Noi non viviamo in binari diversi, sei tu il mio binario.

di JulieTeller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** Ma tu lo sai esattamente quello che vuoi, Peter? ***
Capitolo 3: *** "Troveremo una soluzione, piccola. Te lo prometto. Ti amo." ***
Capitolo 4: *** "Sì, perchè senza di lei non ci sarebbe riuscito, a vivere." ***
Capitolo 5: *** Ormai quella malattia faceva parte di lui. ***
Capitolo 6: *** "Non puoi lasciarmi." ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


“Ehi Peter!” Non si vedevano da qualche mese. Lui l’aveva abbandonata, doveva lasciarla andare, non poteva permettere che le facessero del male. Era la persona che amava, oh sì, l’amava a tal punto da sentirsi male, ma era giusto così. I suoi nemici non potevano assolutamente scoprire una cosa del genere, dopo lo zio Ben, non voleva “perdere” anche lei. “Ehi..” Peter aveva il viso stanco, insonne ed uno di quegli sguardi che ti dicono tutto: un mi manchi soffocato nel grido silenzioso e disperato di averla nuovamente tra le sue braccia. La guardò attentamente, con quegli occhi che ogni volta la facevano impazzire. Ma lei era seria adesso. Dalla risatina adorabile che lui amava, aveva quegli occhi verdi e grandi da cerbiatto seri. Perché? “Smettila di guardarmi così. Smettila.” Gli ripeteva Gwen, anche a lei mancava da morire ma non poteva farglielo capire, voleva riserbarsi un po’ di orgoglio e non pensare che con una sola parola sarebbe caduta nuovamente tra le sue braccia. Nonostante quello che le aveva fatto. Dopo il funerale del padre non si era fatto più sentire, era sparito nel nulla. E a lei mancavano pochi mesi per diplomarsi e, purtroppo (o fortunatamente?) Peter andava nella sua stessa scuola. L’aveva visto qualche settimana prima con una nuova ragazza, una di quelle stangone rosse e cotonate che si vedono solo nelle riviste. Lei non era così, era persino bassa. Ma credeva davvero che Peter Parker si fosse innamorato di lei. Evidentemente si sbagliava, di grosso. “Scusami, non ti guarderò più allora. Perché io riesco a guardarti solo in questo modo.” “Mh, come sta la tua ragazza? Mary-Jane, giusto?” “Sì, sì, Mary-Jane..” “Salutamela!” Allungò il passo per sparire nel nulla, si sentiva una stupida ogni volta che lo vedeva o lo incontrava per caso. Sentì un braccio forte bloccarla, si voltò per capire chi fosse ed si ritrovò addosso il profumo che le era mancato tanto: quello di Peter. Ma non volle abbattersi e lo spinse via, con poco risultato dato che lui, oltre ad essere Spider-man, era un ragazzo molto forte. “Lasciami in pace!” “Ti amo, Gwen. Ti amo.” La guardò dritta negli occhi, qualche ragazzo si fermò per osservare la scena, quella scena apparentemente romantica. “Mi ami? Perché sei sparito? Avevo bisogno di te e sei scappato. Perché?” Alzò il tono della voce con le lacrime agli occhi nel sentire quell’unica frase di cui aveva bisogno. Era l’uomo della sua vita, la luce che illuminava le sue giornate. Le mancava anche trovarlo appollaiato fuori dalla sua finestra, ad osservarla silente ed in attesa. “Volevo solo proteggerti. In tutto questo tempo non ho fatto altro che pensarti e più ti pensavo, più ti amavo. Non riesco più a respirare. Non riesco, se non ci sei tu.” Gli occhi di Peter si colmarono di lacrime, era il ragazzo più dolce e romantico del mondo, agli occhi delle altre ragazze. E di Mary-Jane che, stranamente, stava osservando tutta la scena. Non appena il ragazzo finì di parlare infatti, fece un grande applauso, mettendosi in mezzo tra i due e alla piccola massa che si era creata attorno ai due innamorati. “Bene, bene, bene.. Che cosa abbiamo qui? Il mio ragazzo che dice di amare un’altra. Sono cose che non si vedono tutti i giorni!” risata malefica contro Gwen. Peter osservava Mary con aria di colpa, ma non si sentiva assolutamente in colpa per quello che aveva detto a Gwen. Si sentiva solo in colpa di averla lasciata. Improvvisamente vide un pugno, una piccola mano chiusa che si stava scagliando contro la ragazza dai capelli biondi. Peter con un’agile mossa si mise davanti a Gwen per proteggerla e si prese il pugno, che gli “ruppe” il naso. Mary-Jane guardò Peter con disprezzo e se ne andò, sconsolata. “Non finisce qui, Parker! Me la pagherai per quello che hai fatto!”

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Capitolo 2
*** Ma tu lo sai esattamente quello che vuoi, Peter? ***


“Peter.” Gwen sospirò vedendo il sangue che colava dal naso di Peter. La situazione che si era creata era molto strana, Peter con un solo gesto poteva scaraventare la ragazza rossa contro gli armadietti, ma non lo fece, era pur sempre una ragazza. Ma lui era Spider-Man. Lo prese per mano e lo accompagnò in infermeria, doveva farsi curare quel naso e tra meno di un’ora sarebbero cominciate le lezioni. “Non dovevi difendermi, Peter. Dovevi stare semplicemente alla larga da me, come volevi fare fino a pochi giorni fa.” Gwen guardava negli occhi Peter che era seduto sul lettino dell’infermeria, con le spalle e la schiena curvate verso di lei. Lui la guardava con quegli occhi grandi e marroni, innamorato perso della sua principessa. Ma non poteva costringerla a stare con lui, soprattutto dopo che l’aveva respinta e si era messo con un'altra. Inoltre doveva dare delle spiegazioni chiare a Mary-Jane che dopo la sfuriata, in quel momento mentre i due si parlavano, lo stava chiamando al telefono. Infatti il ragazzo lo prese e sbuffò. “E’ Mary-Jane.” Gwen indietreggiò appena con lo sguardo che si distoglieva dai suoi occhi, imbarazzata e un po’ ferita. Peter rimise il cellulare dentro la tasca e prese Gwen per mano, attirandola leggermente verso di sé. La guardava intensamente, come se non volesse perderla di vista. L’infermiera era andata via per pochi minuti, doveva prendere del cotone per il naso del ragazzo. “Io ti amo, Gwen. Cosa devo fare per fartelo capire?” Sussurra contro il suo viso, prendendoglielo tra le mani, mentre il cellulare continuava a squillare. “Lasciala e torna da me. Mi mancano le tue labbra, le tue braccia. Tutto.” Sussurra contro le sue labbra mentre gli lascia un piccolo bacio umido sulle labbra. Lo abbraccia forte, come se avesse paura di perdere la cosa più preziosa che aveva e si stacca velocemente non appena sente l’infermiera arrivare. Lo saluta non appena sente la campana della fine della pausa e lo saluta con uno sguardo che non era felice. Gli mancava, da morire. Ma come faceva a convivere con questa situazione? C’era Mary-Jane che, se davvero Peter voleva lasciare, sarebbe stato un problema risolvibile. Ma ce n’era un altro molto più grave, la paura costante di perdere Peter. Lui era Spider-Man, doveva combattere costantemente contro le forze del male. Aveva paura che si facesse male, aveva paura che non sarebbe più tornato a casa. Aveva perso suo padre, una tra le persone più importanti per lui e non voleva perdere adesso anche Peter, l’amore della sua vita. Avrebbe preferito morire che perderlo. Entrò dentro la classe e si sedette al suo banco, come ogni lezione. C’era un banco vuoto che era quello di Peter e successivamente entrò Stacy e Mary-Jane che teneva per mano qualcuno. Era curiosa, magari aveva trovato un ragazzo per fare “ingelosire” Peter. E invece no.. Il ragazzo era proprio Peter. Perché? Cosa le avrà detto quella serpe per far comportare Peter in quel modo? Forse l’ha minacciato. Gwen girò il viso dall’altra parte, aprendo il libro di astronomia. Purtroppo Peter si sedette dietro di lei e Mary-Jane all’ultimo banco, accanto ad alcuni amici. Gwen non riusciva a trattenere le lacrime, non vedeva l’ora di scappare a casa e piangere. Ascoltò attentamente la professoressa cercando di non ascoltare le risate della ragazza rossa che stava raccontando che “aveva fatto pace con il suo ragazzo e che tutto andava a gonfie vele, finalmente.” Dopo nemmeno mezz’ora? Peter evidentemente dopo l’infermeria l’aveva raggiunta e avevano fatto pace, magari con un solo bacio. Gwen non riuscendo più a sopportare quella tensione e sentendo addirittura una risatina da parte di Peter (ma forse se l’era solo immaginato) alzò la mano e chiese se poteva andare in bagno. Mary-Jane rispose al posto del professore. “Stacy, non scappare sempre dalle situazioni.” Gwen non sapeva se rispondere o no, era la prima della classe, sempre gentile con tutti e mai nervosa o arrabbiata con nessuno. Il professore le diede il consenso e Gwen si alzò e, prima di uscire dall’aula, si voltò guardando intensamente prima Peter, poi Mary-Jane. Non appena guardò gli occhi della rossa alzò leggermente una mano e le alzò un medio, con un sorrisetto finto. Non era quel tipo di ragazza, ma quando era necessario. Uscì fuori dalla classe infuriata con sé stessa e con Peter, come aveva potuto farle questo? Nel corridoio sentì il cellulare squillare, non voleva rispondere ma dato che Peter era in classe, non poteva essere lui. Rispose e sentì una voce femminile all’altro capo. “La chiamiamo dalla University School of London, siamo stati informati dei suoi voti, sappiamo che è la migliore della classe e ci piacerebbe, dopo il diploma che avverrà a breve, averla nella nostra università. Ci faccia sapere, signorina Stacy.” “Grazie mille, lo farò.” Era sbalordita. Era una grande occasione per cambiare vita, avrebbe dimenticato Peter, Spider-Man, Mary-Jane. Avrebbe preso in considerazione la cosa. Tornò in classe dopo 15 minuti, con un’espressione serena in viso e il professore la notò. “Già saputa la notizia, signorina Stacy?” Tempismo perfetto. Così adesso tutta la classe lo sapeva. “Vedete, la signorina Stacy ha vinto una borsa di studio per l’università di Londra.” Tutti i compagni applaudirono, soprattutto Mary-Jane e i suoi amici che fischiarono pure. L’unico a non applaudire era Peter. Lo sentiva, non applaudiva. Perché? Non era felice che se ne sarebbe andata? Gwen cercò di sorridere il più naturalmente possibile e non appena suonò la campana, raccattò i suoi libri e si fiondò fuori dalla classe. A passo veloce percorse il corridoio che dava all’uscita e uscì il più velocemente possibile. Aveva le lacrime agli occhi e un’angoscia così pesante sul petto. Si asciugò le lacrime, non voleva che gli altri la vedessero debole. “Gwen!” Sentì la sua dannata voce, si voltò per guardarlo e allungò il passo. Anzi corse. Anche lui corse. Dato che aveva troppa ansia dentro, si voltò di scatto verso di lui facendolo fermare e gli urlò in faccia: “Cosa vuoi da me, ancora? Devi lasciarmi in pace! Basta, sto male! Sai esattamente quello che vuoi, Peter?!” Peter la guardò a lungo negli occhi, doveva darle una spiegazione. Doveva farlo, ora più che mai.

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Capitolo 3
*** "Troveremo una soluzione, piccola. Te lo prometto. Ti amo." ***


“Dobbiamo parlare, Gwen. Dobbiamo parlare chiaramente. Tu non puoi andare via. Non puoi partire. Tutto mi è più chiaro adesso, devo solo spiegarti tutto.” Gwen stava di fronte a lui, immobile, in ascolto. In quel preciso istante era come se una forza esterna, oscura, la bloccasse per non farla andare via. Era curiosa di sapere, anche se il suo cuore stava sanguinando. Annuì leggermente alle parole del ragazzo, un po’ combattuta. Non appena ebbe il permesso dalla ragazza che amava, la prese in braccio velocemente e si librò in aria, dopo aver puntato con il polso il palazzo della mensa e fatto fuoriuscire una ragnatela. Gwen si strinse forte al corpo di Peter, non aveva paura, con lui non ne aveva mai avuta. Sorvolarono Times Square e poi Central Park, fino a fermarsi dentro una torre dell’orologio, nascosti così che nessuno potesse disturbarli. Peter osservò fuori, attraverso gli spazi che creavano le lancette. “Parla, Peter. Sono qui, ti ascolto.” Sussurra avvicinandosi a lui, rimanendo dietro ed osservandogli la nuca. Si era resa conto che senza di lui non poteva, non riusciva a vivere. Chissà se era lo stesso anche per lui. “Ho fatto credere a Mary-Jane di amarla. Tu lo sai benissimo e lo sa anche lei che tu sei e sarai sempre l’amore della mia vita. Non ho dubbi su questo. L’ho fatto perché continuo a vedere tuo padre. Gli avevo fatto una promessa, Gwen. Sto cercando di non mantenerla, ma non ci riesco. Lui è morto per causa mia, io sono anche Spider-Man. Non posso cambiare il mio destino, questa è la mia strada. Non posso perdere anche te.” Si volta finalmente verso di lei con gli occhi colmi di lacrime. Le prende il viso tra le mani, carezzandoglielo dolcemente. Non aveva più parole da esprimere, solo tante lacrime da versare. “Tu sei Spider-Man e la cosa mi piace. Ma io amo di più Peter Parker. Se la paura di perdermi non ci fa stare insieme, che senso ha?” Peter rimase in silenzio, guardandola intensamente negli occhi. Quegli occhi di cui si era innamorato, nessuno sano di mente avrebbe rinunciato a quegli occhi. Forse lui, evidentemente, non lo era. “Mi dispiace, Gwen.” “Ti dispiace? Ah, certo. Lo vedo quanto ti dispiace. Quindi per te è giusto che io rimanga qui, senza poterti mai vedere mentre tu passi il tuo tempo con Mary-Jane? Ti sembra onesto e rispettoso da parte tua?” Peter non poteva assolutamente controbattere. Aveva ragione, era solo un’egoista. Si asciugò il viso con entrambe le mani, coprendo gli occhi chiusi e sconfitti dal dolore. Gwen indietreggiò appena, era terrorizzata e infatti tremava ma Peter ancora non si era accorto di nulla. Gli diede le spalle, guardandosi intorno spaesata. Non riusciva ad accettare la situazione, l’Inghilterra, alla fine, senza di lui non aveva alcun senso. Strinse forte i pugni cercando di auto-controllarsi ma non ci riuscì. Si voltò di scatto si scagliò contro Peter che era ancora distratto. Gli diede uno schiaffo, abbastanza intenso, non come il pugno di Mary ma c’era quasi. Peter, stranito e colto di sorpresa le bloccò i polsi fermamente, cercando di fermarla. Era rossa in viso, nervosa e scossa. Cominciò ad urlare mentre cercava di divincolarsi. “Mi hai rovinato, Peter Parker!” Peter sentiva il suo dolore che le lacerava il petto, cercò di abbracciarla e ci riuscì, avvolgendola e bloccandola in maniera salda. “Mi fai male, così. Ti prego, smettila.” Sussurrò Peter all’orecchio di Gwen, cullandola dolcemente, cercando di consolarla. Gwen adesso piangeva silenziosamente, tirando talvolta il naso, come una bimba a cui è stato tolto il giocattolo che le piaceva tanto. “Peter, io ti amo. Come faccio a continuare senza di te?” Peter strinse gli occhi mentre la cullava contro il petto, poggiando la guancia contro il suo capo. “Troveremo una soluzione, piccola. Te lo prometto. Ti amo.” Rimasero lì abbracciati per alcune ore finchè la zia May non chiamò Peter al telefono perché aveva bisogno delle uova.

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Capitolo 4
*** "Sì, perchè senza di lei non ci sarebbe riuscito, a vivere." ***


Dopo quel tragico giorno sulla torre, era passata una settimana. Non si erano più visti, più che altro era Gwen che non voleva avere nessun rapporto con il mondo esterno. Peter aveva finalmente lasciato Mary-Jane e adesso si ritrovava da solo, con quella promessa che le aveva fatto una settimana fa, cercando di capire perché non si era fatta più sentire. Lui non voleva disturbarla, sarebbe tornata lei se proprio voleva farlo. Stava in piedi, con quel costume stretto e fastidioso di colore blu e rosso, e la maschera che gli copriva il viso ad osservare la ragazza dai capelli biondi che si avviava verso un locale che era stato aperto da un mese, lo adorava. Infatti non era la prima volta che la osservava camminare verso quel posto, le piaceva da morire. La vede sedersi al tavolo con alcuni amici, forse di scuola anche se non li aveva mai visti, e nota in particolare un ragazzo che le cinge le spalle. Si sente estremamente geloso e impotente, ma lui non poteva reagire, non poteva fare nulla. Fece un balzo prima che Gwen potesse accorgersene e si allontanò il più possibile da quella scena grazie alle sue forti ragnatele che si attaccavano saldamente di palazzo in palazzo. Come aveva potuto fargli questo? “Troveremo una soluzione, piccola. Te lo prometto. Ti amo.” Cosa non aveva capito di questa semplice frase? Forse lei non voleva più andargli dietro. Forse aveva deciso di andare a Londra nonostante tutto. “Che stronza.” Sussurrò tra sé, mentre atterrò davanti la propria finestra, aprendola ed entrando in camera indisturbato. Zia May faceva il doppio turno e non sarebbe tornata prima delle sette. Quella povera donna si spaccava la schiena per mantenerlo mentre lui si faceva dare una paga misera al Daily Bugle per alcuni scatti di Spider-Man e si sentiva tremendamente in colpa per questo. Ma la zia May, essendo la migliore zia del mondo, non gli faceva pesare minimamente nulla e anzi lo esortava a cercarsi un lavoro migliore senza pretendere chissà cosa da lui. Dopo essersi sfilato il costume, infastidito, indossa un paio di jeans e una maglietta scura. Si distese sul letto con un lungo sospiro e si infilò le cuffiette alle orecchie, cercando un po’ di pace in quella battaglia tra odio e amore. Non gli andava neppure di mangiare, tanto il suo umore era a terra. Come se fosse stato letto nel pensiero, qualcuno bussò alla porta. Chi poteva essere a quell’ora? Forse zia May aveva finito prima. Si alzò lasciando sul letto il lettore musicale e le cuffiette e si avviò svogliatamente verso la porta. Tenendo un braccio dietro la nuca per stiracchiarsi, aprì con l’altro la porta e rimase estremamente sorpreso da quello che vide: era Gwen. In un primo momento la guardò a lungo negli occhi, cercando qualcosa da dire. “Gwen, cosa ci fai qui?” il tono era calmo e distaccato, abbassò lo sguardo su quello che aveva in mano. Un sacchetto bianco che emanava un profumo delizioso. Non si era fatta sentire per una settimana ed ora pretendeva di pranzare insieme? Che poi lei aveva pure pranzato. Con il suo amico. “Scusa per questo gesto spontaneo ma mi era sembrato il momento. Posso entrare?” Peter rimase per alcuni momenti davanti a lei, senza parlare e senza muoversi. Non capiva il motivo di quel “gesto spontaneo”. Le piaceva farlo soffrire? Forse adesso voleva farlo soffrire come aveva sofferto lei a causa sua? Successivamente si spostò, in fin dei conti quel gesto gli aveva fatto piacere. Chiuse la porta in silenzio, ancora non aveva detto nulla. Non sapeva che dire. La situazione sembrava tanto assurda che era rimasto paralizzato. Lei aveva il coltello dalla parte del manico adesso, stava giocando con il suo cuore. “Oh, quasi dimenticavo. Ti ho portato il pranzo, ti vedo dimagrito dall’ultima volta.” La sua espressione era seriamente preoccupata. Era vero, era dimagrito qualche chilo, tra l’essere Spider-Man e lo stress dell’attesa gli avevano fatto dimenticare di mangiare. Proprio non gli andava. “Non me ne faccio niente del tuo pranzo, Gwen. Perché sei sparita? Dopo quella promessa, che fine hai fatto?” Gwen era mortificata. Le cose non erano andate come Peter pensava fossero andate. Gwen.. Gwen era malata. Lo aveva scoperto da poco, due giorni dopo il loro ultimo incontro. Un tumore allo stomaco, vomitava sangue talvolta ed era stata male per tutta la settimana. Era curabile, doveva cominciare la chemio a breve. Ma non aveva il coraggio di dirlo a Peter. Non aveva avuto il coraggio di dirgli “Ho un tumore e probabilmente morirò tra le tue braccia.” Non poteva farlo. E doveva lottare con tutte le sue forze per rimanere. Rimanere con lui. Doveva farlo per lui. Lo guardò a lungo negli occhi, cercando di non far trapelare nessuna emozione. “Peter..” disse con un filo di voce, avvicinandosi a lui, adesso era arrivato il momento di fargli sapere tutto. Aveva aspettato troppo e doveva essere il primo a saperlo. Gli unici che sapevano erano sua madre e i suoi fratelli. E ora più che mai aveva bisogno di Peter. E del padre. Era andata a trovarlo tutti i giorni al cimitero, raccontandogli l’accaduto e chiedendogli aiuto e consiglio. “Io..” nel momento in cui stava pronunciando le parole che lo avrebbero fatto crollare, zia May aprì la porta e sorrise, vedendo con grande sorpresa la ragazza. “Gwen, tesoro! Come stai?” “Tutto bene zia May, grazie..” le sorrise dolcemente, andandola a salutare cordialmente. Peter, dopo aver salutato la zia, invita Gwen a salire in camera con lui per continuare a parlare. Gwen accettò, con un velo di terrore negli occhi. Terrore, perché Peter poteva avere una reazione completamente diversa da quella che si aspettava. Peter si distese sul letto, aspettando cosa Gwen aveva da dirle. Era stanco, infatti chiuse gli occhi, cercando di ascoltarla. “Io, Peter.. Sono..” Si avvicinò ai piedi del suo letto con le lacrime agli occhi e sentì il suo respiro pesante, stava dormendo. Si inginocchiò davanti al suo viso e gli baciò le labbra. “Sono malata.” Sussurrò con un filo di voce, impercettibile, per poi alzarsi e correre via, cercando di non svegliarlo. Salutò zia May e uscì di casa, asciugandosi il viso pieno di lacrime. Era esplosa, era sola, era inerme. Come sarebbe riuscita ad andare avanti, a combattere, da sola? Magari Peter non l’amava più, magari in quella settimana si era dimenticato di tutto. Quando le aveva chiesto dove era finita era freddo e distaccato, come se, alla fine, non gli importava più di tanto. Però aveva saputo da alcuni amici che aveva lasciato Mary-Jane. Era un buon segno, forse. Chissà. Mentre Gwen, sconsolata, tornava a casa per ingozzarsi un po’ di gelato, Peter aprì gli occhi e il terrore si fece strada nella sua mente. Malata. Come era possibile? Malata di cosa? Perché? Si mise a sedere con gli occhi spalancati, non poteva lasciarla sola. E doveva inoltre capire, innanzitutto cosa aveva. Poteva essere qualcosa di estremamente leggero come qualcosa di estremamente grave. Ma dal tono in cui l’aveva detto, optò per il secondo pensiero. Afferrò velocemente il cellulare con mani tremanti e le scrisse: “Dobbiamo vederci subito, Gwen. Subito!” Non era da lui scrivere messaggi così striminziti e senza senso, ma aveva paura. I nemici con cui combatteva tutti i giorni non erano niente in confronto a quella paura. Un messaggio ricevuto. Gwen. “Dammi dieci minuti e ci vediamo a scuola, di sera è più “romantico”. Davanti la panca per il pranzo.” Quella panca. Il giorno del loro primo incontro, quando Flash se l’era preso con un ragazzino del primo anno e lo stava mettendo in ridicolo davanti a tutti. E lei era lì. Bella come nessuna, seduta sopra la panca che usava come sedia che leggeva. Magari potesse essere stato quel libro, fu la prima cosa che pensò quando la vide. Le scattò anche una fotografia quel giorno, che adesso tiene sulla parete della sua camera. Lo aveva salvato dalle grinfie di Flash. “Come ti chiami?” “Non sai come mi chiamo?” “Sì che lo so, voglio vedere se lo sai tu.” E rideva. La sua risata era così meravigliosa che quasi stava cominciando ad innamorarsene. “Peter.. Parker.” Lei annuì con un sorriso dolcissimo e guardava nuovamente il professore che stava spiegando chissà cosa. “E tu sei Gwen, giusto?” “Gwen Stacy.” E sorrise di nuovo. Che ragazza splendida. E adesso quella ragazza, la sua ragazza che aveva fatto soffrire più di ogni altra, era malata. No, non doveva succedere niente di grave. Non l’avrebbe permesso. Avrebbe fatto di tutto per salvarla. Anche donarle il sangue, tutto quello che fosse stato necessario. Aprì la finestra e si gettò giù, volando, cercando di mettere dei cerotti a quel cuore che stava sanguinando. Sì, perchè senza di lei non ci sarebbe riuscito, a vivere.

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Capitolo 5
*** Ormai quella malattia faceva parte di lui. ***


Atterrò proprio davanti al cancello della scuola che era ancora aperto. I bidelli non lo chiudevano mai, era aperto per qualsiasi evenienza. Ma quella era un’emergenza, non un’evenienza. Camminò lentamente per sperare che il tempo si fermasse, che tutto quello che stava succedendo non fosse reale e si fosse svegliato l’indomani sul suo letto comodo. Ma purtroppo quella era la cruda realtà. Quella da cui, adesso, non poteva assolutamente scappare. La vide seduta su quella panchina come se fosse la prima volta e un nodo gli inondò la gola. Le gambe gli si bloccarono, non riusciva più a fare un passo in avanti, era paralizzato. Terrorizzato. Triste. Si passò una mano tra i capelli e poi sul viso, cercando di mantenere la calma. Mosse una gamba, poi l’altra, camminando lentamente a causa dello stato d’animo del momento. “Gwen..” sussurrò a malapena, non riusciva a fare nient’altro, non riusciva nemmeno a chiamarla. Però lei lo sentì. E vide nel volto dell’amore della sua vita tutto il dolore che stava provando lei. L’unica sua preoccupazione era non avere più tempo. Era questa la cosa che la terrorizzava. Aveva paura di lasciarlo, aveva paura che si sarebbe dimenticato dei loro momenti, di lei. Ma poi pensò che era egoista da parte sua pensare a queste cose. Si alzò e gli corse incontro, agganciandogli le braccia al collo, facendo un piccolo saltino per farsi prendere in braccio. Peter si accorse che aveva perso peso, era stato così cieco da non accorgersene. La strinse più forte che poteva, aveva paura che da un momento all’altro sarebbe sparita per sempre. Non poteva accadere. Invece di pensare a sé stesso, doveva pensare alla sua salute. Al suo bene. E invece l’ha spinta via crudelmente, ma voleva soltanto proteggerla. “Peter, ehi..” alzò il viso per guardarlo negli occhi ma vide solo lacrime calde che stavano bagnando il suo viso angelico. “Ehi, ehi..” allunga una mano sul suo viso asciugandogli le lacrime mentre lui comincia a singhiozzare, stringendola più forte. Dopo tutto quello che avevano passato per stare insieme.. Perché il destino è così crudele? Perché si faceva beffa di loro? “Che cos’hai? Perché sei malata?” Lei abbassò lo sguardo, con un piccolo sospiro. Peter attese a lungo la risposta mentre continuava a tenerla saldamente in braccio. “Tumore.. un tumore allo stomaco. E’ da un po’ che vomito sangue, ma non me ne sono preoccupata più di tanto. Devo fare la chemio ma i dottori mi hanno assicurato che ho molta probabilità di sopravvivenza. E poi ho un supereroe che mi protegge, perché non dovrei guarire?” sorride accennando una dolce risata per smorzare la tensione ma Peter non sorrise. Era serio e guardava altrove, sentendosi estremamente in colpa. Per tutto questo tempo si era preoccupato di Mary-Jane, di come farla felice, di come far ingelosire Gwen, di come allontanarla perché a lei teneva davvero. E adesso? Adesso la donna che ama di più al mondo oltre zia May è malata e lui non ha fatto nulla per risanare la situazione. Doveva starle vicino nel momento in cui aveva ricevuto la notizia. La lasciò delicatamente portandosi entrambe le mani ai capelli, allontanandosi di poco da lei, con lo sguardo a terra, mortificato e deluso da sé stesso. Lei cercò di avvicinarsi ma lui si allontanava maggiormente. Alza lo sguardo su di lei, osservandola negli occhi intensamente. “Tu non ti meriti uno come me. Ti meriti un principe azzurro che non ti tratti di merda, che non ti tradisca mai. E io non sono questo tipo di uomo. Faccio schifo, Gwen. Come posso restare al tuo fianco dopo che ti ho fatto questo?” Gwen, alterandosi leggermente, si avvicina e lo prende per la maglia, guardandolo fisso negli occhi. “Cosa centri tu? E’ un problema mio che sto condividendo con te. Perché ti voglio con me durante la chemio, quando perderò i capelli, quando vorrò qualcuno accanto il mio fianco che mi stringa e che mi dica che sono bellissima nonostante tutto. Sei tu Peter quello che voglio. Non puoi sparire di nuovo. Ne uscirei devastata. Ti prego..” sussurra con la voce spezzata, voleva veramente lasciarla andare di nuovo? Pregava che non lo facesse, sarebbe morta prima di tutto quello che avrebbe dovuto affrontare. “Gwen.. Devo andare. Devo andare.” Ripetè macchinalmente, le avrebbe fatto tanto male. Tanto. Ma non poteva permettere che un mostro come lui, che la aveva fatta ammalare, stesse con un simile angelo. La guardò negli occhi, vide la sua delusione, il suo dolore, si allontanò leggermente per poi girarsi e cominciare a camminare per andare via. Lei era immobile, lo osservava, si appoggiò alla panca con una mano sul ventre con gli occhi pieni di lacrime. Quando era abbastanza lontano si accartocciò su sé stessa e cominciò a tossire, la mano cominciò a tingersi di rosso. Era sangue. No, di nuovo no. Non adesso che sono sola, pensò. Era stata abbandonata dalla persona di cui si fidava di più al mondo e adesso doveva combattere da sola. Si sporcò il maglioncino bianco e corse via da quel posto maledetto. Corse tanto da non accorgersi che aveva spinto per sbaglio un Peter disperato che era ancora verso la strada di casa. Lui lo riconobbe ma non si fermò nemmeno. Corse più forte che poteva perdendo sangue dalle labbra, appoggiandosi di tanto in tanto al muro per darsi forza. Peter la rincorse a lungo, era preoccupatissimo, era innamorato. Riuscì a raggiungerla e con un gesto veloce la afferrò tra le braccia e si librò in aria con lei, stringendola al petto e guardandola. Le baciò le labbra assaporando il suo sangue, ormai quella malattia faceva parte di lui, anche lui da quel momento era malato. Doveva farla guarire, doveva salvarle la vita. Lei ricambiò appena il bacio e perse i sensi subito dopo tra le sue braccia mentre Peter atterrò davanti la porta dell’ospedale, entrando velocemente. “Vi prego, aiutatemi, la mia ragazza sta male! Aiutatemi!”

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Capitolo 6
*** "Non puoi lasciarmi." ***


Peter era rimasto seduto nella sala d’aspetto per circa due ore prima che uscisse il medico che aveva soccorso Gwen. Aveva il viso stanco, come se avesse scalato una montagna senza avere le scarpe adatte. “Signor Parker.” ha sussurrato guardando il ragazzo con compassione. “La signorina Stacy ha un grave tumore allo stomaco che non le permette di far metabolizzare cibo ed organismo. Le dico questo perché voglio che lei si renda conto di ciò in cui sta andando incontro, così da essere preparato.” Peter annuì. Sapeva benissimo la situazione e poteva benissimo immaginarla. Ringraziò il dottore per quelle informazioni e gli strinse la mano ma prima che lui andasse via gli intimò: “Signor Parker, non è tutto perduto. Si può combattere e lei deve farlo insieme a lei. Senza il suo aiuto la signorina Stacy non potrà farcela.” Gli donò un piccolo sorriso sghembo e sparì nel lungo corridoio mentre Peter ripensava alle parole del dottore. A dire la verità non sapeva esattamente se ce l’avrebbe fatta. Aveva paura di crollare da un momento all’altro, l’amore della sua vita era stesa su di un letto d’ospedale e lui non poteva fare nulla, era impotente nonostante fosse Spider-Man. Aveva bisogno di una boccata d’aria, per questo uscì, in quel momento non poteva vederla. Il vanto e il lato positivo di essere un supereroe era che tutti lo osservavano come appunto un eroe, forte, protettivo, che non viene scalfito neppure dal più pericoloso dei nemici. Ma in quell’istante, mentre camminava per la strada e assaporava per la prima volta il sapore del fumo di sigaretta, era umano. Era un essere umano che doveva combattere un cancro, non il suo ma quello della sua donna. Che speranze aveva Gwen? Era terrorizzato. E se non si fosse mai risvegliata? Lui come poteva andare avanti? Lei era l’unica cosa bella, era il suo punto di riferimento e la sua forza. Aspirò un lungo tiro dalla sigaretta e si sedette su di una panchina. La vita era così bella con lei. Le risate, i baci, l’amore che avevano. Non poteva perdere tutto così. Non potevano perderlo. Se avesse avuto la possibilità di salvarla o addirittura di sacrificarsi per lei, l’avrebbe fatto senza la minima esitazione. Ma era molto più complicato di così. Un tumore era difficile da mandare via, era come la pioggia che cade ininterrottamente e non puoi fare niente per fermarla, si ferma da sola. Chissà se quel dannato tumore si sarebbe fermato da solo o avrebbe mangiato Gwen fino ad ucciderla. Non appena finì la sigaretta, la gettò a terra. Si sentiva un po’ stordito, il fumo era salito alla testa. Rientrò dentro barcollando leggermente, ma riuscì a mettersi in piedi il più velocemente possibile. Doveva essere un minimo presentabile per lei. Camminò lungo il lungo corridoio color crema osservando i numeri delle camere per cercare la sua. “Stanza numero 355.” aveva affermato l’infermiera osservando la scheda di Gwen. 353, 354.. 355! Finalmente la trovò dopo una decina di minuti, l’infermiera gli aveva detto che la camera era al piano terra nonostante cominciasse per trecento. La porta era aperta e un’altra infermiera stava controllando la flebo. L’angelo dagli occhi color smeraldo era sveglio. Era disteso, indifeso, con i capelli sudaticci e un po’ di sangue sul camice verde. Era distrutta. Peter la guardava innamorato e ferito, ferito perché lei stava soffrendo. Non poteva sopportarlo. Si avvicinò a lei facendo un cenno di saluto all’infermiera che, capendo, si allontanò e li lasciò soli. “Amore mio. Amore mio, dov’eri finito?” sussurrò con un filo di voce, gli occhi socchiusi e la mano che cercava la sua. “Mi sei mancato tanto.” sorrise dolcemente, un sorriso che ti apre il cuore e l’anima. “Gwen, amore mio. Non puoi lasciarmi. Io ho bisogno di te. Dobbiamo andare a Parigi, Londra, Barcellona.. Ti prego.” non ce la fece più e scoppio in un pianto disperato mentre Gwen gli accarezzava dolcemente i capelli, il suo viso lentamente si riempiva di lacrime. “Non lo farò amore mio. Non lo farò mai.” E continuava a guardarlo in quel modo che sapeva fare solo lei. Peter alzò lo sguardo e la guardò negli occhi. Le asciugò le lacrime e posò le labbra sulle sue, in maniera dolce. “Ti amo, Gwen.” “Ti amo, mio Peter.”

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