Thad e Sebastian in: Figli - Istruzioni per l'uso

di Meli_Nymeriah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Ray ***
Capitolo 2: *** Day 2: Maladie d'amour ***



Capitolo 1
*** Day 1: Ray ***




RAY
 
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  Picchiettava il pollice sulla superficie discontinua del volante e lanciava occhiate al semaforo a intervalli sempre più vicini, come se quel gesto potesse in qualche modo accorciare i tempi di attesa prima che tornasse il verde. Sperava solo che il suo nervosismo non fosse troppo evidente; non era affatto professionale da parte sua lasciarsi trascinare emotivamente in una procedura di quel tipo. Ogni bambino è uguale all’altro, questa era la prima regola e la più importante in assoluto. Non poteva fare differenze, nemmeno quando si trattava di un ragazzino con cui aveva già avuto a che fare svariate volte. Ma come faceva a non prendersi a cuore la situazione, quando…

Verde.

Thad strinse la presa sul volante e proprio un istante prima di premere sul pedale dell’acceleratore si voltò a guardare a destra, e controllò che la cintura del passeggero fosse ben allacciata. Poi imboccò una strada che sapeva essere meno trafficata e finalmente la macchina riprese velocità.

  “Ti piaceranno, vedrai. Sono persone gentilissime” cominciò a raccontare, cercando di mostrare un tono entusiasta, come se la loro meta fosse un parco giochi. “E hanno un giardino grande, con tanti tipi di fiori. E un’altalena. Ti piacciono le altalene, Ray?”

Il bambino seduto di fianco a lui si limitò ad alzare le spalle, e poi appoggiò l’avambraccio contro il finestrino, osservando con i suoi grandi occhi color nebbia la strada e il cielo che si rincorrevano fuori dall’auto. Ray aveva solo cinque anni, ma si comportava come se ne avesse il doppio; c’era qualcosa nel modo in cui si aggiustava gli occhiali sul nasino che lo faceva apparire più grande. O forse era quel suo sorrisetto scaltro, tanto raro quanto pericoloso, a dargli un’aria particolarmente sveglia.

Thad si riscosse dai propri pensieri superando un altro incrocio, e pensò che non fosse il caso di disturbare ancora il passeggero, quindi rimase in silenzio per il resto del viaggio; Ray non aveva chiaramente voglia di fare conversazione.

E quando mai ne ha?, pensò tra sé l’uomo, lasciandosi andare ad un lungo sospiro, che scaricò solo un millesimo della tensione che sentiva appesantirgli le spalle, mentre parcheggiava l’auto sul grande spiazzo lastricato davanti alla casa.

La prima impressione che Thad aveva avuto dei signori Foster era stata indiscutibilmente positiva. La stabilità del loro rapporto aveva messo floride radici in più di sette anni di felice matrimonio, e per quanto Thad avesse cercato, sembrava che non ci fossero scheletri nel loro armadio. Erano una coppia di trentenni innamorati, dall’aria serenamente mite, ed erano sicuramente benestanti, dettaglio che di certo non guastava nella vita di chi aveva intenzione di adottare un bambino.

  “Thad Harwood. Assistente sociale” strinse la mano del signor Foster e sorrise educatamente a sua moglie. Sentiva le mani del piccolo stringergli saldamente i pantaloni, ma non era timidezza la sua, Thad lo sapeva bene, era piuttosto una singolare ostinazione, insolita in un bambino di cinque anni, ma che era indubbiamente tipica di Ray; lui non parlava, ma le parole erano inutili con chi era abbastanza attento da riuscire a decifrare i suoi gesti e Thad non aveva mai avuto problemi a capirlo. “Lui è Ray, è molto felice di fare la vostra conoscenza” mentì, perché sapeva benissimo che il bambino era tutt’altro che contento di quella situazione.
 
Il padrone di casa si fece avanti, offrì la mano a Ray e quando lui la fissò come se non sapesse che farsene, gli appoggiò il palmo sulla spalla e lo condusse dentro casa. “Vieni, figliolo, ti faccio vedere quale sarà la tua stanza.”
 
Thad fu condotto in casa a sua volta dalla signora Foster, e ripeté un giro di perlustrazione per assicurarsi che tutte le modifiche di sicurezza fossero state applicate all’ambiente dopo la sua ultima visita. Tutto andò a meraviglia, fino a quando la donna non si fermò sulla soglia, torcendosi l’orlo della camicetta, e Thad notò che qualcosa non andava.
 
  “Ci sono domande?” la incalzò l’assistente sociale, rimettendo il suo blocchetto di appunti nella cartellina e piegando un po’ di lato il capo per poterla vedere in faccia. Aveva un’espressione imbarazzata; pessimo segno.
 
  “E per quanto riguarda il suo… problema?”
 
  “Quale problema?” La confusione gli increspò la fronte, ma nel profondo Thad sapeva già dove sarebbe andato a parare quel discorso, anche se sperava con tutto se stesso di sbagliarsi.
 
  “Nel documento c’era scritto che… voglio dire, è normale che i bambini reagiscano così dopo aver subito il trauma dell’abbandono, ma se… se non dovesse parlare… mai?”
 
L’uomo raddrizzò la schiena di colpo e assottigliò lo sguardo, si prese un lungo momento infilando la cartellina sottobraccio per meditare sulla risposta da darle. Sapeva che parlando subito avrebbe risposto in modo brusco e fatto trapelare le sue emozioni.
 
Non sei professionale, si disse. Non farti prendere.
 
  “Come farà con la scuola? E a farsi degli amici?” continuò la donna, ora con un tono che sfiorava l’angoscia. Si aggiustò l’orlo della camicetta, ma ormai era completamente sgualcito.

  “Se dovesse avere difficoltà nell’apprendimento pagherete per un supporto speciale, e non credo che avrà problemi a farsi degli amici. Ray piace molto agli altri bambini del centro accoglienza. È bravo col pallone.”
 
Gli servì tutta la forza di volontà del mondo per girare sui talloni e tornare alla sua auto. Non attese un secondo di più; perché sapeva che, se gliene avesse dato occasione, quella donna si sarebbe messa a parlare di Ray come un cucciolo di umano difettoso e a quel punto lui non avrebbe più avuto il coraggio di lasciarlo lì.
 
Ma non hai altra scelta, lo ripeté dentro di sé, come un mantra liturgico e infinito, cercando di convincersene abbastanza da non sentirsi in colpa.

 
***
 
  Maryanne Foster rientrò in casa continuando a sfregarsi le mani con talmente tanta forza da farle sudare. Era sinceramente convinta di voler adottare; lei e suo marito non avrebbero fatto richiesta se non fossero stati assolutamente certi di essere pronti.
 
Ma un bambino affetto da mutismo selettivo?
 
Quello era un altro paio di maniche. Uno che lei non era sicura di saper indossare. Da quando aveva letto il profilo psicologico del bambino, il dubbio aveva cominciato a divorarla da dentro. Sarebbe stata una madre abbastanza in gamba da gestire una situazione di quel tipo?

Raggiunse suo marito al piano di sopra, certa di trovare sia lui che Ray nella stanza che avevano allestito con giochi e carta da parati colorata. Ma non appena mise piede nella cameretta, notò il pallore sul viso dell’uomo e la domanda le si strozzò in gola: “Che cosa…?”

  “Il bambino! È sparito!”

 
***
 
  Thad lanciò un grido e fece un passo indietro, quando la Porsche inchiodò a pochi centimetri da lui. Sudò freddo al pensiero di non averci rimesso le penne per un soffio.

La portiera si spalancò e la prima cosa che vide fu una zazzera di spettinatissimi capelli castano ramato, che venivano accarezzati dal vento settembrino. Poi fece capolino il viso magro di suo figlio, e Thad lesse un vago senso di allarme nei suoi occhi color primavera e dal taglio allungato, che lui conosceva fin troppo bene.
 
Mathias tese un braccio in avanti, con il palmo aperto in segno di scuse: “Papá
, perdóname! Tienes la camisa del mismo color de la pared y no te vi!*

Sebastian Smythe uscì dall’altro lato, gli occhi sgranati e la bocca semiaperta in un grido di muto orrore. Risalì tutto il vialetto con sole tre falcate, allontanandosi da Mathias il più in fretta possibile, come se ne andasse della sua stessa vita.
 
  “Tuo figlio è un pericolo pubblico!” borbottò, cercando di infilare le chiavi nella toppa, ma le mani ancora gli tremavano per la paura.

Thad dovette trattenersi dallo scoppiare a ridergli in faccia. “Tuo figlio sta ancora imparando, dagli tempo” spiegò e si voltò per ammiccare in direzione di Mathias.
 
  “Tuo figlio non imparerà mai” ribatté Sebastian.
 
  “Spiegami perché quando prende il massimo a scuola è figlio tuo e quando prende sotto le vecchiette sulle strisce pedonali è improvvisamente mio.”
 
  “Perché è ovvio che ha ereditato l'intelligenza da me.”
 
  “E la cecità da me?!”


La porta si aprì con uno scatto e Sebastian indietreggiò immediatamente di un passo, lasciando il marito solo davanti alla soglia. Thad, rassegnandosi al suo destino, chiuse gli occhi.
 
Un uragano di capelli nero pece all’aroma di pompelmo gli schiaffeggiò il viso e sentì le braccia morbide di sua figlia circondargli il collo. Seguirono una serie di baci schioccanti, che gli riempirono le guance di burro cacao al gusto fragola, dopodiché Thad poté finalmente riprendere a respirare, incredulo per essere sopravvissuto ancora una volta ad un attacco a sorpresa di Désirée. Era solo una ragazzina in età preadolescenziale, ma aveva la forza di uno gnu infuriato. Era un mistero come riuscisse ad apparire delicata ed elegante, talvolta persino fragile, in presenza di altre persone, per poi trasformarsi in una forza della natura tra le mura domestiche o con le amiche più fidate.
 
  “Papounet!**” squittì lei, e sbatté le lunghe ciglia nerissime un paio di volte. Per sottolineare il concetto, già chiarissimo di per sé, tanto che Thad rispose in automatico: “Cos’hai combinato stavolta? L’hai fatto uscire quel ragazzo che avevi chiuso nel gabinetto della scuola?”
 
Désirée lasciò andare la presa e nascose le mani dietro la schiena, alzando gli occhi al soffitto, con l’aria innocente e indifesa di una farfalla che si posa su un fiore. “Se l’era meritato. Non faceva quello che gli chiedevo.”
 
  “Daisy, hai di nuovo confuso i ragazzi con i cani” commentò Sebastian, superando entrambi e scuotendo la testa. Aveva ancora l’aria stravolta per aver dovuto insegnare le basi della guida al suo primogenito. La figlia fece spallucce e si allontanò canticchiando una melodia in Francese.
 
Mathias richiamò la loro attenzione, affacciandosi alla porta e grattandosi i capelli ingestibili con aria perplessa. “Abbiamo un problema, credo.”
 
  “Dimmi che non hai sfondato il garage!”
 
Il ragazzo sembrò vagamente offeso da quel commento, ma lo ignorò comunque – era di indole troppo mite per fare altrimenti - e indicò le proprie gambe.  Due mani piccole, ma caparbie stringevano i pantaloni di Mathias, ancorandosi a lui come un appiglio sicuro in mezzo al mare, e due occhioni grigi sbirciavano dentro la casa per controllare la situazione. Ray mollò la presa sui vestiti del ragazzo e corse spedito verso Sebastian; lui lo prese quasi al volo, prima che inciampasse nei suoi stessi piedi, e lo sollevò da terra.

  “Ehi! Sei tornato a trovarci, mostriciattolo? Non ti piaceva nemmeno quella di oggi di famiglia?”
 
Ray fece cenno di no con la testa.
 
Il volto di Thad era una maschera di incredulità. “Ma come diavolo fa ogni volta?! Ho controllato! I sedili dietro erano vuoti!”
 
Sebastian aggiustò la giacchetta sulla spalla del bambino, con una premura che suo marito gli aveva visto usare con ben poche altre persone.

In realtà solo con Mathias e Désirée… forse con Rafael*** qualche volta, ma è passato talmente tanto tempo…

“Credo che si nasconda sotto i sedili o forse nel bagagliaio” replicò infine, con aria distratta.

Thad si portò una mano ai capelli, l’altra cadde sullo schienale della poltrona, come se lo shock stesse minacciando di fargli perdere l’equilibrio. “Dobbiamo riportarlo al centro e devo fare subito una chiamata.” Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza alla ricerca del cellulare, imprecando nella sua lingua madre, con il fiato corto e gli occhi sgranati. “I genitori adottivi saranno nel panico, speriamo non abbiano già chiamato la polizia…”

Sebastian sbirciò verso di lui con la coda dell’occhio, ma la sua attenzione era quasi completamente rapita dal bambino che teneva in braccio. Il verde dei suoi occhi brillava di una luce insolita quando c’era Ray nei paraggi e tutto ad un tratto i suoi gesti sembravano emanare calore; era un dettaglio che non era sfuggito a suo marito, ma quando Thad gliel’aveva fatto notare, Sebastian si era limitato a scrollare le spalle e a cambiare argomento, come se non volesse dare peso alla cosa; quel comportamento però non faceva che rendere il tutto ancora più evidente.
 
  “Tacos, calmati. Non c’è fretta. Avverti il centro e loro risolveranno le scartoffie e tutto il resto.” Si avviò verso la cucina, mentre Ray gli circondava il collo con le braccia in un gesto che a Thad parve curioso: più che un bambino affettuoso, sembrava un cucciolo di lupo che marca il territorio. “Ray, hai fame?”
 
Il piccolo annuì.

  “Sebastian…” La voce di Thad era quasi un lamento. Suo marito lo vide affacciarsi alla cucina quasi sull’orlo delle lacrime e capì che era arrivato il momento di affrontare la situazione, quindi bisbigliò all’orecchio di Ray: “Facciamo un gioco. Se riesci a infilarti di nascosto nella camera di Daisy e a rubarle quel maledetto CD dei One Direction che sta rimandando a palla da giorni, mesi o forse anni, vinci un pacchetto di caramelle.”
 
Ray assottigliò lo sguardo, sembrava intento a soppesare l’offerta, poi arricciò il labbro e annuì spostando il peso in avanti, per comunicargli che voleva scendere. Sebastian lo osservò zampettare fuori dalla cucina e fece qualche passo verso suo marito.
 
Thad aveva ancora il cellulare in mano, ma non aveva ancora chiamato nessuno. Sul volto un’espressione angosciata e il labbro inferiore intrappolato tra i denti. “Sta diventando una cosa seria, non riusciamo a tenerlo lontano da questa casa. Dobbiamo fare qualcosa, prima che diventi troppo grande e allora nessuno vorrà più adottarlo.”

Sebastian non parlò. Alzò un braccio e un attimo dopo il suo palmo stava sfiorando la guancia accaldata di Thad, lo fece scivolare sulla pelle, scendendo fino al collo, e a quel punto sorrise – con le labbra, coi denti e con gli occhi tutt’insieme, il tipico sorriso delle buone notizie - e gli agganciò la mano dietro alla nuca per tirarlo in un bacio.

  “Non c’è niente che possiamo fare. Il bambino ha deciso con chi vuole stare” gli comunicò in un sussurro, con la bocca ancora ad un centimetro dalla sua.

Thad capì all’istante il sottinteso, forse perché sotto sotto aveva sempre saputo che sarebbero arrivati a quello. “Non possiamo!” obiettò subito, una nuova vampata gli infiammò le gote e l’altro dovette trattenersi dal baciargliele.

  “Perché no?”
 
  “Bas, abbiamo già cresciuto due figli insieme, non è stato facile e ricominciare da capo a quest’età…”
 
  “È un bambino tranquillo, molto più semplice da gestire rispetto ai nostri.” Si bloccò per un istante, aggrottando la fronte e riflettendo tra sé: “Forse proprio perché non ha i nostri geni…” Scacciò via il pensiero e continuò: “E poi così saltiamo tutta la fase con i pannolini da cambiare, le alzatacce alle quattro di notte e il vomito sui vestiti, che sinceramente io ho odiato.”
 
  “Abbiamo il lavoro di cui occuparci…”

  “Che sta andando a gonfie vele.”
 
  “E la nostra relazione da coltivare…”
 
  “Se è una perifrasi per ‘la nostra vita sessuale’, anche quella va a gonfie vele.” Sebastian sfoderò un altro sorriso, ma questo era completamente diverso da quello precedente, era strabordante di promesse sporche e sottintesi, come anche il braccio che si strinse attorno alla vita di Thad, avvicinando i loro bacini, ma lui distolse lo sguardo immediatamente, perché non era proprio il momento adatto per quello. “Sai, i miei genitori stanno cominciando a dare di matto senza nipotini piccoli da viziare. Mia madre ha talmente tanti soldi da spendere che si è comprata un elicottero, e come tu ben sai, lei soffre di vertigini.”

Thad alzò gli occhi al soffitto, e spinse indietro di fianchi liberandosi alla presa. “Se stai cercando di manipolarmi e convincermi a dire sì con il sesso, puoi almeno evitare di nominare i tuoi genitori?”
 
Sebastian rise. “Hai ragione.” Lo prese per mano e indietreggiò verso il tavolo; con quegli occhi così verdi incatenati ai suoi, Thad non ebbe altra scelta se non seguirlo. Sebastian si appoggiò alla superficie in legno e divaricò le gambe, facendo spazio per l’altro. Si muoveva come un grosso felino nel bel mezzo di una caccia e Thad non sapeva mai se esserne eccitato o spaventato, perché sapeva benissimo di essere lui, la preda. “Quindi è un sì? Lo adottiamo?”
 
Thad cercò disperatamente una buona ragione per tornare con i piedi per terra e far ragionare entrambi. Tutta quella faccenda era una follia, ma l’unico pensiero negativo che gli sfiorò la mente furono le parole della signora Foster.
 
  “E se non dovesse parlare… mai?”

Sebastian si fermò, ma l’esitazione durò solo un istante. “Vuoi farmi credere che questo per te sarebbe un problema? Che lo ameresti di meno? Ti conosco un po’ troppo bene per cascarci, sai.” Stava parlando con un tono serio e ponderato che suo marito aveva udito in poche altre occasioni, e quasi stonava in bocca a uno come Sebastian Smythe, ma fu in quel momento che Thad si sentì finalmente più tranquillo, sentì che un po’ del peso della responsabilità gli era stato tolto dalle spalle e che forse potevano davvero crescerlo, un altro bambino, insieme. “Se non dovesse parlare, troverà altri modi per comunicare. Con noi lo fa già. Ad ogni modo a te la scelta, puoi continuare a scarrozzarlo da una famiglia all’altra fino a che non sarà maggiorenne e vederlo fuggire ogni volta per venire qui, oppure farla finita una volta per tutte e dirgli che da oggi può chiamarti papà.”
 
Thad non riuscì a reprimere un sorriso al sol pensiero di Ray che pronunciava la sua prima parola scegliendo proprio ‘papà’ fra tutte. Sarebbe stato meraviglioso. Soprattutto considerato che le prime parole di Mathias e Désirée erano state rispettivamente ‘chiappa’ e ‘pupù’.
 
  “È nostro” dichiarò a voce alta e chiara.
 
Sebastian annuì e lo attirò verso di sé, facendo scontrare i loro corpi. “E adesso cosa ne dici di… com’è che hai detto? Ah, già… coltivare la nostra relazione.”

  “CHE SCHIFO!
Papá e papuonet stanno facendo robaaaa!”
 
Sulla porta della cucina, Désirée aveva buttato la lingua di fuori in una delle sue smorfie più disgustate. Ray, al suo fianco, con il fiatone e il CD dei One Direction ancora in mano, osservava Sebastian e Thad con aria incuriosita. Mathias piombò dietro di lui e gli piazzò una mano davanti agli occhi.
 
  “Potreste evitare di farlo sul tavolo?! Ci dobbiamo mangiare lì!” gli ricordò il primogenito, gesticolando con la mano libera verso di loro.
 
Thad e Sebastian si abbandonarono ad un lunghissimo sospiro.
 
  “Mi sono già pentito di aver detto di sì.”
 
  “Secondo te, se li barattiamo tutti e tre, ce lo danno in cambio un cane?”


Note:

Salveee! Io e la mia compare Meli abbiamo avuto la malsana idea di plottare questa raccolta di shottine sulla vita genitoriale dei Thadastian partendo dal primo prompt della Thadastian Appreciation Week, 'Daddies!Thadastian'. E' un periodo in cui scrivere ci riesce difficile per mancanza di tempo e ispirazione e quindi speriamo che questa storia ci aiuti a sbloccarci. Avvertiamo già da ora che gli aggiornamenti non saranno quotidiani, ma con un po' di pazienza arriveranno! 

* La traduzione della frase è: "Papà, scusami! Hai la camicia dello stesso colore del muro e non ti ho visto!"
Mathias ha l'abitudine di parlare in Spagnolo quando è agitato, quasi quanto Désirée ha quella di parlare in Francese quando è arrabbiata, potete immaginare la confusione linguistica che si crea in quella casa quando c'è un problema in famiglia xD 

Grazie a Tikal Sorenance per la traduzione <3

** "Papounet" è un vezzeggiativo fracese per "Papà".

*** Per chi non ne fosse a conoscenza, Rafael è già stato presentato nel capitolo (Chicken) Dance di One Week Notice. E' il figlio della sorella di Thad, quindi suo nipotino e Sebastian ha da sempre avuto un segretissimo debole per lui, tanto da rendersi ridicolo pur di farlo ridere <3

Sempre in One Week Notice trovate la prima comparsa di Mathias, quindi in un certo senso questa storia è ne è il continuo :3

Ci rivediamo al prossimo prompt, che sarà 'Differenza d'età'! <3

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Capitolo 2
*** Day 2: Maladie d'amour ***




MALADIE D'AMOUR
 
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Era ormai passato un anno da quando Thad e Sebastian avevano deciso di adottare Ray. I primi tempi erano stati difficili, al punto che Thad si chiedeva almeno una volta alla settimana per quale motivo avesse acconsentito a quella follia –  e in quelle occasioni negava al marito del sano sesso ‘per punizione’ – ma fortunatamente da allora le cose erano migliorate. Inoltre, un paio di mesi prima, tra la sorpresa generale, Ray aveva anche ricominciato a parlare : era successo una sera, nel bel mezzo della cena, tra la portata principale e il dolce. Approfittando di uno dei rarissimi momenti di silenzio all’interno di quelle mura, Ray aveva posato la forchetta accanto al piatto e, dopo un sospiro, se n’era uscito con : “Oggi a scuola ho preso un brutto voto”. Gli ci erano volute un paio d’ore buone per capire perché, invece di ricevere un punizione come succedeva ai suoi compagni di classe, avesse passato il tempo ad essere abbracciato e coccolato – Daisy l’aveva quasi soffocato, ma aveva scoperto con il tempo che quella era la sua massima dimostrazione d’affetto – e aveva anche avuto diritto ad una doppia porzione di torta di zia Beatriz**. Da allora, sebbene non fosse certo diventato il bambino più loquace del mondo, Ray aveva preso a parlare con regolarità, anche se solo ed esclusivamente nell’ambito familiare.

Da qualche giorno, tuttavia, il bambino aveva ripreso ad essere taciturno; a questo bastò unire il fatto che aveva anche smesso di mangiare per far entrare Thad in uno stato di ansia e di panico senza precedenti. Il punto di rottura fu toccato la domenica a pranzo, quando Ray si era alzato da tavola senza aver toccato cibo; Thad aveva portato i piatti in cucina e aveva iniziato a fare su e giù per la stanza, imprecando in spagnolo. Neanche l’arrivo di Sebastian, che aveva accuratamente richiuso la porta dietro di sé, aveva fermato passi e parole.

  “¿Por qué? ¿¡Por qué yo acepté?! Sabía que era un error...*”

  “Harwood, potresti parlare in una lingua comprensibile anche al sottoscritto?”

  “¡La culpa es tuya!” continuò Thad, come se il marito non avesse aperto bocca.

Sebastian, scocciato, fece schioccare le labbra: “Questo è sorprendentemente facile da capire in qualsiasi lingua.”

Thad prese uno strofinaccio ed iniziò ad asciugare i bicchieri, ma le mani gli tremavano talmente tanto che a più riprese rischiò di farli cadere al suolo; Sebastian aspetto qualche minuto prima di intervenire.

  “Tacos, potresti calmarti e spiegarmi cosa sta succedendo?” Fece scivolare le dita sui polsi di Thad, bloccando il movimento delle sue mani. “So che il malumore è generalmente sintomo di fertilità, ma direi che ne abbiamo abbastanza di ragazzini da crescere.”

  “Appunto, sono troppi!” Thad si divincolò dalla sua presa e aprì la piccola finestra che dava sul giardino interno, alla ricerca di un po’ d’aria fresca. “Non avremmo dovuto adottarlo, è una cosa molto più grossa di noi.”

  “Non capisco di cosa tu stia parlando.” Sebastian si avvicinò nuovamente a lui, mantenendo tuttavia una certa distanza di sicurezza. “In questi mesi ha fatto continui progressi. Ha ripreso a parlare, Thad. Nessuno pensava che sarebbe successo.”

  “Quant’è durato? Qualche settimana?” Thad si passò stancamente una mano sul viso, sentendo il peso della responsabilità di quella scelta sconsiderata pesare su di lui. “Dovevamo lasciare che ad adottarlo fosse una famiglia che poteva concentrarsi esclusivamente su di lui. Non una coppia che ha un elenco infinito di problemi e altri due adolescenti da gestire.”

  “Dimentichi una cosa fondamentale.” Si portò di fronte al marito, guardandolo negli occhi con un’intensità tale da non permettergli di abbassare lo sguardo. “E’ stato lui a scegliere noi.”

Per qualche istante nessuno parlò, prolungando un silenzio carico di tensione, finché Thad finì per sciogliersi e buttò le braccia intorno al collo di Sebastian, lasciando che un paio di lacrime scendessero lungo le sue guance. Era un evento talmente raro che solo in quel momento Sebastian capì quanto Thad avesse a cuore l’intera faccenda; le sue mani andarono automaticamente a stringersi più forte intorno ai fianchi di Thad e lo cullò piano contro il suo petto. Promise a se stesso che avrebbe fatto di tutto pur di vederlo sorridere di nuovo.


 
***
 
Un respiro profondo. Due respiri profondi. E nonostante questo, Sebastian si sentiva più insicuro e inadeguato che mai. Non ricordava di essere stato così nervoso né al suo matrimonio né tantomeno alla nascita dei suoi figli... forse l’attuale stato d’ansia era paragonabile solo a quando aveva accompagnato Désirée al suo primo giorno di scuola, ma più che altro perché temeva per l’incolumità degli altri bambini.

Eppure doveva essere forte. Aveva promesso a Thad che avrebbe preso in mano la situazione e si sarebbe applicato in questo compito; il primo passo era capire se il comportamento di Ray fosse dovuto a qualcosa successo di recente.

  “Ray! Puoi scendere un attimo, per favore?”

Attese, in piedi vicino al divano, fino a quando non senti i passetti di suo figlio minore per le scale, e non si trovò davanti la sua figura minuta.

  “Io e papà Thad volevamo parlarti. Vieni con me?”

Ray gli lanciò uno sguardo dubbioso, ma accettò la mano che Sebastian gli aveva porto. Una volta arrivato dov’era seduto Thad, si arrampicò di buon grado sulle sue gambe, scrutandolo poi con attenzione attraverso i suoi piccoli occhiali neri; Thad non poté fare a meno di sorridere e fargli una carezza sulla guancia. Sebastian prese posto di fronte a loro e si schiarì la voce.

  “Allora, mostriciattolo,” Thad inarcò un sopracciglio ma non disse nulla, “ti trovi bene qui con noi?”

Ray annuì con la testa, lasciando che un sorrisino timido spuntasse con naturalezza sulle sue labbra.

Bene. Questo intanto possiamo escluderlo.

  “Ty e Daisy ti trattano bene?”

Anche in questo caso, la testolina si mosse in avanti, e Sebastian non poté fare a meno di sentirsi in qualche modo sollevato. Qualsiasi fosse la ragione per la quale Ray non mangiava, non riguardava direttamente loro; la vita familiare e la sanità mentale di Thad potevano ritenersi ufficialmente salve.

Sebastian fece qualche altra domanda, stando ben attento alle reazioni del bambino; non vi fu nessun movimento degno di nota, almeno finché...

  “E a scuola? Ti trovi bene?”

Anche un osservatore poco attento avrebbe notato l’improvvisa rigidità che aveva pervaso qualsiasi muscolo del corpo di Ray.

Bingo.

  “E’ successo qualcosa a scuola?” Thad lo guardò apprensivo, quasi temesse la risposta. “Sai che puoi dirci tutto, vero?”

  “Devi dirci tutto, Ray.” Sebastian aveva un’espressione dura sul volto, ma si affrettò ad addolcirla per non spaventarlo. “Siamo qui per te. Ogni volta che hai bisogno di noi.”

Il bambino lasciò vagare lo sguardo da un genitore all’altro, quasi si sentisse intimorito dall’avere l’attenzione di entrambi su di sé; chinò il capo verso il basso, emettendo un suono che però nessuno dei due riuscì a cogliere.

  “Ray, tesoro... potresti ripetere?” Thad, invece di sollevare il viso del figlio mettendolo ancor di più sotto pressione, si abbassò a sua volta, di modo da avere l’orecchio a portata delle labbra di Ray.

  “Maestra.”

  “Maestra?” pronunciarono i due uomini all’unisono, prima di scambiarsi un’occhiata preoccupata.

  “Ti ha messo un altro brutto voto?”

  “Si è comportata male?”

  “Ti ha messo in punizione?”

  “Non ti ha fatto giocare con gli altri bambini?”

  “Ti...”

  “Bella” pronunciò Ray con semplicità, lasciando che i suoi papà andassero in confusione totale. Sapeva che era un momento serio, ma le loro espressioni erano talmente buffe che dovette mordicchiarsi il labbro inferiore per non inziare a ridere.

  “La maestra è...bella?” tentò Thad, non sapendo esattamente dove andare a parare. Al cenno affermativo del figlio, lanciò un’occhiata di puro panico al marito, in una richiesta di muto soccorso.

  “Non mangi perché la maestra è bella?” Il discorso non aveva il minimo senso logico, ma Sebastian parve non dare alcun peso alla cosa.

  “Mi piace. Tanto.”

All’improvviso, tutti pezzi del puzzle andarono al loro posto e la stanza fu pervasa da un lampo di comprensione generale: Ray si era preso la sua prima cotta.

Thad e Sebastian non poterono fare a meno di lasciarsi andare ad una risata liberatoria; si erano lasciati talmente suggestionare dalla particolare situazione di Ray e non avevano pensato al fatto che era semplicemente un bambino come tanti altri che faceva le sue prime esperienze nel mondo.

  “Quindi ti piace la maestra, eh? Birbante!” Sebastian gli scompigliò i capelli con affetto. “Com’è? Alta? Bionda?”

Il figlio scosse la testa. “No. E’ bassa e mora.”

  “Gli stessi gusti del suo papà” proclamò Sebastian con orgoglio, beccandosi la linguaccia da parte di Thad.

  “Posso sposarla e darle i bacini come fate voi?” chiese ingenuamente Ray, creando il più grande imbarazzo ai due adulti. Anche Sebastian, generalmente molto rilassato quando si affrontavano questo genere di argomenti, sembrava non essere particolarmente a suo agio.

  “La maestra è... grande, Ray.” Thad si sforzò al massimo per usare il maggior tatto possibile. “Molto più grande di te.”

  “Non può sposare un bambino, capisci?” Sebastian gli diede man forte. “Lei ha almeno trent’anni, tu ne hai sei... c’è troppa differenza d’età.”

Ray fece una piccola smorfia e mise su un broncio che non si poteva definire altro che adorabile.

  “Ma sono solo...” sollevò le ditina in aria, cercando di contare la distanza che li separava, ma era chiaro che fossero più di dieci, quindi oltre quanto la maestra gli aveva insegnato. “Uffa, non sono tanti!”

Thad ridacchiò piano, e prese le mani del figlio tra le sue. “Diciamo che puoi stare con una bimba che non abbia più anni di differenza di quanti tu riesca a contarne con le dita, va bene?”

Ray sembrava inizialmente voler ribattere qualcosa, ma finì con l’annuire, rassegnato. Thad lo abbracciò forte e sentì il cuore scaldarsi quando il figlio ricambiò la stretta con la stessa intensità, il tutto sotto lo sguardo di serena approvazione di Sebastian.

Quella bolla di serenità si infranse quando suonarono al campanello.

  “VADO IO!” Désirée si precipitò giù dalle scale in fretta e furia, quasi stesse correndo la finale dei 100 metri ostacoli.

  “Daisy, quante volte dovrò ripeterti che sei un essere umano e non un bufalo imbizzarrito?” Sebastian fece una smorfia insofferente e si chiese, per l’ennesima volta, come i suoi professori potessero definirla ‘l’eleganza fatta persona’.

  “Lauren!” Désirée abbracciò la sua amica, mettendo Thad e Sebastian sull’attenti: se l’avesse accidentalmente soffocata dovevano essere pronti ad intervenire. “Sono contenta che i tuoi genitori ti abbiano lasciato venire! Così possiamo studiare insieme.”

Daisy aiutò la sua amica ad appendere la giacca, ma quando si girò con la ferma attenzione di tornare in camera, trovò Sebastian a sbarrarle la strada.

  “Signorina, io e te dobbiamo fare un discorsetto.”

La ragazza sorrise con finta ingenuità. “Proprio adesso, papounet? Abbiamo ospiti.”

  “Sono sicuro che gli altri abitanti di questa casa sapranno intrattenere la tua amica.” Sebastian rivolse un sorriso di circostanza all’altra ragazza, prima di intimare a Désirée di precederlo nella strada verso la cucina ed iniziare a borbottare, in un fittissimo francese: “As-tu oublié les règles de cette maison? Depuis quand tu crois avoir le droit d’inviter tes amis sans même nous demander la permission*?!”

Lauren li seguì per un po’ con lo sguardo, poi si limitò ad osservare i quadri che ornavano l’ingresso della casa. Gli ci vollero diversi minuti per accorgersi che qualcuno la stava tirando per il bordo della maglietta.

  “Ciao, Ray!” Lauren si abbassò sulle ginocchia per essere alla sua altezza. “Stai bene?”

Il bambino annuì brevemente, poi chiese, a bruciapelo: “Tu quanti anni hai?”

La ragazzina sembrò colta di sorpresa, ma non si scompose: “Tredici.”

Ray assunse un faccino pensoso, mentre, ancora una volta, alzava le ditina in aria.  “Sono... sette.” Lauren rimase perplessa, ma non ebbe il tempo di dire alcunché perché il bambino si aprì in un larghissimo sorriso e le porse la mano: “Ti va di vedere la mia stanza?”

  “Certo.” Lauren afferrò la mano del piccolo e, senza aspettare ulteriormente, lo seguì per le scale.

Thad, che aveva assistito a tutta la scena, sospirò rassegnato.

Harwood-Smythe, di nome e di fatto.





Note:
Salveee! Sappiamo di essere un po' in ritardo, ma ahimé, tra i vari impegni universitari miei e di Nym è difficile dedicare il tempo alla scrttura della week :/
Anche in questo caso, protagonista del capitolo è Ray: aveva decisamente fatto preoccupare i suoi neo-papà!
Non sappiamo quando riusciremo a scrivere il prossimo prompt, ma una cosa è certa: stavolta sarà Désirée a combinarne una delle sue ;)


*Le due traduzioni: 
Thad: "Perché? Perché ho accettato?! Sapevo che era un errore..."
Un grazie enorme a Vli per la sua consulenza <3

Sebastian: "Hai dimenticato le regole di questa casa? Da quando credi di avere il diritto di invitare i tuoi amici senza neanche chiederci il permesso?!"


**Beatriz è la sorella di Thad, madre di Rafael ;)

Alla prossima :*

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