delle pagine bianche e magicamente, attraverso la lente si potevano vedere delle parole. Un trucchetto che gli aveva insegnato Bry tanto tempo fa.
- Che lingua è? – Elijah sbirciò dal suo posto quella scrittura che non aveva mai visto prima e non ne fu affatto contento.
- È un vecchio libro Hoenan, in che lingua vi aspettavate che fosse scritto? – Klaus, l’unico che sembrava essere tranquillo, iniziò a sfogliare il libro, scrutando ogni rigo attraverso quel vetro magico.
- Come facciamo? Nessuno qui parla… com’è che si dice? Hoeniano?! – Rebekah lanciò una mano nell’aria innervosita da tutta quella situazione pazzesca.
- Mia dolce sorella, io conosco innumerevoli lingue Hoenano compreso – le disse sorridendo Klaus. In quel millesimo di secondo Rebakah fu travolta da un ondata di rassicurazione. Vedere suo fratello sereno, le faceva sempre uno strano effetto.
- Come puoi conoscere l’Hoenano? – gli chiese poi curiosa.
- È una lunga storia. -  Sì, Klaus conosceva la lingua dei Hoenan, Brynhild gliela aveva insegnata. Il giorno in cui la inseguì in quella selva credendo che fosse un cervo, non fu l’unica volta che si erano visti. Klaus, affascinato da quella bambina licantropa, volle diventare suo amico. Le rivolgeva ogni tipo di domanda, le chiedeva ogni cosa, curioso verso quella razza così temuta e lei rispondeva ogni sua curiosità. Non solo, gli insegnò anche la sua lingua. Gli Hoenan erano una razza socievole e fiduciosa verso il prossimo, per questo insegnarono alle streghe tutto ciò che sapevano, così li aveva giustificati Bry durante il suo discorso, ma lei era diversa, si lei aveva legato con Klaus perché lui era suo fratello. Il fratello che sua madre non gli permetteva di vedere. Bry lo portava in ogni posto Hoenan o licantropo in cui lui volesse andare, anche nel luogo in cui i lupi mannari si trasformavano. Quel giorno fu l’ultimo della loro amicizia…
Tra i pensieri trovò la pagina dell’incantesimo che Bry gli aveva detto di cercare. “L’albero della vita”.
La scrittura degli Hoenan era formata da ologrammi simili a quelli asiatici, ma più rigidi e squadrati. Ogni ologramma era una parola o a volte un intera frase e per fortuna Klaus ricordava ogni simbolo. Trovò gli ingredienti che servivano e li tradusse ad alta voce perché gli altri potessero capire.
- Acqua, sale, radici, corteccia, more blu… – Klaus prese il suo telefono e scrisse l’occorrente a Marcel, che era uscito per far saziare i suoi vampiri percossi da Bry.
- Davvero? Tutto qui? - Rebekah andò a controllare anche se non riusciva a capirci niente di quella lingua strana – Degli ingredienti davvero troppo comuni per un incantesimo salva vita, non credi? –
- Se non fosse per i dieci sacchi di terra consacrata – Klaus la guardò con la mente assente, cercando di capire cosa potesse essere quest’ultimo ingrediente.
- Siamo a New Orleans, questa città è fondata sulla terra consacrata – per Elijah era difficile rivolgersi al fratello, ogni volta che incrociava il suo sguardo si sentiva soffocato dalla colpa.
-  A New Orleans la terra è consacrata dalle streghe, ci serve della terra consacrata dagli Hoenan – Klaus rivelò il suo pensiero ad alta voce.
- Che palle questa consacrazione. Dove andiamo a prendere questa terra ora? – Rebekah sbracciò impaziente nell’aria. Se solo Bry avesse spiegato qualcosa prima di entrare in trans. La osservò. Era in piedi dietro alla testa di Hayley con le mani alle sue tempie. Aveva gli occhi chiusi e tutti i suoi arti superiori erano circondati da fulmini blu che scendevano fino ad avvolgere l’intero corpo di Hayley. Chissà se ne era davvero capace? Chissà se fosse davvero riuscita a salvarle entrambe?
- Semplice, nel posto in cui sono morti innumerevoli Hoenan. Il posto in cui nostro padre ha iniziato il loro sterminio. – Klaus le sorrise e un fervore di felicità gli fece brillare gli occhi. Lui ne era davvero convinto, Bry avrebbe salvato sua figlia. – Il posto che adesso chiamiamo Mystic Falls. – i due fratelli lo guardarono mentre di nuovo maneggiava il suo telefono, stava digitando un numero a memoria. – So che fare –.
 
Caroline fu in cantina appena in tempo. Katherine aveva aperto le catene che bloccavano Damon e lui si stava cibando di lei. Stava incominciando a diventare ovvia e Caroline non si sorprese nel vedere quella scena, anzi pensò seriamente di lasciarla lì, ma se lei fosse morta lo sarebbe stata anche Elena. Corse in suo aiuto staccandola dalle fauci fameliche di Damon e le ci volle tutta la sua forza. Il corpo di Katherine roteò all’indietro rivelando il paletto che aveva tra le mani. Aveva staccato un piede dalla sedia di legno che adesso giaceva a terra. Non voleva solo che Damon l’attaccasse, ma voleva addirittura ucciderlo. Caroline capì il suo piano, si sarebbe giustificata con il fatto che Damon la stesse per uccidere e bla… bla… bla… Come se poi Elena fosse stata capace di una cosa del genere. Lei si sarebbe fatta prosciugare tutte le vene, ma non gli avrebbe torto un capello.
- Caroline. Oh mio Dio! Meno male che sei arrivata. – Katherine si mise una mano al collo cercando di fermare il sangue, ansimando dalla debolezza. Forse era già da un po’ che aveva aperto le catene. Per prima cosa Caroline, le tolse quel paletto casareccio dalla mano, poi, prima che Hannibal Lecter facesse di lei il dessert, incatenò Damon chiudendo tutti i lucchetti.
- È stata lei ad aprirli e poi sì è ferita il collo. So che soffri senza di me dolcezza, ma addirittura ricorrere all’autolesionismo mi sembra troppo – la bocca di Damon grondava di sangue. Gli scorreva sul mento e giù sul collo fino a macchiargli la camicia nera. I suoi occhi erano ancora pieni di venuzze viola e anche se il suo viso era arricciato in una delle sue smorfie, Caroline vide altro.
- Io… io volevo solo mostragli che poteva resistere alla tentazione del sangue – si giustificò Katherine mentre seduta a terra con la schiena al muro, stava prendendo fiato e Caroline inchiodò i piedi al pavimento, perché altrimenti l’avrebbero presa a calci.
- Andiamo via. Damon può stare da solo per un’ora – ma invece andò ad aiutarla. La aiutò ad alzarsi usando la stessa premura che avrebbe usato con Elena e in quell'istante i suoi occhi si incrociarono con quelli di Damon. Quello era il Salvatore che detestava di più, non solo per quello che le aveva fatto al primo anno, quando la soggiogava come una bambola a suo piacimento, ma anche per il fatto che Elena lo amasse senza condizione di causa, ma quando vide nei suoi occhi il terrore di aver appena cercato di uccidere l’amore della sua vita, Caroline si sentì male per lui.
- Andiamo, ti porto a letto – la scortò nel corridoio, chiudendosi la porta alle spalle, ma una presenza la bloccò. Stefan.
- Cosa è successo? – chiese guardando la gola della ragazza che aveva così tanto amato. Stava dormendo nella sua stanza e forse i rumori lo avevano svegliato. Katherine lasciò la presa di Caroline e corse da lui buttandosi tra le sue braccia.
- Oh Stefan! Ho avuto tanta paura. – e poi pianse. Sì, quella vipera stava piangendo con vere lacrime, come si poteva essere così falsi? Caroline guardò Stefan che incrociò il suo sguardo. Lei scosse la testa agitando le mani sotto al suo collo.
“Non è Elena. Katherine. Katherine. ” mimò e indicò l’amica che Stefan stava abbracciando. Le sopracciglia di Stefan si strinsero tra loro cercando di capire cosa stesse accadendo, ma Caroline non poteva fare altro, Katherine era furba e se avesse insistito avrebbe capito tutto.
- Shh! Andiamo in cucina. Ho del sangue in frigo. – Stefan accarezzò la testa di Elena esattamente come avrebbe fatto con lei e per un secondo Caroline fu convinta che non avesse capito niente, ma nel girarsi Stefan guardò la sua amica bionda, con due occhi sorpresi e terrorizzati allo stesso tempo. Aveva capito, sì, ne era certa.
Arrivarono in cucina e Stefan fece sedere Katherine su una sedia vicina al tavolo di legno. Si recò al frigo dove prese una busta di plasma rubata dall’ospedale di Mystic Falls, che poi mise nel microonde. Pochi secondi dopo il din del timer li avvertì che il loro inquietante cibo era pronto. Stefan lo prese e glielo passò a Katherine strappando il tappo di plastica. Lei ne diede un primo gran sorso e con altri della stessa intensità finì subito il contenuto.
- Sono stata una stupida! - Krudelia Petrova appoggiò la busta vuota sul tavolo, mentre con l’altra mano si copriva il viso che aveva appena iniziato un nuovo fintissimo pianto. – Volevo solo farlo uscire da lì, ma Damon è andato, l’ho perduto per sempre. – addirittura si fece venire i singhiozzi. Caroline non ne poteva più e non sapeva a cosa aggrapparsi per impedire alle sue mani di strapparle il cuore dal petto. “Elena”. Ecco cosa la bloccava. Se avesse fatto del male a Katherine, avrebbe ucciso Elena.
Stefan iniziò a consolarla dicendole delle parole che Caroline non potette seguire perché le era appena arrivato un messaggio da Bonnie.
“Il coltello è scomparso. Matt non ricorda niente. È stato sicuramente soggiogato, questo vuol dire che avevamo ragione. Katherine è nel corpo di Elena. Dobbiamo fare presto. Ci serve un incantesimo di locazione. Ci serve la magia. Caroline ti prego, chiama Klaus. È la nostra unica soluzione”.
Caroline cancellò il messaggio, prima che Katherine potesse arrivare a leggerlo con qualche altro suo marchingegno.
- Chi era? – chiese appunto Katherine mostrando che non se lo era fatto scappare.
- Mia madre. È tardi ed è preoccupata per me nonostante sia una vampira immortale. – sorrise poi usando la sua arte nel mentire.
- Tua madre ha ragione. Vai a casa Caroline, qui ho tutto sotto controllo. – Stefan si appoggiò alla cucina mettendo le mani in tasca. Caroline era convinta che il suo amico avesse capito il pericolo, ma adesso non riusciva a seguirlo.
- Non posso, devo fare il mio turno e… -
- Damon ha già avuto abbastanza sangue da Elena e forse stando un po’ solo può pensare a quello che ha fatto. – gli occhi verdi di Stefan le stavano dicendo di fidarsi di lui, ma cosa avrebbe pensato Katherine se lei se ne fosse andata, lasciandoli soli?
- Vai Caroline, io resterò qui. Non c’è la faccio ad arrivare al campus. – Katherine si appoggiò allo schienale socchiudendo gli occhi. Certo! Katherine ne era felice, era riuscita quasi a mandarla a New Orleans per avere Stefan tutto per se, figuriamoci se avesse obbiettato ora che stava recitando la parte della povera vittima da curare.
- Ok, ho davvero bisogno di una doccia e di una dormita. Ci vediamo domani. – come si aspettava Katherine non fece tante storie nel restare sola con Stefan, in fondo dovevano intrattenerla mentre cercavano il coltello e chi poteva farlo meglio di lui.
La sua macchina era nel vialetto di truciolato dei Salvatore e i suoi stivali affondavano a ogni passo, quel rumore era l’unica cosa che si sentiva in quella notte buia. Salì e mise in moto, la radio si accese su una bella canzone che avrebbe canticchiato se non avesse avuto tutte le sue membra smosse dalla rabbia. Bonnie aveva ragione, dovevano chiamare Klaus.
Sbuffò nell’aria e aprì il finestrino. Il vento fresco le scompigliò i capelli, ma le stava rinfrescando le guancia accaldate dal nervoso. Lo avrebbe fatto non appena sarebbe arrivata a casa, così nel tragitto avrebbe pensato a cosa dirgli. Sì, avrebbe fatto così.
La canzone orecchiabile fu sovrapposta dalla sua suoneria. Spense la radio con il bottone apposito dietro al manubrio, azionando invece quello del Bluetooth.
- Bonnie, dimmi che hai trovato il coltello dei Viaggiatori. –
- Viaggiatori?! Era da tanto che non li sentivo nominare. – ma la voce che risuonò nell’abitacolo non apparteneva alla sua amica, né a nessuno altro lì a Mystic Falls. I suoi occhi saettarono sul display del cruscotto quasi a chiedere conferma per quello che le sue orecchie avevano udito. Le lettere cubitali rosse le brillarono negli occhi e per un attimo Caroline vide solo quelle.
Klaus.
Era Klaus.
L’aveva chiamata.
Lui.
Klaus.
Il piede le si impuntò sul freno. Si fermò in mezzo a quella strada isolata che la stava portando a casa, incapace di proseguire.
- Immagino che ti stia trovando in un'altra avventura rischiosa stile Mystic Falls. – continuò a parlare e la sua voce uscì da tutti gli altoparlanti dell’auto, entrandole in ogni poro e tutto quello che aveva nascosto dentro di lei uscì fuori inondando la sua mente. Klaus le aveva chiesto qualcosa… doveva rispondergli… doveva dire… ma il cuore le batteva così forte da farle tremare la bocca.
- Sei nei guai? –
Le chiese. Era preoccupato per lei, come sempre. Dopo tutto quel tempo. Caroline espirò forte concentrando tutte le sue forze sul muscolo della lingua.
- No – disse solo perché solo quello riuscì a dire, si era completamente paralizzata. Doveva riprendersi però, non doveva provare questo per lui, non doveva e basta.
- Caroline se c’è qualcosa che non va io posso… -
- Io sto bene Klaus. – riuscì anche a dire il suo nome e ne fu fiera. Dopo però la persona che le stava facendo sentire in quel modo, fece una cosa che la mise ulteriormente in crisi. Sospirò.
Perché?
Perché sospirare?
Sospirava perché non le credeva? Sospirava perché era felice di sentirla? Sospirava perché le mancava o…
- Ne sono felice, ma io non posso dirti la stessa cosa. –
Caroline sentì il corpo precipitare.
- Che succede? – ma se ne pentì subito. Perché le importava?
- Mi è successa una cosa terribile e mi serve il tuo aiuto. –
No. No. No. No. Cos’era quella botta al cuore. Perché le importava? Pensa a un'altra cosa. Una battuta, sì, ma sembrava così triste. Cosa doveva dirgli?
- Posso richiamarti? – e attaccò. Era stata presa dal panico e gli aveva letteralmente staccato il telefono in faccia. “Ottimo Caroline”. Perché reagire così? Lei non provava niente per Klaus, tutto quello che le aveva detto Katherine era una bugia. Lei non lo amava e poteva avere una normalissima telefonata con lui, anche se lui sembrava a pezzi. Maledetto Klaus. Caroline uscì dalla sua auto. Le stava mancando il respiro. L’aria fresca le gelò le narici, portandole nuovo ossigeno al cervello. Aveva il cuore a mille, salivazione a zero e ogni centimetro della sua pelle sudata. E se Katherine avesse ragione… Ahhhh cosa diceva. Si tolse il giubbotto di pelle bianco e lo lanciò nel finestrino aperto facendolo atterrare sul suo sedile. Doveva solo respirare e pensare. Era la prima volta che aveva sentito Klaus turbato. Lui che era l’invincibile immortale ibrido e sentirlo per la prima volta preoccupato, l’aveva turbata. Ecco qua. “Che incredibile bugia Caroline!”. Lo aveva visto turbato altre volte. Per Silas, per Kol, per Mikael e lei non aveva reagito così. In fondo Klaus attirava a sé i guai come una calamita. Probabilmente aveva combinato qualcosa a New Orleans, chissà fatto arrabbiare qualcuno o altro… era tutto ok. Doveva solo calmarsi.
Aspetta.
Aveva detto che gli serviva il suo aiuto. Perché? Come poteva lei aiutarlo? Il suo cervello però le mandò un ulteriore input. Se Klaus aveva bisogno di lei allora lei poteva chiedergli di sua sorella e della magia. Perfetto.
Prese il suo telefono dalla tasca e trovò il suo numero nelle ultime chiamate. Si scosse tutta per cercare di rilassarsi, e quando credeva di essere pronta, pigiò il tasto di chiamata. Al primo squillo Klaus rispose e Caroline si rese conto che non sarebbe mai stata pronta.
- Cosa devo fare? –
- Ricordi il posto dove ho completato la mia trasformazione. –
- Vuoi dire dove hai ucciso la zia di Elena. –
- Sì. – fu così che rispose alla prima frecciatina che Caroline riuscì a lanciargli. Si aspettava una risatina, o un'altra frasetta delle sue, ma non un semplice sì. Gli era successo qualcosa di grave, adesso ne era sicura.
- Non ti chiederò niente e farò quello che vuoi, ma devo chiederti una cosa. – un attimo troppo lungo ci fu prima che Klaus le rispondesse.
- Tutto ciò che vuoi. –
Caroline si sentì davvero male. Moriva dalla voglia di capire cosa gli stesse accadendo e nello stesso tempo si sarebbe uccisa con le sue stesse mani se glielo avesse chiesto, ma la cosa che più la stava straziando era l’approfittarsi di quella situazione.
- So di tua sorella, della Divina Brynhild. –
- Allora? –
- È lei che sta bloccando la magia delle streghe? –
Ancora attimi di silenzio che Caroline non riuscì a definire.
- Potrebbe anche essere e davvero vorrei correre in tuo aiuto, come ho fatto sempre, ma ora sei tu che devi aiutare me, non te lo chiederei se non fosse importante. –
Qualcosa nella sua voce tremò e se non fosse stato Klaus, Caroline avrebbe giurato che fosse stato per il pianto.
- Ok. – riuscì a dirgli concentrando tutte le sue forze.
- Fatti trovare al confine di Mystic Falls tra tre ore. – attaccò lasciandola nella confusione più totale.

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Capitolo 7
*** House of the rising sun 3 ***


House of the rising sun
Parte Terza


Tre ore e dieci minuti dopo la telefonata di Klaus, al confine di Mystic Falls.
Caroline appoggiata al davanzale della sua macchina parcheggiata appena prima del confine di Mystic Falls, stava attendendo da un bel po'. Klaus era in ritardo e ogni minuto che si prendeva la rendevano sempre più agitata. Era distrutta. Mentalmente e fisicamente. Klaus le aveva lasciato più dubbi che altro, visto che quando lo aveva sentito non gli era parso affatto sereno e l'aver riagganciato senza spiegarle niente, le aveva messo un senso di agitazione addosso. Un' agitazione che non avrebbe dovuto provare. Klaus era lontano, se ne era andato a New Orleans uscendo dalla sua vita definitivamente e allora perchè non smetteva di pensarlo? Comunque, nonostante tutto era riuscita a tornare a casa, farsi una doccia e dormire, o almeno ci aveva provato. Sua madre dormiva da un bel po' data l'ora e quando era uscita da casa aveva preso premura di non sbattere la porta per non turbare il suo sonno.
Altri cinque minuti.
Caroline si aggiustò la manica del giubbotto di ecopelle blu che aveva tirato su per guardare l’ora. “Ahhh tra tanti, perché scegliere questo che è così stretto?”. Si alzò dal cofano specchiandosi sul vetro del parabrezza. Si mise una mano nei capelli stendendo i ricci, non voleva dare l’impressione che fossero stati appena fatti, non voleva dare l'impressione a Klaus che si fosse preparata per lui. Si appuntò uno dei bottoni sul petto della camicia azzurra e in fine diede un occhiata ai jeans stretti neri e se fossero apposto nei stivaletti neri di vellutino. Quando si girò vide l’effetto che le faceva il chiodino blu che le stringeva sui fianchi creando una morbida curva provocante, ma lei non lo aveva scelto per quello, era carino e basta.
Quanto ci metteva? Voleva solo risolvere la questione e andare a dormire. Se quello che le avesse detto Klaus l’avesse fatta dormire?! La voce preoccupata di Klaus le tornò in mente di nuovo e le si formò una massa allo stomaco. Chissà, magari non esisteva nessun problema. Forse voleva solo vederla. Già. Perché allora vedersi esattamente al confine di Mystic Falls? Era davvero una cosa da Klaus, aggirare la cosa.
Sbuffò più forte e tornò a torturarsi i capelli. Se fosse stata davvero quella la ragione, stavolta non lo avrebbe perdonato. Era davvero preoccupata per lui.
Dalla strada due fari rotondi illuminarono il buio preannunciarono una macchina che correva ad alta velocità. Ci mise un attimo a raggiungerla. Non riusciva a riconoscere l’auto, né a vedere chi fosse alla guida, era accecata da quei fari abbaglianti. Poi si spensero. Il motore smise di rombare in quella strada oramai tornata nell’oscurità. Klaus. era arrivato. Caroline si trovò a camminargli incontro e le sembrò che il suo cuore battesse all’unisono con i suoi passi. La porta si aprì. Caroline sì fermò, mentre le palpitazioni erano così forti da renderla completamente sorda. Preparò le sue narici al suo profumo e lo stomaco le si sciolse dall’impazienza. I suoi piedi rincominciarono a camminare, più velocemente. Non le importava niente, voleva solo vederlo.
Uscì dall’auto e Caroline arrestò la sua corsa. Non era Klaus.
Un ragazzo dalla carnagione scura, alto e dai capelli ricci. Non lo aveva mai visto prima.
- Caroline? – le chiese e Caroline riuscì solo ad annuire.
L’auto era vuota, c’era solo quel ragazzo. Klaus non c’era.
– Questo, è il punto in cui mi devi scortare – le si avvicinò mostrandole una cartina autostradale. Caroline però era ancora stranita. Chiuse gli occhi cercando di mettere in fila i pensieri.
- Dov’è Klaus? – forse era quello che voleva sapere o forse no.
- Klaus? Ragazza Klaus ha altri problemi a cui pensare. –
Cos’era quella? Una risposta?
- Davvero! Al telefono mi ha detto che è una cosa importante e per queste cose Klaus non delega. Ci va di prima persona. – era insospettita e turbata, inoltre quel ragazzo aveva un viso davvero irritante, ma in realtà stava solo eclissando la sua delusione su qualcun altro.
- Hai ragione, per questo mi ha compulso. – le sorrise e Caroline ci vide qualcosa di antipatico anche in questo – mi ha ordinato di venire fin qui, viaggiare a massima velocità, di incontrarti, mostrarti questa cartina e prendere dieci sacchi della terra nel posto in cui mi porterai. Comunque io sono Diego. – le porse la mano. Caroline la guardò, ma non fece altro.
- Sai una cosa, adesso lo chiamo. –
- Fai pure. – allargò di più il suo sorriso ritirando la mano che era rimasta sospesa nell'aria. Caroline prese il suo telefono e si allontanò più possibile da lui, cercando un po’ di privacy. Voleva vederci chiaro. Ricordava bene la preoccupazione nella voce di Klaus e doveva essere una cosa seria. Lo stesso Klaus che aveva compiuto un viaggio di venti ore e passa per andare in Italia a recuperare la spada dei quattro cacciatori, avrebbe poi mandato questo mingherlino dal viso aguzzo per risolvere la questione che lo aveva turbato in quella maniera? Qualcosa non andava, se lo sentiva. Il telefono squillò per più tempo stavolta.
- Tutto ok? – Klaus. Il suo cuore saltò, di nuovo, nel sentirlo. “Quando finirà questa storia?”
- Davvero? Dici davvero? Chi cavolo è questo tipo? – si girò verso il ragazzo che da lontano le fece l’occhiolino. Riusciva a sentirla. Un vampiro, era ovvio.
- È uno dei miei servitori. –
- Servitori? – questo la sconvolse più di ogni altra cosa.
- Cosa c’è? Problemi con la mappa? – adesso che le stava rivolgendo qualche parola in più, Caroline sentì oltre alla preoccupazione, la stanchezza. Cosa gli stava succedendo?
- No, no. – e si sentì stupida per essersi così insospettita. – Niente, pensavo fossi in pericolo. – quando si rese conto di aver detto quello che aveva detto, quelle parole erano già diventate reali e le orecchie di Klaus le avevano già udite. “Cosa? Cosa? Perché? Come?” – Voglio dire, tu non sei il tipo di persona che delega, soprattutto quando si tratta di cose importanti. – chiuse gli occhi sperando che il millenario vampiro ibrido con cui stava avendo quella telefonata se la bevesse.
Ci furono due secondi, solo due secondi di silenzio, ma a Caroline sembrarono durare quanto tre vite.
- Hai ragione. – era proprio una voce particolare la sua e Caroline si chiese come aveva fatto a resistere nel telefonarlo. – Il posto da raggiungere non è segnato sulle mappe e il tuo aiuto consiste nell’aiutare il vampiro che è lì con te. Ti stai forse tirando indietro? –
- No, ti aiuterò, porterò il tuo fattorino riccio a prendere il terreno che ti serve, è solo che… -
- Sei delusa perché volevi vedermi? –
Come una lampo di fuoco poteva ardere un intero tronco d’albero, Caroline sentì arrossire ogni parte del suo corpo.
- Cosa? No! –
Dall’atro capo del telefono però Klaus scoppiò a ridere. Una rissata sonora e divertita e Caroline fu invasa da due sensazioni. La prima vergogna, la seconda piacere nel sentirlo ridere dopo tanto tempo.
- Oh Caroline, grazie a Dio esisti. – rise un altro po’ felice di essere stato distratto da qualsiasi cosa stesse passando.
- Se mi fai finire di parlare, volevo solo dire che se fossi venuto tu avremo potuto parlare di tua sorella. – si chiarì facendo ricorso a una frase del suo discorso. Menomale che se l’era preparato.
- Ok, Caroline. – stavolta l’ilarità era completamente scomparsa. - Mi dispiace tanto, ma non posso occuparmi di questo adesso. Farò tutto quello che vuoi, ucciderò tutti i Viaggiatori a uno a uno se occorre, ma ora mi serve quella terra. –
- Passami tua sorella. –
- Cosa? –
- Sì, fammi parlare con lei. È una divinità ma saprà parlare. Deve solo rispondere a una mia sola domanda. – era una cosa semplice in fondo. Voleva solo sapere se era il suo potere a far creare un malfunzionamento in quello delle streghe, nient’altro.
- Non può. –
- È come sarebbe… - cercò di protestare come si era sempre permessa di fare, ma qualcosa le stava dicendo di non tirare la corda.
- Caroline. Hai la mia parola. – la sua parola era solenne, ma Caroline doveva salvare Elena a ogni costo.
- No. Avevamo un accordo. Il terreno per una semplice risposta. –
- Non posso… -
- Sai una cosa, prenditi pure questo stupido terreno, ma non aspetterò i tuoi comodi. – stavolta lo aveva interrotto lei e presa da un impeto di frenesia attaccò. Klaus avrebbe avuto la sua terra e lei avrebbe chiesto alla Divina Brynhild perché la sua comparsa stava riducendo a zero il potere delle streghe, anche se avesse significato andare fino a New Orleans quella stessa sera.
 
Tre ore e mezza prima a New Orleans.
La sera si era inscurita e della brezza fredda soffiava nel cortile portando aria nuova ai tre originali. Stavano lì ad aspettare.
Rebekah sedeva vicino alla vera protagonista della situazione, la nuova sorella di Klaus che poteva usare il cervello come una piattaforma interattiva e rivelare al mondo intero di aver cospirato con il tuo amante contro il tuo stesso fratello, che poteva sprigionare dalla mano un raggio solare capace di uccidere un originale, che poteva modificare la natura delle cose rendendo il tuo sangue benzina, che poteva salvare due vite. Elijah invece era al bar nell’angolo del cortile, si era già versato tre drink e non aveva nessuna intenzione di smettere. Aveva gli occhi arrossati e la mente non lucida, non per l’alcool, ma dai pensieri. Klaus, invece, aveva appena soggiogato uno dei secondini di Marcel per potersi procurare l’ingrediente più importante. La terra di Mystic Falls.
I tre non si erano ancora scambiati parola, finché l’alcool nelle vene di Elijah non lo inibii a parlare.
- Ero con lei, non sarebbe dovuto succedere. – si allargò la cravatta mentre faceva ciondolare un altro bicchiere colmo con l’altra mano.
- Hai ragione, non sarebbe dovuto succedere e sai come? Non uscendo da questa dannata casa! – e come se stesse aspettando questo Klaus buttò tutto fuori con una frase.
- Me l’ha chiesto lei. Pensavo che… - ma Klaus non lo fece parlare.
- Cosa fratello mio, dimmelo che me lo sto chiedendo da quando sei tornato in questa casa sorreggendo tra le braccia il corpo esanime della donna che porta in grembo mia figlia. Proprio ora, che tutti gli generi soprannaturali presenti su questa terra ci remano contro e poi sai una cosa. - Klaus alzò una mano per indicarsi il cellullare che aveva riposto nel taschino della giacca di pelle nera. - Ho appena finito di parlare con Caroline, sai chi sono comparsi a Mystic Falls? I Viaggiatori! –
- Oh mio Dio, quella cittadina deve davvero fare qualcosa al riguardo. Sembra una calamita per le sfortune. – e anche se Rebekah aveva ragione, non era quello il punto.
- E se fossero stati loro, se fosse un incantesimo dei Viaggiatori? – ecco, era quello che voleva dire. Elijah guardò il fratello come se stesse dicendo una cosa assurda.
- La magia dei Viaggiatori richiede dei riti particolari, lunghi e casarecci. Hayley non mi ha lasciato per un secondo e io non ho lasciato per un secondo lei, come potevano colpirla. –
- Non lo so. Io non c’ero e chissà che cosa avete fatto per non lasciarvi neanche per un secondo. – sorrise malizioso e in quell'istante Elijah avrebbe voluto davvero non aver scelto lui a Hayley.
- Calmatevi voi due! – Rebekah si alzò, mettendosi in linea d’aria in mezzo ai suoi fratelli. – Klaus, io credo in Elijah. Se dice che nessuno ha sfiorato Hayley, nessuno ha sfiorato Hayley. –
- Sta di fatto che però la lupacchiotta ora giace morta come da chissà quanti giorni e se non fosse stato per Brynhild, la sorella che ho ritrovato per uno strano scherzo del destino, sarebbe definitivamente morta. – Klaus incrociò le mani dietro alla schiena con l’aria di chi stavolta non poteva essere contradetto.
- Questo evento ti ha cambiato non è così. – ma Rebekah trovò comunque qualcosa da dire. Anche Elijah si era staccato dal bicchiere che stava sorseggiando per poter seguire il discorso della sorella. – Pensateci. Bry ha detto che è stata progettata per ucciderci… -
- Stai insinuando che sia lei la ragione di tutto questo? – Klaus sciolse le mani per indicare sua sorella in trans mentre cercava di salvare sua figlia.
- Come puoi fidarti di lei? E se fosse tutta una pantomima. – aggiunse poi. Si, era esattamente quello che stava pensando Rebekah, ma il suo allarmismo era spinto d’altro. Klaus si stava fidando troppo di quella ragazzine e non doveva succedere.
- Io non mi fido di nessuno. – tuonò Klaus puntando i suoi occhi sulla sorella che credeva essere unica fino a ieri.
- In fondo ha senso. – Elijah raggiunse i due che si trovavano quasi al centro del cortile, fermandosi alla fontana. – Lei piomba qui dal nulla, le streghe scappano, Hayley muore, deve esserci per forza un filo conduttore. –
- Oh all’improvviso hai riacquistato la parola? Ora che sembra che la colpa sia di qualcun altro? Ripeto, io non mi fido di lei, come non mi fido di nessuno, ma ora è Bry l’unica che può risolvere questa situazione e se davvero è stata lei attentare alla vita di mia figlia, la ucciderò con le mie stesse mani, non importa il legame di sangue che ci unisce. – l’aria fresca di quella sera sembrò estiva a confronto con il gelo di quelle parole di Klaus.
L’avrebbe davvero uccisa? Rebekah guardò il seme della discordia che lei stessa aveva piantato, germogliare negli occhi di Klaus. Ci era riuscita, qualsiasi sentimento che Klaus stesse iniziando a provare verso sua sorella, Rebekah lo aveva stroncato sul nascere. Qualsiasi cosa avesse fatto Bry, Klaus oramai non l’avrebbe mai più creduta avvelenato dal dubbio e dalla sua condizione di infelicità interiore. La Divina Brynhild aveva i giorni contati.
 
Alla stessa ora, a Mystic Falls.
Erano passati diversi minuti da quando Caroline li aveva salutati ed era uscita dalla casa dei Salvatore. Da allora, Katherine e Stefan erano rimasti in cucina, in silenzio. Lui ogni tanto alzava gli occhi su di lei per poterle controllare le ferite, poi li distoglieva come se non potesse guardarla per di più di trenta secondi. Doveva essere davvero dura provare dei sentimenti verso la tua ex ragazza che è anche la ex di tuo fratello e mantenere una certa moralità.
- Damon non era in sé, è stata colpa mia. Sono io che voglio sempre dargli delle chance che non si merita. – si, quella era davvero un ottima frase per poter iniziare un discorso serio, nella prima volta che rimanevano da soli.
- Stai bene adesso? – le chiese di nuovo Stefan. Era in tenuta da notte, con una maglia a scollo a V blu sbiadito e i pantaloni di una tuta grigia di chissà quanto tempo, ma risultava comunque bellissimo.
- Si. – gli sorrise Katherine mentre non staccava gli occhi da quello che si intravedeva dallo scollo troppo largo.
- Non ne vuoi parlare? Voglio dire, io so quanto ami Damon e… -
- Forse. – Katherine lo interruppe e gli occhi di Stefan si spalancarono sorpresi. Era proprio Elena a dire quelle cose? – e se non fosse stato amore? Se forse mi ero solo incaponita nel cambiarlo? Non lo so Stefan… non era come quando noi stavamo insieme. -  e gli occhi di Stefan si accesero ancora di più.
- In che senso. -  incrociò le braccia in attesa delle sue spiegazioni, ma Katherine sapeva di stare realizzando il sogno di Stefan. Quello che un giorno Elena si svegliasse e capisse chi era davvero il ragazzo giusto per lei.
- Prima eri tu che rendevi migliore me. – fu facile da dire, perché era la verità. Katherine amava Stefan, lo amava davvero.
Stefan fece un gran sospiro e Katherine vide i suoi pettorali gonfiarsi dalla apertura della maglietta. Poi si mise diritto e deciso si recò verso la porta.
- Dai andiamo a dormire, domani sarà un altro giorno. – le stava dando le spalle ma Katherine sapeva che era solo un modo per allontanarsi da lei. Stefan era suo, era solo questione di tempo.
 
Circa quattro ore dopo, nella terra consacrata dagli Hoenan.
Diego, il vampiro servo di Klaus, aveva appena finito di sistemare i sacchi nella sua macchina. Caroline invece aveva aspettato che finisse appoggiata alla sua. Il ragazzo si pulì le mani sporche sui jeans larghi che indossava e poi sorrise alla sua accompagnatrice.
- So che può sembrarti stupido, ma devi riportarmi al confine della tua cittadina. Klaus mi ha soggiogato anche nel dimenticare la strada. –
Caroline annuì espirando e alzandosi dalla sua seduta. Una volta in auto, azionò il rivelatore del Bluetooth. Si diresse verso la strada principale mentre era seguita dalla macchina sportiva di Diego. Adesso che ben due motori la separavano dalle orecchie da vampiro di quel ragazzino, Caroline chiamò Bonnie. Lo squillo suonò nell’abitacolo e prima che la sua amica rispondesse, spostò lo specchietto retrovisore, così che Diego non potesse vedere le sue labbra muoversi.
- Pronto! Caroline ma dov’eri? – Bonnie era preoccupata. Già perché Caroline non le aveva detto proprio niente.
- Klaus, mi ha chiamata chiedendomi un piacere e io… -
- Caroline, abbiamo appena scoperto che Katherine si è impossessata di Elena e tu corri in aiuto di Klaus? –
- Tu mi hai chiesto di chiedergli un favore e cosa credi che avrei dovuto dirgli davanti una sua richiesta? Conosci Klaus, se fai qualcosa per lui, lui farà qualcosa per te. –
- Ok, allora che ti ha detto. –
Caroline controllò la macchina del vampiro dallo specchietto alla sua sinistra, era proprio dietro di lei.
- Niente. –
- Come niente! –
- Niente. Ha detto che ora non poteva, ma che l’avrebbe fatto. –
- Non possiamo aspettare oltre. Se Katherine si accorge di qualcosa siamo finiti. Può scappare ovunque e nascondersi per anni. Dobbiamo agire adesso. –
- Lo so bene. È per questo che ora andrò a New Orleans. –
- Cosa, no, no, no. Caroline non puoi… - Bonnie venne presa dal panico e lo si sentiva bene.
- Bonnie ho tutto sotto controllo. Klaus ha mandato un suo scagnozzo qui. Lo seguirò fino a che non mi porterà da Klaus. Incontrerò sua sorella, lei mi risponderà, io ti chiamerò e poi vedremo cosa fare. Ho già pensato a tutto. –
Silenzio. La sua amica stava riflettendo su cosa dirle, su come controbattere e cercare un piano migliore, ma non ci riuscì.
- Sembra un ottimo piano, anzi è il nostro unico piano. Ok, aspetterò qui sperando che Stefan sappia intrattenere Katherine. – rassegnata le concesse la fiducia che Caroline meritava.
- Oh, certo che lo sa fare. – Il confine si stava avvicinando. – Devo salutarti Bonnie, mi faccio sentire io. – attaccò.
Al cartellone che pronunciava il benvenuto a Mystic Falls, Caroline rallentò fino a sostare.
Dallo specchietto controllò Diego che non proseguì oltre. Forse aveva l’ordine di non entrare a Mystic Falls. Il ragazzo fece un’inversione a U prendendo la strada di ritorno verso New Orleans. Senza salutarla o ringraziarla. Probabilmente non si ricorderà neanche di lei, Klaus avrà provveduto a soggiogarlo anche su quello.
Ora era il momento. Mise in moto e senza pensarci oltre, seguì Diego con il cuore che le saltava dal petto.

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Capitolo 8
*** House of the rising sun parte 4 ***


House of the rising sun
parte quarta




Klaus finì il bourbon nel bicchiere con un solo sorso. Il liquido ambrato gli scivolò in gola lasciandogli un retrogusto aspro sulla lingua. Posò il suo bicchiere vuoto su uno dei tavolini e poi chissà perché, alzò lo sguardo al cielo. La notte aveva colorato il manto celeste con il suo vestito nero e le stelle brillavano come piccole punte di aghi vicinissime l’une alle altre. Era passato solo un giorno. La sera prima Bry, sua sorella, lo aveva salvato dalle streghe che volevano usare le sue ceneri come concime per quella terra santa che veneravano con tanta fatica. Quella mattina Bry, aveva appena iniziato a scandire qualche parola prima di tentare di uccidere Rebekah. Nel primo pomeriggio Bry, aveva reso dieci cervelli vampiri poltiglia solo per curiosità. Nel secondo pomeriggio Bry, gli aveva raccontato la sua storia. La sera Bry, si era messa tra lui e Elijah per separarli in un gesto che non aveva ben compreso, e poi aveva affermato di poter sistemare quello che era successo, di poter salvare la vita a Hayley e a sua nipote. Ora, a tarda notte, Bry era ancora attaccata alle tempie di Hayley, bloccando così il sangue della piccola che altrimenti avrebbe segnato la sua stessa morte. Gli ingredienti che servivano erano stati trovati tutti da Marcel e messi sul tavolo di legno più grande, mancavano solo i sacchi di terra.
Non doveva fare altro che aspettare e non era solo. Né Rebekah, né Elijah, né Marcel lo avevano abbandonato. Restavano lì ad attendere con lui che qualsiasi cosa avesse in mente Bry, riportasse in vita la sua bambina.
Bry, Brynhild, la Divina Brynhild, sua sorella o chiunque essa fosse, cosa voleva da lui?
Spuntata dal nulla, con quel sorriso sempre pronto e quegli occhioni azzurro zaffiro che seguivano ogni suo passo. Avevano in comune la stessa madre e avevano passato diverse giornate insieme come amici un tempo, ma ora, ora cos'erano? L'essere nati dalla stessa coppia li rendeva fratelli, ma bastava veramente solo questo? Poteva considerare Bry al pari di Rebekah? Di certo tra le due c'era una gran differenza che non si fermava al solo modo di rivolgersi a lui come fratello, ma c'era dell'altro. Non riusciva a considerare Bry come sua sorella. Forse era ancora troppo presto, o forse il suo cuore immortale si era irrigidito, eppure... no, non era quello.
Espirò dal naso posando il bicchiere vuoto sul tavolino pervaso adesso da un nuovo quesito. Come aveva fatto Bry a vivere mille anni in un corpo da lupo? Si immaginò essere al suo posto, cosa che sarebbe potuta davvero succedere, visto i genitori che si trovavano, lui cosa avrebbe fatto? Se fosse stato lui quello all'essere stato allontanato per forza dall'unica cosa che gli restava al mondo? Cosa avrebbe fatto per mille anni in un corpo da lupo? Come avrebbe mangiato, dormito, come si sarebbe difeso? Come sarebbe sopravvissuto? Soprattutto, come non avrebbe fatto a non impazzire?
Si voltò verso di lei, Bry che concentrata era immersa in quello che era il suo prezioso potere e ora Klaus ispirò dal naso. Cosa doveva fare con lei?
Una cosa era certa. Se sua sorella fosse davvero invischiata in quella cosa, questa sarebbe stata l’ultima vita che avrebbe vissuto e sarebbe stato lui a porgli fine.
Klaus controllò l’ora. Aveva soggiogato Diego nel metterci il meno tempo possibile, ma era un bel viaggio da lì a Mystic Falls. L’aveva soggiogato anche nel dimenticare la strada non appena avesse girato la macchina in direzione New Orleans, ma comunque non era del tutto tranquillo. Il motivo era uno e anche molto semplice. Diego doveva incontrare Caroline. Di un colpo si trovò a sorridere. La sua bella Caroline, così piena di vita e pura come nessun altro vampiro che avesse mai incontrato finora, ed era proprio quello ad averlo attratto a lei. L'aveva voluta e la voleva sua più di quanto avesse voluto qualcosa negli ultimi cento anni, ma Caroline non era una preda facile. Le offrì di raggiungerlo, di visitare la sua città e di restare per sempre, ma forse la caparbietà di quella ragazza nel restare ferma nelle sue convinzioni aveva poi giovato a suo favore. Immaginarsela lì, mentre schiere di nemici attentavano a lui e alla sua famiglia, non era esattamente quello che avrebbe voluto per lei. Se poi metteva in conto che tali nemici potessero, appunto, prendere lei di mira…
L’odore della terra viva riempì il cortile prima che Diego vi entrasse. Non era solo, qualche suo amico vampiro notturno lo stava aiutando tenendo gli altri sacchi. L’ultimo ingrediente era arrivato e cospargeva l’aria di New Orleans con quella di Mystic Falls.
- Cosa facciamo adesso? – Rebekah si voltò verso suo fratello. Bry era in trans. Non li sentiva, né percepiva allora come potevano dirle che tutto era pronto.
- Che ore sono? – chiese poi la voce di Bry. Si voltarono tutti a guardarla. Aveva gli occhi aperti, ma le sue iridi erano ancora colorate da quello strano viola glicine. Era ancora connessa a Hayley.
- Come? Ma non era in trans? – chiese Rebekah, preoccupata che la piccola figlia del sole avesse potuto sentito tutte le sue accuse e che potesse trasformarla in un carbone fumante.
- La terra. È stata la terra a farla svegliare. – l’alcool nel suo sangue originale si era già consumato e ora Elijah non aveva nessuna intenzione di distrarsi. Bry aveva detto di poter salvare anche Hayley e lui doveva fare in modo che quanto avesse detto si tramutasse in realtà.
- Le tre e dieci del mattino. – le rispose suo fratello, ma per quanto il viso di Bry sembrasse inespressivo in quel momento, quella frase sembrò turbarla.
- È ancora troppo presto. – schegge di elettricità celeste volarono dai suoi occhi aperti rendendoli luccicanti come le stelle che Klaus aveva osservato prima.
- Presto? Presto per cosa? – Rebekah si stava agitando. Non voleva perdere sua nipote per niente al mondo.
- Dobbiamo andare in un altro posto. – disse Bry e tutti capirono che non era finita lì.
 
La strada era più trafficata di quanto credesse e Caroline aveva perso del tutto le tracce del vampiro che stava pedinando. Quindi adesso era del tutto sola, in una città sconosciuta e per lo più nel bel mezzo della notte. Era stanca, sia mentalmente che fisicamente. Forse cercare un hotel si sarebbe rivelata un’opzione migliore e domani, con il sole e una bella dormita alle spalle, avrebbe cercato Klaus. C'erano diversi Hotel in quella città e tutti con diverse stelle illuminate sulle insegne, non si era portata nemmeno un cambio in quella decisione azzardata, ma aveva con sé sempre la sua carta di credito. Fu allora che vide una macchina rossa sfrecciare all’angolo della strada. Assomigliava tantissimo all’auto in cui il vampiro di Klaus era arrivato fino a Mystic Falls. Più curiosa che certa, Caroline andò a vedere. Non vi era una anima in quelle strade, ma sicuramente lei era più pericolosa di qualunque male intenzionato si volesse avvicinare. Alla fine dell’incrocio vi era una grande villa con un'entrata ad arco, portone in legno, finestre lunghe e balconi in ferro battuto, ma quello che la colpì più di tutto furono le M incise in una scrittura quasi gotica sui pilastri di quella casa. “Può essere che M stia per Mikaelson. In fondo Klaus è la definizione della megalomania.”
Anche se fosse? Poteva mai entrarci senza essere stata invitata e a quell’ora del mattino? Caroline ci pensò su, ma meno tempo ci metteva nel colloquiare con la sorella di Klaus, meno tempo Katherine sarebbe rimasta nel corpo della sua amica.
Parcheggiò.
Il portone si aprì solo spingendolo. Riuscì a passare la soglia, nessun proprietario umano e questo la convinse di più ad andare a dare un'occhiata. L'entrata era piuttosto buia e anonima, ma Caroline adocchiò subito due rampe di scale, una a destra e l’altra a sinistra, che portavano rispettivamente al piano di sopra e al piano ammezzato che circondava la parte sinistra della casa. Altri due passi e si trovò in un cortile rettangolare. Era ampio, con tavoli e sedie in ferro battuto, un bar di legno al lato e una fontana con troppe erbacce che necessitava di una ripulita. Era un bel cortile, ma lasciato andare a se stesso. Un peccato perché aveva un bel potenziale.
- C’è qualcuno? – chiese, ma era da sola, quindi fece affidamento ai suoi sensi. Si concentrò nel sentire qualcosa, e fu accontentata. Sentì il suo odore. L’odore di Klaus. Lo stesso odore che si aspettava di sentire al confine di Mystic Falls quando la portiera di quell’auto si era aperta, ora la stava circondando e si trovò a inalarlo con più avarizia di quanto pensasse. Era proprio un bel profumo. Sentì anche gli altri. Rebekah, Elijah, un odore strano, tra quello dell’ibrido e fragole e poi tanti altri, forse gli altri scagnozzi di Klaus… ma poi ce n'era uno che le sembrò famigliare tanto quanto quelli degli originali. Non era Diego, no… era una donna, magari una licantropa. Sì, l’aveva già sentito, ma davvero non le veniva in mente quando e dove. Pensando, i suoi piedi iniziarono a percorrere le scale lì dove quell’odore si intensificava. Era come se quella persona vivesse in una di quelle stanze. Chi era? Quale licantropo poteva vivere con Klaus? Forse qualche ibrido che Tyler aveva aiutato a liberarsi dal soggiogamento, per questo le era così familiare? O forse la notte insonne la stava facendo fantasticare un po’ troppo. Si fermò fuori alla porta matrice di quell’odore, ma qualcos’altro catturò tutta la sua attenzione, facendole dimenticare cosa stava cercando di scoprire. Si trovava in un corridoio pieno di stanze chiuse, tranne una. Da dove era Caroline poteva vedere cosa c'era in quella camera e vide un treppiedi coperto da un panno. I suoi piedi si mossero più avari di quanto fossero state le sue narici nell'odorare il profumo dell'originale proprietario di quella casa. Era la stanza in cui Klaus disegnava. Il suo odore lì era più intenso e penetrante. C’erano colori in disordine, pennelli in ammollo e disegni di ogni specie. A matita, dipinti, bozzetti. Caroline presa da una grande curiosità, scoprì quello che era sul treppiedi. Raffigurava una ragazzina dai capelli rossi ondulati, dagli occhi azzurro mozzafiato e un sorriso bellissimo. Chi era? Forse era suo l’odore che aveva sentito prima?
Ai piedi della tavolozza dei colori c’era un raccoglitore e dentro vi erano altri dipinti. Caroline ci sbirciò facendo attenzione a non fare danni. Paesaggi. Pitture astratte. Animali selvatici. Persone. Uno era così reale che Caroline volle prenderlo per scrutarne ogni particolare. Era un ragazzo di colore, vestito con degli abiti di un epoca lontana. Aveva tra le mani una spada in un cortile che somigliava quello di quella casa. Sembrava una foto scattata a una scena di una vita passata. Quando Caroline fece per metterlo a posto, ne vide un altro. Una ragazza bionda e dai capelli ondulati.
- Klaus, sei sempre lo stesso. – lo prese aspettandosi di vedersi dipinta dalla mano dell’ibrido col talento più grande che lei avesse mai visto, ma ne rimase delusa. Era una ragazza bionda, con i capelli ondulati, gli occhi azzurri e zigomi alti, ma quella non era lei. – E chi diavolo è questa? –
 
Il posto che dovevano raggiungere era una cima alta, la più alta che c’era in zona, non importava quale. Klaus era al volante di un furgone dal vano ampio, dove c’erano Hayley stesa sul freddo metallo, Bry inginocchio con le mani alla sua testa e Elijah che controllava che i dossi e le curve non facessero staccare Bry dalla connessione con Hayley. Rebekah e Marcel li seguivano con la Spider rossa. Il monte Driskill, il più alto di tutta la Louisiana distava quattro ore dalla città, quindi Klaus optò per le colline più vicine. Riuscì a trovare una distesa d’erba. Si fermò e uscì. Era passato davvero troppo tempo da quando Bry era entrata nel corpo di Hayley e per quanto fosse un essere potente, anche lei esauriva le energie. Aprì la porta scorrevole sul lato del furgone mentre la macchina di Marcel e Rebekah parcheggiava alle sue spalle. Klaus trovò Bry con gli occhi aperti, stavolta erano i suoi veri occhi celesti. Sua sorella scese con un salto afferrando a volo la borsa in cui avevano messo gli ingredienti.
- Cosa facciamo ora? – gli chiese suo fratello, ma Bry alzò un dito per azzittirlo. Non c’era tempo da perdere e non ci voleva un genio per capire che a sua sorella non piacevano le chiacchiere inutili. Corse al centro della radura, mentre il cielo si era colorato in un rosa salmone lì dove il sole stava per sorgere. Bry si inginocchiò a terra appoggiandoci le mani. L’onda del suo potere Hoenano partì dai suoi palmi investendo la terra che si ritrasse in un fosso profondo più di due metri. Afferrò la borsa e senza preoccuparsi dei convenevoli rovesciò tutto dentro. Prese le forbici, non era un ingrediente citato nel suo libro, ma le aveva chiesta espressamente prima di salire nel furgone, le aprì, afferrò i suoi lunghi e perfetti capelli, li fece passare tra le due lame e lì tagliò. Tutti, senza battere ciglio e poi li buttò nel fosso, come se fossero anche loro parte degli ingredienti. Dopo alcuni secondi di silenzio, una Bry dai capelli cortissimi si voltò verso gli altri.
- Cosa fate lì impalati? La terra e la ragazza, ora! – urlò ai quattro vampiri che erano rimasti rapiti dal suo operato. Elijah corse da Hayley, il corpo di quella ragazza aveva subito già troppi martiri, quindi si occupò di trasportarla con cura. Klaus e Marcel portarono i sacchi, mentre Rebekah non si mosse da dov’era. Bry aveva alzato le mani al cielo, esattamente come Klaus l’aveva vista fare nel ricordo in cui lei affrontò la loro madre usando fulmini come arma e qualcosa alle loro spalle mutò. Il cielo. Lo spicchio rosso del sole stava sorgendo con una velocità che in mille anni di albe, gli originali non avevano mai visto. A macchia d’olio, la luce solare stava coprendo l’oscurità della notte, in una rapidità triplicata.
- Sei tu a fare questo? – le chiese Rebekah scioccata, si era proprio scioccata, ma Bry era troppo concentrata per risponderle, ci pensò Klaus.
- Ovviamente. – ma la sua voce era cambiata. Fino a poche ore fa, Klaus avrebbe spiattellato l’enorme potere di sua sorella in faccia a tutti e si sarebbe anche divertito nel farlo, ma ora invece no, anzi, era preoccupato, non per la circostanza surreale, ma proprio dal potere enorme che quella, che era un'arma creata dalla natura per poterli uccidere tutti, sapeva emanare.
Il sole raggiunse il centro del cielo, come se fosse stato mezzogiorno, ma erano soltanto le cinque e mezza del mattino, quando dal terreno iniziò a germogliare una pianta. Foglie dopo foglie, rametti dopo rametti, quell’esile arbusto si stava trasformando in qualcos’altro alla stessa velocità di quell’alba soprannaturale. Ci vollero solo pochi secondi e una quercia robusta e folta fu davanti ai loro occhi. L’albero della vita. Un intero albero creato da Bry dal nulla.
- Ora? – le chiese Klaus. Era vicino a lei, tutti lo erano eppure nessuno si era accorto che Bry aveva le mani chiuse l’una sull’altra, come a nascondere qualcosa. Un luccichio su una lucida superfice argento che riuscì a farsi vedere attraverso le sue manine fece supporre a Klaus che sua sorella stesse stringendo le forbici tra le mani.
- Non ti piacerà quello che accadrà ora. – Bry aprì le mani scoprendo il loro contenuto e Klaus si chiese come aveva fatto sua sorella a procurarsi un paio di bisturi, poi ci arrivò… “Posso modificare la materia”. Bry aveva trasformato le forbici in un bisturi! Klaus spalancò gli occhi nell’istante in cui realizzò cosa sarebbe successo. Allungò una mano verso sua sorella per cercare di fermarla, ma una forza lo scaraventò lontano da lei. Lì scaraventò lontano da lei. Marcel, Klaus ed Elijah si trovarono a rotolare per metri prima di potersi fermare. Elijah che fino ad allora aveva avuto Hayley tra le braccia, se ne trovò senza. Trovò l'aiuto di Rebekah e alzandosi Elijah potette vedere dov’era la ragazza. Hayley era trattenuta in aria dalla stessa forza che li aveva scaraventati via. Da Bry.
Klaus si alzò correndo verso di lei, mentre la piccola mano di Bry stringente il bisturi si avvicinava alla pancia curva di Hayley, ma non riuscì ad avvicinarsi. Il suo corpo sbattette su una superficie invisibile. Una barriera.
- BRYYYYYYYYYYYY!!!!!!! – urlò cercando di oltrepassare tale potenza, ma sua sorella aveva già inciso una lunga linea diritta sulla pelle nuda della donna che portava in grembo sua figlia. – NOOOOOOO!!!!! –
Anche Elijah iniziò a battere contro a quella barriera magica, ma quella potenza non poteva essere abbattuta.
Bry, protetta dalla sua stessa magia, mise le mani sul ventre insanguinato di Hayley e come aveva sfilato il pugnale di Papa Tunde dal petto di Klaus, fece uscire da quella pancia quasi ibrida la sacca placentare. La teneva fluttuante nell’aria.
Lì. Tra sangue e liquido amniotico c’era sua figlia. Klaus la vide, piccolissima e indifesa e poi non vide niente più. La rabbia, lo accecò completamente.
- SE OSI USARE LA VITA DI MIA FIGLIA PER QUALCHE TUA RAGIONE, SE IL TUO SCOPO È SACRIFICARLA AI TUOI DEI, SE MI HAI TRADITO SORELLA, SAPPI SOLO CHE LE TORTURE CHE MIKAEL HA AFFLITTO AI TUOI CARI SONO NULLA IN CONFRONTO A QUELLO CHE TI FARÒ IO! –
Solo allora Bry si voltò verso i vampiri che aveva lasciato fuori, ma guardò solo suo fratello. Non ebbe il modo di dire niente, perché i rami dell’albero da lei creato, iniziarono a muoversi in direzione di quel feto. Si intrecciarono tra loro formando un basco. Bry ci fece volare dentro la piccola. I rami si chiusero come due braccia di madre che abbracciano un figlio. Bry accarezzò l’albero recitando parole nella sua lingua e ai suoi tocchi il legno divenne iridescente, come lo divenne lei. Non c’era nessuna differenza tra i due. Flussi di luce e scintille elettriche circondarono quegli esseri colorando l'aria di un celeste pallido e luminoso, così luminoso da impedire la loro visuale, anche se gli occhi che ora stavano assistendo a quella scena appartenevano a dei vampiri originali. Klaus continuò a colpire quella barriera fino a farsi sanguinare il dorso della mano e in bocca poteva già pregustarsi il sapore di quel sangue che non aveva ancora assaggiato, del sangue di sua sorella e ne avrebbe bevuto fino all'ultima goccia. Rebekah afferrò la sua mano insanguinata che lasciò un'orma rossa viva su quella parete magica. La strinse nella sua proprio quando con l'altra asciugò una sua lacrima che non si era reso conto di aver pianto e prima che gli occhi di chi aveva fatto bene a dubitare, prima che potesse pronunciarsi nell'aiutarlo in qualsiasi vendetta volesse issare su la divina Brynhild, successe.
Un suono che non era abituato a sentire, scavalcò quella nebbia azzurrina facendolo voltare. L'impronta della sua mano era andata via e quel fumo magico superò i limiti issati dalla barriera di Bry. Klaus allungò una mano, non c'era più, la barriera era scomparsa. Un pianto, quel suono era un pianto da neonato. Sua figlia? Era il pianto di sua figlia?
La nebbia era oramai dissolta e l'albero magico e Bry tornarono ad essere visibili. I rami che avevano chiuso il feto di sua figlia erano aperti mostrando la bambina più bella che lui avesse mai visto. Fu come se un nodo stretto nel cuore si fosse sciolto all'istante, fu come sé sentisse ora un altro se stesso all'infuori del suo corpo, fu come sé fosse sempre stato legato a lei, a quella piccola, a sua figlia.
- Lei è un Hoenan e può usare la natura a suo piacimento, anche per nascere. – gli disse Bry ma la sua voce a stento si sentiva. – Sapevo che avresti tentato di fermarmi nel momento in cui avresti capito il procedimento dell'incantesimo, per questo ho issato la barriera. – si spiegò, anche se quello che aveva appena fatto per suo fratello, superava ogni immaginazione. Klaus si avvicinò a sua figlia, mentre Elijah andò a prendere Hayley. Il suo ventre stava già sanando, era già un ibrido. Rebekah non poteva crederci, doveva essere contenta perché sua nipote era salva, ma non lo era, non del tutto, Bry era davvero un essere forte, forse addirittura invincibile e... poi la sua mano fu presa da qualcuno e quando abbassò il viso trovò la mano di Marcel nella sua. Era accanto a lei, come sarebbe dovuto sempre essere e la mente di Rebekah lasciò perdere qualsiasi concezione stava creando per potersi godere quel momento.
Klaus andò a prendere sua figlia. Delicatamente mise le sue mani attorno alla cosa più preziosa che avesse mai potuto afferrare e fu terrorizzato nel poterle farle male, ma invece sua figlia smise di piangere. Come se stesse solo cercando questo, come se stesse solo aspettando suo padre e lui era arrivato, e non l'avrebbe mai lasciata andare via. Morbida, tenera, dolce, profumata e bellissima. Sua figlia. Le baciò la guancia e rise divertito quando si rese conto che era così piccola che le sue labbra le coprivano mezza faccia. Era il giorno più bello della sua vita e lo doveva tutto a Bry, sua sorella. Si voltò con un gran sorriso e gli occhi pieni di lacrime di gioia.
- Come avrei potuto farle del male? Come avrei potuto far del male a te? Non capisco… -
Klaus allungò la mano libera afferrandole il braccio prima che potesse cadere a terra. Era stanca, stanchissima.
- …cosa ti è successo? – finì la frase in un sospiro già sorretta completamente da Klaus e lui in quell'attimo si rese conto di stare stringendo quello che per tutta la sua vita aveva disperatamente cercato, dei suoi simili, la sua vera famiglia e per un breve attimo la sua mente calcolatrice tacque sotto al battere forte del suo cuore.
 
Invece di trovare delle notizie della Divina Brynhild, Liv si era addormentata in mezzo ai libri di magia della sua famiglia. La sveglia suonò alle sei come ogni giorno. Alla prima ora aveva biologia, ma era l’inizio del secondo trimestre e perdere una lezione non sarebbe significato molto. Spinse i libri gettandoli via dal letto, poi afferrò il piumone e si mise sotto incurante di essere ancora vestita.
- Questo non è il giorno giusto per dormire. –
Liv spalancò gli occhi mettendosi a sedere in mezzo al letto. Un ragazzo magro, dalla carnagione chiare e i capelli a spazzola castani era nella sua stanza.
- Chi sei? Come sei entrato? – gli puntò una mano contro, dimenticando che la sua magia e quella di tutte le streghe era fuori uso.
- Calmati. Non sono realmente qui. Ho un messaggio per te proveniente da New Orleans. –
Liv lo guardò di nuovo, no non lo conosceva affatto, poi una cosa fra le tante che le aveva detto le sfrecciò in testa.
- Non sei qui? Sei una strega e stai usando la magia? Come? - Liv si alzò dal letto raggiungendolo.
- Sh! - il ragazzo alzò una mano e ogni millimetro del cranio di Liv si accese.
- Cosa mi stai facendo? – Liv venne spinta a terra, ma non per il dolore, anzi. Era come se tutti i suoi sensi si stessero attivando contemporaneamente.
- Sì, riesco ad usare il potere perché la cosa che ci ha reso inermi, adesso è momentaneamente fuori uso. È una ragazzina tanto generosa, specialmente quando si tratta del fratello. Si è quasi uccisa per salvare la sua progenie e la lupa che le ha dato la vita e ora, tutti i suoi incantesimi sono cancellati, fino a quando non si sveglierà. – il ragazzo chiuse la mano e contemporaneamente l’impulso nel cervello di Liv cessò, ma non del tutto. Si sentiva diversa, completamente. – E per rispondere alla tua seconda domanda, ti ho reso molto più forte. -
- Perché? – addirittura anche la sua vista sembrò cambiare. I colori le sembrarono più accesi.
- Tu sei l’unica strega rimasta in questa cittadina e proprio in questa cittadina c’è qualcosa che io voglio. – le accarezzò il viso, Liv sentì tutti i pori della pelle recepire quel contatto. – E tu devi prendermelo. –

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Capitolo 9
*** Darkshines Parte 1 ***


Darkshines
Parte Prima

 
 
"Passandomi accanto tu illumini i miei cieli più oscuri
Pochi secondi e mi trascinerai dentro
Quindi sii mia e la tua innocenza io consumerò
Oscuri bagliori
Che mi portano giù
Facendo sentir male il mio cuore
Perché va bene
Tieni di nuovo le tua mani sui tuoi occhi
Nasconditi dalle scene spaventose,
Reprimi le tue paure
Quindi sii mia..." 
Muse - Dark Shines




L’effetto del potere di Bry, durava in media due ore. Ne erano passate molte di più, ma Hayley non si era ancora svegliata. Elijah era nella sua stanza e attendeva che rinvenisse accanto al suo letto.
Il corpo di Hayley si animò. La testa si mosse in uno scatto impercettibile. Pochi secondi dopo la ragazza spalancò gli occhi con un grande espiro. La prima cosa che fece da sveglia, fu quella di mettersi una mano sulla pancia. Al tatto, si rese conto che il rigonfiamento era sparito e fu presa dal panico.
- Va tutto bene. La bambina sta bene. – Elijah gli prese le mani rassicurandola dolcemente. Hayley lo guardò, ma non sembrò riconoscerlo e corse via da lui. Elijah sapeva bene dove era andata. La trovò nella camera accanto, in piedi vicino alla culla di sua figlia. Hayley guardò la sua bambina che piccolissima dormiva avvolta in morbidi panni, poi si voltò verso di lui con gli occhi pieni di lacrime. Elijah la prese tra le sue braccia e sul suo petto, Hayley liberò le sue lacrime.
- Ero morta… io… io –
- Va tutto bene. Sh! Va tutto bene. – gli ripetette accarezzandole i capelli. Hayley si calmò a poco a poco, cullata da quelle possenti braccia.
- Chi è stato? Io… io non ricordo niente. – la sua voce tremò per gli spasmi dell’agitazione, Elijah l’abbracciò ancora più forte.
- Forse le streghe, forse altri nemici, non lo sappiamo ancora, ma quando lo saprò la vita di chi ha osato attentarti non vedrà un'altra alba. Te lo prometto. – le baciò la fronte ed Hayley chiuse gli occhi per poter trattenere tutte le sue nuove sensazioni.
- Perché sono ancora viva? – gli chiese poi imprigionata in quelle braccia dalla quale non avrebbe mai voluto essere scarcerata.
- Tua figlia. Il suo sangue. – parlò stretta a lei. Non era chiaro se fosse lui a sorreggerla o viceversa.
- Come può essere già così grande, ero incinta di soli tre settimane. –
- La Divina Brynhild, l’ha salvata dalla tua trasformazione e… -
- Cosa? – solo allora Hayley alzò il viso. Non riusciva a credere a quello che aveva sentito. Elijah le mise una mano sulla guancia e Hayley a quel contatto chiuse gli occhi, doveva ancora abituarsi a quel suo nuovo modo di sentire.
- Gli ibridi hanno bisogno del sangue dei loro creatori per vivere e se ti saresti trasformata con lei in grembo, la tua sete… -
- Non ho sete ora. – lo interruppe, perché solo adesso ci stava facendo caso. Elijah la guardò nei suoi occhi castani, quegli occhioni che aveva creduto di non vedere più.
- Bry, è il suo potere. – Elijah appoggiò la testa alla sua e chiuse gli occhi respirando il suo profumo.
- Allora ricordami di ringraziarla. –
Rimasero abbracciati per chissà quanto altro tempo. Nessuno dei due aveva il coraggio di allontanarsi, nessuno dei due voleva farlo.
- Non ricordi niente? – le chiese di nuovo Elijah rompendo il silenzio. Da quando l’aveva appoggiata sui tavoli del cortile, con il cuore muto da oramai diversi minuti, non si era dato pace. Aveva ripassato in mente ogni dannato minuto che avevano trascorso su quel battello, e non aveva trovato un cavillo. Forse…
- Ricordo… io e te che ballavamo… - Hayley gli parlava senza staccarsi da lui, con gli occhi ancora chiusi e le braccia attorno al suo collo. – Ricordo una adorabile vecchia signora, mi ha accarezzato la pancia e poi… -
- Ricordi di aver sentito qualcosa di strano all'ora? – solo a quel punto Elijah alzò la testa dalla sua. Era l’unica possibilità. Solo quella signora si era avvicinata a tal punto da poterle fare qualcosa e se Klaus avesse ragione, se i viaggiatori c’entrassero qualcosa e avessero usato la loro magia per sanare vecchi conti? Se quella anziana signora fosse una di loro?
- Niente. –
- Niente, perché non ricordi o niente… -
- Elijah! – Hayley gli prese la testa con le mani per tranquillizzare l’agitazione che stava mostrando. – Io sto bene. La bambina sta bene. Noi stiamo bene e non è stata colpa tua e non è stata quella signora. Era solo una semplice umana. Lo sai anche tu, altrimenti non l'avresti fatta avvicinare. – disse di un fiato. Elijah annuì tra le sue mani e poi ne baciò il dorso. Hayley sentì come se le avesse baciato tutto il braccio.
- Avevo così paura di perderti. – e delle lacrime da troppo tenute nascoste, gli scesero sulle guance. Hayley le asciugò usando i pollici, tenendo ancora le mani alle sue guance. 
Lo sentiva.
Elijah.
Lo sentiva dieci, cento, mille volte di più di come lo sentiva prima.
Qualcuno le aveva detto che i vampiri avevano questa capacità, ma non aveva mai capito di che si trattasse. Ora lo sapeva. Il suo cuore batteva per lui, forte prima, fortissimo adesso. Le sue mani volevano toccarlo prima, il desiderio era irrefrenabile adesso. La sua bocca voleva baciarlo prima ora… Lei lo aveva pensato, ma fu Elijah a farlo. L’aveva baciata mentre lei scrutava i suoi nuovi sensi e non sé ne era neanche accorta, ma ora sì. Lo baciò e tutto il suo corpo sentì quel contatto. Elijah. Il suo Elijah. La teneva stretta a sé come se non volesse lasciarla andare. Hayley sentì il suo corpo sul suo e non seppe come… erano ritornati nella sua stanza. Era stato lui o lei? Elijah la baciò sul collo. Le sue labbra erano morbide e calde, e a ogni loro tocco Hayley si sentiva morire. Prese la sua mano e lo portò fino al suo letto, dove si sedette. I suoi occhi non lo lasciavano. Non si sarebbe accontentata di un solo bacio, non ora che poteva sentire in quella maniera, non ora che era appena tornata dalla morte. Ogni secondo che passava tra loro, rendevano Hayley sempre più agitata. Sapeva bene che c’era una grande probabilità che Elijah la lasciasse lì, per uscire dalla sua stanza e fuggire dai i suoi sentimenti, come aveva fatto finora. Se l’avesse fatto, Hayley non glielo avrebbe mai perdonato. Elijah rimase al suo posto per tre interminabili secondi e poi si avvicinò. La baciò. Aveva scelto lei. Aveva scelto di amare lei.

Stava dormendo.
Quel letto era davvero comodo e le coperte così morbide che Caroline desiderò di non svegliarsi, almeno non per ora. Quella città era una meta famosa per il turismo e trovare un hotel grazioso, pulito e accogliente fu facilissimo, trovare invece un pigiama alle cinque del mattino un po’ meno. L’unica cosa che aveva scovato come tale era una di quelle magliette nere con il logo della città scritto in caratteri cubitali che si trovavano in tutti gli autogrill della nazione. Ne prese una più grande di quattro taglie così da stare comoda. Lo era. Era da tempo che non dormiva così profondamente e… poi un rumore le disturbò il sonno. Era basso e cupo. Di nuovo. Caroline non voleva aprire gli occhi, stava così bene nella sua coperta morbida da hotel semi lussuoso, ma quel rumore si fece risentire e i suoi sensi da vampiro si attivarono. Aprì gli occhi nel momento in cui realizzò che i tonfi non erano altro che bussate alla sua porta. Si scoprì le gambe che nude si gelarono al contatto con l’aria più fresca. Si stropicciò gli occhi, mentre un'altra bussata, stavolta più forte, la fece alzare dal letto che non voleva lasciare. Chi poteva essere a quell’ora? Ma che ore erano? Cercò un orologio intorno a sé e trovò la sveglia elettronica sul comodino, lampeggiava un dodici e un zero cinque in rosso. Cosa? Aveva dormito fino a tanto?
- Ti sento, sei proprio dietro alla porta. –
Quella voce.
La sua voce.
Suonò da dietro alla porta proprio come se fosse già entrato in stanza.
Caroline corse ad aprire.
Klaus.
Klaus era in piedi fuori alla sua porta.
Era lì a un passo da lei.
- Cosa ci fai qui? – le chiese entrando nella sua stanza e chiudendo la porta alle sue spalle. Aveva la sua solita espressione arrabbiata, col le sopracciglia unite e la mascella chiusa. Era arrabbiato con lei? A Caroline non le importò, era così vicino da farle mancare il respiro.
- Te l’ho detto, sono qui per i Viaggiatori e per tua sorella che… -
- Bugiarda! – continuò ad avvicinarsi a lei, Caroline si trovò a indietreggiare quasi come a voler scappare da lui, dal suo corpo, dai suoi occhi, dalla sua bocca, dal suo profumo, dalle sue spalle, dal suo petto… i passi di Caroline si interruppero, la stanza era finita e ora era con le spalle al muro. Non aveva più via di uscita. Klaus l’aveva messa in trappola. – Dimmi la verità, perché sei qui? – erano così vicini che i loro nasi potevano sfiorarsi, ma a Klaus non gli bastò, mise le mani al muro imprigionandola. Caroline non riuscì a parlare. Non riusciva a fare altro che guardare nei suoi occhi verdi e sperare di ricordare di respirare. Klaus le accarezzò una guancia con un dito e quel contatto fievole le fece perdere ogni appiglio con la sua ragione.
- Sono qui per te. –
Gli rispose.
Finalmente ci riuscì, ma Klaus non le permise di dire altro. La baciò. Lei glielo permise.
Si aggrappò a lui mettendogli le mani al petto e sentendo i suoi muscoli sotto alla sua maglia sottile aumentò l’intensità del bacio. Lei non era una prigioniera, lei possedeva le chiavi.
Klaus mise le sue mani nei suoi capelli, tirsndola a se. Aveva ancora gli occhi aperti. Voleva vedere tutto. Voleva vedere lei e non perdersi un attimo di loro. Caroline espirò dal naso desiderosa di lui e questo fece scattare qualcosa in Klaus. La foga. La portò al letto e la spinse sul materasso, Caroline atterrò sulle coperte morbide tirandosi sui gomiti mentre Klaus si sfilò via la maglietta. Si chinò su di lei a dorso nudo e prese di nuovo le sue labbra nelle sue. Caroline lo voleva, voleva lui e tutto quello che significava. Era pronta, ma Klaus si fermò. I suoi occhi la stavano guardando in silenzio e Caroline non riusciva a capire cosa c’era che non andava, poi lo udì anche lei… un tonfo. Due. Tre.
Caroline si svegliò.
Si alzò di mezzo busto. Aveva la gola arida e la pelle sudata. Corse in bagno sciacquandosi il viso. Quella non era la prima volta che sognava Klaus, ma mai era stato così… intenso. Caroline alzò lo sguardo allo specchio sospirando. Cosa aveva fatto? Forse era ancora in tempo per tornare a casa. Forse c’era un altro modo per salvare Elena. I tonfi alla porta si fecero sentire di nuovo, Caroline non li aveva sognati. Cercò l’orologio, segnava mezzogiorno e venti, un quarto d’ora più tardi del sogno, ma la fece rabbrividire comunque. Caroline guardò la porta, impaurita. Quella situazione assomigliava così tanto al suo sogno da metterle i brividi. La persona fuori alla porta non parlò, semplicemente perché non possedeva i sensi per udirla. Caroline lo sapeva, sentiva le sue vene umane pulsare dal retro della porta e il suo stomaco brontolò. Aveva detto che avrebbe lasciato la stanza alle undici e aveva sforato di gran lunga il termine. Aprì la porta e una donna sulla quarantina vestita in veste da cameriera le fu davanti. Caroline la guardò diritta negli occhi e le sue pupille si allargarono.
- Hai bussato e hai visto che la signorina della 206 era andata via, ma hai tanto di quelle cose da fare che aspetterai un’ora abbondante prima di avvisare la reception e dare a me così il tempo di una doccia. – chiuse la porta sorridendole. Odiava ammaliare la gente per cose frivole e infatti l’igiene personale non lo era. L’unica cosa che aveva portato con se erano i vestiti del giorno precedete, quindi la seconda cosa che avrebbe fatto prima di recarsi alla villa di Klaus, sarebbe stata quella di comprarsi degli abiti nuovi. La prima era nutrirsi.

- Sveglia dormigliona. –
Katherine era completamente sommersa dalle coperte e si aprì uno spiraglio. Giusto quel poco da poter vedere il sorriso di Stefan andarle incontro.
- Che ore sono? – gli chiese poi coprendosi gli occhi dal sole che entrava dalle finestre dalle tende tirate.
- Quasi le dieci. – Stefan si sedette su una parte del letto libero e probabilmente non si sarebbe alzato finché non avesse ottenuto quello che voleva.
- Ma non è sabato? – si buttò di nuovo sul materasso cercando di trovare la stessa posizione in cui era prima, era davvero comoda. Dormire le era sempre piaciuto e odiava quando la svegliavano a mattina "presto".
- È mercoledì. – Stefan la scoprì tirando via le coperte che Katherine si era tirata su fino a coprirsi la testa, ma Katherine afferrò un cuscino e sé lo mise in faccia. – Dai, Enzo è con Damon, dopo sarà il turno di Tyler. Abbiamo due ore libere. So che dopo tutto quello che è successo hai bisogno di svago e io so cosa ti piace fare per svagarti. –
Katherine uscì allo scoperto con il viso corrucciato dal sonno e uno sguardo incuriosito.
- Non stai parlando di sesso, giusto? – forse era il sonno ad annebbiarle la mente, perché quella decisamente non era una frase da Elena, ma da Katherine. Stefan scoppiò a ridere, neanche lui se lo sarebbe aspettato da lei, anche se sapeva benissimo chi fosse e che parte stava recitando. Fu difficile tornare serio e di interpretare la sua di parte, cioè di intrattenitore pronto a flirtare leggermente, ma stando sulle sue, perché in fondo quella era sempre l’ex di suo fratello.
- Sto parlando della mia motocicletta. – Stefan gli sventolò le chiavi sul viso. – Su, se ti prepari in fretta te la lascio guidare. – si alzò dal letto. Katherine lo guardò uscire dalla camere e ancora non aveva capito come aveva ottenuto un appuntamento con Stefan, senza fare il minimo sforzo, ma in fondo era quello che voleva, quindi decise di scendere dal letto. Sbadigliando ancora un po’ lanciò le mani al cielo per stirarsele, poi fece un gesto comune a quella generazione, controllò il suo telefono. La bustina dei messaggi stava lampeggiando. Era un messaggio vocale di Caroline e di quella stessa notte. Curiosa Katherine spinse play.
“Ho pensato a quello che mi hai detto. Di tutta la situazione con Klaus, New Orleans e altro e… e… forse, non lo so, forse dovrei andare da lui e se provo quello che credi che io provo, che in realtà non provo, almeno lo saprò. Insomma hai capito? Ti chiamo appena posso. Ciao.”
No. Katherine non aveva capito niente. Le sembrava solo una voce stridula e tanti blablabla, allora decise di riascoltarlo e stavolta capì il senso. Caroline era andata a New Orleans, l’aveva convinta, ci era riuscita e non sé ne sorprese. In fondo era esattamente la cosa di cui era più brava in assoluto. I suoi piedi toccarono il caldo parquet dei Salvatore in quella che si sarebbe rivelata una gran bella giornata.

L’unico bar aperto di mattina in quella cittadina dimenticata da Dio, era proprio l’unico bar di quella cittadina, eppure gli unici suoi clienti erano lei e il piccolo ibrido Tyler. Nadia era al quarto bicchiere ed era solo l’inizio di quello che era abituata a bere normalmente, quindi spinse il suo bicchiere vuoto verso il barista che glielo riempì, guardandola sottocchio.
- Le occhiate di disapprovazione sono incluse nel prezzo? – gli disse poi con la testa china.
- Se fossero escluse questo bar guadagnerebbe il triplo. – Tyler seduto alla sua destra alzò il bicchiere verso la sua unica compagna di bevute.
- Ragazzi, non sono affari miei, ma io credo possiate fare di meglio che restare a ciondolare qui ogni giorno della vostra vita. – Matt allargò le mani mettendo in mostra il suo punto di vista.
- Certo e io partirò con l’andarmene da questa inutile ramanzina. – Tyler scese dal suo sgabello infilandosi il giubbotto nero di pelle. – Matt, figlia di Katherine, ci si rivede alla prossima ora di rimpianti e commiserazione. – lasciò i soldi sul bancone e andò via.
- Io non capisco quel ragazzo. È un ibrido adesso, può fare quello che vuole della vita, perché invece rimane in questa città? – e con un solo sorso Nadia tracannò il suo drink.
- E tu? Perché sei ancora qui? – Matt prese il suo bicchiere vuoto sciacquandolo sotto al getto dell’acqua calda, prima di metterlo in lavastoviglie.
- Non ho finito! – protestò la sua unica cliente, ma Matt non la stette a sentire.
- Rispondimi prima. – si appoggiò al bancone sporgendosi verso di lei.
- Lo sai che potrei ucciderti e in un solo secondo. –
- Ok, volevo solo farti parlare un po’, ma se credi che la bottiglia sia una amica migliore di uno in carne ed ossa… - le mise un nuovo bicchiere vuoto e glielo riempì con il suo drink preferito. – sei servita. –
- Amico? – Nadia lo guardò per cercare di vedere se quel biondino si rendesse davvero conto di quello che stava dicendo, ma poi forse esserle amico avrebbe aiutato sua madre a sapere di più su Elena.
- Va bene. Sono ancora qui, perché l’unico motivo della mia immortalità era quello di ritrovare mia madre e ora che lei è morta, mi prendo qualche giorno per vedere in quale direzione deve andare la mia vita immortale. – disse di un fiato mentre gli occhioni blu di Matt seguivano il suo discorso.
- Sai, il mio capo mi ha chiesto di selezionare del personale. – e da sotto il bancone Matt prese uno dei moduli di richiesta di lavoro. – Perché non lo compili, visto che hai deciso di sprecare qui i tuoi giorni, almeno mi aiuti. –
- Sei uscito fuori di testa? – ma Matt le aveva anche procurato una penna. – Non posso. –
- Perché? Hai mai lavorato prima? –
Nadia si limitò ad alzare le spalle e Matt non potette crederci.
- Cosa? – scoppiò a ridere incurante che quella che stava prendendo in giro era una vampira pericolosissima. – Non riesco a crederci. –
- Dammi qua! Quanto può essere difficile. – prese da un impeto orgoglioso Nadia iniziò a scrutare le domande di quel foglio, pronta a dimostrare a quel umano che nessuno poteva prendersi gioco di lei.
- Io sono in magazzino, se c’è qualcosa che non capisci… - ma gli occhi carbone di Nadia lo fulminarono. Con le mani alzate e un gran sorriso entrò nel magazzino. Lì si recò alla friggitrice che aveva acceso in precedenza e calò nell’olio bollente il cesto con le patatine fritte. Con quel casino, prese il cellulare e chiamò Bonnie.
- Pronto Matt! Allora? -
- Va tutto bene. Ho trovato il modo per trattenerla qui. –
- Perfetto. –
La sua amica attaccò. Faceva tutto parte del loro piano. La notte prima Bonnie era andata a casa sua e gli aveva chiesto delle cose che non riusciva a ricordare, come del pugnale dei viaggiatori. Era stato soggiogato altre volte, quindi la sensazione che si provava quando un ricordo ti viene rimosso forzatamente dalla tua mente gli era assolutamente chiaro. Ieri sera aveva ricominciato a bere la verbena e non avrebbe mai più smesso.
Il piano dei ragazzi era più tosto semplice in realtà, Matt occupava Nadia, Stefan intratteneva Katherine, Bonnie tentava di trovare tracce del pugnale, mentre Caroline avrebbe dovuto chiedere a Klaus di far cessare qualsiasi cosa avesse fatto sua sorella alla magia, e quest'ultimo punto si sarebbe rivelato il più complicato di tutti.

Forse era capitata in un periodo dell’anno particolare, perchè le strade erano sempre piene di persone mascherate che marciavano, bande che suonavano strumenti e Caroline ne fu rapita per un po’. C’erano addirittura gli sbandieratori che facevano roteare i loro stendardi al suono di enormi tamburi, ma quello che la sorprese di più fu il tempo. Burrascoso e nuvoloso, anche il vento era freddo come se non sé lo fosse mai aspettato in una città del sud. Un odore gli trapanò le narici, portandola via da ogni altro pensiero. Era corposo e delizioso. I suoi occhi cercarono cosa potesse avere tale profumo, poi vide il rosso scuro del suo unico alimento. Una bambina, era caduta dal marciapiede e si era sbucciata un ginocchio. Le bastò guardare a chi appartenesse quella gambina minuscola per ritornare in se. Questo era la cosa che odiava di più del suo stato da vampiro. La sete ingorda che ti rendeva completamente cieco, anche davanti ad anime innocenti. Doveva nutrirsi. Decise di seguire una coppia di innamorati, i morsi quando guarivano lasciavano l’alone rosso simile a quelli dei succhiotti, quindi erano semplici prede. Entrarono in un vicoletto, forse diretti a uno di quei bistrot nascosti per una cena romantica. Era così vicina da poterli toccare… una forza la tirò via e si accorse di essere trascinata da un vampiro solo quando sentì il vento forte batterle in faccia, respirandolo, poi, si rese conto di chi era quel vampiro. Lo stesso della casa con le M incise sui pilastri. Lo stesso della camera dei quadri. Lo stesso… sempre lo stesso.
Si trovò su una cima di un palazzo. La corsa di un originale era più veloce di quella dei vampiri ordinari e la testa le girò per un attimo, poi vide. Lo vide. Davanti a lei. Con le mani nelle tasche di un cappotto blu scuro, in un maglione grigio a collo alto, in dei pantaloni grigio scuro e stivali scuri. Lui. Klaus. Le sorrideva. Si. In un modo felice. Si, Klaus era felice. Dalla sua tasca le lanciò una cosa che solo quando afferrò al volo, Caroline vide essere una sacca di sangue.
- Questa giornata va di bene in meglio. –
Era la sua voce e stava ridendo. Caroline gli vide una felicità che non gli aveva mai visto prima. Gli sembrava diverso.
- Non sai quante volte ho sognato questo momento, ma devo dirti che qui le cose vanno diversamente dalla tua cittadina, qui se mordi un umano sei morto.  – si rimise la mano in tasca, bhè si, era proprio una fredda giornata.
- E chi ha fatto questa stupida regola? – strappò il tappo del sangue che le aveva portato Klaus, in quello che poi si era rivelato un altro suo salvataggio.
- Io. – alzò le spalle sorridendole. Irradiava una strana luce e Caroline capì che era lei l’artefice della sua felicità. Il cuore le diede un battito traditore, ma che riuscì a mascherare sotto a dello schermo.
- E da quando in qua ti preoccupi per gli umani. – diede un sorso e finalmente la sua sete si attenuò.
- Dai, hai sempre saputo che in realtà sono uno buono… -
E il sorso le andò di traverso per poter ridere a quella sua affermazione. Quando riuscì a deglutire come una persona normale, fece spazio alle risate.
- Eccola qua! La risata che mi è mancata tanto. – finì poi per guardarla come usava fare, come se lei fosse la cosa più bella che esistesse su questa terra. Le era mancato sentirsi così, così desiderata. 
I due si scambiarono un lungo sguardo. La distanza tra di loro era meno di cinque passi e anche se la Caroline riflessiva non l’avrebbe mai ammesso, la realtà e che non c’era nessuna distanza tra loro. Caroline lo capì. Erano passati delle settimane dal loro ultimo incontro ed era come se non fosse passata nemmeno un’ora. Il silenzio tra i due era durato troppo e Caroline sapeva di dover dire qualcosa.
- Come hai fatto a trovarmi? – disse poi mentre giocherellava con il tubicino di plastica della sacca che usava come cannuccia.
- Io governo questa città e un’altra delle mie regole è quella di sorvegliare l’ingresso a nuovi esseri soprannaturali che vi entrano. I miei vampiri mi hanno detto che una nuova vampira era in città, poi il tuo odore sparso per tutta la mia casa ha fatto il resto. – le sorrise malizioso. Come originale non aveva solo la corsa più sviluppata ma anche l’olfatto, avrebbe dovuto pensarci prima.
- Oh, il tuo più grande sogno si è avverato. Un intera città ai tuoi piedi. Che cosa interessante. – il suo sarcasmo tornò utile al momento giusto. Vederlo le aveva fatto un certo effetto.
Klaus allargò le braccia girandosi verso il panorama che lì circondava. New Orleans nel suo affascinante tempore.
- Per quanto mi credi astuto Caroline, non è stato facile rendere questa città la mia casa. In ogni angolo sono nascosti nemici sempre più agguerriti nel volere fare del male a me e ai miei cari, quindi mia dolcezza… - si voltò verso di lei e stavolta il suo sorriso era scomparso. – cosa ci fai qui? –
- Lo sai perché… tua sorella, la storia con i Viaggiatori… -
Con uno scatto Klaus le si avvicinò e Caroline si terrorizzò all’idea che potesse iniziare ad urlarle Bugiarda!, come aveva fatto nel suo sogno.
- Ti ho detto che avrei provveduto io quando potevo, non sei al sicuro qui. – ma si fermò a una distanza molto più lontana da quella del suo sogno.
- Stiamo parlando di Katherine, Klaus! È venuto fuori che è una viaggiatrice ed ha impossessato a nostra insaputa il corpo di Elena. Non posso aspettare. Se si accorge di qualcosa, se solo si insospettisce, scapperà in capo al mondo, troverà una strega e si farà proteggere da lei, lo sai Klaus, hai passato cinquecento anni nel rincorrerla. La mia migliore amica è in pericolo. – un soffio di vento gelido le fece scompigliare i capelli e si dannò di non essersi portata nulla con se.
- Quindi Katherine è ancora viva. – tra tutte le parole nel suo appello disperato, Klaus parve capire solo quello. “OH NO. NO. NO!”
- Non per molto. C’è un coltello che può uccidere i Viaggiatori, solo che è sparito. Mi serve un incantesimo di localizzazione, solo un semplice incantesimo. – disse cercando di non sembrare terrorizzata per la sua amica. Klaus voleva Katherine morta e Caroline sapeva bene che non si sarebbe fermato nell’ucciderla, anche se questo avesse significare uccidere anche Elena. Era riuscita a tenerselo per sé finora, come aveva fatto a farselo scappare?
Klaus le sorrise brevemente prima di risponderle.
- Ok! – e alzò le spalle come se non fosse una cosa di grande importanza.
- Solo ok? – tutto il suo corpo le stava dicendo di stare zitta, di approfittare del suo buon umore, ma fu più forte di lei.
- Si. Voi a Mystic Falls volete Katherine morta tanto quanto lo voglia io e so che ci riuscirete. – le continuò a sorridere e Caroline ne rimase completamente sbalordita. Chi era quell’uomo e che fine aveva fatto il Klaus rancoroso e vendicativo che aveva conosciuto a Mystic Falls?
- Quindi, sei qui per sapere se è la Divina Brynhild la causa della scomparsa del potere delle streghe? – le chiese poi e Caroline gli rispose annuendo. – Mia sorella non ha fatto cenno alla cosa, ma c’è una grande probabilità che sia così. Per quanto abbia capito, non le sono mai piaciute le streghe, ma per la conferma dovremo aspettare. –
- Aspettare? Aspettare quanto? – Caroline si agitò. Quale parte della frase non c’è tempo, Klaus non aveva capito?
- Non molto e ti offrirei di passare il tempo facendoti vedere New Orleans, se non fosse pericoloso per te. – alzò la parte destra della bocca mostrando un chiaro disappunto a quella cosa a cui sembrava non avesse potere, poi il silenzio scese di nuovo tra loro. Lui la stava guardando con le sue mani in tasca e il suo viso bellissimo e Caroline sapeva che stava solo aspettando un suo cenno per poterla stringere tra le sue braccia. Era sempre stato così, dall’inizio. Lui avrebbe aspettato lei e forse per sempre.
“…intendo essere il tuo ultimo”
- E tu? Tu sei al sicuro qui? – disse poi perché il suo corpo iniziava a darle dei segnali che non avrebbe dovuto darle. La stava tradendo. 
- No. –
Bastò solo quella semplice risposta a far impazzire le sua gambe. Caroline concentrò tutta la sua forza sui suoi piedi, piantandoli a terra. Stavano correndo da lui, perché il Klaus preoccupato che le aveva telefonato la sera prima, adesso le stava davanti. Cosa le stava succedendo? Perché le importava così tanto?
- Allora perché non te ne vai! Cosa hai qui che non puoi trovare da un’altra parte? – i suoi piedi la tradirono e con tre passi si avvicinò a lui, ma riuscì a stringersi forte le braccia per non farle fare qualcosa di stupido, come abbracciarlo.
- Molto più di quanto credi. – le sorrise di nuovo come se qualcosa di unico e magnifico gli fosse tornato in mente. – un miracolo. –

Il rumore della serratura lo svegliò. Damon aprì gli occhi e vide la stanza illuminarsi dalla luce delle lampade del corridoio. In quella luce, un'ombra di un corpo di ragazza si allungò sul pavimento.
- Chiunque tu sia spero, che abbia con te la cena - si alzò da terra e adesso poteva vedere la sua nuova guardia. L'apprendista strega Liv.
- Certo che si - la ragazza si allontanò dalla porta facendo posto a un altro corpo più robusto e alto. Enzo. Aveva una persona accasciata sulla spalla sinistra, come una asciugamano da palestra. Entrò nella cella e rovesciò l’individuo a terra. Un vampiro.
- Bon appétit - disse poi il suo amico, facendo segno di servirsi pure. Sul dorso, il vampiro svenuto, aveva vari fori di proiettile da cui uscivano getti di sangue vivo. Damon non riuscì più a resistere. Corse verso la sua preda con gli occhi iniettati di vene blu, ma le catene lo bloccarono a mezz'aria.
- Scusami, non ci avevo pensato - Liv si affrettò a liberarlo. Prese dalla tasca il mazzetto di chiavi che aveva rubato a Tyler, che avrebbe dovuto essere l’incaricato del turno successivo, e aprì i catenacci. Enzo però, uscì prima dalla stanza.
- Meglio essere sicuri - disse poi nel corridoio una volta chiusa la porta della cella. Damon, libero, aggredì la sua cena. Il sangue di quel vampiro aveva un sapore diverso, non era verbena e quindi andò bene comunque. Dopo solo alcuni minuti, aveva prosciugato tutte le vene di quel vampiro. Si sedette a terra riprendendo fiato. Liv si abbassò sulle gambe, in modo tale da guardarlo negli occhi.
- Non è una spettacolo adatto ai bambini – le disse poi nel suo sarcasmo, ma Liv non si mosse.
- Guardami – gli disse invece e gli occhi di Damon furono su di lei. - Alzati - gli diede un altro comando e Damon si alzò. - Tu non morderai Enzo, né attenterai alla sua vita, né farai altro per succhiargli via il sangue. -
- Scusami ragazzina. Questo sarebbe psicoanalisi? Sai sono un po' arrugginito al riguardo? - Damon le mostrò un sorriso sporco di sangue muovendo la testa di lato.
- Enzo entra! - Liv di nuovo non gli diede retta chiamando il vampiro che stava aspettando in corridoio. Enzo aprì la porta.
- Wow!Wow!Wow! Non farai sul serio - Damon si allontanò, ma dietro aveva il muro. Liv si avvicinò a una mensola e con difficoltà, riuscì a spezzare un pò di legno. Con quel paletto fatto in casa tagliò la mano di Enzo. Il sangue dell'amico gocciolò a terra. - Nooo! - Damon afferrò le catene per bloccare l'attacco omicida che il suo corpo avvelenato da quel siero mangia vampiri, compiva ogni volta che vedeva un vampiro. Chiunque esso sia. Non arrivò. Rimase lì dov’era. - Come? Non sento la voglia di bere il suo sangue. Cosa è successo? - chiese alla strega che forse aveva trovato la soluzione al suo problema.
- Diciamo pure che ora sei asservito a me begli occhioni. Adesso andiamo. – disse poi uscendo dalla porta e Damon la seguì.
- Dove andiamo? – chiese ad Enzo, ma lui dissentendo si incamminò superandoli entrambi.
- Lei mi ha detto che poteva curarti e mi è bastato solo questo. – 
- Eh no inglesino. Mi servi anche tu. –
Sentendosi chiamare dalla strega, Enzo si voltò e qualcosa nel suo sguardo sembrò diverso dall’ultima volta che si erano visti.
- Non sono asservito a te, non puoi comandarmi. – Enzo si rivoltò con l’intento di andare via.
- Si, ma posso comandare lui nell’ucciderti, io non mi darei le spalle. –
Si, era proprio cambiata. Enzo la guardò mentre era lei a superare lui. Non avevano altra scelta, dovevano seguirla.
- Solo per chiedere, dov’è che stiamo andando? – chiese Damon, mentre stava provando con tutto se stesso a comandare i suoi stessi piedi di scappare via, ora che poteva.
- Tu e tuo fratello avete nascosto qualcosa tempo fa e io lo voglio. -

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Capitolo 10
*** Darkshines Parte 2 ***


Darkshines
Parte II




Liv, Enzo e Damon erano immersi nel bosco. Stavano camminando già da parecchio, ma Liv sapeva che Damon la stava portando nel posto giusto. Era riuscita ad asservirlo a lei, grazie a una pozione. Non era stato tutto merito suo, gli ingredienti glieli aveva dettati il ragazzo strega che si era materializzato nella sua stanza. Aveva anche reso i suoi poteri più potenti di come erano mai stati e le aveva ordinato di recuperare una cosa che i fratelli Salvatore avevano nascosto tempo prima. Doveva farlo.
- Che ne è stato della vecchia abitudine di seppellire i tesori in giardino? - la voce caratterizzata dall'accento britannico di Enzo, sostituì per un attimo il grido di un aquila giovane che girava sulle loro teste.
- Sei pazzo? Ci tengo al mio prato immacolato! - Damon era davanti a loro, guidandoli, ma ci stava mettendo troppo tempo.
- Andiamo, ho un viaggio da fare - Liv lì superò e spinti da una strana forza, i piedi di Damon si mossero subito dopo di lei.
- Ottimo. Quindi da Dracula VanHelsing, sono passato a essere una delle scope di Topolino l’apprendista stregone? - Damon tornò a guidare il gruppo totalmente incapace di autonomo controllo.
Quella era una giornata davvero strana. Dapprima il sole era sorto a una velocità assurda e poi il cielo si era coperto di grigie nuvole, oscurando la luce. Anche il clima era cambiato, un vento gelido soffiava da nord e li aveva costretti a indossare di nuovo abiti invernali.
- Eccoci - Damon si era fermato. Davanti a sé la terra si interrompeva dando spazio a una enorme infossatura, ricolma d'acqua. Un lago che veniva reso schiumoso da una alta cascata. Era lo stesso posto in cui Stefan, grazie a Silas, aveva passato un intera estate chiuso in una bara, costretto a morire affogato in continuazione. - Ora? – chiese poi lo schiavo alla sua signora magica e lei in risposta alzò le spalle.
- Che domande, tuffati e vammi a prendere quello che ti ho ordinato. – detto ciò, Damon si sfilò gli stivali e poi la maglia prima di lanciarsi in acqua in un tuffo a pesce. Liv guardò Enzo e lui alzando gli occhi al cielo, fece la stessa cosa.

Il vento si era calmato, ma il freddo invece no. Sembrava essersi accanito su di lei rendendo ogni centimetro della sua pelle gelida. Sapeva. Caroline adesso sapeva. Sapeva il motivo per il quale Klaus era andato a New Orleans. Klaus glielo aveva detto. Una bambina. La sua bambina. Sua figlia. Il miracolo era sua figlia.
Le aveva raccontato anche della Divina Brynhild e di come Esther li avesse separati, del suo potere e della nuova stirpe di licantropi magici dalla quale proveniva. Caroline lo aveva lasciato parlare e Klaus credette che il suo racconto l’avesse lasciata affascinata, quindi continuò arricchendo la sua storia di tanti piccoli particolari. Aveva frainteso e totalmente. Caroline non parlava, perché semplicemente le parole le si erano bloccate dietro alla colata di cemento che aveva avvolto il suo corpo. Sì, quella era una storia straordinaria e Caroline doveva esserne felice o sorpresa o entusiasta, ma non lo era. Ci provò, davvero, ma non ci riuscì. Una sola cosa le stava dando il tormento, di tutto quello che le aveva detto Klaus, solo una cosa le stava trapanando il cervello.
Klaus ed Hayley.
Un brivido forte le nacque al centro dello stomaco e la scosse tutta. Sentiva il bruciore risalire le pareti dell’esofago e corroderle la gola. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Perché le aveva fatto una cosa del genere?
Klaus si tolse il cappotto e veloce glielo mise sulle spalle, male interpretando i suoi spasmi. Caroline non stava tremando per il freddo.
- Il tempo, è così da quando Bry si è addormentata. Forse l’alba soprannaturale che ha creato a manomesso qualcosa nel clima. – le aggiustò la giacca per non farle prendere il freddo che lui credeva stesse provando, ma nessun cappotto, neanche il più costoso avrebbe scongelato il ghiaccio che sentiva dentro.
- Sarà sicuramente così. – parlò. Ci riuscì. Gli occhi di Klaus erano di nuovo davanti a lei e Caroline ci vide una cosa che mai aveva creduto di poter vedere nei suoi occhi e la ferì, come un coltello infuocato al centro del petto. Lui era andato avanti, lasciandola in un angolo della sua vita. Era lei che l’aveva voluto, ma non credeva che…
- Allora che ne pensi? – le chiese infine. Già cosa ne pensava lei? Qualsiasi cosa fosse, non doveva lasciar che trovasse la via della bocca. Ispirò sperando che la terra si aprisse e la ingoiasse intera, ma non successe, doveva rispondere e nel giusto modo.
- Congratulazioni. – e la sua bocca riuscì a muoversi spostando gli angoli verso l’alto, come un sorriso, ma non lo era. Non lo era per niente.
- Andiamo alla villa, ti mostro mia figlia… - era quasi arrivato accanto a lei. La mano di Klaus era vicino alla sua, forse per prenderla, forse per afferrarla e portarla via con sé, ma il suo telefono iniziò a squillare interrompendolo. Fu un bene, perché se solo l’avesse sfiorata, se solo un dito avesse toccato una parte della sua pelle, Caroline avrebbe perso ogni controllo su sé stessa.
Klaus rispose e dopo pochi secondi il suo sguardo cambiò. La felicità era completamente sparita e la sua mascella si era di nuovo serrata. Allungò una mano davanti a se, come a chiamare qualcuno e dalla porta aperta di quel terrazzo, due sue scagnozzi uscirono dal buio. Erano sempre stati lì?
- Loro ti porteranno alla villa, io ti raggiungerò subito dopo. – le disse mentre teneva il telefono attaccato all’orecchio. Caroline avrebbe dovuto protestare, perché era così che usava fare, ma lo lasciò andare. Lasciò che uscisse da quella porta e venisse avvolto dal buio delle scale, ma tutto quello che le aveva detto e tutto quello che significava era rimasto infisso dentro di lei. Non poteva andare alla villa, non poteva restare con quei due, doveva invece stare da sola. Caroline ruppe il collo di uno dei due. L’altro si accorse subito del suo attacco e tentò di bloccarla. Caroline scappò, ma il vampiro riuscì a prenderla, afferrandola da dietro. Caroline gli diede una testata buttando la testa all’indietro. Il vampiro lasciò la presa per prendersi il naso dolente tra le mani, mentre le mani di Caroline erano già alla sua testa. Riuscì a mettere fuori gioco anche lui. Corse, stavolta rincorsa da nessuno. Cercò di andare il più lontano possibile, per poter depistare gli scagnozzi di Klaus e lo fece finché i singhiozzi non diventarono insostenibili. Trovò un angolo di strada deserto e si appoggiò ad un muro. Ci strisciò con la schiena fino a sedersi a terra. Avvertì di avere il viso bagnato e con rabbia si asciugò le lacrime. Conosceva la verità, dal principio. Klaus non era interessato a lei, non lo era mai stato, ma chissà perché non riusciva a respirare. Sapeva di essere stata solo un avventura per lui e le andava anche bene, ma perché diavolo non riusciva a respirare. I suoi regali, i suoi corteggiamenti, tutti i suoi salvataggi e l’interesse per lei, non significavano niente. Lui voleva solo sottrarla a Tyler, averla per una notte e ci era riuscito. Solo questo… espirò…. Solo questo… ispirò. Solo questo… ma perché faceva così male?
Sapeva che Klaus non teneva a lei, se l’avesse fatto le avrebbe detto di Hayley.
Sbuffò. Era una stupida. Una parte di lei, lo aveva davvero creduto. Credeva che potesse avere un cuore, ma era solo un'illusa. Hayley era già incinta il giorno della morte di Katherine eppure lui non glielo aveva detto. Lo stesso giorno in cui loro…
Lo stomaco le si contorse dalla nausea. Era schifata da Klaus o da lei? Non lo sapeva e non le importava. Il viso le si scosse in altri singhiozzi. Era proprio una stupida a finire a piangere per un vampiro sanguinario in un vicolo di una città sconosciuta. Come era arrivata a ciò? Non doveva dirlo, non doveva neanche pensarlo, ma oramai…  non era lui a tenere a lei, ma lei a tenere a lui.
“Diamine”.
Battette la testa al muro cercando di punire la sua stupidità, ma non sarebbe servito a niente. Katherine aveva ragione, lei provava qualcosa per Klaus e le mancò da morire Elena. La sua migliore amica l’avrebbe aiutata senza giudicare quella follia di sentimento che ora sapeva di provare per Klaus.
Si tirò le gambe e sé le abbracciò, appoggiandoci la fronte. Il motivo per cui era lì, salvare la sua amica. Avrebbe dovuto alzarsi, ricomporsi e andare a quella villa gigantesca di Klaus, fingendo come un droide, ma avrebbe aspettato ancora qualche minuto.
- Oh! Poverina, perché piangi da sola? –
Caroline alzò la testa e si trovò una ragazzina dai capelli ricci scuri e con dei occhi a mandorla, tra i più strani che avesse mai visto. Le stava accarezzando un ginocchio per consolarla. Caroline stava per risponderle, ma dai lati della strada altre due donne si aggiunsero a lei.

Hayley dormiva sul suo petto nudo, mentre Elijah le accarezzava i capelli. Quei capelli morbidi e setosi che aveva sempre voluto toccare. Era sua, finalmente.
- Lo senti? – Hayley parlò facendo sapere a Elijah che non stava dormendo, poi spostò il capo per guardarlo.
- Cosa? – le chiese perché lui non udiva niente di strano. La piccola dormiva. L’ala destra, dove si trovava la camera di Hayley, era completamente vuota. Klaus non c’era e neanche i suoi vampiri. Fuori, era appena cessata, in anticipo, una di quelle parate fatte per i turisti, mentre sua sorella era con…
- L’amore. Perché io lo sento. –
Gli rispose la ragazza che giaceva sul suo petto. Elijah espirò dal naso divertito. Era una persona schietta prima, figuriamoci ora che il suo carattere era stato accentuato dal suo stato ibrido.
- Come mai prima d’ora. – le rispose e Hayley si tirò su per baciarlo.
La sua bocca era morbida e vellutata, dolce e focosa. Elijah si perse in lei ed era pronto a ricominciare, quando Hayley si staccò da lui.
- Devo farti vedere una cosa. – gli disse mentre si avvolse un lenzuolo attorno al corpo nudo, poi si alzò. Elijah la guardò uscire dalla stanza incuriosito e quando la sua amata tornò, lo shock lo fece tirare su dal letto.
- L’ho trovato mentre curiosavo per casa. – Hayley gli mostrò l’unica arma che poteva uccidere un originale. Il paletto di quercia bianca. Elijah glielo tolse subito dalle mani.
- No! -  le disse mentre velocemente si rimetteva a dosso i vestiti.
- Perché? Questa e la nostra unica possibilità per essere felici, non possiamo stare insieme se Klaus è vivo. – Hayley agitò una mano nell’aria mentre l’altra la teneva sul petto per mantenersi il lenzuolo.
- Ti ho detto di no! – era la prima volta che Elijah alzava la voce con lei, anzi era la prima volta che Elijah alzava la voce con qualcuno da quando lo conosceva. – Dimentichi che Klaus è il tuo creatore, nonché mio fratello. –
- Non è lui il mio creatore, ma la mia bambina, che ha la sfortuna di avere lui come padre. Un sociopatico maniaco che forse userà il suo sangue per asservire nuovi ibridi. –
- No! Hayley, questa conversazione non c’è mai stata. – le passò accanto andando verso il posto in cui Hayley era sbucata con quel aggeggio in mano.
- Come! Hai appena detto che mi ami e che… -
- Questa non sei tu. Questa è la trasformazione, non hai ancora bevuto sangue e la tua rabbia sta crescendo in queste fandonie senza senso. Ora, puoi dirmi dove l’hai trovato? – glielo mostrò mantenendolo solo con i polpastrelli.
- Non te lo dico. – Hayley si girò dandogli le spalle, ma Elijah non le permise di fare un altro passo.
- Questo non è un gioco, Hayley! Sai una cosa, lo terrò io. – la sorpassò uscendo dalla stanza, ma stavolta fu Hayley a non permettergli di uscire.
- Cosa? No! Se lo scopre, ti ficcherà uno di quei cosi per farti dormire o peggio userà il paletto su di te. Io non voglio… -
- Non vuoi cosa? – si voltò verso di lei, puntando i suoi occhi castani nei suoi.
- Non voglio che tu sia in pericolo. –
- Perché? –
- Come perché? Perché sono innamorata di te, stupido. – gli urlò quasi, ma il viso di Elijah si mascherò in un enorme sorriso.
- Adesso, mi comprendi finalmente. –
I due si guardarono negli occhi e ora che i sentimenti che provavano l’uno per l’altra erano usciti alla luce del sole, i loro cuori ardevano nella voglia di viversi. Erano a un passo l’uno dall’altro, ma Elijah non gli bastò. La tirò a sé prendendo il suo viso tra le mani.
- Io non ho paura di mio fratello, ho paura di perderti. – le disse poi ma Hayley aveva già capito. Aveva ragione lui, come sempre e annuì tra le sue mani.
Hayley aveva amato Elijah già da prima di vederlo. Aveva amato quel vampiro attraverso i suoi diari e ne era rimasta folgorata, quando lo aveva visto la prima volta. Quindi perderlo adesso sarebbe stato insopportabile.
- Nella sua stanza c’è una statua che ha un ingranaggio… -
- Ho capito. – Elijah la lasciò prima che potesse finire, forse sapeva già di quale statua si trattasse.
- Elijah! – al suono del suo nome il suo amato si girò. Hayley corse a baciarlo. Elijah la chiuse nelle sue braccia che sembravano essere state fatte per lei. – Non so quando potrò rifarlo. – gli rivelò il perché di quel bacio. Il loro amore doveva rimanere segreto, per il bene suo, di Elijah e forse anche di sua figlia.
Elijah le baciò la testa espirando dal naso quell’amara consapevolezza e poi, uscì dalla sua stanza.

Klaus aveva dato a Bry la stanza più bella del palazzo, ora che aveva capito di potersi fidare di lei. La camera di Rebekah, quando una volta viveva lì.
- Ha detto a me di sorvegliarla, non occorre che anche tu resti qui. – Marcel le afferrò il braccio alla altezza del gomito e girandosi Rebekah trovò il suo viso.
- Hai visto quello che può fare? Come puoi essere così tranquillo? – si voltò di nuovo verso Bry che giaceva su quello che una volta era stato il suo letto, per riprendersi dal miracolo che aveva fatto. Assopita così, sembrava solo una innocua ragazzina, ma non lo era affatto.
- Cosa potremo mai fare Rebekah? Non potevamo fare niente contro Klaus, figuriamoci contro di lei che è la fusione di tutti gli esseri soprannaturali su questa terra! – Marcel parlò animatamente, ma non era arrabbiato con lei, ma con la consapevolezza del loro amore impossibile.
- Vuoi morire Marcel? Sai che moriremo quando Klaus saprà di noi, di Mikael e il resto. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo trovare un modo per ucciderla. – Rebekah si guardò intorno per cercare qualcosa, ma era solo un riflesso involontario.
- No! No, io non uccido i bambini! – Marcel le afferrò il volto con una mano per farla tornare in se.
- Per l’amore del cielo, lei non è una bambina. Ha vissuto gli stessi miei mille anni e l’hai sentita parlare, hai sentito i suoi discorsi, non appartengono a una ragazzina di Tredici anni. Mettiamola in una bara e buttiamola in fondo al mare, ora che è vulnerabile. – corse fuori alla porta in direzione della cantina, lì dove c’erano le loro bare, ne serviva solo una, ma Marcel l’afferrò prima che potesse fare qualcosa di stupido.
- Cosa credi che dirà Klaus quando tornerà e non vedrà più sua sorella, oppure se Bry si sveglierà sotto i mari e trasformerà la tomba in cui l’abbiamo messa, in un qualcosa di galleggiante e tornasse indietro? Rebekah stai vaneggiando. – Marcel credette di averla convinta con le sue parole, perché gli occhi di Rebekah gli avevano dato un barlume di sanità mentale. – Basta ora, calmati. Stai dimenticando che non solo lei può entrarti nel cervello, ma anche i tuoi fratelli e se solo sospettano qualcosa, se solo Klaus sospetta di qualcosa, sarà come firmare la nostra condanna a morte. –
L’ansia nel corpo della sua amata sembrò calare e Marcel l’abbracciò. Inalò il suo profumo e si sentì tornare di nuovo bambino, quando sognava di diventare un uomo per poterla rendere sua moglie. Quella voglia ardeva ancora in lui esattamente nella stessa intensità.
- Dobbiamo parlare con Klaus – le disse facendo rendere il corpo di Rebekah un pezzo di legno.
- Sei uscito completamente fuori di testa? – e si liberò del suo abbraccio guardandolo con gli stessi occhi pieni di terrore di prima.
- Rebekah, ascoltami… -
- No! – ma non aveva nessuno intenzione di ascoltarlo, allora Marcel le afferrò le mani.
- Klaus è cambiato. Sua figlia, sua sorella e chissà questa storia delle streghe che non hanno più il loro potere, lo hanno reso diverso, più tranquillo. Magari, se gli diciamo che… -
- NO! – Rebekah strappò le sue mani dalle sue. - È solo la foga del momento. Ho già visto Klaus felice e tu hai già visto Klaus padre. Cosa è successo poi? Le stesse identiche cose. Lui non cambia. Lui non capirà, anzi il nostro amore lo porterà alla sua vera natura di pazzo vendicativo e psicopatico. -
- Stai dicendo che non abbiamo nessuna possibilità? – Marcel la incitò a concludere e Rebekah lo fissò con i suoi grandi occhioni blu.
- Il nostro amore deve rimanere un segreto e dobbiamo eliminare tutto quello che lo minaccia. – poi tornò a guardare la sua piccolissima nemesi stesa sul letto che un giorno sarebbe ritornato suo. Se solo quella dannata di Celeste non avesse trovato quella leggenda… poi tutto le fu chiaro come il vetro. – Dobbiamo trovare le streghe. Ora! – 
- Cosa? –
- Sì. Qualsiasi cosa hanno fatto per rompere l’incantesimo di Esther, può anche essere invertito. –
Marcel guardò Rebekah annuendo. Lui conosceva bene la magia delle streghe. Prima possedeva la strega più potente di New Orleans che poteva letteralmente compiere ogni tipo di incantesimo, ma ora che Davina era morta e che tutte le streghe erano sparite dalla città, l’idea di Rebekah era del tutto impossibile.
- Tesoro! Papà è a casa! – la voce dell’uomo sul quale stavano cospirando un'altra volta, li interruppe urlando dal cortile con una voce più allegra del solito. Rebekah si affacciò e lo vide. Stava al centro del cortile appoggiando delle buste colme su un tavolino. Alzò il viso per guardarla e Rebekah ci vide un sorriso grande che mostrava una felicità che credeva fosse perduta per sempre. Suo fratello era sereno, come mai era stato in questi mille anni e Rebekah tornò in sé. Dimenticò le sue paure, le preoccupazioni e le cospirazioni. Forse Marcel aveva ragione. Forse quella cosa lo aveva davvero cambiato.
Scese le scale incuriosita dagli acquisti di suo fratello. Klaus svuotò la prima busta. C’erano pannolini di ogni taglia, sonagli, pappine, ciucci e tutine, anche loro di ogni taglia.
- Cos’è tutta questa roba? – Rebekah infilò una mano in una delle buste e afferrò un vasetto tondo e freddo. - Omogenizzati? Lo sai che questi non si danno a una bambina così piccola? –
Klaus la guardò come se fosse stato appena smascherato dal peggiore dei suoi crimini.
- Sono un ibrido cara, ma sono pur sempre un uomo, quindi ho preso tutto a caso. – confessò facendo ridere Rebekah. Sua figlia era nata molto tempo prima di quanto se lo aspettassero, quindi una spesa appropriata era necessaria. Forse qualcosa di salvabile c’era. Rebekah iniziò a frugare meglio.
- Perché non mi hai chiamata allora? – le chiese Rebekah divertita, mentre studiava la scatola di una barriera, serviva per non far cadere i bambini dalle scale. Bambini che sapevano innanzitutto stare in piedi.
- Perché sorellina, non abbiamo altro tempo. – le disse poi mentre continuava a tirare fuori cose per lo più inutilizzabili.
- Che intendi? – Rebekah stava riponendo le cose che non servivano in una delle buste che aveva svuotato suo fratello.
- Gli umani della città, sono tutti spariti. – gli rispose poi mentre tra tante scatole ne prese una rettangolare e bianca.
- E Cami? – Marcel si affacciò allo stesso punto da dove si era affacciata Rebekah, ricevendo un occhiataccia dalla stessa.
- Andata, lei e le sue valigie. – gli rispose poi Klaus avviandosi verso le scale.
- Non capisco. – Rebekah diede un occhiata al latte in polvere controllando se fosse davvero per i neonati. Almeno quello era giusto.
- Neanche io. Bry si è svegliata? Forse lei è l’unica che può dirci che diavolo sta accadendo. – disse poi sventolando lo scatolo che aveva in mano. Era un I-Phone 7 plus.
- Non ancora. – Marcel prima di rispondere a Klaus si era scambiato un lungo sguardo con Rebekah.
- Oh! – Klaus si fermò sulle scale controllando l’ora sull’orologio che indossava al polso destro. L’ultima volta non ci aveva messo così tanto.
- Questo decisamente è troppo grande per tua figlia. – Rebekah teneva tra le mani un grazioso e costosissimo, cappotto di panno bordeaux.
- Questo è per Caroline. - Klaus scese le scale per riprenderselo e con cura, lo ripose nella sua busta.
- Davvero? – Rebekah gli sorrise maliziosa. – Ora si capisce da dove arriva tutto questo buon’umore. –
- Chi è questa Caroline? – Marcel l’unico dei presenti a non sapere perché semplicemente non l’aveva ancora conosciuta, si affacciò di più per richiamare l’attenzione.
- Caroline! Davvero? – Elijah si affacciò dall’altra parte dei balconi interni della casa, proprio di fronte a Marcel, aggiungendosi a quella riunione familiare. – Non me lo sarei mai aspettato. – disse poi raggiungendo le altre scale.
- Perché fratello, non lo sai che il fascino del cattivo non muore mai! – Klaus sorrise anche a lui ed Elijah guardò sua sorella, per la prima volta sereni dopo tante insidie passate. Se solo Klaus sapesse cosa era successo in quella casa durante la sua assenza. – Quindi, dov’è? -
- Chi? – gli chiese giustamente sua sorella e il suo viso mostrò il resto. Non l’avevano vista. Caroline non era nella villa eppure sarebbe già dovuta essere lì. Klaus prese il telefono e chiamò i suoi seguaci, ma non risposero. Dal nulla una presenza ispida e gelida si manifestò all'entrata della sua villa muntando la dolce atmofera di quasi famiglia che si era appena formata. Come a essere fatta di sola aria, il suo essere non emanava essenza eppure era perfettamente visibile ai loro occhi, nel suo mantello nero, col cappuccio alzato a coprirgli il viso.
- Chi sei? – chiese alla cosa che adesso abitava il suo giardino. Stava concentrando i suoi sensi, ma non riusciva a percepire che cosa fosse o chi fosse. Rebekah corse su per le scale. Hayley era un’ibrida adesso e poteva proteggere benissimo sua figlia, ma due forze erano meglio di una. Stessa cosa fece Marcel, ma lui entrò nella stanza di Bry. Klaus gli aveva detto di sorvegliarla e lo avrebbe fatto.
- Mi conoscete bene. – disse quella cosa e la sua voce suonò come se stesse parlando in un ventilatore.
- Allora perché mascherarsi? – chiese poi l’altro fratello che invece era rimasto al suo fianco. Elijah aveva messo in pericolo la vita di Hayley e sua figlia, ma non sarebbe successo una seconda volta.
- Non preoccupatevi Mikealson, non sono qui per quello che credete, non per ora. Sono qui per la Divina Brynhild. –
Klaus fece un passo avanti. Sua figlia non era in pericolo, non per ora, ma la questione non gli piacque lo stesso.
- Al momento, mia sorella non può ricevere nessuno. Mi dispiace. – Klaus si afferrò le mani dietro la schiena, parandosi davanti al suo misterioso ospite.
- Sei felice non è vero? La tua piccola è nata, hai trovato una sorella da un potere ineguagliabile. Dovresti ringraziarmi, siamo state noi a permettere tutto questo. –
Noi? Noi. Erano state le streghe a spezzare l’incantesimo di Esther, quindi quella cosa era una…
- Come puoi essere qui? Brynhild ha cacciato tutte le streghe da questa città. – gli ringhiò contro Klaus pronto a strapparle via quel cappuccio, ma non potette avvicinarsi più di tanto. Una forza lo teneva lontano. Magia. Si quella era di certo opera della magia.
- Lei ci aveva allontanato, ma ora tutti i suoi incantesimi stanno cessando. – alzò una mano e per provargli ciò, con un getto di potere magico fece scoppiare il bar in legno dietro alle loro spalle, riducendolo in mille pezzi.
- Cosa le avete fatto? – gli chiese Klaus correndo già alla conclusione. Bry era un essere troppo forte da essere sconfitto, quindi sua madre la trasformò in un lupo per poter salvare Mikeal. Le streghe antiche di quella città, grazie al potere del raccolto, erano riuscite a spezzare quell’incantesimo, magari avevano abbastanza potere anche per invertilo e rendere sua sorella di nuovo un lupo. Forse avevano già iniziato.
- Noi? Noi non possiamo niente contro di lei. Lei è indistruttibile. Quello che le sta succedendo sé l’è procurata da sola, per salvare tua figlia. – 
Elijah lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla, perché i piedi di Klaus si erano di nuovo avvicinati troppo a quell’individuo.
- Allora visto che tu sai tutto, dimmi, esattamente cose le sta succedendo? – ancora bloccato da suo fratello Klaus interrogò il suo interlocutore.
- Hai sentito il suo cuore? - ma fu lui a rivolgergli un’altra domanda. La risposta era no. Non lo aveva fatto. Aveva lasciato che Marcel la portasse in braccio nella camera da lui indicatagli, poi era rimasto per tutto il tempo con sua figlia. Bry era già svenuta prima e Klaus aveva dato per scontato che fosse normale per il tipo di potere che sua sorella aveva. Ora però lo fece. Si concentrò a cercare i battiti del cuore di Bry. Lei era in una camera al piano di sopra, ma le sue orecchie potevano udire un battito d’ali a sette chilometri di distanza, quindi potevano udire delle pulsazioni anche da dove si trovava. Pulsazioni strane. Lente. Quasi impercettibili.
- Sta morendo. – disse poi l’essere incappucciato.
- Menzogne. È il suo potere, la stanca troppo e deve riposarsi per poter riacquistare le energie. – stavolta parlò Elijah perché Klaus cadde in un riflessivo silenzio.
- Davvero? Come te lo spieghi che l’essere più forte al mondo debba riprendere fiato tra un incantesimo e l’altro. La Divina Brynhild è vecchia e stanca. Più usa il suo potere è più consuma la sua esistenza e qui lo sappiamo tutti che si sarebbe di certo sacrificata per salvare tua figlia. Una cosa che non riesco proprio a capire e tu, Klaus? -
Klaus espirò dal naso. Non conosceva del tutto il potere di sua sorella, come non conosceva chi gli stesse parlando e che mostrava così tanta conoscenza dei fatti accaduti in quelle ore, ma doveva ammettere che aveva ragione. Bry si sarebbe sacrificata per lui, lo aveva già fatto una volta.
- Che spreco, un essere così forte morto per un motivo così futile, ma io ho un'idea. Potremo consacrare il suo potere alla terra che... –
- Piuttosto brucerò il suo corpo con le mie stesse mani. – Klaus si avvicinò a quell’essere sfidando di nuovo la sua barriera, stavolta niente l’avrebbe fermato nel staccare il collo a chiunque fosse nascosto sotto a quel mantello.
- Lo vedremo. –
Davanti a lui una altra presenza si materializzò.
- NOOOOOO!!!! - Klaus cadde in ginocchio spalancando la bocca dallo shock. Caroline era stesa a terra, pietrificata, ingrigita e il suo corpo era ricoperto di vene viola. La sua Caroline. La sua Caroline. Era morta. Morta... Caroline scomparve. Non c’era. Non era lì. Non era vero.
Quell'essere rise sonoramente. Era stata una sua illusione. Klaus serrò la mascella, mentre Elijah che si era piegato a vedere cosa gli stesse accadendo gli diede una mano per alzarsi.
- Dov’è? – capendo già tutto. Loro avevano Caroline e l’avrebbero usata per ricattarlo.
- Non preoccuparti, non faremo niente di male alla tua amata, devi solo portarci tua sorella prima che la luna di stanotte tramonti. –
Klaus abbassò il viso a terra. Disarmato. Era stanco. Davvero. Non poteva abbassare la guardia, neanche per un secondo. Questa era la sua vita, avrebbe dovuto saperlo.
- Come mai ci dai un termine? – stavolta fu Elijah a parlare. Lui non ne aveva la forza, non più. – la Divina Brynhild è al piano di sopra, se la vuoi valla a prendere? –
Klaus guardò Elijah, cercando di capire che cosa avesse in mente.
- Perché voglio la mia vendetta e voglio che sia sofferta. Andiamo Elijah! Vuoi dirmi che non c’è una parte di te che freme nel vederlo soffrire esattamente come lui ha fatto soffrire te nelle volte che ha ucciso le tue amanti? –
- Come fai a sapere… - ma la voce di Elijah si interruppe perché la strega decise di scoprirsi. Nel momento in cui il suo cappuccio toccò il tessuto del mantello, Elijah aveva già tra le mani il suo collo.
Era un ragazzo. Magro, dai capelli scuri a spazzola e dalla pelle bianchissima. Un completo sconosciuto per Klaus, ma Elijah sapeva chi era. Il cameriere che li aveva serviti sulla S.S. Natcherz.
- Tu? Sei stato tu ad uccidere Hayley! – la sua mano si strinse di più e il ragazzo emise un suono stridulo dalla gola. Sentiva il suo cuore battere dalla paura e un fremito di eccitazione nascente dal basso ventre fece scoprire in lui gli istinti primordiali del suo essere un feroce assassino. Il ragazzo tentò di liberassi penzolando a cinquanta centimetri dal suolo, ma la sua forza non era niente. Era solo un insulso microbo che avrebbe cessato presto di vivere. In quella impeto Elijah avvertì appena una pressione sull’avambraccio. Gli ci volle un po’ per avvertire suo fratello. Klaus lo stava guardando diritto negli occhi, tentando di calmarlo. Non era la prima volta che affrontavano un nemico e ucciderlo prima che potesse parlare e spiegare le sue ragioni di vendetta, non era mai stata una mossa astuta. Elijah lo sapeva, era lui quello che attuava quella tattica. Klaus invece passava all’azione. Lasciò la presa e il ragazzo atterrò a terra tossendo. Si mise una mano alla gola, lì dove un'orma rossa segnava il segno della mano di Elijah.
- Si, sono stata io. – Rise mettendosi in piedi, ma le sue risate vennero interrotte da una quarta presenza. Era corsa dalle scale e ora era addosso a quel ragazzo. Gli stava mordendo il collo facendo issare le sue urla di dolore per tutta la villa. Hayley. Aveva udito tutto dalla stanza e la sua sete di sangue, rabbia e confusione aveva fatto il resto. Elijah e Klaus tentarono di bloccarla, ma Hayley aveva già ucciso il ragazzo. Lasciò che il suo primo assassinio cadesse a terra, facendo inondare il cortile dal suo sangue.

Damon e Enzo stavano trasportando un sacco di plastica nero. Quel sacco sembrava lungo almeno un metro e ottanta, se non di più. Lo portarono fino alla macchina di Liv. Un furgone che aveva affittato quello stesso pomeriggio. Con un lancio secco, lo gettarono nel retro e la cosa che conteneva la busta di plastica fece rimbalzare gli ammortizzatori. Oltre che lungo doveva essere anche pesantissimo.
- Ben fatto ragazzi  - Liv mise una mano in una rientranza dei sedili e da lì ne uscì una croce di ferro. Era un coltello – Daglielo a Bonnie e dille che Katherine lo aveva nascosto in un vaso di fiori sulla veranda di Matt. -  lo porse a Damon. Lui lo guardò e sé lo mise in una delle tasche interne del giubbotto. Avrebbe fatto esattamente quello che le aveva ordinato, ma non aveva la minima idea di che cosa stava dicendo. - Allora ragazzi alla prossima! – chiuse il cofano e raggiunse il posto dell'autista.
- Aspetta, aspetta, aspetta. - Damon la prese per un lembo della maglia. - Prima che vai a esaudire il desiderio del fantasma del "chissadove", c'è una cosa che vorrei chiederti –
Liv curvò le sopracciglia non seguendo il filo del suo discorso. – Fammi uno di quei incantesimi per non mangiare che ne so, mio fratello o la biondina miglior amica di Elena o peggio ancora BonBon. – in fondo era una richiesta plausibile.
- E va bene… – Liv puntò i suoi occhi nei suoi. - L’effetto del vaccino è scomparso e sei tornato come prima, anzi meglio di prima. – detto questo Liv entrò in macchina chiudendo la portiera.
- Aspetta, aspetta, aspetta. – ma Damon la bloccò di nuovo, stavolta allungando una mano sulle chiavi nel vano.
- Che c’è ora? – Liv si appoggiò con la schiena allo schienale in spazientita.
- Dov'è che precisamente, stai portando il corpo di Kol Mikaelson? –
Era quella la cosa che Liv voleva da lui. Era quella la cosa che lui e suo fratello avevano nascosto nelle acque profonde della duna. Liv lo aveva asservito a ripescarlo, ma non gli aveva detto altro.
La strega con il suo nuovo potere gli sorrise e alzò le spalle, accompagnando il gesto portando le mani all'insù, come a dire "E chi lo sa!"
Era una bugia. Sapeva bene dove portare il cadavere del più piccolo fratello degli originali.

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Capitolo 11
*** Darkshines Parte 3 ***


Darkshines
Parte terza


 
Sul cellulare l’indicatore rosso a forma di freccia si era fermato. Liv guardò attraverso i finestrini cercando una prova che quell'app che aveva scaricato fosse una fregatura e le sembrò proprio così. La città in cui l’aveva guidata era completamente disabitata. No, quella non poteva essere New Orleans. Con le dita controllò le impostazioni, ma erano giuste e mentre teneva la testa bassa sul suo smartphone, un lampo bianco e vaporoso si scagliò alla sua destra. Perfetto ci mancava solo la pioggia. Issò lo sguardo al cielo ed era ancora coperto da quelle nuvole grigie che l’avevano accompagnata per tutto il tragitto. Si sporse di più sul sediolino per poter vedere se avesse bisogno di un ombrello
“Toc”
Liv sussultò parandosi il petto con la mano. Il suono era arrivato alla sua destra, proprio dove aveva visto il fervore bianco. Un ammasso di polvere nera stava ondeggiando fuori dal suo finestrino. Strinse gli occhi cercando di capire di che natura fosse e le sembrò fumo. Un fumo nero come la pece che volteggiava nell’aria all’altezza del suo viso. Come era possibile?
- Ci hai messo troppo. – era quella cosa a parlare o sentiva le parole nella sua testa? Liv voleva capire cosa stesse succedendo, ma non ne ebbe il tempo. Il fumo nero si buttò sul finestrino. Liv azionò l’acceleratore cercando di fuggire da quella cosa gassosa che però, rimase attaccata alla portiera neanche fosse munita di mani. La strada era deserta, quindi spinse il pedale fino in fondo. La lancetta segnava solo i novanta all'ora ed era sicura che quella carretta di furgone, affittato a un prezzo economico, non poteva fare di meglio. Continuò in quella corsa pazza e l’adrenalina non le fece notare una cosa. Il fumo era già dentro alla macchina. Era penetrato dalle fessure della porta e adesso le stava ricoprendo il corpo fino ad arrivarle al petto. Sterzò bruscamente e il pesante furgone si voltò lentamente andando a finire nei cassonetti della spazzatura. Doveva uscire. Uno dei cassonetti bloccava la sua portiera e si lanciò sull’altro sediolino. Afferrò la maniglia e la tirò, ma la portiera non si aprì.
- L’agitazione non fa pensare, ricciolina. – ancora quella voce, ancora quella cosa o ancora la sua testa? Liv guardò la sicura ed era inserita. La tirò su e finalmente fu libera. Si lanciò in strada e iniziò a correre. Non si voltò, ma sapeva per certo che quella cosa la stava inseguendo. Era la sua prima volta a New Orleans e non sapeva dove stava andando, correva e basta, poi un nome su un'insegna di legno retta da un palo di ferro, cigolando rumorosamente, richiamò la sua attenzione. Aveva lo stesso nome del negozio dove avrebbe dovuto consegnare il corpo di Kol Mikaelson. Cercò di sfondare la porta vetrata chiusa a chiave, ma non possedeva tutta quella forza, allora si tolse il giubbotto di jeans e sé lo arrotolò sulla mano, ruppe il vetro e infilò il braccio all'interno. Riuscì ad afferrare la maniglia e la girò freneticamente da entrambe le direzioni. Si aprì. Con un grande sollievo Liv entrò e serrò la porta con un mobile che era lì vicino. Era un negozio di articoli magici che a prima vista le sembrò anche esso deserto.
- C’è nessuno? Cosa diavolo sta succedendo la fuori? - la sua voce riempì il piccolo rettangolo del locale, rivelandole che aveva ragione, era l'unica presenza lì e forse in tutta la città. - Ho con me quello che mi hai chiesto. - tentò in ultimo, sperando che la proiezione del ragazzo che le era comparso in camera si facesse vedere.
- Ben fatto. – sentì dietro alle sue spalle e si voltò aspettandosi il viso minuto del suo mandante. Come un onda di un mare agitato qualcosa le arrivò sul viso, qualcosa di nero. Il fumo. Le stava entrando dentro dalla bocca, dai fori delle narici, dagli occhi e dai buchi delle orecchie. Liv scosse la testa cercando di fuggire via, ma quella cosa la teneva incatenata a sé. Sentiva quel fumo insapore in gola e stava soffocando.
- Lascia..m.i. – tossì invano. Il fumo stava già strisciando sulle pareti dell'esofago. Un colato di vomito le scosse l’alto ventre. Era così forte che si sentì strizzare dietro alle orecchie e irritare l'inizio del naso, ma non uscì niente. Il fumo era dentro di lei. Completamente.
Sola. Liv si recò a uno specchio e si specchiò. Si aggiustò i capelli e si diede uno sguardo ai vestiti che indossava con un’espressione di disgusto e disapprovazione.
- Non riuscirò mai a capire questo stile. - si toccò i polsi e gli avambracci - Sei esile. - pensò ad alta voce parlando con il suo stesso corpo come se fosse un interlocutore estraneo - ma mi devo accontentare. - estraneo esatto. Perché non c'era più l'essenza di Liv a padroneggiare il corpo che la natura le aveva dato. Adesso un altro spirito ne aveva il possesso ed era quello di Celeste.
- Finalmente, la nostra prigioniera sta scalciando come una puledra impazzita. –
Una ragazzina dai capelli ricci e gli occhi a mandorla uscì dalla porta del magazzino. Era la stessa ragazza che aveva adescato Caroline nel vicolo. Era Monique Deveraux. L’unica delle ragazze del raccolto ad essere tornata in vita, questo perché il risveglio delle altre era stato rubato da altre streghe, le stesse streghe che entrarono subito dopo di lei. Genevieve e Bastiana.
- Tranquilla piccola, sta andando tutto secondo i miei piani e so come farla stare zitta. – sorrise Celeste alle sue complici, nella sua nuova faccia.

Brynhild era immersa nel buio. Era davvero tardi e Klaus era in tremendo ritardo. Il luogo segreto dei loro incontri era al centro di una boscaglia selvaggia e incurata, inscurita dall’assenza attuale e totale della luna nuova. Doveva tornare al villaggio, ma era sicura che Niklaus sarebbe arrivato da un momento all’altro. Si, sarebbe venuto. Come ogni loro incontro fino alla scorsa luna piena. La notte in cui dei licantropi avevano ucciso suo fratello minore. Da allora in poi non l’aveva più rivisto. Anche Esther si comportava in modo strano e chiedeva strani incantesimi in giro. Esther. Non la chiamava mamma, non lo aveva mai fatto. Il solo pensiero che le sue carni fossero state create nel ventre di quell’essere maligno, le faceva venire il volta stomaco. Le volte in cui Brynhild si era chiesta il perché la sua stessa madre la rifiutasse, erano innumerevoli. Esther non voleva conoscerla, non voleva sapere niente di lei, non provava il minimo affetto per lei. Brynhild lo sapeva perché un giorno si connesse a Esther. Sua madre era una strega furba, conosceva bene il potere della figlia, quindi si teneva sempre a una debita distanza, ma in uno di quei periodi in cui preferiva Amitola a Mikael, Brynhild riuscì a connettersi a lei grazie a un intruglio di erbe soporifere che sciolse nella zuppa che i servi prepararono quella sera. Esther avvertì da subito i primi sintomi del sonno, quindi suo padre fece preparare la stanza per ospitarla. Cadde addormentata non appena la sua testa bionda toccò il cuscino. Brynhild attese che anche suo padre andasse a dormire, per intrufolarsi nella loro stanza. Lì agì. Mise le mani alle tempie di sua madre, scavando nei suoi ricordi. Tutti. L’orrore che vide le fece ritirare le mani. Brynhild stentò nel credere nel suo stesso potere. La natura che aveva concepito lei e tutta la sua stirpe e tutte le cose meravigliose che la circondavano, era stata in grado di creare un essere del genere. Malvagità, opportunismo e cospirazione. Il sunto di tutto quello che trovò in sua madre. Niente amore, né per lei, né per Niklaus. Neanche per suo padre. Non solo. Vide anche il reale motivo per cui era ritornata dal suo amore licantropo. Ucciderla. L’unica cosa che le interessava il sapere come poteva ucciderla. Sua figlia. Sua madre voleva ucciderla. La chiarezza di quella verità le bucò il cuore, irreversibilmente. Perché credeva che la curiosità che Brynhild provava per suo fratello avesse poi portato alla scoperta del suo tradimento. Per questo, solo per questo, stava escogitando un modo per ucciderla.
Il giorno dopo, Brynhild iniziò a cercare Niklaus.
- Divina Brynhild…? -
Il suo nome la fece scrollare da quei orribili pensieri. Davanti a lei, gli occhi verde smeraldo di Abedadun brillavano emanando un lieve luccichio in mezzo alle tenebre. - Vorrei farvi presente che, per quanto sia lusingata e felice che tra tante donne al villaggio, voi abbiate scelto proprio me per incontrare vostro fratello maggiore, il sole è tramontato da diverso tempo ormai e che dovremo tornare. – mentre parlava la sua bocca compiva dei corposi movimenti per via del tenero spessore che avevano le sue labbra rosee. Bry aveva portato con sé Abedadun per un semplice motivo, era bellissima. Con i suoi capelli biondo chiaro, il viso marcato da forti zigomi e il naso all’insù. Era un esca. Forse a Niklaus, Abedadun non sarebbe neanche piaciuta e forse quella era una idea folle, ma era un inizio. Se suo fratello si fosse innamorato di una ragazza Hoenan come lei, come d'altronde era anche lui, avrebbe accettato con più facilità la sua natura che codardamente Bry non gli aveva ancora svelato. Era venuta l’ora però, quella sera gli avrebbe detto tutto. Se solo si fosse fatto vivo. Brynhild si voltò. Le era parso di aver udito un rumore tra gli alberi. Si avvicinò alla fitta natura cercando di distinguere qualcosa tra lo scuro delle foglie e lo scuro dei tronchi, ma non era facile, mentre la voce lieve di Abedadun le chiedeva cosa stava succedendo. Bry non le rispose, non era abituata ad avere così tanto contato con una suddita.
- Ahhh…. –
Bry si girò con un salto, provocato più dalla paura che dalla agilità. Abedadun era stata attaccata da una bestia…? Ma le bestie non attaccavano gli Hoenan. Era una cosa lunga e scura e incredibilmente veloce. Le stava appoggiata addosso con forza facendole curvare il corpo all’indietro, come un arco da caccia. Curiosi e incoscienti i piedi di Bry fecero qualche passo in avanti. Nessuno avrebbe mai potuto farle del male, lei era la Divina Brynhild, ma quella cosa sapeva chi lei fosse? L’essere alzò di colpo da Abedadun quella che adesso Bry capì essere la testa. Era una persona. Era una persona? Si voltò verso di lei e sputò un liquido scuro dalla bocca che nella notte, sembrò nero come il legno bruciato.
- Che sapore orrendo che hai! – disse mentre la ragazza che aveva attaccato urlava acuti di terrore. Il collo di Abedadun era squarciato da una ferita irregolare ed era ricoperto di sangue. Dal suo sangue. Bry spostò gli occhi sul viso della persona che aveva ancora le spalle di Abedadun strette nelle mani. Aveva dei strani denti aguzzi che si notavano in mezzo alla dentatura macchiata di sangue. “Che sapore orrendo…” aveva bevuto il suo sangue. Bry conosceva tutte le creature di quella terra, ma nessuna tra di esse beveva sangue umano. – cosa diavolo siete? – chiese infine l’essere lasciando la sua non gradita preda che cadde a terra.  Abedadun indietreggiò nel terrore, ma adesso l’attenzione dell’attentatore si stava prestando a Bry e lei riuscì a riconoscerne i lineamenti. Riconobbe gli occhi neri, i capelli scuri e il viso spigoloso dal mento stretto. Riconobbe il naso sottile e la fronte liscia. Era Kol. Il più piccolo dei Mikaelson.
- E tu cosa sei? – Bry gli rispose con un'altra domanda muovendo la testa in un gesto secco, indicandogli il sangue che gli stava ancora scorrendo dalla bocca. Kol sorrise divertito dalla totale mancanza di paura di quella minuta ragazza, in un modo che a lei fece venire in mente i mostri raffigurati nei disegni delle storie del terrore che le raccontava il cantastorie di corte.
- Io sono il diavolo. –
Non sapeva il perché, ma la pelle iniziò a irrigidirsi dal freddo. Era la stessa sensazione che si provava quando ti immergevi in un lago ghiacciato e il vento tiepido ti soffiava sulla pelle bagnata. Una cosa improvvisa e completamente inspiegabile, come se qualcuno stesse usando dell'acqua per farti trasalire da un pesante sonno, ma Bry non ci riuscì.

L'acqua con un vortice svuotò la bottiglia e inondò il corpo di Brynhild. Il vestito panna, che ancora indossava, si bagnò per metà e quella parte assunse un colore verdastro. Il colore della verbena che Klaus aveva sciolto dentro. Era un orribile rimedio, ma era disperato. Non fu l'unico. Aveva provato con il sangue, le aveva aperto la bocca e ne aveva versato una piccola quantità, ma non era successo niente, anzi, il sangue le era colato di traverso dall'angolo delle labbra sporcandole il viso bianco. Aveva soggiogato un medico che le aveva somministrato una dose di adrenalina e altri farmaci con una siringa ma l'ago, a contatto con la pelle dura, si era spezzato. Comunque non avrebbe funzionato. Bry era tante cose, ma di umano non aveva proprio niente. Klaus ricordò il suo sorriso imperfetto e l'ardore con il quale l'aveva abbracciato, forse si sbagliava. Il sonno di Bry, però, non venne minimamente interrotto. L'idea era che il dolore dell’ustione causatale dalla verbene, forse, sarebbe servito nel riportarla alla realtà, ma l’esile corpo di Bry non si mosse di un millimetro. Klaus lanciò la bottiglia vuota in un angolo della stanza con rabbia e afferrò la seconda bottiglia. Questa conteneva un liquido giallastro. Strozzalupo. Si perché Brynhild era diventata un vampiro solo per riuscire a sconfiggere Mikael, ma lei era un licantropo. Fece la stessa cosa e anche questo liquido cascò su sua sorella andando ai lati del suo corpo, come se lei fosse ricoperta d’olio. Finì di bagnare il materasso su cui giaceva, ma non fece altro. 
- Impossibile. – Rebekah era alla sua destra. Era stata sua l’idea della verbena e dello strozzalupo. Klaus lanciò le mani in alto per poi stringersi la testa nelle mani. Si strofinò con forza la carne delle guance, finché un urlo nato dalla bocca dello stomaco, squarciò la sua bocca. Con rabbia si accanì sulla poltroncina da tè tappezzata da una stoffa lilla romantica e il corpo di legno verniciato in panna. La lanciò contro il muro prendendo in pieno un quadro che egli stesso dipinse. Un paesaggio di margherite bianche e rose. Cadde anche quello. La poltrona e il quadro atterrarono sul comò antico, anch’esso panna, rompendo le cianfrusaglie da donna che vi erano appoggiate sopra. Legno e vetro ricoprirono il pavimento della camera che Rebekah aveva così tanto invidiato a Bry. La sua vecchia camera.
- Hai sfogato la tua ira? – gli chiese Elijah alzando il tono di qualche grado. Gli occhi spalancati di Klaus furono su di lui. No, non aveva finito. Le streghe avevano Caroline e l’unico modo per riaverla era quello di consegnarle sua sorella morente, perché potessero consacrare il suo immenso potere alla loro amata terra sacra. Cosicché il potere di Bry fosse passato a loro, ed era facile capire che cosa le streghe volevano farci. Uccidere sua figlia.
Se solo Bry si fosse svegliata.
- Proviamo con il legno? – Rebekah ne raccolse un pezzo dalle macerie create da Klaus, chiamando a sé gli occhi di tutti.
- Non credo che sia una buona idea. – Elijah si staccò dall’uscio della porta avvicinandosi alla sorella, ma velocemente Rebekah aveva già affondato il colpo e con tanti posti che avrebbe potuto scegliere per provare che il dolore fosse la risposta a quel coma di Bry, scelse il cuore. Bry era un vampiro, ma non sapevano se fosse un originale come loro. Forse il legno poteva esserle letale. Klaus scaraventò la sorella al muro con un solo gesto della mano e si inginocchiò a terra, osservando il danno che aveva causato al corpo di Bry. Niente. Solo un foro sul vestito, nient’altro… Niente? Il legno non uccideva gli originali, ma li feriva e faceva un male cane.
Rebekah si mise a sedere e guardò il paletto che aveva ancora tra le mani. Era spezzato a metà, come se lo avesse lanciato contro un’asse d’acciaio. 
- Non è possibile – sussurrò in un sibilo di orrore. Doveva pur esserci un’arma capace di ucciderla.
Klaus si rimise in piedi dandole le spalle.
- Sto aspettando le tue spiegazioni… e se quel colpo l’avesse uccisa? – le disse poi senza abbandonare la posizione.
Rebekah si alzò anche lei cercando di tenere a bada la bocca che le stava tremando dal nervosismo.
- Che idiozie. Se è diventata un vampiro nello stesso modo in cui lo siamo diventati noi, questo la rende un originale esattamente come noi. Sapevo che il legno non le avrebbe recato nessun danno e ho scelto il cuore perché è il posto più doloroso – no, non era questa la vera ragione. Rebekah stava solo sperimentando su Bry, ora che poteva, se davvero fosse la divinità indistruttibile che tutti pensavano e finora, era così. Se solo sapesse dove Klaus avesse nascosto il paletto di quercia bianca.
- Quindi il prossimo passo, secondo te, sarà usare il paletto di quercia bianca? – adesso Klaus si era girato verso di lei tenendo le mani dietro la schiena, leggendo nei suoi pensieri.
- Non funzionerà – ma Elijah si intromise di nuovo tra loro. – Pensateci. La verbena è un erba, lo strozzalupo anche, il legno… sono tutti elementi della natura maledetti dalle streghe. Non possiamo usarli contro di lei perché può comandare sia la natura, sia la magia delle streghe. – mostrò il suo ragionamento ai suoi fratelli. Bry non aveva parlato molto di sé, aveva accennato qualcosa sulla sua razza, ma era sempre stata molto vaga, quindi dovevano arrivare alle conclusioni da soli. Come la notizia che gli aveva dato quel ragazzo strega prima che Hayley lo facesse fuori. Stava davvero morendo?
Klaus annuì e con passi stanchi raggiunse il letto in cui giaceva sua sorella. Era minuta quindi i suoi piedi arrivavano a tre quarti del letto, lasciando tutto lo spazio per potersi sedere. Klaus lo fece. La guardò e poi per la prima volta le accarezzò il viso. Era freddo e duro. I suoi capelli rosso vermiglio erano così corti ora, che il viso minuto spuntò fuori. Era sua sorella e aveva dimostrato di amarlo esattamente come un familiare dovrebbe fare. Klaus respirò fino ad allargare i polmoni alla cassa toracica, tirandosi via la mano. Lui amava Caroline, la amava tanto.
- Allora smettiamola con queste stronzate e facciamo come ha detto il ragazzo strega. Diamogliela a loro. – era esattamente la cosa che avrebbe voluto fare dal principio e ora Rebekah aveva pure un alibi. Bry era fuori gioco, lei era salva.
- Non hai capito vero? – continuò Elijah. – Quello non era un semplice stregone. Quella era Celeste. –
- Cosa? – e dalla sorpresa gli occhi di Rebekah quasi e le uscirono dalle orbite.
- Ci sto pensando da tanto, ma il ragazzo ha detto che voleva la sua vendetta, e non ricordo di avergli fatto nessun torto. Ha aggiunto che io avrei bramato nel vedere soffrire Klaus esattamente come lui ha fatto soffrire me, e poi giurerei di averlo sentito rivolgersi a se stesso con il femminile in più di un’occasione. – ora che aveva riversato quel pensiero fuori, sembrò meno improbabile. Celeste era una strega forte e aveva avuto anni per escogitare la sua vendetta.
- In un ragazzo?? Quanto schifosamente si deve essere pazze per decidere di incarnarsi in un ragazzo? – Rebekah schifata alzò le mani al cielo. – E poi Celeste non era nella strega Sabine? –
- Bry l’ha uccisa. – dopo tanto Klaus riparlò e la sua voce era un sibilo rauco. Sembrava davvero stanco.
- Cosa? – non aveva intenzione di ripetersi, ma quella cosa l’aveva scioccata dieci volte di più. Stava cospirando dietro alle spalle di Brynhild da quando aveva visto che poteva rivoltare dieci cervelli di vampiro come calzini, ma ora che sapeva che era in grado di uccidere, le cose si spostarono da un altro punto di vista. Se Klaus avesse saputo del suo tradimento, l’avrebbe punita o avrebbe ucciso Marcel, forse avrebbe uccisa anche lei. Forse. Bry l’avrebbe sicuramente uccisa. Rebekah aveva creduto che Bry fosse una ragazzetta un po’ toccata dal fatto di essere stata esiliata in un corpo di lupo per mille anni dalla sua stessa madre, ma mai aveva immaginato che avesse il coraggio di uccidere. Ora che lo sapeva era più decisa a toglierla di mezzo, perché se avesse scoperto la sua cospirazione verso suo fratello, non avrebbe aspettato la decisione di Klaus, l’avrebbe sicuramente annientata con il suo raggio solare. Lei che era una figlia di Mikael.
- Sì. Bry me l’ha mostrato nell’ospedale dove ci siamo rincontrati, ma io ero così preso dalla paura che lei non fosse chi davvero mostrava di essere, così insicuro che la vita mi stesse portando una gioia tra tanto amaro, che mi sono concentrato nel smascherarla, invece di capire cosa diavolo stavano architettando le streghe. – si mise le mani al viso, nascondendosi. Era quello che era abituato a fare, dubitare.
- Come ha fatto Celeste ad usare la magia, impossessandosi del ragazzo? Bry l’aveva bloccata, giusto? – Elijah si sfilò le mani dalle tasche, rivelando un altro suo pensiero ad alta voce.
- Non lo sapremo mai, grazie alla geniale idea di Hayley nel volersi vendicare della sua morte, uccidendo il ragazzo prima che potesse parlare. – Rebekah alzò il tono di voce maledicendo la ragazza che aveva reso quella situazione terribile, ancora più difficile.
- Eri andata tu a controllare, potevi bloccarla tu? – Elijah si girò verso di lei.
- Ho provato, ma non è facile bloccare un neo-ibrido affamato e arrabbiato. – e con due passi Rebekah fu da lui puntandogli un dito contro.
- Sei immortale Rebekah! Cosa mai avrebbe potuto farti? –
- Davvero? Voi eravate due al piano di sotto e non ci siete riusciti. –
- Rebekah! Questo non è il momento per discuterne. Scopriremo tutto. Ora tu vai da Hayley per darle supporto in questo momento delicato, mentre io e Klaus troveremo un modo per risolvere questa situazione. Noi… -
- BASTA! – Klaus si alzò di scatto con gli occhi iniettati di sangue. – Troveremo, scopriremo, ne discuteremo. Questa… – indicò Bry sul letto – è MIA sorella. Le streghe hanno la donna che IO amo e MIA figlia è di nuovo in pericolo. È la MIA famiglia. È il mio momento difficile e non resterò un minuto di più a sentirvi starnazzare mentre tutto quello che di bello mi sia mai successo è in pericolo. – serrò le mascelle abbassando la testa. Elijah riconobbe quello sguardo. Era l’espressione che suo fratello mostrava quando credeva che qualcuno lo stesse per tradire.
- Klaus, ma noi siamo la tua famiglia! – nella parole di ELijah non c’era niente di comico, ma Klaus rise comunque.
- Cosa credi che non abbia sentito l’odore di lei sulla tua pelle? – si avvicinò fino a che un solo passo li divise. Elijah abbassò il viso a terra, solo per un secondo, perché mai avrebbe negato l’amore che provava per Hayley.
- I miei sentimenti per lei non condizionano… -
- Risparmiami le tue parole e guardami negli occhi e dimmi che il pensiero di usare quel dannato paletto di quercia bianca su di me, per poter vivere l’amore con quella lupa e crescere la bambina che il fato ha ingiustamente deciso di dare a me che a te, non ti è mai passato per la testa. –
- Questo è troppo Klaus, lo so che è un momento… -
- E tu sorellina. – Klaus si voltò come se non avesse nessun interesse verso le parole di suo fratello e quegli occhi pieni di pazzia furono su Rebekah – credi che sia stupido? So che non stavi tentando di svegliare Bry, ma che tentavi in tutti i modi di farle del male, come so che hai paura di lei dal giorno in cui hai scoperto che può leggere nel pensiero. Hai qualcosa da nascondere, lo so e sai una cosa… - si era avvicinata a lei, mentre Rebakah si era congelata in un pezzo di ghiaccio. – non mi importa. – le disse a un centimetro dal viso.
Non era di certo quello che si aspettava da lui. Rabbia, inseguimenti, paura e persecuzione, questo si aspettava. Klaus si avvicinò alla porta della camera e prima di uscire tornò a parlargli.
- Fate quello che volete delle vostre vite. Amate e alleatevi al diavolo se volete, come se i nemici lì fuori non siano già abbastanza. – uscì lasciando Rebekah e Elijah senza parole. Era davvero successo quello che avevano tanto sperato. Erano liberi. Si guardarono e dopo un secondo furono alla porta.
- Dove vai? – Elijah gli chiese prima che potesse prendere le scale.
- A rischiare la mia vita per salvare quello che è mio. – ma non si voltò neanche per guardarli.
- Da solo? – Rebekah era lì fuori anche lei, ma non fu lei ad arrestare suo fratello, ma Marcel. Era entrato nella villa nel momento in cui Klaus la stava abbandonando. Non era solo, ma tutti i vampiri che una volta erano sotto il suo controllo erano dietro di lui.
- Ho un piano migliore. – disse richiamando l’attenzione di tutti.

In una parte malandata della città dei morti, dove le tombe erano così antiche da aver perso ogni compiangente durante il corso dei tempi, lì su una tomba incavata nel marmo, lesionata dal tempo e dalle intemperie, le streghe avevano poggiato il corpo di Kol Mikaelson. Avevano il potere che avevano così tanto desiderato, ma non era sufficiente. Neanche loro potevano violare una delle più grandi regole che le avesse dato la natura. Quello che era morto, doveva rimanere tale. Almeno che non avessero intenzione di creare un nuovo essere con le stesse sembianze dei vampiri, ma che la sua creazione non rendesse la natura furiosa. Creare un cacciatore di vampiri. Le mancava solo un piccolo ingrediente. Il sangue degli originali, ma aveva pensato anche a questo.
Una cosa poteva farla. Usare un piccolo trucchetto che una sua vecchia amica le aveva insegnato. Lo stesso trucchetto che aveva usato lei per incarnarsi nelle carni di tante streghe sfuggendo alla morte, solo che avrebbe cambiato qualcosa, usando un'altra anima.
Gli occhi del più piccolo degli originali si spalancarono, ma erano ancora nel colore grigio della morte, poi si alzò di mezzo busto.
- Ben tornato. – gli disse. La faccia di Kol la guardò, ma non era lui. Celeste gli aveva dato un corpo nuovo e potente, come gli aveva promesso tanto tempo fa.
- Finalmente. – disse la sua bocca ingrigita guardando diritto davanti a sé e facendo sorridere Celeste.

Era stata proprio una bella giornata. Stefan le aveva fatto portare la moto come le aveva promesso. Erano andati al parco a dare da mangiare alle anatre nel lago e passeggiato lungo il lungolago parlando e ridendo come due ragazzi normali al loro primo appuntamento.
- Quindi, hai deciso in quale ramo specializzarti? – Stefan camminava con le mani in tasca del suo jeans scuro curvando così le spalle.
- Andiamo Stefan! – ma Katherine aumentò il passo per poterlo superare e poi si voltò verso di lui. – credi davvero che me la sarei bevuta? –
- Ma di che stai parlando, Elena? - qualcosa negli occhi di Stefan cambiò, ma non volle abbandonare la sua parte. Katherine alzò gli occhi al cielo.
- Basta, Stefan. Ho capito. – allargò le braccia, mentre invece Stefan si preparò a tutto. Lei era una vampira molto furba, doveva aspettarsi che non sé la sarebbe bevuta. – Se vuoi chiedermi di tornare insieme, fallo e basta. –
Stefan abbassò il capo nascondendo un grande sorriso. Per un minuto si era dato per spacciato.
- Non lo so… -
- È per Damon? Te l’ho detto, è stato un grande abbaglio e… -
- Cosa?! – una voce che non apparteneva a nessuno dei due le parlò da dietro. Nel momento in cui l’aveva percepito, le era già dietro le spalle. Da quando era così veloce?
Si voltò e lo vide, Damon. Lui gli mostrò un grande sorriso come se niente fosse.
- Pensavo che fossi quella giusta per me e… - poi scoppiò a ridere. – no, sentite non sono bravo a mentire. – allargò le braccia come se davanti a sé ci fosse un pubblico pagante, ma nei paraggi c’erano solo loro.
- Stai bene? – gli chiese Katherine girandosi verso Stefan, come a chiedere conferma di quello che stava vedendo. Il ragazzo alzò le spalle, non sapeva davvero cosa stava succedendo.
- Certo che sì. – Damon le sorrise di nuovo. – è una breve storia che non vi racconterò, ma mia cara c’è un'altra storia che vorrei che tu mi raccontassi. –
- Non riesco a capire? – Katherine arricciò le sopracciglia, ma sapeva bene che c’era qualcosa che non andava.
- Del come hai impossessato il corpo della mia amata. – a quel punto Damon scagliò un colpo, ma Katherine lo schivò. Vide il pugnale che aveva tra le mani, il pugnale che uccideva i viaggiatori. Con un ringhio si lanciò su di lui, ma altre mani la tennero stretta. Stefan. Era dietro di lei, bloccandola.
- Non pensavo di essere un così bravo attore. – le disse in un orecchio. Katherine era una vampira forte, ma nel suo vecchio corpo, questo era un corpo troppo giovane e troppo lento. Damon era davanti a lei, con il solito sorriso sulle labbra.
- Quindi è così che finisce? – si passò la lama del pugnale tra le dita osservando la donna che aveva creduto di amare per così tanto tempo, nel corpo della donna che amava davvero.
- Per piacere! Non voglio morire. Stefan io… - con un calcio colpì Damon allo stomaco. Il ragazzo dai capelli neri corvino, si inarcò dal dolore e Katherine sfruttò la situazione per poter sferrare un secondo calcio, stavolta colpendogli il mento. La testa di Damon si alzò in un modo irregolare e tutto i suo corpo seguì lo slancio cadendo a schiena a terra. Stefan lasciò la presa per poterle mettere le mani alla testa, voleva romperle il collo. Cattiva idea. Con il gomito gli diede una potente gomitata al fianco, sfuggendo dalle sue mani, poi si voltò nel guardarlo.
- Quindi, amore mio, tutto questo era una sceneggiata? E io che credevo di piacerti. – Katherine ringhiò il suo sarcasmo, gettandosi su di lui. Stefan parò i suo primo cazzotto, il suo secondo, terzo e quarto, poi Damon fu di nuovo in piedi. L’attaccò da dietro. Kathierine si abbassò, proprio quando Damon aveva scagliato un'altra pugnalata. Colpì Stefan alla spalla che urlò dal dolore. Katherine corse via, ma i due le corsero dietro. Arrivò a una panchina e con un pugno ruppe l’ultima striscia di legno per ricavarne un paletto. Si voltò e lo infilò nel petto del vampiro che le era spuntato dietro. Stefan. Lei lo guardò mentre il dolore gli percorreva tutto il corpo.
- Solo tu sai perché non ti ho colpito il cuore. – gli disse mentre piano Stefan si accovacciava a terra. Katherine scappò, senza guardarsi indietro.

La città era davvero vuota. Tutto quello che si sentiva era il fruscio della pioggia che violenta stava cadendo da quelle nuvole che avevano coperto il sole per tutta la giornata. A ogni passo le mani a penzoloni di sua sorella si muovevano nell’aria. Aveva la testa curva e i capelli bagnati grondavano di pioggia. Il corpo era del tutto gelido e non solo per il freddo che faceva. Il suo cuore aveva cessato di battere. Bry era morta. La teneva in braccio come nel primo giorno, solo che invece di portarla a casa, la stava consegnando alle streghe. Le streghe che odiava così tanto. La pioggia li aveva bagnati entrambi. Il vestito le aderiva al corpo fanciullesco e mostrò la sua esile corporatura. Sembrava un essere da proteggere, no da sacrificare. Anche le ciglia erano bagnate, di quelle palpebre chiuse che nascondevano i suoi occhioni blu, che non avrebbe mai più riaperto.
- ALLORA!!!! Sono qui, dov’è Caroline? – urlò al centro del quartiere francese. La pioggia aveva bagnato anche i suoi di capelli e corpose gocce di pioggia colavano davanti ai suoi occhi.
- Manca tanto alla luna, devi amare molto questa ragazza. – quella voce parlò, ma non c’era nessuno nella strada.
Klaus si abbassò lasciando sua sorella a terra e pregò che si svegliasse fino all’ultimo istante. Quando si alzò, la strada non era più vuota. Una vasca era al suo centro. Era colma d’acqua, ripetutamente colpita dalle gocce di pioggia. Klaus si avvicinò. La pioggia era battente e presto l’acqua all’interno della vasca straripò. Ci vide qualcosa dentro e aumentò l’andamento dei passi. Un alone chiaro circondato da filamenti d’oro. Un viso. Klaus immerse le braccia inginocchiandosi. Afferrò il corpo sul bordo di quella vasca e lo portò su. Era davvero un modo teatrale e Klaus fu convinto del tutto di starsi confrontando con Celeste. Lei era stata annegata da chi la accusava di essere di una strega in una vasca, e tutto successe per colpa sua. Non appena fu al contatto con l’aria, Caroline respirò. Aprì gli occhi e la bocca vomitò l’acqua che aveva ingerito. 
Gli occhi azzurri di Caroline lo guardarono con panico e solo quando lo riconobbe alzò le sue braccia per abbracciarlo. Klaus la tirò via da quella vasca e l’acqua dei vestiti di Caroline si mischiò alla pioggia. Era lei. Era vera. Era viva. La strinse a sé fredda e bagnata e Caroline si fece abbracciare. Tossì contro i suoi pettorali e Klaus si maledì per aversi creato così tanti nemici.
- Stai bene? – le accarezzò i capelli e Caroline annuì sul suo petto. – Ti hanno fatto qualcosa? Un incantesimo. – ora Caroline dissentì.
Si staccò da lui e lo guardò con due occhi strani e pieni di sensi di colpa.
- Pensavo che non saresti venuto. – gli disse mentre tutto il suo corpo veniva percosso da un milione di brividi.
La pioggia continuava a scendere violenta, ma non li interruppe.
- Come hai potuto solo pensarlo. So che sai quanto io tengo a te. –
Caroline sorrise in un modo strano annuendo tardamente. Lui continuò ad averla tra le sue braccia, fino a che lei glielo avrebbe permesso. Sapeva che da un momento all’altro Caroline si sarebbe spostata da lui entrando nella sua spirale di indifferenza. Non lo fece. Era gelida tra le sue braccia, ma avvertiva il suo cuore battere vicinissimo al suo e fu come se fossero una sola persona. Klaus le spostò i capelli dagli occhi per poterli guardare, mentre la pioggia li bagnava ancora. Il suo cuore batteva forte tanto quanto il suo, senonché di più. Le prese il mento con le dita. Le gocce le percorrevano il bel viso scendendo sulla curva del suo corpo. Era completamente inzuppata d’acqua e la camicetta blu le aderiva al petto. Si poteva vedere l’intimo nero che copriva i suoi tondeggianti seni e il ricordo della loro prima volta annebbiò la mente di Klaus. Battette le ciglia per un attimo, ma veloce le riaprì. Voleva guardarla. Klaus non la lasciò, anche se non era lui che prendeva le decisioni in quella loro strana storia, se fosse stato per lui sarebbe stato suo per sempre. Caroline non ritirò il viso dalla sua morsa e teneva i suoi occhi nei suoi. Lui contraccambiò, incerto. Non era abituato a questo. Lei che era sempre stata sfuggente, era lì docile guardandolo nel modo in cui aveva sempre sognato. La sua Caroline. Appoggiò la sua testa alla sua, lentamente come se il solo tocco potesse romperla e lei… lei chiuse gli occhi. Klaus aveva dato a lei l’ingrato compito di farsi avanti e lei lo aveva fatto, a modo suo. Stava attendendo e il cuore di Klaus saltò in un battito impazzito. Si avvicinò di un solo millimetro nella paura che lei potesse cambiare idea, che le cose terribili che lui aveva fatto in passato si mettessero di nuovo tra loro due, ma lei non si mosse, anzi Klaus spalancò gli occhi quando la sentì issarsi in punta di piedi. Era lei che lo voleva. Era lei che glielo stava chiedendo. Klaus espirò dal naso tutte le sue paure e annientò la distanza dei loro visi. La baciò. Trovò le sue labbra che gli erano tanto mancate. La baciò e Caroline corrispose. Aveva gli occhi chiusi, mentre lui non riusciva a chiuderli, voleva vedere, voleva marcare quel ricordo nella sua mente per sempre. La strinse a sé per non lasciarla andare via e un brivido gli percosse la schiena, quando l'interno morbido e caldo delle labbra della donna che aveva così tanto desiderato, coprirono le sue. Caroline si appoggiò al suo corpo mettendogli le mani nei capelli. Espirò dal naso il desiderio e Klaus si sentì morire quando la sua lingua toccò la sua. Era calda e il suo calore lo avvolse tutto. Chiuse gli occhi mentre le morbide labbra di Caroline continuavano a corrispondere al suo bacio, stonato dal battere del suo cuore ibrido. La amava, la amava davvero.
- Guarda un po’. L’ibrido imbattibile che amoreggia con la sua amata ai piedi di sua sorella morta. Non mi sorprende affatto. – Celeste uscì da un angolo della strada, mostrando il suo nuovo corpo, interrompendoli. Non era sola. Era accompagnata da altre tre streghe che si coprivano dalla pioggia usando degli ombrelli neri. Klaus riconobbe la nipotina di Sophie Deveraux, perita nelle mani della stessa.
- Liv? – chiese Caroline riconoscendola, ma Klaus non le fece dire altro. La spinse dietro alle sue spalle per pararsi davanti a lei.
- Sì, è questo il suo nome, ma non sono lei, non più. –
In quell’istante la pioggia cessò. Fu come se qualcuno dal cielo avesse chiuso un rubinetto.
- Ora puoi andare, Mikaelson. – Celeste fece un passo verso Bry, ma Klaus non aveva nessuna intenzione di andarsene.
- Non così in fretta. – ora fu lui a mettersi avanti a sua sorella e in quell’istante dalle strade, dai vicoli, sui marciapiedi e sui palazzi, sbucarono altre persone. Vampiri. I vampiri di Marcel. Erano circondate.
- Davvero credevi che mi sarei arreso così facilmente. – volteggiò un dito in aria mostrando alle streghe il numero elevato dei loro nemici.
- Stupida decisione. – Celeste schioccò le dita e in un attimo fu visibile un qualcosa che Klaus non aveva messo in conto. Licantropi. I licantropi del Bayou ed erano tanti. Erano dietro alle streghe ed erano sempre stati lì, solo che avevano issato un incantesimo per renderli invisibili. - Sai è facile avere il supporto dei lupi mannari quando gli si promette l’antidoto alla loro maledizione. Maledizione che ho issato proprio io. – Celeste abbassò una mano dando un comando ai suoi lupi. Il comando di attaccare. Klaus si voltò verso Caroline afferrandole tutte e due le braccia.
- Scappa e non farti mordere. –
- Vieni con me. – Caroline afferrò la manica della sua maglia inzuppata d’acqua.
- SCAPPA!!! – ma la strappò via proprio quando un licantropo stava per attaccarli da dietro. Klaus riuscì a fermarlo dandogli un calcio nello stomaco. Caroline non si mosse cocciutamente e la sua bocca si aprì come se volesse dire qualcosa, poi una figura fu al suo fianco. Rebekah. Sorrise al fratello.
- Lo so, mi hai liberata, ma sei sempre mio fratello, testa di cazzo. – prese Caroline per un braccio e la portò via con se. Caroline si voltò verso di lui, in più di una volta, e Klaus non lasciò la sua vista, finché un'altra voce familiare si fece udire. Si voltò verso la folla che si era creata. Vampiri contro licantropi stavano combattendo all’ultimo sangue e proprio in mezzo a loro, suo fratello Elijah teneva il muso di un lupo mannaro tra le mani, mentre un altro lo stava per attaccare al fianco. Elijah non lo aveva visto. Klaus corse e intercettò l’attacco. Elijah si voltò verso di lui dopo aver scaraventato l’animale a tre metri di distanza.
- Guardati le spalle, fratello. – gli disse poi Klaus. Non ebbero il tempo di dire altro, la battaglia intorno a loro stava diventando focosa e i licantropi parevano avere la meglio. Si buttarono nella mischia, fianco a fianco, per proteggere quello che avevano di più caro, la famiglia.

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Capitolo 12
*** Time is running out parte 1 ***


Time is running out

You will be
The death of me
Yeah, you will be
The death of me
Bury it
I won't let you bury it
I won't let you smother it
I won't let you murder it

 
Aveva dormito.
Per quanto aveva dormito?
Alzò una mano e con il palmo si toccò la fronte. Scottava. Scottava ancora.
Aveva ancora la febbre nonostante tutte le erbe mediche e gli intrugli che il medico di corte le aveva fatto prendere. Brynhild non era abituata a sentirsi così, negli Hoenan non esistevano malattie particolari, né tanto meno in tutte le altre specie, ma da quando quelle popolazioni straniere avevano deciso di sbarcare sulla loro parte di mondo, tutto era decisamente cambiato.
Queste nuove civiltà oltre all'aver portato un numero non irrisorio di streghe maniache del controllo, desiderose di attenzioni provenienti da uomini diversi dai loro mariti, che abbandonavano figlie al loro destino e progettavano la loro morte, avevano portato anche tante malattie a loro ancore sconosciute. C'era già stata una febbre che aveva colpito quasi tutti gli indigeni che ancora vivevano allo stato brado, ma era stato facile per i medici Hoenan salvarli quasi tutti, questa volta invece sembrava che tutte le medicine che possedevano erano vane. Si ammalarono tutti e neanche la stirpe reale riuscì a sfuggire a questo virus. Avevano provato a curarsi esponendosi al loro sole, che permetteva la loro potenza ed esistenza, ma questa influenza rendeva gli occhi sensibilissimi a qualsiasi tipo di luce, costringendoli a restare nel buio fino a che la febbre per un motivo non ancora chiaro, se ne sarebbe andata da sola. Erano passati già sei giorni dalle prime linee di febbre comparse nel corpo di Brynhild, e da allora era rimasta barricata nella sua stanza reale, nell'oscurità.
Battete le palpebre per diverse volte prima che i suoi occhi potessero abituarsi a quell'assenza totale di luce. La sua stanza era al buio, ma non ricordava che potesse raggiungere tale oscurità. Adesso che ci stava facendo caso, non sentiva il calore rassicurante della coperta sulla pelle.
Si alzò piano fino a mettersi di mezzo busto. Le gocce di sudore le scesero dalle tempie e percorsero il profilo del suo viso fino a scenderle giù sul collo. Appoggiò le mani sul materasso…, no…, cos'era? Non era il suo materasso. Era troppo duro e farinoso per poterlo essere. Cos' era? …sembrava terriccio?
Non era nella sua stanza. Non riusciva ancora a scandire gli oggetti, ma sentiva che quella non era la sua stanza. Forse era un sogno.
Con grande difficoltà riuscì a mettersi in piedi e un giramento di testa la fece barcollare. Trovò un appiglio su un qualcosa di irregolare e franante. Cos'era? Dov'era?
Aprì una mano a palmo all'insù, mentre con l'altra si teneva salda a quella strana parete. Il primo incantesimo da strega che le aveva insegnato Ayanna fu quello di rendere l'acqua infiammabile. Era stato facile impararlo e facilissimo attuarlo. Chiuse gli occhi. Gli Hoenan riuscivano a percepire il componimento delle cose e modificarle. Percepì le minuscole goccioline d'acqua che galleggiavano nell'aria sopra al suo arto accaldato. Nacque una scintilla rossa e poi una fiamma, come se avesse usato delle pietre focaie. La fiamma che galleggiava in aria sopra alla sua mano, illuminò il buio, anche se di poco, ma bastò per darle ragione. Quella non era la sua stanza, né altro a lei conosciuto. Dov'era?
Mosse la sua mano e come se fosse attratta da una calamita, la fiamma magica la seguì illuminando anche il resto, ma quel posto le sembrava completamente vuoto. Camminò strisciando la mano alla parete rocciosa... Roccia? Veloce avvicinò la sua torcia magica e finalmente riuscì a riconoscere qualcosa. Una parete rocciosa, come se fosse ai piedi di una montagna o una grotta. Una grotta? Sì, era in una grotta. Come ci era finita lì?
La luce della fiamma trovò su quel muro naturale un particolare che catturò la sua attenzione. Un disegno o meglio una serie di disegni incisi nella pietra, poi la sua fiaccola illuminò dei nomi. Erano scritti nell'alfabeto runico, la lingua di sua madre che aveva appreso quando si connesse a lei, e di suo fratello. Infatti quello che stava illuminando era il suo nome. Era anche lui lì con lei? Chiuse di nuovo gli occhi, ma lo percepì a chilometri di distanza da lei. Chilometri?
Il cerchio alla testa le stava dando il tormento e mescolando i pensieri. Tutto quello che voleva era dell'acqua e il poter dormire fin quando quella dannata febbre non fosse andata via, ma doveva capire cose le era successo e cosa stava succedendo. Nonostante tutto sì concentrò di nuovo usando tutta la forza rimanente. Un piccolo soffio le gelò la bollente pelle febbricitante. Era fievole e sottile, ma Brynhild riunì tutta la sua attenzione su di esso e come aveva trovato l'acqua, trovò quella brezza fresca che sapeva tanto di aria aperta. Lo avvertiva da dietro alle spalle e doveva girarsi. Se l'avesse seguito avrebbe potuto trovare l'uscita.
Come era arrivata lì? Chi l'aveva portata?
Altre due domande che erano riuscite a saltare l'intontimento del suo cervello rovente, accompagnarono la sua ricerca, ma rimasero per un primo momento senza risposta. Aiutata da quel muro naturale riuscì a camminare per dei faticosi passi, finché la debolezza le portò un altro capo giro. Stava per cadere dall'altra parte del muro, ma fortunatamente non arrivò a battere sul suolo perché un'altra superficie arrestò la sua caduta. Era più granulosa e sfaldabile. Al suo impatto sentì un rumore di pietre cascare e quando avvicinò la sua torcia naturale spalancò gli occhi. Sassi e macigni, gli uni sugli altri, coprivano il luogo dove lo spiffero si era trasformato in più corposo e prepotente. L'uscita era stata bloccata da una frana. Era in trappola.
Con l'avambraccio tirò via il sudore dalla fronte e si sentì più calda di prima. Qualcuno l'aveva portata lì, era l'unica spiegazione plausibile. Chi?
Oh no!
Tutto le fu chiaro. Aveva solo una nemica, solo una era la persona che voleva ucciderla e quella era sua madre. Era stata lei. Era stata Esther. Lei l'aveva portata lì e fatto cadere con un incantesimo tutte quelle rocce, così da imprigionarla, ne era certa. Perchè? Per Niklaus? Esther l'aveva rinchiusa lì per punirla per aver conosciuto suo fratello? Niklaus? Dov'era? Aveva fatto qualcosa anche a lui? Quando aveva letto nella sua mente non aveva trovato niente di allarmante, anzi Esther cercava un modo per togliere di mezzo lei solo per tenere il figlio che aveva scelto di tenere con sé, al sicuro. Ora che ci pensava però, in quella mente non vi era neanche niente del vampirismo...
"Sono il diavolo!"
Kol nel buio della radura, con le zanne da demone immortale macchiate del sangue della dama di corte che Brynhild si era portata con se, le tornò in mente. Quando le era salita la febbre? La sera stessa? Sì, era stata la sera stessa. Doveva avvisare Niklaus del pericolo. L'aveva fatto?
No.
La febbre alta le aveva fatto perdere i sensi per tutto il tempo, ma non era stato solo questo. Era come se qualcosa le avesse fatto dimenticare quell'urgenza. Esther le aveva fatto qualcosa? Un'incantesimo? Forse aveva sfruttato la sua debolezza che quella febbre e la lontananza dal sole, le aveva procurato. Fatto sta che non si sarebbe mai perdonata se quel mostro avesse fatto del male a suo fratello. Forse era per questo che lo sentiva così lontano, stava scappando?
Presto e senza farsi altre domande, ritirò la fiamma e nel buio totale, mise le mani su quelle rocce. Farle diventare foglie secche era uno scherzo da ragazzi, se solo avesse avuto la piena prestanza del suo potere. La febbre, la mancanza dei raggi solari e quel sudore freddo che continuava a bagnarle la fronte e rendere la sua camicia da notte zuppa, le permisero solo di trasformare l'un terzo di tutta quella ammasso. Quanti ne erano? Ricorse al metodo tradizionale. Tirò via le pietre a una a una. Era minuta e poteva scavarsi un varco anche tirando via poche pietre. Un dolore le fece ritirare la mano. Sentì un liquido caldo al centro del palmo, non riusciva a vederlo, ma sapeva che fosse sangue. Alcune pietre si erano rotte nell'impatto ed erano molto affilate, doveva fare più attenzione. Si pulì sulla camicia da notte e ricominciò, ma appena la ferita aperta incontrò il terriccio che ricopriva le pietre, bruciò da morire. Così tanto che Brynhild dovette trattenere le lacrime, ma non si fermò, anzi iniziò a scavare più velocemente. Si dovette arrampicare per arrivare più in profondità e al quasi cinquantesimo masso, riuscì a vedere il fuori. Si aspettava che la luce del sole entrasse nei massi per illuminare il suo operato, ma non fu così. Il sole non c'era, era notte fonda, ma non fu questo a sconvolgerla.
L'odore.
L'odore che le sue narici da licantropo avvertirono da prima che il suo corpo potesse uscire da quella sua prigione.
Sangue.
Sangue ovunque.

Si spostò veloce, prima che i denti affilati di quel cane demoniaco riuscissero ad afferrare le sue carni da vampiro. Saltò all’indietro andando a sbattere contro qualcuno, che come lui stava fronteggiando quella battaglia. Era un altro vampiro, che però non sé la stava cavando bene, anzi il suo corpo era già martoriato da vari morsi e il suo colorito era vagamente troppo chiaro, anche per un non morto. Lo guardò un’altra volta perché gli sembrava che non lo avesse mai visto prima. Erano oramai passati tre anni da quando aveva giurato la sua fedeltà a Marcel e conosceva tutti i suoi seguaci, forse… Non poteva pensarci ora. Era nel bel mezzo di una lotta all’ultimo sangue, contro un numero di licantropi che lui non aveva mai visto in vita sua.  Erano tanti, molti di più di quanto ce n'erano mai stati a New Orleans. Riuscì a sviare un altro attacco colpendo il lupo con un calcio che roteò via sul suolo fino a sbattere contro a uno dei tanti corpi giacenti a terra. Però ora che osservava meglio, Joel vide che non era un semplice corpo anonimo. Era la principessa licantropa. La sorella dell’ibrido venuto a New Orleans portandosi dietro tutti i suoi guai. Era ancora stesa lì a terra mentre generi soprannaturali si stavano scagliando l’uno contro l’altro. Un piede di qualcuno le calpestò un braccio e la corporatura esile di quella bambina si scosse tutta di un lato. Era un’estranea per lui, ma comunque non poteva vedere una scena del genere. Decise di intervenire, magari portarla in un posto dove non potesse ricevere altri martiri, poi una figura che conosceva bene comparve inginocchiato accanto a lei. Era Marcel. La prese tra le sue possenti braccia e il contrasto della loro pelle brillò in mezzo a quel caos di corpi, e poi scomparve, portandosela via con sé.
Si era distratto e il nemico non mancò ad approfittarne. Una delle fitte più dolorose che avesse mai provato in vita sua, si stava estendendo dal polpaccio sinistro. Dolore, strazio, bruciore e paura lo avvolsero simultaneamente. Joel si trovò a cadere in ginocchio come se non potesse fare altro. Quando il licantropo che gli stava mordendo la carne del polpaccio alzò la testa, sentì le carni lacerassi mentre l’urlo più forte che avesse mai lanciato uscì dalla sua bocca. Gli mancò il fiato mentre il sangue iniziò ad abbandonare il suo corpo. Doveva girarsi. Doveva combatterlo altrimenti avrebbe continuato a morderlo… a cosa sarebbe servito, oramai era già morto. Con le mani a terra attese il secondo morso che non arrivò. Riuscì a girarsi per mettersi a schiena a terra, per poter guardare per l’ultima volta quel cielo che non aveva neanche la cortesia di mostrarsi sereno nell’ultima volta che poteva osservarlo, allora chiuse gli occhi.
Qualcosa di caldo riempì la sua bocca. Quando arrivò alla gola riuscì a percepirne il sapore. Assomigliava a una cosa… la stessa cosa che permetteva la sua vita da vampiro. Sangue. Deglutì avaramente quel liquido così pesante e caldo e i suoi occhi si spalancarono. Il cielo era sereno. Ne prese un altro sorso. L’azzurro di quel cielo non era mai stato così vivo. Vivo. Era vivo. Si tirò su mentre i canini gli pulsavano ancora tra le gengive. Cosa era successo?
- Prendi! –
Qualcuno parlò e una sacca di sangue per metà vuota, gli comparve davanti.
- Lo so è poca, l’hai dovuta dividere con il tuo amico. – Klaus Mikealson gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla prima di alzarsi e andare via. L’ibrido lo aveva salvato, ma di che amico stava parlando. Joel si voltò per scoprire a chi si stesse riferendo, trovò lo stesso vampiro che stava combattendo accanto a lui e ceh vedeva per la seconda volta nella sua vita. Era stato morso anche lui?
- Se vuoi puoi prenderne altro. – porse la sacca al suo compagno di sventure, ma non suscitò tanto il suo interesse. Ora che però erano così vicini, Joel sfruttò l'occasione per guardarlo meglio. Occhi castani e capelli scuri, ma nonostante i suoi colori fossero relativamente molto comuni, quella faccia da cattivo ragazzo sarebbe stata difficile da dimenticare.
- Puoi fare di meglio. – il vampiro gli parlò e la sua voce risuonò in un accento straniero, probabilmente britannico, prima che gli saltasse addosso e affondasse le zanne nel suo collo.
 
Come potevano essere così tanti.
I licantropi erano ovunque e sbucavano da ogni dove, ma Elijah non ricordava che a New Orleans ne fossero così tanti. Doveva essere anche quella una pensata di Celeste. Forse aveva esteso l’incantesimo della prima luna anche ad altri licantropi e li aveva costretti a lottare promettendo loro una cura, cura che non avrebbero mai avuto, perché Elijah l’avrebbe uccisa, eccome se l’avrebbe fatto, in un modo o nell’altro. A proposito Celeste dov’era?
Le streghe erano tornate e più forti da quando il cuore di Bry aveva cessato di battere e ogni suo incantesimo era cessato di esistere. Quella era una città popolata da moltissime streghe, ma come per i licantropi, Elijah aveva avuto l'impressione che il numero in cui erano era decisamente troppo alto. Celeste aveva convinto in qualche modo altre streghe a unirsi a quelle di quella città, quella era l'unica spiegazione, ma perchè? Cosa mai avrebbero ottenuto in cambio? Oppure, vi poteva essere un'altra possibilità, che Celeste avesse assueffatto a lei tutte quelle streghe. Celeste era una strega potente, ma non credeva fino a quel punto. Fatto sta che erano in minoranza e le scorte di sangue erano finite. I vampiri stavano soccombendo malgrado la cura dei morsi di licantropo scorresse nelle vene di suo fratello, che non aveva fatto altro che correre da un ferito all’altro, ma mancava la fonte essenziale. Gli umani. Il sangue degli umani. I vampiri guariti non avevano la possibilità di sfamare la fame che la guarigione comportava, rendendoli completamente inutili. Per questo Celeste li aveva fatti sparire tutti?
Il piano di Marcel era quello di uccidere le streghe che avevano rubato il risveglio del raccolto, così da fare resuscitare Davina. Lui sapeva come convincerla e l’avrebbe spinta a combattere al loro fianco e finalmente i Mikealson avrebbero avuto almeno una strega dalla loro parte. Quindi Klaus avrebbe dovuto far finta di accettare lo scambio offrendo sua sorella alle streghe, per attirarle tutte insieme allo stesso posto e poi i suoi vampiri sarebbero sbucati da ogni angolo. Quattro streghe contro al suo esercito di vampiri diurni e notturni. Ucciderle sarebbe stato facilissimo. Il piano sarebbe andato a buon fine, se non ché le streghe avessero visto più lungo. Si erano alleate con i licantropi del Bayou.
Elijah scelse la strega più vicina. Muoversi attraverso la folla era stato molto facile e adesso si trovava a soli due passi dalla strega dai capelli rossi. Aveva gli occhi chiusi mentre la sua bocca si muoveva mugugnando lo stesso verso mugugnato anche dalle altre streghe. Si scagliò contro di lei deciso a farle chiudere quella bocca per sempre, ma dei ringhi bloccarono la sua intenzione. Girò il capo per guardare dietro di sé e li vide. Ben quattro licantropi erano situati a semicerchio e avevano tutta l’aria di non concedergli un altro passo verso chi gli aveva promesso la libertà da quella condizione disumana. Roteò il corpo simultaneamente all’attacco del primo lupo. Riuscì a colpirlo prima che lo facesse lui. Il secondo lupo arrivò molto più vicino di quanto avesse fatto il primo, ma con una gomitata allo stomaco riuscì a metterlo fuori gioco. Un terzo volò in un salto arcuato e ginnico in direzione della sua spalla sinistra, Elijah gli afferrò il muso con l’altra mano e la bestia pianse dal dolore esattamente con un cane, facendogli quasi pena. Lo lanciò il più lontano possibile. Un dolore gli invase una parte del ventre. Abbassò il viso e trovò il quarto licantropo. Gli stava mordendo la carne del fianco. Aveva la bocca ai lati del suo corpo, con i canini superiori affondati nella carne della schiena e quelli inferiori nella pancia. Elijah pensò subito alle allucinazioni che ne sarebbero scaturite e afferrò il suo manto per potersela togliere di dosso, ma la bestia non mollò, anzi strinse più forte. Elijah urlò di nuovo, mentre fiumi di sangue stavano sgorgando dai fori a cerchio sulla sua pelle. Sporcarono i denti dell’animale e il suo pelo chiaro, rendendolo quasi una bestia demoniaca. Elijah tirò via il lupo dal suo corpo, ma l’animale si portò con se un pezzo del suo fianco che sputò. La camicia bianca si inzuppò del suo sangue e cadendo in ginocchio tentò di fermare quell’emorragia esterna pressando con le mani. Il sangue fuoriuscì dalle fessure delle dita sporcandole e scorrendo a terra. Si stese cercando di prendere fiato e lasciare che la guarigione rallentata dal veleno del licantropo facesse smettere a quel sangue di zampillare dal suo corpo, ma un’immagine fu davanti ai suoi occhi e Elijah seppe che le allucinazioni erano già arrivate. Era Celeste. Non nel suo nuovo corpo, ma in quello che la natura le aveva dato. Lei si inginocchiò vicino e con le sue belle mani affusolate cercò di curare la sua ferita. La vide prendere delle bende bianche che si arrossavano del sangue che aveva ingerito da così tanti corpi, per così tanti anni, ripetendogli che tutto sarebbe andato bene. Elijah alzò una mano per accarezzare il suo viso, ma Genevieve si spostò per schivarla. Non lo stava curando, né tanto meno gli stava dicendo frasi rassicuranti. Appoggiò il collo lungo di una boccetta di vetro sullo squarcio lasciatogli dal licantropo. Fece scorrervi del sangue dentro e con la mano libera iniziò a strizzare la ferita, come se avesse fretta. Quando la boccetta si riempì, si alzò in piedi tappandola e porgendola a una delle streghe che le era accanto, mettendo al sicuro la refurtiva sottratta dal corpo del vampiro originale. Un baleno bianco lo prese e lo portò via con se, ma Elijah avvertì solo l'aria diventare più fredda e violenta. Fu solo dopo qualche minuto, e dopo l'aver ingerito del liquido caldo che lo vide. Klaus, suo fratello. Lo aveva allontanato da quelle streghe e dalle loro intenzioni, portandolo via dalla battaglia. Appoggiato con la schiena a un muro di un qualche palazzo e seduto sul marciapiede, Elijah osservò suo fratello studiarlo con gli occhi. Si stava accertando che stesse bene, mentre invece Klaus aveva tutta l'aria di chi avesse necessità di aiuto. Sulle mani, braccia, collo e addirittura sulle spalle, c'erano evidenti segni di morsi dei vampiri che avevano bevuto il suo sangue per salvarsi e la sua pelle nonostante fosse chiara per il prezzo della non vita, era diventata tanto bianca al punto che Elijah riusciva a vedere le vene blu pulsare il poco sangue che gli era rimasto in circolo. Se avesse avuto anche lui la capacità di farlo stare meglio con il suo sangue, lo avrebbe fatto.
- Cosa ti ha fatto? – gli chiese una volta certo della sua ripresa, ma Elijah non seppe rispondergli. L’allucinazione lo aveva portato via dalla realtà.
- Ragazzi?! – quella voce che li fece girare era un sibilo, ma sapevano che apparteneva alla loro sorella. La videro avvicinarsi zoppicante e con più lesioni al corpo di quante ne avesse Klaus ed Elijah messi insieme. Contemporaneamente furono da lei e sicura nelle loro braccia Rebekah si lasciò cadere. Erano morsi di licantropo quelli che aveva per tutto il corpo e stavolta Klaus si morse nell'unico posto rimasto libero, il palmo della mano.
- Sta per finire... il tempo sta per finire. – disse poi con le labbra colorate dal rosso del sangue ibrido di suo fratello.

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Capitolo 13
*** Time is running out parte 2 ***



Poco prima tra le strade di New Orleans.

Hayley e la sua super bimba che tutto il mondo soprannaturale voleva morta, erano al sicuro. Le aveva portate in uno di quei nascondigli che suo fratello paranoico aveva fatto costruire tra le mura di quella città, tanto tempo fa. Anche Caroline era a posto. Era rimasta una sola cosa da fare e Rebekah stava andando a vedere se tutto fosse andato come sarebbe dovuto andare. Marcel avrebbe consegnato il corpo di Bry alle streghe. Sapeva per certo che i suoi fratelli avrebbero combattuto fino all’ultimo respiro in quella mossa suicida, anziché prendere solo in considerazione la possibilità di arrendersi. Non aveva aspettato mille anni solo per vedere la sua possibilità di amare chi voleva nella città che poteva finalmente chiamare casa, rasa al suolo da due teste dure. Quindi lo avrebbe fatto lei. Se le streghe volevano il corpo della Divina Brynhild, lei glielo avrebbe dato, a condizione di una tregua per lei e per tutta la sua famiglia.
Le sue orecchie da vampiro udirono un suono. Non era uno solo, ma un gruppo di suoni che andavano a formare quasi una melodia da quattro quarti. Come se qualcuno stesse suonando una marcia, ma Rebekah conosceva bene cosa poteva emettere un suono del genere. Zampe, zampe di licantropo. Si fermò al centro della strada, attenta ad osservare da quale punto sarebbero usciti. Erano tanti e molto vicini. Un muro di un vicolo alla sua destra si macchiò di un ombra cupa e nera. Non bastò molto e chi stava proiettando quell’ombra uscì allo scoperto. Un lupo mannaro nero con un ringhio largo da lato a lato della bocca, che mostrava le sue fauci affamate del suo sangue da vampira. Un altro uscì dalla via che incrociava la sua, ma questo non era solo. Altri due lupi stavano al suo fianco. Non finì così. Almeno una decina di lupi uscirono da ogni dove e l'accerchiarono. Era spacciata. Un morso di licantropo poteva uccidere un vampiro, ma non un originale, però le sue atroci conseguenze si sarebbero mostrate comunque.
Il lupo nero corse verso di lei, ansioso di agire. Aveva affrontato dei licantropi altre volte e schivare il suo attacco fu facile. Ne evitò altri e uno di loro sfiorò con un morso il suo braccio, portandosi via con sé la manica del trench nero che indossava. Si controllò la pelle e un graffio rosso vivo le divideva l’avambraccio in due parti, dal gomito al polso. Era solo un graffio, non era niente.
- Rebekah. – qualcuno la chiamò. Tentò di vedere chi fosse stato, forse qualcuno che avrebbe potuto aiutarla.
- Bekah! – di nuovo e stavolta ricorse al suo nomignolo. Scosse la testa da un lato all’altro della strada, ma niente… solo lupi. Si era distratta solo per un secondo e uno dei lupi più grossi le saltò addosso. Era pesante e il suo peso finì per farla cadere a terra. Non riusciva a toglierselo di dosso, mentre con la mano tentava di afferrare il suo collo per non farsi mordere.
Di un tratto quel lupo venne scaraventato via. Rebekah era libera di alzarsi e poter tornare a fronteggiare gli altri licantropi, ma quello che vide ora che la visuale era libera, la sorprese al tal punto da renderla paralizzata.
- Ehi, sorellina! –
La persona che l’aveva salvata si era inginocchiata verso di lei per darle una mano ad alzarsi, mostrandole un grande sorriso.
Il suo sorriso. Nel suo volto, nel suo corpo. Esattamente come quando era vivo.
Kol.
Kol era lì con lei.
- Mi sei mancata tanto. – le disse poi e di un colpo non esisteva più niente oltre a loro due.
- È una allucinazione vero? – gli domandò liberandosi momentaneamente la bocca dalle sue stesse mani che l'avevano serrata per la sorpresa.
- Ha importanza? – le disse sospirando una risatina tra i denti bianchi. Suo fratello che gli era stato sottratto così prematuramente e così brutalmente, per una stupida puttanella, era lì, davanti a lei. Rebekah si spinse in avanti per potersi avvicinare di più e allungò una mano verso la sua spalla.
- Posso toccarti? – gli chiese trattenendo la mano a metà aria.
- Non lo s… - gli occhi di Kol si spalancarono sorpresi. Rebekah non aveva atteso la fine della frase e aveva già appoggiato la mano sulla sua spalla – la sento. – le disse e i suoi occhi si riempirono delle stesse lacrime della sorella. Rebekah si buttò nelle sue braccia e iniziò a piangere sul suo petto. Era duro e accogliente esattamente come lo ricordava. Esattamente come quando era vivo.
- Sono così felice. – alzò la testa toccando con la bocca la spalla del fratello.
- Anche io. – le rispose Kol e Rebekah aprì gli occhi. Poteva vedere il resto della strada al di là della spalla del fratello e in mezzo ad essa c’era una ragazza magra dai capelli ricci biondi. L’aveva vista già da qualche altra parte? Questa alzò una mano e la salutò muovendo solo le dita. In quell’istante sentì un forte colpo al collo. Inarcò il corpo dal dolore e in quella posizione vide Kol morderla. Beveva il suo sangue. Anche il suo aspetto era cambiato. Il colore roseo e vivo che colorava la sua pelle venne sostituito da uno grigio e smorto. Rebekah tentò di liberarsi, ma non riuscì nemmeno a smuoverlo di un centimetro. Fu libera, perché quell’essere dall’aspetto di suo fratello, la lasciò andare. Rebekah si mise una mano al collo e sobbalzò quando le dita toccarono la carne viva.
L’essere si leccò la bocca usando la lingua, offrendole il più spaventoso dei ghigni. Cosa era appena successo?
- Chi siete? – domandò ancora a terra, non riusciva ad alzarsi.
- Come, non riconosci tuo padre, figlia! – la bocca di Kol disse quelle parole senza nessuna logica, mentre la ragazza dai capelli ricci si avvicinò a loro con passi lenti.
- Ho usato questo trucchetto per me stessa per troppo tempo, ho deciso che era ora di condividerlo con qualcuno, soprattutto qualcuno che odiasse Klaus forse più di me. Mikeal Mikaelson. -
- No… No… No… Non è possibile! – Rebekah indietreggiò sul asfalto come un serpente, ma anche così non riuscì ad andare lontano.
- La magia può tutto. – la ragazza che ora aveva capito essere un nuovo corpo in cui Celeste si era incarnata, si chinò verso di lei, con il viso illuminato dalla sua pazzia.
- Perché lui? Perché con tante persone hai preso il suo corpo. – le urlò contro mentre le lacrime le scorrevano dal viso.
- È facilissimo. Il corpo di Kol è nato per poter essere posseduto. Il primo Viaggiatore a essere diventato un vampiro, perfetto per contenere un'anima così potente e forte come quella di tuo padre. –
- Viaggiatore? Cosa stai dicendo? Lui è mio fratello ed è impossibile che sia… - le parole le si bloccarono in gola perché Celeste le aveva stretto una mano sulla bocca. Se avesse avuto i suoi poteri da originale, non avrebbe neanche potuto avvicinarsi.
- E non hai sentito ancora niente. Ora che tuo padre ha avuto anche il tuo sangue, è finalmente pronto. Per cosa? - domandò Celeste per lei visto che teneva ancora la mano sulla sua bocca. - Per diventare un cacciatore di vampiri. Di addio a tuo fratello e alla tua nipotina. Ho vinto io. - tirò via la mano e la bocca di Rebekah iniziò a tremare. "... Ora che anche il tuo sangue..."
- Conosco i miei fratelli, non ti avrebbero mai dato il loro sangue... come... - non riusciva a parlare bene. Tutto quello che le usciva dalla bocca era un sono troppo basso per essere udito.
- Mi offendi. Io non ho bisogno di chiedere. Una delle mie streghe è incaricata a prendere il sangue di Elijah, mentre Klaus gli ha appena offerto il suo braccio scambiandolo, grazie a me e alla mia magia, per un vampiro ferito. -
La testa di Rebekah pesava più del solito. Forse tutto questo era solo un'allucinazione. Doveva alzarsi e trovare Klaus. Lui l'avrebbe curata e fatta tornare alla realtà. Quella non lo era. Non era vero. Non poteva essere.
- Kol non è mio figlio, né tuo fratello, né di Klaus, né di Elijah. Non è un Mikealson. – sentire la voce di Kol essere usata in quel modo e da quel individuo, le fece rivoltare lo stomaco.
Suo padre si abbassò sulle ginocchia e le tolse i capelli davanti agli occhi mettendoli dietro a un orecchio. Sembrava un gesto premuroso, ma Rebekah non smetteva di tremare.
- Devi sapere che quando eravamo ancora umani, al villaggio, gli uomini della nostra tribù dopo ogni luna piena andavano in perlustrazione. Dovevamo quantificare i danni che quei abomini recavano alle nostre case e ai nostri raccolti. Un giorno, in una raduna non molto lontana da dove abitavamo, ho trovato una intera famiglia di nomadi, morti. Non conoscevano la ferocia di quelle bestie demoniache e la loro ignoranza li ha resi la loro vittima. Erano stati tutti sbranati. Tutti tranne un piccolo bambino ancora in fasce. Era tranquillo e i suoi occhioni neri mi guardavano come se potessero parlare. Allora decisi di portarlo a casa. Non appena tua madre lo vide, capì che non era un bambino umano, che era speciale. Quella non erano nomadi, ma dei Viaggiatori. Allora non si conosceva tale razza, né sapevamo che poteri potesse avere, quindi tua madre studiò Kol e lo crebbe come se fosse un figlio, un vostro fratello, ma non lo è. Non lo è mai stato. –
Le lacrime di Rebekah avevano bagnato tutte le sue guance. Kol, il suo bellissimo fratello.
- Non ti credo! – riuscì a dire tra i singhiozzi, mentre guardava gli occhi neri di Kol senza il loro proprietario.
- Perché mentirti? – Mikeal allungò una mano per poterla accarezzare e solo allora il corpo di Rebekah reagì, schiaffeggiandola via.
- Bene! -  Celeste alzò la voce per richiamare la loro attenzione e quando l’ebbe proseguì. - Ora che hai avuto la tua risposta, gradirei proseguire. - detto ciò Celeste si avvicinò al suo alleato scambiandosi uno sguardo lungo.
- Ti ho dato la Divina Brynhild, ora lasciaci in pace. - Rebekah urlò mantenendosi la testa che aveva iniziato a girare.
- Mi hai dato? Ho che stupida che sei mia Mikealson, la Divina Brynhild è sempre stata mia. - Celeste ammiccò un sorriso che però si trasformò in qualcos'altro. Il suo corpo venne scosso in avanti da un qualcosa, forse un colpo che le fece alzare gli occhi al cielo. Un rigo di sangue sporcò le sue labbra disegnando il contorno delle labbra sottili della strega che aveva impossessato, per poi tossirlo. Il suo stesso sangue le sporcò la camicetta a scacchi rossa all'altezza del seno dove una mano colorata di rosso sporgeva fuori. La mano di Kol. Mikeal le aveva trafitto il petto bucandole il cuore davanti agli occhi di Rebekah.
- Sei sempre stata la mia figlia preferita, per questo ti darò un po' di vantaggio prima di iniziare a darti la caccia. - Mikeal, suo padre, le aveva appena detto quelle parole e senza chiedersi altro, raccogliendo le poche forze che aveva, Rebekah scappò via.

Pochi minuti dopo tra le strade di New Orleans e un pochino oltre.

Tutto taceva. Le strade, i vicoli e le case di quella città giacevano mute come immortalate da una pellicola degli anni venti, ma nell'inquadratura non c'erano due attori danzanti dal trucco troppo pallido sul viso e troppo scuro sugli occhi, no, c'era ben altro e non danzava. Non si muoveva, né fiatava. Stesi a terra, come svenuti o morti non interessava. Tutti i personaggi che popolavano quella città, tutte le streghe accorse, tutti i licantropi ingannati, tutti i vampiri ingenui e ne erano un sacco, ma non sarebbe bastato. Ci volevano più esseri, ci voleva più potere, doveva sacrificare altre vite e aveva pensato anche a questo. Da dietro il velo che divideva il suo mondo dal'altro controllò quello che aveva fatto e le sembrò perfetto. Doveva solo attenderla, attendere che lei si fosse svegliata lì nello stesso luogo in cui era stata lei per così tanto tempo e da un momento all'altro sarebbe accaduto. Doveva solo avere pazienza, e lei di pazienza ne aveva da vendere.
 
In quel preciso istante da qualche parte tra le strade di New Orleans.

Lo aveva baciato.
L’acqua calda che usciva dal doccino di quella doccia dall’aspetto poco pulito, le batteva sul viso riscaldandola e lavando quell’acqua maledetta in cui le streghe l’avevano immersa.
Per quanto era rimasta in quella vasca?
L’unica cosa che Caroline ricordava dopo essere stata ingannata da quella ragazzina nel vicolo, era l’essersi svegliata in un ambiente stretto e scomodo. Un bagagliaio. Aveva urlato e calciato con tutta la sua forza contro il cofano di quella macchina, maledicendo chi l’avesse messa la dentro, ma nonostante la sua forza da vampira, tutto quello che aveva ottenuto fu ricevere un altro incantesimo assopente. La seconda volta che riaprì gli occhi, sé l’era trovato davanti.
Klaus.
Il suo viso ingrigito da un’espressione preoccupata. I suoi occhi ombrati dalla paura. Le sue mani ansiose dalla voglia di tenerla stretta a sé.
Fu come se fosse sempre stata immersa in abissi profondi e lui l’avesse fatta emergere.
Era successo.
Si erano baciati.
Era stata lei a volerlo.
Perché quando si era svegliata in quel cofano stretto e maleodorante, non aveva fatto altro che chiamare il suo nome. Perché da prima che aprisse gli occhi, il suo corpo sapeva già a chi appartenessero quelle mani che la stavano salvando. Un'altra volta e chissà per quante altre.
Lui e solo lui.
Klaus l’amava.
Lo aveva sempre saputo, ma non voleva ammetterlo per paura. Caroline era terrorizzata da lui e dalla potenza del suo amore che avrebbe reso entrambi cenere, consumati dal fuoco che gli ardeva dentro, lasciando che il mondo diventasse un posto al cui non appartenere, diventando così ultraterreni, diversi, soli.
Da soli contro tutti.
Caroline ispirò l’aria dal naso riempiendosi quei polmoni così vicini al quel suo cuore vivo di un nuovo battito. Se era quello il prezzo della felicità, lo avrebbe pagato.
Nessuna altra scusa.
Lei amava Klaus.
Espirò dal naso cercando di togliersi da dosso tutta l’ansia che sentiva, perché proprio ora che aveva ammesso di volere Klaus, lui era là fuori a combattere una battaglia tra razze soprannaturali. Era un ibrido immortale e quindi non c’era niente da temere, ma comunque le mani di Caroline chiusero con più fretta del solito i rubinetti. Spinse la tendina beige plastificata e uscì da quel bagno colore sabbia che faceva tanto anni settanta. Rebekah l’aveva trascinata via con la forza, allontanandola dalla battaglia e portandola fin lì, perché la villa non era più sicura, né tanto meno l’hotel nel quale aveva alloggiato la sera prima. Non sapevano se Celeste avesse letto nella sua mente, quindi, Rebekah optò per un altro albergo, più lontano dai loro nemici e più vicino al confine, ma che non aveva la minima idea di cosa fossero le regole di igiene.
“Non ti azzardare a fare qualcosa di stupido! Là fuori sta succedendo qualcosa che non c’è ancora perfettamente chiaro.”
Queste furono le parole di Rebekah quando le aveva poggiato nella mano destra una chiave di una camera, presa da uno dei ganci dietro al bancone della reception. L’Hotel era completamente vuoto. Rebekah le aveva spiegato che tutti gli umani in città, erano scomparsi per un'altra inafferrabile ragione.
“Forse Celeste li ha fatti scappare tutti, ed è l’ipotesi più innocua. Perché se stesse usando la loro energia in un incantesimo stile Papa Tundé siamo fregati.” Le disse poi prima di abbandonarla lì.
Probabilmente andare a dare un occhiata a quello che stava succedendo lontano da lei, era davvero un’idea stupida. Non per lei, ma per Klaus. Sapeva che se lei fosse andata a dagli una mano, Klaus avrebbe finito per concentrarsi esclusivamente nel proteggerla, senza pensare a proteggere sé stesso. Caroline decise di attendere lì e se entro due ore non si fosse fatto vedere nessuno, lo avrebbe raggiunto. Poteva resistere per solo due ore, forse.
Ora sapeva il perché la voce di Klaus le era sembrata così tormentata al telefono, chi non lo sarebbe stato al posto suo? I nemici di cui le aveva parlato erano davvero organizzati e pronti a tutto. Perché poi erano così decisi ad uccidere una bambina? Molto probabilmente se non fosse stato per le streghe, Caroline non avrebbe mai lasciato perdere la questione Hayley. Sì, Klaus non glielo aveva detto, ma puntare i piedi su questa storia, ora che una intera schiera di nemici soprannaturali stavano cercando di uccidere sua figlia neonata a sangue freddo, era davvero una cosa infantile. Perché poi l’avevano rapita? Sapevano di lei? Diamine!!! Usarla per ricattare Klaus… e lei che aveva dubitato di lui… Forse era stata Liv?!
Non era possibile visto che Liv non conosceva neanche lontanamente Klaus e poi Rebekah le aveva spiegato che una strega anziana, quella che tutti chiamavano Celeste, aveva impossessato il suo corpo con un incantesimo stile viaggiatori, e che molto probabilmente Liv non ne sarebbe uscita viva.
Caroline scosse la testa prima di avvolgersi i capelli in un asciugamano.
Con l’accappatoio indosso iniziò ad asciugarsi velocemente. Rebekah le aveva procurato dei vestiti molto più carini della maglietta nera che aveva trovato la sera prima e usato come pigiama. Un lupetto color melanzane a collo alto e a maniche lunghe, di cotone caldo visto il tempo freddo che di colpo aveva invaso New Orleans. Era aderente, quindi tutte le sue forme femminili erano in bella vista, ma le aveva portato anche una giacca di eco-pelle nera da mettere sopra. Un jeans grigio stretto e degli stivaletti neri bassi con la fibbia, così che potesse correre qualora ce ne fosse stato il bisogno. Si massaggiò la testa con l’asciugamano, che ancora aveva su, per poter incamerare quanta più acqua dai suoi capelli bagnati, poi la tirò via lasciando che le ciocche umide le cadessero sulle spalle. Non poteva ammalarsi, quindi decise di risparmiare il tempo nell’asciugarli. Dimenticava qualcosa però. Di istinto portò le mani sulle tasche del giubbotto nero che indossava cercando la forma rettangolare del suo telefono. Ovviamente erano vuote, ma in quell’istante realizzò un’altra cosa di fondamentale importanza.
Bonnie.
Non l’aveva ancora chiamata. Si guardò in giro cercando di ricordare dove avesse messo il telefono, poi ricordò. Si chinò verso i suoi vestiti bagnati, afferrando il giubbotto blu. All’altezza della tasca frontale, Caroline avvertì la forma rettangolare che stava cercando sull’indumento nuovo che indossava. Lo tirò fuori, lanciando un’imprecazione. Quelle stronze l’avevano immersa in una vasca piena d’acqua e di certo non avevano nessun interesse nel salvare il suo telefono. Era stato immerso anche lui. Caroline tentò di riaccenderlo, ma era morto. “Ora?” Pensierosa lo lanciò tra i vestiti raggomitolati in un malloppo.
Uscì dalla camera e il corridoio abbandonato tappezzato da una moquette bordò, le ricordò una versione indie del film Shining. Raggiunse la hole, molto più grande e pulita di quanto ci si aspettasse da un hotel così, ma arredata da schifo. Cercò dietro al bancone di legno scuro della reception se ci fosse un telefono funzionante e ne vide uno. Era un telefono fisso con il filo a coda di maiale. Funzionavano ancora? Dubbiosa alzò la cornetta avvicinando un orecchio e quando sentì il bip della linea tirò un sospiro di sollievo.
Dopo più squilli del solito, Bonnie rispose.
- Pronto? – la sua voce era incuriosita e preoccupata allo stesso tempo per via del numero sconosciuto.
- Hey. Bonnnie sono… -
- CAROLINE! CHE DIAVOLO DI FINE HAI FATTO!!!! – urlò così forte che Caroline dovette allontanare la cornetta dall’orecchio.
- Bonnie, calmati, non è passato neanche un giorno… -
- Ti ho chiamato un milione di volte. Non puoi andare a chilometri di distanza da qui e poi avere il telefono spento. – la interruppe di nuovo e Caroline sorvolò al fatto che con “a chilometri di distanza” Bonnie intendesse dire “da Klaus”.
- È una lunga storia. Raccontami, avete trovato il pugnale? – già, non era riuscita ad avvisarla che la magia era ritornata e sperava tanto che sé ne fosse accorta da sola.
- Sì, ma Katherine è scappata via. –
- COSA? – stavolta ad urlare fu lei. – Come? Bonnie!! -
- Lo so. È una tragedia. Stiamo pensando a cosa fare. –
- Non potete perdere tempo a pensare, insomma è Katherine. A quest’ora sarà già su un volo diretto alle Bahamas. Chiama qualche strega che conosci, pagala se è necessario e falle fare un incantesimo di localizzazione. – era una cosa così semplice che Caroline si sorprese che Bonnie non ci fosse arrivata da sola.
- L’unica strega che conosco è Liv, ma è misteriosamente impazzita e in oltre non risponde alle mie telefonate. Che mi dici della sorella di Klaus? È per un quarto strega, credo, ed è stata così veloce nel far ritornare la magia. –
Caroline annuì nell’aria. La sua amica non conosceva la verità e forse era meglio così.
- Bry non può aiutarci e per quanto riguarda Liv, bè ti conviene fare nuove amicizie. –
- Bry? E chi sarebbe? E cosa significa fare nuove amicizie? – Bonnie aveva perso completamente il punto della situazione. Di chi e di cosa stava parlando Caroline?
- Bry è il nomignolo della divina Brynhild, mentre so di Liv perché è qui a New Orleans. –
- Lo sapevo. È lì che ha portato Kol. –
Caroline si alzò dal bancone su dove si era seduta incapace di credere a quello che aveva appena sentito.
- KOL? KOL MIKEALSON? –
- E chi se no. Come se non avessimo altri guai a cui pensare. – Bonnie sbuffò sonoramente dall’altro capo del telefono per poi proseguire in una raffica di parole. – Sapevo che c’entrava qualcosa Klaus. Avrà fatto fare qualcosa a Liv da una delle sue streghe. Vorrà resuscitarlo. Come? Come può riuscirci? –
- Ok, Bonnie respira. Posso assicurarti che Klaus non c’entra niente con questo. – e quella frase le uscì in un modo troppo sicuro per chi era solo un’ospite estraneo agli eventi.
- Chiami la sorella di Klaus appena uscita dal nulla con un nomignolo… difendi Klaus… Caroline c’è qualcosa che devo sapere? – e Bonnie sé ne accorse subito.
Caroline ricordò le morbide labbra di Klaus che si chiudevano sulle sue.
Erano amiche da così tanto tempo che non ricordava un solo momento della sua vita che non aveva condiviso con lei. Caroline sentì il cuore stringersi di tre taglie perché per quanto morisse dalla voglia di dirle tutto, sapeva benissimo che Bonnie non avrebbe mai capito. Lei non era Elena, per quanto le volesse un bene dell’anima.
- Caroline?! Non mi dire… - non riuscì neanche a finire la frase, ma aveva capito. Caroline abbassò la testa mentre con la punta del piede batteva contro la base di legno del bancone in un tic nervoso. – Ok. Un problema alla volta. –
- Non è un problema per me. – quelle parole le uscirono dalla bocca prima che il suo cervello finisse di assemblarle. Era stato naturale difendere il sentimento che provava per lui. Sì, forse Bonnie non avrebbe capito, sì forse la loro amicizia era a rischio, ma Caroline era stanca di negare. Stanca di perdere il tempo che avrebbe potuto spendere a essere felice con lui. Stanca di dover fingere.
- Quando torni? –
Quella domanda la spiazzò completamente. Nessuna ramanzina o giudizio, solo una soffiata di indifferenza fredda come la brezza glaciale.
- Non posso c’è una schiera… -
- Bene, ora devo andare. Chiamami più spesso. – attaccò.
Caroline guardò la cornetta di quel telefono cipria prima di riporla sulla base. Benissimo. In tutta la sua intera vita era riuscita ad avere solo due amiche, una era probabilmente scomparsa per sempre, l’altra la odiava a morte ed era solo la punta dell’iceberg. Chissà a quante altre cose doveva rinunciare per lui.
In fondo come poteva esserne così sicura. Klaus l’amava su questo non c’era ombra di dubbio e lei provava qualcosa per lui, su questo non c’era assolutamente ombra di dubbio, ma era davvero la cosa giusta? Che fine avevano fatto le sue ambizioni? Il college? Le nuove esperienze? Forse doveva pensarci un po’ su prima… la campanella sulla porta girevole suonò e gli occhi di Caroline furono all’unica entrata di quel hotel. Due ante di vetro girarono a 180° prima di rivelare chi stesse entrando, poi la sua presenza riempì tutta la stanza.
Klaus.
Caroline sospirò dalla bocca incalzando una camminata verso di lui, dimenticando il ragionamento che stava seguendo prima che lui inondasse quella sala vuota col suo profumo, ma quando vide in che condizioni era, il sospiro le si gelò in gola e i suoi piedi dal muoversi verso di lui, iniziarono a correre.
Era sconvolto. Gli occhi arrossati dal pianto. Le braccia martoriate da morsi di vampiro. I vestiti ancora bagnati dalla pioggia, pieni di sangue e sporcizia.
- Cosa è successo? -  gli afferrò le mani e le tirò in avanti per vedere quelle mezzelune rosse che come crateri ricoprivano la sua pelle bianca come la luna.
- Stai bene? – le chiese invece di risponderle e la sua voce suonò come una supplica di un uomo stanchissimo.
- Come puoi pensare a me? Perché sono così tanti e perché non sono ancora guariti? – Caroline girò gli avambracci per poter vedere se almeno le ferite dietro stessero in condizioni migliori, ma non era così. Erano morsi di vampiro e un vampiro beveva il sangue dell’ibrido originale solo per una ragione, veleno di licantropo. Lei era lì quando Celeste aveva svelato la presenza nascosta dei suoi nuovi alleati licantropi ed erano davvero tantissimi. Klaus aveva donato il suo sangue per salvare i vampiri del suo regno?
- I licantropi hanno attaccato i miei uomini e non potevo lasciarli morire. Non guariscono perché hanno prosciugato tutto il mio sangue e non mi sono ancora nutrito, e inoltre non posso perché gli umani in città sono tutti spariti e i miei uomini hanno esaurito tutta la riserva di sangue dell’ospedale più vicino. – le spiegò velocemente. Caroline rimase senza parole, era una cosa così lontana da quello che avrebbe fatto il Klaus conosciuto a Mystic Falls. Lo guardò e per la prima volta dopo tanto tempo, avrebbe voluto essere umana. Si morse un polso.
- Cosa fai? – le chiese spalancando gli occhi. Il sangue dei vampiri non era come quello degli umani, neanche il suo odore gli somigliava, ma come stava scendendo giù dal suo tenero polso gli mise comunque l’acquolina in bocca.
- Non ti nutrirà come quello umano, ma è meglio di niente. – Caroline gli porse il braccio e Klaus mise le sue mani sulla sua candida pelle.
- Sai che per i vampiri scambiarsi il sangue è una cosa seria. – indugiò di nuovo davanti a quella che gli sembrava una nuova e bellissima Caroline.
- Dai! Bevi e basta. – alzò di un altro centimetro il polso facendolo arrivare sotto al suo naso. Allora Klaus non indugiò più. Mi se le sue labbra calde e morbide sul suo polso sensibile, facendola trasalire. Klaus succhiò il suo sangue per un periodo che sembrò troppo breve per Caroline e poi liberò il suo polso con un bacio. Il cuore di Caroline batteva così forte dal renderla completamente sorda. Come poteva riuscire a farla sentire così con un niente?
Klaus la guardò e sembrò stare meglio. Aveva ancora il polso di Caroline stretto nella mano e lei desiderò che la tirasse a se facendole perdere il fiato in uno dei suoi baci, ma Klaus non lo fece. Strinse la mano là dove i fori dei suoi denti erano già spariti e si voltò per incalzare una camminata nervosa verso l’uscita, tirandola via con se.
- Dobbiamo andare. – disse solo trascinandola con una forza tre volte maggiore a quella di Rebekah.
- Dove? – ma Caroline non si mosse facendo fermare Klaus. Non avrebbe fatto niente contro la sua volontà e lasciò la presa.
- Lontano da qui. – le disse e il suo sguardo parlò per il resto. Qualsiasi cosa era successa là fuori, doveva essere davvero brutta.
- Ok. Andiamo. Dobbiamo solo fermarci in qualche posto in cui posso comprarmi qualcosa. –
Quelle parole crearono un effetto strano in Klaus e il suo petto si scosse visibilmente all’indietro, mostrando la sua sorpresa.
- Siamo tutti pronti. Elijah, Hayley e la bambina stanno varcando adesso il confine di New Orleans per non tornare mai più. Rebekah e Marcel stanno mettendo in salvo gli ultimi vampiri rimasti in vita per poi scappare via. Noi tutti scapperemo via, ma tu no. Tu non verrai. Fortunatamente siamo riusciti a trovare una strega, ti farò fare un incantesimo isolante così che potrai vivere la tua vita al college o dove vorrai, senza che nessuno dei miei nemici possano mai trovarti. –
- No. – Caroline incrociò le braccia impuntandosi. Va bene che Bonnie, l’ex strega Bennet, si opponesse a loro, ma addirittura lo stesso Klaus? - Io vengo con te. –
Klaus scattò girando su se stesso e cercando con gli occhi qualcosa nell’arredamento di quell’hotel, ma era solo un gesto che faceva quando stava per fare qualcosa che non voleva fare.
- Mi dispiace Caroline. – e si avvicinò a lei sussurrandole quasi. – Non è ora di fare i capricci. Stanno succedendo delle cose che neanche io riesco a spiegarmi e tu devi andare via di qui. Lontano da me e da tutto questo. -  si girò di nuovo, come se non volesse mostrarle i suoi occhi che altrimenti avrebbero svelato la verità. Caroline però non si mosse.
- Capricci? Cos’è mi insulti volutamente per renderti uno stronzo sotto ai miei occhi? È così vecchio questo trucco che mi sento offesa. Sai che non sono una stupida. – Caroline chiuse le braccia sotto il seno per nascondere le mani da lui, se nel caso avesse voluto trascinarla via con la sua incontrastabile forza. Lei non si muoveva da dov’era.
Klaus abbassò il viso mentre guardandosi i piedi annuì pensieroso. Caroline lo conosceva meglio di quanto pensasse.
- Ok. Vuoi la verità? – tornò a guardarla con quei occhi così spenti che Caroline si sentì male nell’averlo contrastato. - Ho atteso per tanto tempo che tu ti mostrassi così con me, che mi mostrassi l’affetto che ho tanto sognato, sento ancora il sapore del tuo bacio sulla mia bocca e non mi basta. Vorrei spendere l’eternità nelle tue braccia e lasciare che il mondo vada a rotoli intorno a noi, ma non è giusto, non è giusto per te o per mia figlia. Deve finire così. Non è il momento adatto e io non sono l’uomo adatto. –
Klaus le aveva appena rivelato i suoi dubbi ed erano come se fossero stati calcati con un foglio carbone sui suoi. Uguali con gli stessi dubbi e le stesse paure, ma anche col lo stesso fuoco che gli ardeva dentro innestato dalla fiamma del loro amore.
Klaus si voltò del tutto dandole le spalle, non voleva guardarla mentre le diceva addio, di nuovo, ma Caroline non gli permise di fare altri passi. Gli afferrò il braccio e Klaus fu costretto a guardarla.
- So che non è il momento adatto, ma tu sei l’uomo adatto. –
Klaus sentì tutte le sue maschere scivolare via dal suo volto e infrangersi a terra come ceramica. Non aveva più armi e l’amore che provava per lei aveva reso la sua armatura molle come gelatina. Da quando l’aveva vista a Mystic Falls, l’aveva desiderata, quando aveva notato il suo carattere, l’aveva amata e quando in quel bosco si era concessa a lui, aveva giurato di aspettarla per sempre. L’attesa era finita, ma anche il loro tempo.
- Io? Caroline, intorno a noi stanno succedendo delle cose orribili, solo per colpa mia e del fatto che mia madre mi abbia partorito. Sono un morto che cammina e anche mia figlia lo è, se non riesco a portarla lontano da qui. Come puoi essere così cieca da non vederlo. Io porto solo guai, nessuno può restare al mio fianco. – due lacrime amare gli percorsero le guance e Caroline usò le sue mani per asciugarle.
- No, io vedo. Le cose non sono state mai più chiare di così. Sei tu che non vuoi sentire. Ti ho appena fatto capire che ti amo, stupido testone e tu continui a spingermi indietro. – sì, l’aveva detto. Sì, era così. Sì, Klaus l’aveva sentito. Si ora Klaus stava afferrando le sue mani che ancora gli stavano sul viso, ma Caroline stavolta si allontanò prima che potesse farlo. – Non capisci? Ho provato per così tanto tempo a spingere ciò che provavo per te in un posto nascosto del mio corpo, credendo che un giorno si potesse cancellare, ma non posso. Non posso smettere di amarti o pensarti o desiderarti, allora ho scelto di non combatterlo più, di stare con te, ma se tu davvero vuoi vivere il resto della tua vita senza noi, cosa posso farci. – stavolta fu lei a prendere la via della porta. Non ci poteva credere. Aveva altro da volergli gridare contro, ma la rabbia le aveva annebbiato la mente e serrato la lingua. Lei gli aveva appena detto che lo amava e lui… AH!!!!!! Voleva solo uscire di lì e riuscire a dimenticarlo. Basta Klaus. Basta. Basta. Basta.
- Non ho detto che sarebbe stato per il resto della vita. –
I piedi di Caroline si bloccarono.
- Lasciami solo sistemare questa cosa e ti giuro che dopo ti darò la vita che ti ho sempre promesso. Ti amerò come mai ho amato. Ti darò tutto me stesso e diventerò l’uomo adatto per te. Solo… - per la prima volta Klaus rimase senza parole perché Caroline aveva interrotto la sua bocca con la sua.
La sua bella Caroline.
Il suo amore.
Il suo cuore.
La sua vita.
Esplose tutto e Klaus lasciò che accadesse. Non si meritava l’interesse di quella ragazza, lo sapeva, ma poteva lasciare che per una volta quello che sembrava incredibile fosse credibile. Chiuse gli occhi stringendo le sue spalle nelle mani. La baciò. La baciò di nuovo. Quel destino tanto afflitto contro di lui, gli aveva dato la possibilità di baciarla di nuovo e si sentì l’uomo più fortunato al mondo. Le mise una mano sotto alla nuca, infilando le dita in quei capelli bagnati e freddi. Il ricordo di averla trovata in quella vasca, Celeste, sua figlia, sua sorella, gli fece gelare la schiena e Caroline lo avvertì. Si allontanò da lui aprendo piano gli occhi.
- Cosa c’è? – gli chiese ancora stretta nelle sue braccia.
- Oh Caroline Forbes, Miss Mystic Falls. – espirò dal naso mentre appoggiava la testa sulla sua. – Sei proprio sicura che le streghe non ti abbiano fatto nessun incantesimo? –
Caroline scoppiò a ridere curvando la testa all’indietro mentre Klaus non si perse un secondo di lei.
- Purtroppo no. – alzò una sopracciglia lasciando che l’uomo della sua vita la cullasse.
- Quindi mi ami? – le chiese mascherando un enorme sorriso. Sé la stava spassando, facendo irritare al massimo Caroline.
- Smettila, stupido! – che gli colpì la spalla con un leggero pugno, ma Klaus l’afferrò diventando serio all’improvviso.
- È stata una delle giornate più brutte che ho vissuto durante i miei mille anni e l’unica cosa che mi sta tenendo dal lanciarmi contro i miei nemici, in quella che sarebbe una mossa suicida, sei tu e la linea di sangue che unisce la tua vita alla mia. Voglio solo sentirlo un'altra volta. –
La schiena di Caroline si sciolse in acqua calda. Era sua, totalmente e completamente sua.
- Ti amo Klaus. –
In quell’istante, sentì il corpo dell’uomo che la teneva a sé tremare, allora Caroline gli mise le mani al viso.
- Ti amo come mai ho amato in vita mia. –
Klaus chiuse gli occhi lentamente non riuscendo a contenere le emozioni che quella donna gli stava facendo provare, ma lì aprì subito.
- Ti amo anche io Caroline. –
Si guardarono per dei secondi lunghissimi, poi le loro labbra che erano restate per così tanto tempo lontane, si incontrarono di nuovo, come se volessero rimediare al tempo perso. Klaus le afferrò il viso tirandola più vicino e le sue labbra carnose avvolsero quelle di Caroline. Morbide. Calde.
Caroline non riuscì più a trattenersi trasformando quel bacio in uno serio. Appena le loro lingue si toccarono, dalla sua gola salì un suono roco. Un gemito. Klaus mise le sue mani ai suoi fianchi alzandola su e Caroline allacciò le gambe dietro alla sua schiena. In un nanosecondo Klaus la fece sedere sul bancone della reception. Caroline fece per liberarsi della giacca nera, quando Klaus infilò una mano nel collo alto della maglietta per scostarlo in giù. Quando la sua pelle fu nuda, Klaus lo tirò a se e mise le sue morbide labbra sulla carne sensibile del suo collo. Caroline buttò la testa all’indietro per poter liberare un altro gemito nato dal suo basso ventre. Con l'altra mano, Klaus scese sul suo corpo toccando le sue curve e facendo trasformare il sangue di Caroline in lava. Iniziò ad ardere quando arrivato ai fianchi, Klaus fece scendere la sua mano sulla coscia verso l’inguine, aprendo le sue gambe e avvicinandosi a lei con foga. Era così stretto a lei che Caroline stava sentendo il suo desiderio sul suo basso ventre. Ansimò forte quando Klaus mise le sue dita sul bottone dei jeans. Completamente in balia delle sue mani. Completamente sua.
- Cuoh… cuoh… cuoh… - qualcuno finse una tosse. Non erano più soli. Klaus spalancò gli occhi staccandosi da Caroline. Erano stati così coinvolti l’uno dall’altra che non avevano sentito il campanello della porta suonare?
Caroline scese dal bancone e la sua disapprovazione dall’essere stata interrotta scivolò via lasciando spazio alla curiosità. Aveva già visto quella ragazza? Era minuta e il vestito panna bagnato le aderiva sul corpo mostrando le sue linee quasi infantili.
- Mi dispiace che sia sempre io quella che deve interrompervi. – sorrise e i suoi occhi dell’azzurro più chiaro che Caroline avesse mai visto, sferzarono di una luce bellissima. Come un baleno l’immagine dipinta sul quadro nella camera di Klaus le tornò in mente. Era lei? Era Bry? Si era svegliata. Erano salvi. Lei avrebbe risolto con uno dei suoi incantesimi come aveva fatto finora e tutto sarebbe finito.
Klaus però le si parò davanti col corpo rigido di chi stesse per ricevere un colpo di pistola.
- Appena puoi scappa! – le disse non voltandosi.
- Come se questo bastasse. -  la ragazza alzò una mano per aggiustarsi una ciocca di capelli troppo corta, in un gesto sensuale che stonò con tutto il resto. - Felice di rivederti Caroline. Ti è piaciuto il bagnetto? –
Caroline non poteva crederci.
- Tu c'entri qualcosa col mio rapimento?  - le chiese di getto e con un impeto che fece aumentare la difesa di Klaus. Aveva paura per lei.
- Ovviamente. –
- Perché? Io non ti ho fatto niente. – di nuovo il suo carattere scavalcò l’evidente volere di Klaus. Bry rise alzando la testa e il sangue di Caroline le si gelò nelle vene.
- Come spiegarlo. Gli amici dei miei nemici, sono miei nemici e che scostumata devo ancora presentarmi. – si avvicinò ondeggiando nei suoi inesistenti fianchi mentre Klaus diventava più teso che mai. – Piacere di conoscerti Caroline, io sono Celeste Dubois. -

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Capitolo 14
*** Falling down ***


I was calling your name
But you would never hear me sing
You wouldn’t let me begin
So I’m crawling away
'Cause you broke my heart in two
No, I will not forget you


Non capì, in realtà il cervello le si bloccò completamente. Le parole di quella ragazza non avevano alcun senso, eppure destarono in Klaus una reazione strana. Il suo corpo si irrigidì al tal punto da assomigliare a una statua di se stesso.
- Appena puoi scappa. - le bisbigliò voltando di un solo centimetro il capo, senza però distogliere lo sguardo a quella che in teoria era sua sorella che lontano da loro sorrideva in un modo volpino, poi però Caroline non vide altro.
Non vide altro, perché Klaus voltandosi l'abbracciò prima di scaraventarsi dall’altra parte della sala. Atterrarono sulla schiena del divano beige che si spostò per la forza dell'impatto investendo il tavolino in vetro posto davanti. Avanzarono fino a che qualcosa non lì fermò ed era il muro. Il vetro del tavolino si ruppe formando ragnatele nel suo interno e solo poche schegge caddero a terra, nonostante l'età doveva essere di buona qualità. Caroline si trovò sotto di lui, lui che l’aveva protetta ancora una volta. Da chi? E perché? Poi lo vide, quel sorriso volpino era rimasto esattamente dov'era, ma ora sembrava arrivarle da orecchio a orecchio. Con una mano aperta puntava il punto svuotato dalla loro presenza e un risolino tetro pitturò quella faccia di cattiveria nera.
- Oh, che bello, che bello vedere che il temuto Klaus può provare paura. Come è? Dimmi pure! – con fievoli passi quell'essere si avvicinò a loro e allora Klaus afferrò la mano di Caroline trascinandola via con se verso la porta, ma prima che potesse compiere un solo passo, una forza invisibile li prese entrambi e li forzò a stare stesi sul pavimento. Era come se dieci o forse anche di più tir pesanti cento tonnellate l'uno, li stessero addosso. Caroline non riusciva a respirare e la pressione di quella forza le stava inclinando le costole e schiacciando i polmoni, tanto che sentì un liquido caldo uscirle dalle orecchie e dal naso. Sangue.
- Dove andate, Mikeal non è ancora pronto. – li aveva raggiunti e si era inchinata verso di loro. – Ci vuole un po’ per riprendersi dall’incantesimo del cacciatore, ma so che tuo padre è un tipo forte e ci metterà la metà del tempo. –
Mikeal!! Aveva udito bene? Cosa c'entrava Mikeal in quella storia.
- Stu…stuuu… - era la voce di Klaus che tentava di dirle qualcosa, ma quella forza rendeva impotente anche lui.
- Cosa stai dicendo? – gli chiese poi, ma Klaus cercò l'aria da respirare e non fece altro, perché non poteva fare altro. – ok, ti libererò solo la bocca. –
Con un grande sospiro, Caroline avvertì Klaus respirare di nuovo, ma non lo vedeva. Solo soffitto bianco riempiva la sua visuale, perché non poteva, non riusciva a muoversi e gli occhi le si chiusero per un attimo, solo un attimo anche se quel dolore era praticamente impossibile da sopportare.
- Stupida. Credi davvero che Esther e Mikeal ti lasceranno vivere. – furono le sue parole dette con un filo di voce, ma udibili e Caroline aveva udito anche il nome di Esther, cosa diavolo stava succedendo?
- Stai dicendo che vogliono uccidermi, come possono, Bry è indistruttibile. – e l'altra voce, quella che udiva per la prima volta in vita sua, suonò divertita, come se avesse appena ascoltato la più stupida delle cose.
- Pensaci… -  e Klaus si prese un attimo per tossire e sputare qualcosa che Caroline sapeva essere sangue. – pensaci, credi che due come loro, che hanno aspettato così tanto per il loro scopo, si accontenterebbero di mandare l'anima di Bry che odiano così tanto nel purgatorio dove sei stata finora, con il rischio che possa resuscitare come appunto hai fatto tu. –
Caroline sapeva che Klaus fosse forte, ma non fino a tal punto. Poter parlare nonostante quel dolore non era facile e soprattutto tutto quello che aveva detto godeva di senso compiuto, mentre lei non riusciva neanche a mettere tre pensieri in croce. D'altronde non seppe neanche leggere il significato di quelle parole. Tutto quello che il suo corpo stava facendo era resistere, resistere a quel dolore e di non chiudere gli occhi. Se fosse svenuta, quando avesse avuto l'opportunità Klaus non l'avrebbe lasciata lì, non sarebbe scappato, non si sarebbe messe in salvo e qualsiasi cosa ora stesse attentando a loro avrebbe vinto.
- Che dici, lei è un Hoenan e lo so che non lo sai, ma le anime degli Hoenan vengono risucchiate dalla natura per unificarsi d nuovo a lei. La sua anima non c’è più ora. –
- Ma cosa dici tu. Se hai detto che Esther voleva imprigionare il corpo di Bry con un'altra anima per sempre, non credi che anche lei avesse questo dubbio. Bry era una strega e anche un vampiro, cosa ti dice che ora non sia nello stesso posto in cui hai incontrato mia madre e che ci stia guardando? –
Con la coda dell’occhio, Caroline vide Celeste alzarsi e anche in tutta fretta, quell’ultima frase la aveva davvero turbata.
- E se anche fosse. –
Ora Caroline riusciva a guardarle il viso perché era entrata nella sua visuale e vide esattamente quello che le sue orecchie insanguinate stavano sentendo. Panico.
- Pensaci Celeste, tu non sei una stupida, potevi uccidere me e tutta la mia famiglia nel corpo di Bry, allora perché risvegliare anche Mikeal e per giunta nel corpo di un viaggiatore originale. – prese fiato e il suo respiro segnò tutta la sua fatica, ma non demorse – segui il mio consiglio, io che sono stato la loro preda per mille lunghi anni, scappa il più lontano possibile, lascia stare la tua vendetta per ora e fa che io uccida Mikeal per la seconda volta. –
- Perché dovrei lasciare a te Mikeal eh, mi stai solo confondendo vero? Io sono capace di sconfiggerlo benissimo da me. – quell'essere stava letteralmente urlando.
- No, non lo sei. Mia sorella è forte, l'essere più forte che io abbia mai visto, ma tu, tu sei sicura di sapere giostrare tutta questa forza? A che serve avere un’arma potentissima, se poi non si sa prendere la mira. –
Una risata forte rimbombò per tutta la stanza.
- Io non saprei usare questo corpo? Adesso ti mostro se lo so usare o no! –
In quel attimo furono liberi e l’aria nei polmoni fece più male di quanto Caroline si aspettasse.
- Ora!!! – urlò Klaus e di colpo entrambi furono in piedi tentando per la seconda volta la via della porta, ma Caroline non si mosse di un millimetro.
- NOOOOOOOOOO!!!! – urlando Klaus corse da lei che diritta come una colonna di marmo era sospesa nell’aria, ma si sentì le mani afferrare dall’uomo che amava così tanto.
- Perché aspettare per la mia vendetta? –
Celeste. Rebekah le aveva parlato di lei. La strega che poteva entrare nel corpo delle altre streghe e Bry lo era. Era una strega grazie a Esther, quindi poteva anche lei essere impossessata. Ora che finalmente il sangue le circolava nel modo giusto e le portò nuovo ossigeno al cervello, Caroline capì tutto, purtroppo. L'essere più potente al mondo era nelle mani della nemica di Klaus che ora usava il suo potere trattenendola in aria come un burattino. Lei che era la donna che il suo nemico amava. La cosa più importante. Il dolore più forte. La vendetta più dolce. Caroline chiuse gli occhi, perché osservare il terrore negli occhi di Klaus era ben peggio del suo stesso terrore che la stava immobilizzando. Avvertiva le dita stritolate dalla forza delle sue, nel tentativo di tirarla via, di strapparla via e salvarla, di nuovo, ma stavolta... stavolta era diverso.
- Nooo!! Ti prego! Ti imploro non lei! – gli occhi di Klaus gli si riempirono di lacrime e Caroline le aveva viste perché non aveva resistito, voleva vederlo, voleva vederlo per l'ultima volta e anche se il terrore della morte la stava avvolgendo, desiderava asciugarle. – Ti pregooo! – gridò tentando in ultimo un'altra volta tirandola a se, Caroline avvertì il dolore delle sue dita rompersi, ma non si mosse di un millimetro.
- Si, ancora Klaus, supplicami ancora. – ridendo Celeste raddoppiò quella forza che sembrava già suprema a tutto, e piano Caroline scivolò dalle sue mani.
- Klaus… - gli avrebbe voluto dire qualcosa, cosa… non voglio morire, lasciami le mani e scappa, non è colpa tua, - … ti amo. – ora le sue mani erano fuori dalle sue e gli occhi di Klaus si spalancarono quando un’altra forza, la stessa forza, lo spinse sul muro a guardare inerme come il suo nemico stesse per uccidere la sua donna e le lacrime gli bagnarono tutto il viso.
- Lascialaaaaa…. – Klaus urlò di nuovo, ma Caroline oramai non poteva guardarlo. Il suo corpo venne girato come un pupazzo di pezza e messo in ginocchio davanti a quel sorriso demoniaco.
– Celeste, ti ucciderò Celeste, io... io ti torturerò per l’eternità che ti sei scelta, e lo sai che lo farò, non mi importa che il corpo che martorierò sarà quello di mia sorella. Mi addormenterò sentendoti urlare e mi sveglierò con le tua urla. –
- Ok, ma prima trova un modo per ferirmi. – e con due passi Celeste fu da Caroline e le mise una mano al viso. - Non preoccuparti tesoro, durerà solo un attimo. – e il palmo di Celeste si illuminò di una luce chiara, così chiara che Caroline potette vedere il suo ardore anche a occhi chiusi, e calda da asciugarle in un attimo tutte le sue lacrime, poi avvertì il dolore.
 
Molto prima tra le strade di New Orleans
 
Era così leggera che a Marcel sembrava di camminare senza di lei in braccio, ma il distacco della loro pelle era talmente evidente anche in quel grigiore dato da quel tempo così uggioso. La Divina Brynhild, la dea che terrorizzava così tanto la sua Rebekah era tra le sue braccia a occhi chiusi come se stesse solo dormendo, mentre lui stava per consegnarla alle streghe. Era arrivato alla città dei morti, era entrato nel cimitero e percorso il sentiero tra le tombe antiche di persone che una volta avevano respirato l'aria della città che amava tanto, ma le streghe non si erano mostrate. Piano appoggiò quel corpo senza vita su un sarcofago di marmo, mentre la sua mente continuava a martellagli l'idea che non fosse giusto. Amava Rebekah e forse si, quella era la loro ultima chance, ma comunque quello che giaceva inerme su quel pezzo di pietra freddo sembrava solo un corpo vuoto che degnava di una degna sepoltura, senza il dover venire ulteriormente martoriato. Respirò profondamente dal naso e un getto di calore caldo gli investì il viso, era il sole. Finalmente stava finendo di giocare a nascondino, uscendo con fievoli raggi da quelle nuvole fitte che sembravano volersi ritirare. Quanto altro tempo doveva attendere? Doveva attendere? Oppure poteva andare via e lasciare ciò che le streghe volevano in bella mostra? Un altro raggio lo illuminò tutto e se non fosse stato per l'anello che portava avrebbe finito per arrostire come carne alla brace... Si scostò veloce perché gli era sembrato che davvero quel raggio gli stesse bruciando la pelle. Fu un dolore fievole, ma comunque lo aveva avvertito.
- Diamine! - di nuovo e stavolta vide anche il fumo alzarsi dalla sua spalla destra. Cosa diavolo stava succedendo? Non si chiese altro e veloce trovò riparo. Fu facile perché c'erano ancora grandi chiazze d'ombra che le nuvole più pigre lasciavano sul suolo. Fu allora che vide, la vide. Seduta curva su se stessa. I capelli che le coprivano il viso e le braccia lunghe sui i fianchi che sembravano ancora non avere ripreso tono. Bry. Bry si era ripresa. Quando fece per andare da lei o fare qualcosa entrando nella luce solare, si bruciò ancora e allora la sentì ridere. Era una risata sottile e cristallina come quelle delle fate dei cartoni animati.
- È magnifico. - Era la sua voce. Era sveglia. Era viva. Piano alzò il viso verso il raggio che la stava illuminando tutta, ma aveva ancora gli occhi chiusi. - Riesco a sentire tutto. - disse come se fosse stata ipnotizzata da qualche mago da teatro spicciolo.
- Bry? - Marcel la chiamò incerto. Non aveva scambiato tante parole con lei e tanto meno l'aveva mai chiamata con il nomignolo che le stessa gli aveva dato il permesso di usare, ma comunque successe qualcosa. La testa di Bry roteò fino a trovarlo e allora i suoi occhi celeste zaffiro incontrarono i suoi.
- Stai bene?! Grazie al cielo! Tutti ti credevano morta. Dai, ora dobbiamo andare, siamo davvero in una brutta situazione... - non seppe bene il perché, ma le parole gli si gelarono in gola. Non aveva passato molto tempo con lei, era vero, eppure nei suoi occhi vide qualcosa di strano.
- Eccoti, l'uomo che ha sottomesso la mia gente per così tanto tempo, scappato via dalla battaglia lasciando i suoi fedeli nel caos, solo ed esclusivamente per un capriccio di una bionda. Quanto mi fai ridere. - disse e lo fece. Di nuovo quel suono acuto e musicale che era la sua risata si fece sentire. Marcel continuò a guardarla cercando di capire cosa le fosse accaduto e del perché le sembrava strana, ma aveva bisogno di qualche altro indizio.
- Senti, io non so niente di te, ma in quella battaglia non ci sono solo vampiri, ma anche licantropi e se sei davvero la loro regina dovresti fermarli. - si, aveva abbandonato la battaglia e si aveva fatto una cosa che mai avrebbe fatto se non per amore di Rebekah, ma ora che Bry era sveglia poteva mettere tutto apposto.
- Beh, io non mi preoccuperei. Stanno tutti dormendo ora. - Bry gli sorrise e a Marcel gli si gelò il sangue dal modo tetro in cui lo stava facendo. - Non te ne sei accorto, vero? - e la bocca carnosa, esattamente uguale a quella di Klaus, si allungò in un sorriso. - Non sono più lei. -
- No, non può essere! Celeste? - come se qualcuno gli avesse suggerito la risposta di un quiz, Marcel riversò quelle parole dalla bocca come se non fosse stato il suo cervello a concepirle. Lei gli rispose solo allungando di un altro po' il sorriso. Marcel tentò di scappare, ma quel sole lo teneva in trappola.
Celeste aveva impossessato Bry. Celeste era la Divina Brynhild. Aveva il potere dell'essere più forte al mondo. Dell'essere in grado di usare la natura a suo piacimento, di scaturire l'energia del sole da una mano e di spegnere o accendere la magia a suo piacimento. Non poteva essere vero.
Celeste rise nel tono innocente di Bry e Marcel sentì ogni cellula della sua pelle sudare ghiaccio.
- Tutto è stato pensato per questo. Tutto quello che ho fatto, tutto quello che è successo, era solo per arrivare a questo ed è meraviglioso, assolutamente meraviglioso. - strisciò le mani all'indietro sul marmo liscio, fino ad assumere la posizione di chi volesse abbronzarsi in una calda mattina d'estate. - Nessun vincolo da incantesimo, nessun sacrificio, nessun rito. La magia è tutta qui dentro di me. Mi basta solo pensare di annullare l'incantesimo del tuo anello solare e voilà, un passo e ti ritroverai come un carbone fumante o di far addormentare tutti gli esseri della terra, un attimo dopo sono giù nei loro più bei sogni o terribili incubi. -
- Perché? -
- Non ho intenzione di dirtelo. -
- Allora perché io sono ancora sveglio. -
- Perché mi servi. -
- A che scopo? - le chiese e di nuovo Celeste si voltò a guardarlo.
- Uno banale in realtà, non ti dare tanta importanza. -
- Quale? -
A quel punto Celeste alzò una mano nell'aria e mosse le dita nel fargli cenno di avvicinarsi e Marcel contro tutta la sua volontà, decise di accettare il suo invito, tirando un respiro di sollievo quando i suoi piedi al sole non emisero fumo.
- Vuoi che ti racconti una storia? - si tirò le gambe su unendo le ginocchia e chiudendo gli occhi. Tornò a dedicarsi a quei raggi solari che rendevano la sua pelle ancora più bianca.
- Tanto, ma tanto tempo fa esisteva una giovane Celeste. Era una figlia di una grande strega e tutti risiedevano in lei grandi aspettative, ma nonostante questo il suo potere sembrava non eguagliare mai quello della madre. La poverina ci provava ad essere almeno un po' simile alla grande leggenda che rivestiva la sua famiglia, ma non si era neanche avvicinata ad esserne l'ombra. Questo creò scompiglio nella sua famiglia, a scuola veniva presa in giro e quando i gruppi di streghe si riunivano lei veniva tagliata fuori, ma un giorno quella reietta della società delle streghe venne notata da un uomo fantastico. A lui non importava se sapesse trasformare l'acqua in fuoco o bloccare la trasformazione di un licantropo a ogni luna piena, e lei finì per innamorarsene perdutamente. Solo che in ogni storia c'è un cattivo maniaco omicida e nel caso di Celeste fu il fratello bastardo che l'uomo della sua vita si ostinava a portarsi dietro. Venne a sapere del loro amore e divenne geloso, ma Celeste non si sarebbe mai immaginata che si sarebbe spinto a tal punto. L'uomo di cui si era innamorata la pregò di scappare e di fare qualcosa per poter salvare la sua vita, sembrava convinto delle sue parole tantoché Celeste spaventata fece davvero qualcosa. Ricorse a uno degli incantesimi che la sua famiglia si tramandava da anni. Tentò di salvare la sua anima incarnandosi in un altro corpo, così che se la paura del suo amato si fosse rivelata reale, lei sarebbe sopravvissuta. Sapeva di non avere la potenza magica per effettuare un incantesimo tale e sapeva benissimo che avrebbe dovuto chiedere aiuto alla madre, ma come poteva spiegarle che il suo fidanzato vampiro le aveva detto di mettersi in salvo? Poi, una notte di estate musicata da mille frinii, successe. Furono dei fanatici religiosi. Le diedero la caccia, perché qualcuno che non era altro che il fratello dell'uomo che aveva amato come una folle, aveva messo in giro voci su di lei e sul fatto che fosse una strega. L'affogarono in una vasca colma d'acqua e lei, come ogni altro essere vivente, morì e basta. L'incantesimo non era riuscito. L'aldilà che tutte le streghe le avevano promesso non si fece vedere perché Celeste andò a finire in un'altra parte. Era popolato sempre da morti, ma parallelo a quello dei vivi. Era stata un'invenzione di una Viaggiatrice di nome Qetsiyah, per potersi vendicare del suo ex amato. Lì Celeste incontrò la strega che avrebbe cambiato la sua vita, Esther. Le propose un accordo, le avrebbe dato un’altra occasione facendo in modo che il suo incantesimo riuscisse, mentre Celeste in cambio non doveva fare altro che impossessare il corpo di sua figlia licantropa, della Divina Brynhild. Celeste allora le chiese il perché, perché proprio lei e perché proprio la Divina Brynhild, forse la stava ingannando per poter salvare in qualche modo quella che era sua figlia? Esther, però, la rassicurò confessandole che dal momento in cui aveva scoperto di aspettare per la seconda volta un tale abominio, aveva pensato al come ucciderla. Ci aveva anche provato con degli intrugli di erbe e strozzalupo, ma non funzionò. Sua figlia era un Hoenan, un essere fatto e creato dalla natura stessa, quindi non poteva usare la natura per toglierla da mezzo. Allora aveva deciso dii ucciderla una volta nata, ma la sua amica Ayanna l'aveva implorata di non farlo, le aveva detto che se avesse ucciso una figlia della natura, la natura stessa l'avrebbe bandita per sempre nell'usare la magia. Allora studiò un altro modo. Se ci sarà per sempre un'altra anima nel corpo della figlia sarà come averla uccisa. Un piano perfetto. Celeste poteva diventare una Divinità, possedere un potere inaudito e magari anche conquistare il mondo a una sola condizione. Sterminare i Mikealson. Tu cosa avresti fatto Marcel? Tu che hai voltato le spalle a chi ti ha cresciuto come un figlio solo per poter possedere una minuscola cittadina del sud, piena di zanzare e licantropi? - dopo tanto parlare, tornò a guardarlo tirandosi su come se avesse in un tratto riacquistato tutte le forze. - Sto incarnando il corpo più potente al mondo, ma c'è solo una piccola contro indicazione. Il senso dell'orientamento. -
- Che dici, sei un licantropo, come puoi avere problemi con il senso dell'orientamento? - anche se Marcel era stato invitato ad avvicinarsi non lo aveva fatto del tutto. Si era accuratamente tenuto ad almeno tre metri di distanza da lei.
- Già appunto. Esther aveva così a cuore che Bry non incontrasse Klaus o il suo amato Mikeal che dopo averla trasformata ha avuto la geniale idea di infilarle nel corpo un medaglione che annienti magicamente il suo senso dell'orientamento. Allora perché non te lo togli? Mi chiederai, perché Esther gliel'ha messo esattamente nel cuore. Un cuore in una cassa toracica che non può essere scalfita da assolutamente niente. E allora perché non annienti il suo potere con un battere di ciglia? Tu potrai ridomandarmi, bhè non riesco a distinguere esattamente dove sia, o come sia fatto. Potrei sbagliarmi e togliere la magia al cuore che ha reso questo corpo un vampiro, fermandolo per sempre. Quindi Marcel, vuoi accompagnarmi a prendere finalmente la mia vendetta? - la sopracciglia di Bry si alzò in un gesto malizioso che stonò con tutto il resto del viso.
Era una storia così assurda, ma visto che involveva suo patrigno e famiglia non si sorprese affatto. Celeste intanto era scesa con un balzo dalla tomba su cui l'aveva appoggiata e con le gambe incrociate e le mani appoggiate sul marmo, lo stava guardando. La cosa giusta era quella di assecondare i suoi deliri e fare ciò che gli aveva chiesto, ma Marcel corse via. Tentò per lo meno, ma di nuovo l'anello solare smise di funzionare.
- Non mi sono spiegata bene, Marcel? - Celeste curvò la testa verso destra e quegli occhi così chiari usati da lei sembravano solo due biglie di vetro vuote. - Non è una richiesta. -
- Bene. Allora dammi anche fuoco. - non condivideva le scelte di Klaus, l'aveva odiato per aver preso la sua città e tutto quello che era più caro a lui, ma non poteva fargli questo.
- Bene, lo dico io. - e dopo un gesto della sua mano, qualcosa come un vento che soffiava da dietro le sue spalle e potente da poterlo trasportare via, lo portò da lei. - Avrei dovuto farlo dal principio. - Celeste lo guardò diritto negli occhi e una sensazione che Marcel aveva dimenticato, perché da tempo che non l'avvertiva, in quel momento lo investì del tutto. La stessa sensazione dell'asservimento dei vampiri originali.
 
 
Nel presente tra le strade di New Orleans.
 
La sensazione di non poter controllare il suo corpo era ancora viva in lui, mentre a tutta velocità frecciava via da quella che per tanto tempo aveva chiamato casa. Aveva fatto tutto quello che gli aveva detto Celeste, incluso scortarla fino all’hotel in cui Rebekah aveva nascosto Caroline. Non aveva avuto altra scelta. Quando però Celeste ebbe finito con lui, lo lasciò andare. Si, era libero incredibilmente e poteva fare solo una cosa. Tra le parole che gli aveva detto, Celeste si era fatta uscire una cosa e Marcel era andato a controllare. Era tutto vero. Ogni essere che aveva preso parte alla battaglia contro le streghe alleate a Celeste, e quindi a Esther, giacevano al suolo privi di coscienza, ma cosa ancora più strana, tra loro c'erano anche le stesse streghe. Marcel aveva tentato di svegliare alcuni dei suoi sudditi, ma non ci era stato verso. Ogni volta che tentava di alzare qualcuno, questo veniva di nuovo attratto al suolo. Come calamite su una lastra di ferro. Ci aveva messo tutta la sua forza, ma non bastava. Qualsiasi cosa stesse trattenendo quei corpi era di una forza incontrastabile. Smise di provarci anche perché via dei loro cuori. Non stavano battendo. Prima che lo sconforto nell'aver perso così tante persone che in un modo o nell'altro aveva voluto bene, le vide. Genevive, Bastianna e Jane-Anne erano lì, tra quei corpi, allora poteva essere che... Tornò di corsa al cimitero, verso un posto in particolare e aveva avuto ragione. Diede un occhiata a Davina che a occhi persi continuava a guardarsi le mani intrecciate sulle gambe, come se il suo essere fosse ancora bloccato da qualche parte, come se l’aldilà non avesse restituito ancora tutta la sua anima, ma a Marcel non importava. Il petto di Davina si muoveva su e giù, come tutti gli altri petti umani quando respiravano, e non gli interessava nient’altro. Era viva ed era con lui.
L’aveva tirata fuori da quella tomba rompendo a pugni mattoni e cemento, e nonostante le sue grida d’aiuto e il suo profumo nelle sue narici, Marcel indugiò per un secondo quando i suoi occhioni blu lo guardarono, per un attimo aveva creduto che fosse tutto un sogno. Quando poi Davina gli afferrò la manica della maglia in un gesto disperato, Marcel terminò di abbattere la chiusura di quella tomba con un solo pugno. Davina si aggrappò a lui stringendosi addosso come se sul pavimento ci fosse lava incandescente e lui non le disse niente. Il corpo di Davina era caldo, riscaldato dal sangue che le affluiva nelle vene, mosso dal respiro dei suoi polmoni ed era tutto così inaspettatamente bello che il solo pensiero di lasciarla andare gli spezzò il respiro. L’avrebbe tenuta così per il resto della sua vita.
Sospirò pesantemente quando quel attimo pieno di una verità che non aveva ancora capito, gli passò davanti agli occhi. Quella felicità che aveva provato apparteneva semplicemente alla gioia di rivederla in vita, era la felicità di aver ritrovato una persona che non avrebbe mai voluto perdere, ne ora ne mai, convinto allora che fosse solo questo, che nient’altro avesse fatto accedere quella felicità che da tempo non provava.
Il suono del telefono fece alzare lo sguardo di lei, come se il suo cervello non le avesse ancora svelato l’esistenza dei cellulari. Marcel alzò una mano dal volante per potersela infilare nella tasca dei jeans grigi e con un gesto veloce del pollice rispose.
- Oh grazie al cielo! - ansiosa e preoccupata la voce di Rebekah creò in lui uno spasmo.
La sua amata da sempre e la sua amata per sempre. Aveva promesso a se stesso che non l’avrebbe mai fatta soffrire, si aveva promesso.
- Davina è viva. – le disse solo controllando velocemente lo stato della ragazza seduta accanto a lui.
- Grazie al cielo! -  Rebekah dall'altro capo del telefono, si ripetette per la seconda volta, ma la voce aveva perso quasi ogni traccia di preoccupazione.
- E Celeste ha appena impossessato il corpo di Bry. –
A questo Rebekah rispose con niente. Era stata sua l’idea di portare Bry alle streghe credendo che fosse la soluzione a tutto. Lei che l’aveva odiata appena aveva intuito la sua minaccia. Ora cosa avrebbero dovuto fare.
- Si è svegliata e non era più lei. Hai capito che tutto, tutto quello che è accaduto era indirizzato a questo, Celeste voleva Bry e ora l’ha ottenuta. –
- È impossibile, lei era morta e… -
- Stammi a sentire, non è finita qui, lo dovuta portare da Caroline e… -
- Che significa l’hai dovuta portare da Caroline è dove sta andando Klaus. – fu lei ad interromperlo urlando quasi quelle parole.
- Non ho avuto altra scelta, Celeste ha usato il vostro potere dell'assuefazione e io... –
- Mi spiegherai tutto dopo. Ora porta Davina al confine di New Orleans, ci serve la sua magia. –
- Cosa? Non ho intenzione di issare Davina contro quella pazza. –
- Marcel quella pazza ora è con mio fratello, non abbiamo il tempo di fare altro, dobbiamo agire subito prima che Celeste scarichi il raggio solare su Klaus e lo uccida e uccida anche te per la linea di sangue che vi lega, te ne sei dimenticato. –
Di nuovo Rebekah stava pensando a lui prima di ogni altra cosa e un calore amaro gli avvolse il cuore. Cosa altro avrebbe potuto fare per lui e lui cos’altra avrebbe fatto per lei? Avrebbe messo di nuovo in pericolo Davina?
- Non succederà niente a Davina, è una promessa. Ci serve solo una strega che stia dalla nostra parte. –
Come se gli avesse letto nella mente Rebekah rispose alla sua più grande preoccupazione. Marcel guardò di nuovo la sua amica, poteva definirla così?, e stavolta lei lo guardò. Un lampo di vita rispendeva nei suoi occhi come se quell’anima che tardava a tornare fosse lì in un tratto e Marcel interruppe la telefonata.
- Ehi! Stai bene? -  le chiese allungando una mano sulla sua guancia. Lei curvò la testa per ricevere tutto il suo contatto annuendo nella sua possente mano.
- Cosa è successo? – gli chiese in una voce di chi si stesse appena alzando dal letto, ma Davina non aveva solo dormito e poi si era risvegliata, lei si era svegliata dalla morte.
- Un sacco di cose e nessuna di queste sono buone, tranne per il fatto che sei qui dopo tanto tempo e io posso di nuovo guardare la luce nei tuoi occhi, ma non è finita Davina, io sono in pericolo e non ti chiederei di aiutarmi se non ci fosse un altro modo. –
Davina espirò dal naso e la sua espressione gli stava dicendo che non aveva del tutto capito quello che le aveva detto, ma annuì di nuovo.
- Cosa devo fare?
 
Per tutto il tempo tra le strade di New Orleans e non solo.
 
Era troppo forte e non riusciva a riconoscere una scia da seguire. Come se fosse ovunque, come se tutto il bosco, i villaggi, i laghi e i fiumi avessero quell'odore. Sangue. Sangue e sangue. Aspro e pungente da seccarle la gola. Decise di dare un occhiata ovunque. Nonostante la trasformazione e la guarigione veloce che tutti i licantropi avevano, quella febbre non scendeva. Saltò una piccola duna rocciosa attraversata da un fiumiciattolo sorgente da uno sfocio sotterraneo, che moriva poi in uno stagno abitato principalmente da rane. Le zampe davanti stavano per raggiungere l'altra estremità, ma una scossa alla testa la fece precipitare. Si tuffò nel torrente e l'acqua le rinfrescò le carni bollenti, ma Brynhild non ebbe il tempo di concentrarsi su quel sollievo. Aveva un gran mal di testa da quando si era svegliata, ma le scosse significavano un'altra cosa, significavano morte. Qualcuno della sua specie era appena morto. Gli Hoenan erano tutti figli della natura. Tutti uguali e collegati tra loro. Si sentivano gli uni coi gli altri anche a distanza, uniti come se fossero una sola cosa. Forse il nonno di Isaac? Era molto vecchio e quella dannata influenza aveva accorciato quegli ultimi anni che gli rimanevano da vivere... un'altra scossa interruppe i suoi pensieri, stavolta però fu più fitta e quasi pianse dal dolore. Cosa stava succedendo?
Sfruttò il legame degli Hoenan per trovare suo padre, come aveva fatto per trovare Niklaus, lui di certo le avrebbe spiegato tutto. Lo trovò. Era al villaggio e svelta iniziò a correre verso di lui. Aveva quasi percorso tutto il sentiero e gli alberi che circondavano il suo caseggiato a mo’ di barriera naturale. Ancora due zampate e sarebbe arrivata.
L'orrore.
Era appena entrata in uno scenario che mai nessuno avrebbe dovuto vedere in vita sua. Si gelò non riuscendo a compiere altri passi. Sangue... era quello il sangue che sentiva. Era ovunque. Corpi mutilati, amputati, bruciati, straziati e maciullati. I corpi della sua tribù. Un colato di vomito la percorse il ventre fino a liberarsi in un rigetto. Non poteva restare lì un minuto di più. Corse via. Era un sogno. Un incubo. Sì, stava dormendo e la febbre alta le aveva fatto fare quell'orribile sogno. Morti. Non potevano essere tutti morti. Chi avrebbe potuto fare una cosa così... così... Vomitò di nuovo.
Chi era stato? Perché? Cosa doveva fare? Dov'era suo padre?
Tra la paura e il disgusto Brynhild lo cercò di nuovo e il suo cuore si allargò di venti taglie. Era vivo. Suo padre era ancora vivo e lo sentì avvicinarsi. La stava cercando e Brynhild decise di rendergli le cose più semplici incamminandosi verso di lui.
Il lupo del re Amitola era grande quanto tre lupi e di un colore rosso più scuro di ogni altro lupo Hoenan. Le venature oro che caratterizzavano la stirpe reale, in lui si concentravano tutte sul capo, in una forma rotonda e morbida che spiccava in quel colore vinaccio, come una corona d'oro risplende al sole.
Brynhild gli corse incontro piangendo dalla felicità, ma non ebbe il tempo di far altro, neanche di dirgli che gli voleva bene.
- Il mio giorno fortunato. - Una voce lì interruppe. Anche se non lo conosceva affatto, Brynhild sapeva bene a chi apparteneva quella voce. Mikeal Mikealson. - Altri lupi reali e quelli più importanti, se poi di importanza si può parlare con voi abomini. -
Brynhild si voltò per guardarlo. Sentiva ogni particolarità della natura, ma stavolta in lui non riusciva a vedere niente. Solo un alone scuro e nient'altro, ed era la prima volta... no era successo con Kol.
Oh no! Mikeal era diventato come Kol, era diventato un mostro come lui. Cosa era successo? Chi aveva osato tanto? Quell'incantesimo era complesso e solo poche persone conoscevano come farlo e... Esther. Esther sapeva dell'incantesimo, ma come aveva potuto condannare due persone della sua famiglia, la famiglia che diceva di amare tanto, ad una immortale agonia come quella? Immortale, già, Esther aveva reso loro immortali, tutti loro? Aveva fatto questo a tutti i suoi figli e Niklaus? Aveva fatto questo anche a Niklaus, no, no, no... non poteva essere, Esther era stupida, ma non fino al punto di renderlo un vampiro anche sapendo della sua natura da licantropo, giusto. Niklaus... dove era suo fratello, doveva trovarlo e subito.
All'improvviso suo padre si lanciò davanti a lei e la sua grandezza la coprì tutta. La stava difendendo, perché?
Suo padre compì un lungo balzo verso Mikeal e gli atterrò sopra facendolo cadere a terra. Azzannò Mikael al viso facendo schizzare del sangue in varie direzioni. Brynhild non riusciva a credere a i suoi occhi. Non aveva mai visto suo padre usare la violenza e non credeva che ne fosse capace, ma fu certa di una cosa, era stato lui. Suo padre non avrebbe mai attaccato nessuno, non era nella concezione degli Hoenan nuocere agli altri, quindi quell'uomo aveva dovuto fare davvero qualcosa di grave. Come sterminare tutto il suo branco. Perché? Perché aveva ucciso tutti?
Mikeal resistette agli attacchi solo grazie alla forza che il male gli aveva concesso in cambio della sua anima e lo colpì. Brynhild vide la sua mano rompere la pelle dura da lupo di suo padre ed entrargli completamente nella pancia. Il re lanciò un acuto pianto di dolore e dimenandosi cercò di liberarsi, ma più si muoveva e più il sangue sgorgava dalla ferita scivolando sul braccio di Mikeal. Era in difficoltà, suo padre era in pericolo e fu più forte di lei. Corse per aiutarlo. Lei. Una bambina che non aveva mai ucciso neanche una mosca. Afferrò la parte del braccio di Mikeal rimasta fuori dal corpo di suo padre e le zanne trovarono difficoltà nel perforare quelle carni da demone, ma Brynhild ci riuscì. Il padre fu libero, ma il danno che gli aveva causato quel colpo era troppo grande anche per la guarigione veloce dei licantropi. Amitola si accasciò a terra senza poter fare altro. Brynhild lasciò stare il nemico, per accertarsi che il padre stesse bene. L'addome era squarciato in due e il sangue irrigava completamente la ferita gocciolando a terra. L'istinto del suo lupo la spingeva a stargli vicino, ma suo padre ringhiò forte. Le stava dicendo di scappare e di mettersi in salvo. Brynhild diede un occhiata a Mikael che in piedi stava guardando i fori dei suoi dentini, poi tornò a guardare suo padre, ma stavolta la morse. Lo fece così forte che Brynhild ritirò la zampa dal dolore. Era la prima volta che il padre si comportava così con lei e ne fu confusa. Amitola si alzò dolorante nella sua gigantesca statura, ringhiandole contro e facendole compiere dei passi indietro, ma lei non voleva andare, non voleva lasciarlo con quel mostro senza più una vita. Stavolta il re le saltò addosso e solo allora Brynhild scappò via. Corse più veloce che poteva fuggendo via, da quell'orrore, da quella paura. Corse e corse ancora fino a perdere la cognizione del tempo.
Un dolore la stese a terra. Non fu un attacco. Non fu Mikael. Era una scossa. La più pesante e la più dolorosa che avesse mai provato. Suo padre. Suo padre. Era morto.
Si trasformò e stesa a terra pianse. Ora che poteva farlo le lacrime le bagnarono il viso. Il fiato le si accorciò diventando sempre più breve. Le mancava l'aria. Era sola. Era rimasta completamente sola. Suo padre. Tutti. Erano tutti morti. Non riusciva... Non riusciva a respirare. Perché? Perché? Cosa avevano fatto per meritarsi questo? Nel dolore più forte che avesse mai sentito, le lacrime scorrevano dai suoi occhi senza interruzione, senza avere la necessità di battere le palpebre. Bagnarono il terriccio che pastoso le si attaccò al viso. Rimase lì. Stesa ad attendere Mikael. Ad attendere la morte che l'avrebbe portata via da quel dolore. Si arrese al nemico che non aveva mai provocato. Attese che la portasse via da quel mondo in cui era rimasta sola. Completamente sola.
No, non lo era.
Suo fratello. Lui era ancora vivo. Doveva avvisarlo. Doveva aiutarlo. Lei avrebbe trovato la soluzione a qualunque cosa era diventato. Questo pensiero la fece muovere. Si tirò su inginocchiandosi. Aveva il volto strisciato di lacrime che ancora non smettevano di scendere e davanti a lei una luna nascente rendeva il cielo nero come la pece. Avvolta dalla rabbia e da quel dolore più profondo, giurò. Giurò di non tirarsi mai più indietro. Giurò di non essere mai più codarda. Giurò di salvare suo fratello. Giurò di trovare un modo per uccidere Mikael. Sì, l'avrebbe ucciso.
Sarebbe diventata più forte di lui e con le sue stesse mani, gli avrebbe provocato la paura e la disperazione che le stava facendo provare, che aveva fatto provare a tutti i suoi cari, ma sarebbe stato mille volte peggio. Lo avrebbe fatto. A ogni costo.
- Divina Brynhild! -
I suoi occhi non riuscivano a vedere per le lacrime che rimanevano affisse alle iridi, ma si voltò verso la donna che la stava chiamando. Ayanna. La strega corse da lei e inginocchiandosi si tolse il mantello per poterla coprire. Brynhild appoggiò la testa alla sua spalla e pianse abbracciata all'unica donna che poteva considerare una madre.
- Perché? Ayanna perché? - Le chiese tra i singhiozzi mentre ora le mani di Ayanna le afferrarono il viso umido delle sue lacrime.
- Piccola mia. Il male è il male, senza nessuna spiegazione. -
Brynhild annuì senza realmente seguire fino in fondo cosa le stesse dicendo. La sofferenza le aveva annebbiato la mente.
- Niklaus? - Quella era l'unica cosa che le importava ora. Ayanna le asciugò le lacrime prendendosi del tempo prima di rispondere.
- Ho tentato di salvarlo, ma Esther ha trasformato anche lui. -
- COSA?! - Non poteva essere vero. No, suo fratello no. Era tutta colpa sua. Se solo gli avesse detto prima della sua vera natura. Se solo... le lacrime tornarono e quel dolore la spinse in una parte buia dell'universo, dove non esisteva niente all'infuori di quella pena.
- No. Divina Brynhild, ascoltami. - ma Ayanna la scosse forte e lei aprì di nuovo gli occhi - Non permettere al dolore di renderti una vittima, devi combatterlo. - gli occhi nocciola di Ayanna erano fermi su i suoi come se potessero leggervi dentro.
- Come? - Brynhild si asciugò i suoi occhioni blu e stavolta non abbassò lo sguardo. Voleva davvero non provare più quella sensazione.
- Chiederai agli antenati il permesso di diventare immortale... -
- Ayanna... che stai dicendo? - Non riuscì a credere a cosa le aveva appena detto. Come poteva trasformarsi in un demone come quello?
- Ascoltami! Gli altri licantropi superstiti hanno bisogno di te. Sei la loro principessa e sei l'unica che può salvarli. Devi ucciderlo prima che finisca di sterminare tutti i licantropi. -
- Ci sarà un altro modo. Se scelgo di dare la mia anima all’oscurità non potrò più tornare indietro. – obbiettò cercando di capire il come Ayanna non avesse pensato a tale conseguenza.
- Fidati di me. Chiedi alle anime dei tuoi antenati il permesso di rinunciare alla morte. Loro te lo daranno e non diventerai un demone come loro. -
Ayanna la guardò per lunghi secondi poi fu lei ad abbracciarla. Stava piangendo anche lei. L’uomo che aveva amato con tutta se stessa era stato appena ammazzato e per quanto volesse consolare la sua figlioccia, anche lei aveva un limite. Proprio lei che aveva rifiutato di rendere i Mikealson immortali, adesso stava dandole questa possibilità. Credeva davvero nelle sue parole e che nessuno avrebbe reso Brynhild schiava del sangue, o sensibile al suo sole, ma lei era solo una strega cosa ne poteva sapere. L’immortalità le avrebbe dato la forza per uccidere Mikeal esattamente nel modo che avrebbe voluto, ma l’avrebbe comunque resa una bambina per sempre. Non era comunque una maledizione?
Accettò.
Come le aveva detto Ayanna, gli spiriti antichi accettarono. Erano disposti a concederle la possibilità di essere immortale senza però rinunciare ai suoi poteri, doveva solo portagli la testa di chi era stato in grado di compiere tanto. Doveva uccidere Mikeal e per questo non si fermarono solo nel renderla l'unica nel suo genere. Le diedero un'arma potentissima, la potenza del sole. Con un solo gesto poteva neutralizzare ogni vampiro e renderlo cenere in un solo secondo. Così Ayanna la trasformò dando inizio alla sua nuova vita da essere indistruttibile.
“Basta ora svegliati.”
Non stava dormendo, ma doveva svegliarsi. Seguì quella voce che le aveva ordinato di svegliarsi e risalì quel tunnel buio in cui si trovava, ma incontrò un ostacolo. Non riusciva ad aprire gli occhi. Avvertiva il corpo pesantissimo ed era stanca, stanchissima e se si fosse lasciata andare avrebbe riposato...
- Finalmente. –
La svegliò più di quanto avesse fatto la voce di prima, perché quella era suonata in un modo strano e diverso. Chi era? Di chi era quella voce? Cercò di concentrarsi e in un attimo quella voragine nera tanto invitante si chiuse annullandosi del tutto. Non avvertiva niente, né tanto meno ricordava niente.
- Se solo tu non fossi mai nata, non mi sarei mai impegnata tanto per toglierti di mezzo e ora figlia mia, sarai morta e lo sarai per davvero questa volta. –
Figlia! Quella voce era indirizzata a lei? Tentò di muoversi, tentò di fare qualcosa, ma non succedeva niente. Era come se fosse fatta d’aria o peggio come se non ci fosse affatto, forse non stava neanche respirando. Però qualcosa lo riusciva a percepire, era in pericolo. Non poteva restare così in quella condizione, doveva fare qualcosa. Allora smise di capire l’identità di quella persona e tentò di cercarsi, di trovare se stessa. Dov’era? Chi era?  Io...
"Tu ti chiami Brynhild, sei la principessa Hoenan..." fu strano pensare quei pensieri, perché nella sua mente si materializzavano usando un’altra voce, una voce che non conosceva, la stessa che l'aveva fatta rinsavire dal sognare i suoi ricordi. Si, quelli erano ricordi. "Tuo padre è il re Amitola e tua madre è..." quella voce si interruppe di colpo. Qualcosa l'aveva fermata e Bry capì cosa l'aveva interrotta. Il terrore. Bastò ricordare chi fosse sua madre e il resto dei suoi ricordi la investirono. Provare terrore fu inevitabile e avvolse il suo corpo come un rovo di spine e pungeva da morire. Ora che ebbe finalmente coscienza di se, poteva fare qualcosa e il suo corpo rispose. Una scossa potente la fece vibrare tutta e anche violentemente. Il suo potere. Era nato dal ventre, la dove nasceva sempre e le si era sparso per tutto il corpo, come sempre, ma finì li. Niente onda, niente fulmini celesti o raggi solari. Niente.
- È inutile bambina mia, non c’è la farai questa volta. – la voce che l'aveva accolta da quel non risveglio era tornata a parlare e Bry la riconobbe. Era lei, Esther. Perché? Perché la sentiva? Era con lei? Era viva? Dov'era? Cosa le stava succedendo? Nel panico cercò di aprire gli occhi, ma le palpebre sembravano incollate tra loro.
- A me sembra completamente fuori uso, madre. -
- No, Finn. -
Un’altra voce. Chi era? Esther non era sola, con lei c'erano altre due persone, ora riusciva a percepire anche le loro aure.
La terza voce lo aveva chiamato Finn e a Brynhild quel nome non era nuovo, ne tanto meno quella voce stessa non le sembrava del tutto estranea, e poi c'era quella sensazione. Una sensazione che non aveva mai provato prima e per questo non riusciva a darle un nome.
- La senti vero? Questa sensazione di legame che hai con lei? E mio caro Kol non sarà l’unica cosa che potrai fare, ora prendila e andiamo. –
Kol. Ecco l'identità della terza persona, svelata dalla voce di Esther. Kol, conosceva questo nome. Chi era? Chi era Kol e chi era Finn?
"Sono il diavolo" la voce della sua testa le parlò di nuovo e stavolta la distinse a stento con le altre che parlavano attorno a lei. Fatto sta, che bastò quella piccola frase a portale un altro ricordo. Kol col viso insanguinato nella radura oscura e poi i Mikealson, tutti i Mikealson, compreso Finn. Subito dopo il comando di Esther, Bry sentì il suo corpo muoversi nell’aria, poi avvertì il contatto di quello che doveva essere il petto di chi la stesse scortando da qualche parte. Immune e completamente in mano al loro volere, Bry non poteva fare altro che acconsentire, perché davvero non riusciva a fare altro. Allora tornò a cercarsi, forse si doveva spingere più in là. Cosa aveva rimasto indietro? Cosa stava facendo prima di ritrovarsi lì? Io sono Bry, mio fratello è Klaus Mikealson e lui, lui ha bisogno di me. Questa volta non fu la voce estranea che usava la sua testa per suggerirle i pensieri a parlare, ma lei stessa e anche l'effetto fu diverso. Il corpo venne di nuovo colpito da una nuova scossa, stavolta più pesante e le palpebre le si aprirono. I suoi occhi ora vedevano e si vide in braccio a qualcuno. Nel modo in cui la teneva poteva osservarlo da vicino, con la testa appoggiata al suo torace poteva scrutarne i particolari. Un mento bianco diviso in due da una visibile fossetta. Il viso leggermente rettangolare. Occhi incorniciati da folte ciglia scure. La fonte alta e capelli del colore del cuoio scuro. Lo conosceva.
"Si, sono io. Kol. Ora chiudi gli occhi prima che Esther ti scopra."
Cosa?
Come era possibile?
La stessa voce che aveva ascoltato nella sua testa era la sua? Kol le stava parlando usando la psicocinesi o cosa? Come era possibile?
"Semmai telepatia, se vogliamo essere precisi."
Dalla sorpresa gli occhi che le si erano aperti con tanta difficoltà le si spalancarono.
"Chiudi gli occhi, ti ho detto."
Lo fece. Era lei? No, non stava usando la connessione, riusciva a stento ad aprire gli occhi. Allora cos'era? Come potevano comunicare tra loro con il pensiero? E perché Esther era ancora viva? E perché lo era anche Kol e Finn? E Klaus? Dov'era Klaus?
“Se la smetti un attimo di pensare, potrei esserti d’aiuto” Kol tornò a parlarle nella mente, e quelle frasi le fecero un effetto strano, come un leggero solletico. Si tranquillizzò, cerando di liberare la mente dai pensieri, ma... ma come si faceva? Come si poteva smettere di pensare. Fu una cosa strana, tutto era strano, ma ascoltare un’altra persona ridere nella tua testa sicuramente era un esperienza unica per non dire folle.
"Hai ragione, è una cosa folle. Facciamo così adesso ti mostro tutto, tu devi solo fidarti di me."
 

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Capitolo 15
*** Assassin ***


Assassin
 
Whatever they say
These people are torn
Wild and bereft
Assassin is born 
Muse-Assassin
 
 
 
 
 
Non era la prima volta che uccideva o che faceva uccidere qualcuno e sempre provava una sensazione indescrivibile. Spaziava dalla assoluta consapevolezza di onnipotenza al completo menefreghismo, solo perché lui poteva. Come la sua condizione veniva descritta dagli antichi greci, sfidava le regole dei Dei, di ogni Dio che ci fosse su quella terra, e vinceva sempre*.  Lui l’imbattuto, il possente e l’eccezionale senza uguali ibrido. Quindi quando si trovava davanti uno di quegli illusi individui che avevano avuto l’assurda idea di voler affiancarsi a uno dei suoi fratelli, o meglio dire quando si trovava nell’attimo in cui la vita di chi aveva osato ad affiancarsi a uno dei suoi fratelli stava per abbandonarli, non né provava il minimo dispiacere anzi, solo un'immensa soddisfazione. Eliminare le loro espressioni sognanti dalle esperienze che mai nessun altro avrebbe potuto vivere, oppure spegnere i loro occhi brillanti dal presunto coraggio che credevano di avere per affrontare il pauroso mondo in cui si stavano per invischiare, fermare il loro cervello umano sulla realizzazione della loro morte e quindi sulla realizzazione della loro stupidità, era più saziante e appetitoso del sangue di una parigina vergine. Chissà perché ma il loro sangue era come dire, frizzante.
- Come poi restare qui, come se niente sia successo? – sua sorelle gli ringhiò contro tutta la disapprovazione che le aveva già visto in volto tra la folla prima di raggiungerlo. Aveva gli occhi arrossati dal pianto o dalla collera che in Rebekah spesso erano interscambiabili, vestita da un vestito avorio con le frange che danzavano nell’ aria al ritmo dei sui passi furiosi, con la lunga collana di vere perle che gli aveva regalato lui stesso che toccando i ricami del vestito musicava un fruscio allegro. Bella e bellissima nel fuoco dell’ira che la stava attizzando, rendendo la sua sagoma luminosa tra i comuni mortali che popolavano la strada. C’era una festa, una gran chiassosa e divertente festa organizzata da lui, quindi tutte le strade di New Orleans erano piene di vite che danzavano, bevevano e ridevano facendo pulsare quelle vie di pura vitalità. La sera prima aveva avuto uno dei suoi soliti incontri politici con dei trafficanti di alcool. Loro si ostinavano a vendere i loro liquori illegali a un prezzo troppo basso e che metteva in seria difficoltà tutto il suo mercato di contrabbando. Un incontro andato molto bene e ogni cosa alla fine si era messa a posto, però c'erano stati molti morti. L’intento dell’incontro era quello di trovare un accordo, ma le cose si erano aggirate in una maniera molto più positiva. Non vi era stato accordo, semplicemente perché non vi era più nessuno con la quale accordarsi. Li aveva uccisi tutti. Distillavano le loro bevande in un sottoscala di un palazzo al centro della città, quindi tutti quei morti avevano destato un pò di scalpore tra gli abitanti. Diciamo che più che dei cadaveri ciò che aveva scioccato la gente era il modo in cui erano stati ridotti, mutilati in più parti e con l’assenza totale di sangue. Non erano i soli vampiri presenti in quella città, quindi più di una occasione c’erano stati attacchi di animali amanti del sangue umano, ma come spiegare l’assalto di una belva famelica al tal punto da prosciugare una ventina di persone e per lo più strapparne gli arti e lanciarli in giro? Non era possibile, ma Niklaus sapeva bene cosa fare. Dare una festa. Non una normale, una sfarzosa, chiassosa, affollata e spassosa tipica festa nello stile Mikealson. Con musica ovunque, alcool, illegale, a fiumi e tante belle ragazze disposte a ballare fino a notte fonda e anche a fare qualcos’altro. 
- Non so di cosa tu stia parlando. – non vi era solo una band a suonare, Niklaus ne aveva ingaggiato una per ogni angolo di strada, quindi il baccano che c’era era immaginabile, ma figuriamoci se non fosse stato in grado di ascoltare le parole di sua sorella comunque, era anche in grado di notare la ragazza dai capelli rossi che lo stava osservando da un bel po’ proprio dietro alle spalle di sua sorella. Non era l’unica donna che lo stava squadrando in realtà, ma lei aveva un certo non so che, forse era dovuto dal modo in cui distoglieva lo sguardo ogni volta che lui incrociava i suoi occhi con i suoi, imbarazzata e deliziata allo stesso tempo e ora che lo vedeva parlare con una donna bellissima che non sapeva essere sua sorella, aveva limitato le sue occhiate di tanto in tanto, non essendo in grado di domare la femminile curiosità.
- Non fare lo stronzo, anche se ti riesce male visto che è quello che sei e dimmi perché? - ringhiò tra i denti di nuovo parandosi verso di lui e cancellando del tutto la visuale della curiosona.
Klaus aprì la bocca emettendo un a silenziosa come chi ha appena ricordato una cosa che fino a quel punto aveva completamente dimenticato. – Vieni dal nostro fratello Elijah giusto. E dimmi come sta? – e con un sorriso serpentino le allungò una mano sulla spalla per poi spingerla delicatamente verso destra, il giusto per poter far rientrare nella visuale ciò che non riusciva a vedere più, la dolce sconosciuta. Ritrovò i suoi occhi del colore verde chiaro che tornarono a guardare per terra.
- Sei senza cuore. –
- Probabile, chi conosce l’anatomia di un ibrido. – e tornò a lei e gli sembrò più arrabbiata che mai e questo lo divertì molto.
- Lo sapevo, sei stato tu. – Rebekah si mise una mano in viso e l’indice raggiunse la piuma lunga della forcina che ornava i suoi capelli corti. – per un attimo avevo creduto… -
- Dimmi Rebekah, ti sembra giusto che il tuo caro fratello mi abbia lasciato solo ieri sera, per potersi piangere adosso, eppure non sono affatto rammaricato. Digli di riprendersi perché abbiamo una città a cui badare. – e la lasciò lì, non aveva altro che dirle e quindi decise di raggiungere l’unica cosa che ora destava il suo interesse.
- Sai che ti dico. – ma Rebekah continuò a rivolgersi a lui anche se adesso si stavano rivolgendo le spalle. - Spero tanto che non troverai mai nessuno, spero tanto che il tuo stato di solitudine perenne rimanga così immutato, perché se dovesse esserci un Dio in cielo e se un giorno abbia la pazza idea di farti incontrare qualcuno che possa credere di amare l’ammasso di melma malefica che sei, spero tanto che non ti venga tolta almeno non con la stessa crudeltà con la quale hai distrutto le nostre possibilità di essere amati, così che tu non possa mai provare quello stesso dolore. –
- Bhe, mi rincuora sapere che dopo tutto la mia sorellina si preoccupi per me, ma non temere, su questa terra io sono unico e nessuno mai potrà avere la stupidità del credere di potermi amare. Nessuno può. Come nessuno può per voi. Noi siamo bestie. Continuate pure ad illudervi, a indossare la pelle umana mimando le loro emozioni e compassioni, ma in fine dei conti il nostro odore d’animale ci verrà sempre alle narici, perché è quello che siamo. Delle brute, animalesche e sanguinolente bestie. -
- Parla per te. – sfrecciò in ultimo. Conosceva sua sorella e sapeva che amava avere l'ultima battutta, quindi Klaus sorrise voltando il capo verso sua sorella, ma non girandosi. Non le disse altro e si allontanò da lei, annoiato già da tutte quelle parole inutili. Quando la ragazza lo vide avvicinarsi il suo sguardo da occhiate ad intermittenza divenne statico, ora osservava solo il pavimento. Niklaus sentiva il suo cuore battere fortissimo e la sua pelle rilasciare il zuccherino sapore dell’agitazione e lui ci si tuffò dentro. La ragazza sapeva che era arrivato a lei anche se si ostinava a tenere il capo giù, ma anche così Klaus le vide le gote incendiate al disotto delle deliziose lentiggini sparse sugli zigomi. A Niklaus gli si seccò la gola, anche se aveva nello stomaco la quantità di sangue idoneo per tre giorni di digiuno.
- Mi vorreste regalare questo ballo, signorina. – 
Solo allora la ragazza lo guardò con i due stagni che aveva al posto degli occhi, uno di quelli carini, con rane gracidanti e libellule volanti di ogni colore. Non ci fu una risposta repentina, ma un timido sorriso comparve sul volto della ragazza, lusingata nell’aver suscitato l’attenzione di un così bel ragazzo, poi una vocina delicata uscì dalle sue labbra inesperte suonando in un accento molto forte e che Klaus riconobbe subito.
- Je suis désolé. Non parlò inglese. – disse le ultime parole con un inglese terribile, ma che lo arse dall’interno. New Orleans era nel pieno dello sviluppo e tanti erano gli emigrati venuti lì a fare fortuna e molti di loro venivano dalla Francia. Klaus la osservò allungò deglutendo la saliva procuratogli dall’acquolina in bocca, poi abbassò il viso per osservare i suoi occhi.
- Il n'y a rien à désoler. Je m'appelle Niklaus Mikealson et vous? –
Di colpo lo sguardo della giovane fu su di lui privo di insicurezza, regalandogli un timido sorriso da giovane stupita. Si chiamava Agnes Martin. Era una delle figlie di un imprenditore francese che aveva appena acquistato una delle miniere di carbone scoperte in Louisiana. Si era appena trasferita con la madre e le sue tre sorelle abbandonando la sua vita nella madre patria fiduciosa che un futuro migliore la stesse aspettando lì a New Orleans. Da quella notte in poi, Agnes Martin sarebbe stato solo uno degli altri nomi elencati nella sua lista.
Klaus strinse forte i denti mandando quel ricordo da un’altra parte, una parte lontana del cervello così da non ostacolarlo. Ora doveva correre. Correre e correre. Lontano, lontanissimo. Agilmente evitando gli ostacoli di quelle strade, doveva raggiungere il bosco e il prima possibile e c’era ancora un bel po’ da percorrere. Era un vampiro veloce e nessuno poteva stargli dietro, quindi strinse più forte quello che aveva nella mano destra e accelerò il passo, fino a che tutto quello che lo circondava divenne un susseguirsi di materia bianca.
Il bosco situato proprio alla fine del confine della città era fitto e pieno di alberi dal fusto grande ed evitarli a quella velocità non era facile, ma ci stava riuscendo e proprio quando seppe di essere arrivato al massimo, si fermò. La radura accanto a uno dei laghi che popolavano la zona lo accolse e lì lasciò la presa. Si voltò sentendola arraffare in cerca d’aria e la vide piegata con le mani alle ginocchia nell’intento di prendere fiato. Caroline. Aveva il capo rivolto verso terra e la schiena le si muoveva al ritmo dei grandi espiri che incamerava per colmare l’affanno. Era lì, era con lui. Tossì in presa a una crisi e Klaus si avvicinò, ma allora Caroline alzò il capo e quello che vide lo uccise. Il suo volto stramortito dalla stanchezza, non solo della corsa, i suoi occhi rossi al limite del pianto e la sua pelle bruciata che risanava, gli bucò il cuore. L’aiutò a reggersi su e con altre boccate Caroline recuperò l’ossigeno che le era mancato, non resistette più e Klaus le baciò la tempia. Chiuse gli occhi mentre con la mano destra avvicinò la testa della sua amata per rendere quel bacio più profondo e la sentì calmarsi. Espirò anche lui, ma per un altro motivo. Per il sollievo. Erano scappati, erano ancora vivi, Caroline era ancora viva e mai sarebbe stato più grato.
“Spero tanto che non troverai mai nessuno, spero tanto che il tuo stato di solitudine perenne rimanga così immutato, perché se dovesse esserci un Dio in cielo e se un giorno abbia la pazza idea di farti incontrare qualcuno che possa credere di amare l’ammasso di melma malefica che sei, spero tanto che non ti venga tolta almeno non con la stessa crudeltà con la quale hai distrutto le nostre possibilità di essere amati, così che tu non possa mai provare quello stesso dolore.” Le parole che Rebekah le aveva detto allora gli risuonarono in testa, di nuovo e lui le scacciò via, di nuovo, stavolta in un posto più profondo.
- Cosa è successo? – gli chiese e i suoi occhi finalmente lo guardarono e Klaus non vide solo due iridi celesti, ci vide molto di più. Vide la luce, la stessa luce che aveva lui stesso spento negli occhi di tanti e stavolta non ci fu posto in cui mandar via il dolore.
- Come stai? – le chiese invece mettendole una mano tra i capelli per poterli spostare all’indietro e vedere le ultime tracce di bruciature che stavano guarendo. Lei annuì, ma era una bugia, una bugia bella e grossa. Non era ceco e vedeva la condizione in cui era.
- È quasi finita, Caroline. Tra poco finirà tutto. – ma ora i suoi occhi non lo seguivano più e soprattutto quando le prese le spalle per poi spingerla all’indietro, si riempirono di una totale confusione. Klaus non si era fermato in quel posto per caso. Lì c’era un portale aperto da Davina che avrebbe dovuto trasportare entrambi e metterli in salvo. Avrebbe dovuto, si, ma Klaus non la seguì, non per adesso.
 
Il sedere di Caroline le fece un male cane quando con un tonfo atterrò su un pavimento di sanpietrini. “Klaus, ma che diavolo fai” era quello che gli avrebbe urlato se non fosse stato per l’intontimento, dovuto in parte dalla caduta, in parte dalla corsa a perdi fiato e in parte dal fatto di aver appena visto la morte con gli occhi. Per questo motivo non notò quasi il luogo in cui era finita fino a che qualcuno non le si avvicinò.
- Ce qui s'est passé, demoiselle?  – un signore vestito prevalentemente da vestiti neri, moro e dagli occhi castani si era chinato verso di lei offrendole forse il suo aiuto parlandole in quello che Caroline capì essere francese grazie al corso che aveva tenuto a scuola. Non aveva bisogno del suo aiuto, ma sconcertata da ciò che le stava accadendo, annuì leggermente con la testa. Il gentiluomo si precipitò ad aiutarla e una volta in piedi gli regalò un dolce sorriso di giovane ragazzo estraneo dal suo mondo così controverso e oscuro.
- D'où vient-il? D'Amérique, je parie. – il ragazzo le aveva di certo chiesto qualcosa, ma Caroline non potete fare altro che apprezzare il suo accento e nient’altro, realizzando che due anni di francese non le erano serviti a nulla.
- Merci beaucoup, monsieur. La fille est avec moi, et oui elle est américaine. – Rebekah sbucò dal nulla sorprendendo non solo l’uomo che si voltò verso di lei, ma anche Caroline. Un secondo dopo e precisamente dopo aver guardato Rebekah negli occhi, il ragazzo le salutò e andò via senza dire una parola e probabilmente non ricordando già di aver incontrato una bionda americana sbadata seduta a terra col viso dolorante.
- Non sei neanche approdata nel territorio straniero che già tenti di tradire mio fratello. – aveva il viso rivolto verso l’uomo che a passo normale stava allontanandosi da loro, quindi non la vide arrivare. Caroline l’abbracciò e nel secondo in cui il viso le toccò la spalla di Rebekah scoppiò a piangere. Non era da lei abbracciare un originale e men che meno Rebekah, ma necessitava di un contatto fisico e in assenza dei suoi cari amici si dovette adattare. Rebekah non se lo sarebbe mai aspettato e con le braccia lunghe sui i fianchi accolse qual pianto isterico, poi un idea le balenò nella testa. Scostò la ragazza dal suo corpo e cercò di leggerle qualcosa in viso, ma oltre che completo sconforto non vide altro.
- Dov’è Klaus? – allora le domandò, ma Caroline scosse il capo asciugandosi le lacrime.
- Oh no… no… no… - Rebekah la superò raggiungendo il punto in cui era sbucata dal nulla, ma sapeva benissimo che quel portale che aveva creato Davina non funzionava a ritroso e non sarebbe durato per sempre. – Stupido cazzone, cosa diavolo vuoi fare adesso? –
 
Il dolore le fece mancare il respiro e le gambe non la ressero più. La lingua le si accartocciò fino a scenderle in gola soffocando lei e le sue grida. La parte destra del corpo le era saltata via, come esplosa in aria per via di una bomba e l'ultima cosa che avvertì prima di lasciare quel mondo, fu del liquido caldo bagnarle il sedere e l'inizio della schiena, poi abbandonò quel corpo senza che potesse riuscire a chiudere gli occhi. Celeste non era la padrona di quel corpo, come non lo era stata per i corpi che aveva impossessato fino a quel momento, ma quello della divina Brynhild era qualcosa di ben diverso, diverso al punto tale da poterlo definire anormale. Era la natura, era la terra stessa, era la forza del mondo. Tutto racchiuso in quel corpicino e Celeste non era in grado di sopportarlo. Proprio come le aveva predetto Klaus, alla prima occasione per Celeste di usare quel potere così invitante, non aveva retto. Il potere del sole, il modo in cui si nominava la capacità di Brynhild di poter scagliare un raggio dalla mano, luminoso esattamente come quello solare e che quindi provocava gli stessi danni ai vampiri indossanti o non l'anello solare, non solo per questo veniva chiamato così. Era il sole. Così come la divina Brynhild poteva tramutare le cose, creare qualcosa dal nulla e condizionare le attività atmosferiche, poteva ricreare la stessa luce, lo stesso calore del sole ed era molto, molto calda. Calda da scioglierle la pelle, tale da staccarle via le dita, tale da squarciarle la mano fino alla spalla. Un bel danno insomma, danno che si sarebbe risanato con la magica guarigione dei vampiri prima o poi, ma quello che permetteva davvero a Brynhild di poter usare quel potere, senza avere la stessa reazione che aveva avuto Celeste, era un mistero. Previsto o non, ora Celeste giaceva a terra, morta probabilmente perché non aveva retto tutta quella forza e tutto quel dolore, e neanche la sua vescica. Liberi i suoi nemici avevano avuto la chance di fuggire e lei non aveva potuto fare altro che lasciarli andare. Cosa sarebbe successo? Dov’era? Era morta? Lei non poteva morire, giusto. L’incantesimo che permetteva la sua vita eterna era ancora valido, quindi doveva solo restare lì fino a che non avrebbe trovato un altro corpo da impossessare, eppure quella volta era diverso. Celeste si sentì come immersa. Immersa in un mare profondo, ma caldo che cullava le sue carni e riposava le sue membra. Era la guarigione che faceva effetto, forse, non lo sapeva. Non era mai entrata in un vampiro, né tanto meno in uno così potente, poi ci fu uno strano solletico. Iniziò alla base dei piedi per poi risalire fin su alla fronte, come se delle bollicine piccole le stessero danzando tutte intorno e sentì il suo corpo risalire. Da qualsiasi parte essa fosse, si sentì fluttuare o galleggiare e proprio come l’aria presente nel corpo ti riportava su velocemente dal fondale a raggiungere la superficie, emerse o respirò. Aprì gli occhi. Tutto quello che aveva abbandonato prima di svenire l’accolse e Celeste ritornò ad urlare. Il dolore era medesimo e anche le sue ferite non sembravano essere migliorate, quindi si aspettò di nuovo di perdere i sensi, ma non lo fece. Rimase lì, in quel limbo di dolore atroce fino a che non vide due gambe lunghe accanto a lei. Le seguì con lo sguardo a raggiungere il volto della persona che era in piedi vicino a lei ma non le prestava soccorso. Nonostante il dolore, lo riconobbe e finalmente si sentì salva. L’uomo si chinò sulle ginocchia per potersi avvicinare a lei e i suoi occhi castani la studiarono. Celeste attese che facesse qualcosa, che l’aiutasse, che chiamasse aiuto, che facesse cessare in qualche modo tutte quelle pene, ma Mikeal se ne restava lì con un’espressione attonita in volto.
- Che puzza. – disse solo e un suono sfiatato gli uscì dalla bocca. Riso. Stava ridendo. Stava ridendo? Poi Celeste decifrò il senso del suo sguardo, Mikeal non la stava guardando in un modo attonito, ma in un modo divertito.
- Ti stai chiedendo il perché non guarisci? – le porse una domanda a cui non avrebbe potuto rispondere perché non riusciva a parlare, ma si, sì stava chiedendo il perché. Mikeal comunque non attese risposta e con l’indice iniziò a premere sulla parte insanguinata e carbonizzata della spalla, unica parte rimasta del suo intero arto destro, facendola gridare più forte e a questo Mikael rise con gusto. Toccò le carni vive fino a sfiorare l’osso e Celeste svenne di nuovo, ma con uno schiaffo forte Mikael la riportò nel presente. 
- Aiutami. – lo implorò tossendo del sangue che si mischiò a quello gocciolante dal naso provocato dal forte manrovescio ricevuto. Mikeal scioccò la lingua sul palato e curvò la testa godendosi ogni cosa che stava osservando
- Mi dispiace, ma non è nel mio interesse. –  poi con un colpo solo entrò nella sua gabbia toracica afferrandole il cuore.
 
Il corpo gracile e cereo di Bry appoggiato su un altare scolpito da qualcuno nella pietra per chissà quale ragione, probabilmente mistica, emergeva nel pallore di quel luogo pieno di morte. A occhi chiusi come una candida bambola di porcellana riposta in un baule buio attende di essere tirata fuori dalla sua padroncina per giocare, lei era ferma e immobile al centro di un macabro cerchio di corpi umani. Nel mondo dei vivi, le streghe e gli umani scomparsi da New Orleans, i vampiri e i licantropi che stavano combattendo al centro delle strade, giacevano dormienti formando un circolo che sembrava non avere un centro, ma nel mondo dei non -vivi quel centro era lei. Nonostante la vita li separasse, quei corpi erano in piena vista grazie alla possibilità, data a quelle anime dei morti che popolavano quel posto, di poter spiare cosa succedeva nel mondo vivente. Tutto per lei. New Orleans, la città con il più alto tasso di esseri soprannaturali, gli esseri che formavano il suo corpo e anche degli umani che erano la cosa più vicina alla natura in assenza di altri esseri Hoenan. Tutti sarebbero stati artefici e carnefici nella fine dell’essere più potente al mondo.
Nell'aldilà erano accorsi tutti. Le anime che avevano qualcosa da spartire con quella situazione, e sembravano veramente molti di più di quanto si pensasse, e non, in fondo non succede granché da quelle parti, però solo tre persone erano realmente attive.
Esther. Sua madre. La donna che l'aveva generata solo perché non era riuscita a dire di no ai gustosi amplessi che si concedeva col re della specie Hoenan, era riuscita finalmente a ottenere quello che più voleva nella vita. Cancellare quell'errore che non avrebbe mai dovuto fare e non era sola. Solo uno dei figlia alla quale si affannava nel togliere la vita che lei stessa aveva dato era effettivamente lì con lei, Finn e non l'aveva mai lasciata sola, poi c'era lui. Lo osservò mentre con un balzo saliva sul altare su dove avevano appoggiato La Divina Brynhild. Divina i miei stivali, quella era la seconda volta che era riuscita a sedarla, lei che al suo confronto era solo una piccola nuvola bianca in un cielo sconfinatamente terso. Questa volta non si sarebbe però fermata nel schiavizzarla in una forma animale, questa volta l'avrebbe uccisa. Non lei, lei non poteva, ma Kol si. Fu allora che il ragazzo si piegò sulle ginocchia che toccarono la fredda pietra del altare, tenendo le gambe ai lati del corpicino di quella cosa che ben presto non ci sarebbe stata più. I suoi occhi castani la cercarono, due occhi che aveva visto molto spesso negli anni in cui l'aveva cresciuto, così pieni di richieste di approvazione da diventare liquidi come acqua nera e lei fece esattamente la stessa cosa che aveva fatto per tutto quel tempo, sorridergli, ma stavolta aggiunse anche un lento cenno col capo di assenso. Ricevuto il suo zuccherino Kol tornò a guardare la ragazza che di lì a poco avrebbe ucciso, esaudendo l'unico motivo per la quale era nato e anche l'unico motivo per la quale l'aveva trattato come un figlio. Finito, Esther si sarebbe tolta dal cuore un'altra zavorra liberandosi di lui, finalmente. Lo vide però tentennare, di nuovo, ed Esther dovette contare sulla sua pazienza di pietra per non iniziare ad urlargli contro.
- Kol, cosa c'è che non va? -
Come se fosse stato distolto dalla visione di un quadro di Goya, Kol spostò lo sguardo dal viso di Brynhild al suo, ma l'estasi abbandonò i suoi occhi un secondo più tardi.
- È solo strano. Non sono abituato a sentirmi così. -
- Non è strano. La tua natura finalmente si sta liberando. Lasciala andare Kol. Uccidila. - e come la strega in Bianca neve aveva consegnato il pugnale al Cacciatore in uno scrigno di legno dove avrebbe poi riposto il cuore della sfortunata, Esther attese che il suo Kol le consegnasse il cuore di un’altra principessa, quello di Brynhild. Infatti, Kol tornò al suo compito. Con la mano destra le toccò la fronte usando solo i polpastrelli dell'indice, medio e anulare, in un gesto sorprendentemente leggiadro per un boia. Piano scese giù sorpassando le sopracciglia e fermandosi per dei secondi quando l'indice e l'anulare entrambi toccarono un occhio. Continuò lentamente e il medio seguì il disegno del naso scendendo giù fino alla punta e lì aumentò l'andatura quasi impaziente nel toccarle le labbra. Tornò a muovere piano la mano, ma non si limitò a quello. Mosse le due dita seguendo il vermiglio fino alle commessure mentre il medio di nuovo trovò pace in quell'arco di cupido così pronunciato, sfiorando quel tessuto labiale carnoso e liscio. Scese più giù e il labbro inferiore si abbassò seguendo l'andamento del dito scoprendo gli incisivi centrali bianche e le gengiva rosee. Sul collo Kol decise di usare solo due dita fino allo sterno, poi passò a una sola. Proseguì il suo tragitto e al centro di quel petto scarno si fermò. In quel preciso punto, colpì. Come un pugnale Kol usò il suo dito trafiggendo quelle carni e non trovò nessuna resistenza. Fu allora e solo allora, che gli occhi di Brynhild si aprirono, si spalancarono e se avesse potuto urlare Kol sapeva che l'avrebbe fatto, ma la sua nemesi non fece altro che mostragli due iridi terrorizzate e afflitte. Il sangue di lei gli sporcò le dita, tutte, e alla sua vista quello che per anni gli era stato solo raccontato e a cui non aveva creduto in fondo, si insidiò dentro di lui, liberando la sua natura. Liberando quello che in realtà era. Dopo un lungo espiro, assaporando l'odore che dalle narici gli era sceso giù alla lingua pizzicandola un po', Kol usò l'intera mano.
 
Non era stata toccata da nessuno, quella volta, ma comunque moriva dalla voglia di farsi una doccia e lavarsi via lo schifo che sentiva sulla pelle. Lavorava da un bel po’ lì e per le politiche di quel posto le toccava di diritto avere un armadietto con chiave, così che le altre sue colleghe non potessero più frugarle nella borsa e rubarle le cose. La prima volta la ripulirono del tutto, ma non potette far altro che stare zitta e filare a casa ringraziando il cielo che almeno la paga di quel giorno era salva essendo stata pagata a fine turno, ma anche se nelle volte successive aveva imparato a lasciare le cose preziose a casa e a viaggiare con i soldi necessari per il biglietto del pulman, a volte neanche quelli, i furti non si erano mai arrestati del tutto. Una volta le rubarono addirittura un rossetto, questo la diceva lunga sul quadro di squallore di quel posto. Non era una cosa che capitava solo a lei, al GirlsGirlsGirls il furto tra colleghe era come dire un uso, anche se lei lì non aveva mai rubato niente. Niente fino a quella sera. Non poteva portarsi la chiave con se perché non avrebbe avuto dove metterla, quindi aveva trovato un posto sicuro dove infilarla prima di ogni spettacolo. Nel terzo lumino da parete del corridoio che portava al bagno di cui privato era solo la parola scritta su uno di quei adesivi che si trovavano anche al supermercato. Si vestì, non togliendosi i vestiti da scena, che tanto consistevano in slip e reggiseno, si infilò le scarpe e prese la borsa. Il turno che le era toccato oggi era l’ultimo turno, quello in notte inoltrata, dove tutti i clienti abituali avevano già svuotato i loro intenti con le ragazze dei primi turni, infatti a lei gli era toccato girare per i tavoli e niente altro. Gli intenti dei clienti o degli uomini, perché solo di uomini era formata la clientela del GirlsGirlsGirls erano parecchi, infatti quel posto era aperto dalle dieci del mattino alle cinque del mattino del giorno dopo. C'erano parecchie ragazze lì, tutte disadattate, ma il proprietario chiedeva di parlare con lei, e solo con lei, alla fine di ogni turno. Non era davvero il proprietario di quel posto, come quello che facevano non era affatto parlare, ma Crystal aveva imparato a ignorare parecchie cose. Era un posto orribile, puzzava e tutto quello che la circondava era lurido, ma soprattutto era un lavoro di merda. Non aveva mai immaginato che un giorno sarebbe finita in un posto del genere e mai ci sarebbe entrata se non per la situazione in cui si trovava. Tutto però sarebbe finito quel giorno. Entrò nel ufficio di Paul, una stanza piena di scartoffie di cui utilità erano a lei sconosciute e probabilmente anche a lui, con una luce a neon troppo forte a confronto alle luci rosse in cui il locale giaceva e le procurava sempre un fastidio agli occhi.
- Ti preferivo bionda. – le disse alzando gli occhi dai malloppi di cento dollari che stava contando e rilegando in blocchi da cento banconote ogni una. Seduto su una poltrona nera da ufficio dietro a una scrivania bianca e smorta, sembrando più un ragioniere molto ricco che un pappone. Le spinse la sua paga facendola scorrere sulla superficie della scrivania e lei l’afferrò e se la mise in borsa, poi Paul spingendo con i piedi per terra fece roteare le rotelle sotto della sedia per tirare fuori le gambe dalla scrivania, lì si stese con la schiena sullo schienale e poi aprì la zip del pantalone, dando inizio alla loro conversazione. Quel rumore una volta le faceva accapponare la pelle, ma ora... comunque sarebbe tutto finito. La borsa che aveva quella sera era una di quelle da palestra a forma di salsicciotto e col doppio manico, ma trovò comunque cosa stava cercando. Mirò alla sua testa. Quel posto era pieno di telecamere, nella sala dove c’era il bar e divani, sulla pista con i pali da Lamp dance, nelle stanze in cui loro portavano i clienti che pagavano per avere con con loro lunghe conversazioni e i monitor erano proprio in quella stanza, ma non registravano. Glielo aveva detto lui una volta durante una confessione da post chiacchierata, servivano solo per prevenzione dai mal intenzionati. Lui da lì, o chiunqe altro fosse al suo posto quando non c'era, poteva controllare se qualcuno dei loro clienti ci stesse andando pesante con qualche ragazza, così da poterlo fermare prima che capitasse l'irreparabile. Era già successo, a Monica, una biona magra dal seno rifatto male e clandestinamente dai tipi che si spacciavano dottori che operavano in appartamenti di motel, morì dopo essere stata pestata a sangue da uno dei clienti abituali. Però c’era una stanza in cui le telecamere funzionavano a dovere, dove aveva la cassaforte, cioè lì nell'ufficio. Nonostante quella fogna guadagnasse moltissimi soldi, il sistema di videosorveglianza era molto spicciolo. Era uno di quelli economici venduti anche dai negozietti più scadenti e tutto veniva registrato nella cassetta centrale. Gli occhi di Paul gli uscirono quasi dalle orbite quando realizzò di stare morendo con il suo sesso da fuori e con quella espressione ci rimase. Crystal sparò e colpì esattamente dove aveva mirato. La testa di Paul si appoggiò allo schienale e la lingua gli uscì dalla bocca, ma se non fosse stato per il rivolo di sangue che dal centro della fronte gli scorreva sul naso il suo corpo da morto non differenziava tanto da quello vivo. Aprì il borsone e con la mano che ancora teneva la pistola vi gettò i soldi che Paul stava contando così accuratamente, senza alcuna cura, poi uscì. Le ragazze rimaste erano solo lei e Shila che era già scappata al primo colpo, mentre per quanto riguarda gli uomini c’era ancora George il barista. Un omone di colore calvo e palestrato. Con le mani alzate era rimasto ancora dietro il bancone e la guardava esattamente come Paul l’aveva guardata solo che il suo di uccello era in gabbia, questa volta.
- La cassetta. – gli urlò agitando la pistola nera en pendant con i suoi abiti. George era il barman in servizio la notte e anche l'incaricato a chiudere il locale. Prima di farlo però doveva azionare la registrazione anche per le altre telecamere. Era un sistema spicciolo per risparmiare la memoria di quel sistema obsoleto. Lui non annuì, ne fece altro. Si spostò solo da dove era e ancora con le mani alzate uscì dal bancone per poi percorrere la strada per l’uscita. La tra le foto di donne nude c’era una lastra di ferro immurata nel muro, pitturata nello stesso colore delle pareti e cui utilità era sconosciuta a tutte le ragazze che lavoravano lì. George infilò le mani in tasca e cacciò un mazzo di chiavi tintinnanti. Aprì la botol a muro rivelando la sua utilità. C'erano i generator di corrente e altri tubi con delle manopole di ferro. Proprio sopra i generatori giaceva una scatola nera. George la indicò voltandosi.
- Siamo amici Crystal, non dirò niente. –
- No, so che non lo farai. – e agitando la pistola gli fece segno di andare. George sghignazzò qualcosa con la bocca e come se fosse una scimmia con la coda in fiamme, corse sugli scalini salendoli a due a due, al quinto scalino Crystal sparò. Gli colpì la spalla e George roteò su se stesso facendola entrare nella sua visuale quando Crystal premette il grilletto la seconda, terza e quarta volta. George si accasciò per terra e il suo sangue sporcò la moquette blu che nello scuro di quelle lampade sembrò semplice acqua. Libera di poter agire ora, Crystal tentò di strappare la scatola, ma i fili collegati ad essa erano più duri da staccare di quanto avesse immaginato, quindi corse verso il bar per poter trovare un qualcosa di tagliente. Non aveva fretta. Quel locale era insonorizzato e nessuno da fuori avrebbe potuto sentire il rumore degli spari, ma c’era quella dannata Shila che forse avrebbe potuto dare l’allarme, ma chi poteva credere a una prostituta con entrambe le braccia, e non solo, ricoperte di buchi da siringa di eroina camuffati da del fondotinta. Trovò delle forbici nel lavello del bancone e tornò all'antriOne. Mise la scatola nella borsa, ma non aveva fatto tutto questo per pochi centinaia di dollari. Tornò nell’ufficio di Paul e il volto di Paul morto le fece meno senso del volto di Paul durante un orgasmo. Spostò la sedia dove era e ci mise tutta la forza che possedeva. Paul era un grassone irlandese di centocinquanta chili presso o più, dai pochi capelli rossi e occhi castani, pallido come la pece e dai denti ingialliti dal fumo delle sigarette. Sotto alla scrivania giaceva una cassaforte in ferro colorata in un blu puffo facilissimo da essere notato. Crystal si inginocchiò e digitò i numeri della combinazione giusta. Come faceva a saperli? Semplice, una delle volte in cui si era trattenuta a parlare nel suo ufficio, Paul stava rivedendo dei video. C’erano stati dei movimenti strani quella sera e dalla cassa mancavano una somma consistente di soldi, quindi si mise all'opera cercando il ladro negli unici video che la sorveglianza di quel posto aveva. Nella maggior parte di essi c'era lui e Crystal scoprì che tra le ragazze del GirlsGirlsGirls, Paul non preferiva soltanto lei, ma scoprì una cosa ben più interessante. In molti di quei video Paul digitava la combinazione sul tastierino. Era lo stesso movimento ripetuto e ripetuto e Crystal aveva una bella mente malgrado la usasse poco in quello che faceva e memorizzarli fu facilissimo. Alla fine non vi era stato nessun furto solo Paul aveva sbagliato a contare, in fondo era un pappone non un ragioniere. Il giorno dopo Crystal si procurò una pistola. La porta si aprì con un rumoroso clic e Crystal vide il suo contenuto. quattro piani e tutti strapieni di banconote che Paul accuratamente divideva in blocchi da mille dollari. Crystal li prese tutti e chiuse la zip, poi di corsa uscì, corse via lontano, lontanissimo da quel posto, dalla vita che aveva vissuto fino e allora.
 
 
*da treccani: hỳbris ‹ìbris› s. f. – Traslitterazione del gr. ὕβρις, che significa genericam. «insolenza, tracotanza», e nella cultura greca antica è anche personificazione della prevaricazione dell’uomo contro il volere divino: è l’orgoglio che, derivato dalla propria potenza o fortuna, si manifesta con un atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze, e come tale viene punito dagli dèi direttamente o attraverso la condanna delle istituzioni terrene (per es., la h. di Prometeo).
 
P.S. scusate il francese, ma è opera di google traduttore.

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