Piccola Telepate

di irene862
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** L' arrivo di Sara ***
Capitolo 3: *** La sua infanzia ***
Capitolo 4: *** I sogni ***
Capitolo 5: *** Una vita per una vita ***
Capitolo 6: *** E nel frattempo Eric... ***
Capitolo 7: *** Effusioni ***
Capitolo 8: *** Calore ***
Capitolo 9: *** Crisi di colpa ***
Capitolo 10: *** Ferire e sanare ***
Capitolo 11: *** Sconvolgimenti ***
Capitolo 12: *** Godric's Memories ***
Capitolo 13: *** Una parola dolce può calmare un cuore arrabbiato ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Intro - Delucidazioni Piccola Telepate

Delucidazioni su “Piccola Telepate”

 

Piccola Telepate sarà una fiction AU (Universo alternativo) con protagonisti i personaggi del Ciclo di Sookie Stackhouse nato dalla mirabolante penna di Charlaine Harris inseriti ed adattati ad un contesto completamente differente da quello autentico. Alcune caratteristiche originali tipiche ed appartenenti a determinati personaggi saranno mantenute mentre altre andranno ad arricchire quella che sarà la loro personalità. Ho inserito quindi anche l’avviso OOC (Out of Character).

Ho voluto stravolgere la storia di Sookie e darle un inizio e un corso differente.

La narrazione avverrà attraverso punti di vista differenti (ad es. da uno dei personaggi, narratore onnisciente o narratore esterno). In alcuni capitoli ho inserito spezzoni di brani musicali, immagini o link di filmati youtube (relativi a video musicali).

Il rating della storia sarà, inizialmente, arancione ma mi riservo la possibilità di modificarlo in futuro.

La fiction è ancora in elaborazione quindi l’aggiornamento sarà ogni 3-4 settimane.

Mi auguro che la storia vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Irene


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Capitolo 2
*** L' arrivo di Sara ***


Cap. 1 - L'arrivo di Sara

Capitolo 1° - L’arrivo di Sara

 

https://www.youtube.com/watch?v=qzZgNKJxmgs

 

Era il 1942 e il volto della donna era livido ed emaciato. Anche respirare le costava fatica, lo faceva lentamente. Inspirava prendendo aria ed immettendola nei polmoni per poi lasciarla uscire dalla bocca in piccoli sbuffi di condensa. Le membra e le ossa le dolevano, camminava a fatica e ad ogni passo sembrava che le gambe potessero cederle da un momento all’altro.

Non poteva fermarsi, doveva arrivare alla fine del paese.

Erano da poco passate le dieci di sera quando finalmente, stanca ed un poco sudata, arrivò a destinazione. Il portone di legno era vecchio, forse tarlato, ma imponente. Le persiane come le finestre erano sprangate, i muri esterni logori e muffiti; la donna pregò che l’interno fosse un poco meglio.

Il vento soffiava gelido sul suo viso investendo in pieno la sua esile figura. Rabbrividì e si strinse nel cappotto pesante, accostando meglio il suo fagotto al petto. Conosceva la natura degli occupanti di quella vecchia villa, e sapere di dover affidare proprio a loro la cosa più preziosa che possedeva le faceva stringere il cuore in una morsa di dolore.

Eppure, non vi erano altre alternative.

Si avvicinò alla porta e protese una mano verso il battente. Un’occhiata alla fascia di stoffa con incisa una stella, intorno al braccio, le ricordò un altro piccolo ostacolo tra lei e il resto del mondo. Prese un respiro profondo ed attese.

La porta non venne spalancata ma solo leggermente scostata, un volto bello ma duro con occhi chiari e freddi, la accolsero. L’uomo era giovane, aveva corti capelli biondi, un fisico asciutto ma piuttosto muscoloso. Spalle larghe, braccia e gambe robuste, altezza notevole. Un vero guerriero. Questo la osservò, a sua volta, per pochi secondi notando subito la stella al braccio.

“Ebrea, c’è il coprifuoco … torna alla tua dimora prima che ti faccia arrestare” il tono deciso, il volto privo di espressione alcuna.

“Avrei bisogno di parlare con il generale Schwarz, per favore. E’ molto importante” replicò lentamente la donna

Il viso del biondo s’indurì appena, gli occhi si assottigliarono e dalla sua bocca uscì veleno “Il generale non ha tempo da perdere con una femmina del tuo ceto e della tua razza … vattene!”

La porta si sarebbe richiusa con un tonfo secco se, questa con un gesto veloce non lo avesse impedito; aveva infilato un piede tra l’interstizio e la porta stessa.

Con voce pacata ripeté la sua richiesta e alzando lo sguardo, per la prima volta, lo guardò negli occhi “Låt mig varelse av natten. Jag måste rådgöra med din far!”

L’uomo sgranò gli occhi sorpreso ed impressionato, cominciando ad osservarla con più attenzione.

“Chi sei tu? Cosa vuoi?”

La risposta della donna fu anticipata dall’arrivo di un giovane uomo, di statura più bassa. I suoi capelli erano corti e neri, gli occhi di un colore indefinibile; il suo viso mostrava curiosità ma anche diffidenza.

Vedendo finalmente il viso di colui a cui avrebbe affidato la sua vita, con un sorriso, la donna cominciò a parlare.

“Buonasera, generale Schwarz, avrei bisogno di conferire con lei. Si tratta di una questione di una certa importanza, un argomento delicato. Fuori fa freddo e vorrei riservatezza. Posso entrare?”

“Come osi…” le parole velenose dell’uomo biondo vennero tacitate da un gesto del generale, che fece cenno alla donna di entrare

Si sistemarono in salotto, un grazioso vano caratterizzato da mobilio di lusso. Il camino era acceso ed un piacevole tepore ammantava l’intera abitazione. Il generale la invitò ad accomodarsi e mettersi comoda, per poi fare la medesima cosa. L’uomo biondo era uscito subito, forse in cerca della cena.

“Ebrea, cosa vuoi da me?”

La donna stirò le labbra in un sorriso sereno e con gesti lenti iniziò a togliersi il pesante cappotto. Solo allora il generale si rese conto che tra le braccia teneva un neonato.

“Mi chiamo Myriam e sono qui per lei” rispose accennando alla creatura che teneva tra le braccia  “Ha bisogno di protezione ed io non posso più offrirgliela. Sono venuta a chiederle di salvarle la vita, di prendersi cura di lei” spiegò la donna rilassandosi appena e sistemandosi meglio sulla grande poltrona su cui sedeva

“Ciò che mi chiedi è impossibile, donna”

“Vi prego, lasciate che vi racconti la sua storia … sono sicura che cambier…”

Il generale scosse la testa “Non cambierò idea! Ora devi andartene” Si alzò e fece per accompagnarla alla porta quando le parole della donna lo gelarono sul posto.

“So chi sei, Godric … conosco la tua natura e percepisco la grandezza del tuo potere. So cosa stai cercando e ti ho portato qualcosa che aiuterà la tua ricerca. Ti prego, non cacciarmi”

Prima il capo, poi il busto, poi ancora tutto il corpo del giovane si volsero verso di lei ed un secondo netto dopo se lo ritrovò davanti.

“Come conosci il mio nome? Chi sei tu? Cosa vuoi veramente?” le parole erano veloci, il tono furioso

“Mi permetti di raccontarti una storia?”

“Voi ebrei amate molto raccontare storie, non è vero?” domandò il generale più a se stesso che a lei. Il tono si era ammorbidito, lui si era nuovamente seduto ed ora sembrava come in attesa.

La donna chinò il capo, ringraziandolo, e prendendo un breve respiro iniziò il suo racconto

“La bambina che ho tra le braccia non è mia, è figlia della mia migliore amica. Circa trent’anni fa, io avevo appena 17 anni allora ed abitavo in Romania con la mia famiglia, conobbi Saphira. Era una ragazza bellissima, dai tratti quasi orientali, pelle ed occhi chiari capelli del colore del grano. Aveva un carattere buono e generoso. Amava danzare, amava la musica e amava ridere”

“Una zingara, insomma”

La donna annuì sorridendo e prendendo un altro lungo respiro si accinse a continuare “Diventammo subito amiche inseparabili, passavamo ogni ora di ogni giorno insieme. Due anni dopo conobbe un uomo, venuto da lontano e poco più grande di lei. Aveva tratti fisici differenti, simili a quel tipo biondo … il vostro sottoposto, con modi ed abitudini completamente differenti. Eppure s’innamorarono perdutamente l’uno dell’altro e quando lui le chiese di andar via … beh, Saphira lo seguì felice. Non ebbi più sue notizie sino ad una decina di anni fa, quando me la trovai praticamente sotto casa. La sua bellezza non era mutata, il suo viso non recava i segni del tempo trascorso, come invece era accaduto al mio, eppure in fondo ai suoi occhi vi lessi paura, dolore e una tristezza senza eguali. Notai subito che era incinta così l’accolsi in casa, con gioia, e mi feci raccontare cosa le era accaduto. Mi disse che si era sposata ma che il marito era stato ucciso. Mi disse che il suo sposo era diverso, che non era umano, che era stato ucciso dal suo stesso padre perché si era unito carnalmente e spiritualmente a lei. Quel giovane uomo, di cui non seppi mai il nome, era riuscito a farla fuggire non solo per proteggere lei ma anche la loro creaturina.”

“Mi stai dicendo che questa è la stessa bambina del tuo racconto?” interruppe la storia il generale

“Esatto”

“E’ impossibile! Sono trascorsi quanti … più di dieci anni? E’ impossibile che sia la stessa bambina!”

“Eppure è la verità e non ho motivo di mentirti al riguardo. Lasciami continuare e capirai da solo. Passai con Saphira solo poche settimane prima che lei morisse dando alla luce Sara” rispose la donna accennando al fagotto che ancora teneva stretta al petto

“Venni a sapere che la bambina non era completamente umana. Non seppi altro sulla natura di suo padre se non quello che ora racconto. Sua madre invece, Saphira e la sua famiglia così come la mia e i miei antenati, erano conoscitori originari della Transilvania.”

“Cosa? Siete gli stregoni del vecchio principato medievale?” domandò lui alzandosi dallo stupore

La donna si limitò ad annuire

“Ecco spiegato il motivo per cui conosci il mio vero nome e quello della mia natura, ebrea. Continua” aggiunse accomodandosi nuovamente di fronte a lei

“Solo qualche giorno dopo la sua venuta seppi della natura di Sara e di quello che sarebbe stato il suo destino. Lei è speciale, molto speciale! Sua madre mi disse che il potere del suo sposo era oltre ogni immaginazione e che la bambina avrebbe ereditato poteri che avrebbero fatto gola a molti. Sarebbe stato mio compito proteggerla se le fosse accaduto qualcosa. M’impose di darle tre nomi aggiungendo che altri nomi segreti glieli avevano imposti lei e suo marito, per protezione, e questo è tutto”

“Quello che non capisco è perché ti sei rivolta a me?”

“Domani all’alba sarò morta … ho aspettato troppo per venire da te. Forse proprio a causa della tua rivoltante natura ma sono sicura che solo con voi, Sara, sarà al sicuro”

“Perché dopo tutto questo tempo è ancora così piccola?” domandò il generale avvicinandosi

“Come ti ho detto, lei non è del tutto umana e la sua crescita non segue le nostre regole. Sua madre mi disse che sarebbe cresciuta solo quando sarebbe stata pronta. Ritengo che Sara non sia cosciente di questo e che la sua maturazione sarà un po’ instabile. Crescerà a tempo debito e forse proprio questo l’aiuterà ad ambientarsi meglio nella vostra vita”

“Noi non invecchiamo” asserì il generale annuendo

Finalmente, la donna, decise di mostrarle Sara e con delicatezza allungò la bambina nelle mani di Godric, che spaventato ma anche tremendamente curioso la strinse a se.

“Di cosa si nutre?” domandò senza staccare gli occhi dalla neonata

“Latte. Solo latte, per ora. Quando crescerà dovrete andare per tentativi”

“Cos’è questo alone viola che la circonda?”

“Riesci a vederlo?” domandò la donna sgranando gli occhi sbalordita

“Non dovrei?” chiese alzando gli occhi verso di lei

“Sei davvero potente … molto bene. Quell’alone sparirà domani all’alba. E’ una protezione che ho dovuto imporle per non farle male. Quando morirò anche quell’incantesimo avrà fine”

“Che significa?”

“Venire a contatto con un essere umano la ferisce”

“Cosa?” domandò ancora  “Sua madre era umana, giusto?”

“Si, assolutamente. Credo che si tratti di qualcosa di passeggero e fintanto che sarà necessario dovrete evitare che venga in contatto con umani. Non devono toccarla o lei finirà con il ferirsi e soffrirà. Come ti avevo preventivato, Sara sarà in grado di aiutarti perchè il dono più importante e che svilupperà per primo sarà quello della telepatia”

Mettere tutto quel potere, Sara stessa e la sua vita e la sua felicità, nelle mani di una creatura oscura come quel vampiro fece molto male a Myriam. Era come consegnare un’arma con un potenziale inimmaginabile nella mani di un guerrafondaio … ma non vi erano altre alternative. E poi vi erano i suoi sogni … e i sogni di Myriam non sbagliavano mai.

Secondo queste previsioni, Sara, sarebbe stata felice e si sarebbe innamorata di una creatura oscura. E questa l’avrebbe corrisposta donandole un amore puro e passionale, luminoso e travolgente, l’avrebbe protetta con la sua stessa vita, fino alla fine dei tempi.

Tornando al presente riuscì a cogliere le ultime parole di Godric “Proteggerò e crescerò, Sara, come fosse mia figlia”

Myriam annuì “Bene. Un’ultima cosa…” e tirando fuori un pezzo di carta lo porse al generale “E’ l’indirizzo della mia abitazione. Troverete tutto ciò che vi occorrerà per lei, almeno per il prossimo mese. Cibo, vestit...”

“Cos’è questa sensazione che sento? Sembra…” domandò lui interrompendola

“Non temere. E’ il potere di Sara. L’incantesimo protettivo sta svanendo lentamente. Ti avviso giovane generale … Sara ha uno strano potere e una volta che la conosci non puoi fare a meno di amarla … lei non permetterebbe il contrario. Ha una grande forza di volontà … lotta per le cose che vuole” poi quasi le forze le fossero venute a meno, si lasciò cadere dolcemente sulla poltrona su cui era seduta “… e le ottiene sempre”

“Il tuo cuore sta rallentando i suoi battiti” pronunciò Godric con voce incolore

“Già … l’alba si avvicina” rispose lei respirando sempre più a fatica “Il suo nome completo è Sara Evie Jocelin”

In quel momento, entrambi sentirono la porta di casa aprirsi e chiudersi velocemente. Nel salottino entrò, subito dopo, il giovane uomo biondo.

“Godric? Sono quasi le quattro e…” la sua voce era pacata quasi soffice ma s’interruppe nel vedere la donna umana seduta sul loro divano e sgranò gli occhi nel vedere il suo creatore con in braccio un infante.

Anche Godric alzò gli occhi verso di lui e lo invitò ad entrare

“Eric, entra” disse con voce vellutata quasi volesse accarezzare il viso del suo unico figlio

“Cosa ci fa questa donna ancora qui? Cosa vuole? E cos’è quella cosa?” chiese accennando al neonato tra le braccia di suo padre

“Utbildning, Eric!”

“Förlorade far” rispose chinando il capo

Godric sorrise di nuovo e avvicinandosi gli baciò il capo “Questa è Sara”

“Io … non capisco padre…” replicò il giovane Eric

“Vivrà con noi. Nostro compito è quello di proteggerla. Capirai presto, figlio mio”

Gli porse il foglietto e gli diede istruzioni di far svuotare la casa della donna in questione.

“Prendi tre o quattro uomini con te, non di più. Riporta tutto ciò che potrebbe servire a Sara. Capito?”

“Si padre” e uscì di nuovo velocemente

Godric si avvicinò di nuovo alla donna e guardandola in viso la trovò sorridente. “E’ viziata, adora essere coccolata. Finché sta in braccio dorme come un angioletto ma non appena la si stende nel suo lettino diventa un vero diavoletto”

“Non ci saranno problemi … noi non ci stanchiamo. E devo ammetterlo, tenerla in braccio mi piace molto … mi sento sereno … suppongo sia dovuto all’influenza del suo potere”

La donna annuì ancora poi facendosi forza disse “Morirò presto, tra un paio d’ore e dato che non ho parenti in vita né altri conoscenti devo affidarmi a voi”

“Vuoi che chiami un rabbino?”

La donna scosse il capo “Sarebbe pericoloso e ci vorrebbe troppo tempo. Nell’ebraismo, si ritiene che dopo la morte il corpo tornerà alla terra da cui è originato, mentre l'anima ritornerà alla sua radice divina. Dunque ho solo bisogno che il mio corpo venga avvolto in un sudario e sepolto nella terra. Non bruciate o imbalsamate i miei resti. Ho già preparato il rito per il trapasso del mio spirito”

“Faremo come vuoi, Myriam”

 

Al sorgere del sole, Myriam, spirò lasciando il mondo terreno con un dolce sorriso sulle labbra e uno sguardo pieno d’amore rivolto alla sua principessa.

 

 

La sera dopo, Godric ed Eric decisero di abbandonare la Germania. Sarebbero tornati verso casa, verso le terre scandinave. Con loro una piccola bambina addormentata.

 

 

* Sara (principessa in ebraico), Evie (che dà la vita in ebraico), Jocelin (combattente/guerriera in ebraico)

1) “Låt mig varelse av natten. Jag måste rådgöra med din far!”  Svedese tradotto in italiano  “Fammi entrare, creatura della notte. Devo conferire con tuo padre!”

2) “Utbildning, Eric!”   à   “Educazione, Eric!”

3) “förlorade far”    à   “Perdono, padre”

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Capitolo 3
*** La sua infanzia ***


Cap. 2 - L'infanzia di Sara

2° Capitolo – L’infanzia di Sara

 

La primavera era alle porte tuttavia Godric continuava a coprire la sua piccola Sara come fosse inverno. Erano in Svezia dove freddo e neve eran sempre presenti. Non poteva permettere che si ammalasse perché, con il passare degli anni, si era reso conto che il corpo di quella piccola creatura, che gli era stata affidata tre decenni prima, era ancora più delicato di quel che pensava. E Sara non era una bambina cagionevole forse proprio grazie a tutta l’attenzione che lui e suo figlio le dedicavano.

Si volse a guardarla mentre se ne stava, accoccolata, tra le braccia di Eric. Sorrise al pensiero che, proprio come quella donna gli aveva detto, Sara era tremendamente viziata, amava le coccole e diventava capricciosa se non passava la maggior parte del suo tempo tra le loro braccia.

Tutti i giorni, dopo il tramonto, uscivano trascorrendo fuori casa qualche ora. Era diventato un rito.

Trovavano una taverna o un piccolo ristorantino e vi portavano Sara a cenare. Le facevano scegliere cosa mangiare divertendosi e ridendo delle sue faccine buffe. Si andava dalle faccette corrucciate, alle pernacchie o ai categorici no della piccola se la pietanza non era di suo gradimento; al contrario, se i piatti le piacevano, vi erano allegre grida estasiate, sorrisoni felici per arrivare alle insolite richieste di Ne voglio ancora … Proprio buono questo … E’ buono, papi vuoi assaggiare?.

Dopo cena si scatenava il solito scontro tra lei ed Eric, sempre sul medesimo argomento. Sara detestava camminare da sola o farsi tenere per mano, non correva mai, non interagiva con gli altri bambini e non giocava con loro. Il suo mondo era ristretto e ne facevano parte solo due individui, oltre a lei. Ed entrambi Impiegavano intere mezz’ore a convincerla ad interagire con altri bambini, come lei, a giocare con loro o anche solo ad allontanarsi dalla “zona sicura” che rappresentavano ai suoi occhi innocenti.

Da subito, i due vampiri si resero conto di non avere a che fare con una bambina normale, nel senso generale del termine, quanto piuttosto con un essere dotato di grande forza di volontà e determinazione. Avevano ipotizzato le più svariate teorie per tentare di spiegare i suoi atteggiamenti o comportamenti ed avevano una loro teoria.

“Credo che, vivere a stretto contatto con noi e le nostre raccomandazioni, le nostre abitudini e discorsi, i nostri atteggiamenti o modi di fare l’abbiano spinta a non fidarsi degli altri”.

Eric annuì pensieroso  “Non si avvicina agli altri per paura e questo è comprensibile ma oramai ha quattro anni … e non capisco perché non le piaccia correre o camminare come quei piccoli umani” disse indicando due bambini che giocavano tra loro, non molto lontani.

Godric sorrise e si sporse leggermente in modo da poter osservare Sara che se ne stava comodamente appollaiata sulle sue ginocchia. Erano seduti su un’umida panchina di plastica, al parco, mentre lei era intenta ad osservare con sguardo distaccato i pochi bambini rimasti a giocare.

Uno sguardo che ricordava quello distaccato e freddo che Eric usava in molte situazioni.

“Sara non è come gli altri bambini, Eric. E’ speciale” rispose muovendosi in modo che la piccola gli si potesse accostare al collo.

La posizione preferita di Sara era una ed una sola. Accoccolarsi sul petto dell’uno o dell’altro, incuneare il visino tra collo e clavicola, un braccio attorno alla nuca e la manina dell’altro braccio poggiata dall’altra parte del collo, quasi volesse percepire il battito inesistente dei loro cuori.

“E poi parla così poco…” continuò Eric voltandosi a fissare Sara che allungò le piccole braccia verso di lui

“Ma come??! Non fai altro che lamentarti delle donne che frequenti perché dici che parlano troppo e quando ne trovi una che usa le parole con parsimonia e, aggiungo sempre al momento giusto, te ne lamenti? Non sei mai contento, figlio mio”

Quest’ultimo commento fece sbuffare Eric, che per tutta risposta posò a terra, forse un po’ troppo rudemente, la piccola e la incitò ad andare a fare amicizia.

“Non ti va di conoscerli?” le domandò vedendola esitare

“Tu vieni con me?” domandò lei

“Devi farlo da sola”

“Papi?” domandò allora voltandosi verso Godric

Anticipando la risposta del suo creatore, Eric, la incitò a fare da sola  “Non sei una fifona, vero, Sara?”

Stuzzicare, con battute di questo tipo, il suo orgoglio era l’unico modo per incitarla a far qualcosa. Lei per tutta risposta, scosse la testa e si voltò decisa verso i due bambini. Si sistemò pazientemente i vestitini e alzò la testa pronta ad affrontare quella nuova sfida, per la prima volta da sola.

“Non aver timore, Sara” le sussurrò Godric all’orecchio

“E se non mi vogliono? Se mi fanno male?”

“Nessuno ti farà male” la rassicurò Eric con un sorriso  “Sono piccoli come te, vedi?”

“Io non sono piccola!” replicò lei corrugando scocciata la fronte e la boccuccia mentre i due scoppiavano a ridere. Poi senza dire altro si voltò e lentamente, con sguardo determinato, si avvicinò ai due bambini.

I due vampiri osservarono la scena curiosi ma anche un poco in ansia. Il loro timore era dovuto all’aver sperimentato la sofferenza di Sara nel momento in cui toccava o era toccata da un essere umano. Ben salda nelle loro memorie vi era ancora la scena accaduta ben undici anni prima…

 

 

         Godric stava finendo di rivestire Sara, dopo averle fatto il bagno, quando sentì la porta d’entrata aprirsi e chiudersi con violenza. Delle leggere risa in corridoio e poi una veloce corsa sulle scale. La porta della camera di Sara era stata spalancata da una donna alta, con corti boccoli biondi e aspetto curato. Sara, ormai del tutto vestita, volle esser rimessa a terra.

Sgambettare felice per casa, rincorsa dal suo papà le piaceva molto. La faceva ridere.

“Eccola qui! Ma sei una meraviglia, bambolina! Il mio accompagnatore, stasera, non ha fatto altro che parlare di te ed io son diventata curiosa”

Forse fu la vista di quei lucenti capelli biondi o di quegli occhi incredibilmente azzurri, forse fu il suo visino d’angelo che faceva pensare ad un piccolo cherubino sceso in terra. Probabilmente fu solo l’avventatezza di quella donna che, quella sera, procurarono a Sara incommensurabile dolore e scatenarono le ire funeste di Godric.

La donna si gettò sulla bambina, forse con il solo intento di sfiorarle le guance o di prenderla in braccio, e nonostante Godric fosse tra le due, Sara cominciò a gridare di dolore. Le sue grida andarono a fondersi con il ruggito furioso di Godric che accortosi della situazione uccise la donna spezzandole l’osso del collo, in pochi secondi.

Eric, salì le scale a tempo record e a quella vista sgranò gli occhi sconvolto. Superò con una falcata, senza quasi nemmeno vederlo, il corpo della donna bionda e si affiancò a suo padre, che nel frattempo aveva tolto la magliettina del pigiama a Sara.

La bimba urlava e piangeva furiosamente, dimenandosi dal dolore. Tra pancia e gamba l’impronta di un’ustione, la forma ricordava quella di una mano.

Erano entrambi senza parole, non avevano medicinali o altri rimedi umani in casa e portarla da un dottore era fuori discussione perché l’avrebbe toccata aggravando la situazione. Mentre Eric rimaneva immobile senza saper bene come procedere, Godric si era già inciso il palmo della mano. Cominciò con tocchi delicati e leggeri ad applicare poche gocce del suo sangue, sul pancino della piccola. Ripassò l’ustione più e più volte mentre le grida di Sara andavano via via scemando.

Senza pensarci nemmeno un secondo di più e prendendo esempio dal suo creatore, Eric si accinse a fare la stessa cosa. Incise profondamente il centro della sua mano da cui cominciò subito a colare sangue e si avvicinò a Sara. La mano di Godric, però, lo fermò e il suo sguardo lo raggelò.

“Tänker på den döda kvinnan!”

Era colpa sua … se non avesse portato quell’umana così vicino a Sara … tutto questo non sarebbe accaduto. Era colpa sua.

Ed Eric così fece. Si disfò del cadavere della donna morta, tornando poi subito a casa. Al rientro aveva trovato Sara addormentata nel suo lettino. Insolito per lei, dato che amava addormentarsi stretta ai loro petti.

Godric lo aspettava, in piedi, in salotto.

“Nessun umano è più ammesso. Non voglio che un altro di loro si avvicini più a mia figlia”

“Si padre”

“Usciremo di casa per nutrirci o per soddisfare altre voglie”

“Si”

“Non lasceremo mai, e dico mai, da sola Sara. La sua sicurezza così come la sua felicità è vitale per noi”

“Sono d’accordo”

“Bene”

“Mi dispiace padre”

“Non importa. Ora Sara sta bene. E nessuno di noi ne parlerà più” disse mettendo fine alla discussione

 

Tornarono entrambi al presente giusto in tempo per notare che uno dei due bambini aveva preso per mano Sara per farla partecipare ai loro giochi.

Eric fu il primo ad arrivarle vicino e strappò con violenza la sua mano da quella dell’altro bambino. La reazione dei due non si fece attendere. Scoppiarono a piangere entrambi con violenza.

Eric guardava e tastava febbrilmente la manina di Sara tentando di scorgere il motivo della sua sofferenza, aspettandosi da un momento all’altro il sorgere di una grave ustione. Godric al contrario, che aveva compreso in anticipo il motivo del piangere disperato dei due piccoli, si accinse ad usare l’ipnosi per calmare il bambino e a mandarlo a casa.

Poi sempre con calma si avvicinò ai suoi due figli ed esaudendo il desiderio di Sara, che impaziente di essere tranquillizzata gli tendeva le manine, la prese in  braccio.

“Eric, ricomponiti. Sara sta bene”

“Ma … piange”

“Certo che piange!” rispose il primo con un sorriso indulgente “L’hai spaventata!”

Nel frattempo Sara aveva smesso di piangere prendendo a singhiozzare di tanto in tanto. Godric le prese la mano mostrandola così ad Eric.

“Guarda, non ha ferite. Quel piccolo umano non le ha fatto male” poi rivolgendosi a Sara aggiunse  “Smetti di piangere Sara. Non è successo niente”

“Brutto cattivo” replicò quella rivolta ad Eric  “Mi hai fatta piangere!” gli gridò addosso con gli occhi ancora ricolmi di lacrime e il viso arrossato dallo sforzo

Godric sorrise benevolo tentando di placare gli animi e ristabilire l’armonia famigliare che tanto gli era cara e che tanto amava sentire attorno a lui.

“Tuo fratello non voleva farti piangere. Pensava che quel bambino volesse farti male e voleva proteggerti” le spiegò Godric pazientemente mentre tutti e tre tornavano verso casa

La piccola Sara rimase in silenzio per qualche minuto poi rivolta ad Eric domandò “Hai pensato che quel bimbo voleva farmi la bibi?”

Eric non riuscì a fare altro se non annuire e si allungò verso di lei per prenderla in braccio

“Davvero? Volevi farmi da difendaio?” domandò incespicando con le parole

“Difensore” le rispose annuendo Eric stringendosela addosso

“Mhm, allora non sei brutto e nemmeno cattivo. Però non spaventarmi più, va bene?”

“Te lo prometto, Sara” rispose quel guerriero biondo, obbligandosi a prendere aria dalla bocca fingendo di respirare solo per riuscire a calmarsi un poco.

Avevano capito molto presto che gli stati d’animo dei genitori degli umani influivano su quelli dei loro figli e avevano deciso di applicare lo stesso metodo con Sara. Godric ed Eric non erano i suoi genitori biologici tuttavia, per lei, erano vitali perché la stavano crescendo. Quindi placando se stessi si calmava, di conseguenza, anche la piccola Sara.

Eric aspirò ancora una boccata d’ossigeno e trattenne dentro di sé il profumo che la pelle e il sangue di Sara emanavano. Era un profumo così delizioso ed invitante da divenire irresistibile eppure entrambi avrebbero preferito venire uccisi mille volte piuttosto che assaggiare quel sangue. Questo perché nonostante il suo aroma fosse così avvolgente ed attraente loro sapevano appartenere alla loro amata Sara.

“Comunque sei in punizione, vero papi?”

La vocina di Sara riportò Eric nuovamente al presente

Godric, che stava sorridendo, annuì in risposta  “Quale sarà la sua punizione, Sara?”

La piccola sembrò pensarci seriamente poi infine parlò “Mi devi fare un sacco di coccole per tanti giorni e dobbiamo giocare sempre insieme e fare la nanna insieme e la pappa insieme. Sempre!”

Eric scoppiò a ridere mentre Godric replicava trattenendo le risate “Ma questa non è una punizione Sara … questo è un premio per te!”

“Quel che ha detto è deciso. Non si può più cambiare!” replicò Eric entrando in casa, con in braccio Sara e seguito da Godric  “Sconterò la punizione da domani. Ora a nanna, pulce!”    

 

 

 

* Tänker på den döda kvinnan= pensa alla donna morta

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Capitolo 4
*** I sogni ***


3° Capitolo

 

 

 
3° Capitolo I sogni

 

“Eric?”

“Mhm”

“Perché cambiamo sempre casa?”

La domanda era sorta spontanea in quella piccola testolina bionda e dato che il suo papà, che sapeva sempre tutto, era via da qualche giorno, lei lo aveva chiesto al suo Eric.

“Perché è più sicuro” le aveva risposto continuando a leggere

“E’ per me?”

 A quelle parole, Eric mise da parte il giornale per dedicare tutta la propria attenzione a quella bambina di sette anni, appena compiuti, che gli stava di fronte con gli occhioni azzurri sgranati.

“Certo che no, Sara. Non è colpa di nessuno. Godric pensa sia più sicuro se, ogni tanto, cambiamo città” rispose accarezzandole i capelli per poi sollevarla e prenderla sulle ginocchia.

“E’ perché io sono strana? Oppure perché non potevamo uscire di giorno?”

“Tu non sei strana”

“E’ perché sono una bambina bellissima?”

Eric scoppiò a ridere “Chi ti ha detto che sei una bambina bellissima?”

“La nostra vicina, la Sig.ra Dupont. Ieri sera, quando eri fuori per mangiare, lei veniva a trovarmi”

“Che cosa?” domandò Eric stupito ed arrabbiato  “Sara, sai bene che non devi fare entrare nessuno in casa. E poi sono rimasto fuori nemmeno un’ora. Quando è venuta? Che cosa voleva? Cosa ha detto? Ti ha toccato?” domandò lui osservando con scrupolosa attenzione il suo visino in attesa di risposte e poi braccia e gambe in cerca di segni, lividi o ustioni

“Sono in castigo?” domandò lei abbassando gli occhi e stropicciandosi il suo vestitino rosso

“Non sei in castigo ma hai fatto una cosa che non devi fare. Mai. E’ pericoloso! Potevi farti male. Ed io non voglio che ti succeda niente. Adesso raccontami tutto.”

“Veniva quando tu stavi fuori e mi ha portato le fragole. E le ho mangiate ed erano così buone. Mhm! Tutte rosse rosse e alcune ci avevano dei puntini verdi e io me li sono mangiati pure a loro!”

“Stai parlando in maniera assurda. Hai sbagliato tutti i tempi verbali!”

“Uffa! Non è colpa mia… è questa lingua … non mi piace!” sbuffò lei arricciando in maniera buffa la sua boccuccia

“Siamo in Francia solo da qualche mese … ti ci abituerai. Comunque che voleva quella vecchia  impicciona?”

“Mi ha chiesto se ero da sola in casa. Se avrebbi mangiato e se mi piacevano le fragole.”

Eric annuì aggiungendo “E tu che gli hai detto?”

“Che si, avevo già cenato e che le fragole mi piacerebbero sempre. E lei me le ha date e io le ho mangiate tutte. Domani me ne compri altre?”

Eric sorrise della sua parlantina ripensando che molto tempo prima si lamentava del fatto che parlasse poco. “Hai di nuovo sbagliato i tempi verbali, Sara. Domani dedicheremo mezzoretta in più alla grammatica francese.”

“Nooo, uffi! Non mi piace. So già il tedesco e svedese e inglese. Perché devo impararla?”

“La grammatica di queste lingue si somiglia molto ecco perché non hai avuto difficoltà ad apprenderle velocemente. Il francese, al contrario, è una lingua di origini latine come lo spagnolo e l’italiano. Hanno una grammatica differente ed una pronuncia differente. Ora non preoccuparti di questo. Corri a lavarti i denti e a metterti il pigiama. E’ tardi, sono quasi le quattro e dovresti essere sotto le coperte già da un pezzo!”

Sorrise ancora quando la sentì in bagno, strofinarsi i denti per poi correre in camera per infilarsi il pigiama. Quando scese aveva ancora i capelli legati in due lunghe trecce.

“Mi fai i capelli?”

Annuì per poi cominciare a sfilarle gli elastici e scioglierle le trecce “Stanno diventando lunghi”

“Lo dice sempre anche papà … dice che sono belli e morbidi”

“E’ vero” replicò lui con un sorriso divertito 

“Anche a me mi piacciono molto perché papi me li lava sempre con lo shampoo profumato alla frutta, che è solo per le bimbe. E poi il profumo resta su tutti i miei capelli e loro profumano sempre. E a me mi piace tanto perché sono bellissimi come me”

“Vanitosa” borbottò lui con un sorrisino impertinente

Finito con i capelli, la prese in braccio e la portò di sopra. In camera sua.

“Forza sotto le coperte, pulce!”

“Non sono più una pulce … sono grande adesso! Ho controllato sul mio libro degli animali e le pulci saranno piccole e brutte e tu non mi potessi più chiamare pulce perché io sono una bambina bellissima e grande!” replicò lei saltando sul letto ed infilandosi in fretta sotto le coperte

“Quando diventerai alta come me smetterò di chiamarti pulce … nel frattempo continuerò a farlo. Ora dormi. Fai sogni d’oro Sara!” le rimboccò le coperte e le diede un bacio sulla guancia

“Eric?”

“Mhm?”

“Quando torna papi? Mi manca…” sussurrò quasi addormentata

“Tornerà presto. Ora dormi. Sogni d’oro” replicò lui alzandosi per andare a spegnere la luce

“Ti voglio bene, Eric”

“Anche io, pulce” sussurrò uscendo dalla sua cameretta

 

 

 

Stava scendendo lentamente le scale quando sentì il cellulare nella tasca vibrare. Schiacciò il tasto invio e lo posai all’orecchio.

“Godric?”

“Figlio mio, ho buone notizie.”

“Davvero? Dimmi” lo pregò Eric chiudendo la porta del salotto e accomodandosi in poltrona

“Come sta Sara? Dorme?”

“Si, l’ho appena messa a letto. Stasera era un vulcano, ha parlato tutto il giorno a macchinetta. E da quando ha scoperto le fragole quasi non mangia altro. Con il francese invece non ci siamo proprio. Sbaglia tutti i verbi” gli riferì ridacchiando

“Dobbiamo avere pazienza. Non è facile continuare a cambiare posto ed imparare sempre una lingua diversa. E’ molto intelligente ma rimane sempre una bambina.”

“Mi ha chiesto quando torni … perché sente la tua mancanza”

“Ed io la sua” rispose dolcemente Godric  “E la tua. Tornerò entro la fine della settimana. Ora dimmi, ci sono novità inerenti il suo potere?”

“No, alcuno. Coglie immagini ed emozioni come al solito. Purtroppo la maggior parte di queste non riesce a comprenderle appieno quindi riferirle o spiegarle le riesce difficile. Non sempre riesco a capire cosa realmente vede o percepisce. In merito alle nostre uscite, ho notato che i suoi mal di testa aumentano in maniera proporzionata al tempo che sta a contatto con gli umani” continuò ad aggiornarlo ancora “Mentre per quanto riguarda il licantropo, quello a cui avevi parlato, ha seguito il tuo suggerimento ed è andato via due giorni fa”

“Molto bene. Presta maggiore attenzione a questi mal di testa o ad altri fastidi.”

“Lo farò. Tu invece? Cosa hai trovato? Fin dove ti sei spinto?”

“Ho trovato elementi e testimonianze che non lasciano dubbio alcuno. Credo di aver compreso quale sia la natura del padre biologico di Sara”

“E quale sarebbe?”

“Si tratta di un fairy, Eric.”

“Una fata?” domandò Eric sollevandosi in piedi di colpo  “Sono creature leggendarie … non esistono … le fate …”

Una risata allegra si diffuse tramite l’apparecchio  “Creature leggendarie che non esistono? Qualcuno potrebbe dire altrettanto dei vampiri, non ti pare?”

“Ma padre … una fata … in tutta la nostra esistenza non ne abbiamo mai incontrate e non cred…”

“Ne incontrai un esemplare, una volta. Moltissimo tempo fa, alcune centinaia di anni prima che incontrassi te.”

“Raccontami per favore…” lo pregò Eric

“Non ora e non per telefono. Ho racconto molto materiale e porterò tutto con me. Tornerò a casa entro tre giorni. A presto” ed interruppe la comunicazione

Eric sospirò e, dopo aver controllato per bene porte e finestre, salì al piano di sopra. Controllò che Sara stesse dormendo serenamente e si infilò nel suo rifugio. Aveva bisogno anche lui di riposo. Si sdraiò supino e chiuse il coperchio, sigillandolo dall’interno. Si sistemò meglio e finalmente serrò gli occhi. Un oblio di nulla lo attendeva.

 

 

 

 

Il momento del risveglio arrivò fin troppo presto, per quel giorno, tuttavia Eric lo percepì immediatamente. Spalancò gli occhi d’improvviso e sbloccò il sigillo di chiusura. Sollevò il coperchio e si alzò velocemente.

Per prima cosa controllò Sara e la trovò rannicchiata su se stessa, sul bordo del suo lettino, ancora addormentata. Quindi si diresse in cucina, aprì la dispensa e prelevò un paio di bottigliette di true blood che si premurò di inserire nel fornetto a microonde.

Si sedette al tavolo della cucina e fece la sua solita colazione. Nel silenzio della stanza, si concentrò meglio ripensando alla conversazione telefonica che aveva avuto il giorno prima con Godric.

Possibile che si tratti davvero di un fairy?

Gettò velocemente le bottigliette vuote della colazione nel sacco dell’immondizia e si accinse a lavarsi le mani. La sua piccola principessa  si stava svegliando perciò la raggiunse nella sua cameretta.

“Ben svegliata, bella addormentata” la accolse, come ad ogni suo risveglio, Eric

Lei però non rispose con la sua solita frase né si gettò, come era solita fare, fra le sue braccia per la sua dose di coccole e solletico mattutina. Rimase immobile, sotto le coperte, con il visino nascosto.

“Sara, cosa c’è? Stai male?” il tono preoccupato

“Quando torna papi?” domandò lei, senza rispondere

“Fra tre giorni al massimo”

“Davvero? Davvero torna fra pochi giorni?” schizzando fuori dal letto, fiondandosi su di lui che l’accolse con un sorriso rasserenato

“Certo. Ora dimmi, cosa vuoi per colazione?”

“Fragole!” esclamò lei correndo allegramente in bagno per fare pipì e lavarsi mani e faccia.

“Niente fragole, Sara. Le hai finite ieri. Più tardi usciamo a comprarle ma per colazione dovrai scegliere altro”

Quando tornò in camera aveva un visino imbronciato e strascicava i piedi a terra, poi si avvicinò sino ad attaccarsi alla sua camicia.

“Davvero sono finite?”

“Si, Sara. Te le sei finite tutte, golosona senza fondo!” la prese in giro arruffandole i capelli spettinati.

“Allora mi toccherà latte e biscotti, uffa!”

“Manco fosse qualcosa di terribilmente amaro!” borbottò lui

Scesero insieme in cucina e, mentre lei immergeva una valanga di biscotti nella sua tazza di latte, come ogni mattina lui le domandò

“Hai fatto qualche bel sogno?”

“Il solito … sempre quella signora che mi parla ma non la capisco … però oggi mi ha detto il suo nome” borbottò lei a bocca piena sputacchiando pezzi di biscotti ovunque

“Non si parla con la bocca piena, Sara, lo sai” la rimproverò porgendole poi un tovagliolino di stoffa  

“E’ colpa tua! Non si chiedono le cose alle bambine quando mangiano latte e biscotti!”

“E’ sempre la stessa signora? Sei sicura?” continuò lui sogghignando, senza badare alla sua replica

 “Si, sempre la stessa signorina.”

“Perché dici signorina? Di solito la chiami signora.”

“Stavolta mi ho avvicinata perché la vedevo bene e non avevo paura. E in faccia è giovane”

“Giovane come me e Godric?” domandò curioso ed interessato

“Si, si” rispose annuendo con il capo

“E qual è il suo nome?”

“Mi ha detto che si chiama Saphira e io gli ho detto che il suo nome era bello. Non so se mi avesse capito però… ma mi ha sorriso.”

“E poi?”

“E poi basta … perché il sogno fu finito” rispose lei finendo di bere il latte

“A proposito di fu finito e altre delizie del genere…  Sai cosa ci aspetta questa mattina, mia bellissima bambina?”

“Oggi è giovedì … la mia materia preferita!” esclamò lei tutta allegra

“Oh no, no, no! Non stamattina, storia è rimandata al pomeriggio. Stamattina facciamo grammatica francese!” esclamò con un sorrisetto sadico in volto

 

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=VvsMzU0HnFY

 

Esattamente tre giorni dopo, Godric tornò a casa per la gioia della piccola Sara. La sera stessa mentre Sara lavava i denti e metteva il pigiama Godric ed Eric iniziarono a discutere.

“Sono arrivato fino alle remote lande scozzesi per riuscire a seguire tracce valide ed è lì che ho avuto la conferma. L’idea mi è venuta quando Sara ha sentito quella strana musica al parco, ricordi?”

“Il mese scorso, certo. Ma era musica di strada, cosa c’entra?” domandò Eric non riuscendo a trovare l’immediato collegamento

“Ricordi cosa fece non appena sentì quella musica?”

“Si è messa a danzare…”

“Esatto” annuì Godric “La melodia successiva era molto diversa e lei smise immediatamente. Disse una cosa particolare dopo … disse che si sentiva triste ma allegra insieme, che quella musica le piaceva tanto perché era allegra ma subito dopo si è sentita triste. Ed io le risposi che l’emozione che sentiva si chiamava malinconia”

Eric si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro quasi inseguendo un pensiero fuggiasco “La malinconia è un’emozione quasi inconsapevole, consiste nel profondo desiderio di un qualcosa, una cosa o una persona mai conosciuta oppure un sentimento mai provato, ma di cui si sente forte la mancanza… la danza!” esclamò all’improvviso voltandosi verso il suo creatore che rispose annuendo soddisfatto

“Ti raccontai tutto quello che Sarah mi raccontò prima di morire e di affidarci la piccola perciò mi resi conto di dover scavare più a fondo. Ed è seguendo questo ragionamento e formulandone di nuovi che sono giunto alla conclusione che non possa trattarsi che di un esemplare di Fairy.”

“Cosa sappiamo delle fate che si discosti dalle favole?” domandò Eric sedendosi nuovamente

“Le fate, come ben sai sono creature leggendarie ormai diffuse in tutto il mondo ma ho trovato figure mitologiche affini nei racconti medievali dell’Europa dell’est. Secondo le radicate credenze dei paesi dell’Europa meridionale, forse influenzati dalla religione e dai suoi credi, la fata non ha nulla di umano e solo in rari casi presenta caratteristiche umanoidi. Tu ben sai che gli esseri umani sono considerati una forma di vita molto recente rispetto ad altre creature e agli animali stessi, quindi che ha ancora molto da imparare. La maggior parte di queste leggende accosta la natura di queste creature a quelle dell’uomo come sua guida e fra queste vi  sono proprio le fate. Vi sono moltissimi miti sull’origine di queste creature, esattamente come ce ne sono centinaia per la nostra. Alcuni racconti parlano di un piccolo popolo, quello delle fate che hanno avuto contatti con la razza umana mentre altri racconti si riferiscono a questi esseri chiamandoli con il nome di fairies e per queste il contatto con gli umani è proibito”

“Proibito!” esclamò Eric sollevandosi di nuovo in piedi  “Ecco perché suo padre è stato ucciso. E’ stato punito per essersi mostrato!”

“Già, ritengo che sia successo proprio questo” mormorò Godric annuendo “Durante le mie ricerche, ho notato nonostante le diverse teorie, i differenti miti o credi alcune caratteristiche ricorrenti. La durata di vita di queste creature è incredibilmente lunga, sono dotate di doti particolari legate alla creatività, come l’arte o la danza, o doti intellettive superiori. Gli umani le accostano quasi alle muse perché sembra suscitino ispirazione ed intenzioni a forme di cultura molto alte. La indole di queste creature è buona ma questo, naturalmente, non vale per tutti gli esemplari della specie. Caratterialmente, invece, sembrano essere piuttosto vanitose, un poco egocentriche e permalose.”

“Ma questa è Sara!” esclamò Eric alzandosi in piedi nuovamente  “Lei è vanitosa e permalosa e adora che il mondo le giri intorno! Lei è buona e allegra”

“E incredibilmente sveglia e intelligente” gli fece eco Godric “E dotata di doni e poteri inimmaginabili!”

La loro discussione venne interrotta dall’arrivo di un piccolo ciclone in pigiama rosa

“Come sto?” domandò la piccola Sara facendo mezze giravolte in modo da farsi ammirare da ogni angolo “Adesso sono una bambina molto più bellissima!” esclamò ridacchiando allegramente

“Tu sei bella sempre, Sara” le sussurrò Godric all’orecchio mentre lei lo abbracciava ridacchiando allegra

 

 

“Sara, ti va di raccontare anche a Godric della signora del sogno?” domandò Eric andando a spegnere le luci e accendendo un paio di candele profumate. Lentamente, si avvicinò al grande impianto stereo e premette il pulsante di avvio.

Una dolce musica di sottofondo riempì subito la stanza, rilassando tutti e tre all’istante.

Avevano scoperto il potere delle musica new age per riuscire a far dormire Sara, nei primi mesi. Si accorsero subito che la musica era il suo tallone d’Achille. Questo genere, infatti, la metteva sempre KO e la rilassava arrivando quasi ad influenzare la sua coscienza rendendola più mansueta e malleabile.

Sara difatti si rilassò subito e si accoccolò meglio tra le braccia di Godric.

“Da qualche giorno sogno sempre una signora … ma prima non la vedessi bene perché era un po’ confuso ed io ho paura e non mi avvicinavo. Ma oggi l’ho vista bene ed è una signorina”

“Vuoi dire che è giovane?”

“Si, si. Ed è anche bella ed ha un bel nome. Non capisco quando lei parla ma oggi si e io lo trovo molto bello il suo nome. Però è più bello il mio perché io ne ho tanti” aggiunse Sara, ormai quasi addormentata

“E come si chiama questa signorina, Sara?”

“Saphira, papi” rispose lei, in un sussurro, prima di addormentarsi completamente

Godric alzò di scatto gli occhi verso Eric che lo guardava ed annuiva sorridendo.

“Saphira?” sussurrò incredulo Godric  “Era il nome di sua madre”

“Così sembra, padre” rispose Eric prendendo Sara dalle sue braccia e stringendola tra le proprie  “La porto di sopra”

E come ogni giorno, dopo averle rimboccato  le coperte le diede il bacio della buonanotte.

“Sogni d’oro, pulce”

 

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Capitolo 5
*** Una vita per una vita ***


4° Capitolo

4° Capitolo Una vita per una vita

 

https://www.youtube.com/watch?v=iMyo8I8AKmY

 

La sofferenza di quella donna le arrivò al cervello veloce ed improvvisa come un fulmine. Non se lo aspettava e inizialmente non seppe cosa fare, come reagire.

E forse furono la sua essenza e il suo potere ad agire per lei.

Sapeva solo di dover trovare la fonte di quel malessere e mettervi fine perché non poteva accettare che quella signora fosse scossa da un dolore così straziante.

In fretta si fiondò giù per le scale e arrivò davanti alla porta. Sapeva bene che sarebbe stata chiusa, così si sollevò sulle punte e si attaccò al solido e grosso pomello tentando di farlo scattare; se ci fosse riuscita la porta si sarebbe aperta.

Eravamo in salotto, Godric ed io, a discutere quando quel piccolo vulcano irruppe nella stanza cominciando a ciarlare velocemente.

Ricordo ancora le esatte parole…

 

“Dobbiamo raggiungerla perché sta male” cominciò a spiegare lei  “E’ qui vicino … la sento bene” continuò per poi ingarbugliandosi con le parole, come al solito  “Dovrebbero aiutarla perché penso che stia piangendo per qualcuno di piccolo!”

“Non si è capito un accidenti, Sara” la interruppi scocciato  “Spiegati meglio!”

“E’ molto triste papi … ti prego, aiutiamola” replicò lei rivolta verso Godric, che le stava di fronte, senza considerare minimamente le mie parole o la mia presenza

Godric continuava a fissarla insistentemente senza parlare poi, dopo un breve assenso del capo, le porse la mano

“Dove si trova?”

 

Sorrise raggiante e gli buttò le braccia la collo. Lui la prese in braccio e seguendo le sue dettagliate istruzioni raggiungemmo un piccolo cimitero, sul limitare della città. Da sempre ed ogni volta che cambiavamo città, sceglievamo un’abitazione ai margini del paesino, in modo da non dare nell’occhio.

Sara si fece rimettere a terra e seguendo le onde celebrali della donna, la raggiunse. Quella se ne stava inginocchiata, con in mano una piccola rosa bianca, di fronte ad una lapide collocata da poco; la terra era scossa e ancora soffice quindi il trapasso era recente.

 

“Odore di sangue” sussurrai annusando l’aria e, prendendo per mano Sara, l’avvicinai a me  “Restami vicino” le sussurrai all’orecchio

“Ho paura” mi rispose con lo stesso tono basso mentre mi si stringeva più addosso  “E’ tutto buio”

“Sara” richiamò la sua attenzione Godric  “E’ lei?” domandò volgendo lo sguardo attento verso la donna inginocchiata che ancora non aveva scorto la loro presenza

“Si. Vedo un bimbo piccolo” riferì lei sottovoce

 

Quelle immagini avrebbero continuato a vorticare per il cervello di Sara per molto tempo. Quella donna non faceva altro che rimanere aggrappata a ricordi ed immagini ben precise. E Sara, quasi fosse una radio sintonizzata sulla mente di quella donna, vedeva e sentiva ogni cosa. Volle avvicinarsi a lei così fui costretto a seguirla.

“Stai bene, signora?” le domandò abbassandosi e avvicinandosi a lei

Vidi la doona sorriderle ed annuire in risposta poi la sua mano si sollevò e si avvicinò alla soffice guancia della mia Sara.

“Non toccarla” ringhiai bloccandole con forza il suo braccio

La donna sgranò gli occhi, che presto andarono a riempirsi di lacrime, ma annuì.

 

Sara allungò incautamente una manina verso le vesti della donna e si accorse che perdeva sangue. Si era sparata allo stomaco ed ora non faceva altro che aspettar di morire.

“Ti sei fatta male?” domandò ancora toccandole, questa volta, le mani piene di graffi “Perché ti esce sangue?”

 

Gloria entrò nella nostra vita da quella sera. Naturalmente non come umana, era davvero troppo tardi per riuscire a fare qualcosa per lei. Fu salvata da Godric perché fu la prima umana che riuscì a toccare Sara senza farle male.

Fu la prima e rimase l’unica per molto tempo forse proprio perché stava ormai morendo…

Il fenomeno, legato al contatto tra Sara ed un umano, quindi la sofferenza e ustione della pelle, era qualcosa che mi aveva sempre affascinato. Né io né Godric riuscimmo mai a capire cosa lo provocasse anche perché la madre biologica di Sara, nonostante le sue origini e le sue conoscenze occulte, era sempre stata umana.

Con il progredire dell’evoluzione di Sara, però, quel particolare fenomeno diminuì e scomparve del tutto intorno al suo diciannovesimo anno di età. Questo però lo seppi solo molto tempo dopo perchè fu lei stessa a riferircelo.

 

 

 

 

Dall’età di dieci anni, la crescita di Sara si velocizzò.

Sino a quel momento ogni circa nove o dieci anni Sara ne compiva uno mentre ora ne passavano appena quattro o cinque. Il legame tra lei e Gloria era maturato di giorno in giorno; l’una felice per l’arrivo di una figura femminile che potesse fungerle da mamma mentre l’altra, prima la malattia poi la prematura morte del figlio l’avevano spinta sull’orlo della depressione e poi del suicidio, quindi fare la mamma era un sogno che si realizzava.

E forse fu proprio questo che spinse me e Godric ad allontanarci.

Affidammo Sara, ormai quattordicenne, a Gloria mentre io e Godric iniziammo a viaggiare. Allontanarci da lei, dalla nostra bambina, era stato penoso e non vederla per più di vent’anni fu molto duro.

Gloria decise di non lasciare mai la Francia ma cambiavano molto spesso cittadina, spostandosi per tutto il paese. Ci teneva costantemente informati su tutto: sui loro spostamenti, sulla vita e i cambiamenti che avvenivano in Sara, sui suoi doni. Per quanto mi riguarda domandavo più di lei e del suo quotidiano che dei suoi poteri.

Passavamo molte ore al telefono, io e Sara. Le chiedevo spesso di raccontarmi le sue giornate, di come andasse con la lingua francese, della sua golosa ossessione per le fragole. Lei, invece, mi faceva un mucchio di domande sui miei viaggi, sulle città che visitavo o in cui sostavo.

Era sempre stata curiosa.

I poteri di Sara crescevano e spesso lei ne era spaventata; da questo punto di vista Gloria l’aiutava moltissimo. Conosceva la sua natura ed esattamente come me e Godric, sapeva di cosa fosse capace. Quindi a fasi alterne la consolava o la incitava, la vezzeggiava e l’adulava, l’amava e la coccolava … nel modo giusto e al momento giusto. Proprio come avrebbe fatto una madre. La istruiva ed le insegnava a sfruttare al meglio e correttamente le sue doti facendola diventare, come spesso mi diceva al telefono, ogni giorno più speciale.

 

 


POV Sara

I sogni diventarono sempre più frequenti ma impiegai lo stesso molto tempo prima di riuscire a capire cosa quella donna dicesse o cosa volesse comunicarmi. Mi disse di chiamarsi Saphira e di essere mia madre. Quella rivelazione ebbe il potere di colpirmi profondamente e fu per questo che non lo raccontai subito a Gloria.

So, con assoluta certezza, che mi avrebbe aiutato e sostenuto al meglio, lasciandomi libera di pensare e agire come meglio credevo eppure volli tenerlo, almeno all’inizio, per me sola.

Con il tempo, e l’aiuto di un buon dizionario, compresi quale fosse la lingua che parlava mia madre: la lingua romena. Una lingua romanza balcanica di difficile comprensione, appartenente al gruppo indoeuropeo, adottata in Romania, Moldavia, Serbia, Bulgaria, Russia, Ucraina e Ungheria.

Saphira, nei miei sogni, appariva sempre come una bellissima e giovane donna con incredibili occhi azzurro cielo, anche se di una tonalità più chiara dei miei. Mi raccontò molto di lei e della sua famiglia, dei miei nonni quindi. Mi raccontò di come e quando aveva conosciuto mio padre e di come se n’era innamorata.

Nei miei sogni, eravamo sempre circondate da un lussureggiante e rigoglioso giardino floreale. L’erba verde mi accarezzava i piedi e solleticava le mie caviglie mentre il delicato profumo dei fiori lambiva dolcemente il mio olfatto.

I nostri incontri mi erano così graditi che ben presto mi abituai ad incontrarla nei miei sogni. Mi sentivo speciale e fortunata come poche perché pur non avendola conosciuta in vita avevo la possibilità di viverla. Ogni volta, mi raccontava aneddoti e storie diverse; mi intratteneva parlandomi della mia natura, di cosa ero e di quali doni avevo e avrei sviluppato, in futuro. Ed io mi sentivo bene, sentivo finalmente di appartenere a qualcuno, di far parte di qualcosa di reale e tangibile.

Dopo qualche mese, però, gli incontri si fecero più diradati ed in uno degli ultimi conobbi anche mio padre. Era di una bellezza davvero sfolgorante ed io gli assomigliavo davvero moltissimo. Il colore dei miei amatissimi capelli era uguale al suo, di un biondo luminoso, così come il colore degli occhi ed alcuni tratti del viso. Gli assomigliavo in maniera incredibile.

Mi confidarono che il mio primo nome era Sookie e che si trattava di un nome molto diffuso e di una certa importanza tra le fate. Nell’ultimo incontro, parlammo davvero molto ed io raccontai loro tutto di me, di dove vivevo o di come trascorrevo le mie giornate. I loro sguardi e il tono della loro voce mi trasmisero sensazioni così dolci e amorevoli da farmi lacrimare il cuore.

Sentivo che quello sarebbe stato il nostro ultimo randez-vous.

Mi dissero di non amare molto la razza dei vampiri tuttavia si dimostrarono soddisfatti quando raccontai di Godric, Eric e Gloria e di cosa e quanto loro avessero fatto per me. Gli spiegai di come, questi tre vampiri, mi avessero protetta ed accudita per tutti questi anni, di quanti sacrifici e pericoli avessero corso a causa mia. Io provavo dell’affetto incondizionato per loro e questo anche se ne conoscevo la natura cruenta e sanguinaria. A questo proposito mio padre mi pregò di stare attenta e di prestare molta attenzione, di non fidarmi troppo delle creature di quella specie perché, mi spiegò, si trattava di esseri oscure molto pericolosi per gli esseri fatati. La causa era imputabile all’aroma del sangue di quest’ultimi che sembrava essere irresistibile per i vampiri. Molte fate, infatti, erano state “succhiate a morte” dai vampiri.

Mi salutarono, baciandomi dolcemente la guancia e quella fu l’ultima volta che li vidi.

Raccontai tutto, a Gloria, ma solo molto tempo dopo.

Lei, con il tempo, era diventata una figura essenziale; per la mia crescita, per il mio sviluppo intellettivo ed emotivo. Grazie a lei conobbi la compassione, la generosità e l’altruismo; concetti che fino ad allora, con Godric ed Eric, non avevo compreso appieno. Riuscì a capire e a percepire al meglio emozioni quali il dolore della perdita, la paura, l’ansia o il panico. Riuscì a scindere concetti quali sentimenti, emozioni e passioni differenziandoli all’interno delle menti degli esseri umani, con il quale entravo in contatto.

La telepatia, capacità di cui ero dotata, si era dimostrata in molti casi un dono prezioso. Più volte ero riuscita ad agevolare la mia famiglia e persino me stessa, grazie ad essa. Ma non era affatto facile da gestire. Questa mia intrusione mentale mi provocava spesso fastidiosi mal di testa ed interferiva, pesantemente, nella rete sociale di conoscenze ed amicizie. Eppure, con l’aiuto di Gloria ero riuscita, con il tempo, a creare degli scudi mentali che mi impedissero di star male o di risultare strana o sgradita agli altri.

La normalità era un lusso per me. La desideravo con intensità pari al desiderio d’acqua di un assetato nel deserto.

Forse fu proprio a causa di tutte queste precauzioni che non riuscì a decifrare interamente i pensieri mentali di Luis, un umano innamorato di Gloria e di cui lei si innamorò a sua volta.

Fu a causa sua, a causa di Luis, che Gloria morì. Si svolse tutto così velocemente ai miei occhi che non riuscì a comprendere subito cosa fosse accaduto. Quando lo vidi ferire a morte, Gloria, e poi scappare … beh, solo allora compresi.

Le immagini di quella notte sono ancora confuse e deboli eppure…

 

Era notte e stavamo percorrendo, a ritroso, la strada che sempre imboccavamo quando uscivamo. Non percepì emozioni o sensazioni particolari, ero tranquilla e rilassata ed un momento dopo gridavo cercando aiuto, preda di forti singhiozzi. Subito dopo l’attacco, quella notte, non riuscì a fare altro se non ascoltare attentamente ed ubbidire ciecamente alle istruzioni che Gloria, con voce pacata ma affaticata, mi dettava.

Non la lasciai andare e quando si accasciò a terra la seguì, reggendole il capo sulle gambe. Ero immobilizzata dalla paura e dallo sgomento perché prima di allora non avevo mai conosciuto la paura della perdita e il dolore dell’abbandono. Nessuno mi aveva preparata a questo ed io mi sentivo andare in pezzi. Nessun collante mi teneva unita mentre, immersa in una pozza di sangue, suo e del suo Luis, Gloria mi prese la mano iniziando a parlare

“Sookie, devi trovare Godric” le parole venivano fuori a fatica “Parti subito, non indugiare”

“Oh, Gloria … come faccio… non posso lasciarti qui …” sussurrai in risposta con gli occhi pieni di lacrime

“Devi tesoro. Non … non c’è altra soluzione” cominciò a sputare sangue dalla bocca ed io mugolai come se la ferita fossi io

“Trova Godric. Con lui sarai al sicuro. Vai … ora”

“Sei ferita … non voglio lasciarti…” singhiozzai ancora, abbassandomi ad abbracciarla stretta

Lei ricambiò l’abbraccio baciandomi con dolcezza materna una guancia

“Ora fai come ti ho detto, Sookie. Devi andare via di qui perché … è pericoloso. Trova Godric e raccontagli tutto questo. Lui saprà cosa fare.”

Scossi la testa, continuando a piangere a dirotto. Avevo il cuore spezzato e non riuscivo a fare altro se non rimanere immobile ed aspettare che parlasse di nuovo

“Morirai… se non ti aiuto morirai… io non voglio Gloria… ti prego non morire”

“Ti voglio tanto bene, bambina mia. Ti ho amato moltissimo e sono così orgogliosa di te e di quello che sei. Non aver paura … ti ho insegnato ad essere forte!”

Annuì tirando su con il naso e scacciando le lacrime con le mani sporche del suo sangue

“Ora vai. Non c’è più tempo. Parti subito … corri”

E così feci. Mi alzai, le diedi un’ultima carezza e cominciai a correre. Mi voltai un’unica volta indietro e, da lontano, la vidi guardarmi un’ultima volta. Poi il sangue la soffocò del tutto … e per sempre.

Con la morte nel cuore e il dolore negli occhi, mi fiondai a casa. Una doccia veloce, un bagaglio leggero, soldi, telefono e scappai da quella casa per sempre.

 

Purtroppo non riuscì a rintracciare Godric ma fu capace di scovare Eric. Presi tutto e mi affrettai all’aeroporto.

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Capitolo 6
*** E nel frattempo Eric... ***


Capitolo 5°

5° Capitolo e nel frattempo Eric…

 

Io, seguendo il consiglio di Godric, avevo creato il mio primo vampiro andando così a dare vita alla mia progenie.

Si trattava di un passo molto importante nella vita di un vampiro perché si entrava di diritto nella fase successiva della propria eterna esistenza. Non si era più solo un vampiro con quel passo si diventava creatore, quindi padre. Diventavi responsabile di un altro essere, che necessitava di essere guidato ed introdotto in una nuova dimensione, in una nuova vita. Eri suo padre ma anche il suo insegnante. Importante era l’usare il bastone e la carota con cognizione di causa in modo da garantirti una discendenza adeguata.

Per quanto mi riguarda, essere creatore è una sensazione dolceamara. Un qualcosa di nuovo ma non sempre positivo. Avevo scelto Pam, una donna, e l’avevo plasmata a mia immagine e somiglianza.

Pam aveva l'aspetto di un'eterna venticinquenne, perché fu a quell’età che la incontrai e la trasformai. La sua carnagione è chiara e il viso tondo; il colore dei suoi occhi blu scuro, i suoi capelli biondi. 

Quando la vidi, la prima volta, rimasi immobile, fisso, a guardarla e ci misi parecchi minuti prima di avvicinarla.

La somiglianza tra Pam e la mia Sara era molto forte e forse fu proprio questo a spingermi a trasformarla.

Pam è davvero eccezionale e la mia scelta si è rivelata molto più che corretta. Prova un profondo affetto per me ed io per lei, naturalmente. E’ una persona a cui posso parlare di tutto e su cui posso sempre fare affidamento. E’ leale, sincera e molto perspicace. Sul lavoro è imbattibile, professionale e competente in ogni situazione … anche la più spinosa. E’ una brava figlia.

Mi piacerebbe molto farle conoscere la mia Sara …

  

 

Mentre Godric viaggiava, seguendo sempre nuovi elementi utili alla sua ricerca, io mi ero stabilito in Louisiana e avevo aperto un bar a Shreveport, il Fangtasia. Lo gestivo con Pam e gli affari andavano a gonfie vele. L’abbigliamento che io, Pam e il resto del personale indossiamo a lavoro, è un raffinato e molto costoso gothic style.

Il resto del tempo, quando non lavoro, lo trascorro leggendo, a casa mia. Solo a Pam ho confidato il luogo del mio rifugio diurno in quanto certo della sua fiducia. Essere a conoscenza del luogo di rifugio diurno di un vampiro è qualcosa di davvero prezioso, se poi questo vampiro era anche molto vecchio, potente, ricco e politicamente impegnato era davvero un affare d’oro!

La sera in cui rividi Sara la ricordo bene anche se alcuni momenti sembrano nascosti da un fitto manto nebbioso.

 

Avevo appena finito di cenare e mi stavo accingendo a proseguire la mia unica serata libera in compagnia di un buon libro quando sentì bussare alla porta.

Era Pam, sul suo volto lessi curiosità mista ad apprensione perciò mi dimostrai subito curioso ed interessato. Di certo non preoccupato, con lei non ve n’era bisogno. Andai ad aprirle e con un gesto l’invitai ad entrare. Lei diede una veloce occhiata in giro per poi seguirmi in salotto dove ci accomodammo sul mio nuovissimo divano in pelle nera.

“Cosa c’è Pam?”

“Beh, ecco … nel pomeriggio una ragazza ha chiesto di te. E’ venuta al locale, io naturalmente non c’ero, quindi ha parlato con Ivetta. E’ stata lei a riferirmelo”

“E la cosa dovrebbe interessarmi perché…”

“E’ tornata circa un’ora fa. Le ho parlato personalmente e non so … mi è sembrata piuttosto scossa e strana. Mi sono mantenuta sul vago ma boh … mi è rimasta impressa e sono venuta a parlartene”

Mossi la mano come a voler scacciar via una mosca “Mhm… sarà la solita fanatica esaltata … non te ne preoccupare”

“Non è umana, Eric e non sono riuscita a capire la sua natura”

“Che significa? E’ un mannaro? Un mutaforma?” domandai più interessato

“No, no” scosse la testa “Nulla di tutto questo. Te l’ho detto, non sono riuscita a coglierne la natura però il suo sangue ha un profumo davvero delizioso!”

“L’hai assaggiata?” le domandai con un ghigno in volto

Sapevo delle tendenze bisessuali, o forse sarebbe meglio dire delle preferenze lesbiche, della mia progenie e nonostante avessimo numerosi trascorsi carnali, insieme, mi divertiva saperla alle prese con nuove esperienze romantiche. Esattamente come mio padre aveva fatto con me, avevo permesso a Pam libero divertimento su ogni fronte.

Durante tutta la mia esistenza assieme a Godric avevo concretizzato ogni tipo di desiderio e perversione mi stuzzicasse la mente e con Pam mi ero dimostrato, su questo fronte, un creatore altrettanto permissivo.

Fin dall’inizio le avevo imposto una piccola scala gerarchica di priorità. Al vertice la nostra segretezza e sopravvivenza, di seguito, i nostri affari e poi scendendo sempre più in basso avevamo la realizzazione di istinti, voglie e desideri.

“No, non l’ho assaggiata. Anche se un pensierino ce l’ho fatto” replicò con un sorrisino impertinente  “Basterebbe il suo aspetto a far perdere la testa a chiunque”

“Io non ho nulla in contrario” ero sempre più divertito

“Non credo sia interessata a me” storse il naso contrariata  “Vuole te!”

Scoppiai a ridere di cuore, mi alzai e andai verso il tavolino dei liquori.

“E come si chiama questo splendore?”

“Sookie … anche se dice che tu la conosci come Sara”

Frammentai il bicchiere che avevo tra le mani in un miliardo di pezzi senza nemmeno rendermene conto. Mi voltai sconvolto e mi fiondai su Pam

“Dimmi subito dove si trova!”

Un attimo dopo il mio cellulare prese a suonare ed io mi fiondai su di lui. Era Godric, mi avvisava che Gloria era morta. Come suo creatore aveva percepito che non c’era più.

Ascoltai nella quasi totale apatia le sue parole di dolore e solo quando riuscì a formulare un pensiero coerente aprì la bocca.

“Sara è qui” solo questo riuscì a dire

“Partirò il prima possibile” sentì replicare da Godric  “Deve esser accaduto qualcosa. Tienila al sicuro, figlio mio.”

La comunicazione si interruppe e l’angoscia più nera mi soffocò. Dovevo trovarla.

Avrei potuto rivederla, riaverla con me...

Con Pam alle calcagna mi fiondai fuori di casa e, seguendo le indicazioni che Sara le aveva lasciato, mi recai all’ indirizzo. Si trattava di un minuscolo appartamento composto di due soli locali. Il quartiere era deserto, sporco e poco illuminato. Non di certo una zona sicura e benestante.

Bussai alla porta, con forza, ed attesi.

Vedere di nuovo il suo viso, rispecchiarmi in quello sguardo cristallino provocò in me sensazioni contrastanti. Ansia ma anche contentezza, curiosità ed interesse, sospetto e apprensione, tenerezza ed un infinito senso di tenerezza e protezione.

Scostò lievemente la tendina della finestra, collocata vicino alla porta, e diede un’occhiata veloce. Mezzo secondo dopo me la ritrovai fra le braccia, piccola e fragile come la ricordavo. La sua morbidezza, il suo profumo naturale, i suoi caratteristici colori … tutto in lei era come sempre.

Come mi era mancata…

“Oh Eric … sono così triste … Gloria è … è … credo sia morta” biascicò prima di scoppiare a piangere

Sorrisi del suo, ancora buffo, modo di parlare. La presi in braccio senza sforzo alcuno e me la strinsi al petto, entrando in casa seguito da Pam. Mi guardai attorno notando subito l’unica piccola, e alquanto sporca, poltrona; mi ci sedetti con lei tra le braccia e mentre le accarezzavo i capelli lunghi e biondi lei lasciava sfogare il suo dolore piangendo.

Sentivo lo sguardo fisso di Pam su di me e solo quando alzai gli occhi, vidi che i suoi erano sgranati e concentrati su quel fagotto che stringevo tra le braccia.

“Eric … puoi spiegarmi, per favore” mi pregò Pam con voce incerta

Annuì preparandomi a raccontarle di Sara, continuando però a stringere con dolce fermezza il corpo di mia sorella al mio.

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Capitolo 7
*** Effusioni ***


6° Capitolo

6° Capitolo Effusioni

 

Mi inumidì le labbra e alzando il volto verso Pam, iniziai. Le raccontai tutto di Sara, certo molto brevemente, ma non tralasciai nulla: menzionai del suo arrivo, dell’ebrea che l’aveva cresciuta subito dopo la morte di sua madre, della sua infanzia con noi, dei suoi poteri, della sua natura ed infine arrivai a Gloria.

Per tutto quel tempo, Sara era rimasta in silenzio a singhiozzare pacatamente ancora abbarbicata a me. Ma quando arrivai a parlare di Gloria, la sentì stringersi maggiormente al mio petto e tentare, inutilmente, di soffocare una crisi di pianto.

Pam rimase in piedi, di fronte a noi, in completo ed assoluto silenzio sino alla fine

“Riesci a percepire anche i nostri pensieri?” le domandò

La sentì mugugnare qualcosa, in risposta, per poi muoversi e rivolgere la sua attenzione a Pam

“No, le vostre menti no” rispose asciugandosi gli occhi e facendo un respiro profondo

Penso volesse sembrare forte di fronte a Pam. In effetti, indossava ancora i vestiti di scena, quelli con cui lavorava e che non amava particolarmente preferendo decisamente abiti dai toni pastello, quindi ammisi anche a me stesso che faceva un certo effetto vestita così. Sorrisi di quel minuscolo sfoggio di determinazione e, spinto forse dall’abitudine o forse dalla sola voglia di farlo, le lasciai un bacio dolce sui capelli passandole un braccio attorno alla vita e stringendola maggiormente a me.

Pam sgranò gli occhi ma evitò di commentare. Prendendo in mano la questione e rivolgendomi direttamente a Sara dichiarai  “Prendi le tue cose. Ce ne andiamo”

“Ho solo quella borsa” rispose indicando un piccolo borsone gettato in un angolo di quel tugurio  “Sono così felice di averti trovato perché non sono riuscita a rintracciare Godric e… e non sapevo cosa fare … e ho pochi soldi perché Gloria mi ha detto di scappare subito … ed io non so dove li teneva … non sapevo dove andare perché qua non conosco nessuno”

“Non preoccuparti di questo” dissi scostandole qualche ciocca di capelli dal viso “Starai con me”

“Davvero?”

Annuì con un sorriso “Non vuoi?”

“Oh, si. Certo che voglio!” replicò ancora per poi sorridere in quel suo modo tanto speciale.

Ignorando la presenza di Pam e avvicinando i nostri volti aggiunse “Mi sei mancato tanto Eric” e alzando con lentezza esasperante una mano mi accarezzò il viso, la fronte, gli zigomi e le guance, la mascella e il collo “Sei sempre bellissimo come sempre … peccato”

“Non sei cambiato per niente…” sussurrò poi con un sorriso impertinente

“Tu si invece” replicai  “Sei molto cambiata”

La vidi sorridere raggiante  “E sono ancora bellissima?” domandò presuntuosa

“Molto di più” le sussurrai, baciandole la punta del naso

“Ok, basta con tutte queste smancerie” ci interruppe Pam sbuffando scocciata “Eric, io torno al locale”

Annuì senza smettere di fissare Sara e solo quando sentì la porta sbattere mi decisi ad alzarmi e portarla a casa con me.

 

 

 

“Ecco, puoi sistemare le tue cose in questa stanza” annunciai aprendo la porta dell’unica camera da letto

La stanza era pulita ed accogliente. Il letto era grande e sistemato al centro della stanza, con la testata a ridosso del muro. Pesanti tendaggi color vinaccia oscuravano le finestre, sbarrate comunque da imposte in ferro e persiane blindate.

“Tu dove dormi?” domandò entrando dopo di me

“Di sotto” risposi con tono neutro  “Buonanotte, Sara”

“Notte” aveva già chiuso gli occhi e sistemata sotto le coperte

 

 

 

Nemmeno venti minuti dopo me la ritrovai in camera mia. Bussò ed entrò dato che avevo lasciato accostata la porta. Si guardò attorno per molto tempo prima di parlare.

Dormivo in una piccola stanza, in pietra, residuo delle rovine di un vecchio maniero. Avevo fatto ristrutturare l’intero edificio ed ero riuscito a ricavare un piccolo vano, sotto terra. Era poco illuminato ma a me andava benissimo. Nessuna finestra solo una porta d’acciaio rinforzata a sigillare la stanza. Non avevo mobili, specchi o altro, solo dei piccoli faretti di luce collocati direttamente sopra il letto. Quest’ultimo era riccamente decorato, quasi sontuoso a differenza della stanza; la struttura era in legno e ferro di colore nero, le lenzuola bianche con coltri e cuscini color vinaccia.

“Mi piace questo posto” esordì avvicinandosi

“Anche a me”

“Ho visto il tuo locale e pensavo che la tua stanza avesse il medesimo stile” continuò lei

“Lo stile dark del Fangtasia lo ha deciso Pam … e sembra che funzioni. Per quanto mi riguarda preferisco riposare un tutt’altro ambiente”

“Mhm… si, in effetti non mi piace molto … con tutto quel nero, quei lacci, cinghie e borchie ovunque … non credo faccia per me”

“Sono d’accordo” replicai sollevandomi a sedere ed appoggiando la schiena alla morbida imbottitura che ricopriva la struttura del letto

“Cosa ci fai qui?” domandai curioso

“Ti spiace se dormo con te?”

“C’è qualcosa che non va nel tuo letto?”

La vidi scuotere la testa e abbassare lo sguardo “No, no affatto. E’ solo che … ecco preferirei non rimanere da sola … a dormire … e mi chiedevo se potessi farlo assieme a te … sai io, alcune volte … ecco quando avevo degli incubi dormivo con Gloria … e stasera vorrei ch…”

“Russi?” domandai fermando quel flusso inarrestabile e complicato di parole

Lei alzò la testa e mi guardò forse pensandoci davvero  “No, non credo”

“Molto bene, allora. Accomodati pure”

Mi regalò un altro di quei suoi sorrisoni e con una breve corsetta mi raggiunse. Il letto era molto grande tuttavia lei si accucciò vicino a me, proprio come quando era bambina.

“Non so se riuscirò a dormire però” sussurrò raccogliendosi su se stessa

Tornai a sdraiarmi e mi poggiai su un fianco, una mano a reggere la testa ed una a sfiorarle il volto

“Pensi a Gloria?”

Lei assentì col capo avvicinandosi ancora “Mi sento così triste … e colpevole … e mi vergogno”

“Perché?”

“L’ho lasciata lì … per strada … da sola” scosse ancora il capo  “Sarei dovuta rimanere con lei … n-non avrei dovuto lasciarla sola”

“Hai fatto bene, invece”

“Non si abbandonano così quelli a cui vuoi bene ed io volevo molto bene a Gloria. Ho avuto paura … e sono stata una vigliacca!” replicò lei alzandosi a sedere, in mezzo al letto, e prendendosi il viso tra le mani

“No, non lo sei. Sara, hai fatto quello che andava fatto. Scommetto che anche Gloria te lo avrebbe detto”

“Che ne sai di quello che ha detto?” sibilò tra i denti

Era arrabbiata e forse aveva solo voglia di sfogare questo suo dolore

Sorrisi e avvicinando il mio viso al suo, le soffiai  “Perché ti voleva bene… e perché è quello che avrei fatto io”

“Perché?” domandò con tono stanco ma poi con un ghigno triste, che non le avevo mai visto, aggiunse  “Ah, giusto … perché sono speciale!”

“Lo sei, Sara!”

“Smettila di chiamarmi Sara … il mio nome è Sookie”

Quella nuova rivelazione mi lasciò perplesso e lei se ne accorse dato che poco dopo aggiunse, solo a mio beneficio “Me lo ha detto mia madre, Saphira. Il mio nome è Sookie… e sembra essere un nome piuttosto importante tra le fate”

Il tono della sua voce era basso, sussurrava quasi, il suo viso triste e gli occhi inondati nuovamente di lacrime

“Non mi importa del nome che ti hanno dato i tuoi. Per me sei e rimani Sara … la mia Sara” le soffiai sulle labbra chinandomi a baciarle una guancia

“Perché non posso essere normale come tutti gli altri?”

“La normalità è sopravvalutata” replicai  “Preferisco di gran lunga essere ciò che sono piuttosto che essere umano”

“Un tempo, però, lo eri anche tu… io invece sono sempre stata strana … e diversa”

Mi avvicinai di nuovo a lei e questa volta l’abbracciai e la strinsi con forza baciandole il collo

“Niente e nessuno a questo mondo è solo normale, Sara … siamo tutti qualcos’altro oltre a noi stessi”

“Vorrei solo poter smettere di sentire tutto quello che sento e fare quello che faccio. Sono così spaventata … e a volte ho quasi paura di me stessa!”

Tornai a sdraiarmi a letto e la portai con me

“Ora ci sono io, penserò io a te. Chiudi gli occhi e dormi”

“Non voglio dormire … non sono stanca” mugugnò in risposta per poi sbadigliare subito dopo. Diceva lo stesso quando io o Godric la mettevamo a dormire, da bambina.

Sorrisi “Ma certo” coprendola con l’unico lenzuolo “Smetti di parlare, spegni il cervello”

“Mi sei mancato così tanto” sussurrò ancora sollevando a fatica le palpebre per richiuderle subito dopo

“Tu per nulla”

“Bugiardo!” ridacchiò poi si mise su un fianco, dandomi le spalle  “Ti sono mancata anche io, Eric” mi prese una mano e se la portò vicino al petto 

Avevo un braccio attorno alla sua vita, la sua schiena premuta al mio petto e le sue gambe sfioravano le mie. I suoi capelli biondi andarono ad unirsi e confondersi con i miei mentre un sorriso sereno si faceva largo sulle mie labbra.

Decisamente si … mi era mancata molto anche lei!

“Sogni d’oro” sussurrammo entrambi nello stesso momento

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Capitolo 8
*** Calore ***


7° Capitolo


 

7° Capitolo - Calore

 

Aprì gli occhi circondato dal tepore del suo corpo. Era rannicchiata accanto a me, immersa nel sonno, e con una mano tratteneva un lembo della mia maglietta bianca. La trovai dolce ed intrigante nella sua innocenza. Facendo attenzione a non svegliarla mi misi su di un lato e, stravolgendo l’abitudine mattiniera che avevo di alzarmi subito ed iniziare a fare workout, rimasi ad osservarla dormire conscio del fatto che, se fosse stata sveglia, il mio sguardo addosso l’avrebbe forse fatta arrossire.

Era strano constatare quali e quanti particolari si potevano notare facendo un poco di attenzione. Il suo viso, per esempio, mi sembrava diverso. Più infantile e più dolce del solito. Il suo corpo, raggomitolato stretto al mio, sembrava cercasse calore e protezione così, nonostante la mia natura ormai da molto tempo non raccogliesse e conservasse più il tipico calore umano, non fui restio a concederglielo. Le mie braccia andarono a circondarle la vita e sdraiandomi nuovamente prono chiusi gli occhi richiamando a me l’oblio del sonno.

Non mi addormentai subito forse consapevole di esser circondato dal suo profumo naturale. Sapeva di miele e sole, di pace e tranquillità, di estate e dolcezza. Sensazioni che non provavo da molto, molto tempo e di cui, solo raramente, sentivo la mancanza.

I suoi capelli lunghi e biondi portarono alla mente ricordi della mia vita passata, di quando ero ancora umano, memorie che credevo ormai sepolte e perdute da tempo. La dolcezza dei suoi tratti era invece qualcosa di nuovo forse perché molto diversa dalle decine di donne con cui avevo giaciuto. Era anche vero che paragonare Sara, l’esperienza di dormire e stare a letto con lei, a quella delle altre donne era pura eresia; qualcosa di assolutamente inconcepibile anche il solo pensarlo.

Lei era diversa.

Era diversa da me e da chiunque avessi mai conosciuto. Era diversa non solo per via di quella sua strana natura ma anche per via del suo modo di fare e di essere. Era ricca di una preziosità che non avevo trovato in nessun’altro se non in lei. Era forte e fragile allo stesso tempo, gioiosa e accattivante, intelligente ma anche tremendamente ingenua. Era un mix irresistibile.

Finalmente il sonno mi colse e, con un sorriso nostalgico sulle labbra, mi riaddormentai.

 

 

 

Rinvenni diverse ore dopo e nello stesso istante percepì che anche lei stava riaprendo gli occhi. La sua vicinanza aveva turbato più del dovuto il mio corpo e questo se da una parte lo considerai normale, dato la presenza di quel suo meraviglioso corpo femmineo a mia disposizione, dall’altra mi fece pensare dato che si trattava dell’ingenuo corpo di Sara.

Mosse le gambe e i piedi, poi il busto e il petto sfregarono sul mio mentre le mani andavano a stropicciare i tratti del suo volto e i capelli. Tutto in lei trasmetteva sensualità ed innocenza, purezza e malizia.

L’avevo vista svegliarsi migliaia e migliaia di volte ma non mi era mai capitato di percepirlo fisicamente in quel modo.

Era giusto e naturale desiderare fisicamente la propria sorella?

Era comprensibile il mio carnale desiderio di lei? Un desiderio primitivo, che non provavo da moltissimi anni, e così forte da mettere in subbuglio addirittura la mia mente?

Era corretto da parte mia fondere l’affetto che ci univa a tutto quel “sentire”?

Mi alzai prima che si svegliasse del tutto e corsi in bagno per una doccia che sciogliesse quella mia tensione. Avrei dovuto parlarne con Godric appena possibile.

 

 

 

Finì di stiracchiarmi e aprì gli occhi rendendomi subito conto che mi trovavo sola, a letto. Eric non c’era così tirai su il busto e tesi l’orecchio. Sentivo lo scrosciare dell’acqua, forse quello della doccia, provenire dal bagno.

Mi rasserenai e mi lasciai di nuovo cadere sul grande letto, incurante del fatto che mi sentissi più che riposata. Volevo crogiolarmi ancora qualche minuto in quella sensazione di calore che mi accompagna sempre appena sveglia.

“Ti sei svegliata finalmente” la sua bella voce arrivò dal fondo del corridoio “Sai che abbiamo dormito per più di dodici ore? Non mi era mai successo prima” aggiunse con un sorriso raggiungendo la stanza in cui mi trovavo mentre finiva di tamponarsi, con un asciugamano, i capelli bagnati

Allungai le braccia verso di lui sorridendo “Vieni. Io non ho voglia di alzarmi. Fammi compagnia”

Sorrise di nuovo scuotendo la testa mentre gettava l’asciugamano ai piedi del letto “Che viziata che sei!” poi avvicinandosi a me, senza però salire sul letto, aggiunse  “Io però non posso esserlo. Ho un locale da mandare avanti e nonostante ci sia Pam, devo comunque controllare delle cose”

Scossi la testa e corrucciai le labbra rabbuiata  “E devi andarci subito? Non puoi farmi compagnia solo per un po’?”

Sorrise e mi baciò la fronte “Mi dispiace pulce, non posso”

Mugugnai ancora e mi voltai di fianco dandogli le spalle  “Sei un bugiardo. Avevi detto che ti saresti occupato di me e invece mi lasci per andartene via!”

Lo sentì sospirare e poi sedersi vicino a me “Non vado via a divertirmi Sara. Devo andare a lavorare. In caso contrario come pensi che potrei provvedere a te?”

“Potresti assumere qualcun altro che lavori per te” mugugnai ancora arrabbiata

Rise mentre mi accarezzava i capelli “Ho già qualcuno che lavora per me, ma quello che faccio io non lo può fare qualcun altro. Ora smetti di fare l’arrabbiata. Voltati dai, non fare i capricci”

Mi voltai e lo guardai con gli occhi ridotti fessure  “Gloria non mi ha mai lasciato sola. Mai! Stava sempre con me”

“Dio Sara, perché stai facendo tutte queste storie si può sapere? Devo andare a lavorare. Fine della storia”

Indurì lo sguardo e volsi il capo dall’altra parte. Volevo tagliarlo fuori e farlo sentire in colpa. Non era giusto che mi lasciasse sola dopo tutto quello che avevo passato. Io ero la sua famiglia ed ero più importante di qualsiasi accidenti di lavoro dovesse fare.

Mi prese il volto tra le mani e con un poco di forza mi costrinse a voltarmi verso di lui.

“So bene che Gloria non lavorava e stava sempre con te. Ma ti sei mai fermata a riflettere o a domandarti da dove provenissero i soldi che avevate per vivere?”

Sgranai gli occhi sorpresa e mi tirai a sedere “Glieli davi tu?”

“Già” annuì con un sorriso ironico “E per farlo devo lavorare. Hai capito?”

Annuì abbassando il capo

Non avevo mai pensato a dove e come Gloria si procurasse i soldi che servivano ad entrambe. In effetti avrei dovuto pensarci e non darlo per scontato. Quindi tutto quello che avevo e avevo avuto era dovuto a Eric? Dovevo tutto a lui?

“Ora devo andare. E’ davvero troppo tardi e Pam avrà bisogno di me. Torno appena ho finito. Se hai bisogno chiamami. Ti lascio il numero di sopra, in cucina, va bene?”

Annuì per poi alzare gli occhi sul suo viso. Gli accarezzai lentamente il viso con le dita sperando che con quel gesto perdonasse la mia reazione infantile ed immatura. Sorrisi quando lo vidi fare altrettanto. Guardando la piccola sveglia, sistemata a terra, si alzò di fretta. Mi salutò velocemente e corse fuori.

Rimasi sdraiata a letto ancora per molto tempo ripensando al passato. Mi resi conto che avevo dato per scontate un mucchio di cose. Dai vestiti al cibo, dalla mia istruzione ai libri, dai miei peluche o giochi dell’infanzia, ai vestiti e a tutte le altre cose che avevo sempre avuto senza mai sapere bene da dove venissero.

Solo allora, in quel momento, mi resi conto che era tutto merito di Eric. Dovevo a lui tutto quello che ero e tutto quello che avevo avuto.

Sono in debito con lui!

Lui lavorava e lo aveva sempre fatto per mantenere se stesso e me e Gloria e chissà cos’altro.

Come avrei fatto a ricambiare tutto questo?

Decisi che era ora di pensarci bene. Era ora di ripagarlo e di provvedere da sola a me stessa. Mi fiondai sotto la doccia e cominciai a pensare alla miriade di soluzioni che avevo per poter fare qualcosa per lui. Avevo la possibilità di ricambiare i sacrifici che, probabilmente, aveva fatto per non farmi mai mancare nulla e non mi sarei di certo tirata indietro.

Dovevo trovare un lavoro!

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Capitolo 9
*** Crisi di colpa ***


8° Cap



8° CapitoloCrisi di colpa

 

Mi fiondai a fare una doccia veloce mentre con la mente scorrevo un’infinità di soluzioni al mio problema.

Trovare un lavoro non sarebbe stato facile e neppure veloce ma non avrei mollato. Ormai era deciso: avrei ripagato Eric dei suoi sacrifici, magari non tutto e non subito, ma lo avrei aiutato economicamente. Mi fiondai di sopra nella stanza che mi era stata assegnata, presi il mio borsone e lo riportai in camera di Eric.

Non volevo stare da sola, dormire con lui era stato rilassante e rassicurante. Era da molto tempo che non dormivamo assieme, da quando ero più piccola in verità, e la cosa mi era mancata tanto. Lui mi era mancato, moltissimo.

Ripensai a quando era andato via. Avevo una cotta per lui, mi piaceva molto, e in più sembravo essere il suo centro; un po’ come lui e Godric lo erano per me. Poi, logicamente, con l’andare del tempo la cosa era sfumata ed ora averlo di nuovo vicino mi provocava belle sensazioni.

Scossi la testa e corsi a vestirmi. Frugai tra gli abiti e, tirandone fuori jeans e t-shirt, me li infilai. Stavo per salire di sopra, diretta in cucina, quando sentì il mio cellulare squillare. Era un suo messaggio.

            << Sara, come forse avrai già notato, in cucina non c’è nulla da mangiare. Almeno non per te. Ho notato i biscotti che avevi comperato, mangia quelli per adesso. Più tardi ti accompagnerò a fare un po’ di spesa. Non uscire da sola. Qui non conosci niente e nessuno quindi ti perderesti. Non dovrei impiegarci più di 4 o 5 ore al locale. Poi sarò a casa>>

A casa…

Come suonava bene quella parola.

Casa.

Tornare a casa. Sorrisi come una sciocca e senza neppure capirne il motivo. Sapevo solo che quella parola, quel suo tornare a casa, quel tornare da me mi faceva sentire bene.

Quattro o cinque ore non erano molte dopotutto. Avrei potuto occuparle ambientandomi in casa, sistemando il mio bagaglio, mangiando e compilando una lunga lista della spesa e di tutti gli oggetti che mi occorrevano.

 

 

Avevo delle scartoffie in arretrato di cui occuparmi e diversi documenti da leggere, controllare e firmare perciò rimasi in ufficio tutto il tempo. Come ogni volta Pam, poco prima dell’ora di chiusura, mi fece il resoconto della serata. Assieme controllammo gli incassi, le scorte e i rifornimenti. Parlammo dei problemi con i fornitori e quelli avuti quella sera, con un paio di clienti.

Lasciai a lei il compito di chiudere il locale, la salutai e mi fiondai fuori diretto verso casa.

Avevo appena varcato la soglia quando un ciclone biondo mi investì, saltandomi addosso. Sorrisi riconoscendo da subito il dolce aroma naturale della pelle di Sara. Me la strinsi al petto, chiusi la porta di casa attivando l’allarme esterno. Le baciai il collo facendole il solletico mentre lei continuava a ridacchiare divertita.

“Che bel bentornato!” esclamai ridendo per poi aggiungere con tono divertito “Forse dovrei andare via più spesso se ogni volta mi accogli in questo modo”

“No, invece” replicò lei sollevando il viso da sopra la mia spalla poi guardandomi dolcemente “Non mi piace quando sto da sola”

“Ti sei annoiata?” domandai intuendo quale fosse in realtà il motivo del suo disagio

Le manca Gloria.

“No, non è per quello. Sono solo triste, molto triste. E mi manca Gloria e anche papà. Per fortuna ci sei tu” mugugnò tornando ad infossare il viso nel mio collo senza avere l’intenzione di scendere o staccarsi da me

Sorrisi comprensivo e me la strinsi più addosso, lasciandole un bacio tra la fronte e i capelli

“Hai mangiato?” domandai per cambiare argomento

“Si. Ho finito i biscotti. Dobbiamo assolutamente andare a fare spese”

Annuì continuando a camminare diretto verso la cucina “Hai ragione. Abbiamo ancora un’oretta abbondante prima dell’alba. Possiamo comprare un po’ di alimentari al supermarket qui vicino e al tramonto, andare al centro commerciale. Va bene?”

“Ho già preparato una lista” mugugnò ancora

Mi sedetti su una sedia e, allontanandola di poco da me, presi ad osservarla. Aveva gli occhi umidi e la fronte corrugata.

“Non piangere” le sussurrai piano

“Non sto piangendo” negò tirando un poco su con il naso

“Non mi piace quando piangi”  e l’avvicinai ancora a me

Mi tornarono alla mente ricordi di lei bambina. La ricordavo sorridente, sempre, oppure con faccine buffe, di lei musona o capricciosa, di lei spaventata o sorpresa.

Vederla o anche solo sentirla piangere era qualcosa di insopportabile, quasi fastidioso. Non mi piaceva saperla triste o depressa e mi faceva infuriare l’idea che piangesse. Le lacrime esprimevano dolore, certo non sempre, e per me saperla addolorata era sbagliato.

Lei non doveva provare dolore perché io non lo sopportavo. Anche saperla triste era inconcepibile. La volevo sorridente, felice, meravigliata, sorpresa, allegra, capricciosa, viziata, determinata ma non addolorata.

Al locale, avevo provveduto a nutrirmi più che adeguatamente; una ragazza con sangue dal retrogusto zuccherino aveva provveduto a soddisfare il mio appetito. Mi preoccupava quindi sapere che lei per tutto il giorno aveva mangiato solo mezzo pacco di biscotti.

Perciò pochi minuti dopo eravamo fuori. Una breve passeggiata a piedi ed arrivammo al market.

“Dov’è il reparto della frutta?”

“Più avanti” risposi indicandole il punto di riferimento con un dito “Prendi tutto quello che vuoi e di cui hai bisogno” aggiunsi spingendo il carrello vuoto davanti a noi

Mezz’ora dopo eravamo di ritorno. Nei nostri sacchetti verdura, formaggi, pane, carne e pesce poi una valanga di confezioncine di fragole.

La guardai con la coda dell’occhio, sulla strada del ritorno, e notai che sorrideva; questo mi rasserenò un poco ma non del tutto. Sapevo che la morte di Gloria sarebbe stato un avvenimento lungo e difficile da affrontare. Arrivati a casa, le baciai una guancia e l’aiutai a sistemare la spesa in cucina, suddividendo gli alimenti ed utilizzando per la prima volta il frigorifero inserendoci finalmente alimenti.

Per cena la lasciai sola, scendendo a farmi una doccia. Quando tornai sopra la trovai intenta a lavare piatti, stoviglie e pentole utilizzate.

Era così strano pensarla adulta ed autonoma.

Rimasi ad osservarla, inosservato, per parecchi minuti poi sorprendendo lei e me stesso, la presi in braccio stringendola forte. Camminai lentamente con la sua risata nelle orecchie diretto verso il salotto. Mi accostai alla ricca libreria e scelsi un volume.

Ci sedemmo entrambi sul divano, aprì il libro ed iniziai a leggere ad alta voce. Lei mi si accoccolò vicino e rimase ad ascoltare in silenzio, attenta. Ogni tanto la sentivo muoversi un poco fino a quando non la sentì sbadigliare.

Le presi la mano, accarezzandole una guancia con infinita premura, e me la trascinai dietro. Stesi sul grande letto aspettammo, assieme e vicini, l’arrivo del sonno.

 

 

 

 

Quel senso di malessere e tristezza era così pesante. Lo sentivo mio ma inesplicabilmente lo sentivo anche estraneo.

La morte di Gloria mi aveva sconvolto per diversi motivi. Era la prima mamma che avevo mai conosciuto e vedermela portare via a quella maniera, in modo tanto violento e rabbioso, era stato uno shock spaventoso. Il modo in cui era morta, immersa e soffocata nel suo stesso sangue, era stato grottesco.

Come poteva un essere umano, un essere vivente qualsiasi ad essere sinceri, portare dentro tanta rabbia? Vivere con quell’odio e colmo di sentimenti di disprezzo e vendetta?

E perché non me ne ero accorta? Come avevo potuto non intravedere i reali fini di Louis? Da cosa ero stata distorta o accecata nel mio sentire?

La morte di Gloria quindi in parte era colpa mia?

La forza di quel pensiero e la consapevolezza che si trattava effettivamente così mi bloccò il respiro ed abbatté su di me un disastro emotivo senza precedenti. Un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra ed Eric se ne accorse immediatamente.

“Sara?” domandò riaprendo gli occhi e voltando il capo verso di me  “Cosa c’è?”

Gli voltavo le spalle e mi infossai ancora di più, tentando di blandirlo  “Nulla, dormi”

Un sibilo scocciato e poi me lo ritrovai addosso. Mi aveva voltato, in fretta e con violenza, verso di lui. Aveva subito scorto le mie lacrime ed era rimasto immobile con occhi sgranati.

Tentai di liberarmi della sua stretta ma quando appurai di non essere abbastanza forte mi premetti le mani sugli occhi e scoppiai a piangere disperata. Tentai di accucciarmi di nuovo sul fianco ma lui me lo impedì.

Mi strappò le mani dagli occhi e salì a cavalcioni su di me quando iniziai ad agitarmi come un posseduto. Volevo liberarmi di lui. Stare da sola. Smettere di pensare. Smettere di vedere quelle terribili immagini di lei coperta di sangue.

“Smettila di agitarti in questo modo, dannazione. Ti farai male, sciocca!” mi gridò forzando ancora di più la presa sui miei polsi e quella del suo corpo sul mio. Da parte mia, ovviamente, non gli prestai ascolto.

“Smettila!” mi sgridò ancora con voce tesa  “Falla finita, subito. Sara!”

Continuavo ad agitarmi, con forza, per liberarmi e a piangere disperata.

“E’ colpa mia!” gridai con rabbia, rivolta a me stessa

“Cosa?” domandò subito “Di che cosa stai parlando?”

“Mia!” urlai di nuovo sconvolta  “E’ solo colpa mia! Non l’ho capito … avrei dovuto saperlo, avrei dovuto sentirlo … se lo avessi sentito non sarebbe riuscito ad ammazzarla! E’ colpa mia! Tutta colpa mia!”

“Basta! Smettila!” gridava lui con furia 

“Sara, smettila. TI farai male! Ti prego” si abbassò su di me e poggiò il capo sul mio petto

“Ti prego, Sara, smetti di farti male” il suo sussurro accorato arrivava dal mio petto, su cui lui poggiava il capo

Smisi di dibattermi ma ero comunque preda di fortissimi singhiozzi ed ero ancora agitata. Alcuni secondi dopo lui, vedendomi un poco più calma, mi liberò i polsi e prese ad accarezzarmi tutto il corpo con il solo intento di tranquillizzarmi.

Portai le mani a coprirmi il viso e lentamente, grazie soprattutto alle sue carezze dolci e alle sue parole rassicuranti, smisi di piangere del tutto. La sua presenza era come un balsamo per il mio animo, una rassicurante presenza che con forza e decisione congelò a poco a poco quel mio malessere.

Quando riaprì gli occhi, e lo feci solo molto tempo dopo, lo trovai steso sul mio corpo, aggrappato ad esso con una forza quasi disperata, mentre le sue mani continuavano ad accarezzarmi lentamente. Passavano delicate dal viso, alle braccia, alle mani che stringeva un poco fra le sue, poi passava alla mia vita per poi salirmi al viso e ai capelli. Dopo un paio di respiri lunghi tentando a fatica di placare quei singhiozzi che mi scuotevano il petto e il corpo, iniziai a rispondere alle sue carezze.

Lui alzò il viso verso il mio e dentro i suoi occhi potei scorgere un emozione nuova, mai vista in quegli occhi glaciali. Era un qualcosa che li illuminava e li incupiva allo stesso tempo. Non riuscì a decifrarla.

Lui si sollevò un poco spingendosi più in alto. Mi si sdraiò di nuovo sopra, sempre senza mai pesarmi eccessivamente, e il suo viso questa volta era vicinissimo al mio, nascosto nel mio collo. Sfregò il naso su quella porzione di pelle che va dalla mascella al collo, di tanto in tanto mi lasciava qualche bacio.

Restammo in silenzio, così, l’uno sull’altro a coccolarci teneramente a vicenda sino a quando, in un punto imprecisato del giorno, ci addormentammo. Abbracciati stretti, le mie mani fra i suoi capelli e sul suo viso, le sue labbra sul mio collo e il suo respiro sulla mia pelle. Una sua mano aggrappata al mio fianco ed una stretta al mio polso.

Strettamente uniti, strettamente vicini.


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Capitolo 10
*** Ferire e sanare ***


9° Capitolo

Ferire e sanare

 

Sentire la sua risata argentina nelle orecchie e non desiderare altro.

Volerla sempre accanto a me, al mio fianco. Compagna fedele, instancabile … eterna.

Eternamente bella. Eternamente giovane. Eternamente viva, allegra, gioiosa. Eternamente mia.

Saperla legato a me, alle mie cure, alla mia voce, al mio tocco.

Volerla per me e me soltanto. Una gioia infinita … un desiderio irrealizzabile.

 

Eravamo sdraiati a letto, entrambi sulla schiena, attendendo di prender sonno dopo aver passato ore ed ore entrando ed uscendo da un negozio ad un altro, al centro commerciale.

Della violenta crisi emotiva di Sara non ne avevamo parlato. Nessuno dei due.

Da parte mia avevo tentato di placare la mia divorante curiosità senza pressarla o farle domande al fine di scoprire che diavolo le fosse preso. La mia natura così come il mio carattere scalpitavano per sapere quale fosse la causa; Ero in pensiero per lei, per i suoi nervi, per la sua mente eppure avevo capito da tempo che, con Sara, dovevo rispettare i suoi tempi senza forzarle la mano.

Dopo un episodio del genere, la morte di una persona amata, era normale aver bisogno di tempo e cure e pazienza? Forse per gli umani si e lei nonostante lo fosse solo in parte ne aveva pienamente bisogno.

Al risveglio aveva solo preso un leggero tranquillante, confessandomi di farne uso da un paio di anni per tentar di placare il malessere mentale causato dai suoi poteri. Senza aggiungere altro aveva fatto colazione, mentre io avevo buttato giù due bottiglie di True Blood, si era vestita e preparata.

Subito dopo eravamo fuori in macchina, diretti in centro a fare spese. Avevo dato solo una veloce occhiata alla sua lista ma sembrava non finire mai. Nonostante questo, a parte qualche battutina qua e là, non avevo fatto rimostranze.

 

“Credo proprio di aver preso tutto quello che mi occorreva” la sua voce era tornata ad avere quella sfumatura leggera e allegra che mi piaceva da matti

Annuì voltando appena il capo e guardandola di traverso dissi

“Lo credo bene. Abbiamo speso una fortuna tra vestiti, accessori, scarpe ed oggetti vari. Se fossi stato umano a quest’ora sarei esausto. Prosciughi tutte le energie tu … altro che vampiro!” esclamai facendola ridere

“Non è colpa mia!” si difese lei “Ho lasciato tutto … quando sono scappata” aggiunse per poi smettere lentamente di sorridere e tornando seria

Merda!

“Non pensavo davvero che i giovani avessero tutte queste necessità. E poi tutti quei dolci … la commessa è rimasta scioccata!” esclamai per cambiare discorso  “Hai svaligiato l’intera pasticceria!”

Scoppiò di nuovo a ridere allungandosi a darmi una spinta sulla spalla 

“Sono golosa, non è colpa mia! Mi piacciono da impazzire!” rispose ancora sorridente  “Soprattutto i pasticcini alla frutta! Sono così buoni. Mhmh”

Questa volta fu io a ridere. Quelle parole mi riportarono alla mente ricordi della sua infanzia. Della sua passione, mai sopita, per le fragole!

“Quando eri piccola era tutto diverso“ commentai quasi con nostalgia  “I dolci non li vedevi neppure! Andavi matta per quelle dannate fragole e a volte non c’era verso di farti mangiare altro. Ancora ricordo il primo giorno in cui le assaggiasti”

 

“Sara?” esclamò Godric entrando in casa dalla porta principale  “Sara? Dove sei?” chiamò ancora

Eri tra le mie braccia perciò ti posai a terra per permetterti di salutarlo. Ti fiondasti verso di lui per poi abbracciare con forza le sue gambe.

E Godric scoppiò a ridere … era così strano vederlo ridere o anche solamente sorridere … prima che arrivassi tu lo faceva così raramente. Con te e grazie a te, invece, accadeva più spesso, quasi gli venisse naturale in tua presenza.

Era così sereno.

Ti sollevò tra le braccia, avvicinandosi a me che vi osservavo dai piedi delle scale. Notai che aveva un sacchetto di plastica attaccato al braccio. Era piuttosto pieno ed inspirando dal naso intuì di cosa si trattasse.

Da un po’ di tempo avevamo dei problemi a farti mangiare. Molto spesso facevi i capricci, rifiutavi sdegnosamente alimenti che fino a poche settimane prima mangiavi tranquillamente. Così, quella sera, Godric aveva deciso di cambiare programma. Non saremmo usciti per cena ma avremmo provveduto a comprare qualcosa per poi mangiarlo a casa.

Notai che il sorriso sul suo volto era rimasto immutato mentre tu continuavi a ciarlare di cose reali o assurde. Al contrario di me, Godric, sembrava veramente attento a tutto quello che dicevi. E a volte sembrava pendere dalle tue labbra, qualunque sciocchezza vi uscisse fuori.

Avevi uno strano potere in te, qualcosa di cui forse non eri nemmeno cosciente. Portavi allegria ad ogni essere con cui venivi in contatto; lo avevi fatto persino con noi, creature oscure della notte che vivevano lontanissime da ogni forma di serenità ed armonia.

Presi il sacchetto dalle sue mani per poi tirarne fuori il contenuto: del pane, dei biscotti secchi, del prosciutto a cubetti, succo di frutta, una confezione di formaggio a fette, olive e cetriolini sottaceto, del latte, cioccolato, una confezione proveniente dalla rosticceria del centro, della carne secca e due confezioni di fragole rosso sangue.

Aprì le confezioni e sistemai tutto sul tavolo, preparandomi mentalmente a quella che sarebbe stata la lunga ed insidiosa strada per farti cenare. Godric, nel frattempo, ti aveva sistemato nel tuo seggiolone, fornendoti di una manciata di tovagliolini di carta, bicchiere e posate di plastica.

Sporcarti viso, braccia, collo e gambe ti piaceva così tanto!

Ti buttasti per prima cosa sul prosciutto a cubetti, mangiandolo rigorosamente con le mani e finendolo in pochi minuti. Poi un poco di succo e un pezzo di pane. Seconda tappa furono le olive e i cetriolini che, dopo averli assaggiati, allontanasti con faccia disgustata e provocando in noi una sana ed inattesa risata.

Godric ti propose, avvicinandola al tuo dolce e sporco musino, una crocchetta di patate proveniente dalla confezione della rosticceria. Inizialmente la guardasti con diffidenza, te la sfregasti un poco sotto il naso, forse con l’intento di annusarla e percepirne l’odore, per poi ficcarla graziosamente in bocca. Masticasti allegra e dopo aver inghiottito ne cercasti altre.

Non provasti nient’altro finchè, sempre Godric, ti sistemò sotto al naso una piccola fragola matura. Scoppiammo a ridere quando prendendola in mano come prima cosa provasti a toglierle i minuscoli semini verdi. Poi sconfitta, dopo averla praticamente ridotta ad un cumulo informe di sostanza e succo rosso, le mie parole di spiegazione sulla natura e il colore della fragola, l’addentasti a metà sporcandoti sul mento e ai lati della bocca con il succo del frutto. Affondasti i tuoi dentini nella seconda metà del frutto per poi scoppiare a ridere allegra e iniziare a ciarlare sulle mirabolanti bontà e delizie che il frutto ti aveva evocato.

Le finisti in pochissimi secondi e fu da quel giorno, in quel preciso momento, che nacque la tua smisurata passione per le fragole.

 

“Davvero?” domandò lei alla fine del mio racconto

“Davvero mia bellissima bambina” esclamai pizzicandoti affettuosamente una guancia

Tu ti sollevasti un poco, ti accostasti di più al mio corpo e con una mano a sostenere il capo, mi guardasti per molto tempo

“Non sono più una bambina”

Sorrisi sollevando un sopracciglio  “Ti sembra che questo dettaglio mi sia sfuggito?”

“Forse si” un solo sussurro prima di vederti abbassare il capo

“Ti assicuro di no, Sara” replicai lasciandoti un bacio sulla fronte 

“Raccontami ancora della mia infanzia” mi pregò lei, con un sorriso dolce

“Non hai intenzione di dormire, vero?” domandai fintamente scocciato e ricevendo un forte diniego da parte sua

“Ebbene … tu forse non ricordi ma i primi giorni dopo il tuo arrivo furono davvero inenarrabili”

“Perché?” domandasti curiosa

“Quella donna, l’ebrea, ti portò a casa nostra improvvisamente, una notte. Faceva molto freddo, era inverno e tu eri con lei. Non mi accorsi subito della tua presenza e forse nemmeno Godric. Quella donna aveva qualcosa … un’aurea molto forte. Forse dei poteri particolari.”

“Davvero?”

“Mhm … comunque fui io ad aprirle e non mi fece una buona impressione. Così la scacciai”

“Eric!” esclamò lei arrabbiata “Perché l’hai fatto?”

“Perché non mi piaceva, ecco perché” risposi infastidito  “Pretendeva di parlare con Godric … e aveva pure una certa arroganza nella voce che … mi ha mandato su tutte le furie”

“E poi?”

“Godric l’ha lasciata entrare ed io sono uscito a mangiare. Ero mortalmente infastidito e quella sera … bevvi a sazietà. Rabbiosamente”

La vidi sgranare gli occhi e sollevarsi a sedere di scatto  “Hai ucciso qualcuno?”

Sbuffai e tentai di non risponderle. Ma poi sentì le sue mani sul volto, voleva voltarmi il viso verso di lei

“Si” risposi veloce, voltandomi a fissarla negli occhi, quasi fosse una sfida

“Perché l’hai fatto?” domandò lei colpita  “Sei un assassino” aggiunse in un sussurro

E la rabbia scattò in me. Mi sollevai a sedere anche io e la presi per le braccia stringendole con forza fino a procurarle un lamento di dolore

“Ne ho uccisi tanti “ le sibilai sul viso  “Sono un vampiro ed è la mia natura. Ne ho uccisi molti e ne ucciderò tanti altri” continuai

Lei aveva voltato il viso allontanandolo dal mio. Poi sentendo quelle mie ultime parole, con uno scatto rabbioso allontanò da lei le mie mani

“Bugiardo!” replicò con vemenza “Sei un bugiardo! Sei un vampiro ma questo non ti impedisce di sopravvivere senza ammazzare nessuno! Puoi nutrirti senza dover per forza uccidere o torturare persone innocenti!” poi guardandomi con una profonda occhiata di disgusto proseguì  “La verità è che ti piace ammazzare la gente. Ti piace uccidere e torturare e fare del male. Sei un sadico! E’ questa la tua natura. Essere un vampiro centra fino ad un certo punto. E’ la tua natura di sadico che ti fa agire così … nient’altro!”

Scese dal letto e si allontanò ancora un poco, dandomi le spalle

“Ti piace brutalizzare le persone … gli umani come me … e far loro del male” poi quasi sottovoce aggiunse “Magari prima o poi farai male anche a me”

Scattai da lei, veloce e rapido. Le arrivai vicino, di fronte e la costrinsi a guardarmi

“Mai!” sibilai ad un passo dalle sue labbra  “Io non ti farò mai del male. Mai. Non a te. Come puoi pensarlo?”

L’abbracciai stretta aspirando a pieni polmoni il suo delicato profumo di miele e sole

“Quando me ne farai non te ne accorgerai neppure. Ne sono certa”

“Non è vero” replicai baciandole la fronte  “Non lo farò. Te lo giuro, Sara”

Finalmente sentì il suo corpo rilassarsi, tra le mie braccia, e rispondere al mio abbraccio. Mi allacciò le mani attorno ai fianchi e posò la testa sul mio petto

Ecco, proprio lì. Lì dove volevo rimanesse per sempre. Dove avrebbe riposato sicura, protetta e amata sino alla fine dei suoi giorni. L’avrei tenuta con me, vicina al mio cuore, per tutta la durata della mia esistenza.

“Ti va se torniamo a letto?” domandai quasi esitando

Attesi per molto tempo prima di sentire il suo annuire. Quando lo fece, la presi in braccio regalandole un sorriso sincero. L’adagiai al centro del materasso e mi misi subito al suo fianco, cingendole la vita con un braccio.

“Quando tornai a casa, Godric ti teneva fra le braccia e quell’ebrea era semisdraiata sul nostro divano. Stava morendo.”

“Non l’ho mai conosciuta. O almeno non me lo ricordo ma mi dispiace comunque” sussurrò stringendosi a me e avvicinando il viso al mio sino a sentire le sue labbra sulla mia mascella

“Cos’è che ci distingue?” mi domandò forzando un poco la mia presa “Perché a me dispiace per lei, nonostante non l’abbia mai conosciuta, e a te no?”

“Tu l’hai conosciuta … solo non lo ricordi” replicai un poco infastidito

Perchè tornava su quel discorso? Perché non capiva che mi irritava parlare di determinate cose?

“Oh … ma … a pensarci, a me capita anche con altre persone e anche a loro … cioè anche alle altre persone capita” si fece un momento perplessa per poi domandarmi  “Hai capito quel che voglio dire? Non so se sono stata molto chiara…”

Sbuffai seccato “Non lo sei stata, Sara. Difatti non ho capito”

Menzogna. Bugia. Nonostante il suo garbuglio con le parole avevo capito dove volesse arrivare.

Ero io a non voler sentire, a non voler capire.

“Ok. Volevo dire che a me capita di provare sensazioni di dispiacere o pena o sofferenza per determinate persone o in determinate situazioni nonostante non li conosca o li abbia mai incontrati. So che queste sensazioni le provano anche tutti gli altri, le persone normali. Inizialmente pensavo che questa cosa del sentire fosse solo una conseguenza del mio potere ma adesso so che non è così. Quindi mi chiedo perché a me succede e a te no?”

“Non saprei Sara. Non siamo tutti uguali!” ero arrabbiato, non più seccato né infastidito, e volevo lo sapesse

“Non voglio offenderti o farti arrabbiare. Voglio solo capire” cercò di blandirmi lei

Fu inutile. Scoppiai rabbiosamente

“Non ho tutte le risposte, Sara. Mi mancherà qualcosa, non so che dirti! Sono un mostro senza sentimenti né emozioni che beve sangue e uccide la gente! Ho sempre vissuto così anche prima della trasformazione. Uccidevo da umano e uccido adesso. Sarò senza cuore e senz’anima! Non so che dirti. Non ho tutte le risposte che vorresti. Non ho risposte riguardo a questo! Sei contenta, adesso?”

Avevo quasi il fiatone. Gli avevo vomitato quelle parole in faccia e con rabbia. Volevo che capisse come mi sentivo, che provasse a comprendere un poco chi e cosa ero stato in vita. Ma soprattutto chi e cosa ero adesso.

Lei rimase in silenzio a guardarmi per molto tempo. Abbassò il capo per poi rialzarlo lentamente. Mi guardava con occhi strani, particolari. Non riuscì a leggervi dentro come invece sapevo fare solitamente e la cosa mi spaventò un poco.

Allungò esitante e paurosa una mano verso di me sussurrando

“Scusami. Non volevo ferirti o farti stare male. Scusami. Non mi sono resa conto … sono un’egoista … perdonami”

Lessi sul suo viso l’intenzione di avvicinarsi a me, non solo fisicamente. Vi lessi il dispiacere, le sue scuse, la paura e l’angoscia dell’avermi ferito. Vi lessi la voglia di stringersi a me e di essere stretta.

Accolsi tutto quello ed annuì impercettibilmente.

Lei si sciolse in un sorriso esitante e mi si fiondò tra le braccia. Mi abbracciò stretto continuando a scusarsi e iniziando a piangere.

“Mi dispiace. Non volevo farti soffrire o farti ricordare cose brutte. Perdonami per favore. Non me ne sono accorta … sono stata stupida a non pensarci … sono egoista e sciocca”

Sorrisi tra i suoi capelli a quelle parole. La strinsi anche io e le lasciai un dolce bacio sul collo.

“Non voglio più parlarne” sussurrai non appena ci staccammo un poco

“Non ne parleremo più” fece lei annuendo

“Non voglio più parlarne … ma voglio che tu sappia che non so perché sono così … so solo che non ti farei mai del male. Non a te. Mai”

In assoluto. Non le avrei mai fatto del male. L’amavo troppo per poterlo o volerlo fare. Non si fa del male ad una persona che si ama.

Mi si fiondò ancora tra le braccia  “Lo so. Stai tranquillo. Non pensiamoci più. Ti voglio molto bene e non voglio più ferirti. Scusami”

Si allontanò un poco per guardarmi in viso. Sorrise e lentamente si chinò a sfiorarmi le labbra con le sue. Premette piano accostandosi ancora e stupendomi completamente. Mi aveva baciato. Ed era stato il bacio più dolce e delicato ed ingenuo e puro che avessi mai ricevuto.

“Ti va di continuare il discorso di prima … di quando ero piccola?” domandò in un timido ed impacciato sussurro

Annuì ancora stordito e scioccato da quel suo gesto. Mi lasciai cadere nuovamente sul materasso e tirai giù anche lei. Me l’accostai vicino, abbracciandola interamente. Le mie mani di nuovo fra i suoi capelli e sul suo corpo. Le sue strette al petto, vicinissima a me.

 

“Sembrava felice” dissi dopo qualche minuto di silenzio

“Chi?” domandasti  “La donna?”

“No. Godric. Lui sembrava felice” risposi accarezzandole lentamente la schiena  “Ti teneva fra le braccia e sorrideva. Era sincero e sembrava che tu gli piacessi”

Poi aggiunsi  “Ti ho odiata. Da quel momento ti ho odiata profondamente”

Sentì il suo corpo irrigidirsi e il suo respiro bloccarsi

“Chiesi spiegazioni, perché ero arrabbiato ma lui mi mandò a prendere le tue cose a casa di quell’ebrea” Risi forzatamente “Le tue cose, capisci? Eppure dovetti obbedire agli ordini e feci quello che lui mi chiese”

Il tuo corpo non accennava a dare segni di cedimento, ancora rigido ancora immobile. Proseguì quasi parlassi con me stesso invece che con te

“Partimmo il giorno seguente, tornando in Svezia. Godric ti teneva sempre in braccio, sempre. Ti guardava spesso e provvedeva a te. Mi dava così fastidio quel comportamento, anzi, mi davi fastidio tu. Ero arrabbiatissimo con te e ti odiavo! All’inizio avrei voluto che morissi per tornare ad essere solo noi due. Solo io e Godric. Solo all’inizio però … perché tutto sommato … dopo molto tempo, mi accorsi che non eri così brutta. E non piangevi quasi mai, dormivi e mangiavi.”

“Ti sei affezionato, almeno un pochino a me?”

“Oh, si. Ma non subito. Forse solo dopo cinque … no erano ormai dieci anni che stavi con noi e cominciavi a crescere un minimo. Io non me lo spiegavo questo tuo fenomeno ma Godric lo trovava estremamente affascinante. Non crescendo le tue esigenze non cambiavano, non mostravi segni distintivi o caratteristici e la nostra copertura reggeva egregiamente”

“Quando … come … cos’è successo quando .. come ho fatto a farmi voler bene?”

“Oh, è successo quasi per caso in verità. Godric da quando c’eri tu usciva meno frequentemente; anche per mangiare impiegava pochissimo tempo rispetto a prima. Forse non voleva lasciarti o forse non si fidava di me”

“Non penso fosse questo il motivo. Godric ti vuole bene. Ti ama”

“Ed io amo lui ma in quel periodo mi accorsi di un dettaglio che mi diede la forza di cambiare il mio atteggiamento, soprattutto verso di te. Lui si prendeva cura di quella bambina perché gli piaceva e non per dovere o senso di responsabilità. Ti teneva sempre in braccio perché gli piaceva, si sentiva sereno … quasi felice. Me lo raccontò lui stesso diverso tempo dopo. E quando, finalmente, cominciai a dimenticare il mio odio nei tuoi confronti e a starti più vicino occupandomi di te me ne resi conto io stesso.

Era bellissimo tenerti tra le braccia. Trasmettevi una strana sensazione di benessere e soddisfazione, personalmente mai provata prima. E’ così che mi affezionai anche io. Tra me e te non fu amore a prima vista. Fu qualcosa di più intenso, suppongo.”

“Ed ora?”

“Ora non posso immaginarmi senza vederti o sentirti” risposi onestamente

Sorrideva allegra e soddisfatta. Ti abbracciai stretta ed i tuoi occhi si socchiusero appena. Sorrisi e raccogliendo il lenzuolo dal fondo del materasso te lo tirai addosso, per coprirti

“Ora dormi. Sei stanca”

“Non ho sonno”

“Io si, invece” replicai chiudendo gli occhi e sistemandomi in modo comodo sul letto  “Perciò smetti di ciarlare” aggiunsi cingendoti alla vita, con un braccio

Ti sentì sospirare e poi posare il capo accanto alla mia spalla, vicinissimo al mio

“Mi piace dormire con te” un altro sussurro  “Mi rilassa. Sento che niente di brutto mi può succedere”

“Mhmhm” replicai annuendo e stringendoti ancora un poco

“Mi fai stare bene. Mi fai sentire sicura, protetta … amata”

Un paio di respiri ancora ed entrambi precipitammo gradualmente in un intimo limbo di incoscienza. Dormire accanto a te, averti stretta al mio corpo e sentire il tuo calore, era serenità e torpore. Una condizione così delicata e dolce da dare assuefazione.

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Capitolo 11
*** Sconvolgimenti ***


Avviso

AVVISO

Ciao a tutti,

sono in ritardo per la pubblicazione del capitolo, lo so, e chiedo umilmente venia. Motivo?

Beh ho finito il mese scorso gli esami, almeno per questa sessione, e ho deciso di prendermi un paio di settimane di ferie (non le ho fatte quest’estate!); Ho deciso di dedicarmi alla lettura di alcuni libri che avevo in arretrato (e non dei soliti e noiosissimi testi universitari) e di recuperare la visione di puntate di serie Tv che seguo.

Non so se alcune di voi hanno avuto il piacere (o il dispiacere a seconda dei punti di vista!) di leggere l’ultimo libro della nostra amatissima serie di Sookie. Ebbene io l’ho fatto appunto in questi giorni (spazzolando pagina dopo pagina tutto il libro in un giorno solo) e ne sono rimasta molto delusa. Non riesco a capacitarmi di come l’autrice abbia potuto scegliere per lei un finale così scontato e sbagliato!

Chi di voi l’ha letto? A quanti è piaciuto il finale? Cioè io sono sconvolta… quasi quanto lo sono della scelta di Cote de Pablo di abbandonare la serie di NCIS! Ma come!!! Io sono una convintissima TIVA’s fan e aspetto la loro relazione da tipo dieci stagioni e lei adesso va via… adesso che finalmente entrambi hanno trovato il coraggio di ammettere di amarsi alla follia! Sono sconvolta!

Ho da un sacco di tempo una storia tutta loro, su NCIS intendo, e adesso dopo quello che ho scoperto come farò a dargli un finale amoroso? Che barba… speriamo solo che cambi idea!

A voi piace NCIS? Lo guardate? Che ne pensate della scelta di Cote?

Comunque, senza divagare ulteriormente, torniamo alla nostra Sookie. Ebbene, devo ammettere che dopo aver letto come va a finire mi sono un po’ demoralizzata. Amo la coppia Sookie/Eric e non vederla realizzata mi ha un po’ spiazzata. Avevo pensato, per la nostra ff con Sara/Eric un finale ben preciso ma ora non so più che fare.

Mi piacerebbe sapere cosane pensate non solo sul finale ma anche sui personaggi.

Non so ancora se inserire o meno la figura di Bill nella vicenda… se si che ruolo fargli rivestire? Più vicino al libro o alla Serie Tv?

La vicenda dei numerosi amanti di Sookie… altra spinosa questione. Devo ammettere che in tutta onesta, e per tutta la serie, ho sempre ritenuto Sookie un poco farfallona. Secondo il mio modesto parere cade un po’ troppe volte nell’idea di essere innamorata mentre poi, in realtà, non lo è davvero.

A vostro parere come potrei trattare la cosa? Anche perché mi fa un po’ strano pensare a Sara come una che salta da un letto ad un altro.

L’evolversi del carattere di Eric … nel libro si dimostra in un modo mentre nella serie tv alcuni aspetti di lui sono solo marginali. Il Mio Eric è un po’ OOC, lo avrete notato, quindi vorrei farlo avvicinare un poco a quello che è l’Eric del libro… Idee?

Ammetto di aver già scritto i prossimi 2 capitoli e di aver già impostato gli ultimi 4-5 della fan fiction. Quindi so già come andrà a finire… quello che mi manca è un cambio di rotta, un incidente che faccia movimentare un poco la storia. Dovrò pensarci bene.

Infine le figure di Sam e Godric … so già che rivestiranno un ruolo importante nella vicenda eppure ad entrambi manca qualcosina … che non riesco ancora a visualizzare.

 

Beh, ora basta ciarlare. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate … un po’ su tutto!

 

A prestissimo

Irene

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Capitolo 12
*** Godric's Memories ***


10° Capitolo Nota:
Dedico questo capitolo a Neko483 e a MariaMirella ... grazie per il vostro supporto e le vostre parole! 
A presto
Irene




Godric’s Flash-back

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=rlud7K-Hi28

 

“Ho viaggiato molto figlio mio … eppure per quante cose abbia scoperto sulla straordinaria natura di Sara, non sono riuscito a sapere poi molto dei poteri appartenenti alle sue radici materne”

“Che significa?” domandò curioso

“Quando quell’ebrea, Sarah, si presentò da noi non ebbi modo di informarmi a dovere sulla natura della nostra piccola. Stava morendo, ricordi?”

Annuì e rimase in silenzio lasciandomi proseguire

“Mi disse che sapeva poco o niente della natura del padre”

“E’ vero, anche noi abbiamo scoperto di lui solo grazie alle tue ricerche e ai tuoi viaggi” concordò interrompendomi

“Già, eppure quella donna aveva strane capacità. Mi disse di discendere da stregoni della Transilvania rivelandomi poi, che anche la famiglia di Saphira, madre biologica di Sara, lo era”

“Non capisco, padre. Stregoni? Che poteri hanno?” domandò un poco confuso e preoccupato

“Non saprei dirlo di preciso e questo mi impensierisce non poco. Una strana ombra di mistero ammanta, da sempre, le origini e i poteri di questa gente. Vengono chiamati i conoscitori della Transilvania e si dice abbiano particolari capacità. Se queste siano innate o dovute ad accordi o patti stipulati con creature buone od oscure non saprei dirlo. Non essendomi mai spinto così vicino quelle terre non posso né voglio azzardare ipotesi. So di per certo che quell’ebrea aveva praticato un qualche tipo di incantesimo su Sara, in modo da non poterle nuocere toccandola. L’incantesimo si è dissolto poco dopo la morte dell’ebrea, eppure ti posso garantire che ne ho percepito l’essenza ed è stato … bizzarro”

“Mhm… se così fosse Sara sarebbe un bel miscuglio di capacità e potere” ragionò ad alta voce

“Hai perfettamente ragione e questo non mi piace affatto. Potrebbe sviluppare capacità al di sopra del suo controllo magari pericolose per se stessa e gli altri. Non mi piace! Non voglio che sia in pericolo e ritengo che questi suoi poteri farebbero gola a molti, incominciando dalla nostra stessa razza.”

“La proteggeremo” dichiarò risoluto e sicuro di se  “Non permetteremo a nessuno di farle del male o a lei di nuocere a qualcuno”

“Questo è certo! Ma non possiamo neppure starle con il fiato sul collo per sempre, Eric. Adesso è piccola e va bene, tuttavia sta crescendo e, bene o male, tra qualche anno diventerà adulta. Non so proprio come faremo a tenerla al sicuro. Il solo pensiero di saperla indifesa o in pericolo, lo ammetto, mi riempie il petto di angoscia”

Lo vidi annuire in accordo alle mie parole e ai miei sentimenti. Provava anche lui, ormai, un profondo affetto per quella piccola umana e saperla al sicuro era diventato qualcosa di istintivo e ad entrambi caro, lontanissimo dal solo senso di dovere che lo spingeva all’inizio.

“E poi, lo vedi anche tu. Ogni giorno che passa, diventa sempre più vivace ed indipendente. E’ così intelligente e ricettiva da riempirmi d’orgoglio ma anche di pensieri circa il suo futuro. Sarà difficile tenerla al sicuro senza soffocarla di attenzioni e responsabilità”

“Non per questo mi arrenderò” affermò alzandosi in piedi “Magari litigheremo o discuteremo ma non per questo verrò meno a quella che è la mia volontà di saperla felice e protetta”

Lo guardai e sorrisi in modo sincero. Era in assoluto accordo con le mie intenzioni. Non ci saremmo arresi. Oramai Sara apparteneva a noi, era nostra. La sua sicurezza coincideva con la nostra, il suo benessere corrispondeva a quello di entrambi.

“E per la storia dei nomi? Perché ha tre nomi?” chiese sedendosi nuovamente

*** La conoscenza del nome è la conoscenza autentica; pronunciare il nome equivale a plasmare un'immagine spirituale, rivelare l'essenza di un essere. Nominando si crea. Chi conosce i veri nomi, nascosti al profano, vive un possesso. [estratto dal libro "Il mondo magico dell'antico Egitto" di Christian Jacq] ***


“Anticamente si credeva che la scelta del nome dato ad un bambino o bambina incidesse su quello che sarebbe stata la vita, le vittorie e le sofferenze future di questa creatura. L’insieme di alcune vocali e consonanti dava vita a poteri mistici legati ad invocazioni purtroppo ormai dimenticati. Quindi dare più e diversi nomi al proprio figlio serviva a garantirgli una vita costellata di benessere, ricchezze, fama o vittorie … a seconda del nome prescelto. Il nome, dunque, è un vero e proprio tesoro! Andava difeso e tutelato pena la perdita dell'identità e del proprio potere. Ora, secondo queste credenze era possibile controllare cose e persone grazie al loro nome, grazie agli elementi mistici presenti in quei suoni e portatori di energia. Pronunciando le parole rituali, si usavano i suoni come materia animata, agendo sul mondo esterno ed eventualmente anche modificarlo. Nominare significava evocare! Una credenza che è rimasta solo parzialmente in alcune culture odierne e completamente scomparse in altre. Probabilmente la natura del padre biologico di Sara era ancora ricca di questi pensieri ed ha voluto salvaguardare la vita e il benessere futuro di sua figlia.”

“E Sara che altri nomi ha ricevuto? Te li ha confidati l’ebrea?”

“Disse di aver scelto per lei tre nomi mentre altri nomi segreti vennero scelti ed imposti a Sara dai genitori stessi. Sara (principessa), Evie (che dà la vita) e Jocelin (combattente, guerriera) sono tutti nomi di origine ebraica, naturalmente. Presto dovremmo provvedere a fare per lei dei documenti”

“Naturalmente” annuì serio  “So già a chi rivolgermi. Lascia che ci pensi io”

“Siamo d’accordo, allora”  annuì compiaciuto  “Ora andiamo a riposare”

 

 

 

QUALCHE ANNO DOPO…

 

“Papi?”

“Dimmi Sara” risposi alzando gli occhi dai documenti che stavo leggendo e voltandomi verso di lei

Era in piedi, vicino alla finestra, con la schiena rivolta verso di me e lo sguardo verso l’esterno.

Avevo notato quanto spesso si accostava a quella finestra ad osservare, per un tempo che a me pareva infinito, il giardino e il cielo o qualsiasi altra elemento esterno catturasse il suo sguardo e la sua attenzione.

“Cos’è quella cosa bianca? Quella che cade dal cielo per posarsi in terra?”

Sorrisi nel sentire la sua domanda.

Aveva una proprietà di linguaggio che lasciava me ed Eric sempre a bocca aperta. A volte, capitava che si ingarbugliasse con le parole e andasse a formare frasi un poco strambe tuttavia anche in quei casi, una luminosa curiosità negli occhi le animava il viso. E così accadeva in quel momento, quando voltandosi finalmente verso di me, mi permise di notarla.

“E’ neve Sara. L’hai già vista prima” le risposi delicato

Sapevo già quale sarebbe stato il suo prossimo quesito perciò adottai un tono pacato, gentile

“Si, so che si chiama neve papi. Quello che voglio sapere è come si forma. Di cosa è fatta? E’ perché cade solo quando fa tanto freddo e non c’è il sole? Perché in alcuni paesi si e in altri no?”

Un sentimento simile all’orgoglio e al compiacimento mi riempì il petto, scaldandolo come solo lei sapeva fare. La sua curiosità ed intelligenza mi affascinavano ed impaurivano assieme.

Di questo passo fra qualche anno quante cose conoscerà?

“La neve è un fenomeno atmosferico, Sara, come lo è la pioggia. E’ fatta di acqua ghiacciata ed è composta da piccolissimi cristalli che si formano in cielo quando fa molto molto freddo.”

“E poi cade giù?”

“Esatto. Cade e si deposita al suolo, proteggendolo dal freddo e dal gelo dell’inverno”

“Ma Eric mi ha detto che la neve diventa ghiaccio” mi domandò ancora  “Se diventa ghiaccio non vuole proteggere la terra, giusto? La inganna e la prende in giro perché lei cade dal cielo ma poi si ritrova a terra e la terra si ritrova sotto di lei … quindi la neve dice le bugie, Vero papi?”

Sorrisi nell’ascoltare quel suo fiume di parole. Mi alzai e le andai vicino. La presi in braccio ed insieme ci accostammo alla finestra

“In alcuni casi è vero, Eric ti ha detto la verità. La neve diventa ghiaccio quando le temperature sono molto basse”

“Sono basse perché fa freddo? E sono alte se fa caldo?”

“Precisamente” concordai baciandole la testolina  “In altri casi, la neve non diventa ghiaccio e rimane soffice. Quindi il terreno la accoglie in modo da proteggersi durante l’inverno”

“Come una coperta? Come quando voi mi mettete molte coperte quando dormo e molti vestiti quando usciamo fuori? Per proteggermi?”

“Esatto tesoro. E’ la stessa cosa. La neve è come un’amica per la terra, non la vuole ingannare.”

“Ma, mah … Eric mi ha detto che tutti dicono le bugie e tutti vogliono ingannare e che io devo stare attenta e fidarmi solo di voi quindi io penso che se tutti dicono bugie anche la neve lo aveva fatto. Io però non le dico le bugie e non li inganno a nessuno perché Eric mi ha detto che io non lo devo fare e devo dire sempre la verità. Tu dici le bugie papi? E prendi in giro a qualcuno e li inganni a nessuno?”

Sorrisi nel sentirla ingarbugliarsi nelle sue stesse frasi. Scossi la testa e mi accigliai nel sentire che razza di discorsi Eric le facesse.

Stavo per risponderle che non dico bugie e che solo alcuni le dicono quando entrambi sentimmo la porta di casa aprirsi. Era Eric che rientrava con la cena per Sara. Avrei dovuto fare una bella chiacchierata con mio figlio a proposito di quello che era indicato dire ad una bambina di appena pochi anni e del modo in cui dirglielo.

Sara volle essere rimessa a terra e si fiondò nell’ingresso per andare ad accogliere e abbracciare il suo Eric, così lentamente la seguì e la vidi sbracciarsi verso di lui mentre lui, posando la spesa a terra, la ricambiava con un sorriso radioso.

 

 

 

 

 

LA PRIMA VOLTA IN CUI SARA SI AMMALO’…

 

“Sara?” la chiamai a bassa voce entrando nella sua stanza senza far altro rumore  “Sara? Sveglia dormigliona”

Era sepolta da un mare di coperte e nemmeno la testa ne spuntava fuori. Sorrisi e mi avvicinai al suo letto, scostando un poco le tende e aprendo un filo la finestra al fine di far entrare il profumo fresco della notte.

“Sara?” la chiamai ancora, alzando un poco la voce e, inginocchiandomi accanto al suo letto, scostai di poco le coperte che l’avvolgevano.

Mi allarmai subito perché rimase rannicchiata su se stessa, tremante. Solitamente al mattino era sempre arzilla e pimpante. Adorava fare colazione con noi mentre la sera faceva storie per andare a letto, volendo rimanere alzata e giocare fino a tardi.

“Papi” gracchiò la sua vocina

Sgranai gli occhi quando notai il suo viso un poco rosso, gli occhi semi-chiusi, la gola ed il collo gonfi. Le tastai subito la fronte e la guancia, in una leggera carezza e capì cosa ci fosse di strano. Aveva la febbre.

SI ERA AMMALATA!

Per la prima volta stava male.

Per un momento mi feci prendere dalla rabbia.

Come era possibile che si fosse ammalata se sia io che Eric eravamo così attenti e delicati con lei? Non usciva mai senza essere più che coperta e riparata, mangiava solo alimenti freschi e adatti alla sua età. Usavamo modi e tocchi delicati nel prenderla in braccio, lavarla e badare a lei.

Come era stato possibile?

La sentì mugolare piano e stendersi un poco verso di me, in cerca di un abbraccio. E solo quello riportò la mia mente alla giusta razionalità.

“Papi” continuava a chiamarmi lei strofinandosi il visino e allungandomi le braccia.

Sorrisi benevolo e l’accolsi al mio petto. La sentì rabbrividire, la temperatura del suo corpo era superiore al normale e a contatto con la mia, fredda e morta, le diede fastidio.

“Papi” mugugnò ancora tossicchiando leggermente  “Ho freddo”

La sua vocina, di solito acuta e allegra, era spenta e molto bassa. Stava proprio male.

Presi una coperta di lana pesante e l’avvolsi attorno a lei. La tenni stretta al mio petto e scesi velocemente di sotto, in cucina. Eric era seduto al tavolo a leggere il giornale e sollevò la testa non appena mi vide entrare nella stanza.

“Sara è malata” annunciai con voce tesa guardandolo fisso negli occhi

“Cosa?” esclamò precipitandosi verso di noi.

Sara continuava a lamentarsi leggermente, forse poco cosciente ed obnubilata dalla febbre.

“Che cos’ha? E’ ferita? Cosa si è fatta? E’ caduta?” domandò agitato prendendo quel piccolo e delicato fagotto dalle mie braccia e portandoselo al petto

“Sara? Piccola mia … che cos’hai?” le domandò in tono gentile

Sorrisi a quella scena. Non lo avevo mai sentito rivolgersi a lei a quel modo e con quel tono dolce. Sembrava preoccupato e forse lo era. Era insolito per lui mostrarsi in modo così chiaro, mostrare quel che provava così apertamente.

Forse Sara stava cambiando anche lui come aveva fatto con me?

“Credo abbia la febbre. E molto alta” risposi io per lei

“E com’è successo? Ha preso freddo? Come la curiamo? Non credo sarà sufficiente il nostro sangue come due anni fa” ragionò lui allontanandosi da me per andare a sedersi in salotto davanti al camino acceso.

Fuori faceva molto freddo, eravamo in pieno inverno e portarla da un dottore con quel tempo e con il rischio che il suo tocco potesse farle male, era impensabile.

“Non ci resta che chiamare la Dr.ssa Ludwing e vedere se sia possibile farla venire a casa” ragionai nella mia mente

“Godric? Come agiamo?” mi domandò Eric dal salotto  “E’ davvero molto calda … la sua pelle scotta!” continuò sempre più allarmato

Lo misi a parte dei miei piani e preso il mio cellulare composi in fretta il numero di quella particolare vampira.

Ero al telefono in attesa di prendere la linea quando sentì le voci di Eric e Sara, dal corridoio

“Vedrai che guarirai presto, Sara”  la stava rassicurando lui

“Ho freddo” pronunciò lei tossendo forte  “Mi fa male la gola e le orecchie … non sento bene”

La sua vocina suonava spenta e triste persino a me, che ero a due stanze di distanze

“Lo so, tesoro… devi solo resistere” la consolò dolce “Godric sta chiamando un dottore che ti guarirà prestissimo. Starai bene”

“Papi?” domandò lei tossendo molto forte  “Dov’è papi?” chiese mettendosi a piangere

“E’ qui, Sara… no, non piangere. Starai bene, vedrai” lo sentì ripeterle con tono angosciato

“Sto male” rispose invece lei  “Voglio papi”

Lo sentì spostarsi con la poltrona, forse per avvicinarsi di più al calore del caminetto acceso.

“Non ti vado bene io?” le domandò lui

“Abbraccio” piagnucolò lei capricciosa

“Vieni” lo sentì soffiarle all’orecchio con tono accorato  “Adesso siamo più vicini al fuoco” continuò lui  “Hai ancora freddo?”

“Tu … sei freddo” gracchiò lei con voce bassa

“Lo so” rispose lui con voce tesa, quasi malinconica  “E in questo momento non sai cosa darei per non esserlo affatto … non per te”

“Ti voglio bene” borbottò lei sbadigliando e accoccolandosi meglio al suo petto

“Anche io, tesoro … tanto … più di quanto tu possa immaginare” le sussurrò all’orecchio, a bassissima voce

Sorrisi raggiante a quelle parole e senza fare alcun rumore, senza farmi sentire da Eric, mi allontanai per prendere accordi con la Ludwing.

 

Un’oretta dopo, la dottoressa era china sul minuscolo e febbricitante corpo di Sara, intenta a farle un’accurata visita medica. Non fu delicata, nel trattare con lei, e un paio di volte dovetti reprimere l’impulso di farla volare fuori dalla finestra.

L’esito?

Sara aveva una leggera otite, febbre alta e gola infiammata. Ci diede le dovute medicine solo dietro il pagamento di uno stratosferico compenso. Pagammo senza nemmeno pensarci dopodiché prese i suoi strumenti, un leggero cappotto (giusto per apparenza) e con naso all’insù uscì da casa nostra.

 

 

 

 

 

 

 

 

SARA E LA BELLEZZA…

 

Avevo appena finito di farle il bagno, quindi la stavo asciugando delicatamente con un morbido asciugamano quando lei districandosi a forza dal telo, incatenò il suo sguardo azzurrissimo al mio.

“Papi, io sono bella?” domandò secca

Rimasi un poco perplesso da quella domanda, chiedendole poi la ragione di quel quesito

“Tutti mi dicono che sono una bellissima bambina … ma io non so cosa significa essere bellissima. Io sono bella?”

“Sei molto più che bella, Sara. Ai miei occhi sei una creatura stupenda” le risposi infilandole la biancheria

“E stupenda è più di bella?”

“Oh si.”

“E io posso essere bella, bellissima e stupenda?”

Scoppiai a ridere e prima di risponderle finì di infilarle il pigiamino.  “Credo di si, che tu possa essere tutte queste cose”

“Perché?” domandò lei colpita  “Tu non lo sei?”

“Vedi Sara, la bellezza è qualcosa di tremendamente soggettivo. E’ un insieme di elementi differenti a fare di una persona una bellezza. Tuttavia è un aggettivo che può essere applicato non solo alle persone ma anche agli animali, alle cose e all’ambiente”

“Non ho capito, papi” rispose giustamente confusa lei

“Non importa, capirai quando sarai più grande” risposi prendendola in braccio ed uscendo dal bagno, diretti verso la sua cameretta

“Ma come faccio ad essere bellissima e stupenda se non capisco quando e come succede?”

“Non è una cosa che puoi manovrare o modificare a tuo piacimento, Sara” risposi con indulgenza  “Sono le altre persone che decidono se sei bellissima. Non sei tu che decidi di essere stupenda” chiarì cercando di farle capire meglio il concetto

“Ma … ma quindi io non sono bella, bellissima e stupenda? Prima mi hai detto di si!” piagnucolò quasi spaventata all’idea di non esserlo più  “Io vogliarò sempre essere bellissima. Come faccio, se lo decidono gli altri? Devo leggerlo nella loro mente?”

“Si dice vorrò sempre essere bellissima … e poi ti ho già spiegato che non puoi usare i tuoi poteri sempre ed in presenza degli altri, non sarebbe giusto lo sai” la redarguì serio

“Ascolta, il concetto di bellezza è molto difficile da capire, alcune persone nemmeno da adulti vi riescono. Per farti capire meglio pensa al cartone Bambi… ti piace Bambi, vero?”

“Oh, si” gli occhi le si illuminarono  “Mi piacciono tanto quegli animali, i Bambi, sono così bellissimi e il loro pelo è così morbido” il tono era trasognante

Sorrisi divertito ed entrando in camera, dove ci aspettava Eric, continuai  “Ecco, il punto è proprio questo. A te i Bambi piacciono molto e li trovi bellissimi. Ad Eric ad esempio, i Bambi non piacciono”

Lei si girò colpita e curiosa verso Eric, domandandogli “Perché i Bambi non ti piacciono? E gli altri animaletti ti piacciono?” domandò saltandogli in braccio

“Solo le pulci mi piacciono” le rispose lui con un sorriso ironico

“Le pulci? Sono animali? E come sono fatti?” domandò ancora con la sua solita vocina acuta

“Sono animali molto piccoli, Sara”  le risposi scostando le coperte del suo letto e prendendola dalle braccia di Eric, ve la posai sopra  “Ora dormi. Buona notte”

“Papi?” domandò lei sbadigliando “Domani mi compri un libro sugli animali? Così li imparo tutti e scelgo quelli che voglierò che sono bellissimi e quelli che mi piacciono e conoscio anche quella pulci che piacciono ad Eric?”

I suoi occhietti erano ormai quasi del tutto chiusi quando le risposi con un “Certo, tesoro” per poi baciarla amorevolmente sulla guancia

 

 

 

 

Ritornai al presente, lontano da quei ricordi passati, solo quando finalmente arrivai a destinazione. Ancora poche centinaia di metri e sarei arrivato al rifugio di Eric.

La sua abitazione non era isolata ma non era neppure situata nell’affollatissimo centro urbano, era un buon compromesso. Stabile e sicura, dotata di un ottimo sistema di sicurezza e di un seminterrato assolutamente invisibile all’esterno e impenetrabile.

Ero a pochi passi dalla porta quando fui respinto indietro da una forte energia. Mi impediva di entrare. Riprovai nuovamente ma fui respinto ancora, questa volta con più forza. Mi guardai intorno e non scorsi nessuno. Feci in giro della casa e notai l’assenza di suoni ed odori provenienti dall’interno. Mi accigliai e velocemente ritornai all’entrata.

Allungai una mano, davanti a me, riuscendo a sentire e percepire materialmente quell’energia. Era trasparente ma esattamente come uno scudo proteggeva la casa e chiunque vi fosse dentro.

“E’ molto simile alla sensazione che provai quando entrai in diretto contatto con quell’ebrea…” sussurrai a me stesso sgranando gli occhi

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Capitolo 13
*** Una parola dolce può calmare un cuore arrabbiato ***


11° Capitolo

 Una parola dolce può calmare un cuore arrabbiato…

  
https://www.youtube.com/watch?v=j0JiEglvJic

 

 

Ero sdraiata a letto, agitata, intenta a rigirarmi fra quelle fresche lenzuola. Non riuscivo a prendere sonno e la testa mi doleva quasi volesse scoppiarmi da un momento all’altro.

Cosa scatenava i miei mal di testa?

Erano casuali o ero io stessa a provocarli?

Erano le mie emozioni o i pensieri che, vorticando frenetici tra le pareti del mio cranio, premevano per poter uscire?

Assurdo… cosa andavo a pensare!

Nervosa ed scossa mi alzai, tanto era unitile continuare a rimaner sdraiata a letto senza riuscire a prender sonno. Camminai un poco per la grande stanza che ormai dividevo con Eric, tenendomi la testa con le mani.

Il mal di testa non accennava a diminuire ed ora avevo anche la nausea.

Decisi di andare di sopra, in cucina, per mangiare un poco e prendere qualcosa per quel dolore assurdo che mi trapanava, da diverse ore, il cranio.

Di sopra, notai che Eric mi aveva comprato altre confezioni di fragole e mi appuntai mentalmente di ringraziarlo non appena fosse tornato a casa, da lavoro. Ne mangiai due confezioni, per dessert una bustina di analgesico, semi sdraiata sul divano. Chiusi gli occhi e pregai che facessero effetto alla svelta.

 

Un’ora dopo, con le lacrime agli occhi e una nausea fortissima, mi costrinsi ad alzarmi per spegnere tutte le luci e prendere una piccola coperta. Mi misi seduta sul divano, poggiando la testa all’indietro in modo da non comprimere lo stomaco e aggravare la situazione.

Il mal di testa non era passato, anzi andava peggiorando di minuto in minuto.

Sudavo freddo e un momento dopo morivo di caldo. Lo stomaco mi sembrava pesantissimo, avevo acidità e frequenti conati. Eppure, per quante volte ero andata in bagno, non avevo vomitato. La situazione era rimasta immutata e stavo arrivando seriamente al limite.

Mi capitava spesso di soffrire di mal di testa ma non erano mai così persistenti e violenti, tanto da farmi piangere.

Ero preoccupata ed anche un poco in ansia perché non sapevo come far cessare tutto.

Provai a sdraiarmi nuovamente, chiusi gli occhi e  tentai di calmarmi respirando profondamente. Iniziai a contare mentalmente … 1, 2, 3, 4, 5 …

 

 

 

Rientrai a casa, più tardi rispetto al solito e già mi immaginavo le storie che avrebbe fatto Sara. Parcheggiai la macchina in garage, abbassai la bascula e la sigillai con il solito lucchetto pesante. Rialzando il capo, mi apprestai ad entrare notando, solo in quel momento, che tutte le luci di casa erano spente e nessun rumore proveniva dall’interno. Prese le chiavi, aprì la porta di casa come una furia. Preoccupato a morte.

Solo quando accesi la luce in sala mi accorsi di lei. Era seduta rigida sul divano, gli occhi sgranati e le mani a tenersi il capo con forza. Davanti a lei, vicinissimo al suo petto, andava creandosi una strana sfera luminosa.

Tentai di toccarla, di arrivare alla sua spalla, ma un potente scudo d’energia me lo impedì. Anzi mi spedì con forza dall’altra parte della stanza, scaraventandomi sul tavolino in vetro.

“Che cos’hai?” domandai ad alta voce “Sara!”

Lei non dava segno di sentirmi né di esser cosciente di quanto le stava accadendo, sembrava concentrata in altro. La chiamai di nuovo, gridando il suo nome ma con tutta probabilità non mi vedeva né sentiva la mia voce.

Mi alzai in fretta, ripulendomi dalle schegge di vetro e tentai nuovamente di avvicinarmi.

“Sara! Svegliati!” gridai  “Guarda cosa stai facendo!!!”

La sfera di energia sembrava ingrandirsi a poco a poco, le sue mani sembravano aggrappate tenacemente al cuoio capelluto mentre  gli occhi erano inondati di lacrime.

Fui scioccato da quella scena. Le sue lacrime avevano sempre avuto uno strano effetto su di me.

Scossi la testa tentando di schiarirmi le idee. Fermarmi a pensare a lei, a quanto fosse fragile ed indifesa non avrebbe contribuito a migliorare la situazione.

Magari, se tentassi un approccio differente…

 

Con lentezza esasperante, avvicinai la mia mano alle sue ma la sua energia, quella che aveva materializzato da chissà dove, mi respinse di nuovo.

Le sue lacrime continuavano a rigare il suo bellissimo viso e questo mi fece scattare rabbiosamente. Erano così fastidiose e dolorose che senza pensarci mi fiondai su quel divano e lo scossi, brutale. Lo sollevai con la sola forza delle braccia e lo sbatacchiai più volte. Volevo gridare ancora il suo nome, farla svegliare per fermare qualunque cosa stesse facendo ma dalla mia gola non uscì altro che una accorata supplica.

“Sara … ti prego, smetti di fare qualunque cosa tu stia facendo. Torna da me”

Chiusi gli occhi e posai a terra il divano. Mi accasciai sulle ginocchia, poggiando la testa sul bracciolo del divano tentando di fare mente locale e trovare una nuova soluzione efficace.

Appena un secondo dopo mi sentì sfiorare i capelli e sollevando la testa la vidi guardarmi con una dolcezza in volto che mi spezzò dentro, in un milione di pezzi.

“Sara” sussurrai avvicinando lentamente una mia mano al suo bellissimo viso

“Sei stanco?” domandò ricambiando la carezza  “Quando sei tornato? Non ti ho sentito … devo essermi addormentata”

Ritrassi la mano come scottato e rimasi a fissarla con sguardo serio

“Che significa?” domandai teso  “Non ricordi?”

“Cosa? Che c’è … perché fai quella faccia … sei arrabbiato?” domandò non riuscendo a capire quale fosse il motivo del mio irrigidimento

“Come ti senti?” chiesi di rimando, fiondandomi sul divano ad abbracciarla stretto

“Bene, credo … sono stata male a causa di un tremendo mal di testa … poi devo essermi addormentata perché non ti ho sentito rientrare” un sorriso stanco sul volto  “Come è andata a lavoro?”

“Lascia perdere il mio lavoro … voglio sapere come stai” tuonai in modo brusco, iniziando a tastarle la fronte e le braccia e il collo

Ero morto di paura, qualche minuto prima, nel vederla preda di quella strana situazione. Ora sembrava non solo che lei non ricordasse nulla ma che non avesse riportato conseguenze dall’accaduto.

“Io sto bene. Perché continui a chiedermelo?”

Mi guardava negli occhi un poco accigliata e solo allora mi accorsi che il suo sguardo era ancora bagnato di lacrime. Le avvicinai i pollici agli zigomi e con calma glieli asciugai non resistendo poi a lasciarle un lieve bacio a fior di labbra.

Le tenni la testa vicino alla mia, fronte contro fronte, mentre le mie mani le accarezzavano il collo.

“Eric cosa c’è? Sembri … turbato” sussurrò avvicinandosi con il resto del corpo “Parlami, non riesco a leggerti nella mente, lo sai … non con te”

“E’ quasi una fortuna, a volte” sussurrai, scostandomi poi per baciarle la fronte

“Vieni, parliamo giù … in camera nostra. Sono stanco. Ho bisogno di una doccia e di cambiarmi”

“Va bene”

Mi alzai per primo e mi voltai appena in tempo per vederla scivolare a terra. Le erano cedute le gambe, quasi fosse senza forze.

Si guardò lentamente per poi riportare lo sguardo su di me “Credo di non sentirmi molto b-”

Non riuscì a finire la frase perché si addormentò prima. Chiuse gli occhi e si lasciò andare alle mie braccia. L’unica cosa che riuscì a fare fu prenderla in braccio e portarla di sotto senza dire una parola.

 

Ero sotto il getto della doccia da quasi due ore eppure mi rifiutavo di uscire. L’acqua calda mi scorreva sul corpo, lenta, e sembrava essere l’unica cosa capace di tenere a freno la mia rabbia e la mia paura.

Non so nemmeno per quale motivo io sia così arrabbiato…

Avevo voglia di urlare e scatenare la mia ira.

Avevo voglia di azione e movimento eppure non potevo fare altro se non rimanere in quella maledetta doccia, rinchiuso tra due pareti di marmo.

Che cosa avrei dovuto fare? Raccontarle tutto quello che aveva fatto o tacerglielo? Come mi sarei dovuto comportare?

Godric avrebbe sicuramente saputo come agire…

 

 

 

 

… il giorno seguente…

 

Cominciai di nuovo a perdere sangue dal naso, quel dannato mal di testa era tornato un’ora prima e nonostante l’assunzione di ben due analgesici non era sparito. Cominciavo a sentirmi di nuovo debole.

Buio. Avevo bisogno di buio assoluto e di silenzio.

Mi sdraiai sul divano dopo aver oscurato tutta la stanza. Ripresi a respirare lentamente e tentai di calmarmi. Forse se mi fossi addormentata, sarei riuscita a farlo passare.

Ieri sera ha funzionato…

Quando riaprì gli occhi erano passate un paio di ore, era appena l’una di notte. Il mal di testa era diminuito e il mondo aveva smesso di vorticarmi attorno. Provai a sollevarmi, lo feci lentamente e con la massima cautela.

Mi diressi in cucina perchè avevo una fame da lupi. Mangiai in piedi, appoggiata al frigo. Vampate di caldo soffocavano la mia pelle e rimanere vicinissima alla parete del frigo mi trasmetteva una sensazione di frescura, davvero piacevole.

Quei dannati analgesici non funzionano per nulla!

Stavo per tornare in salotto a distendermi quando una fitta alla tempia mi stordì d’improvviso. Mi ritrovai a barcollare colta da vertigini e nausea. Appoggiai la schiena al muro e lentamente mi lasciai scivolare a terra.

“Ma che cavolo mi succede?” biascicai con le lacrime agli occhi

Sentì solo in lontananza il telefono di casa suonare. Poi la suoneria del mio cellulare.

Non pensai nemmeno per un momento di andare a rispondere. Non vi sarei riuscita. Mi presi la testa fra le mani e pregai con tutta me stessa che finisse tutto presto.

Voglio stare meglio, voglio stare bene.

 

 

 

“Non risponde nessuno” mi annunciò Pam entrando in ufficio

Ero in piedi col cellulare tra le mani e stavo provando a chiamarla da diversi minuti. A Pam avevo ordinato di chiamare a casa mentre io provavo sul suo cellulare. Non rispondeva nessuno.

“Merda!” imprecai ad alta voce

Possibile che stia ancora male?

Un gigantesco lampo di preoccupazione e paura mi attanagliò lo stomaco.

Forse, non avrei dovuto lasciarla a casa da sola.

Non puoi starle sempre appiccicato al culo, cazzo! E’ adulta ed autonoma!

Pam mi guardava incuriosita e confusa, appoggiata alla porta. Sollevai lo sguardo e mi volsi verso di lei 

“Fai andare via tutti. Chiudi il locale” ordinai mentre raccattavo le poche cose presenti sulla scrivania

“Cosa?” mi domandò scioccata  “Che diavolo stai dicendo, Eric?”

Era stupita, incredula e a buona ragione. Purtroppo in quel momento non avevo tempo di spiegarle i dettagli, avevo bisogno che mi seguisse subito a casa.

“Fai come ti ho detto, Pamela” ordinai deciso, sollevando di scatto la testa verso di lei

Raramente la chiamavo con il suo nome completo e quando lo facevo era per imporre la mia volontà sulla sua. Si trattava di ordini che non poteva assolutamente discutere.

“Bene” sibilò infastidita, precipitandosi ad eseguire

 

 

Salimmo in macchina velocemente e qualche minuto dopo eravamo a casa. Notai subito che le luci erano spente e dentro di me pregai intensamente che lei stesse bene.

“Come mai è tutto spento? Dov’è Sara?” domandò Pam scendendo dalla macchina

Arrivai alla porta e l’aprì velocemente. Accesi la luce e i miei incubi si concretizzarono all’istante.

Sara era riversa a terra e sembrava svenuta.

Mi precipitai da lei gridando il suo nome  “SARA!!!”

La presi tra le braccia e le sfiorai il viso. Non dava segni di ripresa ma per fortuna non era preda di quella strana crisi che l’aveva colpita la sera prima.

“Che cos’ha?”

“Non lo so” risposi prendendo in braccio quel suo fragile corpo umano

“Sara, piccola mia…” sussurrai al suo orecchio a voce bassissima 

Pam, capendo le mie intenzioni, liberò il divano e lo sistemò permettendomi di posarvela sopra.

Le accarezzai delicato la fronte e la trovai fresca, non aveva febbre. Corsi in cucina e presi una pezzuola di stoffa e un piccolo catino, riempiendolo di acqua.

Tornai accanto a lei e cominciai a bagnarle la fronte, il collo e i polsi. Non sapevo cos’altro fare e mi volsi verso Pam come in cerca di aiuto.

“Forse dovremmo sollevarle le gambe … potrebbe aiutare” borbottò dandosi da fare

 

 

 

 

 

 

 

 

Non so quanto tempo fosse passato quando notai che lentamente stava riaprendo gli occhi e tornando cosciente.

“Hey” sussurrai

Era tutto quello che riuscì a dire. Non mi ero allontanato da lei e non lo avrei fatto sino a quando non si fosse alzata anche lei. Pam era al mio fianco, in piedi, rigida e silenziosa.

Sarebbe stato sempre così?

Sarei morto ogni volta che si fosse sentita male e sarei risorto solo quando si fosse ripresa?

 E che ne era stato del mio carattere? Del mio modo di fare e di essere? Perché spariva del tutto in sua presenza?

Perché mi risultava così importante ed essenziale?

Perché mi scatenava tutto quel sentire quando avevo fatto della mia esistenza una distesa eterna ed oscura di insensibilità totale?

 

La porta di casa si spalancò d’improvviso, proprio in quel momento, e l’autoritaria figura di Godric entrò velocemente.

Arrivò vicinissimo a noi, in pochi istanti, accovacciandosi ad accarezzare con una dolcezza ultraterrena, che gli invidiavo e che mai mi sarebbe appartenuta, il livido viso di Sara.

“Papi” sussurrò lei con un sorriso stanco

Mi sollevai di scatto e lasciai il posto a lui, che si accomodò vicino ai suoi piedi prendendoli sulle sue ginocchia

“Stai meglio, figlia mia?” domandò sollecito, prendendole una mano tra le sue

“Ora si” risposi io per Sara  “Ma è stata molto male ... anche ieri sera” continuai con tono duro  “C’è qualcosa che non va”

“Lo so bene Eric … la casa è circondata da un alone di energia molto forte … a tratti è impenetrabile”

“Cosa?”

Mi voltai verso Pam che aveva trattenuto il fiato sorpresa poi gli domandai  “Credi che sia lei?”

“Sono sicuro che sia opera di Sara … ero fuori da qualche minuto e solo adesso sono riuscito a passare … e quell’energia è ancora qui … tutta la stanza ne è pervasa” mi spiegò sempre senza distogliere lo sguardo da Sara, che si era riaddormentata 

“E’ fortissima… com’è possibile che tu non riesca a percepirla?” mi domandò voltandosi e guardandomi, finalmente, per la prima volta da quando era arrivato

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