The Red Line

di TheShippinator
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: La Tela Bianca ***
Capitolo 2: *** Weekend, l'Inizio ***
Capitolo 3: *** Is it worth to get drunk? ***
Capitolo 4: *** Crossing the Red Line ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: La Tela Bianca ***


Ciao a tutti! Sono un po’ emozionata perché sto per presentarvi una nuova mini-long di tre capitoli, già tutti scritti, già completati. Ho avuto una folgorazione e l’ho semplicemente scritta! Potrà ricordarvi delle cose e ci sono citazioni piuttosto esplicite, al suo interno. Sappiate che sono tutte puramente volute, una sorta di mio omaggio alle opere originali (parlo sia di fanfiction che di telefilm). Ora.
Il rating giallo lo metto solo a causa del linguaggio. Ci sono dentro sia Sebastian che Santana, in questa ff, e siamo solo fortunati che sono riuscita ad attenermi al giallo, perché ragazzi, hanno di quelle boccacce, questi due… Spero che vi piaccia almeno quant’è piaciuto a me scriverla e spero davvero davvero davvero che non vi deluda!

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Vivere a New York era esattamente come Blaine aveva immaginato: perfetto.
New York era grande, piena di gente, di vita. Le regole delle città comuni non si potevano applicare al caos frenetico della Grande Mela: non si fermava mai, nemmeno di notte. Si era abituato presto ad addormentarsi con il sottofondo delle voci degli ubriaconi, nel locale sotto alla finestra di camera sua. Dall’altra parte della strada, poi, c’era anche un locale notturno, dal quale proveniva sempre un vago borbottio di musica pompata a tutto volume. Anche con le persiane chiuse, inoltre, era impossibile evitare che la luce penetrasse nella stanza perfino di notte. I neon e i cartelloni delle pubblicità erano sempre ben visibili, illuminati a giorno. Tutto sommato, però, erano quelle piccole cose che ti rendevano più forte. Essere abituato a dormire con la luce negli occhi ed il frastuono nelle orecchie, gli aveva fatto capire che c’erano limiti assurdi che poteva superare. Ora, per esempio, era certo che avrebbe potuto tranquillamente recuperare ore di sonno prezioso semplicemente appoggiando la testa sul banco, nell’Aula Studenti della NYADA.
La NYADA.
Frequentava quella scuola da alcuni mesi, ormai, e ne era affascinato almeno quanto lo era stato di New York stessa. I professori erano duri e pretenziosi, ma preparati. Lui era sempre stato sottoposto ad una certa dose di disciplina, grazie alla Dalton, quindi non era insolito, per lui, il peso delle responsabilità sulle spalle. I suoi orari, a volte, erano assurdi. Quando doveva prepararsi per qualche esame o esibizione, capitava anche che dovesse alzarsi alle cinque, per poter essere a scuola alle sei e mezza. Sebastian, uno dei suoi due coinquilini ed amico ormai di lunga data, non riusciva a capirlo. Perché alzarsi ogni mattina così presto, solo per andare a scuola e provare scale su scale per tutta la giornata? Blaine gli ricordava costantemente che alla Dalton anche lui aveva fatto parte del Glee, quindi sapeva esattamente perché Blaine lo facesse. Sebastian, per tutta risposta, sbuffava e gli diceva che, se fosse stato furbo come lui, avrebbe scelto, come professione, qualcosa che già sapeva fare perfettamente. Per esempio, Sebastian aveva vissuto per anni in Francia, visto che entrambi i suoi genitori avevano discendenze francesi, e parlava il francese come se fosse la sua prima lingua. Aveva deciso di diventare insegnante, solo perché sapeva che non avrebbe mai dovuto studiare per più di un paio di esami. Si godeva la vita, insomma.
Blaine, però, amava la sua scuola. Quello che amava di più, della sua scuola, era il supporto costante che comunicava ai suoi studenti a proposito delle arti. C’era un muro, alla NYADA, un muro completamente bianco e davvero, davvero grande, sul quale agli studenti era permesso di sfogare la loro vena artistica. Lo chiamavano “La Tela Bianca”, o più semplicemente “La Tela”. C’erano disegni davvero fatti bene, frasi di canzoni scritte qua e là, parole lasciate in un angolo, senza un apparente senso logico, ed anche intere poesie. Qualcuno aveva perfino disegnato un pentagramma e composto una piccola melodia. Una volta, aveva visto un ragazzo, con una chitarra in mano, fermarsi a suonarla. Lui non ci aveva mai scritto niente, perché non aveva mai trovato nulla che gli facesse sentire il bisogno di mettere per iscritto, ed in pubblico, i suoi sentimenti.
A Blaine non mancava niente -aveva la scuola, aveva degli amici, aveva la sua musica, la danza ed il canto- tranne una cosa: l’amore. Non che non avesse mai sperimentato l’intimità con qualcuno o che cosa volesse dire provare un fremito al petto, le classiche farfalle nello stomaco, no, quello l’aveva provato. Semplicemente, non era mai stato innamorato e non c’era nessuno, in quel momento, che potesse servire allo scopo. L’ultimo ragazzo con il quale si era frequentato, era stato il terzo che aveva conosciuto a New York. Con i primi due, secondo indicazioni di Sebastian, aveva passato un paio di magiche notti; con il terzo, invece, aveva provato a frequentarsi un po’ di più. Lui ed Eli avevano provato ad uscire insieme, e si erano anche abbastanza divertiti, ma dopo essere andati a letto, tutto era stato strano. Era a disagio a stare in sua compagnia e si vedeva che anche Eli non si trovava più bene come prima. Avrebbe tanto voluto che Eli gli piacesse davvero, perché sentiva che aveva bisogno di quelle che Sebastian chiamava le “coccole da femminuccia”.
Poteva prenderlo in giro quanto voleva, ma sapeva che anche lui adorava passare la serata acciambellato sul divano, abbracciato a Thad (suo ragazzo e secondo coinquilino), senza fare altro che restare stretto a lui guardando telefilm e talk show. Qualche volta, lui si univa a loro, quando proprio si sentiva così solo da aver voglia di mangiare gelato, ubriacarsi e piangere tutto contemporaneamente. Thad, allora, apriva le braccia, mentre Sebastian spostava la coperta e si faceva un po’ più in là.
Blaine si sedeva tra loro e si lasciava abbracciare, chiudeva gli occhi e si godeva il calore dei suoi due migliori amici e la sensazione che, tutto sommato, non era così solo come poteva credere.
Quel giorno, era uno di quei giorni.
Si era alzato alle cinque del mattino, per poter arrivare presto a scuola e scaldare la voce, in previsione di una lezione di canto particolarmente tosta. Il professore metteva volontariamente le prove al mattino presto, così che tutti si trovassero a dover litigare con almeno cinque ore di mutismo alle spalle. La voce non è mai al top, al mattino.
Come sempre, Sebastian si era svegliato mentre Blaine faceva colazione. Si era alzato per andare in bagno ed aveva attraversato il salotto, guardandolo mentre raccoglieva nel cucchiaio gli ultimi cereali rimasti sul fondo della ciotola.
«Perché mangi a quest’ora?» gli aveva chiesto la voce impastata e roca di Sebastian.
«Devo andare a scuola.» aveva risposto Blaine, soffocando uno sbadiglio.
«Sei pazzo.» aveva sentenziato Sebastian, grattandosi la pancia nuda e tirandosi un po’ su l’unico indumento che indossava, i pantaloni del pigiama. Non chiuse nemmeno la porta, fece semplicemente pipì, si lavò le mani, quindi tornò indietro.
Blaine si allontanò dalla piccola stanza che era la cucina, dirigendosi, come Sebastian, nella parte della casa dedicata alle camere da letto. La porta di fronte a quella della sua camera era aperta. Riuscì ad intravedere Thad, nudo ed addormentato a pancia in giù, con un lenzuolo che gli copriva a malapena i polpacci.
Scosse il capo, Blaine, sorridendo vagamente, mentre Sebastian s’infilava di nuovo nel letto.
«Vuoi i maccheroni al formaggio stasera?» domandò la voce impastata di Sebastian, facendo girare Blaine, che era già in procinto di entrare in camera a cambiarsi.
«Va bene. Vi porto su le donuts per la colazione?» chiese Blaine, inclinando il capo, mentre Sebastian si rigirava ed avvolgeva la vita di Thad con un braccio. Lo strinse a sé, sistemandosi a cucchiaio assieme a lui, senza preoccuparsi di coprire il ragazzo nudo con il lenzuolo.
«Mmmmh… ti amo…» borbottò di nuovo, e Blaine era particolarmente certo che non fosse riferito a Thad e che, invece, fosse un “sì” rivolto proprio a lui.
Si soffermò, silenziosamente, a guardare i due ragazzi abbracciati. Gli si stringeva un po’ il cuore, ogni volta. Era contento per loro e li amava come si amano due fratelli, ma non poteva fare a meno che essere geloso di quello che condividevano. Abbassò il capo, sospirò e tornò nella sua camera.
Una volta cambiato ed ingellato, Blaine si preoccupò di raggiungere lo Starbucks all’angolo, per prendere il suo caffè mattutino e le donuts per Sebastian e Thad.
«Buongiorno, Blaine!»
Il ragazzo, sorrise alla ragazza dietro al bancone. Santana era stata la prima che aveva conosciuto a New York, anche se sorprendentemente avevano scoperto di provenire più o meno dalla stessa contea, in Ohio. Santana viveva in uno degli appartamenti del palazzo di fronte a quello di Blaine, ma dallo stesso lato della strada. Entrambi i palazzi in cui abitavano i due, erano compresi nello stesso complesso di condomini, quindi era capitato spesso che lui e lei si ritrovassero a fare la strada insieme. Superato il portone, poi, lei andava a destra e lui a sinistra.
«Oggi è una di quelle giornate in cui ti svegli presto, quindi? Tu si che prendi sul serio la NYADA, non come quei due fannulloni dei miei coinquilini. Sono ancora a poltrire, a quest’ora. Non si alzeranno prima delle nove, di sicuro.» disse la ragazza, infilando già un paio di donuts in un sacchettino di carta.
«Lo è, già. Sono sicuro che anche loro la prendono seriamente. Magari non hanno semplicemente le lezioni che ho io.» rispose Blaine, afferrando il sacchetto. «Mi fai il mio caffè e passo a prenderlo dopo che ho portato queste su ai miei coinquilini, vero?»
Santana sollevò le sopracciglia, come sempre.
«Li vizi troppo.» commentò soltanto, prima di sollevare le iridi al soffitto ed iniziare ad armeggiare con la macchina del caffè americano.
«Ti adoro.» esclamò semplicemente Blaine, mentre usciva dalla porta del locale e faceva una corsa verso casa. Adorava Santana e sapeva quanti sforzi faceva, lei, per riuscire a restare a New York. La mattina lavorava da Starbucks, la sera in una tavola calda ad un paio di isolati da lì. Non esitava mai a lasciarle mance generose, visto che tanto lui aveva alle spalle un patrimonio piuttosto saldo.
Una volta lasciate le donuts sul tavolo della cucina, Blaine tornò da Starbucks, recuperò il suo caffè, pagò e salutò Santana, quindi si diresse alla NYADA. Le lezioni furono toste, come sempre. In effetti anche di più, perché le uniche persone con le quali aveva legato, a scuola, non seguivano gli stessi suoi corsi, quel giorno.
Ovunque si girasse, tutti se ne stavano in gruppo o in coppia, mentre nessuna delle altre persone che conosceva lui, quest’oggi, era lì. Attraversò il corridoio, diretto all’Aula Studenti per potersi mettere a ricopiare in bella scrittura gli appunti di Storia della Musica. Aveva già l’astuccio nella mano destra ed il quaderno per gli appunti nella sinistra. Svoltò l’angolo, raggiungendo la Tela Bianca, quindi si fermò. Il corridoio era vuoto, tranne che per un ragazzo decisamente alto ed una ragazza (che al confronto sembrava uno gnomo) fermi davanti alla porta di un’aula. Il ragazzo stava porgendo alla ragazza una singola rosa rossa e stava parlando a bassa voce. Lei l’afferrò, non appena lui smise di parlare, e, sorridendo imbarazzata, annuì nella sua direzione. Lui si portò la stessa mano alla nuca, scompigliandosi i capelli biondissimi in maniera molto goffa, quindi le aprì la porta e, insieme, l’attraversarono, richiudendosela alle spalle.
Blaine rimase lì, fermo ed immobile. Aveva appena assistito alla richiesta di un appuntamento? O magari quei due si erano appena messi insieme. No, non si erano baciati, impossibile.
Un forte dolore lo colpì al petto, quella terribile sensazione di solitudine lo trapassò come un proiettile sparato dritto nella pancia. Andava più o meno tutto bene, prima, ma è curioso come una semplice scenetta di trenta secondi, possa farti sentire peggio di un’intera giornata passata sotto la pioggia, con le scarpe bucate e senza l’ombrello. Respirò dal naso, tremante, quindi si guardò intorno. Aveva bisogno di qualcosa che lo distraesse, qualcosa che potesse fargli dimenticare quello che aveva appena visto. Oppure no.
Lo sguardo gli si posò sul muro bianco, sulla Tela. Forse non aveva bisogno di dimenticare le sensazioni che stava provando, forse aveva solo bisogno di buttarle fuori, in un modo o nell’altro. Di esternare i suoi sentimenti. Forse sarebbe servito, sì. Ma cosa poteva fare? Non scriveva poesie e non componeva né musica né testi. S’infilò il quaderno sottobraccio, quindi aprì l’astuccio e ne estrasse un pennarello verde scuro, indelebile. L’aveva usato per segnare sul muro della sua camera le misure del mobile che aveva comprato la settimana prima (non voleva rischiare di ritrovarsi con una cassettiera troppo piccola, meglio prevenire che curare), e da allora non l’aveva più utilizzato. Tolse il tappo e sollevò la mano, restando immobile con la punta del pennarello ad un paio di centimetri dal muro. L’odore penetrante dell’indelebile gli perforò le narici, riscuotendolo. Tutte le sensazioni, tutte le emozioni che aveva provato, le aveva provate a causa di quel fiore. Aveva odiato quel fiore, eppure un fiore è quella cosa che si regala a qualcuno a cui si tiene. Un fiore è una bella cosa, dovrebbe regalare emozioni positive, batticuori e sorrisi, non proiettili nel petto e lacrime di solitudine.
Sbatté le palpebre e, sorpreso, si ritrovò a fissare il disegno che aveva inconsciamente fatto sul muro. Era un singolo, semplice fiore, dalla corolla grande quasi quanto il suo pugno chiuso. Restò a fissarlo, come stupito, quindi richiuse il tappo e fece un passo indietro. C’erano poesie, c’erano frasi e c’erano stralci di canzoni qua e là, ma quel punto, là dove aveva disegnato lui, era vuoto. Il suo fiore se ne stava solo in un mare di bianco, circondato da frasi d’amore e poesie sull’amicizia e sull’arte. Proprio come lui, quel bel fiore se ne stava sulle sue, non perché nessuno lo volesse, ma semplicemente perché era diverso in mezzo ad un mare di emozioni tutte uguali. Un fiore non si può accompagnare ad una poesia d’amore, non un fiore nato per colpa della solitudine. Un fiore non si può accompagnare ad uno spartito, lo spartito è troppo pretenzioso, per un fiore così pieno di sentimenti contrastanti. Non può contenerne altri. No. Il suo fiore sarebbe rimasto lì, in attesa.
Blaine rimise il pennarello nell’astuccio, quindi si allontanò verso l’Aula Studenti.
Improvvisamente, stava molto meglio, come se tutta la sua tristezza fosse davvero rimasta su quel muro.



«Se state facendo cose sul tavolo della cucina, ho gli occhi chiusi ma non le orecchie tappate, quindi vi sarei molto grato se poteste evitare di dare spettacolo finché non mi sono chiuso in camera ed ho fatto partire il dvd del concerto di P!nk…» esclamò Blaine non appena varcata la soglia per proprio appartamento. Si affrettò a portarsi la mano di fianco agli occhi, per impedirsi la visione della cucina, dall’ingresso. L’ultima volta che Sebastian e Thad avevano cucinato i maccheroni al formaggio, li aveva trovati a darci dentro sul tavolo. Nonostante Thad avesse provato a coprirsi e a scendere, Sebastian aveva ignorato la presenza di Blaine ed aveva provato ad andare avanti. Blaine era semplicemente corso in camera sua urlando che non avrebbe mai più mangiato su quel tavolo.
Thad quella sera si era scusato -per il luogo che avevano scelto e perché Sebastian aveva provato a continuare- ed aveva dovuto portargli la cena in camera; più tardi, Blaine aveva costretto Sebastian a pulire tutto il tavolo, due volte, con il disinfettante. Lui era rimasto tutto il tempo a fissarlo, con le braccia incrociate, tentando di costringere la sua testa a sostituire quell’immagine con quella di lui che teneva Thad sdraiato sul tavolo, premendogli le mani sui fianchi e sulla schiena.
«Blaine… siamo vestiti e stiamo apparecchiando. Te lo giuro!» esclamò la voce di Thad, quindi Blaine si azzardò a lanciargli un’occhiata.
Quando si fu assicurato di essere in presenza di entrambi i suoi coinquilini vestiti e non eccitati, si decise a mollare la borsa vicino alla porta ed il cappotto su una sedia.
«Muoio di fame…» disse, annusando il profumo nell’aria.
«Hai il tempo di lavarti le mani. E grazie per le donuts!» esclamò Thad, scivolandogli di fianco per andare ad afferrare i guanti da forno e lasciandogli un veloce bacio sulla guancia nel mentre.
Dieci minuti più tardi, stavano tutti e tre soffiando con premura sulle loro forchettate di maccheroni e formaggio, per evitare di scottarsi come avevano già fatto al primo boccone.
«Oggi è stata… una di quelle giornate.» disse Blaine, infilandosi un paio di maccheroni in bocca, masticando con cautela. «Buonissimi, comunque, Sebastian.»
«Grazie.» sorrise Sebastian. «Una di quelle giornate, dici, in cui ti ricordi che hai lasciato le palle a Westerville e pensi di fartele spedire?»
«Sebastian…» disse Thad a bassa voce, lanciandogli un’occhiataccia.
«Dice così solo perché è convinto che le sue siano ancora al loro posto.» rispose Blaine, masticando.
«E perché, dove sarebbero, se no?» chiese Sebastian, sollevando un sopracciglio.
«Ce le ha Thad.» rispose semplicemente Blaine.
«Belle strette.» aggiunse Thad, aggrottando le sopracciglia, verso Sebastian.
«Mmmh, sembra interessante, dimmi di più…» rispose quello, socchiudendo le palpebre. S’infilò in bocca una forchettata di maccheroni e scivolò velocemente sul tavolo, sporgendosi verso Thad con il busto.
Blaine, ridendo, fece finta di alzarsi ed andare a mangiare in camera sua.

«Stasera c’è la seconda puntata di quel nuovo telefilm con i robot, lo guardiamo? Mi era piaciuto…» disse Thad, gettandosi sul divano di fianco a Sebastian, che se ne stava sdraiato con i piedi sul tavolino.
«Ma sì, dai… il robot non era male.» commentò semplicemente Sebastian, ridacchiando.
Blaine si asciugò le mani e mise a posto lo strofinaccio con il quale aveva appena asciugato l’ultimo piatto. Lanciò un’occhiata ai due ragazzi sul divano, quindi fece per andare verso la sua camera.
«Blaine!»
Si voltò, il ragazzo, quando la voce di Sebastian lo richiamò.
«Vuoi perderti la seconda puntata di “Sono nero, figo e non mi stanco dopo il primo round perché sono un robot”? Vieni qui, dai…» borbottò di nuovo Sebastian, facendogli un cenno con il capo, indicando un punto tra lui e Thad.
«Sì, e porta qui il pouf e la coperta.» aggiunse, appunto, l’ispanico, sollevando le gambe.
Blaine sospirò e sorrise lievemente.
«Dite la verità, volete che venga lì solo perché sono una stufa ed avete freddo.» rispose Blaine, ben conscio che no, questo non fosse vero.
Si erano accorti entrambi di quanto fosse giù di morale il ragazzo e sapevano che, uno dei pochi modi che avevano per aiutarlo, era farlo sentire amato. E loro lo amavano, davvero.
Thad e Blaine si conoscevano dal primo anno del liceo, Sebastian si era trasferito lì al secondo. Avevano frequentato la Dalton assieme ed avevano fatto tutti parte del Glee Club. Sebastian ci aveva provato per mesi con Blaine, che, però, non aveva mai ceduto. Ai tempi, Sebastian era uno spirito libero e Blaine non era interessato alle storie usa e getta. Lui e Thad non si erano messi insieme fino al Natale dell’ultimo anno. Non si era capito come, ma Thad era riuscito a raffreddare i suoi bollenti spiriti e a metterlo in riga. Sebastian era cambiato tantissimo, nessuno si sarebbe mai immaginato di vederlo sdraiato su un divano, accoccolato a qualcuno, senza la minima intenzione di portarselo a fare ginnastica orizzontale dopo una decina di minuti.
Blaine si avvicinò al pouf rettangolare e lo spinse, con il ginocchio, fino a sistemarlo tra divano e tavolino. Thad e Sebastian sistemarono lì sopra le loro gambe, proprio mentre Blaine, con la coperta in mano, si arrampicava fino ad arrivare a sedersi in mezzo ai due. Stese a sua volta le gambe sul pouf e la coperta su tutti e tre. Sebastian non ci mise che mezzo secondo a posargli la testa sulla spalla ed intrecciare le dita con le sue. Thad gli si accoccolò di fianco e Blaine gli avvolse le spalle con un braccio.
«Tutto questo è decisamente troppo gay anche per me, comunque.» borbottò alla fine Sebastian, proprio mentre iniziava il telefilm.
«Disse quello che sta praticamente facendo le fusa.» rispose Blaine, stringendogli la mano ed ottenendo, in risposta, il pollice di Sebastian che strofinava placidamente sul dorso della sua.
«Ah-ah, divertente Miss Bel Culo Con Le Ragnatele. Parlavo del telefilm.» ribatté Sebastian, facendo sollevare le sopracciglia a Blaine.
«Oh.» disse lui, aspettando circa un altro minuto, prima di continuare. «Sì, hai ragione, è troppo gay.»
«Decisamente gay.» convenne Thad.
«Mi farei il robot.» disse nuovamente Blaine.
«In verticale, orizzontale e diagonale?» chiese Thad, ridacchiando.
«Ma sì, una bella botta in amicizia!» concluse Sebastian, facendo scoppiare a ridere tutti.

Non era insolito, per lui, Sebastian e Thad, addormentarsi sul divano. Come sapeva che si erano addormentati sul divano? Beh, semplice. Era stato svegliato dall’esuberante sigla di un vecchio telefilm, visto che la tv era ancora accesa, ed inoltre non riusciva a muovere il collo senza provare la sensazione che qualcuno glielo stesse tirando dall’altra parte. Sentiva anche l’incredibile bisogno di stiracchiare le gambe e gli faceva male la spalla. Spense, per prima cosa, la televisione, quindi si voltò verso la finestra.
La luce era di un morbido arancione, segno che, probabilmente, era l’alba. Quel giorno non doveva nemmeno svegliarsi così presto, che sfortuna! Durante la notte, Sebastian l’aveva abbracciato (aveva questo terribile bisogno di abbracciare qualcosa, quando dormiva, e Blaine lo sapeva: gli aveva fatto giurare di non dire mai a nessuno che portava a letto con sé un vecchio orsacchiotto, alla Dalton, se non aveva un ragazzo da poter sfruttare), mentre Thad aveva sovrapposto una gamba alle sue.
Cercando di non svegliare nessuno dei due, Blaine si divincolò dalla loro presa e scivolò via dal divano. Subito, Sebastian si rigirò alla ricerca di una posizione più comoda. Aprì le palpebre, confuso, e si avvicinò di più a Thad. Blaine si diresse verso la propria camera, lasciandosi cadere sul letto freddo, da solo, tornando a ronfare.
Due ore dopo, la sveglia sul suo cellulare -dimenticato in salotto- iniziò insistentemente a suonare. Non fu quella, però, a costringerlo ad alzarsi, bensì Thad e Sebastian.
«Blaine, la tua stupida sveglia ci ha svegliati!» esclamò Thad, aprendo la porta della sua stanza e lanciandogli contro uno dei cuscini del divano. Blaine nemmeno reagì, quando l’oggetto lo colpì al polpaccio e rimbalzò verso il muro, cadendo, poi, sul materasso alla sua destra.
«And you’re gonna heeear me rooooar!!» cantò Sebastian, tenendo stretto tra le mani il cellulare di Blaine ed entrando nella sua stanza. «Louder! LOUDER THAN A LIIIION! ‘Cause IIII am a chaaaampion! And you’re gonna heeear me roooooar-oh-oh-oh-oh-ooooh!!!»
Si buttò letteralmente a peso morto su Blaine e sul suo letto, sedendosi sulle sue gambe ed afferrando, con una mano, lo stesso cuscino che Thad gli aveva lanciato prima. A tempo di musica, iniziò poi a sbatterglielo proprio sul sedere.
«Oddio, Sebastian, smettila!» esclamò Blaine, indeciso tra l’insultarlo e lo scoppiare a ridere.
Cercò di sfuggire alla sua presa, ma fu quasi impossibile.
«Sono sveglio, guarda!»
«No, lo so, è che non vorrei che ti dimenticassi cosa si prova, quindi ti do una mano!» esclamò Sebastian, dandogli una cuscinata più forte delle precedenti.
«AH! Sebastian! Quando mai avrei detto che sono passivo??» sussultò Blaine, sgusciando poi via dalle sue grinfie, schivando Thad e facendo partire un inseguimento, per tutto l’appartamento, sotto alle note di Roar di Katy Perry.
Non seppe nemmeno lui come fece ad uscire in orario, quella mattina. Forse il motivo era che la giornata era iniziata… bene? Era sorridente, era allegro. A lezione, la July non gli aveva corretto nemmeno un movimento, cosa che l’aveva particolarmente reso felice. Stava proprio tornando indietro dalla sua Aula di Ballo con lo stomaco brontolante per la fame, passando davanti alla Tela, quando lo vide.
Il suo fiore, quello che aveva disegnato il giorno prima con il pennarello verde.
Il suo fiore, non era più solo.

«E tu che cosa ci fai qui, così triste in mezzo al niente?»
Kurt Hummel conosceva ogni centimetro della Tela. Adorava camminare lentamente e leggere le varie dichiarazioni, i vari sfoghi, canticchiare le melodie che talvolta qualcuno vi scriveva sopra. Riusciva a riconoscere una frase aggiunta da poco solo dando un’occhiata sommaria alla parete. Vi aveva anche scritto sopra, una volta, assieme a Rachel. Rachel che, per l’appunto, lo stava tirando per una manica.
«Kurt, dai, è solo un fiore. Faremo tardi dalla Tibideaux…» mormorò la ragazza, preoccupata.
Kurt le lanciò un’occhiata ed aggrottò le sopracciglia.
«Ma se siamo usciti mezz’ora prima dalla lezione di Recitazione perché il professore si è preso un’intossicazione alimentare…» rispose il ragazzo, liberando il braccio dalla presa di Rachel.
«Speravo di riuscire ad arrivare prima per parlare con lei dell’esibizione di fine anno!» piagnucolò la ragazza, nuovamente.
«Vai avanti, allora, io arrivo subito…» rispose ancora Kurt, tornando a voltarsi verso il fiore. Sentì Rachel sbuffare, girare i tacchi ed affrettarsi verso l’aula della Tibideaux. Mancavano ancora venti minuti alla pausa pranzo, tutti gli altri studenti erano ancora chiusi nelle varie classi ed il corridoio era vuoto. Kurt era riuscito a trovare due nuove poesie, all’angolo del muro, ma quel fiore spiccava nella moltitudine di scritte nere. Innanzitutto, non era una scritta, ma era un disegno, che non era proibito, ma era insolito. Poi era verde, un bel verde scuro, ed era solo in mezzo alla parete bianca.
«Nessuno dovrebbe stare, da solo, nemmeno un fiore.» commentò semplicemente il ragazzo, posando la propria tracolla a terra ed estraendole un piccolo astuccio nero. Il pennarello che ne tirò fuori, era un indelebile rosso che Kurt aveva comprato per decorare, in maniera poco ortodossa, uno dei muri della sua camera. Prendendo spunto dalla Tela Bianca, aveva infatti deciso di dedicare una porzione della parete a frasi o citazioni per lui piuttosto importanti, ma che non voleva necessariamente condividere con il mondo. Senza pensarci troppo su, iniziò a disegnare intorno a quel fiore solitario. Disegnò altri fiori, tutti diversi, ma tutti dotati di uno stelo. Gli steli andavano a congiungersi in un unico punto, ovvero quello in cui finiva lo stelo della prima rosa solitaria e verde. Quel fiore, adesso, non era più solo, ma circondato da una moltitudine di fiori rossi, tutti uniti in quel singolo punto, a formare un mazzo.
Soddisfatto, Kurt rimise il tappo al pennarello, lo sistemò di nuovo nell’astuccio, quindi si mise la tracolla in spalla e s’incamminò dietro a Rachel. Sentiva di aver fatto una buona azione.



Kurt Hummel aveva avuto una vita complicata, una vita alla quale non gli piaceva particolarmente pensare. Il Glee Club che aveva frequentato al liceo, comunque, l’aveva aiutato molto.
Non è facile, essere gay, quando vivi in un paesino di poche anime, dove tutti conoscono tutti. O quasi.
Aveva fatto il conto alla rovescia sin dal primo anno di liceo, per sapere quanto tempo sarebbe dovuto passare prima di poter mettere piede in un aeroporto ed andare a vivere a New York. Fortunatamente, non era stato il solo ad avere l’ambizione di levare le tende. Rachel e Santana l’avevano seguito e da allora vivevano insieme. Lavoravano anche insieme, in una tavola calda, ma Santana era quella più impegnata di tutti. Usciva di meno, sgobbava di più. Kurt sapeva che la ragazza ce la stava mettendo tutta per essere indipendente e la stimava molto. Si sentiva in colpa, a volte, quando tornava a casa e la trovava addormentata sul divano con ancora il piatto del pranzo sulle ginocchia. Le levava il piatto dalle mani, la copriva e si appuntava mentalmente di svegliarla dopo un paio d’ore per non farle perdere il turno al lavoro.
L’unica cosa che Santana aveva, più di lui, era la ragazza. Dani era una delle loro colleghe cameriere e Kurt l’adorava. Avrebbe dato di tutto, per poter avere un ragazzo che fosse come Dani. Per ora, tutto quello che faceva era uscire con Adam, il leader del Glee Club della NYADA. Tra loro non era ancora successo nulla. Uscivano e si divertivano come amici, anche se era chiaro che Adam fosse interessato a lui. Kurt, invece, non era certo che Adam fosse quello giusto, e questa sensazione lo frenava continuamente dal lasciarsi andare.
Kurt era una persona romantica, amava i grandi gesti teatrali, le lettere d’amore ed i bigliettini nei mazzi di fiori. Gli piaceva essere corteggiato e sapere che qualcuno lo trovasse degno del proprio affetto, ma al contempo tutto questo lo spaventava: aveva sempre la sensazione che tutti pretendessero troppo, da lui. Per questo, si era concentrato sulla NYADA, sui suoi studi. Se l’idea di intraprendere una relazione lo spaventava così tanto, l’unica cosa rimasta da fare era concentrarsi sull’unica persona che avrebbe dovuto sopportare per tutta la vita: sé stesso.
Ormai, New York era diventata casa sua e lui l’amava. La cosa che gli piaceva più di tutte, era l’accoccolarsi sul divano, la sera, e lasciare che la consapevolezza di avercela fatta, a lasciare Lima, gli percorresse tutto il corpo, dalla testa ai piedi.
Certe volte non riusciva a convincersi, certe altre, invece, la realizzazione di vivere con le sue due migliori amiche in una delle città più belle del mondo era così forte, così shoccante, che doveva prendersi un paio di minuti per provare a rallentare il suo battito cardiaco. Mai nessuna sensazione al mondo sarebbe stata migliore di quella, del sapere di avercela fatta e di aver superato tutta la merda che la vita gli aveva lanciato contro, nel tentativo di farlo affondare ed arrendere.
Ma Kurt Hummel non si era arreso. Kurt Hummel studiava, Kurt Hummel sarebbe diventato un grande cantante di Broadway.
«Alla fine cosa ti ha detto la Tibideaux?» chiese il ragazzo, sistemandosi meglio sul divano, con in mano un piatto colmo di Shepherd’s Pie vegetariana.
Rachel si sedette sulla poltrona, alla sua destra, infilzando la forchetta nella sua porzione, per poi portarla alla bocca.
«Oh, non sono molto preoccupata. Ha detto che, se tutto va bene, noi del secondo anno dovremmo esibirci tutti quanti. Forse, non lascerà cantare quello alto e biondo e la ragazza con il piercing al naso. Ti ricordi che li ha beccati a bisbigliare, la scorsa settimana? Beh, a quanto pare stanno insieme, adesso, e alla Tibideaux non va giù che si rimorchi durante le sue lezioni.» spiegò Rachel, masticando.
«Mh, dici quella che ieri girava con una camelia in mano?» domandò Kurt, riempiendosi la bocca a sua volta.
«Era una rosa.» lo corresse Rachel, voltandosi verso la porta del loro appartamento, che si stava aprendo.
«Sembrava una camelia…» borbottò Kurt, voltandosi a sua volta. «Bentornata, Santana! A proposito di rose…»
«Già, a proposito di rose: mi spieghi cosa c’era di così interessante in quel disegno sul muro?» domandò Rachel, sollevando un sopracciglio. Probabilmente, la irritava ancora il fatto che Kurt l’avesse messa in secondo piano.
«Prima di tutto, è la Tela Bianca, non un muro. Secondo, mi metteva tristezza vedere quella rosa lì da sola, così ho disegnato un bouquet tutto intorno.» affermò orgoglioso Kurt, lasciandosi andare ad un mezzo sorrisino.
«Sono indiscreta se chiedo di che diavolo state parlando?» domandò Santana, gettandosi sul divano di fianco a Kurt, munita anche lei di un piatto stracolmo di sformato.
«Della Tela della NYADA. Kurt ha disegnato qualcosa vicino al disegno di qualcun altro.» spiegò Rachel, tornando poi a mangiare.
«Wow, sono impressionata, Porcellana. Potrebbe essere la cosa più vicina al sesso occasionale che tu abbia mai fatto da quando ti conosco. O al sesso in generale.» sorrise Santana, infilandosi orgogliosamente una forchettata di Shepherd’s Pie in bocca.
«Santana, per la millesima volta, io non sono vergine. E poi, ho solo voluto sottolineare che nessuno al mondo dovrebbe stare da solo. Nemmeno un fiore su un muro.» spiegò Kurt, sospirando.
«Non è un muro, Kurt, è la Tela Bianca!» gli fece il verso Rachel, sollevando le sopracciglia.
«Oh, falla finita…» rispose il ragazzo, con un mezzo sorriso.
«A proposito di non essere vergine, stamattina il mio amico della Terra di Mezzo non si è fatto vedere, sai, Kurt?» disse Santana, al ragazzo, a bocca piena.
«E dovrebbe interessarmi perché…?» chiese Kurt, con un sopracciglio sollevato.
«Perché te l’ho detto mille volte di venire anche tu a prendere qualcosa da me, la mattina. Ormai i suoi orari li conosco, potrei dirti quando venire e te lo presenterei. Ti piacerebbe, te lo assicuro!» insisté Santana.
Sin da quando aveva preso a lavorare da Starbucks, Santana parlava di questo fantomatico Hobbit della Terra di Mezzo. A quanto pareva, era un ragazzo che abitava da quelle parti e frequentava addirittura la loro scuola. Kurt era certo di non averlo mai incontrato: si sarebbe accorto di non avere davanti un essere umano normale, no? Quale tipo di ragazzo poteva stare simpatico, a Santana?
Considerando che prima di capire di essere lesbica, lei usciva con uno dei “duri” della scuola, Kurt immaginava in maniera fervida quale sarebbe potuto essere l’aspetto dello Hobbit: capigliatura strana, giacca di pelle, jeans sdruciti, stivali da motociclista, filtrino in bocca, cartina dietro l’orecchio e dita infilate in una confezione di tabacco.
Scosse il capo, Kurt, leccandosi le labbra e mettendosi in bocca altro pasticcio.
«Non se ne parla, Santana, non ho intenzione di uscire con uno dei tuoi motociclisti con l’aria da macho.» rispose deciso Kurt.
Santana sollevò gli occhi al cielo, masticando e rispondendo con ancora la bocca piena.
«Perché non puoi semplicemente fidarti di me, per una volta?» esclamò lei, posando il piatto sul tavolino ed allungandosi, per fare lo stesso con quello di Kurt.
«La mia Shepherd’s Pie…» mormorò Kurt, cercando di riacchiapparlo, senza riuscirci, perché Santana intercettò le sue mani e lo costrinse ad alzarsi.
«Vieni. Zitto e vieni, Lady Hummel.» ordinò imperiosa, trascinandolo fino alla finestra. Scostò le tende ed restò a scrutare il palazzo di fronte al loro, quindi indicò una finestra. Era spostata un po’ sulla sinistra, ma era al loro stesso piano.
«Vedi quell’appartamento? Lo Hobbit abita lì. Adesso, sarà sicuramente a casa… Ecco, vedi? Lo vedi? È lui!» esclamò Santana, indicando con veemenza la stessa finestra, alla quale erano appena comparse due persone. Una era decisamente altra, l’altra, al confronto, era… beh, uno Hobbit.
Kurt restò a guardare. Non che si riuscisse a vedere bene, da quella distanza, ma sembrava che fossero entrambi abbastanza carini.
«Santana, non vedi che è in compagnia? È chiaramente il suo ragazzo. E poi, come fai a sapere che abita lì? Hai detto che non siete mai usciti.» borbottò Kurt, sollevando le iridi al cielo.
«Sbagliato! Vive con una coppia. Non li ho mai visti, ma porta loro le donuts per colazione, ogni volta che viene a prendere il caffè. Comunque, è ovvio che l’ho seguito, una volta. Mi annoiavo e, in più, è sempre meglio sapere quante più cose si può, dei propri quasi amici.» affermò la ragazza, orgogliosamente, incrociando le braccia al petto.
Kurt tornò a guardare la finestra. I due sembrava stessero prodigandosi in qualche lavoro domestico. Forse stavano lavando i piatti.
«Dolce…» sussurrò semplicemente Kurt, sorridendo. Sì, beh, era un gesto dolce, no? Portare la brioche alla mattina ai tuoi amici, per colazione.
«Non sarebbe male, trovare delle donuts sul tavolo, per colazione, ogni tanto. Dovresti prendere esempio, Santana!» suggerì quasi soprappensiero Rachel, mentre riponeva il proprio piatto, già lavato ed asciugato, nella credenza e si dirigeva verso la propria camera.
«Gli chiederai di uscire??» domandò spazientita Santana, lasciando scivolare le braccia fino ai fianchi ed ignorando i commenti dell’amica.
«Quella finestra dà su camera mia?» domandò Kurt, cercando di sporgersi, accorgendosi all’improvviso che una delle finestre dell’appartamento di fronte, dava proprio su quella della sua camera.
«Eee… cambia pure argomento.»
Santana sollevò le mani in aria, per poi tornarsene sul divano e riprendere il proprio piatto.

«Fammi capire… quindi hai disegnato un fiore sul muro.»
«Era una rosa, sì.»
«E prima di pranzo, hai visto che qualcuno ci ha disegnato intorno un bouquet?»
«Precisamente.»
«Quindi, ripetimi cos’hai fatto e passami il detersivo, l’ho finito.»
Blaine si abbassò, aprendo un piccolo mobiletto e frugando al suo interno. Schivò il flacone del detergente per le superfici della cucina e prese una confezione di detersivo per piatti. Si sollevò di nuovo, porgendolo a Sebastian e mettendo da parte quella vuota.
«Io ho… disegnato un uomo con in mano il mazzo di fiori.» disse Blaine, aspettando che Sebastian gli passasse il piatto che stava lavando, tendendo già lo strofinaccio umido.
«Okay, davvero, non pensavo la NYADA potesse diventare più patetica, ma ehi, c’è riuscita!» esclamò Sebastian, posando il piatto pulito in mano a Blaine.
«E piantala! La mia è una scuola di tutto rispetto!»
«Vi fanno disegnare sui muri!»
«Si chiama Tela Bianca
«È un fottuto muro, Blaine, e tu ci hai disegnato sopra un fiore e qualcuno ti ha anche risposto! A quando le nozze?»
Blaine scosse il capo.
«Sebastian, non te ne ho parlato perché tu mi prendessi in giro. Volevo un consiglio, da te…» spiegò Blaine, sistemando il piatto asciutto nella credenza sopra al lavandino.
Sebastian rimase in silenzio qualche istante, strofinando con attenzione una pentola, quindi scosse la testa.
«No, davvero, scusa Blaine, ma mi sembra una cosa idiota… cosa pensi di ottenere, scambiandoti disegnini sui muri con qualcuno che non conosci?» domandò Sebastian, e Blaine rimase in silenzio.
«Non è come quando chatti al buio con qualcuno, su internet? Perché in quel caso non è strano, ma se lo faccio disegnando su un muro lo è?» domandò alla fine, sbuffando e spostando il peso del corpo da destra a sinistra.
«Sono due cose diverse, su internet puoi sempre chiedere una foto, fare una chiamata con Skype, cose così… puoi vedere o sentire la persona che hai davanti!» disse Sebastian, facendo spallucce e risciacquando la pentola sotto l’acqua corrente. Blaine si voltò un po’, per proteggersi il volto dagli schizzi.
«Beh, magari potrei beccarlo mentre sta disegnando, no?» disse Blaine, sinceramente speranzoso.
«Non sapresti nemmeno se è stato lui a disegnare intorno alla rosa. E magari è un cesso.» rispose Sebastian, passandogli la pentola, che Blaine iniziò ad asciugare con meticolosità.
«Perché sei così sicuro che disegnerà ancora?» domandò Thad, arrivando dietro ai due, intento a strofinarsi i capelli bagnati con un asciugamano.
«Non lo so, è una… sensazione. L’ho praticamente invitato a farlo, no? Un uomo che porge un mazzo di fiori… è quello che si fa quando si vuole invitare qualcuno a fare qualcosa, giusto?» rispose Blaine, facendo spallucce.
Thad dondolò piano il capo, pensieroso.
«Non lo so, Blaine… se non rispondesse più, non ci rimanere male, okay? Dovresti cominciare a guardarti attorno in maniera più seria, non fissarti su fantasie romantiche che potrebbero non avverarsi.»
Blaine sapeva che i suoi due amici parlavano in quel modo solo perché tenevano a lui e volevano evitare che ci stesse male, ma era fiducioso. Sapeva che, chiunque fosse stato a disegnare, avrebbe continuato.
«Blaine…»
Il ragazzo sollevò il viso, richiamato dalla voce di Sebastian. Sollevò le sopracciglia, invitandolo a parlare. Lo stava guardando in maniera concentrata e pensierosa.
«Come sai che non è una ragazza?» domandò, alla fine. Blaine sbatté le palpebre, sinceramente preso in contropiede. Non aveva pensato all’eventualità che potesse essere stata una ragazza a disegnare. Avrebbe dovuto trovare il modo di scoprirlo.
«Beh… beh, in quel caso potrebbe nascere una buona amicizia, no?» rispose, semplicemente, sentendo una lieve e familiare morsa stringergli lo stomaco. «Se abbiamo finito con i piatti, andrei anche io a farmi la doccia.»
Sebastian annuì e tolse il tappo al lavandino. Si lavò le mani e se le asciugò.
«Sebastian, cosa facciamo con Blaine?» domandò Thad, sospirando.
«Non lo so…» rispose semplicemente l’altro, appoggiandosi al lavandino, demoralizzato.

Era presto, era molto presto, ma Kurt era già a scuola quel giorno. Aveva un bel po’ di lavoro arretrato, per Storia del Teatro Moderno, ed aveva bisogno di portarsi avanti quando sapeva che nessun altro, in biblioteca, avrebbe potuto rubargli i libri che gli servivano. Non sapeva che cosa l’aveva portato a deviare e a fare un’altra strada, rispetto alla solita, per raggiungere la sua meta. Forse, semplicemente, era stata la curiosità. Aveva deciso di passare davanti alla Tela, e quello che vi aveva trovato l’aveva sorpreso moltissimo.
Il giorno prima, non era più dovuto passarci davanti, quindi non aveva più guardato quel disegno. Ora, invece, aveva volontariamente deciso di andare a vedere se qualcuno avesse scritto altre poesie, canzoni o melodie. Inutile dire che non controllò nessuna di queste cose. L’unica cosa che vide, fu che probabilmente la persona che aveva disegnato la rosa era tornata ed aveva visto il suo bouquet.
«Santana.» disse Kurt, non appena l’amica rispose, al telefono. Era molto presto, ma sapeva che la ragazza avrebbe comunque dovuto alzarsi a causa del turno mattutino da Starbucks.
«”Non ora, Kurt, sono in ritardo!”» esclamò lei, anche forse un pochino lontana dal ricevitore. C’era un’acustica strana.
«Non stai di nuovo rispondendo mentre sei in bagno, vero?» chiese Kurt, mettendo da parte per un attimo i suoi problemi. Il suono dello sciacquone del water rispose per lei.
«”Hai il solito meraviglioso tempismo e mi chiami sempre quando devo fare pipì, Lady Hummel, che posso dirti?”» rispose Santana, mentre il rumore veloce del rubinetto aperto gli faceva intendere che stesse per lavarsi i denti.
«Senti, ha risposto.» tagliò corto Kurt, scuotendo piano il capo.
«”Chi?”» rispose Santana, con voce strana, forse con lo spazzolino in bocca.
«La persona del muro! Ha disegnato… un uomo! Con in mano il mio mazzo di fiori!» esclamò Kurt, avvicinandosi al muro e guardando le linee verde scuro tracciate sull’intonaco bianco.
«”… usate protezioni?”»
«Santana!»
Kurt arricciò il naso, quando la sentì sputare il dentifricio.
«”Senti, cosa vuoi che ti dica? Congratulazioni? Lo sai che cosa penso io: dovresti trovarti un -non avrei mai pensato di dirlo- cazzo vero. Devi trovarti un uomo con cui uscire, non uno disegnato su una parete…”» continuò Santana, con voce impastata. L’acqua scorse di nuovo e s’intromise un’altra voce.
«”Ho sentito bene? Hanno disegnato ancora??”»
Era chiaramente Rachel, che pretendeva il suo turno in bagno.
«”Berry, vattene, ci sono io qui!”»
«Eddai, ragazze…» mormorò Kurt, sospirando.
«”Oh, ti stai solo lavando i denti! Kurt, disegna qualcosa, mettiti in un angolo ed aspetta che arrivi, no? Verrà a ricontrollare!”» esclamò Rachel.
«”Scrivigli il tuo numero sulla parete ed aspetta che ti chiami!”» esclamò Santana, da molto vicino.
«Non sono una prostituta, Santana!!» esclamò Kurt, scandalizzato, anche se nessuna delle due sembrava dargli ascolto.
«”Ehi, dove vai?!”» disse nuovamente la voce di Rachel, che si stava allontanando.
«”È il mio cellulare, Berry, e sono in ritardo!”»
Kurt udì un piccolo click, quindi solo silenzio. Allontanò il cellulare dall’orecchio e fissò lo schermo.
Gli avevano appeso senza nemmeno salutarlo?
«Ma che due brutte…» strinse le labbra, Kurt, sbuffando come un toro ed infilando di nuovo il cellulare nella tasca. Tornò a fissare il disegno, con più attenzione.



Era un omino molto semplice, era chiaro che chi l’aveva disegnato non era un grande maestro. Non c’erano dita, ma solo una mano abbozzata. L’omino era girato di profilo, stava alla sua destra, ma gli dava il fianco sinistro; anche la mano che stringeva i fiori era la sinistra. Non aveva alcun tratto facciale, solo una piccola protuberanza un po’ a punta che, probabilmente, stava a simboleggiare il naso.
Perché era stato disegnato, quell’omino? A chi stava offrendo quei fiori?
Kurt sussultò, dopo qualche minuto passato a pensarci. A lui. Quei fiori erano per lui. Davvero?
Sbatté le palpebre, abbozzando un sorriso. Qualcuno gli aveva offerto dei fiori e, stando al fatto che non c’era una ragazza che accoglieva il bouquet che lui aveva disegnato, lì, ma un uomo che li offriva, la speranza era quella di avere davanti un maschio. Non che la cosa avesse avuto importanza, nel momento in cui aveva deciso di disegnare quei fiori intorno alla rosa, ma di certo sarebbe stato comico dirlo a Santana. Riusciva già a sentirla: “Non ci credo, come hai fatto a trovare l’unico altro gay così teatrale da essere da palcoscenico, a New York, disegnando su un muro??”.
Ciononostante, non poteva esserne certo. Guardò per un istante il disegno sul muro, quindi si morse il labbro inferiore e ricominciò, lentamente, a camminare.
Non poteva accettare quei fiori, era troppo strano, era assurdo. Che cosa poteva voler dire, quello scambio di disegni? Forse sarebbe potuto essere solo un modo come un altro di trovare un nuovo amico, lì a New York. Ne avrebbe proprio avuto bisogno… ma no. Lui aveva Adam, aveva Santana ed aveva Rachel. Non aveva bisogno di ricevere fiori da un omino disegnato su una parete.
Kurt continuò a camminare, superando il disegno sul muro e raggiungendo la fine del corridoio, pronto a svoltare l’angolo e lasciarsi alle spalle quella strana proposta senza parole…

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Ebbene, che ne pensate? Ci tengo a precisare che sì, i disegni sono opera mia e no, non sono così capra a disegnare xD Ovviamente, la loro essenzialità (a parte per i fiori, ma ehi, Kurt è mezzo stilista, no?) è voluta. Come al solito, vi invito a lasciarmi una recensione, se volete, e se invece preferite insultarmi per le mie ff precedenti o fare due chiacchiere, vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Twitter (The Shippinator), su Tumblr (TheShippinator (Ship All The Characters!)) e su Ask (Andy TheShippinator)
Ci leggiamo domenica prossima, con il secondo capitolo!

Un bacio, Andy <3

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Capitolo 2
*** Weekend, l'Inizio ***


Ciao a tutti!
Ringrazio chi ha recensito o ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite: vi adoro! Ci leggiamo a fine capitolo, fatemi sapere che cosa ne pensate!

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Kurt continuò a camminare, superando il disegno sul muro e raggiungendo la fine del corridoio, pronto a svoltare l’angolo e lasciarsi alle spalle quella strana proposta senza parole…

… solo che non poteva farlo, non per davvero.
Si fermò e chiuse gli occhi, teso come una corda di violino. Prese un profondo respiro, aggrottò le sopracciglia, ed espirò. Scosse piano la testa, mugolando sconfitto e facendo dietrofront. Una volta arrivato davanti al disegno, sulla parete, lasciò cadere a terra la propria borsa e ne estrasse in fretta il pennarello. Tolse il tappo e se lo infilò tra i denti, quindi appoggiò la mancina alla parete ed osservò nuovamente l’omino che porgeva i fiori.
Avrebbe trovato il modo di far capire che aveva accettato quel regalo… ma come?
Sollevò le sopracciglia, quando la consapevolezza lo colpì come un fulmine. Se aveva ricevuto quell’invito -quei fiori- tramite un omino disegnato sulla parete, allora sarebbe stato un omino disegnato sulla parete a riceverli.
Iniziò a disegnare, senza metterci troppa fretta, ma senza nemmeno perdere tempo. Ci mise almeno una ventina di minuti, marcando con insistenza le linee di contorno per nascondere le imperfezioni. Con accurata lentezza, poi, richiuse il pennarello, levandosi il tappo dai denti, e fece un paio di passi indietro. Ammirò quello che cominciava ad essere un blando murale pieno di imperfezioni, ma che ai suoi occhi sembrava meraviglioso. L’omino che aveva disegnato lui era, come quello verde, privo di elementi che ne determinassero i tratti del volto. L’unica particolarità era il naso, che anche lui aveva fatto, anche se forse l’aveva arrotondato un po’ troppo. Aggrottò le sopracciglia, quando si accorse di aver disegnato un omino più basso dell’altro, ma non aveva importanza: forse l’altra persona era più alta di lui!
L’omino rosso era girato di fianco, rivolto verso l’omino verde. Il suo braccio destro era piegato dietro la schiena (Kurt aveva semplicemente pensato che sarebbe stato troppo complicato, per lui, disegnare un bicipite decente, quindi aveva preferito nascondere la sua incapacità facendo piegare, alla sua creazione, il braccio dietro alla schiena), il sinistro, invece, era teso verso quei fiori. Non aveva fatto sì che la mano rossa li stringesse a sua volta, l’aveva solo protesa verso di loro. Non sapeva se poteva fidarsi del tutto, di questa storia, ma forse poteva provarci. Forse poteva accettare l’invito, se l’altra persona gli avesse dato altre informazioni, altri indizi, se gli avesse lanciato altre sfide.
S’infilò il pennarello rosso in tasca, quindi ne estrasse il cellulare. Fece una foto al disegno, quindi aprì la conversazione dei messaggi di Rachel.
Digitò in fretta sul touch screen, per poi allegare la foto appena fatta ed attendere il caricamento. Una volta spedito il messaggio, raccolse la propria borsa e si affrettò ad allontanarsi, lanciando un’ultima occhiata alla parete.
Cellulare alla mano e conversazione di Santana aperta, Kurt si affrettò a scrivere anche a lei, raggiungendo la biblioteca un po’ a memoria, troppo impegnato a scambiarsi messaggi con quelle traditrici appendinfaccia che sarebbero dovute essere sue amiche.

Da Kurt a Rachel
(8:02)
Ho risposto. Ho risposto al suo disegno. Guarda!


Da Kurt a Santana
(8:02)
Okay, non gli ho lasciato il mio numero di telefono. Ho disegnato anche io un omino che sta per prendere i fiori. Sei a lavoro?

Da Rachel a Kurt
(8:08)
Kurt! Che cosa vuol dire tutto questo?

Da Kurt a Rachel
(8:11)
Non lo capisci? I fiori erano per me. Mi ha invitato a rispondere di nuovo ed io ho risposto. Non li ho presi, però… è come quando una persona ti chiede di andare a cena fuori e tu, invece, dici “meglio che prima ci vediamo per un caffè”… insomma, tieni le distanze, per sicurezza, ma intanto un piccolo appuntamento glielo concedi.

Da Rachel a Kurt
(8:12)
Oh, Kurt, è così romantico! Sembra “C’è Posta per Te”! Ma come fai ad essere sicuro di non aver appena accettato un appuntamento con una ragazza?

Da Santana a Kurt
(8:14)
Sì, sono a lavoro, Porcellana. Vergogna. Hai appena illuso/spaventato una povera ragazza indifesa. Invece di spezzare il cuore alle etero convinte (magari potrebbe anche essere lesbica, in quel caso sei riuscito a spezzare il cuore anche ad una lesbica, congratulazioni!), dovresti davvero andare a chiedere al mio amico Hobbit di uscire. Oggi sembrava un po’ depresso, potresti tirarlo su, e non parlo solo del morale.

Da Kurt a Santana
(8:16)
Prima di tutto, non ho accettato un appuntamento, è tutto più… platonico. Secondo. Ci ho pensato bene e questa è la mia teoria: se fosse stata una ragazza, si sarebbe sentita sollevata nel notare di essere stata notata (scusa, ma non mi viene in mente un sinonimo, sto camminando), quindi avrebbe disegnato una ragazza che accettava i fiori, per ringraziarmi di averla notata (scusa di nuovo). Invece, lì non c’era qualcuno che ringraziava e diceva ciao, ma c’era qualcuno che voleva sapere CHI l’avesse notato e me l’ha chiesto porgendomi i fiori che io stesso gli avevo offerto, per non farlo sentire solo (credo che il fiore rappresentasse la solitudine). In definitiva, sì, credo che sia un uomo!
(8:16)
No! Era per Rachel! Non uscirò con il tuo amico! Io sto già uscendo con Adam! Sto solo cercando di farmi un amico!

Da Santana a Kurt
(8:18)
Wow, questo è disgustoso, Kurt. Ho rimesso la colazione, leggendo la tua intricata e dettagliata deduzione di uno scarabocchio sulla parete. Nemmeno Sherlock Holmes sarebbe arrivato a tanto. Avrei dovuto accorgermi che in realtà eri una donna, non ti ho mai visto nemmeno farti la barba.
(8:18)
Allora dovresti metterlo al corrente della regolarità del tuo ciclo mestruale, perché mi sa che ti sono arrivate. Devo tornare a lavorare, Basso Ma Benmesso è appena andato via. Te l’ho detto che va alla NYADA, vero??

Da Rachel a Kurt
(8:19)
Kurt… è una ragazza? Perché non rispondi? Oddio! È lesbica e pensava che tu fossi una donna?? KURT!!!

Kurt sbuffò, maledicendo Rachel, e smise di rispondere a Santana. Ricopiò il messaggio che aveva inviato a lei e lo inviò alla giusta destinataria, sperando che prendesse il lungo tempo impiegato a risponderle solo come un’eccessiva dedizione al voler rendere più chiara possibile la sua teoria. Attraversò la porta della biblioteca, mettendo il silenzioso, quindi si diresse al suo tavolo preferito e cominciò a cercare i libri per il suo progetto, rispondendo sporadicamente a Rachel, che ogni tanto gli suggeriva nuove mosse per scoprire l’identità del misterioso disegnatore in verde. Quando fu ora di andare a lezione, fu Adam ad andarlo a prendere.
Vederlo, fece accendere uno strano senso di colpa, nel petto di Kurt, sensazione che non riuscì proprio a spiegarsi. Non stava ufficialmente assieme ad Adam, anche se sapeva di piacergli. Allo stesso tempo, comunque, non è che lo stesse proprio tradendo, stava solo disegnando su un muro. E anche se fosse stato, non c’era alcun rapporto da tradire.
«No, non di là!» esclamò Kurt, afferrando l’altro per un braccio, quando lui svoltò in direzione dell’aula nella quale avrebbero dovuto passare l’intera restante parte della mattinata. Adam si voltò, sollevando un sopracciglio in maniera interrogativa.
«Ma la classe è proprio là dietro l’angolo…» protestò Adam, confuso. Kurt si morse il labbro inferiore: lo sapeva, ma dietro l’angolo c’era anche il muro. Non voleva passarci davanti e rischiare, poi, di distrarsi a causa di un’eventuale risposta. Era improbabile, ma non impossibile, che l’altra persona avesse già disegnato qualcosa.
«Lo so, ma… devo andare in bagno.» disse alla fine il ragazzo, indicando la direzione opposta. Sapeva che gli unici bagni, in quel piano, erano dalla parte opposta del corridoio. Una volta lì, poi, per arrivare all’aula avrebbero dovuto fare tutto un altro giro, evitando completamente la Tela Bianca.
Adam fece spallucce e cominciò a camminare verso i bagni, seguito da Kurt.
Rachel li raggiunse qualche minuto prima dell’inizio della lezione e, nonostante cercasse di chiedere a Kurt che cosa fosse successo, di nuovo, il ragazzo si rifiutò completamente di risponderle o di andare a vedere se qualcuno avesse disegnato qualcos’altro. Con una punta di fastidio, accettò anche l’invito di Adam ad uscire a prendere un caffè, quel pomeriggio, ben conscio che, se fosse uscito da lì, non sarebbe tornato indietro a controllare il murale. Sospirando, accettò l’invito, raccattò le sue cose e salutò Rachel, la quale filò dritta a casa blaterando di essere in ritardo per il doppio turno alla tavola calda.

«Okay, quindi… un doppio cheesburger -doppia salsa, niente insalata- con patatine e un hamburger grandezza media, pomodori ed insalata, ma… servito in un piatto, ogni ingrediente per sé. Niente patatine. Coca cola per entrambi.»
Rachel ricapitolò l’ordine di una giovane coppia seduta ad un tavolino in disparte, quindi si voltò con espressione stralunata e si avvicinò alla finestra che collegava la sala alle cucine. Appese il suo ordine in alto e si voltò verso Kurt, appena uscito dal retro dopo essersi infilato la divisa da cameriere.
«Ci credi che mi hanno appena ordinato un hamburger smontato?» disse lei al ragazzo, sollevando un sopracciglio, voltandosi per andare al distributore di bibite alla spina ed iniziare a spillare la coca cola.
«So che una volta la Sylvester ha ordinato un bicchiere pieno di polvere di caffè al Lima Bean.» rispose Kurt, recuperando il suo blocchetto ed una penna.
«Stai dicendo che quella è la mia Sue?» chiese Rachel, guardandolo allarmata.
«Forse…» rispose Kurt, abbozzando un sorrisino.
«A proposito di Lima Bean e polvere di caffè…» continuò Rachel, posando il primo bicchiere pieno ed afferrandone un altro. «Sai perché Santana mi ha chiesto di coprire anche il suo turno?»
Kurt si voltò, già a metà strada verso il primo tavolo della serata.
«Oh… no, non lo so, ma parlava di un corso serale che voleva frequentare. Credo sia andata alla presentazione.» rispose Kurt, avvicinandosi al tavolo, presentandosi e prendendo l’ordinazione.
Rachel posò anche il secondo bicchiere su un vassoio, sollevandolo ed andando a servire le bibite alla sua stramba coppia. Quando tornò indietro, Kurt stava appendendo la sua ordinazione ad una delle mollettine in alto.
«E a proposito di frequentare corsi… adesso vuoi rispondermi? Hai visto se qualcuno ha risposto?» domandò Rachel, sistemando il vassoio dietro al bancone e recuperando il proprio blocchetto delle ordinazioni.
Kurt la raggiunse vicino al distributore di bibite alla spina, per spillare i suoi due bicchieri di coca cola alla ciliegia.
«No, Rachel, sono stato in biblioteca finché Adam non è venuto a prendermi, poi sei arrivata tu, poi siamo andati a pranzo, poi sono andato a prendere un caffè con Adam. Ed ora sono qui, per il lavoro. Non sono andato a vedere se qualcuno ha fatto un altro disegno sul muro.» borbottò Kurt, forse più irritato di quanto sarebbe stato in condizioni normali.
La verità era che gli rodeva moltissimo non essere riuscito a scoprire se qualcuno avesse risposto o meno. Si sentiva anche in colpa per il fatto di essere stato segretamente irritato, con Adam, tutto il giorno, proprio perché a causa sua non aveva potuto andare a vedere la Tela.
«Non fare finta che non t’importi, lo so quanto t’interessa… ti ha proprio preso, vero?» domandò Rachel, abbozzando un sorrisetto malizioso.
«Rachel, com’è possibile che una cosa sciocca come questa possa “prendermi”?» domandò Kurt, posando il primo bicchiere, con cautela, e passando al secondo.
«Beh…» iniziò Rachel, avvicinandosi alla finestra che collegava le cucine e la sala, per recuperare le sue ordinazioni. «Innanzitutto, è romantico.»
«Disegnare su un muro non è romantico.» tagliò corto Kurt, afferrando il vassoio ed andando a servire le bibite, mentre Rachel portava i due piatti alla coppietta nel tavolino in disparte, interrompendo momentaneamente il discorso e riprendendolo al ritorno di entrambi.
«No, disegnare su un muro non è romantico, a meno che…» la ragazza marcò bene le ultime parole, mentre si sporgeva oltre al bancone, per raggiungere la figura di Kurt, che si era sistemato lì dietro ed era impegnato a tirar fuori i contenitori delle salse, per riempire quelli vuoti di alcuni tavoli. «… l’altra persona non sia sconosciuta e non inizi a rispondere. E ti offra dei fiori. E risponda a quello che tu disegni. Kurt, è come in “C’è Posta per Te”, tu non sai chi è questa persona, eppure ti ci trovi bene.»
«Rachel, non è come in “C’è Posta per Te” a causa di alcuni fondamentali punti.» disse Kurt, riempiendo il dispensatore della maionese. «Primo punto: in “C’è Posta per Te”, c’è posta per i protagonisti. Si scambiano delle e-mail. Parlano con le parole, si scrivono. Comunicano. Secondo punto: si scopre che lui è uno stronzo che vuole far chiudere il negozio di lei. Terzo punto: lei non sa che lui è lo stronzo, ma lui sa chi è lei e non glielo dice, e questo lo rende abbastanza scorretto. E bada, lo sai che io amo quel film e sarebbe meraviglioso trovare la propria anima gemella così, per sbaglio, spedendo una e-mail ad un indirizzo a caso o mandando un messaggio ad un numero sbagliato per errore.»
«Beh, eliminiamo la parte in cui lui è uno stronzo ed è fatta!» esclamò Rachel, allargando le braccia, con un sorriso smagliante.
Kurt le regalò soltanto un’occhiataccia, prima di essere distratto dal proprio cellulare. Quello vibrò insistentemente nella sua tasca, ma la vibrazione non si protrasse a lungo, facendogli intuire che si trattava di un messaggio. Mise da parte il dispensatore del ketchup che stava riempiendo in quel momento, per controllare il telefono, ma dalle cucine arrivò l’annuncio che il suo ordine era pronto.
«Rachel, finisci questo, per favore?» disse lui, passandole il dispensatore del ketchup ed affrettandosi ad afferrare i piatti.
Li posò cautamente di fronte ai rispettivi clienti, quindi diede loro le spalle. Neanche troppo velatamente, tirò fuori il cellulare dalla tasca ed aprì il messaggio. Era di Santana.
«È la tua anima gemella che manda per errore un messaggio ad un numero sbagliato?» domandò Rachel, impertinente, continuando a riempire i dispensatori con innocenza. Kurt le regalò un’occhiataccia.
«È Santana… oh, bontà celeste.» borbottò Kurt, voltando in fretta il cellulare verso Rachel, prima che lei avesse anche solo effettivamente il tempo di chiedergli che cosa non andava.

Da Santana a Kurt
(17:47)
Ho sperato fino all’ultimo che scherzassi su questa cosa dei disegni sul muro, ma devo ammettere, mio adorato Porcellana, che la cosa è più gay di quanto immaginassi. Non solo ti sei preso la briga di disegnare quell’orrendo e sproporzionato omuncolo rosso stamattina (seriamente, Kurt, perché ti ostini a fare cose che non sai fare, tipo dire in giro che sei un maschio o, appunto, disegnare?), ma l’Anima Solitaria che ha disegnato quella rosa verde ti ha anche già risposto! Ora non so se mi fa più pena quella persona o questa situazione!

«Oddio! E che cos’è? Perché non ti ha detto cos’è??» esclamò Rachel, eccitata, ma Kurt non la stava ascoltando. Stava già scrivendo una risposta, pigiando con veemenza i tasti inesistenti sul proprio telefono.

Da Kurt a Santana
(17:49)
Santana, per l’amor del cielo, prima di tutto dacci un taglio con tutta questa passivo-aggressività, NON È SALUTARE. Secondo, COSA?? Anzi no. Secondo: cosa ci fai alla NYADA? e terzo: COSA?? E cos’ha disegnato? Dimmelo, ti prego!

Da Santana a Kurt
(17:49)
(Quanto sei suscettibile, DIO) …aspetta, ti mando una foto.
(17:50)


Da Kurt a Santana
(17:51)
… cos’è che sarebbe quella cosa?

Da Santana a Kurt
(17:51)
Davvero? Oltre a non avere più le palle normali, ora non hai più nemmeno quelle degli occhi? È un caffè da asporto, Lady Hummel!

Da Kurt a Santana
(17:52)
Beh, SCUSA se io non sono così esperto nel riconoscere un caffè da asporto in una foto su uno schermo più piccolo del palmo della mia mano!

Da Santana a Kurt
(17:52)
Sì, certo. Prego eh, Hummel. Torna a lavorare!

Kurt alzò di nuovo lo sguardo dal cellulare, ben conscio che probabilmente c’erano clienti, lì, che avevano bisogno di essere serviti.
«È un caffè da asporto. Una tazza di caffè da asporto. Ha disegnato un caffè da asporto sulla mano del mio omino rosso. Ma quella mano era lì per prendere i fiori…» borbottò Kurt, incredulo e confuso.
«Forse ha capito che avevi accettato l’invito e ti sta chiedendo di uscire a prendere un caffè…» tentò Rachel, prendendo in mano il blocchetto e sorridendo ad un gruppetto di quattro persone appena entrate.
Kurt si affrettò a prendere le ordinazioni di due tavoli, mentre lei si occupava dei quattro, quindi entrambi si ritrovarono davanti alla finestra delle cucine.
«Non lo so… tu dici? E se fosse qualcos’altro? Se fosse un indizio su come trovarlo, come riconoscerlo?» domandò Kurt, sospirando e dirigendosi alla spillatrice, come Rachel.
«Continui a riferirti a questa persona al maschile…» notò di nuovo Rachel, spillando bibite anche per Kurt.
«Beh, te l’ho detto, credo sia un uomo. E, di nuovo, non ha specificato il suo sesso su nessuno dei due omini…» azzardò Kurt, sospirando un po’ preoccupato. Poteva effettivamente essere una ragazza. Aveva disegnato quel caffè in mano all’omino più basso, ed in generale le ragazze tendevano ad identificarsi di più nei soggetti più bassi, quando venivano disegnate coppie etero. Vero?
«Beh, dovresti dargli qualche indizio tu, allora, adesso. Perché non provi a identificare te stesso in quel disegno?» domandò Rachel, posando quattro bibite sul vassoio di Kurt.
«In che senso?» domandò il ragazzo, mentre lei continuava a spillare coca cole ed aranciate.
«Beh, diciamo che l’altra persona si è identificata nel disegno. Diciamo che ha volontariamente scelto di immedesimarsi nella figura più bassa, mettendole in mano qualcosa che ha a che fare con lui stesso, un particolare che lo rappresenta o che so io… Forse dovresti fare lo stesso. Forse dovresti identificare te stesso nella figura più alta, per far capire all’altra persona che sei un maschio e… poi vediamo come va, no?» disse Rachel, posando anche l’ultimo suo bicchiere sul vassoio. Si allontanarono insieme, continuando a parlarsi ogni volta che si avvicinavano, mentre servivano.
«E pensi che dovrei -prego signora!- farlo subito? Tipo… uscire da qui, a fine turno -sì, è DietCoke- ed andare subito alla NYADA?» domandò il ragazzo, mentre posava i suoi bicchieri sul tavolo, davanti ai due clienti.
«Assolutamente no, Kurt, non puoi… -ecco a voi, due e due, giusto?-… non puoi andare alla NYADA quando finisci il turno, è troppo tardi. Devi aspettare!» esclamò Rachel, voltandosi a guardarlo, stringendo il vassoio vuoto al petto.
«Ma Rachel, domani è sabato e non ci sono lezioni! Un intero weekend con il dubbio e… niente disegni?» Kurt si morse il labbro, mentre parlava, conscio anche di risultare stupido. Non si preoccupava di sé stesso, si preoccupava di come sarebbe potuto rimanerci male l’altro, quando avesse visto che nessuno gli aveva risposto, lunedì mattina.
«Beh, anche meglio! La fortuna arride a chi sa attendere!» esclamò Rachel, allegra, andando verso il bancone.
«Non era la vittoria?» domandò Kurt, posando il proprio vassoio e tornando a riempire i dispensatori del ketchup.
«Nel nostro caso, vanno bene entrambe. Forse potresti anche aspettare un po’ di più, giusto per stuzzicare la curiosità altrui!» disse Rachel, congiungendo le mani sotto al mento.
«No, credo che lunedì andrà benissimo. E poi, ho il tempo di capire come identificarmi nel disegno, no?» domandò Kurt, abbozzando un messo sorriso.
Rachel annuì, quindi entrambi si avvicinarono alla finestra che dava verso la cucina, Kurt con il cuore un po’ più leggero e l’umore decisamente migliore di prima.

Blaine stava per mettere nel lettore dvd il secondo cd della seconda stagione di Grey’s Anatomy, quando la porta dell’appartamento si aprì.
«Perché?? Perché devo frequentare lezioni assolutamente inutili su argomenti che io conosco meglio dei professori??» domandò, irritata, la voce di Sebastian.
«Che cos’hai fatto, questa volta?» domandò Blaine, inserendo il dvd, finalmente, e lasciandosi poi cadere sul divano, battendo piano sul posto alla sua destra per invitare l’amico, appena arrivato a casa, a sedersi.
«Io non ho fatto niente! Non è colpa mia se il professore non è in grado di riconoscere un modo di dire da un insulto! E dovrebbe insegnare Francese?» sbottò Sebastian, lasciandosi cadere alla destra di Blaine senza nemmeno togliersi la giacca.
«Oh, avanti, glielo metterai nel culo all’esame!» disse Blaine, dando di gomito all’altro e sollevando le folte sopracciglia.
«Grazie, ma no. Ha più del doppio dei miei anni.» rispose Sebastian, fissando la televisione mentre uno degli episodi partiva, anche se nessuno dei due gli stava davvero prestando attenzione. «Com’è andata a te?»
Blaine rimase un attimo in silenzio, ascoltando la voce di Meredith Grey introdurre l’episodio con una delle sue frasi ad effetto.
«Bene. Ha risposto.» disse, Blaine, nascondendo un sorrisetto soddisfatto.
«Chi?» domandò Sebastian.
«Mio nonno.» rispose Blaine, voltandosi a guardarlo con un sopracciglio sollevato.
«Oh! Ha risposto. Okay. Cosa?» domandò di nuovo Sebastian, cercando di trasmettere entusiasmo con la sua voce ancora irritata.
«Ha disegnato una persona con la mano protesa verso i fiori. Credo volesse dirmi che ci stava.» affermò Blaine, sorridendo alla televisione.
«Ci stava?» domandò Sebastian per la terza volta, e fu il suo turno, ora, di sollevare il sopracciglio.
«Non nel senso… che hai capito? Intendevo… che gli andava bene questa cosa dei disegni!» rispose Blaine, dandogli una piccola spinta e facendolo ridere.
«Ehi, che ne so, poteva averti scritto il suo numero di telefono sul muro!» rise piano Sebastian.
Blaine scosse il capo, sorridendo vagamente tra sé e sé.
«No… ha disegnato quella piccola persona che tentava di prendere i fiori e io invece… ho guardato quei due disegni -quello che ho fatto io e quello che ha fatto lui- e ho notato che il mio era più alto. Sai…» continuò Blaine, accoccolandosi con le gambe sul divano e voltandosi un po’ verso Sebastian. «… prima pensavo di essere io quello che porgeva i fiori, ma guardando meglio, ho visto che il suo disegno, la sua persona, era più bassa. Allora mi sono detto… “quello che ha disegnato il bouquet era lui, quindi forse sono io quello che deve accettarlo”.»
Sebastian restò a guardarlo in silenzio, con le sopracciglia aggrottate ed un’espressione meditabonda.
«Potresti arrivare a confonderlo… stai confondendo anche me.» disse, alla fine. Blaine si sedette più dritto.
«No, allora. Il suo disegno era più basso del mio e… io non sono proprio altissimo. Quindi, gli ho fatto capire che io ero quella persona. Quella che stava ricevendo i fiori. È iniziato tutto perché ho visto un ragazzo che regalava una rosa ad una ragazza. Io volevo essere quella ragazza, quella che riceveva quel fiore… e lui mi ha dato un mazzo intero. Mi sembra logico…» rispose Blaine, cominciando a temere di aver, forse, incasinato un po’ le cose. Forse era vero, forse il suo ragionamento, per quanto logico, era un po’ troppo incasinato e contorto per essere compreso appieno senza una spiegazione.
«Okay, pausa. Primo: come hai fatto a fargli capire che eri tu quella persona e… secondo: non ti viene in mente che il fatto che abbia disegnato qualcuno più basso, significa che forse è una ragazza?» domandò Sebastian, inclinando il capo e sospirando, lanciando un’occhiata alla televisione.
«Non credo che sia una ragazza, il suo omino non aveva il seno…» borbottò, per l’ennesima volta, Blaine. «Comunque, ho disegnato, nella mano del più basso, una tazza di caffè da asporto.»
Sebastian spostò gli occhi dal televisore, solo per posarli su Blaine e sollevare un sopracciglio tanto da farlo quasi entrare a far parte della sua capigliatura.
«E questo che senso avrebbe?» domandò, incerto.
«Nessuno. È… completamente fuori dal contesto. Non c’entra nulla con gli altri disegni, ed è per questo che l’ho fatto. È una parte di me, è parte della mia routine quotidiana, delle mie abitudini, non ha a che fare con il disegno. Sono io. Quel bicchiere di caffè da asporto sono io e mi sono messo in mano alla persona più piccola di quel murale.» affermò Blaine, con sicurezza, facendo spallucce.
«Secondo me è un casino e quell’altroaltra non lo capirà mai. Penserà che lo stai invitando fuori per un appuntamento.» sentenziò Sebastian, tornando a guardare la tv.
«Sì, beh… potrebbe anche essere inteso in quel modo, a me andrebbe bene.» affermò Blaine, facendo spallucce.
Rimasero di nuovo entrambi in silenzio per alcuni minuti, prima che Sebastian interrompesse di nuovo Meredith.
«Perché stiamo guardando questa roba da checche? Prendi il cofanetto di Queer As Folk.» ordinò Sebastian, sbuffando e levandosi, finalmente, il cappotto.
«Sebastian, se Grey’s Anatomy è da checche, Queer As…» tentò Blaine, prima di venire brutalmente interrotto di nuovo.
«Ho avuto una brutta giornata, ho bisogno di un po’ di vitamine B e K.»
Blaine inclinò il capo, cedendo alle richieste di Sebastian ed apprestandosi a mettere su il primo episodio di Queer As Folk.
«B e K?»
«Brian Kinney, Raggio di Sole!»

Thad li aveva trovati, circa un’ora dopo, a saltellare inquieti sul posto, ancora seduti, al ritmo di You Think You’re a Man, direttamente dall’episodio. Dopo averli sgridati, per essersi messi a vedere la prima puntata di Queer As Folk senza di lui, si era sistemato tra le braccia di Sebastian per godersi il finale. Tra commenti vari, risate e battute d’apprezzamento, avevano finito l’episodio e proposto anche di continuare con la maratona. Blaine, però, si era alzato e li aveva obbligati ad andare a farsi una doccia. I motivi erano due e se ne stavano nelle loro mutande e lui non aveva alcuna intenzione di guardare tutto il secondo episodio con quei due intenti a strusciarsi e a flirtare tra loro, a causa delle scene fin troppo veritiere di sesso gay. Brontolando, Sebastian si trascinò Thad fino alla doccia e Blaine si alzò per preparare la cena. Mise su una pentola d’acqua, quindi iniziò a rimestare e tagliuzzare, intenzionato a preparare un sugo con il quale condire la pasta che stava per cucinare.
«Sto per buttare la pasta, muovetevi, voi due!» esclamò Blaine, battendo piano sulla porta del bagno con le nocche della mancina.
«Italiano, stasera??» chiese la voce di Thad.
«Davvero Thad? Davvero Blaine???» esclamò la voce affannata ed irritata di Sebastian. Blaine tornò in cucina ridendo, procedendo con la cena.
Circa venti minuti dopo, erano tutti e tra seduti al tavoli, impegnati a divorare quello che sembrava un intero pacco di pasta da mezzo chilo. Sebastian e Thad avevano ancora i capelli bagnati, Blaine lo sguardo perso nel vuoto.
«Blaine, tutto okay?» domandò Thad, fissando l’amico con sguardo intenso.
«Eh? Sì sì, stavo solo pensando…» disse il ragazzo, prendendo un’altra forchettata di pasta.
Prima ancora che Thad potesse chiedergli “a cosa?”, Sebastian si intromise nel discorso, anticipandolo.
«L’Innamorato Anonimo di Blaine ha fatto un altro disegno sul muro, Blaine ha risposto e adesso è preoccupato perché il suo ragionamento sul disegno che ha fatto potrebbe essere troppo contorto.» spiegò il ragazzo, mentre Blaine tirava fuori il cellulare.
«Ho fatto una foto…» disse il ragazzo, mentre Sebastian lasciava cadere la forchetta nel piatto e sollevava le mani.
«E perché non me l’hai fatta vedere prima?!» disse, con espressione confusa.
Sia Blaine che Thad lo ignorarono. Il latino si sporse verso il cellulare, osservando la foto che Blaine aveva fatto. Thad restò in silenzio qualche istante, quindi s’infilò una forchettata di pasta in bocca e guardò Blaine, annuendo.
«In effetti, somigli più a quello basso.» disse soltanto.
«Vero?» affermò Blaine, sollevando le sopracciglia verso Sebastian, come a dirgli “visto? Lui l’ha capito!”.
Sebastian sbuffò, indicando entrambi con la sua forchetta.
«Voi due avete una qualche sorta di neurone collegato da quando vi siete conosciuti in prima liceo, tutto ciò non è valido. Sono giustificato!» esclamò Sebastian, tornando a riempirsi la bocca, mentre gli altri due iniziavano a ridere piano.
«Cos’hai intenzione di fare?» domandò alla fine Thad, osservando Blaine di sottecchi.
«Per adesso, posso solo aspettare e vedere che cosa farà. Speravo di trovare una risposta, prima di tornare a casa, ma niente… dovrò aspettare lunedì.» disse Blaine, facendo spallucce, nascondendo la sua inquietudine e l’emozione all’idea di vedere la risposta dell’altro il lunedì successivo.
Un volta finito di cenare, Thad e Sebastian si occuparono di lavare i piatti, mentre Blaine aspettava di poter sfruttare l’acqua calda per lavarsi. Non ci misero molto e, nemmeno un’ora dopo, Blaine strofinava vigorosamente i suoi indomabili ricci con un asciugamano umido, infilato nel suo pigiama blu e grigio.
Passò davanti alla camera di Sebastian e Thad, lanciando un’occhiata oltre la porta per mera curiosità, visto che era aperta, e quello che notò fu Sebastian appiccicato al vetro della finestra, intento a fissare qualcosa dall’altra parte del cortile interno del loro complesso di condomini.
«Che fai?» domandò Blaine, entrando nella camera ed avvicinandosi a lui.
«Blaine? Oh! Finalmente! Guarda! Ve lo dicevo, io, che esisteva!» esclamò Sebastian, arretrando ed afferrando Blaine per un braccio, tirandolo verso di lui.
«Di che cosa stai parlando?» domandò Blaine, stupito, lasciandosi trascinare fino alla finestra. Si mise a guardare a sua volta, senza capire, però, su che cosa dovesse concentrarsi.
«Il ragazzo della finestra!» esclamò Sebastian di nuovo.
«Lo Spogliarellista Fantasma?? Dov’è? Esiste sul serio??» esclamò Blaine, frugando tutte le finestre illuminate, del palazzo di fronte, con lo sguardo.
«Guarda, è quella finestra lì, tra la mia e quella della cucina. Non si riesce a vedere, da lì, perché lui si cambia sempre in quell’angolo della stanza. Da qui, però, si riflette nello specchio e posso vederlo.» affermò Sebastian, ghignando.
«Non so cosa dire, pensavamo che te lo stessi inventando… oh! Lo vedo! Hai ragione! Thad!» esclamò Blaine, sussultando ed appiccicando il naso al vetro, quando un movimento di un braccio, riflesso in uno specchio, catturò il suo sguardo. I due palazzi non erano troppo lontani. Se avessero voluto, avrebbero tranquillamente potuto aprire la finestra e conversare con quelli che abitavano davanti a loro.
Blaine restò immobile, a guardare attraverso il vetro, mentre il braccio diventava un busto, con tanto di collo, mento, bocca… Peccato che fosse ancora completamente vestito.
«Amico… ci devi provare. Vai a chiedergli lo zucchero, le uova, qualcosa! Fallo per me!» esclamò Sebastian, sottovoce.
Blaine si voltò a guardarlo, un sopracciglio sollevato ed un’espressione a metà tra lo sconvolto ed il divertito. Una piccola parte del suo cervello prese comunque in considerazione l’idea di seguire il suo consiglio.
«Beh, chi non va nel palazzo di fronte, a chiedere lo zucchero, quando ha decine di altre famiglie, nel proprio condominio, alle quali può chiedere?» rispose Blaine, ridacchiando e scuotendo il capo. «E poi, perché dovrei farlo per te?»
Sebastian si leccò in fretta le labbra, quindi portò entrambe le mani a posarsi sulle spalle di Blaine, restando posizionato dietro di lui.
«Guardalo. Guardalo e basta! Ci farei ginnastica, con lui. Ginnastica orizzontale, molto volentieri e molte volte, se mi capisci.» disse, a bassa voce, continuando a fissare il ragazzo. Blaine lo osservò a sua volta. Il ragazzo ancora non si era spogliato, ma stava, chiaramente, prendendo in mano dei vestiti, forse un pigiama.
«Che succede, qui?» domandò la voce di Thad. Né Blaine né Sebastian si voltarono.
«Sto provando a Blaine che non me lo sono inventato, il ragazzo della finestra. Che non è una leggenda metropolitana e che esiste davvero. Guarda anche tu!» esclamò il secondo, facendo cenno a Thad di avvicinarsi.
«Stai dicendo che lo Spogliarellista Fantasma esiste davvero?» domandò Thad, affiancando Blaine, che annuì.
«Beh, a me sembra molto vero…» commentò il ragazzo, mentre quello riflesso nello specchio portava le mani al bordo della maglietta.
«Pensavate sul serio che me lo fossi inventato? E smettetela di chiamarlo in quel modo, non riesco a decidere se la cosa mi inquieta o mi eccita, perché mi ricorda un porno che ho visto al liceo, in cui questo fantasma s’impossessava di…» disse Sebastian, impossibilitato a proseguire a causa di una lieve gomitata di Thad.
«Il terrore che si spoglia nella notte…» borbottò Blaine, ridacchiando.
«Vi farà diventare i peli pubici bianchi dalla paura…» continuò Thad, mordendosi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
«Io, piuttosto, direi “tenetevi strette le vostre erezioni”, perché non l’avete ancora visto nudo.» commentò Sebastian, sollevando un sopracciglio.
«Perché tu sì?» aggiunse Thad, voltandosi verso di lui con sguardo critico.
«Solo da qui. Ehi. EHI. Non è colpa mia, okay? È il terrore che si spoglia nella notte, no?, non dipende da me. È lui che infesta quell’appartamento, non io!» si difese, sarcastico, Sebastian.
Lui e Thad iniziarono a punzecchiarsi, mentre Blaine, invece, restava a guardare il ragazzo del palazzo di fronte. Riflessa nello specchio, poteva vedere la sua immagine che si levava i vestiti, probabilmente pronto ad infilarsi il pigiama o ad andarsi a fare la doccia. Sapeva perché lui e Thad avevano deciso di chiamarlo Fantasma, ed i motivi erano due. Primo tra tutti, nessuno, prima, l’aveva mai visto tranne Sebastian, e questo aveva fatto credere ad entrambi che se lo stesse inventando, solo per divertirli o far ingelosire il suo ragazzo. Secondo, dalle descrizioni di Sebastian, la pelle di quel ragazzo era così chiara da essere quasi bianca. In effetti, aveva ragione. Continuò a guardare, mentre Thad, durante quella che era diventata una gara di solletico, lo urtava un po’. Il ragazzo dello specchio si stava levando anche i pantaloni e, nel farlo, si abbassò tanto da mostrare anche il proprio viso. Blaine, da quella distanza, riuscì solo a notare i capelli tirati su, sul davanti, a lasciare libera la fronte, ed un piccolo naso a punta, un po’ all’insù. Qualunque altro particolare, era invisibile. Immediatamente, Blaine fece alcuni passi indietro, allontanandosi e temendo di poter essere visto, riflesso nello stesso specchio dell’altro.
«AHI! AHI! Non lo guardo più, lo giuro, lo giuro!!!» esclamò Sebastian, scuotendo Blaine da quel torpore nel quale era sprofondato. Thad teneva Sebastian con la faccia contro il muro e gli stringeva saldamente i polsi tra le mani, le braccia piegate dietro la schiena.
«O… kay… credo che sia ora che io me ne vada!» esclamò Blaine, come se nulla fosse, affrettandosi ad uscire dalla stanza e richiudendosi la porta alle spalle.
S’infilò in camera sua, cercando di svuotare la mente e provando a concentrarsi sulla parte assegnatagli come esercizio di Recitazione, solo per evitare di mettersi a fantasticare sul misterioso ragazzo dello specchio.
Prese il copione in mano e cominciò a leggere le battute, ma più andava avanti e più la mente si dissociava dalle parole. Arrivò a fine pagina senza la minima idea di cos’avesse appena letto, quindi ricominciò da capo. Del tutto inutile: bastarono tre parole per farlo sprofondare di nuovo nel mondo dei sogni ad occhi aperti, in cui il ragazzo dello specchio si accorgeva che lui lo stava guardando e, invece di chiudere le finestre, sorrideva malizioso ed iniziava a provocarlo; in cui lui ed il ragazzo dello specchio si incontravano per sbaglio vicino al portone del condominio e finivano a pomiciare duramente, nascosti dietro ad un pilastro nel cortile…
Il murale sulla Tela Bianca, improvvisamente, non sembrava più così importante. La presenza del ragazzo dello specchio era decisamente più reale e fisica di quella d’inchiostro dell’Anonimo della NYADA, nonostante fosse chiaro che, almeno a livello di anima, i due erano sulla stessa frequenza d’onda.
Blaine scosse il capo, forzandosi a svuotare la mente e a concentrarsi sulle parole.
«Smettila di fantasticare, Blaine Anderson. Non sei più un liceale dell’Ohio che non può essere sé stesso e deve per forza vivere di fantasie. Finisci di leggere questo maledetto copione, provalo e poi chiama Santana.» disse a sé stesso, sottovoce.
La ragazza gli aveva detto mille volte di telefonarle, se avesse voluto uscire ed andare a divertirsi. Inoltre, era da un po’ che pensava di presentarla a Sebastian e Thad. Non sarebbe stata una cattiva idea, proporre un’uscita tutti insieme, ed anche se non avesse combinato niente, per lo meno, si sarebbe divertito.
Rinfrancato dalla nuova idea, Blaine finalmente si mise al lavoro con la mente lucida, mentre le risate di Sebastian e Thad -ed anche rumori un po’ più espliciti- cominciavano a superare lo spessore delle due porte chiuse che c’erano tra loro e riempivano, fastidiosamente, il silenzio della sua camera.

«Let the dream begiiiin… let your darker side give iiiin… to the power of… the music that I wriiiite…»
Kurt si passò le mani sul volto, espirando e spargendo piccole goccioline d’acqua praticamente dappertutto, passandosi le dita tra i capelli e liberandoli dalla schiuma dello shampoo.
Ignorò completamente il bussare alla porta, alzando, se possibile, ancor di più la voce e continuando a cantare.
«Help me make the music of the… night!»
La porta si spalancò di botto, e Kurt poté notarlo da due cose: prima tra tutte, la corrente di aria gelida che andò ad assalire il suo corpo nudo e bagnato; secondo, dal fatto che la voce di Santana ora non era più bloccata dal legno spesso sistemato tra loro. La tenda della doccia, comunque, grazie al cielo, le impediva di vederlo. Istintivamente, il ragazzo si portò le mani alle parti basse, coprendosi e sollevando anche un po’ una gamba.
«SANTANA PER L’AMOR DEL CIELO! Non hai qualcosa di meglio da fare il venerdì sera, piuttosto che rompermi le scatole?? Hai una ragazza, dovresti essere nel suo letto!!» gridò, inferocito, premendo la schiena sulla parete fredda della doccia, quasi a cercare di proteggere ogni parte di sé.
«Due cose, Lady Hummel.» disse Santana, chiudendo la porta dietro di sé, senza troppi complimenti. Si diresse allo specchio e prese una serie di barattoli dal suo scomparto del bagno.
«Ero stufa di sentirti strillare come una gallina che depone un uovo particolarmente grosso; devo fare il mio scrub serale del venerdì e…» continuò lei, voltandosi verso la tenda da doccia, che ovviamente nascondeva Kurt. «… andiamo, l’hai detto, sono lesbica, non è un problema se stiamo in bagno insieme. Non mi interessa se tra le gambe hai una biscia o un Basilisco, non lo vorrei comunque nella mia Camera dei Segreti. E in ogni caso, Dani si è presa il turno alla tavola calda, oggi, così domani possiamo andare in quel gay bar che ti dicevo. Serata in maschera!»
Kurt sbuffò, scuotendo il capo e combattendo l’istinto di arrossire ancora di più.
«Sarei uscito tra dieci minuti al massimo!» esclamò il ragazzo, azzardandosi a spostare le mani dai genitali, per tornare a lavarsi.
«Avresti chiuso l’acqua tra dieci minuti, poi avresti passato almeno un’altra ora a sistemarti i capelli e a passarti creme puzzolenti dappertutto.» disse Santana, con un gran rumore dato dai barattoli che stava sbatacchiando qua e là.
Kurt prese una piccola manciata di crema per capelli, iniziando a massaggiare la sua capigliatura.
«Spero che, almeno, lo scrub sia efficace.» disse alla fine, sbuffando anche troppo vigorosamente. Era chiaro che non era veramente arrabbiato, ma non poteva dargliela vinta.
«Miele, zucchero ed olio d’oliva. È un vecchio impasto della mia abuela…» disse piano Santana. Kurt non le chiese altro, a riguardo, perché sapeva che le faceva ancora male, quando veniva nominata la nonna.
«È ottimo. Devi farmelo provare.» disse soltanto, sovrastando il suono scrosciante dell’acqua, mentre si preoccupava di sciacquare via la crema per capelli.
«Prima della prossima doccia, Kurt.» rispose Santana, e quando lo chiamava per nome era sempre un buon segno.
Rimasero in silenzio, l’unico suono era quello dell’acqua della doccia e qualcosa di metallo o plastica che Santana stava maneggiando.
Quando Kurt ebbe finito, chiuse l’acqua e tirò fuori una mano dalla tenda della doccia. Santana gli passò l’accappatoio, quasi senza nemmeno bisogno di sentirlo chiedere. Una volta avvolto nel suo accappatoio azzurro, Kurt uscì dalla doccia e cominciò a tamponare cautamente i suoi capelli e a strofinare piano la pelle, per asciugarsi. Osservò indagatore Santana che si spalmava l’impiastro giallo acceso sul viso, strofinando le guance, le sopracciglia, la fronte, il naso. Si preoccupava di strofinare ogni parte del viso con cautela e dedizione. Era chiaro che si teneva.
«Perché eri alla NYADA, Santana?» domandò Kurt, all’improvviso. «Non mi hai risposto, oggi pomeriggio.»
Santana gli lanciò un’occhiata attraverso lo specchio.
«Sono andata ad informarmi per i corsi serali privati. Voglio davvero tenermi in forma. E sono brava. Non ha senso che l’unico esercizio che faccio sia quello orizzontale o lo slalom tra i tavoli di un ristorante.» borbottò lei, strofinandosi con cautela la pelle della fronte con il suo impiastro giallo.
Kurt spalancò gli occhi, piegandosi per asciugarsi le gambe, senza però spostare lo sguardo da lei.
«Sono piacevolmente stupito! Complimenti, Santana, questo è davvero responsabile, da parte tua!» affermò Kurt, sorridendo.
«Il corso costa. È solo per quello che sto facendo così tanti turni alla tavola calda e ho preso anche quel lavoro da Starbucks…» continuò lei, anche se probabilmente non era necessario. Voleva sfogarsi, era chiaro. Kurt non disse nulla.
Santana aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma non continuò. La stanza si riempì delle note della suoneria del cellulare della ragazza. Si lavò in fretta le mani, lei, afferrando il telefono con la punta delle dita ancora umide e controllando il nome sullo schermo.
«Oh, a proposito di Starbucks!» esclamò lei, lanciando un’occhiata maliziosa a Kurt ed avvicinando il cellulare all’orecchio destro. «Ehi, Americano Medio!»
La voce metallica e bassa, che proveniva dal cellulare, era irriconoscibile. Kurt afferrò la sua crema idratante, posò un piede sul coperchio del water, abbassato, ed iniziò a passarsi la crema sul polpaccio, fissando incuriosito Santana. Aveva uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono.
«Ma certo che mi farebbe piacere! Sai, in effetti c’era questa sorta di evento al quale volevamo andare io, la mia ragazza ed i miei amici.» disse lei, squadrando, finalmente, Kurt e facendo una smorfia a vederlo intento a spalmarsi la crema sulla coscia. Si girò dall’altra parte, lei, e Kurt sbuffò.
«Cosa??»
Santana aggrottò le sopracciglia.
«No, è solo il mio imbarazzante ed indecentemente gay coinquilino. È un evento in maschera, si tiene in quel gay bar a due fermate, di autobus, da qui. Andando verso est. Sì, quello all’angolo, esatto. Ah, per maschera si intende… maschera per coprire il viso. Non costumi o roba del genere.»
Santana sorrise, salvo poi fare una smorfia dopo aver guardato di nuovo, accidentalmente, Kurt: ora, era impegnato a spalmarsi l’idratante sul petto ed aveva abbassato l’accappatoio fino alla vita. Santana si affrettò a sporgersi sul lavandino, quando una goccia dell’impiastro che aveva in faccia cadde miracolosamente sul pavimento e non sul suo vestito.
«Senti, adesso devo andare… Mi ha fatto piacere, però! Ci sentiamo domani pomeriggio per gli orari, okay?»
Rimase al telefono ancora qualche secondo, quindi rise piano ed allontanò il cellulare dall’orecchio. Lo poggiò sul bordo del lavandino, quindi si voltò verso Kurt, che era intento a massaggiarsi i bicipiti.
«Devi davvero essere molto dotato, Hummel, perché quello…» disse lei, indicando, con l’indice, un invisibile cerchio rivolto alle sue gambe. «… non può essere considerato sexy nel tuo mondo.»
«Pagheresti, per vedere Dani che si spalma l’idratante sulle gambe, ipocrita.» commentò solo Kurt, continuando a passarsi la crema sulla pelle.
«Non ne ho bisogno, lo spettacolo per me è gratis.» disse Santana, prima di gettarsi una buona dose di acqua sulla faccia e lavare via tutto l’impiastro giallo.
Ci mise qualche minuto, ma alla fine si asciugò il volto, soddisfatta, e prese la via per la porta.
«E comunque…» iniziò Kurt, poco prima che lei uscisse.
«Sì, ci vieni!» lo interruppe lei, sbattendosi la porta alle spalle.

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Uh-oh. E adesso che faranno? Il prossimo capitolo non è molto incentrato sul tema principale della ff, ovvero lo scambio dei disegni anonimi, ma credo che vi piacerà comunque xD
Come al solito, vi invito a lasciarmi una recensione, se volete, e se invece preferite insultarmi per le mie ff precedenti o fare due chiacchiere, vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Twitter (The Shippinator), su Tumblr (TheShippinator (Ship All The Characters!)) e su Ask (Andy TheShippinator)
Ci leggiamo domenica prossima, con il secondo capitolo!

Un bacio, Andy <3

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Capitolo 3
*** Is it worth to get drunk? ***


Ciao a tutti!
Oh. Mio. Chris. Ma voi siete MATTI. Okay, devo dirlo: non mi sarei mai immaginata un riscontro tale per questa ff e non troverò mai le parole più adatte per dirvi grazie come vorrei, quindi GRAZIE. E in questo “Grazie” è racchiusa tutta la mia gratitudine, per coloro che commentano, mettono la storia tra le preferite/seguite/ricordate ed anche per chi la legge soltanto! Ora vivo di ansia da prestazione per l’ultimo capitolo, sappiatelo!
Vi lascio alla lettura di questo capitolo un po’ di passaggio, sperando che vi piaccia, e vi auguro una Buonissima Pasqua!

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Sabato sera era arrivato e, nonostante un iniziale ripensamento di Blaine, alla fine l’avevano convinto ad andare fino in fondo. Esatto. Aveva pensato, per un nanosecondo, di chiamare Santana e dirle che aveva sviluppato un improvviso, forte raffreddore o che si era ricordato di dover fare una ricerca urgentissima, ma poi erano arrivati Thad e Sebastian. Soprattutto il secondo, era riuscito a convincerlo ad uscire, per una sera. O meglio, l’aveva forzatamente ficcato in un paio di jeans neri, mentre Thad lo costringeva ad infilare le braccia ed il collo in una delle sue camicie. Quando finalmente Blaine si era arreso, aveva lottato strenuamente per poter, almeno, completare il suo outfit con uno dei suoi adorati papillon. Thad aveva ceduto, ma aveva anche insistito per passargli le dita tra i capelli cementati dal gel e renderglieli un po’ più mossi e scompigliati.
«Così sei perfetto!» esclamò Thad, lavandosi le mani e fissando la creazione sua e di Sebastian. Blaine non era irriconoscibile, ma era decisamente più figo del solito, e di questo i due ragazzi erano ben fieri.
«Manca solo il tocco finale. Hai detto che era un evento in maschera, quindi sono passato questo pomeriggio in un negozio e ho comprato queste…» disse Sebastian, avvicinandosi all’amico con una mascherina nera in una mano. L’altra era impegnata a tenere teso un elastico sottile e trasparente. Nonostante i mugolii di Blaine, Sebastian gliela infilò e gli coprì gli occhi e parte del naso.
«Adesso sei perfetto!» precisò il più alto dei tre, voltandosi verso Thad e passandogli orgogliosamente un braccio attorno alle spalle, mentre anche lui si infilava la mascherina.
«Siamo tutti e tre perfetti, già. Possiamo prendere le giacche, ora, ed uscire di casa? Faremo tardi!» disse il latino, mentre Blaine si grattava il naso da sotto la mascherina.
«E se poi…»
«Ehi, niente andrà storto, okay? Io, te e Thad berremo un paio di drink, chiameremo un taxi e torneremo a casa. Ci divertiremo e finalmente conosceremo la tua amica di Lima. Non hai detto che aveva un coinquilino gay?» domandò Sebastian, casualmente, mentre Thad allungava la giacca sia a lui che a Blaine.
«Imbarazzante e gay. Non so…» borbottò il ragazzo, infilandosi l’indumento ed abbottonandolo.
Sebastian fece spallucce, quindi i tre si avventurarono fuori di casa.
Avevano appuntamento, con Santana ed i suoi amici, proprio fuori dal portone del condominio. Come si era aspettato, loro erano già tutti lì ed indossavano a loro volta delle mascherine, in tinta con gli abiti che s’intravedevano attraverso i cappotti aperti. Thad si fece subito avanti, allungando una mano verso la ragazza più vicina, bionda. «Piacere, sono…»
«No, aspetta!» esclamò subito quella che Blaine riconobbe chiaramente come Santana. Non poteva bastare una mascherina a renderla irriconoscibile.
«Non vogliamo che si rovini il gioco, no? Evento in maschera vuol dire che non si sa con chi si balla, quindi… niente nomi, nessuno si deve conoscere. A parte, beh… a parte voi-sapete-chi.» disse la ragazza, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Blaine ne fu impressionato, lui sicuramente non sarebbe stato capace di mantenere il segreto per tutta la serata.
«È il secondo riferimento ad Harry Potter nel giro di due giorni, devo iniziare a preoccuparmi?» domandò una voce dolce, ma indubbiamente maschile, il cui proprietario era vestito di lilla, azzurro e viola in uno stile curato che comprendeva un gilet ed un cappello basso, con visiera, appoggiato quasi in maniera casuale sulla nuca. La sua maschera era viola scuro e gli occhi azzurri erano puntati su Santana. Quello doveva essere il coinquilino della sua amica. Blaine si ritrovò ad esaminarne l’aspetto e si guadagnò una discreta gomitata da parte di Sebastian.
«Devo andare a recuperarti gli occhi? Credo che ti siano accidentalmente caduti in prossimità del suo culo…» sussurrò Sebastian al suo orecchio. Blaine gli rispose con un’altra gomitata, quindi spostò lo sguardo verso Santana.
«Porcellana, non costringermi a farti diventare Porcellina definitivamente.» rispose semplicemente lei.
«È stato una volta ed era Halloween! E tu facevi The Situation!» ribatté lui, mentre la ragazza faceva a tutti cenno di seguirla e si dirigeva verso la fermata dell’autobus. Blaine scorse, con lo sguardo, la combriccola estranea. Il ragazzo stava vicino alla più bassa di tutti, che sembrava estremamente posata, quasi fosse in attesa di un ciak per iniziare a piroettare in mezzo al marciapiede. Il ragazzo la teneva sottobraccio, ma sembrava più rilassato di lei. Non si voltarono nemmeno una volta verso di loro, come invece fecero Santana e la ragazza bionda che lei teneva per mano. Ad un certo punto, la sua amica gli rivolse anche un occhiolino, per salutarlo, al quale lui rispose con un cenno del mento.
La bionda doveva necessariamente essere la sua ragazza, Dani, quella di cui Santana gli aveva parlato diverse volte… a rigor di logica, quindi, la mora ed il ragazzo erano i suoi coinquilini, quelli che frequentavano la NYADA. Blaine si voltò verso destra, per fare il punto della situazione con Thad, ma lo trovò impegnato a cercare di respingere scherzosamente le eccessive attenzioni di Sebastian, che gli stava probabilmente sussurrando sconcerie all’orecchio.
Sospirando, tornò a camminare in silenzio. Quella serata era stata fatta per permettergli di socializzare e dimenticare, per qualche ora, che era solo… ed ecco che, invece, si ritrovava esattamente al punto di partenza.

«È carino…»
«Ma se non gli si vede nemmeno la faccia!»
«Non poteva non mettere la maschera, è nel dress code! Però sembra comunque carino!»
«E se poi viene fuori che è pieno di brufoli? E se…»
«E se la pianti e ci provi?»
Kurt e Rachel si voltarono all’unisono verso Santana. Avevano bisbigliato fra loro fino a quel momento, parlando dell’unico gay chiaramente single dell’altro gruppo. Non era stato difficile capire che era lui il famoso Hobbit, l’amico di Santana; non solo perché era il ragazzo più basso del gruppo, ma anche perché gli altri due, che l’accompagnavano, sembravano non essere in grado di non gravitarsi attorno per più di tre secondi netti.
«E se ti fai gli affari tuoi? Sai che non ci volevo nemmeno venire, in quel posto, io!» rispose Kurt, sempre sussurrando e sporgendosi a sua volta verso Santana.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, mentre Dani slanciava il braccio in fuori, per avvisare il conducente dell’autobus che stavano aspettando proprio lui.
«Ogni tanto devi uscire, e non necessariamente solo per andare a lezione, sai?» borbottò la ragazza, mentre indicava agli altri tre di fare in fretta a salire.
«Io esco! Con Adam!» ribatté Kurt, seguendola, dopo che lo Hobbit, quello alto e quello chiaramente latino, li ebbero preceduti.
«Ah, sì, la Mela… senti, non ti sto dicendo che ti devi trascinare il Mezzuomo nel bagno del locale e scopartelo finché…»
«Santana!» la interruppe Kurt, ma lei andò avanti come se lui non avesse aperto bocca.
«…finché l’unica lettera del suo nome che riesce a dire è la “ah!”, ma… dovresti decisamente trascinare il Mezzuomo del bagno del…»
«Santana!» questa volta furono in due ad interromperla, sia Kurt che Rachel, mentre Dani rideva tra sé e sé e spingeva la sua ragazza verso un sedile.
«Senti, Kurt, a parte gli scherzi… nessuno dice che devi davvero fartelo stasera, ma perché non provi a… non so, almeno divertirti? Magari potete diventare amici.» disse la bionda, facendogli l’occhiolino da dietro la sua maschera verde oliva.
Kurt sbuffò e lanciò un’occhiata allo Hobbit, in maniera piuttosto circospetta. Si lasciò andare ad un mugolio, sedendosi, quindi, su uno di due sedili sistemati in coppia. Quello vicino a lui fu occupato subito da Rachel, con la quale intavolò in fretta una conversazione sul prossimo compito di recitazione, nel tentativo di evitare l’argomento “ragazzo gay e single” per almeno dieci minuti.

«Due Margarita, un Gin Lemon, un Cuba Libre, due bionde medie ed un Cosmo!» urlò quasi Santana, sovrastando il suono della musica alta, all’interno del locale. «Questo giro offro io!»
Il ragazzo in viola si portò subito avanti, posando una mano sulla spalla della ragazza.
«No, offro io! Ho risparmiato un mucchio di soldi, da quando Adam mi paga tutti i caffè!» esclamò lui, facendo scoppiare a ridere sia Dani che Rachel. Santana si limitò a guardarlo con un’espressione che era un misto tra l’offeso, lo stupito e l’irritato. A Blaine non sfuggì l’occhiata che gli lanciò, ma lui si limitò a sorridere ed applaudire il ragazzo, esattamente come fecero Sebastian e Thad.
Santana aveva detto che il suo coinquilino era single, ma a quanto pareva era rimasta un po’ indietro con le notizie. Blaine cercò di non rimanerci troppo male. Era tutta la sera che si divertivano, ballando tra loro, gli uni con gli altri, anche se prevalentemente con i propri amici. Nonostante tutto, Blaine aveva ballato con Dani, Santana e la ragazza piccolina; Thad ad un certo punto era finito a ballare con Santana ed il suo coinquilino, ma era stato trascinato via dopo poco da Sebastian, che sembrava non gradire il fatto che il suo ragazzo stesse troppo vicino a qualcun altro; Santana, invece, li aveva trascinati in pista uno per uno, uno dopo l’altro, ed aveva passato una buona mezz’ora ad improvvisare balletti sincronizzati assieme ai suoi due amici, ripetendo all’infinito che era così che facevano al loro vecchio Glee Club.
«Questi li offre la casa!» esclamò il barista, piazzando sul tavolo sette bicchierini di plastica molto piccoli, che cominciò a riempire con vari tipi di liquori, fino a presentare, in ognuno, qualcosa che sembrava un piccolo cervello immerso in un liquido giallo-rosato.
Blaine non si stupì del regalo: dopotutto erano al terzo giro e la testa cominciava anche a girare un po’ a tutti. Lui e Thad erano messi meglio, visto che si erano limitati a qualche birra, e Sebastian aveva un’alta resistenza all’alcol, anche se dopo qualche sorso del suo Cuba Libre iniziava a barcollare un po’, ma la piccoletta sembrava completamente andata ed il ragazzo era decisamente alticcio. Santana e Dani erano ragionevolmente brille e si perdevano di vista a malapena. Avevano le dita intrecciate e più di una volta, Blaine le beccò a tirarsi l’una verso l’altra per scambiare un veloce bacio o anche qualcosa di più approfondito. Nonostante tutto, nessuno rifiutò lo shortino offerto dalla casa, nemmeno Thad e Blaine, consci che, comunque, quello sarebbe di sicuro andato alla testa di entrambi, visto il grado alcolico decisamente più elevato rispetto alle due birre che avevano già preso.
La piccoletta ed il ragazzo, così come Dani e Santana, sollevarono i loro cocktail stretti in una mano ed afferrarono i bicchierini con l’altra.
«A noi ed a quella che, si spera, sia solo la prima uscita di molte!» esclamò la più bassa, portando lo shortino in alto, vicino al suo Gin Lemon, imitata dai suoi amici. Thad e Blaine sollevarono solo lo shortino verso l’alto, mentre Sebastian si limitò ad un breve cenno con la mano.
Buttando indietro la testa, fecero sparire il contenuto del bicchierino giù per le loro gole. Il liquido bruciava, ma era anche piacevolmente dolce, troppo per uno che aveva bevuto solo birra, fino ad allora.
Blaine fece una smorfia, posando il piccolo contenitore di plastica sul bancone, proprio mentre la piccoletta lanciava un urlo entusiasta e si attaccava alla cannuccia del suo drink. Il ragazzo la imitò, dopo aver rovesciato di nuovo il bicchierino sopra alla sua bocca aperta, per riuscire a berne ogni singola goccia. Blaine lo fissò anche un po’ troppo insistentemente, finché lui se ne accorse e gli rivolse un veloce occhiolino, accompagnato da un mezzo sorriso malizioso con le labbra avvolte attorno al bordo del bicchiere. Sollevò le sopracciglia, voltandosi, per assicurarsi che lui non stesse flirtando con qualcun altro. No, dietro a Blaine c’era solo una ragazza impegnata ad esplorare la cavità orale di quella che era chiaramente la sua fidanzata, almeno per quella sera. Tornò a guardare il ragazzo, che adesso sembrava decisamente impegnato a leccare via, da tutto il bordo del bicchiere, la scia di limone e zucchero con la quale il barman aveva decorato il Cosmopolitan. Si fece beccare in flagrante, quando lui sollevò lo sguardo e lo incatenò al suo, senza interrompere quello che stava facendo.
«Oh, Signore misericordioso…» mormorò Blaine quasi in preda al panico, mentre un vago calore -che di sicuro non aveva nulla a che fare con l’alcol- andava a spandersi sul suo collo e sulle guance. Oddio, ci stava davvero provando con lui? Il bel ragazzo? Il coinquilino di Santana? Perché ci stava provando con lui? Era da un secolo che non si sentiva così. Si voltò in fretta afferrando Sebastian per un braccio, fregandosene delle sue proteste per aver interrotto quello che, a detta sua, era “il bacio gay del secolo, tra lui e Thad” e lo trascinò un paio di metri più in là.
«Ci sta provando con me!» esclamò Blaine, parlando a voce troppo bassa, per essere udito sopra al frastuono della musica.
«Cosa??» chiese Sebastian, avvicinandosi e porgendogli l’orecchio.
«Ci sta provando con me! Il coinquilino di Santana ci sta provando! Mi ha fatto l’occhiolino e ha sorriso ed adesso sta facendo quella cosa, con la lingua…!» esclamò di nuovo, urlandogli quasi nell’orecchio.
Sebastian si allontanò e fissò spudoratamente l’argomento della loro conversazione, che in quel momento era intento a ballare molto poco castamente con Santana.
«Beh, congratulazioni! Sapevo che non ti saresti portato dietro niente, quindi l’ho fatto io per te!» esclamò Sebastian, infilandosi la mano in tasca ed estraendone un preservativo ed una bustina usa e getta di lubrificante.
«Ma sei pazzo?! Nascondi quella roba, non me lo voglio fare nel bagno di un bar!» esclamò Blaine, spingendo via la sua mano. Sebastian obbedì, sbuffando piano.
«Almeno balla con lui!» esclamò quindi, prendendolo per un braccio.
«Cosa?» domandò Blaine, cominciando a respirare affannosamente, mentre Sebastian lo riportava dov’erano prima.
«Okay, ascolta, io comincio a sentirmi la testa leggera, quindi non ho voglia di parlare. Ecco…»
Sebastian prese la birra di Blaine, rimasta a Thad, e la infilò in mano all’amico. Facendo forza sul suo polso, poi, lo obbligò ad avvicinare il bicchiere alla bocca. Blaine cercò di protestare, ma il liquidò s’inclinò tanto pericolosamente da rischiare di cadergli sui vestiti, quindi iniziò a bere. Spalancò gli occhi, mugolando per protesta, ma Sebastian non si spostò finché lui non si fu scolato tutto il bicchiere. Solo allora lo liberò, e Blaine prese un profondo respiro, portandosi un pugno alla bocca e ruttando piano.
«E adesso, vai lì e strusciati contro il suo sedere. E non ruttargli in faccia.» borbottò Sebastian, voltandosi ed avvolgendo le braccia attorno al collo del suo ragazzo, il quale fece l’occhiolino a Blaine prima di venir distratto da attività decisamente più piacevoli.
«Difficile, quando qualcuno ti ha appena costretto a bere un bicchiere di birra intero tutto d’un fiato!» gli strillò dietro Blaine, irritato. La testa gli si era alleggerita, a causa degli sbalzi di grado alcolico. Senza pensarci su troppo, si diresse in pista, raggiungendo in fretta Santana e Dani, che adesso stavano ballando vicine.
La mora si affrettò ad afferrarlo per un braccio, mentre Dani prendeva un grande sorso del suo Margarita.
«Blaine, Blaine… Blaine…» disse la ragazza, dimenticandosi che non doveva chiamarlo per nome. Aveva lo sguardo vacuo ed un triste broncio sulle labbra. «Mi dispiace per quello che ha detto Kurt… lui è stupido e quell’Adam è un vecchio… viscido… non stanno insieme, okay? Voglio ancora che… che…»
Non riuscì a terminare la frase, perché Dani l’afferrò per un braccio ed invertì le loro posizioni, distraendola e facendola ridere.
Blaine scosse il capo, sbattendo le palpebre. Kurt. Era quello il nome del ragazzo? Probabilmente sì. Si diresse verso di lui, che stava ballando assieme alla piccoletta, la quale si dimenava con il braccio libero verso l’alto e la bocca ancora incollata alla cannuccia del suo Gin Tonic.
Blaine iniziò a muoversi a tempo di musica, più perché il suo corpo aveva deciso di tenere il ritmo che per altro, ma Kurt lo vide e si aprì in un largo sorriso.
«Io e te non abbiamo ancora ballato!» esclamò, avvicinandosi e lui e lanciandogli, con nonchalance le braccia attorno al collo, lasciando le mani libere di pendere mollemente oltre la sua schiena. Il suo bicchiere era sparito. Istintivamente, Blaine portò le mani ai suoi fianchi e le posò sulla stoffa del gilet, quasi con il timore di premere troppo.
«Già!» disse solamente, sovrastando la musica alta.
«Adoro questa canzone!» esclamò quindi Kurt, chiudendo gli occhi e lasciando andare la testa all’indietro.
«Non la conosco…» disse Blaine, cercando di capire quanto l’altro fosse ubriaco e quanto fosse alticcio lui stesso.
«Nemmeno io, ma mi piace il suo ritmo!» disse di nuovo Kurt, oscillando i fianchi e travolgendo Blaine in quel ballo un po’ scomposto.
Rimasero così, in silenzio, a ballare con la musica che perforava loro i timpani, per alcuni minuti.
«Mi piace il tuo cravattino! È molto di classe!» disse ad un certo punto il ragazzo, sfiorando con la punta delle dita il bordo del papillon al collo di Blaine.
«… grazie! Sei l’unico che la pensa così!» rispose Blaine, sgranando un po’ le palpebre.
Kurt continuò a carezzare il bordo del papillon, finché le punte del pollice e dell’indice si chiusero su una delle sue estremità. Blaine lo poté sentire tirare piano la stoffa, fino a sciogliere il nodo del fiocco e lasciare che quello pendesse, ormai non più annodato, ai lati del colletto della sua camicia. Senza nemmeno chiedergli il permesso, e continuando a fissargli il collo, passò poi a sbottonargli i primi due bottoni. Subito, Blaine si sentì libero di respirare più facilmente. Avrebbe tanto desiderato potergli levare la maschera e guardarlo davvero, scoprire che cosa c’era dietro a quell’accessorio viola scuro, che nella penombra del bar sembrava nero.
Kurt non disse nulla, ma lo fissò negli occhi, andando nuovamente ad incrociare le braccia dietro al suo collo. Blaine iniziò a respirare a malapena, e questa volta non era certo colpa della stretta del cravattino. L’alcol gli era andato alla testa e si sentiva come avvolto in una bolla fatta di nuvole.
«Sto facendo un gioco!» esclamò all’improvviso la voce della ragazza bassa. Una mano gli si posò su una spalla ed un gesto imperioso lo fece ruotare su sé stesso.
Kurt non si staccò da lui, ma continuò ad abbracciarlo. Si lasciò andare ad una breve risatina, quando la sua amica, dalle palpebre pesanti ed il viso ancora nascosto da una mascherina grigio perla, si avvicinò a Blaine per permettergli di sentirla. Kurt si sporse un po’ alla destra del volto dell’altro, probabilmente per udire a sua volta le parole della ragazza, premendo con noncuranza il petto contro la sua schiena. Stare stretti in quello strano abbraccio, intrappolato tra lui e lei, fece andare il cuore di Blaine in fibrillazione.
«Si chiama “Bacia qualcuno che non hai mai baciato”! Io non ti ho mai baciato!» esclamò quindi lei, portandosi avanti e premendo insistentemente e scompostamente le labbra su quelle di Blaine. Più a causa dell’istinto che per altro, Blaine si ritrovò a rispondere al bacio. La ragazza era lenta nei movimenti e piuttosto violenta, e la sua bocca sapeva di alcol e limone. Blaine poteva sentire lo sguardo di Kurt fisso sulle loro labbra, e la cosa gli fece andare il sangue alla testa. Nel giro di qualche secondo, comunque, lei si staccò, ridendo come una matta, dandogli poi la schiena e dirigendosi verso Santana.
Blaine si ritrovò lì a sbattere le palpebre, colto ancora alla sprovvista da quel gesto, mentre Kurt lo afferrava, con entrambe le mani, per il cravattino dal nodo sciolto, e lo costringeva a girarsi.
«Adesso anche tu stai giocando a questo gioco.» disse Kurt, e non sembrava che fosse una domanda.
«E tu?» domandò Blaine, ancora senza fiato e stordito.
«Tu non eri gay?» domandò quindi Kurt come se nemmeno Blaine avesse parlato, inclinando un po’ il capo e facendo un cenno con il mento verso l’amica, mentre anche le sue palpebre si facevano pesanti.
Prima che potesse rispondere, vennero distratti nuovamente dalla voce della ragazza.
«Tu non sei il latino che sto cercando!» stava gridando, mentre faceva girare un ragazzo dalla pelle scura che, probabilmente, aveva scambiato per Thad.
«Se cerca di baciare Thad, Bas darà i numeri…» disse Blaine, più tra sé e sé, che parlando con Kurt. Il ragazzo lasciò andare il suo cravattino, portandogli le braccia al collo e le labbra vicino alla sua tempia.
«Lo farà!» rispose Kurt direttamente nel suo orecchio, abbastanza vicino da udirlo perfettamente. «Ogni volta che si ubriaca, bacia qualcuno. Fortunatamente non ha mai baciato un estraneo.»
«E a te? Ti ha mai baciato?» chiese Blaine, conscio che il momento tra loro fosse ormai stato rovinato, ma voltandosi comunque, obbligando Kurt ad arretrare un po’ con il viso.
Il ragazzo, con sua grande sorpresa, annuì.
«Gioco della bottiglia, penultimo anno di liceo. Si è presa una cotta per me, quella volta, ma poi le è passata quando mi ha baciato da sobria.» raccontò lui, mentre Blaine, con un’audacia che non credeva di possedere, infilava la punta degli indici nelle tasche del suo gilet e lo tirava di più verso di sé, imitando i gesti di prima, dell’altro, con il suo cravattino.
«Ma tu non eri gay?» domandò a sua volta, coronando il tutto con un mezzo sorriso.
Kurt gli sorrise a sua volta, senza rispondergli.

«No che non voglio baciarti, nana! E neanche lui, quindi vattene!»
La ragazza se ne andò offesa, mentre Sebastian avvolgeva un braccio, protettivo, attorno alle spalle di Thad.
«Stava solo giocando…» scherzò il ragazzo, che non aveva avuto troppi problemi a stamparle un veloce bacio sulle labbra, quando lei glielo aveva chiesto.
«Non mi importa.»
«È ubriaca!»
«Non mi importa!»
Thad rise, circondando il volto di Sebastian con le mani, per scambiare con lui quello che era un vero e proprio bacio.
Alcuni secondi dopo, si separarono e spostarono gli occhi sulle altre coppie intente a ballare, sulla pista. La piccoletta, adesso, era incollata alle labbra della ragazza alta e mora, mentre la bionda rideva di gusto. Poco lontani da loro, c’erano…
«Oh mio Dio. Thad, vedi anche tu quello che vedo io?» domandò Sebastian, sgranando le palpebre.
«Credo di sì, Bas… Credo che Blaine abbia…» rispose Thad, deglutendo e leccandosi le labbra.
«Rimorchiato.» concluse Sebastian per lui. Si guardarono e un grande sorriso esplose su entrambi i loro volti, mentre sollevavano le mani per darsi il cinque.
«Hai visto se si sono baciati? Non voglio che sia una botta e via, Blaine non ha bisogno di quella roba, di nuovo…» borbottò Thad, ma Sebastian scosse la testa.
«Troppo pensare, mi fa male la testa… Ma hai ragione. No, non li ho visti.»
Thad sospirò e restò a fissarli, ma i due sembravano intenti a ballare, parlare e flirtare, nulla di più.
Prese un altro sorso della sua birra, posando sul bancone il bicchiere, nel quale era rimasto solo un dito di quel liquido chiaro.
«Lasciamolo fare e balliamo un po’…» propose Sebastian, quindi si trascinò il ragazzo in pista, mentre la mora strillava contro alla piccoletta, che aveva probabilmente provato a baciare anche la sua ragazza.

Nessuno dei due vide Blaine baciare Kurt, quella sera, così come le amiche di Kurt non lo videro baciare Blaine… perché non ci fu nessun bacio.
I due andarono avanti a ballare per un po’, ma quando Rachel li disturbò per la seconda volta, semplicemente, si separarono e vennero travolti dai deliri senza senso della ragazza. Stanchi della musica alta e di bere, poi, decisero tutti di uscire a prendere una boccata d’aria, magari fare una passeggiata. Non era nemmeno troppo tardi, ma lo era abbastanza da rendere le strade silenziose. Ogni loro parola, ogni loro risata, si perdeva come un’eco nelle grandi vie secondarie di New York. Non c’erano troppe macchine che gironzolavano, solo qualche sporadica vettura privata ed alcuni taxi, ogni tanto. Nessuno di loro era abbastanza lucido da rendersi conto che avevano ancora tutti le maschere; ad un certo punto, Santana aveva anche deciso che non le importava più che non si conoscessero gli uni gli altri, ed aveva iniziato a chiamare quasi tutti per nome. Dopo un’altra ora passata a gironzolare per il quartiere, i ragazzi si ritrovarono davanti allo Starbucks dove lavorava Santana.
«Ma siamo vicini a casa!» esclamò Blaine, come la ragazza l’aveva già chiamato più volte. Kurt aveva capito che lo Hobbit di cui lei parlava sempre era lui e, decisamente, aveva anche capito che non era fidanzato con il ragazzo più alto. Blaine l’aveva chiamato Bas, mentre quello che Rachel aveva baciato, era Thad.
«Hai ragione!» esclamò Santana, quasi stupita, fissando l’insegna del locale con occhi spalancati. «Allora dobbiamo andare di là!»
La ragazza indicò convinta la strada dalla quale erano appena arrivati, ma il latino, ridendo, indicò dietro di lui con il pollice.
«Credo che sia più di là!» la corresse, e lei puntò subito il dito dove lui aveva indicato.
«Di là!» esclamò di nuovo, prendendo per mano Dani e trascinandosela, di corsa, verso casa.
Kurt si sentiva barcollare e la testa era decisamente leggera. Era molto più alticcio di quanto pensasse, ma la camminata gli aveva fatto bene. La sua mente era meno annebbiata di prima, ed anche se ricordava quello che era successo quella sera, le scene avevano un sapore lontano, come se non le avesse vissute lui. Inoltre, stentava ad inserire alcuni avvenimenti in ordine cronologico. Quello che sapeva, per certo, era che ci aveva spudoratamente provato con il Mezzuomo. Lui non sembrava aver voglia di fargliela pesare, anche perché a sua volta aveva risposto al flirt, ma entrambi, ora che erano più lucidi, sembravano piuttosto imbarazzati. Qualche volta si erano lanciati uno sguardo complice, ma non avevano più parlato da soli, come quando erano in pista.
Kurt non era il tipo spudorato che diventava quando beveva. Generalmente era timido, ma determinato, romantico, sagace… eppure quando beveva -cosa che non faceva, comunque, molto spesso- perdeva parecchie inibizioni e diventava quello che, in molti, avrebbero definito un ragazzo normale. Si lasciava andare all’istinto, e molto spesso questo lo portava a fare cose stupide, come appunto era successo quella volta che aveva acconsentito a baciare Rachel durante il gioco della bottiglia. Avrebbe dovuto rifiutarsi, ma non l’aveva fatto e Rachel si era presa una cotta per lui. Kurt prese un profondo respiro, decidendo che non era quello il momento di pensarci, e, con la mente alleggerita che si ritrovava, non gli fu facile spostare la sua attenzione sul gruppo che stava camminando verso i palazzi. Diede una tirata a Rachel, per farla camminare. La ragazza era decisamente quella messa peggio, completamente ubriaca e dalle palpebre ormai troppo stanche anche per essere tenute aperte. Si trascinava dietro al gruppo, attaccata a Kurt… o meglio, pesava sul braccio di Kurt, che la doveva trascinare e, instabile come era già da solo, l’operazione era abbastanza complicata. Dal canto suo, Santana non era di alcun aiuto. Probabilmente avrebbe passato la notte con Dani, ma Kurt non era preoccupato: era così stanco che era certo che si sarebbe addormentato come un sasso una volta toccato il letto.
Quando raggiunsero il portone, Sebastian tirò fuori le chiavi ed aprì, facendo passare tutti prima di chiudere la fila. Santana e Dani, senza nemmeno salutare, erano già corse verso destra.
«Grazie della serata. Dillo tu a Santana, okay?» disse Blaine, rivolgendogli un timido sorriso. Kurt ricambiò ed annuì.
«Grazie a voi… ora la porto su, prima che mi vomiti sulle scarpe…» disse lui, indicando Rachel, che farfugliava cose a proposito del fatto che era vero che la terra girava.
«Sicuro di non avere bisogno di una mano?» domandò Thad, che sembrava sinceramente preoccupato.
Kurt scosse il capo e, come aveva supposto prima di compiere quel gesto, fu davvero una stupidaggine. Ebbe un mezzo capogiro e barcollò appena. I pensieri non raggiungevano la parte razionale del suo cervello abbastanza in fretta da impedire al suo corpo di fare quello che voleva.
«No, no, ce la faccio! Alla prossima!» disse con entusiasmo, prima di voltarsi ed iniziare a tirarsi Rachel dietro.
Una volta arrivato nel loro appartamento, la quale porta era stata maldestramente lasciata aperta da Santana e Dani, portò Rachel in camera e la fece sdraiare sul letto a pancia in giù. Cercando di ignorare il suo stesso cerchio alla testa, andò a recuperare un secchio -che sistemò vicino al letto- quindi si schiaffò di fianco a lei, senza avere la forza di raggiungere la sua “camera”.
Si fermò a fissare il soffitto, ma decise che era troppo, per lui. Si girò lentamente, molto lentamente, a pancia in giù, perché così sdraiato sentiva l’estremo bisogno di… vomitare, forse? Gli girava tutto. Tutta la stanza sembrava ruotare vorticosamente intorno a lui, così chiuse gli occhi. Il profumo dei capelli di Rachel era troppo forte, per il suo naso e, nemmeno con gli occhi chiusi, sembrava che il mondo avesse deciso di rallentare. Prese un paio di respiri lenti, cercando di autoconvincersi che tra qualche minuto tutto sarebbe andato meglio. Non seppe quando si addormentò, ma, miracolosamente, lo fece.
Il risveglio fu altrettanto traumatico. Di fianco a lui, Rachel era piegata verso il pavimento e stava rimettendo quella che probabilmente era la sua anima, nel secchio che le aveva messo di fianco la notte prima. Grazie al cielo, lui non sentiva di dover vomitare, ma la testa… ah, quella era incredibilmente dolorante.
Si alzò, molto, molto, molto lentamente. Non diede il buongiorno a Rachel, visto che il saporaccio che sentiva sulla lingua era qualcosa di probabilmente inumano e non aveva alcuna intenzione di aprire la bocca, se non per infilarci dentro uno spazzolino. E un bicchiere d’acqua con un’aspirina. E del caffè.
Si diresse subito in bagno, dal quale, comunque, provenivano gli stessi rumori che gli avevano dato il ben svegliato. Santana era piegata sulla tazza del gabinetto e stava vomitando, i capelli tenuti fermi, in alto, da una grossa pinza. Kurt mugolò, stringendo le gambe, perché la vista del gabinetto gli aveva appena ricordato di avere una vescica e che la stessa era incredibilmente piena.
Palesò la sua presenza con un debole gemito, ma Santana lo ignorò.
Kurt si diresse al lavandino, afferrando il proprio spazzolino, ricoprendolo di una quantità esorbitante di dentifricio ed infilandoselo in bocca. Strofinò forte e per molto tempo. Se lo passò anche sulla lingua e risciacquò con due grandi sorsi d’acqua.
«Ne hai ancora per molto?» chiese, alla fine, con voce roca. Santana sputò un paio di volte, quindi tirò lo sciacquone.
«Credo di aver… finito… per una mezz’ora.» biascicò lei, avvicinandosi svelta al lavandino, per risciacquarsi la bocca.
Kurt non perse tempo nemmeno a chiudere la porta o ad aspettare che lei fosse fuori. Si sentiva ancora un po’ inibito dall’alcol della sera prima. Quando fece per abbassarsi quelli che pensava fossero i pantaloni del pigiama, si ritrovò a premere le mani su una cintura. Aveva… dormito… vestito?
Rimandò i rimorsi di coscienza a dopo, quindi si slacciò la cintura, il primo bottone dei jeans e poi abbassò la cerniera.
«Niente più timidezza?» domandò sarcastica Santana, che si stava lavando i denti.
«Priorità.» borbottò Kurt in risposta, mentre finalmente rilasciava un sospiro di sollievo, cominciando a fare pipì.
Non ci furono altre conversazioni, finché tutti e quattro non furono svegli e seduti, come zombie, intorno al tavolo della cucina. Eccetto Rachel. Rachel se ne stava sdraiata sul divano, avvolta in un paio di coperte, con il secchio di fianco. Ogni tanto biascicava qualcosa e Kurt o Dani si alzavano per aiutarla in qualunque cosa volesse.
Santana aveva lo sguardo fisso nel vuoto e le mascelle serrate. Aveva aperto bocca, dopo essere uscita dal bagno, solo per bere un po’ di caffè ed un bicchiere d’acqua a piccoli sorsi. Rachel aveva avuto il permesso solo di bere dell’acqua ed un analgesico. Kurt e Dani, invece, sorprendentemente, si ritrovarono anche piuttosto affamati, circa una quarantina di minuti dopo essersi reidratati. Kurt stava sgranocchiando una fetta di pane tostato, quando Dani intavolò la conversazione.
«Allora… vi ho visti ieri sera, tu ed il moretto.» disse la ragazza, facendogli l’occhiolino.
«C’erano fin troppi moretti, in quel posto…» svicolò Kurt, avvicinando alle labbra la seconda tazza di caffè della giornata.
«Lo sai di chi parlo. L’amico di Santana, quello con il cravattino…» disse lei, sollevando un sopracciglio.
Kurt la fissò, soppesando le parole, quindi assottigliò le palpebre ed arricciò le labbra.
«Molto di classe, vero?» borbottò, beccandosi una gomitata e non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso.
«Oh, lo sapevo! E allora?» domandò lei, di nuovo, mentre Santana spostava, in silenzio, lo sguardo su di lui.
«E allora… niente. Non è successo niente. Abbiamo ballato un po’, abbiamo scherzato, poi lui ha baciato Rachel credo…» disse Kurt, sollevando le iridi al soffitto, pensieroso.
«Cosa?» lo interruppe Santana, spostando in fretta lo sguardo da Kurt all’ammasso di coperte sul divano, che era Rachel.
«Stava giocando a “Bacia qualcuno che non hai mai baciato”…» si limitò a spiegare lui, e Santana si rilassò.
«Ah, già… ma lui è gay. Lo sai, vero?» sottolineò lei, sollevando le sopracciglia.
«Sì, l’ho più o meno intuito…» borbottò Kurt, vagamente imbarazzato, mandando alla mente le volte in cui, la sera prima, Blaine l’aveva tirato verso di sé prendendolo per il gilet.
«Gli hai chiesto il numero?» domandò Dani, addentando una fetta di pane tostato a sua volta.
Kurt sollevò lo sguardo e fissò il vuoto. L’aveva fatto?
Si controllò le mani, in caso l’avesse scritto lì, ma quelle erano pulite. Prese il cellulare dalla tasca e scorse la rubrica, alla ricerca di un Blaine, un Hobbit o anche un Mezzuomo. Niente, nulla di nulla.
Santana gli prese il cellulare dalle mani, senza badare alle sue proteste, e scorse la rubrica a sua volta , quindi glielo restituì, sbuffando.
«Niente.» confermò alla fine, dirigendosi verso il bagno.
«Credi che non sappia controllare da solo?» ribatté Kurt, vagamente offeso.
«Hai controllato sotto “9 pollici e 3/4” o “Mr Bel Culo”?» domandò lei, voltandosi.
«Certo che no, perché avrei dovuto salvarlo in quel modo?» domandò Kurt, sollevando un sopracciglio.
«Tu no, ma in caso l’avessi fatto io…» disse lei. «Ora scusa, devo vomitare.» disse, semplicemente, chiudendosi la porta alle spalle.
Kurt rimase a fissare il punto in cui lei era sparita, per poi voltarsi di nuovo verso Dani.
«Sbaglio, o era un’altra citazione su Harry Potter?» chiese, sbattendo le palpebre, mentre lei ridacchiava, nascondendo il viso dietro al suo bicchiere di spremuta.

La domenica passò piuttosto velocemente, visto che si erano svegliati tardi. Non che fosse una novità, per Sebastian e Thad, ma per Blaine… beh, nemmeno la domenica lui amava alzarsi ad orari improponibili. Gli piaceva svegliarsi a metà mattina, prendere una tazza di caffè, preparare con calma il brunch e poi svegliare i suoi due amici. Non fu così, questa volta, e tutti e tre si ritrovarono a barcollare per casa, con ancora i vestiti addosso, all’una del pomeriggio. Blaine aveva un vago mal di testa, ma non era nulla di insopportabile. Nonostante si fosse aspettato di essere assalito di domande sia da un amico che dall’altro, a causa di quello che era successo sulla pista da ballo, né Thad né Sebastian diedero cenno di volergli chiedere nulla. Parlarono soltanto, in generale, di quanto fosse stata divertente la serata, di quanto fosse stata irritante “la nana” (questo, ovviamente, era Sebastian) e di quanto effettivamente Kurt fosse carino.
Andarono tutti a letto presto, quella sera, perché la stanchezza della nottata precedente gravava sulle loro membra più di quanto avrebbero voluto ammettere.
Il giorno dopo, Blaine sapeva che avrebbe potuto dormire un po’ di più, quindi lo fece, svegliandosi solo intorno alle nove. Aveva lezione nel primo pomeriggio, quindi non andò a prendere il caffè da Santana. Comprò, invece, un hot dog per strada, arrivando alla NYADA subito dopo pranzo.
Stava finendo di leccarsi via la senape dalle dita quando lo vide.



Con tutto quello che era successo nel fine settimana, Blaine si era quasi dimenticato del murale. A quanto pare, però, non l’aveva fatto l’altra persona, che aveva, probabilmente, risposto quella mattina. Il pennarello rosso scuro aveva tracciato molte linee, quindi probabilmente c’era voluto un po’ di tempo.
Blaine rimase immobile, a fissare il muro con ancora il pollice in bocca, prima di sfilarlo da lì e pulirlo sui pantaloni. Le labbra erano lievemente separate, mentre osservava, quasi affascinato, il disegno.
Il suo omino, quello alto, quello che porgeva dei fiori… quell’omino era stato vestito.
Mai come adesso, comunque, avrebbe potuto essere certo di una cosa: l’altra persona era un uomo. Quell’omino era un uomo e non era semplicemente vestito come un anonimo essere umano di sesso maschile, ma aveva delle caratteristiche. Aveva un cappello, aveva dei capelli con un’acconciatura particolare, aveva dei vestiti… quelli erano stivali al ginocchio? Era così particolareggiato, che Blaine non poté fare altro che convincersi che quella persona fosse lui. Fosse l’altro.
Sopra al suo omino, ora vestito, però, c’era qualcosa di nuovo. Un grosso punto di domanda, interamente colorato di rosso. E tu, chi sei?
Si allontanò quanto bastava da poter scattare una foto del murale, quindi la inviò subito a Sebastian.
Non dovette attendere molto perché l’altro lo chiamasse.
«Sebastian…» rispose Blaine, cominciando a camminare avanti ed indietro.
«”Sei ancora davanti a quel muro, Blaine? Pensavo ti fosse passata, dopo la serata con…”»
«Ma non ci siamo nemmeno presentati!» sbottò subito Blaine, il quale ultimo pensiero era sicuramente Kurt, in quel momento. «So il suo nome soltanto perché me l’ha detto Santana, non perché l’ha fatto lui! Ci siamo visti una volta sola ed era ubriaco! Non sapeva nemmeno quello che faceva!»
«”Era alticcio e perlomeno lui l’hai visto! Che mi dici di questo qua? Eh? Blaine, non perderti dietro a queste sciocchezze romantiche… trovati qualcuno di vero.”» rispose Sebastian, con voce a metà tra l’irritato ed il supplichevole.
«Lui è vero. Quel muro non si disegna da solo!» esclamò Blaine, sospirando ed allontanando il cellulare dall’orecchio per qualche secondo. «Ascolta. Se volevo la predica, chiamavo Thad…»
«”Ehi!”» esclamò la voce di Thad, da lontano. Probabilmente Blaine era in vivavoce.
«Scusa, Thad, ma sì, se volevo la predica chiamavo te, non Bas. Ho chiamato Bas…»
«”Io ti ho chiamato”»
«… ho chiamato Bas perché ho bisogno… ho bisogno di… non potete arrabbiarvi con me, se ci sto provando. Io sto cercando di trovare qualcuno, ma non è facile e mi dispiace se sembro una ragazzina rompipalle! Voi lo sapete cosa vuol dire avere qualcuno davvero, io no e mi manca. Sento che c’è un qualcosa che mi manca e fa male e questo… muro mi aiuta. Questa persona mi aiuta. Quindi… io risponderò e non mi interessa se pensate che sia una cattiva idea o meno. Lo farò comunque.» esclamò Blaine, senza dare a nessuno dei due il tempo di rispondere.
Chiuse la chiamata e cominciò a camminare in fretta diretto all’aula, già in ritardo. Svoltò l’angolo, superando la porta chiusa dietro alla quale qualcuno stava cantando. Non che fosse insolito, alla NYADA facevano anche quello, per una buona metà del tempo. Non prestò attenzione alla cosa, infatti, troppo concentrato sul suo futuro disegno. Avrebbe pensato, durante la lezione, a come riportare esattamente sé stesso su quella parete e, prima di andare a casa, avrebbe risposto.

«Sebastian, fammi vedere quella foto un’altra volta…» disse Thad, aggrottando le sopracciglia e facendo cenno con le dita, al ragazzo, di consegnargli il cellulare.
«L’hai già vista due volte…» protestò l’altro, sfilando il cellulare dalla tasca dei pantaloni e porgendoglielo. Erano sdraiati sul divano, intenti a studiare ognuno per conto suo, ma Sebastian non riusciva a fare a meno di essere in continuo contatto fisico con l’altro. Se ne stava, infatti, posato con la testa sulle sue cosce, mentre Thad teneva il libro posato sulla sua faccia.
Okay, Thad stava studiando, Sebastian si godeva la sua compagnia.
«Lo so, ma c’è qualcosa che mi sfugge…» continuò Thad, mordendosi il labbro inferiore.
Sebastian spostò il libro dalla propria faccia e lo guardò, attento.
«Fa vedere…» borbottò, tirandosi su e sbirciando a sua volta la foto.
«Non ti… ricorda qualcuno?» domandò Thad, inclinando il capo e zoomando sul cappello disegnato, per poi muovere il dito sullo schermo e lasciar scivolare l’immagine fino al gilet e poi gli stivali.
«Oddio…» mormorò, senza riuscire a trattenere un sorriso. «Sebastian!»
Thad sollevò lo sguardo sul suo ragazzo, arcuando le sopracciglia, carico di aspettativa.
«Cosa?» domandò l’altro, facendo spallucce con aria incerta, guardando di nuovo l’immagine.
«Sebastian, è Kurt!»
Le sopracciglia dell’altro si sollevarono un po’, quindi avvicinò il cellulare per vedere meglio. Restò a fissare l’immagine, mentre una sorta di ghigno divertito andava a formarsi sulle sue labbra.
«Non ci posso credere…» mormorò, a metà tra lo stupito e l’incredulo.
Restarono entrambi in silenzio qualche secondo, senza riuscire a spostare gli occhi dallo schermo del cellulare.
«Dovremmo dirglielo?» domandò alla fine Sebastian, lanciando un’occhiata a Thad, prima di tornare a guardare la foto.
Thad si prese qualche attimo per ponderare una risposta.
«No,» disse, scuotendo il capo e voltandosi a fissare Sebastian. «Risulteremmo pressanti. Non stiamo facendo altro che chiedergli di uscire con lui, se glielo diciamo finirà per pensare che ci stiamo inventando di tutto pur di fargli lasciar perdere quei disegni. Lo capirà da solo, prima o poi. Non può essere così tonto da non riconoscerlo, no…?»
Sebastian dondolò il capo a destra e a sinistra, mettendo via il cellulare e sollevando gli occhi al soffitto con un sospiro.
«Sono curioso di scoprirlo…»

Kurt era appena tornato al posto, gli applausi dei suoi compagni che gli riecheggiavano ancora nelle orecchie. Aveva finito di esibirsi davanti alla classe giusto qualche minuto prima, con A Thousand Miles. Era una di quelle canzoni dal ritmo dolce ed allegro che, però, nascondevano un significato vagamente malinconico nel testo. Lui lo sapeva, lo sapevano tutti, ma spesso ci si soffermava soltanto sulle note e sul ritmo incalzante, più che sulle parole. Aveva cercato di non pensare troppo, mentre cantava, più che altro perché non sapeva a che cosa voleva pensare. A chi voleva pensare. Si era ritrovato a farsi passare davanti agli occhi immagini di sabato sera, di quando aveva ballato e parlato con Blaine, sostituite poi da immagini di sé stesso che vedeva quel disegno sul muro, aggiornato da una persona la quale identità restava ancora un mistero. Le sensazioni che gli dava il sapere che qualcuno prendesse in considerazione anche un suo semplice disegno, l’emozione di ritrovare una risposta, il brivido dell’anonimato… erano tutte sensazioni strane, sensazioni che gli sarebbe piaciuto provare con qualcuno di fisico, ma che fisico, ancora, non era. Voleva conoscerlo però. Voleva conoscere quella persona ed aveva deciso di rivelarsi. Magari l’avrebbe incontrato da qualche parte, a scuola. Magari lui l’avrebbe riconosciuto e l’avrebbe fermato. Magari gli avrebbe porto dei fiori.
Kurt sorrise tra sé e sé, mentre la mente lo dirottava sull’immagine di Blaine ed il sorriso scompariva. Lui, lui era davvero reale. Lui era stato così reale, tra le sue braccia, per una sera intera. Non poteva dire di essersene innamorato a prima vista, ma di sicuro aveva sentito qualcosa. Quel ragazzo gli piaceva, gli piaceva il suo modo di fare, gli piaceva quel cravattino e gli piaceva anche il fatto che non sapesse perfettamente come fosse fatto il suo volto. Di nuovo, il mistero dietro alla maschera, anche se questa volta non era la maschera di un anonimo. Si era trovato bene, con lui, e gli sarebbe piaciuto vederlo ancora. Voleva, però, conoscere quella persona. Sarebbe stato corretto, no? Non poteva uscire dalla sua vita così, senza dire più nulla. Inoltre, gli aveva chiesto di palesarsi a sua volta, con quel grosso punto di domanda.
«Sveglia, bell’addormentato! La lezione è finita!» esclamò Adam, dandogli un colpetto sulla spalla.
Kurt si voltò a guardarlo, quindi sorrise vagamente. Non aveva tenuto affatto in considerazione Adam e la sua palese attrazione nei suoi confronti. Kurt non l’aveva mai davvero ricambiata, ma i suoi atteggiamenti gli piacevano. Gli piaceva essere corteggiato, essere ritenuto importante, in qualche modo. E se, per colpa di Blaine o dell’Anonimo, avesse perso Adam?
“Beh,” si ritrovò a pensare. “Se se ne va perché trovo qualcuno, vuol dire che non sono così importante come dice…”
«Arrivo…» borbottò, spalancando gli occhi, per il suo stesso pensiero.
Adam lo squadrò, con espressione incerta.
«Va… tutto bene?» domandò, inclinando il capo.
«Sì… sì, tutto okay, possiamo andare.» affermò Kurt, sorridendo vagamente e precedendolo verso l’uscita dalla classe.

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Il prossimo è l’ultimo capitolo, gente! Ansiaaaa xD
Spero che questo vi sia piaciuto, ci siamo quasi! Resta solo un disegno, e immagino che sappiate tutti che cosa seguirà quello che Kurt ha appena lasciato sul muro, vero? Ma soprattutto, su le mani chi vuole prendere a sberle anche Sebastian e Thad per non essere corsi a dire a quel tonto di Blaine che quello sul muro è Kurt! Perché ragazzi, quando si dice essere ottusi… xDD Io adoro Blaine. Davvero.
Come al solito, vi invito a lasciarmi una recensione, se volete, e se invece preferite insultarmi per le mie ff precedenti o fare due chiacchiere, vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Ask (Andy TheShippinator)
Ci leggiamo domenica prossima, con il l’ultimo capitolo!

Un bacio, Andy <3

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Capitolo 4
*** Crossing the Red Line ***


Ciao a tutti!
Okay, sono decisamente emozionata: oggi esce l’ultimo capitolo di The Red Line e, nonostante abbia avuto paura fino alla fine, mi ero quasi convinta che andasse bene. Ho chiesto aiuto ed è venuto fuori che non era così, quindi ringrazio Giusy per i consigli. Non ne sono ancora del tutto convinta, ma spero che, invece, a voi piaccia. Dopotutto, non mi piace mai nessun finale di quelli che scrivo xD Grazie per avermi accompagnata, durante questo mese, e grazie per tutto il vostro sostegno!
Ci leggiamo nelle prossime ff e… buona lettura!

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Blaine restò a scuola fino a tardi, quel giorno, solamente per poter rimanere da solo nei grandi e silenziosi corridoi. Voleva disegnare con calma, voleva essere preciso, voleva… voleva fare qualcosa che non sapeva nemmeno fosse corretta o meno. Sentiva che aveva bisogno di essere diretto e preciso, ma non voleva essere anche impulsivo. Rimase per più di venti minuti con la mano sospesa a qualche centimetro dal muro, il pennarello aperto tra le dita, pronto a tracciare le sue linee verdi sull’intonaco bianco. Con un grosso sospiro, però, alla fine, Blaine lo richiuse.
Guardò un’alta volta il murale, quindi gli diede le spalle, avviandosi fuori dalla scuola. Voleva essere certo di quel disegno, voleva farlo nel modo giusto, ed essere affrettato era qualcosa che non poteva concedersi.
Quella sera, Sebastian e Thad stettero tutto il tempo sulla loro, lanciandogli strane occhiate. Blaine pensò che fossero arrabbiati con lui, per quello che aveva detto quand’erano stati al telefono, ma loro non sembravano arrabbiati, solo… distratti. E frementi.
«Allora, non ci hai più detto che cos’hai fatto.» disse Thad, mentre inseriva nel lettore uno dei dvd della Seconda Stagione di Grey’s Anatomy.
«Niente.» rispose soltanto Blaine, stringendo a sé il contenitore del gelato e prendendone una grossa cucchiaiata.
«Niente?» ripeté Sebastian, sollevando le sopracciglia e scambiando un’occhiata con Thad.
«Non ho fatto ancora niente, ci devo pensare. Devo… fare le cose con calma.» spiegò Blaine, mentre Thad si gettava sul divano -alla sua sinistra- e gli fregava il cucchiaio dalle mani, prendendo a sua volta un po’ di gelato.
«Pensavo che avessi fretta di conoscerlo. Hai intenzione di disegnare qualcosa domani?» chiese di nuovo Thad, mentre lasciava che il gelato si sciogliesse sul suo palato.
Blaine lo guardò con espressione confusa e sospettosa.
«Come mai tutto questo improvviso interesse? Non avete mai voluto che io facessi quei disegni ed adesso vi importa?» chiese Blaine, riprendendosi il cucchiaio, colmandone la punta di gelato ed infilandoselo imperiosamente in bocca.
«Beh, Blainey…» disse Sebastian, sedendosi alla sua destra e portando la mano al manico del cucchiaio. Tirò, cercando di estrarlo dalla bocca dell’altro, ma quello strinse le labbra, per impedirgli di riuscire nel suo intento. Sebastian si accigliò, sostenendo il suo sguardo dalle sopracciglia aggrottate, e tirò più forte, costringendo Blaine a mollare la presa.
«Dicevo, Blainey… hai detto che ti rende felice e noi vogliamo che tu sia felice… e se per esserlo devi disegnare su un muro, allora vogliamo solo che tu disegni su un muro.» spiegò semplicemente il suo amico, servendosi una grande cucchiaiata di gelato.
Blaine non rispose e portò lo sguardo alla televisione, dove Meredith Grey introduceva, come al solito, l’episodio con una delle sue frasi ad effetto.
«”In chirurgia c'è una linea rossa sul pavimento che segna il punto in cui l'ospedale, da accessibile, diventa off-limits per tutti tranne che per pochi autorizzati. Superare la linea senza permesso non è tollerato. In generale, le linee esistono per una ragione: per protezione, per sicurezza, per chiarezza. Se decidi di oltrepassare la linea, quasi sempre lo fai a tuo rischio e pericolo. Allora, come mai più larga è la linea e più grande è la tentazione di oltrepassarla?”»
Blaine si sporse verso la televisione, spalancando gli occhi.
Forse era un segno. Forse Meredith Grey stava cercando di dirgli qualcosa.
Lui voleva fare quel disegno, voleva rendere quell’omino simile a lui e voleva rispondere a quel grosso punto di domanda. Lui voleva correre il rischio, era tentato di correre il rischio. Ma poteva farlo? O doveva farlo.
Avrebbe dovuto giocare questo gioco fino alla fine.
“O la va, o la spacca.”

«Allora, Casanova?»
Questa fu la frase che lo accolse in casa, quando rientrò, quel lunedì sera. Kurt aveva già mandato una foto del suo disegno sia a Santana che a Rachel, ma nessuna delle due aveva ancora risposto. Esattamente come l’Anonimo.
«Non ha risposto.» disse semplicemente Kurt, gettandosi sul divano e piegando la testa all’indietro. Portò le mani al viso, nascondendolo e stropicciandosi gli occhi.
«Dio, sono stato così stupido. Adesso c’è un mio ritratto su quella parete e, ovviamente, chiunque egli sia, non vuole farsi vedere a rispondere ad una tale stupidaggine.» commentò il ragazzo, la voce attutita dai palmi delle mani.
Sentì qualcosa colpirgli piano il gomito, quindi separò le dita davanti agli occhi per permettersi di sbirciare. Rachel, sorridente, gli stava porgendo un contenitore di cartoncino con due bacchette di legno infilzate dentro.
«Salsa di soia a basso contenuto di sodio?» domandò lui.
«Verdure, niente carne, sì gamberetti. Doppia razione di ravioli alla piastra, lì sul tavolo.» rispose lei, annuendo.
Kurt restò immobile per qualche secondo, prima di sospirare e tirarsi su, afferrando la confezione di cartoncino che lei gli porgeva. Era calda ed un lieve vapore si sollevava dal suo interno. Afferrò le bacchette e pescò un gamberetto dalla matassa di spaghetti di soia, infilandoselo subito in bocca.
«È solo che… penso di essere stato un tale idiota…» borbottò il ragazzo, scuotendo piano il capo. «Credo di averlo sfidato un po’ troppo apertamente…»
Rachel lo raggiunse, accoccolandosi sulla poltrona a lato del divano. Prese uno dei suoi ravioli al vapore tra le bacchette e se lo infilò tutto in bocca, senza badare ad essere carina: moriva di fame, visto che il giorno prima non aveva toccato cibo. Giustamente, aveva deciso di ricominciare a mangiare abbuffandosi di cinese. Kurt non le avrebbe tenuto la testa.
«E se ci stesse solo pensando su? Tu hai avuto tre giorni per farlo, non puoi pretendere che lui lo faccia in qualche ora.» rispose lei, con la bocca piena.
«O forse…» aggiunse Santana, sedendosi alla sua sinistra, con le bacchette che gremivano una quantità esuberante di spaghetti di soia. «… oggi non è andato a scuola?»
Kurt fissò la sua cena, soppesando le parole e valutando le ipotesi delle ragazze.
«Forse… forse sì. Forse ci vuole pensare o forse non è andato a scuola, oggi…» disse piano, cautamente, infilandosi in bocca un po’ di spaghetti. Masticò con cautela, per poi sollevare il capo.
«Ma sì, dev’essere per forza così, no? Una delle due. Alla fine, è stato lui il primo ad iniziare a caratterizzarsi con quella tazza di caffè, che senso avrebbe se si sentisse minacciato da me che mi ritraggo sul muro?» affermò, allegramente, infilandosi altri spaghetti in bocca.
Santana e Rachel si scambiarono un’occhiata, quindi Rachel si schiarì la gola.
«E… e cosa ne pensi di chiedere a Blaine di uscire?» domandò cauta, quasi avesse paura della sua risposta.
Lo sguardo di Kurt si fissò sulla sua cena, mentre la mascella continuava a fare su e giù lentamente.
«Forse… forse potrei chiederglielo. Dopo che avrò conosciuto l’Anonimo.» disse piano, senza alzare lo sguardo.
«¡Oh, por el amor de Dios! Come fai a preferire qualcuno che disegna su un muro a qualcuno con il quale ti sei strusciato tutta la sera?!» sbottò Santana, agitando le braccia in aria, rischiando anche di colpire Kurt con le sue bacchette.
Kurt raddrizzò la schiena, assumendo un’espressione impettita e stringendo le labbra.
«Santana. Io non sono come te. Quello che fa quel ragazzo, su quel muro, è romantico. Non basta soltanto rispondere ad un flirt per essere interessanti ed attirare la mia attenzione. Lo sai che non sono alla ricerca di una “scopata occasionale”.» rispose Kurt, la voce che si alzava lievemente a causa della rabbia. «Quello che provo quando vedo che ha risposto, non è paragonabile a quello che si prova quando si vede qualcuno rispondere ad una battuta a sfondo sessuale, mi dispiace per te se non riesci a capirlo, ma per me è così.»
Santana lo fissò assottigliando le palpebre, infilandogli le bacchette nella scatola della cena e fregandogli un gamberetto.
Kurt allontanò la confezione, senza staccarle gli occhi di dosso, ma sgranando le palpebre.
«Quello era il mio…»
«Te ne ruberò uno per ogni cazzata che dirai, questa sera! Chiudere le porte in faccia ad una persona che sono mesi che continuo a ripeterti essere adatta a te, solo perché qualcun altro disegna su un muro cose che ti piacciono, è meschino. Ed irrispettoso. Non mostri alcuna fiducia in me e non dai allo Hobbit nemmeno una possibilità!» esclamò Santana, alzandosi in piedi. «Quel ragazzo sono settimane che sta cercando una persona che gli stia vicino, e non soltanto in un letto. Se credi che io non riesca a capirti sei in torto, Hummel. Potrò non essere come te, ma lo capisco che cosa vuoi. È ingiusto quello che stai facendo! È ingiusto nei confronti di quel povero ragazzo che hai palesemente conquistato, l’altra sera!»
Kurt rimase immobile e nemmeno Rachel osò deglutire, per non rompere il silenzio che era andato a crearsi dopo la sfuriata di Santana.
Kurt e la ragazza restarono a guardarsi per alcuni secondi, prima che lei facesse il giro del divano e si dirigesse verso una delle stanze dietro alle grandi tende che separavano i vari letti.
«Vado a mangiare in camera mia.» annunciò, facendo seguire al tutto un paio di esclamazioni in spagnolo, che né Kurt né Rachel compresero.
Finalmente, la ragazza decise di deglutire. Kurt non si voltò a fissarla, ma poteva sentire il suo sguardo posato sulla sua nuca.
«Ha ragione, lo sai? Nonostante sia tutto molto romantico, dovresti dare una possibilità a Blaine…» sussurrò lei, ma Kurt non si voltò ancora.
«E… è tutto abbastanza confuso, ma credo che sia anche un bravo baciatore. Ed aveva perfino bevuto, quindi immagina da sobrio…» aggiunse lei, in quello che Kurt percepì come un sorriso. Non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Piantala, Berry, eri più ubriaca di quando hai baciato me…» disse Kurt, arrendendosi e voltandosi verso di lei.
«Ricordo che anche tu sei un bravo baciatore.» disse lei, tornando ad infilarsi ravioli in bocca.
Kurt dondolò il capo, guardando i suoi spaghetti e prendendone poi una piccola porzione.
«Sì, questo è vero…» rispose alla fine riempiendosi la bocca, mentre Rachel quasi si strozzava, scoppiando a ridere.

Passarono un paio di giorni, prima che Blaine si decidesse a riprendere in mano il pennarello. Si sentiva in colpa per il Ragazzo, colui che aveva disegnato sé stesso sul muro. Probabilmente era in attesa, probabilmente si stava chiedendo perché Blaine non avesse ancora risposto.
A colazione, aveva annunciato con orgoglio, a Sebastian, che quel giorno avrebbe risposto. Quel giorno avrebbe sorpassato la linea rossa che determinava il confine che non sapeva se era pronto a superare. Si sarebbe giocato il tutto e per tutto ed avrebbe anche corso il rischio di non sentir mai più parlare di quel ragazzo.
Sebastian si era versato una buona dose di Courvoisier nel caffè, aveva scosso la testa ed aveva sorriso tra sé e sé, tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza.
Non aveva detto nulla, gli aveva solo augurato una buona giornata e, dopo il caffè, era andato a svegliare Thad, che aveva lezione altrettanto presto.
Chiuso in camera sua, Blaine si preparò in fretta, recuperò le sue cose e si diresse allo Starbucks all’angolo.
«Buongiorno, Santana!» esclamò vivace, avvicinandosi al bancone. «Solo l’Americano, oggi.»
Santana inclinò il capo, con un largo sorriso, avvicinandosi alla macchina.
«Niente donuts per i tuoi coinquilini?» domandò lei, afferrando la caraffa e versando il caffè caldo nel bicchiere da asporto.
«No, Thad ha lezione presto e Bas probabilmente starà a letto fino a mezzogiorno.» rispose Blaine, scuotendo il capo e pagando il suo caffè, per poi appoggiarsi al bancone per scambiare due chiacchiere con lei. Non c’era mai molta gente, a quell’ora.
«Non ci siamo più visti, dopo sabato sera. Grazie, a proposito. Avevo chiesto a… Kurt? di ringraziarti da parte nostra, ma non so se…»
Aveva appositamente esitato nel pronunciare il nome del ragazzo. Gli faceva un po’ strano parlare di lui con colei che lo conosceva da anni.
«Oh, no, non me l’ha detto, ma non importa. Avevamo problemi più grossi da superare. Quella mammoletta della Berry -Rachel- che è stata male tutta la domenica e poi alcune… dispute tra amici…» disse la ragazza, scuotendo le spalle.
Blaine ridacchiò piano, afferrando un paio di bustine di zucchero e rovesciandole nel liquido scuro. Santana gli porse un bastoncino, con il quale mescolare il suo caffè. Lui l’afferrò, sempre sorridendo.
«Sembri di buon umore…» tentò lei, ricambiando il suo largo sorriso, altamente contagioso.
«Oh beh, lo sono.» affermò Blaine, avvicinando il bicchiere alle labbra e guardandola, da dietro le lunghe ciglia.
Santana sollevò le sopracciglia, incuriosita.
«Racconta tutto a Zia Snixx…» sussurrò giocosamente, sporgendosi sul bancone ed incrociando le braccia.
«Beh… beh, vedi, c’è questo ragazzo…» cominciò lui, notando subito l’espressione di Santana farsi vagamente cupa. Lei si ritrasse appena, ma lui non vi badò. Sapeva che aveva cercato di far uscire lui e Kurt da mesi, non faceva che parlargli di lui, dopotutto!
«Io non lo conosco, eh. Cioè… oddio, in effetti sembra strano, quando lo racconto a qualcuno, ma non lo è. Ti giuro che non lo è. Ero… abbiamo una sorta di rapporto non verbale… non ridere!» esclamò lui, sollevando le iridi al soffitto e trattenendo a sua volta una risata, vista l’espressione divertita e scioccata che aveva assunto Santana.
«Okay, okay, non rido! Dimmi di più, avanti…» disse di nuovo lei, trattenendo a malapena le risate.
«Beh… stai cercando di entrare alla NYADA, giusto? I corsi serali… saprai che c’è quel muro che chiamano Tela Bianca. Lì ci puoi scrivere poesie, pensieri ed altre cazzate.» spiegò lui. Non vide Santana assottigliare le palpebre, perché troppo impegnato a controllare l’ora sul telefono.
«Oh, cazzo… sono in ritardo. Non posso essere in ritardo, non oggi…» borbottò tra sé e sé, afferrando il bicchiere da asporto, sul quale Santana aveva improvvisamente incollato lo sguardo.
«Aspetta, Blaine! Non hai finito di raccontare! Non vorrai lasciarmi con la curiosità…!» esclamò Santana, stringendo il bordo del bancone tra le dita.
Blaine sollevò lo sguardo su di lei, distrattamente.
«Oh, beh… sono contento perché è il giorno delle rivelazioni! Ho deciso di rispondere ad una persona, su quel muro, e potrebbe andarmi bene!» esclamò Blaine, ormai vicino alla porta.
«Che risposta? Blaine, che risposta gli devi dare?» chiese Santana, alzando la voce e quasi sdraiandosi sul bancone, per l’urgenza di sentire la sua risposta.
«Uhm… è un disegno! Un disegno sul muro! Ti faccio sapere come va, okay? Scusa, devo scappare!» esclamò lui, già per metà fuori dalla porta.
Se Blaine avesse potuto restare a guardarla, mentre si portava la mano alla fronte e se la passava sui capelli accuratamente raccolti in una coda di cavallo, si sarebbe come minimo preoccupato. Santana non mostrava quasi mai ansia o agitazione, non in pubblico. Santana, di sicuro, non si attaccava al telefono dieci secondi dopo aver parlato con qualcuno e, ancora più di sicuro, non selezionava il contatto di Rachel Berry, per poterle raccontare subito tutto quello che Blaine le aveva appena detto.

Era l’una e mezza del pomeriggio e tutta la scuola era stipata in mensa. Qualcuno era uscito, per pranzare fuori, ma in generale non c’era nessuno per i corridoi. Blaine tappò il pennarello, fissando il murale orgogliosamente. Aveva appena finito il suo disegno e ne era piuttosto soddisfatto.
Scrutò la linea del suo pennarello verde, che s’incontrava con quella rossa dell’omino più basso. Aveva fatto una scelta, in quei giorni: la scelta di disegnarsi così com’era, senza falsificare nulla. Si era disegnato i mocassini, si era disegnato gli adorati pantaloni a pinocchietto, si era disegnato il pullover ed anche il cravattino. Aveva prestato particolare attenzione a disegnare i capelli, perché non voleva semplicemente fare quello che avrebbe fatto Sebastian -ovvero una linea unica ed una mucca con la lingua di fuori-, no, i suoi capelli non erano così cementati come lui diceva spesso.
Osservò attentamente il sé stesso del disegno, più e più volte, quindi posò lo sguardo sul punto di domanda rosso. L’aveva completato, aveva completato anche quello. Con il suo pennarello verde, aveva congiunto le estremità del segno interrogativo, quasi fosse uno specchio, creando, a conti fatti, un cuore.
Quello era il punto che più l’aveva fatto pensare, per tutto quel tempo. Era un gesto troppo azzardato? Sarebbe stato un così grosso errore, disegnarlo? Tutto sommato, però, era quello che voleva fare sin dall’inizio ed aveva detto che avrebbe corso il rischio, quindi…
Sospirò ed annuì, compiaciuto, quindi estrasse il cellulare e fece una foto a tutto il disegno. Sentiva che era completo, sentiva che non c’era più nulla da aggiungere lì. I due amanti avevano un volto, e poco importava che fossero il suo e quello dell’Anonimo o no. Quella rosa che lui aveva disegnato, all’inizio, non era più sola. Aveva un mazzo di fiori a farle compagnia e qualcuno la stava porgendo a qualcun altro. Dal niente, era nata una storia d’amore fatta d’intonaco bianco ed inchiostro rosso e verde… ora era da vedere se anche i due artisti avrebbero avuto l’opportunità di conoscersi o meno.
Blaine era fiducioso. Blaine era così fiducioso che andò a pranzo, nonostante avesse poco meno di una mezz’ora, perché aveva voglia di vedere gente e stare in mezzo alle persone e… beh, aveva voglia di restare a guardare, da lontano, una coppia che si scambiava qualche carineria.
Per una volta, l’avrebbe fatto con il sorriso sulle labbra.

«Kurt. Kurt devi assolutamente venire a vedere la Tela.» la voce di Rachel lo fece voltare in maniera impaziente. Non avevano avuto lezione insieme, quel giorno, e Kurt aveva appena ritirato le sue cose nella borsa, pronto per tornare a casa. Erano ormai le cinque del pomeriggio e stava anche morendo di sonno, cosa veramente poco opportuna, visto che quella sera aveva il turno alla tavola calda. Tutto quello che desiderava, in quel momento, però, era un bel caffè, una coperta, il suo divano e la nuova puntata del Jersey Shore.
«Perché? L’ho vista stamattina, non c’è niente…» rispose Kurt, lievemente demoralizzato. Sperava che ormai l’Anonimo avesse trovato il modo o la voglia di rispondergli, ma ancora non aveva visto nulla.
«Beh, adesso c’è!» esclamò Rachel, quasi saltellando sul posto per l’emozione. «E non immaginerai mai…!»
«Cosa?» domandò Kurt, posandosi in fretta la borsa sulla spalla e seguendola fuori dalla porta. Lei alzò le mani, scuotendo il capo e rifiutando di rispondergli. Lo condusse velocemente davanti alla Tela, quindi si voltò, una volta accortasi che lui era ancora in fondo al corridoio.
«Coraggio!» esclamò, facendogli cenno di avvicinarsi, ma rimanendo vicina alla parete opposta a quella dove lui sapeva esserci il disegno.
Kurt prese un profondo respiro, mentre il cuore, inspiegabilmente, iniziava a martellargli nel petto. Insomma, era solo un disegno sul muro di una persona che nemmeno conosceva!
A discapito delle sue intenzioni di restare calmo, Kurt tornò a camminare, avanzando a grandi passi veloci. Si fermò davanti a Rachel, senza voltarsi, quindi chiuse gli occhi e ruotò di novanta gradi a sinistra. Ora aveva la Tela di fronte, anche se gli occhi erano ancora chiusi.
Un altro respiro profondo.
Un terzo.
Aprì gli occhi.



«Non può essere…» sussurrò, senza riuscire a spostare lo sguardo da quel disegno. Le iridi saettarono al suo punto di domanda, che era quasi stato corretto, fino a formare, insieme al tratto spesso e verde, un cuore.
«Non può essere.» ripeté, senza riuscire a trovare altro da dire, allontanandosi lievemente dalla Tela.
«Lo è.» disse semplicemente Rachel, raggiungendolo e posandogli le mani sui bicipiti, sporgendosi alla sua destra per fissare il disegno, con un enorme sorriso. «E non è una coincidenza, prima che tu lo dica. Ne ho le prove.»
Kurt non la guardò, né le chiese che prove avesse. Sentiva che voleva scappare, sentiva che voleva andare a rinchiudersi in camera sua, sentiva che voleva piangere, di confusione o di gioia, sentiva che voleva disperatamente andare nel palazzo di fronte al suo, suonare al campanello di Blaine ed abbracciarlo.
Perché quello ritratto sul muro non poteva essere altri che Blaine. Non c’erano possibilità che fosse qualcun altro. Nessuno portava i capelli acconciati in quel modo, non che lui sapesse, e nessun altro indossava i cravattini. Di questo era più che sicuro, visto che non ne aveva mai visti in giro.
Ma se era davvero Blaine, come aveva fatto a non incrociarlo mai, per i corridoi?
“Orari diversi, lezioni diverse. Lui è un anno più piccolo di me” si rispose da solo, scacciando poi via il pensiero scuotendo la testa.
«Devo andare a casa… devo…» borbottò, senza riuscire a staccare gli occhi dal disegno, ma costringendosi a farlo.
Rachel lo fissò incredula e confusa.
«Kurt… è lui! Questo è destino, non credi?» domandò Rachel, seguendolo come un’ombra.
«Il destino… il destino si diverte un po’ troppo con me, ultimamente.» disse il ragazzo, respirando in maniera pesante. Gli girava la testa, si sentiva come se fosse stato lì lì per spiccare il volo.
«Non… non sei felice?» domandò Rachel, con gli occhi inumiditi. Quella ragazza riusciva davvero a piangere ogni volta che voleva, eh?
Kurt prese un profondo respiro, l’ennesimo della giornata, e chiuse gli occhi, prima di voltarsi verso di lei.
Sorrideva. Sorrideva davvero, ed era un sorriso talmente luminoso da costringere Rachel a sorridere a sua volta.

«Devi chiedergli di uscire! E devi a me delle scuse.» aggiunse Santana, puntando il dito su di lui, quella sera, durante il loro turno alla tavola calda.
«Hai ragione, mi dispiace per non averti dato fiducia. Ma come vedi, ci siamo trovati anche senza il tuo aiuto…» aggiunse lui, dopo aver portato le iridi al soffitto ed aver riempito un vassoio di piatti di patatine.
«Tecnicamente, non vi siete ancora trovati, perché tu non hai abbastanza palle da andare lì e dirgli “Ehi, ciao, hai presente quell’idiota con il glucosio al posto del sangue, che ti disegna sul muro? Sono io! Possiamo baciarci, adesso?”» ribatté Santana, seguendolo con le bibite per i numerosi clienti di quel tavolo.
«L’ho scoperto solo oggi, Santana, dammi tregua! Non è facile! E non avrei avuto comunque il tempo…» aggiunse il ragazzo, servendo ai clienti le loro ordinazioni. Appoggiò il vassoio al fianco e tornò al bancone, seguito, alcuni istanti dopo, da Santana.
«Okay, va bene, per questa sera sei giustificato. Ma domani vai da lui e gli chiedi di uscire. Oppure, ancora meglio! Ti do il suo numero e gli chiedi di uscire!» disse di nuovo lei, puntandogli l’indice sul petto, picchiettandolo di tanto in tanto.
Kurt fissò il dito della ragazza, con un sopracciglio sollevato, quindi cautamente lo spostò e le passò di fianco, diretto alla finestra comunicante con la cucina. Era in attesa di un altro ordine, quindi si mise, semplicemente, lì ad aspettare.
«Te lo ripeto, Santana, non è facile. Devo trovare il momento giusto, le parole giuste… il coraggio.» disse piano, con sguardo quasi perso, le dita che tamburellavano sulla superficie di marmo.
«Sii uomo!» esclamò lei, dandogli un colpetto sulla spalla, per poi voltarsi verso Dani, appena uscita dalla porta dietro alla quale c’era lo spogliatoio del personale.
«Chi è un uomo?» domandò la ragazza, guardando prima Santana e poi Kurt.
«Non lui, visto che ha trovato l’amore della sua vita e non vuole chiedergli di uscire!» rispose Santana, passando un braccio attorno alla vita di Dani, che lo squadrò interrogativa.
«L’ho scoperto solo oggi e… non è l’amore della mia vita! È solo un ragazzo che… mi piace… che mi fa stare bene e che ho scoperto solo oggi essere Blaine.» rispose lui, afferrando i due piatti con gli hamburger che aveva ordinato e cercando di allontanarsi verso il tavolo cui erano destinati.
«Okay, credo di essere confusa…» borbottò Dani, fissando la sua ragazza dal basso.
Santana si limitò a portarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio, quindi le baciò una tempia.
«È una lunga storia…» rispose, con un mezzo sorriso, le iridi fisse sul suo amico.

Il giorno dopo, su quel muro, non c’era nulla di nuovo.
Blaine se l’era aspettato, ma si era anche aspettato di trovare… qualcosa? Un nome, un numero, una frase.
Forse l’Anonimo non l’aveva ancora visto.
Blaine se lo ripeté per un altro giorno ed un giorno ancora, finché non divenne semplicemente chiaro che l’Anonimo aveva sì visto quel disegno, ma aveva deciso di non rispondere o non l’aveva fatto per qualche motivo.
Non c’erano, effettivamente, altre cose che potessero essere disegnate, quindi Blaine non sapeva davvero che cosa aspettarsi. Quello che era certo era che si aspettava… qualcosa. Qualsiasi cosa. Assolutamente, non silenzio di tomba.

«Sono passati due giorni, Kurt. Devi dirglielo.» disse Santana, insistentemente, scostando la tenda della sua camera.
Kurt era in piedi, aveva un copione in mano e stava passeggiando avanti ed indietro, leggendo.
«Dopo, Santana, sto ripetendo il monologo di Recitazione…» mormorò il ragazzo, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
«Fanculo il monologo! Ogni scusa è buona per non scendere le scale di questo palazzo e salire quelle di fronte!» sospirò lei, lanciando le braccia in aria, demoralizzata.
Kurt sollevò lo sguardo, deglutendo, per poi fissarla. Aveva un’espressione strana, quasi fosse sul punto di vomitare.
«Santana, questo monologo…» cercò di dire, ma lei lo interruppe subito.
«Sai quel monologo a memoria, lo ripeti anche sotto la doccia e senza copione in mano!» ribatté lei, incrociando le braccia al petto.
«Stiamo parlando della mia istruzione!» esclamò lui, incrociando le braccia a sua volta.
«No, stiamo parlando della tua vita e di quella di un’altra persona!» disse lei, sporgendosi verso di lui.
«Non sai nemmeno se per lui quel muro ha la stessa importanza che ha per me!» esclamò Kurt, allargando le braccia ed arrendendosi. Tanto valeva parlarne, no?
«Non so… Oh, per favore, Hummel! Ha cominciato lui tutta quella cazzata dei disegni!» disse la ragazza con tono divertito, sarcasticamente.
«Non sono una cazzata!» disse lui in fretta, arrossendo. «Sono importanti, per me...»
«E allora dimostralo.» concluse Santana a denti stretti, in poco più che un sussurro, fissandolo negli occhi per qualche istante prima di chiudersi la tenda alle spalle e lasciare la sua stanza.
Kurt si sedette sul letto, le mani premute sugli occhi ed il copione abbandonato sul cuscino.
Come poteva andare da Blaine e dirgli che era lui, quello che gli aveva risposto sulla Tela, in quelle settimane? Era tremendamente imbarazzante… era troppo. Era troppo anche per lui.

Dopo una settimana, ancora, Blaine non aveva avuto alcuna notizia di quel ragazzo.
Si era ormai convinto di aver fatto la mossa sbagliata. Disegnare quello che aveva disegnato era stato troppo azzardato. No, non sé stesso, quello era legittimo… ma il cuore. Quel cuore aveva rovinato tutto.
Forse l’altra persona era solo alla ricerca di un amico, forse quell’Anonimo non era gay e lui aveva frainteso ogni segnale. Forse il suo era stato tutto un castello costruito sulle nuvole dalle quali si era sentito avvolto quella sera, sulla pista da ballo, con Kurt.
Kurt.
Aveva pensato a Kurt, in quei giorni, mentre attendeva che l’Anonimo si facesse vivo.
«Non puoi stare ad aspettare un segno che non sai nemmeno se arriverà.» gli disse Thad, posandogli davanti una tazza di cioccolata calda.
«Ma non posso nemmeno voltargli le spalle. E se fosse malato? E se non fosse ancora venuto a scuola e non avesse visto nulla?» rispose Blaine ad alta voce, prendendo la tazza tra le mani, mentre Thad si sedeva di fronte a lui con una tazza identica tra le proprie.
Blaine lo vide mordersi il labbro inferiore, quindi aprirsi in un sorriso.
«Blaine…» disse, posando la tazza ed allungando una mano, per afferrare la sua. «Certe volte, non possiamo semplicemente convincerci che qualcosa sia vero oppure no. Certe volte possiamo solo… cogliere le nostre occasioni e le opportunità che ci vengono offerte.»
Blaine aggrottò le sopracciglia, confuso. Come mai Thad gli stava dicendo quelle cose?
Thad si leccò le labbra e si mise più comodo sulla sedia. Non stava per dirgli che, in realtà, era innamorato di lui e non di Sebastian, vero?
«Non voglio risultare pressante, come invece è spesso Bas, perché lo conosci, quando lui crede che qualcosa sia giusto…» ridacchiò piano, il ragazzo, per poi sollevare lo sguardo verso Blaine. «Ma non ne parliamo ormai da una settimana, visto che eri troppo preoccupato per questo disegno. Perché semplicemente… non lasci perdere, per ora? Perché non ti… concentri su altro?»
Kurt. Thad stava parlando di Kurt, ma non voleva dire il suo nome.
«Kurt?» domandò quindi Blaine, sospirando.
Thad s’illuminò appena.
«Beh… beh, potrebbe essere un’idea. So che pensi a lui, ogni tanto. Non è meglio ricevere un rifiuto, che avere il rimpianto di non averci nemmeno provato?» domandò Thad, spalancando le palpebre, carico di aspettativa.
Blaine sospirò e prese un sorso di cioccolata, stringendo piano la mano di Thad. Si leccò via la bevanda dalle labbra, quindi aprì la bocca, per ribattere. In quel momento, la porta dell’appartamento si aprì ed entrambi si voltarono verso l’ingresso. Sebastian li fissò di rimando, mentre si levava il cappotto. I suoi occhi scivolarono sulle loro mani, intrecciate.
«Okay… c’è qualcosa che non mi avete detto? Thad ti ha messo incinta?» domandò il ragazzo, fissando Blaine, il quale sollevò le sopracciglia e cercò di trattenere uno scoppio di risa.
«Io e Blaine stavamo pensando che forse è ora che lui ci provi sul serio con il nostro adorabile vicino.» spiegò Thad, portando la tazza di cioccolata alle labbra e prendendone un lungo sorso. Quando l’allontanò, si premurò di pulirsi dei residui agli angoli della bocca, utilizzando la punta della lingua.
«Mi sembra un’ottimo argomento di conversazione. E a che conclusione siete giunti?» domandò lui, unendosi a loro, sul tavolo, e salutando Thad con un bacio.
«Gli stavo appunto dicendo quanto fosse più produttivo ricevere un rifiuto, piuttosto che avere il rimpianto di non averci provato affatto.» ripeté il latino, mentre Sebastian spostava lo sguardo su Blaine, improvvisamente molto interessato alla sua cioccolata.
«Ha senso.» confermò, facendo spallucce. «Non era qualcosa del genere che dicevi, l’altro giorno? Che volevi correre il rischio, con quel disegno. Superare… come l’avevi chiamata?»
«La linea rossa. Quella degli ospedali…» borbottò Blaine, azzardando il contatto visivo con lui.
Sebastian annuì, le labbra che si tendevano in un largo sorriso.
«Ecco. L’hai superata già una volta… perché non lo fai di nuovo?» domandò ancora, tentando di prendere la tazza di cioccolata di Thad.
Quello gli schiaffeggiò la mano e gli rivolse un’occhiata omicida.
«Fallo e ti taglio le palle.» disse, a voce bassa, sollevando le sopracciglia con espressione seria.
Blaine sorrise, tra sé e sé, nascondendosi dietro al bordo della propria tazza.

«Santana ti ha comprato dei fiori.» disse Rachel, senza nemmeno salutarlo, quando Kurt tornò a casa, quel giorno.
Era primo pomeriggio ed aveva avuto solo lezioni mattutine.
«E perché Santana mi avrebbe comprato dei fiori?» domandò Kurt, sollevando un sopracciglio e levandosi le scarpe.
«Perché dice che devi prenderli ed andare a portarli a Blaine. Dice che stamattina era giù di morale e che era una settimana che non lo vedeva.» rispose Rachel, afferrando il grande mazzo di rose rosse e gialle, che era posato sul tavolo.
Kurt le osservò, senza riuscire ad evitare di sorridere. Erano bellissime ed ora che Rachel gliele aveva fatte notare, riuscì a percepirne il profumo sparso praticamente dappertutto.
«Sono bellissime…» sussurrò Kurt, avvicinandosi a lei.
Prese il mazzo tra le mani e vi immerse quasi il volto, inspirando profondamente. Quei fiori emanavano un profumo incredibile.
«Era triste, ha detto?» domandò Kurt, senza spostare gli occhi dai fiori.
«Ha detto così.» rispose Rachel, nascondendo le mano dietro alla schiena, incrociando le dita.
«Ha detto perché?» sussurrò il ragazzo, senza muovere un muscolo, sollevando soltanto le iridi azzurre verso Rachel.
La ragazza si limitò ad annuire, ma non disse nulla.
Era sufficiente a fargli capire tutto ciò che gli serviva. Blaine si era confidato con Santana e lei non gliel’aveva detto, ma non la biasimava per questo. E se Blaine era triste, allora voleva dire che ci teneva. Ci teneva a lui, anche se in effetti era un po’ strano sapere che Blaine aveva scartato il vero sé stesso, in favore del sé stesso che si preoccupava di disegnare su un muro. Mise giù i fiori, quindi si diresse verso la propria camera.
«Dove vai?» chiese Rachel, improvvisamente allarmata.
«Non ci siamo mai visti davvero in faccia. Vado a rimettermi su gli stessi vestiti che avevo sabato sera.» disse lui, con voce risoluta.
Rachel trattenne un gridolino di gioia e si limitò a mandare un messaggio a Santana, mentre Kurt afferrava un vestito dopo l’altro e lo posava accuratamente sul letto, iniziando a cambiarsi mentre la sua mente lavorava già troppo.
Non stava pensando a cosa dirgli, stava solo valutando la situazione.
Poteva davvero considerarsi scartato, da Blaine, in virtù di un disegno su un muro? La risposta finale fu no.
Che cos’aveva visto di lui, Blaine, se non un ragazzo ubriaco che ballava lascivamente sulla pista da ballo di un bar? Nulla.
Che cos’aveva visto di quel ragazzo che gli aveva risposto sulla parete, invece? Tutto. Il ragazzo che aveva risposto a Blaine era il vero sé stesso, quello che era stato capace di rendere Blaine felice o triste senza nemmeno conoscerlo. Quello che l’aveva fatto innamorare (lo stomaco di Kurt fece una capriola, al pensiero, e le sue orecchie si fecero rosse) soltanto offrendogli il disegno di un mazzo di fiori. Quel cuore, che andava a completare la sua muta richiesta, era stato più che esplicito. Blaine si era affezionato a lui, al vero lui. Non gli interessava semplicemente qualcuno con cui flirtare o ballare un po’, gli interessava qualcuno in grado di trovare romantico uno scambio di emozioni. Questo, Kurt non poteva ignorarlo.
Si calcò il cappello sulla nuca, infilò gli stivali, quindi uscì dalla camera ed aprì le braccia.
«Come sto?» domandò a Rachel, sorridendo.
«Come sempre.» rispose lei, facendo spallucce e porgendogli i fiori.
Lui si finse indignato per la poca mancanza d’entusiasmo della ragazza, quindi afferrò il mazzo di rose e si diresse alla porta.
Non le chiese di augurargli buona fortuna, si limitò soltanto a fissarla intensamente per qualche istante, prima di voltarsi verso l’entrata.
«Io vado a sbirciare dalla tua camera!» annunciò Rachel allegramente, facendolo sorridere mentre si chiudeva la porta alle spalle ed ascoltava i suoi passi affrettarsi verso la finestra.
Iniziò a scendere quasi di corsa, senza dare peso al rumore metallico che lo informava che il portone del suo palazzo si era appena chiuso dietro a qualcuno.
Qualcuno che stava salendo le scale.

«Santana?»
La ragazza si girò, e Blaine ne ebbe la conferma: era lei.
«Che ci fai qui a quest’ora?» chiese, posando le mani sul bancone e sporgendosi verso di lei, sollevando le sopracciglia.
Quella che era evidentemente Santana, incrociò le braccia e si appoggiò al bancone dello Starbucks all’angolo, sorridendo misteriosamente.
«Ho pensato di fare un cambio di turno con un mio collega, per dormire un po’ di più in questo weekend. Lunedì comincio i corsi serali alla NYADA e voglio essere ben riposata.» rispose lei, senza riuscire a trattenere l’entusiasmo.
Blaine sorrise nella sua direzione, un sorriso che, però, non si estese agli occhi.
Si erano già visti quella mattina e lui aveva passato una buona quarantina di minuti a parlare con lei, a raccontarle i dubbi di quella settimana e di quanto si sentisse confuso. Le aveva raccontato che l’Anonimo non aveva risposto al suo disegno in nessun modo, ma lei non sembrava essere rimasta molto colpita dalle sue parole. Forse lo riteneva a sua volta un idiota, esattamente come Thad e Sebastian.
Era ormai pomeriggio, e lui aveva deciso di fermarsi a prendere un altro caffè, prima di tornare a casa. Di certo, non si aspettava di trovarla ancora lì.
«Ma… è fantastico!» esclamò comunque lui, allungando una mano per posarla sul braccio di lei, stringendo piano in segno di approvazione. «Sono molto felice per te!»
Santana chiuse gli occhi ed annuì, inclinando un po’ il capo e squadrandolo appena.
«Sei felice per me, ma a quanto pare ancora infelice per te stesso.» disse lei, sapientemente, puntandogli l’indice della mano destra sul naso e spingendo piano.
Lui arretrò appena con il volto, azzardando una mezza risata.
«Beh… nemmeno oggi Lui ha fatto niente. Non c’è una parola, non c’è un disegno, non c’è… nulla. Thad dice che…» azzardò, bloccandosi e lanciando una timida occhiata alla ragazza. «Ora, non ti arrabbiare o non dare di matto, ma… Thad e Sebastian pensano che dovrei chiedere a Kurt di uscire…»
Santana si raddrizzò, tenendo le braccia incrociate al petto.
«E perché dovrei arrabbiarmi?» domandò lei, sollevando anche un sopracciglio.
«Non lo so…» disse lui, facendo spallucce ed allungando alcune banconote sul bancone, per pagare il caffè che era entrato a prendere.
Lei afferrò i soldi, battendo lo scontrino, quindi gli riempì il solito bicchiere da asporto.
«Non vedo perché dovrei arrabbiarmi. Se ti piace Kurt, dovresti definitivamente chiedergli di uscire.» rispose lei, porgendogli, poi, la sua ordinazione.
Lui, come al solito, si preoccupò di dolcificare la bevanda, prima di portarla alla bocca.
«Lo so, è che ci siamo visti solo una volta ed avevamo entrambi bevuto… magari non si ricorda nemmeno di quello di cui abbiamo parlato. È imbarazzante, no?» chiese lui, arricciando il naso, mentre lei scuoteva il capo e gli agitava una mano davanti, come a voler scacciare un’invisibile mosca.
«Ma ti prego! Le persone si conoscono, in questo modo. Si piacciono una sera, escono insieme un paio di volte… poi se la cosa funziona, funziona. Se invece non si piacciono… beh, pazienza. Io? Penso che voi due vi piacerete. Credo che potreste parlare di molte cose, insieme.» disse lei, semplicemente.
Blaine sospirò lievemente e prese un sorso di caffè.
«Ma il ragazzo del muro…»
«Il ragazzo del muro non l’hai nemmeno visto in faccia. Potrebbe piacerti anche lui, comunque, ma mentre aspetti che lui si decida a farsi avanti, perché non fai tu una prima mossa?» chiese lei.
Blaine sollevò lo sguardo, osservandola con circospezione. C’era qualcosa, in quello che lei aveva appena, che non gli tornava. Non capiva cosa fosse, ma aveva fatto fare una capriola al cuore nel suo petto.
Fissò la propria mano stringere il bicchiere del caffè, quindi osservò di nuovo Santana.
«Credi che dovrei…?»
«Credo che dovresti. Ed in fretta. Smettila di aspettare, Blaine! Se vuoi qualcosa, vai e conquistatela.» disse lei, annuendo con convinzione. Sussultò appena, poi, e Blaine la vide estrarre il cellulare, scorrendo con gli occhi il testo di quello che era, apparentemente, un messaggio.
«A proposito di andare…» disse la ragazza, ritirando il cellulare in fretta. «Tu dovresti decisamente andare a casa, adesso. I tuoi coinquilini saranno preoccupati per il tuo ritardo, non credi? Vista tutta l’aria depressa che ti gira attorno, penseranno che ti sia buttato sulle rotaie della metropolitana o nell’East River.»
«L’East River non è nemmeno qui vici-…» protestò Blaine, subito interrotto da Santana.
«Blaine, ho dei clienti…» disse lei, senza mezzi termini, arcuando le sopracciglia con espressione dispiaciuta. Lui si girò, notando che c’era una signora che aspettava dietro di lui.
«Oh, mi scusi… Sì, hai ragione. Meglio tornare. Alla prossima, Santana!» disse lui, allontanandosi subito dopo.
Santana avrebbe potuto servire la signora e poi tornare a parlare con lui, ma aveva bisogno che Blaine tornasse a casa. Non poteva rischiare che l’improvvisa illuminazione di Kurt andasse sprecata, e, da quando Berry le aveva appena detto, Kurt non ci avrebbe messo più di un quarto d’ora a vestirsi. Blaine aveva il tempo sufficiente, per lo meno, di arrivare al portone del suo palazzo.
«Quel ragazzo è così ottuso…» borbottò Santana, con una mezza risata. Come aveva fatto, in una settimana, a non accorgersi che in quel disegno era ritratto esattamente Kurt? Era lampante!
«Come, scusi?» chiese la signora, sollevando le sopracciglia.
«Ehm… come posso aiutarla?»

Blaine camminava a passo non troppo affrettato, sorseggiando il caffè quasi timidamente, ormai vicino a casa. Aveva pensato alle parole di Santana, lungo il tragitto, ed a quelle di Thad e di Sebastian. Avevano ragione. Avevano tutti ragione.
Avrebbe dovuto cogliere l’attimo, superare anche quella linea, avrebbe dovuto fare la prima mossa.
Infilò le chiavi nel cancelletto d’entrata e quello si aprì. Automaticamente, lui svoltò a sinistra, prima di fermarsi.
Se pensava che loro avessero ragione, perché non farlo? Okay, non era nelle sue condizioni migliori, ma Kurt l’aveva visto con il cravattino slacciato (gliel’aveva slacciato lui, per l’amor di Dio!), la camicia mezza sbottonata ed anche brillo. Kurt aveva già visto quasi il peggio di lui, non c’era niente che non andava, nel suo aspetto attuale.
Prese un altro sorso di caffè, quindi, con il cuore in gola, fece dietrofront e si diresse al portone dietro al quale, ogni volta, Santana spariva quando tornavano a casa insieme. Dietro al quale era sparito Kurt quella sera.
Gli si fermò davanti ed allora capì che c’era una falla nel suo piano.
Non aveva le chiavi anche per quello.
Mentre cercava di capire come fare ad entrare, sentì il portone scattare. Si guardò attorno, per vedere se, per caso, c’era qualcuno ai citofoni che aveva bisogno di entrare o se qualcuno, invece, doveva uscire.
«Sali!»
Blaine sollevò la testa, quindi la vide.
Era Rachel, sporta dalla finestra di quello che sembrava l’appartamento di fronte alla camera di Sebastian. L’appartamento di fronte alla…
Spalancò gli occhi, arrossendo e scuotendo la testa. No, avrebbe approfondito anche quell’argomento, perché non c’era alcuna possibilità, nessuna remota possibilità, che Kurt fosse lo Spogliarellista Fantasma.
Tornò a guardare verso l’alto ed annuì, agitando la mano libera in un cenno di saluto, quindi superò il portone. Quello si richiuse dietro di sé, con quel tipico rumore metallico, proprio mentre Blaine iniziava a salire le scale. Non riusciva a badare al fatto che qualcun altro le stesse scendendo, poteva sentire il suo stesso cuore rimbombargli nel petto ed il suono delle pulsazioni lo assordava, anche se quei passi coprivano il silenzio rimbombante che avrebbe invece avvolto la rampa se lui fosse stato solo.
Che cosa gli avrebbe detto? Come gli avrebbe chiesto di uscire? Perché aveva ancora in mano quel bicchiere di caffè?
Si fermò quando si accorse, inconsciamente, che c’era troppo silenzio. I passi di quella persona sconosciuta non rimbombavano più nelle scale, assieme ai suoi.
Sollevò lo sguardo, spostandolo dai propri piedi, per posarlo sulla figura che se ne stava ad un paio di gradini di distanza, davanti a lui.
Era Kurt.
Indossava gli stessi abiti che aveva addosso quando si erano conosciuti, anche se mai avrebbe giurato di poterseli ricordare, visto lo stato in cui era tornato a casa. In qualche modo, però, anche senza spostare gli occhi dal suo volto, lui sapeva che pantaloni avesse e che tipo di scarpe calzasse ai piedi. Anzi, stivali.
Sollevò le sopracciglia e separò le labbra, intenzionato a parlare, ma non riuscì a pronunciare neanche una parola. Improvvisamente, la sua mente era vuota, distratta, piena di cotone ed incapace di formulare qualsiasi pensiero tranne uno: quella scena gli era familiare.
Lo sguardo gli cadde sui fiori, prima, sul suo volto, di nuovo, poi.
Il cuore perse un battito, mentre realizzava l’ovvio. La figura davanti a lui, l’aveva già vista. Non solo in un bar, dopo aver bevuto un paio di drink, ma anche tutta quella settimana, sull’intonaco bianco della NYADA. Portò lo sguardo al suo bicchiere di caffè, e poté udire un lieve sussulto provenire dall’altro ragazzo.
Forse anche lui aveva capito? Forse lo sapeva già, ed era per questo che aveva in mano quei fiori. Stava venendo da lui?
Salì un gradino e deglutì.
«Kurt…» mormorò, senza riuscire ad impedire ad un sorriso di illuminargli il volto. Poteva vederlo, adesso. Poteva vederlo davvero. Niente disegni, niente maschere.
Kurt gli sorrise di rimando, e Blaine poté giurare di vederlo arrossire. I suoi occhi si intenerirono in un’espressione dolce ed un po’ commossa, quasi fosse contento di vedere Blaine, quasi fosse sollevato nel notare che l’aveva riconosciuto; non come Kurt, il ragazzo del bar, ma come Kurt, il ragazzo del muro.
Forse Kurt sapeva e stava aspettando solo che anche Blaine lo capisse.
«Eccoti qua…» azzardò Blaine, ridacchiando lievemente, senza riuscire a spostare gli occhi da quelli dell’altro. «Ti stavo cercando…»




Da Santana a Rachel
(15:43)
Nana, fammi sapere, sto fremendo, qui!

Da Rachel a Santana
(15:44)
Aspetta.

Da Santana a Rachel
(15:44)
Aspetta cosa?
(15:46)
Berry?
(15:49)
RACHEL BERRY!

Da Rachel a Santana
(15:50)
SANTANA LOPEZ. Se continui a distrarmi, non riesco a sentire che cosa si stanno dicendo!

Da Santana a Rachel
(15:52)
Stanno PARLANDO? Ormai sarebbero già dovuti essere impegnati a scambiarsi gli anticorpi! Stammi a sentire, Nana con le manie di grandezza, sono appena andata in pausa ed ho al massimo dieci minuti. Adesso tu mi fai un resoconto dettagliato di quello che è successo, perché ho già aspettato più di due mesi che Lady Hummel si decidesse a farsi avanti e non ho intenzione di aspettare un solo minuto di più. Dimmi che cos’hanno fatto, che cosa stanno facendo e cos’hanno intenzione di fare nei prossimi -spero- quaranta minuti. Non accetterò un monosillabo come risposta.

Da Rachel a Santana
(16:02)
Grazie, Santana, mi hanno beccata a spiarli perché il cellulare continuava a vibrare e Kurt mi ha costretta ad uscire di casa. Adesso mi perderò il loro primo bacio. Dovevi PER FORZA scrivermi, vero? Blaine era a tanto così dalla sua faccia!

Da Santana a Rachel
(16:03)
LO SAPEVO, io sono bloccata qui e quelli scopano sul divano di casa mia! Adesso vieni qui e mi racconti tutto dettagliatamente, Berry!

Da Rachel a Santana
(16:04)
Primo: è casa NOSTRA. Secondo: non ci stanno “dando dentro” sul divano, si stavano solo per baciare. Terzo: non verrò lì, lo sai che sto cercando di smettere di bere caffè, i denti ingialliti non piacciono sul palcoscenico.

Da Santana a Rachel
(16:05)
I tuoi denti non piacciono a prescindere, Berry.


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Eeeee… è finita. Lo so. LO SO. Volevate il bacio. Sono una persona orribile, giusto? Non è colpa mia, mi hanno fatta così! Ma non disperate, scriverò altre OS o ff dedicate a questa serie, perché ci sono molte cose che vi vorrei raccontare su questi personaggi e che in questo contesto non sarebbero c’entrate nulla. Tenete d’occhio la mia pagina di Facebook per restare sempre informati!
Spero, comunque, che vi sia piaciuto fare questo viaggio con me!
Come al solito, vi invito a lasciarmi una recensione, se volete, e se invece preferite insultarmi per le mie ff precedenti o fare due chiacchiere, vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Ask (Andy TheShippinator)

Un bacio, Andy <3
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AGGIORNAMENTO

Per tutti coloro che aspettavano con ansia il bacio tra Kurt e Blaine, che non è avvenuto nel finale di questa ff, avviso che ho scritto la OS in merito.

Potete trovarla qui: Have you ever invited a stranger to come inside?

Un bacio, Andy <3

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