Il primo e l'ultimo di Dolcealcianuro (/viewuser.php?uid=668520)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo giorno ***
Capitolo 2: *** La meta è ancora lontana ***
Capitolo 3: *** Sempre più vicini ***
Capitolo 4: *** L'agguato ***
Capitolo 5: *** Salvando chi non vuole salvarsi ***
Capitolo 1 *** Il primo giorno ***
il primo e l'ultimo - 1
Partecipante al contest "Cerco un centro di gravità permanente", indetto sul forum di EFP da darllenwr
Il
guardiano camminava spedito, nonostante il terreno fosse piuttosto
aspro e roccioso. Non avvertiva fatica sotto i numerosi bagagli e
provava appena il freddo. O, almeno, era ciò che non voleva
dare a vedere.
All’orizzonte, la sagoma bluastra e sfumata del Santuario
svettava tra le montagne. Era ancora lontana.
Il principe allungò il passo e lo raggiunse, affannato, gli
eleganti stivali da viaggio coperti di fango.
“Ora basta. Fermiamoci qui, e accampiamoci” disse,
asciugandosi la pallida fronte sporca di sudore.
Il guardiano dovette sforzarsi per non sbuffare. “Sua Altezza
Caleb “ disse “Il sole non sta ancora tramontando,
e abbiamo ancora tempo per…”
“Non parlarmi del tempo. Non farò un passo di
più.” concluse il ragazzo, e fece cadere a terra
il suo zaino semivuoto, chiudendo la questione.
Aron annuì di controvoglia e iniziò a disfare i
bagagli, tirando fuori le tende.
Da tre giorni era sempre la stessa storia. Il principe non era adatto a
quel tipo di viaggio; camminava lentamente, doveva fermarsi spesso, e
al tramonto era già stanco. Continuando così
avrebbero impiegato parecchio tempo per raggiungere il Santuario e
compiere la Prova, e chissà quanto per tornare al castello.
Con questi pensieri il guardiano trovò un angolo nel bosco
piuttosto riparato, dove montò la tenda per il ragazzo,
senza fretta, avendo ancora svariati minuti di luce.
Il nobile nemmeno lo considerava. Si era portato dietro alcune
pergamene che dalle illustrazioni sembravano fossero erbari, e li
osservava spesso.
Compiva dei piccoli giri attorno all’accampamento, e di tanto
in tanto strappava ciuffi di particolari piante, che valutava
accuratamente e poi riponeva in un tascapane.
Quando la tenda fu montata, la valutò con distacco.
“Certo, ne hai impiegato di tempo”
commentò, ma sollevò in ogni caso i suoi bagagli
e ci si sistemò dentro. Con particolare cura estrasse dallo
zaino un piccolo cofanetto. Conteneva la pietra preziosa bianca, di
forma sferica e dall’aspetto fragile. Era l’Offerta
che avrebbe dovuto portare al Santuario, per completare la Prova di
Iniziazione. Il ragazzo mise a posto le sue cose, per lo più
ampolle e libri, e poi si volse verso il guardiano. “Non stai
ancora preparando la cena? Muoviti”.
Aron era ormai abituato a simili interazioni e senza dire nulla, accese
un fuoco consumò carne essiccata e pane, parte delle
provviste. Chissà se il cibo sarebbe bastato, per un viaggio
che sembrava protrarsi per più tempo di quanto
programmato…
Caleb del resto solitamente consumava pochissimo cibo; anche quella
sera non addentò che pochi bocconi di pane, e poi senza dire
una parola si ritirò nella tenda. Il guardiano
finì il suo pasto e si preparò per
un’altra lunga notte di guardia.
In cuor suo si diceva che non ce ne fosse davvero bisogno, dato che
quella foresta era conosciuta per non essere abitata da bestie feroci,
o da banditi, tuttavia non poteva rischiare di mettere anche in un
minimo pericolo il giovane principe.
Dopotutto, il ragazzo non sapeva badare a se stesso. Si aggirava
sperduto in un luogo selvatico come un gatto domestico in un serraglio
di belve, lontano dalle polverose aule, dalle giornate di studi
teologici nel tempio in cui passava il suo tempo, e così lo
avrebbe passato negli anni a venire. Era il suo destino, non essendoci
terre da spartire rimaste nel regno per un ragazzo
ultimogenito di sette tra fratelli e sorelle legittimi.
E avere un Sommo Sacerdote in famiglia sarebbe stato un ottimo affare.
Per questo motivo Caleb non aveva seguito un addestramento militare
come i suoi fratelli maschi ed era per lo più ritirato dalla
vita sociale.
Il giovane guardiano smise di pensarci quando udì dei rumori
sordi provenire dalla boscaglia. Erano troppo pesanti per appartenere
ai passi di qualche piccolo animale. Forse era una volpe. Oppure
c’era qualcuno?
Si alzò lentamente e percorse un piccolo tratto, sempre
girandosi di tanto in tanto per controllare la tenda. Ma non vide
niente e nessuno. A quanto pare, non c’era traccia di esseri
viventi. Solo qualche uccello notturno volò infastidito dal
suo passaggio. Eppure, gli era davvero sembrato, possibile?
Tornò veloce all’accampamento.
Caleb non sembrava aver fatto caso alla sua sparizione. Attraverso
un’apertura della tenda, il guardiano lo vide, illuminato
dalla luce di una lampada ad olio, sdraiato e intento a leggere un
enorme tomo illustrato. Passava il dito tra le righe e leggeva. Ogni
tanto prendeva qualche erba che aveva raccolto e la esaminava,
confrontandola alle illustrazioni.
Aron non poté fare a meno di pensare che, almeno quando era
concentrato su se stesso, il principe potesse sembrare un comunissimo
ragazzo intento a studiare, privo di grosse responsabilità.
Solo quei lineamenti delicati e armoniosi del pallido viso ed i vestiti
eleganti lo rendevano più interessante
nell’aspetto. In effetti, poteva dire di considerarlo
affascinate, e a volte aveva una sorta di soggezione nel guardarlo in
viso. Il nobile improvvisamente si voltò verso di
lui. “Cosa stai guardando?” chiese
d’un tratto, stizzito nel tono.
“Nulla, signore”.
“Dovresti fare la guardia, o sbaglio?”
“Certo, mi scusi”
Senza aggiungere altro il guardiano si avvolse in una coperta e si mise
ad alimentare il fuoco. Si prospettava una notte lunga e noiosa. I
mormorii lontani del principe lo accompagnarono per meno di
un’ora, poi ci furono solo i rumori della foresta.
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Capitolo 2 *** La meta è ancora lontana ***
La
mattina successiva fu luminosa e calda, non potevano sperare in meglio.
Viaggiarono anche più del solito. Il Santuario si faceva
sempre più vicino. Ma fu il percorso, a farsi più
accidentato e in salita.
“Vuol dire che ci stiamo avvicinando Altezza. Non rimangono
che due, al massimo tre giorni... ”
“Non ho certo bisogno che tu me lo ricordi, sai? Non vedo
l’ora di raggiungere quel luogo, così da farla
finita con questa storia, una volta per tutte. Non ne posso
più di camminare tutto il giorno e dormire male la
notte”
Aron non replicò, per una volta d’accordo. La
prova d’iniziazione in sé non era particolarmente
difficile. Ogni membro della famiglia reale, da una buona decina di
generazioni, lo sapeva bene. Onorare la Dea, portando una pietra
preziosa in un tempio sacro posto in una foresta del tutto priva di
pericoli non era complesso o azzardato, ma solo incredibilmente noioso,
poiché si doveva fare da soli. Per lo meno, Caleb non era da
solo, per lui era stata fatta una eccezione e gli era stato affiancato
Aron, vista la sua debolezza fisica. Ma entrambi non si facevano una
grossa compagnia. Lo si capiva subito. Il Re aveva fatto un errore, ad
affidare il suo figlio minore alla protezione di Aron, unicamente per
la loro vicinanza d’età, senza chiedere il loro
parere. Ma ormai, quel che fatto era fatto.
Una grossa serpe emerse da un cespuglio e attraversò il loro
passaggio. Era di un verde brillante e si muoveva lenta.
Il guardiano la osservò con attenzione. “La
riconosco. La chiamano la serpe di giada. Il veleno non è
mortale, ma può causare convulsioni. Basta non avvicinarsi
e…”
“Uccidila.” Ordinò il ragazzo.
Non ne sembrava spaventato, si limitava a fissarla.
“ Ma… per quale motivo?”
“Tu, uccidila.” Disse, e stavolta spostò
i penetranti occhi blu verso di lui, in un tono che non ammetteva
repliche.
Aron annuì controvoglia. Non era la prima volta che il
ragazzo gli ordinava cose simili. Estrasse la spada e in una mossa
fulminea la decapitò. Sangue scuro spruzzò dal
tronco del rettile, mentre la testa aprì le fauci per
l’ultima volta. Caleb attese che finisse di muoversi, poi
prese in mano un grosso spillone che teneva nello zaino e con esso
infilzò la testa. Infine gettò il tutto in un
contenitore scuro che chiuse ermeticamente. Sorrise, soddisfatto.
“Ora ripartiamo” ordinò.
Quel giorno i due giovani riuscirono a fare un bel tratto di strada.
Tanto che al tramonto non si erano praticamente mai fermati.
E fu il guardiano, a decidere di dover sostare, per quella notte, dato
che dovevano per lo meno mangiare e il luogo, posto accanto a dei
costoni rocciosi, era parecchio appartato. Caleb parve indifferente
alla decisione di fermarsi. Il guardiano montò nuovamente le
tende e preparò qualcosa da mangiare, ora più
tranquillo. Talmente tranquillo che per qualche minuto non
prestò attenzione al principe e, una volta terminato il suo
lavoro, non lo trovò.
Lo cercò nervosamente attorno ma invano. Si
spaventò non poco, e la sua mente fece rapide congetture
esagerate. Che ci fosse davvero qualcuno, nella foresta, che lo avesse
rapito? Dunque la notte prima non si era sbagliato! Non era
un’ipotesi caduta dal nulla, dopotutto uno dei motivi per cui
Caleb necessitava protezione era perché la famiglia reale
era stata recentemente presa di mira da gruppi di dissidenti politici
che avevano attentato alla vita dei reali. Anche se Caleb non era poi
così importante in termini di successione, ma forse si stava
sbagliando, e…
“Sono qui, idiota!” esclamò la voce del
ragazzo alle sue spalle.
Il principe era quasi alla sommità di un enorme masso, un
bestione di circa quattro metri. Come fosse riuscito ad arrampicarsi
così in alto, Aron non sapeva spiegarselo. Si
innervosì. E dire che fino ad ora si era lamentato di quanto
in quel viaggio si prospettasse privo di avvenimenti!
Invece si precipitò alla roccia e provò ad
arrampicarsi, ma con l’armatura e gli equipaggiamenti gli
risultava difficile. E, anche se avesse raggiunto il principe, si
chiese come sarebbe riuscito a farlo scendere da lì?
“Venga giù, altezza!” esclamò
il giovane, preoccupato.
“ E perché mai? C’è una bella
vista, qua sopra!” disse il nobile. Poggiò lo
zaino sulla roccia e si tolse il mantello.
“Potrebbe cadere e farsi male!”
“ Non sono così decerebrato come te,
sai?” disse il ragazzo, quasi indispettito “E
inoltre non mi va di scendere proprio adesso. La roccia è
calda e liscia, sarà bello passarci la notte. Ho anche
raccolto un particolare tipo di muschio che è difficile
trovare normalmente”.
“Ma... in questo modo sarà molto esposto,
e...”
“Tanto non mi pare ci siano pericoli qui attorno, a parte
qualche scoiattolo”
Aron a dire il vero era d’accordo. Ma quel che gli avevano
insegnato all’addestramento era che non si poteva mai sapere
dei pericoli da affrontare. Bisognava sempre stare in allerta. In caso
di pericolo, non avrebbe potuto difenderlo. Inoltre, in una
posizione simile, Caleb poteva rischiare di cadere dalla roccia durante
il sonno.
“Passami la mia coperta. Ho scordato di prenderla.”
“Non le consiglio di …”
“Obbedisci”
Il giovane uomo soffocò un altro sospiro e prese la coltre
dai loro bagagli, e gliela passò.
Poi si pose in una zona in cui poteva osservarlo bene, si avvolse anche
lui in una coperta, e aspettò che venisse il giorno.
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Capitolo 3 *** Sempre più vicini ***
Quando era
quasi l’alba, il suo respiro affannoso lo fece svegliare dal
dormiveglia. Il principe pareva agitato e nervoso nel sonno, parlottava
velocemente di cose incomprensibili. Il guardiano si
avvicinò un poco, sperando che non cadesse.
“Non
voglio andare… non l’ho mai voluto…
no…” si agitava e scalciava.
Aron
si chiese se avesse dovuto svegliarlo. Ma il ragazzo si
tranquillizzò e non si mosse più. Il guardiano
sospirò, stavolta dal sollievo. Doveva ammettere che il
principe poteva essere addirittura tenero, nel modo in cui dormiva.
“Perché
mi sto agitando tanto? Non c’è nulla di
così pericoloso” si disse. Si era reso conto che
iniziava a innervosirsi con facilità, forse per la mancanza
di sonno.
Aveva
bisogno di una valvola di sfogo, ed era fuori esercizio. Mancavano
ancora diversi minuti all’alba. Così decise di
iniziare alcune esercitazioni con la spada, che da molto tempo non
aveva potuto fare. Rimosse il pezzo superiore dell’armatura,
rimanendo a petto nudo, e cominciò ad agitare la sua spada,
in una successione di mosse che aveva ripetuto tanto da averle ormai
scolpite nella memoria, ai tempi dell’addestramento. Sapeva
bene che, di fronte al nemico, non le avrebbe potuto utilizzare nel
modo in cui voleva. In guerra o vinci o muori, gli dicevano i
commilitoni più esperti. Come avrebbe voluto affrontare una
battaglia vera! Ma quelle si combattevano altrove. I regni vicini, loro
alleati, stavano affrontando da anni una guerra sanguinosa, contro le
Terre del Nord, per il possesso di alcuni territori. La loro
nazione invece aveva convenientemente deciso di restarne fuori. E Aron,
come guardia reale, aveva unicamente il compito di difendere il
castello, ed il principe. Solo il principe Caleb. I suoi fratelli
maggiori, si sarebbero vergognati nel farsi proteggere da un ragazzo
più giovane di loro. Ma il castello non subiva assalti da
più di vent’anni, poteva scortare Caleb solo
quando si spostava dai templi in occasioni speciali, e a causa di
ciò Aron non aveva mai avuto modo di combattere con un vero
avversario.
“Come
osi, non comprendi il grande onore che ti è stato
concesso?”, gli ripeteva sempre suo padre quando se ne
lamentava “Tua madre ne sarebbe stata orgogliosa. E tu,
dovresti voler onorare lei e la nostra casata” continuava a
dire, e Aron non ribatteva, sapendo che suo padre aveva
ragione. Pensò a lui, alla sua figura curva, un
tempo così nobile e fiera, prima che affossasse tutto nel
gioco e nel vino, se lo figurò davanti come un nemico
immaginario da sconfiggere.
“Non
devi deludermi. Sei il primogenito. Devi ristabilire l’onore
della nostra antica famiglia.” disse la figura. Aron
sollevò la spada. “Sta zitto, vecchio! “
esclamò. Mosse la spada, immaginando di tagliargli la testa,
infilzandogli il cuore, mentre il sangue scorreva a fiotti.
Poi
riprese a compiere i soliti esercizi con la spada.
Alla
fine, l’alba arrivò. Aron
spostò una ciocca di capelli castani dalla fronte,
appiccicati dal sudore. Era soddisfatto, aveva dato tutto se stesso.
Ora il suo corpo pretendeva altre attenzioni. Lo stomaco gli
brontolò per la fame, il cuore gli martellò per
la stanchezza, la vescica era piena. Decise di concentrarsi su
quest’ultimo problema ed evacuò accanto alla
roccia.
“Non
hai proprio un briciolo di decenza” disse una voce sopra di
lui.
Il
giovane finì la sua occupazione e sollevò la
testa. Caleb si sporgeva sopra di lui. Chissà da quanto
tempo lo stava osservando! Era evidentemente imbarazzato, ma cercava in
ogni modo di non darlo a vedere, in ogni caso non la smetteva di
fissarlo.
"A-Altezza!”
balbettò il giovane coprendosi istintivamente.
“Che
aspetti a vestirti!” esclamò il nobile, voltando
finalmente la faccia altrove.
Aron
eseguì, rosso in volto.
“Bene.
Se hai finito, possiamo ripartire.” disse Caleb.
Buttò a terra la coperta. Poi provò a scivolare
giù dalla roccia, ma a metà discesa
poggiò male un piede e cadde a terra malamente.
“Altezza!”
gridò Aron precipitandosi da lui. Se si fosse trattato di
una lesione grave, temeva la sua reazione, e soprattutto quel che il
principe avrebbe potuto riferire al Re della sua condotta,
perché non aveva impedito la caduta.
Se
avesse perso la sua occupazione per un motivo del genere…
beh... di certo suo padre non glielo avrebbe mai perdonato.
Notò
che il principe riusciva ad alzarsi, ma camminava con un po’
di difficoltà. Il ginocchio destro era sporco di sangue.
“Le
fa male, principe? Se posso aiutarla…”
“Non
toccarmi.” sibilò lui.
“Ma...”
“Levati
di mezzo”
Aron
si allontanò, perplesso. Il principe aprì subito
lo zaino e ne trasse un’ampolla, colma di un liquido di un
verde scuro. La aprì e se ne versò un
po’ sulla ferita.
Poi
rimise tutto a posto. “In questo modo, si
cicatrizzerà più in fretta. E il ginocchio non
sembra aver subito una rottura, dato che riesco a muoverlo. Se non lo
sforzo troppo, guarirà presto.”
“Immagino”
riuscì a dire il guardiano. Si stupì della
sicurezza con cui il ragazzo diceva tali cose.
In
ogni caso si misero in viaggio. Ormai non mancava molto. Forse il
giorno successivo avrebbero raggiunto il Santuario. O quello dopo
ancora.
Raggiunsero
la montagna, e iniziarono a percorrerne i sentieri, salendo sempre
più in alto. Dopo qualche ora avevano raggiunto una discreta
altitudine e potevano godere di una splendida visuale del percorso
finora attraversato, sebbene a distanza, per non cadere dai precipizi.
Cominciò però a piovere. Una pioggerellina fitta
e fastidiosa.
“Sì,
proprio quel che ci voleva per rendere più disgustosa la
giornata” commentò sarcastico il principe, per
niente emozionato dalla vista. Camminava abbastanza spedito, nonostante
il ginocchio infortunato. Forse troppo. Dopo solo
un’ora parve dare segni di cedimento. Tanto che, per superare
una roccia, impiegò troppa foga, e scivolò sulla
terra bagnata. Per fortuna, era caduto lontano dallo strapiombo. La
pioggia, intanto, stava peggiorando.
Aron
lo raggiunse subito. “Sta bene?” chiese, stavolta
preoccupato.
Caleb
parve innervosirsi e lo respinse con foga. “Ovviamente. Devi
finirla di agitarti tanto, neanche fossi un cane. Ma, a pensarci bene,
dopotutto lo sei!”
L’insulto
colse Aron impreparato, tanto che non riuscì a restare
composto come suo solito. “Sto solo facendo il mio lavoro.
Potrebbe anche cercare di apprezzarlo, ogni tanto. Ma non credo ne sia
capace.”
“Lo
farei, se lo svolgessi decentemente” replicò il
ragazzo.
“Ah,
davvero? Io credo invece che a parte usare la lingua per lamentarsi,
non sia in grado di fare altro, mio signore. Senza di me non sarebbe
arrivato sin qui, e nemmeno raggiungerebbe il Santuario. Sa comportarsi
solo come un bambino viziato!”
Colpito
nel segno, il giovane fece una smorfia. “Questo è
da vedere.” Si limitò a dire, e riprese a
camminare, anche se con difficoltà.
Aron
non lo tallonò, stavolta. Aveva il discreto timore di aver
perso il lavoro, dopo quella frecciata.
Si
limitò a seguirlo in silenzio. Questo, almeno
finché non vide cadere dei sassolini, dal fianco scosceso
della montagna. Prima che potesse voltarsi, un sasso gli
colpì di striscio la testa. Aron si voltò e vide
un uomo dal volto coperto, senz’altro un bandito, scendere
dal fianco urlando; probabilmente fino allora si era nascosto dietro ad
una insenatura.
Che
stupido era stato, a non notarlo!
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Capitolo 4 *** L'agguato ***
Il
bandito sguainò una daga e si avventò su di lui,
e prima che potesse difendersi lo colpì ad un fianco. Il
giovane indietreggiò e prese in mano la sua spada. Il
bandito fece per attaccarlo di nuovo ma Aron con un gesto veloce e
istintivo mosse la spada e gli squarciò la pancia.
L’uomo emise una sorta di gemito sordo, e poi si
afflosciò a terra, coperto di sangue. Senza prestargli
attenzione Aron prese a correre furiosamente. Sentì il
principe urlare. Lo vide poco più avanti. Un altro criminale
lo aveva raggiunto, cercava di immobilizzarlo. Caleb si dibatteva con
tutte le sue forze. Aron tentò di raggiungerlo, ma fu
colpito ad una gamba. Si voltò, e vide un terzo bandito. Era
un uomo incredibilmente imponente, che sembrò sorridere trai
i folti baffi nel guardarlo. “Vediamo che sai fare,
moscerino” disse con voce roca.
Il guardiano mosse la spada contro di lui. Il criminale era munito
anch’egli di una daga, ma sapeva usarla bene, e respinse
l’attacco. Si muoveva inoltre piuttosto velocemente per la
sua mole. Però, indossava unicamente delle protezioni
leggere.
“Se riuscissi a colpirlo con precisione...” si
disse Aron, ma era già piuttosto difficile respingere i suoi
attacchi.
L’uomo riuscì a colpirgli un fianco. Il guardiano
urlò dal dolore. Ma nell’istante in cui
l’aveva colpito, si era avvicinato. Aron sollevò
la spada e la puntò contro il suo collo. Ma non
riuscì a muoverla, perché l’uomo fu
più veloce e gli provocò un taglio sul polso.
Aron, da dolore e dalla sorpresa lasciò cadere la spada.
Prima che potesse riprenderla, l’uomo gli fu addosso, e lo
atterrò con tutto il suo peso. Per quanto Aron provasse a
scalciare, non riusciva ad alzarsi, era immobilizzato da quella presa.
Poi vide un lampo di pura cattiveria negli occhi del brigante, che
lasciò l’arma e gli mise le enormi mani sul collo
e lo strinse.
Per quanto provasse a dibattersi, le braccia dell’assalitore
sembravano d’acciaio. Il fiato gli uscì dal petto.
Aron sentiva il cuore agitarsi impazzito nel petto, mentre i polmoni
cercavano disperatamente aria, e la vista si annebbiava. Neanche la
mente riusciva più a ragionare lucidamente.
Non voglio morire. Non adesso. Non sono riuscito neanche a…
Ma poi improvvisamente, sentì sussultare il bestione che lo
stava uccidendo. L’uomo mollò la presa, il suo
corpo si irrigidì, ed emettendo un rantolo gli cadde
addosso.
Passarono svariati secondi, poi qualcuno spostò il peso che
lo schiacciava.
Aron impiegò diverso tempo per riacquistare
lucidità. Poi riuscì a respirare e vedere
normalmente. Il corpo del grosso brigante era steso a terra, col collo
squarciato. Accanto a lui, il principe Caleb, sporco e ferito e con lo
sguardo perso, reggeva in mano una spada coperta di sangue che non gli
aveva mai visto prima.
“A-altezza… cos’è
successo?” riuscì a chiedere Aron, confuso.
“E l’altro brigante?”
“Mentre mi inseguiva, ha rovesciato il contenuto del mio
zaino, e sono riuscito a prendere una cosa.” disse con un
filo di voce il nobile. “Lo spiedo con cui ho infilzato la
testa di quel serpente, ricordi? Era intinto del suo veleno.
Così, mentre il bastardo cercava di immobilizzarmi,
l’ho infilzato con quello. Ha fatto subito effetto. Lui si
è messo a contorcersi come un dannato, non pensava
più a me. Allora…” Il ragazzo prese
fiato e deglutì. “Gli ho sfilato la spada. E
l’ho… colpito. Non si è mosso
più. Poi ti ho cercato e ho visto cosa ti stava succedendo.
Così... ho usato di nuovo la spada contro di quello, e
poi…”
Gli tremavano le mani. Aron si alzò, e si permise di
posargli una mano sulla spalla. Caleb sembrava sotto shock, non era
stato preparato come lui a combattere per uccidere.
“Va tutto bene, Altezza. E’ stato davvero
straordinario, e le devo la vita. Io, piuttosto, sono imperdonabile,
per non averla protetta adeguatamente. Ora però riprenderemo
le forze, e poi ripartiremo verso il Santuario”
Il ragazzo scosse la testa. “Non raggiungeremo più
il Santuario. Non ce ne è più motivo”
disse. Lasciò cadere la spada. Iniziò a camminare.
“Come sarebbe a dire?” chiese Aron.
“Non possiamo più andarci” disse il
principe. Raggiunse la zona in doveva essere avvenuta la sua
aggressione. Il brigante era steso faccia a terra, rigido. Tutto quel
che aveva un tempo formato i bagagli del principe; vestiti, ampolle, e
libri era sparso a terra. Ma c’era anche il piccolo scrigno
contenente la Pietra Bianca. Era spalancato, e i frammenti bianchi
della gemma erano sparsi ovunque.
“E’ accaduto quando è stato
aggredito?”
Il principe annuì. Si chinò e
accarezzò un frammento più grosso degli altri,
bagnato di pioggia. Luccicava appena. “Senza la sfera, tutto
ciò che abbiamo compiuto finora non ha più senso.
L’intera missione è stata inutile.”
“Non è colpa nostra. Basterà spiegarlo
una volta tornati...”
“No. Io speravo davvero di poterci riuscire, di poter
dimostrare alla mia famiglia, al regno, di avere un qualche valore.
Evidentemente mi sbagliavo.”
Si alzò e diede un calcio ai frammenti, che si sparsero
attorno a lui. Poi il principe si avvicinò al bordo del
precipizio. La pioggia stava peggiorando. I capelli neri del ragazzo
erano scossi dal forte vento.
Aron capì quel che voleva fare. “Mi ascolti. Noi
torneremo al castello. E poi…”
“Non posso più tornare” disse il
principe. Poi chiuse gli occhi e si lasciò cadere dal
precipizio.
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Capitolo 5 *** Salvando chi non vuole salvarsi ***
Aron
urlò. Si lanciò per cercare di afferrarlo, ma
riuscì solamente a sfiorarlo. Il movimento lo fece
sbilanciare, e precipitò anche lui. Sbatté testa
schiena varie volte contro le rocce, ma per fortuna il dirupo non era
ripido come sembrava. Il guardiano riuscì nella caduta ad
afferrare il principe, che sembrava aver perso i sensi dallo shock. I
due rotolarono per decine di metri. Aron fece di tutto per rallentare
la caduta, appigliandosi a tutto quello che incontrava, ma gli arbusti
e i cespugli bagnati di pioggia non erano di grande aiuto.
Dopo lunghissimi secondi la discesa terminò. Aron
recuperò le forze, e si sollevò da terra, molto
lentamente. Provava un dolore indescrivibile su tutto il corpo. Ma era
vivo e riusciva più o meno ad alzarsi. Caleb invece non
aveva ripreso conoscenza, il suo cuore batteva lentamente e doveva
avere qualche osso rotto. Il guardiano se lo caricò in
spalla con tutta la delicatezza possibile. Poi iniziò a
camminare, alla ricerca di un luogo riparato. Erano entrambi coperti di
sangue e fango, il freddo e la pioggia non davano loro tregua. Aron
finalmente trovò una grotta, che aveva notato anche durante
il loro cammino, prima di salire per i sentieri di montagna.
Per fortuna, era caduto con lo zaino addosso, anche se gran parte delle
provviste e del vestiario era si era rovinato dopo tutti gli urti e la
pioggia. Il guardiano sistemò il principe nel modo
più comodo e consono che riuscì a offrire, e
accese un fuoco. Poi attese. Le condizioni di Caleb non erano misere,
ma aveva la febbre e non si svegliava mai del tutto. Per le due notti e
i tre giorni successivi Aron lo tenne al caldo, gli diede da mangiare
la parte migliore delle provviste, e cambiò i suoi vestiti
lordi dal fango. Questi, si rese conto il terzo giorno, erano atti che
avrebbe compiuto comunque, e non solo per fedeltà nei suoi
confronti. Soffriva nel vederlo in tale stato. Anche se,
fortunatamente, il terzo giorno Caleb migliorò parecchio.
Sembrava più lucido e mangiava con maggiore appetito, faceva
anche qualche discorso sensato. Due giorni dopo, la febbre
passò. La notte seguente, mentre cercava di dormire almeno
un pochino, il guardiano vide che il ragazzo si era svegliato e si
guardava intorno, con lo sguardo confuso ma decisamente vivo.
“Dove... sono?” chiese con voce piuttosto normale.
Aron gli si avvicinò, felice. “E’ in
salvo, altezza”
Il nobile rimase immobile per qualche istante, come a voler soppesare
tali parole. “In salvo” ripeté.
“Già”
“Dunque, non ci sono riuscito…”
mormorò il ragazzo, con amarezza nella voce.
“In che senso?”
“Così come non sono riuscito a consegnare la
Pietra, non sono riuscito nemmeno a togliermi la vita”
spiegò il principe.
“Altezza, ma cosa di...” iniziò il
guardiano ma Caleb lo interruppe con un gesto della mano.
“Sai, in realtà non è che tenessi
tanto, a superare la Prova. Avrebbe significato divenire adulto, e
accettare le mie responsabilità. Nel mio caso, vivere per
sempre in un tempio, come Sacerdote. Una vita piuttosto insignificante,
a mio parere. Ma dopotutto, è questo il mio destino, in
qualche modo me ne ero fatto una ragione.”
Aron lo guardò senza riuscire bene a credergli.
Caleb si stropicciò gli occhi, ma poi riprese a parlare.
“Però, lasciare distruggere la Pietra fallendo
così la Prova è stata una esperienza peggiore.
Vuol dire che non sono stato capace nemmeno di superarla, persino
aiutato. Sapevo in cuor mio di non essere all’altezza dei
miei fratelli e dei miei avi che l’hanno affrontata senza
problemi, ma ora ne ho avuto la certezza. Per questo, la cosa migliore
che avresti dovuto fare era lasciarmi morire lì”
Aron scosse la testa, scosso. “Non può dire sul
serio.”
“Hai fatto un errore, guardiano. Dovevi lasciarmi andare.
Dovevi...”
Ma non finì la frase, perché il guardiano in
questione si avventò su di lui. Lo afferrò per le
spalle e lo trascinò a terra.
“Così, non avrei dovuto salvarla?”
esclamò rabbioso, guardandolo dritto negli occhi e
trovandovi paura e stupore. “Dunque questo lungo viaggio, non
è servito a nulla? Ho rischiato la vita per nulla?
Senza contare la fatica di tenerla vivo in tutti questi giorni! E se
invece lei fosse morto, per sua scelta, con che coraggio sarei potuto
tornare a corte? Che razza di pena mi avrebbero inflitto? Mi risponda,
Altezza!”
Il principe deglutì e lo guardò, fingendo calma.
“Sei preoccupato, ma solo perché è tuo
dovere. Non sono altro che un lavoro che ti è stato
assegnato. Ma, del resto, non devi temere. Se anche io fossi riuscito
nel mio intento, a Corte non sarebbe importato molto. Perché
nessuno ha mai avuto davvero bisogno di me.”
Aron scosse la testa. Parlò sinceramente e impulsivamente.
“Si sbaglia, perché io ho bisogno di lei, Caleb.
Desidero solo che viva, e stia bene.”
Il principe rimase immobile a fissarlo, cercando tracce di menzogne nel
suo viso. Non ne trovò. Allora, semplicemente, non riuscendo
a reprimere tutto quel che provava, iniziò a piangere.
Pianse sommessamente, ma in modo continuo e irrefrenabile. Aron parve
stupito dalla sua reazione, ma poi, senza chiedere alcun permesso, lo
prese tra le braccia e lo strinse al petto. Caleb non provò
a respingerlo; forse era ancora troppo debole dalla convalescenza, o
semplicemente non voleva farlo. Si addormentò con le lacrime
agli occhi, e il guardiano non si mosse. Dormirono così,
sdraiati in quella posizione, scaldandosi a vicenda.
La mattina successiva Caleb si svegliò di buon ora, in
salute e riposato.
Aron non era più con lui. Non era nemmeno nella grotta.
Stava già iniziando a preoccuparsi, quando lo vide
rientrare, con qualcosa in mano.
“Buongiorno, signore. Sono uscito a cercare qualcosa di
fresco da mangiare” disse, e gli mostrò una
manciata di bacche e due uova. “Non è molto,
ma...”
Caleb prese il cibo. Le bacche erano ancora un po’ acerbe e
l’uovo, crudo, non era granché, ma il ragazzo si
accorse che non gliene importava più di tanto, e inoltre
aveva davvero fame, per cui non protestò come suo solito.
“Tu hai già mangiato?” chiese
invece.
“Io... ecco… Sì, Altezza”
incespicò Aron, stupito dal suo comportamento gentile.
“Bene. Allora possiamo ripartire, anche adesso.”
Disse il ragazzo.
“Si sente in grado? “ chiese sempre più
stupito il guardiano, vedendolo fare i bagagli. “Ma dove
vuole andare? Probabilmente dal castello avranno inviato delle truppe
per cercarci, dato che manchiamo da tempo, e poi...”
“Che ci cerchino pure. Quello che fanno non è
più affar mio.” affermò il ragazzo.
“Come sarebbe?”
“Raggiungeremo il santuario, perché non voglio
lasciare le cose incompiute, e qualcuno deve sapere quello che
è successo. Ma non tornerò al
castello.” Finì di sistemare le sue cose e
guardò Aron dritto negli occhi. “Non voglio
più vivere secondo i disegni di altri, da ora in poi
deciderò da solo il mio destino. E dato che sotto il regno
di mio padre non potrei mai essere quello che voglio, andrò
dove credo di poter essere utile.”
Aron deglutì cercando di seguire il suo discorso.
“In realtà è da un po’ che ci
stavo pensando, ma lo consideravo fuori discussione.”
Proseguì il nobile “ Sai, credevo di non poterci
riuscire… Intendo… raggiungere il fronte dei
nostri alleati, in guerra col Nord. Ho avuto modo di accedere a testi
di medicina e biologia molto approfonditi, e potrei creare veleni, o
anche dare una mano a curare i feriti. Darei un aiuto a chi serve, e
inoltre imparerei davvero la medicina”
Il guardiano valutò seriamente la proposta. “La fa
facile. Ma credo sottovaluti la pericolosità dei campi di
battaglia. Non è un gioco.”
“Lo so bene.”
“Non posso lasciarla partire da solo” disse Aron,
avvicinandosi al ragazzo.
Il principe aveva pensato anche a tale eventualità. Ma non
avrebbe cambiato idea.
“Per questo, verrò con lei”
proseguì il guardiano.
Stavolta fu Caleb a stupirsi. Non sapeva cosa dire, e si
limitò a poggiargli una mano sulla spalla.
Poi si accostò a lui e gli sussurrò qualcosa.
“Ehi...”
“Cosa?”
“Se vuoi venire davvero con me…”
“Sì...?”
“Sarà meglio che ti dia una mossa,
allora!” gridò.
Poi il principe scattò in avanti e recuperò i
bagagli di Aron. Glieli lanciò addosso senza preavviso.
“Forza! Raggiungiamo questo benedetto santuario! E muoviti,
Aron! Tanto lo sai che sono più veloce di te! Non riuscirai
a raggiungermi!” gridò, e afferrando i suoi
bagagli schizzò via dalla grotta.
“Non penso proprio, altezza!” esclamò
lui, e senza indugi si mise a inseguirlo.
Di certo la meta era ancora lontana. La vita sarebbe stata dura e
pericolosa da quel giorno. Ma i due ragazzi non ci pensarono, non
reputandole cose poi così terribili. Perché a
loro bastava il fatto di essere insieme, uniti, per non avere bisogno
di altro.
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