Niphredil - la via per gli Ered Luin

di La Matta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dimrill Dale ***
Capitolo 2: *** Niphredil ***
Capitolo 3: *** La caduta ***
Capitolo 4: *** Il Mirolago ***
Capitolo 5: *** Esuli ***
Capitolo 6: *** Una punta di freccia ***
Capitolo 7: *** Lo stesso sogno ***
Capitolo 8: *** L'Occhio e il Serpente ***
Capitolo 9: *** La casa di Angus (parte prima) ***
Capitolo 10: *** La Casa di Angus (parte seconda) ***
Capitolo 11: *** Il banchetto ***
Capitolo 12: *** Lo spirito e il pugnale ***
Capitolo 13: *** I problemi degli Orchi ***
Capitolo 14: *** Aspettando la guerra ***
Capitolo 15: *** Cambiamento ***
Capitolo 16: *** In cammino ***



Capitolo 1
*** Dimrill Dale ***


Niphredil 1

Capitolo Primo

Dimrill Dale

 

 

Il campo di battaglia è avvolto dalla penombra nebbiosa dell’inverno. Il sole splende pallido nel cielo plumbeo, senza riuscire a scacciare il gelo.

 

L’elsa dell’ascia è resa scivolosa dal sangue degli orchi uccisi.

 

Le grandi porte di Moria proiettano la loro ombra sul campo di battaglia, dove riecheggia lo stridore delle armi e dove le grida di guerra si mescolano ai gemiti strozzati di agonia.

 

Thorin cala l’ascia, mozzando la testa di un orco. Il nemico cade a terra, mentre il sangue gorgoglia dalla gola tranciata. Ma non appena uno è abbattuto, altri due prendono il suo posto.

Il nano comincia a credere che non finirà mai, che la battaglia di Dimrill Dale andrà avanti fino alla fine del tempo stesso.

 

Stringe la presa sull’impugnatura dell’arma e, con uno scatto, affonda la lama nel torace di un orco.

 

Sangue nerastro e maleodorante gli imbratta l’armatura.

 

Ad un tratto, uno sfarfallio luminescente attrae la sua attenzione. Non ne identifica subito la fonte, ma un altro dardo di pura luce sfreccia nell’aria.

 

Poco lontano da lui, un elfo femmina lancia pugnali di metallo argentino. Ha anche una spada corta, sulla cui lama scintillano rune iridescenti.

 

Thorin le si avvicina, menando fendenti con l’ascia e lasciandosi alle spalle una scia di cadaveri.

L’elfo femmina sembra un miraggio, un pessimo scherzo della sua mente stanca.

 

Lentamente, impercettibilmente, l’avanguardia nanica sta indietreggiando, provata dalle perdite e dalla schiacciante superiorità numerica del nemico.

 

Mentre ripiegano sul vicino bosco, la giovane dalla lama splendente scompare, nel folto della battaglia, tanto che Thorin si convince di averla immaginata.

Nessuno elfo verrà in aiuto dei nani, nemmeno oggi.

 

I nemici sono dappertutto e Azog, l’inarrestabile orco pallido, troneggia sulle sue truppe, terribile ed inquietante come uno spettro implacabile.

Arrivano ad ondate, ricacciando indietro i nani, stremati dal lutto e dalla fatica.

 

Improvvisamente, rivede l’elfo femmina. Ha riposto i pugnali e tiene levata la spada, mentre sostiene un nano, gravemente ferito. Thorin trattiene il fiato nel riconoscere nel guerriero suo fratello minore, Frerin. Il sangue del suo sangue rende rossa l’armatura della giovane straniera.

 

 

 

Una volta raggiunte le fronde verdeggianti del bosco, l’armata nanica può fermarsi e riorganizzarsi.

 

Thorin crolla seduto su un vecchio ceppo, con un lungo respiro.

 

L’elfo femmina lo raggiunge, a passo leggero. La spada ticchetta delicatamente contro l’armatura e le rune brillano come frammenti di stelle. I suoi capelli sono lunghissimi, di un biondo tanto pallido da sembrare bianco. Sono serrati in una robusta treccia, che le si adagia sull’incavo della spalla.

 

- Sei venuta a farti beffe di noi, elfo femmina?- ringhia Thorin, vedendola avvicinarsi.

 

- Sono venuta a combattere.- ribatte lei, stringendosi nelle spalle - anche una sola lama è importante, quando se ne hanno poche a disposizione.-

 

- Da dove?-

 

- Dal Reame Boscoso. O da più lontano. E’ molto tempo che non ho una casa.-

 

- Allora sii la benvenuta, pellegrina.- il nano si volta, allungandole una mano - io sono Thorin.-

 

Lei sorride e i suoi occhi verde pallido, per un attimo, si addolciscono:- Niphredil.-

 

Si stanno stringendo la mano quando un guerriero, scuro in volto, si avvicina a Thorin. Ha la corazza ammaccata e lurida di sangue, fresco e rappreso. La sua voce vacilla solo per un istante, ma la sua espressione rimane salda e stoica.

 

- Mio signore…- dice, chinando il capo -… si tratta di vostro fratello. I nostri medici hanno tentato ogni cosa, ma le sue ferite sono terribili. Credo che presto si riunirà ai nostri avi.-

 

Niphredil non parla. Rimane in disparte, con le mani raccolte in grembo e gli occhi lontani. Sa che sarebbe inutile pronunciare parole di cordoglio, che suonerebbero ipocrite e retoriche dalle labbra di una straniera. Così tace, guardando Thorin senza vederlo.

 

Il nano lo sta conducendo verso uno spiazzo poco distante, dove i guaritori si affaccendano per arginare le perdite. L’odore del sangue è penetrante, eppure uno strano silenzio permea l’aria. I guerrieri feriti non gridano, né si lamentano. Qualcuno impreca, maledicendo gli orchi. Chi può ancora farlo sistema le armi o discute di strategia.

 

Frerin giace su una stuoia. Le sue ferite sono state bendate, ma il sangue ha già scurito le bende. Un filo scarlatto gli esce dalle labbra, perdendosi fra i ciuffi della barba.

Stringe le dita a pugno ed ogni respiro è un’agonia, ma il suo sguardo è ancora lucido.

 

Thorin s’inginocchia al suo fianco, toccandogli una mano.

 

- Un giorno - ansima Frerin - un giorno mi vendicherai. Un giorno banchetterai di nuovo nelle vaste sale sotto la montagna.-

 

Gli occhi di Thorin sono asciutti, privi di lacrime. Stringe la mano del fratello, sentendola gelida al tatto. La presa di Frerin è debole e bagnata di sudore freddo.

 

- Raggiungi con fierezza le case dei nostri antenati.- pronuncia.

 

Resta accanto al nano, anche se sa che il loro addio è compiuto e che non ci saranno altre parole.

 

Mentre il respiro di Frerin si fa più affannoso, Thorin cerca di ricordare la loro giovinezza, ad Erebor. I combattimenti, le canzoni, il fasto del regno sotto la Montagna. Ricorda il vigore di suo fratello, nelle battaglie combattute fianco a fianco, coprendosi le spalle a vicenda.

 

Pensa a loro sorella, Dìs, che non piangerà, perché la loro stirpe è forte e salda come la pietra.

 

Frerin esala un ultimo, doloroso sospiro, poi giace immobile, con gli occhi fissi al cielo plumbeo.

 

Thorin veglia sul cadavere per qualche minuto, racchiuso in un silenzio pieno di amari ricordi, poi permette agli altri nani di portarlo via e comporlo lontano dal campo di battaglia.

 

Se la stirpe di Thràin sopravvivrà, Frerin avrà gli onori funebri che merita.

 

 

 

Poco lontana, Niphredil si sente osservata, così si alza e s’inoltra nel folto della foresta.

 

Da qualche parte, oltre gli alberi, si cela il Mirolago dalle acque blu.

La giovane ne sente il profumo e il delicato sussurrare, nell’aria.

 

I suoi stivali non producono rumore sul tappeto di foglie e terriccio.

 

Il basso rumoreggiare del popolo nanico non si sente più, quando il verso di un animale attira l’attenzione di Niphredil. La guerriera oltrepassa due alberi secolari e si trova a guardare negli occhi un enorme alce, dal portamento nobile e dalle maestose corna.

 

I suoi occhi brillano di un’intelligenza profonda, molto più che umana.

 

- E tu cosa ci fa qui?- chiede Niphredil, dolcemente, accarezzando l’animale sul muso.

 

Una mano sottile ma forte le si serra al polso, mentre una voce sussurra, contro il suo collo:- la stessa cosa potrei chiedere a te.-

 

 

 

 

 

 

La Coda: - La Matta- è tornata!

Forse vi ricorderete di me (una volta mi chiamavano Chary) per le demenzialissime e ahimè incompiute “cronache di Andael”, che mi riprometto sempre di riprendere ma che andrebbero rimesse a posto da pagina uno, con un notevole lavoro di rielaborazione.

Consigli e critiche ben accette.

Sopratutti i recensori più pignoli sono i benvenuti, poiché provo grande stima per chi lima i dettagli.

Bene, detto questo spero che il prossimo capitolo sia vagamente più significativo di questo (e con meno nani morti, ma non posso promettere!)

Un bacio!

- La Matta-

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Capitolo 2
*** Niphredil ***


niphredil 2

Capitolo Secondo

Niphredil

 

 

Niphredil si volta, lentamente, mentre le dita affusolate ancora le cingono il polso.

 

Conosce quella presa, come conosce quella voce, resa fredda da un’eco di ostilità.

 

- Sire.- saluta, chinando il capo, perché di fronte a lei si trova Thranduil, signore del Reame Boscoso.

 

I suoi occhi azzurri sono pervasi dallo stesso gelo che Niphredil ricorda dal loro ultimo incontro.

 

- Ero pronto a perdonare il tuo animo irrequieto, a sorvolare sulle tue intemperanze e peregrinazioni. Eppure hai scelto di sguainare le armi in difesa del popolo nanico. Quale follia, quale malsano desiderio ti ha condotta fino a Dimrill Dale?-

 

- Ho scelto la via dell’esilio, mio signore.- ribatte la guerriera - il mio tempo è ora mio soltanto e non devo rendere conto a nessuno di come lo utilizzo.-

 

- Hai frainteso le mie parole.- la riprende Thranduil. La sua mano si serra con più forza al braccio di lei. La tira verso di sé, fino a parlarle direttamente sulle labbra:- ti ho offerto una scelta: l’obbedienza o l’esilio. Hai saggiamente deciso di chinare il capo, d’ingoiare l’orgoglio e di rimanere al mio fianco.-

 

- Era la scelta sbagliata.- ansima lei, con gli occhi pieni di rimpianto

 

- Giusto e sbagliato sono parole con cui aizzare o tacitare la tua coscienza. Dimentica il passato.- Thranduil abbassa la voce, respirando sulla bocca di lei - Torna a casa, Niphredil.-

 

Niphredil si morde un labbro, ma il suo sguardo rimane risoluto.

- Vorrei poterlo fare.- sussurra, sfiorando la guancia dell’elfo con una carezza - ma sarebbe un’altra scelta sbagliata. Eryn Galen (*) mi manca ogni giorno, da quando sono partita. Eppure…- indugia, per poi ritrarre la mano.

 

Thranduil sta per ribattere quando il rombo di un corno invade la radura.

 

- Sono i rinforzi.- sussurra Niphredil, voltandosi di scatto verso la fonte del suono - I nani dei Colli Ferrosi. La battaglia ancora non è perduta.-

 

Un’ombra oscura il volto dell’elfo:- e ora ti congederai da me nella lingua di Moria?- chiede, sarcastico - rinuncerai alla spada per brandire l’ascia bipenne?-

 

- Sarò sempre Niphredil di Eryn Galen, mio signore.- mormora la guerriera, indietreggiando - so che non è questa la risposta che sei venuto a cercare, così lontano dal Reame Boscoso, ma è l’unica che posso darti.-

 

Il corno nanico riecheggia di nuovo, accompagnato da un concitato vocio e dal rumore di migliaia di piedi in marcia, di armi sguainate, di respiri profondi prima della battaglia.

 

- Devo andare.- dice Niphredil.

 

Lentamente, Thranduil allenta la stretta sul suo braccio. La mano gli ricade contro il fianco.

- Tornerai.- pronuncia, gelido, ma Niphredil non capisce se è un desiderio o una minaccia.

 

- Namárië.- risponde, per poi sguainare la spada e correre, verso il folto del bosco.

 

 

Quando Niphredil abbandona le rassicuranti ombre del bosco, la battaglia già infuria.

 

I nani, rincuorati dai rinforzi, sono tornati alla carica e le truppe fresche dei Colli Ferrosi hanno sorpreso gli orchi, attaccandoli al fianco e togliendo loro ogni possibilità di movimento.

 

La pallida luce del sole squarcia le pesanti nuvole plumbee e i guerrieri fronteggiano compatti il nemico.

 

Su uno spiazzo roccioso, un nano dalla splendente armatura grida il nome di Azog in tono di sfida, chiamandolo vile mostro e codardo.

 

La sua voce tuona come la tempesta e le sue parole ribolliscono d’orgoglio e di rabbia, senza tradire alcuna debolezza, eppure il suo corpo è costellato di ferite ed una, peggiore delle altre, gli devasta il viso.

 

E poi Azog arriva.

Si avvicina a passo pesante, circondato dalle guardie della sua scorta.

I suoi occhi ardono come fuoco. L’enorme mazza solleva nuvole di polvere.

Ostenta una grande tranquillità, cammina fra gli scontri, ignorando i nemici.

 

Ha occhi solo per il nano in armatura e, quando lo raggiunge, emette un basso ringhio.

 

- Nàin dei Colli Ferrosi.- pronuncia, con il suono di uno sputo

 

- Colui che ti spazzerà via da questa terra, feccia!- ribatte il nano.

 

Niphredil cerca di raggiungerli, ma è perennemente circondata dagli orchi.

La brama di sangue elfico li rende ciechi e tracotanti.

I migliori riescono ad insultarla, prima che la spada della guerriera doni loro l’eterno silenzio.

 

- Pensavo fossi scappata, elfo femmina!- la sorprende, all’improvviso, la voce di Thorin.

 

- Scappata?- Niphredil lancia uno degli ultimi pugnali, conficcandolo nell’occhio di un orco - ho solo fatto una passeggiata.-

 

Un rumore assordante sovrasta lo stridore della battaglia.

Azog ha calato la sua mazza, colpendo il martello di Nàin.

L’arma del signore dei Colli Ferrosi giace a terra, frantumata, e il nano, carponi, lancia al nemico un’ultima maledizione, prima di chinare il capo, in attesa del colpo di grazia.

 

- Il tempo della tua gente è finito.- ringhia Azog, sollevando la mazza.

 

- Il mio unico rammarico è che non vedrò il giorno in cui un’ascia nanica ti staccherà dal collo quella disgustosa testa.- ribatté Nàin.

 

Poi la mazza dell’orco cala su di lui, fracassandogli il cranio.

Il re dei Colli Ferrosi muore in una pozza del proprio sangue, con un sorriso di scherno sulle labbra.

 

Accanto a Niphredil, un nano leva gli occhi al cielo e prorompe in un grido di dolore

- Padre!-

 

Il guerriero indossa un’armatura simile a quella di Nàin e, decapitato un orco che gli sbarrava la strada, corre verso il poggio roccioso, per inseguire Azog.

 

Thorin però è al suo fianco e gli afferra con forza il braccio, trattenendolo

 

- No, Dàin!- esclama, tirandolo indietro - si stanno ritirando! Quando lo raggiungerai sarà al centro del suo esercito, sotto le mura di Moria! Se lo segui, non farai ritorno!-

 

- Devo vendicare mio padre!- abbaia Dàin, il volto deturpato dall’odio e dalla sofferenza

 

- Ed io mio fratello.- ribatte Thorin, senza allentare la presa - ma pensi che loro desidererebbero lo stesso la vendetta, se il prezzo fosse la nostra morte certa? Il nostro popolo ha bisogno che i suoi condottieri siano ancora in piedi, alla fine di questo giorno di sangue!-

 

La sagoma di Azog è sempre più lontana, sta arretrando, mentre il suo esercito si divide per farlo passare. La sua guardia personale gli copre le spalle.

 

- Non m’interessa.- sbotta Dàin, alla fine - rimani tu indietro, se è questo che reputi giusto.-

 

Si divincola e si libera dalla presa di Thorin, per poi mettersi a correre verso l’odiato Azog.

 

- Maledetto testardo!- impreca il nano, inseguendolo.

Non gli permetterà di morire da solo, circondato da nemici ghignanti.

 

I due guerrieri hanno quasi raggiunto Azog, quando Thorin si accorge che Niphredil li sta seguendo.

La treccia le ondeggia alle spalle come un vessillo, la sua spada adamantina lancia bagliori.

 

- Non è la tua guerra, elfo femmina.- ansima, quando lei lo affianca - perché mi segui?-

 

La giovane si stringe nelle spalle. Lacera il collo di un orco, prima di ribattere, con un sorriso:- perché tu pensavi che sarei fuggita.-

 

 

 

 

(*) nome elfico del Reame Boscoso

 

 

La Coda!

 

Cavolo, avevo detto “basta nani morti”!

Ok, nani morti a parte (dal prossimo capitolo ci do un taglio, giuro!), grazie per essere giunti fin qui e spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Un bacio e auspicabilmente a presto!

- La Matta -

 

 

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Capitolo 3
*** La caduta ***


niphredil 3

Capitolo Terzo

La caduta

 

 

L’orco pallido si è accorto dei due nani che lo stanno inseguendo.

Li osserva, circondato da guardie scelte, con una smorfia disgustata.

 

- Non fuggire, codardo!- tuona Dàin.

 

Un fulmine squarcia il cielo, lacerando le pesanti nuvole grigie.

La pioggia inizia a cadere, gelida, penetrante, scivola nelle armature e s’insinua nelle ossa.

 

Gli orchi sono in rotta, ma Azog non riesce ad ignorare gli insulti e le sfide di Dàin.

 

Si rigira la mazza fra le mani, mentre l’adrenalina gli pompa il sangue nelle vene.

 

- Mostro schifoso! Verme che striscia nelle tenebre!- prosegue il nano dei Colli Ferrosi, aprendosi la strada verso di lui mulinando la possente ascia bipenne.

Thorin lo segue, in silenzio, distribuendo morte accanto a Niphredil.

 

Uno dei luogotenenti afferra il braccio di Azog, ma l’orco si riscuote con veemenza, ringhiando.

Il sottoposto indica Dàin, poi gli mormora qualcosa.

Azog lo percuote violentemente, con una bestemmia, per poi dirigersi verso i nani.

 

- Abbiamo attirato la sua attenzione.- dice Dàin, trionfante, aumentando la stretta sull’ascia.

 

Niphredil si volta verso Thorin, per dirgli qualcosa, ma un orco la carica prima che possa parlare.

 

Per evitarlo, la giovane si lascia cadere a terra, per poi colpirlo con un fendente all’inguine, attraverso la giuntura della corazza. Il nemico le si affloscia addosso.

 

Niphredil batte le palpebre. Di fronte a lei, immobile, il cadavere di un nano fissa il cielo, paralizzato nel rigore della morte. Il suo volto è deturpato da una tremenda ustione, vecchia di anni.

 

La guerriera si blocca, fissa la cicatrice come ipnotizzata.

 

Non appena si distoglie dal presente, i ricordi l’assalgono, la sommergono come un fiume in piena. La sua mente si riempie di grida, del rombo della pietra che crolla, dell’agonia di un popolo in fuga, abbandonato da coloro che avrebbero potuto portare aiuto.

 

E rivede sé stessa, nella sua magnifica armatura, coi capelli intrecciati di rami dalle gemme argentee. Ricorda il mantello che le scivolava sulle spalle e il peso della spada lunga nel fodero.

 

Ricorda Thranduil sulla sua cavalcatura, gli occhi gelidi che squadravano con superbia i nani.

 

 

Un nano si era voltato verso di loro, gridando aiuto, gesticolando.

Il suo sguardo era pieno di dolore. La sua gente combatteva valorosamente.

Ma moriva in fretta.

 

- Mio signore - aveva detto lei, voltandosi verso il suo re - possiamo scendere da quest’altura ed attaccare i nemici sul fianco. La città è persa, tuttavia…-

 

Thranduil aveva sollevato un braccio, per farla tacere:- No, Niphredil. Non intendo rischiare la vita del mio popolo per proteggere coloro che più volte hanno ignorato gli avvertimenti. Ordina la ritirata.-

 

Lei l’aveva guardato, confusa:- non possiamo abbandonarli.- aveva protestato, debolmente

 

- Il mio capitano ha il cuore tenero, dunque.-

 

- Penso che la morte sia un prezzo troppo alto da pagare, per non averti prestato ascolto.-

 

Thranduil aveva scosso il capo:- mi rimproveri per non voler rischiare la vita della nostra gente?-

 

Niphredil ricorda ogni istante di quella conversazione. Ricorda l’espressione sul volto del suo re, la sua bellezza distaccata, il gelo nei suoi occhi, mentre osservava lo sterminio della gente di Dùrin.

 

L’aveva guardato, quel giorno, come se lo vedesse per la prima volta.

 

- Non rimarrò qui a guadarli morire.- aveva esclamato, risoluta

 

- Ti ho ordinato di comandare la ritirata, capitano.- aveva ribattuto Thranduil. La sua voce era gelida ed autoritaria, i suoi occhi bruciavano di fuoco freddo.

 

- Ordinala tu, mio signore. Io vado ad aiutarli.-

 

Thranduil l’aveva guardata, in silenzio, per un lunghissimo istante.

 

- Sai che non tollero l’insubordinazione, Niphredil.- aveva detto - ma mi hai servito bene, e per molti secoli - la sua mano aveva sfiorato quella di lei. La sua pelle era morbida e perfettamente liscia.- Non voglio perderti, né doverti costringere.-

 

- Ed io non voglio mettere in dubbio i tuoi ordini, mio signore, poiché ne ho sempre riconosciuto la saggezza e la lungimiranza.- aveva mormorato Niphredil - ma ti prego, non costringermi a voltare le spalle ad un intero popolo che muore.-

 

- Ordina la ritirata.- aveva sillabato lui, con una luce implacabile nello sguardo

 

- Non posso.-

 

- Allora la strada si biforca davanti ai tuoi occhi. Ordina la ritirata e torna ad Eryn Galen con me. Ritorna alla tua vita, al tuo posto ed io dimenticherò questa conversazione. Oppure continua a contestare, intestardisciti pure su una posizione indifendibile, e sappi che la tua punizione sarà l’esilio. Ribellati e nulla sarà più come prima, né ti sarà concesso di fare ritorno alla tua patria. Sei stata un abile comandante e una compagna fedele dei miei giorni… ma non rischierò la vita della nostra gente solo per tenerti presso di me.-

 

Niphredil aveva socchiuso gli occhi, pallida come la morte.

 

- Io…- aveva cercato di protestare, ma la voce le si era strozzata in gola. Le sue labbra si erano mosse e, in un battito di ciglia, lei aveva preso la sua decisione - obbedisco, mio signore.-

 

Thranduil aveva sorriso, sollevando la mano di lei fino al proprio viso.

Le aveva posato un leggero bacio sul palmo aperto, per poi mormorare:- apprezzo i tuoi ideali e la tua compassione per la stirpe di Dùrin, ma stimo maggiormente l’umiltà della tua sottomissione. Come promesso, dimenticherò questa conversazione e un giorno, ne sono certo, comprenderai le ragioni del mio ordine.-

 

Niphredil aveva annuito. Ma non aveva mai compreso.

 

 

- Muoviti, elfo femmina!- esclama Thorin, scuotendola per un braccio - in piedi!-

 

Malferma sulle gambe, Niphredil si rialza. Trafigge un orco con la spada e il suo sangue nerastro le macchia la guancia pallida, riportandola alla realtà.

I ricordi si affievoliscono, il senso di colpa le dà momentaneamente requie.

 

Poco lontano, Dàin sta combattendo furiosamente, contro Azog.

 

Thorin ha ucciso un membro della sua guardia personale e sta per fronteggiarne altri tre, sopraggiunti per aiutare il loro comandante.

 

Di nuovo lucida, Niphredil si affianca al nano, attirandone due su di sé.

Thorin ne abbatte uno, che gli ha stupidamente voltato le spalle, accecato dal richiamo del sangue elfico e dalla dolorosa luce che le armi della giovane emanano.

- Bel colpo.- soffia Niphredil, con un sorriso

 

Lui annuisce. Non risponde al sorriso, ma i suoi occhi s'illuminano di un bagliore compiaciuto.

L'elfo femmina gli piace sempre di più.

 

Uccidono insieme le ultime guardie scelte, poi scattano verso Azog.

 

In quel momento, l'orco pallido colpisce Dàin con la sua mazza. Il nano barcolla, poi si accascia al suolo, col viso coperto di sangue. Cerca di rialzarsi, ma perde i sensi.

 

- La feccia nanica è più debole di quanto ricordassi.- lo schernisce Azog, ergendosi trionfante sul nano svenuto. Prima che l'orco possa sferrare il colpo decisivo, però, Thorin gli si avventa contro, gridando. Lo colpisce al torace, ammaccandogli il pettorale della corazza.

 

- Occupati degli altri!- urla Thorin a Niphredil, prima che la guerriera lo raggiunga – Bada che nulla capiti a Dàin!-

 

- E tu cerca di non farti uccidere, nano.- ribatte la giovane.

Il suo tono sembra leggero, ma è pervaso da una nota di preoccupazione.

 

Azog solleva la mazza e la cala su Thorin, che però riesce a schivare il terribile fendente.

 

Mentre lo guarda combattere, tenendo testa alle confuse ondate di orchi in ritirata, Niphredil lo riconosce. E' il nano che invocava aiuto, durante la battaglia di Erebor. I suoi lineamenti sono incredibilmente più stanchi, invecchiati dagli affanni e dalle amarezze, ma i suoi tratti forti e volitivi sono inconfondibili, marchiati a fuoco nella memoria della giovane.

 

I suoi profondi occhi scuri rispecchiano l'angoscia e la rabbia di quel giorno.

 

- Mi dispiace.- sussurra Niphredil, senza nemmeno accorgersene.

 

E' sempre un'agonia, ripensare a quel giorno. Conosce tutte le emozioni che il ricordo le provoca. Il dolore, il senso di colpa, l'impotenza, la rabbia… eppure non prova odio. Vorrebbe poterlo fare, ma non ci riesce. Ha sognato centinaia di volte di essere scesa da cavallo e di aver combattuto coi nani. Ha sognato di morire davanti ad Erebor, ha sognato di sopravvivere. Ha sognato persino di aver salvato la città. Ma non ha mai sognato di colpire Thranduil.

 

Apre la gola di un orco, mentre una lacrima le brucia l'angolo dell'occhio, senza però scendere.

 

Non riuscirà mai ad odiarlo.

Non dimenticherà mai la sensazione delle sue mani sui propri capelli, il sapore dolceamaro dei suoi baci, né potrà la sofferenza offuscare i secoli trascorsi al suo fianco, onorando il suo coraggio e la sua rettitudine.

 

Non dimenticherà la battaglia di Erebor, ma non dimenticherà nemmeno gli anni che l'hanno preceduta, i lunghi giorni passati sotto le fronde del Reame Boscoso, a guardare la fulgida luce delle stelle.

 

Infila un pugnale nell'occhio di un altro nemico, poi un rumore assordante la distoglie dal massacro.

Thorin è a terra. Lo scudo infranto giace a pochi passi.

 

Azog ringhia, sollevando la mazza.

 

Il tempo sembra rallentare.

Niphredil si rende conto di essere troppo lontana, di non poterli raggiungere.

Scaglia il pugnale che ha in mano, ma Azog quasi non se ne accorge.

 

- Thorin!- geme la giovane, correndo comunque in quella direzione.

Sa che è perfettamente inutile, ma sa anche che è sbagliato che i Valar le abbiano fatto rincontrare quel nano solo per farlo morire davanti ai suoi occhi.

 

Azog cala la mazza, ma Thorin afferra un grosso ramo di quercia e lo usa per assorbire il colpo.

Con un basso ringhio di dolore si rialza, afferra la spada e colpisce l'orco, tranciandogli di netto il braccio. Il comandante nemico grida, stringendosi il moncherino con le dita già lerce di sangue.

Sembra meno immenso, meno inarrestabile.

 

Altri orchi accorrono. Sostengono Azog, caduto in ginocchio per il dolore accecante.

 

Niphredil ne abbatte uno, lanciando l'ultimo pugnale, ma gli altri riescono a raggiungere indenni le retrovie dell'esercito, rintanandosi nelle cupe ombre di Moria.

 

L'orco pallido lancia un ultimo sguardo a Thorin, uno sguardo feroce, di puro odio, poi si accascia fra le braccia dei suoi subordinati, grugnendo bestemmie.

 

- Mi ero quasi preoccupata per te, nano.- scherza Niphredil

 

- Ancora non mi conosci, elfo femmina.- ribatte lui, ruvido, ma i suoi occhi sorridono.

 

- Spero che, per questo, ci sarà tempo.-

 

- Perché sei qui?- insiste Thorin, lanciandole uno sguardo penetrante ed inquisitore – perché un elfo combatte le battaglie dei nani?-

 

- Offro una spada al tuo popolo. Una buona spada. Non ti basta?-

 

- No.- risponde il nano – ma hai combattuto bene, e oggi hai la mia gratitudine. Per questo, non ti chiederò altro.-

 

- Grazie.- annuisce Niphredil – spero che un giorno ci fideremo abbastanza uno dell'altra per essere sinceri. Fino a quel momento – ripone la spada, con un sibilo delicato – sarà un piacere combattere per te – con un sorriso, accenna al massiccio ramo ai piedi del nano – Thorin Scudo di Quercia.-

 

 

 

 

La Coda!

 

Evviva, un capitolo senza nani morti!

(cioè, no, i nani morti ci sono, ma almeno non hanno un nome, un background e dei parenti a cui ci siamo affezionati!)

Volevo ringraziare tutti quelli che hanno recensito (vi siete moltiplicati dal primo capitolo… me felice!) e che hanno messo la storia nei preferiti/ricordati etc. … il vostro supporto è essenziale, davvero grazie mille!

 

A presto e un grande bacio!

- La Matta -

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Capitolo 4
*** Il Mirolago ***


niphredil 4

Capitolo Quarto

Il Mirolago

 

 

 

La battaglia è finita.

 

Lo sguardo di Niphredil vaga sulla piana sterminata, dove i nani hanno eretto le pire, per celebrare i loro caduti. La mano della guerriera continua a scivolare sulla lama della spada, pulendola, con uno straccio, dal sangue degli orchi.

 

Tace, lasciando i nani al loro cordoglio.

 

Li osserva, in silenzio. E’ partecipe del loro dolore, ma è una sensazione marginale, ovattata,una malinconia remota, più che una sofferenza tanto vicina e atroce.

 

Poco lontano un’enorme colonna di fumo nero si alza verso il cielo, levandosi dalla pira di Frerin, figlio di Thrain, della stirpe di Dùrin.

 

Oltre le fiamme, gli occhi di Niphredil incrociano quelli di Thorin, che veglia sull’ultimo viaggio del proprio fratello. La sua espressione dura non lascia trasparire alcuna emozione, a parte una sorda determinazione e una rabbia sopita, che attende di ridestarsi.

 

Non è mai stata così a stretto contatto con il popolo nanico ed è sorpresa dall’aura di forza e di solidarietà che avvolge i sopravvissuti, la luce che brilla nei loro occhi e che sembra promettere al mondo che non ci sarà resa, che non ci sarà un’altra sconfitta e che, un giorno, loro rivedranno le vaste sale in cui i loro antenati hanno vissuto e brindato, beandosi del riflesso dell’oro e della serenità della pace.

 

- Sai, figliola, non sei costretta a rimanere.- la sorprende una voce, roca ma gentile.

 

Davanti a lei c’è un nano dalle folte sopracciglia e dalla lunga barba grigia, screziata di bianco.

 

- Thorin mi ha raccontato di te - prosegue, per poi accennare al tronco d’albero:- ti spiace se mi siedo un attimo?-

 

Niphredil lo guarda, momentaneamente spiazzata, ed annuisce:- naturalmente.-

 

- Io sono Balin - si presenta lui, tendendole una mano. Il suo tono è cordiale e la sua stretta è calda e forte - so che le tue intenzioni sono nobili, ma tempi poco piacevoli attendono il popolo dei nani. Sei ancora in tempo per sottrarti al nostro esodo ed al nostro rimpianto, per la patria perduta.-

 

Niphredil si stringe nelle spalle:- ho quasi seimila anni.- mormora poi, assorta - ho combattuto nella Guerra dell’Ultima Alleanza e ho visto morire il mio re.- si volta, guardando Balin nei profondi occhi castani - i giorni oscuri non mi spaventano.-

 

- Qualcuno direbbe che questo non è il tuo posto - riprende il nano, sollevando una mano per bloccare un’eventuale replica - ma io non sono fra questi. A volte l’orgoglio fa esprimere giudizi affrettati, ed è un errore in cui cerco di non cadere.-

 

- E’ molto saggio, da parte tua - risponde Niphredil.

Si aspettava tante cose, ma non che un nano la facesse sentire la benvenuta.

 

- Cosa farete, ora?- domanda poi, in un soffio. I suoi occhi si posano sulla strada polverosa, che si allontana da Moria per poi svanire, all’orizzonte - Dove andrete?-

 

- Non lo so - ammette Balin, allargando le braccia - ma seguiremo Thorin e suo padre. Oggi hanno dimostrato che la stirpe di Dùrin non è stata privata della sua forza e noi dimostreremo loro che le genti naniche non hanno perduto la loro lealtà.-

 

- Grazie per le tue parole, amico mio.- la replica di Thorin giunge inattesa, ma fa sbocciare un sorriso sulle labbra chiare di Niphredil.

 

Il principe è in piedi, alle loro spalle. Le sue ferite sono state medicate e si è tolto l’armatura. La camicia bianca è madida di sudore e ancora sporca di sangue.

 

- Dobbiamo essere un’accoppiata ben strana, da vedere - interviene Balin, rompendo il silenzio - l’elfa ed io. Perdonami, ma temo di non conoscere ancora il tuo nome.-

 

Niphredil dischiude le labbra per rispondere, ma Thorin la precede.

- Niphredil.- dice, pronunciando il suo nome per la prima volta - si chiama Niphredil.-

 

La guarda negli occhi per un istante che sembra interminabile, poi batte una mano sulla spalla di Balin e si rivolge al vecchio amico

- Vieni, mio padre vuole parlare a tutti.-

 

Il nano scuote il capo, con un sospiro stanco:- sappiamo entrambi quello che desidera proporci, e sarà uno spiacevole onere rammentargli i motivi per cui non possiamo appoggiarlo.-

 

- Cionondimeno - replica Thorin, impassibile - ascolteremo.-

 

Niphredil tace, conscia che mai i nani permetteranno ad una straniera di presenziare alle loro assemblee e che, in ogni caso, la sua voce verrebbe subito ridotta al silenzio ed ignorata.

 

Eppure, inaspettatamente, Balin si volta verso di lei: - Qualche consiglio?-

 

- Non permettete che sia il dolore a guidare le vostre decisioni - replica lei - la vostra patria è perduta e Khazad-dum vi sarà ostile. Non fatevi accecare dal desiderio di riconquistare le Miniere, perché la vendetta sugli orchi ha avuto un prezzo altissimo e, forse, una dimora meno ambiziosa potrebbe dare riposo al vostro popolo.-

 

- E’ un saggio consiglio - approva il nano, con un cenno del capo - di cui ti ringraziamo.-

 

Niphredil sorride:- sono certa che già conoscevate i rischi contro cui vi ho messi in guardia -

 

- Vieni, Balin - la interrompe Thorin - non intendo tardare ulteriormente.-

 

Balin si alza in piedi, con uno sbuffo, ed annuisce:- ebbene, io ti seguo.-

 

Mentre si allontanano, però, stringe il braccio di Thorin e lo guarda con occhi caldi, paterni, a cui non si può mentire.

- Non giudicare un intero popolo per la condotta di alcuni dei suoi membri.- gli dice, ottenendo in cambio uno sguardo inflessibile.

 

- Non è questo, che faccio.- replica il principe - ma troppe volte la mia fiducia è stata infranta, perché io la conceda tanto facilmente.-

 

 

 

Mentre i nani discutono accanitamente, chi sostenendo la riconquista di Moria, chi preferendo partire, alla ricerca di una nuova patria, lontana dal temuto Flagello di Dùrin, Niphredil si toglie la corazza e, dopo averla pulita da ogni traccia di sangue e polvere, torna verso il bosco, per cercare pace fra le sue verdi fronde.

 

Passeggia all’ombra dei maestosi alberi, allontanando ogni pensiero.

 

L’ombra della battaglia scivola silenziosamente via dai suoi lineamenti, i suoi muscoli si rilassano e, per un attimo, ogni cosa sembra distante, ogni preoccupazione remota.

 

E’ dalla caduta di Erebor che sul suo corpo non discende una simile pace.

 

I suoi passi la conducono fino alle rive del Mirolago. Le acque scure lambiscono la dura roccia e le felci selvatiche sono cresciute rigogliose, sulle sue sponde.

 

Si china, e lo onde le restituiscono la sua stessa immagine.

E Niphredil si rivede vent’anni prima, impavida e orgogliosa.

In groppa ad un destriero candido, vestita con un’armatura che sembrava d’argento, tanto più simile ad un giovane e sprezzante condottiero umano che ad un’elfa millenaria.

 

Distoglie lo sguardo dal riflesso, intravedendo un’ombra, dietro di sé.

 

- Mi stavo chiedendo quando ti saresti accorta della mia presenza - la saluta la voce di Thranduil.

 

Niphredil non si volta, ma affonda una mano pallida nelle terse onde del Mirolago. Un brivido di freddo le risale il braccio, mentre la sua immagine riflessa scompare e si ricompone.

 

- Perché sei rimasto, mio signore?- domanda, sottovoce, rimirando le increspature dell’acqua.

 

- Hai combattuto a Nanduhirion (*) la guerra che non hai combattuto ad Erebor.- risponde lui, come pronunciando un’ovvietà - una battaglia per una battaglia. Hai saldato il tuo immaginario debito con la stirpe di Dùrin e dunque quest’esilio autoimposto può avere fine.-

 

- Avevi ragione - sussurra Niphredil, mentre un soffio di vento le spinge indietro i capelli - quando siamo arrivati, la città era perduta. Il nostro sacrificio non avrebbe fatto differenza. Qualche nano sarebbe scampato alla morte per poi precipitare nel baratro della fuga e dello spasmodico desiderio di vendetta.- si alza in piedi e, con grazia, si alza anche la sua immagine riflessa - avevi ragione, ma io non potevo accettarlo.-

 

La mano di Thranduil le cinge il polso, costringendola con delicatezza a voltarsi verso di lui.

 

- E’ compito di un re considerare ogni conseguenza, soppesare le forze in gioco, perché dalle sue azioni dipendono le sorti del suo popolo.-

 

Niphredil annuisce, prendendo il viso di lui fra le mani:- io non ci riesco - ammette, con un pallido sorriso - io non vedo alcun bene superiore, vedo solo la sofferenza di quell’attimo. Se la mia spada può arginarla, anche solo per un istante, non riesco a trattenermi dall’estrarla. Cinquemila anni non mi hanno portato saggezza, ma solo uno sconsiderato idealismo.- 

 

- Il tuo discernimento ti rende onore - mormora Thranduil, socchiudendo gli occhi mentre le mani di lei gli sfiorano le guance.

 

- Il mio discernimento non mi dà pace - lo corregge lei, mestamente - ti prego, non chiedermi di fare ritorno. Per amore, ti obbedirei, ma poi i miei giorni diventerebbero cupi e la mia coscienza mi priverebbe del sonno. Permettimi di placare questa sete che mi divora. Lasciami vedere le genti di Erebor vivere in pace, in una nuova dimora, prima di tornare alla mia.-

 

- Due decenni sono trascorsi, dalla battaglia di Erebor - sospira Thranduil - due decenni in cui ti ho vista appassire. Hai rinunciato ai tuoi doveri, trascurato i tuoi affetti… tanto che dubitavo tu fossi ancora la compagna dei miei giorni…- abbassa la voce, parlando in un sussurro, sulle labbra di Niphredil - se il tuo animo non può trovare pace altrimenti, allora va’. Non tenterò più di trattenerti.-

 

- Ieri m’eri parso d’un altro avviso, mio signore.- mormora l’elfa, memore dello sguardo gelido con cui l’aveva congedata, chiedendole con disprezzo se l’avrebbe salutato nella lingua di Moria.

 

- Ieri non mi avevi esposto le tue ragioni.- replica Thranduil - ieri la tua fuga era un capriccio, un’insensata ribellione. Ieri ignoravo le tue angosce e il tuo dolore.-

 

Improvvisamente, la stringe a sé, per posarle una bacio sulla fronte:- se il prezzo per riportarti ad Eryn Galen è la tua infelicità, io non intendo pagarlo.-

 

Una morsa serra le sue fauci sul cuore di Niphredil.

Non si aspettava che Thranduil comprendesse le sue motivazioni, né che le permettesse di proseguire, nella sua ricerca di redenzione.

 

Ed ora che gli ha parlato, che gli ha confidato quelle angosce che per tanto tempo ha tenuto per sé stessa, ora le sembra una sofferenza indicibile, separarsi da lui.

 

- Grazie - sussurra, commossa, sciogliendosi a malincuore dall’abbraccio del suo re.

 

- Eryn Galen attenderà il ritorno del suo comandante - promette Thranduil, asciugando la lacrima argentea che riga la guancia di Niphredil - ed io quello della mia compagna.-

 

 

 

 (*)Nanduhirion: nome elfico di Dimrill Dane/Azanulbizar, cioè sempre la spianata davanti ai cancelli di Moria.

 

---La Coda!!

 

Oh, qui servirà una Coda bella lunga.

Punto 1: Innanzitutto, volevo ringraziare Kano_Chan per il supporto e Kanako91 che, senza saperlo, mi ha fatto rivalutare la storia. Ho preso un respiro profondo, ho letto l’appendice di Tolkien dove si parla della battaglia di Azanulbizar (ho sempre dei dubbi quando scrivo questo nome XD) e ho avuto una vera e propria folgorazione. Fra l’altro oggi dovevo studiare procedura… e invece ho riscritto Niphredil!

Punto 2: vi state chiedendo “chi è costei e che ne ha fatto di Niphredil?” oppure state iniziando a sospettare che soffra di schizofrenia? Ebbene no, niente di tutto questo. Solo che nella suddetta rivisitazione ho rivisto la sua psicologia. Spero di aver “assorbito” il cambiamento, così da non renderla troppo diversa dai primi tre capitoli, ma se non ci fossi riuscita, fatemelo notare J

Punto 3: c’era un punto 3, ma l’ho dimenticato.

Punto 4: se qualcuno ha letto il “vecchio” capitolo 4, ricorderà un salto temporale. Ebbene, ho soppresso quel salto temporale. Non mi piaceva neanche un po’.

 

Un grande bacio a tutti e spero di poter continuare questa storia senza ulteriori intoppi!

 

A presto!

 

- La Matta -

 

P.S.: ah, sì, ecco qual’era il punto 3. Vi prego, ditemi se Thranduil (o altri personaggi, ma soprattutto lui) finisce nell’OOC. Mi sono tormentata su quella scena per ore.

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Capitolo 5
*** Esuli ***


niphredil 5

Capitolo Quinto

Esuli

 

 

Thràin si alza in piedi, prendendo la parola.

 

Ha combattuto con vigore nella battaglia di Azanulbizar. L’odio e la brama di vendetta hanno temprato il suo corpo e hanno smorzato il dolore per le ferite. Per tutto lo scontro, Thràin ha avuto fermo nella mente il ricordo di suo padre, ucciso da un vile orco, e del suo cadavere, oltraggiato e decapitato. Ricorda il nome di Azog inciso sulla nobile fronte del re dei nani.

 

Prende un respiro profondo, scacciando quei pensieri.

 

Azog vive ancora, ed ogni suo respiro è un insulto, ma vive menomato e sommerso nella vergogna ed è dovuto fuggire, per aver salva la vita. Questa riflessione conforta l’animo di Thràin e gli permette di concentrarsi su più immediate questioni, come la condotta del suo popolo.

 

I sopravvissuti, dopo aver bruciato i loro caduti, si sono riuniti davanti alle porte di Moria, per sedere a consiglio ed interrogarsi sul futuro.

 

Thràin si erge davanti a tutti. Una benda gli fascia metà del viso, dove l’arma di un orco ha scavato una profonda lacerazione, depredandolo di un occhio.

 

Ha subito una grave ferita anche alla gamba e parla agli altri nani sostenendosi con una rudimentale stampella, eppure la sua voce è quella alta e imperiosa che si addice ad un re.

 

- Abbiamo vinto.- esordisce - una vittoria amara, ma nondimeno una vittoria, ottenuta con la forza dei nostri animi ed il sacrificio dei nostri compagni! E’ tempo di rivendicare il nostro premio! Khazad-dum è libero, pochi orchi presidiano ancora le sue sale! Riprendiamoci ciò che un tempo era nostro! Serriamo le fila, spalanchiamo le Porte e facciamo ritorno alle dimore dei nostri avi!-

 

- Non dovremmo gettarci in una simile impresa - replica Balin, facendosi avanti - ritengo che troppo cara sia stata questa vittoria, troppe giovani vite siano state stroncate. I nostri figli non festeggeranno questo giorno come un trionfo, né noi dovremmo essere tanto bramosi di conquista - scuote il capo, mentre l’unico occhio di Thràin lo scruta.

 

- Non intendo portarvi ad una nuova battaglia!- replica il re, risentito - ben scarsa resistenza incontreremmo a Khazad-dum, poiché i cadaveri degli orchi disseminano il campo innanzi a noi!-

 

- Non è degli orchi, che dovremmo preoccuparci.- interviene una voce.

 

Dàin, con un braccio stretto in fasce bianche, avanza, fino a fronteggiare Thràin.

 

E’ molto più giovane di lui, eppure i suoi occhi riflettono una profonda saggezza, ora che la sua mente è tornata lucida, dopo l’ira e il lutto.

 

- Al di là del Cancello, l’ombra è in agguato!- riprende, voltandosi verso gli astanti - Il Flagello di Dùrin è in attesa, pronto a dilaniare le nostre carni e a devastare quel che resta del nostro popolo! Lunghi anni dovranno passare, prima che le genti di Dùrin possano varcare di nuovo le soglie di Moria e sarebbe follia sfidare ora un potere tanto grande ed oscuro!-

 

I nani tacciono, colpiti. Alcuni borbottano. Balin annuisce impercettibilmente col capo, approvando e condividendo le parole del giovane signore dei Colli Ferrosi.

 

Thorin vede suo padre combattere contro sé stesso, contro l’ira, la frustrazione, la tentazione di ignorare gli avvertimenti e di insistere, per riconquistare almeno il reame di Khazad-dum, dopo la terribile perdita di Erebor. Vede il suo unico occhio avvampare, le sue mani chiudersi a pugno, le nocche sbiancare per la forza della sua stretta.

 

Eppure, alla fine, Thràin emette un lungo sospiro e tutta la stanchezza degli ultimi anni sembra piombargli all’improvviso sulle spalle.

 

- Ti ringrazio, Dàin dei Colli Ferrosi - pronuncia - le tue parole sono veritiere e il tuo avvertimento verrà senza dubbio ascoltato.-

 

Thorin, accanto a suo padre, annuisce gravemente.

 

Sa che varcare i cancelli di Moria significherebbe un massacro, per la sua gente, eppure l’alternativa lo sgomenta ancora di più. Perché l’alternativa è partire.

Lasciare i profili familiari di un regno che avrebbe dovuto essere loro, per ritornare sulla strada, per essere ancora una volta profughi, pellegrini, senza una patria.

 

- Preferirei morire oggi - sussurra, fra sé - piuttosto che vivere altri cent’anni da esule.-

 

- Fortunatamente, non ti si chiede questo.- mormora la voce roca di Balin, al suo fianco - ripartire può sembrarti una grave condanna, ma solo perché ancora non puoi scorgere la fine del viaggio. La sofferenza di oggi permetterà a te e a tuo padre di guidarci verso una nuova dimora, dove non rimpiangeremo ciò che abbiamo perduto.-

 

- Come fai a saperlo?- domanda Thorin, asciutto, mentre il dubbio oscura i suoi occhi.

 

Balin si stringe nelle spalle:- non lo so - ammette - ma confido che lo spirito non verrà mai meno alla gente di Dùrin. Non mendicheremo ricovero e ausilio, ma con fiducia e valore creeremo una nuova patria per noi, e per i nostri discendenti.-

 

Thorin annuisce, apparentemente rinfrancato da quelle parole, eppure in cuor suo sa che non troverà pace, finché i suoi passi non lo riporteranno ad Erebor.

 

 

 

Ormai la sera è scesa, ammantando di tenebra la spianata davanti ai cancelli di Moria.

 

Niphredil rientra dal bosco, con gli occhi umidi ma il cuore più leggero, mentre i nani stanno accendendo dei grandi falò, per illuminare il rudimentale accampamento.

 

Incontra Balin e Thorin mentre, assieme ad altri nani, stanno preparando il fuoco.

 

- E’ l’ultima notte che passiamo all’ombra di queste mura - sta dicendo Balin - è un peccato doverci separare dai nostri fratelli dei Colli Ferrosi, eppure posso comprendere il desiderio di Dàin. Una città, per quanto fiorente, non si governa da sola e la sua gente ha bisogno della sua guida - batte una pacca sulla spalla di un altro nano, notevolmente più giovane - e tu, si può sapere chi ti ha insegnato a preparare un falò? Con tutte queste sterpaglie il fuoco non attecchirà mai!-

 

- Oh - il nano si gratta la testa, perplesso - un’obiezione sensata.- ammette, mentre un sorriso disarmante si allarga sulle sue labbra.

 

- Non fare lo spiritoso!- lo riprende Thorin, incrociando le braccia sul petto - e vai a cercare della legna asciutta. Questa non va bene.-

 

- Vado!- annuisce lui, voltandosi di scatto e quasi sbattendo contro Niphredil, ferma alle sue spalle.

 

- Per la mia barba!- ansima, sorpreso, guardando l’elfa e sgranando gli occhi

 

- Ma quale barba, ragazzo!- lo schernisce un altro nano, con il volto completamente ricoperto da una rigogliosa barba rossa, abbellita da piccole trecce, tenute ferme da cilindri di metallo scuro.

 

- Oh, mia cara!- esclama Balin, appoggiando i ciocchi di legno per andare incontro a Niphredil - ci domandavamo dove fossi finita! L’assemblea è terminata e domattina ripartiremo, per tornare sulla via per il Dunland. Temo che ci attendano lunghe peregrinazioni, ma stanotte non dobbiamo angosciarci per il futuro, ma recuperare le energie per affrontarlo saldi e preparati!-

 

- Ma com’è possibile recuperare le energie senza una buona birra e delle consistenti scorte di maiale salato?- borbotta il nano fulvo, con aria contrariata.

 

- Costui dalle cui labbra senti uscire cotanta saggezza…- prosegue Balin, con un sorrisetto - è Glòin, figlio di Gròin, valente guerriero ed ancor più valente estimatore di birra! Mentre il giovanotto che ti ha quasi travolta risponde al nome di Arin.-

 

- E’ un piacere conoscervi - sorride Niphredil, portandosi una mano al petto e chinando il capo - io sono Niphredil di Eryn Galen e ho posto la mia spada al servizio del vostro comandante.-

 

- Un mercenario? E per di più elfo?- esclama Glòin, contrariato - che storia è questa?-

 

- Una storia che ti verrà narrata al momento opportuno - lo zittisce Thorin.

 

Niphredil lo guarda, sorpresa. Si aspettava di dover rispondere a domande incalzanti e invece le parole di Thorin le hanno dato respiro, offrendole la possibilità di attendere, prima di rivelare la sua storia e le sue motivazioni.

 

- Posso essere d’aiuto, in qualche modo?- si offre, cercando di cambiare argomento.

 

- Certo, cara, certo.- annuisce Balin - potresti procurarci della…-

 

-… birra!- lo interrompe Glòin, facendo ridere il resto della compagnia

 

-… della legna.- completa il nano più anziano, scuotendo il capo - questa è troppo verde e non vorrei che finissimo tutti affumicati prima del mattino!-

 

 

 

Le urla disumane di Azog riempiono la notte, facendo tremare le foglie degli alberi.

 

Gli orchi sopravvissuti alla battaglia di Azanulbizar sono fuggiti sulle Montagne Nebbiose, mettendo le tumultuose acque dell’Argentaroggia fra sé e l’esercito dei nani, con l’intento di marciare verso nord, per riunirsi ai loro simili, sul monte Gundabar.

 

Il moncherino di Azog è stato pulito e medicato, ma questo non ha impedito alla ferita di infettarsi. Pus giallastro impregna le bende, mentre la febbre e la sofferenza accecano l’orco pallido.

 

Bolg, suo figlio, monta la guardia davanti alla tenda dove langue il comandante, ascoltando le sue bestemmie ed i latrati di dolore.

 

Ad un tratto, con un grido più forte degli altri, Azog ordina al figlio di entrare.

 

Nella tenda, l’odore è penetrante e persino Bolg non riesce a trattenere una smorfia disgustata.

 

- La feccia nanica - ansima l’orco pallido, cercando di sollevarsi a sedere - deve pagare per questo.-

 

Bolg cerca di non fissare il moncherino fasciato, tutto ciò che resta del forte braccio con cui Azog brandiva la mazza. Più lo guarda, più si rende conto di quanto inutile sia divenuto suo padre, un ostacolo per l’esercito, non più un comandante.

Eppure i suoi occhi riescono ancora ad incutere rispetto e sono forse l’unica cosa a trattenere Bolg dal soffocare l’orco ferito con le proprie mani, per porre fine alla sua agonia e per sgravare l’esercito del suo fardello.

 

- Abbiamo ancora un corvo?- geme Azog, strappandolo a quelle riflessioni

 

- Un corvo?- ripete Bolg, perplesso

 

- Invia un messaggio a Sinag, sul Gundabar.-

 

Bolg reprime una smorfia. Il comandante del Gunbadar gli è inviso, a maggior ragione per l’amicizia che lo lega a suo padre.

- Perché?- chiede, torvo

 

- Il perché non deve riguardarti!- ruggisce Azog, riuscendo finalmente a sollevarsi.

Per un attimo i suoi occhi bruciano come fuoco, poi una nuova ondata di agonia lo travolge, spezzando il suo impeto, privandolo del respiro e della forza.

 

L’orco pallido si accascia di nuovo sullo scomodo giaciglio:- digli solo…- ansima, mentre il suo mondo vacilla -… digli che è tempo di suonare il Corno della Furia. E’ tempo.-

 

- Il Corno…- Bolg tentenna, sentendo menzionare l’antico manufatto, tramandato dai suoi antenati fin dalla nascita del suo clan -… perché?-

 

- Perché te lo ordino!- ringhia Azog, gelido. Non ha la forza per infuriare contro il figlio, ma il disprezzo trapela da ogni sua parola - pensi che questa ferita mi abbia già ucciso, vero? Pensi di poter dare ordini ai miei soldati, come se io non fossi più fra i vivi? Ebbene, non sei altro che un misero verme, appena al di sopra della feccia nanica che, presto, vedrà la propria fine!-

 

Bolg tace, chinando il capo. Ha sottovalutato l’ira dell’orco pallido e l’autorità di cui ancora gode, sui suoi sottoposti.

 

- Manderò il corvo.- ribatte, a bassa voce.

 

Azog annuisce, poi, con un grugnito di dolore, gli fa cenno di uscire e lasciarlo riposare.

 

Bolg arretra, scostando con stizza la tenda, per tornare al campo ed obbedire alle sue istruzioni.

 

 

 

 

- La Coda!-

 

Non è difficile sintetizzare questo capitolo. Potremmo definirlo semplicemente “nani-e-orchi-dappertutto”. E Niph che va a zonzo.

Ok, delirio a parte, spero di aver reso bene l’assemblea nanica (incredibilmente pacifica per io loro standard medi XP).

Vi dirò, lasciare in vita Azog è stato più un gesto di pietà nei miei confronti, piuttosto che un desiderio di seguire la trama dei film… è che io a Bolg proprio non riesco a sopportarlo. Mi irrita.

 

Va bene, motivazioni dubbie dell’autrice a parte, vi lascio e a presto!

Un grazie di cuore a chi è giunto fin qui!

 

- La Matta -

(e buona festa della mamma!)

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Capitolo 6
*** Una punta di freccia ***


niphredil 6

Capitolo Sesto

Una punta di freccia

 

 

Il giorno seguente, Niphredil si sveglia alle prime luci dell’alba.

 

Per un attimo, mentre si muove silenziosa fra i nani addormentati, non riesce a trattenere un sorriso. Se un tempo le avessero detto che avrebbe dormito in un tendone assieme a centinaia di nani ronfanti, lei non ci avrebbe creduto.

 

Esce dal rudimentale padiglione ed un forte soffio di vento la investe, scompigliandole i capelli e agitandole la veste. Non indossa la corazza, ma ha recuperato la spada corta. Il suo peso, al fianco, è una sorta di conforto.

 

Socchiude gli occhi, mentre i raggi freddi del sole le sfiorano il viso, ma poi li riapre, intravedendo una figura nera, seduta vicino ai resti di un falò.

 

- Non hai dormito molto - esordisce Niphredil, avvicinandosi.

 

Thorin si volta, guardandola con gli occhi cerchiati dalla stanchezza:- nemmeno tu.- ribatte.

 

- Vero.- annuisce lei, stringendosi nelle spalle - Non ho avuto modo di ringraziarti, per ieri.-

 

Il nano scuote la testa:- non mi piace chi tace sulle proprie origini - dice - ma ho detto di accettare la tua scelta, perché le tue azioni te ne hanno resa degna. E, ad ogni modo…- si torce le mani, a disagio -… nemmeno io ho ringraziato te, per aver vegliato su Dàin. Se fosse caduto sul campo di battaglia, il nostro popolo avrebbe pianto lacrime amare.-

 

Niphredil sorride, sedendosi accanto a Thorin. Allunga una gamba, insidiando con la punta dello stivale i resti del fuoco - è stato un piacere.- risponde

 

- Se non vuoi seguirci nel Dunland, sappi che sei libera di farlo. Non ti ritengo vincolata da alcuna promessa.- riprende il nano, guardando l’elfa nei limpidi occhi verdi

 

- Lo apprezzo - sospira Niphredil, mentre il suo pensiero torna inevitabilmente all’ultima conversazione avuta con Thranduil, a quanto doloroso sia stato separarsi da lui - ma ho preso la mia decisione. Voglio accompagnarvi finché non troverete un nuovo luogo da chiamare casa.-

 

Thorin scuote la testa e, per un attimo, sembra sul punto di replicare. Ma poi tace, tornando a fissare le braci morte e i resti dei ciocchi carbonizzati, di fronte a sé.

 

Niphredil rimane seduta accanto a lui, in silenzio, finché i raggi del sole non diventano più caldi e luminosi, e l’accampamento si rianima, con l’andirivieni dei nani che si preparano alla partenza.

 

 

 

- Valicheremo le montagne fino a ricongiungerci con il Glanduin. Attraverseremo l’Eriador verso sud e dovremmo raggiungere il Dunland in tempi relativamente brevi - spiega Balin, tracciando una rudimentale mappa con un bastoncino sul terreno.

 

Glòin trattiene a stento uno sbadiglio.

 

- Nel Dunland - riprende Balin - ci riposeremo un po’, raduneremo gli ultimi esuli di Erebor e ci organizzeremo per tornare nell’Eriador e cercare un luogo adatto a stabilirci.-

 

Lancia uno sguardo soddisfatto alla mappa, per poi cancellarla con un colpo dello stivale - chiaro?-

 

- Chiaro.- annuisce Niphredil

 

- Allora, mia cara - le dice Balin, rivolgendosi a lei per fare conversazione - raccontaci un po’ della tua casa. Ho sentito racconti meravigliosi sulle grandi sale del Reame Boscoso! Ed anche sulle sue prigioni, da cui nessuno ha mai avuto modo di fuggire.-

 

- Ah, baggianate!- borbotta Glòin, agitando una mano - non c’è sbarra di metallo abbastanza forte da resistere alla furia della mia ascia!-

 

Niphredil mette a tacere giusto in tempo quella vocina che la spingeva a contraddire il nano e si limita a sorridere, senza annuire né replicare.

 

Balin la guarda, sorridendo e, quando Glòin distoglie lo sguardo, le ammicca.

 

Si sono divisi da Dàin e dai nani dei Colli Ferrosi qualche giorno prima, congedandosi con parole di stima e cameratesche pacche sulle spalle.

 

Prima di andare, Dàin ha ripetuto il proprio invito a sistemarsi, almeno provvisoriamente, presso i Colli Ferrosi, ma Thràin ha rifiutato, conscio che la cosa migliore, per il suo popolo, è trovare una nuova patria. Oppure riconquistarne una vecchia.

 

Il sole splende alto, ma l’aria delle montagne è ancora fredda e, quando soffia il vento, più di qualcuno si stringe nei vestiti, reprimendo un brivido.

 

Niphredil sorride, mentre Glòin continua ad disquisire sulla sicurezza delle prigioni di Eryn Galen.

 

Balin l’ha presa sotto la sua ala e, lentamente, anche gli altri nani stanno iniziando a guardarla con meno diffidenza. Ha diviso con loro il cibo e il fuoco, ascoltato i loro racconti e vegliato con loro, durante i turni di guardia.

 

“Un giorno” le ha detto Balin una sera, allungandole una fiasca contenente uno strano liquore dall’aroma fortissimo “cesseranno di vederti come una straniera e ti chiameranno “amica dei nani”. Devi solo pazientare, perché la corazza dei miei fratelli è più difficile da perforare di quanto non sia stata la mia”.

 

Giorno dopo giorno, Niphredil si rende conto di quanto il nano abbia ragione.

 

 

 

Sul monte Gundabad, un enorme corvo dagli occhi neri ritorna alla voliera.

 

Erag, l’orco di guardia, preleva il messaggio che l’animale ha legato alla zampa, e si affretta a portarlo al suo comandante.

 

Sinag è nella struttura principale, mentre uno dei suoi luogotenenti lo aggiorna sulle condizioni dell’esercito e sulle notizie da fuori.

 

E’ un orco enorme, imponente di statura e con il torace largo. I suoi occhi sono gialli come ambra e, in ogni sua parola, riecheggia un senso di comando, un implicito ordine a chinare il capo ed obbedire, senza alcuna contestazione.

 

Le sue punizioni sono terribili e la disciplina, sul monte Gundabad, è insegnata con una lunga frusta uncinata, che l’orco maneggia con straordinaria abilità e ferocia.

 

La sua pelle grigia è attraversata dalla cicatrice, ormai sbiadita, delle unghie di una bestia. Si dice che Sinag l’abbia strangolata a mani nude, dopo che l’animale aveva avuto l’ardire di graffiarlo.

 

- Signore - esordisce Erag - notizie da Azog!-

 

- Era ora.- ringhia Sinag, mentre i suoi occhi scintillano, come gemme nelle tenebre - che nuove?-

 

- Non… non dice molto, signore - ribatte il sottoposto, titubante -… solo “la feccia nanica deve pagare. Suonate il Corno della Furia.”-

 

- Sconfitto, dunque.- mormora Sinag, accarezzandosi il mento. La sua voce assume un timbro tetro.

 

Si alza, avvicinandosi lentamente ad Erag.

 

- Sconfitto.- soffia, quando ormai è ad un passo dall’orco.

 

Erag vede l’ira avvampare nelle sue iridi ambrate, un incendio intrappolato nella resina. Deglutisce a fatica e, per un attimo, teme per la propria vita.

 

Poi Sinag arretra, scuotendo il capo:- il mio vecchio amico sta perdendo il suo mordente, se persino dei nani pezzenti riescono ad avere la meglio su di lui.- riprende, in tono colloquiale - sarà mio compito rimediare ai suoi fallimenti.-

 

C’è qualcosa di agghiacciante, nella sua voce, nel modo in cui la furia sembra sempre sul punto di scoppiare e poi rientra negli argini, lasciando una calma piatta, mortale.

 

- Che ordini devo dare, mio signore?- chiede Erag, distogliendo lo sguardo dal suo comandante.

 

- Nessun ordine.- replica Sinag, congedando con un cenno l’altro luogotenente - Suonerò io stesso il Corno. Tu riunisci una squadra e sali alle vecchie rovine.-

 

- Sì, signore!- annuisce Erag, solerte, con un rigido inchino, prima di uscire.

 

- E, Erag…- lo richiama Sinag

 

- Signore?-

 

- Scegli i tuoi compagni con intelligenza.-

 

 

 

- Una volta c’era un orco

che d’essere astuto aveva la fama

Era brutto, basso e sporco

né sapeva impugnare la lama.

 

Ma era maestro d’ingegni e segreti

Scese in battaglia con la sua gente

E tutti gli orchetti ne furono lieti

Perché lo pensavano il più intelligente.

 

Ma nel cuor della pugna si bloccò, intorpidito

Si slacciò la corazza perché aveva prurito…

… e naturalmente venne colpito!

Perché un orco astuto non è mai esistito!-

 

 

Niphredil si prende il capo fra le mani:- questa canzone è pessima!- geme, anche se trattiene a stento le risate

 

- Non è nata per essere apprezzata dai quegli sbarbatelli dei vostri cantastorie!- la riprende Glòin - è stata scritta per insegnare la saggezza ai nostri figli!-

 

L’elfa inarca un sopracciglio, perplessa, ma lui sembra tanto convinto che non osa replicare.

 

- Immagino veicoli anche un messaggio più sottile - media Balin, conquistandosi un’occhiataccia da parte dell’altro nano - e cioè di non sopravvalutare mai le proprie doti, perché in battaglia ogni distrazione può essere letale.-

 

- Dovremmo fare la guardia - li riprende Thorin - non questionare su una canzone.-

 

- Orecchie a punta deve essere educata.- esclama Glòin - è totalmente estranea ad ogni precetto riguardo la birra, il maiale salato, le storie naniche e il combattimento con l’ascia. (*)-

 

- Non combatterò con un’ascia, Glòin.- precisa Niphredil, con il tono di una che lo sta ripetendo da giorni - pesa troppo e comunque non sarebbe efficace come la spada.-

 

- Femminuccia.- borbotta il nano, ma senza cattiveria.

 

In quel momento sopraggiunge Arin, assieme ad altri tre soldati dall’aria ancora assonnata.

 

- Siamo qui per darvi il cambio.- esclama, sorridendo.

E’ giovane ed entusiasta, con appena un’ombra di barba bionda a scurirgli le guance. Diversamente dai suoi compagni non ha nemmeno una cicatrice, a parte un taglio che si sta rimarginando in fretta. I suoi occhi guardano il mondo con la meraviglia di un bambino umano, più che di un guerriero nanico, temprato dalle battaglie.

 

- Era ora!- borbotta Glòin - temevo che orecchie a punta potesse iniziare con qualche smielata poesia.-

Il nano fulvo saluta gli altri, allunga una rude pacca sulla spalla di Niphredil, poi se ne va, fischiettando la melodia dell’”orco astuto

 

- Penso che stia iniziando a trovarti simpatica.- commenta Balin, sottovoce, facendo ridere l’elfa.

 

 

 

Mentre stanno tornando alla loro tenda, qualcosa si stacca dal collo di Niphredil ed un piccolo ciondolo d’argento cade, mettendosi a rotolare.

 

Thorin lo ferma con lo stivale, per poi raccoglierlo ed esaminarlo alla luce della luna.

 

E’ una punta di freccia, che è stata decorata con leggeri arabeschi e poi intrappolata in una gabbia di filo d’argento.

 

- Cos’è?- domanda il nano, incuriosito, restituendola a Niphredil - immagino ci sia una storia, dietro.-

 

L’elfa annuisce, rigirandola fra le mani con un sorriso distratto.

 

- Sì, c’è una storia dietro - mormora, assente - ma non è una storia epica, anzi, è più che altro un aneddoto buffo, di quand’ero giovane.-

 

Giovane. A volte Thorin si dimentica dei millenni su cui gli occhi di Niphredil si sono posati. Delle guerre che lei a combattuto e che lui ha solo sentito raccontare, da suo padre e da suo nonno.

Non riesce ad immaginarla diversa da come la vede in quel momento, con gli occhi limpidi ma sempre velati da una lieve ombra di malinconia.

 

- Vorrei sentirla lo stesso.- dice, quasi senza rendersene conto.

 

Niphredil si stringe nelle spalle:- va bene - acconsente, di buon grado.

 

Così, si siedono ai margini dell’accampamento, poco lontano dal fuoco dove Arin e la sua squadra stanno montando la guardia, e l’elfa comincia a raccontare.

 

- Quand’ero bambina, mio padre era tormentato dal richiamo del Mare. La partenza era un pensiero costante, su cui si struggeva in ogni momento di veglia e di sonno. Io, al contrario, ero felice ad Eryn Galen. Per me, tutto stava iniziando, mentre per lui era tempo di volgere altrove lo sguardo. Non riuscivo a comprendere la sua angoscia, ma soffrivo con lui. Il suo miglior amico se ne accorse e, non riuscendo a dare sollievo a mio padre, concentrò i propri sforzi su di me. Un giorno stavamo esplorando le zone della foresta dove le ombre erano più cupe e svegliammo un enorme ragno. Il mio arco era piccolo, poco più di un giocattolo, eppure scoccai comunque la mia unica freccia. Ovviamente quella rimbalzò addosso al ragno, ottenendo il solo effetto di farlo arrabbiare. Si voltò verso di me e mi fissò. Ricordo di avergli restituito lo sguardo, paralizzata dal terrore. Poi Oropher scoccò la sua freccia ed il ragno si accasciò a terra, morto. Lui rise, arruffandomi i capelli, e mi disse: “avresti dovuto fuggire”. Stupidamente, replicai:”ma così ti avrei lasciato da solo”. Lui rise più forte “a volte, Niphredil “ replicò, guardandomi negli occhi “seguire l’istinto può ucciderti. Altre volte, invece, è l’unica guida in grado di condurti su sentieri luminosi. Gli anni t’insegneranno a cogliere la differenza.”. Io lo fissavo, confusa, così lui mi baciò sulla fronte e sussurrò:” ad ogni modo, apprezzo il pensiero”. Un paio di giorni dopo mi regalò questo ciondolo… assieme ad un vero arco.-

 

Niphredil sorride, intenerita:- ero davvero piccola ed ingenua.- conclude, scuotendo il capo

 

- Era un uomo saggio.- commenta Thorin - che cosa gli è successo?-

 

- E’ morto durante la Guerra dell’Ultima Alleanza, combattendo nella piana di Dagorlad.-

 

Il nano china il capo:- mi dispiace.-

 

- E’ passato molto tempo - mormora Niphredil, ma sia lei che Thorin sanno che ci sono ferite che non si rimarginano col tempo e che la perdita di una persona cara è un fardello che può divenire più lieve, ma che non scompare mai del tutto.

 

L’elfa prova a riallacciarsi la catenina, ma perde la presa sul gancio e il ciondolo cade di nuovo.

 

- Aspetta - la ferma Thorin, raccogliendo il monile - faccio io.-

 

Niphredil lo guarda, riconoscente, poi scosta i lunghi capelli biondo pallido, per lasciare libero il collo. Thorin le si avvicina, posandole il ciondolo sul petto.

La pelle dell’elfa è liscia e perfetta quanto le mani del nano sono ruvide e piene di tagli.

 

- Fatto.- dice, chiudendo il piccolo gancio.

 

- Grazie - sorride Niphredil

 

- Grazie a te per il tuo racconto - replica Thorin, salvo poi cambiare argomento:- ebbene, è tardi e domattina dobbiamo levarci all’alba. Buonanotte a entrambi.-

 

- Buonanotte anche a te.- risponde Balin, fingendo di non aver notato il lieve turbamento apparso negli occhi dell’amico.

 

Quando la sagoma del principe scompare, verso l’accampamento, Balin si china in avanti, fissando un punto imprecisato, oltre le spalle di Niphredil, dove la notte è più buia.

 

- Oropher - pronuncia poi, meditabondo, come chi cerca di ricordare qualcosa - questo nome non mi è del tutto nuovo. Credo…- all’improvviso, schiocca le labbra, soddisfatto -… non si chiamava così anche il sovrano del Reame Boscoso?-

 

- E’ rilevante?- mormora l’elfa

 

- Non molto - ammette Balin, ma poi si corregge - non quanto il fatto che tu abbia deciso di ometterlo.- si alza in piedi, poi stringe delicatamente una mano sulla spalla della guerriera, come per salutarla:- sonni sereni, Niphredil.-

 

 

 

Un’altra punta di freccia, questa intrappolata in una gabbia d’oro, riposa in uno scrigno, ad Eryn Galen.

 

 

 

 

La Coda!

 

(*) Ok, Glòin è uno stereotipo che cammina. Non avrei mai pensato che scrivere di nani potesse essere tanto divertente!

Questo capitolo è più lungo degli altri (“disse La Matta, sentendosi Capitan Ovvio”). Se vi interessa saperlo, inizialmente c’erano due capitoli, ma, visto che non succede quasi niente in entrambi, ho pensato di fonderli. Mi dispiace non aver iniziato un capitolo nuovo con la filosofica canzoncina di Glòin e dell’orco furbo ma vabbè, credo che ce ne faremo tutti una ragione!

 

Come al solito vi ringrazio infinitamente per essere giunti fin qui e ringrazio anche tutti coloro che hanno messo Niph fra le storie seguite/preferite/etc… Un bacio a tutti!

 

- La Matta -

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Capitolo 7
*** Lo stesso sogno ***


Niphredil 7

Capitolo Settimo

Lo stesso sogno

 

 

Sinag accarezza il maestoso corno. Ha dato ordine di posizionarlo sulle torre di vedetta, in modo che il suo suono si propaghi lungo e possente per tutto il Gundabad.

 

Adagiato nell’alloggiamento di roccia, il corno brilla ogni volta che i pallidi raggi della luna sfiorano le sue decorazioni. Sono leggeri rilievi di metallo lucido, che ritraggono la devastazione portata dai Serpenti del Nord. Sull’imboccatura si abbarbica la figura elegante e letale di un drago. E’ senza ali, ma le sue spaventose fauci sono state scolpite con precisione maniacale.

 

Il corno è un oggetto meraviglioso, di squisita fattura, così diverso da ogni altra reliquia in possesso degli orchi. Sinag lo maneggia con cura e rispetto, mentre i suoi occhi ne ripercorrono gli ornamenti, come ipnotizzati.

 

La luna è alta nel cielo, quando l’orco si riempie i polmoni d’aria e posa le labbra sull’imboccatura.

 

Il suono che fuoriesce dal corno è al contempo ruggente e melodico, come il verso di una fiera, unito al segnale d’attacco d’una battaglia epica.

 

Persino lungo la schiena di Sinag corre un brivido.

 

 

 

Stringe la mano, ma le sue dita si serrano sul niente.

La spada è caduta, scomparsa in qualche anfratto.

 

Il mostro si avvicina, sibilando.

I suoi occhi dardeggiano, del colore delle fiamme.

Le sottili pupille nere sembrano ferite aperte sul buio più profondo.

 

La bestia ringhia. Dalle sue fauci spaventose sbuffa una nuvola di fumo.

 

Il suo petto dalle squame corvine inizia a risplendere di un inquietante bagliore rosso, mentre il Serpente si gonfia, riempiendosi di fuoco.

 

Niphredil giace immobile, a qualche metro da lui.

E’ priva di sensi, i vestiti chiari impregnati di sangue scarlatto.

La sua spada brilla, sotto il mantello.

 

Il drago punta la guerriera caduta.

 

E lui sa di poter fuggire. Sa di poterla abbandonare al suo fato.

Sa di averla avvertita, di averle ordinato di non seguirlo.

Sa che è stata stupida e avventata, ma non può condannarla a quel baratro infuocato.

 

Scatta verso di lei e la raggiunge nell'attimo in cui il Serpente spalanca le fauci.

 

Ha le zanne ricurve. Persino i suoi occhi sembrano pieni di fiamme.

 

Riesce ad afferrare la spada della giovane. La solleva e si volta, a fronteggiare il drago.

Poi un mare di fuoco lo travolge.

 

 

 

Thranduil si sveglia di soprassalto, il corpo madido di sudore freddo.

Il suo respiro è rapido e affannoso, le sue dita stringono convulsamente le lenzuola leggere.

 

Da molto tempo i Serpenti del Nord non turbavano i suoi sogni, da quando l’ultima di quella razza maledetta non era fuggita ad ovest, verso Angmar.

 

Era una bestia immensa ed il suo fuoco era quasi giunto a lambire i confini di Eryn Galen. Molti valorosi guerrieri avevano perso la vita, per rallentare la sua avanzata.

Le loro armi avevano a malapena scalfito la sua corazza.

Ma alla fine i Silvani avevano prevalso ed il Drago, ferito, aveva cercato riparo verso nord.

 

Thranduil e Niphredil l’avevano inseguita fino alla Brughiera Arida, per finirla, per vedere quella luce infernale spegnersi nei suoi occhi scarlatti.

 

Ma lei, la bestia, il Serpente maledetto, lei era fuggita.

 

Sospira, ripensando a quel giorno e una fitta di nostalgia gli ricorda quanto sia lontana la sua compagna, a valicare montagne e ad attraversare steppe desolate, assieme ai nani di Erebor.

 

Lentamente, il respiro di Thranduil è tornato regolare.

 

Fuori dalle finestre, la notte è quieta e silenziosa.

Gli elfi silvani riposano, sotto lo sguardo vigile del loro re.

 

 

 

Sta strisciando in una conca rocciosa.

Soffia un vento caldo, che le spinge la polvere negli occhi.

Da lontano giunge un gorgoglio minaccioso.

 

Un immenso drago si erge davanti ad una grande grotta.

Le squame ferree della sua corazza sono nere come onice, le sue narici si dilatano al ritmo grave e affaticato del suo respiro.

 

Niphredil sbatte le palpebre e, nella frazione di secondo in cui i suoi occhi sono chiusi, la scena cambia del tutto.

 

Il Serpente ora è in volo.

I suoi occhi spalancati brillano della luce devastatrice delle fiamme.

Vede sé stessa attraverso le iridi taglienti del drago.

 

E’ sdraiata a terra, la spada nascosta da una piega del mantello.

 

Il Serpente sbatte le grandi ali, planando verso di lei.

Il fuoco comincia a ribollire nei suoi polmoni, il fumo a soffiare dalle sue narici.

 

Poi, all’improvviso, un’ombra si frappone fra il drago e la sua preda.

Una mano si serra sulla spada e lui - lui, quella sagoma sfocata che la separa dall’inferno - si volta, affrontando la bestia.

 

Il Serpente lancia un ruggito oltraggiato, poi spalanca le fauci ed erutta un torrente di fuoco.

 

 

 

Niphredil spalanca gli occhi.

Rabbrividisce quando la sua pelle, bagnata di sudore, viene sfiorata dal lieve tocco del vento.

 

Il vociare dei nani la raggiunge, ma è un suono sfocato, distante.

 

Hanno allestito l’accampamento su una grande spianata, dove l’erba cresce alta, fra le rocce.

Niphredil ha lasciato Balin intento ad istruire Arin su come montare il tendone e Glòin a ridere di loro e ha trovato il piccolo lago blu.

 

Sentire l’acqua gelida irrorarle le membra l’ha riportata alla vita, ha ritemprato il suo corpo, lavando via la polvere della strada ed il sudore della lunga marcia. Ha trascinato via ogni frammento di stanchezza, ogni ricordo delle irte salite e delle ruggenti intemperie.

 

Ricorda di essersi distesa su una grande roccia bianca, ad aspettare che il calore del sole asciugasse il proprio corpo. Di aver seguito il percorso delle nuvole ed i mutamenti nelle loro forme. Ricorda di aver socchiuso gli occhi, ripensando ai lieti giorni trascorsi ad Eryn Galen.

 

Così si era addormentata, mentre le ondate di calore l’accarezzavano ed il vento ancora non soffiava. Si era addormentata e aveva sognato il drago.

 

Si appoggia una mano sulla spalla. La pelle è bianca e liscia, ma lei la sente ancora ruvida e irregolare, coperta da quella trama di cicatrici che è ormai scomparsa da tempo.

L’accarezza distrattamente, ricordando come i morsi del fuoco le avevano solcato la carne, consumandola, in un oceano di dolore.

 

E ricorda le settimane successive, quando si svegliava nel cuore della notte, con un grido intrappolato in gola, per aver sognato gli occhi dardeggianti del Serpente.

 

Tàri. Questo era il nome che avevano dato all’ultima, dei grandi draghi del nord, quella che più di ogni altro era giunta a minacciare Eryn Galen.

Aveva le squame nere come la pece, le corna lucenti che seguivano le linee sinuose del collo e della maestosa testa. I suoi occhi erano fuoco liquido, la sua voce era il rombo della tempesta.

 

Ma, per quanto terribile fosse il suo aspetto, nulla aveva potuto contro i difensori del Reame Boscoso. Era stata cacciata, sconfitta.

Era fuggita fino alla Brughiera Arida, per riprendersi dalle gravi ferite.

E aveva distrutto ogni cosa, sul suo cammino.

Lo sfogo della sua ira aveva lasciato solo cenere, polvere e rovine.

 

Come il ricordo di Niphredil si posa su quei giorni, la spalla le invia una fitta di dolore.

 

La lotta era stata feroce e, alla fine, lei era riuscita ad infliggere una grave ferita al Drago, conficcandole un pugnale nell’occhio scarlatto.

Ruggendo il suo sdegno, Tàri l’aveva colpita con la coda, scagliandola contro una roccia.

 

Nella memoria di Niphredil, quei ricordi sono infusi di nebbia, avvolti dalla confusione.

 

Ricorda il sangue caldo impregnarle i pantaloni, come ricorda qualcosa squarciarle la pelle, facendola gridare di dolore. Ricorda i frammenti biancheggianti di osso, che brillavano nella massa informe della sua carne.

 

Aveva sbattuto le palpebre, mentre le immagini divenivano sfocate, davanti ai suoi occhi. Riusciva a stento a seguire la figura di Thranduil, che continuava a combattere contro il Serpente.

 

Ricorda il proprio destriero avvicinarsi a lei, e piegare docilmente le zampe, per farla montare in groppa, guardandola con una profonda consapevolezza negli occhi chiari.

 

Si era aggrappata ai lacci della sella, ma senza issarsi sul cavallo.

Aveva allunga un braccio, fino a toccare una custodia di cuoio.

 

“Vattene!” le aveva gridato Thranduil, vedendola esitare.

 

E ricorda nitidamente di aver sussurrato: “no, finché riesco ancora a scoccare una freccia.”

 

Niphredil sorride, ripensandoci. Era stata così sciocca.

Il desiderio di proteggere il suo compagno l’aveva resa cieca e sconsiderata.

Era riuscita a scoccare un solo dardo, mentre la vista le si offuscava. Una freccia che nemmeno era andata a segno. Poi si era accasciata a terra e il suo mondo era diventato buio, mentre il sangue continuava a defluire dal suo corpo e Tàri vomitava fuoco, nel cielo nuvoloso.

 

 

 

In cima al monte Gundabad, il gruppo di Erag ha finalmente raggiunto le vecchie rovine.

 

I fuochi ardono scoppiettando e il vociare degli orchi è forte e volgare.

Hanno riposto le armi dopo la lunga giornata di marcia ed ora scrutano nelle fiamme, mangiando la carne stopposa di cui possono disporre.

 

Scoppi di risa ed imprecazioni nella loro lingua gutturale turbano il silenzio della notte, mentre la luna piena inonda le rovine con la sua pallida luce.

 

La costruzione, un tempo maestosa, ora è solo un cumulo di pietra. Non è rimasto più niente della imponente bellezza, a parte due svettanti colonne, che sorreggono il tetto, in parte collassato.

 

Improvvisamente, un suono squarcia la volta buia del cielo.

 

Un rimbombo rotola lungo le pareti del monte, rimbalzando su ogni roccia, riecheggiando in ogni caverna e rientranza.

 

Erag si volta di scatto, volgendo alle rovine gli occhi pieni d’inquieto nervosismo.

Quelle sembrano immobili, nella loro mesta decadenza.

 

- Che c’è, Erag?- sbotta uno dei suoi compagni, sputando a terra un boccone mezzo masticato - Non solo sei lento nella marcia, ma ora hai pure paura della tua stessa ombra? Se Sinag ci ha voluti qui e non ci ha detto di armarci pesantemente, di certo non c’è  nulla da temere.-

 

Gli altri orchi scoppiano in fragorose risate, ma lo sguardo di Erag rimane fisso, nella nebbia densa, malsana, che sta lentamente sommergendo le rovine.

 

La notte è quieta e stellata. Ma quella foschia ha l’odore sbagliato.

 

- Smettila di preoccuparti, Erag!- lo richiamano - non hai nemmeno toccato il tuo cibo!-

 

Erag agita una mano, allontanando i presentimenti.

Si sta voltando, quando qualcosa attira la sua attenzione.

 

E’ una nota di colore, che sboccia improvvisa in mezzo alla nebbia.

 

Come una sfera di fuoco, un unico, enorme occhio rosso lo sta fissando.

 

 

 

 

 

 

La Coda!!

 

Vi anticipo che forse l’aggiornamento di questa storia (già alquanto irregolare e segnato da alterne vicende) potrebbe subire un rallentamento, visto che l’esame di procedura civile si avvicina e l’autrice ha il diritto che le esce dagli occhi. Potrei arrivare a scrivere un paragrafo in cui Thorin e Niphredil dibattono sull’efficacia provvisoria delle sentenze di mero accertamento, ma penso che sarebbe surreale e che, in ogni caso, non v’interesserebbe un granché.

Oddio, persino La Coda sta delirando!

 

Bene, come sempre spero di non aver scritto bestialità e che la coerenza sia stata al mio fianco!

Grazie a tutti per aver letto questo capitolo!

 

A presto!

 

- La Matta -

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Capitolo 8
*** L'Occhio e il Serpente ***


niphredil 8

Capitolo Ottavo

L’Occhio e il Serpente.

 

 

 

L’Occhio non parla, eppure la sua voce penetra la mente di Erag, ogni parola è una silenziosa lama rovente, che incide un solco.

Il ruggito del fuoco sommerge qualunque altro pensiero.

 

“Quale ignoranza. Quale obbrobrioso errore. Follia.”

 

L’orco vorrebbe estrarre la spada, ma è paralizzato. Persino respirare è una guerra perenne, una gelida morsa di agonia blocca qualunque movimento.

 

Una fessura di puro buio si apre fra le fiamme. L’Occhio osserva.

 

“Ma forse l’errore non è altro che un passo, verso l’infinita voragine.”

 

Erag non riesce a ribattere. Ogni sillaba è un lugubre rintocco, ogni parola è un torrente di dolore.

I concetti si radicano nella mente dell’orco, affondano artigli acuminati nel suo cervello.

 

“Un guerriero di Angmar trovò il drago morente. L’occhio della  bestia era perduto. Un’enorme lacerazione putrescente le squarciava la gola. Il guerriero soccorse la fiera creatura.”

 

Erag non sa se le sue orecchie stanno udendo la storia o se l’Occhio gliela sta semplicemente trasmettendo. Le immagini si accavallano, pensieri sbocciano ed appassiscono, mentre l’intelletto dell’orco si amplia, accettando la conoscenza che gli viene imposta.

 

“E il drago gli donò il Corno. Che i suoi eredi lo suonassero, per destare la bestia dal suo lungo sonno. Che il rombo familiare ricordasse alla creatura il vincolo, quando la gratitudine sarebbe scomparsa, affievolita dagli anni e dal riposo.”

 

In un battito di ciglia, Erag riesce a vedere i suoi compagni.

Raggruppati attorno al fuoco, non sembrano vederlo, né sentire l’inquietante voce dell’Occhio.

 

“Ne ho udito il possente suono. Le mie forze non sono bastanti all’assalto. Le mie truppe attendono di essere chiamate. Ancora lunghi anni dovranno passare, prima che le tenebre inondino queste lande. Qual è il tuo scopo, orco?”

 

La domanda arriva più nitida e dolorosa, facendosi largo come una spada fra i pensieri di Erag.

 

- Vendetta. I nostri fratelli sono morti ad Dimrill Dale, sconfitti dalla feccia nanica. Il comandante del monte Gundabad ha suonato il Corno, assicurandoci che seminerà morte fra i nostri nemici.-

 

“Sottomettere un drago non è cosa da poco. Ricordare un vecchio debito non basterà a salvarvi…. ma la volontà della bestia si piegherà alla mia voce.”

 

Erag socchiude gli occhi, ma non riesce a serrare le palpebre del tutto. Nessun confortante buio gli porta sollievo, separandolo, anche solo per un istante, alla crudele potenza dell’Occhio.

 

“La vostra vendetta…” sibila l’Occhio, brillando fra le rovine “… sarà il mio vantaggio, nella guerra che verrà. Sterminate i nani che vi hanno inferto vergognosa sconfitta. Devastate il Reame Boscoso, assecondando i desideri della bestia. Ergetevi come campioni del regno di tenebra che porterò su questa terra! Il drago che avete scioccamente destato obbedisce al mio comando e, se vi piegherete a me, il suo fuoco brucerà i vostri nemici! Cosa rispondete?”

 

Erag deglutisce, a stento.

Non si pone domande, né si illude di avere una vera scelta.

 

Si piega su un ginocchio, chinando docilmente il capo:- faremo come dici, mio signore.-

 

 

 

Thorin si sta rigirando fra le coperte, senza riuscire a prendere sonno, quando una melodia dolcissima scivola fino alle sue orecchie.

 

Suoni ovattati si sollevano nel cielo, leggeri come farfalle e dolci come carezze.

 

Il nano si alza, gettando di lato la coperta ed uscendo nella notte stellata.

Un quieto, placido manto blu è calato sull’Eriador.

 

Niphredil è seduta su una roccia, sul limitare dell’accampamento. Le dita pallide della luna sembrano sfiorarle i capelli. Rendono la sua carnagione quasi opalescente.

Le sue dita danzano elegantemente su un flauto di legno intagliato, tappando ed aprendo i piccoli fori. Una decorazione d’argento si attorciglia lungo tutto lo strumento, scintillando quando l’elfa lo muove.

 

- Non dormi mai, eh?- borbotta Thorin, avvicinandosi.

 

Niphredil si stringe nelle spalle:- non sono stanca.- dice, quietamente.

Ma i suoi occhi fuggono all’orizzonte, inseguendo i sogni che la tormentano, ormai da giorni.

 

I nani si sono accampati su una grande spianata, in attesa di notizie degli altri superstiti di Erebor. Anche se nessuno lo dice apertamente, tutti sono grati di quella pausa, di quei pochi giorni senza marce, senza decisioni, senza paesaggi ostili e senza il ricordo perpetuo di quello che hanno perduto.

 

- Perché il flauto?- domanda Thorin, sedendosi su un ciocco di legno, accanto all’elfa

 

- E’ una domanda infelice.- ribatte Niphredil, con un sorriso enigmatico - la musica porta conforto.-

 

Posa di nuovo le labbra sull’imboccatura, modulando una motivo più rapido ed allegro. Le note sembrano rincorrersi, scavalcarsi, come bambini che giocano.

 

- Sei un’abile suonatrice.- commenta Thorin, abbassando gli occhi per non incontrare quelli di lei.

 

Niphredil ride, scuotendo il capo e posandosi il flauto in grembo:- Dici questo perché non hai mai sentito la vera musica elfica. Quando si festeggia, ad Eryn Galen, l’aria è piena di melodie meravigliose, in grado di toccare le corde della tua anima.-

 

- Sembra bello.- ammette Thorin

 

Niphredil annuisce, sognante:- lo è.-

Per un po’, fra i due cala il silenzio.

Il delicato soffio del vento li separa e, al contempo, li avvicina.

 

- Nemmeno tu dormi molto.- rileva alla fine la guerriera, riponendo il flauto nella sacca di cuoio

 

Istintivamente, Thorin s’irrigidisce:- perché tu mi hai svegliato.-

 

- Tanto delicato è dunque il sonno di Thorin Scudo di Quercia, eroe della stirpe di Dùrin?- reagisce Niphredil, con una nota di scherno nella voce.

 

- No.- borbotta il nano, serrando le braccia sul petto - Altrimenti il perpetuo ronfare di Glòin mi avrebbe già ucciso. La verità è che un pensiero fisso turba le mie notti.-

 

- Quale pensiero?-

 

Thorin solleva lo sguardo.

Per un attimo, la creatura davanti a lui non è un’elfa, né una guerriera, è semplicemente Niphredil. Niphredil dalla voce soave e dagli occhi verdi, Niphredil dal sorriso malinconico.

 

- Erebor.- le confessa il nano, in un sussurro pieno di rimpianto - Penso alle macerie fumanti della mia città, alle mura che credevo baluardi insormontabili. Penso a chi è morto, in quell’inferno. Penso al drago usurpatore e alle perdute Porte della mia gente.-

 

- Anch’io penso spesso al passato.- mormora Niphredil, mentre la sua mano si posa sulla spalla di Thorin - è il baratro che da sempre minaccia il mio popolo. Il fardello dell’immortalità è il rischio di rimanere intrappolati nel passato.- le sue dita si stringono leggermente - Non farlo, Thorin. Un giorno, quei ricordi saranno remoti. Un giorno guarderai con affetto alla tua casa, vedrai i tuoi figli inseguirsi brandendo piccole spade di legno… e allora il rimpianto per Erebor sarà solo una lontana nostalgia, un ricordo troppo fievole per portarti vera sofferenza.-

 

Thorin la guarda, poi si alza di scatto in piedi, scrollandosi di dosso la mano dell’elfa.

 

- Non puoi capire.- ringhia, allontanandosi con una lunga falcata. La sua voce è stizzita, da ogni movimento traspare una rabbia sopita, un muto odio verso il mondo.

 

- Posso capire, invece.- lo contraddice Niphredil, assente - La ferita del tuo animo è troppo fresca, troppo recente, ogni ricordo sembra bruciarti gli occhi, ogni sogno è un’agonia.- mormora poi.

 

Thorin s’irrigidisce, colpito dalla nitida chiarezza con la quale la guerriera è riuscita a cogliere i suoi sentimenti. Si aspettava una falsa compassione, non una comprensione così profonda.

 

- Quando Oropher è morto...- sussurra l’elfa, per un attimo dimentica del passato che sta cercando di celare - i lamenti per la sua caduta sono risuonati per giorni, ad Eryn Galen. La foresta stessa sembrava piangere la sua morte. Ed io… io ero ferita, furiosa, volevo solo trovare un modo per placare il dolore. Agognavo un solo momento libero dal fardello della memoria.-

 

Un raggio di luna le si posa sul viso, rivelando una lacrima argentea che le scivola lungo la guancia.

 

Thorin esala un lungo sospiro, poi si siede di nuovo, accanto a lei.

 

- Perdona la durezza delle mie parole.- mormora

 

- Comprendo il tuo dolore.- lo rassicura Niphredil, con un pallido sorriso - Non c’è nulla da perdonare.-

 

Ricorda sé stessa, un capitano che ritorna alla sua patria.

Ricorda come le lacrime le pungevano gli occhi e di come lei era riuscita a trattenerle, di come aveva ricacciato il dolore sempre più in fondo, sperando, inutilmente, di poterlo annegare nel buio.

 

Ricorda quando ha imparato quella lezione, quando ha scoperto che chi soffre non vuole pietà, né menzogne, ma agogna la consapevolezza di non essere solo. Vuole sapere che qualcuno gli è compagno in quel baratro d’agonia, che altri hanno pianto le sue stesse lacrime, e sono sopravvissuti.

 

Ricorda le braccia di Thranduil che le cingevano le spalle, ed una lacrima non sua che le bagnava la guancia.

 

 

 

 

 

 

 

La Coda!

 

Fra i ricorsi in cassazione e il processo del lavoro, - La Matta - ha persino trovato il tempo di aggiornare! Ho rivisto questo capitolo ad infinitum e tuttora mi convince fino a un certo punto, ma mi si sta fondendo il cervello ed ero stufa di rivederlo. Lo so, sono pessima XD

 

Alla prossima!

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Capitolo 9
*** La casa di Angus (parte prima) ***


niphredil 9

Capitolo Nono

La casa di Angus

(parte prima)

 

 

Sul monte Gundabar, l’Occhio è scomparso.

Si è assottigliato, fino a divenire una lama di fuoco nel buio delle rovine, e poi è svanito nelle tenebre.

 

Pallidi riflessi rossi s’infrangono ancora sulla pietra.

 

Poi rimbomba una voce roca: - Da molto tempo i miei occhi non si posavano su qualcosa di altrettanto disgustoso…-

 

Erag si drizza in piedi, estraendo la spada, gli altri orchi tentennano, increduli, ma poi lo imitano.

 

- La deformità mal si accoppia con la stoltezza.- prosegue la voce.

E’ un sibilo, ma ha anche l’agghiacciante potenza del tuono.

 

- Mostrati, codardo!- grida un orco, sollevando la spada ed agitandola, in aria - mostrati!-

 

- Un pezzente osa dare ordini a me?- il tono dell’essere diventa più lieve e beffardo. Gli orchi percepiscono una strana nota, l’eco di una voce femminile - posa le armi, sozzura, ed inchinati! Forse così potrai persuadermi a risparmiare la tua patetica vita.-

 

- Minacce dalle tenebre? Questo dovremmo temere?- ringhia un altro guerriero, armato di arco.

 

- Taci, Arnuc!- sbotta Erag.

 

- Oh, mi sorprende di scorgere un barlume d’intelligenza, nel vostro branco.- li schernisce la voce.

Nel buio, i grandi occhi cremisi sembrano ammiccare, illuminati da screziature color ambra.

 

- E’ finito il tempo delle parole!- continua Arnuc, estraendo una freccia dall’impennaggio nero

 

Sotto agli occhi, Erag scorge un sinistro baluginio bianco.

Uno strano suono scricchiola nelle tenebre: sembra lo schioccare di un’enorme mandibola.

 

Arnuc si avvicina, prende la mira e scocca.

La freccia fende l’aria, poi s’immerge nelle ombre e ricade a terra, dopo aver colpito qualcosa di duro, quasi metallico.

 

- Stolta e veniale creatura. La pazienza forse avrebbe prolungato la tua vita.- dice la creatura.

 

Poi dalle rovine emerge un muso, coperto di scaglie nerissime e sormontato da eleganti corna ricurve. Gli occhi sono rubini incastonati nell’onice, zanne affilate come pugnali biancheggiano, quando socchiude l’immensa bocca.

 

L’essere piega il collo, mettendo in mostra un reticolo di cicatrici, che ha scalfito le sue squame.

 

- Un drago…- sussulta Arnuc, con gli occhi dilatati dallo sgomento

 

- Un lampo d’intelletto prima della fine.- lo schernisce la bestia.

 

Ghigna, poi la sua testa scatta in avanti, afferrando l’orco con le temibili fauci.

 

Erag sente uno scricchiolio, mentre l’armatura cede e la carne viene lacerata.

Il drago mastica, poi deglutisce rumorosamente.

 

Durante tutto il processo, gli occhi infuocati della creatura rimangono fissi in quelli dell’orco.

 

- Qualcun altro desidera sfidare la mia ira?- sibila il drago, al termine del pasto.

 

Gli orchi indietreggiano, sotto le iridi dardeggianti della creatura.

 

Il Serpente avanza, uscendo dalle rovine. Il suo corpo sembra avvolto da una nebbia cinerea, che lo segue ad ogni passo.

 

- Tu - pronuncia, mentre il suo muso incombe su Erag - l’Occhio ti ha parlato. Se sai chi sono, sai che serviamo lo stesso padrone. Intendi obbedirmi?-

 

L’orco annuisce, anche se il fiato caldo della bestia gli fa accapponare la pelle.

 

- Allora dimostrami il tuo coraggio e la tua dedizione ai miei ordini - uno scintillio divertito colora gli occhi cremisi della bestia - avvicinati. Siediti all’ombra delle mie ali.-

 

Per un istante, Erag teme di non riuscire a muoversi. E’ bloccato, paralizzato dal terrore.

Poi respira a fondo, sentendo la tensione irrigidire i suoi muscoli, e s’incammina.

 

Raggiunge le rovine e cade in ginocchio, vicino all’ala uncinata del Serpente.

 

- Bene. Ora osserva la sorte che riservo a chi non obbedisce con solerzia.- pronuncia il drago, prima di spalancare le fauci e lasciar fuoriuscire una vampata di fuoco rosso, che avvolge gli altri orchi.

 

Quelli gridano, cercando di fuggire, ma non c’è fuga da quell’inferno rovente.

Si accasciano, gemendo nell’agonia.

 

Erag, protetto dalla maestosa ala del drago, osserva la sua squadra trasformarsi in una massa informe di sagome grottesche e di resti carbonizzati.

 

- Sii utile alla mia causa - dice il Serpente, avvicinando il muso a quello dell’orco - e risparmierò la tua vita. L’Occhio mi ha parlato. L’Occhio mi ha promesso vendetta. Puoi fidarti, sozzura, poiché non ti stimo nemmeno degno di una menzogna. Mi obbedirai, servo?-

 

Mentre il terrore si affievolisce ed allenta la sua stretta sull’orco, Erag nota alcuni dettagli, del suo nuovo padrone. Sente la sua voce, possente e beffarda, colorita da un’eco che la rende quasi femminile. E vede il suo occhio sinistro, attraversato da una fenditura bianca, come una vecchia cicatrice.

 

- Ti obbedirò.- promette, in ginocchio, mentre l’odore di carne bruciata gli raggiunge le narici.

 

- Ebbene, cominciamo dunque dal principio. Parlami di queste terre, verso cui mi chiama la vendetta.- l’ira incrina la voce del drago - parlami del Reame Boscoso.-

 

 

 

Balin allunga un braccio, indicando a Niphredil la grande pianura che si estende, davanti a loro.

 

- Questa regione...- spiega, con un sorriso – è il Dunland. Se i tuoi occhi sono abbastanza acuti, e arrivati a questo punto non dubito che lo siano, riuscirai certamente a scorgere delle grandi costruzioni, di legno e pietra. Laggiù ci riuniremo col resto del nostro popolo… se la sorte li ha favoriti con un viaggio privo di incidenti, fra qualche giorno brinderemo assieme ai nostri congiunti…- abbassa la voce, ammiccando all'elfa – e potrò presentarti mio fratello Dwalin.-

 

- Un fratello.- ripete Niphredil, mentre un sorriso le solleva l'angolo della bocca.

 

- Minore in età e in pazienza, ahimé.- ribatte Balin, in tono divertito – Inoltre, avrai modo d'incontrare la sorella di Thorin, Dìs, figlia di Thràin. Sono certo che andrete d'accordo.-

 

Niphredil si scosta una ciocca di capelli dal viso, mentre i nani iniziano a scendere lo scosceso sentiero, imprecando per la roccia sdrucciolevole e per le erbe urticanti.

 

- Mi domando, mia cara…- riprende Balin, colloquiale – per quale ragione persisti nel seguire la nostra compagnia. Ho colto e apprezzato la ragione del tuo aiuto in battaglia. La tua lama in un combattimento può fare la differenza… ma i tuoi passi assieme ai nostri, cosa possono cambiare nella lunga via? La tua stanchezza rende forse meno pesanti le nostre pellegrinazioni? Le miglia che ti separano dalla tua casa, rendono forse la nostra più vicina?-

 

Niphredil sospira, oltrepassando il nano. I suoi movimenti sono rapidi ed agili, i suoi piedi non spostano nemmeno il più piccolo dei sassi.

 

- Di quale colpa ti sei macchiata?– la incalza Balin, dopo un attimo di silenzio 

 

L'elfa si volta, guardandolo negli occhi. Appena dischiude le labbra, la verità scivola fuori, le parole si susseguono una all'altra, liberando la vera storia dall'intrico delle risposte elusive.

 

- Comandavo l'esercito che giunse ad Erebor.- confessa, chinando il capo.

 

Balin annuisce gravemente, mentre un'ombra oscura i suoi lineamenti.

 

- Comprendo perché hai preferito il silenzio.- sospira il nano, alla fine –A lungo la mia gente biasimerà la tua per aver voltato le spalle alla caduta di Erebor… ma la rabbia può essere accantonata, per una giusta causa e per qualcuno che ha dimostrato di meritare affetto, e non rimprovero.- si ferma, allungando una mano per afferrare saldamente il braccio di Niphredil – ti ringrazio per avermi ritenuto degno della verità.-

 

- Grazie, Balin.- mormora Niphredil - altri non saranno così indulgenti.-

 

Balin si stringe nelle spalle, allargando le braccia con un sorriso:- l’ira è come nebbia, amica mia. Può essere invisibile o densa come metallo, ma alla fine si dissipa.-

 

- Che avete da stare lì fermi, a ciarlare?!- sbotta Glòin, sopraggiungendo alle loro spalle - già stanca, orecchie a punta?-

 

Niphredil inarca un sopracciglio:- non sono io quella che ansima, mastro nano.-

 

- Potrei andare avanti tutto il giorno!- la contraddice Glòin, battendosi una mano sul petto - e tu, cugino - riprende, rivolgendosi a Balin - non farti distrarre da lei! All’imbrunire raggiungeremo la casa di Angus e potremo levare alto un bel boccale di birra! Pensa a questo, e allunga il passo!-

 

- Chi è Angus?- s’intromette Niphredil, sollevando le dita per prevenire una protesta di Glòin - e, nel domandarlo, chiedo umilmente perdono per la mia ignoranza.-

 

- Non devi scusarti, mia cara - la rassicura Balin - Angus non è altro che un vecchio nano dalla testa dura come la pietra. In giovinezza era un valente guerriero e compagno d’armi di re Thràin… poi ha un po’ perduto il senno. Ha lasciato Erebor ed ha vissuto da eremita per qualche tempo. I suoi congiunti, preoccupati, sono partiti per cercarlo e si dice l’abbiano trovato seduto su una nuda roccia, a meditare, fra le rovine di un vecchio insediamento abbandonato, bagnato fino al midollo e vestito di cenci.- una risata sfugge alle labbra di Balin.

 

- Negli anni successivi, Angus e i suoi parenti sistemarono alcuni degli edifici e costruirono le Sale della Birra, dove tutti i nani pellegrini possono sedersi, scambiarsi racconti e… e bere!- completa Glòin, mentre un gran sorriso gli illumina il volto - Niph, non vedo l’ora di farti bere della vera birra!-

 

Niphredil apre bocca per replicare, ma alla fine non se la sente di stroncare l’entusiasmo dell’amico.

Solo qualche minuto dopo, mentre i nani discutono accanitamente sui pregi di una qualità di birra rispetto ad un’altra, si rende conto che Glòin l’ha chiamata Niph.

Non “orecchie a punta”, non “elfo femmina”.

 

Semplicemente Niph.

 

 

 

- Thràin!-


Angus, figlio di Anthios, accoglie il re a braccia aperte, stringendolo vigorosamente fra le braccia.

 

- E’ un piacere rivederti.- sospira il nano, ricambiando l’abbraccio

 

- Molte più rughe ti solcano il volto, vecchio amico.- Angus scuote il capo, le piccole fasce di metallo che gli adornano i folti capelli grigi si toccano, tintinnando - Ho saputo di tuo padre ed il mio cordoglio è superato solo dalla mia rabbia.-

 

Thràin annuisce:- abbiamo avuto la nostra vendetta, per quanto amaro fosse il suo sapore. Abbiamo combattuto gli orchi davanti alle porte di Khazad-dum… ma ci sarà tempo per i racconti di guerra. Speravamo che ci potessi offrire ospitalità, cibo, e un tetto sotto cui riposare.-

 

Angus allarga le braccia:- siete i benvenuti, fratelli miei. I tuoi uomini possono sistemarsi nelle baracche là in fondo. Certo, non sono gradevoli a vedersi, ma sono asciutte e di certo più comode di una roccia coperta di muschio e del cielo come tetto.-

 

- Grazie.- sospira Thràin.

 

Angus sbuffa, poi, con calore, gli batte una pacca sulla spalla:- non ringraziarmi! Nemmeno la più lunga delle ere può scalfire l’affetto che provo per te e per quella che, un tempo, era la mia gente! Rammenti quando ci allenavamo, nella Sala degli Scudi? Quante volte le nostre imprecazioni rimbombavano fra quelle mura?-

 

- Certo, eravamo giovani ed entusiasti…- ammette Thràin e, per la prima volta da quando Erebor è caduta, un caldo sorriso illumina il volto del re.

 

 

 

La notte cala rapida e silenziosa e, per la prima volta da quando si sono lasciati alle spalle le macerie fumanti di Dale, i nani dormono un sonno lungo e sereno.

 

Angus e Thràin, stanno seduti, in silenzio, su una panca di legno robusto e levigato. Fili di fumo bianco si alzano dalle loro pipe, intrecciandosi nel cielo scuro.

 

Fra qualche giorno, quando gli altri superstiti di Erebor si congiungeranno ai loro parenti e amici, Angus offrirà a tutti un banchetto, per festeggiare la riunione. Brinderanno al passato, in onore di chi li ha preceduti nelle case dei loro avi, al presente, per chi è ancora vivo, per chi ha ancora la forza di lottare, e per il futuro. Perché la stirpe di Dùrin non ha perduto la speranza.

 

Fra qualche giorno, festeggeranno.

 

Ma quella notte, in quel profondo silenzio, in quella quiete scura e riposante, quella notte tutti ricordano.

 

Distesa, sotto la piccola finestra, con gli occhi pieni della luce della luna, Niphredil guarda la volta stellata.

 

 

Stava sdraiata sotto un albero dai fiori bianchi. Il vento portava tutti i profumi della primavera. Aveva chiuso gli occhi, abbandonando il libro nell’erba alta.

 

Il respiro di Eryn Galen era pura armonia.

 

I passi di Thranduil non avevano infranto il silenzio, né l’aveva turbato il delicato fruscio delle sue vesti, quando si era seduto accanto a lei.

 

- Come va con la gamba?- le aveva chiesto, posandole una mano sul ginocchio.

 

Lei si era stretta nelle spalle, con un sorriso distratto:- bene.-

 

Il tocco gentile di lui era diventato una carezza, le sue dita erano scivolate sul corpo di Niphredil, fino a trovare il suo collo.

 

Le aveva posato le labbra sulle guancia, parlando in un soffio contro la sua pelle:- avresti dovuto darmi ascolto.-

 

- Abbiamo sconfitto un drago.- aveva ribattuto lei. La sua voce aveva il suono di una risata - ha forse importanza il modo?-

 

Thranduil aveva scosso il capo, prima di sfiorarle le labbra con un bacio:- l’avrebbe avuta, se ti avessi perso - aveva sussurrato, accarezzandole i capelli - sei impavida, mio capitano, impavida al limite dell’incoscienza.-

 

- Quale capitano abbandonerebbe il suo re sul campo di battaglia?- aveva replicato Niphredil, quietamente - non preoccuparti per me. Mi fermerò un passo prima della caduta e farò sempre ritorno, a’maelamin. Te lo prometto.-

 

 

 

 

La Coda!

Come al solito sono super di fretta J

Voglio ringraziarvi, come sempre, per avermi seguita fin qui e per tutti i feedback positivi ed i complimenti che ricevo. Vi voglio bene! (sì, sì, -La Matta- è preda di un momento di tenerezza)

"a'maelamin", significa, in elfico, "amore mio", o almeno così mi ha assicurato internet :)

Non ho ancora risposto alle recensioni, ma non temete, mie prodi fanciulle… appena trovo un minuto lo farò senza esitare!

 

A presto!

 

- La Matta -

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Capitolo 10
*** La Casa di Angus (parte seconda) ***


niph11

La Casa di Angus

(parte seconda)

 

 

Niphredil si sveglia col sorgere dell'alba. I primi raggi del sole stanno squarciando il manto nero della volta celeste, riempiendo le nubi di bagliori dorati. Preannunciano una giornata tersa, con un cielo sereno, senza pioggia, senza vento, senza ombre.

Si passa una mano fra i lunghi capelli d'oro pallido ed un sorriso le incurva le labbra, quando le sue dita si bloccano su un nodo, un piccolo e fastidioso intreccio. Lo scioglie con aria assorta, mentre dei passi, fuori dalla finestra, le annunciano che non è l'unica dell'accampamento ad essersi così presto congedata dal sonno.

Si sporge appena oltre la soglia della costruzione ed i suoi occhi incontrano il profilo di Thorin.

Sembra talmente preso dai propri pensieri, che Niphredil decide di non distoglierlo e rimane ferma, immobile come la pietra, a seguire i suoi passi irrequieti, cercando di indovinare l'andirivieni delle sue riflessioni.

In silenzio, studia come la preoccupazione gli scava un solco in mezzo alla fronte, come le sue labbra si tendono all'insorgere di un nuovo dubbio, come non cessi di camminare, avanti e indietro, sospeso nell'indecisione.

Alla fine, Thorin esala un lungo sospiro, poi crolla seduto su una panca di pietra, scuotendo il capo.

- Le mie scuse, se ti ho svegliata – dice il nano, voltandosi all'improvviso verso Niphredil.

L'elfa sorride: - il mio sonno si è fatto meno delicato, da quando ho dovuto condividere la tenda con Glòin – ironizza, allargando le braccia – se la compagnia ti è spiacevole, posso andare via. Altrimenti, vorrei scambiare due parole con te.-

Thorin annuisce, senza entusiasmo, con un secco cenno del capo.

Niphredil gli si avvicina, ma rimane in piedi, accanto alla panca, avvolta dalla candida luce del mattino.

- Pensavo che rivedere queste sale, così gioiosamente note al tuo popolo, potesse rasserenare il tuo spirito - dice, inclinando la testa – eppure vedo che sei turbato, Thorin.-

- Turbato- ripete il nano, con uno sbuffo – erri nel dire che sono turbato ed erri nel presupporre che la vista di queste sale mi istilli gioia. Mio padre brinda col suo vecchio amico, i miei compagni si rallegrano all'idea di riabbracciare i loro congiunti, e pare che io solo rammenti l'offesa che abbiamo patito ad Erebor.-

Niphredil sospira e, con eleganza, si siede accanto a Thorin, sulla panca di pietra. E' stata decorata, rozzamente ma con amore, con un motivo di foglie e boccali ricolmi. L'elfa fa correre la mano sugli intagli e cerca le parole migliori per trasmettere il suo messaggio, senza essere fraintesa, senza incorrere in errori.

- Permettere a qualcuno di placare il dolore non significa dimenticarne la causa – dice poi, in un soffio – concedi ai tuoi fratelli qualche ora di pace, poche giornate in cui non essere un popolo esule e infelice. Permetti loro di sperare, Thorin.-

Thorin si volta e le lancia uno sguardo gelido:- perché?- ribatte poi, quasi ringhiando – la pace fa assopire, Niphredil, ed invece la mia gente deve rimanere sveglia e non dimenticare mai che Erebor ci è stata sottratta e che, un giorno, ce la riprenderemo.-

- Ma come sarà possibile – insiste l'elfa – se non riprendete le forze?-

- Taci!- ruggisce infine Thorin, balzando in piedi. Rimane fermo, ansante, poi impreca pesantemente a torna a sedersi, distogliendo lo sguardo dai limpidi occhi di Niphredil.

- Scusami – borbotta, dopo un lungo momento di silenzio -… Balin ti ha raccontato la storia di questo luogo, vero? Avrai sorriso al pensiero di Angus seduto a meditare su una roccia… ma la vedi, l'amara verità? Un pazzo se ne va dalla sua dimora ed i suoi parenti sono talmente pigri che preferiscono costruirgli attorno una nuova casa, piuttosto che ridestare il suo spirito e riportarlo ad Erebor! In ogni muro, in ogni roccia, in ogni giaciglio, io vedo un futuro a cui rifiuto di piegarmi. Vedo la muta accettazione del mio popolo, vedo il giorno in cui i nani si rassegneranno, e sceglieranno una nuova casa, seppellendo per sempre Erebor nei racconti delle glorie passate.-

Niphredil emette un lieve sospiro poi, gentilmente, posa una mano sulla spalla di Thorin.

- Non l'accetteresti in ogni caso, vero?- chiede, sottovoce, con un accento di amara ironia – Se anche potessi provarti come una nuova casa, per quanto misera, possa dare più gioia di un antico palazzo, se anche mi fosse possibile farti capire quanta gioia, quanto orgoglio, quanti canti risuonano in queste Sale, anche se sono sorte dalla vergogna e dalla follia di un vecchio nano, se anche potessi fare questo, Thorin, tu non accetteresti di rinunciare alla tua terra natia, agli ori ed alle miniere della Montagna Solitaria.-

Thorin scuote il capo, con un grugnito:- no, non potrei mai accettare una simile infamia.-

- Eppure – Niphredil accavalla le gambe, un raggio di sole rimane impigliato nella gabbia d'argento che porta al collo -… eppure tu non mi chiedi di desistere. Mi sbaglio, Thorin?-

Thorin tace, poi abbassa lo sguardo. Si guarda le mani, segue il disegno delle cicatrici e dei graffi sulla pelle. Apre bocca, ma poi la richiude senza pronunciare alcuna frase.

Niphredil rimase ferma, in paziente attesa, finché il possente suono di un corno non interrompe il silenzio della valle. Poco lontano, sulla cima di un morbido pendio, è apparso un folto gruppo di viandanti.

Thorin solleva il capo di scatto, con una rinnovata luce negli occhi.

- I nostri fratelli – sussurra, speranzoso. Il respiro gli rimane bloccato in gola, in trepidante attesa, finché il corno non risuona nuovamente e, compatto, il gruppo comincia la discesa.

Niphredil, con un sorriso sulle labbra seriche, accenna all'espressione sul volto del nano. I lineamenti del principe sono soffusi da una luce raggiante, di pura letizia.

- Corri ad abbracciare chi ti è caro, Thorin Scudo-di-Quercia – sussurra – e domandati se le vuote sale di Erebor potrebbero darti una gioia anche solo simile a quella che provi in questo momento.-

 

Niphredil ha visto tante cose, nella sua vita. Cose in incredibile mostruosità e cose di inenarrabile bellezza. Cose grandiose, magnifiche e cose sporche, miserevoli. Ha visto gli eserciti schierati nella Guerra dell'Ultima Alleanza ed ha sentito nelle ossa il gelo del vero terrore, instillato dall'Oscuro Signore.

Eppure, non ha mai visto dei nani tanto felici.

Li osserva, nell'ombra, mentre si ricongiungono ai loro familiari, scambiandosi abbracci, stringendo mani, scambiandosi battute e baciando volti che hanno temuto di non rivedere più. Nel roboante brusio dei loro saluti riesce a ghermire frammenti di frasi ed una, fra tutte, la colpisce.

"Abbiamo perso la nostra casa" sta dicendo un nano, dai folti capelli biondo cenere.

La sua compagna gli prende le mani e, con un gesto al contempo dolce e risoluto, se le stringe al petto

"La mia casa non sono quattro mura e un tetto, idiota" ribatte, piegandosi in avanti per baciarlo sulle labbra "la mia casa è dove posso averti al mio fianco, dove posso sentire le tue insopportabili battute e dove posso fare l'amore con te, prima di addormentarmi."

Niphredil sorride distrattamente, prima di lasciarsi avvolgere dalle calde braccia della memoria. Socchiude gli occhi e si rivede nella sua stanza, ad Eryn Galen.

Stava seduta di fronte alla grande specchiera, mentre una bambina dagli occhi azzurri le intrecciava i capelli, perché non la infastidissero durante la cavalcata.

Indossava già l'armatura e, sul letto alle sue spalle, la sua spada riposava, nel fodero.

- Starai via per molto, Niphredil?- le chiese la piccola, sgranando quegli occhi enormi, pieni d'ingenuità

- Starò via quanto è necessario, Luinil. Né un giorno di più, né uno di meno -

La bambina scosse la testa, poi riprese a sistemarle le lunghe chiome

- E chi decide il tempo giusto?- chiese, dopo un po', con una smorfia perplessa - il nostro re?-

Niphredil si sciolse in pallido sorriso:- sì e no, piccola.- disse, esitante – il nostro re sa quanto tempo occorre per mettere in sicurezza la nostra dimora, sa per quanto tempo i nemici possono celarsi fra le ombre e per quanto tempo possano resistere nei loro rifugi, sotto le radici degli alberi più imponenti… è ai suoi ordini che io, come soldato, mi attengo con rigore…-

- Quindi è lui a farti andare via da casa?-

- Sì, piccola – Niphredil allungò una mano, accarezzando la bambina sui lunghi capelli rossi – ma se potesse, se l'Ombra non sfiorasse di continuo i confini della nostra foresta, se potesse, il nostro re non allontanerebbe nessuno da Eryn Galen.-

- E ti manca, quando sei via?-

Niphredil soppesò la questione, per qualche istante, prima di rispondere:- certo che mi manca, Luinil. Eryn Galen è la mia casa ed è sotto le sue fronde che dimora il mio cuore.-

Luinil scoppiò a ridere, poi abbassò lo sguardo, arrossendo.

- Che c'è?- chiese Niphredil, alzandosi in piedi ed incrociando le braccia sul petto – perché ridi?-

La bambina fece una smorfia:- perché non parlavo di Eryn Galen.-

- Oh, Lu.- il capitano sospirò. Arruffò i capelli della bambina, poi l'oltrepassò e recuperò la spada. La estrasse, controllò il filo, la ripose nel fodero e si chiuse la cintura in vita. Stava per uscire dalla stanza, quando Luinil la trattenne, tirandola per l'orlo della veste.

- Allora?- la incalzò la bambina, timida ma troppo curiosa per tacere – il re ti manca, quando le tue pattuglie ti conducono lontano da casa?-

Niphredil si piegò sulle ginocchia, guardandola la piccola nei grandi occhi azzurri.

- Lo sai tenere un segreto, Lu?-

Luinil annuì vigorosamente.

- Coloro che amiamo non ci lasciano mai da soli. Un piccola, minuscola parte di loro rimane sempre con noi, non importa quante miglia ci separino.- Niphredil si portò una mano al collo, estraendo da sotto la corazza il lungo pendaglio, con la gabbia d'argento e la punta di freccia – questa me l'ha regalata il padre del nostro re, quand'ero poco più grande di te adesso.-

- Perché?-

- Perché ricordassi. Perché ricordassi che la vita ci lega a delle persone e che non dobbiamo mai, mai dubitare di quel legame. Anche quando la notte è più cupa, chi amiamo è come una fiaccola, che ci conduce fuori dalle tenebre.-

 

Angus ha promesso un grande banchetto, per festeggiare l'arrivo degli altri nani.

Per tutto il giorno le Sale sono animate da un brusio ed un'attività continua, come quella d'un formicaio.

Ovunque si volti, Niphredil vede facce barbute e sorridenti e nani impegnati nei preparativi.

In quel momento, sta aiutando Balin e suo fratello, lo scorbutico Dwalin, a trasportare degli enormi barili di birra fino alla sala dei banchetti.

- E così finimmo entrambi a gambe all'aria, e nostro zio ci mise in punizione per un intero ciclo di luna – sta raccontando Balin, mentre Dwalin ringhia e trasale ad ogni riferimento alla loro adolescenza.

- E' difficile – ammette Niphredil –immaginarti come il giovane scapestrato che descrivi.-

- Eh, mia cara, non crederesti a come anni di studi e di grossolani errori possono temprare l'anima d'un ragazzo. Certo, alcuni fra noi non hanno imparato la lezione con solerzia pari alla mia…- dice, ammiccando in direzione del fratello. Dwalin digrigna i denti e tace – non far caso a mio fratello, mia cara, e non dubitare: egli non è muto, è solo estremamente parco di parole.-

- Non parlo con gli elfi.- mastica Dwalin, storcendo il naso – questa ha persino un cattivo odore.-

- Ha dormito con noi per settimane, fratello mio, non è realistico pretendere che profumi di gelsomino!-

Niphredil inarca un sopracciglio poi, cautamente, si annusa i capelli.

- Sai che non parlo dell'onesto sudore nanico!- ha replicato Dwalin - parlo della puzza del tradimento!-

Niphredil sgrana gli occhi e, per un secondo, teme di aver già visto il nano, nel folto della battaglia, in quel giorno di sangue davanti a Dale, ma poi si rende conto che non è possibile, che Balin stesso le ha detto che suo fratello non aveva mai visto il fuoco devastatore di Smaug.

- Tradimento?- indaga Balin – con che boria puoi giudicare una persona, senz'averla mai vista e senza averle mai rivolto la parola? Non credevo di ritrovarti così cieco, fratello mio.-

- Non così cieco – ribatte Dwalin – da non riconoscere l'armatura del mio nemico. Quella corazza porta le insegne di Bosco Atro, di quel re sulla cui tomba mi recherei volentieri ad orinare!-

Niphredil stringe le mani a pugno e, per qualche istante, la rabbia scuote il suo discernimento. Poi, lentamente, l'onda refluisce, come la marea, e l'animo dell'elfa torna quieto ed incline a perdonare le parole di Dwalin. Balin le lancia uno sguardo e sorride.

Quando Dwalin se ne va, ancora irritato, le picchetta gentilmente sul dorso della mano.

- E' dura, vero?- chiede, a bassa voce – veder aggredite con tanta foga qualcuno per cui provi rispetto.-

- Non biasimo tuo fratello per la sua ira – risponde Niphredil – ma sì, ammetto che tacere non è stato facile.-

L'elfa scioglie lentamente la stretta, rilassando le lunghe dita. Nella sua vita, ha imparato molte cose. Ha imparato la pazienza, la ponderazione, ha imparato a ritirarsi quando la battaglia non può essere vinta e a concentrare le forze per un successivo attacco. Ha imparato quando è giusto esercitare prudenza, e quali sono le minacce che non si possono tollerare. Eppure, oggi come secoli prima, il pensiero di Thranduil oscura tutti i precetti appresi. Quando hanno affrontato Tàri, ricorda di essere quasi morta, intestardendosi a rimanere sul campo di battaglia, ignorando le ferite, obliando ogni cautela.

Ha imparato a tollerare ogni forma d'insulto razziale ed ha fatto l'abitudine al colorito linguaggio dei nani, sempre ricco di epiteti poco lusinghieri. Ha accettato il loro odio per la gente di Eryn Galen, ed il disprezzo per chi non li ha soccorsi, nel momento di maggior bisogno. Eppure non accetterà mai che si sputi sul nome del suo sovrano, perché la vita l'ha legata a lui con un nodo indissolubile. Un vincolo che lei onorerà, fino all'ultimo respiro.

 

 

La Coda: -La Matta- possiede forse l'Unico Anello?

No, se ve lo state chiedendo, no. Non possiedo l'Unico Anello. Sono nata con l'abilità di scomparire nel nulla, a volte per lunghi periodi di tempo, soprattutto se sto pubblicando una storia.

Benvenuti nel fanclub di "quelli che ricevono le periodiche scuse de –La Matta- per aggiornamenti evaporati, termini non rispettati e lunghi periodi di silenzio assoluto. Rivolgetevi al mio ufficio legale per eventuali richieste di risarcimento dei danni morali :P

Scherzi a parte, ho appena ricominciato a scrivere Niphredil, perché è una storia a cui tengo e che mi dispiacerebbe lasciare sospesa, e spero di non incorrere in altre carenze d'ispirazione aka blocco dello scrittore.

Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto – non succede un granché, è più che altro per riprendere da dove avevamo interrotto – e che la coerenza sia stata al mio fianco!

 

A presto!

- La Matta-

 

Nota: ebbene sì, non ho ricontrollato. Sì, sono scandalosa, ma ho finito il capitolo nel cuore della notte e volevi postarlo prima della nanna. Prometto una revisione a giorni e spero di non aver disseminato il testo di strafalcioni. Sono in buona fede, giuro J

 

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Capitolo 11
*** Il banchetto ***


niph banchetto

Capitolo Undicesimo

Il banchetto

 

 

La sala dei banchetti è ampia e lunga, dal soffitto basso ed ornato da intarsi di pietra bianca.

Dopo un lauto pasto, Angus ha aperto un barile di tabacco, una qualità pregiata, dall'aroma pungente, ed ha ordinato che tutti, sotto il suo tetto, riempiano le pipe e respirino a pieni polmoni, per celebrare quella riunione.

Niphredil soppesa la pipa di legno nero, che Balin le ha prestato per onorare il padrone di casa.

La osserva, sfiorandola con dita curiose, segue i rudimentali intagli che la decorano.

- Scommetto che non hai mai fumato, eh?- esclama Glòin, allungandole una poderosa pacca sulla spalla

Niphredil inarca un sopracciglio poi scuote la testa e sorride: - è così ovvio?-

Il nano scoppia a ridere: - niente asce, niente birra ed ora niente tabacco! Ma come vi crescono a voi orecchie a punta? Vi nutrono di foglie verdi e poesie lamentose?-

- Suvvia, Glòin – interviene Balin, allargando le braccia con fare conciliante – una cultura diversa dalla nostra può essere fonte di grande saggezza. Sono affascinato dal modo in cui…-

- E poi non hanno la barba!- replica Glòin, senza permettere all'amico di concludere la frase – non importa quanti anni campino! Che condanna terribile, trascorrere l'eternità senza una rigogliosa barba!-

Niphredil si copre la bocca con una mano e ride.

Balin sta per riprendere la conversazione, quando Angus, a capotavola, si alza in piedi ed esordisce, con la sua voce roboante:- amici! Fratelli miei! Da tempo queste mie Sale accolgono i viandanti stanchi, offrendo loro un fuoco e un giaciglio. Ma stanotte, stanotte queste mura sono testimoni di una riunione a lungo attesa! Perché il popolo nanico è sopravvissuto! Sopravvissuto alla guerra, al fuoco di una bestia maledetta, sopravvissuto alle intemperie ed all'impervio cammino! Sopravvissuto al lutto, alla sofferenza, sopravvissuto all'ira, per rinascere! Siamo come il ferro, fratelli miei! Il fuoco può morderci, finanche piegarci, ma emergeremo dalle fiamme, temprati e più resistenti! E' con questa certezza nel cuore che, stanotte, vi di dico di levare alti i vostri boccali e d'intonare canti di trionfo!-

Seduto accanto ad Angus, scuro in volto ed con una strana smorfia sulle labbra, il re dei nani si limita ad un cenno d'assenso. Thorin, al fianco del padre, solleva il boccale e si unisce al brindisi, però i suoi occhi sono lontani, inseguono pensieri che non riescono a concedergli pace.

Niphredil alza il boccale, si bagna appena le labbra nella birra fredda, poi lo riposa sul tavolo.

Il gesto non sfugge a Glòin, che le si avventa contro con una smorfia sconvolta:- non t'azzardare, orecchie e punta! Non intendo proseguire il viaggio con te, se prima non finisci la tua birra!-

- Oh, Glòin, adesso non seccarla!- lo riprende Balin – E' come se a te chiedessero di bere il vino elfico.-

- Non mi tirerei di certo indietro!- ribatte il nano fulvo, spingendo il boccale verso Niphredil.

Lei posa le dita sull'impugnatura poi, con un sorriso, si riporta il bicchiere alle labbra e beve una lunga sorsata. Non beve birra da quasi un secolo, eppure subito ne ricorda il sapore, il lieve bruciore che le invade la gola.

- Bene, bene!- approva Glòin – e se alla fine della sera dovessi vederti ubriaca, tanto meglio.-

- Non succederà.- sbuffa Niphredil, inarcando un sopracciglio

- Mai dire mai!-

 

Quattro ore dopo, Niphredil comincia a sentire un leggero formicolio alle dita e trova molto divertente che l'intorpidimento si stia concentrando anche sulla punta del suo naso. Alla sua sinistra, Balin è impegnato in un'accanita discussione con un altro nano, mentre alla sua destra, pericolosamente vicino a rovesciarsi giù dalla panca, Glòin gesticola, per attirare la sua attenzione.

- Ehy, Niph, vieni quaggiù!- articola alla fine, afferrandola per un lembo della veste

Lei sorride e, passato un braccio sulle spalle del nano, l'aiuta a rimettersi a sedere diritto.

- La vedi quella laggiù?- le bisbiglia Glòin, indicando una donna, dall'altro capo del tavolo. Anche lei sembra vagamente ubriaca, ma mantiene comunque un certo contegno. In un battito di ciglia, Niphredil la riconosce: è la nana che ha visto quella mattina, mentre riabbracciava il suo compagno.

- Certo che la vedo.- rispose, mentre Glòin si appoggia pesantemente al tavolo, allungando una mano per raggiungere il suo boccale – perché?-

- Quella è Dìs, la sorella di Thorin, e mi sorprende che il nostro buon Balin non vi abbia già presentate. Che diamine, mi sorprende che non ti abbia dovuto presentare a tutti i nostri fratelli. Un'elfa nelle Sale della Birra, ah, se non ti conoscessi mi vergognerei di aver permesso una simile vergogna. E' contraria all'ordine naturale delle cose, ecco. E' come un nano su un cavallo o un orco che compone poesie!-

Niphredil si piega in avanti e scoppia a ridere. La sua risata ha un suono argentino e, per un attimo, Glòin rimane ad ascoltarla, incantato, chiedendosi com'è possibile che una dannata elfa sia così eccezionale.

- Ad ogni modo, delle presentazioni potremo occuparci domani.- capitola, afferrando finalmente il boccale e portandoselo alle labbra. Subito lo allontana con un verso stizzito, rendendosi conto che è vuoto – comunque, non era di Dìs che volevo parlarti. Senza nulla togliere alla sorella di Thorin, non è proprio il mio tipo! Piuttosto, la vedi quella seduta vicino a lei? Quella con le chiome come fuoco ed una cicatrice sul labbro?-

Niphredil annuisce. Vede la donna di cui Glòin sta parlando: hai capelli raccolti in una massiccia treccia e ride sguaiatamente, alla battuta di un amico.

- Chi è?- chiede, incuriosita

- Quella è Nadris. Ed è, e ascoltami bene, Niph, perché è davvero importante, è l'amore della mia vita.-

Niphredil sorride, intenerita, mentre Glòin tenta di nuovo di bere dal boccale vuoto.

- Dì, tu hai qualcuno che ti aspetta, in quella tua maledetta foresta?-

La guerriera sospira. Si appoggia al tavolo, disegnando un ghirigoro sul legno, con una goccia di birra. Non vuole mentire a Glòin. Le è sempre più difficile nascondere la verità, soprattutto a lui, a quel nano rozzo e cocciuto che pure è riuscito a darle tanto, nelle ultime settimane. L'ha fatta ridere, l'ha costretta a bere, a cantare, ad ascoltare pessimi aneddoti nanici, si è fidato di lei quando tutto il resto gli suggeriva di non farlo, e lei non può dargli niente, in cambio, nemmeno una storia.

- Niph?-

- Sì - mormora alla fine, assorta – c'è qualcuno che mi aspetta, ad Eryn Galen.-

- E com'è?-

- E'…- Niphredil sorride, e sul suo viso la nostalgia si mescola all'orgoglio  -… è un guerriero, pronto a qualunque sacrificio, per proteggere la sua gente. A volte… a volte si adombra, perché troppi pensieri affollano la sua mente, ed io non sono in grado di alleggerire il suo fardello. Per migliaia di anni ho condiviso il suo cammino e mai la sua mano ha mancato di sorreggermi.-

- Questo è ciò che conta.- dice Glòin, con un vigoroso cenno d'assenso – sono contento che ci sarà qualcuno a prendersi cura di te, quando tutta questa storia sarà finita. Non ci sarò sempre io a guardarti le spalle, orecchie a punta.-

Niphredil fa una smorfia, poi riporta la conversazione su Nadris e Glòin si lancia in un'accurata pianificazione del proprio futuro con la donna, di come si sposeranno in vaste sale scolpite nella roccia, di come avranno un figlio, a cui Glòin insegnerà a combattere con l'ascia bipenne e che crescerà coi racconti di quell'avventura.

- Ma non gli dirò di fidarsi degli elfi, ah no!- conclude il nano fulvo, prima di crollare di nuovo sulla panca, borbottando frammenti di frasi, nello stordimento che precede il sonno.

 

Lontano, fra le irte rocce del Monte Gundabad, il Drago giace disteso, assorto in propositi di vendetta.

Quando la solitudine rende silenzioso il mondo attorno a lei, la bestia rimugina e viene assalita dal ricordo. Una memoria irritante, molesta, il dolore lancinante del coltello che le ha trafitto l'occhio, della spada che le si è conficcata in gola, riempiendole la bocca di sangue e fiele.

Ricorda l'ignominia della fuga, la ritirata tanto infame quanto disperata. Ricorda l'epilogo della sua battaglia come si ricorda un incubo, con un misto di furia e di puro orrore, e sui suoi occhi cala un velo rosso, sanguigno; l'ira la acceca e le ottenebra l'intelletto.

Il drago non vuole più attendere. Vuole portare le fiamme e la morte fino al Reame Boscoso, vuole seppellire gli elfi sotto le ceneri della loro patria e vederli contorcersi nell'agonia. Vuole cancellare ogni cosa in grado di serbare memoria della sua umiliazione.

Si volta, di scatto, sentendo dei passi avvicinarsi.

- Mi aspetto notizie, scarto – pronuncia, folgorando l'orco con uno sguardo sdegnato – parla in fretta.-

- Il Reame Boscoso è ben presidiato, mia signora – mormora l'esploratore, dopo essersi inchinato con malagrazia. Un tremito inarrestabile gli scuote il braccio destro; lo tiene nascosto dietro la schiena, illudendosi di poterlo celare alla bestia.

- Se fosse sguarnito, non avrei bisogno di voi.-

- Invece, per quanto riguarda i nani….-

- I nani?- un sibilo risuona fra le rovine, mentre la coda del drago fende l'aria – non considerarmi incapace di onorare una promessa, vile creatura! Conosco i termini del nostro accordo e non ignorerò la volontà di Colui a cui va la via lealtà…, ma non sprecherò le mie forze inseguendo i nemici che voi non siete riusciti ad annientare, non prima di ottenere la mia vendetta. Pondera con attenzione le tue prossime parole, feccia, perché, in un esercito, un soldato in meno non fa alcuna differenza.-

Il drago sottolinea la minaccia con uno sbuffo di fumo rovente, che fa accapponare la pelle all'orco.

- Perdonami, mia signora – dice, sprofondando in un secondo inchino – presto gli ultimi esploratori faranno ritorno e le truppe del Gundabad si uniranno alla tua possanza, per annientare la feccia elfica.-

- Il tuo presto è già tardi, per me. I vostri esploratori hanno quattro giorni, prima che io decida di distrarmi… con uno spuntino.-

 

Mentre si allontana dalle rovine in cui il maledetto lucertolone si è sistemato, Erag mastica un'imprecazione.

Scende il piccolo pendio roccioso e, davanti ai suoi occhi, appare l'accampamento della sua tribù.

Dove prima esisteva solo una piccola guarnigione, poche tende e le ceneri fredde di un vecchio falò, ora si è radunata la sua intera tribù, assieme ai superstiti di Azanulbizar. Il campo è grande e ben organizzato, ma vi aleggia un'atmosfera strana, tesa. Come se tutti sentissero sul collo il fiato rovente del Drago.

Raggiunge la tenda di Sinag, retta dai pali più massicci e fabbricata con la stoffa più scura e resistente, e subito alle sue orecchie giunge la voce del comandante, sempre gelida e dura come acciaio.

- Dove sono Nitac e Torung?- sta chiedendo, in un ringhio basso e greve, minaccioso.

Mald, il capo degli esploratori, emette un verso impacciato e distoglie lo sguardo:- hanno interrotto i rapporti con le altre squadre. Stavano rimanendo indietro e i miei uomini avevano l'ordine di rientrare appena…-

- Appena cosa?!- sibila Sinag, allargando le narici

- Appena terminata la ricognizione. Nitac e Torung sono capitani di esperienza, non credevo che…-

- Che la feccia elfica potesse accorgersi di loro? Non intendo permettere che una leggerezza simile sveli le nostre mosse anzitempo. Scopri che è successo a quei due idioti ed alle loro pattuglie e non azzardarti a fare ritorno senza le risposte che cerco.-

Mald china rigidamente il capo, poi si congeda e si allontana, a passo pesante.

- Erag – chiama Sinag, voltandosi verso il sottoposto – sei ancora intero, me ne compiaccio. Mi aspettavo che la nostra suscettibile padrona ti prendesse a morsi.-

- Fortunatamente non l'ha fatto, comandante.- ribatte Erag.

Sinag sbuffa, poi si china su un rudimentale tavolo, su cui ha aperto una mappa.

- Quel Drago – commenta, con fare pensoso – è pura potenza, ed ammiro la sua forza. Ma non possiede certo una mente strategica. Nessuno può cogliere di sorpresa gli elfi del Reame Boscoso, di certo non le nostre squadre. Dovremmo scegliere un obbiettivo e concentrarci su quello: gli elfi o i nani. La vendetta del Drago oppure la nostra. Ma no – Erag scorge un'ombra di pura irritazione, negli occhi di Sinag – no, lei pretende di avere tutto, di adempiere al suo dovere e, allo stesso tempo, di soddisfare il suo desiderio. Se non fosse un colosso squamoso sputafiamme, arriverei a dubitare della nostra vittoria.-

- Ma lo è.- esala Erag, quasi senza rendersene conto

- Già- annuisce Sinag. Afferra un pugnale e lo conficca al centro della mappa – lo è.-

Erag tace, continua a guardare verso il suo comandante, cercando di leggere dietro alla sua espressione rigida. Sa che vinceranno, che quella lotta terminerà con la vendetta, col trionfo, con le lodi del loro Signore. Lo sanno entrambi, eppure Sinag è insoddisfatto, infastidito.

Perché le cose non stanno venendo fatte a modo suo.

 

Ad Eryn Galen, Thranduil è nei suoi appartamenti, con un calice di vino rosso in mano e lo sguardo assorto.

Ha scelto un nuovo comandante, che prepari i soldati e pianifichi le difese, in attesa del ritorno di Niphredil.

Si è trattato di ordinaria amministrazione, una precauzione ovvia, eppure è stato difficile.

E' stato difficile vedere i soldati salutare un altro comandante, diverso da colei che li ha guidati per quasi tremila anni, che ha raccolto i pezzi dell'esercito distrutto a Barad-dur, che ha pronunciato i lamenti per i capitani caduti e che non ha mai indietreggiato, trovandosi sempre nell'occhio del ciclone.

Thranduil sospira, bagnandosi appena le labbra col vino scarlatto.

Si alza e raggiunge la scrivania. C'è un piccolo scrigno, nell'angolo, coperto da un velluto perlaceo. Lo solleva, per accarezzare gli intarsi argentei sulla scatoletta.

La chiave è piccola e, mentre la gira nella serratura, Thranduil risente la voce di Niphredil, la sua risata limpida e leggera. La ricorda perfettamente, eppure la memoria non gli trasmette la stessa sensazione. E' come un'eco, un ultimo sussurro, che ha perduto tutta la sua forza.

Apre lo scrigno. Adagiato su un cuscinetto di seta rossa, c'è un ciondolo: una gabbia d'oro, con dentro racchiusa una punta di freccia. Un pallido sorriso incurva le labbra di sire Thranduil.

 

L'aria era densa di umidità e in alto, sopra la foresta, i tuoni rimbombavano, preannunciando un temporale. Spirava un vento freddo, che faceva stormire le chiome degli alberi.

Non riusciva a prendere sonno e si rigirava fra le lenzuola, irrequieto.

Niphredil, al suo fianco, si era sollevata su un gomito, soffocando uno sbadiglio. Si era scostata una ciocca di capelli dal volto e aveva cercato la sua mano, fra le coperte.

- Cosa c'è?- gli aveva chiesto, in un roco mormorio

Lui aveva sospirato, intrecciando le dita a quelle di lei, ed era rimasto in silenzio.

- Un turbamento – aveva sussurrato, dopo qualche istante – un'ombra, come un essere deforme che protende i suoi artigli fino ad Eryn Galen. A volte… a volte mi sembra ad un soffio dal ghermirci.-

Niphredil gli aveva sollevato una mano, portandosela alle labbra per posarvi un bacio.

- La fermeremo, mio signore.- gli aveva mormorato, come una promessa – ti ricordi com'eravamo, quando i tempi erano giovani? Quando il buio portava pace, e non incubi?-

Thranduil l'aveva presa fra le braccia. La sua pelle era morbida e tiepida, il suo respiro era leggero e delicato.

- Sento la nostalgia di quei giorni – aveva ammesso, posando il viso contro la sua spalla – e temo che non faranno ritorno, amore mio. Sto forse errando in qualcosa?-

Niphredil aveva fatto scivolare una carezza sui suoi lunghi capelli biondi.

- Non tormentarti con queste domande, a'maelamin.- aveva sussurrato – ricordi il ciondolo con la punta di freccia? Tuo padre me l'ha donata quand'ero bambina. Ero giovane, l'ho accettata con un sorriso, come se fosse un semplice regalo… poi, negli anni, ho iniziato ad interrogarmi su quale fosse il suo significato e credo di averlo trovato. Credo sia una promessa, la promessa che, se rimarremo fedeli a chi amiamo e non arretreremo davanti alle all'oscurità, alla fine vedremo l'alba e sarà la cosa più bella su cui i nostri occhi si saranno mai posati.-

 

Un ciclo di luna era trascorso da quella notte, da quella conversazione, dal sorriso con cui Niphredil si ostinava a ribattere ad ogni suo dubbio, e Thranduil aveva trovato un dono, sulla sua scrivania. Un delicato filo d'oro e, intrappolata in una gabbia di metallo sottile, un'altra punta di freccia.

Aveva sorriso e, per un attimo, l'ansia era arretrata, l'ombra s'era fatta pallida, alla luce del mattino.

 

 

La Coda!

Mmh… c'era qualcosa che volevo scrivere nella Coda… vabbé, probabilmente era irrilevante! Come sempre, grazie per essere giunti fin qui. Oh, sì, ecco cos'era: un giorno i flash-back avranno fine, lo prometto. Un giorno le cose succederanno per davvero, e non saranno solo ricordi! Un giorno il Drago e Sinag litigheranno furiosamente ed urleranno talmente che sentiremo tutti il vero piano dei nemici! Un giorno Glòin non sarà uno stereotipo che cammina… ma non è questo il giorno! :P

Ok no, delirio a parte – perdonatemi, ieri ho dato un esame e ho ancora parecchio sonno in arretrato!-, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Al prossimo aggiornamento J

 

- La Matta

 

P.s: ebbene sì, Kanako91, la nana era Dìs J E nel prossimo capitolo, finalmente, Niphredil avrà un'altra donna con cui parlare di armi, nani, orchi ed amore. Oh, e di scarpe! :P

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Capitolo 12
*** Lo spirito e il pugnale ***


niph12

Capitolo Dodicesimo

Lo spirito e il pugnale

 

 

Il banchetto ormai sta volgendo al termine, quando una mano picchetta gentilmente sulla spalla di Niphredil.

L’elfa si volta, posandosi una mano sulla fronte per combattere uno strano quanto inatteso capogiro, e si rende conto che, in piedi dietro di lei, con un sorriso sornione, c’è Angus.

- Mi piacerebbe scambiare due parole con te, mia signora. – le dice, in tono cortese.

Niphredil rimane momentaneamente spiazzata dai suoi modi gentili e, nondimeno, dallo sfoggio di buona educazione, ma annuisce e si alza in piedi.

Dopo aver lanciato uno sguardo a Glòin, che russa beatamente sul pavimento, segue il padrone di casa fuori dalla sala dei banchetti.

La notte è limpida e tersa, nemmeno un alito di vento accarezza le cime degli alberi.

- Thràin mi ha detto che sei un mercenario. – esordisce Angus, guidandola verso le dispense, un massiccio edificio di pietra, poco lontano – Ma non ne hai affatto l’aspetto. –

Niphredil si stringe nelle spalle: - che aspetto ha un mercenario, mastro Angus? –

- Oh, io ne ho viste, di spade in vendita, sai? Dei tipi più variegati. Subdoli ladri, miei compatrioti corazzati fino alle sopracciglia. Alcuni erano semplice feccia, criminali di bassa lega incapaci di mantenere una promessa, di onorare degli ideali, disposti a rispondere solo al richiamo dell’oro. Altri avevano una sorta di codice morale, ma tutti, indistintamente, avevano qualcosa, nello sguardo. Un misto di confusione, ostilità. La brama di sangue di chi non ha più niente di caro al mondo. –

Il nano spinge la porta delle dispense, entrando nell’edificio.

Li accoglie un buio caldo ed odoroso. I profumi del cibo e del legno si uniscono, creando una loro armonia.

- E tu – conclude Angus, estraendo una bottiglia impolverata – tu non hai quello sguardo. – solleva il fiasco, con una smorfia trionfale – trovato! Lauregwîn, il vino dorato del Verdecammino. -

Niphredil sorride, sorpresa, mentre il nano estrae una coppa e gliela tende

- Sai – riprende Angus – dicono che il lauregwîn porti con sé l’aroma di ogni terra attraversata dal Verdecammino, ma io ho sempre pensato che non sapesse di niente. Però, però avevo quest’amico, mi veniva a fare visita quando queste Sale ancora non esistevano. – mentre parla, stappa la bottiglia e riempie il calice di Niphredil. Il vino ha un profumo suadente, dolce e intenso come miele – era un viaggiatore. Non aveva bisogno di niente, a parte di un cielo sopra la testa ed un sorso di vino per sciacquarsi l’ugola. –

- Sembra un persona piacevole – sorride Niphredil, prima di portarsi la coppa alle labbra. Mentre beve, si sente addosso lo sguardo di Angus, sente come il nano studia ogni suo movimento – perché volevi parlarmi? –

- Perché qui ho qualcosa che non appartiene a queste Sale – gli occhi del nano ardono di una strana fiamma, un malsano livore si è impossessato delle sue iridi. La sua voce non è più quella alta e cordiale che ha incitato ai festeggiamenti ed ha elogiato il coraggio della gente di Erebor – e voglio fartene dono. –

Infila una mano nella tasca del pesante mantello. Niphredil sente il rumore delle unghie che battono delicatamente sul metallo, poi Angus estrae un pugnale e glielo porge.

E’ di fattura grezza, di una lega pesante e scura, dal colore sgradevole.

Niphredil lo soppesa, l’impugnatura che mal si adatta alle sue dita affusolate.

- Questa arma è stata forgiata dagli orchi – pronuncia poi, confusa, accarezzando pensosamente un’incisione, a malapena visibile sulla lama irregolare – Ighnar… non conosco il significato di questa parola. –

- Nemmeno io – annuisce Angus – ma è giunto il momento che io mi separi da questo putrido oggetto. –

- Come è giunto in tuo possesso? –

- Me lo donò il mio amico viandante, prima di partire per l’ultimo viaggio. Mi congedò dicendo che avevamo condiviso ore lunghe e liete, ma che il suo destino era di non potersi fermare in alcun luogo. Sorrise e mi diede questo pugnale. Gli chiesi spiegazioni, insistetti con veemenza, eppure lui non aggiunse parola. Si stava già allontanando, quando si voltò e disse che il pugnale aveva ancora un ruolo da giocare, nella storia, prima di sciogliersi nel fuoco che gli ha dato vita. Così, ho tenuto quest’orrida reliquia per anni. La maggior parte del tempo arrivavo ad obliarne l’esistenza eppure, certe notti, mi svegliavo all’improvviso, madido di sudore, coll’irresistibile bisogno di aprire il forziere ed assicurarmi che il pugnale fosse ancora lì. Oggi sento di potermene separare… come se avessi assolto ad un compito datomi anni fa. –

Niphredil tace. Ha ancora il coltello in mano. Il metallo è gelido e ruvido, il filo un po’ smussato, l’uso ha quasi rimosso l’iscrizione, eppure nulla, in quell’oggetto, le causa una qualsiasi emozione. Non riesce a comprendere le sensazioni descritte da Angus, ma il sollievo è palese, sul volto del nano.

- Un’arma degli orchi in mano ad un’elfa in una compagnia di nani… – commenta la guerriera, allentando la tensione - … non ti ringrazierò per questo dono, mastro Angus, ma ti prometto che lo porterò con me, finché non avrà ottemperato al suo ruolo nella storia. –

Angus annuisce e l’ombra scompare dal suo viso, quando Niphredil ripone il pugnale.

I suoi lineamenti si rilassano, il suo sorriso torna caldo ed entusiasta, la sua voce piena e sicura.

- Ti ringrazio per aver accettato qualcosa che io nemmeno comprendo. Hai placato le mie ansie ed ora potrò concentrarmi appieno nel sostenere la mia gente. Perciò, grazie ancora, Niphredil di Eryn Galen. Ed ora – si dà una pacca sulla coscia, scuotendo il capo – ed ora torniamo alla festa, prima che qualcuno si risenta della nostra assenza. Oh, e prendi pure la bottiglia, tanto quel vino maledetto mi ha sempre disgustato. –

 

Ad Eryn Galen, il comandante ad interim è davanti ad uno specchio.

Controlla come l’armatura le cade sul corpo snello, si assicura che le cinghie siano tutte ben chiuse e che nemmeno una macchia turbi la perfezione scintillante del metallo argenteo.

Non sa come raccogliere i lunghi capelli rossi. Non vuole apparire frivola, con un’acconciatura elaborata, ma non vuole neanche che le ciocche ribelli le invadano il campo visivo.

Sospira, mentre il suo sguardo si posa sulla spada cerimoniale, il simbolo della sua carica.

La verità è che non si sentirà mai all’altezza di Niphredil, anche se è stata lei ad addestrarla. Ricorda i suoi incoraggiamenti, le sue lodi, i suoi aneddoti, la naturalezza con cui parlava alle truppe.

Termina di intrecciarsi i capelli e prende in mano il fodero della spada.

- Nervosa? – la sorprende una voce maschile.

In piedi, appoggiato allo stipite della porta, Legolas Thranduilion la sta fissando.

- Mio signore! – esclama, chinando il capo

- Siamo stati bambini insieme, amica mia – ribatte lui, sorridendo – la tua nuova carica non ti costringe a tante formalità, di certo non nella quiete di questa stanza. –

La giovane comandante risponde al sorriso, poi termina di allacciarsi la cintura: - pensi che ne sarò in grado, Legolas? – chiede, chinando il capo.

Il principe annuisce, sistemandole il mantello: - naturalmente. E anche se non ti conoscessi bene, mi affiderei al giudizio di mio padre. Se c’è qualcosa che non tollera, è l’incompetenza. –

- Molto incoraggiante – sbuffa l’elfa – grazie, eh. –

Legolas sorride, posandole una mano sulla spalla: - Andrà tutto bene – le promette – sarai perfetta, Luinil. –

 

La luna ha già cominciato la sua discesa, quando finalmente i canti dei nani tacciono.

Un profondo silenzio scivola nella sala dei banchetti, rotto solo dal russare di chi, troppo ubriaco per tornare alle baracche, è rimasto sul pavimento, fra pozze di birra ed avanzi di cibo.

Niphredil sta lasciando la sala, sorreggendo un Arin abbastanza malfermo sulle gambe, quando la voce di Thorin pronuncia il suo nome. L’elfa affida il giovane nano a Balin e raggiunge il principe.

- Non avevo mai preso parte ai festeggiamenti dei nani – commenta, con un sorriso – è stato divertente. Il tuo popolo ha l’energia ruggente del fuoco, dell’eccesso, della passione. E’ affascinante. –

Thorin fa una smorfia: - mi rallegro che ti sia stato di diletto. Non hai avuto ancora l’occasione di vedere il meglio di noi. – sospira, poi le sfiora il polso con una mano – e di recente nemmeno io ho dato il meglio di me. Perdonami, per la mia amarezza. Non sei tu l’oggetto del mio rancore, Niphredil di Eryn Galen, ma la tua presenza mi rammenta sempre la perdita che abbiamo subito, i compagni che ci siamo lasciati alle spalle, nell’inferno di Dale, quando il tuo re ha scelto di abbandonarci. –

Niphredil abbassa lo sguardo, poi prende la mano di Thorin nella propria: - non chiedermi perdono, Thorin Scudo di Quercia. Mi dispiace se la mia presenza ti causa dolore. –

Il nano scuote la testa: - sei una buona sorella d’armi e, un giorno, non conterà altro. – lascia la mano dell’elfa, poi cerca di sorriderle – ma non era mio desiderio turbare la tua serata con questo discorso. Al contrario, vorrei presentarti mia sorella. So che l’ora è tarda, ma scoprirai che Dìs non sopporta di prolungare le attese e che è anche piuttosto categorica e non nutre dubbi su ciò che desidera. –

Niphredil allarga le braccia: - allora andiamo, Thorin Scudo di Quercia – acconsente, divertita.

S’incamminano verso un piccolo chiosco, basso e rustico come gli edifici che lo circondano, ma adorno di felci ed edera selvatica. Seduta su una panca, con una pipa spenta in mano, c’è la nana coi capelli scuri che Glòin le ha indicato, durante il banchetto.

Indossa abiti semplici e comodi, adatti per un lungo viaggio, ma non ha bisogno di gioielli o di ricchi ornamenti per provare il suo rango. Da ogni gesto, anche da quella placida attesa, trapela un’aura di dignità, una nobiltà ferita, ma non infranta.

- Oh, finalmente – esala, quando i suoi limpidi occhi grigi si posano sulla sagoma del fratello.

- Dìs – risponde Thorin – costei è Niphredil di Eryn Galen, che ha combattuto al nostro fianco a Dimrill Dale. Niphredil, ti presento mia sorella, Dìs, figlia di Thràin. –

Dìs stringe con vigore il braccio di Niphredil, nel saluto nanico, poi rimane in silenzio, osservandola.

- Perché? – le domanda, dopo qualche istante, inarcando un sopracciglio, folto e scuro – perché un’elfa abbandona i canti e l’armonia delle sue foreste per affiancare un popolo in esilio? –

Niphredil allarga le braccia: - Non condanno la ritirata del mio re, davanti ad Erebor – ribatte, senza distogliere lo sguardo dalle limpide iridi di Dìs – ma questo non significa che il mio animo sia insensibile alle sofferenze delle genti naniche. Riposo sonni più sereni, da quando mi sono unita a tuo fratello e ai suoi compagni. –

Se non fosse così concentrata sulla sua interlocutrice, Niphredil noterebbe Thorin, al suo fianco, inclinare il capo e sciogliersi in un involontario sorriso.

Dìs non ribatte subito, si limita ad aumentare la presa sul braccio dell’elfa.

Sembra ponderare la sua risposta, soppesare le sue motivazioni, combattere contro il fardello del rancore della sua intera stirpe. Poi, lentamente, le sue dita si rilassano.

- Mi sta bene, Niphredil di Eryn Galen – annuisce, poi un sorriso le illumina il viso, rivelando tutta la bellezza dei suoi lineamenti marcati e volitivi e dei suoi occhi, grigi come la pietra e limpidi come l’acqua – mi sorprende che la compagnia di mio fratello non ti abbia già fatto riconsiderare le tue scelte. Rendo onore alla tua tempra, le battute di Glòin metterebbero in fuga chiunque. –

Niphredil si posa una mano sulle labbra e ride, assieme a Dìs.

- Thorin – dice poi la nana, voltandosi verso il fratello – sei stanco, va’ a riposare. A lei piacendo, vorrei intrattenermi ancora un po’ assieme all’elfa. Abbiamo molto di cui discutere. –

- No – replica lui, determinato – rimango qui. –

- Certo – sbuffa Dìs – perché abbiamo bisogno di una balia, nel caso gli orchi scegliessero proprio questa notte per sferrare un attacco, magari assieme ad un branco di giganti. Su, su, fratello – il suo tono si addolcisce, anche se in modo appena percepibile – domattina torneremo a preoccuparci di nemici e peregrinazioni, ma stanotte vorrei che tu dormissi un sonno sereno. –

Anche se di malavoglia, Thorin annuisce.

- Buonanotte, sorella mia – augura, stringendo una mano sulla spalla della nana – e buon riposo anche a te, Niphredil. –

Dìs guarda il fratello allontanarsi, poi riporta la sua attenzione sull’elfa.

- Hai dei fratelli? – chiede, colloquiale, tornando a sedersi sulla panca di pietra.

- No – risponde Niphredil, in un soffio

- E’ un peccato. E’ un affetto che non si può descrivere. Non è l’amore che si tributa al proprio compagno, ma non per questo crea un vincolo meno forte. Ho già sepolto un fratello, ed ora vedo Thorin struggersi nel cordoglio per Erebor. Vedo come la furia lo priva del sonno, come si assottigliano i legami con chi gli è più caro. Spero che rivedere Dwalin gli giovi, e che possa godere di questi giorni di pace, presso le sale di Angus. Ho visto come ti guarda, Niphredil di Eryn Galen, ed ho avvertito una nota strana, nella sua voce, quando parla di te. Tu gli cagioni dolore e gioia allo stesso tempo, gl’impedisci di rassegnarsi alla caduta di Erebor eppure si dispiacerebbe se le vostre strade dovessero dividersi. –

- I legami che nascono in battaglia sono singolari – replica Niphredil, quietamente – perché non germogliano nella pace, ma nella furia della guerra, quando gli equilibri sono in rotta e gli animi sono irrequieti. Confido che, un giorno, io e Thorin potremmo essere buoni amici. –

Dìs annuisce, con un cenno del capo: - non ferirlo, elfa. –

Niphredil fa uno sforzo, per non distogliere lo sguardo. Il ricordo di sé stessa, davanti alle porte di Erebor, torna a tormentarla. Rivede Thorin gesticolare verso di lei, gridando, chiedendo aiuto.

- Non voglio ferirlo – sussurra.

Dìs sbuffa, ma la sua replica non è amara, né diffidente: - lo credo – pronuncia, poi sbuffa di nuovo – questo è ciò che era mio dovere dirti, ora potremo intrattenerci con conversazioni più gradite ad entrambe. Ebbene – incrocia le braccia sul petto, con un sorriso – perché hai scelto la spada, invece dell’arco? –

Niphredil inclina la testa, perplessa: - come sai che combatto con la spada? –

Dìs si scioglie in un leggero risolino: - oh, so di te fino all’ultimo dettaglio – risponde, battendo le mani – non puoi immaginare quanto Glòin e Balin mi abbiano parlato, della loro amica con le orecchie a punta. –

 

Aveva vagato per secoli. Millenni. Forse per Ere.

Ormai la fatica fiaccava i suoi arti, gli occhi gli bruciavano per tutto ciò che aveva visto e, se gli fosse stato concesso di essere parte del mondo materiale, avrebbero lacrimato ed acqua tiepida gli sarebbe stillata sulle gote smunte.

Ancora una volta, tentò di fermarsi. Trovò una radura, dove i pendii erbosi declinavano dolcemente ed il vento stormiva fra alberi dal tronco snello. Si sdraiò fra i piccoli fiori bianchi, respirandone il profumo. Il suo corpo privo di peso non minacciava di soffocare i fragili germogli.

Guardò il cielo, e le nubi che correvano sopra di lui, ed emise un lieve sospiro.

“Ecco” si disse “ora potrò riposare”

Chiuse gli occhi, ma ogni frammento del suo essere gridò, con uno stridore accecante. Cercò di ignorarlo, affondando le mani nel terriccio senza poterlo penetrare, ma dovette arrendersi alla propria natura.

Si risollevò in piedi e poi levitò nell’aria tersa, lanciando uno sguardo di congedo all’ennesimo luogo inadeguato, all’ultimo tentativo fallito di fermarsi e dare requie al proprio spirito.

Riprese il suo peregrinare, invisibile, impercepibile, un frammento della Creazione incapace d’incastrarsi con gli altri, il tassello di un mosaico che non sa a qualche opera appartiene.

 

Il giorno successivo al banchetto trascorre lento e pigro.

I nani dormono, o chiacchierano, si prendono cura del loro equipaggiamento ed affilano le armi.

E mentre Thràin rievoca il passato assieme ad Angus, Niphredil ascolta le storie di guerra degli altri nani.

- … e così – sta raccontando Glòin – ho conficcato la mia ascia in mezzo al cranio del troll delle montagne, lui ha lanciato un grido da donnetta ed è crollato a terra, ammorbando l’aria col fetore del suo ultimo respiro! –

Dwalin ride, battendosi una pacca sulla coscia: - ah, ha avuto quel che si meritava! –

Balin inarca una sopracciglio: - che coincidenza infausta, incontrare un troll delle montagne così lontano dalle sue terre d’origine. Chissà cosa l’ha spinto così lontano dai confini di Mordor… -

- Che mi cada la barba se dico menzogne! – ribatte subito Glòin, estremamente serio.

- Che la Pietra ci salvi dal vedere la tua faccia per intero! – lo schernisce Dìs, suscitando le risate dell’intera compagnia. Il nano fulvo incrocia le braccia sul petto e grugnisce, con una smorfia offesa.

Stanno ancora ridendo quando un vociare concitato si solleva dalla palizzata che delimita le Sale. Non è una vera struttura difensiva, eppure ha due buone postazioni per le sentinelle, da dove si può facilmente dominare l’intera spianata circostante.

Ed è proprio da una di queste che si sentono esclamazioni confuse e qualche imprecazione in khuzdul.

Dwalin è il primo a balzare in piedi e a dirigersi, a passo rapido, verso la barricata, seguito da Dìs e Glòin. Balin, invece, rimane seduto sulla panca, i gomiti appoggiati sulle ginocchia ed una smorfia serafica sulle labbra.

- Qualcosa di divertente? – gli domanda Niphredil, inclinando il capo

- Trovo sconveniente tutto questo incomodo solo per infilare il naso nella tua corrispondenza. –

L’elfa lo guarda, confusa, sgranando gli occhi: - la mia cosa? –

- Noi nani siamo guerrieri impavidi ed avidi conoscitori della pietra e delle sue insidie… - Balin sorride, allargando le braccia – ma non si può certo dire che siamo acuti osservatori. Tutto questo caos è stato generato da un uccello, che le guardie devono aver scambiato per una spia del nemico – il nano inarca un sopracciglio, con un leggero sbuffo – come se un falco dalla coda d’argento potesse somigliare a dei volgari corvacci…-

Niphredil torna a sedersi mentre, da lontano, il vociare di acquieta.

Sta per ribattere quando, con un lieve fischio, un uccello scende in picchiata, posandosi elegantemente sulla sua spalla, piegando la testa e fissandola coi suoi liquidi occhi neri.

E’ completamente bianco, tranne il becco e la coda, di un grigio tanto brillante da sembrare metallo.

- Sono bestie meravigliose – commenta Balin, mentre Niphredil slega la piccola custodia di cuoio, assicurata alla zampa del rapace – si legano ad una sola persona, nell’arco di una vita, e potrebbero rintracciarla a migliaia di leghe di distanza. Solo la tua gente conosce il segreto del loro addestramento. –

Niphredil sorride: - Il tuo sapere non cessa di sorprendermi, Balin – annuisce – sì, questa è Ethuil, ed è sempre riuscita a trovarmi, non importa quanto lontana io fossi da Eryn Galen. –

- Ebbene – Balin si alza – andrò a tranquillizzare le nostre solerti sentinelle e, magari, ad istruirle sulle tipologie di volatili che gli orchi usano per comunicare fra loro –

Niphredil annuisce, con una leggera risata, poi apre la custodia di cuoio ed estrae un frammento di pergamena. Nonostante il viaggio, ha il profumo di casa.

Non appena i suoi occhi si posano sul messaggio, l’elfa riconosce la grafia, ed un sorriso le incurva le labbra.

“Ovunque tu sia, qualunque cosa tu sia facendo, hai il mio amore. Non dubitarne, perché la distanza non può danneggiarlo né affievolirlo. Spero ti accompagni, nelle lunghe notti che ti riporteranno al mio fianco.

Thranduil”

Niphredil si stringe la pergamena al petto, con un lungo sospiro.

- Ti amo anch’io – sussurra, mentre una lacrima le riga la guancia.

 

 

 

La Coda: oddio che capitolo lungo!

 

Siete arrivati alla fine? Bravi, avete il mio plauso J

Scherzi a parte, un capitolo più lungo del solito e più intenso (nel senso che finalmente succede qualcosa!)

Ma anche da voi fa così freddo come da me? Io sto davvero congelando!!

Scusate, ho bevuto troppo the nel tentativo di mantenere la mia temperatura corporea stabile :P

Grazie per essere giunti fin qui, a presto!!

 

Nota: avete visto? Niph ha cambiato titolo e sinossi! Era una cosa che dovevo fare da uno sfracello di tempo e finalmente sono arrivata ad un compromesso accettabile. Non scriverò mai sinossi per mestiere, ma posso dirmi soddisfatta J

Nota2: Ethuil, il nome del falco, significa “primavera” in elfico, o almeno così mi assicura un attendibilissimo sito su internet :P

 

Ancora ciriciao!

- La Matta -

 

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Capitolo 13
*** I problemi degli Orchi ***


niph13

Capitolo Tredicesimo

I problemi degli Orchi

 

 

Erag rimane immobile, il più addossato possibile alla parete, mentre Sinag fronteggia il Drago.

Lo vede dilatare la narici, reprimendo l’ira, vede i suoi occhi ardere di sdegno mentre trattiene una replica che potrebbe costargli la vita.

- Non è fattibile – dice infine il comandante; e la sua voce ha il suono di uno sputo.

La bestia maledetta abbassa il collo sinuoso, portando il muso all’altezza dell’orco. Nella penombra, i suoi denti emanano un bagliore affilato, quando fa schioccare la mascella.

- Allora – pronuncia con calma ingannevole – rendilo tale. –

- I miei uomini verranno sterminati, prima che tu... –

Il Drago interrompe Sinag, sbuffando una nuvola di fumo caldo: - i tuoi uomini sono carne da macello, per me. La loro morte non mi riguarda. –

- Mi rifiuto di seguire un piano simile! – esplode l’orco, mentre il suo pugno si abbatte contro la parete. La roccia antica si sgretola, nero pietrisco scivola a terra – è follia! –

Erag si paralizza, osserva la scena con gli occhi dilatati dallo spavento.

Il Drago si avvicina, accosta il muso al volto di Sinag, finché non rimane che un respiro a separarli. L’osserva con i suoi occhi di fuoco liquido, uno vivido e furente, l’altro annebbiato dalla trama della vecchia cicatrice.

- Da cosa trai l’ardimento di rivolgerti a me in questa maniera? – sibila, minacciosa.

Sinag appoggia la mano sull’impugnatura della frusta uncinata, che gli pende al fianco.

- Siamo alleati, bestia – replica, gelido – non dimenticarlo –

Il Drago accorcia ulteriormente le distanze, mentre il cuore di Erag cessa per un attimo di battere e la sua mente si riempie di immagini raccapriccianti di fuoco, sangue e devastazione. Non sa perché Sinag si ostini a tirare tanto la corda, né dove trovi il coraggio di rimanere impassibile, di fronte alla furia della loro padrona. Ma sa che preferirebbe cento volte seguire il piano suicida del Drago – e morire trascinando con sé quanti più schifosi elfi possibile – piuttosto che rimanere fra quelle rovine a diventare poltiglia bruciacchiata.

- Alleati – sbuffa il Drago, in quel momento – ti nascondi dietro una parola vuota, orco. –

- E allora giudica dai fatti, serpente – replica Sinag – dovrai uccidermi, prima di vedermi in ginocchio. –

Il Drago tace per qualche istante, mentre i suoi occhi brillano come fiamme.

Erag riesce quasi a sentire la lotta fra la volontà del serpente e quella di Sinag e la tensione fra i due gli fa accapponare la pelle. Poi, quasi cogliendolo di sorpresa, il Drago arretra e torna ad acciambellarsi nella penombra.

- Noi serviamo un unico padrone – dice, in tono cupo – non intendo disattendere i suoi comandi per il mero piacere di metterti a tacere, orco. –

Sinag annuisce e, senza inchini o cenni di congedo, si volta, per uscire dalle rovine.

- Oh, un’ultima cosa – lo richiama il Drago.

L’orco si gira, la mano ancora posata sull’elsa della frusta, poi una lingua di fuoco cremisi compare nelle tenebre, lambendogli il volto.

Erag balza indietro, appiattendosi contro la parete, e ciononostante il calore gli brucia la ruvida pelle delle guance. Ma la cosa più agghiacciante è il sogghigno, l’espressione di pura, sprezzante soddisfazione, sul muso affusolato del maledetto serpente.

Sinag cade a terra con un unico grido, premendosi le mani sul volto devastato dalle ustioni.

- Un monito – pronuncia il Drago – la prossima volta non aspettarti altrettanta misericordia. –

 

E alla fine aveva trovato un luogo. Un luogo cupo, opaco, un luogo quieto dove giacere.

Nelle viscere della montagna, incastonata e protetta nella roccia più dura, c’era una gemma, brillante di una luce tanto candida e pura da incantare gli intelletti più acuti.

Ma non fu quel fulgore accecante, ad attrarlo. I suoi riflessi adamantini lo ferivano, l’aura che irradiava era quella di un potere superbo. Un giorno, armi sarebbero state estratte per quella gemma, e come può un oggetto destinato a sì grandi contese essere un luogo di riposo?

Poco lontano, però, dove una conca rocciosa prendeva quasi la forma d’una culla, intravide un’altra gemma. Era grezza, opaca e coperta di grigio pietrisco eppure, quando la sfiorò, seppe di aver trovato il suo giaciglio, d’esser riuscito nella titanica impresa di raggiungere l’esatto posto di Arda a cui era destinato.

Si raggomitolò all’interno della gemma grezza e, finalmente, il sonno discese sul suo corpo, lenendo ogni ferita, colmando ogni vuoto, ogni infinitesimale crepa nella sua essenza.

 

Riposò sonni soavi, finché l’assordante frastuono dei picconi non raggiunse il cuore stesso della montagna.

 

 

Luinil sfiora la serratura della cella, con aria assorta.

- Nessuno è mai fuggito da queste segrete – dice poi, sollevando di scatto lo sguardo sul prigioniero – quindi è inutile agitarsi. O grattare le pareti. O imprecare. –

- Non mi dici cosa fare, elfo femmina. – ringhia l’orco, scagliandosi contro le sbarre e stringendole con le dita luride – i miei compagni calpesteranno il tuo cadavere! –

Luinil stringe i pugni, reprimendo l’istinto di indietreggiare, davanti alla foga del nemico.

Niphredil l’ha addestrata per secoli, l’ha corretta quando impugnava la spada nel modo sbagliato, le ha insegnato a prendere la mira anche quando la confusione la circonda. L’ha addestrata come un soldato e l’ha cresciuta raccontandole storie di guerre e di battaglie. Eppure ora, ora che il momento è giunto, ora che la spada del comando è stata posta nelle sue mani, Luinil si chiede se è questa, la vita che desidera.

- Tu e i tuoi uomini – riprende, tornando a concentrarsi sull’orco – vi siete intrufolati nella nostra foresta. Perché? Cosa stavate cercando? –

L’orco ride, sguaiatamente: - perché pensi che te lo dirò? –

- Perché – replica Luinil, reggendo il suo sguardo sprezzante – altrimenti morirai qui. Non oggi, né domani, né fra un anno. Rimarrai in questa cella finché il tuo stesso corpo non ti tradirà e ti accascerai in un angolo. E l’ultima cosa che vedrai non sarà la polvere della battaglia, ma le insegne del Reame Boscoso. Questo fato ti aggrada, orco? –

- Puttana – biascica il prigioniero – non dirò niente. –

Luinil allarga le braccia e sospira – allora non intendo sprecare il mio tempo. –

- Riderò guardandoti bruciare – grugnisce l’orco

- Bruciare? – indaga Luinil – i tuoi compagni moriranno, prima anche solo di sfiorare una foglia di questo bosco. Il fatto che tu sia qui, invece che fra loro, dimostra che non potete coglierci impreparati. –

L’orco sputa a terra, poi scoppia a ridere. Una risata aspra, sgradevole.

- Per la mia gente è finito il tempo delle sconfitte – dice, trionfante – e presto le tenebre ed il fuoco lambiranno il tuo prezioso bosco… e non ci saranno luoghi in cui voi elfi potrete nascondervi! –

Luinil estrae la spada e, attraverso le sbarre, la punta al collo dell’orco. Una goccia di sangue scuro riga la pelle del prigioniero, mentre la risata gli muore lentamente nella gola.

- Lei ricorda, elfo femmina – gracchia l’orco, mentre la lama spinge di più contro la sua carne – non è morta nella Brughiera Arida, come noi non siamo morti ad Azanulbizar. Il tempo della vendetta è prossimo! –

Luinil si morde un labbro, poi sferra un colpo di piatto con la spada. Il prigioniero indietreggia, vacillando, poi si appoggia alla parete e scivola fino a terra, con una bestemmia fra i denti.

Luinil gli volta le spalle e se ne va, senza aggiungere altro. Sale le scale, ed ogni gradino che si lascia alle spalle è un piccolo peso che le viene tolto dal cuore. Si sente sollevata, eppure delusa, delusa da sé stessa.

E’ sempre stata al fianco del comandante, protetta dalla sua ombra rassicurante, guidata dalla sua voce alta e sicura, ma oggi non ci sono ordini da seguire. Oggi il comandante è lei.

- Che il prigioniero sia sorvegliato notte e giorno – dice, incrociando una guardia – non vorrei che si desse la morte. Ha ancora molto da dirci. –

L’elfo annuisce, sull’attenti e, per qualche istante, Luinil lo fissa stranita, sorpresa da quel gesto di ossequio. Poi sospira e, congedata la sentinella con un cenno del capo, esce dalle prigioni.

Rimane ferma, appoggiata al muro, respirando l’aria fresca e fragrante, finché il cuore non smette di martellarle nel petto. Chiude gli occhi e ripensa a suo padre, al suo sorriso entusiasta, al modo in cui la prendeva fra le braccia e la faceva volteggiare in aria, prima di rotolarsi con lei nell’erba verde.

Lo ricorda con i capelli raccolti sulla nuca e la spada al fianco, ma sempre con un sorriso pieno di speranza.

Se ripensa a lui, ripensa all’ultima volta che l’ha visto, all’ultima volta che lui l’ha stretta fra le braccia, arruffandole i capelli e baciandole le guance. Ripensa a quanto era fiero di combattere al fianco di Sire Oropher, di ergersi come ultimo baluardo contro la vera Oscurità.

Era stato per onorare la sua memoria, che aveva scelto la via della spada, per lui e per il modo in cui Niphredil l’aveva cresciuta, facendogliela inconsapevolmente apparire come l’unica scelta possibile.

 

Niphredil si sta lavando i capelli, quando Thorin la raggiunge e, con un colpo di tosse, cerca di attirare la sua attenzione. L’elfa solleva il capo, mentre l’acqua le gocciola dalle folte chiome.

- Buongiorno, Thorin – sorride, voltandosi verso di lui ed iniziando ad intrecciarsi i capelli.

Il sole è sorto da poco, sulla Casa di Angus, ma già dagli edifici si alza il vociare dei nani, che si riuniscono per la colazione.

- Stasera mio padre convocherà un’assemblea – le comunica Thorin, asciutto – ed è disposto a fare un’eccezione, se desideri partecipare. Decideremo dove dirigere i nostri passi, quando lasceremo le Sale della Birra, e come proseguire il nostro viaggio. –

Niphredil si stringe nelle spalle: - Non desidero turbare le vostre usanze – sorride – ma apprezzo sinceramente che foste disposti a farmi assistere a questo concilio. –

- Un’idea di Balin, naturalmente – borbotta Thorin

Niphredil stringe un nastro, per chiudere la massiccia treccia. Ha ancora i capelli bagnati e rivoli d’acqua le impregnano la camicia di stoffa leggera.

- Oh, per la Pietra… - sbuffa Thorin, all’improvviso – senti, devo parlarti. –

L’elfa annuisce, poi si siede su una roccia, sulle rive del torrente.

- Ti ascolto – dice, con un sorriso interrogativo – parla pure. –

- Io… - Thorin si torce la mani, poi scuote la testa e sospira: - … ti sono grato, per quello che stai facendo. Posso fingere di non saperlo, ma sono certo che la tua patria ti manca e che, in questi giorni di guerra, preferiresti trovarti assieme alla tua gente, piuttosto che qui, a guardare il mio popolo che cerca di rialzarsi. Ma sei rimasta… ed io non ti ho mai davvero ringraziata, per questo. –

Niphredil si scioglie in una leggera risata, mentre Thorin crolla seduto al suo fianco.

- Non c’è niente da ridere – la redarguisce, trattenendo però un sorriso.

- Se m’avessero detto che, un giorno, Thorin figlio di Thràin sarebbe stato grato della presenza d’un elfo, in mezzo ai suoi uomini, non l’avrei ritenuto possibile. Mi rallegro che, dopo seimila anni, il mondo sia ancora in grado di sorprendermi. –

Thorin sbuffa, poi dà all’elfa una leggera spallata

- Oh, sta’ zitta. –

 

Thranduil era rimasto in silenzio, ad osservare Niphredil allacciarsi l’armatura. Aveva seguito con lo sguardo i suoi movimenti, l’estenuante lotta delle sue dita contro i lacci troppo rigidi, il ritmico battere del fodero della spada contro il gambale di metallo, i movimenti nervosi con cui lei liberava i propri capelli, rimasti bloccati sotto la piastra pettorale.

- Non essere nervosa – le aveva detto, infine, oltrepassando la soglia e raggiungendola, davanti alla specchiera. Le aveva posato le mani sui fianchi, stringendola a sé.

- Sii sincero con me, ti prego – aveva sussurrato Niphredil, socchiudendo gli occhi – perché mi hai scelta come comandante? –

Thranduil le aveva preso una mano e, lentamente, le dita dell’elfa avevano smesso di tremare.

- Ti ho scelta perché sei stata addestrata per questo - le aveva mormorato – perché hai la mia fiducia, la mia stima ed il mio affetto. Ti ho scelta perché sei stata un eccellente capitano e mai un’ombra ha oscurato la tua condotta. Ti ho scelta perché non vorrei nessun altro, al mio fianco. –

Niphredil si era voltata ed aveva posato il capo sul petto di Thranduil.

- Se non hai fiducia nelle tue qualità – aveva proseguito il re, facendole scivolare una carezza sui lunghi capelli biondi – abbila nel mio discernimento. Puoi farlo, meldë nîn (*)? –

Niphredil si era sciolta in una lieve risata: - sì – aveva annuito – posso farlo. –

Thranduil l’aveva baciata sulla fronte, sorridendo contro la sua pelle e, per la prima volta dalla battaglia di Dagorlad, aveva avuto la certezza che sarebbero stati bene, nonostante l’ombra, l’inquietudine, e nonostante tutto quello che avevano perduto.

 

 

 

- La Coda –

 

(*) amica mia

 

Penso di meritare almeno un po’ di biasimo per il titolo di questo capitolo, ma che diamine, non avevo assolutamente idea di come chiamarlo! Meglio così che “in attesa di titolo”, no? :P

Ok, svarionamento sul titolo concluso non credo ci sia altro da aggiungere. Insomma, a parte che vi adoro per il vostro sostegno e per il fatto che siate ancora qui, a leggere di Niph J

 

Un abbraccio!

- La Matta -

 

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Capitolo 14
*** Aspettando la guerra ***


niph14

Capitolo Quattordicesimo

Aspettando la guerra

 

 

Thranduil beve un lungo sorso di vino, prima di sollevare lo sguardo su Luinil. La comandante ad interim rimane ferma, davanti al trono, con le mani ordinatamente raccolte in grembo.

- So che le tue pattuglie hanno catturato degli esploratori nemici. Orchi, mi è stato riferito – pronuncia infine il re, posando il calice – che cos'hanno detto, sul motivo della loro venuta qui? –

Luinil scuote il capo: - non molto, mio signore, se si escludono vuote e vaghe minacce. –

- Sarebbe un errore grossolano, sottovalutare il nemico – sospira Thranduil, sollevando una mano, come per fermare una replica – non dico di prestare cieca fede ai suoi vaneggiamenti, ma neanche di rimanere sordi alle sue insinuazioni. –

Luinil s'inchina, rigidamente: - sarà fatto, mio signore – garantisce – interrogherò di nuovo il prigioniero. –

- Luinil – la trattiene Thranduil, alzandosi con grazia dal trono – sembri turbata. –

La giovane china il capo, distogliendo lo sguardo da quello del suo re: - io… - esita -… ho solo timore di commettere uno sbaglio, mio signore… e non comprendo la ragione che ha spinto degli orchi tanto lontano dalle loro terre. Il prigioniero mi è parso animato dalla sete di vendetta, eppure non è stata la gente di Eryn Galen a combattere ad Azanulbizar, né sulla Brughiera Arida. –

Thranduil tace per qualche istante, sfiorandosi la tempia come nel tentativo di ghermire un pensiero: -  la Brughiera Arida? – domanda poi – è da lungo tempo che il sangue degli orchi non imbratta la brughiera. Le loro roccaforti sugli Ered Mithrin sono intatte, come lo è il loro dominio sul monte Gundabad. –

- Mio signore – Luinil tentenna – sono certa di quello che ho udito. Il prigioniero proclamava d'essere sopravvissuto ad Azanulbizar. E parlava di una lei, che non aveva incontrato la morte sulla Brughiera. –

Thranduil inarca un sopracciglio, perplesso: - una lei. Ne sei certa? –

- Sì, mio signore. Perché, per te queste parole hanno un senso? –

Il re sospira: - sono propenso a ritenerle il delirio di uno stolto – replica. Riprende il calice, ma si bagna appena le labbra nel vino, senza riuscire ad assaporarlo -… ad ogni modo, intensifica la sorveglianza sui confini. Ordina che si controllino le difese e che le guarnigioni vengano rafforzate. –

- Sì, mio signore –

- E, Luinil – Thranduil inclina il capo, con un pallido sorriso: - stai facendo un buon lavoro. –

La giovane s'inchina di nuovo, mentre un vago rossore le imporpora le guance ed un sorriso le incurva le labbra sottili. Mormora un ringraziamento imbarazzato, poi prende congedo.

Thranduil la guarda uscire dalla sala e ripensa a quando non era altro che una bambina, una piccola elfa che si nascondeva sotto il mantello di Niphredil. 

Sospira, poi torna a concentrarsi sulle parole del prigioniero. Una nemica. Una nemica inseguita fino alla Brughiera Arida e poi fuggita, scomparsa nell'oblio per interminabili anni.

Stenta a credere che si tratti dello stesso Serpente a cui lui e Niphredil hanno dato la caccia, tanto tempo addietro, eppure il solo pensiero che la bestia possa essersi ridestata, possa, in qualche maniera, essere sopravvissuta alle terribili ferite ed aver recuperato la propria ferocia gli causa una profonda inquietudine.

Rammenta il suo fuoco lambire il Reame Boscoso, ricorda la battaglia con cui gli elfi silvani le hanno opposto resistenza, frustrando la sua ira e depredandola della sua energia. E ricorda l'ultimo scontro, il combattimento in cui ha quasi perso Niphredil, ricorda la furia cieca della bestia, il rombo assordante del suo ruggito.

 

Gli orchi sono raccolti, sul grande spiazzo davanti alle antiche rovine.

Un silenzio innaturale regna sovrano, un intero esercito attende, trattenendo il fiato.

Erag, una sagoma confusa in quell’orda inquieta, non riesce a distogliere lo sguardo dalla densa oscurità che il Drago ha eletto come sua dimora. Si sente fatalmente attratto dal potere della creatura e, al contempo, una parte di lui gli grida di voltare le spalle al monte Gundabad, disertare e fuggire, perché una vita col fardello dell’umiliazione è pur sempre meglio di una morte atroce.

Poi, lentamente, con il volto ancora coperto da una rozza fasciatura, Sinag emerge dalle tenebre.

- Il tempo della vendetta – esordisce il comandante, con la sua voce roca e gutturale – è giunto. Un’avanguardia stanerà coloro che sono scampati alla morte a Dimrill Dale e li attirerà in una trappola. Lì verranno accerchiati e sterminati, dalle lame affamate delle vostre armi e dal fiato rovente del Drago! –

Uno scroscio di acclamazioni riempie le rovine, grida esaltate si levano fino al cielo plumbeo.

Erag estrae la spada e la alza, inneggiando al suo comandante assieme agli altri soldati. La verità è che non ce la faceva più, ad aspettare. Ogni giorno, ogni ora di sonno o di veglia che li ha separati dalla vendetta, è stata un’angoscia insopportabile. Ha avuto la percezione fisica delle energie dei suoi compagni d’arme che si affievoliva, si stiracchiava, pressata dalla rabbia, dall’incertezza e dalla perpetua tensione, nell’aria.

Sa che tutti hanno atteso con ansia questo giorno, il giorno in cui ha inizio la marcia, il cammino della rivalsa, che li porterà a bagnarsi nel sangue dei nani.

Sinag solleva le braccia, imponendo il silenzio.

- Preparatevi, uomini – ordina – perché, dopo i nani, sarà il tempo degli elfi, ed il nostro Signore si ergerà vittorioso sulle ceneri del loro regno! –

Richiamato da un bisogno inesplicabile, Erag distoglie lo sguardo dal volto del suo comandante e lo rivolge al buio, alle sue spalle. Fra i resti di pietra e le colonne spezzate, dove l’oscurità diventa più fitta, per un istante intravede il muso del Drago.

Forse è un delirio, un parto malsano della sua mente logorata, ma gli sembra di scorgere, nel barlume fioco dell’occhio sfregiato della bestia, una luce divertita, come di chi pregusta un diletto a lungo atteso.

 

Niphredil raccoglie un rametto e lo getta fra le fiamme del falò, che arde in un cerchio di pietre.

Rimane sempre incantata, quando guarda le lingue di fuoco danzare ed intrecciarsi, splendendo e tremando.

I nani sono riuniti in assemblea da ore. Dalla grande sala fuoriesce il brusio dei loro discorsi, una melodia altalenante, fatta di profondi silenzi e di scoppi di grida.

Niphredil accarezza il suo ciondolo, seguendo con le dita le linee delicate della gabbia d'argento.

Come in ogni minuto di quiete, si domanda cosa stia accadendo, ad Eryn Galen. Socchiude gli occhi e prova ad immaginare le sentinelle darsi il cambio davanti alle maestose porte, i soldati addestrarsi nei cortili, scoccando frecce che fendono l'aria con lievi sibili. Immagina Galion che controlla le cantine, Elros che conta le chiavi delle celle delle segrete. Vede Luinil negli alloggi del comandante, che cerca di riordinare le scartoffie che si accumulano sulla scrivania, con un sorriso rassegnato sulle labbra.

E, naturalmente, pensa a Thranduil, ed è un pensiero che le riempie il cuore di una gioia malinconica, malata di nostalgia. Cerca di sorridere, dicendo a sé stessa che i tempi delle peregrinazioni volgeranno al termine, che presto Thràin decreterà la via da intraprendere e che, dopo quella decisione, lei potrà calcolare i giorni, computare le ore che la separano dal suo compagno.

Stringe più forte le palpebre e, nella quiete della sera, rivolge cautamente il pensiero ad Erebor.

Il ricordo di quel giorno di morte e di sangue ancora la rattrista, ma il dolore non le serra più il petto come gli artigli di una belva. Si è affievolito. E' un memento, non più una tortura.

Improvvisamente, le porte della sala si spalancano e, con un alto vociare, i nani escono. Hanno tanto da commentare, riflettere, organizzare, gesticolano animatamente e già abbozzano progetti per il futuro.

- E' bello avere un vero obbiettivo – sta dicendo Dìs, quando raggiunge l'elfa.

Thorin e Dwalin annuiscono, mentre Balin sembra pensieroso.

- Dovremo attraversare l'intero Minhiriath – commenta, accarezzandosi la barba – ma poi, una volta oltrepassando il Brandivino, dovremmo essere al sicuro. –

- Al sicuro? – indaga Arin, confuso – che pericoli pensi ci attendano, lungo il Verdecammino? –

- Spero nessuno, ragazzo – lo conforta il nano, allungandogli una rassicurante pacca sulla spalla – ma sarebbe sbagliato illudersi che il nostro viaggio termini con un'allegra scampagnata. –

- Io dico – interviene Glòin, sedendosi sulla panca accanto a Niphredil – che è una strada inutilmente lunga. Perché dobbiamo viaggiare per così tante miglia, quando avremmo potuto fermarci ben prima del Brandivino? -

- Se si trattasse della scelta del luogo per un semplice accampamento – replica Balin – potrei anche trovarmi d'accordo con te. Ma noi dobbiamo scegliere il posto migliore per stabilirci, e questo deve avere dei requisiti. Trovo che ci sia della saggezza, nel consiglio di Angus, e che edificheremo una lieta dimora sugli Ered Luin. –

- Così – dice Niphredil, sollevando il capo – avete deciso. Ci dirigeremo verso gli Ered Luin. –

- E, una volta lì – riprende Balin, posandole una mano sul braccio – faremo una colletta per regalarti il destriero più rapido del decumano, perché tu possa fare ritorno alla tua casa. –

Niphredil sorride, intenerita, mentre Glòin borbotta qualcosa dal suono molto simile a "che cosa ci trovi poi in quella cupissima foresta, io non lo capirò mai."

 

I giorni successivi scivolano via come foglie sull'acqua di un ruscello.

I nani si affaccendano fra i preparativi, Thràin ed i suoi consiglieri tracciano il percorso più favorevole, mentre Angus si assicura di fornire tutto l'aiuto possibile, dalle scorte alimentari alle erbe mediche.

Lavorano instancabilmente fino al calare delle tenebre, poi mangiano, scambiandosi aneddoti e raccomandazioni con voci tonanti e, alla fine, si coricano esausti.

Per la prima volta da che ha memoria, anche Thorin riesce a godere di un vero sonno. Nessun incubo lo riporta ad Erebor, costringendolo alla veglia con immagini angoscianti.

Eppure l'ultima notte prima della partenza non riesce a dormire.

Nessuna preoccupazione in particolare s'insinua fra i suoi pensieri, ma la sua mente è irrequieta.

Si alza e, in silenzio, lascia l'edificio e s'incammina, sotto la luce splendente della luna piena. E' alta nel cielo e brilla come puro argento, accarezzando le tenebre con i suoi raggi.

Quasi senza accorgersene, si trova davanti alla baracca dove dorme Niphredil. Intravede la sagoma dell'elfa dalla finestra spalancata, la sua folta chioma di fili d'oro.

Sembra profondamente addormentata, il suo viso è rilassato nella quiete del sonno.

Thorin scuote la testa e sta per volgerle le spalle quando un dettaglio richiama la sua attenzione. Assicurata con un filo alla cintura della guerriera, ordinatamente riposta su una bassa cassapanca, c'è una piccola custodia di cuoio, decorata con dei caratteri elfici.

L'istinto di Thorin si sveglia all'improvviso, di soprassalto, e lo spinge inesorabilmente verso la soglia dell'edificio. Lui si fida di Niphredil. Non pensa più alla sua razza, ma al suo sorriso, alle sue storie, al tono assorto della sua voce, ai suoi occhi verdi come smeraldi e limpidi come ghiaccio.

Si fida, eppure non riesce a fermarsi.

Oltrepassa la soglia e, trattenendo il respiro, oltrepassa il giaciglio dell'elfa.

Quando le sue dita toccano la custodia di cuoio, un guizzo di rimorso lo fa esitare. Ha come il presentimento che, se porterà a termine ciò che ha iniziato, tutto cambierà. Non per forza in meglio.

Thorin sbatte rapidamente le palpebre, mentre Niphredil, nel sonno, si scioglie in un sorriso, poi si stringe nelle spalle ed estrae il messaggio dalla custodia.

 

Mentre Thorin spiega il messaggio e lo legge, Niphredil sta sognando.

Sta sognando un ricordo. Nell'abbraccio della notte, la mente dell'elfa torna indietro, indietro a quand'era ancora un semplice capitano, un ufficiale addestratore con il cuore libero del fardello di ogni responsabilità.

 

Era nel giardino della reggia. Si teneva le mani sulle palpebre, oscurando il mondo circostante, eppure percepiva nitidamente i suoni, il leggero scalpiccio di piccoli piedi sul manto erboso.

- Sto venendo a prenderti! – aveva annunciato.

Aveva spalancato gli occhi e si era voltata, di scatto, trovandosi di fronte a Sire Oropher.

- Sono lieto di vederti così impegnata, mia diletta – aveva sorriso il re, scuotendo il capo – avrò il piacere di leggere il tuo rapporto entro la fine di quest'era? –

Niphredil aveva cercato una replica adatta, qualcosa che suonasse come una scusa plausibile senza essere necessariamente una menzogna, ma uno squittio divertito l'aveva interrotta

- Tana per Niph! – aveva gridato un piccolo elfo biondo, correndo fuori dai cespugli, fino ad una colonna. Si era appoggiato alla pietra decorata, ansimando, con un sorriso di puro entusiasmo negli occhi, e si era voltato verso di loro – nonno, vuoi giocare con noi? –

Oropher aveva riso e, con due lunghi passi, aveva raggiunto il nipote.

- Oh, quindi sei tu a distrarre il mio capitano, eh, Legolas? – aveva chiesto, prima di baciarlo dolcemente sulla fronte.

Niphredil era rimasta in disparte, ad osservarli, finché una mano non le si era posata sulla spalla.

- Grazie, meldë nîn. – aveva sussurrato la voce di Thranduil, mentre l'elfo le accarezzava il braccio

- Per cosa? - aveva chiesto Niphredil, piegando la testa con un sorriso interrogativo

- Per il tempo che passi con Legolas. –

Lei aveva sorriso, poi aveva afferrato Thranduil per le mani: - vieni a giocare con noi, mio principe – aveva detto, trascinandolo fuori da sotto l'ombra del colonnato.

Legolas si era voltato, attirato dal rumore, ed i suoi occhi si erano illuminati

- Papà! – aveva gridato, correndo verso di lui e gettandosi fra le sue braccia.

Oropher li aveva raggiunti e, prima di concentrarsi di nuovo sul nipote, aveva sorriso a Niphredil e, senza parlare, aveva sillabato: - Hannon le (*)–

 

 

 

-- La Coda!

(*) amica mia

(*) grazie

 

Incredibile a dirsi, un altro capitolo di Niph è arrivato puntale!

Che dire, ne sono abbastanza soddisfatta, finalmente si cominciano a smuovere un po’ le cose (già, io lo so che avreste preferito altri sei mesi di sbaruffoni epici Tàri/Sinag, però, ehy, the fanfic must go on!) e Thorin… beh, lo sapevate che prima o poi l’avrebbe scoperto, no?

 

Altro? Ah sì, scusate se sembra che ogni capitolo venga pubblicato con un front diverso. Non è che non so decidermi, è che scrivo su un pc (il mio poeticissimo catorcio portatile che risale al primo anno delle superiori), ho il testo definitivo su un altro e, fino a qualche settimana fa, pubblicavo da un altro ancora. Quindi… sono confusa, ma da ora dovremmo rimanere con questo carattere e – se capisco come senza causare danni – risistemerò i capitoli vecchi.

                                                            

Come al solito, grazie mille per esser giunti fin qui e a presto!

 

- La Matta -

 

 

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Capitolo 15
*** Cambiamento ***


niph15

Capitolo Quindicesimo

Cambiamento

 

 

Se ne rende conto un istante prima del risveglio.
Quando la sua coscienza è già vigile, ma ancora le palpebre calate oscurano il mondo.

Nell’attimo in cui il sogno termina e ha inizio la veglia, Niphredil sente un presentimento scivolarle fra i pensieri, appena percepibile, come un velo di malinconia.

Un’ombra si scinde dalle tenebre. Una sagoma umana, ma senza lineamenti, senza dettagli, un essere fatto completamente di nebbia. I suoi stessi contorni sono vaghi, tremolanti, a parte le sue mani. Sono nitide e pallide. Le dita adunche stringono una piccola gemma grezza, dai delicati riflessi azzurri.

Lui lo sa” mormora l’ombra

- Chi sei? – chiede Niphredil, confusa.

Se la storia non progredisce, non tornerò mai alla mia dimora” l’essere inclina il capo, con un suono simile ad un sospiro “pensavo che il chiasso dei nani fosse inconciliabile col mio sonno, ma è stata l’avidità del drago a sottrarmi definitivamente il mio giaciglio” solleva la gemma, tenendola in equilibrio sulle punte delle dita. In un battito di ciglia, la pietra comincia a sgretolarsi, fino a divenire grigia polvere, in balia del vento.

- Chi sei? – ripete Niphredil, in un sussurro – cosa vuoi, da me? –

Non permettergli di mandarti via.

L’essere scuote la testa, poi sul suo volto compare una bocca, straordinariamente concreta, rispetto al resto dell’ombra. Quando parla, la sua voce è ruvida e grave, non più un sussurro appena percepibile

Le tue mani sono lorde di sangue!

Di nuovo, le labbra si trasformano. Diventano morbide, sottili e delicatamente rosee.

Non avremmo salvato la tua gente ed avremmo condannato la nostra. Condivido la tua rabbia e il tuo dolore, ma non rimpiango la mia decisione” pronunciano, con la voce di Niphredil.

L’elfa impallidisce, mentre una morsa le serra la gola.

- Chi sei? – grida, cercando di afferrare l’ombra, ma trovandosi con in mano solo un pugno di nebbia

“Un avvertimento può dirsi efficace, se chi l’ha ricevuto non può rammentarlo?” domanda l’essere, di nuovo con la sua voce esile, vagamente nasale.

Un’irresistibile debolezza s’impossessa del corpo di Niphredil. L’elfa sente il sangue scorrere a fatica nelle proprie vene, mentre ogni arto diventa pesante come piombo. Cade in ginocchio, senza la forza di ribattere. Anche tenere gli occhi aperti è uno sforzo immane, una lotta persa in partenza.

L’ombra si china, fino a prenderle il mento fra le dita.

La sua mano non ha una vera consistenza, è come una gelida corrente d’aria.

Lascialo gridare, ma non permettergli di allontanarti. Ha ancora bisogno di te.”

Il sussurro dell’essere riecheggia per qualche istante poi, con un gemito strozzato, Niphredil si drizza a sedere sul letto, madida di sudore freddo.

 

Thorin socchiude gli occhi, accartocciando la pergamena fra le mani.

Improvvisamente, non è più nella dimora di Angus, sulle brulle alture del Dunland, sotto un cielo limpido e pieno di stelle. Improvvisamente, è di nuovo davanti ad Erebor.

 

Il frastuono era assordante, le urla ed il clangore delle armi si levavano in alto, squarciando la coltre di fumo.

La strada, un tempo lastricata di pietre candide, era ingombra di macerie e di cadaveri. Nani ed orchi, alcuni intrappolati in una lotta eterna, altri supini, con lo sguardo vuoto rivolto al cielo grigio.

Thorin si muoveva, con solo un barlume di lucidità a separarlo dal baratro della follia, riuscendo a malapena a rivolgere dei comandi ai suoi uomini. La città era perduta. Il numero dei nemici era soverchiante. Continuare a lottare, a camminare, persino a respirare era difficile, un’impresa forse priva di ragione.

- Muoviti! Ci stiamo ritirando! – aveva ringhiato, voltandosi verso un giovane nano, accucciato a terra, forse per riprendere fiato. Quello l’aveva ignorato.

Masticando una bestemmia, Thorin l’aveva afferrato per la spalla e gli aveva dato uno strattone.

Il nano si era accasciato a terra, a peso morto, rivelando il profondo squarcio con cui la lama di un orco gli aveva aperto la gola. Thorin era indietreggiato, sentendo l’ira e l’orrore contendersi quel che rimaneva della sua mente. Aveva cercato qualcosa a cui aggrapparsi. Un proposito, una speranza, finanche un bel ricordo, ma i suoi occhi vedevano solo sangue e desolazione. Avevano perduto tutto. La loro patria, i loro compagni, la fierezza di un tempo. Aveva aumentato la stretta sull’impugnatura della spada.

Poi qualcosa, un barlume, un riflesso, aveva attirato la sua attenzione verso l’alto.

Su un’altura, poco distante, c’erano due elfi. Dietro di loro, una marea indistinta di volti, armature, lance svettanti a ghermire il ventre plumbeo del cielo.

Per qualche istante, il sollievo l’aveva sopraffatto. Boccheggiando, si era voltato verso di loro, sbracciandosi, gridando aiuto, pregando che Thranduil, signore del Reame Boscoso, si unisse alla battaglia.

Aveva davvero creduto che, come in una favola, avrebbero potuto sopraffare gli orchi, uccidere il drago e fare ritorno ad Erebor. Irrazionalmente, una parte del suo cuore pretendeva quel finale, la soluzione in cui tutte le loro angosce sarebbero scomparse, come la neve che si scioglie al caldo tocco del sole.

Poi Thranduil aveva fatto un cenno. L’altro elfo aveva chinato il capo, annuendo.

Ed il mondo era crollato addosso a Thorin. Era stato un dolore fisico, lacerante.

Per qualche istante, Thorin non era stato in grado di fare niente. Era rimasto immobile, bloccato, soffocato dall’agonia, poi ogni frammento della sua anima aveva gridato ed il dolore era divenuto rabbia. Purissimo, accecante odio. Il principe aveva stretto più forte l’impugnatura della spada ed era tornato a gettarsi nel folto della battaglia, seminando morte.

 

Thorin lascia cadere a terra la pergamena stropicciata.

Si fissa le dita, confuso, sentendole prive di forza.

Perché ora ricorda. Ha accettato quello che, dalla battaglia di Azanulbizar, si è rifiutato di vedere.

L’elfo accanto a Thranduil, con l’armatura splendente come argento e le lunghe chiome bionde. L’elfo che si era voltato, per guidare la ritirata dell’esercito. L’elfo che, non meno di Thranduil, ha condannato a morire le genti di Erebor. Quell’elfo è Niphredil.

 

Niphredil spalanca gli occhi, poi esala un lungo sospiro e rimane a fissare Thorin, con una tranquillità rassegnata. Non ricorda cos’ha sognato, ma la sensazione che tutto sta per cambiare le è rimasta sulla pelle, come un velo di gelida brina di cui non riesce a liberarsi.

Si alza in piedi, poi accenna col mento alla pergamena, accartocciata, a terra, davanti agli stivali di Thorin.

- Non sono stata sincera, Thorin Scudo di Quercia – mormora, avvicinandosi al nano – te ne chiedo perdono. –

- Perdono?!- ripete il principe, afferrandola per il polso e dandole uno strattone – tu chiedi perdono per le menzogne, ma non per ciò che hai fatto alla mia gente! – abbassa la voce, ed il suo tono si fa gelido e tagliente come il vento d’inverno – la tua stessa presenza qui è un insulto alla memoria di coloro che sono morti ad Erebor! Le tue mani sono lorde di sangue! –

Niphredil distoglie lo sguardo dagli occhi di Thorin mentre, per un attimo, un’eco ripete l’ultima frase del nano, un’eco delicata e sibillina, che svanisce in un battito di ciglia.

- Mi dispiace – mormora, mentre le dita del nano si stringono più forte al suo polso, come a volerle scavare dei solchi nella carne. E’ una stretta disperata, rabbiosa, addolorata, una stretta terribile.

- Me l’avresti mai detto? – le chiede Thorin, in un roco sussurro – Avresti avuto il coraggio di affrontarmi a viso aperto oppure saresti rimasta per sempre celata dietro alle tue menzogne, contando sul fatto che nessuno si sarebbe mai ricordato di te, dello sguardo superbo che lanciavi al nostro popolo mentre veniva massacrato? Parla, Niphredil di Eryn Galen! Me l’avresti mai detto? –

Quando termina di parlare, Thorin sta gridando. Molla di scatto la presa sul braccio di Niphredil, come se il semplice contatto con la pelle di lei l’avesse ustionato.

L’elfa solleva il capo, mentre una lacrima le riga la guancia.

- Un giorno te l’avrei detto – esala – ma, per il momento, né tu né io eravamo pronti. Questa conversazione distruggerà tutto ciò che abbiamo costruito, Thorin, tutto ciò che abbiamo fatto sarà disperso nel vento come polvere. Non permettere che questo avvenga, ti prego. –

Il nano tace per qualche istante. Una luce furente brilla nelle sue iridi, una luce implacabile.

- Che tu sia maledetta – ribatte, gelido – tu e il tuo amato re ci avete tolto Erebor non meno degli orchi. –

- Non avremmo salvato la tua gente ed avremmo condannato la nostra. Condivido la tua rabbia e il tuo dolore, ma non rimpiango la mia decisione. – mormora Niphredil

- Perché sei venuta da noi, allora? – ringhia Thorin, finalmente incrociando il suo sguardo

- Perché la consapevolezza di aver agito per il meglio nulla poteva per placare il mio animo. Ero tormentata dall’aver voltato le spalle alla sofferenza di un intero popolo. Vi ho cercati per portarvi aiuto, non rabbia. Per essere un volto amico durante il cammino, un’altra voce attorno al fuoco di bivacco. –

- Ebbene, non sei più la benvenuta, qui. Prendi le tue cose e vattene o, lo giuro sul mio nome, ti ucciderò con le mie mani. –

“Un avvertimento può dirsi efficace, se chi l’ha ricevuto non può rammentarlo?” cantilena una voce, accanto all’orecchio di Niphredil, ma l’elfa è troppo turbata per darle peso.

Oltrepassa Thorin ed esce dalla stanza, mente le lacrime le pungono gli occhi.

 

Sul monte Gundabad, Tàri ha convocato Mald, il capo degli esploratori, perché le faccia rapporto.

Mentre l’orco, palesemente a disagio, cerca di sfuggire gli occhi fiammeggianti della bestia, Erag lo guarda dalle ombre, maledicendo la decisione del serpente di tenerlo lì, e di non farlo partire assieme all’avanguardia di Sinag. Non conosce il motivo dietro quella scelta, ma di certo non tenterà di capire quello che il drago pensa.

Così rimase appoggiato al muro di pietra, in attento ascolto.

- Sinag ha dunque lasciato il campo… - sta dicendo la belva, per una volta con un accento compiaciuto

- Lui ed i suoi uomini più fidati, mia signora – annuisce Mald, drizzandosi in tutta la sua altezza – a tendere l’imboscata ai nani come ordinato. –

- E chi è al comando, in sua assenza? –

- Nultug, mia signora. –

Il Drago picchetta delicatamente con le unghie a terra, producendo un suono sinistro.

Eppure, più Erag la guarda, più lei sembra appagata, soddisfatta della piega che stanno prendendo gli eventi.

- Devo tenere pronto il resto dell’esercito per la partenza? – domanda infine Mald

Il serpente sogghigna, facendo scrocchiare l’attaccatura delle maestose ali.

- No – dice poi, senza smettere di sorridere – ma dimmi, orco, c’è forse uno dei tuoi uomini di cui desideri disfarti? Un esploratore incompetente, un vecchio che si rifiuta di accasciarsi e morire, un codardo capace solo di coprirsi di vergogna? –

Erag rabbrividisce, non sa se per la strana richiesta o per il tono gentile della loro padrona.

Mald si gratta la testa, perplesso, poi annuisce: - eh, ci sarebbe Orth. – ammette

- Ebbene – si compiace il drago – mandalo da me. Voglio che raggiunga Sinag e i suoi e che gli consegni un messaggio, quando la battaglia sarà iniziata. –

- Eh… sì, mia signora – conclude Mald. Sta già per avviarsi verso l’uscita, quando il serpente lo trattiene. Si china verso di lui, fino a respirargli sulla schiena.

- E mandami anche Nultug. E’ tempo di operare qualche… - schiocca la lingua, con quello che ad Erag sembra un enorme godimento -… cambiamento -

 

Una volta all’aperto, raggiunge il piccolo ruscello e s’inginocchia sulle sue rive. L’acqua scorre placida e limpida, mentre il vento fa stormire dolcemente i ciuffi d’erba sulle sponde.

Una lacrima riga la guancia di Niphredil e cade nell’acqua, perdendosi fra i flutti, confondendosi con le onde.

Sa di dover partire, ma l’idea di lasciare i nani le causa più dolore di quanto immaginasse. Non vuole abbandonarli così, nel bel mezzo del viaggio, senza una spiegazione, una parola di saluto, senza un’ultima battuta sulla birra. Lasciare di sé stessa solo un vago ricordo, condannato ad essere cancellato dagli improperi e dalle scarne spiegazioni di Thorin Scudo di Quercia.

Niphredil sospira, accarezzando l’acqua.

Se non altro, potrà fare ritorno a casa. Riabbracciare Thranduil, sentire di nuovo la risata di Lu, cingere ancora la spada di comandante, del cui peso quasi sente la mancanza. Potrà ricominciare con la sua vita, sapendo che ha offerto ai nani tutto ciò che poteva e che, anche se loro alla fine l’hanno rifiutata, questo non li fermerà e, presto, avranno comunque una nuova dimora, un luogo in cui dimenticare gli orrori della guerra e prosperare.

Socchiude gli occhi, lasciandosi cullare dal canto del ruscello.

Eppure, ancora le parole di Thorin le trafiggono il cuore come pugnali.

Si sente ancora avvelenata dal suo disprezzo. 

E’ giunta a provare dell’affetto, per il principe dei nani, un affetto che non è caldo e chiassoso come quello per Glòin, né pacato e rassicurante come quello per Balin, qualcosa di flebile, ancora insicuro, ma certamente sincero.

 

 

-- La Coda!

(in cui –La Matta- non ha un granché da dire, quindi si limita ad inchinarsi al pubblico ed a ringraziare ancora chi la commenta ed anche chi la legge e basta)

Fra l’’altro, sappiate che i pezzi più importanti di questo capitolo li ho scritti nel cuore della notte e volevo postarli ieri alle quattro del mattino, ma poi ho pensato che sarebbero stati un tripudio di errori e quindi ho avuto pietà di voi e ho aspettato di revisionarli a mente lucida!

 

Un bacio e a presto!

- La Matta -

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Capitolo 16
*** In cammino ***


niph16

Capitolo Sedicesimo

In cammino

 

 

Niphredil lascia le Sale di Angus prima che si levi l’alba.

Scivola oltre la palizzata di legno e si mette in cammino, accompagnata dal sussurro del ruscello e dallo splendore adamantino delle stelle che trapuntano la volta celeste.

Segue il torrente per tutto il giorno, dal sorgere del sole fino all’infuocato tramonto e, alla fine, davanti ai suoi occhi compare l’Inondagrigio, dai flutti placidi e la spuma cristallina.

Niphredil si accampa sulle sue sponde. Nonostante l’umidità e la frescura della sera, ormai è primavera inoltrata ed il freddo non è altro che un ricordo.

Dopo aver svogliatamente mangiato un boccone di carne secca e salata, l’elfa estrae il flauto di legno e, per la prima volta da lungo tempo, suona una melodia lenta e triste, un lamento che sembra riecheggiare anche dopo che Niphredil ha posato lo strumento.

Dopo averlo riposto, si corica, stendendo il sacco a pelo dove l’erba cresce più folta.

L’elfa sospira, tentando ancora una volta di accantonare il pensiero che l’ha tormentata per tutto il giorno, come un’ombra che si allungava dietro di lei, seguendo i suoi passi. Non vuole pensare ai nani, perché sa che il dolore la riporterebbe indietro, alle Sale di Angus, e sa che non è la cosa migliore. Col tempo, forse, l’odio di Thorin si affievolirà e magari, un giorno, Niphredil potrà recarsi sugli Ered Luin, per vedere coi propri occhi come i profughi di Erebor hanno ricostruito la propria vita. Forse quello sarà un giorno di risate, di canzoni, sarà un giorno di perdono, perché la pace avrà lenito le ferite della memoria.

Con questa speranza nel cuore, Niphredil si addormenta.

Nei suoi sogni, cammina in una fortezza deserta, dove ogni passo risuona come un colpo di tamburo.

Le pareti sono di nuda roccia, con enormi vani dove i picconi hanno scavato con avidità, per estrarre gemme preziose. Il pavimento, invece, è d’oro, con delicate venature scarlatte, del colore del sangue.

“Una volta non riuscivo a comunicare con gli esseri di carne. Non potevo sfiorarli, né il mio pensiero riusciva a diventare una parola udibile alle loro orecchie” la sorprende una voce sibilante, stranamente familiare.

Niphredil si volta e, nell’attimo in cui compie quel movimento, si trova imbrattata di sangue nerastro, dall’insopportabile fetore.

L’ombra le si avvicina, allargando le braccia sottili, vestite di nebbia.

“La mia essenza era flebile, indebolita dalla lunga veglia. Per una breve, confusa stagione ho potuto camminare fra di voi, ho potuto toccare i vostri oggetti, sentire il vostro calore.”

- Ti ho già sognato, una volta. – realizza Niphredil – ma non rammento quando. –

“Perché sto svanendo. Ancora una volta, la stanchezza mi inghiotte. Ormai non sono altro che un sogno, di cui all’alba non si serba memoria.”

- Perché sei qui, allora? Perché cerchi comunque di parlarmi, se non ignori la futilità dei tuoi tentativi? –

L’ombra allarga le braccia e, dalle tenebre alle sue spalle, si delineano altre sagome.

Sono simili alle persone che Niphedil conosce, ma i loro occhi sono vuoti e, quando muovono le labbra, parlano con la voce dello spirito.

“Per onore” ringhia Thorin

“Per dovere” pronuncia Balin

“Per istinto” esala Legolas

“Per la pace” sussurra Luinil

“Per egoismo” mormora il padre di Niphredil

“Per amore” sorride Thranduil

Lo faccio per me stesso” conclude l’ombra, comparendo ad appena un palmo dal volto di Niphredil. La sua mano di nebbia le accarezza le guance, seguendo i suoi lineamenti “è la tragedia che grava sul mio fato, non trovare mai riposo. Forse ho un destino cui adempiere. O forse i miei sforzi sono vani ed io non sono altro che una dissonanza nell’armonia del creato. Non perdere il pugnale, fanciulla.”

La sagoma col volto di Thranduil le si avvicina, posandole le mani sulle spalle.

“Usa le vie più rapide, per fare ritorno a casa” le mormora.

Con quell’ultimo sussurro, il sogno collassa. Le pareti di pietra diventano lisce come specchi, poi si trasformano in liquido e scorrono a terra, fondendosi col pavimento. L’oro e l’argento si mescolano e dal nulla compare una luce accecante, sempre più alta e più brillante, come fuoco bianco.

A quel punto Niphredil si sveglia. Il sole è sorto e le riverbera in faccia, riflettendosi sull’Inondagrigio.

Per un attimo, il sogno è ancora nitido, fra i suoi pensieri, ma poi scompare, lasciando solo pallide tracce di sé.

- Usa le vie più rapide, per tornare a casa. – mormora Niphredil, confusa, mentre il cuore le batte rapidamente nel petto.

 

- Se n’è andata?! – ruggisce Glòin, battendo una mano sul tavolo e facendo traballare i boccali

- Se non sbaglio, non era costretta a restare. Aveva svolto il suo compito. – rileva Dìs

- Oh, una preoccupazione in meno, tanto meglio. Dormirò sonni più sereni. – sbotta Dwalin.

Glòin serra le braccia sul petto, con un grugnito.

Seduto accanto a lui, Balin rimane in silenzio, assorto nei suoi pensieri.

Anche a lui sembra incredibile, che Niphredil se ne sia semplicemente andata. Non la riteneva vincolata ad alcun giuramento, eppure si sarebbe aspettato un saluto, una parola di congedo. Un sorriso, una stretta di mano e la promessa di rivedersi, un giorno.

Sospira, sbocconcellando una pagnotta speziata, poi si volta verso Thorin.

Il nano, seduto a capotavola, sta fissando il vuoto con aria truce.

-Tu che ne pensi, Balin? – gli domanda Dìs in quel momento, interrompendo le sue riflessioni

- Potrebbe darsi che affari urgenti l’abbiano richiamata a casa – risponde, assorto, quasi pensando a voce alta.

Glòin mastica qualcosa di incomprensibile, poi svuota in un sorso il boccale di birra.

Balin gli lancia uno sguardo di sottecchi. Per quanto il nano fulvo cerchi di nasconderlo, ci è rimasto male. La partenza di Niphredil non solo l’ha colto di sorpresa, ma l’ha anche ferito. Stavano diventando amici.

Balin sospira, cercando di esaminare i propri sentimenti. Anche lui è dispiaciuto, ma più di ogni altra cosa è preoccupato.

Preoccupato perché ha più senso che le sia successo qualcosa, piuttosto che sia scappata nella notte, come un ladro, senza nemmeno un tentativo di spiegare. Preoccupato perché Thorin ha in volto i segni dell’astio e della colpevolezza, e perché Niphredil aveva un segreto, un segreto che potrebbe essere venuto alla luce.

Sorseggia la sua birra poi, con un sospiro, si alza in piedi.

- Andrò a controllare che tutto sia pronto per la partenza. – spiega, allargando le braccia.

Anche Thorin si alza: - vengo con te. –

I due nani lasciano la sala e s’incamminano verso la barricata. Attorno al portone sono raggruppati i bagagli. Alcuni carri per le provviste, pesanti zaini e bisacce di unguenti ed erbe curative.

- Sembri turbato – esordisce Balin – posso chiederti il motivo? –

Thorin solleva lo sguardo: - tu lo sapevi? – chiede. Non c’è risentimento, nella sua voce, solo una profonda stanchezza – sapevi che Niphredil era la comandante del Reame Boscoso, oltre che l’amante di Thranduil? –

Balin congiunge le mani, intrecciando le dita: - lo sapevo. – risponde, con un sospiro – e sapevo che non si dava pace, per la menzogna. Aspettava il momento migliore per parlarti. –

- Non difenderla! – sbotta Thorin

- Non la difendo – replica Balin, quietamente – cerco di farti vedere l’intero quadro. La rabbia acceca, amico mio, non dobbiamo fidarci di quello che ci mostra, perché è sempre un disegno parziale. –

- Non mi fidavo più di lei, per questo l’ho cacciata. –

Balin solleva un sopracciglio, per poi accarezzarsi la barba: - è davvero questo il motivo? – indaga, in tono gentile.

- In parte – ammette Thorin, scuotendo la testa – Tu che ne pensi, Balin? –

Balin sospira, poi appoggia una mano sulla spalla del principe: - penso che Niphredil non meriti il tuo odio, ma credo anche che sia impossibile costringere qualcuno a dimenticare il passato. –

 

Luinil scosta con un calcio il cadavere di un ragno.

- Qui abbiamo finito – capitola, riponendo il sottile arco di legno chiaro – se però i ragni ritornano, saremo costretti ad andare a distruggere i nidi, a nord. Intanto torniamo ad Eryn Galen. –

Gli altri esploratori annuiscono poi, in ordine e in silenzio, s’incamminano lungo il sentiero, nascosto dall’erba alta ma facilmente visibile ad un occhio addestrato.

Luinil chiude la fila e quando una mano le si stringe delicatamente al polso si volta di scatto, con una smorfia.

- Mi stai spiando? – sbotta, trovandosi di fronte a Legolas

- Sì – ammette lui, candido – ma non fraintendere le mie intenzioni: non è mancanza di fiducia nelle tue abilità, è semplice noia. – tira Luinil verso di sé, per poi arruffarle i capelli – stai facendo un gran bel lavoro. –

- Erano solo ragni – mormora, imbarazzata

- Non è solo per i ragni – sorride Legolas – è per come stai gestendo la situazione. Gli uomini sentono la mancanza di Niphredil, però ti obbediscono. Ti rispettano… - il principe abbassa la voce, poi aumenta un po’ la stretta sulla mano dell’amica -… anche se sospetto che tu non desiderassi il fardello del comando. Ti prego, dimmi se sto candendo in errore. –

Luinil sospira, poi scuote il capo: - non ho mai pensato potesse accadere – confessa, sottovoce – ho sempre pensato che Niphredil ci sarebbe stata per sempre, che sarebbe stata lei a guidare l’esercito. –

- Eppure eri conscia che ti stava addestrando per succederle – rileva Legolas

- Una volta me l’ha chiesto, sai? Mi ha versato una coppa di vino e mi ha detto “Lu, io ti sto insegnando tutto quello che so. Quand’eri bambina ti ho letto le favole che mio padre aveva letto a me, ti ho cantato le canzoni che lui mi sussurrava, per farmi dormire, ed ora ti sto mostrando l’unica via che conosco, la via della spada e dell’arco, la via della corazza e dello stendardo. Ma se è un altro, il tuo desiderio, allora parlamene, ti prego, e troveremo un’altra soluzione. Voglio che tu sia felice, Lu.”. Io… ho esitato, ma poi ho pensato a mio padre, al suo sorriso quando sistemava le armi, all’orgoglio nella sua voce quando mi parlava del suo compito. Rinunciando all’addestramento mi sembrava di deluderlo. – Luinil distoglie lo sguardo dagli occhi di Legolas, con un gemito – Pensavo davvero di volerlo. –

Il principe le accarezza la guancia, sollevandole il viso: - Il fatto che tu abbia a lungo seguito una via non significhi che non ne esistano altre – dice, sottovoce, posando la fronte su quella dell’amica – cosa vorresti, davvero? Che vita desideri, Luinil di Eryn Galen? –

Luinil arrossisce: - ti metteresti a ridere, se te lo dicessi. – si schermisce poi, agitando una mano

Legolas sorride: - dimmelo lo stesso. Non può essere così terribile. –

L’elfa sospira poi, rassegnata, inclina il capo e sussurra qualcosa all’orecchio del principe.

Legolas stringe le labbra – mi sembra legittimo, Lu – riesce poi a pronunciare, trattenendo le risate.

 

I giorni successivi scivolano rapidi e frenetici, per tutti.

I nani sono di nuovo in cammino, pieni di aneddoti e progetti. I loro passi e le loro voci riecheggiano lungo il Verdecammino, precedendo la carovana.

Gli orchi sciamano dal nord, calandosi lungo gli irti pendii delle Montagne Nebbiose fino a raggiungere gli Erenbrulli. Mentre marcia, a capo dell’avanguardia, Sinag si sente ancora addosso gli occhi del drago. Ogni volta che storce le labbra, le ustioni non ancora guarite gli inviano fitte di dolore, quasi a rammentargli che il maledetto serpente avrebbe potuto ucciderlo. E invece, come suprema beffa, ha scelto di risparmiarlo, per lasciargli condurre una vita col fardello di quell’umiliazione.

Tanto pesanti e sgraziati sono i passi degli orchi, tanto rapida e lieve è l’andatura di Niphredil.

Risale l’Inondagrigio, camminando sulle sue sponde, finché il fiume non si biforca. Da un lato il Bruinen, che porta verso Imladris. Niphredil accarezza per un attimo l’idea di seguirlo, di raggiungere l’Ultima Dimora Accogliente, per incontrare sire Elrond e trascorrere qualche giorno con la sua gente, ma il desiderio di rivedere Thranduil prevale e l’elfa imbocca la via opposta, quella che segue l’altro ramo dell’Inondagrigio, quel fiume che è chiamato Mitheithel.

E’ un cammino solitario, ma pacifico, accompagnato dal sole e dal canto dell’acqua.

Mentre oltrepassa il confine e si lascia l’Eriador alle spalle, Niphredil riflette sulla propria vita. Rivede ogni giorno trascorso, il sangue versato, le imprese compiute, gli ordini che ha ingiunto e quelli a cui ha obbedito, alle roccaforti protette e a quelle perdute, ripensa ai momenti di dubbio che l’hanno trattenuta, agli errori in cui è caduta, ai sospiri che le hanno riempito il petto.

Ogni tanto, sente i secoli pesare sulle proprie spalle. Soprattutto quando è sola, quando non c’è Thranduil a baciarle dolcemente le labbra e a sussurrarle che una lunga via può essere piacevole, quando si è in due a percorrerla.

 

 

--La Coda!

Questo capitolo è cortino, eh. Ops. Scusate.

E’ che tutti stanno camminano, che noiaaa!

Provvederò ad aggiornare con il prossimo in tempi brevi, così che succeda almeno qualcosa, in questo benedetto racconto :P

 

Un bacio!

- La Matta

 

P.S. – gli itinerari sono stati pensati dalla sottoscritta (immaginatevi una me molto perplessa davanti alla mappa della Terra-di-Mezzo, che si gratta la testa cercando di calcolare tempi e strade), quindi tutt’altro che immuni da errori. Qualora ne trovaste, fatemi sapere ;)

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