Niphredil - la via per gli Ered Luin di La Matta (/viewuser.php?uid=40389)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dimrill Dale ***
Capitolo 2: *** Niphredil ***
Capitolo 3: *** La caduta ***
Capitolo 4: *** Il Mirolago ***
Capitolo 5: *** Esuli ***
Capitolo 6: *** Una punta di freccia ***
Capitolo 7: *** Lo stesso sogno ***
Capitolo 8: *** L'Occhio e il Serpente ***
Capitolo 9: *** La casa di Angus (parte prima) ***
Capitolo 10: *** La Casa di Angus (parte seconda) ***
Capitolo 11: *** Il banchetto ***
Capitolo 12: *** Lo spirito e il pugnale ***
Capitolo 13: *** I problemi degli Orchi ***
Capitolo 14: *** Aspettando la guerra ***
Capitolo 15: *** Cambiamento ***
Capitolo 16: *** In cammino ***
Capitolo 1 *** Dimrill Dale ***
Niphredil 1
Capitolo Primo
Dimrill Dale
Il campo di battaglia è avvolto dalla penombra nebbiosa
dell’inverno. Il sole splende pallido nel cielo plumbeo, senza riuscire a
scacciare il gelo.
L’elsa dell’ascia è resa scivolosa dal sangue degli orchi
uccisi.
Le grandi porte di Moria proiettano la loro ombra sul campo
di battaglia, dove riecheggia lo stridore delle armi e dove le grida di guerra
si mescolano ai gemiti strozzati di agonia.
Thorin cala l’ascia, mozzando la testa di un orco. Il nemico
cade a terra, mentre il sangue gorgoglia dalla gola tranciata. Ma non appena
uno è abbattuto, altri due prendono il suo posto.
Il nano comincia a credere che non finirà mai, che la
battaglia di Dimrill Dale andrà avanti fino alla fine del tempo stesso.
Stringe la presa sull’impugnatura dell’arma e, con uno
scatto, affonda la lama nel torace di un orco.
Sangue nerastro e maleodorante gli imbratta l’armatura.
Ad un tratto, uno sfarfallio luminescente attrae la sua
attenzione. Non ne identifica subito la fonte, ma un altro dardo di pura luce
sfreccia nell’aria.
Poco lontano da lui, un elfo femmina lancia pugnali di
metallo argentino. Ha anche una spada corta, sulla cui lama scintillano rune
iridescenti.
Thorin le si avvicina, menando fendenti con l’ascia e
lasciandosi alle spalle una scia di cadaveri.
L’elfo femmina sembra un miraggio, un pessimo scherzo della
sua mente stanca.
Lentamente, impercettibilmente, l’avanguardia nanica sta
indietreggiando, provata dalle perdite e dalla schiacciante superiorità
numerica del nemico.
Mentre ripiegano sul vicino bosco, la giovane dalla lama
splendente scompare, nel folto della battaglia, tanto che Thorin si convince di
averla immaginata.
Nessuno elfo verrà in
aiuto dei nani, nemmeno oggi.
I nemici sono dappertutto e Azog, l’inarrestabile orco
pallido, troneggia sulle sue truppe, terribile ed inquietante come uno spettro
implacabile.
Arrivano ad ondate, ricacciando indietro i nani, stremati
dal lutto e dalla fatica.
Improvvisamente, rivede l’elfo femmina. Ha riposto i pugnali
e tiene levata la spada, mentre sostiene un nano, gravemente ferito. Thorin
trattiene il fiato nel riconoscere nel guerriero suo fratello minore, Frerin.
Il sangue del suo sangue rende rossa l’armatura della giovane straniera.
Una volta raggiunte le fronde verdeggianti del bosco,
l’armata nanica può fermarsi e riorganizzarsi.
Thorin crolla seduto su un vecchio ceppo, con un lungo
respiro.
L’elfo femmina lo raggiunge, a passo leggero. La spada
ticchetta delicatamente contro l’armatura e le rune brillano come frammenti di
stelle. I suoi capelli sono lunghissimi, di un biondo tanto pallido da sembrare
bianco. Sono serrati in una robusta treccia, che le si adagia sull’incavo della
spalla.
- Sei venuta a farti beffe di noi, elfo femmina?- ringhia
Thorin, vedendola avvicinarsi.
- Sono venuta a combattere.- ribatte lei, stringendosi nelle
spalle - anche una sola lama è importante, quando se ne hanno poche a
disposizione.-
- Da dove?-
- Dal Reame Boscoso. O da più lontano. E’ molto tempo che
non ho una casa.-
- Allora sii la benvenuta, pellegrina.- il nano si volta,
allungandole una mano - io sono Thorin.-
Lei sorride e i suoi occhi verde pallido, per un attimo, si
addolciscono:- Niphredil.-
Si stanno stringendo la mano quando un guerriero, scuro in
volto, si avvicina a Thorin. Ha la corazza ammaccata e lurida di sangue, fresco
e rappreso. La sua voce vacilla solo per un istante, ma la sua espressione
rimane salda e stoica.
- Mio signore…- dice, chinando il capo -… si tratta di
vostro fratello. I nostri medici hanno tentato ogni cosa, ma le sue ferite sono
terribili. Credo che presto si riunirà ai nostri avi.-
Niphredil non parla. Rimane in disparte, con le mani
raccolte in grembo e gli occhi lontani. Sa che sarebbe inutile pronunciare
parole di cordoglio, che suonerebbero ipocrite e retoriche dalle labbra di una
straniera. Così tace, guardando Thorin senza vederlo.
Il nano lo sta conducendo verso uno spiazzo poco distante,
dove i guaritori si affaccendano per arginare le perdite. L’odore del sangue è
penetrante, eppure uno strano silenzio permea l’aria. I guerrieri feriti non
gridano, né si lamentano. Qualcuno impreca, maledicendo gli orchi. Chi può
ancora farlo sistema le armi o discute di strategia.
Frerin giace su una stuoia. Le sue ferite sono state bendate,
ma il sangue ha già scurito le bende. Un filo scarlatto gli esce dalle labbra,
perdendosi fra i ciuffi della barba.
Stringe le dita a pugno ed ogni respiro è un’agonia, ma il
suo sguardo è ancora lucido.
Thorin s’inginocchia al suo fianco, toccandogli una mano.
- Un giorno - ansima Frerin - un giorno mi vendicherai. Un
giorno banchetterai di nuovo nelle vaste sale sotto la montagna.-
Gli occhi di Thorin sono asciutti, privi di lacrime. Stringe
la mano del fratello, sentendola gelida al tatto. La presa di Frerin è debole e
bagnata di sudore freddo.
- Raggiungi con fierezza le case dei nostri antenati.-
pronuncia.
Resta accanto al nano, anche se sa che il loro addio è
compiuto e che non ci saranno altre parole.
Mentre il respiro di Frerin si fa più affannoso, Thorin
cerca di ricordare la loro giovinezza, ad Erebor. I combattimenti, le canzoni,
il fasto del regno sotto la Montagna.
Ricorda il vigore di suo fratello, nelle battaglie combattute
fianco a fianco, coprendosi le spalle a vicenda.
Pensa a loro sorella, Dìs, che non piangerà, perché la loro
stirpe è forte e salda come la pietra.
Frerin esala un ultimo, doloroso sospiro, poi giace
immobile, con gli occhi fissi al cielo plumbeo.
Thorin veglia sul cadavere per qualche minuto, racchiuso in
un silenzio pieno di amari ricordi, poi permette agli altri nani di portarlo
via e comporlo lontano dal campo di battaglia.
Se la stirpe di Thràin sopravvivrà, Frerin avrà gli onori
funebri che merita.
Poco lontana, Niphredil si sente osservata, così si alza e
s’inoltra nel folto della foresta.
Da qualche parte, oltre gli alberi, si cela il Mirolago
dalle acque blu.
La giovane ne sente il profumo e il delicato sussurrare,
nell’aria.
I suoi stivali non producono rumore sul tappeto di foglie e
terriccio.
Il basso rumoreggiare del popolo nanico non si sente più,
quando il verso di un animale attira l’attenzione di Niphredil. La guerriera
oltrepassa due alberi secolari e si trova a guardare negli occhi un enorme
alce, dal portamento nobile e dalle maestose corna.
I suoi occhi brillano di un’intelligenza profonda, molto più
che umana.
- E tu cosa ci fa qui?- chiede Niphredil, dolcemente,
accarezzando l’animale sul muso.
Una mano sottile ma forte le si serra al polso, mentre una
voce sussurra, contro il suo collo:- la stessa cosa potrei chiedere a te.-
La Coda: - La Matta- è tornata!
Forse vi ricorderete di me (una volta mi chiamavano Chary) per le demenzialissime e ahimè
incompiute “cronache di Andael”, che mi riprometto sempre di riprendere ma che
andrebbero rimesse a posto da pagina uno, con un notevole lavoro di
rielaborazione.
Consigli e critiche ben accette.
Sopratutti i recensori più pignoli sono i benvenuti, poiché
provo grande stima per chi lima i dettagli.
Bene, detto questo spero che il prossimo capitolo sia
vagamente più significativo di questo (e con meno nani morti, ma non posso
promettere!)
Un bacio!
- La Matta-
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Capitolo 2 *** Niphredil ***
niphredil 2
Capitolo Secondo
Niphredil
Niphredil si volta, lentamente, mentre le dita affusolate
ancora le cingono il polso.
Conosce quella presa, come conosce quella voce, resa fredda
da un’eco di ostilità.
- Sire.- saluta, chinando il capo, perché di fronte a lei si
trova Thranduil, signore del Reame Boscoso.
I suoi occhi azzurri sono pervasi dallo stesso gelo che
Niphredil ricorda dal loro ultimo incontro.
- Ero pronto a perdonare il tuo animo irrequieto, a
sorvolare sulle tue intemperanze e peregrinazioni. Eppure hai scelto di
sguainare le armi in difesa del popolo nanico. Quale follia, quale malsano
desiderio ti ha condotta fino a Dimrill Dale?-
- Ho scelto la via dell’esilio, mio signore.- ribatte la guerriera
- il mio tempo è ora mio soltanto e non devo rendere conto a nessuno di come lo
utilizzo.-
- Hai frainteso le mie parole.- la riprende Thranduil. La
sua mano si serra con più forza al braccio di lei. La tira verso di sé, fino a
parlarle direttamente sulle labbra:- ti ho offerto una scelta: l’obbedienza o
l’esilio. Hai saggiamente deciso di chinare il capo, d’ingoiare l’orgoglio e di
rimanere al mio fianco.-
- Era la scelta sbagliata.-
ansima lei, con gli occhi pieni di rimpianto
- Giusto e sbagliato sono parole con cui aizzare o tacitare
la tua coscienza. Dimentica il passato.- Thranduil abbassa la voce, respirando
sulla bocca di lei - Torna a casa,
Niphredil.-
Niphredil si morde un labbro, ma il suo sguardo rimane
risoluto.
- Vorrei poterlo fare.- sussurra, sfiorando la guancia
dell’elfo con una carezza - ma sarebbe un’altra scelta sbagliata. Eryn Galen
(*) mi manca ogni giorno, da quando sono partita. Eppure…- indugia, per poi
ritrarre la mano.
Thranduil sta per ribattere quando il rombo di un corno
invade la radura.
- Sono i rinforzi.- sussurra Niphredil, voltandosi di scatto
verso la fonte del suono - I nani dei Colli Ferrosi. La battaglia ancora non è
perduta.-
Un’ombra oscura il volto dell’elfo:- e ora ti congederai da
me nella lingua di Moria?- chiede, sarcastico - rinuncerai alla spada per
brandire l’ascia bipenne?-
- Sarò sempre Niphredil di Eryn Galen, mio signore.- mormora
la guerriera, indietreggiando - so che non è questa la risposta che sei venuto
a cercare, così lontano dal Reame Boscoso, ma è l’unica che posso darti.-
Il corno nanico riecheggia di nuovo, accompagnato da un
concitato vocio e dal rumore di migliaia di piedi in marcia, di armi sguainate,
di respiri profondi prima della battaglia.
- Devo andare.- dice Niphredil.
Lentamente, Thranduil allenta la stretta sul suo braccio. La
mano gli ricade contro il fianco.
- Tornerai.-
pronuncia, gelido, ma Niphredil non capisce se è un desiderio o una minaccia.
- Namárië.-
risponde, per poi sguainare la spada e correre, verso il folto del bosco.
Quando Niphredil abbandona le rassicuranti ombre del bosco,
la battaglia già infuria.
I nani, rincuorati dai rinforzi, sono tornati alla carica e
le truppe fresche dei Colli Ferrosi hanno sorpreso gli orchi, attaccandoli al
fianco e togliendo loro ogni possibilità di movimento.
La pallida luce del sole squarcia le pesanti nuvole plumbee
e i guerrieri fronteggiano compatti il nemico.
Su uno spiazzo roccioso, un nano dalla splendente armatura
grida il nome di Azog in tono di sfida, chiamandolo vile mostro e codardo.
La sua voce tuona come la tempesta e le sue parole
ribolliscono d’orgoglio e di rabbia, senza tradire alcuna debolezza, eppure il
suo corpo è costellato di ferite ed una, peggiore delle altre, gli devasta il
viso.
E poi Azog arriva.
Si avvicina a passo pesante, circondato dalle guardie della
sua scorta.
I suoi occhi ardono come fuoco. L’enorme mazza solleva
nuvole di polvere.
Ostenta una grande tranquillità, cammina fra gli scontri,
ignorando i nemici.
Ha occhi solo per il nano in armatura e, quando lo
raggiunge, emette un basso ringhio.
- Nàin dei Colli Ferrosi.- pronuncia, con il suono di uno
sputo
- Colui che ti spazzerà via da questa terra, feccia!- ribatte il nano.
Niphredil cerca di raggiungerli, ma è perennemente circondata
dagli orchi.
La brama di sangue elfico li rende ciechi e tracotanti.
I migliori riescono ad insultarla, prima che la spada della
guerriera doni loro l’eterno silenzio.
- Pensavo fossi scappata, elfo femmina!- la sorprende,
all’improvviso, la voce di Thorin.
- Scappata?- Niphredil lancia uno degli ultimi pugnali,
conficcandolo nell’occhio di un orco - ho solo fatto una passeggiata.-
Un rumore assordante sovrasta lo stridore della battaglia.
Azog ha calato la sua mazza, colpendo il martello di Nàin.
L’arma del signore dei Colli Ferrosi giace a terra,
frantumata, e il nano, carponi, lancia al nemico un’ultima maledizione, prima
di chinare il capo, in attesa del colpo di grazia.
- Il tempo della tua gente è finito.- ringhia Azog,
sollevando la mazza.
- Il mio unico rammarico è che non vedrò il giorno in cui
un’ascia nanica ti staccherà dal collo quella disgustosa testa.- ribatté Nàin.
Poi la mazza dell’orco cala su di lui, fracassandogli il
cranio.
Il re dei Colli Ferrosi muore in una pozza del proprio
sangue, con un sorriso di scherno sulle labbra.
Accanto a Niphredil, un nano leva gli occhi al cielo e
prorompe in un grido di dolore
- Padre!-
Il guerriero indossa un’armatura simile a quella di Nàin e,
decapitato un orco che gli sbarrava la strada, corre verso il poggio roccioso,
per inseguire Azog.
Thorin però è al suo fianco e gli afferra con forza il
braccio, trattenendolo
- No, Dàin!- esclama, tirandolo indietro - si stanno
ritirando! Quando lo raggiungerai sarà al centro del suo esercito, sotto le
mura di Moria! Se lo segui, non farai ritorno!-
- Devo vendicare mio padre!- abbaia Dàin, il volto deturpato
dall’odio e dalla sofferenza
- Ed io mio fratello.- ribatte Thorin, senza allentare la
presa - ma pensi che loro desidererebbero lo stesso la vendetta, se il prezzo
fosse la nostra morte certa? Il nostro popolo ha bisogno che i suoi condottieri
siano ancora in piedi, alla fine di questo giorno di sangue!-
La sagoma di Azog è sempre più lontana, sta arretrando,
mentre il suo esercito si divide per farlo passare. La sua guardia personale
gli copre le spalle.
- Non m’interessa.- sbotta Dàin, alla fine - rimani tu
indietro, se è questo che reputi giusto.-
Si divincola e si libera dalla presa di Thorin, per poi
mettersi a correre verso l’odiato Azog.
- Maledetto testardo!- impreca il nano, inseguendolo.
Non gli permetterà di morire da solo, circondato da nemici
ghignanti.
I due guerrieri hanno quasi raggiunto Azog, quando Thorin si
accorge che Niphredil li sta seguendo.
La treccia le ondeggia alle spalle come un vessillo, la sua
spada adamantina lancia bagliori.
- Non è la tua guerra, elfo femmina.- ansima, quando lei lo
affianca - perché mi segui?-
La giovane si stringe nelle spalle. Lacera il collo di un
orco, prima di ribattere, con un sorriso:- perché tu pensavi che sarei fuggita.-
(*) nome elfico del Reame Boscoso
La Coda!
Cavolo, avevo detto “basta
nani morti”!
Ok, nani morti a parte (dal prossimo capitolo ci do un
taglio, giuro!), grazie per essere giunti fin qui e spero che il capitolo vi
sia piaciuto!
Un bacio e auspicabilmente a presto!
- La Matta
-
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Capitolo 3 *** La caduta ***
niphredil 3
Capitolo Terzo
La caduta
L’orco pallido si è accorto dei due nani che lo stanno
inseguendo.
Li osserva, circondato da guardie scelte, con una smorfia
disgustata.
- Non fuggire, codardo!- tuona Dàin.
Un fulmine squarcia il cielo, lacerando le pesanti nuvole
grigie.
La pioggia inizia a cadere, gelida, penetrante, scivola
nelle armature e s’insinua nelle ossa.
Gli orchi sono in rotta, ma Azog non riesce ad ignorare gli
insulti e le sfide di Dàin.
Si rigira la mazza fra le mani, mentre l’adrenalina gli
pompa il sangue nelle vene.
- Mostro schifoso! Verme che striscia nelle tenebre!-
prosegue il nano dei Colli Ferrosi, aprendosi la strada verso di lui mulinando
la possente ascia bipenne.
Thorin lo segue, in silenzio, distribuendo morte accanto a
Niphredil.
Uno dei luogotenenti afferra il braccio di Azog, ma
l’orco si riscuote con veemenza, ringhiando.
Il sottoposto indica Dàin, poi gli mormora qualcosa.
Azog lo percuote violentemente, con una bestemmia, per poi
dirigersi verso i nani.
- Abbiamo attirato la sua attenzione.- dice Dàin,
trionfante, aumentando la stretta sull’ascia.
Niphredil si volta verso Thorin, per dirgli qualcosa, ma un
orco la carica prima che possa parlare.
Per evitarlo, la giovane si lascia cadere a terra, per poi
colpirlo con un fendente all’inguine, attraverso la giuntura della corazza. Il
nemico le si affloscia addosso.
Niphredil batte le palpebre. Di fronte a lei, immobile, il
cadavere di un nano fissa il cielo, paralizzato nel rigore della morte. Il suo
volto è deturpato da una tremenda ustione, vecchia di anni.
La guerriera si blocca, fissa la cicatrice come ipnotizzata.
Non appena si distoglie dal presente, i ricordi l’assalgono,
la sommergono come un fiume in piena. La sua mente si riempie di grida, del
rombo della pietra che crolla, dell’agonia di un popolo in fuga, abbandonato da
coloro che avrebbero potuto portare aiuto.
E rivede sé stessa, nella sua magnifica armatura, coi
capelli intrecciati di rami dalle gemme argentee. Ricorda il mantello che le
scivolava sulle spalle e il peso della spada lunga nel fodero.
Ricorda Thranduil sulla sua cavalcatura, gli occhi gelidi
che squadravano con superbia i nani.
Un nano si era voltato verso di
loro, gridando aiuto, gesticolando.
Il suo sguardo era pieno di
dolore. La sua gente combatteva valorosamente.
Ma moriva in fretta.
- Mio signore - aveva detto lei,
voltandosi verso il suo re - possiamo scendere da quest’altura ed attaccare i
nemici sul fianco. La città è persa, tuttavia…-
Thranduil aveva sollevato un
braccio, per farla tacere:- No, Niphredil. Non intendo rischiare la vita del
mio popolo per proteggere coloro che più volte hanno ignorato gli avvertimenti.
Ordina la ritirata.-
Lei l’aveva guardato, confusa:-
non possiamo abbandonarli.- aveva protestato, debolmente
- Il mio capitano ha il cuore
tenero, dunque.-
- Penso che la morte sia un
prezzo troppo alto da pagare, per non averti prestato ascolto.-
Thranduil aveva scosso il capo:-
mi rimproveri per non voler rischiare la vita della nostra gente?-
Niphredil ricorda ogni istante di
quella conversazione. Ricorda l’espressione sul volto del suo re, la sua
bellezza distaccata, il gelo nei suoi occhi, mentre osservava lo sterminio
della gente di Dùrin.
L’aveva guardato, quel giorno,
come se lo vedesse per la prima volta.
- Non rimarrò qui a guadarli
morire.- aveva esclamato, risoluta
- Ti ho ordinato di comandare la
ritirata, capitano.- aveva ribattuto
Thranduil. La sua voce era gelida ed autoritaria, i suoi occhi bruciavano di
fuoco freddo.
- Ordinala tu, mio signore. Io
vado ad aiutarli.-
Thranduil l’aveva guardata, in
silenzio, per un lunghissimo istante.
- Sai che non tollero
l’insubordinazione, Niphredil.- aveva detto - ma mi hai servito bene, e per molti
secoli - la sua mano aveva sfiorato quella di lei. La sua pelle era morbida e
perfettamente liscia.- Non voglio perderti, né doverti costringere.-
- Ed io non voglio mettere in
dubbio i tuoi ordini, mio signore, poiché ne ho sempre riconosciuto la saggezza
e la lungimiranza.- aveva mormorato Niphredil - ma ti prego, non costringermi a voltare le spalle ad un intero popolo
che muore.-
- Ordina la ritirata.- aveva sillabato lui, con una luce implacabile
nello sguardo
- Non posso.-
- Allora la strada si biforca
davanti ai tuoi occhi. Ordina la ritirata e torna ad Eryn Galen con me. Ritorna
alla tua vita, al tuo posto ed io dimenticherò questa conversazione. Oppure
continua a contestare, intestardisciti pure su una posizione indifendibile, e
sappi che la tua punizione sarà l’esilio. Ribellati e nulla sarà più come
prima, né ti sarà concesso di fare ritorno alla tua patria. Sei stata un abile
comandante e una compagna fedele dei miei giorni… ma non rischierò la vita
della nostra gente solo per tenerti presso di me.-
Niphredil aveva socchiuso gli
occhi, pallida come la morte.
- Io…- aveva cercato di
protestare, ma la voce le si era strozzata in gola. Le sue labbra si erano
mosse e, in un battito di ciglia, lei aveva preso la sua decisione - obbedisco,
mio signore.-
Thranduil aveva sorriso,
sollevando la mano di lei fino al proprio viso.
Le aveva posato un leggero bacio
sul palmo aperto, per poi mormorare:- apprezzo i tuoi ideali e la tua
compassione per la stirpe di Dùrin, ma stimo maggiormente l’umiltà della tua
sottomissione. Come promesso, dimenticherò questa conversazione e un giorno, ne
sono certo, comprenderai le ragioni del mio ordine.-
Niphredil aveva annuito. Ma non
aveva mai compreso.
- Muoviti, elfo femmina!- esclama Thorin, scuotendola per un
braccio - in piedi!-
Malferma sulle gambe, Niphredil si rialza. Trafigge un orco
con la spada e il suo sangue nerastro le macchia la guancia pallida,
riportandola alla realtà.
I ricordi si affievoliscono, il senso di colpa le dà
momentaneamente requie.
Poco lontano, Dàin sta combattendo furiosamente, contro
Azog.
Thorin ha ucciso un membro della sua guardia personale e sta
per fronteggiarne altri tre, sopraggiunti per aiutare il loro comandante.
Di nuovo lucida, Niphredil si affianca al nano, attirandone
due su di sé.
Thorin ne abbatte uno, che gli ha stupidamente voltato le
spalle, accecato dal richiamo del sangue elfico e dalla dolorosa luce che le
armi della giovane emanano.
- Bel colpo.- soffia Niphredil, con un sorriso
Lui annuisce. Non risponde al sorriso, ma i suoi occhi
s'illuminano di un bagliore compiaciuto.
L'elfo femmina gli piace sempre di più.
Uccidono insieme le ultime guardie scelte, poi scattano
verso Azog.
In quel momento, l'orco pallido colpisce Dàin con la sua
mazza. Il nano barcolla, poi si accascia al suolo, col viso coperto di sangue.
Cerca di rialzarsi, ma perde i sensi.
- La feccia nanica è più debole di quanto ricordassi.- lo
schernisce Azog, ergendosi trionfante sul nano svenuto. Prima che l'orco possa
sferrare il colpo decisivo, però, Thorin gli si avventa contro, gridando. Lo
colpisce al torace, ammaccandogli il pettorale della corazza.
- Occupati degli altri!- urla Thorin a Niphredil, prima che
la guerriera lo raggiunga – Bada che nulla capiti a Dàin!-
- E tu cerca di non farti uccidere, nano.- ribatte la
giovane.
Il suo tono sembra leggero, ma è pervaso da una nota di
preoccupazione.
Azog solleva la mazza e la cala su Thorin, che però riesce a
schivare il terribile fendente.
Mentre lo guarda combattere, tenendo testa alle confuse
ondate di orchi in ritirata, Niphredil lo riconosce. E' il nano che invocava
aiuto, durante la battaglia di Erebor. I suoi lineamenti sono incredibilmente
più stanchi, invecchiati dagli affanni e dalle amarezze, ma i suoi tratti forti
e volitivi sono inconfondibili, marchiati a fuoco nella memoria della giovane.
I suoi profondi occhi scuri rispecchiano l'angoscia e la
rabbia di quel giorno.
- Mi dispiace.- sussurra Niphredil, senza nemmeno
accorgersene.
E' sempre un'agonia, ripensare a quel giorno. Conosce tutte
le emozioni che il ricordo le provoca. Il dolore, il senso di colpa,
l'impotenza, la rabbia… eppure non prova odio. Vorrebbe poterlo fare, ma non ci
riesce. Ha sognato centinaia di volte di essere scesa da cavallo e di aver
combattuto coi nani. Ha sognato di morire davanti ad Erebor, ha sognato di
sopravvivere. Ha sognato persino di aver salvato la città. Ma non ha mai
sognato di colpire Thranduil.
Apre la gola di un orco, mentre una lacrima le brucia
l'angolo dell'occhio, senza però scendere.
Non riuscirà mai ad odiarlo.
Non dimenticherà mai la sensazione delle sue mani sui propri
capelli, il sapore dolceamaro dei suoi baci, né potrà la sofferenza offuscare i
secoli trascorsi al suo fianco, onorando il suo coraggio e la sua rettitudine.
Non dimenticherà la battaglia di Erebor, ma non dimenticherà
nemmeno gli anni che l'hanno preceduta, i lunghi giorni passati sotto le fronde
del Reame Boscoso, a guardare la fulgida luce delle stelle.
Infila un pugnale nell'occhio di un altro nemico, poi un
rumore assordante la distoglie dal massacro.
Thorin è a terra. Lo scudo infranto giace a pochi passi.
Azog ringhia, sollevando la mazza.
Il tempo sembra rallentare.
Niphredil si rende conto di essere troppo lontana, di non
poterli raggiungere.
Scaglia il pugnale che ha in mano, ma Azog quasi non se ne
accorge.
- Thorin!- geme la giovane, correndo comunque in quella
direzione.
Sa che è perfettamente inutile, ma sa anche che è sbagliato
che i Valar le abbiano fatto rincontrare quel nano solo per farlo morire
davanti ai suoi occhi.
Azog cala la mazza, ma Thorin afferra un grosso ramo di
quercia e lo usa per assorbire il colpo.
Con un basso ringhio di dolore si rialza, afferra la spada e
colpisce l'orco, tranciandogli di netto il braccio. Il comandante nemico grida,
stringendosi il moncherino con le dita già lerce di sangue.
Sembra meno immenso, meno inarrestabile.
Altri orchi accorrono. Sostengono Azog, caduto in ginocchio
per il dolore accecante.
Niphredil ne abbatte uno, lanciando l'ultimo pugnale, ma gli
altri riescono a raggiungere indenni le retrovie dell'esercito, rintanandosi
nelle cupe ombre di Moria.
L'orco pallido lancia un ultimo sguardo a Thorin, uno
sguardo feroce, di puro odio, poi si accascia fra le braccia dei suoi subordinati,
grugnendo bestemmie.
- Mi ero quasi preoccupata per te, nano.- scherza Niphredil
- Ancora non mi conosci, elfo femmina.- ribatte lui, ruvido,
ma i suoi occhi sorridono.
- Spero che, per questo, ci sarà tempo.-
- Perché sei qui?- insiste Thorin, lanciandole uno sguardo
penetrante ed inquisitore – perché un elfo combatte le battaglie dei nani?-
- Offro una spada al tuo popolo. Una buona spada. Non ti basta?-
- No.- risponde il nano – ma hai combattuto bene, e oggi hai
la mia gratitudine. Per questo, non ti chiederò altro.-
- Grazie.- annuisce Niphredil – spero che un giorno ci
fideremo abbastanza uno dell'altra per essere sinceri. Fino a quel momento –
ripone la spada, con un sibilo delicato – sarà un piacere combattere per te –
con un sorriso, accenna al massiccio ramo ai piedi del nano – Thorin Scudo di
Quercia.-
La Coda!
Evviva, un capitolo senza nani morti!
(cioè, no, i nani morti ci sono, ma almeno non hanno un
nome, un background e dei parenti a cui ci siamo affezionati!)
Volevo ringraziare tutti quelli che hanno recensito (vi
siete moltiplicati dal primo capitolo… me felice!) e che hanno messo la storia
nei preferiti/ricordati etc. … il vostro supporto è essenziale, davvero grazie
mille!
A presto e un grande bacio!
- La Matta -
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Capitolo 4 *** Il Mirolago ***
niphredil 4
Capitolo Quarto
Il Mirolago
La battaglia è finita.
Lo sguardo di Niphredil vaga sulla piana sterminata, dove i nani hanno eretto le pire, per celebrare i loro caduti. La
mano della guerriera continua a scivolare sulla lama della spada, pulendola,
con uno straccio, dal sangue degli orchi.
Tace, lasciando i nani al loro cordoglio.
Li osserva, in silenzio. E’ partecipe del loro dolore, ma è
una sensazione marginale, ovattata,una malinconia remota, più che una
sofferenza tanto vicina e atroce.
Poco lontano un’enorme colonna di fumo nero si alza verso il
cielo, levandosi dalla pira di Frerin, figlio di Thrain, della stirpe di Dùrin.
Oltre le fiamme, gli occhi di Niphredil incrociano quelli di
Thorin, che veglia sull’ultimo viaggio del proprio fratello. La sua espressione
dura non lascia trasparire alcuna emozione, a parte una sorda determinazione e
una rabbia sopita, che attende di ridestarsi.
Non è mai stata così a stretto contatto con il popolo nanico
ed è sorpresa dall’aura di forza e di solidarietà che avvolge i sopravvissuti,
la luce che brilla nei loro occhi e che sembra promettere al mondo che non ci
sarà resa, che non ci sarà un’altra sconfitta e che, un giorno, loro rivedranno
le vaste sale in cui i loro antenati hanno vissuto e brindato, beandosi del
riflesso dell’oro e della serenità della pace.
- Sai, figliola, non sei costretta a rimanere.- la sorprende
una voce, roca ma gentile.
Davanti a lei c’è un nano dalle folte sopracciglia e dalla
lunga barba grigia, screziata di bianco.
- Thorin mi ha raccontato di te - prosegue, per poi
accennare al tronco d’albero:- ti spiace se mi siedo un attimo?-
Niphredil lo guarda, momentaneamente spiazzata, ed
annuisce:- naturalmente.-
- Io sono Balin - si presenta lui, tendendole una mano. Il
suo tono è cordiale e la sua stretta è calda e forte - so che le tue intenzioni
sono nobili, ma tempi poco piacevoli attendono il popolo dei nani. Sei ancora
in tempo per sottrarti al nostro esodo ed al nostro rimpianto, per la patria
perduta.-
Niphredil si stringe nelle spalle:- ho quasi seimila anni.-
mormora poi, assorta - ho combattuto nella Guerra dell’Ultima Alleanza e ho
visto morire il mio re.- si volta, guardando Balin nei profondi occhi castani -
i giorni oscuri non mi spaventano.-
- Qualcuno direbbe che questo non è il tuo posto - riprende
il nano, sollevando una mano per bloccare un’eventuale replica - ma io non sono
fra questi. A volte l’orgoglio fa esprimere giudizi affrettati, ed è un errore
in cui cerco di non cadere.-
- E’ molto saggio, da parte tua - risponde Niphredil.
Si aspettava tante cose, ma non che un nano la facesse
sentire la benvenuta.
- Cosa farete, ora?- domanda poi, in un soffio. I suoi occhi
si posano sulla strada polverosa, che si allontana da Moria per poi svanire,
all’orizzonte - Dove andrete?-
- Non lo so - ammette Balin, allargando le braccia - ma
seguiremo Thorin e suo padre. Oggi hanno dimostrato che la stirpe di Dùrin non
è stata privata della sua forza e noi dimostreremo loro che le genti naniche
non hanno perduto la loro lealtà.-
- Grazie per le tue parole, amico mio.- la replica di Thorin
giunge inattesa, ma fa sbocciare un sorriso sulle labbra chiare di Niphredil.
Il principe è in piedi, alle loro spalle. Le sue ferite sono
state medicate e si è tolto l’armatura. La camicia bianca è madida di sudore e
ancora sporca di sangue.
- Dobbiamo essere un’accoppiata ben strana, da vedere -
interviene Balin, rompendo il silenzio - l’elfa ed io. Perdonami, ma temo di
non conoscere ancora il tuo nome.-
Niphredil dischiude le labbra per rispondere, ma Thorin la
precede.
- Niphredil.- dice, pronunciando il suo nome per la prima
volta - si chiama Niphredil.-
La guarda negli occhi per un istante che sembra
interminabile, poi batte una mano sulla spalla di Balin e si rivolge al vecchio
amico
- Vieni, mio padre vuole parlare a tutti.-
Il nano scuote il capo, con un sospiro stanco:- sappiamo
entrambi quello che desidera proporci, e sarà uno spiacevole onere rammentargli
i motivi per cui non possiamo appoggiarlo.-
- Cionondimeno - replica Thorin, impassibile - ascolteremo.-
Niphredil tace, conscia che mai i nani permetteranno ad una
straniera di presenziare alle loro assemblee e che, in ogni caso, la sua voce
verrebbe subito ridotta al silenzio ed ignorata.
Eppure, inaspettatamente, Balin si volta verso di lei: -
Qualche consiglio?-
- Non permettete che sia il dolore a guidare le vostre
decisioni - replica lei - la vostra patria è perduta e Khazad-dum vi sarà
ostile. Non fatevi accecare dal desiderio di riconquistare le Miniere, perché
la vendetta sugli orchi ha avuto un prezzo altissimo e, forse, una dimora meno
ambiziosa potrebbe dare riposo al vostro popolo.-
- E’ un saggio consiglio - approva il nano, con un cenno del
capo - di cui ti ringraziamo.-
Niphredil sorride:- sono certa che già conoscevate i rischi
contro cui vi ho messi in guardia -
- Vieni, Balin - la interrompe Thorin - non intendo tardare
ulteriormente.-
Balin si alza in piedi, con uno sbuffo, ed annuisce:-
ebbene, io ti seguo.-
Mentre si allontanano, però, stringe il braccio di Thorin e
lo guarda con occhi caldi, paterni, a cui non si può mentire.
- Non giudicare un intero popolo per la condotta di alcuni
dei suoi membri.- gli dice, ottenendo in cambio uno sguardo inflessibile.
- Non è questo, che faccio.- replica il principe - ma troppe
volte la mia fiducia è stata infranta, perché io la conceda tanto facilmente.-
Mentre i nani discutono accanitamente, chi sostenendo la
riconquista di Moria, chi preferendo partire, alla ricerca di una nuova patria,
lontana dal temuto Flagello di Dùrin, Niphredil si toglie la corazza e, dopo
averla pulita da ogni traccia di sangue e polvere, torna verso il bosco, per
cercare pace fra le sue verdi fronde.
Passeggia all’ombra dei maestosi alberi, allontanando ogni
pensiero.
L’ombra della battaglia scivola silenziosamente via dai suoi
lineamenti, i suoi muscoli si rilassano e, per un attimo, ogni cosa sembra distante, ogni preoccupazione remota.
E’ dalla caduta di Erebor che sul suo corpo non discende una
simile pace.
I suoi passi la conducono fino alle rive del Mirolago. Le
acque scure lambiscono la dura roccia e le felci selvatiche sono cresciute
rigogliose, sulle sue sponde.
Si china, e lo onde le restituiscono la sua stessa immagine.
E Niphredil si rivede vent’anni prima, impavida e orgogliosa.
In groppa ad un destriero candido, vestita con un’armatura
che sembrava d’argento, tanto più simile ad un giovane e sprezzante condottiero
umano che ad un’elfa millenaria.
Distoglie lo sguardo dal riflesso, intravedendo un’ombra,
dietro di sé.
- Mi stavo chiedendo quando ti saresti accorta della mia
presenza - la saluta la voce di Thranduil.
Niphredil non si volta, ma affonda una mano pallida nelle
terse onde del Mirolago. Un brivido di freddo le risale il braccio, mentre la
sua immagine riflessa scompare e si ricompone.
- Perché sei rimasto, mio signore?- domanda, sottovoce,
rimirando le increspature dell’acqua.
- Hai combattuto a Nanduhirion (*) la guerra che non hai
combattuto ad Erebor.- risponde lui, come pronunciando un’ovvietà - una
battaglia per una battaglia. Hai saldato il tuo immaginario debito con la
stirpe di Dùrin e dunque quest’esilio autoimposto può avere fine.-
- Avevi ragione - sussurra Niphredil, mentre un soffio di
vento le spinge indietro i capelli - quando siamo arrivati, la città era
perduta. Il nostro sacrificio non avrebbe fatto differenza. Qualche nano
sarebbe scampato alla morte per poi precipitare nel baratro della fuga e dello
spasmodico desiderio di vendetta.- si alza in piedi e, con grazia, si alza
anche la sua immagine riflessa - avevi ragione, ma io non potevo accettarlo.-
La mano di Thranduil le cinge il polso, costringendola con
delicatezza a voltarsi verso di lui.
- E’ compito di un re considerare ogni conseguenza,
soppesare le forze in gioco, perché dalle sue azioni dipendono le sorti del suo
popolo.-
Niphredil annuisce, prendendo il viso di lui fra le mani:-
io non ci riesco - ammette, con un pallido sorriso - io non vedo alcun bene
superiore, vedo solo la sofferenza di quell’attimo. Se la mia spada può
arginarla, anche solo per un istante, non riesco a trattenermi dall’estrarla.
Cinquemila anni non mi hanno portato saggezza, ma solo uno sconsiderato
idealismo.-
- Il tuo discernimento ti rende onore - mormora Thranduil,
socchiudendo gli occhi mentre le mani di lei gli sfiorano le guance.
- Il mio discernimento non mi dà pace - lo corregge lei,
mestamente - ti prego, non chiedermi di fare ritorno. Per amore, ti obbedirei,
ma poi i miei giorni diventerebbero cupi e la mia coscienza mi priverebbe del
sonno. Permettimi di placare questa sete che mi divora. Lasciami vedere le
genti di Erebor vivere in pace, in una nuova dimora, prima di tornare alla
mia.-
- Due decenni sono trascorsi, dalla battaglia di Erebor -
sospira Thranduil - due decenni in cui ti ho vista appassire. Hai rinunciato ai
tuoi doveri, trascurato i tuoi affetti… tanto che dubitavo tu fossi ancora la
compagna dei miei giorni…- abbassa la voce, parlando in un sussurro, sulle
labbra di Niphredil - se il tuo animo non può trovare pace altrimenti, allora
va’. Non tenterò più di trattenerti.-
- Ieri m’eri parso d’un altro avviso, mio signore.- mormora
l’elfa, memore dello sguardo gelido con cui l’aveva congedata, chiedendole con
disprezzo se l’avrebbe salutato nella lingua di Moria.
- Ieri non mi avevi esposto le tue ragioni.- replica
Thranduil - ieri la tua fuga era un capriccio, un’insensata ribellione. Ieri
ignoravo le tue angosce e il tuo dolore.-
Improvvisamente, la stringe a sé, per posarle una bacio
sulla fronte:- se il prezzo per riportarti ad Eryn Galen è la tua infelicità,
io non intendo pagarlo.-
Una morsa serra le sue fauci sul cuore di Niphredil.
Non si aspettava che Thranduil comprendesse le sue
motivazioni, né che le permettesse di proseguire, nella sua ricerca di
redenzione.
Ed ora che gli ha parlato, che gli ha confidato quelle
angosce che per tanto tempo ha tenuto per sé stessa, ora le sembra una
sofferenza indicibile, separarsi da lui.
- Grazie - sussurra, commossa, sciogliendosi a malincuore
dall’abbraccio del suo re.
- Eryn Galen attenderà il ritorno del suo comandante -
promette Thranduil, asciugando la lacrima argentea che riga la guancia di
Niphredil - ed io quello della mia compagna.-
(*)Nanduhirion: nome
elfico di Dimrill Dane/Azanulbizar, cioè sempre la spianata davanti ai cancelli
di Moria.
---La Coda!!
Oh, qui servirà una Coda bella lunga.
Punto 1: Innanzitutto,
volevo ringraziare Kano_Chan per il
supporto e Kanako91 che, senza
saperlo, mi ha fatto rivalutare la storia. Ho preso un respiro profondo, ho
letto l’appendice di Tolkien dove si parla della battaglia di Azanulbizar (ho
sempre dei dubbi quando scrivo questo nome XD) e ho avuto una vera e propria
folgorazione. Fra l’altro oggi dovevo studiare procedura… e invece ho riscritto
Niphredil!
Punto 2: vi state
chiedendo “chi è costei e che ne ha fatto di Niphredil?” oppure state iniziando
a sospettare che soffra di schizofrenia? Ebbene no, niente di tutto questo.
Solo che nella suddetta rivisitazione ho rivisto la sua psicologia. Spero di
aver “assorbito” il cambiamento, così da non renderla troppo diversa dai primi
tre capitoli, ma se non ci fossi riuscita, fatemelo notare J
Punto 3: c’era un
punto 3, ma l’ho dimenticato.
Punto 4: se
qualcuno ha letto il “vecchio” capitolo 4, ricorderà un salto temporale. Ebbene,
ho soppresso quel salto temporale. Non mi piaceva neanche un po’.
Un grande bacio a tutti e spero di poter continuare questa storia
senza ulteriori intoppi!
A presto!
- La Matta -
P.S.: ah, sì, ecco qual’era il punto 3. Vi prego, ditemi se
Thranduil (o altri personaggi, ma soprattutto lui) finisce nell’OOC. Mi sono
tormentata su quella scena per ore.
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Capitolo 5 *** Esuli ***
niphredil 5
Capitolo Quinto
Esuli
Thràin si alza in piedi, prendendo la parola.
Ha combattuto con vigore nella battaglia di Azanulbizar.
L’odio e la brama di vendetta hanno temprato il suo corpo e hanno smorzato il
dolore per le ferite. Per tutto lo scontro, Thràin ha avuto fermo nella mente
il ricordo di suo padre, ucciso da un vile orco, e del suo cadavere,
oltraggiato e decapitato. Ricorda il nome di Azog inciso sulla nobile fronte
del re dei nani.
Prende un respiro profondo, scacciando quei pensieri.
Azog vive ancora, ed ogni suo respiro è un insulto, ma vive
menomato e sommerso nella vergogna ed è dovuto fuggire, per aver salva la vita.
Questa riflessione conforta l’animo di Thràin e gli permette di concentrarsi su
più immediate questioni, come la condotta del suo popolo.
I sopravvissuti, dopo aver bruciato i loro caduti, si sono
riuniti davanti alle porte di Moria, per sedere a consiglio ed interrogarsi sul
futuro.
Thràin si erge davanti a tutti. Una benda gli fascia metà
del viso, dove l’arma di un orco ha scavato una profonda lacerazione,
depredandolo di un occhio.
Ha subito una grave ferita anche alla gamba e parla agli
altri nani sostenendosi con una rudimentale stampella, eppure la sua voce è
quella alta e imperiosa che si addice ad un re.
- Abbiamo vinto.- esordisce - una vittoria amara, ma
nondimeno una vittoria, ottenuta con la forza dei nostri animi ed il sacrificio
dei nostri compagni! E’ tempo di rivendicare il nostro premio! Khazad-dum è
libero, pochi orchi presidiano ancora le sue sale! Riprendiamoci ciò che un
tempo era nostro! Serriamo le fila, spalanchiamo le Porte e facciamo ritorno
alle dimore dei nostri avi!-
- Non dovremmo gettarci in una simile impresa - replica
Balin, facendosi avanti - ritengo che troppo cara sia stata questa vittoria,
troppe giovani vite siano state stroncate. I nostri figli non festeggeranno
questo giorno come un trionfo, né noi dovremmo essere tanto bramosi di
conquista - scuote il capo, mentre l’unico occhio di Thràin lo scruta.
- Non intendo portarvi ad una nuova battaglia!- replica il
re, risentito - ben scarsa resistenza incontreremmo a Khazad-dum, poiché i
cadaveri degli orchi disseminano il campo innanzi a noi!-
- Non è degli orchi, che dovremmo preoccuparci.- interviene
una voce.
Dàin, con un braccio stretto in fasce bianche, avanza, fino
a fronteggiare Thràin.
E’ molto più giovane di lui, eppure i suoi occhi riflettono
una profonda saggezza, ora che la sua mente è tornata lucida, dopo l’ira e il
lutto.
- Al di là del Cancello, l’ombra è in agguato!- riprende,
voltandosi verso gli astanti - Il Flagello di Dùrin è in attesa, pronto a
dilaniare le nostre carni e a devastare quel che resta del nostro popolo!
Lunghi anni dovranno passare, prima che le genti di Dùrin possano varcare di nuovo
le soglie di Moria e sarebbe follia sfidare ora un potere tanto grande ed
oscuro!-
I nani tacciono, colpiti. Alcuni borbottano. Balin annuisce
impercettibilmente col capo, approvando e condividendo le parole del giovane
signore dei Colli Ferrosi.
Thorin vede suo padre combattere contro sé stesso, contro
l’ira, la frustrazione, la tentazione di ignorare gli avvertimenti e di
insistere, per riconquistare almeno il reame di Khazad-dum, dopo la terribile
perdita di Erebor. Vede il suo unico occhio avvampare, le sue mani chiudersi a
pugno, le nocche sbiancare per la forza della sua stretta.
Eppure, alla fine, Thràin emette un lungo sospiro e tutta la
stanchezza degli ultimi anni sembra piombargli all’improvviso sulle spalle.
- Ti ringrazio, Dàin dei Colli Ferrosi - pronuncia - le tue
parole sono veritiere e il tuo avvertimento verrà senza dubbio ascoltato.-
Thorin, accanto a suo padre, annuisce gravemente.
Sa che varcare i cancelli di Moria significherebbe un
massacro, per la sua gente, eppure l’alternativa lo sgomenta ancora di più.
Perché l’alternativa è partire.
Lasciare i profili familiari di un regno che avrebbe dovuto
essere loro, per ritornare sulla strada, per essere ancora una volta profughi,
pellegrini, senza una patria.
- Preferirei morire oggi - sussurra, fra sé - piuttosto che
vivere altri cent’anni da esule.-
- Fortunatamente, non ti si chiede questo.- mormora la voce
roca di Balin, al suo fianco - ripartire può sembrarti una grave condanna, ma
solo perché ancora non puoi scorgere la fine del viaggio. La sofferenza di oggi
permetterà a te e a tuo padre di guidarci verso una nuova dimora, dove non
rimpiangeremo ciò che abbiamo perduto.-
- Come fai a saperlo?- domanda Thorin, asciutto, mentre il
dubbio oscura i suoi occhi.
Balin si stringe nelle spalle:- non lo so - ammette - ma
confido che lo spirito non verrà mai meno alla gente di Dùrin. Non mendicheremo
ricovero e ausilio, ma con fiducia e valore creeremo una nuova patria per noi,
e per i nostri discendenti.-
Thorin annuisce, apparentemente rinfrancato da quelle
parole, eppure in cuor suo sa che non troverà pace, finché i suoi passi non lo
riporteranno ad Erebor.
Ormai la sera è scesa, ammantando di tenebra la spianata
davanti ai cancelli di Moria.
Niphredil rientra dal bosco, con gli occhi umidi ma il cuore
più leggero, mentre i nani stanno accendendo dei grandi falò, per illuminare il
rudimentale accampamento.
Incontra Balin e Thorin mentre, assieme ad altri nani,
stanno preparando il fuoco.
- E’ l’ultima notte che passiamo all’ombra di queste mura -
sta dicendo Balin - è un peccato doverci separare dai nostri fratelli dei Colli
Ferrosi, eppure posso comprendere il desiderio di Dàin. Una città, per quanto
fiorente, non si governa da sola e la sua gente ha bisogno della sua guida -
batte una pacca sulla spalla di un altro nano, notevolmente più giovane - e tu,
si può sapere chi ti ha insegnato a preparare un falò? Con tutte queste
sterpaglie il fuoco non attecchirà mai!-
- Oh - il nano si gratta la testa, perplesso - un’obiezione
sensata.- ammette, mentre un sorriso disarmante si allarga sulle sue labbra.
- Non fare lo spiritoso!- lo riprende Thorin, incrociando le
braccia sul petto - e vai a cercare della legna asciutta. Questa non va bene.-
- Vado!- annuisce lui, voltandosi di scatto e quasi
sbattendo contro Niphredil, ferma alle sue spalle.
- Per la mia barba!- ansima, sorpreso, guardando l’elfa e
sgranando gli occhi
- Ma quale barba, ragazzo!- lo schernisce un altro nano, con
il volto completamente ricoperto da una rigogliosa barba rossa, abbellita da
piccole trecce, tenute ferme da cilindri di metallo scuro.
- Oh, mia cara!- esclama Balin, appoggiando i ciocchi di
legno per andare incontro a Niphredil - ci domandavamo dove fossi finita!
L’assemblea è terminata e domattina ripartiremo, per tornare sulla via per il
Dunland. Temo che ci attendano lunghe peregrinazioni, ma stanotte non dobbiamo
angosciarci per il futuro, ma recuperare le energie per affrontarlo saldi e
preparati!-
- Ma com’è possibile recuperare le energie senza una buona
birra e delle consistenti scorte di maiale salato?- borbotta il nano fulvo, con
aria contrariata.
- Costui dalle cui labbra senti uscire cotanta saggezza…-
prosegue Balin, con un sorrisetto - è Glòin, figlio di Gròin, valente guerriero
ed ancor più valente estimatore di birra! Mentre il giovanotto che ti ha quasi
travolta risponde al nome di Arin.-
- E’ un piacere conoscervi - sorride Niphredil, portandosi
una mano al petto e chinando il capo - io sono Niphredil di Eryn Galen e ho
posto la mia spada al servizio del vostro comandante.-
- Un mercenario? E per di più elfo?- esclama Glòin,
contrariato - che storia è questa?-
- Una storia che ti verrà narrata al momento opportuno - lo
zittisce Thorin.
Niphredil lo guarda, sorpresa. Si aspettava di dover
rispondere a domande incalzanti e invece le parole di Thorin le hanno dato
respiro, offrendole la possibilità di attendere, prima di rivelare la sua
storia e le sue motivazioni.
- Posso essere d’aiuto, in qualche modo?- si offre, cercando
di cambiare argomento.
- Certo, cara, certo.- annuisce Balin - potresti procurarci
della…-
-… birra!- lo interrompe Glòin, facendo ridere il resto
della compagnia
-… della legna.-
completa il nano più anziano, scuotendo il capo - questa è troppo verde e non
vorrei che finissimo tutti affumicati prima del mattino!-
Le urla disumane di Azog riempiono la notte, facendo tremare
le foglie degli alberi.
Gli orchi sopravvissuti alla battaglia di Azanulbizar sono
fuggiti sulle Montagne Nebbiose, mettendo le tumultuose acque
dell’Argentaroggia fra sé e l’esercito dei nani, con l’intento di marciare
verso nord, per riunirsi ai loro simili, sul monte Gundabar.
Il moncherino di Azog è stato pulito e medicato, ma questo
non ha impedito alla ferita di infettarsi. Pus giallastro impregna le bende,
mentre la febbre e la sofferenza accecano l’orco pallido.
Bolg, suo figlio, monta la guardia davanti alla tenda dove
langue il comandante, ascoltando le sue bestemmie ed i latrati di dolore.
Ad un tratto, con un grido più forte degli altri, Azog
ordina al figlio di entrare.
Nella tenda, l’odore è penetrante e persino Bolg non riesce
a trattenere una smorfia disgustata.
- La feccia nanica - ansima l’orco pallido, cercando di
sollevarsi a sedere - deve pagare per questo.-
Bolg cerca di non fissare il moncherino fasciato, tutto ciò
che resta del forte braccio con cui Azog brandiva la mazza. Più lo guarda, più
si rende conto di quanto inutile sia divenuto suo padre, un ostacolo per
l’esercito, non più un comandante.
Eppure i suoi occhi riescono ancora ad incutere rispetto e
sono forse l’unica cosa a trattenere Bolg dal soffocare l’orco ferito con le
proprie mani, per porre fine alla sua agonia e per sgravare l’esercito del suo
fardello.
- Abbiamo ancora un corvo?- geme Azog, strappandolo a quelle
riflessioni
- Un corvo?- ripete Bolg, perplesso
- Invia un messaggio a Sinag, sul Gundabar.-
Bolg reprime una smorfia. Il comandante del Gunbadar gli è
inviso, a maggior ragione per l’amicizia che lo lega a suo padre.
- Perché?- chiede, torvo
- Il perché non deve riguardarti!- ruggisce Azog, riuscendo
finalmente a sollevarsi.
Per un attimo i suoi occhi bruciano come fuoco, poi una
nuova ondata di agonia lo travolge, spezzando il suo impeto, privandolo del
respiro e della forza.
L’orco pallido si accascia di nuovo sullo scomodo
giaciglio:- digli solo…- ansima, mentre il suo mondo vacilla -… digli che è
tempo di suonare il Corno della Furia. E’ tempo.-
- Il Corno…- Bolg tentenna, sentendo menzionare l’antico
manufatto, tramandato dai suoi antenati fin dalla nascita del suo clan -…
perché?-
- Perché te lo ordino!-
ringhia Azog, gelido. Non ha la forza per infuriare contro il figlio, ma il
disprezzo trapela da ogni sua parola - pensi che questa ferita mi abbia già
ucciso, vero? Pensi di poter dare ordini ai miei soldati, come se io non fossi
più fra i vivi? Ebbene, non sei altro che un misero verme, appena al di sopra
della feccia nanica che, presto, vedrà la propria fine!-
Bolg tace, chinando il capo. Ha sottovalutato l’ira
dell’orco pallido e l’autorità di cui ancora gode, sui suoi sottoposti.
- Manderò il corvo.- ribatte, a bassa voce.
Azog annuisce, poi, con un grugnito di dolore, gli fa cenno
di uscire e lasciarlo riposare.
Bolg arretra, scostando con stizza la tenda, per tornare al
campo ed obbedire alle sue istruzioni.
- La Coda!-
Non è difficile sintetizzare questo capitolo. Potremmo
definirlo semplicemente “nani-e-orchi-dappertutto”. E Niph che va a zonzo.
Ok, delirio a parte, spero di aver reso bene l’assemblea
nanica (incredibilmente pacifica per io loro standard medi XP).
Vi dirò, lasciare in vita Azog è stato più un gesto di pietà
nei miei confronti, piuttosto che un desiderio di seguire la trama dei film… è
che io a Bolg proprio non riesco a sopportarlo. Mi irrita.
Va bene, motivazioni dubbie dell’autrice a parte, vi lascio
e a presto!
Un grazie di cuore a chi è giunto fin qui!
- La Matta
-
(e buona festa della
mamma!)
|
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Capitolo 6 *** Una punta di freccia ***
niphredil 6
Capitolo Sesto
Una punta di freccia
Il giorno seguente, Niphredil si sveglia alle prime luci
dell’alba.
Per un attimo, mentre si muove silenziosa fra i nani
addormentati, non riesce a trattenere un sorriso. Se un tempo le avessero detto
che avrebbe dormito in un tendone assieme a centinaia di nani ronfanti, lei non
ci avrebbe creduto.
Esce dal rudimentale padiglione ed un forte soffio di vento
la investe, scompigliandole i capelli e agitandole la veste. Non indossa la
corazza, ma ha recuperato la spada corta. Il suo peso, al fianco, è una sorta
di conforto.
Socchiude gli occhi, mentre i raggi freddi del sole le
sfiorano il viso, ma poi li riapre, intravedendo una figura nera, seduta vicino
ai resti di un falò.
- Non hai dormito molto - esordisce Niphredil,
avvicinandosi.
Thorin si volta, guardandola con gli occhi cerchiati dalla
stanchezza:- nemmeno tu.- ribatte.
- Vero.- annuisce lei, stringendosi nelle spalle - Non ho
avuto modo di ringraziarti, per ieri.-
Il nano scuote la testa:- non mi piace chi tace sulle
proprie origini - dice - ma ho detto di accettare la tua scelta, perché le tue
azioni te ne hanno resa degna. E, ad ogni modo…- si torce le mani, a disagio -…
nemmeno io ho ringraziato te, per aver vegliato su Dàin. Se fosse caduto sul
campo di battaglia, il nostro popolo avrebbe pianto lacrime amare.-
Niphredil sorride, sedendosi accanto a Thorin. Allunga una
gamba, insidiando con la punta dello stivale i resti del fuoco - è stato un piacere.-
risponde
- Se non vuoi seguirci nel Dunland, sappi che sei libera di
farlo. Non ti ritengo vincolata da alcuna promessa.- riprende il nano,
guardando l’elfa nei limpidi occhi verdi
- Lo apprezzo - sospira Niphredil, mentre il suo pensiero
torna inevitabilmente all’ultima conversazione avuta con Thranduil, a quanto
doloroso sia stato separarsi da lui - ma ho preso la mia decisione. Voglio
accompagnarvi finché non troverete un nuovo luogo da chiamare casa.-
Thorin scuote la testa e, per un attimo, sembra sul punto di
replicare. Ma poi tace, tornando a fissare le braci morte e i resti dei ciocchi
carbonizzati, di fronte a sé.
Niphredil rimane seduta accanto a lui, in silenzio, finché i
raggi del sole non diventano più caldi e luminosi, e l’accampamento si rianima,
con l’andirivieni dei nani che si preparano alla partenza.
- Valicheremo le montagne fino a ricongiungerci con il
Glanduin. Attraverseremo l’Eriador verso sud e dovremmo raggiungere il Dunland
in tempi relativamente brevi - spiega Balin, tracciando una rudimentale mappa
con un bastoncino sul terreno.
Glòin trattiene a stento uno sbadiglio.
- Nel Dunland - riprende Balin - ci riposeremo un po’,
raduneremo gli ultimi esuli di Erebor e ci organizzeremo per tornare
nell’Eriador e cercare un luogo adatto a stabilirci.-
Lancia uno sguardo soddisfatto alla mappa, per poi
cancellarla con un colpo dello stivale - chiaro?-
- Chiaro.- annuisce Niphredil
- Allora, mia cara - le dice Balin, rivolgendosi a lei per
fare conversazione - raccontaci un po’ della tua casa. Ho sentito racconti
meravigliosi sulle grandi sale del Reame Boscoso! Ed anche sulle sue prigioni,
da cui nessuno ha mai avuto modo di fuggire.-
- Ah, baggianate!- borbotta Glòin, agitando una mano - non
c’è sbarra di metallo abbastanza forte da resistere alla furia della mia
ascia!-
Niphredil mette a tacere giusto in tempo quella vocina che
la spingeva a contraddire il nano e si limita a sorridere, senza annuire né
replicare.
Balin la guarda, sorridendo e, quando Glòin distoglie lo
sguardo, le ammicca.
Si sono divisi da Dàin e dai nani dei Colli Ferrosi qualche
giorno prima, congedandosi con parole di stima e cameratesche pacche sulle
spalle.
Prima di andare, Dàin ha ripetuto il proprio invito a
sistemarsi, almeno provvisoriamente, presso i Colli Ferrosi, ma Thràin ha
rifiutato, conscio che la cosa migliore, per il suo popolo, è trovare una nuova
patria. Oppure riconquistarne una vecchia.
Il sole splende alto, ma l’aria delle montagne è ancora
fredda e, quando soffia il vento, più di qualcuno si stringe nei vestiti,
reprimendo un brivido.
Niphredil sorride, mentre Glòin continua ad disquisire sulla
sicurezza delle prigioni di Eryn Galen.
Balin l’ha presa sotto la sua ala e, lentamente, anche gli
altri nani stanno iniziando a guardarla con meno diffidenza. Ha diviso con loro
il cibo e il fuoco, ascoltato i loro racconti e vegliato con loro, durante i
turni di guardia.
“Un giorno” le ha detto Balin una sera, allungandole una
fiasca contenente uno strano liquore dall’aroma fortissimo “cesseranno di
vederti come una straniera e ti chiameranno “amica dei nani”. Devi solo
pazientare, perché la corazza dei miei fratelli è più difficile da perforare di
quanto non sia stata la mia”.
Giorno dopo giorno, Niphredil si rende conto di quanto il
nano abbia ragione.
Sul monte Gundabad, un enorme corvo dagli occhi neri ritorna
alla voliera.
Erag, l’orco di guardia, preleva il messaggio che l’animale
ha legato alla zampa, e si affretta a portarlo al suo comandante.
Sinag è nella struttura principale, mentre uno dei suoi
luogotenenti lo aggiorna sulle condizioni dell’esercito e sulle notizie da
fuori.
E’ un orco enorme, imponente di statura e con il torace
largo. I suoi occhi sono gialli come ambra e, in ogni sua parola, riecheggia un
senso di comando, un implicito ordine a chinare il capo ed obbedire, senza
alcuna contestazione.
Le sue punizioni sono terribili e la disciplina, sul monte
Gundabad, è insegnata con una lunga frusta uncinata, che l’orco maneggia con
straordinaria abilità e ferocia.
La sua pelle grigia è attraversata dalla cicatrice, ormai
sbiadita, delle unghie di una bestia. Si dice che Sinag l’abbia strangolata a
mani nude, dopo che l’animale aveva avuto l’ardire di graffiarlo.
- Signore - esordisce Erag - notizie da Azog!-
- Era ora.- ringhia Sinag, mentre i suoi occhi scintillano,
come gemme nelle tenebre - che nuove?-
- Non… non dice molto, signore - ribatte il sottoposto,
titubante -… solo “la feccia nanica deve pagare. Suonate il Corno della
Furia.”-
- Sconfitto, dunque.- mormora Sinag, accarezzandosi il
mento. La sua voce assume un timbro tetro.
Si alza, avvicinandosi lentamente ad Erag.
- Sconfitto.-
soffia, quando ormai è ad un passo dall’orco.
Erag vede l’ira avvampare nelle sue iridi ambrate, un
incendio intrappolato nella resina. Deglutisce a fatica e, per un attimo, teme
per la propria vita.
Poi Sinag arretra, scuotendo il capo:- il mio vecchio amico
sta perdendo il suo mordente, se persino dei nani pezzenti riescono ad avere la
meglio su di lui.- riprende, in tono colloquiale - sarà mio compito rimediare
ai suoi fallimenti.-
C’è qualcosa di agghiacciante, nella sua voce, nel modo in
cui la furia sembra sempre sul punto di scoppiare e poi rientra negli argini,
lasciando una calma piatta, mortale.
- Che ordini devo dare, mio signore?- chiede Erag,
distogliendo lo sguardo dal suo comandante.
- Nessun ordine.- replica Sinag, congedando con un cenno
l’altro luogotenente - Suonerò io stesso il Corno. Tu riunisci una squadra e
sali alle vecchie rovine.-
- Sì, signore!- annuisce Erag, solerte, con un rigido
inchino, prima di uscire.
- E, Erag…- lo richiama Sinag
- Signore?-
- Scegli i tuoi compagni con
intelligenza.-
- Una volta c’era un
orco
che d’essere astuto
aveva la fama
Era brutto, basso e
sporco
né sapeva impugnare la
lama.
Ma era maestro
d’ingegni e segreti
Scese in battaglia con
la sua gente
E tutti gli orchetti
ne furono lieti
Perché lo pensavano il
più intelligente.
Ma nel cuor della
pugna si bloccò, intorpidito
Si slacciò la corazza
perché aveva prurito…
… e naturalmente venne
colpito!
Perché un orco astuto
non è mai esistito!-
Niphredil si prende il capo fra le mani:- questa canzone è
pessima!- geme, anche se trattiene a stento le risate
- Non è nata per essere apprezzata dai quegli sbarbatelli
dei vostri cantastorie!- la riprende Glòin - è stata scritta per insegnare la
saggezza ai nostri figli!-
L’elfa inarca un sopracciglio, perplessa, ma lui sembra
tanto convinto che non osa replicare.
- Immagino veicoli anche un messaggio più sottile - media
Balin, conquistandosi un’occhiataccia da parte dell’altro nano - e cioè di non
sopravvalutare mai le proprie doti, perché in battaglia ogni distrazione può essere
letale.-
- Dovremmo fare la guardia - li riprende Thorin - non
questionare su una canzone.-
- Orecchie a punta deve essere educata.- esclama Glòin - è
totalmente estranea ad ogni precetto riguardo la birra, il maiale salato, le
storie naniche e il combattimento con l’ascia. (*)-
- Non combatterò con un’ascia,
Glòin.- precisa Niphredil, con il tono di una che lo sta ripetendo da giorni -
pesa troppo e comunque non sarebbe efficace come la spada.-
- Femminuccia.- borbotta il nano, ma senza cattiveria.
In quel momento sopraggiunge Arin, assieme ad altri tre
soldati dall’aria ancora assonnata.
- Siamo qui per darvi il cambio.- esclama, sorridendo.
E’ giovane ed entusiasta, con appena un’ombra di barba
bionda a scurirgli le guance. Diversamente dai suoi compagni non ha nemmeno una
cicatrice, a parte un taglio che si sta rimarginando in fretta. I suoi occhi
guardano il mondo con la meraviglia di un bambino umano, più che di un
guerriero nanico, temprato dalle battaglie.
- Era ora!- borbotta Glòin - temevo che orecchie a punta
potesse iniziare con qualche smielata poesia.-
Il nano fulvo saluta gli altri, allunga una rude pacca sulla
spalla di Niphredil, poi se ne va, fischiettando la melodia dell’”orco astuto”
- Penso che stia iniziando a trovarti simpatica.- commenta
Balin, sottovoce, facendo ridere l’elfa.
Mentre stanno tornando alla loro tenda, qualcosa si stacca
dal collo di Niphredil ed un piccolo ciondolo d’argento cade, mettendosi a
rotolare.
Thorin lo ferma con lo stivale, per poi raccoglierlo ed
esaminarlo alla luce della luna.
E’ una punta di freccia, che è stata decorata con leggeri
arabeschi e poi intrappolata in una gabbia di filo d’argento.
- Cos’è?- domanda il nano, incuriosito, restituendola a
Niphredil - immagino ci sia una storia, dietro.-
L’elfa annuisce, rigirandola fra le mani con un sorriso
distratto.
- Sì, c’è una storia dietro - mormora, assente - ma non è
una storia epica, anzi, è più che altro un aneddoto buffo, di quand’ero
giovane.-
Giovane. A volte
Thorin si dimentica dei millenni su cui gli occhi di Niphredil si sono posati.
Delle guerre che lei a combattuto e che lui ha solo sentito raccontare, da suo
padre e da suo nonno.
Non riesce ad immaginarla diversa da come la vede in quel
momento, con gli occhi limpidi ma sempre velati da una lieve ombra di
malinconia.
- Vorrei sentirla lo stesso.- dice, quasi senza rendersene
conto.
Niphredil si stringe nelle spalle:- va bene - acconsente, di
buon grado.
Così, si siedono ai margini dell’accampamento, poco lontano
dal fuoco dove Arin e la sua squadra stanno montando la guardia, e l’elfa
comincia a raccontare.
- Quand’ero bambina, mio padre era tormentato dal richiamo
del Mare. La partenza era un pensiero costante, su cui si struggeva in ogni
momento di veglia e di sonno. Io, al contrario, ero felice ad Eryn Galen. Per
me, tutto stava iniziando, mentre per lui era tempo di volgere altrove lo
sguardo. Non riuscivo a comprendere la sua angoscia, ma soffrivo con lui. Il
suo miglior amico se ne accorse e, non riuscendo a dare sollievo a mio padre,
concentrò i propri sforzi su di me. Un giorno stavamo esplorando le zone della
foresta dove le ombre erano più cupe e svegliammo un enorme ragno. Il mio arco
era piccolo, poco più di un giocattolo, eppure scoccai comunque la mia unica freccia.
Ovviamente quella rimbalzò addosso al ragno, ottenendo il solo effetto di farlo
arrabbiare. Si voltò verso di me e mi fissò. Ricordo di avergli restituito lo
sguardo, paralizzata dal terrore. Poi Oropher scoccò la sua freccia ed il ragno si accasciò a terra, morto. Lui rise,
arruffandomi i capelli, e mi disse: “avresti dovuto fuggire”. Stupidamente,
replicai:”ma così ti avrei lasciato da solo”. Lui rise più forte “a volte,
Niphredil “ replicò, guardandomi negli occhi “seguire l’istinto può ucciderti.
Altre volte, invece, è l’unica guida in grado di condurti su sentieri luminosi.
Gli anni t’insegneranno a cogliere la differenza.”. Io lo fissavo, confusa,
così lui mi baciò sulla fronte e sussurrò:” ad ogni modo, apprezzo il
pensiero”. Un paio di giorni dopo mi regalò questo ciondolo… assieme ad un vero
arco.-
Niphredil sorride, intenerita:- ero davvero piccola ed
ingenua.- conclude, scuotendo il capo
- Era un uomo saggio.- commenta Thorin - che cosa gli è
successo?-
- E’ morto durante la Guerra dell’Ultima Alleanza, combattendo nella piana
di Dagorlad.-
Il nano china il capo:- mi dispiace.-
- E’ passato molto tempo - mormora Niphredil, ma sia lei che
Thorin sanno che ci sono ferite che non si rimarginano col tempo e che la
perdita di una persona cara è un fardello che può divenire più lieve, ma che
non scompare mai del tutto.
L’elfa prova a riallacciarsi la catenina, ma perde la presa
sul gancio e il ciondolo cade di nuovo.
- Aspetta - la ferma Thorin, raccogliendo il monile - faccio
io.-
Niphredil lo guarda, riconoscente, poi scosta i lunghi
capelli biondo pallido, per lasciare libero il collo. Thorin le si avvicina,
posandole il ciondolo sul petto.
La pelle dell’elfa è liscia e perfetta quanto le mani del
nano sono ruvide e piene di tagli.
- Fatto.- dice, chiudendo il piccolo gancio.
- Grazie - sorride Niphredil
- Grazie a te per il tuo racconto - replica Thorin, salvo
poi cambiare argomento:- ebbene, è tardi e domattina dobbiamo levarci all’alba.
Buonanotte a entrambi.-
- Buonanotte anche a te.- risponde Balin, fingendo di non
aver notato il lieve turbamento apparso negli occhi dell’amico.
Quando la sagoma del principe scompare, verso
l’accampamento, Balin si china in avanti, fissando un punto imprecisato, oltre
le spalle di Niphredil, dove la notte è più buia.
- Oropher - pronuncia poi, meditabondo, come chi cerca di
ricordare qualcosa - questo nome non mi è del tutto nuovo. Credo…-
all’improvviso, schiocca le labbra, soddisfatto -… non si chiamava così anche
il sovrano del Reame Boscoso?-
- E’ rilevante?- mormora l’elfa
- Non molto - ammette Balin, ma poi si corregge - non quanto
il fatto che tu abbia deciso di ometterlo.- si alza in piedi, poi stringe
delicatamente una mano sulla spalla della guerriera, come per salutarla:- sonni
sereni, Niphredil.-
Un’altra punta di freccia, questa intrappolata in una gabbia
d’oro, riposa in uno scrigno, ad Eryn Galen.
La Coda!
(*) Ok, Glòin è uno stereotipo che cammina. Non avrei mai
pensato che scrivere di nani potesse essere tanto divertente!
Questo capitolo è più lungo degli altri (“disse La Matta, sentendosi Capitan
Ovvio”). Se vi interessa saperlo, inizialmente c’erano due capitoli, ma, visto
che non succede quasi niente in entrambi, ho pensato di fonderli. Mi dispiace
non aver iniziato un capitolo nuovo con la filosofica canzoncina di Glòin e
dell’orco furbo ma vabbè, credo che ce ne faremo tutti una ragione!
Come al solito vi ringrazio infinitamente per essere giunti
fin qui e ringrazio anche tutti coloro che hanno messo Niph fra le storie
seguite/preferite/etc… Un bacio a tutti!
- La Matta -
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Capitolo 7 *** Lo stesso sogno ***
Niphredil 7
Capitolo Settimo
Lo stesso sogno
Sinag accarezza il maestoso corno. Ha dato ordine di
posizionarlo sulle torre di vedetta, in modo che il suo suono si propaghi lungo
e possente per tutto il Gundabad.
Adagiato nell’alloggiamento di roccia, il corno brilla ogni
volta che i pallidi raggi della luna sfiorano le sue decorazioni. Sono leggeri
rilievi di metallo lucido, che ritraggono la devastazione portata dai Serpenti
del Nord. Sull’imboccatura si abbarbica la figura elegante e letale di un
drago. E’ senza ali, ma le sue spaventose fauci sono state scolpite con precisione
maniacale.
Il corno è un oggetto meraviglioso, di squisita fattura,
così diverso da ogni altra reliquia in possesso degli orchi. Sinag lo maneggia
con cura e rispetto, mentre i suoi occhi ne ripercorrono gli ornamenti, come
ipnotizzati.
La luna è alta nel cielo, quando l’orco si riempie i polmoni
d’aria e posa le labbra sull’imboccatura.
Il suono che fuoriesce dal corno è al contempo ruggente e
melodico, come il verso di una fiera, unito al segnale d’attacco d’una
battaglia epica.
Persino lungo la schiena di Sinag corre un brivido.
Stringe la mano, ma le sue dita
si serrano sul niente.
La spada è caduta, scomparsa in
qualche anfratto.
Il mostro si avvicina, sibilando.
I suoi occhi dardeggiano, del
colore delle fiamme.
Le sottili pupille nere sembrano
ferite aperte sul buio più profondo.
La bestia ringhia. Dalle sue
fauci spaventose sbuffa una nuvola di fumo.
Il suo petto dalle squame corvine
inizia a risplendere di un inquietante bagliore rosso, mentre il Serpente si
gonfia, riempiendosi di fuoco.
Niphredil giace immobile, a
qualche metro da lui.
E’ priva di sensi, i vestiti
chiari impregnati di sangue scarlatto.
La sua spada brilla, sotto il
mantello.
Il drago punta la guerriera
caduta.
E lui sa di poter fuggire. Sa di
poterla abbandonare al suo fato.
Sa di averla avvertita, di averle
ordinato di non seguirlo.
Sa che è stata stupida e
avventata, ma non può condannarla a quel baratro infuocato.
Scatta verso di lei e la
raggiunge nell'attimo in cui il Serpente spalanca le fauci.
Ha le zanne ricurve. Persino i
suoi occhi sembrano pieni di fiamme.
Riesce ad afferrare la spada
della giovane. La solleva e si volta, a fronteggiare il drago.
Poi un mare di fuoco lo travolge.
Thranduil si sveglia di soprassalto, il corpo madido di
sudore freddo.
Il suo respiro è rapido e affannoso, le sue dita stringono
convulsamente le lenzuola leggere.
Da molto tempo i Serpenti del Nord non turbavano i suoi
sogni, da quando l’ultima di quella razza maledetta non era fuggita ad ovest,
verso Angmar.
Era una bestia immensa ed il suo fuoco era quasi giunto a
lambire i confini di Eryn Galen. Molti valorosi guerrieri avevano perso la
vita, per rallentare la sua avanzata.
Le loro armi avevano a malapena scalfito la sua corazza.
Ma alla fine i Silvani avevano prevalso ed il Drago, ferito,
aveva cercato riparo verso nord.
Thranduil e Niphredil l’avevano inseguita fino alla
Brughiera Arida, per finirla, per vedere quella luce infernale spegnersi nei
suoi occhi scarlatti.
Ma lei, la bestia, il Serpente maledetto, lei era
fuggita.
Sospira, ripensando a quel giorno e una fitta di nostalgia
gli ricorda quanto sia lontana la sua compagna, a valicare montagne e ad
attraversare steppe desolate, assieme ai nani di Erebor.
Lentamente, il respiro di Thranduil è tornato regolare.
Fuori dalle finestre, la notte è quieta e silenziosa.
Gli elfi silvani riposano, sotto lo sguardo vigile del loro
re.
Sta strisciando in una conca
rocciosa.
Soffia un vento caldo, che le
spinge la polvere negli occhi.
Da lontano giunge un gorgoglio
minaccioso.
Un immenso drago si erge davanti
ad una grande grotta.
Le squame ferree della sua
corazza sono nere come onice, le sue narici si dilatano al ritmo grave e
affaticato del suo respiro.
Niphredil sbatte le palpebre e,
nella frazione di secondo in cui i suoi occhi sono chiusi, la scena cambia del
tutto.
Il Serpente ora è in volo.
I suoi occhi spalancati brillano
della luce devastatrice delle fiamme.
Vede sé stessa attraverso le
iridi taglienti del drago.
E’ sdraiata a terra, la spada
nascosta da una piega del mantello.
Il Serpente sbatte le grandi ali,
planando verso di lei.
Il fuoco comincia a ribollire nei
suoi polmoni, il fumo a soffiare dalle sue narici.
Poi, all’improvviso, un’ombra si
frappone fra il drago e la sua preda.
Una mano si serra sulla spada e lui - lui, quella sagoma sfocata che la
separa dall’inferno - si volta, affrontando la bestia.
Il Serpente lancia un ruggito
oltraggiato, poi spalanca le fauci ed erutta un torrente di fuoco.
Niphredil spalanca gli occhi.
Rabbrividisce quando la sua pelle, bagnata di sudore, viene
sfiorata dal lieve tocco del vento.
Il vociare dei nani la raggiunge, ma è un suono sfocato,
distante.
Hanno allestito l’accampamento su una grande spianata, dove
l’erba cresce alta, fra le rocce.
Niphredil ha lasciato Balin intento ad istruire Arin su come
montare il tendone e Glòin a ridere di loro e ha trovato il piccolo lago blu.
Sentire l’acqua gelida irrorarle le membra l’ha riportata
alla vita, ha ritemprato il suo corpo, lavando via la polvere della strada ed
il sudore della lunga marcia. Ha trascinato via ogni frammento di stanchezza,
ogni ricordo delle irte salite e delle ruggenti intemperie.
Ricorda di essersi distesa su una grande roccia bianca, ad
aspettare che il calore del sole asciugasse il proprio corpo. Di aver seguito
il percorso delle nuvole ed i mutamenti nelle loro forme. Ricorda di aver
socchiuso gli occhi, ripensando ai lieti giorni trascorsi ad Eryn Galen.
Così si era addormentata, mentre le ondate di calore
l’accarezzavano ed il vento ancora non soffiava. Si era addormentata e aveva
sognato il drago.
Si appoggia una mano sulla spalla. La pelle è bianca e
liscia, ma lei la sente ancora ruvida e irregolare, coperta da quella trama di
cicatrici che è ormai scomparsa da tempo.
L’accarezza distrattamente, ricordando come i morsi del
fuoco le avevano solcato la carne, consumandola, in un oceano di dolore.
E ricorda le settimane successive, quando si svegliava nel
cuore della notte, con un grido intrappolato in gola, per aver sognato gli
occhi dardeggianti del Serpente.
Tàri. Questo era il nome che avevano dato all’ultima, dei
grandi draghi del nord, quella che più di ogni altro era giunta a minacciare
Eryn Galen.
Aveva le squame nere come la pece, le corna lucenti che
seguivano le linee sinuose del collo e della maestosa testa. I suoi occhi erano
fuoco liquido, la sua voce era il rombo della tempesta.
Ma, per quanto terribile fosse il suo aspetto, nulla aveva
potuto contro i difensori del Reame Boscoso. Era stata cacciata, sconfitta.
Era fuggita fino alla Brughiera Arida, per riprendersi dalle
gravi ferite.
E aveva distrutto ogni cosa, sul suo cammino.
Lo sfogo della sua ira aveva lasciato solo cenere, polvere e
rovine.
Come il ricordo di Niphredil si posa su quei giorni, la
spalla le invia una fitta di dolore.
La lotta era stata feroce e, alla fine, lei era riuscita ad
infliggere una grave ferita al Drago, conficcandole un pugnale nell’occhio
scarlatto.
Ruggendo il suo sdegno, Tàri l’aveva colpita con la coda,
scagliandola contro una roccia.
Nella memoria di Niphredil, quei ricordi sono infusi di
nebbia, avvolti dalla confusione.
Ricorda il sangue caldo impregnarle i pantaloni, come
ricorda qualcosa squarciarle la pelle, facendola gridare di dolore. Ricorda i
frammenti biancheggianti di osso, che brillavano nella massa informe della sua
carne.
Aveva sbattuto le palpebre, mentre le immagini divenivano
sfocate, davanti ai suoi occhi. Riusciva a stento a seguire la figura di
Thranduil, che continuava a combattere contro il Serpente.
Ricorda il proprio destriero avvicinarsi a lei, e piegare
docilmente le zampe, per farla montare in groppa, guardandola con una profonda
consapevolezza negli occhi chiari.
Si era aggrappata ai lacci della sella, ma senza issarsi sul
cavallo.
Aveva allunga un braccio, fino a toccare una custodia di
cuoio.
“Vattene!” le aveva gridato Thranduil, vedendola esitare.
E ricorda nitidamente di aver sussurrato: “no, finché riesco
ancora a scoccare una freccia.”
Niphredil sorride, ripensandoci. Era stata così sciocca.
Il desiderio di proteggere il suo compagno l’aveva resa
cieca e sconsiderata.
Era riuscita a scoccare un solo dardo, mentre la vista le si
offuscava. Una freccia che nemmeno era andata a segno. Poi si era accasciata a
terra e il suo mondo era diventato buio, mentre il sangue continuava a defluire
dal suo corpo e Tàri vomitava fuoco, nel cielo nuvoloso.
In cima al monte Gundabad, il gruppo di Erag ha finalmente
raggiunto le vecchie rovine.
I fuochi ardono scoppiettando e il vociare degli orchi è
forte e volgare.
Hanno riposto le armi dopo la lunga giornata di marcia ed
ora scrutano nelle fiamme, mangiando la carne stopposa di cui possono disporre.
Scoppi di risa ed imprecazioni nella loro lingua gutturale
turbano il silenzio della notte, mentre la luna piena inonda le rovine con la
sua pallida luce.
La costruzione, un tempo maestosa, ora è solo un cumulo di
pietra. Non è rimasto più niente della imponente bellezza, a parte due
svettanti colonne, che sorreggono il tetto, in parte collassato.
Improvvisamente, un suono squarcia la volta buia del cielo.
Un rimbombo rotola lungo le pareti del monte, rimbalzando su
ogni roccia, riecheggiando in ogni caverna e rientranza.
Erag si volta di scatto, volgendo alle rovine gli occhi
pieni d’inquieto nervosismo.
Quelle sembrano immobili, nella loro mesta decadenza.
- Che c’è, Erag?- sbotta uno dei suoi compagni, sputando a
terra un boccone mezzo masticato - Non solo sei lento nella marcia, ma ora hai
pure paura della tua stessa ombra? Se Sinag ci ha voluti qui e non ci ha detto
di armarci pesantemente, di certo non c’è
nulla da temere.-
Gli altri orchi scoppiano in fragorose risate, ma lo sguardo
di Erag rimane fisso, nella nebbia densa, malsana, che sta lentamente
sommergendo le rovine.
La notte è quieta e stellata. Ma quella foschia ha l’odore sbagliato.
- Smettila di preoccuparti, Erag!- lo richiamano - non hai
nemmeno toccato il tuo cibo!-
Erag agita una mano, allontanando i presentimenti.
Si sta voltando, quando qualcosa attira la sua attenzione.
E’ una nota di colore, che sboccia improvvisa in mezzo alla
nebbia.
Come una sfera di fuoco, un unico, enorme occhio rosso lo sta
fissando.
La Coda!!
Vi anticipo che forse l’aggiornamento di questa storia (già
alquanto irregolare e segnato da alterne vicende) potrebbe subire un
rallentamento, visto che l’esame di procedura civile si avvicina e l’autrice ha
il diritto che le esce dagli occhi. Potrei arrivare a scrivere un paragrafo in
cui Thorin e Niphredil dibattono sull’efficacia provvisoria delle sentenze di
mero accertamento, ma penso che sarebbe surreale e che, in ogni caso, non v’interesserebbe
un granché.
Oddio, persino La
Coda sta delirando!
Bene, come sempre spero di non aver scritto bestialità e che
la coerenza sia stata al mio fianco!
Grazie a tutti per aver letto questo capitolo!
A presto!
- La Matta -
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Capitolo 8 *** L'Occhio e il Serpente ***
niphredil 8
Capitolo Ottavo
L’Occhio e il
Serpente.
L’Occhio non parla, eppure la sua voce penetra la mente di
Erag, ogni parola è una silenziosa lama rovente, che incide un solco.
Il ruggito del fuoco sommerge qualunque altro pensiero.
“Quale ignoranza.
Quale obbrobrioso errore. Follia.”
L’orco vorrebbe estrarre la spada, ma è paralizzato. Persino
respirare è una guerra perenne, una gelida morsa di agonia blocca qualunque
movimento.
Una fessura di puro buio si apre fra le fiamme. L’Occhio osserva.
“Ma forse l’errore
non è altro che un passo, verso
l’infinita voragine.”
Erag non riesce a ribattere. Ogni sillaba è un lugubre
rintocco, ogni parola è un torrente di dolore.
I concetti si radicano nella mente dell’orco, affondano
artigli acuminati nel suo cervello.
“Un guerriero di
Angmar trovò il drago morente. L’occhio della
bestia era perduto. Un’enorme lacerazione putrescente le squarciava la
gola. Il guerriero soccorse la fiera creatura.”
Erag non sa se le sue orecchie stanno udendo la storia o se
l’Occhio gliela sta semplicemente trasmettendo. Le immagini si accavallano,
pensieri sbocciano ed appassiscono, mentre l’intelletto dell’orco si amplia,
accettando la conoscenza che gli viene imposta.
“E il drago gli donò
il Corno. Che i suoi eredi lo suonassero, per destare la bestia dal suo lungo
sonno. Che il rombo familiare ricordasse alla creatura il vincolo, quando la
gratitudine sarebbe scomparsa, affievolita dagli anni e dal riposo.”
In un battito di ciglia, Erag riesce a vedere i suoi
compagni.
Raggruppati attorno al fuoco, non sembrano vederlo, né
sentire l’inquietante voce dell’Occhio.
“Ne ho udito il
possente suono. Le mie forze non sono bastanti all’assalto. Le mie truppe
attendono di essere chiamate. Ancora lunghi anni dovranno passare, prima che le
tenebre inondino queste lande. Qual è il tuo scopo, orco?”
La domanda arriva più nitida e dolorosa, facendosi largo
come una spada fra i pensieri di Erag.
- Vendetta. I nostri fratelli sono morti ad Dimrill Dale,
sconfitti dalla feccia nanica. Il comandante del monte Gundabad ha suonato il
Corno, assicurandoci che seminerà morte fra i nostri nemici.-
“Sottomettere un
drago non è cosa da poco. Ricordare un vecchio debito non basterà a salvarvi….
ma la volontà della bestia si piegherà alla mia voce.”
Erag socchiude gli occhi, ma non riesce a serrare le
palpebre del tutto. Nessun confortante buio gli porta sollievo, separandolo,
anche solo per un istante, alla crudele potenza dell’Occhio.
“La vostra vendetta…”
sibila l’Occhio, brillando fra le rovine “… sarà il mio vantaggio, nella guerra che verrà. Sterminate i nani
che vi hanno inferto vergognosa sconfitta. Devastate il Reame Boscoso,
assecondando i desideri della bestia. Ergetevi come campioni del regno di
tenebra che porterò su questa terra! Il drago che avete scioccamente destato obbedisce
al mio comando e, se vi piegherete a me, il suo fuoco brucerà i vostri nemici!
Cosa rispondete?”
Erag deglutisce, a stento.
Non si pone domande, né si illude di avere una vera scelta.
Si piega su un ginocchio, chinando docilmente il capo:-
faremo come dici, mio signore.-
Thorin si sta rigirando fra le coperte, senza riuscire a
prendere sonno, quando una melodia dolcissima scivola fino alle sue orecchie.
Suoni ovattati si sollevano nel cielo, leggeri come farfalle
e dolci come carezze.
Il nano si alza, gettando di lato la coperta ed uscendo
nella notte stellata.
Un quieto, placido manto blu è calato sull’Eriador.
Niphredil è seduta su una roccia, sul limitare
dell’accampamento. Le dita pallide della luna sembrano sfiorarle i capelli.
Rendono la sua carnagione quasi opalescente.
Le sue dita danzano elegantemente su un flauto di legno
intagliato, tappando ed aprendo i piccoli fori. Una decorazione d’argento si
attorciglia lungo tutto lo strumento, scintillando quando l’elfa lo muove.
- Non dormi mai, eh?- borbotta Thorin, avvicinandosi.
Niphredil si stringe nelle spalle:- non sono stanca.- dice,
quietamente.
Ma i suoi occhi fuggono all’orizzonte, inseguendo i sogni
che la tormentano, ormai da giorni.
I nani si sono accampati su una grande spianata, in attesa di
notizie degli altri superstiti di Erebor. Anche se nessuno lo dice apertamente,
tutti sono grati di quella pausa, di quei pochi giorni senza marce, senza
decisioni, senza paesaggi ostili e senza il ricordo perpetuo di quello che
hanno perduto.
- Perché il flauto?- domanda Thorin, sedendosi su un ciocco
di legno, accanto all’elfa
- E’ una domanda infelice.- ribatte Niphredil, con un
sorriso enigmatico - la musica porta conforto.-
Posa di nuovo le labbra sull’imboccatura, modulando una
motivo più rapido ed allegro. Le note sembrano rincorrersi, scavalcarsi, come
bambini che giocano.
- Sei un’abile suonatrice.- commenta Thorin, abbassando gli
occhi per non incontrare quelli di lei.
Niphredil ride, scuotendo il capo e posandosi il flauto in
grembo:- Dici questo perché non hai mai sentito la vera musica elfica. Quando
si festeggia, ad Eryn Galen, l’aria è piena di melodie meravigliose, in grado
di toccare le corde della tua anima.-
- Sembra bello.- ammette Thorin
Niphredil annuisce, sognante:- lo è.-
Per un po’, fra i due cala il silenzio.
Il delicato soffio del vento li separa e, al contempo, li
avvicina.
- Nemmeno tu dormi molto.- rileva alla fine la guerriera,
riponendo il flauto nella sacca di cuoio
Istintivamente, Thorin s’irrigidisce:- perché tu mi hai
svegliato.-
- Tanto delicato è dunque il sonno di Thorin Scudo di
Quercia, eroe della stirpe di Dùrin?- reagisce Niphredil, con una nota di
scherno nella voce.
- No.- borbotta il nano, serrando le braccia sul petto -
Altrimenti il perpetuo ronfare di Glòin mi avrebbe già ucciso. La verità è che
un pensiero fisso turba le mie notti.-
- Quale pensiero?-
Thorin solleva lo sguardo.
Per un attimo, la creatura davanti a lui non è un’elfa, né
una guerriera, è semplicemente Niphredil. Niphredil dalla voce soave e dagli
occhi verdi, Niphredil dal sorriso malinconico.
- Erebor.- le
confessa il nano, in un sussurro pieno di rimpianto - Penso alle macerie
fumanti della mia città, alle mura che credevo baluardi insormontabili. Penso a
chi è morto, in quell’inferno. Penso al drago usurpatore e alle perdute Porte
della mia gente.-
- Anch’io penso spesso al passato.- mormora Niphredil,
mentre la sua mano si posa sulla spalla di Thorin - è il baratro che da sempre
minaccia il mio popolo. Il fardello dell’immortalità è il rischio di rimanere
intrappolati nel passato.- le sue dita si stringono leggermente - Non farlo,
Thorin. Un giorno, quei ricordi saranno remoti. Un giorno guarderai con affetto
alla tua casa, vedrai i tuoi figli inseguirsi brandendo piccole spade di legno…
e allora il rimpianto per Erebor sarà solo una lontana nostalgia, un ricordo
troppo fievole per portarti vera sofferenza.-
Thorin la guarda, poi si alza di scatto in piedi,
scrollandosi di dosso la mano dell’elfa.
- Non puoi capire.- ringhia, allontanandosi con una lunga
falcata. La sua voce è stizzita, da ogni movimento traspare una rabbia sopita,
un muto odio verso il mondo.
- Posso capire, invece.- lo contraddice Niphredil, assente -
La ferita del tuo animo è troppo fresca, troppo recente, ogni ricordo sembra
bruciarti gli occhi, ogni sogno è un’agonia.- mormora poi.
Thorin s’irrigidisce, colpito dalla nitida chiarezza con la
quale la guerriera è riuscita a cogliere i suoi sentimenti. Si aspettava una
falsa compassione, non una comprensione così profonda.
- Quando Oropher è morto...- sussurra l’elfa, per un attimo
dimentica del passato che sta cercando di celare - i lamenti per la sua caduta
sono risuonati per giorni, ad Eryn Galen. La foresta stessa sembrava piangere
la sua morte. Ed io… io ero ferita, furiosa, volevo solo trovare un modo per
placare il dolore. Agognavo un solo momento libero dal fardello della memoria.-
Un raggio di luna le si posa sul viso, rivelando una lacrima
argentea che le scivola lungo la guancia.
Thorin esala un lungo sospiro, poi si siede di nuovo,
accanto a lei.
- Perdona la durezza delle mie parole.- mormora
- Comprendo il tuo dolore.- lo rassicura Niphredil, con un
pallido sorriso - Non c’è nulla da perdonare.-
Ricorda sé stessa, un capitano che ritorna alla sua patria.
Ricorda come le lacrime le pungevano gli occhi e di come lei
era riuscita a trattenerle, di come aveva ricacciato il dolore sempre più in
fondo, sperando, inutilmente, di poterlo annegare nel buio.
Ricorda quando ha imparato quella lezione, quando ha
scoperto che chi soffre non vuole pietà, né menzogne, ma agogna la
consapevolezza di non essere solo. Vuole sapere che qualcuno gli è compagno in
quel baratro d’agonia, che altri hanno pianto le sue stesse lacrime, e sono
sopravvissuti.
Ricorda le braccia di Thranduil che le cingevano le spalle,
ed una lacrima non sua che le bagnava la guancia.
La Coda!
Fra i ricorsi in cassazione e il processo del lavoro, - La Matta - ha persino trovato
il tempo di aggiornare! Ho rivisto questo capitolo ad infinitum e tuttora mi
convince fino a un certo punto, ma mi si sta fondendo il cervello ed ero stufa
di rivederlo. Lo so, sono pessima XD
Alla prossima!
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Capitolo 9 *** La casa di Angus (parte prima) ***
niphredil 9
Capitolo Nono
La casa di Angus
(parte prima)
Sul monte Gundabar, l’Occhio è
scomparso.
Si è assottigliato, fino a
divenire una lama di fuoco nel buio delle rovine, e poi è svanito nelle
tenebre.
Pallidi riflessi rossi s’infrangono
ancora sulla pietra.
Poi rimbomba una voce roca: - Da
molto tempo i miei occhi non si posavano su qualcosa di altrettanto
disgustoso…-
Erag si drizza in piedi, estraendo la spada, gli altri orchi
tentennano, increduli, ma poi lo imitano.
- La deformità mal si accoppia con la stoltezza.- prosegue
la voce.
E’ un sibilo, ma ha anche l’agghiacciante potenza del tuono.
- Mostrati, codardo!- grida un orco, sollevando la spada ed
agitandola, in aria - mostrati!-
- Un pezzente osa dare ordini a me?- il tono dell’essere
diventa più lieve e beffardo. Gli orchi percepiscono una strana nota, l’eco di
una voce femminile - posa le armi, sozzura, ed inchinati! Forse così potrai
persuadermi a risparmiare la tua patetica vita.-
- Minacce dalle tenebre? Questo dovremmo temere?- ringhia un
altro guerriero, armato di arco.
- Taci, Arnuc!- sbotta Erag.
- Oh, mi sorprende di scorgere un barlume d’intelligenza,
nel vostro branco.- li schernisce la
voce.
Nel buio, i grandi occhi cremisi sembrano ammiccare, illuminati
da screziature color ambra.
- E’ finito il tempo delle parole!- continua Arnuc,
estraendo una freccia dall’impennaggio nero
Sotto agli occhi, Erag scorge un sinistro baluginio bianco.
Uno strano suono scricchiola nelle tenebre: sembra lo
schioccare di un’enorme mandibola.
Arnuc si avvicina, prende la mira e scocca.
La freccia fende l’aria, poi s’immerge nelle ombre e ricade
a terra, dopo aver colpito qualcosa di duro, quasi metallico.
- Stolta e veniale creatura. La pazienza forse avrebbe
prolungato la tua vita.- dice la creatura.
Poi dalle rovine emerge un muso, coperto di scaglie
nerissime e sormontato da eleganti corna ricurve. Gli occhi sono rubini
incastonati nell’onice, zanne affilate come pugnali biancheggiano, quando
socchiude l’immensa bocca.
L’essere piega il collo, mettendo in mostra un reticolo di
cicatrici, che ha scalfito le sue squame.
- Un drago…- sussulta Arnuc, con gli occhi dilatati dallo
sgomento
- Un lampo d’intelletto prima della fine.- lo schernisce la
bestia.
Ghigna, poi la sua testa scatta in avanti, afferrando l’orco
con le temibili fauci.
Erag sente uno scricchiolio, mentre l’armatura cede e la
carne viene lacerata.
Il drago mastica, poi deglutisce rumorosamente.
Durante tutto il processo, gli occhi infuocati della
creatura rimangono fissi in quelli dell’orco.
- Qualcun altro desidera sfidare la mia ira?- sibila il
drago, al termine del pasto.
Gli orchi indietreggiano, sotto le iridi dardeggianti della
creatura.
Il Serpente avanza, uscendo dalle rovine. Il suo corpo
sembra avvolto da una nebbia cinerea, che lo segue ad ogni passo.
- Tu - pronuncia, mentre il suo muso incombe su Erag - l’Occhio
ti ha parlato. Se sai chi sono, sai che serviamo lo stesso padrone. Intendi
obbedirmi?-
L’orco annuisce, anche se il fiato caldo della bestia gli fa
accapponare la pelle.
- Allora dimostrami il tuo coraggio e la tua dedizione ai
miei ordini - uno scintillio divertito colora gli occhi cremisi della bestia -
avvicinati. Siediti all’ombra delle mie ali.-
Per un istante, Erag teme di non riuscire a muoversi. E’
bloccato, paralizzato dal terrore.
Poi respira a fondo, sentendo la tensione irrigidire i suoi
muscoli, e s’incammina.
Raggiunge le rovine e cade in ginocchio, vicino all’ala
uncinata del Serpente.
- Bene. Ora osserva la sorte che riservo a chi non obbedisce
con solerzia.- pronuncia il drago, prima di spalancare le fauci e lasciar
fuoriuscire una vampata di fuoco rosso, che avvolge gli altri orchi.
Quelli gridano, cercando di fuggire, ma non c’è fuga da
quell’inferno rovente.
Si accasciano, gemendo nell’agonia.
Erag, protetto dalla maestosa ala del drago, osserva la sua
squadra trasformarsi in una massa informe di sagome grottesche e di resti
carbonizzati.
- Sii utile alla mia causa - dice il Serpente, avvicinando
il muso a quello dell’orco - e risparmierò la tua vita. L’Occhio mi ha parlato.
L’Occhio mi ha promesso vendetta. Puoi fidarti, sozzura, poiché non ti stimo
nemmeno degno di una menzogna. Mi obbedirai, servo?-
Mentre il terrore si affievolisce ed allenta la sua stretta
sull’orco, Erag nota alcuni dettagli, del suo nuovo padrone. Sente la sua voce,
possente e beffarda, colorita da un’eco che la rende quasi femminile. E vede il suo occhio sinistro, attraversato da una
fenditura bianca, come una vecchia cicatrice.
- Ti obbedirò.- promette, in ginocchio, mentre l’odore di
carne bruciata gli raggiunge le narici.
- Ebbene, cominciamo dunque dal principio. Parlami di queste
terre, verso cui mi chiama la vendetta.- l’ira incrina la voce del drago -
parlami del Reame Boscoso.-
Balin allunga un braccio, indicando a Niphredil la grande
pianura che si estende, davanti a loro.
- Questa regione...- spiega, con un sorriso – è il Dunland.
Se i tuoi occhi sono abbastanza acuti, e arrivati a questo punto non dubito che
lo siano, riuscirai certamente a scorgere delle grandi costruzioni, di legno e
pietra. Laggiù ci riuniremo col resto del nostro popolo… se la sorte li ha
favoriti con un viaggio privo di incidenti, fra qualche giorno brinderemo
assieme ai nostri congiunti…- abbassa la voce, ammiccando all'elfa – e potrò
presentarti mio fratello Dwalin.-
- Un fratello.- ripete Niphredil, mentre un sorriso le
solleva l'angolo della bocca.
- Minore in età e in pazienza, ahimé.- ribatte Balin, in
tono divertito – Inoltre, avrai modo d'incontrare la sorella di Thorin, Dìs,
figlia di Thràin. Sono certo che andrete d'accordo.-
Niphredil si scosta una ciocca di capelli dal viso, mentre i
nani iniziano a scendere lo scosceso sentiero, imprecando per la roccia
sdrucciolevole e per le erbe urticanti.
- Mi domando, mia cara…- riprende Balin, colloquiale – per
quale ragione persisti nel seguire la nostra compagnia. Ho colto e apprezzato
la ragione del tuo aiuto in battaglia. La tua lama in un combattimento può fare
la differenza… ma i tuoi passi assieme ai nostri, cosa possono cambiare nella
lunga via? La tua stanchezza rende forse meno pesanti le nostre
pellegrinazioni? Le miglia che ti separano dalla tua casa, rendono forse la
nostra più vicina?-
Niphredil sospira, oltrepassando il nano. I suoi movimenti
sono rapidi ed agili, i suoi piedi non spostano nemmeno il più piccolo dei
sassi.
- Di quale colpa ti sei macchiata?– la incalza Balin, dopo
un attimo di silenzio
L'elfa si volta, guardandolo negli occhi. Appena dischiude le
labbra, la verità scivola fuori, le parole si susseguono una all'altra,
liberando la vera storia dall'intrico delle risposte elusive.
- Comandavo l'esercito che giunse ad Erebor.- confessa,
chinando il capo.
Balin annuisce gravemente, mentre un'ombra oscura i suoi
lineamenti.
- Comprendo perché hai preferito il silenzio.- sospira il
nano, alla fine –A lungo la mia gente biasimerà la tua per aver voltato le
spalle alla caduta di Erebor… ma la rabbia può essere accantonata, per una
giusta causa e per qualcuno che ha dimostrato di meritare affetto, e non
rimprovero.- si ferma, allungando una mano per afferrare saldamente il braccio
di Niphredil – ti ringrazio per avermi ritenuto degno della verità.-
- Grazie, Balin.- mormora Niphredil - altri non saranno così
indulgenti.-
Balin si stringe nelle spalle, allargando le braccia con un
sorriso:- l’ira è come nebbia, amica mia. Può essere invisibile o densa come
metallo, ma alla fine si dissipa.-
- Che avete da stare lì fermi, a ciarlare?!- sbotta Glòin,
sopraggiungendo alle loro spalle - già stanca, orecchie a punta?-
Niphredil inarca un sopracciglio:- non sono io quella che
ansima, mastro nano.-
- Potrei andare avanti tutto il giorno!- la contraddice
Glòin, battendosi una mano sul petto - e tu, cugino - riprende, rivolgendosi a
Balin - non farti distrarre da lei! All’imbrunire raggiungeremo la casa di
Angus e potremo levare alto un bel boccale di birra! Pensa a questo, e allunga
il passo!-
- Chi è Angus?- s’intromette Niphredil, sollevando le dita
per prevenire una protesta di Glòin - e, nel domandarlo, chiedo umilmente
perdono per la mia ignoranza.-
- Non devi scusarti, mia cara - la rassicura Balin - Angus
non è altro che un vecchio nano dalla testa dura come la pietra. In giovinezza
era un valente guerriero e compagno d’armi di re Thràin… poi ha un po’ perduto
il senno. Ha lasciato Erebor ed ha vissuto da eremita per qualche tempo. I suoi
congiunti, preoccupati, sono partiti per cercarlo e si dice l’abbiano trovato
seduto su una nuda roccia, a meditare, fra le rovine di un vecchio insediamento
abbandonato, bagnato fino al midollo e vestito di cenci.- una risata sfugge
alle labbra di Balin.
- Negli anni successivi, Angus e i suoi parenti sistemarono
alcuni degli edifici e costruirono le Sale della Birra, dove tutti i nani
pellegrini possono sedersi, scambiarsi racconti e… e bere!- completa Glòin, mentre un gran sorriso gli illumina il volto
- Niph, non vedo l’ora di farti bere della vera birra!-
Niphredil apre bocca per replicare, ma alla fine non se la sente
di stroncare l’entusiasmo dell’amico.
Solo qualche minuto dopo, mentre i nani discutono
accanitamente sui pregi di una qualità di birra rispetto ad un’altra, si rende
conto che Glòin l’ha chiamata Niph.
Non “orecchie a punta”, non “elfo femmina”.
Semplicemente Niph.
- Thràin!-
Angus, figlio di Anthios, accoglie il re a braccia aperte, stringendolo
vigorosamente fra le braccia.
- E’ un piacere rivederti.- sospira il nano, ricambiando
l’abbraccio
- Molte più rughe ti solcano il volto, vecchio amico.- Angus
scuote il capo, le piccole fasce di metallo che gli adornano i folti capelli
grigi si toccano, tintinnando - Ho saputo di tuo padre ed il mio cordoglio è
superato solo dalla mia rabbia.-
Thràin annuisce:- abbiamo avuto la nostra vendetta, per quanto
amaro fosse il suo sapore. Abbiamo combattuto gli orchi davanti alle porte di
Khazad-dum… ma ci sarà tempo per i racconti di guerra. Speravamo che ci potessi
offrire ospitalità, cibo, e un tetto sotto cui riposare.-
Angus allarga le braccia:- siete i benvenuti, fratelli miei.
I tuoi uomini possono sistemarsi nelle baracche là in fondo. Certo, non sono
gradevoli a vedersi, ma sono asciutte e di certo più comode di una roccia
coperta di muschio e del cielo come tetto.-
- Grazie.- sospira Thràin.
Angus sbuffa, poi, con calore, gli batte una pacca sulla
spalla:- non ringraziarmi! Nemmeno la più lunga delle ere può scalfire
l’affetto che provo per te e per quella che, un tempo, era la mia gente!
Rammenti quando ci allenavamo, nella Sala degli Scudi? Quante volte le nostre
imprecazioni rimbombavano fra quelle mura?-
- Certo, eravamo giovani ed entusiasti…- ammette Thràin e,
per la prima volta da quando Erebor è caduta, un caldo sorriso illumina il
volto del re.
La notte cala rapida e silenziosa e, per la prima volta da
quando si sono lasciati alle spalle le macerie fumanti di Dale, i nani dormono
un sonno lungo e sereno.
Angus e Thràin, stanno seduti, in silenzio, su una panca di
legno robusto e levigato. Fili di fumo bianco si alzano dalle loro pipe,
intrecciandosi nel cielo scuro.
Fra qualche giorno, quando gli altri superstiti di Erebor si
congiungeranno ai loro parenti e amici, Angus offrirà a tutti un banchetto, per
festeggiare la riunione. Brinderanno al passato, in onore di chi li ha
preceduti nelle case dei loro avi, al presente, per chi è ancora vivo, per chi
ha ancora la forza di lottare, e per il futuro. Perché la stirpe di Dùrin non
ha perduto la speranza.
Fra qualche giorno, festeggeranno.
Ma quella notte, in quel profondo silenzio, in quella quiete
scura e riposante, quella notte tutti ricordano.
Distesa, sotto la piccola finestra, con gli occhi pieni
della luce della luna, Niphredil guarda la volta stellata.
Stava sdraiata sotto un albero
dai fiori bianchi. Il vento portava tutti i profumi della primavera. Aveva
chiuso gli occhi, abbandonando il libro nell’erba alta.
Il respiro di Eryn Galen era pura
armonia.
I passi di Thranduil non avevano
infranto il silenzio, né l’aveva turbato il delicato fruscio delle sue vesti,
quando si era seduto accanto a lei.
- Come va con la gamba?- le aveva
chiesto, posandole una mano sul ginocchio.
Lei si era stretta nelle spalle,
con un sorriso distratto:- bene.-
Il tocco gentile di lui era
diventato una carezza, le sue dita erano scivolate sul corpo di Niphredil, fino
a trovare il suo collo.
Le aveva posato le labbra sulle
guancia, parlando in un soffio contro la sua pelle:- avresti dovuto darmi
ascolto.-
- Abbiamo sconfitto un drago.-
aveva ribattuto lei. La sua voce aveva il suono di una risata - ha forse
importanza il modo?-
Thranduil aveva scosso il capo,
prima di sfiorarle le labbra con un bacio:- l’avrebbe avuta, se ti avessi perso
- aveva sussurrato, accarezzandole i capelli - sei impavida, mio capitano,
impavida al limite dell’incoscienza.-
- Quale capitano abbandonerebbe
il suo re sul campo di battaglia?- aveva replicato Niphredil, quietamente - non
preoccuparti per me. Mi fermerò un passo prima della caduta e farò sempre
ritorno, a’maelamin. Te lo prometto.-
La Coda!
Come al solito sono super di fretta J
Voglio ringraziarvi, come sempre, per avermi seguita fin qui
e per tutti i feedback positivi ed i complimenti che ricevo. Vi voglio bene!
(sì, sì, -La Matta-
è preda di un momento di tenerezza)
"a'maelamin", significa, in elfico, "amore mio", o almeno così mi ha assicurato internet :)
Non ho ancora risposto alle recensioni, ma non temete, mie
prodi fanciulle… appena trovo un minuto lo farò senza esitare!
A presto!
- La Matta
-
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Capitolo 10 *** La Casa di Angus (parte seconda) ***
niph11
La Casa di
Angus
(parte seconda)
Niphredil si sveglia col
sorgere dell'alba. I primi raggi del sole stanno squarciando il manto nero
della volta celeste, riempiendo le nubi di bagliori dorati. Preannunciano una
giornata tersa, con un cielo sereno, senza pioggia, senza vento, senza ombre.
Si passa una mano fra i
lunghi capelli d'oro pallido ed un sorriso le incurva le labbra, quando le sue
dita si bloccano su un nodo, un piccolo e fastidioso intreccio. Lo scioglie con
aria assorta, mentre dei passi, fuori dalla finestra, le annunciano che non è
l'unica dell'accampamento ad essersi così presto congedata dal sonno.
Si sporge appena oltre la
soglia della costruzione ed i suoi occhi incontrano il profilo di Thorin.
Sembra talmente preso dai
propri pensieri, che Niphredil decide di non distoglierlo e rimane ferma,
immobile come la pietra, a seguire i suoi passi irrequieti, cercando di
indovinare l'andirivieni delle sue riflessioni.
In silenzio, studia come
la preoccupazione gli scava un solco in mezzo alla fronte, come le sue labbra
si tendono all'insorgere di un nuovo dubbio, come non cessi di camminare,
avanti e indietro, sospeso nell'indecisione.
Alla fine, Thorin esala
un lungo sospiro, poi crolla seduto su una panca di pietra, scuotendo il capo.
- Le mie scuse, se ti ho
svegliata – dice il nano, voltandosi all'improvviso verso Niphredil.
L'elfa sorride: - il mio
sonno si è fatto meno delicato, da quando ho dovuto condividere la tenda con
Glòin – ironizza, allargando le braccia – se la compagnia ti è spiacevole,
posso andare via. Altrimenti, vorrei scambiare due parole con te.-
Thorin annuisce, senza
entusiasmo, con un secco cenno del capo.
Niphredil gli si
avvicina, ma rimane in piedi, accanto alla panca, avvolta dalla candida luce
del mattino.
- Pensavo che rivedere
queste sale, così gioiosamente note al tuo popolo, potesse rasserenare il tuo
spirito - dice, inclinando la testa – eppure vedo che sei turbato, Thorin.-
- Turbato- ripete il
nano, con uno sbuffo – erri nel dire che sono turbato ed erri nel presupporre
che la vista di queste sale mi istilli gioia. Mio padre brinda col suo vecchio
amico, i miei compagni si rallegrano all'idea di riabbracciare i loro
congiunti, e pare che io solo rammenti l'offesa che abbiamo patito ad Erebor.-
Niphredil sospira e, con
eleganza, si siede accanto a Thorin, sulla panca di pietra. E' stata decorata,
rozzamente ma con amore, con un motivo di foglie e boccali ricolmi. L'elfa fa
correre la mano sugli intagli e cerca le parole migliori per trasmettere il suo
messaggio, senza essere fraintesa, senza incorrere in errori.
- Permettere a qualcuno
di placare il dolore non significa dimenticarne la causa – dice poi, in un
soffio – concedi ai tuoi fratelli qualche ora di pace, poche giornate in cui
non essere un popolo esule e infelice. Permetti loro di sperare, Thorin.-
Thorin si volta e le
lancia uno sguardo gelido:- perché?- ribatte poi, quasi ringhiando – la pace fa
assopire, Niphredil, ed invece la mia gente deve rimanere sveglia e non
dimenticare mai che Erebor ci è stata sottratta e che, un giorno, ce la
riprenderemo.-
- Ma come sarà possibile
– insiste l'elfa – se non riprendete le forze?-
- Taci!- ruggisce infine Thorin, balzando in piedi. Rimane fermo,
ansante, poi impreca pesantemente a torna a sedersi, distogliendo lo sguardo
dai limpidi occhi di Niphredil.
- Scusami – borbotta,
dopo un lungo momento di silenzio -… Balin ti ha raccontato la storia di questo
luogo, vero? Avrai sorriso al pensiero di Angus seduto a meditare su una
roccia… ma la vedi, l'amara verità? Un pazzo se ne va dalla sua dimora ed i
suoi parenti sono talmente pigri che preferiscono costruirgli attorno una nuova
casa, piuttosto che ridestare il suo spirito e riportarlo ad Erebor! In ogni
muro, in ogni roccia, in ogni giaciglio, io vedo un futuro a cui rifiuto di
piegarmi. Vedo la muta accettazione del mio popolo, vedo il giorno in cui i
nani si rassegneranno, e sceglieranno una nuova casa, seppellendo per sempre
Erebor nei racconti delle glorie passate.-
Niphredil emette un lieve
sospiro poi, gentilmente, posa una mano sulla spalla di Thorin.
- Non l'accetteresti in
ogni caso, vero?- chiede, sottovoce, con un accento di amara ironia – Se anche
potessi provarti come una nuova casa, per quanto misera, possa dare più gioia
di un antico palazzo, se anche mi fosse possibile farti capire quanta gioia,
quanto orgoglio, quanti canti risuonano in queste Sale, anche se sono sorte
dalla vergogna e dalla follia di un vecchio nano, se anche potessi fare questo,
Thorin, tu non accetteresti di rinunciare alla tua terra natia, agli ori ed
alle miniere della Montagna Solitaria.-
Thorin scuote il capo,
con un grugnito:- no, non potrei mai accettare una simile infamia.-
- Eppure – Niphredil
accavalla le gambe, un raggio di sole rimane impigliato nella gabbia d'argento
che porta al collo -… eppure tu non mi chiedi di desistere. Mi sbaglio,
Thorin?-
Thorin tace, poi abbassa
lo sguardo. Si guarda le mani, segue il disegno delle cicatrici e dei graffi
sulla pelle. Apre bocca, ma poi la richiude senza pronunciare alcuna frase.
Niphredil rimase ferma,
in paziente attesa, finché il possente suono di un corno non interrompe il
silenzio della valle. Poco lontano, sulla cima di un morbido pendio, è apparso
un folto gruppo di viandanti.
Thorin solleva il capo di
scatto, con una rinnovata luce negli occhi.
- I nostri fratelli –
sussurra, speranzoso. Il respiro gli rimane bloccato in gola, in trepidante
attesa, finché il corno non risuona nuovamente e, compatto, il gruppo comincia
la discesa.
Niphredil, con un sorriso
sulle labbra seriche, accenna all'espressione sul volto del nano. I lineamenti
del principe sono soffusi da una luce raggiante, di pura letizia.
- Corri ad abbracciare
chi ti è caro, Thorin Scudo-di-Quercia – sussurra – e domandati se le vuote
sale di Erebor potrebbero darti una gioia anche solo simile a quella che provi
in questo momento.-
Niphredil ha visto tante
cose, nella sua vita. Cose in incredibile mostruosità e cose di inenarrabile
bellezza. Cose grandiose, magnifiche e cose sporche, miserevoli. Ha visto gli
eserciti schierati nella Guerra dell'Ultima Alleanza ed ha sentito nelle ossa
il gelo del vero terrore, instillato dall'Oscuro Signore.
Eppure, non ha mai visto
dei nani tanto felici.
Li osserva, nell'ombra,
mentre si ricongiungono ai loro familiari, scambiandosi abbracci, stringendo
mani, scambiandosi battute e baciando volti che hanno temuto di non rivedere
più. Nel roboante brusio dei loro saluti riesce a ghermire frammenti di frasi
ed una, fra tutte, la colpisce.
"Abbiamo perso la
nostra casa" sta dicendo un nano, dai folti capelli biondo cenere.
La sua compagna gli
prende le mani e, con un gesto al contempo dolce e risoluto, se le stringe al
petto
"La mia casa non
sono quattro mura e un tetto, idiota"
ribatte, piegandosi in avanti per baciarlo sulle labbra "la mia casa è
dove posso averti al mio fianco, dove posso sentire le tue insopportabili
battute e dove posso fare l'amore con te, prima di addormentarmi."
Niphredil sorride
distrattamente, prima di lasciarsi avvolgere dalle calde braccia della memoria.
Socchiude gli occhi e si rivede nella sua stanza, ad Eryn Galen.
Stava
seduta di fronte alla grande specchiera, mentre una bambina dagli occhi azzurri
le intrecciava i capelli, perché non la infastidissero durante la cavalcata.
Indossava
già l'armatura e, sul letto alle sue spalle, la sua spada riposava, nel fodero.
-
Starai via per molto, Niphredil?- le chiese la piccola, sgranando quegli occhi
enormi, pieni d'ingenuità
-
Starò via quanto è necessario, Luinil. Né un giorno di più, né uno di meno -
La
bambina scosse la testa, poi riprese a sistemarle le lunghe chiome
-
E chi decide il tempo giusto?- chiese, dopo un po', con una smorfia perplessa -
il nostro re?-
Niphredil
si sciolse in pallido sorriso:- sì e no, piccola.- disse, esitante – il nostro
re sa quanto tempo occorre per mettere in sicurezza la nostra dimora, sa per
quanto tempo i nemici possono celarsi fra le ombre e per quanto tempo possano
resistere nei loro rifugi, sotto le radici degli alberi più imponenti… è ai
suoi ordini che io, come soldato, mi attengo con rigore…-
-
Quindi è lui a farti andare via da casa?-
-
Sì, piccola – Niphredil allungò una mano, accarezzando la bambina sui lunghi
capelli rossi – ma se potesse, se l'Ombra non sfiorasse di continuo i confini
della nostra foresta, se potesse, il nostro re non allontanerebbe nessuno da
Eryn Galen.-
-
E ti manca, quando sei via?-
Niphredil
soppesò la questione, per qualche istante, prima di rispondere:- certo che mi
manca, Luinil. Eryn Galen è la mia casa ed è sotto le sue fronde che dimora il
mio cuore.-
Luinil
scoppiò a ridere, poi abbassò lo sguardo, arrossendo.
-
Che c'è?- chiese Niphredil, alzandosi in piedi ed incrociando le braccia sul
petto – perché ridi?-
La
bambina fece una smorfia:- perché non parlavo di Eryn Galen.-
-
Oh, Lu.- il capitano sospirò. Arruffò i capelli della bambina, poi l'oltrepassò
e recuperò la spada. La estrasse, controllò il filo, la ripose nel fodero e si
chiuse la cintura in vita. Stava per uscire dalla stanza, quando Luinil la
trattenne, tirandola per l'orlo della veste.
-
Allora?- la incalzò la bambina, timida ma troppo curiosa per tacere – il re ti
manca, quando le tue pattuglie ti conducono lontano da casa?-
Niphredil
si piegò sulle ginocchia, guardandola la piccola nei grandi occhi azzurri.
-
Lo sai tenere un segreto, Lu?-
Luinil
annuì vigorosamente.
-
Coloro che amiamo non ci lasciano mai da soli. Un piccola, minuscola parte di
loro rimane sempre con noi, non importa quante miglia ci separino.- Niphredil
si portò una mano al collo, estraendo da sotto la corazza il lungo pendaglio,
con la gabbia d'argento e la punta di freccia – questa me l'ha regalata il
padre del nostro re, quand'ero poco più grande di te adesso.-
-
Perché?-
-
Perché ricordassi. Perché ricordassi
che la vita ci lega a delle persone e che non dobbiamo mai, mai dubitare di
quel legame. Anche quando la notte è più cupa, chi amiamo è come una fiaccola,
che ci conduce fuori dalle tenebre.-
Angus ha promesso un
grande banchetto, per festeggiare l'arrivo degli altri nani.
Per tutto il giorno le
Sale sono animate da un brusio ed un'attività continua, come quella d'un
formicaio.
Ovunque si volti,
Niphredil vede facce barbute e sorridenti e nani impegnati nei preparativi.
In quel momento, sta
aiutando Balin e suo fratello, lo scorbutico Dwalin, a trasportare degli enormi
barili di birra fino alla sala dei banchetti.
- E così finimmo entrambi
a gambe all'aria, e nostro zio ci mise in punizione per un intero ciclo di luna
– sta raccontando Balin, mentre Dwalin ringhia e trasale ad ogni riferimento
alla loro adolescenza.
- E' difficile – ammette
Niphredil –immaginarti come il giovane scapestrato che descrivi.-
- Eh, mia cara, non
crederesti a come anni di studi e di grossolani errori possono temprare l'anima
d'un ragazzo. Certo, alcuni fra noi non hanno imparato la lezione con solerzia
pari alla mia…- dice, ammiccando in direzione del fratello. Dwalin digrigna i
denti e tace – non far caso a mio fratello, mia cara, e non dubitare: egli non
è muto, è solo estremamente parco di parole.-
- Non parlo con gli
elfi.- mastica Dwalin, storcendo il naso – questa ha persino un cattivo odore.-
- Ha dormito con noi per
settimane, fratello mio, non è realistico pretendere che profumi di gelsomino!-
Niphredil inarca un
sopracciglio poi, cautamente, si annusa i capelli.
- Sai che non parlo dell'onesto
sudore nanico!- ha replicato Dwalin - parlo della puzza del tradimento!-
Niphredil sgrana gli
occhi e, per un secondo, teme di aver già visto il nano, nel folto della
battaglia, in quel giorno di sangue davanti a Dale, ma poi si rende conto che non
è possibile, che Balin stesso le ha detto che suo fratello non aveva mai visto
il fuoco devastatore di Smaug.
- Tradimento?- indaga
Balin – con che boria puoi giudicare una persona, senz'averla mai vista e senza
averle mai rivolto la parola? Non credevo di ritrovarti così cieco, fratello
mio.-
- Non così cieco –
ribatte Dwalin – da non riconoscere l'armatura del mio nemico. Quella corazza
porta le insegne di Bosco Atro, di quel re sulla cui tomba mi recherei
volentieri ad orinare!-
Niphredil stringe le mani
a pugno e, per qualche istante, la rabbia scuote il suo discernimento. Poi,
lentamente, l'onda refluisce, come la marea, e l'animo dell'elfa torna quieto
ed incline a perdonare le parole di Dwalin. Balin le lancia uno sguardo e
sorride.
Quando Dwalin se ne va,
ancora irritato, le picchetta gentilmente sul dorso della mano.
- E' dura, vero?- chiede,
a bassa voce – veder aggredite con tanta foga qualcuno per cui provi rispetto.-
- Non biasimo tuo
fratello per la sua ira – risponde Niphredil – ma sì, ammetto che tacere non è
stato facile.-
L'elfa scioglie
lentamente la stretta, rilassando le lunghe dita. Nella sua vita, ha imparato
molte cose. Ha imparato la pazienza, la ponderazione, ha imparato a ritirarsi
quando la battaglia non può essere vinta e a concentrare le forze per un
successivo attacco. Ha imparato quando è giusto esercitare prudenza, e quali
sono le minacce che non si possono tollerare. Eppure, oggi come secoli prima,
il pensiero di Thranduil oscura tutti i precetti appresi. Quando hanno affrontato
Tàri, ricorda di essere quasi morta, intestardendosi a rimanere sul campo di
battaglia, ignorando le ferite, obliando ogni cautela.
Ha imparato a tollerare
ogni forma d'insulto razziale ed ha fatto l'abitudine al colorito linguaggio
dei nani, sempre ricco di epiteti poco lusinghieri. Ha accettato il loro odio
per la gente di Eryn Galen, ed il disprezzo per chi non li ha soccorsi, nel
momento di maggior bisogno. Eppure non accetterà mai che si sputi sul nome del
suo sovrano, perché la vita l'ha legata a lui con un nodo indissolubile. Un
vincolo che lei onorerà, fino all'ultimo respiro.
La Coda: -La Matta- possiede forse
l'Unico Anello?
No, se ve lo state
chiedendo, no. Non possiedo l'Unico Anello. Sono nata con l'abilità di
scomparire nel nulla, a volte per lunghi periodi di tempo, soprattutto se sto
pubblicando una storia.
Benvenuti nel fanclub di
"quelli che ricevono le periodiche scuse de –La Matta- per aggiornamenti
evaporati, termini non rispettati e lunghi periodi di silenzio assoluto.
Rivolgetevi al mio ufficio legale per eventuali richieste di risarcimento dei
danni morali :P
Scherzi a parte, ho
appena ricominciato a scrivere Niphredil, perché è una storia a cui tengo e che
mi dispiacerebbe lasciare sospesa, e spero di non incorrere in altre carenze
d'ispirazione aka blocco dello scrittore.
Come al solito, spero che
il capitolo vi sia piaciuto – non succede un granché, è più che altro per
riprendere da dove avevamo interrotto – e che la coerenza sia stata al mio
fianco!
A presto!
- La
Matta-
Nota: ebbene
sì, non ho ricontrollato. Sì, sono scandalosa, ma ho finito il capitolo nel
cuore della notte e volevi postarlo prima della nanna. Prometto una revisione a
giorni e spero di non aver disseminato il testo di strafalcioni. Sono in buona
fede, giuro J
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Capitolo 11 *** Il banchetto ***
niph banchetto
Capitolo Undicesimo
Il banchetto
La sala dei banchetti è
ampia e lunga, dal soffitto basso ed ornato da intarsi di pietra bianca.
Dopo un lauto pasto, Angus
ha aperto un barile di tabacco, una qualità pregiata, dall'aroma pungente, ed
ha ordinato che tutti, sotto il suo tetto, riempiano le pipe e respirino a
pieni polmoni, per celebrare quella riunione.
Niphredil soppesa la pipa
di legno nero, che Balin le ha prestato per onorare il padrone di casa.
La osserva, sfiorandola
con dita curiose, segue i rudimentali intagli che la decorano.
- Scommetto che non hai
mai fumato, eh?- esclama Glòin, allungandole una poderosa pacca sulla spalla
Niphredil inarca un
sopracciglio poi scuote la testa e sorride: - è così ovvio?-
Il nano scoppia a ridere:
- niente asce, niente birra ed ora niente tabacco! Ma come vi crescono a voi
orecchie a punta? Vi nutrono di foglie verdi e poesie lamentose?-
- Suvvia, Glòin –
interviene Balin, allargando le braccia con fare conciliante – una cultura
diversa dalla nostra può essere fonte di grande saggezza. Sono affascinato dal
modo in cui…-
- E poi non hanno la
barba!- replica Glòin, senza permettere all'amico di concludere la frase – non
importa quanti anni campino! Che condanna terribile, trascorrere l'eternità
senza una rigogliosa barba!-
Niphredil si copre la
bocca con una mano e ride.
Balin sta per riprendere
la conversazione, quando Angus, a capotavola, si alza in piedi ed esordisce,
con la sua voce roboante:- amici! Fratelli miei! Da tempo queste mie Sale
accolgono i viandanti stanchi, offrendo loro un fuoco e un giaciglio. Ma
stanotte, stanotte queste mura sono testimoni di una riunione a lungo attesa!
Perché il popolo nanico è sopravvissuto!
Sopravvissuto alla guerra, al fuoco di una bestia maledetta, sopravvissuto alle
intemperie ed all'impervio cammino! Sopravvissuto al lutto, alla sofferenza,
sopravvissuto all'ira, per rinascere! Siamo come il ferro, fratelli miei! Il
fuoco può morderci, finanche piegarci, ma emergeremo dalle fiamme, temprati e
più resistenti! E' con questa certezza nel cuore che, stanotte, vi di dico di
levare alti i vostri boccali e d'intonare canti di trionfo!-
Seduto accanto ad Angus,
scuro in volto ed con una strana smorfia sulle labbra, il re dei nani si limita
ad un cenno d'assenso. Thorin, al fianco del padre, solleva il boccale e si
unisce al brindisi, però i suoi occhi sono lontani, inseguono pensieri che non
riescono a concedergli pace.
Niphredil alza il boccale,
si bagna appena le labbra nella birra fredda, poi lo riposa sul tavolo.
Il gesto non sfugge a
Glòin, che le si avventa contro con una smorfia sconvolta:- non t'azzardare, orecchie e punta! Non
intendo proseguire il viaggio con te, se prima non finisci la tua birra!-
- Oh, Glòin, adesso non
seccarla!- lo riprende Balin – E' come se a te chiedessero di bere il vino
elfico.-
- Non mi tirerei di certo
indietro!- ribatte il nano fulvo, spingendo il boccale verso Niphredil.
Lei posa le dita
sull'impugnatura poi, con un sorriso, si riporta il bicchiere alle labbra e
beve una lunga sorsata. Non beve birra da quasi un secolo, eppure subito ne
ricorda il sapore, il lieve bruciore che le invade la gola.
- Bene, bene!- approva
Glòin – e se alla fine della sera dovessi vederti ubriaca, tanto meglio.-
- Non succederà.- sbuffa
Niphredil, inarcando un sopracciglio
- Mai dire mai!-
Quattro ore dopo,
Niphredil comincia a sentire un leggero formicolio alle dita e trova molto
divertente che l'intorpidimento si stia concentrando anche sulla punta del suo
naso. Alla sua sinistra, Balin è impegnato in un'accanita discussione con un
altro nano, mentre alla sua destra, pericolosamente vicino a rovesciarsi giù
dalla panca, Glòin gesticola, per attirare la sua attenzione.
- Ehy, Niph, vieni
quaggiù!- articola alla fine, afferrandola per un lembo della veste
Lei sorride e, passato un
braccio sulle spalle del nano, l'aiuta a rimettersi a sedere diritto.
- La vedi quella laggiù?-
le bisbiglia Glòin, indicando una donna, dall'altro capo del tavolo. Anche lei
sembra vagamente ubriaca, ma mantiene comunque un certo contegno. In un battito
di ciglia, Niphredil la riconosce: è la nana che ha visto quella mattina,
mentre riabbracciava il suo compagno.
- Certo che la vedo.-
rispose, mentre Glòin si appoggia pesantemente al tavolo, allungando una mano
per raggiungere il suo boccale – perché?-
- Quella è Dìs, la sorella
di Thorin, e mi sorprende che il nostro buon Balin non vi abbia già presentate.
Che diamine, mi sorprende che non ti abbia dovuto presentare a tutti i nostri
fratelli. Un'elfa nelle Sale della Birra, ah, se non ti conoscessi mi
vergognerei di aver permesso una simile vergogna. E' contraria all'ordine
naturale delle cose, ecco. E' come un nano su un cavallo o un orco che compone
poesie!-
Niphredil si piega in
avanti e scoppia a ridere. La sua risata ha un suono argentino e, per un
attimo, Glòin rimane ad ascoltarla, incantato, chiedendosi com'è possibile che
una dannata elfa sia così eccezionale.
- Ad ogni modo, delle
presentazioni potremo occuparci domani.- capitola, afferrando finalmente il
boccale e portandoselo alle labbra. Subito lo allontana con un verso stizzito,
rendendosi conto che è vuoto – comunque, non era di Dìs che volevo parlarti.
Senza nulla togliere alla sorella di Thorin, non è proprio il mio tipo!
Piuttosto, la vedi quella seduta vicino a lei? Quella con le chiome come fuoco
ed una cicatrice sul labbro?-
Niphredil annuisce. Vede
la donna di cui Glòin sta parlando: hai capelli raccolti in una massiccia
treccia e ride sguaiatamente, alla battuta di un amico.
- Chi è?- chiede,
incuriosita
- Quella è Nadris. Ed è, e
ascoltami bene, Niph, perché è davvero
importante, è l'amore della mia vita.-
Niphredil sorride,
intenerita, mentre Glòin tenta di nuovo di bere dal boccale vuoto.
- Dì, tu hai qualcuno che
ti aspetta, in quella tua maledetta foresta?-
La guerriera sospira. Si
appoggia al tavolo, disegnando un ghirigoro sul legno, con una goccia di birra.
Non vuole mentire a Glòin. Le è sempre più difficile nascondere la verità,
soprattutto a lui, a quel nano rozzo e cocciuto che pure è riuscito a darle
tanto, nelle ultime settimane. L'ha fatta ridere, l'ha costretta a bere, a
cantare, ad ascoltare pessimi aneddoti nanici, si è fidato di lei quando tutto
il resto gli suggeriva di non farlo, e lei non può dargli niente, in cambio,
nemmeno una storia.
- Niph?-
- Sì - mormora alla fine,
assorta – c'è qualcuno che mi aspetta, ad Eryn Galen.-
- E com'è?-
- E'…- Niphredil sorride,
e sul suo viso la nostalgia si mescola all'orgoglio -… è un guerriero, pronto a qualunque
sacrificio, per proteggere la sua gente. A volte… a volte si adombra, perché
troppi pensieri affollano la sua mente, ed io non sono in grado di alleggerire
il suo fardello. Per migliaia di anni ho condiviso il suo cammino e mai la sua
mano ha mancato di sorreggermi.-
- Questo è ciò che conta.-
dice Glòin, con un vigoroso cenno d'assenso – sono contento che ci sarà
qualcuno a prendersi cura di te, quando tutta questa storia sarà finita. Non ci
sarò sempre io a guardarti le spalle, orecchie a punta.-
Niphredil fa una smorfia,
poi riporta la conversazione su Nadris e Glòin si lancia in un'accurata
pianificazione del proprio futuro con la donna, di come si sposeranno in vaste
sale scolpite nella roccia, di come avranno un figlio, a cui Glòin insegnerà a
combattere con l'ascia bipenne e che crescerà coi racconti di quell'avventura.
- Ma non gli dirò di
fidarsi degli elfi, ah no!- conclude il nano fulvo, prima di crollare di nuovo
sulla panca, borbottando frammenti di frasi, nello stordimento che precede il
sonno.
Lontano, fra le irte rocce
del Monte Gundabad, il Drago giace disteso, assorto in propositi di vendetta.
Quando la solitudine rende
silenzioso il mondo attorno a lei, la bestia rimugina e viene assalita dal
ricordo. Una memoria irritante, molesta, il dolore lancinante del coltello che
le ha trafitto l'occhio, della spada che le si è conficcata in gola,
riempiendole la bocca di sangue e fiele.
Ricorda l'ignominia della
fuga, la ritirata tanto infame quanto disperata. Ricorda l'epilogo della sua
battaglia come si ricorda un incubo, con un misto di furia e di puro orrore, e
sui suoi occhi cala un velo rosso, sanguigno; l'ira la acceca e le ottenebra
l'intelletto.
Il drago non vuole più attendere. Vuole portare le fiamme e la
morte fino al Reame Boscoso, vuole seppellire gli elfi sotto le ceneri della
loro patria e vederli contorcersi nell'agonia. Vuole cancellare ogni cosa in
grado di serbare memoria della sua umiliazione.
Si volta, di scatto,
sentendo dei passi avvicinarsi.
- Mi aspetto notizie, scarto – pronuncia, folgorando l'orco
con uno sguardo sdegnato – parla in fretta.-
- Il Reame Boscoso è ben
presidiato, mia signora – mormora l'esploratore, dopo essersi inchinato con
malagrazia. Un tremito inarrestabile gli scuote il braccio destro; lo tiene
nascosto dietro la schiena, illudendosi di poterlo celare alla bestia.
- Se fosse sguarnito, non
avrei bisogno di voi.-
- Invece, per quanto
riguarda i nani….-
- I nani?- un sibilo risuona fra le rovine, mentre la coda del drago
fende l'aria – non considerarmi incapace di onorare una promessa, vile
creatura! Conosco i termini del nostro accordo e non ignorerò la volontà di
Colui a cui va la via lealtà…, ma non sprecherò le mie forze inseguendo i
nemici che voi non siete riusciti ad annientare, non prima di ottenere la mia
vendetta. Pondera con attenzione le tue prossime parole, feccia, perché, in un
esercito, un soldato in meno non fa alcuna differenza.-
Il drago sottolinea la
minaccia con uno sbuffo di fumo rovente, che fa accapponare la pelle all'orco.
- Perdonami, mia signora –
dice, sprofondando in un secondo inchino – presto gli ultimi esploratori
faranno ritorno e le truppe del Gundabad si uniranno alla tua possanza, per
annientare la feccia elfica.-
- Il tuo presto è già
tardi, per me. I vostri esploratori hanno quattro giorni, prima che io decida
di distrarmi… con uno spuntino.-
Mentre si allontana dalle
rovine in cui il maledetto lucertolone si è sistemato, Erag mastica
un'imprecazione.
Scende il piccolo pendio
roccioso e, davanti ai suoi occhi, appare l'accampamento della sua tribù.
Dove prima esisteva solo
una piccola guarnigione, poche tende e le ceneri fredde di un vecchio falò, ora
si è radunata la sua intera tribù, assieme ai superstiti di Azanulbizar. Il
campo è grande e ben organizzato, ma vi aleggia un'atmosfera strana, tesa. Come
se tutti sentissero sul collo il fiato rovente del Drago.
Raggiunge la tenda di
Sinag, retta dai pali più massicci e fabbricata con la stoffa più scura e
resistente, e subito alle sue orecchie giunge la voce del comandante, sempre
gelida e dura come acciaio.
- Dove sono Nitac e
Torung?- sta chiedendo, in un ringhio basso e greve, minaccioso.
Mald, il capo degli
esploratori, emette un verso impacciato e distoglie lo sguardo:- hanno
interrotto i rapporti con le altre squadre. Stavano rimanendo indietro e i miei
uomini avevano l'ordine di rientrare appena…-
- Appena cosa?!- sibila Sinag, allargando le
narici
- Appena terminata la
ricognizione. Nitac e Torung sono capitani di esperienza, non credevo che…-
- Che la feccia elfica
potesse accorgersi di loro? Non intendo permettere che una leggerezza simile
sveli le nostre mosse anzitempo. Scopri che è successo a quei due idioti ed
alle loro pattuglie e non azzardarti a fare ritorno senza le risposte che
cerco.-
Mald china rigidamente il
capo, poi si congeda e si allontana, a passo pesante.
- Erag – chiama Sinag,
voltandosi verso il sottoposto – sei ancora intero, me ne compiaccio. Mi
aspettavo che la nostra suscettibile padrona ti prendesse a morsi.-
- Fortunatamente non l'ha
fatto, comandante.- ribatte Erag.
Sinag sbuffa, poi si china
su un rudimentale tavolo, su cui ha aperto una mappa.
- Quel Drago – commenta,
con fare pensoso – è pura potenza, ed ammiro la sua forza. Ma non possiede
certo una mente strategica. Nessuno può cogliere di sorpresa gli elfi del Reame
Boscoso, di certo non le nostre squadre. Dovremmo scegliere un obbiettivo e
concentrarci su quello: gli elfi o i nani. La vendetta del Drago oppure la
nostra. Ma no – Erag scorge un'ombra di pura irritazione, negli occhi di Sinag
– no, lei pretende di avere tutto, di
adempiere al suo dovere e, allo stesso tempo, di soddisfare il suo desiderio.
Se non fosse un colosso squamoso sputafiamme, arriverei a dubitare della nostra
vittoria.-
- Ma lo è.- esala Erag,
quasi senza rendersene conto
- Già- annuisce Sinag.
Afferra un pugnale e lo conficca al centro della mappa – lo è.-
Erag tace, continua a
guardare verso il suo comandante, cercando di leggere dietro alla sua
espressione rigida. Sa che vinceranno, che quella lotta terminerà con la
vendetta, col trionfo, con le lodi del loro Signore. Lo sanno entrambi, eppure
Sinag è insoddisfatto, infastidito.
Perché le cose non stanno
venendo fatte a modo suo.
Ad Eryn Galen, Thranduil è
nei suoi appartamenti, con un calice di vino rosso in mano e lo sguardo
assorto.
Ha scelto un nuovo comandante,
che prepari i soldati e pianifichi le difese, in attesa del ritorno di
Niphredil.
Si è trattato di ordinaria
amministrazione, una precauzione ovvia, eppure è stato difficile.
E' stato difficile vedere
i soldati salutare un altro comandante, diverso da colei che li ha guidati per
quasi tremila anni, che ha raccolto i pezzi dell'esercito distrutto a
Barad-dur, che ha pronunciato i lamenti per i capitani caduti e che non ha mai
indietreggiato, trovandosi sempre nell'occhio del ciclone.
Thranduil sospira,
bagnandosi appena le labbra col vino scarlatto.
Si alza e raggiunge la
scrivania. C'è un piccolo scrigno, nell'angolo, coperto da un velluto perlaceo.
Lo solleva, per accarezzare gli intarsi argentei sulla scatoletta.
La chiave è piccola e,
mentre la gira nella serratura, Thranduil risente la voce di Niphredil, la sua
risata limpida e leggera. La ricorda perfettamente, eppure la memoria non gli
trasmette la stessa sensazione. E' come un'eco, un ultimo sussurro, che ha
perduto tutta la sua forza.
Apre lo scrigno. Adagiato
su un cuscinetto di seta rossa, c'è un ciondolo: una gabbia d'oro, con dentro
racchiusa una punta di freccia. Un pallido sorriso incurva le labbra di sire
Thranduil.
L'aria
era densa di umidità e in alto, sopra la foresta, i tuoni rimbombavano,
preannunciando un temporale. Spirava un vento freddo, che faceva stormire le
chiome degli alberi.
Non
riusciva a prendere sonno e si rigirava fra le lenzuola, irrequieto.
Niphredil,
al suo fianco, si era sollevata su un gomito, soffocando uno sbadiglio. Si era
scostata una ciocca di capelli dal volto e aveva cercato la sua mano, fra le
coperte.
-
Cosa c'è?- gli aveva chiesto, in un roco mormorio
Lui
aveva sospirato, intrecciando le dita a quelle di lei, ed era rimasto in
silenzio.
-
Un turbamento – aveva sussurrato, dopo qualche istante – un'ombra, come un
essere deforme che protende i suoi artigli fino ad Eryn Galen. A volte… a volte
mi sembra ad un soffio dal ghermirci.-
Niphredil
gli aveva sollevato una mano, portandosela alle labbra per posarvi un bacio.
-
La fermeremo, mio signore.- gli aveva mormorato, come una promessa – ti ricordi
com'eravamo, quando i tempi erano giovani? Quando il buio portava pace, e non
incubi?-
Thranduil
l'aveva presa fra le braccia. La sua pelle era morbida e tiepida, il suo
respiro era leggero e delicato.
-
Sento la nostalgia di quei giorni – aveva ammesso, posando il viso contro la
sua spalla – e temo che non faranno ritorno, amore mio. Sto forse errando in
qualcosa?-
Niphredil
aveva fatto scivolare una carezza sui suoi lunghi capelli biondi.
-
Non tormentarti con queste domande, a'maelamin.-
aveva sussurrato – ricordi il ciondolo con la punta di freccia? Tuo padre me
l'ha donata quand'ero bambina. Ero giovane, l'ho accettata con un sorriso, come
se fosse un semplice regalo… poi, negli anni, ho iniziato ad interrogarmi su
quale fosse il suo significato e credo di averlo trovato. Credo sia una
promessa, la promessa che, se rimarremo fedeli a chi amiamo e non arretreremo
davanti alle all'oscurità, alla fine vedremo l'alba e sarà la cosa più bella su
cui i nostri occhi si saranno mai posati.-
Un
ciclo di luna era trascorso da quella notte, da quella conversazione, dal
sorriso con cui Niphredil si ostinava a ribattere ad ogni suo dubbio, e
Thranduil aveva trovato un dono, sulla sua scrivania. Un delicato filo d'oro
e, intrappolata in una gabbia di metallo sottile, un'altra punta di freccia.
Aveva
sorriso e, per un attimo, l'ansia era arretrata, l'ombra s'era fatta pallida,
alla luce del mattino.
La Coda!
Mmh… c'era qualcosa che
volevo scrivere nella Coda… vabbé, probabilmente era irrilevante! Come sempre,
grazie per essere giunti fin qui. Oh, sì, ecco cos'era: un giorno i flash-back
avranno fine, lo prometto. Un giorno le cose succederanno per davvero, e non
saranno solo ricordi! Un giorno il Drago e Sinag litigheranno furiosamente ed
urleranno talmente che sentiremo tutti il vero piano dei nemici! Un giorno
Glòin non sarà uno stereotipo che cammina… ma non è questo il giorno! :P
Ok no, delirio a parte –
perdonatemi, ieri ho dato un esame e ho ancora parecchio sonno in arretrato!-,
spero che il capitolo vi sia piaciuto! Al prossimo aggiornamento J
- La
Matta
P.s: ebbene sì, Kanako91, la nana era Dìs J E nel prossimo capitolo, finalmente, Niphredil
avrà un'altra donna con cui parlare di armi, nani, orchi ed amore. Oh, e di scarpe! :P
|
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Capitolo 12 *** Lo spirito e il pugnale ***
niph12
Capitolo Dodicesimo
Lo spirito e il pugnale
Il banchetto ormai sta
volgendo al termine, quando una mano picchetta gentilmente sulla spalla di
Niphredil.
L’elfa si volta, posandosi
una mano sulla fronte per combattere uno strano quanto inatteso capogiro, e si
rende conto che, in piedi dietro di lei, con un sorriso sornione, c’è Angus.
- Mi piacerebbe scambiare
due parole con te, mia signora. – le dice, in tono cortese.
Niphredil rimane
momentaneamente spiazzata dai suoi modi gentili e, nondimeno, dallo sfoggio di
buona educazione, ma annuisce e si alza in piedi.
Dopo aver lanciato uno
sguardo a Glòin, che russa beatamente sul pavimento, segue il padrone di casa
fuori dalla sala dei banchetti.
La notte è limpida e
tersa, nemmeno un alito di vento accarezza le cime degli alberi.
- Thràin mi ha detto che
sei un mercenario. – esordisce Angus, guidandola verso le dispense, un
massiccio edificio di pietra, poco lontano – Ma non ne hai affatto l’aspetto. –
Niphredil si stringe nelle
spalle: - che aspetto ha un mercenario, mastro Angus? –
- Oh, io ne ho viste, di
spade in vendita, sai? Dei tipi più variegati. Subdoli ladri, miei compatrioti
corazzati fino alle sopracciglia. Alcuni erano semplice feccia, criminali di
bassa lega incapaci di mantenere una promessa, di onorare degli ideali,
disposti a rispondere solo al richiamo dell’oro.
Altri avevano una sorta di codice morale, ma tutti, indistintamente, avevano qualcosa, nello sguardo. Un misto di
confusione, ostilità. La brama di sangue di chi non ha più niente di caro al
mondo. –
Il nano spinge la porta
delle dispense, entrando nell’edificio.
Li accoglie un buio caldo
ed odoroso. I profumi del cibo e del legno si uniscono, creando una loro
armonia.
- E tu – conclude Angus,
estraendo una bottiglia impolverata – tu non hai quello sguardo. – solleva il
fiasco, con una smorfia trionfale – trovato! Lauregwîn, il vino dorato del Verdecammino. -
Niphredil sorride,
sorpresa, mentre il nano estrae una coppa e gliela tende
- Sai – riprende Angus –
dicono che il lauregwîn porti con sé
l’aroma di ogni terra attraversata dal Verdecammino, ma io ho sempre pensato
che non sapesse di niente. Però, però
avevo quest’amico, mi veniva a fare visita quando queste Sale ancora non
esistevano. – mentre parla, stappa la bottiglia e riempie il calice di
Niphredil. Il vino ha un profumo suadente, dolce e intenso come miele – era un
viaggiatore. Non aveva bisogno di niente, a parte di un cielo sopra la testa ed
un sorso di vino per sciacquarsi l’ugola. –
- Sembra un persona
piacevole – sorride Niphredil, prima di portarsi la coppa alle labbra. Mentre
beve, si sente addosso lo sguardo di Angus, sente come il nano studia ogni suo
movimento – perché volevi parlarmi? –
- Perché qui ho qualcosa
che non appartiene a queste Sale – gli occhi del nano ardono di una strana
fiamma, un malsano livore si è impossessato delle sue iridi. La sua voce non è
più quella alta e cordiale che ha incitato ai festeggiamenti ed ha elogiato il
coraggio della gente di Erebor – e voglio fartene dono. –
Infila una mano nella
tasca del pesante mantello. Niphredil sente il rumore delle unghie che battono
delicatamente sul metallo, poi Angus estrae un pugnale e glielo porge.
E’ di fattura grezza, di
una lega pesante e scura, dal colore sgradevole.
Niphredil lo soppesa,
l’impugnatura che mal si adatta alle sue dita affusolate.
- Questa arma è stata
forgiata dagli orchi – pronuncia poi,
confusa, accarezzando pensosamente un’incisione, a malapena visibile sulla lama
irregolare – Ighnar… non conosco il
significato di questa parola. –
- Nemmeno io – annuisce
Angus – ma è giunto il momento che io mi separi da questo putrido oggetto. –
- Come è giunto in tuo
possesso? –
- Me lo donò il mio amico
viandante, prima di partire per l’ultimo viaggio. Mi congedò dicendo che
avevamo condiviso ore lunghe e liete, ma che il suo destino era di non potersi
fermare in alcun luogo. Sorrise e mi diede questo pugnale. Gli chiesi
spiegazioni, insistetti con veemenza, eppure lui non aggiunse parola. Si stava
già allontanando, quando si voltò e disse che il pugnale aveva ancora un ruolo
da giocare, nella storia, prima di sciogliersi nel fuoco che gli ha dato vita.
Così, ho tenuto quest’orrida reliquia per anni. La maggior parte del tempo
arrivavo ad obliarne l’esistenza eppure, certe notti, mi svegliavo all’improvviso,
madido di sudore, coll’irresistibile bisogno di aprire il forziere ed
assicurarmi che il pugnale fosse ancora lì. Oggi sento di potermene separare…
come se avessi assolto ad un compito datomi anni fa. –
Niphredil tace. Ha ancora
il coltello in mano. Il metallo è gelido e ruvido, il filo un po’ smussato,
l’uso ha quasi rimosso l’iscrizione, eppure nulla, in quell’oggetto, le causa
una qualsiasi emozione. Non riesce a comprendere le sensazioni descritte da
Angus, ma il sollievo è palese, sul volto del nano.
- Un’arma degli orchi in
mano ad un’elfa in una compagnia di nani… – commenta la guerriera, allentando
la tensione - … non ti ringrazierò per questo dono, mastro Angus, ma ti
prometto che lo porterò con me, finché non avrà ottemperato al suo ruolo nella
storia. –
Angus annuisce e l’ombra
scompare dal suo viso, quando Niphredil ripone il pugnale.
I suoi lineamenti si
rilassano, il suo sorriso torna caldo ed entusiasta, la sua voce piena e
sicura.
- Ti ringrazio per aver
accettato qualcosa che io nemmeno comprendo. Hai placato le mie ansie ed ora
potrò concentrarmi appieno nel sostenere la mia gente. Perciò, grazie ancora,
Niphredil di Eryn Galen. Ed ora – si dà una pacca sulla coscia, scuotendo il
capo – ed ora torniamo alla festa, prima che qualcuno si risenta della nostra
assenza. Oh, e prendi pure la bottiglia, tanto quel vino maledetto mi ha sempre
disgustato. –
Ad Eryn Galen, il
comandante ad interim è davanti ad uno specchio.
Controlla come l’armatura
le cade sul corpo snello, si assicura che le cinghie siano tutte ben chiuse e
che nemmeno una macchia turbi la perfezione scintillante del metallo argenteo.
Non sa come raccogliere i
lunghi capelli rossi. Non vuole apparire frivola, con un’acconciatura
elaborata, ma non vuole neanche che le ciocche ribelli le invadano il campo
visivo.
Sospira, mentre il suo
sguardo si posa sulla spada cerimoniale, il simbolo della sua carica.
La verità è che non si
sentirà mai all’altezza di Niphredil, anche se è stata lei ad addestrarla.
Ricorda i suoi incoraggiamenti, le sue lodi, i suoi aneddoti, la naturalezza
con cui parlava alle truppe.
Termina di intrecciarsi i
capelli e prende in mano il fodero della spada.
- Nervosa? – la sorprende
una voce maschile.
In piedi, appoggiato allo
stipite della porta, Legolas Thranduilion la sta fissando.
- Mio signore! – esclama,
chinando il capo
- Siamo stati bambini
insieme, amica mia – ribatte lui, sorridendo – la tua nuova carica non ti
costringe a tante formalità, di certo non nella quiete di questa stanza. –
La giovane comandante
risponde al sorriso, poi termina di allacciarsi la cintura: - pensi che ne sarò
in grado, Legolas? – chiede, chinando il capo.
Il principe annuisce,
sistemandole il mantello: - naturalmente. E anche se non ti conoscessi bene, mi
affiderei al giudizio di mio padre. Se c’è qualcosa che non tollera, è
l’incompetenza. –
- Molto incoraggiante –
sbuffa l’elfa – grazie, eh. –
Legolas sorride, posandole
una mano sulla spalla: - Andrà tutto bene – le promette – sarai perfetta,
Luinil. –
La luna ha già cominciato
la sua discesa, quando finalmente i canti dei nani tacciono.
Un profondo silenzio
scivola nella sala dei banchetti, rotto solo dal russare di chi, troppo ubriaco
per tornare alle baracche, è rimasto sul pavimento, fra pozze di birra ed
avanzi di cibo.
Niphredil sta lasciando la
sala, sorreggendo un Arin abbastanza malfermo sulle gambe, quando la voce di
Thorin pronuncia il suo nome. L’elfa affida il giovane nano a Balin e raggiunge
il principe.
- Non avevo mai preso
parte ai festeggiamenti dei nani – commenta, con un sorriso – è stato
divertente. Il tuo popolo ha l’energia ruggente del fuoco, dell’eccesso, della
passione. E’ affascinante. –
Thorin fa una smorfia: -
mi rallegro che ti sia stato di diletto. Non hai avuto ancora l’occasione di
vedere il meglio di noi. – sospira, poi le sfiora il polso con una mano – e di
recente nemmeno io ho dato il meglio di me. Perdonami, per la mia amarezza. Non
sei tu l’oggetto del mio rancore, Niphredil di Eryn Galen, ma la tua presenza
mi rammenta sempre la perdita che abbiamo subito, i compagni che ci siamo
lasciati alle spalle, nell’inferno di Dale, quando il tuo re ha scelto di
abbandonarci. –
Niphredil abbassa lo
sguardo, poi prende la mano di Thorin nella propria: - non chiedermi perdono,
Thorin Scudo di Quercia. Mi dispiace se la mia presenza ti causa dolore. –
Il nano scuote la testa: -
sei una buona sorella d’armi e, un giorno, non conterà altro. – lascia la mano
dell’elfa, poi cerca di sorriderle – ma non era mio desiderio turbare la tua
serata con questo discorso. Al contrario, vorrei presentarti mia sorella. So
che l’ora è tarda, ma scoprirai che Dìs non sopporta di prolungare le attese e
che è anche piuttosto categorica e non nutre dubbi su ciò che desidera. –
Niphredil allarga le
braccia: - allora andiamo, Thorin Scudo di Quercia – acconsente, divertita.
S’incamminano verso un
piccolo chiosco, basso e rustico come gli edifici che lo circondano, ma adorno
di felci ed edera selvatica. Seduta su una panca, con una pipa spenta in mano,
c’è la nana coi capelli scuri che Glòin le ha indicato, durante il banchetto.
Indossa abiti semplici e
comodi, adatti per un lungo viaggio, ma non ha bisogno di gioielli o di ricchi
ornamenti per provare il suo rango. Da ogni gesto, anche da quella placida
attesa, trapela un’aura di dignità, una nobiltà ferita, ma non infranta.
- Oh, finalmente – esala, quando i suoi limpidi occhi grigi si posano
sulla sagoma del fratello.
- Dìs – risponde Thorin –
costei è Niphredil di Eryn Galen, che ha combattuto al nostro fianco a Dimrill
Dale. Niphredil, ti presento mia sorella, Dìs, figlia di Thràin. –
Dìs stringe con vigore il
braccio di Niphredil, nel saluto nanico, poi rimane in silenzio, osservandola.
- Perché? – le domanda, dopo qualche istante, inarcando un
sopracciglio, folto e scuro – perché un’elfa abbandona i canti e l’armonia
delle sue foreste per affiancare un popolo in esilio? –
Niphredil allarga le
braccia: - Non condanno la ritirata del mio re, davanti ad Erebor – ribatte,
senza distogliere lo sguardo dalle limpide iridi di Dìs – ma questo non
significa che il mio animo sia insensibile alle sofferenze delle genti naniche.
Riposo sonni più sereni, da quando mi sono unita a tuo fratello e ai suoi
compagni. –
Se non fosse così
concentrata sulla sua interlocutrice, Niphredil noterebbe Thorin, al suo
fianco, inclinare il capo e sciogliersi in un involontario sorriso.
Dìs non ribatte subito, si
limita ad aumentare la presa sul braccio dell’elfa.
Sembra ponderare la sua
risposta, soppesare le sue motivazioni, combattere contro il fardello del
rancore della sua intera stirpe. Poi, lentamente, le sue dita si rilassano.
- Mi sta bene, Niphredil
di Eryn Galen – annuisce, poi un sorriso le illumina il viso, rivelando tutta
la bellezza dei suoi lineamenti marcati e volitivi e dei suoi occhi, grigi come
la pietra e limpidi come l’acqua – mi sorprende che la compagnia di mio
fratello non ti abbia già fatto riconsiderare le tue scelte. Rendo onore alla
tua tempra, le battute di Glòin metterebbero in fuga chiunque. –
Niphredil si posa una mano
sulle labbra e ride, assieme a Dìs.
- Thorin – dice poi la
nana, voltandosi verso il fratello – sei stanco, va’ a riposare. A lei
piacendo, vorrei intrattenermi ancora un po’ assieme all’elfa. Abbiamo molto di
cui discutere. –
- No – replica lui,
determinato – rimango qui. –
- Certo – sbuffa Dìs –
perché abbiamo bisogno di una balia, nel caso gli orchi scegliessero proprio
questa notte per sferrare un attacco, magari assieme ad un branco di giganti.
Su, su, fratello – il suo tono si addolcisce, anche se in modo appena
percepibile – domattina torneremo a preoccuparci di nemici e peregrinazioni, ma
stanotte vorrei che tu dormissi un sonno sereno. –
Anche se di malavoglia,
Thorin annuisce.
- Buonanotte, sorella mia
– augura, stringendo una mano sulla spalla della nana – e buon riposo anche a
te, Niphredil. –
Dìs guarda il fratello
allontanarsi, poi riporta la sua attenzione sull’elfa.
- Hai dei fratelli? –
chiede, colloquiale, tornando a sedersi sulla panca di pietra.
- No – risponde Niphredil,
in un soffio
- E’ un peccato. E’ un
affetto che non si può descrivere. Non è l’amore che si tributa al proprio
compagno, ma non per questo crea un vincolo meno forte. Ho già sepolto un
fratello, ed ora vedo Thorin struggersi nel cordoglio per Erebor. Vedo come la
furia lo priva del sonno, come si assottigliano i legami con chi gli è più
caro. Spero che rivedere Dwalin gli giovi, e che possa godere di questi giorni
di pace, presso le sale di Angus. Ho visto come ti guarda, Niphredil di Eryn
Galen, ed ho avvertito una nota strana, nella sua voce, quando parla di te. Tu
gli cagioni dolore e gioia allo stesso tempo, gl’impedisci di rassegnarsi alla
caduta di Erebor eppure si dispiacerebbe se le vostre strade dovessero
dividersi. –
- I legami che nascono in
battaglia sono singolari – replica Niphredil, quietamente – perché non
germogliano nella pace, ma nella furia della guerra, quando gli equilibri sono
in rotta e gli animi sono irrequieti. Confido che, un giorno, io e Thorin
potremmo essere buoni amici. –
Dìs annuisce, con un cenno
del capo: - non ferirlo, elfa. –
Niphredil fa uno sforzo,
per non distogliere lo sguardo. Il ricordo di sé stessa, davanti alle porte di
Erebor, torna a tormentarla. Rivede Thorin gesticolare verso di lei, gridando,
chiedendo aiuto.
- Non voglio ferirlo –
sussurra.
Dìs sbuffa, ma la sua
replica non è amara, né diffidente: - lo credo – pronuncia, poi sbuffa di nuovo
– questo è ciò che era mio dovere dirti, ora potremo intrattenerci con
conversazioni più gradite ad entrambe. Ebbene – incrocia le braccia sul petto,
con un sorriso – perché hai scelto la spada, invece dell’arco? –
Niphredil inclina la
testa, perplessa: - come sai che combatto con la spada? –
Dìs si scioglie in un
leggero risolino: - oh, so di te fino all’ultimo dettaglio – risponde, battendo
le mani – non puoi immaginare quanto Glòin e Balin mi abbiano parlato, della
loro amica con le orecchie a punta. –
Aveva vagato per secoli. Millenni.
Forse per Ere.
Ormai la fatica fiaccava i suoi arti,
gli occhi gli bruciavano per tutto ciò che aveva visto e, se gli fosse stato
concesso di essere parte del mondo materiale, avrebbero lacrimato ed acqua
tiepida gli sarebbe stillata sulle gote smunte.
Ancora una volta, tentò di fermarsi.
Trovò una radura, dove i pendii erbosi declinavano dolcemente ed il vento
stormiva fra alberi dal tronco snello. Si sdraiò fra i piccoli fiori bianchi,
respirandone il profumo. Il suo corpo privo di peso non minacciava di soffocare
i fragili germogli.
Guardò il cielo, e le nubi che
correvano sopra di lui, ed emise un lieve sospiro.
“Ecco” si disse “ora potrò riposare”
Chiuse gli occhi, ma ogni frammento
del suo essere gridò, con uno stridore accecante. Cercò di ignorarlo,
affondando le mani nel terriccio senza poterlo penetrare, ma dovette arrendersi
alla propria natura.
Si risollevò in piedi e poi levitò
nell’aria tersa, lanciando uno sguardo di congedo all’ennesimo luogo
inadeguato, all’ultimo tentativo fallito di fermarsi e dare requie al proprio
spirito.
Riprese il suo peregrinare,
invisibile, impercepibile, un frammento della Creazione incapace d’incastrarsi
con gli altri, il tassello di un mosaico che non sa a qualche opera appartiene.
Il giorno successivo al
banchetto trascorre lento e pigro.
I nani dormono, o
chiacchierano, si prendono cura del loro equipaggiamento ed affilano le armi.
E mentre Thràin rievoca il
passato assieme ad Angus, Niphredil ascolta le storie di guerra degli altri
nani.
- … e così – sta
raccontando Glòin – ho conficcato la mia ascia in mezzo al cranio del troll
delle montagne, lui ha lanciato un grido da donnetta ed è crollato a terra,
ammorbando l’aria col fetore del suo ultimo respiro! –
Dwalin ride, battendosi
una pacca sulla coscia: - ah, ha avuto quel che si meritava! –
Balin inarca una
sopracciglio: - che coincidenza infausta, incontrare un troll delle montagne
così lontano dalle sue terre d’origine. Chissà cosa l’ha spinto così lontano
dai confini di Mordor… -
- Che mi cada la barba se
dico menzogne! – ribatte subito Glòin, estremamente serio.
- Che la Pietra ci salvi dal vedere
la tua faccia per intero! – lo schernisce Dìs, suscitando le risate dell’intera
compagnia. Il nano fulvo incrocia le braccia sul petto e grugnisce, con una
smorfia offesa.
Stanno ancora ridendo
quando un vociare concitato si solleva dalla palizzata che delimita le Sale.
Non è una vera struttura difensiva, eppure ha due buone postazioni per le
sentinelle, da dove si può facilmente dominare l’intera spianata circostante.
Ed è proprio da una di
queste che si sentono esclamazioni confuse e qualche imprecazione in khuzdul.
Dwalin è il primo a
balzare in piedi e a dirigersi, a passo rapido, verso la barricata, seguito da
Dìs e Glòin. Balin, invece, rimane seduto sulla panca, i gomiti appoggiati
sulle ginocchia ed una smorfia serafica sulle labbra.
- Qualcosa di divertente?
– gli domanda Niphredil, inclinando il capo
- Trovo sconveniente tutto
questo incomodo solo per infilare il naso nella tua corrispondenza. –
L’elfa lo guarda, confusa,
sgranando gli occhi: - la mia cosa? –
- Noi nani siamo guerrieri
impavidi ed avidi conoscitori della pietra e delle sue insidie… - Balin
sorride, allargando le braccia – ma non si può certo dire che siamo acuti
osservatori. Tutto questo caos è stato generato da un uccello, che le guardie
devono aver scambiato per una spia del nemico – il nano inarca un sopracciglio,
con un leggero sbuffo – come se un falco dalla coda d’argento potesse
somigliare a dei volgari corvacci…-
Niphredil torna a sedersi
mentre, da lontano, il vociare di acquieta.
Sta per ribattere quando,
con un lieve fischio, un uccello scende in picchiata, posandosi elegantemente
sulla sua spalla, piegando la testa e fissandola coi suoi liquidi occhi neri.
E’ completamente bianco,
tranne il becco e la coda, di un grigio tanto brillante da sembrare metallo.
- Sono bestie meravigliose
– commenta Balin, mentre Niphredil slega la piccola custodia di cuoio,
assicurata alla zampa del rapace – si legano ad una sola persona, nell’arco di
una vita, e potrebbero rintracciarla a migliaia di leghe di distanza. Solo la
tua gente conosce il segreto del loro addestramento. –
Niphredil sorride: - Il
tuo sapere non cessa di sorprendermi, Balin – annuisce – sì, questa è Ethuil, ed è sempre riuscita a trovarmi,
non importa quanto lontana io fossi da Eryn Galen. –
- Ebbene – Balin si alza –
andrò a tranquillizzare le nostre solerti sentinelle e, magari, ad istruirle
sulle tipologie di volatili che gli orchi usano per comunicare fra loro –
Niphredil annuisce, con
una leggera risata, poi apre la custodia di cuoio ed estrae un frammento di
pergamena. Nonostante il viaggio, ha il profumo di casa.
Non appena i suoi occhi si
posano sul messaggio, l’elfa riconosce la grafia, ed un sorriso le incurva le
labbra.
“Ovunque tu sia, qualunque cosa tu sia facendo, hai
il mio amore. Non dubitarne, perché la distanza non può danneggiarlo né
affievolirlo. Spero ti accompagni, nelle lunghe notti che ti riporteranno al
mio fianco.
Thranduil”
Niphredil si stringe la
pergamena al petto, con un lungo sospiro.
- Ti amo anch’io –
sussurra, mentre una lacrima le riga la guancia.
La Coda: oddio che capitolo lungo!
Siete arrivati alla fine?
Bravi, avete il mio plauso J
Scherzi a parte, un
capitolo più lungo del solito e più intenso (nel senso che finalmente succede
qualcosa!)
Ma anche da voi fa così
freddo come da me? Io sto davvero congelando!!
Scusate, ho bevuto troppo
the nel tentativo di mantenere la mia temperatura corporea stabile :P
Grazie per essere giunti
fin qui, a presto!!
Nota: avete visto? Niph ha
cambiato titolo e sinossi! Era una cosa che dovevo fare da uno sfracello di
tempo e finalmente sono arrivata ad un compromesso accettabile. Non scriverò
mai sinossi per mestiere, ma posso dirmi soddisfatta J
Nota2: Ethuil, il nome del
falco, significa “primavera” in elfico, o almeno così mi assicura un
attendibilissimo sito su internet :P
Ancora ciriciao!
- La
Matta -
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Capitolo 13 *** I problemi degli Orchi ***
niph13
Capitolo Tredicesimo
I problemi
degli Orchi
Erag rimane immobile, il più addossato possibile alla
parete, mentre Sinag fronteggia il Drago.
Lo vede dilatare la narici, reprimendo l’ira, vede i
suoi occhi ardere di sdegno mentre trattiene una replica che potrebbe costargli
la vita.
- Non è fattibile – dice infine il comandante; e la
sua voce ha il suono di uno sputo.
La bestia maledetta abbassa il collo sinuoso, portando
il muso all’altezza dell’orco. Nella penombra, i suoi denti emanano un bagliore
affilato, quando fa schioccare la mascella.
- Allora – pronuncia con calma ingannevole – rendilo tale. –
- I miei uomini verranno sterminati, prima che tu... –
Il Drago interrompe Sinag, sbuffando una nuvola di
fumo caldo: - i tuoi uomini sono carne da macello, per me. La loro morte non mi
riguarda. –
- Mi rifiuto di seguire un piano simile! – esplode
l’orco, mentre il suo pugno si abbatte contro la parete. La roccia antica si
sgretola, nero pietrisco scivola a terra – è follia! –
Erag si paralizza, osserva la scena con gli occhi
dilatati dallo spavento.
Il Drago si avvicina, accosta il muso al volto di
Sinag, finché non rimane che un respiro a separarli. L’osserva con i suoi occhi
di fuoco liquido, uno vivido e furente, l’altro annebbiato dalla trama della
vecchia cicatrice.
- Da cosa trai l’ardimento di rivolgerti a me in
questa maniera? – sibila, minacciosa.
Sinag appoggia la mano sull’impugnatura della frusta
uncinata, che gli pende al fianco.
- Siamo alleati, bestia
– replica, gelido – non dimenticarlo –
Il Drago accorcia ulteriormente le distanze, mentre il
cuore di Erag cessa per un attimo di battere e la sua mente si riempie di
immagini raccapriccianti di fuoco, sangue e devastazione. Non sa perché Sinag
si ostini a tirare tanto la corda, né dove trovi il coraggio di rimanere
impassibile, di fronte alla furia della loro padrona. Ma sa che preferirebbe
cento volte seguire il piano suicida del Drago – e morire trascinando con sé
quanti più schifosi elfi possibile – piuttosto che rimanere fra quelle rovine a
diventare poltiglia bruciacchiata.
- Alleati –
sbuffa il Drago, in quel momento – ti nascondi dietro una parola vuota, orco. –
- E allora giudica dai fatti, serpente – replica Sinag – dovrai uccidermi, prima di vedermi in
ginocchio. –
Il Drago tace per qualche istante, mentre i suoi occhi
brillano come fiamme.
Erag riesce quasi a sentire la lotta fra la volontà del serpente e quella di Sinag e la
tensione fra i due gli fa accapponare la pelle. Poi, quasi cogliendolo di
sorpresa, il Drago arretra e torna ad acciambellarsi nella penombra.
- Noi serviamo un unico padrone – dice, in tono cupo –
non intendo disattendere i suoi comandi per il mero piacere di metterti a
tacere, orco. –
Sinag annuisce e, senza inchini o cenni di congedo, si
volta, per uscire dalle rovine.
- Oh, un’ultima cosa – lo richiama il Drago.
L’orco si gira, la mano ancora posata sull’elsa della
frusta, poi una lingua di fuoco cremisi compare nelle tenebre, lambendogli il
volto.
Erag balza indietro, appiattendosi contro la parete, e
ciononostante il calore gli brucia la ruvida pelle delle guance. Ma la cosa più
agghiacciante è il sogghigno, l’espressione di pura, sprezzante soddisfazione,
sul muso affusolato del maledetto serpente.
Sinag cade a terra con un unico grido, premendosi le
mani sul volto devastato dalle ustioni.
- Un monito – pronuncia il Drago – la prossima volta
non aspettarti altrettanta misericordia. –
E alla fine aveva trovato un luogo.
Un luogo cupo, opaco, un luogo quieto dove giacere.
Nelle viscere della montagna,
incastonata e protetta nella roccia più dura, c’era una gemma, brillante di una
luce tanto candida e pura da incantare gli intelletti più acuti.
Ma non fu quel fulgore accecante, ad
attrarlo. I suoi riflessi adamantini lo ferivano, l’aura che irradiava era
quella di un potere superbo. Un giorno, armi sarebbero state estratte per
quella gemma, e come può un oggetto destinato a sì grandi contese essere un
luogo di riposo?
Poco lontano, però, dove una conca
rocciosa prendeva quasi la forma d’una culla, intravide un’altra gemma. Era
grezza, opaca e coperta di grigio pietrisco eppure, quando la sfiorò, seppe di
aver trovato il suo giaciglio, d’esser riuscito nella titanica impresa di
raggiungere l’esatto posto di Arda a cui era destinato.
Si raggomitolò all’interno della
gemma grezza e, finalmente, il sonno discese sul suo corpo, lenendo ogni
ferita, colmando ogni vuoto, ogni infinitesimale crepa nella sua essenza.
Riposò sonni soavi, finché l’assordante
frastuono dei picconi non raggiunse il cuore stesso della montagna.
Luinil sfiora la serratura della cella, con aria
assorta.
- Nessuno è mai fuggito da queste segrete – dice poi,
sollevando di scatto lo sguardo sul prigioniero – quindi è inutile agitarsi. O
grattare le pareti. O imprecare. –
- Non mi dici cosa fare, elfo femmina. – ringhia
l’orco, scagliandosi contro le sbarre e stringendole con le dita luride – i
miei compagni calpesteranno il tuo cadavere! –
Luinil stringe i pugni, reprimendo l’istinto di
indietreggiare, davanti alla foga del nemico.
Niphredil l’ha addestrata per secoli, l’ha corretta
quando impugnava la spada nel modo sbagliato, le ha insegnato a prendere la
mira anche quando la confusione la circonda. L’ha addestrata come un soldato e
l’ha cresciuta raccontandole storie di guerre e di battaglie. Eppure ora, ora
che il momento è giunto, ora che la spada del comando è stata posta nelle sue
mani, Luinil si chiede se è questa, la vita che desidera.
- Tu e i tuoi uomini – riprende, tornando a
concentrarsi sull’orco – vi siete intrufolati nella nostra foresta. Perché?
Cosa stavate cercando? –
L’orco ride, sguaiatamente: - perché pensi che te lo
dirò? –
- Perché – replica Luinil, reggendo il suo sguardo
sprezzante – altrimenti morirai qui. Non oggi, né domani, né fra un anno.
Rimarrai in questa cella finché il tuo stesso corpo non ti tradirà e ti
accascerai in un angolo. E l’ultima cosa che vedrai non sarà la polvere della
battaglia, ma le insegne del Reame Boscoso. Questo fato ti aggrada, orco? –
- Puttana – biascica il prigioniero – non dirò niente.
–
Luinil allarga le braccia e sospira – allora non
intendo sprecare il mio tempo. –
- Riderò guardandoti bruciare – grugnisce l’orco
- Bruciare? – indaga Luinil – i tuoi compagni
moriranno, prima anche solo di sfiorare
una foglia di questo bosco. Il fatto che tu sia qui, invece che fra loro,
dimostra che non potete coglierci impreparati. –
L’orco sputa a terra, poi scoppia a ridere. Una risata
aspra, sgradevole.
- Per la mia gente è finito il tempo delle sconfitte –
dice, trionfante – e presto le tenebre ed il fuoco lambiranno il tuo prezioso
bosco… e non ci saranno luoghi in cui voi elfi potrete nascondervi! –
Luinil estrae la spada e, attraverso le sbarre, la
punta al collo dell’orco. Una goccia di sangue scuro riga la pelle del
prigioniero, mentre la risata gli muore lentamente nella gola.
- Lei ricorda,
elfo femmina – gracchia l’orco, mentre la lama spinge di più contro la sua
carne – non è morta nella Brughiera Arida, come noi non siamo morti ad
Azanulbizar. Il tempo della vendetta è prossimo! –
Luinil si morde un labbro, poi sferra un colpo di
piatto con la spada. Il prigioniero indietreggia, vacillando, poi si appoggia
alla parete e scivola fino a terra, con una bestemmia fra i denti.
Luinil gli volta le spalle e se ne va, senza
aggiungere altro. Sale le scale, ed ogni gradino che si lascia alle spalle è un
piccolo peso che le viene tolto dal cuore. Si sente sollevata, eppure delusa,
delusa da sé stessa.
E’ sempre stata al
fianco del comandante, protetta dalla sua ombra rassicurante, guidata dalla
sua voce alta e sicura, ma oggi non ci sono ordini da seguire. Oggi il
comandante è lei.
- Che il prigioniero sia sorvegliato notte e giorno –
dice, incrociando una guardia – non vorrei che si desse la morte. Ha ancora
molto da dirci. –
L’elfo annuisce, sull’attenti e, per qualche istante,
Luinil lo fissa stranita, sorpresa da quel gesto di ossequio. Poi sospira e,
congedata la sentinella con un cenno del capo, esce dalle prigioni.
Rimane ferma, appoggiata al muro, respirando l’aria
fresca e fragrante, finché il cuore non smette di martellarle nel petto. Chiude
gli occhi e ripensa a suo padre, al suo sorriso entusiasta, al modo in cui la
prendeva fra le braccia e la faceva volteggiare in aria, prima di rotolarsi con
lei nell’erba verde.
Lo ricorda con i capelli raccolti sulla nuca e la
spada al fianco, ma sempre con un sorriso pieno di speranza.
Se ripensa a lui, ripensa all’ultima volta che l’ha
visto, all’ultima volta che lui l’ha stretta fra le braccia, arruffandole i
capelli e baciandole le guance. Ripensa a quanto era fiero di combattere al fianco di Sire Oropher, di ergersi come
ultimo baluardo contro la vera Oscurità.
Era stato per onorare la sua memoria, che aveva scelto
la via della spada, per lui e per il modo in cui Niphredil l’aveva cresciuta,
facendogliela inconsapevolmente apparire come l’unica scelta possibile.
Niphredil si sta lavando i capelli, quando Thorin la
raggiunge e, con un colpo di tosse, cerca di attirare la sua attenzione. L’elfa
solleva il capo, mentre l’acqua le gocciola dalle folte chiome.
- Buongiorno, Thorin – sorride, voltandosi verso di
lui ed iniziando ad intrecciarsi i capelli.
Il sole è sorto da poco, sulla Casa di Angus, ma già
dagli edifici si alza il vociare dei nani, che si riuniscono per la colazione.
- Stasera mio padre convocherà un’assemblea – le
comunica Thorin, asciutto – ed è disposto a fare un’eccezione, se desideri
partecipare. Decideremo dove dirigere i nostri passi, quando lasceremo le Sale
della Birra, e come proseguire il nostro viaggio. –
Niphredil si stringe nelle spalle: - Non desidero
turbare le vostre usanze – sorride – ma apprezzo sinceramente che foste
disposti a farmi assistere a questo concilio. –
- Un’idea di Balin, naturalmente – borbotta Thorin
Niphredil stringe un nastro, per chiudere la massiccia
treccia. Ha ancora i capelli bagnati e rivoli d’acqua le impregnano la camicia
di stoffa leggera.
- Oh, per la Pietra… - sbuffa Thorin, all’improvviso –
senti, devo parlarti. –
L’elfa annuisce, poi si siede su una roccia, sulle
rive del torrente.
- Ti ascolto – dice, con un sorriso interrogativo –
parla pure. –
- Io… - Thorin si torce la mani, poi scuote la testa e
sospira: - … ti sono grato, per quello che stai facendo. Posso fingere di non
saperlo, ma sono certo che la tua patria ti manca e che, in questi giorni di
guerra, preferiresti trovarti assieme alla tua gente, piuttosto che qui, a
guardare il mio popolo che cerca di rialzarsi. Ma sei rimasta… ed io non ti ho
mai davvero ringraziata, per questo. –
Niphredil si scioglie in una leggera risata, mentre
Thorin crolla seduto al suo fianco.
- Non c’è niente da ridere – la redarguisce,
trattenendo però un sorriso.
- Se m’avessero detto che, un giorno, Thorin figlio di
Thràin sarebbe stato grato della presenza d’un elfo, in mezzo ai suoi uomini,
non l’avrei ritenuto possibile. Mi rallegro che, dopo seimila anni, il mondo
sia ancora in grado di sorprendermi. –
Thorin sbuffa, poi dà all’elfa una leggera spallata
- Oh, sta’ zitta. –
Thranduil era rimasto in silenzio, ad osservare Niphredil allacciarsi
l’armatura. Aveva seguito con lo sguardo i suoi movimenti, l’estenuante lotta
delle sue dita contro i lacci troppo rigidi, il ritmico battere del fodero
della spada contro il gambale di metallo, i movimenti nervosi con cui lei
liberava i propri capelli, rimasti bloccati sotto la piastra pettorale.
- Non essere nervosa – le aveva detto, infine, oltrepassando la soglia e
raggiungendola, davanti alla specchiera. Le aveva posato le mani sui fianchi,
stringendola a sé.
- Sii sincero con me, ti prego – aveva sussurrato Niphredil, socchiudendo
gli occhi – perché mi hai scelta come comandante? –
Thranduil le aveva preso una mano e, lentamente, le dita dell’elfa avevano
smesso di tremare.
- Ti ho scelta perché sei stata addestrata per questo - le aveva mormorato
– perché hai la mia fiducia, la mia stima ed il mio affetto. Ti ho scelta
perché sei stata un eccellente capitano e mai un’ombra ha oscurato la tua
condotta. Ti ho scelta perché non vorrei nessun altro, al mio fianco. –
Niphredil si era voltata ed aveva posato il capo sul petto di Thranduil.
- Se non hai fiducia nelle tue qualità – aveva proseguito il re, facendole
scivolare una carezza sui lunghi capelli biondi – abbila nel mio discernimento.
Puoi farlo, meldë nîn (*)? –
Niphredil si era sciolta in una lieve risata: - sì – aveva annuito – posso
farlo. –
Thranduil l’aveva baciata sulla fronte, sorridendo contro la sua pelle e,
per la prima volta dalla battaglia di Dagorlad, aveva avuto la certezza che
sarebbero stati bene, nonostante l’ombra, l’inquietudine, e nonostante tutto
quello che avevano perduto.
- La Coda –
(*) amica mia
Penso di meritare almeno un po’ di biasimo per il
titolo di questo capitolo, ma che diamine, non avevo assolutamente idea di come
chiamarlo! Meglio così che “in attesa di titolo”, no? :P
Ok, svarionamento sul titolo concluso non credo ci sia
altro da aggiungere. Insomma, a parte che vi adoro per il vostro sostegno e per
il fatto che siate ancora qui, a leggere di Niph J
Un abbraccio!
- La Matta -
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Capitolo 14 *** Aspettando la guerra ***
niph14
Capitolo Quattordicesimo
Aspettando la
guerra
Thranduil beve un lungo sorso di vino, prima di sollevare lo sguardo su
Luinil. La comandante ad interim rimane ferma, davanti al trono, con le mani
ordinatamente raccolte in grembo.
- So che le tue pattuglie hanno catturato degli esploratori nemici. Orchi,
mi è stato riferito – pronuncia infine il re, posando il calice – che
cos'hanno detto, sul motivo della loro venuta qui? –
Luinil scuote il capo: - non molto, mio signore, se si escludono vuote e
vaghe minacce. –
- Sarebbe un errore grossolano, sottovalutare il nemico – sospira
Thranduil, sollevando una mano, come per fermare una replica – non dico di
prestare cieca fede ai suoi vaneggiamenti, ma neanche di rimanere sordi alle
sue insinuazioni. –
Luinil s'inchina, rigidamente: - sarà fatto, mio signore – garantisce –
interrogherò di nuovo il prigioniero. –
- Luinil – la trattiene Thranduil, alzandosi con grazia dal trono – sembri
turbata. –
La giovane china il capo, distogliendo lo sguardo da quello del suo re: -
io… - esita -… ho solo timore di commettere uno sbaglio, mio signore… e non
comprendo la ragione che ha spinto degli orchi tanto lontano dalle loro terre.
Il prigioniero mi è parso animato dalla sete di vendetta, eppure non è stata la
gente di Eryn Galen a combattere ad Azanulbizar, né sulla Brughiera Arida. –
Thranduil tace per qualche istante, sfiorandosi la tempia come nel
tentativo di ghermire un pensiero: - la
Brughiera Arida? – domanda poi – è da lungo tempo che il sangue degli orchi non
imbratta la brughiera. Le loro roccaforti sugli Ered Mithrin sono intatte, come
lo è il loro dominio sul monte Gundabad. –
- Mio signore – Luinil tentenna – sono certa di quello che ho udito. Il
prigioniero proclamava d'essere sopravvissuto ad Azanulbizar. E parlava di una lei, che non aveva incontrato la morte
sulla Brughiera. –
Thranduil inarca un sopracciglio, perplesso: - una lei. Ne sei certa? –
- Sì, mio signore. Perché, per te queste parole hanno un senso? –
Il re sospira: - sono propenso a ritenerle il delirio di uno stolto –
replica. Riprende il calice, ma si bagna appena le labbra nel vino, senza
riuscire ad assaporarlo -… ad ogni modo, intensifica la sorveglianza sui
confini. Ordina che si controllino le difese e che le guarnigioni vengano
rafforzate. –
- Sì, mio signore –
- E, Luinil – Thranduil inclina il capo, con un pallido sorriso: - stai
facendo un buon lavoro. –
La giovane s'inchina di nuovo, mentre un vago rossore le imporpora le
guance ed un sorriso le incurva le labbra sottili. Mormora un ringraziamento
imbarazzato, poi prende congedo.
Thranduil la guarda uscire dalla sala e ripensa a quando non era altro che
una bambina, una piccola elfa che si nascondeva sotto il mantello di
Niphredil.
Sospira, poi torna a concentrarsi sulle parole del prigioniero. Una nemica. Una nemica inseguita fino
alla Brughiera Arida e poi fuggita, scomparsa nell'oblio per interminabili
anni.
Stenta a credere che si tratti dello stesso Serpente a cui lui e Niphredil
hanno dato la caccia, tanto tempo addietro, eppure il solo pensiero che la
bestia possa essersi ridestata, possa, in qualche maniera, essere sopravvissuta
alle terribili ferite ed aver recuperato la propria ferocia gli causa una
profonda inquietudine.
Rammenta il suo fuoco lambire il Reame Boscoso, ricorda la battaglia con
cui gli elfi silvani le hanno opposto resistenza, frustrando la sua ira e
depredandola della sua energia. E ricorda l'ultimo scontro, il combattimento in
cui ha quasi perso Niphredil, ricorda la furia cieca della bestia, il rombo assordante
del suo ruggito.
Gli orchi sono raccolti, sul grande spiazzo davanti alle antiche rovine.
Un silenzio innaturale regna sovrano, un intero esercito attende,
trattenendo il fiato.
Erag, una sagoma confusa in quell’orda inquieta, non riesce a distogliere
lo sguardo dalla densa oscurità che il Drago ha eletto come sua dimora. Si
sente fatalmente attratto dal potere della creatura e, al contempo, una parte
di lui gli grida di voltare le spalle al monte Gundabad, disertare e fuggire,
perché una vita col fardello dell’umiliazione è pur sempre meglio di una morte
atroce.
Poi, lentamente, con il volto ancora coperto da una rozza fasciatura, Sinag
emerge dalle tenebre.
- Il tempo della vendetta – esordisce il comandante, con la sua voce roca e
gutturale – è giunto. Un’avanguardia stanerà coloro che sono scampati alla
morte a Dimrill Dale e li attirerà in una trappola. Lì verranno accerchiati e
sterminati, dalle lame affamate delle vostre armi e dal fiato rovente del
Drago! –
Uno scroscio di acclamazioni riempie le rovine, grida esaltate si levano
fino al cielo plumbeo.
Erag estrae la spada e la alza, inneggiando al suo comandante assieme agli
altri soldati. La verità è che non ce la faceva più, ad aspettare. Ogni giorno,
ogni ora di sonno o di veglia che li ha separati dalla vendetta, è stata
un’angoscia insopportabile. Ha avuto la percezione fisica delle energie dei
suoi compagni d’arme che si affievoliva, si stiracchiava, pressata dalla
rabbia, dall’incertezza e dalla perpetua tensione, nell’aria.
Sa che tutti hanno atteso con ansia questo giorno, il giorno in cui ha
inizio la marcia, il cammino della rivalsa, che li porterà a bagnarsi nel
sangue dei nani.
Sinag solleva le braccia, imponendo il silenzio.
- Preparatevi, uomini – ordina – perché, dopo i nani, sarà il tempo degli
elfi, ed il nostro Signore si ergerà vittorioso sulle ceneri del loro regno! –
Richiamato da un bisogno inesplicabile, Erag distoglie lo sguardo dal volto
del suo comandante e lo rivolge al buio, alle sue spalle. Fra i resti di pietra
e le colonne spezzate, dove l’oscurità diventa più fitta, per un istante
intravede il muso del Drago.
Forse è un delirio, un parto malsano della sua mente logorata, ma gli
sembra di scorgere, nel barlume fioco dell’occhio sfregiato della bestia, una
luce divertita, come di chi pregusta un diletto a lungo atteso.
Niphredil raccoglie un rametto e lo getta fra le fiamme del falò, che arde
in un cerchio di pietre.
Rimane sempre incantata, quando guarda le lingue di fuoco danzare ed
intrecciarsi, splendendo e tremando.
I nani sono riuniti in assemblea da ore. Dalla grande sala fuoriesce il
brusio dei loro discorsi, una melodia altalenante, fatta di profondi silenzi e
di scoppi di grida.
Niphredil accarezza il suo ciondolo, seguendo con le dita le linee delicate
della gabbia d'argento.
Come in ogni minuto di quiete, si domanda cosa stia accadendo, ad Eryn
Galen. Socchiude gli occhi e prova ad immaginare le sentinelle darsi il cambio
davanti alle maestose porte, i soldati addestrarsi nei cortili, scoccando
frecce che fendono l'aria con lievi sibili. Immagina Galion che controlla le
cantine, Elros che conta le chiavi delle celle delle segrete. Vede Luinil negli
alloggi del comandante, che cerca di riordinare le scartoffie che si accumulano
sulla scrivania, con un sorriso rassegnato sulle labbra.
E, naturalmente, pensa a Thranduil, ed è un pensiero che le riempie il
cuore di una gioia malinconica, malata di nostalgia. Cerca di sorridere,
dicendo a sé stessa che i tempi delle peregrinazioni volgeranno al termine, che
presto Thràin decreterà la via da intraprendere e che, dopo quella decisione,
lei potrà calcolare i giorni, computare le ore che la separano dal suo
compagno.
Stringe più forte le palpebre e, nella quiete della sera, rivolge
cautamente il pensiero ad Erebor.
Il ricordo di quel giorno di morte e di sangue ancora la rattrista, ma il
dolore non le serra più il petto come gli artigli di una belva. Si è
affievolito. E' un memento, non più una tortura.
Improvvisamente, le porte della sala si spalancano e, con un alto vociare,
i nani escono. Hanno tanto da commentare, riflettere, organizzare, gesticolano
animatamente e già abbozzano progetti per il futuro.
- E' bello avere un vero obbiettivo – sta dicendo Dìs, quando raggiunge
l'elfa.
Thorin e Dwalin annuiscono, mentre Balin sembra pensieroso.
- Dovremo attraversare l'intero Minhiriath – commenta, accarezzandosi la
barba – ma poi, una volta oltrepassando il Brandivino, dovremmo essere al
sicuro. –
- Al sicuro? – indaga Arin, confuso – che pericoli pensi ci attendano,
lungo il Verdecammino? –
- Spero nessuno, ragazzo – lo conforta il nano, allungandogli una
rassicurante pacca sulla spalla – ma sarebbe sbagliato illudersi che il nostro
viaggio termini con un'allegra scampagnata. –
- Io dico – interviene Glòin, sedendosi sulla panca accanto a Niphredil –
che è una strada inutilmente lunga. Perché dobbiamo viaggiare per così tante
miglia, quando avremmo potuto fermarci ben prima del Brandivino? -
- Se si trattasse della scelta del luogo per un semplice accampamento –
replica Balin – potrei anche trovarmi d'accordo con te. Ma noi dobbiamo
scegliere il posto migliore per stabilirci, e questo deve avere dei requisiti.
Trovo che ci sia della saggezza, nel consiglio di Angus, e che edificheremo una
lieta dimora sugli Ered Luin. –
- Così – dice Niphredil, sollevando il capo – avete deciso. Ci dirigeremo
verso gli Ered Luin. –
- E, una volta lì – riprende Balin, posandole una mano sul braccio – faremo
una colletta per regalarti il destriero più rapido del decumano, perché tu
possa fare ritorno alla tua casa. –
Niphredil sorride, intenerita, mentre Glòin borbotta qualcosa dal suono
molto simile a "che cosa ci trovi
poi in quella cupissima foresta, io non lo capirò mai."
I giorni successivi scivolano via come foglie sull'acqua di un ruscello.
I nani si affaccendano fra i preparativi, Thràin ed i suoi consiglieri
tracciano il percorso più favorevole, mentre Angus si assicura di fornire tutto
l'aiuto possibile, dalle scorte alimentari alle erbe mediche.
Lavorano instancabilmente fino al calare delle tenebre, poi mangiano,
scambiandosi aneddoti e raccomandazioni con voci tonanti e, alla fine, si
coricano esausti.
Per la prima volta da che ha memoria, anche Thorin riesce a godere di un
vero sonno. Nessun incubo lo riporta ad Erebor, costringendolo alla veglia con
immagini angoscianti.
Eppure l'ultima notte prima della partenza non riesce a dormire.
Nessuna preoccupazione in particolare s'insinua fra i suoi pensieri, ma la
sua mente è irrequieta.
Si alza e, in silenzio, lascia l'edificio e s'incammina, sotto la luce
splendente della luna piena. E' alta nel cielo e brilla come puro argento,
accarezzando le tenebre con i suoi raggi.
Quasi senza accorgersene, si trova davanti alla baracca dove dorme
Niphredil. Intravede la sagoma dell'elfa dalla finestra spalancata, la sua
folta chioma di fili d'oro.
Sembra profondamente addormentata, il suo viso è rilassato nella quiete del
sonno.
Thorin scuote la testa e sta per volgerle le spalle quando un dettaglio
richiama la sua attenzione. Assicurata con un filo alla cintura della
guerriera, ordinatamente riposta su una bassa cassapanca, c'è una piccola
custodia di cuoio, decorata con dei caratteri elfici.
L'istinto di Thorin si sveglia all'improvviso, di soprassalto, e lo spinge
inesorabilmente verso la soglia dell'edificio. Lui si fida di Niphredil. Non pensa più alla sua razza, ma al suo
sorriso, alle sue storie, al tono assorto della sua voce, ai suoi occhi verdi
come smeraldi e limpidi come ghiaccio.
Si fida, eppure non riesce a fermarsi.
Oltrepassa la soglia e, trattenendo il respiro, oltrepassa il giaciglio
dell'elfa.
Quando le sue dita toccano la custodia di cuoio, un guizzo di rimorso lo fa
esitare. Ha come il presentimento che, se porterà a termine ciò che ha
iniziato, tutto cambierà. Non per forza in meglio.
Thorin sbatte rapidamente le palpebre, mentre Niphredil, nel sonno, si
scioglie in un sorriso, poi si stringe nelle spalle ed estrae il messaggio
dalla custodia.
Mentre Thorin spiega il messaggio e lo legge, Niphredil sta sognando.
Sta sognando un ricordo.
Nell'abbraccio della notte, la mente dell'elfa torna indietro, indietro a
quand'era ancora un semplice capitano, un ufficiale addestratore con il cuore
libero del fardello di ogni responsabilità.
Era nel giardino della reggia. Si teneva le mani sulle palpebre, oscurando
il mondo circostante, eppure percepiva nitidamente i suoni, il leggero
scalpiccio di piccoli piedi sul manto erboso.
- Sto venendo a prenderti! – aveva annunciato.
Aveva spalancato gli occhi e si era voltata, di scatto, trovandosi di
fronte a Sire Oropher.
- Sono lieto di vederti così impegnata, mia diletta – aveva sorriso il re,
scuotendo il capo – avrò il piacere di leggere il tuo rapporto entro la fine di
quest'era? –
Niphredil aveva cercato una replica adatta, qualcosa che suonasse come una
scusa plausibile senza essere necessariamente una menzogna, ma uno squittio
divertito l'aveva interrotta
- Tana per Niph! – aveva gridato
un piccolo elfo biondo, correndo fuori dai cespugli, fino ad una colonna. Si
era appoggiato alla pietra decorata, ansimando, con un sorriso di puro
entusiasmo negli occhi, e si era voltato verso di loro – nonno, vuoi giocare
con noi? –
Oropher aveva riso e, con due lunghi passi, aveva raggiunto il nipote.
- Oh, quindi sei tu a distrarre il mio capitano, eh, Legolas? – aveva
chiesto, prima di baciarlo dolcemente sulla fronte.
Niphredil era rimasta in disparte, ad osservarli, finché una mano non le si
era posata sulla spalla.
- Grazie, meldë nîn. – aveva
sussurrato la voce di Thranduil, mentre l'elfo le accarezzava il braccio
- Per cosa? - aveva chiesto Niphredil, piegando la testa con un sorriso
interrogativo
- Per il tempo che passi con Legolas. –
Lei aveva sorriso, poi aveva afferrato Thranduil per le mani: - vieni a
giocare con noi, mio principe – aveva detto, trascinandolo fuori da sotto
l'ombra del colonnato.
Legolas si era voltato, attirato dal rumore, ed i suoi occhi si erano
illuminati
- Papà! – aveva gridato, correndo verso di lui e gettandosi fra le sue
braccia.
Oropher li aveva raggiunti e, prima di concentrarsi di nuovo sul nipote,
aveva sorriso a Niphredil e, senza parlare, aveva sillabato: - Hannon le (*)–
-- La Coda!
(*) amica mia
(*) grazie
Incredibile a dirsi, un altro capitolo di Niph è arrivato puntale!
Che dire, ne sono abbastanza soddisfatta, finalmente si cominciano a
smuovere un po’ le cose (già, io lo so che avreste preferito altri sei mesi di
sbaruffoni epici Tàri/Sinag, però, ehy, the
fanfic must go on!) e Thorin… beh, lo sapevate che prima o poi l’avrebbe
scoperto, no?
Altro? Ah sì, scusate se sembra che ogni capitolo venga pubblicato con un
front diverso. Non è che non so decidermi, è che scrivo su un pc (il mio
poeticissimo catorcio portatile che risale al primo anno delle superiori), ho
il testo definitivo su un altro e, fino a qualche settimana fa, pubblicavo da
un altro ancora. Quindi… sono confusa, ma da ora dovremmo rimanere con questo
carattere e – se capisco come senza causare danni – risistemerò i capitoli
vecchi.
Come al solito, grazie mille per esser giunti fin qui e a presto!
- La Matta -
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Capitolo 15 *** Cambiamento ***
niph15
Capitolo
Quindicesimo
Cambiamento
Se
ne rende conto un istante prima del risveglio.
Quando la sua coscienza è già vigile, ma ancora le palpebre calate oscurano il
mondo.
Nell’attimo
in cui il sogno termina e ha inizio la veglia, Niphredil sente un presentimento
scivolarle fra i pensieri, appena percepibile, come un velo di malinconia.
Un’ombra
si scinde dalle tenebre. Una sagoma umana, ma senza lineamenti, senza dettagli,
un essere fatto completamente di nebbia. I suoi stessi contorni sono vaghi,
tremolanti, a parte le sue mani. Sono nitide e pallide. Le dita adunche
stringono una piccola gemma grezza, dai delicati riflessi azzurri.
“Lui lo sa” mormora l’ombra
-
Chi sei? – chiede Niphredil, confusa.
“Se la storia non progredisce, non tornerò
mai alla mia dimora” l’essere inclina il capo, con un suono simile ad un
sospiro “pensavo che il chiasso dei nani
fosse inconciliabile col mio sonno, ma è stata l’avidità del drago a sottrarmi
definitivamente il mio giaciglio” solleva la gemma, tenendola in equilibrio
sulle punte delle dita. In un battito di ciglia, la pietra comincia a
sgretolarsi, fino a divenire grigia polvere, in balia del vento.
-
Chi sei? – ripete Niphredil, in un sussurro – cosa vuoi, da me? –
“Non permettergli di mandarti via.”
L’essere
scuote la testa, poi sul suo volto compare una bocca, straordinariamente
concreta, rispetto al resto dell’ombra. Quando parla, la sua voce è ruvida e
grave, non più un sussurro appena percepibile
“Le tue mani sono lorde di sangue!”
Di
nuovo, le labbra si trasformano. Diventano morbide, sottili e delicatamente
rosee.
“Non avremmo salvato la tua gente ed avremmo
condannato la nostra. Condivido la tua rabbia e il tuo dolore, ma non rimpiango
la mia decisione” pronunciano, con la voce di Niphredil.
L’elfa
impallidisce, mentre una morsa le serra la gola.
-
Chi sei? – grida, cercando di afferrare l’ombra, ma trovandosi con in mano solo
un pugno di nebbia
“Un avvertimento può
dirsi efficace, se chi l’ha ricevuto non può rammentarlo?” domanda l’essere, di
nuovo con la sua voce esile, vagamente nasale.
Un’irresistibile
debolezza s’impossessa del corpo di Niphredil. L’elfa sente il sangue scorrere
a fatica nelle proprie vene, mentre ogni arto diventa pesante come piombo. Cade
in ginocchio, senza la forza di ribattere. Anche tenere gli occhi aperti è uno
sforzo immane, una lotta persa in partenza.
L’ombra
si china, fino a prenderle il mento fra le dita.
La
sua mano non ha una vera consistenza, è come una gelida corrente d’aria.
“Lascialo gridare, ma non permettergli di
allontanarti. Ha ancora bisogno di te.”
Il
sussurro dell’essere riecheggia per qualche istante poi, con un gemito
strozzato, Niphredil si drizza a sedere sul letto, madida di sudore freddo.
Thorin
socchiude gli occhi, accartocciando la pergamena fra le mani.
Improvvisamente,
non è più nella dimora di Angus, sulle brulle alture del Dunland, sotto un
cielo limpido e pieno di stelle. Improvvisamente, è di nuovo davanti ad Erebor.
Il frastuono era assordante, le urla ed il
clangore delle armi si levavano in alto, squarciando la coltre di fumo.
La strada, un tempo lastricata di pietre candide,
era ingombra di macerie e di cadaveri. Nani ed orchi, alcuni intrappolati in
una lotta eterna, altri supini, con lo sguardo vuoto rivolto al cielo grigio.
Thorin si muoveva, con solo un barlume di
lucidità a separarlo dal baratro della follia, riuscendo a malapena a rivolgere
dei comandi ai suoi uomini. La città era perduta. Il numero dei nemici era
soverchiante. Continuare a lottare, a camminare, persino a respirare era difficile, un’impresa forse priva di ragione.
- Muoviti! Ci stiamo ritirando! – aveva
ringhiato, voltandosi verso un giovane nano, accucciato a terra, forse per
riprendere fiato. Quello l’aveva ignorato.
Masticando una bestemmia, Thorin l’aveva
afferrato per la spalla e gli aveva dato uno strattone.
Il nano si era accasciato a terra, a peso morto,
rivelando il profondo squarcio con cui la lama di un orco gli aveva aperto la
gola. Thorin era indietreggiato, sentendo l’ira e l’orrore contendersi quel che
rimaneva della sua mente. Aveva cercato qualcosa a cui aggrapparsi. Un
proposito, una speranza, finanche un bel ricordo, ma i suoi occhi vedevano solo
sangue e desolazione. Avevano perduto tutto. La loro patria, i loro compagni,
la fierezza di un tempo. Aveva aumentato la stretta sull’impugnatura della
spada.
Poi qualcosa, un barlume, un riflesso, aveva
attirato la sua attenzione verso l’alto.
Su un’altura, poco distante, c’erano due elfi.
Dietro di loro, una marea indistinta di volti, armature, lance svettanti a
ghermire il ventre plumbeo del cielo.
Per qualche istante, il sollievo l’aveva
sopraffatto. Boccheggiando, si era voltato verso di loro, sbracciandosi,
gridando aiuto, pregando che Thranduil, signore del Reame Boscoso, si unisse
alla battaglia.
Aveva davvero creduto che, come in una favola,
avrebbero potuto sopraffare gli orchi, uccidere il drago e fare ritorno ad Erebor.
Irrazionalmente, una parte del suo cuore pretendeva quel finale, la soluzione
in cui tutte le loro angosce sarebbero scomparse, come la neve che si scioglie
al caldo tocco del sole.
Poi Thranduil aveva fatto un cenno. L’altro elfo
aveva chinato il capo, annuendo.
Ed il mondo era crollato addosso a Thorin. Era
stato un dolore fisico, lacerante.
Per qualche istante, Thorin non era stato in
grado di fare niente. Era rimasto immobile, bloccato, soffocato dall’agonia,
poi ogni frammento della sua anima aveva gridato ed il dolore era divenuto
rabbia. Purissimo, accecante odio. Il
principe aveva stretto più forte l’impugnatura della spada ed era tornato a
gettarsi nel folto della battaglia, seminando morte.
Thorin
lascia cadere a terra la pergamena stropicciata.
Si
fissa le dita, confuso, sentendole prive di forza.
Perché
ora ricorda. Ha accettato quello che,
dalla battaglia di Azanulbizar, si è rifiutato di vedere.
L’elfo
accanto a Thranduil, con l’armatura splendente come argento e le lunghe chiome
bionde. L’elfo che si era voltato, per guidare la ritirata dell’esercito.
L’elfo che, non meno di Thranduil, ha condannato a morire le genti di Erebor. Quell’elfo è Niphredil.
Niphredil
spalanca gli occhi, poi esala un lungo sospiro e rimane a fissare Thorin, con
una tranquillità rassegnata. Non ricorda cos’ha sognato, ma la sensazione che
tutto sta per cambiare le è rimasta sulla pelle, come un velo di gelida brina
di cui non riesce a liberarsi.
Si
alza in piedi, poi accenna col mento alla pergamena, accartocciata, a terra,
davanti agli stivali di Thorin.
-
Non sono stata sincera, Thorin Scudo di Quercia – mormora, avvicinandosi al
nano – te ne chiedo perdono. –
-
Perdono?!- ripete il principe,
afferrandola per il polso e dandole uno strattone – tu chiedi perdono per le
menzogne, ma non per ciò che hai fatto alla mia gente! – abbassa la voce, ed il
suo tono si fa gelido e tagliente come il vento d’inverno – la tua stessa
presenza qui è un insulto alla memoria di coloro che sono morti ad Erebor! Le
tue mani sono lorde di sangue! –
Niphredil
distoglie lo sguardo dagli occhi di Thorin mentre, per un attimo, un’eco ripete
l’ultima frase del nano, un’eco delicata e sibillina, che svanisce in un
battito di ciglia.
-
Mi dispiace – mormora, mentre le dita del nano si stringono più forte al suo
polso, come a volerle scavare dei solchi nella carne. E’ una stretta disperata,
rabbiosa, addolorata, una stretta terribile.
-
Me l’avresti mai detto? – le chiede Thorin, in un roco sussurro – Avresti avuto
il coraggio di affrontarmi a viso aperto oppure saresti rimasta per sempre
celata dietro alle tue menzogne, contando sul fatto che nessuno si sarebbe mai
ricordato di te, dello sguardo superbo che lanciavi al nostro popolo mentre
veniva massacrato? Parla, Niphredil di Eryn Galen! Me l’avresti mai detto? –
Quando
termina di parlare, Thorin sta gridando. Molla di scatto la presa sul braccio
di Niphredil, come se il semplice contatto con la pelle di lei l’avesse
ustionato.
L’elfa
solleva il capo, mentre una lacrima le riga la guancia.
-
Un giorno te l’avrei detto – esala – ma, per il momento, né tu né io eravamo
pronti. Questa conversazione distruggerà tutto ciò che abbiamo costruito,
Thorin, tutto ciò che abbiamo fatto sarà disperso nel vento come polvere. Non
permettere che questo avvenga, ti prego. –
Il
nano tace per qualche istante. Una luce furente brilla nelle sue iridi, una
luce implacabile.
-
Che tu sia maledetta – ribatte, gelido – tu e il tuo amato re ci avete tolto
Erebor non meno degli orchi. –
-
Non avremmo salvato la tua gente ed avremmo condannato la nostra. Condivido la
tua rabbia e il tuo dolore, ma non rimpiango la mia decisione. – mormora
Niphredil
-
Perché sei venuta da noi, allora? – ringhia Thorin, finalmente incrociando il
suo sguardo
-
Perché la consapevolezza di aver agito per il meglio nulla poteva per placare
il mio animo. Ero tormentata dall’aver voltato le spalle alla sofferenza di un
intero popolo. Vi ho cercati per portarvi aiuto,
non rabbia. Per essere un volto amico durante il cammino, un’altra voce attorno
al fuoco di bivacco. –
-
Ebbene, non sei più la benvenuta, qui. Prendi le tue cose e vattene o, lo giuro
sul mio nome, ti ucciderò con le mie mani. –
“Un avvertimento può
dirsi efficace, se chi l’ha ricevuto non può rammentarlo?” cantilena una voce,
accanto all’orecchio di Niphredil, ma l’elfa è troppo turbata per darle peso.
Oltrepassa
Thorin ed esce dalla stanza, mente le lacrime le pungono gli occhi.
Sul
monte Gundabad, Tàri ha convocato Mald, il capo degli esploratori, perché le
faccia rapporto.
Mentre
l’orco, palesemente a disagio, cerca di sfuggire gli occhi fiammeggianti della
bestia, Erag lo guarda dalle ombre, maledicendo la decisione del serpente di
tenerlo lì, e di non farlo partire assieme all’avanguardia di Sinag. Non
conosce il motivo dietro quella scelta, ma di certo non tenterà di capire
quello che il drago pensa.
Così
rimase appoggiato al muro di pietra, in attento ascolto.
-
Sinag ha dunque lasciato il campo… - sta dicendo la belva, per una volta con un
accento compiaciuto
-
Lui ed i suoi uomini più fidati, mia signora – annuisce Mald, drizzandosi in
tutta la sua altezza – a tendere l’imboscata ai nani come ordinato. –
-
E chi è al comando, in sua assenza? –
-
Nultug, mia signora. –
Il
Drago picchetta delicatamente con le unghie a terra, producendo un suono
sinistro.
Eppure,
più Erag la guarda, più lei sembra appagata, soddisfatta della piega che stanno
prendendo gli eventi.
-
Devo tenere pronto il resto dell’esercito per la partenza? – domanda infine
Mald
Il
serpente sogghigna, facendo scrocchiare l’attaccatura delle maestose ali.
-
No – dice poi, senza smettere di sorridere – ma dimmi, orco, c’è forse uno dei
tuoi uomini di cui desideri disfarti? Un esploratore incompetente, un vecchio
che si rifiuta di accasciarsi e morire, un codardo capace solo di coprirsi di
vergogna? –
Erag
rabbrividisce, non sa se per la strana richiesta o per il tono gentile della
loro padrona.
Mald
si gratta la testa, perplesso, poi annuisce: - eh, ci sarebbe Orth. – ammette
-
Ebbene – si compiace il drago – mandalo da me. Voglio che raggiunga Sinag e i
suoi e che gli consegni un messaggio, quando la battaglia sarà iniziata. –
-
Eh… sì, mia signora – conclude Mald. Sta già per avviarsi verso l’uscita,
quando il serpente lo trattiene. Si china verso di lui, fino a respirargli
sulla schiena.
-
E mandami anche Nultug. E’ tempo di operare qualche… - schiocca la lingua, con
quello che ad Erag sembra un enorme godimento -… cambiamento -
Una
volta all’aperto, raggiunge il piccolo ruscello e s’inginocchia sulle sue rive.
L’acqua scorre placida e limpida, mentre il vento fa stormire dolcemente i
ciuffi d’erba sulle sponde.
Una
lacrima riga la guancia di Niphredil e cade nell’acqua, perdendosi fra i
flutti, confondendosi con le onde.
Sa
di dover partire, ma l’idea di lasciare i nani le causa più dolore di quanto
immaginasse. Non vuole abbandonarli così, nel bel mezzo del viaggio, senza una
spiegazione, una parola di saluto, senza un’ultima battuta sulla birra.
Lasciare di sé stessa solo un vago ricordo, condannato ad essere cancellato
dagli improperi e dalle scarne spiegazioni di Thorin Scudo di Quercia.
Niphredil
sospira, accarezzando l’acqua.
Se
non altro, potrà fare ritorno a casa. Riabbracciare Thranduil, sentire di nuovo
la risata di Lu, cingere ancora la spada di comandante, del cui peso quasi
sente la mancanza. Potrà ricominciare con la sua vita, sapendo che ha offerto
ai nani tutto ciò che poteva e che, anche se loro alla fine l’hanno rifiutata,
questo non li fermerà e, presto, avranno comunque una nuova dimora, un luogo in
cui dimenticare gli orrori della guerra e prosperare.
Socchiude
gli occhi, lasciandosi cullare dal canto del ruscello.
Eppure,
ancora le parole di Thorin le trafiggono il cuore come pugnali.
Si
sente ancora avvelenata dal suo disprezzo.
E’
giunta a provare dell’affetto, per il principe dei nani, un affetto che non è
caldo e chiassoso come quello per Glòin, né pacato e rassicurante come quello
per Balin, qualcosa di flebile, ancora insicuro, ma certamente sincero.
-- La Coda!
(in
cui –La Matta- non ha un granché da dire, quindi si limita ad inchinarsi al
pubblico ed a ringraziare ancora chi la commenta ed anche chi la legge e basta)
Fra
l’’altro, sappiate che i pezzi più importanti di questo capitolo li ho scritti
nel cuore della notte e volevo postarli ieri alle quattro del mattino, ma poi
ho pensato che sarebbero stati un tripudio di errori e quindi ho avuto pietà di
voi e ho aspettato di revisionarli a mente lucida!
Un
bacio e a presto!
- La Matta -
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Capitolo 16 *** In cammino ***
niph16
Capitolo
Sedicesimo
In cammino
Niphredil
lascia le Sale di Angus prima che si levi l’alba.
Scivola
oltre la palizzata di legno e si mette in cammino, accompagnata dal sussurro
del ruscello e dallo splendore adamantino delle stelle che trapuntano la volta
celeste.
Segue
il torrente per tutto il giorno, dal sorgere del sole fino all’infuocato
tramonto e, alla fine, davanti ai suoi occhi compare l’Inondagrigio, dai flutti
placidi e la spuma cristallina.
Niphredil
si accampa sulle sue sponde. Nonostante l’umidità e la frescura della sera,
ormai è primavera inoltrata ed il freddo non è altro che un ricordo.
Dopo
aver svogliatamente mangiato un boccone di carne secca e salata, l’elfa estrae
il flauto di legno e, per la prima volta da lungo tempo, suona una melodia
lenta e triste, un lamento che sembra riecheggiare anche dopo che Niphredil ha
posato lo strumento.
Dopo
averlo riposto, si corica, stendendo il sacco a pelo dove l’erba cresce più
folta.
L’elfa
sospira, tentando ancora una volta di accantonare il pensiero che l’ha
tormentata per tutto il giorno, come un’ombra che si allungava dietro di lei,
seguendo i suoi passi. Non vuole pensare ai nani, perché sa che il dolore la
riporterebbe indietro, alle Sale di Angus, e sa che non è la cosa migliore. Col
tempo, forse, l’odio di Thorin si affievolirà e magari, un giorno, Niphredil
potrà recarsi sugli Ered Luin, per vedere coi propri occhi come i profughi di
Erebor hanno ricostruito la propria vita. Forse quello sarà un giorno di
risate, di canzoni, sarà un giorno di perdono, perché la pace avrà lenito le
ferite della memoria.
Con
questa speranza nel cuore, Niphredil si addormenta.
Nei
suoi sogni, cammina in una fortezza deserta, dove ogni passo risuona come un
colpo di tamburo.
Le
pareti sono di nuda roccia, con enormi vani dove i picconi hanno scavato con
avidità, per estrarre gemme preziose. Il pavimento, invece, è d’oro, con
delicate venature scarlatte, del colore del sangue.
“Una volta non riuscivo a
comunicare con gli esseri di carne. Non potevo sfiorarli, né il mio pensiero
riusciva a diventare una parola udibile alle loro orecchie” la sorprende una voce
sibilante, stranamente familiare.
Niphredil
si volta e, nell’attimo in cui compie quel movimento, si trova imbrattata di
sangue nerastro, dall’insopportabile fetore.
L’ombra
le si avvicina, allargando le braccia sottili, vestite di nebbia.
“La mia essenza era
flebile, indebolita dalla lunga veglia. Per una breve, confusa stagione ho
potuto camminare fra di voi, ho potuto toccare i vostri oggetti, sentire il
vostro calore.”
-
Ti ho già sognato, una volta. – realizza Niphredil – ma non rammento quando. –
“Perché sto svanendo.
Ancora una volta, la stanchezza mi inghiotte. Ormai non sono altro che un
sogno, di cui all’alba non si serba memoria.”
-
Perché sei qui, allora? Perché cerchi comunque di parlarmi, se non ignori la
futilità dei tuoi tentativi? –
L’ombra
allarga le braccia e, dalle tenebre alle sue spalle, si delineano altre sagome.
Sono
simili alle persone che Niphedil conosce, ma i loro occhi sono vuoti e, quando
muovono le labbra, parlano con la voce dello spirito.
“Per
onore” ringhia Thorin
“Per
dovere” pronuncia Balin
“Per
istinto” esala Legolas
“Per
la pace” sussurra Luinil
“Per
egoismo” mormora il padre di Niphredil
“Per
amore” sorride Thranduil
“Lo faccio per me stesso” conclude
l’ombra, comparendo ad appena un palmo dal volto di Niphredil. La sua mano di
nebbia le accarezza le guance, seguendo i suoi lineamenti “è la tragedia che grava sul mio fato, non trovare mai riposo. Forse ho
un destino cui adempiere. O forse i miei sforzi sono vani ed io non sono altro
che una dissonanza nell’armonia del creato. Non perdere il pugnale, fanciulla.”
La
sagoma col volto di Thranduil le si avvicina, posandole le mani sulle spalle.
“Usa
le vie più rapide, per fare ritorno a casa” le mormora.
Con
quell’ultimo sussurro, il sogno collassa. Le pareti di pietra diventano lisce
come specchi, poi si trasformano in liquido e scorrono a terra, fondendosi col
pavimento. L’oro e l’argento si mescolano e dal nulla compare una luce
accecante, sempre più alta e più brillante, come fuoco bianco.
A
quel punto Niphredil si sveglia. Il sole è sorto e le riverbera in faccia,
riflettendosi sull’Inondagrigio.
Per
un attimo, il sogno è ancora nitido, fra i suoi pensieri, ma poi scompare,
lasciando solo pallide tracce di sé.
-
Usa le vie più rapide, per tornare a casa. – mormora Niphredil, confusa, mentre
il cuore le batte rapidamente nel petto.
-
Se n’è andata?! – ruggisce Glòin,
battendo una mano sul tavolo e facendo traballare i boccali
-
Se non sbaglio, non era costretta a restare. Aveva svolto il suo compito. –
rileva Dìs
-
Oh, una preoccupazione in meno, tanto meglio. Dormirò sonni più sereni. –
sbotta Dwalin.
Glòin
serra le braccia sul petto, con un grugnito.
Seduto
accanto a lui, Balin rimane in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Anche
a lui sembra incredibile, che Niphredil se ne sia semplicemente andata. Non la
riteneva vincolata ad alcun giuramento, eppure si sarebbe aspettato un saluto,
una parola di congedo. Un sorriso, una stretta di mano e la promessa di
rivedersi, un giorno.
Sospira,
sbocconcellando una pagnotta speziata, poi si volta verso Thorin.
Il
nano, seduto a capotavola, sta fissando il vuoto con aria truce.
-Tu
che ne pensi, Balin? – gli domanda Dìs in quel momento, interrompendo le sue
riflessioni
-
Potrebbe darsi che affari urgenti l’abbiano richiamata a casa – risponde,
assorto, quasi pensando a voce alta.
Glòin
mastica qualcosa di incomprensibile, poi svuota in un sorso il boccale di
birra.
Balin
gli lancia uno sguardo di sottecchi. Per quanto il nano fulvo cerchi di
nasconderlo, ci è rimasto male. La partenza di Niphredil non solo l’ha colto di
sorpresa, ma l’ha anche ferito. Stavano diventando amici.
Balin
sospira, cercando di esaminare i propri sentimenti. Anche lui è dispiaciuto, ma
più di ogni altra cosa è preoccupato.
Preoccupato
perché ha più senso che le sia successo qualcosa, piuttosto che sia scappata
nella notte, come un ladro, senza nemmeno un tentativo di spiegare. Preoccupato
perché Thorin ha in volto i segni dell’astio e della colpevolezza, e perché
Niphredil aveva un segreto, un segreto che potrebbe essere venuto alla luce.
Sorseggia
la sua birra poi, con un sospiro, si alza in piedi.
-
Andrò a controllare che tutto sia pronto per la partenza. – spiega, allargando
le braccia.
Anche
Thorin si alza: - vengo con te. –
I
due nani lasciano la sala e s’incamminano verso la barricata. Attorno al
portone sono raggruppati i bagagli. Alcuni carri per le provviste, pesanti
zaini e bisacce di unguenti ed erbe curative.
-
Sembri turbato – esordisce Balin – posso chiederti il motivo? –
Thorin
solleva lo sguardo: - tu lo sapevi? – chiede. Non c’è risentimento, nella sua
voce, solo una profonda stanchezza – sapevi che Niphredil era la comandante del
Reame Boscoso, oltre che l’amante di Thranduil? –
Balin
congiunge le mani, intrecciando le dita: - lo sapevo. – risponde, con un
sospiro – e sapevo che non si dava pace, per la menzogna. Aspettava il momento
migliore per parlarti. –
-
Non difenderla! – sbotta Thorin
-
Non la difendo – replica Balin, quietamente – cerco di farti vedere l’intero
quadro. La rabbia acceca, amico mio, non dobbiamo fidarci di quello che ci
mostra, perché è sempre un disegno parziale. –
-
Non mi fidavo più di lei, per questo l’ho cacciata. –
Balin
solleva un sopracciglio, per poi accarezzarsi la barba: - è davvero questo il
motivo? – indaga, in tono gentile.
-
In parte – ammette Thorin, scuotendo la testa – Tu che ne pensi, Balin? –
Balin
sospira, poi appoggia una mano sulla spalla del principe: - penso che Niphredil
non meriti il tuo odio, ma credo anche che sia impossibile costringere qualcuno
a dimenticare il passato. –
Luinil
scosta con un calcio il cadavere di un ragno.
-
Qui abbiamo finito – capitola, riponendo il sottile arco di legno chiaro – se
però i ragni ritornano, saremo costretti ad andare a distruggere i nidi, a
nord. Intanto torniamo ad Eryn Galen. –
Gli
altri esploratori annuiscono poi, in ordine e in silenzio, s’incamminano lungo
il sentiero, nascosto dall’erba alta ma facilmente visibile ad un occhio
addestrato.
Luinil
chiude la fila e quando una mano le si stringe delicatamente al polso si volta
di scatto, con una smorfia.
-
Mi stai spiando? – sbotta, trovandosi di fronte a Legolas
-
Sì – ammette lui, candido – ma non fraintendere le mie intenzioni: non è
mancanza di fiducia nelle tue abilità, è semplice noia. – tira Luinil verso di sé, per poi arruffarle i capelli –
stai facendo un gran bel lavoro. –
-
Erano solo ragni – mormora, imbarazzata
-
Non è solo per i ragni – sorride Legolas – è per come stai gestendo la
situazione. Gli uomini sentono la mancanza di Niphredil, però ti obbediscono.
Ti rispettano… - il principe abbassa la voce, poi aumenta un po’ la stretta
sulla mano dell’amica -… anche se sospetto che tu non desiderassi il fardello
del comando. Ti prego, dimmi se sto candendo in errore. –
Luinil
sospira, poi scuote il capo: - non ho mai pensato potesse accadere – confessa,
sottovoce – ho sempre pensato che Niphredil ci sarebbe stata per sempre, che
sarebbe stata lei a guidare l’esercito. –
-
Eppure eri conscia che ti stava addestrando per succederle – rileva Legolas
-
Una volta me l’ha chiesto, sai? Mi ha versato una coppa di vino e mi ha detto
“Lu, io ti sto insegnando tutto quello che so. Quand’eri bambina ti ho letto le
favole che mio padre aveva letto a me, ti ho cantato le canzoni che lui mi
sussurrava, per farmi dormire, ed ora ti sto mostrando l’unica via che conosco,
la via della spada e dell’arco, la via della corazza e dello stendardo. Ma se è
un altro, il tuo desiderio, allora parlamene, ti prego, e troveremo un’altra
soluzione. Voglio che tu sia felice, Lu.”. Io… ho esitato, ma poi ho pensato a
mio padre, al suo sorriso quando sistemava le armi, all’orgoglio nella sua voce
quando mi parlava del suo compito. Rinunciando all’addestramento mi sembrava di
deluderlo. – Luinil distoglie lo sguardo dagli occhi di Legolas, con un gemito
– Pensavo davvero di volerlo. –
Il
principe le accarezza la guancia, sollevandole il viso: - Il fatto che tu abbia
a lungo seguito una via non significhi che non ne esistano altre – dice,
sottovoce, posando la fronte su quella dell’amica – cosa vorresti, davvero? Che
vita desideri, Luinil di Eryn Galen? –
Luinil
arrossisce: - ti metteresti a ridere, se te lo dicessi. – si schermisce poi,
agitando una mano
Legolas
sorride: - dimmelo lo stesso. Non può essere così terribile. –
L’elfa
sospira poi, rassegnata, inclina il capo e sussurra qualcosa all’orecchio del
principe.
Legolas
stringe le labbra – mi sembra legittimo, Lu – riesce poi a pronunciare,
trattenendo le risate.
I
giorni successivi scivolano rapidi e frenetici, per tutti.
I
nani sono di nuovo in cammino, pieni di aneddoti e progetti. I loro passi e le
loro voci riecheggiano lungo il Verdecammino, precedendo la carovana.
Gli
orchi sciamano dal nord, calandosi lungo gli irti pendii delle Montagne
Nebbiose fino a raggiungere gli Erenbrulli. Mentre marcia, a capo dell’avanguardia,
Sinag si sente ancora addosso gli occhi del drago. Ogni volta che storce le
labbra, le ustioni non ancora guarite gli inviano fitte di dolore, quasi a
rammentargli che il maledetto serpente avrebbe potuto ucciderlo. E invece, come
suprema beffa, ha scelto di risparmiarlo, per lasciargli condurre una vita col
fardello di quell’umiliazione.
Tanto
pesanti e sgraziati sono i passi degli orchi, tanto rapida e lieve è l’andatura
di Niphredil.
Risale
l’Inondagrigio, camminando sulle sue sponde, finché il fiume non si biforca. Da
un lato il Bruinen, che porta verso Imladris. Niphredil accarezza per un attimo
l’idea di seguirlo, di raggiungere l’Ultima Dimora Accogliente, per incontrare
sire Elrond e trascorrere qualche giorno con la sua gente, ma il desiderio di
rivedere Thranduil prevale e l’elfa imbocca la via opposta, quella che segue l’altro
ramo dell’Inondagrigio, quel fiume che è chiamato Mitheithel.
E’
un cammino solitario, ma pacifico, accompagnato dal sole e dal canto dell’acqua.
Mentre
oltrepassa il confine e si lascia l’Eriador alle spalle, Niphredil riflette
sulla propria vita. Rivede ogni giorno trascorso, il sangue versato, le imprese
compiute, gli ordini che ha ingiunto e quelli a cui ha obbedito, alle
roccaforti protette e a quelle perdute, ripensa ai momenti di dubbio che l’hanno
trattenuta, agli errori in cui è caduta, ai sospiri che le hanno riempito il
petto.
Ogni
tanto, sente i secoli pesare sulle proprie spalle. Soprattutto quando è sola,
quando non c’è Thranduil a baciarle dolcemente le labbra e a sussurrarle che
una lunga via può essere piacevole, quando si è in due a percorrerla.
--La Coda!
Questo
capitolo è cortino, eh. Ops. Scusate.
E’
che tutti stanno camminano, che noiaaa!
Provvederò
ad aggiornare con il prossimo in tempi brevi, così che succeda almeno qualcosa, in questo benedetto racconto
:P
Un
bacio!
-
La Matta
P.S.
– gli itinerari sono stati pensati dalla sottoscritta (immaginatevi una me
molto perplessa davanti alla mappa della Terra-di-Mezzo, che si gratta la testa
cercando di calcolare tempi e strade), quindi tutt’altro che immuni da errori.
Qualora ne trovaste, fatemi sapere ;)
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