Olympus

di Mary_la scrivistorie
(/viewuser.php?uid=648125)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LIBRO I: 1.Scuola ***
Capitolo 2: *** 2. LA MEZZ'ELFA. ***



Capitolo 1
*** LIBRO I: 1.Scuola ***


Olympus

      IL MEZZO CUORE DEL DRAGO
 
    Prefazione
 
L’Esperide, Eritea, accarezzò la testa di Ladone, che chinò il busto per raggiungere le delicate mani di porcellana della ragazza. Le sorelle di Eritea, Egle ed Esperetusa, erano andate da Atlante, il loro padre, per fornirgli un miserabile pranzo. Eritea gettò uno sguardo all’albero delle mele d’oro, regalo di nozze per Era da parte di Zeus. Si scostò i capelli bronzei dalle scapole, e osservò il tramonto con gli occhi verdi. Non so dirvi da cosa si capisse che Eritea fosse un’Esperide: forse dallo sguardo, in cui si notavano barlumi di tramonto, o forse dai lunghi e setosi capelli intrecciati con i fiori di pesco, oppure probabilmente dalla grazia con cui camminava. Era flessuosa, con un volto bellissimo, con i tratti greci. Le sue sorelle erano molto diverse da lei, eppure anche loro avevano le qualità soprascritte. Certo, Esperetusa aveva i capelli d’oro e gli occhi grandi e argentei ed Egle aveva i lunghi capelli corvini e gli occhi color cioccolato. Tuttavia erano tutte pallide, aggraziate e snelle. Eritea si sdraiò sull’erba luccicante di rugiada, in un profondo desiderio di relax. Ladone si accovacciò accanto a lei, le cento teste rivolte al cielo stellato.
Eritea, con la semplice tunica bianca già fradicia, mormorò: «Quella è la tua costellazione, Ladone. È il Drago». Naturalmente, Ladone era un serpente, non un drago, ma gli umani sbagliavano tutto: erano i più grandi ignoranti della Terra e la loro sensibilità era davvero mediocre. Non erano neppure in grado di percepire le entità divine. Ovviamente, i draghi erano molto più grossi e ingenui dei serpenti, erano bravi a volare, ma poco a custodire qualcosa. Ladone ovviamente non era una piccola vipera, ma era un serpente gigantesco con cento teste, l’equivalente di un cucciolo di drago. Quando Egle ed Esperetusa ritornarono, Eritea stava nutrendo Ladone con carne fresca e insanguinata.
Egle mormorò: «Sorellina, lascia fare a noi. Hai badato a Ladone per tutto il pomeriggio».
Esperetusa annuì, ma Eritea replicò: «Come sta papà?». Egle, a disagio, descrisse balbettando come fosse difficile e arduo reggere il cielo con la forza delle sole braccia. Eritea aggrottò la fronte, ma non disse nulla.
Esperetusa fissò il cielo, come la sorella poco prima, e notò: «Drago si sta preparando. Presto brillerà sopra le nostre teste».
Eritea continuò gravemente: «E saremo in pericolo. Drago è una mappa, lo sapete bene. Dovremmo rafforzare la protezione». Come se avesse avvertito il suo nome, la costellazione si allineò perfettamente con l’albero delle mele d’oro.

 
CAPITOLO 1 – SCUOLA
 
Audrey si svegliò di soprassalto. Sognava spesso antiche vicende greche, ma la mattina finiva con l’essere sempre più confusa. Spense la sveglia che l’aveva disturbata nel sonno e guardò l’ora. Erano appena le sette. Gemette e si alzò dal letto, consapevole di non essere più in grado di addormentarsi per altre due ore. Guardandosi allo specchio, notò profonde occhiaie, risalenti alla sera prima. Jason Faulks l’aveva telefonato e avevano parlato fino a mezzanotte. Audrey si preparò un ottimo succo d’arancia e indossò una camicia a quadretti e dei jeans scoloriti. Quando uscì di casa, l’aria pura le riempì i polmoni e le scompigliò i capelli dorati. Audrey era una ragazza tredicenne carina, con i capelli lunghi e dorati – che era stata costretta a tagliare inesorabilmente, e così le arrivavano fino al petto - e gli occhi grandi e azzurri con pagliuzze argentee. Suo padre, Maurice Lynx, stava russando dalla finestra del retro. Dormiva sempre sul divano rosso, e mai sul letto. Audrey assaporò l’aria di montagna, più precisamente delle Highlands scozzesi. Lei e suo padre abitavano in una radura vicino Applecross, in una vecchia baita ad un solo piano, che obbligava Maurice a dormire sul divano. La loro casetta era fiabesca, incastonata perfettamente alla radura in cui era immersa: fiori, piantine appena sbocciate, ruscello verso ovest…e al confine della radura c’era il bosco, rigoglioso e verde. Soltanto un sentiero portava a quella baita sperduta: era difficile individuarlo, perché prima si dovevano superare dei massi grandi quanto delle automobili. Ciò costringeva Maurice a prendere la strada principale per arrivare ad Applecross.
Audrey si godette quel meraviglioso panorama per un po’, dopodiché decise di svegliare il padre. Rientrò in casa dalla porta sul retro, da cui si accedeva rapidamente al salotto. Scosse dolcemente il padre, disteso in una posa molto buffa. Era in posizione fetale, accovacciato, la fronte corrugata e le labbra imbronciate.
Maurice aprì lentamente gli occhi e inquadrò la figlia. «Oh, Audrey. Per un attimo ho pensato che tu fossi tua madre». Audrey lo fissò, sconcertata. Loro non parlavano mai di Lilian, se potevano evitarlo. Sua madre era morta in un incidente stradale, quando lei aveva solo quattro anni. La ricordava come una donna bellissima, identica a lei, con una passione per le poesie di Emily Dickinson. La tredicenne aveva solo una fotografia che ritraeva la madre con il marito, ma qualche differenza d’aspetto c’era: i capelli di Lilian erano color biondo argenteo, di seta infinita, e il suo volto era un po’ più gentile di quello della figlia, forse a causa del naso dritto e lungo. Audrey rimase zitta.
Maurice cambiò argomento: «Ho preso una decisione».
Audrey lo scrutò quasi allarmata, chiedendo: «E quale?».
Il padre la fissò con ansia: «Voglio che tu studi in una scuola pubblica».
La reazione della figlia fu quasi immediata: «Cosa? E perché?». Maurice sospirò: «Perché lo dico io, ecco. Vedi, tesoro, da quando Jason si è trasferito in Grecia, tu non hai più studiato molto con me. Lui ti motivava, eravate in competizione, e per te era una buona cosa. Onestamente, ritengo la mia preparazione più che soddisfacente, ma non sono capace di tramandarla a te, piccola».
Audrey assunse il suo miglior broncio: «Ma hai visto come è andata l’ultima volta?! Solo tre giorni e zia Agatha ha preteso che ritornassi qui! Lo sai, papà, non amo le città troppo abitate e assolate! Le odio!».
Maurice replicò con un timido sorriso: «Aberdeen non è decisamente troppo abitata e assolata. E, comunque, stavolta sarà diverso. Andrai alla scuola di Applecross».
Audrey lo guardò in cagnesco, ma a Maurice bastava: significava che la figlia si era arresa, anche se non gradiva l’idea. Così, la ragazza andò nuovamente in giardino. Camminò fino all’angolo a est, dove era deposta una tomba di marmo bianco, e osservò l’unica foto di sua madre. In quell’immagine Lilian sorrideva serena, abbracciando Maurice. Sopra la fotografia c’erano incise delle parole:
Lilian Mary Elizabeth Levy Lynx
Nata il 30 dicembre 1975 e morta il 5 ottobre 2004.
L’amore che ci lega a una famiglia è immortale.
Audrey mandò un bacio alla foto di Lilian, e mormorò: «Mamma, ti voglio bene. Resta accanto a me, ti prego». E nella sua mano fiorì come per magia una rosa bianca, che gettò sulla lapide. Non era sorpresa: le succedeva da molto, faceva capitare cose strane senza volerlo; ma non intendeva dirlo a Maurice. Aveva l’impressione che anche Lilian fosse stata in grado di farle, e che dovesse rimanere un segreto tra le due. Nella spalla della ragazza, comparve uno scoiattolo. «Ciao, Bell» sussurrò Audrey. Lo scoiattolo scese e risalì sulla quercia dietro la baita. Audrey sospirò.
Quel giorno trascorse velocemente, come le settimane seguenti. Fu il 1° settembre che Audrey si svegliò di soprassalto. Era tremendamente nervosa. Il suo primo giorno di scuola. Il suo primo giorno di scuola. Si osservò allo specchio, e lanciò uno strillo incontrollato. I suoi capelli erano tutti arruffati, e il suo sguardo era minaccioso e fulminante. Assomigliava alla versione bionda di Bellatrix Lestrange. Maurice entrò in camera e urlò: «Piccola, che succede?». Audrey borbottò un «Niente», anche se non era del tutto vero. “Niente” di pericoloso, ma “tutto” d’irritazione. Quindi pettinò con cura i capelli, che ritornarono alla loro consueta lucentezza. Indossò una camicetta azzurra e dei jeans blu notte. Quando entrò in cucina, Maurice aveva preparato una ricca colazione.
«Buongiorno, tesoro!» cinguettò, con un sorriso bianchissimo, colpendo con un coltellino il bacon.
«Stai cercando di farti perdonare?» chiese lei, torva.
Maurice non rispose, ma domandò con un tono eloquente: «Pronta, piccola?».
Audrey rispose: «Non vedo l’ora», con sarcasmo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. LA MEZZ'ELFA. ***


CAPITOLO 2 – LA MEZZ’ELFA
 
Edelweiss si osservò attorno. Madame Olympe non era ancora arrivata, e lei si accigliò. Lo studio pareva emanare un intenso bagliore azzurro. C’era una finestra rettangolare da cui riusciva a vedere il Partenone. La stanza era moderna, era la sede del Libro dei Prescelti. Edelweiss non riuscì a trattenersi e aprì il libro. C’erano elenchi, nomi e indirizzi. Umani. La maggior parte non si trovava nemmeno in Grecia. All’improvviso, la ragazza sentì una voce. Dentro la sua testa, qualcuno sussurrava qualcosa. Audrey Lynx. Lei è la soluzione. La voce era calda, rassicurante e melodiosa. Edelweiss era disorientata. Quel nome le sembrava vagamente familiare. Mmmh…Audrey Lynx. Audrey Lynx. Ma certo! Jason l’aveva nominata in continuazione…la sua amica Audrey Lynx, che abitava in Scozia – probabilmente provvista di kilt e di un accento incantevole. Edelweiss se la immaginava con i capelli color cioccolato e gli occhi nocciola caldo, con un volto bellissimo e la pelle d’alabastro, come la sua. Non era gelosa, ma la irritava ascoltare Jason divagare nella simpatia che nutriva verso quella sconosciuta. Sicuramente, quella ragazza non poteva essere una di loro. Loro erano brillanti, coraggiosi e speciali. Lei era una tredicenne qualunque. Edelweiss, d’altro canto, era speciale anche d’aspetto. La paragonavano tutti a una fata, con i capelli setosi e lunghi neri come l’ebano, quegli occhi viola intenso che ti ipnotizzavano e le labbra piene e rosse come il sangue. Era flessuosa e armoniosa. E cosa dire del suo nome unico, che significava “stella alpina”? La gente ne era ammaliata, anche se lei non capiva. Lei era modesta, e non credeva di essere tanto diversa dalla sorella, Veronica, che era un’umana, senza essere condannata al destino di Discendente,  bionda, con i suoi stessi occhi, e avrebbe fatto qualunque cosa per essere ammessa a Olympus. In quel preciso istante, Madame O – abbreviazione di Olympe – entrò. Il suo viso rifulgeva di uno splendore inaudito, incorniciato da onde color caramello. I suoi occhi erano di un marrone cioccolato intenso e caldo. La pelle era chiara, tipicamente greca. Era muscolosa, ma snella. Faceva pensare a una di quelle eroine della TV, pronte a salvare il mondo con gli abiti mimetici, come Lara Croft. Dimostrava trent’anni, circa, anche se ne aveva centoquindici.
«Edelweiss» sussurrò alla fanciulla, che s’inchinò e salutò: «Buongiorno, Madame».
Madame O fu soddisfatta. «Edelweiss, mia cara ragazza, ho visto che tu prendevi e consultavi il Libro. Te ne posso chiedere il motivo?».
Edelweiss trattenne il fiato. «Signora, ero curiosa. Tutto qui».
Madame O la squadrò, un po’ divertita un po’ scocciata: «Edelweiss cara, tu sai che il Libro dei Prescelti viene consultato soltanto  dal nostro Fabian, vero?».
Edelweiss abbassò la testa. Avrebbe ricevuto una punizione? Sarebbe stata espulsa? Pensò alle facce di Jason e Caleb se non fosse stata con loro per tutto l’anno scolastico. Jason sarebbe stato sbigottito e triste. Quanto a Caleb…beh, forse avrebbe combinato qualche guaio per farsi espellere anche lui. O forse avrebbe ingaggiato un’intrepida rivolta contro le espulsioni. «Sì, signora, lo sapevo.» ammise, un po’ rossa in volto.
Madame O sorrise inaspettatamente: «Va bene, adesso rivelami cos’hai visto nel Libro. Te ne prego. Sono terribilmente curiosa».
Edelweiss era sorpresa: «Ma come..? Lei non ha mai…?».
Madame O sorrise: «Già, non ho mai voltato le pagine del Libro. Solo Fabian – e adesso te – l’ha fatto. La regola vale anche per me».
La ragazza le raccontò del Libro e di quella voce. «Vede, signora, quel nome mi era familiare: è dell’amica di Jason Faulks, che abitava in Scozia. Jason non mi aveva mai detto che fosse una Discendente. O forse non lo sapeva. Cioè, Jason è vissuto tra gli umani e pensava di esserlo anche lui: non aveva motivo di notare qualcosa di soprannaturale, no? Oppure mi è solo sembrato quel nome, e l’amica di Jason è solo un’umana…».
Tipico di quando pensava a Jason, lo straparlare. E la cosa peggiore fu che avvampò come un papavero. Magari la preside non se ne sarebbe accorta.
Madame O la bloccò: «Potresti essere così gentile da dirmi il nome dell’amica di Jason?».
Edelweiss rispose con una smorfia: «Naturalmente. Il suo nome è Audrey Lynx».
Madame O quasi rovesciò il vaso accanto a lei. Lentamente sul suo volto comparvero incredulità, consapevolezza e, infine, tristezza.
«Oh…Oh…è giunta l’ora.» ripeteva, ansante.
«Che cosa sta dicendo, signora?» chiese Edelweiss, molto curiosa.
Madame O la sondò: «Audrey Lynx è sua figlia, mia cara. La figlia di Lilian Levy, l’elfa, la salvatrice degli elfi, che si è sacrificata per tutta la sua razza. Naturalmente, gli elfi si sono tutti nascosti dopo che Lilian morì, ed è raro vederli adesso. Hanno timore di lei. Di Medea. E come dargli torto? Ha ucciso la Terapeutica dei Boschi, la Cacciatrice del Male, volevano nominarla dea della luna e della caccia, insieme ad Artemide, ma Lilian ha rinunciato al voto di castità. Si è sposata con un mortale, e Audrey è sua figlia».
Edelweiss era a bocca aperta: «E dunque Audrey è…».
Madame O concluse per lei, con aria grave: «Una potente mezz’elfa. L’unica nota a noi. Gli altri mezz’elfi sono nascosti con i genitori. Ovviamente, il termine “mezz’elfa” è un’offesa per tutti i figli degli elfi, e ti prego di chiamarla per nome».
La ragazza sbuffò con sarcasmo: «Probabilmente la vedrò solo una volta. Questa scuola è grande». Ma non è la verità, pensò. Tu la vedrai spesso, dato che è una cara amica di Jason.
Madame O parve leggerle nel pensiero: «Oh, non credo, mia cara. Non è un caso che una voce ti abbia sussurrato proprio il suo nome. Voi due avrete un legame speciale. Inoltre, dalla mia fonte segreta d’informazioni so che tu sei amica di Jason, e Audrey è sua amica. Unisci i fili, e vedrai che combaciano. Un’ultima cosa. Non ti cacciare nei guai con la tua combriccola, quest’anno. Non è un buon esempio per l’unica mezz’elfa di questa scuola, no? E so che tu sei una studentessa eccezionale. Il secondo anno è quello in cui gli studenti scoprono da chi Discendono e scelgono le loro specializzazioni. Buona fortuna, mia cara. E adesso, sai cosa fare. Avverti  Jason.»
Con queste parole, Edelweiss uscì dall’aula. Era pensierosa e dubbiosa. Non si fidava di quella mezz’elfa: probabilmente era arrogante come tutti gli umani. Egoista. Difettosa. E la cosa peggiore: Jason l’avrebbe preferita a lei. Il dolore s’impadronì di lei, ma decise di fare come richiesto. Lungo le scale, incontrò Aphrodite e Artemis, anche loro rimasti a scuola per le vacanze. Quando arrivò nell’atrio, tutti quelli rimasti a scuola per l’estate aspettavano con ansia che gli amici entrassero. Dieci secondi ancora. Nove…otto…sette…sei…Edelweiss si arricciò una ciocca di capelli, impaziente. Cinque…quattro…tre…due…uno…Il cancello si aprì, e Edelweiss fu sommersa da due paia di braccia muscolose e calde.
Jason sorrise. Finalmente. L’estate di Jason era stata emozionante, tra gite a Santorini e immersioni subacquee con Caleb; ma era niente in confronto a Olympus. Edelweiss indossava un abito floreale e un fiore viola tra i capelli. Era più carina di quanto si ricordasse.
«Come hai trascorso l’estate?» chiese Caleb, rivolto a Edelweiss.
Lei abbozzò un sorriso triste: «Beh…ho pulito la Torre Paludosa. Molto igienico, davvero». I due ragazzi trasalirono.
«Cosa?» urlarono all’unisono. Si ricordavano bene l’ultimo giorno di scuola: quella pazza di Hestia – non la dea, ovviamente, ma una Discendente egocentrica e superficiale – aveva fatto esplodere la Torre Paludosa e aveva incolpato il trio, che si era beccato una punizione per dopo le vacanze (ovvero rimettere in sesto la Torre…nessun rimpianto per l’esplosione, davvero…tutti detestavano la Torre Paludosa). E non potevano credere che Edelweiss avesse lavorato al posto loro! La ragazza li rassicurò, rammentando che aveva scoperto un sacco di cosette utili riguardo le paludi.
«Certo, in tre sarebbe stato più semplice…ma lo sapete che è arrivato Tritone, il figlio di Poseidone, ad aiutarci con il problema? Poseidone aveva da fare, ha detto Tritone, ma non poteva lasciare da solo uno dei suoi Discendenti. Capito? Uno di noi tre è suo Discendente! O forse due di noi», la ragazza cercò di alleggerire la tensione.
Jason notò: «O forse lo è Hestia».
Caleb sbuffò subito: «Hestia e il mare? Li vedo bene insieme soltanto se il mare cercasse di annegarla». Risata collettiva, anche da parte di Aphrodite e Thomas, lì vicino.
«Quest’anno ci specializziamo…eh, Edelweiss? Forse saremo in classe insieme solo ai corsi base. Menomale. Non devo sorbirmi Hestia per tutto il giorno. Sai, l’anno scorso mi si era appiccicata addosso perché aveva visto il mio specchietto. Beh, immagino che quaranta specchietti siano troppo pochi per lei…» parlò Caleb, seguito da cori di risate.
Jason individuò la massa rosso scuro dei capelli di Hestia. Era lontana, a parlare con Artemis, il suo migliore – cioè unico – amico (l’unico che non disprezzava la sua compagnia).
Aphrodite scrutò Jason, e lui arrossì. Beh, era molto carina e avvenente, con i lunghi capelli biondi e gli occhi nocciola-dorato. E rimase tale finché non fece subito lo stupido errore di paragonarla a Edelweiss. Il confronto era straziante: la sua amica era molto più bella e naturale. Aphrodite era truccata, Edelweiss per niente. Thomas invece la fissava come se fosse già fortunato a starle accanto. Jason si chiese se il nome di Aphrodite non fosse già il segno di una possibile Discendenza con la dea dell’amore e della bellezza. «Jason, sei fidanzato?» chiese Aphrodite, vagamente maliziosa.
Jason gettò un’involontaria occhiata a Edelweiss, che, sebbene parlasse con Caleb, lo fissava attentamente. «Ehm…» rispose solo, che Aphrodite interpretò come un “no”.
«Benissimo!» trillò deliziata. E scomparve tra la folla. Thomas la seguì, con mille scuse. Athena si avvicinò a Edelweiss e l’abbracciò. Caleb aveva una cotta enorme per lei, ma naturalmente non degnò né Jason né lui di uno sguardo. Considerava il loro cervello troppo piccolo. Athena aveva i capelli biondi come Aphrodite, ma non era stupefacente come la sorella. Cioè, sì, era molto carina, ma, a parte la chioma bionda, le sorelle non si somigliavano per nulla. Aveva gli occhi grigi e saggi e una fronte alta e spaziosa. Era alta, quasi quanto Jason e Caleb, e flessuosa. Dopo l’abbraccio e qualche parola sul nuovo anno scolastico, Athena salutò persino Jason e se ne andò. Aphrodite ritornò. Indossava un diadema splendido con degli zaffiri a forma di cuore. Per un attimo Jason si perse nella contemplazione dei suoi occhi nocciola con adorabili sfumature dorate. Poi si riprese. Edelweiss era stupita. «Questo è…». La ragazza concluse per lei: «Sì, è una parte del Cinto di Afrodite. Un piccolo frammento. L’ho ereditato da mia zia. Si dice che Afrodite ne abbia dato un pezzo a ogni suo Discendente, e ora la zia Maya l’ha dato a me. Può trasformarsi in ogni oggetto che io desideri. Adesso è un diadema, ma ognuno lo vede con pietre diverse a seconda dei gusti. Io ci vedo diamanti, e anche la mia anima gemella ci vedrebbe i diamanti. È un modo per riconoscerla».
Si voltò trepidante verso Jason. «Zaffiri» rispose lui. Edelweiss arrossì, e non disse il suo. Aphrodite era delusa. Caleb insistette: «Lapislazzuli». E dopo contemplò Aphrodite. Jason sentì una forte attrazione verso di lei, ma quando si tolse il diadema il sentimento finì.
Edelweiss sussurrò seria: «Quindi tu sei Discendente di Afrodite».
Aphrodite sorrise trionfante e soddisfatta: «Certo, altrimenti il Cinto non avrebbe magia. Questa è una regola. Solo i Discendenti di Afrodite possono indossarlo usufruendo dei poteri. C’è stata qualche eccezione, ma solo perché Afrodite l’aveva permesso. Geniale, no?». Guardò tutti in cerca di reazioni interessanti. Thomas annuì energicamente, ma Caleb e Jason non erano più sotto la magia del Cinto, e non erano attratti dalla bella fanciulla. «No!» rispose esclamando Edelweiss, «è male. Il Cinto costringe le persone a una forma d’infatuazione non vera. Afrodite lo utilizzava con cautela, perché lei credeva nell’amore vero. E tu, Aphrodite, ne stai abusando. Lo dovresti utilizzare contro i nemici, non contro di noi! Hai visto Caleb e Jason! Erano completamente stregati da quel…Cinto!».
Aphrodite insistette: «Non esagerare! Questa è solo una parte del Cinto! Quello intero sarebbe molto peggio, dammi retta! Comunque, è vero, è pericoloso. Volevo solo mostrarvelo». Lo disse in tono convincente ma Jason capì che non era il solo motivo. Edelweiss lo chiamò per parlargli da sola. «Attento al Cinto» lo avvertì, seria.
Jason rispose: «Lo so, ma comunque non può portare a lezione un diadema, no?».
Edelweiss s’incupì: «Allora è vero che non ascolti. Il Cinto può trasformarsi in qualunque cosa. Anche in un semplice anellino, o un braccialetto, o una molletta colorata…Stai attento».
Lui disse: «Allora anche tu devi stare attenta».
Lei negò: «No, sulle ragazze ha pochissimo effetto. Ti senti solo più incline a servirla. Certo, il Cinto intero ti farebbe diventare un ossessionato, ma per fortuna Afrodite non era sciocca come la sua Discendente e l’ha spezzato. Sai perché il Cinto può trasformarsi? Perché altrimenti tutti si sarebbero accorti della cintura più bella del mondo, che li attirava e che la dea portava sempre, no? Così Afrodite lo trasformava in un bracciale d’oro o una spilla comune, dalla quale si poteva presumere ricchezza. La dea nascondeva questo potere ma lei lo spiattella a tutti quelli che incontra. Non è una cosa intelligente. Ci sono persone che farebbero carte false per avere il Cinto. O solo un frammento. Potresti avere il potere su tutti. E ammucchiando i frammenti…non ci voglio pensare. Spero solo che gli altri Discendenti di Afrodite siano più cauti».
Jason annuì, solenne. «Ma perché Afrodite avrebbe dovuto spezzare una cosa così preziosa?».
La ragazza vacillò: «Beh, ho un’ipotesi…alcune persone sanno dov’è l’Olimpo con precisione e avrebbero potuto rubarglielo. Perciò la dea ha affidato ogni pezzo a un Discendente, cosicché il Cinto sia al sicuro. Beh, se qualcuno cercasse i pezzi con dedizione li troverebbe – magari ferendo i proprietari – ma probabilmente per allora Afrodite se ne sarebbe accorta e metterebbe il Cinto al sicuro. Beh, osservando i suoi Discendenti, mi sembra abbastanza sensato». Fissò sprezzante Aphrodite, che si era rimessa il diadema e cercava di incantare Macon – il ragazzo più “difficile” della scuola. Jason si sforzò di guardare la fanciulla in cagnesco, ma gli riuscì soltanto uno sguardo ammaliato. Era proprio bella, e il diadema le cingeva la testa delicatamente, con alcuni boccoli che le scendevano sulle spalle leggermente arcuate. Come poteva disprezzare tale magia, che gli faceva vivere sensazioni così intense? Le era grato. L’amore era un dono, elargito da una dea ai poveri umani per allievare le loro sofferenze. D’altro canto, Edelweiss non sembrava subire nessun effetto dell’incantesimo. Era così forte? Beh, certo, era davvero meravigliosa, e sembrava una fata; ma Aphrodite… All’improvviso Jason si riprese: eppure Aphrodite indossava ancora il diadema. Caleb la fissava incantato, e anche Macon stava iniziando ad assumere gli occhi dolci. «Cos’è successo?» chiese a Edelweiss, che borbottò irritata: «Nulla. Solo Aphrodite e la sua voglia di mettersi in mostra. A proposito, come hai fatto a spezzare l’incantesimo?». Jason arrossì. Non desiderava rivelarle che aveva pensato a lei, così svicolò: «Volevi dirmi altro?». L’espressione di Edelweiss cambiò immediatamente: era preoccupata. Gli raccontò di Audrey e alla fine lui mormorò: «Glielo dirò io. Glielo devo».
Caleb pensò che fosse tutta una perdita di tempo. Cioè, gli elfi erano stati perseguitati, i mezz’elfi poi! Ancora peggio. Jason sbagliava: lui credeva che la sua amica si sarebbe divertita a Olympus, ma in realtà si sarebbe sentita solo un’estranea, soltanto perché era diversa. Caleb sapeva molto bene cos’è essere esclusi, tagliati fuori solo perché si è differenti. Era stato definito strano il primo giorno di scuola, solo perché suo padre era un marinaio e lui era venuto a scuola con un berretto da traghettatore azzurro e bianco. Si era innamorato da subito di Athena, una delle ragazze che lo scrutava freddamente. Invece Hestia e Yasmin si erano divertite molto a ridergli in faccia. Jason era stato adorato da subito dalle ragazze, con quegli spavaldi capelli corvini e gli occhi azzurri, più del cielo. Mentre Caleb era molto abbronzato e aveva i capelli color cioccolato, Jason aveva la carnagione chiara. Gli occhi di Caleb erano di un blu diverso: più intenso di quello del mare. Erano entrambi degli splendidi ragazzi alti e muscolosi ma Jason aveva un’aria più enigmatica, che stregava le ragazze della scuola. Caleb era sempre in ombra, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine e non se ne curava. Comunque era fastidioso vedere Athena salutare Jason e non degnare l’altro di uno sguardo. Caleb poteva sopportare tutto, eccetto quello. La ragazza che amava era intelligente, astuta, competitiva e probabilmente letale. Proprio il suo tipo. Quando seppe tutte le novità riguardo la mezz’elfa che abitava presso la Scozia, Caleb non disse nulla dei suoi pensieri. Dopotutto Jason era molto convinto e l’opinione dell’altro non sarebbe stata calcolata neppure da Edelweiss.
Invece Hestia si alzò e disse: «Dovrei andare io a dire tutto a questa Audrey».
Caleb fu felice di ribattere: «Certo, quando vorremo delle impertinenti insopportabili a presidiare la scuola». Tutti risero, compresa Athena. Hestia li osservò disgustata. Hera, accanto a lei, raccolse i capelli color cioccolato in una morbida treccia alta, che le conferiva regalità e solennità. I suoi occhi, però, erano verdi e molto gioiosi, da bambina. «A parer mio, dovrebbero essere Jason, Caleb e Edelweiss ad occuparsene». Edelweiss la fissò piena di gratitudine, e Jason la guardò deciso, con un sorriso. Caleb fu l’unico a scrollare le spalle. Guarda caso, Athena fu l’unica a notare la sua reazione, un po’ incuriosita. Lui sfruttò l’occasione per incontrare lo sguardo della ragazza, mentre il suo cuore batteva all’impazzata. La ragazza distolse lo sguardo per prima, arrossita. «No, di sicuro il marinaio non si merita una missione del genere» replicò Yasmin, ridendo con Hestia. Athena le scrutò, impenetrabile. Aphrodite sbuffò: «Di certo, Caleb si merita questa missione più di voi, oche». Ci furono molti mormorii di assenso, e la fanciulla rivolse un sorriso d’intesa a Caleb, che era troppo nervoso per dire qualcosa. Lui non voleva salvare Audrey, perché dopo l’avrebbe soltanto odiato. Thomas, accanto a lui, aveva annuito solo per confermare l’idea di Aphrodite e aiutarla. Nessuno davvero lo stimava. Athena parve dello stesso parere, perché si alzò e chiese: «Io credo che abbia qualche potenzialità, anche se l’esplosione della Torre Paludosa è stata una seria mancanza di rispetto verso quell’ambiente».
Hestia arrossì violentemente, e tutti la notarono, poi la ragazza saggia continuò, rivolta a Caleb: «Ho sentito dire da una mia amica che sei capace di riconoscere ogni tipo si sabbia della Grecia e affermare da dove proviene. Inoltre un mio compagno sostiene di averti visto manipolare l’acqua di un fiume in modo da formare degli oggetti. È vero?».
Caleb annuì, sincero. «Ma mente, naturalmente!» sbottò Hestia, infiammata più dei suoi capelli rossi. «Possiamo averne la prova» ribatté Athena, prendendo il suo medaglione preferito con il ciondolo a forma di stella. L’aprì, rivelando una morbida terra rosata. «Riconoscila.» ordinò. Caleb esaminò la sabbia: «Vedo che alla luce diventa quasi viola. Sicuramente, si tratta della sabbia rosata della Spiaggia delle Comete, a Libelke. Ma si può trovare anche in un’isola mortale: l’isola di Sant’Elena, dove Napoleone morì. Nei suoi scrigni si trovò questo tipo di sabbia, che è molto ricercata».
Athena abbozzò un sorriso: «È esatto».
Hestia era furiosa, Yasmin torva. «Non è giusto!» esclamarono all’unisono. Athena chiese in modo molto innocente: «Sapete fare di meglio?». Non risposero. Caleb, però, voleva umiliarle di più. Prese una brocca d’acqua e si sforzò. L’acqua descrisse il disegno che si era impresso in mente, e formò una luna brillante, con incise le parole: Grazie, Athena. La ragazza era basita, e lo guardò sorpresa e vagamente lusingata.
Aphrodite si portò la mano alla bocca, con un sospiro romantico. Questa sì che è magia. «Caleb, vorrei che tu fossi il mio ragazzo». Yasmin e Hestia erano imbronciate. Edelweiss era piacevolmente colpita, come Jason. Caleb notò negli occhi grigi di Athena, per la prima volta, un luccichio di ammirazione.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2579686