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di Farawayx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1; Scream a little louder. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2; Remain nameless. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3; Spectrum. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4; And the night is takin’ over. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5; It’s always darkest before the dawn. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6; Bedroom hymns. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7; Blind. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8; Temporary Bliss. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9; Do I wanna know? ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10; Sad Girl. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11; Broken walls. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12; What would you do? ***
Capitolo 13: *** Pubblicazione! ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1; Scream a little louder. ***











«Se solo potessimo vedere l’infinita catena di conseguenze derivanti da ogni nostro minimo gesto.
E invece ce ne rendiamo conto soltanto quando rendersene
conto non serve più a nulla.»
▪John Green▪






                           
                           ◊ CAPITOLO I ◊ Scream a little louder.





Spesso quando ti ritrovi a guardarti indietro, capisci quante sono state le cose sbagliate, quanti gli errori che potevano essere evitati. Eppure, in quel momento eri troppo accecata per capire, troppo accecata per essere razionale. Vi chiederete da cosa? L’amore. 
Ah, quante ne ha combinate quel sentimento, in molti credono che sia la rovina del genere umano, altri che ne sia la salvezza. Tante sono state le guerre e battaglie decantate in nome dell’amore, tanti i poeti che ne hanno tessuto le lodi. Eppure… eppure l’amore ci può portare alla devastazione di noi stessi, può elevarci sino al cielo e scaraventarci a terra. 
Forse era questo quello che pensava Dianne ogni volta che scorgeva la propria figura attraverso lo specchio, nei suoi occhi era possibile trovare l’alone della tristezza. Dell’amore che l’aveva portata ad autodistruggersi.
Nonostante fosse fine Agosto, nel Vermont le temperature erano già miti, era una delle caratteristiche che Dianne più amava di quel posto. Spesso sentiva di andare controcorrente, tutti amavano il caldo, l’estate, il sole, mentre lei apprezzava le temperature più fredde, il modo in cui il vento le si scontrava contro il viso pungendole la pelle. 
Probabilmente di quel posto apprezzava solo quello, poiché viveva nel bel mezzo del nulla. Westfield era il paese meno popolato della contea di Orleans e questo non permetteva molto margine di scelta, sia per le amicizie che per gli intrattenimenti. Però Dianne era stata fortunata, nonostante quel posto fosse un buco, lei era riuscita a trovare qualcuno che la faceva stare bene. Austin. 
Austin Evans era il figlio dell’unico dottore presente a Westfield, si erano conosciuti quando entrambi avevano sedici anni e, ora che ne avevano diciotto, la loro storia continuava a procedere come sempre. Dianne ricordava ancora i batticuori dei primi tempi, come si sentiva ogni volta che Austin le sfiorava la mano, o come era stato bello scoprire che lui si era accorto di lei.
Forse era questo il problema, tra le loro personalità c’era un abisso. Dianne era la persona più semplice del mondo, nei suoi modi di fare o di vestire, non puntava mai al mettersi in mostra, amava perdersi nei suoi libri e seguire tremila serie tv in contemporanea, era solare e ogni cosa riusciva a prenderla con un’ironia che a molti sfuggiva.
Austin, invece, era il tipo ragazzo che si può trovare in ogni posto, alto, spalle larghe e lineamenti ben delineati. Era sempre sicuro di se stesso e questo lo portava a sentirsi superiore a ogni creatura ci fosse al mondo, sin da piccolo era stato cresciuto con l’idea che lui sarebbe stato il migliore. Suo padre aveva scritto il suo futuro prima che Austin iniziasse a parlare, sarebbe diventano anche lui un medico e a lui stava bene così.
Dianne ricordava ancora come, al principio di tutto, la sua migliore amica Jude le avesse chiesto cosa ci vedesse in lui e lei completamente accecata da quel ragazzo con gli occhi verdi non riusciva nemmeno a trovare le parole giuste per descriverlo, ogni aggettivo sembrava troppo banale per raffigurare il modo in cui lui la faceva sentire. 
Però pian piano le cose erano cambiate. Dianne era consapevole di non essere perfetta sotto molti aspetti e quello più evidente era quello fisico, fianchi troppo larghi, seno inesistente e una lista infinita di difetti che ogni giorno si trovava ad aggiornare. Austin riusciva a farla sentire amata nonostante tutto, pensava che forse avesse trovato qualcuno in grado di non fermarsi solo al pensiero di stringere tra le braccia un manico di scopa, ma che qualche chilo di troppo non era poi il male. 
Solo che quella era un’illusione. 
Ricordava ancora il primo commento del ragazzo, il modo in cui si era sentita. Era una sera d’estate, Dianne aveva indossato un prendisole colorato che lasciava scoperte le spalle, lui l’aveva osservata con un sorriso e poi le aveva poggiato entrambe le mani sulle spalle. 
-Amore, forse stasera è meglio non andarci pesante con la cena.- Le aveva detto. 
Dianne lo aveva osservato con un’espressione confusa sul viso e Austin, notandola, aveva aggiunto con il solito sorriso. –Non vorrei correre il rischio di dover comprare dei rinforzi per le gomme dell’auto. – E poi aveva riso come se quella fosse stata la battuta del secolo. 
Lei ne era uscita ferita, mai si sarebbe aspettata di sentirsi dire una cosa del genere da lui. Il modo in cui aveva riso era stato ignobile e Dianne aveva avuto la tentazione di buttargli la testiera dei fiori in testa. 
Ma qualcosa l’aveva spinta a non farlo: l’amore. Lo stesso che trova una giustificazione a ogni cosa. 
Man mano che il tempo passava i commenti di Austin diventavano sempre più pesanti e diretti, prima la demoralizzava e poi la baciava. Prima le buttava in faccia ogni difetto che vedeva e poi tentava di scoparsela. E lei trovava solo giustificazioni ai suoi comportamenti, a ogni parola che la feriva subentrava un “lo dice solo per me, lui mi ama e vuole che io stia bene”, ma i suoi commenti erano qualcosa che Dianne non sapeva gestire. 
Fu per questo che si trovò a toccare il fondo. 
Il ricordo di quel momento probabilmente resterà impresso nella sua mente fino alla fine dei suoi giorni. 
Era una sera come un’altra, dopo aver terminato la sua cena Dianne si era alzata da tavola e senza dire molto ai suoi genitori, era andata in bagno chiudendo la porta a chiave. 
Ricordava ancora lo sguardo disperato dei suoi occhi, il suono di una voce che le diceva di non farlo, che niente era così importante e che nessuno meritava tanto da lei. Sarebbe finita in qualcosa di più grande, qualcosa che non avrebbe saputo gestire, ma l’unica cosa che riusciva a pensare era che una volta sola non avrebbe ammazzato nessuno. 
Così aveva aperto l’acqua del lavandino, si era avvicinata lentamente alla tazza del water e, dopo aver raccolto i capelli in una coda, aveva chinato la testa portando frettolosamente due dita all’interno della sua gola. Le era sembrata la cosa più disgustosa del mondo, le aveva portate in profondità sempre più lentamente fin quando il suo stomaco non aveva reagito e tutto quello che aveva ingerito a cena era ritornato fuori dal suo organismo. 
Ricordava perfettamente gli occhi gonfi e le lacrime che le rigavano il viso, però ricordava anche la leggerezza e la liberazione dal senso di colpa. 
Più il tempo passava, più la situazione peggiorava e nessuno se ne era mai accorto. 
Nemmeno sua madre. Nemmeno lei che si vantava così tanto di conoscere perfettamente i suoi figli, che pensava di conoscere ogni cosa di loro, lei non sapeva con cosa sua figlia conviveva ogni giorno.
Inizialmente era solo quando mangiava fuori dai pasti, ma poi iniziava a rigettare anche quelli, ma il suo peso restava sempre quello e più le cose non cambiavano più Dianne sfogava tutto con quel modo così malato.
Erano passati due anni da allora e tutto era scorso seguendo una linea retta, nessun evento straordinario o qualcosa da ricordare in modo particolare. Niente sino a oggi. 
Quello era il giorno che probabilmente aveva aspettato maggiormente negli ultimi anni, ogni suo sacrificio, ogni sua mossa era stata compiuta in funzione di quella giornata.
Le sembrava solo ieri il giorno in cui sua madre le aveva portata speranzosa la lettera che aveva ricevuto la mattina dall’università, insieme avevano incrociato le dite e aperto la busta con attenzione, estraendo il pezzo di carta. Le urla avevano riempito tutto il quartiere. Ce l’aveva fatta, sarebbe andata a Princeton e non sarebbe stata sola. 
Insieme a lei quella mattina sarebbe partita sua cugina, Gwen. Lei e Gwen condividevano quasi tutti i ricordi d’infanzia, sua cugina abitava nella casa vicino alla sua, ma per Dianne era sempre stata qualcosa di più di una semplice parente con cui dovevi avere per forza un rapporto per via dei legami di sangue. Loro due erano cresciute come due sorelle, sempre insieme e Dianne avrebbe fatto di tutto per lei. 
Gwen era differente, un sorriso caratterizzava sempre le sue labbra, riuscendo a portare il buon umore nelle persone che le erano accanto, per chi la osservasse da fuori sembrava una di quelle persone sicurissime di se e consapevoli del proprio potenziale. Una di quelle che non aveva paura di niente. Ma Dianne sapeva che non era così, Gwen era probabilmente la persona più ansiosa che conoscesse, per ogni minima cosa era capace di farsi almeno otto versioni differenti della stessa storia, per poi tentare di trarne una nona mandandosi ancora di più in fumo il cervello. 
Quel giorno sarebbero partite insieme, non prima di incontrare Austin un’ultima volta però. 
Cosa ne sarebbe stato della loro storia? Fu quello a cui pensò Dianne quando raccolse dalla scrivania la cornice dove c’era una loro foto insieme. La osservò in silenzio per alcuni istanti e poi la fece ricadere all’interno della valigia quasi piena, che aveva trascinato a fatica sul letto. 
Quando finalmente chiuse la cerniera dell’ultima borsa, capì che non aveva più niente da portare con sé. I suoi amati libri giacevano a terra in uno scatolone, più volte Gwen le aveva detto di non portarli con sé, ma lei, come sempre, l’aveva ignorata. 
Dopo svariati tentativi di portare l’ultima e pesante valigia giù per le scale, si rassegnò e chiamò suo fratello che le rispose solo quando Dianne aveva ceduto allo sconforto trascinando da sola la valigia per metà scale e  rischiando più volte di tirarsela addosso. 
Elthon di malvoglia si caricò la valigia sulle spalle e raggiunse l’estremità opposta delle scale, arrivando al pian terreno. Un rumore di una macchina che parcheggiava lungo il viale, attirò l’attenzione di Dianne, Gwen era forse già arrivata? Ma quando sollevò maggiormente il viso scorse i capelli castani di Austin e lui che scendeva dalla sua berlina nera. 
Si morse il labbro nervosamente e scese gli ultimi gradini, attraversando poi la porta arrivando sul viale principale.  
Quando lui la vide, le sorrise avvicinandosi lentamente. –Allora, il grande giorno è arrivato. - 
Dianne annuì e avanzò nella sua direzione. –Finalmente, aggiungerei. - 
-Come, non vedi l’ora di andare via da me?- Scherzò lui. 
-Esattamente, sai quanti bei ragazzi ci saranno in New Jersey. - Rispose lei, sollevando l’angolo delle labbra in un sorrisetto.
-Ehi!- L’ammonì lui e poi allargò le braccia per stringerla a se. –Mi mancherai. - 
Dianne ricambiò la sua stretta, premendo la guancia contro il suo petto. –Anche tu.- Disse in automatico. –Non darti troppo alla pazza gioia una volta arrivato a Providence.- 
-Sarò un angioletto. - 
-Lo immagino. - Rispose lei e non appena avvertì un altro rombo di motore arrivare lungo il viale, alzò la testa scorgendo Gwen alla guida della sua Station wagon.
- E’ ora di mettersi in marcia!- Esordì la brunetta scendendo dall’auto. –Princeton richiede di essere conquistata. -
Dopo una quindicina di minuti valigie e scatoloni erano stati sistemati nell’auto di Gwen, ricoprendo completamente di roba anche i sedili dei passeggeri, lasciando liberi solo i due posti avanti. 
-Non avrete portato troppa roba?- Commentò Austin portandosi una mano sulla fronte madida di sudore. 
-Guarda, sono solo le cose essenziali. - Si giustificò Dianne lasciando scivolare entrambe le mani all’interno delle tasche dei jeans. 
-Poi mi spiegherai quanto sia essenziale portare con te una guida sui funghi velenosi. - Commentò Gwen estraendo un tomo dagli scatolini.
Lei la fulminò con lo sguardo e la cugina alzò le mani in segno di resa, rientrando in auto e sistemandosi al posto di guida. 
-E’ ora di andare. - Mormorò la ragazza.
-Fate attenzione e chiamami non appena arrivate. - Le disse Austin e si chinò su di lei, stampandole un fugace bacio sulle labbra. 
Mai come in quel momento Dianne capì che la loro relazione era passionale come quella di due vecchietti al termine delle loro vite. Si limitò a sorridergli e indietreggiò infilandosi in auto, chiudendosi dietro lo sportello.
-E io che mi aspettavo i fuochi d’artificio. - Commentò delusa Gwen mentre girava le chiavi e portava lo sguardo su Austin.
-Gwen, zitta o trovo una utilità per il libro dei funghi velenosi. - Ribatté Dianne chinandosi in direzione dello stereo e premendo il tasto ‘On’.
-Lo so che mi ami. - Rispose l’altra con un sorrisone e dopo aver messo in moto, portò l’attenzione agli specchietti, tentando di fare retromarcia. –Con tutti questi scatoloni non riesco a vedere niente. - Borbottò.
Ma Dianne non la stava ascoltando, mentre la macchina si allontanava seguì un’ultima volta la figura di Austin, ma lui era già girato di spalle e mentre chiudeva gli occhi, sentì la macchina sfrecciare come non mai lungo la strada. 




-Ehi, bella addormentata. - 
Dianne sentì una voce chiamarla in lontananza e una mano scuoterle la spalla. –Ancora cinque minuti. - sbiascicò voltandosi dall’altra parte del sedile. 
La voce sbruffò e poi qualcosa colpì la sua spalla, facendole male. Scattò seduta in un nanosecondo, guardandosi intorno. 
-Bentornata tra noi!- Disse Gwen allegra. 
- Siamo arrivate?- Chiese Dianne ancora mezza addormentata. 
Lei scosse la testa. –Ti piacerebbe, ma no, siamo ferme in un’area di servizio. - Fece una pausa aggiustandosi la borsa sulla spalla. –Avevo un po’ di fame, tu vuoi qualcosa?- 
La ragazza annuì lentamente per poi tentare di rimettersi dritta sul sedile. –Che dolce risvegliò.- commentò.
-Lo so.- Rispose Gwen. –La mia voce è più dolce di una melodia. –
Dianne scosse la testa mentre un sorriso le si formava sulle labbra. –Su, andiamo usignolo. – 
Dopo aver sgranchito le gambe si avviarono all’interno del bar e mentre Gwen ordinava qualcosa da mangiare, Dianne si diresse in bagno.
Quando aprì la porta i suoi occhi si posarono su un ragazzo intento a sporgersi sul lavandino per specchiarsi meglio, lei in un primo momento pensò di aver sbagliato bagno e indietreggiò per controllare, notando subito la targhetta con la donna disegnata sopra, quindi riportò lo sguardo a lui. 
Aveva i capelli scuri, era alto e del tutto concentrato a sistemarsi i capelli. Fischiettava sotto voce la canzone che stavano trasmettendo per radio in quel momento. Dopo poco alle sue spalle uscì una donna, o meglio una ragazza, data la sua statura minuta Dianne non riusciva a darle un’età.  Quando la ragazza si avvinghiò alle spalle di lui, lei fece una veloce inversione U, uscendo dalla porta.
Probabilmente non si erano nemmeno accorti della sua presenza, così, imbarazzata e con la vescica ancora piena ritornò da Gwen che intanto aveva trovato un tavolo vicino alla finestra. 
-Il bagno per ora è offlimits. - Disse mentre si sedeva.
-Perché?- Chiese l’altra in una lingua incomprensibile mentre tirava giù alcuni bocconi. 
-Niente di che, due intenti a compiere la danza della natura. - 
- Si vede che siamo arrivati in New Jersey. - Commentò l’altra prendendo un sorso dalla sua gassosa. – Ho preso un panino anche per te.- Le disse indicando con un cenno della testa il fagotto sistemato sul tavolo.
Dianne osservò per alcuni istanti il panino e si lasciò sfuggire un sospiro. -Ora non mi va, lo mangerò dopo. - disse infilandolo in borsa.


Qualche caffè dopo erano di nuovo sulla strada, Gwen per tutto il resto del viaggio le parlò, o meglio insultò, il suo ex ragazzo. Erano stati insieme per tre anni e Gwen alla fine lo aveva mollato, dicendo che lui non meritava più niente, ora era il momento del college e voleva essere libera. 
Dianne non riuscì a non pensare ad Austin, la loro storia ormai si era arenata, e probabilmente erano destinati anche loro a una fine simile. 
Ormai erano in viaggio da quello che sembrava un tempo infinito, quando Gwen si voltò verso di lei. –Dianne, devo dirti una cosa, promettimi che non urlerai. - 
Dianne si voltò verso di lei, guardandola confusa. –Che succede?-
Lei prese un respiro profondo e poi urlò così forte da far saltare un timpano anche all’autostoppista che avevano appena superato. – SIAMO ARRIVATE A PRINCETON!!!-
Gli occhi di Dianne s’illuminarono e si voltò velocemente verso il finestrino, notando il cartello enorme che diceva “ Benvenuti nel comune di Princeton”,  si girò nuovamente verso la cugina e prese a urlare anche lei.  
Abbassarono i finestrini e iniziarono a urlare come due pazze cose come “Princeton ti abbiamo conquistata” o “Le stronzette del Vermont sono qui.”. 
Dopo un po’ si calmarono e calò il silenzio.
-Okay, basta o ci denunciano per inquinamento acustico- 
- Già e dobbiamo trovare anche un otorino, credo di non sentirci più da un orecchio. -


 -La casa deve essere questa. - Disse Gwen, mentre accostava di fianco ad una palazzina. Non era altissima, massimo erano presenti cinque piani, le aiuole nei suoi dintorni sembravano ben curate e alcuni ragazzi uscivano dalla porta principale. 
Inizialmente avevano pensato di alloggiare all’interno del campus, ma poi avevano trovato un appartamento per tre persone poco distante e avevano deciso di affittarlo. Gwen era stata particolarmente entusiasta della cosa, vivere fuori dal campus significava non avere restrizioni come il coprifuoco o varie limitazioni da buoni vicini. 
Avrebbero dovuto dividere l’appartamento con un’altra ragazza, ma nessuna delle due aveva avuto modo di conoscerla. 
-Ripetimi l’indirizzo. - Disse Gwen.
-Numero 11 di Vandeventer Ave. - Ripeté Dianne per l’ennesima volta.
Gwen annuì con convinzione e accostò lungo la strada. –Benvenuta a casa, Diannetta.- 
Dianne scese dall’auto, l’aria fresca della sera l’avvolse immediatamente, ma in confronto al Vermont il clima era più mite. Sollevò il viso guardandosi intorno, la strada era completamente costeggiata da alberi le cui foglie erano di tanti svariati tipi di verdi, le case erano quasi tutte come le tipiche abitazioni americane di legno e avevano un che di vissuto che si scontrava con il nuovo dell’appartamento che sarebbe stato il loro.
Tirò fuori dal bagagliaio due delle tante valigie, quelle in cui aveva messo le cose  più utili ed entrambe si incamminarono lungo il viale di cemento che conduceva all’appartamento. 
Anche l’interno delle scale era completamento nuovo, probabilmente quella palazzina era nuova visto che ogni cosa era ancora intatta. Due ascensori collegavano i vari piani, una rampa di scale  ergeva di fianco e leggermente più la erano visibili le varie caselle postali con i numeri degli appartamenti attaccati sopra.
Gwen richiamò uno degli ascensori, il piano terra era completamente deserto quindi era udibile solo il rumore di esso che scendeva velocemente i vari piani.
-Terzo piano!- Disse Dianne e premette il dito contro il tasto facendo richiudere velocemente dell’ascensore. 
Quando esse si riaprirono erano arrivate in un piccolo ingresso, c’erano due porte, una di fronte all’altra e una pianta posta al centro. Era terribilmente stretto. 
-Deve essere questo. - Borbottò pensierosa Gwen mentre allungava un dito, portandolo sul campanello, che risuonò attraverso la porta.
Dopo alcuni istanti la porta si aprì e una ragazza sporse la testa, alla loro vista s’illuminò. –Dovete essere Gwen e Dianne Rivera!- esclamò aprendo completamente la porta. –Benvenute! Io sono Nives Daives, dividerò l’appartamento con voi. - 
La ragazza davanti a loro aveva un sorriso caldo, i suoi occhi scuri trasmettevano allegria e i capelli le ricadevano ordinatamente sulle spalle.
-E’ un piacere conoscerti, tra le due io sono Dianne.- Distese le labbra in un sorriso.
Nives si scostò dalla porta facendole passare, l’appartamento non era niente di speciale, c’erano tre camere, un bagno e l’angolo cucina. Due camere erano completamente spoglie, mentre quella Nives era piena di poster di ‘Buffy l’ammazza vampiri’ e cd dei Green Day. Il bagno era in comune, così anche la cucina.
Ci vollero tanto, troppo tempo per scaricare completamente la macchina e percorrere per la decima volta il tragitto auto-ascensore-casa e viceversa, quando finalmente tutto fu portato sopra, entrambe si ritirarono nella propria stanza, tentando di mettere in ordine la maggior parte delle loro cose. 




 

 

 

 


 

 


NdA :
Salve a tutti! Sono nuova di questa sezione, si può dire che questa è la prima storia originale che pubblico, quindi mi piacerebbe sapere cosa ne pensate! 
Lo so, siamo solo al primo capitolo, e forse si sarà capito poco e niente, ma nella mia mente l'intera storia è già stata scritta!
Si tratteranno di tematiche delicate e penso che sia giusto affrontare anche quelle.
Bene, mi dileguo ringraziando chiunque decida di lasciarmi il suo parere! E' davvero fondamentale per me!
Un bacio a tutti. 
-Farawayx.


Vorrei ringraziare la mia Gwen per avermi aiutato e sostenuta nell'intraprendere questo cammino. Ti voglio bene, sempre.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2; Remain nameless. ***


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«Certe cose non puoi prolungarle all'infinito. Viene il momento in cui devi strappar via il cerotto. 
Fa male, ma poi passa e ti senti meglio. »
▪John Green▪






                           
                           ◊ CAPITOLO II ◊ Remain nameless.





Q
uel letto era dannatamente comodo.
Fu questo l’unico pensiero che Dianne riuscì a formulare mentre si stringeva maggiormente nel lenzuolo bianco, godendosi la sensazione di freschezza del tessuto contro la sua pelle.
La sera prima ci aveva messo pochissimo ad addormentarsi, i viaggi in auto riuscivano a stancarla come non mai. Spesso si chiedeva come fosse mai possibile, infondo non faceva altro che stare seduta a guardare il panorama fuori dal finestrino, per ore e ore.
Eppure quella notte aveva dormito così profondamente, come se non dormisse da giorni.
Aprì svogliatamente gli occhi e la sensazione di beatitudine le sfuggì dalle mani in un millesimo di secondo, non appena il suo sguardo si posò sulla sveglia digitale posta sul comodino.
Il panico totale prese possesso del suo corpo, costringendola ad alzarsi di scatto, portandosi le mani tra i capelli scuri e si maledisse mentalmente per essere una persona così pigra.
–Dannazione, sono le nove, dovevo essere in classe per l’orientamento dieci minuti fa!- Quasi urlò gettandosi con la testa tra le valigie ancora da disfare, prendendo a caso una maglietta e dei jeans, indossandoli ad una velocità che non sapeva nemmeno di possedere.
Quando aprì velocemente la porta della sua stanza, che dava sulla cucina, si ritrovò le facce assonnate di Nives e Gwen, intente a fare colazione.
-Te l’avevo detto io di svegliarla. - Commentò Gwen osservandola mentre dava un morso ad una fetta biscottata.
Nives scrollò le spalle e le rivolse un sorriso. –Con quei capelli mi ricordi un super Sayan, che dici Gwen, le donano?-.
-Penso che dovrebbe andarsene in giro sempre così.- Annuì l’altra.
Dianne le fulminò con lo sguardo e si diresse verso il bagno, dove afferrò la spazzola, tentando di domare quella massa informe di capelli.
-E’ il mio primo giorno e già sono in ritardo, come migliorare il proprio record. - Disse a voce alta mentre, rassegnata, metteva da parte la spazzola e legava i capelli in una coda.  –Voi come mai siete così rilassate?- chiese alle due, uscendo dal bagno e afferrando la tracolla che si sistemò su di una spalla.
-Io inizio domani. - Rispose tranquillamente Nives.
-Io dopodomani. - Ribatté Gwen tutta allegra.
- E io sono la solita sfigata che inizia oggi e avrà già una nota per il ritardo. - Terminò tristemente Dianne, dirigendosi verso la porta.
-Esatto!- Sentì la voce di Gwen raggiungerla e nella sua mente la vide sorridere.



Nonostante avesse fatto tutta la strada di corsa, la maestosità del campus l’aveva completamente travolta e più volte aveva rischiato di restare imbambolata a fissare uno degli imponenti palazzi in pietra che caratterizzavano più punti del perimetro.
Quando si ritrovò dinanzi all'edificio principale, la prima impressione fu di un castello.
La facciata principale di pietra grigia, aveva delle torri ovali a tutti i quattro lati, dove si alternava un tipo di pietra più chiaro, che le piogge e il tempo avevano portato ad una tonalità tra il bianco sporco e grigio. Altri due edifici partivano da entrambi i lati, seguendo lo stesso stile della prima e dando a Dianne l’impressione di essere ritornata indietro nel tempo. Le finestre le sembravano enormi e si erigevano sulla facciata, formando ordinate file, il tutto su tre piani. Quel posto era veramente magnifico e quello era solo uno dei tanti edifici.
Dianne percorse velocemente gli scalini che conducevano in direzione dell’ingresso principale, probabilmente non aveva mai camminato così velocemente, e nonostante il chiacchiericcio proveniente dall’esterno, il corridoio era vuoto. Era sicuramente tutti nelle classi. Tutti tranne lei.
Si passò nervosamente una mano tra i capelli, tentando in tutti modi di individuare la sua classe su quella mappa che le aveva dato Nives la sera prima.
Completamente assorta da quello non si rese conto che qualcuno stava per frapporsi tra lei e la sua corsa selvaggia, così gli finì proprio addosso, investendolo.
Imprecò a voce bassa provando una fitta di dolore alla spalla e sollevò lentamente lo sguardo per mettere a fuoco il viso del poverino che aveva colpito in pieno.
Era un ragazzo alto, anche troppo, i capelli scuri erano sistemati da un lato, ricadendo disordinatamente vicino alle orecchie. Aveva gli occhi castani e un’espressione sofferente sul viso.
Dianne strinse gli occhi osservandolo meglio, era sicura di aver già visto quel ragazzo da qualche altra parte, ma dove?
Lui si massaggiò la spalla con una mano e poi portò l’attenzione su di lei. –Penso che non ci sia nessuna assicurazione che copra l’essere investito da una donna, vero?- Commentò.
-Mi dispiace tanto. - Si scusò sincera Dianne.- E’ il primo giorno, sono in ritardo e non riesco a trovare la mia classe…- Si zittì di colpo. Perché raccontare quelle cose ad uno sconosciuto? Sembrava patetica e lagnosa, ma quello era il suo stato d’animo in quel momento. Già l’idea di ritrovarsi da sola in una classe dove non conosceva nessuno, la metteva a disagio, quindi poteva anche evitare di mostrarsi come una bambina persa e pronta a piangere cercando la mamma.
-Mi dispiace ancora. - Disse infine.
Lui sollevò la mano come per dirle che non era importante e poi si fermò ad osservarla alcuni istanti. –Ci conosciamo?-
Dianne scosse prontamente la testa, spostando nervosamente lo sguardo in direzione dell’orologio. Non voleva sembrare antipatica o asociale, però era terribilmente in ritardo e in quel momento non poteva permettersi di fare conoscenze.
-Sicura? Hai un viso familiare. -
Lei lo osservò, ricordando di aver pensato la stessa cosa pochi istanti prima, per poi scuotere nuovamente la testa. –Non credo, sono arrivata qui solo ieri. - Fece una pausa, riportando gli occhi sulla cartina. –Ascolta, mi dispiace tanto di averti travolto ma ora devo scappare. -
-Che classe stai cercando?- Le chiese lui facendo scivolare entrambe le mani all’interno delle tasche dei jeans.
-Il corso di scrittura creativa. - Mormorò dando un fugace sguardo al suo orario.
-Secondo piano, gira a destra, terza classe. Buona fortuna. - Le rivolse un sorriso gentile e si voltò.
Dianne lo ringraziò mentalmente e senza aspettare oltre si precipitò per le scale, seguendo le indicazioni del ragazzo e aprì velocemente la porta. Aveva un quarto d’ora di ritardo ma sembrava che il professore non fosse ancora arrivato, sorrise pensando che esistesse qualcuno più ritardatario di lei.
L’aula sembrava l’interno di un anfiteatro, i banchi erano disposti a semicerchio, e nell’estremità più bassa c’era la cattedra vuota con alle spalle due enormi lavagne nere.
Scivolò in silenzio lungo i gradini, tentando di passare inosservata, e cercò un banco dove sedersi. La scelta non era così ampia, però riuscì a trovare un posto nel centro.
Aveva il respiro affannato per via della corsa, le mani sudate e le gambe molli, così si lasciò ricadere di peso sulla sedia, chiudendo per alcuni istanti gli occhi, rilassandosi.
Un pensiero le arrivò alla mente: Austin. Spalancò gli occhi ricordandosi di aver del tutto dimenticato di chiamarlo, come era possibile. Non aveva mai dimenticato un dettaglio del genere prima d’ora.
I suoi pensieri furono interrotti dal tonfo di una borsa che ricadeva sulla cattedra.
-Buongiorno a tutti!- una voce alta e ben impostata attirò l’attenzione degli studenti. –Diamo un benvenuto alle matricole e un bentornato ai nostri veterani. – Mosse alcuni passi portandosi davanti alla cattedra e poggiandosi contro di essa. –Io sono il Professor Ordaway. Per voi non ho un nome. Solo Ordaway.- Fece una pausa studiando con lo sguardo la classe. – In quest’anno scolastico tenteremo di tirar fuori qualcosa dall’aridità dei vostri animi. –
Carino, pensò Dianne con una smorfia, mentre stringeva tra le dita una penna. Il Professor Ordaway non dimostrava più di trentacinque anni, il suo fisico era magro e sottile, i capelli biondi tagliati ordinatamente e degli occhi scuri s’intravedevano attraverso le lenti dei suoi occhiali.
Il Professore se li sistemò sulla punta del naso e intraprese un intenso discorso sul come il voto nella sua materia avrebbe contato sul punteggio finale, su quanto molti sbagliavano a prenderla sotto gamba e specificando che erano ancora in tempo ad andarsene.
Ma ad un tratto s’interruppe bruscamente. Sollevò il suo sguardo infastidito verso la porta e fissò qualcuno che era appena entrato. Quasi tutti gli studenti seguirono il suo sguardo.
Dianne girò appena il volto e i suoi occhi si posarono su un paio così azzurri che probabilmente nessun artista ne avrebbe potuto catturare il reale colore. Aveva i capelli scuri, un colore difficile decifrare, tra il nero e il castano, che gli ricadevano in ciocche lisce sulla fronte. Il naso, troppo delicato per un viso maschile, era perfettamente proporzionato alla forma del suo volto, sul quale risalvano zigomi alti. Camminava con sicurezza, come se stesse facendo una passeggiata nel parco e non attraversando un’aula che aveva tutti gli occhi puntati su di lui.
-Grazie per averci graziato della sua presenza almeno il primo giorno, Signor Carter. - Commentò la voce di Ordaway, ridestando Dianne e costringendola distogliere lo sguardo dal viso del ragazzo.
-Dovere, Professor Z.- Rispose lui, la sua voce era roca e bassa.
- Prendi posto. - Disse severo non mostrando fastidito per il modo di chiamarlo del ragazzo e rivolgendogli un ultimo sguardo prima di tornare al suo monologo.
Dianne girò furtivamente il volto, non ne sapeva il motivo ma gli occhi di quel ragazzo attiravano i suoi come una calamita, e quasi gettò un gridolino quando se lo vide affianco, intento a sistemarsi nel posto vicino al suo.
Girò di scatto la testa per non farsi cogliere in flagrante e si costrinse a distogliere lo sguardo, portando nuovamente l’attenzione sulle parole del professore.
Fu inutile, per quanto tentasse i suoi occhi finivano sempre per posarsi sul ragazzo seduto al suo fianco. Aveva le spalle larghe ricoperte da un giubbotto di pelle e le gambe erano fasciati da jeans scuri che entravano in contrasto con il colore chiaro della sua maglietta.
Nemmeno lui sembrava prestare molta attenzione alla lezione, aveva la testa china e passava il suo tempo a giocherellare con una matita o a far scivolare le dita sullo schermo del telefono.
Probabilmente era il ragazzo più bello che avesse visto, ma non era quello ad attirare la sua attenzione. Nei suoi occhi e nei suoi atteggiamenti, c’era qualcosa che la incuriosiva. Il suo sguardo delle volte sembrava perso, mentre altre vuoto, come se tentasse di reprimere un pensiero.
Quando suonò la campanella che segnava la fine di quella lunga ora, Dianne sobbalzò, se qualcuno le avesse chiesto cosa aveva appreso dalla prima lezione al prestigioso college di Princeton, lei avrebbe risposto “Niente, ho passato tutto il tempo a fissare un tizio seduto al mio fianco, come una pazza maniaca.”
-Sì?- una voce catturò la sua attenzione, non capì se qualcuno ce l’avesse con lei, fin quando non girò nuovamente il viso e si trovò gli occhi azzurri di lui puntati su di lei.
Sbattè velocemente le palpebre, presa in contropiede. –Cosa?- la sua voce suonò così acuta che simulò un colpo di tosse.
Il ragazzo sollevò l’angolo delle labbra in un sorriso. –Mi stai fissando da un’ora, desideri qualcosa?- Gli chiese a voce bassa.
Dianne si sentì avvampare, aveva la discrezione di un elefante. – Ti sbagli, non ti stavo fissando. - Ribatté tentando un’uscita dignitosa.
Lui rise, era una risata roca. –Cosa c’era di così interessante alle mie spalle?- disse ironico.
Lei aggrottò la fronte. –Pecchi di presunzione in questo modo. – Gli rivolse un sorriso ironico quanto il suo e si alzò, sistemandosi la tracolla sulle spalle.
Non si voltò nemmeno per un istante mentre scendeva le scalinate della classe, però la tentazione era troppo forte e la sua resistenza era pari a quello di Ciccio, il nipote di Nonna Papera. Arrivata in prossimità della porta si voltò solo un istante, un istante che bastò per vedere il ragazzo seguirla con lo sguardo e un ghigno divertito sulle sue labbra.


-Oh, chi si rivede!-
Dianne per poco non tirò un urlo quando le si piombò davanti il tipo con cui si era scontrata l’ora prima.
-Ti ricordi di me vero? Mi hai investito come un tram stamattina. - Precisò lui.
Lei annuì lentamente portandosi una mano al petto. –Come dimenticarlo. - Disse facendo una smorfia.
-Già, penso di dover fare un salto dallo psicologo, è un trauma difficile da superare. - Scherzò lui.
Dianne distese le labbra in un sorriso, soffermandosi successivamente sul viso del ragazzo. Aveva un’aria così familiare, era del Vermont? Stava per chiederglielo quando un flash arrivò nella sua mente. Ecco dove l’aveva visto. –Ma tu sei il tipo del bagno!- Disse ad alta voce, indicandolo.
-Quale bagno?- Le chiese lui perplesso.
-Il bagno dell’autogrill! Eri lì a … - Si bloccò di colpo notando lo sguardo confuso dei lui, aveva forse sbagliato persona?
Lui la scrutò per alcuni istanti e poi si portò una mano dei capelli. –Ecco dove ti avevo vista. - sembrava sinceramente imbarazzato. –E io che m’immaginavo cose più carine. -
Dianne non riuscì a trattenere una risata e poi allungò una mano verso di lui. –Mi chiama Dianne, comunque. -
-Theobald.- Disse lui orgoglioso. –Ma chiamami Theo.-
Theobald? Pensò lei mentre gli stringeva la mano. Ma che razza di nome era? –Carino. -
Theo sollevò lo sguardo verso la classe, impaziente. –E’ sempre l’ultimo, Cristo. - borbottò intercettando poi lo sguardo confuso di Dianne. – Parlo di un mio amico, è sempre l’ultimo ad arrivare e l’ultimo ad uscire. - Sbuffò.
Lei gli sorrise, stringendosi al petto i libri. –Io ora devo andare, è stato un piacere conoscerti Theo.-
Lui annuì appena. –Ci si vede in giro.-





Era solo il primo giorno e già aveva voglia di prendersi un anno sabatico, si sentiva a pezzi e la voglia di dormire era alle stelle.
Lasciò ricadere le chiavi all’interno del portacenere posto sull’ingresso e attraversò pigramente il corridoio, dirigendosi in cucina.
Aveva una gran fame, quasi troppa, e anche se il suo stomaco brontolasse non se la sentiva di riempirlo. Perché nonostante la fame e il bisogno fisico, non sopportava l’idea di quello che avrebbe fatto dopo, del disgusto che provava per se stessa ogni volta.
Il rumore di alcuni singhiozzi attirò la sua attenzione, qualcuno stava piangendo.
Dianne si guardò intorno confusa e mosse qualche passo avvicinandosi alla camera di Gwen. Silenzio totale.
Poi a quella di Nives. Altri singhiozzi.
Alla prima pensò di andare via, infondo non erano affari suoi, non voleva sembrare invadente o impicciona, ma quando sentì i singhiozzi farsi più frequenti, prese un lungo respiro e busso alla porta della camera della coinquilina.
Avvertì il rumore di alcuni passi e poi si aprì un leggero spiffero, dal quale era possibile intravedere solo una ciocca di capelli di Nives.
-Io…- Mormorò tentando di formulare un discorso. –Stai bene?- fu tutto quello che le chiese alla fine, non le interessava cosa fosse successo ma solo sapere se lei stesse bene.
La sentì emettere un lungo sospiro ma Nives non rispose, scosse solo la testa, facendo sfregare i capelli contro il legno della porta.
Dianne deglutì a vuoto. –Vuoi un bicchiere d’acqua o ti preparo una bella tazza di thè? Mia madre mi diceva sempre che niente coccola gli animi tristi come una bevanda calda. – Si sforzò di sorriderle.
Nives a quel punto aprì la porta.
Gli occhi scuri erano del tutto arrossati, così come la pelle del suo viso. Le guance erano rigate di lacrime, le labbra piene e il naso rosso.
Dianne non aspettò una risposta. –Aspettami qui, tornerò in un lampo.- Le sorrise dolcemente e lei annuì, ritornando nella sua stanza.
Dopo aver scaldato l’acqua e sistemato le bustine all’interno di due tazze fumanti, Dianne si diresse nuovamente da Nives che intanto sembrava essersi calmata.
Le porse una delle tazze e si sedette sulla sedia della scrivania, di fronte alla ragazza. –Ti va di parlarne?- Le chiese in un sussurro.
Nives prese un generoso sorso di thè per poi sollevare lo sguardo su di lei. –Ho litigato con la mia ragazza. –sussurrò. –continuiamo ad avere problemi e la distanza non ci aiuta.-
-Mi dispiace.- Mormorò Dianne, sincera.
-E che lei non capisce!- Esclamò Nives. –Non le sta bene niente di me, allora io mi chiedo, perché non mi molla? Non posso cambiare, io ho bisogno di qualcuno che mi ami per quello che sono e non che stia lì a farmi l’elenco di tutte le cose sbagliate che ci sono in me.- Tirò su il naso frustrata restando in silenzio. – Inizio a pensare che abbia ragione.- disse infine.
-Ehi, no.- Sussurrò Dianne. –Non dire così.- aggiunse poi alzandosi in piedi e portandosi di fronte alla ragazza. –Tu sei perfetta così come sei, non è giusto che tu ti senta in questo modo, meriteresti una persona che ti faccia sentire amata per quello che sei e non per quello che lei voglia che tu sia.- Le disse con dolcezza. Ma quelle parole sembravano essere indirizzate anche a se stessa, come avrebbe voluto qualcuno a dirle quelle cose quando Austin la faceva sentire uno straccio. Quando lui le rifilava una delle sue battute cattive.
Scosse la testa cercando di non pensarci.
Nives le sorrise con dolcezza. –Grazie Dianne, davvero.-
-Che fate?- Chiese Gwen entrando nella camera di Nives e nel vedere il viso della ragazza e lo sguardo di Dianne, le fissò confusa.
- Nives ha appena scoperto che lo smalto viola non le sta bene.- Annuì Dianne convinta.
- Ti prego, è ancora una ferita fresca per il mio animo sensibile.- Rispose drammaticamente l’altra.
Gwen sorrise e tirò fuori dalla tasca un volantino. –So io come curare queste ferite dell’animo.- porse felice il volantino alle ragazze davanti a lei. – Le matricole sono come il tallone di Achille dei veterani, e visto che la qui presente vuole un po’ di carne fresca. –Fece una pausa alzando uno sguardo malizioso. –Quale posto migliore di una bella festicciola di inizio anno?-



Dianne lisciò con le mani il tessuto del vestitino che aveva indossato. Era un abito smanicato, del suo colore preferito, blu, aveva la vita alta e la gonna corta le ricadeva sulle gambe lasciando intravedere dei balzi di tulle, dello stesso colore del vestito. Lungo lo scollo a barca c'erano ricamati con filo argentato dei ghirigori, che arrivavano fino poco più sopra del seno. Per quanto amasse i tacchi, quella volta decise di indossare le sue amate ballerine nere.
Uscì dalla stanza, ritrovandosi Nives e Gwen a bisticciare per chi dovesse usare lo specchio, per poi spiaccicarsi a guancia a guancia, tentando di truccarsi velocemente.
Ne approfittò del momento per chiamare Austin.
Aveva quasi paura a comporre il suo numero, non lo aveva chiamato e in realtà più dalla voglia di sentirlo era mossa dal dovere.
Così strinse il telefono tra le mani e compose il numero.
-Dianne! Finalmente. – Esclamò la voce dall’altro lato.
- Scusami se non ti ho chiamato prima.- Sussurrò prendendo a giocare con il tessuto del suo vestitino. – Tra le cose da sistemare e il primo giorno di lezioni, non ho avuto un minuto.-
-Tranquilla. – Le rispose lui dall’altro lato, la sua voce era immersa nel silenzio. –Domani anch’io parto per Providence.-
Era domani? Dianne lo aveva completamente dimenticato. –Sì ricordo.- gettò lì mentre sollevava lo sguardo in direzione del bagno, vedendo che le due lo avevano liberato. –Senti Austin io dev…-
-Dianne.- La interruppe lui. –Mi manchi.- le disse dolcemente.
Un sorriso le si formò sulle labbra. –Anche tu.-
-Sarà dura ma ce la faremo, siamo fatti per stare insieme, lo sai.- le sussurrò.
Lei si morse nervosamente il labbro inferiore annuendo appena, ma poi capì che lui non poteva vederla. –Già.- Rispose soltanto.
-Bene, ora vai.- E Dianne immaginò che stesse sorridendo. –Ti amo.- aggiunse.
-Anche io.- Mormorò lei. –Buonanotte.-
E staccò.
Ebbe bisogno di alcuni istanti per riprendersi da quella telefonata, un secondo prima temeva di non provare più gli stessi sentimenti per lui e l’attimo poco ne sentiva la mancanza. Per quale assurdo motivo tra loro doveva essere sempre così? Perché doveva essergli così legata?
Si alzò dal divano entrando nel campo di viso di Gwen e Nives.
-Non ti sei ancora truccata?!- Esclamò la seconda.
- Sei sempre la solita ritardataria! – La rimproverò l’altra.
Dianne le fulminò con lo sguardo. –Toglietevi, prima che la mia ira si abbatta su di voi.- scosse la testa, accennando un sorriso e entrò in bagno, sentendo le risate delle altre due attraverso la porta.
Dopo una decina di minuti, per quanto avesse tentato di fare in fretta, aveva finito.
Gli occhi marrone dorati erano risaltati dall'ombretto color argento che sfumava e s’incontrava con varie tonalità di nero, le ciglia sembrano incredibilmente lunghe e folte e una linea nera di eyeliner definiva l'occhio. Le guance comparivano leggermente arrosate e la sua pelle sembrava perfetta.  Ah, i miracoli del fondotinta, pensò.
-Andiamo donzelle?- Disse uscendo dal bagno e raccogliendo dall’appendiabiti una giacca.
-Okay, se ve lo chiedono, mi chiamo Ginevra.- Disse Gwen convinta.
- Va bene e io sono… mhhh, fammi pensare.- Nives si portò due dita sotto il mento. - .Kym!- Esclamò battendo le mani.
- Tu?- Le chiesero all’unisono.
-Dianne?- Azzardò lei.
Gwen sollevò gli occhi al cielo. – Ti serve un nome falso, non vorrai che un maniaco prendesse a perseguitarti.-
-Come sei drammatica- Commentò Dianne mentre sistemava i bottoni della giacca. –Mh, Jane? –
-Andata.- Gwen le fece l’occhiolino entusiasta.


-Ricordatevi, io sono Ginevra.- Ripete Gwen per l’ennesima volta mentre attraversavano il cancelletto della casa dove si teneva la festa. Il giardino era pieno di persone impegnate a strusciarsi tra loro, in un lato c’era la console del Dj e all’altra estremità un barman che sembrava servisse qualsiasi tipo di alcool ci fosse in circolazione.
-Adoro questa canzone!- Esclamò Nives prendendo a muovere la testa a ritmo di musica.
-Vi va di bere qualcosa?- Chiese Dianne a voce alta alle altre due.
-Io mi affido alla tua fantasia. – rispose Nives mentre Gwen scuoteva la testa energicamente.
-Lo sai, sono astemia, quindi se proprio vuoi una Sprite bella fresca.- le disse poi.
-Va bene.- Urlò Dianne. –Torno subito.- mimò con le labbra e si voltò.
-Dianne!- Esclamò un ragazzo finendole quasi addosso. –Oggi ci s’incontra sempre così.-
-E addio nome in codice per Jane.- Borbottò Gwen alle sue spalle.
-Theo!- Rispose lei. –Anche tu qua?-
-Io qua ci vivo.- disse lui, accennando una risata.
Dianne si voltò verso le amiche, indicando con una mano il ragazzo. -Ragazze lui è…-
-Theobald.- La interruppe lui. –Ma se proprio volete chiamatemi Theo.-
- Ma che razza di nome è?- Commentò senza pensarci Gwen.
-Gwen!- La rimproverò Nives.
-Volevi dire Ginevra.- Mormorò lei a denti stretti.
-Già….Pft, che Gwen, Ginevra, lei è la mia cara amica Ginevra. E io sono Kym.-
Sia Dianne che Theo alzarono un sopracciglio.
Theo scosse la testa per poi stringere tra le mani il bicchiere di carta. -Bene, vado a fare un giro tra gli ospiti, ci si rivede in giro ragazze.- Rivolse alle tre un sorriso e si allontanò.
-Siete due idiote.- Commentò Dianne non riuscendo a trattenere una risata.
-Tutta colpa di Kym che non ricorda nemmeno il nome della sua coinquilina!- Sbruffò l’altra.
-Dianne, prendimi da bere, ti prego, sto per morire.- Disse drammaticamente Nives.
-I soliti alcolizzati piagnucolosi.- Ribatté Gwen.
Dianne rise, per poi allontanarsi dalle due, dirigendosi verso il bancone dall’altro lato del giardino.
-Cosa posso servirti?- Le chiese il barman.
Dianne inclinò il collo leggendo le scritte sui vari liquori. Stava morendo di fame, questo era un punto a sfavore per l’alcool, a stomaco vuoto le sarebbe subito andato in testa. Però l’alcool l’aiutava a controllare quello stimolo. –un Chupito rum e pera e altri due solo rum.- disse pensierosa al barman.
Lui la servì velocemente, posando i quattro bicchierini sul bancone.
Dianne prese tra le mani uno dei tre shottini assoluti e lo bevve velocemente, assaporando la sensazione di bruciore che le si formò lungo la gola. Aprì e chiuse gli occhi velocemente, sentendoli leggermente lucidi e prese tra le dita gli altri bicchieri, voltandosi nella direzione di Nives e Gwen.
Le due stavano ballando seguendo il ritmo martellante di una canzone che lei più volte aveva sentito in radio. –Ecco a te, Kym!- Esclamò passando sia il bicchierino di succo che quello di rum a Nives.
-Tu ti sei dato all’assoluto?- Chiese Gwen vedendo solo il bicchiere di Rum tra le dita di Dianne. –E ti sei dimenticata la mia Sprite.- Sbuffò.
Lei le sorrise senza risponderle e tracannò anche il contenuto dell’altro.
-Oh, riecco le mie ragazze!- Esclamò Theo arrivando alle spalle di Gwen e Nives, circondandole con le braccia.
-Oddio, ma questo è già tornato.- Borbottò Gwen infastidita.
- Lo so che ti sono simpatico, principessa.- Disse lui euforico.
-Ma è ubriaco?- Chiese Dianne.
-Non qui la domanda è un’altra, ma questo ha tutti i neuroni al suo posto?- Ribatté Gwen.
-Tu per caso ti ricordi come si chiama?- Chiese Nives, tentando di incrociare lo sguardo di Gwen, nonostante ci fosse tra loro il corpo di Theo.
-Si chiama Theobald e da ubriaco tenta ad essere un po’ molesto.- Commentò una voce roca alle spalle di Dianne.
Lei strinse gli occhi, l’aveva riconosciuto eccome, aveva quel tipo di voce che anche solo leggere la lista della spesa diventava una poesia.
Prese un respiro e si voltò nella sua direzione, ritrovandosi subito ad osservare i suoi occhi azzurri, tra le labbra stringeva una sigaretta, che gettò a terra, calpestandola con i piedi.
-Sì, non trovate che Theobald, sia un nome fantasticoso?- Disse Theo tutto allegro.
-Dai amico, andiamo a farci due passi.- Disse il ragazzo superando Dianne e prendendo Theo per le spalle.
Lei non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, si sentiva profondamente idiota ma quel ragazzo attirava il suo sguardo come una calamita.
-Ah beh, quel tipo è proprio tosto.- Commentò Nives.
-Tosto?- Chiese Dianne.
-Figo, non è un modo di dire che usate?-
-Sì, ma pensavo che tu fossi…-
-Lesbica? Lo sono, ma i miei occhi funzionano perfettamente e fidati, in questo momento stanno funzionando. -






 

 


 

 


NdA :
Ed ecco il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto. 
Lo so che non ci sono ancora eventi sfavillanti, ma sto cercando piano piano di presentare prima tutti i personaggi! Spero che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate, sono molto contenta di sapere il vostro parere! 
Ringrazio chiunque abbia recensito lo scorso e primo capitolo, un bacio <3
Ho rifatto anche il banner, vi piace? asdfg <3.
-Farawayx



P.s. Per questo capitolo non ho potuto contare sulla mia beta, quindi, nel caso ci siano degli errori, non fate problemi a farmeli notare. :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3; Spectrum. ***


Capitolo3








«Se solo potessi raccogliere un po’ di quelle briciole dell’anima,
forse potrei comporle in un mosaico completo e capirei finalmente qualcosa,

il principio che mi mantiene unito, non credi»
▪David Grossman▪






                           
                           ◊ CAPITOLO III ◊ Spectrum .





D
ianne chiuse leggermente gli occhi. I raggi del sole che attraversavano le foglie dei rami, creavano strane ombre sul suo viso, andando ad accecarla più volte.
Dopo aver terminato la prima, e lunghissima, lezione di storia medievale, aveva deciso di riposarsi distesa sotto uno degli enormi alberi, sparsi in quasi tutte le zone verdi del campo. Quel giorno, nonostante le basse aspettative, era trascorso nel modo più tranquillo, Austin non si era ancora fatto sentire e non aveva ancora intravisto né Gwen né Nives, entrambe finalmente impegnate in qualche lezione.
Mentre il suo iPod passava una delle ultime canzoni dei Coldplay, lei sfogliava, totalmente immersa, le pagine di un libro che aveva preso la mattina in biblioteca.
Quando aveva messo piede in quel posto, si era sentita subito a casa. Il silenzio, l’odore della carta, i vari tavoli illuminati da lampade verdi con disegni dorati. Tutto in quel posto sembrava così vecchio, perfino la collezione di microscopi che era esposta con orgoglio in una bacheca all’interno della biblioteca.
Aveva vagato davvero a lungo tra i vari scaffali alla ricerca di qualcosa che non fosse stato scritto da Matusalemme e alla fine aveva optato per un libro di David Grossman. Non sapeva il perché di quella scelta ma quando il suo sguardo si era posato sul titolo, una scossa l’aveva percorsa, creando un contatto tra lei e quel volume.
“Che tu sia per me il coltello”, Dianne lesse nuovamente il titolo di quel libro, mentre lasciava scorrere le dita sulla copertina, studiandola per l’ennesima volta. 
-E quando crolliamo, che crolliamo, crolliamo da soli dentro le stanze. E uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci, che teniamo su una compagnia di trenta persone e beviamo Lambrusco e diciamo cazzate, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa. - Lesse sottovoce, stringendo con forza le dita contro il libro.
Quella frase le sembrava una finestra aperta su se stessa, sul suo essere così nascosto e deteriorato.
Perché infondo era vero, tutti indossavamo delle maschere, questo era ovvio, ma pochi erano davvero costretti a recitarne la parte ventiquattro ore su ventiquattro. Era questa la cosa che l’angosciava maggiormente, non riuscire a essere davvero se stessa con qualcuno, non avere quella persona a cui potesse raccontare anche il suo più sporco segreto. Aveva paura di aprirsi. Paura di essere tradita, di turbare un equilibrio oppure che lo sguardo di quella persona sarebbe cambiato nei suoi confronti.

-Cosa ci fai qui tutta sola?-
Una voce la costrinse a porre fine alle sue riflessioni e sollevò velocemente il viso, sbattendo più volte le palpebre per mettere al fuoco il volto del ragazzo che era in piedi difronte a lei.
–Ehi, Theo.- Gli rivolse un sorriso.
-Leggi?- Le chiese indicando con un cenno della testa il tomo che lei aveva appoggiato tra le ginocchia fasciate dai jeans.
Dianne annuì lentamente, tentando di nascondere con le proprie gambe il volume. Non che se ne vergognasse, però quando si ritrovava a scoprire un libro che le scavava così tanto dentro, si sentiva violata nel condividerlo con qualcuno.
-Già. - Disse con tono vago. –Tu invece, ti sei ripreso dall’altra sera?-.
Theo fece una piccola smorfia e si lasciò ricadere sul terriccio, sedendosi di fronte a lei. –Ho ancora mal di testa. - fece una pausa mente stringeva tra le dita alcuni ciuffetti d’erba. –Mi dispiace per aver importunato te e le tue amiche, non che me lo ricordi, però mi è stato riferito. -
Dianne accennò una risata, poggiandosi totalmente con la schiena contro il tronco dell’albero. –Tranquillo, non hai fatto niente di che. - sollevò lo sguardo verso di lui, diventando improvvisamente seria. –Theo, posso dirti una cosa?-
Lui sorpreso dal suo tono di voce, annuì confuso. –Cosa?-
Lei chinò il volto, arrivandogli vicino, come se stesse per sussurragli un segreto -Lo sai che Theobald è proprio un nome fantasticoso?- Disse seria per poi scoppiare a ridere.
-Fanculo.- Borbottò lui distendendo le labbra in un sorriso. –In mia difesa posso dire che non avevo mai bevuto così tanto. –Strinse le braccia al petto.
-Poverino. - Disse lei, continuando a ridacchiare.
Qualcosa oltre la spalla di Theo attirò gli occhi di Dianne, li sollevò lentamente e il suo sguardo finì immediatamente su di un ragazzo alto, con le spalle larghe, jeans scuri e una camicia blu che faceva risaltare maggiormente il colore dei suoi occhi.
Iniziava seriamente a preoccuparsi, sembrava aver il radar, ogni qualvolta una strana sensazione s’impadroniva di lei, bastava alzare lo sguardo per capire da cosa fosse provocata. Si sentiva sempre più sciocca, ben presto avrebbe ricevuto un ordine restrittivo per stalking da parte di qualche giudice.
Il ragazzo non andò nella loro direzione, si fermò non appena intercettò lo sguardo di Theo.
-Bene, il mio amichetto del cuore è finalmente arrivato. - Disse lui mentre si alzava in piedi. –Non so come faccia, però è sempre costantemente in ritardo. - Borbottò passandosi le mani sui pantaloni, ripulendoli dall’erba.  –A dopo Dianne. –
Theo le rivolse un sorriso gentile e si voltò, incamminandosi in direzione di Occhi blu- Ormai così soprannominato- che lo aspettava spazientito, lungo il viale.
Dianne rivolse un sorriso a Theo, seguendolo per alcuni istanti con lo sguardo. Occhi blu sembrava ascoltare annoiato qualcosa che Theo era intento a raccontare, gesticolando come un forsennato.
Lei abbassò lo sguardo, raccogliendo tutte le sue cose e rimettendole nello zaino, dando un’ultima occhiata ai due mentre si rimetteva in piedi. Nello stesso istante Occhi blu alzò gli occhi nella sua direzione e i loro sguardi s’incrociarono. Lui non lo distolse, anzi, alzò l’angolo delle labbra in un mezzo sorriso, lasciando trapelare nel suo sguardo una strana luce, come se tutto quello lo divertisse.
Dianne percepì un brivido risalirle lungo la spina dorsale e colta in flagrante, distolse immediatamente l’attenzione, fingendo di trovare super interessante un cartello che diceva “non calpestare le aiuole”.
Si morse nervosamente il labbro e si girò rapidamente dal lato opposto, muovendosi velocemente in direzione del viale principale, prima che qualcuno avesse potuto notare il rossore, che per la vergogna, le si era formato sulle gote.
Non ebbe nemmeno il tempo di fare un passo che il suo telefono squillò. Inizialmente fu una vera e propria impresa tirarlo fuori dalla borsa senza fondo che portava al collo, l’aveva riempita di talmente tante cose ed era anche consapevole che non le sarebbero nemmeno servite.
Osservò lo schermo e vide comparire il nome di Jude.
Jude era la sua migliore amica di sempre, la loro amicizia era iniziata quasi per caso anni prima. Sin da bambina Dianne era sempre stata una persona molto introversa, aveva difficoltà a stringere rapporti di amicizia e questo provocava in lei un forte senso di solitudine. Con Gwen era sempre stato facile, da una parte non aveva paura a mostrarsi per quello che era grazie al legame di parentela che le univa, alla fine quel legame non si sarebbe mai potuto spezzarlo.
Fu quando pensava di non poter mai avere un’amica come tutte le altre ragazzine che incontrò Jude. Lei era diversa dal resto, completamente. Era ingenua e cristallina, Dianne si fidava di lei ciecamente, quella ragazza era priva di ogni tipo di malizia, sembrava provenire da un altro posto.
Nonostante la sua natura introversa, però, Dianne era sempre stata una tipa protettiva, non le importava niente e non aveva difficoltà a imporsi a qualcuno, era “una timida non poi così timida” le diceva sempre Jude. E Dianne sentiva di doverla proteggere, più come sorella maggiore che come amica.
Ci mise pochi istanti per rispondere, portandosi il telefono in prossimità dell’orecchio.
-Non dirmi che ti sei già dimenticata di me!- La canzonò l’altra.
Dianne sorrise. –Ciao anche a te, Lolla. -
La sentì lamentarsi. –Non chiamarmi così, sembra il nome di una mucca. - borbottò l’altra.
Jude aveva la sua stessa età, però non aveva potuto diplomarsi con lei. Qualche anno prima era stata male, sveniva di continuo e non mangiava più, l’unica cosa di cui si cibava era l’adorato budino che le preparava sua madre. Dianne si era spaventata da morire quando le avevano detto che la sua amica era stata portata d’urgenza in ospedale, nessuno riusciva a capire la causa dei continui malori, fin quando, dopo mesi e mesi, un medico le aveva diagnosticato che una parte del suo cervello non funzionava al cento per cento come le altre, bruciava troppo in fretta gli zuccheri, provocandole quei malesseri.
Jude non aveva potuto frequentare la scuola per quasi due anni, quindi si era ritrovata fuori corso, però ora stava meglio e aveva ripreso a frequentare da dove si era fermata.
- Westfield è una noia senza di te.- Continuò Jude. –L’altro giorno ho visto Austin.-
-Sta bene?- Chiese istintivamente Dianne.
-Ni.- Rispose l’altra. –Cioè, non mi sembrava così a lutto.-
-Non ha motivo per esserlo, mica sono morta.- Storse il naso.
-Lo so, però un minimo di tristezza uno dovrebbe averla, non credi Dìdi?-
Dianne sospirò. –Mi manchi da morire, sì qui ho Gwen e la nostra coinquilina è stupenda, però se ci fossi tu, sarebbe tutto perfetto.-
-Non pensare che non verrò a trovarti!- Esclamò Jude. –Anche io vorrei essere lì con te, ma visto che ho il cervello deficiente devo stare ancora qua.-
Dianne sorrise, però avvertì qualcosa di strano nella voce di Jude, sembrava allegra, ovvio, però c’era qualcosa che non andava. –Jude, stai bene?-
L’altra si zittì per un solo istante. –Come fai?-
-A fare cosa?- Chiese lei confusa.
-A capirlo sempre.- Sussurrò Jude. –Mi sa che ho fatto un guaio.-
-Che hai combinato?- Chiese nuovamente Dianne, allarmata.
-Non a telefono, preferisco dirtelo di persona.- Mormorò. –E fidati, dovrò portarti una museruola per non farmi uccidere.-
-C’entra Austin?-
-Che????!!! Ma sei pazza.- Urlò Jude dall’altra parte. –Sarà anche un bel pezzo di ragazzo ma io non faccio mica ste cose.-
Dianne tirò un sospiro di sollievo. –Va bene, allora vedi di stare bene e venire a trovarmi presto.-
-Più presto di quanto immagini.- Sussurrò l’altra.



Dianne riattaccò il telefono ancora perplessa e la sua camminata terminò in prossimità della mensa. Lo stomaco ruggiva come un leone e la testa le sembrava leggera, tutto questo portava solo a una cosa: calo di zuccheri imminente.
Si  sforzò di pensare che questa volta sarebbe stato diverso, infondo non mangiava un granché da molto, quindi un pasto completo non poteva essere così dannoso, no?
O sì? Ma nella sua mente riusciva a pensare solo al cibo, era un pensiero fisso e per quanto tentasse di distogliere la sua attenzione, concentrandosi su altro, quello le ritornava in mente come un uragano.
Stanca di questa lotta con se stessa, varcò le porte della mensa e si avvicinò agli espositori, studiando con lo sguardo ogni pietanza che offrivano quel giorno. Prese un piatto di pasta al sugo, delle melanzane ripiene e un po’ di insalata.
Non mangiò. Divorò ogni cosa.
Nonostante il suo stomaco chiedesse pietà, lei continuava a mangiare. Nonostante non assaporasse nulla di tutto quello, lei continuava a prendere altra roba dall’espositore.
-Ti piace proprio tanto quello che cuciniamo qua, eh?- commentò sorridendole una delle cuoche mentre le passava quello che era il suo terzo vassoio.
E fu in quell’istante, grazie a quelle parole, che tornò lucida.
Cosa diavolo aveva fatto? Tutti i sacrifici del giorno precedente era finiti nella spazzatura, tutto il tempo a non mangiare neanche una mollica di pane. Tutto era stato sprecato.
Con lo sguardo vuoto annuì appena e posò distrattamente il vassoio sul tavolo, lasciandolo lì.
Dianne era nel panico più totale, riusciva a pensare solo a una cosa. Doveva trovare un bagno.
Entrò in quelli della mensa, fortunatamente deserti, e si chiuse la porta alle spalle.
Quel posto era sudicio, il forte odore le provocava già dei conati, senza dover usufruire dell’ausilio delle due dita. Ci fu però un’instante.
Un solo momento.
Un momento in cui Dianne fissò la tazza di quel bagno chiedendosi, perché era arrivata a quel punto e soprattutto… come?
Represse le lacrime e con un movimento veloce portò l’indice e il medio all’interno della sua cavità orale lasciando che tutto scivolasse vita. Le lacrime e il senso di colpa.



§



Gwen quel giorno si sentiva un po’ una vagabonda, in primo luogo perché era stanchissima per via delle varie feste a cui prendeva parte da due giorni e anche perché l’apatia le era entrata nelle ossa.
Durante la prima lezione aveva preso appunti come una pazza, per poi rendersi conto che erano cose che non le sarebbero servite a niente e, imprecando, aveva gettato il pezzo di carta nel cestino.
Ora, invece, gironzolava all’interno del campus. Voleva esplorare.
Però quel suo esplorare, come previsto, era durato davvero molto poco. La pesante cartellina, che si trascinava dietro da quella mattina, le faceva pulsare la spalla, e si trovava a cambiarla di braccio ogni istante, provandole un lieve sollievo che durava poco più di tre secondi.
Il cielo ormai si era tinto di rosso e ogni cosa sembrava essere stata circondata da un alone che la rendeva magica, quasi s’incantò a osservare il paesaggio che le si mostrava davanti.
In quel momento di distrazione, però, qualcuno di corsa le urtò con violenza la spalla facendole cadere a terra la cartella, e riversando tutto il suo contenuto lungo l’asfalto.
-Ma guarda tu questo deficiente!- Quasi urlò quando notò che quello continuava a correre senza neanche preoccuparsi di averle quasi staccato un braccio. –No ma tranquillo! Continua la tua corsetta salutare, nessuno ha bisogno di aiuto!- Urlò e quando notò il ridacchiare delle persone che le passeggiavano accanto, chinò la testa imbarazzata, tentando di raccogliere le varie cose cadute a terra.
Era così arrabbiata e nervosa che si sarebbe messa correre per andare dietro a quel deficiente e rompergli la cartellina sulla testa. E probabilmente lo avrebbe fatto se non avesse notato un ragazzo chinarsi di fianco a lei per aiutarla.
Sollevò lo sguardo meravigliata e quando incrociò degli occhi scuri, allargò i suoi per la sorpresa.- Oddio, il molestatore ubriaco.- sussurrò.
Lui rise. –Buonasera anche a te, Ginevra.- Disse tranquillo sottolineando con la voce il suo nome, mentre prendeva alcune penne rimettendole all’interno della cartellina.
Gwen arrossì notando di aver pensato a voce alta. –Grazie, Theobald.- Mormorò sincera, raccogliendo alcuni fogli. –E comunque mi chiamo Gwen.- Aggiunse poco dopo.
-Gwen.- Ripeté lui come se stesse assaporando ogni lettera del suo nome. – Te l’ho già detto, chiamami Theo.- Aggiunse poi.
Gwen terminò di raccogliere gli ultimi fogli e si sollevò in piedi, massaggiandosi la schiena. – Comunque i tuoi sono stati proprio crudeli a chiamarti così. –Annuì convinta.
Theo scrollò le spalle. –A me piace come nome.- Si sollevò anche lui, passandole le ultime penne che erano rimaste a terra. –Nella mia famiglia è quasi un onore chiamarsi così.- la informò.
-Ouh…- Disse lei sorpresa.- Quindi non sono i tuoi genitori a essere crudeli, lo erano i tuoi antenati.-
Lui rise, di nuovo. – Vuoi farmi venire dei complessi?-
-Ma ti pare.- Replicò lei, alzando le mani. –E comunque…- Disse a voce bassa iniziando a muovere qualche passo.
-Comunque?- La incalzò Theo, girando il viso verso di lei.
-Non sei l’unico ad avere un nome imbarazzante. – Borbottò Gwen, guardandolo.
- Gwen è un nome normalissimo. – Constatò lui, camminando di fianco a lei.
-Gwen è il diminutivo di Gwendolyn.- Simulò un brivido. –Ho sempre pensato che mentre sceglievano il mio nome i miei genitori erano a un canna party.-
- Da persona che si chiama Theobald non posso giudicarti, Gwendolyn.- Annuì lui serio.
Lei inorridì. –Solo perché te l’ho detto non vuol dire che devi chiamarmi così!-
Theo accennò una risata. –Allora facciamo un patto.-
-Spara.-  Gwen si fermò, voltandosi completamente verso di lui.
-Tu mi chiamerai sempre e solo Theo ed io dimenticherò il tuo vero nome.- Le sorrise.
Lei finse di pensarci su qualche istante.- Però, per essere uno che ama follemente il suo nome sei strano, lo adori ma vuoi che nessuno ti chiami in quel modo.- Commentò per poi portare lo sguardo negli occhi di lui. –Ma comunque. –Allungò una mano verso la sua. –Affare fatto e spero tu sia uno che onora i patti.-
-Fidati di me, Ginevra.-  Annuì stringendole la mano.
Lei scosse la testa accennando un sorriso e riprese a camminare con Theo al suo fianco.


§


Nives aprì la porta della biblioteca, lasciando che si chiudesse da sola alle sue spalle. Non appena quella ritornò al suo posto, si chiuse con un tonfo. Quasi tutti i presenti alzarono lo sguardo nella sua direzione e la bibliotecaria la incenerì con gli occhi, indicandole il cartello che diceva “Mantenere il silenzio.”.
Lei arrossì violentemente, tentando di ignorare gli sguardi infastiditi che le lanciavano i vari presenti, così s’incamminò nel massimo silenzio lungo l’altra sala, cercando di scorgere con lo sguardo la testa bruna di Dianne.
Era convinta che fosse lì, ormai era sera, Gwen le aveva scritto un messaggio per avvertirla di essere già a casa, invece Dianne l’aveva praticamente ignorata per tutto il giorno. Non che lo avesse fatto con cattiveria o per qualche motivo, però, da quella mattina lei non l’aveva più vista.
Conosceva da molto poco quella ragazza , però una cosa aveva appreso, -dalla marea di libri che aveva passato una notte a riordinare in ordine di grandezza- lei amava leggere.
E quale posto migliore di una biblioteca per cercare una lettrice dispersa?
La cercò un po’ ovunque, quasi strisciando sul pavimento, visto che per ogni minimo urto riceveva sguardi glaciali e infastiditi.
-Dianne!- Esclamò istintivamente quando la vide con la testa china, intenta a leggere un piccolo libro.
Un coro di ‘shh’ si alzò da tutte le parti e Nives fece una smorfia, dirigendosi verso l’amica.
-Cosa ci fai qua?- Sussurrò Dianne, sinceramente sorpresa.
-Ti cercavo. Non ti ho vista per tutto il giorno e pensavo che potessimo tornare a casa insieme. –Rispose a voce bassa. –Gwen è già andata da un po’.-
Lei annuì lentamente, richiudendo il libro che aveva aperto davanti a se.
-Mi chiedo come tu faccia a leggere tanto, anche solo stare qui dentro mi fa diventare claustrofobica. – Commentò Nives.
Dianne scosse la testa, accennando un lieve sorriso. Quello era un tipico commento di chi non amasse leggere, loro non capivano cosa significasse perdersi del tutto in una storia, nel conoscerne i personaggi e provare affetto per loro. Sentirli tutti come se fossero amici, lei non poteva capire.  Spesso biasimava le persone così, perché non sapevano che in ogni piccolo involucro di carta, c’era un mondo.
I libri erano una delle poche cose meravigliose che gli uomini avessero fatto.
-Leggere mi fa evadere dalla vita reale.- Fu tutto quello che invece le rispose.
Nives scrollò le spalle annuendo incerta. –Io ci riesco grazie al mio amato Billie Joe.-
La mora inarcò un sopracciglio. -Billie Joe Armstrong, sai, il cantante dei Green Day.- Aggiunse lei vedendo la sua faccia.
Dianne si alzò dalla sedia, sistemandola lentamente sotto il tavolo. –So chi è, mica vivo con i dinosauri.- Borbottò. –Vado a posare questo.- Indicò il libro. –Tu aspettami nell’ingresso.-
Nives annuì e lei si voltò in direzione di uno degli scaffali. Quella biblioteca era un po’ strana, i libri non erano sistemati per categoria ma in ordine alfabetico.
Con la testa alta e lo sguardo totalmente fisso sui vari cartelli, si addentrò nel labirinto di scaffali, fin quando non si trovò vicino a quelli che iniziavano con la lettera “C”, sollevò il tomo e cercò il punto in cui andava inserito.
-Bel libro, vero?-
Dianne sobbalzò, colta di sorpresa e il volume le cadde dalle mani, creando un pesante tonfo al contatto con il pavimento. Sollevò lo sguardo sul proprietario di quella voce e le parole le morirono in gola.
L’ormai soprannominato Occhi Blu se ne stava davanti a lei, lo sguardo puntato sul suo viso e un mezzo sorriso sulle labbra. –Non volevo spaventarti.- aggiunse poi a voce bassa, rendendola ancora più roca e si chinò per raccogliere il libro, soffermandosi poi a leggere il titolo. Chiuse un secondo gli occhi e poi recitò a memoria. -Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.-
Dianne lo osservò affascinata, stendendo le labbra in un sorriso. –Lo hai letto anche tu?- Gli chiese mentre lui le ridava il libro.
Occhi Blu annuì. – E’ un libro che da molto a cui pensare.- Commentò.
-Già.- Sussurrò lei, abbassando per alcuni istanti lo sguardo sulle sue mani, quel libro era stato davvero un coltello, un coltello che le aveva fatto capire quante cose sbagliate ci fossero tra lei e Austin.
-Dianne, hai fatto la tenda qui dentro o sei stata risucchiata in qualche libro?- La voce di Nives arrivò così inaspettatamente che fece sobbalzare entrambi.
Lui si passò le dita tra i capelli, portando nuovamente lo sguardo su Dianne, rivolgendole questa volta un vero sorriso, non come quelli che gli aveva visto fare in precedenza. –Ti saluto, Dianne.- Le disse a voce bassa. –Ci vedremo presto.-  Mormorò per poi voltarsi, dandole le spalle e incamminandosi verso l’uscita.
Dianne sentì un brivido percorrerle il corpo e un moto di delusione formarsi nello stomaco, come avrebbe voluto parlare un altro po’ con lui.
-Mica ho interrotto qualcosa?- Chiese Nives seriamente dispiaciuta.
Dianne scosse la testa riportando l’attenzione sull’amica. –Figurati, non lo conosco nemmeno.-
-Eppure lo stai guardando come se fosse un bel pasticcino alla crema.- commentò l’altra.
-Ma cosa…- Strillò lei per poi abbassare subito la voce.
Ma chi era quel ragazzo? Perchè lo sentiva così affine? Infondo non ne conosceva nemmeno il nome.   


§



-Gwen siamo a casa, quindi se sei nuda, vedi di coprirti- Urlò Dianne mentre apriva la porta con a seguito Nives che ridacchiava. Un forte odore di cucinato le travolse entrambe, era giunta la fine del mondo oppure davvero Gwen si era messa ai fornelli?
Entrambe avanzarono lentamente nella direzione della cucina, trovando la coinquilina intenta cucinare per un esercito, i capelli legati in una crocchia e il grembiule di Dianne che su aveva scritto “ La mia migliore amica è una gallina. Mangeresti mai la tua migliore amica?”
-Cosa stai facendo?- Disse lei lentamente, seguendo Gwen con lo sguardo.
-Mungo mucche.- Rispose Gwen sarcastica. –Sto cucinando, non è ovvio? E tranquilla, niente carne per te.-
-Beh, conoscendoti è più facile trovarti a mungere una mucca che a cucinare.- Commentò sincera Dianne.
-Ah ah ah, come sei divertente.- Borbottò l’altra mentre controllava la cottura della pasta.
-Scusa la domanda…- Azzardò Nives. -…ma ricordi che in questa casa siamo solo in tre? No perché, qui ci mangerebbero in dieci.-
Gwen sfoggiò un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
-Oh, no.- Disse allarmata Dianne.
-Cosa?- Chiese subito Nives.
-La sua mente malefica ha partorito qualcosa. – Si girò verso Nives. –E sapendo come cucina male io andrei a prendere una pizza.-
Gwen le lanciò un panino in testa e tutte tre scoppiarono a ridere.
-Allora…- Esordì Gwen schiarendosi la voce e iniziando a giocare con i bordi del suo grembiule. – Conoscete tutti Theo, vero?-
Dianne e Nives annuirono molto lentamente. – Continua.- Dissero insieme, confuse.
-Beh, una chiacchiera qui, un saluto lì, un caffè di là…-
-E il sesso qua?- Chiese Nives confusa. –OMMIODDIO, MICA SEI ANDATA IN CAMERA MIA?! O SULLA LAVATRICE?! –Urlò come una pazza. –Dianne prendi il disinfettate!-
 -Oddio, no!- Esclamò Gwen in sua difesa. – L’ho solo invitato a cena da noi.-
Nives si portò una mano al petto tirando un sospiro di sollievo. –Ma non lo consideravi un maniaco?- Chiese poi.
-Uffa.- Sbottò Gwen. –E’ solo un’idea carina per approfondire la nostra conoscenza, ci serve avere qualche amico qua, no?-
Le due annuirono. –Sì ma Theo è uno, tu hai apparecchiato per…cinque?-
Gwen alzò una mano come per dirle di non preoccuparsi. –A quanto pare porterà un amico.-
-Oddio no.- Scattò Dianne.
-Cosa? Pensavo che Theo ti fosse simpatico.- Lei la guardò confusa.
-Il problema non è Theo.- Sussurrò l’altra. – Oh mamma, se si porta dietro Occhi Blu?-
-Chi è Occhi Blu?-Chiese Gwen voltandosi verso Nives, che  inizialmente alzò le spalle confusa quanto lei per poi allargare gli occhi. –Ooooh, ho capito chi è Occhi Blu.- disse con un sorrisetto.
-Te l’ho detto, non lo conosco nemmeno!- Sbottò Dianne.
-E allora perché ti preoccupi?- Disse Gwen, sbattendo le ciglia. –Tanto tu sei super fedele al tuo adorato Austin.-
Dianne inclinò il viso, fulminandola con lo sguardo. - Crudelissima.-
-Sempre.- Rispose l’altra sorridendole. –Ora…- Alzò lo sguardo in direzione dell’orologio. - …Avete dieci minuti per preparavi o questo sarà il vostro aspetto.-


Dieci minuti dopo, tutto quelle che Dianne avesse fatto era stato sciacquarsi la faccia. I capelli scuri le ricadevano ordinatamente sulle spalle e indossava ancora i jeans stretti, la maglietta azzurra, il cardigan nero e le converse bianca che aveva dieci minuti prima. Non sentiva la necessità di mettersi in tiro, infondo era solo una cena tra amici.
Ma quando aprì la porta della cucina, si pentì di non essersi cambiata. Gwen indossava una gonna a vita alta a ruota color salmone, una cintura di cuoio le stringeva la vita e una canotta bianca, completava il tutto. Ai piedi aveva dei tacchi vertiginoso che risaltavano il suo punto vita e le gambe snelle.
Dianne si sentì una barbona come non mai. Tirò un sospiro di sollievo solo quanto vide Nives che, come lei, aveva addosso i stessi vestiti di prima e i capelli legati in una coda.
-Perché tu sembri uscita da una rivista di moda e noi due invece assomigliamo alle sorellastre brutte di Cenerentola?- Commentò lei.
-Io vi avevo detto di cambiarvi.- La canzonò Gwen.
-Ma è una semplice cena.- le ricordò Dianne.
- Come siete noiose.- Sbruffò l’altra sollevando gli occhi al cielo e sia Nives che Dianne, inarcarono un sopracciglio.
La conversazione fu interrotta dal suono del campanello. Gwen stava per precipitarsi alla porta ma Nives la precedette. –Resta qua che se corri su quei tacchi finisci per essere ricoverata a ortopedia.-
Dianne non riuscì a trattenere un sorriso mentre disponeva le posate sui fazzoletti che, in precedenza, Gwen aveva sistemati diligentemente.
La voce di Theo riempì la stanza, sembrava che stesse tornando a casa sua, per la nonchalance con cui entrò e si precipitò in cucina.
-Buonasera mie signorine.- Disse, rivolgendo un sorriso sia a Gwen che a Dianne.
-Perché ogni tanto non cambi repertorio?- Commentò una voce alle sue spalle e poco dopo comparì il viso di Occhi Blu.
Theo sbuffò, come colto sul fatto. –Comportati bene e non farmi pentire di averti portato.-
-Ma se mi hai trascinato qui di peso.- rispose l’altro e Theo lo fulminò con lo sguardo, per poi voltarsi verso Gwen. –Stai davvero benissimo.-
-Sì lei è fantasticosa e noi altre siamo le barbone con cui divide la casa.- Disse Nives, superando i due.
- Smettetela di dire tutti quella parola.- Piagnucolò Theo.
-Quale?- Chiese Dianne. –Fantasticoso? Ma come, è un termine così bello. –
-Perché siete così cattive con me? Cosa vi ho fatto?- Disse teatralmente l’altro, portandosi una mano sul petto.
-Dai mangiamo, che sto cucinando da un casino!- Disse Gwen gesticolando con una cucchiaia in mano.
Dianne si avvicinò ai due, prendendo sia la giacca di Theo che il giubbotto di pelle dell’altro.
Si morse appena l’interno della guancia mentre lui distrattamente se lo sfilava per poi passarglielo, non riuscendo più a trattenersi. –Scusami, penso che mi sia sfuggito il tuo nome.- gli disse, tentando di non guardarlo negli occhi, erano troppo azzurri e si sarebbe trovata a fissarli come una cretina.
Lui inclinò il viso, sollevando l’angolo delle labbra. – Infatti non te l’ho detto.- Le rispose mentre accennava sorrisetto.
Dianne pensò che quella era proprio una faccia da schiaffi, si sentiva prudere le mani davanti a quel ghigno che lui sfoggiava ventiquattro ore su ventiquattro.
-Cam! Vieni ad aiutarmi!- Strillò Theo dalla cucina.
Lui fece una smorfia. –Beh, fino ad ora.- commentò, per poi andare nella direzione dell’amico.
Cam. Ripeté Dianne nella sua mente, era quello il suo nome. Cam Carter.
 







 

 


 

 


NdA :
Buonasera a tutte!  Grazie per ogni recensione che mi lasciate, siete davvero stupende e dolcissime! <3
Questo capitolo l’ho dovuto dividere in due parti, era uscito troppo lungo, vi sareste addormentate a leggere venti pagine di word in una volta hahaha, fidatevi di me!
Allora, svelata l’identità di Occhi Blu, ben presto accadranno cose davvero elettrizzanti!
Qui resta con me e vediamo insieme cosa ne sarà di questa storia :)
Fatemi sapere cosa ne pensate <3



P.s. Per questo capitolo non ho potuto contare sulla mia beta, quindi, nel caso ci siano degli errori, non fate problemi a farmeli notare. :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4; And the night is takin’ over. ***


capitolo 4









«Ho divorato il tuo viso, quella sera.
Ti ho visto forse per cinque minuti, ma quei cinque, lunghi minuti ti hanno impressa in me,

e già ti conosco a memoria.»
▪David Grossman▪






                           
                           ◊ CAPITOLO IV ◊ And the night is takin’ over.





D
ianne scrollò le spalle, dirigendosi anche lei nella cucina, ritrovandosi Cam con lo stappa bottiglie in mano, intento a far girare le dita, per penetrare maggiormente il tappo di sughero.
Aveva una sigaretta tra le labbra e i capelli scuri gli ricadevano davanti agli occhi. –Vi da fastidio se fumo dentro?- Chiese poi.
Nives scosse la testa. –A me no, ma che io sappia loro due non fumano, quindi se vuoi puoi andare sul mio balcone, solitamente io fumo lì.-
Il ragazzo annuì, mentre si avvertì il ‘plop’ del tappo e la bottiglia che veniva finalmente stappata.
Theo gli arrivò vicino riempiendo velocemente alcuni bicchieri. –A cosa brindiamo?- chiese.
-Alle nuove conoscenze, alle nuove amicizie e..- Gwen fece una pausa posando per alcuni instanti lo sguardo su Dianne. -.alle nuove esperienze.
Tutti strinsero tra le dita i bicchieri, alzandoli verso l’alto e dopo aver fatto tintinnare il vetro nel contatto, tracannarono il contenuto.
-Tu non eri astemia?- Chiese Nives a Gwen.
Lei annuì. –Sì, ma allo spumante non si dice mai di no.-
Theo sorrise, andandole vicino e iniziando una conversazione tra loro che, sinceramente, a nessuno degli altri presenti interessava.
-Dee, mi fa compagnia?- Cam indicò con lo sguardo la sigaretta, facendola roteare tra le labbra.
-Parli con me?- Chiese Dianne, portando istintivamente una mano sul ciondolo che aveva al collo.
-E chi altri?- Disse lui come se lei stesse confermando l’ovvio.
- Mi chiamo Dianne.- Puntualizzò, muovendo un passo nella sua direzione.
-Lo so.- Replicò Cam e sollevò gli occhi azzurri in quelli nocciola di Dianne. –Allora, mi fai compagnia o no?- ripeté.
Dianne lo osservò per alcuni istanti, leggermente combattuta, per poi annuire.
Lo guidò in direzione della camera di Nives, totalmente immersa nel buio e lei si sporse verso la finestra che dava sul terrazzino, aprendola.
-Questa sembra la camera di mia sorella. - Commentò lui guardandosi intorno. Il suo viso era oscurato in più punti, perfino gli occhi sembravano più chiari di quello che fossero.
-E’ una fan sfegata dei Green Day.- Gli spiegò Dianne, ritornandogli vicino.
-Se andassi nella tua stanza cosa troverei?- Le chiese Cam, girandosi nella sua direzione, guardandola.
-Perché dovresti?- Replicò lei.
-Sai Dee…- Disse piano lui sfilandosi la sigaretta dalle labbra. –… Dalla camera di una persona si può capire molto della sua personalità. Del suo modo di essere. -
- E dalla stanza di Nives cosa riesci  a capire?- Mormorò lei.
Cam inclinò il viso e fu come se il suo sguardo la penetrasse in profondità. –E’ una persona allegra, scherzosa e che capisce l’ironia. Non si arrabbia mai, però se lo fa penso che sia meglio starle alla larga per un po’. – recitò come se stesse dicendo un copione, poi fece una pausa. –Mentre…-sussurrò e la sua voce divenne ancora più roca. -…Se andassi nella tua camera sono sicuro che troverei libri ovunque. -
Dianne sorrise appena. –Non ci vuole un genio, oggi mi hai trovata in una biblioteca. -
Lui scrollò le spalle scostandosi e dirigendosi verso il balcone. Dianne lo seguì e quando Cam accese la sigaretta, tentò di non tossire per il fastidio del fumo.
Se ne stava in silenzio, totalmente concentrato a fumare, premendo le labbra contro quel sottile bastoncino di tabacco, ispirando profondamente il fumo per ricacciarlo poco dopo.
Aveva le spalle leggermente ricurve appoggiate contro la parete che delineava lo stretto terrazzino, l’altra mano era scivolata all’interno della tasca dei jeans e la maglietta bianca faceva risaltare il colorito ambrato della sua pelle. Gli occhi erano totalmente persi nel vuoto, fissava un punto a caso ma con la mente era distante. Quando li sollevò fu come se si rendesse conto solo in quel momento che Dianne fosse lì con lui, quindi, sollevò il viso e la osservò con lo sguardo.
Lei si sentiva in imbarazzo, non solo per il silenzio così pensante, portandosi a domandare perché lui le avesse chiesto di andare lì se ora stava muto come un pesce. Ma anche per quello sguardo così penetrante che sembrava scavarle dentro.
 Si morse appena le labbra, tentando di fare conversazione. –Allora…- Esordì. -…che corsi frequenti?-
Cam spostò lo sguardo su di lei. –Tecnicamente sono al terzo anno di lettere. -
-E praticamente?- Chiese lei sinceramente incuriosita.
Lui sorrise, come se quella domanda lo divertisse. –e praticamente… - Ripeté facendo cadere un po’ di cenere nella terra del vaso di Nives. - …mi cimento nel dolce far nulla. -
-Come mai?- Replicò Dianne, infondo per frequentare una scuola così bisognava per forza avere una certa media, oppure eri fuori in un battito di ciglia.
-Come siamo curiose Dee. - Rispose lui.
- Non volevo essere invadente. - Si scusò la ragazza.
Cam la fissò e Dianne sentì il suo sguardo così pesate che fu costretta a distoglierlo. –Rientriamo, ti va?- si limitò a risponderle e lei annuì.    


Erano appena entrati in cucina quando Dianne sentì il proprio telefono squillare all’impazzata, aveva dimenticato di togliere la suoneria quindi era possibile udirlo anche dalla casa del piano terreno.
-Devi proprio rispondere?- Le chiese Gwen mentre riempiva uno dei piatti con della pasta.
-Controllo chi è.- Rispose lei distrattamente dirigendosi nella propria stanza e estraendo il cellulare che era stato sepolto tra i cuscini.
“Austin”, la scritta e la sua foto comparivano sullo schermo. Dianne lo fissò per alcuni istanti, incerta sul rispondere o meno.
-Se non rispondi vengo lì e getto quell’aggeggio malefico dalla finestra. - Strillò Nives.
Lei sbuffò e premette sul tasto verde. –Ehi. - lo salutò.
-Piccola. - Mormorò lui. –Come stai?-
-Bene…- Disse quasi a fatica, in quel momento le ritornò in mente quello che era accaduto alla mensa nel pomeriggio. –E a te? Ti sei sistemato a Providence? –
-Non ancora. - Fece una pausa. –Stavo pensando a una cosa. -
-Cosa?-
-E se prima di trasferirmi facessi un salto da te?- le chiese. –Mi manchi così tanto. -
Dianne sentì un senso di disagio formarsi alla bocca dello stomaco, come avrebbe voluto avere Gwen solo per se in quell’istante, lei l’avrebbe aiutata. –Ma è tanta strada…- Gettò lì mentre percorreva velocemente la sua stanza, arrivando in cucina.
-Che succede?- Le chiese Gwen intercettando il suo sguardo.
Dianne non potendo parlare tentava di comunicare tramite gli occhi.
-Sta cercando di dirci che le è morto il cane?- Chiese Theo confuso.
-Oppure che è in arrivo sua madre ed ha dell’erba nascosta nel vasetto di girasoli?- Continuò Nives.
Dianne alzò gli occhi al cielo, poggiando sconsolata la fronte contro lo stipite della porta mentre Austin terminava il suo monologo su quanto le mancasse e come gli mancassero i loro momenti insieme.
-Beh, se te la senti di affrontare un viaggio così lungo, certo che puoi venire. - Disse infine.
Gwen e Nives si lanciarono uno sguardo allarmato.
-Allora ti farò sapere, sono così felice di rivederti. - Disse Austin intanto al telefono.
-Anche io.- Rispose lei con un filo di voce.
Gwen addolcì lo sguardo, capendo. –Sta parlando con quel simpaticone del suo ragazzo. - borbottò. – Non capisco perché non l’abbia mollato. -
-Gwen!- La richiamò Dianne, portando una mano sul microfono del telefono. –Guarda che si sente tutto. - Mimò con le labbra e poi ritorno a parlare con Austin. –Fammi sapere, ora devo scappare, ho un sacco di roba da studiare. Mi manchi. - Tagliò corto, staccando.
-Questa sì che era una conversazione piena d’amore. - Commentò Cam che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
Dianne sollevò lo sguardo su di lui, infastidita. –Prego?- Disse stizzita. –Non hai idea di quale sia il nostro rapporto, non puoi giudicare dopo aver ascoltato un’inutile telefonata. -
Lui sorrise. - Non essere ingenua Dee. – La canzonò. –Lo sai anche tu, non sprecare tempo e fiato su qualcosa che non è destinato a durare. –
-Ma cosa ne sai tu? Non mi conosci nemmeno. - Strinse il telefono tra le mani, innervosita.
Gli occhi degli altri presenti si spostavano dal viso di Dianne a quello di Cam, osservandoli sia con curiosità che confusi.
Lui mosse un passo verso di lei, facendo scivolare entrambe le mani all’interno dei jeans, poi chinò il capo, portandosi a un palmo del suo viso. –Che benefici trovi nel negare l’evidenza?-
Dianne si sentì mozzare il fiato, a quella distanza i suoi occhi erano quasi più azzurri di quanto credeva possibile, in più sembravano brillare di luce propria. Deglutì a vuoto, cercando di non pensarci.
-Ma voi due vi conoscevate?- Chiese Theo, sinceramente confuso.
Cam fece un passo indietro, scuotendo appena la testa. –No, cioè l’ho beccata a fissarmi il novantanove percento delle volte, ma non c’eravamo ancora presentati ufficialmente. -
-Io non ti stavo fissando. - Strillò Dianne totalmente imbarazzata.
Lui si voltò nuovamente verso di lei, mostrandole il profilo. –Davvero Dee?- Ed ecco che sulle sue labbra si formava quell’odioso sorrisetto.
-Mi sembra di essere all’interno di una Soap Opera. - Commentò Nives.
-Questa finirà per diventare una pazzesca tensione sessuale. - Disse Gwen a voce bassa all’altra, ma il suo tono non era poi così basso visto che Dianne colse ogni sua parola, fulminandola con lo sguardo.
-Mangiamo dai?- Esordì Theo entusiasta. – Questa pasta ha un aspetto ottimo. -
-Spero che lo sia anche il sapore. - Commentò a voce bassa Nives mentre gli altri occupavano posto.
Dianne mandava fuoco dagli occhi, si sentiva così nervosa in quel momento che con una forchettata troppo violenta avrebbe potuto rompere il piatto. Il problema non erano le parole di Cam, il problema era come lui era riuscito a capirla. A capire che lei non c’era più dentro quella relazione? Cam non la conosceva affatto, un paio di scambi di sguardi e quattro chiacchiere ad una cena non potevano aprirgli una finestra così ampia su di lei.
Si portò la forchetta alle labbra e con la stessa velocità con cui la infilò in bocca così la tirò fuori. Le vennero quasi gli occhi lucidi per quanto fosse salata quella pasta. – Gwen.- tossicchiò stringendo tra le mani il bicchiere d’acqua. –Hai messo il sale nella pasta o la pasta nel sale?-
Tutti osservarono la reazione di Dianne e lasciarono ricadere le forchette. –Sapete, improvvisamente non sono poi così affamato. - Disse Theo.
-Già, nemmeno io, forse avrò mangiato troppo pane. - Disse con impeto Nives mentre indicava un panino vicino al suo piatto.
-Io penso siano ottimi. - Disse invece Cam attirando su di se gli sguardi di tutti.
-Ma che papille gustative hai?- Commentò Nives.
-Di ferro?- Continuò Dianne.
Cam le guardò entrambe per poi posare la forchetta vicino al suo piatto. - Scusate se tento di essere gentile, ha cucinato un sacco e mi dispiaceva fare il cafone come voi. -
-Ma sentitelo, all’improvviso è diventato gentile. – Commentò Theo.
- Sono così tanto pietosi?- Chiese Gwen tirando su il naso.
-Verità o bugia?- Chiese a sua volta Dianne.
-Verità, posso farcela. - Rispose.
Tutti annuirono in contemporanea. – Mi dispiace, sei fantastica in quasi tutto ma ti consiglio di lasciar stare la cucina. –Disse poi Nives dandole una leggera pacca sulla spalla.
-Forse il resto è mangiabile. – Tentò l’altra speranzosa.
-Penso che nessuno in questa stanza sia così coraggioso da voler provare. - Disse Theo, sincero.
Dianne accennò un sorriso, spostando poi lo sguardo su Cam, i suoi occhi erano fissi su un punto sulla tovaglia, era lontano anni luce da loro. Lo osservò con curiosità, aveva la mascella testa e con le dita giocava con il bordo della sua maglietta. Poi però lui sollevò lo sguardo e i loro occhi s’incontrarono per l’ennesima volta.
Dianne fu subito tentata dal girare lo sguardo, però non ci riuscì. Non c’era nessuna espressione divertita sul viso di Cam, la guardava ma il suo volto restava serio, forse fu solo un istante o qualche minuto quello in cui si fissarono, fin quando Cam non sembrò indossare nuovamente la sua maschera sfoggiando un abbagliante sorriso e guardandola come per dirle “e poi dici che non mi fissi”. Quello fu il momento in cui Dianne distolse lo sguardo, imbarazzata, tentando di concentrarsi nuovamente sulla conversazione che stavano avendo gli altri tre.
-Se prendessimo una pizza?- Propose Nives.
-Ho giù l’auto, possiamo andarle a prendere io e te.- Disse Cam e Dianne lo sentì così vicino che pensò stesse parlando con lei, ma quando capì che si stesse riferendo ad Nives una strana sensazione di delusione le annodò lo stomaco.
-Prendo la giacca. - Nives gli sorrise sollevandosi dal tavolo e lui la seguì a ruota, poco dopo erano già fuori l’appartamento.
Dianne tirò un lungo sospiro, voleva lasciar ricadere la testa sopra al tavolo, si sentiva terribilmente stanca. 
-Ahh.- Si lasciò sfuggire, sollevando poi lo sguardo nella direzione di Gwen e Theo, i due si scambiavano certi sguardi che lasciavano poco all’immaginazione al ché Dianne sbattè le palpebre confusa. –Che succede qui?- Chiese.
Gli altri due si ricomposero come se fossero stati appena scoperti a fare qualcosa d’illegale e voltarono lo sguardo ai lati opposti. –Cosa dovrebbe succedere?- Chiese Gwen fingendosi confusa.
Lei strinse gli occhi osservandola e poi piantò entrambe le mani sul tavolo, usando quello come punto di appoggio per portarsi in piedi. –Sapete che vi dico?-
-Cosa?- Chiese Theo, guardandola.
-Io ho bisogno di bere qualcosa. - Esclamò Dianne e si diresse in direzione del frigo. Si chinò appena cercando dove Nives avesse messo la vodka, trovandola nei cassetti della frutta.
-Mi dispiace che Cam ti abbia detto così.- Sussurrò Theo arrivandole alle spalle. –Solitamente è stronzo, ma non così tanto. -
Lei strinse tra le mani la bottiglia di vetro e la tirò fuori scrollando le spalle. –Non importa, la mia mente l’ha già rimosso. -
Lui annuì poco convinto osservandola mentre tirava fuori dagli stipetti alcuni bicchieri. –Ho imparato a non dare molta importanza alle parole delle persone. –Disse Dianne. –Quindi, che dica quel che vuole. - Concluse aprendo la vodka, versando un bicchiere per Theo e portandosi la bottiglia alle labbra, prendendone un lungo sorso.

-Vi siete dati all’alcool?- Chiese Nives varcando la soglia della porta con una pizza maxi stretta tra le mani.
-Avete già fatto?- Chiese Theo a sua volta.
-La pizzeria è vicina. - Disse lei scrollando le spalle. –E Cam guida come un pazzo, sentivo risalirmi la pasta che non ho mangiato. –
-Volevi far fuori la nostra piccola Nives?- Chiese Dianne puntando i suoi occhi su quelli di Cam.
Lui sollevò l’angolo delle labbra in un sorriso, scuotendo appena le testa. –Lungi da ogni mia intenzione. -
I due si fissarono in silenzio per alcuni istanti, però poi Cam mosse alcuni passi avvicinandosi a lei, chinandosi appena.
–Posso averne un po’?- Le chiese indicando la bottiglia che Dianne stringeva tra le mani.
-Non ho più bicchieri. - Sussurrò lei, era così vicino che sentiva il suo respiro contro la pelle.
-Non fa niente. - Rispose e portò le labbra contro la bottiglia, lasciando che le mani di Dianne la sollevassero leggermente, dandogli modo di bere.

Theo seguì il tutto con lo sguardo e poi si voltò nuovamente verso Gwen, scrollando le spalle.
La ragazza era interamente concentrata nel prendere alcuni piatti dove posizionare, successivamente, le varie fette di pizza.
-Mi dispiace che tu abbia dovuto buttare tutto. - Le disse, chinandosi di poco in modo da poter guardare il suo volto.
Gwen si girò appena e portò i suoi occhi in quelli di Theo. –Non fa niente, alla fine ero consapevole di non essere questa grande cuoca. - Fece una pausa aprendo uno degli sportelli della cucina. –Però ci ho provato. -
Lui le sorrise. –Grazie comunque. -
-Per cosa?-
-Per questa serata. - Sussurrò e le si avvicinò maggiormente. –Non stavo così bene da tanto. -
Gwen a quelle parole sfoggiò un sorrisone con il quale avrebbe potuto accecare chiunque. –E’ così anche per me.-
Theo ricambiò il suo sorriso e si chinò ulteriormente portando le labbra sulla guancia di lei, stampandole un bacio.

-Guardali come flirtano. - Commentò Nives arrivando alle spalle di Cam e Dianne, entrambi erano del tutto in un altro mondo, la loro attenzione era rivolta alla bottiglia che lei aveva tra le mani, quindi, non aveva notato gli altri due.
- Finalmente oserei dire. - Rispose Cam osservando l’amico e scostandosi appena da Dianne.
-Perché?- Chiese quest’ultima inclinando appena la testa.
Lui fece spallucce. –Theo è molto particolare. Gwen è in pratica la prima ragazza con cui attacca bottone da quando siamo qui. - Fece una pausa distogliendo lo sguardo dai due. –E’ una storia lunga. -
-Ma noi abbiamo tempo!- Si affrettò a dire Nives tutta curiosa.
-Nives! – La rimproverò Dianne.- Questi non sono affari nostri. -
-Appunto. - Annuì Cam per poi allungare una mano portandola su quella di Dianne, sfilandole tra le dita la bottiglia di vetro e poi ne prese un sorso.
-Antipatico. - Borbottò Nives stringendo le braccia al petto e dirigendosi sul divano.

Si sistemarono a cerchio sul pavimento del piccolo soggiorno, spensero alcune luci e aprirono lo scatolone. La pizza fu praticamente divorata da tutti e così anche la bottiglia di Vodka, costringendo Nives ad attingere alla sua seconda scorta segreta. L’unica che era ormai rimasta del tutto lucida restava la povera Gwen che guardava gli altri che sembravano improvvisamente le persone più felici del mondo.
-Facciamo un gioco. - Esordì all’improvviso, catturando l’attenzione di tutti.
-A cosa vuoi giocare, fiorellino?- Le chiese Theo. –Basta che mi indichi la tua stanza e possiamo giocare quanto vuoi.-
-Scusalo, ricordi, Theo ubbriaco equivale a Theo maniaco. - Commentò Cam che se ne stava disteso a pancia in su, le mani incrociate sul ventre e gli occhi fissi sul soffitto.
-A cosa vuoi giocare?- Le chiese nuovamente Nives.
-Dove avete messo la prima bottiglia che vi siete scolati?- Disse Gwen guardandosi attorno.
-Qui!- Esclamò Dianne tutta felice passandole il contenitore di vetro.
-Giochiamo al gioco della bottiglia!- Propose Gwen, incrociando le gambe tipo indiana.
-Okay. - Disse Cam mettendosi a sedere. –Ma ricordatevi che io Theobald non lo bacio, nemmeno se fossimo gli ultimi due esseri viventi della terra. -
-Ma come amichetto mio, le mie labbra sono così morbide. –Disse l’altro, deluso.
-Shhh.- Li zittì Nives ridacchiando. –Inizio io.-
Tutti si sistemarono nel modo migliore, tentando di formare un cerchio, così Gwen strinse la bottiglia tra le mani girandola con forza.
Dianne si sentì quasi girare la testa mentre quell’oggetto le roteava velocemente davanti agli occhi. Quando finalmente si fermò la sua estremità era puntata su Cam.
-Devo baciare Occhi Blu di Dianne?- Chiese Nives.
-Non è il mio Occhi Blu. - Aggiunse Dianne, non essendo nemmeno consapevole delle parole che dicesse.
-Tu lo hai chiamato così.- Replicò Nives.
-Ma occhi blu sono io?- Chiese Cam indicandosi con la mano.
-Oddio. - sbuffò Gwen stringendosi le braccia al petto. –Da ubriachi siete insopportabili. Nives bacia Cam, veloce. -
Nives scrollò le spalle e gattonò verso Cam, strinse le mani intorno al tessuto della sua maglietta e lo attirò contro le proprie labbra, ci vollero seriamente tre secondi di orologio per trasformare un bacio a stampo a quello che sembrava un’acrobazia tra lingue.
Sia Gwen, Theo e Dianne inclinarono contemporaneamente il volto per riuscire a seguire quel movimento, osservandoli incerti.
Nives portò una mano sul petto di Cam e lo allontanò, tirando un mezzo sospiro di soddisfazione. -
Ringrazia che sono lesbica, perché dopo un bacio del genere avremmo fatto scintille. -
Cam in risposta le rivolse un occhialino e si passò una mano sulle labbra, indietreggiando appena.
-Mi viene da vomitare. - Esordì improvvisamente Dianne.
-Ve lo avevo detto che s’incazzava. - Borbottò Nives.
-Ma non per voi, per... - Non riuscì nemmeno a terminare la frase, si alzò di scatto e corse in direzione del bagno, tentando di raggiungere la tazza prima del peggio.
Gwen fece una smorfia di disgusto. –Ecco perché io sono astemia. - disse annuendo convinta.
Dianne si sentiva a pezzi, un sapore orribile in bocca e la testa girava vorticosamente.
-Stai bene?- Le chiese una voce roca arrivandole alle spalle.
-Ho la testa in un bagno, secondo te sto bene?- Commentò voltandosi.
Cam si chiuse la porta alle spalle e le si avvicinò, scostandole i capelli dalla fronte, in modo che non le fossero finiti in faccia durante il prossimo possibile conato. –Che gentile, mi reggi i capelli. - commentò lei.
-Mi dispiace per quello che ho detto prima. - Disse sincero.
Lei girò appena il viso, ritrovandoselo a un palmo da lei. –Non fa niente, l’ho già dimenticato. - disse. –Tu come stai?-
Cam inarcò un sopracciglio. –In che senso?-
-Nessun conato di vomito o voglia di gettare anche l’anima?-
Lui rise. –Ho una resistenza migliore della tua. -
-Sbruffone. - Commentò Dianne mentre avvertiva le dita di lui sfiorarle la fronte.
-Può darsi. - Le rispose.

 







 

 


 

 


NdA :
Buon pomeriggio a tutte! 
Lo so che questo capitolo è un po' breve, però, come ho già detto nel capitolo precedente, è il continuo dell'altro.
Non me la sentivo di allungare troppo il brodo o mi sarei persa nelle mie stesse idee, ahah!
Spero comunque che vi sia piaciuto e vi ringrazio di cuore per tutte le recensioni che avete lasciato ai capitoli precendenti! Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite, ricordate e preferiti <3
Grazie a tutti!
Un bacione <3




P.s. Nel caso ci siano degli errori, non fate problemi a farmeli notare. :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5; It’s always darkest before the dawn. ***


Capitlo 5









«Ecco il brutto: da quassù non vedi la ruggine, la vernice scrostata, ma capisci che razza di posto è davvero.
Vedi quanto è falso. Non è nemmeno di plastica, persino la plastica è più consistente. E' una città di carta.
Tutti rimbambiti dalla frenesia di possedere cose. Cose sottili e fragili.
Ho vissuto qui per diciotto anni e non ho mai incontrato qualcuno che si preoccupasse delle cose che contano davvero.
»
▪John Green▪






                           
                           ◊ CAPITOLO V ◊ It’s always darkest before the dawn.





N
onostante la classe si fosse ormai già svuotata, Dianne era ancora seduta al suo posto, intenta a ricopiare alcuni appunti sulle cose che il Professor Ordaway aveva spiegato a fine lezione. Lasciava scorrere velocemente la penna su quei fogli, prima che ogni frase abbandonasse la sua testa, dimenticandosene.
Era così concentrata su quello, che, non si rese conto che qualcuno le si era avvicinato, e, la osservava con curiosità dall’alto.
-Come mai sei ancora qui, Rivera?-
La voce del Professore la fece sobbalzare, alzando così velocemente gli occhi nella sua direzione e incrociando il suo sguardo.
-Dovevo ricopiare degli appunti. - Si limitò a rispondere mentre raccoglieva velocemente le varie penne disperse sul banco.
Ordaway inclinò il viso, incrociando le braccia al petto. – Ho letto nel tuo fascicolo che sei del Vermont.-.
Dianne riportò lo sguardo sul viso dell’uomo, confusa dalle sue parole. Perché si era soffermato sul suo fascicolo? Si limitò ad annuire.
Lui si protese in avanti, sciogliendo la stretta delle braccia e poggiandole entrambe sul banco, usandolo come sostegno. –Sai, anch’io sono originario del Vermont.- Le disse gentilmente rivolgendole un sorriso. – Delle parti di Orleans.-
Dianne si strinse i vari fogli al petto, raccogliendo con la mano libera la tracolla appesa allo schienale della sedia. –Anche io sono di quella zona, Westfield per la precisione. -
Lui annuì. –Io e mia moglie ci siamo trasferiti quest’anno. - Il suo tono era velato di malinconia.
Quell’amichevole scambio di chiacchiere confuse leggermente Dianne, in primo luogo perché il professore aveva messo subito in chiaro il distacco che ci sarebbe stato tra lui e gli studenti. Non aveva nemmeno detto loro il suo nome di battesimo. Mentre ora, le parlava come una persona normalissima, in modo perfino amichevole. Forse era meglio evitare di partire con i film mentali, semplicemente quell’uomo aveva nostalgia di casa e vedendo che erano entrambi dello stesso posto, si era sentito di parlarle. Infondo capita a tutti no? Quando ci troviamo in quei viaggi fuori dalla nostra patria, dove tutti parlano lingue diverse e mangiano cose diverse, ma poi tra la folla individuiamo un nostro concittadino e ci sembra di rivedere casa.
-Anche qui in New Jersey si sta bene, non trova?- gettò lì, prendendo a scendere alcuni scalini della gradinata.
Il professore la seguì con lo sguardo, annuendo appena. –Sì.- sospirò. –Ma di alcune cose non smetteremo mai di sentire la mancanza. –
Dianne lo osservò tentando di non mostrarsi troppo perplessa, ma, evidentemente, la sua espressione parlava chiaro perché il professore scrollò le spalle e ritornò ad assumere la sua solita espressione autoritaria.
-Bene, ora vai, ti ho fatto perdere abbastanza tempo. - Si girò, scendendo i gradini a due a due, raggiungendo la cattedra. –Mi raccomando, conto sulla tua tesina per la prossima settimana. -
Lei annuì ancora più confusa e uscì dalla classe, rischiando di sbattere più volte contro le varie porte che si aprivano all’improvviso nel corridoio.
Nonostante il calo delle temperature, il sole splendeva nel cielo azzurro e i suoi raggi filtravano attraverso le finestre, illuminando a giorno i corridoi.
Inizialmente Dianne era convinta di trovar un po’ di difficoltà nell’ambientarsi in un posto nuovo, ma poi era filato tutto nel migliore dei modi. Le prime settimane erano passate così velocemente che non se ne era nemmeno accorta. E con il passare dei giorni anche le foglie iniziavano a perdere il loro verde estivo, passando a colori più caldi, come il rosso e l’arancio. Dianne amava l’autunno, era la sua stagione preferita, in più ogni cosa sembrava diventare magica e variopinta, i colori caldi avvolgevano ogni cosa.
Ma stare a Princeton era stato positivo anche per Gwen, ormai aveva smesso di bazzicare un po’ ovunque e a vedersi sempre più spesso con Theo. I due negavano categoricamente che ci fosse un qualche coinvolgimento che andava oltre l’amicizia, ma secondo Dianne e Nives nascondevano qualcosa.
Passava molto del suo tempo con Nives, le sembrava di aver trovato la sua sosia, avevano gusti simili, stesso modo di pensare e di reagire. Il loro rapporto si stava consolidando man mano e Dianne ne era davvero felice.
Quando aprì la pesante porta che dava sull’uscita principale, il vento freddo le ferì la pelle, costringendola a coprirsi velocemente con la sciarpa azzurra che aveva legato intorno al collo. Studiò con lo sguardo le varie panchine, cercandone una libera dove aspettare Nives.
I suoi occhi si posarono su un ragazzo di spalle, i suoi capelli scuri ricadevano in avanti ed era occupato a parlare con una ragazza che non faceva altro che sbattere le ciglia ogni tre secondi. Sembrava un tic nervoso.
Cam l’ascoltava ma il suo interesse non era molto concentrato su di lei, anzi, sembrava sul punto di addormentarsi, mentre allungava maggiormente le gambe e poggiava la schiena contro la panchina di ferro.
Lei e Cam si erano visti qualche volta dopo quella cena, ma sempre in compagnia degli altri, Theo se lo trascinava dietro e lui sembrava sempre scocciatissimo, come se stessa a fare un favore al mondo.
Passò davanti alla panchina dei due, muovendo le sue gambe con maggiore velocità , il viso girato dall’altro lato e lo sguardo perso a fissare il niente. Si sentiva sempre a disagio in sua presenza, ma il problema e che non era un disagio da definire in maniera negativa.
-Non si saluta?-
La voce di Cam le arrivò alle orecchie facendola bloccare di scatto, girò appena il volto e vide la biondina infastidita per via dell’interruzione e lo sguardo di lui vagare sul suo corpo.
-Non volevo interrompervi. - Disse sincera.
-Dove stai andando?- Le chiese Cam, tornandosi a sedere con le spalle dritte sulla panchina.
-Sto aspettando Nives.- Rispose lei in automatico, si sentiva fuori luogo, in più quella ragazza la stava strangolando con lo sguardo.
-Mh.- Il ragazzo annuì. –Allora divertitevi. - Concluse sollevando appena l’angolo delle labbra.
Dianne gli rivolse un cenno con la testa e schizzò velocemente nella direzione della panchina più lontana, perché Cam la metteva così tanto in soggezione?
Chinò appena il viso portandosi le mani tra i capelli e passandole tra di essi come un pettine.
-Sono una ritardataria, lo so!- Esclamò Nives arrivando di corsa, aveva il fiatone e la fronte sudata. –Però tu hai scelto la panchina più lontana dal mondo. - commentò poi, sedendosi di fianco a lei.
-Volevo un po’ di tranquillità.- Rispose Dianne sollevando il viso.
-Sì certo. - Rispose l’altra e poi sollevò gli occhi, portando lo sguardo oltre la spalla dell’amica. Sul suo volto si dipinse un sorriso diabolico. –Già proprio un po’ di tranquillità, o te ne sei venuta qua in Papuasia per evitare qualcosa…-Fece una pausa tirando una leggera gomitata nel fianco di Dianne. –O qualcuno. -
Lei lo guardò interdetta per poi voltarsi appena, intercettando cosa stesse fissando Nives.
I suoi occhi finirono sul profilo di Cam. –Smettila!- Squittì girando velocemente di nuovo il viso. –Ti sei fissata con questa storia. –
-Certo certo, è tutto frutto della mia fantasia. – Rispose l’altra con un sorrisetto.
-Comunque. - Dianne simulò un colpo di tosse. –Come va con la tua dolce metà?-
Nives distese le labbra in un sorriso. –Bene, non litighiamo da una settimana e per noi è un record. - annuì compiaciuta. –Tu hai sentito Austin?-
Lei annuì, aveva parlato con lui quella mattina. –Sì, visto che non potrà venire prima di trasferirsi mi ha promesso che verrà a trovarmi quando meno me lo aspetto. – Chinò appena il viso. –Ho paura che improvvisamente sbuchi da qualche cespuglio. -
Nives rise. –Sarebbe bello, magari mentre ti mangi con gli occhi Cam.- Le fece l’occhiolino.
-Nives!- La riproverò lei. –A me Cam non interessa minimante. -
-Ovvio. - annuì l’altra. –Lo fissi di continuo solo perché è bellissimo ed ha un bel culo. -
-Esattam…. Ehi, sei un caso perso. –Rise.



Nives e Gwen quella sera avevano deciso di seguire un seminario esterno sull’economia dell’innovazione. O meglio, Gwen si era trascinata dietro Nives, nonostante le numerose proteste di quest’ultima.
Dianne aveva la casa tutta per se, però mai come in quel momento sentì la mancanza delle chiacchiere delle due ragazze che solitamente riempivano l’aria di allegria. Decise quindi di mandare un messaggio a Jude, dopo quella chiamata strana, in cui le aveva accennato qualcosa, non avevano più parlato , in più ne sentiva davvero la mancanza. Probabilmente era l’unica cosa che le mancava di casa.
Mentre stringeva il telefono in mano, questo squillò, prendendola di sorpresa.
-Pronto?- Chiese non riconoscendo il numero.
-Tesoro, sono la mamma. – Le disse una voce allegra dall’altro capo. –Come stai?-
-Mamma!- Esclamò Dianne sinceramente felice di risentire la sua voce. – Sto bene e tu? A casa tutto bene? Papà?-
-Ehi calma con le domande. – Sentì la madre ridere. –Qui va tutto bene, si sente la tua mancanza. –
Sorrise. –Anche voi mi mancate. -
-Ti ho chiamata per chiederti una cosa.- Riprese la madre.
-Dimmi tutto. -
-Tu e Gwen pensate di tornare a casa per il Ringraziamento, vero?- le chiese la donna.
-Mamma, manca ancora tanto al Ringraziamento. - Le fece notare lei.
-Un mese. – Precisò la madre. –E guarda che non ci vuole niente a passare. -
-Non lo so, comunque. - Sospirò. –Ne parlo con Gwen e ti faccio sapere. -
-Va bene. - Ci fu un momento di silenzio. –Tesoro, ti voglio bene. -
Dianne sentì il cuore stringersi e un senso di nostalgia l’avvolse completamente. –Anche io. Ci vediamo presto. -
Chiuse la chiamata e sentì le lacrime pungerle gli occhi, il rapporto che aveva con sua madre era davvero singolare, l’aveva sempre considerata un’amica. Il problema era un altro… Suo padre.
Ma Dianne decise di non pensarci, non quella sera.
Si precipitò nella propria stanza e spalancò le ante dell’armadio, cercando, e trovando, a fatica la tuta.
Okay, la sua stanza era un campo di battaglia, il letto era disfatto, l’armadio sembrava condurre a Narnia visto che ci si perdeva in tutto quel casino di vestiti.
Si vestì velocemente e uscì di casa, non riusciva a restare un altro istante in quel posto così silenzioso in più le era salita una malsana voglia di correre. Il campus era perfetto per quello.
Le strade erano larghe e costeggiate da alberi, nonostante fosse ormai sera, erano ben illuminati da piccoli lampioni posti lunghi il sentiero.
Superò la zona residenziale e non appena varcò il cancello dell’università, iniziò a correre.
Mise le cuffie nelle orecchie e si abbandonò alla musica, correndo più forte che poteva, lasciando che l'adrenalina le scorresse lungo tutto il corpo, aumentando sempre di più la velocità. Tutti i pensieri negativi che solitamente le annebbiavano la testa venivano respinti via, sentiva il peso nello stomaco farsi più leggero mentre l'aria fredda si scontrava con la sua pelle. Voleva solamente che tutto sparisse. Non voleva sentirsi in quel modo.
Accantonò perfino il pensiero di Austin, aveva gli occhi aperti ma era come se non vedesse nulla. Si sentiva libera.
Rallentò il passo solo quando i polmoni iniziarono a bruciare e una fitta di dolore le attraversò il fianco. Si piegò su stessa, tentando di recuperare un po’ di fiato, e quando sollevò lo sguardo i suoi occhi furono catturati da un vero e proprio capolavoro della natura. All’interno del campus era presente un lago, nonostante dovesse essere artificiale, era davvero immenso e alcune barchette dondolavano lungo la riva. Un molo di legno si estendeva per alcuni metri, mentre le luci dei lampioni riflettevano il proprio riflesso nelle placide acque.
Tutto intorno padroneggiava il silenzio, in giro sembrava esserci solo lei, che, attirata come una calamita dalla tranquillità di quelle acque, tolse le cuffie e mosse alcuni passi in direzione del piccolo molo.
Si sedette sul bordo, sentendo il legno scricchiolare sotto il suo peso, e chiuse gli occhi mentre i suoi piedi si muovevano nell’aria sfiorando la superficie dell’acqua.
Ah, quella sì che era la pace. Avvertiva ogni muscolo del suo corpo rilassarsi e qualche brivido formarsi alla base della schiena a causa del vento. Era tutta sudata, stava rischiando di prendersi una polmonite, ma non le importava, desiderava solo starsene in pace per alcuni istanti.
Ma poi accadde qualcosa.
Il legno sul quale era seduta scricchiolò in modo più forte, per poi cedere, facendola cadere in acqua. Completamente colta di sorpresa, Dianne sbarrò gli occhi e sentì i polmoni riempiersi d’acqua mentre con i piedi andava a toccare il fondo. Era molto più profondo di quando avesse immaginato.
Sapeva nuotare, però il panico aveva preso il possesso di lei, in più aveva pochissima aria a disposizione, così tentò di concentrarsi tentando più volte di riemergere, ma la sua testa continuava a sbattere contro qualcosa. L’altra parte del molo.
Era terrorizzata, non riusciva a risalire, stava soffocando e in più l’acqua era gelida. Che sarebbe finita così?
Dianne sentì le lacrime agli occhi, non meritava quella fine, si sentiva ancora all’inizio del suo percorso. Non aveva vissuto per niente, non aveva ancora amato per davvero. Non aveva ancora fatto niente.
Ormai la vista iniziava ad appannarsi, formandole delle stelline davanti agli occhi, quando avvertì due mani afferrarla per le spalle e tirarla su.
Non appena ritornò in contatto con l’aria, respirò avidamente, tentando di riportare ossigeno ai suoi organi che ormai erano sul punto di collassare. Ma l’operazione si rivelò più complessa, più tentava di respirare più una forte tosse la scuoteva, impedendole il tutto.
Quando finalmente fu al sicuro, nuovamente sul molo, sollevò lo sguardo, intercettando un viso del tutto anonimo. Era un ragazzo, aveva delle braccia enormi, le labbra sottili e dischiuse. Gli occhi scuri erano puntanti sul suo viso, sembrava terrorizzato.
-Ti ho vista cadere da lontano. - Farfugliò.- Pensavo fosse troppo tardi. Come ti senti?-
Dianne percepì una fitta alla testa, l’acqua continuava a scivolare attraverso i capelli, lungo le guance e rendeva ogni indumento pesante il doppio. –Gr…-Tentò di dire, ma la voce non le uscì. –Grazie. - Sussurrò più forte.
Si sentiva gelare e terribilmente stanca, voleva tornare a casa, sentirsi nuovamente al sicuro.
Lui le rivolse un sorriso e, senza lasciare la presa sulle sue spalle, l’aiutò a rimettersi in piedi. –Riesci a camminare?- Le chiese.
Dianne annuì appena e tentò di restare in equilibrio per più di qualche secondo.
-Dimmi il tuo dormitorio, ti aiuto a tornare a casa. -
Lei gli avrebbe voluto spiegare che alloggiava fuori dal campus, ma le parole proprio non uscivano, sentiva la gola stretta in una morsa.
-Trevor?- Sentì qualcuno in lontananza. Era una voce femminile.
Dianne girò appena il viso e con sorpresa notò che era la ragazza con cui Cam parlava quella mattina. E non era sola.
Cam le stava affianco, aveva le mani infilate nelle tasche dei jeans, il giubbotto di pelle era aperto sul busto, lasciando così intravedere la maglietta che gli fasciava il torace.
Non appena gli occhi di Cam incontrarono i suoi, il ragazzo la guardò confuso. –Che succede qui?- Chiese avvicinandosi.
-E’ caduta in acqua. –Spiegò Trevor. –Stavo passeggiando e ho visto tutta la scena, menomale che sono arrivato in tempo. -
Lui annuì lentamente e le arrivò vicino, sollevando una mano, sfiorandole appena la pelle con le dita. –Dee, cosa combini?- sussurrò con dolcezza.
Dianne deglutì lentamente, abbassando lo sguardo. Si sentiva in imbarazzo come non mai, se ne stava lì, con i vestiti appiccicati addosso, moriva di freddo e aveva perso la sensibilità nella punta delle dita.
-Ti porto a casa, va bene?- Le disse poi Cam e questa volta appoggiò la mano sulla sua guancia. Il calore della sua pelle la fece sobbalzare, era una sensazione così piacevole. –E’ una mia amica, ci penso io a lei. - Aggiunse poi voltandosi verso Trevor.- Tu puoi accompagnare a casa Alyssa?-
L’altro annuì e Dianne sentì la ragazza protestare.
Cam la ignorò e si sfilò di dosso la giacca, poggiandola sulle spalle di Dianne. –Stai diventando un pezzo di ghiaccio. - Commentò stringendo tra le proprie mani una delle sue, sfregandole nel tentativo di riscaldarla.

Il tragitto verso casa fu totalmente immerso nel silenzio, Cam era venuto a piedi, quindi più volte l’aveva sostenuta per evitare che sbattesse da qualche parte. Quando Dianne aveva tentato di dirgli che quella non era la strada per il suo appartamento, lui l’aveva fulminata con lo sguardo, conducendola poi nella zona residenziale più vicina al campus, ma comunque al suo esterno.
Dianne era già stata in quella casa, ma ora che non era più un luogo per una festa, le sembrava terribilmente grande e maestosa. Cam e Theo vivevano lì, non era un appartamento, era proprio una tipica e immensa costruzione della tradizione americana. In quel momento iniziò a pensare che Theo e Cam non fossero poi così tanto poverini, anzi…
-Perché mi hai portata qui?- Chiese Dianne mentre lui infilava la chiave nella serratura.
-Oh, hai ritrovato la lingua?- Le chiese, accennando un sorrisetto.
Lei alzò gli occhi al cielo, entrando e non appena il calore della casa la invase, provò subito una sensazione di sollievo.
Nonostante dall’esterno la costruzione comparisse alquanto classica, all’interno era del tutto arredata con gusto moderno.
Il salone era un’ampia stanza, metà della quale occupata da un lungo tavolo di vetro. Dal soffitto pendevano lampadari di vetro nero smerigliato che proiettavano ombre danzanti sulle pareti. Tutto seguiva lo stesso gusto, dalle sedie in pelle nera al grande camino incorniciato d'acciaio. Dentro ardeva un fuoco. L'altra metà della stanza ospitava un grande televisore, un tavolino da caffè nero laccato su cui erano sparsi videogiochi, e divani bassi in pelle. Una scala di acciaio a chiocciola portava al piano superiore.
Dianne sbattè più volte le palpebre, completamente incantata da quello che le si presentava davanti. –Accidenti. - si lasciò sfuggire e vide le labbra di Cam distendersi in un sorriso.
-Il bagno è di la.- Il ragazzo sollevò una mano indicandole un punto nel corridoio. -Visto che stai bagnando tutto il pavimento…-
-Ovvio, povero pavimento. - borbottò lei. –Secondo te anche lui si prenderà una polmonite?-.
-Può darsi, dovrò dargli delle coperte. - Rispose Cam, inclinando il viso.
Dianne sollevò gli occhi al cielo, pronta a rispondere, ma un mezzo gridolino interruppe la loro conversazione.
Theo se ne stava nel bel mezzo del corridoio, dalla vita in su era completamente nudo, mostrando il colore chiaro della sua pelle… In realtà tutto quello che aveva addosso era un paio di boxer.
-Cosa ci fa lei qui?- Chiese tutto imbarazzato, ormai il suo colore di pelle passava dal rosso al viola.
Cam si lasciò sfuggire una risata e si voltò verso Dianne, tentando di tenere un’espressione seria. – Questa serata diventa sempre più traumatizzante per te.-
Lei tentò di distogliere lo sguardo da Theo che intanto si era nascosto dietro una porta, tirando fuori solo il viso. –Theo, ti giuro che non ho visto niente. - Disse a voce alta, tenendo il volto girato e gli occhi puntati su quello di Cam. Non che la cosa le dispiacesse, anzi.
-Perché sei tutta bagnata?- Chiese lui da dietro la porta.
-E’ caduta nel lago, quindi, ora piantala di fare la femminuccia e falla passare così può riscaldarsi. – Rispose Cam.
-Oddio, mi dispiace Dianne.- Sussurrò l’altro.
Dianne stava per rispondere che non era importante, che ormai era tutto passato, però, mentre apriva la bocca, sentì un peso salirle lungo la gola. Era come un muro di angoscia che prendeva forma nelle lacrime che le pizzicavano gli occhi. Non aveva ancora pianto, e molto probabilmente era sotto shock, ma in quel momento proprio non riuscì a trattenersi e lasciò che le riempissero gli occhi, solcandole le guance.
-Cam, che ho detto? Perché ora sta piangendo?- Strillò Theo allarmato. –Non volevo farla piangere. -
-Cristo Theo, sta zitto e vai a vestirti. - Scattò lui innervosito. –Ci penso io.-
Theo lo osservò infastidito per alcuni istanti e poi si allontanò nella penombra del corridoio.
-Dee. - La richiamò Cam, ma ora il suo tono era più morbido. –E’ normalissimo piangere ora, però ricordati che stai bene, okay?- Le sussurrò con dolcezza.
Dianne annuì e sollevò una mano tentando di asciugare quelle stupide lacrime con le dita, ma mentre la sollevava lui gliela bloccò, stringendola tra le proprie. La tirò appena guidandola all’interno del corridoio e conducendola così nel bagno, facendola sedere sul bordo della vasca.
Cam prima aprì l’acqua, iniziando a riempirla, e poi le s’inginocchiò davanti, portando le mani tra i suoi capelli, sciogliendoli, visto che della sua coda era rimasto un groviglio.
Dianne tentò di non pensare a tutte quelle attenzioni che il ragazzo le stava rivolgendo, ma ogni volta che le sue mani entravano in contatto con la sua pelle, si sentiva percorrere da un brivido. Anche solo averlo vicino le trasmetteva una sensazione di calore, era una sensazione del tutto nuova.
Mentre lei sembrava una bambola di cera, Cam portò le dita vicino all’abbottonatura della sua felpa e con un movimento veloce fece scivolare verso il basso la cerniera. Dianne s’irrigidì immediatamente e questo non sfuggì al ragazzo.
-Tranquilla, non voglio molestarsi. - Dal suo tono di voce sembrava quasi divertito. –Voglio solo aiutarti. -
Lei distolse lo sguardo, in quel momento le sembrava di aver spento il cervello, di aver dimenticato qualsiasi cosa, ma tentò di far appello alla parte lucida di se stessa. –Posso provarci da sola. - Sussurrò.
- Va bene. - Cam annuì appena, portando i suoi occhi azzurri su di lei. –Vedo di trovare qualcosa da farti mettere. - Disse poi, sollevandosi in piedi e scostandosi i capelli dalla fronte con le dita.
-Cam.- lo richiamò Dianne.
Lui si voltò, guardandola. –Sì?-
Lei poggiò entrambe le mani sul bordo di marmo della vasca e si mise in piedi, portandosi difronte a lui. –Grazie. -
Cam s’inumidì appena le labbra fissandola per un momento che sembrò infinito, poi sospirò profondamente. –Non ringraziarmi. - Fu tutto quello che disse e uscì dal bagno.
Dianne fissò frastornata per alcuni istanti il punto in cui fino a poco prima c’era stato il ragazzo, non capiva il perché di quella premura verso di lei. Forse era solo più umano di quanto si mostrasse.
Tentò di non pensarci mentre lentamente entrava all’interno della vasca, lasciando che l’acqua calda penetrasse in profondità, riscaldandole la pelle e l’animo.
Restò immersa a farsi cullare dall’acqua per un tempo indefinito, probabilmente si era anche appisolata, visto che non sentì i vari colpi alla porta.
-Dee? Cazzo rispondi. Guarda che entro.- Queste furono le ultime parole che riuscì a cogliere, Cam sembrava irritato…oppure spaventato?
-Ci sono, scusami, mi ero appisolata. – Sobbalzando si affrettò di dire.
Sospiro. –Mi hai fatto prendere un colpo. - Poi una pausa. –Ti lascio i vestiti sulla maniglia, io e Theo siamo in cucina. - E poi al posto della sua voce subentrò un rumore di passi che diventavano man mano più lontani.
Si sollevò, sciacquando via ogni residuo di schiuma dai capelli, dopodiché uscì dalla vasca, avvolgendo il busto in un asciugamano e i capelli in una più piccola.
Mosse alcuni passi in direzione della porta e, tirando fuori solo il braccio, tentò di raccogliere gli indumenti che aveva lasciato Cam. Indumenti che si rivelarono essere una maglietta da uomo, un paio di pantaloncini corti, quelli che si usavano nei completi da calcio e, con sorpresa, la canotta e l’intimo erano da donna. Dianne guardò gli ultimi capi interdetta, pensando a quale tizia potessero essere appartenuti. Però, essendo in una situazione di emergenza, decise di mettere da parte il disgusto e usufruire di quelle cose.
Si vestì velocemente e districò i capelli umidi con una spazzola, lasciandoli ricadere sulle spalle. Ora sì che si sentiva meglio, quel bagno l’aveva completamente rigenerata, perfino il suo viso non era più di quel pallore malaticcio e le guance erano tornate al loro colore roseo.
Uscì dalla porta, percorrendo lentamente il corridoio, tentando di orientarsi ascoltando le voci dei due ragazzi.
-Come mai l'hai portata qui?- Stava dicendo Theo.
-A casa sua non c'era nessuno e hai notato anche tu quant'era sconvolta. - rispose Cam. -Non potevo mollarla lì e andarmene. -
-Come facevi a sapere che non c'era nessuno?-
-Nel tempo libero faccio lo stalker.- Rispose lui, dal suo tono di voce sembrava stizzito. –Me l’ha detto Nives, avevano non so che seminario. -
Non appena Dianne varcò la soglia, la conversazione fu interrotta, ed entrambi i ragazzi sollevarono il viso nella sua direzione.
-Dianne!- La salutò Theo con un sorriso. - Mi dispiace tanto per prima. - Si scusò andandole incontro e stringendo il corpo di lei un abbraccio.
Lei ricambiò la stretta, accennando un sorriso. –Non ti preoccupare, era emotivamente instabile. -
-Secondo me l’hai traumatizzata a vita. - Commentò Cam, frugando nel cestino della frutta e afferrando poi una mela. –Avrà per sempre davanti agli occhi l’immagine delle tue gambette spelacchiate. –
-Ehi!- Borbottò Theo. –Così ferisci i miei sentimenti. -
Dianne non riuscì a trattenere un sorriso, quei due sembravano marito e moglie.
Cam stava per rispondere qualcosa ma tutti furono distratti dal rumore della porta principale che sbatteva e poi dei passi.
Sulla soglia della cucina comparì la ragazza che prima era con Cam, aveva i capelli biondi che le ricadevano lungo le spalle, gli occhi verdi mandavano fuoco da tutte le parti. Sembrava incazzata nera.
Dianne non riuscì a non pensare che fosse davvero bellissima, nonostante lo sguardo da bambina capricciosa.
-Alys.- Disse Theo. –Pensavo ti fossi persa. -
-E’ colpa del tuo amico che mi ha mollata con quella cozza di Trevor!- Scattò furiosa.
Cam scrollò le spalle. –Avevo altre priorità in quel momento. -
-Ah sì?- Lei lo fulminò con lo sguardo. –Sei uno stronzo. -
-Ehi ehi, che ne dite di prenderci tutti una camomilla?- Intervenne Theo.
-Io sono calmissimo. - Rispose l’altro, addentano la mela.
Dianne si sentì in primo luogo confusa e poi del tutto fuori posto.
Alyssa si lasciò sfuggire un sospiro frustrato, per poi sollevare lo sguardo verso di lei, come se la notasse solo ora. –Spero che non le abbiate dato i miei vestiti. - Disse velenosa, squadrandola.
-Ti sembrano i tuoi vestiti quelli?- Commentò Cam.
-Okay, state mettendo Dianne a disagio. - Borbottò Theo, girandosi verso di lei. –Dianne, lei è Alyssa, mia sorella. -
Sua sorella? Dianne allargò gli occhi per la meraviglia, quella ragazza non assomigliava per niente a Theo, né fisicamente, né nei suoi modi di porsi.
-Anche lei è al primo anno come te e le ragazze. - Continuò lui.
-Non ti avevo mai vista. - Disse Dianne rivolgendosi a lei, tanto valeva tentare di scambiare due chiacchiere no?
-Perché avresti dovuto?- Rispose Alys con un’aria superiore.
No, a quanto pare non valeva proprio tentare di socializzare con lei. Però c’era una domanda che continuava a frullarle in testa, tra la bionda ossigenata e Cam, c’era qualcosa? Beh, teoricamente non le avrebbe dovuto importare nulla, ma…
-Dee, andiamo, ti riporto a casa. - La voce di Cam la riportò in mezzo a loro. Il ragazzo si sollevò in piedi e recuperò la giacca che aveva appeso alla spalliera della sedia, infilandosela.
Alyssa osservava ogni suo singolo movimento, mentre le sue labbra si contraevano in un’espressione sempre più imbronciata.



-Ma tra te e la bionda c’è qualcosa?- Chiese di getto Dianne non appena si chiusero alle spalle la porta di casa, ritrovandosi nel viale.
Cam distese le labbra in un sorriso. –Oh, mi chiedevo quanto ci avresti messo per chiederlo. -
Lei arrossì tentando però di mostrarsi disinvolta. –Era solo semplice curiosità.- specificò.
Lui estrasse dalla tasca il telecomando per l’apertura dell’auto e sollevò lo sguardo verso Dianne. –Lo scoprirai vivendo. -
Lei si strinse le braccia al petto scocciata, ma che razza di risposta era?
Lo seguì lungo il viale, implorandosi mentalmente di non fargli più domande, meno parlava, meglio era visto che ogni volta che apriva bocca sembrava sbavargli sul collo o in cerca di qualche informazione iper personale.
Cam aprì lo sportello ed entrò velocemente in auto, per Dianne il processo fu un po’ più complicato. L’auto di Cam era un fuoristrada che sembrava essere alto due metri, infatti, dovette proprio arrampicarsi e improvvisare una mezza spaccata per raggiungere il sedile del passeggero.
-Altro che l’auto di Gwen.- commentò quando finalmente si sistemò sul sedile, inserendo la cintura di sicurezza
Lui restò in silenzio per tutto il tragitto, la strada non era molta, però l’aria in auto si era fatta pesantissima, Dianne si sentiva a disagio. Avrebbe quasi preferito gettarsi dall’auto in corsa che restare un altro secondo lì dentro.
Quando stavano svoltando in direzione del suo appartamento, Cam si voltò improvvisamente verso di lei. –Stai bene?- Le chiese dal nulla.
Lei si strinse le mani sul ventre e annuì appena. –Sì e mi sento di doverti dire ancora grazie. -
Lui parcheggiò l’auto nel viale e spense il motore. –Te l’ho già detto, non devi ringraziarmi. -
Dianne scosse il capo. –Devo invece, non eri dovuto ad aiutarmi e invece l’hai fatto. -
-Lo avrebbe fatto chiunque. - Rispose Cam, senza guardarla.
-Non è vero. - Sussurrò lei. –Perché non accetti i miei ringraziamenti e basta?-
-Perché io non sono quel tipo di persona. - Si voltò con il viso verso di lei, era completamente immerso nel buio, la luna illuminava solo alcune zone del suo profilo.
- Che cosa dovrebbe significare?-
-Quello che ho detto. -
-E’ impossibile parlare con te.- Sbottò lei stringendo le mani al petto. –Parli ma in realtà non dici niente. -
-Non è questo il bello, Dee?- Rispose lui, sollevando l’angolo delle labbra.
-No, perché non ha un minimo di senso. - Disse esasperata e si chinò nella direzione della chiusura della cintura, per sbloccarla.
Cam le si avvicinò di scatto, arrivandole a un palmo dal viso e bloccandole la mano a mezz’aria. –Cosa ne sai tu se ha senso o meno. -
Dianne sbattè gli occhi, sentiva il battito del suo cuore pulsarle nelle orecchie. –Non posso saperlo perché tu non permetti agli altri di conoscerti. -
Lui accennò una risata. –Non sono l’unico. - poi inclinò il viso. –Anche tu reciti a pennello una parte, m’incuriosisce scoprire chi sei per davvero. -
Lei deglutì a vuota, tentando di non mostrarsi troppo frastornata da tutta quella situazione. – Perché dovrei darti un privilegio che tu non permetti a nessuno?-.
Cam la guardò, per alcuni istanti quelle parole sembrarono colpirlo, poi si ritrasse velocemente, tornando al posto di guida. –Vai, si è fatto tardi. -
Dianne lo guardò per alcuni istanti e senza farselo ripetere due volte aprì lo sportello dell’auto. Era sul punto di scendere, quando esitò per un istante. –Buonanotte Cam.- disse senza guardarlo e uscì dall’auto, sbattendo lo sportello alle sue spalle.


 







 

 


 

 


NdA :
Buon pomeriggio a tutte!  
Come state?  
Su questo capitolo ci ho lavorato per più giorni, per questo ci ho messo più tempo per aggiornare! Anyway, spero vi piaccia!
Spero anche che  inizi a incurisirvi la storia, o il perchè determinati personaggi siano così (?), spero davvero che questo lavoro sia di vostra gradimento! <3
Per è molto importante conoscere le vostre opinioni, quindi, sarei felice di leggere cosa ne pensate :)

Grazie a tutti! 
Un bacione <3




P.s. Nel caso ci siano degli errori, non fate problemi a farmeli notare. :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6; Bedroom hymns. ***


Capitolo 6









«Ancora non lo sai ma c'è vita dentro te.
Lo so non mi amerai, ma i tuoi occhi son per me.
»
▪Dear Jack▪






                           
                           ◊ CAPITOLO VI ◊ Bedroom hymns.





E
ra notte fonda, la stanza era completamente immersa nel buio, l’unica fonte di luce che si riusciva a intravedere attraverso la finestra era quella della luna. Era nella sua massima ampiezza, mostrandosi per interno in uno spettacolare plenilunio.
Dianne se ne stava immersa sotto le coperte, sollevate fino al mento, fissando il soffitto senza nessuna voglia di dormire. Ormai aveva imparato a memoria ogni crepa presente nella parete, ogni tanto chiudeva gli occhi tentando di addormentarsi, ma tre secondi dopo si ritrovava a fissare qualcosa.
Odiava l’insonnia, rendeva la notte terribilmente lunga e tortuosa.
Un brontolio allo stomaco la distrasse. Ecco un altro motivo per odiare tutto quello.
Stare sveglia le faceva venire fame, una fame insostenibile, rendendo così il cibo il suo unico pensiero.
Era stanca, tanto, ogni preoccupazione sembrava svanire di dosso non appena si frapponeva tra gli strati caldi delle coperte. Ma il loro calore non riuscivano mai a rassicurarla del tutto.
Con uno sbruffò si sollevò dal letto, lasciando che la differente temperatura tra l’esterno del letto e le lenzuola, le procurasse la pelle d’oca.
Nives e Gwen dormivano beatamente nelle loro stanze, durante la notte la casa sembrava immersa in un silenzio tombale, rendendola così differente dalla vita che la caratterizzava di giorno.
Tentando di far meno rumore possibile si diresse nella cucina, come un robot, aprì lo sportello del frigo e chinò la testa per ispezionare il suo interno. L’occhio le cadde immediatamente su una fetta di torta che le aveva portato Nives la sera precedente, di ritorno da una festa di compleanno di un’amica del suo corso.
La fissò alcuni istanti leggermente combattuta, doveva mangiarla o no? Chiuse gli occhi e strinse tra le mani il piatto di vetro, tirandolo fuori e lo poggiò sul tavolo.
Prese una forchetta e iniziò ad assaporare il tutto lentamente, era una fetta piccola, questa volta poteva controllarsi, non c’era nessuna necessità di divorare metà frigo. E ci riuscì, mangiò con calma la sua fetta di torno e ripose il piatto nel lavandino.
Il problema arrivò dopo.
Iniziò a dirsi che forse aveva comunque sbagliato a mangiarla, che tutta quella roba sarebbe solo finita sulle sue gambe e che alla fine sarebbe diventata nient’altro che una palla.
Già la situazione non era rosea, poi iniziava anche a mangiare torte, dove l’avrebbe portata tutto questo?
Ecco l’inizio dell’ennesima guerra contro se stessa.
Ma come sempre fu debole.
Fu debole e cedette alla propria malattia.




-Ma hai dormito qua?- La voce di una Nives assonnata le arrivò alle orecchie.
Dianne fece per alzarsi ma subito si pentì. Una fitta al collo la costrinse a ritornare nella stessa posizione di pochi secondi prima. Aveva passato il resto della notte sdraiata sul divano a leggere un po’, fin quando, solo alle prime luci del mattino, non si era addormentata lentamente.
Annuì sollevando lo sguardo in direzione dell’amica, era ancora in pigiama e aveva i capelli scuri legati in una coda alta. –Non riuscivo a dormire. - Spiegò tentando di mettersi seduta, con calma.
-Io sto morendo di sonno, ma non posso dormire perché stamattina devo fare una ricerca. - piagnucolò Nives.- Che tristezza studiare di sabato. -    
Dianne le rivolse un sorriso comprensivo. –Gwen dorme ancora?-
L’altra annuì. –Sì, beata lei. -        
Si alzò in piedi, questa volta con movimenti più cauti, e sollevò le braccia a cielo, stiracchiandosi. –Adoro il sabato mattina. - Commentò con un sorriso.
-Solitamente anche io.- Rispose l’altra mentre si dirigeva in cucina, aprendo uno degli sportelli e tirando fuori una scatola dei cereali.
Nives prese due tazze e si avvicinò al tavolo, riempiendole lentamente. Intanto Dianne si era alzata, recuperando dal cassetto due cucchiai e dal frigo il cartone di latte, passandolo all’amica.
-Tu stai meglio?- esordì la ragazza mentre versava il liquido bianco nei due recipienti di ceramica e porgendone poi una a Dianne. – Mi dispiace tanto per quello che è successo l’altra sera al lago. -
 Lei sorrise. –Sto bene. – Fece una pausa posando lo sguardo sulla propria tazza, osservandola combattuta. –Raffreddata ma bene. - concluse e sospirò appena mentre immergeva il cucchiaio nei cereali.
-Sembra la storia della damigella in pericolo. - Poi le labbra di Nives si distesero in un sorriso furbo. - E Cam è stato il tuo cavaliere. -                            
-In primo luogo non è stato lui a recuperarmi, e poi… - Dianne stava per concludere la frase quando il rumore del campanello che suonava più volte la interruppe.
-Chi sarà a quest’ora di sabato?- Chiese Nives confusa. Non era l’alba, ma solitamente chi non aveva nulla da fare, il sabato alle otto di mattina, stava ancora dormendo.
-Vado io.- Disse  poi spostando la sedia e alzandosi in piedi, dirigendosi verso l’entrata.
Nives percorse lentamente il corridoio, raggiungendo la porta e girando più volte la chiave, facendo scattare la serratura, quando aprì un’espressione di sorpresa si formò sul suo viso. Era come pietrificata.
Dianne la osservò da lontano e vedendola così, si alzò in piedi, confusa.
-Cosa ci fai qui?- Dal suo tono di voce anche Nives compariva stordita.
-Nives, chi è?- Chiese Dianne dalla cucina.
-Cosa ci fai tu qui?- Sentì un’altra voce parlare, era una voce estremamente familiare e femminile. Si avvicinò velocemente alla porta e quando la vide, un sorriso enorme le si formò sulle labbra. –Jude!- Esclamò e con un movimento rapido si precipitò verso l’amica, abbracciandola.
L’altra ricambiò subito la sua stretta, però quando Dianne ritirò il volto, sembrava così pallida. - Stai bene?- Le chiese preoccupata e girò appena il viso, intercettando anche lo sguardo di Nives. Sembrava aver visto un fantasma. –Che succede?-
-Mi sto chiedendo la stessa cosa. - Disse l’altra, incrociando le braccia al petto.
-Non sapevo che vivessi con lei… -Sussurrò Jude a Nives, per poi abbassare lo sguardo.
-Aspettate, voi due vi conoscete?- Chiese nuovamente Dianne, osservandole.
Nel mentre un’assonata Gwen era appena uscita dalla sua stanza, il pigiama a con gli orsetti e i capelli sciolti.
-Anche troppo bene. –Rispose Nives. –Fammi indovinare, lei non lo sa, vero?-
Jude sembrava essersi morsa la lingua ma poi scosse la testa lentamente.
L’altra sembrava ferita. –Tutto questo è ridicolo!-
Gwen osservò la scena in silenzio, iniziando ad assumere la stessa espressione confusa di Dianne. –Ci spiegate di cosa state parlando?-
Nives distese le labbra in un sorriso amaro. –Dai Jude, spiega loro cosa succede! Sempre se non ti vergogni troppo di te stessa, come sempre. -
-Nives, per favore. - Scattò la ragazza e poi sollevò nuovamente. –Didì ero venuta qui per parlarti proprio di questo… non mi aspettavo di…-
-Di trovarmi qui?- La interruppe l’altra.
-Esattamente. -   
-Aspettate un secondo…- Gwen le osservò con maggiore attenzione, socchiudendo appena gli occhi. –Oh mio Dio. - strillò.
-Cosa??- Dianne si voltò verso di lei.
-Che dire, il mondo è davvero piccolo… -Poi si voltò verso la cugina. –Dai, prova a pensarci…-
La ragazza si voltò e osservò le due per alcuni istanti. Nives aveva una ragazza lontana e una volta le aveva detto che tutto questo per lei era più sopportabile perché anche prima tra loro c’era una grande distanza… Che quella ragazza fosse… -Jude è la tua ragazza?- Chiese incredula.
-Bingo. - Disse Nives senza entusiasmo.
-Perché non me ne hai mai parlato?!- Strillò voltandosi verso la sua migliore amica. –Lo sai perfettamente che non ti avrei mai giudicata. –
-Avevo paura Didì…- Sussurrò l’altra. – Non riuscivo ad accettare questa parte di me stessa. -
-Dai, vieni dentro, non è una conversazione da affrontare sul pianerottolo.- La incitò Gwen con un gesto della mano.
-Aspettate. – La fermò Jude girandosi verso Dianne.- Non sono venuta da sola. -
La ragazza inclinò il viso tentando di capire e non appena dalla scalinata alle spalle di Jude, vide salire qualcuno il suo cuore perse un battito.
I capelli chiari gli ricadevano in ciocche ondulate lungo la fronte, gli occhi verdi erano concentrati a osservare qualcosa che stava stringendo tra le mani. 
-Austin…- Sussurrò Dianne e al suono della sua voce il ragazzo sollevò di scatto la testa.
-Dianne!- Esclamò rivolgendole un sorrisone e aumentando il passo, le corse incontro, stringendola tra le braccia.
Nives osservò la scena, per poi voltarsi verso Jude. –Scusami per aver reagito così.- borbottò sollevando una mano e portandola sulla guancia della sua ragazza. - Mi sei mancata. -
Gwen fece una smorfia. –Oddio, penso che fra poco potrei vomitare tra tutte ste coppiette. -


Austin aveva appena terminato di portare la valigia sopra, sistemandola sul letto di Dianne, la ragazza non sapeva come sentirsi. Senza dubbio era contenta che lui fosse lì, ne aveva sentito la mancanza in quel periodo, però c’era stato qualcosa di nuovo nella sua vita e ora ritrovarsi il passato in casa la metteva a disagio.
-Resterò qui solo due giorni. –Stava dicendo il ragazzo mentre si sedeva sul letto. –Lunedì mattina riporto Jude a casa e torno a Providence.-.
Dianne annuì e si avvicinò appena a lui, sistemandosi tra le sue ginocchia. – Grazie per averla portata qui. -
Lui accennò un sorriso, sollevando una mano e portandola tra i suoi capelli, scostandoli dal viso. –Volevo farti una sorpresa, ci sono riuscito?-
Lei sorrise. –Ci sei riuscito. - Sussurrò e si chinò di poco, andando a sfiorare le labbra di Austin con le proprie, stampando su di esse un bacio.
-Mi manca così tanto averti intorno. - Disse lui mentre le poggiava le mani sui fianchi.
Dianne sospirò. –Non pensiamoci, ora sei qui e solo questo conta. No?-
Il ragazzo non le rispose, premette solo le labbra contro quelle di lei, rendendo sin da subito più profondo quel contatto. Era quasi un mese che non si scambiavano un bacio, per quanto i dubbi le avevano annidato le viscere per tutto quel tempo, quando Dianne si ritrovò in quel contatto così familiare, ci si aggrappò come se fosse l’unica ancora nella sua vita. Infondo per lei Austin era sempre stato quello, la luce ma anche il buio dell’oblio.
Qualcuno aprì la porta. –Oddio, non volevo interrompervi. -
La voce di Theo riempì la stanza e i due si staccarono. –Non preoccuparti. - Dianne gli rivolse un sorriso, ultimamente lei e Theo erano sempre coinvolti in situazioni o strane o imbarazzanti.
-Austin, lui è Theo. – Poi indicò l’amico. –Theo, ti presento Austin.-
-Finalmente posso conoscere il famoso Austin!-
Austin spostò appena Dianne in modo da potersi sollevare in piedi e stringere la mano a Theo. –E’ un piacere conoscerti. – Gli disse con un sorriso gentile.
-Devi vedere Gwen? – Gli chiese la ragazza, girandosi verso di lui.
Theo annuì. –Sì, sono qui con Cam. – fece una pausa. –Oggi pensavamo di fare un giro e volevo invitare anche te, ma…-
Theo continuò a dire qualcosa ma Dianne proprio non lo stava ascoltando, quando aveva pronunciato il nome di Cam era stato come ricevere un secchio di acqua gelida sulla schiena. Cam la metteva davanti alla realtà, anche il suo modo di guardarla le faceva capire che lui la capiva e che sapeva del suo aggrapparsi solo ad un’illusione.
Deglutì a vuoto, tentando di concentrarsi nuovamente. –Cam è qui?-
Theo annuì nuovamente. –E’ con Nives, credo. -
Lei mosse alcuni passi, uscendo dalla porta e ispezionando con lo sguardo il corridoio vuoto, Gwen era nella sua stanza così anche l’altra coinquilina. Ma dopo alcuni istanti dalla porta della camera di Nives uscì Cam.
Il ragazzo non l’aveva notata, era concentrato a scrivere qualcosa con il cellulare e a passarsi una mano tra i capelli, tirandoli indietro.
Dianne si ritrasse velocemente, entrando nuovamente nella stanza, Austin la guardava in modo interrogativo.
-Che succede?- Le chiese avvicinandosi a lei e portando una mano sulla sua spalla.
-Niente, pensavo fosse uscita Jude, sai, vorrei parlarle. – Beh, in realtà non era proprio una bugia, aveva davvero intenzione di parlare con Jude.
Lui annuì e chinò appena la testa, stampandole un bacio sui capelli. –Capisco. -
-Okay, questa stanza è un po’ affollata, io aspetto Gwen fuori. - borbottò Theo divertito, uscendo.
-Sono felice che tu ti sia fatta degli amici. - Le disse Austin improvvisamente.
Dianne annuì appena. –Sì, sono davvero persone fantastiche. -
Lui le sorrise portando le labbra contro la sua fronte. –Tu vuoi andare con loro?-
Lei scosse la testa. –No, voglio passare un po’ di tempo con te.-
                               



Gwen era ormai al suo secondo pacchetto di patatine, ma continuava ugualmente a rubarne altre dal sacchetto di Theo, riempiendosi completamente la bocca. – Sasdera hgfdvreste veasdfnire a masdcfvgngiare asda nosdfi.-.
Theo la guardò –Sei davvero molto fine, non c’è che dire.- Rise.
-Stasera dovreste venire a mangiare da noi!- Ripeté Gwen sfregando le mani in modo da far ricadere le briciole.
-Non credo sia una buona idea. - Disse Cam abbassando la testa in avanti e portandosi le dita tra i capelli.
-Perché?- Chiese lei con una faccia da cucciola.
- Forse vuole lasciare un po’ di privacy a Dianne?- Azzardò Theo.
-Ma no figurati, sai quanto mi interessa. - Rispose lui, chiudendo gli occhi.
-Invece t’interessa. - Rispose l’amico.
-Lei è scappata quando ti ha visto, era un fascio di nervi. – Disse Gwen con un sorrisone. –E ci tengo a dirti che io gufo contro la coppia Austin e Dianne, quindi, sempre forza Cam!- Disse tutta entusiasta.
Cam inarcò un sopracciglio. –Ma ha bevuto?-
-No, è così di natura. - Rispose Theo e Gwen tirò un pugno sulla spalla a entrambi. –Dai, replichiamo la cena dell’altra volta, ci siamo divertiti. -
- Solo se mi prometti che non cucinerai. - Puntualizzò Cam.




Era pomeriggio inoltrato e Dianne era riuscita a ritagliare un momento per se stessa, aveva appena terminato di fare la doccia, lasciando ricadere la massa di capelli umidi sulle spalle. Si era avvolta l’asciugamano intorno al corpo, avviandosi lentamente nella direzione della sua stanza. 
La casa era vuota, Nives, Jude e Austin erano usciti a comprare qualcosa visto che Gwen aveva telefonato informandoli di una cena.
Così lei ne aveva approfittato per farsi un bagno e tentare di rendersi presentabile, le occhiaie della notte insonne erano evidenti sotto i suoi occhi rendendo il suo viso terribilmente pallido e stanco.
Aprì l’armadio studiando con lo sguardo ogni vestito che aveva portato, quella era una cena speciale, Austin era lì, no? Quindi voleva rendersi più bella quella sera.
Anche se… Non era proprio il pensiero di Austin a renderla nervosa, era nervosa nell’immaginare lui e Cam nella stessa stanza. Non che lei avesse qualche tipo di sentimento per il ragazzo, però quando erano insieme emanavano una strana tensione che anche le persone più stupide avrebbero notato.
Scosse la testa, quella non era il momento di pensare a Cam, afferrò dall’armadio un vestitino color ruggine e se lo infilò velocemente. Aveva un taglio morbido ricadendole perfettamente sui fianchi, una fascia della stessa stoffa si stringeva leggermente in vita. Il collo a barca non dava una grande vista della scollatura, tenendo così al sicuro il suo seno inesistente.
Stava per scegliere le calza da abbinare quando fu interrotta dal suono del citofono. Dianne sollevò gli occhi infastidita, possibile che fossero già tornati? Pensò e si alzò in piedi dirigendosi alla porta.
La aprì velocemente e i suoi occhi si posarono su quelli di Cam, il ragazzo distese le labbra in un mezzo sorriso.
-Ehi, sei già qui?- Chiese Dianne, la sua vista gli provocava una strana sensazione nello stomaco.
Lui la guardò divertito. –Ti dispiace?-
Lei scosse la testa imbarazzata. –No, è che sono sola .Gli altri sono usciti, tutti. - Si guardò intorno confusa. -Vieni, entra pure. - Si scostò dalla porta, facendolo passare.
Cam la seguì lungo il corridoio e, fermandosi vicino alla porta della sua camera, fece una smorfia. –Questo posto sembra essere stato colpito dell’uragano Katrina.- commentò.
Dianne lo superò entrando nuovamente nella sua stanza. –Fidati, sono ordinata nel mio disordine. -
Lui inarcò un sopracciglio per poi sorridere. Uno di quei sorrisi che avrebbero fatto sciogliere chiunque. –Se lo dici tu.- Fece una pausa muovendo qualche passo e andandosi a sedere sulla sedia posta vicino alla scrivania. – Ti stavi vestendo? Peccato, sono arrivato troppo tardi. – Disse squadrandola malizioso.
Lei scosse la testa, cercando di non fargli vedere il sorriso che le si era formato sulle labbra e si chinò per raccogliere un paio di calze nere ricamate.
-No, queste non mi piacciono!- Commentò Cam riferendosi ai collant.
Dianne lo guardò perplessa. - E perché mai, scusa?-
-Sono troppo coprenti. Mi piace guardare le tue gambe Dee. - Rispose lui con un sorrisone.
Lei lo fulminò con lo sguardo, avvertendo il sangue affluirle alle guance come conseguenza del suo imbarazzo. –Sei un idiota. - Borbottò.
-Forse, ma almeno sono sincero. - Annuì lui sollevando l’angolo delle labbra in un sorrisetto.
-Smettila. - Dianne si sentiva a disagio quando qualcuno si soffermava a commentare o a osservare una parte del suo corpo, anche se quello fosse stato un parere positivo.
-Cosa? Non sei abituata a ricevere un complimento?- Le chiese Cam.
Stava giocando con lei e sentì le mani pruderle. – Non è questo…-
-E cosa? Non fare la modesta, sai la modestia è roba da santi e perdenti. Ed io, ad esempio, non sono nessuno dei due. -
Dianne inarcò un sopracciglio, ma tu sentilo a questo… -Ah beh. - Commentò accennando una risata.
 -Quindi è venuto a trovarti il tuo ragazzo. - Azzardò lui, prendendo a giocare con una penna.
Lei annuì, andandosi a sedere sul letto e iniziando ad arrotolare le calze tra le dita, in modo da poterle indossare con più facilità. –E’ stata una visita a sorpresa. -
Cam seguì con lo sguardo i movimenti delle sue dita, per poi portare nuovamente l’attenzione alla conversazione. –Immagino la tua gioia. -
-Cam, non iniziare. - Borbottò lei, facendo poi risalire le calze di vela lungo le gambe fermandosi improvvisamente a metà coscia. –Potresti girarti?- Disse guardandolo e indicò con un dito il fatto che dovesse sollevarsi la gonna del vestito per sistemarle un po’ meglio.
Lui aveva seguito come ipnotizzato ogni suo movimento e al suono della sua voce, sobbalzò. –Cosa? Sì sì certo. - Si voltò sulla sedia, portando lo sguardo su un punto della parete.
Dianne terminò di sistemarsi le calze, si lisciò il vestito lungo le gambe e accennò un sorriso nel vedere Cam di spalle, tutto concentrato su una crepa della parete. Gli si avvicinò lentamente, chinando poi il viso in avanti e poggiando il mento sulla sua spalla, da dietro. –Interessante quella crepa vero? Fissarla è la mia attività notturna preferita. -
-Che brutte le tue attività notturne. - Disse lui, la sua voce era divertita, però il suo corpo era rigido come un manico di scopa. Si voltò verso di lei e Dianne indietreggiò automaticamente.
Il suono di un telefono fece sobbalzare entrambi. Lei si precipitò verso il letto, estraendo dal mucchio il povero cellulare e lesse il messaggio tentando di trattenere un sospiro.
-Va tutto bene?- Le chiese Cam notando la sua faccia.
-Sì sì, è solo Austin che mi avverte che stanno tornando. -
-Dalla tua faccia sembrava che qualcuno fosse morto. - Commentò lui.
Lei sospirò profondamente facendo ricadere nuovamente il telefono sulle coperte, non sapeva definirlo, ma quel messaggio l’aveva infastidita, come se una parte di se volesse passare ancora un po’ di tempo con Cam, per conoscerlo in quel lato che forse un po’ le piaceva.
-Non voglio dire sempre le stesse cose, però…- Iniziò lui.
-No.- Lo bloccò Dianne. –Non rovinare questo momento, ti prego. -
-Non penso che quella sia la faccia di una che riceve un messaggio dalla persona che dice di amare. - Proseguì lui ignorandola.
-Come non detto. - Commentò lei, allontanandosi.
-Perchè ti arrabbi se ti porto davanti alla verità?-
- Perchè non sai niente di me.- Sbottò Dianne esasperata. Bene, fine della pausa, fine del momento "possiamo essere amici come tutte le persone normali".
-Forse non conoscerò il giorno del tuo compleanno o quando ti è venuto per la prima volta il ciclo, ma so perfettamente quello che ti passa per la testa. - Il suo tono di voce era fermo mentre sollevò una mano, indicandola. –Per Dio Dee, sei così dannatamente trasparente-.
Lei prese un respiro profondo notando quel sorriso amaro che lui aveva stampato sulla faccia - Cam, ti prego. -
-Cosa?- La sfidò lui, avanzando di qualche passo. -Devo aprirti gli occhi mia piccola Dee?- La guardava spavaldo dritto negli occhi. - Quelle che hai con lui non è reale. -
- Lo è.- Ribatté lei stringendosi le braccia al petto.
-Sai cos'è reale?- Disse Cam a denti stretti e mosse un altro passo, arrivando ad un palmo dal suo viso.
Dianne lo guardò con un'espressione interrogativa, ma lui non le diede modo di replicare e continuò.- Questo!-.
Con uno scatto veloce del corpo afferrò il suo viso tra le mani e posò le labbra su quelli di lei.
Dianne spalancò gli occhi per la sorpresa, sentì il sangue affluirle alle guance e la sua pelle fu percorsa da brividi, creandole la pelle d'oca.
Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata, se qualcuno l'avesse messa davanti alle possibili conclusioni della sua frase questa, probabilmente, sarebbe stata subito scartata.
Le labbra di Cam iniziarono a muoversi sulle sue. Dio, erano così morbide. Dannatamente morbide.  Così, sentì la tensione scivolarle via dalle spalle, mentre nel suo interno aumentava lentamente il desiderio di un contatto più profondo. Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, era in uno stato di semi-incoscienza, non riusciva a dare importanza a nient’altro.
Il vociare di Nives e Gwen, che arrivava dal pianerottolo, sembrava non preoccuparli minimamente.
Cam però, si staccò. Un sorriso sfacciato accompagnò una sua risata strozzata.
-Ricordati di questo mia cara Dee quando vorrai definire ancora reale il tuo rapporto con Agustin, Austin o come si chiama. - Le fece un occhiolino e uscì dalla stanza.


 







 

 


 

 


NdA :
Salve a tutti! Come state?
Questo capitolo è un po' più breve rispetto agli altri però penso che, nonostante la lunghezza, sia abbastanza importante visto che ci sono arrivi e delle rivelazioni!
Vi dirò che ci sto mettendo tanto per pubblicare perchè questa settimana ho degli esami, quindi, studio 24h ore su 24h. Però non mi sono dimenticata di voi e ho trovato un po' di tempo per pubblicare questo capitolo che ho scritto domenica!

Ringrazio di cuore chiunque abbia recensito e sono felice di poter sentire ancora i vostri pareri!
Ringrazio anche la mia beta, da me chiamata Gwen, la ringrazio per avermi aiutato con il capitolo. <3.

Un bacione <3





p.s. 
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Capitolo 7
*** Capitolo 7; Blind. ***


Capitolo 7; Blind









«Dal giorno in cui ti ho lasciato, sento la tua voce in ogni singolo suono, vedo il tuo volto in mezzo ad ogni folla.
Non andrà mai via.
Ma ogni volta ti sento vicina, chiudo gli occhi e ti sfioro lentamente.
Perché adesso l'unica cosa che riesco a percepire, è che tu stai meglio da sola.
»
▪Hurts▪







◊ CAPITOLO VII ◊ Blind.





-Senti- Esordì Gwen ferocemente. –Che ne pensi di aiutarmi a portare su i dolci?- Mandò un’occhiataccia, degna di questo nome, a Austin. Cavolo, lo odiava quasi. Era così prepotentemente sicuro di sé, si chiedeva da sempre cosa ci trovasse Dianne in un’idiota come lui. Insomma, lei era così solare, ironica e… e come cavolo faceva a stare con uno così?!
-Ti do una mano io.- Disse calmo Theo. Era così strano da quel pomeriggio. Aveva cambiato completamente atteggiamento nei suoi confronti. Che avesse detto qualcosa di così tanto sbagliato? Gwen cercava di rammentare, ma i suoi pensieri furono interrotti da Nives che le chiedeva gentilmente di aprire la porta del loro appartamento. Gwen, confusa, lanciò uno sguardo all’amica. Era sommersa da una moltitudine di buste di quell’odioso color Tiffany della Pasticceria Tompson, era appoggiata a Jude che sbadigliava rumorosamente.
Cercò le chiavi nella borsa e, dopo buoni cinque minuti, riuscì ad aprire la porta.
-Wuhuuu.- esordì Nives entrando tutta felice.
Qualcosa, o meglio, qualcuno catturò lo sguardo di Gwen. Era Cam. Cam Carter.
-Dianne.- era Austin. Cercava la sua ragazza, ovvio. Ragazza che era rimasta da sola con il suo occhi-blu, la stessa ragazza che stava uscendo dalla sua camera visibilmente sconvolta. Gwen lanciò uno sguardo interrogativo a Dianne, ma la ragazza pensò bene di ignorarla.
-Che avete preso di buono?- La sua voce risuonò incrinata e tremante.
-Uhh! Tantissime cose!- Le rispose Nives sorridente come non mai. Nessuno sembrava accorgersi dello stato “alterato” di Dianne.
-Stasera festeggiamo!- Jude sollevò dal tavolo due bottiglie di Rum per mostrarle alla ragazza.
Gwen sentì lo stomaco fare su e giù solo al pensiero di sentire l’odore dell’alcool. Si girò per andare a infilarsi un paio di pantofole comodissime quanto infantili, ma fu attratta dallo sguardo perso nel vuoto di Theo.
Si guardò intorno. Cam era seduto sulla poltrona con un’aria divertita, Dianne era appoggiata di spalle al ripiano della cucina e sembrava trovare molto interessante un punto indefinito del muro. Jude stava bisticciando con Austin su quale dolce avrebbe ingurgitato prima e, infine, Nives stava sgomberando il tavolo per poter iniziare a preparare qualcosa.
Senza pensarci due volte, Gwen s’incamminò verso la sua camera e, passando di fianco a Theo, lo trascinò con sé afferrandolo per il polso. Il ragazzo rischiò di cadere più volte mentre seguiva forzatamente la sua amica.
-Che cazz…- cercò di divincolarsi

Gwen lo aveva chiuso con sé nella sua camera. Ci era già stato molte volte, gli sembrava così familiare. Odorava di rose, un fiore che Gwen odiava tra l’altro.
-Che ti prende Theo?- La ragazza lo stava guardando dritto negli occhi.
-Di cosa parli Gwen?- Chiese lui interrogativo. Si era girato di spalle e stava curiosando in un cassetto di trucchi. Il fatto che nemmeno la guardasse fece imbestialire Gwen ancora di più.
-Potresti cercare di guardarmi in faccia mentre ti parlo?!- Sputò acida.
Theo si voltò. Aveva l’aria di uno che proprio non sapeva cosa dire.
-Scus…- Gwen fu, ancora una volta, più veloce.
-Se non vuoi parlarne è okay. - Fu lei questa volta a voltarsi in direzione della porta però. - Mi ero solo preoccupata- Ammise, con tono sconfitto.
Theo la fissò. Sembrava una pazza quel giorno, con i capelli disordinati, i jeans strappati e una felpa di quattro taglie più grandi.
-No, aspetta Gwen. - Sospirò.
-Cosa?- Chiese l’altra scocciata ma speranzosa.
-Sediamoci, okay?-
Erano lì, seduti su quel letto. Gwen percepiva che qualcosa la stava facendo sentire a disagio. Era una scena rivista almeno altre mille volte, lei e Theo parlavano abitualmente sul letto di entrambi, erano davvero legati, lontano da ogni aspettativa, in lui Gwen aveva trovato un vero amico.
-Ho litigato con la mia ragazza. -
Sbam. A Gwen mancò il fiato.
-Hai una ragazza?- Il suo tono era glaciale.
-Sì. - Quello di Theo era ancora peggio.
-Quando pensavi di dirmelo, Theo?- Ecco che la sua voce s’incrinava.
-Quando tu me l’avresti chiesto. - Rispose lui tranquillo.
Era una cosa che odiava di lui. Quella maledetta tranquillità che aveva nell’affrontare qualsiasi cosa.
Sospirò. -Davvero Theo?!- Chiese incredula guardandolo negli occhi. - Non mi sembra che nelle nostre quotidiane chiacchierate questo argomento non sia mai venuto fuori. - Era furiosa adesso.
Lei si era aperta con lui, gli aveva raccontato davvero tanto della sua vita. Evidentemente aveva sbagliato. Aveva sbagliato tutto sul suo conto.
-Si chiama Katy.- disse dopo qualche secondo di silenzio. Gwen rise istericamente. Un nome da stupida. Complimenti vivissimi Theo.- Ha diciotto anni e vive molto lontano da qui. Forse troppo. - Continuò fissando il pavimento.
-Perché me lo stai dicendo?- Lo interruppe lei alzandosi dal letto sospirando e avvicinandosi alla finestra. Si sentiva stanca, le facevano male le gambe e si maledisse per aver scelto i propri piedi alla comoda autovettura per recarsi ai corsi il giorno prima.
-Che ti cambia Gwen? Sono sempre io.- Theo allargò le braccia in segno di resa.
Passarono diversi secondi prima che Gwen riuscisse a rispondere. Che cosa le cambiava in effetti? Era sempre Theo, solo che aveva una ragazza.
Scosse il capo sconsolata. -Mi hai mentito. - E lei odiava le bugie. Le aveva sempre odiate. Perché diavolo la gente non poteva essere sincera?
-Tecnicamente no. Te l’ho solo nascosto. - Theo le sorrise. Era un sorriso dolce, pieno di comprensione. –Cercavo il momento giusto. - Terminò convinto.
Gwen esplose in una risata sarcastica. -Mi stai prendendo in giro?- Chiese scettica. –Non mi dovevi confessare mica di essere un serial killer!- Lo guardò esasperata.
Theo distolse lo sguardo dispiaciuto. –O forse sei anche quello?- Continuò lei dandogli le spalle.
Aveva il vizio di strafare quando si arrabbiava. Parlava, parlava, diceva cose che nemmeno pensava a volte.
Il ragazzo sbuffò rumorosamente e si alzò dal letto muovendo qualche passo incerto verso di lei.
-No Theo!- si voltò la mora – Devi rispondermi. - ordinò amara.
Ma Theo rimase muto. Gwen sentì la testa pulsare e la delusione opprimerla. Ma, prima che potesse mandarlo al diavolo, Theo l’abbracciò da dietro.
-Scusami Gwen- le soffio fra i capelli.
La ragazza, dopo un attimo di sorpresa, prese ad accarezzargli le braccia che le circondavano il petto. Passarono così un intero minuto forse, prima di scoppiare a ridere entrambi. Gwen si voltò e si guardarono negli occhi sorridenti.
-Io vog…- Theo non finì di parlare perché qualcuno entrò nella stanza.
-Ops!- Esordì Cam- Non volevo disturbare. - stava per richiudere la porta.
-Sei un coglione Cam!- disse Theo ridendo. Gwen alzò gli occhi al cielo per poi scoppiare a ridere.
Cam lanciò un’occhiata maliziosa all’amico. –Povera piccola Katy.- sospirò.
Gwen, spazientita, superò i due ragazzi e si diresse in cucina.



§




-Allora, ho pensato al cinese!- Spiegò Nives gesticolando e guardando verso gli altri.
Erano tutti lì seduti sul divano. Gwen era troppo distratta quella sera, se ne rendeva conto. Non riusciva a concentrarsi in nessun modo. Che fosse il mal di testa? O che fosse Theo? Scacciò preoccupata la seconda idea. Erano amici: a m i c i. Il fatto che lui avesse una ragazza la aveva destabilizzata abbastanza, ma alla fine era stato Theo stesso una sera a dirle “Ho sempre desiderato avere al mio fianco un’amica come te.”
Non “una come te”, ma solo “un’amica come te”. Lì per lì Gwen non aveva dato minimamente importanza alla frase. Ora invece le era stampata nella testa e sembrava non volerla abbandonare.
-Hey principessina sul pisello, ci degni della tua nobile presenza? -
Gwen trasalì. Austin la stava guardando divertito, fin troppo divertito e aveva pronunciato quella frase con disprezzo.
-Fottiti idiota. - La sua acidità fu accompagnata da un tono spietato tanto che tutti la guardarono interrogativi. Tutti tranne Dianne. Lei la capiva sempre, era abituata ai suoi sbalzi d’umore, alle sue ansie; ma soprattutto era a conoscenza del disappunto che Gwen provava nei confronti di Austin.
-Forse dovresti farti una sc…- Iniziò divertito Austin. Ma Theo fu più veloce.
-Forza Gwen, accompagnami a fumare una sigaretta. -
-Ma tu n…- Provò a controbattere la ragazza, ma incontrò lo sguardo di Dianne che era passato dall’allarmato al sollevato grazie alle parole di Theo. -
Lo faccio solo per te. Non lo uccido solo perché tu pensi di esserne innamorata.- Disse a se stessa.
-Mi unisco a voi. - commentò Cam con entusiasmo. Quel ragazzo era davvero strambo, quella sera era raggiante e i suoi occhi blu sembravano avere una luce strana. Theo fece una smorfia e i tre si diressero verso il balcone.
-Quindi Theobald ha incominciato a fumare, eh?- Cam stava portando una sigaretta alla bocca. -Me lo porti sulla cattiva strada, sai Gwen?- Rise dopo aver acceso quella maledetta cosa puzzolente.
-Non sei divertente Cam- Borbottò Theo.
Gwen non disse niente, semplicemente sospirò.
-Ti sta proprio simpatico Augustino, vero? - Proseguì Cam sarcastico.
-No, lo odio. - Ammise lei senza distogliere lo sguardo dal panorama che la circondava.
-Ma non si chiama Austin?- Chiese Theo confuso.
Cam e Gwen scoppiarono a ridere divertiti. – Non importa come si chiama, è sempre e solo un’idiota. - Sputò amara la ragazza. –E comunque, grazie Theo... - Abbassò lo sguardo -Per non aver lasciato che la situazione degenerasse. - Concluse fiera.
-Dovere. - disse tranquillo lui.
-Dovere?- chiese scettico Cam.
-Tu! - Gwen sembrava essersi risvegliata da un profondo sonno. -Dimmi un po’…- indicò Cam e gli si avvicinò -…Che cos’hai stasera? Sei raggiante, ti manca un tutù per metterti a fare le giravolte. - concluse divertita.
Theo scoppiò a ridere –Cam, ti giuro che io ti vedo con il tutù!-.
-Sta zitto. - Lo fulminò lui con lo sguardo. Schiacciò la cicca contro il posacenere e rientrò lasciando i due ragazzi increduli.
-Che cos’ho detto di sbagliato?!-
-Niente Gwen, sai com’è fatto. - disse lui stringendosi nelle spalle.
-No, veramente no.- Insistette lei.
-Dai, rientriamo. - Disse Theo avvicinandosi al balcone. Gwen lo stava seguendo quando il ragazzo cambiò idea. Girò su se stesso facendo retrofront e stampò alla ragazza un tenero bacio sulla fronte.
-Fai la brava piccola, se no sarò costretto a metterti in castigo. - Le soffiò a un centimetro dal viso facendole l’occhiolino. Gwen sentì la testa girare vorticosamente e ci vollero alcuni secondi prima che anche lei potesse rientrare.



§



Nives aveva lo sguardo basso, non che fosse triste, ma c’era qualcosa in lei, anche se in una parte meno importante, che la faceva sentire così.
Quello era stato un giorno pieno, la sua Jude era là, con lei. Però la sentiva distante.
Erano nella stessa stanza, circondate di persona, ma sembrava che ognuna stesse nella propria realtà. Doveva parlarle, ne aveva bisogno.
Posò entrambe le mani sul bancone della cucina e con un po’ di forza si spinse in avanti, con passo veloce attraversò la breve distanza frapposta tra lei e la sua ragazza, arrivandole vicino.
Jude aveva la testa china, impegnata a svuotare alcune delle buste, i capelli neri e lisci sistemati dietro le orecchie ordinatamente.
-Jude. – La richiamò Nives.
La ragazza sollevò gli occhi azzurri sul suo viso, come colta di sorpresa. –Scusami, ero sovrappensiero. – Fece una pausa, distendendo poi le labbra in un sorriso. –Dimmi tutto. -
-Dobbiamo parlare…- Mormorò l’altra.
Jude abbassò di scatto lo sguardo e annuì interdetta, Nives riusciva a scorgere l’ansia nei suoi occhi. Una parte di sé le diceva di tranquillizzarla, che non c’era motivo di stare in ansia, perché lei non l’avrebbe mai lasciata. Però non lo fece, lasciò che Jude si tormentasse, voleva farla star male almeno un po’ di quanto aveva sofferto lei nel sapere che nascondesse la loro relazione come se fosse tossica.
Superarono Cam, stravaccato sulla poltrona rossa che Nives adorava, e s’infilò nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
-Jude, ascolta…- Tentò di dire, ma l’altra la fermo.
-Lo so, sono stata pessima. Con questa ho superato tutti i limiti, dovevo dirlo a Dianne… dovrei dirlo a tutti però…- Le parole le morirono in gola.
-Hai paura. - Concluse Nives per lei.
Jude distolse lo sguardo, come se provasse vergogna di quello, e lo puntò in una parte a caso della parete. – Già… Ho paura di essere giudicata, che nessuno mi guardi più nello stesso modo. –Sussurrò a bassa voce. – Io non sono come te, non riesco a non farmi bloccare dal timore. -
-E’ quello che sei. - Disse freddamente Nives. –Dovresti smetterla di combattere contro te stessa e accettare quello che hai. - Si morse il labbro. – Perché sapere che nascondi la mia esistenza a tutti, nemmeno fossi una poco di buono, mi ferisce. –
-Non vorrei mai ferirti. - Scattò subito Jude. –Non ce la farei mai a farti del male. -
-Però lo fai. - La ragazza abbassò lo sguardo portandolo nuovamente nei suoi occhi. –Puntualmente lo fai, perché vergognandoti di te stessa, ti vergogni anche di me e non riesco a pensare di amare una persona che non accetti nemmeno l’idea di darmi affetto. -
-Non è vero! E’ proprio perché ti amo che ho paura. - L’altra si morse il labbro. –E’ difficile, okay? Per me è difficile e tu dovresti capirlo. - Fece una pausa chiudendo gli occhi, come se fosse stanca. – Per tutta la mia vita sono stata sempre attratta dai ragazzi, poi sei arrivata tu… Mi sono innamorata di te, tu per me non sei il male, tu per me sei l’eccezione!-.
Nives addolcì lo sguardo, stringendosi le braccia al petto. –Dovresti imparare ad accettarti per quello che sei. -
Jude la guardò. –Ci stiamo lasciando?- Sussurrò con un filo di voce.
L’altra scosse la testa e le si avvicinò. –Ti amo no? Non potrei mai lasciarti andare per questo, sarei una stupida e un’ipocrita. Il mio compito è quello di aiutarti e sostenerti, non ti abbandonarti davanti alle difficoltà. –
Gli occhi azzurri della ragazza si riempirono di lacrime e annuì appena. –Penso sempre di non meritare una persona come te.- Disse e le si gettò tra le braccia.
Nives la strinse prontamente portando una mano tra i suoi capelli e accarezzandoli con dolcezza.



§



Finalmente l’atmosfera si era rilassata. Era arrivato il cibo, ordinato da Nives al ristorante dietro al College. Quel ristorante era davvero carino, Gwen ne era innamorata e poi, il cinese era davvero buono. Mai come il cibo italiano, però. Le due cugine erano state più volte in vacanza in Italia dai loro adorati nonni. Avevano assaggiato la pizza napoletana, gli spaghetti, le lasagne; erano stati giorni indimenticabili per entrambe.
-Cos’è questo coso?- Chiese spaventata Jude.
-Zampe di rospo e unghia di coccodrillo insieme. - Ironizzò Nives.
-Non hai mai mangiato cinese Jude?-
-No, è la prima volta Gwen- Rispose la ragazza mentre guardava il suo piatto scettica.
Theo rise e sottrasse il piatto a Jude -Non preoccuparti, niente sarà perduto con Theo seduto a tavola!-.
-Sei imbarazzante amico mio!- Commentò Cam alla vista di Theo che mangiava contemporaneamente da due piatti. –Allora…- continuò il ragazzo –…che cosa studi Austin, e dove?-.
Mentre parlava al ragazzo, spostò lo sguardo e lo fissò in quello di Dianne. Lei sembrò ignorarlo e prese a giocare con il bicchiere di plastica che aveva davanti.
-Medicina, a Providence.- Disse Austin con un certo orgoglio.
-Che bello!- commentò Nives entusiasta. - In cosa ti specializzerai poi?-
-Coglionologgia, così capirà come curarsi. - concluse Gwen acida.
Cam non riuscì a trattenere un sorriso, ma la sua espressione cambiò quando incontrò gli occhi spenti di Dianne. Probabilmente soffriva il fatto che Gwen odiasse il suo ragazzo. Austin sospirò e cercò di mantenere un certo contegno. -Cardiologia. - rispose sorridendo alla ragazza.
-Così potrà curarsi il cuore spezzato dopo che Dianne, finalmente, l’avrà mollato. - Disse a bassissima voce Gwen a Theo provocandogli una risata. Theo però aveva la bocca piena di cibo e la risata lo fece strozzare.
-Stai bene?- gli chiese Austin preoccupato.
-S..ì.- riuscì a sbiascicare lui guardando Gwen in cagnesco. Quest’ultima gli tirava colpetti alla schiena con aria preoccupata.
-Dimmi un po’ Gwen…- L'apostrofò Jude-…Tu e Theo siete fidanzati?- Chiese allegra.
Il malcapitato ragazzo aveva appena smesso di tossire, ma quando la domanda di Jude gli arrivò addosso, riprese a farlo compulsivamente.
-No Jude.- Chiarì Gwen sorridendo. –Io e Theo siamo soltanto amici. - Scandì bene l’ultima parola visto che tutti a quel tavolo, di tanto in tanto, si concedevano delle battutine sul loro rapporto.
Dianne si alzò dal suo posto e iniziò a sparecchiare con Nives e Jude e con Gwen che le mandava occhiatacce del tipo “So che sei rimasta sola con occhi blu”.
La ragazza ricambiava con sguardi che sembravano dire “Tu e Theo siete solo amici?”.
Quando ebbero finito di sistemare, si sedettero tutti a terra in un cerchio molto approssimato. Austin passò un braccio intorno alle spalle di Dianne e lei le si posò contro il suo petto.
-Ubriachiamoci allegramente!- Propose Jude tutta entusiasta sollevando per la seconda volta la bottiglia di rum. Gwen portò gli occhi al cielo disperata.
-Okay. - Esordì Cam- Mandiamo Gwen a letto. - Sghignazzò.
-Dai. - azzardò la diretta interessata -Facciamo un gioco. -
Austin diede un bacio tenero sulla fronte a Dianne e l’abbracciò. –Perché io e te non ce ne andiamo a letto?-Il suo tono era dolce, ma il volume era stato tale che sentissero tutti i presenti. Probabilmente anche Dianne se ne era accorta.
Passò qualche secondo prima che Nives cercò di sdrammatizzare. –Okay…- Erano stati secondi interminabili in cui tutti i presenti avevano trovato davvero interessante come non mai fissare il pavimento. –…Magari Austin e Jude saranno stanchi per il viaggio. - Azzardò. -Potremmo rimandare tutto. - Provò a dire la ragazza con un tono teso.
-Okay. - disse duro Cam. Si alzò velocemente dal pavimento e afferrando il suo giubbotto di pelle disse – Tanto io avevo un impegno. - Theo lo guardò titubante e Cam se ne accorse perché, alle suo occhiate interrogative, rispose con un –Me ne ero dimenticato. - e uscì dalla casa senza nemmeno salutare.
Dianne si alzò sospirando e scomparì in corridoio seguita dal suo “ragazzo” e dopo qualche minuto fu il turno di Nives e Jude. -Beh... -incominciò Jude imbarazzata. -Noi, è meglio che andiamo. -
-Dobbiamo chiarire molte cose e... - Cercò di concludere Nives ancora più a disagio.
-Tranquille!- esclamò Gwen. – Non abbiamo cinque anni, capiamo. - Disse convinta facendo un occhiolino alle due.
Per tutta risposta Jude e Nives si avviarono per il corridoio, ma a un certo punto quest’ultima cambiò idea e tornò indietro. -Fate i bravi voi due. - ammiccò verso l’amica.
Gwen le lanciò un’occhiataccia prima di vederla salterellare verso la sua stanza.
-Vado anch’io Gwen.- disse Theo alzandosi.
-No. -
-Cosa?-Chiese lui con un’aria davvero sorpresa.
Maledettissima bocca. Maledettissimo cervello non connesso. Aveva parlato ancor prima di pensare, era stato tutto così spontaneo, e adesso aveva Theo che la fissava interrogativo. Non sapeva cosa inventarsi, anche perché non era esattamente a conoscenza del motivo che l’aveva spinta a dire quel “no” così deciso. Lei non era mai decisa in niente, in nessun campo, non sapeva scegliere nemmeno cosa mangiare fra una mela e una banana. Quindi ora, nella sua mente, regnava il caos più totale.
-Ehm... -Cercò di prendere tempo.
-Accompagnami alla macchina, ti va?- Le chiese lui, togliendola dall’imbarazzo totale. Si alzò deciso e si diresse verso la porta. Gwen era ancora abbastanza confusa e ci volle un po’ a carburare tutto.
-Oh, arrivo. -
Si chiusero nell’ascensore insieme a due ragazze molto poco vestite. Theo era appoggiato contro la parete di metallo e Gwen sostava davanti a lui di spalle. Di fianco a loro, le due erano intente a fotografarsi in pose equivoche da ogni angolazione. Gwen si sentiva davvero a disagio, non le era mai successo di sentirsi così in presenza di Theo. Aveva lo stomaco in subbuglio e le mani sudate, non riusciva a pensare lucidamente e intanto si torturava il labbro inferiore con i denti.
-Sul serio Gwen…- Gli sussurrò Theo all’orecchio. -Dovresti stare più rilassata. Sei parecchio strana stasera. -
-Che dici? Non è vero. - Cercò di controbattere lei. Come si era capovolta la situazione? A inizio serata era lui a essere strano, e maledizione, adesso era lei a comportarsi da vera cretina.
-Ah ah ah.- Scandì Theo posando la sua grossa testa sulla spalla di lei. -Sei davvero pessima a dire le bugie. Non l’hai mai fatto, non vedo perché cominciare stasera. E poi tu odi le bugie. -
-Hai ragione…- fece per voltarsi, ma il dlin dell’ascensore l’avvertì che erano arrivati al piano terra.
S’incamminarono verso il portone principale e Gwen armata di coraggio cercò di continuare. -Solo che, non lo so, non sono così in forma stasera. - Disse stringendosi nelle spalle. Scesero i pochi gradini che portavano al marciapiedi in silenzio e si avvicinarono all’auto di Theo.
-Secondo me non è questo…- Ma Theo non terminò la frase perché la classica suoneria del suo telefono prese a suonare a tutto volume. Il ragazzo estrasse il cellulare dalla tasca e staccò la chiamata con un’espressione che andava fra il confuso e il sorpreso. Gwen non riuscì a decifrare se era contento di quella chiamata o scocciato.
-Ne parliamo un’altra volta, ora devo proprio scappare. - La liquidò lui aprendo lo sportello dell’auto.
Scappare? E dove?
-Oh.- cercò di mantenere un’aria rilassata. - Certo Theo, grazie di essere venuto. -
Il ragazzi non staccava gli occhi dal cellulare, forse non l’aveva nemmeno ascoltata. Gwen si sentiva così stupida a stare lì impalata.
-... Certo, a domani. - Tagliò corto lui, aprendo lo sportello.
Ti costerebbe così tanto staccare gli occhi da quel cacchio di coso e guardarmi in faccia?” avrebbe voluto davvero dare voce ai suoi pensieri, ma come sempre decise di trattenersi. Fece qualche passo indietro, verso i gradini e non riuscendo a tenere a freno la lingua lo chiamò. La sua voce era suonata davvero male, come un lamento, ma Theo non staccò lo stesso gli occhi dal display del cellulare.
-Mhh?- si limitò a rispondere.
-Vai piano. - concluse lei secca. Fece per voltarsi ma finalmente il viso di Theo si girò nella sua direzione.
-Tranquilla. - Le fece uno dei suoi sorrisi perfetti e rassicuranti e s’infilò in macchina.
Gwen rientrò così velocemente che nemmeno si rese conto di essere passata dall’esterno del palazzo all’interno dell’ascensore.
Sospirò rassegnata mentre sentiva qualcosa incrinarsi nel petto. Si infilò nel suo letto nel silenzio più totale e appena chiuse gli occhi un suono glieli fece riaprire.
-Maledetto cellulare.- imprecò con la voce impastata dal sonno. Allungò di controvoglia la mano sul comodino e nel buio della sua stanzetta vide la notifica sul display del telefono.
Theo: Buonanotte.
Sbloccò il cellulare e rispose velocemente nel modo più freddo che le riuscisse.
Gwen: a te.




§




Dianne si chiuse la porta della sua stanza alle spalle, sollevando lo sguardo in direzione di Austin. Lui era girato di schiena ed era impegnato a sfilarsi via il cardigan che aveva indossato sulla camicia.
-Austin…- Esordì muovendo qualche passo nella sua direzione.
Il ragazzo si voltò verso di lei al suono della sua voce, lo sguardo era fisso sul suo volto.
-Era necessario fare così?-
-Così come?- Chiese Austin sorpreso.
-Ti conosco, non fare l’ingenuo. -
-Dianne, non ce la facevo a restare in quella stanza. - sbuffò lui. –Tua cugina non fa altro che darmi addosso, la mia tolleranza ha dei limiti. -
-Sei abituato all’atteggiamento di Gwen, ha sempre fatto così! –Esclamò lei. –Nives stava tentando di essere carina, come Theo e come…-.
-Cam?- Concluse lui per lei, il suo tono era carico di ironia. –Ti prego, Dianne, mi credi così ingenuo? –
Lei restò di stucco. –In che senso?-
-In confronto alle sue occhiate, quelle di Gwen sembravano dolci. - Commentò Austin, gettando la maglia sul letto.
-Lui ha dei modi di fare un po’ così…- Tentò di giustificarlo Dianne, sollevando una mano che portò tra i capelli. –Non ha niente di personale verso di te.-
Non capiva nemmeno per quale motivo tentasse di difendere Cam, però dopo quello che era successo quella sera si sentiva talmente stordita che avrebbe voluto restare da sola. Buttare la testa sotto il cuscino e capire cosa stava accadendo.
-Davvero Dianne?- Chiese lui, sorridendo amaramente.
-Davvero. - Replicò, deglutendo a vuoto.
-Come sei ingenua. - Austin sollevò gli occhi al cielo e si voltò verso di lei. Ecco che la guardava in quel modo che Dianne tanto odiava, la faceva sentire una bambina stupida incapace di pensare. Troppo sciocca per fare qualsiasi cosa.
-Non sono ingenua. –Replicò lei, tentava di tenere sotto controllo il tono della voce. – Sei tu che vedi cose che non esistono. -
-Mi stai dando del visionario?- Lui sembrava irritato.
-Ti sto solo dicendo che…- Tentò di dire lei ma Austin la bloccò.
-Di dire cose? Devo sempre venire ad aprirti gli occhi perché da sola non ci arrivi?-.
Dianne si sentì mancare l’aria, quelle frasi scaturivano in lei solo ricordi dolorosi. –Piantala. –Disse a denti stretti.
-Come prego?- Replicò lui.
-Ho detto che devi piantarla. - Questa volta il tono della sua voce era più alto. –Sinceramente non ho bisogno che tu venga qui a dirmi quanto sono ingenua e idiota, non è questo che fanno due persone che stanno insieme. -
Austin sembrò sorpreso, forse era una delle poche volte che lei gli dava contro.
-Sono stanca Austin, tu sei il mio ragazzo, non mio padre. Devi seriamente smetterla di trattarmi così.- Dianne si morse un labbro, tentando di tenere la voce più ferma possibile.
Lui scosse la testa, incredulo. –Ma ti hanno fatto il lavaggio del cervello per caso? Cosa stai farneticando? Io mi faccio tutti questi chilometri solo per te e tu passi il tempo a difendere un cretino che conosci da quando? Un giorno?-
-Non si tratta di Cam! Io non sto parlando di lui, diamine, perché non lo capisci?- Urlò esasperata.
-Non urlare. – La ammonì lui, il suo tono era gelido.
Dianne prese un lungo respiro, sospirando profondamente. –Non voglio litigare con te. – Gli disse avanzando di qualche passo, in modo da potergli arrivare vicino. –E’ l’ultima cosa che vorrei…- Abbassò lo sguardo portandolo sulle sue mani. –Però prova a capirmi…-
-Non c’è niente da capire. - Tagliò corto lui.
- Che significa?-
-Quello che ho detto?- Replicò Austin come se stesse a confermare l’ovvio.
Lei sospirò profondamente, tentando di non lasciarsi prendere troppo dalle emozioni. –Austin…-
-Perché devi fare così?- Domandò lui esasperato. –Pensavo ci tenessi a noi. -
-Certo che ci tengo a noi!- Esclamò lei infastidita da quelle parole, aveva sopportato di tutto solo perché amava quella testa di cazzo.
-Mio padre aveva ragione. – Ammise lui, deluso.
-Cosa?-
-Ha sempre detto che meritavo di meglio. -
Dianne avvertì quelle parole come un coltello che le si affondava dritto nel cuore. Come poteva dire una cosa del genere? Come poteva ferirla in quel modo?
- Ha sempre detto che non eri all’altezza. - Proseguì il ragazzo, sembrava stanco.
-Allora perché sei qui?- Dianne era convinta che la sua voce sarebbe stata rotta o almeno debole, invece le uscì fredda come il ghiaccio.
- Perché dopo tre anni non posso rinunciare a quello che abbiamo. -
Lei si morse il labbro, sospirando scetticamente. –Però pensi che tuo padre abbia ragione, che non mi consideri all’altezza del tuo intelletto sopraffino o del tuo fisico da macho?- Scattò. –Perché stai con me se mi disprezzi così tanto? Eh? Perché non te ne trovi un’altra all’altezza delle tue innumerevoli capacità?-.
-Dianne… io non volevo…- Tentò di giustificarsi lui.
-No, tu lo volevi eccome. - Tagli corto lei, puntando gli occhi in quelli verdi di Austin. –Tu lo fai di continuo. -
Il ragazzo sospirò arrivandole vicino e portando entrambe le mani sulle sue spalle. –Mi dispiace… ho perso il controllo. - Sussurrò.
Dianne alzò il viso tentando di ricacciare le lacrime che reclamavano di uscire. – Va bene, andiamo a dormire. Non pensiamoci più. –
E per l’ennesima volta metteva l’amore per lui, davanti a quello per
se stessa.















NdA :
Questo capitolo, definito anche "il parto", è un po' differente. In parte perchè vediamo protagonista Gwen e la sua situazione con Theo, come finirà tra questi due? EHEHEH.
C'è un'altra novità in questo capitolo, non l'ho scritto da sola haha! E forse si noterà in alcuni punti, è stata la ragazza su cui si basa il personaggio di "Gwen" a stenderne una parte, si potrebbe dire che lei ne ha scritto l'80% e io il 20%!
La ringrazio di cuore per questo aiuto e ringrazio di cuore chiunque legga e recensisca questa storia, siete davvero gentili, sono felice di poter sentire ancora i vostri pareri! <3


Un bacio, S.





p.s.
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Capitolo 8
*** Capitolo 8; Temporary Bliss. ***


Capitolo 8








«Io so qual è il mio posto,
in fondo non sono perso per sempre
. »
▪Snow Patrol▪






                           
                           ◊ CAPITOLO VIII ◊ Temporary bliss..





N
on c’era cosa che Dianne odiasse di più come le vacanze per il giorno del Ringraziamento. Odiava starsene sommersa dai parenti che continuavano a starle addosso tartassandola di domande di cui forse a loro non interessava nemmeno la risposta.
Lei e Gwen avevano passato gli ultimi tre giorni completamente soffocate dai loro familiari e dai tacchini ripieni. Le loro madri sembravano impazzite per quanto cibo riuscivano a tirar fuori ogni giorno, sul tavolo avevano riposto di tutto: sformatini di zucca, panini al burro, una quantità industriale di salsa di mirtilli, come contorno, oltre alle pannocchie arrostite, non potevano mancare le patate dolci e, per concludere, la torta di zucca e la torta di noci pecan e sciroppo d’acero.
Non si aspettava di essere così felice di ritornare al college. Quel giorno aveva riempito la valigia di quelle poche cose che aveva portato con sé, riempiendo lo spazio rimanente di cibo e vestiti di cui l’aveva caricata sua madre. Era stato strano ritornare a casa, rivedere i luoghi dove era cresciuta e capire di non averne sentito per niente la mancanza.
In più distaccarsi dal mondo le aveva servito un bel po’, per quanto non volesse ammettere, tornare a casa era stata una manna dal cielo. I giorni che Austin aveva passato con lei al college erano trascorsi abbastanza velocemente, nonostante alcune discussioni, però Dianne lo sapeva, qualcosa tra loro era cambiato. E lui sembrava cieco davanti a questo dettaglio. O forse qualcosa era cambiato solo per lei?
E poi c’era Cam. Si era ritrovata a pensare a lui più di quanto volesse ammettere, spesso il ricordo del loro bacio l’aveva tenuta sveglia la notte. Ma il punto era un altro, cosa significava tutto quello? Dianne ne era ormai convinta, lui l’aveva baciata solo per dimostrarle che aveva ragione. Era uno stronzo, ricorreva a tutti i mezzi pur di far avvalere le sue considerazioni.
Però lei avrebbe potuto respingerlo e mandarlo via… e invece aveva ricambiato. Eccome se lo aveva fatto, si era trovata a desiderare di più da qualcuno che probabilmente ora stava ridendo di lei e non dal suo ragazzo. Anzi, con l’altro ci aveva solo litigato e infiammato gli animi.
Ma ora la piccola vacanza che l’aveva portata fuori dal mondo, stava per finire, lei e Gwen dovevano ritornare a Princeton.
Era felice di rivedere Nives, la sua coinquilina le era mancata da morire, Jude le aveva detto che lei era già ritornata al college, quindi al loro ritorno l’avrebbero ritrovata.
Austin non aveva passato il ringraziamento nel Vermont, inizialmente Dianne ci era rimasta un po’ male, dopo i due giorni tesi voleva rivivere la tranquillità della loro storia, ma poi si era detto che forse era meglio così. Perché più tempo avrebbe passato con lei, più avrebbe capito che qualcosa non andava… E si tormentava già abbastanza per il bacio di Cam, infondo era stato lui a baciarla, non andava considerato tradimento… o no?
-Dianne, sei qui?- Gwen entrò nella sua vecchia camera, richiamando la sua attenzione.
- Sì, ho quasi fatto. –Rispose distrattamente richiudendo la cerniera della valigia.
-Devo dirti una cosa. - Disse l’altra seria.
Dianne sollevò di scatto la testa con un’espressione preoccupata sul viso. –Che succede?-
Gwen prese a giocare con il bordo della sua maglietta. –Beh….- fece una pausa, stampandosi poi un sorrisone sulle labbra. –Ho trovato un modo più comodo di viaggiare, invece del treno!-
Lei inarcò un sopracciglio. –Dalla tua faccia sembrava che fosse morto qualcuno!-.
-Ehi! Ho dovuto lasciare la mia adorata stationwagon a Princeton!- Sbuffò l’altra. –Sento la mancanza della mia bambina. -
Dianne alzò gli occhi al cielo. –Potresti arrivare al punto?-
-Faremo il viaggio di ritorno con Theo. – Disse raggiante.
-Cosa ci fa in Vermont? – Chiese l’altra curiosa.
-Non sta in Vermont. E’ di strada, lui e Cam sono del Maine... - Spiegò.
-Aspetta. - Dianne si morse l’interno guancia, tentando di non mostrarsi nervosa. –C’è anche Cam con lui?-
Gwen annuì.
-Te lo puoi scordare il treno va benissimo. - Sollevò la valigia, dirigendosi verso la porta.
-Eddai.- Piagnucolò l’altra.
-Gwen no, tu puoi anche andare con loro, io prenderò il treno. –
Gwen la guardò sospettosa. –Che mi sono persa?- Disse con un sorrisino.
Dianne avvampò. –N...niente, figurati. -
-Theo ci resterà male, penserà che ce l’hai con lui. - Continuò l’altra.
-Theo non c’entra. - Replicò Dianne.
Il sorrisetto sulle labbra di Gwen si estese ulteriormente. –Bene, allora non ci sono problemi. -
-Uffa, il treno è tanto comodo. – Protestò Dianne.
Gwen sollevò esasperata per l’ennesima volta lo sguardo in direzione della cugina. –Dai, è di strada, meno inquinamento e poi viaggiare in compagnia è sempre più bello. -
La ragazza sbuffò. –Ma tu viaggi in compagnia, ci sono io!-
-Dee, smettila di fare i capricci e scendi giù. -
-Non chiamarmi così!- Scattò subito Dianne, come morsa da un insetto.
Gwen sollevò l’angolo delle labbra. –E perché mai?  Può farlo solo Cam?-
Dianne la ignorò e uscì dalla stanza, tentando di sembrare più indifferente possibile.
Okay, la situazione era del tutto indefinita.



§



Gli abbracci di sua madre sembravano delle mosse di Karate prosciuga ossigeno, la stava stritolando così forte che Dianne quasi non riusciva più a respirare.
-Fate attenzione, siate prudenti… non bevete e non…-
-E non accettate caramelle dagli sconosciuti, ricevuto. – Concluse per lei la mora, stringendo le dita contro la maniglia del troll, sollevandola verso l’alto.
Alzò lo sguardo, Gwen continuava a spostare gli occhi dal suo telefono alla strada, sembrava terribilmente nervosa, come se tutta la gioia di poco prima fosse sparita.
-Tutto bene?- Azzardò Dianne arrivandole vicino.
-Che?- Strillò l’altra colta di sorpresa. –Sìsì, una meraviglia. - La liquidò con un gesto della mano.
-A me non sembra…- Mormorò la ragazza inarcando un sopracciglio.
-Non so e se mia madre ora inizia a pensare che sto con Theo? E se vedendolo tutti potrebbero farsi delle strane idee?- Gwen sembrava impazzita.
-Ma cosa stai farneticando. - La ragazza aggrottò maggiormente la fronte. –Gwen, te ne stai andando nel panico senza motivo, è Theo, mica uno sconosciuto sbucato dal nulla e poi perché tua madre dovrebbe pensare che state insieme?-
Lei parve non averla proprio sentita. –Oddio, devo andare in bagno. -
Dianne afferrò la cugina per le spalle, puntando i suoi occhi in quelli di lei. –Ora le cose sono due, o ti dai una calmata o ti tiro una sberla. -
Gwen sembrò riprendersi dal suo momento di follia. –Scusami, ho avuto un attimo di panico. -
L’altra annuì lentamente, guardandola con lo sguardo di chi la sapeva lunga. –Quindi, tu e Theo siete amici. -
-Ovvio, solo amici. - Annuì convinta la ragazza.
-E tu stavi per morire d’infarto perché…?-
-Ti odio!- Esclamò esasperata Gwen.
-Oh, non è vero. - Disse compiaciuta Dianne ritirando la presa sulle sue spalle e mettendo le braccia conserte. –Sei cotta. -
-Senti. - Si schiarì la voce Gwen. –E’ fidanzato. - Chiarì, come se quello fosse un motivo per non provare interessi nei confronti di Theo.
-E quindi? Le relazioni finiscono, mica sono sposati. - commentò Dianne.
-Questo vale anche per te e Austin?- Controbatté la cugina.
Dianne restò completamente spiazzata, cercando in fretta di formulare una risposta nella sua testa. Ma un SUV nero che svoltava nel suo vialetto, la salvò.
La macchina era talmente enorme che faceva sembrare il viale minuscolo, in più i vetri erano oscurati.
Dianne inclinò il viso tentando di scorgere chi ci fosse alla guida, ma quando lo sportello del passeggero si aprì, un’espressione confusa le si formò sul viso.
Una ragazza dai capelli lunghi e biondi stava scendendo dall’auto, il suo sguardo sembrava contrariato mentre si stiracchiava le braccia intorpidite dalle ore di macchina. Era Alyssa, la sorella di Theo.
Si voltò nella loro direzione e fece una smorfia. - Sono già qui. - Disse a qualcuno nell’auto e nello stesso istante scattò la chiusura del bagagliaio, sollevandosi poi lentamente verso l’alto.
La testa di Theo sbucò dal finestrino del guidatore, aveva un sorriso allegro stampato sulle labbra. –Mettete le valigie dietro. - Disse. –E’ bello rivedervi!- Aggiunse poi e il suo sorriso si allargò mentre il suo sguardo si spostava su Gwen che fingeva di essere totalmente affascinata da una pietra.
Dianne aggrottò le sopracciglia nel vedere quella reazione da parte della cugina e avanzò di qualche passo, tirandosi dietro il troll.
Mentre passava vicino all’auto, uno degli sportelli si aprì, costringendola a indietreggiare bruscamente, per non farsi colpire.
-Dovresti fare più attenzione. – Le disse Cam, scendendo dall’auto e passandosi una mano tra i capelli, mentre le rivolgeva uno di quei sorrisi ai quali non potevi restare indifferente.
-Tu potresti anche guardare prima. - Ribatté lei e in risposta ricevette uno sguardo che le bruciò la pelle.
Era uno sguardo così intenso che Dianne si sentì talmente piccola e vulnerabile da distogliere gli occhi, per poi notare un sorrisetto compiaciuto formarsi sulle labbra del ragazzo.
-Cam.- Lo richiamò Alys. –Ti siedi dietro con me?- Il suo tono sembrava smielato e supplichevole, Dianne dovette reprimere l’impulso di alzare gli occhi al cielo.
Cam non le rispose subito, poi però annuì. –Certo. - Disse voltandosi nella direzione di Gwen che intanto faceva la bella statuina davanti al porticato. –Gwen, siediti al mio posto… Ma cosa ci fai ancora lì?-.
L’altra sollevò lo sguardo come se si stesse ridestando da un sogno e partì come un razzo nella direzione dell’auto. –Ciao a tutti. –Esordì allegra, ma Dianne capì subito che era il tono più falso che avesse a sua disposizione. –Come sono andate queste vacanze?-
Alys non le rispose, infilandosi nuovamente nell’auto, mentre Cam fece spallucce. –Direi bene. -
-La sorella di Theo sprizza una simpatia…- Commentò sotto voce Gwen.
-Sh, ha un udito formidabile. –La canzonò lui con un sorriso.
-Fatto. – Li interruppe Dianne un po’ affaticata, per via della valigia che aveva appena sollevato nel bagagliaio. - Dove mi siedo?-
-Dove vuoi, anche sul tettuccio va bene. - Le rispose Cam.


Finalmente erano partiti, Theo era alla guida e Gwen se ne stava rigida come un mazzo di scopa al suo fianco. La situazione dietro non era migliore, Alys e Dianne erano entrambe sedute vicino al finestrino mentre Cam se ne stava nel mezzo.
C’era un silenzio tombale.
A sorpresa di Dianne, fu Alys a parlare. -Allora, cosa facciamo stasera?- Chiese.
-Alys, non penso che arriveremo entro stasera. – Le rispose Theo guardandola dallo specchietto. –Manca un sacco e siamo ancora in Vermont.-.
Lei sbruffò. –Ma io sono stanca di viaggiare. – Si lamentò. –Fermiamoci da qualche parte per la notte. - Propose poi.
-Non credo sia una buona idea. - Proseguì Theo. –Ci metteremo un sacco di più. -
-Però almeno arriveremo riposati e non tutti acciaccati. - Questa volta fu Gwen a parlare e Theo sorpreso voltò il viso verso di lei.
-Sì ma…- Il ragazzo tentò di dire.
-Cosa c’è che non va?- Gli chiese Dianne, sporgendosi appena sul sedile posteriore, sfiorando con la gamba quella di Cam. Aveva ben pensato di tenersi a distanza di sicurezza, per questo stava passando il viaggio spiaccicata contro il finestrino.
-E che avevo promesso a Katy di chiamarla su Skype.- Ammise lui sconsolato. –E…-
-Ma lei di preciso dove sta?- Chiese nuovamente Dianne sinceramente curiosa.
-Quante domande Dee. - Commentò Cam, voltandosi appena verso di lei con il suo solito sorrisetto stampato sulle labbra.
Lei lo ignorò tentando di concentrarsi solo sulla risposta di Theo. –In Gran Bretagna.- Disse lui, stringendo con forza le mani contro il volante.
-Wow…- Mormorò la ragazza sinceramente sorpresa. –Non credevo fosse così lontana. -
-Non lo credevi perché lui non ha mai avuto la premura di dircelo. –Commentò Gwen acida.
Nell’auto calò nuovamente il silenzio, solo che questa volta era alquanto imbarazzante.
Theo ignorò le parole di Gwen e premette le dita contro il tasto di accensione della radio, le note di una canzone di Anastacia riempirono lo spazio. (Questa canzone)
Dianne si accasciò contro il sedile, girando il volto verso il finestrino, concentrando la sua attenzione verso il paesaggio che si trovavano ad attraversare, canticchiando sotto voce. -Stuck on the wrong side of heaven but I did it to myself…-
Sentì la gamba di Cam premere contro la sua. –Ti piace?- Le soffiò tra i capelli e lei percepì il suo respiro sulla sua pelle.
Dianne colta completamente di sorpresa, sbattè più volte le palpebre per poi capire che il ragazzo si stesse riferendo alla canzone, così annuì. –Sì.- Fece una pausa girando il viso e le si fermò il fiato in gola quando si rese conto della poco distanza tra i loro volti. –A te?-
-Non sono un amante della musica moderna, però lei è una tosta. - Rispose lui e abbassò gli occhi azzurri, portandoli nei suoi con un sorriso sulle labbra.

Now I know what love is worth in a broken world.

Dianne non ne capiva il motivo, ma in quel momento non riuscì a distogliere lo sguardo, gli occhi di Cam catturavano i suoi come se fossero due calamite.

But I can’t get past the hurt.

Era come se gli altri fossero spariti, percepiva solo la sua presenza e il suo respiro caldo che le si posava sulla pelle, perché quel ragazzo le faceva quell’effetto?

‘Til I give up on these stupid little things.

Eppure non poteva permetterselo di sentirsi così, quel batticuore non era giusto, non poteva permettere al suo cuore o alle sue vene di infuocarsi in quel modo. Lei stava con Austin, lei amava lui.

I’m so hung up on these stupid little things.

Cam era solo una distrazione, era qualcosa di sbagliato, doveva capirlo…

That keep me from you.

Eppure… Quegli occhi le provocavano sensazioni di cui nemmeno ne sapeva l’esistenza.

-Theo, cambia stazione, non la sopporto questa canzone!- La voce di Alys le piombò addosso, riportandola alla realtà, però sembrava aver avuto lo stesso effetto anche su Cam visto che aveva distolto bruscamente lo sguardo e ora si guardava intorno leggermente spaesato.
-Allora. – Si schiarì poi la voce, rivolgendosi a Theo. –Che facciamo, ci fermiamo?-
-Mettiamolo ai voti. - Rispose il ragazzo tenendo lo sguardo sulla strada.
-Io dico di sì.- Disse prontamente Alys.
-Concordo. – Annuì Gwen, durante quel viaggio era diventata estremamente silenziosa, cosa al quanto strana visto la sua personalità. Solitamente la ragazza si rivelava un’ottima compagna di viaggio e non una mummia imbalsamata che sembrava star lì come soprammobile.
Dianne la guardò confusa, per poi parlare anche lei. –Per me è uguale. -
-Andiamo Dee. - La incitò Cam. –Sì o no?-
-Per te?- Chiese a sua volta.
Lui le si avvicinò arrivandole a un palmo del viso, sussurrandole sotto voce. –Dai, lo so che muori dalla voglia di stare in motel con me nella camera affianco. -
-Perché devi essere così idiota?- Rispose Dianne alzando gli occhi al cielo.
-Deciso Theo, cerca un Motel, ci fermiamo. – Disse Cam ritornando a sedersi composto con un sorriso trionfante.


§


Quando Dianne aprì la porta della stanza, pensò che le sarebbe caduta addosso. Era piuttosto vecchia e malconcia, tra i tanti motel, Theo, aveva trovato il peggiore. Però preferiva stare lì che in quell’auto, erano state ore interminabile, si era trovata a pregare che facesse presto notte, così ci sarebbero stati più di poche centimetri tra lei e gli altri… o meglio, tra lei e Cam.
Gwen era dietro di lei, sembrava incazzata con il mondo intero mentre si tirava dietro la valigia come se pesasse quanto una piuma.
-Questo posto fa schifo!- Sbraitò a mo’ di pazza, guardandosi intorno. –Theo è un’incapace, guarda dove ci ha portati. - Sbuffò incrociando le braccia al petto.
Dianne la guardò perplessa. –Stai bene?- Le chiese dubbiosa.
-Sì!- Esclamò lei.
-Non sembra…- Azzardò l’altra. –Ti è venuto il ciclo?-
-Dianne!- Borbottò lei. –Sto bene, sono solo stanca. - Aggiunse poi lasciandosi ricadere sul letto che scricchiolò sotto il suo peso.
Alys irruppe nella stanza, la solita espressione da donna condannata al patibolo sul volto. –Dovrò dividere la stanza con voi. - Disse scocciata. –Menomale che è una sola notte. -
-Guardate, siete talmente socievoli e di compagnia che mi fate salire la voglia di andarmene a dormire in macchina. – Sbuffò Dianne, per poi raccogliere alcuni indumenti dalla valigia e chiudersi in bagno.
Aveva il bisogno di farsi una doccia e in più non tollerava quelle due, sembravano avere il ciclo perenne.
Aprì l’acqua, lasciando che si riscaldasse e si spogliò lentamente per poi infilarsi nel box di plastica malconcio.
Odiava passare ore a rimuginare, soprattutto in momenti rilassanti come quando l’acqua le cadeva addosso massaggiandole ogni muscolo teso del suo corpo, così decise di sgombrare la mente e godersi semplicemente quell’attimo.
Però quando passò il sapone sulle mani, notò una sensazione di bruciore sul dorso, costringendola così ad abbassare lo sguardo. Era abituata alle nocche dell’indice e del medio che solitamente le si arrossavano, era un po’ una cosa normale visto quello che si trovava a fare praticamente dopo ogni pasto, delle volte tentava di non far sfregare i denti contro quelle zone, ma era inevitabile.
Solo che questa volta era diverso, quella parte di pelle era completamente escoriata, creando alcuni rivoli di sangue. Era solo un promemoria, Dianne lo sapeva di aver esagerato durante il Ringraziamento, aveva dato sfogo alla sua malattia dopo ogni pasto, e quei graffi sulle nocche ne erano il ricordo.
Scrollò le spalle cercando di non pensarci e, dopo aver chiuso l’acqua, si precipitò fuori dalla doccia.
Non impiegò tanto a rivestirsi, indossò un paio di jeans a sigaretta e una felpa azzurra con su scritto “Princeton”, dopodiché uscì dal bagno.
Le sue allegrissime compagne di stanza se ne stavano una da una parte e una dall’altra, Alys continuava a parlare a telefono mentre Gwen fissava il soffitto distesa sul letto.
-Ragazze…- Tentò di dire in un sussurro, voleva avvisarle che usciva a fare due passi.
Entrambe spostarono di scatto lo sguardo su di lei, fulminandola. – Okay, okay, come non detto. – Borbottò e uscì fuori.
L’aria fresca del tramonto le accarezzò la pelle, nonostante fosse novembre, quella sera il clima non era poi così rigido.
Sentì delle voci provenire da una stanza, ci mise tre secondi a capire che si trattassero di Cam e Theo. La loro porta era socchiusa, dando modo a chiunque passasse di origliare i loro discorsi. Dianne fu tentata di allontanarsi, non era corretto, ma poi la curiosità ebbe la meglio, così si accostò con le spalle al muro, tentando di assumere un atteggiamento indifferente.
-E’ un casino enorme. –Stava dicendo Theo.
-Amico, tu ti preoccupi troppo. - Era la voce di Cam.
-Non è vero e su questo la pensiamo allo stesso modo, oppure non ti comporteresti così.-
Sentì Cam sospirare e poi un rumore di passi che si avvicinavano alla porta.
Dianne con uno scatto veloce del corpo si precipitò vicino alla ringhiera di metallo, tentando di assumere l’espressione più disinvolta di cui era capace e non quella colpevole di un origliatrice. Ma di cosa stavano parlando i due?
La porta si aprì e ne uscì Cam, aveva il viso chino cosicché alcune ciocche dei capelli umidi gli ricadessero davanti agli occhi e tra le mani stringeva un pacchetto di sigarette, dal quale era concentrato ad estrarne una.
Quando sollevò lo sguardo sembrò sorpreso di vedere Dianne lì fuori.
-Dee. - La richiamò.
Lei si voltò tentando di assumere un’aria sorpresa. –Ehi. -
-Cosa ci fai qui fuori?-
-Preferisco starmene al freddo e al gelo che in quella stanza. - Rispose prontamente lei.
Lui sogghignò. –Perché mai?-
-Penso che a Gwen sia arrivato il ciclo, mentre l’altra… beh, quella sembra mestruata trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque. - Disse Dianne, girando maggiormente il busto, in modo da portarsi difronte a lui.
-Alys non è male. – Cam si portò la sigaretta alle labbra. – Bisogna saperla prendere. -
-E tu sai prenderla?- Chiese lei, sentiva una punta di gelosia nella sua voce, per quanto tentasse di nasconderla.
 -Dipende da che senso intendi. - Rispose lui, sollevando l’angolo delle labbra.
Dianne scosse la testa, borbottando qualcosa sottovoce.
-Dai Dee, sto scherzando. –Le disse poi Cam, chinando il viso e facendo sfregare la punta del pollice contro la rotella dell’accendino, provocando una fiamma contro la quale portò la punta della sigaretta, inspirando.
-Senti Cam…- Lei si strinse le mani al petto, per quanto non volesse prendere quel discorso, forse era giusto parlarne. –Beh, io… tu, cioè sai…-
Lui sollevò lo sguardo e la guardò perplesso. –Hai un modo di esprimerti eccezionale, Dee. - disse sincero.
Dianne prese un respiro, pronta a parlare, ma qualcuno spalancò una porta, interrompendola. –Ragazzi, ho un’idea per la serata. – Era Alys, non indossava più i vestiti di prima, si era cambiata o meglio denudata, visto quanto poco copriva quel vestitino.
Quando il suo sguardo si posò su Cam e Dianne, il suo viso si contrasse in una smorfia di disappunto.
-Che idea?- Le chiese lui mentre ricacciava dalle labbra il fumo della sigaretta.
-Ho incontrato dei tipi in Hall, mi hanno detto che qui vicino c’è una discoteca, potremmo andarci. - Propose recuperando l’entusiasmo.
-Aspetta, siamo qui da un quarto d’ora e tu già hai conosciuto dei tipi?- Chiese Cam.
-Ti da fastidio?- Ribatté lei sbattendo le lunghe ciglia.
-Figurati. - Disse lui scrollando le spalle.
-Mi piace come idea. – Esordì Dianne inserendosi tra i due. –Solo che c’è Gwen e lei odia le discoteche. -
-Tranquilla ci penso io!- Esclamò Alys e le rivolse un sorriso così radioso che per guardarlo necessitavano gli occhiali da sole. Detto questo se ne tornò nella stanza.
-E io che speravo di dormire. - Si lamentò Cam passandosi stancamente una mano tra i capelli.
-Dai. - Lo incitò Dianne. –Sarà divertente, magari manderà via un po’ del cattivo umore. -
-Però devi promettermi una cosa. - Disse lui a un tratto abbassando il tono della voce, rendendola così ancora più roca.
-Cosa?- Chiese lei mordendosi istintivamente il labbro inferiore.
Cam sollevò un dito, con il quale le sfiorò la mascella. –Un ballo lo farai con me.-
Dianne sollevò istintivamente una mano, portandosela sul punto che lui aveva appena toccato. –Non cr…- Stava per dire ma lui la fermò. La guardò perplesso, per poi stringere le dita intorno al suo polso, osservando così la mano di Dianne.
-Che hai fatto?- Chiese vedendo i vari segni, la pelle compariva del tutto arrossata ed escoriata.
Lei istintivamente tentò di ritrarre la mano, però Cam glielo impedì. –Niente, è solo un graffio. -
-Lo vedo. - Disse lui, il suo sguardo si era fatto improvvisamente serio. –Solo che è un po’ strano, guarda, solo due dita. -
-E allora?- Dianne tentò di sdrammatizzare, sorridendogli. –Mica rischio che me le amputino, come ti ho già detto è solo un graffio e non ricordo nemmeno come l’ho fatto. -
-Già. - Le rispose Cam lasciando la presa sulle sue mani. –Allora la prossima volta vedi di stare più attenta. -
Lei annuì, deglutendo a vuoto.


§



Dianne non aveva portato niente di particolarmente carino con sé, infatti si ritrovò ad indossare lo stesso vestitino che aveva portato per il giorno del ringraziamento. Era di pizzo nero, foderato all’interno da una stoffa dello stesso colore e aveva un taglio semplice, lungo fino a sopra il ginocchio.
Gwen inizialmente aveva protestato in tutti modi, non ne voleva proprio sapere di uscire, ma poi aveva cambiato idea e con riluttanza si era ritrovata a indossato un vestito grigio, con una scollatura a V non troppo profonda ma che comunque lasciava poco all’immaginazione.
Alys era già uscita da qualche minuto, così Dianne ne approfittò per bloccare Gwen. –Mi spieghi che succede?-
Lei scrollò le spalle. –Niente, davvero. -
-Mi stai mentendo. - La rimproverò l’altra.
Gwen sollevò di poco lo sguardo, evitando così di guardarla negli occhi. - Andiamo, oppure faremo tardi. - Disse e le diede le spalle, uscendo dalla camera.
Dianne respirò profondamente, frustrata da quella situazione e uscì al seguito di Gwen.

Quando arrivarono alla discoteca, Gwen rimase leggermente sorpresa, non si aspettava che in un posto sperduto come quello potessero esserci strutture come quella. Doveva contare come minimo cinque piani e della musica assordante era udibile dall’esterno.
L’aria fresca la colpì dritta al volto non appena scese dal SUV e le prime gocce di pioggia caddero al suolo.
-Oh, perfetto! Ci mancava solo la pioggia!- Sbuffò Gwen incrociando nervosamente le braccia al petto.
-Stasera sei l’emblema della dolcezza e della simpatia!- Ironizzò Cam.
La ragazza gli rivolse un’occhiataccia e avanzò a grandi passi verso l’entrata trascinando con sé la povera Dianne, afferrandola per un polso.
-Ehi! Piano!- Cercò di protestare la malcapitata, mentre non  riusciva a staccare gli occhi da Cam che aveva ancorato al braccio quella gatta morta di Alys.
Theo, invece, se ne stava in disparte, aveva lo sguardo perso nel vuoto, ed era così assorto che sembrava pensasse a quale fosse il senso della vita.
Quando si avvicinarono all’entrata Gwen non riuscì a non pensare che i bodyguard vestiti totalmente di nero, con tanto di occhiali da sole in piena notte, emanavano un’area minacciosa e appena le ragazze si presentarono all’ingresso, loro aprirono le varie borse per controllarne il contenuto.
-Che galanteria eh!- disse Alys stizzita visto che uno dei due giganti le aveva praticamente strappato la pochette dalle mani.
-Si fa così in tutte le discoteche del mondo, bambina. - Precisò Theo, iniziando a dirigersi verso l’interno del locale.
Lei sollevò lo sguardo infastidita, però poi i suoi occhi si illuminarono, portando l’attenzione su qualcuno alle spalle del bodyguard -Io ho visto i miei amici. - Rispose distrattamente indicando un gruppo di ragazzi e ragazze poco più in là.- Vado da loro. -
-Stai attenta Alys, alle tre ci ritroviamo qui. - Si raccomandò suo fratello.
-Okay, rilassati- Concluse lei allontanandosi.
Quella ragazza aveva davvero un pessimo carattere, era così diversa da Theo.
Una volta che Alys si fu allontanata, tra i quattro calò di nuovo il silenzio, sembrava che nessuno avesse più niente da dire, era tutto un fissarsi e distogliere lo sguardo come un razzo.
-Sono venti dollari a testa. - Fu Cam a parlare, tentando di sciogliere la tensione che si era creata.
Dianne aprì velocemente la borsa, tirando fuori una banconota e porgendola al ragazzo. -Tieni. -
-Questi sono i miei Cam.- Disse Gwen imitando la cugina.
Cam rivolse un sorriso alle due per poi spostare lo sguardo su Theo che sembrava essere tornato sulle nuvole, fissava un punto indefinito del parcheggio. -Theo, amico?- Cercò di richiamare l’attenzione del ragazzo. –Torna fra noi!-
-Ehmm... - L’altro sembrava abbastanza confuso. –Tieni. - Disse infine ponendogli una banconota.
Nel momento in un cui varcarono la soglia del locale, Gwen fu colpita dalla forte musica e dalle luci che si accedevano e spegnavano a intermittenza. La discoteca si apriva su una grande sala, era affollatissima. Fasci di luci caleidoscopiche illuminavano l’ambiente, riempiendolo di vari colori, creando un contrasto di luci sui volti delle persone che ballavano. Il palco era situato nella parte più alta, l'arredamento era modernissimo, infatti, nella parte superiore del soffitto c'era una scritta a Led che scorreva, riportando su di essa i vari titoli delle canzoni.
In quel momento dalla console esplodeva musica R&B; la stanza era calda e nell’aria c’era odore di fumo e alcool, trovare un angolo libero sembrava impossibile.
-Ma quanti piani sono?- Urlò Gwen sinceramente incuriosita nell’orecchio di Dianne.
-Cinque. - Rispose urlando.
Gwen non riusciva proprio a prova gioia nell’essere lì, aveva i nervi a fior di pelle e tutta quella musica assordante la faceva innervosire ancora di più. -Sarà una serata di merda!- Sbuffò.
Percorse lentamente la distanza tra l’ingresso e le scale, per via della massa di gente e quando finalmente si ritrovarono a salire gli scalini, un gruppo di ragazzi si avvicinò a Gwen. Sarebbero stati innocui, se non fosse per il fatto che parlassero una lingua incomprensibile e non le mandassero sguardi che d’innocuo avessero poco. La ragazza si sentì presa da una punta di panico, non riusciva a intravedere nessun viso familiare, così girò di scatto il volto cercando aiuto con lo sguardo, soprattutto quando uno dei ragazzi incominciò ad allungare le mani sui suoi fianchi.
Una mano le afferrò il braccio e la tirò via di lì.
Aveva ancora il panico nella voce quando si voltò per ringraziare chi l’avesse aiutata. -Grazie Cam, mi hai salvato la vita!- biascicò la ragazza scossa.
-Dobbiamo stare più uniti. - Le rispose lui spostando il suo sguardo sulla cugina.
Dianne sentì la mano grande e calda di Cam appoggiarsi sulla sua schiena e spingerla a camminare più velocemente, arrivati all’entrata del terzo piano Cam fece aderire maggiormente il suo corpo alla schiena della ragazza in modo da proteggerla da eventuali maniaci ubriachi. Dianne avvampò sentendosi sovrastata in quel modo così protettivo da lui e si irrigidì come non mai.
-Tranquilla Dee. - Le sussurrò lui con un tono estremamente sensuale. –Cerco solo di proteggerti. -
Gwen riuscì a notare il disagio negli occhi di Dianne mentre Cam le rimaneva appiccicato.
Non appena superarono la saletta le note di I feel good risuonarono a gran volume, era il piano anni 70-80 e 90, molto meno affollato degli altri. Il pavimento era fatto a scacchi che si illuminavano di mille colori e il bar era arredato con dei grandi manifesti colorati risalenti a quegli anni.
Gwen si guardò intorno, osservando con attenzione ogni particolare di quella sala, ne era affascinata.
Sospirò voltandosi verso Theo che se ne stava appoggiato al muro con il cellulare in mano. Razza di idiota! Lo insultò mentalmente.
Dianne le arrivò vicino, facendola sobbalzare, pensava fosse qualche altro tipo straniero intendo ad attaccare bottone nella sua lingua sconosciuta, e l’afferrerò per un braccio tirandola in pista a ballare con lei.
Gwen si sentiva un pezzo di legno, un tempo era stata brava a fare quelle cose, le discoteche erano il suo posto. Ma lì, quella sera si sentiva completamente fuori luogo, non riusciva a essere se stessa. Aveva un peso sullo stomaco che la portava a guardare sempre in direzione di Theo.
Erano passati più o meno dieci minuti e finalmente tutti ballavano disinvolti sulle note di I love rock’n roll , un ragazzo le si avvicinò afferrandola per i fianchi. Gwen dapprima si irrigidì, ma poi visto lo sguardo rassicurante di quel bel fusto calmò il respiro e iniziò a ballare con lui. Era davvero carino, capelli biondi e occhi scuri. Erano passati solo pochi minuti da quando quel ragazzo le si era avvicinato che già le sue mani erano finite sui glutei di Gwen.
La ragazza saltò per la sorpresa e portò entrambe le mani sul torace del ragazzo, allontanandolo da lei e ricevendo in risposta uno sguardo contrariato. Il tipo poco dopo alzò le mani in segno di resa e si allontanò da lei.
Gli occhi di Gwen si riempirono di lacrime per il nevoso, ecco perché non le piacevano le discoteche. Si fece spazio fra la folla e si avviò verso le scale, ma un braccio la fermò. La sua presa era forte e Gwen pensò di ritrovarsi ad affrontare un altro uomo-piovra.
-Dove stai andando. - Quella di Theo non suonava proprio come una domanda, anzi, sembrava serissimo mentre i suoi occhi la scrutavano.
Grazie a Dio era solo lui, pensò tirando un respiro di sollievo. –Sto andando via, non mi piace questo posto. - disse fingendosi sicura e orgogliosa.
-Sei impazzita? Dove credi di andare da sola?- La sua voce parve ancora più dura di prima, aveva tutta l’aria di un rimprovero quello.
-Scusa, ma da quando ti interessa esattamente?- Il tono di Gwen era davvero acido, avevano passato la giornata a ignorarsi e ora veniva a fare il padre protettivo? Fece per voltarsi e proseguire per la sua strada ma Theo la bloccò nuovamente.
-E dimmi... - Disse con aria divertita- …come hai intenzione di tornare?- Fissò i suoi occhi dritti in quelli della ragazza.
-Prenderò un taxi. - Gwen cercava in tutti i modi di reggere quello sguardo così tagliente.
-Certo, che stupido! E’ un mezzo così sicuro per una ragazza sola. - Continuò lui stizzito. Stavano litigando? Stava litigando con Theo?
Decise di lasciar stare quella situazione così assurda, lo piantò lì senza nemmeno rispondere e si incamminò verso le scale. Non ebbe il tempo di fare nemmeno cinque metri che un ragazzo le si avvicinò, lasciando scivolare una mano “distrattamente” dietro di lei e le palpò il sedere.
Gwen sentì la disperazione e la rabbia prendere il sopravvento, voleva solo scomparire, voleva andare via da quel maledetto posto. Un braccio, però, le si strinse intorno alla vita e la costrinse a indietreggiare. Il tocco era dolce e delicato, ma la presa era comunque forte e possessiva, il tipo che le aveva palpato il sedere si dileguò con la stessa velocità con cui era apparso.
-Non posso lasciarti sola nemmeno un secondo. - Theo le sussurrò a voce bassa portando le labbra in prossimità del suo orecchio.







 

 


 

 


NdA :
Salve a tutti! Okay, lo so, aggiorno un po' in ritardo rispetto al solito...Però potrete notare che un capitolo bello lungo, motivo per perdonarmi, no? ;)
Allora, sono curiosa di sapere cosa ne pensate, questo non è stato un capitolo difficile la scrivere, ero davvero ispirata! :)
E niente, aspetto di leggere i vostri commenti!
La canzone del pezzo di Cam e Dianne è questa.
Ringrazio chiunque abbia recensito lo scorso e primo capitolo, un bacio <3
-Farawayx

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Capitolo 9
*** Capitolo 9; Do I wanna know? ***


Capitolo 9

IMPORTANTE, LEGGETE LE NOTE SOTTO.









«Lei sfrega le sue labbra intorno a una Mexican Coke facendoti desiderare di essere la bottiglia,
lentamente beve un sorso della tua anima.
Le sue labbra sono come i limiti della galassia
e il suo bacio il colore di una costellazione che prende forma.
»







                           
                           ◊ CAPITOLO IX ◊ Do I wanna know?





G
wen si sentì scossa da brividi davvero intensi, era come se quella sensazione le percorresse ogni centimetro della sua pelle, scuotendola. Si voltò lentamente puntando così i suoi occhioni tristi in quelli così scuri del suo amico che in quel momento le stava rivolgendo un sorriso rassicurante.
Non ci fu bisogno di dire niente, Theo lasciò scorrere la mano lungo il suo braccio e le afferrò delicatamente il polso tirandola leggermente in direzione della pista da ballo.
Gwen si sentiva davvero una stupida, era bastato guardarlo negli occhi per capire che non poteva scappare da lui, Theo l’avrebbe trovata ovunque e l’avrebbe destabilizzata sempre con quello sguardo e con quel maledetto ma bellissimo sorriso.
Mentre si fissavano come due idioti in mezzo alla pista, partì una canzone davvero allegra che li trasportò come non mai, Wake me up before you go-go degli Wham!.
Un gran bel sorriso fece capolino sul volto di Gwen e Theo sospirò di sollievo, ballavano disinvolti,  appiccicati e sorridenti, era incredibile come i loro corpi aderivano l’uno all’altro. Theo strinse Gwen a sé ancora di più e lei gli allacciò le mani dietro al collo, lo sguardo del ragazzo si fece però cupo improvvisamente.
-Sei arrabbiato?- Le chiese Gwen con il cuore che le batteva all’impazzata.
-Dovrei chiederlo io a te, non trovi? – Le rispose lui avvicinandosi ancora di più.
I loro nasi si sfiorarono e Gwen sentì la testa girare vorticosamente, il suo alito profumava ma sapeva di alcool.
La ragazza abbassò istintivamente la testa ma Theo  alzò una mano, portandola sotto il suo mento, sollevandole così la testa, costringendola a guardarlo negli occhi.
-Cioè, non dovrei nemmeno chiederlo, perché so che è così.- Disse rauco a un centimetro dal suo viso.
-N…non è vero.- Cercò di giustificarsi Gwen. Non mi guardare così ti prego era l’unica cosa che riusciva a pensare fra sé e sé.
-Non dirlo Gwen.- L’ammonì lui. Il suo sguardo parve penetrarla da parte a parte e dei brividi percorsero la pelle infuocata della ragazza.- Non dire che non è vero. Non sono stupido.-
-Io...- Non sapeva cosa dire, sentiva le parole morirgli in gola.
-Tu cosa?- Era troppo vicino.
Io ho bisogno di aria. Lo pensava davvero.
-Sei così strana, mi stai facendo impazzire.- Disse poi lui allontanandosi di qualche centimetro e mordendosi un labbro.
Oh mamma mia. Gwen non riusciva a pensare lucidamente, con le sue mani bollenti sulla scollatura posteriore del vestito. –Mi dispiace Theo.- si morse l’interno delle guance. – Sì, sono arrabbiata, forse è perché non riesco a mandare giù che mi hai nascosto di Katy o forse perché tutti non fanno altro che tartassarci con quelle dannate battutine, io non vorrei crearti problemi, magari la tua ragazza è gelosa… non...-
Theo chiuse gli occhi sospirando. Lo sguardo dispiaciuto e imbarazzato di Gwen la rendeva così dannatamente bella.
-Lei non c’entra niente- disse rassegnato.- Stiamo parlando di noi, di te e di me.- Si riavvicinò a lei stringendo fra le sue mani il tessuto grigio del vestito. A Gwen mancò il fiato.
-Voltati. - Le sussurrò piano all’orecchio.
La ragazza non capì immediatamente, ma poi si rese conto che era cominciata la canzone della Macarena.
Theo fece aderire il suo corpo perfettamente alla schiena di Gwen, le prese le mani e cominciò a ballare con lei come se fossero una sola persona.
Ed erano una sola persona per davvero.
Gwen sentiva il suo torace contro la sua schiena e iniziò a pensare che sarebbe morta, quella sera, fra le braccia di Theo. Era così felice, eppure così confusa.
Che aveva detto? Che sarebbe stata una serata di merda? Benedetta sia Dianne che l’aveva costretta ad andare con loro in quella discoteca.
-Andiamo al bar, ti va?- Sussurrò Theo improvvisamente al suo orecchio, per poi staccarsi da Gwen.
Una sensazione di vuoto s’impadronì di lei mentre seguiva il ragazzo verso il bancone, si sentiva come se fosse ubriaca, la gente ballava e si divertiva e lei, per una volta, faceva parte di loro.
Theo prese una birra e inizio a sorseggiarla.   
-A quante siamo?- Le chiese curiosa Gwen.
-Mmh... che importa?- Le sorrise malizioso avvicinandosi pericolosamente.
Le mise una mano dietro la schiena e fece in modo che i loro corpi, ancora una volta, si unissero.
-Che t’importa di cosa pensano gli altri di noi, Gwen?- La domanda arrivò addosso alla ragazza come una secchiata d’acqua gelida. Era portata ad abbassare lo sguardo, ma gli occhi così profondi di Theo glielo impedirono.
-A me non importa degli altri.- Concluse in un sussurro. Era vero, non le importava.
-Neanche a me.- Disse calmo lui.
-Dovrebbe interessarti secondo me.- Sputò fra i denti. –Hai una ragazza.-
-Lei si fida di me.-
-Fa bene.-
-Certo.- Le cose stavano degenerando e Gwen si sentiva presa dal panico. Il suo cuore le urlava di dire la verità, di dire a Theo che il pensare a lui la tormentava ormai da molte, troppe, notti.
Io e te non siamo solo amici. Era quella la verità, glielo doveva dire, lui meritava di saperlo.
-Tanto io e te siamo solo amici.- Sussurrò invece con un filo di voce, ma Theo era estremamente vicino a lei, la teneva ancora stretta fra le sue braccia. Abbassò lo sguardo imbarazzata, che stupida che era!
-Lo so benissimo.- Rispose lui non smettendo di guardarla negli occhi. –Vieni, andiamo a cercare gli altri. E’ ora di tornare.- Disse infine staccandosi da lei bruscamente e spostando lo sguardo verso la folla.
Gwen si sentiva in trappola,  la felicità che aveva prevalso su di lei fino a poco prima, l’aveva abbandonata così velocemente da non poter far niente per bloccarla. Ormai credeva che tutto fosse andato perso e che avesse rovinato tutto, nuovamente.
La mano di Theo, però, sfiorò la sua, l’afferrò saldamente e Gwen si ritrovò a boccheggiare in cerca d’aria. Com’era possibile che un solo contatto riuscisse ad azzerarle completamente ogni attività celebrale, era come stare sulle montagne russe, non capiva cosa provasse o meglio, lo sapeva ma aveva paura di dirlo.



Dianne sentiva davvero la necessità di creare un punto di distacco tra il suo corpo e quello di Cam, non che le dispiacesse avere il ragazzo completamente spiaccicato contro la sua schiena, però stava lentamente perdendo la lucidità.
Fece un passo avanti e si voltò verso di lui, facendo quasi sfiorare i loro nasi.- Dovremmo cercare Theo e Gwen. –
-Fidati, non vogliono essere trovati.- Rispose il ragazzo con il suo consueto tono di voce.
Dianne si sentì leggermente nel panico, Cam aveva una risposta pronta per tutto. –Che ne dici di bere qualcosa, allora?- Gettò lì.
Lui la osservò per alcuni istanti e indietreggiò creando una leggera distanza tra loro.- Sì può fare.-
Qualche minuto, e anche qualche gomitata, dopo erano finalmente riusciti a raggiungere il bancone del bar, nonostante quella parte di discoteca si presentasse meno affollata, il bar restava comunque una zona sommersa di gente.
-Cosa prendi?- Le stava chiedendo Cam, poggiandosi con entrambi i gomiti sul bancone.
Dianne stava per rispondere, ma una voce fastidiosamente familiare le impedì di parlare.
–Cam, finalmente  ti ho trovato!- Esclamò Alys, facendosi spazio tra la ressa.
Lui sollevò lo sguardo verso di lei, il suo volto era coperto da una maschera inespressiva. – Puoi porre fine alla caccia all’uomo, allora.- Commentò.
Lei sembrò per niente infastidita dal tono di lui, come se fosse abituata a sentirlo parlare in quel modo. – Ti va di ballare?-
-I tuoi amici ti hanno abbandonata?- Chiese lui, sollevando una mano e passandola tra i capelli scuri.
-No, ma lo sai che preferisco ballare con te.- Replicò Alys con un sorrisetto sulle labbra.
Dianne distolse lo sguardo costringendosi a non fare smorfie, doveva per forza essere presente a quell’irritante scambio di batture, sbarra flirtare, di quei due?
Però erano davvero una bella coppia, lei sempre mestruata che ricordava una copia odiosa di Barbie e lui … beh, lui si descriveva con un solo aggettivo: idiota.
Fu solo un istante, però a Dianne parve di sentire lo sguardo di Cam indugiare su di lei prima di rispondere. Forse era solo una sua fantasia o forse era accaduto per davvero, fatto sta che il ragazzo distese le labbra in un sorriso, annuendo e accettando la proposta di Alys.
Entrambi sparirono nella folla e Dianne, ritrovatasi da sola, si voltò nella direzione del barman che la stava guardando in attesa dell’ordinazione.
-Mh.- Mormorò pensierosa.
-Posso consigliarti io cosa prendere?- Le disse il barista, rivolgendole un sorriso amichevole.
Lei sollevò lo sguardo, leggermente sorpresa dal tono gentile del ragazzo, per poi annuire. – Dai, mi affido alla tua fantasia.-
Lui le sorrise afferrando poi alcune bottiglie dei vari liquori, unendoli insieme in un solo bicchiere.
Per quanto Dianne tentasse di concentrarsi sui movimento che il barman stava compiendo, la sua attenzione veniva reclamata di continuo dai due che ballavano appiccicati ai bordi della pista. Cam aveva entrambe le mani strette intorno ai fianchi di Alys e lei non faceva altro che fissarlo con un sorriso da deficiente.
Perché si sentiva così tanto infastidita? Doveva smetterla, di questo passo sarebbe diventata peggio della bionda che sembrava una sanguisuga attaccata perennemente al collo di Cam.
-Et voilà.- La voce del barista attirò nuovamente la sua attenzione. Il ragazzo le porgeva un liquido blu abilmente decorato con frutta e ombrellini. –Un piacere per gli occhi e per i sensi. –Disse poi facendole un occhiolino.
-Non stai tentando di mandarmi k.o. con un solo drink, vero?- Chiese lei dubbiosa, stringendo poi le dita intorno al vetro fresco del bicchiere.
-Ma ti pare.- Rispose offeso. –Se vi mando tutti k.o. con un solo drink, poi il locale finisce per chiudere. –
Dianne accennò un sorriso, prendendo un piccolo sorso dal bicchiere, osservando poi il contenuto meravigliata. Era davvero buono.
-Allora…- Esordì poi lui. –Come mai tutta sola? –
-Non sono sola.- Annuì con convinzione la ragazza. –Ho il mio amico…- Chinò lo sguardo sul bicchiere, non conoscendo il nome di quel drink.-… Beh, il mio amico che per ora non ha nome a farmi compagnia.-
- Che ne dici di Andrew?-
-Hai chiamato il tuo drink Andrew?- Chiese lei, aggrottando la fronte.
-No.- Il ragazzo rise. –Io sono Andrew e mi sto autoproponendo per farti compagnia, tra poco finisco il turno.-
Dianne schiuse le labbra formando una piccola ‘o’ per via della sorpresa. – Sei buono come lui?- Al diavolo la timidezza.
-Potrei provarci.- Rispose Andrew rivolgendole un sorrisetto.
-Dianne!- La richiamò la voce di Theo, arrivandole vicino. –Finalmente ti ho trovata.-
La ragazza si voltò, Theo e Gwen si tenevano per mano, lui aveva un’espressione tranquilla, mentre lei… beh, lei sembrava aver appena assistito ad un parto gemellare.
-Alloro mi hai trovata.- Disse accompagnando il tutto con una risatina.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. –Sei ubriaca?-
Dianne scosse velocemente la testa. –Ti pare, ho bevuto solo un drink. –Altra risatina.
-Okay, è ubriaca.- Costatò Gwen, sciogliendo la stretta delle mani con Theo. –Occupati di lei, recupero gli altri due che sono lì dietro.- Con un cenno del capo indicò Alys e Cam, ancora intenti a ballare.
Theo annuì, voltandosi nuovamente verso Dianne. –Bene, ora ti porto a casa, va bene?-
-Solo un attimino.- Rispose la ragazza, tracannando il contenuto del bicchiere e voltandosi verso il Andrew. –Mi dispiace amico bello, non potrò assaggiarti stasera. –Allungò una mano dando un colpetto sul bancone. –Divertiti lo stesso.-
Theo sbattè gli occhi confuso. –E poi sono io quello che diventa molesto quando beve.- Commentò divertito e strinse un braccio intorno alle spalle di Dianne, tirandola via.





-Nessuno osi parlarmi.- Esordì Dianne con un tono di voce che oscillava tra morta vivente e zombie, sugli occhi aveva dei pesanti occhiali scuri, utili per nascondere le occhiaie.
Erano le sette del mattino e gli altri erano già scesi a fare colazione, tutti tranne Gwen.
Theo stava imburrando allegramente una fetta biscottata e Cam ascoltava distrattamente alcune parole di Alyssa.
Dianne alla vista dei due dovette reprimere uno degli innumerevoli conati di vomito che le erano saliti quella mattina.
-Ma guardatela che splendore. –Commentò Cam posando lo sguardo su di lei.
-Paragonabile ad un fiore appena colto. – Proseguì Theo sorridendo.
-Piantatela voi due. –Borbottò lei, sedendosi. –Se becco quel barista lo strozzo con le mie mani, chissà quante schifezze avrà messo dentro a quel drink.-
-Sei una preda facile Dee, te l’ho detto, sei troppo ingenua alcune volte. – Commentò Cam prendendo un sorso di caffè.
Dianne tentò di articolare una risposta, ma le uscì solo una specie di ruggito.
-Gwen non è ancora scesa?- Le chiese poi Theo.
-Tu la vedi da qualche parte?- Rispose automaticamente lei, per poi pentirsi del suo stesso tono. –Scusami, è ancora in camera, non so quando scende.- Poi gli si avvicinò, sussurrandogli sottovoce. –Perché non vai a controllare? E’ troppo strana da ieri sera e con me si rifiuta di parlare. -
Lui annuì, sollevandosi in piedi. –Vado a chiamarla, fra poco partiamo.- Disse velocemente per poi allontanarsi.
-Oddio…- Si lamentò Dianne non appena notò che era rimasta nuovamente sola con quei due. –Perché a me questa tortura. –
Alys stava raccontando a Cam di come qualcuno avesse osato dirle che non poteva entrare in una certa parte. Era un discorso senza senso. –Sentite un po’.- Azzardò poi, sollevando il viso e spostando gli occhi coperti dalle lenti scure sui due. –Ma voi due state insieme?-
Sul viso di Cam comparì subito un sorrisetto vittorioso, come se fosse da sempre in attesa di quella domanda, mentre Alys si limitò a guardarla. E fu lei a rispondere. –No, mi ha mollata dopo avermi spezzato il cuore e rubato la verginità.- Poi totalmente infastidita, come se avesse ricordato un vecchio motivo per cui essere arrabbiata, puntò le mani sul tavolo e si sollevò in piedi. –Vi aspetto fuori.- 
Dianne la guardò allontanarsi con un’espressione totalmente interrogativa sul volto, poi si voltò verso Cam. –Sei un ladro di virtù, eh che persona cattiva.-
Lui, che stava ancora sorseggiando il suo caffè, rischiò di strozzarsi, per poi prendere a tossire rumorosamente. – Dee…- Disse tra un colpo di tosse e l’altro, però sembrava divertito. 
-Scusami, ma quella ragazza ha il dramma che le scorre delle vene. – Borbottò lei.- E per fortuna non c’era Theo, immagino già una guerra tra maschi alfa per difendere l’onore della povera donzella privata della sua immacolata virtù.-
Le spalle di Cam tremarono, come se stesse trattenendo una risata. – Forse ora potrai smettere di essere gelosa.- Disse poi sorridendole compiaciuto.
Questa volta fu lei a rischiare di strozzarsi con la propria saliva. –Come prego?-
-Oh, adiamo Dee, si vede lontano un miglio, perché lo neghi?-
-Perché non è assolutamente vero?-
-Certo e io mi chiamo Baldric.-
-E’ davvero un piacere conoscerti, Baldric.-
Cam s’inumidì le labbra con la punta della lingua, sporgendosi così con il viso verso di lei. –Oh, mia piccola Dee, un giorno dovrai ammetterlo e fidati, quel giorno mi crogiolerò come non mai.-



Gwen era seduta sul letto tutta concentrata a raccogliere i vestiti da mettere nel borsone. Era disordinata, troppo disordinata e questo la portava a non trovare mai le sue cose. Aveva delle occhiaie che andavano dal violaceo al verdognolo e un espressione sfinita, era stata sveglia tutta la notte a fissare il soffitto con lo stomaco tormentato da una sensazione di vuoto.
Entrò in bagno e infilò un jeans e un maglioncino a righe bianco e blu, doveva sbrigarsi se ci teneva a mangiare qualcosa prima di partire, solitamente nonostante fosse sempre l’ultima a finire di prepararsi, riusciva comunque  a non essere mai in ritardo.
Si era appena seduta sul letto disfatto quando qualcuno bussò alla porta semiaperta.
-Da quando sei abituata a bussare cara?- chiese, sicura che fosse Dianne, alzandosi in piedi e iniziando a svuotare uno dei cassetti del malandato comodino.
-Sono sempre stato un signore io.- La voce di Theo la scioccò a tal punto che tutto quello che aveva in mano le cadde sulla moquette. Si voltò verso di lui, se ne stava in piedi appoggiato alla porta con un espressione divertita.
-Oh, sei tu.- Fece un sorriso sforzato, cercando di mantenere la calma e continuando a mettere in ordine le cose. Ma le mani presero a tremarle e il cuore cominciò a battere così forte che temette che Theo potesse sentirlo. –Scendo subito, scusami.- Continuò senza guardarlo e dirigendosi in bagno.
Theo avanzò verso il letto e si sedette ignorando lo strano agitato comportamento della ragazza.
 Quella stanza era davvero disordinata, se l’era immaginata linda e con tutte le cose al loro posto, tre ragazze avrebbero dovuto fare meglio di così.
-Scusa il disordine, sai la fretta...- Cercò di giustificarsi Gwen continuando a mettere roba nel borsone, roba che aveva tirato fuori la sera precedente non sapendo cosa indossare per la discoteca.
-E’ tua questa?- Chiese Theo indicando un indumento sulla moquette. Gwen si sporse un po’ indietro per guardare meglio e un colore rosso acceso s’impadronì delle sue guance. Era sua, era una sua mutandina grigio perla di pizzo.
 L’afferrò in men che non si dica e la mise nel borsone. –Dev’essermi caduta mentre spostavo le cose dal borsone ai cassetti- Si fermò di fronte al ragazzo imbarazzata. -E levati quell’espressione da idiota dalla faccia!- ruggì.
Theo aveva un’aria divertita e imbarazzata allo stesso tempo, alzò le mani in segno di resa e si lasciò cadere sul letto.
Gwen sentiva l’ansia lievitare pericolosamente dentro di lei, stanca di combattere con se stessa si avvicinò al letto e si sedette iniziando a torturarsi il labbro inferiore con le dita.
-Theo.- Lo chiamò in un sussurrò. -Ti ho detto una cazzata ieri sera.- La sua voce era suonata isterica e spezzata.
Il ragazzo si tirò su e la guardò in maniera confusa dritto negli occhi.
Gwen abbassò lo sguardo e sospirò, doveva essere coraggiosa, era il momento. Aveva pensato di dirglielo tante volte in quelle vacanze del ringraziamento, magari fingendo di essere ubriaca, ma la sera precedente aveva sentito il forte bisogno di chiarire finalmente questa situazione, di definire il loro rapporto.
-Tu per me non sei solo un amico.-  Chiuse gli occhi sentendosi improvvisamente più agitata di prima, aveva sperato di sentirsi più leggera dicendogli la verità. Invece no, ora il cuore le batteva ancora più forte e le veniva voglia di scappare.
Theo la fissava impassibile, non c’era ombra di un’espressione decifrabile sul suo volto.
-Dovevo dirtelo, io dovevo perché...- Cercò di giustificarsi, ma Theo la interruppe e le sorrise.
-Tranquilla Gwen, va tutto bene.- Tentò inutilmente di rassicurarla.
Non doveva esserci un  «Per me è lo stesso»???-Pensò disperata.
-No, non va tutto bene. Andrà male, anzi malissimo.- Iniziò la ragazza evitando lo sguardo a metà fra lo scioccato e preoccupato di Theo. –Andrà male perché non sarà come prima fra noi, lo capisci?- Portò le mani al volto scuotendo la testa con forza, era disperata.
Theo le si avvinò e la scrutò preoccupato. –Vieni qui.- Le sussurrò a un centimetro dal volto.
Gwen s’irrigidì completamente sentendo il ragazzo esserle così vicino, ma quando le sue braccia la circondarono sentì i muscoli sciogliersi immediatamente. Poggiò la sua testa sulla spalla del ragazzo, il battito le si normalizzò e iniziò a sentirsi meglio. Quello era il suo posto, Gwen lo sentiva. Alzò lo sguardo verso di Theo e incontrò i suoi occhi scuri, la fissavano così intensamente che percepì la propria pelle bruciare e una strana sensazione di calore nascere nel suo basso ventre.
Il ragazzo la teneva fra le sue braccia e le si avvicinava sempre di più. I loro nasi si sfiorarono e il respiro caldo di Theo fece venire a Gwen un capogiro, lo stomaco le si contrasse e il cuore prese a martellarle nel petto sempre più compulsivamente. Le loro bocche si avvicinarono e lui le accarezzò la mascella e poi la guancia, la guardò come se stesse chiedendo il permesso e la ragazza chiuse gli occhi in un muto consenso. Quando le loro labbra si toccarono fu come se il resto del mondo fosse svanito. Gwen non riuscì a capire quanto tempo passò ad assaporare quelle labbra prima di rendersi conto di chi fossero.
-Non possiamo.- sussurrò più a se stessa che a Theo.
Il ragazzo continuava a guardarla negli occhi in quel modo così intenso, sembrò turbato e Gwen non seppe decifrare se era stato il bacio o la frase appena detta a farlo sentire così. Dubbiosa si alzò in piedi e si coprì il volto disperato con le mani, si sentiva davvero stupida agli occhi di Theo, aveva interrotto senza scrupoli le sensazioni più belle che avesse mai provato.
Sollevò lo sguardo, portandolo sul ragazzo che se ne stava in piedi vicino al letto, con un aria disperata e nel suo sguardo vide la rovina di se stessa. Non era giusto che andasse così, voleva provare a far andare le cose come voleva lei per una volta. Così, armata non si sa di quale coraggio, carezzò il braccio di Theo e senza dargli il tempo nemmeno di pensare, lo baciò.
Lui la strinse a se prontamente, la incastrò fra il suo corpo e il muro e le loro lingue presero ad intrecciarsi. Quel bacio era feroce, ansimato, passionale, niente a che vedere con il bacio casto e dolce di pochi minuti prima. Gwen sentiva che le gambe le avrebbero ceduto da un momento all’altro e che il suo muscolo involontario sarebbe esploso a momenti, la sua pelle bruciava sotto le mani di quel ragazzo che le stava scombussolando la vita e le sue orecchie non erano capaci di sentire niente se non il silenzio totale che avvolgeva la stanza.
Toc toc.
Theo si staccò da Gwen come scottato, aveva gli occhi lucidi, le labbra rosse e un’espressione colpevole. Fissò la ragazza che gli stava di fronte, si era portata una mano alle labbra gonfie che lui stava divorando fino a qualche minuto prima. Era visibilmente sconvolta e il suo respiro era affannoso.
Toc toc.
Gwen percepì il panico crescerle dentro, avevano bussato alla porta e lei sentiva gli arti paralizzati, era ancora in uno stato di incoscienza; e poi l’espressione di Theo non l’aiutava proprio. Aveva gli occhi fissi su di lei, ma sembrava pensare a tutt’altro.
Finalmente, riacquistando il controllo di sé, Gwen mimò a Theo di chiudersi in bagno e si diresse verso la porta.
-Finalmente! Ma quanto ci ha mess...- Dianne entrò come un uragano nella stanza, gesticolando nervosa. Si bloccò immediatamente quando notò l’espressione della cugina. –Stai bene?- Le chiese seriamente preoccupata.- Sembri sconvolta.- Concluse avvicinandosi a lei e poggiandole una mano sulla fronte per controllare la temperatura. Gwen si scansò immediatamente.
-S...sì.- Riuscì a sbiascicare.- Sono solo stanca.- Mentì.
Dianne sembrò non fare caso alle sue parole perché le squillò il cellulare.
-Esco un attimo a rispondere, arrivo subito.- Avvertì la cugina mentre si dirigeva verso la porta con il cellulare incollato all’orecchio.
Theo, avendo origliato tutto, uscì dal bagno. –Meglio che vada.- Disse guardandola dispiaciuto.
-G...già.- Rispose lei stringendosi nelle spalle.
-Ci vediamo dopo... ok?- Sembrava molto a disagio.
-Certo.- Gwen gli sorrise amaramente prima di vedere la sua figura sparire dietro la porta bianca della stanza.



Il progetto di Dianne di tornare in camera fu del tutto annullato, dopo aver chiusa la telefonata con la madre, il suo sguardo fu catturato da una figura che se ne stava appoggiata all’auto parcheggiata nel cortile.
Alys aveva gli occhi rossi, il viso sfatto e i capelli tirati indietro frettolosamente. Okay, sinceramente non aveva mai nutrito nessuna simpatia nei confronti della ragazza, però un moto di compassione le si mosse nel petto, infondo era la sorella di Theo e, soprattutto, in quel momento, le sembrò una ragazza sola.
Cautamente mosse qualche passo nella sua direzione, avvicinandosi. Sapeva del brutto carattere di lei e non voleva mostrarsi troppo invadente. –Alys.- La richiamò e la sua voce sembrò un sussurrò.
Lei in risposta girò di scattò la testa e allargò gli occhi nel vederla. –Cosa ci fai qui?- Ruggì a denti stretti.
Dianne decise di ignorare il suo tono. –Stai bene? Sembri…-
-Sconvolta?- Concluse lei ridendo amaramente. –Bene, lo sono.-
-Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare, puoi contare su me, non farti problemi.- Lei disse sincera.
Alys rise di nuovo e quella volta la sua risata si riversò in un suono fastidioso.- Non ci provare.- Disse poi. –E’ comico sai? La causa dei tuoi problemi che viene ad offrirti una spalla su cui piangere.- Rise di nuovo.
Dianne aggrottò la fronte sinceramente confusa. –Stai parlando di me?- S’indicò con la mano.
-E di chi altri?- Rispose velenosa la bionda.
-Ma io non ti ho fatto niente! –Esclamò l’altra ancora più sorpresa. – Non intenzionalmente, almeno.- Aggiunse poco dopo, aveva offeso Alys senza rendersene conto? Le sembrava una cosa impossibile, stava sempre attenta ai sentimenti degli altri e poi non aveva mai avuto una conversazione più lunga di quella con lei.
L’altra sollevò gli occhi al cielo e poi si sporse verso di lei, puntando i suoi occhi verdi in quelli scuri della ragazza. - Me la pagherai e anche cara.- Sibilò velenosa lanciandole un ultimo sguardo per poi allontanarsi.
Dianne sbattè velocemente le palpebre e non appena Alys rientrò nel motel, sollevò una mano appoggiandosi alla carrozzeria dell’auto. Ma cosa stava blaterando? Possibile che fosse ubriaca alle sette del mattino?
Stizzita aprì la porteria della vettura e si accomodò sul sedile passeggero, voleva stare un attimo sola, quella bionda l’aveva spiazzata del tutto.
Agitò un piede in preda al nervoso e con la gamba calciò qualcosa, tirandola ancora più sotto il sedile. Sorpresa si chinò, mettendo la guancia contro il tappetino dell’auto, cercando di intravedere quello che aveva appena preso a calci, quindi, allungò la mano e a tendoni cercò l’oggetto, tirandolo fuori.
Era una agenda, o forse un diario, la copertina nera era logora e consumata, mentre numerosi foglietti uscivano dalle pagine richiuse con una molla.
Mossa dalla curiosità non poté fare a meno di aprirlo e i suoi occhi finirono su una pagina riempita da una scrittura poco leggibile e frettolosa.
«Tutto questo mi fa rabbia, sì mi fa rabbia, perché domani potrei sparire e nessuno sarebbe a conoscenza del reale motivo delle mie azioni, cosa spingeva una testa di cazzo come me ad agire così.
Le persone sono così distratte, nessuno bada agli occhi spenti di una ragazzina o alle sue malsane ossessioni. E' un mondo destinato a bruciarsi. Come una sigaretta. Prima o poi a furia di aspirare non ne rimarrà che una cicca malridotta che nessuno vorrà. E' per questo che delle volte ….»
Il suono di alcune voci che si avvicinavano fecero sobbalzare Dianne che chiuse velocemente il diario e lo gettò nuovamente sotto il sedile. Ma di chi era?
Sembrava scritto da qualcuno profondamente tormentato, qualcuno che si sentiva sbagliato nel profondo. Qualcuno come lei.
Theo aprì lo sportello del guidatore, aveva uno strano sguardo negli occhi e quando la vide sobbalzò. –Non mi aspettavo che fossi già in auto.- Le rivolse un sorriso mentre si sistemava.
Dianne si riavviò nervosamente alcune ciocche di capelli dagli occhi, cercandosi di mostrare più disinvolta. – Lo so, dovrei aiutare Gwen con le valigie, però avevo bisogno di un attimo per me stessa.- Infondo era la verità.
-Già.- Sussurrò lui, stringendo le dita contro il volante.
Che il diario fosse di Theo? Eppure era una persona abbastanza cristallina, le sue emozioni erano sempre visibili, mostrandosi agli altri come un libro aperto.
-Va tutto bene?- Gli chiese Dianne a voce bassa, avvicinandosi al sedile del guidatore, da dietro.
-No.- Rispose lui sincero. –Tu come fai?-
-A fare cosa?-
-A gestire la tua relazione con Austin e controllare i tuoi sentimenti per Cam.- Rispose lui, girando il viso nella sua direzione.
- I… M-miei sentimenti per Cam?- Si maledisse mentalmente per aver balbettato. –Di cosa parli?- Decise di imboccare la strada del “non ho idea di cosa tu stia parlando”.
-Andiamo Dianne, la tensione tra voi è palpabile.- Lui distese le labbra in un sorriso. –Però non è solo tensione, perché alla fine quella potrebbe essere azzerata con un po’ di ginnastica sotto le coperte. –
Dianne arrossì. –Theo… -Iniziò a dire, con un tono di rimprovero.
Lui la ignorò, continuando. –C’è qualcosa di più, lo noto dallo sguardo di Cam, che poi già ci vuole un mago per decifrare lui, poi si mette dietro a una come te che è peggio di un enigma… io ci impazzisco nel cercare di capirvi. –Scosse la testa.
-No ma guarda…- Tentò nuovamente di controbattere la ragazza.
-Dai.- La incitò lui. –E’ come per me…con Gwen.-
-Oh, Katy.- Annuì Dianne, come colta da un’improvvisa illuminazione. –Ecco perché mi chiedevi di Austin, perché non sai come gestire i sentimenti che hai per le due.-
-Sono così forti entrambi.- Commentò lui abbassando la testa.
-Pensaci Theo, chiudi gli occhi. – Gli ordinò. –Chiudi gli occhi e lascia che la tua mente ti conduca, lascia che sia il tuo cuore a parlare, ti porterà il viso di  una delle due, ora sta a te avere il coraggio di dirlo ad alta voce. –
Theo chiuse gli occhi e si morse il labbro nervosamente. – A te invece, il tuo cuore cosa ti dice?-
Dianne sentì le lacrime salirle agli occhi ma non poteva permettere a se stessa di ammettere quei sentimenti, così prese un respiro e sussurrò a bassa voce. –Austin.-
-Mentire a te stessa non cambierà la realtà.- Sussurrò Theo. –E questo vale per entrambi. –Aggiunse poi con un filo di voce, prima che gli altri entrassero in auto.








 

 


 

 


NdA :
Salve a tutti! Come state?
So che per la maggior parte di voi saranno iniziate le tante amate vacanza estive, beh... Per me ora inizia la parte difficile! In questo periodo ho gli esami di maturità, è per questa ragione che gli aggiornamenti sono stati un attimo sospesi MA NON PREOCCUPATEVI, LA STORIA CONTINUERA'. Non appena tutto questo sarà finito e avrò di nuovo le mie belle giornate libere, torneranno gli aggiornamenti regolari della storia della nostra Dianne & Co.
Grazie per la pazienza e spero continuerete a seguire la storia.
Un bacione a tutte e spero che questo capitolo vi piaccia ;)
-Nora.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10; Sad Girl. ***


Capitlo 10








«Mi ha colpito e mi è sembrato come se mi baciasse.
Mi ha fatto male, ma a me sembrava vero amore.
 »
▪Lana Del Rey▪







                           
                           ◊ CAPITOLO X ◊ Sad Girl.





E
ra finalmente tornata a casa.
O meglio, era finalmente di nuovo  nella sua piccola stanza. Era così strano sentirsi al sicuro in solo quattro mura, eppure, Dianne si sentiva più al suo posto lì che dove aveva trascorso la sua infanzia, ormai conosceva ogni singolo angolo di quella camera e il calore che le trasmetteva era solo il calore di casa.
Il viaggio di ritorno dal ringraziamento era stato tutto tranne che tranquillo, la sorella di Theo aveva dato di matto come poco e per di più Gwen non sembrava essere più la stessa, era assente, sempre di cattivo umore e se anche solo si nominasse Theo lei saltava di tre metri sopra alla sedia fulminando il malcapitato con lo sguardo.
Quando erano tornati l’unica gioia era stata quella di ritrovare Nives nella sua stanza, sorridente come sempre, non appena le aveva viste era corsa da loro per abbracciarle, erano sì passati solo quattro giorni ma ormai la ragazza era entrata nella sua quotidianità e privarsene era stato così strano.
Con la consapevolezza che la breve pausa era terminata e che il giorno dopo sarebbero riprese le lezioni al college, Dianne decise di approfittare di quella sera per recarsi in biblioteca a recuperare alcuni volumi che le servivano per la tesina. Per quanto durante le feste del ringraziamento si era ripromessa di ripetere qualcosa, alla fine aveva del tutto dimenticato i libri nel fondo della sua valigia senza riuscire a ripassare nemmeno una riga. Infondo erano vacanze, no? Quindi non doveva sentirsi in colpa.
Era calata la sera, dalla finestra intravedeva il campus completamente illuminato dalla fioca luce gialla dei lampioni, alcune finestre erano ancora illuminate, questo anche perché ormai l’orario era cambiato e quindi la notte arrivava prima. Non si creava molti problemi nell’uscire di casa da sola, Princeton si presentava come un posto abbastanza sicuro, in più era convinta che se avesse chiesto a una delle due coinquiline di accompagnarla Nives le avrebbe tirato dietro il suo vaso di fiori e Gwen le ciabatte con la faccia di Homer Simpson.
Così, rassegnata, afferrò la giacca pesante, le temperature erano calate vertiginosamente, era strano che ancora non fosse scesa la prima neve,  in Vermont solitamente iniziava a nevicare da inizio ottobre, riempiendo tutto di uno strato bianco che sembrava purificare ogni cosa.
Uscì velocemente dal condominio riparandosi istintivamente il viso con la sciarpa azzurra, portandola sopra il naso, il freddo pungente sembrava ferirle la pelle, più avanzava più si pentiva di non aver scelto un bel college sulla costa californiana dove gli studenti avevano tutti un bel colorito dorato e non pallido cadaverico come il loro.
Però in California non avevano la neve e quella sera nell’aria si respirava un profumo di neve, questo bastò per far stampare sul viso di Dianne un sorrisone come pochi, lei amava la neve, persa nelle sue riflessioni decise di aumentare l’andatura del proprio passo, okay che era tranquilla come zona, ma era meglio non sfidare troppo la sorte.

Quando raggiunse la biblioteca aveva il fiatone, poco prima aveva portato lo sguardo all’orologio e aveva capito che di quel passo non ce l’avrebbe mai fatta, erano già le otto meno dieci e la biblioteca chiudeva precisamente tra dieci minuti, la donna che la gestiva sembrava regolata da un orologio svizzero.
Dopo aver sollevato lo sguardo capì di non aver fatto in tempo, ormai metà delle sale erano al buio e la bibliotecaria stava armeggiando con la chiave della porta.
-E’ troppo tardi?- Chiese Dianne con il respiro mozzato, aveva percorso la distanza tra lei e la donna di corsa.
L’anziana signora si voltò verso di lei, infastidita. – Venga domani, abbiamo chiuso.-
Lei era tentata di chiedere un piccolo favore alla bibliotecaria e di farla entrare nonostante l’orario di chiusura fosse ben che superato ma dallo sguardo assassino di lei capì che era meglio evitare, così, sconfortata, girò i tacchi incamminandosi nuovamente sulla strada di casa.
-Dianne, vero?- Sentì qualcuno alle sue spalle chiamarla.
Lei non riconoscendo la voce, si girò lentamente ma quando i suoi occhi finirono sul viso del ragazzo, impiegò tre secondi per riconoscerlo. Era colui che l’aveva salvata al lago. –Ehi!- Lo saluto con un sorriso. –Tu sei… Travis?- Tentò di ricordare il suo nome che Cam aveva pronunciato quella volta.
Lui annuì ricambiando il sorriso. –Come stai? Dopo quel brutto incidente.. –
-Sto bene e grazie ancora per quella volta.- Rispose prontamente lei.
Travis sollevò una mano come per dirle di non preoccuparsi. –Mi hai spaventato a morte, è una scena che non dimenticherò mai.-
-Mi dispiace.-  Mormorò lei, sinceramente dispiaciuta.
-Dee?-
Si sentì richiamare, la sua voce era estremamente familiare e solo lui la chiamava così. Si voltò ritrovandosi davanti il viso di Cam, aveva le guance rosse per via del freddo e una sciarpa bianca avvolta intorno al collo.
Quasi le mancò il fiato per quanto comparisse bello in quel momento.
-Ehi, che ci fai qua?- Disse lei amichevolmente, tentando di non mostrare le sue reali emozioni.
-Quello che ci fai tu.- Replicò lui, lanciando un’occhiata a Travis.
Dianne aggrottò appena la fronte. –Eri venuto a prendere un libro in biblioteca?-
Sulle labbra di Cam si formò un sorriso, spostando lo sguardo su di lei. –Ovvio, non c’è niente di più divertente da fare la domenica sera che andarsene in biblioteca.- Fece una pausa e allargò maggiormente le labbra. –Trasgressione pura.-
Lei sollevò automaticamente gli occhi al cielo, stringendosi le braccia al petto. –Pensavo ti piacessero i libri.-
-Infatti, ma ho più un debole per chi li legge.- Rispose prontamente lui.
Dianne si morse istintivamente un labbro quando avvertì un colpo di tosse alle sue spalle, Travis che reclamava attenzione.
-Beh, ragazzi io vado.- Dal suo tono di voce sembrava imbarazzato, rivolse un veloce cenno di saluto verso Dianne e diede una pacca sulla spalla a Cam, lasciandoli poi da soli.
Tra i due calò un silenzio così pesante che Dianne poteva sentirne il peso sulle proprie spalle, però per una volta non si sentiva imbarazzo, non percepiva la necessità di riempirlo anche perché gli occhi di Cam stavano indugiando sul suo viso, mentre su quello di lui si formava una strana espressione.
-Ritorni a casa?- Le chiese poi lasciando scivolare entrambe le mani all’interno delle tasche.
-Tu che proponi?- Non terminò di dire quella frase che sentì i propri occhi spalancarsi, stava seriamente per chiedere a Cam di passare del tempo assieme?
Anche lui sembrò sorpreso dalla sua domanda, così inclinò il viso tornando a sorridere. –Mh…- Sussurrò pensieroso portandosi un dito sotto il mento. –Vieni, ti faccio vedere una cosa. Ti piacerà.-
Lei lo guardò incuriosita. –Dove mi porti?-
Cam che aveva mosso già qualche passò, si fermò voltandosi nella sua direzione e ammiccando verso un angolo buio mal illuminato tra la biblioteca e il cafè. –Progetto di portarti in quel vicolo per molestarti.-
Dianne storse il naso e avanzò, portandosi vicino a lui. –Perché devi sempre essere così idiota?-
-Dee, un giorno mi definirai in un altro modo.-
-E come? Sentiamo.-
-Colui che ti ha sconvolto la vita.- Disse lui rivolgendole un sorrisone. –Beh, sempre se non mi chiami già così.- Fece un occhiolino riprendendo a camminare.


 -Lo sai che questa è un’infrazione?- Disse Dianne sottovoce, chinando appena la testa.
-Rilassati bambolina. – Le stava rispondendo Cam mentre rigirava una chiave all’interno della porta.
-Mi spieghi come fai ad avere la chiave della scuola?- Chiese nuovamente lei.
-Dee se te lo dicessi poi dovrei ucciderti.- Sussurrò a voce bassa, inumidendosi con la punta della lingua le labbra.
La serratura scattò con facilità, aprendo la porta. Stavano entrando dalla porta di servizio dell’edificio principale del campus, in quella struttura erano presenti tutti gli uffici più importanti che compievano il ruolo di amministrare la scuola. Oltre ad essere l’edificio più grande, era anche il più alto, infatti erigeva come una torre su tutto il college.
Avanzarono lentamente nel buio totale, mentre nell’aria era possibile udire solo il rumore dei loro passi.
-Perché mi hai portata qui?- Sussurrò Dianne mentre lasciava che i suoi occhi si abituassero all’oscurità, rendendole il percorso più facile.
-Fra poco vedrai. – Le rispose Cam, svoltando per imboccare la strada che dava su delle scale di emergenza e iniziò a salire i gradini uno a uno.
Il problema consisteva nel fatto che Dianne non lo avesse visto svoltare e quindi continuava a camminare a passo lento lungo quel corridoio buio che non aveva mai avuto modo di percorrere.
Avvertì la stretta di qualcuno sulla vita e poi quelle stesse braccia tirarla indietro. –Dee, guarda dove metti i piedi e cerca di non perderti. Devi starmi dietro.-
Dianne sbattè le palpebre confusa e quando allungò una mano davanti a se, un brivido la percorse nel rendersi conto che se non fosse stato per Cam ora sarebbe finita in pieno contro una vetrata.
-Grazie. –Biascicò voltando appena il viso.
Lui era ancora dietro di lei, riusciva a sentire il suo respiro contro la guancia e il suo profumo la invase, stordendola. Odorava di sapone e di fumo.
Cam sciolse la presa sulla sua vita e le strinse una mano intorno al polso, usando quel punto per guidarla lungo il corridoio.
Dopo aver fatto un numero esorbitante di scale, Dianne sentiva i polmoni andare a fuoco, non ne poteva più di salire tutti quei malefici gradini, però Cam non scioglieva la presa contro il suo braccio costringendola così a tenere il suo passo. 
-Sei pronta?- Disse improvvisamente mentre si fermava in prossimità di una porta.
-Pronta.- Rispose lei nonostante la sua voce comparisse stanca e affaticata mentre tentava di scorgere la sua figura nell’oscurità.
Sentì Cam piegarsi appena sulle braccia e far forza su una maniglia antipanico, aprendo poi una porta.
Quando Dianne sollevò lo sguardo un sorriso le si formò sulle labbra, il primo pensiero fu quello che erano davvero in alto, quasi troppo, percepiva una strana sensazione di leggerezza allo stomaco. Erano su una delle quattro torri dell’edificio, il balconcino poteva ospitare massimo due persone e le mattonelle erano sbiadite dal tempo.
Quello che però colpì maggiormente Dianne era la vista, da lì era possibile vedere tutto il campus, ma non solo, anche la cittadina di Princeton e le montagne che la circondavano.
-Wow..- Disse in un sussurro aggrappandosi con le dita alla ringhiera di ferro. -…La vista qui è..- Sentì la voce morirle in gola, non riusciva nemmeno a definire le sensazioni di spensieratezza e euforia che le trasmetteva stare a quell’altezza.
-Meravigliosa?- Concluse Cam al suo posto.
-Sì.- Annuì lei, sorridendogli.
- E’ il mio posto preferito.- Le spiegò lui. –In pratica è la parte di spazio che mi sono ritagliato per me stesso. Quando ho bisogno di pensare o staccare un attimo dal mondo, vengo qua.-
Lei lo ascoltò con attenzione, spostando poi lo sguardo dal panorama a lui. –Come mai lo hai voluto condividere con me?-
-Perché mi andava. –Rispose Cam scrollando le spalle e appoggiandosi alla ringhiera.
Dianne sollevò un sopracciglio per quella risposta, però decise di non puntualizzare il suo ‘dico non dico’, non voleva rovinare quel momento. –Allora grazie.- Disse invece.
-Per cosa?-
-Per aver condiviso con me questo posto.- Rispose lei voltando il viso nella sua direzione.
Gli occhi di Cam si piantarono nei suoi e un brivido le percorse la schiena, un brivido così forte che non poteva essere ignorato. Dianne strinse maggiormente le dita contro la ringhiera di ferro, tentando di mandare via quella sensazione, diamine, perché era così difficile? Doveva capire, era stufa di quella confusione che aveva in testa, voleva capire cosa provasse realmente per il ragazzo che ora la stava guardando.
-E’ un piacere.- Le sussurrò lui rinvolgendole un sorriso sincero. Un sorriso al quale non potevi restare indifferente.
Dianne distolse lo sguardo, voltando nuovamente il viso e portando gli occhi su una delle abitazioni illuminate che s’intravedevano in lontananza. –Cam.- Sussurrò con un filo di voce.
-Sì?-
Mentre raccoglieva tutto il coraggio che aveva a sua disposizione per fargli quella domanda che tanto le girava per la testa, lui parlò di nuovo. –Guarda, inizia a nevicare.-
Dianne sollevò subito lo sguardo e un fiocco di neve le ricadde sulla guancia, sciogliendosi nel contatto con la sua pelle calda. –Amo la neve.- commentò mentre un ampio sorriso le si formava sulle labbra.
-Lo noto. – Rispose lui. –Non ti ho mai vista sorridere in quel modo.- 
-Mi stai dicendo che sono una brontolona?- Replicò lei con un tono da finta offesa.
-No, solo che raramente mostri senza paura le tue emozioni. –Le spiegò Cam.
Dianne si morse le labbra, girandosi completamente verso di lui con tutto il corpo. – Come facevi ad avere le chiavi di questo posto?- chiese poi e mentre si dava della stupida da sola, non aveva nemmeno il coraggio di fare una semplice domanda.
-Le ho rubate a mio fratello. – Spiegò Cam tranquillamente.
-Tuo fratello?-
Lui annuì. –Sì, mio fratello, lavora qui.-
Dianne lo guardò sorpreso, forse era per questo che riusciva a frequentare quel posto nonostante la sua presenza poco assidua alle lezioni, forse suo fratello lo aiutava. – Che fa qui?-
-Insegna.- Rispose Cam, tentando di raccogliere nel palmo della mano un fiocco di neve.
- Non ricordo nessun professore che faccia di cognome Carter.- Disse lei sinceramente confusa, tentando di riportare alla mente i vari nomi che aveva letto tempo prima sulla lista dei docenti di Princeton.
-Infatti non usa il cognome di nostro padre. –Spiegò lui.- E’ una lunga storia.-
Dianne indietreggiò appena portandosi con le spalle contro il muro roccioso e si lasciò ricadere a terra, stringendo le gambe, in modo da sedersi più comodamente. –Abbiamo tempo, no?-
Una parte di se era consapevole che Cam avrebbe sicuramente declinato la cosa, dandole dell’invadente impicciona, invece, contro ogni sua aspettativa, il ragazzo la imitò e si sedette al suo fianco. –Beh, posso dirti che lo conosci.-
-Lo conosco?- Lei s’inumidì le labbra tentando si scorrere i visi di tutti i suoi insegnanti. –Nessuno dei nostri insegnanti ha gli occhi belli come i tuoi.- Non fece in tempo a terminare la frase che già si voleva prendere a sberle per essersi fatta sfuggire quel commento.
-Sarebbe un complimento?- Le chiese Cam con un sorrisetto sulle labbra, notando che Dianne non proferiva parola, continuò. – Non abbiamo lo stesso cognome perché lui ha deciso di cambiarlo, usando quello del nuovo marito di nostra madre.- Le spiegò con un tono di voce pratico, come se stessero parlando di una qualche legge di fisica. – Zachary non è mai stato un fan di nostra padre, quindi alla prima occasione ha deciso di togliersi di dosso l’unica cosa che gli aveva lasciato.-
Dianne non sapeva cosa dire, così si limitò ad allungare una mano, portandola sulla spalla di Cam, accarezzandola con dolcezza.
-Se conoscessi mia madre capiresti perché sono così.- Proseguì lui, accennando una risata amara.
-Non c’è niente che non vada in te.- Disse prontamente lei e lo pensava davvero, Cam aveva sì tanti difetti ma riusciva a farla vibrare come la corda di una chitarra anche solo guardandola.
Lui si voltò appena, tirando la testa indietro. – Angelo, non dirlo.-
-Perché non dovrei? Lo penso davvero, okay mi fai incazzare come nessuno, però sei quel tipo di persona che scava nelle altre, tu riesci a capire davvero cosa penso… delle volte non capisco come fai e mi porti davanti alla verità, senza scrupoli, è vero, ma è così che si dovrebbe fare.- Fece una pausa inumidendosi le labbra secche. –E’ così che dovrebbero fare gli amici, portare qualcuno che si è perso nella giusta direzione.-
-Ti sei persa?- Le chiese Cam, ma dal suo tono era come se lui conoscesse già la risposta però voleva che lei lo dicesse ad alta voce.
-Totalmente.- Rispose Dianne sincera chiudendo gli occhi e dopo pochi istanti percepì le dita di Cam sulla propria pelle, accarezzandole lentamente una guancia.
-Capita a tutti, però una parte di te sa qual è il suo posto, infondo non sei persa per sempre.- Mormorò lui sottovoce.
Lei sollevò lo sguardo, portandolo nuovamente nei suoi occhi e senza pensarci si mosse in avanti, portando le sue labbra contro quelle di lui. Gli occhi di Cam si aprirono per la sorpresa e Dianne tirò indietro la testa, come se si rendesse conto solo in quell’istante del gesto appena compiuto.
Però Cam utilizzò la mano che aveva poggiato prima sulla sua guancia per riattrarla contro di sé, cercando nuovamente il contatto delle loro labbra.
E fu quello l’istante in cui smise di pensare.
Portò entrambe le mani sulle guance di Cam e lasciò che le loro labbra combaciassero perfettamente. Dianne, per quanto lo negasse a se stessa, aveva desiderato baciarlo dal primo istante in cui lo aveva rivisto, dopo il ringraziamento, aveva desiderato risentire il sapore delle sue labbra e poter toccare nuovamente con le sue dita la mascella ben delineata del ragazzo.
Cam le strinse istintivamente entrambe le mani dietro la schiena premendo il proprio corpo contro quello di lei, facendo così indietreggiare Dianne con il busto contro il muro. Neanche lui poteva negare a se stesso quanto le fosse mancato il contatto del suo corpo contro il proprio e di come non avrebbe mai interrotto quel bacio.
Il ragazzo lasciò scorrere entrambe le mani sul busto di lei, portandole all'interno del suo cappotto e stringendo tra esse i suoi fianchi, sollevando appena con le punte delle dita il tessuto della sua maglia, sfiorandole la  pelle.
Dianne sentiva la propria mente completamente annebbiata, ogni sensazione l'avvolgeva completamente facendole dimenticare perché tutto quello non fosse giusto, perché non doveva accadere in quel modo.
Cam inclinò appena il viso in modo da portare le labbra contro il collo di lei, che con un movimento veloce aveva privato della sua sciarpa, percorrendo avidamente ogni centimetro della sua pelle.
Non riuscì a trattenere un sospiro quando la ragazza intrecciò le dita tra i suoi capelli, accarezzandoli e giocandoci, creando così delle piacevoli sensazioni dalle quali lui si sentì pervadere dalla testa ai piedi.
Dianne lo tirò verso l’alto, così da poter nuovamente baciare le sue labbra chinando poi il viso in modo da percorrere con esse la guancia di lui fino a giungere alla linea della mascella che percorse interamente, prima di ritornare sulla sua bocca.
Sembrava un bacio disperato, un bacio che esprimeva tutto quello che i due non riuscivano a dire con le parole o tutto quello di cui avevano paura.
Le loro figure si muovevano dolcemente e con apparente lentezza l’una contro l’altra, continuarono a baciarsi con ardore, fin quando Dianne non si tirò indietro. Aveva il respiro mozzato, come se avesse appena corso.
- Cosa stiamo facendo...- Mormorò con un filo di voce.
Cam sollevò lo sguardo, gli occhi azzurri erano lucidi. - Ti aiuto a ritrovare la strada.-
-Cam…- Sussurrò con un filo di voce, non riusciva, o meglio non voleva, distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
Lui inclinò il viso, lasciando scivolare lentamente la mano lungo la sua guancia, percorrendo con essa la sua pelle.
Dianne osservò quel movimento con il cuore in gola per alcuni istanti, niente stava andando come aveva creduto, fu come se nella sua mente si accendesse qualcosa. Scostò Cam e si sollevò di scatto in piedi passandosi più volte le mani nei capelli, quel gesto esprimeva quando realmente fosse nervosa e tesa.
-No Cam, non doveva succedere così.- Farfugliò appena e senza dare modo al ragazzo di rispondere, sparì oltre la porta correndo fuori.




Quella sera Gwen aveva deciso di uscire a fare una passeggiata con Nives, un po’ perché sentiva la mancanza dell’amica un po’ per ritrovare degli equilibri che nell’ultima settimana aveva perso. Okay, lo ammetteva, da quando aveva accettato i suoi sentimenti per Theo la sua stabilità mentale era un po’ vacillata, cambiava spesso umore o comunque era sempre nervosa. La cosa che la faceva imbestialire maggiormente era che mentre lei si era ridotta in quello stato, Theo continuava a comparire come l’immagine della tranquillità, non una sola volta, dopo quel bacio, lo aveva visto almeno un po’ turbato, mentre lei… beh, lei si stava arrovellando il cervello.
-Guarda, inizia a nevicare!- La voce allegra di Nives la riportò alla realtà. La ragazza aveva lo sguardo puntato verso l’alto, gli occhi carichi di meraviglia e un sorriso enorme sulle labbra. Doveva piacerle proprio la neve.
-Ecco perché faceva così freddo.- Rispose lei sfregandosi le mani, aveva dimenticati i guanti a casa e quindi ora se li ritrovava come due pezzi di ghiaccio.
Venendo da Vermont era abituata alla neve, non c’era anno in cui questa non li sommergesse fino alla punta dei capelli, forse era anche per questo che non riusciva a mostrarsi entusiasta come Nives.
-In Texas non nevica mai.- Stava dicendo l’altra, mentre lasciava che i fiocchi copiosi le si incastrassero tra i capelli. –Io adoro la neve.-
Gwen le rivolse un sorriso sincero e le si avvicinò per scrollare dal cappuccio dell’amica la neve che ormai andava depositandosi. –Torniamocene a casa, sarà anche bella, però ci beccheremo entrambe un raffreddore così.- Annuì convinta e vedendo una Nives riluttante le afferrò il braccio tirandosela dietro.
-Gwen, posso farti una domanda?- Le chiese improvvisamente la ragazza quando ormai erano uscite dal campus ed erano sulla strada di casa.
Gwen la osservò con la coda dell’occhio, per poi annuire.- Spara.-
-E’ successo qualcosa mentre eravate in Vermont? Sei …diversa.-
-Diversa?- Chiese lei sentendo la gola secca.
-Sì, un po’ meno Gwen sono felice vado a raccogliere margherite e più Gwen se osi parlarmi ti conficco il tacco in un occhio.- Spiegò Nives annuendo con  convinzione.
La ragazza si inumidì le labbra, forse per il freddo o forse per quella domanda ma comunque improvvisamente le sentì secche come carta vetrata. – E che quando sto troppo a contatto con i miei parenti divento matta, qualche giorno e sarò disintossicata.-
L’amica la guardò con lo sguardo di chi la sapeva lunga. –Sembra una bugia già da come respiri.-
-E’ la verità.- Esclamò Gwen sulla difensiva.
-Siamo amiche, lo sai che se hai bisogno puoi confidarti con me, no?-
-Ti ringrazio, però è questa la verità.- Annuì convita trattenendo il respiro.
-Come dici tu, ora muoviamoci che mi si stanno congelando anche le chiappe.-


Quando aprirono la porta dell’appartamento un forte odore le colpì come uno schiaffo, la casa era completamente immersa nel buio, ogni cosa sembrava intatta però c’era qualcosa di strano.
-Hai fumato prima di uscire?- Chiese Gwen facendosi aria con una mano vicino al naso.
-No.- Rispose prontamente Nives. –Non fumo mai in casa.-
-Eppure questo è puzza di fumo di sigarette.- Disse perplessa  lei mentre muoveva alcuni passi all’interno del corridoio, arrivando così nella piccola cucina. Quando passò il dito sull’interruttore della luce, un’espressione confusa le si dipinse sul volto.
Il frigo era spalancato, metà delle cose erano riverse a terra e una bottiglia di Vodka vuota era aperta sul pavimento, però dall’odore si capiva che non era stata versata a terra ma bevuta. Tutti gli stipetti della dispensa erano stati spalancati, una scatola di spaghetti era ricaduta su se stessa, spargendo il suo contenuto sul piano cottura.
-Ma che diavolo…- Sentì Nives sussurrare alle sue spalle.
-Controlla le stanze potrebbe esserci qualcuno!- Esclamò Gwen in preda al panico, che dei ladri erano entrati in casa loro?
Controllarono affondo ogni camera, ma niente, ogni cosa era al suo posto e non c’era traccia di un’altra persona oltre a loro due.
-Gwen, vieni qui.- La voce sconvolta di Nives la richiamò nel bagno.
Lì l’odore era ancora più forte, ma non quello di fumo, era un odore acido che le faceva risalire alcuni conati per il disgusto e quando sollevò appena la testa per controllare il bagno capì che qualcun altro oltre a lei aveva ben pensato di rigettare l’anima in quel posto.
-Ma che è successo qui?- Mormorò con un filo di voce seguendo Nives nel corridoio.
-Dov’è Dianne?- Chiese l’altra guardandosi intorno e prendendo il telefonino dalla tasca per comporre il numero dell’amica. Nonostante la sua voce era ferma, nel suo viso c’era un’espressione spaventata.
Gwen si guardò intorno e il suo sguardo si posò sul posacenere stracolmo di sigarette. –Che sia stata qui con Cam?-
-Non risponde.- Nives abbassò lo sguardo su di lei e staccò la chiamata. – E si sono dati alla pazzia gioia nel distruggere la cucina e sboccare in bagno?- Disse sarcasticamente scuotendo poi velocemente la testa. –In tutto questo c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Chiama Theo, io provo a chiamare Cam.-
-Cosa dovrei dire a Theo?- Scattò Gwen come punta.
-Allora, riassuntino generale. Qualcuno si è introdotto in casa nostra rendendo la cucina in quello stato in più Dianne è sparita, penso che una mano ci serva no?- La rimproverò l’altra mentre teneva il telefono incollato all’orecchio.


Dieci minuti dopo un Theo visibilmente affannato e un Cam con le guance rosse per il freddo, si presentarono davanti alla loro porta.
-Che è successo?- Chiese il primo con il fiatone.
-Abbiamo trovato la cucina in queste condizioni, per non parlare del bagno, e Dianne è sparita.-  Spiegò Gwen gesticolando animatamente.
Cam tornò indietro alla porta, chinandosi appena e osservando con attenzione la serratura. –Non ci sono segni di forzatura, chi è entrato aveva la chiave. –Disse pensieroso.
-Da quanto non vedete Dianne?- Chiese nuovamente Theo guardando le due ragazze.
-Io non la vedo dall’ora di pranzo.- Mormorò Nives.
-Io da prima di uscire, ma sembrava stare bene. E’ da un’ora che cerchiamo di chiamarla ma niente, squilla ma non risponde.- Intervenne Gwen.
-Abbiamo controllato in camera sua, nel caso lo avesse dimenticato , ma non abbiamo trovato niente.- Concluse Nives sconsolata.
Cam che fino in quel momento se n’era stato in silenzio, continuando ad osservare con attenzione le varie stanze, si voltò verso di loro. –Dobbiamo trovarla e anche in fretta.- Parlò con tono fermo e deciso.
Theo sollevò un sopracciglio, come se non avesse mai sentito parlare così l’amico. –Che sta succedendo?-  Gli chiese, avvicinandosi.
Lui tirò indietro la testa e il suo voltò comparì segnato dalla stanchezza. –Non è entrato nessuno qui dentro, è stata lei. - Parlò come se quelle parole pesassero macigni.
-Che cosa?!- Esclamò Gwen allibita. –E’..è…è impossibile che sia stata lei.-
Il ragazzo girò il viso verso di lei, puntando gli occhi azzurri sulla sua figura. –Tutti i fili in lei si sono spezzati. Dobbiamo trovarla. Ora.-
 








 

 


 

 


NdA :
Salve a tutti! Come state?
HO UFFICIALMENTE FINITO GLI ESAMI.
Quiiiindi, eccomi qua ad aggiornare, spero che questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate asdfg, adoro leggere le vostre recensioni <3.
Grazie per la pazienza e spero continuerete a seguire la storia.
Un bacione a tutte ;)
-Nora.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11; Broken walls. ***










«Dì al mondo che tornerò a casa,
lascio che la pioggia lavi via tutto il dolore di ieri.
 »








                           
                           ◊ CAPITOLO XI ◊  Broken walls. 





D
ianne si guardò intorno per l’ennesima volta, ogni particolare di quel posto le compariva dannatamente sfogato, non riusciva nemmeno a ricordare come ci fosse arrivata lì. 
Si portò una mano tremante alle tempie, sbattendo più volte le palpebre cercando di mettere a fuoco qualche dettaglio che potesse comparirle familiare. Una targa era appesa ad un muro logoro, il forte tanfo di spazzatura le provocava solo ulteriori conati di vomito, mentre la fioca luce di un lampione infondo alla strada le faceva capire che quello era un vicolo ceco. 
Stancamente poggiò la schiena contro la parete di cemento che stabiliva la fine di quella strada e si lasciò ricadere verso basso, sino a sedersi. Come era giunta a quel punto? 
I capelli scuri erano completamente bagnati, alla candida neve di poco prima si era sostituito un temporale, e, ora che le gocce di pioggia si erano ormai diradate, una nebbia aveva avvolto ogni cosa. 
Sentiva le lacrime pungerle gli occhi, lo stomaco bruciarle e la testa pesare quanto un macigno, non poteva tornare a casa. Non dopo che l’aveva lasciata in quelle condizioni. Ma era stato più forte di lei, ogni impulso aveva prevalso sulla sua persona ed era stato come se l’ingozzarsi non le bastasse più. Aveva tracannato quella bottiglia di vodka, ci si era aggrappata come se da essa ne avesse ricavato la forza che ormai non aveva più, invece l’alcool l’aveva solo portata a stare più male e tutto quello che era riuscita a fare era stato scappare via. 
Nonostante la temperatura fosse terribilmente bassa, lei si sentiva andare a fuoco, sudava come se stessa a fare una sauna, ogni parte del suo corpo stava cedendo. Ma soprattutto aveva perso la lucidità.
Lasciò scivolare le mani lungo il busto, raggiungendo con le dita le tasche della felpa, dalla quale estrasse il pacco di sigarette che aveva comprato durante il frenetico ritorno a casa. Non aveva mai fumato prima di allora, però si era affidata a quanto aveva sempre sentito sul “fumo allieva i nervi” e lei in quel momento li aveva a fior di pelle. Alla prima boccata si era sentita soffocare, i polmoni le bruciavano, la gola protestava, però tiro dopo tiro era diventato più facile e man mano aveva sentito la testa più leggera.
Strinse tra le dita scosse da tremiti l’ennesimo bastoncino di tabacco e se lo portò alle labbra, accendendolo con l’accendino rosa che aveva rubato a Nives. Non le piaceva il sapore che il fumo rilasciava nella sua bocca, eppure stringeva con forza quella sigaretta tra le labbra, sentiva il suo corpo protestare sempre più debolmente, i polmoni abituarsi, e i sensi chiederle sempre di più.
Il telefono che aveva nella tasca dei jeans riprese a trillare nuovamente, Dianne chinò la testa interdetta, una parte di lei lo avrebbe gettato contro il muro sfracellandolo in mille pezzi, mentre l’altra voleva rispondere. Una parte remota voleva ritornare a casa.
Ma non poteva.
Cosa avrebbe detto a Gwen? Con che occhi l’avrebbe guardata?
Lentamente però tirò fuori l’aggeggio dalla tasca e quando lesse il nome sullo schermo trattenne il respiro. 
Cam. 
Perché la stava chiamando? Che Gwen e Nives lo avessero coinvolto? No no no. 
Quel pensiero la mandava ancora di più nel panico. 
Era tutto stato scaturito da lui, dal suo bacio. L’aveva mandata così in confusione che alla fine ogni muro che si era costruita le era crollata addosso, schiacciandola. 
Premette il bottone rosso e lasciò partire la segreteria, poco dopo le arrivò un messaggio che le segnalava la presenza di una registrazione vocale. Prese un lungo respiro e si portò il telefono all’orecchio.
-Cristo Dee, dove cazzo sei? Ti vengo a prendere. Non fare cose di cui potresti pentirtene. – Poi il tono duro della sua voce scemò. –Ti prego Dee, stai spaventando a morte le tue amiche, stai spaventando anche me. Richiamami. - 
Altre lacrime le salirono agli occhi, gettò via la sigaretta, e non poté fare altro che chinare la testa stringendosela tra le mani.
-Dolcezza, cosa ci fai lì tutta sola?- 
Una voce maschile attirò la sua attenzione, costringendola a sollevare la testa, tutto quello che però vedeva avanti agli occhi era una macchia scura che ondeggiava vertiginosamente. 
-Fai la timida, non rispondi?- Replicò l’uomo.
-Lasciami in pace. - Biascicò Dianne e con fatica si sollevò sulle gambe che mai come in quel momento le sembravano fatte di gelatina. 
-Come siamo sgarbate ed io che volevo essere premuroso. - Più l’uomo si avvicinava, più un tanfo agre le invadeva le narici. 
-Nessuno te lo ha chiesto.- Disse a denti stretti e avanzò di qualche passo, cercando di superare lo sconosciuto.
-Vai di fretta?- Le chiese nuovamente lui con la sua voce viscida, piazzandosi davanti.
-Spostati o mi metto a urlare. - 
-Provaci. - Il sorriso da quel viso anonimo era sparito, uno sguardo minaccioso le si puntò addosso facendole drizzare i peli sulla nuca. 
Dianne prese un lungo respiro, tentando di affidarsi a quella poca lucidità che le rimaneva, così tirò avanti con tutta la forza che possedeva il ginocchio, puntando dritto alle parti basse dell’uomo.
Quello emise un grido, piegandosi su se stesso e lei approfittò di quel momento per scappare via, più veloce che potesse.
Mentre gli insulti e le imprecazioni le arrivavano alle orecchie, Dianne corse sempre più velocemente alla cieca, svoltò in vie a caso, senza sapere dove si stesse dirigendo realmente.
Quel posto che sino a poche ore le era sembrato tranquillo, ora la spaventava da morire facendole battere il cuore all’impazzata, ogni posto che attraversava le sembrava più buio di quello precedente e pian piano iniziava a sentire le gambe cedere per lo sforzo.
Quando ormai l’unico rumore che riusciva a sentire era quello dei suoi passi e del suo cuore che minacciava di uscirle dal petto, Dianne girò di poco la testa per controllare che nessuno fosse dietro di lei. Un senso di sollievo le si sciolse nello stomaco mentre man mano che si avvicinasse a un parco, rallentava il passo. Fin quando non fu ferma del tutto.
Si chinò su stessa rotta dallo sforzo, il fianco le faceva male e i polmoni le bruciavano nel torace.
In quel momento squillò nuovamente il telefono e mossa dall’istinto e dalla paura, rispose immediatamente. 
-Dianne!- Era la voce di Cam, non l’aveva mai chiamata così. 
-Cam.- Rispose lei con la voce rotta dal pianto.
-Ehi, calmati. Dimmi dove sei, ti vengo a prendere. - 
Dianne si guardò intorno, era in un parco costeggiato da alcune abitazioni, in giro non c’era nessuno e non vedeva cartelli con scritto il nome della strada. 
-Non lo so.- Disse ancora con il fiatone. 
-Dammi qualche dettaglio, Dee, concentrati. - La incalzò lui, il suo tono di voce era indecifrabile. 
-Sono in un parco, non sembra molto curato e la zona non è delle più belle, in lontananza vedo delle insegne luminose, forse di alcuni club, non ne ho idea. - Mormorò lei, mentre si passava il palmo della mano sulle guance per asciugarsi gli occhi. 
-Oh capito, vengo a prenderti. Non muoverti di lì.- E staccò la chiamata.
Ecco che quella domanda ritornava nella sua mentre, come ci era finita in quella situazione? Mossa dalla rabbia calciò con forza una pietra, scaraventandola nel buio. Era infreddolita, ubriaca e spaventata. L’alcool che nel mentre era fermentato nel suo stomaco iniziò a risalirle su per la gola, scuotendola con violenti conati, si chinò con tutto il corpo dietro ad un muretto, lasciando che questi abbandonasse il suo corpo. 
Restò in quella posizione per cinque minuti, era allo stremo delle forze quando vide dei fanali di un auto, illuminare il piccolo parco. Si voltò appena, riparandosi gli occhi con le mani da quella luce accecante, dopo di che sentì uno sportello sbattere con forza.
-Dee, dove sei?- Sentì Cam chiamarla.
Si sforzò di rispondere ma la voce non ne volle proprio saperne di uscire, così raccolse le ultime forze e tentò di rimettersi in piedi. Ma fallì, ricadendo su se stessa e ruzzolando per la piccola collinetta del parco, ricadendo in basso.
Il suono che le sfuggì attirò l’attenzione di Cam, visto che lo sentì muoversi e la voce che la chiamava farsi più vicina.
-Sono qui. - Mormorò con la guancia premuta contro il terriccio. –Cam, sono qui. - 
-Dee!- La voce di Cam sembrò più leggera, come se nel vederla si fosse liberato di un peso. 
In pochi istanti il ragazzo le fu vicino e dopo averla voltata, la sollevò lievemente, aiutandola a rimettersi in piedi. –Ti senti bene?- 
Dianne non riusciva a spiccicare mezza parola, si sentiva morire per la vergogna, così si limitò a scuotere con forza la testa mentre si mordeva ripetutamente il labbro inferiore, scaricando in quel gesto tutte le sue paure. 
-Oh Dee. - Il tono di Cam si addolcì e la strinse con forza a se. –Mi hai spaventato a morte. – Mormorò a voce bassa.
Dianne gli strinse le braccia al collo, ricambiando quella stretta, come se lui fosse la sola ancora di salvezza in un deserto di sabbie mobili. –Scusami. - Mormorò contro il suo collo. –Mi dispiace tanto Cam.- Il respiro tornava a incrinarsi, nuove lacrime minacciavano di scendere.
-Va tutto bene, ti porto a casa. - Le sussurrò lui all’orecchio.
Lei scosse il capo, nascondendo maggiormente la testa nell’incavo del suo collo, tentando di evitare lo sguardo dei suoi occhi di quel blu così intenso. –Non voglio andare a casa. - 



Il tragitto in macchina fu completamento immerso nel silenzio, Dianne non riusciva nemmeno a guardare Cam, aveva il corpo girato verso il finestrino e gli occhi fissi sulle luci dei lampioni che a tratti le illuminavano il viso. Si aspettava il terzo grado e invece lui rispettò il suo silenzio.
Dopo un po’ si fece coraggio, girandosi appena. –Dove stiamo andando?- Chiese con un filo di voce.
-A casa. - Replicò lui senza distogliere lo sguardo dalla strada.
-Cam, te l’ho già detto, non ce la faccio a tornare a casa. - Mormorò esausta. 
-Non ti sto portando a casa tua Dee, stiamo andando da me.- 
Lei si morse istintivamente un labbro, lasciando che una lacrima le rigasse il viso. –Non voglio che Theo mi veda così.- Sussurrò.
Lui non rispose, s’immise nel vialetto e poco dopo spense il motore, portandole una mano sul fianco. – I soli occhi che vedranno il tuo viso stasera saranno i miei, te lo prometto. -
Nel sentire quelle parole un calore l’avvolse e riuscì solo ad annuire lentamente.
Quando entrarono, l’enorme abitazione era immersa nel buio totale, Dianne esitò sulla soglia ma quando avvertì le dita di Cam stringersi intorno al suo polso, fu costretta ad avanzare. 
-Vieni. - Le disse a voce bassa mentre inizia a percorrere i gradini della scala a chiocciola che portavano al piano superiore. 
Tentando di non inciampare nei propri piedi, per colpa della scarsa visibilità, Dianne seguì Cam lungo le scale, sino a giungere davanti ad una porta che lui poco dopo aprì.
-Entri o ti serve l’invito scritto?- Le chiese dopo aver attraversato la soglia, notando che lei era rimasta nel corridoio come una statua di cera.
-E’ la tua stanza?- 
-No, è la stanza rossa delle torture, Alys è così fissata con i romanzi erotici che ne ha voluta una tutta per se.- Le rispose. 
Dianne fece rotare gli occhi, accennando un mezzo sorriso. –Idiota. - Sussurrò entrando.
Quando si erano conosciuti Cam le aveva detto che dalla stanza di una persona era possibile capirne la personalità, però da quello che mostrava la sua di stanza non si riusciva a decifrare un granché. Tutto era in ordine, i mobili erano di un grigio tenue e le pareti dipinte di azzurro che man mano, avvicinandosi al pavimento, sfumava sul bianco. Molti libri erano sistemati in una libreria enorme che occupava quasi un’intera parete, mentre vicino alla finestra era posto un telescopio.
-Puoi usare il mio bagno. - Lo sentì dire, mentre apriva un cassetto iniziando a frugare al suo interno. –E puoi indossare questo dopo aver fatto la doccia, fidati, ti serve. - 
Dianne afferrò tra le mani quella che sembrava essere una maglia da giocatore di basket e sollevò lo sguardo verso i suoi occhi. –Mi stai dicendo che puzzo?-
Cam sorrise e delle fossette gli si formarono sulle guance. –Giusto un po’. - 




Dianne entrò lentamente nel bagno adiacente alla camera di Cam chiudendosi la porta alle spalle, anche lì l’ordine regnava sovrano. Le mattonelle color avorio prendevano una sfumatura dorata sotto la luce del lampadario, un tappeto bianco era disposto sul pavimento e vari tipi di bagnoschiuma erano ordinatamente sistemati su delle mensole. Cam sembrava più donna di lei, se lei avesse avuto un bagno tutto per se, sicuramente quell’ordine non ci sarebbe mai stato.
Si poggiò stancamente contro la piastrelle, incastrando le mani tra i capelli bagnati. Si sentiva meglio, un senso di sicurezza le era penetrato nelle vene, rassicurandola debolmente. Quella notte sarebbe passata.
Sentì qualcuno bussare la porta e poi la mano di Cam passare attraverso un piccolo varco, stringeva uno spazzolino da viaggio tra le dita. –Potrebbe servirti. - 
Dianne si scostò dalla parete, aprendo del tutto la porta. –Continue frecciatine alla mia igiene. - 
Lui sollevò le mani con un’espressione innocente e poi sorrise. –Io lo dico per te.- 
La ragazza scosse la testa, non riuscendo però a trattenere un sorriso. –Grazie ancora Cam.- Annuì piano. –Sono sincera, non è la prima volta che mi aiuti e…-
Lui la bloccò con un gesto della mano. –Va bene così.- Tagliò corto, voltandosi verso la porta. 
–Cam…- 
-Vai, parleremo dopo Dee.-
Dieci minuti dopo era linda e profumata, i capelli umidi le ricadevano in onde sulle spalle, mentre delle occhiaie profonde solcavano il suo viso. Durante la doccia aveva pensato a quell’assurda serata, perché aveva reagito così dopo il bacio con Cam? Perché l’aveva mandata così fuori di testa? 
Strinse con forza le mani intorno al lavello e si lavò i denti con lo spazzolino da viaggio che Cam le aveva portato poco prima, si sentiva decisamente meglio.

Aprì la porta cautamente, ritrovando la camera completamente immersa nell’oscurità, l’unica fonte di luce proveniva dalla luna, ormai sgombra da ogni nube.
-Cam?- Lo richiamò in un sussurro.
-Sono qui.- Rispose lui, la sua voce sembrò ancora più roca.
Dianne avanzò qualche passo, Cam era disteso sul letto e aveva le mani incrociate dietro la nuca. I capelli scuri gli ricoprivano gli occhi azzurri che al buio brillavano come due fari.
-Vieni qui Dee, ti giuro che non mordo.- 
Prese un lungo respiro e raggiunse il letto, sedendosi sul bordo di esso. – Mi dispiace tanto.- Mormorò. –Per tutto.-
Lui si sollevò appena, arrivandole vicino e dopo averle cinto la vita con le braccia, la tirò giù con sé, facendola distendere sul letto. –Dee.- le sussurrò all’orecchio e lei percepì il suo respiro caldo contro la guancia. –Cosa non mi dici?- 
A quelle parole Dianne sollevò la testa di scatto verso l’alto, evitando di guardarlo negli occhi. –Non sto nascondendo niente Cam.- Disse e la sua voce suonò ferma, nonostante il suo corpo tremasse. 
-Sei così ostinata.- Commentò lui, allentando di poco la stretta sulle braccia di lei.
Dianne aprì la bocca, era pronta a dare sfogo a una delle sue performance migliori, avrebbe mentito e non poteva permettersi di cedere alle emozioni, se Cam avesse saputo non l’avrebbe più guardata allo stesso modo. 
Perché era questa la sua più grande paura, che le persone avrebbero preso a trattarla diversamente, come se fosse fatta di cristallo. Avrebbe letto la pietà nei loro occhi, sussurri di incredulità o rabbia contro se stessi per non averlo capito… e lei non voleva niente di tutto questo. 
Era pronta a parlare, però non le uscì nessun suono dalla bocca, si morse istintivamente le labbra, sentendosi come un mazzo di scopa tra le sue braccia. –Ho esagerato stasera, ero… fuori di testa.- Disse in un sussurro. –Può capitare a tutti, no?-
-Certo.- Annuì piano lui. –Però sappiamo entrambi che non stai dicendo la verità.- 
-Non c’è altro, te lo giuro.- Mentì sperando che la sua voce non tremasse.
-E’ per quello che è successo sul terrazzo?- Chiese nuovamente lui e Dianne lo sentì irrigidirsi alle sue spalle. 
Si voltò lentamente, ritrovandoselo a un palmo dal viso, le punte dei loro nasi si sfioravano. –Cam, non è stata colpa tua.- Mormorò cercando di non pensare a quanta poca distanza ci fosse tra i loro corpi. –Il problema sono io e basta.- 
Un lungo silenzio calò tra loro, gli occhi di Cam si erano fatti scuri, l’azzurro vivo che solitamente li caratterizzava sembrava essersi spento per lasciare lo spazio a un blu intenso che ricordava il cielo notturno. Lo sentì sospirare rumorosamente mentre il battito del cuore di Dianne accelerava vertiginosamente, non ce la faceva più. Non riusciva a mandare avanti quella sceneggiata.
-Dee, voglio raccontarti una storia.- Le sussurrò lui ponendo fine a quel silenzio e sollevando una mano con la quale prese a giocare con una ciocca dei suoi capelli. –C’era questa ragazza, ormai donna, aveva due figli, due bambini che l’amavano tanto ed era sposata con quest’uomo.  Lei lo amava così tanto da farsi male, lo aveva sposato nonostante avesse posto fine a ogni suo sogno. – Fece una pausa e i suoi occhi azzurri si scurirono. –Lui non faceva altro che sminuirla, a dirle che non era abbastanza… così lei pur di piacergli inizio a cambiare se stessa, iniziò ad andare contro ogni suo principio. Non mangiava, e se lo faceva, poco dopo rigettava ogni singola cosa. Si era ridotta al nulla, si era annullata.- 
Dianne sentì il proprio battito cardiaco accelerare, che Cam lo avesse capito?
-Un giorno suo figlio le chiese di tenerla per mano, lei con un sorriso stanco lo strinse con forza, ma quando lo sguardo del bambino finì sulla sua mano quella era tutta ferita, completamente graffiata e arrossata. E lui non capiva, perché la mamma si era fatta male? Gli anni passarono e un giorno i due bambini tornarono a casa, la madre era in lacrime sul pavimento, il frigo svuotato, un odore orribile. Il marito l’aveva abbandonata, lei e i suoi figli.- Fece una pausa, chiudendo per alcuni istanti gli occhi e quando li riaprì, l’azzurro era diventato ghiaccio. –E lei aveva dato sfogo alla sua malattia. Lei si era ammalata per stare dietro a lui, forse lui non l’amava o forse era troppo immaturo per quello. Fatto sta che lei si è distrutta.- Concluse serrando la mascella.
Dianne che aveva ascoltato in silenzio ogni sua parola, strinse con forza le mani che ormai erano sudate, il cuore le batteva come un martello e le lacrime minacciavano di tornare. –Chi…chi è questa donna Cam?- Sussurrò con un filo di voce.
Lui abbassò lo sguardo, la bocca stretta in una linea. –Mia madre Dee.- 
Ricevette quelle parole come uno schiaffo in pieno viso, con tutta la forza di volontà tentò di non piangere. –Lei… ora come sta?- 
Cam chiuse gli occhi, chinando la testa e portando così la fronte contro quella di lei, non disse nulla, scosse solo la testa. 
Una morsa serrò la gola di Dianne e senza pensarci strinse con forza le mani intorno al busto di lui, lo strinse a se con tutta la forza che aveva in corpo. –Mi dispiace tanto Cam.- 
Lui non rispose, lasciò che lei lo abbracciasse, continuando ad accarezzarle lentamente i capelli. –Non voglio che tu finisca come lei, Dee.- Fu tutto quello che disse.
Dianne s’irrigidì tra le sue braccia. Cam sapeva, il ragazzo che conosceva da tre mesi, aveva capito quello che nascondeva da tre anni anche alla sua famiglia. Lui lo aveva capito. 
–Cam io…- Mormorò cercando di allentare la stressa delle braccia. 
Lui non glielo permise, anzi, la strinse ancora più forte. –Non provare a negare, stasera ne ho avuto la conferma.- 
Questa volta le lacrime arrivarono e non riuscì a fermarle, iniziarono a scendere sempre più copiose lungo le sue guance, chinò il viso, soffocando i singhiozzi nell’incavo del suo collo.
-Va tutto bene Dee, passerà, non ti lascerò da sola.- Le sussurrava Cam mentre la coccolava e stringeva tra le sue braccia.
Dopo degli istanti interminabili Dianne tirò la testa indietro, aveva lo sguardo basso, non riusciva a guardarlo negli occhi. –Ho paura Cam.- Fu tutto quello che disse. 
-Lo so.- Rispose lui, accarezzandole con dolcezza una guancia. 
Stretta nell’abbraccio e con le lacrime che le rigavano il viso, lentamente si addormentò. 

 





 

 


NdA :
Eccomi qua con un nuovo capitolo, spero davvero che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate :)
Grazie per la pazienza e spero continuerete a seguire la storia.
Un bacione a tutte ;)
-Nora.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12; What would you do? ***


Capitolo 12








«Ecco perché ho paura: ho perduto qualcosa di importante, 
non riesco più a ritrovarlo, e ne ho bisogno.
 »








                           
                           ◊ CAPITOLO XII ◊  What would you do?





-
Dai, un bel respiro ed entra.- 
-No, non ci riesco.-
Dianne lasciò per l’ennesima volta la stretta delle dita contro la maniglia. Era davanti al suo appartamento con Cam, lui l’aveva praticamente trascinata di peso per riportarla a casa e ora se ne stava lì a guardarla, mentre la pazienza lentamente abbandonava il suo bel viso.
-L’ultima volta che ho controllato Gwen e Nives non si cibavano di carne umana.- Borbottò lui, stringendosi le braccia al petto. Di prima mattina la sua bellezza sembrava accentuata, gli occhi azzurri completamente assonnati, la pelle del viso fresca di barba e le spalle, ricoperte da una felpa, appoggiate stancamente alla parete.
Quando si era svegliata nel suo letto, c’era stata una frazione di secondo in cui il cervello aveva resettato ogni cosa, prima che i ricordi del giorno precedente le affluissero alla mente, si era ritrovata a diventare rossa come un pomodoro maturo. Fortunatamente Cam dormiva ancora profondamente per rendersi conto del suo imbarazzo. Però, oltre ogni aspettativa, non si sentiva in imbarazzo per avergli parlato della sua malattia… o meglio, avergli confermato i suoi sospetti. Anzi, nonostante un iniziale scambio di sguardi poi, tra loro, non c’era stato niente di che, lui era sempre il solito Cam e la trattava come faceva dal primo giorno, senza mostrarle nessuna forma di pietà o cambiamento. E Dianne gli era grata per questo, in più si sentiva terribilmente sollevata, solo il pensiero che ora al mondo avesse qualcuno con cui poter parlare liberamente, la facevano stare meglio. Poteva farsi aiutare a trasportare quel peso che ormai le logorava la schiena.
-No, me ne vado direttamente a lezione, non fa niente se sembro una barbona.- Annuì convita, voltandosi velocemente, però la sua corsa durò nemmeno cinque secondi visto che una mano le afferrò il braccio.
-Cam…- Mormorò mentre si voltava nella sua direzione, cercando di non guardarlo negli occhi.
-Dee, scappare non serve a nulla, prima o poi dovrai tornare a casa, non penso che pur di non affrontare le tue amiche tu decida di diventare una senzatetto.- Il suo viso non tradiva nessuna emozione, in quel momento Cam era impassibile. –Quindi, porta il tuo bel culo davanti alla porta oppure suono io e ti ci porto di peso.-
Dianne prese un lungo respiro, annuendo lentamente.- Va bene…- Sussurrò con un filo di voce mentre Cam scioglieva la presa delle dita dal suo braccio. –Però non sono pronta a parlare con loro della…- Le parole le morirono in gola, abbassò lo sguardo come per sfuggire dagli occhi del ragazzo.
-Non devi.- La rassicurò lui. –Nessuno ti obbliga a parlarne, Dee. Però ora devi tornare a casa.- Il suo tono di voce si era addolcito.
Lei lo guardò, non era mai stata grata a nessuno come a Cam in quel momento. Sentì le lacrime pungerle gli occhi per come le emozioni la stavano scuotendo lasciandola senza fiato. – Grazie.- Fu tutto quello che disse.
Lui inclinò la testa, sollevando una mano che portò sulla sua guancia, accarezzandola appena con la punta delle dita. –Te l’ho detto tante volte, non ringraziarmi Dee.-
Dianne sollevò lo sguardo, incrociando gli occhi di lui, e mentre stava per rispondergli la porta di casa si aprì.
Sulla soglia c’era Gwen, lo sguardo basso e l’attenzione completamente rivolta alla borsa, nella quale sembrava cercare qualcosa disperatamente, alle sue spalle c’era Nives che, a differenza della coinquilina, posò subito lo sguardo sui due.
Entrambi voltarono di scatto la testa in direzione della porta e Cam scostò bruscamente la mano dalla guancia di Dianne.
-Dianne!- Esclamò Nives e a quelle parole anche Gwen sollevò lo sguardo sulla ragazza.
-Razza di idiota, dove sei stata? Mi hai fatto prendere un infarto!- Esclamò la cugina, annullando del tutto la distanza tra loro e stringendo Dianne in un abbraccio stritolante. – Non farlo mai più.-
Lei si lasciò stringere da Gwen, per poi sciogliere la stretta indietreggiando di un passo. –Mi dispiace tanto.- Sussurrò spostando lo sguardo su Nives. –Non ho nessuna giustificazione.-
Entrambe la guardarono in silenzio, però poi Gwen si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. –Non fa niente, l’importa è che tu sia qui.-




Dopo il breve incontro con Gwen e Nives, Dianne era ritornata nella sua stanza per cambiarsi i vestiti. Cam era andato via senza dire nemmeno una parola, questo le aveva lasciato una strana sensazione allo stomaco, una sensazione che non riusciva a decifrare nemmeno lei stessa. Probabilmente avrebbe dovuto soffermarsi a pensarci di più, Cam si era costruito un muro intorno e quel muro diventava sempre più impenetrabile con il tempo, eppure… Eppure a lei aveva raccontato di sua madre, le aveva mostrato un lato di se che molti ignoravano. Però questo non lo aveva fatto solo lui, anche Dianne si era aperta a Cam come non aveva mai fatto con nessuno primo di allora e questo la spaventava terribilmente, perché con quel ragazzo era tutto così spontaneo, mentre con Austin non c’era mai riuscita a parlare così? Poi arrivava un secondo fattore, ogni qualvolta lui la sfiorava, la sua pelle era scossa da brividi e sensazioni sconosciute le si annidavano nello stomaco, scuotendola in profondità. Aveva il batticuore solo nel ripensare al loro bacio sul balcone, le sue labbra piene sulle proprie, il modo in cui le aveva accarezzato i capelli… Dio, sentiva caldo solo a pensarci.
Il suono della campanella la fece sobbalzare, riscuotendola dai suoi pensieri, aveva le dita talmente serrate contro la penna che le nocche erano diventate bianche. Il resto dei ragazzi stava già uscendo, il professor Ordaway sistemava in silenzio i libri all’interno della borsa, aggiustandosi più volte gli occhiali sopra il naso.
Dianne raccolse velocemente le sue cose, tentando di risvegliarsi da quello stato di intontimento, e si sollevò velocemente dalla sedia, percorrendo i gradini dell’aula a due a due.
-Era molto distratta durante la lezione, Rivera.-
La voce del professore la bloccò, costringendola a fermarsi. –Mi scusi, non capiterà più.-
Lui si girò nella sua direzione, distogliendo l’attenzione dalla borsa. –Giornata pesante?-
Dianne lo guardò interdetta, era la seconda volta che quel professore tentava un approccio amichevole nei suoi confronti. –No.- Mentì. –E’ solo difficile riprendere il ritmo delle lezioni dopo alcuni giorni di pausa.-
-Già, per abituarci agli orari comodi non ci mettiamo niente, perdendo quelli che sono i nostri abituali.- Commentò lui, facendo scivolare entrambe le mani all’interno delle tasche.
-Già. Beh, io andrei…- Tentò di dire Dianne, muovendosi in direzione della porta.
-Aspetta.- Esclamò lui.- Vieni qui.- Le ordinò ritrovando il suo consueto tono di voce.
Lei sollevò lo sguardo confuso sui suoi occhi, annuendo appena mentre si avvicinava alla cattedra tenendosi comunque a distanza di sicurezza. –Sì?-
Ordaway si lasciò ricadere pesantemente sulla sedia, scostandosi con le dita alcune ciocche di capelli dalla fronte. –Dianne. – Esordì. –Spero non ti dispiaccia del fatto che ti chiami con il tuo nome di battesimo, meglio abbandonare le formalità visto l’argomento che stiamo per trattare.-
Dianne aggrottò maggiormente le sopracciglia, allo sguardo confuso si sostituì uno carico di sospetto, ma non replicò, lasciò che il professore continuasse a parlare.
Lui si chinò in avanti, poggiando entrambe le mani sulla scrivania. –So che hai legato molto con Cameron Carter.- Sollevò lo sguardo verso Dianne. –Posso farti alcune domande sul suo conto?-
Lei sbattè le palpebre sorpresa. –Cam? Perché dovrebbe farmi delle domande su di lui? –
-Perché sono suo fratello e quel ragazzo mi preoccupa.- Mormorò Ordaway sospirando stancamente.
-Lei è Zachary?- Chiese sorpresa e poi una scena le comparì nella mente come un flash, il primo giorno di lezione Cam aveva chiamato il professor “Z.” e non con il suo cognome, come lui aveva richiesto a tutti. In più Cam le aveva anche spiegato che suo fratello non portava più il cognome del padre, ma quello del secondo marito della madre.
-Vedo che ti ha parlato di me.- Un sorriso triste gli si formò sulle labbra. –Sono preoccupato per lui, Dianne.-
Lei si inumidì le labbra, facendogli un cenno con la testa. –Perché è preoccupato per lui?-
Zachary sospirò. –Da quando nostra madre è morta Cam non è più la stessa persona, si è lasciato sopraffare dai vizi, non gioca più a football e salta le lezioni.-
Dianne deglutì lentamente, Cam giocava a football?
-Con me e mia moglie si rifiuta di parlarne, quindi ho dovuto prendere a osservarlo, forse non sono cose da fare, ma sono davvero preoccupato per lui. Ho notato che oltre a Theo o Alys, sta spesso con te. Lo so che sbaglio a metterti in questa situazione, però vorrei solo sapere se sta bene.-
Dianne sentì la gola terribilmente secca, si rese conto che non sapeva rispondere a quella domanda, Cam stava bene? Quello che mostrava era un ragazzo a cui non gli fregava di niente e che chiunque avrebbe potuto dire di tutto sul suo conto, però, alla luce di queste nuove informazioni, capì che lui non era stato sempre così. C’era stato un tempo in cui a Cam tutte quelle cose importavano.
Si morse l’interno guancia, chinandosi appena. –Ascolti, proverò a cercare una risposta valida alla sua domanda.- Mormorò. –Le farò sapere.-
Zachary le rivolse un sorriso pieno di gratitudine. –Ti ringrazio Dianne, ora vai, mi dispiace averti rubato tutto questo tempo.-



Non appena fu fuori dall’edificio, Dianne nascose il viso nel colletto della giacca, le parole del professore Ordaway le ronzavano in testa, si chiedeva se informare il fratello di come stesse Cam fosse la cosa giusta da fare. Infondo non parlare con lui di quello era stata una sua scelta e si sentiva di tradirlo in quel modo.
-Dianne.- Sentì la voce gentile di Theo chiamarla.
Sollevò lo sguardo e non appena vide il ragazzo appoggiato con la schiena contro il tronco di un albero, gli rivolse un sorriso.- Ehi, cosa ci fai qui?- Gli chiese avvicinandosi.
-Aspetto quel ritardatario di Cam.- Brontolò lui. –Lui passeggia come una lumaca ed io divento un pezzo di ghiaccio.-
Dianne inclinò il viso. –Io a lezione non l’ho visto.-
-Che cosa?!- Esclamò Theo scostandosi dall’albero. –Ma è cretino?-Lei sollevò le spalle e Theo non le diede modo di replicare continuando a parlare.- Tu stai bene?-
Annuì energicamente sollevando una mano come per dirgli di non preoccuparsi. –Tutto passato.-
Il ragazzo le rivolse un sorriso rassicurante. –Meno male, ci hai fatto infartare tutti quanti.-
Dianne accennò un sorriso. –E a te con Gwen?-
Theo parve completamente colto alla sorpresa da quelle parole, la sua tranquillità sembrò creparsi. –Mh, tutto bene?- Azzardò.
-Ho capito, non vuoi parlarne.- Scherzò lei.
-Non è questo.- Lui abbassò lo sguardo tirando un calcio a un sasso. –E che non so nemmeno io come va, se siamo amici o no. Da quando siamo tornati sembra un’isterica.-
-Come biasimarla.- Borbottò Dianne. –E’ impaurita e confusa, dovresti fare chiarezza e rassicurarla.-
Theo la guardo e mentre stava per rispondere fu interrotto da una voce femminile.
-Ehi, che fate?- Alys era comparsa alle spalle del fratello, i capelli biondi lunghi fino alla vita erano sapientemente intrecciati in una treccia che le ricadeva di lato, gli occhi verdi scrutavano con curiosità i due. Perché doveva essere così bella?
-Theo vuole tingersi i capelli.-
Lui annuì. –Voglio farmi biondo, proprio come te sorellina.-
-Non ti azzardare.- Esclamò inorridita Alys e gli altri due scoppiarono a ridere.




Era notte fonda, Dianne ne era convinta, il conforto della coperta calda contro il corpo mandava via qualsiasi brutto pensiero, lasciandola riposare nella pace assoluta… Eppure come mai era sveglia?
Un tonfo colpì il portone principale del suo appartamento. Ecco perché non dormiva, c’era qualcuno che bussava come un pazzo alla loro porta alle... Si girò appena per vedere l’ora e sgranò gli occhi. –Ma chi cavolo è alle tre del mattino?!- Esclamò sollevandosi di scatto da letto. Che Gwen o Nives fossero rimaste chiuse fuori?
Quando uscì dalla sua stanza quell’opzione fu subito scartata, le due ragazze erano appena uscite anche loro dalle loro camere, con un’espressione confusa sul viso.
-Ma chi sarà a quest’ora?- Mormorò Gwen a voce bassa, ancora immersa nei suoi sogni.
-E se è un ladro?- Strillò Nives.
-Certo, perché i ladri bussano. Toc toc, siamo qui per rubarvi anche le mutande.- Borbottò Dianne sollevando gli occhi al cielo.
-A quest’ora sei antipaticissima.- Disse l’altra, incrociando le braccia al petto.
-Io non apro.- Mise subito in chiaro Gwen.
-Vado a prendere la pistola?- Chiese Nives.
-Tu hai una pistola?-
-Sì, solo che mi è scaduto il porto d’armi, quindi in pratica è illegale.-
-Tu hai un’arma illegale in casa?- Ripeté Dianne scioccata.
L’altra sollevò gli occhi al cielo e, a un ulteriore colpo alla porta, sobbalzarono tutte e tre.
Dianne osservò lo sguardo spaventato delle due ragazze e in preda ad un attimo di coraggio si avviò verso il portone, girò lentamente la chiave e con un movimento della mano lo aprì di scatto.
Qualcuno le cadde addosso, facendola indietreggiare sia per il peso che per la sorpresa, Nives e Gwen alle sue spalle avevano lanciato un urlo di puro terrore. Sollevò il viso, ritrovandosi faccia a faccia con Cam, aveva i capelli lisci premuti contro la fronte sudata, gli occhi socchiusi e un sorriso beato sul viso.
-Cam, che diavolo fai?-
-E’ Cam?- Chiese cauta Nives, avanzando di alcuni passi.
Lui non rispose, sembrava essersi addormentato e Dianne iniziava a sentirsi soffocare per lo sforzo fisico che stava compiendo nel sorreggerlo. –Qualcuno mi da una mano, tra cinque secondi lascerò la presa e morirò spiaccicata sul pavimento.-
Le due ragazze a quelle parole sembrarono risvegliarsi dallo loro stato confusionale e le arrivarono vicino, afferrando Cam per entrambe le braccia, liberando Dianne dal suo peso.
-Ma che belle braccia muscolose ha il nostro Cam.- Commentò Nives mentre premeva le dita contro i bicipiti del ragazzo.
-Nives!- La rimproverò Dianne. –Ti sembra il momento?-
Lei fece spallucce per poi muoversi tutte e tre, portando Cam sul divano e facendolo distendere nel modo migliore che potessero.
-Vado a prendere un cuscino e delle coperte.- Mormorò Gwen prima di sparire nella sua stanza.
Dianne si chinò vicino al ragazzo e gli passò le dita sulla fronte, scostandogli i capelli sudati dalla pelle.- Cam...- Lo richiamò in un sussurro.
Lui dischiuse le labbra, mormorando qualcosa di incomprensibile.
-Ultimamente ubbriacarsi di notte è diventata una moda.- Commentò amaramente Nives e quando vide Dianne irrigidirsi subito tentò di rimediare alle sue parole. –Cioè, intendevo dire…-
-Lascia stare.- La interruppe lei continuando a darle la schiena, con il viso rivolto verso Cam. –E’ solo la verità.- Fece una pausa respirando profondamente. –Solo che… Non capisco perché Cam sia venuto qui.-
-Davvero non lo capisci?-
A quelle parole Dianne voltò di scatto il viso verso di lei mentre Gwen le compariva alle spalle sommersa di cuscini e coperte. –Dovrebbero bastare.- La sentì dire sotto quella massa di roba.
Lei prese uno dei cuscini e , facendo sollevare la testa a Cam, glielo infilò sotto la nuca. –E’ completamente sudato, non so se coprirlo sia una buona idea.- Disse pensierosa, mentre osservava il viso del ragazzo completamente rilassato e perso in chissà quale sogno.
-Lasciagliele vicino al letto, così nel caso si svegliasse e avesse freddo, le trova lì.- Propose Gwen e lei annuì.
Quando fu di nuovo nel suo letto proprio non riusciva ad addormentarsi, i suoi pensieri ritornavano sempre a Cam e del perché il ragazzo fosse piombato a casa loro alle tre del mattino. Cosa lo aveva spinto ad andare lì e non a casa sua? E soprattutto perché aveva bevuto in quel modo?
Prima si era soffermata ad osservarlo mentre dormiva, sembrava un bambino, i lineamenti distesi, la bocca socchiusa e le ciglia lunghe che gli facevano ombra sulle guance. Era dannatamente bello, però gli sembrava quel tipo di bellezza che nascondesse tanto gelo e tanto dolore. Fuori come il sole appena sorto, dentro come stalattiti di ghiaccio che ti bucano lo stomaco.


Quella mattina non aveva lezione, però si sveglio comunque presto… okay, era più che presto visto che l’orologio segnava le sei del mattino. L’unico motivo per cui Dianne si era alzata a quell’ora era per parlare con Cam, temeva che lui svegliandosi prima se ne sarebbe andato lasciandola lì con tutte le sue domande.
La cucina era illuminata dalla fievole luce del sole che non era ancora sorto, Cam era ancora lì, profondamente addormentato e con una coperta che gli cingeva le spalle.
Dianne si avvicinò lentamente a lui, soffermandosi ad osservarlo più del dovuto per poi poggiare una mano sulla sua guancia e iniziando ad accarezzarla senza nemmeno rendersene conto. Con il pollice tracciò la linea della sua mascella, risalendo delicatamente in direzione del mento, quando sfiorò le sue labbra un brivido di piacere le percorse la schiena costringendola a ritirare bruscamente la mano.
-Cam.- Lo richiamò scuotendolo leggermente. –Cam, svegliati.-
In risposta lui mugugnò contrariato, girandosi dall’altra parte.
-Cam, ti prego, svegliati.- Lo incitò nuovamente, scuotendolo con più forza.
Lui si girò verso di lei con gli occhi socchiusi. –Dee?- Mormorò e il suo viso si contrasse in una smorfia confusa mentre sollevava del tutto le palpebre. –Che cavolo ci faccio a casa tua?-
-Questa è la domanda del giorno.-
Cam si sollevò sulla schiena, mettendosi seduto, aggrottando appena le sopracciglia ancora più confuso. –Che è successo ieri sera?-
Dianne che gli era di fronte, dovette reprimere l’impulso di spostargli i capelli che gli ricadevano davanti agli occhi. – Riassumendo tutto velocemente: erano le tre di notte e bussavi come un forsennato alla porta di casa, quando sono venuta ad aprirti mi sei caduto addosso addormentato.-
Il ragazzo aggrottò maggiormente la fronte, passandosi le dita tra i capelli. –Non ricordo niente, dovevo essere proprio fuori.- Poi si zittì, sollevando lo sguardo oltre la spalla di Dianne.- Posso usare il bagno?-
-Certo, conosci già la strada.- Gli rispose lei con un mezzo sorriso.

Dopo che Cam fu entrato in bagno, Dianne tornò nella sua stanza decisa ad indossare qualcosa di più adatto visto che il pigiama grigio con i bordi rosa e su la scritta “coccole coccole”, non le sembrava proprio il massimo. Anzi, era un abbigliamento leggermente imbarazzante.
Aprì l’armadio, però non ebbe nemmeno il tempo di scorgere con lo sguardo cosa ci fosse al suo interno, che sentì una presenza alle sue spalle. Si voltò  incrociando gli occhi azzurri di Cam, aveva i capelli umidi e la pelle odorava del loro sapone, delle occhiaie abbastanza evidenti risaltavano sul suo viso.
-Dee…- Sussurrò per poi abbassare lo sguardo su di lei.- Bel pigiamino.- Disse poi sollevando le labbra in un sorrisetto.
Lei strinse le braccia al petto, come per coprirsi, e sollevò lo sguardo verso di lui. –Cam che sei venuto a fare qui stanotte?-
Lui si inumidì le labbra con la punta della lingua, indietreggiando appena in direzione della porta, che si chiuse alle spalle. –Non lo so.- Disse poi, poggiando la schiena contro il legno.
Dianne di morse un labbro, avanzando di un passo verso di lui e lasciando vagare una mano tra i capelli arruffati. –Cam, cosa sta succedendo?-
Il ragazzo sbattè le palpebre colto alla sprovvista da quella domanda. –In che senso?-
-Tra me e te. Cosa sta succedendo tra noi?- Ripeté lei, abbassando lo sguardo.
Cam allungò entrambe le mani che portò sui fianchi della ragazza e con un movimento veloce l’attirò a se, premendo maggiormente la schiena contro la porta. –Dimmelo tu Dee, cosa sta succedendo?- Le chiese a voce bassa, chinando di poco il viso, così da accarezzarle una guancia con la punta del naso.
Lei deglutì rumorosamente, tenendo lo sguardo basso. –Non lo so.-
-Sì che lo sai, hai solo paura di ammetterlo.- Replicò lui. –Guardami.-
Dianne aveva quasi il terrore di incrociare i suoi occhi azzurri in momenti come quello, però sollevò lo sguardo leggendo negli occhi di Cam qualcosa che non aveva mai visto prima. Le pupille erano dilatate, l’azzurro si era fatto più intenso unendosi a delle sfumature di viola, nei suoi occhi vedeva il desiderio. O forse la sua mente stava camminando troppo di fantasia?
Lui si mosse in avanti e si girò così da premere lei con la schiena contro il legno della porta, Dianne tirò Cam verso il proprio corpo, così da portarlo contro la proprio figura.
I suoi occhi la scrutavano con attenzione, come se la stesse studiando per intuire la sua prossima mossa. Era quando Cam la guardava così che Dianne sentiva il proprio cuore palpitare così forte che quasi sembrasse uscire dal petto. Avvertiva il suo respiro contro la pelle, era caldo e odorava di tabacco.
Mossa dal proprio istinto gli avvolse le braccia intorno al collo, portando le dita nei suoi capelli lisci e accarezzandoli lentamente, come se a sua disposizione avesse avuto tutto il tempo del mondo. In quel momento non le importava di niente, sentire il calore del corpo di Cam le bastava, voleva osservarlo senza che il senso di colpa le stringesse la gola così forte da impedirle di respirare.
Cam continuava ad osservarla, seguendo con lo sguardo ogni piccolo movimento, tra loro c’era così poco spazio che sembra impossibile non percepire ogni vibrazione che attraversasse il corpo dell’altro.
Lui s’inumidì le labbra, chinando di poco il viso e con la punta delle dita le scostò alcuni capelli che le ricadevano sulla fronte.
-Dianne.- Mormorò, la sua voce compariva incrinata, abbandonata della sua solita sicurezza, però ascoltarlo pronunciare il suo nome in quel modo, accentuò la pelle d’oca sulle braccia di Dianne.
Lei allargò le mani, così da stringerle a coppa contro il suo viso, percorrendo con esse le sue guance, soffermandosi sugli zigomi e scendendo verso la mascella.
 –Baciami Cam.- La sua voce si rivelò essere un sussurro, un respiro strozzato.
Cam le passò un braccio intorno alla vita e senza esitare ulteriormente posò le labbra su quelle di lei. Fu come se una scintilla di fuoco scoccasse tra i loro corpi, all’esitazione e la prudenza di poco prima, si sostituì una smania di toccarsi sempre più frequentemente, di premere maggiormente il corpo contro quello dell’altro. Lui la stringeva con forza a se, mentre con l’altra mano continuava ad intrecciarsi alcune ciocche dei suoi capelli tra le dita. Quel movimento mandava delle sensazioni di piacere lungo tutto il corpo della ragazza che continuava a baciarlo, come se Cam fosse l’acqua e lei arsa, come se il tocco le risvegliasse ogni parte di se dormiente da tempo.
Qualcosa vibrò alle sue spalle e Dianne, completamente persa in quel bacio, ci mise qualche istante per capire che qualcuno stava bussando alla porta. Tirò la testa all’indietro, sentiva le labbra gonfie e arrossate per via di quei baci, lo sguardo di Cam era su di lei, sul volto un’espressione indecifrabile.
-Sì?- Quasi strillò e diede un colpo di tosse per rendere la propria voce meno acuta.
-Dianne, sei abbastanza presentabile?- Era la voce di Nives.
Lei sollevò lo sguardo, incrociando quello di Cam che le rivolse un sorrisetto. –Direi di no.- Farfuglio. –Possiamo parlare dopo?-
-Non si tratta di questo.-
-E di cosa?-
-Hai visite.-
Lei aggrottò la fronte, Cam la teneva ancora chiusa tra il suo corpo e la porta. –Visite?-
-C’è Austin.-






 

 


NdA :
Saaalve a tutte come state? Spero bene, anche se è luglio qui sembra inverno, quindi, per passare il tempo ho letto un'immensità di libri e scritto un po'.
Spero che questo capito vi piaccia, ormai siamo nel vivo della storia, gli antipasti sono stati consumati (?) e passiamo alla portata principale. 
Ve l'ho mai detto che io adoro Cam? Bene, perchè io lo adoro. E' uno dei personaggi di cui mi piace più scrivere, è tutto un mistero asdfg. Basta. Oggi mi sentivo particolarmente chiacchierona quindi mi sono persa in cose inutili.... E NIENTE, fatemi sapere cosa ne pensate, adoro leggere le vostre recensioni e.... Visto che mi sento buoona, vi lascio unpiccolissimo spoiler per il prossimo capitolo a fine pagina. 
Un bacione <3-

p.s. 
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“Aveva gli occhi ridotti ad una fessura, la bocca serrata, riusciva a sentire la vena sul proprio collo che pulsava così tanto da sembrar di volere esplodere a momenti. Ci vollero alcuni istanti perché schiudesse le labbra e parlasse: - Come hai potuto farmi una cosa del genere?- Mormorò, i suoi occhi sembravano due pozzi vuoti. Vuoti come la sensazione che si propagava nel suo cuore.


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Capitolo 13
*** Pubblicazione! ***


asdg






Ragazze! Non sapete come sono felice in questo momento!
Su amazon oggi è stato pubblicato il mio romanzo per Kindle!
A causa di questo, lascerò solo un limitato numeri di capitoli, così voi possiate leggere qualcosa!
Per chi l'avesse già letta tutta: nella nuova versione è presente un nuovo capitolo finale che, appunto differisce da questo!
Sarei felicissima di sapervi con me, un bacione grande :)

Link: A mani vuote.

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