Sangue e inchiostro

di Emily Alexandre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I - What The Water Gave Me ***
Capitolo 3: *** II - Remain Nameless ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sangue e inchiostro 

 
 
Londra 1847

 
 
La puzza gli penetrò nelle narici, arrivando al cervello: la sua gola si strinse istintivamente in un conato, ma i polmoni pomparono più forte, come se da quel miscuglio di escrementi, fango e tabacco dipendesse la loro stessa esistenza.
Forse era davvero così.
Quella puzza, quella Londra sporca e nuda come le prostitute senza denti che lo guardavano dagli angoli dei vicoli offrendosi per pochi spicci, erano l'essenza stessa della vita, quartieri che la nobiltà fingeva non esistessero, fatti di bambini che rubavano per poter mangiare, cresciuti troppo in fretta e lasciati al loro destino da una madre -quella madre, quella Londra- che li aveva abbandonati, di donne private di qualsiasi palpito del cuore che aprivano le gambe e simulavano piaceri finti almeno quanto reale era il sangue che scorreva lungo i muri, di uomini senza futuro e senza passato, incastrati in un presente privo di uscita.
L’uomo conosceva una povertà ben peggiore di quella, aveva camminato tra anime così miserevoli da non poter neppure essere descritte, ma il peccato di quella città era voltare il capo e fingere di non vedere, come se non fossero londinesi allo stesso modo i ricchi che riposavano tra lenzuola di seta e quelle povere anime che non avevano neppure una coperta con cui ripararsi dalla pioggia battente.
E la nebbia! Quella nebbia che avvolgeva le strade come la tela di un ragno, che si insinuava tra i vicoli e ricordava a chiunque incontrasse quanto non significasse nulla, quanto quella donna che chiamavano regina fosse lontana da loro, quanto li detestasse.
Non era la Londra in cui era cresciuto, quella, perché anche lui aveva finto di non vedere, troppo occupato a perdersi in mondi fatti di carta, a seguire l’intricata tela fatta di parole d’inchiostro per soffermarsi sulla realtà, sul mondo che esisteva oltre le mura della propria dimora; eppure era stata quella Londra, la cui vita palpitava tra le infime vie di Whitechapel , che l’aveva nascosto, tredici anni prima, quando l'aveva lasciata di notte, di corsa.
O la fuga o la vita, gli avevano detto, ma lui quella notte lui era morto lo stesso, dicendo addio a tutto ciò che era stato, all'odore della carta che saturava l'aria e dell'inchiostro che gli macchiava le mani; quella notte era morto per rinascere in mare, grottesca parodia di una Venere.
Un altro nome, un'altra vita.
Tredici anni per mare, prima mozzo e poi capitano il cui sol nome incuteva terrore, sovrano incontrastato di quelle acque che toglievano e davano la vita a loro piacimento, ma che si piegavano a lui, a quella nave dalle vele nere che era diventata l’incubo costante di qualsiasi imbarcazione militare perché sapevano che nulla avrebbe fermato il saccheggio e la carneficina.
Sangue e inchiostro.
Tredici anni con un unico, costante pensiero, la vendetta che presto si sarebbe compiuta.
L'indomani avrebbe percorso le strade più ricche della città, mischiandosi alla nobiltà fino ad arrivare alla regina, inventando se stesso per l'ennesima volta, ma quella notte non era che un'ombra impalpabile e ostile che si fondeva con la città che l'aveva generato e sputato via.
Anche Londra avrebbe pagato, anche quella puttana che l'aveva giudicato colpevole perché un nobile, uno dei suoi gloriosi figli, l'aveva marchiato con quell'infamia.
Assassino, avevano chiamato quel giovane il cui mondo era crollato in un istante e che tale era diventato, godendosi ogni morte, un passo più vicino all'ultima, quella che ancora doveva accadere e di cui lui prometteva di essere l'artefice ogni sera prima di addormentarsi e ogni notte appena sveglio, pronunciando quelle parole intrise di sangue insieme ad un nome che gli marchiava la pelle all'altezza del cuore, in un ultimo legame di inchiostro e sangue.
Pearl.

 

 
 
Note: salve a voi, che siete giunti qui in questa prima domenica di marzo. A chi non mi conosce, benvenuti! A chi mi conosce... Beh, auguri! Voi sapete perché.
Questa storia era nata per essere una one shot, ma ovviamente mi è letteralmente sfuggita di mano... Prologo brevissimo, ma il primo capitolo arriverà in un paio di settimane e sarà ovviamente più lungo, giusto il tempo di farvi digerire tutta questa pesantezza puzzolente ;)
Non ho granché da dire, in realtà, se non che spero che questo prologo, ancorché breve, vi abbia fatto venire voglia di proseguire la lettura, perché mi sono innamorata dei personaggi di questa storia come non facevo da tempo. Per cui, mi auguro di rivedervi presto.
Per chi volesse trovarmi anche fuori da efp, vi lascio i contatti facebook, gruppo e pagina, e il blog.
Un abbraccio,
Ems

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Capitolo 2
*** I - What The Water Gave Me ***


Sangue e inchiostro 

 
 

‘Cause they took your loved ones
But returned them in exchange for you
But would you have it any other way?
Would you have it any other way?
You could have had it any other way
‘Cause she’s a crueller mistress
And the bargain must be made
But oh, my love, don’t forget me
But I let the water take me

What The Water Gave Me – Florence And The Machine

 

 
 
I

Situato nel Borgo reale di Kensington e Chelsea, appena a sud di Hyde Park, il quartiere di Kensington era diventato negli ultimi anni la meta più ambita della classe nobiliare inglese, come se il sol fatto di possedervi un’abitazione mostrasse al mondo la propria ricchezza. Era, in effetti, uno dei fregi di quell’Inghilterra della regina Vittoria, che in quei giorni celebrava i primi dieci anni di regno.
Le ville erano imponenti, bianche o decorate con mattoni rossi sulla facciata ed ornate di colonne, frontoni e file di ampie finestre, circondate da un curato giardino all'inglese in cui le zone di luce si alternavano a zone d'ombra causate da alberi di tasso o di faggio; alla fine di Hornton Street un ampio ed alberato viale permetteva l’accesso ad una enorme villa, forse la più ricca del quartiere, che da poche settimane era tornata a vivere dopo mesi di abbandono in seguito alla morte del precedente proprietario e alla partenza del di lui erede. Le voci su chi l’avesse affittata erano le più svariate, ma persino il personale sembrava all’oscuro della sua identità, salvo la governante, Mrs. Betteredge, che però sembrava decisa a non parlare.
D’altro canto la donna aveva le sue ragioni per tacere: dopo la morte di Lady Colerige, presso cui aveva prestato servizio per trent’anni, si era ritirata in campagna dalla sorella a godersi il meritato riposo, finché un amico dei suoi vecchi datori di lavoro non l’aveva contattata chiedendole di ritornare a Londra per alcuni mesi, a servizio presso la villa presa in affitto da un nobile francese. Mrs. Betteredge aveva contemplato l’idea di negarsi, ma il tono quasi supplice della missiva l’aveva spinta ad accettare, soprattutto perché si era convinta che il conte di Penthièvre fosse un ricco scapolo francese di visita a Londra che non avrebbe avuto molte necessità, poiché raramente gli uomini soli si trattenevano a lungo dentro le mura domestiche. Nulla, di certo, le aveva fatto sospettare l’esistenza di una donna dalle origini chiaramente orientali che, nonostante le fosse stata presentata come una semplice protetta del conte, si comportava come la padrona di quella casa. 
Il conte si era mostrato alla servitù solo il giorno in cui era giunto a Londra, per poi svanire, mentre quella donna dirigeva l’abitazione e si faceva servire e riverire come una nobildonna.
Così, quando quella mattina un eccentrico dandy dagli abiti più colorati di un arcobaleno e i lineamenti marcatamente mediterranei bussò alla porta, la donna non si stupì affatto e si limitò ad atteggiare le labbra in una smorfia di disappunto.
 
L’uomo che aveva destato così tanta indisposizione, però, pareva non essersene accorto ed osservava la veranda in attesa che qualcuno gli aprisse la porta e gli permettesse di visitare per la prima volta l’abitazione in cui avrebbe vissuto per i successivi mesi; quanti, con l’esattezza era difficile stabilirlo, ma d’altro canto non avevano particolare fretta, la Memento era in ottime mani, insieme al resto della flotta, e una volta a settimana sarebbe bastato andare al porto per ricevere notizie. E Londra, che aveva sempre immaginato come grigia e cupa, l’aveva accolto con un sole che non era neppure lontanamente paragonabile a quello della sua terra natia, ma era pur sempre sole.
 
-Il signore desidera?
 
Il nuovo arrivato osservò con deliziato stupore la figura impettita del maggiordomo che gli aveva aperto la porta, ma la sagoma familiare che scendeva di corsa le scale conquistò tutta la sua attenzione e così entrò nell’abitazione senza neppure curarsi di rispondere all’uomo che, per tutta risposta, si era fatto da parte pronto a chiamare in camerieri in aiuto.
 
-Don Miguel, era ora arrivassi!
 
L’uomo si limitò ad aprire le braccia e ad accogliere il corpo filiforme e ben poco vestito della Signora di quella dimora, tra lo sconcerto dei domestici e la riprovazione di Mrs. Betteredge per quella manifestazione di pubblico affetto e per l’abbigliamento decisamente poco consono della donna.
Cléopâtre prese il volto dell’uomo tra le mani, incurante di qualsiasi cosa li circondasse, e tirò un profondo sospiro di sollievo vedendolo riposato e privo di tumefazioni, senza nascondere affatto l’apprensione che aveva provato nel saperlo vagabondare per una città che non conosceva alla ricerca di informazioni.
 
-Non fare la mammina apprensiva, dolcezza.- commentò Miguel, chiedendole poi di spostarsi in un posto più discreto. Cléopâtre lo prese per mano e salì al piano superiore, nel salottino in cui aveva trascorso le sue ultime giornate come una tigre in gabbia che agogna l’aria aperta e che aveva imparato ad odiare in ogni angolo perfettamente pulito, in ogni centrino di pizzo e in ogni fiore che soffocava l’aria: più ordinava ai domestici di buttarli, più i fiori invadevano la dimora in una palese rimostranza contro una donna che sovvertiva qualsiasi ordine avessero conosciuto fino a quel momento. Cléopâtre prese l’ennesimo vaso colmo di rose e lo rovesciò dal balcone, compresa l’acqua: che perdessero pure tempo a pulire il loro prezioso patio e comprendessero che lei non era donna con cui giocare.
Infine arrivò la domanda, quella a cui non avrebbe saputo cosa rispondere, perché il Capitano l’aveva lasciata sola il giorno seguente il loro arrivo, per poi sparire senza dare notizie, nonostante avesse precisato, prima di sbarcare, che sarebbe stato Miguel a girare per raccogliere notizie, mentre lui avrebbe aspettato l’occasione propizia per mostrarsi, alimentando la curiosità della nobiltà londinese.
 
-È alla ricerca di qualche tipo di espiazione.- commentò la donna in replica alla espressione perplessa dell’uomo, liquidando quel dettaglio con un gesto della mano. –Insomma, l’hai trovata?
 
Miguel annuì –Non è stato difficile, i nobili si conoscono tutti.
 
-E?
 
La porta che si apriva fece morire la risposta sulle labbra di Miguel, che riconobbe dalla camminava chi stava entrando, prima ancora di vederlo: era il passo strascicato di chi era abituato a muoversi agilmente sulle navi, ma mal si conciliava con la fermezza della terra. Si alzò e quasi non riconobbe nell’uomo riccamente vestito, senza barba e con i capelli in ordine il pirata che serviva da oltre dieci anni; Cléopâtre, dal canto suo, non si mosse, continuando ostentatamente a guardare fuori dalla finestra, assetata di libertà e livida di rabbia repressa.
Il Capitano entrò nella stanza e, senza parlare, si sedette su una poltrona poggiando il bastone accanto a sé: la mano distrattamente accarezzava la perla nera che ne adornava la cima, ma lo sguardo era attento.
 
-Lady Mary Victoria Doyle vive in una villa a Notthing Hill con il marito, si è sposata tredici anni fa e conduce una vita mondana molto assidua, è madrina di svariate società di beneficienza ed è spesso a corte, specchio dell’irreprensibile donna inglese che alla regina piace tanto. Il marito, d’altro canto, è di tutt’altra pasta, gioca senza ritegno e viene spesso avvistato in case di appuntamenti.
 
La mano del Capitano si serrò sul bastone, ma il tono leggero di Miguel non lo ingannò.
 
-Cos’altro?
 
Miguel tentennò, chiedendosi quali implicazioni la notizia avrebbe portato al piano, ma d’altro canto prima o poi la verità sarebbe venuta alla luce e loro avrebbero dovuto sapere sin dal principio quali mostri stavano affrontando.
 
-Ha due figli, il maschio ha dieci anni e la bambina sei.
 
Bastò quella frase per far smuovere Cléopâtre, che si voltò di scatto ad osservare il Capitano; dal canto suo, l’uomo sembrò non dare alcun peso a quell’informazione.
 
-E stasera sarà all’Opera?
 
Miguel annuì, -Sì, ho preso in affitto il palco davanti a quello dei Doyle.
 
Il Capitano annuì e si alzò, dando le spalle a entrambi e fece per uscire, per poi fermarsi sulla porta. –Mi accompagnerai tu, fatti trovare pronto alle sei.
Il suono di vetro infranto fece sussultare i due uomini, ma nessuno si stupì nel vedere Cléopâtre in piedi e furibonda.
 
-Perché non posso venire? Non puoi chiudermi in casa! Di cosa hai paura, che la tua preziosa Victoria resti sconvolta nel rivederti e per giunta in compagnia di una donna araba?- Sapeva di aver passato il segno, ma l’idea di essere esclusa ancora una volta, di dover rimanere chiusa in casa mentre fuori Londra palpitava di vita la faceva impazzire. Esistono ferite che non si rimarginano mai del tutto. –Non puoi disporre di me come se fossi una tua proprietà.
 
L’uomo neppure si mosse, -Sapevi quale fosse il piano sin dal primo momento: Cléopâtre de Penthièvre farà il suo debutto a tempo debito, ma se la cosa non ti aggrada sei libera di tornare sulla Memento e attendermi lì. Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre stasera sarà all’Opera insieme alla sua guardia del corpo, Don Miguel Garcìa, e questo non si discute. Non osare mai più dirmi che ti tratto come se fossi una mia proprietà, donna.
 
E senza aggiungere una parola uscì dalla stanza, lasciando il gelo alle proprie spalle.
 
Cléopâtre tornò a sedersi sul divano, incassando la sconfitta e guardando Miguel negli occhi. –Sarà sempre così, sai? Non importa quanto tu ed io possiamo amarlo, Victoria, la sua perla nera maledetta, verrà sempre prima di tutti.
 
***
La Royal Opera House era particolarmente affollata quella sera, la voce che la regina e il principe consorte sarebbero stati presenti era circolata rapidamente per i salotti londinesi, spingendo chiunque avesse affittato i posti per l’intera stagione a far preparare gli abiti per la serata e ai meno fortunati a far la corsa ai botteghini per acquistare i rimanenti posti.
Lady Doyle giocava con il bottone di madreperla del guanto fingendo di ascoltare le chiacchiere vacue della nobile che le si era avvicinata, sperando che suo marito si decidesse a lasciare il salotto principale per recarsi al palco, così da non dover più udire gli ultimi pettegolezzi di corte, gli scandali di palazzo, amanti svelati e altrettanti matrimoni combinati tra ragazzi che neppure si conoscevano e la cui unione sarebbe naufragata nel giro di pochi anni.
Si sentiva particolarmente stanca quella sera, benché la sua giornata si fosse svolta come tutte le altre nel corso della Stagione, tra sale da te e occasioni di beneficienza, tornando a casa solo il tempo di mettere a letto i bambini e cambiarsi per la serata; la stanchezza era come una sensazione sottopelle, l’indefinibile attesa di qualcosa che non avrebbe saputo identificare che le chiacchiere, anziché attenuare, contribuirono ad aumentare.
La notizia che passava rapida di bocca in bocca, nascosta dietro preziosi ventagli, non fosse alcun amore peccaminoso, né il possibile arrivo della coppia reale, bensì la ventilata presenza di un nobile francese appena giunto a Londra in tempo per la Stagione e che si diceva avesse girato il mondo, portando con sé un baraccone di rarità. Lady Doyle non si stupì affatto, conoscendo l’annoiata società londinese, e pregò in cuor suo che l’uomo fosse o molto vecchio o molto sposato, perché in caso contrario sarebbero iniziate le macchinazioni di qualsiasi madre che avesse figlie in età da marito, soprattutto se il patrimonio si avvicinava davvero a quanto si vociferava.
 
-E quanto si fermerà?- chiese più per conversare che per reale interesse, ma Lady Winterset fu così entusiasta di aver suscitato l’interesse della donna che snocciolò in un istante tutte le voci che aveva udito in quegli ultimi giorni: qualche mese, forse un anno, un mese al massimo, magari per sempre.
Lady Doyle sospirò rassegnata e quando il marito la raggiunse nascose un sospiro di sollievo dietro il ventaglio, benché non si illudesse che le chiacchiere si sopissero con l’inizio della rappresentazione; bastarono pochi istanti affacciata al balconcino per rendersi conto che quella sera i bisbigli erano più fitti che mai e che persino l’arrivo della regina Vittoria provocò meno notizia del solito.
 
-Voi sapete qualcosa di questo misterioso francese?- chiese al marito dopo alcuni istanti, più esasperata che curiosa.
Sir Patrick Jonathan Doyle scosse appena il capo, -solo che ha affittato un palco qui all’Opera e, a giudicare dal pienone, scommetterei per quello lì,- commentò indicando davanti a loro, -l’unico vuoto in tutto il teatro. Ma magari non si farà vedere e queste chiacchiere finiranno in una bolla di sapone.
Sistemandosi le gonne nello spazio ristretto del palco, Victoria attese che suo marito le si accomodasse accanto e poi si lasciò trasportare dal vociare senza davvero ascoltare qualcosa, salutando di tanto in tanto qualche nobile che incrociava il suo sguardo, finché le luci non calarono e i cantanti non comparvero sul palco; fu un istinto a farla voltare dopo alcuni minuti verso quel palco vuoto che, in quel momento, si stava riempiendo di due figure che la luce del corridoio illuminò un solo istante prima che la porta si chiudesse alle loro spalle. In quel momento decine e decine di teste si voltarono verso i nuovi arrivati e Victoria si accorse di tremare: era bastato quell’istante di luce per farle intravedere i volti, per farle provare un senso di vertigine, un deja-vu, come se un fantasma del passato si fosse materializzato lì, in quel luogo e in quel tempo.
Tenne gli occhi fissi sul palco, sentendosi osservata, ma senza trovare il coraggio di voltarsi e accogliendo con sollievo l’intervallo: sarebbe scesa nel salotto, avrebbe finalmente incontrato il soggetto di tante chiacchiere e sarebbe tornata a respirare, abbandonando quella sciocca sensazione che la stava perseguitando.
 
-Victoria, mia cara, l’avete visto? Ha affittato il palco proprio davanti al vostro!
 
Lady Doyle sorrise forzatamente a Lady Palmerston che l’aveva presa sottobraccio e la stava trascinando ai piani inferiori, desiderosa di essere tra i primi a conoscere il conte.
 
-L’ho solo intravisto, era molto buio.
 
Ma la donna non la stava già più udendo e, abbandonato il suo braccio, si era slanciata tra la calca per poi ricomporsi a pochi passi da un capannello di persone che stanziava vicino al bar e all’angolo libreria; vedendo il nobile che dava loro le spalle, più attratto dai libri che da quel cicaleccio, la donna sorrise, avvicinandosi a sua volta, ma si fermò nel momento stesso in cui il conte prese un volume dalla libreria in mogano, gelandosi sul posto con le orecchie che le fischiavano e il cuore che pareva esploderle, incurante della calca e degli spintoni infastiditi. Chiuse gli occhi, tentando di riprendere a respirare normalmente e rifiutandosi di svenire come una qualsiasi donnetta dal cuore debole, ma nella sua mente si affollavano immagini sepolte dal tempo, frammenti di una vita da cui sembravano essere passati mille anni.
Le mancò l’aria e l’uomo che le stava davanti con un bicchiere di acqua in mano arrivò al momento più opportuno.
 
-Vi ho vista impallidire,- si giustificò questi –e non vorrei mai che una così bella donna svenisse in mezzo alla calca: sarei costretto a sopportare troppi uomini attorno a voi.
 
Victoria sorrise all’estraneo, accettando il bicchiere, -Dovreste sopportare soprattutto mio marito, signore, e vi consiglio caldamente di non rivolgervi a una signora in quel modo se non vorrete essere voi a trovarvi circondato, ma da uomini armati.
 
Miguel scoppiò a ridere di cuore, per poi ricomporsi rapidamente quando si accorse degli sguardi stupiti che gli rivolsero.
-Permettete che mi presenti: Don Miguel Garcìa, per servirla.
 
-Lady Victoria Doyle, che vi è infinitamente grata per l’acqua.
 
L’espressione raggelata sul volto dello spagnolo la spiazzò, ma fu solo un attimo, perché il misterioso conte si era liberato dei curiosi e si era avvicinato a loro, richiamando tutta l’attenzione della donna.
 
-Spero che Don Miguel non vi stia importunando. Sono Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre.
 
Era un bell’uomo sulla quarantina, con i capelli lunghi fino alle spalle, la pelle bruciata dal sole, come se avesse trascorso la vita in mare, e la voce roca di chi non è abituato a parlare molto; tuttavia furono sopratutto le sue mani ad attirare la sua attenzione, mani grandi e venose. Mani sporche d’inchiostro.
 
-Signor conte, spero che non vi abbiano importunato troppo.- commentò tentando di scacciare i pensieri assurdi che le avevano attraversato la mente dal primo momento in cui l’aveva visto.
 
L’uomo le sorrise appena, fissandola ostentatamente.
 
-Me lo aspettavo, in realtà, e il mio Miguel stava facendo un buon lavoro per tutelarmi prima che voi attiraste la sua attenzione.
 
-Un mancamento dovuto al caldo,- si trovò a giustificarsi pur senza averne motivo, -ma sono felice di restituirvi il vostro accompagnatore. La rappresentazione sta ricominciando.
 
Cercò suo marito con lo sguardo e, dopo averlo trovato, si allontanò rapidamente per raggiungerlo, ma per tutto il resto della serata il suo sguardo non si spostò dal palco davanti al proprio:benché fosse avvolto dal buio era sicura che anche il conte la stesse fissando.
Poteva essere vero? Erano trascorsi tredici anni da quando aveva visto quel volto l’ultima volta, tredici anni due mesi e otto giorni, ma non l’avrebbe mai potuto dimenticare e in cuor suo aveva sempre saputo che sarebbe tornato.


 

 
 
Note: Bentornati o benvenuti! Prima di qualsiasi discorso ringrazio immensamente Acqua per il bellissimo banner, che adoro terribilmente *__*
Come promesso ecco il primo capitolo, in cui incontriamo quelli che saranno i personaggi principali della vicenda... E ritroviamo il nostro misterioso girovago.Vi siete fatti un'idea dei personaggi o ancora no? Io l'ho detto da sempre e lo ripeterò anche ora: ci sono pochi personaggi in questa storia, ma molte identità. Il prossimo aggiornamento arriverà -spero- in un paio di settimane... Nel mentre, se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate ne sarei felice :)
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Un abbraccio,
Ems

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Capitolo 3
*** II - Remain Nameless ***


Sangue e inchiostro 

 
 

And live without shame
'Cause what's in a name, oh
I still remain the same
 
You can call it what you want
You can call me anything you want
You can call us what you want
You can call me anything you want
Remain Nameless - Florence And The Machine

 
 
 
II

La luna stava iniziando a crescere, in quel venti aprile stranamente privo di pioggia; Pasqua era trascorsa da due settimane e la Stagione mondana inglese, benché fosse ufficialmente iniziata a metà dicembre in coincidenza della Seduta del Parlamento prima del nuovo anno, era entrata nel suo apice, con balli, ricevimenti e spettacoli teatrali che tenevano occupata l’alta società in un vortice che sembrava inesauribile.
La maggior parte dei londinesi, però, quella che non contava, osservava da fuori, chi rallegrandosi della migrazione dalle campagne che aumentava i propri profitti, chi detestando il caos che ne derivava e chi era semplicemente troppo povero perché la Stagione potesse avere una qual si voglia rilevanza.
E poi c’era lei, che l’aveva osservata da fuori, nelle sue fughe notturne in carrozza, spiando attraverso le finestre i salotti illuminati a festa, e che l’aveva odorato sul corpo del Capitano –champagne e sigari e cognac e profumi pregiati- quando poco prima dell’alba rientrava nel suo letto e fingeva di credere che lei stesse davvero dormendo, rispettando il suo silenzio.
Cléopâtre aveva sempre saputo che le cose sarebbero cambiate appena avessero lasciato la Memento per mettere piede a Londra, che l’illusione di pace che negli anni avevano costruito si sarebbe sciolta come neve sotto quel sole primaverile, ma saperlo non aveva reso più facile l’accettazione. Il Capitano le aveva dato una scelta, l’aveva data ad entrambi, ma né lei né Miguel lo avrebbero mai lasciato andare da solo, non soltanto perché erano stati gli unici testimoni di quel desiderio di vendetta che in quegli anni si era nutrito di sangue e perle, ma anche perché qualsiasi cosa fosse successa, nel bene e nel male, volevano essere al suo fianco.
 
-Si fermi qui.
 
La carrozza si fermò pochi istanti dopo nei pressi di un locale alla moda davanti al quale si affollava la società benestante di Londra, giovani debuttanti in cerca di marito, uomini e ragazzi che chiacchieravano tra loro lanciando occhiate in tralice alle fanciulle e rigide matrone che supervisionavano quanto stava accadendo. Coperta da un mantello scuro Cléopâtre osservava in silenzio quelle giovani donne, chiedendosi cosa si provasse a possedere l’innocenza di chi non conosceva che il bello del mondo e che avrebbe lasciato la confortante casa paterna per dirigere l’altrettanto confortante e generalmente più gratificante casa del marito. Le invidiava?
In cuor suo, non avrebbe saputo dirlo. La sua casa era il mare, quella distesa immensa che sembrava promettere una gloria altrettanto infinita per chi avesse avuto il coraggio di donarle la vita in un patto che solo la morte avrebbe potuto spezzare e loro, pirati senza una Itaca in cui tornare, si votavano alla ninfa Calipso e solcavano gli oceani respirando l’odore della salsedine, padroni e vittime dei capricci di quella divinità. Eppure, prima che il Capitano la salvasse e la prendesse con sé, persino lei aveva avuto il suo debutto, grottesca parodia di ciò che si svolgeva ogni giorno a Londra, quando, appena tredicenne, era stata venduta dal proprio padre in cambio di poche monete ad uno sceicco desideroso di aumentare il suo harem.
Cosa rimaneva in lei di quella fanciulla che, urlando e scalciando, era stata trascinata in quell’inferno, costretta a giacere con un uomo molto più vecchio di lei e a subire le angherie delle donne che le invidiavano la giovinezza e la bellezza?
C’era, in quel personaggio che lei e il Capitano avevano plasmato negli anni a loro piacimento, un barlume di Amira?
Aveva perso quel nome il giorno in cui il Capitano l’aveva salvata: sulla Memento le aveva chiesto come si chiamasse e lei aveva risposto, semplicemente, che si sarebbe chiamata come lui avesse voluto.
Aveva scelto un nome di regina.
La nobiltà parlava di lei, ne era consapevole. Il conte di Penthièvre e Don Miguel erano diventati in breve tempo una presenza fissa nell’alta società, perché tutti sapevano che averli come ospiti in casa propria avrebbe implicato un afflusso di persone che avrebbe garantito il successo della festa; i migliori club maschili avevano tessere con i loro nomi e se il conte era solito rimanere in quelle sale a leggere e fumare il sigaro, non era insolito scorgere Don Miguel passeggiare all’aria aperta distribuendo sorrisi a fanciulle e signore e rubando i cuori di chiunque fosse la destinataria, nubile o sposata che fosse.
Che la casa di Edmond de Saint-Denis fosse gestita da una donna non era un mistero, e se ufficialmente per tutti ella era la protetta del conte, la parola amante, ancorché non pronunciata esplicitamente, attraversava la mente di chiunque parlasse di lei, scandalizzando deliziosamente quegli annoiati londinesi che si destreggiavano nell’ennesima identica Stagione mondana.
Eppure il conte l’aveva celata con esasperante accuratezza.
Non che Cléopâtre desiderasse appartenere a quella società, difficilmente vi si sarebbe trovata a proprio agio, abituata ormai com’era ad un mondo privo di formalismi e finti sorrisi che troppo le avrebbe ricordato Amira, e se doveva abbandonare il mare, accettava di farlo solo per i possedimenti di Penthièvre che Edmond aveva acquistato anni prima insieme ad un titolo rimasto privo di proprietario dopo la Rivoluzione: quello era il suo regno, plasmato a sua immagine e somiglianza, lontano abbastanza da Parigi da non rendere necessario alcuna etichetta, ma senza per questo essere isolato, con le porte perennemente aperte per far entrare l’aria e un giardino immenso, con aiuole di fiori rari, grotte naturali e un fiume che lo attraversava in parallelo, morendo infine nella Senna.
Eppure, quell’Inghilterra era la casa di Edmond, lo era stata per così tanti anni da rendere impossibile pensare che potesse averla dimenticata e nonostante asserisse di odiarla, la donna sapeva che una parte di lui sarebbe sempre stata legata a quel giovane appassionato di libri appartenente alla gentry, perdutamente innamorato della sua Perla.
La vendetta era qualcosa che lei comprendeva: per tre anni aveva desiderato la morte dell’uomo che l’aveva comprata e sapere che era deceduto a causa di una pestilenza, solo e abbandonato da tutti, aveva placato solo in parte la sua sete, perché più di tutto, ancor più che saperlo morto, ciò che voleva era che morisse per mano sua; e Miguel, anche lui desiderava la morte di chi aveva rovinato la sua vita e si trovava a Londra per compierla, ma se loro non avevano lasciato che la vendetta li consumasse, per il Capitano era stato un tarlo che, poco a poco, aveva fatto marcire quasi tutto ciò che di buono esisteva in lui.
Era fuggito da Londra per evitare la condanna a morte per un omicidio che non aveva mai commesso ed era diventato un pirata, un assassino, quasi volesse cercare un senso alla condanna che aveva subito, quasi cercasse espiazione in ogni morte, in ogni nave militare distrutta, in ogni perla nera poggiata sul corpo esanime dei capitano a reclamarne il brutale assassinio.
Non aveva idea di dove quel viaggio li avrebbe condotti.
 
Aveva trascorso due ore fuori da locali alla moda e case riccamente adornate, rubando istanti di vita e allontanandosi non appena qualcuno notava la sua presenza; al suo rientro, Cléopâtre si coricò in attesa di un sonno che, lo sapeva, non sarebbe arrivato finché il Capitano non fosse rientrato e sussultò quando questi, anziché credere che dormisse, la cinse con un braccio.
 
-Ti piace Londra?
-Vorrei vederla di giorno.
-Ti porterò a passeggiare davanti il Parlamento al tramonto… Si mostrerà nella sua veste migliore.
 
Non si era illusa neppure un istante che il Capitano avesse creduto che sarebbe rimasta in casa ad attenderlo: lei non era Penelope, che filava di giorno e disfava di notte la tela in attesa del ritorno del suo Ulisse, e lui ne era perfettamente consapevole.
 
-Stai bene?- domandò, mettendosi a sedere a gambe incrociate; superando il sottile tendaggio la luna si rifletté su quella pelle scura, coperta appena da una vestaglia. Non era color dell’ebano o del cioccolato, ma possedeva la pelle ambrata dei popoli arabi, cresciuti sotto il sole che si rifletteva nelle acque del Nilo. Cléopâtre era stata la bellezza del suo paese, da bambina, di quelle poche case fatte di fango e mattoni che sorgevano sulle sponde del fiume, ammirata e coccolata, finché la voce della sua avvenenza non era arrivata troppo in là, infrangendo i sogni di una ragazza che nella vita desiderava solo sposare il bel giovane che la corteggiava e mettere al mondo i loro figli.
 
-Lei è ovunque, anche quando non c’è.
 
Era anche lì, in quel momento, ma quando Cléopâtre fece scorrere le spalline lungo le braccia, scoprendosi, il pensiero di Victoria svanì poco a poco, lasciando il posto a qualcosa di più vivo, più presente, più reale: le sfiorò le caviglie, dove una mano esperta aveva inciso indelebile il ricordo della schiavitù, le baciò il collo, dove riusciva ancora a percepire il profumo del sole e della salsedine, nonostante fossero lontani dal mare da settimane, e la spogliò del tutto, trovando il proprio posto in quell’unica isola serena che avesse trovato in tutti quegli anni.
 
Era arrivato in Egitto per caso, spinto da una tempesta. Se avesse creduto in qualcosa, il Capitano avrebbe potuto affermare che fosse stato il destino a condurlo in quel luogo in quel momento, ma il pirata non credeva in nulla tantomeno in fili invisibili intrecciati da mani impalpabili che decidevano dell’altrui vita: era l’uomo a plasmare la propria strada. Furono le urla ad attirarlo, un vociare che non comprendeva ma che prometteva odio e ostilità al punto da far accapponare la pelle persino a lui, ad un assassino; richiamò gli uomini con un cenno e si addentrarono nella piazza cercando di comprendere cosa stesse accadendo e gli sguardi ostili spinsero la calca di persone ad aprirsi per lasciarli passare. Fu solo quando arrivarono quasi sotto il baldacchino delle autorità che la vide, sporca di terra e sangue, con un occhio nero e i capelli ridotti ad un intrico impossibile da sciogliere, le mani e le caviglie legate ad etichettarla come schiava. Sopra di lei, un vecchio riccamente vestito la osservava compiaciuto. Attorno a lei, soldati distribuivano pietre.
Gli bastò un istante per comprendere cosa stesse per accadere.
-La lapideranno perché ha tentato di fuggire dall’harem.
Un uomo del suo equipaggio tradusse ciò che un magistrato stava proclamando e il Capitano non stentò a crederlo: c’era una fierezza in quello sguardo, una indomita fiamma che bruciava nonostante gli sputi e le ingiurie, nonostante le percosse subito e il destino che la attendeva. Era stata consapevole del rischio, quando aveva scelto di fuggire.
Meglio la morte che la schiavitù, dicevano quegli occhi neri. Meglio la morte, che sopportare le continue violenze di quell’uomo.
-Capitano…
La voce di Miguel tremava e, voltandosi, egli lesse negli occhi dei pirati lo stesso dolore, la stessa risoluzione. Bastò un cenno perché tutti insieme attaccassero, cogliendo tutti talmente alla sprovvista che quando compresero quanto stava accadendo, erano tutti ben lontani, quasi sulla nave. Con lei.
 
 
-Cléopâtre.
Un sussurro. Un gemito. Il suo cuore apparteneva alla sua Perla, ogni suo gesto, negli anni, aveva avuto un unico fine, ogni suo pensiero rivolto al giorno in cui l’avesse rivista, ma Cléopâtre era un’anima affine alla sua, come Miguel, e insieme erano stati la sua ancora in tutti quegli anni, l’albero maestro su cui poggiare la sua vita. Victoria era ovunque, ma come un sogno, anche allora che poteva vederla ridere e parlare, che poteva percepirne il profumo –iris e legno-, rimaneva comunque lontana, impalpabile…
Cléopâtre, invece, era lì, solida e calda tra le sue mani.
 
***
Ogni qual volta tornava da una visita agli uffici, Sir Doyle faticava a celare la stizza: aveva ereditato una florida impresa di famiglia, che sin dall’epoca di re Giacomo I commerciava con le Americhe rendendo i Doyle sempre più ricchi e conducendoli, da semplici membri della borghesia, fino al titolo di baronetti a metà 1700, ma negli ultimi anni un crescente numero di attacchi di navi pirata lo avevano privato di gran parte del carico, con conseguente minor produzione in Inghilterra. Ironico come non avessero mai avuto problemi nel periodo in cui la pirateria era più florida e li avessero in quel momento, quando dei famigerati marinai dalla bandiera nera rimaneva ben poco, complice la forte repressione del secolo precedente. Eppure nessuno sembrava essere in grado di fermare quel dannato capitano delle perle nere, che depredava e devastava senza sosta, forte di una flotta che, se avesse voluto, avrebbe potuto competere con il grande impero navale inglese.
Fortunatamente, una economia sempre oculata e l’affitto di alcuni villini a Londra permettevano loro di sostenere lo stile di vita elevato che da sempre li caratterizzata, ma ciononostante Sir Doyle era alla ricerca di un investitore che potesse aiutarlo… E forse l’aveva trovato.
 
Quando la carrozza giunse dalla periferia al centro della città, il baronetto la fece fermare, preferendo proseguire a piedi fino a casa; la cattedrale di San Paolo svettava a pochi passi da lui, simbolo di quella città che amava e da cui mai si sarebbe allontanato. Scambiò un cenno di saluto con numerosi uomini passeggiavano approfittando del sole, parlando di affari e politica, mentre le donne sedevano ai tavolini dei locali sfoggiando i loro abiti migliori.
Fu davanti a uno di questi che una matrona, incurante della sua aria cupa che indicava chiaramente la poca propensione al dialogo, lo fermò.
-Sir Doyle, buongiorno.
 
L’uomo non riusciva assolutamente a ricordarne il nome, ma la salutò cordialmente, cercando di ignorare le occhiate frivole della figlia, di forse sedici, diciassette anni al massimo.
Sir Patrick Jonathan Doyle, nonostante l’età non più giovane, continuava a suscitare l’ammirazione delle fanciulle londinesi con i suoi occhi neri come la pece, la sua aria perennemente annoiata e la fama da uomo peccaminoso, ma nonostante le numerose pecche che gli appartenevano e nonostante la passione per le belle donne fosse tra queste, non si era mai avvicinato in maniera disdicevole ad una ragazza non maritata. O, quantomeno, non da quando aveva sposato la molto più giovane Victoria Middleton che, benché non potesse vantare un’estrazione sociale sua pari né una dote particolarmente ricca, possedeva un volto che sembrava appartenere ad altri tempi e una eleganza rara.
Non era stato un matrimonio d’amore, né un matrimonio felice, non dopo lo scandalo, ma in pubblico la coppia appariva perfettamente in sintonia, come due ballerini che avessero provato e riprovato lo stesso pezzo così tante volte da poterlo eseguire senza neppure pensare.
 
-Un ottimo clima per una passeggiata, non trovate?
 
Convenevoli sciocchi, pane quotidiano di quella società. Si congedò rapidamente, diretto a casa: aveva bisogno di parlare con sua moglie, sapeva che Victoria quel giorno non si sarebbe mostrata in pubblico, concedendosi un momento di riposo nel vortice di eventi sociali della Stagione, ma per il bene della loro famiglia si sarebbe sacrificata, facendo visita ad una persona.
La trovò in salotto, con la figlia e un sarto.
 
-Non comprenderò mai il perché di tutti questi abiti, manca ancora qualche anno al debutto.- commentò notando che il sarto era lì per la piccola e non per sua moglie, che preferiva fare acquisti alle boutique.
 
-Perché siete un uomo, marito.- Victoria non si voltò neppure a guardarlo, limitandosi a far cenno al sarto di sistemare una manica. –Al debutto, molti giochi son già compiuti; nostra figlia è grande abbastanza per accompagnarmi ad alcuni ricevimenti pomeridiani ed è opportuno che si mostri al meglio.
 
In realtà, Victoria non lo faceva per mettere in mostra sua figlia come merce in vendita e se fosse dipeso da lei l’avrebbe tenuta al sicuro a casa, ma la piccola adorava uscire ed inoltre sarebbe parso strano se lei sola non l’avesse portata agli incontri, così si consolava comprandole abiti nuovi, coccolandola come lo era stata lei stessa.
 
-Mio figlio?
 
-Con l’istitutore. Ve lo faccio chiamare?
 
-No, non c’è bisogno, sono qui per voi. Devo chiedervi un favore.- Sir Doyle si spostò alla finestra, impedendole di ignorarlo. –Mi è giunta voce che il conte de Penthièvre è qui con una donna. Mi sorprende che, in qualità di Presidentessa dell’Associazione delle donne della regina Vittoria ancora non le abbiate fatto visita.
 
Victoria sobbalzò appena a quel commento, celando il turbamento, -In realtà, mi è stato detto, e quando ho fatto presente che se la poveretta non si mostra in pubblico di certo non vorrà una nostra visita, in molte si sono offerte per prendere il mio posto.
 
Donne pettegole, che avrebbe ucciso pur di dare un’occhiata a quella creatura del mistero.
 
-Ritengo opportuno che le facciate visita.
 
Tacque e Victoria saggiò il clima, cercando di capire quanto in là potesse spingersi; congedò il sarto e la figlia, poi si alzò per versare del brandy per il marito.
 
-Posso domandarvi il motivo?- chiese, porgendogli il bicchiere.
 
-So che il conte è interessato al commercio con le Americhe, vorrei proporgli un affare, ma certamente sarà più facile in un clima cordiale che solo voi donne sapete creare.
 
Al solo pronunciare di quel nome, il cuore di Victoria aveva vibrato, toccando corde che credeva sopite per sempre: si erano incontrati spesso, in pubblico, ma se Don Miguel era sempre pronto a chiacchierare, il conte era schivo e taciturno, a dispetto di qualsiasi tentativo di attaccar bottone. Senza dubbio anche suo marito doveva averci provato, inutilmente, così aveva elaborato quella seconda tattica, ignorando il fatto che sua moglie non aveva la minima voglia di avere contatti con il conte e, soprattutto, con la sua amante. Non poteva esimersi, davanti ad una domanda così esplicita, soprattutto alla luce delle finanze sempre più precarie: se suo marito fosse crollato, lei lo avrebbe seguito.
 
-Va bene.- convenne, non senza fatica. –Volevo chiedervi una cosa anche io però…
 
Sir Doyle annuì appena: se fosse stata un uomo, sua moglie sarebbe stata un osso duro con cui mercanteggiare.
 
-Si terrà un’asta domani ad Holborn, ci sarà un quadro di Turner che vorrei possedere. Mandereste qualcuno a comprarlo per me?
In quanto donna, Victoria non disponeva di proprie finanze, non poteva concludere contratti, e per quanto detestasse chiedere al marito, non aveva alternative se desiderava qualcosa.
 
-Provvederò. Divertitevi con la signora de Penthièvre, signora.- commentò allontanandosi.
 
***
Inchiostro nero su una pelle che, seppur scura, rispetto alla sua appariva quasi chiara; Cléopâtre sfiorò le lettere con un dito mentre Miguel riposava sulle sue gambe, in un momento di rara quiete. Il Capitano aveva deciso di recarsi in uno dei club maschili che aveva iniziato a frequentare, ma lo spagnolo, ancora provato dai bagordi delle sera precedente, aveva preferito rimanere a casa a farle compagnia.
Quelle lettere le ricordarono la notte in cui erano state incise, una notte di luna piena e freddo, nell’isola dei pirati al largo delle coste dell’America del Sud.
 
L'uomo dei tatuaggi viveva in una casa squallida e sporca nella baia dei pirati, ma dicevano fosse un artista e così si erano affidati a lui, tutti e tre, benché il Capitano avesse asserito fino all'ultimo momento che li avrebbe solo accompagnati. Aveva iniziato lei, come sempre accadeva quando dovevano decidere qualcosa insieme: l'ultima parola era del capitano ma la prima era sempre sua. Un cerchio spezzato sulla caviglia sinistra, perenne memento di quella che aveva portato per anni, simbolo di una schiavitù a cui era riuscita a fuggire, per non piegare mai più il capo davanti ad alcuno. Quanto a Miguel, il suo era un canto antico, parole di un popolo fiero e libero, nomade nello spirito con l'orizzonte come unico confine.
-E voi Capitan P?
L’uomo aveva osservato il tatuatore per un istante, prima di scoprirsi il petto. Era inchiostro, quello che avrebbe usato, lo stesso che ancora, dopo anni, non aveva smesso di macchiargli le mani, perpetuo memento.
 
Le sfuggì un sospiro, quando ripensò alla parola incisa a chiare lettere sul petto del Capitano, vicino al cuore, lì dove era solita posare il capo per addormentarsi ascoltando il battito.
 
-Cosa succede?
-Nulla.
Miguel sorrise –Tesoro, ti conosco, so perfettamente che non è nulla. Ne hai parlato con lui?
Avete parlato di lei?
 
-Ne parlerò con te. Che tipo è Lady Doyle?
Quando il sorriso si gelò improvvisamente sulle labbra dell’uomo, Cléopâtre lo scacciò con ben poco garbo dalle proprie gambe.
-E così ha irretito anche te.
Di tutta risposta, quello sfoggiò un’espressione colma di offesa. –Irret… Cléopâtre, non si addicono ad una signora certe parole volgari.
La donna fece per rispondere, ma poi ci rinunciò: era inutile cercare di rimanere seri e maldisposti davanti all’eterna battaglia di Miguel con l’inglese. Non immaginava, in quel momento, che quel sorriso sbarazzino era molto meno sereno di quanto apparisse, perché, sì, Lady Doyle aveva irretito anche lui, con quegli occhi nocciola perennemente velati da un antico canto di dolore che lui conosceva bene. Era lo sguardo di tutti loro, di chi aveva perso, era crollato e si era rialzato con infinita fatica. Possibile che nessuno, in quell’ipocrita nobiltà, se ne fosse accorto?
Si affacciò alla finestra udendo una carrozza che si fermava davanti la villa, e quando vide chi vi scendeva si preparò al peggio, perché lui non era pronto a rivederla, lei non era pronta a conoscerla… E il Capitano era lontano.
 
-Lady Doyle.
-Sì,- annuì Cléopâtre, -di lei ti ho chiesto.
-No,- Miguel scosse il capo, provando a sorridere, e quando il campanello suonò ribadì ancora, -Lady Doyle.
 
La donna scattò in piedi, osservandosi velocemente allo specchio: era in veste da camera con i capelli sciolti sulle spalle e non era decisamente l’immagine della tipica donna vittoriana. L’altra ne sarebbe rimasta scandalizzata? Scoprì che l’idea la stuzzicava. Uscì dalla stanza senza attendere che il maggiordomo la andasse a chiamare ma, giunta sulla sommità delle scale, si fermò nell’ombra, concedendosi qualche istante per osservarla senza essere vista.
Era ferma nell’atrio, con il capo eretto su cui spiccava una elaborata acconciatura, mentre l’abito era semplice, in linea con la moda del tempo, blu così scuro da sembrare nero, con intarsi più chiari all’altezza del corpetto.
Si ritrovò a pensare alle donne che aveva osservato nei dieci anni trascorsi nell’harem, donne succubi che chinavano il capo senza neanche provare a reagire, donne che si erano ribellate e che erano state domate e donne che, come lei, si erano piegate senza però spezzarsi, con la fierezza nello sguardo e la tacita promessa che non avrebbero mai rinunciato alla ricerca della libertà. Per anni aveva immaginato il volto di Pearl chiedendosi che tipo di donna fosse, ma quella che aveva davanti non rispondeva affatto all’idea che si era fatta di lei e la odiò all’istante, perché comprese solo allora perché lui l’amasse così tanto: al di là della bellezza, Mary Victoria Doyle, la sua Perla Nera, era una donna per cui valesse la pena lottare e morire.



 

 
 
Note: ed eccomi di nuovo qui, vi ho fatto aspettare un po' ma spero ne sia valsa la pena. La trama si sta pian piano delineando, i personaggi -spero- anche così come le varie relazioni. Nelle recensioni avete perfettamente trovato il tema centrale, la vendetta, ispirata a Edmond Dantés e al suo mondo... Ma il parallelismo sarà davvero così scontato? :) Vedremo. Intanto ringrazio le fanciulle che hanno trovato un attimo di tempo per lasciarmi una recensione, chi ha aggiunto la storia alle ricordate/seguite/preferite, Acqua per il betaggio e per la consulenza e Cri per aver sopportato le mie chiacchiere.
Per chi volesse trovarmi anche fuori da efp, vi lascio i contatti facebook, gruppo e pagina, e il blog.
Un abbraccio,
Ems

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